L’uomo che infrangeva le promesse
Parte prima
Mi
ricordo quando la vidi per la prima volta.
Era una mattina d’estate, e come mio solito mi stavo
allenando. Da quando avevo scoperto che i Cavalieri di Drago avevano
avuto un altro uovo donatogli da una coppia di draghi selvatici, non
facevo altro che quello: allenarmi. Avevo intenzione di propormi
all’uovo. Chissà che, con un po’ di
fortuna, non sarei stato scelto. Certo, mi dicevo continuamente che un
orfano come me, che era stato abbandonato persino dai genitori, non
aveva molte possibilità di riuscire. Ma a volte pensavo di
avere le stesse identiche potenzialità di chiunque altro.
Un mercante di pellicce che passava spesso per la città mi
aveva detto di aver incontrato uno dei Cavalieri, un elfo di nome
Oromis, che gli aveva detto che sarebbero passati per le
città a chiamare tutti coloro che volessero proporsi
all’uovo. Diceva, il mercante, che sarebbero passati per il
nostro villaggio dì lì a due settimane.
Avevo quindici anni allora. E’ passato molto tempo, ma me lo
ricordo come se fosse ieri. Stavo nel cortile sul retro di casa. Avevo
rinchiuso tutte le galline nel pollaio e legato i cani per non avere
nessuno attorno mentre mi allenavo. Ma venni lo stesso disturbato.
Mi buttai in avanti, fendendo l’aria con la vecchia spada
dell’uomo per il quale lavoravo. La presi poi con
due mani, scagliando fendenti a destra e a sinistra. Scivolai a terra
simulando un attacco, rotolai e mi rialzai. Girando su me stesso feci
un altro movimento secco con la spada, ma mi bloccai
all’improvviso.
Ansimante, rosso in viso e sporco di terra, osservavo
l’essere più bello che avessi mai visto. Aveva i
capelli mossi e dorati, lunghi fino alla vita. Portava un vestito verde
sbiadito, lungo fino alle caviglie, dei sandali marroni e aveva stretto
fra le braccia un cesto con dentro dei fiori bianchi. Ma la cosa
più luminosa era il suo viso. La pelle vellutata e fresca,
gli occhi azzurri sorridenti e le labbra piene, rosate.
Abbassai la spada leggermente imbarazzato e borbottai un
“Salve”, che si sentì appena.
Lei sorrise e avanzò fino alla staccionata che circondava il
recinto. “Salve. Il mio nome è Dorey”,
disse tendendo la mano.
“Galbatorix”. La presi e la baciai, come avevo
visto fare ai nobili.
Dorey sorrise, si sistemò fra le braccia la cesta con i
fiori e ne prese uno. Me lo porse dicendo: “Ogni cavaliere
dovrebbe avere un dono da una dama”.
Lo presi, facendo sfiorare le nostre dita, e la vidi arrossire. Sorrise
e si voltò per andarsene, facendo un saluto con la mano. Mi
aggrappai alla staccionata, facendola cigolare pericolosamente, e le
urlai dietro: “Tornerai?!”.
“Domani!” rispose lei sorridendo.
La guardai fino a che non fu sparita dalla mia vista, in mezzo alle
case. Il suo abito verde si muoveva alla cadenza del suo passo, e i
suoi capelli dorati venivano mossi da un leggero vento. Non appena fu
sparita presi il fiore bianco e, tenendolo fra due dita con un timore
reverenziale, lo portai fino in casa. Una volta lì presi un
bicchiere, lo riempii di terra, ci misi dentro il fiore e lo annaffiai
un po’.
Rimasi a fissarlo, ripensando a Dorey.
Nei giorni seguenti Dorey tornò, come promesso, ogni giorno,
alla stessa ora. Ogni volta mi facevo trovare mentre mi allenavo.
Cominciai anche a preoccuparmi del mio aspetto. Ogni tanto mi guardavo
allo specchio, e mi osservavo. Mi assalivano mille dubbi, sul mio corpo
e sul mio modo di essere. Forse erano sbagliati, forse a Dorey non
sarebbero piaciuti.
Ogni volta che arrivava l’ora prescelta aspettavo fremente
che Dorey arrivasse. Oltre al fiore mi regalò anche un
fazzoletto con una G sopra ricamata a mano, e mi portò una
fetta di torta, fatta da lei stessa. Ogni giorno la mia voglia di
vederla cresceva, ogni volta pensavo a cosa avrei potuto fare io per
lei. Forse avrei potuto aiutarla in qualche lavoro pesante, forse
potevo riaccompagnarla a casa.
Una sera si era fatto particolarmente tardi, mentre noi stavamo
lì a parlare. Così, quando lei dovette andarsene,
le chiesi: “Vuoi che ti riaccompagni a casa? Non è
sicuro per una ragazza andare per strada al buio”.
Dorey sorrise e disse: “Si, grazie. In realtà sono
felice che tu me l’abbia chiesto”.
Ci incamminammo a passo lento, e le porsi un braccio, al quale si
appoggiò delicatamente. “Ho saputo che domani
arriveranno i Cavalieri di Drago con il nuovo uovo” disse
Dorey.
“Lo so. Ho intenzione di provare anch’io a propormi
al drago” dissi fieramente.
“Davvero? Vorresti diventare un Cavaliere dei
Draghi?” chiese Dorey con sguardo brillante.
“Si, mi piacerebbe. Avrei tante cose da fare, tanti posti
dove andare!” esclamai, fantasticando come sempre.
“Oh…” disse Dorey abbassando lo sguardo,
“Quindi non torneresti più qui. Al tuo vecchio
villaggio. In effetti è così calmo e tranquillo
che non c’è ragione per cui vi debba venire un
Cavaliere di Drago” disse con falsa allegria.
“Dipende. Tornerei ogni volta se qui ci fossi tu”
dissi, arrossendo visibilmente. Ringraziai il buio che non permetteva a
Dorey di vedere bene il mio viso, altrimenti mi avrebbe visto rosso e
imbarazzato.
“Dici davvero?”. Il viso di Dorey
s’illuminò, mentre mi guardava negli occhi.
Le misi una mano sulla sua e mormorai: “Si,
davvero”.
Un pizzico di follia s’impossessò di me in quel
momento. Mi chinai su di lei e la baciai sulle labbra.
Mai avevo assaporato tanta morbidezza, mai le mie labbra avevano
sentito un sapore così dolce. Mai avevo respirato un tale
profumo. Un brivido mi percorse la schiena, mentre il cuore mi si
gonfiava di felicità, di aria, di amore, di tutto.
Mi allontanai e guardai Dorey negli occhi. Sorrideva debolmente, ed era
molto rossa in viso.
“Domani diventerò un Cavaliere dei Draghi,
farò tutto il possibile!”, dissi, prendendo una
sua mano nella mia, “E poi, quando avrò finito il
mio addestramento, verrò a prenderti Dorey”.
“Io credo in te e nelle tue capacità. Ma cosa
succederebbe se l’uovo non fosse quello giusto?”
chiese lei con un pizzico di ansia nella voce.
“Se non è quello giusto pazienza. Vorrà
dire che non mi dovrai aspettare. Tornerò subito da
te” dissi, accarezzandole la guancia.
Dorey sorrise. E quel sorriso illuminò il mi cuore.
“Lo prometti?” chiese.
“Te lo prometto”.
Con una nuova fiducia, il giorno dopo mi recai dai Cavalieri di Drago
che erano venuti nel villaggio. Non appena la mia mano
sfiorò l’uovo sentii una specie di vibrazione. Una
scarica di adrenalina che mi percorse e mi fece venire la pelle
d’oca.
Forse fu allora, in quel preciso istante, che la mia lenta ma costante
trasformazione iniziò. Perché la prima cosa che
pensai non fu Dorey, come accadeva di lì a qualche
settimana, fu la mia spada, e le mie braccia, e tutto il mi corpo
assieme alla mente e al cuore pulsante. E la voglia improvvisa di
dimostrare che cosa potevo fare con tutti questi elementi messi
assieme. Un bruciore prese il mio cuore avvampò, e fu allora
che sentii, per la prima volta, voglia di potere.
Galbatorix è un
personaggio che mi è sempre sembrato molto interessante. Si,
è il cattivo, ma lo fa con un tale carisma che a me viene
voglia di vederlo comparire sempre! XD Proprio per questo suo modo di
essere ho pensato che sarebbe stato bello rappresentare un Galbatorix
giovane e un po' impacciato, proprio per vederlo vestire anche questi
panni per lui inusuali.
Comunque, sebbene questa storia sia legata (la seconda parte) all'altra
che ho scritto su Eragon (L'ombra
del passato e Battaglia
per il futuro), si può benissimo leggere senza
aver nemmeno sfiorato quell'altra! ^^
Be', grazie a tutti per aver letto. Questa è una storia
corta corta, infatti il capitolo principale avete già finito
di leggerlo, se siete arrivati fin qui! XD La seconda parte
è una specie di epilogo, ed è molto molto corto.
E? una storiella senza pretese. Comunque sia, grazie in anticipo a
tutti i lettori! ^^
Patty.
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