Eccomi,
scusate per la lunga assenza, ma come ben saprete gli
impegni scolastici sono distruttivi. Torno a posare il seguito di “Ad un passo”,
con un nuovo capitolo delle Falene; spero che vi piaccia e possa donarvi
emozioni belle e brutte^^ Un ringraziamento speciale a Flamara, Ria e Silvj
che hanno messo la storia fra le seguite^^ Kisses
E un grandissimo bacione a Helens e Pich_91 per i loro
commenti^^
La
storia, ed in particolare il personaggio di Ranja (che
adoro tantissimo^^) sono interamente dedicati alla persona che più di ogni altre
mi sopporta da tredici anni^^ Amica mia spero di non
deluderti^^
Buona lettura!!
Una Falena speciale,
Ranja
Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il
bianco di qualcosa di ruvido che gli era a poca distanza dal viso.
Solo dopo che ebbe messo meglio a fuoco l’immagine si rese conto di trovarsi steso a pancia in giù su
delle lenzuola ruvide che gli pungevano il torace e gli addominali privi di
vestiti. Cercò di tirarsi su, ma una mano calda lo bloccò dolcemente.
-
Fermo, ti devo spalmare l’unguento, altrimenti potrebbero infettarsi – la voce
di Ranja era una musica da ascoltare; una lenta melodia triste, accompagnata dal
suo piccolo viso da bambina, che però mostrava solo a lui e ai bambini del
monastero. Una doppia personalità era quella di Ranja;
ragazzina dolce ma tenace di giorno e una prostituta di notte. Ma con lui quella ragazza era solo Ranja.
-
Non era necessario –
-
Non fare il cretino, se si infettano potresti stare
male – disse lei aprendo il vasetto contenete l’unguento, e prendendone un po’
sulle mani.
-
Lo sai che li hai nominati ancora nel sonno? – disse spalmando la sostanza
gelatinosa sulle grandi spalle del ragazzo percorrendone la forma e facendolo
rabbrividire per il freddo contatto.
Lui
non rispose, ma si limitò a chiudere gli occhi, mentre Ranja continuava
lentamente il suo lavoro.
-
Hai chiamato un certo Takao, poi Yuri e Boris, anche se poi hai pronunciato un
nome che non ho ben capito -
Ancora silenzio. La ragazza capì di aver toccato un
tasto particolarmente doloroso per l’amico, così decise di cambiare argomento
per sentirlo più rilassato. Lentamente gli percorse con
le mani la schiena solcata da tagli aperti.
-
E’ andato tutto bene? – domanda inutile, dato che
sapeva già la risposta, ma non sapeva che cosa dirgli per farlo parlare. Cercava
in tutti i modi di evitare la fatidica domanda, che presto o tardi sarebbe
arrivata.
-
Ranja. Come stanno Alexander e Shila? – Eccola.
La
domanda rimase sospesa nell’aria grave e pesante per parecchi minuti prima che
la ragazza si decidesse a rispondere.
-
Shila sta bene… - la sua voce era incrinata, anche se tentava in tutti i modi di
non farlo notare al ragazzo.
Kai
si tirò su a sedere incurante delle ferite e fissò Ranja con sguardo fisso.
- E
Alexander? Ranja rispondi! – le afferrò le spalle con
decisione, ma immediatamente avvertì un sussulto, come se lei stesse
singhiozzando. Gli splendidi occhi di ambra scura della ragazza erano ricoperti
da un velo di lacrime, che non lasciava molto spazio all’immaginazione. Il
giovane sbarrò gli occhi incredulo.
-
La febbre era molto alta e nella cripta è stato esposto a svariate
temperature…Kai! – si abbandonò completamente a quel pianto liberatorio,
accasciandosi sulle spalle del ragazzo, che la sostennero. Rimasero abbracciati
a lungo, Ranja piangeva versando lacrime amare che andavano ad insinuarsi taglienti lungo la pelle candida di Kai
lacerandogli la carne, mentre i singhiozzi della ragazza gli dilaniavano il
cuore. Le passò delicatamente una mano sulla schiena per calmarla, mentre la sua
testa era solo un turbine di cattivi pensieri. Un’altra vittima di quell’assurda
situazione, di quel mondo in cui erano costretti a vivere…Una dimensione
estranea al resto del mondo, un’esistenza cancellata a
riscritta da capo. Ecco quello che erano le Piccole Falene Notturne dell’antico
monastero Vorcof a Mosca.
Un
mondo che si ergeva su un sistema severo ed
inflessibile, dove gli schiavi erano dei bambini o dei ragazzi, a cui era stata
strappata l’innocenza e la vita stessa.
Le
Piccole Falene Notturne non vivevano come gli altri ragazzi delle loro età, anzi
loro per la legge non esistevano; il mondo intero si era dimenticato di loro…I
loro visi erano spariti dalle memorie delle genti, loro erano dei fantasmi fatti
di carne e ossa.
Non
avevano possibilità di contatti con l’esterno, e dalle loro mansioni giornaliere
dipendeva totalmente la loro sussistenza; chi non portava a termine il suo
compito non aveva di che sfamarsi e Kai aveva perso il conto di quanti poveri
bambini si erano persi in quell’intricato universo nero dal quale non si
riusciva mai ad evadere.
Cos’erano loro? Burattini, semplici
bracci di un’organizzazione criminale nelle mani di un maniaco e pazzo
omicida. Quello che da bambino era stato il suo maestro ed ora da adolescente si era trasformato nel suo peggiore
incubo. Lui Vladimir Vorcof, l’uomo che dirigeva all’insaputa di tutti l’antico
monastero fuori Mosca; lui che aveva le mani nei più svariati campi della
criminalità, dalla ricettazione, al traffico di armi, allo spaccio, alla
prostituzione.
E
lui Kai Hiwatari ora come anni prima, si era ritrovato sotto il suo diretto
controllo, era una Falena, forse la più indomabile e preziosa di tutte; la
creatura che Lucifero non era mai riuscito a domare, il ragazzo che lo aveva
messo alla deriva, e che era stato inevitabilmente trascinato nell’abisso oscuro
insieme a lui.
-
Kai, dobbiamo andare… - lentamente Ranja si staccò dal ragazzo, asciugandosi le
lacrime ed assumendo il suo solito sguardo freddo e
distaccato. Era come se indossasse una maschera, che la celava al resto del
mondo, e che la mostrava come una donna glaciale e priva di emozioni. Si
osservarono per alcuni istanti prima che anche lui si levasse in piedi
indossando una tunica nera che gli arrivava leggermente sotto il ginocchio,
troppo leggera per quel clima rigido e severo.
Senza dirsi nulla uscirono dalla cella del ragazzo e si
diressero verso la sala est del monastero, dove ci sarebbe stata la Raccolta
delle Falene.
Non
appena i due giunsero nella sala della Raccolta, molti sguardi si posarono su di
loro; la maggior parte erano bambini e ragazzi tra i cinque e i sedici anni con
i volti scarni e segnati dal gran freddo. Indossavano
tutti la stessa tunica di Kai e Ranja, ed i loro occhi
erano vuoti, come se la vita e la luce avessero deciso di abbandonarli, per
lasciare posto solo ad un abisso di male e dolore.
Ai
lati della stanza decine di guardie reggevano il silenzio, brandendo pistole e
coltelli, anche se non servivano a molto; infatti
nessuna delle Piccole Falene aveva alcuna intenzione di cercare guai, come se
già non ne avessero abbastanza.
Ranja si guardò intorno fredda ed impassibile, mentre si sedeva sulla pietra gelata in
compagnia di Kai.
Ad un
segnale la porta principale si aprì e come un enorme basilisco uscì Vorcof, il
demonio sotto sembianze umane. L’uomo indossava la sua solita maschera nera che
era solito ad indossare quando si rivelava alle sue
piccole creature; solo Kai lo aveva visto realmente in faccia, ma non era una
cosa che ricordava con piacere…
Vorcof spostò immediatamente lo sguardo celato dalla
maschera sul ragazzo dagli occhi ametista ed un leggero
sorriso si incurvò sulle sue sottili labbra bianche.
-
Mie piccole falene, l’alba è quasi alle porte ed il
monastero per mantenersi in piedi ha bisogno delle vostre forze! Prendete
immediatamente le vostre occupazioni…ah dimenticavo – e qui tornò a riosservare
Kai.
-
…Oggi abbiamo perso una Piccola Falena…Ecco lui era un essere indegno, privo di
volontà ed ha tradito la fiducia che io riponevo in lui…Spero che voi non
facciate altrettanto. Comunque dal momento che abbiamo
una forza motrice in meno, qualcuno dovrà accollarsi anche le sue
mansioni…Hiwatari sono certo che non ti dispiacerà – e detto questo si voltò
verso la porta da cui era venuto, ma prima di sparire pronunciò un’ultima cosa –
Per questa notte, non ci saranno cambiamenti di programma…E vedete di non
tardare – così si allontanò, inghiottito in quella voragine nera, che molti
speravano lo risucchiasse per sempre.
-
Simpatico no? – disse Ranja appena si diressero nelle cucine per la loro prima
razione di lavoro insieme ad altri ragazzi.
Kai
non rispondeva, come era di sua consuetudine. Non era
mai stato un grande parlatore, anche perché anticamente c’era sempre chi lo
aveva fatto per lui. Se non era Takao era Daichi, che
sapevano rendere la sua vita accesa e piena di suoni e colori. I suoi amici…già
una volta erano stati una vera squadra, ognuno di loro con un preciso ruolo e
mansione. Takao era lo spirito del gruppo, colui che
sapeva infondere determinazione in tutti, una persona tanto infantile quanto
estremamente adulta. Lui, il suo eterno rivale, l’unico avversario che
desiderasse affrontare con tutto se stesso, l’unico che aveva creduto in lui
fino all’ultimo durante il suo match contro Brooklyn…Beh proprio l’unico
no…
Poi
c’era Max, l’allegria e la felicità fatta a persona; un
amico vero e disponibile, corretto e dedito ai suoi amici, lui con la sua
spontaneità sapeva far breccia nei cuori degli altri senza difficoltà ed aveva
una parola dolce per tutti.
Rei
invece era tutta un’altra storia; lui era la mente, la
razionalità, ed il coraggio della squadra; il cinese che spesso gli aveva
chiesto consigli e che lo vedeva come il suo migliore amico. Era un buon
ascoltatore, per quello che Kai ricordava e sapeva sempre guardare negli occhi
delle persone, e leggere ciò che gli altri non vedevano.
Infine Daichi, l’irruenza ed il
piccolo della squadra; un ragazzino tanto pestifero quanto leale e profondamente
legato alla famiglia, all’onore ed al beyblade.
Questa era la sua piccola famiglia, i suoi Angeli, che
però facevano capo ad un unico angelo, una creatura
magica, che più di ogni altre aveva scaldato il cuore freddo e spinoso di
Kai…Hilary il suo Angelo per eccellenza, la ragazza più luminosa di tutte le
stelle del firmamento, la persona più importante per lui.
Come la vita può essere
ingiusta solo Kai lo poteva sapere; lui che per anni aveva solo pensato a
diventare il miglior blaider, vedendo quello come requisito per essere felice,
non aveva capito che la vera felicità ce l’aveva a pochi metri di distanza ogni
giorno, e lo scrutava con attenzione con i suoi occhi color cioccolato fuso.
Quando si era reso conto di cosa volesse veramente, non aveva fatto in tempo a
realizzare quanto capito, che di nuovo il destino si era messo contro di lui,
imprigionandolo in quella voragine di dolore, angoscia e male.
Erano passati quasi dodici mesi da quando aveva smarrito
la strada, ed ora si ritrovava a Mosca, la sua città
natale, a condurre un’esistenza che non si augurerebbe a nessuno. Lui, come
tutte le altre Falene, non esistevano più, per un
motivo o per l’altro, Vorcof si era personalmente assicurato che per il mondo
intero i suoi “piccoli” fossero semplicemente morti.
“Ti stai
lasciando andare ancora ai ricordi, scemo” si disse mentre usciva fuori a scrostare il ghiaccio
dagli infissi sulle porte armato solo delle sue candide
mani. Non era un lavoro particolarmente duro, se almeno avesse potuto avere un
qualsiasi pezzo di ferro, ma a mani nude era un vero suicidio. Il ghiaccio duro,
spesso e tagliente gli tagliava in più punti i polsi, facendo fuoriuscire delle
scie vermiglie, che però si arrestavano subito, congelate dal gran freddo.
Strinse i denti…anche ora che un tiepido sole illuminava
il monastero lui riusciva a credere e a sperare in qualcosa di positivo…erano
forse i ricordi dei bei tempi andati a dargli tutto quel calore? Era incredibile
come riuscisse a cercare in ogni istante qualcosa di positivo…in fondo che cosa
aveva per poter sperare? Di giorno lavorava
ininterrottamente al monastero, intralciato dal freddo e dalla fame che non gli
lasciavano tregua, mentre di notte, al calar del sole, diventava la Piccola
Falena ed iniziava il suo vero operato cioè andare a
battere per strada insieme ad altri trenta ragazzi nella sola speranza di
riuscire a ricavare abbastanza denaro da potersi permettere di pagare il
monastero e mangiare qualcosa di consistente.
Inizialmente aveva tentato ad
opporsi, rifiutando tutti i lavori che gli venivano dati, ma presto aveva dovuto
cedere, anche perché se voleva sopravvivere quelle erano le uniche condizioni.
Ben presto aveva fatto ruotare l’asse della sua vita intorno ai ragazzi del
monastero, ai bambini più piccoli, e a Ranja, la prima persona che aveva
conosciuto quando era arrivato lì.
Spesso si chiedeva come stessero i suoi ex-compagni di
squadra, i freddi Neoborg, con cui aveva partecipato agli ultimi campionati
mondiali; loro che non si consideravano amici, ma che in realtà tenevano segretamente molto l’uno all’altro. Il loro rapporto
era costituito da silenzi, sguardi muti ma allo stesso tempo pieni di emozioni,
cenni col capo e poche parole di assenso. Ma si
volevano bene.
Kai
sorrise mentre si concentrava ad osservare il proprio
riflesso su una lastra di ghiaccio che teneva fra le mani; viveva a Mosca da un
anno ormai e non aveva mai incontrato né Yuri o Boris…beh ovviamente non
frequentavano gli stessi posti, ma non gli era mia capitato di vederli passare
davanti al monastero, e probabilmente una motivazione c’era...Molti
consideravano il vecchio monastero come un posto maledetto, e quindi tutti
evitavano di passarci vicino.
Si
riscosse dal suo mondo di ricordi solo quando si accorse che la lastra di
ghiaccio fra le sue mani aveva cominciato a sciogliersi, così si alzò
rapidamente e finì il suo lavoro in silenzio, evitando di farsi incantare da
altri dolci e dolorosi ricordi di quando era ancora semplicemente Kai.
Verso il tramonto, Kai aveva sbrigato tutto il lavoro
che aveva da compiere, e l’aveva fatto senza aprire bocca. Non era mai stato
particolarmente loquace, ma anche se lo fosse stato, lì non avrebbe potuto
esserlo, poiché ogni minimo rumore veniva punito con
delle frustate.
Nel
più assoluto silenzio si diresse verso la stanza di Ranja per andarla a
prendere. Il sipario si stava per alzare, ora la scena di Mosca veniva presa dalle Piccole Falene Notturne.
Quando si trovò davanti alla cella della ragazza batté tre colpi più uno a distanza, in modo che lei
sapesse che era lui.
-
Entra - La voce di lei anche se ricoperta dalla porta,
gli era sembrata leggermente preoccupata, così entrò con cautela chiudendosi la
porta alle spalle. La stanza non era molto grande, e l’arredamento “carcerario”
era composto da un semplice letto sfondato e da una
cassettiera in legno dove le ragazza conservava i pochi effetti personali che
possedeva, cioè un rossetto, qualche trucco, e l’abito che indossava quando si
trasformava nella Falena. Kai mosse gli occhi viola verso la ragazza che gli
dava le spalle, mentre finiva di medicare il braccio di un ragazzo che sedeva
sul suo letto. Il giovane doveva avere sui quattordici anni, e se non ricordava
male, era uno dei ragazzi che si occupava del traffico di armi rubate. Per un
momento a Kai parve di vedere davanti a sé Max, e questo non potè non fargli
nascere un leggero sorriso sul viso, ormai non più abituato a sorridere. Il
ragazzo somigliava molto all’amico americano, aveva i capelli biondi quasi con
il suo stesso taglio, e due occhi color oceano che però erano meno lucenti di
quelli del dracielblaider.
Non
appena ebbe finito, Ranja si voltò verso il ragazzo dagli occhi ametista e gli
fece un cenno con la testa. Intanto il ragazzino si era dileguato, dopo aver
educatamente ringraziato Ranja per la medicazione, e lanciato a Kai una sguardo di pura contemplazione. Lui restava un mito per
quei ragazzi, il loro fratello maggiore, che li aiutava quando non riuscivano a svolgere qualche mansione, l’eroe che aveva
sfidato Vorcof milioni di volte, e che anche se non riusciva mai a prevalere, ai
loro occhi risaltava sempre come uno mito.
Dopo che i due rimasero soli, Ranja si diresse alla
cassapanca e sistemate le bende che preparava lei stessa si truccò il viso, attuando così la sua
trasformazione.
A
lei non serviva un po’ di fondotinta per essere carina; la sua vera bellezza era
proprio quell’essere bambina durante il giorno, era vederla alle prime luci
dell’alba con i capelli scompigliati e gli occhi ambrati ancora sotto l’influsso
di Morfeo. Il trucco l’appesantiva, le dava quell’aria
di donna fatta e finita che in realtà non era, ma questo solo Kai lo sapeva.
Inizialmente quando era giunto al monastero si era dimostrato ostile verso tutti, voleva solo
morire ed essere lasciato in pace…Morire in mezzo alla neve, o nelle cripte, o
nel letto di qualcuno, ormai non faceva più alcuna differenza…Aveva perso tutto,
il suo Dranzer, i suoi compagni, i suoi amici, la sua ragazza…Poi come dal nulla
era apparsa lei, bella e determinata allo stesso tempo, una ragazza che aveva la
stessa età della sua Hilary, con un passato brutto almeno quanto il suo, lui non
aveva chiesto la sua compagnia, così le prime volte l’aveva respinta senza
troppe cerimonie, ma lei non si era arresa, e poco a poco si era inserita nella
vita del blaider dagli occhi ametista, diventando un’amica…Un’amica, quasi non credeva che ora
quell’appellativo gli risuonasse così semplice e facile da pronunciare. In
passato prima di dire ad Hilary “amica” aveva dovuto
combattere battaglie interiori con se stesso e contro il suo orgoglio, spesso
non vincendo…Per molto tempo aveva creduto che le parole fossero solo dei
patetici modi di esprimere i sentimenti, e dal momento che lui riteneva di non
poter provare sentimenti, gli era del tutto inutile usare le parole. Solo ora che aveva perso davvero ciò che gli dava la facoltà
di emozionarsi, aveva capito che era stato uno stupido. Quante volte avrebbe
voluto dire ad Hilary “ti amo più della mia vita” o quante
volte avrebbe voluto dare una pacca sulla spalla a Takao o agli altri e dire “Amico mio!”…già
quante…
-
Kai io sono pronta – la voce di Ranja lo riportò alla realtà, facendogli
poggiare i piedi su quel freddo pavimento in pietra, chiuso da quelle maledette
mura che trasudavano solo tristezza.
Quando la luna si trovò nel pieno centro del cielo, Kai
si alzò lentamente dal letto e si diresse a passi cauti verso la finestra,
avvolto solo in un candido lenzuolo dalla vita in giù. Un lenzuolo di seta,
totalmente differente da quelli a cui erano abituati le
Falene.
Quella notte Vorcof aveva avuto dei programmi diversi
per lui, infatti non l’aveva mandato con Ranja e gli
altri in strada, ma aveva preferito tenerlo con sé, per poter godere
esclusivamente solo lui della compagnia della Fenice.
Succedeva spesso, ma Kai per
quanto ci fosse abituato, trovava sempre estremamente sgradevole dover andare a
letto proprio con l’uomo che più di ogni altro odiava.
Come se la vista della luna, bella e libera gli facesse
male, si allontanò e raccattando la sua tunica nera gettata con noncuranza in un
angolo della grande camera da letto, la indossò per poi
dirigersi verso la porta in un silenzio quasi religioso. Avvertì alle sue spalle
l’uomo dormire profondamente, ancora con il braccio teso verso il vuoto su cui
prima era steso Kai. Prima si allontanava da quella camera, meglio era.
L’aria della notte era fredda e gli pungeva la pelle
come se avesse costantemente delle lame puntate addosso.
Uscito dalla camera inspirò a
pieni polmoni l’aria fredda che proveniva dal piccolo porticato interno, come se
questo potesse bastare a purificarlo da ciò che era appena successo.
Si
sentiva sporco e non aveva né la forza di camminare né il coraggio di guardarsi
ancora allo specchio. Era così ogni volta; odiava se stesso e quello che era
diventato, certo non ne aveva colpe, ma ogni volta tornava a tormentarsi
chiedendosi se forse ci sarebbe potuta essere una possibilità alternativa.
Lentamente si diresse verso la sua cella, barcollando
ed aggrappandosi ai muri in pietra del porticato.
L’addome gli doleva, sentiva il suo petto scoppiare, ma in realtà era la sua
anima ad essere distrutta. Percepiva ancora sul corpo
le mani viscide e cattive di quell’uomo, sentiva il suo respiro caldo ed acido sulla pelle, assaporava l’aridità delle sue labbra,
ed il suo cuore pareva voler continuare a battere solo per protrarre ancora a
lungo quella dannata sofferenza.
Dopo un tempo che gli parve lunghissimo, finalmente il
ragazzo giunse alla sua cella e senza neanche girarsi ad osservare la luna si richiuse la porta alle spalle,
desiderando solo nascondersi nell’oscurità ed annegare nel suo
dolore.
Quando Kai sollevò lentamente le palpebre istintivamente si lasciò andare ad un respiro
soffuso; non aveva mai voglia di alzarsi, e quel giorno ancor meno delle altre
volte. Cercò di nascondersi ancora un po’ nel freddo tepore della notte tentando
di ricreare per un istante sensazioni di tranquillità e pace.
Invano.
Per
quanto si sforzasse, attorno a lui vedeva solo ombre di disperazione, stracci di
malinconia, brandelli di felicità e frammenti di quella vita che non avrebbe mai
creduto gli mancasse tanto.
La
sua libertà se ne era andata, era diventato un oggetto nelle mani di pochi,
un anima dannata, e più il tempo si allungava, più si
rendeva conto che la cosa migliore da fare era dimenticarsi della sua vita
passata…Altrimenti non avrebbe mai smesso di soffrire.
-
Forza Hiwatari! Cos’è, troppo spossato da ieri sera! Muoviti! – la voce dura e
cattiva di una delle guardie lo svegliò del tutto, così
uscì dalla sua cella senza neanche degnare di uno sguardo i due uomini vestiti
di nero che lo osservavano lanciandogli occhiate vogliose.
Camminava a passo assolutamente neutro attraverso i
portici interni, pronto a scendere nei sotterranei del Monastero, dove insieme a
Ranja e a tre ragazzini doveva occuparsi della sala delle caldaie.
Non
appena fu entrato nella tetra e chiusa stanza, sentì l’aria mancargli; quel
bunker era assolutamente privo di un impianto di areazione, non circolava aria pulita e le pareti annerite dal fumo
contribuivano a rendere l’aria davvero irrespirabile. “E poi ci si domanda
perché qui moriamo intossicati”.
Immediatamente i suoi occhi ametista cercarono Ranja e i
bambini, e li trovarono accovacciati davanti alla caldaia principale, intenti
ad inserire a mani nude pezzi di carbone all’interno di
pesanti e scure bocche di ferro.
Quando gli occhi ambrati della ragazza si posarono sul
giovane appena entrato, i bambini smisero di lavorare, voltatisi ad osservare il loro mito avvicinarsi a loro. Quei piccoli
credevano di vedere un eroe, eppure Kai cominciava a vergognarsi di questi loro
sguardi; sapeva bene che le loro aspettative erano mal
riposte, lui non era un eroe, solo una Falena più testarda delle altre, ma anche
lui aveva ceduto…Non era un eroe. Come se potesse leggerlo nel pensiero, la
ragazza dai capelli biondo cenere rivolse la sua attenzione nuovamente alle
caldaie, intimando i bambini di fare lo stesso; così Kai prese posto accanto a loro, cercando di evitare gli sguardi
carichi di ammirazione delle piccole Falene, e quegli indagatori di Ranja che
non lo lasciavano un attimo.
-
Non ti sto facendo male, vero? – chiese dolcemente Ranja a Shila mentre le
spalmava un unguento rosato sulle mani facendo attenzione a non farla sussultare per il dolore.
-
No, non preoccuparti…E’ già tanto se sei riuscita a procurarti questa pomata –
le rispose gentilmente la tredicenne dagli occhi verdini mentre sedeva sul letto
della bionda con le mani tese in avanti.
Il
lavoro nella sala delle caldaie si era rivelato essere più difficile del
previsto; avevano dovuto alzare la temperatura delle stufe a causa
dell’improvviso abbassamento della temperatura e così
avevano dovuto incrementare il numero di carbone. I fumi nocivi che uscivano
dalle bocche metalliche, investivano in pieno i volti dei ragazzi, che si
ritrovavano a respirare quei fumi tossici, e come se non bastasse le loro mani a contatto con quei roventi materiali
si erano in parte ustionate.
-
Ma si può sapere come ti procuri tutti questi unguenti?
– chiese ad un tratto Misha seduto sulla cassettiera
del letto della ragazza con già le mani medicate.
Un
leggero sorriso apparve sulle labbra della bionda – E’ un segreto – disse
spiritosa strizzando l’occhio ai ragazzi. Ormai Ranja era diventata per tutti un
po’ come una specie di mamma nonostante i suoi sedici anni. Le Piccole Falene si
fidavano di lei, era sempre carina, gentile e si prendeva cura di loro come se
fossero tutti suoi fratelli minori.
Ed in un
certo senso era davvero così.
Quando Ranja finì di medicare anche Shila, i due
ragazzini uscirono educatamente, pronti a prendere parte al loro prossimo
incarico, lasciando Ranja sola nella sua cella, intenta a nascondere l’unguento
rosato preparato da lei stessa.
Non
ricordava molto del suo passato, quando si era risvegliata nella cella del
Monastero, aveva solo undici anni, ignorava totalmente cosa le fosse accaduto e
come se non bastasse si era ritrovata inghiottita in un
mondo circondato dal male e denso di malvagità.
Lentamente poi la sua memoria era venuta a galla,
rivelando parti del suo passato che forse non avrebbe mai voluto rivedere; i
suoi genitori erano dei farmacisti, e durante un tragitto in macchina nel bel
mezzo di una tormenta di neve la loro auto era uscita strada, finendo in un
dirupo. I suoi genitori erano morti, mentre lei per un miracolo si era salvata,
anche se vista come si era evoluta la situazione forse
“salvata” non era il termine più
adatto…I suoi genitori erano morti per portare in un paesino a ridosso delle
montagne medicinali contro l’influenza e la malaria; erano morti per salvare
altre vite, e lei avrebbe fatto lo stesso.
Questa era stata la promessa che si era fatta quando la
sua memoria le aveva concesso di rivedere gli ultimi istanti di vita della sua
famiglia. Avrebbe fatto girare la sua esistenza attorno ai bambini e ai ragazzi
del Monastero, le Piccole Falene sarebbero diventate la sua famiglia, li avrebbe
protetti, impedendo loro di lasciarsi andare a pensieri suicidi quando desideravano farla finita. Solo chi come lei aveva
sperimentato direttamente la morte, solo chi come lei l’aveva affrontata e
sconfitta poteva capire che valore avesse la vita e quanto fosse importante
continuare a sperare. Questa era la sua forza; lei credeva che prima o poi tutto si sarebbe sistemato, certo con gli anni
questa speranza aveva cominciato ad evaporare, ma lei non si arrendeva mai. “Questa è la mia vita…Prima o poi la luce irradierà anche noi Falene della
Notte”
Un
tocco leggero alla porta la fece sussultare leggermente, mentre cercava di
ricomporsi.
-
Entra – Sapeva benissimo che fosse, anzi lo stava giusto aspettando.
Quando poi i suoi occhi color del miele scuro
incrociarono lo sguardo freddo di due ametiste opache, Ranja rimase impassibile
come il suo visitatore. Con Kai era sempre così; quel ragazzo così freddo e
schivo come un animale selvatico, odiava essere osservato come una bestia per
cui si prova pena, e per la ragazza era la stessa cosa. Due
anime selvagge, due vite soffocate, due gridi tenuti a tacere con la
forza. Il loro era sempre stato un rapporto
fatto da sguardi e cenni, impossibili da decifrare per chiunque tranne che per
loro. Comunicavano attraverso gli occhi, i respiri e lievi sussurri come spettri
alla perenne ricerca di se stessi.
Una
sola cosa era si erano ripromessi a voce: nessuno dei due avrebbe mai dovuto
provare pena per l’altro. Nonostante la drammatica situazione nella quale si
trovavano loro erano due anime orgogliose e fiere e mai
avrebbero voluto essere compatiti. Mai.
E
così ora si trovavano l’uno di fronte all’altra, con
occhi freddi ed impassibili, benché entrambi fossero a conoscenza di quale fosse
il problema che affliggeva l’altro. Se per Ranja era la continua preoccupazione
per i bambini, che con l’avvicinarsi del grande freddo soffrivano sempre più,
oltre che ad un disagio di diversa natura, per Kai il
problema erano i suoi ricordi uniti alla continua sensazione di malessere che
provava dopo le notti con Vorcof. Si teneva tutto dentro, non si sfogava con
nessuno, e come un animale in gabbia continuava a sbattere la testa contro le
sbarre nel tentativo o di distruggerle, o di uccidere se stesso.
Fu
lei la prima a parlare. – Tieni – disse semplicemente lanciandogli un pezzo di
pane nero che aveva conservato dalla sua cena precedente. Il ragazzo la osservò
senza capire.
-
Ieri notte non hai “lavorato” e quindi ne deduco che sei a stomaco vuoto da due
giorni – disse semplicemente lei leggendo attraverso i suoi occhi violacei la sua domanda.
-
Non ne ho bisogno, potevi darlo ai ragazzi se non lo volevi – Non voleva l’aiuto di nessuno, ma oltre a questo non sopportava
che Ranja dovesse privarsi di quel poco che ricevevano a lavoro ultimato per
lui.
-
Già, ma visto che sei un mezzo cadavere non ho voglia
di doverti soccorrere quando stasera non ti reggerai in piedi –
Con
queste parole Ranja si voltò dando le spalle al ragazzo, così che lui non
potette sentirsi in imbarazzo a mangiare con lei davanti. Orgoglio. Un anno di
schiavitù non aveva piegato Kai Hiwatari, la fiera
Fenice di fuoco nonostante le catene continuava ad incutere timore ed esigere
rispetto, scottando con le sue fiamme chiunque osasse avvicinarsi a lei ma
Ranja, la Regina delle Falene riusciva ad avvicinarsi senza bruciarsi, e questo
perché in fondo erano entrambi due fuochi.
-
Ieri Dimitri mi ha chiesto di te – disse Ranja sempre dando le spalle al
ragazzo, che al solo sentire quel nome si fece più attento.
- E
tu cosa gli hai detto? –
-
Che non ti sentivi tanto bene…Ah ha detto che spera di vederti questa sera –
aggiunse lei voltandosi sollevata verso di lui.
-
Quel tipo sembra volerti bene – disse con naturalezza, anche se la sua voce la
tradì; in realtà le era costato molto fare quell’osservazione, ma doveva
riaccendere le fiamme della Fenice, e la sola cosa che poteva fare era tenerlo
lontano dal pensare a Vorcof. Lei conosceva il problema che affliggeva l’amico,
e lo reputava oltremodo ripugnante.
-
Stai scherzando? Cosa vuoi dire con questo? – disse Kai
alzandosi e mettendosi istintivamente all’attacco.
“Perfetto” –
Dicevo soltanto quello che ho percepito – reagì lei mettendosi le mani sui
fianchi senza smettere di osservarlo.
-
Cerca di percepire di meno allora. Non sono fatti tuoi – si era di nuovo messo
sulla difensiva. Ranja strinse gli occhi. – Stavo solo cercando di farti capire
che forse non sarebbe una cattiva idea accettare la sua proposta – Si stava
spingendo troppo oltre le fiamme, rischiava seriamente di scottarsi.
Kai
sulle prime rimase incerto, ma poi si avvicinò verso la ragazza afferrandola per
le spalle e sbattendola contro il muro quasi con violenza. “Sì, sfogati Kai…Solo così ti sentirai
meglio”
-
Non dire sciocchezze! Come puoi anche solo pensare una cosa del genere! Io…Io… -
-
Tu hai una vita fuori di qui, maledizione! – sbottò lei
-
Tu puoi essere felice…Se andassi con Dimitri potresti
trovare rifugio in qualche Paese straniero e ricominciare d’accapo! – i polsi di lei, ancora bloccati dalla forte presa del ragazzo
iniziarono a dolerle, ma non ci fece caso.
-
Non è quello che voglio. Uno, Vorcof non mi lascerebbe
mai andare. Due, non ho intenzione di seguire Dimitri proprio da nessuna parte e
tre… - prese il mento della ragazza e lo avvicinò al suo costringendola a
fissarlo negli occhi. Ametista ed ambra si fusero
insieme, urlandosi tutta la rabbia che provavano in quel momento, sfogandosi
reciprocamente. - …Non vi lascerò mai qui. Se io me ne andrò, voi verrete con
me. Un tempo non lo avrei fatto, da codardo me ne sarei andato, pensando
unicamente a me stesso, ma ora no. Molte volte non ho fatto ciò che invece avrei
dovuto fare, per colpa del mio orgoglio o del mio
pessimo carattere, ma non questa volta. Non lascerò mai il Monastero senza di
voi, anche se dovessi andare a letto con Vorcof ogni santissima notte! –
Ranja per un istante focalizzò meglio l’immagine che
aveva davanti, rendendosi conto che quello non era solo il suo amico Kai. Lui,
era la luce che li avrebbe condotti fuori dal tunnel del male e del buio.
Sorrise, abbracciandolo stretto per la prima volta dopo quell’anno. Il ragazzo
non reagì male a quel contatto, ma invece l’avvolse con
le braccia come per cullarla. Lei abbracciò le mani dietro del ragazzo,
appoggiando freneticamente la testa nell’incavo del collo di
lui e stringendogli i capelli tra le dita sottili.
I
loro respiri andavano insieme, i loro cuori battevano allo stesso ritmo calmo e
rilassante, mentre le loro due anime si rassicuravano reciprocamente. Insieme ne
sarebbero usciti.
Un
tocco lieve alla porta li fece staccare quasi all’improvviso, senza però che sui
loro due visi fossero comparsi due sorrisi belli e radiosi come il sole.
-
Sì? – chiese Ranja riprendendo il mano la sua
maschera.
-
Ranja, mi sono tagliata – disse timida la voce dietro la
porta.
L’angolo dei
Grazie^^
Helens: tesoro mio, non manchi mai di farmi avere
una tua opinione, e per questo ti ringrazio molto^^ Grazie per tutti i consigli
e i supporti che mi dai e spero che questa storia possa continuare a picerti^^
Felicissima che l’atmosfera dark ti piaccia^^ Mega
Baciuzzi Avly
Pich_91: grazie mia maestra per le tue correzioni
ortografiche^^ spero di aver corretto le maiuscole (almeno la maggior parte)
grazie per la tua immancabile sincerità, e ti assicuro che ricevere un tuo
complimento è stato bellissimo, perciò mi auguro di non averti delusa con questo capitolo. Spero vivamente che questa storia
ti piaccia^^ Baciuzzi Avly
Nota dell’autrice: per chi segue “I Cavalieri dei Sette Regni”
tranquilli, i nostri cavalieri non si sono persi con il navigatore attraverso i
Regni^^ Presto torneranno, spero per la gioia dei lettori che la seguono (perché ce ne sono? Nd Kai) (ma hai
sempre da dire qualcosa! Guarda che mi posso vendicare con le Falene! Hai
presente il caro Vorcof tesoro? Muah! Nd Avly) (…Sorry nd Kai). L’assenza come potrete
immaginare è dovuta allo studio e alle verifiche da preparare^^
Only for you, my friends
Avly