EDWARD'S NEW MOON

di Glance
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PREFAZIONE ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO I ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO II ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO III ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO IV ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO V ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VI ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO VII ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO VIII ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO IX ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO X ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO XI ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO XII ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO XIII ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO XIV ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO XV ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO XVI ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO XVIII ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO XVII ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO XIX ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO X ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO XXI ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO XXII ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO XXIII ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO XXIV ***
Capitolo 26: *** CAPITOLO XXIV BIS ***
Capitolo 27: *** CAPITOLO XXV ***
Capitolo 28: *** CAPITOLO XXVI ***
Capitolo 29: *** CAPITOLO XXVII ***
Capitolo 30: *** CAPITOLO XXVIII ***
Capitolo 31: *** CAPITOLO XXIX ***



Capitolo 1
*** PREFAZIONE ***




. . . non è amore quell’amore che muta quando scopre mutamenti o tende a ritirarsi se l’altro si ritira.
Oh no, esso è un faro per sempre fisso che guarda alle tempeste e mai ne è scosso;
è la stella polare per ogni nave errante,
L’amore non è lo zimbello del Tempo, anche se rosse labbra e guance cadono nel compasso della sua falce ricurva;
l’amore non muta con le sue brevi ore e settimane,
ma resiste fino all’orlo del giudizio.
Se questo è errore e mi sia provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

William Shakespeare








PREFAZIONE


Quante parole si possono pronunciare in un’eternità e quante sono cariche di bugie?
Quanta solitudine se puoi vivere per sempre?
La vita con le sue promesse smette di avere consistenza per qualcuno come me.
Ciò che vedevo era il buio di un’infinita notte.
Non avevo più nulla.
Per me c’era solo l’immobilità data dal tempo che non poteva passare e quella esistenza che con il suo gelo innaturale mi aveva tolto ogni battito di vita. Ero ripiombato nel mio mondo d’eternità e tenebra che non conosceva la speranza.
Il ricordo e la voglia di lei era insopportabile.
Chissà dove era adesso. La volevo come sempre.
La rabbia e il dolore sordo che mi assaliva.
Continuavo a chiedermi cosa facesse, dove fosse. Il suo amore, l’unica ragione per cui avrei vissuto altre mille di quelle esistente.
Il vento mi riportava infiniti profumi, ma non il suo.
In cielo la medesima luna che illuminava entrambi ci avrebbe visti separati per sempre.
L’immobilità, il gelo e quell’abisso reclamava il suo diritto su di me.
I ricordi che avevo di lei, ormai erano l’unica cosa che sentissi veramente mia. I suoi occhi scuri possedevano la luce più accecante che avessi mai potuto guardare. Bella era in me e con me ovunque io fossi. In ogni angolo della mia mente c’era il suo viso. Prima di lei non c’era niente, dopo di lei sarebbe finito tutto.
Io l’avrei amata per sempre.
Si dice che si riesca ad apprezzare il valore di quello che si può perdere solo quando il pericolo o la certezza di averlo perduto diventa reale.
Lei era la mia unica ragione per continuare a vivere se quella che avevo poteva ancora chiamarsi vita.
Non potevo vivere in un mondo dove lei non esistesse.
La mia scelta? Nell’unico finale che potesse chiudere quel cerchio.








New Moon è forse il mio libro preferito quello che più mi ha emozionato e mi sono chiesta tante volte come Edward avesse gestito il suo dolore nel tempo lontano da Bella. Ho già affrontato l'introspezione di Edward nei vari momenti della storia con piccoli frammenti, ma mai per un intero racconto. Vorrei provarci e perdonatemi l'ardire.
Sarò felice di sapere se l'idea vi piace e se già da questa presentazione vi piacerebbe leggerne il seguito. Non so se ci sono altre storie su questo libro della saga, se è così come penso che sia mi scuso in anticipo se ci fossero similitudini e sarei grata a chiunque voglia informarmene per provvedere alle opportune modifiche. Continuo a ribadire che i personaggi sono presi in prestio e non mi appartengono. Un saluto. Glance

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Capitolo 2
*** CAPITOLO I ***





Sei mesi, la conoscevo da soli sei mesi. Eppure potevo dire di esistere veramente solo da quando il battito del suo cuore scandiva ogni momento che passavo con lei.
Sei mesi e oggi sarebbe stata la ricorrenza della sua nascita, il suo compleanno.
Il fatto che fosse nata era qualcosa per cui festeggiare, qualcosa che bastava a giustificare la creazione dell’intero mondo.
Continuavo a domandarmi che cosa avessi mai fatto per meritarla.
L’unica volta in cui ero veramente stato grato a ciò che ero, fu quando la strappai alla morte nel piazzale della scuola e mi odiai come non mai, quando pensai di non arrivare in tempo per salvarla dalle mani sadiche di James, l’unica volta dove il pensiero di morire mi era sembrata la sola alternativa per concludere quell’esistenza.
Oggi però lei era qui con me e avrei fatto di tutto per tenere fede alla promessa che le avevo fatto. Le sarei stato accanto, proteggerla sarebbe stato il mio solo e unico scopo, la sola ragione, anche se non dimenticavo quello che le avevo detto mentre era in ospedale sofferente e ferita. Sarei rimasto finché questo non avesse rappresentato per lei un pericolo, fino a quando sarebbe stata al sicuro. Di certo non mi sarei risparmiato per garantirle ogni protezione.
L’amavo come non credevo potesse essere possibile, come non pensavo di essere capace.
Lei aveva cambiato il mio mondo, era diventata indispensabile e aveva portato gioia ed entusiasmo anche nella mia famiglia.
A parte Rosalie che continuava ad avere verso di lei pensieri e comportamenti al limite dell’ostilità, gli altri membri di casa Cullen l’adoravano. Prima fra tutte mia sorella Alice.
Era sempre stato difficile contenere la sua esuberanza e nessuno di noi aveva mai veramente voluto farlo. Da quando Bella era venuta a conoscenza del nostro segreto, mia sorella aveva trovato una vera amica.
L’affetto che le dimostrava era sincero, lo sapevo bene, e l’entusiasmo che metteva nel manifestarglielo era qualcosa che mi stupiva ogni volta.
Volevo veramente bene a quella piccola peste e le ero infinitamente grato per come trattava Bella, facendola sentire parte di noi.
Del resto anche Bella era adorabile. Non dava mai modo a nessuno della famiglia di sentirsi in imbarazzo. Vicino a lei alle volte si faceva fatica a ricordare quello che eravamo per i suoi modi spontanei e disinvolti Non aveva mai avuto paura, non aveva mai dimostrato né disagio, né apprensione e ai suoi occhi non eravamo che dei semplici ragazzi, una famiglia come tante. Ai suoi occhi eravamo umani come lei.
La maggior parte delle volte non approvavo questa sua disinvoltura, mi faceva essere troppo sicuro, ed in sua presenza non potevo permettermi di dimenticare ciò che ero realmente.
Per me era tutto nuovo e bellissimo. La sua dolcezza, il suo coraggio, il suo essere tanto più grande dell’età che aveva. Così matura. Il silenzio dei suoi pensieri, tutto di lei era disarmante e mi rapiva.
Bella non pensava mai che fossero gli altri in difetto, ma che fosse lei ad avere qualcosa che non andava. Generosa oltre ogni limite.
Lei riusciva a colmare i miei vuoti, rendendomi completo.
Il mio mondo ormai era tutto racchiuso in quella sua natura fragile e così determinata. L’amore mi aveva reso imprudente e lei così brillante da essere accecante. Riusciva ad esserlo anche più di me.
I suoi occhi scuri indebolivano i miei sensi con uno sguardo.
In qualche modo tramite lei riuscivo a sentirmi ancora vivo.
Stringerla tra le braccia era un sfida perenne, ma affrontavo la sofferenza data dalla sua vicinanza come il modo per espiare le colpe per quello che ero stato e rappresentavo.
La felicità di sentirla accanto a me, di sentire il suo cuore battere nel silenzio del mio petto era il regalo più grande che mai avrei sperato di ricevere.
Lei era calda, soffice e delicata come i petali di una rosa, come il cristallo, capace d’infrangersi solo con uno sguardo, ed era mia, mi amava, ed io non riuscivo ancora a crederci.
Non sapevo se a quelli come me fosse concesso di essere felici, ma non avrei saputo come definire in un altro modo ciò che provavo.
Ero felice oltre qualsiasi immaginazione e la mia felicità era tutta racchiusa in quella fragile ragazza umana. Sapeva farmi ridere ed era la sola in grado di potermi spaventare, o farmi male. Lei sola poteva distruggermi con una parola o un gesto. Ogni suo bisogno era diventato il mio. Non riuscivo a leggere i suoi pensieri, ma avevo imparato a capire le sue infinite espressioni. Aveva mille modi diversi di atteggiare il viso asseconda di quello che provava. Una piccola ruga compariva in mezzo alle sue sopracciglia quando era pensierosa o qualcosa la ostacolava.
Il suo modo di torturarsi le labbra quando era imbarazzata o la maniera che aveva di arrossire quando la guardavo o le sorridevo. Ero consapevole che il merito era dovuto alle mie capacità che mi rendevano un predatore temibile, ma con lei era facile credere che non fosse così.
Il suo sguardo adorante mi accarezzava sempre con tenerezza infinita.
Sapevo che Bella soffriva insieme a me dei miei tormenti, sapevo che avrebbe voluto prendere su di se quel peso, lo sentivo ogni volta nel tono della sua voce, nel modo che aveva di parlarmi. Non mancava mai di farmi sapere che per lei ero il regalo più bello e prezioso. L’avrei voluta viziare in ogni modo, ma non me lo permetteva, diceva che lei non aveva niente da darmi in cambio e non capiva che per me ogni giorno il suo regalo era l’amore incondizionato e sincero che mi dava, era il suo respiro caldo sulle labbra quando raccogliendo tutto il mio coraggio la baciavo, era il suo saper essere comprensiva anche quando capiva il mio disaggio, la lotta che dovevo ingaggiare con me stesso per non permettere al mio istinto peggiore di avere il sopravvento. Ero egoista lo sapevo e me lo ripetevo ogni momento, mi rendevo conto di rubare attimi importanti alla sua vita, ma non potevo farne a meno come non potevo fare a meno di passare ogni notte a guardarla dormire. Era lo spettacolo più bello.Il momento in cui capivo che sognava me pronunciando in un sospiro il mio nome.
Avrei voluto ancora essere in grado di sognare, solo per potere avere la possibilità nell’incoscienza del sonno di starle accanto senza pericoli e senza paure.
Quanto desideravo poter essere un qualsiasi ragazzo, uno di quei tanti ragazzi che mi invidiavano perché aveva scelto me, che quando passavamo tenendoci per mano pensavano a quanto fossi fortunato. Ero orgoglioso che fosse mia, e impazzivo di gelosia ascoltando nelle loro menti gli apprezzamenti che le facevano. Anche quella notte l’avevo tenuta tra le braccia avvolta nella nostra coperta che serviva a ripararla dal gelo del mio corpo e come ogni volta quando l’avevo dovuta lasciare tutto quello che mi circondava smetteva di avere un significato. Rimanevo sospeso nell’attesa di poterle nuovamente essere vicino. Era come avere fame d’aria e non riuscire a respirare. La sensazione poi di ritornare completo solo vedendola apparire all’orizzonte come stava succedendo adesso che la guardavo arrivare appoggiato alla mia macchina, nella posa più naturale e umana che riuscivo ad assumere nel suo mondo. Il suo viso, il suo sorriso e quel colorito sulle guance che vedevo chiaramente anche se ancora era distante da me. Se fossi stato umano non me ne sarei potuto accorgere e mi sarebbe sfuggito lo sguardo dei suoi occhi costantemente meravigliati ogni volta che mi vedeva. Sei mesi insieme e un’intera estate accanto a lei, la più bella che avessi mai avuto e ancora non riuscivo a credere che fosse tutto vero.
Al mio fianco si materializzò mia sorella Alice, ma prima ancora ero stato raggiunto dai suoi pensieri.
“Se questo non è amore” pensava “la guardi come se non la vedessi da un’eternità, come se fosse sempre la prima volta.”
Mi voltai sorridendole - Non riesco neanche a descrivere quello che lei significa per me, Alice, dire che è tutto il mio mondo non renderebbe neanche lontanamente l’idea.- Mia sorella mi guardò ricambiando a sua volta il mio sorriso. “Ne sono felice” pensò” e lessi nella sua mente la parola festa mentre stringeva tra le mani il suo regalo per Bella.
-Sai che non sarà d’accoro- le dissi- né per il regalo, né per ciò che hai in mente di fare.
Alzò le spalle e il suo sorriso si allargò.- Non sarà così.- Disse con la sua espressione impertinente.
Scossi il capo rassegnato era una guerra persa quando si metteva in mente qualcosa.
Bella parcheggiò il suo pick-up e vidi Alice andarle incontro e quasi le urlò il suo buon compleanno, sollevando le sue proteste.
Mi avvicinai offrendo la mano a Bella. – Alice, non essere invadente, sai come la pensa al riguardo di festeggiare. Quindi, se ho ben capito- proseguii mentre intrecciavo le mie dita alle sue fissandola negli occhi e sentendo il suo cuore accelerare -come stabilito ho il divieto di augurarti buon compleanno.-Le sorrisi e le sfiorai il contorno delle labbra con le dita.
Mi guardava e sapevo che stava cercando un modo per respirare normalmente.
- Hai capito benissimo.- Rispose decisa. In silenzio annuii passandomi una mano tra i capelli.
- Speravo avessi cambiato idea, di solito a tutti piace festeggiare il proprio compleanno.- La risata di Alice risuonò nell’aria.
-E’ vero Bella, è un giorno speciale, dove tutti ti stanno intorno e cercano di farti felice. Cosa c’è di così brutto nell’essere felici per un giorno?- La Vidi adombrarsi e i suoi occhi per un attimo perdere quella luce che li caratterizzava.
- Non posso essere felice del fatto che sto invecchiando.- Rispose e quell’affermazione mi procurò un certo fastidio.
Sapevo del desiderio di Bella di entrare a far parte del mio mondo, di diventare come me, me lo aveva già chiesto.
- A diciotto anni una ragazza non dovrebbe farsi di questi problemi.- Rispose Alice.
- Sono più vecchia di Edward- disse e poi rivolgendosi a me - Tu non li farai mai.- Continuava a fissarmi.
Non risposi, sapeva come la pensavo e non volevo rovinare quel giorno con un’inutile discussione che non ci avrebbe portatati da nessuna parte. Non mi avrebbe mai convinto a condannarla a ciò che io ero a qualcosa che detestavo con tutto me stesso. Continuai a tenerle la mano mentre Alice parlava. Da lì a poco le avrebbe detto della festa e sicuramente avrei dovuto intervenire per cercare di convincerla. Forse dare le cose per già decise sarebbe stato un modo per non lasciarle la possibilità di rifiutare.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO II ***






La riluttanza di Bella all’idea di Alice di festeggiare il suo compleanno richiese la mia mediazione.
In effetti sapevo quanto anche lei riuscisse ad essere determinata, ma sicuramente non come mia sorella.
La sua scusa era un compito che dovevamo svolgere su Romeo e Giulietta.
- Ma se lo sai a memoria- Sbuffò mia sorella. - Hai già visto il film.- Replicò irritata.- Verrai, Bella: con le buone o le cattive.- Alzai gli occhi al cielo, la discussione si stava facendo minacciosa e il tono di Alice non mi piaceva. Non avrebbe mai fatto del male a Bella lo sapevo bene, ne ero certo, ma non mi andava a genio che adoperasse con lei quel tipo di atteggiamento.
Intervenni per smorzare i toni e cercare di arginare la delusione che la resistenza di Bella stava procurando ad Alice.
- D’accordo Alice, ora calmati, è il compleanno di Bella e se lei desidera vedere un film dovremmo accontentarla. Non credi? Saremo a casa per le sette, così avrai un po’ di tempo in più per prepararti.- Aggiunsi, mentre sul suo viso tornava il sorriso allegro di qualche attimo prima.
- OK, così va molto meglio.- Rispose scivolando via leggera come l’aria lasciandomi sotto lo sguardo accusatore di Bella, che cercò di ribattere, ma posandole un dito sulle labbra glielo impedii.
- Possiamo parlarne dopo, faremo tardi a lezione.- Le sorrisi e tenendola per mano ci avviammo verso la nostra aula.
Passavamo ormai inosservati tra i nostri compagni. La nostra storia durava da un tempo sufficiente da non destare più la loro curiosità.
Avevo fatto in modo di ottenere la maggior parte delle lezioni nei suoi stessi orari, per me non era difficile avere questo tipo di favori.
L’unico che ancora aveva pensieri su di noi anche se cercava di camuffare il suo interesse verso Bella e la delusione per la scelta in mio favore restava Mike Newton, al nostro rientro dalle vacanze estive avevo notato che aveva cercato anche di adottare il mio stesso look.
Il suo modo di portare i capelli adesso era molto simile al mio. La cosa mi fece sorridere. Mi imitava, se solo avesse saputo la vera origine del mio fascino non avrebbe sprecato tante energie per sembrare me.
Avvertivo il nervosismo di Bella, sapevo che non amava essere al centro dell’attenzione e una festa in suo onore sicuramente non aiutava, anche se organizzata dalla sua famiglia di vampiri preferita.
Non avevo preso di buon grado il fatto di non averle potuto regalare nulla, ma per lei i soldi e il valore che attribuiva loro sembrava essere importante. Per me non era così, nei vari anni della nostra vita immortale ne avevamo accumulati in maniera considerevole e poi le capacità di Alice ci permettevano previsioni finanziarie molto convenienti. Per me i soldi non avevano mai rappresentato un problema e trovavo naturale oltre che giusto spenderli per soddisfare i suoi desideri e bisogni. Era parte dei mie doveri, l’amavo e sarei stato felice di fare qualcosa che pur venendo da me non rappresentava un pericolo per lei.
Avevo accennato alla possibilità di pagare io i suoi studi futuri , ma anche in quelle occasioni il suo rifiuto non mi aveva lasciato possibilità per ribattere.
Quando facevo qualcosa per lei che comprendesse il dover spendere del denaro sembrava sempre in imbarazzo, come se accettare significasse approfittare di me. Come se questo fosse possibile, rispetto a lei la mia età era considerevole, la mia capacità di leggere nei pensieri mi dava vantaggi notevoli e nessuno mi avrebbe mai potuto indurre a fare qualcosa contro la mia volontà, meno che mai nel suo mondo. Quello che facevo per lei era sempre stato spontaneo e profondamente sentito e mi dispiaceva che non riuscisse a capirlo o potesse pensare di non meritarlo.
Avevo notato che tendeva per la maggior parte del tempo a sentirsi inadeguata nei mie confronti come se quella fortunata ad avermi accanto fosse lei e non il contrario.
Pregai Alice di soprassedere sull’argomento compleanno, per dare a Bella la possibilità di rasserenarsi. I miei rapporti con il resto del corpo studentesco non erano più tanto distaccati. Il mio disaggio nel rapportarmi con gli umani da quando Bella mi era accanto era diminuito, continuavano ad essere sempre diffidenti nei miei confronti, ma le distanze, specie tra la cerchia dei ragazzi che dall’inizio si erano avvicinati a lei, erano diminuite. Per Bella non era ancora sufficiente, soffriva del fatto che nutrissero comunque quella sorta di timore celato dietro ogni loro comportamento. Per lei non era mai stato così e non riusciva a capacitarsi del loro disagio. Continuavo a stupirmi e preoccuparmi di quanto fosse a suo agio con tutti noi, continuava a rifiutare e a non prendere in considerazione l’ipotesi del rischio evidente e reale che correva vivendo così a stretto contatto con noi.
Alice era preoccupata del fatto che Bella trovasse il modo di disertare la sua festa e mi aveva pregato di non perderla di vista, come se la cosa fosse stata possibile, comunque sarei rimasto con lei, ma volle che l’accompagnassi incaricandosi della mia macchina.
Uscendo mi diressi con Bella verso il parcheggio dove aveva lasciato il suo vecchio pick-up.
La sua espressione fu sorpresa e alquanto indispettita specialmente vedendomi fare il gesto di mettermi alla guida aprendole la portiera del passeggero.
Ne sarebbe nata sicuramente una di quelle solite schermaglie che adoravo, dove lei ribatteva parola per parola dando ad ogni mia battuta una risposta appropriata fino a che non finivo per dargliela vinta. Mi rendeva felice quando vedevo dipingersi sul suo viso quell’aria trionfante come a dire “sono riuscita ad avere l’ultima parola”. La sua autostima in quei momenti ne beneficiava ed era quello che volevo. Volevo che Bella si sentisse nei miei confronti sicura e alla pari.
La guardavo, bellissima come era, imbronciata con le braccia incrociate sul petto sotto la pioggia, mentre caparbia rimaneva immobile decisa a non cedere.- E’ il mio compleanno- dichiarò- non mi è concesso di guidare?- L’adoravo quando faceva così.
- Sto fingendo che non lo sia, come hai detto tu.- Replicai, cercando di non farle arrivare il mio divertimento, non volevo irritarla più del necessario.
- Se non è il mio compleanno stasera non sono obbligata a venire a casa tua…- Eccola la risposta furba, il suo acume alle volte era difficile da contrastare. Sospirai e imprimendo al mio viso un’espessione rassegnata chiusi lo sportello e andai ad aprire quello del guidatore aspettando che salisse sul suo alquanto stravagante mezzo di trasporto. Cercai di stuzzicarla ancora un po’.
- Buon compleanno.- Le ripetei e la sua occhiataccia mi fulminò. Sorrisi e presi posto a mia volta accanto a lei, la osservavo mentre guidava assorta . Spostai la mia attenzione verso il suo impianto stereo. Anche questa mossa era voluta e finalizzata a farmi dare un’altra risposta irritata. Cominciai a cercare una stazione che avesse un ascolto decente. Sapevo che il regalo di Emmett sarebbe stato un autoradio che da solo valeva più di quanto il suo pick-up fosse mai costato anche da nuovo e mi divertii a stuzzicarla e a pensare alla sua espressione alla vista di quel regalo tanto costoso che non avrebbe approvato.
- La ricezione è pessima- dissi distrattamente, e la risposta non si fece attendere.
- Se volevi un impianto migliore potevi tornare con la tua macchina.- Disse secca per poi pentirsene, con me non riusciva mai ad essere veramente in collera. Questo lo sapevo e alle volte me ne approfittavo, dovevo ammetterlo, ma mi faceva un piacere infinito saperlo e a stento riuscii a trattenere una risata.
Guidò senza rivolgermi la parola e stetti bene attento a non provocarla oltre anche se la tentazione era forte.
Sapevo che era furente, ma avrei trovato il modo per farmi perdonare.
Arrivati a casa sua parcheggiò e quando spense il rumoroso motore del suo mezzo mi avvicinai prendendole il viso tra le mani, sfiorandolo con le dita stando bene attento a non stringere troppo la presa, per me era fin troppo facile eccedere anche senza volerlo fare, sarebbe bastata una pressione appena più forte per procurarle danni. Era così delicata e fragile rispetto alla mia forza. Tutto ciò che facevo vicino a lei doveva essere studiato in ogni momento, non potevo mai lasciarmi andare, questo per lei sarebbe stato uguale a morire.
Ero perennemente sottoposto ad una pressione che metteva di continuo alla prova il mio autocontrollo e il suo odore non mi aiutava a mantenere la concentrazione. Per quanto riguardava la forza o l’andatura da tenere era più semplice, ma il discorso si faceva più difficile da poter gestire con ciò che il suo sangue riusciva a scatenare in me. La sua vicinanza continua per certi versi aiutava a dare una sorta di assuefazione, ma non era una garanzia, in qualunque momento poteva intervenire qualcosa ad amplificare il mio insano bisogno di soddisfare la mia sete.
Quando il veleno mi saliva in bocca ero sempre sull’orlo di un baratro, sapevo in quei momenti di sfiorare la tragedia. Nella mia mente i pensieri del predatore prendevano a convivere simultaneamente con quelli più razionali del mio lato umano che cercavo sempre di tenere vivi in me.
Era una sensazione che non mi piaceva mai provare e che quando la sentivo per Bella mi faceva odiare profondamente me stesso per ciò che ero.
Distolsi la mente da quei pensieri, la sua capacità di avvertire i mie cambi d’umore era spiccata, sapeva sempre se qualcosa mi tormentava e non volevo turbarla o rattristarla nel giorno del suo compleanno.
-Dovresti cercare di essere allegra almeno oggi.- Le sussurrai avvicinandomi al suo viso anche se questo avrebbe significato per me una fitta allo stomaco e sentire la mia gola andare a fuoco, ma per lei avrei sopportato ben altro se avessi avuto la certezza di non nuocerle. Sapevo però che non era così e questo mi terrorizzava, non avrei mai perdonato me stesso se le avessi fatto del male.
Sentii il suo respiro diventare affannoso appena mi avvicinai e il suo cuore perdere un colpo.
Il mio profumo la stordiva sempre e la vidi smarrirsi nel mio sguardo che ardeva per lei.
- Non voglio essere di buon umore, non ho motivo di esserlo oggi.- Rispose.
- Questo è un vero peccato, non trovi? Sprecare un’ occasione di felicità.- Replicai mentre la guardavo intensamente poggiando le mie labbra sulle sue. La sua bocca sembrò bruciare sulla mia. Ne avvertii la morbidezza e la sentii impegnarsi nel tenere il ritmo del suo respiro costante.
La sensazione che quel contatto mi dava ogni volta non sarei stato capace di descriverla in tutta la mia intera esistenza, non conoscevo parole capaci di renderlo appieno. Da egoista quale ero non riuscii ad accontentarmi ed indugiai in quel bacio per poi pentirmene quando lei si strinse a me e ricambiò con maggior entusiasmo.
Le sorrisi mentre mi scioglievo dal suo abbraccio, non volevo si sentisse rifiutata anche se le avevo spiegato più volte che ero costretto ad avere quel tipo di comportamento. Per garantire la sua incolumità non potevo prolungare mai troppo le nostre manifestazioni d’affetto.
Contatti troppo intimi e ravvicinati.
Sembrava averlo capito ed accettato, ma volevo esserne sempre sicuro. Non volevo soffrisse. Quello sbagliato ero io non lei, anche se aveva la tendenza a dimenticarlo troppo spesso e ritenere il fatto che io fossi per lei pericoloso un dettaglio insignificante. Non era salutare per lei che i miei denti affilati indugiassero per troppo tempo vicino alla sua pelle morbida e calda, quello sarebbe stato un invito troppo alettante da poter rifiutare per il mostro che conviveva in me.
- Da brava, Bella, per favore.- Sussurrai rimanendo vicino al suo collo e poggiando le labbra sulle sue per congedarmi da quella situazione troppo piacevole per entrambi e per non lasciarle alcun dubbio al fatto che eravamo troppi vicini al limite dove la sua incolumità poteva essere messa in pericolo. Mi allontanai da lei incrociandole le braccia sullo stomaco.
Il suo battito era diventato assordante tanto era forte: la vidi portarsi una mano sul cuore. - Pensi che migliorerò mai?- Chiese. La guardai interrogativo.- Il mio cuore smetterà mai di cercare di uscirmi dal petto ogni volta che mi sfiori?- Rimasi a guardarla felice e non fui in grado di nasconderle il mio compiacimento a quelle parole.
- Spero proprio di no.- Risposi sorridendole.
Mi regalò la sua espressione rassegnata, quella che la vedeva alzare gli occhi al cielo come per arrendersi all’evidenza.
- Bene andiamo a vedere Romeo e la storia del suo amore travagliato per Giulietta, vuoi?- Annuii.
-Ogni tuo desiderio è un ordine.- E mi appresati ad aiutarla a scendere.









Ecco qui il secondo capitolo. Come avrete notato sto seguendo passo passo il libro originale almeno per quanto riguarda la prima parte. Dove la Mayer lascia Edward accanto a Bella. Sarà nella seconda che vedendolo assente mi darà modo di dargli voce a modo mio. So che non sarà facile riempire il vuoto di quelle pagine lasciate in bianco perchè oltre che i suoi pensieri sarà necessario riferire di azioni, luoghi e atteggiamenti che lui sicuramente avrà avuto lontano da Bella fino ad arrivare alla decisione di andare in Italia. Penso che i capitoli non saranno molto lunghi, almeno fino qui cercherò di non farli troppo lunghi e frammentare gli originali in più parti. Non è un lavoro facile cercare di tirarer fuori le sue impressioni seguendo il racconto. Poi comunque si vedrà man mano da quello che ne verrà fuori. Voglio ringraziare chi sta seguendo preferendo e leggendo e chi ha voluto lasciare un commento.

arte
cicciolgieri
LaLa69
ninfea306
Grazie per la fiducia e per aver sempre voluto farmi sapere cosa ne pensate di quello che scrivo.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO III ***






Entrammo in casa tenendoci per mano, Bella si levò il giaccone umido di pioggia e lo appese all’appendiabiti dell’ingresso e poi prese il mio dalle mie mani. Suo padre ancora non era rientrato.
Passammo nel soggiorno e mentre lei armeggiava per fare partire il film io mi accomodai sul divano osservandola.
Quando ebbe finito venne a sedersi vicino a me, ma rimanendo sul bordo. Allungai le braccia per cingerle i fianchi e tirarla accanto a me. Ancora non si era tranquillizzata: capivo che quella giornata fosse stata per lei più pesante di quanto avessi pensato e per calmarla l’abbracciai stringendola al mio petto.
Ero consapevole che il mio corpo freddo e duro non era il posto più comodo dove accoglierla, ma lei non si lamentava, anzi accettava da me sempre tutto di buon grado. Presi da dietro la spalliera il vecchio plaid che usavo per ripararla dal gelo che inevitabilmente le avrei trasmesso e mi accinsi a seguire il film con lei.
Romeo non era tra i miei preferiti. Non nutrivo simpatia per questo personaggio che a mio avviso, non aveva le idee chiare sull’amore.
- Sai, Romeo mi ha sempre dato sui nervi.- Commentai appena il film iniziò.
- Cosa c’è che non va in Romeo?- Rispose un po’ contrariata. Ero al corrente della sua predilezione per le storie d’amore tormentate. Del resto come avrebbe fatto ad incarnare alla perfezione un’eroina romantica se non avesse avuto nelle sue letture questi modelli? La nostra storia sarebbe potuta benissimo essere uscita da un vecchio romanzo. Adorava gli amori tormentati e improbabili e il nostro ne aveva tutti gli ingredienti.
Bella era per certi aspetti una ragazza d’altri tempi, non aveva niente in comune con le sue coetanee. Era coraggiosa, appassionata, leale e sincera.
Si era trovata catapultata in un mondo che per tutti era irreale e non aveva battuto ciglio, non aveva avuto il benché minimo cedimento.
Mi fissava aspettando una mia risposta.
- Be’, prima di tutto è innamorato di questa Rosalina…Non ti pare un po’ volubile, il ragazzo? Poi qualche minuto dopo il matrimonio, uccide il cugino di Giulietta. Poco intelligente, davvero. Un errore dopo l’altro. Peggio di così non avrebbe potuto fare per demolire la propria felicità. – Sospirò.
- Vuoi che lo guardi da sola?- Rispose pungente. Era tremendamente divertente e mi piaceva quella confidenza tra noi, sapeva di quotidianità condivisa, di normalità, che per me era una parola alquanto inappropriata.- No, non preoccuparti- le risposi come se non avessi inteso il suo disappunto,- tanto io resto qui a guardare te.- Con le dita cominciai a tracciare disegni immaginari sul suo braccio, facendole venire la pelle d’oca.- Pensi che piangerai?- Le domandai con il tono più innocente che possedevo, come a far finta che il mio proposito non fosse quello d’infastidirla per attirare la sua attenzione su di me.
- Probabilmente, se seguo la trama.- Rispose rassegnata. Sorrisi.
- Allora cercherò di non disturbarti.- Replicai, mentre appoggiavo le mie labbra sui suoi capelli. Le sarebbe stato difficile mantenere la concentrazione e ignorarmi, ma era quello che volevo. Non mi piaceva non essere nei suoi pensieri anche se solo per il tempo di un film. Non amavo la sensazione che mi dava sentirla assorta e distante. Per questo iniziai a sussurrarle le battute di Romeo all’orecchio in anticipo e mi divertii parecchio a vederla piangere quando Giulietta svegliandosi scoprì il marito morto. Era un’inguaribile romantica; la mia inguaribile romantica. Sentivo di amarla in maniera totale. Era ovunque in me irrimediabilmente.
Poi, come parlando a me stesso, mi lasciai sfuggire una considerazione di cui mi pentii quasi subito quando capii il timore che aveva insinuato in lei.
-Ti confesso che qui lo invidio un po’- dissi senza pensare all’effetto che quell’affermazione avrebbe procurato in lei mentre le asciugavo le lacrime con una ciocca dei suoi capelli e con la mente ritornavo a quando ero stato costretto a prendere in considerazione quell’eventualità appena la primavera scorsa quando avevo creduto di non arrivare in tempo per salvarla e cercavo tutte le alternative.
La sua risposta mi distolse da quei ricordi per me dolorosi. Quello era stato il momento più terribile che avessi mai vissuto.
- In effetti lei è molto carina.- Quella risposta mi lasciò interdetto. Come poteva pensare che mi stessi riferendo alla ragazza del film? Nessuna per me poteva reggere il confronto con lei, le altre ai miei occhi neanche esistevano.
- Non gli invidio la ragazza- sottolineai- ma la facilità con cui si è suicidato.- Cercai di farle capire rimarcando la frase. – Per voi umani è così facile! Basta buttare giù una fialetta di estratto vegetale…- Non riuscii neanche a finire il concetto che la vidi impallidire. Non capivo cosa avessi detto.
-Cosa?- Esclamò, con un’espressione incredula sul volto.
- Una volta ci ho pensato – risposi – e grazie all’esperienza di Carlisle sapevo che non era semplice. Non so neanche a quanti tentativi di suicidio è sopravvissuto lui, all’inizio…dopo essersi reso conto di ciò che era diventato.- Cercai di smorzare il tono serio che aveva preso quella conversazione imprimendo alla mia voce una nota ironica.- Oltretutto- aggiunsi – è ancora in ottima forma.- Si era voltata per guardarmi in faccia e la sua espressione era di assoluto stupore come se le avessi arrecato un oltraggio. Sembrava scioccata, e non riuscivo a cogliere il motivo di quella sua reazione, cosa avessi mai potuto dire di così sbagliato, in quel momento proprio mi sfuggiva.
- Tu cosa?- esclamò.- Cosa vuol dire che una volta ci hai dovuto pensare?- Perché si stupiva così? Era naturale per me pensarlo. Possibile che non lo capisse? Ormai rappresentava tutta la mia vita e se fosse morta non avrebbe avuto senso continuare, io non avrei più avuto alcun senso.
- La primavera scorsa – ribadii – quando hai rischiato di… morire…- Feci una pausa per non farle capire il dolore che tornò a graffiarmi al solo pronunciare quella parola. La paura di perderla e la disperazione erano ancora reali e presenti in me. Respirai profondamente per apparire rilassato e ironico.- Volevo con tutto me stesso trovarti ancora viva e tenevo alta la concentrazione, ma non potevo impedirmi di valutare le possibili alternative. Come ho già detto per noi non è facile come con gli esseri umani.- La vidi perdersi per un momento nei ricordi di quel giorno e la sentii rabbrividire, ancora al solo pensiero tremava e di questo me ne sarei fatto una colpa per il resto della mia esistenza. Ero arrivato appena in tempo allora per strapparla dalle mani di quel pazzo assassino. Si sfiorò con le dita la cicatrice sul braccio e inorridii al pensiero che aveva rischiato di diventare come me. Scosse la testa per riemergere da quei ricordi e guardarmi interrogativa. Non riusciva a capire il mio punto di vista. Quello che avevo detto l’aveva turbata. Mi addolorò averle arrecato un dispiacere, non volevo che si preoccupasse per me o fosse triste a causa mia.
- Di quali alternative parli?- Domandò. Alzai gli occhi al cielo. – Be’, non sarei mai riuscito a vivere senza di te. - Eppure non era difficile da capire. Non sarei mai riuscito e non l’avrei voluto. –L’unico problema restava come avrei fatto. Non avrei potuto avere l’aiuto dei mie familiari…per cui pensai di andare in Italia a scatenare l’ira dei Volturi.- Osservai Bella tenere i suoi grandi occhi scuri fissi su di me, resi ancora più grandi dallo stupore per quella mia affermazione, mentre ripensavo alla decisione che avevo preso come conseguenza logica e naturale alla sua scomparsa. Non averla più accanto, per me, era un pensiero inconcepibile e mi era difficile solo considerarne l’eventualità. Niente sarebbe stato più tremendo e atroce da immaginare che un mondo dove lei non fosse più esistita, non avrei voluto farne parte, immortale o no che fossi stato. D’un tratto però la sua espressione cambiò. Era in collera con me.
Bella si irrigidì - Cosa sono i Volturi?- Mi chiese. Continuavo a essere assorto nei ricordi. – Una famiglia.- Risposi fissando un punto lontano.- Sono una famiglia di nostri simili, molto ricca e potente è la cosa che si avvicina di più ad una famiglia reale. Anche Carlisle per un periodo ha vissuto con loro all’inizio. Ricordi te ne ho parlato …- Annuì.
- Comunque sia i Volturi non devono essere mai provocati. Non bisogna infrangere la legge, a meno che non si cerchi la morte o qualsiasi altra cosa ci tocchi.- Cercai di parlare in maniera pacata per non spaventarla, del resto era la sola alternativa che avrei avuto senza di lei.
Ad un tratto con lo sguardo terrorizzato afferrò il mio viso e lo tenne ben stretto tra le sue mani.
- Non devi mai, in nessuna circostanza pensare una cosa del genere.- Disse severa.- Non ha importanza ciò che mi potrebbe capitare, non ti permetterò mai di fare del male a te stesso!- Era veramente spaventata. “Bravo Edward, bel lavoro complimenti. Guarda cosa hai fatto è fuori di se dalla preoccupazione, ma che ti è saltato in mente di uscire questi discorsi.” Cercai di porre rimedio alla mia leggerezza.
- E’ un discorso inutile…farò in modo di non metterti mai più in pericolo.- Era una promessa e l’avrei mantenuta a qualsiasi costo, anche se poteva significare controllarla ogni istante senza tregua.
- Come se questo fosse possibile. Tu non potrai proteggermi da tutto, ci sarà sempre qualcosa che mi metterà in pericolo nel mio mondo e tu non potrai farci niente e poi pensavo che avessimo chiarito che sono io ad attirare le disgrazie.- Vedevo che non riusciva a calmarsi.
- Come ti è venuto in mente di pensare un’assurdità del genere? La sola idea che tu possa scomparire, anche se non ci sarò più, è insopportabile per me.- Vedevo chiaramente che soffriva e riusciva a malapena a trattenere le lacrime.
- Cosa faresti se i ruoli fossero invertiti?- La guardai e soffocai una risata, non era la stessa cosa.
- Non è uguale.- Replicai. Poi la sua affermazione mi aprì uno spiraglio di quello che era il suo punto di vista e guardato da quella prospettiva potevo capire meglio cosa volesse dire.
- Se succedesse qualcosa a te,- disse e la vidi impallidire- vorresti che io la facessi finita?- A quell’affermazione sentii una sofferenza profonda impadronirsi di me e il mio viso si contrasse in una smorfia di dolore.
- Penso di capire cosa vuoi dire…almeno credo… un po’.- Ammisi, ma questo non era di grande consolazione. Cosa avrei fatto io senza di lei? Diedi voce a questi pensieri e lei rispose che avrei dovuto continuare a fare esattamente quello che facevo prima che lei arrivasse a complicarmi l’esistenza.
- Come se fosse semplice, hai cambiato tutto il mio mondo. Sei la mia sola ragione per esistere.- Sospirai.
- E’ semplice, in fondo non sono così interessante.- Avrei voluto controbattere, ma evitai.
- Discorso inutile.- Dissi solo, ribadendo la mia opinione sul fatto che quella eventualità non avrebbe più riguardato noi. Poi scattai e mi ricomposi allontanandola, facendo attenzione a non farle male, e la feci scivolare accanto a me.
- E’ Charlie.- Le annunciai sorridendole.






Grazie ancora per seguire, preferire e commentare. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Un saluto. Glance

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Capitolo 5
*** CAPITOLO IV ***


La capacità di ricordare in maniera nitida con dovizia di dettagli era una tratto caratteristico di ciò che eravamo. Fosse passato un minuto, un giorno, un anno, o tutta l’eternità io avrei potuto ricordare ogni più piccolo particolare di quello che mi era successo nitidamente, come se si fosse appena verificato, come se lo stessi vivendo in quell’istante.
Quel giorno sarebbe rimasto inciso nella mia mente, nei miei ricordi, come l’attimo in cui si era svolto.
Suo padre era rientrato, aveva portato la pizza per non permettere a Bella di cucinare anche il giorno del suo compleanno, mentre sembrava non stupirsi del fatto che io per l’ennesima volta declinassi l’invito a cenare con loro, gli chiesi con garbo il permesso di poter avere Bella con noi quella sera per festeggiare il suo compleanno. Se mi avesse detto di no, se solo avesse rifiutato il suo permesso, adesso non starei vivendo in questo incubo.
Già. Chi lo aveva detto che per noi non fosse possibile avere degli incubi? Io ci stavo sguazzando in mezzo da tempo immemorabile, sveglio, perfettamente vigile e presente, nel mio incubo personale, ma mai era stato terrificante come in quel momento che avrei visto ripetersi davanti ai miei occhi per sempre come la scena di un film mandata indietro e riavviata.
Lei che giaceva in terra tra schegge di vetro e con una lunga ferita sul braccio sanguinante.
I miei fratelli che cercavano di tenere a bada Jasper preso dalla frenesia del sangue di Bella.
La difficoltà di tutti a poter respirare con la stanza satura del suo odore. Un invito troppo allettante per potere resistere. Rabbia e vergogna che si erano impossessati di me.
Come avevo potuto essere così idiota? come avevo potuto non prevedere quella situazione?
Semplicemente mi ero rilassato, avevo abbassato la guardia. Per un attimo avevo sperato che una convivenza tra i nostri due mondi fosse possibile, ed avevo rischiato la tragedia.
Avevo sottoposto la mia famiglia a quell’umiliazione, li avevo esposti al pericolo di essere scoperti, ma la cosa che non riuscivo a perdonarmi era che avevo messo lei in pericolo e che la morte le sarebbe potuta arrivare da quello che consideravo mio fratello. Il più debole di tutti noi, quello che maggiormente aveva bisogno del nostro aiuto per resistere a ciò che era.
Non avevo rispettato nessuno in questa storia agendo da egoista. Avevo calpestato tutti.
Dicevo di amarli e guarda che cosa avevo provocato, ma la disperazione più grande stava nel fatto che ero venuto meno a tutte le promesse fatte e lei.
Le avevo detto che l’avrei protetta, che le sarei stato accanto per fare in modo di non metterla più in pericolo e invece avevo voluto dimenticare che il vero pericolo per lei ero solo io.
Non aveva voluto regali per il suo compleanno, ed io da perfetto innamorato gliene avevo fatto uno a sorpresa. La festa di compleanno che non avrebbe dimenticato per il resto della sua vita, dove per un banalissimo incidente, un’insignificante taglio su un dito con un foglio di carta da regalo aveva rischiato di morire.
Era bastata quella piccolissima goccia di sangue per farmi smettere di respirare e scatenare la sete incontrollabile di mio fratello.
Solo un attimo prima eravamo davanti alla grande villa a scherzare sul suo dubbio se saremmo apparsi o meno sulle fotografie che aveva scattato a casa sua prima di uscire, stavamo ammirando il lavoro fatto da Alice per addobbare a festa la casa in suo onore, la stavo pregando di non fare troppo la difficile e non negarci la possibilità di festeggiare un compleanno, cosa impossibile da fare ormai per tutti noi, l’ultimo a festeggiare era stato Emmett, ma parlavamo del 1935.
Le avevo anche chiesto di essere paziente con Rosalie perché sapevo quanto fosse difficile per lei gestire i rapporti con mia sorella. “ non preoccuparti” le avevo detto “ farà del suo meglio”.
La stavo tenendo per mano stuzzicandola sul fatto che non volesse accettare in regalo una macchia più veloce e poi mi aveva fatto innervosire ricordandomi che da me avrebbe voluto solo un regalo, quello di diventare ciò che ero io. - Questo non sarà il tuo ultimo compleanno Bella. – Le avevo risposto accompagnando quell’affermazione con un suono cupo e minaccioso che mi era nato spontaneamente dal petto, al solo pensiero che lei potesse desiderare una cosa del genere. Dovetti sforzarmi per ritrovare la calma alla sua risposta, quel suo “ Non è giusto!” Pronunciato con risentimento e delusione mi aveva fatto digrignare i denti serrando le mascelle.
Che gesto da eroe la mia indignazione a quell’affermazione, a quella richiesta che mi offendeva.
Non capiva, non voleva capire che io non avrei mai messo fine alla sua vita, non avrei mai permesso che diventasse come me.
Quanto ero stato ingenuo a poterlo solo sperare, a credere che non sarebbe potuto succedere.
Con me lei non sarebbe mai stata al sicuro. Io non potevo decidere di scegliere di non mettere fine alla sua vita, il solo fatto di avermi fatto entrare nella sua esistenza, ne decretava automaticamente la fine in un modo o nell’altro, se non per mano mia, sarebbe potuto succedere in qualsiasi altro modo. Era già successo prima con James, ora con Jasper, domani forse io stesso non sarei stato in grado di controllare il mostro che albergava in me.
Mio padre era stato costretto a metterle dei punti e poi io l’avevo riportata a casa vestita in maniera diversa da come era uscita, da come suo padre me l’aveva affidata e per la seconda volta, fidandosi di me, l’avevo messa in pericolo.
Pensavo a questo mentre ritornavamo, a questo e a come la mia famiglia aveva cercato di scusarsi, ma che comunque continuava a rappresentare insieme a me un pericolo reale per la sua vita.
Erano mortificati, lo sapevo, io ero invece furioso con me stesso. Jasper continuava a chiedermi di perdonarlo, i pensieri di Rosalie inespressi risuonavano nella mia testa.
Ma quello che mi continuava a dilaniare era l’atteggiamento di Bella. Si sentiva responsabile. Non ci dava nessuna colpa, non accusava me per tutto quello che era costretta a subire da quando mi conosceva, anzi se ne addossava tutta la responsabilità. Era stata la sua sbadataggine la causa di tutto a sentire lei.
Fu quella sera che quel pensiero s’insinuò nella mia mente, che presi la decisione di sradicarla da ogni fibra del mio essere. Sapevo che mi avrebbe annientato, ma il suo bene, la sua salvezza erano prioritari per me. Lei veniva prima di ogni mio egoismo, desiderio o bisogno.
Avrei rinunciato a lei per permetterle di vivere la sua vita, normalmente e felice, lontano da qualcuno come me.
Iniziai a staccarla da me, quella sera stessa. Dal mio sguardo, cominciando a sfuggire il suo, dai miei gesti, l’avrei toccata il meno possibile. Nel tono della voce con cui mi sarei rivolto a lei.
Non potevo permettermi cedimenti, non sarebbe stato facile di questo ne ero convinto.
L’avrei guardata negli occhi e sarei stato deciso, chiaro e irremovibile. Sarei sparito dalla sua vita, per sempre.
Quella sera rimasi con lei, come avevo previsto aveva capito che qualcosa era cambiato tra di noi e aveva bisogno di tranquillizzarsi.
Volle che le dessi il suo regalo di compleanno. Avevo inciso un cd con le note della sua ninna nanna, quella melodia che era scaturita una sera che mi ero seduto al piano pensando a lei. Stentava ad addormentarsi faceva i capricci come una bambina, nel tentativo di ricreare quel qualcosa che aveva avvertito di stare perdendo.
Poi venne la richiesta di un bacio, un desiderio da esaudire per il suo compleanno che aveva deciso che smettessi di ignorare.
Per me era chiaro, la conoscevo, il suo intuito verso ciò che mi riguardava, ci riguardava, era forse pari alla mia capacità di leggere nella mente. In qualche modo sapeva.
- Sei avida questa sera.- Le risposi.
- Si lo sono.- Disse – ma per favore, non farlo se non lo desideri davvero.- Aggiunse risentita.
Risi sospirando amaramente.
- Non sia mai detto che io faccia qualcosa controvoglia.- La mia risposta assunse il tono della disperazione che precede un addio.
Le presi il mento con la mano e avvicinai il suo viso al mio. All’inizio fu un bacio cauto come al solito, mentre sentivo il suo cuore perdere il controllo.
Poi, come mi era già capitato la primavera precedente quando l’avevo salutata costretto a lasciarla senza sapere quando e se l’avrei rivista, per allontanarla dal pericolo di James, come allora, le dissi addio, prolungando quel bacio e indugiando più del dovuto e nella maniera che di solito non concedevo mai a noi due di avere . Infilai la mano libera tra i suoi capelli cercando di tenerne più allungo possibile la sensazione di morbidezza che sentivo tra le dita e trattenendo la sua testa contro la mia. Malgrado le sue mani fossero già sui miei capelli e la sentissi sul punto di oltrepassare il confine della prudenza che solitamente imponevo, non la fermai, nonostante a dividerci ci fosse solo lo spessore della coperta lasciai che si stringesse a me impetuosa.
Quello era il mio rinunciare a lei, silenzioso e disperato. Poi il contatto divenne veramente insostenibile per me a tal punto da temere per il mio autocontrollo e bruscamente mi staccai da lei afferrandola con dolcezza e decisione.
Sentivo il suo fiato corto, vedevo la sua confusione nello sguardo. Crollò sul cuscino.
- Scusa- Le dissi anche io senza fiato.- Ho esagerato.- Ma la sua risposta non mi stupì.
- Non m’importa.- Semplicemente questo. Non le importava come non le era importato mai niente di tutto quello che le era capitato per causa mia, ma se lei era così avventata, io dovevo rinsavire e cercare di avere buon senso sufficiente per tutti e due.
Aggrottai le sopracciglia a quell’ennesima affermazione che non teneva in nessun conto se stessa.- Cerca di dormire Bella.- Risposi.
- No, voglio che mi baci ancora.- Replicò testarda. - Sopravvaluti il mio autocontrollo.- Ribadii fissando un punto indistinto sul soffitto. Avvertivo il suo smarrimento, il suo aggrapparsi con tutte le forze a quei tentativi per cercare di ristabilire un equilibrio che sentiva sbilanciato, ma non dovevo spaventarla più del dovuto. Non sarei stato capace di contenere e contrastare la sua disperazione.
- Cosa ti tenta di più: il mio sangue o il mio corpo?- Domandò e capii nella sua voce l’ansia trattenuta di chi percepisce un presagio.
Mi sfuggì un sorriso.- L’uno e l’altro.- Affermai per tornare subito serio.- Ora perché non smetti di sfidare la sorte e ti metti a dormire?- Acconsentì.
- Va bene.- Rispose e si rannicchiò contro di me, era esausta potevo sentirlo. Era stata una giornata lunga e tremendamente difficile per entrambi. Avvicinò il braccio ferito alla mia spalla e la sentii tremare mentre si abbandonava arrendendosi alla stanchezza.
Quello sarebbe stato l’inizio della mia fine, ma dovevo dirle addio.

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Capitolo 6
*** CAPITOLO V ***


“A cosa pensi?” mi aveva chiesto nella sua stanza “ Ecco, pensavo a cosa è giusto e cosa sbagliato.” Le risposi e quella considerazione non aveva lasciato per un istante la mia mente.
Cosa era veramente giusto e sbagliato?
Era giusto che l’avessi voluta per me, era giusto che mi amasse, era giusto che sapesse del mio mondo, farle correre tutti quei pericoli? Era giusto privarla della sua normalità, di attimi preziosi della sua vita per stare con me? Ciò che era sbagliato lo sapevo bene, ma avevo cercato di tenermelo nascosto, di ignorarlo.
La volevo come non avevo mai desiderato niente in tutta la mia esistenza solitaria e vuota e l’amavo come non credevo fosse possibile amare, ma non potevo non considerare che chiunque sarebbe stato più degno e migliore di me per lei.
Il mio pensiero era volato a Mike Newton se si fosse tagliata a casa sua insieme a Jessica, Angela e gli altri suoi amici normali quali rischi avrebbe corso? Forse solo di non trovare le bende.
Se fosse caduta su una pila di piatti di vetro inciampando anche senza che qualcuno ce l’avesse scaraventata, anche in quel caso cosa avrebbe rischiato, di sporcare i sedili della macchina di suo padre mentre la portava all’ospedale? Magari Mike Newton le avrebbe potuto tenere la mano mentre la ricucivano e sarebbe potuto rimanere lì senza combattere contro l’istinto di ucciderla.
Lei però pensava che fosse colpa sua. Come faceva? Si era solo tagliata con della carta, nessuno poteva condannarla per questo, ma lei continuava a ritenersi l’unica responsabile, lei e il suo essere sbadata e maldestra e questo non faceva che rendermi ancora più nauseato di me stesso.
Pensavo veramente che Mike sarebbe potuto essere l’alternativa più salutare ad uno come me e glielo dissi.
- Preferirei morire che stare con Mike.- Protestò – Piuttosto che stare con chiunque non fossi tu.- Quelle parole mi risuonavano nella testa mentre tornavo a casa dopo averla salutata con un bacio veloce sulla fronte mentre ancora dormiva.
Ero furioso con me stesso e la notte trascorsa non era servita a lenire quel sentimento di disgusto e impotenza verso qualcosa che non poteva essere cambiato neanche impegnandomi all’infinito. Per sempre immutato e immutabile. Niente sarebbe intervenuto a modificarmi, niente ci sarebbe riuscito mai, neanche lei e il suo amore incosciente.
Non potevo fare a meno di ripensare ai suoi ingenui tentativi per calmarmi, a come era rimasta in silenzio senza protestare quando mi misi alla guida del suo Pick-up per riportarla a casa a come non aveva fatto commenti sul regalo di Emmett che faceva bella mostra di sé sul cruscotto della sua macchina e al tentativo impacciato di fare sparire il grande fiocco rosso che vi era stato posto sopra, facendolo scivolare sotto il sedile. Aveva resistito senza parlare in quel silenzio che gridava tutto il mio tormento fino a non poterne più.
“Di’ qualcosa” implorò, mentre guidavo come nessuno sarebbe stato in grado di poter fare nel suo mondo.
Ma cosa avrei potuto dirle? Scusarmi per la milionesima volta di qualcosa che non avrei mai potuto tenere lontano da lei? Il pericolo che rappresentavamo era reale e innegabile e tutto l’amore dell’intero universo non sarebbe servito a tenerla al sicuro.
Alla mia risposta fredda su cosa volesse che le dicessi la sentii rabbrividire ed aggiungere che voleva il mio perdono.
Quella esclamazione mi rese furioso. Come poteva pensare che fosse colpa sua. Accidenti! Non si poteva scusare del fatto che stava per essere uccisa. Alle mie considerazioni su cosa fosse più salutare per lei lontano da me, mi diede del ridicolo.
Cercava in tutti i modi di minimizzare per salvare la serata me ne rendevo conto, ma fino ad ora i suoi tentativi erano falliti e capivo che stava rimuginando su come fare a strapparmi da quel dolore in cui mi stavo crogiolando.
Arrivati davanti a casa sua non riuscii a staccare le mani dal volante erano contratte in uno spasmo di rabbia repressa. Avrei voluto spaccare tutto.
Poi la sua voce che aveva il potere di calmarmi come un balsamo.
Quella richiesta a restare con lei, nonostante tutto.
Continuava a volermi accanto a sé, ma sapevo che non era il caso.
Non riuscii a negarglielo e l’accompagnai per un tratto portandole i pacchetti. L’avrei aspettata nella sua stanza. La sua espressione ogni volta che mi rivedeva anche solo dopo pochi minuti mi lasciava sempre stupefatto, era sempre come se ritornasse a respirare solo quando le ero accanto. Anche per me il tempo e lo spazio smettevano di esistere, sembrava quasi che galleggiassi nel nulla senza di lei.
Si precipitò tra le mie braccia accoccolandosi sul mio petto. Era spaventata, intimorita da ciò che intuiva.
Quel pensiero della necessità di dover agire esclusivamente per il suo bene e quella sensazione che faceva seguito alla mia decisione talmente inevitabile quanto necessaria, non servì a lenire minimamente quel senso di sgomento che invadeva tutto il mio essere.
Appena avevo realizzato quale fosse la cosa giusta da fare il mio cuore che non batteva da quasi un secolo all’improvviso ebbi l’impressione che fosse sparito. Al solo pensiero di allontanarla da me una voragine si era impadronita del mio petto. Un enorme vuoto che non avevo mai sentito prima di allora si aprii in maniera fulminea e così violenta da farmi avere l’impressione che una mano mi avesse afferrato quel mio cuore muto strappandolo via.
Tornai a casa a cambiarmi per andarla ad aspettare a scuola come facevo sempre.
Sarebbero stati gli ultimi momenti che mi concedevo e cercavo nel frattempo di farle arrivare di quella situazione piccole avvisaglie, ma non troppo. Il momento dell’addio volevo che fosse inaspettato, ma non del tutto.
Ero accanto a lei, ma doveva cogliere la differenza del cambiamento senza avere la certezza di quello che stava succedendo.
Al mio arrivo a casa la situazione che trovai non fu semplice. Non avevo voglia di parlare o di spiegare nulla e sapevo già che avrei dovuto sicuramente subire il terzo grado da Alice e le sue rimostranze. Certamente aveva già visto quale strada avrei intrapreso e non aveva mancato d’informarne gli altri.
Con mia grande sorpresa non fu lei che trovai ad aspettarmi sotto il grande portico.
Seduto sui gradini con lo sguardo basso, i gomiti poggiati sulle gambe trovai Jasper.
Scesi dalla macchina e m’incamminai verso di lui con andatura da umano. In quel momento qualsiasi cosa mi riportasse a ciò che ero mi era insopportabile.
Arrivato davanti a mio fratello stavo per passare oltre per entrare ed andarmi a cambiare. Volevo fare come se nulla fosse. Nei suoi pensieri leggevo tutto il suo disaggio nei miei confronti.
-…Edward- mi chiamò. Mi fermai accanto a lui che continuando a tenere la testa bassa aspettava cercando le parole da dire che nella sua testa sentivo vorticare tutte insieme rumorosamente.
-Lo so… Jasper, che ti dispiace, ma non devi…se c’è un responsabile a tutto questo, quello sono soltanto io. Tu non c’entri. Non devi sentirti a disaggio con me.- Alzò lentamente la testa e mi guardò dritto negli occhi.
- Edward non devi, sarebbe un errore. Te ne pentiresti. Stai agendo d’impulso e credimi te lo dice uno che sa di cosa parla.- Sorrisi amaramente.
- Jasper hai fatto solo quello che la nostra natura ti ordina. Non è facile sfuggire da questo. Stai tranquillo so quello che dico. Anche io all’inizio ho rischiato di comportarmi così con lei, ma ora ho capito. Non possiamo essere altro se non questo. Possiamo inventare tutte le personalità che vogliamo, giocare agli umani quanto ci pare…non potrà cambiare mai niente Jasper, niente.- Sentivo i miei muscoli pronti a scattare da un momento all’altro tanto mi costava il dover prendere atto di quella realtà così allungo rinnegata. Mai mi ero sentito così furioso contro quello che ero.
- Non è stata colpa tua, come non è colpa mia. Non è colpa nostra se siamo questo. Certo nessuno di noi ha voluto diventare ciò che siamo, ma non possiamo sfuggire da noi stessi.- Gli poggia una mano sulla spalla. “ Andrò via” Il suo pensiero mi arrivò con quel tono mortificato che mi ferì. Stava soffrendo e mi dispiaceva, sapevo quanto aveva lavorato su se stesso, quanta volontà e auto controllo. Tutto vanificato per colpa mia.
- Bella non farà più parte del mio mondo comunque.- Risposi. Pensò solo “mi dispiace” e tornò ad assumere la posizione di un attimo prima.
Sospirai ed entrai. Li trovai tutti nel salone che mi aspettavano.
- Tesoro, sei tornato. Come sta Bella?- La prima a parlare fu mia madre Esme.
La guardai e poi rivolsi il mio sguardo in circolo sugli altri.
- Meglio, risposi. La conosci non si lamenta mai. Vedo che siamo in piena riunione. Cosa c’è all’ordine del giorno?- Feci con noncuranza.
- Lo sai Edward, lo hai già letto nelle nostre menti appena entrato.- Disse Carlisle.
- Già, uno dei vantaggi di essere un vampiro.- Sorrisi indolente. - Pensavo solamente che sarebbe stato più facile per voi parlare.-
- Perché questo sarcasmo figliolo?- Scrollai il capo. – Ti sembro sarcastico?- Mi guardò con il suo sguardo bonario e paterno.
- Si.- Rispose attendendo la mia reazione.
- Perché. Carlisle, mi domandi il perché del mio sarcasmo?Perché odio tutto ciò che sono, perché provo vergogna di me stesso, perché dovrei essere solo il ricordo di qualcuno, un’immagine sbiadita di una vecchia fotografia e invece sono qui a rovinare la vita della creatura più delicata e splendida che possa mai essere nata. Perché solo per averla guardata l’ho sporcata, ma non mi sono accontentato, no, come avrei potuto! Sono un egoista e l’ho reclamata per me.- Ero fuori di me sentivo montare la rabbia ad ogni parola e il rumore che scaturiva dal mio petto si faceva sempre più minaccioso.
- Siamo una famiglia Edward, troveremo una soluzione insieme.- Perché non voleva capire. Quello non era più affare suo. Loro ormai non c’entravano niente. Spettava solo a me decidere e io avevo deciso che volevo la salvezza di Bella in tutti i sensi e con me non lo sarebbe mai stata.
- Cosa Carlisle.Come farai. Mi morderai nuovamente per farmi tornare quello che ero?- Mi pentii immediatamente di quelle parole.
“Ecco, questo era quello che temevo. In un modo o nell’altro la tua umana sta distruggendo la nostra famiglia.” Mi voltai verso Rosalie furente.
- Smettila ringhiai, lei non sta rovinando proprio niente, se c’è un colpevole sono io. Prenditela con me.- Vidi Emmett farsi più vicino a lei. “Calma fratello, la conosci è solo preoccupata.” Il viso di mia madre era addolorato quando tornai a posare il mio sguardo su di lei e Carlisle si era posizionato al mio fianco.
- Calmati Edward, capiamo benissimo il tuo dolore e credimi se potessi fare qualcosa, qualunque cosa lo farei per te. Sin dalla prima volta che ti ho visto consumato dalla febbre in quel letto d’ospedale. Non potevo concepire che qualcuno come te non esistesse più. Ti guardo e vedo la tua forza, la tua bontà, la luce che irradi ovunque e questo non fa che rafforzare la speranza, la fede. Non è possibile che per te non ci sia qualcosa di più Edward. Ho sempre saputo che eri diverso. Quello che ho fatto mi sono chiesto mille volte se sia stato giusto e credimi se tornassi indietro lo rifarei mille altre volte. – Mi posò le mani sulle spalle.- Ti prego Figliolo…non ne fare una tragedia, non essere ostinato, non è successo niente.- Sospirai.
- Scusami Carlisle, so che hai agito mosso da buone intenzioni. Ti chiedo di scusare il mio sfogo, non pensavo veramente quello che ho detto.- Sorrise.
- Non fa niente anche se tu dovessi pensarlo, so che non è facile, ci sono passato prima di te. Vedrai che si sistemerà tutto.- Lo guardai determinato.
- No, - dissi – quello che è successo poteva essere molto più grave e io lo avrei dovuto prevedere. Prima o poi potrei non essere in grado di proteggerla e non voglio che debba essere la mia natura, il mondo dal quale provengo un pericolo costante per lei. Non è come noi, non appartiene a questo mondo…- I pensieri di Alice prima nelle mia mente poi sulle sue labbra per dare a tutti la possibilità di ascoltare.
- Io l’ho visto Edward! Sarà come noi, perché ti ostini a non volere che accada. Sarebbe tutto più semplice.- La guardai minaccioso.
- Alice ti voglio bene, ma non toccare questo tasto è un argomento chiuso. Non se ne parla nemmeno.- La vidi farsi vicina.
- Sei cocciuto, perché vuoi costringerti a soffrire così? Sai che sarà tremendo e sai che lei da sola non può farcela, l’annienterai lasciandola. Farà una pazzia.- Sorrisi mesto.
- Non puoi saperlo, non sa cosa ho deciso.- Sostenne il mio sguardo con sfida.
- La conosco meglio di quanto dimostri di conoscerla tu. Vive per te.- Scrollai la testa.
- Dimenticherà, se ne farà una ragione con il tempo. La loro memoria diventa piena di buchi man mano e il dolore si attenuerà.- Il mio sguardo si perse nel vuoto. Quelle parole mi laceravano. Alice mi guardò.
- E tu Edward, tu cosa farai. Hai pensato a questo? Sarà come smettere d’esistere. Perderai il senso di tutto.- Abbassi lo sguardo.
- In qualche modo farò.- Risposi. – Andrò via lontano da lei.- Al solo pensiero mi sentii cedere le gambe.
- Non sarà facile consolarla, sarò costretta a non lasciarla da sola mai. Vuol dire che viaggerò molto tra Jasper e lei…-Alzai una mano per farle cenno di tacere.
- No.- Risposi deciso.- Andremo via tutti Alice. Di noi non dovrà rimanere traccia nella sua vita.- Gli occhi di tutti si puntarono su di me interrogativi ed increduli.








Grazie come sempre a chi preferisce, segue o soltanto legge.
Un grazie sentito a chi lascia la propria opinione.



ninfea 306

arte

cicciolgeiri

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Capitolo 7
*** CAPITOLO VI ***


Oh, non dire mai che fui falso nel cuore,
anche se l’assenza sembrò smorzare la mia fiamma;
più facilmente potrei separarmi da me stesso
che non dalla mia anima, che nel tuo petto risiede:
lì è la mia casa d’amore, e se di lì mi sono allontanato,
come un viaggiatore di nuovo vi ritorno,
giusto a tempo, dal tempo non cambiato,
e così porto acqua alla mia macchia.
Non credere mai che la mia natura, pur se vi regnasse
ogni debolezza che ogni indole assedia,
potrebbe macchiarsi così snaturatamene
da abbandonare, per nulla, l’intera somma del tuo bene;
perché nulla io chiamo questo vasto universo,
a parte te, mia rosa: in esso, tu sei il mio tutto.


William Shakespeare





Alice rimase in silenzio a guardarmi, nella sua mente potevo leggere un unica richiesta: “Permettimi almeno di salutarla, ti prego.” Feci cenno di no. “ Non è giusto, Edward! Concedimi almeno di farle sapere dove andremo per potermi scrivere.” Continuai a scuotere il capo. “Ripensaci, fratellino: te ne potresti pentire. Non essere cocciuto” La guardai, sorridendole mestamente, ma determinato a non cedere.
- Bene- intervenne Carlisle ad interrompere quella nostra conversazione silenziosa,- mi sembra di aver capito che hai già deciso, Edward. Come dobbiamo organizzarci?- Accarezzai il viso di mia sorella sul quale si era dipinta un’espressine dispiaciuta che lasciava comunque trapelare tutta la sua delusione. - Quando dovremo partire?- Chiese mio padre.
- Questa sera- risposi.
I loro pensieri furono di sorpresa, ma non dissero nulla.
- Alice, voglio che per nessun motivo tu incontri Bella. Servirebbe solo a prolungare quest’agonia. Non intendo darle modo di capire fino a quando non le parlerò. Una volta che le avrò detto addio, non la disturberemo più. E’ la cosa migliore, credimi, e poi devi pensare a Jasper; l’ho sentito sfiduciato e questo non è un bene per lui, potrebbe credere di non essere capace di adattarsi alla nostra dieta e decidere di mollare, e questo potrebbe indurlo ad allontanarsi per ritornare ad essere ciò che era prima d’incontrare te. Che faresti in quel caso, diventeresti quello che non sei mai stata? Per lui sarebbe meno difficile è qualcosa che gli è appartenuta per tanto tempo, ma per te non potrebbe essere così, credimi.- Mi guardò e disse solo: – Va bene, come vuoi tu.- Sospirò triste.
- Finalmente sento fare dei discorsi sensati.- La voce di Rosalie si levò come una nota stonata, su tutti noi. – Potrò riavere la mia famiglia, senza nessun tipo d’interferenza per dover badare a qualcuno di troppo fragile tra i piedi. Per me possiamo andare anche subito. Sono pronta.- Dovetti stringere i pugni e trattenermi, non volevo farle male, ma non era facile in quel momento ignorarla come facevo di solito. In mio aiuto arrivò Alice.
- Rose, tu non riavrai un bel niente. Perché Edward non verrà con noi.- Sentii il loro stupore addosso.
- Va bene, ci raggiungerà appena avrà chiuso la questione. Cosa vuoi che sia per noi aspettare qualche giorno?- Aggiunse altezzosa.
- Tu proprio non capisci, vero Rosalie? Edward non verrà con tutti noi. Ha deciso di andarsene lontano.- Guardai Alice, non volevo che dicesse quali erano le mie decisioni in proposito. Non volevo dare un dispiacere principalmente ad Esme, che appena ascoltate quelle parole mi guardò. - Edward…no…- la sentii gemere.
- Non sarà una cosa definitiva, mamma, non temere. Inoltre non partirò subito. Dovrò prima trovarmi un posto sicuro che mi permetta di non dare nell’occhio e poi avrò bisogno di te all’inizio.- Cercai di rincuorarla e lanciai un’occhiata ad Alice per farle capire di non dire di più. Esme mi era particolarmente affezionata e non volevo ferirla.
Vidi mio padre cingerle i fianchi. – Vieni, cara, dovremo preparare i bagagli.- Scomparvero al piano superiore.
- Mi dispiace andare via da qui, mi piaceva questo posto e mi trovavo bene con la tua ragazza umana, mi era simpatica e le volevo anche bene.- Disse Emmett che era rimasto in disparte.- Anche Rosalie non pensa veramente quelle cose, Edward, non ce l’ha con Bella, io lo so, la conosco più di quanto lei stessa e tutti voi possiate. Devo dire che ti ammiro, fratellino. Ti prenderei a pugni, ma devo riconoscere che la scelta che hai fatto è difficile e dolorosa. Io non potrei mai separarmi da Rose. Hai fegato, devo riconoscerlo.- Mi diede una poderosa pacca sulla spalla e raggiunse Rosalie nella loro stanza. Mi voltai e lo fissai grato: sapeva sempre essere comprensivo.
Ero rimasto da solo. Quella notte non sarei andato da Bella dopo essere passato da lei prima di cena, l’avrei lasciata dormire da sola. Sarebbe stata la prima volta dopo tanti mesi. Mi sentivo andare in mille pezzi, ma rimanevo aggrappato alla possibilità di poter stare ancora un po’ di tempo accanto a lei. Ancora poche ore e poi le avrei detto addio per sempre e non sarei più esistito. Il mio mondo si sarebbe spento ripiombando nel buio di un abisso infinito.
Quello che dovevo fare era qualcosa che rifiutavo con tutto me stesso. Il mio dolore sarebbe stato senza fine, ma non mi importava, me lo meritavo. La cosa che mi terrorizzava e mi rendeva folle di disperazione era il pensiero della sofferenza che avrei dato a lei. Sapere che le avrei inferto un dolore immenso.
Il mio compito era duro. Rimanere distante in maniera educata e cordiale, ma da cui mancava la confidenza che adoravo, la nostra complicità. Mi sarebbero mancati quei nostri momenti insieme, mi sarebbero mancati come mi mancava il fatto di poter essere vivo e umano solo per lei. La condivisione della parte più intima e taciuta di me e la sensazione che ne derivava era qualcosa che non conoscevo e che avevo scoperto con lei. Il lato di me che ero costretto a nascondere a tutti, per Bella non era più un segreto. Il privilegio di averla in quel mio mondo solitario era stata una sorpresa oltre che la gioia più grande che avessi mai potuto immaginare di provare.
Potermi avvicinare a qualcuno diverso da ciò che ero, per cui potevo non avere segreti, a cui il mio mondo e io stesso non faceva né paura, né ribrezzo. Potermi sentire “normale”, amato. Sentire il calore di un corpo nel freddo gelo del mio, godere del battito del suo cuore. Respirare la sua stessa aria, ridere delle stesse cose. Essere me stesso e sentirmi accettato per quello che ero: Edward, semplicemente questo.
Quel calore che solo l’amore è capace di dare, per me si sarebbe spento per sempre. Consideravo questo, mentre pensavo a cosa avrebbe significato per lei quella decisione. La conoscevo e non sarebbe stato facile: era caparbia, si sarebbe aggrappata a tutto con le unghie e con i denti pur di dissuadermi.
Dovevo essere deciso, ma non troppo duro, non doveva intravedere per lei nessuna speranza di riuscita, ma prima di questo dovevo fare una cosa, forse il gesto che consideravo il più crudele. Toglierle qualsiasi cosa le avesse potuto ricordare me e tutti noi.
Non avrebbe avuto niente su cui piangere, in cui rifugiarsi, fino a quando si sarebbe convinta di averci solo sognato, fino a quando mi avrebbe dimenticato. Sarebbe stato come se non fossi mai esistito.
Uscii di casa per andare da lei come le avevo promesso, cercando in me la forza necessaria che mai come in quel momento avevo sentito venirmi meno. Non avevo mai provato prima di allora qualcosa di simile. La paragonai alla stessa sensazione umana di quando non mangi da tanto tempo.
Sì, potevo dire di sentire in me una sorta di debolezza, un languore che aveva invaso tutto il mio corpo.
Mi sentivo stordito e intorpidito. Tutto sembrava muoversi lentamente ed i suoni mi giungevano ovattati. Non era possibile, il mio corpo non poteva rispondere a quel modo, ma ormai non mi meravigliavo più di nulla. Non sarebbe neanche potuto essere possibile stare accanto a lei come avevo fatto. Baciarla, avere assaggiato il suo sangue per pulirlo dal veleno di James e averla lasciata in vita. Niente di tutto quello che avevo con Bella sarebbe dovuto essere compatibile con me, eppure, per qualche strana ragione indipendente dalla semplice forza di volontà, era così.
Non riuscivo a leggere la sua mente, lei non aveva nessun tipo di timore e accanto a noi sembrava non possedere nessun istinto di sopravvivenza, ma continuavamo ad essere diversi ed incompatibili, questo rimaneva un fatto, una certezza, e niente avrebbe potuto far conciliare le nostre diverse nature. Un vampiro non poteva amare un’umana come io amavo lei ed essere ricambiato nel modo in cui lei mi ricambiava. Lei non mi vedeva così, lei mi amava e io stavo per spezzarle il cuore e frantumare ciò che era rimasto del mio.
Quando arrivai a casa sua, Bella non era ancora rientrata. Charlie mi fece entrare. Guardava il solito programma sportivo, mi rivolse qualche frase di circostanza e poi tornò a concentrare lo sguardo alla televisione. Lo imitai prendendo posto nella poltrona di fronte a lui.
Fu così che ci trovò Bella quando rientrò. Si fece sentire entrando e appendendo il giaccone nell’ingresso. Suo padre la salutò e le disse che era avanzata della pizza se aveva fame.
La mia posa lasciava intendere che stessi seguendo il programma. Per chiunque sarei sembrato assorto ed interessato, ma sapevo benissimo che per Bella non sarebbe stato così.
Percepivo nel suo corpo la rigidità data dall’ansia e questo mi torturava dandomi un dolore sordo e profondo. Tutto in me, se avessi potuto avrebbe, sanguinato.
Salutò e si diresse in cucina. Solo allora mi voltai, accennando un sorriso – Ti raggiungo subito.- Dissi, per poi tornare a posare lo sguardo sul televisore. La sentivo irrequieta, la vedevo muoversi, la seguivo con lo sguardo anche se lei non se ne sarebbe accorta, non alzai mai gli occhi verso di lei.
Armeggiava con la sua macchina fotografica e scattò una foto. Mi voltai insieme a Charlie a guardarla stando attento a mantenere la mia espressione priva d’interesse per quello che stava facendo. Mi faceva male trattarla così, leggere nel suo viso quell’espressione smarrita, ma non dovevo pensarci, altrimenti non avrei potuto continuare oltre nel mio proposito. Già ora vedendola così angosciata facevo uno sforzo tremendo a mantenere quell’atteggiamento. Era qualcosa che richiedeva un impegno pari a quando resistevo all’odore del suo sangue. Era spaventata e adesso stava facendo mille e più ipotesi, avevo il bisogno irrefrenabile di alzarmi, raggiungerla e abbracciarla e dirle di stare tranquilla e di non temere che non sarei andato da nessuna parte senza di lei, che non c’era niente per me lontano da qui. Dove altro sarei potuto andare? Avrei dovuto tranquillizzarla, le avevo detto di amarla. Glielo avevo ripetuto all’infinito per tutti quei mesi e ora mi accingevo a ritrattare tutto. Ero spregevole e mi sentivo un miserabile traditore. Dovevo farle credere di averla ingannata, di essermi pentito perché mi ero accorto di essermi sbagliato.
Si venne a sedere davanti a noi per terra tenendo in mano la sua macchina fotografica nel tentativo di sembrare disinvolta e naturale, mentre parlava con suo padre e io avrei voluto sprofondare nelle viscere della terra per non riemergere mai più, se questo le avesse garantito di non soffrire per me. Mi era insopportabile l’dea, e avrei fatto di tutto pur di risparmiare ai suoi occhi lacrime di dolore e al suo cuore di rompersi in mille pezzi.
Continuava a scattare le sue fotografie che io già sapevo le avrei sottratto.
Interruppe i miei pensieri con la richiesta di uno scatto che la ritraesse insieme al padre.
Mi lanciò la macchina fotografica evitando il mio sguardo, per lei era dura dovervi leggere quell’espressione distante. Si mise in posa accanto a Charlie che continuava a protestare per quel momento per lui imbarazzante. Bella cercava di fare del suo meglio per dare un tono scanzonato alla situazione, ma la sua espressione era seria.
Suo padre sospirò aspettando che scattassi.
- Devi sorridere, Bella.- Le mormorai. Si sforzò di farlo e feci scattare il flash.
Poi Charlie, per sottrarsi a quell’imbarazzo, invitò me e Bella a metterci in posa per una fotografia che questa volta avrebbe scattato lui.
Mi alzai, gli porsi l’apparecchio e presi posto accanto a lei appoggiandole delicatamente una mano sulla spalla: quel contatto mi diede una fitta di dolore.
Non mi guardava e tenne gli occhi bassi e una posa rigida pur circondandomi alla vita con una stretta vigorosa come se cercasse di trattenermi. Sentivo la sua paura.
- Sorridi, Bella.- Ribadì suo padre. Non sorrideva, non ci riusciva. Chissà per quanto tempo non sarebbe più riuscita a farlo: se avessi potuto in quel momento sarei morto. Quel pensiero, l’immagine di lei preda della tristezza e del dolore, era ad un tratto insopportabile. Non riuscivo più a stare lì. Avevo stranamente bisogno di respirare, di andare via, altrimenti non sarei più stato in grado di farlo. Non potevo fingere oltre indifferenza per quella sera. Alla fine del programma mi sarei congedato da loro. Avevo già deciso di non farle compagnia quella notte, ma avrei anticipato l’orario in cui di solito la salutavo per poi raggiungerla nella sua stanza.
Si era seduta sul divano rimanendo immobile, rannicchiandosi su se stessa. Stava tremando. Potevo sentirla. Non mi mossi, non le rivolsi neanche un’occhiata di sfuggita. All’improvviso, finito il programma, mi alzai.
- E’ ora di rientrare .- Dissi. Charlie rispose alla mia affermazione con un saluto distratto.
La vidi alzarsi intorpidita dalla posa che aveva assunto e accompagnarmi alla porta. Andai diretto verso la macchina.
- Non rimani?- Mi chiese e nel suo tono avvertii la rassegnazione di chi già conosce la risposta.
- Stasera no.- Le risposi. Non mi domandò altro. Salii in auto e la vidi rimanere ferma sotto la pioggia mentre mi allontanavo. Mi aggrappai al volante serrandolo con le mani e accelerando, per non cedere alla tentazione di tornare da lei.
Le cose nei due giorni seguenti non migliorarono: lei faceva di tutto per cercare di non chiedere nulla, nella speranza che ogni cosa ritornasse al suo posto se non vi avesse dato peso, ma sapevo che avrebbe ceduto decidendo di chiedere spiegazioni.
A scuola le stavo vicino, ma era come se non ci fossi. La sera non andavo da lei, senza avvisarla o darle spiegazioni.
L’ultima mattina che avrei passato con lei si trascinò come al solito. Alla fine delle lezioni raggiungemmo il parcheggio in silenzio, sapevo che avrebbe cominciato a farmi le sue domande a raffica. Quella situazione era davvero insostenibile e mi ero meravigliato come ancora non avesse dato voce ai suoi timori.
- Ti dispiace se vengo da te, oggi?- Le chiesi prendendola in contropiede.
- Certo che no.- Rispose. Non dovevo mostrare indecisioni.
- Adesso?- Le domandai aprendole la portiera.
- Certo.- Fu la sua risposta e sapevo che non le sarebbe sfuggito il nervosismo che pur sforzandomi non riuscii a controllare nella mia voce. Prima doveva passare a spedire un pacchetto per sua madre, mi offrii di farlo io al suo posto. Sarei arrivato a casa sua senz’altro prima di lei. Le sorrisi dicendoglielo, nel modo che sapevo le piaceva, ma fu un sorriso che si spense prima ancora di arrivare agli occhi.
Non avrei trovato nessuno in casa arrivando prima di lei.
Quella era l’occasione che cercavo per toglierle tutto quello che poteva ricordarle me e i nostri giorni insieme.
Come avevo previsto arrivai prima e parcheggiai la mia macchina al posto di quella di Charlie, avrebbe capito che non avevo intenzione di trattenermi.
Entrai nella sua stanza, quello non era un problema per me e una volta dentro radunai tutte le cose che le avevo regalato e che rappresentavano il nostro tempo insieme stando attento a non farmi sfuggire nulla e deciso a distruggerle. Me ne mancò il coraggio. Considerai l’ipotesi di tenerle per ricordo, ma al momento di portarle via qui piccoli oggetti così preziosi per tutti e due, non trovai la forza, non ne fui capace, volevo che qualcosa di mio le rimanesse comunque, e anche se lo giudicavo estremamente infantile, anche se non lo avrebbe saputo mai, volevo in qualche modo restarle accanto. Alzai una tavola del pavimento e ve le nascosi sotto.
Uscii e andai ad aspettarla nell’auto.






Devo veramente ringraziare chi sta recensendo i capitoli di questa ff:

sassy 86 :

lieta di sapere che apprezzi questa mia versione di New Moon e che il punto di vista di Edward ti stia convincendo. Nutrivo dei dubbi sulla riuscita di questa scelta, non è semplice.
Continua a seguire e a farmi sapere se quello che faccio continua ad essere ben fatto. Ciao e grazie.

Un grazie particolare va a :

Arte e ninfea 306:

Sono veramente felice di trovare i vostri commenti. Siete mie assidue lettrici e commentate sempre in maniera profonda e attenta quello che scrivo. I vostri pareri mi sono sempre molto utili e vi ringrazio per la costanza e gli apprezzamenti che non mancate mai di rivolgermi. Vi voglio ringraziare dedicandovi questo capitolo. Spero che lo apprezzerete come gli altri. Edward è un personaggio complesso e dalle infinite sfaccettature, che conosciamo o almeno pensiamo di conoscere da quello che ci è arrivato dai libri e dai film. Rimane comunque difficile da cogliere nei vari momenti. I suoi cambi d’umore, i suoi percorsi solitari verso qualcosa a cui anela e che può solo immaginare per se stesso. Il suo tormento è immenso, ma difficilmente rapportabile Ancora grazie e buona lettura. Glance.


Il mio ringraziamento va anche a chi preferisce, segue o semplicemente legge questa storia.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO VII ***









In attesa nella mia macchia, l’aspettavo. Lo sguardo alle lancette dell’orologio sul cruscotto. Ad ogni loro movimento era come se parti di me si perdessero. Osservavo quei piccoli scatti che davano visivamente l’idea del trascorrere del tempo.
Il tempo che passava era qualcosa su cui non mi soffermavo, non lo sentivo scorrere su di me, semplicemente lo intuivo dai cambiamenti che produceva in ciò che mi circondava, ma mai come in quell' istante era stato così tangibile. Era come se sentissi l’inganno del suo tocco. Funesto come un messaggero di infauste notizie.
Il tempo sapeva guardare benevolo e paterno i suoi figli mortali mentre sorridendo portava via i loro sogni e veniva meno ad ogni sua promessa.
Io ero come lui, passavo immutato e immutabile su tutto rimanendo a guardare ciò che cambiava al mio passaggio. Per Bella non sarei stato altro che il tempo del dolore, dell’inganno, della disillusione. Il tempo che sarebbe servito per dimenticare e ricominciare. Sarei stato il tempo scandito dai battiti del suo cuore. Sarei stato il tempo che la sua vita ci avrebbe concesso.
Nella mia mente scorrevano le immagini dei nostri giorni insieme. La prima volta che l’avevo vista, il desiderio del suo sangue, la mia fuga e poi la consapevolezza che era entrata in me, il bisogno di esserle accanto ogni momento, nell’oscurità di quelle notti passate ad osservarla dormire. Come un ladro, rubando le parole da quei sogni che parlavano di me. Quando ero stato costretto ad uscire allo scoperto per salvarla. Quando aveva capito e le avevo detto di amarla. Quando…quando…attimi unici e irripetibili che avrei continuato a vedere scorrere nei miei occhi.
Come la prima volta che l’avevo baciata e lei aveva risposto con tutto il trasporto che mai avrei potuto neanche sperare per me.
Nella sua stanza l’album con le immagini di noi che con cura e amore aveva provveduto a sistemare. Una in particolare mi aveva colpito di noi insieme, nel soggiorno di casa sua, era piegata e lasciava visibile solo il lato dove ero ritratto io. Mi amava a tal punto da annullare se stessa. Non avevo mai voluto che mi amasse così, ma lei era questo: coraggio, forza e generosità.
Gli occhi più scuri e limpidi che avessi mai incontrato, incapaci di mentire.
Le nostre immagini e quello che era stato parte della nostra storia giaceva sepolto sotto le assi del pavimento della sua stanza. Sarebbe rimasto lì, a vegliare come pegno di un amore che non si sarebbe mai dissolto e di cui lei doveva perdere ogni traccia e memoria. Sarei tornato un giorno a riprendere quegli oggetti. Sarei tornato quando di ciò che avevamo condiviso non sarebbe rimasto che un lontano ricordo. Sarei tornato per dirle addio e cercare la mia fine, nella speranza che sapevo vana, di poterla rivedere anche solo per una volta. Quello sarebbe stato un premio da cui io ero stato escluso, ma se avesse avuto ragione su di me, forse, sarebbe potuto accadere e dopo sarei stato pronto per tutto, per qualsiasi cosa mi sarebbe toccata dopo quell’esistenza. Anche l’oscurità del niente eterno e le fiamme dell’inferno.
La vidi arrivare e scendere titubante dalla macchina.
Quel momento lo avevo preparato, immaginato ogni istante in quei giorni, dalla prima volta che l’idea di dirle addio si era concretizzata nella mia mente, ma ora che era giunto c’era un dolore atroce che mi paralizzava e il bisogno di respirare era diventato urgente.
Sospirai più volte prima di riuscire a trovare la forza necessaria. Ero come una delle mie prede, incapace di muovermi, terrorizzato dalla paura di quello che sarebbe successo di lì a poco.
Stordito e come se agissi spinto da forze che non riuscivo più a controllare scesi a mia volta e la raggiunsi.
Mi vide e per un attimo l’ansia che da giorni velava il suo sguardo si diradò, per poi tornare, all’ennesima conferma della mia distanza.
Mi avvicinai e le tolsi lo zaino di mano, ma anziché aiutarla a portarlo lo riposi sul sedile. Notai la sua sorpresa.
- Facciamo una passeggiata.- Le proposi impassibile prendendola per mano. Restò in silenzio senza protestare come avrebbe fatto solitamente e come sicuramente avrebbe desiderato fare, ma capiva che qualcosa stava per accadere. Avvertivo il leggero tremore della sua mano.
Non aspettai la sua reazione e la condussi sul lato destro del giardino, quello che confinava con il bosco. Si lasciava trascinare docile. Dopo pochi passi mi fermai sotto gli alberi. Non imboccai il sentiero, casa sua era ancora visibile. Mi appoggiai ad un tronco e la fissai. Resi la mia espressione indecifrabile, cercando di nasconderle tutto il tormento, l’angoscia , il dolore e il terrore che quel gesto che mi apprestavo a compiere mi stava dando. Ogni singola parte del mio corpo gridava la mia disperazione e lei non l’avrebbe capito. Lottavo contro me stesso, contro la voglia e il bisogno incontenibile di stringerla a me, regalarle la mia espressione che adorava, quel sorriso con cui il suo cuore accelerava i battiti, e dirle che andava tutto bene, di non tremare, che l’amavo e che lo avrei fatto all’infinito. A dispetto di tutto. Della mia natura e della sua, a dispetto del dolore che la voglia insana del suo sangue mi provocava, a dispetto di ogni logica che mi avrebbe voluto più come l’incubo delle sue notti anziché l’amore della sua fragile vita. L’avrei fatto senza quei ripensamenti o cedimenti così comuni tra gli umani. Le avrei detto che le appartenevo con tutto me stesso, per quanto questo potesse valere, le avrei voluto dire…mille e mille ancora di quelle parole, ma non lo avrei fatto. Non avrei più pronunciato niente di simile, non avrebbe più udito la mia voce diventare di miele per lei.
Glaciale, le sarei arrivato al cuore come quel freddo che mi aveva confessato di detestare la prima volta che ero riuscito a rivolgerle la parola. Glielo avrei gelato quel suo cuore che adoravo ascoltare battere furioso per me, per poi frantumarlo in milioni di schegge. Continuavo a fissarla quando mi giunse la sua voce: - Bene, parliamo.- Disse, volendo sembrare molto più coraggiosa di quanto in realtà non fosse.
Presi fiato.
- Bella, stiamo per andarcene.- Respirò a fondo, come per valutare quello che avevo appena detto.
- Perché proprio adesso? Ancora un anno…- Non aveva capito, aveva sicuramente frainteso le mie parole.
Quel “stiamo per andarcene” non avrebbe incluso lei, ma non volli chiarire, doveva essere lei a realizzare cosa intendevo dire, l’avrebbe assimilato per gradi. Cercavo, speravo di alleggerire in qualche modo la pena che ne sarebbe derivata. Piano, un po’ alla volta, non avevo fretta, non avevo bisogno di liquidare tutto in poco tempo, le avrei concesso tutto il tempo necessario per capire che il suo posto non era con me, che il mio non era con lei e mentendo le avrei detto che per me volevo altro. Avrei dovuto convincerla e sapevo non sarebbe stato facile, ma lo avrei fatto nella maniera migliore, almeno quello glielo dovevo. L’avrei liberata della mia presenza, l’avrei staccata da me. Non le avrei dato nessun motivo per sperare o per avere rimpianti. Doveva credere che non la volessi più, odiandomi anche, se fosse stato necessario, se fosse servito ad alleviare il suo dolore. Sarebbe stato un lavoro arduo, ma ci sarei riuscito.
Avrei voluto mitigare la sua pena, anche se sapevo che non era possibile, mi muovevo seguendo una logica che a momenti veniva meno ed era come se brancolassi nel buio, desiderando che qualche forza misteriosa ci aiutasse a venirne fuori, che desse a lei la capacità di staccarsi da me senza procurarsi ferite troppo profonde.
- Bella, è il momento giusto. Per quanto tempo credi che potremmo restare ancora a Forks? Carlisle dimostra a malapena trent’anni e già ne deve dichiarare trentatré. Comunque vada non passerà molto tempo prima che ci tocchi ricominciare da capo.- La mia risposta la lasciò perplessa, mi fissava sforzandosi di capire. Sostenni il suo sguardo, impassibile fissandola negli occhi.
- Hai detto stiamo…- Sussurrò. Sentii l’appoggio sulle gambe venirmi meno. Pensavo di crollare da un momento all’altro. Era difficile, tremendamente difficile. La cosa più difficile ed atroce che avessi mai dovuto fare ed affrontare. Era lì davanti a me, indifesa e fragile come non mai, con il dubbio che le riempiva i grandi occhi scuri che mi scrutavano interrogativi ed increduli, ma dove vedevo brillare la luce di una speranza. “ Oh, Bella potessi poter scegliere di essere diverso da questo. Potessi offrirti una vita da condividere con me invece di tutto questo. Continuo a farti male, in un modo o nell’altro anche adesso, anche se per il tuo bene non sto facendo altro che procurarti un dolore, ad essere la causa della tua sofferenza.” Cercai di trovare in me briciole di quel coraggio che ormai era inesistente. Cercai di respirare normalmente per non farle arrivare tutta la disperazione che mi aveva intrappolato in quella morsa di dolore. Quello che mi dava un po’ di conforto era pensare che sarebbe finita e non avrebbe più dovuto soffrire a causa mia.
-Intendo la mia famiglia e me.- Dissi non distogliendo mai i miei occhi dai suoi e scandendo ogni parola che mi trafisse come una lama affilata. Iniziò a scuotere il capo come a cercare di mettere ordine tra i suoi pensieri per dare un senso a quello che aveva sentito. Restai in attesa, imponendomi quella calma che avrebbe scambiato per impassibilità. Sarei rimasto finché non avrebbe realizzato, sarei rimasto e… mi auguravo di non cadere in ginocchio ai suoi piedi.
- Okay- disse, - verrò con te.- In silenzio la guardai. Sentivo che sarei potuto impazzire per quello che le stavo facendo, se non fossi stato fermamente convinto che era per il suo bene e la cosa migliore.
- Non puoi Bella. Dove stiamo andando…non è il posto adatto a te.- Ma ovunque fossi andato lontano da lei non sarebbe stato il posto adatto per me.
- Il mio posto è dove sei tu.- E il mio era accanto a lei, ma questo non potevo dirglielo. Ascoltai quella risposta con il tono della supplica nella sua voce che tratteneva a stento il pianto. Non sarebbe stato facile convincerla.
- Non sono la persona giusta per te, Bella.- E di tutto quello che le stavo dicendo quella era l’unica verità che le avrei continuato a ripetere. Questo lo sapeva.
- Non essere ridicolo- reagì - sei la cosa migliore che mi sia mai capitata, davvero.- Lei invece era la sola ragione che avessi per vivere. La guardavo per l’ultima volta e non potevo credere di stare facendo ad entrambi tutto questo.
- Il mio mondo non è fatto per te.- Dissi comunque, con la forza che solo la disperazione può dare, ma quello che lei vide fu solo risolutezza. Respirava come se avesse corso, come se stesse correndo per cercare di raggiungermi. Non ci sarebbe riuscita, non glielo avrei permesso. Per noi due finiva lì.
- Quello che è successo con Jasper…non conta niente, Edward…niente!- Sentire il mio nome sulle sua labbra era insopportabile. Quanto avevo sperato sentirglielo pronunciare, che potesse accadere e, l’emozione immensa e indescrivibile che avevo provato quando era successo. Quando mi ero reso conto di popolare i suoi sogni. Nel momento in cui avevo capito che per lei non rappresentavo un incubo. La sensazione di annegare sommerso dalle emozioni di quella consapevolezza che mi avevano fatto riemergere diverso dall’uomo che ero stato fino a quel momento. L’amavo e non ero stato capace di decidere per il meglio, ma ora, adesso che la sua vita era stata messa in pericolo, dovevo trovare la determinazione necessaria per porre fine a quell’amore che non sarebbe dovuto esistere. Sarebbe dovuta rimanere lontana da me sin dall’inizio, perché era vero: io l’adoravo, ma nel modo più spaventoso e terribile.
- Hai ragione. Era semplicemente un gesto prevedibile…- Le feci eco, mentre il rammarico e la malinconia mi trascinavano nel loro vortice.
- L’hai promesso! A Phoenix hai promesso di rimanere…- Già Phoenix, di sicuro non era il ricordo migliore da evocare. Quella promessa fattale mentre era in un letto d’ospedale per colpa mia. Una promessa che avevo fatto guardando il suo viso sofferente, ma non per le ferite, ma per il fatto che le avevo rivelato la necessità di allontanarla da me. Avevo sbagliato, avrei dovuto essere più determinato, a quest’ora se ne sarebbe già fatta una ragione, eravamo ancora all’inizio. Adesso sarebbe stato tutto più difficile.
A Phoenix avevo messo una condizione.
-Fino a quando fosse stata la cosa migliore per te.-Precisai. Ad un tratto fu come se avesse avuto un’illuminazione.
- NO! Disse.- Non dirmi che il problema è la mia anima!- Gridò.- Carlisle mi ha detto tutto, ma non m’interessa, Edward. Non m’interessa! Prenditi pure la mia anima. Senza di te non mi serve: è già tua!- Come faceva a parlare così, come poteva essere tanto sconsiderata da amarmi in questo modo e volere questo per lei. Non sapeva cosa diceva. Non si rendeva conto. Non se n’era mai resa conto. Dovetti prendere fiato, quelle parole mi facevano stare male. Per un istante il mio sguardo vagò in basso sul terreno e sulle mie labbra comparve l’accenno di una smorfia. Dovevo stare attento. Non potevo raccogliere nessuna provocazione. Non si trattava più di convincerla che diventare come me non era la cosa migliore per lei, che non lo avrei mai fatto. Adesso dovevo fare in modo di allontanarla da me e da tutto quello che potevo rappresentare per lei. Quando riuscii a guardarla nuovamente avevo indurito lo sguardo, cancellando quell’attimo di smarrimento dal mio viso. Non avrebbe capito il mio sconforto. Spensi nei miei occhi la luce che solo lei era riuscita ad accendere. Detestandomi, pronunciai le parole che mai avrei voluto dire. Nei mie quasi cento anni, niente mi era mai costato tanto in dolore e disperazione.
- Bella, non voglio che tu venga con me.- Scandii ogni parola lentamente, con cura, il mio sguardo distante sul suo viso, in attesa che cogliesse il senso di quella frase che mi diede l’impressione di essere stata pronunciata da qualcun’ altro. Stavo volontariamente rinunciando al mio sole, alla mia vita. Il silenzio scese tra noi, mentre la osservavo. Cercava di trovare un senso a quello che le avevo appena detto. Era come se si sforzasse di capire, se le fosse sfuggito qualcosa.
- Tu…non…mi vuoi?.- Disse , come se avesse realizzato all’improvviso il significato di tutto. Come poteva crederlo? Per mesi non avevo fatto altro che dirle il contrario. La sua reazione mi colpì duramente pur essendo ciò che volevo.
- No.- Le risposi, tenendo costantemente lo sguardo fisso su di lei. Non dicendo una parola, senza darle la possibilità di nessun appiglio. La vedevo precipitare dai mie occhi e non potevo fare nulla per trattenerla.
- Be’, questo cambia le cose.- Disse con un tono calmo e quasi ragionevole, e il mio dolore si fece lacerante. La stavo perdendo, si stava arrendendo all’evidenza dei fatti. Stava smettendo di lottare. Avevo creduto di doverla convincere per ore e invece era bastato così poco. Distolsi lo sguardo e lo rivolsi lontano, per non darle la possibilità di leggervi la delusione. Però dovevo continuare, non potevo permettermi di mollare proprio adesso.
- Ovviamente, a modo mio ti amerò sempre….- Sì, era vero ed ebbi il bisogno impellente di ribadirlo, di farglielo sapere. Volevo che in maniera del tutto incomprensibile per lei, udisse dalle mie labbra, nuovamente, quella parola. Le stavo lasciando il mio ultimo “ti amo”.
- …Ma quel che è successo l’altra sera mi ha fatto capire che è ora di cambiare. Vedi, sono…stanco di fingere un’identità che non è mia, Bella. Non sono un essere umano.- Tornai a fissarla imprimendo al mio viso quelle sembianze di ghiaccio che le avrebbero fatto capire di cosa parlavo. Glielo avrei appena accennato, avrebbe solo intuito l’altro volto di me, quello che non era umano, quello che le avevo risparmiato con sacrifici per tutti quei mesi, quello che da quando era accanto a me avevo fatto fatica a vedere, perché non mi ero mai sentito tanto umano come da quando ero con lei. Ma era necessario capisse di cosa parlavo. - Ho aspettato troppo e ti chiedo scusa.- Ne ero fermamente convinto, avrei dovuto agire in questo modo, per il suo bene prima.
- NO.- Disse, e nella sua voce colsi quella nota di dolore.- Non farlo.- Provò a chiedere, ma sembrava rassegnata all’inevitabile.
- Tu non sei la persona giusta per me, Bella.- Farle credere che non la ritenevo adatta a me, non all’altezza. La ferivo con ciò che sapevo la rendeva insicura vicino a me. Non essere abbastanza, e come lei aveva fatto con Charlie la primavera precedente le davo un dolore, per permetterle di lasciarmi andare, altrimenti non lo avrebbe mai fatto. Ma questo non mi aiutava, e non capivo come poteva credere che pensassi veramente ciò che dicevo. Aspettai che dicesse qualcosa, paziente, l’espressione pulita da ogni emozione, mentre il vuoto si impadroniva di me un pezzo alla volta. Cercò di parlare, ma non ci riuscì subito.
Quando fu pronta disse solo: - Se… ne sei certo.- Con il corpo teso e rigido annuii, poi qualcosa mi trafisse lancinante e sordo.
- Vorrei chiederti un favore, però, se non è troppo.- E le mie difese tornarono a vacillare, ma prima che potesse capire indossai nuovamente la mia maschera d’imperturbabilità.
- Tutto quello che vuoi.- Rispose, con un filo di voce in più. Non riuscii a mantenere la durezza nei miei occhi che si addolcirono, slegandosi da ogni volontà. Anche adesso malgrado tutto voleva assecondare una mia richiesta. Anche adesso metteva me al primo posto. Volevo che capisse che non doveva in nessun modo sacrificarsi per me. Volevo mi promettesse che avrebbe scelto lei d’ora in avanti. Volevo mi rassicurasse che avrebbe badato a se stessa. Non fui in grado di non lasciarle quell’ultimo sguardo capace di perdersi nell’infinità di quello che lei rappresentava e avrebbe continuato a rappresentare per me.
- Non fare niente di insensato o stupido.- Ordinai, con aria tutt’altro che distaccata.- Capisci cosa intendo?- Doveva preservare la sua vita a qualunque costo, rinunciavo a lei solo per questo, per permetterle di vivere in modo normale e felice con al suo fianco qualcuno più degno di me.
Annuì: inerme, bellissima, e io sentivo di amarla come non sarebbe stato possibile amare per nessuno. Poi richiusi quello spiraglio che avevo concesso ai mi occhi per accarezzarla ancora come facevano un tempo, e tornai a fare scendere il gelo tra di noi.
- Ovviamente lo faccio per Charlie. Ha bisogno di te. Stai attenta a ciò che combini…fallo per lui.- Precisai per fugare ogni dubbio avessi potuto indurle con la debolezza di un attimo prima.
- Lo farò.- Sussurrò annuendo nuovamente.
Mi rilassai un po’ a quella promessa. Sapevo che l’avrebbe mantenuta. Non era mai venuta meno a nessuna delle promesse che mi aveva fatto.
Toccava a me adesso prometterle qualcosa e sarebbe stata la promessa più difficile da mantenere che avessi mai pronunciato.
- In cambio, ti faccio anch’io una promessa.- Le dissi e sentivo il buio della mia eternità lambirmi sempre più da vicino. Con il suo bagaglio di solitudine e rassegnata disperazione. Che cosa non avrei dato per potere avere la possibilità di non pronunciare quelle parole.
- Prometto che è l’ultima volta che mi vedi. Non tornerò. Non ti costringerò mai più ad affrontare una situazione come questa. Proseguirai la tua vita senza nessuna interferenza da parte mia. Sarà come se non fossi mai esistito.- La vidi barcollare, impallidire sembrava più piccola e indifesa che mai, ma avrebbe dimenticato, era nella sua natura a differenza di me. Sarei scomparso dai suoi ricordi, diventando un’ombra indistinta che avrebbe fatto parte del suo passato.
- Non preoccuparti. Sei un essere umano…la tua memoria è poco più che un colino. Il tempo guarisce tutte le vostre ferite.- Le sorrisi dolcemente.
- E i tuoi di ricordi?- Chiese. Ma che importanza poteva avere quello che sarebbe capitato a me? Non avrei potuto dimenticare e avrei vissuto quel dolore con la stessa intensità di questo momento per tutti i giorni che sarebbero venuti, ma era ben poca cosa se serviva a salvarla e in qualche modo espiare la colpa per aver solo osato pensare di poterla legare a me. “Non preoccuparti per me, amore mio, non lo fare mai più. Non ne vale la pena. Non esisto, ricordalo sempre. Sono stato solo il brutto sogno di una notte, un incubo da cui un bacio d’amore ti ha risvegliata. Accettalo come il mio ultimo regalo, il pegno di un innamorato segreto, che vivrà all’ombra di ricordi preziosi che continuerò a raccontarmi all’infinito”.
- Be’…- Feci una pausa mentre in silenzio le dedicavo quegli ultimi pensieri che non avrebbe udito.- Non dimenticherò. Ma a quelli come me…basta poco per trovare una distrazione.- Sorrisi un’ultima volta, misurato. Mi mossi facendo un passo indietro.- Tutto qui, credo. Non ti daremo più fastidio.- Rimase sorpresa.
- Alice non tornerà?.- Disse quasi solo sillabando, ma non ebbi problemi a sentirla.
- No .- Risposi scuotendo la testa, continuando a guardarla.- Sono andati via tutti. Io sono rimasto soltanto per poterti salutare.- Rimase immobile. Non riusciva a credere che Alice fosse andata via. - Voleva salutarti anche lei, ma l’ho convinta che un taglio netto sarebbe stato per te meno doloroso.- La sentii cercare di controllare il respiro. Era giunto il momento di andare, era inutile sottoporla oltre a quell’agonia. Era inutile costringermi a vederla soffrire ancora. Non potevo resistere a lungo.
- Addio, Bella.- Ribadii con la solita voce calma e tranquilla.
- Aspetta.- Cercò di gridare, ma la voce le soffocò in gola, e provò ad abbracciarmi. “ Basta, piccola, non torturati oltre. Lascia che vada per la mia strada, ti porterò con me ovunque andrò.” Quel gesto improvviso mi aveva messo a dura prova. Era difficile rifiutarle quell’ultimo abbraccio. “Ancora un ultimo sforzo, Edward, lo devi fare per lei, per l’amore immenso che provi” Raccolsi ancora una volta le mie ormai debolissime forze e mi sottrassi. Le afferrai i polsi e delicatamente le riavvicinai le braccia lungo i fianchi, ma al momento di lasciarla fu come se il suo corpo mi trattenesse lì accanto a lei. Il bisogno di sentire ancora il suo profumo e il calore della sua pelle mi fecero osare quell’ultimo gesto. Mi chinai fino a sfiorarle con le labbra, per un breve istante, la fronte. Chiusi gli occhi indugiando su quel bacio per un attimo talmente breve da rimanere inespresso. Quando li riaprii erano dilatati dalla disperazione, dal rimpianto e da quel dolore che mi terrorizzava, ma lei non poteva vedermi.
- Fai attenzione.- Le sussurrai, e non ero più accanto a lei.










Eccomi con un altro capitolo, quello a mio avviso più difficile, e non so se sono riuscita a rendere giustizia ai sentimenti di Edward nel momento più intenso, doloroso e struggente di questo libro.
E’ veramente difficoltoso scrivere senza uscire fuori dai tratti propri del personaggio e non farlo apparire troppo distaccato o relegato al ruolo di spalla alle battute di Bella.
Vi garantisco che ci sto mettendo tutto l’impegno perché possa essere qualcosa di verosimile da leggere nel rispetto della traccia originale.
Mi fanno sempre piacere le vostre opinioni in positivo, ma in questo caso se nutrite dei dubbi sarei felice e curiosa di sapere cosa ne pensate, per avere più chiaro se quello che scrivo possa essere verosimile e somigliante al profilo della personalità così come la conosciamo e come era nelle intenzioni della Meyer che ci arrivasse. Continuo a ribadire che i personaggi le appartengono.


Grazie a chi ha commentato fino a qui e a chi segue, preferisce o semplicemente legge. Glance.

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Capitolo 9
*** CAPITOLO VIII ***






Era come se stessi precipitando in un abisso di dolore, dove tutto era silenzio e oscurità. Galleggiavo nel vuoto della sua assenza. Le onde di quel mare in tempesta mi tenevano prigioniero della loro furia. Ostaggio di quella sofferenza, naufragavo nell’agonia dei ricordi.
L’avrei ricordata per sempre bellissima, fragile, mentre la cullavo tra le mie braccia, innamorata.
Il mio sogno, tutti i miei desideri. Nessuna bugia, nessuno segreto, solo io e lei.
La sua luce tra le ombre di una eterna notte, mi aveva ferito gli occhi accecandomi.
Ero scivolato in quella illusione un po’ alla volta, giorno dopo giorno come chi per troppo tempo non era riuscito respirare.
Verità e certezze ormai solo bugie infrante su ciò che avevo inventato per poter essere diverso da quello che sapevo di essere. Ma non può esiste errore là dove non lo vedi.
Il mio cuore sembrava essersi polverizzato, stritolato dall’angoscia, sotto il peso di quell’ultimo gesto.
Ero solo un ricordo, in me non ardeva nessuna fiamma di vita da tanto tempo.
Quello che ero stato lo avevo trattenuto solo per lei.
Strappato al mostro che si ostinava a non voler vedere.
Non riuscivo a capire dove avessi trovato la forza, ma continuavo a ripetermi che era stata la scelta migliore anche se ogni ragione non trovava nessun senso a quel dolore.
Piegato su me stesso, mi stavo allontanando da lei, mentre il vento mi sussurrava il suo nome.
Un taglio netto e avevo detto addio alla mia vita. Era finita, perché non sarebbe mai dovuta iniziare. Parlarle e dire tutto quello che le avevo detto, il coraggio di lasciarla da sola, voltarmi e scomparire, mentre il suo cuore martellava. Quel suono era ancora lì, assordante nella mia testa. Il suo pianto trattenuto a fatica.
Fragile e coraggiosa mentre cercava di non cedere sotto il peso delle mie parole. Poteva uno come me morire?
Sulla mia macchina correvo lontano, il più lontano possibile da lei e da quella bugia.
Era quello che volevo, ma faceva male da non riuscire a sopportarlo.
Sulle mie labbra il suo nome ripetuto all’infinito, il suo viso ovunque.
Non avrei mai dovuto portarla nel mio mondo, non avrei mai dovuto avvicinarmi a lei così tanto da rischiare la sua vita. Ma anche adesso non riuscivo a non voltarmi e tornare indietro per implorarla di riprendermi, di perdonare tutto il male, tutto quel dolore, tutta la mia stupidità.
Sulle mia labbra bruciava quell’ultimo bacio che mi ero concesso. L’ultima promessa che le avevo strappato, a cui aveva detto “Sì.”
Garantirmi la possibilità di saperla al sicuro, per non correre il rischio che restasse da sola in balia di se stessa.
Proteggerla, la mia sola preoccupazione. Ma non lo avrei potuto fare mai più. Il dolore con i suoi artigli affondava in me.
La sua vita per me necessaria, il mio bisogno prepotente, da proteggere anche da me stesso. Bella era parte di me. Sentivo la sua voce, percepivo il suo odore, vedevo il suo viso, riuscivo ad avere il morbido e il calore della sua pelle sotto le dita. Il suo sapore …nella mia bocca, la mia estasi e la mia agonia.
Quel bisogno insano che mi accompagnava, con le sue prove a cui mi sottoponeva e la paura, di poter commettere prima o poi quell’unico errore che le sarebbe stato fatale.
Ero l’interferenza che non le dava accesso alla sua normalità.
Non sarebbe più andata così. Avrebbe proseguito da sola.
Non sarei dovuto essere qui, questo tempo non mi apparteneva. Il mio passato era fatto solo di figure immobili tra le pagine di libri polverosi. Il mio presente dal gelo della morte.
Lei, invece, era viva.
Non sarei esistito. E avrei mantenuto la promessa.
Lei avrebbe imparato dai suoi errori, sarebbe cambiata, cresciuta.
Io sarei rimasto intrappolato con la mia immagine d’adolescente da cui non potevo scappare. Per me niente sarebbe mai cambiato. Immutabilmente disperato.
“Perché Carlisle mi hai tenuto qui, bloccato nella non vita di questa esistenza?”
Che senso aveva tutto questo.
“Spiegamelo!”
Che senso aveva essere un corpo vuoto capace di contenere un mostro dagli istinti più insani? Tra i ricordi nebulosi l’immagine di un ragazzo rispettoso delle regole che amava la sua famiglia e avrebbe dato la vita per ciò in cui credeva e difendere chi amava.
“Perché hai voluto condannarmi così? Perché non hai lasciato che il mio destino si compisse in quel letto d’ospedale?”
Allontanarmi da lei anche solo per un’ora era qualcosa di penoso, come avrei potuto affrontare la mia intera esistenza standole lontano?
Le mani che a fatica reggevano il volante.
La mia forza separato da lei sembrava che mi fosse stata risucchiata.
Debole, vinto, rassegnato. La mia disperazione incontenibile. Dove era la furia, quella rabbia che avrei dovuto sentire? Intorno e dentro me regnava il niente. Il silenzio era su tutto. Niente aveva più senso.
Correvo nella speranza di fuggire da me stesso e da tutto quell’immenso dolore.
Non sarei ritornato indietro, non avrei più rivisto Bella.
Niente sarebbe stato più come prima nella sua immutabile immobilità.
Fino a che la sua fine avrebbe deciso inevitabilmente la mia.
Avrei solo dovuto aspettare.
Il mio mondo era Bella, e sarebbe finito con lei.
Sembrava che nel mio petto si fosse aperta una voragine.
Quel dolore era insopportabile. Incontenibile anche per uno come me. Non avevo mai provato niente di simile in tutta la mia esistenza.
La strada davanti a me lunga e solitaria, mentre la distanza da lei aumentava inevitabilmente e sentivo il mio corpo dissolversi.
Ero in balia di quel tormento, solo e senza difese. Sorpreso da un predatore più crudele di me che s’insinuava silenzioso e subdolo in ogni fibra creando crepe.
Avevo deciso che l’avrei lasciata libera di vivere la sua vita pentendomi di ogni gesto, di ogni parola pronunciata e di ogni sguardo che inevitabilmente l’aveva ferita.
Continuavo a vederla, pallida e impaurita, ascoltare le mie parole incredula e obbligare tutto me stesso a rimanere immobile per non afferrarla e stringerla, per rassicurarla e dire al suo cuore di calmarsi.
Sentivo il niente che mi reclamava abbracciandomi nella sua stretta crudele, dove qualcosa si era poggiato leggero come polvere.
La delusione alla sua resa, alla facilità con cui si era fatta convincere.
Delusione per come non avesse dubitato neanche per un attimo che quella non fosse la verità. Avevo immaginato di dover combattere contro la sua ostinazione, contro il suo rifiuto a rinunciare a me, invece mi aveva creduto così facilmente.
Sapevo di essere un ottimo bugiardo, avevo dovuto mentire tante di quelle volte, ma con lei avevo creduto di non poter essere all’altezza di quel ruolo che avevo interpretato così a lungo. Pensavo che sarebbe stato difficile, se non impossibile, poterla convincere, e invece, mi aveva lasciato andare, così, semplicemente accettando ognuna di quelle parole, come una verità indiscutibile.
Io mentivo e lei mi credeva, io andavo in pezzi e lei non lo vedeva, capivo che si poteva morire anche così. Se avessi potuto farlo, sarei morto guardando i suoi occhi che si dilatavano davanti a quella consapevolezza. Era come se qualcosa in lei avesse trovato una conferma. In quei mesi non ero riuscito a farle capire cosa aveva significato averla accanto. Lei era il mio inizio e la mia fine, il cerchio che si chiudeva intorno a me. La guardavo e vedevo che era sicura che non la volessi più.
Sarei scivolato ferito in quei giorni che non mi avrebbero più visto accanto a lei, che non mi avrebbero permesso di tenerla mai più stretta a me.
Avrei ripercorso ogni giorno, tutte quelle cose che non erano andate come avrei voluto. Avrei continuato ad avere paura di sembrare peggiore di quello che irrimediabilmente ero.
Avrei ricordato ogni sguardo che avevo evitato, tutte le parole che non avevo pronunciato per timore di farle del male.
Ogni cosa, il più piccolo dettaglio del tempo passato con lei.
Il viaggio che avevo fatto per sentirmi al sicuro, per ritrovare me stesso, per distanziare il mostro che il suo profumo aveva evocato e che la reclamava. Ma non era bastato a strapparla dai miei pensieri, dal mio cuore che era tornato a vivere del battito del suo.
Avrei ricordato questi istanti all’infinito, il dolore non mi avrebbe abbandonato, semplicemente avrebbe fatto parte di me.
Quando pensavo che non mi avrebbe mai voluto come io invece la volevo. Quando credevo non mi avrebbe visto degno del suo amore Quando la sete del suo sangue scatenava in me il predatore che sapeva reclamarla con forza. Non era servito scappare lontano. Non serviva adesso, io l’amavo disperatamente. Ma non sarei mai potuto essere il ragazzo la cui essenza sapevo intrappolata da qualche parte in me, che cercavo di trattenere a qualunque costo, per essere degno di lei.
Non sarebbe servito a niente provare quell’amore che era riuscito a percorrere strade impercorribili, se non riuscivo a metterla al sicuro e proteggerla da quello che ero.
Avrei vagato tra mattine che sarebbero state il preludio d’infiniti crepuscoli. Avrei vagato come ombra tra le ombre, come qualcosa da coprire e nascondere, per non vergognarmi di ciò che ero, per non leggere la sorpresa sulle tante facce che avrei incontrato, prese dalla loro vita e distratte dai loro affanni. Sarei tornato nell’oscurità del mio segreto.
Questa volta avevo la certezza di avere perduto la mia anima.
Il dolore sarebbe rimasto sempre a ricordarmi il coraggio che non avevo avuto per tenerla lontano da me, per stare lontano da lei. Mi sarei torturato all’infinito.
In me solo disperazione e dolore. Non ero altro, se non questo.
Avrei continuato a camminare nei giorni che non mi avrebbero cambiato tenendo lo sguardo basso e diventando invisibile.
Avevo chiuso tutte le porte, cancellato ogni sorriso. Avrei continuato ad inciampare nell’unico errore che non avrei voluto commettere, nell’unico rimpianto che non avrei voluto avere. Non la potevo avere, ma non l’avrei dimenticata.
Addosso le cicatrici di ogni bacio, di ogni carezza, di ogni abbraccio negato, ingaggiando quella lotta estenuante per tenerla lontano da me, al sicuro.
Non le avevo dato nessun appiglio a cui aggrapparsi.
Negato ad entrambi ogni possibilità.
Soffrire come stavo soffrendo ed anche di più, tutto, purché avesse la sua vita da vivere.
La mia era stata solo l’illusione di un momento, il mio sogno ad occhi aperti. La sua vita una realtà.





Ringrazio come sempre chi segue preferisce o solo legge questa storia.
Un grazie veramente sentito a chi commenta e mi da la possibilità di capire se quello che faccio è fatto bene. Non finirò mai di ripetere che siete troppo buone con i complimenti che mi riservate ogni volta. Mi auguro che anche questo capitolo sia all’altezza delle aspettative. Spero solo che ne stia venendo fuori qualcosa di decente.

Grazie ancora a:


arte


ninfea306


Cicciolgeiri


flora55


sassy86

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Capitolo 10
*** CAPITOLO IX ***







Avrebbe dimorato nel silenzio del mio cuore, come un segreto nascosto nella nebbia, tra le pieghe del tempo. La mia malinconia.
Sarebbe stata in quelle lacrime che non potevo versare, in quel nodo in gola, in quella voragine che si era aperta nel mio petto, lasciandomi senza fiato sull’orlo di un precipizio.
Sarebbe rimasta nei ricordi come il mio rimpianto e ogni momento il tormento dell’assenza dove mi sarei perso un frammento per volta.
Nella dolcezza di una nota improvvisa. Sarebbe tornata come il tocco di una carezza sul graffio di un addio.
I suoi occhi, le sue labbra… avrei continuato a vederla in ogni sguardo.
Avrei continuato a sentire il calore racchiuso in ogni bacio e il suo sapore sarebbe scivolato all’infinito nella speranza di colmare, un giorno, il vuoto, raggiungendola di nuovo come un’anima raminga.
- Ciao.- Alle mie spalle, la voce appena sussurrata di Esme. “ Sono qui, tesoro, se mi vuoi.” I suoi pensieri, nel turbinio dei miei, dove il volto e i ricordi di Bella erano incessanti.
- Diminuirà mai?.- Dissi, senza voltarmi a guardarla. - Non sono la persona più adatta a risponderti, Edward. Io ho provato un dolore talmente grande da spingermi verso il più estremo dei gesti e, ancora adesso, riesco ad avvertirne l’intensità.- Rispose pacata.
- Come si fa a convivere con tutta questa pena?- La mia voce sembrava giungermi da lontano.
- Non saprei cosa risponderti. Io, a quel tempo, ero diversa. Quello che sentivo non ha paragoni con ciò che esiste nel nostro mondo. Non saprei, adesso, come mi comporterei.- Mi poggiò la sua mano delicata su di un braccio.- Vedi, Edward, ciò che hai fatto è qualcosa di difficile per quello che siamo. La rinuncia non ci appartiene. E’ vero, abbiamo rinnegato il sangue umano come nutrimento, ma con i sentimenti è tutto diverso. A noi arrivano amplificati e rimangono immutati. Nessuno di noi ha dovuto mai affrontare questo tipo d’esperienza. Non saprei proprio come poterti aiutare. So solo che farò il possibile per non lasciarti da solo. Tutti noi lo faremo.- La sentii scivolare via. Erano tutti lì, sentivo i loro pensieri che cercavano di non essere invadenti. Per quanto potevano, provavano a rispettare il mio dolore. Solo Alice, continuava a rimproverarmi, ma quello che mi straziò fu vedere Bella. Non ero preparato a quello.
Rivedere il suo viso, anche se solo nella mente di mia sorella, mi piegò in due. Non potevo permettergli di farlo, non avrei potuto resistere. Il suo dolore continuava a scorrere nei miei occhi. L’avevano trovata nel bosco. Si era persa per cercare di raggiungermi. Fui grato alla mia prudenza. Il mio biglietto a Charlie. Non vedendola arrivare aveva dato l’allarme.
- Edward!- La voce di Alice, cristallina, risuonò più alta del solito.- Ti rendi conto di che cosa ha rischiato?- Era risentita.
- Alice… ti sarei infinitamente grato se… smettessi di guardare. Quello che la riguarda non deve interessarci. E’… la sua vita...- Non mi lasciò il tempo di finire.
- E no, mio caro! Così è troppo facile. La sua vita lo era prima di te, prima di tutti noi. Non posso impedirmi di vederla. Tra di noi si è creato un legame e, questo, mi dirà sempre cosa succede a Bella. Che tu lo voglia o no.- Sentire pronunciare il suo nome amplificò il dolore e il mio viso, e tutto il mio corpo, si contrassero nella sua stretta.
- Ti sarei… riconoscente, allora, se facessi in modo di tenere per te le tue visioni.- La sua espressione contrariata mi trafisse.
- Lo farei volentieri, se fosse possibile, ma sai che non funziona. L’unico modo per tenerti allo scuro dalle mie visioni è andare via da qui. Ti confesso che l’idea mi stuzzica non poco. Rimanere qui e controllare l’istinto a non farti male non è piacevole.- Disse guardandomi dritta negli occhi.
- Non potresti farmene più di quanto non me ne sia già fatto io stesso.- Nel mio sguardo e nella mia voce la rassegnazione. La guardai, immobile. Mi era difficile ogni movimento, ogni parola mi costava fatica. La delusione e il loro dispiacere nella mia mente erano duri da sopportare. Non potevo contenere anche quelle sensazioni, non c’era spazio. In me, la sofferenza della separazione, era devastante e non avevo modo di sfuggirle. Non avrebbe mai allentato il suo morso. Mai.
La nuova casa, un altro luogo dove poter continuare a fingere di essere quello che non eravamo. Tornare a rintanarmi nel silenzio di quel niente che conoscevo bene.
Prima di Bella, c’erano balsami a lenire lo sconforto di dover convivere con la parte mostruosa di me. La musica, la poesia, leggere, scrivere, servivano a rendere meno atroce il mio mondo, quell’esistenza. Ma con lei tutto era cambiato. La mia umanità l’avevo guardata da vicino, mi ero specchiato in lei e mi piaceva. Riusciva, anche se a fatica, a contenere la mia mostruosità. Adesso, da solo, sarei stato risucchiato da tutte le mie paure, le mie angosce. Sarei sprofondato nei sensi di colpa come tra sabbie mobili, invischiato nel loro fango.
Raggiungere la mia stanza mi sembrò un viaggio senza fine. Ogni passo pesava come se il mio corpo, ad un tratto, fosse divenuto di piombo. L’agilità, la potenza… non c’era più nulla. Tutto era nebuloso e ovattato. I miei sensi intorpiditi, offuscati, il niente mi avvolgeva. Muovermi al rallentatore, era quella l’impressione. Quell’andatura che dovevo impormi per sembrare umano ai suoi occhi, davanti agli altri, ora veniva naturale. I miei passi, uno dopo l’altro, mi trascinavano. Un gradino alla volta… la porta della mia camera.
Tutte le cose che in quegli anni avevo accumulato. Non esistevano più. Senza alcun senso mi osservavano immobili. I miei occhi cercavano quello che avevo condiviso con lei. Accarezzai tutto ciò che aveva attirato la sua attenzione. Tutto quello che aveva goduto del suo tocco. Su cui, il suo sguardo, il suo respiro, si erano posati. Mi raggomitolai su me stesso, stringendo le braccia al petto, cercandola in quell’abbraccio vuoto. Rimasi così, immobile, come quel tempo che su di me non sarebbe trascorso. Fui inghiottito dai ricordi di lei…di noi. Era lì, con me. Vi sarebbe rimasta per sempre. Smisi di esistere…Su di me scivolarono le ore vuote e senza senso di quell’esistenza.
Si sommarono, fino a diventare giorni, poggiati su tutta quell'immobilità.
Diventarono settimane e niente poteva cambiare l’immensità di quel dolore o lenirlo in qualche modo. A tratti, nella mia mente, il dolore di Bella. “Ti prego Alice…ti prego…” I pensieri, le voci della mia famiglia erano lì, ma sembravano lontani, come se non fossi io a sentirli. Ero morto, ma condannato a non esserlo. Come sempre, come avrebbe continuato ad essere. Un morto che non poteva morire, che poteva fare tutte quelle cose che appartenevano ad un vivo, ma non poteva vivere.
Intrappolato tra il questo e il quello. In un’esistenza innaturale di cui, inevitabilmente consapevole, non avrei mai potuto cambiare nulla. Una sola consolazione: quando il mio amore avrebbe cessato di essere parte del mondo, io l’avrei seguita. Finché avesse respirato, finché il cielo e le stelle fossero state le stesse che guardavano anche me, io sarei rimasto, come parte di quel tutto che l’avrebbe accolta nel suo abbraccio.
Non avvertivo più nulla. L’oro dei miei occhi si era arreso al nero della mia sete, che lanciava le sue stilettate, ma quel dolore non era sufficiente a contrastare quello per l’assenza di Bella. Intorpidito e senza nessun senso, non trovando più nessun significato alla mia esistenza, riuscivo solo a vedere la neve venire giù silenziosa.
L’unica cosa che i mie occhi si concedevano quando non li tenevo serrati per cercare di contenere le ondate di quella pena. Dalla finestra della mia stanza il fluttuare di quei fiocchi era come se portasse un po’ di refrigerio a quel fuoco che mi stava divorando.
La nostra casa immersa nel silenzio della foresta canadese. Il vento tra le fronde degli alberi che mi parlava di lei. Mi lasciavo cullare da quel suono, come da una ninna nanna. La sua voce, era lì e chiamava il mio nome. “Amore mio…non posso…non resisto senza di te…io…” Lottavo per contenere quel desiderio. Il bisogno di correre da lei.
Sentivo l’esitazione di mio padre che più di qualche volta si era fermato dietro la mia porta trattenuto da Esme.
- Lascia che assecondi la sua pena.- Gli diceva.- Quando sarà pronto, quando se la sentirà verrà fuori, ma adesso cerchiamo di non forzarlo.- Sentivo tutta la riluttanza di Carlisle nel rinunciare ai suoi propositi consolatori. Ero grato a mia madre, sapeva sempre capire cosa era meglio per me.
Volevo bene a tutti loro, ma in quel momento il mio risentimento verso me stesso, non lì avrebbe risparmiati.
Quello che ero stato costretto a fare, per non aver saputo tenere Bella lontano da me e da tutti noi, mi rendeva furioso. Avrei potuto dire cose di cui sicuramente mi sarei pentito.
Non potevo negare che, una parte di me, li riteneva responsabili.
Razionalmente me ne facevo una ragione, ma se dovevo dare retta all’istinto, il risentimento avrebbe preso il sopravvento.
Con Carlisle, per avermi trattenuto nel suo mondo.
Con Jasper, per essere stato la goccia che aveva colmato la misura. Sentivo il dolore dell’ultimo dei miei fratelli, la sua mortificazione, ma non potevo impedire ad una parte di me di detestare la sua debolezza che, inevitabilmente, mi metteva a confronto con la mia. Non gli potevo perdonare di avermi fatto guardare in faccia cosa sarei stato capace di fare io stesso in un momento di distrazione, cedendo alle lusinghe del mostro che albergava in me.
Non eravamo nient’altro che quello, mostri senza anima e mi odiavo per aver voluto ambire a lei, alla sua purezza, all’ingenuità con cui aveva creduto di potermi cambiare. Mi aveva sempre visto diverso da quello che ero realmente , ma ero solo un camuffamento ben riuscito che celava in se l’orrore più profondo. Non volevo questo per Bella.
L’amavo e non potevo permettermi di negarle il diritto ad essere riamata per come meritava. Io sarei dovuto essere in grado di proteggerla dal pericolo non esserne la causa principale.
Riemergevo a tratti. La consapevolezza tornava a diventare cupa razionalità. Non avrei mai potuto cambiare nulla, non avrei mai potuto sperare che sopraggiungesse qualsiasi cosa a darmi una sola opportunità per mutare le tessere di quel mosaico, per imprimere alla sorte un andamento diverso.
Senza la mia vita, era come se fossi stato gettato tra le tenebre di un delirio senza fine. Tra quell’oblio, solo silenzio e la più totale oscurità.
La mia unica speranza era il suo amore. Avervi dovuto rinunciare mi annientava.
Nel mio mondo non avevo mai conosciuto la speranza, se non tra le pagine di libri. Con lei avevo imparato a sperare.
Mi ero coccolato con l’idea assurda che i nostri mondi potessero convivere.
Bella era il nome con cui avrei chiamato il mio destino. Se sognare voleva dire essere vivo, io non lo ero più da tanto tempo e solo con lei che era diventata il mio sogno ad occhi aperti ero riuscito ad esserlo nuovamente.
Perso in quel turbine percepii appena mio padre.
- Edward…- La sua voce esitante.- Non puoi fare così. Ormai sono settimane che te ne stai nel tuo isolamento. Non dovresti…- Lo guardai e farlo mi costò uno sforzo immane. Era qualcosa che non avevo mai provato prima. A fatica articolai la risposta.
- Perché, cosa vuoi che mi possa accadere? Tutto quello che mi poteva succedere è già successo…- Ebbi bisogno di respirare profondamente.- Non posso vivere, non posso morire, non posso…amare. Lasciami almeno l’ultima cosa che mi è rimasta, l’ultima concessione: soffrire per l’eternità.- Vidi il suo sguardo velarsi di dolore.
- Non… servirà figliolo, lo so per averlo provato su me stesso prima di te. Rimanere così, non nutrirti… arriverai allo stremo delle tue forze. Servirà solamente ad indebolirti, nel fisico e nella volontà, ma non cambierà nulla.- Esitante lo vidi avvicinarsi e fare il gesto di toccarmi. Cercai in me la forza per contrastare la debolezza e mi ritrassi.
La sua delusione balenò nella mia mente. “Come vuoi Edward…cercherò di non disturbarti.” Sentii la porta chiudersi dietro di lui.
- Non può continuare così, è pericoloso. Arriverà a non riuscire a contenere la sete e l’istinto. Non sarà abbastanza lucido e forte per scegliere. Potrebbe vanificare i sacrifici di tutti questi anni… Finirebbe per odiarsi ancora di più.- Lo sentii dire a mio fratello Emmet.
- Proverò a parlare con lui Carlisle.- Sentivo la preoccupazione nei loro pensieri, ma francamente me ne infischiavo.












Eccovi un’altro capitolo e come al solito ringrazio chi lascia il proprio commento.
E’ stimolante sapere cosa gli altri pensano di ciò che si scrive e da’ spunti per continuare, specialmente quando quello che si scrive è così impegnativo.
Non è facile scendere nel dolore di Edward e farlo proprio. Quindi grazie ancora di cuore per l’appoggio che mi date a :

ninfea306


arte


Cicciolgeiri


sassy86






Un ringraziamento anche a chi preferisce, segue o semplicemente legge.

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Capitolo 11
*** CAPITOLO X ***





Era lì, lo sentivo. Non allentava mai la sua stretta.
Egoista, famelico. Reclamava il suo predominio.
La sua sete divorante, prepotente. La sua presenza ovunque in me, fino ad arrivare ad offuscare lei. Non potevo permettergli di avere il sopravvento. Non volevo allontanarmi dai miei ricordi . Non poteva strappare Bella dalla mia mente.
Debole come non mi ero mai sentito, nel mio petto sentivo ribollire il suo ringhio sordo.
Il mostro si nutriva del mio sfinimento.
Mi alzai, ingaggiando l’ennesima lotta. Non gli avrei dato modo e spazio di manifestarsi come aveva fatto in passato. Il pensiero di potermi nuovamente trovare faccia a faccia con lui mi faceva impazzire di rabbia.
Solo l’idea di vedere ancora il suo riflesso nel mio sguardo mi procurava un tale disgusto di me stesso che, se avessi potuto, sarei scomparso.
Odiavo essere ostaggio del suo perenne ricatto. Mi sollevai dal mio angolo dove mi ero rintanato e aprii la porta della mia stanza.
- Emmett!- Pronunciai in un tono appena udibile , ma deciso. Un attimo e fu al mio fianco.
- Sono qui, fratellino.- Lo guardai attraverso la vista annebbiata del mostro che si era ridestato in me per la mancanza di nutrimento.
- Devo andare a caccia e ho bisogno che tu non mi lasci da solo.- Era passato troppo tempo dall’ultima volta. Emmett non era veloce quanto me, ma molto più forte, avrebbe potuto facilmente contenere le voglie insane dell’essere che disprezzavo più di ogni altro.
Erano tutti lì: la mia famiglia. Non si erano mai allontanati, non mi avevano mai lasciato da solo. Sentivo i loro pensieri. L’apprensione di Esme, il senso di colpa di Jasper e Carlisle, l’ostilità di Rosalie, la nostalgia di Alice.
L’aria della foresta e i suoi profumi mi stordirono. Era dal giorno che avevo lasciato Bella che non uscivo all’aria aperta.
Il mio corpo faticava a trattenere la mia umanità e a tenere testa al mostro affamato. Sotto la spinta dell’istinto che prepotente pressava, a malincuore lo assecondai.
Correvo, senza averne volontà e voglia. Correvo sotto la pressione del predatore che era in me, che mi infettava come una malattia.
Correvo, sentendo al mio fianco mio fratello. La sua presenza silenziosa e rassicurante. Avvertivo il suo appoggio incondizionato. Emmett non giudicava, non recriminava.
Mio fratello voleva la mia felicità, qualunque essa fosse stata. Si rammaricava per come stavo e aveva nostalgia della ragazzina umana che aveva cambiato la mia esistenza e, per un periodo di tempo, mi aveva restituito a loro e ad una sorta di normalità. Anche per la mia famiglia era stato come fare un viaggio in un passato lontano.
Quei pensieri di per sé dolorosi, erano resi ancora più atroci dalle fitte sorde della mia sete che li annebbiava. Non volevo perdere il suo viso dalla mia mente neanche per un attimo: era insopportabile.
Ad un tratto l’aria che inspiravo divenne calda e con quella inconfondibile nota olfattiva. Avevo incrociato la mia preda.
Sentivo la rabbia e tutto il mio risentimento crescere man mano che mi avvicinavo, e la mia mente era costretta a lasciare spazio ai piani di caccia del predatore. Odiavo quando scomparivo come Edward e di me restava solo il vampiro.
La mia bocca inondata dal veleno e i miei denti affondati nella carne della gola. Il pulsare furioso della giugulare. Il suono di un cuore che si arrendeva e poi il sibilo di un ultimo respiro. L’ultimo sospiro che si schiantava sull’ineluttabilità della morte.
Il desiderio e la sete che si spegnevano sciogliendosi dall’abbraccio di quel fuoco divorante. La frenesia di quell’atto necessario al sostentamento della parte di me da cui non sarei mai potuto fuggire. Mi sentivo come quel corpo esangue che stringevo tra le mani. Preda di me stesso.
Il mostro soddisfatto si andava acquietando. Riuscivo a riemergere, a ritrovare la strada per riprendere il contatto con la parte di me che era pensiero, consapevolezza, ragione e razionalità. La parte di me che sceglieva, che per quanto gli era concesso, decideva di tenere quella belva il più distante possibile.
Quando riaffiorai completamente, ero ancora chino sul mio bottino. La bocca ancora affondata nel suo collo.
Ma, ormai, ero Edward; con il suo dolore immenso. Spezzato e dilaniato.
Per un attimo, solo una frazione di quel tempo che per me era immobilità interminabile, la belva famelica oppose resistenza alla mia volontà di allontanarla e il suo desiderio che, conviveva con il mio, sovrappose il viso di Bella all’immagine del corpo senza vita di quell’animale: il mio pasto. Il mio urlo di dolore e disgusto si levò nella foresta. Cominciai a sfogare quella rabbia repressa. Quello che ero, il mio distacco da lei, tutto ciò che era successo. Cieco e furioso iniziai a distruggere quello che mi circondava. I tronchi degli alberi esplodevano sotto la mia furia. Schegge di legno e terra, vennero scagliati ovunque. Sentii le braccia di Emmett trattenermi.
-Edward… calmati.- Diceva cercando di tenermi fermo. Lo guardai e la mia espressione era quella di chi aveva visto scorrere davanti a se l’orrore del mondo.
- Non… posso sopportare di mischiarla in ciò che sono.- La sua stretta mi bloccò mentre cercava di contenere la rabbia di quel mio dolore.
- Non so cosa stai provando, posso solo immaginarlo, ma… Edward, sai già che puoi contare su di me. Puoi contare su tutti noi. Ce la farai. Ce la faremo insieme…Coraggio.- Mi continuava a tenere bloccato nella sua morsa, sentivo di essere sfinito, che non sarei riuscito a starle lontano. Lei mi mancava, mi mancava come quella vita che non avevo più e avrei voluto ad ogni costo nuovamente mia.
Cercavo di volare via da tutto quello, ma non potevo farcela, ero da solo in quella lotta, nessuno, a parte lei, poteva venire a salvarmi.
Smarrito come chi aveva perso la strada di casa, precipitavo nelle profondità di quell'abisso ad ogni respiro che mi concedevo, che si perdeva nell'aria come un lamento. Sotto lo stesso cielo che guardava anche lei, che vegliava il suo pianto.
Lei piangeva per me io avrei voluto farlo.
Rimpiangevo quel piacere ritrovato che mi dava il sentirmi vivo accanto a lei e che avevo perduto per sempre.
Avevo avuto la mia parte di gioia e ora sperimentavo il dolore. Non avrei mai creduto possibile di poter avvicinare un angelo ed essere accarezzato dalle sue ali. I miei occhi non riuscivano a contenere l’oceano di quella disperazione. Mi ero perso durante un viaggio verso una meta irraggiungibile. “Amore, potrai mai trovarmi adesso, in tutto questo buio? Dammi la forza per continuare, per andare avanti, per trovare l’equilibrio e rimanere in piedi ad ogni passo che mi allontanerà inesorabilmente da te. E’ così difficile senza di te Bella. Tanto, troppo difficile, anche per uno come me.” Istintivamente deglutii e mi sollevai . Gli occhi di Emmett non mi abbandonavano un istante.
- E’ …passata?- Chiese mio fratello. Senza guardarlo feci solo un cenno con la testa e sorrisi amaramente.
-Non passerà mai...Emmett. Mai. Per quanto possa fare o dire. Per quanto anche tutti voi facciate, lei sarà il mio dolore inconsolabile e continuerò a perdermi all’infinito nella sua assenza.- Mi fissò per un lungo istante.
- Lo so.- Disse poi, mettendomi una mano sulla spalla. - …Ma migliorerà. Sicuramente. Con il tempo imparerai a convivere con tutto questo…con la sua assenza. Anche Rosalie ne è convinta. E’ solo questione di tempo e, quello, di sicuro non ti mancherà.- Emmett era sempre stato un tipo pratico, d’azione. Sapevo che era convito sarebbe andata così. Si fidava del suo istinto e dei responsi da oracolo di Rosalie.
Il ritorno a casa, fu fatto in silenzio, anche se i suoi pensieri non smisero mai di essere rivolti a me. Lo sentii tutto il tempo e non cessò mai di incoraggiarmi a tenere duro.
Nei pressi di casa si voltò verso di me.
- Tutto bene Emmett. Tranquillo ce la faccio. Fai solo in modo che Rosalie tenga per sé i suoi commenti al veleno. Non ho voglia di sentire stupidaggini.- Sorrise. Non era impresa da poco quello che gli chiedevo.
- Cercherò di parlarle, Edward, ma sai quanto è protettiva verso i suoi affetti. La famiglia per lei è importante.- Lo guardai.
- Lo è anche per me, Emmett, ma questo non l’autorizza a comportarsi come fa e ha sempre fatto. Se in passato ho ignorato questi suoi modi, adesso non sono in grado di poter gestire pressioni ulteriori, venissero anche da mia sorella.- Sospirò.
- Farò il possibile, non garantisco il risultato, ma ci proverò.- Mi lasciò strada per entrare. – Dovrai parlare con loro Edward, prima o poi.- Disse. Era stato qualcosa che rimuginava di dirmi per tutto il giorno. Non era da lui intromettersi, lo conoscevo, ma quella situazione che sbilanciava i nostri equilibri già così precari lo spiazzava. Lo rendeva insicuro. - Carlisle è preoccupato per te.- Continuò.- E…Jasper… non riesce a perdonarsi quello che è successo. Ha deciso di andare via e solo tu puoi riuscire a convincerlo a non farlo. Alice lo seguirebbe ed Esme…bé…la conosci, lei…- Lo guardai. Sapevo che aveva ragione, avevo rimandato anche troppo e in qualche modo non avevo fatto nulla per non fare sentire colpevoli né mio padre, né mio fratello. Non volevo che Esme soffrisse e non volevo che Alice andasse via.
Avevo già perso troppo allontanando Bella e il suo amore, non potevo perdere anche loro.
Percorsi in silenzio l’ingresso. Emmett mi aveva lasciato da solo. Nel salone un raggio di sole accarezzava il mio pianoforte. Da quanto tempo le mie dita non sfioravano più quei tasti?
Mi avvicinai e ne toccai appena la superficie liscia e scura, per poi sedermi sullo sgabello. Rimasi in silenzio fissando lo sguardo su uno spartito immaginario, dove le note di una ninna nanna avevano lasciato la loro traccia. Quella melodia delineava ogni tratto del suo viso e della sua anima.
-Bella …cosa starai facendo adesso…Ti manco come tu mi manchi…?-Sospirai, lasciando scivolare la mia mano sulla tastiera, liberando la prima nota di quella musica che avevo composto pensando a lei.
Una fitta di dolore mi trapassò il petto. Tornai a sentire il ghiaccio di quell’esistenza avvilupparmi nel suo abbraccio. Il mio cuore…non riuscivo più a sentirlo.
- Alice, ti chiedo ancora di evitare di guardare nel suo futuro.- Mia sorella si era materializzata alle mie spalle. Le immagini della sua mente rispondevano alle mie domande. Bella soffriva, vedevo il suo viso e mi sentivo disperato. L’unica mia forza era la consapevolezza di sapere che il tempo, passando, avrebbe stemperato tutto quel dolore, guarito le sue ferite.
- Non lo faccio di proposito, non posso evitare di vedere ciò che fa, è una questione di sintonia che si è creata tra di noi.- Il tono quasi di scuse mi fece pentire di averla rimproverata. Anche per lei perdere Bella era stato un dispiacere, sapevo quanto fossero legate.
- Edward, prima o poi farà qualcosa di cui ti pentirai. Di cui dovremmo pentirci tutti per non averti impedito questa stupidaggine.- Strinsi i pugni a quelle parole e cercai di mantenere un tono pacato, ma deciso. Non volevo trattarla male. Alice era solo in pensiero per lei. Ma Bella mi aveva promesso che non avrebbe fatto sciocchezze. Sapevo che avrebbe mantenuto l’impegno preso. Lo aveva sempre fatto.- Bella me lo ha promesso.- Impressi a quelle parole un tono tale da farle capire che non volevo tornare sull’argomento.
- Come vuoi tu.- Disse sospirando. Sentii le sue mani sulle spalle.- Cosa farai adesso…senza di lei, intendo.- Quella domanda me l’ero fatta ogni attimo da quando avevo deciso di rinunciare a noi. Cosa avrei fatto senza di lei? Non potevo rispondere a mia sorella, perché non avevo una risposta neanche per me.
Niente sarebbe stato più lo stesso. Non potevo tornare a fare ciò che facevo prima di conoscere Bella, di sapere che lei ricambiava il mio amore, ma del resto senza lei niente aveva più importanza.
- Aspetterò che il suo tempo si compia e poi deciderò. A quel punto sarà veramente finita anche per me.- Mi guardò e nel suo sguardo la determinazione a voler credere che stessi parlando spinto dalla disperazione. “Non essere melodrammatico.” Pensò e scivolò via con la grazia che la distingueva.




Ecco qui un nuovo capitolo di questa mia libera interpretazione di New Moon dalla parte di Edward.
Cosa dire, se non che sto cercando di rendere questa storia il più verosimile e in linea con i caratteri dei personaggi, che in effetti è un lavoro impegnativo. Il dolore di Edward è davvero immenso e amplificato alla massima potenza e doverlo trascrivere senza che diventi nei concetti ripetitivo e quindi monotono è più difficile del previsto.
Solo voi potete giudicare in modo imparziale, io non riesco obbiettivamente a valutare il lavoro che sto facendo. So però che ancora non mi soddisfa a pieno. Non so perché, ma è come se a questa storia mancasse qualcosa. Chi scrive è sempre critico con se stesso. Continuo ad essere felicissima degli apprezzamenti fin qui ottenuti.
Ringrazio come sempre chi ha lasciato il proprio commento. Un grazie super a:








arte
Come al solito ti dimostri una lettrice attenta e i tuoi commenti sono sempre molto sentiti e partecipi, mai lasciati al caso. Grazie per il sostegno che mi dai con la tua presenza costante nelle tue recensioni. Un saluto caro. Glance

ninfea306 Il mio grazie sentito va anche a te per il supporto che mi dai nel recensire. Hai ragione immedesimarsi nella sofferenza così profonda di questo personaggio non è facile, anche perché non ha riscontri nella realtà che conosciamo e poi perché il tutto deve essere riportato da un punto di vista maschile. E’ un vero e proprio viaggio in un universo parallelo. Ancora grazie di cuore. Glance

manumanumanu1983
Grazie anche a te per aver lasciato il tuo commento grazie per avermi fatto notare il dettaglio. Ho solo pensato che Alice abbia potuto vedere Bella perdersi e capire che poi abbia fatto ritorno a casa senza necessariamente vedere chi la salvava. Del resto lei stessa in New Moon ribadisce che tra di loro c’è un legame che le permette comunque di vederla anche senza la volontà di farlo.

sassy86
Che dirti. Sei veramente gentilissima. Non sarebbe male poter fare da consulente al modo di interpretare Edward da parte di Robert, ma solo per poter accentuare quelle sfumature che magari a lui sono sfuggite e a tutte noi no. Mi sono ripromessa di leggere la tua ff appena riesco a dedicarle la giusta attenzione. Ti farò sapere cosa ne penso al più presto. Un salutone . Glance

Cicciolgeiri
Ciao cicciolgeiri. Sono contenta che la frase di Edward ti sia piaciuta e che tu abbia apprezzato anche i dialoghi con Carlisle. Questo mia aiuta a capire se la strada che ho intrapreso per raccontare questa storia è giusta. Un abbraccio. Glance.

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Capitolo 12
*** CAPITOLO XI ***








Ero rimasto da solo nel grande salone.
Fino a quando Bella non era entrata nella mia esistenza avvertivo la solitudine come qualcosa che faceva inevitabilmente parte di ciò che ero, che sarei stato per l’eternità. La subivo, ma non la capivo veramente fino in fondo.
Guardavo la mia famiglia, i loro legami, sapevo di essere mutilato di qualcosa, ma altrettanto consapevole che non avrei mai trovato quello che cercavo. Non nel nostro mondo. Lì, per me, non esisteva niente.
Non avrei mai potuto avere la parte mancante che avrebbe combaciato perfettamente rendendomi completo. Avevo perduto quell’opportunità, con la mia anima, tanto tempo prima.
Ma Bella mi aveva stretto a sé, regalandomi la sua luce. Aveva abbracciato le tenebre senza timore, senza tremare. Mi chiedevo se, per amare come l’amavo, doveva pur essere rimasto qualcosa in me. Sicuramente era ben poca cosa. Ma forse una piccola scintilla era riuscita a salvarsi e ardeva silenziosa sotto la cenere che quell’amore sconsiderato aveva spazzato via alimentandola con il suo vento.
Non so come e per quale strana ragione, quella piccola e fragilissima ragazzina umana era riuscita a vedere in me e aveva cercato in tutti i modi di tenermi al riparo tra le sue mani. Aveva cercato di salvarmi a discapito della sua stessa salvezza, ma non c’era riuscita. Non poteva esserci salvezza per chi era come me.
Di certo, non ero stato che un illuso che peccava di presunzione, o semplicemente un disperato, a volere pensare di poter avere una speranza. Avevo avuto bisogno di trovare in quel nulla dove ero finito una mano tesa, un’opportunità, a cui potermi aggrappare per non essere inghiottito da quell’esistenza . Ma io avevo il diritto di farlo?
- Alcune volte invidio il tuo potere. Sarebbe molto più facile per me aiutarti se sapessi quali sono i tuoi pensieri.- Lo avevo sentito. Avevo sentito quello che pensava prima ancora che mi raggiungesse. Carlisle. La mia guida, quello che consideravo a dispetto di ciò che ci legava mio padre. Continuando a dargli le spalle cercai la forza per parlare. Non avevano senso per me ormai i discorsi, le parole, tornare sugli stessi argomenti. Non serviva a nulla, non mi avrebbe aiutato a sentirmi diverso, migliore o a stare meglio.
I miei pensieri. Chissà se gli avrebbe fatto piacere conoscerli per quali realmente erano.
- Ciao, Carlisle.- Dissi sottovoce.
- Non hai intenzione di suonarlo vero?- Replicò. Mi resi conto che ero seduto lì da un tempo considerevole. Si era fatto buio… Non me ne ero accorto...Ero rimasto immobile per tutto quel tempo senza avere avuto la benché minima percezione del passare delle ore. Non mi era mai capitato. Il trascorrere delle giornate, il loro susseguirsi lo percepivo con un andamento di normalità. Per lo meno in quello mi sentivo come chiunque altro. Adesso, invece, anche questa sensazione mi sfuggiva. Cosa sarei diventato? Una statua che ogni tanto si animava sotto la spinta della sete da soddisfare del mostro che abitava in me?
- No.- Gli risposi sospirando.
- Peccato. E’ un sacrilegio impedire al tuo talento di esprimersi.- Risi amaramente.
- Un… sacrilegio?- Scossi la testa.- Se devo pagare, tanto vale non farsi mancare nulla. Perché privarsi di qualcosa?- Risposi sarcastico.
- Edward…!- Il risentimento nella sua voce m’infastidì. Come faceva a non rendersi conto di ciò che eravamo, di quello che io ero?
- No! Carlisle…tu, come fai a non renderti conto che non ho scelta? Che non l’ho mai avuta?- Rimase immobile, sentivo ogni singolo pensiero che si agitava nella sua mente. Stava cercando le parole giuste da dirmi.
- Si può sempre scegliere, figliolo. E’ una questione di volontà. Da quanto vogliamo per noi stessi qualcosa.- Sentii le mie mani serrarsi a pugno. Mi voltai e piantai il mio sguardo nei suoi occhi.
- … Pensi che io non abbia voluto e desiderato più di qualsiasi altra cosa restare con lei? Non credi che volessi come sola e unica ragione alla mia esistenza la sua presenza al mio fianco? Ma come ben sai non ha funzionato. Guarda a cosa ha portato la mia scelta. Quindi ti dico che per me non c’è scelta, non c’è mai stata.- Mi guardava immobile, continuando ad avere pensieri di scuse e di un tempo lontano il cui ricordo in me non era altro che nebbia e buchi neri. “Ho solo assecondato una sensazione che la preghiera di tua madre ha amplificato in me. Non mi pento di niente, lo rifarei daccapo. Avevo avuto ragione, sin dalla prima volta che ho guardato nei tuoi occhi. Sapevo che ne sarebbe valsa la pena e che per te doveva pur esserci una possibilità.” Quel pensiero, mi bloccò. Anche se andavo perdendo pezzi del mio passato, il viso di mia madre era l’unico ricordo che era rimasto chiaro in me e che conservavo gelosamente.
- Edward, non potevo permettere che per te finisse in quel modo. Eri troppo giovane, i tuoi occhi parlavano per te e raccontavano la tua anima. La preghiera di tua madre…non sono riuscito a lasciarti andare. C’era troppo da perdere. Sapevo che non saresti appartenuto a questo mondo di tenebra, che non ti saresti lasciato sopraffare. Ti sentivo troppo simile a me. Eri quel figlio che avrei voluto avere.- Le sue parole erano cariche di tutto l’affetto di un padre, ed era così che io lo consideravo. Il mio punto di riferimento, la mia guida. Ma non potevo fare a meno di pensare che tutte le giustificazioni dell’universo non mi avrebbero fatto avere sconti. – Ti guardo, Edward, e riesco a vedere solo mio figlio. Vedo la tua forza, la tua bontà, la tua luce è ovunque e tutto questo non fa che rafforzare la mia speranza, la fede. Non posso credere che per uno come te non possa esistere qualcosa di più.- Alle volte pensavo che Carlisle non fosse mai appartenuto al nostro mondo. Non lo avevo mai visto incerto, mai un cedimento, un dubbio. Non aveva nessuno dei tratti tipici di chi è rassegnato ad una condizione che non accetta. Potevo dire con assoluta certezza che era sereno. Lo guardai.
- Non era affar tuo, Carlisle. Quello era il mio destino. Non avresti dovuto intrometterti.- Sapevo che quelle parole lo ferivano. Ma era la verità.- Come fai?- Domandai.- Ad essere così come sei. Non ti pesa ciò che siamo?- Sorrise e un velo di tristezza gli offuscò lo sguardo.
- Non è andata sempre così, lo sai… te l’ho raccontato. Sono stato disperato, confuso, arrabbiato anche, ma poi ho capito che non dovevo necessariamente essere quello, che potevo scegliere di percorrere una strada diversa. E’ stato difficile, ma oggi sono soddisfatto di cosa ho. Ciò che faccio mi rende felice. Aiutare gli altri mi da la forza di continuare e la mia famiglia è la ragione della maggior parte della mia serenità. Sono orgoglioso di ognuno di voi. Di quello che siete. Delle vostre scelte e capacità. Questo mi fa essere tranquillo.- Lo ascoltavo in silenzio: le sue parole erano sempre sincere, la sua voce pacata.
- La serenità della famiglia, degli affetti. Una moglie, il tuo lavoro i tuoi figli. In qualche modo ti sei creato quel mondo a cui ogni essere umano ambisce e spera di raggiungere.- Sospirai affranto.- Loro crescono, amano, si sposano, invecchiano e muoiono. Lavoro, figli, normalità. Come vampiro non avresti mai potuto avere tutto questo, ma tu te lo sei creato. Ti sei costruito il tuo mondo. Ma non è reale Carlisle. Non siamo esseri umani, questo è solo un surrogato di vita. Per te, per tutti noi niente cambierà e potrà mai cambiare. I tuoi figli non cresceranno, non ti daranno dei nipoti.- Dissi e il mio moto di rabbia si spense come un singhiozzo soffocato.- Non potevi sapere, se le tue scelte sarebbero state le mie.- Abbassai lo sguardo infelice.
- Anche noi possiamo amare Edward…tu, ami.- Lo guardai affranto.
- E a cosa mi serve poterlo fare, se l’unica mia ragione d’esistere rischia la sua vita ogni istante per questo amore?- Mi guardò avvicinandosi. Sentii la sua mano sulla mia spalla.
- Non so rispondere a questo…mi dispiace. Ma adesso sai di esserne capace. Puoi amare Edward e non solo chi è come noi. Questo ti ha fatto capire che sei in grado di essere diverso da quello che pensavi di essere. Il tuo istinto, la nostra natura, messi a tacere. Tutto è possibile se si ha la forza di combattere per ciò in cui si crede.- Sorrise.- Lei è ancora viva a dispetto di ogni logica Edward e questo non ti sembra che sia una ragione valida? Hai scelto. Le hai lasciato la sua vita.- Non mi bastava. Io volevo che lei avesse la sua vita con me. Volevo poter vivere insieme a lei ogni istante dei miei giorni infiniti. Volevo poterla stringere, baciare senza tremare ogni volta. Senza ingaggiare lotte o sentirmi un ladro per ogni sua rinuncia. - Non mi basta e non mi consola. Bella andrà avanti senza di me. Amerà nuovamente. Dimenticherà, Carlisle. Al solo pensiero mi sento impazzire dalla rabbia. Potrei uccidere un giorno chi vorrà al suo fianco. Mi fermerebbe soltanto la consapevolezza del dolore che le causerei. L’ennesimo e non sarebbe giusto. Non so ancora se non riuscirò a non correre da lei. Per me averla lasciata al suo destino è una sofferenza così atroce da sopportare che penso di essere già finito all’inferno.- Scosse la testa.
- Se deciderai di tornare da lei per noi sarà una gioia. Siamo affezionati a Bella e questo lo sai. Dipende da te Edward. Hai deciso tu di lasciarla e sapevi che eravamo contrari. Hai voluto sacrificare il vostro amore, ma se non sarai capace e cederai nessuno di noi ti riterrà un debole per questo. E’ la tua compagna, ti è stata data dal destino e per noi sai che è per sempre. Ma ammiro comunque il tuo spirito di sacrificio. Appoggerò qualsiasi tua decisione.- Lo guardavo. Non riusciva a capire le ragioni vere e profonde che mi allontanavano da lei.
- Non pensare che non sappia la lotta che devi affrontare. Lei sarebbe disposta ad essere come noi e so come la pensi al riguardo. Questo dipende solo da te figliolo. Qui io non posso aiutarti. Capisco che non sacrificheresti mai la sua anima per qualcosa che credi ti abbia fatto perdere la tua e di questo ne sei convinto. Ti conosco e lo so. Ma non ho risposte al riguardo, solo delle speranze. Spero che le nostre scelte possano essere tenute in conto, valere a qualcosa.- Sembrava tutto così facile ascoltato dalle sue parole. Tornare da lei, farla diventare parte di quello che ero. Continuare nella convinzione che la sua anima sarebbe stata salva. Avere la certezza di non avere perso la mia. Alcune volte non capivo se quella di Carlisle era troppa fiducia o ingenuità.
- Per te forse, Carlisle…- Sospirai.- Non uccidere. Ricordi? Tu non hai mai ucciso, io invece…per me sarebbe diverso.- Mi guardò sorridendomi.
- Mi sono intromesso Edward…l’hai detto tu stesso. Questo dovrebbe avere il medesimo peso.- Fece una pausa- Non credi anche tu?- No, non lo credevo. Il giudizio per mio padre doveva poter essere diverso.
Mi alzai e mi diressi verso la finestra. La luna illuminava la coltre di neve che ricopriva il paesaggio circostante dando a tutto una luce strana irreale. Tutto era ovattato come fuori dal tempo.






Ecco qui un nuovo capitolo. Ancora per Edward siamo nella fase delle domande, di quei perché a cui non riesce a trovare risposte e che continua a cercare. Il confronto con il padre che a mio parere aveva solo accantonato dopo il primo periodo di ribellione adesso con questo ennesimo limite che la sua condizione pone riportano a galla i suoi malumori. Ho sempre creduto che Edward in qualche modo pur riconoscendo a Carlisle il suo valore nell’impegno di rendere la sua condizione meno svilente, non possa non contestargli il gesto che lo ha reso quello che è. Non si accetta e non si perdona di conseguenza in qualche modo deve ritenere Carlisle responsabile della sua inquietudine e dei suoi tormenti.
E’ stato per un gesto egoistico di Carlisle se pur mitigato da buone intenzioni se Edward si trova bloccato nella sua non vita e costretto a fronteggiarsi con il mostro che non vuole essere.
E’ anche vero che questo gli ha permesso di incontrare Bella e quindi penso che l’altalenanza di questi due sentimenti lo renda ancora più confuso inquieto ed insicuro e lo avvicini di contro verso quello che ricopre a tutti gli effetti il ruolo di padre.
Carlisle è una guida un esempio da cui attingere anche se per Edward è difficile accettare le motivazioni del gesto che lo hanno condotto ad essere ciò che è.



Continuo a ringraziare tutti voi che recensite è bello sapere cosa ne pensate e con quanta attenzione leggete ed esprimete la vostra opinione. Grazie un bacio, Glance.






Cicciolgeiri

Grazie sono contenta di sapere che come sto gestendo la storia ti piaccia. Tengo tanto ai vostri pareri.


theangelsee69

Sto cercando di rendere il tempo che Edward ha trascorso lontano da Bella come un periodo non solo di profondo tormento per la separazione ma d’inquietudine, perché quei dilemmi che in qualche maniera accanto a lei pur continuando a tormentarlo riusciva a tenere a bada considerando il fatto che se non fosse stato ciò che è non l’avrebbe mai incontrata, perdendola si ripresentano più forti di prima. Grazie di seguire la mia storia e di farmi sapere cosa ne pensi.


arte

Grazie sto cercando veramente di fare del mio meglio e di guardare attraverso i suoi occhi. Spero di continuare a rendere il tutto interessante e soprattutto pertinente con il personaggio. Felice di trovare sempre un tuo parere, mi permette di capire come vi arriva ciò che ho scritto e mi aiuta a trovare la giusta strada per fare proseguire questa storia.


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Grazie dell’incoraggiamento. Ho cercato di seguire il consiglio di approfondire i rapporti con la sua famiglia. Spero che ciò che volevo fare arrivare del legame tra Edward e Carlisle sia chiaro. L’ho sempre ritenuto molto più articolato di come la Mayer lo ha descritto. Per quanto riguarda le visioni di Alice, suppongo che fino a quando i ragazzi Quielute non si sono tutti trasformati in lupi Alice riesca a vedere Bella, o almeno riesca a farlo fino a quando Jacob non subisca la trasformazione o quando lei gli sta lontana. Grazie ancora.


Ancora grazie a chi preferisce segue e solamente legge questa ff.

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Capitolo 13
*** CAPITOLO XII ***






Maturavo l’idea di partire.
Andare via ancora una volta. Cercare di allontanarmi il più possibile da quel dolore e da tutto ciò lo alimentava.
La mia famiglia faceva di tutto per non infastidirmi, per rispettare i miei spazi. Ma dipendeva da me. Non potevo fare a meno di sapere costantemente quali fossero i loro pensieri.
Per la maggior parte del tempo si preoccupavano, alcune volte recriminavano.
Ma non era questo che mi rendeva insofferente, che mi andava stretto. Il motivo era che vicino a loro non potevo non ricordare continuamente chi fossi, quale fosse la mia realtà. Appartenevo al loro stesso mondo. Non mi potevo illudere di essere diverso. Non che lo avessi mai potuto fare.
Forse era solo il fatto di sentirmi senza via di scampo. Avrei voluto poter avere l’opportunità di un’illusione. Avere un’alternativa, anche se per me, sarebbe continuata ad essere una condizione che non avrei mai realizzato appieno.
Era da troppo tempo che ne cercavo una e l’unica che avrei voluto, era irrealizzabile.
L’alternativa a quella mia esistenza però ad un tartto aveva avuto un nome due occhi scuri,la pelle candida e il sorriso più tenero e comprensivo che avessi mai conosciuto.
Il suo cuore batteva e i suoi respiri erano caldi.
Nel calore di quel corpo fragile avevo trovato il significato a ciò che ero. Forse ero lì, bloccato in quella non vita, solo per lei. Forse era quella la mia opportunità, poterla incontrare. Soffrire, il prezzo da pagare per restituire qualcosa di quello di cui mi ero appropriato.
Pagare con quel dolore la possibilità di trattenere qualcosa di quell’ umanità così intensamente desiderata che in quei quasi cento anni, avevo cercato inutilmente nei libri, nella musica, in uno stile di vita che mi facesse sembrare quanto più possibile simile ad un essere umano.
Ma solo con lei mi ero sentito in qualche misura nuovamente tale. Amare, soffrire, sacrificare me stesso.
Rinunciare ai miei desideri per garantire i suoi, per proteggere la sua vita.
In tutto quel tempo, non avevo fatto altro che lottare, per cercare di contenere e rallentare le sferzate date dai miei sensi amplificati.
La mia confusione quando si sovrapponevano in sensazioni talmente forti da stordirmi.
La maggior parte di quel tempo, lo avevo trascorso trattenendomi, incolpandomi.
La frustrazione delle sconfitte e anche se paradossale dei miei limiti.
Avevo poi imparato a convivere con tutto quello camuffandomi, cercando di passare, per quanto potevo, inosservato. Decidere di vivere gomito a gomito tra gli umani, per attingere il più possibile, per imparare dai loro gesti, dai loro comportamenti, per non dimenticare. Cercare di ricordare quello che ero stato, ma non mi era mai bastato e non mi bastava adesso, io bramavo la vita, quella vita che avrei voluto riavere per poter stare con Bella, per poterla amare come un qualsiasi ragazzo.
Non volevo più sentirmi sopraffatto tutto il tempo.
Volevo sentirmi libero e lì, con la mia famiglia, non lo sarei stato, mi sarei sentito obbligato a proteggerli dal mio dolore.
Volevo poter soffrire senza sentirmi in colpa per questo. Il difficile sarebbe stato metterli al corrente della mia decisione senza ferirli, ma sapevo, di dovermi allontanare. Recidere ogni legame per non dovere guardare in faccia ogni volta la scelta che avevo fatto di tenere al sicuro Bella da quello che io ero e che inevitabilmente avrei portato nella sua vita.
Ormai il mio mondo era delimitato dalle pareti della mia stanza e tranne i rari momenti che dedicavo alla caccia per la maggior parte del tempo tendevo a ripiegarmi su me stesso, annientato dalla sua assenza.
Il mio mondo tra le cose che erano servite a trattenere i ricordi del mio passato da umano.
Tra i miei diari pagine e pagine di tutto quello che mi era appartenuto, che non volevo perdere e che sarebbe scomparso se in qualche modo non lo avessi fissato. Quel tempo lo avevo sentito scivolare via e dissolversi in una nuova e sconosciuta realtà.
Quello che ero stato si sarebbe trasformato in una nebbia fitta.
Alle volte, anche se la malinconia mi lacerava, leggere quelle pagine mi dava la sensazione di esserci ancora. In qualche modo sentivo ancora di essere me stesso, mi riconoscevo. Tra quei fogli potevo sentire di non essere svanito, scomparso in quella dimensione così oscura.
Era come riuscire a respirare, provare il sollievo dell’aria che allargava i polmoni, ritornare a vedere la luce.
La paura e l’angoscia si placavano, riconoscevo in quelli che erano stati i miei desideri e speranze, ciò che ancora ero. Volevo per me ancora le medesime cose. Ricordavo i valori che avevano forgiato il mio carattere. Le mille domande, le mie insicurezze. Tra quelle pagine, il ragazzo dagli occhi verdi in qualche modo era ancora lì accanto a me, anche se le sue paure non erano più le stesse, anche se ormai passavo la maggior parte del tempo a contrastare la mia voglia di uccidere.
Ripensai a i tempi in cui sognavo per me la gloria. Anche allora per raggiungerla avrei dovuto uccidere e sicuramente lo avrei fatto spinto dagli ideali di propaganda che ci avevano inculcato. In quel caso ero orgoglioso di poterlo fare, non mi rendevo conto di non sapere affatto di cosa mi ero infatuato.
Non poteva esserci gloria dove c’era morte. Il coraggio non era morire cercando di uccidere quanti più nemici, il coraggio era nel non farlo.
Lo sapevo bene adesso. Stranamente notai come da sempre tutto di me avesse ruotato intorno alla mia decisione di poter uccidere e decidere di non farlo.
A quel tempo volevo andare in guerra e rimpiangevo di non poterlo fare, di non poter dimostrare il mio valore.
Dopo, invece, la mia lotta era stata cercare di non dare ascolto al mio istinto d’assassino, di non privare qualcuno della propria vita. Non lo volevo e non sempre ero riuscito a non farlo e da lì la mia frustrazione per non esserci riuscito.
Consideravo questo mentre rileggevo cosa fossi stato in quegli anni così lontani ormai.
Non avere mai amato e scoprirmene capace in quello che ero diventato.
Non riuscivo però a perdonarmi la vera ragione che mi aveva spinto ad accorgermi di lei.
L’avevo desiderata, ma per il suo sangue. Avevo notato ogni dettaglio del suo viso, quei piccoli particolari che la rendevano unica e speciale, solo perché attratto dal suo profumo.
Non potevo accettare che da quella dipendenza fosse nato un sentimento, non potevo accettare che il mio amore immenso per lei fosse inquinato da quello.
Dovere per tutto il tempo che le stavo accanto impormi di non farle del male, di non desiderare di ucciderla.
“Non farlo Edward, non farlo…” Quelle parole mi accompagnavano da un tempo infinito e continuavano ad essere in me anche adesso. Me le dovevo ripetere sempre ogni momento, costantemente. Suonavano in sottofondo così da tanto da non riuscire più quasi a sentirle. Non potevo mai abbassare la guardia. Godere di qualsiasi cosa senza sentirmi prigioniero della mia voglia da soddisfare a qualunque costo.
Nella mia testa esplosero i pensieri di Alice e la sentii aprire la porta.
- Perché Edward? Che senso ha. Non potrai mai andare da nessuna parte per cambiare le cose. L’unico che può farlo sei tu.- Alice sembrava ancora più minuta, lì davanti all’uscio aperto e con lo sguardo perso.
- Ti prego, Alice, entra e chiudi la porta. Facciamo in modo di non farlo sapere per il momento.- Mi guardava immobile, mentre le visioni di quello che sarebbe stato il mio futuro le avevano appena attraversato la mente.
- …Ma Edward tu… non puoi decidere di andartene. Che senso avrebbe. Perché?- Sospirai e le andai vicino, accarezzandole il viso. Mi faceva male vederla triste a causa mia. Non era da lei. Quella nota amara nei suoi occhi era qualcosa che non ero abituato a scorgere in Alice.
- Ho bisogno di stare da solo Alice, non mi chiedere perché, non saprei dirlo, non riuscirei a spiegartelo, non lo so nemmeno io è solo che ho bisogno di allontanarmi il più possibile da tutto quello mi ha legato a lei.
- Ma noi c’eravamo prima Edward. Io non posso perdere anche te, non mi puoi imporre anche questo nuovo dolore. Mi hai privato della mia migliore amica e ora mi vuoi privare di mio fratello. Siamo una famiglia, l’unica che ricordo di avere mai avuto. Se è per Jasper se stare accanto a lui per te è difficile…- Le sorrisi.
- Calma sorellina. Non fare così, e non è per Jasper, non ce l’ho con lui, ma con me.- Dissi scompigliandole i capelli.
- Carlisle ed Esme non lo accetteranno mai. Lei non ti lascerà andare.- Sospirai.
- Dovranno farlo Alice, si tratta di una mia scelta e sai che Carlisle ha sempre lasciato tutti noi liberi di farlo.- La guardai.
-…Ma Edward.- Il tono deluso mi riportò alla mente un altro viso triste e affranto. Quello di Bella nei giorni precedenti il mio abbandono quando non riusciva a capire il mio comportamento.
- Ti prego di una cosa Alice, di non dire niente a nessuno per il momento. Vorrei cercare di prepararli.- Mi guardò con uno sguardo di supplica.
“Non farlo”. Pensò.
Le sorrisi. – Troveremo insieme una soluzione, confido in te per cercare una ragione plausibile per poter andare via, senza ferirli troppo.- La vidi muovere le labbra per dire qualcosa, ma si bloccò.
- Rosalie! Sta venendo qui con Emmett. Sono rientrati.- Aveva ragione, si erano allontanati. Emmett aveva escogitato quell’espediente, per evitare che Rosalie m’infastidisse con le sue recriminazioni. Mio fratello continuava a proteggermi stupendomi e io non mi ero neanche accorto della loro assenza.
- E’ intenzionata a parlare con te. Questa volta non le sfuggirai è determinata. E’arrivata a minacciare Emmett se proverà ad impedirglielo.- Sapevo che quando Rosalie voleva qualcosa, Rosalie la otteneva. Ero rassegnato, quando i suoi pensieri invasero la mia mente. Ancora una volta erano di biasimo, per me e ostilità per Bella. Non riusciva a capire cosa ci trovassi in lei e come facevo a non rendermi conto che quel mio comportamento non faceva altro che sbilanciare gli equilibri di tutti loro. Sarebbe stata dura parlarle. Capivo che Emmett non era riuscito a farle cambiare idea. Alle volte avevo il dubbio se tutta quell’ostilità non fosse altro che rivalsa per il suo orgoglio ferito. Non essere al centro dell’attenzione per la prima volta doveva pesarle parecchio.
- Alice, fai in modo che non le possa parlare.
Trattienila. Te ne prego, non potrei sopportare i suoi sproloqui. Non potrebbe mai, in nessun modo, mettere in cattiva luce Bella ai miei occhi.- Alice mi guardò poco convinta. Non le piaceva discutere con Rosalie.
- Cosa vuoi che le dica Edward. Se non è riuscito Emmett, cosa pensi che possa fare io? Sai che non da retta a nessuno. Da quando Bella è la tua…- S’interruppe prontamente.- …Da quando Bella…é venuta a conoscenza del nostro segreto, Rosalie è diventata intransigente verso questa storia. Non è mai stata molto affabile, questo lo sai, ma da quando tu e…Bella…insomma da quando voi…sembra che qualcosa la divori.- Volevo bene ad Alice. I suoi tentativi di non pronunciare la parola “ la tua ragazza” e “ state insieme” mi facevano piacere e aveva ragione su Rosalie, qualcosa in effetti la divorava: la gelosia. Era gelosa di Bella. Del suo essere umana, del fatto che ci amavamo a dispetto delle nostre differenze.
Rosalie amava Emmett sinceramente, ma non riusciva a concepire di non avere altra scelta. Se si fosse innamorata di un essere umano per lei non sarebbe stato come per una qualsiasi ragazza. Era ammirata e invidiata, ma non poteva scegliere. Questo la rendeva furiosa e l’aveva maldisposta verso Bella e il mio amore per lei.
Sospirai rassegnato all’inevitabile confronto che mi avrebbe visto preda delle recriminazioni al veleno di Rosalie. Non avevo la pazienza per sentirla rivolgersi a Bella in certi termini ed ebbi la tentazione di sparire nella foresta passando dalla finestra, ma il ricordo di quando lo avevo fatto portando Bella con me mi bloccò quel tanto necessario perché Rosalie raggiungesse la mia stanza. La porta si aprì e lei comparve, bellissima come al solito. Le ero mancato lo lessi nella sua mente, ma l’atteggiamento rimase di sfida. Sapeva che quando faceva così mi dava fastidio.
- Se sei venuta per dire le stupidaggini che leggo nella tua mente ti avverto che fai una fatica inutile. Non sono dell’umore adatto ad ascoltare cattiverie su di lei. Sei avvisata Rosalie.- Mi guardò assottigliando lo sguardo.
- Sei il re degli egoisti, lo sai questo. Vero Edward? Tutto chiuso nel tuo dolore, lì a commiserarti notte e giorno. Per chi poi? Per qualcuno che tra qualche decennio non esisterà più. Comunque ti lascerà da solo caro il mio Amleto. Stai lì a tormentarti per lei. Non esiste già più, non è mai esistita, di lei non rimarrà che un ombra. Non dovevi neanche iniziarla questa storia e invece stai qui a struggerti come un qualsiasi essere umano. Non lo sei caro il mio fratellino. Nessuno di noi lo è più. Puoi fingere quanto vuoi, niente potrà mai cambiare questo. – Aveva parlato alzando la voce man mano che aveva pronunciato ogni parola. – Non vedi come ti ha ridotto e come tu hai ridotto questa famiglia? Cosa hai intenzione di fare: smembrarla per un’insulsa, goffa creatura che non sarà mai alla nostra altezza?- Si fermò e mi guardò dritto negli occhi. Era arrabbiata o almeno quello che lasciava intravedere all’esterno, ma i suoi pensieri dicevano solamente:” Torna da noi Edward, ho bisogno di te, ho bisogno di mio fratello.”
- Rosalie, io la amo e lo farò per sempre. Questo lo sai. Sai che per noi funziona così.- Mi guardò senza cambiare nulla della sua espressione accigliata.
- Lo sai che per lei il “per sempre” non è applicabile, vero? Morirà Edward. Domani, tra un mese, un anno. Forse, anche tra cento anni, ma succederà e allora cosa farai. Rimarrai così in eterno?- La guardai cercando di trattenere la mia rabbia e la mia frustrazione. Per quanto non la volessi ascoltare, sapevo che aveva ragione.
- Finché ci sarà, le rimarrò legato.- Risposi.
-Bene, dovremmo solo aspettare. Il tempo gioca per noi Edward.- Sembrò rasserenarsi.- Se è solo questo il problema, non sarà poi così difficile aspettare che, questa manciata di attimi, passi e poi, speriamo che tutto ritorni ad essere quello che era.- Cinica, egoista, determinata e dietro tutto questo, si nascondeva il suo affetto per me. Come poteva alle volte il bene giustificare le azioni e i sentimenti più bassi e meschini? Rosalie parlava della morte di Bella, come il fine per raggiungere il suo desiderio. Il suo benessere prima di tutto. Tornare ad avermi in quella che ormai considerava la sua famiglia da moltissimo tempo. I miei tormenti, i miei silenzi tra quelle chiusure e malinconie che conosceva da sempre in me. Per lei quello ero io, l’Edward introspettivo e malinconico che diffondeva la sua tristezza attraverso la sua musica, che leggeva poesie e scriveva infinite pagine di rimpianti di un tempo perduto nei suoi diari. Rosalie aveva come uniche certezze i suoi legami all’interno del nostro nucleo familiare e rinunciare a me significava sbilanciarli, ma questo ai miei occhi non la giustificava, anche se capivo cosa volesse dire perdere ciò che ti da equilibrio, stabilità e certezza. Sapevo cosa significava perdere lo scopo di esistere. Rosalie trovava uno scopo alla sua esistenza nei singoli legami che aveva creato con ognuno di noi e la mia latitanza la destabilizzava.
Lo sapevo, ma non potevo farci nulla, né tanto meno aiutarla. Quella era una ragione ulteriore per andare via. Dovevo sentirmi libero.
- Bene Edward. Aspetterò. Aspetteremo tutti.- Concluse e andò via. Sospirai di sollievo e poi sentii la presenza di Alice al mio fianco.
- So cosa dirai per andare via. Quale sarà la scusa che troverai. Dare la caccia a Victoria. Saldare il conto rimasto in sospeso con lei. Dirai questo Edward. Lei sta dando la caccia a te, non demorde ed è decisa a tornare a Forks. Ma tu la raggiungerai prima.- L’ascoltavo inorridito al pensiero di quella possibilità. Non poteva sapere che non stavamo più insieme.
- E… cosa vedi dopo, Alice?- La osservavo mentre inseguiva le sue visioni.
- Non saprei cosa dirti Edward, ad un tratto è come se ci fosse un grande schermo nero.- Guardai mia sorella.
Solitamente le sue visioni a lungo termine erano sfocate e confuse, ma mai del tutto inesistenti.
- Mi vedi ucciderla?- Scosse il capo.
-Allora cambierà idea e andrà via?.- Fece nuovamente cenno di no.
- Non so, Edward, non vedo più nulla dopo.- L’abbracciai.
- Non preoccuparti. Adesso ho un motivo più che valido per partire.- Rimase a guardarmi.
- Mi mancherai Edward, questo lo sai. Il Texas è lontano, ma il Brasile lo è ancora di più. E’ lì che ti condurrà.- Non mi dispiaceva tenermi impegnato in quel modo. Avrei dato uno scopo a una parte di quella mia esistenza lontano dalla mia sola ragione di vita.
Quanti ricordi si affollarono nella mia mente al pensiero di Victoria. Il primo incontro durante la partita di baseball, dove James, aveva dato inizio alla sua caccia, dove avevo rischiato di perdere Bella. Il sapore del suo sangue tornò nella mia bocca e il veleno la impastò.
Quello era stato il momento in cui realmente avevo creduto di non riuscire ad avere la forza sufficiente per fermarmi. La stavo assaggiando come avevo desiderato fare dal primo momento. La frenesia del suo sangue, quell’odore intenso e penetrante che appagava il mio palato. La voce di Carlisle che mi ripeteva di smettere, di trovare la forza altrimenti l’avrei uccisa. Le immagini di noi, dei nostri momenti che cercavano di strapparla dalle brame del mostro. Fu in quel preciso istante che lottai realmente per lei, più di quanto avessi fatto per strapparla da James. Tra me e James era stata una lotta tra vampiri.
Dopo, chino su Bella mentre succhiavo il suo sangue, la lotta fu tra Edward, il ragazzo che l’amava e la creatura orribile che l’aveva desiderata dal primo momento che ne aveva percepito l’aroma.
Aveva vinto Edward. Era stato Edward a vegliarla in ospedale, maledicendosi per ciò che era e ancora, Edward, aveva deciso di metterla al sicuro allontanandosi da lei, sacrificando il nostro amore. Era ancora Edward che soffriva e a dispetto di tutto pensava di poter morire lontano da lei. Ma per quanto sarei stato ancora Edward? Senza di lei mi sarei nuovamente e definitivamente perduto, mi sarei dimenticato di me? Sentivo il vuoto di quella immensa solitudine inglobarmi e risucchiarmi. Ero impigliato nella sua ragnatela e sentivo la risata crudele del vampiro, il suo ringhio minaccioso che non faceva che ricordarmi che non avevo scelta che era inutile mi illudessi d’essere diverso, perché io ero esattamente uguale a lui e niente poteva cambiare. Non faceva che ripetermi di non temere il confronto con un ricordo del passato che prepotentemente non voleva abbandonare la mia mente. Continuava a sogghignare di non avere timore del fantasma di Edward Masen che si aggirava in lui nella speranza vana di riprendersi la sua vita. La paura che era stata mia compagna per tanto tempo, tornò a dimorare in me , questa volta, non ci sarebbe stata Bella a mitigarla. Tante volte lei era stata la cura al mio male, tante volte avevo creduto che riuscisse a svegliarmi da quell’incubo in cui ero precipitato. Solo con lei, tutti i miei tormenti perdevano i connotati di un delirio, di un brutto sogno. Solo Bella riusciva a pronunciare le parole che rompevano quel maleficio e a farmi sperare. Scivolai sul pavimento, lo sguardo perso nel vuoto dove, la mia mente, tornò ad evocare dettagliatamente il suo viso mai abbandonato un istante.
- Entra Jasper.- I pensieri dell’ultimo dei miei fratelli erano di frustrazione per non essere stato in grado di trattenersi e avere determinato tutta quella situazione.
- Mi è stato riferito che sei in partenza.- Mi osservava senza avvicinarsi. Rigido e profondamente a disaggio.
Jasper era uno di poche parole. Parlava, davvero, solo con Alice. Nessuno sapeva quale realmente fosse il suo passato. Neanche Carlisle ne era pienamente a conoscenza.
Solo Alice sapeva ed io per averlo letto. Ma mai aveva approfondito il discorso con le parole o dato spiegazioni. La parte di se, più profonda, Jasper non era ancora riuscito a raccontarla con la sua voce. La teneva segretamente in lui, conservata come un ricordo stancamente doloroso.
- Si. Vado via Jasper. Non voglio che il mio dolore causi preoccupazione.- Mi guardò, poi abbassò lo sguardo.
- Allora quello a dover andare via dovrei essere io. Non credi?- Sospirò.- E’ colpa mia tutto questo se io…- Gli feci cenno di non aggiungere altro.
- No, Jasper. Ho iniziato io, esponendo tutti voi e Bella. Sono stato egoista ecco tutto.- Mi venne vicino e si sedette accanto a me.
- Perché vuoi addossarti le colpe di tutto il mondo Edward. Non sarebbe più facile per tutti se chiamassi le cose con il loro nome?- Voltò il viso verso di me senza guardarmi.- Amare, che io sappia, non è mai stata considerata una colpa.- Scossi la testa.
- Nel mio caso, si. Non ne avevo il diritto.- Sorrise tristemente.
- E questo chi l’ha stabilito?- Sospirai.
- I fatti. Com’ è andata.- Con un dito seguiva la trama della stoffa dei suoi jeans.
- E questo ci riporta al punto di partenza. E’ solo colpa mia. Come avevo detto io.- Si alzò e andò vicino la finestra.
- Nevica ancora…- Fece una pausa.- Da dove vengo io non è così facile vederla. So che andrai lì. Permettimi di venire con te Edward. Potrei esserti d’aiuto.- Mi dava le spalle, ma sapevo benissimo a cosa stava pensando.
- No, Jasper. Ti ringrazio, però, dell’offerta. Alice non me lo perdonerebbe.- Continuò a rimanere voltato.
- Ne abbiamo parlato. Lei è d’accordo.- Mi avvicinai a lui. Era notte e la luna illuminava i fiocchi che vorticavano sospinti dal vento.
- Potrebbero volerci mesi Jasper per arrivare a Victoria. Sarebbe la prima volta lontano da Alice. So per esperienza che non è una bella sensazione. La sua voce calma stonava con il ricordo nella mia mente che lo vedeva preda dell’odore del sangue di Bella, mentre perfino Emmett aveva faticato a trattenerlo.
- Con me sarebbe più facile e ci metteremmo la metà del tempo e poi stare lontano da Alice sarebbe il mio prezzo da pagare per essere stato la causa della tua infelicità e di quella di Bella.- Non avrebbe mai smesso di sentirsi in colpa.
- Ti ringrazio Jasper, anche se sono convinto che tu non debba pagare nessun prezzo per questo. Ma è una cosa che devo fare da solo e allontanarmi mi serve per non essere causa di preoccupazione per tutti.- Si voltò e mi guardò.
- Sai che non è come dici, volevo bene a Bella come tutti del resto, il mio timore era di non riuscire a controllarmi e a avevo ragione a temere.- Sospirai.
- Jasper quello era anche il mio timore sin dalla prima volta che la vidi e tu lo sai. Per quello andai via ed è continuato ad essere il mio timore anche dopo. Tu hai solo fatto in modo che vedessi ciò che avrei potuto farle io in un momento di debolezza. L’ho lasciata per quello che io avrei potuto farle non per quello che non sei riuscito a farle tu. La mia paura è stata sempre quella di poter perdere il controllo- Mi guardò ascoltandomi in silenzio.- Starmi accanto non era il posto adatto a lei.- Rivolse lo sguardo verso un punto indefinito.
- Sarebbe stato impossibile, tu l’hai salvata da tutto questo una volta. Non avresti mai potuto Edward, non le avresti mai fatto del male.- Scossi la testa.
- Non possiamo esserne sicuri Jasper, per noi niente lo è quando si tratta dei nostri istinti.- Rimase un attimo pensieroso.
- Non c’è niente che io possa fare o dire che sia utile a riportarti da lei e da tutti noi?.- Non ebbi bisogno di rispondere.
- Capisco. Allora ti lascio solo non voglio disturbarti oltre.- Disse e mi ritrovai da solo immerso nel silenzio della mia stanza e cercai di isolarmi dal rumore delle loro voci nella mia testa. Da quando Bella non era più al mio fianco non c’era stato un solo istante di silenzio. Immobile aspettai l’alba. C’era un momento di quelle ore che mi affascinava sempre guardare. Quell’attimo in cui tutto rimaneva sospeso tra il giorno che non era ancora del tutto comparso e la notte che non era ancora cmpletamente svanita. Quell’istante sospeso tra il giorno che non era giorno e la notte che non era notte. Quel momento dove le tenebre lasciavano il posto alla luce con non poca riluttanza. Il momento che sospendeva il mondo tra magia, realtà e sogno. Quel momento in cui io smettevo di essere un incubo e diventavo reale.
La luce invase piano la stanza creando strani disegni con le sue ombre. Osservarli era una delle mie occupazioni preferite.
Potevo immaginare, avere la sensazione di visioni oniriche. Sognare, era tra le cose che non potevo più fare e mi mancava, in modo particolare in quel momento. Mi sarebbe piaciuto, poter chiudere gli occhi e staccarmi per un momento da quella sofferenza acuta e sempre presente. Avrei desiderato perdermi tra il groviglio di visioni fantastiche che mi avrebbero permesso di avere Bella nuovamente con me. Nei miei sogni sarebbe stato tutto perfetto.
L’avrei abbracciata, cullata e scaldata con il mio amore e il mio corpo.
In sogno, non sarei stato un morto che portava con se il gelo del nulla a cui apparteneva.
Non ci sarebbero state recriminazioni, esitazioni o sofferenza.
In sogno, l’avrei potuta amare con tranquillità e gioia e ricambiare i suoi slanci d’affetto.
Sarebbe stato per sempre.
Io e lei e niente altro.
Se qualcuno mi avesse chiesto adesso, se avessi scelto nuovamente tutto questo, sapendo che alla fine della strada ci fosse stata lei, sapevo che non avrei esitato un istante a rispondere: sì. Tutto sarebbe valso la pena, ogni tormento e inquietudine pur di avere la speranza che quello che attraversavo sarebbe stato l’ultimo vicolo scuro, l’ultimo anfratto in cui mi sarei nascosto. Tutto pur di raggiungere la luce che lei mi aveva regalato con il suo amore. Anche un solo attimo, con lei, sarebbe valso tutto il tormento e il dolore del mondo. Ne ero sicuro e non riuscivo a rassegnarmi ad averla perduta. Non sentirla tra le mie braccia mi dilaniava, spezzandomi. Era come se fossi andato in mille pezzi e poi fossi stato sparso dal vento in ogni direzione.
Era l’ora in cui di solito a Forks andavamo a scuola. L’ora in cui sarei passato a prenderla e insieme avremmo seguito le lezioni. Mi mancava tremendamente la mia vita con lei. Mi mancava tremendamente lei che era la mia vita. Mi passai le mani tra i capelli in un moto di disperazione. - Dove sei Bella? Amore mio, sto impazzendo senza te.- Dissi rivolto verso la vegetazione della foresta che vedevo dalla finestra della mia stanza.
Sarei partito al più presto. C’erano cose da fare prima. Dovevo andare a caccia. Non sapevo quando avrei potuto farlo di nuovo. Emmett era tornato e ne avrei approfittato per passare del tempo con lui. Ma fra tutte le cose da fare, una in particolare mi affliggeva, oltre il dolore che già provavo. Dovere avvisare Carlisle ed Esme della mia decisione.
Continuavo a perdere pezzi, continuavo a mutilarmi di ciò che amavo. Ma era necessario ormai ed inevitabile. Non avevo più un senso, uno scopo e poterne trovare uno, essere in qualche misura ancora in grado di garantire l’incolumità di Bella, creava con lei un ulteriore legame, leniva un po’ quella sofferenza. Sarei andato via comunque, ma trovare quel nuovo significato, mi rendeva meno amaro separarmi da tutti loro.
Avevo una missione, garantire a Bella la sua vita, darle la possibilità di camminare tra le esperienze umane che con me aveva accantonato.
Dare la caccia a Victoria, toglierla dal suo orizzonte per assicurare il suo futuro, poter continuare a vegliare il suo cammino anche se lei ne sarebbe stata inconsapevole, accese una piccolissima luce in quel mio cielo diventato d’un tratto buio e solitario, senza più il suo sorriso e la sua presenza ad illuminarlo.
La mia determinazione ebbe una sferzata. La mia mano scivolò sulla maniglia della porta e mi diressi dove sapevo di trovare i miei genitori.






Ecco un nuovo capitolo. Mi scuso con tutti voi che seguite questa storia per il ritardo con cui ho aggiornato, ma non sempre, purtroppo, le nostre passioni coincidono con i nostri impegni. Spero mi perdoniate e che anche questo capitolo vi piaccia. Un saluto grande a tutti voi che avete commentato e rimanete fedeli facendomi sapere cosa ne pensate. Altrettanto rivolgo i miei ringraziamenti a chi preferisce in silenzio o lo fa seguendo soltanto o semplicemente passando per caso si ferma e dedica un po’del suo tempo a leggere questa storia.
Spero di poter rispondere ai vostri commenti la prossima volta. Sperando naturalmente che ci siano.
Ancora grazie per apprezzare questa ff. Vi abbraccio.
Glance.

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Capitolo 14
*** CAPITOLO XIII ***







Avrei potuto percorrere quella distanza che mi separava da loro con la velocità che mette un pensiero a diventare parola, ma non volevo accelerare i tempi. Non volevo anticipare la sensazione di distacco e quella nuova ferita che mi sarei procurato. Avevo bisogno di pensare, di ricordare, volevo prolungare il più possibile la mia permanenza, condividendo ancora per un po’ quegli stessi spazi che racchiudevano anche loro: la mia famiglia. Li sentivo intenti nelle loro attività o immobili nel turbinio di mille pensieri che si sovrapponevano nella frazione di manciate di secondi. Era incredibile la quantità di cose che riuscivamo a tenere a bada contemporaneamente. I nostri sensi non avevano limiti di sorta. Ma io volevo poter assaporare tutto con la lentezza degli umani, come avevo imparato a fare con Bella, per avere l’illusione di trattenere tutto il più a lungo possibile.
Attraversai il corridoio, continuando ad ascoltare i loro pensieri e questa volta non desiderai non poterlo fare, perché mi sarebbero mancati. Mi sarebbero mancate quelle voci familiari una volta che la mia mente sarebbe stata invasa dal mormorio di tante altre sconosciute.
Cercai di isolare ognuno di loro, volevo poter portare con me quegli ultimi ricordi, quelle loro riflessioni e non m’importava se non fossero state di comprensione come quelli di Rosalie o piene di sensi di colpa come quelli di Jasper. Volevo ancora poter sentire la malinconia di Alice per la mia Bella o la nostalgia che Emmett aveva delle nostre schermaglie.
Volevo poter sentire ancora una volta la preoccupazione di Carlisle per quel suo figlio tormentato, il suo affetto incondizionato e quella calma che faceva parte del suo essere. Volevo sentire i pensieri amorevoli e materni della dolce Esme che non smetteva un momento di avere come unica priorità la nostra felicità. Se avessi dovuto descrivere mia madre con un colore sarebbe stato il bianco. Il bianco della neve che ricopriva la foresta che ci nascondeva agli occhi degli umani da cui, pur sfuggendo, cercavamo di assomigliare il più possibile. Per me Esme era candida e pura come quei fiocchi, immacolata, come mio padre. In loro nessuna macchia, nessuna onta, se non l’unica colpa d’appartenere a quel mondo bandito dalla luce e avvolto dalle tenebre di quell’esistenza di una non vita.
Arrivai davanti alle scale che mi avrebbero condotto nel grande salone. Li sentii; i loro pensieri erano d’amore.
Quell’amore che provavano l’uno verso l’altra, quello stesso amore che io, ora, conoscevo bene per averlo condiviso con Bella. Parlavano e li sentivo sorridere di quello che si dicevano. Quando li scorsi erano seduti sul divano di pelle chiara l’uno vicino all’altra. Carlisle teneva un braccio a circondare le spalle di Esme che aveva poggiato il viso sulla sua spalla. L’arredamento era molto simile a quello lasciato a Forks. Non discostava molto in tutte le nostre case.
Rimasi per un momento ad osservarli: erano così normali visti in quegli atteggiamenti. Nessuno avrebbe mai immaginato quale fosse la loro vera natura, il loro segreto.
Agli occhi di chiunque sarebbero stati solo una coppia innamorata e felice.
I loro gesti d’affetto mi riportarono alla mente quelli che di rado mi ero concesso con Bella.
Mi mossi scendendo gli ultimi gradini facendo cigolare le assi di legno. Si voltarono verso di me e mi sorrisero. - Ciao tesoro.- Disse Esme, regalandomi quel suo sguardo capace d’illuminare la giornata più cupa.- …Felice di vederti.- Esclamò, mentre le sorridevo a mia volta. Vidi Carlisle poggiarle un bacio leggero sui capelli.
“Finalmente”. Pensò.
- Bravo tesoro, un passo per volta e vedrai che ce la farai. Noi siamo qui per te, non sei da solo.- Era mia madre quella che mi parlava con amore e io stavo per infliggerle un dolore. Mi sentii un miserabile.
- Te la senti di regalare a me e tuo padre una di quelle tue splendide composizioni?- Mi spostai lentamente per mettermi davanti a loro.
- Va meglio, figliolo?- Carlisle mi guardò e nella sua mente lessi che aveva capito che non ero lì per suonare o cercare di rimettere assieme i pezzi , ma che quello era un addio. “ Le darai un dolore immenso, Edward, questo lo sai, vero?” Pensò. Lo guardai negli occhi e feci cenno di sì.
Mi avvicinai e permisi ad Esme di lasciare sul mio viso una carezza.
- Non ti devi sentire obbligato a suonare, tesoro. Lo farai quando sarai pronto. A noi basta vederti qui, anche solo intento a guardare fuori.
- …Mamma.- Sospirai.
- Dimmi caro, sono qui per te.- Si alzò e mi prese le mani. - Mamma, io…vado via.- Il suo sorriso si spense e il suo sguardo si svuotò.
- Perché Edward?- Mi guardò affranta.- Abbiamo fatto qualcosa che ti è dispiaciuto? Abbiamo sbagliato in qualcosa?.- La trassi più vicina a me.
- No, mamma. Voi,… tutti voi, siete stati perfetti. Pazienti e discreti,… ma vedi, sono io che non riesco, che non posso…- Non riuscivo a trovare le parole e sostenere quel suo sguardo addolorato.
- …Edward questa è una follia. Dove andrai? Cosa farai? Da solo. Siamo una famiglia tesoro, la tua, non puoi andare via.- Guardai mio padre, per cercare il suo aiuto.
- Esme… cara. Edward ha bisogno di ritrovare uno scopo e, in questo, se stesso e se per farlo deve allontanarsi, noi lo aiuteremo ad affrontare anche questo.-Lo guardò senza convinzione.
- E’ mio figlio Carlisle, non posso rinunciare a lui. Non chiedermi di rinunciare ad uno dei mie figli, sai quanto mi costerebbe farlo.- Carlisle delicatamente prese le mani di Esme che avevo ancora tra le mie e l’attirò a se.
- E’ la sua scelta, Esme,… dobbiamo rispettarla anche se… fa male.- Lo vidi guardarla come non gli avevo mai visto fare fino a quel momento. Nella sua mente le immagini di sua moglie in fin di vita dopo il tentativo di suicidio mentre nei ricordi di Esme tornò l’ombra di un dolore immenso da poter sopportare. I suoi occhi intrapresero un viaggio tra visioni in un tempo lontano. Una voce cristallina risuonò tra quei ricordi e scorsi l’esile figura di una donna che stringeva al seno il suo bambino e poi la stessa donna disperata dopo aver perduto qualsiasi ragione e speranza . Rassegnazione e poi l’intorpidimento che stordisce, dato da un dolore che, per intensità, mi riportò a quello che io provavo in quel momento per Bella. Il dolore della perdita.
Mio padre prese ad accarezzarle il viso mentre lei era immobile, ad un tratto sospirò e fu come se si fosse ridestata da un sogno.
- Edward… ricorda che, sarai sempre mio figlio, ovunque andrai, qualsiasi cosa sceglierai per te, io e tuo padre ci saremo sempre e comunque. Questa è casa tua e potrai tornare quando vorrai.- E con un gesto tutto umano allontanandosi da Carlisle mi abbracciò posandomi un bacio sulla fronte.
- Bene…- Disse mio padre. - …è arrivato il momento dei saluti. Vuoi che chiami tutti qui per farlo?.- Lo guardai e a quell’idea fui preso dal panico. Era vero, stavo andando via, rinunciavo a tutti loro per essere libero di seguire il mio cammino. Non sapevo dove mi avrebbe portato. Forse a capire o forse solo verso quel niente da dove venivo.
Guardai verso Carlisle e feci cenno di no.
Non li avrei salutati, decisi solo di raggiungere Emmett e lasciargli un cellulare con cui mi avrebbe potuto chiamare in caso d’emergenza.
- Carlisle, non avremo modo di sentirci. E non so se e quando tornerò. Cercherò Victoria. E’ l’ultima cosa che farò per Bella, per garantire il suo futuro e la sua vita e poi…- “sarà come non fossi mai esistito”, pensai, riportando alla mente l’addio dato a Bella, come sarebbe dovuto essere sin dall’inizio. Non sarei dovuto esistere per nessuno.
Carlisle rimase in silenzio e nei suoi pensieri, non lessi ne rimproveri, ne risentimento solo una grande pena e preoccupazione. “Amo tutti voi, ma tu sei sempre stato il mio figlio prediletto, quello in cui mi sono sempre rispecchiato, che ho sempre sentito più affine, ma rispetterò la tua scelta, per il semplice fatto che non te ne ho data una prima. Non hai mai accettato tutto questo, avevo sperato che con Bella potesse essere tutto diverso, ma non è stato così. Non ho saputo rinunciare a te allora, ma lo farò adesso. Questa volta non interferirò, Edward. Ma tu non farmi pentire di non averti impedito di andare via.” Mi sorrise e mi porse la mano.- Buona fortuna figliolo.- Strinsi la mano che mi offriva, la mano che per tutti quegli anni era stata la mia guida, il mio punto di riferimento, la mano del mio creatore, di colui che non era stato capace, mosso dalla pietà verso di me, di lasciarmi andare. Presi quella mano tesa e mi ritrovai nel suo abbraccio. Mi afferrò per le spalle e mi guardò negli occhi.- E’ stato un onore essere tuo padre Edward, il tuo incontro ha cambiato tutta la mia esistenza e di questo te ne sarò sempre grato. Hai fatto tanto per me, anche se non ne sei mai stato consapevole.- Soffermò i suoi occhi buoni nei miei.- Promettimi, Edward, che non prenderai decisioni affrettate, che se sentirai di non farcela non ti ostinerai a voler sopportare tutto da solo. Chiedi aiuto senza vergognartene figlio mio. Io ti raggiungerò anche in capo al mondo se me lo chiederai.- Lo guardai un’ultima volta e sotto lo sguardo addolorato di entrambi i miei genitori mi voltai e andai via. Fu come sentire il rumore assordante delle loro lacrime che non sarebbero mai potute sgorgate, ma che sapevo che erano lì e pesavano come un macigno sul mio cuore.
Andai nella camera di Emmett e lasciai lì il cellulare con un biglietto:


So che vi darò un dolore, ma non riesco ad affrontare altri addii, altre separazioni. Perdonami.
Perdonatemi tutti. Mi sarei voluto concedere ancora una battuta di caccia con te, ma non ho la forza sufficiente per farlo, dopo sarebbe più difficile andare via e lasciarvi.
Questo telefono è solo per le emergenze Emmett e mi raccomando, lo affido a te. Non cercatemi.
Fai in modo che anche gli altri rispettino questa mia scelta. Addio fratellone. Sono stato bene con tutti voi, mi mancherete. Edward.


Partire senza salutarli.
Nessun addio, nessun arrivederci o promesse di tornare.
Non sapevo ancora cosa avrei fatto o dove sarei andato.
Scesi in garage, sfilai dal quadro porta chiavi quelle della mia macchina.
Non mi voltai, cercando di non cedere nell’ascoltare la delusione e il dolore che mi arrivava dai loro pensieri.
Entrai nell’abitacolo e azionai il telecomando. La porta del garage iniziò lentamente a sollevarsi.
Avviai il motore che ruggì tutta la sua potenza. Il piede premeva ritmicamente sull’acceleratore mentre aspettavo che la pesante porta terminasse la sua corsa.
Ingranai la marcia e facendo stridere i pneumatici sul terreno partii.
Mi lasciavo alle spalle tutto un mondo che non ero sicuro se avrei mai più rivisto.
La pioggia pesante di neve colpì il parabrezza.
Faceva freddo, ma per me non era rilevante. Mi resi conto che istintivamente senza pensarci avevo acceso il riscaldamento come facevo sempre quando salivo in macchina da quando con me c’era lei: Bella.
Garantire il suo benessere era la mia priorità. Avevo memorizzato tutta una lista di cose che per lei erano necessarie. Dovevo fare attenzione, ricordare che le sue necessità erano infinite. Troppo fragile e delicata, troppo bisognosa di tante cose che per me non avevano più importanza.
Allungai una mano per spegnere, ma rimase sollevata a metà senza terminare la sua missione.
Era difficile anche compiere quel gesto. Spegnere il riscaldamento della macchina voleva dire avere la certezza che lei non vi sarebbe più salita, non avrebbe più avuto bisogno di quel calore, come non avrebbe più avuto bisogno di me.
Ero partito verso una destinazione ignota. Ma Qualunque posto sarebbe andato bene. Non importava dove stessi andando sul mio dolore non avrebbe avuto peso, avrebbe continuato ad avere la stessa intensità.
Ne ero consapevole. Mi resi conto che il silenzio mi circondava. Il silenzio era fuori e dentro di me. Non ero abituato a non sentire oltre ai miei, altri pensieri e quella condizione mi rese nervoso. Avviai il lettore e la musica si diffuse nell’abitacolo. Le parole della canzone raccontavano di qualcuno che era stanco di aspettare, che aveva cercato di volare fino al cielo e che invece era rimasto inchiodato a terra ma continuava a voler volare, ma si era reso conto di stare annegando e di precipitare sempre più giù domandandosi per quale motivo gli stesse capitando quello e non riusciva a trovare un modo per uscirne.
Sembrava che l’avessero scritte per me quelle parole.
Cercare qualcosa rendendosi conto di non poterla raggiungere e provare l’amarezza di avere perso ciò che non si era mai trovato. Il viaggio in quella solitudine sembrò interminabile fino all’aeroporto.
Volo notturno, mi avrebbe permesso di arrivare a destinazione senza avere problemi con il sole del Texas. Era lì che Alice aveva visto Victoria. Le sue indicazioni sarebbero state utili.
Avevo prenotato il biglietto tramite computer, pagato con la carta di credito.
In aereo presi posto, allacciai la cintura e appoggiai la testa allo schienale. Quando l’hostess si avvicinò per chiedermi se mi occorreva qualcosa le sorrisi appena e le feci cenno di no, anche se non mi sfuggirono i suoi pensieri d’apprezzamento: “E’ molto giovane, ma veramente notevole, chissà se riuscirò a conoscerlo. Magari stanotte non starò da sola.” Ero abituato a quei pensieri, ma questa volta un senso di fastidiosa insofferenza m’invase. Il pensiero di Bella si fece più vivido. Il mio senso d’appartenenza nei suoi confronti trovava quelle attenzioni offensive verso di lei.
Chiusi gli occhi facendo finta di dormire per scoraggiare eventuali tentativi d’approccio nei miei confronti.
Quando atterrammo slacciai la cintura e cercai di non guardare verso l’hostess che per tutto il tempo non aveva fatto che rivolgermi i suoi apprezzamenti mentali e supposizioni. Quando la vidi venire nella mia direzione presi il telefonino e feci finta d’inviare un messaggio.
- Mi auguro tu abbia fatto buon viaggio- disse sorridendomi. -Sei qui per ragioni di studio o viaggio di piacere?- “Se fosse per quello, sarei lieta di contribuire.” Pensò.
- Come scusi?- risposi con fare distratto.
- Dicevo se avevi fatto un buon viaggio o se …- Non la lasciai finire.
- Oh, sì grazie, un ottimo viaggio, finalmente potrò ritornare a casa da mia moglie e il mio bambino.- Le risposi continuando ad armeggiare con il telefono. Il suo disappunto e la sua sorpresa mi raggiunsero.
“Accidenti, già così seriamente impegnato”- Una ragazza fortunata tua moglie.- Disse continuando ad avere quel tono invitante.
- Quello fortunato sono io, ho accanto la creatura più bella e dolce che un uomo possa mai sperare d’incontrare. La saluto.- Le dissi con un tono che non lasciava nessuna possibilità. Le passai accanto riponendo il cellulare nella tasca dei jeans e prendendo il mio bagaglio a mano con l’atteggiamento di chi è attento a quello che sta facendo. Dovevo rimanere concentrato per compiere gesti che normalmente avrei fatto in frazioni di secondi cercando di sembrare il più naturale possibile e quelle intromissioni così noiose di sicuro non mi aiutavano.
Sceso dall’aereo, mi recai al parcheggio dove avrei trovato la macchina che avevo noleggiato.





Ciao a tutti. Eccomi con un nuovo aggiornamento. Spero che gli impegni mi diano un po’ di tregua per non essere in ritardo come con l’ultimo capitolo.
Grazie come sempre a tutti voi che leggete e commentate e anche a chi legge, ma per i motivi più diversi non commenta, siete i benvenuti anche voi.
Un saluto a tutti e buona lettura. Glance.






theangelsee69

Ciao, ti ringrazio e sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto e ti abbia emozionato, anche perché non è facile riuscire a rendere l’intensità di questo dolore così unico. Spero di leggere le altre sensazioni che ti darà questa ff, se ce ne saranno.

ninfea306

Salve, non preoccuparti, anche io ero in ritardo con il postare. Ti capisco, non è sempre facile trovare il tempo per leggere e poi cerare di scrivere un commento. Ti ringrazio per i complimenti e per l’analisi attenta che fai ogni volta. Sviluppare i dialoghi con la famiglia di Edward è molto impegnativo. Non solo devo tenere a mente le varie personalità, ma cercare di gestirle senza discostarmi troppo dalle situazioni che vengono descritte nel libro cercando di porli con una sorta di continuità a quelli che sono le loro reazioni ad una data eventualità. Grazie ancora per i complimenti. Ciao.

momo86

Sono sempre felice quando leggo nei commenti che lasciate che quello che scrivo vi emoziona. Uno degli scopi di farlo è proprio quello di fare arrivare le stesse sensazioni che da la storia mentre viene scritta. Grazie per il tuo commento. Ciao.

sugar70

Grazie. Spero di non essere più così in ritardo nel postare. Anche io sono sicura che il rapporto con Jasper dopo l’accaduto sia stato di scambio reciproco di opinioni. Del resto Edward potendo leggere i pensieri di suo fratello sa benissimo quali siano i suoi veri sentimenti e riesce a vedere altrettanto bene il disaggio e il senso di colpa che lui conosce benissimo e non credo che sarebbe stato capace di incolpare Jasper di un qualcosa che lui stesso sapeva quanto fosse difficile da gestire. Edward era fortemente motivato e comunque sempre in forte difficoltà accanto a Bella, ma per Jasper ancora troppo legato alle sue vecchie abitudini poteva risultare veramente difficile resistere alla tentazione. Ciao.

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Capitolo 15
*** CAPITOLO XIV ***







Non riuscire a credere che fosse finita, non volere liberare i giorni dal passato e capire che ciò che è bello non può durare in eterno.
Non avevo mai realmente capito dove mi avrebbe condotto quell’amore o più semplicemente non lo avevo voluto vedere. Guardare crollare il mio mondo, rimanendo impassibile davanti alle sue lacrime che mi avrebbero precipitato nuovamente nel gelo della mia non vita mentre pronunciavo quell’addio.
C’è qualcosa di grandioso nella privazione e nello stesso tempo di terribile.
Il vuoto, l’oscurità, la solitudine e il silenzio, è tutto così infinitamente immenso e terrificante.
Mi ero svegliato un giorno camminandoci dentro, confuso e annebbiato.
Per vivere soli bisogna essere un animale o un dio.
Certo non ero quest’ultimo. Tutto ciò che potesse essere riconducibile a qualcosa di divino in me si era perduta. Il rapporto con gli altri mi era difficile ed innaturale. Riuscivo ad avere un po’ di pace nella solitudine, che ricercavo con metodo.
Perso. Mi ero perduto in un labirinto di sensazioni che percepivo in maniera talmente nitida da riuscire a stratificarle. Era come guardarle attraverso delle lenti tridimensionali. Riuscivo a coglierne le più piccole sfumature. Me ne sentivo parte avendo la certezza di poterle afferrare, ma nello stesso istante altre mille attraversavano la mia mente.
Era difficile contenerle. Tutto era così forte e immediato. Tutto così veloce. Il tempo, invece, sembrava immobile. Solo alle volte lo percepivo dilatarsi fino a tendersi come un elastico.
Quella era una di quelle volte, mentre in macchina attraversavo strade sconosciute, di un posto che poteva essere uno qualunque di qualsiasi parte del mondo tanto, per me, non avrebbe fatto differenza.
Alla guida di una macchina presa a noleggio che nessuno dei miei fratelli si sarebbe mai degnato neanche di guardare, figuriamoci poi guidare, consideravo come un giorno tutto era precipitato nuovamente. La prima volta mi ero ritrovato ad annegare e lottare per la mia vita, mentre avvertivo, pienamente consapevole, di stare scivolando verso quel torpore senza sogni né ricordi dove tutto all’improvviso si sarebbe spento. Sentivo che non sarei riuscito a vincere. Ero ancora troppo giovane per morire senza avere pienamente vissuto nessuna delle promesse di cui la vita di un giovane uomo è piena.
Non volevo arrendermi, ma ero come la fiamma di una candela che ardeva incerta sotto il mio stesso respiro. Un profumo intenso a quel tempo impregnava l’aria di ogni sospiro che a fatica riuscivo ancora a concedermi e poi quel dolore, tra il dormiveglia del mio corpo agonizzante ed inerme, venne a tenermi prigioniero per giorni.
Svegliarmi e capire che tutto era cambiato, che non era più come prima, tra i ricordi che andavano sfocandosi ad una velocità incomprensibile.
Essere diventato ciò che ero non era stato facile da accettare. Cessare d’esistere per tutti e poi scoprire che tutti avevano cessato d’esistere per me. Sapere di essere rimasto solo, l’ultimo. Pensare di poter impazzire.
La certezza che non ci sarebbe stata più una vita da fare scorrere.
Vivere per sempre. Quando realizzai questo, ebbi come la sensazione di soffocare.
Nella mia mente cercavo di tenere ancorati i ricordi, arpionandoli come potevo tra i miei pensieri.
I secondi, i minuti, giorni e settimane smisero di valere. La notte come il giorno. Un anno, dieci, fino ad arrivare a quei quasi cento anni dove da dietro il mio muro di rassegnazione osservavo la vita che non avevo più germogliare nel suo ciclo perfetto.
La seconda volta, fu quando, davanti ad un sorriso e agli occhi scuri di una piccola ragazza all’apparenza fragile ed impacciata, avevo rischiato di ucciderla preda del mio istinto. E nuovamente l’aria di quei respiri inutili impregnata di un nuovo intenso profumo, per il quale avrei sacrificato anni di autocontrollo.
La mia fuga per la mia e la sua salvezza.
Ma lei era forte e determinata e al mio ritorno aveva realizzato l’impossibile rincorso per tutto quel tempo.
Avere ritrovato la mia vita in lei che era la mia unica ragione d’esistere.
Quando concretizzai che l’amavo e che mi amava credetti nuovamente di soffocare, precipitando in quell’oceano di sensazioni che mi trascinarono con loro verso la profondità di percezioni che non avevo mai esplorato e per cui non riuscivo a trovare parole abbastanza forti per descrivere. Quando riemersi poi, sapevo di essere un uomo diverso.
Starle vicino aveva strappato i veli di quella nebbia di un’esistenza vuota e senza senso.
Starle accanto mi aveva fatto ritrovare le promesse di quella vita che un destino crudele aveva deciso di portarsi via, un giorno di tanto tempo prima, tra la febbre divorante che non aveva risparmiato i miei affetti più cari.
Mi aveva ridato la speranza che qualcosa sarebbe potuto cambiare, imparando insieme a lei a riappropriami di gesti e sentimenti che sapevo in me, ma per i quali avevo smarrito la strada.
Confuso e spaventato, nel timore perenne di non riuscire a contenere la mia bestialità, avevo afferrato la sua mano per riprovare a camminare in una normalità che mi era sfuggita tra le dita e non ero riuscito più a raggiungere. Avevo intravisto la serenità, quella che si costruisce ogni giorno beandosi delle piccole cose.
Avere cura di non fare trascurare a lei nessuna di quelle esperienze umane che a me erano state negate, poterle sentire e gustare tramite lei. La sua felicità che diventava sempre più la mia. Fino a perdere di vista la mia diversità, fino a dimenticare che quei due mondi così distanti non avrebbero mai potuto avere il loro punto d’incontro nemmeno se ad unirli era l’amore.
Avevo creduto, sperato che potesse cambiare qualcosa. Mi ero dilaniato tra sensi di colpa e la necessità struggente, dolorosa della dipendenza da lei.
Ero fuggito nuovamente davanti all’orlo di un nuovo precipizio per poter accettare il fatto che la volevo accanto, ma come un uomo, come quel ragazzo che non ero più che si era perduto e dovuto arrendere suo malgrado a quel suo destino.
Ero fuggito nuovamente nella consapevolezza che non mi ero voluto rendere conto di quello che stava accadendo. Non potevo trascinare Bella con me.
Solo quando avevo visto tutto precipitare avevo preso la decisione più dura di tutta quell’esistenza e avere come unica alternativa i ricordi per poter continuare senza di lei.
Tutti quegli anni senza riuscire a vedere uno spiraglio di luce, nell’attesa di qualcosa che sapevo non si sarebbe mai realizzata, trovarla finalmente e decidere volontariamente di privarmene.
Le sue lacrime avrebbero graffiato all’infinito i miei occhi che non avrebbero mai potuto piangere per lei. Il mio immenso senso di colpa sarebbe stato l’unico compagno di viaggio, la mia sola famiglia, l’unico sentimento che mi sarei concesso lontano da lei.
Mi sentivo come se fossi impazzito, tutto ora ai miei occhi sembrava diverso, solo una cosa era rimasta identica: lei era nel mio cuore e ci sarebbe rimasta per sempre.
Solo con lei avevo potuto volare via, lontano da quello che ero.
Per il tempo di quei giorni con lei, per la prima volta non mi ero sentito solo, e anche adesso tra tutto quel dolore lei era lì con me.
Lei la sola strada che avrei percorso.
Anche se perso, esausto e svuotato, un giorno avremmo volato insieme verso la luce.
Bella mi aveva fatto il regalo più bello che avessi mai potuto desiderare: una vita, e un giorno gliel’avrei resa. Gli eventi precipitando avevano deciso mio malgrado.
Dovevo poterla proteggere anche da me. Anche se tra di noi avevo messo la distanza di quella sofferenza, anche se non ero con lei, anche se avrebbe creduto di essere da sola, io l’avrei portata sempre con me in quel cuore che non batteva più e che aveva scelto di rimanergli accanto. Non lo sentivo più, al suo posto un vuoto che mi risucchiava annullandomi. Ma la mia scelta era fatta. Un giorno tra quelli che per lei sarebbero stati gli anni di una intera vita, avrebbe saputo di non essere stata mai da sola, che io le ero sempre rimasto accanto.
Ero vinto, sfinito, ma la mia luce continuava ad essere ancora lei.
Essere giunto a quella decisione, fece da balsamo in qualche modo lenendo il dolore di quell’immenso squarcio che la separazione da lei mi aveva procurato. Avevo bisogno di trovare un angolo nella mia mente che mi tenesse al riparo da quella sofferenza. Dovevo concentrare i mie sensi su quello che era lo scopo di quel mio viaggio: Victoria.
La scelta che avevo solo accarezzato quando avevo creduto di poterla perdere ai tempi di James ora mi faceva compagnia consolandomi, ben chiara nella mia mente. Non mi sarei mai separato da Bella, nemmeno la morte mi avrebbe tenuto lontano da lei.
Io senza Bella nemmeno esistevo, ero lì solo per lei, per quei suoi occhi che si spalancavano stupiti nei mie ogni volta che mi guardava, per quei sorrisi timidi che nascevano sul suo viso che assumeva quella nota di colore quando l’emozione accarezzava il suo cuore.
Ero lì prigioniero di ciò che ero, solo per quell’amore. La luce intermittente di un Motel attirò la mia attenzione. Mi sarei fermato lì, sarebbe andato benissimo. Non ero in cerca di lusso o comodità, non ne avevo bisogno, quel posto sarebbe servito solo a ripararmi dagli sguardi degli umani. La notte come sempre sarebbe stata la mia sola compagna. Non avevo bisogno di recitare una parte precisa, lì non ero nessuno, uno come tanti. Una di quelle tante ombre che passavano e si dissolvevano l’istante dopo.
In quel posto sperduto e desolato come me, nessuno avrebbe fatto caso ad un’altra ombra. Non sarei esistito.
Scesi dalla macchina e istintivamente cercai di azionare il telecomando di chiusura, ma quella non era la mia lussuosa macchina. Quella come tutta la mia vecchia esistenza me l’ero lasciata alle spalle.
In cielo non c’erano né luna, né stelle. L’oscurità mi avvolgeva come a volermi ricordare che ero suo prigioniero. Entrai nell’atrio spoglio e maleodorante. La luce era bassa, di un sinistro colore arancione dato dalle lampade colorate.
Sembrava una di quelle ambientazioni da film dell’orrore di terz’ordine e adesso c’era anche l’assassino che faceva il suo ingresso. Mi venne da sorridere. Di sicuro non stonavo con tutto quello squallore inquietante.
Il campanello posto sulla porta aveva trillato e una figura apparve da dietro una tenda logora.
Doveva avere bevuto parecchio a giudicare dal tanfo di alcool. L’andatura barcollante e la voce impastata. - Si paga in anticipo.- Disse, senza neanche guardarmi. Dalla mia tasca presi del contante e glielo porsi.- Hai bisogno di compagnia e di una bottiglia? Perché per quello si paga un extra.- Feci cenno di no e mi porse la chiave. Mi avviai verso la stanza.
All’alba avrei proseguito verso l’Hotel che avevo prenotato in città, ma quella notte avevo bisogno di perlustrare la periferia per vedere se riuscivo a scoprire qualcosa di più sulle intenzioni e gli spostamenti di Victoria.









Capitolo (breve) d’introspezione prima di passare alla seconda parte della storia dove Edward tenterà di sapere dove si nasconde Victoria cercando d’anticipare le sue mosse. Spero di riuscire nei prossimi capitoli a dare pathos e azione all’evolversi della storia.
Come sempre grazie per seguire e commentare questa ff.
Un ringraziamento anche a chi ricorda, preferisce o semplicemente legge in silenzio.


ninfea306

Penso che Edward non smetterà di cercare rifugio nel suo dolore è un modo per rimanere legato a Bella per sentirla in qualche modo ancora parte di se pur concentrando la sua attenzione verso questo nuovo scopo che gli da l’opportunità della caccia a Victoria. Sono grata anche a te per i tuoi commenti sempre presenti e molto accurati. Un abbraccio. Glance


arte

Ti ringrazio infinitamente per l’apprezzamento. In effetti sto cercando di rimanere il più possibile aderente al carattere e la psicologia di tutti i personaggi di questa saga. Devo dire che la maggior parte delle volte è un viaggio veramente emozionante anche se non sempre facile. Del resto non avendo nessun riscontro nella realtà a cui ispirarmi alle volte il lavoro d’immedesimazione è arduo, ma se poi il risultato sono i vostri commenti ne vale proprio la pena. Grazie di cuore per seguire e commentare sempre come fai. Un bacio. Glance.


momo86

Grazie, grazie, e sono lieta che la mia storia ti tocchi in questo modo è bello sapere che ciò che si scrive ha la capacità di emozionare. Continua a seguire. Spero che in qualche modo la magia di questi personaggi presi in prestito ti continui a far sognare. Un saluto . Glance.


theangelsee69
Grazie è un sollievo sapere che le intenzioni con cui ho pensato e trascritto questo momento siano giunte per come le ho sentite io. E’ bello leggervi alla fine di ogni capitolo e vi ringrazio infinitamente di tenermi compagnia così come fate. Ciao. Glance.


frate87

Ciao e benvenuta. E’ bello sapere che segui questa storia e che ti piace. E’ importante per chi scrive vedere che man mano che la storia procede si raccolgono nuovi consensi ed è bello trovare nuovi pareri da leggere, si ha più chiaro come andare avanti nel racconto e che piega fare prendere agli avvenimenti da raccontare. Spero di poter leggere altri commenti da parte tua. Un saluto. Glance.

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Capitolo 16
*** CAPITOLO XV ***






La notte mi investì con il suo alito tiepido. Quella sensazione di calore fu come una carezza sul gelo della mia pelle e ritornò sul mio viso il ricordo del tocco morbido delle sue mani. Una fitta lancinante mi attraversò il petto e istintivamente portai una mano all’altezza del cuore. Faceva male, sembrava impossibile, ma avevo avvertito chiaramente quel dolore come reale. Un sospiro nacque e morì subito dopo sulle mie labbra.
Avrebbe mai smesso un giorno quel dolore? Sperai di no. Sentirlo voleva dire continuare a rimanere legato a lei e, se mai fosse successo di non sentirlo un giorno con la stessa intensità, mi sarei procurato in qualsiasi modo la medesima sofferenza. Non avrei mai smesso di offrire a lei il mio tormento.
La chiave girò nella serratura facendola scattare e lo squallore di quella stanza con il suo tanfo mi accolsero. Non accesi la luce non ne avevo bisogno, vedevo benissimo in quella oscurità. Rimasi immobile cercando di riordinare le idee mentre a malincuore accantonavo il ricordo di Bella.
Dovevo elaborare un piano, organizzarmi in qualche modo. Entrare nella mente di Victoria, iniziare a pensare come lei.
Dovevo concentrarmi per fare questo e cercare di sapere qualcosa andando in giro ad ascoltare un po’ di pensieri. Se qualcuno l’aveva incontrata l’avrei saputo.
Presi in mano il mio cellulare quello che avevo a Forks, da cui non ero riuscito a separarmi spinto dalla malinconia. Lo accesi e feci scorrere la rubrica fino a quel nome che amavo all’inverosimile. La luce del telefono sembrò inondare la stanza. Non aveva mai provato a chiamarmi. Non c’era nessun messaggio. Mi aveva preso alla lettera: come se non fossi mai esistito. La delusione tornò pungente.
Possibile che fossi scomparso dalla sua vita così facilmente? Eppure dalle visione di Alice la sua disperazione mi era arrivata immensa. Non riuscivo a capire; sapevo che per loro rassegnarsi era inevitabile, qualcosa di fisiologico, ma con Bella avevo pensato potesse essere più difficile se non impossibile accadesse. E invece ero stato smentito, del resto quel mio amore era dovuto finire proprio per la sua natura, non mi sarei dovuto stupire che anche per Bella valessero le regole di tutti gli umani, ma faceva così male sapere che lei non aveva bisogno di me come io di lei.
Mi ero seduto sul letto senza neanche pensarci, per me non era necessario, ma quei gesti che con tanto rigore mi ero imposto e poi erano diventati naturali con Bella ormai facevano parte di me. Sentii le molle cigolare. Certo non era morbido e intriso del suo profumo. Quante notti passate sdraiato al suo fianco vegliando il suo sonno.
Raccogliendo i suoi sospiri e dalle sue frasi quei frammenti di sogni che parlavano di me.
Adesso che tutto era finito, che era andato esattamente per come avevo pianificato, non potevo fare a meno di non ascoltare quella nota stonata. Forse era solo il mio ego ferito. Non avevo mai dubitato che lei non mi amasse per come diceva, però quel suo essersi arresa così facilmente...
Forse alla fine si era stancata di dover soffrire a causa mia e rischiare a quel modo per me. Mettere in gioco tutto. Per cosa poi? Non pensavo che non fosse addolorata, ma alla fine l’istinto di sopravvivenza e il buon senso in lei avevano sicuramente prevalso, cosa che sarebbe risultato difficile per me. Con lei non ero stato né ragionevole, né altruista. Avevo agito spinto solo dal mio bisogno di quell’amore così a lungo cercato. Adesso per me era impossibile tornare indietro. L’avrei amata in eterno, per lei invece, un giorno non sarei stato altro che un ricordo di un passato lontano. Qualcosa che avrebbe confuso con un sogno molto vivido della sua gioventù. Avrei voluto essere in grado di piangere e disperarmi per quel nostro amore senza alcuna possibilità, per quel mio essere dannato in eterno tra il supplizio di quella nuova sofferenza: la sua assenza.
Io l’avevo lasciata, ma ora lei si accingeva giorno dopo giorno a lasciare me. Sarei rimasto irrimediabilmente da solo nell’attesa di poter mettere un giorno la parola fine a tutta quell’agonia.
Spensi nuovamente il cellulare e lo riposi con cura. Quello rappresentava l’unico legame con il mondo che avevo condiviso con Bella. Uscii dalla stanza e presi la macchina. Lungo la strada avevo visto l’insegna tremolante di un bar, ritrovo per camionisti e motociclisti, mi sarei fermato lì per scoprire tra quelle menti, pensieri che mi potessero ricondurre a Victoria.
Misi in moto e innestai la marcia. La sofferenza di quel rottame di motore fece nascere un sorriso sulle mie labbra. La mente volò ad un altro mezzo altrettanto sofferente che conoscevo bene per aver varie volte guidato: il pick-up di Bella.
Cosa non avrei dato per ritornare a quei momenti, chi non avrei implorato per fare in modo che il mio desiderio di ritornare al suo fianco si potesse avverare.
Ma non potevo fare nulla, né implorare nessuno. Non c’era niente per me in tutto l’universo, non appartenevo a nessuno, nemmeno a me stesso che ero ostaggio di qualcosa che per primo mi terrorizzava.
Quando varcai la soglia del locale non fu solo l’odore di alcool e di tutta quella umanità ad investirmi, ma anche i loro pensieri così distanti da me e dal mio mondo. Non potevo rispecchiarmi in nessuno di loro e non solo perché fossi un vampiro, ma perché quel loro sentire non era mai stato in me neanche nei momenti più bui. Entrai e presi posto nell’angolo più appartato cercando di isolare quelle tante voci mentali. Avrei guardato in ognuno di loro.
Cercavo di non rimanere troppo immobile per non attirare l’attenzione.
Ero concentrato quando una voce s’intromise in quella mia ricerca. Sollevai gli occhi dalla superficie del tavolo e la guardai, notai il suo stordimento davanti al mio sguardo. Non era una delle cameriere che veniva a chiedere se volessi qualcosa.
- Ciao.- esordì.- Sei da solo?- Feci cenno di si in silenzio.
- Non sei un po’ troppo giovane per un posto come questo?- La donna davanti a me forse aveva l’età di mia madre Esme. Vestita in maniere provocante aveva mascherato i tratti tutto sommato gentili sotto uno strato di trucco talmente pesante da sembrare di stare guardando il viso di una statua di cera.
- Ho abbastanza anni da aver frequentato posti anche peggiori di questo.- Mi lasciai sfuggire tra la rassegnazione di quel copione già letto e riletto che mi si ripresentava per l’ennesima volta. Nei suoi pensieri le intenzioni che aveva mi arrivarono chiare. Si sarebbe fatta offrire da bere e poi secondo la sua idea saremmo dovuti finire a letto insieme. “Facile…” pensava “è appena un ragazzino, sarà come portare via le caramelle ad un cieco. Conosco il tipo, è in cerca di esperienze forti. Bene sarai accontentato.” Trattenni a stento un sorriso di scherno. Non sapeva quanto poteva essere sbagliato il suo giudizio.
- Vedo che vuoi giocare a fare il duro… - Disse prendendo una sedia e sedendosi a fianco a me. – Puoi offrirmi qualcosa da bere se vuoi. Così, per rompere il ghiaccio.- La guardai e impressi al mio sguardo quel non so ché d’inquietante che sarebbe riuscito a farle capire che in fondo ciò che vedeva non era quello che sembrava. La osservai irrigidirsi.
- Non mi sembra di avere chiesto compagnia.- Risposi fissandola e rendendo il tono della voce più cupo e minaccioso.
- Be’ calma ragazzino. Basta dirlo che vuoi restare da solo. Io non ho mai obbligato nessuno.- Mi rilassai quel poco che serviva per riappropriarmi del mio solito aspetto.
- Bene, allora glielo sto chiedendo. Le sarei grato se volesse lasciarmi da solo.- Mi guardò con meno timore ora che non leggeva più il pericolo nei miei occhi e quasi divertita rispose:- Ma come accidenti parli, sembri arrivato da un’altra epoca. Così si sente parlare solo al cinema.- Si lasciò andare ad una risata sguaiata.- Tu devi avere qualche problema, piccolo. Credevo di averne io, ma tu mi sembri un po’ in anticipo sulla tabella di marcia.- Quel modo di fare e quelle esternazioni a cui si stava lasciando andare ad alta voce, mi stavano mettendo in una situazione scomoda. Più di qualche testa cominciò a girarsi dalla mia parte e non volevo in alcun modo attirare la curiosità di nessuno. La vidi calmarsi e cercare di trattenere il suo divertimento. Mi guadò mentre si alzava e allungando una mano mi scompigliò i capelli. - Ciao tesoro, è stato un piacere conoscerti.- Si voltò e andò via. La vidi allontanarsi e mi sentii sollevato. Ormai più di qualcuno aveva notato il mio rifiuto verso quella proposta, se non ero lì in cerca di sesso avrei potuto far pensare che fossi in cerca di guai. In un posto come quello si andava solo per due motivi ed io ne avevo appena respinto uno, non mi rimaneva che l’altro : l’alcool.
Mi diressi verso il bancone del bar e ordinai una birra. Il barista mi guardò, di sicuro non mi avrebbe chiesto i documenti per potermi dare da bere. Invece pensò se avessi con me i soldi per pagare. “Sarà scappato di casa, il ragazzino, ma se paga fatti suoi.” Non facevano altro che pensare “ragazzino”. Se solo avessero saputo.
Presi il bicchiere che mi offriva e me lo misi davanti con l’aria di chi vuole stare per i fatti suoi.
Come facevano gli umani a rinchiudersi in posti come quello, l’odore di fumo era nauseante.
I pensieri che entravano nella mia mente erano i più disparati, vorticavano fino a stordirmi.
Rimanevo concentrato per cercare d’isolare qualcosa che potesse aiutarmi ad avere qualche indizio.
-Hai d’accendere?- Era veramente difficile passare inosservato e il mio aspetto in questo non aiutava. La voce della ragazza era addolcita ad arte per catturare la mia attenzione. Non le badai, non la guardai nemmeno, allungai una mano verso il vaso di vetro che conteneva i fiammiferi con sopra stampato il nome di quel posto, che servivano per la pubblicità e glieli porsi.
- Siamo di poche parole, vedo.- Continuò senza lasciarsi scoraggiare dalla mia indifferenza.- Stai aspettando qualcuno o sei qui da solo?- Cominciavo ad averne abbastanza. Era proprio così difficile per loro non riconoscere il pericolo, che sembrava invece attirarle? Le affascinava ciò che percepivano, il mistero che mi portavo appiccicato addosso. Solo con Bella avevo avuto chiara la sensazione di un vero interesse verso di me, la voglia di conoscere e capire. Riflettevo su tutto questo quando all’improvviso nella mia testa arrivò quello che stavo aspettando.
“Chissà se stasera riuscirò ad incontrare la rossa. Quella si che era una fuori dal comune. Non avevo mai incontrato qualcuna come lei, la sua pelle candida…perfetta. E’ meglio che la smetta comincio a diventare romantico.” Quel pensiero mi bloccò. Liquidai la ragazza che era rimasta a fare le fusa in attesa della mia attenzione e mi concentrai sul nuovo arrivato.
- Ehi, Leon, dammi il solito.- Disse l’uomo da cui era scaturito quel pensiero. Mi voltai leggermente dalla sua parte e lo guardai senza sollevare la testa dal mio bicchiere.
- Di’ un po’, si è per caso fatta viva la rossa che era con me l’altra sera?- Disse rivolto al barista.
- Qui ne passano tante Teddy, non posso mica ricordarmele tutte.- Rispose l’uomo dietro il bancone.
- Ma questa non può esserti sfuggita era…sì, insomma, non era come le altre.- Non aveva neanche idea di quanto corrispondesse al vero quello che stava dicendo.
- Non ho mai visto nessuna con una pelle candida e perfetta come la sua.- Aggiunse.- Mi ha sorriso e abbiamo scambiato qualche parola…la sua voce Leon. Sembrava musica. Ehi, ma mi ascolti?- L’altro lo guardò alzando le spalle.
-Certo che ti ascolto, come si fa a non farlo? Sono giorni che non fai che blaterare le stesse cose. Non ho mai visto nessuno perdere la testa come te solo parlando con una donna.- Scoppiò in una risata, che provocò l’ira dell’altro.
- Guarda che ti spacco quella faccia che ti ritrovi, se non la pianti di ridere. Può succedere, cosa credi. Nessuno ti ha mai parlato del colpo di fulmine, idiota?- Il barista si divincolò dalla stretta dell’uomo che lo aveva afferrato per il bavero.
- Certo che me ne hanno parlato, ma non avrei mai immaginato che colpisse te- Spostai il mio bicchiere più vicino.
-Ehi, tu!- Disse il barista rivolto a me.- Qualcosa non va con quella birra? E’ un bel po’ che la guardi. Potevi anche prendere del latte, forse era più adatto alla tua età.- Lo guardai e gli sorrisi con sufficienza. E mi accorsi che l’uomo di nome Teddy mi osservava. Nella sua mente lessi che aveva notato il mio essere simile nell’aspetto alla donna di cui parlava: Victoria. Le informazioni che cercavo erano lì cristalline nella sua testa. A quel punto potevo anche andare.
- Senti,- Disse interrompendo i miei pensieri- somigli a qualcuno che mi sta molto a cuore, non è che per caso conosci una ragazza che ha i capelli rossi, ma non come i tuoi e…- Lo interruppi, quell’analisi che stava facendo sulle affinità d’aspetto che avevo con Victoria non mi piaceva.
- Forse. Perché la cerchi?- Mi guardò e il suo sguardo si allargò in preda alla curiosità. Sapevo benissimo perché la cercava, ma ormai mi aveva tirato in ballo e dovevo stare al gioco.
- Bene. Il motivo è presto detto. Volevo rivederla. Se hai modo dille che mi ha stregato. So solo il suo nome: Victoria. E’ la stessa persona che conosci tu?- Annuii.- Mi ha detto che era in viaggio per schiarirsi un po’ le idee prima di finire un lavoro che aveva iniziato e aveva bisogno di tempo per definirlo nei dettagli.- Lo guardai e ogni muscolo del mio corpo s’irrigidii e dovetti faticare per non farlo capire al mio interlocutore.
- Se la vedi dille che sono suo e può fare di me ciò che vuole.- Era assurdo come le nostre armi da predatori annullassero ogni volontà. Come davanti a noi gli umani perdessero qualsiasi difesa. Sicuramente, Victoria, avrebbe fatto di lui quello che avrebbe voluto, ma non le serviva e quell’uomo neanche sapeva a cosa era scampato. Continuava a starsene lì a sbavare per lei, preda del suo fascino come un folle, senza avere capito di essere stato ad un passo dalla morte.
- Tu la stai cercando. Ho ragione?- Mi guardò e gli feci cenno di sì.
- Lo sapevo, lo aveva detto che non l’avreste lasciata in pace, che non avevate preso di buon grado quella sua decisione. Sei suo fratello?- Annuii nuovamente. E nel frattempo realizzai che non lo aveva ucciso perché voleva farmi sapere le sue intenzioni. Si aspettava che l’avremmo cercata.
- Senti amico tra di noi c’è stato solo un bacio, ma sarei pronto a sposarla anche domani.- Lo guardai mentre dentro di me si era scatenata una tempesta di sensazioni. Rabbia e angoscia.
- Teddy, ma ti sei bevuto il cervello? Hai una reputazione da difendere.- Osservò divertito il barista.
- Leon hai deciso di farti rifare la dentatura?- Mi alzai e lasciai sul bancone i soldi della birra che non avevo neanche toccato. Sapevo cosa fare. Uscii dal locale ascoltando il rumore dei mie passi che mi avvicinavano alla macchina, quando mi sentii raggiungere dall’uomo che aveva chiesto di Victoria.
- Ascolta amico, ha detto che sarebbe andata in Brasile. Mi sono offerto di accompagnarla, ma tua sorella non è una da andare col primo incontrato in un bar, però dille che ho un lavoro onesto e anche una buona posizione e che veramente mi sono innamorato di lei. Volevo che lo sapeste entrambi.- Lo fissai negli occhi.- Se riesco a trovarla glielo dirò, stanne certo.- Mi ringraziò e andò via.
- Un’ ultima cosa. Falle gli auguri per i suoi occhi. Mi è dispiaciuto non poterli vedere. Spero che si sia ripresa dall’intervento e che ora abbia potuto togliere quegli occhiali scuri. A proposito di che colore li ha?- Presi le chiavi dalla tasca e mi voltai per aprire lo sportello.
- Un po’ diversi dai miei.- Aggiunsi salendo in macchina.










Eccomi con un nuovo capitolo e spero che vi possa piacere. Non finirò mai di essere grata a chi segue e commenta con costanza questa ff e a tutti i nuovi arrivati che fanno sentire la loro opinione.
Ancora grazie a chi preferisce segue ricorda o semplicemente legge la mia storia perché sia che voi diate voce ai vostri giudizi, sia che seguiate in silenzio, non ci sarebbe nessuna forma d’arte senza un pubblico a cui rivolgerla.





rebecca73

Qualcuno ha detto: “meglio tardi che mai”, quindi benvenuta e grazie per il tuo commento. Sono felice che la storia ti piaccia. Grazie e ti aspetto alle prossime. Ciao.

arte

Ciao Arte cosa farei senza i tuoi commenti. Sono di grande aiuto credimi. E li aspetto sempre con grande ansia. Mi aiutano ad avere più chiara la visione d’insieme. Solo così è più facile capire se ciò che si scrive continua a rimanere attinente e coerente. Il commento come la critica quando necessaria e costruttiva è fondamentale quando si crea qualcosa. Alcune volte tramite le vostre considerazioni ho trovato la chiave per superare momenti di stallo. Quindi ancora grazie per tutto.


theangelsee69

Forse sono ripetitiva, ma vi ringrazio veramente di cuore di ciò che lasciate scritto, non solo mi gratifica, ma mi fa capire che quello che scrivo riesce a raggiungervi per come l’ho sentito io. Ciao e spero vorrai ancora farmi sapere cosa ne pensi di questa storia.

sugar70

Sono della tua medesima opinione, non è facile affrontare ciò che è il destino di Edward. La sua condizione solitaria e alienante a cui volontariamente si confina. Nel nuovo capitolo potrai leggere gli sviluppi che mi auguro possano soddisfare le tue aspettative. Grazie per avermi fatto sapere cosa pensi di tutto fin qui. Spero a presto ciao.


2001

Intanto benvenuta in questa ff e poi grazie per i complimenti. Mi auguro che anche il nuovo capitolo ti appassioni come i precedenti. Ancora grazie per il tuo commento e spero di leggere il prossimo se avrai voglia di lasciarlo. Ciao.

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Capitolo 17
*** CAPITOLO XVI ***






A fior di labbra la melodia che avevo inventato per lei; la sentivo battere in me prepotente, mentre chiudevo gli occhi e la vedevo tra quell’agonia che tornava a farmi prigioniero di quel mondo dove non la trovavo accanto a me. Nella mia mente l’abbracciavo come non avevo mai fatto.
Avrei voluto poter accendere il cielo nuovamente con il suo nome. E invece il buio era la mia prigione.
Avrei voluto sapere che mi stava cercando, avrei voluto che mi avesse trovato, per dirmi che c’era. Avrei voluto poter tornare a vivere in lei.
Avrei creduto ora a qualsiasi cosa lei mi avesse detto. Il vento mi riportava la sua voce e il mio cuore l’aspettava anche se sapeva che lo avrebbe fatto inutilmente.
Avrei voluto trovare un modo per uscire da tutto quel dolore, correre da lei e dimenticare. Continuavo a sperare di poterla avere ancora accanto un giorno anche se solo nell’ultimo viaggio che mi sarei concesso per raggiungerla. Senza di lei sapevo che mi sarei perduto senza più nessuna possibilità di ritorno e per la prima volta avevo paura che tutto quello che mi ero raccontato fosse vero, perché forse non avrei potuto trovarla mai più.
Ero consapevole che il niente si sarebbe aperto davanti a me squarciando impietoso il suo velo, non riuscire a trovarla in nessun posto, che non sarebbe stata un giorno più parte di nessuna realtà.
Niente poteva servire a distrarmi, neanche la caccia a Victoria. Immerso nel silenzio di quel paesaggio che non mi era né familiare, né consono, tutto rimbombava in me amplificato come non avrei mai creduto di poter percepire. Ma non potevo farmi trovare impreparato. Ero l’unico lasciapassare por garantire l’incolumità di Bella.
Lo avrei fatto a dispetto di tutto quel mondo parallelo e terrificante che le continuava a camminare accanto.
Ero uscito da quel bar cercando di respirare l’aria pulita della notte e sgombrare la mente da tutti quei pensieri troppo degradanti persino per qualcuno come me.
Era inconcepibile che chi possedeva un’anima arrivasse a ciò che io avevo letto lì dentro.
Io ero ciò che ero mio malgrado, molti di loro la dentro lo erano per libera scelta.
Fredda e razionale determinazione muoveva menti e dava concretezza alle più vili e basse azioni.
Ladri, stupratori, truffatori, violenti. Chi avrebbe ucciso senza pensarci sopra solo per rispondere ad una provocazione.
Menti che non avevano in sé il benché minimo segno di rimorso o pentimento.
Un tempo mi ero innalzato a giudice di tutto questo.
Sbagliando a mia volta e cercando uno scopo che non c’era per quell’esistenza , pensavo di giustificare la mia bramosia, quel mio insano bisogno da soddisfare che mi rendeva imperdonabile. Sapevo che non poteva esserci nessuna possibilità per qualcuno che aveva agito come me, ma in loro non avevo scorto questo tipo di timore o preoccupazione.
Non avevo visto domande, né letto possibili risposte.
Vivevano senza nessuna cognizione di ciò che quello rappresentasse, immaginando un’eternità che era data solo da quel tempo che concedeva loro l’illusione dell’immortalità.
Avrebbero capito un giorno quanto quel tempo sarebbe passato rapido per loro come un battito di ciglia tra il decadimento del loro corpo così vulnerabile a cosa avevano rinunciato? Avrebbero preso atto di avere messo a tacere privandola della sua voce la loro coscienza?
Quante domande mi ero fatto in quegli anni, quanti tormenti e sensi di colpa da cui non sarei fuggito.
Quel mio destino che, tanto tempo prima si era giocato ai dadi la mia vita perdendo, mi aveva intrappolato in qualcosa di cui inorridivo e a cui avrei rinunciato volentieri e mi rendevo conto come invece tra quelle menti dove non riuscivo a scorgere la traccia di nessuna umanità il problema neanche si poneva.
Io avrei dato qualsiasi cosa per poter tornare indietro, loro andavano verso il niente senza nessuna consapevolezza, pieni della loro arrogante presunzione, ottusamente ciechi. Egoisti come bambini abituati ad ogni tipo di giocattolo da non riuscire ad apprezzarne la bellezza e io quello fermo dietro la vetrina con gli occhi pieni di rimpianto li osservavo.
Un tempo questo mi aveva convinto che forse il mio scopo era proprio quello. Un angelo vendicatore che avrebbe ripulito dal marciume, salvando altre vite in favore di quella che non avevo più.
Il malessere che si era impadronito di me tra quei pensieri mi aveva fiaccato.
Era faticoso mantenere sempre quel contegno controllato. Non era più qualcosa di naturale. Non sapevo quanto avrei impiegato a raggiungere Victoria.
Quando cominciò ad albeggiare ero sulla strada di ritorno verso il motel. In quel posto desolato davanti ad un distributore una coppia faceva benzina e nell’attesa si baciava.
Osservai la passione e la naturalezza di quel gesto così scontato tra di loro. Le immagini del suo viso che non mi abbandonavano mai sorpresero però i miei pensieri, improvvise e dolorose.
Nella mia mente i ricordi di quei rari momenti che avevo concesso tra di noi, diviso tra l’infinita dolcezza e l’agonia di quel dolore fisico che il bisogno del suo sangue scatenava in me.
Mi fermai ad osservare la tranquillità di quell’amore che si impadroniva di quei due ragazzi e pensai che per me e Bella non sarebbe mai esistita.
Li guardavo, erano felici, ridevano scambiandosi sguardi di complicità. Ripensai alle volte che questo era accaduto a noi. C’erano stati momenti così e li conservavo in me come il tesoro più prezioso che avessi. Niente sarebbe mai stato paragonabile a quegli attimi nella mia esistenza.
Li davanti a me c’erano due ragazzi con la loro semplicità, felici abbracciavano, abbracciandosi, la loro vita.
Bella con me aveva sempre e solo abbracciato la morte.
Guardando noi chiunque avrebbe visto solo altri due ragazzi, ma non era così, lo era solo lei, io ero il mostro.
Rientrai tra l’eco che i miei passi faceva risuonare sull’asfalto umido del mattino. Mi fermai al bancone e non aspettai che il tizio della sera prima mi desse le chiavi, le presi da solo.
Il sole cominciava ad alzarsi in cielo ed era meglio che mi andassi a rintanare in quello squallore desolante di stanza che avevo preso.
Chiusi le pesanti tende e appesi il cartoncino “non disturbare “ fuori dalla porta. Non volevo che a quella specie di portiere venisse in mente di cercarmi.
M’immobilizzai nell’attesa che quel giorno terminasse, silenziosamente come era arrivato.
Fuori la vita batteva il suo ritmo frenetico senza sfiorarmi.
Fissai il letto ed ebbi il bisogno di sdraiarmi, non perché mi potessi sentire stanco e cercare sollievo, ma per ricreare qualcosa di familiare che avevo condiviso con lei. Chiusi gli occhi come se dovesse apparire da un momento all’altro avvolgendo l’aria del suo profumo.
Sorrisi appena ricordando quando rimanevo così nella sua stanza.
La cura che metteva nel prepararsi a trascorrere quelle notti con me. Non capiva che per me era bellissima comunque, non serviva si affannasse a cercare di sembrarlo di più ai miei occhi. Ma come tutte le ragazze era difficile da convincere.
Ne sapevo qualcosa con due sorelle. Sentivo le ore passare lente tra quei pensieri. La nostalgia per la mia famiglia era pungente. Dall’esterno man mano il ritmo delle attività andava affievolendosi.
Cercai nella tasca il mio cellulare. Avevo detto di non cercarmi, ma nell’accenderlo sperai che non mi avessero dato ascolto.
Trovai tre chiamate e un messaggio di Emmett nella segreteria. Mi concessi di ascoltare la voce registrata di mio fratello che mi faceva sapere che loro stavano tutti bene e volevano mie notizie. Mi lasciava i loro saluti e mi chiedeva di farmi sentire appena ne avessi avuto voglia e mi fossi sentito in grado di parlare.
Sapevo che sarebbe stato doloroso ma avevo bisogno di quel contatto, di sapere che quel filo che ci legava era lì e non si sarebbe mai reciso neanche con quella mia fuga. La solitudine che mi ero imposto non era facile da affrontare, ma anche se difficile nello stesso tempo quel contatto mi rese un po’ più forte per proseguire per la mia strada. Egoisticamente sapevo che non li avrei persi, che mi sarebbero rimasti vicino anche se io avevo rinunciato a tutti loro. Per un po’ mi sentii meno solo tra le mura di quella stanza.
Quando il sole lasciò il posto alle prime ombre della sera decisi di uscire per continuare la mia ricerca e verificare se ciò che avevo scoperto fosse attendibile o solo una finta traccia per portarmi lontano e lasciare campo libero a Victoria.
Nell’uscire passai a lasciare la chiave e l’uomo che all’arrivo mi aveva accolto preda di una mitica sbronza questa volta era sobrio. Mi salutò con un cenno prendendo la chiave che gli porgevo.
- Se vuoi mangiare qualcosa a un paio di miglia da qui c’è una tavola calda. Ci lavora Carol, una mia amica. Di’ che ti mando io. Il mangiare è decente e non si spende tanto.- Disse sollevando lo sguardo per guardarmi. Mi venne da ridere, a quelle parole. Non poteva neanche immaginare cosa intendessi io per “mangiare”, e fraintese quella mia reazione.- Vedo che non sono il solo ad avere avuto una nottataccia. Bella sbronza anche tu a giudicare della tua faccia. Chissà perché insistiamo a bere se poi dopo stiamo peggio.- Scosse la testa sorridendo.
- Forse perché per un po’ riusciamo a non pensare ai nostri guai?- Risposi più per cortesia che per vero bisogno di conversazione. Ora che la sua mente era sgombra dalla nebbia dell’alcool i suoi pensieri erano più coerenti e potevo vedere i suoi tormenti. Invidiai quelle possibilità di fuga dalle loro pene tutta umana. A me non era concesso neanche quello, il mio supplizio non poteva essere messo da parte con una bottiglia di whisky.
- Comunque se ti andrà di mangiare qualcosa, anche per i prossimi giorni va lì, te lo raccomando. Puoi fidarti.- Lo guardai.
- Grazie, ma vado via questa sera.- Dissi solo. In silenzio l’uomo nel quale avevo letto solitudine e frustrazione per la sua vita, mi preparò il conto senza aggiungere altro.
Uscendo fuori dal motel guardai verso la macchina e considerai che anche se non per consumare un pasto avrei potuto comunque raggiungere il posto indicatomi dall’uomo del motel.
Infilai le chiavi nel quadro e misi in moto.
La strada dritta e solitaria rendeva la guida forzatamente calma e noiosa. Non avevo più uno straccio d’impianto stereo decente per poter ascoltare un po’ di musica.
Un’altra conversazione tornò tra i miei pensieri.
Quando per provocare Bella le avevo fatto notare che la ricezione della sua radio non era delle migliori. Quel giorno era il suo compleanno e sapevo che Emmett le avrebbe regalato uno stereo nuovo. A quel tempo non vedevo l’ora di vedere sul suo viso le espressioni che si sarebbero alternate per quel regalo inaspettato e costoso. Bella mi mancava, la vita che avevo ritrovato con lei mi mancava.
Bella, solo e sempre Bella, nei miei pensieri. Il suo viso non mi abbandonava un istante. La sua voce, quel timbro particolare che assumeva quando pronunciava il mio nome. Come se solo in quel momento riuscisse a respirare.
Da quando l’avevo lasciata un’infinità di volte avevo considerato la possibilità di tornare da lei, sfinito da quella lotta contro me stesso, da quell’esilio forzato. Dovevo tenere testa al mostro assetato, al mio bisogno d’amore e alla mancanza di quel corpo fragile che sapeva stringersi a me fiducioso. Non era facile. Più di una volta ero stato sul punto di cedere, ma poi la ragione aveva prevalso. Non le potevo stare accanto e dovevo accettarlo anche se era la cosa più difficile che avessi mai dovuto fare.
Perché non poteva non cambiare niente in me, perché non potevo avere nessuna speranza di essere qualcosa di diverso da ciò che ero , perché amarla come l’amavo. Che senso aveva provare tutto quell’amore se non ci avrebbe portati da nessuna parte?
Quante volte avevamo discusso sulla possibilità che diventasse come me. Le mie reazioni a quella richiesta che mi gettava nel panico . Non avrei mai e poi mai potuto infliggerle quella sofferenza che conoscevo bene e rimanere a guardare solo per il mio egoismo. Sarebbe stato tutto più facile portarla nella mia realtà, ma mi sarei macchiato del crimine peggiore di tutta la mia esistenza. Sospirai profondamente e mi resi conto di essere arrivato a destinazione.
Entrai nel parcheggio e aspettai un istante prima di decidermi a scendere.
I contatti così frequenti con tutte quelle persone mi costavano parecchio, ma non perché avessi difficoltà a trattenermi dal considerarli solo del cibo, ma perché interferivano tra i miei ricordi e mi era difficile concedere spazio a qualcos'altro nella mia mente che non fosse il ricordo di Bella .
Quando entrai accusai una fitta allo stomaco. L’aria era satura degli odori del cibo umano. Di norma riuscivamo a tollerarli anche se con poco entusiasmo, ma considerando che era da un po’ che non mi nutrivo il mio stomaco reagì male. Provai disgusto. Il brusio non cessò quando entrai nel locale e solo qualche testa si voltò dalla mia parte. Erano tutti intenti a consumare i loro pasti.
Spaziai con lo sguardo e individuai un angolo appartato dove non avrei destato particolare curiosità.
Calai sulla fronte un berretto con la visiera e misi gli occhiali da sole. Non volevo essere abbordato nuovamente come era successo la sera prima.
Presi tra le mani il menù per darmi un contegno il più normale possibile. Cosa si poteva fare in una tavola calda se non avere intenzione di mangiare?
Nella mia mente entrarono dirompenti tutti quei pensieri. Cercai di isolarli per trovare tracce di Victoria. Sembrava però che di lì non fosse mai passata. Nemmeno tra le cameriere c’era traccia del suo volto.
- Ciao, sono Carol.- Alzai lo sguardo.- Indeciso? Se vuoi posso consigliarti io.- Una voce e un viso gentile apparve come per magia. Non l’avevo sentita arrivare. Non dovevo immergermi così, rischiavo di sembrare innaturale.
- Ciao.- Risposi.- Scusa non ti ho sentita arrivare.- Sorrise tenendo il taccuino e la penna tra le mani. Nella sua mente nessun tipo di apprezzamento verso di me. Si chiedeva solamente come mai non mi fossi mai mosso da quando ero entrato, immerso nella lettura del menù.
- Dicevo... se non sai decidere posso consigliarti io.- Le sorrisi a mia volta.
- Veramente non so se voglio mangiare, forse prenderò solo una tazza di caffè.- mi guardò distogliendo l’attenzione dal suo blocco un po’ meravigliata.
- Solo caffè? Non ti andrebbe di accompagnarlo con un po’ di dolce? Oggi abbiamo la torta ai mirtilli. E’ una delizia. La fa la mamma del capo. Te la consiglio.- Era gentile e per la testa non le passavano pensieri strani. Era una brava ragazza dedita alla famiglia e tra i suoi pensieri spiccava il volto di un ragazzo che si trovava lontano da lei e di cui sentiva nostalgia.
- Mi manda il tizio del motel, non so come si chiama. Dice che si mangia bene qui da voi e che tu sei sua amica. Ti chiami Carol, mi sembra di aver capito.- La vidi sospirare e portare la penna alla bocca.
- Si, lui si chiama Lucas. Abita vicino casa mia e ogni tanto mi lascia i suoi bambini da guardare da quando la moglie lo ha lasciato.- Questo lo sapevo. La moglie lo aveva lasciato per un marine che si era trovato a passare da quelle parti.
- Non mi sembra però che tu voglia provare la nostra cucina. Chi non mangia lo fa solo per due ragioni: o è innamorato, o soffre per amore. Quale è la tua?- Era acuta, oltre che sensibile, nel nostro mondo avrebbe sicuramente avuto qualche dote speciale.- Hai pianto?- Disse ad un tratto.- Per tenere gli occhiali scuri avrai una buona ragione. Ormai si è fatto buio e le luci qui non sono così forti. Quindi se non soffri di qualche irritazione, hai bisogno di nasconderli.- Mi fece l’occhiolino.- Sorrisi.
- Colpito.- Risposi.
- Lo sapevo, per voi ragazzi non è facile d’accettare il fatto di poter piangere.- Invece io, quanto avrei voluto poterlo fare e non me ne sarei minimamente vergognato.
- Allora lei ti ha lasciato o l’hai lasciata tu?- Sospirai. Come mi ero ritrovato a parlare di quello con una ragazza sconosciuta? Però del resto era la prima persona che non avesse pensato a portarmi a letto appena mi aveva visto.
- E’ una storia talmente complicata da essere impossibile.-Mi sorpresi io stesso di quelle parole, era la prima volta da settimane che ne parlavo nuovamente e con qualcuno che non facesse parte della mia famiglia.
- Non esistono storie impossibili, ma solo l’amore che si prova. Tutto il resto è un contorno.- Disse guardandomi, senza avere la benché minima idea di quanto si sbagliava.- Se la ami e lei ti ricambia, portala con te e lasciati alle spalle tutto, altrimenti potresti pentirtene un giorno. La vita è troppo breve per poter perdere tempo ad accontentare tutti e darsi troppe priorità. Vivi il regalo che ti ha fatto finché lo hai e poi il resto si vedrà.- Sorrisi della sua ingenua convinzione, forse se avessi dato retta al mio egoismo mi sarei comportato esattamente così, ma non me lo potevo permettere senza sacrificare Bella e la sua anima.
- Forse prenderò anche il dolce.- Risposi sorridendo. Carol fece un cenno d’assenso con la testa e sparì verso la cucina. Non avrei aspettato che mi avesse portato quello che avevo ordinato, ma lasciai sul tavolo il corrispettivo del costo di quell’ordinazione. Non avrei potuto giustificare come mai non consumavo quel pasto. Uscii dal locale. Lì per me non c’era niente. Nessuno aveva avuto a che fare con Victoria. Almeno fino a quel giorno.
Mi avviai verso il parcheggio e entrai in macchina dovevo trovare un posto per poter trascorrere la giornata avevo intenzione di tornare anche il giorno dopo. Magari sarei stato più fortunato.
Mi dispiaceva essermene andato via così, ma non ero lì per fare amicizia e la piega di quella conversazione stava diventando troppo confidenziale. Non volevo dare però l’impressione del maleducato. Avrei provveduto in maniera un po’ più fredda a scusarmi il giorno dopo.
Il fatto era che quella ragazza era di una sincerità disarmante e un po’ mi aveva ricordato Alice per il suo modo di fare e mi era venuto naturale parlare con lei. Al pensiero di mia sorella mi venne spontaneo sfilare il cellulare dalla tasca per guardarlo. Lo accesi e controllai le chiamate. Altre due. Non si davano per vinti, stavano venendo meno ai miei desideri, ma non riuscii ad avercela con loro e sentii nascere sulle lebbra un sorriso triste. Mi mancavano, mi mancava tutto della mia vita insieme a loro.
Come sarebbe stato bello poter vivere di nuovo insieme ed avere Bella al mio fianco. Appena il suo nome solcò il mio pensiero il dolore si fece più reale in me.














Altro capitolo e altri ringraziamenti come sempre a chi legge preferisce ricorda o segue e anche a chi passa semplicemente senza lasciare alcuna traccia di sé ( siete i benvenuti anche voi che apparite solo come un numero). A chi poi decide di lasciare la propria traccia tramutando i pensieri in parole tutta la mia gratitudine e riconoscenza.
Non avete idea di quanto possiate aiutare nella stesura di questa ff che sta subendo un attimo di stallo ( forse la primavera comincia a farsi sentire e porta la mente verso altri lidi) comunque sono grata a chiunque lasci un proprio commento perché riesco sempre a trovare tramite voi nuovi spunti per proseguire. Sarebbe monotono scrivere solo per se stessi. Sembrerebbe un monologo.
Ancora grazie a:


piolet

Ti ringrazio mi fa piacere sapere che “THE INGAGEMENT” continui a trovare consensi e che il mio modo di scrivere ti sia piaciuto. Un saluto e ti aspetto ancora per sapere cosa pensi di quello che scrivo. Ciao. Glance.


arte

Che bello che ti sia piaciuto, spero che possa continuare con ciò che scrivo a mantenere alto il tuo interesse. In effetti Edward adesso dovrà gestire i suoi sentimenti cercando di non farsi distrarre se vorrà raggiungere il suo obbiettivo, ma è difficile per lui. La nostalgia per la sua famiglia e il dolore per la separazione dal suo grande amore non gli rendono la cosa facile. Ciao e grazie come sempre per seguire e commentare come fai. Ho visto che ti è piaciuta anche la one-shot “Auguri Papà” , ti ringrazio anche per aver commentato quella. Ciao. Glance

ninfea306

Grazie e non preoccuparti, capisco che non è sempre facile trovare del tempo per fare ciò che ci piace. Gli impegni sono sempre tanti, ma sono felice che tu abbia potuto commentare. Cercherò di seguire il consiglio alternando i momenti d’introspezione del personaggio con quelli descrittivi. Come sempre grazie per farmi sapere cosa pensi di quello che scrivo e di seguire con assiduità. Un saluto. Glance

sugar70

Grazie anche a te per l’attenzione che poni nella lettura di questa storie e dei tuoi pareri. Sappi che quando si scrive sono necessari altri punti di vista. Danno la possibilità di trovare soluzioni ad eventuali momenti di stallo. Grazie ancora. Glance.

theangelsee69

Grazie di cuore anche a te. Spero di continuare a meritare il tuo apprezzamento. Ciao e spero di leggerti anche nel prossimo capitolo. Glance

frate87

Tranquilla non preoccuparti, anche se in ritardo adesso però hai commentato e mi fa piacere avere anche la tua opinione che spero di poter rileggere anche per i prossimi capitoli. Ti aspetto alle prossime. Glance.

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Capitolo 18
*** CAPITOLO XVIII ***







Ad un tratto tutto il mio mondo, tutto quello che conoscevo si era frantumato. Niente più importava. Quello che ero stato, ciò che ero diventato, tutti gli anni trascorsi a torturarmi a cercare risposte a tutte quelle domande. Non c’era più nulla, non era rimasto più niente. Essere cambiato fino a credere che l’impossibile potesse diventare possibile. Fino a sentire esplodere in me quell’amore che non potevo meritare.
Non era vero, non poteva essere vero.
Incredulità, stupore, rabbia e il dolore più cieco e lacerante che avessi mai provato si erano impadroniti di me.
Avevo ascoltato le parole di Rosalie come in trance. Un sogno, doveva essere quello. Stavo sognando. Era così. Non poteva essere altrimenti.
“Lei è morta Edward”. Quelle parole rimbombavano nella mia testa escludendo tutto il resto.
Morta. No! Non era possibile, non poteva essere vero. Ma Rosalie sembrava convinta. Non avevo colto incertezze nella sua voce. Anzi, mi dava quella notizia come se fosse la risoluzione a tutti i problemi.
Non era vero non potevo crederci. Sicuramente lo stava dicendo per costringermi a tornare. Era un espediente.
- Passami Alice, Rosalie. Non ti credo.- Le avevo detto furente.
- Alice è a Forks per avere conferma di ciò che ha visto Edward. E’ morta ti dico.- Non riuscivo a sentire pronunciare ancora quella parola. Se l’avessi avuta tra le mani questa volta sarei stato capace di farle male.
Perché? Non era possibile. Non era vero. Come avevo fatto a non capire, a non vedere quello che sarebbe potuto succedere. Se solo avessi saputo che i suoi giorni le erano diventati insopportabili, che si voleva liberare del passato in quel modo. Che piangeva e soffriva senza essere capace di sostenerne il peso.
“Si è uccisa, Edward. Alice l’ha vista gettarsi da una scogliera.”
“Perché? Lo avevi promesso. Quando ti avevo chiesto di non fare niente di stupido o insensato. Me lo avevi giurato. Come ho fatto ad essere così ottuso e presuntuoso? Che valore poteva avere una promessa fatta a me.” Ero andato via solo per lei. Niente mi avrebbe potuto allontanare se non la certezza di poterle restituire la sua vita, la sua normalità. Di poter crescere serena e felice.
Se prima di Bella avevo cercato quale fosse il mio scopo, quale fosse il significato di quell’esistenza tormentata, diviso, sempre in bilico tra due mondi, con lei tutto aveva preso una direzione diversa. Continuavo a camminare tra i miei tormenti, ma con una certezza in meno, anche per me qualcosa poteva cambiare e forse tutto quello di cui ero convinto non era totalmente vero.
Sensazioni forti e tanto vivide. Tracce di quel me stesso che era rimasto lucidamente consapevole, che aveva cercato di sopperire alla perdita della propria anima con il raziocinio, la logica deduzione.
Io non possedevo varianti, c’era solo la consapevolezza di azioni che potevano essere predeterminate da scelte che sarebbero servite ad andare in un senso o in quello opposto a ciò che decidevo come confine o la regola per disciplinare i miei comportamenti. Sapevo cosa non volevo essere e mi comportavo cercando di tenerlo chiaro nella mia mente. Non pensavo che per qualcuno come me ci potesse essere altro se non se stesso e invece era arrivato l’amore inaspettato e travolgente a cambiarmi da dentro. L’amore che aveva piantato le sue radici in un cuore che non aveva più nessuno scopo o funzione nel mio corpo.
L’amore che mi aveva fatto credere che in un modo o nell’altro fosse possibile vivere anche per me che aveva vestito quei giorni infinitamente immutabili, di speranza. Sentire il rumore del tempo che passava su quelle giornate insieme a lei. La voce del tempo l’avevo dimenticata.
Essere riuscito a intravedere per un attimo tramite la sua luce quell’anima che credevo perduta. Ogni suo sorriso, ogni carezza che mi regalava, ogni sguardo innamorato o di preoccupazione che aveva per me illuminavano la mia esistenza e l’oscurità arretrava. Ogni volta che la baciavo ingaggiando quella lotta impari e strenua con ogni parte di me, ostinatamente mi aggrappavo a quell’amore che mi allontanava anche se per brevi momenti dal mostro che mi aveva divorato.
Chi ero io, chi era Edward Cullen? Di sicuro non un essere umano. Sicuramente un vampiro, ma perché allora l’amore, quel cambiamento?
Per me non poteva esserci nessuna possibilità, nessun Dio a cui rivolgermi.
Eppure continuavo a ripetere “Fa che non sia vero. Fa che non sia vero.”
Sentire il terrore paralizzare il mio corpo di pietra nell’indecisione.
Dovevo avere una conferma a tutto quello eppure il mio coraggio era sparito.
Trovare la forza di fare scorrere il suo numero e inviare la chiamata. Rimanere immobile e sentire ogni squillo come una condanna a morte.
Non sapevo chi avrebbe risposto, ma speravo di sentire la sua voce. Le avrei parlato a quel punto, magari spacciandomi per mio padre, ma doveva essere lei a rispondere e se fosse stato Charlie, allora avrei trovato un modo, uno qualsiasi per avere sue notizie, ma tra tutti la voce di Jacob non l’avevo neanche considerata.
- Sono il dottor Cullen, vorrei parlare con Charlie.- Attesi senza riuscire a muovermi.
- Cahrlie non c’è.- La voce di Jacob era dura e quasi infastidita.
- Potrei sapere dov’è e quando torna?- La risposta che ne seguì mi lascio senza forze.
- E’ al funerale.- Nella mia testa quelle parole esplosero investendomi con l’ondata micidiale di quel dolore.
Un’esplosione che mi scaraventò in una dimensione che non conoscevo, che non mi sarebbe dovuta appartenere per ciò che ero.
Era terrore, disperazione. Il niente che mi dissolveva stritolando il mio corpo nelle sue spire.
Il mio esistere che si spalancava davanti a me inaccettabile senza di lei.
Per la seconda volta quell’idea che mi aveva accarezzato ai tempi di James tornò più vivida e divenne certezza e l’unica possibilità.
Volterra sarebbe stato l’ultimo viaggio che mi sarei concesso nutrendo una segreta speranza che non avevo il coraggio di confessarmi.
Poter finalmente mettere fine a quell’esistenza di tormento, dolore e senso di colpa che senza di lei non avrebbe avuto più alcun senso.
Per me tutto finiva lì, non avevo più nulla, non c’era più nulla. Guardai il cellulare che sembrava bruciare tra le mie mani ghiacciate. Ormai come tutto il resto non rappresentava più niente.
Scesi in strada e lo lasciai cadere in un cassonetto. Quello che successe dopo che ebbi la conferma della morte di Bella fu qualcosa di surreale. I miei sensi perfetti si annebbiarono e fu come guardare attraverso un caleidoscopio. Tutto mi arrivava distorto e alterato, suoni, colori, odori.
Immagini del suo viso che improvvise passavano davanti ai miei occhi. La vedevo ovunque, sentivo la sua voce.
Volevo solo morire. Morire per poter andare da lei , ma sapevo che mi era negata anche quell’ultima consolazione. Lei non c’era più e per quanto avessi supplicato non l’avrei mai più potuta riavere e io non potevo affrontare per l’eternità quel dolore che mi straziava.
Lei, priva di vita.
Quel corpo, quel viso che adoravo, il suo calore, il suo profumo che mi faceva impazzire.
Felicità e tormento non c’erano più.
Al centro di un vicolo buio, mentre la pioggia inzuppava i miei capelli e i miei vestiti, accasciato in terra, le braccia strette intorno al mio corpo, cercandola in quell’abbraccio, un urlo disperato di dolore si levò dalla mia gola.
Un urlo che non aveva niente di animalesco, che non somigliava al suono gutturale e profondo che la mia gola conosceva. Era la mia voce umana che urlava tutto lo strazio che si era impadronito di me. Si era fatta strada emergendo dalla prigione dove il mostro la teneva reclusa, dove quel ragazzo che ero stato si era perduto e che ora inconsolabile e annientato urlava tutta la sua disperazione.
Alzai il viso verso il cielo che non riuscivo a vedere tra quel diluvio e l’oscurità data dall’assenza della luna e presi in prestito la pioggia per bagnare i miei occhi di quelle lacrime che non avevo più.
Il viaggio verso l’Italia non fu altro che un ripercorrere tutti i momenti passati con lei, ma la tortura più grande me la infliggeva l’immagine dei suoi occhi nel momento in cui avevano appreso che non la volevo più con me.
Ascoltava quella bugia tanto ingiusta quanto inutile e sembrava così fragile e ancora più piccola e delicata mentre mi costringevo ad apparirle freddo e distante. Le braccia che avrebbero voluto tenerla stretta e non lasciarla mai più e invece sarebbe stato solo un esilio infinito. Quando arrivai a Volterra l’aria tiepida mi avvolse, sembrò quasi consolatorio. Lì, avrei trovato la pace, finalmente, in quella fine che sarebbe dovuto essere il mio destino di tanto tempo prima. Di quella medesima sorte che aveva fatto suoi i miei genitori.
Io ero rimasto sospeso, come incagliato in quell’esistenza che non avevo mai sentito mia, in cui avevo imparato a muovermi ma mai accettato.
Ora ero lì dove tutto sarebbe giunto a compimento e dove si sarebbe scritta la parola fine.
Di una sola cosa ero grato, di aver potuto conoscere l’amore, di avere potuto avere il privilegio di essere amato dalla creatura più splendida che fosse mai venuta al mondo, la mia Bella.
Tra i tetti spioventi e le mura di cinta di quel borgo dove la storia si percepiva tangibile e ci si poteva camminare in mezzo, mi avviavo da coloro che potevano mettere fine a tutto quel dolore.
I Volturi erano la stirpe che ci governava, che vigilava sulle nostre azioni e faceva rispettare le poche leggi che regolavano il nostro mondo.
Attraversavo il corridoio mentre pensieri in una lingua che non conoscevo mi scorrevano nella testa incomprensibili e valutavo come avrei formulato la mia richiesta.
Avevo chiesto udienza e mi ero presentato, il fatto che mio padre li avesse frequentati li aveva ben disposti ad ascoltarmi, ma man mano che esponevo che cosa mi spingeva a chiedere il loro intervento, nelle loro menti leggevo la perplessità. Acconsentirono a che io terminassi di esporre ciò che avevo da dire limitandosi ad ascoltare.
Aro, quello che Carlisle aveva raccontato essere il capo, mi scrutò per un po’ poi rivolto a quelli che conoscevo come i suoi consiglieri ad un loro cenno mi rispose che dovevano pensarci un po’ su. Perché di fatto quella era una richiesta alquanto insolita.
Uscii dal salone che Aro, Caius e Marcus, questi i loro nomi, usavano come sala delle udienze e fui scortato in quella che aveva l’aria di una sala d’aspetto.
Nelle loro menti avevo letto titubanza e quello non mi lasciava sperare in un buon esito della mia richiesta, ma avevo appreso dai racconti di Carlisle che i loro giudizi erano imprevedibili e facilmente influenzabili.
Specialmente Aro, colui che aveva l’ultima parola, era un carattere che si esaltava facilmente e che cercava di avere un proprio tornaconto in ciò che decideva.
Avevo letto i suoi pensieri, era un collezionista di talenti, cioè amava circondarsi di quegli individui che possedevano doti speciali, come me.
Lui stesso ne aveva uno simile al mio, ma doveva toccare chi aveva dinanzi, per poter leggerne la mente.
L’altro, quello che mi era sembrato più distaccato e apatico, Marcus, invece poteva capire l’entità di un sentimento e individuare i legami tra i vari individui. La mia richiesta gli era giunta suscitando un moto d’interesse che non provava più da tanto, ma che aveva provveduto a non manifestare.
L’altro, Caius, non possedeva alcun potere e questo gli procurava risentimento verso tutto, mal disponendolo senza una vera ragione.
Confidavo in lui per avere esaudita la mia richiesta. Non amava i fastidi che potevano derivare da uno come me, di fatto avevo reso partecipe un essere umano della nostra esistenza quindi avevo infranto una delle regole.
Quando venni nuovamente portato al cospetto dei tre Volturi lessi nelle loro menti la risposta.
Non avevano accettato la mia richiesta.
Era vero, avevo si infranto una delle regole fondamentali rivelando a Bella la mia vera natura, ma la sua morte aveva risolto il problema da se.
- Non possiamo accontentare la tua richiesta, di fatto la legge non è stata infranta, ma saremo lieti se volessi fare parte della nostra corte.- Aveva detto Aro.- Il tuo talento non può andare sprecato. Tuo padre è stato un buon amico e suo figlio sarebbe il benvenuto tra di noi.
- Perché questo rinvio? Succederà comunque.- Li vidi scettici e scambiarsi un’occhiata distratta.
- Solo se la legge sarà violata.- Risposero. Rimasi immobile trattenendo una smorfia di disappunto. Alzai le spalle annuendo. “Sarà fatto”, pensai. “Devo solo trovare il modo migliore.” Nella mia mente balenarono varie soluzioni. Avrei potuto andare a caccia entro le mura della città. Dovevo fare qualcosa, trovare un modo, non poteva finire così. Mi sentivo frustrato e disperato. Non volevo nuocere a nessuno, ma dovevo riuscire a provocare la loro reazione.
Poi come un lampo, un’idea mi balenò nella mente. Non avrei dovuto fare altro che farmi vedere per quello che ero. Mi sarei esposto al sole nella piazza principale della città mentre era affollata di persone per la festa. All’ultimo rintocco di mezzogiorno, quando il sole sarebbe stato più alto in cielo, avrei mostrato a tutti il mio corpo alla sua luce e a quel punto sarebbero intervenuti. Sicuramente non avrebbero gradito.
Finalmente dopo mesi mi sentii tranquillo. Una calma infinita mi pervase. Pianificai mentalmente ogni movimento, ogni gesto, nei minimi dettagli. Sarebbero stati gli ultimi che avrei compiuto.
Sulle mie labbra nacque spontaneo un sorriso. Non avevo rimpianti, non lasciavo niente dietro di me.
Attraversai i vicoli di quel borgo e mi recai ai piedi della torre campanaria e lì attesi che giungesse l’ora che avrebbe posto fine a quell’esistenza tormentata.
Nascosto nell’ombra attesi fino a quando il grande orologio posto in cima alla torre non iniziò a scandire con il suo rintocco l’approssimarsi di mezzogiorno.
Chiusi gli occhi e mi tolsi la maglietta, che lasciai scivolare ai miei piedi e piano, dilatando il tempo che mi separava dalla luce di quel sole che avrebbe illuminato la mia pelle mostrando a tutti ciò che ero, cominciai a muovermi. Lentamente un passo per volta, verso il confine che avrebbe segnato la fine di tutto.
Un passo dopo l’altro e l’ombra che mi aveva sempre celato nel suo abbraccio mi avrebbe abbandonato lasciandomi a quella sorte che per la prima volta da anni non avrei subito, ma scelto.
La luce del sole che inondava la piazza illuminò le mie scarpe e poi una mano, il mio braccio, parte del viso. Stavo per uscire definitivamente allo scoperto.
Sospirai profondamente per cogliere un’ultima volta la fragranza di quei profumi che il vento portava con se.
Un’ultima volta, dopotutto non avevo mai smesso d’amare la vita pur essendo diventato quello che ero, anzi l’avevo rimpianta, inseguita e cercata oltre ogni ragione e limite, fino ad averla intravista nuovamente in Bella. Mi ero nutrito per un po’ di quel calore vitale che emanava il suo corpo, scaldato alla luce della sua anima che aveva illuminato anche me. Lei il sole e io quella luna che le aveva sempre mostrato una sola faccia di se, serbando l’altra, quella più oscura, nella paura costante che lei potesse realmente vedere chi e cosa fossi.
La fuga in quell’abbandono che mi aveva annientato per proteggerla da tutta quell’oscurità e invece la mia presunzione senza limiti non mi aveva fatto considerare di stare chiedendo a lei il sacrificio maggiore. Mi ero sempre messo al centro di tutto guardando le cose solo dal mio punto di vista non volendo considerare il suo. Tra di noi c’era troppo di troppe cose. Troppo amore, troppe differenze, troppi pericoli e lei era troppo fragile per poter affrontare tutto questo da sola. Tutto quello che io con un’eternità davanti non ero ancora riuscito a superare a lei era arrivato improvviso, catapultandola in quella dimensione terrificante. Mai però le avevo visto apparire sul viso un rimpianto o un ripensamento. Quando mi guardava sapeva fare scomparire ogni cosa e mi sentivo come se al mondo fossimo solo io e lei. Ma adesso tutto quello non aveva più importanza. Non importava cosa era stato giusto o sbagliato. Lei non c’era più. Quello che avevo temuto e cercato di evitare con tutto me stesso era accaduto e niente avrebbe potuto farla tornare da me.
L’avevo perduta per sempre, ma questa volta nella maniera più definitiva e straziante. Bella non avrebbe più fatto parete di niente di ciò che conoscevo. Non era più parte di quel mondo e io non potevo e non volevo più vivere in un mondo senza di lei.
Ascoltavo rintoccare l’orologio della torre e ogni rintocco sembrava allontanarsi sempre di più, fino a divenire il suono di una voce piena di dolore e paura che chiamava il mio nome.
“Edward NO!” Sembrava dire la voce che mi arrivava come una supplica a rimanere dove ero. “Non farlo! Ritorna all’ombra.” Ma non potevo darle ascolto, dovevo continuare a muovermi. Non pensavo che avessi potuto sentire la mia voce interna spingermi a non andare avanti, ma non dovevo cedere sapevo che poteva essere solo il mostro che era in me a trarmi in inganno per non soccombere. Lo avrei ignorato ormai avrebbe dovuto sapere che non poteva più ricattarmi ed era stata proprio Bella a farmi capire quale poteva essere la mia forza. Avevo avuto paura del vampiro che conviveva in me, per un po’ ne ero stato anche sopraffatto e soggiogato dietro scuse meschine.
Il disgusto e la vergogna mi avevano tormento durante quegli anni infiniti, ma ora mi sentivo finalmente libero . Lo avrei annientato una volta per tutte. Sarebbe morto con me.
Mi mossi per compiere l’ultimo passo che mi avrebbe portato in piena luce senza lasciarmi alcuna via di scampo , quando accade l’inaspettato.
Ad un tratto dal nulla si materializzò tra le mie braccia la figura che avrei riconosciuto tra mille, che mi aveva fatto credere che il mio cuore potesse battere nuovamente. Non era possibile! Ero morto sicuramente e se la vedevo e la sentivo stretta a me quello doveva essere un altro posto. Non potevo credere che la morte fosse sopraggiunta così silenziosamente e senza nessuna sofferenza. Non mi ero accorto di nulla. Ma lei era lì e quella doveva essere l’unica spiegazione. Ero morto davvero.
Mi beai di quella sensazione e strinsi le braccia per sentirla più vicina. Se lei era lì e la potevo vedere quello dove mi trovavo ora doveva essere il paradiso. - Straordinario.- Mi lasciai sfuggire pieno di meraviglia.-Carlisle aveva ragione.- Sollevai una mano per sfiorare quel viso che mi era mancato tremendamente e socchiudendo appena gli occhi incredulo e meravigliato per quello che mi stava accadendo le accarezzai una guancia.
Non riuscivo a crederci.- E’ incredibile, sono stati velocissimi. Non ho sentito niente…che bravi.- Mormorai a me stesso chiudendo gli occhi e baciandole i capelli. - “ La morte che ha libato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto ancora sulla tua bellezza.”- Dissi mentre sentivo suonare l’ultimo rintocco. – Hai lo stesso profumo di sempre. Quindi, forse questo è davvero l’inferno. Non importa. Resisterò.- Ma fu a quel punto che ciò che non credevo possibile successe. La sua voce in preda al panico mi supplicava. Allora aprii gli occhi e la guardai.
- Non sono morta.- Diceva in maniera convulsa.- E nemmeno tu! Ti prego, Edward, dobbiamo muoverci. Ci prenderanno!- La sentivo dibattersi tra le mie braccia nel vano tentativo di spostarmi per riportarmi all’ombra mentre la guardavo accigliato, incredulo e confuso. In quel momento un fiume di pensieri ed ipotesi mi vorticarono nella mente. E non riuscendo a dare una spiegazione istantanea a quello che stava succedendo dissi solo:- Puoi ripetere?- Lei mi guardò negli occhi e non c’era dubbio che fosse proprio lei.
- Non siamo morti, non ancora! Ma dobbiamo andarcene prima che i volturi…- A quel punto un lampo di lucidità attraversò la mia mente e senza staccarla da me e lasciarle il tempo di dire altro, la trascinai lontano dal limite dell’ombra mettendola al riparo all’interno del vicolo e ponendomi dinanzi a lei con le braccia a cercare di farle da scudo. I pensieri di due delle guardie di Aro che stavano per sopraggiungere invasero la mia mente.




Ecco il momento cruciale che nel libro segna il ricongiungimento tra Bella ed Edward. Mi sono attenuta al libro anche questa volta.
Spero vi piaccia, se si ne sarò felice, ma se non sarà così mi piacerebbe saperlo per capire come avreste voluto che fosse. Un saluto grande a tutti coloro che seguono preferiscono e ricordano. Anche naturalmente a chi legge soltanto.


A tutti voi che avete recensito e che trovo con costanza alla fine di ogni capitolo continua la mia riconoscenza. So che non è sempre facile trovare il tempo di recensire, quindi a voi che lo fate un grazie speciale e di cuore per far sentire la vostra voce e tenermi compagnia in questo viaggio.
E’ bello vedere l’attenzione che ponete nel riferire dettagli della storia che vi hanno colpito suscitando il vostro interesse. Questo vuol dire che leggete con attenzione e vi appassionate a questa storia.
Credetemi quando vi dico che le vostre recensioni sono sempre fonte d’ispirazione per me che vengo costantemente assalita dal dubbio di rimanere o meno attinente e aderente al contesto narrativo e del personaggio.
Un saluto a voi tutti e un grazie infinito. Glance.


arte


Ninfea Blu


theangelsee69


sugar70


frate87


momo86

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Capitolo 19
*** CAPITOLO XVII ***







“Non rinunciare all’amore”. Una ragazza incontrata per caso in un bar lo aveva detto “quando incontri l’amore lo devi tenere stretto e lottare per lui”. Certo lei non poteva sapere di quella lotta che dovevo affrontare, di quel territorio sconosciuto e inesistente nel suo mondo dove io non sarei dovuto essere reale. Quanti erano ormai? Cento e più anni che calpestavo quelle bugie di cui era ricoperto il mio cammino.
Quello che di me mostravo era tutto un inganno. Quando menti da così tanto non puoi fidarti più neanche di te stesso. Io non mi fidavo di me. L’unica volta che non avevo mentito era stato quando avevo detto di amare lei. Bella.
Sentirmi leggero, normale e invidiato, passare fra gli altri e sentire che si domandavano come mai avesse scelto me.
Consideravo questo e un milione di altre cose quando arrivai davanti alla tavola calda e fui accolto dal lampeggiare delle macchine della polizia. Non fu difficile capire. Tra le menti dei presenti che si affollavano lì intorno leggevo che qualcuno era morto. Una ragazza.
“Omicidio” era la parola che mi giunse dai pensieri dello sceriffo.
Cercai di avvicinarmi mischiandomi ai curiosi.
- Non avevo mai visto una cosa del genere in tanti anni di questo lavoro.- Diceva un poliziotto.
Vidi una delle cameriere mentre veniva ascoltata tra le lacrime e in preda a tremori.
- L’ultima volta ho visto Carol ad un tavolo mentre prendeva un’ordinazione e poi più nulla. Non ricordo nient’altro.- A quel nome ebbi un sussulto. Era Carol, la ragazza che era stata gentile e cordiale con me la sera prima.
- Ricorda qualche particolare di chi era seduto al tavolo a cui Carol ha preso l’ordinazione?- Chiese il poliziotto. - Non molto. Non so…forse. C’era una ragazza dai capelli rossi che le chiedeva qualcosa.- La ragazza che lavorava con Carol non riusciva a smettere di piangere. “Una ragazza dai capelli rossi”, aveva detto. La mia mente venne squarciata da una certezza.: Victoria!
Cercai di farmi più vicino e raggiungere il nastro che delimitava la zona dove giaceva il corpo di Carol. Gli addetti dell’ambulanza l’avevano coperta con un lenzuolo. Ma anche se loro non potevano capirlo, Carol non era ancora morta. Ferma in quel luogo di confine, in quella zona di mezzo, e nella sua mente gli ultimi pensieri riferivano le parole che Victoria aveva voluto lasciare lì per me. “Lui ha preso qualcosa di mio e io gli porterò via qualcosa di suo, per pareggiare il conto”. Aveva pronunciato quelle parole in portoghese. Un chiaro segnale a seguirla sino in Brasile. Voleva essere lei a dettare le regole del gioco. Questa era l’eredità di James, quel modo di cacciare. Non si sarebbe divertita altrimenti.
Il corpo di Carol mi passò accanto ancora caldo e da sotto il lenzuolo scivolò un ciocca di capelli che istintivamente accarezzai, non visto. Avevano la stessa tonalità e consistenza di quelli di Bella e mi sentii folle di rabbia. Non l’avrebbe mai avuta, non glielo avrei permesso. Una ragazza innocente aveva pagato ancora una volta per ciò che io ero.
Carol era morta senza sapere, capitata per caso nel vortice di quella follia che mi portavo dietro e che voleva Bella a tutti i costi.
La stessa follia che mi aveva sfiorato la prima volta che l’avevo vista e che mi aveva perseguitato per giorni divorandomi e costringendomi a scappare.
La stessa follia che si era barricata dietro l’amore che provavo, che non mi avrebbe mai abbandonato.
Io e Bella non saremmo mai arrivati da nessuna parte, e quella era la sola verità che mi era concessa.
Le avevo ripetuto di non fidarsi di me, ma l’avevo guardata supplicandola di farlo.
E adesso quello sbaglio aveva portato anche a questo.
Victoria mi aveva voluto fare arrivare chiaro quel messaggio. Mi avrebbe portato via tutto ciò che di bello avrei incontrato sulla mia strada, fino all’apoteosi finale: voleva Bella per completare la sua vendetta. La notte scese e rimasi mischiato tra la folla fino a quando tutti se ne furono andati e mi ritrovai da solo nell’immenso parcheggio. La tavola calda era stata chiusa per permettere le indagini. Clienti e curiosi si erano lasciati quell’evento alle spalle. Ne avrebbero parlato per un po’, di come quella ragazza avesse trovato la morte in quel modo così violento e misterioso e poi avrebbero dimenticato.
Qualcun’ altro invece avrebbe ricordato all’infinito e non si sarebbe arresa se non quando avesse avuto la sua vendetta.
Cominciò a piovere portando via con se l’odore di morte che era rimasto nell’aria.
Tra le dita ancora la sensazione dei capelli di Carol. Cosa avevo fatto per meritare quell’inferno? Il peso di essere ciò che ero, la consapevolezza che pur essendo cambiato tutto per me, ormai era tutto distrutto, finito. Assaporare tutta la felicità e decidere di smettere di vivere per ridare a Bella la sua vita.
Mi sentivo impazzire di disperazione solo all’idea di poterla vedere come avevo visto Carol.
Avevo sbagliato, ma avrei riparato.
In macchina andavo verso l’aeroporto quando il telefono squillò.
Era Emmett. Ascoltai la suoneria a lungo prima di decidermi a rispondere. Non lo avrei fatto, ma quella sera avevo proprio bisogno di sentire qualcuno di loro ed Emmett era il più indicato.
Il suo essere diretto e realista era quello che mi serviva.
Non mi serviva essere compreso o consolato. Avevo bisogno della forza di mio fratello perché in quel momento io mi sentivo il più debole degli esseri sulla terra.
- Emmett.- Dissi lapidario.
- Cavoli, fratellino. Ti sei deciso a rispondere, finalmente. Come va la caccia?- Sorrisi. Mi mancava immensamente. Tutti loro mi mancavano.
- Sto andando in Brasile. E’ lì che è diretta.- Lo sentii riferire la mia risposta agli altri.
- Qui c’è una specie di consiglio di famiglia. Ti passo qualcuno?- Sospirai: dovetti fare forza su me stesso per rispondere.
- No, Emmett. Ma salutali da parte mia.- Lo sentii sospirare deluso.
- Come vuoi, Edward. Senti non c’è bisogno che ti dica che se hai bisogno non ci metto niente a raggiungerti.- Serrai le mascelle. Mi costava tenerli lontani da me a quel modo. - Ciao Emmett.- Dissi facendo una violenza su me stesso e interruppi la comunicazione. Avevo paura che mi riferisse qualcosa di Bella. A quel punto non sarei stato capace di continuare da solo e sarei tornato.
Nuovamente la mia meta era un aeroporto semi deserto.
Avrei preso un aereo nel buio della notte che mi avrebbe tenuto al riparo. Solo, come lo ero da un tempo infinito, solo come non mi ero mai sentito. Senza l’unica ragione che mi aveva ridato l’illusione di essere diverso e con la consapevolezza di aver perduto l’unica speranza che qualcuno come me avrebbe mai potuto credere di trovare ancora in un mondo dove ormai non dimorava nessuno significato. Ero un vampiro. Un vampiro che si era innamorato, che aveva creduto possibile trovare una strada per una normalità che non esisteva , che non sarebbe mai esistita. Un non morto, un non vivo. Qualcosa di oscuro, partorito dalle tenebre, terrificante e pericoloso.
In me per quanto facessi e mi sforzassi risiedeva l’essenza stessa del male. Anche se scappavo da me stesso, anche se non avrei esitato un attimo a smettere d’esistere niente avrebbe mai mitigato o cambiato la natura di quello che ero e questa era l’unica verità.
Quando atterrai in Brasile per me non fu insolito sentire quella lingua che conoscevo bene. Il portoghese lo parlavo come se lo fossi stato io stesso.
Avevamo lì una proprietà che Carlisle aveva regalato ad Esme: “Isola Esme” appunto. Dove si concedevano del tempo quando volevano stare da soli.
Lì potevano permettersi di godere del mare e del sole senza essere disturbati. La casa era vicino alla spiaggia e intorno una rigogliosa vegetazione. Ci sarei andato per cacciare era da troppo tempo che non lo facevo.
Fuori dall’aeroporto fermai un taxi e mi feci portare in una delle zone più infime, dove avrei preso un alloggio. Non avrebbero fatto caso ad uno nuovo. Nessuno avrebbe fatto domande e potevo sperare di trovare tracce di Victoria. Magari sarei stato facilitato dalla grande possibilità di passare inosservati che lei avrebbe sfruttato a suo vantaggio per cacciare.
Presi la stanza e aprii le finestre che lasciarono entrare l’energia vitale che era in strada. Certo non si poteva dire che le notti fossero silenziose. Era sempre un brulicare di persone che l’afa di Rio teneva in strada nella speranza di un po’ di refrigerio.
Fu gradevole sentire il vento caldo, questo clima sarebbe piaciuto a Bella. Lei non amava tutto ciò che era freddo e umido. Sorrisi nel ricordare quella conversazione, la prima dal nostro incontro iniziale.
Non amava tutto ciò che era umido ed era approdata a Forks dove era nata del resto e non amava tutto ciò che era freddo, però si era innamorata di me.
La mia Bella era una contraddizione vivente. Formulai quel pensiero e mi diedi immediatamente dell’idiota, lei non era più mia. Non lo sarebbe stata mai più. Ma era difficile non poterla pensare più così. Quello che sentivo per lei non sarebbe finito mai. Sarebbe stata mia sempre e comunque anche se lei ne sarebbe stata inconsapevole, anche se avrebbe creduto il contrario.
Quando l’avevo lasciata sapevo a cosa sarei andato incontro.
Solitudine, disperazione, rabbia. Niente che non avessi già provato, ma da cui questa volta non mi sarei allontanato mai più o a cui non mi sarei più rassegnato. La mia esistenza era stata stravolta da quel cambiamento che non avrei mai creduto possibile per me. Infinite aurore si sarebbero scolorite davanti ai miei occhi aridi come quell’esistenza che mi teneva prigioniero di me stesso.
L’avevo cercata e voluta, avevo sbagliato e anche se avessi potuto piangere non sarebbe servito adesso che i suoi occhi immensi mi esplodevano nella testa e che non potevo più accettare di vivere diversamente da come mi aveva insegnato a fere lei.
Avrei continuato a sbagliare all’infinito, pentendomi ogni istante l’avrei rivista tremante sotto il peso di quelle mie ultime parole d’addio.
Avrei voluto gridarle di non piangere che non ne valeva la pena, di non credere, che non aveva neanche idea di quale verità le stessi nascondendo. Io l’amavo e lo avrei fatto in eterno.
Il peso di quei ricordi mi spinsero fuori. La rabbia che sentivo crescere in me doveva essere placata e la ricerca di Victoria era un ottimo diversivo, ma sembrava inafferrabile e irraggiungibile, per quanto facessi.
Con il favore delle tenebre scesi in strada e quella notte il vampiro che era in me avrebbe setacciato l’intera città per trovare la minaccia che ancora incombeva sull’amore della mia inutile esistenza.
Perlustrai ogni vicolo, ogni anfratto di quel posto, arrivando la dove ogni speranza e illusione veniva infranta, dove anche io potevo non sentirmi diverso o peggiore.
Cercai e mi immersi tra tutti quei pensieri, ma di Victoria nessuna traccia. Cercai per giorni, settimane fino a quando la fame non cominciò a rendere difficile contenere le voglie del vampiro che in quelle notti calde e solitarie sfiorava con la sua presenza tutta quell’umanità.
Decisi di prendermi una pausa e di andare a caccia. Affittai una barca e raggiunsi l’isola Esme. Lì mi sarei dedicato un po’ a me stesso, non mancava certo la selvaggina.
La casa era immersa nel silenzio, ma il tocco di mia madre si percepiva ovunque. Lei era lì in ogni cosa e tutto me la riportava alla mente. Passando davanti ad uno specchio il riflesso della luna illuminò il mio viso e i miei occhi ormai neri come l’onice riflettevano quello che mi portavo dentro: il buio più assoluto.
Nutrirmi avrebbe ridato luce al mio sguardo e quella consapevolezza mi procurò una fitta di fastidio. Non volevo apparire diverso. In quel momento ciò che ero realmente era racchiuso in quello sguardo cupo e senza nessuna traccia di luce. Ma sapevo che dovevo assecondare quel bisogno che premeva in me, non era ancora tempo di lasciarmi andare.
L’alba mi salutò mentre il vento della corsa scivolava su di me e mi riportava nel fitto della vegetazione di Forks la prima volta che avevo mostrato a Bella il mio modo di spostarmi facendola stare male, quando osando oltre ogni prudenza mi ero spinto a sfidare il mio limite e l’avevo baciata e lei per tutta risposta invece di ritrarsi inorridita mi aveva quasi assalito nel ricambiare quel bacio.
Mi concessi due giorni nella solitudine di quel posto, con i miei ricordi. Nell’acqua del mare che sfiorava il mio corpo e dove immaginai che fossero le sue mani a farlo.
Due giorni dove agognai di poterla avere con me, di poter essere per lei solo un uomo. L’amore della sua vita, di poterla amare senza paura e pericoli, come uno qualsiasi, con naturalezza, potendo condividere attimi unici e irripetibili. Pensavo a questo mentre consideravo la possibilità che la pista che avevo poteva essere falsa ed architettata ad arte. In quei due giorni considerai l’ipotesi di tornare da Bella.
Bella mi mancava tremendamente e io non ero né così forte, tanto meno determinato come volevo raccontarmi.
Potevo mentire a tutti, ma non a me stesso. Non potevo resistere a quella tortura, non potevo stare lontano da lei.
Tutto quel tempo senza di lei, quella sofferenza, tutti i miei buoni propositi. Si erano frantumati.
In verità non avevo mai creduto veramente che avrei rinunciato a lei per sempre. Sapevo che non lo avrei fatto, infondo a me stesso lo avevo sempre saputo che sarei tornato e che in un modo o nell’altro l’avrei cercata nuovamente prima o poi.
Tornai ad assaporare il gusto della speranza. Sarei tornato, avrei supplicato, implorato di essere perdonato, Avrei messo da parte tutto dando voce solo al mio egoismo. Avrei gridato il mio amore per lei se fosse stato necessario. Avrebbe dovuto riprendermi, doveva farlo. Il mio amore non poteva essere quantificato con le semplici parole perché smisurato e avrei fatto tutto quello che era in mio potere pur di riaverla al mio fianco. Fu con quella nuova determinazione che tornai nella stanza fatiscente che avevo preso. Ma quello ormai non aveva importanza perché sarei tornato da Bella.
Non l’avrei mai più lasciata, perché quella era stata l’esperienza più atroce che avessi mai dovuto affrontare, anche più di quella della mia trasformazione.
Mi guardai attorno non avevo portato quasi nulla con me, e la cosa più importante era il mio cellulare da cui non mi separavo mai, anche se non lo avevo mai adoperato per chiamare. Lo fissai e in quello stesso istante il display s’illuminò e il trillo della suoneria infranse il silenzio di quello squallore, ma sentivo una ritrovata speranza in me e per la prima volata da mesi afferrai quel telefono senza incertezze, con fiducia e speranza. Volevo sentire la mia famiglia, la voce di mio fratello e non vedevo l’ora di dirgli che avevo deciso di tornare. Se non mi avesse chiamato lui lo avrei fatto io. Avrei chiesto a Emmett di venirmi a prendere all’aeroporto. Sapevo che non sarebbe stato da solo, ma poco importava. Non vedevo l’ora di chiedergli se aveva notizie di Bella. Sarei tornato perché più della paura poteva il dolore di stare separato da lei e da tutti loro. Ero stato un pazzo a credere che quella fosse stata la scelta migliore, avremmo trovato un modo per affrontare tutto il resto, doveva pur esserci una strada per noi una qualsiasi che poteva permetterci di stare insieme.
Presi il telefono senza esitare.
- Ciao Emmett. Avevo proprio voglia di sentirti.- Ma dall’altra parte la voce di Rosalie mi sorprese.
- Edward sono Rosalie.- Disse mia sorella. Di tutti era l’unica che non mi sarei aspettato di sentire.





Eccomi con un nuovo capitolo. Come sempre lascio a tutti voi che leggete, preferite, seguite e ricordate i miei ringraziamenti.
La mia gratitudine a chi lascia il proprio commento in maniera assidua e a chi invece è un nuovo arrivo. Grazie a:

Ninfea Blu


Cicciolgeiri


arte


theangelsee69


frate87


Sono sempre felice di trovarvi alla fine di ogni capitolo.

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Capitolo 20
*** CAPITOLO XIX ***







E’ meglio una fine disperata che una disperazione senza fine.
Se dovessi scegliere tra il tuo amore e la mia vita,
sceglierei il tuo amore.

(Jim Morrison)






Il mistero del suo cuore. Quel battito.
A volte calmo, a volte in tempesta.
Avevo letto dell’amore, lo avevo cercato tra le note di quella musica in cui mi ero rifugiato, ma non lo conoscevo. Sentirlo divampare, bruciare, quando lei mi aveva guardato negli occhi e assaporare all’improvviso il gusto della vita.
Come in quell’istante in cui avevo la consapevolezza che lei eri lì con me, tra le mie braccia. In quella confusione di sensazioni tremendamente contrastanti.
Vita. La mia vita, che tornava nel dolce alito del suo respiro, tra le labbra schiuse a sussurrare il mio nome.
Lei, solo e comunque.
Era dunque quello il mistero a cui avevo sempre anelato. Ogni sorriso che riusciva a strapparmi, ogni attimo che passavamo insieme, la sofferenza che alle volte imponeva una decisione, una scelta.
Io avevo creduto di poter scegliere e qualunque decisione alla fine grondava sofferenza, ma avevo finalmente capito che l’amore ti sceglie e ti sorprende all’improvviso, in qualsiasi momento, e ti raggiunge fin dove tu non pensi possibile possa arrivare, cambiandoti.
L’amore aveva accarezzato il mio cuore morto regalandogli un battito nuovo e ormai non potevo farne a meno.
Amarla sopra ogni cosa e continuare a farlo. Sperando che lei lo volesse ancora.
Difenderla a qualunque costo, sempre e comunque, al prezzo della mia stessa vita.
Sentire la sua mano bruciare sulla mia pelle. Quel tocco, la sensazione che mi dava era stato il ricordo con il quale mi ero nutrito tutto quel tempo lontano da lei.
Adesso era lì accanto a me, sentivo il suo respiro caldo sulle mie spalle nude, il suo cuore battere impazzito.
L’avevo tenuta nuovamente stretta a me, quando ormai pensavo di averla perduta per sempre. Era apparsa chiudendo nuovamente il cerchio, colmando quel vuoto che inesorabile si era spalancato fuori e dentro di me.
Un dono, una seconda possibilità, il miracolo in cui non avevo osato sperare.
Amore e vita erano nuovamente lì, pulsanti e tremendamente reali, con quel profumo e tutto quel calore racchiusi in un corpo fragile che non mi sarei mai stancato di tenere tra le braccia.
Fui grato persino di sentire la sete torturarmi perché era la conferma che lei era di nuovo lì accanto a me.
I miei occhi neri per la troppa astinenza dal nutrirmi l’avevano contemplata impedendo alle palpebre di battere per non perdere neanche per quei pochi istanti la sua immagine. Non potevo sopportare di non vedere il suo viso, mi era mancato tremendamente.
Ma su tutta quella insperata e ritrovata felicità incombeva un’ombra scura e minacciosa che ancora una volta io stesso avevo provveduto a regalarle.
Pochi attimi per assaporare, per capire che eravamo nuovamente insieme, che tutto era vero ed eravamo nell’occhio di un nuovo ciclone mille volte più potente di tutte le altre avversità che eravamo stati costretti ad affrontare. Paragonato a questo tutto il resto scompariva.
-Buon giorno, signori.-Cercai d’imprimere alla mia voce quella calma e quella tranquillità che non avevo.
- Non credo che oggi avrò bisogno dei vostri servigi. Vi prego soltanto per piacere di portare i miei ringraziamenti ai vostri padroni.- Le due figure si materializzarono dall’ombra e si palesarono avvolti da lunghe mantelle grigie.
Sentii Bella sussultare alle mie spalle.
Quel mio essere maledetto non faceva che ricadere su di lei.
Una nuova minaccia si stava per abbattere sopra l’unica ragione al mondo la cui vita valeva a dare senso ad ogni cosa.
Io per Bella ero una maledizione. Questa era una realtà. Tremenda, crudele, ma l’amavo contro ogni logica.
Quell’amore aveva annullato ogni mia volontà.
- Vogliamo continuare in un luogo più consono.- Un sussurro minaccioso s’insinuò nell’ombra di quel vicolo che vedeva tendersi ogni muscolo del mio corpo a frapporsi come uno scudo tra le due figure e la fragilità della mia unica ragione di vita. Non avrei permesso a niente e nessuno di avvicinarla, di farle del male. Ero pronto a tutto anche a sacrificare me stesso.
- Non credo sarà necessario.- Risposi ancora più teso.- Conosco le vostre istruzioni, Felix. Non ho infranto alcuna regola.- Quali fossero le loro intenzioni potevo chiaramente leggerlo.
- Felix allude alla vicinanza del sole.- Rispose un’altra voce più suadente, ma non per questo meno pericolosa.- Cerchiamo un riparo migliore.- Dovevo trovare un modo per allontanare Bella da lì.
- Vi seguo.- Risposi senza tradire alcuna emozione. – Bella perché non torni in piazza a goderti la festa?- Cercai nella voce un tono complice, d’intesa. Non volevo che si ostinasse a rimanere al mio fianco.
- No.- Sussurrò appena, in modo da rendere quella risposta udibile solo a me. La invitai a tacere. Sapevo quali fossero i reali propositi dei due scagnozzi di Aro.
Volevano anche lei, ma finché non lo avessero detto speravo in un ripensamento.
- No, la ragazza viene con noi.- Non avevano nessuna intenzione di lasciarla andare.
- Puoi scordartelo.- Risposi. Mi rassegnai al fatto che mi sarei dovuto scontrare con loro. Il mio corpo reagì automaticamente chiarendo le mie intenzioni.
“ Lei, mai.” E la mia rabbia era ancora rivolta al mio essere la causa di quel nuovo pericolo. Sembrava che la morte non facesse altro che lambirla. Ed io solo il suo strumento.
- Felix.- Disse la seconda ombra in tono più ragionevole ponendosi fra noi due. – Non qui.- Pronunciò voltandosi verso di me.- Aro desidera soltanto conversare di nuovo con te, se infine hai deciso davvero di non sfidarci.- L’altro, Demetri, che stava parlando ora con me, meno possente nella figura era uno che sapeva mediare, meno impulsivo, ma le sue reali intenzioni, non erano diverse e meno pericolose di quelle del suo compare.
- Certamente.- Risposi con fare deciso.- Ma lasciate libera la ragazza.- Era un gioco al rilancio, ma non mi illudevo, non avrebbero rinunciato così facilmente.
Tempo. Dovevo prendere tempo. Considerai come quella del tempo, l'idea di non averne a sufficienza, non mi avesse mai sfiorato in quei quasi cento anni. Adesso, invece, sembrava scivolarmi tra le dita insieme alla mia vita e a quella di Bella.
Sarebbe dipeso da me, da quanto fossi stato forte e veloce, da come avrei gestito il tutto e questa volta non potevo contare sull’aiuto della mia famiglia. Non ci sarebbero stati i miei fratelli a darmi una mano. Non avrei esitato, la mia vita per quella della persona che amavo sopra ogni cosa, ma dovevo avere la certezza di metterla al sicuro.
Nell’oscurità non visto feci scivolare una mano a cercarla. Sentii il suo tocco, quel tremore. Il contatto con la sua pelle morbida mi diede una scossa. Tra me e l’amore per Bella io sceglievo l’amore, avrei sempre scelto lei, comunque.
- Mi dispiace, temo non sia possibile.- La voce di Dimetri continuava nel suo tono cortese.- Dobbiamo obbedire alle regole.- Strinsi la mano di Bella e sperai che il suono del suo cuore si calmasse. Avrei voluto poter prendere su di me quella ennesima preoccupazione.
Allontanarla da quell’angoscia che ancora una volta a causa mia si trovava a patire. Quasi a volermi scusare silenziosamente con quel gesto di quello che aveva dovuto affrontare da quando io avevo incrociato il suo cammino e sperai che sentisse tutto l’amore.
Morire per lei, per qualcuno che amavo era l’unica maniera per me degna, che avrebbe dato un senso a tutto quel mio esistere. Adesso avevo un solo rimpianto, abbandonare quegli occhi scuri e la luce che sapevano riflettere - Allora temo che non potrò accettare l’invito di Aro, Demetri.-
- D’accordo.- Fu la risposta soddisfatta di Felix che risuonò nell’aria. Considerai che tra i due era lui quello più pericoloso. Mi ricordava Emmett nel fisico con cui non avevo mai vinto nei corpo a corpo.
- Aro sarà molto deluso.- Commentò sospirando Demetri.
- Sono certo che sopravvivrà al dispiacere.- Risposi mentre non potei evitare di pensare se invece Bella avesse potuto sopravvivere a questo.
Se fossi stato fortunato, se fossi riuscito a salvarla, avrebbe mai superato la mia perdita?
Non riuscivo a capire come fosse sopravvissuta al salto dalla scogliere. Ma era lì con me.
Rosalie era stata fin troppo chiara “E’ morta ti dico Edward” aveva detto con semplicità, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Bella lo aveva detto una volta e sembrava essere passata un’eternità d’allora. “Non posso pensare che qualcuno ti faccia del male”
Se allontanandola da me era arrivata a compire quel gesto estremo…non osavo pensare a come avrebbe reagito alla mia morte.
Sperai in Alice. Lei avrebbe visto e l’avrebbe aiutata. Questa volta non sarebbe stata da sola, ma dovevo fare di tutto per convincerli a lasciarla andare. Bella era legata a me e al mio mondo indissolubilmente, ne ero tragicamente e disperatamente cosciente, ma non mi volevo arrendere e dovevo trovare una possibilità seppur piccola, per strapparla all’oscurità che io conoscevo fin troppo bene nelle sue conseguenze.
Ero scivolato silenzioso nella sua vita, portandomi dietro la mia storia lontana, il mio essermi beffato della morte, adesso che arrivava a reclamarmi nuovamente non mi sarei tirato indietro.
Vidi le due guardie di Aro avvicinarsi all’imbocco del vicolo posizionandosi in modo da chiudermi ogni sbocco per tenermi al riparo ed evitare scandali.
Coperti dalle mantelle Felix e Demetri non correvano il rischio che la loro pelle venisse in contatto con la luce del sole, ma non mi mossi, non li assecondai. Sarebbe stato quello che doveva essere. La mia mente cercava di elaborare un modo per poter salvare Bella.
Quando ormai ero rassegnato all’inevitabilità dello scontro, mi arrivò la voce dei pensieri di qualcuno che conoscevo bene e che per un’infinità di ragioni adoravo. Mi voltai di scatto verso il vicolo da dove mia sorella Alice comparve all’improvviso.
- Vogliamo darci un contegno?- Esordì con la sua voce cristallina. Ero felice e al tempo stesso tremendamente angosciato. Avevo trascinato lì anche lei esponendola a tutto questo. – Non ci si comporta così di fronte a delle signore.- Disse mentre mi raggiungeva stando bene attenta a non tradire nessuna emozione. Sembrava minuta e fragile mentre camminava leggera lasciando penzolare le braccia snelle come una bambina.
L’apparizione di mia sorella fece irrigidire Felix e Demetri. Alice era giunta inaspettata e la sua presenza ci poneva in uno stato di parità che loro mal gradivano.
- Non siamo soli.- Disse Alice.
Il nervosismo di Demetri aumentò, si voltò per guardarsi alle spalle.- Avevamo attirato l’attenzione di alcune persone nella piazza.
- Ti prego Edward ragioniamo.- Disse scuotendo la testa.
- D’accordo. Ce ne andiamo subito, pari e patta.- Risposi facendo aumentare la sua irritazione. Sospirò.
- Lascia almeno che ne parliamo in privato.- Lo guardai serrando le mascelle.
- No.- Ribadii e vidi Felix sorridere, mentre nella mia testa esplodeva il rumore di un altro pensiero. Qualcun altro stava per unirsi a noi.
- Piantatela.- S’intromise di lì a poco una voce acuta e melodiosa. Felix e Demetri si calmarono e tornarono in penombra e io abbandonai la mia posa minacciosa.
- Jane.- Sospirai rassegnato mentre Alice incrociava le braccia al petto, impassibile. L'arrivo di Jane metteva fine a qualsiasi disputa. Mi sarei dovuto rassegnare a seguirli portando Bella con me.
- Seguitemi.- Ordinò con la sua voce infantile, si voltò e venne inghiottita dall’oscurità.






Altro capitolo. Mi scuso per l’attesa, ma gli impegni non danno tregua.
Come doveroso un grazie a chi legge, preferisce, sceglie o segue.
A chi continua a commentare come sempre tutta la mia gratitudine:

Ninfea Blu

Grazie infinite. Si la consapevolezza di Edward della scomparsa del suo amore è una realtà tremenda e difficile d’accettare per lui, ma le prove non sono ancora finite. E ancora una volta continua ad essere lui la causa dei pericoli che Bella si trova ad affrontare. Aspetto di leggere il tuo prossimo parere sul continuo di questa storia. Ciao. Glance

arte

Non so proprio come ringraziarti anche perché mi sei stata veramente d’aiuto per dare al passaggio che ti ha così colpito la sonorità che cercavo e che non riuscivo a trovare. Grazie e spero di non deluderti con il seguito di questa storia. Ciao. Galnce

theangelsee69

Felice di averti emozionata e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e ti abbia regalato qualcosa. Un saluto. Galnce.

bale86

Grazie per il commento, spero di non deluderti con questo capitolo. Aspetto un tuo parere. Ciao. Glance.

frate87

Eccomi con l’aggiornamento e ancora grazie per le belle parole che mi riservi ogni volta. Spero che anche questo capitolo sia stato all’altezza. Un saluto Glance.

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Capitolo 21
*** CAPITOLO X ***







Se esprimi un desiderio è perché hai visto una
stella cadere,
se vedi una stella cadere è perché stai guardando il cielo.
Se stai guardando il cielo è perché credi ancora in qualcosa.
(Bob Marley)



La notizia della sua morte era stato qualcosa che a parole non avrei mai potuto descrivere. L’istante esatto in cui la mia mente realizzava che non avrei mai più potuto guardarla, sentirla, toccarla…l’enormità di una disperazione senza confini.
Rivivevo con precisione ogni momento, ciascuna delle sensazione che si era impadronita di ogni fibra del mio corpo.
Ricordavo il mio sguardo rivolto verso il cielo in quella richiesta muta che non avevo il coraggio di pronunciare, “ Fa che possa raggiungerla, che possa andare da lei.” Un pensiero che nasceva senza controllo, senza volontà, dal profondo di quel me stesso a cui erano rimasti attaccati brandelli di un’umanità perduta per sempre.
Le camminavo accanto e la sentivo tremare di quella paura che tante volte avevo sperato e mi ero augurato per lei quando le rimanevo vicino per ore. Ma adesso mentre la stringevo a me nel timore che potesse cadere, lungo il tragitto verso qualcosa che la metteva e ci metteva tutti in pericolo, mentre mi potevo sentire accomunato dalla sua stessa sorte, vulnerabile quanto lei, non potevo non guardare il cielo e non sperare.
L’amavo così tanto..
Avevo ascoltato quell’amore diventare grande, invadermi fino a penetrarmi la pelle e stravolgermi con gioie immense e dolori insopportabili. Eppure anche adesso in balia di quell’ennesimo pericolo non potevo non considerare come per lei avrei attraversato all’infinito quella mia esistenza solo per trovarla, poter pronunciare il suo nome, sfiorare la sua pelle calda e poter ascoltare il battito del suo cuore.
Il suono della vita dimenticato nel silenzio dell’eternità. Guardavo il cielo e speravo.
Non volevo niente per me, avevo già tutto lì, tra le mie mani, non potevo chiedere di più, tutto ciò che desideravo era solo per lei.
Speravo che si fossero accontentati di prendersela con me, di punire solo me e lasciare lei salva. Avrei fatto di tutto, usato qualsiasi mezzo, accettato ogni compromesso pur di proteggerla.
Riuscire a convincerli.
La sensazione che il tempo sfuggisse. Ancora una volta, così tremendamente reale.
Avevo bisogno di tempo. Che paradosso.
Il timore di non averne e avvertirlo scorrere veloce dopo aver convissuto con la sua immobilità.
Quella strana processione procedeva mentre la mente di Alice mi rimandava i ricordi degli ultimi avvenimenti in cui potevo scorgere buchi neri nel quale Bella sembrava scomparire. Le immagini poi riprendevano nitide dal viaggio che le vedeva insieme tentare di raggiungermi.
- Be’ , Alice-, dissi spezzando il silenzio mentre continuavamo a camminare.- Immagino che non dovrei essere sorpreso di trovarti qui.- Attesi che mia sorella parlasse vestendomi d’indifferenza.
- E’ stata colpa mia.- Mi rispose con il mio stesso tono di voce.- Toccava a me cercare di rimediare.- Tacqui il tempo necessario per imprimere a quella conversazione un tono neutro, anche se la voglia di sapere e l’apprensione per quello che di lì a poco sarebbe potuto accadere mi soffocavano.
- Cosa era successo?- Chiesi infine continuando a mostrami poco interessato all’argomento e all’eventuale risposta. Dovevo mostrare tranquillità, che tutto quello non m’intimorisse. La sicurezza di chi parla per ingannare il tempo mentre attende di giungere a destinazione. Era fondamentale che rimanessi padrone di me per la buona riuscita del confronto che avrei dovuto sostenere di lì a poco.
- E’ una storia lunga.- Disse solo Alice, lanciandomi un’occhiata fulminea.- Per farla breve Bella si è data allo sport estremo ultimamente, si è tuffata da uno scoglio, ma non voleva suicidarsi.- Sentii il calore del corpo di Bella aumentare e intuii immediatamente di cosa era sintomo: era arrossita. Alice continuava a pensare che non aveva potuto vedere di più e avere la possibilità di capire perché c’era stata un’interferenza. Dopo il mio abbandono Jacob era diventato più assiduo nel frequentare Bella e passavano molto tempo insieme, fino a quando la comparsa di Victoria a Forks non ne aveva indotto la trasformazione in licantropo insieme ad un gruppo di suoi amici.
Non potei evitare di darmi dell’idiota per aver agito come avevo fatto. Da quell’essere assurdo quale ero avevo pensato che allontanandola da me le avrei evitato il mio mondo e i suoi pericoli, ma non avevo considerato l’eventualità di esporla a dei nuovi, come ad esempio una vampira assetata di vendetta e un giovane licantropo instabile con una cotta per la donna che amavo. Cercai di controllare la rabbia per non avere saputo prevedere tutto quello e per i morsi che la gelosia mi infliggeva - Mmm-, accennai e mi accorsi che dalla mia voce anche sforzandomi era scomparsa ogni traccia di disinvoltura. E istintivamente aumentai la presa sulla sua mano per rafforzare ulteriormente quel contatto. Avevo bisogno di sentirla mia, vicina, che ancora le appartenevo.
Le immagini di Jacob che supplicava Bella di non partire per venire in mio soccorso, il tono che la sua voce aveva mentre faceva quella richiesta, lo sguardo che potevo vedere dai ricordi di Alice mi rendevano furioso. Lui l’amava. “ Fallo per me Bella, non andare, non partire resta con me. Ti prego.” Diceva guardandola come l’avrei potuta e dovuta guardare soltanto io. Mi sentivo furente. Continuavo a pensare “ Lui la ama.” E un dubbio si insinuò in me mentre tenevo la sua mano nella semi oscurità di quei vicoli. E se lei non mi avesse voluto più? Se non mi avesse più amato? Cosa avrei fatto?
Era lì, era corsa da me e mi aveva impedito di portare a termine quel mio proposito, ma non voleva necessariamente significare che ancora mi amasse. Forse semplicemente non voleva essere responsabile della mia fine. La conoscevo, non avrebbe mai permesso che facessi qualcosa di sbagliato a causa sua. Mille domande mute, trattenute in gola senza potervi dare voce. Non era quello il luogo, né il momento, ma non potevo pensare che da lì a poco avrei potuto smettere d’esistere, che tutti noi saremmo potuti morire e avrei portato quel dubbio con me. Lei mi amava ancora? La sentivo incerta, prudente, sebbene sempre la stessa. La guardavo camminare insicura e spaventata e il solo supporre che non mi volesse più, mi terrorizzava ancor più del fatto che da lì a poco mi sarei trovato al cospetto dei reali che avrebbero deciso delle nostre vite.
Quando giungemmo all’imbocco del tunnel che ci avrebbe introdotti nella città sommersa dei Volturi la sentii trasalire.
- Stai tranquilla Bella-, dissi a voce bassa.- Ti prenderà Alice.
Mia sorella ci aveva preceduti all’interno seguendo Jane. Bella la chiamò con la voce che le tremava.
- Sono qui, Bella.- Le fece eco Alice dal fondo del tombino.
Le afferrai i polsi facendo attenzione a non farle male per aiutarla a penetrare nell’oscurità di quell’apertura angusta.
- Pronta?- Chiesi rivolto a mia sorella.
- Mollala.- Mi rispose Alice.
La lasciai cadere certo che Alice non avrebbe permesso si facesse un graffio, io le raggiunsi subito dopo.
Mi posizionai al suo fianco cingendola nuovamente con un braccio, esortandola a camminare.
La sentii aggrapparsi ai miei fianchi e inciampare di continuo durante il tragitto sulla superficie irregolare delle pietre.
Il rumore della grata che richiudeva il tombino risuonò metallico e come qualcosa di definitivo.
Il battito frenetico del suo cuore riecheggiava tra quelle mura insieme a quello dei suoi passi incerti. Felix e Demetri alle nostre spalle sospirarono d’impazienza per quell’andatura troppo umana che ci rallentava.
La strinsi di più a me e con la mano libera le accarezzai il viso e il contorno delle labbra. A tratti cercavo un contatto maggiore premendo il volto sui suoi capelli.
Quelle sarebbero state le uniche occasioni per ritrovarci insieme. La sentii stringersi più forte a me, forse solo perché pensava di essere la causa di tutto quello che stava capitando, ma non mi importava quali fossero le sue motivazioni. Le sfiorai la fronte con le labbra.
In quel momento mentre le cingevo i fianchi, le sfioravo i capelli e il calore della pelle del suo viso era nuovamente sotto le mie dita, sentivo di desiderarla come non mai.
La mia sete sempre lì, con la sua voglia insana da soddisfare, a far parte della nostra storia. Ma ormai solo una di quelle tante sensazioni che lei riusciva a scatenare in me. Non mi faceva più paura, non avrebbe mai più potuto interferire tra di noi, non sarebbe stata più l’ostacolo a ciò che provavo, l’impedimento a starle accanto.
La voglia di baciarla si fece prepotente, di indugiare finalmente sulle sue labbra senza temere per la sua vita, che il mio autocontrollo venisse meno. Volevo tutta la passione, la tenerezza che mi ero sempre negato. L’avevo creduta morta per ventiquattro ore e quello che avevo provato aveva ridimensionato tutto il resto. La mia sete, il suo sangue, quel profumo che mi stordiva, non avevano più alcuna importanza. La desideravo, senza limiti, disperatamente, oltre quello che ero, oltre ogni possibile logica che ci voleva diversi e contrapposti.
L’uomo a cui avevo cercato da sempre di rimanere aggrappato l’amava di un amore totale e incondizionato e aveva messo a tacere il mostro che era in me. Avrei fatto di tutto per lei, affrontato qualsiasi cosa e questa ormai era l’unica certezza, la sola verità. Quell’amore e il fatto che lo avrei sempre difeso a qualunque costo.
Avvertivo il suo terrore. Certamente avrebbe voluto sapere quale sarebbe stata la nostra sorte, ma tacque. Anche gli altri avrebbero ascoltato ogni suo respiro e ogni battito di quel cuore reso furioso dalla paura. Avvertivo nelle loro menti lo scetticismo. Non capivano come fosse possibile quello strano connubio, come facessi a starle così vicino e a resisterle, ad amarla e ad essere ricambiato. Quello per loro non era altro che un fastidio. Sentivo l’autocontrollo di Bella venire meno, avrebbe ceduto al panico e cercavo di darle coraggio non smettendo di farle sentire la mia vicinanza continuando ad accarezzarla.
Ad un tratto, man mano che procedevamo nel cuore profondo della città, la temperatura cominciava a farsi tropo fredda. I suoi vestiti erano ancora umidi dell’acqua della fontana che aveva attraversato per raggiungermi.
Tremava e cominciò a battere i denti. La mia vicinanza, il mio corpo freddo non le avrebbe giovato e mi allontanai tenendole solo la mano.
- N-n-no-, la sentii balbettare e si strinse a me in un abbraccio. Fu come se il mio cuore fosse tornato al suo posto e un languore invadesse tutto il mio corpo. Cercai di sfregarle le braccia con le mani nel tentativo di darle sollievo.
Quanto mi era mancata, quanto mi era mancato il suo corpo caldo, il potermi prendere cura di lei, preoccupandomi dei suoi bisogni. Il suo profumo, perdermi in quello sguardo dove ogni volta precipitavo in un oceano di sensazioni.
La mia esistenza così monotona e vuota prima di lei e poi dopo, quando l’avevo allontanata così stupidamente da me. Davvero, come avevo potuto pensare di poter essere capace di rinunciare a lei?
Non sapevo quale sorte avremmo avuto, ma volevo che mi perdonasse, dovevo poter avere il suo perdono, trovare il modo di spiegarle i motivi che mi avevano spinto a quel gesto.
Doveva sapere che ero pentito di tutto, ma che non mi ero mai pentito di amarla. Che la volevo come sempre, che le avevo mentito dicendole che non era adatta a me. Quella che aveva ascoltato era solo una tremenda e inutile bugia. Non aveva mai smesso di essere accanto a me, in ogni momento. Niente e nessuno avrebbe mai potuto prendere il suo posto. L’avrei scongiurata e poi sarebbe stato tutto quello che doveva essere. Continuavo a sperare di poterla salvare, farla uscire da lì, insieme a mia sorella.
Avrebbero preso solo me. Dovevano prendere solo me. Ad ogni costo. Avrei lottato con tutte le mie forze per garantire questo.
Quando giungemmo alla fine della galleria arrivammo davanti ad una porta più bassa fatta di sbarre; piegai la testa per oltrepassarla ed entrare in una stanza di pietra più ampia e luminosa. La porta si richiuse con un clangore seguito dallo scatto di una serratura. All’altro capo della sala era spalancata un’altra porta di legno massiccio e spessa, ne varcammo la soglia e serrai la mascella.
Bella era immobile e rigida al mio fianco e certamente non le sarebbe sfuggita quella mia reazione.
Cambiando ambiente lo scenario si modificò: divenne più luminoso, non più angusto, ma soprattutto più caldo e di questo me ne sentii sollevato per Bella. Avrebbe smesso di tremare per il freddo. Ma la mia espressione non mutò. Il mio viso continuava a rimanere contratto.
Lanciai un’occhiata torva verso la sagoma che vedevo accanto all’ascensore.
Bella sembrava essersi rilassata, ma io non riuscivo a farlo e mentre oltrepassavamo la pesante porta la trascinai con me. Alice la proteggeva dal lato opposto. La porta si richiuse alle nostre spalle pesantemente cigolando, accompagnata dal rumore di un chiavistello.
Jane aspettava accanto all’ascensore che teneva aperto con una mano. La sua espressione era apatica, ma nella sua mente potevo leggere quanto disapprovasse tutta questa situazione. Fosse dipeso da lei l’avrebbe già risolta, ma il rispetto e l’obbedienza ad Aro era tale da non permetterle di contestarne l’operato neanche mentalmente. Saliti in ascensore Felix e Demetri si rilassarono, pregustando ciò che sarebbe venuto da quell’udienza forzata. Sentii Bella stringersi a me. Non avevo smesso un attimo di massaggiarle il braccio nella speranza di tranquillizzarla senza mai staccare gli occhi da Jane. Era certa che da lì a poco tutto si sarebbe risolto ponendo fine a quel fastidioso contrattempo e si sarebbero potuti concedere la parte migliore dei festeggiamenti. Quel pensiero mi nauseò.
Il viaggio in ascensore fu breve, all’uscita ci accolse il sorriso gentile e il saluto della segretaria umana che lavorava per loro.- Buon pomeriggio, Jane.- Jane non la guardò, annuendo.
-Ciao, Gianna.- Sentii l’incredulità di Bella attraversarle il corpo. La esortai con lo sguardo a non fare commenti, le risposte che avrebbe ricevuto non le avrebbero risparmiato l’opportunismo che si celava dietro certe scelte. Nel nostro mondo non veniva concesso nulla a fondo perduto.
In quella che fungeva da sala d’aspetto trovammo ad accoglierci Alec, il gemello di Jane, che ci venne incontro salutandoci e poi si rivolse a sua sorella con un sorriso.
- Jane esci a prenderne uno e ne riporti indietro due…e mezza.- Precisò guardando Bella.- Bel lavoro.- Jane rise felice come una bambina. Quel suo aspetto stonava con la sua vera indole. Non aveva mai un tentennamento. Eseguiva gli ordini di Aro incondizionatamente. Era consapevole e fiera del suo potere, che esercitava traendone soddisfazione. Quello era il suo punto d’orgoglio, ciò che le permetteva di essere al centro delle attenzioni di Aro. Questo la metteva in una posizione di rilievo e privilegio nei confronti delle altre guardie. Jane agiva solo su ordine di Aro e di nessun’altro e i suoi pareri venivano tenuti in considerazione o almeno questo era quello che lei credeva.
- Ben tornato Edward.- Disse Alec rivolgendosi a me.- Mi sembri finalmente di buonumore.- Lo guardai senza allontanarmi da Bella, continuando a tenerla stretta a me.
- Un poco.- Risposi cercando di non tradire nessuna emozione.
- Questa sarebbe la causa di tutti i problemi?- Chiese scettico mentre osservava ridendo Bella aggrappata al mio braccio. Mi sentivo ribollire dalla rabbia, non sopportavo che la guardasse come se fosse insignificante e nient’altro che qualcosa che poteva servire ad altri scopi. Le immagini della sua mente erano fin troppo eloquenti e impressi al mio braccio una stretta maggiore come a volerla sottrarre a quelle fantasie. Lo guardai abbozzando un sorriso pieno di disprezzo e rimasi immobile. - Fatti avanti.- La voce di Felix alle mie spalle.Tranquilla. Mi voltai e dal mio petto risuonò un ringhio cupo. Mi sorrise e con l’indice mi invitò ad avanzare.
Sentii la mano di Alice sfiorarmi il braccio.
- Sii paziente.- Mi ammonì mentre i suoi occhi si fecero più intensi. “ Calmo Edward, non è il modo per cercare di risolvere la questione. Attaccarlo sarebbe un errore.” Sospirai distogliendo l'attenzione da Felix per tornare a guardare Alec.
- Aro sarà lieto di rivedervi.- Continuò Alec come se non avesse notato nulla.
- Non facciamolo aspettare.- Aggiunse Jane.
Annuii mentre i due gemelli mano nella mano facevano strada lungo un altro corridoio. Sentii Bella non reggere più a quella tensione e cedere quasi al pianto. La sospinsi al di là della soglia davanti alla quale ci eravamo fermati cercando di tranquillizzarla senza scioglierla mai dal mio abbraccio. Volevo mi sentisse vicino, che sapesse che era parte di me e che le appartenevo completamente.
Arrivati in un’anticamera poco ampia entrammo in una stanza cavernosa perfettamente circolare che non era vuota. - Jane, cara, sei tornata!- Esclamò Aro gioioso. Avvertivo tutto lo stupore misto a paura di Bella.
Aro scivolò accanto a Jane con quel suo fare bonario che nascondeva in se tanto di più di quello che voleva lasciare intendere con quei suoi modi. Voleva dare a quell’incontro la parvenza di qualcosa di gradito quanto atteso. Ma io sapevo che non era così, era una commedia e Aro il suo interprete consumato.
Il momento era giunto. Eravamo lì, in trappola, in balia degli umori di un manipolo di vampiri millenari, che guardavano con scetticismo impaziente a quella riunione, seguendo l’andamento che il capo di quella congrega decideva d’imprimere. Un preludio ad una conclusione già scritta. La potevo leggere lì, tra quelle menti che serbavano noia, apatia, indifferenza, risentimento.
Il capo, colui che nel mondo di Bella sarebbe stato un sovrano a tutti gli effetti, si avvicinò a Jane, le prese la testa tra le mani e le diede un bacio sulle labbra e poi fece un passo indietro. Bonario, protettivo, paterno, ma di tutti quei sentimenti nella sua mente non vi era traccia.
I suoi pensieri erano di curiosità. Un tratto che lo distingueva dal resto dei suoi simili.
Quanto mi sentivo diverso, seppure così uguale a tutti loro.
Come, inevitabilmente, non potevo sottrarmi a quel mondo che ci tratteneva tutti nel medesimo modo. Sulla loro pelle diafana, dura e al tempo stesso fragile, da sembrare possibile potesse sgretolarsi, le tracce dei secoli che li avevano visti passare indenni le porte del tempo. Io stesso non ero che quello e non sarei stato nient’altro se non quello. Un viaggiatore del tempo.
- Sì signore,- sorrise Jane e la sua voce spezzò il filo di pensieri antichi che avrebbero continuato all’infinito ad avere un presente a cui tornare. In un moto perpetuo, sempre uguale a se stesso, come l’onda che insegue la propria sorella sulla spiaggia e ritorna al mare nel ribollire della sua stessa schiuma.
- L’ho riportato indietro vivo, proprio come voi avete chiesto.- La vita per qualcuno può essere considerata un miracolo, per altri solo una magia e quell’esistenza per Aro non era che quello, nient’altro che una magia, solo, un po’ diversa da quella a cui apparteneva Bella, una magia che faceva funzionare il nostro corpo in modo differente. Un’immagine poetica che poco si addiceva alla mente calcolatrice ed esaltata del capo dei volturi.
Per tutto quel tempo avevo vagato nella notte della mia esistenza nella consapevolezza, di non appartenere più a niente di quello che poteva essere chiamato vita. Loro invece si consideravano vivi.
- Ah Jane, che conforto mi dai.- Rispose sorridendo affabile e serafico, ma senza riuscire a ripulire del tutto quel sorriso da un’espressione pericolosa.- E ci sono anche Alice e Bella!- Esultò battendo le mani. – Che lieta sorpresa, ! Meraviglioso!- Si comportava come se le conoscesse da tutta un’eternità, poi si rivolse a Felix-Sii gentile e annuncia ai miei fratelli che abbiamo visite. Sono sicuro che non resisteranno all’invito.- Lo aveva fatto apposta. Quell’allusione per saggiare la reazione di Bella e la mia. Trattenni un moto di rabbia nella consapevolezza che esternarlo avrebbe solo alimentato la sua soddisfazione, ma non potei impedire a Bella e al suo cuore d’accelerare. La paura amplificava il suo profumo. “Invitante” Pensò Aro e mi sentii tremare.
- Si signore.- Felix annuì e sparì dietro la soglia.
- Vedi Edward- Disse poi rivolto a me, con un sorriso e quel fare confidenziale come se fosse stato legato a me da una lunga amicizia.- Cosa ti avevo detto? Non sei lieto di non avere avuto ciò che mi hai chiesto?- Sapevo benissimo che quel comportamento non escludeva la possibilità che avesse dato seguito a quella richiesta in qualsiasi momento. Stava ancora valutando, vagliando l’eventualità di potermi avere tra le sue fila. Prima di decidere voleva anche sapere, conoscere i dettagli di quella strana unione, di cosa mi legasse a Bella e come fosse possibile che riuscissi a resistere al richiamo del suo sangue così forte, quando lui stesso era in difficoltà.
- Adoro i lieto fine.- Sospirò, mentendo spudoratamente.
Non erano certo quelli i lieto fine che prediligeva.- Sono così rari. Ma voglio sentire tutta la storia. Come è potuto accadere? Alice?- Si voltò verso mia sorella fissandola.- Tuo fratello ti credeva infallibile, ma a quanto pare c’è stato un errore.- Alice si mosse con il suo solito sorriso brillante, sicura e a proprio agio, ma notai che teneva i pugni stretti.
- Ah, sono tutt’altro che infallibile.- Disse.- Come hai potuto vedere tu stesso risolvo tanti problemi quanti ne creo.- Aro sorrise a sua volta.
- Sei troppo modesta.- Commentò.- Ho seguito certe tue imprese straordinarie e devo ammettere di non aver mai osservato doti come le tue. Meraviglioso!- Alice mi lanciò un’occhiata. “Gli hai detto?” Ad Aro non sfuggì quel nostro scambio muto.
- Scusa non ci siamo presentati, vero? E’ soltanto che mi sembra di conoscerti già e a volte mi faccio prendere la mano. Tuo fratello mi ha parlato di te ieri in maniera piuttosto singolare. Vedi ho un certo talento in comune con lui, ma purtroppo il mio deve sottostare a certi limiti.- Lo vidi scuotere la testa e un moto d’invidia lo pervase.
- Ma è di gran lunga più potente.- Mi affrettai ad aggiungere, rivolto verso mia sorella – Aro ha bisogno del contato fisico per ascoltare i pensieri, ma riesce a coglierne molti più di me. Come sai riesco a sentire lo scorrere dei pensieri. Aro percepisce ogni pensiero che la mente della persona abbia mai generato.- Alice alzò gli occhi verso di me e io la guardai furtivamente. “Essere adulato lo predispone favorevolmente”. Ma ad Aro non sfuggì neanche quell’ennesima occhiata.
- Ma sentirli a distanza…- Aggiunse.- Sarebbe davvero opportuno.- Ad un tratto altri due pensieri mi raggiunsero mentre tutti i presenti si voltavano verso la porta da dove scortati da Felix facevano il loro ingresso Marcus e Caius. Ora il gruppo era al completo.
- Marcus, Caius guardate!- Disse Aro suadente.- Infine Bella è viva, e insieme a lei c’è Alice! Non è meraviglioso?- Nessuno degli ultimi arrivati aveva intenzione di considerare la situazione meravigliosa e cedere all’entusiasmo di Aro. Anzi Marcus era annoiato da quella farsa che era costretto a sopportare da millenni, mentre Caius era infastidito, ma l’assenza di un interesse da condividere non scoraggiò Aro. Si voltò nuovamente verso di noi.
- Sentiamo la vostra storia.- Disse a quel punto esortandoci.




La frase " .- La vita per qualcuno può essere considerata un miracolo, per altri solo una magia ...una magia...che faceva funzionare il nostro corpo in modo differente." Prende spunto da TRUE BLOOD.




Capitolo un po’ lunghetto come l’attesa. Ho cercato di non spezzettare troppo questo momento, quindi se non vi piace come procede o dove s’interrompe basta che me lo diciate.
Saluto di cuore tutti quelli che seguono questa storia o la preferiscono o soltanto la leggono.
Per chi recensisce vi stringo forte in un abbraccio perché i vostri complimenti ed entusiasmi mi rendono felice,mi gratificano e mi invogliano a scrivere.


Ninfea Blu
07/05/10, ore 01:08 - Capitolo 20: CAPITOLO XIX

Non preoccuparti, il tempo è tiranno si sa e bisogna assecondarlo. Ma ti aspetto sempre con il tuo commento. Ciao


arte
03/05/10, ore 17:54 - Capitolo 20: CAPITOLO XIX

Dirti solo grazie forse è poco e banale, ma non saprei cosa aggiungere alle parole sempre gentili e di lode che hai nei miei confronti. I tuoi commenti mi fanno felice e mi commuovono. Ancora grazie e ti aspetto. Baci.


gnuoba
03/05/10, ore 01:09 - Capitolo 20: CAPITOLO XIX

Come già ti ho detto li da te non preoccuparti. Ti aspetto. Quando vuoi. Ciao.


bale86
30/04/10, ore 23:47 - Capitolo 20: CAPITOLO XIX

Hai ragione Edward sa che sarà difficile, ma spera, si perché con Bella è riuscito a fare anche questo. Sperare. Ciao.

theangelsee69
30/04/10, ore 14:07 - Capitolo 20: CAPITOLO XIX

Ti prometto che questi momenti ci saranno e non rischierai solo il diabete, ma anche qualche carie. Però dovrai aspettare ancora un pochino, perché seguendo i tempi del libro saranno quasi alla fine. Un abbraccio.


ANNALISACULLEN
30/04/10, ore 13:42 - Capitolo 20: CAPITOLO XIX

Ciao bello il nuovo account. Spero che il capitolo non ti abbia delusa, ma se così fosse fammi pure sapere cosa ne pensi. Ciao


Il mio grazie a tutte voi è doveroso, ma vorrei veramente con riconoscenza infinita dirlo a Theeangelsee 69
ed Arte
sia per le recensioni che per la segnalazione al sito per poter inserire questa ff tra le storie scelte.
Le motivazioni mi hanno commossa. E’ stato stupefacente leggerle.

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Capitolo 22
*** CAPITOLO XXI ***







La mia sola verità era stata il vuoto tra immagini mobili d’eternità.
Una gioia ritrovata mi colmava, ma ogni mio pensiero era afflitto da presagi di morte.
Sospeso nell’ansia di quel tormento, sentivo il mondo scivolare, ritirarsi, abbandonandomi in un nuovo niente sconosciuto, immenso e ancora più desolante.
Mi apprestavo a conquistare un’altra eternità.
Lei era accanto a me, ed io, nient’altro che un reduce con i suoi strani segreti, un pallido araldo, messaggero di sventure.
Un’altra volta impigliato in ciò che gli altri non avrebbero né visto, né udito mai.
Aro si mosse, scivolando verso uno dei troni di legno e Marcus porgendogli la mano gli si fece incontro.
- Grazie Marcus.- Disse Aro. – Osservazione interessante.- Nella mia mente arrivò la sorpresa di qualcuno cui l’amore era stato negato e che poi aveva finito per negarlo.
Cosa eravamo? Considerai. Mentre partecipe involontario di quella conversazione muta.
Nient’altro che creature passive che come nebbia scivolavano tra la vita con l’etereo disprezzo della morte. Questo il nostro ruolo. Ma alle volte succede che due mondi siano capaci di disperdere tutto quello che gli appartiene e quel che rimane é tutto ciò a cui si anela. Marcus lo sapeva. Conosceva quello che mi legava a quella fragile ragazza umana.
Marcus, lo aveva provato. Sapeva dell’amore, di quella dolce ossessione che ti stringe in un angolo mettendoti in disparte da te stesso e che, rende i suoi bisogni, i tuoi. Ciò che io tenevo per mano, oppresso dall’angoscia che mi venisse strappato.
Il vampiro dal volto annoiato conosceva, per averla provata, la stessa felicità e la stessa pena.
- Stupefacente.- Disse Aro scuotendo la testa.- Davvero stupefacente.- Vidi le loro mani allontanarsi e il viso del capo dei volturi brillare esaltato e sinistro.
I pensieri di Marcus, quelli che Aro decideva semplicemente di non prendere in considerazione per opportunità, urlavano nella mia mente.
Marcus e il suo bagaglio di dolore perduto tra i meandri di un tempo senza inizio ne fine. “Lei era mia per legge, Aro.” Pensò, versando lacrime immaginarie. “Quell’amore era mio per sigillo regale. Per questa prigione senza sbarre, tra visioni e divieti, per questa esistenza che nega una tomba. Lo avevi confermato, accettato e non avessi mai ceduto a quel tuo delirante contratto. Ora lei sarebbe qui con me. Mia, mentre fuggono le epoche.” Il suo rimpianto mi raggiunse.
Alice diventò impaziente, in attesa di una risposta.- Marcus vede le relazioni tra le persone.- Mi affrettai a dirle a bassa voce.- E’ sorpreso dall’intensità della nostra.- Aro sorrise continuando a rimestare tra quei suoi pensieri caotici.- Ce ne vuole per stupire Marcus, ve lo garantisco.- Un’ombra aveva accarezzato quel volto annoiato al nostro arrivo, risvegliando una nostalgia lontana e un nome mi era giunto appena come un sussurro, quasi un lamento. “ Didime…”
Il mio braccio allora scivolò andando ad avvolgere Bella e destando ancora una volta lo stupore di Aro.
- Ancora faccio fatica a crederci.- Commentò.- Come fai a starle così vicino?.- Non capiva come facessi a contrastare la mia voglia del suo sangue.
Ma come poteva capire la vita, il rimpianto come unico compagno, l’immortalità immensa da concepire. Come ciò che sapevo mi separava dal cielo, era quello che occorreva per l’inferno?
Un tempo, ero stato privato dei sogni e dell’amore. La vita stessa mi aveva rinnegato. E in quell’immobilità senza fine avevo trovato il mio riscatto.
Un sentimento immenso e disperato anche solo da concepire, aveva accolto il mio vuoto. Come un compenso al torto di un dono rubato.
Pensieri si stratificano in chi non può dormire, nell’oscurità silenziosa di una stanza dove lo spazio non ha un tempo da scandire, dove l’alba non porterà il sussurrò di ciò che potrà cambiare.
Come faceva a capire il vuoto di distanze, colmate da un attimo racchiuso in uno sguardo.
La cenere che aveva ricoperto anni infiniti spazzata via dalla mano che aveva versato acqua sul fuoco ardente della sete. Lo guardai .- Mi costa un certo sforzo.- Risposi cercando la calma in quelle mie parole.
- Eppure…è la tua cantante! Che spreco”.- Mi sentii stringere in una morsa di disgusto.
- Per me è il prezzo da pagare.- Risposi soffocando l’odio che provavo.
- Un prezzo molto alto.- Aro continuava a tenere lo sguardo fisso sulle proprie mani come chi valuta in maniera scettica.
- Ma equo.- Risposi deciso. Lo sentii ridere.
- Se non avessi sentito il suo odore nei tuoi ricordi, non avrei mai potuto credere che il richiamo del sangue potesse essere tanto forte. Neppure io ho mai provato nulla di simile. La maggior parte di noi darebbe qualsiasi cosa per un dono come questo, eppure tu…-
Eppure io… ero sopravvissuto non so come a tutta quella notte ricevendo la luce di un giorno nuovo, che aveva cambiato ciò che non poteva mutare, tratto in salvo su rive dove le mie tempeste si erano quietate.
Sentirmi ancora come vivo tra i vivi, come chi ha avuto condonata la propria pena, anche se la sua vera dimora continua ad essere tra i morti.
Il viso di Aro illuminato dalla brace del suo sguardo eccitato. Nella mente la frenesia di un sapore che conosceva bene amplificato dal mio ricordo. “ Che spreco.” Pensò.
E tu…in quella frase lasciata incompleta, riecheggiava il rimprovero di un nonno bonario che biasima il proprio nipote per il disprezzo verso qualcosa che è un privilegio non apprezzato.
“ E io…”
- Lo spreco.- La mia risposta sarcastica verso quei suoi pensieri, quelle considerazioni, che non facevano che accrescere la vergogna per ciò che ero.
Bella mi aveva portato il sole dell’estate che non faceva paura, che non mi costringeva a nascondermi. Piena di colori e profumi. La sua esistenza era la prova che avessi un universo.
Aro rise di nuovo.- Ah, come mi manca il mio amico Carlisle! Gli somigli molto…lui però non è così arrabbiato.- Stavamo tentando di spiegare l’uno all’altro ciò che era per entrambi incomprensibile.
- Carlisle ha molte più qualità di me.- Aggiunsi.
- Pensavo che nessuno potesse tenergli testa quanto ad auto controllo, ma tu lo superi, di gran lunga.- Il sapore di un successo come può sembrare più dolce a chi non lo ha conosciuto.
Chi è preda dell’arsura più crudele apprezza meglio un nettare. E la rinuncia per Carlisle era dissetante, soddisfacente.
Occhi vermigli per secoli avevano fatto sventolare i loro vessilli sul nostro mondo, ma nessuno avrebbe saputo conseguire il tipo di vittorie che aveva conquistato Carlisle.
- Non direi.- Risposi impaziente. Ero stanco di quei preliminari. Non sapere se di lì a poco avrebbe dato seguito a ciò che temevo. Sentii tremare Bella nell’attesa di quella decisione.
Per Aro la teatralità di ogni gesto era fondamentale al suo ruolo. Avrebbe continuato quella farsa fino all’epilogo finale. Ma ancora valutava indeciso sul da farsi. Mi voleva, voleva il mio potere e conoscere i particolari di quella strana unione. Due mondi inconciliabili che camminavano tenendosi per mano stuzzicavano la sua curiosità. Doveva sapere, prima di decidere. Il sangue di Bella, un richiamo troppo forte.
Temevo che il nostro cammino fosse segnato, ogni passo già deciso e nei mie occhi tornarono le immagini di una radura, mentre rifiorivano momenti che mi avevano strappato alla mia tomba.
Lo splendore della mia pelle sul suo viso che non si era mai macchiato di stupore.
Mi aveva colto come si coglie un fiore fragile, raro e prezioso.
Il suo fiore eterno.
Ad un tratto il crepuscolo con le sue profondità su quel prato.
Adesso la dolcezza di quei momenti scivolava tra il vermiglio degli occhi di Aro, accesi di tutto quello che non le potevo dire.
Strinsi la sua mano calda nella mia. Aggrappato ancora alla mia vita, perduta quando già mi sentivo in salvo.
La mente di Aro turbinava d’immagini dolorose per me d’accettare, le stesse che un tempo mi avevano reso loro ostaggio portandomi a fuggire.
Il capo dei Volturi valutava modi diversi per poter arrivare al sangue di Bella, non da ultimo la consapevolezza che questo avrebbe potuto causargli uno scontro inevitabile con me.
Pensieri indistinti cominciarono ad accavallarsi nella sua mente.
Le guardie su cui faceva affidamento per potermi tenere a bada.
I nostri occhi s’incontrarono e in loro la consapevolezza che io sapevo cosa avrebbe voluto fare.
Ma Aro era l’attore consumato, padrone della scena, che calcava da secoli come il protagonista indiscusso e indiscutibile.
Avrebbe continuato dando a tutto il tono della casualità, della conseguenza inevitabile che lui aveva già abilmente pianificato e manovrato a suo favore. In un modo o nell’altro avrebbe trovato il suo tornaconto.
Tornò a parlare senza mai cambiare il tono impresso dal nostro arrivo alla sua voce.
Bonario, paterno. Un assassino che ti guardava negli occhi volendoti far credere che era in pena per te.
- Sono soddisfatto del suo successo.- Commentò Aro.- Il tuo ricordo di lui è un vero regalo e devo ammettere che mi ha molto sorpreso. E’ incredibile quanto mi faccia…piacere, che sia riuscito a seguire una strada così poco usuale con risultati tanto positivi. Temevo che con il passare del tempo si sarebbe perso e demoralizzato. Mi prendevo gioco del suo desiderio di trovare qualcuno che condividesse le sue idee bizzarre. Eppure, chissà perché, sono lieto di essermi sbagliato.- Lo ascoltavo in silenzio, senza dare nessuna risposta a quello sproloquiare. Tutto nelle sue parole era volto a un fine.
- Ma un tale auto controllo da parte tua!- Sussurrò estasiato. – Non credevo che una simile forza fosse possibile. Assuefarti al canto della sirena, non una volta sola, ma tanto allungo…se non l’avessi percepito io stesso, non ci avrei creduto.- Il suo sguardo ammirato si posò su di me che inespressivo lo guardavo con nella mente un funerale, in mezzo a tutta quella gente che si muoveva silenziosa avanti e indietro assistendo a quella farsa, e più li guardavo, più non trovavo un senso. Quel rito al quale assistevo sembrava annebbiarmi la mente tra quello spazio col suo rumore di morte.
- Il ricordo di quanto ti affascini…- La voce di Aro giunse come un ghigno.- E’ tale da stuzzicare la mia sete.-Sentii il mio corpo tendersi aspettando solo di poter scattare. Quanta incertezza poteva esserci nell’unione del nulla con l’immortalità? Non riuscivo a vederne il limite. Tutto era retto da equilibri così fragili da poter essere inesistenti.
- Non essere inquieto.- Provò a rassicurarmi Aro. – Non le farò del male, ma sono molto curioso di una cosa in particolare.- Spostò il suo sguardo verso Bella per poi tornare a fissarmi.- Posso?- Chiese impaziente alzando una mano. Lo guardai impassibile. Il pensiero delle sue mani su di lei mi rendeva pazzo di rabbia. Ma cercavo tempo e lo assecondai.
- Chiedilo a lei.- Dissi solo.
- Ma certo, che maleducato!- Esclamò facendosi più vicino.- Bella.- E il suo sguardo ardente come brace indugiò sulla sua pelle candita e pensieri e voglie insane attraversarono ancora la sua mente. Ma continuava la sua recita di padre premuroso. Il compiacimento che cercava persino da se stesso era disgustosamente ingombrante.
- Mi affascina il fatto che tu sia l’unica eccezione al talento straordinario di Edward…è un avvenimento unico ed interessante! E mi chiedevo, visto che i nostri poteri si somigliano molto, se potresti essere tanto gentile da farmi provare per capire se anche per me costituisci un’eccezione.- Bella mi rivolse il suo sguardo terrorizzato. Avrei dovuto poterla allontanare da tutto quello. Ma non ero un supereroe, ero solo il cattivo che cercava di rinnegare come poteva la propria natura, e non seppi fare altro se non un segno d’incoraggiamento. Avrei permesso che la toccasse, e mi sembrò come una profanazione.
Fragile, indifesa, la vidi sollevare tremante la mano delicata per permettergli quel contatto. Senza volerlo anche se sapevo non le avrebbe fatto del male, smisi di respirare. Prima il dubbio e poi l’incredulità solcarono la sua mente. Mentre il mio viso impassibile si accendeva di compiacimento. La mente di Bella era inaccessibile anche per lui.
- Davvero interessante.- Meditava pensieroso. Per un istante rimase in silenzio. Guardai Bella lanciandole uno sguardo d’intesa.
- Non è mai accaduto disse tra se.- E in quel momento la mia soddisfazione si trasformò in terrore. Ci osservò e scosse il capo e l’incertezza più ostile della morte stessa tornò a squarciare il mio petto muto.
- Che sia immune ai nostri poteri? Jane…cara?- Un ringhio che racchiudeva in se il dolore della disperazione si liberò nell’aria. Mentre le mani di mia sorella scivolavano sulle mie braccia nel vano tentativo di trattenermi.
- No!- Urlai angosciato dal terrore, mentre vedevo Jane sorridere.
-Si signore?- La sentii rispondere mentre con lo sguardo inchiodavo Aro che voleva provare su Bella se fosse immune anche ai poteri della sua favorita. Lasciai la sua mano facendole scudo con il mio corpo e scagliandomi verso Jane. Ma con la stessa velocità che ha un pensiero di venire originato un dolore mille volte più potente di quello della trasformazione s’impadronì del mio corpo. Mi accasciai in terra preda degli spasmi. Completamente in balia di quella tortura riuscivo solo a sentire Bella urlare. Non capivo se stessero facendo anche a lei la medesima cosa.
- Basta!- La sentii gridare. Non riuscivo a parlare. Ripiegato su me stesso non c’era modo di contrastare quel dolore e poter capire cosa stava accadendo a lei. Ad un tratto tutto fu buio e il dolore terminò. Pian piano i sensi tornarono e riuscì a vedere in maniera chiara. Mi voltai a cercare i suoi occhi e li vidi colmi di terrore. Mi osservava stretta tra le braccia di Alice, salva. Non sembrava avesse subito quella tortura. La fissai per tranquillizzarla, sollevato.
- Sta bene.- Sentii dire ad Alice. E alzandomi in piedi tornai al suo fianco e mia sorella la riconsegnò al mio abbraccio.
La risata di Aro riecheggiò come un ghigno.- Sei davvero coraggioso, Edward, a sopportare in silenzio. Una volta ho chiesto a Jane di colpire anche me, per pura curiosità. Scosse la tesata ammirato. Il mio sguardo carico d’odio.
- E adesso cosa facciamo di voi?- Sentii Alice immobilizzarsi, diventare fredda pietra. Anche io non riuscii a muovere neanche un muscolo. Il momento che avevo temuto sin dall’inizio era giunto.
La mente di Aro, viaggiava tra le ipotesi di varie probabilità.
L’attesa tra quell’incertezza più ostile della morte.
Aro non riusciva a prendere una decisione. Avrebbe voluto che entrassi a fare parte della sua corte. Valutava.
All’incertezza non vi è limite.
Il tremore di Bella e il mio tentativo vano di tranquillizzarla.
Aro rifletteva combattuto tra la legge da dover fare rispettare e la sua passione di talenti da collezionare. Ero un trofeo troppo prezioso per dovervi rinunciare.
- Immagino che le possibilità che tu abbia cambiato idea siano minime.- Disse. E nella sua voce la speranza. – Le tue doti sarebbero le benvenute a corte.- Ero al confine tra due precipizi, due abissi, mentre nell’alto del mio cielo imperversava un uragano, ma m’imposi la calma che non avevo e scandii ogni parola. - Preferirei…di…no.- Ma Aro senza perdere la speranza si rivolse ad Alice.
- Alice, forse tu sei interessata ad unirti a noi?- Attese.
-No, ti ringrazio.- Rispose mia sorella.
Valutava. Aro. E l’ombra di un presagio si allungava per lambire la ragione di ogni mio gesto e parola in questo mondo. Si allungava a sfiorarla come ad annunciarle che presto sarebbe arrivata la notte. Dalla mia gola si levò un sibilo cupo e profondo.
- E tu, Bella?- Chiese Aro.









Eccomi nuovamente a voi. Nuovo capitolo. Spero vi piaccia. Credetemi ho fatto del mio meglio per rendere l’intrigo emozionale di Edward in quei momenti sicuramente non facili per lui.
Non so fino a che punto ci sia riuscita, ma questo spetta a voi giudicarlo.
Incrocio le dita e come sempre vi aspetto.
Ringrazio tutti voi che vi soffermate nella lettura di ciò che scrivo, chi in fine decide di preferire seguire o ricordare alcune delle mie storie.
A voi che mi fate compagnia con i vostri commenti e considerazioni, che ritrovo sempre alla fine di ogni capitolo, a chi si aggiunge come nuovo arrivo a tutti insomma indistintamente: Grazie. Per il tempo, la costanza, la competenza con cui commentate, ma soprattutto le parole d’apprezzamento. SIETE FANTASTICHE. Buona lettura. Baci. Glance.






Cicciolgeiri


Non preoccuparti, tranquilla. So che leggi e apprezzi quello che scrivo. Si hai ragione meglio tardi che mai. Baciotti. Glance.


arte


Ciao, aspetto sempre questi tuoi commenti. Mi piace leggerli, sono così curati e attenti. Queste analisi approfondite di ciò che scrivo, sono illuminanti. Credimi. Come sempre grazie per l’attenzione che poni nel commentare. Mi fa piacere che tu abbia colto i dettagli che ho voluto inserire. Del resto Edward è talmente complesso e profondo che non poteva non fare quelle considerazioni o non capire anche se solo dai ricordi di Alice i sentimenti Jacob. Grazie ancora. Glance.


Ninfea Blu


Che bello. Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto e che hai apprezzato la definizione con cui ho voluto identificare Edward. Del resto lo è un viaggiatore del tempo. Se non lui Chi? Ciao. Glance.


theangelsee69


Quando mi dite che l’Edward che descrivo è fedele all’originale, o che l’ho compreso talmente bene da dare l’impressione che sia lui a dire ciò che gli faccio dire, credimi, gongolo. Felice che il capitolo ti sia piaciuto. Ciao. Glance.


ANNALISACULLEN


Che bello quando mi dite che vi siete emozionate leggendo quello che scrivo. Spero di continuare a farlo. Baci. Glance.


giugiucullen


Ciao e grazie dei complimenti, ma siete voi fantastiche che lasciate i vostri commenti facendomi sapere quanto apprezziate il mio modo di scrivere. Felice di saperlo e spero di ritrovarti alle prossime letture. Baci. Glance.

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Capitolo 23
*** CAPITOLO XXII ***






Il ricordo di una sera in cui avevo osato rubare quello che mi era proibito.
La bellezza di una vita che dorme ignara e indifesa. L’avevo vegliata nascosto, invisibile tra le mie infinite domande, i mie timori.
Divorato dal bisogno di assecondare una natura da cui fuggivo da tempo immemorabile.
L’istinto che lottava contro ogni mia ragione, contro la forza di una razionalità che davanti a quel mistero che lei era veniva meno.
Notti dove rimanevo immobile, nascosto. Oscuro custode dei suoi sogni, appena bisbigliati tra quelle parole che contenevano frasi che mi raccontavano, che mi facevano richieste cariche d'aspettativa.
La luce del giorno mi aveva poi consegnato al suo sguardo e lei mi aveva guardato come si guarda un angelo. Con lo stesso stupore.
Un angelo della notte, vestito di tenebre: l’avvolgevo con il mio sguardo e nel mio abbraccio.
Perché aveva ricambiato quell’offesa con l’amore?
I suoi occhi increduli mi avevano riconosciuto, accarezzato, si erano poggiati su di me oltre la polvere di anni che mi erano scivolati addosso senza lasciare tracce. L’avevo presa tra le braccia e non ero fuggito e non era fuggita, mentre la bestia mai così feroce in me valutava mille modi per portare a compimento gli affondi sul quel fragile collo.
Contenevo, contrastavo.
Su ogni gioia il suo balzo sordo.
Invocavo quei morsi, morendo ogni volta, volendo su di me ogni castigo che venisse a soffocare quella voglia del suo sangue.
Il suo sangue che aveva reso il mio sguardo furente, lo stesso che ora mi rendeva forte.
La mia maschera che mi celava agli altri si era sgretolata sotto le sue dita.
Maledetto e ubriaco di lei.
Avrei continuato a camminare nel mio deserto, tra la mia rabbia, nel disgusto per me stesso, tra infinite menzogne. Quelle che lasciavo al mio passaggio erano orme insanguinate.
Le avevo spezzato il cuore pronunciando una bugia. La sua vita, la sua semplicità erano tutte lì soffocate da ciò che ero.
Per me non c’era vecchiaia, pericoli, il suo cammino ne era un percorso inevitabile.
Quanto ero stato stupido!
E tornavano ricordi di notti d’inverno, di strade che mi avevano visto ramingo. Senza sapere quale fosse la mia meta o il mio scopo, preda di ogni debolezza. Un cadavere che a sua volta uccideva.
Il mattino risorgeva sul mio sguardo smarrito e morto. Ricordi di un tempo in cui la mia vista mi restituiva i contorni sfocati di rosso di città sconosciute.
Non appartenevo più al mondo dei vivi, ma scavavo alla ricerca di una morale che alleviasse il mio supplizio. La luce si negava ai mie occhi, disertando il mio cielo e io solo una bestia che si aggirava in cerca dell’uomo che ero stato.
Nutrendo in me il desiderio di essere salvato.
Avevo avuto il dono del suo cuore, di giorni leggeri che non conoscevo e mai avrei creduto di percorrere.
La sorte di quel ragazzo che aveva perduto le sue lacrime, spento i suoi occhi e il battito del suo cuore, mi aveva tormentato.
La mia anima era morta, ma lei mi aveva rapito facendomi prigioniero del suo paradiso.
La sventura sembrava essere il mio solo oblio. Ma sarei potuto morire d’amore.
La mia noia indolente, tutti i fardelli, non sarei più stato capace di ricordarli con lei.
Ero stato prigioniero della mia ragione, senza conoscere la felicità di vivere le piccole cose assaporandole attimo dopo attimo.
La sua innocenza meritava di avere il tributo di lacrime da versare.
Con lei avevo creduto di intravedere la salvezza della felicità, ma la dannazione è eterna e non conosce redenzione.
Ingoiavo il mio veleno, la gola mi bruciava, la sete che mi stringeva in una morsa di dolore fino a soffocarmi era l’inferno, ma l’avrei affrontato per lei. La mia condanna, la mia pena eterna se serviva alla sua salvezza.
Avrei continuato all’infinito a scegliere la vita, la sua vita, sempre e comunque.
In quel mio inferno personale, in quella dannazione che sarebbe stata la mia eternità.
La vergogna, il rimproverarmi all’infinito. Errori che sarebbero tornati nello schermo dei miei occhi che le avrei celato, il mio essere ignobile e la mia rabbia.
Ma mai avrei permesso che mi venisse strappata.
Valutava Aro e la sua sete si sovrapponeva alla mia, così ugualmente intense, così inevitabilmente uguali. Le immagini della sua mente invasero la mia. Nei miei occhi il viso di Bella, snaturato dei suoi tratti, glaciale e granitico come il mio, come tutti loro.
I suoi occhi splendenti di vita, imprigionati nella trasparenza immobile del vetro.
Rossi, distanti e vuoti. Senza più un’anima da riflettere e raccontare. Come me.
“Ho sete, tanta sete.” Ripeteva la voce mentale di Aro a cui faceva eco quella del mio mostro.
Ma poi il ricordo dell’odore della pioggia sui suoi capelli, dell’erba sotto i nostri corpi, il chiarore della luna, e poi il suono di un campanile che rintoccava mezzogiorno.
L’orrore della mia stupidità che ci aveva condotti fin lì. Sentire la mia sete, subirla, non mi avrebbe più allontanato da lei.
Aro e quella sua richiesta che l’avrebbe resa schiava per l’eternità. Legata a quel mio mondo inesorabilmente, dove il mio egoismo l’aveva imprigionata.
Aro e quella richiesta che avrebbe comunque decretato una fine.
Ero immobile capace solo di emettere un sibilo sordo nell’attesa.
Io che non potevo più dormire, dannato e morto, che per il mondo non sarei dovuto esistere non riuscivo a descrivere neanche a me stesso i sentimenti che in quel momento si agitavano in me.
Non riuscivo ad articolare nessuna parola.
Paura. Era paura quello che provavo, di sentire le sue labbra emettere la risposta che più temevo.
Non potevo permetterle di accettare la desolazione di tutto quel niente. Non poteva dimenticare ogni umano dovere solo per potermi seguire nel tormento della mia esistenza.
Aro la forza della seduzione che sapeva parlare della morte teneramente.
Aro che si muoveva con la grazia della lusinga.
Era tutto lì nella sua mente quel nuovo scenario, io lo vedevo.
Fu Caius a spezzare il silenzio dell’attesa.
- Che cosa?- Chiese ad Aro. La sua voce quasi un sussurro, priva d'inflessione.
“Chissà poi cosa vuole, ma certo la sua esistenza non è scialba come la mia, per lui tutto è estremamente più interessante, migliore. Quando non si può morire, e non possiedi alcuna dote non ti rimane che il malumore con cui convivere.” Pensava Caius mentre ascoltava la risposta di Aro.
- Caius, non dirmi che non ne vedi le potenzialità.- Ribatté Aro affettuoso.- Non incontro talenti così promettenti da quando abbiamo trovato Jane ed Alec. Ti rendi conto di quali possibilità avrebbe se si trasformasse in una di noi?-
Le spalle di Caius si alzarono impercettibilmente mentre abbassava lo sguardo seccato. “ Non capisco, non ti capisco Aro.” Volò il suo pensiero e mi raggiunse mentre lo sguardo di Jane si accendeva indignato per il confronto. “ Non sono gelosa, non mi lascerà mai.” Pensava la piccola Jane.
La mia rabbia incontenibile ribolliva in me, nel mio petto, mentre aspettavo. Lei non poteva voler vivere come una sonnambula. Aveva diritto a vivere nel suo mondo reale, non poteva voler conoscere la miseria del mio. Ma ero in fin dei conti un essere egoista e per un attimo valutai i vantaggi se la sua scelta fosse caduta nel mio mondo.
Avremmo camminato insieme, avrebbe cacciato correndo al mio fianco, senza pensieri, senza sofferenze. Le stesse leggi avrebbero regolato le nostre esistenze. Condividendo, potendo essere me stesso, ascoltando i miei desideri, ricompensato dopo aver sofferto tanto.
Ma poi guardai gli anni di rimpianti sedimentati su quel mio cammino di speranze infrante. Conoscevo le conseguenze di ciò che ero, di quella scelta e non potevo volere questo per lei. Non potevo solo per l’egoismo di averla al mio fianco.
Non c’era un cielo per qualcuno come me, solo sofferenza e un’infinità di timori da poterle dedicare mentre una sete malsana mi scorreva dentro.
I ricordi di quando mi trascinavo tra vicoli maleodoranti tornò con il suo disgusto che stonava con la sua dolcezza mortale.
Mi odiavo!
E non avrei mai potuto in un modo o nell’altro smettere di farlo, per me, per lei, per tutto quello che avevo portato nella sua vita, per tutto quello che era sfuggito dalla mia, divorato dalla febbre e dal dolore in quell’infausto risveglio.
Ma l’amavo e questa era la sola realtà a cui credevo a cui avrei dato ascolto.
Un giorno sarebbe sparita con la meraviglia di aver vissuto. Avrebbe raggiunto il suo cielo.
Sarebbe scomparsa e a me sarebbe rimasta la storia di quella mia pazzia. Tra libri di letteratura fuori moda, ritornelli insignificanti che all’inizio avevano riempito notti di silenzi, mentre ascoltavo, fissandola, la vertigine della vita che non mi apparteneva più.
Lei sarebbe andata lontano nell’unico posto dove non avrei potuto raggiungerla.
Il suo amore mi aveva restituito al mio sonno, guardarla dormire, perso nel suo odore e nei suoi sogni.
Avevo giustificato i miei gesti con argomenti falsi, tra allucinazioni di realtà di mostri, ma invidiavo ciò che era innocente, il sonno di chi poteva sognare.
E poi era arrivata lei e il mio addio al mondo, al tempo, lo dimenticai.
La mia eternità sarebbe stata troppo immensa senza di lei. Non ci sarebbero state più voglie, più nulla e sarei sparito, nel nulla che mi aveva generato.
Ma adesso era lei ad avere cura della mia vita e io mi sarei preso cura della sua.
Lei mi aveva rapito nella mente e nel corpo annullando ogni sforzo. Tutto ciò che sarebbe venuto d’ora in avanti non sarebbe costato alcuna fatica.
Lei era la mia anima, splendevo della sua luce.
- No grazie. – La voce che era la melodia della mia vita suonò in quel luogo in un sussurro appena udibile, spezzato dalla paura.
Il mio sollievo e la mia angoscia, il sospiro di Aro.
- Che peccato. Che spreco.- Il pericolo spalancò le porte del terrore, la somma di giorni, i più tristi che avessi mai potuto ricordare di avere avuto salutarono la fine che sentii vicina, e fu come essere preda di una indicibile debolezza, relegato senza speranza ai confini di quel mondo d’ombra fatto di ombre che mi avrebbe dato la giusta fine, che non potevo accettare per lei.
Cercai nella mia mente una via d’uscita, dovevo sviare l’attenzione da lei.
Averla incontrata era stato come fare un tuffo in acque limpide, lavato dal lerciume di quell’esistenza dannata. Mi aveva dato per destino la felicità, e io in cambio rimorsi e scuse.
La mia esistenza troppo immensa, la sua vita forte di ogni bellezza, i morsi di una felicità troppo dolci da potervi rinunciare.
Sentivo approssimarsi l’ora della fine e cercavo una fuga da quella situazione, dal mio passato che interferiva nel presente. Non potevo rinunciare, dire addio a tanta bellezza.
Avevo avuto ragione di provare il disprezzo che sentivo. Soltanto il giorno prima il cielo sopra di me aveva ascoltato i miei sospiri rassegnati che non mi abbandonavano ancora.
Quanti dannati aveva osservato costretto a guardare tra una carità che era morta.
Il tempo era passato e ci conoscevamo tutti.
Facevamo ribrezzo, ma eravamo beneducati, corretti nelle relazioni con la gente e questo già poteva lasciare interdetti e far stupire. Non creavamo disordine ma eravamo distanti da tutto ciò che era eletto, nessuna benedizione solo ringhi di falsi prescelti da avvicinare con coraggio e umiltà i soli eletti del nostro mondo e non ci avrebbero benedetto.
Cercai in me ancora una volta la ragione, tra il malessere che si originava dal non essermi immaginato per tempo in quale guaio saremmo potuti finire.
La colpa era mia e mi sarei accusato di tutti gli sviluppi che ne erano scaturiti.
Non pensavo di fuggire alla mia condanna quando parlai, ma piuttosto di evitare il peggio per lei e mia sorella. Avrei parlato alla razza antica cercando l’incongruenza delle loro leggi , non mi sarei dato per vinto. Al di la della notte sfuggiva la mia ricompensa ad un futuro eterno, avrebbero fatto a meno di me.
Una volta avevo avuto una giovinezza, amabile ed eroica tutta da scrivere. Per quale delitto o errore mi ero meritato quella sfortuna, la debolezza di quel momento?
Come era possibile che si pretendesse che le bestie scoppiassero in singhiozzi di dolore, che i morti avessero brutti sogni? Non trovavo la logica di una spiegazione e forse oggi sarebbe terminata la relazione con il mio inferno quello più antico che mi aveva aperto le porte.
Avrei fatto parte di quei corpi morti che sarebbero stati giudicati. Avevo cercato d’inventare nuove possibilità, chiesto perdono per essermi nutrito di menzogna anche se venni ingannato a mia volta.
La severità di questa nuova ora stava per approssimarsi. La mia gola sibilò.
La proposta è “unitevi a noi o morirete”, vero? L’ho capito appena siamo entrati e tanti saluti alle vostre leggi-. Gli occhi di Bella si fissarono su di me, sulla mia furia.
Cercavo le parole da dosare con cura.
La severità di un giudizio, della sentenza si approssimava come un’ora nuova sul quadrante di un orologio. Avrei stretto a me quella nuova realtà dell’inganno che non conosceva carità, che era per me sorella della morte.
Forse prima mi sarebbe stato concesso di chiedere perdono per la menzogna che ero, tra l’assenza di mani amiche che non mi avevano soccorso.
Ma avrei cercato fino alla fine una vittoria, mentre digrignavo i denti. La mia mente avrebbe accantonato i suoi ricordi immondi, dileguato i miei ultimi rimpianti.
Aro placò i suoi sospiri ammorbanti guardandomi perplesso. - Ma certo che no, eravamo qui riuniti Edward, in attesa del ritorno di Heidi. Non di voi.- Fuori l’approssimarsi della sera e io che cercavo solo vendetta, ma dovevo mantenere la calma e la lotta dentro di me era furente, mentre la tenerezza per lei incontenibile.
Continuava a guardarmi con lo sguardo dilatato dalla paura. Io conoscevo l’inferno e vi avevo condotto tenendola per mano anche lei, mi ero sentito autorizzato a possedere un’anima e un corpo con la sua verità di vita.
-Aro.- Sibilò la voce di Caius.- La legge li reclama.-
Nella grande piazza di quel borgo vociare di fanciulli, tra il rintocco del campanile che mi aveva visto luminoso. Lo sventolio di drappi rossi, le salite che avevano accolto la corsa di Bella, la sua tristezza. Il mio sguardo si posò su Caius incenerendolo.
- Spiegati.- Gli dissi non appena la sua idea si fu placata. Volevo che gli altri sentissero.
Caius la indicò con un dito scheletrico.- La ragazza sa troppo. Le hai rivelato i nostri segreti.- La voce sottile. “ Lei è già morta perché ostinarsi in questa farsa”. Nubi si addensarono sulla mia eternità, su quel mare di lacrime da non poter versare che ricordavo calde come lei. Quella era la fine del mondo lontano anni luce dalla mia casa, dalla mia famiglia in una città mostruosa di una notte senza fine.
ma in quell’ora di amarezza sembrò aprirsi uno spiraglio. Raccolsi su di me brandelli di una calma che andava cadendo a pezzi.
- Eppure mi sembra che nella vostra combriccola ci siano altri umani.- Precisai. Il mio pensiero volò a Gianna e ne feci chiaro riferimento.
Sul volto di Caius apparve un ‘espressione nuova. Forse era un sorriso. Il principe era irritato.
-Sì.- Confermò.- Ma quando non ci sono più utili, diventano fonte di sostentamento. E tu non farai altrettanto con lei. Se rivelasse i nostri segreti, saresti pronto a distruggerla? Credo di no.- Disse.
E il tempo degli assassini scese sulla sua voce.
-Io non…- Le parole di Bella e lo sguardo di Caius a fulminarla.
-E non sei nemmeno disposto a trasformarla in una di noi.- Proseguì estasiato nel pregustare l'imminente distruzione.-Perciò lei rappresenta un punto debole. E'la sua vita che reclamiamo voi potete andare se lo desiderate.- L'estasi della distruzione, il nutrirsi della crudeltà che sentii arrivarmi dalla sua mente.
Il mio ringhio venne a scoprirmi i denti.
Quell' amore, la mia felicità indicibile da non riuscire ad essere sopportabile. Un amore che nei romanzi che lei amava leggere annientava come poteva non morire? Dunque saremo morti insieme, se fosse stato inevitabile. Diedi fondo a tutte le risorse, scandagliai quelle menti alla ricerca di un punto debole, una falla che mi desse una possibilità.
Dovevo essere un maestro che sapiente suonava la sua musica.
-Come pensavo.- Disse Caius e fu un lampeggiare di occhi. Felix si fece avanti impaziente. -A meno che...- Aro con le sue pose di falsa tenerezza lo interruppe. La piega della discussione sembrava non soddisfarlo.
- A meno che non sia tu stesso a darle l'immortalità.- Le mie labbra si corrugarono nell'attimo d'esitazione che ne seguì. Avrei voluto nuovamente le mie lacrime a bagnarmi gli occhi, poter sentire il mio cuore battere furioso di rabbia. La chiave per aprire le porte di quella prigione stretta nelle mie mani. Con le spalle al muro senza via d'uscita. Davanti a me la bellezza di una vita e la morte con il suo sibilo a cui sottrarla.
Sentire la sua pelle rabbrividire. Pensieri si susseguirono veloci. L'angoscia per ciò che avevo sempre temuto, da cui avevo sempre cercato di difenderla: diventare come me, parte del mio mondo. Una voragine mi si aprì davanti . Non avevo scelta, ma se avessi giocato d'astuzia forse...
-E se lo farò?- Avevo trovato l'amore e come un gentiluomo di un tempo lontano che mi aveva visto parte di se dovevo trovare il modo di proteggerla. Mettere da parte rimpianti e commozione. Accettare solo per uscire da lì, portarla in salvo, lontano.
Aro sorrise e in me s'insinuò lo scetticismo che si tramutò in certezza quando lessi nella sua mente le sue intenzioni. “ Dovrai promettere e mantenere. Non ci saranno seconde possibilità”.
Se lo farai, vi concederemmo di tornare a casa e di salutare il mio amico Carlisle.- La frustrazione sul mio viso.
Ma temo dovrai impegnarti con una promessa.- Ed ecco nuovamente il tempo degli assassini, ciò che ero, a cui appartenevo. Quel tempo che mi camminava incollato addosso farsi incontro con la sua mano da immortale sollevata, ero quello, uno di loro e ciò che erano sarei diventato, ma poi era arrivata lei e tutto era cambiato. Mi fissava Aro con il sorriso della vittoria di chi ha circondato la propria preda in un abbraccio senza speranza. Le mie labbra rigide e il viso cupo di Caius che si rilassava. Una smorfia che incontrò lo sguardo implorante di Bella.
Prometti.- Sussurrò. - Ti prego.- Come poteva pregarmi per ottenere l'accesso a quel mondo.
“Come puoi volere che ti faccia questo amore mio?” La guardavo con tutta l'angoscia che l'intero mondo poteva essere capace di contenere, mentre nei miei occhi scorrevano le immagini degli unici ricordi che ormai sentivo di possedere. Le nuvole delle mattine di Forks, il sapore di baci tra la sofferenza e la paura di un solo errore che le sarebbe costato indicibilmente, il suo profumo, la nebbia di quella che adesso consideravo casa che non pensavo potesse mancarmi, la devastazione del primo incontro in un'aula dell'ennesima scuola, la pioggia umida, fredda, che lei proprio non riusciva a sopportare. Quella confessione innocente fatta proprio a me.
A quel punto Alice con le immagini che tante volte avevo visto scorrere, mi sollevò da quella promessa.
Si fece avanti e si avvicinò ad Aro tenendo la mano alzata. Ci voltammo verso di lei. La guardai muoversi portatrice di ritrovata speranza.
Non disse nulla e Aro allontanò le proprie guardie, che nervose avevano fatto già un passo verso di lei. Le si avvicinò prendendole la mano con una luce curiosa ed impaziente negli occhi.
Osservavo mia sorella e quello che dei suoi pensieri conoscevo già, osservavo la morte senza lacrime avanzare verso di lei con la mente aperta ad ogni possibilità, osservavo il mio amore disperato e bellissimo.
Le mani di Alice tra quelle di Aro, il suo viso chinato su quell'intreccio gli occhi chiusi per concentrarsi. Mia sorella ferma ed impassibile al contrario di me che non potei evitare di far scattare i denti. Nessuno osava muoversi. Aro sembrava immobilizzato mentre immagazzinava pensieri e ricordi e visioni di futuro. Ad un tratto la sua risata soddisfatta nella sua decisione.
E' stato davvero affascinante.- Alice Abbozzò un sorriso, Bella tornò a respirare io ad avere la mia vita nuovamente al sicuro tra le mie mani.
Sono lieta che ti sia piaciuto.- Aro era strabiliato, dal potere di Alice. Ignorava che qualsiasi cosa poteva intervenire a cambiare quello che aveva appena visto, ma questo era un bene lo avesse ignorato.
Che gran cosa vedere ciò che hai visto...specialmente gli eventi che non si sono ancora compiuti.- Scosse la testa sbalordito.
Ma che si compiranno.- Precisò calma Alice.
Sì, sì, ormai è tutto chiaro. Non c'è alcun problema ne sono sicuro.- La delusione di Caius era pari a quella di Felix e Jane.
Aro!- Esclamò, nervoso. Ma Aro pensava alle opportunità di quella scelta.
“Talenti!” La sua mente ripeteva. “ Strabilianti, assolutamente necessari.”
La sua passione la nostra salvezza.
Caius, mio caro.- La sua risposta accompagnata da un sorriso.- Non essere impaziente pensa alle opportunità! Non si sono uniti a noi oggi, ma ci resta la speranza per il futuro. Immagina quanta gioia potrebbe portare la giovane Alice, da sola alla nostra piccola famiglia...e poi sono curiosissimo di scoprire cosa diventerà Bella.- Non riuscivo a tollerare di sentire il suo nome pronunciato dalla bocca di Aro che non si rendeva conto di quanto relativo fosse quello che aveva visto.
Perciò ora siamo liberi di andarcene?- Chiesi più sollevato dalla certezza che quella decisione non sarebbe cambiata. Sì, sì.- Rispose.- Ma vi prego tornate a trovarci. E' stato davvero incantevole!- Era euforico e trionfante il capo dei Volturi.
E noi ricambieremo la visita.- Promise Caius, più lucido di Aro. Gli occhi sbarrati come lo sguardo di un rettile.- Per assicurarci che avrete rispettato le decisioni. Fossi in voi non attenderei troppo. Non diamo mai una seconda opportunità.- Serrai le mascelle annuendo. Caiuis non possedeva talenti di lettura del pensiero o preveggenza, ma intuiva che avrei fatto di tutto per non dare seguito a quell'accordo. La cosa importante in quel momento però era solo uscire da lì e al più presto. Tornò a sedersi vicino a Marcus immobile e disinteressato.
Il disappunto di Felix si palesò in un ringhio.
Ah, Felix,- disse Aro sorridente e divertito,- Heidi sta per arrivare. Abbi pazienza.- Sapevo che da lì a poco si sarebbe consumato l'ennesimo scempio di vite e non volevo che Bella si trovasse lì. Dovevamo andare via subito.
Aro ci pregò di attendere che fosse calata la sera prima di uscire dal palzzo, poi rivolto a Felix si fece consegnare la mantella e me la porse. La indossai.
Ti sta bene.- Sospirò Aro. Trattenni un ghigno.
Grazie, Aro. Aspetteremo al piano di sotto.- Mi voltai e circondai i fianchi di Bella con un braccio mentre Aro ci salutava.
-Andiamo.- Dissi chinandomi ed esortandola a camminare, mentre Alice la proteggeva dall'altra parte. Mia sorella mi guardò con un'espressione rigida sul volto.
-Non siamo stati abbastanza veloci.- Mormorò. Annuii preda dell'angoscia. Di lì a poco si sarebbe consumata una tragedia e non avrei potuto risparmiare Bella da quell'orrore. Istintivamente la strinsi al petto e con lo sguardo cercai il primo spiraglio utile che mi avesse permesso di allontanarla da lì in fretta, ma era tardi la comitiva di turisti che avrebbe fatto da pasto accompagnata da Heidi a cui aveva fatto riferimento Aro ci passò accanto. La sua voce melodiosa ad accoglierli. Non fu difficile per Bella capire quale sarebbe stata la sorte di tutte quelle persone. Il suo viso era terrorizzato e le lacrime le inondavano gli occhi. Accelerai il passo costringendola a correre, ma non fu sufficiente, da lì a poco iniziarono le urla.



Eccomi con un nuovo aggiornamento. Spero vi piaccia.
Come sempre il mio grazie a chi segue, legge , preferisce e ricorda.
Questo capitolo ha preso ispirazione da una delle mie letture “ Arthur Rimbaud e per il precedente da Emily Dickinson”

A voi che avete lasciato la vostra opinione un abbraccio forte.



Ninfea Blu

Ciao. No, non sbagli il capitolo è meno diretto perché secondo me il momento lo richiedeva. Edward ascolta, valuta, fa riferimenti e comparazioni. La capacità di pensieri simultanei in questo lo aiuta. Può perdersi nei suoi percorsi mentali e contemporaneamente cercare di capire la situazione. Ti confesso che invece è un discorso a parte entrare nella mente di Aro. NO, non è facile scandagliarla. Spero di essere riuscita almeno in parte a farlo e a rendere l'idea del momento particolare. Mi fa piacere ti sia piaciuto. Speriamo ti coinvolga anche questo. Baci. Glance.


arte
Come sempre grazie dell'attenzione che poni nel commentare. Sono lieta che continui ad apprezzare e che come ho delineato gli altri personaggi ti sia piaciuto. Non è stato un lavoro facile da fare specialmente con Aro. Anche questo capitolo è stato abbastanza impegnativo, ma spero di essere riuscita a renderlo al meglio. Ancora grazie. Un bacio. Glance.


Cicciolgeiri
Ho cercato di fare più presto che ho potuto con il nuovo aggiornamento, ma il capitolo è stato abbastanza impegnativo. Spero che ti sia piaciuto. Baciotti. Glance


giugiucullen
Che bello. Sono contenta. Spero di continuare ad avere la tua attenzione e il tuo entusiasmo. Baci. Glance.


ANNALISACULLEN
Spero di aver soddisfatto la tia curiosità e che il nuovo capitolo, anche se un po' in ritardo ti piaccia. Aspetto di sapere cosa ne pensi. Baci. Glance


lon8tana
Carissima, ben tornata, mi fa piacere che tu stia leggendo la mia versione di New Moon. Spero ti piaccia, sto cercando di fare del mio meglio per rendere il punto di vista di Edward. Aspetto la tua opinione. Baci. Glance

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Capitolo 24
*** CAPITOLO XXIII ***







“Aspettate che faccia buio.”
Disse Demetri e scappò via. Restammo soli nell’opulenta sala d’aspetto in cui ritrovammo Gianna che non sembrava per nulla intimidita seduta alla sua scrivania lucida. Lo sguardo scaltro e curioso alla mia mantella. Nella mente pensieri futili. Organizzare il lavoro per il giorno dopo. Una musica leggera a dare a tutto un’apparenza di normalità.
Tra le braccia lei che tremava come non era mai successo.
Lei, che sentivo più mia che mai. La mia piccola coraggiosa donna.
-Stai bene?- Le sussurrai in modo da non far cogliere quella domanda alla segretaria umana dei Volturi, con l’angoscia impigliata nella voce e ancora tutta la tensione a pesarmi addosso.
Il suo tremare non mi aiutava a rilassarmi. Era sconvolta e l’attesa in quel posto certamente non l’aiutava.
- Falla sedere prima che crolli- disse Alice. – E’ a pezzi.- Ma Bella era più che a pezzi, era sotto shock, batteva i denti e singhiozzava in maniera convulsa e mi stava spaventando. Non l’avevo mai vista in quello stato. Provai a stringerla di più e a calmarla.
- Sssh, Bella, sssh.- Dissi cercando di farla sedere sul divano che rimaneva più distante da dove era Gianna.
- Penso sia una crisi isterica. Prova con uno schiaffo.- Suggerì Alice.
Le lanciai un occhiata irrequieta. Come se fossi stato capace anche solo di fare il gesto di colpirla, di pensarlo soltanto.
Per me Bella era cristallo, fragilissimo e prezioso.
Sapevo che uno dei metodi sicuri per far cessare una crisi del genere poteva essere quell’eventualità, ma non avrei mai potuto neanche per un motivo del genere alzare un solo dito su di lei.
Cominciai ad accarezzarle il viso ed i capelli nella speranza che mi sentisse, che sentisse tutto l’amore che provavo e che non mi aveva mai abbandonato.
Solo l’idea di lei sapeva scaldarmi.
- Va tutto bene, sei al sicuro.- Le ripetevo piano e per rassicurarla la presi in braccio avvolgendola nella pesante mantella di lana, per tenerla al riparo del mio corpo ghiacciato.
Ed eccolo lì tra le mie braccia il calore che conoscevo, che avevo inseguito, mai dimenticato e ritrovato.
Il calore della vita che tornava in me. Ero vivo adesso, lì in quel momento accanto a lei. Tutto il resto non contava più, era lontano, come svanito nell’interminabile esistenza che mi condannava ad essere ciò che ero.
Era mia, la sentivo mia. Tra la poesia di quei respiri nel silenzio della mia anima. Era accanto a me che tremava, ma avrebbe camminato al mio fianco fuori da lì, verso la luce di un nuovo giorno.
Tutti i miei dubbi che avevo lasciati impigliati tra i suoi capelli si erano sciolti.
Era bella senza neanche saperlo, senza che se ne rendesse conto, si era affidata a me senza domandare dove l’avrei portata, dove avrebbe condotto tutto quello. Quel nostro amore immenso e disperato, cercato e da cui avrei voluto fuggisse, ma non era più il tempo delle recriminazioni, della paura per ciò che ero. Volevo solo che i suoi occhi tornassero ad illuminarsi, volevo solo affogare in quello sguardo.
Ero tornato ad essere un uomo grazie a lei e mi ero sentito spezzato a metà durante la sua assenza.
Ci eravamo trovati e stretti l’uno nelle braccia dell’altra come due angeli sbagliati e per noi doveva poter esserci un cielo.
Il mio domani era in quegli occhi, dove le nebbie del mio passato non mi avrebbero raggiunto, inquinato. C’era solo questo momento. Attimi da condividere giorno per giorno se lei ancora mi avesse voluto al suo fianco. Era lì, accanto a me, timida e fragile come sempre, che mi stringeva, ma sentivo che c’era qualcosa, come se non fosse spontanea, come se un dubbio la trattenesse. I suoi occhi mi guardavano come sempre, ma vi leggevo un’incertezza.
Il timore che per lei qualcosa fosse cambiato, che le prove a cui l’avevo sottoposta fossero state troppe, mi strinse la gola.
Se lei non mi avesse più voluto…
Il solo pensiero mi restituì al niente di tutti quei mesi. Ma a quel punto cosa mi sarebbe rimasto da fare se non accettare qualsiasi sua decisione? In fondo era quello che mi ero sempre augurato.
Che lei fosse in grado di vedere chiaramente, capire cosa era meglio.
Allontanarmi dalla sua vita, dal suo mondo sarebbe stata la scelta migliore e più saggia e io non avrei potuto biasimarla per questo, né condannarla o sentirmi rinnegato e tradito.
Avrei accettato con la disperazione di un condannato a morte qualsiasi decisione, senza recriminare, senza insistere.
Semplicemente sarei sparito se lei me lo avesse chiesto. “Come se non fossi mai esistito.” Quella promessa che le avevo fatto ancora riecheggiava in me con tutto lo strazio che aveva portato. La sua assenza.
Ma glielo dovevo anche se il solo pensiero mi devastava e non potevo impedirmi di non provare il medesimo dolore e di rimanerle aggrappato anche se l’avrei dovuta strappare da ogni singola parte di me.
La ragione avrebbe guidato le mie azioni, ma non avrebbe trovato ragioni per consolare il mio cuore.
Se non fosse tornata con me, se non mi avesse più voluto, amato, non ci sarebbe più stata vita nei miei giorni.
- Tutta quella gente.- Singhiozzò ad un tratto.
- Lo so.- Le sussurrai tra i capelli.
- E’ orribile.- Continuava a tremare e per ognuno di quei sussulti mi maledivo e non potevo fare a meno di pensare che adesso si sarebbe realmente resa conto di chi fossi, di cosa fosse il mio mondo e mi avrebbe guardato con occhi diversi. Non importava che la mia famiglia ed io avessimo fatto scelte diverse, non importava che ci muovessimo nel suo mondo, non eravamo altro che quello che lei aveva visto e sentito. Tutto quell’orrore lo portavamo incollato addosso.
- Certo che lo è.- Le risposi.- Speravo non ti toccasse assistere.- Non avevo fatto altro che quello da quando la conoscevo: sperare.
Sperare di non ucciderla, che mi amasse, che per noi potesse esserci una strada da percorrere, che la mia assenza la restituisse alla serenità della sua vita.
Sperare…sperare. Senza capire che nel mio mondo, per quanto facessi, la speranza non poteva esistere, era morta come tutto il resto e io invece mi ostinavo ad invocarla. La speranza era per i vivi e non per chi era rimasto impigliato in una semi vita.
La sentii respirare a fondo nel tentativo di calmarsi mentre asciugava le lacrime con un lembo della mantella e poggiava la testa sul mio petto.
- Posso esservi utile?- La voce di Gianna dietro le mie spalle, cortese, con la giusta dose di preoccupazione. Ma professionale e distaccata. Per nulla intimorita di trovarsi a pochi centimetri da me. Sapeva che le ero ostile, ma questo non la impensieriva.
- No.- Le risposi freddo. Annuì sorridendo e andò via.
Nella sua mente il desiderio di poter diventare un giorno parte di tutto quello.
- Sa cosa succede qui?- Domandò Bella appena si fu allontanata. La sua voce era bassa e roca, ma andava riprendendo il controllo di se stessa. Il ritmo del suo cuore era più regolare.
- Si, sa tutto.- Le risposi. - Sa anche che un giorno la uccideranno?- La strinsi a me, e tornai a sfiorarle i capelli con le labbra.
- Sa che è una possibilità.- La sorpresa si dipinse sul suo volto.
Il mio invece divenne indecifrabile mentre cercavo di contenere la desolazione.
- Spera che decidano di tenerla con loro.- Come si poteva essere così ingenui da pensare di poter barattare la propria vita per quell’inferno?
Vidi Bella impallidire.
- Vuole diventare come loro?- Feci cenno di sì rimproverandola con lo sguardo per tutte le volte che anche lei aveva accampato quella richiesta, desiderando di seguirmi in quel mondo di orrore e morte. La sentii trasalire.
- Come è possibile?- Sussurrò.- Trascinano intere comitive in quella stanza terribile e lei vuole unirsi a loro?- Non risposi e feci appena una smorfia. Si meravigliava che qualcuno volesse quello per se stesso. Non capiva che tra me e quel mondo non c’era nessuna differenza. Che quello che ero non era sempre stato ciò che vedeva e che anche lei, in fondo, stava facendo lo stesso errore per il quale adesso inorridiva.
- Oh, Edward.- Esclamò come se si fosse resa conto solo in quel momento di trovarsi tra le mie braccia. Mi guardò come se si fosse appena svegliata da un sogno e cominciò nuovamente a piangere. Non riuscivo a capire come facesse ad avere paura e orrore di tutto quello e non di me.
Quell’esclamazione voleva essere il preludio di qualcosa. Forse di una presa di coscienza e ora non sapeva come fare per dirmi che si era pentita di avermi dato retta, di aver contraccambiato quel sentimento e che forse voleva essere lasciata libera da quell’orrore che mi portavo dietro.
Continuava a piangere senza parlare e io dovevo sapere se aveva cambiato idea e se voleva mettere la parola fine sulla nostra storia.
- Cosa c’è?- Dissi ansioso di sapere senza riuscire a non toccarla. Magari quelli erano gli ultimi istanti che mi concedeva. Iniziai ad accarezzarle la schiena con delicatezza per tranquillizzarla.
La sentii aggrapparsi alle mie spalle.
- E’ davvero così assurdo che mi senta felice in questo momento?- Mentre per due volte la voce le mancava.
La strinsi ancora di più. “Assurdo” diceva.
Che fosse felice! Cosa c’era di così assurdo nell’essere felice di essere ancora viva? Non c’era niente di assurdo. Doveva essere felice per questo.
La strinsi maggiormente. In quel momento sentivo di amarla ancora di più se questo fosse stato possibile.
Avevamo tanti motivi per essere felici.
- Capisco esattamente cosa intendi.- Le sussurrai.- Abbiamo tanti motivi per essere felici. Prima di tutto siamo vivi.- Si accoccolò maggiormente tra le mie braccia.
- Si. E’ già qualcosa.- Disse piano.
- E siamo insieme.- Tornai a sussurrare sui suoi capelli aspettando una reazione che mi facesse capire che anche per lei non era cambiato nulla, che mi amava come sempre. Ma si limitò soltanto ad annuire. Senza aggiungere altro. - E con un po’ di fortuna , saremo vivi anche domani.- Dissi cercando di nasconderle l’ansia che mi divorava.
- Speriamo.- Aggiunse incerta. Chissà cosa pensava. Avrei dato qualsiasi cosa adesso per poter sapere quale fosse il suo pensiero su di noi, la nostra storia.
- Le prospettive sono piuttosto rosee.- Intervenne Alice ad interrompere l’inquietudine delle mie domande che avrebbero dovuto attendere per avere una risposta.
- Tra meno di ventiquattro ore rivedrò Jasper.- Aggiunse soddisfatta. Potevo sentire dai suoi pensieri quanto le fosse mancato. Potevo capirla. Allontanarsi da chi si ama era una delle esperienze più dure che avessi mai dovuto affrontare. Capivo mia sorella adesso, capivo Emmett e Rosalie, Carlisle ed Esme. Ora anche io sapevo cosa significava, ora con Bella al mio fianco potevo capire tutti loro. In quel momento invidiai Alice e le sue certezze sul futuro. Poteva sapere in qualsiasi momento cosa l’attendeva. Io per sapere se avrei ancora fatto parte del mondo e della vita di Bella avrei dovuto attendere di poterle parlare con tranquillità e quest’attesa mi rendeva nervoso ed insicuro come all’inizio della nostra storia.
Notavo che continuava a fissarmi, ma non riuscivo a capire le sue intenzioni e i suoi sentimenti.
Le restituii uno sguardo che potesse contenere tutta la tenerezza che provavo in quel momento e con le dita le accarezzai le occhiaie che le cerchiavano gli occhi.
Supposi evidenti come le mie. Il mio sguardo doveva essere ormai scuro come la notte e i segni attorno ai mie occhi chissà quanto marcati.
- Sembri davvero stanca.- Le dissi accennando un sorriso. - E tu esausto.- Rispose in un sussurro appena udibile, osservando il mio viso e fermando la sua attenzione sulle chiazze violacee che sicuramente contornavano i miei occhi. Sembrava si preoccupasse per me come sempre.
- Non è niente.- Risposi.
- Sei sicuro? Se vuoi mi siedo accanto ad Alice.- Era quello allora che la preoccupava. La mia capacità a contenere la voglia che l’aroma del suo sangue mi provocava. Era solo quello? Ma del resto avevo impostato tutta la nostra storia sulla preoccupazione di non sapermi controllare davanti a lei. Ogni gesto, ogni parola, anche la mia fuga era stata una conseguenza della mia voglia del suo sangue, della mia paura di farle del male. E sicuramente gliene avevo fatto, ma non nel modo che mi ero aspettato. L’avevo ferita, sì, ma nell’anima. Le avevo arrecato comunque sofferenza e sembrava che qualsiasi cosa facessi o decidessi in nome della sua salvezza non servisse che a metterla in pericolo o farla soffrire. I ricordi di Alice mi erano arrivati chiari e l’avevo vista come lei l’aveva vista. Adesso lì davanti a me era più magra, più pallida di come la ricordavo e sicuramente le costava vedermi. Ma non volevo si preoccupasse più di quello che la sua natura poteva scatenare in me, quel lato ormai per me era passato in secondo piano, non mi spaventava più e non lo avrebbe più fatto. Avevo domato il mio mostro e doveva saperlo, capirlo. Tutto da quel momento in poi sarebbe stato diverso tra noi. Tutte le mie paure passate, alla luce di quei nuovi eventi, sembravano ridicole.
- Non essere ridicola.- Le sussurrai sul viso.- Non sono mai stato così padrone di quel lato della mia personalità come in questo momento.
Sentii il suo bisogno di risposte, di dare voce alle sue domande morirle sulle labbra. Ma non disse nulla e non mi importava. Rimase in silenzio tra le mie braccia, la vidi percorrermi il volto con gli occhi e senza staccare lo sguardo da lei mi riappropriai del suo viso, mentre pianificavo il ritorno a casa con Alice.
Parlavo in modo veloce per non fare capire a Gianna come avremmo organizzato il rientro. Alice sarebbe stata costretta a rubare un’altra macchina.
- Cos’era quel discorso sulle cantanti?- Chiese ad un tratto mia sorella.
- La tua cantante- Le feci eco. - Esatto.- Ribadii Alice. Mi strinsi nelle spalle e cercai di rispondere.
- E’ il nome che danno a chi scatena l’effetto che fa a me il profumo di Bella. L’Hanno chiamata la mia “cantante” perché il suo sangue canta per me.- Alice rise. Continuai a conversare con mia sorella mentre avvertivo lo sfinimento di Bella, il suo combattere contro la stanchezza che tutte quelle emozioni avevano sicuramente provocato in lei e più di una volta mi ero chinato a baciarla. In modo spontaneo. Come se fosse del tutto naturale e un mio diritto poterlo ancora fare. E ogni volta il suo cuore aveva risposto impazzito lo sentivo rimbombare per tutta la stanza.
Il suo cuore ancora rispondeva al mio tocco, emozionandosi. Si era domandata una volta se avrebbe mai smesso di farlo. Quella volta le risposi che mi auguravo di no.
Sembrava che il suo cuore non mi avesse dimenticato, ma speravo che lei gli desse ascolto.
Ad un tratto i pensieri di Alec mi raggiunsero e istintivamente la strinsi a me ancora di più mentre rivolgevo lo sguardo verso il punto della stanza da dove sarebbe apparso. Sentii il panico percorrere il suo corpo.
Alec portava buone notizie.
- Ora siete liberi di andarvene.- Disse in tono amichevole. – Vi chiediamo soltanto di non trattenervi in città.- Mi irrigidii e non mi mostrai cortese.
- Non sarà un problema.- Alec sorrise annuendo e andò via.
Gianna ci indicò l’uscita mentre vedevo mia sorella rivolgerle uno sguardo torvo.
Quando giungemmo in strada la città stava ancora festeggiando e il mio abbigliamento non avrebbe dato nell’occhio. Notai che tra le labbra di quelle persone spiccavano dei canini di plastica.
- Ridicolo.- Mormorai, come se quella fosse stata la verità. Non avevano idea che ciò che pensavano ci distinguesse non era riconoscibile se non quando decidevamo che lo fosse.
- Dov’è Alice?- Sentii Bella sussurrare confusa.
- E’ andata a riprendere le tue cose dove le ha nascoste stamattina.- La guardai e le sorrisi.
- Ruberà anche una macchina, vero?- Annuii.
- Non finché non saremo usciti.- Capii che era sfinita e le cinsi i fianchi mentre l’aiutavo a passare sotto l’arco di pietra della porta della città e la sentivo tremare nuovamente.
Alice era arrivata e ci aspettava in un auto scura appena fuori la porta semi nascosta da un cespuglio.
Feci salire Bella e mi sistemai al suo fianco sul sedile posteriore.
- Mi dispiace.- Si scusò Alice.- Non avevo molta scelta.- Disse.
- Va bene lo stesso Alice.- Le risposi sorridendole.- Non si può sempre avere una 911 turbo.- Mia sorella mi sorrise a sua volta.
- Penso che me ne procurerò una legalmente. Era favolosa.- Rispose sospirando.
- Te la regalerò per Natale.- Le promisi.
- Gialla.- Assentì voltandosi.
- Gialla.- Ribadii come a suggellare il patto. Nel frattempo continuavo a tenere stretta a me Bella avvolta nella mantella per farla stare al caldo.
- Ora puoi dormire. Bella.- Mormorai.- E’ finita.- Non era tranquilla lo avvertivo chiaramente.
- Non voglio dormire. Non sono stanca.- La seconda frase era una bugia. Lo sapevo. Del resto non era mai stata brava a mentire.
- Provaci.- Le dissi premendo le labbra sul lobo del suo orecchio. Ma fece cenno di no scuotendo la testa.
- Sei sempre la solita testarda.- Sospirai. Lo era. Lo era sempre stata e almeno questo non era cambiato.
Durante il tragitto la vidi cedere al sonno per brevi momenti, ma continuare a resistere caparbia come sempre.
Non capivo perché non volesse dormire, forse per paura di rivedere le immagini che l’avevano sconvolta.
Non insistetti e la lasciai fare mentre percorrevamo la strada che ci avrebbe condotti all’aeroporto di Firenze.
Arrivati, Bella ne approfittò per cambiarsi e rinfrescarsi mentre Alice provvedeva a comprare dei vestiti per me e disfarsi della pesante e ingombrante mantella.
Il volo per Roma fu breve e speravo che potesse finalmente riposare in quello per Atlanta. Alice aveva prenotato dei posti in prima classe e di sicuro la comodità dei sedili e la lunga tratta avrebbe facilitato il suo riposo. Ma appena saliti e preso posto la sentii chiedere alla hostess di portarle una Coca. Sapevo l’effetto che aveva su di lei la caffeina.
-Bella.- La rimproverai. Alice dietro di noi parlava a bassa voce con Jasper.
- Non voglio dormire.- Ribadì Bella.- Se chiudo gli occhi vedrò cose che non vorrei vedere. Avrò gli incubi.- Come ragione era più che credibile e non potevo darle torto.
Non sarebbe stato facile per nessuno superare quello che a cui aveva assistito. Decisi di non insistere oltre. Avrebbe dormito quando se la sarebbe sentita.
Aspettai, non mi rimaneva da fare che quello. Aspettare che parlasse, che mi domandasse qualcosa. Non volevo forzarla, volevo che fosse lei ad iniziare con le domande. Volevo darle tempo per riordinare le idee. Per abituarsi nuovamente a me. Non smettevo nel frattempo di tenerla vicino e di accarezzarle il viso di tanto in tanto. Anche lei contraccambiava quelle carezze. E non mi importava per quale motivo. Era lì con me e quello già era il regalo più grande. Non potevo fare ameno di baciarle i capelli, i polsi. Ma non le labbra, per quello volevo aspettare di sentire pronunciare dalla sua voce che potevo farlo, che mi amava e che mi aveva perdonato. Se lo avessi fatto, se avesse contraccambiato e poi mi avesse lasciato, sarebbe stato ancora più difficile dopo, dover rinunciare a lei. Non parlavo sforzandomi di contenere in me tutte le parole che avrei voluto regalarle, ma doveva essere lei a farlo per prima. Aveva il diritto di dire qualunque cosa senza che potessi influenzarla.
Ad Atlanta era ancora sveglia, il sole dietro le nubi di Seattle ci accolse, il nuovo giorno illuminò di riflessi mogano i suoi capelli e a quel punto sbarrai l’oblò.
Non aveva ceduto al sonno neanche per un momento.
Atterrati trovammo ad accoglierci tutta la mia famiglia.
Non ne fui sorpreso. Non li vedevo da tanto e, sapevo, conoscendoli che sarebbero venuti a prenderci, sfidando la luce e la presenza di tante persone.
Nascosti da una colonna scorsi mio padre e mia madre che ci venne incontro abbracciando Bella che continuavo a tenere stretta a me.
- Grazie, davvero.- Le sussurrò all’orecchio. Era felice ed emozionata e la sentivo versare lacrime invisibili di gioia. Mi abbracciò.
- Non osare mai più infliggermi una pena simile.- Mi disse rimproverandomi con nella voce una severità che non le avevo mai sentito prima di quel momento avere nei miei confronti.
- Scusa mamma.- Le sorrisi con l’espressione del mio sincero pentimento per averle procurato quel dolore.
-Grazie Bella.- Disse mio padre.- Ti siamo debitori.- Il suo sguardo era sollevato, ma nella sua mente lessi tutta l’angoscia che quel mio gesto aveva causato a tutti loro. “Sei qui, siete tutti qui, figlio e il resto, i rimproveri e le prediche ruberebbero solo spazio a questa felicità. Ringrazio il cielo di avervi ricondotti sani e salvi a casa.” Lo guardai, annuì egli sorrisi di rimando.
Bella era esausta e quasi non si reggeva in piedi.
- Dorme in piedi.- Mi disse mia madre con un tono di accusa.- Riportiamola a casa.- La vidi scivolare al suo fianco e sorreggerla insieme a me.
Mentre percorrevamo il parcheggio per raggiungere la macchina con Bella che ormai era quasi completamente addormentata scorsi Emmett e Rosalie e mi irrigidii.
I pensieri di mia sorella mi arrivarono pieni di scuse e pentimento, ma non ero disposto a fargliela passare liscia questa volta, non avrebbe ricevuto facilmente il mio perdono.
Ma mia madre intuendo la mia reazione e le mie reali intenzioni nei suoi confronti mi pregò di essere indulgente.
- Per favore, no.- Sussurrò.- E’ distrutta.- Ma non mi importava. Si meritava ogni cosa sarebbe venuta, ogni singola parola di biasimo e rimprovero.
- Ben le sta.- Risposi senza curarmi di non farmi sentire, sapevo quanto fosse dispiaciuta di avermi messo in pericolo, di avere costretto Alice ad esporsi in quel modo e di contro di avere fatto si che i Volturi venissero a conoscenza della mia storia con Bella, ma questo ai miei occhi non la rendeva meno colpevole. Aveva sempre avversato Bella per la sua stupida gelosia e quello che era successo ne era la conseguenza. Una sua responsabilità. Ma quella che mi sorprese fu la reazione di Bella.
- Non è colpa sua .- Disse ridestandosi dal suo stato di torpore. Ancora una volta cercava di scagionare i nostri comportamenti.
Anche mia madre intervenne per cercare di mitigare la tensione.- Concedile la possibilità di scusarsi.- Mi disse con nella voce il tono della preghiera di chi non vuole che esista rancore trai suoi figli.
Rivolsi a mia sorella uno sguardo gelido che non lasciava presagire alcuna possibilità di poter recuperare a ciò che aveva fatto.
Ma ancora una volta Bella intervenne per farmi ragionare ed abbassare i toni della mia reazione.
- Per favore, Edward.- Sussurrò con la voce arruffata dalla stanchezza e dal sonno. Non ero entusiasta di quel viaggio da fare in compagnia di Rosalie, ma ingoiando la rabbia che sentivo feci salire Bella in macchina. Appoggiò la testa sul mio petto e cedette al sonno esausta.
I pensieri di Rosalie mesti risuonarono nella mia testa nel silenzio spezzato dal battito del cuore e dal respiro di Bella.
Avrebbe parlato di lì a poco per dare voce a tutto quel fluire di sensazioni che l’avevano stretta nella morsa dell’angoscia e del rimorso per ciò che quel gesto sconsiderato aveva rischiato di provocare.
- Edward.- Disse piano mia sorella.
- Lo so.- Risposi in tono brusco. Senza risparmiarle il mio risentimento. Non avrebbe avuto sconti da me se era questo che cercava e che leggevo nei suoi pensieri. Lo sapeva Rosalie che non sarebbe stato facile per me perdonarla, ma sapeva anche che passare per Bella avrebbe facilitato le cose.
- Bella?.- Chiese con delicatezza ed era la prima volta che nella sua voce non c’era astio nel pronunciare quel nome. Cercava il modo per scusarsi e sapevo che per lei non era facile. Era sinceramente pentita e sentirle pronunciare il nome di Bella in quel modo mi ammorbidì.
Bella dovette sentirla tra la nebbia del suo torpore e le rispose.
- Si, Rosalie?- Fece esitante.
- Mi dispiace tanto. Tutto questo mi ha fatto sentire malissimo, ti ringrazio per il coraggio con cui hai salvato mio fratello dopo ciò che ho combinato. Ti prego di perdonarmi, se puoi.- Era sincera e potevo facilmente leggerlo tra i suoi pensieri, agitati e disordinati che cercavano di dare a parole l’entità della sua mortificazione e frustrazione. “Ti ama davvero Bella e ora so che anche tu lo ami. Dopo quello che hai rischiato per lui. Non avevo capito, non volevo capire. Il tuo essere umana, il fatto che tu eri ciò che io non sarei più potuta essere mi aveva offuscato la ragione. Invidiavo a te il fatto di essere ancora viva e a lui, la possibilità di interagire con il tuo mondo come un qualsiasi essere umano. Condividere con te esperienze di tutti i giorni che io potevo solo guardare da lontano.” Era quello il motivo della sua ostilità per Bella e finalmente lo ammetteva con se stessa.
- Ma certo, Rosalie.- Mormorò Bella.- In fondo non è colpa tua. Sono stata io a tuffarmi da quel maledetto scoglio. Certo che ti perdono.- E la risposta di Bella non poteva essere che quella. Se avessi scommesso anche senza leggere la sua mente avrei sicuramente vinto. Era da lei in fondo addossarsi ogni responsabilità. Lo aveva sempre fatto da che l’avevo incontrata. Aveva un senso del sacrificio spiccato e innato. E ogni volta se pur certo della sua reazione, ne rimanevo sempre sorpreso.
- Finché non torna lucida, non vale, Rose.- Fece eco la voce di Emmett e il suo trattenersi a stento dal ridere.
Mi era mancato e gli fui grato di quel momento di leggerezza che lo caratterizzava. Sapeva sempre trovare il lato ironico nei momenti di tensione. Ero a casa finalmente e con Bella tra le mie braccia. Fino a qualche ora prima pensavo che il mio mondo fosse andato in frantumi e invece tutto era tornato al suo posto.
Continuavo a non capire perché quel destino benevolo continuava a volermi fare dei regali.
- Sono lucida.- Mormorò Bella, e la sua risposta somigliava più ad un sospiro confuso che a delle parole di senso compiuto.
- Lasciala dormire.- Pronunciai con la ritrovata calma nella voce. Era sempre stato affascinante per me guardarla dormire, ma ora il cuore mi scoppiava di tenerezza. Era esausta, bellissima, ma dormiva finalmente serena tra le mie braccia.
Dormì tranquilla per tutto il tragitto fino a casa sua.
Non aveva mai urlato, né si era mai agitata e speravo che di quello che aveva visto, non fosse rimasta traccia. Che i suoi sogni non fossero popolati da incubi per ciò a cui era stata costretta ad assistere.
Emmett fermò la macchina davanti al vialetto di casa Swan e delicatamente l’aiutai ascendere.
Non riusciva a svegliarsi.
Fummo accolti dalla voce alterata dello sceriffo.
- Bella.- Urlò da lontano. L’ ostilità dei suoi pensieri nei mie confronti urlava ancora di più.
Bella, riprese per un attimo, il tempo sufficiente per riconoscere suo padre e capire dove fosse, contatto con la realtà.
- Charlie.- Farfugliò cercando di vincere il torpore.
- Sssh.- Le sussurrai.- Va tutto bene. Sei a casa, al sicuro. Ora dormi.- Lo sceriffo era furente, e a ragione.
Potevo ben capirlo. Ero stato la causa della sofferenza di sua figlia per tutti quei mesi. Le immagini di lei annientata nei suoi ricordi mi colpì come uno schiaffo. Se mi avesse colpito davvero neanche me ne sarei accorto, la sua mente mi rimandava lo stesso dolore di quando mi ero costretto a starle lontano, di quando l’avevo creduta morta. Era lei quel corpo inerme che giaceva senza forze nella sua stanza. Era Bella che rifiutava di mangiare e urlava in preda agli incubi. Era lei che sentivo invocare il mio nome durante le notti in cui lo sceriffo l’aveva vegliata non visto rimanendo in ascolto dietro la porta della stanza di sua figlia.
Ero stato uno stupido e il re degli imbecilli.
Mi meritavo ognuno di quei pensieri ostili, ogni suo risentimento e ogni parola che avesse voluto pronunciare per inveire contro di me.
Era atroce vedere Bella in quelle visioni e capivo lo strazio di quel padre, nell’impotenza di poter tirare fuori sua figlia dal baratro dove io l’avevo fatta precipitare.
- Non riesco a credere che tu abbia il coraggio di mettere piede qui.- Mi urlava contro lo sceriffo avvicinandosi a grandi passi. Mi avrebbe preso volentieri a schiaffi, ma la sua integrità glielo impediva. In fondo ero pur sempre un ragazzino. Uno stupido liceale, ai suoi occhi.
- Smettila, papà.- Intervenne Bella. La sua voce appena un mormorio che non giunse a Charlie. Che continuò a guardarmi con risentimento.
- Cosa le è successo?- Chiese.
- E’ soltanto stanchissima. Risposi calmo.- La lasci riposare.- Ma la mia risposta e il mio atteggiamento invece che a rabbonirlo servirono ad innervosirlo ancora di più. Senza volerlo ero stato arrogante. Come sempre.
- Non osare darmi ordini.- Urlò lo sceriffo.- Ridammela. Toglile le mani di dosso!- Ordinò. Ceraci di assecondarlo e di consegnargli Bella. Ma le dita di lei rimanevano ostinatamente aggrappate a me. Lo sceriffo continuava a strattonarla per un braccio e ad imprecare mentalmente.
- Smettila, papà.- Riuscì a dire Bella alzando la voce e aprendo gli occhi assonnati per guardarlo.- Prenditela con me.- Il cielo di Forks coperto dalle solite nuvole sembrava osservare indolente quell’insolita contesa.
- Puoi starne certa.- Tuonò la voce del capo Swan. Come se fosse una promessa.- Entra subito.- Ordinò autoritario.
Non volevo che per colpa mia Bella fosse costretta a subire una punizione, ma la mente dello sceriffo ne stava valutando una lunga lista.
-Va bene. Lasciami andare.- Sussurrò Bella. La tenevo per permetterle di rimanere in piedi, ma quando la lasciai la vidi precipitare a faccia in giù verso il suolo e fui costretto a prenderla al volo appena un attimo prima dell’impatto.
- Lasci almeno che l’accompagni di sopra.- Dissi.- Poi me ne vado.- E lo avrei fatto se lei non mi avesse trattenuto.
- No.- Urlò nel panico. Era quello che avevo aspettato di sentire. Lei che mi voleva al suo fianco, e non voleva che la lasciassi. Era stupido da parte mia, infantile, ma avevo sperato che dicesse qualcosa per farmi capire che per me c’era ancora una speranza. Non le avrei mai più imposto nulla senza che lo avesse voluto. Avevo sperato per l’intero viaggio che mi avesse chiesto di rimanerle accanto mentre dormiva come facevo un tempo. Non avrei mai trovato il coraggio di chiederglielo. Non avrei osato.
- Non sarò lontano.- Le promisi sussurrandole nell’orecchio per non farmi sentire da suo padre mentre scoppiavo di felicità.
Charlie continuava a gridare il suo disappunto, ma non gli diedi ascolto ed entrai in casa portandola fino alle scale.
Dormiva, ma lo sceriffo non riusciva a liberarmi dalla sua presa. Le sue mani si erano arpionate sul tessuto della mia camicia e dovetti delicatamente scioglierle per potermi liberare.








Come sempre ringrazio dell’attenzione che chi legge, preferisce o segue la mia storia.
Il mio grazie speciale va a chi lascia con costanza un suo commento.
Non sapete quanto è bello aprire la propria pagina e trovarvi lì con i vostri pareri.
Grazie ancora a:
bale86


Ninfea Blu


arte


Cicciolgeiri


ANNALISACULLEN


Scusate se non rispondo, ma ho in questo periodo problemi di tempo, ma mi rifarò alla prossima. Promesso. Vi aspetto. Baci, Galnce.

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Capitolo 25
*** CAPITOLO XXIV ***








...SVEGLIA, TREMO A GUARDARTI;
DORMI, OSO VEDERTI.
PER QUESTO, ANIMA MIA,
IO VEGLIO MENTRE DORMI.[…]
[…] DORMI, E UN LEGGERO SORRISO TI PIEGA
GLI ANGOLI DELLA BOCCA,
SOAVE COME LA SCIA LUMINOSA
DEL SOLE CHE TRAMONTA.
DORMI! […]
[…] DORMI, E NEL MORMORIO DEL TUO RESPIRO
TENUE E REGOLARE
IO ASCOLTO UN POEMA[…]


( Gustavo Adolfo Bècquer)





L’alba era già scivolata via e lei non si era mossa, se non per lamentarsi nel sonno preda chissà di quale visione di cui ero il solo responsabile. Il sole era tornato ad illuminare il cielo di Forks, ma Bella dormiva sfinita dalla stanchezza. Ero rimasto in silenzio ad osservarla senza riuscire a credere di essere nuovamente lì , nello spazio racchiuso tra le pareti della sua stanza. Tutto lì parlava di lei. Profumava di lei. Lo avevo immaginato, mi ero nutrito di quei ricordi, ma la realtà era ben altra cosa. Il ricordo era sempre stato nitido in me, ma mi rendevo conto che non le aveva reso giustizia. Dormiva ed io immobile ad attendere il suo risveglio, quella nuova alba di giorni che sarebbero venuti e mi avrebbero visto al suo fianco. La luce di quei nuovi giorni avrebbe lavato le impurità di ciò che era stato. Lei splendeva, pura e trasparente e amarla era come poter tornare a respirare in ognuno dei suoi respiri.
Tutto sarebbe ricominciato da lì, da quel nuovo giorno d’inverno. Potevo vederla come non l’avevo mai vista, come non ero mai riuscito a guardarla fino a quell’istante.
L’essermi allontanato non aveva fatto altro che avvicinarmi maggiormente. Ero lì e il dolore era sparito, la voragine nel mio petto si era chiusa. Il mio cuore era nuovamente al suo posto.
Differenti, ma insieme ed io, nuovamente vivo con lei.
Non ci sarebbero state più lacrime, solo la vita da vivere, la vita che non vedeva differenze, non parlava e non pensava.
L’amavo. Amavo tutto di lei, e le ero grato, per tutto quello che mi aveva restituito.
Il tempo prima di lei era stato come un lungo sonno dal quale mi ero svegliato dopo cento anni.
La mia vita si era fermata nell'immobilità di ciò che non sapeva più scorrere e con lei mi ero riappropriato di anni e sensazioni, ero cambiato, cresciuto.
Amavo il non poter sentire i suoi pensieri e perdermi in direzioni lontane nei suoi occhi.
Non sarei scappato mai più.
Non avevo più paura.
Il mio secolo coraggioso ed eroico non lo sentivo più così distante e questa nuova realtà non era più così difficile da capire.
L'essere venuto al mondo in un tempo in cui di lei non vi era neanche la promessa e, trovarmi ancora qui, non era più così difficile da sopportare. Quello dove mi trovavo in quel momento, era il solo posto dove volevo essere.
Malgrado tutto, nella mia notte interminabile e terribile sarebbe tornato a splendere il sole.
Lei era quei sogni che non potevo più avere. Era la mia Bella e lo sarebbe stata per sempre.
L'avrei seguita ovunque, mi avrebbe guardato e l'avrei guardata, si sarebbe mossa e mi sarei mosso.
Niente altro che questo, come il più naturale e istintivo dei gesti, come respirare. E lo avrei fatto. Avrei respirato di nuovo grazie a lei che era la mia sola ragione di esistere.
Bella continuava a dormire mentre il vento che aveva agitato i rami si andava quietando. Dietro la porta chiusa della stanza, il respiro regolare di Charlie immerso nel sonno.
Sapevo che non avrebbe smesso tanto presto di odiarmi, che difficilmente mi avrebbe perdonato, ma per il momento, il mio unico pensiero era quello di sapere se, Bella, mi tenesse ancora con lei nei suoi sogni, impigliato nei suoi occhi marroni e nel suo cuore.
In quella notte che mi vedeva nuovamente accanto a lei, tornavano in mente tutte le parole che avevo pronunciato e ,a cui, ero poi venuto meno ferendola, come avevo visto nei ricordi di mia sorella Alice.
Adesso, la sola mia speranza era che il significato che avevano avuto un tempo, per lei, non fosse cambiato.
Era così stanca, lo potevo vedere dal sul viso segnato anche nel sonno. Continuavo ad osservarla, incolpandomi per non aver saputo capire il pericolo a cui l'avevo lasciata.
Non aver compreso l'inganno di Victoria che mi aveva attirato così lontano per poi tornare qui e non potevo concepire l'idea di averla lasciata in balia di licantropi instabili che avevano agito al posto mio per tenere a bada una pazza sanguinaria.
Il suo respiro ad un tratto cambiò, si trasformò in un sospiro profondo e le sfiorai la fronte con delicatezza per rassicurarla. Ancora però non apriva gli occhi. Aumentai impercettibilmente la stretta delle mie braccia e la circondai maggiormente per permetterle di sentire che ero accanto a lei che non l'avevo abbandonata. Ero lì, come le avevo promesso.
Un altro sospiro anticipò il risveglio. Aprì gli occhi finalmente e mi resi conto che pur accanto a lei continuavano a mancarmi. Il non averli potuti guardare in quelle ore, in tutti quei mesi, era stato penoso.
Appena mi vide, Bella, emise un urlo soffocato e si coprì gli occhi con i pugni.
-Ti ho spaventata?- Domandai, certo di averlo fatto. Del resto era passato un po' di tempo dall'ultima volta che mi aveva trovato accanto a se al suo risveglio, anche se mi aveva chiesto di restare; magari non ricordava di averlo fatto. Era sfinita quando lo aveva chiesto. Cominciò a battere le palpebre.
-Oh, merda -, disse con la voce ancora impastata dal sonno e la mia ansia aumentò ancora di più.
-Che c'è che non va, Bella?- Domandai cercando di controllare l'angoscia che quella reazione mi dava. Mi guardò accigliata e infelice.
-Sono morta, vero?- Si lamentò.- Sono annegata. Merda, merda , merda! Charlie ci resterà secco.- La guardai confuso.
-Non sei morta.- Era quello che credeva?
-E allora perché non mi sveglio?- Mi disse con aria di sfida.
-Sei già sveglia, Bella.- La vidi scuotere la testa.
Sembrava non essere convinta delle mie parole e del fatto che fossi accanto a lei veramente.
-Certo, certo. E' ciò che vuoi che io pensi. E poi, quando mi sveglierò, sarà il peggio del peggio. Se mi sveglierò, il che non avverrà, perché sono morta. Orribile. Povero Charlie. E Renèe, e Jake...- Era veramente spaventata e convinta di quello che diceva. Mi resi conto che poteva ancora essere sotto shock. Cercai le parole adatte ed il tono migliore per provare a sdrammatizzare.
-Mi rendo conto che tu possa avermi scambiato per un incubo.- Cercai di sorridere, ma la mia espressione tradiva sicuramente la mia tristezza e il sorriso che le regalai fu solo accennato. Cercai la forza per mantenere comunque dell'ironia in ciò che dicevo.- Ma non riesco ad immaginare cosa potresti aver fatto di tanto brutto da finire all'inferno. Ne hai ammazzati molti in mia assenza?- Mi restituì una smorfia.
-Certo che no. Se fossi all'inferno, tu non saresti con me.- Sospirai rassegnato e malinconico. Continuava dopo tutto a volermi tenere al riparo da me stesso. Ma avevo bisogno di sapere se lo avrebbe ancora fatto o era solo il suo carattere che non le permetteva di comportarsi in maniera diversa con me. Troppo gentile, troppo altruista Bella, per pensare di far soffrire qualcuno a causa sua. In quel momento i suoi occhi abbandonarono i miei per spostare la loro attenzione verso la finestra. Chissà a cosa stava pensando adesso. Tornò a guardarmi e avvertii sul suo volto quel calore che era il preludio al colorito che compariva sulle sue guance quando era preda di un'emozione.
-Perciò...è successo davvero?- Chiese come se volesse convincersi, trovare una conferma a quello che doveva esserle sembrato solo un brutto sogno. Ma, invece, non era così. Come tutto ciò che le era capitato da quando mi aveva incontrato.
-Dipende.- Le risposi sorridendo, ma non riuscendo a farlo del tutto. C'era ben poco da sorridere, ma sarei stato capace di farlo, di ridere di felicità se solo avessi avuto ancora la certezza del suo amore. - Se ti riferisci al fatto che abbiamo rischiato di farci massacrare in Italia, la risposta è sì.- La guardavo con attenzione, cercando di cogliere ogni più piccola espressione del suo volto per poter capire quale sarebbe stato il mio destino.
-Strano.- Commentò assorta.- Sono stata in Italia davvero. Sai che non ero mai andata più ad est di Albuquerque?- Era veramente incredibile.
-Forse è meglio che torni a dormire. Stai delirando.- Sospirai, alzando gli occhi al cielo. Non eravamo stati a fare una gita, non era stato il nostro primo viaggio insieme.
-Non sono più stanca.- Disse come se avesse acquistato nuova consapevolezza.- Che ore sono? Quanto ho dormito?- Non potevo smettere di guardarla e di bearmi della sua vicinanza. Era una sensazione forte e nello stesso tempo estremamente dolce. Era diverso da come ero abituato a sentirmi quando le stavo accanto in passato. Il suo odore era delizioso come al solito, ma la pena che mi aveva sempre procurato sembrava essere scomparsa. Era insolito per me starle vicino in quel modo. C'erano tante cose di cui potevo bearmi e assaporare senza la lotta che ogni volta dovevo sostenere per restarle accanto. Ero rilassato e c'era pace in quel minuscolo angolo di universo che era la sua stanza. Era quella dunque la serenità. Credevo non sarei mai stato in grado di provare queste sensazioni. Di quante cose dovevo esserle grato e di quante altre avrei dovuto farmi perdonare. Era come se mi fosse stata restituita e ciò che ero stato prima di quell'istante non esisteva più, ciò che Bella vedeva era, qualcuno con una forza e una consapevolezza di se stesso maggiore. Non mi sarei mai più, per nessun motivo, allontanato da lei. Ma vidi che non era più stanca e che tutto le era più chiaro e il mio coraggio vacillò insieme alle mie certezze.
-E' l'una passata.- Le risposi non riuscendo a trattenere una nota tremula nella voce sperando che lei l'avesse colta. Era il mio modo di tremare. E il pensiero che il momento dei chiarimenti e delle domande da soddisfare fosse giunto, mi gettava nello sconforto. Era frustrante non sapere, ma peggio sarebbe stato sentirle pronunciare qualcosa di definitivo. - Direi che dormi da quattordici ore.- Aggiunsi, mentre la osservavo muoversi per cambiare posizione.
-E Charlie?- Domandò.
-Dorme.- Le risposi aggrottando la fronte.- Devo farti presente che in questo momento sto infrangendo le regole. Be' tecnicamente no, perché mi ha vietato di oltrepassare la porta di casa tua e io sono entrato dalla finestra, ma...be', ecco l'intenzione era quella.- E in tutta sincerità non mi sentivo di biasimarlo per questo, né me ne sentivo offeso, io al posto suo mi sarei trattato molto peggio.
-Charlie ti ha bandito da qui?- Chiese incredula, ma ebbi l'impressione che fosse più in collera.
-Cosa ti aspettavi?- Replicai triste. Ma potevo scorgere il suo disappunto. Sembrava arrabbiata per l'atteggiamento di suo padre, ma non volevo farmi false illusioni forse stavo solo fraintendendo un suo disaggio attribuendogli un significato che non aveva. Cercavo di cogliere dei segni, delle conferme che lenissero i miei timori.
-Quale è la versione?- Chiese curiosa.
-In che senso?- Domandai preso alla sprovvista. Il mio bisogno di risposte mi portava a perdermi tra una moltitudine di considerazioni.
-Cosa racconto a Charlie? Con quale scusa giustifico un'assenza di...quanto tempo sono stata lontana da casa?- Abbassai lo sguardo e riuscii a regalarle un sorriso più spontaneo.
-Soltanto tre giorni e a dire la verità speravo che potessi avere tu una buona idea. A me non è venuto in mente nulla.- Non avevo avuto tempo di trovare una giustificazione credibile, la mia mente era stata troppo impegnata ad immagazzinare ogni attimo di quel essersi ritrovati e a studiare ogni sua reazione nella speranza di non precipitare nuovamente nella disperazione.
-Favoloso.- Borbottò.
-Be', magari Alice si inventerà qualcosa.- Risposi cercando di confortarla. Sarebbe stato un mio dovere, un mio compito ben preciso quello di trovare una soluzione, ma per una volta, accantonai i miei modi d'altri tempi e cercai io rifugio in lei. In quel momento mi sentivo vulnerabile e perso, senza nessuna certezza. Da quando l'avevo incontrata, avevo combattuto con me stesso contro ogni genere d'istinto pericoloso alla sua vita e, adesso lì, nel silenzio dei suoi pensieri e del mio cuore, in me c'era un altro tipo di silenzio, quello del mostro che l'aveva reclamata all'inizio e l'avrebbe voluta per se. Non lo sentivo più e potevo ascoltare i miei pensieri privi della sua voce. Era tutto così nuovo, sconosciuto e magnifico.
-Allora.- Disse.- Cosa hai fatto di bello fino a tre giorni fa?- Mi sentii stringere dalla morsa della preoccupazione.
Stava arrivando la fase delle domande.
Delle spiegazioni. Il disaggio si fece pungente.
-Niente di così eccitante.- Risposi.
-Certo che no.- Mormorò poco convinta.
-Perché fai quella faccia?- Chissà a cosa stava pensando.
Cosa poteva mai credere che avessi fatto lontano da lei, quando invece io mi ero solo annientato nel dolore della sua assenza?
-Be'...- Corrugò le labbra, pensierosa.- E' proprio ciò che risponderesti se, in fin dei conti, fossi un sogno. La mia immaginazione deve essere un po' a secco.- Sospirai. Ancora non voleva credere che fossi lì. E che senza di lei, non ero stato altro che quel vuoto che mi ero portato addosso per tutti quegli anni.
-Se te lo dico, ti convincerai che questo non è un incubo?- Mi fissò sdegnata.
-Un incubo!- Sottolineò. Rimasi in attesa di una risposta. Le avrei detto tutto ciò che voleva sapere e anche di più a quel punto. Tutto pur di riabilitarmi ai suoi occhi.
-Forse.- Rispose dopo averci pensato per qualche secondo.- A patto che tu me lo dica.- Dovevo essere sincero. Dovevo confessarle tutta la mia stupidità. Quanto fossi stato ingenuo nel valutare, nel non voler vedere le conseguenze di quel mio gesto. Non potevo più aspettare che fosse lei a parlare. Anche quello non era che un alibi, un altro modo per sfuggire alle mie responsabilità. Dovevo parlarle francamente e poi accettarne tutte le possibili conseguenze, anche quella di poterla perdere dopo averla appena ritrovata. Ma in fondo sapevo di meritarlo. -Sono stato...a caccia.- Sussurrai abbassando gli occhi.
-Non sai dire di meglio? Questo non basta affatto a dimostrare che sono sveglia.- Rimasi in silenzio cercando di scegliere con cura le parole.
-Non ero a caccia per nutrirmi...A dire la verità mi stavo allenando a...seguire le tracce. Non sono molto bravo.- A differenza di quello che aveva sempre creduto c'erano tante cose in cui non ero bravo affatto.
-E cosa hai inseguito?- Chiese incuriosita. Sapevo che avrei dovuto parlare sinceramente, ma non sapevo se avrebbe capito senza che prima le avessi spiegato e chiesto perdono per tutto. Ancora stupidamente cercavo di prendere tempo, un po' per timore, un po' perché ero imbarazzato da tutto quello che avevo causato con il mio comportamento.
-Niente di rilevante.- Risposi a disagio.
-Non capisco.- Mi fissava in attesa che le dessi una spiegazione.
-Io...- Dissi, sospirando profondamente,- ti devo delle scuse. No, certo, ti devo molto, molto di più. Ma devi sapere,- non riuscivo a controllare l'ansia e le parole cominciarono ad uscire veloci come quando ero nervoso e agitato,- che non avevo idea. Non mi sono reso conto del disastro che mi ero lasciato alle spalle. Pensavo che qui fossi al sicuro. Non avevo dubbi. E non immaginavo che Victoria,- al solo pronunciarne il nome l'ira montò portandomi a scoprire i denti come se l'avessi davanti, come se potessi guardarla negli occhi,- sarebbe tornata. Devo ammettere di aver badato molto di più ai pensieri di James che ai suoi il giorno del nostro incontro. Non ho intuito che avremmo scatenato una reazione simile. Che fossero così legati. E ora capisco perché: si fidava di lui e il pensiero che avrebbe fallito non l'ha mai sfiorata. L'eccesso di sicurezza le offuscava i pensieri e mi ha impedito di percepire quanto fosse profondo il legame tra loro. Non che ci siano scuse per ciò che ti ho inflitto. Quando ho sentito ciò che hai detto ad Alice, ciò che lei stessa ha visto, e quando mi sono reso conto di averti costretta a mettere la tua vita nelle mani di licantropi immaturi e volubili, la cosa peggiore al mondo esclusa Victoria...- Non riuscii a continuare, il senso di vuoto assoluto come quando avevo creduto che fosse morta mi fece venire meno le parole.- Sappi che non avevo idea che sarebbe andata così. Sono amareggiato nel profondo, anche oggi che ti vedo al sicuro tra le mie braccia Non c'è modo più miserabile per scusarmi per...- Soffrivo per questo, per tutto quello che involontariamente le avevo causato e volevo che lo sapesse che si rendesse conto che avrei fatto di tutto per tornare indietro e cancellare quegli ultimi mesi, ma la sua voce...mi gelò.
-Smettila.- Disse, fissandomi come a trovare le parole giuste per qualcosa di solenne e definitivo. Come biasimarla, se non avesse più voluto avere a che fare con me e con tutto quel mondo? Il trascorrere di quei pochi secondi che sospesero le sue parole sembrarono racchiudere tutta l'eternità di cui ero figlio.
-Edward, smettila una volta per tutte. Non puoi ostinarti a vederla così.- La osservai con attenzione, ma i suoi pensieri inaccessibili non lasciavano trasparire nulla dal suo viso. Quello che riuscivo a cogliere su quel volto che adoravo, era solo un'espressione neutra che sembrava non costarle alcuna fatica. Mi aggrappavo ad ogni suo respiro nella speranza che mi arrivasse uno spiraglio, che mi desse la possibilità di una speranza. Bella parlava di senso di colpa, che non dovevo sentirmi responsabile delle sue decisioni, o di quello che le succedeva e non potevo scappare in Italia solo perché convinto di non essere riuscito a salvarla. Quella, diceva, era la sua natura, la sua vita attuale. Che sapeva che, preoccuparmi e sentirmi responsabile di tutto, faceva parte della mia natura, ma non potevo permettermi di esagerare a quel modo. Era, secondo lei, un atteggiamento sconsiderato e che dovevo pensare ad Esme e Carlisle. La guardavo senza riuscire a parlare, non riuscendo a credere a quello che avevo appena ascoltato. Come poteva pensare che fosse per quello, che fosse solo quella la ragione che mi aveva spinto a cercare la fine quando l'avevo creduta morta? Sarei mai stato in grado di rimarginare la ferita di quell'abbandono? Ma come aveva potuto credere a quella bugia che mi ero costretto a dirle. L'amavo, glielo avevo dimostrato e detto infinità di volte. Possibile che non avesse minimamente dubitato che quel giorno nella foresta stessi mentendo? Certo che mi sentivo in colpa, ma...non per i motivi che credeva lei. La guardai con la disperazione negli occhi che mi rendeva folle al solo pensiero che lei fosse convinta che non l'amassi più.
-Isabella Marie Swan.- le sussurrai sul viso, disperato,- credi davvero che io abbia chiesto ai Volturi di uccidermi perché mi sentivo in colpa?- La sua espressione era cambiata, adesso era quella di chi non riusciva a capire.
Era confusa.
-Non è così?- Disse con i suoi occhi scuri sgranati su di me.
-Certo che mi sentivo in colpa. Molto. Più di quanto tu possa immaginare.- Continuava a guardarmi incredula.
-Ma...cosa stai dicendo? Non capisco.- Quanto poteva fare male una bugia? E Quella che io avevo detto a Bella per salvarla da me? Le parole sanno scavare dentro e nel farlo provocano sofferenza e dolore. Ero convinto che mi avrebbe con il tempo dimenticato, ma avevo solo pensato a quanto questo sarebbe costato a me. Avevo solo considerato il mio di dolore. La sua sofferenza era stata pari alla mia per intensità. Mi era arrivata aprendo una ferita che non si sarebbe mai rimarginata attraverso i ricordi di Alice. Ma era stata brava però la mia piccola umana a cercare di riemergere da quell'abbandono e a trovare una sua strada. Di questo ero fiero. Sapevo che era forte e coraggiosa, e che questo poteva significare poterla perdere per sempre. Che non potesse accettarmi nuovamente nella sua vita. Ora per lei doveva essere difficile potersi nuovamente fidare delle mie parole. Adesso era il momento di cercare di spiegare i motivi di quel comportamento, il perché di quella decisione così disgraziata per entrambi che ci aveva quasi portato alla morte. Speravo di riuscire a convincerla parlandole con sincerità, facendole sapere cosa rappresentava per me e aveva sempre rappresentato.
Implorando il suo perdono.
-Bella, sono andato dai Volturi perché credevo fossi morta.- Parlai guardandola negli occhi pieno di dolcezza.
Sussurrando le parole. Ma con decisione.- Sarei andato in Italia anche se non fossi stato il responsabile della tua morte.- Pronunciai quella parola accusando lo stesso dolore del momento in cui l'avevo creduta perduta per sempre.- Anche se non fosse stata colpa mia. Certo, avrei dovuto agire con più cautela e parlarne prima con Alice, anziché prendere per buona la versione di Rose. Ma, sinceramente, cos'altro avrei dovuto pensare, quando il ragazzo mi ha risposto che Charlie era al funerale? Quante probabilità c'erano? Probabilità...- E la voce mi si affievolì mentre i ricordi tornavano nitidi.- Le probabilità sono sempre contro di noi. Un errore dietro l'altro. Non criticherò mai più Romeo.- Avevo capito che c'erano cose che non potevo controllare, prendevano una loro direzione malgrado le mie buone intenzioni. Non avevo tutte le risposte. Ma Bella continuava a non capire o semplicemente non le interessava più farlo. “ E allora?” Cosa voleva dire con quell'affermazione?
-Allora cosa?- Le domandai disarmato da quel suo distacco.
-Se anche fossi morta davvero?- La fissai, a lungo con l'incertezza che mi dava il dubbio.
-Non ricordi cosa ti ho detto una volta?- Dissi piano.
-Ricordo tutto quel che mi hai detto.- Sapevo a cosa si riferiva. Erano le stesse parole che mi rimbombavano nella testa e che avevano accompagnato le immagini che mia sorella Alice mi aveva rimandato, quelle della sua disperazione. Mi avvicinai e con le dita le sfiorai le labbra. Erano morbide e calde e avrei voluto baciarla e dirle di smettere di punirmi, ero pentito, avevo capito, non mi sarebbe bastata la mia eternità per scusarmi e chiederle perdono che il mio posto era al suo fianco. Ma cercai di frenarmi, di darle il tempo di abituarsi nuovamente a me, di cercare in lei quell'amore che ci aveva legati, se ancora esisteva. Darle il tempo di fare chiarezza, di accettare delle scuse che avrebbero rimarginato solo in parte le sue ferite.
-Bella, temo che tu sia vittima di un equivoco.- Chiusi gli occhi obbligandomi a non guardarla, regalandole un sorriso, mentre la pena del ricordo di quegli istanti tornava a torturarmi.- Pensavo di avertelo già spiegato chiaramente. Non son in grado di vivere se al mondo non ci sei tu, Bella.- Appena finii di pronunciare quelle parole aprii gli occhi e la fissai. Continuava a non capire il senso di quello che le dicevo.
-Sono...confusa.- Disse guardandomi a sua volta. I miei occhi ritornarono nei suoi con quello sguardo spontaneo e sincero che riservavo solo a lei.
-Sono un bravo bugiardo, Bella. Devo esserlo.- La vidi rimanere immobile e la sentii irrigidirsi fino quasi a smettere di respirare. Non volevo riportare a galla quei momenti, riproporre quel dolore. Allungai una mano e toccandola la strattonai leggermente nel tentativo di farle assumere nuovamente una posa più rilassata.- Lasciami finire! Sono un bravo bugiardo, ma tu mi hai creduto troppo in fretta.- La vidi trasalire. Era convinta non l'amassi più.- E' stato...atroce.- Restò in silenzio, immobile.
L'espressione statica di chi ascolta senza battere ciglio. -Quando ti ho detto addio nella foresta...- La sentii tremare e fare forza su se stessa.- Non ti saresti arresa.- le sussurrai,- lo sapevo bene. E non volevo farlo perché sapevo che sarei morto anch'io, ma temevo che, se non ti avessi convinta che non ti amavo più, avresti impiegato ancora più tempo a riprendere una vita normale. Speravo che dimostrandoti di averti dimenticata tu potessi fare altrettanto.- La guardai mentre le sentii sussurrare le mie parole. -Un taglio netto.- Disse. La mente tornò a quel momento, all'attimo preciso in cui mi ero costretto a pronunciarle. Il pensiero di come avevo dovuto combattere contro la voglia di stringerla e consolarla, asciugare le sue lacrime, farla smettere di tremare, mentre la paura che si potesse accorgere della mia disperazione mi divorava, mentre pensavo di poter cedere da un momento all'altro cadendo ai suoi piedi per chiederle perdono. Non volevo farlo, non volevo allontanarmi da lei, abbandonarla, ma ero convinto fosse la cosa giusta da fare. “ Un taglio netto” che io non avrei mai potuto dare. Il mio legame con lei non si poteva recidere e non avrei mai per tutta la mia esistenza potuto staccarmi da lei, anche se non l'avrebbe mai saputo. Ma lei aveva ceduto così presto. Mi aveva creduto. Aveva accettato per buona ogni parola, non aveva saputo guardare oltre, nel profondo dei miei occhi che la cercavano e la sfuggivano per paura di rivelare la disperazione del mio cuore. I miei occhi che non potevano essere lo specchio di quell'anima che non avevo più avevano saputo nascondere l'immensità di un dolore che non poteva avere uguali nel suo mondo e nel mio mentre io non avevo saputo capire a quale sofferenza la stavo consegnando. Dicevo di amarla e non avevo capito quanto lei amasse me. Però mi aveva creduto, sembrava veramente convinta che avessi smesso di amarla e non riuscivo a capire come avesse potuto credere ad una simile bugia.
Quando avevo iniziato a parlarle quel giorno ero convinto che avrei dovuto farlo per ore prima di riuscire ad insinuare il dubbio, che sarei stato costretto a mentire a denti stretti. Ero convinto capisse e, invece, si era arresa così in fretta spezzandomi. -Ti ho mentito e ti chiedo scusa, ma non avrei mai immaginato che sarebbe stato così facile, lo consideravo un'impresa impossibile. Ero sicuro che intuissi la verità e mi aspettavo di dover mentire a denti stretti per ore prima d'insinuare l'ombra del dubbio in te. Ti ho mentito e ti chiedo scusa...scusa per averti ferita, scusa perché è stato un tentativo inutile. Scusa se non ti ho protetta da ciò che sono. Ho mentito perché volevo salvarti e non ha funzionato. Scusami. Ma come hai potuto credermi? Dopo che ti ho ripetuto migliaia di volte che ti amavo, com'è stato possibile che una sola parola frantumasse la tua fiducia in me?- Non rispose, rimanendo a guardarmi, con un'espressione che non riuscivo a decifrare. Ma il suo cuore batteva come quando l'emozione s'impadroniva di lei. Continuava però a rimanere immobile.
-Lo vedevo dal tuo sguardo, sembravi sinceramente convinta non ti volessi più.- Come faceva a credere ad una cosa del genere?- Come se io potessi mai trovare il modo di esistere senza avere bisogno di te.- Bella continuava a rimanere ferma ed in silenzio. Fui costretto a strattonarla nuovamente per scuoterla da quell'immobilità che mi stava esasperando. Continuava a rimanere chiusa nel suo mutismo.
-Bella-, sospirai. – Davvero, cosa pensavi?- A quel punto vidi i suoi occhi inondarsi di lacrime e iniziò a piangere.







Scusate il ritardo, ma sono riuscita tra tanti impegni pre ferie a postare questo capitolo. Spero vi piaccia e abbiate ancora voglia di seguire e leggere questa rivisitazione di New Moon, dal mio punto di vista.
Come sempre ringrazio chi lascia il proprio commento, con costanza ( siete sempre di grande aiuto per continuare a scrivere. Le vostre considerazioni sono sempre fonte d'ispirazione.). Grazie.
Un grazie anche a chi legge , preferisce, segue o semplicemente legge.
Grazie a chi non ancora in vacanza lascerà un commento a chi non potrà farlo spero di poterlo leggere in seguito. A tutti una felice estate.

arte

Ciao carissima felice di aver letto questo commento così positivo e sempre colmo di complimenti. Sono contente ti sia piaciuto. Grazie infinite. Glance.

Ninfea Blu

Ciao cara, un grazie anche a te per non farmi mai mancare la tua opinione su questa storia. Spero di poter leggere cosa pensi anche in seguito. Grazie di cuore. Glance.

Cicciolgeiri

Grazie tesoro. Troppo buona, ma zia Sthephenie è una sola, originale e d unica. Io provo solo a raccontare quello che mi piacerebbe poter sapere di più. Baciotti, Glance.

bale86

Eccomi qui. Spero che il nuovo capitolo soddisfi la tua curiosità. Mi auguro ti piaccia e ti ringrazio per il commento. Sono sempre felice di trovarvi. Un bacio. Glance.

theangelsee69

Ecco qui una parte delle spiegazioni e spero che ti abbia emozionata, anche se in ritardo spero che leggerai comunque e mi farai sapere cosa ne pensi. Grazie per essere sempre presente con la tua opinione. Baci Glance.

ANNALISACULLEN
Mi auguro di non averti delusa con questo capitolo, ma se così fosse ti prego di farmelo sapere, è importante capire se quello che si scrive rimane attinente oppure no. Ti aspetto. Baci Glance.

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Capitolo 26
*** CAPITOLO XXIV BIS ***





Osservai le lacrime rigarle il viso copiose, senza sapere cosa fare, come arginarle. Sembrava che ogni parola che pronunciassi per cercare di rimediare al mio errore non facesse altro che procurarle un nuovo dolore. Non volevo vederla piangere ancora a causa mia.
La guardavo con il terrore di sentirle dire di andarmene via, di lasciarla in pace e non farmi vedere mai più.
Disse solo, - Lo sapevo.- Tra i singhiozzi. Guardandola attesi che completasse la frase cercando di resistere alla voglia di stringerla a me.
Sapevo che era un sogno.- Aggiunse. Continuava a non voler credere che fossi lì con lei. Se avessi potuto farlo avrei pianto, per convincerla e per la tensione che avevo ormai accumulato, ma l'unica cosa che potevo concedermi era una risata nervosa che conteneva solo un pizzico d'irritazione. Era stato così semplice farle credere che non l'amavo più e tanto difficile convincerla del contrario che ancora era parte di me, l'unica ragione di quell'unica vita che potessi ancora avere.
Senza di lei al mondo per me non c'era nulla. Doveva capirlo, dovevo poterla convincere.
-Sei incredibile.- Le dissi. - Cosa devo fare per convincerti? Non stai dormendo e non sei nemmeno morta. Sono qui e ti amo. Ti ho amata sempre e sempre ti amerò. Ho pensato a te, visto il tuo volto nei ricordi, durante ogni minuto di lontananza. Dirti che non ti volevo è stata una terribile bestemmia.- Iniziò a scuotere la testa senza smettere di piangere. Le mie parole invece di calmarla la sconvolgevano ancora di più. Forse perché non voleva ascoltarle, perché le dovevano sembrare solo delle bugie, delle scuse per sentirmi meno miserabile ai suoi occhi. Del resto sapevo mentire, glielo avevo dimostrato.
-Non mi credi, eh?- Sospirai avvilito.- Come fai a credere ad una bugia e non alla verità?- La sua risposta mi lasciò amareggiato.
-Amarmi non ha mai avuto senso per te.- Mi rispose con voce spezzata.- L'ho sempre saputo.- Serrai la mascella, era arrivato il momento di agire, di mettere da parte per un attimo le mie buone maniere. La fissai.
-Ora ti dimostro che sei sveglia.- Le presi il viso con decisione tra le mani ignorando i suoi sforzi per sfuggire alla presa.
-No, ti prego.- Sussurrò. Mi bloccai facendo una violenza su me stesso. Ci separava solo un soffio. Sentivo il suo respiro caldo sul mio viso. Il suo profumo che mi entrava dentro scavando e facendo vibrare ogni fibra del mio corpo. Il suo cuore sembrava impazzito, batteva così forte, come se avesse un unico lungo suono prolungato. Avevo bisogno di quel contatto, di sentirla nuovamente sulle mie labbra, di sentire il suo sapore, di avvertire il calore del suo corpo, delle sue mani tra i miei capelli con le sue dita delicate e piccole. Ma mi fermai, dolorosamente restai lì a guardarla, con quella domanda tra le mie lacrime perdute.
-Perché no?- Chiesi, anche se ero sicuro di non voler conoscere la risposta. Se mi avesse detto di non amarmi più ero sicuro di poter morire lì, tra le sue braccia.
-Quando mi sveglierò.- Ricominciava nuovamente con la storia di stare ancora dormendo, cercai di parlare, ma si corresse.- D'accordo, lasciamo perdere. Ora che te ne andrai di nuovo sarà dura da sopportare, anche senza questo bacio.- Era quella allora la ragione. Aveva solo paura che potessi nuovamente andare via, allontanarmi da lei lasciandola ancora da sola. Ma dovevo essere sicuro di non avere frainteso, di non volere a tutti i costi sentire ciò di cui avevo bisogno. Arretrai appena un po' per guardarla meglio negli occhi.
-Ieri, quando ti toccavo, sembravi...incerta, prudente, sebbene sempre la stessa. Ho bisogno di sapere perché. E' troppo tardi? Ti ho ferita irrimediabilmente? O ti sei davvero lasciata tutto alle spalle, come desideravo? Tutto sommato sarebbe...giusto. Non contesterò la tua decisione. Perciò non temere la mia reazione ti prego. Dimmi solo se dopo tutto ciò che ti ho fatto puoi ancora amarmi o no. Puoi?- E la voce mi divenne appena un sussurro, non ero neanche sicuro che fosse riuscita a sentirmi. Ero preparato al peggio e l'attesa di ciò che mi avrebbe distrutto o reso l'essere più felice del mondo mi stava sembrando più infinita della mia eternità. Ma lei rispose quasi risentita. -Ma che razza di domanda scema è questa.- Come faceva a definirla in quel modo. Cosa c'era di stupido se volevo sapere se ancora mi amava, ma forse ai suoi occhi ormai ero solo quello uno sciocco, qualcuno che non sarebbe dovuto nemmeno esistere e che invece aveva la sfrontatezza di farsi delle illusioni. Ma non volevo arrendermi, volevo una risposta.
-Ti prego rispondi. Per favore.- Mi guardò cupa, per un istante che veramente mi sembrò immenso come l'eternità che mi accompagnava. Poi vidi le sue labbra muoversi e compresi tutta l'ansia di chi aspetta di ascoltare la sentenza della propria condanna. Lo scotto da pagare per i propri sbagli.
Il respiro che accompagnò le parole che pronunciò invece fu per me un nuovo alito di vita.
-Ciò che provo per te,- disse guardandomi accigliata,- non cambierà mai. Certo che ti amo...e tu non puoi farci niente.- E il mio cuore tornò in quell'istante al suo posto potevo sentirlo nuovamente, appagato e felice nel suo immobile silenzio.
-Non avevo bisogno di sentire altro.- Le dissi felice appropriandomi nuovamente dopo tanto tempo della sua bocca, come non avevo mai fatto e come avevo sempre desiderato fare. Era lì con me e potevo sentirla come non mi ero mai concesso, come quell'altro me non mi aveva mai permesso.
Ebbi l'impressione come se la stessi baciando per la prima volta ed in effetti quella si poteva definire la nostra vera prima volta. Perché eravamo vivi e ancora insieme dopo avere rischiato di perderci. Perché la mia stupidità in qualche modo era servita per restituirmi a lei diverso. Un uomo nuovo che non aveva più paura né, indecisioni, che sapeva quello che voleva e fin dove si poteva spingere. Non le avrei mai fatto del male, non l'avrei mai messa in pericolo con il mio amore. Con lei ero solo Edward, l'uomo che l'amava, l'altro, il vampiro, il mostro che l'aveva reclamata per se era morto in quella piazza. Bella rispose al mio bacio che non aveva nessun ricordo della prudenza che avevo sempre imposto tra di noi. La sentii arrendersi sulle mie labbra. Il ritmo del suo cuore spezzarsi e riprendere in maniera disordinata, i nostri respiri diventare affannosi e le sue dita sembrava volessero divorare il mio viso. Sentivo il mio corpo aderire al suo, la sentivo tremare e se avessi potuto farlo avrei tremato con lei. L'intensità di quel contatto con le sensazioni che mi dava e che mi ero sempre negato di provare fino in fondo non avevano parole per essere descritte. La dolcezza e la forza di quel momento che avrei voluto sospendere all'infinito. Sentivo le nostre mani cercarsi per riprendere confidenza con il viso dell'altro. Quanto mi era mancata. Era stato terribile continuare senza di lei e trovare una ragione per esistere. L'agonia più grande che avessi mai conosciuto, era stata la sua assenza nella convinzione di averla perduta per sempre. Continuavo a baciarla, sembrava non mi bastasse mai che non riuscissi più a smettere di farlo, mi allontanavo solo per brevi momenti per permetterle di respirare e, nel frattempo, non potevo fare a meno di pronunciare il suo nome. Sentirne il suono dentro di me, era come musica, la più dolce che avessi mai potuto ascoltare in quei quasi novanta anni. Ad un tratto però il suo corpo cominciò a tremare in maniera diversa, sembrava quasi scosso da brividi. Non volevo spingermi troppo oltre e poi anche per me cominciava a diventare difficile. Non volevo dovermi negare e darle l'impressione di rifiutarla. La desideravo tanto, troppo.
Era il mio amore, la mia donna e anche se il suo sangue ormai non rappresentava più un problema, una tentazione, restava sempre il pericolo reale che perdendo il controllo avrei potuto farle del male solo con la punta di un dito. Mi allontanai solo per poggiare la testa sul suo petto. Aspettai che il suo cuore e il respiro si calmassero. Non sarei andato più via, da nessuna parte senza di lei, era quello il solo posto che per me avesse un senso. Tutto quello che era veramente importante, tranquillo e sicuro era racchiuso nell'arco delle sue braccia.
-Tra l'altro -, dissi come se niente fosse. - non ho intenzione di andare da nessuna parte.- In risposta però ebbi ancora una volta il suo silenzio. Ancora non si fidava. Sarebbe stato difficile riuscire ad ottenere nuovamente la sua fiducia, ma avrei fatto di tutto per riconquistarla. Sollevai la testa per incrociare il suo sguardo. I suoi occhi scuri mi guardavano cercando di leggere in me le rassicurazioni di un tempo.
-Non vado da nessuna parte. Non senza di te.- Proseguii serio.- Ti ho lasciata soltanto perché desideravo darti la possibilità di vivere una vita normale, da essere umano. Mi rendevo conto di cosa significasse starti accanto: farti vivere sempre sul filo del rasoio, allontanarti dal tuo mondo, costringerti a rischiare la vita ogni istante che passavo con te. Perciò ho deciso di provare. Dovevo fare qualcosa e la fuga mi è sembrata l'unica possibilità. Se non avessi creduto che era meglio per te, non mi sarei mai imposto di andarmene. Sono fin troppo egoista. Soltanto tu eri più importante dei miei capricci...e dei miei desideri. Ciò che desidero, ciò che voglio, è stare con te e so che non avrò mai più la forza di lasciarti. Ho troppe scuse per rimanere...grazie al cielo, sembra proprio che tu non riesca a non cacciarti nei pasticci, anche se ci sono i chilometri a separarci.- Avevo parlato senza interruzioni, cercando di dare al tutto il tono solenne di un giuramento. -Non fare promesse.- disse sussurrando appena. Mi sentii mancare la terra sotto i piedi.
-Pensi che ti stia mentendo, adesso?- Mi sentivo stupidamente offeso dalla reticenza che ancora dimostrava verso le mie parole. Aveva ragione ne ero pienamente consapevole, ma non potei fare a meno di sentirmene risentito. E dalla sua espressione capii che i miei occhi dovevano averglielo mostrato.
-No...non lo penso.- Mi rispose scuotendo la testa.- Potresti essere sincero...adesso. Ma domani, quando ripenserai a tutti i motivi che già una volta ti hanno convinto ad andartene? O tra un mese,la prossima volta che Jasper cercherà di mordermi?- Sentirla parlare così era doloroso. E nell'ascoltare queste sue parole non riuscii a non avere un moto di stupore e imbarazzo.
-Non mi pare -, continuò – che tu abbia meditato molto sulla tua vecchia decisione, no? Finirai per fare ciò che ritieni giusto.- Si, sicuramente l'altro Edward l'avrebbe fatto, ma adesso era diverso l'amore mi aveva cambiato e reso differente, non importava più sapere cosa era giusto e cosa sbagliato. Non ero così forte da poter rinunciare a lei nuovamente.
-Non ho tutta la forza che mi attribuisci, non m'importa più di capire cosa è giusto e cosa sbagliato; sarei tornato comunque. Prima che Rosalie mi desse la notizia, avevo già rinunciato a vivere alla giornata. Una settimana era un'eternità, un'ora una sofferenza. Era soltanto questione di tempo, molto poco tempo, e mi sarei ripresentato alla tua finestra per implorarti di accettarmi di nuovo. Se non ti dispiace vorrei provarci ora.- Il suo viso mi regalò l'ennesima smorfia.
-Non scherzare, per favore.- La guardai cupo.
-Dico sul serio. Vuoi, per cortesia, sforzarti di ascoltare ciò che dico? Mi lasci spiegare quanto sei importante per me? - Restai in silenzio cercando di studiare la sua espressione. La sua mente silenziosa che adoravo, in quel momento mi stava facendo impazzire. Chissà cosa le stava passando per la testa? Volevo che mi comprendesse che fosse chiaro ciò che stavo per dirle. Cercavo la sua attenzione.
-Prima di te Bella , la mia vita era una notte senza luna. Molto buia, ma con qualche stella: punti di luce e razionalità...Poi hai attraversato il cielo come una meteora. All'improvviso, tutto ha preso fuoco: c'era luce, c'era bellezza. Quando sei sparita, la meteora è scomparsa dietro l'orizzonte e il buio è tornato. Non era cambiato nulla, ma i miei occhi erano rimasti accecati. Non vedevo più le stelle. Niente aveva più senso.- Mentre parlavo non avevo mai distolto i miei occhi da i suoi. Avevo continuato a guardarla, a scrutare ogni più piccolo movimento del suo viso.
-Gli occhi si abitueranno.- Mormorò.
-Questo è il problema: non ci riescono.- Ma perché non riusciva più a vedere quanto l'amavo, perché non riusciva ad essere così evidente per lei. Eppure non poteva non accorgersene. Forse se avesse potuto ascoltare il battito del mio cuore, vedere il mio viso avvampare, sentirmi tremare o rabbrividire al suo tocco, tutto sarebbe stato più semplice per lei. Il mio corpo avrebbe potuto parlare per me e invece doveva accontentarsi solo di parole. Le parole di qualcuno che della menzogna aveva fatto la sua religione. Qualcuno che era inganno. La sconfitta di accettare il limite di ciò che ero era umiliante e frustrante. Per quanto avessi fatto, per quanto mi avesse potuto cambiare quel sentimento, sarei rimasto per sempre ciò che ero. Non ero umano e questo era il mio limite che neanche lei avrebbe potuto farmi superare. Ma io, potevo amarla e, questo, era l'unica ragione, l'unico significato a tutto per me.
-E le tue distrazioni?- Una risata amara scivolò tra le mie labbra. Ricordavo cosa le avevo detto lasciandola: che per qualcuno come me sarebbe stato facile distrarsi. Chissà quanto l'aveva potuta ferire quel pensiero.
-Faceva parte della bugia, amore mio. Non sono mai riuscito a cancellare...l'agonia. Il mio cuore non batteva da quasi novant'anni, ma stavolta è andata diversamente. Non lo sentivo più, al suo posto c'era il vuoto. Come se ti fossi portata via tutto ciò che avevo dentro.- Ancora un attimo di silenzio.
-Curioso.- Disse solo. La guardai perplesso. Non capivo.
-Curioso?- Replicai.
-Volevo dire “ strano”...pensavo fosse successo soltanto a me. Anch'io ho perso parecchi pezzi. Ho passato chissà quanto tempo senza respirare davvero.- Fece un lungo sospiro.- Anche il mio cuore. Sparito nel nulla.- Era doloroso sentirla parlare così. Chiusi gli occhi e tornai a poggiare nuovamente il viso sul suo petto. Sentii la sua guancia sui miei capelli. Era lì e non potevo crederci.
-Non ti sei distratto neanche con la caccia?- Sospirai.
-No. Quella non è mai stata una distrazione, ma un dovere.- La caccia, non era mai stato un piacere. Era il momento in cui il lato di me che per il resto del tempo tendevo a nascondere per dissimulare la mia diversità, prendeva il sopravvento. Non mi piaceva lasciarmi andare alla mia vera natura anche se solo per l'esigenza di nutrirmi.
-In che senso?- Questa volta al termine caccia io davo un significato totalmente diverso da quello che stava dando Bella. Considerai come in effetti avessi sottovalutato il pericolo che poteva venire dall'incontro che aveva portato Victoria nella sua vita. Guardai il mio amore e lessi sul suo viso la curiosità di sentire cosa avessi da dire mentre il suo cuore continuava a cantare per me. Cominciai a raccontarle come, pur non considerando Victoria pericolosa, non avessi nessuna intenzione di fargliela passare liscia e, come, per la mia stupidità, era stato facile prendersi gioco di me portandomi prima in Texas e poi depistandomi fino in Brasile, mentre lei indisturbata tornava a Forks e io mi trovavo in un altro continente, del tutto ignaro delle sue intenzioni.
-Eri sulle traccie di Victoria?- Le sentii soffocare un grido in gola che interruppe il russare di Charlie che riprese subito dopo.
-Non le ho seguite bene.- Risposi confuso alla sua espressione sbalordita.- Ma stavolta farò di meglio. Presto smetterà di insozzare l'aria con il suo respiro.
-Questo è... fuori discussione.- Disse d'un fiato. Ma non mi avrebbe convinto. Ero determinato a farla pagare a quella folle.
-E' troppo tardi per lei. L'altra volta ho perso un'occasione, ma ora basta, non dopo che...-Mi guardò e lessi l'ansia nei suoi occhi.
-Ricorda che hai appena promesso di non andartene e non credo che questo sia davvero compatibile con una battuta di caccia in piena regola, sbaglio?- Le sue parole mi incupirono e non potei soffocare un ringhio che rimbombò nel mio petto.
-Manterrò la promessa, Bella. Ma Victoria,- e il suono nel mio petto di fece più minaccioso,- morirà presto.- Bella continuò cercando di dissuadermi dal volere dare la caccia a Victoria. Disse che sicuramente il branco di Jacob l'aveva spaventata e messa in fuga. Al solo pensiero di avere lasciato la sua vita tra le mani di licantropi instabili mi faceva infuriare, ma potevo prendermela solo con me stesso. Mi lasciai sfuggire che in effetti i licantropi potevano essere un problema, ma servì solo a sollevare le sue rimostranze. I suoi problemi erano ben altri che un gruppo di lupi adolescenti. Ma non riuscivo a capire quale potesse essere nella scala delle sue preoccupazioni il posto che dava al ritorno nella sua vita di una minaccia come Victoria.
-Parliamo del secondo in ordine di urgenza?- Rispose
-D'accordo.- Dissi sospettoso.





Scusate l'enorme ritardo e il fatto di avere interrotto anche questo tratto della storia, ma questo capitolo è stato più lungo del previsto e gli impegni non sono mancati. Sembra che l'estate non per tutti significhi vacanze, almeno ancora non per me. Spero comunque vogliate perdormi e leggere con il medesimo piacere ed interesse anche questo. Ringrazio chi ha recensito:
red apple (Annamaria)
Ninfea Blu
bale86
theangelsee69
ANNALISACULLEN
Grazie di cuore, scusate se non rispondo, ma è tradi e vi prometto che mi rifarò la prossima volta. Un bacio Glance.
Grazie anche a chi segue, prefersce, ricorda o semplicemente legge.

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Capitolo 27
*** CAPITOLO XXV ***








Restò in silenzio.
Il silenzio tra di noi era sempre qualcosa che mi stupiva e mi faceva sentire più simile a lei.
-C'è qualcun altro che verrà a cercarmi.- Disse in un sussurro e sentii pungente il senso di colpa. Ormai per me era la normalità sentirmi in colpa nei suoi confronti per la maggior parte del tempo. C'era sempre qualcosa che dicevo o facevo per la quale dovermi scusare o farmi perdonare. L'averla esposta con James e permesso che fosse diventata l'ossessione di Victoria o aver fatto si che i Volturi venissero a conoscenza del fatto che un'umana frequentasse una famiglia di vampiri e, cosa inammissibile, aver dovuto promettere di farla diventare una di noi. Non lo avrei mai fatto, avrei preso tempo in qualche modo. Non era così difficile depistare la stirpe reale. La loro percezione del trascorrere del tempo era del tutto diversa da quella che potevo avere io o Bella. Ma a sentirla parlare con quel filo di voce nel pronunciare quelle parole non mi permise di trattenere un sospiro rassegnato. Non poteva vedere il fatto di dover essere trasformata in qualcosa di mostruoso e inumano come un problema secondario. Il secondo in ordine d'importanza. Era vero che anche per me la priorità in quel momento era Vittoria, ma per lei entrambe le situazioni dovevano essere pericolose.
-I volturi sono soltanto secondi?- Dissi rassegnato.
-Non mi sembri così sconvolto.- Lo ero sconvolto, ma consideravo il fatto che con loro avevo molto più tempo per pianificare una soluzione che con Vittoria che, invece, si aggirava indisturbata nei dintorni.
-Be', abbiamo un sacco di tempo per pensarci.- Risposi.- La loro percezione del tempo è molto particolare, diversissima dalla tua, e anche dalla mia. Un loro anno pesa quanto un tuo giorno. Non mi sorprenderei che si facessero vivi per il tuo trentesimo compleanno.- Risposi ironico. Scherzavo, cercavo di alleggerire la tensione e l'ansia, ma vidi la sua espressione terrorizzata come quando eravamo al loro cospetto. Rimasi spiazzato.- Non devi avere paura.-Dissi in ansia mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. Aveva paura, come poteva non averne e la capivo, ma volevo fosse chiaro per lei che non avrei mai permesso a niente e a nessuno di metterla in pericolo o farla diventare qualcosa di diverso da ciò che era.- Non permetterei che ti facciano del male.- Allungai una mano e sfiorandole il viso cercai di arginare le lacrime che le rigavano le guance.
-Finché ci sei.- Ci sarei sempre stato, sempre. Non l'avrei lasciata mai più e doveva rendersi conto di questo. Era la verità, l'unica. La guardai negli occhi prendendole il viso tra le mani attirandola a me cercando il suo sguardo scuro. La fissai intensamente. Avrei voluto prestarle le mie capacità per permettergli di leggere i miei pensieri.
-Non ti lascerò mai più.- Mi guardò tenendo i suoi occhi fissi nei miei come se annegasse in me. Sospirò mentre le lacrime cominciarono a scorrere più copiose.
-Ma hai detto trentesimo.- Disse con un filo di voce.- Perciò...vuoi restare e lasciare che io invecchi? Va bene.- A quelle parole mi irrigidii. Ma i miei occhi non smisero di rimanere immersi nei suoi.
-Proprio così. Quali alternative ho? Non posso fare a meno di te, ma non distruggerò la tua anima.- Si sciolse dalla mia presa e sfuggì dal mio sguardo e una fitta sorda di dolore mi lambì il petto. Non sopportavo neanche quei brevi momenti di distacco tra di noi, non riuscivo a fare a meno dei suoi occhi dove specchiarmi perché ogni volta che mi rimandavano la mia immagine mi vedevo diverso da ciò che ero. Mi vedevo come lei mi vedeva. Era in collera lo sapevo, ma ero pronto ad affrontare le sue recriminazioni sicuro che qualsiasi argomento avesse portato a suo favore non mi sarei lasciato convincere. Quello che voleva era ciò da cui io cercavo di fuggire da sempre. Non l'avrei condannata all'oscurità. Lei era luce, la mia luce personale, la sua anima il mio sole e avrebbe continuato a brillare, non vi avrei mai posto fine. Avrei fatto tutto per lei, anche andare via se un giorno me lo avesse chiesto. Tranne questo; farla diventare come me.
-Ma sei davvero...- Disse spazientita.
-Si?- Chiesi in attesa della domanda che sicuramente sarebbe arrivata.
-E quando sarò troppo vecchia che tutti mi scambieranno per tua madre? O tua nonna?- Sentivo l'amarezza nella sua voce, ma niente mi avrebbe convinto. Odiavo vederla piangere, ma questa volta avrebbe pianto e non mi sarei sentito in colpa. Questa volta non mi sarei dovuto rimproverare nulla. Ciò che voleva era improponibile. Non capiva le conseguenze di ciò che chiedeva. Al contrario io le conoscevo benissimo. Certo per me sarebbe stato facile averla accanto uguale a me, ma sarebbe stato il gesto più egoista e sconsiderato a cui avrei mai potuto cedere. Mi rilassai. Sapevo che anche se avesse protestato o pianto all'infinito non avrei ceduto. Per me non aveva importanza il suo aspetto, io l'avrei vista sempre per come era in quel momento, splendente e bellissima. Asciugai con le labbra quelle lacrime.
-Per me non significa nulla.- Le dissi con tenerezza.- Ai miei occhi resterai la cosa più bella di tutte. Ovviamente...- Non potevo non prendere in considerazione il fatto che crescendo avrebbe magari voluto di più e qualcosa di diverso per se. Quel pensiero al solo sfiorare la mia mente mi gettava nella disperazione, ma avrei assecondato qualsiasi suo desiderio. Se non mi avesse voluto più accanto crescendo, se avesse avuto bisogno di qualcos'altro sarei andato via.- Se tu diventassi troppo grande, se tu desiderassi qualcosa di più... lo capirei, Bella. Prometto che non ti sarò mai di intralcio se deciderai di lasciarmi.- La guardai cercando di farle capire che non parlavo con leggerezza, ciò che dicevo era frutto di una lunga meditazione.
-Ti rendi conto che un giorno o l'altro morirò, vero?- Chiese. Era ovvio che ci avevo pensato. L'avrei seguita.
-Ti seguirò appena possibile.- La vidi sobbalzare contrariata.
-Questa è davvero...- era seccata, mentre cercava le parole per ribattere a quella mia affermazione.- ...un'assurdità.- Era testarda non si sarebbe arresa, ma neanche io.
-Bella, è l'unica via che mi è rimasta...- La guardai deciso.
-Facciamo un piccolo passo indietro.- Disse.- Ricordi i Volturi, vero? Non resterò umana per sempre. Mi uccideranno. Anche se non dovessero più pensare a me fino al mio trentesimo compleanno.- La sua voce aveva assunto la tonalità di un sibilo.- Pensi davvero che possano dimenticare.- La guardai e lentamente feci cenno di no.
-Non dimenticheranno. Però...- Sorrisi di fronte alla sua preoccupazione.
-Però?- Aggiunse irritata.
-Ho un piano.- Mi guardò scettica.
-E questo piano, parte dal presupposto che resterò umana.- Disse sarcastica, e sapevo che non avrebbe indietreggiato di un passo. Questa certezza mi fece irrigidire. Quando Bella si metteva in mente qualcosa era difficile spuntarla.
-Naturalmente.- Risposi brusco e questa volta non feci nulla per non farle arrivare il mio disappunto. E per quello che mi sembrò un minuto interminabile restammo a guardarci in cagnesco. Poi riprese fiato si tolse da dosso le mie braccia e si mise a sedere.
-Vuoi che me ne vada?- Le domandai con un moto di sofferenza nella voce. Non potevo pensare di allontanarmi da lei specialmente quella sera, la prima che ci vedeva insieme dopo essere stati separati tanto tempo. E sentii il suo cuore inciampare.
-No.- Rispose, ma non feci in tempo a rilassarmi che aggiunse determinata,- sono io che me ne vado.- La vidi scivolare nell'oscurità ed avanzare a tentoni cercando qualcosa.
-E potrei sapere dove?- Chiesi tentando di capire cosa stesse cercando.
-A casa tua.- Rispose tastando il pavimento. Mi alzai e la raggiunsi porgendole le scarpe che avevo capito stava inutilmente cercando di trovare al buio.
-Eccoti le scarpe. Come pensi di andarci?- Era ostinata come nessuno.
-Con il pick-up.- Rispose con noncuranza.
-Finirai per svegliare Charlie.- provai a ribattere per scoraggiarla, ma fu inutile ed in fondo lo sapevo.
-Lo so. Ma, sinceramente, dopo quel che ho combinato mi terrà sotto chiave per settimane. In quali altri guai posso cacciarmi?- In quali altri guai, domandava. Lei non ne aveva neanche idea in quali guai l'avrebbe potuta mettere quella richiesta assurda quanto improponibile per me. E poi se fosse uscita e suo padre se ne fosse accorto avrebbe ritenuto me responsabile di un ennesimo colpo di testa, non lei.
-Nessuno.- Risposi con rassegnazione, tanto capii, era inutile cercare di farle comprendere il mio punto di vista.- Ma darà la colpa a me, non a te.- Alzò le spalle.
-Se hai un'idea migliore, sono tutta orecchi.- Attesi un attimo prima di parlare.
-Resta qui.- Proposi senza speranza di essere preso in considerazione.
-Nemmeno per idea. Se vuoi, precedimi, fa come se fossi a casa tua.- Continuava a mantenere un tono sarcastico mentre si avvicinava alla porta. La precedetti sbarrandole la strada e la vidi puntare verso la finestra.
-Va bene,- sospirai- ti do un passaggio.- La osservai stringersi nelle spalle.
-Fa come credi, ma ti consiglio di essere presente.- La sua mente muta mi aveva sempre affascinato, ma in quel momento me ne sentivo irritato e frustrato. Non capivo dove volesse arrivare.
-E perché mai?- Chiesi sospettoso.
-Perché sei straordinariamente testardo e sono sicura che ti sentirai in dovere di esporre la tua opinione.- Lei dava a me del testardo, non riuscivo a crederci anche se la trovavo bellissima mentre determinata a non cedere mi teneva testa tenendomi in scacco.
-A proposito di cosa?- Chiesi a denti stretti.
-La questione non riguarda più soltanto te. Sai non sei il centro dell'universo. Se la tua stupida ostinazione a non volermi trasformare finirà per metterci contro i Volturi, è giusto che a decidere sia la tua famiglia al completo.- Lei era il centro del mio universo e anche se avrei assecondato quell'uscita continuavo a non avere chiaro cosa c'entrasse la mia famiglia in tutto questo.
-A decidere cosa?- Scandii le parole una a una.
-Della mia mortalità. Voglio metterla ai voti.- Tutto quello non mi rendeva certo felice, ma l'assecondai ugualmente. La mia famiglia si poteva esprimere come meglio credeva, ma l'ultima parola sarebbe spettata a me ed io non avrei mai accettato che lei entrasse a far parte del mio mondo.







Salve a tutti coloro che hanno seguito questa storia commentandola o solo leggendola, preferendola o ricordandola.
Mi scuso per essere mancata per così tanto, ma come già mi è capitato di dire l'avevo conclusa da tempo, ma un inconveniente con il pc mi ha fatto perdere ciò che avevo scritto e riprendere è stata dura. Ci sto riprovando a ricreare la medesima atmosfera anche se non mi soddisfa come i capitoli persi. Questo è il primo di quelli riscritti. Spero vi possa piacere e che questa storia ormai giunta alle sue battute finali vi appassioni come all'inizio. Avevo anche pensato di non finirla, ma ormai ero giunta fin qui e ho deciso che comunque ne valesse la pena terminarla anche se il risultato non sarebbe stato altrettanto bello ed intenso come i capitoli persi.
Vogliate, se vi va ancora, ricominciare la lettura da questo punto. Anche se corto, spero, dopo tanto tempo vi soddisfi almeno un po'.
Buona lettura. Un saluto.
Glance.

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Capitolo 28
*** CAPITOLO XXVI ***






Sapevo per esperienza che Isabella Swan era determinata, testarda e impulsiva. Ma per me il suo amore non aveva prezzo e anche se la cosa non mi andava a genio, senza discutere oltre la presi tra le braccia e saltai giù dalla finestra.
-D'accordo.- Dissi ribollendo di disapprovazione.- Salta su.- L'aiutai a salirmi in spalla e iniziai a correre. Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che avevo corso per il bosco con lei in spalla e tornai con la mente a quei momenti mentre correvo tra gli alberi che ci sfioravano. Sorrisi ricordando il suo timore che potessi andarvi a sbattere contro. La sentivo tenersi a me, tranquilla, il mento poggiato sulla mia spalla, la sua guancia sul mio collo. Ad un tratto sentii le sue labbra che regalavano, depositandolo sulla mia pelle dura, un bacio. La felicità aveva un gusto inebriante. Era lì con me, si lasciava trasportare senza nessun timore. Forse ero riuscito nell'impresa di tornare ad avere la sua fiducia.
-Grazie.- Dissi mentre sfrecciavo tra gli alberi.- Significa che ti sei convinta di essere sveglia?- La sentii ridere, di una risata spontanea, naturale, schietta.
-Non proprio. Più che altro, sia quel che sia. Non voglio risvegliarmi. Non stanotte.- Ero disposto a tutto pur di riconquistarla. Avevo da offrirle solo il mio amore e sperai potesse bastarle.
-In qualche modo riconquisterò la tua fiducia.- Mormorai tra me.- Fosse l'ultima cosa che faccio.- Avvicinò le labbra al mio orecchio e sussurrò rassicurante:- Ma io ti credo. E' di me stessa che non mi fido.- Mi spiazzò ancora una volta. Questo era uno dei tratti che la rendevano ai miei occhi affascinante. Non poter sapere cosa quella testolina pensasse.
-Spiegati per cortesia, - dissi rallentando fino a camminare. Eravamo nei pressi di casa mia.
-Be'...- Rispose, cercando di trovare le parole giuste per farsi capire.- Non sono certa di poter essere...abbastanza. Di meritarti. Non c'è niente in me che potrebbe trattenerti.- A quelle parole il mio sguardo si dilatò per lo stupore. Era questo il suo problema. Ciò che l'aveva da sempre resa insicura al mio fianco. Il motivo per cui mi aveva lasciato andare così facilmente. Mi voltai e l'aiutai a scendere dalle mie spalle continuando a tenerle le mani e appena fui sicuro che stesse in piedi da sola la strinsi al petto. Era una sciocca, era la mia piccola adorabile sciocca ragazza. E se pensava una cosa del genere, significava che non ero stato capace di renderla sicura di se e di ciò che io provavo per lei e averla lasciata dopo averle detto che non la volevo più accanto a me non aveva fatto altro che confermare la sua convinzione. Come avrei fatto a farle capire cosa realmente rappresentava per me? Come per me fosse impossibile potermi allontanare da lei.
Il suo amore era l'unica cosa veramente importante che avessi mai avuto in tutta quell'inutile esistenza. E quell'addio solo un'inutile bugia che mi ero costretto a dirle.
- Il mio legame con te è permanente e indissolubile.- Sussurrai.- Non dubitarne mai.- E mi soffermai nuovamente nei suoi occhi per cogliere un segno che mi facesse capire che avesse inteso cosa volesse significare per me averla accanto.- Non mi hai ancora detto...- Mormorai.
-Cosa?- Rispose.
-Qual'è il tuo problema più grande.- Abbassò gli occhi e un sorriso lieve si disegnò sulle sue labbra.
-Ti do un indizio.- Disse allungando una mano sfiorandomi la punta del naso.
-Sono peggio dei Volturi.- Risposi annuendo rassegnato.- Penso di essermelo meritato.- La vidi alzare gli occhi al cielo su quell'ultima mia affermazione.
-Il peggio che possano fare i Volturi è uccidermi.- Disse candidamente come se quell'eventualità fosse poca cosa. Restai sgomento ad aspettare guardandola intensamente.- Ma tu potresti lasciarmi.- Spiegò e mi sentii l'essere più spregevole che il mondo avesse mai conosciuto se l'avevo indotta a pensare una cosa del genere, pensare che la sua vita fosse così poca cosa se vissuta senza di me, per qualcuno senza anima. Non potevo credere che lo stesse dicendo - I Volturi, Victoria...al confronto non sono niente.- Quelle parole avevano l'effetto di una tortura. Sentirle avere così poco a cuore se stessa era angosciante. Abbassai lo sguardo e distolsi i miei occhi dai suoi, mentre una profonda tristezza mi invadeva.
-No.- Sussurrò accarezzandomi il viso.- Non essere triste.- Amarla era la cosa più bella e importante di tutte per me, avrei sempre combattuto per la meraviglia del suo amore, ma il tormento che mi dava sapere che io ero il male della sua fragile vita era insopportabile. Ero disposto a tutto per lei, ma non potevo salvarla da ciò che ero neanche adesso che niente e nessuno mi avrebbe potuto separare da lei mai più. Avrebbe sempre vissuto tutto ciò che avevamo all'estremo. Ma le dovevo almeno il poterla rendere sicura sul fatto che non l'avrei mai lasciata, mai più. E mi faceva soffrire sapere che considerava il fatto di poterla lasciare più tremendo dei Volturi o di Victoria che morire sarebbe stato meglio che stare senza di me. Cercai di sorriderle, ma non ci riuscii.
-Se solo ci fosse una maniera di farti capire che non posso lasciarti.- Sussurrai.- Immagino che soltanto il tempo riuscirà a convincerti.- Mi guardò teneramente.
-D'accordo.- La mia angoscia era ancora visibile e capii che questo la faceva stare male. Cercò di cambiare discorso.- Quindi...visto che hai intenzione di rimanere, posso avere indietro le mie cose?- Sorrisi a quella richiesta, di un sorriso amaro.
-Le tue cose sono già lì.- Dissi. Quel giorno quando decisi di andare via e di non lasciare più nessuna traccia di me nella sua vita non ero stato in grado di abbandonarla del tutto e avevo voluto che qualcosa di me le rimanesse accanto. Sapevo che senza di lei, senza il suo amore, niente avrebbe più avuto importanza e tutto sarebbe diventato vano; volevo assicurarmi un legame se pur piccolo ed invisibile ai suoi occhi.- Sapevo che era un errore, ma ti avevo promesso la pace, senza ricordi del passato. Sono stato stupido e infantile, ma volevo anche che qualcosa di mio ti restasse vicino. Il CD, le foto, i biglietti...sono in camera tua, nascosti sotto le assi del pavimento.- Le feci quella confessione sentendomi ancora più sciocco di quanto già non mi sentissi.
-Davvero?- Disse e vidi la felicità nei suoi occhi, ma questo non riuscì comunque a farmi stare meglio.- Chissà...- proseguì, lentamente come se valutasse le parole e il loro significato.- non ne sono sicura, ma forse...forse l'ho sempre saputo.- La guardai disorientato.
-Cosa?- Sorrise abbassando lo sguardo.
-Una parte di me, forse il mio inconscio, non ha mai smesso di credere che il mio destino ti stesse a cuore. Per questo sentivo le voci, probabilmente.- Ci fu un momento di silenzio.
-Voci?- Chiesi cercando di rimanere impassibile. Anche se l'angoscia mi stordiva. Bella sentiva delle voci? Sapevo che questo non era una buona cosa. Avevo messo a dura prova la sua salute mentale, aveva ragione Charlie a volere che stessi lontano da sua figlia. Avevo esagerato, avevo spinto la cosa oltre un limite umanamente accettabile.
-Be', una sola. La tua. E' una storia lunga.- Di bene in meglio, come se il fatto di aver sentito la mia voce mentre non c'ero fosse una cosa normale. Diventai ancora più inquieto.
-Il tempo non ci manca.- Risposi imponendomi una calma che non avevo.
-E' una storia patetica.- Restai in attesa mentre valutavo il fatto che sarebbe stato meglio che avesse lasciato giudicare a me. Se fosse stato necessario ne avrei parlato con Carlisle, lui avrebbe saputo consigliarmi cosa fare e a chi rivolgermi se a Bella fosse servito aiuto. Ero stato un idiota a non considerare che non era come tutti gli altri umani che il tempo forse per lei non avrebbe cambiato le cose, che non le sarebbe stato così facile dimenticare.
-Ricordi quando Alice ha parlato di sport estremi?- Risposi con voce neutra per celare il terrore che sentivo in me al ricordo di quel momento.
-Ti sei gettata da uno scoglio per divertimento.- Cercai di essere il più naturale possibile e soffocare qualsiasi recriminazione.
-Ehm, si. E prima in moto...- Questo era assurdo. Aveva detto moto. Non potevo crederci.
-Moto?- Aggiunsi chiedendo aiuto a tutto il mio autocontrollo, ma sentivo ribollire in me la rabbia. Era veramente uscita di senno.
-Immagino che Alice non ti abbia detto nulla.- Già, non sbagliava.
-No.- Risposi. Non potendo credere che avesse veramente fatto con tanta leggerezza quello che diceva.
-Be', il fatto è...ecco, ho scoperto che...ogni volta che facevo qualcosa di pericoloso o stupido...ti ricordavo più chiaramente. Ricordavo il suono della tua voce quando ti arrabbi. La sentivo come se fossi al mio fianco. Di norma cercavo di non pensare a te, ma in quelle occasioni speciali non sentivo il dolore: era come se fossi tornato a proteggermi. Perché non volevi che mi facessi male. Ecco forse riuscivo a sentirti con tanta chiarezza perché, in fondo, sapevo che non avevi mai smesso di amarmi.- Ero senza parole, non sapevo se sentirmi più furente, angosciato o idiota. Come avevo potuta lasciarla in balia di se stessa, dei licantropi, di Victoria e preso in considerazione l'ipotesi che mi avesse lasciato andare con troppa facilità che non si fosse opposta con abbastanza forza al mio abbandono. Come avevo potuto dubitare anche solo per un momento che non mi amasse abbastanza e sentirmene deluso e in qualche modo offeso.
-Tu...hai...rischiato la vita...per sentire...- Non riuscivo a parlare la voce mi si strozzava in gola.
-Sssh,- mi interruppe.- Aspetta un secondo. Sto per avere una rivelazione.- E adesso cosa stava architettando quella sua mente. Quando faceva così e mi tagliava fuori senza permettermi di capire a cosa pensasse era impossibile.
-Ah!- Esclamò dopo un lungo silenzio in cui mi sembrò stesse valutando e considerando qualcosa che fino a quel momento le era sfuggito.
-Bella?- La esortai, cercando di avere un chiarimento.
-Si. Ecco, ho capito.- Disse come se avesse avuto una rivelazione, come se all'improvviso tutto le fosse chiaro.
-La tua rivelazione?- Chiesi incerto e nervoso.
-Tu mi ami.- Disse meravigliata e lessi la certezza nei suoi occhi. Ancora preda dell'ansia riuscii a sorriderle. -E' così, davvero.- Le dissi mentre ascoltavo il suo cuore che sembrava impazzito. Smise di respirare mentre lo sguardo le si dilatava nella consapevolezza di una certezza. Finalmente aveva capito che per lei ci sarei sempre stato che ciò che provavo era unico e indissolubile che per lei avrei dato tutto. Le presi il viso tra le mani e delicatamente la baciai. Quando mi staccai da lei i nostri respiri erano accelerati. Respiravo seguendo il ritmo del suo cuore e sentivo di avere bisogno di aria.
-Sei stata più brava di me.- Le dissi. Poggiando la mia fronte sulla sua.
-In cosa?- Rispose. Senza allontanarsi da me.
-A sopravvivere. Tu, se non altro, ci hai provato. Ti alzavi ogni mattina, cercavi di sembrare normale agli occhi di Charlie, seguivi il ritmo della tua vita. Io quando non cacciavo, ero...totalmente inutile. Non riuscivo a stare vicino alla mia famiglia, né a chiunque altro. Devo ammettere di essermi più o meno raggomitolato su me stesso, per lasciarmi assalire dalla tristezza.- Le confessai sorridendole imbarazzato.- E' stato molto più patetico che sentire le voci. E sai che sono sincero.- Mi guardava senza più nello sguardo la diffidenza che l'aveva accompagnata da quando ci eravamo ritrovati.
-La voce era una sola.- Precisò. Scoppiai a ridere le cinsi i fianchi con un braccio e prendemmo a camminare.
-Solo per farti contenta.- E con un ampio gesto le indicai la strada verso la casa.- Del loro parere non m'importa nulla.- Niente e nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea o convinto a sacrificare la sua anima, neanche la mia famiglia.
-La questione riguarda anche loro, ormai.- Scrollai le spalle indifferente. La guidai oltre la soglia, nel buio della casa e accesi la luce.






Ancora un capitolo piccolo, piccolo. Pian pianino sto cercando di recuperare. Spero vi piaccia. Un saluto. Glance

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Capitolo 29
*** CAPITOLO XXVII ***






Chiamai la mia famiglia pronunciando i loro nomi ad uno ad uno.
--Carlisle? Esme? Rosalie? Emmett? Jasper? Alice?- Il primo a comparire al nostro fianco fu Carlisle.
-Ben tornata Bella.- Le disse sorridendole.- Come possiamo esserti utili? Immagino che, visto l'orario mattiniero, questa non sia una visita di cortesia.-Bella annuì.
-Ho un discorso da fare a tutti, se per voi va bene, a proposito di una questione importante.- Mentre parlava continuava a tenere i suoi occhi su di me. Sapeva che non approvavo, ma ero rassegnato ad assecondare quella sua esuberanza. Notai che anche Carlisle mi guardava.
-Ma certo.- Rispose mio padre, proponendo di spostarci nell'altra stanza facendoci strada in sala da pranzo che si trovava appena dietro il salotto, accendendo le luci man mano. Carlisle indicò a Bella di prendere posto a capotavola, mio padre si accomodò alla sua destra e io alla sua sinistra e man mano anche gli altri presero posto in silenzio.
-A te la parola.- Esordì mio Carlisle. La sentii deglutire nervosa. Le presi la mano sotto il tavolo, mentre osservavo tutti gli altri.
-Be...- iniziò – spero che Alice vi abbia già raccontato cosa è successo a Volterra.- Disse seria.
-Tutto.- Confermò mia sorella.
-Anche di cosa ci siamo dette in viaggio?- Proseguì Bella Anche quello.- Annuì Alice.
-Bene.- Sospirò sollevata Bella.- Allora siamo tutti aggiornati.- Restammo tutti in silenzio, in attesa, pazienti. La osservavo e sapevo che stava mettendo ordine tra i suoi pensieri prima di continuare a parlare.- Il fatto è che ho un problema.- Disse.- Alice ha promesso ai Volturi che sarei diventata una di voi. Manderanno qualcuno a controllare e sono certa che sia un pericolo...un'eventualità da evitare. Ecco perché siete tutti coinvolti. Ne sono molto dispiaciuta.- Palesai la mia disapprovazione con una smorfia del viso. Ma del resto era da Bella farsi carico di colpe non sue. Il fatto che i Volturi sapessero di lei e del nostro rapporto non era una sua responsabilità, ma ancora una volta dipendeva da me. Se non avessi agito con impulsività alla notizia di Rosalie, ma sopratutto se non l'avessi lasciata, non ci saremmo trovati al punto di discutere una cosa che per me non era mai stata una eventualità da prendere in considerazione: la sua trasformazione. Io volevo lei così come era, semplicemente Bella, con le sue fragilità e i suoi limiti.
Il mio mondo lo subivo, la mia condizione l'avrei abbandonata volentieri, quindi non potevo pensare di infliggere a lei la medesima pena. Adoravo ciò che era e rappresentava. Non riusciva a capire che per me non aveva importanza il suo aspetto, quanto la sua essenza. Era bellissima e questo era innegabile e lo dimostrava il fatto che non ero il solo ad apprezzarla, l'avrei amata comunque anche davanti all'inclemenza del tempo. Ma per lei l'idea d'invecchiare avendomi al suo fianco era inaccettabile. Voleva rimanere giovane per me. Non capiva le conseguenze, non si rendeva conto di cosa avrebbe perso e di quanto le sarebbe costato quell'ulteriore sacrificio e non potevo volere una cosa del genere, neanche per garantirmi la sua presenza al mio fianco per sempre. Sarebbe stato un atto talmente egoista ed ingiusto che tra tutte le colpe che potevo attribuirmi avrebbe avuto il posto d'onore.- Ma se non mi volete, non vi obbligherò ad accettarmi, sia che Alice mi trasformi, sia che non lo faccia.- Mia madre cercò d'intervenire, ma lei la fermò alzando un dito e proseguendo.- Vi prego lasciatemi finire. Sapete tutti cosa voglio. E sono sicura conosciate il parere di Edward. Penso che l'unica maniera onesta di decidere sia di lasciarvi votare. Se deciderete di non volermi, allora...penso che tornerò in Italia da sola. Non posso permettere che siano loro a venire qui.- Non riuscii a trattenere la mia contrarietà a quell'idea assurda. E nel mio petto nacque un ringhio sordo che Bella ignorò continuando a parlare.- Perciò, partendo dal presupposto che, comunque vada, non vi esporrò ad alcun pericolo, voglio che esprimiate il vostro parere sulla possibilità di trasformarmi in vampira.- La vidi pronunciare quell'ultima parola con un sorriso e fare un cenno a Carlisle. Voleva che fosse lui a parlare per primo, ma ciò che leggevo nella mente di mio padre e che avrebbe esternato di lì a poco a tutti non mi piaceva. -Un momento.- Insistetti, per guadagnare tempo e cercare di dissuaderla e dissuadere tutti da quell'idea che da quello che potevo vedere nei loro pensieri, tranne per quanto riguardava Rosalie, li trovava tutti d'accordo. L'avrebbero accettata e con entusiasmo. Bella mi guardò e mi incenerì con lo sguardo. Ma non mi feci intimidire e di rimando contraccambiai quell'occhiataccia con uno sguardo di sufficienza e le strinsi maggiormente la mano che le tenevo tra le mie sotto il tavolo, con fare protettivo.- Ho qualcosa da precisare, prima della votazione, a proposito del pericolo di cui parla Bella. Non credo che dobbiamo lasciarci prendere dalla fretta.- Mentre parlavo l'agitazione però s'impadroniva di me. Dovevo riuscire ad essere convincente.- Vedete.- Iniziai guardandomi intorno.- Le ragioni per cui prima di andarcene, ho rifiutato di stringere la mano ad Aro sono molte. C'è una cosa a cui non hanno pensato e che ho fatto in modo di non lasciar trapelare.- Sorrisi.
-Cioè.- Intervenne Alice interrompendo il mio compiacimento. Era scettica, quanto lo era Bella.
-I volturi sono molto sicuri di sé, e hanno ragione di esserlo. Per loro scovare qualcuno non è mai un problema. Ricordi Demetri?- Dissi rivolto a Bella. E la vidi rabbrividire.- Trovare le persone è il suo talento, la ragione per cui lo tengono nel gruppo.- Demetri era un segugio dal talento mille volte superiore a quello di James, me ne ero reso conto setacciando le loro menti in cerca di un appiglio che potesse aiutarmi per venire fuori da quella situazione. Avevo capito come funzionava il suo talento. Demetri seguiva le traccie di un pensiero, come se fosse un aroma, ne individuava la tonalità nella sua preda e non lo abbandonava più. Ma dal momento che Bella risultava immune ai poteri di Aro e Jeane pensavo che anche Demetri non fosse in grado di esercitare il suo potere su di lei e non fosse in grado di trovarla.
-Pensi che non sia in grado di trovarmi?- Rispose Bella quando finii di esporre la mia teoria. Ma non lo pensavo soltanto, ne ero sicuro.
-Ne sono sicuro. Si affida soltanto a quel suo senso in più. Se su di te non funziona, saranno come ciechi.- Ma non fui convincente quanto speravo. Almeno a giudicare dalla risposta.
-Questo risolverebbe qualcosa?- Bella era determinata a non darmela vinta, ma altrettanto pensavo io. La sua trasformazione era fuori discussione. Sarebbe entrata a fare parte della mia famiglia, ma come essere umano, non come un mostro senza anima.
-Ovviamente.- Risposi.- Alice saprà prevedere la visita e dopo che mi avrà avvertito ti nasconderò. Non potrà farci nulla.- Dissi deciso e fiero.- sarà come cercare un ago in un pagliaio. Scambiai con Emmett che mi aveva seguito con interesse uno sguardo e un segno d'intesa.
-Però potrebbero trovare te.- Aggiunse, non dando nessun segnale di volersi arrendere.
-So badare a me stesso.- Emmett si congratulò con me con il suo solito modo di fare rumoroso.
-Piano eccellente.- Disse. E ridemmo insieme. Ma ad un tratto la voce di Rosalie s'intromise.
-No.- Sibilò.
-Assolutamente no.- Le fece eco Bella. Ebbi l'approvazione di Jasper e un bell'idioti da parte di Alice e un'occhiata torva da parte di mia madre. La mia alternativa sembrava non entusiasmarli quanto l'idea di trasformare Bella e farla diventare una di noi. Lo consideravano molto meno pericoloso e di più semplice attuazione. L'unica che continuava ad essere contraria ma per un motivo ben preciso restava solo Rosalie. La sua opinione su Bella da quando aveva rischiato la vita per venirmi a salvare dopo la sua leggerezza era mutata. Rosalie non era certo una sua fan, ma l'acredine dell'inizio in lei si era spenta per lasciare posto a ciò che realmente provava. Le invidiava il suo essere umana e non riusciva a capire come potesse desiderare di rinunciare a tutto per un'esistenza come la nostra.
-Va bene.- La voce di Bella mi distolse da quelle considerazioni.- Edward vi ha offerto un'alternativa.- Disse fredda.- Ai voti.- La prima domanda la rivolse a me.
-Vuoi che mi unisca alla vostra famiglia?- La guardai con tutta la durezza di cui ero capace.
-Non in questa maniera. Tu resti umana.- Annuì sforzandosi di non ribattere. Poi passò ad Alice che diede il suo parere favorevole e così a Jasper che si dimostrò entusiasta dell'idea, poi passò a Rosalie che le rispose il suo no, motivandolo.
-Lascia che ti spieghi.- Le disse. - Non sono contraria a che tu divenga mia sorella. E' soltanto che...fosse stato per me, non avrei scelto questa vita. Avrei preferito che ci fosse stato qualcuno a votare “no” per me.- Vidi Bella annuire appena e passare ad Emmett.
-Si, diamine!- Sentenziò sorridendole.- Possiamo trovare un altro pretesto per combattere contro questo Demetri.- Bella rise e si rivolse a mia madre.
-Si, certo, Bella. Per me tu fai già parte della nostra famiglia.- Bella ringraziò, poi fu la volta di mio padre. E tra tutti il suo fu il pensiero che mi addolorò di più. Si schierava dalla sua parte.
-Edward.- Pronunciò e la mia reazione fu immediata. Come poteva lui, colui che conosceva meglio di chiunque altro il mio tormento per quell'esistenza, assecondare quella richiesta.- E' l'unica strada sensata.- Insistette.- Hai deciso di non poter vivere senza di lei, il che non mi lascia altra scelta.- Lasciai la mano di Bella e mi allontanai a grandi passi dalla stanza ringhiando sottovoce. Ero solo contro la sua ostinazione. Raggiunsi il salotto e sfogai la mia frustrazione contro varie suppellettili che avrei provveduto a ricomprare in seguito a mia madre. Sentii Bella ringraziarli e poi rivolgersi ad Alice.
-Be', Alice, dove vuoi farlo?- A Quelle parole mi colse il panico e mi precipitai nuovamente nella stanza gridando il mio no, mi misi davanti a lei facendole scudo con il mio corpo.
-Sei pazza.- Urlai.- Hai proprio perso la testa?- Alice sembrava titubante nutrendo delle riserve sul fatto di poter essere capace di compire un gesto del genere, ma quell'incosciente continuava ad incoraggiarla non curandosi minimamente di me e della mia disperazione. Cominciai a ringhiare furioso.
Vedevo il panico impadronirsi di mia sorella. Senza arrendersi si rivolse a mio padre.
-Carlisle?- Disse voltandosi verso di lui. Le presi il viso in un amano costringendola a guardarmi e tenendo l'altra mano libera tesa verso mio padre. Ma lui sembrò ignorarmi.
-Io sono in grado di farlo.- Rispose.- Non correrai il rischio che perda il controllo.- Diceva come se io non ci fossi.
-Aspetta.- Dissi a denti stretti.- Non deve essere per forza adesso.- Cercavo di prendere tempo e la cosa mi sembrava surreale.
-Non c'è nessun motivo perché non accada adesso.- Disse farfugliando.
-Io ne ho qualcuno.- Avevo un'ultima carta da giocare e sperai di riuscire a fare leva sui suoi sentimenti.
-Ma bravo.- Rispose acida.- Adesso lasciami andare.- La liberai e incrociai le braccia, cercando di ritrovare un po' di calma.
-Fra un paio d'ore Charlie verrà a cercarti. Conoscendolo, immagino che coinvolgerà i poliziotti.- La vidi abbassare la guardia.
-Per non rischiare di dare nell'occhio.- Dissi senza smettere di serrare le mascelle e rivolgendomi a mio padre.- Propongo che rimandiamo questa conversazione perlomeno al giorno in cui Bella finirà la scuola superiore e non vivrà più a casa di Charlie.- Mio padre annuì. -Questa mi sembra una proposta ragionevole, Bella.- Commentò. Mentre la vedevo riflettere riluttante.
Sicuramente non avrebbe voluto infliggere a suo padre l'ennesimo dolore.
-Ci penserò.- Rispose controvoglia. Mi rilassai.
-Forse è meglio che ti riporti a casa. Preso dalla fretta di portarla via.- Non vorrei che Charlie si svegliasse presto.- La presi per mano e feci per uscire.
-Dopo il diploma.- Disse rivolta a mio padre.
-Ti do la mia parola.- Le rispose lui con un sorriso. La sentii sospirare e mentre mi guardava disse:- D'accordo, portami pure a casa.-La trascinai via prima che Carlisle potesse aggiungere altre promesse. Passammo dal retro, non volevo che vedesse il disatro che avevo combinato con i mobili di Esme in salotto.
Era trionfante lo vedevo, ma tutto sommato fu un viaggio tranquillo. Arrivati a casa sua, con un balzo fui oltre la finestra della sua stanza la feci scendere dalle mie spalle e la misi a letto. Ma mentre facevo tutto questo non riuscivo ad avercela con lei anzi meditavo. Cominciai ad andare su e giù per la stanza mentre lei mi osservava sospettosa.
-Qualunque cosa tu stia macchinando, non funzionerà.- Disse. -Sta zitta. Sto pensando.- Risposi e dalle sue labbra nacque un lamento e subito dopo si lasciò cadere all'indietro coprendosi il viso con la trapunta. Le fui subito accanto, sollevai la coperta per guardarla e mi sdraiai vicino a lei e con la mano le spostai i capelli dalla guancia. Era penoso non poterla guardare in viso. Il ricordo della sua assenza, ancora troppo vivido in me.
-Se non ti disturba, preferirei che non ti nascondessi il viso. Mi è mancato più di quanto potessi immaginare. Adesso...dimmi una cosa.- La guardai. Forse avevo trovato la strada del compromesso giusto. Fu un'idea che avevo maturato in maniera subitanea, che avevo accarezzato sin dal primo istante che avevo capito di amarla, ma che avevo accantonata perché consapevole di quanto fosse irrealizzabile. Ma lì, in quel preciso istante, ora che l'avevo ritrovata, tutto mi sembrava possibile e giusto.
Anche quell'idea così folle.
-Cosa?- Rispose riluttante.
-Se tu potessi esaudire un desiderio, quale sceglieresti?- Mi guardò scettica.
-Di stare con te.- Scossi la testa impaziente.
-Qualcosa che tu non abbia già.- La vidi prendere del tempo per riflettere.
-Vorrei...che non toccasse a Carlisle farlo. Vorrei che fossi tu a trasformarmi.- Restò in attesa con il dubbio negli occhi aspettando una mia reazione che non arrivò.
-E cosa saresti disposta a dare in cambio?- Vidi la sorpresa disegnarsi sul suo bellissimo viso.
-Qualsiasi cosa.- Si lasciò sfuggire. Ed era proprio quello che aspettavo. Abbozzai un sorriso.
-Cinque anni?- Vidi sul suo viso un'espressione che era un misto tra sofferenza e terrore.- Hai detto qualsiasi cosa.- Ribadii.
-Si, ma...sfrutteresti quel tempo per trovare una scappatoia. Devo battere il ferro finché è caldo. E poi, è troppo pericoloso restare umana, per me almeno. Quindi qualsiasi altra possibilità va bene.- Mi rabbuiai.
-Tre anni?- Rilanciai.
-No!- Ostinata come al solito. Ma l'amavo e l'emozione di ciò che stavo per chederle mi stordiva.
-Allora per te non vale niente.- Mi guardò.
-Sei mesi.- Alzai gli occhi al cielo.
-Non sono abbastanza.- Si morse un labbro.
-Allora un anno.- Rispose.- E' il mio massimo.- Era una partita dura.
-Concedimene almeno due.- Sostenni il suo sguardo che si fece ancora più determinato.
-Neanche per idea. Diciannove posso anche compierli. Ma ai venti non voglio nemmeno avvicinarmi. Non credere che possano essere una tua esclusiva.- Ci pensai su per un minuto.
-Va bene. Lasciamo perdere i limiti temporali. Se vuoi che sia io a compiere il gesto...lo farò, ma ad una condizione.- Le sorrisi con quell'espressione che sapevo le accelerava il cuore.
-Quale?- La guardai con sguardo prudente e presi a parlare lentamente.
-Prima sposami.- Le dissi fissandola negli occhi e osservando il suo sguardo dilatarsi per lo stupore.















BON NATALE.
Glance.

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Capitolo 30
*** CAPITOLO XXVIII ***





Restò a fissarmi sbalordita, mentre io non ero capace di credere di essere riuscito a pronunciare quelle parole. “ Prima sposami”. Le avevo detto con l'emozione che mi attanagliava la gola, tra un misto di paura, apprensione e imbarazzo. Nella piena consapevolezza dell'enormità di quella richiesta.
Volerla legare a me per il tempo della sua vita, con la promessa sospesa tra di noi di farla diventare parte del mio mondo.
La volevo con me più di quanto avessi mai voluto qualsiasi cosa.
Volevo riuscire a prendere tempo, dilatando più che potevo la sua vita mortale, da umana.
Nutrendo la speranza di farla desistere da quel suo proposito sconsiderato.
Farle assaporare quelle esperienze alle quali voleva rinunciare.
Riuscire a farle capire a cosa voleva voltare le spalle.
-Okay. E' uno scherzo.- Rispose. Sospirai deluso.
-Così mi ferisci, Bella. Ti chiedo di sposarmi e la metti sul ridere.- Non potevo biasimarla se pensava che scherzassi. Era fuori da ogni logica avanzare una simile proposta. Ma era quello che sentivo e volevo. Poter stare con lei mettendo tra di noi una promessa solenne. Se fossi stato umano sarebbe stato quello che avrei fatto. Da dove venivo io era il modo migliore per dire “ Ti amo”.
-Edward, per favore sii serio.- Ribatté.
-Sono serio al cento per cento.- Le risposi lanciandole un occhiata che non lasciava spazio a possibili battute.
-E dai.- Disse, con un velo d'isteria nella voce.- Ho solo diciotto anni.- La guardavo e leggevo il panico nel suo sguardo e cercai di alleggerire la tensione.
-Be', io quasi centodieci. E' ora che metta la testa a posto.- Dissi, cercando nella sua espressione qualcosa che mi lasciasse intravedere un segno di distensione. Ma irrequieta guardava fuori dalla finestra. Sospirò profondamente.
-A dire la verità, il matrimonio non è la mia massima priorità, sai? Renée e Charlie ne sono rimasti letteralmente dissanguati.- Solo lei avrebbe potuto adoperare una metafora simile in presenza di un vampiro.
-Interessante metafora.- Le dissi sorridendo.
-Sai bene cosa intendo.- La guardai.-Per favore, non dirmi che hai paura di assumerti un impegno tanto solenne.- Non riuscivo a capire come potesse opporre tanta resistenza verso quella richiesta e non sollevare il minimo dubbio al fatto di trasformarsi in una di noi.
-Non è proprio così.- Ribatté- Ho...paura di Renée. Ha idee molto precise a proposito del matrimonio prima dei trent'anni.- Capivo che sua madre, era una scusa dietro cui si nascondeva. Bella aveva paura.
-Perché preferirebbe vederti dannata per l'eternità, piuttosto che sposata.- Risi cupo. Non capivo cosa la trattenesse.
-Non ci scherzerei troppo.- Rispose seria.
-Bella, se pensi che sposarsi sia impegnativo quanto barattare la propria anima con una vita eterna da vampiro...- Le dissi scuotendo la testa,- se non sei abbastanza coraggiosa da sposarmi, allora...-. Alzai le spalle.
-Be',- m'incalzò.- E se lo fossi? Se ti chiedessi di portarmi subito a Las Vegas? Diventerei un vampiro in tre giorni?- Le sorrisi certo del suo bluff.
-Come no, prendo la macchina.- La sentii mormorare un “ uffa” sommesso e rassegnato.
-Ti lascio diciotto mesi.- Continuava a rilanciare, ma non avrei ceduto.
-Niente affatto, questa è la mia condizione.- Mi guardò fulminandomi con lo sguardo.
-Va bene. Mi rivolgerò a Carlisle, dopo il diploma.- Mi strinsi nelle spalle sorridendole serafico.
-Se proprio ci tieni.- Ebbe un moto di stizza.
-Sei impossibile.- Disse con un lamento.- Un mostro.- Sogghignai.
-Per questo non mi vuoi sposare?- Si lamentò di nuovo, mentre mi chinavo verso di lei e sentivo tutto il suo stordimento e la sua concentrazione venire meno .- Bella per favore.- Sussurrai. Per un istante smise di respirare. Quando si riprese scosse la testa con forza per fare ordine tra le idee.
-Sarebbe stato meglio se ti avessi regalato un anello?- La sua risposta fu quasi un urlo.
-No! Niente anelli!-Quell'ultima affermazione fatta a voce più alta aveva svegliato Charlie.
-Ecco ci sei riuscita.- Le sussurrai.- Charlie si sta svegliando. Meglio che me ne vada.- Dissi rassegnato e sentii il suo cuore inciampare. La osservai per un momento. La sola idea di allontanarmi da lei faceva stare male anche me.- Trovi infantile che mi nasconda nell'armadio?- Chiesi mentre osservavo i suoi occhi accendersi di gratitudine e impazienza. Come me, anche lei non voleva che tra di noi mettessi alcuna distanza.
-No.- Sussurrò.- Per favore resta.- Le sorrisi e scomparvi dalla sua vista.
Al buio la osservavo mentre irrequieta aspettava che suo padre facesse la sua comparsa.
La porta si spalancò.
-Buon giorno, papà.- Charlie che sembrava essere stato preso in contropiede.
-Sei nei guai lo sai vero?- Le disse. Li osservavo fronteggiarsi entrambi convinti delle proprie ragioni.
Potevo capire suo padre. Bella era sparita per tre giorni senza alcuna spiegazione e al posto suo mi sarei sentito impazzire anche io. Non avrei potuto fare a meno di avercela con me, per lo scompiglio causato, anche se quello che immaginava lui non era neanche lontanamente paragonabile a quella che era realmente la verità. Charlie proteggeva sua figlia da quello che credeva solo un ragazzo che l'aveva fatta soffrire, che le aveva causato un dolore talmente grande da annientarla per mesi. Anche io avevo cercato, infliggendole quel dolore, di proteggerla da me, ma questo non avrei mai potuto dirglielo per scagionarmi o scusarmi in alcun modo. Come avrei potuto mai confessargli che la minaccia che vedeva in me era molto più grande e pericolosa di quello che avrebbe mai potuto immaginare.
Solo una cosa in quel momento ci rendeva uguali: l'amore incondizionato che provavamo per Bella.
-Negli ultimi tre giorni sono quasi impazzito. Torno a casa dal funerale di Harry e tu non ci sei. Jacob non ha saputo dirmi altro, se non che te n'erai andata con Alice Cullen e che temeva fossi in pericolo. Non mi hai lasciato un numero, non ti sei fatta viva. Non sapevo dove fossi ne quando – o se – saresti tornata. Riesci a renderti conto di come...come...- Non riuscire a terminare la frase. La disperazione nella voce, come di chi ha temuto di poter perdere la persona più importante della propria vita. Lo potevo comprendere benissimo.
Io ero stato sicuro della morte di Bella per ventiquattro ore.
Ventiquattro ore in cui mi ero sentito scomparire, annientato da un dolore immenso, devastante anche per uno come me. Mi ero visto quella sofferenza attaccata addosso per l'eternità e non ero stato in grado di sopportarlo. Lo capivo, e non potevo non considerare che anche quella era una mia responsabilità, io ero l'unico e solo da incolpare. Charlie non mi avrebbe perdonato. Non volevo che dovesse anche litigare con sua figlia a causa mia. Non volevo rovinare il loro rapporto. Almeno quello, nella vita di Bella, doveva rimanere uguale a ciò che era prima che arrivassi io a sconvolgerle la vita.
-Hai un motivo valido per non costringermi a spedirti a Jacksonville seduta stante?- Come me anche lui per cercare di proteggerla dal pericolo che rappresentavo voleva allontanarla, come avevo tentato di fare anche io.
-Si! Perché non ci andrò.- Disse sicura di se.
-Aspetta un attimo signorina...- La voce di Charlie andava perdendo la calma che si era voluto imporre per poter affrontare quella discussione. Nella mente aveva solo una domanda: sapere dove era stata.
Nella mia tornò il ricordo di quell'intero giorno trascorso nella convinzione di averla perduta per sempre, quella disperazione che mi aveva portato ad un passo dalla nostra fine. Mi sentivo tremendamente in colpa con Charlie. Lessi in lui i mille pensieri che aveva elaborato nell'attesa snervante di avere notizie di sua figlia. Aveva temuto di poterla perdere, potevo sentire tutta la sua angoscia.
Bella si prese ogni responsabilità per quel gesto, era disposta ad accettare qualunque castigo, anche essere cacciata da casa. Quel pensiero non aveva neanche sfiorato la mente di Charlie, ma lei non aveva comunque nessuna intenzione di ritornare in Florida.
Lo vidi arrossire e cercare tra i suoi pensieri una ragione per calmarsi prima di parlare. Non voleva entrare in contrasto con sua figlia, voleva capire e fare in modo che lei capisse che non ero la scelta migliore. -Potresti spiegarmi dove sei stata?- Domandò rimanendo in attesa di una spiegazione.
-C'è stata...un'emergenza.- Bella sembrava spazientita da quelle domande. Non sapeva cosa poter raccontare. La sua qualità di non saper dire bugie sicuramente non tornava utile. La sentii sbuffare rumorosamente.- Non so cosa dirti, papà. Più che altro, è stato un malinteso. “Ho sentito dire, gira voce” eccetera e la cosa è diventata più grossa di com'era.- Lo sguardo di Charlie era scettico.
Rimase in attesa di ascoltare quella spiegazione. Bella se la sarebbe dovuta cavare da sola visto che non avevamo concordato nessuna versione ufficiale da dare.
-Ecco, Alice ha detto a Rosalie che mi ero tuffata dallo scoglio...- Bella si arrabattava in cerca di una scusa credibile, ma sapevo bene che non sarebbe stato facile che riuscisse a risultare credibile. Nella mente di Charlie lessi lo stupore per quella notizia che ignorava. Bella si accorse dell'errore e cercò di rimediare.
-Mi sa che non te ne ho parlato.- Farfugliò.- Niente di che. E' capitato durante una nuotata con Jake...Comunque, Rosalie l'ha detto ad Edward e lui si è arrabbiato. A quanto pare ha frainteso e capito che avevo cercato di suicidarmi, o qualcosa del genere. Non rispondeva più al telefono, perciò Alice mi ha trascinata a... Los Angeles, per spiegargli tutto di persona.- Charlie restò come impietrito mentre la sua mente elaborava l'idea terrificante del tentato suicidio di sua figlia. Rividi nei suoi ricordi le immagini di Bella dopo la mia partenza, il dolore, tutta quella disperazione...era inconsolabile. La frustrazione di suo padre per non essere in grado di poterla aiutare, la sua preoccupazione, il timore che non sarebbe riuscita a superare quel momento che potesse commettere una sciocchezza.
-Hai davvero tentato il suicidio, Bella?- Fece quella domanda dando voce ai quel timore che aveva tenuto chiuso nel suo cuore non con poche preoccupazioni.
-Ma certo che no.- Rispose Bella.- Mi stavo solo divertendo con Jake. Tuffi dagli scogli. I ragazzi di La Push ci vanno sempre. Te l'ho detto niente di che.- “Niente di che” diceva. Solo tuffi per divertimento. Piccola incosciente che non era altro. Tuffarsi solo per sentire la mia voce. A cosa l'avevo costretta. A cosa avevo costretto suo padre, tutti noi. Perchè il destino si era voluto accanire facendole incontrare uno come me? Lei la mia speranza, io la sua rovina. Qualunque cosa facessi quella ad avere la peggio era sempre lei.
Quando Bella aveva fatto il mio nome sentii Charlie ribollire di rabbia.
-E che c'entra Edward Cullen?- Urlò. -In tutto questo tempo ti ha lasciato a te stessa senza battere ciglio.- Aveva ragione non ero stato altro che uno sciocco ingenuo. Allontanarmi per cercare di rimettere le cose al loro posto, quando mi ero spinto troppo oltre perché fosse possibile tornare indietro.
-Un'altra incomprensione.- Rispose Bella.
-Perciò è tornato.- Ormai stava per perdere la pazienza.
-Non sono sicura dei loro piani. Penso di si comunque.- Charlie scosse la testa mentre la vena sulla sua fronte prese a pulsare.
-Voglio che tu stia lontana da lui, Bella. Non mi fido. Ti crea soltanto problemi. Non permetterò che ti riduca ancora in quel modo.- I fatti gli davano ragione, da quando Bella mi conosceva non aveva avuto altro che guai. Come dargli torto se non mi voleva più intorno a sua figlia?
-Va bene.- Rispose decisa Bella. L'ansia s'impadronì di me. Osservavo Charlie dondolare sui talloni. Bella si stava arrendendo nuovamente senza combattere. Come era possibile, tutto quello che ci eravamo detti poco prima che fine aveva fatto?
-Ah.- Fece suo padre non sapendo cosa dire. Quella risposta così arrendevole aveva spiazzato anche lui.- Pensavo che fossi più testarda.- Lo pensavo anche io.
-Lo sono.- Disse però Bella fissandolo negli occhi.- Volevo dire: “va bene, me ne andrò”- Non sapevo se sentirmi sollevato da quell'osservazione o preoccuparmene. Il viso di Charlie impallidì e il suo sguardo vagò per qualche secondo nel vuoto come a cercare un appiglio per argomentare quella risposta così risoluta.- Papà non voglio andarmene.- Disse dolcemente.- Ti voglio bene. So che sei preoccupato, ma devi fidarti di me. E se vuoi che resti, devi andarci piano con Edward. Vuoi o no che io viva qui?- Il modo in cui stava prendendo le mie difese, mi rendeva felice e ancora non potevo credere che mi amasse in questo modo.
-Non è giusto, Bella. Sai che non c'è niente che desideri di più al mondo.- Protestò suo padre.
-E allora sii gentile con Edward, perché staremo per sempre insieme.- Disse sicura di se. La voglia di uscire dal mio nascondiglio e prenderla tra le braccia divenne prepotente e dovetti chiamare a raccolta tutta la mia forza di volontà per restare al mio posto. Il mio cuore silenzioso si riempì di una gioia incontenibile. Quel per sempre pronunciato dalle sue labbra... assaporai tutto il gusto di quella promessa.
-Non sotto questo tetto.- Urlò Charlie. Bella sospirò pesantemente.
-Senti, non voglio darti un ultimatum, stanotte...anzi stamattina. Riflettici per qualche giorno. Okay? Ma ricorda che se prendi me, ti tocca anche Edward.- In quel momento osservai la sua fiera determinazione. Amavo quella ragazza. L'avrei amata sempre e comunque.
-Bella...-La voce di Charlie conteneva tutta la sua contrarietà.
-Riflettici.- Ribadì Bella.- E mentre ci pensi, potresti lasciarmi un po' privacy? Ho bisogno di una doccia.- Il colorito di Charlie assunse una strana sfumatura purpurea, ma uscì dalla stanza, anche se sbattendo la porta. Immediatamente fui al fianco di Bella.
Seduto sulla sedia a dondolo la osservavo.
-Scusami.- Sussurrò. Come al solito era lei a scusarsi per qualcosa che avevo causato io.
-Mi meriterei di peggio.- Mormorai mortificato e addolorato di essere ancora una volta la causa di dolore e incomprensioni.- Non litigare con Charlie per colpa mia, ti prego.- Non volevo causare altri danni nelle loro vite.
-Non preoccuparti.- Bisbigliò, mentre prendeva il set da bagno e alcuni vestiti puliti.- litigherò quel tanto che basta, senza esagerare. Oppure mi stai dicendo che mi ritroverei senza un tetto?- Sgranò gli occhi fingendosi allarmata.
-Ti trasferiresti in una casa infestata da vampiri?- Per me il fatto che si sentisse tanto a suo agio con noi rimaneva un mistero.
-Probabilmente è il posto più sicuro, per una come me. Inoltre...- Mi sorrise.- Se Charlie mi caccia, la scadenza del diploma non sarà più valida, no?- Mi irrigidii.
-Sei impaziente di essere dannata per l'eternità.- Mormorai.
-Non ci credi neanche tu, è inutile fingere.- Disse con sufficienza.
-Ah, no?- Risposi irritato.
-No. Non ci credi.- Ribatté. La guardai torvo, pronto a replicare, ma mi anticipò.
-Se davvero fossi stato convinto di aver perso l'anima, quando ti ho ritrovato a Volterra, avresti capito al volo cosa stava accadendo, anziché ritenerci morti entrambi. Invece no, hai detto: “ straordinario. Carlisle aveva ragione”.- Esclamò trionfante. Restai senza parole. Avrei dovuto confessarle che per un attimo avevo veramente creduto di essere morto e averla potuta ritrovare. Che quello di cui ero convinto non fosse vero. Che la flebile speranza di avere avuto torto per tutto il tempo di quell'esistenza disperata,che la mia anima non si fosse perduta e l'avesse potuta raggiungere, non era stata vana.
-Dopotutto, dentro di te c'è un filo di speranza.- Mi lasciò senza parole. Cosa avrei potuto dirle? Che si, lo speravo. Lo speravo con tutto me stesso, ma che per primo non potevo crederci. Troppe erano le conferme del contrario.
-Perciò, questa speranza conserviamola entrambi, non è meglio?- Suggerì.- No che m'importi granché. Se ci sei tu, non ho bisogno del paradiso.- Era folle ed incosciente,e l'amavo tanto da non poterne fare a meno. E sapere che lei mi amava in quel modo mi spaventava, mi faceva odiare me stesso e allo stesso tempo mi rendeva tremendamente felice. Mi alzai lentamente, mi avvicinai e le presi il viso tra le mani, guardandola negli occhi.
-Per sempre.- Giurai.
-Non chiedo altro.- Disse, mentre in punta di piedi avvicinava le sue labbra alle mie.








Mi è servito un pò di tempo, ma sono riuscita a buttare giù questo capitolo. Spero vi piaccia.
Un saluto.
Glance.

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Capitolo 31
*** CAPITOLO XXIX ***


Ricordavo cosa ero stato prima di lei, cosa era la mia realtà.
Bella era stata capace di sciogliere i nodi di quella mia esistenza, il mio corpo di ghiaccio si era arreso al suo tepore.
Non sapevo cosa volesse dire poter cambiare, sentirsi diverso da quello che ero stato per tutto quel tempo. Il cambiamento aveva scosso la mia immobilità, potevo sentire il mio cuore muto sussultare alla luce del suo sguardo.
Lei si fidava di me ed io avevo imparato a farlo.
Il suo sangue dissetante, profumato, era ancora un richiamo forte, ma era come una voce lontana, coperta dal frastuono di quell'amore.
La scusa ufficiale per il nostro rientro era stata che Esme si era trovata male a Los Angeles. In ospedale furono felici di accogliere nuovamente Carlisle nel loro staff.
Tutto sembrava essere tornato a quell'apparenza di normalità che era stato il tempo prima che io decidessi per tutti che era meglio andare via.
Prima che le circostanze mi convincessero che avevo ragione a volerla lasciare, scomparendo dalla sua vita.
Ancora adesso, ero convinto che per lei non ero la scelta migliore, ma non avrei mai più preso una decisione con cui non fosse d'accordo, non mi sarei mai più allontanato da Bella.
Stare lontani voleva dire per entrambi la distruzione.
Avrei semplicemente solo assecondato quelle che sarebbero state le sue scelte.
Non potevo credere al fatto che fossimo nuovamente insieme, che con lei fosse ritornata anche quella vita che avevo inseguito ogni istante, che il silenzio in me si fosse trasformato in parole dal sapore dolce della speranza.
Sapevo che il mio cuore sussultava ogni volta che incrociavo i suoi occhi, che mi regalava un suo sorriso, che le sue mani mi toccavano con quei gesti semplici e complici fatti di quotidiano e promesse da poter mantenere. Le nostre giornate erano scandite dagli orari e dai limiti imposti da Charlie, ma a scuola pur in mezzo agli altri eravamo solo io e lei.
Era difficile per Charlie accettare il fatto che facessi nuovamente parte della vita di sua figlia, come era difficile per me sostenere il suo sguardo quando lo incontravo. Ma aveva stretto un patto con Bella: se accettava lei doveva accettare anche me.
Poi c'era la notte, dove lei era solo mia e io potevo sentirmi completamente parte del suo mondo.
Respirare la sua essenza, godere della sua anima.
Poterla tenere tra le braccia, sentire i suoi discorsi, ascoltare il suo cuore inciampare ogni volta che mi guardava.
Tutto sembrava essere ritornato al suo posto.
Lei era tra le mie braccia ed io le ero accanto e vi sarei rimasto per sempre.
Ero felice; eravamo felici, anche se ogni tanto sul suo viso compariva un velo di tristezza, ed era come se i suoi pensieri la portassero altrove, in un posto lontano da me, da cui io rimanevo fuori.
Bella era rimasta indietro con gli studi, io cercavo di aiutarla e continuavo a proporle domande d'ammissione nei college più prestigiosi che già conoscevo per aver frequentato in passato, ma lei non sembrava molto interessata, anzi.
Non era importante, con lei sarei andato anche nell'ultima università del paese, magari anche al confine più estremo, ma non le volevo negare l'opportunità di studiare in un posto che le avesse dato delle possibilità maggiori, ma non sembrava importarle granché, il suo primo pensiero ero io e il poter stare con me.
Vedeva il college come il traguardo alla sua meta: poter diventare come me.
Ma per me il punto d'arrivo era un altro.
Bella doveva prima poter vivere la sua vita da umana, con tutto quello che questo voleva dire.
Con tutte quelle esperienze che a me erano state negate.
Le ore della scuola non avrei mai pensato avessero potuto avere tanto interesse, dopo anni in cui erano state solo sinonimo di noia.
A scuola non c'erano limiti di sorta, Charlie aveva anche acconsentito a che lavorasse e potevo andare a prenderla quando terminava per riportarla a casa e fu durante uno di questi tragitti che scoprii quale fosse il motivo di quella piccola ruga che le si accentuava sulla fronte quando sembrava andare con la mente altrove. Quando capivo che quell'ombra di malinconia che passava nei suoi occhi per un attimo riusciva ad oscurarmi.
Era solo una sensazione che però non era piacevole da provare.
Non avevo motivo di dubitare del suo amore, ma in quei momenti sembrava che mi mettesse da parte, che le mancasse qualcosa.
Era come poter percepire una sorta di nostalgia di cui non potevo essere la causa, le ero accanto ogni istante, tranne nei pochi momenti in cui dovevamo mantenere le apparenze e attenerci alle regole che aveva imposto suo padre.
Alle volte le capitava di nominare Jacob, non lo faceva spesso in mia presenza perché forse aveva intuito che non mi faceva piacere.
Sapevo che durante la mia assenza Jacob Black era stato importante per lei, l'aveva aiutata a trovare una sorta di significato all'alternarsi dei giorni, a darle un motivo per andare avanti e provare a vivere.
Lo sapevo. Ma questo non mitigava la sofferenza per averlo permesso, per averlo reso possibile.
Ero consapevole di non riuscire a nasconderle il fastidio che mi procurava, il mio sguardo sicuramente le permetteva di capire quanto mi fidassi poco di lui e quanto mi facesse arrabbiare la consapevolezza di avergli permesso di essere rimasto per così tanto tempo vicino a lei.
Era salita in macchina dopo il lavoro e sul suo viso era comparsa nuovamente quell'espressione accompagnata da quella piccola piega sulla fronte, segno che quei pensieri che la portavano altrove erano tornati nella sua mente.
La sensazione che questo mi procurava mi rendeva inquieto.
Percepire in lei l'ansia, quel velo di frustrazione...
-Ma che maleducato.- Disse esasperata un sabato pomeriggio, dopo che ero andato a prenderla a lavoro. Sembrava in collera.- E' un'offesa bella e buona.- La guardavo senza riuscire a capire quale fosse il motivo di tanto sdegno.
- Billy ha detto che lui non vuole parlare con me.- Il suo risentimento, lo sguardo fisso fuori dal finestrino. Ma coglievo nella sua voce una nota di preoccupazione e incertezza. Più che arrabbiata quella reazione aveva il retrogusto della delusione. Bella era in ansia, lo potevo avvertire dai movimenti del suo corpo, dalla tensione del suo respiro.- Che era in casa ma non gli andava di fare tre scalini per prendere la cornetta del telefono! Di solito Billy risponde che Jacob non c'è, che è impegnato o qualcosa del genere. Voglio dire, non che io non sappia che sia una bugia, ma perlomeno è una risposta educata. A questo punto, penso che anche Billy mi odi. Non è giusto!-
- Non è colpa tua, Bella.- Dissi cercando di rimanere tranquillo.- Non è te che odiano.- Sentivo che tutte le mie difese si allertavano. Sembrava che camminassi sulle spine quando le sue labbra pronunciavano quel nome. Quando coglievo nella sua voce quell'esitazione, quel misto di delusione ed ansia. La gelosia aveva un gusto amaro, e sapeva dare una sofferenza sottile che sentivo insinuarsi ovunque. Era difficile impormi di stare calmo, ostentare indifferenza, mentre lei reagiva a quel modo per qualcuno che non ero io.
- A me pare di sì.- Mormorò incrociando le braccia.
- Jacob sa che siamo tornati e di sicuro si è accertato che sto di nuovo con te.- Dissi.- La sua ostilità ha radici troppo profonde.- Questo era l'unico vantaggio che la mia condizione mi dava. Fare si che Jacob stesse lontano da lei, ora che ero tornato.
- Che stupidaggine. Lui sa che non siete... come gli altri vampiri.- Ma non era quello il solo motivo. Potevo intuirlo, anche se capirlo e accettarlo non era altrettanto facile.
- Ha altre buone ragioni per mantenersi a distanza.- La vidi guardare in maniera distratta fuori dal parabrezza.
- Bella noi siamo ciò che siamo.- Dissi cercando di mantenere il più possibile la calma, l'espressione pacatamente imperturbabile, per non allarmarla, per non dispiacerla. Non volevo si dovesse preoccupare della mia gelosia.- Io so controllare me stesso, ma dubito che lui ne sia capace. E' molto giovane. Probabilmente un nostro incontro sfocerebbe in rissa e non so se saprei fermarmi prima di uc...- M' interruppi, cercando prontamente di rimediare a quella gaffe.- Prima di fargli del male. Non ti farebbe affatto piacere e non voglio che accada.- Non avrei mai fatto qualcosa che potesse nuovamente infliggerle un dolore, farla soffrire in qualche modo e poi anche se non nutrivo un'istintiva simpatia per Jacob e sapevo che la sua condizione di muta forma era instabile e pericolosa per Bella, non potevo rimproverargli nulla, io lo ero altrettanto, quando pensavo di non essere in grado di controllarmi gli ero stato accanto, l'avevo abbandonata. Seppur spinto dalle migliori intenzioni l'avevo lasciata in balia di ogni pericolo. Jacob invece le era stato vicino e l'aveva protetta e in questo era stato più coraggioso di me anche se per certi versi ugualmente incosciente. Lui c'era mentre lei soffriva, se ne era preso cura e l'aveva aiutata e difesa dalla minaccia di Victoria, di questo gliene ero grato e dovevo riconoscere di essere in debito con lui. Non avrei mai fatto del male a Jacob se non per difendere Bella, ma non ce ne sarebbe stato bisogno. Non le avrei permesso di frequentarlo e il fatto che lui non volesse vederla era un punto a mio favore.
- Edward Cullen.- Sussurrò.- Stavi per dire “ ucciderlo?” Rispondi.- Spostai lo sguardo. Smisi di guardarla fissando la pioggia. Di fronte a noi il semaforo diventò verde. Inserii la marcia lentamente. In quel gesto che non mi apparteneva. La lentezza dei movimenti che in sua presenza m'imponevo, tutto ciò che ero, che in quei lunghi anni avevo conquistato. Il pensiero di uno scontro all'ultimo sangue con chiunque fosse non mi piaceva, tanto meno averlo con Jacob. Non volevo uccidere, non volevo doverlo fare mai più. Il mio stile di vita, la scelta su cui si basava la mia esistenza e quella di tutta la mia famiglia era un traguardo raggiunto faticosamente al quale non volevo rinunciare, sia che fosse stato per nutrirmi, che per difendere la donna che amavo, ma se fossi stato costretto a malincuore lo avrei fatto.
-Cercherei... con tutte le mie forze... di non farlo.- Risposi. Restò a fissarmi incredula ed io a guardare dritto di fronte a me.
-Be'.- Disse respirando a fondo.- E' impossibile che succeda qualcosa del genere... quindi, inutile preoccuparsi. Inoltre Charlie starà già controllando l'ora. Meglio che ti sbrighi a portarmi a casa, prima che il ritardo mi procuri altri guai.- Si voltò verso di me accennando un sorriso. Ma i guai erano già lì che urlavano nella mia testa. Suo padre era furioso. Bella era rimasta a fissarmi, rapita come le avevo visto accadere spesso e questo ogni volta mi rendeva felice oltre ogni limite, l'inciampare del suo cuore era per me sempre una conferma al fatto che mi amasse, che mi ritenesse degno del suo amore.
- Sei già nei guai Bella.- Dissi con la mia espressione immobile a fil di labbra. Si avvicinò a me aggrappandosi al mio braccio.
- Cosa c'è? Cosa c'è?- Chiese in ansia cercando di capire verso cosa stessi guardando. Respirai profondamente prima di rispondere.
- Charlie...”
- Mio padre?- Urlò spaventata, ma la guardai cercando di rasserenare lo sguardo quel tanto da calmarla.
- Charlie... probabilmente non ti ucciderà, ma ci sta pensando seriamente.- Le risposi innestando la prima e imboccando la strada di casa sua, ma passai oltre parcheggiando a poca distanza dal bosco.
- Che ho fatto?- Esclamò. Guardai verso la casa e lei seguii il mio sguardo accorgendosi di cosa fosse parcheggiato sul vialetto accanto all'auto della polizia. La sua moto era lì. Jacob aveva provveduto ad informare Charlie di uno degli sport estremi in cui sua figlia si era dilettata durante la mia assenza.
- No! Perché? Perché Jacob mi ha fatto una cosa del genere?- Non riusciva a capacitarsi. Probabilmente si fidava di lui, avevano condiviso tutto quel tempo, lui l'aveva aiutata a venire fuori dal pantano di dolore in cui l'avevo lasciata e non riusciva a capire perché mai l'avesse tradita in quel modo rivelando quel loro segreto. Iniziò a piangere.
- E' ancora qui?- Sibilò indignata.
- Si. Ci sta aspettando laggiù.- Le risposi indicando il sentiero che divideva il confine della foresta. Saltò giù dall'auto furente, ma la precedetti afferrandola per la vita prima che raggiungesse il sentiero.
- Lasciami andare! Voglio ucciderlo! Traditore!- Urlò verso gli alberi.
- Ti farai sentire da Charlie.- L'avvertii.- E una volta tornata in casa, murerà la porta..- Bella continuava a guardare davanti a se nel tentativo di scorgere Jacob.
-Concedimi solo un round con Jacob, poi affronterò Charlie.- Cercò inutilmente di divincolarsi. Ma sapevo che lui era lì per vedere me. non Bella.
- Jacob Black vuole vedere me. Per questo è ancora qui.- La vidi irrigidirsi, preoccupata.
- Parlare?- Chiese titubante.
- Più o meno.- Risposi.
- Quanto “più”?- Le tremava la voce. Mentre pungente la mia gelosia tornò, ma raccolsi tutto il mio auto controlla per non farle capire quanto mi angosciava quella sua reazione. Cercai di tranquillizzarla scansandole una ciocca di capelli dal viso.
- Non preoccuparti. Non vuole combattere. E' qui in qualità di... portavoce del branco.- La fissavo per cercare di capire quanto profondo fosse quel loro legame. Lui le era stato vicino in un momento delicato, era inevitabile che tenesse a lui, ma mi faceva paura non sapere quanto. E' solo un amico a cui si è aggrappata in un momento difficile non facevo che ripetermi. Non ho nessun diritto di sentirmene offeso, o infastidito, ma non potevo evitarlo.
- Ah.- Rispose laconica. Lanciai un'altra occhiata verso la casa e poi la strinsi maggiormente alla vita e la portai verso il bosco.
- Dobbiamo sbrigarci, Charlie è già impaziente.- Non ci fu molto da camminare lui ci aspettava a poca distanza dall'inizio del sentiero. I suoi pensieri m'investirono pieni di rabbia. Vedermi accanto a lei mentre la stringevo a a me lo faceva impazzire. Jacob era innamorato di Bella. Saperlo mi procurò come una scarica elettrica in tutto il corpo. La conferma che la mia assenza aveva inevitabilmente dato campo libero a qualcun' altro era dura da affrontare. Anche se, era quello che mi ero augurato lasciandola, non rendeva le cose più facili. Jacob era innamorato della mia ragazza, ero furioso, ma determinato a controllarmi. Nella mia mente però il fatto che lui l'amasse non faceva che urlare incessantemente. E se anche lei lo avesse amato? Dovevo ammettere che sarebbe stato molto più adeguato di me, per quanto avessi fatto Jacob restava sempre molto più umano di quanto io mi sarei mai augurato di essere. Però tutto il mio buon senso, la mia razionalità non riuscirono a non farmi sentire nuovamente sull'orlo di un precipizio e il vuoto di quei mesi appena trascorsi tornò a lambirmi. Non mi avvicinai e cercai di tenere Bella alle mie spalle. Jacob parlò per salutare Bella senza staccare i suoi occhi da me.
- Perchè?- Sussurrò cercando di trattenere il pianto.- Come hai potuto farmi una cosa del genere, Jacob?-
- E' per il tuo bene.- Rispose lui rigido nella sua espressione. I pugni chiusi.
- Come sarebbe a dire? Vuoi che Charlie mi strangoli? O speravi che gli venisse un infarto, come a Harry? Sarai anche arrabbiato con me, ma come hai potuto fare una cosa simile a lui?- Jacob trasalì. A quello non aveva pensato, ma non rispose.
- Non voleva fare del male a nessuno. Sperava soltanto in un castigo che ti impedisse di passare altro tempo con me.- Risposi al suo posto e sentii il suo sguardo fulminarmi, carico d'odio. Bella continuava a guardarlo da dietro le mie spalle.
- Oh Jake! Sono già in castigo! Perché credi che non sia ancora venuta a La Push a prenderti a calci nel sedere, dopo tutte le telefonate a cui non hai risposto.- Era difficile sentirla parlare in quel modo. Gli aveva telefonato quando io non c'ero e non me lo aveva detto. Per quale motivo. Perché voleva nascondermi che aveva tentato di contattarlo?
- E' così?- Rispose Jacob pentendosene immediatamente.
- Pensava fossi ioa impedirtelo, non Charlie.- Spiegai nuovamente a Bella.
- Piantala.- Sbottò Jacob. Lo guardai, ma non risposi. Lo osservai mentre veniva preso da uno spasmo, stringere pugni e denti.
-Bella non esagerava, a proposito delle tue... qualità.- Disse.- Perciò, immagino tu sappia già perché sono qui.-
- Si.- Confermai cercando di non provocarlo oltre. Non volevo scontrarmi con lui, anche se la situazione di cui ero venuto a conoscenza non mi rendeva le cose facili. Vedere poi come Bella si disperasse per come si era comportato mi sconcertava non poco, ma non potevo non riconoscere che lui era stato migliore di me. Il fatto che avesse vegliato su di lei mi rendeva suo debitore.- Però, prima che cominci, vorrei dire una cosa.- Jacob restò in attesa, senza avere nessuna intenzione di ascoltare cosa avessi da dire. Era nervoso. Stringeva e rilassava le mani, mentre cercava di controllare i brividi degli spasmi.- Ti ringrazio.- Dissi. Ed ero sincero. Lo pensavo veramente. Cercai di modulare la mia voce in modo da farglielo capire.- Non esistono parole per dirti quanto ti sia grato. Ti sarò debitore per il resto della mia... esistenza.- Lo vidi fissarmi disorientato. Per un attimo non seppe cosa dire e cosa pensare. Si sarebbe aspettato di tutto tranne quello. Scambiò uno sguardo veloce con Bella altrettanto confusa quanto lui. Si era preparato allo scontro, ma non a quello.- Per aver salvato la vita a Bella.- Chiarii e non riuscii a celare quella nota di agitazione che mi muoveva la voce.- quando io... non ho potuto farlo.- Lo fissavo mentre la sua mente mi rimandava l'alternarsi dei suoi pensieri. Allo stupore si sovrappose subito dopo la diffidenza. Non capiva dove volessi spingermi, a cosa stessi mirando.
- Edward .- Disse Bella, ma alzai una mano per interromperla continuando a tenere lo sguardo fisso su Jacob. Poi per un istante sembrò comprendere a cosa mi riferivo, ma le sue difese si abbassarono solo per un attimo. Tornò subito in se e ad assumere lo stesso sguardo duro con cui mi aveva accolto.
- Non l'ho fatto per te.- Rispose. E nella sua voce l'intenzione della sfida.
- Lo so. Ma ciò non annulla la gratitudine che provo. Pensavo di dovertelo dire. Se mi è concesso di fare qualcosa per te...- Osservai il suo sopracciglio sollevarsi. C'era qualcosa che avrei potuto fare, che avrebbe voluto da me, ma era l'unica che non potevo concedergli.
- Non è mia prerogativa.- Mi sfidò nuovamente con lo sguardo.
- E di chi è, allora?- Ruggì, scettico. Abbassai lo sguardo verso Bella.
- Sua. Io imparo alla svelta, Jacob Black, e non ripeto mai lo stesso errore. Finché non sarà lei a dirmi di andare, resterò qui.- Rimasi incatenato agli occhi di Bella e per un istante annegai in lei. Mi chiedeva l'unica cosa che non potevo concedergli.
- Mai.- Mi rispose lei senza lasciare i miei occhi. Jacob reagì a quella nostra intimità con un suono soffocato. Disapprova tutto di quella storia. Il suo rifiuto e il suo ribrezzo nei miei confronti erano totali e non lasciavano nessuna possibilità di dialogo tra di noi.
- Hai bisogno di altro, Jacob?- Rispose Bella lasciando malvolentieri i miei occhi. Questo pacava i miei timori. Lei mi amava.- Volevi mettermi nei pasticci? Missione compiuta. Magari Charlie deciderà di iscrivermi all'accademia militare. Ma ciò non basterà a tenermi lontana da Edward. Nientepuò riuscirci. Che altro vuoi?- Jacob continuava a guardarmi fisso. Si sentiva tradito da Bella e questo non faceva altro che farmi odiare ancora di più se questo fosse stato possibile. Ma per me niente aveva importanza se non quell'ennesima conferma al nostro amore. Quella promessa.
- Volevo soltanto ricordare ai tuoi amici succhiasangue alcuni punti fondamentali del patto che hanno deciso di rispettare. Il patto è l'unica cosa che mi impedisce di tagliargli la gola, qui e ora.- Neanche io lo avevo dimenticato, ma la mia ragione per non ucciderlo non era solo quella, io avevo a cuore la felicità di Bella e fare del male a lui sapevo che voleva dire farla soffrire.
- Non abbiamo dimenticato.- Risposi mentre Bella domandava quali fossero questi punti. Continuando a guardarmi torvo Jacob le rispose.
-Il patto è molto chiaro. Se uno qualsiasi di loro morde un essere umano, la tregua è rotta. Morde, non uccide.- Pronunciò queste parole guardandola in modo sprezzante.
- Non sono affari tuoi.- Replicò Bella. Ma jacob non sapeva dell'intenzione di Bella di voler entrare a far parte della mia famiglia, ne era allo scuro e la risposta affrettata di Bella lo mise davanti a quella nuova verità. Quello che era venuto a portare era solo un avvertimento, una precauzione ulteriore per ribadire le loro posizioni, non immaginava che quello non fosse solo uno dei punti che noi eravamo tenuti a rispettare. Adesso il suo timore più grande si era concretizzato e questo procurò la sua reazione.
- Jake? Stai bene?- Chiese Bella in ansia. Cercò di muoversi per andare verso di lui, ma la bloccai facendole scudo con il mio corpo.
- Attenta! Rischia di perdere il controllo.- L'avvertii. Ma Jacob riuscì a matenere il controllo e tornare in se. - Ah. io non oserei mai farle del male.- Il suo era un tono che mi accusava di qualcosa a cui mi ero opposto con tutte le mie forze, il sibilo che uscì dalle mie labbra ne era la conferma. Non avevo mai voluto quello per lei. La sua reazione alla mia ostilità fu immediata. Contrasse i pugni. Nel frattempo la voce di Charlie, che ordinava a sua figlia di rientrare in casa riecheggiò nello spazio tra noi e la casa. L'espressione di Jacob s'indebolì.
- Mi dispiace davvero.- Le mormorò.- Dovevo fare il possibile... provare...-
- Grazie .- Rispose Bella. Con la voce strozzata dal pianto. - Una cosa ancora.- Le dissi prima di rivolgermi a Jacob ed andare via.- Non abbiamo trovato tracce di Victoria, nella nostra porzione di territorio, e voi?- Sapevo già la sua risposta, ma lasciai che parlasse per non escludere Bella.
-L'ultima volta è stato quando Bella era... via. Le abbiamo lasciato credere di poter penetrare le difese. Abbiamo stretto il cerchio, pronti a intrappolarla...->Sentii Bella rabbrividire al solo sentire nominare Victoria.- Ma a quel punto è volata via come un pipistrello. Per quanto ne sappiamo,potrebbe aver sentito l'odore della vostra piccola femmina e abbandonato la caccia. Da quel giorno non ha più messo piede nelle nostre terre.- Annuii.
- Quando tornerà, non sarà più un vostro problema. Noi...- Non mi fece finire.
- Ha ucciso sul nostro territorio.- Sibilò.- E' nostra!-
- No...- Bella cercò di opporsi. Ma la voce di Charlie bloccò ogni sua rimostranza.
- Andiamo.- Le dissi, mentre lei guardava verso Jacob con lo sguardo tormentato, mentre lui pronunciava le sue scuse talmente piano che se non avessi avuto i miei poteri non lo avrei potuto sentire.
- Ciao, Bells.- Sentirgli pronunciare il suo nome in quel modo, con quel fare confidenziale accendeva la mia gelosia.
- Lo hai promesso.- Bella era disperata.- Sempre amici, no?- E la sua era quasi una supplica. Ma Jacob scosse lentamente la testa.
- Sai che ho cercato di mantenere la promessa, ma... non vedo perché insistere. Non ora.- Stava cercando di non perdere il contegno sprezzante che aveva tenuto sino quel momento. Sapevo che se non ci fossi stato io l'avrebbe abbracciata e baciata. Quel pensiero era stato nella sua mente per tutto il tempo.- Mi manchi.- Le sussurrò. E in quel momento non mi sentii di odiarlo. Sapevo cosa voleva dire. Sollevò una mano come a voler coprire la distanza che li separava.
- Anche tu.- Rispose bella. La mano protesa verso di lui e io mi sentii andare in mille pezzi.- Jake...- La vidi avanzare verso di lui. L'afferrai per trattenerla e non per difenderla questa volta.
- Tutto ok.- Disse rivolgendomi uno sguardo pieno di fiducia. Sperava capissi e forse era certa che lo facessi, che avrei capito. Ma rimasi freddo e inespressivo.
-No, invece no.- Risposi e vidi la disapprovazione nel suo sguardo.
- Lasciala andare.- Ringhiò Jacob furioso.- E' ciò che vuole!- Mentre si muoveva verso di noi, veniva nuovamente colto da tremori e convulsioni. Ricacciai Bella alle mie spalle pronto allo scontro.
- No! Edward!- Urlò Bella. Suo padre continuava a chiamarla sempre più spazientito.
- Andiamo! Charlie è impazzito! Sbrigati.- Disse e potevo avvertire il panico nella sua voce. Mi abbracciò e sentii la calma ritornare. La portai via camminando lentamente senza staccare glia occhi da Jacob. Tutta la sua disperazione e frustrazione mi arrivava chiaramente. Ma continuai a camminare stringendo a me Bella che in quel momento era proprio nei guai. Suo padre era fuori di se. Quando uscimmo allo scoperto il volto di Charlie era in fiamme.
- Sono qui.- Le dissi stringendola con delicatezza. La sentii respirare profondamente. Le ero accanto, l'abbracciavo. Avremmo affrontato insieme anche quello. La sentii raddrizzare le spalle determinata e io l'avrei sostenuta e protetta, non l'avrei lasciata mai più a se stessa. Sarei stato al suo fianco sempre.











Eccoci qui. Siamo arrivati alla fine di questa mia personale interpretazione di New Moon dal punto di vista di Edward e spero che vi sia piaciuto e magari emozionato.
Non è stato facile scriverlo, ma ho cercato, come ho potuto, di fare esprimere a questo personaggio quelle che io ho immaginato siano state le sue emozioni e sensazioni.
Ringrazio tutti coloro che hanno voluto trovare del tempo per commentare questa storia. Chi l'ha seguita e preferita o semplicemente letta.
E' stato bello intraprendere insieme a voi questo viaggio.
Ancora grazie.
Un saluto.
Glance.

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