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N.d.A.: Okay.. mi sto facendo prendere la mano….
Inizio a pubblicare anche io storie originali XD. Prima capitolo di una storia
che ho iniziato a scrivere un annetto fa. Spero
piaccia a qualcuno. E se così è, recensite!!! Baci *__*
I
Picchiettava
le dita sul volante da piú di un'ora, un movimento meccanico e ripetitivo che
mitigava l'impazienza. Aspettare non era il suo forte, non lo era mai stato in
tutti i suoi trentasei anni di vita e non poteva esserlo in una situazione come
quella. Guardò l'orologio al polso e scoprì di essere là da un'ora e venti minuti: ottanta minuti seduto in macchina ad aspettare
che quell'idiota si decidesse a scendere. Si chiese se per caso non avesse
sbagliato indirizzo oppure orario, guidare col sangue agli occhi come aveva
fatto lui avrebbe potuto farlo cadere in errore. Prese
il foglio che aveva stampato dal computer quella stessa mattina:
Gentile cliente, ecco le
informazioni dettagliate di cui siamo in possesso:
Frank Moran,
31 anni, socio in un’azienda informatica (Gray Byte 3)
residente in Lake Street 58. Orario
uscita tra le 8 e le 10
Rientro variabile, mediamente tra
le 22 e 2 di notte.
Cordialmente, SWT Inv.
Dopo
aver letto il foglio riguardò l’orologio, erano le 9:18 e dell’idiota nemmeno l’ombra.
Forse
era meglio andare a prenderlo fin dentro casa e farlo scendere per le scale a
calci invece che stare ad aspettare i suoi comodi mentre a lui si corrodeva il
fegato. Allungò la mano sul sedile accanto e prese la busta gialla con le foto,
evitò di guardare le altre e tirò fuori solo quella che gli interessava: un bel
primo piano sorridente di quel gran figlio di puttana del
caro Frank. Pensò che aveva proprio la faccia da
imbecille e falso bravo ragazzo. Volse lo sguardo in direzione dello
specchietto retrovisore e lo inclinò verso di sé guardandosi negli occhi.
“Temo che il vero imbecille sia proprio tu”,
si disse con amarezza.
Mentre parlava con se stesso, si accorse di un movimento alla
sua sinistra, si voltò e serrò i denti: finalmente stava uscendo dal portone.
Mise mano alla maniglia della portiera ma si arrestò,
sorpreso da quanto vedeva: il bastardo non era solo, con lui c’era una bella
ragazza dai capelli rossi che gli sorrideva e che Frank teneva per mano. Anche lui sorrideva, lo stesso sorriso da deficiente delle
foto. I due si fermarono per scambiarsi un tenero bacetto da innamorati: Kevin
si chiese se anche lei fosse la moglie di qualcun altro o magari la legittima
fidanzata. Di certo non poteva essere la moglie di Frank,
l’agenzia l’avrebbe scoperto sicuramente.Decise di prendere le foto dalla busta, le
arrotolò e se le infilò all’interno della giacca: pensò che alla fine,
fidanzata o no, la presenza della ragazza avrebbe potuto addirittura migliorare
la situazione, lo avrebbe sputtanato in mezzo alla
strada e per di più di fronte a lei, senza contare i pugni che aveva intenzione di dargli. Aprì la portiera e uscì,la richiuse con
tanta violenza da far oscillare l’auto e pieno di rabbia attraversò la strada
in direzione dei due ignari piccioncini che continuavano a guardarsi negli
occhi e a scambiarsi dolci sorrisi.
Presi
l’uno dall’altra, nessuno dei due si accorse della figura imponente che a
grandi falcate li stava raggiungendo con fare minaccioso. Solo quando Frank
sentì una mano posarsi in modo pesante sulla propria spalla
si accorse di non essere solo con Emily.
“Ciao
Frank!” lo salutò con enfasi l’estraneo. Frank si voltò trovandosi di fronte un
uomo alto più dimetro
e novanta e con grandi spalle che gli rivolgeva un sorriso strano e lo sovrastava
di almeno una ventina di centimetri. “Ciao… ci conosciamo?” gli
chiese esitante.
L’altro
continuava a ostentare un sorriso forzato che
nascondeva intenzioni poco amichevoli.
“Oh
sì, indirettamente ma ci conosciamo. Grazie a mia moglie Jennifer, hai presente?”
Frank
sbiancò in viso, spalancò gli occhi per lo stupore
iniziando a sudare.
“Temo
si stia sbagliando.Non conosco nessuna
Jennifer.” disse visibilmente a disagio.
Il
sorriso di Kevin che già era poco amichevole cominciò a trasformarsi in un ghigno
cattivo, mentre i suoi occhi erano quelli di un uomo febbricitante.
“No
amico mio, la conosci eccome! Te la porti a letto con una regolarità
disarmante!”
Emily
prese parola per la prima volta da quanto quell’uomo era intervenuto tra di loro.
“Cosa? Lei è pazzo, cosa sta
dicendo?” inveì contro l’estraneo, Kevin le lanciò un’occhiata fugace ignorando
il suo intervento e concentrandosi sul suo avversario.
“Andiamo Frank, evitiamo questi inutili giochetti. Sappiamo
entrambi che è la verità.”
“Le
ripeto che si sta sbagliando, io non….”non fece in tempo a terminare la frase che si ritrovò a
terra, steso da un pugno in faccia.
La
donna urlò inginocchiandosi accanto al suo compagno. “Frank! Tesoro stai bene?” gli chiese amorevole.
“Ne
stia fuori, signorina. Non c’entra in questa storia, dobbiamo risolverla tra
uomini.”
Emily
aiutò Frank a rialzarsi sostenendolo per un braccio.
“Lei
è fuori di testa, perché ha colpito il mio fidanzato?
Ha sbagliato persona!” gli urlò la donna mentre Frank
si massaggiava il mento dolorante.
Kevin
fece una risata nervosa. “Signorina, forse non ha capito che mentre lei lo
aspetta a casa, il suo fidanzato si sbatte mia moglie persino nel mio letto. Mi spiace per lei, ma io a questo bastardo devo
spaccare la faccia, a costo di finire in galera!” minacciò
afferrando Frank per il bavero della giacca.
Emily
ancora non riusciva a capire, perché quell’uomo accusava Frank di andare a
letto con sua moglie? Lei era più che sicura della sua fedeltà e soprattutto
del suo buon senso, non l’avrebbe mai fatto.
“Tu
sei un pazzo maniaco, io ti denuncio!” sbraitò Frank mentre
Kevin lo strattonava.
“Dopo
che ti avrò fatto cadere tutti i denti che hai in bocca non potrai fare proprio
un bel niente. Sei un figlio di puttana, non solo ti porti a letto le mogli
degli altri, ma lo fai fregandotene della tua donna. Sei peggio di quanto
immaginassi.” continuò quell’uomo alto e arrabbiato
che digrignava i denti e ignorava le invettive della donna.
“La
smetta, maledizione!” gridava al vento la giovane tentando di intervenire tra i
due.
In
quel momento Kevin lasciò la giacca di Frank e lo spinse contro un’’inferriata,
scagliandosi su di lui come una furia e scuotendolo con forza.
“Perché non ti difendi, eh? Perché
non dici niente e ti fai difendere dalla tua ragazza? Hai paura che si convinca
di che razza di maiale sei? Ti crede un bravo ragazzo invece sei un bastardo!” Mentre Kevin infieriva sull’altro, un passante
che stava assistendo alla scena cercò di intromettersi.
“Ma che state facendo
voi due? La smetta!” intimò a Kevin che non si degnò
neanche di guardarlo.
“Vattene.”
fu la sua risposta infastidita.
Ma
il passante non se ne andò e anzi tentò di prendergli
un braccio per allontanarlo dal povero Frank, che subiva l’aggressione senza
neanche difendersi troppo.
“Va’a farti fottere, non intrometterti se non vuoi un pugno nei denti
anche tu!” gli urlò Kevin.
Il
diversivo del passante consentì a Frank di divincolarsi dalla presa potente di
Kevin e si mise al fianco di Emily.
“Ora
basta, mi ha davvero stancato. Farò finta che questo non sia mai accaduto e non
la denuncerò, ma ora se ne vada.”lo
esortò con calma Frank.
Kevin
si voltò lentamente verso la coppia, fulminandoli con lo sguardo.
“Chiama
la polizia, avanti. Così gli mostriamo anche questi bei ritratti!” urlò estraendo le foto dalla giacca e gettandole nella loro
direzione.
Quei
fogli patinati rotearono a mezz’aria per poi finire ai piedi di entrambi. Lo
sguardo di Emily si posò su una di esse, nella quale
riconobbe subito Frank. L’uomo era con una donna dai capelli ricci che gli
baciava il collo mentre lui rideva beato, erano in
macchina ed era notte. Si inginocchiò accanto alle
foto e ne prese un’altra in mano, soffocando un urlo. La solita donna con i
capelli neri e ricci era seduta sulle sue gambe praticamente
nuda e Frank gli accarezzava una coscia: riconobbe la poltrona sulla
quale erano seduti, era quella del salotto di Frank.
La
buttò e ne prese un’altra, erano sul divano e lei era seduta
a cavalcioni su di lui, nuda.
Riconobbe
la casa, i mobili, le finestre, era foto scattate
sicuramente da lontano, ma la loro nitidezza era sorprendente. C’erano almeno
dieci o quindici foto, tutte con gli stessi soggetti nelle pose più svariate.
Emily era attonita, le osservava una dopo l’altra
stentando a crederci.
“Amore,
non vedi che sono false? Lascia perdere andiamo via.” tentò di convincerla Frank, ma Emily si voltò verso di lui e
respinse il suo braccio.
“False?
Sei un verme, uno schifoso verme!” lo aggredì lei
alzandosi.
“Aspetta,
non è come credi! Posso spiegarti!” continuò Frank.
“Spiegarmi
che cosa? Che non sei tu, che è un fotomontaggio?
Davvero pensi che io sia così stupida? Sei un porco schifoso,
non farti vedere mai più!” gli urlò con rabbia Emily voltandogli le
spalle per andarsene. Frank tentò di fermarla, ma qualcosa gli afferrò un
braccio bloccandolo in una morsa di ferro.
“Non
abbiamo ancora finito, Frank.” lo minacciò Kevin
sbattendolo di nuovo contro l’inferriata.
Il
passante di poco prima, intravedendo le foto, disse a se stesso che alla luce
dei fatti quell’uomo alto e arrabbiato aveva le sue ragioni e che era una
faccenda privata. Per cui girò sui tacchi e riprese il suo cammino senza
neanche più voltarsi.
Frank
notò l’allontanamento dell’altro uomo e capendo di essere rimasto da solo con
il suo aggressore, ricominciò a sudare: stranamente non passava più nessuno.
“Se
non mi lasci subito comincerò ad urlare per attirare
l’attenzione della gente!”
Kevin
per tutta risposta gli assestò un altro pugno, questa volta nello stomaco.
Frank
si piegò su se stesso e cadde in ginocchio, sputando e quasi vomitando per la
violenza del colpo ricevuto. Stava ancora tossendo quando
Kevin lo sollevò di peso e una volta di nuovo ritto in piedi gli tirò un altro
pugno in faccia, spaccandogli un labbro.
Il
sangue gli colò sulla bella camicia bianca e la cravatta beige, ma non era ancora finita.
Kevin
non era mancino ma per quell’occasione sferrò un altro
colpo con la mano sinistra, prendendo in pieno il naso dell’altro che iniziò a
sanguinare.
Stordito
dal dolore, Frank si accasciò a terra tossendo e Kevin finì l’assalto
tirandogli un calcio sulla tibia, l’unica parte del corpo che poteva facilmente
colpire vista la posizione a riccio che aveva assunto. Kevin ansimava per la
rabbia e lo sforzo, e non era soddisfatto. Ma non
poteva certo ucciderlo, al contrario di quanto aveva affermato poco prima non
aveva intenzione di finire in galera per un figlio di puttana come lui.
Si
guardò intorno e non vide assolutamente nessuno, nei suoi cinque minuti di
follia il caso aveva voluto che non passasse nessuno, così
mentre Frank era ancora a terra che sputava e tossiva, Kevin
riattraversò la strada verso la sua auto, aprì lo sportello e salì. Guardò alla
sua sinistra e vide Frank ancora a terra che cercava di rialzarsi, circondato
dalle foto di lui e Jennifer in svariate posizioni.
Sarebbe stata una scena comica, se la donna delle foto non fosse stata la sua Jennifer: adesso doveva affrontare
lei.
Mise
in moto e partì a tavoletta, in direzione di casa sua, sapeva che quel giorno
Jennifer l’avrebbe trovata lì. Si rammaricò di non
aver preso il cellulare di quel bastardo, se nel frattempo si fosse ripreso
abbastanza avrebbe di certo avvisato Jennifer e lei
temendo suo marito sarebbe andata via.
Non
doveva avere paura di lui, non avrebbe mai avuto il coraggio di alzare le mani
su Jennifer, Kevin l’aveva amata tanto e l’amava
ancora nonostante tutto, ma voleva almeno capire perché lo aveva tradito. Cosa aveva potuto farle mancare da spingerla a cercarlo in
un altro? Forse era presunzione,ma in tutta onestà non riusciva a
trovare nulla nel proprio comportamento che potesse indurre sua moglie a
cercarsi un altro uomo. Neanche l’età, visto che tra Frank e
Kevin non c’erano che cinque anni di differenza. Oppure erano i quasi quarant’anni di Jennifer che avevano spinto quest’ultima a
cercare un uomo con dieci anni di meno che la facesse
sentire giovane e desiderata. Kevin non lo faceva abbastanza per lei?
In
pochi minuti aveva fatto almeno una decina di ipotesi,
tutte confuse e più o meno improbabili, già pensate e ripensate e che gli
procurarono solo un gran mal di testa. Passò anche con il semaforo rosso per
ben due volte, ed era sicuro che gli avrebbero spedito le relative multe. Ma non gli importava di niente adesso, voleva solo
raggiungere casa sua e parlare con sua moglie, e farsi spiegare perché aveva
deciso di rovinare il loro amore andando a letto con uno stupido idiota come
Frank Moran.
Picchiarlo
a sangue non era servito a granché, sì certogli aveva rovinato quel suo sorriso da
ebete e aveva l’impressione di avergli anche sotto il naso, ma vederlo
sanguinare e contorcersi non lo aveva fatto sentire meglio. Per un attimo il
suo pensiero andò a quella povera ragazza dai capelli rossi che tentava di
difendere il suo uomo ma che alla vista di quelle foto era corsa via
lasciandolo come uno stupido in mezzo alla strada, in balia dell’ira di Kevin.
In un certo senso forse la ragazza se l’era meritato, come si fa a stare con uno così? Possibile che non si era mai
accorta di nulla? A meno che non si fossero conosciuti
il giorno prima, un qualche sospetto doveva essere venuto anche a lei.
Probabilmente era una sciocca ragazzetta che non capiva o peggio ancora faceva
finta di non capire cosa facesse il suo bel
fidanzatino.
Perché
Frank e Jennifer non si vedevano da poco, ma da almeno sei mesi e praticamente tutti i giorni. Impossibile
non vedere qualcosa di strano nel suo comportamento, così come Kevin l’aveva
visto in sua moglie addirittura prima dei sei mesi conclamati, il che gli
faceva sospettare che la tresca fosse cominciata prima. Non voleva
pensarci, altrimenti avrebbe fatto inversione e sarebbe andato a investire con l’auto quel verme.
Proseguendo
la sua corsa in auto, pensò che forse aveva sbagliato
ad andare prima a pestare il bastardo e poi da Jennifer, forse era più
importante parlare con lei, invece adesso c’era il rischio che lei fosse già
andata via, avvisata dal suo caro amico. Ma il pensiero di prendere a cazzotti
l’infame era stato più forte di ogni altro e il suo
orgoglio di uomo gli aveva imposto di andare a rompergli il muso. Ma per quanto
dolorosi potessero essere i pugni ricevuti, non erano
niente in confronto al dolore che sentiva Kevin, lo stupore e l’avvilimento
provati nel vedere quelle foto così umilianti.
Sapeva
già che Jennifer aveva un amante, ma guardare quelle foto che sembravano uscite
da uno squallido giornale pornografico era stato come
essere investito da un treno in corsa. Vedere che addirittura si erano divertiti nel suo letto era stato il massimo
dell’oltraggio, soprattutto pensando che magari poche ore dopo Jennifer aveva
avuto il coraggio di fare l’amore con lui in quello stesso letto. Anche se lo riteneva poco probabile, visto che sua moglie
gli si concedeva col contagocce e talvolta anche malvolentieri. E ora ne capiva il perché.
C’era
un altro con il quale divideva il letto (e il divano, la poltrona…), non aveva
più bisogno di suo marito. Ecco, probabilmente era stata proprio la monotonia
del dormire sempre con lo stesso uomo che l’aveva spinta
a cercarsi un amante, un diversivo al solito eprevedibile Kevin Duval che dopotutto cosa
faceva per lei oltre che adorarla? Frank invece doveva essere molto più
interessante del noioso Kevin, tanto da sfasciare un matrimonio che durava da
quasi dieci anni e un amore che durava da quindici.
Kevin
sentiva di avere tutto il diritto di sapereperché Jennifer aveva voluto rovinare
la sua vita, infrangendo i suoi sogni.
Arrivò davanti al grande edificio
nel quale si trovava il loro appartamento in meno di dieci minuti, benché
avesse dovuto in pratica attraversare la città. Kevin spense il motore e trasse
un respiro profondo per riprendere fiato, solo allora si accorse di respirare a
fatica.
Tremava, perché aveva paura di
affrontare Jennifer, paura di ciò che avrebbe potuto dirgli e che, ne era sicuro, lo avrebbe ferito e umiliato ancora una
volta. Per caso si guardò le mani e si accorse che il dorso di quella destra
era sporco di sangue.
Tirò fuori dalla
tasca un fazzoletto e tentò di pulirla, accorgendosi che il sangue era suo e
che la pelle della mano era lacerata in diversi piccoli punti. Doveva essersi ferito mentre picchiava l’infame e non se ne era accorto. Si
ricordò di una bottiglietta d’acqua rotolata sotto il sedile del passeggero, la
cercò a tentoni e la trovò. Scese dall’auto e si versò
l’acqua sulla mano, non poteva presentarsi con le mani
insanguinate.
Si asciugò con il fazzoletto e
buttò la bottiglia vuota sul sedile, trasse un altro respiro profondo e si
avviò. Il loro appartamento si trovava al settimo piano di un edificio di dieci
piani situato in una zona bene della città, abitata
perlopiù da liberi professionisti o ereditieri che vivevano di rendita. Kevin
si era sempre ritenuto il più povero residente di
quella zona, visto che anche Jennifer proveniva da una famiglia agiata e in
vista.
Kevin Duval
non era né ricco né influente, così come non lo era stato nessuno dei suoi
parenti più prossimi. Un uomo semplice, che alla signora Jennifer Lewis, figlia e sorella di avvocati,
non piaceva più. Si fermò davanti all’ascensore: forse l’unico motivo possibile
del suo tradimento era che Jennifer si era resa conto che socialmente Kevin era
troppo inferiore a lei e che invece Frank con la sua laurea in informatica e un
tenore di vita più che dignitoso corrispondeva al suo ideale di
uomo.
Era questo che l’aveva allontanata
da lui? Dopo quindici anni di vita insieme aveva capito che Kevin non era la
scelta giusta? Entrò nella cabina dell’ascensore voltando le spalle allo
specchio, in quel momento l’ultima cosa che voleva era guardarsi e vedere il
viso di un uomo stravolto e angosciato. Le porte dell’ascensore si aprirono
davanti alla sua porta, alla loro porta, uscì e si
fermò a leggere la targhetta che portava i loro nomi:
K. Duval
- J. Lewis.
In quel momento ebbe la certezza
che avrebbero divorziato, sarebbe finito tutto e quei
nomi sarebbero stati divisi per sempre. Deglutì e si avvicinò alla porta,
infilò la chiave della serratura e girò. Gli bastò un solo giro di chiave per
aprire, era la conferma che Jennifer era in casa.
“Kevin amore, sei tu vero?” la
voce di sua moglie gli giunse lontana, in tutti i sensi.
“Sì, sono io.” fu
tutto quello che riuscì a dire con lo stomaco stretto dalla rabbia.
Sentì i passi di Jennifer
raggiungerlo rapidamente in salotto, fino a che non la vide affacciarsi. I suoi
bei ricci neri che le incorniciavano il viso erano lucidi e vaporosi le labbra
erano di un rosso acceso e quegli occhi neri che lo avevano stregato erano sottolineati da un’intensa linea scura.
Indossava una gonna sul ginocchio
color sabbia e una camicetta rosa che lasciava intravedere il reggiseno nero.
Capì subito che non era così che ci si vestiva per occuparsi delle faccende
domestiche, era prontaper uscire e sapeva bene dove o meglio da chi doveva andare.
“Tesoro, come mai a casa così
presto oggi? Non stai bene?” gli chiese premurosa.
Kevin avrebbe voluto urlare che
aveva il cuore dilaniato e che la rabbia lo stava divorando. Ma
si trattenne e si sforzò di sembrare il più normale possibile, voleva cercare
di capire.
“Non so, ho tipo un malessere
generale, ho preferito tornare a casa prima. Ti dispiace?”
“Certo che no amore, anzi sono
felice di averti qui. Sono solo preoccupata per te.” Dicendo questo gli si
avvicinò per toccargli la fronte, ma Kevin
istintivamente si spostò evitando la sua mano. Jennifer rimase sorpresa da un
simile comportamento.
“Scusami cara, ma se avessi
qualcosa di contagioso potrei trasmetterlo anche a te,
è meglio se stiamo lontani.” si giustificò Kevin.
Jennifer parve credergli e gli sorrise. “Sarà solo un po’ di
stanchezza vedrai ieri stavi benissimo. A proposito,
come mai questa mattina sei andato via senza dirmi nulla?”
Lui evitò di guardarla negli
occhi. “Dormivi così profondamente che non ho avuto il coraggio di svegliarti
Ti sei spaventata non trovandomi al tuo risveglio?” le domandò con ironia, ma Jennifer non capì.
“Spaventata no, ma un po’ triste
sì, è così bello svegliarmi con te accanto.”replicò lei con un sorriso e allungandosi verso il marito
per baciarlo sulle labbra.
Ancora una volta Kevin si ritrasse,
proprio non voleva che quella donna lo toccasse o lo baciasse, quelle maledette
foto erano ancora lì stampate nella sua testa.
“Kevin, cos’hai?
Se non sapessi che è impossibile, direi che non vuoi che ti stia vicino.”
L’uomo sorrise a denti stretti, perché è impossibile? Perché
Kevin Duval è un idiota? pensò.
“Te l’ho già detto, cara. Potrei
essere contagioso. Ma dimmi, dove vai di bello agghindata
così? Non ti sei vestita e truccata così per me, vero?” il viso di Jennifer cambiò espressione.
“Agghindata? Dài, sono vestita
normalmente. Comunque nel primo pomeriggio devo
vedermi con Claire, è da tanto che non usciamo insieme.”
Kevin annuì.
“Ah capisco. A dire il vero
pensavo stessi andando.. che so a lavorare, oggi anche
tu hai dato forfait?” le chiese,accorgendosi che sua moglie era diventata stranamente nervosa.
“Sì, cioè
no oggi non dovevo andare allo studio. Lo sai, il mio è un impegno part-time, e
inoltre non è necessario essere lì tutti i giorni”
Kevin sapeva già che non doveva
andare allo studio degli avvocati Lewis a far finta di lavorare, ma aveva voluto chiederglielo lo stesso.
“Già, capisco. Quindi
a parte Claire oggi non hai impegni? Resti a casa con me?”
“Certo amore, dove vuoi che vada?
Finalmente per una volta riusciamo a pranzare insieme. Anzi,
comincio a preparare qualcosa, cosa vorresti di particolare?”
Kevin scosse il capo. “Quello che
vuoi tu, Jenny. Quello che vuoi tu.”
“Vedremo se ricordo ancora cosa
piace a mio marito!” annunciò lei sorridente.
Lo hai mai saputo?, considerò tra sé Kevin restando in silenzio.
“Va’ a toglierti la giacca e
mettiti comodo, hai davvero una faccia strana sai?”
Kevin accennò un sorriso e fece
per avviarsi, poi si fermò guardandola finalmente negli occhi.
“Quasi dimenticavo. Ho incontrato
un nostro vecchio amico, poco fa. Ti manda i suoi saluti.”
Jennifer lo guardò in modo strano
ma mentre stava per chiedergli di chi stesse parlando,
il trillo di un cellulare riempì il salotto. Era quello di
lei, posavo sul tavolino accanto ad una loro foto. Entrambi guardarono il cellulare, ed entrambi sapevano chi era.
Jennifer lo
prese e quando guardò il display il suo viso si contrasse, ma non rispose.
“Non rispondi al tuo telefono?” le
chiese Kevin. Lei scosse il capo accennando un sorriso.
“È Claire, la
chiamerò più tardi. Allora, chi è questo amico?”
gli domandò cambiando discorso.
Il cellulare riprese a squillare
con insistenza, e Jennifer diede segni di irrequietezza.
“Tesoro, qualcosa non va? Rispondi
o crederà che non vuoi parlarle.”insistette
lui.
Ma Jennifer non rispondeva, e il suo
bel viso incipriato tradì un leggero rossore.
“Appena
vado di là richiamerò io. Dicevi?” ripeté la donna in
tono nervoso.
“Ah già, il vecchio amico. Sì ho
incontrato Frank Moran, circa un’ora fa. Abbiamo
fatto quattro chiacchiere.”le
disse Kevin mostrando il dorso della mano ferita.
Jennifer impallidì di colpo, e
quando vide la mano escoriata del marito intuì cos’era
successo.
“Non… non capisco.” farfugliò la donna evitando il suo sguardo.
“Immagino. Allora rispondi al
telefono, so che è lui. Ti spiegherà per filo e per segno come l’ho pestato in
mezzo alla strada davanti alla sua fidanzata. Sai che ha una
fidanzata vero? Certo che lo sai, ma non ti interessava,
o mi sbaglio?” Jennifer rimase in silenzio.
Intanto quel dannato cellulare
continuava a suonare senza tregua, riecheggiando nella stanza piombata nel
silenzio più totale.
“Fammi una cortesia, o rispondi a
quel fottuto telefono o lo spegni, Dobbiamo parlare.”
Jennifer riprese il telefono e lo
spense, obbedendo a quello che le era arrivato come un ordine e al quale pensò
era meglio dar retta.
Suo marito era furioso e se aveva
picchiato Frank, poteva picchiare anche lei.
“Stai calmo ti
prego. Parliamo con calma.” Kevin sentì la paura nella voce di sua
moglie.
“Hai paura di me, tesoro? Credi
davvero che io possa diventare violento con te? Puoi stare più che tranquilla
Jenny, non potrei mai alzare le mani su di te, ti ho
amata troppo per farti del male. Ma una cosa voglio
chiedertela, con calma. Perché l’hai fatto?”
Quella che Kevin aveva chiamato
calma in realtà era la collera che grazie a quel poco
di autocontrollo che gli era rimasto riusciva a trattenere.
“Kevin, io… posso spiegarti…”
cominciò lei avvicinandosi piano al marito.
“Non ti avvicinare, resta lì
maledizione. Dimmi solo perché è successo.”
“Io non so cosa ti abbiano
raccontato, ma …..” tentò di
spiegare la donna.
Kevin afferrò un vaso di cristallo
posato su un mobile alla sua destra e lo scagliò a terra, decine di frammenti
si sparsero sul pavimento.
“Non prendermi in giro! Dimmi solo
perché cazzo mi hai tradito!” le urlò infuriato.
“È successo solo una volta…” fu la
ridicola difesa di sua moglie. Kevin scoppiò a ridere.
“Hai proprio un
bel coraggio, sai cara? E anche se ti fossi fatta scopare una sola volta non cambierebbe nulla, e la mia domanda sarebbe
uguale: perché mi hai tradito con quel bastardo?”
Il silenzio ostinato di Jennifer
lo esasperava: perché non aveva il coraggio di parlare?
“Non trovi le parole? Ti aiuto io?
Vediamo, riformulo meglio la domanda: cos’è che ti ho fatto mancare e che Frank
Moran con solerzia ti ha dato? Sono stata poco
presente, o poco comprensivo, o sono troppo povero? Dimmi qualcosa, per la miseria!”
Jennifer cambiò
tattica, tentò di nuovo di avvicinarsi a Kevin ma molto lentamente.
“Ti prego, ascoltami, tu adesso
sei arrabbiato e hai ragione, ma se mi ascolti…”
Per tutta risposta Kevin l’afferrò
per un braccio e iniziò a trascinarla verso la cassettiera.
Aprì il primo cassetto e ne tirò
fuori dei fogli che Jennifer non riconobbe subito.
Suo marito li gettò sul piano
della cassettiera ed essi si aprirono come un ventaglio, rivelandosi delle foto
molto dettagliate. Jennifer si sentì raggelare il sangue nelle vene quando le focalizzò.
“Allora, Jenny? Cosa
mi dici adesso di queste belle foto ricordo? Riconosci gli
attori, non è vero? Guarda che belle foto, e che nitidezza!” mentre
parlava le stringeva il braccio.
Quelle foto erano un orrore, uno
squallore desolante e vergognoso e Jennifer non sapeva come uscire da quella
situazione nella quale era sempre stata sicura di non ritrovarsi mai.
“Sai qual è la foto che mi fa più
schifo? Questa qui, ah che capolavoro!” e gliela mostrò.
Ritraeva i due amanti che si
rotolavano nel letto di Kevin. Jennifer chiuse gli occhi.
“Sai, sarò anche uno stupido
bigotto tradizionalista, ma per me il letto nel quale dormo con la mia donna è
sacro, e se anche avessi un’amante non la porterei a
ribaltarsi nelle tue lenzuola. Tu invece hai avuto il
coraggio di farlo con quel porco del tuo amichetto. Meriterò almeno uno
straccio di spiegazione o continuerai a stare zitta? Sai, che anche lui davanti
alla sua fidanzatina se ne stava zitto, mentre lo riempivo di botte.”le raccontò a denti stretti.
“Mi hai fatta spiare…” mormorò la
donna guardando le foto sparpagliate alla rinfusa.
“Direi proprio di sì. Quando mi è venuto il sospetto che tu avessi una relazione
ho preferito avere le prove prima di dare di matto, e come vedi le ho eccome!”
“Mi dispiace Kevin, davvero. Non
so come sia potuto succedere….”
“E questo
dovrebbe farmi stare meglio? Vuoi dirmi che ti sei trovata un altro così, tanto
per fare qualcosa di nuovo?” inveì Kevin, carico di
rabbia e frustrazione.
“Sapevo che mi avresti risposto
così sai? Perché io non ti ho fatto mancare nulla.
Amore, passione, comprensione, presenza, fedeltà, rispetto..
devo continuare? Tu non sai cosa dire perché non hai niente da dire!” continuò l’uomo scuotendola con più forza.
“Mi stai facendo male!” gli urlò
sua moglie tentando di sottrarsi alla sua stretta
vigorosa.
“Non immagini quanto male hai
fatto tu a me. Riesci anche solo ad immaginare come mi sono sentito
quando ho visto quelle foto? La mia donna nel nostro letto con un altro
uomo!”
Le lasciò il braccio e lei si
allontanò di qualche passo.
“Inutile continuare a negare l’evidenza.
Sì ho una relazione con Frank.”ammise
la donna in tono solenne, come se rivelasse un gran segreto.
“L’avevo vagamente intuito. Da
quanto tempo, se posso chiedertelo?” domandò Kevin.
“Un anno.”
Suo marito la guardò negli occhi senza riuscire a controbattere, mentre
Jennifer a braccia conserte guardava altrove: non aveva il coraggio di
guardarlo in faccia.
Kevin rimase di sasso e per un attimo si
rifiutò di credere che l’inganno durasse da un anno, per avere la sensazione
subito dopo che quel lasso di tempo fosse piuttosto
approssimativo.
Si appoggiò alla
cassettiera, trasse un profondo respiro e riprese a parlare.
“Un anno, bene. Ora mi vuoi dare
una qualche motivazione valida che possa farmi capire
cosa c’era di sbagliato nella nostra vita insieme? Dove
ho sbagliato?” chiese con un tono stentatamente calmo che al contrario tradiva
il suo essere arrivato al punto di rottura.
“Non c’è una spiegazione Kevin, le
cose succedono e basta.”affermò
lei convinta.
Kevin abbassò la testa scuotendola
con rassegnazione.
“Tu mi stai dicendo che hai
mandato al diavolo il nostro matrimonio per… niente?”
Jennifer scosse il capo. “Al
contrario, io.. mi sono innamorata di Frank, ecco
perché non c’è una spiegazione razionale, è successo e basta. Poteva succedere
anche a te.”
L’uomo si sentì crollare
definitivamente il mondo addosso, la cosa che più temeva di quella situazione
orribile e che aveva volutamente evitato di prendere in considerazione era accaduta in pochi secondi, e ora si sentiva come
scaraventato in fondo ad un burrone.
Sua moglie, l’unica donna che avesse mai realmente amato nella sua vita e che aveva scelto
come compagna di vita, gli aveva appena detto di essere innamorata di un altro
uomo. Un uomo che gli aveva dedicato solo ritagli di tempo
rubati a Kevin e a quell’ingenua ragazzina rossa, mentre lui gli aveva dedicato
quasi metà della sua esistenza, spesso annullando se stesso.
Si sentì morire.
“Tu… ti sei innamorata di un altro…
e hai continuato a stare con me?” l’accusò incredulo.
Lei abbassò lo sguardo stringendo
le labbra in una smorfia indecifrabile.
“Non riuscivo ad
affrontare l’argomento, non avevo il coraggio di…”
“Di essere
sincera? Di smetterla di prendermi in giro?” la interruppe Kevin.
“Non avevo il coraggio di dirti
che non ti amavo più e che volevo stare con un altro.”
Kevin pensò che quello era un incubo, non poteva essere reale e prima o poi si
sarebbe svegliato scoprendo che tutta quella maledetta giornata non era
esistita neanche. Purtroppo quel pensiero durò un battito di ciglia, perché era
tutto dannatamente reale.
“Non… mi amavi più però
continuavi a stare con me. Per un anno hai continuato a dormire con me. Anche
se non come prima, non hai smesso di fare l’amore con me. Poco fa sei stata affettuosa
e hai provato anche a baciarmi, mi hai chiamato ripetutamente amore, tesoro, caro, perché mi hai preso
in giro fino alla fine?” Kevin era addolorato.
Jennifer restò un attimo in
silenzio, fece qualche passo verso di lui e alzò lo sguardo. Incontrare gli
occhi disperati del marito la impietosirono, lo aveva amato
e vederlo soffrire in quel modo le dispiaceva davvero, ma non poteva andare
avanti così, non poteva continuare a stare con lui solo per compassione e in
nome di qualcosa che non provava più.
“Non ti ho preso in giro, Kevin!
Non volevo farti soffrire perciò non sapevo cosa fare,
io sentivo che tu mi amavi ancora e l’ultima cosa che volevo era ferirti o
umiliarti. Speravo che prima o poi ti saresti accorto
che da parte mia qualcosa era cambiato e che dopo averne parlato da persone
adulte ognuno avrebbe preso la sua strada.” gli disse
Jennifer con una calma e una lucidità che, a dispetto delle intenzioni della
donna, Kevin trovò crudele.
“Credo di essere impazzito, mi è
sembrato di capire che tu aspettassi il momento in cui io ti avrei lasciata perché stanco della
tua crescente indifferenza nei miei confronti? Tu non puoi dire sul serio, non
potevi pensare davvero di stare con due uomini in
attesa che io mi stancassi di te e chiedessi la separazione, facendoti sentire
libera di fare i tuoi comodi! Io ti amavo maledizione, e quando si ama si tende
a non voler vedere ciò che potrebbe rovinare questo sentimento, non so nemmeno
come ho fatto a dar retta a un sospetto dato che per
mesi dicevo a me stesso che il tuo non voler più fare l’amore con me come prima
era un fatto normale, dopotutto stavamo insieme da anni e un matrimonio non si
basa solo sulla passione. Che stupido che sono stato,
un ingenuo come me non si vede spesso in giro, vero? E
su questo che hai sempre puntato, mi hai sempre considerato un povero idiota da
manovrare come ti pareva!”
La rabbia di Kevin era divampata
in tutta la sua violenza, gridava e si sbracciava in maniera concitata, il
sudore gli imperlava la fronte e il suo respiro era diventato affannoso.
“Non urlare Kevin o ti sentiranno
tutti! Stai calmo!” si affrettò a dirgli Jennifer, preoccupata più dello
scandalo che dello stato d’animo in cui si trovavasuo marito.
“Non me ne frega un cazzo dei
vicini, che ascoltino pure! Chissà quante volte lo
avranno fatto mentre tu e il tuo amico scopavate in
casa mia!”
Jennifer scuoteva il capo. “Kevin
smettila di dare in escandescenze per favore! Tutto questo non porterà a
niente.”
“E cosa
dovrei fare? Congratularmi con voi e augurarvi tanta felicità?” urlò stringendo
i pugni.
“Niente di tutto questo, solo
accettare la realtà dei fatti e smetterla di comportarti come un immaturo!”
ebbe il coraggio di dirgli sua moglie con la solita calma che lo imbestialiva.
“Io immaturo? Perché
sono disperato all’idea che mia moglie non mi ama più? Per te questa è
immaturità? Se non l’hai capito io ti amo ancora e sarei
disposto a tentare di ricominciare tutto daccapo se solo tu lo volessi, se
rinunciassi a questa squallida relazione e tentassi anche tu di ricostruire la
nostra vita insieme. Possiamo farcela o almeno provarci!” le propose
Kevin aggrappandosi disperatamente a quella debole possibilità di
riconciliazione che le offriva.
Una parte di sé non riusciva a
credere di essersi nuovamente sottomesso a sua moglie, cercando di assecondarla
mettendo da parte orgoglio e dignità. Davanti alla reale possibilità di perderla
per sempre, Kevin stava abbassando le armi e si stava
arrendendo a lei, come aveva fatto fin dagli inizi della loro storia.
Jennifer però non parve neanche
prendere in considerazione la proposta del marito, ma anzi sembrò sconcertata e
quasi infastidita nel sentirla.
“Mi dispiace Kevin, ho già
sbagliato tirandola tanto per le lunghe senza avere il coraggio di finirla
prima, ma davvero non volevo ferirti. Ora che sai tutto è arrivato il momento di prendere strade diverse,
senza rancore. Siamo persone adulte e come tali dobbiamo
comportarci.”
Jennifer continuava ad usare
espressioni come ‘siamo persone adulte’,
quasi pensasse di trovarsi ancora davanti a quel ragazzo appena ventenne
conosciuto tanti anni prima.
L’ennesima
mancanza di rispetto nei confronti dell’uomo che fino a pochi minuti prima
chiamava ancora amore e che ora
voleva tenere a bada facendo appello alla sua maturità.
“Vuoi divorziare, è questo che mi
stai dicendo? Abbi almeno il coraggio di dirmelo in faccia!”
Jennifer annuì. “Sì, voglio
chiederti il divorzio. Non preoccuparti non voglio niente da te, metterò subito
in chiaro le cose con il mio avvocato ed eviterò ad entrambi inutili
lungaggini.”
Le ultime parole arrivarono alle orecchie di Kevin pungenti come spille, non era
preparato a questo, non così precipitosamente almeno. Non c’erano le famose
pause di riflessione, gli allontanamenti e successivi riavvicinamenti, c’era
subito il divorzio che lei voleva anche consensuale per evitare lungaggini a se
stessa, non ad entrambi! Kevin non si sarebbe arreso.
“Non ti concederò il divorzio.” sentenziò secco, provocando lo stupore di sua moglie.
“Cosa? Mi
hai urlato in faccia fino a pochi secondi fa di essere un’infedele e ora non
vuoi divorziare? E allora a cosa serviva la tua sfuriata?”
adesso anche Jennifer era arrabbiata.
“Serviva a togliermi un macigno
dal cuore, e inoltre come un idiota speravo tu mi
dicessi che l’altro non contava niente per te e che volevi stare con me. Io
avrei cercato di cancellare quello che mi hai fatto e avrei realmente provato a
ricostruire il nostro matrimonio, il nostro amore. Ma
tu non vuoi perché non mi hai mai amato davvero, ero solo un tuo giocattolo che
ora vuoi mettere nel ripostiglio e passare al prossimo. Non ti concederò facilmente il divorzio, non siglerò io l’inizio
della tua vita insieme a quel figlio di puttana. Resterai mia moglie e la gente
perbene e facoltosa che tu ami tanto frequentare ti vedrà sempre come quella
che lascia il letto del marito per infilarsi in quello dell’amante. Mi rifiuto
di aiutarti ad essere felice con un altro.”
Gli occhi di Kevin che prima
mostravano tutta la sua sofferenza ora erano diventati
spietati, la sua voce non tremava più ma era diventata ferma e risoluta. Kevin
non voleva arrendersi all’idea che tra lui e sua moglie fosse
finita e sicuramente non le avrebbe reso le cose facili.
“Io ti capisco Kevin, sei
sconvolto e in questo momento provi rancore. Ho sbagliato a parlarti subito di
divorzio, per te è un momento delicato e io mi sono dimostrata insensibile..” Jennifer pensò di cambiare così strategia e di andargli
incontro cercando di farlo ragionare con calma.
Ma su Kevin tale brillante tattica
sortiva gli effetti contrari: odiava sentirsi trattato come un imbecille e
Jennifer invece di capirlo ed evitare queste situazioni, sembrava ci provasse
gusto.
“Se pensi
di ammansirmi così di sbagli Jenny, sono convinto di quello che dico e ti
ripeto che non ti concederò il divorzio. Perché so che
tu tornerai da me…”
Jennifer sorrise
indulgente. “Kevin,
non succederà. Non è vero che non ti ho mai amato come hai detto poco fa, al
contrario ho sfidato la mia famiglia per te, ricordi? Ma è finita, ci siamo amati ma siamo al capolinea e..”
“Tu tornerai da me perché quell’uomo
si accorgerà di aver sbagliato. Conosci la sua ragazza? E’ bella e non avrà che
vent’anni, tu sei un capriccio mia cara, una bella
donna sui quaranta annoiata dalla vita coniugale che
trova nel giovanotto un piacevole svago. Ti lascerà e tu per non restare da
sola verrai a bussare alla mia porta. E non so se mi troverai disposto ad
aprirti.”
La donna restò senza parole, non
avrebbe mai pensato che Kevin potesse reagire così, che arrivasse quasi a insultarla dicendole che Frank alla fine sarebbe tornato
dalla sua sciacquetta solo perché era più giovane. Cosa
ne sapeva Kevin del loro amore? Delle loro affinità?
Il comportamento di suo marito era
oltraggioso, si sentiva ferito nell’orgoglio peraver scoperto in quel modo la
relazione tra lei e Frank e lo capiva, ma ciò non gli dava il diritto di
trattarla in quel modo. Tuttavia decise di essere
comprensiva con lui, dopotutto lo aveva amato.
“Non sai di cosa parli Kevin. Sei
fuori di te e ti capisco, riparleremo del divorzio tra qualche tempo, dopo che
ti sarai ripreso e sarai più sereno e conciliante. Per
il momento credo che andrò a dormire in albergo, manderò qualcuno a prendere le
mie cose …”
Kevin la interruppe. “Hai già
programmato tutto, ma che gran organizzatrice sei! E perché non andare a vivere direttamente dal tuo nuovo
fidanzato? Magari ti sta aspettando mentre cerca di
fermare l’emorragia dal naso che gli ho spaccato! Sei senza ritegno Jenny, non
avrei mai immaginato che sarebbe finita così male tra di
noi, ho sempre creduto che saremmo invecchiati felici della vita trascorsa
insieme. Perché tutto questo amore mio, perché?” le
chiese ancora una volta in tono arrendevole.
Era tornato l’uomo dolce che sua
moglie conosceva, ma non servì a farle cambiare idea.
“Rendi tutto più difficile così,
per favore Kevin mettiamo da parte l’orgoglio e facciamo…” lui la interruppe di
nuovo tirando un pugno sulla cassettiera facendola vibrare.
“Le persone adulte? Perché diavolo continui a ripete questa frase? Credi di parlare ad
un bambino per caso? Tra noi due quella infantile sei
tu mia cara!” urlò Kevin contro sua moglie.
Jennifer gli rivolse un sorriso di
scherno, scuotendo la testa ricciuta.
“Io? Per aver deciso di porre fine
ad un matrimonio ormai morto e sepolto da tempo e che solo tu volevi tenere in
piedi? Per favore Kevin, il tuo è un comportamento davvero infantile!”
L’uomo iniziò a ridere,
massaggiandosi le tempie che sembravano sul punto di esplodere.
“Io non riesco ancora a crederci
Jenny. Solo pochi minuti fa stavi andando a cucinare per me, ti preoccupavi per
la mia salute, e oraper
me hai solo parole dure e offensive. Cosa ti è successo, cosa
ti ha fatto quell’uomo?”
Jennifer era spazientita, proprio
non voleva capire che era finita. “È meglio che vada adesso, non c’è verso di
farti ragionare.”disse
leiprendendo la propria giacca e la
borsa appese al portabiti in salotto, si sistemò i capelli e si avvicinò alla
porta.
Kevin si mosse dalla cassettiera erapidamente la
raggiunse afferrandola per un braccio.
“Stai facendo il più grande errore
della tua vita Jenny, più ci penso e più ne sono convinto. E sono convinto
anche che un giorno lo capirai anche tu e vorrai tornare da me. E non so se
sarò disposto a cancellare tutto e ripartire da zero, come invece potrei fare
adesso.”le ripeté Kevin un’altra
volta, nutrendo ancora l’intima speranza che sua moglie cambiasse idea e non se
ne andasse.
Ma Jennifer era risoluta. “Lasciami,
è finita e non tornerò indietro.”
Si guardarono negli occhi per
alcuni istanti, poi Kevin si decise a lasciarle il braccio, una volta libera
Jennifer camminò velocemente verso la porta, l’apri e
si fermò voltandosi verso di lui.
“Non volevo finisse così tra di noi Kevin, credimi. Mi dispiace farti soffrire ma non posso continuare così, amo un altro e non
posso e non voglio restare con te. Un giorno ti dimenticherai di me vedrai, e
forse capirai anche la mia decisione. Buona fortuna.”
“Ti pentirai di questa scelta, e
vorrai non avermi mai lasciato.”insistette
lui imperterrito.
Jennifer gli rivolse un sorriso
comprensivo, quasi divertita dalla sua ferrea convinzione.
“Addio Kevin.” e
uscì chiudendo la porta alle sue spalle.
Lui rimase immobile, in ascolto
dei passi di sua moglie che raggiungevano l’ascensore,
ne sentì le porte aprirsi e richiudersi, e infine ripartire e scendere
rapidamente. Se n’era andata, la sua Jenny se n’era andata
davvero.
Non aveva avuto neanche un attimo di esitazione, neanche l’ombra di un rimpianto nei suoi
occhi o nel tono della sua voce. Era andata via disinteressandosi dell’uomo che
per quasi dieci anni era stato suo marito, pensando solo a se stessa e alla sua
ridicola relazione con Frank.
Kevin ne era convinto, la sua
donna si sarebbe accorta dell’errore commesso, con Frank sarebbe finita male e
lei sarebbe corsa di nuovo da lui.
N.d.A.: Voglio
ringraziare tutti quelli che stanno seguendo questa storia e l’hanno messa nei
loro preferiti/seguiti, e soprattutto un grazie particolare a pirilla88 & xsemprenoi(al secolo Vale e Lucy *__*), per la loro
bellissima recensione e per aver mostrato apprezzamento per i miei personaggi.
Grazie anche a TheDreamerMagic, ovviamente ;)!!
III
“Rachel ti prego
vieni subito! Ti prego corri, vieni da me!”
implorò piangendo al telefono.
Quando la sua interlocutrice le assicurò
che sarebbe arrivata in pochi minuti, Emily riattaccò il telefono e si
rannicchiò di nuovo sul divano, piangendo tutte le lacrime che aveva.
Com’era possibile che Frank le
avesse fatto questo? E con
una donna sposata per giunta.
Si sentiva così stupida, aveva
persino cercato di aiutarlo quando quell’uomo aveva
iniziato a picchiarlo! Poteva prendere qualche pugno anche lei e per che cosa
poi? Per difenderlo da un marito che giustamente era furibondo e voleva farlo a
pezzi? Che umiliazione, che vergogna trovarsi sotto
gli occhi quelle foto oscene, Frank e quella donna nudi che facevano di tutto!
I singhiozzi le toglievano il
respiro, gli dolevano gli occhi e la gola a furia di piangere e il dolore che
provava in quel momento le opprimeva il petto. Finalmente sentì suonare alla
porta. Si alzò e corse ad aprire e quando si trovò di fronte la sua cara amica,
le si buttò tra le braccia.
“Santo Dio Emily, ma che cosa è
successo? Perché piangi così, calmati!” cercò di
tranquillizzarla Rachel, ma lei non riusciva a fermarsi, continuava a
singhiozzare senza riuscire a smetterla per spiegarle cos’era che l’aveva
ridotta in quello stato.
Rachel le cinse le spalle con un
braccio e la portò sul divano, sedendosi accanto a lei. Prese un fazzoletto
dalla propria borsa e lo porse alla povera Emily.
“Perché
piangi in questo modo Emily! Mi fai preoccupare, è
successo qualcosa di grave?”
Emily si asciugò gli occhi e le
guance e cercò di calmarsi respirando profondamente.
“Rachel..
tu neanche immagini cos’è successo, è orribile non posso crederci!” gemette.
“Raccontami tutto cara, adesso ci
sono qua io.” la rassicurò
prendendola per mano.
Emily guardò per terra, sotto il
tavolino davanti al divano. Anche Rachel guardò in
quella direzione e vide qualcosa che ricordava un foglio accartocciato, si
piegò per raccoglierlo e lasciando la mano gelida della sua amica, cominciò a
distenderlo.
Si accorse che non era fatto di
carta semplice, piuttosto di quella pellicola speciale per stampare foto dal
computer. Infatti era una foto e perfino a colori, e
quando capì chi c’era in quella foto non credette ai propri occhi.
“Ma che….
questo è Frank! Figlio di puttana!” esclamò stupita.
“Hai visto quanto mi ama Frank?
Talmente tanto da farsi un’amante. Una donna sposata.”
Rachel guardò la
sua amica senza riuscire ad articolare parola, come diavolo gli è
saltato in mente di tradirla, e a poche settimane dal loro matrimonio! Frank
era un lurido vigliacco.
“Tesoro mi dispiace, non so cosa
dire… vieni qui amica mia…” e l’abbracciò forte.
Emily si rifugiò tra le braccia
della donna e pianse disperatamente.
“Come faccio adesso Rachel! Mi è
crollato il mondo addosso, non so cosa fare!” singhiozzò.
Rachel la lasciò sfogare per
qualche minuto, poi la fece raddrizzare e le tolse i capelli dal viso.
“Adesso calmati tesoro, e cerca di
raccontarmi tutta la storia. Come hai avuto quella foto?” Emily respirò a fondo e dopo essersi asciugata il naso iniziò il
racconto.
“È stato tutto così assurdo!
Questa mattina io e Frank eravamo sotto casa sua.
Stavamo parlando quando arriva quest’uomo alto un paio
di metri che inizia ad accusare Frank di andare a letto con sua moglie. Poi
dalle parole è passato ai fatti e gli ha tirato un pugno in faccia, io ho
cercato di difenderlo, dicendo che non era possibile che Frank facesse una cosa
del genere…”
Emily parlava velocemente e Rachel
faceva quasi fatica a starle dietro.
“Quell’uomo non mi degnava di uno
sguardo, mi ha rivolto la parola solo per dirmi di starne fuori, che era una
cosa da risolvere tra uomini…” la giovane fece una pausa per riprendere fiato.
“E in
tutto questo caos Frank cosa faceva?” le domandò Rachel. Emily alzò le spalle.
“Stava zitto. Quello lo
strattonava, lo insultava e lui se ne stava zitto. E io come una stupida
prendevo le sue difese contro quell’energumeno
infuriato. Avrebbe potuto colpire anche me!”
“Non sei una
stupida, è Frank l’idiota. Come hai avuto quella foto?” le chiese
Rachel.
“Il bello doveva ancora venire! Un
passante ha cercato di fermare quell’uomo e grazie a questa distrazione Frank
si è liberato e in pratica si è nascosto dietro di me minacciando il gigante
che se non se ne andava avrebbe chiamato la polizia. L’altro
per tutta risposta prende dalla giacca un rotolo di foto come quella… un rotolo! Le butta verso di noi e quelle di sparpagliano
sul marciapiede… è stato orribile Rachel! Ho visto certe cose che.… c’era questa donna sempre mezza nuda in tutte le
posizioni.. e altrettanto ho visto fare a Frank… mi sono sentita morire… che
umiliazione!” e riprese a piangere nascondendo il viso tra le mani.
Rachel le accarezzava la schiena,
pensando a come lei avesse avuto sempre ragione a non essersi mai fidata di
quel damerino colsorriso
sempre stampato in faccia. Le persone normali non ridono di continuo: lui
invece sì. Sembrava perennemente contento, di cosa poi lo
sapeva soltanto lui.
Anzi, pensò amareggiata, ora sapeva
per cosa era contento, il maiale. Povera Emily.
“Calmati Emily, basta piangere ti sentirai male e non ne vale la pena.” cercava
di tranquillizzarla, ma la ragazza continuava a singhiozzare.
“Rachel, è stata una doccia
fredda. Tra tutte le cose che poteva farmi questa è stata la peggiore. Dovevamo
sposarci maledizione, e lui si diverte con le mogli
degli altri! E’ un porco, e proprio a me doveva capitare!” si sfogò tra le
lacrime, Rachel scuoteva il capo e sperava che quell’uomo sifosse fatto giustizia spaccandogli
qualcosa. Se lo meritava proprio.
“Che
bastardo. Io l’ho sempre detto che non mi sembrava tutto quel bravo ragazzo che
voleva far credere! Povera amica mia, basta con queste lacrime o ti verrà un
mal di testa da paura!”
“ Ce l’ho
già il mal di testa… e poi non riesco a smettere di piangere…” mormorò Emily.
Rachel stava per rispondere
qualcosa, quando sentirono suonare alla porta. Emily guardò l’amica negli occhi
e scosse il capo, intuendo chi poteva essere.
“Mandalo via, non voglio né
vederlo né sentirlo!” supplicò Emily stringendo i pugni.
Rachel annuì e si alzò dal divano
avvicinandosi alla porta con un’espressione feroce.
Aprì la porta e si trovò davanti
un Frank quasi sfigurato e intontito dalle botte prese.
Rachel non potè fare a meno di
sorridere e congratularsi con il rivale di Frank, che a giudicare dalla faccia
di quest’ultimo era davvero molto arrabbiato e lo aveva conciato per le feste.
“Vedo che hai trovato pane per i
tuoi denti eh carino? Che diavolo sei venuto a fare
qui? Vattene altrimenti prendi qualche calcio nel sedere anche da me, e sai che
non scherzo!”. lo minacciò la donna guardandolo in
cagnesco.
Frank aveva il naso gonfio e
arrossato, il labbro inferiore aveva un taglio insanguinato proprio al centro e
con una mano si teneva lo stomaco: ma lo sguardo da ipocrita era rimasto
intatto.
“Voglio… fammi parlare con Emily…
è importante fammi entrare.”disse
quasi come un ordine e fece per entrare, ma Rachel non si mosse di un passo.
“Forse non mi hai
sentito, tu qui non metti piede. Sei un disgraziato e
Emily non vuole vederti neanche in cartolina, quindi gira sui tacchi e
sparisci!” ma Frank non demordeva.
“Devi imparare a farti gli affari
tuoi, cioccolatino, ho tutto il
diritto di parlare con la mia fidanzata e tu non puoi impedirmelo!” la offese
con arroganza. Per quando Frank non le fosse simpatico, Rachel non avrebbe mai
immaginato che fosse anche un maledetto razzista.
Rachel Johnson
era una donna di colore e nella sua vita ne aveva
incontrati di ignoranti, ma come lui ancora no.
“Come mi hai chiamata? Brutto
figlio di puttana, il tizio che ti ha scolpito la faccia doveva ammazzarti!
Sparisci di qui prima che io ti faccia qualcosa di molto doloroso!" e gli sbattè la porta in faccia.
Avrebbe potuto tirargli qualche schiaffo ma non le andava di sporcarsi le mani con quel
brutto muso già martoriato. Cioccolatino? Aveva meno fantasia di una formica se
usava termini udibili solo in certi film di discutibile qualità.
“Ignorante!” inveì tornando al
divano.
Frank però non si era ancora
arreso e prese a bussare con insistenza alla porta. “Emily!
Emily ti prego apri, voglio spiegarti!”
Emily si voltò in direzione della
porta e inaspettatamente si alzò e correndo la raggiunse.
“No Emily!” tentò di fermarla
Rachel, credendo che si sarebbe fatta incantare da qualche bella parola di
scusa e rimpianto e avrebbe perdonato quell’uomo senza dignità.
Ma le intenzioni della giovane
erano molto diverse, infatti spalancò la porta e senza
dare all’altro il tempo di aprire bocca, gli diede uno schiaffo talmente forte
da risuonare sul pianerottolo per alcuni secondi.
“Cazzo, Emily! Mi hai fatto male, ho già la faccia a pezzi!” si lamentò Frank
coprendosi il viso con entrambe le mani piegandosi su se stesso.
“Sparisci dalla mia vita,
vigliacco! Non voglio vederti mai più né voglio
ascoltare le tue bugie! Ti rendi conto di quello che mi hai fatto? Non osare mai più bussare alla mia porta!” e richiuse con violenza
la porta quasi sulla faccia di Frank, stupefatto da una reazione così forte.
Emily si voltò e tornò sul divano,
afferrò quella foto orribile e la strappò in tanti piccoli pezzi, aveva
sbagliato a portarla con sé, quella schifezza non avrebbe
dovutoneanche entrare in casa
sua, ma l’incredulità era troppa e aveva bisogno di avere davanti agli occhi la
realtà per non credere di trovarsi in un brutto sogno e pensare che prima o poi
si sarebbe svegliata.
“Hai fatto bene Emily… non farti
prendere in giro ancora.”la
esortò Rachel.
“Non voglio vederlo mai più, mai
più” ripeté Emily con la voce rotta dal pianto.
“Cos’ho fatto di male per
meritarmi questo Rachel, a chi ho fatto del male?” chiese più a se stessa che
all’amica seduta accanto a lei.
“Tu non hai fatto proprio niente
tesoro, è Frank che ha qualcosa che non va! So di essere
ripetitiva, ma quel tipo non mi è mai piaciuto, e avevo ragione.”
“Ma io lo amavo, e non vedevo che
c’era qualcosa di strano… sono stata una sciocca.”si rimproverò sconcertata, scuotendo il capo.
“L’amore rende ciechi Emily, per
te era perfetto e infallibile e ciò non fa di te una
sciocca, ma solo una donna innamorata. Piuttosto io mi sento un po’ in colpa,
quando ti parlavo male di lui lo facevo con
leggerezza, quasi scherzando. Avrei dovuto essere più caustica, magari ti
sarebbe venuto qualche dubbio…”Emily le sorrise tra le lacrime.
“Temo che non ti avrei dato retta Rachel, inizialmente non l’ho data nemmeno
a quell’uomo e avrei continuato a credere a Frank se non avessi visto quelle
foto. Come diavolo facevo a dare per scontato che
Frank non mi tradisse! Sono un’ingenua, una povera stupida ingenua.” singhiozzò.
“No tesoro, sei una creatura
innocente e non riesci a cogliere subito il male delle persone.”
“Non c’è molta differenza, se il
risultato è comunque quello di scoprire a poche
settimane dal mio matrimonio che il mio futuro marito ha una relazione con un’altra
donna e da chissà quanto tempo… come faccio adesso, non so come comportarmi..
perché proprio a me?”
E riprese a singhiozzare con più
forza, nascondendo il viso tra le mani mentre Rachel non sapeva cosa dirle per
calmarla o farla sentire meglio.
Era una brutta situazione, Emily
non doveva fare i conti solo col proprio dolore e l’umiliazione subita, ma
doveva anche risolvere il problema delle nozze. Era già tutto programmato:
data, inviti, ristorante, perfino viaggio di nozze. Frank era un disgraziato e
non solo aveva ferito i sentimenti e la dignità di Emily,
ma l’aveva messa in difficoltà davanti a tutta la sua famiglia e ai suoi amici.
Come spiegare a tutti loro che
mentre lei preparava le nozze, il porco se la faceva con la moglie di un altro?
Sorpreso dalla porta in faccia
ricevuta dalla sua fidanzata, a Frank Moran non restò
che andarsene, preoccupato per tutto quello che era successo e che poteva
ancora succedere.
Jennifer non rispondeva al
telefono, Emily era arrabbiata e temeva che davvero non volesse più rivederlo e
come se non bastasse quell’armadio poteva farsi di nuovo vivo e fargli ancora molto male. Non riusciva a credere di esserne
uscito vivo, pensò che quell’uomo non aveva davvero
intenzione di ucciderlo, altrimenti lo avrebbe fatto. Eppure era proprio quello
che aveva temuto quando cominciò a colpirlo
infischiandosene di Emily o di quel passante o di chiunque potesse passare di
lì in quel momento.
Ma come aveva fatto a scoprire la
loro relazione? E quelle foto? Immaginò che doveva essersi rivolto a una qualche agenzia investigativa,
altrimenti non avrebbe potuto sapere chi era l’amante di sua moglie, dove
abitava e soprattutto non avrebbe potuto avere quelle foto scattate con un
obiettivo di precisione. Qualche sorta di paparazzo si era preso la briga di
salire al settimo piano nel palazzo di fronte per scattare quelle foto da una
finestra.
Pensò che il marito di Jennifer
non era poi così ingenuo e docile come gli aveva
sempre detto lei. Al contrario gli era sembrato proprio un duro, un tipo anche
pericoloso. Sicuramente era uno che non si faceva problemi a picchiare un
rivale in mezzo alla strada
Ma perché Jennifer non rispondeva al
cellulare? Cominciava a preoccuparsi davvero , e se
quel Kevin – ecco come si chiamava, l’aveva dimenticato – se la fosse presa
anche con lei?
Forse doveva andare a casa sua e
nel caso intervenire… e farsi massacrare ancora? Non gli sembrava il caso, e
non suonava bene neanche chiamare la polizia, non voleva che quella storia
finisse sulla bocca di tutti o addirittura sui giornali rovinando la sua
reputazione e anche quella di Jennifer: la rispettabilità di entrambi era da
salvaguardare assolutamente, ecco perché mentre Kevin lo pestava non accennò
neanche a una difesa, chiunque avesse assistito alla
scena doveva vedere che quel pazzo lo aveva aggredito senza motivo e che Frank
da persona civile aveva tentato di calmarlo con le parole e non con la
violenza.
Come se Frank col suo metro e
settantacinque potesse in qualche modo contrastare una torre di due metri, per
di più fornita di muscoli, comeKevin. Ma
Frank doveva giustificare in qualche modo la propria passività di fronte alla
giusta collera di un uomo che aveva scoperto il tradimento della propria moglie
e aveva deciso di combattere con le maniere forti il suo antagonista.
La verità era che Frank era
rimasto impietrito di fronte all’apparizione di Kevin, che secondo Jennifer non
sospettava niente e che quindi la loro storia avrebbe potuto continuare
all’infinito. Invece se l’era ritrovato davanti con uno sguardo cattivo e
intenzioni bellicose, pronto a dargliele di santa ragione.
Provò a richiamare Jennifer ma il suo telefono risultò staccato: che stava
succedendo in quella casa? Non poteva andare da lei adesso, aveva il naso quasi
sicuramente rotto e i cazzotti nello stomaco avevano lasciato il segno. Pensò
che forse era meglio andare a farsi visitare, ma era
anche preoccupato per Jennifer, che doveva fare?
Nel frattempo raggiunse la sua
auto e vi salì, quando il suo cellulare iniziò a squillare. Guardò il display e
vide lampeggiare la scritta Jay L., pseudonimo sotto
cui si nascondeva Jennifer e che aveva messo nel caso Emily guardasse sul suo
telefono. Sollevato nel ricevere quella telefonata, si affrettò a rispondere.
“Jenny tesoro, stai bene?” anche
Frank la chiamava Jenny, per sua fortuna Kevin non c’era.
“Sì sto bene, dove sei? Tu come
stai? È finita Frank, l’ho lasciato.” disse lei rapidamente.
Lui esitò un momento, per poi
rispondere: “Sto andando a farmi vedere da un medico ma credo di stare bene
tutto sommato.”
Evitò di dirle che era sotto casa di Emily.
“Mi dispiace Frank, non sapevo che avesse scoperto tutto. Ti raggiungo al pronto
soccorso.”
Frank non ebbe il tempo di
replicare nulla perché Jennifer aveva già riattaccato.
Donna determinata e dominatrice, pensò, ed era per questo che
gli piaceva così tanto.
Quando il medico del pronto soccorso
guardò il viso di Frank, capì subito che aveva subito un pestaggio, e anche
abbastanza energico.
“Temo che il naso sia rotto,
dovremo fare delle radiografie. Ha battuto anche la testa?”
Frank rifletté per un attimo.
“Credo di no, a parte il fuoco in faccia e allo di
stomaco non sento dolore da altre parti.” spiegò lui,
osservato con amore e apprensione da Jennifer.
“Dottore, crede che gli resteranno
i segni?” chiese lei.
Il medico scosse il capo. “No
non credo, certo il naso resterà gonfio per un bel po’ e farà anche male, ma in
poche settimane dovrebbe essere sparito tutto. A proposito,
chi l’ha ridotta così?”
Frank tossì. “È una lunga storia,
ho avuto un piccolo diverbio con un amico e..”spiegò arrancando.
“Diverbio? Lei sembra uscito da un
incontro di pugilato! Deve proprio averlo fatto arrabbiare questo
amico. Sporgerà denuncia suppongo.”
Frank e Jennifer si guardarono
negli occhi.
“Non credo lo farò.. è un mio amico e inoltre beh.. aveva ragione lui.” disse con un sorriso.
Il medico alzò le spalle. “Lei è libero di fare ciò che crede, se ritiene sia giusto
fargliela passare liscia, ho l’obbligo di farmi gli affari miei, è maggiorenne.
Segua l’infermiera, la porterà a fare le radiografie.”
Quando restò da solo con Jennifer,
chiese qualche spiegazione anche a lei.
“Signora, mi dice
cos’è successo davvero a suo marito? Dubito che a picchiarlo sia stato
un suo amico…” dichiarò convinto il medico.
Jennifer restò perplessa. “A mio
marito?” ripeté confusa.
“Sì, il signor… Frank Moran. Non è suo marito?” le chiese leggendo il foglio
d’entrata.
“Oh… no è
un mio amico.. ho voluto accompagnarlo al pronto soccorso.” spiegò
nervosa.
Nonostante il suo ostentato amore per Frank,
era imbarazzata e l’unica cosa che era riuscita a dire era che Frank era un “suo amico”. Purtroppo per lei il medico
che aveva di fronte aveva visto tante cose strane nella sua vita, e nonostante
il depistaggio un po’ maldestro intuì che a malmenare
quell’uomo doveva essere stato non un amico come aveva sostenuto lui, ma
qualcuno che c’entrava con la bella signora che lo accompagnava.
Le guardò la mano sinistra e vide
la fede nuziale: se Frank era un suo amico, dov’erail marito? Si lasciò sfuggire un sorriso.
“Come già le ha detto Frank, ha
avuto una discussione con un suo amico che è degenerata.
Io gli ho già detto di denunciarlo ma lui è un uomo
generoso e non vuole rovinarlo.”
Il medico annuì preferendo
terminare lì la discussione, chiunque fosse stato a
picchiarlo e per quale che fosse il motivo, nessuno dei due voleva che si
sapesse in giro, e a lui non importava.
“Benissimo. Tra pochi minuti il
suo amico tornerà accompagnato dall’infermiera, tornerò
tra un po’. Se vuole scusarmi…” si congedò con un
sorriso.
“La ringrazio dottore, a più
tardi.” rispose Jennifer ricambiando il sorriso.
Quel medico era proprio
insistente, perché tanto interesse su di loro? Era pagato per curare le ferite,
non per investigare sulla vita dei suoi pazienti. Sperava che Frank tornasse
presto, e che non ci fosse nulla di grave, così potevano uscire da quel brutto
ospedale e iniziare la loro nuova vita insieme.
Ci avrebbe pensato lei a curarlo e
a farlo sentire meglio, e ben presto quel brutto incontro con Kevin sarebbe
rimasto solo un lontano ricordo della loro vecchia vita.
Sorrise al
pensiero che presto avrebbe potuto finalmente mostrare al mondo i suoi veri
sentimenti, lontano da quel matrimonio che ormai la soffocava costringendola a
non essere sé stessa.
Si era accorta che il medico le
aveva guardato la fede, senza pensarci due volte se la
tolse e la buttò nella borsa, più tardi l’avrebbe recuperata e messa da qualche
parte.
Aveva amato veramente Kevin, per
molto tempo, ma adesso era davvero finita e finalmente aveva avuto il coraggio
di dirglielo. Le era dispiaciuto vederlo disperato, ma non poteva farci niente.
Lei e Frank si amavano, ed era
questa l’unica cosa che le importava in quel momento.
N.d.A:Da
qui in poi, posterò più lentamente in quanto non ci sono capitoli completi, ma
parti di varie situazioni cronologicamente distanti tra loroL!!
Ma nella mia testa è già tutto pronto ^__^!! Grazie a
tutti coloro che leggono, e grazie soprattutto a
Pirilla88 e Xsemprenoi, siete adorabili!!
N.d.A.: capitolo
breve, ma spero lo apprezziate in ogni caso. Ringrazio chi segue e,
soprattutto, Pirilla88 e Xsemprenoi <3^__^!!!!!!
V
Kevin era rimasto a fissare la
porta per chissà quanto tempo, prima di cominciare a demolire la loro casa.
Buttò a terra tutto ciò che gli capitava a portata di mano: vasi, cornici, rovesciò anche la grande libreria che occupava un’intera
parete del salotto e che conteneva pochi librie tanti stupidi soprammobili come statuette, incensieri, palle di vetro
e quanto altro di inutile e vergognosamente costoso Jennifer aveva comprato nel
corso degli anni.
Lei non badava a spese perché il
suo conto personale, quello che il suo caro paparino
e anche i suoi due amati fratelli le rimpinguavano ogni mese facendo finta che
lei lavorasse davvero nel loro studio, era praticamente
inesauribile. A lei non importava di niente, neanche di quanto suo marito a
volte si sentisse un miserabile quando tornava a casa
con qualcosa che costava più di quanto lui guadagnava in un mese.
E lei si accorgeva di ciò, perché
subito cominciava con le sue moine per fargli dimenticare l’ennesima
mortificazione subita. Anche Kevin era stato uno di
quei soprammobili e la cosa terribile era che lui lo aveva sempre saputo.
Jennifer Lewis era sempre stata una donna capricciosa
e quando le piaceva qualcosa doveva averla a ogni
costo: Kevin non aveva fatto eccezione, e anzi più la sua famiglia le spiegava
con le buone e con le cattive che quel ragazzo spiantato proprio non faceva per
lei, più Jennifer si impuntava, tanto da essere stata lei a chiedergli di
andare a vivere insieme solo un paio di mesi dopo essersi conosciuti.
Kevin era felice di tutto questo,
perché i suoi vent’anni per un po’ gli fecero credere
che la sua donna si fosse messa contro la propria famiglia per lui, perché lo amava e non voleva lasciarlo. La realtà delle
cose si fece chiara dopo pochi anni, quando dopo un’iniziale
tentennamento Jennifer accettò di sposarlo. Perché
cambiò idea? Semplice, la notizia della sua proposta di matrimonio arrivò alle
orecchie del gran capo che reagì molto male. E lei per
affermare la propria indipendenza e autonomia di pensiero si divertì a
convolare a giuste nozze con lui.
Jennifer amava giocare a fare la
ribelle, facendo l’esatto opposto di ciò che voleva la sua famiglia, suo marito
non era altro che la pedina principale di questo assurdo
gioco, e ne erano consapevoli anche padre e fratelli, infatti perdonarono ben
presto la disubbidienza della loro Jennifer, tanto da assumerla nel loro studio
legale solo per giustificare i loro generosi regali, fatti anche e forse
soprattutto per umiliare lui.
Loro disprezzavano Kevin,
soprattutto il suo caro cognato Mark che era sempre
stato del parere che prima o poi Jenny gli avrebbe
dato il benservito. E aveva dannatamente ragione.
Suo marito aveva finito con l’annoiarla,
inoltre ai suoi parenti adesso era indifferente e non era utile nemmeno a farli
arrabbiare un po’: il giocattolo non le piaceva più e andava cambiato. Ora ne aveva uno nuovo di zecca, più giovane di lei e più
disinvolto e moderno di Kevin, a quanto pareva. Di certo Frank avrebbe
apprezzato tutte quelle cianfrusaglie che Jennifer amava
collezionare, non come suo marito che spesso non capiva neanche cosa fossero.
Anche se adesso dubitava
fortemente che chiunque potesse capirlo, visto che aveva ridotto in frantumi tutta quella roba. Anche la vetrina dei liquori,
dalla quale si servivano i fratelli di Jennifer quando
andavano a trovarla, ovviamente in sua assenza, era piombata a terra con tutte
le bottiglie e i bicchieri. I vicini in precedenza citati da Jennifer, pur
sentendo il baccano provenire da quell'appartamento, badarono ai propri affari
e non si chiesero neanche se erano entrati i ladri o
se era il loro vicino che stava distruggendo la propria casa.
Kevin era libero
di raderlo al suolo quell’appartamento, nessuno lo avrebbe fermato. Infatti dopo il salotto andò di corsa in camera da letto,
una volta lì si fermò a guardare il copriletto di seta verde: per un attimo gli
sembrò di vedervi quei due sdraiati. Scattò verso il letto, afferrò copriletto
e lenzuola scaraventando tutto in aria, poi rovesciò il materasso che ricadde
sul comodino facendo cadere a terra l' abat-jour di
vetro soffiato e ferro battuto, un altro monile costoso e inutile comprato da
Jennifer.
La rabbia gli faceva
battere furiosamente il cuore, lo sentiva in gola, nelle orecchie, nella
testa. L’umiliazione subita e che aveva calpestato la sua dignità di uomo, la delusione di essere stato abbandonato dalla sua donna,
il rammarico di non aver reagito anni prima all’insensibilità della moglie:
emozioni violente e intollerabili che lo facevano tremare di furore.
Stava per piangere.
NO!
Si portò le mani dietro la nuca e
ricacciò indietro le lacrime. Piangere avrebbe significato essersi arreso, e
lui non si era arreso per niente. Quella storia non poteva finire così, era stato tutto troppo veloce, assurdo. Lei se n’era andata, okay. Ma non
significava che non sarebbe tornata.
Anzi, Kevin lo sapeva per certo: uno come Frank Moran non sarebbe
stato con lei per tutta la vita. L’avrebbe lasciata.
E lei sarebbe corsa a casa, le
persone capricciose come Jennifer fanno così. E lui l’avrebbe
perdonata? Ne avrebbe avuto davvero la forza? Non lo sapeva,
ma sicuramente avrebbe provato a farlo. Kevin non
poteva annullare così l’amore della sua vita.
Si appoggiò con le spalle al muro,
alzando gli occhi al soffitto e imponendosi di non piangere. Non era uno di
quegli uomini che fanno del non piangere una questione
di virilità, solo che in quel momento le lacrime avrebbero ammesso la sua
sconfitta.
Non era sconfitto.
Tornò nel salotto e si guardò
intorno: aveva combinato proprio un bel casino. E ne andava
fiero. Finalmente aveva sfasciato tutte quelle stronzate
inutili e costose, e l’aveva fatto con grande soddisfazione.
Doveva darsi una calmata, o avrebbe finito col dare
fuoco alla casa.
Improvvisamente si sentì stanco,
si avvicinò ad una sedia, salvatasi miracolosamente dalla sua furia, e si
lasciò cadere su di essa. Era a pezzi. Pensò a cosa
fare, dove andare, ma non gli veniva in mente nulla. Di certo quella notte non
avrebbe dormito in quella casa, tanto meno in quello
schifoso letto. Sarebbe andato a dormire in albergo, anzi pensò di raccogliere
alcune cose e andarci immediatamente: voleva solo riposare, altrimenti sarebbe
impazzito.
Ritornò in camera da letto e,
evitando di guardarsi intorno, aprì l’armadio e ne tirò fuori un borsone, prese
alcuni indumenti: un paio di jeans, un maglione, una camicia…. in realtà prendeva tutto a caso, non riusciva a focalizzare
cosa guardava né tanto meno cosa potesse servirgli realmente. Voleva solo
uscirsene subito da lì, poco importava se nel borsone mettesse o meno cose utili.
Richiuse il bagaglio tirando la zip con rabbia, l’afferrò per i manici e uscì dalla
camera, dirigendosi verso la porta. L’aprì e uscì fuori, sbattendo la porta
alle sue spalle. Si accorse che la porta dell’appartamento accanto al suo era
socchiusa, qualche stronzo pur facendosi gli affari propri,
non era riuscito a frenare la propria curiosità.
“Problemi?” ringhiò Kevin in
direzione dell’uscio socchiuso. La porta si chiuse rapidamente.
“Andate a farvi fottere,
tutti quanti.” inveì l’uomo ad alta voce, con la
speranza che chiunque stesse origliando lo sentisse.
Chissà quante volte quei ‘discreti’
vicini aveva visto e sentito tutto, divertendosi alla
sue spalle. Meglio non pensarci, meglio evitare di
pensare anche a loro, stava già troppo male e non gli serviva un’altra dose di
veleno.
Voleva solo andare via da lì, e
riprendersi da quel dolore che gli graffiava il cuore.
Note: Kevin ed
Emily? Chissà! A me piacciono gli spoilers… ma non in questo caso ;)))))
Ma si prevedono colpi di scena *__*!!!
“Perchè
tesoro? Qualche problema con il matrimonio?”
“Sì.”
“Lo so
cara, organizzare tutto può essere una grossa seccatura...”
“No, non è questo....”
“Tesoro
ma stai piangendo?”
“Mi dispiace mamma.......”
“Emily
mi fai spaventare, cosa sta succedendo?”
“Non ci sarà nessun matrimonio...è tutto
finito.”
Seguì un
silenzio assoluto che ad Emily sembrò eterno.
“Cosa è successo?”
“Non mi va di raccontartelo mamma, mi
vergogno troppo...”
“Ti ha
tradito?”
Emily
scoppiò a singhiozzare senza controllo. Dall'altro capo del telefono, sua madre
restò in silenzio.
“Mamma?”
“Lo
sapevo che era un bastardo... lo sentivo!”
“Mi dispiace mamma....
mi vergogno...”
“Tu?
E' quello che deve vergognarsi...”
“Sono una stupida...”
“Vuoi
che venga da te per un po', Lily?”
“No mamma, non preoccuparti. Ho solo bisogno
di.... stare da sola... devo dimenticare.”
“Non
chiuderti a riccio.”
“Mi sento una stupida, una cretina. Era così
evidente.... mi vergogno.”
“Smettila,
non sei né stupida né cretina. Solo ingenua. Sei hai
voglia di parlarne, io ti ascolto.”
“Non adesso mamma, non ci riesco.”
“Come vuoi
tu...”
“Non dirlo a papà, ti prego... digli che
abbiamo rimandato la data, che deve partire, ma non dirgli che..”
“Tuo padre
ti ha sentita piangere e ha capito.”
“Che vergogna!”
“Non ce l'ha con te.... lo sento imprecare contro quello lì.
Vorrebbe spaccargli la faccia...”
“Mi dispiace tanto....
vi ho delusi.”
“No bambina,
noi in fondo sapevano che sarebbe successo qualcosa.
Meglio prima che poi, credimi.”
“Avevate ragione...”
“Lo so
tesoro, ma avremmo voluto avere torto...”
“Puoi.... puoi
dirlo tu agli zii che... il matrimonio è saltato?”
“Certo.... vedrò cosa inventare senza lasciar intendere qualcosa
di inopportuno. Vuoi che avvisi anche i tuoi compagni di scuola?”
Emily
continuava a piangere, come sempre sua madre non l'avrebbe lasciata sola.
“Sì.... se non ti è
di troppo disturbo...”
“Lascia fare a me... tu pensa solo a riprenderti... Rachel è con te?”
“Non in questo momento, è al lavoro. Ma mi sta vicina...”
“Mi fa
piacere.”
“A presto mamma...”
“A presto
piccola...”
E
riattaccarono senza dirsi nient'altro.
/-----/
Chiamare sua madre per dirle che non ci sarebbe stato nessun
matrimonio, era stato terribilmente difficile. I suoi genitori non avevano mai
visto di buon occhio Frank, le dicevano spesso che in lui c'era qualcosa che
non andava. Qualcosa di finto, di forzato.
E avevano pienamente ragione, sia loro che Rachel. Come
aveva fatto a non capirlo? Era davvero così innamorata da non accorgersi della
sua falsità? Oppure non voleva vedere la verità?
Qualsiasi fosse il motivo, si era arresa alla realtà dei fatti anche troppo tardi, si rimproverava di non aver capito prima determinati
atteggiamenti, campanelli d'allarme di qualcosa che non andava.
Ma il matrimonio si avvicinava, ed Emily aspettava tanto
quel giorno che aveva preferito ignorare ogni cosa. Che
umiliazione però, vedere quelle foto buttate su un marciapiede! Quell'uomo
poteva evitarlo, no? Perchè umiliare anche lei, che c'entrava?
Gli uomini sono tutti degli
egoisti bastardi,
pensò mentre percorreva un marciapiede in centro. Era
uscita per un passeggiata, voleva..... prendere aria,
ma in realtà il problema era dentro di lei e non in casa sua. Perchè doveva
sentirsi sporca? Il fatto che quel porco facesse quelle
cose, non stava certo a significare che anche lei era un'acrobata del sesso!
Per fortuna quando quell'uomo aveva lasciato in aria le foto, non
c'era nessuno di conosciuto in giro: se qualche conoscente l'avesse viste,
sarebbe morta di vergogna. Avrebbero pensato che anche lei faceva
quelle cose.... circensi.
Si coprì il viso con le mani: perchè aveva dovuto mostrargliele? Lei
che c'entrava? Gli uomini erano tutti uguali. Faceva tanto l’offeso
ma la cattiveria era più forte di tutto, non gli bastava averlo preso a
pugni? Voleva umiliarlo, d'accordo: ma Emily che colpa aveva di tutto ciò?
Rialzò la testa e distrattamente si guardò intorno. Si bloccò improvvisamente quando notòqualcuno. Sgranò gli occhi riconoscendo la persona che camminava sul
marciapiede dall’altro lato della strada: impossibile non riconosce un uomo
tanto alto, era il tizio che aveva pestato Frank.
Sentì la rabbia avvamparla: era tutta colpa sua. Sì, era colpa sua se
ora si sentiva così male, umiliata profondamente, era a causa di quell’uomo se
appena chiudeva gli occhi, rivedeva quelle maledette foto. La rabbia la spinse
ad attraversare la strada quasi di corsa.
L’uomo camminava a passo spedito e lei non riusciva a raggiungerlo, ma
non lo perdeva di vista. Lo vide infilare un portone lasciando che esso si
richiudesse alle sue spalle. Emily si fermò per riprendere fiato: che fare?
Seguirlo per prenderlo a ceffoni o girare sui tacchi e sparire?
Ma che stava facendo? Scosse il capo sospirando: a che
sarebbe servito andare da quell’uomo e urlargli in faccia la sua rabbia? A
niente. Sì ma intanto si sarebbe sfogata con quella specie di voyeur sadico che
l’aveva fatta sentire una stupida idiota cornuta.
Prese coraggio e si avvicinò al portone. Era chiuso e pensò di
citofonare al primo inquilino che le capitava. Ne scelse uno,
tale M. York, e pigiò il pulsante. Dopo qualche istante rispose un uomo
piuttosto anziano.
“Mi scusi, può aprirmi il portone? Sono
rimasta chiusa fuori!” gli chiese con dolcezza,
sperando che non le chiedesse chi era.
“Certo
signorina.” fu la risposta altrettanto
gentile del vecchio signore.
Emily lo ringraziò ed entrò. Finalmente realizzò una cosa molto
importante: come l’avrebbe trovato? Non sapeva neanche come si chiamava,
ricordava solo il nome della sgualdrina, Jennifer,
era praticamente impossibile trovare il loro
appartamento. Forse aveva fatto una stupidaggine.
Si avvicinò all’ascensore e vide che si era fermato al settimo piano.
Forse era su quel piano, perciò decise di tentare la sorte e di salire.
Richiamò l’ascensore che tornò al piano terra in pochi secondi. Si aprirono le porte ma Emily si bloccò: soffriva di claustrofobia.
Decise per una volta di ignorarla ed entrò, premette il pulsante per
il settimo piano e quando l’ascensore ripartì, chiuse gli occhi.
Lì riaprì solo quando un leggero scossone
l’avvisò che il breve viaggio era finito. Le porte si riaprirono e la ragazza
si ritrovò davanti…. Kevin.
I due si guardarono per qualche istante, poi finalmente Emily si
scosse e uscì dall’ascensore, stringendo i pugni e avvicinandosi all’uomo che
la guardava perplesso: che ci faceva lì la rossa di Frank?
“Lei! E’ tutta colpa sua!” gli urlò
fermandosi a pochi centimetri da lui, rendendosi conto di arrivargli a malapena
all’altezza del petto. A quell’uomo sarebbe bastato alzare una mano per
scaraventarla lontano, ma ciononostante Emily osava
fronteggiarlo come se fossero alla pari.
“Prego?” replicò Kevin non capendo cosa volesse
quella ragazzina.
“Cos’è lei? Una specie di maniaco che spia la gente? Le piace guardare foto amatoriali?” continuò lei con voce
stridula.
L’uomo corrugò la fronte guardandola come se fosse pazza.
“Signorina, ho l’impressione di avere avuto già questa specie di
conversazione con lei, e personalmente io odio i deja-vù.”la informò caustico.
Emily fece una risatina nervosa. “Oh mi dispiace tanto, non volevo
disturbare la sua quiete domestica”, ironizzò, “ma vede io invece odio quando… per strada mi si buttano in faccia delle
squallide foto pornografiche… che ritraggo il mio fidanzato con altre donne!”
finì con la voce rotta dal pianto. Oh no, piange di fronte a quello lì no, le
mancava solo questo!
Alle sue parole, Kevin serrò le mascelle, i suoi occhi chiari si
oscurarono e si… incattivirono. Emily si intimorì.
“Ragazza… se per caso l’hai dimenticato, quella nella foto era mia
moglie! E il tuo amato fidanzatino si scopava mia
moglie in casa mia!” urlò Kevin.
“E buttarmi quelle foto in faccia ti ha fatto
sentire meglio?” gli domandò lei, sul punto di piangere.
Kevin accennò un sorriso ironico. “Beh diciamo che ti ho aperto gli
occhi, bimba. Eri così certa della santità del tuo uomo che solo vedendolo in
azione ti saresti convinta del contrario. E io volevo tanto fargli fare una
figura di merda davanti a te.”ammise
con perfidia.
La reazione di Emily fu inaspettata, alzò una
mano e gli piantò un ceffone in faccia con tutta la forza che aveva. Kevin
rimase così sorpreso da non reagire neanche a parole.
“Come ti sei permesso, eh? Come ti sei permesso! Mi hai umiliata, in mezzo ad una strada!” inveì lei iniziando a
piangere.
“Tu sei matta ragazza, vieni qui a urlarmi in
faccia di averti umiliata. Io ti ho umiliata? Non
Frank? Tu stai male!” la insultò ignorando le lacrime
che rigavano il volto della giovane.
Emily si morse il labbro inferiore cercando di frenare il pianto che
stava per esplodere in singhiozzi. Quell’uomo era cattivo, senza cuore, non
gliene importava niente di aver ferito una donna e non gliene importava niente
di vederla piangere davanti a sé.
“Sei un bastardo”, lo attaccò alzando i pugni per colpirlo al petto,
“non hai rispetto, non hai umanità, niente! Io dovevo sposarmi, hai capito? Tra un mese! E
ora invece è tutto andato a puttane, tutto! E per di
più ogni volta che chiudo gli occhi rivedo quelle immagini schifose! E sono io la matta, eh? Sono io? Tu sei ..un..
disgraziato…maschilista… farabutto…”
Kevin la lasciò sfogarsi per alcuni istanti, neanche minimamente
ferito dalle sue parole né tanto meno dai suoi leggeri
pugni al petto. Quando giudicò che era passato
abbastanza tempo, l’afferrò per i polsi e la trascinò dentro casa sua, senza
darle nemmeno il tempo di rendersene conto.
“Ma che fai!” urlò quando ormai era già
entrata nell’appartamento. Tentò di liberarsi dalla sua stretta – cosa impossibile – ma rinunciò ben presto quando si accorse del
disastro in quella casa. Si trovava all’interno di quello che un tempo doveva
essere stato un salotto e che ora sembrava aver subito i danni di un terremoto.
Vetri dappertutto, cocci di ceramiche, anche i mobili erano stati praticamente distrutti.
Emily si guardava intorno atterrita, ma che era successo là dentro? Un
incontro di wrestling? Un tornado?
No, a distruggere quella casa era stato l’uomo che la teneva per un
polso impedendole di scappare via. Provò nuovamente a divincolarsi, ma Kevin la
strinse più forte e la trascinò verso un’altra stanza.
“Dovevi sposarti, eh? Oh mi dispiace tanto… beh sai
io ero sposato da dieci anni. E in pochi istanti è andato tutto in fumo.”le raccontò mentre rapidamente
raggiungevano la camera da letto.
“Lasciami immediatamente, come diavolo ti permetti di mettermi le mani
addosso!” lo accusò strillando.
“Beh, la prima ad alzare le mani sei stata tu, dolcezza! Tranquilla
non voglio farti niente”, la rassicurò fermandosi davanti alla porta della sua
camera da letto, “voglio solo mostrarti una cosa….”e la spinse dentro.
Emily si ritrovò davanti ad uno spettacolo simile a quello
visto nel salotto, ma più triste. Il letto praticamente
divelto e cuscini, lenzuola, coperte, tutto buttato all’aria. La rabbia di un
amante ferito: fu questa l’immagine che le balenò in mente.
“Vedi bimba, io non solo quando chiudo gli
occhi vedo quei due che se la spassano, ma anche quando ho gli occhi aperti.
Frank e mia moglie facevano sesso nel mio letto,
capisci? Nelle stesse lenzuola tra le quali dormiva con me. Credimi, dire che è
umiliante è poco! Parli di sentirti umiliata, ma riesci anche solo lontanamente
ad immaginare come mi sia sentito io? Riesci a capire dove può essere finita la
mia dignità? O ma non solo nel mio letto, sai? Anche sul divano, sulle poltrone, sicuramente anche per
terra. Tutto in questa maledetta casa mi ricorda il tradimento della mia donna!
E tu vieni a lamentarti di un patetico e ipocrita
matrimonio andato in fumo? Dovresti ringraziarmi per averti aperto gli occhi!”
Finalmente con uno strattone Emily riuscì a liberarsi dalla possente
stretta di Kevin, o più semplicemente fu lui a lasciarla libera.
“Ringraziarti? Per cosa? Per avermi fatta sentire sporca? Per farmi
ricordare con orrore tutte le volte che lui mi ha
toccata e baciata probabilmente dopo aver toccato e baciato lei? Lui è stato
l’unico uomo della mia vita, sai cosa significa? Riesci ad immaginare come si
possa sentire una donna nel vedere quelle foto? O
anche solo immaginare quelle porcherie? Io che…. facevo
della mia serietà e compostezza e… fedeltà, il mio vanto! Stavo con un porco
schifoso che scopava con una troia come tua moglie! TU non sai come mi sento
io!” gli urlò in faccia piangendo disperata.
Kevin la guardò stupito, non trovava il modo
per replicare ad un’esplosione di rabbia di quell’entità.
“Io….” tentò di parlare ma Emily si voltò e
corse via. Kevin reagì dopo pochi secondi e la seguì in salotto, giusto in
tempo per vederla urtare contro qualcosa, perdere
l’equilibrio e cadere a terra vicino ad alcune schegge di vetro.
“Santo Dio”, esclamò l’uomo correndo al suo fianco, “stai bene?” le
chiese prendendola per un braccio e rialzandola come se fosse una piuma.
“Va’ a farti fottere, lasciami!” rispose
bruscamente Emily liberandosi dalla sua presa. Ma nel tirar via il braccio si
lasciò sfuggire un gemito.
Kevin le prese la mano e la girò rivolgendo il palmo in alto. “Ti sei
ferita.”
Emily guardò la propria mano e si accorse del taglio che stava
sanguinando: proprio una giornata orribile.
“Ti ho detto di levarmi le mani di dosso!” squittì furiosa tirando via
la mano da quella di Kevin.
Lui non replicò, infilò una mano della tasca della giacca e ne tirò
fuori un fazzoletto di stoffa bianca, sicuramente pulito vista l’accurata
piegatura. Lo aprì e lo avvolse intorno alla mano della ragazza che, presa alla
sprovvista, lo lasciò fare senza riuscire ad opporsi.
“Almeno non spargerai sangueper strada.” le
fece notare con sarcasmo. Emily lo guardò torva.
“Resti sempre uno stronzo.” e si voltò correndo via da quella casa.
/-----/
Rimasto da solo, Kevin non sapeva se mettersi a ridere o tirare
qualche altro calcio in giro per quella casa. Inizialmente la scena era stata
divertente, quella ragazza dai capelli rosso fuoco l’aveva affrontato come se
non ci fossero almeno trenta centimetri di differenza tra di
loro e circa una quarantina di chili. Era stato come trovarsi di fronte ad un
folletto irlandese molto carino e molto arrabbiato.
Ma poi quando il discorso si era fatto pesante, l’ironia
della situazione era sparita. Le accuse della giovane lo avevano irritato,
facendogli pensare che era proprio una stupida
ragazzina viziata. Anche le lacrime gli erano sembrate
esagerate, visto che il suo unico pensiero era quello di dover dire alle sue
amichette che il matrimonio non ci sarebbe stato.
Solo quando era esplosa in quel pianto disperando, rovesciandogli addosso tutta la sua delusione e umiliazione, si era reso
conto di aver sbagliato. Non doveva prendersela con lei,
avrebbe dovuto lasciarla sfogare per un po’ dopodichè se ne sarebbe sicuramente
andata via più sollevata. Invece aveva rincarato la
dose, come se fosse lei la responsabile della situazione. Beh anche lei lo
aveva accusato di essere il responsabile del suo dolore, ma
Kevin era un uomo e non doveva aggredire una ragazza in quel modo.
Sospirò guardandosi intorno, non avrebbe dovuto neanche farle vedere
quello spettacolo, cosa ne aveva ricavato? Aveva solo
spaventato una ragazza, vittima come lui di quei due egoisti. E aveva sbagliato anche a buttarle in faccia quelle foto.
Ormai l’aveva fatto e non se ne pentiva, solo che non gli piaceva
l’idea di aver fatto sentire… sporca quella ragazza.
Da quello che aveva potuto capire, il caro Frank aveva avuto l’onore
di essere il primo e unico uomo della sua vita, e chissà quante stronzate le aveva raccontato per tenerla buona, quante romanticherie da idioti le aveva detto, era
ovvio che lei vedendo quelle oscenità si fosse sentita umiliata. Forse più di quanto si era sentito umiliato Kevin. Forse per
una donna era molto peggio.
Probabilmente la ragazza, della quale non sapeva nemmeno il nome,
aveva ragione. Si era comportato come uno stronzo.
Ma non sapendo neanche come si chiamava, non avrebbe mai
potuto rimediare.
Peccato, gli dava noia sentirsi in colpa e non poter riparare al
torto. Lui non era un bastardo, non faceva piangere le donne e non.. parlava di sesso con donne che non conosceva.
Sicuramente non con le ventenni come quella appena scappata via.
Jennifer lo aveva mandato proprio in tilt, non
sapeva più neanche dosare le parole. E di mezzo
c’era andata quel furioso folletto irlandese.
Kevin si strinse nelle spalle, inutile stare lì pensando a lei, quella
casa era un disastro e doveva… fare qualcosa. Non sapeva cosa, non aveva idea
di come comportarsi, ma sicuramente starsene con le mani in mano
non gli giovava per niente.
Pensava ancora che Jennifer si sarebbe pentita di averlo lasciato per
il caro “Frank”, ma al contrario di quello che pensava
solo un paio di giorni prima, non era più sicuro di riuscire a ricominciare da
zero con lei.
La
mano le faceva un po' male, cadendo si era ferita con una scheggia di
vetro e se al momento non aveva quasi sentito dolore, adesso bruciava
e pulsava. Lentamente sciolse il fazzoletto che quel villano le aveva
legato intorno alla mano e guardò il taglio. Non era profondo
ma faceva male. Andò in bagno e lo disinfettò, poi
prese della garza e si fasciò la mano.
“Almeno
non spargerai sangue!” disse scimmiottando
quell'energumeno. “Animale...” lo insultò.
Certo
che quell'uomo o non era mai stato così arrabbiato in vita sua
oppure era davvero un elemento pericoloso. Aveva distrutto la propria
casa e si comportava in un modo'... non proprio violento ma
decisamente rude.
Scosse
il capo e sospirò. Doveva ammettere però che l'immagine
di quella camera da letto buttata all'aria era stata molto forte, e
molto triste. Quella donna aveva avuto il coraggio di portare il suo
amante nel loro letto matrimoniale, doveva essere una sensazione
terribile.
A
parte questo particolare, niente poteva giustificare il modo in cui
si era comportato con lei, né con quelle foto né quando
era andata a casa sua. Metterle le mani addosso e trascinarla in giro
per casa: chi si credeva di essere?
Aveva
bisogno di chiamare Rachel.... o anche solo di mandarle un messaggio.
Doveva parlare con qualcuno. Prese la propria borsa e cercò il
cellulare.
“Ma
dov'è?” disse a sé stessa rovistando tra
portafoglio, fazzoletti e caramelle.
Si
allarmò: l'aveva perduto? Questa non ci voleva, proprio no.
Ora anche il cellulare da ricomprare?
Non
si perse d'animo, magari era in giro per casa, non sarebbe stata la
prima volta che lo perdeva in casa. Sotto un libro o addirittura...
nell'armadio. Prese il cordless e compose il proprio numero. Con il
telefono in mano, iniziò a girare per casa con la speranza di
sentire la suoneria del proprio cellulare. Ma niente da fare: il
cellulare non c'era.
Sospirò
sconsolata. “L'ho perso fuori!” gemette mordendosi il
labbro inferiore.
L'unica
speranza era che qualcuno lo sentisse suonare e rispondesse, e che,
con un po' di fortuna, accettasse di ridarglielo. Lì c'erano
tutti i numeri di tutti quelli che conosceva. E lei non aveva agende.
Se perdeva quello, era finita.
Si
sedette sul divano e si mise ad aspettare quel po' di fortuna.
/-----/
Kevin
restò a guardare lo scempio del proprio appartamento per
diverso tempo, forse un'oretta. Poi finalmente si decise a fare
qualcosa. Recuperò dal ripostiglio alcuni scatoloni ripiegati
che sistemò e usò per raccogliere tutto quello che
poteva.
Cocchi
di vetro e ceramica, pezzi di mobili e sedie, bottiglie rotte. Buttò
negli scatoloni anche quello che non era rotto, non voleva vedere più
niente. Mentre faceva ciò, sentì uno squillo.
Si
guardò intorno e si ricordò che il proprio cellulare
era nella sua giacca, quindi non era stato lui a suonare.
Il
suono si ripeté e si accorse che proveniva da sotto la
cassettiera, stranamente scampata alla sua furia. Si inginocchiò
e vide un cellulare. Corrugò la fronte: e di chi era?
Lo
prese e quasi avesse una visione, realizzò che doveva
appartenere a quella ragazza.
“Ah...”
esclamò ridacchiando “il folletto ha perso il
cellulare.”
Guardò
il display e lesse il nome che vi lampeggiava. “Casa mia.”
Sorrise e rispose.
“Pronto?”
“Si
pronto! Sta parlando al mio cellulare, chiunque lei sia.”
esordì Emily non riconoscendolo.
“Sì
ma sei tu che l'hai perso a casa mia.” le fece notare.
Emily
tacque per un lungo momento. “Non ci credo”,
mormorò “l'ho perso a casa di quella specie di
maniaco!” strillò.
Avrebbe
dovuto sentirsi offeso, invece Kevin scoppiò a ridere. “Questa
è bella... tu vieni a casa mia con intenzioni bellicose, e poi
sono io il maniaco?”
“Non
voglio parlare con te, voglio solo il mio cellulare.”
tagliò corto la ragazza.
Kevin
annuì sorridendo. “Va bene, dimmi dove abiti e verrò
a consegnartelo immediatamente.” si offrì.
“Stai
scherzando?” protestò con voce stridula “vengo
a prendermelo io, ma all'aperto, non in quel.. .casino che è
la tua casa!” precisò.
L'uomo
ridacchiò. “Casino? Che brutta parola detta da una
ragazza.”
Emily
si innervosì. “Lo trovi divertente? Io no! A più
tardi.” e riagganciò.
Non sapeva perché,
ma quella breve conversazione lo aveva tirato su di morale. Ed era
strano, visto che solo poche ore prima si erano maltrattati a
vicenda. Era divertente, doveva ammetterlo.
Era sbagliato e lo
sapeva, ma Kevin non resistette e si annotò il numero di casa
di quella ragazza. Non aveva idea del perché lo aveva fatto,
ma in quel momento gli era sembrata una mossa intelligente.
Guardò con più
attenzione quel cellulare e notò che era graffiato in più
punti, rovinato quasi sicuramente dalla caduta subita quando anche la
sua proprietaria era caduta. Il sorrisetto divertito sparì
dalle sue labbra, il ricordo di quella ragazza piangente e ferita lo
rattristò.
Lentamente stava
riprendendo il controllo delle sue emozioni, e lentamente ma
inesorabilmente stava davvero capendo lo sbaglio fatto con lei.
Sospirò scuotendo il capo: doveva chiederle scusa. Sì,
era stupido ma... sentiva di doverle delle scuse.
Lui non era un uomo che
maltrattava le donne, né a parole né con i fatti,
odiava chi lo faceva e aveva finito col farlo egli stesso. Uscì
di casa e si fermò appena fuori dal portone, in attesa che la
ragazza arrivasse.
Passarono almeno trenta
minuti, quando finalmente la vide arrivare. Camminava rapidamente,
quasi correva, e aveva stampata in faccia un'espressione arrabbiata e
triste allo stesso tempo.
“Ridammi il mio
cellulare.” esordì senza tanti giri di parole.
Lui fece per
passarglielo ma come Emily tentò di prenderlo, Kevin ritrasse
la mano. “Aspetta.”
La ragazza lo guardò
con occhi sgranati. “Cosa?”
“Devo dirti una
cosa, e se ti do questo prima di avertela detta, scapperesti
immediatamente.” le spiegò calmo.
Emily pensò che
quell'uomo la stava prendendo in giro. “E cosa diavolo dovresti
dirmi?” gli domandò in tono acre.
“Che mi
dispiace.”
Lei lo fissò
come se avesse parlato in un'altra lingua. “Ti dispiace?”
ripeté incredula.
Kevin annuì.
“Sì, anche io non ci credo ma.... ti sto chiedendo
scusa.” le disse distogliendo lo sguardo.
La giovane incrociò
le braccia. “Tu hai qualcosa che non va, lo sai vero?” lo
derise con un ghigno.
L'uomo annuì
grave. “Lo so, ma non ora che ti sto chiedendo scusa. Ero fuori
di testa quando non me ne importò nulla di buttarti addosso
quelle foto orribili” ammise “e sono stato....
insensibile quando poco fa mi hai parlato della tua delusione.”
Emily lo ascoltava
stupita, ma era lo stesso uomo di prima? Stentava a crederci.
“Che tu ci creda
o no, io rispetto le donne, e non avrei dovuto mai trattati in quel
modo. Mi dispiace.” si scusò infine.
“Mmh...
o...okay”, mormorò lei in difficoltà, non era
preparata a questo. “Capitolo chiuso. Mi ridaresti il mio
cellulare per favore?” gli chiese con più cortesia. Lui
obbedì e glielo porse.
“Grazie.”
gli disse guardando il proprio cellulare, ma solo per distogliere lo
sguardo da quello dell'uomo. Forse lo aveva giudicato troppo male,
forse non era quel maleducato e violento villano che credeva. Era
solo un uomo ferito, com'era ovvio che fosse. E quando si è
feriti si fanno delle sciocchezze.
“Bene”
disse lui “spero che tu mi abbia perdonato sul serio. Comunque,
anche se probabilmente non ci rivedremo più, io mi chiamo
Kevin.” e le offrì la propria mano.
Lei lo guardò e
dopo alcuni istanti di indecisione, pose la sua mano in quella
dell'uomo e lasciò che gliela stringesse con gentilezza. Una
mano grande, calda e ferma.
“Io sono Emily.”
rispose con un certo e inspiegabile imbarazzo.
Kevin le sorrise e le
lasciò la mano. “Emily.” ripeté come per
non dimenticarlo. “ Mi dispiace davvero tanto per tutto,
purtroppo ci siamo incontrati in uno spiacevole modo. Se mai
dovessimo rincontrarci, spero sia in una situazione più
amichevole.”
La ragazza annuì
e accennò un timido sorriso. “Sì, entrambi siamo
vittime e ce la siamo presa l'uno con l'altra.” affermò
con tristezza.
“Già”
confermò l'altro “ma temo sia una reazione normale.
Avevamo bisogno di prendercela con qualcuno.”
“Vero. Beh.... io
devo andare Kevin, grazie per non aver distrutto il mio cellulare.”
gli disse ironica.
Lui aggrottò la
fronte. “Per chi mi hai preso? Sono un gentiluomo.”
scherzò.
“Forse lo sei
davvero.” si lasciò sfuggire Emily, strappandogli un
sorriso.
“Per lo meno non
sono più un maniaco.” rispose con la stessa ironia.
“Per il momento,
non lo sei.” specificò lei.
“Grazie per la
fiducia.”
Sarebbero stati a
punzecchiarsi per ore, lì davanti ad un portone, se il
cellulare di Emily non avesse squillato interrompendo il loro
discorso.
“Okay... vado.
Arrivederci Kevin..... e grazie.” lo salutò tendendogli
la mano. Lui la prese e la strinse con la stessa gentilezza di prima.
“Grazie a te. A
presto.”
Emily si voltò e
rispose al cellulare. Kevin la guardò allontanarsi e si
chiese: come poteva un uomo tradire una ragazza così? Non era
solo bella, perché quello era visibile a tutti. Era.... forte
e fragile, dura e gentile, tutto allo stesso tempo e probabilmente
alla stessa intensità.
Jennifer era bella,
molto bella. Ma era glaciale, l'aveva lasciato in modo così
freddo e distaccato che ancora gli sembrava solo un incubo.
Un uomo che lasciava
una ragazza come Emily poteva essere solo della stessa pasta di
Jennifer, ecco perché si piacevano tanto.
“Mi dispiace
Emily, ha incontrato l'uomo sbagliato.”
/-----/
“No, va tutto
bene Rachel, questa sera ti racconterò ogni cosa. A presto,
buon lavoro.” salutò la sua amica e riattaccò.
Era ancora per strada,
stava tornando a casa e pensava allo strano incontro con Kevin. Non
le era sembrato più la persona spregevole di poco prima, e
aveva capito che era semplicemente arrabbiato col mondo, ma di per sé
era una persona gentile.
Beh, con un aspetto
come il suo era facile incorrere in giudizi avventati. Se non era
alto due metri, ci mancava poco.
Ma era gentile. Sì,
stranamente e insospettabilmente era un uomo gentile, anche quando le
aveva stretto la mano era stato attento a non stringere troppo.
Contrariamente a quanto aveva fatto mentre la trascinava in giro per
la propria casa.
Ed era anche simpatico,
in un modo tutto suo sicuramente, ma lo era per davvero.
Probabilmente non lo
avrebbe rivisto più, e quasi se lo augurava visto che si
trattava del marito di quella sgualdrina, ma sentiva di aver
conosciuto una brava persona, che purtroppo però aveva
incontrato la donna sbagliata.
Entrambi avevano
incontrato la persona sbagliata, erano stati sfortunati.
Sospirò e
affrettò il passo, iniziava a farsi sera.
Un sottile filo d’argento con un ciondolo di cristallo a forma di stella
A/N:Grazie a tutte le persone che hanno
messo questa storia d’amore tra i preferiti/seguiti. Se
continuo a scriverla è proprio grazie a voi! E mi
raccomando, recensite!
VIII
Un sottile filo d’argento con un ciondolo di cristallo a forma di
stella. A
Kevin occorsero diversi minuti prima di ricordare su
chi aveva visto quella stella.
Poi la sua
memoria fotografica gli venne in soccorso, e ricordò che a
indossarla era Emily, il giorno in cui era andata da lui furiosa, e che
probabilmente la catenina si era spezzata in quei concitati momenti.
L’aveva
ritrovata vicino alla porta di casa sua, l’aveva raccolta e dopo aver ricordato
a chi apparteneva, aveva deciso di andare a restituirla alla legittima
proprietaria. Scoprire dove abitava era stato fin troppo facile.
Sull’elenco
telefonico on-line aveva cercato il numero che si era
appuntato quando aveva trovato il cellulare della ragazza, qualche giorno
prima, e aveva trovato l’indirizzo di casa sua.
Emily Porter. Bel nome, pensò, completamente inglese. Non come lui con un nome di battesimo inglese e un cognome
spudoratamente francese. Avrebbe preferito che i suoi gli avessero messo anche un nome francese, perché così si era
sempre sentito… incompleto. Era nato in Inghilterra certo, ma non era inglese.
Non si era mai sentito inglese.
Sospirò e
suonò al campanello.
/-----/
Non aveva potuto fare a meno di piangere, quella mattina, quando ricordò che era decisamente arrivato il momento di disdire
il ricevimento di nozze. Ma perché aveva scelto
proprio quel ristorante? Perché tra
tante opzioni, aveva scelto quella più odiosa?
McBeal & Fraser, lesse mentalmente sul biglietto
da visita. Margareth McBeal, la sua più odiosa compagna di scuola, la più cattiva, e la più ricca.
E lei era andata proprio nel suo rinomatissimo ristorante!
Beh, a sua discolpa si potrebbe dire che non aveva proprio
pensato a lei, quando aveva letto il cognome.
Stava di fatto che ora, doveva andare personalmente a disdire tutto, e
non riusciva a sopportare l’umiliazione di ciò. L’aveva sempre presa in giro,
per i capelli, per l’accento, per qualsiasi cosa essa riteneva meritevole di
derisione. E ora l’avrebbe derisa ancora una volta.
Si asciugò un’altra lacrima e sospirò. Sentì suonare al campanello, si
alzò dal divano e guardò dallo spioncino.
Quando riconobbe l’uomo che aspettava a capo chino, si chiese
cosa diavolo ci faceva lì, e come aveva fatto a sapere dove abitava. Aprì
lentamente la porta e fece capolino.
“Kevin?” domandò corrugando la fronte.
L’uomo sorrise nel vedere l’espressione stupita
della ragazza, e sorrise anche nel rivedere quei folti capelli rossi. Impossibile non notarli, pensò.
“Già. Non prendermi per un maniaco” esordì “non sono qui per loschi
motivi, solo….”ed estrasse
la mano dalla tasca della giacca, mostrandole cosa lo aveva portato davanti
casa sua. “.. ho trovato questo dalle mie parti, e ho
supposto fosse tuo…”
Emily sgranò gli occhi e spalancò la porta. “Oh mio Dio, non mi ero
accorta di averlo perso!” esclamò prendendo il ciondolo dalla sua mano.
“L’ho trovato sulla porta di casa mia, probabilmente
ti è caduto quando…. mi hai preso a pugni..” disse Kevin trattenendo a stento una risatina.
“Ah ah” commentò la
ragazza “molto divertente. Comunque ti ringrazio,
prima o poi me ne sarei accorta di non averlo più e ci sarei rimasta molto
male.”
“Beh, mi fa piacere di esserti stato utile.”rispose l’uomo con l’intenzione di togliere subito il
disturbo.
Ma Emily pensò che dopotutto, meritava almeno
un caffé.
“Ti va di prendere un caffé?” gli domandò gentile.
Kevin sembrò meravigliato. “Ehm… sì, volentieri.” accettò
con un sorriso.
La ragazza si fece da parte per farlo
entrare. “Accomodati.”
“Grazie.” rispose lui entrando quasi
timidamente. Si rese conto di non essere abituato a gentilezze del genere.
Soprattutto non se l’aspettava da parte della ragazza con la quale solo pochi
giorni prima aveva litigato furiosamente.
Emily chiuse la porta e gli fece strada verso
la cucina. Kevin si guardò intorno, era una bella
casa, piccola ma accogliente. La casa di una ragazza, pensò con un sorriso.
Com’era diversa dalla casa che aveva condiviso per oltre un decennio con
Jennifer. La loro casa era fredda e impersonale, era la casa… di Jennifer,
anche se era di proprietà di Kevin.
“Prego, siediti.” gli
disse indicando una sedia del tavolo. Kevin annuì e si sedette, era un po’ imbarazzato ma… stranamente contento.
Stava passando giorni duri, un po’ di dolcezza non
poteva che
fargli bene.
La ragazza iniziò a preparare il caffé. “Quel ciondolo è un regalo di
una persona che non c’è più” esordì girandosi per guardarlo.
“Mi dispiace, allora sono proprio felice di averlo ritrovato io.”rispose sinceramente Kevin.
Emily sorrise. “Già, è un caro ricordo di mia
zia, venuta a mancare sette anni fa. Ci tengo molto.” gli
spiegò.
“Mi dispiace.” ripeté lui.
La giovane si strinse nelle spalle. “Sono cose che capitano… è stato doloroso ma alla fine ci siamo rassegnati.”
Si voltò e posò sul tavolo un vassoio con due tazze. Gliene porse una
e prese l’altra per sé.
“Ti ringrazio.”
“Di nulla.” rispose lei sedendosi.
“Come va la mano?” le domandò Kevin notando la fasciatura.
Emily si guardò la mano e fece una smorfia. “Niente di che… ormai la
ferita è quasi completamente guarita, credo che domani non la fascerò più.”
“E’ stata colpa mia.” si incolpò lui scuotendo
il capo. “Non so che mi era preso… non.. non ero io.”
La ragazza lo guardò attentamente e pensò che sì, quel giorno non era
in sé, perché ora l’uomo che aveva davanti era completamente diverso.
“Non è stata colpa tua, sono stata io a venire da te come una furia, e
sono scappata via come una furia. E
questo è il risultato.” concluse alzando la mano
fasciata.
Kevin sorrise e bevve un sorso di caffé. “Avrei dovuto essere più
comprensivo, invece sono stato un villano. Me ne vergogno un po’…” ammise.
“E per questo che ultimamente ci incontriamo
spesso?” gli domandò Emily sorridendo.
Lui ridacchio. “Temo di sì. Anzi, il ritrovamento del tuo cellulare a casa mia, è stata una
manna dal cielo. Mi ero reso conto di essere stato un idiota
ma non avevo idea di chi eri o dove abitavi, ed ero certo che non ti
avrei più rivista. Invece il destino era dalla mia parte!”
Emily annuì. “A proposito, come hai saputo dove abitavo?”
Kevin fece uno sguardo colpevole e accennò un sorriso imbarazzato.
“Ehm.. quando hai telefonato sul tuo cellulare io..
credo di aver preso il tuo numero” confessò guardando altrove “e credo di aver
cercato il tuo indirizzo su internet, quando ho trovato il ciondolo.”
La giovane lo guardò per un attimo e poi scoppiò a ridere. “Wow, non
si direbbe ma sei astuto!”
“Non si direbbe?” ripeté lui fingendosi offeso. “Grazie!”
“Non offenderti, stavo scherzando.” si difese
lei.
Kevin stava per replicare qualcosa, quando lo sguardo finì su un
cartoncino posto su un angolo del tavolo. Il nome di un noto ristorante
campeggiava a grandi lettere e capì subito perché era lì.
Emily guardò cosa stava guardando lui ed entrambi si oscurarono in viso. Anzi, lei stava quasi per piangere di
nuovo.
“E’ un figlio di puttana…” mormorò l’uomo non riuscendo a trattenersi.
Emily lo guardò ma non rispose.
“Scusami, non dovrei parlare così davanti a te ma…
è davvero un figlio di puttana… ha rovinato la vita ad entrambi.”
Invece di rispondere, la ragazza iniziò a piangere di nuovo. “Scusa ma… non riesco a non…” cercò di giustificarsi lei tra
le lacrime.
Lui annuì e sospirò profondamente. “Per quel che vale, posso capire
come ti senti…”
“La tua situazione è più difficile della mia… tu sei sposato, io non ancora… ma… è andato tutto in fumo in modo così orribile…
che ancora non riesco a capacitarmene.” spiegò lei
asciugandosi le lacrime.
Sentiva il bisogno di sfogarsi, lo aveva fatto già con Rachel, ma intuiva
che Kevin l’avrebbe capita ancora di più.
L’uomo di fronte a lei istintivamente allungò una mano e prese la sua.
“Sono mortificato Emily, e mi sento in colpa. Non avrei dovuto fare quella
scenata in mezzo ad una strada e di fronte a te. Se potessi
tornare indietro è l’unica cosa che non rifarei.”
Emily annuì lentamente e Kevin ritirò la sua mano. “Ti ringrazio, ma
tu non c’entri nulla. Anzi… col senno di poi ho pensato che è
stato un bene averlo saputo, anche se in un modo brusco. Non oso
immaginare se l’avessi saputo dopo il matrimonio…”
“Sì.. scoprire con chi si ha a che fare dieci
anni dopo, è decisamente orribile.” convenne lui
riferendosi a sé stesso.
“Vedi? La tua storia è molto più seria della mia…” ribadì
lei scuotendo il capo. “E’ solo che.. ora devo anche
disdire il ricevimento e questo… è imbarazzante…”
“E inoltre” aggiunse “la
proprietaria del ristorante è una mia ex compagna di scuola… una cattiva
compagna di scuola.”sottolineò.
Kevin sorrise annuendo. “Non riesco a credere che in pochi giorni ci
sia successo tutto questo.”rifletté
fissando la propria tazza. “La vita può cambiare in un attimo… ora sei
scioccamente sereno o magari felice, e un istante dopo ti crolla il mondo
addosso.”concluse con un
sospiro.
La ragazza lo guardò con attenzione: cercò di immedesimarsi in lui,
pensando a come si fosse sentito nello scoprire di essere stato tradito dalla
moglie in un modo ignobile come quello… ma non ci
riusciva. Non riusciva a immaginarlo, ma sapeva per
certo che doveva essere stato orribile.
“Mi dispiace..” mormorò
Emily a bassa voce.
“Certo che siamo un po’ strani, io e te.” disse
Kevin guardandola negli occhi.
“Perché?”
“Beh” iniziò con un sorriso triste “prima litighiamo e per poco… non
ti uccido involontariamente facendoti cadere sui vetri rotti, e poi ce ne
stiamo qui intorno ad un tavolo, a raccontarci di che brutta situazione stiamo affrontando.”
“Hai ragione” annuì lei “è un po’ strano. Ma non siamo strani…. siamo solo
ingenui.”
Kevin la fissò e annuì mestamente. “Non posso parlare per te ma… per quel che mi riguarda sì, sono stato un ingenuo.
Un grosso ingenuo….” era tentato dal raccontargli la
sua vita…. ma non lo fece, non era il momento adatto e
poi, Emily era pressoché una sconosciuta. Ancora.
“Ah lo sono anche io, e molto anche.” affermò
la giovane in tono serio. “Avrei dovuto capire che qualcosa non andava, ma ero…
fra le nuvole.”
“E lui se n’è approfittato, così come mia moglie ha approfittato della
mia… ingenuità.”osservò
Kevin.
“Abbiamo decisamente incontrato le persone
sbagliate.” dichiarò Emily con un sospiro.
“Tu sei una ragazza, e posso solo intuire la delusione che hai avuto….”iniziò Kevin. “… ma so per certo che tu puoi ancora… come dire, coronare il
tuo sogno. Trovare una persona degna e non un bastardo, con
la quale convolare a giuste nozze. Io invece…” si fermò scuotendo il
capo.
Lui invece non si sarebbe ripreso facilmente. E non aveva nessuna
intenzione di trovare la persona giusta per lui, perché probabilmente
non esisteva neanche. Aveva creduto per ben quindici anni di averla
trovata, e tutto era finito in una bolla di sapone, in un modo umiliante.
Sospirò profondamente e alzò lo sguardo sulla ragazza di fronte a lui.
“Non farci caso, sto blaterando.” si scusò con un
sorriso.
“Non stai blaterando” lo contraddisse Emily “è
solo che… credo che entrambi dobbiamo trovare la forza di reagire, sul serio.
Io… sto piangendo molto in questi giorni e credo sia un bene, mi sento meglio
dopo aver.. pianto e imprecato!”
“Io ho distrutto il mio appartamento.” sottolineò
Kevin allargando le braccia.
“Temo che con gli scatti d’ira non si risolva nulla…”
Come fa a conoscermi?,
pensò lui stupito.
“Forse no” ammise Kevin “ma sicuramente sono
un ottimo palliativo.”
Il trillo del campanello della porta impedì ad Emily di replicare. “Scusami.” gli disse
alzandosi.
“Prego.” rispose lui alzandosi a sua volta
per cavalleria.
Lei notò il suo gesto e ne sorrise. Nessuno le aveva mai usato una
simile cortesia fuori dal tempo.
“Emily scusa se ti disturbo ma ho
un’emergenza…” esordì concitata Rachel entrando in casa insieme a due bambini.
“Che succede?” si informò la ragazza
allarmata.
“Mia suocera” rispose abbassando la voce per non fare ascoltare i suoi
bambini. “Ha avuto un malore… e non posso portare Amy
e Russell con me.. ti
dispiace tenermeli per un po’?”
“Ma certo, me ne occuperò io.” la rassicurò Emily accarezzando la testa della bambina
accanto a lei.
“Grazie, sei un’amica.. non sapevo cosa
fare..” si fermò perché notò qualcuno in fondo alla
stanza.
“E lui chi è?” le domandò Rachel perplessa.
Le sembrava improbabile che si fosse già trovata un altro uomo
anche se un po’ ci sperava.
Emily si voltò e Kevin si avvicinò alle due donne e ai bambini, che
guardavano quell’uomo, per loro gigante, quasi con timore.
“Ahm.. sono Kevin Duval..”
si presentò lui in imbarazzo.
Rachel accettò la sua mano e gli sorrise.
“Piacere, io sono Rachel Johnson. È un amico di Emily suppongo..”
“Ecco..” intervenne la diretta interessata
“è….”
“Quello che ha picchiato Frank.” l’aiutò lui
togliendola dall’impiccio.
Rachel parve illuminarsi e sfoderò un sorriso smagliante. “Oh santo Iddio!” esclamò “E’ un vero piacere conoscerti, Kevin!
Sei il mio eroe.” lo lusingò guardandolo negli occhi.
Kevin corrugò la fronte. “ Benché non me ne penta,
non credo sia una cosa da prendere ad esempio…” notò serio.
“Certo, la violenza non è mai giustificabile”
convenne la donna “ma sapere che hai modificato i connotati a quel verme, di
rende un mito ai miei occhi.”
I bambini intanto lo fissavano nascondendosi dietro la madre. Kevin lo
notò e si abbassò alla loro altezza.
“Ehi… vi faccio paura?” domandò loro con gentilezza.
Il maschietto, Russell, si fece timidamente
avanti. “Nossignore” rispose con un filo di voce “E’ che lei è.. un gigante…”
Kevin sorrise. “Tra qualche anno sarai più alto di me” gli rispose “ e
sarò io a guardarti con timore.”
Il piccolo sorrise e tornò a nascondersi dietro la
mamma.
“Come si chiamano?” domandò alzandosi.
“Lei è Amy e lui è Russell”
rispose fiera la mamma. “Non credere che siano così calmi, è che li metti in
soggezione.”gli spiegò.
“Sono così brutto?” domandò Kevin alla bambina. Lei sorrise e si
nascose di più.
Rachel lo guardò per un attimo e distolse lo sguardo sorridendo.
Brutto? Non immaginava nemmeno che potesse esistere un esemplare di maschio
bianco del genere. Dal cognome era ovvio che non fosse propriamente inglese, e
dall’aspetto si sarebbe potuto dire che quell’uomo
discendeva dai vichinghi.
Alto forse un paio di metri – Emily lo aveva detto
ma aveva creduto fosse un’esagerazione –, spalle larghe, capelli castani
e occhi di un grigio cristallino. E un sorriso gentile
e dolce.
Gli piacevano i bambini, forse ne aveva…
Oh per la miseria, pensò, quella sgualdrina aveva
tradito un marito del genere, che magari le aveva dato
anche un paio di piccoli Kevin, con quel rospetto di
Frank?
Però lui ed Emily formerebbero una coppia interessante…..
“Io.. io devo andare adesso.” disse Kevin rivolgendosi ad Emily. “E
tu avrai da fare, suppongo.” aggiunse guardando i
bambini.
“Oh.. sì, come vuoi. Grazie per avermi
riportato il ciondolo, sei stato molto gentile.”lo ringraziò sorridendo.
“E’ stato un piacere.. e grazie per il
caffé.” le disse stringendole la mano.
Flirtano…
“Piacere di averla conosciuta, signora Johnson.”
Rachel aggrottò la fronte. “Rachel. Soltanto Rachel, per
favore.” lo riprese scherzosamente.
“E il piacere è stato tutto mio, credimi!” ribadì
la donna.
Kevin sorrise imbarazzato ma non aggiunse altro.
“Arrivederci bambini.”
“Ciao.” risposero in coro i piccoli.
“Signore, i miei ossequi.” le salutò ed uscì.
Rimaste sole, le due donne si guardarono.
“Da quanto lo conosci?” domandò Rachel incuriosita.
“Da quando sono andata a casa sua… a
insultarlo.”
L’altra sgranò gli occhi. “A insultarlo? Un
armadio come quello?”
Emily si vergognò. “Sì… lo so che è stato da stupida ma…”
“Alla fine avete fatto amicizia.” la incalzò
Rachel.
“Sì.. cioè no. A
casa sua ho perso il cellulare… me lo ha restituito, e oggi è venuto a ridarmi
un ciondolo che avevo perso…”
“.. a casa sua..” finì
Rachel annuendo.
“Che gentile… e che uomo…” chiosò sincera.
Emily ignorò il commento. “Okay, baderò io a questi due monelli. Tu va pure tranquilla.”
“Giusto” esclamò l’altra ricordandosi della suocera “ora vado.. grazie ancora Lily.” ed
uscì.
“Allora bambini, volete vedere i cartoni?” domandò ai figli della sua
amica.
“SÌ”
/-----/
Il cellulare di Rachel squillò appena entrata in ascensore.
“Mike tesoro. .sto
arrivando.”
“Tutto bene?”
“Sì, ho portato i bambini da Emily, e sto scendendo…”
“Okay, ma sta’ tranquilla, la
mamma non è grave. Un lieve malore ma niente di serio..”
“Oh sia ringraziato il Cielo! Comunque sto
arrivando.”
“Okay ti aspetto.”
“Ah, Mike?”
“Sì?”
“Sai che forse ho appena conosciuto il futuro uomo di
Emily?”
La città era grande, eppure il destino sembrava proprio che si fosse
messo a giocare con loro, facendoli incontrare mentre ent
A/n: Grazie a tutti, non mi aspettavo
che la mia storia fosse così seguita e apprezzata *__* sono commossa, trenta persone tra
seguite/preferiti!!Bacionissimi
a chi recensisce <3 siete meravigliose!!! Capitolo
diviso in due, spero vi piaccia. Io mi sono divertita XD
IX
(prima parte)
La città
era grande, eppure il destino sembrava proprio che si fosse messo a giocare con
loro, facendoli incontrare mentre entrambi svoltavano
lo stesso angolo.
“Mi scusi.”
disse Emily all’uomo contro il quale era andata a
sbattere.
Kevin la riconobbe
all’istante, al contrario di lei. “Ehi, non pensavo
che il mondo fosse così piccolo!”
Emily lo
guardò e sorrise imbarazzata. “Oh… Kevin! Scusami, ero
distratta.”
Lui scosse
il capo. “Sono abbastanza forte, non mi sono fatto
male. Che ci fai da queste parti?” le domandò.
“Io lavoro
qui vicino, e sto andando a prendere la mia macchina per… sai… andare a disdire
il ricevimento di nozze…”
Kevin la
guardò negli occhi e annuì. “Capisco… anche per te si prospetta una bella
giornata…” commentò “io ho deciso di mettere in vendita il mio appartamento,
sto andando in un’agenzia immobiliare.”
La ragazza
accennò un sorriso. “Sì, proprio una bella giornata per entrambi. Anche se da
come siamo vestiti, sembra quasi che stiamo andando ad
un’importante riunione.” disse guardando prima Kevin e
poi se stessa.
In effetti sembravano essersi vestiti allo stesso modo: indossavano entrambi un
completo blu, con la sola differenza della camicia, bianca per lei e azzurra
per lui, senza cravatta.
L’uomo si
guardò addosso e rise. “Già, è strano” rifletté “ si tende a vestire così sia
quando si stipula un contratto sia quando lo si
scioglie. Io sto per vendere la casa che ho abitato per oltre un decennio e tu stai per dire ai ristoratori che questo matrimonio non s’ha da fare. Proprio una bella giornata…”
“Inoltre io
dovrò affrontare quella… strega.”aggiunse
Emily con un sospiro.
“La cattiva
compagna di scuola?” domandò lui pur sapendo la risposta.
Emily
annuì. “Sì, se non fossi una ragazza perbene ti direi
che è proprio una stronza!”
Kevin
scoppiò a ridere. “Oh ma puoi dirlo” le assicurò “non mi scandalizzo
di certo né ti giudicherei meno rispettabile. Inoltre hai chiamato così anche
me… al maschile ovviamente.”le
ricordò.
La giovane
si coprì la bocca con una mano. “Oh. Sì, hai ragione… l’avevo dimenticato.”
“Io no,
perché in quell’occasione avevi ragione..” ammise lui con rammarico.
“Ma questa donna lo è sempre, non in una sola occasione, è di
quelle che…”
“Attenta!”
esclamò Kevin spingendola verso il muro, evitando che un ragazzo in mountain
bike la urtasse.
Emily
trasalì portandosi una mano al petto. “Oh mio Dio…. grazie.” gli
disse guardando il ragazzo sfrecciare lontano.
“Di nulla.
Dicevi?”
“Dicevo” riprese
“è una di quelle donne che non perde il gusto del
pettegolezzo e della derisione neanche da adulta.”
“La strega
che tutti vorrebbero come amica.”ironizzò
Kevin con un sorriso.
“Esattamente”
rispose la ragazza annuendo “della peggior specie.. di
quelle che ti dicono le cose per il tuo
bene, e intanto ti devastano…”
Emily scosse
il capo e deglutì. “Okay, lasciamo stare…” poi guardò l’orologio “.. si sta facendo tardi, in ufficio ho detto che mi sarei
assentata per non più di un’ora, devo sbrigarmi.” gli
spiegò con l’intento di congedarsi.
“Okay ahm… se
ti fa piacere ti accompagno fino alla tua macchina.”le disse lui con gentilezza.
Lei
sorrise. “Volentieri.” E si incamminò con Kevin al proprio
fianco.
“Posso.. posso chiederti che lavoro fai?” le domandò.
“Lavoro in
una piccola casa editrice come correttrice di bozze…”
Kevin la
guardò incuriosito. “Una scrittrice, in pratica.”
La ragazza
sorrise lusingata ma scosse il capo. “Beh no… gli altri scrivono e io controllo
quello che hanno fatto.. correggo qua e là.”
L’uomo
annuì. “Appunto” disse convinto “secondo me solo uno scrittore può correggerne
un altro, altrimenti non avrebbe senso.”
“Purtroppo
le cose non sempre sono come dovrebbero essere” rispose lei amareggiata “pensa
che alcuni di mia conoscenza hanno rovinato degli
ottimi lavori…”
“Posso
immaginare e non mi sorprende. Sai, ho notato che ultimamente è come se… il
reale valore delle persone fosse passato in secondo piano, come una cosa
inutile…. ho visto tante persone realmente
insignificanti scavalcarne altre meritevoli e promettenti, e questo è
avvilente..”
Emily lo guardò.”
Sembra che tu stia parlando per esperienza.”gli disse seria continuando a camminare.
Lui annuì.
“Beh sì, anche se indirettamente. Io… mio malgrado ero
a contatto con gente… in alto diciamo” disse gesticolando in aria “e ho visto
davvero cose strane. Emeriti idioti diventare persone importanti senza capire
bene il perché.”si rammaricò
scuotendo il capo.
“Già, come
questa mia ex compagna di scuola. Lei era la più ricca e bella della scuola e
lo faceva pesare a tutti. Poi da adulta ha sposato un altro ricco, figlio di ricchi. Posso solo immaginare di quanto sia
aumentato il suo ego…”
C’era una
cosa che Emily non avrebbe detto mai, e cioè che
proprio non sopportava l’idea di vedersi sbattere in faccia il successo di
Margareth quando a lei era appena crollato il mondo addosso. Lei sicuramente le
avrebbe presentato il marito, le avrebbe fatto vedere
come si era sistemata bene e come era felice.. invece lei era sola a dire che
il suo matrimonio era saltato.
“Ecco la
mia macchina” disse la ragazza indicandone una “siamo arrivati.”
Kevin
sembrava pensieroso. “Qualcosa non va?” gli domandò Emily.
“No, tutto
okay..” rispose con un
sorriso.
“Beh allora
grazie per la chiacchierata e la….scorta!”
“Figurati,
è stato un piacere. Buona giornata e al prossimo incontro.” la
salutò stringendole la mano.
Emily gli sorrise e salì in macchina, Kevin la guardò partire e
poi si voltò incamminandosi nuovamente.
/-----/
“Carissima! Quanto tempo!” squittì Margareth McBeal
accogliendola a braccia aperte, nel vero senso della parola. Infatti si produsse in un ipocrita abbraccio caloroso, che
Emily si vide costretta a ricambiare.
“Come sei diventata carina!” continuò Margareth allontanandola da sé e
squadrandola da capo a piedi.
“A.. anche tu stai benissimo.” farfugliò
Emily con un sorriso forzato. Voleva scappare via da lì.
L’altra si strinse nelle spalle. “Beh io sono rimasta la stessa
persona… la vera sorpresa sei tu!”
Come dire che Emily Porter
era orribile e ora era diventata accettabile….
Strega…..
“Allora, che mi dici di te? Come vanno i preparativi per il
matrimonio?” le domandò tenendola per le mani.
“Ehm.. ecco.. è proprio di questo che volevo
parlarti….”
“Ci sono problemi? Dimmi tutto perché sai, io sono un’ottima
organizzatrice di matrimoni! Posso aiutarti in tutti i campi…”
“No” si affrettò a rispondere Emily “è un
discorso un po’ complicato…”
“Marge cara, dobbiamo andare…” la interruppe
un uomo apparso dal nulla alle spalle della sua ex compagna di scuola.
Lei si voltò e gli sorrise. “Sì caro, un
attimo… sto parlando con una mia amica.. anzi te la
presento. Emily” le disse voltandosi di nuovo verso di lei “questo è mio marito
Tom.”
Emily lo guardò e restò sorpresa: non era come se l’era immaginato. TimFraser non era quell’adone
che tutti si aspettavano avrebbe sposato la mitica
Margareth McBeal. Era un
ometto di media statura, forse qualche centimetro più basso di
sua moglie, con la calvizie che minacciava di portargli via tutti i capelli e
un viso… ossuto e spigoloso.
“Piacere di conoscerti Emily, Marge mi ha
parlato molto di te.”le
disse lui con lo stesso sorriso di plastica della sua signora.
“Piacere mio, Tom…”
“Bene cara, cosa volevi dirmi a proposito del
tuo matrimonio? Se c’è qualche piatto che non ti convince,
basta dirlo che lo cambiamo subito!”
La ragazza stava per rispondere quando si
sentì chiamare.
“Emily!”
Riconobbe la voce dell’uomo dietro di lei e si voltò immediatamente.
Kevin si avvicinò a grandi passi, con un sorriso smagliante sul volto.
Ma che diavolo ci faceva lì?
“Scusami tesoro… ho fatto più in fretta che potevo.”si scusò prendendole la mano e baciandone il dorso.
Margareth fissò il nuovo arrivato con occhi sgranati, mentre il povero
Tom divenne più piccolo di quanto già non fosse.
“Lei è… Frank, suppongo.” azzardòMarge
tendendogli la mano.
“Sì, sono io. Piacere di conoscerla ... Elizabeth?”
“Margareth.” lo corresse piccata “Margareth
McBeal, piacere di conoscerla.”
“Oh mi scusi.. è che hanno un suono simile..
lei è il signor?” disse rivolgendosi all’ometto accanto a lei.
“Tom Fraser.” I due si strinsero la mano, o
meglio Kevin quasi stritolò la mano dell’altro.
“La coppia di ristoratori più famosa della città, è un vero onore!”
Ma si accorgevano o no che il presunto Frank li stava
semplicemente prendendo in giro?
Emily seguiva la scena sbalordita, non aveva idea di cosa fosse saltato in mente a Kevin e non aveva idea di quello
che sarebbe successo.
“Dunque.. hai già detto ai signori del
nostro.. piccolo contrattempo?” le domandò Frank.
“No.. stavo appunto per parlarne…” rispose
incerta, ma decidendo di reggergli il gioco.
“Beh sì.. è un po’ imbarazzante ma… siamo
stati costretti a spostare la data delle nozze. Aspettavamo di avere le chiavi
del nostro nuovo appartamento entro pochi giorni, ma
ahimé pare che ci vorrà ancora qualche settimana. Quindi
siamo qui per disdire la prenotazione…”
Emily capì immediatamente e trattenne a stento un grande
sorriso: Kevin era corso in suo aiuto….. aveva capito la situazione e ora era
lì a recitare la parte di Frank. Quell’uomo era un santo!
“Oh mi dispiace!” si rammaricò Marge battendo le mani “È un vero peccato che il matrimonio sia saltato!”
“E’ solo rinviato” precisò Kevin mettendo un braccio intorno alle
spalle della sua presunta fidanzata “e speriamo che questo non comporti…
problemi per voi.”
“Oh no, si figuri! Per la mia cara amica, questo e altro!”
Kevin ed Emily si scambiarono un’occhiata eloquente: l’ipocrisia di
quella donna era davvero spropositata.
“Se c’è qualcosa da pagare, una penale….” si offrì il finto Frank, cioè Kevin, con l’espressione più
seria che aveva.
“Non si preoccupi” rispose Marge con un sorriso di plastica “solo che l’acconto per la
prenotazione….”
Kevin scosse il capo energicamente. “ È ovvio che quello resta a voi,
non dovete pagare per i nostri contrattempi.”disse sorridendo.
Emily si morse l’interno della guancia per non ridere, Kevin era… a
dir poco bello e brillante, mentre in confronto Tom era solo l’imitazione di un
uomo, e il poveretto se ne rendeva conto! Inoltre Margareth guardava con occhi
strani il fidanzato della sua cara amica….
“Bene, chiarita la situazione, direi che è ora di andare, vero amore?”
le disse Kevin stringendole le spalle.
Lei annuì con un sorriso. “Sì, hai.. hai
ragione.”
“E’ stato un piacere conoscerla… Margareth, e ci scusi ancora per il
breve preavviso…” la salutò Kevin porgendole la mano.
“Si figuri, sono cose che capitano! Per qualsiasi cosa, non esitate a
chiamarci, okay Emily cara?”
“Sì certo…” rispose incerta.
“Beh non a breve, comunque” intervenne Kevin
“abbiamo intenzione di fare una breve vacanza in Francia.. un assaggio di luna
di miele, diciamo.” annunciò entusiasta.
Emily lo guardò per un attimo ma subito tornò
a guardare i loro interlocutori: non voleva far vedere loro che quella era una
bugia enorme.
“Che coincidenza! Anche
noi stiamo per partire per un romantico week-end!” replicò Margareth sorridendo
“Adoro il francese e non vedo l’ora di esercitarmi nel parlarlo!”
“Vraiment? Oùirez-vous?*” domandò Kevin sfoggiando il suo perfetto
accento francese.
La coppia di fronte a loro si guardò spaesata, mentre Emily per poco
non iniziava a saltellare dalla gioia.
Li stava umiliando, la boria di pochi minuti prima
era scomparsa, seppellita sotto le loro costose scarpe. Quell’uomo era
un genio!
“Ecco… noi…”
“Anche Frank conosce un po’ di francese.. vi ha
appena chiesto dove andrete.” spiegò Emily accennando
un sorriso che rischiava di trasformarsi in una sonora risata.
“Ah… ahm… a Parigi.. sì un fine settimana a
Parigi.” farfugliò Margareth a disagio per la pessima
figura appena fatta.
Kevin era sorpreso nel vedere che Emily l’aveva capito… beh forse con
il lavoro che faceva era normale conoscere almeno un’altra lingua.
“Oh capisco… classica meta per turisti. Noi andremo in Provenza.. dall’altro lato del paese..” spiegò
con sufficienza.
I due annuirono. “Sì, sappiamo dov’è.” rispose
la donna mandando indietro i capelli in un gesto quasi stizzito.
“Bene.. allora arrivederci.” salutò Kevin prendendo Emily per mano.
“Arrivederci… a presto! Ciao Emily, è stato un
piacere rivederti!” le disse Margareth ma senza abbracci o baci.
I due uomini si lanciarono uno sguardo ostile. “Arrivederci.” dissero uno dopo l’altro.
La presunta coppia di fidanzati si voltò e si incamminò
fianco a fianco, entrambi sorridendo compiaciuti.
Appena usciti dal locale, evitarono di guardarsi per non scoppiare a
ridere, raggiunsero l’auto di Emily e solo allora i
loro sguardi si incontrarono.
“Ti prego non ridere…” gli bisbigliò lei mordendosi un labbro.
Kevin scosse leggermente il capo. “Tenterò.. anche
se in realtà ci sarebbe poco da ridere.. ma adesso andiamocene… se ti va
ne discutiamo davanti una tazza di caffé, al bar di fronte il tuo ufficio.…” le
propose guardando dietro di lei.
Vide la signora Margespiare dalla porta, e prontamente alzò
la mano e la salutò con un sorriso. Lei ricambio e
sparì dietro una tenda.
“Stava spiando?” gli chiese Emily vedendo il suo gesto.
“Sì” confermò l’uomo “voleva salutarci di
nuovo, forse…”
Emily ridacchiò ed aprì la portiera della propria auto. “Allora a più
tardi….e.. grazie!”
Kevin sorrise guardandola negli occhi. “A più tardi… ed è stato un
piacere.”
La ragazza salì sull’auto e Kevin chiuse la portiera. Aspettò che lei
ripartisse e poi raggiunse la propria macchina,
qualche metro più lontano.
Aveva appena fatto una cosa un po’ stupida e forse anche un tantino
illegale, ma si sentiva allegro. Dopo settimane, stava bene.
Mise in moto e partì.
Tobecontinued…
Note: * credo che la frase in francese sia abbastanza corretta, se non lo è chiedo scusa =__=!
Spoiler: ammettiamo..
c’è stato una specie di colpo di fulmine tra questi due… anche se ancora non lo
sanno *__*!!! La felicità arriverà anche per loro, ovviamente, ma passeranno
anche attraverso il dolore…
Naturalmente arriverà anche il “pop-porno”
XD (molto soft però, odio la volgarità e la rozzezza O__o!!)
Capitolo 10 *** Un fortuito incontro (parte seconda) ***
Il primo ad arrivare sul luogo dell’appuntamento fu Kevin
IX
(Seconda parte)
Kevin scese dalla sua auto e attese l’arrivo di Emily
accanto ad una cassetta delle lettere nei pressi del bar. Si chiedeva se per
caso non fosse impazzito di colpo: come gli era saltato in mente di presentarsi
da quei due snob del cavolo facendosi passare per quello stronzo di Frank?
Scosse il capo sospirando, il motivo era ovvio. Lui si era trovato in
situazioni del genere decine e decine di volte,
costretto a dover subire le umiliazioni mascherate da falsa cordialità, nelle quali
nessuno era mai corso in suo aiuto. Nemmeno sua moglie che in
quei momenti gli era fisicamente accanto, ma mentalmente persa nei discorsi dei
loro altolocati interlocutori. Dei suoi
altolocati interlocutori, perché lui quei discorsi li aveva sempre e solo
subiti.
Ecco perché era corso in aiuto di quel furioso folletto irlandese,
perché sapeva benissimo come si sarebbe sentita di fronte alla sua presunta
amica, conosceva quella sensazione di inadeguatezza e
avvilimento fin troppo bene. Lei era una ragazza, aveva bisogno di qualcuno che
l’aiutasse.
Si girò alla sua sinistra e la vide camminare velocemente verso di
lui. Un sorriso spontaneo si affacciò sulle labbra di entrambi e quando furono
faccia a faccia, scoppiarono a ridere attirando l’attenzione di
alcuni passati.
“È stato…. strepitoso!” esordì Emily
portandosi la mano davanti la bocca per smorzare le risate.
Kevin si strinse nelle spalle. “Diciamo che quei due si prestavano
molto al mio.. giochetto. Due idioti ignoranti che
credono di aver capito tutto del mondo.”affermò convinto. “Ci sediamo?” le propose indicando un
tavolino dietro di lui.
Emily annuì con un sorriso. “Okay…”
L’uomo la precedette e scostò la sedia per farla sedere. “Grazie” gli
disse lei lusingata dalla sua gentilezza.
“Di nulla.” rispose lui e si sedette a sua
volta. Arrivò un ragazzo e chiesero entrambi un cappuccino.
“Ma… perché l’hai fatto? Voglio dire…
presentarti lì fingendoti… Frank… non capisco.”gli chiese Emily mentre aspettavano la loro ordinazione.
Kevin sospirò profondamente. “Sai, me lo sono chiesto anche io mentre
ti aspettavo” iniziò serio “poi ho capito…”
“Cioè?”
Distolse lo sguardo facendolo vagare per la strada affollata di auto. “So cosa significa trovarsi in certe situazioni, in
balia di gentaglia come quella e semplicemente… non mi piaceva l’idea. Non so
forse sbaglio ma…” fece una breve pausa, poi riprese “..
è come se ci fosse capitata la stessa cosa e quindi … mi piaceva l’idea di difenderti,
ecco.”
Arrivò il ragazzo e servì loro il cappuccino. “Serve altro?” chiese.
“Posso offrirti qualcos’altro?” domandò Kevin alla ragazza di fronte a
lui.
Lei scosse il capo. “No ti ringrazio, va bene
così.”
Il giovane cameriere annuì e si allontanò.
“Devo proprio ringraziarti” disse Emily guardando la propria tazza “anche se è un po’ da vigliacchi… ho apprezzato molto
il fatto di non essere sola lì, in quel momento. Sarebbe stato oltremodo
umiliante dover dire a quella persona che il mio matrimonio era saltato… hai visto, no? Anche se suo marito
non è propriamente un adone, se ne vanta in quanto economicamente ben piantato
e conosciuto. A me non interessa per nulla, ma… l’idea di essere compatita da
lei non mi piaceva per niente…” confessò sorseggiando
il cappuccino.
Kevin annuì. “Sì, l’avevo capito. E mi è
bastata un’occhiata per capire che tipo era quella donna. Solo che sinceramente
pensavo ti saresti arrabbiata…”
Lei lo guardò sorpresa. “Arrabbiata? E perché
mai?”
L’uomo sorrise. “Beh sono piombato lì a tua insaputa, avrei potuto
sbagliare i tempi e contraddirti clamorosamente… ho pensato che lui non avesse partecipato quasi per
niente ai preparativi, e che quindi non conoscevaMarge… ma non ne
ero sicuro. E inoltre mi sono permesso di metterti le
mani addosso… avrei potuto beccarmi uno schiaffo da parte tua… insomma era una
scommessa e l’abbiamo vinta!” concluse in tono scherzoso.
Emily annuì con un sorriso triste. “Avevi indovinato… lui non ha
partecipato praticamente a niente, dicendo che
lasciava tutto nelle mie mani…”
Il discorso stava finendo su qualcosa che entrambi volevano
ignorare almeno per quel momento.
“Stronzo in tutti i campi…” mormorò lui bevendo dalla tazza.
“Già…”
Ci furono alcuni istanti di silenzio, poi Emily riprese a parlare. “Quando
ti sei presentato come Frank
mi è venuto un colpo! Per un attimo ho creduto di essere
tipo ad una candid camera o qualcosa del genere! Poi ho
realizzato le tue intenzioni e sono stata… felice della tua idea. Ti ringrazio… non deve essere stato facile impersonare…. lui.” lo ringraziò sorridendogli con dolcezza.
Kevin si sentì per un momento imbarazzato, non era
abituato alla… dolcezza. “Figurati. E poi sinceramente, in quel momento pensavo
a fingere di essere il tuo fidanzato, non di essere Frank. Se mi fossi fermato a pensare
questo, forse non ce l’avrei fatta.” ammise guardandola negli occhi.
“Ad ogni modo… sei stato molto gentile” continuò lei “non mi sarei mai
aspettata un gesto così da una persona che conosco appena.”
“Anche io non mi sarei mai aspettato di fare una cosa così per una
persona che conosco appena” ripeté lui con un sorriso “ma
ciò mi ha divertito e mi ha… distratto dai miei pensieri. Per cui è stato un
piacere, e lo rifarei anche subito.”
La ragazza rispose al sorriso e poi scoppiò a ridere. “Sto ripensando
alla tua domanda in francese” disse “la loro faccia era…
assolutamente da fotografare!”
Anche Kevin rise divertito. “Oh Dio” esclamò “non
ho potuto farne a meno! Detesto le persone che dicono di conoscere una
lingua o un paese anche quando non è vero! Io ero sicuro che nessuno dei due conosceva il francese… e ho voluto prenderli in giro
apertamente.”
“Sì l’avevo capito, e ti giuro che avrei
voluto applaudire! Ma avrebbero capito che c’era
qualcosa di strano… davvero meraviglioso. Oltretutto era una domanda banale,
facile! Voglio dire… è una di quelle frasi fatte che trovi nei dizionari,
eppure loro si sono guardati incerti sul da farsi.”
“Tu conosci il francese, quindi.” le domandò
Kevin.
La giovane donna si strinse nelle spalle. “Quello che si definisce francese scolastico, non riuscirei a
sostenere una conservazione articolata. Ma se mi chiedessi
dove andrò in vacanza, saprei risponderti! Tu … sei francese?” gli chiese curiosa.
Lui annuì. “Sì, cioè i miei genitori sono
francesi nati e cresciuti in Francia, io sono nato in Inghilterra ma…. non mi sono mai sentito inglese.” confessò
quasi imbarazzato, forse non era molto gentile fare di fronte a lei certe
affermazioni…
“Beh neanche io” sottolineò lei sorridendo. “Io
sono irlandese!”
Kevin la fissò immobile per alcuni istanti, poi dovette mordersi la
lingua per non scoppiare a ridere, ma lei lo notò comunque.
“Perché vorresti scoppiare a ridere?” gli
domandò corrugando la fronte.
“Ecco…” iniziò l’uomo combattendo contro l’ilarità “quando
sei venuta a casa mia… con l’intenzione di picchiarmi… ti ho definita furioso
folletto irlandese, e ora.. sapere che tu sei effettivamente irlandese, mi fa
sorridere.”
Emily lo guardò accigliata, per poi sciogliersi in una risata sincera.
“Oh Gesù… mi costa ammetterlo ma la tua definizione mi
calza a pennello! Dunque ti sembravo furiosa?”
“Eh beh, direi di sì” confermò lui serio “infatti
mi hai lasciato basito perché non mi aspettavo reazioni così forti da una
ragazza come te, voglio dire… l’impressione che dai è quella di una persona
dolce e tranquilla. Invece ho visto… questa fiamma rossa scagliarsi contro di
me e mi è venuta in mente quella definizione.”le disse riferendosi ai suoi capelli rosso-fuoco.
Emily si vergognava un po’ di quella scenata, aveva fatto una cosa
ridicola e pensò che tutto sommato era stata fortunata
ad esserci imbattuta in una persona piuttosto comprensiva come Kevin, anche se
inizialmente non lo era sembrato poi tanto….
“Furioso folletto irlandese” ripeté la giovane annuendo
“quando lo racconterò a Rachel la sentiranno ridere fino in Norvegia!”
“Non voleva essere un offesa, comunque” si
difese Kevin “personalmente trovo l’immagine del folletto adorabile.” affermò.
Lei storse la bocca. “Sì… ma pensandoci bene questo implica che io
dovrei avere la barba…”
Lui ridacchiò. “E perché mai? Credo ci siano
anche i folletti femmina… altrimenti la razza di
estinguerebbe, no?”
“Sì, anche se non sono ferratissima in materia, le loro comunità sono….”si fermò.
I due si guardarono confusi, fino a quando
Emily non ruppe il silenzio “Ma stiamo davvero parlando di folletti?!” chiese.
“Sì…”rispose
lui stranito “in effetti è un argomento strano… oggi è proprio una giornata
strana, sì.”
La giovane ricordò dove stava andando lui quando
si erano incontrati poco prima. “Kevin… dunque metterai in vendita la tua casa?”
L’espressione rilassata sul volto dell’altro sparì. “Sì… è l’unica
cosa concreta che mi è venuta in mente….”rispose guardando altrove.
Emily capì che quello era il suo modo per mascherare il disagio,
distogliere lo sguardo dagli occhi di chi gli stava parlando.
“Scusa… non dovevo intromettermi…” cercò di rimediare lei.
Kevin tornò a guardarla. “Oh no” si affrettò a dire sfiorandole una
mano “non preoccuparti, è solo che fa ancora male… ma un giorno, se ti farà
piacere, ti racconterò qualcosa di tutta questa storia… credimi
che è degna di un film.. e non è un complimento.”
“Ti capisco… anche per me non è facile pensarci…. ma…
dopo oggi ho più fiducia nelle persone.” gli disse con
un sorriso.
“Ah sì? Come mai?”
“Tu sembravi un tipo… rozzo* se vogliamo. Invece sei un gentiluomo, e
questo mi ha sorpreso. Anzi a dire il vero già dal ritrovamento del mio
cellulare a casa tua, avevo capito che mi ero fatta un’opinione sbagliata su di
te.”
Lui alzò le sopracciglia. “Rozzo? Ecco perché volevi picchiarmi!”
scherzò facendola sorridere, poi tornò serio. “È vero, io non sono… quel tipo
di persona che ho mostrato di essere in precedenza… solo lei ha sempre tirato fuori i miei lati peggiori… è sempre stato
così, solo che adesso.. ho raggiunto il limite, credo.
Nonostante la mia stazza, credimi, io sono buono.”
“Lo so, te lo si legge negli occhi…” confermò
Emily quasi sussurrando.
Kevin abbassò lo sguardo sulla tazza ormai vuota, pensando ancora una
volta che lui non era abituato a questa dolcezza e che lo faceva sentire strano…
in imbarazzo forse.
“Devo andare!” esclamò all’improvviso lei guardando l’orologio “devo
essere subito in ufficio!” e si alzò imitata subito da Kevin.
“Scusami se scappo così.. ma è davvero tardi!”
si scusò concitata.
“Non preoccuparti, scusami tu per averti trattenuta a lungo.”rispose lui tendendole la mano.
Emily la strinse e quasi senza rendersene conto, si allungò verso di
lui per baciargli la guancia.
Lui si chinò per agevolarla e accettò quel bacio inaspettato con un
piccolo sussulto…. era piacevole ricevere gesti d’affetto
come quello.
“Ci vediamo.” gli disse lei con un sorriso.
L’uomo annuì ricambiando il sorriso. “A presto… spero.”
La giovane donna si allontanò in fretta, mentre Kevin la osservò per qualche momento prima di tornare a sedersi al tavolino.
Arrivò il cameriere e gli pagò i due cappuccini, poi si alzò e se ne andò verso la sua auto.
Sospirò pensando al suo intento di mettere in vendita la propria casa,
non ne era dispiaciuto ma…. era
un passo definitivo. Voleva dire ammettere che tra lui e Jennifer era davvero finita.
Non l’aveva più sentita, né aveva provato a cercarla. Eppure era ancora convinto che lei sarebbe tornata a
cercarlo, chiedendogli di tornare insieme.
Avrebbe accettato?
No.
Salì in macchina e mise in moto, pensando a come stava bene ogni volta
che incontrava Emily.
Note: *rozzo: grazie a pirilla88 e xsemprenoi,
perché sono state loro a definire Kevin “rozzo” facendomi ridere XD Grazie
ragazze <3!! E grazie a tutti quanti, spero che la
mia storia continui a piacervi anche se potrebbe avere
risvolti drammatici…
A/N:ihihihihihi!!!!
Un pizzico di pop-porno O__o!!!!
Spero vi piaccia, anche se….. XD
X
Aprì la porta e sorrise nel
vederla.
“Ciao Emily” la salutò
gentile “cosa ci fai a quest’ora…”
Ma non ebbe il tempo di finire, perché lei lo spinse entrando in casa e
chiudendo la porta alle sue spalle.
Con una spinta
lo fece sedere sul divano e sollevandosi la gonna, si mise a cavalcioni su di
lui.
“Emily….” sospirò
l’uomo, ma non era per niente dispiaciuto dalla situazione, anzi reagì affondando le
dita nella sua morbida carne e sollevando ancora di più la gonna, fino a
sfiorarle le mutandine per poi insinuarsi verso l’interno delle cosce.
“Sei meravigliosa..” le disse lui con voce roca.
Si baciarono selvaggiamente fino
quasi a mordersi l’un l’altra, in un turbine di
passione che fece perdere la cognizione del tempo ad entrambi.
Emily si staccò dalle sue labbra e
si alzò, afferrandolo per la camicia per farlo alzare. Lui obbedì e si lasciò guidare
verso la camera da letto.
“Che vuoi
fare?” le domandò lui con un sorriso, pur sapendolo perfettamente.
“Indovina…” rispose spingendolo
sul letto.
Si sollevò la gonna e si sfilò le
mutandine, sotto lo sguardo eccitato dell’altro.
Salì sul letto e si mise di nuovo
a cavalcioni su di lui, all’altezza dell’inguine, sentendo premere la sua
virilità contro di lei.
Gli strappò la camicia facendo
saltare tutti i bottoni in aria e si precipitò a baciarlo di nuovo, mentre lui infilò
le mani sotto la sua maglietta per accarezzarle il seno.
Emily si raddrizzò e dopo averlo
guardato negli occhi, fece scivolare le mani sul suo petto, giù per l’addome
fino ai pantaloni.
Li sbottonò e abbassò la zip, lui deglutì chiudendo un attimo gli occhi per
riaprirli subito. Non voleva perdersi un solo attimo di quel momento
fantastico.
“Ti sembro sfacciata?” gli domandò
sorridendo maliziosa.
Lui scosse il capo. “No, mi sembri
stupenda..” rispose sfiorandole
con dolcezza i capezzoli.
Emily adorava sentirsi toccare in
quel modo da lui, le sue mani grandi ma gentili la
facevano impazzire.
Non osava immaginare il resto, cosa le avrebbe
fatto.
Impaziente, lo liberò dalla
prigione dei boxer e lo fece entrare in lei, completamente.
Gemettero entrambi chiudendo gli
occhi, Emily aveva immaginato che fosse grande, ma non
così… per fortuna era bagnata.
“Stai bene?”
La giovane sorrise. “Sì.. e tra poco starò ancora meglio….” rispose accarezzandogli il petto.
L’uomo la prese per i fianchi e la
guidò nei movimenti, senza staccare gli occhi dai suoi.
Si muoveva su di lui sempre più
velocemente, in un crescendo di piacere che le mozzava il respiro. Non aveva
provato mai niente di così intenso, e gli occhi del suo uomo che si intorbidavano sempre di più, aumentavano la sua gioia.
Respiravano con affanno,
muovendosi in sincrono sempre con più decisione, fino ad arrivare sempre più in
alto, sull’orlo dell’estasi.
Emily gettò la testa all’indietro mentre migliaia di brividi la devastavano.
“Kevin!” urlò sopraffatta,
tenendosi alle sue braccia per non cadere all’indietro.
Lui aumentò il ritmo e gemette,
arrendendosi al piacere, ansimando sfinito.
La ragazza gli crollò addosso, posando
il viso sul petto sudato di Kevin.
“Sei meraviglioso…” gli disse
ansimando.
L’uomo rise. “Siamo meravigliosi”
la corresse “perché tu… tu sei unica Emily…”
Sollevò la testa e raggiunse la
sua bocca, che baciò assaporandola estasiata.
“E’ stato bellissimo Kevin… sei un
uomo fantastico.”lo lusingò.
Lui sorrise e le accarezzò il
viso. “Lo è stato anche per me…. E ti voglio ancora….”
Così dicendo, ribaltò la situazione
e si mise su di lei, la baciò con passione mentre lei
gli cinse la vita con le gambe, stringendo forte.
Lo desiderava tanto, però quando
le scivolò di nuovo dentro credette di impazzire, era bagnata
ma Kevin era davvero grande….
Si svegliò di soprassalto, ansimando e tremando.
Che diavolo significava quel sogno? Che
le prendeva? Lei non aveva mai fatto sogni erotici!
E per di più, in quello c’era… Kevin! Era impazzita
per caso? Uno squilibrio ormonale improvviso, magari stava ovulando?
Emily si alzò dal letto, le gambe le tremavano e a malapena raggiunse
la cucina, prese un bicchiere d’acqua e lo bevve tutto d’un
fiato.
Si sentiva male, cioè no… o forse sì. Nascose
il viso tra le mani e respirò a fondo, cercando di calmarsi.
Era stato solo un sogno, si erano visti quel giorno e lui aveva fatto
una cosa molto carina, presentandosi come Frank per toglierla dall’imbarazzo. Sì,
era per questo! Il suo cervello aveva elaborato quello strano sogno prendendo
un po’ qua e un po’ là, non voleva certo dire che era attratta da lui!
Certo, perché è normale fare un sogno erotico così reale su un uomo
che si conosce molto poco!
Lei non aveva mai fatto quei sogni, lei che era sempre stata poco
interessata al sesso, mettendogli davanti l’amore.
Era stato il sogno più bello della sua vita, le sensazioni più intense
che avesse mai provato. … nella vita reale!
Era stato…. meraviglioso. E così reale che per un attimo aveva creduto di trovarlo
accanto a se che dormiva…
Ma che stava pensando? Kevin era un estraneo! E quello era solo uno stupido sogno erotico, e basta!
Non c’era nient’altro dietro, nessun desiderio nascosto, nessuna attrazione…
Scosse il capo e si infilò di nuovo nel
letto, sperando di non fare mai più quel genere di sogni.
Era spaventata da quello che era successo, molto spaventata.
Sapeva, in cuor suo sapeva, che un sogno del
genere non arrivava per caso.
Ma non voleva pensarci, chiuse gli occhi e nascose la testa
sotto le coperte.
Lei stava ancora male per Frank, era delusa e ferita
e Kevin era solo.. una specie di amico, ferito e deluso dalla moglie
come e più di lei.
Sì, però nel sogno avevano fatto l’amore, e a lei era sembrato sul
serio di sentirlo dentro di sé.
Enormemente dentro di sé.
E l’aveva fatta godere intensamente.
“Basta!” urlò a sé stessa nell’ovattata atmosfera del proprio letto.
Si addormentò poco dopo, ancora scossa, pensando suo malgrado a quanto era stato intenso quel dannato sogno…
Non era stato difficile, parlare di vendere la sua casa non gli aveva
procurato tanto fastidio quanto aveva creduto
XI
Non era stato difficile, parlare di vendere la sua casa non gli aveva procurato tanto fastidio quanto
aveva creduto. Forse era stato l’incontro con Emily ad averlo distratto, stava
di fatto che ne aveva parlato come se non gli
riguardasse più di tanto.
Era successo cinque giorni prima, e quel
giorno all’agenzia gli avevano detto che da lì ad una settimana sarebbe passato
un esperto per valutare l’appartamento, quindi era necessario mettere tutto in
ordine. Anche se era a buon punto, visto che aveva
rimosso tutti i detriti causati dalla sua furia.
Non si aspettava certo che quella giornata si sarebbe evoluta molto
negativamente.
“Cosa diavolo hai fatto?!” strillò Jennifer
non appena Kevin mise piede in casa.
Lui la guardò sorpreso e, maledicendosi, sentì il proprio cuore fare
un salto. Gli faceva ancora effetto, non gli era indifferente come si era
augurato.
“Pulizie di primavera” rispose “tu cosa diavolo ci
fai qui?”
Jennifer parve sorpresa dal suo tono. “Questa è casa mia! C’erano le mie cose! Tu mi hai distrutto tutto quanto!”
Urlava inviperita, scioccata nel vedere tutti
i suoi preziosi soprammobili spariti dall’appartamento, e quelli che ancora c’erano, si
presentavano in frantumi.
Non gli aveva detto nemmeno ciao,
non le interessava di nulla fuorché i suoi oggetti.
“Oh mi dispiace” disse l’uomo superandola “vedrai
che qualcuno che ti ricompra quelle cose, lo trovi. E
poi, questa è casa mia, non tua. Lo
ricordi, vero?”
La donna, bella come sempre, lo guardò serrando le labbra. “Già,
l’unica cosa che ti distingue da un pezzente è proprio questo
appartamento che io, però, ti ho spinto a comprare!”
Kevin si fermò a guardala, colpito
dall’aggettivo che aveva usato per insultarlo.
Pezzente.
Strinse i pugni e serrò la mascella, quell’incontenibile rabbia
provata quel giorno si era ripresentata in tutta la
sua intensità.
“Ti ringrazio Jennifer, l’ho molto
apprezzato. Ma l’ho messa in vendita, non mi serve
questa casa. Con o senza di essa, resto sempre un
pezzente, no?” disse a denti stretti.
Lei sorrise maligna. “Infatti. Non ti sei mai
elevato al mio livello, e questo disastro ne è la prova.
Sei solo un provinciale, lo sei sempre stato e sempre lo sarai. Sai, sei stato proprio un grande errore.”
L’uomo scattò verso di lei e l’afferrò per un braccio,
stringendoglielo forte.
“Però quando ti scopavo, andavo bene vero?
Non ti dispiaceva avere un provinciale addosso che ti faceva godere, vero?
Credi che non lo sappia che il vero motivo per il
quale stavi con me, era questo?” le disse parlando a pochi centimetri dalla sua
bocca.
Lei gli rise in faccia. “In effetti è così”
ammise senza vergogna “i primi tempi eri fantastico, un vero toro da monta. Ma poi…”
Kevin le lasciò il braccio e si allontanò di qualche passo, intuendo
cosa stava per dire sua moglie.
“Poi sai, è subentrata la noia, la monotonia, e hai perso quello
slancio. Ti dirò Kevin… ultimamente fingevo per non
farti sentire un fallito. Ma credimi, non sei quel gran amatore
che ti ho fatto credere per anni.”
Il suo cuore sembrò fermarsi, lo sgomento e l’umiliazione gli opprimevano il petto e un fastidioso ronzio lo assordava.
Non poteva.. .avere detto
davvero quelle cose. Svilirlo come uomo? Come amante? Perché?
“Poi hai trovato Frank, lui si che è un uomo,
giusto?” le domandò arrabbiato.
“Sì, decisamente! Fantasia e passione, il mix
perfetto!” rincarò la dose lei, sapendo di ferirlo a
morte.
“Sparisci da qui.” le intimò minaccioso.
Jennifer sbattè le palpebre. “Cosa?” ebbe il
coraggio di dire.
“Ho detto esci immediatamente da qui!” urlò l’uomo respirando
velocemente.
“Altrimenti cosa fai? Mi picchierai?”
“Non mettermi alla prova, sgualdrina. Potrei perdere l’ultimo barlume
di lucidità che mi resta…” il tono della sua voce era
pericolosamente serio.
“Come mi hai chiamata? Sgualdrina? Come osi?” gli domandò indignata.
“Preferisci puttana? Perché è quello che sei…
solo una puttana. In nome di Dio, esci immediatamente da qui o non so cosa
succederà!” le disse nuovamente nascondendo il viso
tra le mani, un forte mal di testa iniziò a fargli pulsare le tempie.
Questa volta la donna lo prese sul serio e
senza aggiungere altro, uscì rapidamente dall’appartamento.
Rimasto solo, Kevin si guardò intorno cercando di riprendere il
controllo del proprio respiro. Autentico furore lo faceva tremare.
Chi era davvero quella donna? Possibile che per anni e anni non si era
accorto di che razza di essere umano era?
Non gli importava niente delle accuse di scarsa virilità che gli aveva
fatto, lui sapeva benissimo di essere un uomo, se pensava di demoralizzarlo
castrandolo così, aveva sbagliato i suoi calcoli. Ma sentirsi dire quelle cose,
con quello sguardo.. cattivo, risoluto, lo aveva
ferito profondamente.
Jennifer voleva distruggere anche il più piccolo brandello di amor proprio che era in lui, e non aveva trovato di
meglio che farlo dicendogli di non essere abbastanza uomo per lei, e di aver
trovato un vero uomo nel suo amante.
Ebbe voglia di prendere a pugni qualcosa o qualcuno, distruggere tutto
quello che gli capitava a tiro, con la speranza di sfogare tutta la rabbia che
aveva in corpo.
Ma non lo fece. Emily aveva ragione, con
gli scatti d’ira non si risolveva nulla. La rabbia sarebbe rimasta
sempre in lui e avrebbe dato prova di aggressività e
violenza. E lui non voleva.
Sospirò profondamente passandosi una mano nei capelli, cercando di
calmarsi.
Decise di uscire da quella casa, al diavolo l’agenzia,
aveva bisogno di
andare via immediatamente.
E sapeva anche dove andare.
Aveva bisogno di vedere Emily.
/-----/
Emily stava guardando la Tv, trasmettevano
una soap opera sudamericana. Di quelle degli anni ’80, le migliori, pensava
lei.
Sentì bussare alla porta e si alzò dal divano sul quale era
comodamente sdraiata, raggiunse la porta e domandò chi fosse.
“Emily” disse il visitatore “sono Kevin… tutto regolare.”
La ragazza sentì il cuore fare un balzo. Non si erano più visti dal
giorno del ristorante, dal giorno di quel sogno…..
Deglutì e aprì la porta, sfoggiando un sorriso amichevole.
“Ciao….” ma quando vide l’espressione dell’altro,
il sorriso le morì sulle labbra.
“Kevin… che succede?” domandò preoccupata.
“Nulla, perché?”
Emily scosse il capo. “Sembri… devastato. Sei pallido.” e si fece da parte per farlo entrare.
Lui si chinò e le baciò una guancia, Emily pensò che il suo dopobarba era buonissimo…
“Mah, forse è il mal di testa che mi sta uccidendo. Se
fossi donna direi che è il ciclo!” cercò di sdrammatizzare con un sorriso.
Non era andato lì per piangere sulla sua spalla, voleva solo vederla,
stare vicino ad una persona dolce come Emily, dopo tutto il veleno che Jennifer
gli aveva sputato addosso.
La giovane lo guardò attentamente ma penso
che se lui non voleva parlare di cosa lo stava realmente devastando, non poteva
certo obbligarlo.
“Prego, accomodati.” gli disse indicando il
divano.
Ma così facendo, le ritornò in mente il suo sogno. Cercò di scacciarlo ma non ci riuscì, e la presenza di Kevin lì nel
suo soggiorno di certo non la aiutava. Ormai era chiaro che fosse attratta da
lui e non c’era nulla di male in fondo. Era attraente
e vigoroso, qualunque donna se ne sarebbe sentita
attratta.
Si schiarì la voce e spense la Tv, mentre l’uomo prendeva posto sul
divano. “Scusami, stavi guardando qualcosa e io ti ho disturbata…”
si scusò.
“Oh no figurati” rispose prontamente lei “una telenovela sudamericana…di
quelle che replicano all’infinito dagli anni ’80!”
Kevin sorrise. “Ah, quelle che guardava, e suppongo
guardi ancora, mia madre! Intrighi,
tradimenti, colpi di scena… capelli cotonati e vestiti floreali!”
“Vedo che sei ferrato in materia.” commentò
Emily ironica.
L’uomo si massaggiò il mento. “Figlio unico… piuttosto ritirato… un
solo televisore in casa… mi sembra piuttosto ovvio che finissi
col guardare anche io quei telefilm quando li guardava lei. Non che ne fossi un
patito, anzi, non ci capivo nulla! Ma mi capitava di
subirle, sì…”
La ragazza scoppiò a ridere. “Tu non puoi esistere sul serio, voglio
dire… un uomo che subisce passivamente le soap opera e ne parla quasi con
rimpianto? È meraviglioso.”
Tu sei
meravigliosa, pensò guardandola ridere allegramente. Ecco perché era lì, per sentirsi sollevato, curato dal suo essere
dolce e allegra. La rabbia sembrava sopita, ma restava la tristezza che
cercava di nascondere.
“Secondo me molti uomini le guardano deliberatamente” sentenziò serio “solo
che non hanno il coraggio di dirlo. Io non le guardo,
ma da ragazzino mi capitava appunto. Non ci vedo nulla
di male ma per molti uomini è una vergogna…”
“Vero, so per certo che mio padre guarda Beautiful, ma se glielo domandi nega con tutto se stesso. A volte voi maschietti credete che la virilità si denoti dal tipo di Tv
che si guarda…”
Kevin annuì ridacchiando, per nulla colpito dal riferimento alla
virilità. A lui davvero, non importava questo. Lui conosceva se stesso.
“Sì hai ragione, ma noi siamo fatti così. Insicuri, in fin dei conti.”
rispose poggiando le braccia sulle gambe.
“A dire il vero tu mi sembri tutto tranne che insicuro…” disse Emily
fingendo indifferenza.
In realtà nel momento stesso in cui diceva quella frase, ne aveva formulato un'altra che, ne era sicura, avrebbe
vagato per la sua mente per ore: Secondo me
quando prendi una donna sei capace di farla urlare per ore….
“Diciamo che alla mia età so chi sono.” affermò
con convinzione.
“Scusami, non ti nemmeno offerto un caffé!” esclamò lei solo per
distogliere i pensieri da quella frase.
Kevin scosse il capo. “Non ti preoccupare, non voglio niente. Volevo solo…
fare due chiacchiere.”
La ragazza sospirò. “Cosa è successo?” gli
domandò comprensiva.
L’uomo restò in silenzio per lunghi momenti, guardando le proprie
mani. “Nulla che meriti di essere ascoltata da te” rispose guardandola negli
occhi “è solo che… avevo bisogno di questo. Di parlare….
scusami, so che non ci conosciamo nemmeno ma… ne avevo
bisogno.” spiegò.
Emily si sentì sciogliere il cuore. L’uomo che aveva davanti stava soffrendo ma non voleva scaricare su di lei i suoi problemi.
Si alzò dal suo posto e si sedette accanto a lui. “Mi dispiace Kevin… mi
dispiace davvero, tu non meriti di soffrire.”
Lui le sorrise ma i suoi occhi era velati di
tristezza. “C’è chi non la pensa così.” rispose eloquente.
La giovane donna si sporse verso di lui e lo abbracciò, cingendogli il
collo con le braccia.
Kevin restò di ghiaccio, non si aspettava un gesto del genere ma ne fu felice, molto felice.
Le passò le braccia intorno alla vita e la strinse con dolcezza,
sospirando profondamente.
Aveva proprio bisogno di quell’abbraccio, lo capì solo
quando lei glielo diede.
Una parte di lei si stava chiedendo cosa
diavolo le era saltato in mente, ma l’altra parte sapeva che Kevin aveva
bisogno di quel gesto, e il suo abbraccio di risposta ne era la prova più
evidente.
“Grazie..” le mormorò all’orecchio, ma non c’era
assolutamente malizia.
Non c’era atto più sincero di quello, un abbraccio dato ad una persona
che stava attraversando un momento delicato, che aveva bisogno di sapere che
qualcuno lo capiva e lo appoggiava, anche senza sapere cosa realmente era
successo.
Sciolsero l’abbraccio e sorrisero. “Devo venire a trovarti più spesso,
se mi regali ogni volta un abbraccio così.”disse lui scherzando.
Emily ridacchiò. “Oh sei un tenerone! Credevo
fosse una leggenda, invece è vero: i giganti come te
sono teneri!”
Kevin annuì stringendo le labbra. “In effetti
nella mia famiglia, quello più arcigno era mio padre. Tutti gli altri maschi,
tutti grandi come me o quasi, era piuttosto arrendevoli..
buoni. Sarà una questione di geni.” concluse agitando
le mani in aria.
“A proposito.. posso chiederti quanto sei
alto?” domandò la ragazza.
“Un metro e novantasette.”
Emily sgranò gli occhi. “L’altezza di una porta, in pratica!”
L’uomo scoppiò a ridere. “Questa è bella, di solito mi chiamano armadio, ma porta nessuno!”
Lei si strinse nelle spalle. “Mi piace essere originale!”
Continuarono a parlare per un’ora buona, durante la quale si chiesero quanti anni avevano. Emily non fu sorpresa nel
sentire dei trentasei anni di Kevin, più o meno li aveva immaginati, ma lui fu
sorpreso dei suoi ventotto.
“Scherzi?” le domandò sinceramente sorpreso.
“Ne dimostro di più?” chiese lei di rimando, allarmata.
“Oh no” negò lui “io te ne avevo dato venti…
ventidue… sono scioccato, piacevolmente scioccato.”
“Lo dici per compiacermi?”
“Assolutamente no” le assicurò Kevin sorridendo “ero sicuro che fossi
una ventenne… di solito alla tua età sono…”
“Mature, seducenti?” suggerì la giovane.
Lui scosse il capo, tornando serio. “Tu sei entrambe
le cose, è solo che…. l’esempio che ho avuto io
è stato di una donna perennemente… truccata, artificiale…. tu
sei bellissima senza trucco, sei luminosa senza artifici…”
Per un attimo Kevin si sentì strano. Un vago desiderio che gli mosse
il sangue, ma che non riuscì a cogliere completamente.
“Non sono mai stata una fanatica del trucco” ammise lei “e non credo di diventarlo alla soglia dei trenta!”
“Non farlo infatti” le suggerì l’uomo “sei
bella così.”
Che stava succedendo?
“Okay Emily, io dovrei andare” disse improvvisamente “tra un paio di
giorni verranno dall’agenzia per valutare l’appartamento e… devo rimetterlo un
po’ in ordine.. l’hai visto, no? C’è
stato una specie di tzunami…”
“Sì, ricordo vagamente. Forse ti servirebbe una mano… femminile.” azzardò lei.
Kevin la fissò per un istante. “Ti ringrazio ma… non preoccuparti…”
“Dico sul serio Kevin, se vuoi, ti aiuto volentieri.”Ribadì.
“Emily… in quella casa… non credo che tu…”
La giovane donna scosse il capo sospirando. “Tu ti sei finto Frank per me, io posso benissimo aiutarti a
spazzare un pavimento. Dico sul serio, sarei felice di aiutarti.”ripeté alzandosi. Era così
piccola rispetto a lui, che a malapena gli arrivava al petto.
“Beh... allora se ti va.. potresti venire
domani mattina… se per te va bene.” propose un po’
imbarazzato.
Emily annuì con un sorriso. “Okay, benissimo. Domani mattina va
benissimo.”
Lo accompagnò alla porta e si diedero di nuovo un bacio sulla guancia.
E un brivido percosse entrambi, ed entrambi fecero finta di
non sentirlo.
“A domani allora, e grazie.” la salutò Kevin.
“Di niente, davvero. A domani.”
Kevin non aveva dimenticato l’incontro con Jennifer,
era sempre lì a bruciargli lo stomaco. Ma meno intensamente.
Emily era la sua medicina, e questo un po’ lo spaventava.
Lei dal canto suo, per quanto sincera fosse stata
e per quanto partecipe fosse al suo dolore, durante quell’abbraccio dolce e
gentile, l’aveva desiderato.
A/N: Soliti ringraziamenti vivissimi a tutti coloro che hanno aggiunto questa storia tra i
preferiti/seguiti e grazie soprattutto alle ragazze che recensiscono *__* Ci
avevate creduto col precedente capitolo eh?? Ahahhaah!!
Beh… la storia sta prendendo il verso giusto… anche se
il nostro eroe soffre per come quella bagascia lo
tratta (quale uomo non si arrabbierebbe) qualcosa gli si è mosso pure a lui…
lei ormai è partita e fa pensieri osceni su di lui *___*!! Ci sarà l’amore, ma
anche un po’ di dolore per entrambi…. Baci!
Nonostante stare con Emily lo avesse rinfrancato, quella notte Kevin non
era riuscito a dormire
XII
Nonostante stare con Emily lo avesse rinfrancato, quella
notte Kevin non era riuscito a dormire. Solo verso l’alba il sonno era riuscito
a piegare le sue resistenze, ma per non più di un’ora. E quando si era alzato, stanco e triste, aveva pensato che forse non era
stata una buona idea darle appuntamento per quella mattina, nel suo
appartamento.
Quello stesso appartamento che era stato teatro del
tradimento di sua moglie con quel verme, che a sua volta aveva tradito Emily ad
un passo dalle nozze. Sì, pessima idea. Ma era stata così gentile
ad offrirsi di aiutarlo che non aveva potuto fare altro che dire di sì.
Mentre aspettava l’arrivo di Emily, si
guardava intorno avendo l’impressione di essere in casa di qualcun altro. Non
la sentiva più casa, anzi non era mai stata casa sua,
e ogni giorno che passava questa consapevolezza si faceva più forte e dolorosa.
Lui aveva sbagliato tutto con Jennifer, fin dal primo giorno. Le aveva
lasciato tutti i poteri, accettando ogni comportamento
solo per paura di perderla. Ecco perché si era tanto meravigliata della
reazione di Kevin, era certa che non si sarebbe mai ribellato al suo
strapotere.
Sua moglie lo aveva sempre considerato, e continuava a farlo, solo un
povero stupido, un uomo debole da sottomettere.
E la cosa peggiore era che lui glielo aveva fatto credere,
solo per non perderla. Per tenere legata a sé una donna che…
non lo amava. Ma che amava avere lo scettro del
comando.
Sospirò e si massaggiò le tempie, era distrutto e infelice, sperò
quasi che Emily non arrivasse.
“Buongiorno.” la voce dolce e melodiosa della
giovane donna riecheggiò nel salotto, lui alzò la testa e sorrise.
“Buongiorno a te.” rispose.
Lei entrò senza guardarsi intorno, con un sorriso gentile che le
distendeva le labbra rosate, mentre i capelli rossi sciolti sulle spalle
ondeggiavano ad ogni passo. Kevin pensò che somigliava
molto ad una di quelle belle donne dei quadri, morbide e sensuali….
Emily si accorse subito che lui non stava bene, i suoi begli occhi
grigi non brillavano più come quando avevano recitato la parte dei fidanzati e
il viso era pallido e triste. Era successo qualcosa in quella settimana,
qualcosa che lo aveva ributtato nella tristezza alla quale stava reagendo.
“Allora… che dobbiamo fare?” gli domandò decidendo di non chiedergli
come stava: domanda stupida, perché era evidente.
L’uomo si strinse nelle spalle. “Appicchiamo un incendio? Sarebbe la
soluzione più rapida e indolore….”voleva
essere una battuta, invece sembrò un grido di dolore.
La ragazza tentò di sorridere e posò la propria borsa a terra. “Lo
farei volentieri ma forse ci arresterebbero, sai?”
commentò spostando uno scatolone ancora da riempire.
Kevin la guardò per un lungo momento e sospirando decise di darsi una
mossa. Era andata lì per aiutarlo,e ora lui se ne
stava impalato senza fare nulla? Doveva reagire, semplicemente.
“Sì, hai ragione. Dicono che in carcere succedono cose strane… preferirei evitare!” disse lui raccogliendo alcune bottiglie
da terra.
Emily scoppiò a ridere. “Sì, l’ho sentito anche io, in effetti. Anche
se uno come te avrebbe pochi problemi, suppongo.”
“Ricorda che l’unione fa la forza” sottolineò
Kevin con convinzione “un uomo solo può fare ben poco contro il gruppo, anche
se alto come me.”
“Oh… hai ragione. Allora cerchiamo di non farti finire in carcere,
anche se ogni tanto fai qualcosa di… denunciabile.”rispose Emily riferendosi sia al pestaggio in mezzo alla
strada di Frank, sia alla devastazione di quell’appartamento.
Kevin si fermò e la guardò perplesso. “Parli della gragnola di botte
che diedi a quello lì? E da quando pestare uno stronzo è illegale?
Camminando sui marciapiedi può capitare…” concluse serio.
Era una battuta orribile, ma lei non potè evitare di ridere. “Questa è
davvero pessima, lo sai?” lo ammonì cercando di contenersi.
Lui alzò le spalle. “Ti chiedo scusa.. a
volte escono autonomamente. Ma è quello che penso, per cui…”
No dannazione, pensò, non voleva assolutamente
tornare sul discorso Jennifer/Frank. E neanche lei lo
voleva.
“Posso farti una domanda?” disse Emily cambiando discorso, volutamente.
“Certo.”
“Che lavoro fai?”
Kevin strinse le labbra scuotendo lentamente il capo. “In pratica
nulla, adesso. In società con un amico, aprimmo una piscina e io ero uno degli
istruttori di nuoto. Insegnavo a nuotare soprattutto ai ragazzi. Poi sai… per
alcune persone ci sono lavori disonorevoli e ad un certo punto mi vidi costretto a ritirarmi, percependo solo la mia quota
mensile. L’amico e socio si arrabbiò non poco perché andando via io, lasciavo
un vuoto di gestione che faticò a colmare con qualcuno di qualificato come me, per cui anche la nostra amicizia è praticamente morta.
Prendo ancora i soldi ma non faccio nulla…”
Emily lo ascoltò in silenzio, capendo subito che alcune personestava a indicare sua
moglie. Quella donna lo aveva costretto a lasciare il suo lavoro perché non le
piaceva.
“Potresti tornare a farlo, adesso.” suggerì
lei.
L’uomo sorrise. “Dopo quasi dieci anni? No, non potrei. Sono fuori
allenamento e… non me la sento.”confessò
con un sospiro.
“Parli come se avessi ottant’anni.”
“In questo momento me li sento davvero…” rispose in un sussurro.
La giovane lo guardò ed ebbe come un’illuminazione. “Oh mio Dio!”
esclamò
Kevin alzò la testa di scatto. “Cosa c’è?”
“Tu sei… quel Duval? Della
nazionale nuotatori?”
Lui si schiarì la voce. “Sì, sono proprio io.” ammise
“ Ma sono passati quasi vent’anni da allora,
lo ricordi?”
Lei annuì sorridendo. “Ovvio. Nella mia piccola testolina di bambina,
non riuscivo a capire come facesse un ragazzo col cognome francese, a fare
parte della squadra inglese di nuoto! Allora sei proprio tu… wow che onore!
Un’autentica promessa…”
“Ti prego ora mi imbarazzi” si schermì lui “e
poi è passato tanto tempo. Abbandonai le gare per un infortunio alla spalla e
appunto mi misi in società con questo mio… ex amico. Bella parentesi agonistica
ma conclusa senza rimpianti.”
“Io non so come fate voi nuotatori.”
“A fare cosa?”
Emily agitò le mani in aria. “A sopportare… l’acqua. Voglio dire, non ti veniva mai la paura di annegare?” gli
domandò.
“Se sai nuotare, non dovrebbe succedere. Che
ti è successo?” era sicuro che avesse avuto una brutta
esperienza in acqua.
“A me? Nulla.” tagliò corto la ragazza.
“Bimba.. sono un istruttore di nuoto in
pensione. So riconoscere la paura dell’acqua dovuta ad una brutta esperienza. Che ti è successo?”
Lei sospirò e lo guardò imbarazzata. “Avevo dodici anni, credo. Ero in
piscina con dei compagni di scuola e alcuni di loro vollero farmi una scherzo. Mi presero di peso e mi buttarono in acqua. Io
non ero una provetta nuotatrice e iniziai ad annaspare in acqua, ho creduto
davvero di morire. Poi qualcuno si tuffò e prendendomi in braccio mi portò fuori dall’acqua semi-svenuta, non ricordo neanche che
faccia avesse, e…”
“….con te ancora tra le braccia, sgridò quei ragazzi così duramente
che un paio iniziarono a piangere e non misero più
piede in quella piscina.” concluse Kevin per lei.
Si fissarono per alcuni secondi, Emily era
letteralmente scioccata. Era lui la persona che sedici anni prima l’aveva
salvata dall’annegamento?
“Non ci credo.. allora eri tu il mio angelo.
Io non.. ricordavo chi fosse…” disse stupita.
“Ecco perché avevo la sensazione di averti già vista. Eri quel pulcino
indifeso che quegli stronzetti buttarono in acqua!”
esclamò.
La ragazza annuì con le lacrime agli occhi. “Già…”
“Ehi Emily” le disse Kevin avvicinandosi “che c’è?”
“No, è che.. quello è stato il giorno più
brutto della mia vita. Pensai davvero di morire e da allora faccio
solo la doccia perché il bagno mi terrorizza. E inoltre…mi sentivo in colpa perché non avevo ringraziato
la persona che mi aveva salvato..”
L’uomo si intenerì e rivide la ragazzina
spaventata di tanti anni prima. “Piccola… vederti sana e salva è il miglior
ringraziamento che potessi avere, sul serio.”
Emily lo guardò negli occhi e gli sorrise.
“Era proprio scritto da qualche parte che dovevamo incontrarci.” disse.
“Direi proprio di sì, era destino.” concordò Kevin spostandole una ciocca di capelli dal viso.
Il mondo era davvero piccolo e imprevedibile, chi l’avrebbe detto che
tra migliaia di persone, avrebbe rivisto proprio quella bambina di sedici anni
prima? E ne era felice, ricordava l’episodio con
apprensione e rabbia e si era chiesto per anni che fine avesse fatto.
Lei aveva voglia di abbracciarlo ma non lo
fece, probabilmente era fuori luogo e magari lui non avrebbe apprezzato e…
preferiva evitare, ecco.
“Okay, continuiamo qui?” propose lei dopo alcuni istanti.
Kevin si guardò intorno sospirando. “Sì. Dovrei sgombrare il più
possibile, anche le cose che.. non sono andate in
pezzi.”
“Hai intenzione di buttare tutto?” domandò la giovane.
Lui annuì serio. “Visto che non posso dare fuoco a niente, mi
accontenterò di buttare tutto nell’immondizia.”
Si rimisero all’opera.
Kevin portò giù alcuni scatoloni pieni di oggetti
rotti e non, mentre Emily raccolse libri e cd sparsi qua e là per poi
inscatolarli come il resto. Lavorarono per almeno un paio d’ore, alternando
momenti di silenzio a chiacchiere leggere, quasi stupide.
Per non pensare a niente, per distrarsi. Ma
per Kevin era difficile, molto difficile. Buttare le foto, i ricordi di quel
matrimonio che, seppur sbagliato e nato morto, era durato dieci anni. Dieci
anni per lui importanti, ma evidentemente non per Jennifer.
Emily evitava di guardare le foto. Le davano
fastidio, odiava quella donna profondamente e per due motivi. Il dolore che aveva causato a lei rubandole Frank e… il dolore che
stava causando a Kevin. Lei lo sapeva benissimo che stava soffrendo da
morire, che dietro quel sorriso c’era tanto dolore. Ma
se non voleva parlarne, lei non era nessuno per chiedergli qualcosa.
“Mi pare che abbiamo finito per ora, no?” disse lei mettendosi le mani
sui fianchi.
“Per i mobili più grossi ci penseranno quelli del trasloco, li ho già
contattati e verranno domani per… disfarsi di questa
roba. Quindi, grazie a te, abbiamo finito.” annunciò Kevin con un sorriso stanco.
“Stai bene?” Emily non potè fare a meno di chiederglielo.
Lui scosse il capo. “No. Decisamenteno. Ma passerà e mi riprenderò definitivamente.”
Non ne era per niente sicuro.
“Mi dispiace tanto Kevin” gli disse avvicinandosi a lui “vedo che
soffri e… mi dispiace.”
L’uomo sentì una fitta allo stomaco, di nuovo quella…. strana sensazione provata il giorno prima accanto a lei. Ne era spaventato, confuso.
“Non devi preoccuparti per me Emily, io sto
bene. Cioè no, non sto bene” si corresse capendo di
essere caduto in contraddizione “ma sono mali che… passano, si guarisce. Anche
tu stai male eppure.. reagisci. Mi passerà.” le assicuro con una convinzione che non aveva.
Emily scosse il capo. “Sai, credevo che tra noi quella più addolorata fossi io, ma mi sbagliavo. Io la sto superando davvero, ogni
giorno che passa mi sento più libera. Ma tu Kevin… i tuoi occhi trasmettono tutta la tua rabbia… se hai.. bisogno di
parlare, io sono qui. Forse sono la persona meno adatta, non
lo so. Ma puoi contare su di me…”
Kevin la guardò con dolcezza e sorrise, sforandole una guancia con le
dita. “Ti ringrazio ma… è qualcosa che devo elaborare
da solo. Devo distruggerlo con le mie forze, parlarne non credo che… risolverebbe
molto.”
La ragazza interpretò quella risposta come una sorta di chiusura verso
di lei, pensò che forse si era spinta troppo oltre e
si pentì delle proprie parole.
“Ti chiedo scusa, non avrei dovuto intromettermi…” cercò di spiegare.
“Scherzi? Sono io quello che deve scusarsi, non tu. Sei stata così.. dolce e gentile con me, come mai nessuno nella mia vita.
Ogni volta che ti vedo io sto meglio, ma sì hai ragione, sto
molto male. Ieri e oggi molto più di altri giorni. Ma è una situazione nella quale non voglio trascinarti, non
posso. Perché tu non meriti di…” si fermò pensando
bene a come concludere. “Non meriti di sapere certe cose..
squallide di questa storia ignobile. Deve passarmi, e mi passerà.”
“Va bene” annuì Emily “ma se cambi idea… sai dove trovarmi. A
proposito, tu hai il mio numero di telefono, ma io non il tuo.”si ricordò.
“E’ vero… aspetta.” rispose
lui raggiungendo la sua giacca poggiata su una sedia, prese il cellulare dalla tasca
e tornò da Emily, che intanto aveva preso il suo. Si scambiarono il numero di
cellulare ripromettersi a vicenda di telefonarsi l’un l’altra
se avessero avuto bisogno di qualcosa.
“Ora vado, questa sera ho promesso a Rachel che avrei badato ai bambini mentre è di turno al pronto soccorso..”
“Adorabili quei bambini” disse illuminandosi “avevano paura di me e
allo stesso tempo li incuriosivo!”
“In effetti è questo ciò che susciti. Timore
e curiosità.” replicò Emily in tono leggermente
ironico.
Lui corrugò la fronte. “Sì? Anche per te è
così?”
Emily non sapeva cosa rispondere, e si sentì a disagio. “Beh ecco… un
po’ sì” ammise “almeno inizialmente un po’ mi spaventavi.”
“Spero ora non sia più così.”
Lo guardò negli occhi con attenzione, erano
di un grigio cristallino ma…. velato di inquietudine.
“Mmh.. no, diciamo
di no. Altrimenti non sarei qui da sola con te!”
A me piace stare
con te, pensò distogliendo un attimo gli occhi
dai suoi.
“Grazie per tutto Emily.” le disse con
dolcezza.
“Di niente, davvero. Ci vediamo, allora…”
“Sì, a presto.”
Le prese il viso tra le mani e la baciò sulla guancia. Il cuore della
ragazza fece una capriola inaspettata.
L’accompagnò alla porta e aspettò che si allontanasse prima
richiuderla.
La breve parentesi serena si era conclusa, e
Kevin ripiombò nella frustrazione. Quella ragazza era semplicemente….. fantastica. Ma forse la sua presenza sottolineava
ancora di più la sua miseria.
Avrebbe dovuto incontrare una donna come lei, non una
come Jennifer. La sua vita era un disastro, un fallimento.
Allo stato attuale, l’unica cosa buona nella sua vita era… Emily.
Sì, avrebbe dovuto sposare una donna come lei. Era certo che le cose
sarebbero andate diversamente con a fianco una persona
come lei.
Invece aveva sprecato metà della sua vita con la donna
sbagliata, e ora si sentiva….distrutto.
Sospirò e prese la propria giacca.
Pensò di andare a bere una birra, era da tanto che non ci andava.
A/N: Capitolo un po’ così.. diciamo
di transizione O__o! Tra breve, un episodio molto brutto…. (no,
non muore nessuno!!!). Grazie a tutti, come sempre XD.
a/n:
Capitolo diviso in due (o forse tre...) scritto molto tempo fa (Sì
a volte mi vengono in mente dei flash sulle storie che scrivo.. e non
sempre seguono un ordine cronologico O__o) Capitoli difficili e
tristi... ma bisogna toccare il fondo per risalire, no?? Nel prox
capitolo...si piange :(
XIII
(Prima parte)
“Vedrà
che troverà presto un acquirente, signor Duval. Il suo
appartamento è molto bello e in una zona della città
molto ambita. Purtroppo ci vediamo costretti a metterla in vendita ad
un prezzo inferiore al suo reale valore, ma sa, siamo in tempo di
crisi e tutti i settori ne sono colpiti. Ma ne rimarrà
comunque soddisfatto, vedrà.”
Sì,
vedrai Kevin. Tra poco troverai un parigrado di tua moglie che
comprerà l’appartamento che hai finito di pagare solo
tre anni fa. Lo comprerà a circa metà prezzo e tu sarai
ancora più miserabile di prima.
Questo
era il pensiero che da circa una settimana gli rodeva il cervello. Ma
non erano i soldi, non gliene importa davvero nulla, il problema era
un altro.
Aveva
visto con i suoi occhi il padre di Jennifer camminare a braccetto con
il titolare dell’agenzia, il giorno dopo la stipulazione del
contratto. Ecco perché gli era sembrato strano tutto quel giro
di parole…
L’esperto
aveva l’ordine di abbassare il prezzo!
Che
gran occasione per gli avvocati Lewis! E quando ricapitava loro di
umiliarlo per l’ultima volta? A qualcuno di loro era giunta la
notizia che voleva vendere la sua casa e….
No,
probabilmente era stata la stessa Jennifer a dirlo alla famiglia. Era
così affezionata ai suoi preziosi soprammobili da decidere che
doveva pagarla in qualche modo. E aveva fatto sì che tutti i
risparmi della sua vita andassero a farsi fottere.
Da
quel pomeriggio Kevin era sprofondato ancora di più
nell’avvilimento. Si sentiva intrappolato nella gabbia che egli
stesso aveva contribuito a creare, e non vedeva via d’uscita.
Nella
vita aveva sbagliato tutto, aveva portato avanti una relazione che
era chiaramente partita male. Era andato contro i suoi genitori che
erano fortemente contrari a quella donna bella ma fredda, altezzosa.
Aveva abbandonato il lavoro che amava perché lei si sentiva..
svilita nel dire qual era l’occupazione di suo marito.
Si
era annullato, perché Jennifer Lewis era.. la donna dei suoi
sogni. Il riscatto da una vita grigia, segnata da un perenne senso di
inadeguatezza, di… in realtà si era sempre sentito uno
straniero, completamente fuori luogo. E Jenny gli era sembrata la sua
ancora di salvezza. Il più grande errore della sua esistenza,
invece.
Totalmente
diversi, e più passavano i giorni e più se ne rendeva
conto.
L’esempio
più lampante? Kevin avrebbe voluto dei figli, anche uno solo…
lei assolutamente no. Non voleva sentirne nemmeno parlarne, era fuori
discussione. E lui, chi era lui per insistere? Non sarebbe stato lui
a portare avanti una gravidanza, né tanto meno a partorire.
Aveva
accettato la sua volontà a testa bassa, pur sentendo il
desiderio di paternità. Un desiderio che col tempo si era
affievolito. Aveva accettato tutte le condizioni di quella donna,
tutto. E cosa ne aveva ricavato? Assolutamente nulla, non aveva più
nulla.
Gli
amici di un tempo? Tutti allontanati. I genitori? Suo padre era morto
diversi anni prima e sua madre se ne era tornata in Francia, si
sentivano si e no una volta al mese, anche meno. Non aveva niente…
non aveva una compagna, non aveva figli, non aveva un lavoro. Campava
di rendita, a dirla tutta. Un parassita.
L’unica
cosa di positivo nella sua vita, era Emily. Quella dolce rossa che
tentava di aiutarlo, capendo la sua difficoltà. Ma in pratica
aveva tagliato fuori anche lei, negli ultimi giorni.
Il
suo passatempo? La sua valvola di sfogo?
Bere.
Tutte
le sere in quel pub a rasentare la sbornia. Era l’unico sistema
che conosceva per non pensare a niente, una bella bevuta e poi a
dormire, e ricominciare daccapo il giorno dopo. Ma quella sera,
l’alcool non gli faceva nulla. Il dolore, la frustrazione, il
senso di fallimento erano troppo pesanti e bere non lo stava aiutando
per niente.
Non
si sarebbe mai più ripreso da quello, ritrovarsi a trentasei
anni senza niente, senza una famiglia né amici né
lavoro. Si faceva schifo perché si stava compatendo, ma non
riusciva a reagire. Quando aveva detto ad Emily che ce l’avrebbe
fatta, aveva mentito. Non ce l’avrebbe fatta perché era
solo, disperatamente solo a causa di quella donna che lo aveva
tradito e umiliato.
Mandò
giù un altro bicchiere di gin e ne ordinò un altro
ancora.
“Amico”
iniziò il barman “forse dovresti...”
“Per
favore, niente prediche. Sono abbastanza adulto.” rispose
duramente.
L'altro
sospirò e gli versò dell'altro gin. Nel frattempo si
avvicinò un altro uomo.
“Kevin”
esordì poggiandosi al bancone “vacci piano.. stai
bevendo decisamente troppo.” lo ammonì.
Lui
alzò il e lo fissò con uno sguardo stanco. “Posso
pagarti, Johnny. Non temere...” rispose ironico, ma l'altro non
intendeva questo. Kevin stava decisamente bevendo troppo, e questo
solitamente portava guai.
“Se
ne chiede ancora, non dargliene.” disse rivolgendosi al barman,
che annuì serio.
“Ascolta,
va' a casa.. ora basta con i superalcolici. Anzi trovo uno dei miei
che ti riaccompagna a casa, okay? Domani verrai a riprendere la tua
macchina...”
Kevin
lo fulminò con lo sguardo. “Non so ubriaco, lo sai.
Magari lo fossi ma non lo sono, me ne vado da solo. Grazie per
l'interessamento.”
Johnny
lo guardò meravigliato, c'era qualcosa di pericolosamente
strano in quel vecchio amico che si era allontanato anni prima.
“Se
cerchi guai, sei nel posto sbagliato.” lo avvertì
allontanandosi.
Guai.
Perché quella parola non aveva il significato negativo che
Johnny le dava? A Kevin sembrava quasi... attraente. Guai nel senso
di fare a botte? L'idea non gli dispiaceva.
In
qualche modo doveva scaricare la rabbia che aveva, fare a pugni
poteva aiutarlo, no? Inoltre magari....avrebbe risolto per sempre i
suoi problemi...
Un
uomo si avvicinò e si sedette accanto a lui, non lo guardava
nemmeno facendosi gli affari propri, ordinò una birra e iniziò
a berla. Era un uomo sui quarantanni, alto e robusto, non quanto
Kevin ma sarebbe stato comunque un ottimo avversario...
Successe
tutto in un attimo. Kevin attirò la sua attenzione e una volta
giratosi, gli sferrò un pugno in faccia.
Da
lì nacque il finimondo. L'uomo non era da solo ma con altri
due amici che corsero in suo aiuto. Kevin era alto più di
tutte quelle persone, ma era solo. Ed ebbe la peggio. Lo presero a
pugni e lui non si affannò più tanto per difendersi,
gli tirarono anche qualcosa addosso, che lo colpì sulla
schiena. Ma lui continuò a far finta di combattere. Si stava
facendo picchiare, di proposito.
D'improvviso
si udì rumore di vetri rotti, Kevin sentì un forte
dolore alla testa e le gambe gli cedettero. Cadde in ginocchio e si
portò una mano sull'orecchio, la guardò e vide del
sangue.
“Basta
cazzo! Così lo ammazzate!” disse qualcuno che lui non
riconobbe. Tutto si oscurò e sentì freddo.
Perse
i sensi accasciandosi sul pavimento.
/-----/
Sospirò
guardando l'orologio. Mezzanotte e un quarto. Anche quella sera,
Kevin non aveva risposto ai suoi messaggi, ed Emily iniziava a
preoccuparsi sul serio.
Dal
giorno in cui l'aveva aiutato con l'appartamento non l'aveva più
visto e si erano sentiti solo un paio di volte. E non stava bene,
peggio di come l'aveva lasciato lei. Perché non le permetteva
di aiutarlo? Era sempre come se... volesse dirle qualcosa ma poi se
ne pentiva.
Sapeva
che in fin dei conti erano estranei, ma... lei si era sfogata fin dal
primo giorno, poteva farlo anche lui! Cos'era, orgoglio maschile?
Kevin ne aveva molto e si notava subito, ma perché usarlo
anche con lei? Emily poteva capirlo, poteva aiutarlo.
Emily
voleva...
Scosse
il capo, rimproverandosi per quello che sentiva o che.. credeva di
sentire per Kevin. Forse aveva semplicemente riversato su di lui
tutte le speranze infrante, forse era affascinata dal suo modo di
essere forte ma gentile, dalla sua intelligenza sottile e da
quell'ironia a volte pungente. Non lo sapeva, e non sapeva neanche se
fosse solo... attrazione fisica. Cioè.. Kevin era bello, le
piaceva quel viso un po' spigoloso e i suoi grandi occhi di un grigio
particolare. Aveva una voce profonda e un modo di parlare a volte un
po'... concitato. Era nervoso e lei lo capiva.
Non
gli trovava un difetto, e questo le faceva paura. Non voleva farlo..
non poteva farlo..
Non
poteva innamorarsi di Kevin Duval. Eppure era proprio questa la
sensazione, di essersi quasi innamorata di lui. Forse era una
semplice infatuazione, ma stava di fatto che sentirsi tagliata fuori
dalla sua vita, la faceva soffrire.
Detestava
ancora Frank e sperava di non rivederlo mai più... ma stava
lentamente capendo che forse, non era poi così innamorata di
lui. Si sentiva confusa, malinconica e il silenzio di Kevin
peggiorava le cose. E se avesse capito che lei provava qualcosa di
strano per lui? Che avesse tagliato i ponti per questo?
No
non era possibile, non poteva essere per questo. Lei non aveva fatto
o detto nulla di... compromettente. E poi che diamine! Non credeva
che per lui sarebbe stato così terribile sapere che lei...
provava qualcosa. Non credeva che si sarebbe scandalizzato od offeso
nel sapere che era stato nei suoi sogni...
Trasse
un profondo sospiro e si alzò dal divano, dirigendosi verso la
propria camera. Era meglio andare a dormire, l'indomani avrebbe
tentato di mettersi in contatto con Kevin, oppure sarebbe andata da
lui in persona. Anche se vederlo le avrebbe fatto un po' male...
/-----/
“Ti
è dato di volta il cervello? Che cavolo ti è preso?"
gli urlò inviperito Johnny Reed, il proprietario del pub e,
per sua fortuna, un amico di vecchia data che nonostante il suo
essersi allontanato, lo considerava ancora tale.
Kevin
lo guardò confuso, si sentiva stordito a causa del colpo
ricevuto e aveva anche la vista annebbiata. Gli doleva la testa
talmente tanto da fargli temere che prima o poi gli si sarebbe
spaccata in due. E non aveva una risposta plausibile alla domanda
dell'amico: perché diavolo aveva cercato la rissa rischiando
di farsi ammazzare? Un momento di pazzia che avrebbe potuto costargli
la vita.
“Non
so che mi è passato per la testa. Dovevo essere ubriaco.”
si giustifico Kevin imbarazzato.
“Questo
è poco ma sicuro.” confermò l’altro
guardandolo in faccia. “Hai bevuto come una spugna e ad un
certo punto sei andato in tilt. Tu non ti rendi conto, ma
provocandone uno di quei tizi te ne sei messo contro tre. Sei un
idiota fortunato, spero tu lo sappia almeno.”
Kevin
ascoltò la predica in silenzio, stringendo sulla testa
l’asciugamano che il suo amico gli aveva dato per tamponare il
sangue.
“Mi
dispiace. Ti risarcirò io per tutti i danni al locale, e…”
“Non
è questo Kev. Cosa vuoi che mi importi di un paio di sedie
sfasciate o di qualche bottiglia rotta. Se continui così
finirai col farti ammazzare o nelle migliori delle ipotesi ti farai
arrestare. Non è la prima volta che vieni a bere in modo
smisurato, ma è la prima volta che cerchi guai. Devi darti una
calmata amico, non è così che si risolvono i problemi.”
puntualizzò con enfasi.
Kevin
fece una smorfia. “Per favore potresti… gridare di meno?
Mi scoppia la testa…” chiese ad occhi chiusi. Johnny
sospirò scuotendo il capo.
“Hai
bisogno di un medico e anche di corsa. E come faccio a chiamare aiuto
senza farti finire nei casini?” si chiese preoccupato.
“Ci
chiederanno cos’è successo” continuò “e
se raccontiamo la storia potresti avere dei problemi… come ti
tolgo dai guai senza farti morire dissanguato?” così
dicendo spostò leggermente l’asciugamano dalla tempia di
Kevin, il sangue non si era ancora fermato e per quel che ne sapeva
poteva avere un’emorragia.
“Non
è niente, sono solo stordito dal colpo, tra poco starò
bene..” e fece per alzarsi dalla sedia, ma non appena fu in
piedi le immagini intorno a lui cominciarono a roteare, le gambe gli
cedettero e cadde sulle ginocchia con un lamento.
“Meno
male che non è niente… non ti reggi in piedi.”
osservò Johnny aiutandolo ad alzarsi e facendolo sedere di
nuovo. Kevin si appoggiò allo schienale coprendosi gli occhi
con la mano libera. “Mi sento scoppiare il cranio.” si
lamentò sofferente.
“Ascolta,
tu devi andare in ospedale, ma abbiamo bisogno di aiuto. In questo
momento non posso lasciare il locale e tu non puoi aspettarmi. Può
essere solo un graffio come una cosa seria, ma hai bisogno di cure.”
gli spiegò Johnny in tono grave.
Kevin
tentò di annuire, ma rinunciò al primo lampo di dolore.
Nonostante la confusione mentale, gli balenò in mente
l’immagine di Emily, lei avrebbe potuto aiutarlo. Cercò
il cellulare nella giacca, lo trovò e cominciò a
cercare il suo numero. Ma la vista ancora offuscata non gli
permetteva di distinguere un nome da un altro.
Imprecò
in francese e passò il cellulare all’altro. “Ti
dispiace trovare Emily nella rubrica? È una mia amica.”
gli spiegò Kevin.
Johnny
prese il cellulare e cercò il contatto per Emily, lo trovò
e fece per riconsegnare il cellulare al proprietario.
“Telefona
tu per favore, non ricordo neanche come si chiama il tuo pub..”
confessò Kevin rifiutando il proprio cellulare, in realtà
di vergognava di dire cos’era successo. Johnny sospirò e
premette il tasto verde.
“Speriamo
che la tua amica sia sveglia e non mi mandi al diavolo.” fece
Johnny.
“Non
lo farà, Emily non mi abbandonerà.” ribatté
Kevin convinto.
/-----/
Il
sonno stava per sopraffarla, quando il trillo del suo cellulare la
fece sussultare. Guardò l’orologio sul comodino, segnava
quasi l’una di notte: chi era a quell’ora?
Si
alzò dal letto e raggiunse di corsa la cassettiera sulla quale
aveva posato il cellulare, guardò il display e rimase
perplessa.
“Kevin?”
esclamò a voce alta, incredula. Qualcosa le suggerì di
rispondere immediatamente. “Pronto?”
“Sì
pronto… ehm scusa per l’ora ma non riattaccare per
favore.” esordì Johnny.
“Chi
è che parla? Mi stai chiamando dal numero di Kevin!” lo
attaccò Emily arrabbiata.
“Appunto.
È stato proprio lui a chiedermi di chiamarti, io sono Johnny
Reed, un suo amico. Kevin.. beh per farla breve c’è
stata una rissa del mio pub e in mezzo c’era proprio lui.”
tagliò corto l’uomo, non sapendo come spiegare
l’accaduto.
Emily
si allarmò. “Una rissa? Ma Kevin sta bene, dov’è?”
domandò angosciata.
“Non
proprio, per questo ha bisogno di aiuto. È ferito ma se chiamo
l’ambulanza c’è il rischio che si becchi anche
qualche denuncia. La rissa l’ha provocata lui.”
Sentendo
le accuse, Kevin ebbe un moto d’orgoglio e fece cenno all’amico
di passargli il cellulare.
“Fammi
parlare con Emily.” e prese il telefono. “Emily..
perdonami non avrei mai voluto disturbarti…. ma ho bisogno
d’aiuto.”
“Kevin!
Cos’è successo?” gli chiese Emily. Dall’altro
capo del telefono si sentì un sospiro.
“Sono
un stupido , ho fatto a botte e per poco non mi uccidevano.”
Emily
si passò una mano nei capelli. “Santo cielo. Aspetta,
vengo lì e ti porto da Rachel, è di turno al pronto
soccorso. Dove sei?” gli chiese, ma Kevin si rese di non
ricordare davvero né il nome del locale né la strada.
“Non
lo so.. non ricordo. Mi scoppia la testa, mi hanno preso a
bottigliate…” le rispose dolorante. Johnny riprese
il cellulare.
“Emily,
sono di nuovo Johnny. Siamo al Reed’s House, lo conosci?”
Lo
conosceva e per fortuna non era neanche troppo lontano da casa sua.
“Sì,
so dove si trova, arrivo subito.” gli assicurò.
“Siamo
nel retro, verrò ad aprirti io, okay?” Emily rispose
di sì e riattaccò.
Si
tolse velocemente il pigiama, corse in bagno a sciacquarsi il viso
per riprendersi sia dal sonno che dalla sorpresa, tornò in
camera da letto e indossò un jeans e un maglione, calzò
delle scarpe da tennis e afferrò la borsa e il cellulare.
Sulla
porta si fermò e tornò di corsa in bagno, aprì
l’armadietto delle medicine e prese della garza e un rotolo di
cerotto: non aveva idea di cosa avrebbe trovato ma era meglio portare
qualcosa in caso di bisogno, le parole di Kevin l’avevano
spaventata.
Infilò
tutto nella borsa e corse fuori. Scese la rampa di scale di corsa e
in pochissimo tempo era già nella sua auto, avviò il
motore e partì velocemente. Era nervosa e preoccupata, ora ne
era sicura, doveva essere successo qualcosa che aveva mandato Kevin
fuori di testa, non aveva idea di cosa fosse stato ma di sicuro
c’entrava Jennifer, solo lei aveva il potere di sconvolgerlo a
tal punto da farlo diventare aggressivo. Riteneva di conoscere Kevin
abbastanza da poter dire che non era un uomo violento, anzi era
gentile e accomodante, e lei ne era rimasta stupita visto il modo in
cui si erano conosciuti.
Tuttavia
sapeva anche che era capace di diventare violento e quasi
incontrollabile quando veniva anche solo sfiorato il suo nervo
scoperto, sua moglie.
Forse
l’aveva incontrata, magari in compagnia di Frank, oppure era
venuto a sapere qualcosa. Quella donna gli aveva fatto di nuovo del
male.
Accelerò,
Kevin aveva bisogno del suo aiuto ma forse più di qualunque
altra cosa, aveva bisogno del suo sostegno: nessuno come Emily poteva
capire il suo stato d’animo. Pochi minuti e lo avrebbe
raggiunto....
Ringraziamenti:
e come al solito, grazie a tutti quelli che leggono e soprattutto
alle ragazze che recensiscono *__* nella fattispecie a:
Dada88
Pirilla88+xsemprenoi
Nana_86
(sono arrivata al terzo cap della tua storia *__* devo ancora
recensire e.. siccome sono intelligente sono saltata subito
all'ultimo capitolo... quei POV sono meravigliosi <3. Rimedierò...
è una storia che mi piace molto XD)
Vichy90
TheDreamerMagic
Robigna88
(<3 TVTB)
Grazie
tantissimo anche alle recensitrici (eh???) occasionali XD
Capitolo 15 *** Nel fondo del baratro (seconda parte) ***
XIII
(Seconda
parte)
Johnny
riattaccò il cellulare e lo posò su un tavolo. “Sta
per arrivare. Tu come ti senti?”
Kevin
lo guardò da sotto la mano posata sulla fronte. “Sono
stato meglio… va’ a prendere Emily… non voglio
che si infili nel vicolo da sola..”
Johnny
la ritenne una buona idea ma non voleva lasciarlo solo.
“Sì
ma tu….”
“Se
non sono morto fino ad ora, resisterò cinque minuti senza
sorveglianza.”
“Va
bene, per favore non provare ad alzarti o ti ritroverò steso a
terra” gli raccomandò Johnny. Kevin rispose con un gesto
della mano evitando di muovere la testa.
“Anche
volendo non posso.. va’ per favore…” Johnny uscì
lasciandolo solo.
Kevin
aveva voglia di piangere, gridare, bestemmiare; nella sua testa c’era
tanta confusione e non era solo per la ferita che gli avevano
inferto. Stava male, nel corpo e nell’anima e cominciava
a non riuscire più a tenere la situazione sotto controllo,
aveva trascinato Johnny nei suoi problemi rischiando di metterlo nei
guai, e ora stava trascinando anche Emily in quella follia.
Il
pensiero di Emily lo rasserenò, era sicuro che non gli avrebbe
voltato le spalle e infatti stava andando da lui nel cuore della
notte. Lei poteva capirlo, le loro storie erano due facce della
stessa medaglia e non lo avrebbe biasimato per la sua reazione a dir
poco incosciente. Sì, ma si vergognava di raccontarle
perché aveva reagito così, non poteva dirle che cosa
aveva avuto il coraggio di dirgli e di fargli Jennifer, era troppo
umiliante.
Appoggiò
il braccio sinistro sul tavolo e chinò il capo su di esso,
tenendo sempre l’asciugamano premuto sulla ferita con la mano
destra. Voleva piangere, ma stava per arrivare Emily e non doveva
trovarlo in condizioni peggiori di quelle che avrebbe trovato senza
che si lasciasse andare alla disperazione. Perciò si tirò
su e ricacciò indietro le lacrime, non poteva arrivare a
tanto, di certo non per Jennifer.
La
luce di quella stanza gli feriva gli occhi, se avesse potuto alzarsi
senza piombare a terra sarebbe andato a spegnerla immediatamente, la
testa pulsava tanto da farsi sentire anche nelle orecchie. Al
quadro desolante si aggiunse anche un intenso dolore al naso,
istintivamente Kevin si portò una mano appena sopra il labbro
superiore, bagnandosi le dita con un liquido caldo.
Si
guardò la mano e vide del sangue. “Gesù.. anche
questa..” sospirò togliendosi l’asciugamano dalla
testa e tamponando con questo l’emorragia al naso.
Di
questo passo, pensò, avrebbe avuto bisogno di una trasfusione.
Posò l’asciugamano sul tavolo, era stanco di tenerlo
premuto sulla testa, ed era stanco di stare lì. Come avrebbe
voluto trovarsi a casa, nel suo letto a dormire… oh, ma lui
non abitava più nella sua casa, l’aveva quasi
dimenticato.
Adesso
abitava in quell'appartamentino a pianterreno ancora da arredare, la
sua casa adesso era in vendita e presto non l’avrebbe più
neanche potuta chiamare sua, anzi forse non lo era mai stata.
In realtà benché materialmente fosse di sua proprietà,
Kevin in quella casa era stato sempre un ospite, un coinquilino o
peggio un suddito della regina.
“Basta!”
urlò a sé stesso, doveva smetterla di far convergere
sempre i propri pensieri su Jennifer e sul loro matrimonio e su
quello che era stato o non era stato per lei.
Possibile
che anche con un buco in testa si arrovellasse il cervello in quel
modo? Non ricordava neanche il nome di quel locale eppure ricordava
alla perfezione ogni particolare che riguardava quella storia, ogni
parola detta da Jennifer, anche il modo in cui le diceva e lo sguardo
che le accompagnava. Quella fissazione doveva finire, quella
stessa notte. Doveva darci un taglio, trovare la forza di cancellarla
dalla sua mente e ripartire da zero, altrimenti sarebbe impazzito, o
… si sarebbe ucciso.
Ricordò
con orrore perché aveva cercato la rissa.
/-----/
Johnny
uscì dalla porta sul retro e si incamminò lungo il
vicolo, sbucando sulla strada principale. C’erano molte
macchine e molta gente, e non aveva idea di che aspetto avesse questa
Emily. Si guardò intorno, da destra a sinistra: come la
trovava adesso?
Mentre
pensava se era il caso tornare dentro e farle un colpo di telefono,
arrivò un’auto bianca che inchiodò a pochi
centimetri dal marciapiede. Ne uscì una ragazza con lunghi
capelli raccolti in una coda di cavallo che anche sotto la luce dei
lampioni mostravano il loro rosso fuoco. La vide prendere la
borsa e correre verso di lui guardandosi intorno, era lei la famosa
Emily? Decise di chiederglielo.
“Sei
tu Emily?” chiese alla ragazza che si era fermata a poca
distanza da lui.
La
giovane lo guardò e gli si avvicinò. “Tu devi
essere Johnny, quello che invece di chiamare un'ambulanza pensa ai
suoi interessi!” lo assalì lasciandolo di stucco.
“Come,
prego?” le domandò non capendo il suo attacco.
“Per
evitare guai al tuo locale hai preferito evitare di chiamare aiuto.
Ma adesso questo non mi importa, portami da Kevin per favore.”
gli disse impaziente.
“Aspetta
un momento, mi stai accusando di qualcosa per caso? Guarda che se
chiamavamo i paramedici ci avrebbero chiesto cos’è
successo, e dalla verità sarebbe nato un casino, lo capisci?”
Emily non lo ascoltò neanche, anzi si spazientì e
imboccò il vicolo che portava al retro del locale.
Johnny
non poté fare altro che seguirla, borbottando a denti stretti
a proposito di quando potessero essere rompiscatole le donne.
Arrivati davanti alla porta, Emily lasciò che fosse Johnny ad
aprirla, ma fu lei ad entrare per prima.
Dopo
un breve corridoio entrarono in una stanza che dava l’impressione
di essere un incrocio tra un magazzino e una cucina, con piastrelle
bianche e scaffali di ferro lucido carichi di bottiglie, lattine e
noccioline. Quasi al centro c’era un tavolo con alcune
sedie, una delle quali occupata da una figura imponente ma ripiegata
su se stessa, con i gomiti sul tavolo e il viso tra le mani.
“Kevin!”
esclamò Emily correndo verso l’uomo.
Kevin
al suono della sua voce tolse le mani dal viso e si voltò
verso di lei spingendo indietro la sedia. Quando Emily gli fu davanti
e vide bene il suo volto, rimase senza parole. Il sangue gli aveva
rigato metà del viso finendo sui vestiti, era pallidissimo ma
Emily era certa che avesse la febbre. Anche le labbra erano macchiate
di sangue e capì che aveva perso sangue anche dal naso.
“Kevin
ma… mio Dio cosa ti è successo?” gli chiese
prendendogli il viso tra le mani.
Kevin
si sforzò di regalarle un sorriso e coprì le sue mani
con le proprie. “Ho perso il controllo… sono un idiota…”
le rispose con voce flebile.
Emily
con delicatezza gli fece volgere la testa verso sinistra, in modo da
vedere la ferita. Rabbrividì quando vide lo squarcio che
partiva dalla tempia e finiva oltre l’orecchio, l’unica
cosa positiva era che il sangue sembrava essersi momentaneamente
fermato. Guardò sul tavolo, notando l’asciugamano
intriso di sangue abbandonato su di esso.
Rivolse
lo sguardo nuovamente verso Kevin, aveva gli occhi arrossati e le
sembrava fosse sul punto di piangere. Lasciò il viso di Kevin
e prese la propria borsa da terra, l’aprì e cercò
la garza, tolse l’involucro e la posò con delicatezza
sulla ferita, prese il cerotto e ne staccò due strisce che
fece aderire da una parte alla garza e dall’altra alla pelle di
Kevin. Era una medicazione più che rudimentale, ma per lo meno
la ferita non restava scoperta.
“Dovevate
chiamare i soccorsi..” ribadì Emily in tono asciutto.
“Credi
che non volessi aiutarlo? Tu non sai come sono andate le cose, e…”
protestò Johnny capendo che il rimprovero era rivolto a lui.
Emily
si voltò di scatto. “Non mi importa niente di quello che
è successo, vedo solo che Kevin è ferito e non so
neanche quando gravemente e tu che ti sei definito suo amico, l’hai
fatto restare qui seduto mentre sanguinava. Lui è frastornato
e quindi non ha saputo difendersi, ma tu sei vergognoso, per pararti
il sedere da eventuali reclami hai preferito non portarlo in
ospedale!”
Johnny
la guardava a bocca aperta. “ Ma tu guarda che mi tocca
sentire! Io l’ho fatto per lui, perché è stato
Kevin ad attaccar briga con quei tipi! Sta passando un momento
terribile e non volevo che avesse anche questo tipo di problemi!”
si difese con enfasi, Emily lo guardò torva.
“Oh
che bravo ragazzo! Conosco benissimo lo stato d’animo di Kevin,
molto meglio di te. Per questo sono corsa qui anche se già da
casa pensavo a quanto eri indecente! Ma che sto facendo? Invece di
prestare attenzione a lui, perdo tempo con te, devo essere
impazzita!” e si voltò di nuovo verso Kevin, che
aveva socchiuso gli occhi e ascoltava in silenzio il battibecco.
“Kevin,
devi andare in ospedale, adesso chiamo un’ambulanza, ai
possibili problemi ci penseremo più tardi. “ gli disse
posandogli di nuovo una mano sul viso.
Lui
aprì gli occhi e fissò intensamente quelli di Emily.
“No
Emily, ti prego. So di crearti molti problemi, però ti prego
accompagnami tu.” le chiese Kevin in tono di supplica,
prendendole la mano e stringendola forte. Emily scorse nei suoi occhi
qualcosa di strano, che non era solo dolore o stordimento. Non poté
fare altro che annuire e sorridergli.
“Va
bene, ma dobbiamo andare subito, la tua ferita mi preoccupa. Ce la
fai ad alzarti? gli chiese con dolcezza.
Kevin
scosse lentamente il capo. “Mi gira la testa, ho provato ad
alzarmi prima e sono caduto in ginocchio…” rispose.
“Ci
aiuterà il tuo amico, da sola proprio non ce la faccio a
sostenerti.” Kevin sorrise.
Johnny
non replicò alle accuse di poco prima, preferendo rimandare
eventualmente a futuri incontri. Si avvicinò a Kevin e gli
prese un braccio passandoselo intorno al collo e facendo leva con
esso per farlo alzare. Emily si mise dall’altro lato e
lasciò che Kevin le posasse il braccio sulle spalle, ma si
accorse che in realtà scaricava tutto il proprio peso su
Johnny, mentre a lei riservava solo una specie di abbraccio.
Lasciarono
quella stanza troppo illuminata per gli occhi di Kevin, percorsero il
breve corridoio e uscirono fuori. Non faceva particolarmente freddo,
eppure Kevin rabbrividì facendo così capire a Emily che
aveva davvero la febbre.
Arrivarono
all’auto di Emily, lei si allontanò da Kevin e aprì
la portiera, Johnny lo fece sedere sul sedile del passeggero e chiuse
lo sportello. Emily girò velocemente dall’altro lato
senza neanche guardare il proprietario del locale, che si limitò
a bussare al finestrino di Kevin e fargli un cenno con la mano, che
lui ricambiò.
Emily
mise in moto e partì, subito dopo indossò l’auricolare,
prese il cellulare e fece una telefonata.
“Pronto,
Rachel?” disse quando l’amica rispose.
“Emily!
Stai bene?” chiese allarmata Rachel.
“Sì,
io sto bene non preoccuparti. A stare male è Kevin, è
qui con me in macchina.”
“Kevin?
Cosa gli è successo?” si informò
preoccupata.
“Ha
avuto.. una discussione in un locale e ne è uscito male, non
ha voluto che chiamassi un'ambulanza per paura di finire nei guai. Lo
sto portando da te, puoi fare qualcosa senza esserci bisogno di
raccontare i fatti?” Emily sapeva già la risposta,
Rachel li avrebbe aiutati sicuramente.
“Certo,
portalo qui immediatamente.” la rassicurò Rachel.
“Che ferite ha?”
Emily
sospirò ricordando lo squarcio sulla testa di Kevin.
“Non
so cosa sia successo di preciso, ma Kevin ha parlato di bottigliate
in testa. Ha un taglio che parte dalla tempia fino all’orecchio.
"
"Porca
puttana!" imprecò Rachel dall'altro capo del
telefono, così forte da far sentire anche Kevin, che si voltò
in direzione di Emily accennando un sorriso.
"Sai
se ha perso conoscenza?" chiese la dottoressa subito dopo.
"Non
ne ho idea, sicuramente è disorientato e non riesce a stare in
piedi senza che qualcuno lo sorregga." rispose Emily.
"Non
ripetere le mie parole perchè potresti spaventarlo, ma
potrebbe avere una commozione cerebrale. Non correre rischi inutili
ma cerca di arrivare qui il prima possibile, ti manderò due
infermieri a prenderlo con una barella." Emily ebbe un
fremito di paura.
"Okay...
ti ringrazio Rachel. Siamo a poca distanza dall'ospedale, in pochi di
minuti saremo lì. A dopo." e terminò la
conversazione al cellulare.
Guardò
verso Kevin e lo trovò con la testa reclinata all’indietro,
aveva gli occhi chiusi e una mano sulla fronte.
“Rachel
ci aspetta, abbi pazienza tra poco saremo all’ospedale.”
tentò di confortarlo.
Però
Kevin non era in quella posizione per il dolore o la preoccupazione,
ma per la sensazione di fallimento che lo soffocava, e della quale
non voleva far partecipe anche Emily. Si vergognava di quello che
aveva fatto e del perché, e si vergognava di averla coinvolta
in quella orribile nottata.
Ma era
l’unica che poteva aiutarlo, l’unica persona sulla quale
fare affidamento: era solo, non c'era nessuno che si preoccupasse per
lui o che uscisse di casa nel cuore della notte per soccorrerlo
dopo una rissa in un bar, soltanto Emily.
Kevin
inclinò la testa verso di lei. “Perdonami, e grazie di
tutto.” le disse con un sorriso.
Emily
stava per replicare, quando lo vide chiudere gli occhi e abbandonarsi
sul sedile.
“Kevin!
Oh mio Dio!” lo chiamò Emily, spaventata. Aveva
perso i sensi.
Cercò
di mantenere la calma e tornò a guardare la strada, alla sua
sinistra intravedeva già
l’alto
edificio dell’ospedale, ormai erano arrivati e presto avrebbero
curato Kevin.
Percorse
gli ultimi metri senza rendersene conto, fermò l’auto
quasi sul marciapiede e si precipitò fuori, correndo
dall’altro lato per aprire lo sportello. Senza pensarci si
sedette sulle gambe di Kevin, gli prese il viso tra le mani e iniziò
a chiamarlo, ma non reagiva.
Si
accorse che la ferita aveva ripreso a sanguinare e che la garza da
bianca era diventata completamente rossa. Sentì alle sue
spalle il rumore delle ruote di una barella e si voltò.
Due
infermieri ne spingevano una, con loro c’era anche Rachel, che
quando vide Emily chinata su Kevin e la sentì chiamarlo
ripetutamente, si mise a correre per raggiungerli.
“Emily
cosa succede?” le chiese arrivando trafelata.
“Non
lo so, da quando sono arrivata al locale fino a pochi minuti fa è
sempre stato cosciente, era stordito ma cosciente. Poi
improvvisamente è svenuto in macchina, a neanche duecento
metri da qui! Aiutalo Rachel!” la supplicò uscendo
dall’auto e facendole posto.
Rachel
gli prese il polso e controllò le pulsazioni. “Sta’
tranquilla, adesso ci sono io.”
a/n:
come sempre (sono ripetitiva lo so O__o) grazie a tutti quanti
XD! So che c'è poco “movimento” ( per il momento
XD) ma questi capitoli li ho scritti un anno fa... ora li devo
dividere e postare in diverse parti... ma da questo fattaccio in poi
ci sarà la rinascita..
Capitolo 16 *** Nel fondo del baratro (terza parte) ***
XIII
(terza
parte)
Rachel
chiamò i due infermieri che si avvicinarono e trassero Kevin
dall’auto, lo stesero sulla barella e la spinsero verso
l’entrata del pronto soccorso. Le due donne li seguivano
correndo e si fermarono solo quando arrivarono davanti alla porta
della sala per la prima visita.
“Emily,
resta qui tu non puoi entrare.” l’ammonì l’amica.
“Per
favore, sono così preoccupata fammi entrare ti prego, me ne
starò in un angolo..”
Rachel
non rispose ma non disse nulla quando Emily entrò dopo di lei,
restando in un angolo della sala come aveva promesso. Nel frattempo
la dottoressa si avvicinò al viso di Kevin, prese la penna
luminosa dal taschino del proprio camice e gli sollevò le
palpebre per controllare i riflessi delle pupille.
“C’è
midriasi, credo proprio ci sia commozione.” sentenziò
Rachel rivolgendosi all’infermiera di mezz’età che
Emily non aveva notato e che si avvicinò a Kevin con una flebo
in mano.
“Sono
sicura che è già svenuto in precedenza. Sally, vediamo
di svegliare questo ragazzone e portiamolo a fare gli accertamenti.”
L’infermiera
annuì, appese la bottiglia al sostegno e infilò l’ago
nella piega del braccio di Kevin.
Pochi
istanti dopo, l’uomo iniziò a svegliarsi aprendo
lentamente gli occhi.
“Buongiorno
giovanotto!” lo salutò Rachel.
Kevin
sbatté le palpebre, non riuscendo a tenere gli occhi aperti
per la troppa luce.
“Sì
lo so, il neon è micidiale con un mal di testa come il tuo.
Vediamo un po’ cosa ti sei fatto…” gli disse
mentre indossava un paio di guanti in lattice. Poi con delicatezza
staccò la garza dalla ferita, Kevin era ancora
semi-incosciente e non emise nessun lamento.
“Bel
taglio, ragazzone. E non parlo dei capelli. Dovremo darti qualche
punto di sutura ma non è grave. Per il momento la medichiamo
con altre garze e ti portiamo a fare una tac per sicurezza. Dopo di
che ti riportiamo qui, sistemiamo la ferita e facciamo due
chiacchiere.”
Gli
parlava per constatare il suo grado coscienza, e con sollievo lo vide
attento alle sue parole.
“Anche
quattro, cara dottoressa.” le rispose Kevin con un lieve
sorriso.
Anche
Emily sorrise, vederlo svegliarsi e parlare la tranquillizzò
molto, quando in macchina poco prima era svenuto così
improvvisamente si era spaventata a morte.
Rachel
mise nuove garze sulla ferita e insieme all’infermiera spinsero
la barella fuori dalla sala, dove ad aspettare c’erano gli
infermieri che aveva portato Kevin dentro l’ospedale.
Emily
uscì dalla sala e fece per seguire Kevin, ma Rachel la fermò
prendendola per un braccio. “No Emily, noi aspettiamo qui. È
questione di pochi minuti, ho già avvisato il mio collega alla
tac, tra poco Kevin sarà di ritorno.” Emily rinunciò
nel suo intento e guardò la barella allontanarsi lungo il
corridoio.
“Come
ti è sembrato? È grave?” domandò seria
alla dottoressa.
“Non
credo ci sia qualcosa di serio, a parte l’ovvio trauma cranico
e la ferita da ricucire. Mi dici cos’è successo?”
Emily
alzò le spalle scuotendo la testa. “Davvero non lo so.
Mi ha avvisata un suo amico, il proprietario del locale nel quale era
andato Kevin. Mi ha telefonato dicendomi che aveva bisogno di aiuto
perché c’era stata una rissa e Kevin era rimasto ferito,
e dato che tale rissa l’aveva provocata proprio Kevin, non
poteva chiamare l’ambulanza perché altrimenti avrebbe
avuto dei problemi.” concluse polemica.
Rachel
fece una risatina. “ Chi, Kevin o lui? Se ne è voluto
lavare le mani!”
“Già,
però anche Kevin non ha voluto che chiamassi l’ambulanza,
mi ha chiesto di accompagnarlo e io non ho potuto fare altrimenti.”
“Forse
l’ha davvero combinata grossa, l’alcool fa parlare e
agire sconsideratamente, avrà pestato la coda alla persona
sbagliata. Comunque avremo modo di chiederglielo.” disse Rachel
con un sorriso.
Emily
non ritenne di raccontarle i suoi sospetti su cosa avesse provocato
la reazione di Kevin, non ne era sicura ma aveva la sensazione che
lui non vedesse l’ora di parlargliene, nel suo sguardo aveva
letto qualcosa di strano, un’inquietudine dolorosa che voleva
nascondere e allo stesso tempo esternare.
“Credo
comunque che sarebbe meglio farlo restare in ospedale almeno per una
notte, con i colpi in testa non si scherza.” considerò
Rachel.
Emily
annuì incrociando le braccia. “Hai ragione, ma ho il
sospetto che Kevin non sarà d’accordo. Se non ha voluto
che chiamassi un’ambulanza non vorrà neanche essere
ricoverato.”
L'altra
donna fece una smorfia. “Lo convinceremo vedrai, vuol fare il
duro ma in realtà è un gigante buono. E anche bello,
visto com’era carino addormentato?”
“Rachel
ma che dici? Ti sembra il momento di parlare di queste cose?”
sbottò esageratamente Emily.
“Perché?
Non faccio niente di male osservando che il tuo amico è bello,
lo direbbe chiunque! A te non sembra?” la provocò.
La
giovane sembrava irritata dal discorso. “Sinceramente non c’ho
pensato, ero troppo impegnata a portarlo da te perché temevo
stesse per morire!”
Rachel
rimase sorpresa dalla sua reazione. “Ehi Emily, io stavo
scherzando, non c’è bisogno di agitarsi così sai?
Sei troppo tesa, guarda che Kevin non è in pericolo di vita,
su questo posso tranquillizzarti. Se fosse stato qualcosa di davvero
grave a quest’ora sarebbe o in coma o morto.”
Emily
si vergognò della propria reazione, avrebbe potuto
semplicemente ridere e lasciar passare, non era certo la prima volta
che Rachel faceva apprezzamenti su Kevin, ma la tensione accumulata
quella notte l’aveva fatta scattare per un nonnulla. “Hai
ragione, ti chiedo scusa. Ci stai aiutando e io ti ringrazio
aggredendoti, è che sono un po’ stressata,
scusami.” disse mesta.
“Non
devi scusarti” le disse posandole una mano sulla schiena “anche
io mi sentirei male se una persona cara mi chiamasse all’una di
notte dicendomi di essere ferito e di aver bisogno d’aiuto. È
comprensibile il tuo stato, ma puoi davvero stare tranquilla, Kevin è
logicamente stordito per il colpo, ma non è grave. Sono certa
che di ritorno dalla tac lo troveremo molto più sveglio e
lucido di quanto non fosse all’andata.”
Emily
si sforzò di sorridere, guardando continuamente verso la
fine del corridoio, impaziente di vedere Kevin di ritorno dai
controlli. Passarono alcuni minuti, trascorsi in silenzio da entrambe
le donne, quando alla fine Emily fece all’altra una richiesta.
“Non…
potremmo avvicinarci?” chiese quasi sottovoce. Rachel sorrise
indulgente e annuì.
Si
avviarono lungo il corridoio, incontrando diverse infermiere e due
medici, indaffarati con i cellulari piuttosto che con le cartelle dei
pazienti. Emily pensò che di dottori dediti al lavoro come la
sua amica ce n’erano pochi, ma stranamente erano tutti più
in alto di lei.
“Visto
quei due barbagianni? Quando sono di turno al pronto soccorso sono
sempre a spasso a non far niente!” disse la dottoressa
stizzita, quasi avesse letto nei pensieri di Emily.
Non
ebbe il tempo di replicare, poiché arrivarono davanti ad una
porta grigia con due piccole finestre oscurate. In alto sulla porta
c’era la scritta TAC e il divieto ai non autorizzati ad
entrare. Ovviamente ignorarono l’avvertimento ed entrarono,
trovando Kevin seduto su di un lettino a testa bassa, mentre più
in là il medico esaminava le lastre appena sviluppate.
Kevin
alzò la testa guardando nella loro direzione, e sorrise quando
le riconobbe.
“Sono
ancora vivo.” sottolineò con ironia guardando Emily. Lei
gli sorrise di rimando e gli si avvicinò, posandogli una mano
sulla spalla. Anche seduto su quel lettino da ospedale era sempre
molto alto, tanto che Emily non gli arrivava che all’altezza
degli occhi.
“Come
ti senti?” gli chiese lei con dolcezza. Kevin la guardò
intensamente negli occhi, desiderando che lei lo abbracciasse forte
per dargli quel conforto di cui aveva bisogno.
“Sto
meglio Emily, non devi preoccuparti più adesso.” rispose
lui, mentendo.
Lei lo
guardò attentamente, accorgendosi che Kevin aveva gli occhi
arrossati come se avesse pianto. Ed era stato proprio così,
mentre la tac passava lentamente sulla sua testa in cerca di lesioni,
non era riuscito a trattenersi e le lacrime erano scese
incontrollabili.
Era
stata una debolezza durata pochi istanti e Kevin riuscì a
ricomporsi in tempo per evitare che quel dottore o le due donne lo
vedessero piangere. Ma Emily lo intuì lo stesso.
“Dagli
occhi non si direbbe, sono arrossati.” Kevin distolse lo
sguardo da quello di Emily.
“Credo
sia normale, ho un mal di testa terribile. Avrò bisogno di
molte aspirine.”
Nel
frattempo Rachel parlò con il collega, concludendo che non
c’era nulla di grave ma convennero sull’idea di
tenerlo sotto osservazione per almeno una notte. La dottoressa
ringraziò il collega e si avvicino ai due che continuavano a
parlare.
“Eccoci
qui ragazzone, come avevo pensato non c’è niente di cui
preoccuparsi. Hai preso un bel colpo che ti ha procurato un piccolo
trauma cranico e un lievissima commozione cerebrale, ma niente di
più.” Kevin rimase pressoché impassibile, mentre
Emily sorrise tirando un profondo sospiro di sollievo.
“Però”
continuò Rachel “crediamo sia meglio tenerti in
ospedale, questa notte. La commozione è lieve, ma c’è
e saremmo tutti più tranquilli se passassi almeno qualche ora
sotto osservazione.” Kevin scosse il capo, muovendosi per
alzarsi dal lettino.
“No,
preferisco andarmene a casa a dormire. Domani starò
benissimo.” assicurò.
Le due
donne si guardarono. “Kevin, non prendere troppo alla leggera
quello che ti è successo. Ha ragione Rachel, resta per una
notte qui.” tentò di convincerlo Emily.
“No,
sto già molto meglio e non voglio né restare qui né
creare altri problemi. Devo solo chiederti se dopo che mi avranno
ricucito questo strappo, potresti accompagnarmi a casa.”
Kevin
era risoluto e parlò con un tono che non ammetteva repliche.
“Bene
giovanotto, ovviamente non possiamo ricoverarti con la forza, quindi
sei libero di agire come meglio credi. Non prima però di aver
dato ago e filo a questa tua testa dura. Quindi ora ce ne torniamo di
là e mi metto all’opera. E visto che si sono
portati via la tua barella, ti toccherà la sedia a rotelle.”
gli disse Rachel mostrandogliela alla sua destra.
Kevin
la guardò e fece una smorfia. “Non sto così male
da finire lì. Provo ad alzarmi.”
Così
dicendo fece leva sulle braccia e si mise in piedi. Vacillò
per un attimo, ma le vertigini era cessate e pensò di essere
in grado di camminare senza finire a terra a peso morto.
Emily
non disse più nulla, lo prese sottobraccio e s’incamminarono
verso la porta, uscirono e percorsero il corridoio lentamente.
Tornarono nella sala per la prima visita e Kevin si sedette su di un
lettino ricoperto da un lenzuolo usa e getta.
“Ti
devo avvertire Kevin, ti farò un po’ male per cui per
favore non picchiarmi. Un gigante come te mi stritolerebbe in mezzo
minuto!” scherzò Rachel indossando un paio di guanti
sterili mentre l’infermiera preparava gli strumenti per la
sutura.
“Come
potrei mai alzare le mani su chi mi cura? E poi questo gigante è
così forte da essersi fatto mettere al tappeto da una
bottigliata in testa.” le rispose Kevin.
Rachel
ridacchiò togliendo la garza che gli aveva applicato poco
prima.
“Caro
mio, a me sembra che qui ci sia passata più di una bottiglia.
Comunque sia, il taglio te l’ha provocato il vetro dopo essersi
rotto contro la tua testa, strisciando fin dietro l’orecchio.
Dovrò raderti un po’ di capelli, ti spiace?” gli
domandò guardandolo.
Kevin
alzò le spalle. “L’importante per me è
andare a casa e mettere la testa sul cuscino. Fai quello che devi
senza preoccuparti di niente.” Era stanco, avvilito e
dolorante, volevo solo uscire da quell’ospedale e tornarsene
nel suo nuovo appartamento. Rachel annuì e assistita
dall’infermiera iniziò quel piccolo intervento. Emily si
allontanò di qualche passo, non riuscendo a guardare
l’espressione sofferente di Kevin mentre Rachel radeva,
disinfettava e poi ricuciva la sua ferita. Gli vide serrare i pugni
ma non si lamentò e non si mosse, restando immobile per quei
pochi minuti che a Emily invece parvero un’eternità.
“Ecco
fatto”, annunciò Rachel “abbiamo messo undici
punti, ma non spaventarti per il numero sono punti molto piccoli e
che si riassorbiranno in poche settimane. Con un po’ di fortuna
la cicatrice non si vedrà nemmeno e ti resterà solo il
brutto ricordo.”
Kevin
sospirò sforzandosi poi di sorridere. “Grazie.”
rispose alla dottoressa.
Poi
guardò dietro di lei cercando Emily ma non c’era.
Proprio quando stava per chiedere dove fosse andata, la vide
rientrare con una bottiglia d’acqua in mano.
“Ho
pensato volessi bere un po’ d’acqua…” gli
disse porgendogli la bottiglia. Kevin la prese ringraziandola, ma
quando si rese conto che Emily lo fissava per capire cos’era
successo, Kevin distolse lo sguardo concentrandosi sulla bottiglia,
l’aprì e ne bevve un sorso.
“Io
invece credo tu abbia bisogno di un buon antidolorifico, e domani di
qualche aspirina. Intanto prendi questo, tra poco il mal di testa si
alleggerirà.” e gli diede un bicchiere di plastica
contenente una grossa pillola bianca. Kevin prese il bicchiere e
mandò giù la pillola aiutandosi con l’acqua,
aveva un forte mal di testa ma ormai era totalmente lucido.
“Adesso
metto una garza sulla ferita, almeno per i primi giorni devi tenerla
coperta e cercare di non bagnarla o dormirci sopra. Una volta al
giorno devi spalmare sulla sutura una pomata che ti prescriverò,
aiuterà la cicatrizzazione e il riassorbimento dei punti,
intesi?” Kevin annuì
“Bene,
adesso per scrupolo voglio controllarti la febbre, se c’è
dovrò farti prendere anche un antibiotico, per sicurezza.”
e gli puntò sulla fronte uno di quei nuovi termometri a
infrarossi.
Dopo
alcuni secondi il termometro lanciò un suono stridulo, Rachel
guardò il display storcendo la bocca. “Hai trentotto e
tre di febbre, ragazzone. Tra mezz’ora dovrai prendere un
antibiotico e se la febbre dovesse aumentare, anche un antipiretico.
Tanto ci penserà Emily a controllarti, sono sicura che non si
muoverà dal tuo fianco.” scherzò guadando la sua
amica che fissava Kevin con aria preoccupata.
Kevin
ridacchiò. “Non ce n’è bisogno, ha già
fatto tanto per me questa notte, non deve farmi da infermiera…”
si affrettò a dire l'uomo cercando di apparire tranquillo e
sereno.
Emily
pensò che stesse fingendo, non era nè tranquillo nè
sereno e piú si sforzava più lei capiva il contrario.
“Vedrò
di fargli prendere ciò che sarà necessario, Rachel.”
assicurò in tono deciso. Poi si rivolse all’uomo. “
Non vuoi restare in ospedale, ma ti toccherà sopportare me per
questa notte.” Kevin non replicò, intimamente felice di
sapere che Emily sarebbe rimasta con lui quella notte: non voleva
restare da solo con se stesso.
"Sicuro
di non voler restare qui per questa notte? Gli ospedali non sono un
bel posto ma se si tratta della salute bisogna adattarsi."
insistette Rachel per l'ultima volta.
Kevin
scosse il capo. "Ti ringrazio, ma preferisco andare a casa.
Ammetto di essere stato molto confuso prima, ma adesso sto meglio e
voglio andarmene." rispose con un sorriso alla donna.
Rachel
annuì dandogli una leggera pacca sulla schiena. Kevin
sussultò, sorpreso dalla sensazione dolorosa provata.
"Scusami, non pensavo di essere così forte." disse
Rachel ritraendo subito la mano. Le due donne si guardarono
perplesse.
"Non
preoccuparti... non è niente..." cercò di spiegare
lui per nascondere la verità.
Emily
invece aggirò subito il lettino intuendo che la reazione
di Kevin non era dovuta certo alla forza di Rachel, gli sollevò
la giacca e poi il maglione , scoprendogli la schiena per intero.
"Oh
mio Dio, Kevin! Ma cosa ti hanno fatto?" esclamò Emily
allibita.
Rachel
la raggiunse e guardò ciò che aveva appena visto la sua
amica.
Due
grandi lividi segnavano la pelle di Kevin, dalle scapole al centro
della schiena, segni di un violento colpo.
"E
questo quando avevi intenzione di dircelo?" lo rimproverò
la dottoressa.
"Non
lo ricordavo... nella mischia è volato di tutto, e qualcuno mi
avrà colpito con qualcosa."
Emily
non disse nulla, lasciò gli indumenti di Kevin e tornò
di fronte a lui, guardandolo negli occhi. Voleva chiedergli
perché tutta quella violenza, ma temeva di conoscere già
la risposta e non l'avrebbe sopportata.
Kevin
evitava di ricambiare il suo sguardo, si vergognava profondamente
soprattutto perché sentiva che lei aveva capito o anche solo
intuito che c'era Jennifer dietro quella brutta storia. Sperava non
avesse capito che aveva provocato la rissa con il proposito di farsi
ammazzare.
"Emily
tesoro, stai bene?" le chiese Rachel vedendola impallidire.
"Sì
certo, sono solo preoccupata..." rispose senza guardarla,
continuando a fissare Kevin che non ricambiava il suo sguardo,
confermandole i suoi sospetti.
"Voi
maschietti avete il brutto vizio di voler misurare la vostra forza
con la violenza, quand'è che imparerete a usare la parola? Non
siamo piú nella preistoria.." lo rimproverò Rachel
mentre gli medicava la schiena con un gel decongestionante.
"Se
dovessi avvertire dolori molto forti, torna subito qui così
facciamo delle lastre, per ora le eviterei visto che ti sei già
sottoposto ad una tac. Comunque credo che non sia niente di serio, la
tua fortuna è che ti hanno colpito dove la schiena è
più protetta dai muscoli causandoti solo contusioni, se ti
avessero preso lateralmente avrebbero colpito i reni e avresti avuto
problemi molto più seri. Che ti serva da lezione, ragazzo mio,
comportati bene d'ora in poi."
Rachel
era l'unica a parlare, sia Emily che Kevin restavano in silenzio,
ammutoliti da qualcosa che sapevano soltanto loro due.
“Allora,
c'è qualche altro livido che dovrei vedere o va bene così?”
gli chiese Rachel.
“No,
è tutto. Non ho più niente da farmi curare."
Rachel
sorrise e si voltò per prendere qualcosa dall'armadietto
dietro di lei. In quel momento Emily prese le mani di Kevin e le
guardò con attenzione. Non c'era niente sul dorso e nel palmo
di quelle mani, nessuna escoriazione o livido: non si era difeso.
Che
cosa aveva fatto? Com'era possibile che un uomo come lui, molto più
alto e forte della maggior parte degli uomini, avesse subito
un'aggressione feroce come quella senza difendersi? Voleva
farsi uccidere a furia di botte, era realmente successo questo? Era
orribile.
Lo
guardò negli occhi stringendogli le mani, e Kevin si sentì
morire quando vide quelli di Emily riempirsi di lacrime, lei non
doveva piangere a causa sua, non poteva farla soffrire anche lui.
L'uomo
ritrasse le mani da quelle di Emily distogliendo lo sguardo, mentre
lei rimase con le mani a mezz'aria incapace di mettere completamente
a fuoco quella terribile verità.
“Sono
sicura che la schiena ti darà filo da torcere, anche se non
c'è niente di rotto, per cui ti consiglio di mettere questo
gel da applicare localmente e questi antidolorifici.” gli disse
Rachel consegnando le scatole di medicinali a Emily. Poi prese un
blocchetto per le prescrizioni e iniziò a scrivere. "Segui
le mie indicazioni e in pochi giorni starai di nuovo benone."
concluse staccando un foglietto che porse a Kevin.
Quando
lui lo prese, Rachel notò che non c'erano abrasioni né
su quella mano né sull'altra, com'era possibile? Lanciò
un'occhiata a Emily, accorgendosi che era sul punto di piangere.
In un
attimo comprese il perché di entrambe le cose.
“Ti
ringrazio Rachel, e scusami per tutto il disturbo che ti ho causato.”
si scusò Kevin con un sorriso.
La
dottoressa scosse il capo. “Lascia perdere, questo è il
mio lavoro. Spero solo di non doverti soccorrere più.”
Kevin
annuì alzandosi dal lettino, guardò Emily solo per un
istante, e poi distolse nuovamente lo sguardo.
“Ti
dispiace darmi un passaggio fino a casa?” le chiese guardando
altrove “a piedi sarebbe complicato..”
La
ragazza annuì ma non disse nulla, era ancora... troppo scossa.
Non riusciva a crederci, sperava di aver capito male.
Salutarono
la loro amica e uscirono dall'ospedale, Kevin sentiva ancora un
ronzio nelle orecchie e la ferita pulsava leggermente, ma la cosa che
più gli faceva male era la vergogna per quello che era
successo, soprattutto perché Emily l'aveva capito.
Salirono
in macchina e ripartirono, senza dire una parola.
a/n:
Perdonatemi! Nemmeno ricordavo di aver scritto così tanto!
Spero abbiate ancora pazienza e non mi abbandonerete *__*! grazie a
tutte le 41 persone che hanno aggiunto questa storia tra i
preferiti/seguiti/ricordati, non l'avrei mai detto <3 e un
particolare grazie alle assidue recensitrici (eh??) Dada88, nana_86,
Vichy90, xsemprenoi+pirilla88, e TheDreamerMagic che anche se
ultimamente non ha recensito, lo ha fatto in precedenza <3! Grazie
anche a chi legge senza recensire!
Spoiler!
Prossimamente:
1)Che
fine hanno fatto Frank e Jennifer? Il loro idillio è già
al capolinea e una certa stronza (scusate il francesismo *_*) tenterà
di tornare all'ovile...come? Ma stronzinamente, nel suo stile no?
2)Quando
sa che Kevin vuole andare a vivere in Francia, Emily corre a fermarlo
e finalmente la smettono di girarsi intorno a ci danno dentro
selvaggiamente (passeranno più tempo orizzontali che
verticali XD)
In
quale ordine tutto ciò, non ci è dato sapere ;)
Quando
arrivarono in quel piccolo appartamento al pianterreno, erano passate
le tre di notte. Non solo c’era silenzio nel modesto palazzo e
in quelle tre stanze da single. C’era un profondo silenzio
anche tra Kevin ed Emily, un silenzio carico però di
eloquenza.
Non
avevano scambiato neanche una parola, chiusi in un mutismo del quale
entrambi conoscevano la ragione.
Lei
era sconvolta nel vedere come un uomo forte in tutti i sensi come
Kevin, si fosse fatto piegare da una donna come quella a tal punto da
desiderare, probabilmente, di morire.
Lui
era furioso con sé stesso per quello che aveva fatto,
rischiare di farsi ammazzare in un bar come un delinquente, e per
aver trascinato Emily in quella storia indecorosa. Si era comportato
da irresponsabile, perché lui non voleva morire. Non davvero,
almeno.
Ma
quando si era sentito totalmente solo, privo di sostegno e volontà
di andare avanti, aveva desiderato di non vivere più. E non
era neanche ubriaco, aveva bevuto un po’ più del solito,
ma era lucidissimo.
Come
lo era ora, l’unico fastidio che sentiva era il mal di testa e
un lieve dolore alla schiena. E poi tanta amarezza, ovviamente.
“Come
ti senti?” gli domandò Emily posando la propria borsa su
una sedia.
Kevin
la guardò di sfuggita. “Sono stato meglio, ma non posso
neanche lamentarmi. La medicina che mi ha dato la dottoressa è
miracolosa..”
Lei
annuì seria, fissandolo senza essere ricambiata. “Bene..”
mormorò.
“Emily…
non c’è nessun bisogno che tu stia qui… io sto
bene adesso, sul serio..” le assicurò, quando era
abbastanza evidente che non stava affatto bene. Non fisicamente,
perché in effetti non sembrava stesse particolarmente male, ma
di certo stava male emotivamente.
“Non
ce n’è bisogno, ma io voglio stare qui” obiettò
la donna “se per te non è un problema, ovviamente…”
Il
tono della sua voce era strano, quasi… arrabbiato. In effetti
era un po’ arrabbiata, ma più che altro era triste.
“Okay”
sospirò lui “ti ringrazio… era solo per…
non costringerti a stare con me…” le disse togliendosi
la giacca.
Io
vorrei stare con te. .sei tu che tenti di escludermi,
pensò Emily con tristezza.
“Scusami
…” disse l’uomo dirigendosi verso il bagno.
Aprì
il rubinetto e si sciacquò il viso, lavando via le tracce di
sangue che ancora gli macchiavano la pelle. Poi si tolse il maglione,
avvertendo una fitta alla schiena nell’alzare le braccia.
Scosse il capo nel vedere che razza di guaio aveva causato a sé
stesso, il sangue era colato lungo il collo fino petto, formando
delle striature cremisi, avrebbe volentieri fatto una doccia ma pensò
che probabilmente la schiena non sarebbe stata d’accordo. E
neanche quella testaccia dura che si era fatto rompere di proposito.
Sospirò
e prese una spugna.
Sentì
un leggero bussare alla porta del bagno. “Kevin?” lo
chiamò Emily.
“Sì…
va tutto bene…” rispose mentre bagnava la spugna.
La
giovane aprì lentamente la porta e lo trovò di fronte
alla specchio, a petto nudo, che tentava di lavarsi via il sangue di
dosso.
Si
guardarono nello specchio e di nuovo fu Kevin ad abbassare lo sguardo
per primo. Non ce la faceva a guardarla, l’imbarazzo era
troppo.
Emily
si avvicinò andandogli di fianco, costringendolo a guardarla.
“Continui ad evitare i miei occhi” gli disse quasi
sottovoce “perché?”
L’uomo
scosse lentamente il capo, guardando nel lavandino striato di rivoli
rosso pallido.
“Non
ce la faccio a guardarti.” confessò.
“Perché?”
ripeté lei posandogli una mano sul braccio.
“Perché
mi vergogno di me stesso…” mormorò infine, a
testa bassa, stringendo nelle mani quella spugna.
Lei
allora gliela prese dalle mani e lo fece girare verso di sé.
“Lascia che ti aiuti…”
Bagnò
la spugna e la strizzò, per poi iniziare a passarla sul petto
di Kevin, delicatamente, quasi come una carezza. Lui la lasciò
fare, guardandola in silenzio. Emozioni contrastanti lo confondevano.
C’era
ancora l’avvilimento, la vergogna, la rabbia. Ma sentiva anche
la tenerezza di quella cura che Emily aveva per lui, quel suo tentare
dolcemente di farsi dire cos’era successo senza fargli domande
insistenti.
Pensò
amaramente che quella sarebbe stata la donna giusta per lui,
amorevole, sensibile, dolce. Una donna che avrebbe saputo prendersi
cura di lui, anche lavando via il sangue delle ferite che si era
fatto infliggere di proposito, se necessario.
Lentamente,
senza accorgersene, si abbracciarono.
Emily
posò la guancia contro il suo petto, mentre lui la strinse
forte fin quasi a farle male.
“Che
cosa hai fatto, Kevin? Cosa avevi intenzione di fare?” gli
domandò stretta a lui.
Kevin
deglutì, ma non aveva il coraggio di rispondere. Sciolse
quell’abbraccio e tornò in camera, sedendosi sul letto e
nascondendo il viso tra le mani. Lei lo raggiunse.
“Ti
sei fatto picchiare, vero? Non è possibile che ti abbiano
sopraffatto così… lo hai fatto di proposito…”
L’uomo
alzò lo sguardo su di lei ed annuì. “Per un
attimo…. ho pensato di farmi uccidere…” svelò
finalmente, liberandosi di un peso.
Emily
lo aveva sospettato, ma sentirglielo dire l’atterrì.
Iniziò a piangere e avvicinandosi, gli tirò uno
schiaffo in faccia, incurante del fatto che aveva appena subito una
sutura.
“Sei
impazzito? Morire per quella donna? Non merita niente, e sicuramente
non la tua vita!” gli urlò in faccia.
“Sto
male Emily.. sto davvero male…” si giustificò lui
scuotendo mestamente il capo “e allora io…”
“Io
cosa?” lo interruppe la donna “ti fai spaccare la testa e
tanti saluti? Sai che avrebbero potuto ammazzarti sul serio? Tu sei
un irresponsabile, un idiota irresponsabile!”
La
rabbia che lei provava era mista a dolore, non poteva sopportare di
vedere un uomo distrutto da una donna come Jennifer, non sopportava
di vedere Kevin distrutto da quella donna. Perché
vederlo in quello stato di abbandono, non faceva che aumentare quei
sentimenti assurdi che nutriva per lui.
“Io
non ho più niente Emily! Non mi è rimasto niente!”
recriminò lui.
“Hai
la tua vita! Santo Dio Kevin!” gemette passandosi le mani nei
capelli “Morire per quella donna? Gettare la tua vita per lei?
Io non capisco.. io...” si coprì gli occhi con una mano
e pianse più forte.
“Mi
dispiace piccola” sentì dire all’uomo con la voce
rotta dal pianto “Non volevo farti vedere questo spettacolo
vergognoso…”
Emily
lo guardò e vide che stava piangendo, col capo chino in avanti
e una mano sulla fronte. La testa gli scoppiava e desiderava solo
che… lei lo confortasse.
“Mi
vergogno come un ladro” ammise senza guardarla “sto
piangendo come un ragazzino ma… non posso farne a meno. So di
aver fatto una sciocchezza, io non volevo morire sul serio…
ma.. a volte può capitare di cadere tanto in basso da
desiderare di non rialzarsi più…”
La
giovane gli prese il viso tra le mani. “Ma non puoi farlo! Non
per lei! Non merita il tuo amore né tanto meno il tuo dolore!
Neanche le tue lacrime…” gli disse accarezzandogli le
guance.
Kevin
la guardò con occhi tristi. “Io non piango per lei…
ma per me…” le rispose “non ho niente, nessuno. Ho
quasi quarant’anni e non ho una famiglia, una vera casa o un
lavoro… sono dannatamente solo… lo sono sempre stato ma
adesso.. fa più male…”
“Oh
Kevin!” e lo abbracciò, lasciando che lui posasse il
viso sul suo seno, stringendola forte.
“Io
volevo solo essere amato, sai? Volevo solo… una famiglia. Una
moglie che mi amava e. .dei figli.” fece una pausa e sospirò.
“Io volevo un figlio, ma lei non era d’accordo. Io ho
accettato tutte le sue condizioni, tutte. Ho sopportato la sua
prepotenza e me ne pento da morire…” si sfogò.
Lei
lo ascoltava in silenzio, versando lacrime di tristezza per
quell’uomo che in pratica neanche conosceva, ma che, lo capì
in quel preciso momento, aveva iniziato ad amare.
“Non
sei solo Kevin” gli sussurrò “anche se non è
un granché, ci sono io….”
La
strinse più forte tra le braccia e sospirò. “Non
avrei dovuto perderti di vista, dopo averti tirato fuori dall’acqua”
le disse d’impulso “avrei dovuto aspettare che tu
crescessi… che diventassi adulta, e poi avrei dovuto sposarti.
Tu mi avresti amato davvero….lo sento da come mi abbracci e mi
parli… se fossi stata la mia donna, ora saremmo felici
insieme….”
Emily
restò senza parole, nessuno le aveva mai detto una cosa così
dolce, nessuno l’aveva fatta sentire così importante. Ma
che significava? Che anche lui provava ciò che provava lei?
“Ma
adesso sono qui….” gli disse facendogli sollevare il
viso “non sei da solo…”
La
guardò intensamente negli occhi, alzò una mano e le
accarezzo il viso. “Perdonami per tutto questo… ti ho
trascinato nel baratro con me.”
Lei
scosse il capo. “Smettila Kevin. Non devo perdonarti nulla e
non mi hai trascinata da nessuna parte” obiettò convinta
“io piango solo perché mi addolora vederti soffrire
così, e mi fa.. orrore pensare a cosa voleva fare. E anzi devi
giurarmi, giurarmi veramente, che non lascerai più che quella
donna e tutto quello che la riguarda, ti buttino giù così.”
gli disse più seria che mai.
“Io
ti capisco” continuò con dolcezza “ti senti..
vuoto, impotente. Come se ti avessero… tolto tutto quello che
avevi. E ti senti sprofondare…”
“Ma
è così, mi ha tolto tutto. Ma non adesso” ribatté
Kevin “fin dal primo giorno con lei, è stato così.
E io gliel’ho lasciato fare…”
“E’
questo che ti stare così male?” gli domandò
posandogli le mani sulle spalle “pensare che gliel’hai
lasciato fare?”
Lui
annuì accennando un sorriso amaro. “Sì,
soprattutto questo” ammise “io ero consapevole di chi
avevo di fronte, ma non ho combattuto. E ora mi ritrovo così,
a piagnucolare scaricando su di te i miei problemi.”
La
giovane donna gli prese il mento tra le dita. “Sfogarsi non
significa piagnucolare, e non è chiedendo conforto che si
scaricano i propri problemi sugli altri. Ti sto solo abbracciando e
ascoltando, niente di più.” gli disse.
“E’
più di quanto lei abbia mai fatto in sedici anni” le
confessò “non immaginavo neanche che una donna potesse…
regalarmi tutta questa dolcezza. È vero, cercavo conforto…”
fece una pausa e si schiarì la voce “e tu me lo stai
dando, più di quanto tu creda.”
“Anche
se ti ho tirato uno schiaffo?” gli domandò con un
sorriso.
Lui
annuì. “Me lo meritavo tutto, e anche di più.
Perché hai ragione, mi sono fatto sopraffare da ciò che
mi è piombato addosso senza reagire neanche un po’,
semplicemente ignorandolo. E così facendo, mi ha schiacciato.
Ma questa storia finisce stanotte, ora basta” affermò
serio “io non posso andare avanti così, io devo
rialzarmi. Te lo giuro Emily, non mi vedrai più così.”
Emily
fece un grande sorriso e annuì. “Bene. Farai meglio a
mantenere il tuo giuramento, perché altrimenti ti prenderò
di nuovo a schiaffi.”
“Beh…
a dire il vero mi è sembrata più una carezza che uno
schiaffo, prima. Ma farò finta di essere spaventato..”
scherzò, finalmente.
“Dovresti
metterti qualcosa addosso” gli disse Emily, sentendosi
improvvisamente in imbarazzo “fa un po’ freddo.”
Kevin
annuì e fece per alzarsi, ma una fitta alla schiena glielo
impedì, facendolo gemere.
“La
schiena eh? Mi sembrava strano che non ti desse fastidio.”
disse lei avvicinandosi alla cassettiera.
“Dove
tieni, maglie, maglioni e quant’altro?” domandò.
“Proprio
lì” rispose l’uomo indicando la cassettiera al suo
fianco. Emily aprì il primo cassetto e trovo una felpa grigia,
la prese e tornò da Kevin. L’aiutò ad indossarla
e poi lo fece stendere sul letto.
“Come
stai? Fisicamente, intendo…” gli chiese.
Lui
gesticolò in aria. “Mal di testa e di schiena… un
po’ di nausea. Ma tutto questo passerà, non è
certo la prima volta che le prendo….”
Anche
se l’ultima volta avevo undici anni,
pensò. Ma lo tenne per sé.
“Prova
a dormire Kevin, domani ti sentirai molto meglio vedrai. In tutti i
sensi.”
“So
che ti sembrerà una proposta indecente pur non essendolo”
le disse tra l’ironico e l’imbarazzato “ma ti va di
dormire accanto a me?”
Lei
ci rifletté su per un attimo, ma poi annuì. “Almeno
che io non voglia dormire su una sedia, credo di non avere scelta.”
Si
distese accanto a lui e coprì entrambi con una coperta. Kevin
l’attirò a sé abbracciandola. “Giuro che
farò il bravo…”
Emily
ridacchiò. “Stupido.”
“Grazie,
per tutto quanto..” le disse sospirando.
“Di
nulla.” rispose posando la testa sul suo torace.
Ascoltò
a lungo i battiti del suo cuore, forti e piuttosto rapidi. Le piaceva
stare lì, accanto a lui, abbracciata a lui. Quella che aveva
iniziato a provare per Kevin, era amore.
E
ciò la spaventava da morire, soprattutto perché lui era
ancora preso, probabilmente innamorato, della moglie. Sospirò
e si addormentò, convinta che avrebbe dovuto farsi passare
quel sentimento nato inaspettatamente.
Kevin
si addormentò molto tempo dopo, forse un’ora o anche
più. Era stanco ma lo stress era troppo per riuscire a dormire
tranquillamente.
Inoltre,
averla tra le braccia lo inquietava. Stava male, era ferito in tutti
i sensi, ma stringerla gli faceva battere più forte il cuore.
a/n:
scusatemiiiiiiiiii so che ho fatto passare tantissimi giorni...
ma è un periodo particolare per me! Spero che questo capitolo
vi sia piaciuto almeno un po', o che almeno non vi abbia fatto
schifo! Come sempre, ringrazio tutti quelli che leggono (42) e le
deliziose ragazze che recensiscono e che mi hanno votato! Siete
magnifiche, grazie! <3
Emily si svegliò qualche ora dopo, ancora stretta a lui. Praticamente
non si erano mossi, come si erano addormentati così erano in quel momento. Kevin
dormiva profondamente, ma l’espressione del suo viso tradiva una certa
sofferenza anche nel sonno.
Gli toccò gentilmente la fronte e la trovò alquanto calda,
probabilmente aveva ancora la febbre. Ma non voleva svegliarlo, aveva bisogno di
dormire e riprendersi. Quello che aveva fatto la notte prima era stata una
sciocchezza, anzi no, una cazzata.
Tentare di farsi ammazzare per quella donnaccia? Un uomo come Kevin?
Ancora non riusciva a crederci.
Sospirò e lentamente si staccò da lui, alzandosi dal letto. Abbassò lo
sguardo sul proprio polso accorgendosi di non avere l’orologio, sbuffò e si
guardò intorno, individuando un orologio sulla cassettiera. Si avvicinò a passi
lenti e lo prese tra le mani, avvicinandoselo al viso per poter leggere l’ora.
Quasi le otto.
“Maledizione” bisbigliò irritata, da lì a poco più di un’ora doveva
essere al lavoro.
Cercò la propria borsa e quando la trovò, a terra, la prese e cercò al
suo interno un pezzo di carta e una penna. Scrisse un breve messaggio per Kevin
e glielo lasciò accanto all’orologio. Poi si riavvicinò al letto ed allungò una
mano verso di lui per fargli una carezza sul viso. Ma fermò la mano a mezz’aria
e lasciò perdere, non voleva svegliarlo.
Ritirò la mano e si voltò per andarsene. Aprì con cautela la porta ed
uscì, richiudendosela alle spalle.
In realtà non l’aveva sfiorato soprattutto per un’altra ragione. Kevin
apparteneva ancora a quella… maledetta donna. In un modo o nell’altro Jennifer
condizionava la sua vita e Emily non voleva illudersi di nuovo, facendo sogni
che poi si sarebbero infranti contro il muro della realtà.
Era impossibile non innamorarsi di lui, Kevin ai suoi occhi era il
compendio di tutto ciò che la maggior parte delle donne voleva, follia
improvvisa a parte, ovviamente. Era bello, forte e simpatico. Poi intelligente,
sensibile e … sì, anche quell’impulsività e quella gelosia spesso piaceva alle
donne.
Sicuramente piaceva a lei. Lui era tutto quello che non era Frank, che
si era dimostrato sempre poco sensibile o geloso o… passionale.
Emily ne era sicura, Kevin metteva passione in tutto quello che faceva,
bastava guardare come si muoveva per capire cosa…
Scrollò il capo come per togliersi quei pensieri dalla mente e salì in
macchina.
Tra lei e Kevin non ci sarebbe mai stato nulla che non fosse amicizia,
lo sapeva benissimo. Non si erano conosciuti per caso in un bar o in una
libreria o mentre compravano il giornale. L’aveva conosciuto quando, furioso,
aveva deciso di picchiare a sangue Frank perché andava a letto con sua moglie.
Sorrise tristemente e mise in moto. Aveva quasi totalmente dimenticato
Frank, e non come fidanzato: proprio come persona. Era questo che la sorprendeva
e le faceva capire che forse quello che provava per Kevin era pericolosamente
forte.
Fino a pochi mesi prima era più che convinta che Frank sarebbe stato
l’uomo della sua vita, era convinta di amarlo. Ma lentamente stava capendo che
forse non era così innamorata. Non c’entrava Kevin, o meglio non solo lui. Si
era semplicemente resa conto che dopo un paio di settimane di sdegno, di rabbia
e umiliazione, il dolore aveva iniziato ad alleggerirsi fino a scomparire.
Il vero amore fa male, Kevin ne era la prova vivente, erano passati
mesi eppure lui era ancora a pezzi.
Lui era stato veramente innamorato di sua moglie, e probabilmente lo
era ancora altrimenti non avrebbe tentato di farsi ammazzare. Il suo dolore era
ancora grande, Emily… non aveva speranze.
Nascose il viso tra le mani e scoppiò a piangere, realizzando
all’istante di essersi cacciata nei guai.
Era innamorata, ma pesantemente, perché più pensava a Kevin disperato
per la moglie, più lei piangeva disperata.
Si asciugò le lacrime dal viso e si diede della stupida, non aveva
quindici anni, come aveva potuto caderci così? Aveva sbandierato ai quattro
venti quanto fosse inconsolabile per il tradimento di Frank e ora si era già
innamorata di un altro uomo?
“Scema.. scema che non sono altro..” disse a sé stessa allontanandosi
da lì.
Ma non poteva farci niente, ormai era successo. Si era lasciata
conquistare da quella personalità complessa ma adorabile, ma aveva fatto tutto
da sola, perché Kevin non le aveva mai fatto intendere che provasse qualcosa di
diverso che non fosse semplicemente amicizia.
Sì, si era sempre e solo comportato da amico, a volte anche un po’
timido.
“Un amico… niente più.” mormorò sospirando e accese la radio.
/-----/
Quando si svegliò, Emily era già andata via. Non trovarla accanto a sé
gli procurò una fitta di delusione, era stato bello dormire con lei tra le
braccia e ora che non c’era gli mancava.
Si alzò lentamente dal letto perché gli girava la testa, si guardò
intorno e sì, era decisamente andata via.
Sospirò e scosse il capo, pensando che avrebbe potuto svegliarlo e non
andarsene via in silenzio. Si avvicinò alla cassettiera e notò il biglietto, lo
prese e lo lesse mentalmente:
-Buongiorno! Come stai? Spero
che il mal di testa non ti tormenti troppo ma sospetto che sarà così almeno per
un giorno o due. Devo assolutamente scappare, tra un’ora devo essere al lavoro.
Ti chiamo più tardi, abbi cura di te, non bere e non fare a botte! E prendi
un’aspirina, anzi no facciamo tre!-
Baci,
Lily.-
“Lily?” ripeté sorridendo. Così il suo nomignolo era Lily… adorabile,
esattamente come lei.
Ripiegò il messaggio e lo rimise lì dove l’aveva trovato, sotto al
proprio orologio. La delusione provata prima per l’assenza di Emily era sparita,
ora era stranamente sollevato.
Non felice, perché non poteva esserlo dopo l’immane stronzata che aveva
fatto la notte prima. Gli sembrava di aver vissuto un brutto e grottesco incubo,
non poteva davvero essere stato lui.
Eppure la testa fracassata e la schiena a pezzi, gli dicevano che
effettivamente era stato lui a provocare gli avventori del pub di Johnny per
scatenare una rissa e, possibilmente, rimanerci secco.
Oddio, aveva tentato di farsi ammazzare? Sul serio? Ma lui voleva
vivere, altrochè! Ora più che mai.
Non era solo, c’era Lily con lui.
Fece una doccia stando attento a non bagnare la ferita alla testa, si
vestì e si preparò del caffé. Poi buttò giù due aspirine con la speranza che
avrebbero messo a tacere per un po’ il suo martellante mal di testa.
Dopodichè prese il cellulare e chiamò Emily.
“Ehi, mi hai lasciato solo stamattina!” esordì quando lei rispose dopo
il terzo squillo.
“Oh mi spiace, hai avuto paura?” lo prese in giro la ragazza
“Un po’ sì” rispose Kevin “mi sono svegliato e non c’eri accanto a me…
ci sono rimasto male.”
Seguì un breve silenzio, poi Emily riprese a parlare. “Povero
piccolo… come va la testa?”
Kevin si massaggiò la fronte. “Insomma, martella un po’ ma sinceramente
pensavo peggio. Grazie ancora… Lily.”
“Di.. di nulla figurati, però ti prego di non farlo più, ne abbiamo
parlato stanotte mi pare, no?”
Lui annuì. “Oh sì, puoi stare tranquilla. Credo che sbagliare sia
umano, ma solo una volta. Con quella storia ho chiuso stanotte.”
“Bene, ora scusami devo andare Kevin… ci sentiamo, okay?”
Kevin ebbe la sensazione che Emily avesse fretta di terminare la
conversazione.
“Tutto bene?” le domandò.
“Sì certo, io sì” rispose con voce squillante “perché me lo
domandi?”
“Era una semplice domanda… allora a presto Emily, buon lavoro.”
“A presto e riguardarti!”
Kevin riattaccò con la spiacevole sensazione che Emily fosse in qualche
modo arrabbiata o delusa, qualcosa del genere.
Beh a dire il vero, ne aveva tutte le ragioni. Le aveva telefonato
all’una di notte chiedendole di aiutarlo, forse anche lui avrebbe reagito così.
Sì, ma poche ore prima non era arrabbiata.
Trasse un profondo sospiro e decise che, mal di testa permettendo, nel
pomeriggio sarebbe andato da lei. Con un taxi, però. La sua macchina era davanti
al pub e oltretutto non se la sentiva di guidare. Voleva chiederle ancora una
volta scusa e dirle grazie, per tutto quanto.
Ma prima, decise di fare qualcos’altro.
Aveva l’impressione di avere un concerto in testa, era indolenzito dal
collo alla vita, ma era lucido finalmente e sapeva cosa fare per iniziare
davvero a voltare pagina. Il giorno prima la goccia che aveva fatto traboccare
il vaso era stato l’imbroglio ai suoi danni che gli avrebbe fatto perdere molti
soldi nella vendita della sua casa.
Bene, aveva intenzione di recedere dal contratto con quell’agenzia. E
poco gli importava se c’era una penale da pagare, non si sarebbe fatto fregare
così senza reagire. Jennifer voleva punirlo per qualcosa che era solo nella sua
testolina viziata e lui non era più il suo obbediente schiavo.
Aveva rischiato di morire per colpa sua, ma per fortuna non era
successo. Voleva cambiare sul serio e riprendersi la sua vita, soldi compresi.
Cercò, e trovò, il numero dell’agenzia e dopo essersi preparato
mentalmente cosa doveva dire, compose il numero.
“Sì, pronto signor Darcy, sono Kevin Duval. Dovremmo parlare.”
“Buongiorno signor Duval, mi dica tutto!”
Kevin accennò un sorriso. Sì, ora gli avrebbe detto tutto.
/-----/
Lily.
Che suono particolare aveva pronunciato da lui. Non aveva mai amato
quel nomignolo, ma detto da Kevin era… diverso.
Non si era comportata bene con lui al telefono, aveva alternato
interesse e freddezza e lui se ne era accorto.
“Ehi Porter, tutto bene?” le domandò un collega passando davanti la sua
scrivania. Lei lo guardò e annuì semplicemente.
Ma non andava per niente bene, aveva una gran confusione in testa ed
era stanca. Aveva dormito poco anche se molto… bene. Cioè male perché non era a
casa sua, aveva dormito vestita, e…
Chi voleva prendere in giro? Dormire tra quelle braccia era stato
stupendo, avevano assunto la posizione che ti solito si assume dopo aver fatto
l’amore, lui che la cinge col braccio e lei che posa il capo sul suo petto.
E poi quelle parole. Le aveva detto che con lei sarebbe stato felice e
forse aveva ragione. Lei non l’avrebbe mai fatto soffrire così, se ne sarebbe
presa cura. L’avrebbe amato, semplicemente.
Ecco, lo stava rifacendo!
Eppure non leggeva romanzi rosa, non guardava molti film romantici,
anzi praticamente nessun film romantico. Perché continuava a fantasticare così?
Non ci sarebbe mai stato nulla tra lei e Kevin che non fosse amicizia, doveva
metterselo in testa.
Solo amici.
E come amica non si era comportata bene dieci minuti prima, quando lui
le aveva telefonato per ringraziarla. Lo avrebbe richiamato, Sì. magari non
subito, nel pomeriggio.
Sospirò e tornò a lavorare al computer.
a/n: E rieccomi finalmente! Sì lo so, sono
imperdonabile, quasi un mese dall'ultimo aggiornamento! Ma proprio non potevo
dedicarmi a questa storia, alla quale tengo molto. Questo capitolo non è un
granché lo so, ma spero che possa avervi comunque allietato. In attesa di
sviluppi più intensi, vi spoilero giusto un po': ci sarà una gravidanza O__o!!
Di chi? Vedremo ;) Baci e spero che continuiate a seguirmi!
Aveva
un forte mal di testa e aveva già preso il numero massimo di
aspirine per quel giorno. Doveva rassegnarsi a conviverci per un po’,
dopotutto gli avevano quasi spaccato la testa, era normale avere
dolori.
Ma
questo non lo persuase dall’andare da Emily quel pomeriggio,
dopo aver sistemato alcune cose che riteneva fondamentali per poter
davvero ricominciare da zero.
Uscì
di casa verso le 17:00 e prese un taxi, visto che la sua macchina era
ancora parcheggiata dove l’aveva lasciata la notte prima e non
aveva nessuna voglia di andare a riprenderla.
Erano
anni che non prendeva un taxi, si sentì quasi in imbarazzo. Ma
sopportò placidamente la sensazione di disagio e arrivò
da Emily circa venti minuti dopo.
Suonò
il campanello e la porta si aprì pochi istanti dopo.
Sicuramente aveva guardato dallo spioncino altrimenti non avrebbe mai
aperto senza domandare chi fosse.
“Kevin!
Che ci fai qui?” gli domandò lei sorpresa.
Lui
sorrise e fece spallucce. “Volevo vederti” rispose
sincero “e ringraziarti di persona.”
Così
dicendo le mostrò cosa aveva in mano. Tre rose avvolte in una
scintillante carta dorata: una blu, una bianca e una rossa.
Riproduceva florealmente la bandiera della Francia.
Emily
guardò quelle rose a bocca aperta e poi sorrise arrossendo un
po’. “Non… dovevi...” farfugliò
guardandolo negli occhi.
“Infatti
non dovevo, ma volevo” ribattè Kevin “è…
una sciocchezza, troppo poco per una donna come te. Ma spero tu
voglia comunque accettare questo piccolo, insignificante regalo.”
La
giovane donna sorrise di nuovo e prese quelle rose dalle sue mani,
tremando leggermente. Sperò con tutto il cuore che lui non se
ne accorgesse. Quell’uomo era di una… dolcezza
disarmante, e a lei piaceva da morire.
Ma
allo stesso tempo, sapeva che qualsiasi cosa lei nutrisse per Kevin,
doveva necessariamente farsela passare. Soffocarla finché non
fosse morta. Ma ciò non le impediva di essere sua amica, no?
“Vieni
,accomodati” lo invitò “come stai?” aggiunse
subito dopo.
Kevin
entrò e richiuse la porta alle sue spalle. “Psicologicamente
o fisicamente?” chiese a sua volta.
Lei
lo guardò e sorrise. “Mi interesserebbe sapere di
entrambe le componenti.” rispose.
Andarono
in salotto e si sedettero sul divano, Emily posò le rose sul
tavolino di fronte a loro e pensò che non aveva mai ricevuto
niente di lontanamente bello come quei tre semplici fiori.
“Beh,
fisicamente potrei stare meglio” ammise l’uomo “sono
ancora un po’ stordito e mi fa male la testa e la schiena.
Psicologicamente credo di stare piuttosto bene. So che sembra una
follia, visto che ieri sera ti ho detto che speravo di farmi
ammazzare, ma è la verità” fece una pausa e la
guardò intensamente negli occhi “toccare il fondo mi è
servito, perché mi sto già rialzando.”
Emily
ricambiò lo sguardo, perdendosi in quel grigio intenso. Aveva
gli occhi stanchi, si notava chiaramente, ma erano più vivi e
limpidi.
“Sono
felice di sentirtelo dire, questa notte… beh è stato
decisamente orribile. Era proprio il concetto che mi faceva
impazzire.” disse lei.
Kevin
annuì stringendo le labbra. “Non riesco ancora a
capacitarmi di quanto io sia stato stupido” si rammaricò
“soprattutto perché quando ho iniziato a riacquistare un
minimo di lucidità, ho pensato che io non volevo affatto
morire. Allora perché diavolo ho scatenato la rissa? Avete
ragione voi donne, a volte siamo dei veri idioti!”
Lei
ridacchiò scuotendo il capo. “Sì, anche un po’
più spesso di a volte, sai? E comunque per nessuna
donna o uomo si deve fare una cosa del genere. Sicuramente non per
lei.” affermò convinta.
L’uomo
annuì lentamente toccandosi il mento. “È vero, è
stato un momento di follia che poteva costarmi caro, ma che voglio
assolutamente dimenticare e il più presto possibile. Però
sai… quando le delusioni ti arrivano addosso una dopo l’altra,
può succedere di andare in tilt.”
“Vero”
convenne lei “ma non è facendoti picchiare che risolvi
le cose. Kevin, tu non sei un uomo violento, ne sono sicura. Ma a
volte… lo diventi. E questo non va bene…”
Kevin
accennò un sorriso. “No, non va bene per niente. Ma è
che io… non sapevo cosa fare. Mi era crollato tutto addosso
e…”
Ripensò
per un attimo a tutto quello che era successo negli ultimi giorni: a
Jennifer che lo insultava come uomo, distruggendolo gli unici ricordi
positivi che aveva della loro relazione, e all’imbroglio che
avevano organizzato per mandarlo sul lastrico.
Ma
non poteva raccontarle quelle cose, sicuramente non la prima.
“Sai,
ho messo in vendita la casa, finalmente” disse cambiando
discorso.
“Dunque
darai un taglio netto al passato” fece Emily.
“Sì,
decisamente sì” rispose Kevin con convinzione “quella
dannata casa… la detesto. Non è mai stata mia, non
sentimentalmente almeno. E tra poco qualcuno la comprerà e io
me ne potrò dimenticare.”
La
giovane annuì e lui decise di raccontarle di più.
“Vedi… lei ha giocato sporco anche per quanto riguarda
la casa” inizia “si è… intromessa in
qualche modo nel contratto con l’agenzia che l’avrebbe
poi messa vendita.”
Emily
corrugò la fronte. “Cioè? Oddio, non ti ho
neanche offerto un caffè! È già la seconda volta
che dimentico di farlo!” si ricordò scattando in piedi.
Lui
le prese la mano e le sorrise con dolcezza. “Sto bene così
piccola, siediti che ti racconto le ultime novità.”
Il
contatto con quella mano grande e calda la fece letteralmente
vibrare, ma fece finta di nulla. Si risedette accanto a lui in
attesa.
“Vedi,
io sono un ingenuo, lo sai” cominciò ironico “per
cui non mi è passato per la mente che, visto i contatti che ha
la sua famiglia, potesse fare qualcosa per vendicarsi di tutti i suoi
preziosi oggetti che le ho ridotto in frantumi. Invece così è
stato” si fermò e tirò un profondo sospiro
“quell’appartamento, vale circa cinquecentomila sterline.
L’agenzia, che appartiene ad un amico della sua famiglia, lo
aveva stimato per circa duecentomila. Voleva rovinarmi anche
economicamente.” concluse.
Emily
scosse il capo. “Ma perché? Voglio dire… tutta
questa cattiveria per due soprammobili? Io al massimo ti avrei tirato
un paio di schiaffi!” esclamò.
“Ma
tu non sei lei, fortunatamente” chiosò lui “Jennifer
è una bambina viziata che pesta i piedi quando non riesce ad
avere ciò che vuole. Per cui quando ha visto il terribile
danno che avevo fatto alla sua roba, ha deciso di vendicarsi. Ma sono
riuscito a sistemare le cose.” le spiegò.
“Non
avrai picchiato qualcuno, spero!” gli chiese Emily fingendosi
preoccupata.
Kevin
fece una smorfia. “Ah ah divertente. No, ho semplicemente
mandato al diavolo il capo dicendo che vista la loro scorrettezza
nelle trattative, avrei annullato il contratto con loro e mi sarei
rivolto a qualche altra agenzia, anche d’oltremanica se
necessario. Mi hanno telefonato di nuovo dopo neanche mezz’ora
scusandosi per il malinteso e offrendomi un contratto molto più
vantaggioso.”
L’uomo
si strinse nelle spalle. “I soldi hanno un potere enorme, loro
ci guadagneranno un bel po’ dalla vendita del mio appartamento.
Non volevano lasciarsi scappare quest’occasione.”
“Sono
contenta che tu abbia preso in mano la situazione, Kevin” gli
disse sincera “persone come lei ce ne sono tante purtroppo, e
spesso rovinano la vita degli altri sapendo di farlo.”
Lui
annuì. “Sì, lei l’ha sempre fatto. Sia con
me che con chiunque altro avesse la sfortuna di incrociare la sua
strada. Tu dirai, allora perché stavi con lei?” fece una
pausa e accennò un sorriso “perché in fondo si
spera sempre che le cose cambino, o almeno non peggiorino. O più
semplicemente, sei così innamorato che non vedi davvero chi
hai di fronte. E quando te ne rendi conto, non solo in genere è
troppo tardi, ma è difficile ammetterlo a te stesso.”
Ecco,
pensò Emily con tristezza, l’ennesima dichiarazione
d’amore di Kevin per quella donna.
“L’importante
è che tu ora l’abbia capito.” disse la giovane
cercando di essere naturale.
“Sì.
Sai, ho anche telefonato al mio ex socio in affari, stamattina”
le raccontò “credevo fosse infuriato con me invece non
era così.”
“Allora
riprenderai a fare l’istruttore di nuovo e a salvare giovani
fanciulle vittime di bulli?” domandò Emily riferendosi
al loro primo incontro, sedici anni prima.
“No
Emily, non credo proprio” rispose “non ho l’età
e.. sono fuori allenamento da anni. Finirebbe che qualcuno dovrebbe
salvare me dall’annegamento.”
Lei
rise. “Ma smettila, sono certa che sono cose che non si
dimenticano. È come andare in bici, no? Non credo che si
dimentichi come mantenere l’equilibro.”
Kevin
la guardò negli occhi e Emily sentì il cuore fare una
piccola capriola.
Stupida!,
si insultò mentalmente.
“Beh
sì, questo sì. Ma non me la sentirei mai di riprendere
a fare l’istruttore. Non ho più vent’anni.”
“Se
posso darti un parere, direi che fisicamente non avresti nessun
problema. Hai paura della prova costume?”
L’uomo
scoppiò a ridere. “Oddio… questo non me l’aveva
mai detto nessuno!” disse divertito “comunque non è
questo, è che… non sono più io. Non so spiegarti
cosa voglio dire. Solo che…”
“Credi
che sia un mondo che non ti appartiene più?” l’aiutò
lei.
Kevin
annuì sospirando. “Sì, credo di non avere più
niente in comunque con quel mondo, con quello stile di vita. Mi sono
un po’… fossilizzato, direi. Sì, non mi
appartiene più.”
Senza
pensarci, Emily stese una mano e la posò sulla sua, poggiata
sul divano. Lui prontamente l’afferrò e la strinse.
Per
un attimo, solo per un piccolissimo attimo, entrambi sentirono come
una scossa attraversare i loro corpi.
“Allora
prova a riprendertelo, quel mondo. Era tuo prima di conoscere
Jennifer, sarebbe un bel modo per cancellarla, no?” gli disse
con dolcezza.
L’uomo
accanto a lei sorrise e le baciò la mano. “Perché
lo fai?” le domandò.
Lei
non capì. “Fare cosa?”
“Confortarmi
e spronarmi ad andare avanti, a cambiare le cose. Tu hai perso tanto
in questa storia, dovevi sposarti e invece ora parli col marito della
donna che ti ha rubato il fidanzato. Perché lo fai?”
Perché
mi sono innamorata di te.
“Beh
perché credo di averla superata un po’ meglio di te…
e mi dispiace vedere una persona come te soffrire per… quella.
Ti dirò, inizialmente ti ho detestato, perchè mi avevi
fatto vedere quelle foto. Poi ho capito che tu… non eri così
cattivo com’eri sembrato. Infatti ora siamo su un divano a
tenerci per mano! Sei un brav’uomo, ti meriti di meglio.”
concluse sorridendo.
Kevin
improvvisamente desiderò con tutto sé stesso di
svegliarsi e accorgersi che la sua vita con Jennifer era stata tutta
un incubo, per scoprire che la sua compagna era sempre stata Emily.
Era
un pensiero che l’aveva sfiorato altre volte, ma mai così
intensamente.
“Grazie
Lily… per tutto quanto. E soprattutto, grazie di esistere.”
Emily
voleva piangere.
Perché
le diceva quelle cose? Perché la illudeva? Poi pensò
che in effetti lui non sapeva niente dei suoi sentimenti, non lo
faceva di proposito.
“Di
nulla Kevin, davvero….” mormorò con la voce che
le tremava leggermente.
Lui
se ne accorse. “Stai bene?” le chiese preoccupato.
Lei
annuì. “Sì sì certo, è solo che…
ricordi quello che mi hai detto stanotte?”
“Che
avrei dovuto sposare te?” rispose lui intuendo subito.
“Sì,
quello” confermò Emily distogliendo per un attimo lo
sguardo “sai, penso anche io che non avremmo dovuto perderci di
vista. Ora saremmo felici insieme.”
Ma
che aveva detto? Perché l’aveva fatto? Si era esposta
troppo e ora negli occhi di Kevin leggeva qualcosa di strano. E la
cosa peggiore era che non riusciva a capire cosa fosse.
“Già”
sospirò lui “siamo stati sfortunati. Ma questo lo
sapevamo, no? Comunque ci siamo trovati adesso, anche se non stiamo
insieme possiamo essere felici.”
“Sì,
possiamo esserlo.”
No,
non potevano. Sicuramente non lei.
Forse
doveva troncare quell’amicizia, se ne rese conto in quel
preciso istante. Si sarebbe fatta di nuovo male, e questa volta sul
serio.
“Okay”
disse Kevin dopo alcuni istanti “io dovrei andare. Con calma
ovviamente, visto che sono ancora un po’ intontito.” e si
alzò dal divano, imitato da Emily.
“Fai
attenzione, ti prego” si raccomandò “e cerca di
medicare per bene quel taglio.”
“Certamente.
Voglio che sparisca il più presto possibile.” rispose
lui.
Emily
lo accompagnò alla porta e l’aprì per farlo
uscire. “Grazie per le rose Kevin, sono stupende.” lo
ringraziò.
“Figurati.
Sono davvero una sciocchezza, ma noi uomini non siamo molto pratici
di queste cose.” replicò.
Istintivamente
Kevin le spostò una ciocca di capelli dal viso e le accarezzò
la guancia con le dita. Poi si piegò per baciarla sulla
guancia.
Lei
restò immobile, avendo paura di fare qualche pessima figura
facendogli capire più di quanto, credeva, gli aveva già
fatto capire.
“A
presto Lily, e grazie ancora.”
Kevin
uscì lasciandola da sola con i suoi pensieri. Chiuse la porta
e vi si appoggiò contro.
Tirò
il sospiro più profondo della sua vita e andò in cucina
per prendere un bicchiere d’acqua.
Forse
doveva parlare un po’ con Rachel, dirle cosa le stava
succedendo. Ma aveva paura di farlo perché voleva dire
ammettere a voce alta quello che provava. E lei non era pronta per
quello, non ce la faceva ad ammettere di aver capito davvero come ci
si sentiva ad essere innamorate.
Perse,
fragili e come… sospese.
Bevve
un sorso d’acqua mentre una lacrime scendeva piano.
/-----/
Era
scappato da casa sua perché quello che aveva sentito dentro di
sé, l’aveva spaventato.
Non
era il momento, non poteva ricaderci così immediatamente. E
poi lei era un’amica, era…
Sospirò
e salì sul taxi, con la testa che continuava a martellare
furiosa.
Kevin
non poteva permettersi di provare qualcosa per lei. Era sbagliato e
pericoloso, non voleva stare male di nuovo, ripetere un copione già
recitato per anni.
Emily
era bella da morire. Quel pomeriggio lo era ancora di più, o
meglio era lui ad averla vista ancora più bella.
Ed
era dolce e comprensiva. Sarebbe stato fin troppo facile perdere la
testa per lei, soprattutto ora che si sentiva ancora un po’
fragile.
Si
coprì il viso con le mani e sospirò profondamente.
“Sta
bene, signore?” s’informò il taxista.
“Sì
certo, non si preoccupi. È solo un mal di testa. Passerà.”
Sì,
passerà, si disse riferendosi alle sensazioni che Emily
gli provocava.
Non
voleva più soffrire per una donna, e una donna come lei poteva
far impazzire un uomo.
/-----/
“E
questo che vorrebbe dire?” gridò Jennifer trattenendo a
stento le lacrime.
Frank,
con le mani in tasca e lo sguardo basso, non sapeva come spiegarle la
situazione.
“Jenny,
io…” ma non sapeva come continuare.
“Io
cosa?”
Finalmente
alzò lo sguardo. “Jenny, mi dispiace, ma per me questa
storia è finita. Mi dispiace davvero tanto, credimi, ma non ti
amo e non credo sia giusto continuare a stare insieme.” Disse
tutto d’un fiato.
Gli
occhi di Jennifer si ridussero ad una fessura. “Mi stai
lasciando? Dopo che io per te ho mandato a monte il mio matrimonio?”
recriminò furente.
Lui
alzò le spalle. “Anche io ho lasciato Emily per te”
mentì, perché era stata lei a lasciare lui “ma
non posso continuare a stare con te anche se non ti amo,
capisci?” tentò di spiegarle.
Ma
lei non capì affatto. “L’unica cosa che capisco”
sibilò “è che sei uno stronzo! Un lurido verme!
Sparisci dalla mia vista, idiota subito!”
Frank
non se lo fece ripetere due volte, afferrò il proprio cappotto
e guadagnò l’uscita in pochi secondi.
Rimasta
da sola, nel suo nuovo e lussuoso appartamento, Jennifer Lewis
scoppiò in un pianto più isterico che disperato.
Afferrò un vaso dal tavolo e lo scagliò contro la porta
urlando improperi contro Frank.
Kevin
aveva ragione, si disse, quell’uomo era solo un bastardo.
Magari stava già tornando dalla sua fidanzatina.
E
lei aveva lasciato Kevin per lui? Per quel verme che per mesi aveva
vissuto in casa sua come un parassita e poi se n’era uscito con
il solito mi dispiace ma non ti amo più, per cui non ha
senso restare insieme?
Quant’era
stata stupida!
Si
asciugò le lacrime tentando di ricomporsi.
“Che
vada al diavolo” disse riferendosi a Frank “un idiota
come quello non mi merita.”
Non
avrebbe mai dovuto lasciare suo marito, l’aveva lentamente
capito in quei sei mesi. E il comportamento di quel verme le aveva
dato la conferma finale.
Kevin
l’aveva amata sul serio, incondizionatamente. Ed era certa che
l’amava ancora.
Forse,
non tutto era perduto.
a/n:
scusatemiiiiii lo so lo so, faccio passare sempre tantissimi
giorni! Ma davvero non riesco a carburare, ho tipo un piccolo blocco
dello scrittore che io a capocciate tento di sbriciolare! So anche
che la sto tirando per le lunghe, devo ammettere che sarei tentata di
farli subito rotolare sotto a un tavolo o roba simile XD ma come già
detto, è una storia che mi piace molto per la complessità
di sentimenti presenti in essa, e non vorrei farla diventare solo un
pornazzo ahahhahaha!! Anche se un po' di porno non guasta, no? Spero
continuerete a seguirmi. E come sempre grazie a tutti quelli che
seguono e recensiscono, lo sapete che vi amo *__*!!
P.s.
Avete visto? La stronza ha avuto il benservito pure da uno sfigatello
come Frank ahahahah! Però ora... che vorrà fare??
Si dice che il tempo curi tutte le ferite. E lo si dice riferendosi
alle ferite dell’anima.
Per quelle ci sarebbe voluto un po’ di più, ma quelle del corpo erano
quasi del tutto sparite.
Erano passati dieci giorni da quando Kevin aveva fatto quella
sciocchezza di cui si vergognava profondamente e per la quale non aveva una
reale spiegazione. Della ferita alla testa rimaneva poco, i punti si erano
riassorbiti e restava solo un segno, come un graffio appena al di sopra
dell’orecchio.
In quei giorni aveva fatto molte cose, alcune delle quali non le faceva
da almeno dieci anni. Per esempio era tornato a nuotare, lì nella piscina aperta
col suo socio storico, che l’aveva accolto prima con una formale stretta di
mano, poi assicuratosi che non lo vedesse nessuno, l’aveva abbracciato.
Chris era stato il suo migliore amico, e per colpa di Jennifer e del
suo snobismo se ne era allontanato. Ma quando l’amicizia è vera e profonda, con
un po’ di buona volontà si può riuscire a ricucire lo strappo.
Gli aveva raccontato tutto, a parte la rissa ovviamente. Il tradimento
di sua moglie e la conseguente separazione, e la sua voglia di buttarsi tutto
alle spalle.
Il suo amico non era parso per nulla sorpreso, dicendogli poi infatti
che in fondo l’aveva sempre sospettato che quella donna avrebbe finito col
fargli del male e che gli dispiaceva davvero che per colpa sua la loro amicizia
era praticamente finita, salvo poi rinsaldarsi dopo cinque minuti, come stava
accadendo mentre ne parlavano.
Avevano la stessa età, solo che Chris era stato più fortunato: si era
sposato sei anni prima e aveva già due bambini di quattro e due anni. A quella
notizia Kevin aveva sentito una stretta allo stomaco, ma si era complimentato
con lui sorridendo.
Il giorno dopo era tornato per fare una nuotata e i due finirono col
fare una gara di nuoto. E pur essendo fuori allenamento, aveva vinto Kevin, per
tre volte di fila.
Dopo di che, gli aveva proposto di rientrare attivamente a far parte
dello staff e magari dopo essersi di nuovo ambientato, avrebbe potuto ritornare
a fare l’istruttore di nuovo.
Kevin era rimasto sorpreso da una simile richiesta e preso in
contropiede, aveva temporeggiato dicendogli che ci avrebbe pensato su. In realtà
non voleva farlo, come aveva detto ad Emily qualche giorno prima, ormai era un
mondo che non gli apparteneva più e a quasi quarant’anni non poteva
riappropriarsene da un giorno all’altro.
Già, Emily. Si erano visti solo una volta in quella settimana, e
sentiti per telefono due o tre.
Ogni volta che tra di loro c’era una sorta di avvicinamento,
irrimediabilmente calava il silenzio.
Ma Kevin aveva pensato spesso a lei, praticamente tutti i giorni. Ed è
quasi superfluo dire che questo lo spaventava.
Per lui era un momento delicato, era appena uscito da una storia sì
sbagliata, ma che era durata quasi metà della sua vita. Non era più abituato a
stare da solo, e aveva davvero paura di innamorarsi di Emily. Non era il
momento, anzi no, non era proprio la persona adatta!
Erano amici, e se gli fosse scattata dentro la molla dell’amore,
avrebbe rovinato tutto. Non voleva perderla, dunque ogni volta che alla sua
mente affiorava un pensiero diverso da quello dell’amicizia, lo ricacciava
indietro dandosi dell’idiota.
Ma ciò non gli impedì di andare da lei, un pomeriggio.
“Ehi ciao!” lo salutò la giovane donna sorridendo. Era bella da far
paura. Indossava un abito di cotone azzurro, lungo fino al ginocchio, e portava
i capelli raccolti in uno chignon dal quale era sfuggite alcune ciocche che le
incorniciavano il viso.
Kevin ricambiò il sorriso ma attese che fosse lei ad accennare di
volergli dare un bacio sulla guancia.
“Vieni, entra Kevin.” lo invitò.
Entrò e Emily fece accomodare l’uomo in cucina, dove stava preparando
del the.
Gliene offrì una tazza e si sedette di fronte a lui, al tavolo della
cucina.
“Allora, come va?” gli domandò bevendo un sorso di the.
Kevin si strinse nelle spalle. “Non posso lamentarmi, davvero. Ho la
testa dura per cui la ferita è praticamente sparita e per quel che riguarda il
resto, mi sto buttando tutto alle spalle” fece una pausa per bere dalla sua
tazza “sono anche stato in piscina, ieri e l’altro ieri.”
“Sul serio? E com’è andata?”
“Decisamente bene” affermò sorridendo “Chris, il mio socio, mi ha
accolto a braccia aperte. Abbiamo parlato a lungo, gli ho spiegato cosa mi è
successo negli ultimi mesi e lui non se n’è meravigliato, perché in fondo sapeva
che sarebbe finita così. Dice che si vedeva lontano un chilometro che non
eravamo fatti per stare insieme.”
Emily annuì. “Quindi vi siete riappacificati” domandò ancora.
“Sì, e ieri abbiamo addirittura… fatto una piccola gara di nuoto. Ho
vinto, sai? E poi mi chiesto se volessi per caso… tornare in pista.”
Lei sorrise. “Ma è fantastico! Tu hai detto di sì, vero?”
“Veramente ho detto che ci avrei pensato su, ma in realtà non voglio
tornare da nessuna parta… non me la sento.”
Emily alzò gli occhi il cielo. “Ci risiamo” sospirò “Kevin, tu eri una
promessa del nuoto, quindi non credo proprio che tu possa aver dimenticato
tecniche e quant’altro. Non devi rimettersi subito ad insegnare a nuotare, no?
Puoi anche… che so, allenarti. Ma fallo, è il modo migliore per ricominciare, ne
sono sicura.” lo incoraggiò decisa.
Lui la guardò negli occhi con un’espressione seria, poi sorrise
scuotendo il capo. “Sai.. credo di essere venuto proprio affinché tu mi
incoraggiarsi” ammette abbassando lo sguardo “in fondo sapevo che l’avresti
fatto e io… credo di averne bisogno.”
La donna si intenerì, e il suo cuore batté più forte. Anche se ad
essere sinceri, aveva già iniziato a battere più forte non appena l’aveva visto
sulla porta.
“E quindi… lo farai?” gli domandò timidamente.
Kevin ci pensò su, in realtà aveva ancora molti dubbi e nonostante il
giorno prima avesse vinto contro Chris, non si sentiva per niente fisicamente
pronto. Poi però gli venne un’idea che reputò geniale e che riguardava Emily.
“Beh” iniziò allontanando da sé la tazza ormai vuota “potrei anche
decidere di farlo. Ma dovrai aiutarmi tu.”
Emily lo fissò perplessa. “Io? Non vedo come potrei! Sono terrorizzata
al solo pensiero di guardare dentro una piscina!” gli ricordò rabbrividendo.
“Esattamente” sottolineò l’uomo “tu potresti essere la mia prima
allieva. Supereresti la tua paura e io mi eserciterei ad insegnare nuovamente.
Che ne dici?” concluse calmo.
Lei aprì la bocca guardandolo scioccata. “Stai scherzando? Io in
piscina? NO!” rispose nervosamente.
“Okay, come non detto. Scusami. Pensavo volessi anche tu… dare una
svolta alla tua vita.” le disse provocandola.
“Ma… Kevin! Io sono quasi morta per colpa di quella dannata piscina! Te
lo sei dimenticato?” gli fece notare.
“Per niente. C’ero anche io, ricordi? Non ti ho fatto… morire, o
sbaglio? Ti salverei ancora.”
Emily si sentiva in imbarazzo: voleva aiutare Kevin, ma aveva paura
dell’acqua e oltretutto… avrebbe dovuto mettere un costume da bagno. Si
vergognava da morire, non voleva che Kevin la vedesse quasi nuda. E la
imbarazzava vedere lui, quasi nudo.
“Allora?” disse Kevin distogliendola dai suoi pensieri “che mi dici?”
“Non lo so…”
“Ti fidi di me, o no?”
“Sì ma… è più forte di me. Sono terrorizzata.” ripeté Emily.
Kevin allungò una mano e prese la sua. “Non voglio costringerti a
farlo, ma vorrei davvero aiutarti a superare questa paura. Non è giusto che un
ragazzetto idiota ti abbia impedito di goderti una cosa così bella come nuotare.
Te lo dice un nuotatore Lily, è stupendo. Capisco la tua paura, ero lì quando
annaspavi in acqua, lo ricordo benissimo e ricordo anche la mia paura nel
vederti in pericolo. Ma oggi come allora, ci sono io accanto a te. Non sono
allenato, ma credo proprio che ce la farei a prenderti in braccio.”
Perché le bastava che lui le prendesse una mano per sentire lo stomaco
stringersi in una morsa? Perché doveva essere preda di queste sensazioni? Eppure
se l’era detto e ripetuto che doveva farsela passare! Invece eccola lì, col
cuore che tamburellava nel petto e il desiderio che Kevin la tenesse per mano per
l’eternità.
No, non era esatto. Non era questo il reale desiderio che provava in
quel momento, non solo questo almeno. Quella mano calda, le faceva presumere che
tutto il suo corpo fosse caldo. E per un attimo, provò ad immaginare come
sarebbe stato stringersi a lui. Ed era un pensiero sbagliato, da togliersi
subito dalla mente.
Perché? Che male c’è nel
desiderare di sentire il corpo caldo di un uomo sul proprio?,
disse una fastidiosa vocina interiore.
Una vocina stupida, che non capiva niente. Lei non desiderava il corpo
di un uomo. Lei desiderava… Kevin.
Scacciò subito quell’elucubrazioni scabrose e tentò di sorridere,
togliendo però la sua mano da quella di lui.
“No Kevin, non posso…”
Kevin sospirò deluso, pensava che lei si fidasse di lui, almeno un po’.
E che fidandosi, ci avrebbe almeno provato. Si era sbagliato.
“Okay, mi arrendo” disse lui “non insisto più. Ma sappi che domani
pomeriggio, alle quindici, io aspetterò in piscina. Fino alle quattro, che è
l’orario d’apertura al pubblico. Se per caso cambi idea, decidendo che vuoi
reagire ad una fobia causata da un cretino affidandoti ad un amico che non ti
lascerebbe mai e poi mai annegare, io sarò lì ad aspettarti.” Concluse alzandosi
dalla sedia e rimettendola al suo posto.
Il tono che aveva usato era stato forte, risoluto. Non voleva
obbligarla ma dalla sua voce si capiva che ci teneva molto a questa faccenda, e
che sperava di convincerla con un ultimatum discreto, ma fermo.
Emily si alzò mentre Kevin raggiungeva il salotto per andarsene.
Era arrabbiato con lei? Aveva questa sensazione ed era molto
spiacevole, e soprattutto non ne capiva il motivo, se era davvero così.
“Kevin” lo chiamò toccandogli un braccio “sei arrabbiato?”
Lui la guardò inarcando le sopracciglia. “Arrabbiato? No assolutamente”
le rispose “è solo che… è la seconda volta che ho la sensazione che tu voglia
allontanarmi. Tagliarmi fuori per qualche motivo che non capisco. Mi conforti,
mi sproni ad andare avanti, ma se faccio un passo in tua direzione, ti chiudi.
Forse sono troppo invadente, ingombrante. Ma non mi piace avere questa
sensazione.” confessò serio.
Era così evidente il suo disperato tentativo di mantenere quel rapporto
su un profilo basso? Sì, e probabilmente stava sbagliando tecnica, perché invece
di farlo diventare una semplice e sincera amicizia, rischiava di offendere Kevin
con i suoi comportamenti contraddittori: un po’ amica intima, un po’ semplice
conoscente.
“Mi dispiace Kevin, non volevo… ecco… offenderti” tentò di scusarsi
lei, pur non sapendo cosa dire.
“Non devi scusarti, non hai fatto nulla. E non so neanche perché ti ho
detto quelle cose. Scusami tu, davvero. E comunque io domani aspetterò davvero,
ma non sentirti obbligata in nessun modo. Inizierò comunque anche se non vieni.”
le fece sapere.
Emily annuì ma non gli diede nessuna risposta, Kevin sospirò e le
sorrise, ma più freddamente.
“A presto allora, e buona serata.” la salutò.
“Sì, a presto. E buona serata anche a te.”
L’uomo uscì senza neanche accennare a darle un bacio o aspettare che
fosse lei a farlo.
Ed era… deluso.
Non perché non voleva che l’aiutasse a superare la sua paura
dell’acqua.
Si era sentito ferito da un gesto di Emily. Forse era stato
involontario, ma gli aveva fatto male.
Mentre teneva la sua mano nella propria, si era divincolata come
infastidita, e lui si era sentito… respinto.
Non era un gesto così intimo, tenerle la mano, no? Allora perché
l’aveva fatto? Perché era sfuggita così al suo tocco?
Uscì dal palazzo e salì in macchina, chiudendo lo sportello con
violenza.
Emily aveva tolto la mano dalla sua, e lui si era sentito rifiutato da
lei. Perché questa sensazione? E perché si era innervosito tanto da avere una
reazione un po’ troppo stizzita?
Ci stai ricadendo, Kevin. Ci
stai ricadendo alla velocità della luce, e ti farai di nuovo tanto male. Perché
questa volta è diverso, e lo sai.
Odiava la voce della coscienza, soprattutto quando aveva ragione.
Mise in moto e partì.
a/n:
Come sempre, grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono, soprattutto alle
68 persone che hanno questa storia nelle seguite/preferite/ricordate, sono
commossa *__*!!
È un capitolo particolare, dove si può vedere chiaramente che qualcosa
sta cambiando nel loro rapporto. Sta entrando in scena qualche sentimento più
forte, misto a rabbia e insicurezza, da parte di entrambi. E nel prossimo
capitolo vedremo di più. Si farà viva anche Jennifer, la
zoccolona come la chiamano le fantastiche pirilla88 e xsemprenoi XD, e
vedremo cosa succederà…
Pochi minuti alle quattro, e
di Emily neanche l'ombra.
Si sentiva un idiota, avrebbe
dovuto aspettarselo che non sarebbe venuta, ma aveva sperato ugualmente di
vederla far capolino dalla grande porta a vetri.
Si tuffò nuovamente in acqua,
era almeno la ventesima volta. Nuotò velocemente per un po' e poi uscì
dall'acqua, sedendosi sul bordo della piscina.
Chris era stato un amico, gli
aveva lasciato a disposizione la piscina ed era uscito. Quando Kevin gli aveva
detto che voleva aiutare un'amica a superare un trauma, lui gli aveva dato una
pacca sulla spalla e aveva sorriso malizioso, fraintendendo la situazione.
Poi gli aveva spiegato chi
era questa amica, cioè la ragazzina che aveva salvato diversi anni prima, Chris
era presente al fatto e non riusciva a crederci che tra tante donne, aveva
incontrato proprio lei.
“Quando si dice il destino!”
aveva esclamato, facendogli intendere che continuava ad interpretare
maliziosamente l'incontro.
Invece non c'era nulla di
torbido, nessun secondo fine o intenzione romantica.
O no?
No, certo che no.
E allora perchè si sentiva
abbandonato? Emily non era andata all'appuntamento, e lui si sentiva avvilito.
Gli sarebbe piaciuto
coinvolgerla in quello che per anni era stato il suo mondo e che, forse, sarebbe
tornato ad esserlo. Era per merito suo se aveva preso in considerazione
opportunità di tornare ad insegnare nuoto o comunque anche solo riappacificarsi
col suo amico.
Ma evidentemente a lei non
interessava, e ciò feriva Kevin. E il sentirsi ferito, lo spaventava.
Che diavolo stava facendo?
Fino a poche settimane prima soffriva per la ex moglie, e ora pensava
costantemente ad Emily?
Sì, purtroppo per lui era
così. E non erano più pensieri di curiosità e poi di amicizia, come si erano
evoluti nel tempo.
Si trattava di pensieri più
possessivi, intensi e... invasivi. Sì, invasivi era il termine adatto.
Si diede dell'idiota e guardò
il grande display al muro. Segnava le sedici e due minuti. Non sarebbe più
arrivata.
Sospirando, si alzò e
raggiunse la panchina sulla quale aveva posato un asciugamano, lo prese e iniziò
ad asciugarsi, pensando di andare a fare una doccia e poi andarsene.
“Kevin?” disse una voce
femminile dietro di lui, che gli regalò un brivido lungo la schiena.
Si voltò e la vide, più bella
che mai.
“Lily... credevo non venissi
più” le disse sinceramente sorpreso.
La ragazza accennò un sorriso
imbarazzato. “Non volevo venire infatti” ammise “ma poi...”
Avrebbe voluto confessargli
che era lì solo per lui, per vederlo, per stargli vicino. Ma non poteva e lasciò
la frase a metà, lasciandogli intendere ciò che voleva. Sperando forse che
intendesse la cosa giusta.
Kevin sorrise e non poté fare
a meno di darle un bacio sulla fronte. Il profumo dei suoi capelli era
meraviglioso.
“Allora ti va di cominciare?”
le chiese.
Lei sembrò incerta. “Ma
forse... è un po' tardi... sarei dovuta arrivare almeno mezz'ora fa ma ho
trovato un ingorgo” spiegò.
“Non fa niente” replicò Kevin
“l'orario negli anni è cambiato, si apre alle diciassette. Se ti va, possiamo
provare ad affrontare quel mostro nella vasca” disse indicando l'acqua.
Emily la guardò e rabbrividì,
aveva molta paura ma ormai era lì e doveva farlo.
“Sì, okay. Affrontiamolo.”
“Vedo che hai una borsa”
disse lui “lì ci sono gli spogliatoi”
Emily annuì e si avviò in
direzione dello spogliatoio femminile.
Entrò, posò la borsa su una
panchina e si guardò allo specchio: che stava facendo? Lei aveva una paura folle
dell'acqua, tremava dalla testa ai piedi e per di più, mostrarsi a Kevin in
costume la imbarazzava da morire.
Perchè il suo non era un
corpo che passava inosservato, lo sapeva bene.
Kevin era un uomo e anche se
non provava sentimenti romantici per lei, di sicuro avrebbe avuto un certo
effetto su di lui.
O era lei a sperarlo?
Certo che no! Non aveva mai
tentato di provocare un uomo in vita sua, nè con vestiti nè con atteggiamenti, e
sicuramente non avrebbe iniziato a quasi trent'anni.
Si tolse la giacca e
l'appese, si sedette e tolse le scarpe, poi passò al maglioncino di cotone
grigio e ai jeans neri. Aveva già il costume addosso, per cui dovette solo
trovare l'asciugamano dentro la borsa, avvolgersela intorno al corpo e uscire,
dopo un gran sospiro, dallo spogliatoio.
Trovò Kevin che l'aspettava
seduto sul bordo della piscina, con le gambe in acqua.
Era dannatamente... bello.
Una statua, ecco cosa
sembrava. Una di quelle figure mitiche, scolpite nel marmo e destinate a durare
per sempre.
Appena la vide arrivare, si
alzò, rafforzando l'idea di Emily di trovarsi di fronte ad una statua di un
qualche eroe dell'antichità o qualche Dio greco. Non aveva un corpo da
culturista, non c'era eccesso di muscoli o vene in evidenza. Era il corpo
scolpito di un uomo alto, forte e virile.
Gambe lunghe e forti, vita e
fianchi stretti, spalle larghe.
“Sei pronta?” le chiese
riportandola alla realtà.
Lei annuì incerta e
avvicinandosi ad una panchina, si tolse l'asciugamano poggiandolo su di essa.
E qui Kevin vacillò.
Che Emily fosse bella, lo
sapeva benissimo. L'aveva trovata bella fino dal primo istante in cui l'aveva
vista, mentre pestava quel bastardo. E sapeva anche, o meglio percepiva, che era
sensuale e morbida, come le donne dei dipinti.
Ma che fosse così
bella e sensuale, non se l'aspettava.
Il castigato costume intero
blu non riusciva a nascondere quello che la natura le aveva generosamente dato.
Le gambe così tipicamente
femminili, tornite e bianche, catturarono subito la sua attenzione, per poi
passare ai fianchi generosi, la vita più sottile e il seno... come poteva
definirlo? Generoso? Florido?
Nessun termine era
appropriato, secondo lui.
Ma che cavolo faceva?
Sembrava un adolescente davanti alla procace professoressa di liceo! Deglutì e
distolse lo sguardo, mentre lei si avvicinava a piccoli passi, timidamente.
“Che devo fare?” gli domandò
stringendo i pugni.
Kevin si sforzò di sorridere,
ma si sentiva in grande difficoltà. Era attratto da lei come mai prima d'allora.
Sì, perchè era da molto che se ne sentiva attratto, forse da sempre. Ma non così
dolorosamente, così prepotentemente.
“Aspetta, ora ti faccio
vedere” rispose sedendosi sul bordo della piscina e immergendosi in acqua.
“Ora siediti qui e gira con
le gambe verso di me” la invitò indicandole il punto.
Emily annuì e si sedette, poi
assunse la posizione che le aveva detto Kevin e toccò l'acqua con i piedi,
rabbrividendo.
Non era fredda, anzi era
piuttosto calda, i brividi glieli aveva fatti venire la paura.
“Sta' tranquilla” la
rassicurò “ci sono io. Non devi nuotare, devi solo riprendere confidenza con
l'acqua.”
Annuì, reprimendo l'istinto
di scappare via da quella situazione.
“Ora, lentamente, scivola
verso di me. Poi io ti prendo e ti faccio scendere in acqua. Non spaventarti,
non ti lascerò neanche per un millesimo di secondo.”
Emily obbedì, scivolò sul
bordo della piscina fino ad immergere le gambe in acqua fino quasi al ginocchio,
Kevin si avvicinò di più e la prese per la vita, tirando verso di sé.
C'era qualcosa di sensuale in
quel movimento, come se la stesse attirando a sé per fare l'amore. Le piaceva
essere tenuta così, appena sopra i fianchi, con le forti braccia di Kevin posate
sulle proprie cosce.
Senza quasi accorgersene, si
ritrovò immersa in acqua fino al petto, un moto di paura la invase
paralizzandola.
Kevin se ne accorse e
l'attirò a sé, come a volerla abbracciare. “Ehi, tranquilla” sussurrò “non sei
da sola, non ti accadrà nulla.”
A lui l'acqua arrivava poco
più sopra della vita e non riusciva a muoverlo di un centimetro, mentre Emily
aveva la sensazione che stesse per risucchiarla.
Poggiò le mani contro il
petto di Kevin e prese un grande respiro, mentre il cuore le batteva forte.
E non era solo per l'acqua.
Non si era mai sentita così
coinvolta accanto ad un uomo e il suo sguardo non l'aiutava di certo. Cercava di
non guardarlo negli occhi, ma era impossibile, quegli occhi languidi la
catturavano continuamente.
Lui dal canto suo, stava
impazzendo.
Gli sembrava di avere davanti
la quintessenza della femminilità, il suo corpo morbido, le mani gentili, le
guance leggermente arrossate. E i suoi capelli, quelle onde rosse catturate in
una lunga coda di cavallo.
Emily era unica, le altre
donne avrebbero architettato mille stratagemmi pur di non bagnarsi i capelli.
Lei no.
La giovane si accorse che le
stava guardando i capelli e sorrise imbarazzata. “Non credo che avrei trovato
una cuffietta abbastanza grande da contenerli” si scusò.
Kevin si schiarì la voce.
“Non fa niente, va benissimo così. Bene, ora ci spostiamo verso il centro, non
spaventarti” e la portò con sé avvolgendole le spalle con un braccio.
“Ora” disse mettendosi di
fianco alla ragazza “staccati dal fondo, lentamente. Io ti terrò per la nuca e
per la schiena, non ti farò affondare. Intesi?”
“Sì” rispose con un filo di
voce.
Staccò i piedi dal fondo e
lentamente si ritrovò supina sul pelo dell'acqua, con una mano di Kevin che la
sosteneva per la nuca e l'altra per la zona lombare.
Era bello.
La paura era diminuita e la
sensazione di galleggiare era piacevole. Chiuse gli occhi e sospirò, capendo che
si era appena riappacificata con l'acqua.
Probabilmente Emily non se ne
rendeva conto, pensò Kevin, ma era letteralmente rapito da lei.
La guardava mentre sorrideva
fluttuando sull'acqua, mentre i suoi capelli, per intercessione di chissà quale
entità celeste, avevano spezzato la resistenza dell'elastico e si erano sparsi
nell'acqua, formando una meravigliosa corona di un rosso scuro.
Era bellissima, dolce e
dannatamente sensuale.
La voleva.
Quella consapevolezza lo
colpì in pieno, e anche se in fondo lo sapeva già, si sentì spaesato. Fino a
quando i suoi pensieri per lei erano gestibili, non c'erano problemi. Ma ora che
il desiderio era esploso in tutta la sua prepotenza, non sapeva che fare.
In realtà l'aveva sempre
desiderata, qualche uomo non l'avrebbe voluta? Ma era sempre riuscito a
gestirlo, ad ignorarlo, a puntare sulle sensazioni di benessere e dolcezza che
gli regalava. Forse anche il suo fissarsi su tutta la storia della casa e di
Jennifer, era stato un modo per non pensare a ciò che provava per Emily. Ma ora
che era tutto finito, non poteva più far finta di non ardere di desiderio.
Così, quando lei lentamente
tornò a toccare il fondo e lo guardò con il più dolce dei sorrisi sul volto,
Kevin le accarezzò il viso, col cuore che batteva forte e il respiro accelerato.
“Sei meravigliosa” sussurrò
“in tutto e per tutto. Nessuna... nessuna donna al mondo è come te...”
Emily lo guardò stupita:
desiderio? Era desiderio quello che lampeggiava in quegli occhi grigi e che
riecheggiava nella sua voce?
Lui la strinse un po' e lei
posò di nuovo le mani sul petto dell'uomo, trovandolo più caldo di prima. E
sentì il suo cuore rombare furioso sotto la propria mano destra.
Che stava succedendo? In
realtà, cosa succedeva a lei, Emily lo sapeva.
Era Kevin che la sorprendeva,
la confondeva.
E la emozionava.
Così, quando lui le prese il
viso tra le mani e si piegò verso di lei, Emily non accennò a spostarsi né a
respingerlo, ma anzi sollevò il viso per incontrare quello dell'uomo.
E le loro labbra si unirono.
Un bacio leggero, quasi casto, ma che rapidamente divenne profondo e sensuale.
Finalmente.
Ecco cosa pensavano entrambi,
mentre si assaporavano l'un l'altra, rapiti da travolgenti sensazioni.
Ruppero il bacio e si
guardarono negli occhi, non era ancora finita. Kevin la sollevò dal fondo e lei
senza riflettere, gli cinse la vita con le gambe stringendo forte, come per
impedirgli di scappare.
La giovane donna si rese
conto di essersi spostata quando si ritrovò con la schiena contro il bordo della
piscina, con Kevin praticamente addosso, catturato tra le sue gambe e
determinato a far evolvere il corso di quegli eventi già alquanto inaspettati.
Sì, perchè Kevin la voleva da
morire, riusciva quasi a vedersi mentre le toglieva il costume e la possedeva
sul bordo della piscina come non aveva mai fatto in vita sua.
Non parlavano, temendo che le
parole potessero rompere l'incantesimo che li teneva inchiodati l'uno all'altra.
Emily non potè fare a meno di
pensare a quel sogno di mesi prima, quando il suo inconscio le aveva mostrato
cosa provava realmente per quell'uomo. E ora, sembrava proprio che il suo sogno
stava per realizzarsi.
Gli cinse il collo con le
braccia e lo baciò con trasporto, stringendosi a lui più che poteva mentre
l'acqua tiepida li accarezzava silenziosa.
Ma poi, alcune immagini le
balenarono davanti gli occhi della mente insieme ad un nome: Jennifer.
E le immagini erano quelle di
un Kevin furioso, avvilito e offeso. E probabilmente ancora innamorato della
moglie, immagini di poche settimane prima e che quindi appartenevano ancora al
presente.
Si staccò da lui e tentò di
spingerlo via. “Kevin.. no..” mormorò quasi sottovoce.
Lui la guardò confuso. “Lily,
cosa c'è?”
Scosse il capo e si liberò
dal suo abbraccio. “Niente.. scusa.. non posso...” e con agilità uscì dall'acqua
lasciandolo a bocca aperta.
Che aveva fatto? L'aveva
spaventata? Ma non gli sembrava di essere stato aggressivo!
“Emily, aspetta!” le disse
uscendo rapidamente dalla piscina, mentre lei praticamente correva verso gli
spogliatoi.
Entrò e senza neanche
asciugarsi, si rivestì, ignorando i capelli fradici d'acqua che gocciolavano a
terra e le bagnavano il maglioncino.
“Mi spieghi che è successo?”
la voce di Kevin la fece sussultare “se ti ho.. spaventata ti chiedo scusa, ma
almeno dimmelo!”
Lei non lo guardò neanche,
troppo imbarazzata per poter sostenere lo sguardo dell'uomo che, confuso e
avvilito, le chiedeva perchè aveva reagito così.
“Devo andare, mi dispiace.
Non è colpa tua, ma solo mia” spiegò con poca convinzione.
L'uomo si avvicinò e la prese
per le braccia, costringendola a guardarlo. “Emily, per favore. Fermati e dimmi
che c'è che non va. E' perchè ti ho baciata? E' questo? Mi dispiace, ma era
quello che sentivo di fare, non volevo certo...”
Cosa? Spaventarla?
Offenderla?
Kevin non capiva perchè di
punto in bianco le era scivolata via dalle braccia mentre pochi istanti prima si
stringeva a lui con trasporto. E non capiva neanche perchè tutta quella fretta
di andare via: aveva paura di lui?
Credeva che l'avrebbe presa
con la forza? Se non voleva le sue attenzioni sarebbe bastata una sola parola, e
lui si sarebbe allontanato immediatamente da lei.
“No tu non c'entri” mentì lei
“è solo che... non posso. Scusami devo andare...” e si divincolò dalla sua
presa, riprendendo a vestirsi in fretta e furia nonostante fosse bagnata dalla
testa ai piedi.
Kevin l'osservò per alcuni
istanti, confuso e angosciato, poi si voltò e uscì dallo spogliatoio femminile.
Avrebbe dovuto aspettare che
finisse per poi tentare di parlarle nuovamente, ma un moto di rabbia lo spinse a
rifugiarsi nello spogliatoio degli istruttori, lì vicino, dove c'era la sua
roba.
Aveva rovinato tutto? Temeva
di sì.
Emily si era spaventata o
pentita o tutte e due le cose e ora stava scappando da lui.
Sarebbe stato molto meglio se
non fosse venuta, quel pomeriggio.
Uscì dallo spogliatoio giusto
in tempo per vederla andar via, con i capelli raccolti all'insù e il passo
svelto.
Sospirò e scosse il capo, poi
tornò a recuperare il proprio asciugamano sulla panchina, lo prese e si asciugò
sommariamente. Notò l'asciugamano di Emily e lo guardò per lunghi istanti. Non
aveva avuto nemmeno il tempo di prenderlo, tanta era la fretta di andare via da
lì.
Lo afferrò quasi con stizza e
andò a fare una doccia, avrebbe deciso più tardi se tentare di restituirglielo o
buttarlo semplicemente.
Era avvilito, decisamente. E
anche senza parole e coi pensieri confusi e contraddittori.
Emily aveva risposto ai suoi
baci, non l'aveva respinto. E gli aveva stretto le gambe intorno al corpo,
facendogli intendere che anche lei voleva...
Ma poi era successo qualcosa,
improvvisamente aveva sentito la necessità di scappare da quella situazione e
l'aveva fatto senza dire nulla, essenzialmente. Kevin pensò di essere lui il
problema, o più semplicemente non meritava un attimo di felicità.
Perchè mentre la stringeva e
la baciava, si sentiva felice.
/-----/
Una volta tornata a casa,
Emily fece una lunga doccia calda, sperando di non prendersi un malanno visto
che era scappata dalla piscina bagnata fino al midollo.
Indossò un paio di jeans e
una felpa di taglio maschile e si asciugò i capelli, tentando di non pensare a
quello che era successo.
Ma le bastò guardarsi allo
specchio per visualizzare tutto. Kevin l'aveva guardata come mai nessuno aveva
fatto, con ardore.
Che non era semplice
desiderio, ma qualcosa di più profondo. E lei era felice di leggere quell'ardore
nei suoi occhi, si era sentita desiderata e dall'uomo di cui si era stupidamente
innamorata.
E l'aveva stretta, baciata,
spinta verso il bordo della vasca rendendo chiare le proprie intenzioni: fare
l'amore.
E lei... non aspettava altro.
Sì dannazione, l'avrebbe
fatto lì a bordo piscina!
Ma poi... la realtà delle
cose l'aveva colpita come un fulmine a ciel sereno. Kevin aveva sofferto da
morire per colpa della moglie, rivelando quanto l'avesse amata e quanto con
tutta probabilità l'amava ancora.
Non si cancella così un
sentimento come quello, no?
Allora non se l'era sentita
di lasciarsi andare alla passione per poi rendersi conto che Kevin non l'amava
come lei avrebbe voluto.
Sospirò e annuì guardandosi
nello specchio. Era un uomo, era ovvio che si sentisse attratto da lei, il suo
non era un corpo che passava inosservato e non le era sfuggito lo sguardo che le
aveva lanciato non appena apparsa dopo essersi cambiata.
Era attratto anche dai suoi
capelli, l'aveva capito. E questo la lusingava molto perchè lei amava i propri
capelli rossi anche se da ragazzina la prendevano in giro per il loro colore
così acceso.
Invece a Kevin piacevano e
sicuramente avevano contribuito ad accendere il suo desiderio.
Ma sarebbe finita lì, dopo
qualche minuto di passione avrebbero capito che era stato un terribile errore e
la loro amicizia sarebbe andata in frantumi.
Sì, perchè ora invece è salva, giusto?
No, era andata in frantumi
comunque, lo sapeva.
L'aveva respinto in malo
modo, senza riuscire a spiegargli,anche solo sommariamente, il perché del suo
cambiamento repentino. Forse l’aveva umiliato come uomo.
Nascose il viso tra le mani e
sospirò profondamente, sull’orlo delle lacrime. Era stata troppo impulsiva, si
disse, una volta uscita dall’acqua e allontanato il pericolo
sesso-selvaggio-in-piscina, avrebbe potuto benissimo dargli qualche spiegazione.
Cosa le costava dirgli che
non se la sentiva di avere un breve flirt con lui perché erano amici e perché
lui era ancora legato al suo passato? Ecco, avrebbe potuto esattamente dirgli
questo e magari avrebbe salvato la loro amicizia.
Invece era letteralmente
fuggita via, lasciandolo praticamente senza parole e forse anche arrabbiato,
visto che quando era uscita dallo spogliatoio non l’aveva trovato fuori ad
aspettarla, come aveva supposto.
“Sono una stupida…” gemette
con tristezza.
Sarebbe stato molto meglio se
non avesse mai accettato di andare a quell’appuntamento, tutto questo non
sarebbe mai accaduto. Ma aveva paura di perderlo, il giorno prima si era
comportata male con lui e Kevin c’era rimasto male, non voleva che la storia si
ripetesse.
Ma ora le cose erano
peggiorate, e di molto. Si erano baciati ed erano stati sul punto di fare altro,
di approfondire quello slancio passionale che li aveva colpiti improvvisamente.
E Emily non aveva trovato di meglio da fare che scappare senza dire nulla, dopo
essersi stretta a lui.
Aveva bisogno di parlare con
qualcuno, non riusciva a tenersi tutto dentro. E l’unica persona con la quale
poteva parlarne, era Rachel.
Prese il proprio cellulare e
la chiamò. Rispose al quarto squillo.
“Emily tesoro, già tornata?”
le chiese.
Sapeva tutto della piscina e,
ovviamente, era oltremodo d’accordo con quell’idea. Non tanto per farle passare
la paura dell’acqua, ma piuttosto perché sperava che tra i due, finalmente,
scattasse quel qualcosa che li avrebbe costretti a buttare giù la maschera e a
lasciarsi andare.
“Sì… ehm… sei a casa?”
“Sì” rispose Rachel “sono
a casa. Qualcosa non va?”
Emily sospirò cercando di non
farle sentire che stava piangendo. “No, va tutto bene. Ma potresti scendere un
attimo qui da me? Avrei bisogno di parlare…”
Dopo un attimo di silenzio,
durante il quale la sua amica si chiese cosa diavolo fosse successo tra quei
due, le rispose.
“Okay piccola, cinque
minuti e sono da te. Sta’ tranquilla e non piangere.”
La ringraziò e riattaccarono.
Aveva umiliato Kevin e
l’aveva perso definitivamente, lo sentiva. Non sarebbe dovuta andare lì quel
pomeriggio, no davvero.
Se avesse potuto tornare
indietro, non ci sarebbe andata.
No, si corresse un istante
dopo, se avesse potuto tornare indietro, non l’avrebbe respinto.
Ormai l’aveva perso, tra di
loro le cose non sarebbe mai più state le stesse. Se non fosse scappata via,
almeno avrebbe avuto il ricordo di come un uomo come Kevin amava le donne.
Invece ora aveva solo
l’immagine dello sguardo ferito di Kevin mentre lei scappava via da lui.
Sospirò per la centesima
volta e attese che arrivasse Rachel.
a/n: finalmente un nuovo capitolo! Vi
chiedo scusa, ultimamente sono in preda ad un vero e proprio blocco dello
scrittore che mi sta facendo trascurare tutte le mie storie! Questo capitolo
l'ho iniziato tipo tre o quattro giorni fa e l'ho finito solo ora! Spero vi sia
piaciuto almeno un po'. Nel precedente capitolo avevo annunciato che sarebbe
apparsa la zoccolona aka Jennifer, ma poi ho pensato di organizzare il prossimo
capitolo con due apparizioni: Jennifer che tenta di riavvicinarsi al marito e
Frank che tenta di riconquistare Emily!
Cmq, il pop-porno è vicino... qui ci siamo
quasi arrivati XD
Mi pare di avervi già "presentato" Kevin, ma
voglio ripresentarvelo e presentarvi anche Emily:
Come
sempre, grazie a tutte le ragazze che recensiscono (vi adoro *__*) e anche a
tutti coloro che leggono in silenzio! Grazie alle 71 persone che hanno messo
questa storia tra le loro seguite/preferite/ricordate!
Tanto era trascorso
dall’incontro in piscina, e tra di loro era sceso il gelo. Emily se l’aspettava,
era piuttosto normale visto la bella scena che aveva fatto con Kevin, scappare
senza neanche tentare di spiegare cosa le era passato per la testa.
Quando aveva raccontato
l’episodio a Rachel, prima l’aveva fatto parlare, facendosi raccontare i
particolari – beh, più o meno – poi la donna le aveva detto la sua opinione in
merito.
“Ragazza mia, quello era
l’uomo per te e te lo sei fatta scappare” le aveva detto semplicemente e con
tono rassegnato.
Emily le aveva spiegato che
non se la sentiva di intraprendere una relazione instabile come quella che, ne
era sicura, avrebbe iniziato con Kevin. Lui aveva in testa ancora la moglie,
aveva sofferto e ancora stava soffrendo, eccetera eccetera.
Rachel l’aveva guardata e
scuotendo il capo le aveva detto: “Tu ci credi davvero a quello che stai
dicendo? Per me, stai semplicemente scappando dalla felicità. Perché ti
spaventa. Quell’uomo tesoro, è innamorato di te. Lo era già quando si fece
prendere a bottigliate in testa, fidati. L’ho capito da come ti guardava, da
come temeva il tuo giudizio. Aveva solo bisogno di ammetterlo a sé stesso. E ora
che l’ha fatto tu che fai? Scappi? Perché tanto lo so ragazza mia, tu sei
innamorata di Kevin. È anche abbastanza facile da capire, sai?”
Lei non aveva avuto la forza
di negare, aveva solo sospirato abbassando lo sguardo.
Ma era vero? Cioè, anche
Kevin provava qualcosa per lei? e allora perché dopo l’incidente della piscina,
non aveva neanche tentato di mettersi in contatto con lei?
Era talmente orgoglioso da
sparire così? Oppure ferito sul serio e aveva deciso di non chiamarla mai più?
Qualsiasi fosse il motivo,
era terribile. Non poteva essere finita così, in un modo stupido, banale.
L’avrebbe chiamato lei, sì.
Si alzò dal divano e
raggiunse il cellulare poggiato sul mobiletto all’entrata, prese un grosso
respiro e cercò il numero di Kevin. Ma il suono del campanello la fermò.
Guardò la porta e sperò che
fosse proprio lui. Sorrise e posò il telefono, guardò dallo spioncino e il
sorriso le morì sulle labbra.
Che diavolo voleva Frank da
lei? Come osava presentarsi di nuovo a casa sua dopo quello che le aveva fatto?
Decise di non aprire, non si
sarebbe presa neanche la briga di urlargli improperi. Si sarebbe semplicemente
allontanata dalla porta facendo finta che non c’era nessuno al di là di essa.
“Emily? Avanti, so che ci
sei, la tua auto è qua sotto!”
La giovane chiuse gli occhi e
sospirò, tornò alla porta e mise la catenella, poi aprì uno spiraglio.
“Che diavolo voi?”
Frank, guardandola quasi
timidamente, accennò un sorriso. “Ciao bellissima… come stai?”
“Due minuti fa,
stupendamente” rispose seccata “non ti chiedo altrettanto perché non me ne frega
nulla. Ora se vuoi scusarmi avrei da fare.”
L’uomo era sorpreso, in tutta
onestà si aspettava un’accoglienza più calorosa, dopotutto stavano per sposarsi.
“Emily, tesoro… io…” iniziò,
ma Emily ridacchiando lo interruppe.
“Tesoro? Okay, senti Frank,
non sono proprio dell’umore adatto per affrontare le tue stronzate. E non lo
sarò mai, per cui tornatene dalla tua…”
Un momento, e Jennifer?
Se Frank era lì, con quello
sguardo da cane bastonato e l’aria di chi voleva chiedere perdono, che fine
aveva fatto l’ex moglie di Kevin?
“Tra me e quella donna è
finita, è stato un enorme sbaglio. Lo so, ti ho fatta soffrire e probabilmente
ti ho anche messa in imbarazzo davanti alla tua famiglia e ai tuoi amici. Ma
credimi, sono pentito e ho capito di voler stare solo con te, quindi se mi
concederai una seconda possibilità, ti assicuro che non te ne pentirai. Sono
cambiato e ora posso farti felice. Che ne dici? Ci riproviamo?” concluse, fiero
del suo discorso e intimamente sicuro che alla fine Emily l’avrebbe perdonato.
Ma per sua sfortuna – o
fortuna, vista la mole di idiozie appena dette – Emily non lo aveva neanche
sentito. Era troppo impegnata a pensare alle terribili implicazioni che la
presenza di Frank sull’uscio di casa sua comportava.
Se con Jennifer era finita,
cosa sarebbe successo? Kevin l’avrebbe perdonata e sarebbe tornati insieme?
Avrebbe dimenticato tutta la sofferenza che quella donnaccia gli aveva causato?
E, cosa più importante,
avrebbe dimenticato… lei?
Il terrore gli strinse la
gola, aveva voglia di piangere: il solo pensiero che quella donna riuscisse a
riavere Kevin l’atterriva.
“Emily? Allora, qual è la tua
risposta?” l’incalzò fiducioso Frank
Finalmente lo guardò – mentre
fino a pochi secondi prima guardava la plafoniera sul muro del pianerottolo – e
scosse lentamente il capo.
“Te lo dirò solo una volta,
Frank” iniziò risoluta “non farti mai più vedere qui. E’ finita sul serio, e non
mi importa nulla delle tue scuse o delle tue promesse. Mi fai letteralmente
schifo, e non sputo a terra perché sono una donna. Anche se in realtà dovrei
sputarti direttamente in faccia!” gli disse tutto d’un fiato.
“Ti prego…”
“Va’ a farti fottere” e gli
sbattè la porta in faccia, senza dargli il tempo di aggiungere neanche una
sillaba.
Rimase appoggiata alla porta
per alcuni secondi, non interessò neanche di capire se Frank era ancora lì
oppure se ne fosse andato. L’unica cosa che le interessava era sapere cosa
diavolo stava succedendo.
Era per questo che Kevin non
l’aveva più cercata? Si era rimesso con l’ex? Dopo tutto quello che gli aveva
fatto, tutto quello che c’era stato tra lui ed Emily, dopo tutto quanto insomma,
stava di nuovo con Jennifer?
“Non piangere, non
piangere...” impose a sé stessa ma con la voce già incrinata.
Non poteva essere, Kevin non
era uno stupido, un uomo orgoglioso come lui non avrebbe accettato di buttarsi
tutto alle spalle e di fare finta che non fosse successo nulla.
Diamine! Voleva dare fuoco
alla casa perché c’era entrato Frank!
Sì, era così, i due traditori
una volta esaurita la carica erotica, si erano mandati a quel paese, ma ciò non
voleva dire ripristinare le vecchie coppie, giusto?
Lei aveva appena mandato a
farsi fottere Frank, e se mai quella stronza avesse tentato di riavvicinarsi al
marito, lui l’avrebbe spedita dritta dove lei aveva appena mandato il suo ex
fidanzato.
O almeno lo sperava dal
profondo del cuore.
Non poteva finire così.
Si massaggiò le tempie e
riprese il cellulare.
/-----/
Mentre Frank tentava di convincere Emily del suo pentimento e veniva
praticamente ignorato e successivamente mandato al diavolo, qualcun altro era in
procinto di provare a riallacciare un rapporto finito burrascosamente.
Sì, Jennifer.
Dopo aver passato giorni a cercare di scoprire dove si fosse trasferito
suo marito, finalmente l’aveva scoperto.
Era rimasta sorpresa nel constatare che aveva venduto il loro
appartamento, anzi si era sentita un po’ oltraggiata. Ma poi si era detta che in
fondo Kevin ne aveva avuto tutte le ragioni del mondo, in quella casa lei… beh
c’aveva fatto entrare il suo amante.
Non importava, ne avrebbero ricomprato un’altra, ovunque lui volesse.
Anche in periferia, purché… la perdonasse.
Lasciarlo per Frank era stato un errore imperdonabile, il suo amante si
era rivelato un vero idiota e anche a letto in fin dei conti non era mai stato
un granché. Era la novità che l’aveva attratta, il frequentare un’altra persona,
più giovane e quasi simile a lei, socialmente.
Salvo poi scoprire che il padre di Frank guidava gli autobus.
Sospirò e si lisciò la gonna, voleva apparire più bella che mai. Sapeva
benissimo di esserlo e Kevin gliel’aveva sempre detto, ma ce l’aveva messa tutta
per apparire ancora più splendida.
Gonna longuette nera, camicetta di seta bianca scollata al punto
giusto, scarpe decollete di vernice nera. Non aveva messo la giacca per mettere
in risalto tutto il resto. Con un po’ di fortuna Kevin avrebbe subito ceduto e
chissà, magari sarebbero finiti a letto.
Le mancava, davvero. Quando gli aveva detto che non era più neanche un
buon amante, aveva mentito. Era sempre stato fantastico, in quindici anni non
l’aveva delusa nemmeno una volta, sempre potente e capace di soddisfarla.
Un po’ monotono, okay. Ma decisamente virile.
E se a lui piaceva la classica posizione, beh pazienza, si sarebbe
adattata volentieri.
Suono al campanello e sfoderò il suo sorriso migliore.
La porta di fronte a lei si aprì dopo pochi istanti, facendoli
ritrovare faccia a faccia.
Kevin la guardò per un attimo con sorpresa, poi corrugò la fronte e il
suo sguardo divenne ostile.
“Ciao, Kevin” lo salutò ostentando dolcezza “è bello rivederti.”
L’uomo si irrigidì ancora di più. “Non posso dire altrettanto” rispose
tagliente “come hai fatto a trovarmi?”
Jennifer era allibita, certo non si aspettava baci e abbracci, ma tanto
astio neanche.
“Posso… mi fai entrare?” gli chiese insistendo sulla remissività.
L’istinto gli diceva di sbatterle la porta in faccia, qualsiasi cosa
volesse doveva tenersela per sé. Ormai era fuori dalla sua vita e, finalmente,
vederla non gli procurava più fitte di rimpianto. Ma poi, qualcosa suonò nella
sua testa come un campanello, e decise di ascoltarla.
Si fece da parte e la fece entrare. Jennifer fu abbastanza furba da non
guardarsi intorno, Kevin l’avrebbe interpretato come l’ennesimo giudizio nei
suoi confronti, e poi sinceramente non le importava nulla di dove abitava in
quel momento. Presto, ne era vergognosamente certa, se ne sarebbero andati da lì
per abitare in un posto migliore.
“Dunque” iniziò lui “a cosa devo questa spiacevole sorpresa?”
Jennifer prese un profondo respiro e riordinò rapidamente le idee.
Doveva essere dolce ma risoluta, e non doveva contraddirlo.
“Kevin, io so di aver sbagliato” iniziò mestamente “so di aver fatto
cose terribili ai tuoi occhi e.. anzi no, sono terribili e basta. Ti ho..
.tradito e umiliato e me ne vergogno profondamente. Tu non meritavi quello e mi
dispiace tanto” fece una pausa e lo guardò intensamente negli occhi, quasi come
se volesse ipnotizzarlo, poi riprese “quella persona… non era niente, e sì l’ho
capito un po’ in ritardo, ma l’importante è averlo capito, no?”
Kevin l’aveva lasciata parlare con le braccia incrociate sul petto e
l’espressione corrucciata, poi sospirò e annuì lentamente.
“Quindi?” le chiese serio. In realtà voleva scoppiare a ridere, mai
avrebbe pensato che quella giornata, iniziata all’insegna della tristezza per
altri motivi, si sarebbe trasformata nella giornata del suo trionfo.
“Quindi” ripeté lei avvicinandosi di qualche passo all’uomo “ti sto…
chiedendo perdono. E ti chiedo anche di.. tentare di ricominciare. Insieme,
intendo. Sarà difficile, me ne rendo conto, ma ci andremo cauti. Lentamente
ricostruiremo….”
Kevin non seppe più resistere e scoppiò a ridere di cuore, lasciandola
a dir poco confusa.
“Cosa… c’è di divertente?” gli chiese mentre lui tentava di ricomporsi
e soprattutto, si preparava cosa dire senza mettersi ad urlare.
“Oh, tante cose” esordì “la tua faccia tosta, per esempio. Come… come
ti è venuto in mente di venire qui a dirmi queste stronzate, eh? No sul serio,
tu hai qualcosa che non va a livello mentale, quale donna sana di mente, dopo
aver detto ad un uomo di non valere niente come maschio, tornerebbe dallo
stesso? Sul serio, cosa credevi di ottenere con questa sceneggiata?”
“Sceneggiata?” ripeté Jennifer sgranando gli occhi “come puoi dirmi una
cosa del genere? Io sono qui ad aprirti il mio cuore, e tu…” ma lui la
interruppe nuovamente.
“Tu mi hai aperto il tuo cuore. Wow, sono impressionato. Peccato per un
piccolo particolare: prima di aprire il cuore a me, hai aperto le gambe a quel
coglione” disse senza mezzi termini “e ora, dopo tutte quelle porcherie che ho
visto in quelle illuminanti foto, ti presenti qui vestita come un manichino e
truccata come una spogliarellista, dicendomi che mi hai aperto il tuo cuore con
la speranza che ti riprenda nel mio letto? È questo che mi stai chiedendo? Di
scoparti di nuovo?” concluse alzando la voce.
Lo stupore di Jennifer era immenso, non riusciva a credere a cosa le
aveva appena detto Kevin. Come aveva fatto a cambiare così tanto e in così poco
tempo? Stentava sul serio a crederci!
“Io ti sto chiedendo di ricominciare!” ribadì la donna.
“Ricominciare cosa, eh? Una storia nata morta e che mi ha portato via i
migliori anni della mia vita?” inveì arrabbiato “oh mia cara Jennifer,
riprendere una dannata storia sbagliata che mi ha distrutto in tanti modi, che
mi ha umiliato e annientato, che mi ha… impedito di avere un figlio? Perché tu
lo sai quanto lo volessi, ma tu… tu pensavi solo a te stessa! E poi, tanto per
parlare degli ultimi eventi, che cosa hai fatto? Oltre ad avermi tradito in casa
mia, nel mio letto, hai tentato di umiliarmi dicendo che non ero abbastanza uomo
per te e hai addirittura provato a rovinarmi economicamente! Lo so che dietro
certi giochetti immobiliari c’eri tu, non sono così stupido come hai sempre
pensato! Ma ti ho fregata, Jennifer, sono riuscito a spuntarla io, su tutti i
fronti, sei solo un ricordo, un brutto ricordo. E se volevi minare la mia
sicurezza di uomo, non ti è riuscito. Io so chi sono e cosa sono, e se non ti
soddisfacevo più, probabilmente era perché avevi perso… sensibilità,
visto lo sfiancate lavoro a cui sottoponevi le tue zone erogene, che nel tuo
caso è solo una” arrivò a dirle sprezzante.
La donna lo fissò a bocca aperta, incapace di reagire o almeno di
replicare in qualche modo.
“Come ti permetti” riuscì a dire dopo alcuni istanti di sbigottimento.
“Io? Come ti permetti tu di entrare in casa mia dopo tutto quello che
hai fatto con la pretesa di ammansirmi con due paroline dolci, dette anche male
a dire il vero, e di poter così riconquistarmi? Tu sei pazza Jennifer, l’ho
sempre sospettato ma oggi me ne hai dato la conferma. Tornatene dal tuo
mantenuto, con me hai chiuso definitivamente” concluse.
Jennifer abbassò lo sguardo, visibilmente ferita. Certo, non c’era
nessun mantenuto ad aspettarla. Frank l’aveva lasciata e probabilmente era già
con la sua fidanzata.
Kevin notò la sua espressione e, come un’illuminazione, capì cosa c’era
davvero dietro quel suo volergli aprire il proprio cuore.
“Oh santo Dio” esclamò sorridendo “di bene in meglio! Il caro Frank ti
ha lasciata! Io lo sapevo, sì dannazione lo sapevo! Prima o poi avrebbe capito
che razza di strega sei e si sarebbe dato alla macchia! Dunque tu non sei qui
perché hai davvero capito di voler stare con me, ma perché il signorino ti ha
dato il benservito e tu non vuoi stare da sola!” voleva dirle altro, ma qualcosa
iniziò ad insinuarsi tra i suoi pensieri e gli impedì di continuare il concetto.
Emily.
Se quell’animale aveva lasciato Jennifer, avrebbe tentato di rimettersi
con lei. Era sicuro, quale uomo non tenterebbe di riaverla?
Non poteva accadere, non…
Per questo l’aveva respinto? C’era di nuovo Frank nella sua vita?
“So che sei arrabbiato” continuò lei “e ne hai tutte le ragioni. Ma
credimi, sono qui solo perché ho capito di amarti e di voler stare con te! Dammi
un’altra possibilità, ti prego!”
Kevin la guardò freddamente, totalmente insensibile alle sue false
lacrime. “Qualche mese fa avrei fatto qualunque cosa pur di riaverti” le rispose
“ma grazie a Dio, non è successo. Tu sei la cosa peggiore che mi potesse
capitare ma per fortuna ne sono uscito vivo. Ora vattene da qui, e non farti
vedere mai più. Dico sul serio, abbi la decenza di non fare più di queste
piazzate, sei ridicola.”
Jennifer strinse i pugni ma non replicò, chiamando a raccolta quel poco
d’orgoglio che le era rimasto, girò sui tacchi e se ne andò.
Rimasto da solo, Kevin ripensò a quello che era appena successo.
Jennifer era completamente fuori di testa, come poteva solo pensare che
l’avrebbe ripresa con sé? Era l’ennesima prova che non lo conosceva affatto,
perché se l’avesse conosciuto davvero avrebbe saputo che lui non avrebbe mai
dimenticato né tanto meno perdonato tutto ciò che lei gli aveva fatto.
Ma c’era una cosa che lo sconvolgeva più della follia della sua
ex-moglie: era la possibilità che Emily si fosse riappacificata con il suo ex.
Il solo pensiero gli dava la nausea.
Emily era sua.
Sì maledizione, era sua! E anche se ancora non avevano fatto l’amore,
quella donna gli apparteneva. E quel verme non poteva portargliela via.
In quei tre giorni dopo lo spiacevole episodio della piscina, non aveva
fatto altro che pensare a lei e al perché fosse scappata così. Si era dato molte
spiegazione, e alla fine aveva pensato che probabilmente non sarebbe stato molto
romantico fare l’amore per la prima volta in piscina.
Oppure semplicemente non lo voleva. Ma mai, mai avrebbe pensato che
poteva esserci di mezzo il caro Frank!
“Io lo ammazzo” sibilò “se lo trovo lo ammazzo. Emily è mia…”
Perché lui… l’amava. Ecco perché era sua, Kevin si era innamorato di
lei e la voleva tutta per sé.
Decise cosa fare.
Andò in camera da letto, dove sulla cassettiera aveva posato
l’asciugamano protetto dal cellophane che il giorno prima aveva ritirato dalla
lavanderia, lo prese tra le mani e lo guardò. Era quello che Emily si era
avvolta in piscina, lui l’aveva fatto lavare e ripiegare con cura, si era
raccomandato. La ragazza aveva sorriso e gli aveva chiesto se altrimenti sua
moglie l’avrebbe sgridato.
Lui, imbarazzato, aveva risposto che non lo avrebbe sgridato ma che ci
teneva a riportarglielo in ordine.
Poi aveva realizzato che Emily non era sua moglie, ma ne aveva parlato
come se lo fosse. Ed era stata una bella sensazione.
E ora quel coglione voleva riprendersela? Jennifer poteva tenersela
stretta, ma Emily no.
Ora che aveva capito cosa provava per lei, non poteva perderla. E se
lei non provava niente per lui, doveva almeno dirglielo in faccia.
Uscì dalla sua camera e afferrò le chiavi della macchina, uscì
dall’appartamento sbattendo la porta alle sue spalle.
Doveva andare da Emily, dirle che l’amava e che voleva fare stare con
lei. Probabilmente l’avrebbe respinto un’altra volta, ma doveva almeno tentare.
Sentiva che finalmente, la vera felicità aveva bussato alla sua porta, non
voleva correre il rischio di non farla entrare.
A/n: davvero
pensavate che il nostro Kevin si facesse abbindolare di nuovo dalla bagasciona?
Ma certo che no! Lui vuole solo Emily, altro che la lurida! Spero che questo
capitolo vi sia piaciuto, so che i due non si sono incontrati ma lo reputo
comunque un capitolo importante in quanto chiude definitivamente
(definitivamente?) le rispettive storie passate.
Come sempre,
grazie a tutti quelli che leggono ma soprattutto alle ragazze che recensiscono,
vi adoro sul serio *__*!!!
Quando vide quell’uomo, Kevin sentì lo stomaco
stringersi in una morsa dolorosa.
Frank, il caro vecchio Frank, era appena uscito
dal palazzo in cui abitava Emily.
La sua Emily.
Che diavolo ci faceva lì quel verme? Stavano di
nuovo insieme? Era per questo che era scappata via dalle sue braccia, pochi
giorni prima?
Era un incubo, doveva esserlo. Magari tra pochi
attimi si sarebbe svegliato e avrebbe scoperto che era solo uno stramaledetto
incubo.
Emily non poteva stare di nuovo con quell’essere,
non poteva… fargli questo.
L’orribile immagine di lei e quel bastardo a letto
insieme gli balenò davanti gli occhi della mente, e la nausea gli strinse la
gola.
Deglutì per reprimere un conato e afferrò
l’asciugamano incartato sul sedile posteriore della propria auto.
A questo punto doveva saperlo, non importava
quanto male gli avrebbe fatto ma lei doveva avere il coraggio di dirgli in
faccia come stavano le cose.
Kevin si era innamorato di Emily, e sospettava che
il sentimento fosse in lui da tanto tempo, magari dal primo incontro.
E voleva dirglielo, doveva dirle che l’amava e lei
doveva dirgli la verità.
Era ancora innamorata di Frank? Okay, ma doveva
dirglielo.
Trasse un profondo respiro e attraversò la strada,
una macchina per poco non lo investì ma lui neppure se ne rese conto.
Non sentì nemmeno gli insulti che gli rivolse il
guidatore, tanto era teso e sconvolto.
Così sconvolto che non pensò nemmeno di
raggiungere il suo rivale e farlo a pezzi una volta per tutte, voleva solo
parlare con Emily.
Sì, inutile picchiare a sangue Frank, se lei lo
amava.
E soprattutto, se Emily non amava lui.
Spinse il portone e raggiunse le scale, salendole
a due a due.
Arrivò davanti la porta di Emily e si fermò,
tremando.
Aveva paura del confronto, e anche di trovarla
mezza nuda perché era stata a letto con quello.
Il pensiero che l’avesse anche solo sfiorata con
un dito, gli faceva salire il sangue al cervello.
Bussò con violenza alla porta, quasi prendendola a
pugni, mentre il suo cuore batteva come impazzivo.
“Emily sono io, apri per favore” gridò pensando
che lei fosse dietro la porta.
La porta si aprì dieci secondi dopo.
Emily lo guardò sorridendo, felice di vederlo di
nuovo dopo quel disastroso ultimo incontro in piscina.
Ma lui non sorrise, anzi il suo viso era contratto
e i suoi occhi erano furiosi.
“Kevin, cosa c’è?” gli chiese vedendolo così
sconvolto, facendosi da parte per farlo entrare.
Lui la fissò per alcuni secondi, poi accennò uno
strano sorriso.
“E’ per lui vero? È per Frank che sei scappata
l’altro giorno, non è così?” disse tutto d’un fiato, entrando in casa perché
prevedeva di urlare e non voleva far accorrere i vicini.
La donna corrugò la fronte. “Cosa c’entra ora
Frank?”
“Oh non farlo, non tu” ribattè lui “non fare come
Jennifer che negò fino all’ultimo. L’ho visto, l’ho visto uscire da qui pochi
minuti fa. State di nuovo insieme? È per questo che mi hai respinto? Per me va
bene… sì puoi di nuovo farti prendere in giro da quel pezzo di merda, ma devi
dirmelo perché altrimenti io impazzirò. Lo ami? Vuoi stare con lui?”
Emily era scioccata: Kevin le stava facendo una
scenata di gelosia in piena regola! Era furibondo, respirava affannosamente e
poteva vedere le vene del collo e delle tempie pulsare convulsamente.
“Kevin.. hai frainteso, lui era qui solo…”
“No maledizione!” urlò buttando a terra
l’asciugamano “dimmelo e basta! Dimmi che vuoi stare con il tuo ex e io sparirò
per sempre! Giuro che non mi vedrai più, ma devi dirmi che… non provi nulla per
me! Che per te sono e sarò sempre e solo un amico o magari un conoscente, o
qualsiasi cosa che non preveda un rapporto esclusivo! Ho bisogno di sapere che
non mi vuoi” continuò esasperato “che non vuoi stare con me, che ho frainteso
tutto e l’altro giorno ho preso un abbaglio nel pensare che… volevi fare l’amore
con me. Dimmelo ti prego.”
Ecco, di nuovo la stessa storia.
Stava implorando una donna di non farlo soffrire,
di dirgli cosa provava per lui ed era sicuro che se lei gli avesse confermato di
voler stare con l’altro, Kevin le avrebbe chiesto di lasciarlo per stare con
lui.
Era il suo destino, amare donne che non lo
amavano?
“Kevin, tu hai capito male, lui era qui solo….” ma
lui l’interruppe di nuovo.
“Voglio una sola risposta, una! Non voglio scuse
né giustificazioni, voglio solo sapere cosa provi per me!”
“Se la smetti di urlare e mi fai parlare” gli
disse lei “forse riesco a spiegarti la situazione! Questa tua furiosa scenata di
gelosia è decisamente fuori luogo!”
Kevin si sentì crollare il mondo addosso, dicendo
così, Emily gli aveva dato la risposta che cercava.
Annuì serrando i denti e i pugni, ferito come non
gli accadeva da tempo, forse più di quanto non avesse fatto Jennifer.
“Scusa, ti chiedo scusa” rispose Kevin a bassa
voce “non avevo capito, ma ora sì. Ora mi è tutto chiaro. Sono un idiota, mi
imbarco sempre in amori a senso unico. Non mi era bastata la storia con
Jennifer, ci mancavi solo tu” fece una pausa e indietreggiò di alcuni passi “ti
ho riportato l’asciugamano che hai lasciato in piscina, l’altro giorno. L’ho
portato in lavanderia.”
“No aspetta, non volevo...” iniziò Emily, ma Kevin
alzò una mano per farla tacere.
“Ti prego di non aggiungere altro, ti chiedo
nuovamente scusa per la mia… sfuriata inopportuna, devo essere impazzito sul
serio. Beh, sii felice e buona fortuna.”
Emily lo raggiunse e lo prese per un braccio.
“Kevin no, aspetta, non è come pensi ti sbagli!” gli disse accorata, temendo che
se ne stesse andando per sempre.
Lui si scostò liberandosi dalla sua presa. “Non
preoccuparti, non è successo niente. Eravamo solo conoscenti dopotutto, sono
stato io a fraintendere la situazione” si fermò e la guardò con occhi tristi
“no, non ho frainteso nulla, sono solo stato uno stupido, perché mi sono
innamorato di te anche se era evidente che tu non provavi nulla per me. Ciao…”
Pietrificata da quelle parole, Emily lo guardò
uscire dal suo appartamento, incapace di corrergli dietro e urlagli che… lo
amava anche lei.
Corri scema, corri da lui! Le urlò la
solita vocina interiore, ma qualcosa la teneva bloccata lì sull’uscio di casa
propria.
Paura?
Sì, aveva paura. Non di lui, no. Anche se aveva
alzato la voce, era evidente che non avrebbe mai fatto nulla di violento contro
di lei.
Aveva paura di sé stessa, di soffrire, di vederlo
scegliere sua moglie alla fine dei giochi.
E lei non voleva correre il rischio di ritrovarsi
sola e disperata.
Ma Kevin le aveva appena detto di amarla! Perché
diavolo con gli correva dietro supplicandolo di non andare via?
Ecco, forse era proprio questo. Non voleva
arrivare al punto di supplicare di non essere lasciata.
Non l’aveva fatto con nessun uomo, non voleva
farlo con Kevin.
Chiuse la porta e restò in piedi davanti ad essa
per lunghi minuti, con una miriade di pensieri e domande che le affollavano la
mente.
Aveva voglia di piangere, gridare, ma se ne restò
semplicemente in piedi, a fissare la porta, mentre Kevin si stava allontanando
dalla sua vita.
Forse per sempre.
/-----/
Tornò a casa dopo aver guidato per ore senza una
meta.
Si sentiva vuoto, non era neanche arrabbiato o
triste o depresso.
Era come svuotato di ogni sentimento, di ogni
emozione.
Si sedette sul letto e nascose il viso tra le
mani.
La sua vita era un completo disastro, e solo Emily
gli era sembrata una luce nel buio.
Fino a quel giorno, però. Perché ora anche quella
luce si era spenta.
Che ci stava a fare lì? Quello non era mai stato
il suo paese, c’era solo nato perché i suoi genitori erano partiti dalla Francia
appena sposatisi.
Non voleva più stare in Inghilterra, voleva andare
via per sempre.
Voleva parlare con una madre.
Gli avevano allacciato la linea telefonica solo
qualche giorno prima, e quella a sua madre sarebbe stata la prima telefonata
fatta dal telefono fisso.
Prese il cordless e compose a memoria il numero.
“Allô?” rispose in francese una voce tanto
gentile quanto familiare. Quella di sua madre Elise.
Kevin iniziò a piangere sommessamente. “Maman...
c’est moi…” mormorò cercando di nascondere la propria voce rotta dalle lacrime.
“Kevin, mon coeur, comment ça va?”
L’uomo sospirò. “Ça va mal,
maman” rispose sincero.
Era vero, andava tutto male e non ce la faceva
più.
Aveva creduto, anche se solo per un po’, di aver
intravisto una possibile felicità. Invece aveva sbagliato tutto, di nuovo.
“Tesoro, che significa? Mi fai spaventare”
gli disse sua madre, parlando in inglese questa volta.
“Quello che ho detto mamma… va tutto male nella
mia vita. Io…” si fermò e respirò a fondo “ti piacerebbe se…mi trasferissi in
Francia? Per sempre dico...”
Elise restò in silenzio per un alcuni istanti. “Figliolo,
che cosa è successo? Di nuovo Jennifer?”
Si erano sentiti altre volte in quei mesi, e
sapeva tutta la brutta storia. Non si era meravigliata più di tanto, lo sapeva
che prima o poi sarebbe successo. Non le era mai piaciuta Jennifer.
“No, stavolta no” fece una pausa e si asciugò gli
occhi, augurandosi che sua madre non se ne fosse accorta “J'aime une femme qui
ne m'aime pas. Je
veux partir, maman. Je veux partir….”
Voleva andare via,
lasciare quel paese che non era mai stato suo, dove aveva conosciuto solo
delusioni.
Amava Emily e sapere che
non poteva averla lo faceva impazzire.
L’unica soluzione era
andare via, lasciare tutto e ricominciare in Francia.
“Ne sei sicuro, tesoro?”
“Sì, voglio andarmene.
Troverò qualcosa da fare lì… ma voglio andarmene via. Non ti darò fastidio
mamma, me ne starò per conto mio…”
“Non dirlo neanche per
scherzo” esclamò Elise “se decidi di partire sul serio, verrai dritto da
me, intesi?”
Kevin amava tanto sua
madre, era una donna di poche parole ma dolce e comprensiva. E lui non aveva mai
sentito tanto bisogno di lei come in quel momento.
Se ne vergognava in
realtà, era più che adulto. Ma si sentiva stordito, perso, e aveva bisogno di
sua madre.
“Partirò presto mamma” le
annunciò “forse domani stesso.”
“Ne sei sicuro? Io sono
felice se tu torni da me, ma voglio che tu ne sia convinto.”
“Sono più che convinto”
affermò Kevin “voglio andarmene da qui.”
“Allora ti aspetto
figlio mio.”
“Grazie mamma e scusami.”
“Di cosa dovrei
scusarti? Di cercare il conforto della tua mamma?”
Kevin sorrise, adorava
l’accento di sua madre e il modo in cui pronunciava le parole lo rilassava.
“A presto mamma, ti faccio
sapere quando parto” le disse.
“Va bene caro, a presto
e sta’ tranquillo. Se non ti ama, vuol dire che non era la persona giusta per te.”
“Già, hai ragione. Ti
voglio bene mamma, a presto.”
Riattaccarono.
Kevin si alzò dal letto e
raggiunse la finestra, guardò fuori e pensò che presto avrebbe lasciato quel
paesaggio, senza sentirne la mancanza.
Stava per tornare nel suo
paese, lì avrebbe tentato di dimenticare tutto, Emily compresa.
Ma sua madre non aveva
ragione, lei era la persona giusta per lui.
Era Kevin a non essere
quello giusto per lei, evidentemente.
Emily voleva stare col
caro vecchio Frank, non con lui.
Poggiò la testa contro il
vetro e sospirò, chiudendo gli occhi.
Stava scappando e lo
sapeva, ma era l’unica cosa da fare.
Note d'autore: Scusate il ritardo, come sempre. Ma
ho davvero tante storie da scrivere e non è che una può stare 24H su 24 al pc!
Anche se mi piacerebbe *__*! Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono e
anche a quelli che leggono senza recensire, e un grazie enorme alle 81 persone
hanno inserito questa storia nelle preferite/seguite/ricordate. Grazie!
Note di traduzione: Beh il mio francese è
arrugginito e allora mi sono fatta aiutare dal traduttore on-line. Kevin e mamma
Elise si sono detti cose essenziali, spero capiate senza problemi!
Note d'autore: Capitolo diviso in due
parti, perché altrimenti sarebbe risultato spropositatamente lungo. Mi dispiace
per il ritardo ma per scrivere serve tempo ma soprattutto ispirazione, se no si
rischia di rovinare la storia.
XXI
(Prima parte)
“Perchè tutta questa fretta? Qualche giorno fa mi
sembravi sereno e... interessato a restare” disse Chris, incapace di capire come
mai il suo amico dall'oggi al domani avesse deciso di fare i bagagli e partire
per tornarsene al proprio paese d'origine.
Kevin sospirò profondamente, Chris si sbagliava,
non era affatto sereno. E più che interessato a restare, in cuor suo sperava di
trovare un valido di motivo per restare. Anzi, lui aveva sperato di averlo già,
ma si era sbagliato.
“Beh, diciamo che avevo da tempo l'intenzione di
andarmene” iniziò serio “ma volevo prima capire una cosa.”
“E l'hai capita?” l'incalzò Chris.
L'altro lo guardò ed annuì. “Sì, ed ho capito
anche che non c'è niente che mi trattenga qui” fece una pausa e aprì le mani in
un gesto di rassegnazione. “Tu mi conosci da oltre vent'anni, dovresti sapere
che io qui mi sono sempre sentito fuori posto.”
“Lo so, lo ricordo bene. E mi dispiace che tu
abbia continuato a portarti questa sensazione per tutti questi anni.”
“Inutile negarlo” ammise Kevin “non sono mai stato
bene qui. Ma sai... con Jennifer credevo di aver trovato il mio punto di
contatto con una realtà che non mi apparteneva. Invece... la fine è nota.”
“E con quella ragazza?” gli domandò, non potendo
più trattenere la curiosità “nessun punto di contatto nemmeno con lei?”
Kevin si oscurò. “No, decisamente. E preferirei
evitare il discorso, se per te va bene.”
Chris intuì che era lei la causa di quella
improvvisa partenza.
Possibile che quel gigante si facesse sempre
mettere knock out dalle donne?
E doveva essere qualcosa di scottante, visto che
era disposto a parlare della ex moglie e non di quella ragazza misteriosa, di
cui sapeva solo che Kevin l'aveva salvata anni prima dall'annegamento.
“Okay, come vuoi” si arrese “però mi dispiace
sapere che te ne vai così, proprio ora che ci eravamo ritrovati. Non hai
conosciuto nemmeno la mia famiglia, anzi perchè non vieni da noi per una birra?
Almeno conoscerai mia moglie e i miei bambini.”
Sorrise ma scosse il capo. “Ti ringrazio ma ho
ancora diverse cose da fare” si scusò “ho il volo alle nove questa sera.
Dispiace anche a me, mi sarebbe piaciuto conoscere la tua famiglia.”
Stava mentendo.
Era felice per lui perché Christian meritava solo
il meglio, era un ragazzo d'oro e gli augurava tutto il bene del mondo.
Ma vedere ciò che desiderava e non aveva, gli
avrebbe fatto male.
Una moglie e dei figli che lo amavano ad
aspettarlo a casa, mentre lui era soltanto un povero bastardo solo.
“Come vuoi” rispose Chris con un sospiro.
“Scusami, mi piacerebbe ma non posso” ribadì
Kevin, poi cambiò discorso. “Allora facciamo così, appena capisco cosa...fare,
mi metterò in contatto con te e decideremo il da farsi sulla mia quota. Se
riesco a sistemarmi decentemente, vorrei cedertela senza contropartita.”
“Kevin, non...”
“No Chris” lo fermò “questa attività la stai
mandando avanti da solo, mentre io prendo i soldi e basta. Meriti di averla
tutta per te e senza sborsare un soldo. Ma sono onesto, non ho idea di cosa fare
una volta arrivato ad Arles, non so che lavoro potrei fare lì. Dunque passerò i
primi mesi a guardarmi intorno e non me la sento di lasciare subito l'introito
sicuro che la nostra società mi assicura. Ma appena capisco dove sbattere la
testa, voglio darti la mia quota. Cedertela, se mi riesce. E non obiettare, non
cambio idea facilmente, lo sai.”
Chris lo sapeva, Kevin era la testa più dura che
avesse mai incontrato.
Sospirò e annuì. “Okay, come voi” disse “è un tuo
diritto vendere o cedere. Ma sappi che mi dispiace, proprio ora che potevano di
nuovo essere una squadra.”
L'altro sorrise abbassando lo sguardo. “Già, hai
ragione. E mi dispiace davvero, ma... ho bisogno di andare via sul serio. So che
sembre una decisione campata in aria, presa dall'oggi al domani, ma in realtà ci
penso da un po' di tempo. Ora devo andare” aggiunse alzandosi “ho molte cose da
fare ancora...”
Chris lo imitò, preparandosi all'addio.
“Ti auguro ogni bene amico mio” gli disse
porgendogli la mano “e tutta la fortuna.. che non hai avuto qui.”
Kevin lo guardò negli occhi. “Ti ringrazio... per
tutto...” e gli strinse la mano, ma poi lo tirò stringendolo in un forte
abbraccio.
“Grazie per la tua amicizia Chris” gli disse
commosso “un altro al posto tuo vedendomi tornare dopo così tanti anni, mi
avrebbe mandato a fanculo, tu non l'hai fatto. Sei un fratello...”
“Figurati Kev” rispose l'altro quando l'amico lo
liberò dall'abbraccio “avevo capito la situazione anche allora, e capisco la
situazione adesso. Sei stato il migliore amico che io abbia mai avuto e avrei
rinnegato la nostra amicizia se non ti avessi accolto a braccia aperta. Mi
dispiace solo che tu ora vada via, davvero.”
“Ma ci rivedremo” replicò Kevin “anzi, magari
qualche volta tu e la tua famiglia verrete a trovarmi in Francia.”
No, probabilmente non si sarebbero mai più
rivisti, ma era bello illudersi che non era così.
“Chissà, potremmo prenderti in parola” rispose
Chris, anche se la pensava esattamente come l'altro.
Si salutarono di nuovo e, dopo un'ultima occhiata
al luogo che aveva amato più di casa sua, Kevin uscì, sicuro di non tornarci
più.
Camminò lungo il vialetto che lo portava alla sua
auto a testa bassa, cercando di mettere a fuoco le cose da fare per non pensare
ad Emily.
“Ehi Kevin!” si sentì chiamare.
Guardò alla sua sinistra e vide Rachel.
Sorrise, soprattutto quando vide che era in
compagnia dei suoi adorabili bambini.
“Salve Rachel” salutò tendendole la mano “ciao
bambini” disse ai piccoli, che sorrisero ma restarono un po' dietro la madre.
“Che piacere rivederti” disse la donna
stringendogli la mano “è da un po' che non ci vedevamo.”
“Già... dal pronto soccorso...” rispose lui.
“Ti sei fatto male?” chiese la piccola Amy
preoccupata.
Kevin la guardò e le sorrise, piegandosi sulle
ginocchia. “Sì un po', sono caduto dal letto! Ma la tua mamma mi ha curato e ora
sto benissimo” le raccontò dandole un leggero pizzicotto sulla guancia.
La bambina ridacchiò divertita, mentre Rachel,
osservando la scena, non poté fare a meno di pensare che Kevin ci sapeva fare
con i bambini, non si comportava nè da idiota smielato nè da arcigno.
Sarebbe un buon padre, Emily dovrebbe tenerne
conto, pensò maliziosa.
“Li porti in piscina?” domandò alla loro madre.
“Sì esattamente, stanno imparando a nuotare... tu
è qui che lavoravi, vero?” gli domandò, fingendo di non saperlo.
Lo sapeva eccome, era stato anche il teatro del
quasi-sesso tra lui e la sua amica.
Lui annuì. “Sì esattamente, ora sono solo in
società con un mio ex compagno di scuola. Prima facevo l'istruttore, avrei
potuto insegnare loro io a nuotare.”
“Beh potresti sempre riprendere a farlo”
sottolineò la donna.
Kevin sospirò scuotendo il capo. “No, non mi è
possibile. Sto per tornare nel mio paese....” si lasciò sfuggire.
Rachel drizzò le orecchie. “Ah...vacanze natalizie
anticipate?”
“No” rispose “vado via definitivamente.”
Lei, che non sapeva ancora nulla visto che Emily
non le aveva detto niente, lo guardò perplessa, alzando un sopracciglio.
“Wow. Cioè... non sono affari miei, ma credevo che
avessi superato... una certa questione.”
L'uomo si sforzò di sorridere. “E' così, ho solo
capito che qui non sto bene e che voglio tornare alle origini. Io sono francese,
non c'entro nulla con questo paese” spiegò.
“Emily lo sa?” gli chiese lei, andando dritta al
punto.
“No e onestamente, non sono cose che la
riguardano” rispose tagliente.
Rachel ricollegò quella reazione al rifiuto di
Emily in piscina, anche se le sembrava un po' eccessivo.
Invece di lottare per averla, faceva la valigia e
andava via?
“Io credo di sì invece” lo contraddisse “la
riguarda molto, da quello che so.”
Kevin la fissò. “Cosa sai?”
Non voleva mettersi troppo in mezzo, dopotutto
erano affari loro, ma non poteva lasciare che due persone innamorate si
perdessero così.
“Quello che so” iniziò cauta “è che Emily
soffrirebbe molto se te ne andassi, credimi.”
“Affatto” obiettò lui nervoso “ha altro a cui
pensare.”
Rachel corrugò la fronte. “Non credo di capire.”
“Beh diciamo che Emily ha il perdono facile.
Scusami, devo andare adesso, partirò presto e ho un mucchio di cose da fare” si
scusò frettolosamente.
“Perdono facile? Kevin, ascolta, credo tu stia
facendo un errore. Non ho idea di cosa si tratti ma...”
“Non importa” la interruppe “non mi importa di
niente, voglio solo... andare via, per un milione di motivi.”
“Emily per prima?”
“Sì, Emily per prima” ammise l'uomo “scusami...
davvero. Ti auguro buona fortuna e grazie di tutto. Ciao bambini.”
Si allontanò in fretta, innervosito e impaziente.
/-----/
Rachel lo guardò allontanarsi e prese
immediatamente una decisione.
Rovistò nella borsa e trovò il cellulare, prese
per mano i bambini e tornò verso la macchina.
“Mamma, e la piscina?” chiese Russell mentre
Rachel lo faceva salire sul sedile posteriore.
“La mamma deve fare una telefonata, un attimo ed
andiamo” assicurò chiudendo lo sportello.
Trovò il numero di Emily e avviò la chiamata.
“Rachel?” rispose la ragazza al secondo squillo.
“Emily... che diavolo è successo che io non so?”
esordì saltando i convenevoli.
Seguì un silenzio di alcuni secondi. “Che vuoi
dire?” disse l'altra infine.
Rachel sospirò. “Tra te e Kevin. L'ho incontrato
poco minuti fa, sta per andarsene per sempre dal Paese, si trasferisce in
Francia. Parlava di un perdono da parte tua. Che sta succedendo?”
“Andarsene per sempre?” ripeté incredula Emily
“non capisco... come andarsene per sempre?”
“Non si riferiva a Frank, vero? Ti prego dimmi che
non ci sei cascata!”
“No! Kevin ha visto Frank sotto casa mia è ha
pensato che ci fossimo riappacificati, ma non è così!” spiegò quasi urlando.
L'altra si blocco: e questo quand'era successo?
“Cioè Frank è venuto a casa tua... per cosa
esattamente?” volle sapere Rachel.
“Ha cercato di tornare con me, ma l'ho mandato al
diavolo. Solo che Kevin l'ha visto e ha creduto chissà cosa! Ha urlato contro di
me e poi è andato via, ma...” si fermò e Rachel capì che stava per piangere “mi
ha detto che mi ama e io non ho fatto niente! L'ho lasciato andare via, è colpa
mia!”
Piangeva.
Rachel sospirò e scosse il capo. “Tesoro, corri da
lui. Ha detto che partirà presto. Secondo me oggi stesso, tu devi fermarlo.”
“Oggi?” ripeté la ragazza “oh Dio... non può!”
“Appunto, quindi svegliati dal letargo e corri
dannazione! Appena gli ho fatto il tuo nome ha cambiato espressione, crede che
tu stia con quello e sta male! Va' e digli quello che provi o lo perderai!”
Emily chiuse il telefono senza dire nulla, Rachel
capì la situazione e non si offese.
Stupidi testoni, tutti e due, pensò arrabbiata.
Sperava con tutto il cuore che si chiarissero e
che la smettessero di girarsi intorno senza mai dirsi la verità.
/-----/
Emily tremava.
Kevin non poteva andarsene, non poteva lasciarla.
“E' colpa mia... è solo colpa mia” gemette
incredula.
Doveva andare da lui, immediatamente.
Ma non poteva guidare, si sarebbe schiantata da
qualche parte.
Prese il cappotto e uscì, correndo giù per le
scale.
In strada fermò un taxi e salì, indicando
all'autista la via che doveva raggiungere.
Kevin voleva andarsene.
Così, su due piedi, dall'oggi al domani.
Perchè aveva creduto che lei stesse di nuovo con
il suo ex, perchè lei non aveva avuto il coraggio di dirgli che lo amava.
E non importava se lui non l'aveva nemmeno
lasciata parlare, lei avrebbe dovuto urlarglielo anche mentre scendeva per le
scale.
O telefonargli, o andare a casa sua.
Invece niente.
Stupida idiota, si disse mordendosi un
labbro per non piangere.
Il taxi sembrava non arrivare mai, non sapeva
quanto tempo era trascorso, ma comunque era troppo.
Per quel che ne sapeva poteva già essere partito e
questo pensiero le stringeva lo stomaco in una morsa di dolore.
Non poteva andarsene, non poteva lasciarla.
Finalmente arrivò, scese dal taxi dopo aver pagato
la corsa e si precipitò nel palazzo.
Salì di corsa le scale e trafelata si fermò
davanti alla sua porta, per riprendere fiato.
Cosa gli avrebbe detto?
Ti amo, non andartene?
Forse sì, forse era meglio evitare tante
spiegazioni, tanti giri di parole.
Semplice e diretta.
Prese un grosso respiro e suono il campanello.
Niente.
Bussò alla porta, ma ancora niente.
Non c'era?
Prese il cellulare e provò a telefonargli, ma come
immaginava, era spento.
“No... non può finire così....” mormorò, non
sapendo dove cercarlo.
Era partito sul serio?
Era già andato via?
Non riuscì a trattenere le lacrime, scoppiando a
piangere sul pianerottolo, davanti alla porta di Kevin.
Provò di nuovo a telefonare, e di nuovo la voce
registrata della sua segreteria telefonica l'invitava a lasciare un messaggio.
E l'avrebbe fatto.
“Kevin.. sono davanti la tua porta...non so se sei
già partito o se hai semplicemente il telefono spento” iniziò tra le lacrime
“ma.. ti prego, se sei ancora qui, non partire! Non andartene, non mi lasciare!
Ho sbagliato, è tutta colpa mia, per paura ti ho lasciato andare via... ti
prego.. non te ne andare... io ti amo....”
Il tempo a disposizione era finito, annunciato dal
un altro segnale acustico che le risuonò violento nell'orecchio.
Gliel'aveva detto, anche se in un messaggio
vocale, anche se magari l'avrebbe ascoltato troppo tardi, gli aveva detto che lo
amava.
E se fosse tornato da lei, glielo avrebbe urlato
così forte da farsi male.
Guardò la porta chiusa, poggiò le mani contro di
essa e poi la fronte, piangendo.
Non sapeva che fare, se si fosse mossa Kevin
sarebbe potuto tornare e l'avrebbe perso definitivamente.
Note d'autore: seconda parte del capitolo
21... scusate l'attesa. Spero vi piaccia ^_^
XXI
(Seconda parte)
Emily non lo sapeva, ma aveva mancato Kevin per un soffio.
Mentre lei stava per scendere dal taxi, lui stava salendo su un altro.
Aveva fatto le valigie, portandosi solo abiti e documenti, ed era partito alla
volta dell'aeroporto.
Il
volo sarebbe partito più di tre ore più tardi, ma per Kevin ormai era inutile
restare in quella casa.
Aveva preso la sua decisione, tanto valeva andarsene il prima possibile.
Sospirò sedendosi su una delle sedie nella sala di attesa dell'aeroporto.
C'era tempo per i bagagli, voleva riposarsi un po'.
Si
sentiva stanco.
Era
stato uno degli anni più brutti della sua vita e non ne poteva più.
Jennifer prima, Emily poi...
Scosse il capo e si massaggiò le tempie.
La
colpa in realtà era solo sua, si disse, lui si era.... invaghito di lei, non
viceversa.
No,
lui si era innamorato di Emily, non invaghito.
Perché si era innamorato di lei, poi?
Perché era bella? Era gentile?
Sì,
per tutto. Il suo modo di essere così tanto diverso da quello di Jennifer, la
sua bellezza voluttuosa.
Si
chiese come diavolo faceva ad innamorarsi sempre della donna sbagliata.
Poi
innamorarsi così, senza nemmeno essere stati a letto insieme.
Già, avrebbe tanto voluto averla almeno una volta sola, ma lei l'aveva respinto.
“Povero me...” mormorò rassegnato.
Prese il cellulare dalla tasca e lo guardò a lungo.
Era
spento da giorni, forse valeva la pena accenderlo un attimo.
Forse sperava di trovare un messaggio di Emily...
Lo
accese e dopo alcuni secondi, gli arrivarono diverse notifiche.
Messaggi di Chris, Johnny del pub e....
Sette chiamate perse da parte di Emily più un suo messaggio vocale.
Il
cuore dell'uomo accelerò.
Deglutì a vuoto e ascoltò il messaggio.
“Kevin..
sono davanti la tua porta...non so se sei già partito o se hai semplicemente il
telefono spento, ma... ti prego, se sei ancora qui, non partire! Non andartene,
non mi lasciare! Ho sbagliato, è tutta colpa mia, per paura ti ho lasciato
andare via... ti prego.. non te ne andare... io ti amo....”
Il messaggio finiva così.
Io ti amo.
Kevin sentì un ronzio nelle orecchie e per un
attimo la vista gli si offuscò.
Ma lo stordimento durò poco, si scosse e afferrò
la propria valigia, raggiungendo l'uscita.
Che significava quel messaggio?
Era vero? E perchè non gliel'aveva detto prima?
No, questa cosa doveva chiarirla... al diavolo
l'aereo, non poteva andarsene senza aver saputo come stavano le cose.
Salì su un taxi e indicò al conducente la via da
raggiungere.
Ma come? Si rimetteva col suo ex e poi gli diceva
io ti amo?
No, non poteva prenderlo in giro così.
/-----/
Se n'era andato.
Sì Kevin era andato via, non c'era altra
spiegazione.
Era lì davanti alla sua porta da oltre un'ora e
lui non si era fatto vivo, né le aveva telefonato.
Forse era il caso di andare via, era pressoché
inutile continuare ad aspettare.
Si posò una mano sulla fronte cercando di non
piangere, ma era difficile.
Era andato via ed era colpa sua.
Se solo avesse avuto più coraggio e
determinazione, ora sarebbero insieme.
Sospirò con tristezza, quando sentì che qualcuno
stava salendo rapidamente le scale.
Emily si bloccò col cuore il gola, con la
sensazione che si trattasse di lui.
"Emily."
Si voltò di scatto e se lo ritrovò davanti.
Le sembrava ancora più alto e più bello.
“Credevo fossi partito” disse lei, parlando per
prima.
Kevin, col respiro un po' affannato, si avvicinò
posando la valigia a terra che solo allora Emily notò.
“Stavo per farlo” ammise “ero all'aeroporto... poi
ho sentito il tuo messaggio...e vorrei sapere cosa significa.”
La giovane sentiva il cuore battere forte nel
petto, era arrivato il momento della verità.
“Che non puoi partire Kevin... ecco cosa
significa....” ripeté con voce tremante.
“Perchè dovrei restare qui?" le chiese serio.
"Per me..." mormorò mentre gli occhi le si
riempivano di lacrime, avvicinandosi di un passo.
L'uomo la guardò negli occhi. "E' per te che sono
rimasto fino ad ora" le confessò con tristezza "ma ora non ho più alcun
motivo..." affermò corrugando la fronte.
"Tu hai frainteso ieri" tentò di spiegargli "se mi
avessi lasciato parlare..."
"Non c'era niente da fraintendere, Emily! Tu..."
"Fammi parlare per la miseria!" inveì Emily
esasperata, facendo ondeggiare quella massa di capelli fiammeggianti "Ascoltami
e taci!"
Kevin si zittì, guardandola sorpreso e incantato.
"Frank era venuto da me con l'assurda pretesa che
lo perdonassi, ma l'ho letteralmente mandato a farsi fottere! Perchè mi fa
schifo, è un uomo spregevole e il pensiero di essere stata con lui mi fa
vomitare! Ma quando mi ha... detto che con lei era finita, ho avuto il terrore
che tu tornassi con tua moglie..."
"Cosa?" esclamò Kevin sgranando gli occhi.
Lei annuì. "Sì perchè tu l'avevi amata tanto e ho
pensato che.. l'amavi ancora ed è per questo che in piscina sono scappata, non
volevo essere un'avventura, non volevo... fare sesso per poi soffrire perchè tu
tornavi dalla tua Jennifer! Invece ieri mi hai dichiarato il tuo amore e io sono
rimasta come pietrificata e non so nemmeno perchè visto che io avevo paura che
tu non provassi nulla per me se non desiderio fisico! E allora come un'idiota ti
ho lasciato andare via! Ma io non voglio che tu te ne vada, tu devi restare qui
con me!" finì mentre le lacrime le scendevano lungo le guance.
Kevin l'aveva ascoltata come ipnotizzato, il cuore
che martellava furioso e il sangue che doveva scorrere come un fiume se aveva la
sensazione di sentirne il flusso nelle vene.
Era così bella da far male e ciò che gli aveva
detto suonava come una dichiarazione.
Al diavolo la partenza, al diavolo paure e
incomprensioni.
Voleva restare con lei, provare ad essere felice.
Ma doveva dirglielo guardandolo negli occhi,
doveva dirgli che lo amava.
"Perchè?" le domandò avvicinandosi "Perchè devo
restare qui con te?"
Emily alzò il viso e lo guardò negli occhi,
tremando.
“Lo sai perchè... te l'ho detto...”
Kevin annuì, avvicinandosi ancora di più fin quasi
a sfiorarla col proprio corpo.
“Sì, in un messaggio sul cellulare. Devi dirmelo
adesso, guardandomi negli occhi... voglio sentirtelo dire....” le disse con fare
autoritario.
Emily riusciva a sentire il calore del suo corpo,
il profumo del suo dopobarba la inebriava e si accorse di desiderarlo da
impazzire.
Lo voleva su di sé, dentro di sé. Era imponente,
forte e probabilmente molto selvaggio e...grande.
Per la prima volta in vita sua, fu sul punto di
dire ad un uomo scopami, lei non si era mai fatta avanti così,
sicuramente non in quei termini. Ma Kevin tirava fuori da lei un lato che non
conosceva, e forse era proprio questo che la spaventava.
Ma ora no, non aveva più paura di sé stessa, nè di
lui.
"Perchè ti amo" rispose respirando a fatica "ti
amo e voglio che tu sia il mio uomo, voglio fare l'amore con te, sentirmi
tua...voglio il tuo corpo sul mio, sentirti dentro, gridare il tuo nome e
stringermi a te esausta..."
Gli occhi di Kevin si illanguidirono all'istante,
si poteva vedere il desiderio galleggiare sulla loro superficie chiara.
Voleva che Emily gli dicesse che lo amava, ma non
avrebbe mai sperato di sentirsi dire cose del genere.
Lei era scioccata dalle sue stesse parole, le
erano uscite di bocca come un fiume in piena e si era fermata solo perchè
distratta dall'evidente reazione fisica ed emotiva dell'uomo di fronte a lei.
"Pensi davvero.. quello che mi hai appena detto?"
le chiese Kevin, sull'orlo della follia.
Emily si avvicinò di un passo, poggiandosi quasi
al suo petto che si alzava e si abbassava a causa del respiro affannoso.
"Sì lo penso davvero... con tutta me stessa..."
bisbigliò emozionata, posandogli una mano sul petto e sorprendendosi del battere
furioso del suo cuore.
Le labbra di Kevin si distesero in un lieve
sorriso, le passò le braccia intorno alla vita e l'attirò a sè, stringendola
forte.
Emily gemette, ritrovandosi premuta contro il
corpo grande e oltremodo caldo dell'uomo.
Il desiderio crebbe a dismisura.
Kevin avvicinò il viso al suo, guardando quelle
labbra rosa e invitanti.
"Lily...se non sei sicura di quello che mi hai
detto, devi respingermi adesso, perchè tra pochi istanti non sarò più in grado
di fermarmi..." le disse serio.
Ed era vero, maledettamente vero.
La voleva così tanto da sentirsi male, da tremare,
ed era sul punto di perdere completamente il controllo delle sue azioni.
Lei lo guardò negli occhi, gli passò le braccia
intorno al collo e si sollevò sulla punta dei piedi, in modo da poter arrivare
alla sua bocca più agevolmente.
"Ho già sbagliato una volta, respingendoti in
piscina proprio sul più bello. Ora basta, voglio lasciarmi andare...." rispose
languida, offrendogli le sue labbra.
Kevin andò in orbita.
Si chinò su di lei e catturò la sua bocca in un
bacio vorace, tanto da toglierle il respiro assaporandola a fondo.
Cercò le chiavi di casa e quando le trovò, per
poco non sfondò la porta a spallate, pur di entrare, senza smettere di baciarla.
Entrarono e lui sbattè la porta con violenza,
fregandosene dei vicini.
Le prese il viso tra le mani e lasciando per un
attimo la sua bocca, passò al collo, posandovi baci languidi e caldi.
Emily lo abbracciò stringendosi a lui, trovò
stupendo sentirsi piccola in confronto ad un uomo tanto grande e forte che la
baciava con una foga devastante.
Lui le tolse il cappotto spingendola verso il
letto.
La donna, ormai totalmente accecata dal desiderio,
si ritrovò ad aiutarlo a spogliarsi senza nemmeno accorgersene. Lo aiutò a
togliersi la giacca, poi la camicia e la maglietta grigia, fino a slacciargli la
cintura dei pantaloni e sfilarla via.
Arrivati davanti al letto, Kevin le tolse la
maglia, trovandosi di fronte un corpetto nero che a fatica conteneva il suo
seno.
Lo guardò estasiato.
“Non ho idea da dove iniziare...” mormorò
guardando i laccetti.
Emily ridacchio mostrandogli un fianco. “Ha la
cerniera, i lacci sono decorativi...” gli spiegò.
L'uomo guardò in alto. “Grazie!” esclamò, prima di
precipitarsi ad abbassare la cerniera.
Tolse piano il corpetto, quasi con riverenza, e lo
lasciò cadere a terra.
L'ammirò, perso nella contemplazione del suo seno
perfetto.
Si avvicinò e la baciò, posandole con dolcezza una
mano sul seno, accarezzandolo lievemente, catturandolo delicatamente col palmo
della mano.
Emily sussultò, stringendosi a lui, mentre le sue
mani scivolarono sul suo ampio torace fino ai pantaloni, che sbottonò.
Si staccarono e Kevin la spinse sul letto,
facendola stendere.
Le sbottonò i jeans e glieli sfilò, baciandole un
ginocchio e scendendo lungo la coscia, fino a sfiorare la sua femminilità con le
labbra.
La guardò un attimo, orgoglioso di trovare i suoi
occhi languidi e offuscati dal desiderio.
Infilò le dita sotto l'elastico delle mutandine e
lentamente le fece scivolare via dai suoi fianchi, sulle cosce morbide e
vellutate, che non mancò di baciare ancora, e sulle gambe, fino a toglierle
completamente.
Emily non capiva più niente.
Percepiva solo le mani dell'uomo che le
accarezzavano le gambe e poi le cosce, fino ad accarezzarla intimamente...
Lui capì e si rimise dritto, si tolse i pantaloni
e i boxer, e salì sul letto, stendendosi sopra di lei.
Il suo corpo grande e caldo.
Emily lo abbracciò baciandolo appassionatamente,
muovendo il bacino per incontrare il suo, impaziente di sentirlo dentro.
L'uomo si sollevò sulle braccia, poi prese la
gamba della sua donna dietro il ginocchio e la piegò in modo da farsi più spazio
ed entrare in lei.
Era la prima volta che stavano insieme e non
voleva rovinare tutto con una mossa brusca o impaziente.
E poi conosceva bene il proprio corpo, la propria
virilità...sperava di non farle male.
La guardò negli occhi e iniziò piano a scivolarle
dentro.
Lei lasciò andare un lieve gemito e mosse il
bacino verso il suo facendolo entrare rapidamente in lei.
“Emily...” sospirò lui, sorpreso da tanto slancio.
“Non ce la faccio più” disse lei aggrappandosi
alle sue spalle “ti prego Kevin... amami... forte...”
Forte?
Il cervello di Kevin andò in black out.
Si abbassò su di lei e la baciò di nuovo,
sistemandosi meglio sopra e dentro di lei.
Poi iniziò a muoversi, prima lentamente con spinte
lievi, per poi aumentare il ritmo.
La donna iniziò ad ansimare, assecondando i suoi
movimenti sempre più rapidi e profondi.
Emily pensò che era fantastico avere un amante
fisicamente molto più grande, poteva nascondere il viso nell'incavo della sua
spalla mentre si aggrappava con braccia e gambe al suo corpo.
Era meraviglioso.
Ogni affondo del suo uomo aumentava il suo
piacere, adorava sentirlo dentro e sentirlo gemere lievemente.
Il ritmo delle sue spinte aumentò, trasformando
gli ansiti di Emily in gemiti profondi, quasi in urla.
Non voleva urlare, si vergognava, ma era convinta
che sarebbe successo.
Sentiva l'apice sul punto di esplodere e aveva
dannatamente voglia di gridare.
E lo fece.
L'orgasmo la travolse implacabile quasi
costringendola a gridare, affondando le unghie nella pelle del suo uomo e
cercando disperatamente di unirsi al suo corpo più che poteva.
Infinite onde di piacere la scossero, facendole
desiderare che non finisse mai.
E poi sentì il piacere di Kevin esplodere
violento, facendolo tremare tra le sue braccia.
Il suo corpo rabbrividì a lungo, mentre continuò a
muoversi dentro di lei.
Poi rallentò il ritmo fino a fermarsi, ricadendo
dolcemente su di lei con un profondo sospiro di soddisfazione.
Distrutti dalla passione, restarono abbracciati e
in silenzio per diversi minuti, ansimando allo stesso ritmo, i loro corpi uniti
era sudati e accaldati.
Dopo un po' Kevin fece per liberarla dal suo peso,
ma lei lo bloccò stringendolo forte a sé.
“No resta...” mormorò contro il suo collo.
“Tesoro... peso più di cento chili... non voglio
farti male..” le rispose baciandole i capelli sulla tempia.
“No è bellissimo così” obiettò Emily “sei grande e
caldo, sei la mia coperta di carne...”
Kevin scoppiò a ridere e le passò le braccia sotto
la schiena, la strinse e rotolò su un fianco, portandola con sé.
Ora era Emily sopra di lui.
“Così è meglio piccola” le disse passandole una
mano nei capelli “posso abbracciarti meglio...”
Lei si rannicchiò sopra il suo uomo e gli baciò il
petto.
“Mi piaceva anche averti addosso, ma è bello anche
così...” ammise sospirando.
Restarono in silenzio per un po', godendosi il
contatto dei loro corpi.
“Io ti amo davvero Emily...” disse Kevin, rompendo
il silenzio, con un tono quasi spaventato.
La giovane donna sollevò il viso e gli baciò il
mento, pungendosi le labbra con la sua barba.
“Lo so... e ti amo anche io... non saremmo qui se
non ti amassi...”
Kevin sorrise soddisfatto, stringendola di più.
“Dunque... ora stiamo insieme?” domandò lei,
formando cerchi invisibili sul suo petto.
“Direi proprio di sì.” confermò lui.
Emily ridacchiò felice dandogli un altro bacio sul
mento, lui piegò il viso verso di lei e le baciò le labbra, e tornò ad
abbracciarla stretta.
Restarono così a lungo, senza parlare, fino ad
addormentarsi.
Finalmente era amore.
Avviso: Non so quando potrò aggiornare di nuovo, per cui chiedo alle
oltre 90 persone che seguono questa storia di aver pazienza, se sono curiosi di
sapere come continua. Grazie a tutti!
Il fastidioso suono di un cellulare che squillava insistentemente.
Un suono leggermente ovattato ma che la infastidiva.
Ma era un sogno o stava squillando sul serio?
Emily aprì gli occhi, ancora stanca ma rilassata, e si mise in ascolto.
Forse era stato solo nella sua mente, perchè non percepì più nessun dannato
squillo di cellulare.
Sospirò sorridendo e si girò verso Kevin, rifugiandosi nuovamente tra le sue
braccia.
Appena chiuse gli occhi però, di nuovo un cellulare squillò.
Il suo cellulare, realizzò al secondo squillo.
Si liberò dall'abbraccio caldo del suo uomo e lentamente sgattaiolò fuori dal
letto, prese da terra la camicia di Kevin e la indossò.
Era nuda e fuori dalle lenzuola faceva molto freddo.
Si guardò intorno, nella penombra della stanza, cercando di mettere a fuoco
l'ambiente intorno a lei per trovare il suo cappotto, perchè in una delle sue
tasche c'era il cellulare.
Lo vide e si precipitò verso di esso, inginocchiandosi a terra, frugando
velocemente per trovare le tasche.
Ma quando lo trovò, smise di squillare.
"Accidenti!" bisbigliò stizzita stringendolo in mano.
Guardò il display e vide che a chiamarla era stata Rachel.
E vide anche che erano le due di notte.
Ovvio che le aveva telefonato, era sparita dal pomeriggio del giorno prima!
Si alzò e lanciando un'occhiata all'uomo addormentato nel letto, corse a
chiudersi in bagno.
Si preparò mentalmente su cosa doveva dire alla sua amica e la chiamò.
"Ma si può sapere dove diavolo sei? Sono le due di notte! " le urlò Rachel,
rispondendo al primo squillo.
"Scusami...stavo dormendo..." fu l'unica cosa che le venne in mente come
risposta.
La donna dall'altro capo del telefono restò in silenzio.
"Ma non sei a casa" sottolineò dopo qualche istante "dove...stavi
dormendo?"
Emily sorrise e poi si schiarì la voce.
"Ehm...sono da Kevin..." rispose tentando di non scoppiare a ridere.
Ci fu un momento di silenzio, poi un urlo strozzato.
"Porca puttana, sei stata a letto con Kevin? Cioè tu e quel vichingo avete
scopato? Ma è fantastico tesoro!" disse tutto d'un fiato, esultante.
Emily fu costretta ad allontanare il cellulare dall'orecchio e lo riavvicinò
solo quando Rachel smise di strillare.
"Ehi non urlare! Svegli tuo marito e i bambini!" la rimproverò.
"O hai paura che si svegli il tuo ragazzo?" la canzonò l'altra.
"Ma smettila, sono chiusa in bagno, lui è di là che dorme...ma perchè ti
racconto queste cose?" chiese Emily a sè stessa.
"Perchè muori dalla voglia di raccontarmi com'è stato, ecco perchè! Avanti,
raccontami tutto!"
La giovane sentì le proprie guance accendersi. "No ascolta... sono le due di
notte e proprio non è il momento di parlare di queste cose..."
In realtà non voleva parlarne affatto: come poteva raccontarle una cosa così
intima?
Inoltre per spiegarglielo avrebbe dovuto usare termini decisamente spinti.
"Okay rimandiamo il discorso, ma non credere di passarla liscia! Dovrai
raccontarmi com'è che dal non parlarvi affatto siete finiti a dormire insieme!
Me lo devi ragazzina" la rimproverò "mi hai fatta preoccupare, sei
sparita e non rispondevi nemmeno al telefono!"
Emily sospirò sentendosi un po' colpa. "Hai ragione, scusami...ma onestamente
avevo altro a cui pensare" confessò.
"Lo immagino. La natura non è scema, ama le proporzioni... Kevin è un gigante
di due metri per cui..."
"Rachel!" la rimbrottò Lily scandalizzata "ora devo andare...sono in bagno,
mezza nuda e voglio andare a letto! Ci sentiamo domani, buonanotte."
"Okay piccola, dormi bene...se ti fa dormire...secondo me lo trovi sveglio!"
Sbuffando, la ragazza spense il telefono.
Perchè diamine amava tanto metterla in imbarazzo? Se Rachel pensava di farsi
raccontare com'era stato l'amore con Kevin, si sbagliava di grosso.
Uscì dal bagno e in punta di piedi tornò a letto, togliendosi la camicia e
infilandosi tra le lenzuola calde, accanto al suo uomo.
Sperando di non svegliarlo, gli si avvicinò e poggiò la fronte al suo petto,
sospirando profondamente.
Era così bello sentire il suo calore, il respiro sui capelli, il sollevarsi e
abbassarsi del suo petto nella respirazione.
Non si era mai sentita così al sicuro, tranquilla e rilassata.
Lo abbracciò sorridendo e sospirò soddisfatta, quando sentì il braccio di Kevin
avvolgerla e stringerla.
"Kevin?" lo chiamò sottovoce.
"Presente" rispose lui con lo stesso tono.
"Scusami, ti ho svegliato!" gli disse Emily posandogli una mano sul petto.
Kevin le baciò la testa. "Ero già sveglio, ho sentito il telefono squillare ma
ovviamente l'ho ignorato. Avresti dovuto farlo anche tu"
"Era Rachel" rispose lei "sono sparita da ieri pomeriggio ed era preoccupata.
Dovevo dirle che sono viva e sto bene!"
L'uomo ridacchiò, accarezzandole un fianco.
"Dunque ora sa che sei con me?"
Emily annuì. "Sì certo...ha urlato come una cheerleader nonostante a casa sua
dormissero tutti...tifava per te fin dall'inizio..." gli confessò dandogli un
bacio al centro del petto, facendolo rabbrividire.
"Sul serio? Ne sono lusingato...quindi non dovrebbe farti quei discorsi che le
amiche fanno, tipo stai attenta, ti farà soffrire!, o cose del genere..."
La giovane donna si spostò un po' e alzò il viso per guardarlo.
"Scherzi? Al telefono mi ha urlato tu e il vichingo avete scopato? Ma è
fantastico tesoro!, credimi, non accadrà mai!"
Lui restò in silenzio e Emily si pentì di averglielo detto. Magari si era offeso
per il vichingo oppure per il termine volgare.
"Dormi?" gli domandò, non avendo il coraggio di chiedergli se era offeso per
qualcosa.
"Al contrario" replicò "sono sveglissimo. E' che tra il tuo toccarmi e baciarmi
e... il mio pensare a quello che abbiamo fatto, mi fa..."
Lei capì subito cosa voleva dire, si strinse a lui e gli poggiò la coscia sul
fianco.
"Cosa ti fa?" lo incalzò seducente, baciandogli di nuovo il petto.
Aveva voglia di fare l'amore con il suo uomo e lui voleva la stessa cosa.
Kevin trasse un profondo respiro. "Se fai così, peggiori la situazione"
l'avvertì con voce roca.
"Davvero? Magari è quello che voglio..." lo stuzzicò protendendosi verso di lui
per baciargli le labbra.
Era troppo.
Con un movimento rapido, Kevin la portò sotto di sè.
"Te l'avevo detto che peggioravi la situazione" le disse prima di iniziare a
baciarla con foga.
Emily si lasciò coinvolgere immediatamente, rispondendo al suo bacio con la
stessa passione.
Aprì le gambe e lo catturò avvolgendogliele intorno alla vita.
Lui la prese per i fianchi e mosse il bacino con decisione entrando dentro di
lei.
Un lungo sospiro di Emily accompagnò l'intrusione d'amore, si irrigidì per un
attimo e poi si rilassò.
"Kevin..." sussurrò al suo orecchio, cingendogli il collo con le braccia per
stringerlo forte a sè.
L'uomo le baciò il collo, continuando a tenerla per i fianchi mentre,
lentamente, iniziava a muoversi dentro di lei.
Lei sorrise, felice di essere lì con il suo compagno, felice di essere riuscita
a lasciarsi andare, felice di farsi amare intensamente da lui.
Le spinte aumentarono, così i loro sospiri, i loro gemiti, in un crescendo di
estasi che irrigidiva i loro corpi sempre di più.
Fino all'esplosione di piacere che scosse ogni parte dei loro corpi sudati,
scuotendoli con violenza, facendoli urlare.
Ansimanti e stanchi, si strinsero in un abbraccio caldo e tremante.
Sorridevano accarezzandosi dolcemente, nella penombra della loro camera da
letto.
È una domanda strana, ma d'obbligo. Non aggiorno questa storia da anni, per svariati motivi. Non l'ho dimenticata né voglio farlo, ma ho altri progetti per lei. Però ho bisogno di sapere se qualcuno dei 108 lettori che avevano messo tra le preferite/ricordate/seguite la mia storia, è ancora qui a leggermi, perché è inutile continuare se nessuno risponde, no? Ho altro da dirvi, ma aspetto una vostra risposta. Se ci siete, recensite :)
Ed eccomi qui, dopo più di un anno. Sì, l'ho fatto, "Voglio solo te" è diventata un libro. Ha cambiato titolo, ci sono state delle modifiche alla trama (con un finale a sorpresa, un vero plot twist inaspettato... ) ma ce l'ho fatta. E adesso, Emily e Kevin (che ora è Gabriel) vi aspettano in "Un amore così", se vi va. Date un'occhiata al mio profilo.