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***domando scusa se ho cancellato
questa fanfic, ma mi sono accorta solo dopo la
pubblicazione che i dialoghi non si leggevano… chiedo scusa…
Ora l’ho sistemata! A breve la pubblicherò di nuovo tutta!***
Ouroboros
Prologo
“Andiamo! Muovetevi con quei corpi!
Muoversi, muoversi!”.
Si mise le mani sui fianchi e si
guardò attorno, con un cipiglio sul volto giovanile. I capelli biondi erano
mossi dal vento della sera. La temperatura era tiepida e la zona completamente
deserta, come da programma.
Si voltò verso un sottoposto che stava
lanciando i corpi dentro al treno, alla rinfusa.
Gli si avvicinò con passo minaccioso.
“Non così, idiota!” e gli strattonò
dalle mani il cadavere devastato.
Lo trascinò all’interno del treno e lo
sistemò alla bell’e meglio sul sedile. Fece altrettanto con gli altri corpi
buttati alla rinfusa sul pavimento.
“Non è una fossa comune! Deve apparire
come un incidente!”.
Gli fece segno di procedere, e il
sottoposto, con lo sguardo demoralizzato, prese tra le mani un altro corpo e lo
sistemò sul sedile, accanto ad un altro cadavere.
L’uomo biondo si allontanò scuotendo
la testa.
“Idiota…”
mormorò tra sé e sé.
Il cellulare nella sua tasca vibrò e
lui rispose al secondo squillo.
Attese che il suo interlocutore
parlasse.
Poi annuì.
“Si, è tutto a posto. Cominceremo in
perfetto orario”.
Ascoltò nuovamente la voce al di là
del telefonino, poi sorrise con aria compiaciuta.
Quando interruppe la telefonata si
guardò nuovamente attorno, stando bene attento che i suoi uomini non facessero
altre cazzate.
Inebriandosi dell’odore di morte che
aleggiava in quella ferrovia sperduta.
Le
mura bianche e anonime della corsia le scorrevano in fianco velocemente,
sfuocate, senza contorni definiti.
I
piedi, alloggiati in comode ciabatte bianche, percorrevano rapidamente il
corridoio, un passo angosciato dopo l’altro.
L’aria,
impregnata dell’acre odore di disinfettante, le schiaffeggiava le guance e le
faceva lacrimare gli occhi, sbarrati e fissi, concentrati su immagini ben
lontane da ciò che era la realtà.
La
spalla urtò contro un’altra spalla.
“Attenta!”.
Una voce di donna, seccata, le arrivò alle orecchie, ma lei non la sentì.
Con
mano tremante estrasse dalla tasca del camice una piccola chiave argentata,
aprì una porta di legno ed entrò nel suo studio, chiudendosela dietro le spalle
con un doppio giro di mandata.
Avanzò
verso la scrivania, con passo malfermo, e appoggiò pesantemente i palmi delle
mani sulla superficie in compensato scuro, lasciando che la testa le crollasse
tra le spalle, e chiuse gli occhi.
I
battiti del suo cuore erano accelerati, riusciva quasi a percepire il suono del
loro pulsare frenetico tra le mura silenziose della stanza. I respiri corti che
tossiva tra le labbra, le sollevavano le spalle e le facevano avvertire brividi
ghiacciati lungo la schiena.
Il
momento era arrivato.
Sputando
una mezza imprecazione tra i denti, si impose di calmare l’attacco di panico
che minacciava di travolgerla. Inspirò profondamente un paio di volte e si
costrinse a rilassare i muscoli contratti.
Il
peso delle paure che le invadevano l’animo consumavano tutte le sue energie e
lei si accasciò pesantemente sulla sedia imbottita, tuffando il viso tra le
mani.
I
pensieri si rincorrevano frenetici nella sua mente. Non riusciva a ragionare
lucidamente.
Un
terrore sordo, violento, insostenibile, le pervadeva le membra.
Un
terrore che reclamava la sua attenzione.
Inevitabile.
Come la morte.
Un
leggero velo di sudore gelido le imperava la fronte, ma la pelle scottava, come
avesse la febbre.
Eppure
lo sapeva… l’aveva sempre saputo… ma questo non le impediva di essere
terrorizzata.
Un
fastidioso tremore le scuoteva il corpo accasciato, un tremore che non le dava
tregua, che non la lasciava sola.
I
rumori tipici di un reparto ospedaliero le arrivavano ovattati, qualcuno cercò
di aprire la porta, bussò, ma lei non accennò a muoversi. Non percepiva lo
scorrere del tempo e non le importava. Nuotava consapevolmente tra le acque di
una paura nera, densa, melmosa, che non lascia respirare, che non lascia
pensare… che non lascia sperare.
Un
conto era sapere, tutt’altra faccenda era arrivare faccia a faccia con
le proprie paure.
Il
suono improvviso del suo telefono interno la fece sobbalzare, e il suo cuore
ricominciò a battere furiosamente.
Con
uno sforzo di volontà, si allungò ad afferrare la cornetta.
“Scully”
disse nel microfono, senza inflessioni nella voce stanca.
“Sono
io” rispose una voce profonda, una voce che lei conosceva bene.
Ascoltandola
qualcosa si ruppe dentro di lei, e si ritrovò a piangere senza emettere nessun
suono. Le lacrime caddero dalle sue palpebre socchiuse e atterrarono
violentemente sulla scrivania, rompendosi in mille minuscole goccioline salate.
“Scully?
Ci sei?” chiese, con un velo di preoccupazione, la voce di Mulder all’altro
capo del telefono. “Come mai non rispondevi sul cellulare?”.
Scully,
per un riflesso incondizionato, si frugò in tasca, cercando il suo telefono
portatile, ma poi si ricordò di averlo lasciato nell’ufficio del Dr. Bruyster,
quando l’aveva chiamata per quel consulto.
Quel
consulto…
Le
sue dita incontrarono, però, un piccolo contenitore di plastica.
“L’ho…
“ Scully si schiarì la voce, che le era uscita roca e debole. Una mano asciugò
le guance rigate di lacrime. “L’ho dimenticato da qualche parte”.
Mulder
tacque per qualche istante e Scully non tentò nemmeno di avviare una
conversazione. Non gli chiese nemmeno perché l’aveva cercata.
“Scully…
cos’è successo?” chiese infine Mulder, nel tono delle parole si notava una nota
impaziente, quasi aggressiva.
“Non
per telefono” si sforzò di rispondere. Nella sua voce un’eco lugubre accompagnò
le semplici parole, trasformandole in qualcosa di terribilmente spaventoso.
Il
respiro leggermente accelerato di Mulder arrivò all’orecchio di Scully
attraverso il fastidioso crepitio della cornetta.
Aveva
capito, lo sentiva.
“Sono
appena uscito dall’editore, arrivo in ospedale, da te, tra dieci minuti”. E
chiuse la comunicazione.
Scully
rimase ad ascoltare il rumore ipnotico della linea caduta, come in trance.
Mulder
bussò alla porta dello studio di Scully, situato nell’ala est del reparto di
chirurgia dell’ospedale Saint Morgan di Washington.
Ascoltò
il rumore metallico della chiave che girava nella toppa.
L’ansia
che l’aveva accompagnato fin lì, aumentò d’intensità.
Sapeva
cosa stava per essergli rivelato, lo sapeva nell’animo, lo sapeva nel cuore, ma
la mente aveva la necessità di sentirlo pronunciare dalle labbra di Scully.
Solo
allora sarebbe diventato reale, solo allora ogni più remota speranza sarebbe
crollata.
Scully
aprì la porta lentamente, guardandosi attorno agitata, come se temesse di
essere seguita.
Mulder
rimase scioccato nel vedere il suo viso.
Gli
occhi erano arrossati e contornati da profonde occhiaie, le guance erano
chiazzate da macchie rosse e le labbra erano strette in una linea diritta. I
capelli apparivano spenti, privi di vitalità e le mani tremavano leggermente.
Ma
la sua espressione lo spaventò più di ogni altra cosa. Portava scritto in viso,
a chiare lettere, che era terrorizzata.
Non
era la prima volta che Scully vedeva qualcosa di sconvolgente, non era la prima
volta che lui si trovava faccia a faccia con quell’espressione smarrita e
spaventata.
In
tanti anni di lavoro assieme come agenti dell’FBI avevano potuto rendersi conto
sulla propria pelle di come il mondo e la psiche umana siano profondi pozzi
neri e bui, che nascondono perversioni inimmaginabili e pazzie senza fine.
Portavano ancora nell’animo le ferite inferte dalle storie con cui si erano
scontrati durante le indagini sui loro casi. I visi delle persone morte, i visi
delle persone vive che avevano perso qualcuno, i visi degli assassini, degli
stupratori, dei pedofili, erano stampati indelebilmente nelle loro menti, come
marchi a fuoco.
Eppure,
la paura che deformava i tratti del viso di Scully gli ghermì lo stomaco,
facendogli provare una sgradevole sensazione di nausea. Si sentì immediatamente
pervadere dal terrore e seppe con certezza che, ora, anche il suo viso portava
la stessa maschera d’orrore.
Entrò
a passo svelto nello studio, osservando le mani tremanti di Scully chiudere
nuovamente a chiave.
Senza
riflettere, si accostò a lei e la prese tra le braccia, stringendola forte a
sé. Il suo cappotto era aperto e poté sentire, attraverso la stoffa del
maglione, lo stetoscopio che Scully portava al collo. Il suo seno, premuto
contro il suo petto, si alzava ed abbassava velocemente.
Scully
tenne le braccia immobili lungo i fianchi per un po’, poi le alzò e gli
circondò la schiena, aggrappandosi al suo maglione con le unghie, forte, come
se avesse paura di vederlo svanire da un istante all’altro.
Mulder
appoggiò per un attimo la guancia contro i suoi capelli ramati, ispirando il
loro profumo, poi le posò le mani sui fianchi e la spinse verso la sedia. Si
inginocchiò di fronte a lei e le posò le mani sulle ginocchia,
accarezzandogliele con leggeri movimenti ritmici. Alzò lo sguardo sul viso di
lei e attese.
Scully
fissò quegli occhi profondi, di una strana sfumatura verde/grigia e nella sua
testa cominciarono a scorrere involontarie immagini. Il suo corpo fu pervaso da
un turbine di emozioni.
Lo
scenario futuro che le permeava i pensieri era buio, freddo e angosciante.
Non
avrebbe sopportato di perderlo. Non avrebbe sopportato di non vedere più i suoi
occhi attenti, le sue labbra piene, il naso prominente, gli zigomi scolpiti. Il
cuore non avrebbe retto se non fosse più stata in grado di ascoltare la sua
profonda voce, di percepire il calore del suo corpo, il profumo della sua
pelle.
C’era
molto di più in gioco, ne era consapevole, ma in quel momento era l’egoismo ad
avere la meglio.
L’idea
che il loro tempo fosse esaurito la terrorizzava più di ogni altra cosa.
Nella
mente le immagini di loro due si susseguivano in un crescendo di nostalgia,
tenerezza e amore. I baci, le carezze, i momenti d’intimità, le discussioni, le
risate… stava per finire tutto. Il tempo era esaurito. E lei non riusciva ad
accettarlo.
Gli
occhi di Mulder, fissi nei suoi, chiedevano più di quanto avrebbero potuto fare
le parole. Scully prese un profondo respiro e si impose di restare calma.
“Hai
sentito dell’incidente ferroviario avvenuto questa mattina presto?” gli chiese,
sforzandosi di rendere la sua voce chiara e sicura.
Mulder
annuì. “Si, ho sentito qualcosa al telegiornale prima di uscire. Nessun
sopravvissuto, vero?”.
Scully
scosse la testa. “No. I due convogli che sono entrati in collisione si sono
incendiati e nessuno è riuscito a scampare alle fiamme. Una strage. Si
calcolano circa 250 vittime. Fortunatamente, sembra non ci fosse nessun bambino”.
Scully
abbassò il viso, osservando le mani di Mulder tracciare linee immaginarie sulle
sue cosce, fasciate da un paio di pantaloni bianchi di lino.
“Le
ambulanze sono corse subito sul posto” proseguì “ma inutilmente. Però…”. Scully
si interruppe e prese un altro profondo respiro.
Mulder
attese pazientemente che lei riprendesse a parlare.
“Però”
continuò dopo un po’ “sono riusciti ad estrarre dalle macerie due corpi non
completamente carbonizzati”.
Scully
alzò il viso verso Mulder.
“Era
palese che per loro non c’era nulla da fare, ma, ai medici accorsi sul posto, i
due corpi apparvero… strani” e mimò con le dita le virgolette “Decisero di
portarli qui per sottoporli ad un’autopsia”.
Le
mani di Mulder continuarono ad accarezzare le gambe di Scully, ma la sua fronte
si corrugò leggermente, accentuando le piccole rughe che la sormontavano. Una
lenta litania prese a trapanargli il cervello: lo sapevi lo sapevi lo sapevi
lo sapevi…
“Il
dott. Bruyster -il patologo, l’hai conosciuto- sapendo che, seppur non pratico
più, sono stata anch’io patologo” spiegò Scully “è venuto a chiamarmi per un
consulto”.
Cercò
gli occhi di Mulder e si perse per un attimo nella loro intensità, ricavandone
la forza per arrivare alla parte più difficile del racconto, quella che li
avrebbe catapultati in un incubo dal quale non era possibile svegliarsi.
E
al quale, teoricamente, dovevano essere preparati.
Una
mano di Mulder si sollevò ad accarezzarle una guancia, incoraggiandola.
“Mulder…
sono andata a vedere i corpi e… presentavano le stesse caratteristiche che
avevo riscontrato sul cadavere trovato in quegli uffici federali di Dallas… 14
anni fa. Ci siamo…” aggiunse infine, gli occhi incollati ai suoi.
Si,
c’erano arrivati.
Alla
fine quello che temevano era accaduto. Quello che sapevano era accaduto
La
sua mano smise di carezzarle il ginocchio.
“Questi
corpi” proseguì Scully, con lo sguardo puntato verso il soffitto, ma perso in
chissà quali pensieri “erano comunque quasi completamente ustionati, ma il loro
ventre… il ventre era… era una voragine. Una voragine che non può essere stata
causata dal fuoco…”. Le parole si affievolirono sino a divenire un sussurro
indistinto.
Per
qualche minuto regnò il silenzio.
Le
gambe di Mulder iniziarono a lanciare mute grida di avvertimento. Ormai aveva
51 anni, il suo fisico, seppur sempre scolpito e in forma, non riusciva più a
sopportare certe posizioni per lungo tempo, o certi scatti di agilità che
ancora lui si ostinava a compiere. Ma Mulder non vi fece caso.
La
sua concentrazione era completamente indirizzata verso le informazioni che
Scully gli aveva appena dato, arrivando alla conclusione che lei aveva già
raggiunto poco prima.
Chi
voleva ingannare? Aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato…
Avevano
vissuti gli ultimi anni nella consapevolezza della loro imminente sorte,
spendendo le loro giornate con l’estenuante pensiero fisso che il mondo aveva i
giorni contati.
E
avevano lottato. E ora era il momento della verità.
Presto
avrebbero saputo se i loro sforzi erano stati vani, o se la loro
determinazione, la loro caparbietà li avrebbe condotti a dei risultati.
Un
incidente ferroviario… 250 persone carbonizzate…
Si
trovavano nuovamente di fronte ad una copertura, come era già successo nel
1998, quando era stato fatto saltare un edificio federale per nascondere la
vera causa della morte di tre persone.
Ma
questa volta le persone erano molte di più…
La
colonizzazione era iniziata.
Con
una smorfia di dolore, causata da una fitta alle articolazioni atrofizzate
delle gambe, Mulder si tirò in piedi e guardò verso la parete, dove un
calendario faceva bella mostra di sé.
Era
un mercoledì, era il 7 novembre 2012.
Mulder
rimase a fissare quella data per alcuni minuti, incapace di proferire parola.
Mancava
poco più di un mese al 22 dicembre. La data designata per la grande invasione
aliena.
La
definitiva invasione aliena.
La
sua mente iniziò a vagliare svariate ipotesi. Probabilmente la colonizzazione
stava iniziando in anticipo, in modo che, alla data del 22 dicembre, gli alieni
avrebbero trovato già il campo coltivato dove far crescere le loro radici
velenose.
Probabilmente
ci sarebbe stato un crescendo di incidenti, un crescendo di incendi e di
persone carbonizzate, fino ad arrivare all’attacco finale. Forse la loro idea
era di creare, comunque, un effetto sorpresa, in modo che la loro venuta fosse
ancora più terrificante…
Ma
erano solamente teorie, pensieri senza prove. Solo il tempo avrebbe detto se
aveva ragione o meno.
E
il tempo scarseggiava.
Poco
più di un mese.
Non
era nulla.
Le
sue elucubrazioni furono interrotte da un bussare alla porta.
Scully
si alzò dalla sedia, stancamente, come se non trovasse la forza di reggersi
sulle gambe.
Quando
aprì la porta, il volto rubicondo del Dr. Bruyster sorrise gentile. Era un uomo
di media statura, sulla sessantina. Aveva radi capelli grigi e occhi neri,
ironici e attenti. Era una persona estremamente cortese e affabile.
“Dana”
esordì “Sono venuto a restituirti il cellulare. Prima non ti ho trovata”.
Scully
si impose di rispondere al suo sorriso cordiale, e lo ringraziò, aggiungendo
che non avrebbe dovuto disturbarsi.
“Nessun
disturbo, mia cara” rise il medico. “A proposito… sai i due corpi che ti ho
mostrato prima?”.
Scully
annuì, seria. “Perdonami se sono corsa via in quel modo… è che…” ma il Dr.
Bruyster alzò una mano, facendole segno di tacere.
“Non
preoccuparti. Volevo solo dirti che sono appena passati due militari a
prenderli. Sembravano avere molta fretta…” aggiunse, sfregandosi il mento, con
aria pensierosa.
Mulder
si voltò verso la porta, dove incrociò lo sguardo di Scully per una frazione di
secondo.
“Buongiorno
Dr. Bruyster” salutò Mulder.
Il
medico si voltò verso di lui con aria stupita.
“Oh!
Buongiorno Fox! Mi perdoni, non l’avevo vista” disse con un sorriso.
Mulder
gli sorrise, comprensivo.
“Mi
può dire che aspetto avevano i due militari che hanno prelevato i corpi?”
chiese infine al patologo.
Il
Dr. Bruyster ci pensò un attimo.
“Uno
non l’ho visto bene in viso, perché era rivolto verso il furgone con cui sono
arrivati, ma le posso dire che era di piccola statura e apparentemente molto
magro, i capelli piuttosto radi. L’altro, invece era un uomo alto e smilzo,
capelli scuri e l’aria da ragazzino. Sembrava avere poco più di 30 anni”.
Si
sfregò nuovamente il mento, guardando fisso davanti a sé, poi scosse
leggermente la testa. “Non ricordo altri dettagli, mi spiace”. Poi alzò il viso
verso Mulder e Scully “Lo conoscete?” chiese, alludendo al fatto chesapeva che entrambi avevano prestato servizio presso
l’FBI.
Mulder
lo osservò un attimo, con espressione seria, poi gli sorrise. “No, non mi
sembra”.
Il
Dr. Bruyster fece spallucce, sorridendo, poi si congedò.
Non
appena Scully ebbe accostato la porta, senza chiuderla a chiave stavolta, si
fissarono negli occhi, poi le loro labbra pronunciarono un nome, all’unisono.
“Billy
Miles”.
Scully
abbassò il capo, contemplandosi le scarpe, mentre cercava di frenare i pensieri
frenetici nella sua testa.
“Si
è spacciato per un militare...” disse dopo un po’.
Mulder
rimase in silenzio, poi batté il palmo della mano sulla scrivania, costringendo
Scully ad alzare il capo.
“E’
inutile che stiamo qui a piangerci addosso. Non c’è tempo da perdere! Scully…”
si avvicinò a lei e le prese le mani tra le sue, stringendole forte. “Sai che
cosa devi fare”.
La
fissò intensamente per qualche istante, leggendo negli occhi della compagna
l’indecisione, il pessimismo, la paura di non farcela.
Le
scosse le mani, provando a trasmetterle con lo sguardo la forza che stava
cercando di trovare dentro di sé.
“Scully…
non dobbiamo… non possiamo arrenderci ora! Ci siamo preparati per anni per
questo… purtroppo ci siamo. Non mollare ora!”.
Lei
lo guardò, poi, inaspettatamente, sorrise.
Mulder
la fissò, leggermente costernato di fronte a quel sorriso che appariva così
fuori luogo.
“Non
mi devo arrendere, giusto?” disse lei, una nota divertita nella voce.
Mulder
allora comprese e le sorrise di rimando, complice.
“Esattamente!”.
Scully,
allora, si frugò in tasca ed estrasse il piccolo cilindro di plastica,
contenente il frammento osseo di uno dei cadaveri, e si diresse alla porta.
4 ANNI PRIMA
“Mulder…”.
Mulder
alzò la testa dallo scatolone che stava imballando con del nastro adesivo e
osservò la sagoma di Scully che si stagliava contro la finestra.
“Ho
preso una decisione” disse senza voltarsi a guardarlo “E spero che tu vorrai
restare al mio fianco in questa… battaglia”.
Mulder
si tirò in piedi e andò verso di lei.
“Quando
Padre Joe mi ha detto che non mi dovevo arrendere…” alzò lo sguardo su di lui “…c’ho
riflettuto molto, Mulder. Io non penso si riferisse solo al mio lavoro, o a
Christian, io penso si riferisse a qualcosa di più…” fece un gesto ampio con le
braccia, come volesse abbracciare l’aria intorno a sé “… di più grande, di più…
vasto”.
Mulder
le fissò gli occhi, notando in essi quel luccichio che gli permetteva di capire
quando era determinata a raggiungere un traguardo.
Lei
tornò a guardare verso l’esterno, dove un uccellino stava zampettando
tranquillamente sopra il cofano dell’auto.
“Da
quando viviamo qui abbiamo sempre vissuto alla giornata, prendendo quello che
la vita ci offriva senza porci domande, senza chiedere altro, senza
interrogarci sul futuro…” si voltò verso di lui e gli accarezzò una guancia con
la mano “… o almeno, senza parlarne”.
Mulder
si appoggiò al calore della sua mano, senza abbandonare il blu degli occhi di
Scully.
“Dove
vuoi arrivare?” le chiese, un tono di voce pacato.
“So
che non hai mai smesso di pensare a quello che ci aspetta tra poco più di
quattro anni, come non ho smesso io. Penso sia arrivato il momento di
affrontare la realtà. Di prendere delle decisioni, di lottare”. Pronunciò le
ultime parole con controllato fervore.
Si
guardarono negli occhi a lungo. Poi Mulder sorrise, portando una mano a coprire
quella di Scully, ancora poggiata sulla sua guancia.
“Cosa
suggerisce la dottoressa?”.
Scully
abbozzò un sorriso. Poi ammiccò.
“Qualche
idea ce l’ho… ma ho bisogno di sostegno”.
“Sono
qui per questo…”. Le prese il volto fra le mani e la baciò dolcemente.
“Ci
riusciremo… insieme” le sussurrò sulle labbra.
Scully
scese dall’auto. Aveva deciso di parcheggiarla sul vialetto d’accesso, in modo
da entrare in casa passando per il giardino.
Mentre
le sue scarpe col tacco si fermarono su un letto di erba bagnata, il suo
sguardo si perse ad osservare i contorni delle case che componevano il
quartiere.
Era
ormai buio da un paio d’ore e le luci ambrate illuminavano le finestre delle
case, come fossero occhi aperti e vigili nella notte. Davano un senso di
protezione e di calore.
Gli
alberi che costeggiavano la via erano, oramai, quasi completamente spogli, e le
loro foglie cadute formavano un tappeto dai colori tipicamente autunnali lungo
i bordi dei marciapiedi.
Scully
si voltò ad osservare la loro casa.
Era
una graziosa villetta a due piani, un portico con archi a volta introduceva
alla porta d’accesso, mentre un piccolo capanno degli attrezzi si trovava
esattamente di fronte alla porta che dava sul retro.
Sorrise
guardando un pezzo di intonaco arancione che si stava staccando dal muro.
Lei
e Mulder l’avevano ridipinta personalmente quando erano venuti ad abitarvi.
Avevano scelto un arancione acceso, ma non volgare, perché li metteva di buon
umore.
Scully
continuò a sorridere, ricordando come quel lavoro li avesse fatti tornare un
po’ bambini. Scherzi e dispetti non mancavano mai, soprattutto da parte di
Mulder, ma nemmeno lei si tirava indietro. Per quel motivo la pittura era stata
più lunga del necessario, perché era più il tempo che avevano passato sotto la
doccia, a cercare di togliere il colore dai capelli, che non quello che avevano
passato con i pennelli in mano.
Scully
salì i gradini del portico e aprì la porta, registrando distrattamente che, in
casa, le luci non erano accese. L’atrio, infatti, era buio, l’unico barlume di
luce arrivava dal lampione esterno.
“Mulder?”
chiamò, appendendo il cappotto all’attaccapanni.
Mulder
non rispose, ma lei percepì il suono della tv provenire dal salotto.
Una
tenue luce bluastra la condusse verso la stanza, dove trovò Mulder seduto sul
divano. Era proteso verso lo schermo al plasma, i gomiti posati alle ginocchia
e le mani unite.
Il
suo sguardo era concentrato su un’edizione straordinaria della CNN. Una serie
di immagini di esplosioni, di fiamme e di lamiere accartocciate.
Scully
si sedette in fianco a lui, che continuò a seguire il giornalista, mentre
spiegava che un’ulteriore esplosione nell’incidente automobilistico di
Singapore aveva reso vani i tentativi di soccorrere le vittime.
“Sta
accadendo ovunque”. La voce stanca di Mulder la costrinse a distogliere lo
sguardo dalla luce del televisore e a voltarsi verso di lui.
“Boston,
Parigi, Roma, Londra, Tokyo… tutto il mondo è sconvolto da una serie di
incidenti ferroviari, automobilistici, in metropolitana… Nessun sopravvissuto,
tutti bruciati…”. Il suo sguardo era perso chissà dove, lontano da quel
salotto, lontano da quella città. A Scully fece correre un brivido lungo la
schiena.
“Ipotizzano
un attacco terroristico globale, atto a minare la pace nel mondo” terminò con
una risata amara.
Poi
si voltò verso di lei. Sul volto ballavano luci e ombre che arrivavano dal
televisore.
Si
guardarono negli occhi per un lungo istante, poi tutto accadde senza che
nessuno dei due proferisse parola.
Le
labbra di Scully si unirono a quelle di Mulder, in un bacio carico di
disperazione e di incertezze.
Le
mani iniziarono a togliere strati di vestiti, con urgenza, per poi posarsi
sulla pelle nuda, accarezzando e stringendo.
Le
bocche percorsero la superficie dei corpi quasi con violenza. I denti
mordicchiarono delicatamente lobi delle orecchie, labbra, capezzoli, dita.
Gli
occhi, insaziabili, si dissetarono alla vista dei visi eccitati, dei corpi
allacciati, della pelle surriscaldata.
Il
divano divenne alcova d’amore, mentre la voce del giornalista continuava a
mitragliare le orecchie con parole vuote e insensibili, ma d’effetto, per
attirare l’attenzione dell’ascoltatore.
Non
era desiderio quello che li spinse ad unire i loro corpi. Era un’esigenza
dettata dalla paura sorda che attanagliava le loro viscere.
Un
atto d’amore, un atto di vita, per scongiurare lo spettro della morte.
Mulder
si sollevò sul gomito, per osservare Scully, stesa al suo fianco, nuda, coperta
dal lenzuolo solo fino all’ombelico.
Avevano
fatto l’amore un’altra volta dopo che, dal divano, si erano spostati al piano
superiore, nella loro camera da letto.
Le
due abat-jour fissate al muro, ai lati del letto, emanavano una rilassante luce
ambrata, che rendeva la stanza calda e accogliente. Le ombre disegnavano
familiari figure sul muro e sui loro corpi stremati.
Mulder
posò una mano sul ventre della compagna, accarezzando la morbida e calda pelle
con attenzione e devozione.
Scully
si abbandonò alle carezze, chiudendo gli occhi e sospirando profondamente.
Il
suono della tv rimasta accesa al piano di sotto arrivava smorzato, come i
rumori delle auto all’esterno.
Nella
stanza regnava un silenzio quasi religioso.
Fino
a quando la voce di Mulder non lo soffiò via con le sue parole.
“Sei
riuscita a contattare Montrand?”.
Le
palpebre di Scully si riaprirono e i suoi occhi blu fissarono il volto di
Mulder. Leggere rughe solcavano la sua fronte contratta.
“Si.
Stava uscendo dalla sala operatoria, era sfinito… e io gli ho dato questa
notizia” rise senza allegria. “Mi ha fatto accomodare nel suo studio, dove gli
ho fatto esaminare il frammento osseo. Ho osservato attentamente la sua
espressione, mentre, con gli occhi incollati al microscopio, si rendeva conto
che tutto quello che gli era stato raccontato negli ultimi anni corrispondeva a
verità. Probabilmente la sua mente scientifica gli aveva impedito di crederci
fino in fondo, almeno fino a quando non c’ha sbattuto il naso di persona…”
Scully sospirò.
“Quando
ha sollevato la testa e mi ha guardata, il suo volto esprimeva sconcerto e una
buona dose di paura. Sembrava invecchiato improvvisamente di 10 anni. Ma non ha
perso tempo, ha iniziato subito a mettersi in contatto con chi di dovere.
Quando l’ho lasciato mi ha assicurato che avrebbe fatto l’impossibile per
permettere al nostro piano di andare in porto”.
Mulder
le dette un bacio sulla fronte.
Lei
inarcò le sopracciglia.
“E
tu? Sei andato da Skinner?”.
Mulder
annuì, continuando ad accarezzarle il ventre.
“Ha
detto che avrebbe contattato Doggett e Reyes stasera stessa. Attendo sue
notizie”.
Scully
si voltò su di un fianco, guardandolo.
“Dovrai
spiegare loro tutta la storia…”
“Lo
so. Sarà una cosa piuttosto lunga, e penosa, immagino”. Fece una smorfia con le
labbra.
Scully
ridacchiò.
“Non
sarà facile convincere John della realtà”.
Mulder
sorrise.
“Amo
le sfide” disse sollevando ritmicamente il sopracciglio, in un gesto malizioso.
Scully
rise.
“Lo
so bene!”.
Lo
squillo del cellulare di Mulder interruppe la loro conversazione.
Mulder
si allungò verso il comodino, arrotolandosi involontariamente le coperte
attorno il bacino, e lasciando scoperta Scully, che rabbrividì e si alzò per indossare
la vestaglia.
“Mulder”
lo sentì dire al telefono.
Ci
fu un attimo di silenzio, poi Mulder annuì.
“Domani
sera è perfetto” si voltò ad osservarla, come per chiederle conferma. Scully
annuì con un’alzata di spalle.
“Si…
certo… A domani Walter” e concluse la telefonata.
Mulder
si tirò in piedi e si infilò i pantaloni della tuta.
“Doggett
atterrerà a Washington alle 2 del pomeriggio, mentre Reyes arriverà verso le 4.
Skinner li andrà a prendere all’aeroporto, poi li porterà qui, approssimativamente
verso le 5.30. Hai problemi?” le chiese, guardandola.
.
Lo
stomaco di Mulder richiamò l’attenzione di entrambi su un problema meno
angosciante di quello che pendeva sulle loro teste come una spada di Damocle,
ma ugualmente urgente.
Risero
entrambi ascoltando quel suono cavernoso e si diressero verso la cucina.
Scully
si chinò per posizionare i piatti nella lavastoviglie. Premette due pulsanti e
il lavaggio rapido iniziò il suo lavorio con un ronzio.
Si
lavò le mani nel lavello della cucina e si diresse nel salotto, dove Mulder la
attendeva, seduto sul divano.
“Vieni
qui, principessa” la invitò, picchiettano leggermente la stoffa color ocra del
divano con la mano.
Scully
si accomodò di fianco a lui, e si accoccolò sul suo petto, mentre un braccio di
Mulder le circondava le spalle e la stringeva a sé.
Con
la mano libera, Mulder prese il telecomando del lettore bluray e premette il
pulsante di avvio del compact disc.
Il
televisore al plasma mostrò alcune righe grigie, poi una Scully in costume da
bagno fece la sua apparizione sullo schermo.
I
capelli rossi, mossi dal vento e baciati dalla luce del sole, assomigliavano a
fiamme vive che le illuminavano il viso. La pelle, pallida come panna, spiccava
per la sua levigatezza e luminosità. Un bikini arancione, decorato da fiori
gialli e rossi, copriva ben poco del suo fisico magro e ben definito. La parte
superiore era una semplice fascia, stretta tra i seni da un piccolo fiocco
rosso, e le mutandine erano chiuse ai lati da due laccetti arancioni.
Le
sue mani erano poggiate sui fianchi, il piede scalzo batteva ritmicamente a
terra.
Le
labbra erano atteggiate in un broncio capriccioso e le sopracciglia erano
aggrottate, gli occhi diffidenti.
4 ANNI E MEZZO PRIMA
“Mulder…
che stai facendo con quella videocamera?”. La voce di Scully era falsamente
contrariata. In realtà si stava divertendo parecchio nel vederlo trafficare con
quel marchingegno di ultima generazione, acquistato pochi giorni prima della
loro partenza verso quell’isola sperduta.
“Immortalo
la mia dea…” disse Mulder con un’alzatina delle spalle, il volto mezzo nascosto
dietro la videocamera digitale, che in quel momento era poggiata su un
treppiedi piantato nella sabbia calda.
Scully
alzò gli occhi al cielo sentendo le parole di Mulder.
In
realtà era compiaciuta e lusingata.
Anche
se non erano una coppia che viveva di smancerie da mattino a sera, era innegabile
che i momenti in cui le rivolgeva parole dolci o adulanti, o le trasmetteva con
gli occhi l’amore che provava per lei, la facessero sentire speciale, unica,
importante.
Da
quando stavano insieme aveva costantemente la sensazione di essere completa, di
essere totalmente sé stessa, come non lo era mai stata prima. E si sentiva
bene.
L’unico
punto d’ombra in tutta la brillante lucentezza del suo rapporto con Mulder era
rappresentato dal vuoto lasciato nella sua vita da William, da loro figlio.
E
sapeva che per Mulder era lo stesso. Lo sentiva nei suoi nervi tesi ogni volta
che veniva nominato, nel suo sguardo spento ogni volta che vedeva famiglie con
bambini, nei suoi gesti impacciati ogni volta che lei piangeva lacrime
silenziose e asciutte durante le notti insonni.
Avevano
riversato tutto nel loro rapporto d’amore. E, finora, era stata l’ancora di
salvezza più meravigliosa a cui potessero sperare di aggrapparsi.
Mulder,
assicuratosi della stabilità della videocamera, raggiunse la compagna davanti
all’obbiettivo.
Passò
un braccio dietro la schiena di Scully e alzò l’altra mano a salutare.
“Ciao
mamma!” disse in tono eccitato.
Scully
gli rifilò una gomitata nelle costole, ridendo.
“Scemo!”.
Lui
la guardò con un cipiglio esageratamente fasullo.
Posò
le dita sui gancetti del top a fascia e glieli slacciò. La parte superiore del
costume cadde a terra, lasciandola a seno scoperto davanti alla telecamera.
Mulder
rise dello sguardo stupito di Scully e si affrettò nuovamente dietro la
cinepresa.
La
sfilò dal supporto e, prima che Scully avesse il tempo di raccogliere il top e
rimetterselo, le si avvicinò, zoomando maliziosamente sulle sue curve esposte e
commentando la visuale con parole esplicite, quasi volgari.
Lei
non riusciva ad impedirsi di ridere, mentre cercava di coprirsi con le braccia
e lo ammoniva, lo minacciava di fargliela pagare, ma senza troppa convinzione.
Lei
iniziò a correre lungo la spiaggia immacolata, cercando di evitare i punti in
cui la sabbia scottava troppo. Lui la inseguiva, videocamera alla mano,
urlandole frasi ironiche e provocanti.
Mulder
pensò che, molto probabilmente, al momento della visualizzazione in un
televisore, quelle scene avrebbero dato la nausea, ma si stava divertendo
troppo e non gliene importava nulla, tanto quel filmino l’avrebbero visto solo
loro due.
Iniziò
a imitare la voce roca e terrorizzante di un maniaco sessuale che la voleva
torturare, mentre Scully rideva sonoramente, lanciandogli occhiate esasperate
di quando in quando.
Giocarono
in questo modo per un po’ di tempo, mentre la batteria della telecamera, non
ricaricata a sufficienza durante la mattina, cominciava a lampeggiare.
Alla
fine, Mulder rimise la videocamera sul piedistallo e raggiunse nuovamente
Scully.
Le
tolse di mano il reggiseno, che stava cercando di rimettere al suo posto e, con
uno sguardo malizioso, le disse, a voce bassa e sensuale, “Questo, per quello
che ho in mente, non ti serve…” e la baciò, facendola rotolare sulla sabbia,
sotto il sole pomeridiano che illuminava i loro corpi.
La
batteria lampeggiò per altre due volte, poi cedette e la telecamera si spense.
Il
filmato della loro ultima vacanza priva di pensieri aveva la durata di un’ora
scarsa, ma Scully crollò sul petto di Mulder dopo una ventina di minuti.
Lui
rimase sveglio a guardare le immagini che scorrevano sullo schermo, tenendola
stretta a sé.
Immagini
di una vita che non sembrava nemmeno più appartenergli. Guardava sé stesso e la
donna che gli dormiva a fianco e stentava a credere che si trattasse di loro.
Di momenti che avevano vissuti assieme, spensierati. Gli sembrava di sbirciare
nella vita di qualcun altro, di violare la privacy di due amanti sconosciuti.
Eppure,
quando il filmato terminò -i loro visi vicini, che salutavano le persone al di
là dello schermo con sorrisi radiosi- premette play nuovamente e fece ripartire
il disco dall’inizio.
Senza
sapere per certo quali emozioni si stavano muovendo nel suo petto, sentì una
lacrima solitaria abbandonare il suo occhio, tracciare un percorso irregolare
lungo la guancia con un velo di barba e terminare tra i capelli di Scully, che
respirava profondamente appoggiata al suo petto.
La
strinse più forte a sé e continuò a guardare lo schermo.
L’auto
si fermò davanti la casa di Mulder e Scully.
Monica
smontò per prima, stiracchiandosi leggermente e respirando a pieni polmoni
l’aria intrisa dell’odore di pioggia.
Quando
anche Skinner e Doggett
scesero, Mulder uscì di casa, andando loro incontro.
Monica
sorrise felice, mentre lo stringeva in un abbraccio. Doggett
gli strinse la mano, una stretta forte e decisa, che trasmetteva rispetto.
Skinner, invece, si accostò a Mulder con un cipiglio
ben marcato, che accentuava le innumerevoli rughe che oramai segnavano il volto
del vicedirettore.
Mulder
notò che anche Doggett portava i segni
dell’invecchiamento. I capelli erano più radi, con alcune striature grigiastre,
come i suoi del resto. Le labbra erano più sottili, ma il suo sorriso era caldo
e sincero.
Con
Monica, invece, il tempo era stato generoso. Era più bella di quand’era più
giovane.
I
capelli, tagliati cortissimi, mettevano in risalto la pelle del viso, la sua
forma dolce e i suoi occhi espressivi, donandole un’aria sbarazzina.
“Mulder”
esordì Skinner, con il suo solito tono sbrigativo “Ci
vuole spiegare, finalmente, il perché di questa convocazione frettolosa?”.
Mulder
fece un gesto verso la casa.
“Vogliamo
accomodarci?”.
All’interno
della villetta li accolse una musica soffusa, di genere classico.
Scully
li raggiunse nell’atrio, un sorriso sincero e caloroso stampato sulle labbra.
Abbracciò
Monica e John e strinse la mano a Skinner, l’unico
dei tre che vedeva spesso.
“Dana,
stai benissimo!” si complimentò Monica “Hai tagliato di nuovo i capelli
dall’ultima volta che ci siamo viste… quand’è stato?
Tre anni fa?”.
Scully
annuì e sorrise.
“Si,
è stato poco dopo che ci siamo trasferiti nuovamente qui”.
3 ANNI PRIMA
“Scully!” gridò Mulder, dal piano di sopra. “Dove hai messo quei ritagli
di giornale che parlavano dei cerchi nel grano?”.
Scully, al piano di sotto, alzò gli occhi al cielo.
Li aveva lasciati chiusi in uno scatolone, sperando che lui avrebbe
rinunciato a ricrearsi quella specie di stanza/santuario dei casi paranormali
sui quali non aveva potutoindagare negli
ultimi anni.
“Sono ancora dentro lo scatolone!” urlò di rimando “Prova in uno di
quelli sopra l’armadio!”.
Lo sentì borbottare qualcosa, ma prima che avesse il tempo di capire chi
stesse maledicendo, il campanello suonò.
Un po’ stupefatta, si accostò allo spioncino. Non aspettavano nessuno…
Quando vide il volto abbronzato di Monica, un sorriso di piacevole
sorpresa si disegnò sul suo viso.
“Chi è?” chiese Mulder, scendendo le scale.
Scully non rispose, ma aprì la porta, rivelando anche la presenza di
John Doggett.
Allargarono le braccia, e sorrisero esageratamente.
“Sorpresa!!!” gridarono all’unisono.
Dopo gli abbracci e i vari convenevoli, davanti ad un bicchiere di tè
freddo, Doggett porse a Mulder un sacchetto.
“Che cos’è?” chiese, soppesandolo.
“Pensavo avresti gradito riavere alcuni dei tuoi effetti personali”
rispose John, con la sua voce profonda.
Mulder vi frugò dentro e ed estrasse la sua vecchia palla da basket, un
poster arrotolato e una foto ritraente un UFO
triangolare.
Commosso suo malgrado, osservò Doggett con
aria interrogativa.
“Sono le poche cose che abbiamo trovato sparse per terra, quando hanno
smantellato l’ufficio degli X Files” rispose Monica,
sorseggiando la sua bibita “John le ha tenute con sé, sperando di potertele
restituire un giorno”.
Mulder sorrise riconoscente a Doggett.
“Ti ringrazio. Lo apprezzo molto”.
John fece spallucce, cercando di sminuire il suo gesto.
“Apprezziamo
veramente molto il fatto che siate corsi qui non appena Skinner
ve lo ha chiesto, senza sapere nemmeno la motivazione. Vi ringraziamo molto”
disse Scully, sinceramente grata nei loro confronti.
Monica
e John si scambiarono un’occhiata.
“Vi
avevamo promesso che ci saremmo stati per qualsiasi problema, che vi avremo
aiutati volentieri” disse Doggett stringendosi nelle
spalle “Quindi… eccoci qui!”. E fece un gesto ampio
con la mano, che comprendeva lo spazio attorno a sé.
Monica
assunse un’espressione seria.
“Ad
essere sinceri, aspettavo questa telefonata. La aspettavo sin da quando ti abbiamo
fatto evadere da quel carcere Mulder” disse, osservandolo.
Scully
le rivolse un mezzo sorriso. Conosceva abbastanza bene Monica da sapere che le
sue sensazioni non andavano sottovalutate. Probabilmente quello che di lì a
poco le avrebbero rivelato non l’avrebbe scioccata più di tanto. E sapeva anche
che, quando dicevano che li avrebbero aiutati volentieri, erano sinceri.
E
la cosa la metteva leggermente in ansia. Non riusciva a scendere a patti con il
suo senso di colpa. Era affezionata a loro, le erano stati accanto quando era
disperata, e ora le moriva il cuore sapendo quanto pericoloso fosse l’aiuto che
stavano per chiedere loro.
Ma
sapeva anche che da soli non avrebbero potuto farcela.
Si
accomodarono al tavolo del soggiorno, dove erano posate una cartellina colorata
e una busta bianca strappata.
Doggett si guardò intorno, annuendo
impercettibilmente col capo.
“Vi
siete sistemati proprio bene. La casa è davvero accogliente. Quando siamo
venuti, l’altra volta, metà intonaco era ancora senza colore…”.
Scully
e Mulder risero, complici.
Quando
tutti si furono accomodati al tavolo, Scully chiese se desideravano qualcosa da
bere, ma Skinner la interruppe.
“Direi
che i convenevoli li possiamo anche saltare. Possiamo sapere per cosa siamo
stati convocati?”. Il tono di Skinner non ammetteva
repliche.
“Normalmente
le risponderei in tono ironico che dovrebbe imparare a rilassarsi e a prendere
la vita un po’ più alla leggera. Ma questa volta ha ragione. Il tempo è
prezioso, non ne abbiamo molto” rispose Mulder, guardando i presenti uno ad
uno.
Tre
paia d’occhi erano puntati su di lui e attendevano. L’aria era carica di
aspettativa e di curiosità, nonché di un pizzico di timore.
Si
sedette, mentre Scully prendeva parola.
“Premetto
che non sarà facile per voi, soprattutto per te John…”
e rivolse lo sguardo al viso concentrato di Doggett “…
accettare quello che vi stiamo per dire. Dovrete ascoltare attentamente”.
Si
voltò verso di Mulder. “E per noi non è facile chiedere il vostro aiuto, perché
non ci piace l’idea di coinvolgervi in questa storia, ma abbiamo bisogno di
appoggio e voi siete gli unici di cui ci fidiamo. In più non avete nessun
figlio e nessun compagno che attende il vostro ritorno a casa. Se, in questi
anni, vi foste creati una famiglia, state certi che non vi avremmo mai contattati>.
Per
un momento nessuno parlò, poi Doggett ruppe il
silenzio.
“Ahi!
La vedo brutta…” disse in tono ironico.
Mulder
lo osservò per qualche istante.
“Da
dove cominciare?” parlò a voce bassa, quasi tra sé e sé.
“Dall’inizio?”
suggerì Skinner in tono sarcastico.
Scully
accarezzò la mano di Mulder, sotto il tavolo, incoraggiandolo a esternare quelle
parole che per tanto tempo aveva tenuto dentro di sé. Quelle parole che aveva voluto,
inizialmente, negare persino a lei.
“Quando,
dieci anni fa, sono stato arrestato per aver uccisoKnowleRoher,
mi ero introdotto in quel presidio per un motivo ben preciso…”.
“Che
non ha mai voluto condividere, nemmeno al processo” lo interruppe Skinner.
“Esattamente,
e quando vi dirò il motivo che mi ha portato là, capirete anche il perché, o
per lo meno, spero farete uno sforzo per comprendere le mie ragioni”.
Un
sopracciglio di Doggett si sollevò, scettico come
sempre.
“Avevo
passato i mesi precedenti al mio arresto nel Nuovo Messico -probabilmente
Gibson ve l’ha detto quando è venuto da voi- “ aggiunse, guardando Monica e
John “Cercavo quella verità che ho inseguito per anni e anni agli X Files, senza sapere nemmeno lontanamente di che cosa si
trattasse.
Dopo
svariate indagini, con le quali non vi starò ad annoiare, sono venuto a
conoscenza dell’esistenza di un vecchio saggio indiano, un indiano anasazi, che viveva in un sito abbandonato nel deserto. Non
ho mai avuto a che fare direttamente con lui, e successivamente ne compresi
anche il motivo, quando scoprii, assieme a Scully, che di altri non si trattava
se non del caro vecchio uomo che fuma… o meglio… che fumava. Spero
che stavolta sia morto sul serio…” aggiunse
pensieroso.
“L’avete
scoperto quella volta che vi siamo venuti a prendere nel Nuovo Messico? Prima
che spariste dalla circolazione?” chiese Monica.
Mulder
annuì.
“Esattamente.
Comunque, tramite un’anziana signora indiana, che di quando in quando era così
gentile da sfamare me e Gibson, ho iniziato a prender contatti con questo
vecchio saggio, che mi ha suggerito di andare a cercare la verità che tanto
anelavo di conoscere, all’interno di un presidio militare a Bluemonth,
in Virginia.
Ho
impiegato un paio di mesi per capire come riuscire ad accedervi, e la fortuna,
almeno inizialmente, mi aveva aiutato parecchio.
Non
sapevo cosa avrei trovato, ma di certo non mi aspettavo…
questo”.
Il
suo racconto si interruppe. Il suo sguardo era perso nei ricordi di quel
giorno. Quello schermo, quelle scritte verdi, lampeggiavano chiaramente nella
sua memoria, come ce li avesse ancora di fronte.
“Cos’ha
scoperto?” lo incalzò Doggett.
Mulder
si riscosse e scambiò un veloce sguardo con Scully, la quale annuì
impercettibilmente.
“Tramite
una password, che mi aveva comunicato sempre il fantomatico saggio, ho avuto
accesso ai dati segreti inseriti in un computer.
C’era
scritto, per sommi capi, che il 22 dicembre del 2012 ci sarebbe stata una
grande invasione aliena, che aveva lo scopo di colonizzare il pianeta,
uccidendo ogni singolo abitante della Terra”.
Il
silenzio si impadronì della stanza. La musica continuava a suonare in
sottofondo inconsapevole della tensione che si stava respirando nell’aria.
“Che
cosa?!” il primo a reagire fu John, ovviamente con scetticismo.
“Quindi
tu vorresti farmi credere che tra poco più di due mesi la Terra sarà abitata dagli
alieni e degli umani non ci sarà più traccia?” la nota dubbiosa nella voce era
palese, quasi offensiva.
Reyes e Skinner, invece,
rimasero in silenzio, gli occhi fissi su Mulder.
Lo
sguardo di Monica si spostò per un momento su quello di Scully, che annuì
impercettibilmente.
Mulder
fissò John dritto negli occhi.
“So
che non è una notizia facile da digerire, e non perché tu sei ancora scettico
sull’esistenza di vite extraterrestri, ma perché è nella nostra natura
accantonare fatti dolorosi. Ci trinceriamo dietro spiegazioni fasulle, ma che
ci fanno sentire meglio e più forti, piuttosto che affrontare la cruda realtà.
Ma ti posso assicurare che non sto mentendo”. Lo sguardo di Mulder era
penetrante, come volesse passare i suoi ricordi dritti nel cervello di Doggett.
John
aprì la bocca per protestare, ma poi la richiuse, un’espressione indecifrabile
sul volto.
“Perché
non ha voluto dirlo al processo?” chiese Skinner, in tono
pacato.
Mulder
spostò lo sguardo su di lui, sospirando rumorosamente.
“Questa
è la parte più difficile da spiegare” rivolse gli occhi verso Scully, che gli
rispose con un sorriso sghembo “Non volevo dirlo nemmeno a Scully, non volevo
che nessuno sapesse, che nessuno fosse costretto a dover fare i conti con la
realtà, che dovesse sbattere la testa contro la verità per colpa mia. Le
persone vivevano la loro vita, giorno per giorno, inconsapevoli del destino che
li attendeva… che diritto avevo io di togliere loro
la speranza di un futuro? Che diritto avevo di scaricare loro addosso un
macigno di tale portata?” la sua voce era triste, mesta.
“Non
volevo dare questa tremenda notizia nemmeno a Scully…
infatti lei l’ha appresa dall’uomo che fuma…”.
“Come
si è giustificato?” chiese Monica, che, come aveva previsto Scully, appariva
tranquilla, per nulla colpita dalla verità. Skinner
sembrava immerso in pensieri complicati, mentre John si osservava le mani,
poggiate sul tavolo. Probabilmente si stava chiedendo se credere o meno alla
notizia.
Mulder
si strinse nelle spalle.
“Non
si è giustificato. Ha solamente detto che ha fatto l’impossibile per tenermi in
vita in tutti gli anni all’FBI solo per avere il piacere di vedermi
terrorizzato davanti alla notizia della nostra imminente fine. E che l’attuale
governo ombra, alla data designata, si sarebbe rifugiato nel presidio di Mount Weather, quello dove io avrei ucciso KnowleRoher”.
“Quindi
un Consorzio esiste ancora?” chiese Monica.
“Molto
probabilmente si, e credo collabori con i super soldati”.
Ci
fu un altro silenzio carico di domande inespresse, di incredulità, di rifiuto.
Mulder
e Scully si fissarono, mentre gli altri erano assorti nei loro pensieri e si
scambiarono un cenno d’assenso.
“So
che non è cosa semplice accettare questo tipo di realtà, me ne rendo
perfettamente conto. Ma vi prego di non dubitare della nostra parola”. Scully
si interruppe per essere certa di avere l’attenzione generale. Doggett fece per parlare, ma lei alzò una mano a bloccare
ogni sua rimostranza.
“Anche
perché non sono più solo parole. Da ieri ci sono anche le prove”.
Monica,
John e Skinner si scambiarono un’occhiata
incuriosita.
“Prove?”
chiese Skinner, inarcando le sopracciglia.
Scully
assentì.
“Avete
visto i telegiornali ieri? Tutti quegli incidenti, tutte quelle persone
carbonizzate? Uno degli incidenti ferroviari si è verificato qui, a Washington…”.
“Si
certo” rispose Doggett “Ma cosa c’entra questo con la
fine del mondo?”.
“Centra
eccome, perché quegli incidenti sono stati provocati deliberatamente per
occultare lo stato devastante dei cadaveri. Due cadaveri non ancora
completamente carbonizzati sono arrivati nell’ospedale dove lavoro, e ho potuto
dare loro un’occhiata. Nei loro tessuti ho riscontrato le medesime
caratteristiche del virus di origine sconosciuta che avevo rinvenuto nei
cadaveri di Dallas, durante quel caso di scoppio di un ordigno in un palazzo
federale, nel 1998. Vi ricorderete sicuramente l’X Files
che ne parlava. Comprendeva anche me, e la mia esposizione al virus”.
Monica
annuì, passandosi una mano tra i capelli cortissimi.
“Certo,
me lo ricordo bene. Mulder ti salvò iniettandoti il vaccino”.
“Precisamente…”.
“Scusate”
si intromise Doggett “Se quello che dite è vero, se è
vero che gli alieni stanno già iniziando la loro colonizzazione…”.
Doggett si interruppe per qualche istante. Sembrava
intento a trovare il coraggio di pronunciare certe parole. “Se ricordo bene,
quel virus porta al concepimento, se così lo vogliamo definire, di esseri alieni… se quello che dite corrisponde al vero, che senso
ha occultare i cadaveri?”. Terminò la sua domanda con un gesto impaziente delle
mani.
“Purtroppo
su questo punto possiamo solo avanzare delle ipotesi” rispose Mulder, notando
la smorfia scettica sul volto di John alle sue parole. “Secondo noi…” e fece un segno verso Scully “… cercano di occultare
i cadaveri per non allarmare la popolazione mondiale. Probabilmente non
vogliono che si creino scene di panico collettivo, che la gente si metta in allerta
e cose simili, probabilmente più tranquilla e rilassata sarà l’umanità al loro
arrivo definitivo, più facile sarà annientarla.
Ma
allo stesso tempo, hanno creato questa serie di incidenti così vistosi, di una
gravità tale da aver fatto ipotizzare un attacco terroristico globale, per
avvertire le grandi potenze mondiali, i governi, che la colonizzazione è
iniziata, che è arrivato il momento di mentire ai propri concittadini”.
Si
guardò attorno e notando nuovamente un silenzio teso, proseguì.
“Ripeto,
sono solamente ipotesi, non possiamo sapere come ragionano i nostri vicini di casaintergalattici…
ma sappiamo come ragioniamo noi… e cosa abbiamo
intenzione di fare… Per questo siete qui” Mulder
lasciò la frase teatralmente in sospeso.
Scully
notò gli occhi di Monica sgranarsi, e illuminarsi di un luccichio impaziente.
“Avete
un piano per fermarli?” chiese concitata, una strana eccitazione nel tono della
voce.
Doggett e Skinner la
fissarono, stupefatti, poi rivolsero il loro sguardo sbalordito su Mulder e
Scully.
Scully
respirò profondamente. Una fitta di apprensione le attanagliò il petto.
Mulder
posò le mani sulla cartellina posata davanti a lui e la osservò per qualche
istante, poi guardò la sua compagna e lesse nei suoi occhi il rammarico che
provava.
Sapeva
che per lei era difficile trascinare in quella storia così pericolosa, dagli
esiti così incerti, persone alle quali voleva bene, ma ormai erano in ballo.
Nessuno
poteva tirarsi indietro. Questa possibilità non era contemplabile.
Il
futuro stesso metteva in condizione di non avere altre scelte, se non
combattere con tutti i mezzi possibili.
“Non
possiamo definirlo propriamente un piano, e di sicuro non abbiamo nessuna idea
su come sconfiggere la colonizzazione, ma possiamo provare a mettere i bastoni
tra le ruote agli invasori, nel nostro piccolo. Diciamo che più che un piano è una… operazione” sorrise mestamente con un angolo della
bocca.
Dogget spalancò gli occhi, sporgendosi sul tavolo.
Aprì la bocca, poi la richiuse. Poi strinse le palpebre e squadrò Mulder e
Scully con uno sguardo quasi feroce.
“Volete
dirci che voi due… avete un’idea per fermare questi
fantomatici alieni?” spalancò le braccia, in un gesto spazientito.
“John… “ Scully gli parlò in tono dolce, quasi ipnotico “…
intanto devi scegliere, nessuno ti obbligherà a fare nulla. Stavolta non puoi
stare a cavallo su una linea di confine: o credi in quello che ti stiamo
dicendo, o non ci credi. La scelta spetta a te”.
Doggett incrociò le braccia sul petto e osservò gli
astanti con sguardo di sfida.
Skinner prese la parola. Era stato stranamente zitto
per quasi tutta la conversazione.
“John,
mi ascolti attentamente” si assicurò che Doggett lo
stesse osservando e proseguì “Ha mai avuto motivo di dubitare della parola di
Scully? O di Mulder?”.
John
lo fissò per un momento.
“No”
disse semplicemente.
“Bene”
proseguì il vicedirettore “Nemmeno io. Per quanto, spesso e volentieri, fossi
scettico riguardo le teorie di Mulder sul paranormale, non ho mai avuto motivo
per dubitare della loro buona fede. E se oggi ci hanno convocato qui per
sottoporci ad una notizia così brutale e pesante, sono certo che hanno un
motivo più che valido”. Si interruppe per osservare Mulder e Scully, che
annuirono tristemente.
“So
che lei è scettico sulla faccenda degli alieni Doggett,
ma nei suoi due anni agli X Files ha dovuto
ricredersi su molte questioni, prima fra tutte l’esistenza dei fenomeni
paranormali.
Quando
avete trovato quell’uomo, Anthony Fogelman, ha avuto
davanti agli occhi la prova che i casi sui quali hanno indagato per anni Mulder
e Scully si basavano su qualcosa di concreto.
Perché
non fa un piccolo sforzo per credere che forme di vita extraterrestri minaccino
la vita su questo pianeta? In fondo, lei è il primo a sapere che le
associazioni governative ci stanno manipolando, ci stanno sfruttando,
nascondendoci la realtà… perché non potrebbero farlo
anche in questo caso? Anzi… soprattutto in questo
caso?”. Skinner prese un profondo respiro, dopo la
sua arringa e attese la reazione di John.
Monica
lo osservava con espressione quasi implorante. Fece per allungare una mano
verso di lui, ma poi la ritrasse.
John
li guardò tutti, a uno a uno, per diversi secondi, poi alzò le mani in segno di
resa.
“D’accordo,
d’accordo. Diciamo che ci credo… quale sarebbe questo
brillante piano?”.
Mulder
sorrise, sardonico, e con il pollice indicò verso Scully.
“E’
stata un’idea sua” e incrociò le braccia sul petto, guardandola maliziosamente.
Scully
lo ignorò e si rivolse agli altri.
“Dopo
il caso che Mulder ha seguito assieme all’FBI, circa 4 anni fa, ho riflettuto
molto... mi sono ritrovata a chiedermi se ci fosse un modo per, non dico
bloccare totalmente l’invasione, ma almeno rallentarla, rendere più difficile
il loro piano di colonizzazione… e alla fine sono
arrivata ad una conclusione…” prese un respiro e
proseguì.
“Ho
lasciato il mio lavoro all’ospedale e ci siamo trasferiti qui, a Washington. Ho
venduto il mio vecchio appartamento, e con il risarcimento che abbiamo ottenuto
dall’FBI, dopo che le accuse nei confronti di Mulder erano state fatte cadere,
abbiamo potuto comprare casa e vivere di rendita.
Io
non sono tornata al lavoro, almeno non per il primo anno e Mulder ha iniziato a
scrivere il suo primo libro sulla psicologia criminale e a collaborare con
l’FBI come consulente esterno.
Il
tempo lontana dall’ospedale l’ho passato facendo ricerche personaliin una clinica privata, che mi ha messo a
disposizione personale e strumenti di lavoro.
Il
suo direttore è un mio vecchio docente di medicina, che si è fidato della mia
parola e non ha fatto troppe domande”.
Gli
occhi di tutti erano puntati su di lei, avidi di notizie.
“Come
avete appreso lavorando agli X Files, sia io che
Mulder siamo stati contagiati dal virus. Ed entrambi siamo stati salvati grazie
ad un vaccino, seppur di diversa natura… Il vaccino
che ha salvato Mulder dall’olio nero, era di origine russa, ma, come abbiamo
visto in seguito, il virus nel suo organismo si è riattivato, il che significa
che il vaccino che gli era stato somministrato era instabile.
Al
contrario, il vaccino che mi ha salvato dal contagio dell’ape, sembra essere
stabile e funzionare tutt’ora… così ho pensato che potevo provare a
sintetizzare un vaccino analizzando il mio sangue… “.
“E
detta così sembra pure semplice!” la interruppe Mulder ridendo.
Scully
non poté impedirsi di sorridere.
Lo
stupore era scritto a chiare lettere negli occhi sgranati di Monica, Skinner e John.
“E
ci siete riusciti?” chiese Skinner, nella voce una
nota quasi reverenziale.
Mulder
e Scully si scambiarono un’occhiata e si sorrisero raggianti.
Poi
guardarono gli altri e parlarono all’unisono.
“Si!”.
3 ANNI PRIMA
Scully attraversò a passo spedito il corridoio della clinica privata, gli
occhiali da lettura le stavano per scivolare dalla base del naso, perché aveva la testa chinata sugli ultimi risultati di
laboratorio.
Le sembrava che questa volta ci potesse essere la speranza di riuscire a
procedere con il passo successivo. Finora aveva effettuato decine di test, di
procedimenti di scissione degli atomi, delle piastrine, ma non era mai riuscita
ad ottenere risultati soddisfacenti.
Alcuni dati stampati sul foglio che teneva tra le mani la facevano ben
sperare. L’eccitazione si era già impadronita della sua mente e, quando arrivò
nel laboratorio, si mise immediatamente a controllare e a confrontare i
risultati.
Mano a mano che gli occhi scorrevano su innumerevoli file di numeri e
sigle, l’eccitazione prese a scivolarle via dal corpo, sostituita da una
delusione cocente. E rabbia, molta rabbia.
“Accidenti!” esclamò, buttando per terra una manciata di fogli, ormai
inutili.
Si prese la testa fra le mani e iniziò a sfregarsi le tempie con le
dita.
La testa le doleva, aveva l’impressione che un picchio dispettoso le
stesse facendo un buco dritto nel cervello.
Era in piedi da più di 24, non aveva fatto altro che andare avanti e
indietro da un laboratorio all’altro, aveva mangiato pochissimo, per non alterare
i risultati delle analisi sul proprio sangue. Era esausta.
E queste giornate intense si ripetevano ormai da circa quattro mesi.
Quattro mesi di lavoro e non aveva ancora concluso nulla…
a volte seguire il consiglio di quel prete non era affatto semplice!!!
Decise di rientrare a casa. Era troppo stanca per rimettersi al lavoro,
e lavorare senza avere la mente totalmente concentrata non portava a nulla, se
non a commettere errori.
Scully chiuse la porta di casa silenziosamente, ma Mulder stava già scendendo
le scale. Era in boxer e maglietta e si stava passando le mani tra i capelli,
scompigliandoli.
Lo sguardo assonnato gli dava un’espressione da bambino indifeso e
Scully sorrise teneramente vedendolo.
“Ciao…” le disse, la voce ancora rauca e debole
“Non sei rientrata stanotte”.
“No, credevo d’essere riuscita a portare avanti i test, invece sono
punto e a capo”.
Si accasciò sul divano, sfinita.
Mulder le si sedette a fianco, accarezzandole i capelli.
“Va a riposare, hai due occhi che fanno paura…”.
Scully si voltò a guardarlo, nello sguardo una tristezza che le segnava
i tratti e la faceva apparire fragile, indifesa.
“Mulder… e se non ci riesco?”. La voce era
lamentosa, come quella di una bambina triste.
Lui continuò ad accarezzarle i capelli, con un gesto ritmico.
Poi le sorrise, rassicurante.
“Ce la farai, ne sono certo”
Lei scosse la testa, sfiduciata, e si mise a contemplare il pavimento.
“Guardami” le disse Mulder.
Lei voltò il viso verso i suoi tratti assonnati.
Mulder le prese il volto fra le grandi mani, e la costrinse a guardarlo
dritto negli occhi.
“Io SO che ce la puoi fare”.
Gli occhi di Scully scrutarono il suo volto, attenti, e vi lessero la
fiducia cieca che lui provava verso di lei e verso le sue capacità. Non c’era
incertezza nel suo sguardo. Lui era davvero convinto che lei ce l’avrebbe
fatta.
Peccato che lei non avesse altrettanta fiducia in sé stessa…
Si sforzò di sorridergli, e poggiò il capo sul suo petto, lasciandosi
cullare dalle sue braccia verso l’incoscienza.
Mulder si trovava nel suo studio, circondato da poster, foto di UFO e
articoli di giornale su fenomeni paranormali.
Mentre Scully riposava al piano superiore, lui aveva deciso di
approfittare della giornata uggiosa per dedicarsi al suo libro sulla psicologia
criminale.
Aveva quasi completato il penultimo capitolo, quando un movimento alla
sua destra lo distolse dallo schermo del computer.
Non si stupì affatto di trovarsi dinnanzi il volto del suo fratellastro,
Jeffrey Spender.
“Come
aveva fatto ad entrare, così, di soppiatto?” chiese Doggett.
Mulder
prese un profondo respiro.
“Temo
che se è stata dura, per te, accettare la prima parte della nostra
conversazione, questa ti manderà letteralmente K.O.” e gli sorrise.
John
alzò gli occhi al cielo.
“Non
mi dirai che ha imparato ad attraversare i muri?” chiese sarcastico.
“No..,
peggio… Avevo saputo giusto alcune settimane prima di
quel giorno, che Jeffrey era morto in un ospedale di New York, e che mi aveva
lasciato alcuni effetti personali”.
Doggett aggrottò le sopracciglia e lo fissò in modo
diffidente.
Scully
non riuscì a soffocare una risatina.
Mulder
sorrise.
“Ormai
-visto il destino a cui andiamo incontro, se la nostra operazione di sabotaggio
non dovesse funzionare- non mi importa molto che mi prendiate per un pazzo visionario… io vedo le persone morte…
e perdonatemi la mezza citazione al film “Il sesto senso”“.
Monica
fu l’unica a non sorprendersi della cosa.
“Da
quando?” gli chiese.
“La
prima volta è stata in carcere, 10 anni fa. Poi non li ho più visti fino a quel
giorno. Ora allietano le mie giornate spesso e volentieri” sorrise, divertito.
“Buongiorno Jeffrey, qual buon vento?”.
Spender gli sorrise, finalmente senza problemi. Il suo volto sfigurato
era un triste ricordo mortale, nella sua nuova vita aveva nuovamente i tratti
che lo caratterizzavano prima che suo padre gli sparasse.
“Pensavo ti saresti spaventato almeno un po’… che delusione…”.
La sua finta espressione affranta fece ridere Mulder.
“Ormai non mi stupisco più di nulla, men che
meno mi spavento per un fantasma. E poi, ti dirò, vi stavo aspettando.
Aspettavo che qualcuno si decidesse a venire a darci una mano”.
Spender annuì, poi gli tese un foglio piegato con la mano incorporea.
Mulder lo prese, senza aprirlo, e guardò Jeffrey.
“Dì a Scully che deve seguire le istruzioni riportate in quel foglio
alla lettera. Nel giro di un mese avrete il vostro vaccino”.
Mulder abbassò lo sguardo sul foglietto, e quando rialzò gli occhi verso
Spender, lui non c’era più.
“I
passaggi chimici, riportati su quel foglio, furono la scintilla che mi permise
di non perdermi d’animo. Seguii alla lettere i suggerimenti, che mi portarono
ad isolare uno specifico anticorpo, con un procedimento medico che non avevo
contemplato.
Quello
che mi stupì, fu la semplicità con cui poi le cose iniziarono a procedere.
Tutto
tornava senza nessuna fatica, senza nessun intoppo…incredibile…” si voltò ad osservare Mulder, che le sorrise,
incoraggiandola a proseguire.
“Dopo
poco più di un mese, avevo, ipoteticamente, tra le mani il vaccino”.
“E’
fantastico!” esclamò Reyes, gli occhi brillanti di
ammirazione verso Scully.
“Un
momento” Skinner si sporse verso il tavolo, portando
avanti le mani “Come fate ad essere certi che il vaccino sia quello giusto?
Quello contro il virus alieno?”.
Scully
annuì, persa nei ricordi.
“Il
problema era giustappunto quello… come capire se il
vaccino era quello esatto? Come capire se era sicuro somministrarlo agli esseri
umani? Il mio entusiasmo, infatti si smorzò quasi subito, quando mi resi conto
che non avevo nessun paziente su cui poterlo sperimentare. Mulder, ovviamente…” e gli scoccò un’occhiata di traverso “… voleva
candidarsi come cavia, ma non volevo rischiare.
Così,
mentre cercavo di farmi venire un’idea su come testarlo, iniziai a prelevare
campioni di sangue ai vari pazienti della clinica, previa richiesta al
direttore, ovviamente. In nessun campione trovavo traccia dell’anticorpo che
invece avevo isolato nel mio plasma, ma come potevo essere certa che
quell’anticorpo fosse il risultato della vaccinazione? Magari era una
conseguenza del mio microchip… insomma, mi sembrava
di essere tornata punto e a capo.
Fino
a quando non ho ricevuto un’imbeccata… dai LoneGunmen…” pronunciò il nome a
voce bassa, come se si vergognasse.
John
la guardò allibito.
“Non
mi dire che vedi i morti pure tu?!” nella sua voce si notava una certa
impazienza.
Scully
rise.
“No!
Quella è una sua prerogativa!” e scompigliò i capelli di Mulder con un gesto
affettuoso.
Monica,
vedendoli così affiatati, seppur in mezzo al caos di un’invasione aliena
imminente, non poté reprimere un sorriso sereno. Se c’era qualcuno che meritava
la felicità, quelli erano Mulder e Dana, su questo non aveva dubbi.
3 ANNI PRIMA
“Ma possibile che ci tocchi sempre sorprenderti col gingillo in mano?”
disse Langly in tono disgustato.
Mulder, questa volta, non poté impedirsi di sobbalzare, mentre voltava
lo sguardo verso l’assurdo trio. Si chiuse la zip dei pantaloni e attivò lo
sciacquone del WC.
“Si vede che vi piace…” rispose loro, con
un’alzata delle spalle.
“Si, come no…” commentò a bassa voce Frohike.
Mulder ridacchiò.
“Immagino non siate qui per disquisire sui miei attributi…”.
“Effettivamente no” precisò Byers “In realtà
siamo qui per riferire a Scully un messaggio. Deve iniettarti il vaccino”.
Mulder fece una smorfia.
“Come se non glielo ripetessi tutti i giorni da un mese a questa parte!
Non vuol sentire ragione…”.
“Oh… ma a noi darà retta! Soprattutto se le
dirai che il consiglio è partito da me” e Frohike si
batté ripetutamente l’indice sul petto. “Ha sempre avuto un debole per me…” si vantò.
Mulder lo fissò per un attimo, un ghigno divertito sulle labbra.
“Se fossi vivo ti tirerei un calcio…”.
“Provaci ora…” e Frohike si mise in posizione
d’attacco, il corpo leggermente sbilanciato in avanti e i pugni davanti al
volto, pronti a scattare.
Mulder pensò che era veramente ridicolo.
Byers dette una sberla sulla spalla di Frohike.
“Non siamo qui per giocare. Mulder… devi dirle
che iniettandoti il vaccino riuscirà a vedere che il famoso anticorpo su cui
sta lavorando comparirà anche nel tuo sangue. E poi sarai nuovamente protetto.
Il vaccino russo era totalmente instabile, i tuoi tessuti l’hanno assorbito ed
espulso attraverso il sudore. Ora come ora sei alla mercé del virus”.
Mulder assentì.
“Se non mi dà retta, vedete di andarle a fare visita in sogno, forse si
convincerà”.
“D’accordo capo!” Langly gli fece
l’occhiolino.
“Scully ha fatto un buon lavoro. Il vaccino è perfetto, fidati” lo rassicurò
Byers.
“Ah, ma io mi fido di voi, e anche di lei e delle sue capacità, è lei
che è dubbiosa. Spero che mi dia retta… Le dico che
la saluti affettuosamente Frohike?”.
“Non
puoi lamentarti… ti ho dato retta quella volta!”
disse Scully.
Mulder
storse le labbra in una smorfia. “Infatti ha nevicato per una settimana intera…”.
“Ma
smettila!” e gli dette un buffetto sul braccio.
“Quindi
il vaccino è buono?” chiese Skinner, nuovamente.
“Direi
di si. Come predetto dai LoneGunmen,
dopo la somministrazione, il corpo di Mulder non ha subito danni, ma nel suo
sangue ora è rintracciabile lo stesso anticorpo che c’è nel mio. Lo so che
scientificamente e in campo medico è una prova piuttosto inconsistente, ma non
posso effettuare ulteriori verifiche… per avere la
certezza medica, bisognava trovare un soggetto infetto, ma vivo…
ma non è stato possibile... almeno non fino ad oggi.
Mi
fido della parola dei suoi “spiriti”. In fondo, finora, non ci hanno mai dato
false notizie, né false speranze”.
“Avete…”
“Come…”
Monica
e John iniziarono a parlare contemporaneamente. John fece segno a Monica di
proseguire.
“Avete
già iniziato a somministrarlo alla gente?”.
Mulder
scosse il capo.
“No,
aspettavamo un gesto da parte degli invasori. Un gesto come quello di ieri…”
“Per
quale motivo?” chiese John “Il tempo scarseggia…”.
“Lo
so” rispose Mulder “Ma una volta, un signore distinto, mi disse che
l’introduzione del vaccino in ambiente alieno, avrebbe avuto il potere di
distruggere tutti quei piani che il Consorzio ha tenuto segreti per più di 50
anni. Non potevamo vaccinare le persone anni fa, i super soldati, i cacciatori
di taglie alieni, gli alieni stessi, se ne sarebbero accorti, e avrebbero avuto
il tempo di inventarsi qualcos’altro.
Se
vogliamo che il vaccino metta loro i bastoni tra le ruote, dobbiamo farlo a
ridosso dell’invasione, così avranno meno tempo per reagire.
E’
ovvio che non riusciremo mai a vaccinare tutta la popolazione mondiale, ma ci
basterebbe sapere che una buona maggioranza è protetta, che un alto numero di
persone si possono salvare dal contagio.
Scully
ha fatto riprodurre il vaccino in enormi quantità. Ora si trova in tutto il
mondo, in attesa di essere utilizzato…
Basta
solo che… “chi di dovere” dia il via all’operazione…”.
Skinner li osservò, perplesso, come gli altri del
resto.
Monica
era troppo stupefatta per proferire esclamazioni di incredulità.
Mulder
annuì, soddisfatto, guardando il sorriso sulle labbra di Scully.
“Eh
già! Questa è l’altra parte della storia…”.
“L’attuale
Presidente degli Stati Uniti d’America? Cosa avete fatto? Siete andati alla
Casa Bianca e avete suonato il campanello?”. Doggett
era totalmente esterrefatto.
Da
quando era lì, circa un’ora ormai, aveva ascoltato fin troppe parole assurde.
La sua mente scettica cominciava ad andare in corto circuito.
“Più
o meno…” rispose Mulder con il suo solito tono
ironico.
“E’
incredibile…” disse Monica in un sussurro.
Scully
rivolse un sorriso soddisfatto ai presenti.
“Bè, come sapete, il governo è sempre stato a conoscenza dei
piani di invasione e non ha mai mosso un dito per provare ad impedire la fine
dell’umanità. Ha sempre taciuto, alleandosi con il Consorzio, con i super
soldati e con gli alieni stessi…
Ma
un vaccino non può essere somministrato alla popolazione mondiale senza un nulla
osta da parte degli organi competenti al governo… poi
serviva anche una motivazione, e non poteva di certo essere quella reale…
Abbiamo
riflettuto molto su cosa potevamo fare, e gli ostacoli che ci si paravano
dinnanzi il cammino ci sembravano veramente insormontabili…
insomma, come potevamo pensare di cercare di contattare il Presidente? Oltre
che un’idea di difficile realizzazione, c’era anche il problema che non
potevamo di certo mettere la nostra unica arma per salvarci nelle mani del nemico…”. Scully prese fiato.
Si
guardò attorno e notò che erano tutti estremamente concentrati su di lei, su
quello che stava raccontando. Nei loro occhi si leggeva incredulità,
ammirazione e un misto d’ansia e reverenza che la faceva sentire orgogliosa di
sé stessa, o meglio, la rendeva orgogliosa di loro due.
Senza
Mulder che la sosteneva non ce l’avrebbe mai fatta.
Si
ritrovò a pensare, per qualche istante, che non importava se la loro battaglia
avrebbe avuto esito positivo o meno, la cosa meravigliosa sarebbe stata la
lotta fianco a fianco, uniti.
Sarebbe
stato il coraggio di non arrendersi.
Soffocò
un sorriso e proseguì.
“La
svolta arrivò durante le ultime elezioni presidenziali…
mai avremmo sperato che sarebbe salito al governo un candidato che avrebbe
anche potuto schierarsi dalla parte dell’umanità, rompendo la lunga catena di
tradimenti perpetrati nell’ultimo secolo.
La
sua elezione ci dette una speranza… era ovvio che,
non appena salito al potere, il nuovo Presidente sarebbe stato contattato dai
super soldati, o da chi per loro, ma potevamo nutrire la, seppur flebile,
speranza che non sarebbe stato d’accordo sulla linea di condotta adottata dai
suoi predecessori.
E
qui entra in gioco un vecchio amico di mio padre…”.
Mulder
le rivolse uno sguardo complice e le fece l’occhiolino.
“Quando
ero bambina, mio padre lavorava nel Delaware, stavano svolgendo una missione
governativa piuttosto delicata. Gli fu affianco un giovane cadetto, che si
rivelò fin da subito un ragazzo preparato ed estremamente intelligente. All’epoca
aveva solo 18 anni, ma era già considerato uno dei migliori acquisti che la Marina potesse fare. Si
chiama Jared Cena.
Qualche
anno dopo, fu reclutato per una missione in Alaska, non so dirvi di cosa si
trattasse, probabilmente una delle tante missioni “inesistenti” della storia
americana.
Quando
tornò non era più lo stesso.
Era
taciturno, incostante, e se ne andava spesso in giro, mezzo ubriaco, a dire che
lui conosceva segreti che avrebbero potuto annientare il mondo –e visto quello che sta succedendo, ora capisco anche a
quali segreti si riferiva- e che lui poteva andare e venire dalla Casa Bianca
quando e quanto gli pareva.
Inutile
dirvi che fu congedato dalla Marina e che fu etichettato come pazzo. Ora vive
nel Connecticut, dove conduce una vita da eremita e si porta appresso il
soprannome di “CrazyLiar”,
il pazzo bugiardo…”.
Mulder
la interruppe.
“Sicuramente
è un bel personaggio, decisamente stravagante, ma vi posso assicurare che non è
pazzo. Conosce perfettamente quello di cui parla e le sue frasi corrispondono a
verità, ma la gente è troppo schematizzata e cieca per credere alle sue parole”.
Scully
annuì distrattamente.
“Già… “. Si perse per un momento nei suoi pensieri, poi si
riscosse, notando che stavano tutti aspettando che lei proseguisse il racconto.
“Io
non sapevo se lui fosse realmente in grado di arrivare alla Casa Bianca, ma mio
padre diceva sempre di non sottovalutare le capacità e l’intelligenza di quel ragazzo… e poi… in fondo non
avevamo nulla da perdere…”.
2 ANNI E MEZZO PRIMA
Mulder e Scully si scambiarono un’occhiata, mentre attendevano che
qualcuno venisse ad aprire. Avevano bussato almeno tre volte e ancora non
avevano ricevuto risposta.
Dall’interno arrivava il suono soffocato di un aspirapolvere, il che
faceva pensare che in casa ci fosse qualcuno, ma probabilmente il forte ronzio
dell’elettrodomestico non permetteva all’inquilino di percepire il loro bussare.
Ma il campanello non c’era…
Provarono un’altra volta, senza troppa convinzione.
Sentirono l’abbaiare frenetico di un cane avvicinarsi alla porta,
dall’interno. Il rumore dell’aspirapolvere cessò d’improvviso e una voce
profonda e roca ordinò al cane di smetterla di fare confusione. L’animale si
zittì all’istante.
La porta cigolò sui cardini mentre veniva aperta.
Il naso impaziente e schiacciato, di un bell’esemplare di boxer, iniziò
ad annusare i pantaloni di Mulder, con grugniti profondi e ritmici.
Lui si chinò ad accarezzarlo, mentre Jared
Cena li osservava.
Mulder notò che era un uomo molto alto e smilzo. Il volto era piuttosto
abbronzato e dietro le rughe e il velo di ispida barba bianca, si notava che i
tratti erano quelli di una persona di bell’aspetto.
Aveva pochi capelli grigi sul capo, che gli conferivano un’aria saggia e
vissuta.
Gli occhi erano del’ipnotico colore del ghiaccio e, finché li guardava
attraverso le lenti di un paio d’occhiali piuttosto spessi, furono attraversati
da un lampo di curiosità.
Davano l’accattivante sensazione di una persona estremamente sveglia,
intelligente e sagace, nonché dallo spiccato senso dell’umorismo. Ma
testimoniavano anche una vita di sacrifici e di solitudine.
A Mulder venne da sorridere all’idea che un paio d’occhi potessero
raccontare tanto di una persona.
L’uomo era vestito con una larga casacca color melanzana, che stonava in
maniera oscena con i pantaloni in tela dai mille colori sgargianti.
Qualsiasi altra persona avrebbe pensato che fosse una persona strana,
inaffidabile, e che fosse meglio stragli alla larga, invece a Mulder piacque
subito. Molto.
Le rughe intorno alle labbra di Jared si
intensificarono mentre, con un sorriso, chiedeva loro se poteva aiutarli.
“Noi speriamo di si, signor Cena…” disse
Scully “…mi chiamo Dana Scully, sono la figlia del
Capitano Scully… si ricorda? Avete lavorato assieme
negli anni ’60…”. Sperava davvero con tutto il cuore che la sua mente fosse
ancora sveglia come apparivano i suoi occhi.
Il sorriso sul volto dell’uomo si accentuò, e arrivò a toccare le rughe
intorno alle palpebre. Il suo voltò si illuminò.
“Dana! Ma certo! Avrei dovuto capirlo subito! Hai la stessa espressione
di tuo padre…”.
E le strinse la mano calorosamente.
Scully non poté impedirsi di sorridere, compiaciuta.
“Lui è il mio compagno, Fox Mulder” disse indicandolo con una mano.
Mulder gli sorrise e strinse la mano fredda e ruvida dell’uomo.
“Lieto di conoscerla Fox” disse l’uomo. Il tono era sincero e caldo.
Il cane, contrariato dal fatto che Mulder avesse smesso di accarezzarlo,
iniziò a scodinzolargli intorno, chiedendo nuovamente attenzione.
“Zar, lascia in pace il signore” l’ammonì Jared,
continuando a sorridere “Ma vi prego, accomodatevi. Mi scuso per il disordine,
ma stavo cercando di fare un po’ di pulizia…”.
Mulder e Scully entrarono in una casa piccola, ma luminosa. Ogni
dettaglio indicava che il suo abitante era una persona che amava viaggiare, che
amava gli animali e la natura, in particolar modo il mare. In un angolo del
corridoio d’entrata giaceva l’aspirapolvere, silenziosa e immobile.
Alle pareti erano appesi numerosi quadri, delle più disparate varietà.
Si passava da quadri astratti senza alcun senso, ma dai colori vivi e
seducenti, alle nature morte in bianco e nero.
Proseguendo lungo il corridoio, Mulder buttò l’occhio in una stanza alla
sua destra. Il muro era saturo di foto di Cena assieme ad alcuni presidenti e
segretari di stato. Una lo raffigurava assieme a John Lennon.
Il pavimento era traboccante di strani strumenti di ferro e rame, di
ruote di biciclette e telecomandi.
Si chiese distrattamente se fosse lo “studio” dove inventava nuove
creazioni.
Scully gli aveva raccontato che una volta, quando era bimba, lui le
aveva regalato uno strano caleidoscopio, che aveva fabbricato con le sue mani.
Era stato per anni uno dei suoi giochi preferiti. Mentre alla sorella aveva
regalato un ciondolo, sempre fabbricato con le proprie mani, dicendole che le
avrebbe permesso di capire meglio i sentimenti delle persone. Melissa lo portò
per tutta la sua vita…
Si accomodarono in una stanza con un tavolo da quattro posti, un divano
logoro ma dall’aria accogliente e un televisore. Spento.
Al posto del lampadario, pendeva una lampadina solitaria, ma il soffitto
attorno ad essa era ricoperto di disegni strani, e pendenti dall’aria indiana.
Attorno ad ogni quadro, alle sedie e al televisore, c’erano fili
colorati che assomigliavano a decorazioni natalizie.
Bizzarro, ma simpatico.
Dopo che Jared ebbe messo davanti ad ognuno di
loro una tazza di caffè, Scully frugò dentro la sua borsa, con gesti
inconsapevolmente eleganti, e ne estrasse una custodia di plastica trasparente
e anonima contenente un dischetto bluray. E iniziò a
raccontargli il motivo della loro inaspettata visita…
Mulder strinse calorosamente la mano del signor Cena.
“E’ stato un vero piacere parlare con lei. La ringraziamo infinitamente,
con tutto il cuore”.
Jared liquidò le parole di Mulder con un gesto della mano.
“Non ho promesso di riuscirci…” obbiettò “… ma
sono abbastanza pazzo da tentare, anche più volte se sarà necessario”. E
sorrise in quel suo modo gentile e particolare.
Mulder scosse la testa.
“E’ già molto quello che ha accettato di fare, le siamo veramente grati”.
Scully sorrideva raggiante, mentre annuiva alle parole del compagno.
Zar si arrampicò sulle gambe di Mulder. Ormai aveva un nuovo amico con
cui giocare.
Mulder lo accarezzò, inginocchiandosi davanti al suo naso freddo.
“Arrivederci Zar…”.
Scully strinse la mano a Jared.
Vide che Jared esitava e lo guardò con aria
incuriosita.
“C’è qualcosa che vuole chiederci?”.
Jared la guardò dritta negli occhi, sul suo sguardo si era dipinta
un’espressione seria, quasi triste.
“Mi farebbe molto piacere se veniste ancora a trovarmi…
ho passato un bel pomeriggio… non mi capitava da
decenni che qualcuno ascoltasse le mie farneticazioni senza ritenermi un pazzo completo… la mia unica compagnia è Zar…”.
Mentre lo diceva, il suo viso si abbassò sul boxer, che si godeva felice le
carezze di Mulder.
Scully abbassò lo sguardo verso il compagno, che continuò ad accarezzare
ritmicamente il pelo morbido del cane. Le rivolse un sorriso aperto, che lei
ricambiò.
Mulder si alzò in piedi.
“Mi creda sulla parola signor Cena… niente ci
farebbe più piacere…bè…”
aggiunse “… forse sventare la fine del mondo!” e rise.
Jared si unì alla sua risata.
“Allora chiamatemi Jared e datemi del tu. Mi
farò vivo non appena avrò qualche notizia da darvi… e
spero siano notizie positive. Fox, la aspetto per chiacchierare più
approfonditamente sul tema delle possessioni… le sue
teorie mi interessano molto…” gli strizzò
l’occhiolino.
Scully rise. Un suono cristallino e sereno che Mulder non sentiva da un
po’ di mesi a quella parte.
“Ho la sensazione che voi due andrete d’accordo”.
“Lo penso anch’io” le fece eco Jared.
Mulder
si strinse nelle spalle.
“Ci
siamo fatti proprio delle belle chiacchierate in questi mesi, vero Scully?” le
disse, rivolgendole uno sguardo che assomigliava molto all’espressione di un
monello.
“Se
dite che il vostro piano dovrebbe iniziare a ore…
significa che questo Cena ce l’ha fatta? Ha contattato il Presidente?” chiese Doggett, incuriosito e stupefatto.
2 ANNI E MEZZO PRIMA
Lo sguardo del Presidente degli Stati Uniti si perse al di fuori della
piccola finestra.
Erano le 3.15 del mattino, eppure Washington pullulava di auto, di
rumori, di sirene… di persone.
Si soffermò ad osservare le mille luci colorate che illuminavano una
notte serena, protetta da una luna crescente e da miliardi di stelle sparse
lungo la volta celeste.
Nel minuscolo studio regnava un silenzio carico di tensione, di
riflessioni, di scelte difficili. Gli unici rumori bisbigliati arrivavano dal potente
Macintosh portatile posto sul tavolino e dal respiro pesante del cane che
sostava ai piedi del suo padrone.
I respiri dei due uomini presenti nella stanza erano impercettibili.
Lo spazio esiguo della stanza provocava un fastidioso senso di
soffocamento al Presidente, un rivolo di sudore dovuto alla tensione gli corse
lungo il collo. Nessuno conosceva l’esistenza di quello spazio segreto, solo
sua moglie e l’uomo che ora si trovava in piedi, a pochi passi da lui, in
attesa.
La propria immagine sbiadita, riflessa sul vetro sporco della finestra,
si univa alle luci e ai movimenti del mondo esterno, formando strane immagini
sul suo volto sudato.
Gli occhi scesero ad osservare le proprie mani, poggiate al cornicione.
Il loro color cioccolato spiccava sul marrone spento e triste del legno
abbandonato a sé stesso.
“Tu cosa ne pensi?” chiese il Presidente all’uomo in attesa, senza
voltarsi.
Sentì l’uomo prendere un profondo respiro e il cane guaire piano, come
se percepisse la gravità della situazione.
“Io proverei a dare fiducia a queste persone”.
Il Presidente si voltò verso di lui.
Il suo sguardo percorse velocemente la stanza: un tavolino, dov’era
appoggiato il computer, due sedie di legno e una piccola libreria semi vuota
nell’angolo di destra. A sinistra la porticina che conduceva ad un passaggio
segreto, che sbucava a miglia e miglai di distanza
dalla Casa Bianca, ammiccava complice verso i due uomini.
“Li conosci?”
L’uomo, il viso illuminato solo parzialmente dalla luce esterna, scosse
la testa.
“La dottoressa è la figlia di un mio vecchio capitano, quando lavoravo
per la Marina,
ma non la vedevo da quando era poco più che una bambina. L’uomo non l’avevo mai
visto, ma so che è famoso nell’ambiente federale per le sue indagini sui casi
denominati “X Files”. Sa di cosa parla, ovviamente…” terminò con una risatina amara.
Il Presidente annuì distrattamente.
“Sai perfettamente quanto mi abbia scioccato apprendere questa notizia
da tizi che altro non sono se non alieni mimetizzati tra noi. Pensavo di avere
avuto un crollo nervoso a causa della mia elezione…
pensavo di essermi immaginato tutto…
Ma quando poi, il giorno dopo, mi sono ritrovato di fronte i loro visi
ghignanti, ho capito che era un incubo reale.
Ma ti rendi conto?”.
Il Presidente alzò improvvisamente il tono di voce, facendo due passi
verso il tavolo. Batté il pugno sul legno del tavolino, facendo traballare il
portatile.
“Quegli stronzi lavorano alla Casa Bianca e in tutti i più importanti governi
del mondo! Ci tengono sotto scacco! E’ una cosa che non sono mai riuscito a
mandare giù, lo sai… ma mi tenevano in pugno… che dovevo fare…” disse
guardando l’uomo e passandosi il palmo della mano sulla fronte imperlata di
sudore freddo.
Jared Cena fece un passo verso la luce proveniente dall’esterno.
Il suo boxer Zar lo seguì come un’ombra.
“Sono venuti ad offrirti un’ancora di salvezza! Per te, per il mondo! Mi
rendo conto, è una zattera instabile e rudimentale, ma è sempre meglio che
farsi travolgere dalle onde senza lottare… afferrala
Boss!” lo chiamò con il soprannome che dava a tutti i Presidenti che si
potevano definire tali.
Il Presidente osservò lo schermo del computer, dove l’immagine immobile
di una donna dai capelli rosso rame rischiarava sommariamente la stanza buia.
Premette due tasti e il video riprese vita.
La voce di Scully inondò lo stretto antro. Stava mostrando la fialetta
contente il vaccino, e spiegando la sua composizione e le sue caratteristiche.
Aveva precedentemente spiegato il modo in cui il suo corpo era stato invaso dal
virus alieno, e di come quel vaccino avesse combattuto per salvarle la vita. E
l’anima.
Il Presidente spense nuovamente il bluray e
chiuse il computer. La poca luce che gli aveva illuminato il volto color cioccolato
svanì, lasciandolo a mimetizzarsi con il buio circostante.
Osservò Jared Cena con una luce quasi perfida negli
occhi e un sorriso diabolico.
“Facciamolo!”.
“Qualche
settimana dopo aver parlato con Cena, ho ricevuto una telefonata dal primario
dell’ospedale Saint Morgan di Washington. Mi chiedeva di raggiungerlo
direttamente all’ospedale, nel suo studio, per un’offerta di lavoro.
Ero
sinceramente stupita. Il lavoro, in quel periodo, era l’ultimo dei miei
pensieri” disse Scully.
Osservò
Mulder per un attimo, ricordando lo stupore che l’aveva accompagnata dopo
quella telefonata.
Skinner, Doggett e Reyes erano completamente assorbiti dalle parole che si
stavano riversando, dalle labbra di Mulder e Scully, direttamente nel loro
cervello. Erano veramente colpiti dal coraggio che avevano avuto quelle due anime
solitarie. Senza dire niente a nessuno, almeno fino a quando la cosa non si era
rivelata necessaria, trattenendo dentro di loro il peso di una conoscenza che
avrebbe abbattuto chiunque… avevano lottato da soli,
cercando un modo, seppur flebile e dagli esiti incerti, di combattere un mostro
più grande dell’intera umanità.
Monica
pensò che al mondo di persone così ce ne sarebbero volute molte, molte di più.
Ed
era lusingata che li avessero reputati degni di far parte di un progetto di
così grande portata.
Era
rischioso, certo. Ed era anche sicura che quella che stavano ascoltando fosse
la parte più “semplice”, probabilmente l’aiuto che chiedevano era molto più complicato
e rischioso.
Ma
era pronta a vivere guardando la morte in volto, era disposta ad accettarla
senza indugi, se questo significava concedere al mondo e ai suoi abitanti,
umani o animali che fossero, qualche altro millennio di vita.
E
sapeva per certo che il suo pensiero era condiviso dai due uomini che le
sedevano a fianco.
Seppur
non più giovani, seppur segnati dalla vita, dal lavoro, dalle difficoltà,
sapeva che erano ancora disposti a combattere, a sopravvivere quel tanto che
bastava per essere certi di aver fatto tutto il possibile per ribellarsi al destino…
La
voce di John interruppe i suoi pensieri.
“Immagino
che il primario non volesse offrirle un lavoro…”.
Scully
lo guardò.
“A
dire il vero sì, mi ha offerto di lavorare nel suo ospedale, ma per motivi più
gravi rispetto al semplice acquisizione di un nuovo chirurgo…”.
“Mi
scusi…” la interruppe Skinner
“… ma quello che ci state raccontando è ancora più fantascientifico della
possibile fine del mondo per mano degli alieni. La mia mente fatica a seguirvi…”.
Scully
gli sorrise. Mulder fece altrettanto, sporgendosi sul tavolo e appoggiando il
mento sulle braccia incrociate.
“Non
si preoccupi Walter” gli disse lei “E’ comprensibile che siate completamente spiazzati… non creda che per me sia stato semplice
accettare tutto…” si voltò verso Mulder che le
sorrise di sbieco.
“E’
vero che la mia visione scettica è stata scalzata dal coraggio di credere in
cose che prima mi spaventavano… ma quando Mulder mi
ha detto che vedeva i “fantasmi” delle persone morte che avevano costellato la
nostra vita, nel bene e nel male, e che apparivano per darci degli aiuti, per
spingerci verso la giusta direzione… mi creda, ero
completamente spiazzata.
Ero
tornata ad essere la vecchia me, quella che rifiutava tutto quello che non
poteva spiegare scientificamente… e che pensava che
Mulder fosse pazzo!” rise sommessamente.
“Bè… questo è vero!” le rispose lui, la voce mezza soffocata
dal maglione.
“Il
primo passo è ammetterlo… “ aggiunse Doggett, con un sorriso ironico sulle labbra.
Ci
fu una risata generale, debole e impacciata, ma che contribuì a stemperare il
clima di tensione che si respirava in quella stanza da quasi 2 ore.
Scully
interruppe quella ventata di ilarità con un colpetto di tosse.
“A
parte gli scherzi… “ proseguì con un’espressione
seria “… alla fine, come ha detto lei prima Skinner,
la scelta è tra avere fiducia o non averla…” si
strinse nelle spalle, giocherellando con la cartellina che aveva davanti alle
mani “… e senza non saremmo arrivati fin qui…”.
Il
silenzio nella stanza si protrasse per un po’. La musica aveva smesso di
suonare da un pezzo, e il buio all’esterno si era fatto pesante. Qualche tuono
in lontananza cominciò ad avvertire le nuvole cariche di pioggia che era tempo
di scaricare al suolo l’umidità accumulata.
“Cosa
c’è in quella cartellina?” chiese Doggett dopo un
po’.
Per
un riflesso incontrollato Scully vi appoggiò sopra la mano.
“Sono
tutti i dati relativi al vaccino, le varie fasi di studio, e il risultato
finale. Potete consultarli, li abbiamo messi qui apposta…”.
Doggett fece un gesto di diniego con la mano.
“Tanto
non ci capirei nulla…”.
“E
nella busta?” chiese Monica.
“Ci
sto arrivando…” replicò Scully.
2 ANNI E MEZZO PRIMA
Scully bussò alla porta dello studio del Dottor Montrand,
primario dell’ospedale Saint Morgan.
Dopo pochi istanti la porta si aprì, rivelando un uomo di colore,
imponente e di alta statura. Dimostrava
50 anni, forse meno, e la sua espressione la diceva lunga sulle ore insonni che
aveva passato negli ultimi giorni.
“La dottoressa Dana Scully presumo…” le
rivolse un sorriso di cortesia, al quale Scully rispose con educazione.
“Si, sono io” e tese la mano per stringere quella del medico. La pelle
di Montrand era asciutta e calda e la presa era salda.
“Si accomodi, prego…” le disse, scostandosi
per farla passare.
Chiuse la porta dietro di sé e le fece segno di accomodarsi sulla sedia
di fronte alla scrivania.
“Dottoressa Scully… non sono un uomo che ama
perdersi in lunghi giri di parole, perciò vengo subito al punto..”. Si chinò
verso un cassetto posto dietro la scrivania e ne estrasse una busta, che era
stata già aperta.
La allungò a Scully..
Lei notò che la missiva era indirizzata al primario.
Lo osservò con aria incuriosita.
“Legga la lettera, la prego” la esortò il medico.
Scully estrasse una lettera composta da due fogli bianchi, pieni di
parole vergate con una calligrafia elegante, ma frettolosa.
Scully lesse la lettera, parola per parola, in un crescendo di euforia e
ansia. Il cuore prese a batterle velocemente, il respiro si fece irregolare.
Quando terminò l’ultima frase, sollevò lo sguardo sul volto serio del
Dottor Montrand.
“Può immaginare il mio sconcerto quando ho ricevuto questa lettera dal
mio illustro parente…”.
Scully sorrise, senza ironia. Sapeva cosa doveva aver provato. Lei,
oramai, viveva in uno stato di perenne stupore da mesi.
“Ma, ovviamente, gli credo, fino all’ultima parola, anche se il mio
cervello si ribella ancora… Comunque l’ho convocata
per dirle che accetto la richiesta che mi è stata inoltrata tramite questa lettera…” e fece un segno col capo in direzione dei fogli
che Scully stringeva ancora tra le mani “Potrà iniziare a lavorare in questo
ospedale anche da domani.
Ovviamente conosco il suo passato di agente dell’FBI, nonché della sua
specializzazione come anatomopatologo. Ho chiesto informazioni all’ospedale in
cui ha lavorato negli ultimi anni, prima di tornare a trasferirsi qui a
Washington e ho ricevuto delle ottime referenze.
Quindi ho anche la fortuna di avvalermi di un ottimo medico. Le chiedo
solamente di farmi avere al più presto la formula del vaccino, in modo che io e
il mio staff possiamo iniziare a produrlo su larga scala. Ovviamente mi
circonderò di elementi tra i più fidati…” aggiunse,
vedendo l’espressione perplessa di Scully.
“La prego, inoltre, di mettermi al corrente di qualsiasi novità,
problema o necessità che la riguarda e che riguarda l’oggetto della missiva… “. Osservò Scully con uno sguardo ipnotico.
Lei notò che aveva gli occhi molto scuri, un mogano intenso e molto
espressivo.
Scully annuì, senza parlare.
Un leggero bussare la fece voltare verso la porta.
“Avanti”
Un ragazzo dall’aria sveglia, con addosso il camice che
contraddistingueva i tirocinanti, entrò nello studio, con un fascio di fogli
tra le braccia.
Quando si accorse di Scully, le sue guance si tinsero di rosso.
“Mi scusi, non volevo disturbare…”.
Il dottor Montrand si tirò in piedi, e Scully
fece altrettanto.
“Non temere Robert, avevamo terminato” e rivolse uno sguardo di intesa a
Scully.
Lei sorrise.
“Però, ne approfitto per presentarti il nostro nuovo chirurgo…
Robert McAvoy, tirocinante laureando in pediatria… la dottoressa Dana Scully”.
Il ragazzo le strinse la mano calorosamente, sul volto un sorriso sincero.
“Lieto di conoscerla dottoressa”.
“Piacere mio Robert”.
Scully si voltò verso Montrand e gli tese la
mano.
Lui le strinse la mano e le sorrise.
“Ci vediamo domani dottoressa Scully. Prenda pure la sua lettera…” e le porse la busta. “Le auguro una buona giornata…”.
Nelle sue ultime parole, Scully notò una nota ironica che non poteva
biasimare.
Scully
si rigirò la busta tra le mani.
“E’
davvero incredibile…” la voce di Doggette
era incredula.
“Già…” gli fece eco Skinner.
Monica
sorrise.
“Questa
è stata la prima lettera che il Presidente ha scritto al dottor Montrand, ed è l’unica che io abbia conservato, le altre le
ho distrutte. Troppi dettagli…”.
“Posso
vederla?” chiese Skinner.
“Certo”
e Scully gliela porse.
Mulder
si appoggiò contro lo schienale della sedia, mentre le tre persone di fronte a
lui si stringevano attorno a quei pezzi di carta.
Guardò
Scully e le sorrise.
Ricordava
perfettamente le parole scritte sulla lettera. Quando le aveva lette non era
riuscito a trattenere un grido di vittoria. Aveva abbracciato Scully e l’aveva
sollevata da terra, facendola volteggiare con movimenti concentrici, fino a che
la testa non aveva cominciato a girare.
Non
era la vittoria della guerra, ma era la conquista di una piccola battaglia.
Un
piccolo pezzo del loro piano avrebbe potuto concretizzarsi, grazie all’umanità
e all’onestà della persona che governava gli Stati Uniti da quattro anni a
quella parte, in modo giusto, imparziale e coerente.
Il
Presidente aveva scritto al cugino della moglie -il dottor Montrand,
per l’appunto- per raccontargli, senza entrare nel dettaglio, che di lì a
pochissimi anni, il mondo sarebbe stato schiavo di una piaga terribile, che
veniva da un mondo lontano anni luce. Gli scrisse che pochissime persone ne
erano a conoscenza e che un numero ancora minore, che si riduceva a un uomo e
una donna, avevano avuto la prontezza di spirito, nonché il coraggio, di
provare a concepire un medicinale che avrebbe potuto salvare gran parte della
popolazione mondiale.
Gli
raccomandava di assumere la dottoressa Dana Scully, la ricercatrice che aveva
isolato il virus e creato il vaccino.
Questa
sarebbe stata una mossa strategica.
Scully
avrebbe potuto aiutare il suo staff medico a produrre una quantità di vaccino
sufficiente ad essere esportato in tutto il pianeta, in più avrebbe potuto
comunicargli tempestivamente il momento esatto in cui doveva iniziarne la
somministrazione. Si congedava, promettendo che avrebbe inviato altre lettere,
con ulteriori dettagli, al più presto.
E
così era stato.
Nella
terza lettera recapitata tra le mani di Scully, il Presidente annunciava che
aveva escogitato un valido sistema per giustificare al mondo la repentina somministrazione
di un vaccino ad adulti e bambini.
Aveva
condotto varie ricerche in campo medico, e aveva scoperto l’esistenza di una
rara malattia, oramai scomparsa da centinaia d’anni, che provocava morte,
sofferenza e gravi epidemie. L’avrebbe fatta “resuscitare” e l’avrebbe usata
come giustificazione al vaccino.
Avrebbe
avvertito il mondo dell’imminente ricomparsa di una così terribile malattia,
avrebbe usato parole forti, che sarebbero penetrate dritte nella paura delle
persone, e le avrebbe esortate a recarsi nel più vicino ospedale, dove sarebbe
stato loro somministrato, gratuitamente ovviamente, il vaccino idoneo.
La
cosa che aveva lasciato Mulder a bocca aperta, era il coraggio che quell’uomo
aveva dimostrato.
Davanti
ai super soldati, che ancora vivevano assieme a lui alla Casa Bianca,
continuava a recitare la parte del Presidente rassegnato, che è costretto a
sottostare ai loro diabolici piani di conquista, mentre alle loro spalle, nel
segreto più assoluto, tramava per capovolgere la situazione a favore
dell’umanità.
Probabilmente
era consapevole che al momento dell’annuncio della fasulla malattia, la sua
copertura sarebbe saltata, e che i super soldati avrebbero capito che il
vaccino avrebbe sconfitto il loro fatale virus.
Mulder
non aveva idea delle conseguenze che questa operazione avrebbe avuto
sull’umanità, ma prima ancora sul Presidente stesso.
Sentiva
una morsa stringergli lo stomaco ogni volta che ci pensava, perché era propenso
a credere che gli alieni non avrebbero affatto digerito quel volta faccia. Ma
sapeva anche che il Presidente di questo era sicuramente consapevole, e che
stava rischiando grosso, rischiando la sua vita e quella della sua famiglia,
per salvare quante più vite umane possibili.
E
questo gli faceva onore.
Se
tutti i Presidenti americani avessero avuto che dimostrava quell’uomo, forse si
sarebbe potuto evitare di arrivare alle porte dell’apocalisse…
Ma
era inutile recriminare sui fatti passati.
L’importante
era il presente, e la battaglia che si apprestavano a combattere.
Quando
ebbero finito di leggere la lettera, le tre teste, che fino a un secondo prima
era chine sui fogli, si alzarono e li guardarono. Un leggero velo di euforia
attraversava i loro volti.
“E
se non lo fa?” chiese lo scettico John.
Mulder
guardò l’orologio, che segnava le 7.15 della sera.
“Tra
un’ora circa lo vedremo… che ne dite, nel frattempo,
di mangiare qualcosa?”.
Doggett sorrise allo schermo piatto del televisore,
dove le immagini colorate dello spot di uno yogurt ai cereali mitigavano il
tono grave e autorevole della notizia che avevano appena trasmesso tutte le
reti nazionali e internazionali.
“Ha
mantenuto la sua parola…” commentò John, un ghigno
soddisfatto sulle labbra.
Nella
stanza si respirava un’aria di speranza, eccitazione e frenesia.
Il
volto giovanile del Presidente degli Stati Uniti aveva appena monopolizzato
tutti i palinsesti televisivi per annunciare, in diretta, il grave rischio di
un contagio di massa che stava per colpire il mondo. Le sue parole erano state
calme, ma irremovibili. Aveva esortato la popolazione a non farsi prendere dal
panico, perché negli ospedali era già a disposizione un vaccino affidabile e
funzionante per proteggere ogni fascia d’età, dal neonato all’anziano.
Pregò
le persone -anche se sapeva perfettamente che non gli avrebbero dato retta- di
presentarsi ai vari Pronto Soccorso delle loro città in maniera ordinata. Il
vaccino era gratuito e ce ne sarebbe stato per chiunque. Nel caso l’ospedale avesse
dovuto finire le scorte, furgoni di trasporto medicinali erano già pronti per
sopperire alla mancanza.
Informò,
inoltre, che i rari casi di contagio, e di morte, erano stati isolati e i corpi
dei contagiati erano stati trattati nella maniera più idonea a non far
scoppiare l’epidemia. Aveva usato parole miti per dire che i resti erano stati
bruciati.
Quello
che la popolazione non poteva certo aspettarsi, era il fatto che il Presidente
si stava riferendo ai vari incidenti che si erano verificati il giorno
precedente.
Una
giornalista presente in sala stampa, aveva preso la parola, domandando se gli
incidenti avvenuti poche ore prima, per l’appunto, presentavano il rischio di
un attacco terroristico con lo scopo di scatenare una guerra batteriologica.
Il
Presidente, sorridendo alla giornalista, l’aveva rassicurata che, al momento,
il pericolo batteriologico più grave e immediato era rappresentato da
quell’antica malattia. Le aveva assicurato, inoltre, che sugli incidenti
stavano indagando assiduamente le forze dell’ordine e che appena ci fossero
state notizie certe si sarebbe premurato di comunicarle alla popolazione.
Si
era congedato raccomandando di recarsi negli ospedali a partire dal giorno
seguente e di farlo in maniera tranquilla.
Skinner si mise a ridacchiare, poi guardò Mulder e
Scully, negli occhi un’ammirazione che faticava a contenere.
“Ottimo
lavoro… ex agenti!” e strinse loro la mano
vigorosamente.
Monica
si unì ai suoi sentiti complimenti abbracciando entrambi con trasporto. Strinse
le mani di Scully e la osservò con occhi resi lucidi dall’emozione. Non
servivano parole, Scully comprese che li stava ringraziando con tutto il cuore.
Doggett strinse loro la mano. Mulder si accorse che
qualcosa nel suo sguardo era cambiato. Ora che aveva visto il Presidente stesso
annunciare un pericolo mondiale, non aveva più scusanti per non credere che
l’annientamento del genere umano fosse imminente.
Poteva
solo immaginare il tormento che lo scuoteva. Le rughe sul viso erano marcate, a
causa dell’espressione contratta che gli segnava i tratti. Ma sorrideva, preso,
suo malgrado, nel vortice di euforia che aleggiava nell’aria.
“Bene…” esordì Skinner, prendendo
nuovamente posto nella poltrona accanto al divano, “… ora che la prima parte
del vostro piano…”.
Mulder
lo interruppe.
“Operazione… non abbiamo nessun piano”.
Skinner fece un cenno con la mano che sostituiva le
parole “come vuole…”.
“Ora
che la prima parte della vostra operazione è andata a buon fine, possiamo
sapere quale sarà il nostro ruolo in tutta questa storia?”.
Mulder
si sedette nel divano, accanto a Monica, mentre Scully srotolava sul basso
tavolino una cartina geografica del Nuovo Messico.
“E’
presto detto”. Mulder posò un dito su un’area della cartina e la circoscrisse
con un cerchio invisibile. “Doggett e Reyes, voi andrete in New Mexico e cercherete di trovare
traccia di grandi quantità di magnetite. So per certo che questa zona…” e vi batté sopra il dito ripetutamente “… ne è piena,
ma dovrete cercare di trovare delle grotte, delle rientranze, dove i super
soldati potrebbero essere fatti cadere in trappola”.
Gli
occhi di Monica e John erano puntati su di lui.
“Quello
sarà, per l’appunto il vostro secondo compito. Spero che i miei “spiriti” mi
diano delle indicazioni al più presto, in modo da potervi guidare nella giusta
direzione, per stanarli e intrappolarli. Ma di questo parleremo più avanti, per
ora basta che cerchiate una zona adatta a mettere in piedi una trappola”.
Dogget annuì, studiando la cartina.
“Potemmo
cercare anche Gibson Praise, potrebbe darci una mano
a riconoscere i super soldati leggendogli nel pensiero…”.
Mulder
si rabbuiò alle parole di Doggett. Monica e se
accorse, e gli poggiò una mano sull’avambraccio.
“Ora
dovrebbe avere circa 22 o 23 anni… immagino se la
sappia cavare bene e non credo vorrebbe rimanere fuori da questa storia. Lui ti
vuole bene, se può aiutarti lo farà volentieri… e poi…” Monica lo fissò dritto negli occhi “… se la tua
operazione non riuscisse, sarebbe comunque condannato, come tutti noi. Forse
per lui sarebbe anche peggio… magari lo terrebbero in
vita per fare esperimenti, per studiarlo… o solo per
il gusto di torturarlo…”.
Mulder
la fissò di rimando per qualche istante. Scully lo osservò, tentando di capire
cosa si agitava nella sua mente. Poi vide le sue spalle rilassarsi. Esalò un
lungo sospiro rassegnato e sorrise mestamente.
“Immagino
abbiate ragione, ma, mi raccomando, non mettetelo in pericolo, cercate di
tenerlo al sicuro…”.
Monica
gli sorrise e gli strinse leggermente il braccio, prima di ritirare la mano dal
suo maglione.
“Quando
partiamo?” chiese Dogget, pragmatico.
Scully
si sedette sil bracciolo del divano sul quale era
seduto John.
“Dopodomani
sarebbe perfetto… domani riposerete e prenoterete il volo… purtroppo il tempo stringe, più ci muoviamo in
fretta, meglio è”.
Doggett e Reyes annuirono.
“Per
quanto riguarda lei, Skinner…” Mulder si voltò verso
sinistra per guardarlo “… cercherà di rintracciare quante più notizie possibili
sul governo ombra, che, secondo una mia teoria, si trova già asserragliato a
Mount Weather. Se per lei non è un problema, le darei
una mano a seguire questa, chiamiamola, indagine”.
Skinner annuì.
“Non
è un problema, in fondo ho richiesto la sua consulenza spesso negli ultimi
anni, non si stupiranno di vederla passeggiare assieme a me per i corridoi
dell’FBI”.
“D’accordo,
allora ci vediamo in ufficio e cerchiamo di fare il punto della situazione”.
Monica
alzò lo sguardo verso Scully.
“E
tu?”.
“Io
sarò impegnata in ospedale, dovrò vaccinare e tenere sotto controllo la
situazione. Potrebbero servire cure tempestive che solo io sarei in grado di
cogliere. E potrebbe servire anche una maggior produzione di vaccino… il mio compito sarà quello di tenere sotto
controllo questo aspetto dell’operazione”.
Doggett si portò una mano alla bocca e sbadigliò.
“Scusate,
il lungo viaggio e queste notizie apocalittiche mi hanno stremato”.
Scully
si tirò in piedi e piegò la cartina.
“E’
comprensibile. Sarà meglio che cerchiamo di riposare tutti, da domani saranno
giornate piene…”.
“Ma
dovete spiegarci meglio il luogo del New Mexico dove dovremmo recarci, e…”.
Mulder
interruppe le proteste di John.
“Possiamo
farlo domani, a mente lucida. Ora dovete riposare, Scully ha ragione”.
“A
proposito…” disse Scully “… avete un posto dove
stare?”.
Monica
annuì.
“Si
certo, abbiamo prenotato in un albergo della zona”.
Come
spinti da un segnale muto e invisibile, si alzarono in piedi e cominciarono a
congedarsi, dandosi appuntamento per il giorno successivo.
Quando
furono sulla porta, Skinner si voltò verso Mulder e
Scully e li guardò con un’aria incuriosita.
“Ogni
operazione che si rispetti deve avere un nome in codice” disse sorridendo, suo
malgrado “Questa come la chiamiamo?”.
Mulder
guardò Scully che si mise a ridere.
“A
dire il vero…” precisò Mulder “… un nome ce l’ha già…”.
“E
sarebbe?” chiese Doggett “X Files?
Little green men?”.
Mulder
scosse la testa.
“Ouroboros”. Attese qualche istante perché i presenti
assimilassero il nome.
“Il
simbolo del serpente che si morde la coda!” esclamò Monica. “Geniale!”.
Mulder
sorrise e posò istintivamente la mano sull’incavo della schiena di Scully.
“Già… un nome che sottolinea come la vita sia un cerchio
infinito, che non ha inizio né fine… quale miglior
occasione?”.
Skinner, Doggett e Reyes si sorrisero, poi si congedarono dalle quelle due
persone coraggiose.
Mulder
chiuse la porta e accompagnò Scully al piano di sopra, senza staccare la mano
dalla sua schiena.
Il suo sguardo era
incredulo. Quella che aveva davanti era la più bella delle visioni.
Il volto da ragazzina
era circondato da un alone di luce tenue, che non feriva gli occhi e non
costringeva le palpebre ad abbassarsi per proteggersi dal riverbero. Era una
luce bluastra, ma non fredda. Trasmetteva un senso di pace e di serenità che
lui non riusciva più a provare nella vita.
Il viso era
bellissimo, sereno, privo di paure, di ansie e di debolezze. La voce era
ipnotica, dolce, lo trascinava tra ricordi perduti e sensazioni pungenti.
Ma non stava
ascoltando le sue parole, era troppo felice di averla davanti agli occhi per prestare
attenzione a tutto il resto.
Tese le braccia verso
di lei, ma il suo corpo si fece etereo, quasi trasparente..
Fece due passi nella
sua direzione, ma la ragazza si allontanò.
Ad ogni passo che lui
faceva, corrispondeva un pari allontanamento da parte di lei.
“Perché mi stai
sfuggendo?” le chiese. Nella voce si percepiva la delusione, la tristezza, per
non riuscire ad arrivare a lei.
“Tu devi ascoltarlo”
la voce era dolce e bassa, ma il tono non ammetteva repliche o rifiuti. Era
imperativo.
“Chi? Chi devo
ascoltare?”. L’uomo iniziava ad essere disperato.
Desiderava avere un
contatto con lei… non la vedeva da tanto, tanto tempo…
“Ascoltami Fox!
Presta ascolto a qualsiasi cosa lui ti dica…
promettimelo!”.
Il corpo della
ragazza, avvolto da un candido vestito bianco, cominciò a farsi meno concreto,
sempre meno definito nei contorni.
L’uomo ebbe paura e
la guardò con le lacrime agli occhi.
“Non andare… ti prego…” la voce era
rotta dal pianto.
“Promettimelo Fox!”.
La ragazza era quasi un tutt’uno con l’aria.
Negli occhi quasi
invisibili aleggiava una muta, ma energica, preghiera rivolta a lui.
L’uomo non poté fare
altro che acconsentire.
“Si, certo… te lo prometto! Te lo prometto Samantha!”. Urlò le
ultime parole al vento, per timore che lo spirito di sua sorella non potesse
udirlo da dove si trovava, ma un grazie sussurratogli all’orecchio gli fece
capire che lei era ancora nell’aria, che lo avvolgeva nel calore delle sue
braccia di ragazzina e che vegliava sul suo sonno irrequieto.
Mulder
aprì gli occhi nel buio pesto di una stanza dormiente.
Il
cuore gli batteva forte e la gola era secca e dolorante, come se avesse urlato
nel sonno.
Al
suo fianco, il respiro regolare e profondo di Scully gli disse che stava
dormendo serenamente.
Si
mise a sedere, stando attento ai movimenti. Non voleva svegliarla.
Il
suo lavoro all’ospedale, nelle ultime 4 settimane, era stato frenetico e
logorante. Rispondere alle domande di migliaia di persone, che ogni giorno affollavano
il Pronto Soccorso, con il braccio scoperto, pronte per l’iniezione che
vedevano come un miracolo della medicina, la stremava e la faceva sentire in
colpa.
Doveva
mentire in continuazione e non le piaceva affatto.
Mulder
allungò una mano verso la bottiglia d’acqua appoggiata al comodino, e ne bevve
una lunga sorsata. La gola lo ringraziò per quell’ordinario gesto, che la
rinfrescò e le tolse quella fastidiosa sensazione di arsura.
Davanti
agli occhi aveva ancora l’immagine di Samantha.
Era
bellissima, eterea, irraggiungibile.
E
gli aveva lasciato una sensazione di pace che sapeva per esperienza sarebbe
scomparsa con le prime luci del giorno, ma che per ora voleva assaporare in
ogni sua sfaccettatura, lasciandola scorrere sotto la sua pelle, a sconfiggere
l’adrenalina che in quei giorni gli percorreva le vene, a lenire la tensione
nei muscoli, a guarire l’oppressione sul cuore.
Si
chiese distrattamente, mentre riappoggiava la bottiglia sul comodino, cosa
avesse voluto dirgli con le sue parole.
Promettimi che gli
presterai ascolto.
Non
aveva idea a chi o a cosa si riferisse, ma sapeva nell’animo che doveva
prestarle attenzione, che doveva onorare la sua promessa.
Quando
fosse arrivato il momento, avrebbe compreso le parole di sua sorella.
Capitolo 10 *** I miracoli a volte bussano alla porta ***
Capitolo 1
I miracoli a volte bussano alla porta
Scully
stava spalmando una dose generosa di marmellata di ciliegie sopra una fetta di
pane tostato, mentre Mulder versava del caffè bollente nelle tazze di entrambi.
Si
era concessa il lusso di una colazione abbondante e lenta, perché nell’ultimo
mese la sua vita si era rivelata troppo frenetica.
Erano
passate 4 settimane da quando il Presidente aveva annunciato l’arrivo negli
ospedali del vaccino e da allora lei era costantemente al lavoro.
Però
era soddisfatta del numero di persone che si stavano vaccinando. Le cifre erano
davvero alte e nel resto del mondo la situazione era la medesima. Per uno
strano gioco del destino, erano proprio i paesi più poveri, come l’Africa,
quelli che stavano rispondendo con entusiasmo e fiducia a quella protezione dal
male.
Alcuni
paesi “civilizzati”, invece, avevano la tendenza ad essere scettici e
diffidenti nei confronti di una malattia ricomparsa così improvvisamente.
Alcuni governi, probabilmente quelli che non avevano apprezzato il volta faccia
del Presidente degli Stati Uniti, stavano conducendo una controproducente
campagna anti vaccino. Incoraggiavano le folle a diffidare di un medicinale di
cui non si era mai sentito parlare prima, nonché di una malattia ricomparsa
così misteriosamente.
Non
che avessero tutti i torti. Se la gente avesse prestato più attenzione alle
parole del Presidente, avrebbe percepito alcune note stonate nel discorso,
passaggi che non tornavano, anelli mancanti di una catena di paura.
Ma
la gente, per istinto di sopravvivenza –o forse per
abitudine a non prestare attenzione- aveva dato per scontato che tutto questo
fosse stato fatto per loro, per la loro sicurezza e basta, senza interrogarsi
su faccende che reputavano futili o non a loro collegate direttamente.
Il
paese che aveva dato più filo da torcere alla storia della malattia antica e
mortale era stata l’Italia.
Il
suo governatore, che non era mai andato molto d’accordo con l’attuale
Presidente americano, aveva subodorato la falsità della sua storiella e aveva
agito di conseguenza, fomentando il suo popolo a diffidare dall’iniettarsi
sotto la cute un liquido di cui non conoscevano l’esatta natura.
Molto
probabilmente, il Primo Ministro italiano, che era, invece, molto legato al
precedente Presidente degli Stati Uniti, stava continuando a lavorare per i
super soldati, fregandosene altamente della sicurezza e della vita del suo
popolo.
Fortunatamente
non tutti gli italiani gli avevano prestato ascolto, e una buona parte di loro
aveva voltato le spalle alle parole di uomo di cui, molto probabilmente, non si
fidavano. Purtroppo non erano la maggioranza.
Mulder,
invece, passava gran parte delle giornate assieme a Skinner,
a studiare incartamenti e foto di Mount Weather. Due
volte erano riusciti, grazie a tecniche degne di un hacker (suggerite loro dal trio
incorporeo formato dai LoneGunmen),
a rubare foto e video satellitari del presidio. La prima volta avevano notato
movimenti piuttosto concitati e sospetti. Si aveva quasi l’impressione che gli
occupanti del posto si stessero preparando alla fuga, ma la volta successiva il
luogo era ancora ampiamente abitato.
Di
sicuro stavano tramando qualcosa…
Probabilmente
il volta faccia del Presidente era stato un duro colpo e ora i super soldati,
che fungevano, almeno secondo il pensiero di Mulder, da guardie del corpo al
progetto di invasione aliena, stavano sicuramente escogitando qualche piano
alternativo, nonché qualche ritorsione ai danni del Presidente, degli altri
governatori che gli avevano dimostrato fiducia e dell’umanità intera.
Ma
fino a quel giorno, non era ancora accaduto nulla di eclatante. E Mulder era
certo che la loro ripicca sarebbe stata qualcosa di memorabile.
Doggett e Reyes
continuavano la loro esplorazione nel New Mexico, tenendosi giornalmente in
contatto con Mulder e Scully.
Avevano
individuato un sito che corrispondeva alle loro esigenze.
Era
uno spazio di svariate miglia, formato da una serie di cunicoli e grotte
naturali, ai piedi di collinette aride e rossicce. Tutto quel paesaggio
naturale era pieno di magnetite.
Non
erano ancora riusciti a trovare Gibson Praise, ma non
demordevano.
Se
volevano escogitare un modo per sterminare i super soldati, quel ragazzo
avrebbe fatto loro estremamente comodo.
Mancavano
due settimane e mezza alla data fatidica… era un sabato… il loro tempo scarseggiava, ma non si volevano dare
per vinti. Non l’avrebbero fatto, mai.
Mentre
Mulder stava sorseggiando il caffè, allontanando in fretta la tazzina dalle
labbra, perché la bevanda era bollente, il campanello di casa suonò tre volte
consecutive.
Scully
lo guardò stupefatta.
Era
presto, e non aspettavano nessuno.
Mulder
fece per alzarsi, ma Scully gli posò una mano sul braccio e si alzò da tavola.
Quando
aprì la porta il suo cuore perse un battito.
Gli
occhi disorientati e spaventati di un ragazzino dall’aria sveglia si guardavano
intorno, senza sosta.
Era
alto quasi quanto lei, magro. Le sue iridi erano di un blu intenso e i suoi
capelli castani erano brillanti, ma molto scompigliati. L’aria fredda di quella
mattina di inizio dicembre non aiutava certo a mantenerli in ordine.
Indossava
un paio di jeans di un blu scuro e un paio di stivaletti Converse All Star, del modello invernale che andava in voga
quell’anno. La giacca a vento, rosso fuoco, era chiusa con la cerniera fino al
mento, dove si intravedeva una sciarpa nera di lana.
Il
ragazzino fissò i suoi occhi in quelli di Scully e la guardò senza capire. Il
suo sguardo era perso, smarrito. Appariva quasi sull’orlo delle lacrime.
Scully
cercò di ripescare un po’ di aria nei polmoni.
“William…” sussurrò al ragazzino.
Questi
la guardò sbarrando gli enormi occhi blu.
“Come…come…” ma non riuscì a
terminare la frase.
Scully
lo vide barcollare e accasciarsi al suolo, privo di sensi, come fosse al
rallentatore.
Fece
in tempo ad afferrarlo per le ascelle, prima che toccasse il suolo, ma si rese
conto che non riusciva a sostenerne il peso, men che
meno a trascinarlo in casa.
“Mulder!”
gridò. Nel tono della voce c’era tutta l’urgenza e lo spavento tipici di
situazioni così inaspettate ed emotive.
Mulder
corse alla porta e rimase interdetto vedendola sorreggere il corpo di un
ragazzino di circa 12 anni.
“Aiutami
a portarlo dentro” gli ordinò in tono perentorio.
Mulder
obbedì, senza prestare troppa attenzione alla fisionomia del ragazzo.
La
aiutò a sollevarlo e insieme lo portarono in casa, dove lo adagiarono sul
divano.
Solo
in quel momento, mentre era sdraiato, con gli occhi chiusi, si accorse che nei
suoi tratti c’era qualcosa di familiare. I capelli erano dello stesso identico
colore dei suoi e i tratti del viso assomigliavano al viso di bambina di sua
sorella.
Vide
Scully avvicinarsi, per accertarsi del suo stato fisico.
Gli
sollevò una palpebra, per controllare la dilatazione della pupilla.
Quando
Mulder vide il blu delle sue iridi, capì.
“William?!”.
Disse quel nome a bassa voce, con un fervore controllato, ma quasi
reverenziale. Una nota sbalordita nel tono.
Scully
si voltò a guardarlo, gli occhi colmi di lacrime che stava disperatamente
cercando di ricacciare indietro. Annuì semplicemente.
“Che
è successo?” le chiese con ansia.
Lei
scosse il capo, asciugandosi le lacrime che le stavano scorrendo sulle guance.
“Non
lo so… me lo sono ritrovata di fronte…
poi è svenuto”. Un singhiozzo le scosse il petto. “Sembrava del tutto confuso, disorientato… e spaventato. Ho pronunciato il suo nome… poi si è accasciato al suolo…Mulder…”.
Pronunciò
il suo nome come una preghiera.
Lo
stava implorando di darle una spiegazione, di trovare un senso alla presenza di
loro figlio in quella casa, dopo tanti anni. Di sostenerla, perché lei stava
per crollare.
Ma
Mulder non rispose, né si mosse. Era completamente spiazzato.
Le
braccia erano abbandonate lungo il busto, il suo corpo era immobile, quasi
sotto shock, gli occhi non riuscivano a capacitarsi che loro figlio, quel
bambino tanto agognato e tanto pianto, quel miracolo vivente, quella gioia
inattesa, fosse lì, davanti a loro.
Mosse
istintivamente una mano a toccargli il viso, mentre Scully si sedeva sul bordo
del divano e gli accarezzava i capelli. Rapita.
“Perché?...”
il suono le uscì spezzato dalle labbra, come non riuscisse a trovare abbastanza
aria o abbastanza energia per pronunciare quella singola domanda disperata.
Mulder
scosse la testa.
Senza
volerlo, il tocco della sua mano registrò la levigatezza e la morbidezza della
pelle sulla guancia di William. Gli ricordò molto la sensazione che provava
ogni volta che toccava la pelle di Scully.
Era
bellissimo.
Mentre
rifletteva su queste cose senza senso in quegli istanti infiniti, il corpo di
William si mosse.
Scully
si mise subito all’erta, asciugandosi velocemente le lacrime che continuavano a
scendere. Non voleva che lui la vedesse piangere non appena avesse aperto gli
occhi.
Mulder
le si sedette in fianco, afflosciando il cuscino del divano sotto il suo peso.
William
aprì gli occhi molto lentamente, poi sbatté le palpebre alcune volte e si
guardò intorno, disorientato. Quando vide Mulder e Scully, che gli stavano
sorridendo dolcemente, aggrottò le sopracciglia.
“Dove
sono?”.
Parlò
con una voce ancora acerba, ma che racchiudeva in sé già le prime note di un
tono più adulto, mascolino.
“Sei
al sicuro…”. Scully sentì le sue stesse parole
scivolarle dalle labbra. Le sembrarono inappropriate, ma allo stesso tempo estremamente
giuste.
Era
con i suoi genitori, era al suo posto, quel posto che gli spettava di diritto. Quale
situazione poteva essere più sicura? Ma Scully sapeva per esperienza che le
cose non stavano esattamente in quel modo… in quel
frangente più che mai.
“Hai
bussato alla nostra porta… come sei arrivato fin qui?”
Mulder parlò con un tono di voce baso, tranquillizzante.
William
li osservò per qualche istante.
Poi
cercò di mettersi a sedere.
Scully
allungò le mani, per aiutarlo, ma lui gliele allontanò, con un gesto timido, ma
che sottintendeva la sua volontà di farcela da solo.
Si
portò le ginocchia al petto e chiuse gli occhi, espirando rumorosamente. Poi
prese a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore.
Mulder
sorrise. Quante volte aveva visto Scully fare lo stesso gesto…
“Io
non so cosa mi sia successo…”. William prese a
parlare ininterrottamente, come se avesse di fermarsi, come se le parole gli
potessero far accettare più tranquillamente quello che gli era successo.
Mulder
e Scully lo lasciarono parlare, in silenzio.
“Stavo
per prendere l’autobus che mi avrebbe riportato a casa, dopo la scuola, ma ho
sentito un bisogno pressante… non potevo ignorarlo… e mi diceva di allontanarmi dal marciapiede, di
raggiungere la stazione dei treni, di prendere il diretto per Washington DC… e così ho fatto.
Avevo
con me dei soldi, fortunatamente sono bastati per il biglietto…
di sola andata… non so perché.
Il
treno ha impiegato 14 ore ad arrivare a destinazione, perché ad un certo punto
abbiamo trovato un cumulo di neve che impediva di proseguire. Abbiamo dovuto aspettare
che arrivasse lo spazzaneve e che liberasse le rotaie, ma poi ha ricominciato a
nevicare…
Io
ho cercato di dormire, ma c’era sempre qualche rumore, qualche movimento che mi
svegliava.
E’
come se io avessi percorso tutti quei chilometri in trance, nulla contava, se
non il bisogno di arrivare qui.
Quando
il treno è arrivato a destinazione, ho raggiunto la stazione degli autobus più
vicina, chiedendo indicazioni ai passanti.
Sono
sceso alla fermata che c’è a pochi metri da qui… e
poi ho bussato alla vostra porta…”.
Alzò
gli occhi a guardarli.
“Sapevo
che ero arrivato, che ero nel posto giusto… ma non
appena lei è venuta ad aprire, la sensazione mi ha abbandonato e mi sono
ritrovato completamente spaesato…”.
Aggrottò
le fronte, guardando Scully.
“Come
conosci il mio nome?”.
Scully
gli rivolse un sorriso stanco, poi guardò Mulder.
Senza
dirsi una parola ritennero corretto dirgli la verità. Forse non avevano nemmeno
altre possibilità…
“Prima
permettimi di farti una domanda…” gli disse Scully
con una voce gentile “Dove vivi?”.
“A
Shepherd, uno sperduto paese nel Montana. Io e i miei
genitori ci siamo trasferiti là circa 7 anni fa…”.
Quando
sentirono William pronunciare la parola genitori, Mulder e Scully ebbero un
tuffo al cuore.
“Accidenti!”
esclamò subito dopo William. “Non sono rientrato a casa! Saranno fuori di
testa!!!”.
Si
frugò nelle tasche con urgenza, estrasse il cellulare e si accorse che era
spento. Lo accese, ma non appena il display si illuminò, il simbolo della
batteria iniziò a lampeggiare ansiosamente e il telefonino si spense di nuovo.
“Merda!”.
William lo scosse tra le mani, con un’espressione di stizza.
Mulder
e Scully non riuscirono a trattenere un sorrisetto divertito alla parolaccia
pronunciata dal bambino. Ma allo stesso tempo si resero conto che avrebbero
preferito non sentirgliela pronunciare.
Mulder
si alzò e prese il suo Blackberry dal tavolino.
Glielo tese con un sorriso.
“Chiamali
con questo”.
William
gli sorrise in risposta. Il suo volto sembrava l’immagine allo specchio del
viso di Mulder.
A
Scully mancò l’ennesimo battito del cuore.
“Grazie”
disse componendo il numero “Saranno preoccupatissimi…”.
Si
portò il telefonino all’orecchio e attese, in silenzio.
Poco
dopo le sue sopracciglia si aggrottarono, perplesse.
“Strano… non rispondono…”.
“Li
hai chiamati a casa?”.
“No,
sul cellulare, non abbiamo un telefono di casa fisso”.
Restituì
il cellulare a Mulder e sbuffò sonoramente.
“Mi
sembra di essere approdato in una realtà parallela…”.
Scully
gli sorrise, comprensiva.
“William… i tuoi genitori… hanno
altri figli?”. Cercò di arrivare a dirgli come stavano le cose nel modo meno
traumatico possibile. Non sapeva se lui era al corrente del fatto che era stato
adottato quando aveva circa un anno.
William
scosse il capo.
“No.
Purtroppo non possono avere figli. Io sono stato adottato” fece spallucce “Non
me l’hanno mai tenuto nascosto”.
Scully
sentì il sollievo invaderle lo stomaco.
Sentì
anche la mano di Mulder posarsi sulla sua spalla, per incoraggiarla a dirgli
chi erano.
Lei
posò la sua mano, ghiacciata e sudata, su quella del compagno.
“Non
hai mai saputo chi sono i tuoi veri genitori?”.
William
scosse nuovamente il capo.
“No.
Mamma e papà mi hanno sempre detto che la mia madre biologica ha dovuto darmi
in adozione, ma senza dire il motivo…”.
Scully
lo guardò. Sentì altre lacrime addensarsi dentro gli occhi.
“Mi
sono chiesto spesso il motivo…”. William abbassò lo
sguardo e si perse per un attimo in pensieri ai quali Mulder e Scully avrebbero
tanto voluto poter accedere.
Un
dolore antico e mai dimenticato prese nuovamente possesso del loro petto,
quando si resero conto che, se fossero stati loro a crescerlo, probabilmente
conoscerebbero ogni singolo pensiero inespresso del ragazzo.
Quando
William rialzò lo sguardo, il sorriso che gli illuminava il volto andò
spegnendosi gradatamente, quando incontrò lo sguardo disperato di Scully. Alzò
gli occhi verso Mulder e vi notò la stessa opprimente tristezza.
Ebbe
l’impulso inaspettato di abbracciare quelle due persone e di consolarle, ma
resistette a quel desiderio, dicendosi che non li conosceva, che non aveva
senso sentire pena nei loro confronti.
“William…” Scully lo fissò negli occhi con estrema
attenzione. “Quello che ti diremo ora non sarà semplice da accettare…
ma ti preghiamo di credere che è la verità… e ti
prego, ti scongiuro, di perdonarmi…”.
William
osservò quella bella signora senza comprendere le sue parole, ma annuì
ugualmente, perché, in cuor suo, sentiva che era giusto così.
“Noi… “ Scully prese un profondo respiro, e sentì le dita di
Mulder stringersi sulla sua spalla.
“Noi
siamo i tuoi genitori biologici… siamo noi…”. Le parole si confusero con le lacrime e il viso di
William apparve sfuocato ai suoi occhi.
Mulder
si sedette ai piedi del ragazzo, annuendo.
“E’
così…” aggiunse, con un sorriso che chiedeva perdono
sulle labbra.
William
li osservò per un tempo infinito, senza battere ciglio. Sembrava stesse
valutando la situazione.
All’improvviso
i suoi occhi si spalancarono e si batté una mano sulla fronte, ridendo
sommessamente.
“Ma
certo! Ecco perché sono arrivato fin qui! Come ho fatto a non arrivarci subito… quando hai detto il mio nome sulla porta, questa
fretta di arrivare… è ovvio…”.
Mulder
e Scully si guardarono, uno sguardo interrogativo solcava i loro volti.
Ovvio?
Erano spiazzati dalle parole di William, e ancora di più dalla sua reazione,
per nulla scioccata… sembrava quasi…
sollevato.
William
sorrise a entrambi, un sorriso caldo, aperto, senza ombre.
“Sono
contento di conoscervi! Vi ho immaginati spesso…”.
Scully
si sentì invadere da una gioia talmente forte e travolgente che il pavimento
smise di esistere sotto i suoi piedi. Attorno a lei tutto iniziò a svanire.
Rimasero
solo lei, Mulder e William.
La
sua famiglia.
Vedendo
che i suoi genitori non accennavano a muovere un muscolo, né a pronunciare
nessuna parola, sventolò davanti ai loro occhi una mano.
“Ciao!
Ci siete???”. La sua voce da ragazzino non nascose una nota ironica, quasi da
presa in giro.
Mulder
gli sorrise.
“Scusaci… è che siamo un po’ spiazzati da tutto… questo” fece un gesto ampio con il braccio.
“Trovarti
qui, dopo 12 anni in cui non sapevamo nemmeno dove fossi, se stavi bene, come vivevi… e ora sei qui… e poi la
tua calma…
Sei
così tranquillo, e sereno… ci aspettavamo una
reazione un po’ più … isterica!”.
William
rise, divertito.
Il
suono cristallino della sua risata sincera si perse nella stanza, riempiendo
l’ariadi una ilarità, di una
spensieratezza e di una buona dose di innocenza, che non sentivano più da molti
mesi.
“Sono
davvero felice di conoscervi” disse
William, dopo aver smesso di ridere “E sono anche sollevato all’idea che il mio
viaggio avesse un senso compiuto”.
Scully
guardò Mulder di sottecchi.
“Ti
è capitato altre volte di avere queste… chiamiamole
sensazioni?” gli chiese in tono pacato.
“Due
o tre volte…”. Alzò gli occhi verso il soffitto, con
lo sguardo perso in chissà quali ricordi.
“Ricordo
quella volta che il mio cane, Toby -come quello di
Red e Toby, nemiciamici- si
era cacciato nei guai, andando a fare amicizia con la cagnetta dei vicini… ho avuto una netta visione di un bastone che gli
calava con violenza sulla schiena… mi sono
precipitato dal vicino, e l’ho bloccato appena in tempo, prima che riuscisse a
picchiare il mio cane… poi l’ho pure denunciato… è saltato fuori che picchiava la sua cagnolina… che abbiamo poi adottato”. Sorrise, ricordando i
suoi cani.
“Sono
rimasti a casa con i tuoi… genitori?” gli chiese
Mulder, dimostrando interesse per la vita sconosciuta di suo figlio.
William
scosse la testa, un’ombra di tristezza gli attraversò il volto da ragazzino.
“Purtroppo
l’anno scorso sono morti entrambi di una malattia che ha colpito molti animali
nella zona… non l’ho mai detto a nessuno…
ma ho passato ore e ore in camera a piangere…”.
Scully
si sentì invadere il cuore di tenerezza. E di orgoglio. Li aveva reputati degni
di conoscere quella che lui considerava una debolezza. Poi, però, sul suo
petto, scese un’ombra di rammarico… Probabilmente non
lo aveva detto perché li riteneva meritevoli di conoscere i suoi segreti, ma
perché, essendo due estranei, non si preoccupava troppo del loro giudizio.
Mulder
non replicò a questa piccola confessione, sapeva per certo che cercare di
consolarlo, o di dirgli che non c’era nulla di male a piangere, l’avrebbe fatto
sentire debole.
“Oh…” disse dopo un po’ William, “Poi c’è stata quella volta
in cui…”.
Ma
non terminò la frase.
I
suoi si fecero vacui e l’espressione sembrò pietrificarsi in uno sguardo vuoto,
inespressivo.
Scully
si sentì mancare vedendolo così, quasi fosse privo di vita.
Il
suo spavento le fece allungare le braccia verso di lui, per scuoterlo, per
farlo riprendere, per accertarsi che fosse vivo, che stesse bene, ma le mani di
Mulder arrivarono, repentine, a bloccarla.
Lei
lo guardò con gli occhi spalancati, sul suo volto passò una muta domanda
disperata. Aprì la bocca per protestare contro quel gesto incomprensibile, ma
lui le fece cenno di tacere, portandole una mano sulle labbra.
Si
avvicinò al suo orecchio.
“Sta
bene… lascialo tranquillo”.
Lei
continuò a guardarlo con gli occhi sbarrati, un velo di rabbia oscurava le sue
pupille.
Mulder
le accarezzò i capelli, per tranquillizzarla, ma lei si scostò dal suo tocco,
con un movimento repentino e stizzito.
“Perché?
“ disse a voce bassissima.
“Secondo
me sta avendo una visione… o sensazione…
come la vuoi chiamare”.
Scully
lo osservò per qualche istante, le sopracciglia aggrottate, poi fissò lo
sguardo sul volto di suo figlio.
Effettivamente
non sembrava stare male. Respirava normalmente, il suo corpo emanava calore, ma
vederlo così immobile, con lo sguardo fisso, le metteva addosso una strana
angoscia. E non le piaceva affatto.
Sia
lei che Mulder rimasero fermi a guardarlo, per un tempo che le parve infinito.
Quando
William riprese a muoversi, emettendo un lungo respiro, e i suoi occhi
riconquistarono la loro naturale vitalità, entrambi si rilassarono
visibilmente.
Ma
il sollievo durò una frazione di secondo. Lo sguardo del ragazzo non prometteva
nessuna lieta notizia.
“Ho
visto immagini confuse…ma…
non mi era mai capitato di avere sensazioni così intense…”.
Poi si voltò verso Mulder e gli strinse le dita della mano destra sul braccio.
“Dovete
spiegarmi ogni cosa…tutto…
ma prima, ti prego, cerca di rintracciare i miei genitori…
li ho visti scappare, avevano paura, più per me che per loro stessi… ho visto un’immagine confusa, troppo veloce per
focalizzarla, della mia casa. Era tutta sottosopra…”.
Mulder
annegò nel dolore che si agitava come un mare in tempesta negli occhi di
William.
Gli
fece un cenno secco d’assenso col capo e si alzò in piedi.
“Qual
è il nome dei tuoi genitori?” chiese perentorio.
“Van De Kamp. Eleonor e Mark
Van De Kamp”.
Prese
il cellulare e si diresse verso l’altra stanza.
Aveva
un’idea.
Il
suono monotono della linea telefonica gli rimbombava nell’orecchio come un
fastidioso orologio a cucù. Quando infine la voce di Doggett
giunse dall’altro capo del telefono, gli parve d’aver atteso quella risposta
per secoli.
“John,
sono Mulder”.
“Problemi?”
“Temo
di sì… tu e Monica dovete farmi un favore grandissimo”.
Non dette il tempo al suo interlocutore di replicare. “Prendete il primo aereo
che trovate per il Montana. Arrivate in un piccolo paese chiamato Shepherd e cercate casa Van De Kamp.
E’ urgente”.
Doggett provò a protestare, pur sapendo che sarebbe
stato inutile.
“E
il nostro compito qui?”.
“Rimandato.
Questa faccenda ha la massima priorità”.
“Posso
almeno sapere perché?” Doggett fece l’ultimo
tentativo per avere informazioni.
John
Doggett stava guidando l’auto a noleggio lungo le
strade deserte dello stato del Montana. La luna piena illuminava una notte
buia, senza luci artificiali.
Al
suo fianco, Monica se ne stava in silenzio, la testa poggiata contro il
finestrino, gli occhi chiusi.
John
non seppe dire se stava dormendo o meno, ma preferì non parlare per non
disturbarla.
Lui
aveva avuto modo di riposare durante il volo dal New Mexico al Montana.
La
conversazione avuta con Mulder, la sua voce rauca per via della pessima
ricezione dei telefonini, gli risuonava ancora nella memoria, così chiara che
gli pareva di essere ancora nel deserto. Risentiva le loro parole, rivedeva lo
sguardo incuriosito di Monica di fronte alla sua espressione di stupore,
percepiva ancora il tocco della sua mano calda sul braccio, a scuoterlo per
avere notizie.
“E’ la casa dei
genitori adottivi di William…”
“Cosa?! E tu come lo
sai?”
“William ha bussato
alla nostra porta questa mattina presto… è difficile
da spiegare, ma… è come avesse delle sensazioni che
lo guidano in diverse direzioni… ci ha trovati, senza
sapere nemmeno chi eravamo… e poco fa ha detto di
aver visto i suoi genitori fuggire, spaventati, la sua casa sottosopra…
Vi prego, andate là e accertatevi che stiano bene…
chiamatemi non appena avrete notizie. A qualsiasi ora”.
Contrariamente
alle aspettative, lui e Monica non avevano discusso molto di questa svolta
nella vita di Mulder e Scully (e di conseguenza nella loro). Il ritorno di
William aveva sconvolto la loro esile e ingarbugliata routine alla ricerca di
magnetite e di Gibson.
Avevano
speso poche parole per esternare il loro stupore dinnanzi questa svolta
inaspettata, si erano interrogati sull’effetto emotivo e psicologico che il suo
ritorno poteva aver provocato in Mulder e Scully, concordando sull’idea che,
probabilmente, combattevano tra la gioia e l’angoscia.
Se
William ero ritornato, proprio ora, proprio in quel preciso momento storico, trovando
la loro casa e la loro vita in comune senza sapere nemmeno chi stesse cercando,
un motivo c’era, e di certo Mulder l’aveva già intuito.
I
poteri di cui disponeva il bambino, quegli strani fenomeni che succedevano
attorno al suo corpicino di neonato, ai quali Monica aveva assistito in prima
persona, probabilmente si erano risvegliati –o forse
non erano mai scomparsi del tutto, malgrado le rassicurazioni di Spender- e
ora, molto probabilmente, il suo destino, quello che era stato scelto per lui,
prima ancora che nascesse, si stava compiendo, inesorabile.
John
allungò il viso verso il parabrezza e rallentò l’andatura dell’auto.
Il
cartello bianco indicava che stavano per entrare nella proprietà privata dei
Van De Kamp.
“Monica,
siamo arrivati”. Parlò a bassa voce, per non spaventarla in caso stesse davvero
dormendo.
Lei
si girò verso di lui, due profonde occhiaie le incorniciavano i begli occhi
scuri.
E
in un attimo lui ripiombò con la mente a due sere prima.
Erano le 10 passate, quando John sentì bussare alla porta.
Posò il malloppo di fogli e cartine geografiche che stava studiando e
andò ad aprire.
Fuori soffiava un vento caldo, il cielo era costellato di stelle e la
notte portava con sé profumi e aromi che raccontavano storie antiche e
surreali.
Il volto sorridente di Monica si incastrava in quel paesaggio da Mille e
una Notte come se vi fosse sempre appartenuta. Bellissima, sensuale e
misteriosa.
Gli tese una bottiglia di birra ghiacciata e gli fece segno di uscire.
John la seguì all’esterno del motel e si sedette in fianco a lei sul
marmo grezzo di una piccola fontana posta al centro del cortile.
Fecero tintinnare le loro bottiglie di birra e sorseggiarono il freddo
liquido, dal gusto intenso, lentamente, facendolo scivolare sulla lingua e sul
palato, godendosi le note amare e alcoliche che il luppolo portava con sé.
Chiacchierarono con parole frivole, risero di racconti passati,
ricordarono momenti trascorsi assieme, senza malinconia, senza malizia, ma con
la voglia di condividere pensieri e sensazioni.
John non seppe dire come, né perché, né cosa li spinse a farlo, ma
all’improvviso, le sue labbra sottili e disilluse si ritrovarono premute contro
quelle morbide e promettenti di Monica.
Sulla sua lingua percepiva il gusto intenso della birra, oltre a un
sapore più dolce, più femminile, che corrispondeva perfettamente all’essenza di
lei.
La sua mano si fece rapidamente strada sotto la sottile maglietta,
percependo il calore e il velluto della pelle di Monica. La sua schiena si
inarcò al suo tocco, mentre la lingua intrecciava giochi appassionati con la
sua.
Senza interrompere il contatto, si spostarono in camera da letto di
Monica.
La magia della quale si erano inconsapevolmente ritrovati a far parte,
li prese nel suo vortice di scintille, di stelle, di fuochi d’artificio.
Emozioni e sensazioni seppellite da molto tempo nei loro cuori trovarono
la strada per uscire e scontrarsi con la realtà, abbattendo i muri della paura,
dell’angoscia, del dolore.
Si amarono senza riserve, senza domande, senza pretese.
Quando, appagati e sfiniti, si addormentarono abbracciati, una nuova
consapevolezza li travolse.
La consapevolezza che potevano essere le ultime occasioni per regalarsi
qualche bagliore di felicità. Avevano sopportato troppa solitudine nella loro
vita, troppe rinunce.
Ora non c’era più ragione per negarsi il piacere, fosse questo di natura
fisica, mentale o sentimentale.
Scendendo
dall’auto, cercarono di abituare gli occhi all’oscurità circostante.
Monica
tastò la tasca del suo giubbotto, dove una pietra estremamente appuntita
attendeva. L’aveva raccolta dal sito zeppo di magnetite che avevano trovato
quella stessa mattina poche miglia più in là del canyon nel quale avevano
lavorato per giorni e giorni.
Non
seppe perché aveva raccolto quella pietra, ma era abituata a fidarsi del
proprio istinto e delle proprie sensazioni, e quella pietra l’aveva chiamata a
sé subito dopo la telefonata di Mulder.
Non
appena le pupille si adattarono all’oscurità, John e Monica si resero
immediatamente conto che qualcosa non andava.
Misero
mano alla pistola e si avvicinarono alla casa.
John,
dopo aver lasciato l’FBI, aveva deciso di diventare un investigatore privato,
non di quelli da scappatelle matrimoniali, ma di quelli alla Philip Marlowe,
che non si muovevano senza la pistola nella fondina. In quel momento ringraziò
il suo buon senso per aver operato quella determinata scelta di vita. Senza
pistola, non sarebbe mai entrato in quella casa.
Dal
canto suo, Monica continuava a lavorare al distaccamento FBI di New Orleans, e
continuava a seguire i casi legati ai riti satanici, perciò la sua pistola
d’ordinanza la seguiva in ogni quando e in ogni dove.
La
porta della casa era spalancata e tutt’intorno regnava un silenzio irreale.
Con
movimenti sincronizzati e cauti, Monica e John, entrarono in casa.
Spianarono
le pistole davanti ai loro occhi e perlustrarono l’atrio con movimenti veloci e
tesi.
Il
silenzio irreale che si respirava all’esterno impregnava anche le mura di una
casa che doveva aver assistito a risate, urla e ai rumori tipici di una
famiglia con bambini.
Si
guardarono per un veloce istante, annuendo impercettibilmente.
Passarono
in rassegna tutte le stanze del piano terra, dove, oltre alla confusione tipica
di una casa violata da qualche estraneo in cerca di qualcosa, o di qualcuno,
non trovarono tracce di persone, vive o morte.
Salirono
silenziosamente, uno di fianco all’altra, le scale che portavano al piano
superiore.
Le
camere da letto e il bagno erano ridotti nello stesso stato di disordine e oltraggio
delle stanze del piano inferiore.
Dopo
essersi accertati che in casa non c’era anima viva, Monica accese la luce della
stanza da letto nella quale si trovava.
Era
la stanza di William.
Alle
pareti erano appesi diversi poster di campioni del baseball. Erano le uniche
cose rimaste intatte nella camera. Il letto era ribaltato, ovunque si trovavano
sparsi libri e giocattoli.
Monica
percepì una sgradevole sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco.
Qualcuno
aveva osato violare la privacy di una tranquilla famiglia e questa era una cosa
che non riusciva proprio a sopportare. Lo scempio che ne era stato fatto era un
oltraggio alla vita di persone buone, che non avevano nessuna colpa, se non
quella di aver amato un bambino dalle straordinarie capacità soprannaturali.
Si
ricongiunse con John, che aveva acceso anche le luci delle altre stanze e aveva
iniziato a frugare tra il disordine.
Tutta
la casa trasudava ore di vita quotidiana, di pranzi e cene consumati in
famiglia, di amore e fatiche, di sudore e soddisfazioni.
Su
una mensola della sala da pranzo era rimasta intatta la foto dei signori Van De
Kamp, che stringevano tra le braccia un piccolo
bambino dagli occhi blu, che sorrideva divertito verso l’obbiettivo.
William
doveva avere circa 3 anni in quella foto.
Monica
si guardò attorno, poi si chinò verso il pavimento e raccolse da terra una
cornice con il vetro rotto. Al suo interno faceva bella vista una foto di
William in tenuta da baseball.
Doveva
essere recente, perché dimostrava una decina d’anni circa.
Una
lacrima scese a bagnare il vetro spezzato. Monica mosse il pollice sulla
goccia, per pulire la foto di un bambino che non vedeva da anni, ma alla quale
era affezionatissima.
John
le si inginocchiò accanto e la prese tra le braccia. Rimasero fermi in quella
posizione, fino a quando Monica non staccò la testa dal petto di Doggett, scusandosi per avergli imbrattato la giacca di
lacrime.
Lui
le dette un leggero bacio sulle labbra, poi la aiutò a tirarsi in piedi. E
proseguirono la perlustrazione.
Fortunatamente
non trovarono nessun cadavere.
Sfortunatamente
non trovarono nessun indizio che indicasse loro se i coniugi Van De Kamp erano riusciti a scappare o se erano stati rapiti.
Accesero
le loro torce e perlustrarono l’immenso cortile che circondava la proprietà.
John
si imbatté in una serie di impronte di scarpe impresse sul fango ancora fresco.
Fece
un segno a Monica e iniziarono a seguirle.
Si
immedesimarono nelle tracce lasciate da quei piedi, chiaramente in fuga, tanto
che iniziarono a correre anche loro, come se stessero rivivendo l’angoscia, la
fretta, la paura che aveva attanagliato l’animo di quei due genitori.
Corsero
per alcune miglia, poi arrivarono ad un piccolo scolo pieno di acqua melmosa.
Le
impronte indicavano chiaramente che i Van De Kamp si
erano buttati nell’acqua.
Provarono
a setacciare l’argine del fiumiciattolo, avanti e indietro, provarono con la
sponda opposta, ma senza risultato.
Avevano
perso le loro tracce.
“Maledizione!”
esclamò John, tirando un calcio rabbioso a una piccola montagnola fangosa,
facendo schizzare terra ovunque.
Monica,
le mani sui fianchi, il respiro affannoso, rifletté che era in momenti del
genere che le mancava il rilassante sapore del fumo di sigaretta.
John
prese il telefono cellulare dalla tasca interna della giacca e compose il
numero di Mulder.
“No”
la voce di Monica gli fece bloccare le dita sui tasti. La guardò
interrogativamente.
“Prima
è meglio se andiamo a chiedere alle forze dell’ordine della zona se sanno
qualcosa. Non so da quanto tempo la casa sia in quelle condizioni, ed è anche
vero che è piuttosto isolata, ma ho trovato strano che non ci fossero i nastri
della polizia lungo le mura”.
John
si dette dello stupido per non aver fatto caso all’assenza di segni che
potevano far capire che la polizia era stata a casa Van De Kamp.
Rimise il telefonino in tasca e fece un segno a Monica.
John
spense il motore dell’auto davanti a una costruzione squadrata e grigia, che
ricordava molto una caserma militare.
Avevano
dovuto spostarsi in un paese distante poche miglia da Shepherd
per trovare la stazione di polizia.
Dall’edificio
non proveniva nessuna luce e la cosa non stupì Monica e John. Provarono a
suonare, ma dall’interno non giunse alcuna risposta.
Con
una smorfia contrariata e un’imprecazione che sgusciò malignamente dalla labbra
di John, rimontarono in auto e decisero di attendere l’arrivo del capo della
polizia, o chi per lui, cercando di dormire o almeno di recuperare le forze.
Evidentemente,
quella era una zona poco incline al crimine, per quel motivo non era possibile
reperire nessuna forza dell’ordine nel cuore della notte. Loro erano troppo
abituati alle vicissitudini criminali di grandi città, dove chi lavorava al
servizio della sicurezza delle persone non aveva orari.
Il
raggio di un debole sole invernale picchiettò impaziente al vetro del
finestrino, dove i corti capelli di Monica erano appoggiati. Sbatté le palpebre
alcune volte, poi si massaggiò il collo, dolorante per la scomoda posizione
assunta per ore.
Sperando
ardentemente di sentire il calore e il vigore di un caffè bollente scivolarle
nello stomaco, scosse la spalla di John, addormentato con il capo appoggiato al
poggiatesta dl sedile, leggermente reclinato all’indietro.
John
grugnì per un momento, cambiò leggermente posizione, ma non si svegliò.
Monica
sorrise teneramente.
Si
sporse e gli dette un bacio a fior di labbra, percependo il profumo della sua
pelle e la barba ispida del mattino.
John
sbatté le palpebre e, quando l’ebbe messa a fuoco, le sorrise con un gesto
sonnolento.
Notando
che alla stazione di polizia non era ancora arrivato nessuno, andarono a fare
colazione in un piccolo bar che si trovava a pochi passi dalla grigia
costruzione.
Mentre
stavano sorseggiando il loro caffè, il capo della polizia entrò nel bar
salutando con il cappello i pochi avventori che, riuniti in un angolo,
giocavano a carte.
Era
un uomo dall’aria ingenua, di circa 60 anni. Folti capelli grigiastri
incorniciavano un volto smunto e rugoso. I baffi erano compatti e ben curati e
gli occhi testimoniavano una vita di lavoro sedentario e monotonia.
Quando
si accorse di John e Monica li osservò per qualche istante, un’espressione
incuriosita sul volto, poi rivolse loro un saluto formale. Evidentemente non
erano molto abituati a ricevere forestieri da quelle parti.
John
fece un cenno del capo in direzione del poliziotto, poi si rivolse a Monica.
“Meglio
se ti presenti tu, che hai ancora in tasca un tesserino dell’FBI”.
“D’accordo… Sherlock Holmes…” lo
prese in giro, dirigendosi verso il capo della polizia.
“Buongiorno”
gli disse, estraendo il tesserino dalla tasca della giacca “Sono Monica Reyes, FBI. Lui è John Doggett” e
indicò il suo partner “La stavamo aspettando, dobbiamo farle alcune domande”.
L’uomo
osservò il tesserino, poi le sorrise, allungando una mano verso di lei.
“Io
mi chiamo Edward Ward. Cosa posso fare per voi?”.
“Le
dispiace se ne parliamo in un posto più… adatto?”.
Ward scosse la testa.
“Nessun
problema”.
Pagò
il suo caffè e offrì la colazione ai due forestieri, poi li guidò verso la
stazione di polizia.
Uscendo,
a John parve di vedere la sagoma, in controluce, di qualcuno che li osservava,
ma poi, quando cercò di ripararsi gli occhi dal riverbero del sole, non vide
più nessuno.
Pensò
fosse colpa della notte pressoché insonne che aveva trascorso in auto.
Entrando
nella stazione di polizia, lui e Monica notarono subito che l’ambiente era
piccolo e molto disordinato, come si conviene ad un paese di piccole dimensioni
e dai pochi abitanti.
Ward li fece accomodare su due sedie poste di
fronte a quella che doveva essere la sua scrivania e unì le mani davanti allo
stomaco, guardandoli, in attesa.
“Veniamo
subito al dunque” esordì John “Ha avuto qualche notizia della famiglia Van De Kamp nelle ultime ore? Abitano a Shepherd,
poche miglia da qui…”.
Ward annuì, pensieroso.
“Si,
li conosco bene. Si sono trasferiti da queste parti circa 7 anni fa.
Mark
Van De Kamp mi ha telefonato ieri, verso le 5 del
pomeriggio, dicendomi che il figlio, William, non era rientrato da scuola. Il
pulmino aveva riportato a casa il figlio dei Torres –la
famiglia che abita a poche miglia da loro- ma non c’era traccia di William.
L’avevo sentito piuttosto sconvolto, e lo potevo pure capire. William è la loro
ragione di vita.
Mi
ero messo subito a contattare la scuola, per avere notizie del ragazzino, ma
dopo neanche mezzora, Mark ha telefonato di nuovo, dicendo che il figlio era
tornato a casa sano e salvo. Aveva perso la corriera e si era fatto dare un
passaggio da un amichetto.
Ero
sollevato, ovviamente, ed ero contento per loro”. Fece una pausa, vedendo che
l’agente dell’FBI e il suo compagno si scambiavano un’occhiata perplessa.
“Perché
li cercate?” chiese, più incuriosito che preoccupato.
“Signor
Ward, noi siamo stati questa notte a casa dei Van De Kamp e non abbiamo trovato nessuno, tranne la porta
spalancata e un disordine che può essere stato provocato solo da ladri… o da qualche persona che comunque voleva nuocere a
quella famiglia”.
Edward
Ward assunse un’espressione stupefatta. Poi aggrottò
le sopracciglia, preoccupato.
“Siete
sicuri?” chiese, pur conoscendo già la risposta affermativa.
Monica
annuì. “E possiamo anche dirle per certo che William non può essere tornato a
casa, perché da ieri mattina, il bambino si trova, al sicuro, a casa di alcuni
nostri colleghi”.
“State
scherzando? E come c’è arrivato?”.
“Questa
è una cosa strana… William ha preso il treno e li ha
raggiunti di sua spontanea iniziativa”.
Ward si appoggiò contro lo schienale della sua
sedia imbottita.
“Mi
lasciate letteralmente senza parole…”.
Monica
e John si scambiarono un’occhiata.
“Che
ne dice di andare a dare un’occhiata alla residenza dei Van De Kamp?” propose Doggett.
Il
poliziotto assentì, lo sguardo perso e preoccupato.
Ward si tolse il cappello e si passò una mano tra
i capelli, perplesso e innervosito.
Monica
e John gli avevano mostrato lo scempio a casa Van De Kamp
e le tracce che si perdevano nello scolo, poco lontano.
Un
rigurgito acido gli salì in bocca, quando si rese conto che Mark ed Eleonor potevano essere morti.
Mentre
si dirigevano di nuovo verso la casa (Ward stava
chiamando i suoi supposti per fare i rilievi del caso) un rumore di vetri
infranti attirò la loro attenzione.
Si
misero a correre e quello che si presentò davanti ai loro occhi quando
arrivarono alla dimora, fece mancare alcuni battiti del cuore a Edward.
Mark
Van De Kamp, sulla soglia della porta, con
un’espressione di rabbia sul volto, stava facendo a pezzi alcuni vasi di vetro.
Monica
e John avvertirono la morsa del pericolo prendere possesso dei loro istinti.
Estrassero la pistola, ma non fecero in tempo a fermare Ward,
che si stava dirigendo a passo veloce verso Mark Van De Kamp.
“Aspetti!”
gli urlò Monica, ma l’uomo non le prestò attenzione.
“Che
cosa stai facendo?” lo sentirono chiedere, con voce sconvolta, al signor Van De
Kamp.
L’uomo,
invece di rispondere, si mise a correre lungo il perimetro della casa.
Monica
e John scattarono immediatamente, alle calcagna di Ward,
che si ero messo ad inseguire il fuggitivo.
“Fermati!
Fermati!”.
Vedendo
che l’uomo non accennava a fermarsi, Ward estrasse
lasua Colt
dalla fondina e la puntò in alto, nel cielo.
“Fermati
maledizione!!!” e sparò un colpo a vuoto.
Mark
Van De Kamp si fermò immediatamente e si voltò verso
Edward, che intanto gli si stava avvicinando, pistola puntata contro il suo
petto.
Il
sorrisetto maligno che comparve sul volto di Mark, prima che questo si
trasformasse, davanti ai suoi occhi, in una persona completamente diversa, gli
ghiacciò il sangue nelle vene.
Lo
stupore e la paura gli fecero battere forte il cuore nel petto e, quando vide
quell’uomo imponente avventarsi su di lui, istintivamente sparò tre colpi
d’arma da fuoco.
Il
bruciore che avvertì immediatamente agli occhi e i gemiti di dolore che
iniziarono a salirgli alle labbra, gli impedirono di vedere il sangue verde che
colava dal petto dell’uomo.
Monica
e John assistettero terrorizzati alla scena, ma si tennero a distanza di
sicurezza.
Quando,
quello che ormai avevano capito essere il cacciatore di taglie alieno, cominciò
ad avanzare verso di loro, fecero dietrofront e corsero verso la casa.
John
si mise a frugare tra gli attrezzi da lavoro che aveva visto sparsi per terra
la notte prima e prese un cacciavite dalla sommità estremamente appuntita.
Monica
comprese subito quello che John voleva fare e si spaventò.
“John!
Non puoi avvicinarti a lui!”.
“Scappa,
fa in modo che ti segua…” gli rispose tranquillo lui “Io
gli piomberò alle spalle”.
Monica
fece per protestare, ma i passi strascicati del cacciatore di taglie
risuonarono al di là delle pareti della casa.
Monica
si mise a correre all’esterno, si voltò per assicurarsi che il cacciatore la
seguisse, sparandogli qualche colpo vicino al corpo, in modo da attirarlo nella
sua direzione.
Vide
John uscire dalla casa, silenzioso e acquattato.
Il
suo piede entrò in collisione con lo spuntone di un sasso, perse l’equilibrio e
cadde rovinosamente a terra.
Quando
si voltò vide la sagoma del cacciatore incombere su di lei.
Rotolò
in fianco appena in tempo, prima che il corpo dell’alieno cadesse nell’esatto
punto dove lei si trovava fino ad un attimo prima, e si sciogliesse, esalando
il suo tossico sangue verde.
John
le tese la mano e la aiutò ad alzarsi.
Si
allontanarono velocemente dal corpo in decomposizione e stettero a guardare la
macchia verdastra che corrodeva il terreno.
“Stai
bene?” le chiese John.
Monica
si massaggiò il gomito destro, trattenendo una smorfia di dolore.
John
le sollevo il braccio e constatò che aveva una leggera abrasione sulla pelle,
ma niente di grave. Il giubbotto e la maglia erano strappati.
“Temo
dovrai rifarti il guardaroba” disse, per sdrammatizzare.
Monica
gli sorrise.
“Chiamo
un’ambulanza per Ward”.
Monica
annuì e si incamminò verso il punto in cui il corpo privo di sensi del
poliziotto giaceva immobile.
Si
chinò verso di lui per accertarsi che fosse vivo. Gli tastò la vena sul collo e
sentì che pulsava, seppur debolmente. Gli occhi erano contornati da pelle
irritata e arrossata.
John
le si avvicinò.
“L’ambulanza
sta per arrivare, assieme agli uomini di Ward”.
Doggett si guardò attorno, le mani piantate sui
fianchi, la pistola di nuovo nella fondina.
Al
di là di un piccolo appezzamento di alberi da frutto vide di nuovo la sagoma
che aveva pensato di aver immaginato fuori dal bar.
Estrasse
nuovamente la pistola e la puntò in direzione del profilo.
“Esci
immediatamente di lì!” gli intimò.
Monica
si mise immediatamente in piedi e ripeté gli stessi movimenti di John, puntando
la pistola in direzione della sagoma che si stava avvicinando a loro attraverso
gli alberi.
Era
una donna, giovane, sui 25 anni. Capelli biondi lunghi fino alla schiena,
dritti e lucidi, carnagione bianchissima e corporatura leggermente abbondante.
Si
avvicinò a loro con le mani alzate, ma sul suo volto non c’era nessuna
espressione di paura. Più che altro sembrava divertita.
“Chi
sei?” chiese John.
La
ragazza si mise a ridere, in un modo leggermente sguaiato.
“Lo
sai benissimo John… hai già incontrato qualcuno dei miei… fratelli”.
John
aggrottò le sopracciglia, ma la sua curiosità fu presto soddisfatta.
Sempre
tenendo le braccia alzate sopra la testa, la ragazza si voltò e dette loro le
spalle. Abbassò leggermente la testa, e due escrescenze appuntite furono
visibili sul suo collo.
John
guardò per un attimo la pistola che stringeva tra le mani.
Se
solo fossero stati in New Mexico…
Monica
abbassò l’arma, si frugò in tasca ed estrasse la roccia appuntita.
Senza
fermarsi a riflettere, si fece trascinare dall’istinto e prese a correre in
direzione del supersoldato.
La
ragazza si girò verso di lei, appena in tempo per vedersela arrivare addosso.
Monica
conficcò la roccia satura di magnetite nel suo collo, esattamente nel punto
dove passa la vena giugulare.
Il
supersoldato gridò e la sua pelle iniziò a divenire grigia e dura, come
metallo.
Ma
la quantità di magnetite non era sufficiente ad ucciderla, cosa sulla quale
Monica contava.
La
strattonò per un braccio e la condusse da John, che la guardava con
un’espressione stupefatta in volto.
“Portiamola
via da qui ed interroghiamola”.
“Bella
mossa!” si complimentò John, mentre raggiungevano l’auto e vi buttavano dentro
la prigioniera.
Monica
si sedette sul sedile posteriore, in fianco a lei, la mano saldamente ancorata
alla roccia, ancora conficcata sul collo. John si mise alla guida.
Si
allontanarono di qualche miglio, fermandosi in una zona nascosta tra gli
alberi.
“Come
ti chiami?” chiese Monica al supersoldato.
La
ragazza non rispose.
Monica
conficcò la roccia più a fondo nella carne, avendo cura di girarla sadicamente
nella ferita.
La
ragazza urlò.
“Mi
chiamo…” ansimò preda del dolore “… mi chiamo Carmen”.
“Bene
Carmen, cosa facevi in quella casa? E che cosa cercava il tuo amico alieno?”.
Carmen
le scoccò un’occhiataccia.
“Cerchiamo
il ragazzo” rispose semplicemente.
“Perché?”
la incalzò Monica, nella voce un tono intriso di rabbia.
La
ragazza provò a ridacchiare, ma le uscì un colpo di tosse spezzato.
“Lo
sapete bene! Da quando è cominciato a circolare quel maledetto vaccino i miei
capi sono sul piede di guerra…” tossì un’altra volta,
con un rantolo che dette il voltastomaco a John.
“Che
cosa volete da William?” Monica gridò. Il suo urlò riecheggiò tra le pareti
dell’auto, rimbombando in modo fastidioso.
Carmen
la guardò con uno sguardo carico d’odio. I suoi occhi neri come la pece
brillavano di malvagità.
“Ucciderlo!”.
Monica
estrasse lo spuntone di roccia dal collo e glielo conficcò sopra il seno
sinistro.
Immediatamente
il colore grigiastro della pelle del viso e del collo, si estese alle braccia.
Monica le strappò parte della maglietta sul petto, constatando che il grigiore
si era esteso anche lì.
“Dove
sono i suoi genitori?” le chiese infine.
Carmen
respirava affannosamente, mentre il corpo era scosso da una serie di brividi.
Aprì
la bocca per parlare, ma uscirono solo dei rantoli.
“Parla!”
le intimò Monica.
Carmen
scosse la testa. Poteva significare che non erano riusciti a catturarli, o che
non lo sapeva.
O
che non voleva rispondere.
John
aprì la portiera e trascinò il supersoldato fuori dall’auto.
La
buttò per terra, senza troppi complimenti, poi le sparò un colpo di pistola
alla testa.
Il
proiettile penetrò nel cranio, ma la ragazza non morì.
Monica
si inginocchiò accanto a lei e iniziò a conficcarle a viva forza lo spuntone di
roccia in tutte le parti del corpo che le capitavano a tiro.
Era
accecata da lacrime di rabbia e di dolore.
Non
era mai stata una donna violenta, e non avrebbe mai pensato di arrivare al
punto di accanirsi così crudelmente su di un corpo, ma in quel momento non le
importava.
Smise
solamente quando sentì le braccia di John afferrarla e allontanarla dal
supersoldato che, tremante e rigido, scoppiò, lasciando sul terreno uno strato
sottile di polvere di metallo.
Capitolo 13 *** Un figlio, quattro genitori - Giovedì 6 dicembre 2012 ***
Capitolo 4
Un figlio, quattro genitori
Giovedì 6 dicembre 2012
“Si,
per il momento tornate pure in New Mexico… ho appena
avuto un’idea, ma prima ne devo parlare con Skinner.
Mi farò vivo il prima possibile”.
“State
attenti a William, lo stanno cercando” si raccomandò la voce di Monica al di là
del telefonino.
“Non
ti preoccupare, è al sicuro…credimi…
quando ti dico che sa badare a sé stesso”. Mulder sorrise contro il microfono
del cellulare.
“D’accordo”
la voce di Monica indicava che stava sorridendo anche lei.
“Ah,
a proposito… i miei complimenti!”.
“Grazie!
Ho seguito l’istinto…”.
“Sempre
la miglior soluzione…” commentò, mentre interrompeva
la comunicazione.
Stava
per dirigersi in salotto, dove William e Scully stavano chiacchierando davanti
ad un vassoio colmo di pasticcini, quando la figura slanciata di Kryceck gli si parò davanti al volto.
Sobbalzò.
Kryceck rise.
“Chec’è
Mulder? Ti
ho spaventato?” e continuò a ridacchiare.
“Era
da un pezzo che non ti si vedeva…” si giustificò
Mulder.
“Sì… perché io sono quello che viene a dare aiuti… mortali, se così li vogliamo chiamare. Vaccini,
formule che salvano la vita… non fanno per me”
sorrise maliziosamente della sua logica contorta.
Mulder
non poté impedirsi di sorridere in risposta. In fondo, molto in fondo, i battibecchi
con Kryceck, durante i loro scontri, gli mancavano.
Era
sempre stato un tipo sagace e ironico, quindi adatto a giochi di parole e
stuzzicanti dispute.
“Ottima
la tua idea… Davvero bravo, mi devo complimentare con
te…” iniziò a dire Kryceck.
Mulder
lo fissò aggrottando le sopracciglia.
“Di
che parli?”.
“Dell’idea
che la tua mente malata ha appena partorito”.
“Ahhh… ma non è merito mio, l’idea me l’ha fatta venire il
gesto di Monica”.
Kryceck sbuffò sonoramente.
“Non
importa a chi va il merito, l’importante è che, di là…”
e fece un gesto con il pollice, ad indicare un punto non precisato alle sue
spalle “… ti abbiamo accelerato il compito, visto che l’armageddon
è alla porte”.
Si
frugò nelle tasche del suo giubbotto e ne estrasse un dischetto, di dimensioni
minuscole.
“Mostra
il bluray a Skinner e fa in
modo che una copia arrivi nelle mani di Reyes e Doggett.
Qui
dentro ci sono molti passaggi e suggerimenti. Il bluray
spiega come estrarre una considerevole quantità di metallo dalle rocce, e come,
successivamente, inserirla nei proiettili.
Il
video mostra il procedimento con un metallo che non è la magnetite, ma non
cambia nulla. Il metodo che dovranno utilizzare gli uomini di Skinner è lo stesso.
Dovrà
dire loro che la quantità di proiettili alla magnetite da produrre sarà
ingente. E procuratevi dei mitragliatori, almeno non dovrete ricaricare in
continuazione”.
Mulder
prese il dischetto dalle inconsistenti mani di Kryceck,
poi lo guardò.
“Quanti
proiettili servono per abbattere un super soldato?”.
Alex
fece un gesto con le spalle.
“Dipende… se riesci a centrare cuore, testa e stomaco, con
tre proiettili te la cavi, altrimenti ne servono di più”.
Mulder
annuì, pensieroso.
“Dove
li attaccheremo?”.
Kryceck scosse la testa.
“Non
mi è dato saperlo… o rivelarlo. Lo saprai a tempo
debito”.
E
con queste ultime parole svanì dallo studio di Mulder.
Lui
rimase per qualche istante ad osservare lo spazio vuoto dove, pochissimi
istanti prima, si trovava uno dei suoi più acerrimi nemici. La cosa che ancora
lo lasciava spiazzato era l’assurdità della situazione, e non tanto per il
fatto che vedeva fantasmi, tanto per il fatto che anche i suoi non-sostenitori
si scomodavano a passare nuovamente nell’al
di qua per aiutarlo.
Scuotendo
la testa si diresse verso il salotto, dove lo accolsero le risa cristalline di
suo figlio.
William
alzò lo sguardo su di lui e i suoi occhi si illuminarono.
“Dana
mi ha appena raccontato di quella volta che, durante un caso, una signora ti ha
chiesto aiuto per riparare il tubo dell’acqua e tu le hai fatto cedere il
pavimento in legno!” e riprese a ridere di gusto.
Mulder
lanciò un’occhiataccia a Scully, che si strinse nelle spalle.
“Gliel’hai
detto che poi, però, ho imparato ad essere un bravo ometto di casa?” le chiese
con sguardo fintamente minaccioso.
Scully
alzò le mani davanti al volto.
“Ora
sei impeccabile”. Si votò verso William e gli fece una smorfia.
William
rise, portandosi le mani davanti alla bocca, perché stava masticando un
pasticcino.
“Chi
era al telefono?” chiese Scully.
Mulder
sospirò.
“Ok,
fine dei divertimenti… Erano Doggett
e Reyes…”.
Non
ci fu bisogno di dire altro. L’atmosfera nella stanza si fece gelida, e carica
di tensione.
Il
giorno precedente, William aveva manifestato notevoli capacità soprannaturali.
Senza
che nessuno gli raccontasse nulla, aveva percepito il pericolo che l’umanità
stava correndo, non si era affatto stupito del fatto che la fine del mondo
dovesse avvenire per mano aliena.
Sembrava
quasi che qualcuno gli avesse raccontato come stavano le cose nella realtà fin
da quand’era piccolo. E che lo avesse cresciuto nella consapevolezza che
l’arrivo degli alieni lo avrebbe toccato da vicino… Quello
che avrebbero fatto i suoi reali genitori…
Ma,
come sapevano bene, così non era stato… la sua
consapevolezza derivava da qualcosa di più grande, di più inaspettato, di più
prodigioso.
Avevano
parlato per molte ore, il giorno prima.
Mulder
aveva deciso che non aveva senso nascondergli la verità, tanto, prima o poi, la
sua straordinaria natura avrebbe coperto i loro buchi narrativi, facendoli
passare per dei bugiardi, per degli estranei che non si fidavano di mettere a
parte il figlio di fatti gravi e dai risvolti fantascientifici.
Scully
aveva concordato pienamente con il compagno e si erano aperti con William, come
non si erano mai aperti con nessuno, tranne che tra di loro.
Scully
gli aveva raccontato della gioia che aveva provato quando aveva scoperto di
essere incinta, del periodo difficilissimo che aveva passato mentre Mulder era
in balìa degli alieni. Dei sacrifici, delle lotte, delle paure che avevano
accompagnato i pochi mesi in cui l’aveva cresciuto. Gli raccontò di come
Spender gli avesse iniettato un siero che inibiva i suoi straordinari poteri,
ma che come si era rivelato in seguito, non li aveva zittiti per sempre.
Poi,
con estrema vergogna ed estremo dolore, gli aveva raccontato della terribile,
ma necessaria, decisione di farlo adottare, per metterlo al sicuro
William,
dopo aver ascoltato le parole della madre, le aveva preso una mano tra le sue e
l’aveva guardata dritta negli occhi, con uno sguardo tenero e rassicurante. Le
aveva detto che l’aveva sempre saputo che non era stato abbandonato, che i suoi
genitori non avrebbero voluto separarsi da lui, ma che ne erano stati costretti.
Ovviamente non capiva cosa potesse esserci di così grave da rinunciare ad un
figlio, ma era certo, in cuor suo, che un giorno l’avrebbe scoperto e che
avrebbe capito la scelta dei genitori.
Si
era commosso ascoltando il racconto di sua madre e aveva provato pietà per il
padre, che non era nemmeno riuscito a conoscerlo, avendo passato con lui
solamente 48 ore.
William
non aveva idea di come sarebbe stato il suo futuro, e viste le notizie di cui
era appena stato messo a parte non sapeva nemmeno se sarebbe arrivato a
festeggiare il suo dodicesimo compleanno, ma sapeva per certo che, se gliene
avessero data la possibilità, avrebbe voluto passare con i suoi genitori
biologici del tempo.
Per
capirli, per conoscerli… per amarli.
Si
sentiva già legatissimo a loro, sebbene li avesse incontrati poche ore prima.
Ma
sapeva anche che, a miglia di distanza, altre due persone lo amavano ed erano
per lui come la luce del sole. Non avrebbe mai sopportato l’idea di dare loro
pene e dolori… e non sopportava l’idea che ora fossero
in pericolo.
Smise
di mangiare i pasticcini e rimase in silenzio, ad ascoltare la voce di Mulder
che raccontava, per filo e per segno, il dialogo che aveva appena avuto con
Monica.
Portò
i piedi, coperti da un paio di calzini di lana grigi, sulla sedia e si
abbracciò le ginocchia, in un gesto di protezione che fece dolere il cuore di
Scully.
Non
sopportava l’idea di vedere suo figlio, quel bambino che le era mancato più di
ogni altra cosa per 11 anni, soffrire, ma allo stesso tempo percepì una stupida
e crudele fitta di gelosia verso quelle due persone che godevano ogni giorno
del suo amore.
Quando
Mulder terminò il suo racconto, William rimase per un po’ in silenzio,
continuando a tenere strette le ginocchia, dondolandosi impercettibilmente
avanti e indietro.
Poi
alzò la testa verso suo padre.
“Forse
sono riusciti a scappare…” disse, nella voce c’era
poca convinzione, ma una buona dose di speranza.
Mulder
si inginocchiò di fronte al suo viso ancora troppo infantile per poter
sopportare certe notizie.
“Ti
prego di credermi… non voglio né mentirti, né
pronunciare parole vuote con il solo intento di alleggerire le tue pene… io voglio credere che siano riusciti a scappare, che
siano riusciti a mettersi in salvo, a far perdere le loro tracce…
ma se così non fosse, io ti prometto, ti giuro sulla mia stessa vita, che li
troveremo. Fosse l’ultima cosa che faccio”. Osservò suo figlio con la
determinazione scritta a chiare lettere sul volto.
William
sorrise con un angolo della bocca, in un gesto che gli ricordava tantissimo i
sorrisetti di Scully.
“Insieme?”
chiese il bambino.
Mulder
annuì, con aria grave.
Gli
tese una mano e aspettò che William la stringesse.
“Insieme”.
La
mano di Scully arrivò a coprire le loro mani unite.
“Insieme”.
William
sorrise, il suo voltò si illuminò. D’improvviso rimise i piedi a terra e buttò
le braccia al collo di Mulder, in un gesto spontaneo e dolce, che sciolse il
cuore dell’uomo.
Lo
strinse a sé, chiudendo gli occhi, e assaporando la sensazione di tenere tra le
braccia la consistenza del frutto dell’amore per la donna che sedeva loro in
fianco.
Scully
osservò quella scena con il cuore che batteva a mille.
Finalmente,
anche lui aveva potuto assaporare la sensazione di stringere a sé la prova
vivente del loro amore.
In
quei giorni i suoi occhi non facevano altro che versare lacrime, di dolore, di
gioia, di commozione, di angoscia, di rabbia… fece
forza su sé stessa per non mettersi a piangere di fronte all’immagine di suo
figlio tra le braccia del padre. Non voleva che la sua vista venisse offusca da
stupide secrezioni.
William
si separò da Mulder e gli sorrise, sereno.
Prese
un altro pasticcino e se lo mise in bocca.
Mulder
si tirò in piedi e andò a sedersi in fianco a Scully, ancora turbato dal
vortice di emozioni che lo avevano preso mentre stringeva suo figlio.
Lei
si voltò a guardarlo.
“Che
idea ti è venuta in mente?”.
Mulder
le sventolò davanti agli occhi il minuscolo compact disc che gli aveva dato Kryceck.
“Vedrai!”.
Lei
lo fissò, incuriosita.
“Devi
andare da Skinner?”.
“Si,
devo esporgli la mia idea e mostrargli il bluray, che
gli servirà per renderla attiva. Gli chiederò anche di usare i suoi computer
super protetti per inviare le immagini a Doggett e Reyes”.
“Mi
piacerebbe conoscerlo…” disse William, guardando da
tutt’altra parte rispetto al punto dov’erano seduti loro, come se stesse
facendo una considerazione tra sé e sé.
“Ti
andrebbe di venire?” gli chiese Mulder d’impulso.
William
era a conoscenza di ogni cosa, in una maniera forse ancora più dettagliata grazie
alle sue capacità, perciò non c’era motivo per cui dovesse stare lontano dalle
loro operazioni.
Il
ragazzino si illuminò e annuì vigorosamente.
“Sì!
Mi piacerebbe un sacco!”.
Scully
rise dell’entusiasmo del figlio.
“Però
vengo anch’io, così dopo passiamo a comprarti qualcosa da vestire, giovanotto.
Una stanza dove farti dormire ce l’abbiamo per fortuna, ma un guardaroba adatto
no”.
William
si mise in piedi con uno scatto e si portò la mano sulla fronte, in un gesto
militare.
Mulder
e Scully si abbracciarono sotto le calde coperte del loro letto matrimoniale.
La
stanchezza di quei giorni iniziava a pesare sui loro corpi.
Lei
sospirò, sfregandogli il naso freddo sul petto, nel tentativo di riscaldarlo.
Lui si tirò indietro con uno scatto.
“Ehy!!! Per chi mi hai preso? Per la torcia umana?”.
Scully,
per tutta risposta, gli ficcò i piedi gelati contro le gambe calde e pelose e
si strinse di più a lui.
Mulder
rabbrividì, avvolgendola con le braccia e stringendola a sé.
“Accidenti,
sei gelata…”.
“Non
mi sono di certa stretta a te per niente…” gli
rispose ironicamente lei, la voce attutita nel petto di Mulder.
“Ah,
è così???”. Mulder la allontanò da sé e in un attimo le sue mani erano sui suoi
fianchi, le dita contratte sulla carne, a farle il solletico.
Scully
iniziò a ridere e a contorcersi sotto le coperte.
“Basta!
Ti prego basta!”.
Ma
Mulder continuò fino a farla ansimare, crogiolandosi nel dolce gusto della
vendetta.
Scully
trovò la forza di allungare una mano verso l’inguine del compagno e gli lanciò
un’occhiata eloquente.
“Se
non la smetti subito te ne pentirai amaramente!” e sottolineò le sue parole con
una leggera strizzata alle parti basse.
Mulder
sollevò di scatto le braccia e se le portò sopra la testa, in segno di resa.
Scully
si accoccolò di nuovo contro di lui.
“Così
va meglio…”.
“Ricattatrice… però ti ho scaldata…
il mio compito l’ho assolto”.
“Mm… per questa volta…”.
Risero
insieme di quel momento di infantile superficialità.
Mulder
la abbracciò stretta, tuffando il volto tra i suoi capelli profumati.
“Cos’avete
fatto tu e William, mentre io ero all’ospedale?” chiese Scully, dopo un po’.
“Siamo
andati al campo a giocare a baseball” rispose semplicemente Mulder.
Scully
rise.
“Di
nuovo?!”.
Mulder
si strinse nelle spalle.
“Ci
sa fare il ragazzo. Ma gli do del filo da torcere!” e rise di gusto.
Scully
si scostò leggermente da lui per poterlo guardare negli occhi.
“Quante
volte l’hai fatto vincere?”.
Mulder
scosse la testa.
“Non
ho barato, ho giocato al meglio delle mie possibilità senza mai agevolarlo.
Infatti l’ho battuto 5 volte a 2!”. Si batté il palmo contro il petto. “Qui hai
ancora un gran pezzo d’uomo, fidati!”.
Scully
lo guardò con un sopracciglio inarcato, poi scosse la testa.
“Ma
smettila… ormai sei vecchio!” lo stuzzicò,
prendendogli il naso tra le dita.
“Vecchio?!
Io?!” gli occhi di Mulder si spalancarono, in un moto di finto sdegno.
Mise
il braccio fuori dalle coperte e irrigidì il muscolo, mettendo in risalto i
bicipiti.
Scully
gli tirò uno schiaffo sulla pelle.
“Piantala
di fare il macho e rimetti quel braccio sotto le coperte, che fa freddo”.
Mulder
obbedì, con un’espressione contrariata.
Scully
si adagiò di nuovo contro il petto dell’uomo, sospirando.
“E’
davvero un ragazzino adorabile…” commentò, guardando
un punto imprecisato del soffitto.
Mulder
le accarezzò un braccio.
“Si… è ben educato, sveglio e intelligente. E non per ultimo
ha uno spiccato senso dell’umorismo…”.
Scully
sollevò il volto a guardarlo.
“Come
il tuo…”.
Mulder
le sorrise teneramente.
“Mi
piacerebbe fosse davvero così… che avesse ereditato
alcuni tratti dai me… ma chissà se è così davvero…”.
“Io
ne sono convinta… vi assomigliate tantissimo…
In tanti comportamenti, in tante espressioni del viso, in tanti modi di fare…”.
Mulder
le baciò la punta del naso.
“Ai
miei occhi assomiglia moltissimo a te… a parte gli
occhi, che sono esattamente del tuo stesso colore, ti assomiglia anche nel modo
di porsi, di parlare, di atteggiarsi… siete
bellissimi, tutti e due…” le sorrise e la baciò
teneramente sulle labbra.
Scully
gli buttò le braccia al collo, e si lasciò trascinare dal calore e dalla
morbidezza delle labbra di Mulder verso paradisi sconosciuti e mondi colorati.
Privi
di paure, privi di preoccupazioni.
Accompagnati
da un amore intenso e da una felicità senza ombre.
William
mise le braccia dietro la testa e prese a fissare il soffitto.
Immagini
nuove, ma così familiari da apparirgli quotidiane, si affollavano nel cassetto
della sua memoria.
Erano
stati giorni molto intensi per lui.
Aveva
ritrovato i suoi genitori biologici, scoprendoli come li aveva sempre
immaginati. Dopo poche ore che era in loro compagnia, aveva capito che, in
fondo al suo cuore, non aveva mai smesso di chiedersi chi erano, com’erano e se
lo stavano pensando, e non aveva nemmeno mai smesso di sperare di incontrarli.
Ma
la felicità per il ricongiungimento era offuscata dalla tristezza e dalla
preoccupazione per i suoi genitori adottivi. Quelle due persone meravigliose,
che l’avevano cresciuto con un amore talmente intenso da creare un alone di
perenne serenità intorno alla loro vita in comune.
Era
in ansia per loro, avrebbe tanto voluto conoscere dov’erano, se stavano bene,
se avevano bisogno di aiuto. E, inoltre, non riusciva a scacciare dal suo cuore
un fastidioso e immotivato senso di colpa.
Nella
sua testa si rincorrevano parole pesanti e accusatorie, che venivano dal suo
stesso subconscio.
Se
lui non avesse avuto quelle capacità sovrannaturali…
se non lo avessero adottato… se non se ne fosse
andato lasciandoli in balia di persone, umane o no, che cercavano lui…
William
chiuse gli occhi, forte, e scosse la testa, cercando di scacciare quei
pensieri.
La
sua parte razionale sapeva perfettamente di non avere nessun tipo di colpa… ma quella irrazionale…
quella comandata dal cuore.
“Basta!”
sussurrò a sé stesso.
Riaprì
gli occhi e cercò di pensare a qualcos’altro.
Sorrise
quando il volto di Monica affiorò tra i suoi pensieri.
L’aveva
conosciuta pochi giorni prima, nell’ufficio dello “zio” Skinner
(l’aveva ribattezzato così per la lucida pelata, che gli ricordava lo zio Fester della Famiglia Addams, ma
si era ben guardato dal dirglielo. Il vicedirettore era convinto fosse un modo
affettuoso di considerarlo un suo zio mancato. Solo Mulder e Scully sapevano la
verità… e ne avevano riso per ore) e gli era piaciuta
fin da subito per il suo modo genuino di approcciarsi alle persone.
Era
rimasto incantato dal suo modo di raccontargli che l’aveva fatto nascere,
l’aveva curato nei momenti in cui Scully era impegnata…
che una volta aveva provato a tranquillizzarlo imitando il richiamo delle
balene, ma che l’idea aveva sortito l’effetto opposto.
Avevano
riso per un sacco di tempo dopo questo aneddoto.
John
Doggett gli aveva dato l’impressione di essere un
uomo estremamente fidato, di quelli che, dopo che hanno deciso da che parte
stare, si butterebbero nel fuoco per difendere i loro ideali e le persone che
ne fanno parte. Era una persona seria, poco incline a sarcasmo e scherzi, ma
molto socievole e disponibile.
Purtroppo,
avevano potuto trascorrere insieme poche ore, perché il contrattacco ai
supersoldati riduceva drasticamente il tempo per le frivolezze e i dialoghi.
Ma
il piano navigava a vele spiegate verso la sua completa realizzazione.
William
era molto orgoglioso degli sforzi che stavano facendo i suoi genitori per
permettere alla vita di miliardi di persone sconosciute di continuare.
La
sua strana capacità soprannaturale gli permetteva di percepire il pericolo scandito
dall’arrivo degli invasori alieni con una sensibilità che andava oltre le paura
e il terrore delle persone che ne erano a conoscenza.
A
volte gli sembrava di riuscire a percepire i pensieri degli alieni stessi… di essere con loro nelle astronavi, di ascoltare i
loro piani…
Era
una cosa strana da descrivere, ma lui la percepiva chiaramente.
Mulder,
quello strano padre che non amava essere chiamato per nome (e come dargli
torto? Come si fa a chiamare un bambino, che un giorno sarà uomo, “volpe”?)
doveva aver percepito la straordinaria portata delle sue sensazioni, perché,
ogni volta che lo vedeva pensieroso, o completamente assorbito da qualche
“visione”, si premurava di fare il possibile per alleviare il suo fardello, con
gesti frivoli e infantili, ma che lo aiutavano tantissimo a non farsi
sopraffare dal suo potere.
Era
un uomo straordinario, pieno di forza, di sensibilità, di testardaggine…
e di amore. Verso Dana, ma non di meno verso di lui.
William
era stupito dalla portata del sentimento che provava nei suoi confronti, nei
confronti di un figlio che non aveva conosciuto nemmeno quando era in fasce.
Per Mulder lui era, in fin dei conti, uno sconosciuto…
eppure questo non gli impediva di amarlo di un amore incondizionato, totale,
profondo.
Mulder
non glielo aveva mai detto a parole, ma lui lo sapeva. Glielo leggeva negli
occhi.
Come
riusciva a leggere il sentimento di puro abbandono e fiducia che lo legava a
Dana.
Dana… sua madre.
In
lei percepiva una forza che a volte lo lasciava a bocca aperta.
Nulla
le era stato regalato nella via, aveva dovuto soffrire, lottare, cadere e poi rialzarsi… da sola. E l’aveva fatto, con determinazione… era riuscita a credere in un futuro
migliore, e ancora ci credeva, seppure il pessimismo insisteva a bussare alla
sua porta.
William
aveva l’impressione che il suo ritorno l’avesse resa…
diversa.
Più
serena, più felice, più ottimista.
Una
sera Mulder, mentre lei era all’ospedale, glielo aveva confessato: non vedeva Scully così spensierata da molto tempo.
E
di questo lui era estremamente lusingato e felice. In un periodo come quello
che stavano vivendo, in cui paura e dolore erano all’ordine del giorno, era
bello sapere di essere un faro di speranza per qualcuno.
William
si girò su un fianco, rannicchiandosi sotto le coperte e sorrise di un sorriso
dolce e amorevole.
Amava
quelle due persone sconosciute, ma familiari. Le amava tantissimo, tanto quanto
amava i suoi genitori adottivi.
Piano
piano, si addormentò, rivolgendo una muta preghiera
per la loro salvezza a chiunque la volesse ascoltare.
William
si svegliò di soprassalto nel cuore della notte.
Buttò
l’occhio verso la sveglia che si trovava sul comodino alla sua sinistra. Erano
le 11.56 della notte.
Si
prese la testa fra le mani e aprì la bocca, esalando un muto grido di dolore.
Li
vedeva…
Erano
tutti pronti a sferrare un attacco, percepiva l’eccitazione che li pervadeva.
Le
lunghe dita grigie erano posate su una serie di bottoncini rossi e neri, su di
una console dall’aspetto fantascientifico.
Un
mormorio incomprensibile serpeggiava tra di loro e gli enormi occhi neri erano
sbarrati, accesi di aspettativa.
Camminò
tra di loro come un fantasma, scrutando, provando a capire…
D’improvviso
l’occhio gli cadde su di un pulsante tondo, molto grande con delle coordinate
che, come un ologramma, uscivano dalla superficie plastificata e si modellavano
nell’aria, quasi avessero solidità.
Seppe,
senza sapere come, che si trattava delle coordinate che rappresentavano la Casa Bianca.
Sbarrò
gli occhi nell’oscurità della sua cameretta.
William
scese in fretta dal letto e corse nella stanza dove dormivano Mulder e Scully,
ma la mezzanotte batté il suo ultimo rintocco mentre percorreva quella breve
distanza.
Un
lampo accecante illuminò l’oscurità di una fredda notte di dicembre.
Un
boato assordante squarciò il silenzio di una città addormentata.
Un
tremore innaturale scosse le fondamenta delle case.
Mulder
e Scully si svegliarono di soprassalto.
Scully
scese immediatamente dal letto per recarsi da William, ma se lo ritrovò di
fronte appena fuori dalla porta. Lo strinse a sé, protettiva.
Mulder
si accertò che stessero bene con un occhiata, poi si diresse alla finestra,
dove una luce rossastra, a poche miglia di distanza, lanciava i suo bagliori
infuocati nella notte.
Una
seconda esplosione rimbombò nuovamente tra le vie cittadine.
Per
un riflesso incondizionato, dettato dallo spirito di sopravvivenza, si
abbassarono tutti e tre verso il pavimento. Mulder corse, mezzo acquattato,
verso Scully e William e li circondò con le braccia, in un gesto inutile se
l’attacco avesse dovuto arrivare fino a loro, ma rassicurante.
Quando
gli scossoni al terreno terminarono e lo strascico dell’assordante rumore cessò,
Mulder andò di nuovo alla finestra. Scully e William lo seguirono.
Il
riverbero dell’esplosione infastidiva le retine degli occhi.
In
strada, molti vicini di casa stavano uscendo dalle loro abitazioni e stavano
parlando concitatamente, additando il bagliore.
Le
sirene delle ambulanze e dei vigili del fuoco iniziarono a urlare il loro
lamento verso il cielo.
“E’
la Casa Bianca.
Il Presidente, la sua famiglia e tutti quelli che abitavano lì sono morti”.
William
disse queste parole con voce piatta. Gli occhi sbarrati, persi in luoghi
lontani.
Mulder
si voltò a guardarlo, sul volto un’espressione incredula, arrabbiata,
impaurita.
Scully
lo guardò, scuotendo piano il capo, le labbra strette in una linea diritta.
“Sono
stati loro..” William alzò un dito verso il soffitto. “Sono sopra di noi,
dentro una nave spaziale enorme, ma invisibile ai nostri occhi. Sono…esaltati… felici!”.
William
sbatté gli occhi e ritornò alla realtà, ai volti sconvolti dei suoi genitori.
Mulder
lo prese per le spalle.
“William,
è importante… attaccheranno tutta la popolaz…” non riuscì a terminare la frase, perché William
scosse convinto la testa.
“No.
Questa notte attaccheranno solamente i governi che hanno osato ribellarsi”.
Mulder
e Scully si guardarono e tra loro passarono parole che ricordavano paure
passate e presenti, sensazione nuove e già vissute, una determinazione
condivisa e un comune pensiero.
Scully
prese William per mano e insieme si diressero al piano inferiore, dove Mulder
accese la televisione.
Come
previsto, tutti i programmi erano stati cancellati, per permettere alle
edizioni straordinarie dei telegiornali di aggiornare le persone. Inviati con
sguardi assonnati erano già davanti al cumulo di macerie che una volta era
stata la Casa Bianca.
Sui loro volti si leggeva lo sconcerto e la paura per questo atto, che loro già
chiamavano “terroristico”.
Le
immagini della residenza presidenziale americana erano quelle che scorrevano
sulla maggior parte dei canali, ma alcune reti straniere mostravano le immagini
degli altri paesi rimasti senza un capo a governarli.
Russia.
Giappone. Francia. Spagna. Sudafrica…
Fuoco,
fiamme, urla, pianti, disperazione, scene di pazzia collettiva bucavano lo
schermo, penetrando nell’animo di chi stava guardando.
Mulder
e Scully si accasciarono sul divano, stremati senza aver fatto nulla.
William
rimase in piedi, accanto a loro, guardando lo schermo.
Nessuno
parlò.
“Perché
cazzo Skinner non risponde?”. John Doggett batté rabbiosamente il palmo della mano contro il
legno del tavolo.
Lui
e Monica si trovavano a casa di Mulder e Scully, stavano cercando di contattare
Skinner da più di un’ora, senza risultati
apprezzabili.
“Calmati
John, con la rabbia non andiamo da nessuna parte. Probabilmente l’FBI è in
fibrillazione dopo questa notte, è probabile che non abbia tempo per rispondere
al telefono…”.
John
guardò Monica con un’espressione carica di nervosismo.
“Ma
la nostra operazione è più importante!”.
Mulder
lo prese per un braccio.
“Lo
sappiamo John, ma non possiamo chiedergli di fare miracoli. Quando sarà libero,
sarà lui stesso a chiamarci, vedrai”.
William
era seduto su di una sedia, a gambe incrociate, osservava quelle tre persone
affaccendarsi intorno al tavolo e si sentiva impotente.
Da
ore non aveva nessun tipo di sensazione, nessun tipo di aiuto da parte del suo
potere.
Si
sentiva inutile e vuoto.
Avrebbe
voluto dare una mano, aiutare…
Invece
se ne doveva rimanere lì, buono e fermo, ad ascoltare voci concitate e parole
al vento.
Scully
era andata all’ospedale, a controllare che tutto fosse a posto, che Montrand stesse bene… era
terrorizzata all’idea che anche lui ci fosse andato di mezzo. Se così fosse
stato, il significato sarebbe stato palese: gli alieni avevano capito da chi
era partita l’operazione vaccino.
Ma
Scully aveva telefonato pochi minuti prima, dicendo che Montrand
stava bene e che non aveva ricevuto nessuna minaccia, né lui, né la sua
famiglia.
Il
campanello della porta suonò, tre volte consecutive.
Le
teste di tutti scattarono nella direzione del suono.
Prima
che potessero fermarlo, William si alzò in piedi e si diresse verso l’entrata.
Quando
aprì la porta si trovò di fronte due volti sconosciuti, e il muso schiacciato
di un bell’esemplare di boxer, che se stava ritto e fiero ai piedi del più
anziano dei due.
Quello
più giovane, un ragazzo che portava spessi occhiali dalla montatura tonda, lo
osservò con un’intensità che mise in imbarazzo William.
“William…” disse poi il ragazzo, con suo grande stupore “…
dobbiamo parlare con tuo padre”.
William,
ancora attonito, si scostò dalla porta, facendoli passare.
Mentre
l’anziano si recava nella stanza dalla quale sentiva arrivare le voci, il
ragazzo si voltò verso William e gli sorrise.
“Ti
chiederai come conosco il tuo nome…”. Allungò una
mano verso di lui. “Io sono Gibson Praise”.
William
strinse la mano di Gibson e immediatamente seppe, con estrema chiarezza, chi
era, come conosceva Mulder e Scully e quale tipo di abilità intellettuale
possedeva.
Gli
sorrise in risposta.
“Molto
lieto di conoscerti”.
Gibson
lo guardò. Avendo letto nel pensiero di William, si era reso conto della
portata delle sue capacità.
“Davvero
straordinario…” commentò tra sé e sé.
Insieme
si diressero verso la sala da pranzo.
Quando
Mulder vide Gibson scattò immediatamente verso di lui.
Si
fermò a pochi centimetri dal volto emaciato del ragazzo. Non lo abbracciò, ma
dal suo sguardo si percepiva chiaramente quanto fosse felice di vederlo. E
preoccupato.
“Piantala
Mulder!” gli disse Gibson “So badare a me stesso”.
Mulder
gli sorrise, scuotendo la testa e gli dette una pacca affettuosa sulla spalla.
“Bentornato
tra noi allora”.
“Grazie”.
Poi si voltò verso Monica e John, che lo guardavano sorridenti.
“Eviterei
di perdermi in saluti affettuosi, ne avremo il tempo quando questa storia
finirà”.
“Sembri
ottimista… “ commentò John.
Gibson
rispose con un’alzata di spalle, che voleva dire tutto e niente.
“Come
vi conoscete?” Mulder fece un segno ad indicare Jared,
che, in disparte in un angolo, osservava con occhio incuriosito la casa.
Quando
si sentì chiamare in causa, fece due passi verso il centro della sala e si
rivolse a Mulder.
“Lo
sai che sono bravo a rintracciare le persone…” e
sorrise in quel suo modo strano e accattivante.
Scully
varcò la soglia di casa in quel preciso istante. Rimase qualche secondo
immobile e silenziosa, quando vide i due nuovi arrivati. Poi sorrise,
raggiante.
Mulder,
rendendosi conto che non era di certo il momento più adatto, pensò che era
bellissima. Con il passare degli anni la sua bellezza si era affinata,
rendendola affascinante e delicata. Sentì una bolla di orgoglio gonfiarglisi nel petto all’idea che quella donna bellissima
e straordinaria era sua, per sempre.
Scully
andò incontro a Gibson e, al contrario del suo compagno, non si fece problemi a
stringerlo in un abbraccio di bentornato.
Quando
si staccò lo osservò con aria di rimprovero.
“Come
sei magro!”.
“Mi
dispiace Doc. Diciamo che il cibo non era sempre alla portata in questi ultimi
anni”.
“Dove
hai vissuto?”.
Gibson
scosse la testa.
“E’
troppo lunga. Ora abbiamo cose più urgenti a cui pensare. I nostri comuni amici
sono sul piede di guerra, non so se ve ne siete accorti…”.
William
rimase impressionato vedendo la celerità con cui, dopo un momento di emotività
e ricongiungimenti, le persone in quella stanza ripresero a studiare piani e
strategie.
Lui
si accostò al cane, che prese a leccargli affettuosamente la mano.
Mentre
lo stava accarezzando, una sensazione molto forte e terribilmente caotica gli
esplose nel cranio.
“Oh..”
fu l’unica cosa che riuscì a dire, mentre le immagini gli si rincorrevano nel
cervello senza sosta.
FlashQuattro alieni grigi
intorno ad un oggetto dalla forma strana e familiare allo stesso tempo.
Flash Case viste dall’alto,
tetti, camini, tetti e camini, camini e tetti… una
serie infinita.
Si
prese la testa tra le mani, nel tentativo di arginare quelle visioni.
Zar
guaì paino al suo fianco, attirando l’attenzione generale.
Scully
corse immediatamente al suo fianco e gli passò le braccia intorno alle spalle.
“Cosa?
William, cosa vedi?” nella voce c’era paura, ansia e urgenza.
William
sbarrò gli occhi blu verso il volto della madre. Ma avevano qualcosa di
diverso, di strano, di inquietante. Sembravano brillare di luce propria.
Alcuni
oggetti in casa iniziarono a sollevarsi, come trascinati da una forza
invisibile, ma potente.
Iniziarono
a fluttuare al di sopra dei mobili dov’erano posati, senza allontanarsi troppo.
Sembrava
di essere sulla scena di un poltergeist.
Scully
e Monica sapevano bene che la forza invisibile arrivava da William. L’avevano
già visto accadere quand’era ancora in fasce.
Come
tutto era iniziato, all’improvviso il galleggiamento degli oggetti cessò.
Gli
occhi del ragazzo ritornarono ad essere normali e una parola uscì dalle sue
labbra.
“Ora!”.
Nello
stesso istante, la terribile sensazione del terreno che balla ricominciò a
scuotere le membra e il boato di un’esplosione investì le mura.
Mulder
e John corsero immediatamente fuori, dove, poche miglia più in là, una casa era
diventata un cumulo di macerie.
Un’altra
esplosione.
Un’altra
casa distrutta, assieme alle vite che vi risiedevano.
Ma
le esplosioni erano molte, molte di più.
Doggett e Mulder, con un solo sguardo, capirono che
il contrattacco alieno era iniziato.
Non
avevano potuto distruggere l’umanità con un virus?
L’avrebbero
fatto in un altro modo, più spartano, ma comunque efficace.
Le
persone iniziarono ad uscire dalle case. I loro volti terrorizzati la dicevano
lunga sull’orrore che avrebbe investito il pianeta.
“Uscite
subito!” urlò Mulder, correndo verso Scully e William e aiutandoli ad alzarsi
dal pavimento.
Uscirono
tutti in strada, dove le urla dei vicini iniziavano a squarciare il cielo
peggio dei boati delle esplosioni.
Mulder
e John si assicurarono che ci fossero tutti, poi corsero alle auto.
Il
suv di Doggett si accostò
alla Ford di Mulder e tirò giù il finestrino.
“Dove
andiamo?”.
“Raggiungiamo
Skinner all’FBI… sperando
che sia ancora in piedi…”.
Le
esplosioni accompagnarono i rombi dei motori che partivano a tutta velocità.
Improvvisamente
Mulder frenò, fermando l’auto. John si arrestò con uno stridio di gomme a pochi
centimetri dal paraurti.
Mentre
Mulder iniziava a correre verso la casa, si voltò verso di lei.
“A
salvare i nostri piani!”. E riprese a correre senza più voltarsi.
A
nulla servirono le urla di Scully, mentre gli diceva che era troppo pericoloso.
“Ma
deve sempre fare di testa sua?” borbottò queste parole, mentre si metteva al
posto di guida.
John
scese e andò a parlarle.
“Che
diavolo sta facendo?” nella voce c’era tutta l’urgenza e la rabbia tipiche di
quelle situazioni.
“Non
ne ho idea! Maledizione!”.
Scully
si voltò verso Gibson.
“Che
cosa gli è passato per la testa?”.
Gibson
fece un vago sorriso di scuse.
“Abbiamo
lasciato il computer acceso, con tutti i documenti riguardanti il vaccino e le
armi alla magnetite acceso sul tavolo della sala. Ha pensato che, se per caso
gli alieni risparmiano alcune case, e poi le perquisiscono…
è terrorizzato all’idea che possano scoprire che è partito tutto da voi…”.
Scully
lo guardò perplessa.
“Ha
paura che, arrivando a voi, arriverebbero anche a William…”.
Scully
si dette della stupida. Era ovvio che avrebbe pensato alla salvezza del figlio
prima che alla loro. Cosa che avrebbe comunque fatto anche lei.
Ma
non poté impedirsi di provare un moto di rabbia nei confronti di Mulder. Solo
l’idea che avrebbero potuto distruggere la loro casa mentre lui era dentro… sentì un brivido ghiacciato percorrerle la schiena.
Non voleva nemmeno pensarci.
Mentre
rifletteva, William si mosse irrequieto sul sedile.
Poi
il suo grido di agonia rimbalzò tra le pareti dell’auto, in un suono angosciante
e terrificante.
“NOOOOOOOOO!!!
Papà!!! Papà!!!”.
Scese
dall’auto in tutta fretta e si mise a correre lungo la strada.
John,
che era già fuori dalla macchina, lo inseguì e lo acchiappò. Scully, Monica e
tutti gli altri, arrivarono subito dopo.
“Papà!
Papà!!!”.
Scully
era pietrificata dal terrore.
Che
cos’era successo? Perché William era così disperato?
Poi
vide tutto al rallentatore.
Mulder
che usciva di casa col portatile sotto il braccio. La luce accecante di una
specie di enorme raggio laser piombare dal cielo. La casa esplodere con un
assordante fragore in un balenio di luci e scintille. Il corpo di Mulder venire
sbalzato a diversi metri di distanza.
Scully
sentì le sue gambe iniziare a correre nella direzione dove Mulder giaceva
immobile, un terrore sordo le stringeva il cuore in una morsa dolorosa.
Si
inginocchiò vicino a lui, le mani sospese sopra il suo petto, indecisa.
Si
avvicinò cauta al volto dell’uomo, poggiando la guancia vicino al suo naso.
Respirava
ancora.
“Mulder…Mulder… mi senti? Sono
io, amore…rispondimi…”.
Sapeva
che erano parole inutili, che si perdevano nell’aria senza essere state
ascoltate, ma non poteva fare a meno di sperare di vedere i suoi occhi aprirsi
e le sue labbra sorriderle.
William
le si avvicinò, gli occhi colmi di lacrime.
“Papà?
Papà? Mi senti?”.
Con
la coda dell’occhio, Scully vide tutti gli altri rimanere in piedi, ad
osservare, a sperare.
Poi
si riscosse. In fondo era un medico… quello era il
momento per scalzare via le paure personali e agire con freddezza medica.
Allontanò
gentilmente William da Mulder e prese a tastargli il petto.
Non
sentiva costole rotte, quindi non c’era pericolo che i polmoni si fossero
bucati.
Il
suo respiro era lento e debole, ma le vie respiratorie erano libere.
Tastò
le gambe, le braccia… ma non sentì nulla di anomalo.
Almeno le ossa erano intatte.
Per
ultimo controllò il cranio. Sollevò lentamente e con gentilezza la testa di
Mulder e la tastò piano. Sulle dita le si riversò un caldo fiotto di sangue.
Si
chinò per vedere l’entità della ferita. Mulder aveva un lungo taglio dietro la
testa, un po’ sporco per via della terra sottostante, ma abbastanza lineare.
In
auto c’era un kit di pronto soccorso… forse era
troppo poco, ma per il momento era la sua unica speranza.
Si
voltò verso gli altri.
“Monica,
per favore porta qui l’auto. John, Gibson… aiutatemi
a metterlo sul sedile posteriore”.
Mentre
tutto questo avveniva, nel cielo continuavano a piovere raggi luminosi, che
precedevano esplosioni e tremori.
Non
davano tregua…
Molto
lentamente, caricarono il corpo privo di conoscenza di Mulder in auto. Scully
prese il kit di pronto soccorso dal bagagliaio, poi si sedette sul sedile
posteriore.
“Gibson?
Sai guidare?”.
Il
ragazzo annuì.
“Bene,
portaci via da qui!”.
Gibson
salì in auto, William al suo fianco, e partì a tutta velocità alla volta
dell’FBI. John gli stette dietro con il suo suv.
Scully
prese una pezza e la imbevette di disinfettante. Con molta cautela sollevò la
testa del compagno e pulì la ferita, meglio che poteva.
Quando
l’ebbe ripulita dallo sporco e dal sangue rappreso, constatò che non era
profonda, molto probabilmente, se l’aveva pulita in tempo, non sarebbero
serviti punti, solo una garza per proteggerla dall’esterno. Si sarebbe
rimarginata da sola, col tempo.
Ma
il rischio più grosso derivava dall’intensità della botta che aveva preso.
Ormai
era privo di conoscenza da circa 5 minuti… era
terrorizzata.
“Mamma…” la voce di William le giunse lamentosa.
Lo
guardò e soffocò un moto d’ira per l’ingiustizia della loro vita.
Il
loro unico figlio li aveva appena chiamati con gli appellativi che spettavano
loro di diritto, mamma e papà, e loro non potevano gioirne…
“Starà
bene…” ma lo disse più che altro per rassicurare sé
stessa.
Prese
un’altra garza e la bagnò con dell’altro disinfettante, poi gliela applicò
sulla ferita, che continuava a sanguinare, anche se in maniera lieve.
L’auto
sterzò bruscamente. Gibson aveva evitato per un pelo la collisione con un
oggetto non meglio identificato, che era piombato dal cielo. Guardando nello
specchietto retrovisore si accorse che era parte di un mobile.
Scully
perse per un attimo la presa sulla testa di Mulder, che ciondolò per un po’ a
destra e a sinistra.
Mulder
emise un lamento.
Scully
lo fissò intensamente.
William
era completamente sporto verso la figura di suo padre.
“Mulder…Mulder…” Scully riprovò a
parlargli “Sono io, sono qui… amore, ti prego, rispondimi…”.
Il
volto di Mulder si contrasse in una smorfia dolorante.
Tentò
di aprire gli occhi, sbatté le palpebre alcune volte, poi si guardò attorno.
Scully
gli sorrise, dolcemente.
“Tesoro… sono qui… mi vedi?”.
Mulder
girò la testa verso la provenienza della voce e vide il volto preoccupato di
Scully.
Aprì
la bocca per parlare, ma gli uscì solo un suono strozzato.
“Shhh, va tutto bene…”.
Mulder
si bagnò le labbra con la lingua, poi riprovò. La voce gli uscì roca e debole.
“Che
dolce visione…”.
Scully
rise, di sollievo, di gioia, di nervosismo.
William
sorrise alla madre e le strizzò l’occhiolino.
“E’
sempre il solito eh?” disse rivolto a Scully.
Mulder
si girò verso di lui.
“Bentornato
tra noi, papà!”.
Mulder
accolse le parole del figlio come un unguento miracoloso che cancellava ogni
dolore e ogni sofferenza.
Gli
sorrise, come meglio poteva, visto che il doloroso pulsare sul retro della sua
testa non gli dava tregua.
Scully
gli posò una mano sulla guancia, ponendo una leggera pressione per farlo girare
verso di lei.
“Come
ti senti? Hai preso una brutta botta, hai un lungo taglio sul retro della testa…”. Gli mise davanti agli occhi tre dita. “Quante
sono?” gli chiese.
“Tre”
rispose sicuro Mulder.
Scully
sospirò leggermente, più tranquilla.
“Ho
indovinato?” chiese Mulder “Non mi sembrava troppo difficile, ne mostrate
sempre tre voi dottori…” poi le sorrise.
Scully
alzò gli occhi al cielo e gli mise davanti al volto un solo dito…
quello medio.
“Mmmm… uno? Quello lungo?”.
Poi
tossì una brevissima risata.
“Tranquilla
dottoressa, ci vedo bene. Ho solo un gran mal di testa…”.
Scully
riprese a tastargli le parti che potevano avere subito delle contusioni, come
braccia e gambe.
“Ti
fa male qualcos’altro?” gli chiese, seria.
Mulder
stette in silenzio e prestò attenzione ai punti che Scully toccava.
“Un
po’ il gomito…”. Scully gli toccò il braccio
sinistro.
“Si,
esattamente lì… ahia!” si lamentò Mulder, quando lei
lo strinse un po’ più forte.
“Non
è rotto, credo sia solo una bella botta… comunque ti
visiterò meglio quando saremo arrivati a destinazione”.
“Il
computer… dov’è?” chiese Mulder.
Gibson
lo guardò attraverso lo specchietto retrovisore.
“Ho
visto che l’ha preso Doggett… ma credo si sia rotto”.
“Meglio…” commentò Mulder.
Chiuse
nuovamente gli occhi, gli scossoni dell’auto gli stavano provocando un po’ di
nausea.
Dopo
un po’ Gibson ruppe il silenzio.
“Guardate
che roba…”.
Scully
allungò il collo, William si voltò verso il parabrezza.
Sembrava
il set di un film apocalittico.
C’erano
macerie ovunque, fuoco, persone ferite che vagavano senza meta in mezzo alla strada…
Ambulanze,
vigili del fuoco, polizia, squadre S.W.A.T… tutti a
cercare di arginare i danni, di aiutare le persone…
di salvare il salvabile.
Mulder
tentò di tirarsi a sedere, ma Scully lo tenne giù posandogli una mano sul
petto.
“Fermo
lì”.
“Non
so se vi siete accorti che hanno smesso di bombardare…”
disse Gibson.
Scully
non c’aveva nemmeno fatto caso, era troppo occupata a preoccuparsi per lo stato
fisico di Mulder.
Lui
tentò di tirarsi su di nuovo. Lei lo ammonì con un’occhiata tagliente.
“Sto
bene…” si lamentò.
“Mulder,
ti prego… non rendere sempre tutto più difficile…”.
Lui
sbuffò sonoramente.
“Che
cosa c’è da vedere?” chiese allora.
Scully
sospirò, rassegnata.
Gli
mise un braccio dietro le spalle e lo aiutò a tirarsi su, quel tanto che
bastava a permettergli di vedere lo sfacelo che regnava per le strade di Washignton.
Mulder
non disse nulla, rimase a guardare le immagini che scorrevano al di là del
vetro, in silenzio. Poi guardò Scully e si fece aiutare a rimettersi sdraiato.
Poco
dopo Gibson parlò.
“Buone
notizie. L’EdgardHoover
Building è vivo e vegeto!”.
Si
fermò sopra il marciapiede.
John
bussò al finestrino.
“Come
sta?”.
Mulder
alzò una mano.
“Sono
vivo…”.
Insieme
lo aiutarono a scendere dall’auto e lo accompagnarono all’interno del palazzo.
Mulder riusciva a camminare, anche se aveva la tendenza a sbandare.
Monica
fece strada esibendo il suo distintivo.
Arrivarono
all’ufficio di Skinner e spaventarono la sua
segretaria, perché le intimarono di farli passare senza usare modi cortesi.
La
segretaria aprì la porta, scusandosi con il vicedirettore, ma non ebbe modo di
terminare la frase, perché Monica entrò di prepotenza.
La
prima cosa che vide fu Skinner in piedi vicino al
tavolo delle riunioni, e poi focalizzò sul gruppo di persone sedute sulle
sedie, che la guardavano con occhi sbarrati.
Monica
non perse tempo con loro e si rivolse a Skinner.
“Le
dobbiamo parlare… subito!”.
Skinner si scusò con gli altri dirigenti federali e
uscì assieme a Monica.
Vedendo
Mulder piuttosto provato, stretto tra le braccia di Scully eDoggett si
spaventò.
“Che
è successo?” chiese preoccupato.
“Casa
nostra gli è esplosa troppo vicino… “ gli rispose
Scully, laconica.
“Dove
diavolo era finito?” gli chiese Doggett a bruciapelo.
Skinner li guardò uno per uno, soffermandosi con curiosità
su Jared e il suo cane e con stupore su Gibson.
“Andiamo
in un posto appartato” suggerì.
“Ho
visto che stavate cercando di contattarmi, ma non potevo rispondere.
Dopo
gli attacchi di questa notte, siamo stati convocati tutti d’urgenza per un brainstorming…
Le
alte sfere mi hanno chiesto come mai non ci fosse stato sentore di un attacco
di quella portata… e hanno anche saputo, non
chiedetemi come, che in questi ultimi giorni sono stato molto impegnato con un
progetto top secret…
Volevano
conoscere tutti i dettagli e le motivazioni… ho
dovuto fare i salti mortali per riuscire a dissuaderli dall’indagare, per
fargli credere che erano solamente voci di corridoio e che io non ho mai
sentito nominare questo fantomatico progetto top secret.
Sembra
mi abbiano concesso il beneficio del dubbio, ma non posso garantire che non
proveranno a scavare… mi spiace”.
Mulder
gli sorrise, seduto su di una sedia, con Scully che gli medicava la ferita alla
testa.
“Non
si preoccupi Walter, tanto ormai il tempo stringe. Non ci sarà più bisogno di
nascondere nulla… Credo sia arrivato il momento di
passare all’offensiva”.
Skinner lo guardò, nel volto un’aria mesta.
“Sì… ma come? E dove?”.
Mulder
fece spallucce.
“Un
modo lo troveremo…”.
Skinner sbuffò col naso, poi abbassò il capo verso
il pavimento, non sapendo che dire.
“Quante
persone sono morte?” chiese Scully, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
Tutti
gli occhi guardarono Skinner, l’unico che poteva
avere un’idea approssimativa del numero.
Lui
scosse la testa, alzando le spalle.
“Milioni… milioni di milioni in tutto il mondo…”.
Nella
stanza regno un religioso silenzio per qualche momento. Erano tutti immersi nel
dolore dello sconcerto, della rabbia, dell’ingiustizia.
Milioni
di milioni…
Skinner prese un respiro profondo.
“Sarà
meglio che io torni di là, prima che si insospettiscano…
Se avete novità… venite a chiamarmi…
Potete stare qui per ora…”.
E
detto questo girò sui tacchi e se andò.
Fuori
iniziava a fare buio… un’altra giornata di morte e
devastazione stava per terminare.
Le
urla delle sirene penetravano nel cervello come punte di trapano, insistenti, impegnate
a ricordare il tributo di vite che era stato pagato là fuori…
e in tutto il mondo.
In
quella stanza, calda e accogliente, si respirava un’aria opprimente, satura di
dolore, di sensi di colpa, di sconforto.
Loro
erano lì, ed erano vivi… e si stavano chiedendo se
non avrebbero potuto fare qualcosa per fermare questa carneficina. Se si
fossero mossi prima, se avessero scelto di combattere in un’altra maniera, se
avessero affrontato a viso aperto i colonizzatori, se…se…se…
Ma
sapevano che erano pensieri inutili, vuoti, privi di fondamento. E che non
sarebbe stato loro d’aiuto perdere le speranze.
William
se ne stava seduto in fianco a Mulder tenendogli la mano, non tanto per
confortarlo, ma tanto per non perdere il contatto con la realtà. Aveva appena
assistito a immagini che non dovrebbero essere mostrate ad un bambino di 12
anni, ma sapeva che quello, molto probabilmente, non era nulla, che il peggio
doveva ancora accadere.
Da
quando aveva avuto quella devastante visione del corpo di suo padre
scaraventato lontano dallo spostamento d’aria provocato dall’esplosione, non
aveva più avuto nessun tipo di contatto con le menti aliene. Non sapeva cosa avevano
in programma, non sapeva se avevano in mente di bombardare ancora, o se avevano
altri programmi per distruggere l’umanità.
Quel
silenzio mentale lo disturbava. Avrebbe preferito sapere, rendersi utile, aiutare… combattere.
Era
frustrante starsene lì seduti, a guardare ognuno i proprio piedi, mentre fuori
impazzava l’inferno.
Le
ore passarono e la notte scese a stendere il suo velo opaco su un mondo ferito
e grondante sangue umano e animale.
Skinner li aveva spostati tutti nel suo ufficio,
suggerendo loro di dormire un po’.
La
stanchezza dettata dalla paura e dall’adrenalina prese il sopravvento sulla
voglia di reagire e, a uno a uno, si addormentarono tutti.
Mulder,
steso su di un divano, stringeva a sé William e teneva la mano di Scully,
sdraiata su di una coperta sul freddo pavimento.
William
si mosse irrequieto nel sonno, svegliando Mulder.
Lo
strinse un po’ più forte al petto, per timore che cadesse addosso a Scully, che
dormiva appena sotto il divano.
Gli
posò cautamente una mano sulla fronte e sentì che scottava e che era madido di
sudore.
Provò
a scuoterlo per svegliarlo, senza risultato.
“Scully!
Scully!” la chiamò a bassa voce per non svegliare gli altri.
Il
ronfare sereno del boxer Zar sovrastava il suo sussurro, così Mulder le scosse
la mano che ancora era allacciata alla sua.
Scully
si destò di soprassalto, tirandosi a sedere immediatamente. Per un attimo le
girò la testa.
“Che
succede?” chiese allarmata.
“William
ha la febbre alta…”.
Scully
gli posò le labbra sulla fronte, constatando di persona che Mulder aveva
ragione.
Lo
guardò con aria preoccupata.
“Forse
ha preso freddo oggi…”.
Mulder
scosse la testa.
“Non
credo sia ammalato… credo sia colpa del suo potere… Secondo me sta vedendo qualcosa…”.
Scully
rabbrividì leggermente.
“Hai
freddo?” le chiese Mulder.
Scully
scosse la testa.
“Sto
bene”.
Mulder
fece per tirarsi a sedere, per fare posto a Scully sul divano, ma gli occhi di
William si aprirono di scatto e le sue labbra iniziarono a muoversi senza
sosta, come se stesse boccheggiando.
“William!
William, che succede?” Scully provò a scuoterlo.
Lui
la guardò per un momento, spalancando i grandi occhi blu, poi si tirò in piedi
di scatto, con un sorriso trionfante sulle labbra.
Mulder
lo guardò esterrefatto.
“William… cos’hai visto?”.
“Tutto!!!”
esclamò lui a voce alta, sollevando le braccia in un gesto di vittoria.
“Shhh…” lo ammonì Scully, facendogli segno che gli altri
stavano dormendo.
“Ops…” William si portò la mano alla bocca e assunse un’espressione
divertita. Poi si sedette in fianco a lei sul pavimento.
Mulder
si sistemò di fronte a loro e prese William per le spalle.
“Cosa
significa “tutto”?”.
William
lo illuminò con un sorriso estasiante.
“So
quando sarà il momento di sferrare l’attacco ai supersoldati e anche dove. Non
ho visto cosa succederà in seguito, ma ho la netta sensazione che questo
cambierà molte cose… e io spero le cambierà in meglio”.
Mulder
e Scully si guardarono.
“Ti
stavi agitando tantissimo nel sonno… ti è salita anche
la febbre…”. Scully gli mise una mano sulla fronte,
stupendosi di trovarla fresca, seppur ancora sudata.
William
la guardò cambiando completamente espressione; assunse un’aria mesta.
“Perché
ho visto che morirà ancora tanta gente… e questo non
riusciremo ad impedirlo. Gli alieni si mostreranno all’umanità, portando
terrore, dolore e morte… “.
Mulder
lo guardò intensamente.
“Sei
certo che non riusciremo ad impedirlo?”.
William
annuì convinto.
“Forse
era solo un brutto sogno…” provò a rincuorarlo
Scully, pur sapendo che le sue parole suonavano false.
Mulder
scosse la testa. E la guardò.
“Non
ti ho mai detto che, poche notti prima dell’arrivo di William ho sognato Samantha… Mi chiedeva di prometterle, testuale, che gli avrei prestato ascolto, qualsiasi cosa
mi avesse detto…
Nel
sogno non ha specificato a chi si riferisse, ma ormai sono certo che parlava di
William.
Finora
le sue “supposizioni” si sono rivelate tutte esatte…
In
più c’è il fatto che i supersoldati e i cacciatori di taglie lo stanno cercando
assiduamente.
Secondo
me sanno che i suoi poteri hanno ricominciato a manifestarsi…
e sanno anche che questo potrebbe far saltare tutti i loro piani di
colonizzazione.
Ne
sono certo. Lui sa che cosa dobbiamo fare”.
Concluse
il suo monologo con un secco assenso del capo in direzione del figlio.
William
gli sorrise, riconoscente della sua fiducia cieca.
Scully
gli accarezzò i capelli, con un sorriso triste sulle labbra.
Avrebbe
tanto voluto che non toccasse a lui… ma era sempre
stato speciale, e con questa sua caratteristica avrebbe dovuto imparare a
convivere.
“Allora
dicci… cosa dobbiamo fare?”.
William
le sorrise.
“Dobbiamo
preparare le armi, ce ne serviranno almeno 5… se poi ne sono state preparate di
più meglio. Qualcuno ne impugnerà due.
Dovremo
recarci al presidio a Mount Weather tra due giorni… esattamente il…” si
guardò attorno per cercare un calendario “… il 18 dicembre. Non chiedetemi
perché, ma è il giorno giusto, me lo sento…”.
Mulder
e Scully si guardarono, poi sorrisero a William.
“D’accordo
giovanotto” gli disse Mulder “Ora vediamo di dormire ancora un po’. Domani
spiegherai tutto per filo e per segno a tutti noi”.
Capitolo 17 *** TERZA PARTE - Martedì 18 dicembre 2012 ***
TERZA PARTE
Martedì 18 dicembre 2012
“Parcheggia
qui”.
Skinner fermò il furgone con il quale avevano deciso
di raggiungere Mount Weather, nel punto esatto in cui
William gli aveva suggerito di fermarsi, in mezzo alla foresta che costeggiava
il presidio militare.
“Siamo
esattamente ad un passo dal perimetro recintato con il laser. Qui non ci
possono vedere”.
“Ne
sei certo?” chiese Doggett.
Gibson
Praie gli mise una mano sulla spalla.
“Fidati
di lui”.
John
annuì. Era un po’ frustrante essere in auto con qualcuno che leggeva nel pensiero…
“Mi
spiace!” si scusò Gibson con una risatina. John sbuffò.
“Ok”
continuò William “Ora prendete tutta l’attrezzatura e preparatevi per scattare
verso la costruzione. Vi dirò io quando sarà il momento di agire”.
Obbedendo
a William, Mulder, Doggett, Skinner,
Gibson e Jared scesero dal furgone e indossarono
resistenti giubbotti antiproiettile e copricapo rinforzat.
Caricarono in spalla i mitragliatori, sistemandosi bene le cinture piene di
proiettili attorno al torace.
Jared si sporse dentro il furgoncino e ne estrasse
un altro.
“Qui
ce n’è uno in più… se non vi spiace me lo prendo io”.
“Ce
la fai a usarli insieme?” gli chiese Mulder.
Jared gli fece l’occhiolino.
“Ho
combattuto in Vietnam, seppur per pochissimi mesi. So come si impugnano e usano
più armi in contemporanea”.
Imbracciò
le due file di proiettili e le incrociò sul petto a formare una X, poi si mise
in spalla entrambi i mitragliatori.
Un
rombo di tuono annunciò l’arrivo di un temporale.
Quel
suono li fece rabbrividire inconsapevolmente.
Nei
due giorni precedenti, c’erano stati altri attacchi alieni, ma, questa volta,
le navi spaziali si erano rese visibili, provocando ondate di panico e
isterismo di massa.
Le
persone che non erano state uccise dai loro raggi mortali, si erano uccise tra
loro scappando, cercando una qualsiasi via di fuga…
Purtroppo l’orrore di guerre di quella portata era anche questo: il tributo
pagato in nome del terrore e dello spirito di sopravvivenza.
Il
giorno prima, alcuni alieni erano anche scesi sul suolo terrestre, e avevano
seminato il panico tra la popolazione mondiale. Hanno saccheggiato, distrutto,
rapito, ucciso…
Il
mondo stava affrontando la sua peggior minaccia senza protezione, senza preparazione… senza dignità. L’eterna domanda: esistono o meno altre forme di vita
intelligente nell’universo? aveva avuto risposta nel peggiore dei modi.
Loro
aveva trascorso quelle due notti e quei due giorni stretti in quel furgoncino.
I
luoghi che di volta in volta indicava William per fermarsi, si erano sempre
rivelati sicuri e protetti.
La
convivenza forzata in un ambiente così angusto non era stata di certo né
piacevole, né semplice, ma si erano tutti adattati, con spirito di sacrificio,
in nome di una lotta che intendevano vincere, lottando con le unghie e con i
denti. Perendo se necessario.
William
osservò il cielo, notando alcuni lampi dare bella mostra di sé nel cielo grigio
del crepuscolo.
“Ci
siamo quasi… state pronti”.
Scully
si avvicinò a Mulder e, stando attenta a non spostargli le munizioni dal petto,
lo strinse in un abbraccio carico d’amore e di tensione. Mulder si chinò a
baciarla, con un’intensità che avrebbe potuto sradicare tutti gli alberi nel
raggio di qualche miglio. Si persero entrambi, per un momento, nella dolcezza
di quell’intimo contatto.
John
e Monica fecero lo stesso.
Skinner, Jared e Gibson
distolsero, rispettosamente, lo sguardo da quelle esternazioni di amore e
congedo.
Scully
si separò riluttante dalle calde labbra di Mulder e lo guardò con occhi lucidi.
“Sta
attento, mi raccomando… io e William abbiamo bisogno
di te…”.
Mulder
le sorrise dolcemente, accarezzandole una guancia con la punta delle dita.
“Vi
prometto che tornerò…”.
Le
mise la mano alla base del collo e attirò la sua testa a sé.
Posò
per un istante la sua fronte su quella di Scully, poi le avvicinò le labbra
all’orecchio.
“So
che non te lo dico molto spesso, ma ti amo…immensamente…”.
Scully
chiuse gli occhi e sospirò.
Mulder
si staccò da lei e si guardarono negli occhi.
“Lo
so…”. Gli accarezzò la guancia un ultima volta, poi
si allontanò da lui.
William
prese il suo posto.
Si
strinse a suo padre e cercò di trasmettergli parte del suo ottimismo.
“Buona
fortuna”.
Mulder
gli sorrise, poi si allineò assieme agli altri “combattenti”.
Scully
strinse William contro il suo petto, mentre una pioggia sottile iniziò a cadere
dal cielo.
Monica
si mise al loro fianco, guardando il cielo farsi sempre più buio.
William
chiuse gli occhi per un istante.
Un
lampo squarciò il cielo e lo illuminò a giorno, seguito da un rombo di tuono
fortissimo.
Il
fulmine si scaricò a pochi metri da loro.
William
riaprì gli occhi.
“Ora!”.
I
cinque uomini presero a camminare in direzione del presidio.
Nessun
allarme scattò, nessun movimento strano indicò loro che gli occupanti di Mount Weather si erano accorti del loro arrivo.
William
sapeva che il fulmine avrebbe interrotto il sistema di difesa esterno.
Zar
uggiolò piano, osservando il suo padrone andarsene.
William
gli accarezzò la testa e, assieme a Dana e Monica, rimase a guardare le schiene
degli uomini allontanarsi, fino a che non furono inghiottite dal buio della
foresta.
Mulder
si mise in testa alla fila e fece segno agli altri di acquattarsi.
Nascosto
dietro un riparo naturale formato da piante e arbusti, osservò l’esterno del
presidio.
L’aveva
notato anche dalle foto satellitari, ma vedendolo di persona risultava più
imponente. Rispetto a10 anni prima,
quando era andato in quel luogo per scoprire la verità sull’invasione aliena,
avevano ampliato il complesso esterno aggiungendo due nuove aree chiuse.
Sembravano
enormi casali di impronta colonica, ma era pronto a scommettere che dentro
fossero dotati di tutte le tecnologie umane più avanzate…
e di buona parte di quelle aliene.
Mentre
rifletteva sul fatto che molto probabilmente l’allargamento esterno
corrispondeva nella stessa misura, se non maggiormente, ad un ampliamento nel
sottosuolo, due persone uscirono dalla parte laterale della costruzione di
sinistra.
Mulder
fece segno ai compagni di non fare rumore e affinò lo sguardo. Dalla
corporatura sembravano due uomini, statura alta e spalle larghe. Mentre cercava
di vedere altri particolari, uno dei due iniziò a trafficare con una specie di
interruttore posto sul fianco della parete esterna.
Gibson
si avvicinò a Mulder, silenziosamente.
“Stanno
constatando che la corrente ancora manca, almeno all’esterno. Il fulmine ha
messo fuori uso l’alimentatore”.
Guardarono
uno dei due uomini sporgersi all’interno e lo sentirono urlare qualcosa di
incomprensibile.
“Sta
dicendo agli altri che non funziona ancora nulla…”.
L’uomo
che era rimasto fermo all’esterno, si guardò attorno, con aria annoiata.
La
pioggia iniziò a scendere insistentemente, rendendo difficoltosa la visuale.
In
pochi istanti si ritrovarono zuppi e infreddoliti, ma non potevano ancora
muoversi, non vedendo quasi ad un palmo dal loro naso. L’uomo del presidio era
diventato un’ombra priva di contorni definiti.
Gibson
toccò il suo braccio sinistro.
“L’altro
sta per tornare in superficie, forse hanno aggiustato il guasto”.
L’altro
uomo uscì e riprovò a premere sugli interruttori.
Il
tipico ronzio dell’elettricità statica si unì allo scrosciare della pioggia e
una serie di lampade semplicissime si illuminarono. Erano appese a dei cavi
elettrici, che univano le sommità dei tre edifici formanti il presidio di Mount
Weather.
Una
luce ambrata e artificiale illuminò la zona circostante, permettendo ai cinque uomini
di vedere meglio.
Le
linee nette formate dalle gocce di poggia cadenti assomigliavano ad un fitto
reticolato che circondava la zona.
Mulder
si voltò verso l’interno della foresta, nella direzione da cui erano venuti,
capendo che anche la protezione ai raggi laser, molto probabilmente, era stata
ripristinata.
Ora
erano… in trappola.
Potevano
solo sperare di fare una strage di supersoldati… o di
morire nel tentativo.
Ma
quest’ultima opzione non era contemplata, almeno non per lui, che aveva fatto
una promessa alle due persone cui teneva di più al mondo, e non aveva nessuna
intenzione di infrangerla.
I
due uomini all’esterno del presidio indossavano divise mimetiche sui toni
dell’arancione e sembravano davvero dei militari, soprattutto per il loro
portamento fiero ed eretto.
Gibson
lesse nel pensiero di Mulder e scosse la testa.
“Sono
supersoldati… lì dentro sono tutti supersoldati…” disse le ultime parole in tono monocorde,
come se fosse stanco e scoraggiato.
“Che
intendi?” chiese Doggett.
Gibson
fece un segno con la testa in direzione del presidio.
“Gli
umani, gli uomini del governo ombra, sono rinchiusi in specie di celle sotterranee… Sono denutriti, vivono al buio, in uno spazio
molto ristretto… assieme ai loro bisogni corporei…
Due
di loro sono morti nelle scorse settimane…”.
Si
voltò verso gli altri.
“Questo
si guadagna a prendere le parti del nemico…”.
Skinner abbassò il capo, come se si vergognasse,
invece Jared alzò le spalle in un gesto indifferente.
“Ben
gli sta…” sussurrò a voce talmente bassa che lo sentì
solo Mulder, che gli era accovacciato di fianco.
“Bene…” disse Mulder per interrompere quella situazione di
stallo “… Gibson, hai una panoramica della situazione all’interno? Come
consigli di procedere?”.
Gibson
annuì.
“Facciamo
fuori quei due all’esterno e poi entriamo dalla porta dalla quale loro sono
usciti. Il sottosuolo è un’unica enorme stanza… lì
inizieranno i giochi!”.
Mulder
assentì con un gesto secco.
“Pronti?”.
Un
sì convinto fece eco alla sua
domanda.
“Allora
si aprano le danze!”.
Come
fossero stati un’unica entità, i cinque uomini si alzarono e si misero a
correre verso i due supersoldati che stavano maneggiando una cassa di legno
dall’aria pesante.
Quando
sentirono i pesanti passi della corsa della squadra capeggiata da Mulder
schizzare fango ovunque si girarono, pronti allo scontro, ma furono investiti
da una raffica di proiettili alla magnetite.
Sui
loro volti si dipinse un’espressione di totale incredulità prima che i loro
corpi esplodessero in milioni di granelli di polvere di metallo.
Mulder
sorrise raggiante verso i suoi compagni. Fino all’ultimo aveva temuto che il
loro piano non avrebbe avuto esiti positivi. Temeva che sarebbero serviti troppi
proiettili per uccidere singoli supersoldati, invece, seguendo il consiglio di Kryceck, aveva mirato ai punti vitali, uccidendo
velocemente il supersoldato che aveva acceso le luci all’esterno. Si stupì
anche di avere ancora una mira così precisa, dopo tanti anni senza impugnare
una pistola.
Silenziosamente,
ma velocemente, si avvicinarono alla porta arrugginita.
Mulder
si mise sul fianco destro, Doggett sul sinistro.
Si
guardarono e si scambiarono un segno d’assenso col capo.
Poi
Mulder alzò la mano davanti al volto.
3…
2…
1…
Un
calcio ben assestato contro la porta.
La
porta cedette con un gran fragore, ma a loro non importava.
Dall’interno
si sentirono arrivare voci e movimenti concitati.
Fu
un sollievo, quando entrarono, non sentire più la pioggia martellare
incessantemente sui loro corpi. Il suo rumore scrosciante si udiva debolmente
all’interno dell’edificio, e creava un effetto di sottofondo adatto ad un luogo
romantico.
Mulder
sorrise del suo pensiero incoerente.
Il
gruppo si mosse con movimenti coordinati lungo un buio e stretto corridoio che
si snodava in discesa. L’ambiente trasudava il nauseante odore di muffa e di
chiuso. Goccioline di umidità cadevano sul capo degli uomini, contribuendo a
bagnare le loro teste già fradice.
Verso
la fine di quello stretto tunnel si scorgeva una minuscola luce splendente, segno
che l’uscita era ancora molto lontana. La sua luminosità venne presto oscurata
dall’arrivo di un gruppo di supersoldati armati.
Senza
attendere, Mulder iniziò a sparare.
I
supersoldati riuscirono a rispondere al fuoco per pochissimi secondi, prima che
le loro membra si irrigidissero nell’attimo precedente la morte.
L’oscurità
non aiutava di certo la mira, perciò servirono molti più proiettili per
disintegrare quel gruppo formato da quattro elementi.
Jared si mise al fianco di Mulder e, con i suoi
due mitragliatori, falciò tre supersoldati che arrivarono per dare sostegno al
primo gruppo.
Il
rumore degli spari riecheggiò fastidiosamente lungo le pareti.
“Fate
attenzione alla polvere sul pavimento!” Mulder gridò le sue parole mentre
correva verso la fine del tunnel. L’eco della sua voce rimbalzò un paio di
volte, poi si perse nell’aria stantia.
Quando
arrivarono alla fine dello stretto corridoio, i loro occhi si strinsero per un
momento. L’intensità della luce all’interno del bunker era davvero accecante,
soprattutto per le loro iridi, abituate all’oscurità del tunnel.
Quando
i loro occhi si abituarono al riverbero, una serie di colpi di pistola arrivò
rasente i loro corpi..
Istintivamente
si abbassarono ed iniziarono a sparare.
Un
gruppo consistente di supersoldati venne loro incontro. Impugnavano armi
d’ordinanza militare e sparavano con l’intento di uccidere.
I
proiettili alla magnetite che li raggiungevano, anche se non in punti vitali,
avevano il potere di rallentarli, di farli vibrare di dolore, cosicché la loro
presa sulle pistole risultava precaria e inconsistente e i colpi sempre meno
precisi.
Quando
anche quel gruppo si disintegrò in mille piccoli granelli, Mulder fece segno di
avanzare con cautela.
“Gibson… hai una stima del loro numero?”.
Gibson
stette in silenzio per un momento, ascoltando quante più voci mentali aliene
riuscisse.
“C’è
un gruppetto formato da sei elementi che sta giungendo a noi. Gli altri sono
tutti fermi molti livelli sottostanti. Stanno lavorando su di una tavola trasparente… non vedo bene, ma non sono tantissimi, circa
una cinquantina di supersoldati… Poi ce n’è un altro
gruppetto di circa 20… sono idifensori
e ci attaccheranno se questi non dovessero riuscire a farci fuori.
Sono
leggermente ansiosi… non sanno chi siamo, né perché
gli altri non siano già riusciti a falciarci.
Non
sento altro, per ora”.
Mulder
assentì.
“Quelli
attorno al tavolo non hanno intenzione di attaccare?”.
“No,
almeno fino a quando non si riterrà necessario. Sono concentrati su qualcosa…”.
Ma
Gibson non fece in tempo a terminare la frase, perché il rumore di passi in
corsa arrivò alle loro orecchie dalla scala metallica che si trovava a pochi
metri di distanza da loro.
“Pronti
a sparare. Cercate di colpire cuore, fronte estomaco, così risparmierete proiettili”.
Doggett gli si mise in fianco, seguito da Skinner.
Mulder
fece segno a Jared di posizionarsi al suo fianco.
Guardò
Gibson.
“Tu
rimani il più nascosto possibile”, poi guardò gli altri. “Cercate di
proteggerlo”.
Gibson
sbuffò.
“Non
sono più un bambino Mulder!”.
“Lo
so” rispose secco lui “Ma rivesti un ruolo importante nella nostra operazione,
non possiamo rischiare di perderti”.
I
passi lasciarono il posto ai corpi massicci di quattro supersoldati di sesso
maschile e alle figure alte e longilinee di due supersoldati di sesso
femminile.
Erano
due ragazze di bellissima presenza, visi d’angelo, su corpi perfetti, visibili
anche sotto la divisa militare che indossavano.
Un
bel trucchetto per ingannare ignari esseri umani…
Le
mitragliatrici iniziarono a sputare proiettili modificati addosso ai sei
nemici, che ebbero appena il tempo di sparare alcuni colpi di pistola, prima
che i loro colpi divenissero incontrollabili.
Mentre
i suoi compagni si disintegravano, uno dei supersoldati, colpito di striscio al
braccio, si spostò di lato, tentando una manovra evasiva, ma Jared, che teneva d’occhio la situazione con entrambe le
sue appendici armate, lo vide allontanarsi e sparare.
Il
proiettile del supersoldato lo colpì dritto al cuore. Jared
sentì una forza enorme spingerlo indietro e un dolore lancinante al petto.
Gibson
corse in suo soccorso distruggendo il supersoldato che l’aveva colpito.
Si
inginocchiò di fianco a lui e lo aiutò a farsi forza per rialzarsi.
Jared era sicuro che gli si fossero incrinate
alcune costole, il colpo era stato parato da una distanza piuttosto
ravvicinata. Il giubbotto aveva protetto i suo torace, ma il contraccolpo era
stato decisamente potente.
“Tutto
ok?” si informò Mulder.
Jared si tirò in piedi con una smorfia di dolore,
ma con il pollice alzato gli fece cenno che era tutto ok. Si fece forza e
proseguì con il suo gruppo.
Scesero
le scale dalle quale erano arrivati i supersoldati, armi spianate, sguardi
attenti.
I
cinque uomini si guardarono attorno.
L’ambiente
era molto grande, ma molto spoglio, almeno nel primo livello.
A
molti metri di distanza, sotto di loro si scorgevano macchinari e aggeggi
dall’aria arrugginita.
Mulder
indicò un punto sotto di sé.
“Riconosco
quella specie di pontile di ferro… E’ da dove ho
buttato KnowleRoher sui
fili dell’alta tensione sottostanti… Abbiamo già
percorso tutta questa strada?”.
Doggett si guardò intorno.
“Il
tunnel iniziale era molto lungo, probabilmente si snodava per molti metri… I macchinari là sotto, però…”
e con un gesto del mento indicò il punto sottostante “… sembrano in disuso da
un bel po’…”.
Mulder
non poté che concordare. Sembravano cimeli risalenti alla seconda guerra
mondiale. Eppure, quando vi era entrato, 10 anni prima, erano funzionanti e
all’avanguardia.
Molto
probabilmente, erano stati abbandonati per macchinari tecnologicamente molto
più avanzati di natura aliena.
“Gibson”
lo chiamò piano. “Riesci a vedere com’è fatto quel tavolo sul quale sta
lavorando il gruppo di supersoldati?”.
Gibson
si concentrò, chiudendo gli occhi per vedere meglio le immagini che scorrevano
nella mente degli alieni.
“E’
di grandi dimensioni. Quadrato, o rettangolare, non capisco bene. E’ bianco, semitrasparente… appena sotto la sua superficie scorgo dei
simboli, dei numeri… sembrano coordinate, ma non ne
sono certo.
Li
muovono con le mani, tipo quel film con Tom Cruise, vi ricordate? MinorityReport…”.
Aprì
gli occhi, scuotendo la testa.
“Non
riesco ad essere più preciso. Le menti sono troppe, è un brusio di voci e un
sovrapporsi di immagini… mi mettono in confusione…”.
Skinner gli mise una mano sulla spalla.
“Va
benissimo così, tranquillo”.
Mulder
sottolineò le parole del vicedirettore scoccandogli un sorriso di gratitudine.
Proseguirono
lungo una serie di pontili di metallo, sospesi su profondi scavi. Alcuni punti
erano molto arrugginiti, poco curati, ma mentre si inoltravano verso livelli
più profondi, le scale e i pontili iniziarono a farsi più curati, più moderni.
Il materiale con cui erano costruiti assomigliava molto al metallo, ma al tatto
appariva caldo. La sua consistenza era la medesima del ferro, ma aveva qualcosa
di diverso, sembrava quasi malleabile.
“Ma
che cos’è?” chiese Doggett, mentre provava a buttarsi
con tutto il peso contro la balaustra. Questa si modellò contro il suo corpo,
respingendolo.
“Accidenti!”
Jared sputò quell’esclamazione di stupore con una
smorfia di dolore. La sua mano salì a massaggiarsi le costole.
“Tecnologia
aliena?” chiese Skinner, grattandosi una guancia
ancora umida di pioggia e sudore.
Mulder
si strinse nelle spalle.
“Deduco
di sì… Se questa storia finisce bene sarà meglio che
ce la facciamo prestare… Possiamo usarla per
fabbricare auto, guardrail… ci sarebbero meno
incidenti mortali!”.
Mentre
proseguivano lungo il cammino che li avrebbe condotti faccia a faccia con i
supersoldati e i loro piani di conquista, iniziarono a fantasticare su tutte le
applicazioni che quello strano materiale avrebbe potuto avere nel loro mondo
umano.
Quelle
piccole fantasie servirono a stemperare un po’ la tensione che li aveva
accompagnati da quando erano scesi da quel furgone. Erano consapevoli dei
rischi che comportava la loro operazione, ma sapevano anche che essere troppo
tesi avrebbe solamente contribuito a far fare loro qualche passo falso.
Il
peso delle mitragliatrici e delle cinture piene di proiettili bastava a
ricordare loro il terribile fardello che gravava sulle loro coscienze. Non si
trattava delle loro vite soltanto, si trattava delle vite dei loro cari, delle
loro famiglie, e di miliardi e miliardi di altre persone sparse per tutto il
globo.
Non
si aveva ancora una stima precisa del numero di vittime complessive che gli
attacchi alieni dei giorni scorsi avevano mietuto. La radiolina portatile che
avevano con loro non dava notizie molto particolareggiate, anche perché erano
davvero poche le stazioni che ancora trasmettevano.
Le
televisioni, ormai, erano pressoché mute e piene di solitarie righe grigie.
Nessuno se la sentiva più di trasmettere telegiornali. Nessuno se la sentiva
più di perdere istanti preziosi di vita incollato alla televisione.
Mano
a mano che la squadra, denominata Ouroboros,
proseguiva, uno strano odore arrivò alle loro narici. Quasi tutti i nasi si levarono
in aria, annusando, tentando di capire.
“Lo
sentite quest’odore?” chiese John.
“Si…” rispose Skinner “E’ molto
dolce, mi brucia quasi il naso” e a sottolineare le sue parole se lo sfregò
energicamente.
“Avete
mai sentito qualcosa di simile?”.
Nessuno
rispose.
Mulder
stava riflettendo. Quell’odore non gli era nuovo, ne era certo. Era sicuro
d’averlo già sentito da qualche altra parte, ma non ricordava né dove, né in
quale contesto, né a cosa appartenesse.
Il
passo rapido di un’altra squadriglia di supersoldati interruppe le sue
elucubrazioni.
“Ci
risiamo! Mi sembra di essere dentro il gioco di ResidentEvil! Cammini per un po’ tranquillo, poi arrivo lo
zombie a guastarti la festa!” commentò Mulder, mentre impugnava stretto il
mitragliatore, imitato da tutti gli altri.
Iniziarono
a sparare non appena le sagome dei supersoldati si fecero avanti.
Avevano
preso tutti confidenza con il grilletto della mitragliatrice e il suo lieve
rinculo. I proiettili mortali finirono quasi tutti nei punti vitali degli
alieni, prima che questi riuscissero a sparare un colpo.
Quando
anche l’ultimo dei supersoldati morì, un rumore di mani che urtano tra di loro
rimbombò nell’aria.
“I
miei complimenti!”.
Una
voce che Mulder conosceva bene arrivò alle loro orecchie, prima che la sagoma
di Billy Miles, a braccia alzate, in segno di resa,
facesse la sua comparsa.
Calpestò
con aria divertita i resti polverosi dei suoi compagni alieni, poi rivolse un
sorriso beffardo a Mulder.
“Ci
rivediamo Mulder…”.
“Non
posso dire che sia un piacere… Ti è ritornata la
voce? Le ultime volte che ti ho visto eri piuttosto taciturno…”
rispose Mulder ironicamente.
Billy
abbandonò le braccia lungo il busto e alzò le spalle in un gesto indifferente.
“Parlo
solo se necessario…” sorrise con gli angoli della
bocca.
Mulder
scoccò la lingua, con aria falsamente incuriosita.
“Ne
deduco che tu abbia qualcosa da dire…”.
Billy
annuì, poi sospirò con aria mesta.
A
John e Skinner tutta questa messinscena non piaceva
per nulla. Li innervosiva.
“Devo
comunicarti, con mio grande rammarico, che tu e i tuoi amici non state godendo
della simpatia dei miei superiori… proprio per niente…”.
“Sono
desolato…” rispose Mulder.
“Già… ma vedi… non è molto saggio
inimicarsi persone del calibro dei miei superiori. Sono qui per condurvi da loro… per un’offerta… di pace”.
Mulder
rise di gusto. La sua risata profonda e leggermente rauca per via dell’alto
tasso di umidità presente in quel luogo, echeggiò tra le pareti di roccia e
raggiunse le orecchie dei supersoldati assiepati attorno al tavolo, pochi metri
sotto di loro.
Le
poche guardie rimaste al fianco dei supersoldati di grado superiore si
guardarono incuriosite. Non erano abituati a essere dei facili bersagli per
fragili e stupidi umani. Il coraggio di quei cinque uomini li lasciava
interdetti, e leggermente irrequieti.
I
loro superiori sembravano non curarsi troppo della strana situazione che si
stava piano piano avvicinando a loro. Erano troppo
concentrati sui loro piani di colonizzazione per distrarsi.
Dalle
celle stipate pochi gradini sotto di loro, giunse il lamento di un uomo. Seguì
un tonfo sordo. Un altro gemito di dolore, poi più nulla.
Billy
guardò Mulder con un luccichio divertito negli occhi.
“Non
mi credi?”.
“Per
niente! Però ti trovo molto divertente!”.
Billy
Miles rispose con una smorfia indispettita.
John
sbuffò sonoramente e si mise davanti a Mulder e Gibson, spalleggiato da Skinner. Jared si spostò
leggermente di lato, in modo da proteggere il più giovane fra loro.
“Sai
che ti dico?”. Doggett gli si rivolse con tono
annoiato. “Mi hai stancato!”.
Premette
il grilletto quattro o cinque volte, gli occhi puntati sul corpo di Billy Miles. Vide il suo volto farsi grigiastro, metallico, poi
lo vide tremare e esplodere in mille granelli di polvere.
Mulder
scosse la testa.
“Come
sei maleducato… stavamo conversando…”.
Iniziarono
ad incamminarsi verso l’ultima rampa di scale, che li avrebbe condotti faccia a
faccia con i restanti supersoldati.
Gibson
accelerò il passo e posò una mano sulla spalla di Mulder.
“Aspetta… “.
“Cosa
c’è Gibson?” Skinner gli si mise di fronte e lo
scrutò con aria preoccupata.
“Questi
sono molti di più dei piccoli gruppetti con cui ci siamo scontrati fino ad adesso… e molto più potenti. Credo siano anche dotati di poteri
telecinetici. Dobbiamo fare molta attenzione…”.
Doggett proseguì con aria risoluta.
“Lo
sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata, finora c’era andata fin troppo bene… Forza!”. Fece loro segno con la mano di seguirlo.
Mulder,
mentre avanzava assieme agli altri, si concesse un istante per pensare a Scully
e a William.
Erano
al sicuro là fuori? Stavano bene? Avevano freddo? Erano al riparo?
Mille
pensieri, mille preoccupazioni, mille immagini gli si affollavano nella mente.
Tutti
i preziosi momenti passati con Scully -non solo da quando stavano assieme, ma
appartenenti anche alla loro vita da semplici colleghi dell’FBI- iniziarono a
sovrapporsi all’immagine di William. Il suo visetto di neonato, in quegli unici
due giorni che gli erano stati concessi per stare assieme si mescolava al volto
di piccolo adulto che si era abituato a vedere in quelle ultime settimane.
E
Scully. Ancora Scully.
Il
suo angelo, la sua vita, la sua forza. Il suo amore.
Si
riscosse quando, senza accorgersene, andò a sbattere contro la schiena di Jared.
Il
gruppo si era fermato.
Davanti
a loro una schiera di supersoldati sbarrava loro la strada.
Allungandosi
leggermente sulle punte dei piedi, Mulder vide che, dietro il muro alieno,
c’era il famoso tavolo di cui aveva parlato Gibson. Attorno vi era circa una
decina di supersoldati.
Questo
significava che molti di loro avevano abbandonato la loro postazione
“privilegiata” per combattere.
I
loro volti erano tesi, ma agguerriti. Uomini e donne, schierati uno di fianco
all’altro, li guardavano con aria di sfida, ma anche con una buona dose di
curiosità.
La
prima fila, formata da circa una ventina di elementi, impugnava armi che Mulder
e gli altri non avevano mai visto, se non nei film di fantascienza.
Le
linee retrostanti, invece, erano formate da supersoldati vestiti in abiti
civili e non impugnavano nessun’arma, ma a Mulder fecero scorrere dei brividi
lungo la schiena.
Non
erano i volti inespressivi dei supersoldati che era abituato a vedere… Questi avevano un luccichio malvagio che accendeva
le loro pupille scure e un ghigno appena accennato che tendeva le loro labbra.
Non
seppe dire bene perché, ma gli fecero correre un brivido di puro terrore lungo
la schiena.
Senza
dire una parola, i supersoldati in prima linea alzarono le loro armi.
“Tutti
giùùùù!!!” Mulder urlò l’ordine a squarciagola, e,
mentre rotolava assieme agli altri sul pavimento e iniziavano a sparare contro
gli alieni, lampi verdi e violetti iniziarono a saettare sopra le loro teste. I
punti in cui si andavano a schiantare esplodevano con un gran fragore. La
roccia della caverna fu ben presto piena di buchi e crepe. Il raggio viola
provocava delle vampate infuocate, prima di scheggiare il muro, mentre il verde
congelava la parete, disintegrandola.
Cercando
di non venire colpito da un raggio vagante, John si alzò e si spostò sulla
sinistra, in modo da controllare il gruppo di combattenti da un’altra
angolazione.
Mentre
uccideva il più vicino dei supersoldati, il raggio violetto scagliato durante
il tremore da quest’ultimo, lo sfiorò all’avambraccio sinistro. Immediatamente
la pelle iniziò a scottargli e prese fuoco, incendiando anche la manica del suo
giubbotto.
Il
dolore lo fece urlare a squarciagola, attirando su di sé l’attenzione dei
supersoldati ancora in vita.
Mulder
si accorse della situazione e iniziò a sparare a più non posso.
“Aiutate
Doggett! Io vi copro!”. Si abbassò appena in tempo
per schivare un raggio verde che gli saettò sopra i capelli.
Impugnò
saldamente il mitragliatore e si tirò in piedi velocemente. Iniziò a sparare a
raffica, avendo cura di uccidere i nemici in velocità. Con la coda dell’occhio
vide Skinner togliersi il cappotto e sbatterlo
ripetutamente sul braccio infuocato di Doggett. Jared era dietro di lui e lo aiutava ad annientare i supersoldati,
mentre Gibson si assicurava cheJohn rimanesse
fermo.
Mulder
vide un raggio verde dirigersi inesorabilmente verso il petto di Jared. Dubitava che i giubbotti antiproiettile avrebbero
aiutato con armi di quel tipo.
Senza
pensarci si tuffò su di lui e lo buttò a terra, appena un attimo prima che il
raggio li investisse.
“Grazie…” sussurrò Jared.
Mulder
si tirò in piedi, stando bene attento a non incorrere nella traiettoria di un
gruppo di raggi di entrambi i colori e riprese a sparare, uccidendone due con
pochi colpi.
“Fa
fuori questi bastardi e sarò ampiamente ripagato” gli rispose Mulder,
ansimando.
Jared lo prese in parola e iniziò a far fuori
quanti più supersoldati poté.
Skinner, accertatosi che Doggett
stava bene, ritornò in prima linea e aiutò gli altri due a terminare il lavoro.
Quando
anche l’ultimo raggio viola andò a morire, in un alone di fuoco, contro la
parete rocciosa, poterono tirare un sospiro.
Almeno
la prima linea dei soldati armati era stata distrutta.
John
si tirò in piedi e recuperò la sua arma. Gibson lo osservò, per accertarsi che
non avesse bisogno di aiuto, poi si allinearono ai loro compagni, davanti al
plotone dei supersoldati disarmati.
Questi
strinsero leggermente gli occhi.
Nello
stesso istante le loro mitragliatrici iniziarono a tremare tra le loro mani.
Una forza invisibile iniziò a tirarle, a cercare di strappargliele di mano.
Mulder
strinse i denti. E osservò attentamente i volti dei supersoldati.
Facendo
forza sulla sua arma, nel tentativo di tenerla tra le sue mani, si accorse che
gli occhi degli alieni non erano puntati sulle armi, bensì nei loro occhi.
Forse
la sua deduzione era sbagliata, forse aveva portato i suoi amici in un campo di
battaglia dal quale sarebbero usciti sconfitti, ma era l’unica possibilità che
avevano.
Fece
qualche passo indietro e distolse lo sguardo dagli occhi magnetici dei
supersoldati.
All’iniziò
non cambiò nulla, ma poi, a poco a poco, la sensazione di essere in lotta con
una forza invisibile che lo voleva disarmare cessò.
Due
dei supersoldati si staccarono dal gruppo e provarono ad avvicinarsi a lui.
Cercavano i suoi occhi.
Mulder
li chiuse, serrando forte le palpebre.
“Chiudete
gli occhi!” disse agli altri.
“Che
cosa?!” chiese Doggett, nella voce lo sforzo che
stava facendo per tenere con sé il mitragliatore.
“Chiudete
gli occhi! Non hanno poteri telecinetici, ma riescono a farti credere quello
che vogliono con lo sguardo! Gibson!!!” urlò il nome del ragazzo, poi aprì
lentamente un occhio per riuscire ad individuarlo.
Quello
che vide gli gelò il sangue nelle vene.
Gibson,
lo sguardo vacuo e apatico, stava consegnando la sua arma a uno dei
supersoldati, che lo prese poi per un braccio e lo condusse verso un piccolo
antro alla loro sinistra.
“Gibson,
nooo!”.
Vide
nello sguardo degli altri lo stesso sconcerto che stava provando lui.
Una
rabbia cieca si impossessò del suo corpo.
Dette
un’occhiata veloce al consistente numero di supersoldati, si allineò ai suoi
compagni, poi richiuse gli occhi, prima che questi potessero influire ancora
sulle sue percezioni.
E
iniziò a sparare.
Alla
cieca.
Poco
dopo, sentì il rumore ritmico delle armi degli altri unirsi al suono del suono.
Il tonfo metallico dei bozzoli dei proiettili faceva da sottofondo al fragore
degli spari e al suono attutito dei corpi alieni che esplodevano.
Aprì
gli occhi e vide che i sopravvissuti, con uno sguardo estremamente crudele sul
volto, si stavano avvicinando, le mani contratte. Se li avessero presi alla
gola non avrebbero avuto scampo.
“Indietro!!!”
urlò a squarciagola.
Il
suo gruppo obbedì senza fare domande, sempre ad occhi chiusi.
Quando
il piede di Mulder toccò lo scalino dal quale erano scesi pochi minuti prima
capì che, ora, la loro sorte era tutta riposta nella precisione dei loro spari
ciechi.
La
scala era troppo stretta per salirvi allineati e farlo in fila era un rischio. Avrebbero
potuto spararsi per sbaglio tra di loro.
“Aprite
gli occhi per alcuni istanti e prendete la mira! E sparate, sparate …”.
Il
coro delle scariche dei mitragliatori investì i loro timpani con potenza, senza
dare tregua. Le orecchie iniziarono a fischiare fastidiosamente, ma non avevano
tempo per dare peso ai loro malesseri fisici.
Mulder
aprì un occhi, mentre continuava a sparare. Vide che l’aria era satura di
polvere metallica, densa, fissa, come fosse nebbia. Il numero dei supersoldati
si era notevolmente ridotto, almeno immediatamente davanti al suo corpo.
Prese
un profondo respiro e si voltò verso i suoi compagni, per vedere se avevano
bisogno d’aiuto.
Doggett, alla sua destra, teneva gli occhi
ermeticamente chiusi e sparava con notevole precisione. I “suoi” alieni
venivano annientati con facilità.
Spostò
lo sguardo oltre e vide Skinner muovere le braccia a
destra e a sinistra, mentre le dita premevano incessantemente sul grilletto.
Scaricando
un’altra dose di proiettili contro i supersoldati, si spostò dietro Doggett e cercò di raggiungere in fretta Skinner.
La
sua mira era meno precisa rispetto a quella di John e i suoi proiettili erano
quasi terminati.
Si
incuneò tra il vicedirettore e Jared, che aprì gli
occhi per un istante, incuriosito dal suo arrivo.
“Quanti
ne mancano?” chiese.
Mulder
iniziò nuovamente a sparare, tenendo gli occhi aperti. Sentiva la forza aliena
prendere possesso delle sue capacità motorie, ma l’esiguo numero di nemici gli
permetteva di non farsi sopraffare.
“Non
molti, tenete duro…”.
Jared annuì con convinzione, si voltò, ad occhi
spalancati, verso il muro di supersoldati, impugnò strettamente le sue due armi
e sparò. Sparò. Sparò.
Il
peso dei mitragliatori iniziava a pesare sulle braccia di tutti, crampi
dolorosi cominciarono a rendere i movimenti meno scattanti e più difficili da
compiere.
Ancora pochi…
Quelle
due parole li aiutarono a resistere, a stringere i denti per inibire il dolore
alle articolazioni.
Quando
tutti riaprirono gli occhi e videro, con enorme sollievo, che erano rimasti
circa 10 supersoldati da abbattere, un urlo agghiacciante, pieno di dolore e
angoscia, un suono che non avrebbero mai più scordato per tutta la loro vita, scalzò
il momentaneo senso di rilassamento.
“Gibson!”
Mulder sentì il sangue ghiacciarglisi nelle vene.
Jared si mise a correre nella direzione in cui
prima era stato portato Gibson. Gli altri gli coprirono le spalle, uccidendo
anche gli ultimi superstiti tra i supersoldati.
Uno
spesso strato polveroso e grigiastro formava un manto sopra il pavimento di
roccia.
Attorno
al tavolo rimanevano sei supersoldati, ma nessuno, tra Mulder, Doggett e Skinner badò molto a
loro. I loro sensi erano completamenti assorbiti dalla corsa di Jared verso il piccolo anfratto nel quale era sparito
Gibson.
Così
non videro uno degli alieni piegarsi, prendere una delle armi cadute di mano ai
soldati morti, non lo videro puntarla contro la schiena di Jared…
Videro
solamente il raggio verde attraversare la sala e andare a fermarsi dritto nella
schiena di Jared.
“Nooooo!!” Mulder corse immediatamente verso di lui,
incurante dell’arma aliena puntata contro di lui.
Doggett sparò ripetutamente all’alieno prima che
questo potesse colpire anche Mulder.
Jared era immobile, un’espressione stupita dipinta
sul volto. Il suo corpo, molto velocemente si fece rigido, bluastro. Poi
divenne una spessa lastra di ghiaccio.
Cadde
a terra e si ruppe in mille schegge.
Mulder
si inginocchiò accanto ai frammenti, che ancora riportavano una vaga forma
umana, e poggiò le mani a terra, ferendosi un palmo con una scheggia tagliente.
Un
caro amico, forse il più caro che aveva avuto negli ultimi tempi, escludendo
Scully, se n’era andato. Era morto lottando per l’umanità, per persone che
nemmeno conosceva. Con coraggio, con rabbia… ed era
morto senza nemmeno avere l’onore di sapere se il suo sacrificio era valso a
qualcosa oppure no.
Un
urlo di rabbia proruppe con forza dalle sue labbra. La gola bruciò per la
potenza con cui l’aria uscì dai suoi polmoni e formò lo straziante suono
passando attraverso le corde vocali.
Skinner gli si avvicinò e lo prese per un braccio.
“Non
puoi fare nulla per lui. Doggett ha immobilizzato
l’ultimo supersoldato. Vieni”.
Mulder
si lasciò aiutare a tirarsi in piedi, lanciò un ultimo sguardo al corpo
infranto di Jared, poi cercò dentro di sé la forza
per guardare il volto ingrigito del supersoldato tenuto sotto controllo da
John.
Doggett si voltò verso di lui.
“E’
l’ultimo rimasto. Li abbiamo fatti fuori tutti. Ho pensato che potevamo
interrogarlo”.
Mulder
si avvicinò al corpo dell’uomo steso a terra e gli assestò un poderoso calcio
in mezzo alle gambe. Il supersoldato si contorse ed emise un gemito di dolore.
Mulder
sogghignò.
“Ti
fa male ora che sei debole, eh?”.
Skinner si mise a guardare i segni apparentemente
privi di senso che affollavano l’enorme tavolo dalla forma rettangolare. Poi
guardò l’alieno da sopra la superficie semitrasparente.
“Che
diavolo sono questi?”.
Doggett gli punto il mitragliatore all’addome.
“Rispondi
prima che decida di aprirti un buco in pancia… hai
idea di quanto faccia male?”.
Il
supersoldato lo guardò ansimando.
“Sono
i piani di colonizzazione del vostro pianeta” rispose semplicemente.
“Ma
cosa significano?” lo incalzò Skinner.
“Sono
per lo più punti strategici…” ansimò e poi deglutì,
seppur a fatica.
Doggett lo scosse con un piede.
“Vedi
di non morire prima di averci risposto, stronzo!”.
“Punti
di convoglio… in cui gli umani che verranno
risparmiati verranno portati, per essere contagiati dal virus e dare vita a
nuovi alieni, tantissimi alieni…” tossì una rauca
risata, che venne immediatamente interrotta da un altro calcio di Mulder.
“Nient’altro?”.
Il
supersoldato sorrise malvagiamente.
“Alcuni
verranno salvati e trasformati in ibridi, in schiavi per la nostra specie… come stanno facendo col vostro amico di là…” piegò la testa ad indicare l’anfratto nel quale era
sparito Gibson.
Come
se le parole dell’alieno l’avessero raggiunto, un altro angosciante urlo giunse
alle loro orecchie.
“Che
diavolo gli state facendo?” la voce di Mulder trasudava rabbia.
“Perché
non vai a dare un’occhiata?” gli suggerì l’alieno con un ghigno.
Mulder
si piegò fino a trovarsi con il volto a pochi centimetri da quello del
supersoldato.
“Toglimi
un’ultima curiosità… con quanta altra feccia come voi
dovremo avere a che fare?”.
La
risata roca e gutturale dell’alieno gli bastò come risposta.
Mulder
si tirò in piedi e guardò John.
“Uccidilo.
Io vado a vedere che stanno facendo a Gibson…”.
“Ma
deve ancora darci delle risposte!” obbiettò Skinner.
Mulder
scosse il capo.
“Anche
se riuscissimo a farlo parlare e a farci dire nel dettaglio i loro pani, non
riusciremo in ogni caso a contrastarli… su questo non
ci sono dubbi…”.
Skinner lo fissò per qualche istante. Fissò i suoi
occhi verdi, circondati da polvere, gocce di sudore e stanchezza. Poi annuì.
Alzò
il mitragliatore e sparò i suoi ultimi colpi sul supersoldato, polverizzandolo.
John
si mise al fianco di Mulder e spianò l’arma davanti a sé. Skinner
li raggiunse, ma prima si fermò a raccogliere il mitragliatore di Jared e i proiettili.
Con
cautela, entrarono nello stretto anfratto, scendendo alcuni scalini.
Il
posto era buio, umido. L’odore dolciastro che avevano sentito prima si
intensificava di passo in passo, mescolandosi all’odore acre di urina ed
escrementi. La puzza era insopportabile.
Alla
loro destra intravidero del movimento.
Tappandosi
il naso con la manica del giubbotto, si diressero verso quelle che sembravano
gabbie.
Gli
occhi si abituarono all’oscurità e videro che si trattava di celle delimitate
da sbarre di ferro. O almeno sembrava ferro, poteva benissimo essere qualche
tipo di materiale alieno.
All’interno
si trovavano degli uomini, due per ogni gabbia. Non riuscirono ad avere un’idea
precisa del numero di prigioni… provando a spingere
la loro visuale a destra e a sinistra, videro che un lungo corridoio si
stendeva per chissà quanti metri.
Mulder
si frugò in tasca ed estrasse la torcia.
Le
gabbie a ridosso del muro si estendevano per tutta la sua lunghezza…
Uno
degli uomini rinchiusi si avvicinò alla barriera, con fatica, trascinando le
ginocchia sul pavimento e aggrappandosi con le mani alle sbarre.
Quando
Mulder gli indirizzò sul volto la luce della torcia, questi si lamentò e si
riparò gli occhi con un braccio.
“Aiutateci… vi prego…”. La sua
voce era rauca, estremamente debole. Dovettero abbassarsi per riuscire a
sentirlo.
John,
facendosi forza contro la naturale repulsione per l’odore che quegli uomini
emanavano, si inginocchiò davanti all’uomo.
“E’
il primo ministro inglese… è ridotto male…”.
Mentre
Doggett cercava le parole giuste per rassicurare
l’uomo, Mulder si voltò nella direzione opposta. Gli era parso di cogliere un
gemito sommesso.
Con
passo silenzioso si diresse verso un’apertura nella roccia, a pochi metri di
distanza.
“Mulder,
dove vai?” Skinner cercò di bloccarlo.
“Voi
restate qui…”.
Ignorò
le loro proteste. Qualcosa gli diceva che era meglio che proseguisse da solo.
Spense
la torcia e impugnò la sua arma. Si accostò alla parete rocciosa e si sporse
per vedere all’interno. L’odore dolciastro, che ora riuscì a collegare ai suoi
ricordi, lo investì in pieno.
All’improvviso
una luce fortissima gli ferì gli occhi, costringendolo a coprirsi il volto con
una mano.
“Mulder!”
la voce di Doggett lo raggiunse.
Mulder
strizzò le palpebre per mettere a fuoco e fece segno a John e Skinner di rimanere dov’erano.
Quando
gli occhi si furono abituati alla luminosità, quello che vide lo lasciò senza
fiato.
Un
alieno lo guardava.
Un
tipico alieno grigio. La testa grande e rotonda, gli enormi occhi neri e
opachi, le lunghe braccia che terminavano con quattro dita. Era nudo, privo di
sesso, completamente glabro.
Stese
una mano verso di lui, in un chiaro invito a seguirlo.
Mulder
abbassò l’arma e lo seguì lungo un corto corridoio. Non seppe dire perché si
fidasse di lui, ma c’era qualcosa nel suo sguardo che gli faceva credere di non
correre nessun rischio.
Alla
fine del piccolo corridoio, un gruppo di circa sette o otto alieni stavano
fermi, riuniti attorno ad un lettino, nel quale era adagiato Gibson.
Sembrava
stesse dormendo.
Mulder
aprì la bocca per chiedere cosa gli stessero facendo, ma l’alieno che l’aveva
scortato fin lì gli mise una mano davanti al volto.
Possiamo
comunicare anche così…
Fu
una sensazione stranissima quella che Mulder provò. Percepì chiaramente la
“voce” mentale dell’alieno penetrare nei suoi tessuti cerebrali. Non faceva
male, non inquietava… era semplicemente una
sensazione curiosa.
Mulder
non sapeva se l’alieno poteva leggerli ugualmente nel pensiero, ma nel dubbio
pensò ad una domanda.
Cosa gli state
facendo?
Studiamo il suo cervello… è veramente strabiliante.
Mulder
venne investito da un’acuta sferzata di rabbia.
Lo state torturando!
Mi dispiace, ma è
necessario. Le sue reazioni ci dicono molto…
Siete dei
bastardi!
L’alieno
rise con condiscendenza nella testa di Mulder. I grandi occhi neri brillarono
per un momento.
E’ così diverso
dai vostri esperimenti condotti in nome della scienza?
Mulder
non seppe cosa ribattere.
Come immaginavo…
Mulder
si detestò per un momento.
Avete intenzione
di ucciderlo?
Certo che no!
Il
tono era indignato.
Ci sarà molto
utile per i nostri scopi… anche se…
Anche se?Mulder avvertì un brivido di terrore scorrergli lungo la
schiena.
Aveva
intuito perfettamente cosa l’alieno stava per dirgli…
Noi cerchiamo un
talento ancora maggiore… un talento che sarebbe in
grado di distruggerci… ma se l’avessimo dalla nostra parte…
Lasciò
la frase in sospeso, in modo che il terrore prendesse possesso della mente di
Mulder.
William…
L’alieno
annuì, di nuovo quel luccichio negli occhi.
Nello
stesso momento la terra vibrò sotto i piedi di Mulder.
Si
voltò di scatto verso l’uscita e si mise a correre più forte che poté.
Sentì
le voci di John e di Skinner chiamarlo.
Non
si fermò, disse solamente un nome.
“William…”.
Sentì
i pesanti passi dei due uomini seguirlo, ma non gli importava.
Non
gli sarebbe importato nemmeno se avesse sentito le mani degli alieni ghermirlo.
Buttò
a terra mitragliatore e cintura dei proiettili, e corse, corse, corse più
velocemente che poté.
La
terra vibrava sempre più forte sotto i suoi piedi. Inciampò, ma si rialzò
subito.
Voleva
raggiungere Scully, voleva accertarsi che suo figlio stesse bene…
Capitolo 18 *** Martedì 18 dicembre 2012 (parte II) ***
Monica,
seduta sul sedie del guidatore, girava lentamente la rotellina della radio
portatile, nel tentativo di trovare una stazione radio che non trasmettesse
solo un inquietante ronzio statico.
Provava
ormai da più di mezzora, ma nessuna voce umana aveva risposto al suo disperato
bisogno di sentire che la vita, fuori di lì, c’era ancora.
Sospirando
rassegnata la spense.
Si
votò verso il retro del furgoncino e guardò Scully, che era seduta contro lo
sportello, le gambe incrociate.
“Niente
da fare…”.
Scully
la guardò per un momento, poi tornò a prestare attenzione a William, che stava
giocando con Zar. Gli creava uno stato di apparente benessere guardare il
figlio giocare e ridere.
Ma
il suo cuore era in ansia. Non riusciva a smettere di pensare al suo uomo, ai
pericoli che stava correndo assieme ai suoi compagni…
se l’avrebbe mai rivisto.
Si
dette della stupida… forse il mondo sarebbe terminato
da lì a tre giorni, cosa importava se lo avrebbe perso in quel momento o tra
settantadue ore?
Sospirò
piano, senza farsi sentire da William, non voleva turbarlo. Almeno lui sembrava
ottimista e sereno…
Monica
la osservò, sul suo bel volto passò un piccolo sorriso di comprensione.
Scully
la guardò.
“Prima…” le disse dopo un po’ “… mentre salutavo Mulder, ho
visto che baciavi John…”.
Monica
sorrise, dolcemente questa volta.
Poi
annuì leggermente, prima di abbassare la testa.
“Si…”.
Scully
le sorrise e Monica rialzò il volto. Nei suoi occhi leggeva la preoccupazione
che anche lei provava a causa di quell’attesa senza notizie.
“Da
quando?”. Scully non intendeva essere impicciona, voleva solamente perdersi in
una storia dagli esiti positivi per qualche minuto.
Monica
alzò le spalle.
“Poche
sere prima del nostro ritorno a Washington… mentre
eravamo nel New Mexico”.
Scully
si distrasse per un momento, perché William era rotolato quasi fino a lei, nel
tentativo di schivare le carezze bavose di Zar.
William
le sorrise, poi tornò ad occuparsi del suo passatempo con il suo nuovo amico.
“Com’è
successo?” Scully si rese conto che forse sembrava troppo curiosa, così scosse
la testa.
“Scusami,
non voglio ficcare il naso… è che sto cercando di non
pensare troppo a…” lasciò la frase in sospeso. Monica
avrebbe capito ugualmente.
“Non
ti preoccupare. Fa bene anche a me parlare… “.
Sospirò, persa nei ricordi. “Non so dirti come sia successo…
ad un certo punto abbiamo sentito che era giusto, e ci siamo lasciati
trasportare dagli eventi. Chi poteva sapere quanto ci restava da vivere?
Abbiamo pensato che valeva comunque la pena di abbandonare i pesi e di
scivolare insieme in un mare di sensazioni che ci eravamo negati troppo a lungo…”.
Scully
le sorrise, in maniera solidale.
“Sono
veramente felice per voi”. Le sue parole grondavano sincerità.
Il
sorriso di Monica si ampliò.
“Ti
ringrazio. Se proprio lo vuoi sapere… io sono
estremamente felice per te e per Mulder, sono contenta che vi amiate e stimiate
ancora così tanto… Ve lo si legge negli occhi,
davvero. E da quando William è tornato tra voi… siete
completi”.
Scully
sentì un nodo di commozione stringerle lo stomaco. Sorrise a quella amica che
non aveva visto per tantissimi anni, ma che ancora le era fedele.
Ancora
si stupiva del fatto che tutte le persone che avevano interpellato si fossero
buttate a capofitto in quella pericolosa e forse inutile avventura. Senza
dubbi, senza remore.
Si
erano fidati ciecamente di loro.
Questa
fiducia incondizionata la lasciava piacevolmente colpita ed emozionata.
La
pioggia continuava a picchiettare sul laminato del furgone, producendo un
rumore incessante che provocava mal di testa. Lampi e tuoni creavano
un’atmosfera da film dell’orrore… Scully pensò che la
realtà non si distaccava molto da quelle mostruosa finzioni…
L’unica
differenza rilevante, e inquietante, consisteva nel sangue…
e nella morte. Che in quello scenario erano più veri che mai.
Monica,
con un movimento fluido, si unì a loro nel retro del furgone. Si sedette
accanto a Scully e rimase ad osservare i movimenti frenetici di William.
Continuava a nascondere una pallina di gomma al boxer, che la cercava con la
lingua di fuori e gli occhi accesi di eccitazione.
“Lo
so… mi sento una stupida…”
iniziò ad un certo punto Scully “… ma non riesco a non pensarci…
L’idea di non rivederlo più…” la voce non pronunciò nessun’altra
parola. Gli occhi completamente asciutti, ma pieni di una tristezza profonda e
radicata, strinsero il cuore di Monica, che le mise un braccio attorno alle
spalle.
“Perché
dovresti sentirti una stupida?” le chiese con tono tranquillizzante.
Scully
si strinse nelle spalle.
“Perché
è assurdo temere di non rivederlo, quando potrei perderlo tra poche ore… quando potrei perdere tutti voi…”.
Monica
la scosse leggermente.
“Provo
le tue stesse paure… è normale, e non mi sento
affatto stupida. Dana…” attese che Scully alzasse il
capo e la guardasse “Tu ami quell’uomo, non c’è nulla di male nei sentimenti
che provi…”.
“Ma
mi sento così egoista… stanno rischiando la vita
altre persone…”.
“Smettila”
le disse Monica dolcemente “Non sentirti in colpa. So che sei preoccupata per
tutti, ma è giusto che il tuo cuore ti indirizzi verso la persona che per te è
più importante… ehi!” Monica spalancò gli occhi e si
tirò in piedi di scatto, prendendo una capocciata sul tetto del furgone.
William,
che aveva ascoltato tutta la loro conversazione, ma che aveva fatto finta di
nulla, per non imbarazzare Dana, rise di gusto, additando Monica con le sue
mani piene di bava di cane.
“Ho
avuto un’idea! Perché non proviamo a rilassarci…
imitando il richiamo delle balene?” disse le ultime parole con enfasi
esagerata, spalancando le braccia e assumendo un’espressione di aspettativa.
William
sbarrò gli occhi, poi tirò fuori la lingua, con una smorfia di disgusto.
“No,
ti prego!!! Abbi pietà di noi!”.
Scully
rise divertita vedendo l’espressione disgustata del figlio. Poi rise ancora più
forte quando Zar gli si avvicinò e iniziò a guaire piano e a leccargli tutto il
viso, perché era convinto che avesse qualcosa che non andava.
Monica
rimase in piedi (semi piegata per via della sua altezza) e si godette il volto
divertito di Scully. Aveva lanciato apposta l’idea delle balene, sapeva che li
avrebbe fatti ridere.
Il
suo cuore piangeva, come quello di Scully, piangeva per la lontananza di John… ma doveva farsi forza. Se fossero crollate entrambe, William
avrebbe dovuto fare i conti con la depressione di due donne…
e non era una cosa facile da affrontare per un bambino di quasi 12 anni che ne
stava già passando troppe.
Scully
aveva tutti i diritti di essere priva di forze, dopo tanti anni in balia di una
realtà crudele, mitigata solamente dal suo rapporto amoroso con Mulder.
Ma
Monica era certa che non avrebbe ceduto, che, se ce ne fosse stato bisogno,
avrebbe tirato fuori nuovamente tutta la portata della sua vitalità.
Mentre
rifletteva su queste cose, William smise di ridere e si tirò in piedi, con
un’espressione preoccupata sul volto.
“Stanno
arrivando…”.
Scully
si tirò su, spolverandosi i pantaloni con un gesto automatico.
“Chi?
I “nostri”?” nella sua voce si notava un’inflessione rasserenata.
William
scosse la testa con aria mesta. Spinse la portiera del furgone e uscì, sotto il
battere incessante della pioggia.
“Ma
dove vai?” Scully e Monica gli corsero dietro, terrorizzate. Il boxer le seguì,
ansimante e col naso per aria. Quando le sue narici incontrarono una scia
dall’odore dolciastro, iniziò ad uggiolare.
“William,
ma cosa…?”.
William
alzò il dito verso il suo naso e le fece segno di tacere.
Un
rumore di foglie smosse attirò l’attenzione di Scully e Monica. Si guardarono
intorno. Monica estrasse la sua pistola dalla fondina.
William,
stringendo gli occhi per via della pioggia battente, si avvicinò al limitare
degli alberi, lentamente, ma con una certa sicurezza.
“William!”
Scully lo chiamò a voce bassa “Ma dove vai?”.
Lui
si voltò a guardarla e i suoi occhi avevano lo stesso inquietante bagliore che
vi aveva scorto poco prima che la casa esplodesse per mano aliena.
Monica
le mise una mano davanti al petto, per bloccarla.
“Non
posso lasciarlo andare da solo!”.
“Shh… sai perfettamente che è consapevole di ogni suo gesto”.
“Si,
ma…” le parole le morirono in gola, quando dal fitto
della foresta iniziarono ad avvicinarsi esseri di bassa statura e dalla
carnagione grigiastra.
I
grandi occhi neri dei primi in fila scrutarono William con eccitazione, con
ardore, con aspettativa.
“Oh
mio Dio… “ esclamò a voce bassa Monica, abbassando
l’arma. “Sono centinaia e centinaia… da dove sono
arrivati?”.
Scully
scosse la testa, e rimase ferma per un momento, ma poi corse verso William, a
braccia aperte, pronta a prenderlo per portarlo via dal consistente gruppo di
alieni, ma un dolore lancinante alla testa la lasciò improvvisamente senza
fiato e priva di ragionamenti lucidi.
La
sensazione le ricordava mani ghiacciate, dalle unghie lunghe come quelle di una
strega, che le stritolavano il cervello.
Urlò,
gridò. Il dolore era sordo, terribile, non lasciava scampo, se non la
consapevolezza di essere inutile e priva di difese.
Raccolse
a sé tutte le sue forze, tentando di combattere la potenza che le stava
strangolando il cervello e allungò una mano verso William, o almeno, verso la
direzione in cui pensava fosse William.
Il
dolore aumentò immediatamente d’intensità, facendola gridare, versare lacrime
brucianti. Cadde a terra, scossa da spasmi. Rantoli bassi le salivano dalla
gola.
Sentì,
come in un sogno, il cane uggiolare, poi guaire, infine piangere sempre più
forte, sempre più forte, finché divenne un lamento talmente straziante da farle
sperare che il suo tormento smettesse presto.
Come
era arrivata, all’improvviso, la terribile sensazione che qualcuno le stesse
stritolando il cranio svanì, lasciandola piacevolmente libera dal dolore. I
suoi polmoni si riempirono dell’aria fresca e umida della foresta. Anche il
cane smise improvvisamente di lamentarsi. Aprì gli occhi e lo vide tirarsi in
piedi, facendo forza sulle zampe posteriori. Scappò immediatamente a
nascondersi all’interno del furgone.
Scully
lo invidiò. Almeno lui poteva permettersi il lusso di sottrarsi all’incubo.
Sentì
le mani di Monica sorreggerla, mentre cercava di alzarsi.
Spostò
il suo sguardo nel punto dove aveva visto William prima del terribile
malessere, e ciò che le si presentò davanti agli occhi la lasciò nuovamente
senza fiato.
William
era in piedi, le dava le spalle, teneva le braccia aperte e la testa
leggermente reclinata all’indietro.
L’immenso
gruppo di alieni grigi era stanziato di fronte a lui, immobile, esterrefatto. I
grandi occhi sembravano stupiti ed eccitati allo stesso tempo.
Guardando
meglio la scena, Scully si accorse che si stavano muovendo impercettibilmente.
Si stavano avvicinando tra loro. Erano quasi pressati.
Si
voltò verso Monica con uno sguardo interrogativo stampato in volto.
“E’
William. Appena ha visto che vi stavano facendo del male…
li ha guardati intensamente, poi ha allargato le braccia. Puoi credermi o meno,
ma ho visto la sua energia, una specie di corda che li sta riunendo in un
enorme cerchio…”.
Gli
alieni sembravano stringersi tra loro sempre di più. Dal punto di vista di Scully
e Monica sembravano tanti puntini neri che spiccavano su un enorme cerchio
dalle sfumature grigiastre.
William
alzò le braccia con un movimento lento e le portò sopra la testa.
Gli
abeti iniziarono a scuotere i loro lunghi rami pieni di aghi, le radici
uscirono piano piano dal terreno e si allargarono
sopra il suolo. Poi, con un movimento che la natura terrestre avrebbe reputato
impossibile, si piegarono sopra le teste degli alieni, che li guardavano
attoniti, e formarono una specie di volta sempreverde sopra di loro.
“William…” Scully provò a chiamarlo, ma il ragazzino era
troppo concentrato nella sua opera.
Quando
il movimento dei tronchi si arrestò, William rilassò le braccia contro il busto
e si voltò verso di lei. Gli occhi erano ancora accesi da quella strana e
sconvolgente luce brillante.
“Mi
spiace mamma, avrei dovuto prevedere che ti avrebbero attaccata…
ti ha fatto molto male?”.
“Ora
è passato…William… che
stavi facendo?”.
“Cerco
di renderli inoffensivi, almeno fisicamente. La potenza delle loro menti è stupefacente…”.
Scully
lo osservò accigliata.
“Riesco
a sentirli, sento i loro pensieri e loro sentono i miei…
solo che io sono più forte!” disse queste ultime parole con un fervore soddisfatto.
Scully
si avvicinò a lui, lentamente, tenendo d’occhio i movimenti degli alieni.
“Non
preoccuparti...” la rassicurò William “… sanno che posso friggergli il cervello
quando mi pare e piace, non ti faranno nulla”.
“Ma
io sono preoccupata per te, non per me…”.
William
la guardò con espressione estremamente seria.
“Non
devi. So quello che faccio… sono nato per essere qui
in questo preciso momento, per cercare di salvare la vita su questo pianeta.
Lasciami fare…” le parole furono pronunciate con un
tono pacato e calmo, ma gli occhi risplendevano di determinazione. E come a
sottolineare le sue argomentazioni, mosse una mano. Rivolse il palmo verso il
terreno e spinse, con forza, come se stesse schiacciando qualcosa.
Un
lamento dal suono metallico uscì dalla piccolissima bocca di un alieno in prima
fila. Scully vide le sue gambe cedere sotto un peso invisibile.
Guardò
suo figlio.
“Basta… ho capito…”.
Lui
la guardò annuendo e lasciò cadere la mano. L’alieno si rimise in piedi,
seppure a fatica.
Premendosi
una mano davanti alla bocca, Scully arretrò tra le braccia di Monica,
soffocando i singhiozzi che l’ansia le stava spingendo su per la gola.
William
si sentiva strano, ma perfettamente padrone di sé stesso.
Percepiva
una forza nuova fluirgli sotto i muscoli, dentro le vene, raggiungere tutti i
punti vitali. Il suo cuore pompava adrenalina, energia, i suoi nervi erano tesi
nel percepire ogni minimo cambiamento nell’aria intorno a lui, la sua mente era
allineata con quella del cospicuo gruppo alieno che li voleva attaccare.
I
loro pensieri erano compatti, ragionavano come un unico essere pensante e per
lui era semplice ascoltarli.
Vedeva
chiaramente i piani di colonizzazione fluire tra i loro ricordi vividi.
Dopo
che l’iniziale piano di contagiare tutti gli umani con l’epidemia di olio nero
era stato smantellato, avevano deciso di attaccare direttamente l’umanità,
mostrandosi agli uomini del pianeta senza indugi. Ma prima occorreva
terrorizzarli, fare in modo che si sentissero impauriti, soli, persi, senza
protezione.
Avevano
attaccato i presidenti che avevano osato ribellarsi alla loro invasione non
solo per vendetta, ma anche per seminare il panico, l’impotenza, l’insicurezza
tra la popolazione.
Il
secondo attacco, quello diretto sulla gente comune, aveva avuto il compito di
creare, attraverso la morte, quello stato di caos, dettato dal terrore e
dall’istinto di sopravvivenza, che avrebbe permesso loro di rapire, torturare,
uccidere molto più facilmente.
Loro,
gli alieni che ora si trovavano dinnanzi a lui, erano il frutto delle vittime
degli incidenti ferroviari, stradali e metropolitani che avevano sconvolto il
mondo poco più di un mese prima.
Erano
usciti a viva forza dai corpi dei loro ospiti terrestri, per lo più barboni,
senzatetto o malati terminali, ed erano stati sistemati nel presidio dai supersoldati,
dove, dentro vasche piene di un particolare liquido semi trasparente, avevano
abbandonato la pelle verde che li aveva protetti al momento della “nascita” e
avevano assunto il loro naturale e attuale aspetto.
Un
esiguo gruppo di loro si trovava ancora al presidio.
William
vide, attraverso i loro pensieri, che erano intenti a fare veloci esperimenti
sul cervello di Gibson. Sentiva anche la confusione degli spari…
William
si rabbuiò quando vide la sofferenza solcare il volto di Gibson.
Guardò
gli alieni con rinnovata rabbia.
Che gli stanno
facendo?
Lo studiano… studiano le sue considerevoli capacità…
Quello che
vorreste fare con me? William sogghignò con l’angolo della bocca.
Il
piccolo alieno fece uno strano movimento con la boccuccia. William comprese che
stava sorridendo.
Oh no! Tu sarai
la nostra arma per la vittoria!
William
si mise a ridere di gusto, attirando la curiosità e la preoccupazione di Dana e
Monica.
Io non credo
proprio!
Non potrai opporti…
Staremo a
vedere! Intanto siete immobilizzati…
Ma possiamo
usare altri tipi di forza…
William
percepì chiaramente la forza fluire dalle loro menti, come un unico blocco di
cemento che veniva lanciato da una considerevole altezza e che gli piombava
addosso, ad una velocità elevatissima.
Avvertì
la stoccata di dolore lambirgli il cervello, ma strinse i denti, e raccogliendo
tutta l’energia che albergava dentro il suo corpo, creò uno scudo attorno a sé.
Ispirando
profondamente chiuse gli occhi. Portò le braccia davanti al petto e abbracciò
l’aria.
Poi
riaprì gli occhi e spinse con potenza inaudita l’invisibile palla di forza che
galleggiava intorno al suo corpo verso il gruppo alieno.
Un
lamento metallico, sottile, ma penetrante, come un ultrasuono, uscì dalle
piccole bocche e ghermì l’aria satura d’umidità della foresta.
Un
lampo illuminò la scena e un tuono potente sovrastò le loro grida di dolore. La
pioggia scese sempre più fitta.
William
sorrise, sardonico.
Mi sa che mi
avete sottovalutato…Alzò un sopracciglio
in un gesto beffardo, a sottolineare il suo pensiero.
Gli
alieni non gli risposero, ma iniziarono a pensare all’unisono al mondo che
avevano intenzione di creare non appena la razza umana fosse scomparsa.
William
non si stupì più di tanto. Erano scene che aveva visto e rivisto in molti film
di fantascienza.
Macchine
volanti, palazzi dall’aspetto ultratecnologico, robot come animali domestici…
Mi state
prendendo in giro? Credo abbiate visto troppi film spazzatura…
Il Quinto elemento non mi è mai piaciuto!
Le
immagini cambiarono.
Vide
desolazione, morte.
Cadaveri
umani e animali sparsi lungo i cigli delle strade. Corpi in putrefazione,
mosche e insetti che vi ronzavano attorno. Fosse comuni piene di corpi
devastati, alcuni avevano parti aliene al posto delle braccia, delle gambe o
della testa.
Umani
ridotti in schiavitù, privi di coscienza, alla mercé degli alieni, ridotti a
nutrirsi dei loro simili deceduti…
Case
distrutte, strade abbandonate, fiumi rigurgitanti cadaveri…
E
il cielo non esisteva più.
Enormi
navi spaziali piene di attività oscuravano il sole, rendendo il pianeta freddo,
arido… morto.
Preferisci
questa visione?
William
digrignò i denti. Sentiva la rabbia montargli nel petto come un fiume in piena.
Ma
sentiva anche che questo non andava bene, che se avesse permesso ai sentimenti
negativi di prendere il sopravvento sulla sua razionalità, avrebbe rischiato
seriamente di perdere uno scontro con loro.
Uno dei tuoi
amici è morto…
Lo so! L’ho
percepito mentre ascoltavo i vostri pensieri di merda!
Prese
qualche respiro profondo, per provare a calmarsi, ma era impresa tutt’altro che
semplice…
Si
voltò verso sua madre e Monica e cercò nei loro volti lo stimolo a calmarsi.
Il
volto di Dana era una maschera di stanchezza, ma la determinazione che vi
leggeva sotto lo fece sentire orgoglioso di essere figlio di una donna così
forte.
Monica
era illeggibile, si ritrovò a chiedersi cosa stesse pensando…
Questo
bastò a calmarlo quel tanto che bastava per essere nuovamente in grado di
affrontare uno scontro con la razza nemica.
Sospirò
e le guardò con aria grave.
“Jared è morto…”.
Le
labbra di Monica ebbero un guizzo, l’espressione di Dana si fece seria e
triste. E preoccupata.
“Gli
altri stanno bene?” chiese Monica, anticipando Dana di pochi secondi.
“Si… tranne Gibson… è stato
catturato e ora è nelle grinfie di questi stronzi…” mosse
il pollice in direzione del gruppo alieno, a sottolineare le sue offensive
parole.
“Che
gli stanno facendo?” chiese Dana. Il suo ruolo di medico le imponeva di essere
costantemente preoccupata per la salute delle persone.
“Esperimenti…Aspetta…”. William
chiuse gli occhi, per permettere alle immagini di arrivargli più nitide.
“Papà
si sta avvicinando a loro…”.
Scully
strinse convulsamente il lembo della giacca a vento.
“Sta
bene?” non poté impedirsi di chiederlo.
William,
sempre ad occhi chiusi, annuì.
“John
e lo zio Skinner sono assieme ai prigionieri…
“.
“Che
prigionieri?” chiese Monica.
“Quelli
del governo ombra… sono allo stremo delle forze…”.
“Aspetta
un secondo…” Scully non stava prestando troppa attenzione
alle parole del figlio, il suo cervello stava lavorando velocemente. “Come
hanno fatto a catturare Gibson? Come mai non è riuscito a vedere che lo stavano
per imprigionare?”. Quella domanda la stava quasi ossessionando. Gli era stato
permesso di unirsi alla squadra solo perché era una valida arma di difesa
contro gli attacchi imprevisti dei supersoldati…
William
si rabbuiò di nuovo e gettò un’occhiataccia agli alieni grigi.
“Hanno
schermato le loro menti… stanno cercando di farlo
anche con me, ma non ci riescono… evidentemente le
capacità mentali di Gibson hanno un punto limite…”.
Appena
finì la frase William si immobilizzò, le spalle tese.
Avete intenzione di
ucciderlo?
Certo che no! Ci sarà
molto utile per i nostri scopi… anche se…
Anche se?
Noi cerchiamo un
talento ancora maggiore… un talento che sarebbe in
grado di distruggerci… ma se l’avessimo dalla nostra parte…
William
vide sé stesso, in un luogo che non conosceva.
Era
circondato dalla sua famiglia… gli alieni.
Scosse
la testa, cercando di scacciare la visione, ma non ci riuscì.
Il
cuore iniziò a battergli all’impazzata, quando la visione si ampliò e lui vide
che, di fronte all’altro sé stesso, giacevano i corpi, nudi e tumefatti, di
Mulder e Scully.
Erano
stati torturati e seviziati dagli alieni che lo circondavano, come punizione
per aver osato ribellarsi al loro piano di conquista mondiale.
Seppe
con certezza che Monica, John e lo zio Skinner erano
già morti… per mano sua.
William
iniziò a sudare quando si rese conto a cosa avrebbe portato quella visione.
Si
vide alzare le mani con calma e naturalezza sopra i corpi martoriati dei suoi
genitori, un ghigno malefico gli solcò il volto, facendolo diventare crudele,
brutto, insensibile.
Mulder
e Dana lo guardarono, chiedendo perché… ma a lui non importava… voleva solo ucciderli…
e così fece.
Spalancò
gli occhi sulla realtà, boccheggiando.
Un
dolore sordo, che gli mozzava il respiro e gli stritolava il cuore, si
impossessò di lui.
Non
fu come con il sentimento di rabbia.
Questa
calda sferzata di sofferenza lo aiutò ad incanalare con estrema forza ed
estrema lucidità l’energia che lo possedeva.
Non
voleva essere il ragazzo delle sue visioni. Mai!
Spalancò
le braccia e lasciò che l’invisibile portata della sua potenza si spandesse
lungo tutta la circonferenza, di svariati metri, che circondava gli alieni.
Il
terreno prese a vibrare, gli alberi iniziarono a tremare in maniera incontrollabile,
gettando aghi e rami sulla terra sottostante.
“Reggetevi!”
urlò rivolto a Dana e Monica, che si strinsero contro il furgone e si
ripararono la testa.
Un’aria
gelida e violenta iniziò a soffiare intorno alla foresta.
Gli
occhi gli divennero completamente bianchi, illuminati da una luce ghiacciata.
Sui polpastrelli avvertiva la forza scorrere dall’interno del suo corpo, fino
all’esterno.
Si
concentrò sulla visione distorta degli alieni immobilizzati, sentiva la loro
paura, percepiva l’odore del terrore, il sentore della sconfitta, l’odio cieco
nei suoi confronti.
Tentarono
di reagire, ma non vi fu nulla che riuscisse a contrastare l’impressionante
ondata di pura energia positiva che da William si riversava su di loro.
Il
terreno vibrò sempre più forte, gli alberi iniziarono a sradicarsi e fluttuare
in aria. Uno atterrò vicino al furgone, facendo abbaiare Zar di terrore. Scully
cercò di guardarsi intorno, ma la forza del vento le schiacciava i capelli
contro il volto e le faceva lacrimare gli occhi. Non riusciva a vedere, non
riusciva a capire…
William
strinse i denti. Formulò un ultimo pensiero coerente e lo rivolse agli alieni.
MAI! IO NON LO
FARO’ MAI!!!
Poi
più nulla ebbe senso, sentiva solamente la forza addensarsi nel suo petto.
Senza
riflettere, si lasciò trascinare dalle proprie sensazione e spinse le braccia
in avanti, con potenza, con determinazione, con risolutezza.
Vide
l’aria davanti a sé incresparsi, tendersi come un elastico, per poi scagliarsi
con forza inaudita contro il gruppo di alieni, che lo osservava con sguardo
indecifrabile.
Vide
l’energia schiacciare le loro linee, una ad una. Vide le loro teste esplodere,
i loro corpi accasciarsi, il loro sangue verde e nero scorrere sul terreno…
Era
una scena raccapricciante, crudele, violenta, ma si sentì bene. Si sentì
libero, leggero, sereno…
Quando
anche l’ultimo alieno cadde sotto la potenza del suo potere, l’energia ritornò
verso di lui, con uno slancio inaudito.
La
sentì spingersi con aggressività dentro il suo petto e si ritrovò d’improvviso
privo di forze.
Le
gambe cedettero e il suo corpo stremato si accasciò al suolo.
Sentì
il cuore battere sempre più lentamente, sempre più piano, piano…piano…
William
percepì una luce brillante al di là delle palpebre chiuse.
Per
un momento si sentì disorientato.
Un
momento prima si trovava nella sua casa, a Sheperd,
circondato dai suoi genitori adottivi, e dai suoi genitori biologici, che
conversavano amabilmente, poi si ritrovò steso in un letto, con le palpebre
chiuse e una luce fastidiosa che gli disturbava gli occhi.
Con
cautela provò a riaprirli. La luce gli provocò un immediato fastidio e fu
costretto a sbattere alcune volte le palpebre.
“William…”. La voce di Dana gli arrivò alle orecchie, pacata
e tranquillizzante.
Girò
la testa verso la provenienza della voce, lentamente, lasciandosi dietro la
testa il raggio di sole che entrava dalla finestra.
Il
sorriso di Dana era radioso. La vide allungare una mano e sentì il suo tocco
lieve accarezzargli la guancia.
“Ciao..”
gli disse.
William
si inumidì le labbra e si schiarì la voce.
“Ciao… “.
William
si guardò furtivamente attorno.
La
stanza era piccola, le pareti bianche e spoglie, nell’aria aleggiava odore di
disinfettante.
“Dove
siamo?”.
Scully
continuò ad accarezzargli la guancia e i capelli scompigliati.
“Siamo
nell’ospedale di Washington, quello dove lavoravo…”.
William
si fece forza e si mise a sedere. Scully, prontamente, lo aiutò a sistemare il
cuscino dietro la schiena. Poi lo guardò con aria seria.
“Finalmente
ti sei svegliato… ero preoccupatissima…”.
William
la osservò per alcuni istanti. Le occhiaie marcate sotto i begli occhi blu
testimoniavano nottate insonni e scomode su quella sedia di plastica, il volto
era serio, solcato da rughe di ansia e preoccupazione. I capelli erano sciatti,
spenti e i vestiti sgualciti.
Doveva
aver passato giorni terribili…
Le
sorrise rassicurante, poi la abbracciò stretta, allacciandole le braccia
intorno al collo.
Scully
lo strinse al petto con gentilezza e respirò a pieni polmoni l’odore familiare
della sua pelle.
Quando
si separarono, William le prese una mano tra le sue.
“Da
quanto tempo sono qui?”.
“Quasi
quattro giorni… abbiamo davvero avuto paura…”.
Quando
Scully usò il plurale, William si guardò nuovamente attorno e un brivido di
paura gli corse lungo la schiena.
Guardò
Dana.
“Dov’è
Mulder?”. Strinse un po’ più forte del lecito la mano di sua madre. Temeva la risposta…
Scully
gli sorrise rassicurante.
“L’ho
mandato a mangiare qualcosa. Fosse stato per lui sarebbe morto di fame stando
ad aspettare che ti svegliassi!”.
William
si rilassò contro il cuscino e allentò la stretta delle mani.
“E
gli altri?”.
“Monica,
John e Skinner stanno bene. Per ora alloggiano
all’FBI, ma passano spesso qui a trovarti. Gibson sta un po’ peggio… ma sono ottimista sulle sue condizioni. L’ho
visitato personalmente e penso che presto si riprenderà”.
William
alzò il viso ad osservare il soffitto, e con la mente tornò alla foresta.
Gli
ultimi ricordi che aveva erano legati all’incredibile potenza che gli era
ritornata nel petto, dopo che era riuscito ad uccidere tutti quegli alieni.
Ricordava che si era sentito completamente privo di forze e che si era
accasciato al suolo… poi più nulla.
I
ricordi erano sfuocati, sbiaditi, come fossero permeati da un’aurea onirica. Se
non fosse stato certo al 100% che quello che era accaduto era reale, avrebbe
pensato ad un sogno stranissimo.
“Cos’è
successo?”.
Scully
si alzò dalla sedia e iniziò a camminare verso la finestra, dove si fermò,
appoggiandosi al cornicione. Aprì le tapparelle e un bellissimo sole di
mezzogiorno inondò completamente la camera con la sua allegra luce.
Scully
evitò di guardare al di là del vetro. Lo spettacolo che si estendeva intorno
all’ospedale era desolante, metteva addosso uno stato di tensione, di inutilità,
che non le piaceva.
“Dopo
che sei svenuto, in mezzo a quella foresta… io e
Monica non sapevamo cosa fare. Era sicuro portarti via di lì? Dovevamo
aspettare gli altri?...” Scully sospirò.
3 GIORNI PRIMA
Mulder arrivò al limitare della radura dov’era parcheggiato il furgone.
La pioggia lo sferzava con potenza e non lo lasciava respirare.
Oltrepassò la linea invisibile dei raggi X e sentì l’allarme scattare
nel presidio, ma non vi fece caso.
“Mulder?” la voce di Scully lo raggiunse al di sopra dello scrosciare
della pioggia.
Scavalcò la bassa sterpaglia e la vide.
Era assieme a Monica, china sul corpo di William.
Un terrore cieco si impadronì di lui…William…
Si accostò alle due donne con impazienza.
“Cos’è successo?”.
Scully scosse la testa.
“Non lo so! Ha ucciso tutti quegli alieni…”
con la mano indicò la distesa di cadaveri di fronte a lei. Mulder alzò lo
sguardo e spalancò gli occhi. Una serie infinita di piccoli corpi grigi
decapitati si estendeva per un bel po’ di metri oltre la sua visuale. L’odore
dolciastro del loro sangue impregnava l’aria e la rendeva pesante e densa.
Fu raggiunto da Doggett e Skinner
che si soffermarono esterrefatti a guardare lo scenario di morte presente nella
foresta. Gli alberi, sradicati e caduti al suolo incorniciavano la
raccapricciante scena.
Mulder si sforzò di prestare attenzione alle parole di Scully.
“… poi si è accasciato al suolo, senza forze. Il battito è debolissimo.
Dobbiamo portarlo via di qui, in ospedale!”. La sua voce era leggermente
isterica e Mulder la capì.
Ospedale… chissà se esistevano ancora ospedali nel mondo devastato dalla potenza aliena…
Monica guardò John, nello sguardo una tristezza che la faceva apparire
più vecchia di dieci anni.
“Portiamolo nel furgone intanto… all’asciutto”
disse Doggett, senza troppa convinzione.
Mulder si piegò e lo prese sotto le spalle, mentre John si occupava di
alloggiare le gambe di William sotto le sue braccia. Insieme si mossero verso
il furgone, dove lo adagiarono a terra. Scully si sedette sul freddo pianale
dell’automezzo e sistemò la testa del figlio sulle gambe.
Zar osservò immobile la scena. Guardò le persone che salivano sul
furgone, le scrutò attentamente ad una ad una. Quando vide che il suo padrone
non ritornava, si stese, appoggiando il muso schiacciato tra le zampe anteriori
e si lamentò piano, soffocando i suoi uggiolii tristi, quasi non volesse
disturbare il dolore altrui.
Mulder si sedette in fianco a Scully e la abbracciò stretta, facendole
appoggiare il capo contro il suo petto. Scully si adagiò con l’orecchio sul suo
cuore, sollevata di sentirlo battere con ritmo vitale.
John si mise alla guida del furgone, Skinner
al suo fianco.
Le ruote slittarono sul fango del terreno, poi il mezzo si mosse con
sicurezza lungo l’intricato sentiero poco battuto dalle auto.
Monica era seduta di fronte a Mulder e Scully e accarezzava con
movimenti ritmici e calmanti la testa di Zar.
Mulder baciò i capelli bagnati di Scully, poi vi appoggiò la guancia,
guardando il volto senza espressione di suo figlio.
“Stai bene?” la voce di Scully gli arrivò debole e preoccupata.
“Fisicamente si…”.
Scully voltò la testa per guardarlo, costringendolo a interrompere il
contatto con i suoi capelli.
Lo scrutò a lungo, notando nel suo sguardo il dolore e il tormento che
provava per la sorte di loro figlio. E probabilmente per la sorte di Gibson… abbandonato nelle mani degli alieni.
Improvvisamente il motore del furgone si spense, senza nessun motivo
apparente.
John provò a girare e rigirare la chiave nel quadro, ma l’automezzo non
dette segni di vita.
Batté un colpo a palmo aperto contro il volante.
“Maledizione! Che diavolo è successo?”.
Monica aguzzò le orecchie poi fece segno di tacere alle altre persone.
“Non sentite?”.
Tutti rimasero immobili ad ascoltare.
Skinner scosse la testa.
“Io non sento niente…”.
“Appunto...” disse Monica “Non si sente più il rumore della pioggia, né
del vento, dei tuoni… né nient’altro…”.
John spalancò gli occhi, completamente sopraffatto. Il parabrezza del
furgone continuava a venire sferzato da fredde raffiche di pioggia, ma le gocce
non producevano alcun suono. I lampi continuavano ad illuminare l’oscurità del
cielo, ma nessun rombo di tuono li seguiva. Gli alberi venivano piegati dal
vento, ma nessun rumore sibilante arrivava alle loro orecchie.
“Ma com’è possibile?”. Il naturale scetticismo di John Doggett lo portò a porre la domanda, ma questa volta
nessuno seppe rispondere, erano tutti paralizzati dallo stupore. E dallo
spavento.
Il cielo, lentamente ma inesorabilmente, si fece sempre più buio, sempre
più nero. Uno spesso e denso strato di oscurità coprì i lampi che ancora si
ostinavano ad accompagnare la pioggia.
Quando il velo buio prese anche il furgone, penetrando all’interno e
avvolgendo i suoi occupanti, tutti si strinsero, si sedettero l’uno vicino
all’altro, impauriti, disillusi, sconfitti.
Il lugubre manto nero non lasciò agli occhi nemmeno un minimo spiraglio
di luce.
Tutto svanì…
E un istante dopo si ritrovarono nell’ospedale di Washington, al
capezzale di William…
“Che
cos’era successo?” chiese William perplesso.
Scully
scosse la testa.
“Non
lo sappiamo… nessuno lo sa…”.
William
aggrottò le sopracciglia.
“Nessuno?”.
“Alcune
stazioni radiofoniche hanno ripreso a trasmettere. Sembra che tutta la
popolazione mondiale abbia un buco nella mente di alcune ore…”.
William
si chiese distrattamente perché la cosa gli apparisse così strana. Dopo tutto
quello che aveva saputo e visto nelle precedenti settimane, non capiva perché
si stupisse per una cosa “banale” come un buco nella memoria.
“Ci
abbiamo riflettuto…” continuò Scully, dando una
veloce occhiata fuori dalla finestra “Non ci sono più astronavi aliene nei
cieli, nessun invasore per le strade, nessuna esplosione, nessuna arma strana
pronta ad uccidere…dev’essere
accaduto qualcosa di radicale… l’unica spiegazione a
cui siamo arrivati è che sia tutta opera degli alieni ribelli, quelli che si
sono sempre opposti all’invasione dell’olio nero, ma…
non saprei… non saprei proprio…”.
Scully sospirò, guardando il volto pensieroso di suo figlio.
William
aggottò la fronte.
“Non
mi convince… potevano arrivare anche prima, se
avevano il potere di riuscire a sconfiggerli…”.
Scully
si avvicinò e si sedette sul bordo del letto, osservandolo.
“Sono
d’accordo… secondo me non è opera loro…ma… di qualcun altro…”. Il
suo sguardo si perse lontano, in pensieri astratti e speranzosi.
William
la osservò, e osservò soprattutto le sue mani che tormentavano la croce d’oro
che portava al collo.
“Pensi
sia opera di Dio?” chiese tranquillamente.
Scully
sorrise vagamente con un angolo della bocca.
“Non
lo so William, non lo so… So solo che qualcuno ci ha
aiutati a sopravvivere. Siamo feriti e decimati, ma vivi…
e chiunque sia stato, io non smetterò mai di ringraziarlo…”.
Mulder
mosse lunghe falcate in direzione di William, che, ben coperto da una giacca a
vento di qualche taglia più grande, osservava il paesaggio sottostante con
sguardo assorto.
Era
il 25 dicembre, il giorno di Natale… il suo
compleanno.
E
ancora erano ospitati dall’FBI, che si era dimostrata estremamente gentile e
ospitale con tutte le persone che ne avevano avuto bisogno, offrendo loro vitto
e alloggio. Lo spazio era tanto, ma anche le persone bisognose lo erano. I
corridoi e le sale riunioni erano state adibite a dormitori, mentre il salone
d’ingresso era diventato mensa, e tutte le zone pullulavano di gente stremata,
sconfitta e disperata, che, però, aveva una grande forza e una grande voglia di
ricominciare a vivere un’esistenza pressoché normale.
Ogni
giorno, le associazioni umanitarie che ancora erano attive, facevano il giro
dei quartieri portando pasti caldi, bevande bollenti e sostegno morale.
William
era salito sul tetto del J. EdgardHoover Building una decina di minuti prima. Osservava
l’aspetto del mondo dopo l’attacco alieno.
Era
uscito dall’ospedale da due giorni, ma, essendo ancora debole, aveva passato le
ore chiuso tra le mura del palazzo.
Mulder
gli arrivò in fianco, silenziosamente.
Seguì
lo sguardo del figlio verso un punto lontano all’orizzonte.
Gli
occhi incontravano macerie, case spezzate, ferite, disintegrate. Parchi aridi,
alberi bruciati. Recinzioni, panchine, cartelli stradali divelti. Carcasse di
macchine ingombravano le strade prive di traffico. Ogni tanto un’ambulanza
squarciava l’aria statica del nuovo mondo con sirene lamentose e rombi di motori
lanciati a forte velocità.
I
cadaveri, che fino a pochi giorni prima ancora costellavano i marciapiedi e le
soglie delle case distrutte, erano stati rimossi e sistemati provvisoriamente
nelle celle refrigerate degli obitori che ancora erano in piedi.
Lo
spettacolo era desolante.
Non
esisteva parola più giusta per definire lo stato di malessere, fisico e
psicologico, che quella visuale provocava alle persone.
“Bello
spettacolo…” commentò Mulder, usando il suo abituale
tono ironico per contrastare le situazioni troppo serie.
William
sollevò la testa a guardarlo e gli sorrise con un angolo della bocca.
“Già…”. La risposta venne pronunciata a voce bassa,
scoraggiata, una leggera nota sarcastica al suo interno.
Mulder
lo osservò. William era estremamente serio. Il volto da ragazzino era solcato
da occhiaie e le labbra erano una linea diritta, riflessiva e preoccupata.
“A
cosa pensi?” gli chiesi Mulder. Gli sembrava ancora strano non riuscire a
penetrare nei pensieri del figlio…
William
prese un profondo respiro, piuttosto restio a rispondere alla domanda.
Mulder
vide l’indecisione offuscare i suoi occhi blu, così uguali a quelli della madre,
e si pentì di avergli rivolto quella semplice domanda. Seppure la sua voglia di
conoscere i suoi pensieri era pressante, non voleva metterlo in difficoltà.
Probabilmente gliene avrebbe parlato quando si fosse sentito pronto.
Così
decise di stemperare quell’atmosfera imbarazzante con il suo solito sarcasmo.
“Ho
capito…” disse sospirando rassegnato “… sei
arrabbiato perché non ti abbiamo fatto un regalo di compleanno…”.
William
sollevò lo sguardo verso Mulder, un’espressione sorpresa gli solcava il volto.
“Te
lo ricordi? Io non c’avevo nemmeno fatto caso…”.
Mulder
sorrise mestamente.
“Per
me e Scully è un po’ difficile dimenticare il giorno in cui sei nato…”.
William
annuì, un leggero rossore gli imporporò le guance.
“Già…scusami…”.
Mulder
fu sorpreso dalle sue parole e dal tono grave con cui furono pronunciate.
“Perché
mai dovresti scusarti?” gli chiese perplesso.
William
lo guardò dritto negli occhi. Mulder scorse nei suoi un fiume di lacrime che
minacciava di trasbordare.
“Perché
mi sento terribilmente in colpa nei vostri confronti” disse con estrema
sincerità.
Mulder
scosse la testa, come a dire che non comprendeva le sue parole.
Una
lacrima solitaria scese a bagnare la guancia di William. Prontamente la sua
mano la lavò via dal volto.
“Mi
sento in colpa perché… dopo tutto quello che fate per
me, il bene che mi volete, la felicità che vi si legge negli occhi ogni volta
che mi guardate… io non riesco a togliermi il
pensiero dei miei genitori adottivi… mi tormento in
continuazione”. Le lacrime presero a scorrere veloci sul suo viso. “Volervi bene… mi sembra quasi di tradirli, di fare loro un torto! E
a preoccuparmi per loro, mi sembra di fare un torto a voi…
mi sento un ingrato…”.
Mulder
sentì il cuore stringersi nel petto. La sofferenza mal celata che provava suo
figlio lo distruggeva. E lo capiva. Non doveva essere facile vivere una vita
così.
Avere
un dono che non si ha chiesto, averlo ricevuto in eredità. Scoprire che servirà
ad aiutare il mondo a sopravvivere. Scoprire chi sono i tuoi veri genitori,
perdere quelli che ti hanno cresciuto…
Troppi
pensieri, troppe preoccupazioni per la sua età.
Mulder
posò le mani sulle spalle di William, invitandolo a prestare attenzione a
quello che stava per dirgli.
“Non
devi sentirti in colpa nei nostri confronti, non ha alcun senso. Sei stato
cresciuto da due persone che ti hanno amato, e che ancora ti amano. Sarebbe
grave se tu ora ti dimenticassi di loro, se le lasciassi andare solo perché ti
senti in colpa nei nostri confronti…”.
Mulder
respiro piano, per riuscire a calmarsi quel tanto che bastava per parlargli
come un vero padre.
“Io
e Scully ti amiamo più di ogni altra cosa al mondo, non ti abbiamo mai
dimenticato e mai ti dimenticheremo, e sappiamo perfettamente che nel tuo cuore
c’è del posto per noi… ma sappiamo anche che dobbiamo
condividerlo con due persone straordinarie, che non smetteremo mai di ringraziare
per averti accolto con amore nelle loro vite quando noi non abbiamo potuto
farlo”.
Passò
il pollice lungo le guance del figlio, asciugandole dalle lacrime che non
doveva versare.
“William,
io ti ho fatto una promessa e intendo onorarla”.
Il
ragazzo si avvicinò a quel padre che aveva immaginato per anni e che aveva
conosciuto da poche settimane, e affondò il volto nel suo petto ampio e caldo.
Sentì
le sua braccia forti avvolgerlo in un abbraccio protettivo. Lentamente si
rilassò, cercando di scacciare dal suo petto quel senso di colpa che lo stava
logorando.
Rimasero
fermi in quella posizione per un po’, circondati da un mondo che doveva
ricominciare a vivere. Il vento gelido di dicembre li sferzava, ma a loro non
dava fastidio. Il calore dei loro corpi stretti li aiutava a combattere il
freddo delle loro vite.
“E
se non li ritroviamo?” chiese infine William, la voce attutita dal giubbotto di
Mulder.
Mulder
lo strinse un po’ più forte.
“Stanno
setacciando tutto il paese, palmo a palmo. Molte persone si sono rifugiate in
bunker sotterranei, in case abbandonate… vedrai che
li troveremo…”. Lo prese per le spalle e lo allontanò
leggermente da sé per poterlo guardare negli occhi.
William
scorse una scintilla di determinazione illuminare lo sguardo di Mulder.
“Ma
se così non fosse, non verrò meno al mio impegno. Li troveremo, ovunque essi siano… ovunque”.
William
annuì un paio di volte, poi gli sorrise.
“Voi
due! C’è un dolce natalizio che vi aspetta di sotto! Se non scendete
immediatamente non vi resterà nemmeno una fetta…”.
La
voce di Scully li distolse dal quel loro momento così intenso. Si voltarono
nella sua direzione e la videro avanzare verso di loro.
I
capelli ramati si muovevano a ritmo del vento, la sua pelle era arrossata per
via del freddo. Si stringeva al collo una giacca troppo leggera e li osservava
con un sorriso sereno sulle labbra.
Si
avvicinò, tendendo una mano verso William.
“Almeno
quella per festeggiare il tuo compleanno…”.
William
le sorrise, prese la sua mano e la strinse.
“Ce
n’è anche per Zar?”.
Scully
rise.
“Zar
sta già mangiando la sua porzione, ma ho l’impressione che non disdegnerà di
ingoiare anche la tua!”.
Si
incamminarono verso la porta, ma poi Scully si fermò, accorgendosi che Mulder
non li stava seguendo.
Lo
osservò incuriosita.
“Tu
non vieni?”.
Mulder
le si avvicinò e le dette un leggero, ma dolce, bacio sulle labbra, trovandole
fredde e tremanti.
“Vi
raggiungo tra un momento, voi andate pure”.
Scully
annuì e lo lasciò ai suoi pensieri. Era certa che le avrebbe parlato delle sue
riflessioni quella sera stessa.
Mulder
si voltò nuovamente ad osservare il paesaggio sottostante.
Posò
un piede sul cornicione e si sporse leggermente.
Il
lato positivo di tutta quella terribile faccenda -l’unico
lato positivo- era rappresentato dalla collaborazione tra le persone.
Contrariamente
alle aspettative, non si era registrato nessun atto criminale da quando gli
alieni se n’erano andati, nessun saccheggio, nessuna violenza, nessuno stupro.
Sembrava che l’uomo avesse raggiunto il suo limite massimo di dolore, che
avesse assistito alla crudeltà nella sua forma più primitiva, e che ora non ne
volesse più sentire parlare.
Mulder
non si illudeva. Sapeva che, prima o poi, quando il mondo avesse ripreso a
vivere normalmente, le guerre e l’odio avrebbero bussato alla porta, a
reclamare il loro tributo di morte e violenza, ma era bello sapere che, almeno
per un po’, l’umanità sarebbe riuscita a vivere in pace, collaborando.
Mulder
vide un gruppo di bambini uscire dal palazzo, cantando a squarciagola.
L’aria
vorticante gli portò alle orecchio le note di solenni di una famosa canzone, a
tema natalizio, di John Lennon.
And so this is Christmas (war is over)
For weak and for strong (if you want it)
The rich and the poor ones (war is over)
The world is so wrong
And so Happy Christmas
For black and for white
For yellow and red ones
Let's stop all the fight
A very Merry Christmas
And a Happy New Year
Let's hope it's a good one
Without any fear
Mulder
sorrise tristemente, poi si incamminò verso la porta che portava all’interno
dell’edificio.