Hyperversum - Il Nido del Drago

di cartacciabianca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** Vecchi e giovani ***
Capitolo 3: *** Soldato e contadina ***
Capitolo 4: *** Help ***
Capitolo 5: *** Questione di famiglia ***
Capitolo 6: *** Madame et Monsieurs ***
Capitolo 7: *** Lacrime segrete ***
Capitolo 8: *** Un altro falco in famiglia ***
Capitolo 9: *** Il ricordo dietro le sbarre ***
Capitolo 10: *** God save me ***
Capitolo 11: *** Spiccicare il francese ***
Capitolo 12: *** Ariane ***
Capitolo 13: *** Una briciola di colazione ***



Capitolo 1
*** Un nuovo inizio ***


Premessa:
A conoscenza di un romanzo collettivo autorizzato da Cecilia, confesso che non ne ho letta nessuna pagina. Perciò, anche se gli eventi sono leggermente posticipati rispetto la data di conclusione del terzo libro, questa storia non ha nulla a che vedere col romanzo collettivo.
Ne approfitto anche per consigliare a chiunque si aspetti una scrittura impeccabile e perfetta come quella della Randall, di chiudere immediatamente questa pagina! Sono consapevole di non meritare di potermi affiancare ad una scrittrice di tanto talento che ammiro, adulo e rispetto come Cecilia. ^^ Molto semplicemente sto dicendo che non so scrivere! XD
Detto ciò, spero lo stesso che la trama in mente abbia catturato la vostra attenzione e stimolato la vostra curiosità.
Ora vi lascio! :D




Diciassette anni dopo, nel mondo moderno…

Quel suono.
Risvegliava gli addormentati sui banchi e rubava i disperati dalle interrogazioni. Quanto amava quel suono non sapeva dirlo, perché aveva salvato la pagella di fine quadrimestre più di una volta a più di uno studente.
L’elettronico “drin” di una campanella scolastica tuonò per tutto l’edificio e l’urlo collettivo degli alunni fece tremare la terra. I corridoi si riempirono di ragazzi in maglietta, canottiera e pantaloncini che correvano verso l’uscita, verso la libertà. Il fracasso era assordante, dalle grida dei ragazzi al trambusto dei banchi singoli che venivano letteralmente gettati da parte, in un unico gesto di assolvimento. Ai lati del corridoi stavano due bidelle con i gomiti poggiati sulle scope, e guardavano la mandria di rinoceronti abbandonare la scuola e riversarsi come un fiume in piena nel cortile esterno. La battaglia coi gavettoni cominciò all’istante, non ci fu pietà per nessuno.
L’aula della IV A superiore, che l’anno successivo sarebbe diventata “matura” per così dire, era già mezza vuota. Alcune ragazze corsero fuori tenendosi per mano e sbraitando energiche di felicità, il professore finiva di sistemare i suoi ultimi appunti annuali nella cartella da ufficio posata sulla cattedra. Sola nella stanza assieme a lui, a riordinare i fogli scarabocchiati e le penne, c’era una ragazza dai corti capelli castani, lisci ma un po’ ribelli dietro le orecchie. Le lentiggini attorno al naso piccolo e grazioso le aveva rubate alla madre, mentre gli occhi attenti sembrava averglieli prestati suo padre. Vestiva sobriamente, jeans e maglietta bianca, sopra la quale aveva indossato un maglioncino di cotono e mezze maniche col cappuccio.
Raccolse tutte le sue cose nello zaino, tra cui il blocco da disegno e l’astuccio pieno di matite. Si caricò in spalla il tutto, dimenticandosi però di chiuderlo adeguatamente.
Prima di uscire dall’aula, lanciò un’occhiata nel cortile fuori dalla finestra più vicina e si fermò a guardare. Il trambusto proveniente dall’esterno le faceva gelare le ossa, come tutti gli anni. La guerra diventava sempre più spietata: alcuni ragazzi erano entrati in possesso del tubo dell’acqua che usava il bidello per annaffiare il viale fiorito della scuola, e adesso sparavano a tutta birra addosso al primo che capitava loro a tiro. Alcuni disgraziati, invece, avevano aggiunto ai gavettoni dell’acqua anche sacchi di farina e uova.
Il professore in piedi accanto alla cattedra finì di sistemare le sue cose, riallacciò la valigetta e la impugnò pronto ad andarsene. Si accorse di lei e, notando la smorfia che le si era dipinta sul viso, inarcò un sopracciglio. –Signorina, se vuole posso prestarle il mio ombrello- scherzò l’uomo.
La ragazza si volse lentamente verso di lui, ma era già sulla strada per l’uscita dell’aula. –Non si preoccupi- blaterò sorpassandolo e avviandosi in corridoio. E poi quale idiota si porta dietro un ombrello d’estate?
Il quarantenne laureato in storia dell’arte le andò dietro per un certo tragitto, poi svoltò, probabilmente diretto alla sala professori come tutti i docenti.
Ogni anno la stessa storia, la stessa medesima fuga come fossi il più ricercato ladro di gioielli d’America! Odio l’ultimo giorno di scuola… pensava la ragazza affacciandosi all’ingresso principale della scuola. Si permise di osservare i ragazzi di V lanciarsi gavettoni e schifezze d’ogni sorta solo qualche istante. Dopodiché fece dietro front e si avviò verso la mensa. Questa era deserta e la traversò quasi di corsa. Passato il refettorio, arrivò nelle cucine che trovò anch’esse vuote e silenziose, ma puzzolenti di pollo fritto, verdure bollite e formaggio. Una volta fuori, oltre la porta lasciata aperta da chi era incaricato di cestinare la pattumiera, raggiunse la strada come d’abitudine.
Le grida dei ragazzini nel cortile le arrivavano come una eco distante e soffuso, presto sostituito dall’abbaiare di due pastori tedeschi oltre una recinzione metallica.
-Ehi, ciao…- mormorò la ragazza chinandosi alla loro altezza e, nonostante prigionieri oltre la recinzione, allungò loro una mano e si fece annusare le dita. –Ecco, così, bravi- sorrise lei nel vederli calmarsi allo stesso tempo, come gemelli in perfetta sincronia. –Anche se siete pestiferi come dicono, non potete certo essere peggio del mio- ridacchiò prendendo qualche residuo di merendina dalla tasca del suo zaino. Ne diede un pezzo ad entrambi i fratelli pastori, salutò carezzandoli sul naso umido e si avviò questa volta di corsa sul marciapiede.
-Eccola!- sentì gridare alle sue spalle.
-Sì, è lei! Addosso!-.
A quanto pare è destino… si disse con una certa amarezza senza voltarsi indietro.
-Mike, allunga il tubo!-.

Il sole del pomeriggio colorava d’arancio gli alberi del viale. Soffiava una brezza fresca che faceva danzare il pupazzetto di peluche a forma di drago legato al suo zaino. La giovane aveva impiegato quaranta minuti di passeggio per arrivare a casa, e davanti lei c’era la porta d’ingresso ancora chiusa. Aveva percorso tutto il tragitto in quello stato, bagnata fino alle ossa. Puzzava in una maniera immonda di acqua di fogna che le avevano schizzato quelli dell’ultimo anno con la pompa, e meno male che era entrata nel loro campo visivo ad uova e farina esaurite.
Fortuna che è estate, dai che forse non mi ammalo… ma quel pensiero non bastava a consolarla.
Finalmente si decise ad estrarre le chiavi di casa dalla tasca umida dei pantaloni. Mamma e papà sarebbero tornati dal lavoro prima uno poi l’altro con orari diversi, ma lei aveva tempo sufficiente per farsi una doccia e…
-Helly!-.
La ragazza irrigidì le spalle e si voltò senza allontanare la mano con la chiave dalla serratura.
Fermo al limitare del marciapiede, sul sellino di un motociclo, c’era un giovane che, quando si tolse il casco e spense il motore scoppiettante, mostrò una chioma di capelli castano chiaro scompigliati in ciocche ribelli. Occhi verde smeraldo e il volto maturo con qualche accenno di barba. –Guarda come sei ridotta- commentò facendo una smorfia.
-Hai ragione! Sono fradicia! Oddio, ma come ho fatto a non accorgermene…- brontolò lei con sarcasmo. Inserì e girò la chiave nella serratura.
-Mi dispiace, ma quando è suonata non ti ho più vista, volevo darti un passaggio- disse alludendo allo scooter su quale sedeva.
-Grazie, Gabriel, ma non avrei accettato comunque- affermò freddamente. –Ciao- aggiunse poi entrando in casa. L’abbaiare di un cane svegliato dal tintinnio delle chiavi si era già diffuso per tutto il quartiere. –Skip, piantala!- lo strillò lei.
-Aspetta, Helly, dai!- il giovane smontò dallo scooter e mise il cavalletto. Arrivò di corsa sulla soglia prima che la ragazza potesse chiudergli la porta in faccia.
-Che cosa c’è?!- eruppe fulminando l’amico con un’occhiataccia.
-Mi hanno dato il debito in storia- comunicò semplicemente. –A settembre dovrò fare gli esami di ammissione, perciò ho pensato: dato che sei la migliore della scuola in quella materia, magari…-.
-No-.
-In cambio ti aiuto in matematica, promesso- sorrise.
-Ho detto di no. Ciao-.
-Helly, accendi il cell! Ti chiamo!- strillò lui a porta ormai chiusa.
Una volta al sicuro tra i quattro muri di casa, attese che Skip la smettesse di abbaiare. Chiuse gli occhi e ascoltò il tintinnio delle unghiette delle sue zampe ticchettare sul parquette, mentre scodinzolava come un matto con la lingua a penzoloni fuori dalla bocca.
-Sì, sono loro- mormorò la ragazza facendosi annusare la mano, dove il cane aveva riconosciuto l’odore dei due pastori. –Seduto- ordinò, e così l’animale fece. –Bravo- sorrise lei aggiungendo alle parole anche una festosa carezza. Si appoggiò con le spalle alla parete e lasciò cadere lo zaino a terra. Non le importava se il felpino bagnato avesse macchiato l’intonaco della parete o le scarpe rovinato il pavimento.
Scale. Bagno. Doccia. Tre comandamenti divenuti sacri in casi come quelli.
La diciassettenne si avviò su per i gradini, seguita da Skip, e si spogliò durante il tragitto, ma il cane cambiò presto direzione e andò a sgranocchiare l’ossicino di gomma lasciato nella stanza della padrona.
La ragazza arrivò in bagno con indosso solo la biancheria e accese il getto d’acqua regolando la temperatura. Ammirò lo specchio che lentamente si appannava per via del calore che aumentava, e si vide riflessa con i capelli già bagnati attaccati al viso, piatti, raggrinziti e scoloriti. Il viso pallido reduce di una carnagione bianca anche sotto il sole estivo, le lentiggini castane e gli occhi azzurri. Si carezzò le guance stirandosi la pelle con un sospiro. Poi spostò la sua attenzione all’orologio da polso che si slacciò mentre leggeva le lancette.
Mamma fa il turno all’ospedale anche ‘sta notte, e papà tornerà dall’ufficio tra un’oretta. Ragionò. Forse faccio in tempo ad andare da Samantha prima che torni, così ho la scusa per non preparare la cena, si disse.

Faceva buio.
Salutata Samantha sulla soglia di casa, era montata sul primo mezzo pubblico che passava sulla strada e in una mezz’oretta era di ritorno. Scese dall’autobus con un saltello e intraprese il viale alberato che aveva percorso già quattro volte in una sola giornata, tra andata e ritorno da scuola e casa dell’amica. Samantha Fox distava abbastanza perché un contrattempo l’avesse potuta tenere occupata fino a quell’ora di rientrare, così che ad attenderla in casa avrebbe trovato solo un cane affamato, una madre preoccupata e un padre entrambe le cose.
Di fatti, quando Helly trasse le chiavi e le infilò nella serratura, Skip accorse subito sull’ingresso e cominciò ad abbaiare dall’altra parte della porta. Quando entrò, la ragazza trovò casa buia quasi come l’esterno.
-Papà- chiamò. –Papà, ci sei?- si guardò attorno notando che la sua cartella da lavoro e le chiavi della macchina (che aveva anche visto parcheggiata nel vialetto) erano sul mobile lì accanto, assieme alle bollette imbustate prese dalla cassetta della posta.
Skip abbaiò ancora e fece avanti e indietro dal primo gradino delle scale ai piedi della ragazza, come a volerle indicare una direzione da seguire.
-Va bene, ho capito che hai fame, aspetta un attimo!- sbuffò accendendo le luci del soggiorno e dell’ingresso. Lasciò la sua roba sul tavolo da pranzo e arrivò in cucina. Accese le luci anche lì e preparò in fretta da mangiare per il cane, versandogli nella ciotola due pugni di croccantini, ma Skip continuava ad abbaiare.
-Zitto, stupido! Se papà sta dormendo, così lo svegli!- lo rimproverò.
Nulla da fare, il cane era agitatissimo e bazzicava a destra e sinistra cantilenando e mugolando.
-Vuoi uscire?- gli chiese lei afferrando il guinzaglio dalla cesta e mostrandolo al cane.
A quanto pare no… pensò vedendolo peggiorare, piuttosto.
Poi, a sorpresa, Skip scattò di corsa su per le scale.
La ragazza, scocciata e senza parole, si limitò a posare il guinzaglio sul ripiano della cucina e seguire il cane al piano di sopra. Giunta in corridoio, trovò Skip a grattare la porta dello studio di suo padre con una zampa. Si chinò su di lui e lo fece smettere. –Grazie, così danno la colpa a me- sibilò. –Smettila, si può sapere che ti prende?- chiese sollevandosi in piedi. Lanciò un’occhiata alla stanza da letto dei suoi genitori, ma fu sorpresa di trovare il letto vuoto e tutto rifatto come lo lasciava la mamma la mattina.
Quindi papà non sta dormendo… constatò la ragazza, e nello stesso istante Skip riprese a grattare la porta mugolando.
Questa è zona Off-Limit per me da diciassette anni, lo sai? Razza di cagnaccio, guarda cosa mi fai fare… sbuffò. Posò la mano sulla maniglia e si decise ad aprire, chiedendosi se suo padre non stesse lavorando a qualcosa di importante che l’aveva tenuto incollato al computer tutto il giorno. Socchiuse leggermente la porta e spiò all’interno attraverso la fessura creata. Anche se era piuttosto buio, riuscì a scorgere l’interno silenzioso e avvolto dalle ombre, ma il motore del computer andava e il bagliore dello schermo illuminava la poltrona vuota.
Forse è in bagno e ha lasciato il computer acceso… si disse dimenticando aperta la porta e avviandosi in corridoio, mentre Skip, invece, entrava nello studio e cominciava ad abbaiare impazzito.
Helly non ci fece caso e raggiunse il bagno, ma non trovandovi nessuno ad occuparlo, tornò sui suoi passi e andò a cercare in salone. Magari si è addormentato sul divano e non ci ho fatto caso.
Ma nulla da fare, suo padre non era in nessuno di questi posti.
Sentendo il cane abbaiare ancora dal piano di sopra, Helly salì di nuovo le scale due gradini alla volta, ben intenzionata a mettere a tacere quell’animale una volta per tutte. –Non hai fame, non vuoi uscire, graffi le porte!- strillò. Piombò nello studio spalancando la porta. –Skip, almeno smettila di…-.
-GRAZIE AL CIELO!-.
Si sentì stringere calorosamente da un paio di braccia forti che l’avvolsero tutta, mentre l’orecchio andava a posarsi sul battere forsennato di un cuore in corsa come un treno.
-…Papà?- mormorò la ragazza, stretta al petto dell’uomo.
-Dannazione- proruppe lui scostandola appena da sé. La teneva ferramente per le spalle facendole quasi male. –Hellionor, mi hai fatto venire un accidenti! A me e a tua madre!- aggiunse guardandola negli occhi, coi propri accesi di terrore e furore assieme.
La ragazza non sapeva che cosa dire, e così tacque.
L’uomo si passò una mano in mezzo ai capelli biondi e se li stirò all’indietro con un gesto nervoso. –Si può sapere dove sei stata?- domandò furibondo.
-Ero da Samantha- sibilò esangue. –Dove credevi che fossi?- chiese subito dopo con una risatina isterica.
-Presto, chiama tua madre e dille che stai bene- disse invece lui andando dietro la scrivania e riprendendo la tastiera e il mouse sotto le dita. –L’hai fatta preoccupare- aggiunse scoccandole un’occhiata burbera.
-Più di quanto lo sei tu?- rise lei.
-Hellionor Eva Freeland, non sto scherzando- sbottò l’uomo avviando il processo di spegnimento del computer. –Avresti potuto almeno avvertire, ho temuto che…- s’interruppe scuotendo la testa e guardando chissà cosa sul desktop del PC.
-Cosa? Che Skip avesse mangiato me invece dei croccantini? Ma per favore, papà. L’anno prossimo mi consegnano il diploma, non sono più una bambina-.
-E allora dimostralo, e fa’ una cazzo di telefonata!- strillò Daniel.
La ragazza s’irrigidì d’un tratto come una statua. Non aveva mai visto suo padre così arrabbiato.
-Tieni- l’uomo le lanciò il suo cellulare, che Helly afferrò al volo. –Chiama Jodie, ma non pensare di averla passata liscia, signorina- l’ammonì. –Per adesso va’ giù e prepara la cena. Più tardi tua madre ed io decideremo come passerai l’estate-.
La ragazza si avviò nel corridoio. -E meno male che in questo paese sono già maggiorenne!- si lamentò componendo il numero sul cellulare dell’ospedale dove lavorava sua madre.
-In Francia non lo saresti!- ribatté Daniel a gran voce.
-E chissene frega!- gridò dalle scale.
Dopo un lungo attimo di silenzio, Daniel guardò Skip che si era accucciato sotto la scrivania, avendo ascoltato le urla dei due fino ad allora con timore ed orecchie abbassate. Il signor Freeland si chinò a fargli una carezza, e il cane prese subito a scodinzolare grazie al tocco magico del padrone.
-Quella ragazzina mi ucciderà, se continua così- sospirò Daniel appoggiandosi allo schienale della sedia. Fissò l’icona di Hyperversum galleggiare sul desktop come screensaver. Scrutò allungo la mela fluttuante sullo sfondo nero, sbollentando man a mano che il tempo inesorabile del mondo reale gli scivolava addosso.
‘Sta volta ho avuto davvero paura che avesse scoperto la mia password… sospirò l’uomo, e nel farlo si voltò a guardare una vecchia foto incorniciata posata sulla mensola vicina. Vi erano quattro figure abbracciate amichevolmente, e Daniel non fece fatica alcuna nel riconoscerli dal primo all’ultimo.
In ordine da sinistra a destra: Martin Freeland, Jodie Carson, Daniel Freeland e ultimo, ma non d’importanza, Jean de Ponthieu, il Falco d’Argento… mio migliore amico Ian Maayrkas.
Daniel prese tra le dita quella vecchia foto, guardando prima gli amici poi l’icona di gioco sul desktop.
Sarà meglio avvertire Ian che mia figlia non si è persa nel Medioevo come temevo.





Angolo d’Autrice
Eccomi, finalmente ce l’ho fatta! Nella mia testa credo di aver architettato a sufficienza per poter finalmente mettere mani su questa fan fiction, stata fantasia troppo a lungo. Per essere un primo capitolo, i fatti, come avrete notato, scorrono “abbastanza” tranquilli! ^^ Ma sì, diamo spago alle paranoie di Daniel e vediamo cosa succede ad una sua presunta figlia, il cui nome per esteso è Hellionor Eva Freeland.
I personaggi di questa storia saranno più o meno quelli descritti nel libro, e le vicende ricalcano un presunto seguito del terzo libro, perciò, se siete gran curiosoni ma non avete ancora letto il terzo volume della Randall, non andate oltre con la lettura di questa storia! XD
Hyperversum è diventata ormai una parte di me, non riuscendo più a togliermelo dalla testa nemmeno ora che devo ancora finire i compiti di matematica! XD
Detto ciò, voglio ringraziare in anticipo lettori e recensori. ^^
Qualsiasi commento è ben accetto, critiche positive o negative verranno serbate come tesori di un altro mondo.



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Capitolo 2
*** Vecchi e giovani ***




In quegli anni tutte le contee francesi centro settentrionali tiravano un sospiro di sollievo, e tra di queste non poteva mancare la ricca e florida Châtel-Argent, mai stata così bella.
La città era nel pieno delle attività giornaliere. Il sole splendeva alto nel limpido cielo azzurro residuo di un inverno clemente. La gente era per le strade a trafficare di bancarella in bancarella, i carri, il bestiame, le merci, la musica, i soldati di guardia sulle mura, i contadini per i campi… Gli alberi e i viali erano i fiore, e così i maestosi giardini interni del maniero portante il vessillo del Falco d’Argento.
Tornare così di fretta nel medioevo era stato pressoché essenziale. In quella mattina aveva fatto dentro fuori da Hyperversum già due volte, col timore che Hellionor avesse indovinato la password del suo computer e curiosato tra le sue partite.
Le avrei tagliato le mani, se avesse osato! Non voglio trascinare anche lei in questa storia. In diciassette anni ho fatto i salti mortali per tenerla lontana dal mio studio, e per poco così non mi vedeva riapparire davanti al suo naso! Come per… “magia”. Se sarà necessario, porterò il segreto con me fin nella tomba. Pensava Daniel con una smorfia e gomiti appoggiati al davanzale della finestra, mentre la brezza primaverile dell’anno 1232 gli carezzava il volto scompigliandogli i capelli biondi. Ammirava il paesaggio del castello dalla sua torre più alta, ad attendere l’amico nella sua stanza privata dove l’avrebbe raggiunto a breve.
1232… sospirò gonfiandosi i polmoni di quell’aria pura e celestiale.
Al solo pensiero, Daniel si stupiva di quanto il tempo fosse trascorso velocemente, all’insegna di una vita trascorsa a viaggiare nel tempo senza scrupoli.
Col concludersi della Crociata Albigese nel 1229, d’interessante era successo ben poco. Filippo Augusto, l’uomo che in battaglia l’aveva reso cavaliere, era spirato il 14 luglio 1223. A prendere tra le mani la questione della Crociata era stato Luigi VIII, di ritorno avvilito dall’Inghilterra ma ben intenzionato a porre fine a questi inutili e spregevoli massacri. Veniva affiancato ovviamente dalla moglie Bianca di Castiglia, tanto quanto dal Falco d’Argento quando, assaporato il gusto della scomunica a Raimondo VII, Luigi aveva puntato con le lance in resta dritto verso Tolosa, alla conquista del nucleo di tanti mali. Impadronitosi di quelle terre, ne colse l’intera giurisdizione, affiliando nel 1226 definitivamente la Linguadoca alla Francia.
Il Leone di Francia venne meno nell’inverno di quell’anno, con grande scalpore e dispiacere della corte tutta. Daniel ricordava ancora la ricorrenza funebre tenutasi nell’abbazia di Saint-Denis, a Parigi. Un colpo amaro della provvidenza, aveva pensato affianco all’amico Ian, che presentava quel giorno assieme ai cavalieri della Corona. Il potere era così succeduto ad un piccolo Re, all’epoca solo dodicenne.
Luigi IX, detto il Santo, guidato dalla spavalderia degli uomini di cui si era circondato, e appoggiato dalla madre Bianca, eccolo già in battaglia contro una nuova rivolta. Nel 1228 spalancava i cancelli di Tolosa e, giunto ad un compromesso con Raimondo VII, nel 1229 prometteva al conte la giurisdizione delle sue terre, in cambio della sua unica erede Giovanna promessa al fratello del Re, Alfonso di Poitiers, e la completa ammissione della regione nei domini Francesi.
I grandi passi della storia medievale… Daniel rimaneva ammaliato tutte le volte, quand’invece pensava che fosse solo Ian quello ad emozionarsi a certe scene.
Erano diciassette anni che faceva avanti e indietro tra il passato e il presente. Quell’arco di tempo era trascorso sia nella realtà che nella storia. Sia lui che Ian avevano varcato la soglia della quarantina, e conti come Granpré stavano per raggiungerli. Non si sentivano vecchi o stanchi, affatto! Solo più maturi, vissuti e cavalieri di Francia ogni giorno di più.
In effetti sono cavaliere anch’io! Sorrise.
La porta della stanza si spalancò di colpo giusto in quell’istante. Quando Daniel si voltò, Ian lo accolse con un’espressione preoccupata in viso.
-Nous avons cherché partout! (1)- disse il cavaliere venendogli incontro a grandi passi.
Daniel gli si avvicinò ancora col sorriso sulle labbra e le mani giunte dietro la schiena, ma non disse nulla.
Ian aggrottò al fronte. –Perché ridi?- domandò cupo, mentre nella stanza compariva alle sue spalle dama Isabeau.
-Madame, siete più bella di quanto ricordassi- s’inchinò Daniel umilmente.
-Monsieur, ci siamo visti solo ieri- assentì confusa la donna, permettendosi comunque di arrossire.
-Daniel, levati quel sorriso dalla faccia, dannazione! Capisci che la questione è seria?!- sibilò Ian, ma ancor prima che l’amico potesse replicare, il Falco proseguì con queste parole:
-Il passaggio con Hyperversum funziona solo se nell’arco di cento metri ci sono anch’io, quindi posso assicurarti che non ho mai lasciato la biblioteca del castello per tutta la settimana. Se qualcuno fosse apparso nella mia stanza durante la notte, o davanti a me o mio figlio durante la lezione, che dici, forse me ne sarei accorto, no? Perciò datti pace, perché tua figlia non è qui- eruppe serio.
Isabeau si avvicinò al marito. –Perché sei così arrabbiato?- domandò flebile.
Ian scoccò un’occhiataccia all’amico, per poi rispondere: -Almeno io ho insegnato ai miei figli un po’ di educazione e rispetto. O vogliamo presentare Ty Hamilton ad Hellionor e farle raccontare “l’esperienza”?- abbassò il tono ugualmente pungente.
-Ian, grazie per la pazienza e l’aiuto, ma Hellionor era semplicemente fuori di casa- mormorò serio Daniel. –La mia è stata una preoccupazione inutile e superficiale, perdonami: non avrei dovuto scomodarti tanto-.
Ian sembrò rasserenarsi tirando un gran sospiro di sollievo. –Hai ragione, ma scusami tu per questa scenata. Sono solo un po’ infastidito dal fatto che per colpa tua abbia dovuto rimandare la battuta di caccia da Etienne- blaterò.
-Battuta di caccia?- chiesero assieme Isabeau e Daniel, guardando Ian con eguale stupore.
Il cavaliere guardò prima uno, poi l’altra. –Pensavo di avervene parlato ieri a cena…-.
-Ieri a cena io non c’ero- si difese Daniel. –Non è che stai cominciando a perdere colpi?- ridacchiò.
Ian gonfiò il petto e irrigidì le spalle. –Vogliamo parlare di te? Sono diciassette anni che continuo a ripeterti quanto sarebbe utile chiudere a chiave quel maledetto ufficio!-.
-Che fai, ti offendi?- lo canzonò Daniel.
-Basta, monsieurs, vi prego- rise Isabeau frapponendosi tra i due. –Se la figlia di monsieur Daniel non corre alcun rischio, non c’è motivo di mostrare tanta scortesia- accordò con gioia.
Dilungò un certo silenzio, poi Daniel si rivolse all’amico.
-L’invito di Sancerre è ancora valido?- chiese.
-Sei interessato?- si stupì Ian.
-Non io! Era per te- eruppe Daniel.
-In tal caso, penso di sì- assentì il cavaliere guardando la moglie. –Ti andrebbe di venire con me e Marc?- domandò ad Isabeau.
La donna ci pensò un istante. –Credo che per questa volta dovrai portare i saluti a monsieur Etienne da parte mia- pronunciò affitta. –Desidero accertarmi di persona che Michel sconti tutto il castigo-.
Daniel si preoccupò all’istante. –Che è successo mentre non c’ero?- formulò accigliato.
Ian gli rispose con una nota amara e severa nella voce adulta: -Quel ragazzino ha il brutto vizio fare troppo di testa propria-.
-Mi ricorda tanto qualcuno- si beffò Daniel.
-Monsieur Henri è rimasto poco contento della sua condotta- intervenne Isabeau amareggiata quanto il marito.
Daniel s’immaginò il trentasettenne Henri de Granpré accompagnato dal giovane Michel come suo scudiero. –Che ha combinato?-.
-Niente che una mente moderna come la tua possa comprendere- lo rasserenò Ian con un sorriso posandogli le mani sulle spalle. –Ma sarei molto onorato se per l’occasione venissi anche tu- aggiunse.
-Sono io quello onorato, qui dentro- obbiettò Daniel. –L’idea di mettermi in sella ad un cavallo inseguendo volpi e selvaggina in mezzo al bosco si prospetta tutt’altro che allettante-.
-Sei proprio invecchiato!- lo rintronò Ian.
Daniel gli scoccò un’occhiataccia, ma nel contempo gli sfuggì un sorriso. –Hai un capello bianco- disse.
Ian si allarmò. –Dove?!- e guardò Isabeau così che lei potesse confermare.
-Solo uno?- ridacchiò la donna, di comune accordo con l’amico del Falco.
-Ma questa è una congiura…- borbottò Ian lasciando la stanza, seguito dalle risate divertite della dama e l’amico.

Un mese dopo…

-Spegni quel maledetto computer e vieni qui, idiota!- sbottò Hellionor afferrando la prima cosa che le capitò tra le mani e lanciandola addosso al ragazzo. Gabriel si tolse il casco con visore dagli occhi giusto in tempo per vedersi arrivare in fronte la sua agenda.
-Vuoi passare l’anno, o vivere su quella sedia tutta la vita?!- aggiunse lei abbozzando una mappa concettuale di studi su un foglio bianco, che successivamente il suo “scolaro” avrebbe compilato.
-Arrivo, prof- scherzò lui.
Hellionor si voltò e fece per lanciargli qualcos’altro.
-Va bene, va bene!- Gabriel scoppiò dalle risate e mise in pausa il sistema di gioco, sul quale comparve un’icona fluttuante a forma di mela. Si alzò da davanti la scrivania e andò a sedersi sul suo letto, accanto alla ragazza che era circondata di libri e quaderni con appunti e fogli vari. Erano a casa di lui, nella sua bella cameretta singola tappezzata di poster metallari e simboli anarchici.
-Scusa, ma stavo per uccidere Attila, capisci?- pronunciò orgoglioso.
-Pure mio padre gioca con quella cazzata- borbottò lei.
Gabriel sgranò gli occhi. –Non ci credo!-.
-Ti giuro. Sta le ore davanti al computer, dice per lavoro, ma mamma ogni tanto mi racconta delle sue partite. Fortunatamente a me quel gioco non piace, perché proprio non ci tengo a farmi fottere il cervello da quella droga…-.
-Guarda che è divertentissimo, una volta dovresti provare-.
-I miei non vogliono-.
-E perché, scusa?-.
-Intanto sono pienamente d’accordo con loro. E come seconda cosa… non vogliono e basta, dicono che è stupido e pericoloso per il cervello, ed io ci credo-. E a quanto pare hanno ragione, aggiunse con il pensiero rivolto all’amico. Guarda come sei ridotto… Gabriel scoppiò in una bolla la gomma da masticare che aveva in bocca.
La ragazza sospirò e si rimise a scrivere con una smorfia. -Voglio vedere quando sarai tu a dovermi preparare gli omogeneizzati di matematica- brontolò affondando con rabbia la penna sulla carta.
-Omoche?- chiese confuso.
-Il fatto che tu non sappia cosa sono gli omogeneizzati non mi stupisce- ridacchiò lei. Tua madre deve essersi dimenticata di darti un po’ di vitamine al cervello!
Il ragazzo si strinse nelle spalle. –Se parli di quella robetta appiccicosa che si da ai bambini, a me piace. Una volta ne ho assaggiato uno, sai, di mio cugino che ha due anni-.
-Questo spiega molte cose- continuò a ridere lei. Si vede che si è dimenticata di smettere di dartelo, piuttosto! –Forza, allora- gli porse il foglio sul quale aveva disegnato lo schema. –Riempi i campi in base a quello che ti ho spiegato sulla Corte Francese del XIII secolo. E spicciati- lo ammonì, -perché dobbiamo recuperare anche tutti gli appunti sulla Crociata Albigese-.
-Anche?!-.
-Che fai quella faccia stupita? Tanto non sai nemmeno di cosa sto parlando! Un argomento alla volta, a piccoli passi, possiamo farcela, vedrai- gli sorrise.
Gabriel afferrò il foglio da compilare e prese a mordicchiare la matita, avendo dubbi già dal primo riquadro.
Hellionor lo guardò in silenzio giusto un minuto, poi si scocciò, ed esasperata aprì il libro di storia alla pagina sull’argomento. –Leggi!- eruppe sbattendoglielo in faccia. –Ad alta voce- aggiunse.
Gabriel posò il foglio e si schiarì la gola. -Quarto figlio di Luigi VIII e di Bianca di Castiglia, Luigi il Santo succedette al padre nel 1226, essendo già morti i tre fratelli maggiori. Il dodicenne sovrano mosse i suoi primi passi sotto l'egida della madre, che per alcuni anni assicurò con decisione la reggenza. Dopo l'improvvisa morte del padre, infatti, Luigi venne rapidamente armato cavaliere e consacrato re, appena in tempo per affrontare la rivolta dell'aristocrazia ostile alla reggenza della straniera regina-madre. Bianca, infatti, era spagnola. Continuo?-.
-E me lo chiedi?-.
Il ragazzo sbuffò e riacchiappò il segno.
La lezione di storia andò avanti tutto il pomeriggio. Nonostante nella stanza di Hellionor ci fosse il ventilatore acceso e a tutta birra, si crepava di caldo. Phoenix non era mai stata più torrida. Gabriel aveva proposto di andare a fare lezione in giardino, ma poi, appena aperta la finestra, la temperatura era come raddoppiata. La ragazza fu costretta a stare in canottiera e pantaloncini, gli stessi con cui il sabato mattina andava a fare un giretto del quartiere di corsa, tanto per tenersi in forma, e che indossava sotto ai jeans. Aveva fatto tappa a casa di Gabriel come stabilito dalle lezioni che si era offerta di dargli quell’estate, dato che nessuna delle famiglie dei ragazzi avrebbe lasciato l’Arizona per altri luoghi, causa lavoro. Hellionor aveva portato con sé i suoi appunti e i suoi libri del corso di storia, assieme ad un quaderno bianco nel caso che Gabriel si fosse deciso ad insegnarle un po’ di matematica come si deve.
Le occhiate interessate di Gabriel su di lei piuttosto che sul libro si erano fatte sempre più frequenti, e la ragazza non poteva fare a meno di accorgersene. Cominciava a darle fastidio che il suo ripetente la mangiasse con gli occhi invece di concentrarsi sullo studio.

La lezione del giorno dopo si tenne a casa Freeland.
Gabriel si fece trovare sulla soglia di casa già a buon ora del mattino, armato del quadernone di appunti che la ragazza gli aveva dato in prestito, affinché gli desse un’occhiata quella sera. Suonò il campanello, e Skip cominciò subito ad abbaiare come un pazzo.
Ad aprire la porta fu Jodie, in procinto di avviarsi a lavoro. Nella mano aveva già le chiavi della macchina e a tracolla la borsa con gli effetti personali.
-Salve signora Freeland- salutò lui garbatamente.
-Ah, Gabriel, sei arrivato. Entra- pronunciò cordiale la donna scambiandosi di posto col ragazzo. Quando Gabriel fu in casa e Jodie sul tappetino d’ingresso, chiamò la figlia a gran voce avvertendo dell’ospite giunto.
-Arrivo!- rispose Hellionor dal piano di sopra.
Jodie tolse l’allarme dalla macchina pigiando sul telecomandino legato alle chiavi. –Mio marito lavora a casa oggi e non vuole essere disturbato, perciò fate i bravi- disse aprendo la portiera.
Hellionor scese le scale di corsa e comparve sulla soglia di casa giusto in tempo per salutare con un bacio la madre. Jodie si soffermò a bisbigliarle qualcosa all’orecchio, ma la riposta della ragazza fu un’espressione imbarazzata e indignata. Dopodiché la signora Freelland mise in moto e sparì nel viale alberato.
Hellionor richiuse la porta e accompagnò l’ospite sino nella sua stanza. –Perdona il disordine, è abituale di questi giorni. Sai, non avendo molto a cui badare… prima avevo la scuola che, come dire… restringeva il campo- ridacchiò lei nervosamente, scomoda di dover mostrare la propria camera al ragazzo che sapeva averle tentate tutte pur di farsi piacere a lei.
Gabriel mosse un passo alla volta e posò i libri sulla scrivania. –Dov’è il tuo computer?- chiese confuso.
-Papà l’ha portato a riparare- lo informò lei dondolandosi sui talloni. –Perché?- domandò subito dopo.
Gabriel fece scivolare lo zaino dalle sue spalle al letto. Aprì una taschina laterale e mostrò un dischetto lucido. –Ti avevo portato una cosa-.
-Che cos’è?- la ragazza scattò verso di lui e gli tolse il dischetto dalle mani, rigirandoselo nelle proprie.
-Un software per Hyperversum- spiegò Gabriel. –Uno scenario per l’ambientazione- aggiunse.
-Guarda che mio padre ce l’ha già, te l’ho detto- eruppe lei seria in volto.
-Lo so, ma il programma è una cosa, lo scenario un’altra. Quest’ultima è personalizzabile, ed io ho creato la mia-.
-In base a cosa, scusa?-.
-La Corte Francese del XIII secolo- pronunciò con orgoglio.
Hellionor sgranò gli occhi e guardò ammaliata il dischetto tra le sue dita.
-Eh, già- sospirò Gabriel, e mentre allargava la cerniera dello zaino per mostrare una coppia di caschi e di guanti in fibra ottica al suo interno, aggiunse: -E pensare che sono stato tutta la notte a compilare i parametri. Che peccato che non possiamo giocarci- scosse la testa.
-Mi spiace- disse Hellionor con freddezza restituendogli il dischetto. –Il mio è momentaneamente assente e mio padre sta lavorando, ed essendo questi gli unici computer che abbiamo in casa, credo che dovremo accontentarci dei buon vecchi libri- arrise lei con una smorfia.
-Di’ la verità: un po’ ti dispiace, e secondo me tuo padre sta giocando invece di lavorare- ridacchiò.
Hellionor si strinse nelle spalle. –Se anche fosse, non voglio impicciarmi. Forza, allora: a lavoro- annunciò afferrando il libro e lanciandosi seduta sul letto. –Metti via quella roba e sistemati comodo- ordinò sfogliando le pagine fino al capitolo prescritto. –Vediamo cos’hai imparato ‘sta notte- si beffò allegra.
Gabriel sbuffò e gettò lo zaino con i guanti, i caschi e il dischetto da una parte. Poi si sedé di fronte alla ragazza schiarendosi la gola e sentendosi la bocca improvvisamente impastata dall’emozione dell’interrogazione.
Skip passeggiava da una parte all’altra della stanza cercando un comodo posticino dove schiacciare un pisolino. Rintracciata la cuccia imbottita che Hellionor aveva nella sua stanza, si sistemò lì e si addormentò nel lasso di pochi minuti.
Le prime ore trascorsero tranquille.

D’un tratto si udirono dei passi nel corridoio e il vecchio Skip, dormiente nella sua cuccia, non se ne accorse subito; tantomeno i due del tutto presi dallo studio. La porta si aprì.

-Helly io vado. Fai uno squillo a Jodie e dille che ‘sta sera la passo a prendere io- nella stanza entrò il padre della ragazza che, nel trovarsi di fronte sua figlia accanto ad un baldo giovane che probabilmente incontrava per la prima volta, rimase non poco stupito.
-Buon dì, signor Freeland- esordì Gabriel.
-Papà lui è Gabriel. Te ne ho parlato, no?- lo precedette Hellionor prima che suo padre potesse farsi i suoi spregevoli e protettivi filmati mentali.
-Ah, Gabriel!- sobbalzò Daniel. Mosse un passo avanti e allungò la mano verso l’ospite, che gliela strinse con un sorriso. –Lo storico pigro…- brontolò l’uomo, ma la figlia lo fulminò con un’occhiataccia. –Molto piacere. So che in cambio delle lezioncine darai a mia figlia qualche ripasso di matematica. Vedi di mantenere la parola-.
-Ho giurato sulla mia testa, signore- scherzò il giovane.
-Ottimo, ottimo…- farfugliò Daniel. Tornò a rivolgersi alla figlia. –Ti lascio in custodia la casa e Skip. Dagli da mangiare, io torno ‘sta sera tardi- disse.
Hellionor annuì con una risata. –Fa’ con calma, non preoccuparti-.
-Arrivederci signor Freeland- salutò Gabriel.
-Piccola, al mio rientro voglio trovarti a letto- pronunciò allegro. –Da sola- aggiunse più severo scoccando un’occhiata eloquente all’ospite.
-Papà!- Hellionor scattò in piedi e spinse il padre fuori dalla sua stanza. –Sei peggio di mamma, in certe cose…- sibilò quando furono soli in corridoio.
-Ho fatto qualcosa di male al di fuori del mio dovere di genitore?- chiese Daniel.
-Tu prendi troppo alla lettera quel maledetto manuale del bravo genitore!- eruppe Hellionor accompagnandolo all’ingresso.

Rientrata in stanza, trovò l’amico seduto alla scrivania vuota e chino sui libri.
La temperatura cominciava ad alzarsi man a mano che si avvicinava il mezzogiorno. Gabriel fu incaricato di accendere il ventilatore e lo sparò a tutta birra sul letto, ma ciò provocò un turbine che spazzò per aria la gran parte degli appunti e dei fogli con gli schemi di Hellionor. La ragazza saltò sul letto e cercò di recuperarne alcuni gridando: -Spegnilo! Spegnilo!-.
Gabriel sembrava divertirsi, perché rideva come un matto e non spegneva mica il ventilatore, anzi! Indirizzava i fogli più in alto.
Freeland smontò dal materasso e si rimboccò le maniche pronta a menare se necessario, ma Gabriel cominciò a scappare per la stanza come una femminuccia, e ridendo come un idiota.
-Dai, smettila!- ridacchiava Hellionor.
Gabriel alla fine cedette e, aiutando la ragazza a raccogliere i fogli, continuò a ridere sotto i baffi.
-Sei un caso disperato- blaterò Helly. –Ma sei così anche in classe?- domandò.
-Sì- rispose lui, e sembrò vantarsene.
-Povere le tue professoresse- commentò lei.
Lo studio riprese tranquillo così com’era iniziato per qualche ora, fin quando i primi crampi allo stomaco per la fame non cominciarono a farsi sentire.
-Ehi, dove vai?- chiese Gabriel nel vederla alzarsi dal letto senza una parola.
Hellionor tacque e mosse alcuni passi verso la porta. Si fermò e gli rispose mentre posava la mano sulla maniglia. –Hai fame? Vado a preparare qualcosa da mangiare-.
-Guarda, tra poco devo tornare a casa. Ho detto ai miei che sarei rientrato per pranzo. Comunque se stai pensando ad una merenda di metà mattina, buona idea!- arrise lui.
-D’accordo, ma tu continua!- lo sgridò lasciando aperta la porta alle sue spalle. Traversò il corridoio e giunse sulle scale che Skip le veniva incontro di corsa abbaiando.
-No, non te la do la pappa, mi spiace- borbottò la ragazza ferma sul pianerottolo. Si chinò a grattarlo dietro le orecchie. –Mamma ti ha lasciato la ciotola piena ‘sta mattina e se l’hai svuotata in tre secondi, non è un problema mio. Manca ancora un po’ all’ora di cena, vecchiotto- rise.
Il cane tirò indietro le orecchie e andò a stendersi sul divano, sapendo che la padrona più indulgente ben glielo permetteva.

Di ritorno dalla cucina con un vassoio di acqua e biscotti per la merenda, uno dei quali Hellionor aveva già in bocca, aprì la porta della stanza di spalle. Trovò la camera vuota e per un attimo credé che Gabriel potesse essersi suicidato buttandosi dalla finestra, che di fatti era aperta.
La ragazza posò il vassoio sulla scrivania e, levandosi il biscotto di bocca, chiamò l’amico più volte, ma questi non gli rispose. –Se ti sei nascosto, non è divertente!- sbottò Hellionor frugando dietro la porta, nell’armadio e dietro le tende. –Gabriel, dannazione, esci fuori!- strillò, ma si arrese in fretta al pensiero che il suo amico potesse essere semplicemente in bagno.
Sospirò e rilassò le spalle, preda del costante terrore che quel ragazzo aspettasse solo il momento migliore per saltarle addosso. Uscì dalla stanza rifacendosi la coda e lanciò un’occhiata al bagno lì accanto, ma vedendo la porta aperta e la luce spenta all’interno, scartò anche quell’evenienza.
-Ma dove diavolo…- e poi vide.
La porta dello studio di suo padre era leggermente socchiusa, e dall’interno proveniva una luce che la ragazza aveva imparato a riconoscere. Man a mano che si avvicinava, riuscì a sentire un sottofondo di musica elettronica con toni medievali, e da quel punto in avanti non ci furono ulteriori dubbi.
-Gabriel!- la ragazza piombò nell’ufficio gridando il suo nome.
Sorprese il ragazzo seduto sulla poltrona dietro la scrivania, con indosso il casco e i guanti. Sobbalzò e si guardò attorno sperduto, e solo allora si accorse di essere stato chiamato nel mondo reale e non in quello del gioco. Si tolse il casco, ma Hellionor era già al suo fianco mettendo le mani scuramente dove non avrebbe dovuto.
-Si può sapere come ti viene in mentesi toccare il computer di mio padre?!- strillò furibonda pretendendo il mouse e cliccando la voce di uscita dal menù di pausa che era comparso nel momento in cui Gabriel aveva bloccato il gioco.
-No, aspetta, così fai un casino! Cazzo, fermati!- il ragazzo le strinse i polsi costringendola ad allontanarsi e, alzandosi dalla sedia, spinse indietro l'amica. –Hellionor, calmati!- eruppe.
La ragazza guardava ora lui poi il desktop del computer. –Come hai fatto? Come sapevi la password?- chiese con sgomento infinito.
-Tuo padre ha lasciato tutto acceso quando è uscito- confessò Gabriel scostandosi da lei e rimettendosi seduto. Scansando guanti e casco da una parte della scrivania, prese il controllo di mouse e tastiera riparando al danno fatto dall’amica.
-Questo non ti autorizza a…!- fece per obbiettare, ma Gabriel la precedette.
-Sì, scusa, hai ragione, perdonami! Ma quando mi sono accorto che il computer era acceso, la tentazione era troppa! All’inizio, lo ammetto, volevo solo provare il mio scenario dato che non ne ho avuta occasione, avendolo ultimato solo ‘sta mattina prima di uscire. Appena mi sono seduto, invece, ho rintracciato il caricamento di una partita già iniziata, e be’, Helly! Lo scenario di tuo padre è incredibile! Grandioso, spettacolare! Devi assolutamente vedere!-.
La ragazza scosse la testa. –No, Gabriel, tu non capisci! I miei mi ammazzano se…-.
-E dai! È solo una partita, un gioco! Cosa vuoi che succeda?- le sorrise affabile.
Il suo amico era al settimo cielo, ma Hellionor aveva cominciato a torturarsi l’unghia del pollice nervosamente. Non le piaceva l’idea di usare il PC di suo padre, disubbidendo così a ben due dei comandamenti di casa: 1. non entrare nello studio. 2. non giocare ad Hyperversum.
Solo niente telefono, amiche e piedi fuori di casa per tutto il resto dell’estate! Già, cosa vuoi che succeda?! sbuffò la ragazza.
-E va bene- si arrese alla fine. –Ma una vita sola, non voglio nemmeno aspettare il game over, chiaro?- proruppe afferrando una sedia e sistemandola vicino alla poltrona dove sedeva l’amico.
-Chiarissimo. Tieni- Gabriel le porse guanti e casco. –Vedrai, non te ne pentirai- disse sorridendo emozionato e in modo sincero, mentre guardava la ragazza prepararsi.


(1) Nous avons cherché partout!: Abbiamo cercato dappertutto!


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Capitolo 3
*** Soldato e contadina ***





Intanto, nella Francia del XIII secolo…

Il grido del falco spaventò uno stormo di uccelli appollaiato tra i rami. Questi spaziarono per un istante tra gli alberi del bosco, poi fuggirono via tra le fronde e le foglie librandosi nell’azzurro limpido cielo.
La piccola volpe rossa schizzava da un arbusto all’altro come una freccia. Le zampette velocissime trattavano metri e metri di suolo in pochi secondi, la coda tra le gambe, i muscoli tesi e scattanti, il muso allungato e le orecchie basse. Sfiatava verso il riparo più vicino, annusava l’aria fresca del bosco senza fermarsi mai. Inseguita dal trottare intenso di alcuni cavalli sul selciato selvaggio a poche spanne da lei, fuggiva disperata. La caccia si era aperta così.
-Dannazione, Ian, maledetto quel tuo falco, l’ha spaventata! Ancora poco e l’avrei centrata con l’arco!- si lamentò il cavaliere in testa al gruppo. Era un uomo dal volto tirato e determinato, la chioma mossa lunga e castana. Busto eretto, talloni ben piantati verso il basso nelle staffe. Indosso portava speroni e stivali, assieme all’emblema di famiglia sotto il mantello da caccia. L’arco in una mano, le redini nell’altra, mentre il suo palafreno manteneva un galoppo onorevole.
-Guarda il lato positivo, Etienne! Così è più divertente!- ridacchiò il compagno d’armi che galoppava alla sua sinistra. Costui era Henri de Granpré, la cui capigliatura fluente e castana preferiva tenerla corta. Il viso era quello di sempre: eternamente solare e fanciullesco, anche così avanti negli anni. Occhi scuri di giovane Falco che anche lui era sempre stato.
-Vediamo quanto ti divertirai, Henri, ad inseguire quella maledetta volpe in un buco di terra grande quanto la tua testa!- sbottò amaro Sancerre.
Henri lasciò che il cavallo di Etienne lo portasse più avanti nella corsa e, accostandosi alle tre figure rimaste poco più indietro, assunse in viso un’aria poco serena.
-Non è mai stato così… truce- commentò Granpré verso di Ian.
-Lascia che si sfoghi almeno nella caccia- sospirò quest’ultimo. –È solo parecchio contrariato dal fatto che Donna gli abbia “regalato” un’altra bambina-.
-Etienne desidera un figlio maschio al quale insegnare l’arte della guerra che tanto lo appassiona- spiegò Granpré. –Tre figlie femmine. Questo non gli ci voleva-.
-E a quanto pare io non basto a fargli compagnia- intervenne un giovane del tutto nuovo. Il ventisettenne che aveva appena parlato era Louis de Sancerre, primo ed unico erede del conte Guillaume de Sancerre, e nipote di Etienne.
-Louis, non per scoraggiarvi, ma siete già troppo vecchio- intervenne un quarto cavaliere.
-Marc, ma ti sembra il modo di rivolgerti ad un feudatario maggiore?- eruppe Ian fulminando il ragazzo con un’occhiataccia.
-Perdonatemi, padre- Marc abbassò lo sguardo sullo sterrato e si limitò a portar dritto il suo cavallo.
-Suvvia, siamo tra amici- sorrise Louis amichevole verso il più giovane del gruppo.
Padre e figlio indietreggiarono ancora, lasciando andare avanti i conti di Granpré e Sancerre, che accorsero a recuperare Etienne a vagare da solo nel bosco.
Ian proseguì al passo, e Marc tirò le redini facendo altrettanto. Il conte de Ponthieu e il suo cadetto furono avvolti dalla quiete della foresta.
-Non voglio che tu ti permetta certi colpi di testa come tuo fratello Michel. Anche se è Louis stesso a dartene il consenso, non devi rivolgerti a lui come uno stretto consanguineo. Speravo che almeno questo ti fosse entrato in zucca- lo rimproverò.
Marc tese le spalle incassando l’accusa. –Chiedo venia: non intendo certo insabbiare il confine che distingue me da mio fratello, tantomeno le responsabilità che competono a ciascuno di noi-.
Ian sospirò. Non riusciva proprio a punire con tanta rigidità chi era così uguale a lui in tutto. Marc de Ponthieu, il diciassettenne che aveva dinnanzi, dagli occhi ai capelli, dalla corporatura ai vestiti, era una sua fotocopia.
E pensare che ormai faccio fatica a ricordare cosa sia una fotocopiatrice! Scoprì Ian con un sorriso.
Marc se ne accorse. –Cosa vi rallegra, padre?- domandò sereno.
-Nulla- assentì vago il conte. –Piuttosto, vedi di tenere a mente cosa ti ho detto. E da oggi, voglio che porti più rispetto anche ad Etienne. Sta passando un brutto periodo- convenne partendo al trotto, e Marc lo imitò.

Etienne fermò il cavallo, tese l’arco, incoccò, e in una frazione di secondo puntò la sua preda. Accompagnò con un grido di liberazione la freccia, che sibilò nell’aria immobile della foresta e colpì la volpe prima che questa raggiungesse la sua tana. L’animale si accasciò contro le radici dell’albero con uno schianto per via del colpo ricevuto in pieno costato. Ansimò per qualche istante dissanguando in terra, poi tacque e morì.
Granpré e il nipote di Etienne, Louis, giunsero alle spalle del signore di Séour fermandogli accanto i cavalli.
-Bel colpo- ammise Louis con sincera ammirazione.
Etienne non rispose, smontò dalla sella e si chinò sulla carcassa.
Ian e Marc apparvero nel momento in cui Etienne estrasse la freccia dai muscoli ancora caldi e tesi dell’animale. Marc corrugò la fronte e le labbra a quella truce visione, ma si trattenne dal commentare così come, con un’occhiata eloquente, gli aveva chiesto suo padre.
Alla piccola Alix avrebbe fatto piacere un animaletto di compagnia… pensò nel contempo Ian, amaro. Se solo Etienne si fosse degnato di lasciar vivere quella povera bestia e portarla al castello.
-Qualcuno di voi sente lo stomaco brontolare?- domandò invece Louis con una certa ironia.
Granpré si permise un mezzo sorriso. -Sarebbe ora di rientrare- suggerì Henri. –Certamente siamo attesi per pranzo alla tavola di madame Donna-.
-Infatti- sbottò Etienne liberandosi della carcassa della volpe in un cespuglio vicino. Dopodiché rimontò in sella e fece strada per il ritorno.

Nel mondo moderno…

Gabriel armeggiò con esperienza nel menù di avvio e impostò data, ora e località secondo delle coordinate già predefinite.
-E se mio padre si accorgesse della partita modificata?- chiese Hellionor con un moto di ansia che le si agitava nello stomaco, compatta nel casco che indossava per la prima volta sulla testa.
-Ho aperto un nuovo caricamento, ‘sta tranquilla. Della vecchia partita ho ricalcato solo l’ambientazione. Ho inserito il dischetto coi dati del mio personaggio, mentre per creare il tuo volevo aspettare di averti accanto- disse cordiale.
-Tu cosa sei?- domandò Hellionor.
-Per ora la mia esperienza in questo tempo del gioco mi permette di essere un soldato comune. Appartengo però al casato di un nobile cavaliere francese vissuto in quell’epoca. Ho studiato il profilo del Cadetto giusto ‘sta mattina. Un certo…- Gabriel ci pensò qualche istante avviando in contemporanea il caricamento. –Scusa, mi sfugge il nome-.
-Perfetto! Servi un Signore di cui nemmeno conosci il nome. Che vergogna- ridacchiò istericamente la ragazza.
-E dai, tanto a chi vuoi che importi? Il nostro sarà solo un giretto turistico. Appena entriamo ti spiego i comandi-.
Hellionor annuì e serrò i pugni testando la comodità dei guanti.
In una decina di minuti, ecco forgiato dal nulla il personaggio che Gabriel creò per lei in base ai gusti della ragazza, tenendo però fede alla somiglianza del viso per quanto le texture del gioco potessero permetterlo.
-Soddisfatta?- chiese lui durante una nuova procedura di caricamento.
Hellionor si sistemò più comoda sulla sedia. –Penso di sì…-.
La musichetta medievale di sottofondo discrepò il suo volume poco a poco, poi lo schermo all’interno del casco si fece tutto buio come la notte, mentre una voce elettronica femminile presentava data e luogo della partita.
-Saltiamo l’introduzione, va’…-.
-No, aspetta!- Hellionor scattò in avanti con un braccio teso.
Troppo tardi, ma Gabriel, spaventato dal gesto improvviso della ragazza, sobbalzò sulla sedia. –Che c’è?! È una parte di storia che già conosciamo- ridacchiò. –Tranquilla! Il baldo soldato non permetterà alla povera giovane contadina di finire in pasto ai leoni-.
-Intanto, non penso che nella selva francese incontreremmo mai dei leoni. Come seconda cosa…- esitò. –Ho un brutto presentimento-.
-Ma non dire sciocchezze, e smettila di farti schiava del senso di colpa. Sei troppo una brava ragazza, Helly. Tuo padre non lo verrà a scoprire, vedrai. Per sicurezza il salvataggio della partita lo terrò con me nel mio dischetto, così non lasceremo tracce-.
-C’è sempre la cronologia del computer, e…-.
-Helly- sospirò Gabriel sollevando il visore del casco. Fece altrettanto a quello della ragazza e la guardò negli occhi.
Hellionor era rigida come un palo di legno sulla sedia. Apriva e chiudeva i palmi nervosamente a contatto coi guanti di fibra.
-Finché non ti calmi non avvio la partita- la minacciò il ragazzo.
-E allora non farlo-.
-Rilassati!- le strinse le spalle. –È finzione, diamine, non sentirai dolore se qualcuno dovesse tagliarti un dito!- rise. –Comunque, tanto per farti stare tranquilla, ho impostato la partita senza un obbiettivo preciso. In Francia si vive dopotutto un certo periodo di Pace, se metti da parte i contrasti tra la corte Luigi IX e quei taccagni del sud bravi solo a far pregiudizi. Il Re partirà per la Settima Crociata solo tra qualche anno. Entriamo in gioco come turisti, quindi per adesso goditi il viaggio. Poi, ne sono certo, non potrai più farne a meno!-.
Hellionor non sapeva cosa l’attendesse oltre la soglia del mondo reale, al confine tra storia e fantascienza. Hyperversum era sempre stato per lei un luogo ostile e segreto, una parte di mondo che, fin dalla prima adolescenza e negli anni successivi, non l’aveva mai attratta a tal punto da desiderare di mettervi le mani. Sia per gusti personali che per costrizione dei parenti, Hellionor non provava curiosità e interesse alcuno nel mondo al di là del grande muro della fantasia. Lo scenario, come detto da Gabriel, poteva anche ricalcare in dettaglio l’epoca medievale che stavano studiano, ma sarebbe rimasto tutto a livello di gioco, nell’immaginazione di un pazzo che fumandosi chissà cosa aveva inventato quell’aggeggio.
Eppure, si ritrovò a pensare quanto fosse strana quella situazione. Daniel Freeland giocava su un unico scenario ambientato nella Francia del XIII secolo da diciassette anni. Poteva suo padre interessarsi tanto…
Ad interrompere il filo dei suoi pensieri fu l’immagine del pianeta Terra visto dallo spazio. Davanti agli occhi della ragazza, l’inquadratura si avvicinava alla terra sempre più velocemente, traversando le nubi dell’atmosfera e le nuvole del cielo, andando a circoscrivere un determinato tracciato di terra all’interno dello stato Francese.
-Dove stiamo andando di preciso?- chiese la ragazza.
-Un castello nella Francia settentrionale. Borgogna, penso…- annunciò la voce di Gabriel attraverso l’auricolare incorporato nel casco. –Dalle immagini mi è sembrato un bel posto-.
I due personaggi si materializzarono in aperta campagna, durante una fresca mattina estiva. Sopra le loro teste c’era un cielo azzurro limpido come uno specchio. Sotto i loro piedi un sentiero che portava sino alla prima cinta di mura del grande e magnifico maniero, le cui torri svettavano nell’immenso proiettando la propria ombra nella pianura attorno. Il sole rischiarava l’orizzonte fin dove la qualità delle texture del gioco lo permetteva, con un dettagli grafico sensazionale.
Hellionor restò del tutto a bocca asciutta di fronte la spettacolare vista che le si prospettava dinnanzi. Oltre al castello, i cui emblemi blu e bianchi sventolavano al vento, la gente trafficava viva sull’ingresso per la cittadella.
In un breve lasso di tempo, durante il quale Gabriel arrestò lo scorrere delle lancette nel gioco, il ragazzo spiegò ad Hellionor i comandi basilari per governare il suo personaggio. Freeland imparò in fretta, non senza riscontrare qualche difficoltà sui primi passi, ma col trascorrere dell’esperienza, la rasserenò Gabriel, sarebbe diventata capace quasi senza accorgersene.
Riprese tra le mani le briglie del gioco, soldato e contadina seguirono lo sterrato fino alle mura della città. Com’era abitudine nel gioco, ma anche storicamente, si registrarono coi propri nomi di battesimo al posto di guardia.
-E’ incredibile! Sembra di essere davvero nel medioevo…- mormorò Hellionor.
-Vieni, facciamo un giro in città- suggerì Gabriel, e condusse avanti il suo personaggio.
Hellionor gli andò dietro come fosse la sua ombra.
-Sei una contadina, calati nella parte- ridacchiò il ragazzo.
-E voi, messere, potreste anche spiegarmi come mai, dopo tanti studi assieme, non siete ancora in grado di riconoscere lo stemma dei Sancerre sulla vostra e sulla divisa di tutti i soldati qui attorno!- si beffò la ragazza con una nota di rimprovero.
Effettivamente Gabriel portava sul petto la figura araldica dei Sancerre: una barra bianca obliqua in campo blu, e come lui tutte le guardie per la città.
-Ah! Ma certo!- il personaggio del ragazzo mimò il gesto di battersi una mano in fronte. –Sancerre, Etienne e Guillaume de Sancerre!-.
-Per rimediare al votaccio dovrai rispondere a questa domanda: chi dei due affiancò il Falco d’Argento nella Battaglia di Bouvines?-.
-Etienne, ovviamente. I due erano grandi amici-.
-Che bravo, meriti una stellina- fece una smorfia. –E chi dei due è ancora in vita se questo è l’anno 1232?-.
-Etienne! Ma adesso smettila di fare storia e guardati attorno!- il suo personaggio allargò le braccia accogliendo tutta la città. –Non è meraviglioso?-.
La ragazza annuì col sorriso sulle labbra, e il suo personaggio fece altrettanto.
Girovagarono allungo per la cittadella fortificata, bazzicando qua e là tra una bancarella e l’altra, conversando coi mercanti e interpellando i passanti. Hellionor si stupì dell’incredibile varietà di voci, vestiti, accessori e caratteri di cui disponeva Hyperversum. Ciascuna persona aveva le sue fattezze, le sue espressioni, il suo tono di voce, l’età e un posto ben collocato all’interno dell’attività del castello.
-Séour- annunciò Hellionor ad un tratto.
-Come?- chiese Gabriel riscosso dai suoi pensieri, mentre traversavano la zona del mercato.
-Séour- ripeté la ragazza con un sorriso radioso stampato in volto, e il suo avatar teneva incredibilmente fede. –Dimora di Etienne de Sancerre. Siamo a Séour- annunciò con chiarezza.
Il personaggio di Gabriel si accarezzò la maglia con l’emblema della nobile famiglia sul petto. –Che onore- pronunciò orgoglioso.
Dopo un interminabile minuto di silenzio, Gabriel si rivolse di nuovo a lei:
-Ti piace- constatò beffardo.
Hellionor fu costretta ad annuire. –Non pensavo fosse così… reale- sospirò.
-E questo è niente. Aspetta di entrare in battaglia e maneggiare una spada-.
La ragazza gli tarpò subito le ali con una smorfia. –No grazie, credo che quel genere di cose non faccia per me-.
-E va bene- rifletté Gabriel. –Se le lame ti spaventano, il tuo personaggio potrebbe sempre farsi una certa fama come arciere-.
-Sono una donna, e comunque sarei negata anche in quello-.
-In Hyperversum non conta se sei una donna. Devi mettere da parte la storia al gioco, Hellionor- eruppe più serio.
-La contadina mi piace- insisté lei.
-Guarda che anche l’aratro è pericoloso- l’ammonì Gabriel.
-Se devo scegliere tra le campagne e la guerra, scelgo la prima- arrise l’altra.
-Non hai nemmeno provato. Smettila di andare avanti a pregiudizi!- ridacchiò.
-Non sono pregiudizi, solo… non voglio sciupare tutto e subito. La vita tranquilla, anche quella virtuale, mi piace, la preferisco di gran lunga-.
-Tutte uguali voi femmine- blaterò, ed Hellionor gli scoccò un’occhiataccia.
Gabriel svoltò d’un tratto in una stradina più buia, lasciando interdetta l’amica. -Vieni, avviciniamoci al castello-.
-Non credo sia una buona idea- sibilò la ragazza, costretta però a seguire col proprio avatar il compagno di viaggio. –Sicuramente è una zona privata e controllata dalle guardie-.
-Non preoccuparti: dopotutto sono uno di loro e mi faranno passare-.
-Già, a te sì…- brontolò lei.
-Sei sempre così pessimista. Se ti spacci per la mia dama di compagnia, forse combiniamo qualcosa-.
-Dama di compagnia?!- le si rizzarono i capelli.
Gabriel scoppiò in una fragorosa risata. Hellionor, invece, era ancora tesa come una corda di violino, non riuscendo a dissimulare l’ansia che le si agitava nello stomaco sotto forma di fastidiose farfalle. Finzione, Hellionor! Finzione! Smettila di essere così nervosa. Infondo, cosa può capitarci di tanto male? Spero solo di non dover giocare con un avatar senza un dito per il resto della mia vita…
Il cortile dell’alta corte era vicinissimo. Il torrione al centro del castello svettava imponente. Gli stemmi dei Sancerre sventolavano nel vento appesi ai davanzali delle finestre oppure in alto tra i merli delle mura.
-Basta, Gabriel, siamo abbastanza vicini. Dai, torniamo indietro…- Hellionor cominciava ad inquietarsi. Gli occhi digitali ma così ben fatti delle ronde di guardia e degli arcieri sui bastioni erano solo su di loro. Qualcosa, inoltre, le faceva tremare la terra sotto i piedi. Inizialmente credé che si trattasse di una sua impressione dovuta al nervoso che le circolava nel sangue, ma poi, lo scalpiccio frenetico di zoccoli si fece sempre più vicino.
-Sta’ tranquilla- sbuffò Gabriel continuando dritto. -Hyperversum delle volte lo fa a posta. Mette sotto pressione i giocatori, così un gesto o un passo falso…-.
-GABRIEL!-.
Il ragazzo si voltò per vedersi venire addosso quattro cavalieri in corsa sui possenti palafreni.
Hellionor si gettò su di lui e lo spinse via dalla strada, giusto in tempo perché la carica di cavalli li sfiorasse entrambi di un pelo. Il dolore della caduta l’assalì all’improvviso. Percepì i gomiti sbucciarsi, le ginocchia premere sulla pietra della terra anche attraverso il tessuto ruvido e spoglio della gonna. Suoni, profumi, voci sembravano aver assunto una sfumatura più percettibile, più… reale: il puzzo di sterco di un vicolo vicino, il frastuono degli zoccoli dei cavalli e il loro nitrire spaventati. E poi il francese, parlato dalla gente… ovunque.
Proprio in mezzo all’autostrada! Gemé Hellionor riaprendo gli occhi. Ancora non aveva osato muoversi di un centimetro quando si accorse di essere completamente stesa sopra il suo amico. Gabriel era a terra pancia all’aria e mugolava qualcosa a che fare col suo fondoschiena.
-Scema, mi sei saltata addosso davvero e sono caduto dalla sedia!- lagnò Gabriel.
Hellionor sollevò la testa, poi si mise in ginocchio, mentre il cuore in petto le batteva sempre più forte. Sbatté le palpebre più volte, fissando un punto dritto davanti a sé.
Il gruppo di cavalieri si era fermato nel bel mezzo della strada, circondato dalla gente curiosa che aveva assistito alla scena e udito le urla. Il cerchio di donne, uomini e bambini si stringeva attorno ai due ragazzi a terra. Uno dei passanti offrì la propria mano per aiutare Hellionor ad alzarsi. Nel frattempo, con un accento e parlato straniero, diceva qualcosa che la ragazza non riusciva a comprendere.
Hellionor rifiutò scuotendo la testa, non sapendo che altro fare. -Gabriel…- mormorò esangue. Allungò una mano a carezzare il tessuto dell’uniforme che indossava l’amico: la sentì calda, e solida come la vera cotta di maglia che portava sottostante all’usbergo con l’insegna dei Sancerre. Gli diede uno scossone. –Gabriel…- singhiozzò. Nel guardarlo in faccia, quando il ragazzo si mise seduto, stava ormai per svenire. –Gabriel, non sei caduto dalla sedia, Gabriel…-.
-Che botta- gemé il giovanotto massaggiandosi i gomiti indolenziti, e fu allora che anch’egli si accorse di avere addosso almeno tre chili di ferro su ginocchia, braccia e petto.
Guardò verso l’amica a bocca aperta, e sembrò impiegare qualche istante per leggere attraverso i suoi occhi, ora reali, azzurri come diamanti e lucidi per le lacrime che si andavano a creare. Dopodiché Gabriel si tastò il volto, quasi schiaffeggiandosi le guance, aprì e chiuse i palmi dieci volte, si guardò attorno boccheggiando in assenza d’aria.
Hellionor prese a tremare come una foglia. –Dimmi che non siamo dove penso che siamo…- frignò sentendo improvvisamente freddo, e le forze anche solo per stare seduta a terra le venivano meno.
-Oh merda…- imprecò Gabriel. –È impossibile… cosa… ma… non capisco… dove siamo?-.
Spariti i guanti.
Sparito il casco.
Culo a terra, chissà come, nel vero mondo medievale.
Ecco dove siamo… Hellionor scoppiò in un silenzioso pianto isterico.

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Capitolo 4
*** Help ***




Con grande stupore dei suoi compagni d’arme, uno dei cavalieri smontò palesemente di sella sotto gli occhi curiosi della gente attorno e tornò indietro. Man a mano che si avvicinava a grandi passi verso di loro, Hellionor stringeva sempre più forte il tessuto della gonna tra le dita. Gabriel accanto a lei si tese come una corda di violino.

Il cavaliere andò incontro ai due riversi in terra e afferrò Gabriel per la sua veste da soldato, trascinandolo in piedi con le cattive maniere. –Stupide fou! Voulais-tu faire tuer toi?! (1.) - gli strillò contro profondamente arrabbiato.
Il volto severo e la mascella contratta per l’ira traspiravano un caratterino facilmente irritabile giunto sul limite della sopportazione. I capelli scuri gli incorniciavano un viso abbronzato, adulto e segnato dagli anni. La minacciosa spada legata al fianco faceva gelare la pelle. Scosse Gabriel incitandogli la risposta, ma il ragazzo era paralizzato sulle gambe inferme ad occhi sgranati, mentre quelli profondi dell’uomo lo fissavano con rabbia.
Gabriel respirava a fatica: la forza del cavaliere che aveva davanti, stringendolo per la veste, lo faceva levitare per aria coi piedi a penzoloni. Era sbiancato improvvisamente come un cadavere, il cuore gli tuonava così forte nel petto che Hellionor, alle sue spalle, avrebbe detto di poterlo sentire.
Mille pensieri le si agitavano nella testa. Mille ipotesi, mille tormenti la mordevano alla base dello stomaco senza lasciarle prendere fiato. La ragazza rimase zitta e in ginocchio al suolo, guardando la scena dal basso. Intimorita, spaventata, lacrimante, vide un secondo cavaliere smontare di sella e giungere dietro al compagno. Costui aveva i tratti molto differenti dall’amico: capelli corti e castano chiari, ma il viso era pallido e gli occhi colmi di rancore e serietà che, ad un volto apparentemente giovane e fino come quello di un suo coetaneo, non si addicevano. Sembrava quasi che stesse fingendo di essere serio. –Etienne, ça suffit (2.)- proruppe severo quel tanto che bastò.
Etienne de Sancerre lasciò la presa sulla divisa del ragazzo con uno strattone e lo gettò indietro. Gabriel perse l’equilibrio e cercò il sostengo dietro di sé, ma ad attenderlo trovò solo una nuova caduta a terra. Il fatto suscitò le risate di alcuni bambini e soldati capitati ad assistere tutt’intorno ai due.
-Tu as reproché assez des gens aujourd'hui (3.)- sbottò ancora l’altro cavaliere.
-Il y en a même trop des gens incapables pour la route (4.)- borbottò Etienne scoccando un’ultima occhiataccia a Gabriel, poi si voltò incamminandosi verso il suo cavallo e gli altri compagni, seguito da Henri.
Hellionor riconobbe con facilità la cadenza francese, ma il senso delle parole, nonostante le fosse stata insegnata un po’ di grammatica da suo padre Daniel, sfumava dietro la cortina di paura e confusione che le fluttuava davanti agli occhi. Si strinse con disperazione a Gabriel, ricaduto seduto sulla strada al suo fianco, e l’amico le cinse i fianchi con le braccia.
Insieme, stretti l’uno a l’altra, guardarono i due cavalieri dar loro le spalle e rimontare in sella ai propri destrieri. Etienne de Sancerre condusse avanti il convoglio verso l’alta corte, a seguirlo fu l’uomo intervenuto a difesa del ragazzo, assieme ad un giovane biondino vestito di rosso. Su cinque che erano, solo due cavalieri si soffermarono a tener buoni i cavalli. La gente tornava alle faccende quotidiane, il trambusto per strada riacquistava vigore e consistenza.
Hellionor incontrò gli occhi prima di uno, poi dell’altro nobile, riconoscendoli immediatamente come padre e figlio. La capigliatura, il portamento in sella coi talloni ben piantati verso il basso, e l’usbergo da caccia col falco d’argento in campo bianco e azzurro erano solo dettagli di chi questi potessero mai essere.
-Père- chiamò il più giovane incamminandosi al trotto sulla via.
Jean Marc de Ponthieu indugiò allungo sulla figura di Hellionor, scrutando la fanciulla dall’alto del suo palafreno bianco. Accorciò le redini, irrigidì le spalle, poi piantò i talloni nei fianchi dell’animale e raggiunse i compagni d’arme, in silenzio, assieme al figlio.
Non appena le acque si furono placate e le figure dei cinque cavalieri abbastanza lontani tra la gente che animava il corso centrale di Séour, Hellionor e Gabriel si alzarono in piedi aggrappati alle proprie vesti con le unghie. Fissavano entrambi il punto preciso in cui Jean de Ponthieu, Henri de Granprè ed Etienne de Sancerre si erano diretti al galoppo. Dopo interminabili istanti di silenzio teso, i due ragazzi si guardarono a loro volta negli occhi, misurano l’uno il terrore dell’altra, così da smentire ogni incertezza ed ottenere solo conferma e controprova.
Una frazione di secondo, poi scapparono assieme di corsa sulla strada, in una fuga disperata verso l’ignoto che, ahimé, non li avrebbe salvati.
Hellionor gli stringeva la mano e Gabriel conduceva facendosi largo tra la gente a spintoni. Quella, infastidita, si voltava e li malediceva nella lingua madre, accompagnando spesso le parole a qualche gesto offensivo. Gabriel ribaltò ceste, secchi d’acqua e gabbie di galline. Travolse bambini, capre e bestiame di ogni sorta, ma nulla impediva alle sue gambe di portarli il più lontano possibile da lì.
Hellionor ansimava dietro di lui. Il cuore e i polmoni si erano fatti improvvisamente di piombo, il sangue caldo le arrivava alla testa troppo in fretta offuscando anche un solo pensiero sensato. La nebbia del terrore ostruiva le vie della comprensione. Era persa, persa in un mare di irrealtà e immaginazione. Lottando contro la dolente richiesta dei suoi muscoli di fermarsi, Hellionor continuava a correre. Nel frattempo si ripeteva che era solo un sogno, un orribile incubo, e presto si sarebbe svegliata, presto sarebbe tutto finito.
Poi però ricordava le immagini reali appena vissute: le spade, i cavalli, la lingua francese, i profumi, i suoni, i volti della storia… La concezione comune dell’accaduto era una soltanto: Hyperversum li aveva abbandonati in un mondo ancor più nuovo e diverso della pura fantascienza di un videogame.
Gabriel svoltò d’un tratto in un vicolo buio e stretto. Si accostò alla parete e si fermò per riprendere fiato. Hellionor si posizionò di fronte a lui. Si guardarono allungo, mentre i loro respiri ansanti andavano non in sincronia ma quasi. Le guance rosse, il corpo tutto un tremore. La gente passeggiava incurante sul corso principale di Séour, trafficando la via tra una bottega e l’altra.
Hellionor ammirava lo stemma dei Sancerre sul petto dell’amico e provava la stessa paura che aveva sentito pungerla nel vedere il suo amico così minacciato dal conte Etienne.
-Chiama l’icona…- mormorò flebile lei.
-Non… posso…- ansimò Gabriel in risposta.
-Chiama l’icona…!- insisté la ragazza. –Chiama quella maledetta icona! Voglio uscire da questo cazzo di gioco! ORA!- strillò disperata.
-Non posso! NON POSSO, capisci?! N-o-n p-o-s-s-o! I guanti e il casco sono andati a farsi fottere, vedi?! Non ci sono!- gridò chiudendo e aprendo le mani, scompigliandosi i capelli sudati con furore. –Cazzo!- si voltò e batté un pugno sul muro di mattoni.
Hellionor lasciò trascorrere alcuni secondi, così che Gabriel sbollentasse la rabbia che lei aveva contribuito ad alimentare in lui. Stette in silenzio a guardare come l’amico si voltava e scivolava a terra con le spalle al muro. Posò i gomiti sulle ginocchia e, nascondendo il volto tra le braccia, scivolò nel buio dei sensi.
Hellionor bruciò quel metro di distanza e andò ad inginocchiarsi al suo fianco.
-Potrebbe essere un sogno- ipotizzò asciugandosi gli occhi dalle lacrime. –Perché non provi a darti un pizzico?- rise, ma fu per solo isterismo.
Gabriel non rispose.
La ragazza chinò la testa affondando il mento nel petto. Posò inerte le mani in grembo sulle ginocchia unite sedendo sui talloni. Lanciò un’occhiata in strada, e vide la gente continuare le sue compere tra una bancarella e l’altra, i contadini portare il bestiame sui carri, i bambini giocare e le guardie pattugliare con le spade legate al fianco. Hellionor rabbrividì quando un soldato del casato di Sancerre passò davanti allo spiraglio del vicolo. Questi fece per proseguire oltre, ma soffermandosi a guardare la figura di un suo possibile conoscente, tornò indietro.
-Stephèn?- chiamò con accento francese.
-Mandalo via- sibilò Gabriel con la testa nascosta tra le braccia.
Hellionor squadrò il soldato dalla testa ai piedi e, improvvisando, riuscì a costruire una frase sensata.
-No, Il est pas Stephèn, (5)- pronunciò esangue.
-Merci, madame (6)- l’armato proferì un cordiale inchino e proseguì per la sua strada.
Hellionor tornò a rivolgere la sua attenzione all’amico, il quale si ostinava a tenere la testa incassata tra le braccia, manco fosse uno struzzo col becco sottoterra. Raccogliendo tutto il suo coraggio, gli sfiorò il braccio, e il ragazzo sollevò finalmente il mento dall’oscurità. Gabriel si guardò attorno alla ricerca dell’uomo, del quale poco prima aveva udito solo la voce e il cadente accento straniero nella pronuncia del tutto ignota delle parole.
La ragazza gli sorrise affabile quando incrociò i suoi occhi spaventati. –Se n’è andato- annunciò con un certo sollievo.
Gabriel si strinse le ginocchia al petto e vi posò il mento. –Chissà chi era ‘sto Stephèn- borbottò quasi non gli importasse veramente.
-Forse ti ha scambiato per qualcun altro- suggerì lei stringendosi nelle spalle.
-Già…,- mugolò Gabriel, -…forse-.
-Ti supplico…- gemé Hellionor. –Almeno prova…-.
Gabriel probabilmente non seppe resistere oltre a quegli occhi che lo imploravano come un cucciolo smarrito. Annuì con una certa convinzione passiva, come se lui stesso temesse di avere ragione. Non si alzò, piuttosto sollevò solo la mano destra sopra il ginocchio, all’altezza del naso di Hellionor e chiamò, con voce tremante:
-Help-.
La mela fluttuante di Hyperversum si materializzò sul suo palmo con un bagliore rosato diffussosi nel vicolo.
-È incredibile…- fiatò Gabriel stupefatto. –Siamo ancora in gioco- mormorò guardando prima la mela poi la ragazza che gli era accanto.
Hellionor si permise un sorriso. –Portaci via- annunciò in fine con immenso sollievo.

-Ricardo, dammi venti minuti e sono da te!- sbottò Daniel aprendo la porta d’ingresso e richiudendosela alle spalle. All’orecchio aveva il cellulare, nell’altra la valigetta da lavoro. Non era rientrato a casa perché il lavoro l’aveva congedato, anzi! Ricardo gli stava col fiato sul collo da quando era uscito la volta prima, per poi tornare subito indietro e di gran corsa, perché sapeva di aver lasciato il computer acceso e incustodito quando non avrebbe dovuto. Skip gli venne incontro a fare le feste. –No, non sono a casa! Sono in macchina!- mentì l’uomo salendo le scale, e il cane gli venne dietro. –C’è un traffico della miseria, farò tardi, perciò avverti gli altri, invece di perdere tempo e continuare a farmi la ramanzina!- disse traversando il corridoio. Aprì la porta dello studio e si avviò alla scrivania lanciando un’occhiata alla partita che lui stesso aveva lasciato in sospeso quella mattina. –Ho detto che sto arrivando, non scaldarti troppo- continuò Daniel salvando la partita, uscendo dal gioco e avviando il processo di spegnimento del computer. –Se volete iniziare la riunione senza di me, i documenti che ti servono devi solo stamparli: li ho inviati per posta la settimana scorsa- una pausa. –Come a chi?! A te, idiota!- eruppe scollegando distrattamente guanti e caschi dalle rispettive porte USB del computer. Rimise un po’ d’ordine sulla scrivania tenendo incollato all’orecchio il cellulare. Skip cominciò ad abbaiare dal corridoio.
-…Eh, Sono davanti ad un canile- spiegò Daniel al collega, uscendo dallo studio e richiudendosi la porta alle spalle. -No, non era il mio cane!- obbiettò contro le accuse di Ricardo.

Hellionor sobbalzò. -Che cosa è successo?- domandò con spavento. –Perché la mela è sparita?! Richiamala subito!- gemé.
-Help- si apprestò a dire Gabriel. –Help!- ancora, più forte. –HELP!- strillò in preda al panico.
Hellionor ricadde seduta sui talloni, sconcertata e avvilita. –Questa non ci voleva…- mormorò.
-Deve essere un danno al sistema, un blocco di qualche genere; di sicuro non è grave- spiegò Gabriel nervoso. –Vedrai, tra pochissimo riappare!- aggiunse fingendo un certo contegno. In realtà era ben chiaro quanto anche lui fosse terrorizzato: la mano aperta e tutto il braccio alzato gli tremavano visibilmente.
-Help…- tentò Hellionor al posto suo, ma il palmo restava bianco e vuoto.
-Help…- provò di nuovo Gabriel. –Help, help, help!- prese a ripeterlo senza sosta. –Gioco del cazzo, perché non funzioni?!- strillò esaurito. Un attimo dopo nei suoi occhi colmi di rabbia passò un flusso di debolezza, e fu allora che al ragazzo scivolò una lacrima sulla guancia.
Hellionor si gettò ad abbracciarlo, e lo strinse forte più che poté, ma Gabriel era rigido con un ginocchio tirato al petto e l’altro disteso a terra. Lasciò rilassare le spalle nel sentirsi invadere del calore della ragazza, ma il dolore, la paura, l’incertezza… era troppa.
Il chiasso cittadino oltre le mura del vicolo giungeva loro in memoria di come il mondo medievale fosse là fuori ad attenderli.







1. « Stupide fou! Voulais-tu faire tuer toi?! »
–« Stupido pazzo ! Volevi farti ammazzare ?! »
2. « Etienne, ça suffit »
– « Etienne, basta ».
3. « Tu as reproché assez des gens aujourd'hui »
– « Hai sgridato abbastanza gente per oggi. »
4. « il y en a même trop des gens incapables pour route »
- « Ce n’è anche troppa di gente incapace per strada »
5. « No, Il est pas Stephèn »
- « No, lui non è Stephèn ».
6. « Merci, madame » - « Grazie, signora ».












Angolo d’Autrice:
Vorrei ringraziare immensamente le utenti sbrodolina e _TattaFede_ per essersi cimentate nella folle avventura che sarà leggere questa storia! XD Ancora sono felicissima dei commenti che avete lasciato al capitolo precedente, non pensavo di meritare tanti complimenti! Grazie, grazie di cuore. ^^
Ovviamente spero che questo aggiornamento non vi abbia deluse. Ho cercato di rendere i fatti il più reali possibili, come avrete certo notato dal dialogo in francese nella scena iniziale. L’entrata in scena di Daniel che, sbadatamente, spegne il computer e torna a lavoro annuncia l’inizio dell’avventura, o almeno una parte di essa! Perché non appena tornerà a casa e si accorgerà di cosa è realmente successo, ne vedremo delle belle! XD
Detto ciò, lascio a voi la parola, augurandomi che continuate a seguire la fan fiction e di poter leggere al più presto un vostro commento! ^-^

P.S.
Su un sito noto come deviantart ho pubblicato alcuni disegni che vorrei farvi vedere! XD Non riguardano la storia da me scritta, ma i personaggi di Cecilia in generale.
Ecco i due link!

http://lightshine95.deviantart.com/art/Chibi-Ian-and-Daniel-151414772
http://lightshine95.deviantart.com/art/Chibi-Compagni-d-Arme-151412983

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Capitolo 5
*** Questione di famiglia ***





Il gruppo di cavalieri entrò nel cortile dell’alta corte al trotto. In testa c’era Etienne che, appena si vide venire incontro lo scudiero, smontò svelto di sella, rifiutò con sgarbo il suo aiuto e condusse personalmente il cavallo nelle stalle.
-Mon Dieu…(1.) In tre settimane che sono ospite qui, posso giurare di non averlo mai visto comportarsi in questo modo, mai- sottolineò sbalordito Louis de Sancerre, fermando il cavallo accanto a quello di Jean de Ponthieu. Questi ignorò il compagno e seguì con gli occhi il tragitto di Etienne, che scortò il palafreno per le redini attraverso la piazza.
-È un brutto colpo al suo valore- intervenne Henri de Grandpré con amarezza nella voce. –E non parlo solo della figuraccia da tiranno che ha fatto con la sua gente, poco fa in strada- sospirò scendendo dalla groppa, -dentro di lui si sta combattendo una terribile guerra-.
Schiarendosi la voce Marc attirò l’attenzione del padre, unico ad essere ancora in sella.
Ian si riscosse violentemente dai suoi pensieri e abbandonò la groppa del cavallo agilmente. Posò una mano sulla testa del ragazzo e gli scompigliò i capelli con un mezzo sorriso. Gli scudieri si occuparono dei cavalli dei loro signori, mentre questi s’incamminavano verso il torrione.
-Ciò nonostante, sono sicuro che è solo questione di tempo- aggiunse Grandpré con sollievo. –Quando ‘sta sera Etienne siederà a tavola e guarderà i volti delle sue figlie, gli passerà in un istante- arrise sincero.
-Può darsi, ma la vergogna lo perseguiterò fino alla tomba- intervenne Marc, amaro. Conti e cadetti si voltarono a guardarlo impressionati.
-Insomma, guardiamo in faccia la realtà- riprese Marc con imbarazzo, sentendosi osservato. –Etienne non può permettersi di non avere eredi, o tutto il patrimonio della sua famiglia passerebbe a…-.
-Me- sentenziò Louis altezzoso, interrompendo il cadetto.
Non montarti troppo la testa, Jean sbirciò il giovane Conte de Sancerre di sottecchi. Vorrei ricordarti che Etienne è ancora in perfetta forma, Donna pure, e non c’è alcun limite sulle nascite! ridacchiò tra sé e sé.
Marc, che sembrò intuire al volo i pensieri del padre, sorrise a sua volta. –Chissà che Donna ed Etienne non tentino di avere un altro figlio- disse apertamente, con grande stupore degli altri cavalieri.
Henri scoccò un’occhiata eloquente a Jean, che in volto assunse subito un’espressione severa. –Non sarai certo tu a suggerirglielo, vero Marc?- strinse una spalla al figlio come ammonimento, e fu più che sufficiente.
Abbassa la cresta, pulcino. Sai benissimo che certe cose non riguardano né te né nessuno di noi, aggiunse mentalmente scambiando uno sguardo d’intesa con Henri.
Marc annuì, scusandosi sottovoce.

I due ragazzi girarono a vuoto la città per il solo bisogno di scaricare i nervi, la tensione, e abituarsi a quel mondo estraneo che li aveva presi in ostaggio. Allo stesso tempo, però, pregavano perché Hyperversum riprendesse a funzionare da un momento all’altro e ciò li costringeva a tentare di evocare l’icona ogni venti, venticinque passi.
-Aspetta!- eruppe Hellionor afferrando il polso di Gabriel e abbassandogli il braccio prima che il ragazzo potesse pronunciare una sola parola.
In quell’istante un battaglione di soldati armati traversò la piazza a pochi passi da loro e sparì in una stradina secondaria di gran corsa.
Gli amici restarono allungo paralizzati nel bel mezzo del piazzale, sul quale affacciavano qualche palazzina e una chiesa.
-Stavo pensando…- cominciò la ragazza attirando l’attenzione dell’altro su di sé, -… se siamo davvero nel medioevo, sarebbe pericoloso evocare l’icona mentre tutta questa gente ci guarda- disse alludendo ai bambini che giocavano con una palla, alle donne che prendevano l’acqua da una fontanella e agli armati che pattugliavano le strade.
Gabriel aggrottò la fronte. –Ma noi non siamo nel medioevo- eruppe. –Siamo ancora in gioco, la partita è attiva!- spiegò tanto convinto. –L’unico problema è che Hyperversum ha smesso di funzionare a dovere e rende tutto più… reale!- ridacchiò istericamente.
Hellionor si accigliò. –Quindi tu pensi che questa sia solo la causa di un… malfunzionamento?-.
-Non lo penso, lo so per certo! Dai, Hellionor, non dirmi che hai creduto davvero di essere nel medioevo!- chiese sarcastico.
-Be’… sì- confessò lei stringendosi nelle spalle.
-Che sciocchina- continuò lui incamminandosi. –È impossibile che siamo finiti nel medioevo, le macchine del tempo non esistono! Tsk!- alzò gli occhi al cielo.
E se avesse ragione?… pensò Hellionor. Forse Hyperversum ha solo avuto un corto e, mandandoci in pappa il cervello, ci fa credere di non avere addosso né guanti né casco! Ma questo come spiega la lingua che parlano gli abitanti e tutto il resto? Si chiese la ragazza ascoltando le chiacchiere francesi tra due donne con in braccio i rispettivi marmocchi. Forse è solo questione di tempo e si aggiusterà da solo… sospirò Hellionor riempiendosi i polmoni di aria pulita. Già, ma quanto tempo? Gemé poi seguendo l’amico.

Ian si affacciò da un battente nel grande e silenzioso salone. Etienne, seduto a capo tavola con nient’altro attorno che non fosse la sua e l’ombra del seggio sul quale sedeva, poggiava un gomito sul bracciolo e due dita a reggersi il mento. Indosso aveva ancora i vestiti da caccia e sul tavolo c’era una coppa di vino piena che certamente qualche servo gli aveva portato, per poi ricevere un brusco congedo. Il cadetto era talmente assorto nei suoi pensieri che non si accorse di lui, così Ian bussò piano sulla porta per avvertire prima di comparire del tutto in sala.
Etienne non si scompose: tacque immobile come una statua anche quando Ian gli andò incontro a grandi passi lenti e gli sedé accanto, spostando una sedia senza rumore.
Trascorsero alcuni minuti, forse un’ora, chi poteva dirlo? Tutto ciò che fece Ian fu contemplare l’amico nella sua interna battaglia silenziosa. Etienne, inclinato da un lato sullo scranno, respirava con regolarità apparentemente tranquillo.
In quegli ultimi anni Ian l’aveva visto cambiare velocemente, ma il colpo di grazia doveva essere stata la visita a Séour di Louis de Sancerre. Il nipote di Etienne era un biondino altezzoso e figurato, avaro, presuntuoso e senza scrupoli. Il tipico principino con tanto denaro da sperperare, senza un minimo ringraziamento verso le fatiche della generazione precedente. La sua sola presenza alla caccia di quella mattina aveva aperto in Etienne una ferita profonda, troppo difficile da ripulire in così poche parole, quante ne erano bastate per infettarla.
Ian non poteva lontanamente immaginare lo sconforto e il dolore dell’amico. A Jean Marc de Ponthieu, padre di due maschi uno più bello dell’alto, sembrava difficile credere che Etienne non fosse addirittura geloso di lui.
Eppure, perché Sancerre non riusciva a consolarsi pensando a situazioni addirittura peggiori? Monsieur de Grandpré sarebbe morto senza eredi da lì a breve, perché, ormai trentasettenne, ancora non era stato combinato a nessuna bella dama di Francia.
Forse quella considerazione Etienne l’aveva già fatta centinaia di volte, ma non bastava ad alleviare nessuna delle sue sofferenze.
Però Ian sapeva.
Sapeva che l’Etienne di una volta non si sarebbe mai arreso così facilmente, e nel caso il suo amico avesse voluto gettare la spugna, lui stesso non glielo avrebbe concesso. Etienne non voleva e non poteva mostrare a Séour, al suo popolo, alla Francia intera, di essere diventato il cadetto che non era mai stato: il coraggioso ed orgoglioso Sancerre si stava nascondendo dietro una spessa cortina di invidia, rancore e malessere. Ian rabbrividiva al solo pensiero, e si convinceva di poter osare qualsiasi cosa pur di migliorare la situazione.
Anche quello che il suo onore di cavaliere e uomo politico non gli concedevano di fare.
-Dovresti tentare ancora- suggerì il Falco d’un tratto, spezzando quel lungo e angoscioso silenzio.
Etienne inarcò un sopracciglio.
Ian si mise comodo sullo scranno appoggiandosi allo schienale. –Sei giovane, vivrai un’altra ventina d’anni, si può fare- sospirò guardando fuori dalle ampie finestre. Il suo sguardo tranquillo si perse per le case e le campagne attorno all’alta corte, mentre Etienne, al suo fianco, si irrigidiva sul seggio.
-Anzi, ti conosco fin troppo bene per non dubitare che tu lo abbia già fatto- ridacchiò Ian.
-Non so di cosa stai parlando- ammise Etienne con stupore.
-Oh, avanti! Se cominciassi a smentirmi, non ti riconoscerei più- aggiunse Ian scoccandogli un’occhiata eloquente.
Etienne si sistemò dritto sullo scranno e prese la coppa di vino dal tavolo. –Ripeto: Je ne sais pas de quoi tu parles (2.)- disse bagnandosi appena le labbra.
-Non sei così stupido da non capire, anche se non lo sapessi- lo rimbeccò Ian con una nota giocosa.
Etienne gli scoccò un’occhiataccia, conferma alle ipotesi di Ian, che arrise soddisfatto e divertito. –Il Falco del Re colpisce ancora- sospirò Etienne. –Mi hai scoperto…- borbottò.
-Quando?- chiese Ian sereno.
Sancerre parve confuso. -Cosa?-.
-Quando tu e Donna… l’ultima volta- domandò restio sull’argomento.
-Come mai tanto interesse?- si sbalordì Etienne aggrottando la fronte.
Il Falco sorrise sincero. -Solo innocente curiosità, giuro-.
L’altro cadetto appoggiò entrambi i gomiti sui braccioli e rilassò i muscoli delle spalle. Continuando a tenere la coppa nella mano, fissò un punto dritto davanti a sé e tacque allungo prima di parlare. –Alcune settimane fa- confessò lasciandosi sfuggire una smorfia allegra. Probabilmente il solo ricordo gli scaldava il cuore. Qualche istante dopo, Etienne si riscosse dal piacere sobbalzando sulla sedia. -Ma che tu lo sappia non ti autorizza a monitorare da oggi in poi la mia vita sessuale, sia ben chiaro!- pronunciò, non senza colorare leggermente le guance.
Ian scoppiò in una fragorosa risata. –Non era certo questa la mia intenzione, Etienne!-.
Sancerre declinò l’imbarazzo sul nascere distogliendo lo sguardo. –Avanti, sputa il rospo: tu e Henri siete in combutta, eh?-.
-Affatto- Ian scosse la testa. –L’idea di venirti a infastidire con simili domande è soltanto mia- scherzò.
-Spero che tu sia orgoglioso di te stesso, allora- mugugnò Sancerre buttando giù il vino tutto d’un sorso.
–Non temere, mi assumo tutto il merito, ma soprattutto la responsabilità, delle scoperte. Il detto mi seguirà nella tomba-.
Etienne si volse verso di lui. –Grazie, ma aspetta a cantare vittoria- pronunciò serio posando la coppa vuota sul tavolo. –Guarda Henri, per esempio: crescere con due sorelle maggiori lo ha condannato ad una vita da…-.
Ian lo interruppe prima che potesse finire la frase. –Non mi sembra che Henri sia venuto su così male, dopotutto-.
Etienne gli volse uno sguardo carico di sottintesi.
-Forse un po’… particolare in termini di gusti personali- dovette ammettere sbrigativo. –Ma è un gran maestro di spada, un acuto osservatore e…-.
-Un debole di polso- s’intromise Sancerre. Notando l’espressione confusa del Falco proseguì dicendo: –Credi che non sappia in che modo si occupa di tuo figlio? Anzi, fossi in te terrei Michel lontano da lui, se non vuoi ritrovarti a dover contare i nipoti solo dalla parte di Marc-.
Ian non poté credere a quelle parole. –Davvero non ti riconosco più, allora…- mormorò esangue. –Vuoi che allontani mio figlio da…- fece una breve pausa per misurare il suo sconcerto. –Stiamo parlando di Henri, Santo Cielo!- eruppe d’un tratto. –Nostro amico, nostro compagno, Etienne, non puoi dire sul serio-.
-Ma tu non puoi nascondere il rischio- sbottò l’altro. –La prendi così alla leggera, lo dai quasi per scontato, ma non devi farlo, Jean. Non sto dando nessuna colpa a Henri, per carità, gli voglio un bene dell’anima, ma ora come ora sappiamo bene entrambi quanto sia importante tenere al sicuro le nostre terre e la completa giurisdizione su di esse. Bianca di Castiglia fatica ancora oggi a mantenere la Corona sulla testa di suo figlio, mentre Luigi se ne va a caccia di reliquie per il mondo! Noi Feudatari siamo divisi in due grandi gruppi: con o contro sua Maestà. Le rivalità interne non finiranno mai, ma io, come cadetto e feudatario minore, ho la responsabilità di preservare le terre della mia famiglia sotto la mia sola ed unica competenza, schierato ovviamente dalla parte di Luigi IX- concluse.
Ian tacque, ammutolito, spaventato da quella considerazione tanto vera e palpabile. La Francia, nonostante le guerre finite o sospese, era ancora divisa in quei due grandi gruppi che Etienne chiamava così: pro e contro la Regina Straniera. Tante volte Ian aveva temuto le stesse minacce e seguito lo stesso ragionamento di Etienne, ma mai aveva osato condividere i suoi sospetti con qualcuno in modo tanto diretto.
-Prova a pensare, adesso, quale sarebbe il rischio se Henri non si sposasse mai continuando ad allontanare da sé qualsivoglia dama di Francia. La resa dei conti arriverebbe il giorno della sua morte, quando le sue terre avrebbero pari possibilità di finire nelle mani di Bianca tanto quanto in quelle dei Feudatari Maggiori contro di lei- spiegò più accuratamente Sancerre.
-Perciò è per questo che sei tanto arrabbiato con lui?- domandò Ian e un’ombra scura gli passò in viso. Lo consideri uno stupido incosciente?! Aggiunse mentalmente.
-No, non sono arrabbiato con monsieur de Grandpré, ma solo preoccupato nei suoi interessi. Henri sta a cuore a me tanto quanto a te o de Bar, pace all’anima sua, e non vorrei mai che gli accadesse una simile disgrazia-.
-Ma le sue sorelle? Eloise e Mathilde? Loro sono sposate, possono…- provò Ian, ma Sancerre scosse la testa.
-No, Jean, non è così che funziona. Sei talmente ammaliato dalla figura di Bianca di Castiglia, che la stessa ti rende cieco dinnanzi la vera forza di una donna meno importante. Eloise e Mathilde saranno anche felicemente sposate o promesse ai Conti più illustri di Francia, ma la legge vuole che le terre della loro famiglia vengano conservate dall’erede maschio, e se questi è indisposto, gettate all’asta dalla corte più vicina-.
-Lo so, lo so!- borbottò Ian lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. –Quindi cosa mi consigli di fare, scusa?- eruppe infastidito. La questione dell’eredità era capace di farlo innervosire ogni benedetta volta che capitava in un discorso, anche appena accennata.
Notando il distacco dell’amico e il suo fastidio, Etienne tentò un approccio diverso. -Non voglio che Henri si senta escluso per quello che è, anzi, sarebbe un incubo essere l’artefice di una tale ingiustizia. Piuttosto stavo riflettendo su un fatto…- pronunciò vago tornando a guardare fuori dalle finestre.
-Cosa?- chiese Ian cupo.
-È sciocco parlarne così, sembriamo due comari. Ma voglio confidarti che mia figlia Eleonore, la maggiore, ha sempre avuto un certo debole per lui, pur conoscendo i gusti particolari di monsieur de Grandpré bene quanto noi-.
-Etienne!- Ian restò del tutto sbalordito, permettendosi una risatina sommessa.
-No, no, ascoltami, dai- insisté Sancerre. –Sono serio, non fare così-.
-Certo, non ho dubbi su questo- continuò a ridere Ian, -solo non capisco per chi lo faresti, se per tua figlia o per Henri-.
-Per Henri, ovviamente! Pensi davvero che sfrutterei un mio compagno d’arme al fine di assecondare i desideri di mia figlia?!- eruppe Sancerre indignato. –Così mi offendi-.
-Perdonami. Adesso vediamo di prendere questo toro per le corna: Henri lo sa?- chiese Ian più rigoroso.
Sancerre scosse la testa. -E vorrei che fossi proprio tu a parlargliene- annunciò.
-Cosa?!- Ian s’irrigidì. –Non starai dicendo sul serio! Io non avrei nemmeno dovuto saperlo! Non sono cose che mi riguardano- obbiettò.
-Non ti riguardavano prima che facessimo questa conversazione. Le carte in tavola sono cambiate nel momento in cui hai voluto impicciarti della mia vita privata! Hai firmato la tua condanna giurandomi obbedienza, Falco, e adesso non ti permetterò di tirarti indietro quando ti fa comodo- scherzò Sancerre.
Ian scrollò le spalle, arrendendosi. -Va bene, va bene! Me ne occupo io: porterò Henri a fare una passeggiata in città e tra una chiacchiera e l’altra… cadrò sull’argomento, scoprendo cosa ne pensa. Contento? Ma insomma, c’è qualcun altro a parte me che sa cos’hai in mente?- riformulò il Falco.
Etienne dissentì ancora. –No, tu sei il primo. Nemmeno Donna sospetta che stia organizzano un matrimonio combinato per nostra figlia-.
-Allora dovresti parlarne prima con loro- disse Ian alzandosi in piedi, ed Etienne lo imitò. –Cominciando da Eleonore: assicurati che lo voglia davvero- si raccomandò l’americano.
-Ah! Ormai posso darlo per scontato!- si beffò Sancerre prendendo con sé la propria coppa vuota dal tavolo e avviandosi fuori dalla sala, seguito a ruota da Ian. –Quella ragazza non ha occhi per altro quando Henri viene a farmi visita. Ne riceverai la conferma questa sera a cena, quando faremo incontrare ufficialmente i due per la prima volta- aggiunse scoccando all’amico un’occhiata eloquente.
-Ci conto- sorrise Ian, felice.



(1.) «Mon Dieu…»
– « Mio Dio… »
(2.) « Je ne sais pas de quoi tu parles » - « Non so di cosa stai parlando. »













Angolo d’Autrice:

Eleonore de Sancerre è un personaggio storico di non grande rilievo all’interno della corte francese del XIII secolo, ma fu vera prima figlia di Etienne II de Sancerre, ovvero il Sancerre che conosciamo tutti così bene ^^
In questo piccolo angolo d’autore voglio ringraziare immensamente _TattaFede_ , akuby_ge e sbrodolina per i commenti ai capitoli precedente, sperando che anche questo abbia tenuto alta l’audience della fan fiction.
Ah! Adesso mi diverto!

Oggi, mentre scrivevo questo capitolo, ho ottenuto la rivelazione che speravo di avere! Premetto che nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle, se riuscirò a costruire un periodo decente e modellare più accuratamente un’idea che per ora si presenta solo come abbozzo, ma che sarà pilastro portante della fan fiction.
Per quanto riguarda questo capitolo… ho tre punti fondamentali da chiarire:
1. Ammetto di aver giocato malvagiamente col personaggio di Henri de Grandpré [del quale sbagliavo a scrivere il cognome nei capitoli precedenti, scrivendolo “Grandprè” invece di “Grandpré” (l’attento sulla “E” finale -.-)].
Su di lui credo di dover aprire un’altra sorta di parentesi.
Ancora ricordo di aver letto da qualche parte che Monsieur de Granprè sarebbe stato, dopo il matrimonio tra Etienne e Donna, l'unico dei compagni d'arme a non sposarsi. Da lì, la mia mente malvagia ha pensato: e se Henri fosse... "speciale"? XD Ovviamente all’insaputa di Etienne, Jean e Hanri il “grande” , che ne avrebbero tentate di tutti i colori pur di maritarlo ad una donna. Stimo, rispetto e ammiro moltissimo il personaggio di Henri de Grandpré solo per questa mia idea personale che mi sono fatta di lui, possedendo io un amico di quel genere… Gli amici gay sono i migliori! XD Attenzione alle “checche” però, eh! Quelle si accollano troppo! U_U
2. D'altra parte, però, mi sono divertita un mondo a costruire il dialogo tra Sancerre ed Ian. Sono due personaggi che quando stanno assieme la pensano sempre diversamente ma allo stesso tempo abbracciano su un fine comune. Spero di non aver deluso le aspettative dei lettori caratterizzando sia Ian che Sancerre troppo OOC, cosa che mi dispiacerebbe troppo!
Ovviamente, solo i vostri commenti potranno svelarmelo!
3. Sono stata costretta ad aumentare il rating della fan fiction da giallo ad arancione proprio per la questione di Henri, ma non solo! XD Mi sono resa conto di aver utilizzato più volte paroline poco carine nei dialoghi tra padre e figlia nel mondo moderno e di averne volute inserire altre all’interno dei dialoghi nei capitoli successivi. Spero che non me ne vogliate per un tale affronto… mi vergogno un casino -.-
Bene, per adesso penso di poter concludere XD Aspetto avidissima i commenti *W*
A presto! ^^

P.S.
Per tutti i fans/le fans, vorrei mostrarvi il mio ultimo prodotto multimediale tutto dedicato a Hyperversum. ^^
Si tratta di un video musicale di sole immagini, ma se adocchiate il testo della canzone, capirete perché mi ha colpito tanto. Credo che ne farò presto una sorta di song-fic. Ecco il link, qui sotto ^^
http://www.youtube.com/watch?v=TiG5NxXBP8M





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Capitolo 6
*** Madame et Monsieurs ***




Nella reggia dei Sancerre,
qualche ora prima…

Eleonore de Sancerre si barricò in stanza anche quella mattina.
Aveva assistito dalla finestra della sua camera all’arrivo dei monsieurs de Grandpré e de Ponthieu, guardandoli entrare nel cortile della sua corte prima uno e poi l’altro a distanza di pochi giorni. Suo padre aveva organizzato l’amichevole caccia senza un vero motivo particolare, ma probabilmente per la sola gioia di circondarsi dei suoi vecchi e valorosi amici.
Louis de Sancerre era stato il primo ad abitare le stanze degli ospiti della corte di Séour, seguito da Henri qualche giorno dopo e successivamente dal Falco e il suo pulcino. Eleonore aveva sempre sospettato che dietro quell’amichevole riunione tra compagni d’arme ci fosse, da parte di suo padre, una sorta di grido d’aiuto. Jean ed Henri erano forse stati invitati a corte per sopprimere l’atmosfera di rivalità tra monsieur il giovane, avido conte de Sancerre, e suo padre?
Eleonore si appoggiava tutte le volte coi gomiti sul davanzale della finestra allungandosi verso l’esterno e, sbirciando il conte de Grandpré ad ogni occasione, cominciava a considerare quei gesti abituali addirittura un rito giornaliero.
Non si erano mai incontrati ufficialmente, lei e il conte, pur conoscendosi entrambi di fama. A cena le tre sorelle sedevano alla stessa tavola del cadetto loro padre, certo, ma l’attenzione degli ospiti era vacua quando non si discuteva di politica o altro che, in ogni caso, non interessava le donne.
E così Eleonore si ritrovava spesso sola nei suoi alloggi privati, a sbirciare di tanto in tanto nel cortile interno o nei giardini dietro la torre. Lo ammirava passeggiare tra il verde delle volte in compagnia di sua madre, madame Donna, delle altre di Etienne. Con entrambi, monsieur de Grandpré aveva un rapporto solare, giocoso e aperto, e suo padre era incredibilmente felice nel bearsi della sua compagnia.
L’aggiungersi di Jean e Marc aveva segnato, per l’indomani, la prima giornata di caccia.
Eleonore si era svegliata presto e, affacciandosi dalla finestra, aveva osservato i cavalieri lasciare la corte di buon mattino. I possenti palafreni erano scomparsi oltre le mura dell’alta corte e poi sullo sterrato che conduceva al bosco, mentre nell’aria fredda della mattina spiegava le sue ali un magnifico falco. Il gruppo non sarebbe rientrato prima del tardo pomeriggio.
Bonne fortune… (1.) aveva pensato la ragazza senza staccare gli occhi esclusivamente da uno dei cinque cavalli.
L’interesse per Henri non era nato da un episodio particolare, bensì spezzettato nella segretezza che c’era sempre stata nella vita della giovane dama. Di fatti, Eleonore de Sancerre era nota a corte come la “principessa fantasma”, perennemente chiusa nella sua stanza, e non solo quando Henri de Grandpré faceva loro visita. Essendo figlia maggiore di un cadetto di Francia si aspettava che suo padre l’avrebbe combinata in matrimonio da un momento all’altro, ma arrivata ai suoi sedici anni, Eleonore ringraziava il cielo ogni giorno di essere ancora libera e vergine. Sapeva perché monsieur de Grandpré non si era mai maritato, sapeva chi era Henri veramente e che cosa lo teneva lontano dalle donne. Ma Eleonore sapeva che una persona dolce e speciale come lui non poteva essere altro, e questo la faceva impazzire, impazzire da morire.

Verso le undici del mattino, dure ore dopo la partenza dei cavalieri, Eleonore sentì bussare alla porta della sua stanza, si voltò e vide sulla soglia un giovane soldato col vessillo dei Sancerre in petto. –Bonjour, madame (2.)- disse.
Eleonore lo riconobbe subito accogliendolo con un risolino. –Bon matin à vous, monsieur Stephèn (3.)- rispose cordiale.
Il ragazzo mosse un passo nella camera. -Devraient se préparer pour votre leçon d'équitation (4.)- suggerì quest’ultimo con un sorriso.
La ragazza annuì e cominciò a vestirsi non appena il soldato ebbe richiuso la porta. Indossò dei pantaloni da equitazione, degli stivali e una camicia bianca con le maniche lunghe e larghe. Mise i guanti e si raccolse i capelli. Quando fu pronta, uscì dalla sua stanza e si avvicinò a Stephèn che attendeva nel corridoio assieme ad altri due uomini dei Sancerre. Questi l’accolsero prima con un sorriso, poi scambiandosi un’occhiata complice.
-Je suis…-.
Non riuscì a terminare perché un quarto uomo alle sue spalle le strinse un fazzoletto umido davanti alla bocca e al naso, bloccandole il respiro. Eleonore sgranò gli occhi e l’ultima immagine che ebbe fu il sorriso amaro e soddisfatto del suo carissimo Stephèn.

Quel pomeriggio…

Etienne de Sancerre entrò di colpo nella stanza che condivideva con la sua sposa, non immaginando che Donna stesse riposando assieme alla piccola Alix. La dama, nel vederlo giungere in stanza tutt’altro che silenziosamente, gli scoccò un’occhiataccia di braci.
Etienne sobbalzò sul tappeto.
-Ce que tu veux?! (5.)- sibilò Donna coprendo con la mano l’orecchio della bambina, che dormiva rannicchiata accanto alla madre.
-Ti devo parlare. Ora- sottolineò Etienne con tono di voce altrettanto basso.
Donna gli fece cenno di avvicinarsi e il marito le s’inginocchio davanti, ai piedi del letto.
-Sii breve- si augurò la dama alludendo al sonno della bambina. –Finalmente è riuscita ad addormentarsi- mormorò carezzando la guancia di Alix con il palmo. La principessina de Sancerre aveva il pollice in bocca e le gote rosa. I capelli scuri le cadevano sul viso tondo da bambina in morbidi piccoli boccoli.
Etienne sorrise dolce, poi guardò la sposa. –Sono venuto a chiederti cosa ne pensi di Henri e la nostra Eleonore, insieme- sussurrò.
Donna inarcò un sopracciglio. –Ti sembra il momento?! Non potevi aspettare questa sera?!- eruppe.
Etienne scosse la testa. –Ricordi che ne avevamo già discusso, ma… le particolarità di monsieur Henri giocavano a sfavore?-.
Donna fu costretta ad annuire, pur scocciata dal fatto che suo marito non si desse pace su certe cose.
-Poco fa ho parlato con Jean della faccenda, ed entrambi pensiamo che sia non solo una necessita della famiglia di Henri, ma anche un’abile mossa politica per assicurare le sue terre al nostro casato, quando…-.
-Ma come sei funebre, Etienne! Henri non morirà certo domani, ha tempo per trovarsi qualcuna della sua età- disse Donna.
-Visto, nemmeno tu capisci…- borbottò Sancerre appoggiando il gomito sul ginocchio.
-No, io capisco benissimo invece. Capisco che sei diventato un avido arraffatore di terre tanto quanto tuo nipote! Tu…-.
Non poté terminare perché Alix si era definitivamente svegliata, mugolando una sorta di “père!” quando, riaprendo gli occhi, si vide il padre davanti.
-Bonjour, mon petit princesse!- gioì Etienne sollevando la bambina dal letto e caricandosela in braccio. –Fatto bei sogni?- le chiese prima che Donna, furiosa per l’accaduto, potesse azzardare una parola. La signora Sancerre si mise seduta sul letto. –Grazie- sbottò al marito.
Alix annuì, ed Etienne riuscì quasi a specchiarsi nei suoi grandi occhi verdi. -Suvvia, moglie, era già sveglia da prima che entrassi- provò a difendersi il cavaliere.
-Non ne dubito…- borbottò Donna alzandosi dal letto, si passò una mano tra i capelli e socchiuse gli occhi in modo stanco. Etienne, accorgendosi della spossatezza della moglie, richiamò l’attenzione delle balie nel corridoio. Una di queste entrò in stanza e prese Alix dalle braccia del cavaliere, che gliela lasciò con premura; l’altra ripiegò e stirò le lenzuola sprimacciate del letto.
-No, datela a me- fece per dire Donna, ma Etienne si frappose tra lei e la balia.
-Sei distrutta, amore mio, lascia che adesso se ne occupino loro- intervenne l’uomo mentre la dama, con dispiacere, vedeva portarsi via, fuori dalla camera, la sua bambina.
Una volta soli, Etienne le prese il viso tra le mani e la baciò dolcemente sulle labbra.
-Non dirmi che ora ti dispiace- bofonchiò Donna stanziandosi di qualche passo, ma, notando l’espressione confusa del marito, si apprestò ad aggiungere: -Averci svegliato, intendo, non dirmi che ora ti dispiace-.
-Certo che no,- arrise Etienne, -o non avrei potuto fare questo- aggiunse con malizia e, attirandola a sé, la baciò di nuovo con più passione e trasporto.
-Quindi, credi che si possa fare?- chiese Sancerre separando d’un tratto le labbra da quelle della moglie.
Donna lo guardò allungo perplessa. –Monsieur Henri lo sa già?-.
Etienne si strinse nelle spalle. –Ho incaricato Jean di farci due chiacchiere e cadere accidentalmente sull’argomento. Nel frattempo voglio dare la notizia a Eleonore. Allora, dov’è?- domandò sereno.
-Alla sua lezione di equitazione del sabato. Avec Stephèn- spiegò Donna con naturalezza.
-Questo non è possibile- eruppe Etienne aggrottando la fronte. –I soldati hanno visto Stephèn lasciare la corte sta mattina, ma era solo. Ho cercato Eleonore nella sua stanza e non c’è…- disse.
In quell’istante udirono bussare alla porta, e si voltarono entrambi ancora abbracciati verso l’ingresso della stanza. Sulla soglia era apparso un soldato semplice in divisa, aveva il fiato corto e il volto sudato sotto l’elmo. Sembrava venuto fino agli alti piani della torre di gran corsa. –Monsieur, nous ne pouvons pas trouver Stephen! Nous avons cherché partout… (6.)- spiegò ansimando.
Marito e moglie si irrigidirono scambiandosi un’occhiata allarmata. Per qualche istante regnò un tetro silenzio, poi scattarono entrambi di corsa fuori dalla stanza.
-Avvertite il mio tenente monsieur Fabien di battere tutte le strade e di bloccare ogni uscita dalla città. Se sono ancora qui, non andranno lontano- annunciò Etienne mentre traversavano assieme il corridoio a passi veloci.
-Io controllo nelle altre stanze e avverto le balie. Mon Dieu… - mormorò Donna spaventata.
Etienne la fermò improvvisamente afferrandola per le spalle. –Calmati, non può essere andata lontano, la troveremo-.
Donna scosse la testa. –Sapevo che era pericoloso lasciare che facesse lezione da sola- singhiozzò lei.
Sancerre la strinse forte a sé e sentì il suo cuore batterle impazzito nel petto, tanto quanto il suo.

-…marcondirondirondello. Ma che bel castello, marcondirondirondà- canticchiava Gabriel mentre camminavano lungo le mura esterne dell’alta corte.
Oddio, questo è andato…
-Puoi smetterla per cortesia?- Hellionor lo fulminò con un’occhiataccia.
-Dai, canta con me: ti scomparirà quel grugno dalla faccia e sicuramente ti sentirai meglio-.
-Io sto già benissimo. Sei tu che hai qualche rotella nel cervello da rimettere a posto, perciò smettila- brontolò la ragazza.
-Problema numero uno: ho fame- si lamentò Gabriel.
-No, il vero problema numero uno è tornare a casa!- eruppe Hellionor.
Facevano avanti e indietro per la cittadella di Sèour da ore, tenendosi stretti l’uno all’altra per mano e senza una meta precisa.
-Forse dovremmo chiedere aiuto- propose Gabriel fermandosi a guardare la torre dell’alta corte.
-Ah!- rise Hellionor istericamente. –E secondo te un conte francese del XIII secolo può prestarci il suo manuale d’istruzione di Hyperversum?!- digrignò continuando a camminare e trascinandolo con sé.
-Va bene, ma adesso calmati- mormorò il ragazzo.
Hellionor era troppo su di giri per stare calma.
Nella sua testa si agitavano mille pensieri senza un filo logico, suscitati solo dalle immagini che le apparivano a raffica davanti agli occhi. Continuava a ripetersi che poteva trattarsi solo di un sogno, che bastava trovare la forza e la volontà di svegliarsi, cosa probabilmente a loro mancante. Allo stesso tempo però, Hellionor temeva che qualcosa fosse davvero andato storto: aveva paura di credere che il gioco avesse aperto una sorta di passaggio spazio temporale verso il XIII secolo, e che il mondo attorno a lei fosse reale, pericoloso e insidioso come lo descrivevano i libri di storia. Questa concezione era certamente passata per la fronte anche a Gabriel, il quale sembrava aver accettato meglio (o peggio) la realtà. Il suo modo di reagire era tipico del sesso maschile: impulsivo, emotivo, ma soprattutto affamato.
-Una locanda- disse d’un tratto Gabriel fermandosi davanti ad un edificio basso e spoglio, sul cui ingresso pendeva l’insegna con un topo e una fetta di formaggio dipinti sopra.
-Genio, hai con te qualche moneta?- eruppe Hellionor.
Gabriel lasciò la mano della ragazza e si perquisì le tasche dei pantaloni. Quando rialzò gli occhi in quelli dell’amica, aveva in faccia un’espressione avvilita. –No…- borbottò.
-Bravo, e non pensarci nemmeno di rubarli!- sbottò lei incamminandosi. Gabriel le andò dietro sbuffando e con le spalle curve.
-C’est lui! Prenez-lui! (7.)-.
Un soldato a cavallo frenò il suo palafreno in mezzo alla folla e puntò la spada verso di loro. Hellionor e Gabriel si scambiarono uno sguardo agitato mutando totalmente colore di pelle. S’immobilizzarono nel mezzo della strada mentre attorno ai due si formava un semicerchio di gente spaventata. Assieme al cavaliere che aveva parlato, Hellionor riconobbe uno dei tre soldati a cavallo che lo circondavano: era lo stesso che qualche ora prima le aveva chiesto di un certo Stephèn, in quel vicolo.
La ragazza rabbrividì, pensando che avesse cambiato idea e avesse deciso di indagare più a fondo. Magari questo Stephèn, il personaggio che Gabriel impersonava nel gioco, era un ladro o un bandito e l’americano gli somigliava abbastanza da far trasparire ogni dubbio.
-Presto, scappa!- strillò lei.
Gabriel era fatto di cera.
-Dannazione, scappa! Ce l’hanno con te!- gridò la ragazza nel panico.
-Perché?!- gemé Gabriel terrorizzato.
-Non lo so, ma adesso scappa!- Hellionor lo spinse via con le cattive maniere e per poco Gabriel inciampò. Non appena ebbe compreso a pieno la situazione bene quanto l’amica, il ragazzo scattò di corsa dalla parte opposta alla posizione delle guardie, travolgendo la gente che incontrava sul suo cammino.
Il cavaliere ordinò ai tre uomini di inseguire il fuggitivo, e questi partirono alla carica spronando con ira i palafreni. L’uomo nel mezzo la raggiunse e fermò il cavallo davanti ad Hellionor che, d’un tratto, cominciò a temere anche per la propria vita. Ma poi il cavaliere fece un gesto del tutto inconsulto, smontando di sella, togliendosi l’elmo e scansando il mantello che gli intralciava il braccio.
-Mademoiselle Eleonore- s’inchinò con una riverenza.
Oh diamine… se Gabriel è un ricercato, io a chi assomiglio?! imprecò la ragazza. Si chiese inoltre se gli abiti che indossava potessero appartenere non ad una umile contadina, bensì ad una nobile donna di un certo rango. Di fatti Hellionor non vestiva di troppi stracci, anzi. La camicia era bianca e linda, la gonna lunga pulita e il corpetto di un rosso porpora acceso. Posso essere tutto, tranne una contadina! Pensò timorosa.
Il cavaliere davanti a lei fece per dire qualcosa, ma venne interrotto da una voce conosciuta che parlò fuori campo.
-Monsieur Fabien, Qu'est-ce qui passe ici? (8.)- eruppe in francese Henri de Grandpré.
Hellionor si voltò e vide lui e monsieur de Ponthieu venir loro incontro, quest’ultimo ad occhi sgranati, rigido come una statua e bianco in volto come un lenzuolo.

Poco prima…

Ian entrò nella stanza degli ospiti che le era stata offerta e sorprese Marc alla finestra, ammirando il paesaggio delle colline.
-Perché non fai compagnia a Eleonore?- chiese il Falco rivolto al pulcino.
Marc non si scollò dal davanzale. –E’ fuori per la sua lezione di equitazione- spiegò il ragazzo senza tono.
-Ah- ammise Ian cominciando a cambiarsi. Anche lui come Etienne,da quando erano tornati dalla caccia, non aveva avuto modo e tempo di vestirsi in modo più presentabile, cosa che suo figlio invece aveva già fatto.
Voltandosi, Marc si accorse che suo padre aveva preso con sé anche il mantello. –Dove vai?- volle chiedere.
-Devo scambiare due chiacchiere con monsieur Henri- spiegò apertamente.
-Perché?- s’incuriosì Marc, ma Ian gli scoccò un’occhiata eloquente. Il ragazzo sbuffò. –D’accordo, mi faccio i fatti miei…- brontolò tornando a guardare fuori dalla finestra.
Quando fu pronto, Ian si avvicinò a lui e gli baciò la testa. –Non annoiarti troppo mentre non ci sono, mi raccomando- scherzò.
Marc scrollò le spalle sbuffando.

Jean ed Henri lasciarono il castello dei Sancerre per avventurarsi alla volta delle caotiche strade cittadine. Il clima nel quale si immersero era quello del tardo pomeriggio, il sole calante e il cielo limpido. La gente si apprestava a concludere le ultime vendite al mercato, alcune bancarelle già chiudevano, le donne rientravano in casa per preparare la cena, e sulle strade non si vedeva più un bambino.
-Allora, di cosa volevate parlarmi, monsieur?- formulò Henri sereno.
Ian gli sorrise continuando a camminare con le mani giunte dietro la schiena. –Io e Sancerre abbiamo…-.
-Lo sapevo- ridacchiò Grandpré ancor prima che l’amico potesse concludere. Ian assunse un’espressione confusa, ed Henri si piegò meglio.
-Lo sapevo che dietro a tutto questo c’era lo zampino di Etienne- fece allegro.
-Quindi sai già cosa sto per dirti?-.
-Veramente no, anche se mi piacerebbe indovinare- giocò Henri.
Ian sorrise. –D’accordo. Mettiamo alla prova il tuo senso di Falco, e vediamo se è rimasto quello di una volta alla pari del mio-.
Grandpré ci pensò qualche istante. –Siccome monsieur de Sancerre è terribilmente preoccupato per la sua discendenza, la vostra conversazione non può non essere pesata sulla questione dell’eredità- rifletté vacuo.
Quest’uomo è un mostro! Peggio di me contando che io dalla mia parte ho ottocento anni di storia letta e riletta…
-Perciò posso dedurre che…- riprese Henri grattandosi il mento, -siate entrambi preoccupati per le mie terre-.
-Di’ la verità, stavi origliando!- Ian scoppiò in una fragorosa risata.
-Giuro, non lo farei mai- esultò Henri, altrettanto stupito. –Perché, ho indovinato?- chiese incredulo.
Ian fu costretto ad annuire. –Sì, temo proprio di sì- sospirò.
Da quel momento tacquero entrambi, lasciando trascorrere alcuni minuti di passeggio prima di riallacciare l’argomento. Si preparavano ad affrontare il discorso ognuno a proprio modo, conoscendo già, in un certo senso, l’uno i timori dell’altro.
-Sono pienamente a conoscenza della mia condizione, e apprezzo la vostra premura- Henri parlò per primo. –Ma se mi è concesso scegliere, non voglio unirmi ad una donna che non amerei e che lei, sapendo ciò che sono, molto probabilmente non amerebbe me. L’aiuto tuo e di Etienne l’ho già accolto in passato, assecondando il vostro giudizio su chi maritare alle mie sorelle, e per questo non sarò mai in grado di sdebitarmi. Pregare perché il giorno della mia morte la Francia si veda unita e senza guerre, sarà tutto quel che farò fino ad allora, perché le mie terre possano cadere nelle mani giuste senza coinvolgimenti esterni, forzati o ingiusti- dichiarò senza ombra di dubbio o ripensamento.
Ian rilassò le spalle riempiendosi d’aria i polmoni. –Ti sembrerà strano, ma al posto tuo farei la stessa cosa-.
Henri inarcò un sopracciglio. –Davvero?-.
Ian annuì. –Perché no? Certo, forse ci ripenserei se avessi l’opportunità di proteggere sotto il mio tetto la figlia del mio migliore amico- assentì vago.
Grandpré si fermò di colpo. –…Cosa?- mormorò sprovveduto.
Ian dovette tornare sui suoi passi per affiancarsi all’amico. –Siccome ho vissuto troppo allungo in mezzo ai giri di parole, te lo dirò in modo semplice e, speriamo, indolore: Etienne vorrebbe organizzare un matrimonio combinato tra te e sua figlia Eleonore, la maggiore-.
Henri indietreggiò, boccheggiando senza produrre suono. –Io… come… come gli è saltato in testa?!- eruppe poi.
Ecco, questo è proprio quello che non sarebbe dovuto succedere… pensò Ian passandosi la mano sul volto.
-Ho appena concluso di dire che non voglio legarmi ad una donna che finirebbe per disprezzarmi e tu ribalti la tovaglia offrendomi la mano della figlia di Sancerre?! Ma dov’è il Signore perché moderi la mente degli uomini malati come Etienne, quando serve?!- imprecò alzando gli occhi al cielo.
Ian tacque, pregando silenziosamente perché Dio moderasse Grandpré, piuttosto.
Dopo un minuto o due Henri parve riacquistare un minimo di lucidità, e l’americano colse l’occasione al volo.
-Perdonami, non intendevo ferirti-.
-No, tu non hai fatto nulla- dissentì il più giovane. –De Bar, pace all’anima sua, aveva ragione quando disse che senza di lui a ricordargli le buone maniere, Etienne sarebbe andato a ruota libera verso la follia, ogni giorno sempre peggio. Quel cavaliere è rimasto ragazzino anche a quarant’anni, non posso crederci… e come tale ci immagina tutti quanti: deve aver perso lo scorrere del tempo…- borbottò.
-Ma allora, cosa ne pensi?- chiese Ian, confuso dalle tante chiacchiere del compagno d’arme.
-Ci sto ancora pensando- eruppe Henri riprendendo il cammino.
-Guarda che tu ad Eleonore piaci- intervenne il cadetto Ponthieu.
Henri restò spiazzato anche da quell’affermazione. –Com’è possibile se non le ho mai rivolto la parola da quando sono qui al giorno della sua nascita?- chiese sbalordito.
-Questo dovresti chiederlo a lei, non a me- si difese Ian. –Io faccio solo da portavoce-.
-Allora sei caduto più in basso di quanto credessi- scherzò Grandpré, non senza una nota amara nella voce.
-Seriamente, Henri, credi di poter valutare la cosa? Etienne si è raccomandato di estorcerti una risposta definitiva prima di ‘sta sera, ma per me hai tutto il tempo che ti serve- sorrise affabile.
-Ti ringrazio- sospirò il conte. –Ciò significa, immagino, che non mi è concesso declinare l’offerta- ammise.
Ian sgranò gli occhi. –Non ho mica detto che sei costretto- assentì.
-Mi domando come una sedicenne possa provare tanto interesse per me! Non voglio che spacci la sua infatuazione fanciullesca per vero amore e poi si ritrovi a mani vuote…-.
-Lei lo sa- intervenne Ian con grande stupore dell’altro cavaliere. –Etienne mi ha garantito anche questo, oltre al fatto che ad Eleonore basterebbe starti accanto per essere felice-.
-Jean, se pensi che una ragazza di sedici anni sa cosa la renderà felice per il resto della sua vita, mi deludi- pronunciò serio.
-Henri, sappiamo bene entrambi che certe scelte non ci appartengono, e perciò non possiamo interferire con esse. Almeno per questa volta voglio essere imparziale, riferire ciò che Etienne mi ha detto di dirti, quindi non cercare il mio giudizio-.
-Eleonore è stata informata almeno di tale condizione?- domandò cupo Henri.
-Sancerre ha voluto fare tutto molto di fretta, non chiedermi perché- borbottò.
-È sicuramente qui che sbaglia. Te l’ho detto: Etienne è rimasto il bambino impulsivo di sempre- commentò Henri. -Quindi… ci penserai?- domandò Ian in definitiva.
Henri fece per riaprir bocca, ma il grido di un soldato e lo scalpitare di zoccoli proveniente dal fondo della strada attirò la loro attenzione.
Henri ed Ian si scambiarono un’occhiata allarmata e imbracciarono le spade che portavano al fianco, dirigendosi spediti in quella direzione.
Voltato l’angolo, Ian riuscì a scorgere un gruppo di cavalieri a cavallo allontanarsi tra la folla di corsa, mentre uno di loro smontava di sella e s’inchinava dinnanzi ad una giovane donna.
Henri andò avanti con la spada alla mano, mentre Ian, dietro di lui, era diventato una sorta di fantasma.
È la ragazza di ‘sta mattina… ma che cosa succede?! Gemé stringendo convulsamente la presa attorno all’impugnatura della lama.
-Monsieur Fabien, Qu'est-ce qui passe ici?- chiese Henri de Grandpré riconoscendo il cavaliere davanti alla ragazza.
-Monsieurs, Eleonore de Sancerre è stata rapita questa mattina, ma fortunatamente io e i miei uomini l’abbiamo ritrovata mettendoci sulle tracce del suo compagno- spiegò Fabien alludendo alla ragazza dietro di sé.
Eleonore? Rapita?! Ehi, aspetta un attimo! Ian sgranò gli occhi. Quella non è Eleonore!
Jean tentò di replicare alle parole del generale Fabien, ma Henri lo precedé.
-Eleonore? Vous êtes Eleonore?- domandò il conte de Grandpré, ingenuamente e con meraviglia.
La ragazza posò un istante la sua attenzione sul cavaliere che lo accompagnava, riconoscendolo subito come il leggendario Falco d’Argento. Quindi quei due cavalieri, si disse, erano gli stessi di quella mattina. Quando Henri de Grandpré le chiese effettivamente se il suo nome fosse Eleonore, lei annuì, perché la pronuncia francese di Hellionor doveva essere quella. Quindi quest’uomo mi conosce. Guardò Henri. Anzi, mi conoscono tutti… pensò, ma ogni suo ragionamento sfumò dietro il gesto fatto dal Falco subito dopo.
Jean Marc de Ponthieu si batté disperatamente una mano in fronte.



Il cavaliere Fabien l’aiutò a montare in groppa al suo cavallo come una principessa, ed Hellionor si irrigidì sulla sella non appena incrociò gli occhi del Falco d’Argento, il cui azzurro celestiale l’aveva congelata come una statua. Nel momento in cui Henri de Grandpré, Feudatario Maggiore di Francia le aveva rivolto un inchino, Hellionor si era sentita presa in giro, da Hyperversum in primis, ma in secondo luogo da quella situazione che le si ritorceva contro in modo sempre più assurdo.
Stringendo le mani sulle redini e rendendosi conto di ricordare abbastanza bene quelle nozioni di equitazione avute da sua madre fino ai dodici anni, Hellionor riuscì a sistemarsi dritta nonostante il mondo attorno che aveva occhi solo per lei.
-Madame, è un vero onore conoscervi di persona già così presto, e vedervi in salute mi riempie di gioia il cuore, nonostante il racconto della vostra disavventura-.
Hellionor si volse verso il conte de Grandpré e riuscì a decifrare una buona parte del suo discorso, ringraziando mentalmente i corsi pomeridiani della scuola e suo padre Daniel per le buone nozioni di francese.
Io? Rapita? Si stupì Hellionor guardando anche Fabien, il cavaliere semplice lì affianco che discuteva appartato ma a gran voce col Falco d’Argento. Sembrava una conversazione poco amichevole, perché quest’ultimo mostrava segni nervosi nell’atteggiamento e nel tono di voce adottato col cavaliere che, in tutti i modi più cordiali possibili, tentava di spiegare che Eleonore de Sancerre, prima genita di Etienne II, era stata data dispersa, e nel frattempo indicava Hellionor seduta in sella al cavallo.
Intanto, Henri de Grandpré si era fermato ai piedi della ragazza e la guardava dal basso con un’espressione in viso serena e pacifica. Le mani giunte dietro la schiena e i capelli castani pettinati ordinatamente. La barba ben fatta e gli occhi dolci e scuri come quelli di un cerbiatto. –L’avete proprio fatto penare vostro padre- sghignazzò il Feudatario Maggiore alludendo a monsieur Fabien e de Ponthieu che ancora discutevano sui dettagli dell’accaduto.
Hellionor tacque e, temendo che il suo accademico francese avrebbe rovinato quel che poteva rovinare, si limitò ad annuire chinando la testa.
Henri sembrò divertito dalla sua reazione. –Permettetemi di riaccompagnarvi a casa prima che Etienne, conoscendolo, decida di impiccare mezza città pur di scovare chi vi ha fatto questo- disse Grandpré ed Hellionor gli lasciò docilmente le redini così che il conte potesse guidare il cavallo direttamente da terra, camminandogli affianco.
-Monsieur, aspettate!-.
Il palafreno inchiodò quando Henri de Grandpré si voltò e vide Jean de Ponthieu venir lui incontro assieme all’ufficiale Fabien. –Aspettate, monsieur, lasciatela a me- suggerì d’un tratto il capo delle guardie di Séour, con grande stupore degli altri presenti, Hellionor compresa.
-Allora fate in fretta, dannazione, Etienne sarà disperato se quello che si dice è la realtà- pronunciò serio Henri porgendo le redini al cavaliere Fabien, che condusse l’animale su per la strada. Hellionor lanciò un’occhiata alle sue spalle: Henri e Jean le venivano dietro tenendosi a distanza dal cavallo, ma solo quest’ultimo guardava la ragazza con la solita scintilla di serietà negli occhi. Hellionor, dalla sella, si tese come una corda di violino. Quell’uomo col falco d’argento sul petto le infondeva un certo timore da quando l’aveva incontrato per la prima volta quella mattina in strada, per poi ritrovarselo accanto anche mentre tutti sembravano saperla lunga su chi fosse il personaggio che Hellionor impersonava in gioco.
Una figlia di Etienne II de Sancerre, forse? Si chiese.
Non solo i tre cavalieri di Séour a terra, ma la gente tutta la fissava con curiosità, stupore e interesse. Certamente, assistendo alla scena di poco prima, si erano domandati cosa stesse succedendo e perché metà dei cavalieri di Séour fosse sulle tracce di un loro stesso soldato. Hellionor cominciò a temere per Gabriel, domandandosi se gli uomini di Etienne II fossero riusciti a strapparlo dalla strada e sbatterlo in una cella per un crimine che non aveva fatto. Si rese conto di aver abbandonato l’amico nel bel mezzo di una contea francese del XIII secolo senza che sapesse dire nemmeno “buon giorno” o “buona sera” nella lingua parlata.
La ragazza si morse un labbro guardando nella direzione in cui il suo compagno di partita era sparito, scrutando tra volti e corpi estranei e pregando di vederlo riapparire da un momento all’altro.
Sforzandosi di mettere assieme qualche buona parola, Hellionor si rivolse così all’ufficiale: -Monsieur, il ragazzo che era con me, perché è ricercato dai vostri uomini?-.
Il capo delle guardie restò interdetto a quella domanda. –Madame, Stephèn è accusato di aver contribuito alla vostra cattura- disse grave.
-Ma siete sicuro che è stato lui?- insisté Hellionor.
L’uomo annuì ancor più confuso. –Madame, Stephèn è il vostro tutore e vostro amico…- mormorò flebile. –Ovvero l’uomo che vi trascorreva accanto più tempo, e il fatto che sia scappato di gran corsa è una prova inequivocabile-.
Tutore? Qualche parola le sfuggiva, ma il senso le era chiaro. Ma chi diavolo pensano che sia?! Si chiese Hellionor, ma almeno, se erano diretti verso la reggia di Etienne II, voleva dire vitto e alloggio abbastanza comodo. Il gioco le aveva offerto tutto su un piatto d’argento, ed Hellionor era curiosa di sapere fin dove si sarebbe spinto.
Ma la verità era che c’era ben poco per cui stare tranquilla. In cuor suo sapeva che non poteva trattarsi di un sogno o di un’allucinazione in alcun modo. Sapeva che l’idea del buco spazio-tempo era in sospeso nella sua testa e temeva di andare incontro alla verità ammettendo di essere davvero imprigionata nel medioevo. Obbiettivamente la paura cresceva ad ogni passo del cavallo, man a mano che il torrione dei Sancerre si faceva sempre più vicino, mentre alle sue spalle, Feudatari Maggiori e quant’altro, si sarebbero presto accorti di aver sbagliato persona.
Le possibilità plausibili erano due. Quella buona in cui sperava era che Hyperversum si fosse pappato il suo cervello e l’avesse intrappolata nel regno della fantasia nel quale ogni ubriaco o insano di mente si perde. Quella cattiva, era il naufragio nel medioevo, il passaggio spazio temporale dal quale suo padre aveva sempre cercato di proteggerla.
Ora è chiaro… Hellionor sgranò gli occhi e divenne un tutt’uno con la pietra della terra quando Fabien l’aiutò a scendere dal cavallo, una volta giunti nel cortile dell’alta corte.
La ragazza si reggeva a stento sulle gambe e cercò il sostegno del corpo che trovò più vicino. Sono nel medioevo… pensò col volto esangue rendendosi conto di essere artigliata alle vesti di qualcuno, che le circondò la vita con un braccio per sorreggerla.
Suoni, immagini, voci… divennero un insieme confuso e incolore che sfumò verso l’oscurità. Ciò che vide fu il suo viso preoccupato di Henri de Grandpré, prima di crollare svenuta tra le ali del Falco.

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Capitolo 7
*** Lacrime segrete ***




-Presto, chiamate un dottore! Potrebbe essere stata avvelenata!- strillò in allarme Henri de Grandpré mentre aiutava l’amico Jean Marc a sostenere con delicatezza l’inerme corpo della giovane principessa, crollata come in sonno tra le ali del Falco d’Argento.

Ian accanto a lui serrò i denti. E ora che diavolo faccio?! Cosa accadrà quando Etienne scoprirà che questa ragazza non è sua figlia, mentre tutti gli altri avranno intuito il contrario?!
Con quei pensieri ad uccidergli la ragione tenendogli la mente impegnata, Ian non si accorse delle mani armate amiche che gli prelevarono di dosso il corpo di Hellionor Freeland, portandola dentro il castello su una sorta di lettino.
-Chiamate Monsieur de Sancerre! Sua figl…- fece per annunciare il cavaliere Fabien, ma Ian lo interruppe prima che potesse dettare altri ordini.
-Occupatevi della principessa. Avverto io monsieur Etienne e madame Donna- eruppe autoritario a tal punto da far tacere anche Henri de Grandpré, alle sue spalle, già in procinto di replicare o intervenire sulla questione.
-Henri, va’ con lei!- disse subito dopo Ian al Feudatario Maggiore. Sperando che Hellionor dorma ancora per un po’… si augurò Ian avviandosi di corsa tutt’altra parte.
Grandpré annuì mezzo convinto, e seguì Fabien e i suoi uomini che scortavano il corpo della ragazza dentro la corte, con destinazione le stanze private della principessa. Al convoglio si unirono alcune serve che, fortunatamente, non sembrarono accorgersi dei piccolissimi particolari che la Freeland aveva dissimili alla de Sancerre.
E ora chi lo racconta a Daniel!?
Ian salì le scale del torrione due gradini alla volta. Quando fu all’ingresso, proseguì spedito nel corridoio e poi dritto verso una meta precisa. Trovò Donna Barrat là dove gli avevano indicato le guardie della corte e sapeva di trovarla, ovvero nella stanza che madame de Sancerre condivideva con suo marito da più di 17 anni. Giunto dinnanzi alla soglia bussò ed entrò solo quando sentì la voce rauca e incrinata dal pianto di Donna dargli il consenso.
-Donna…- mormorò Ian, triste nel vedere la sua amica seduta sul bordo del letto a piangere con un fazzoletto ricamato che si rigirava più volte, nervosamente, tra le dita.
-Oh, Ian!- gemette lei asciugandosi un altro fiume di lacrime che le sgorgarono dagli occhi in quell’istante, mentre il Falco le veniva incontro e l’abbracciava come una sorella.
-Dove sono le tue serve?- chiese il cavaliere. –Sarebbero dovute rimanere a farti compagnia, perché sei sola?- si preoccupò.
-Le ho mandate… via!- singhiozzò lei stringendosi con più forza all’amico. Il suo corpo magro e snello, nonostante l’età, era traversato da continui spasmi e tremori del pianto disperato che prese a sfogare sulla spalla del cavaliere.
-Andrà tutto bene, vedrai… la troveremo- si costrinse a dire Ian, pur avendo la mente affollata di ben più gravi pensieri, e tutti riguardanti la figlia del suo migliore amico sparita a sua volta dal proprio tempo. Che diavolo di casino! Ma tutto insieme doveva succedere?! Si chiese con un moto di rabbia sedendo sul letto accanto a Donna, così che la dama potesse sfogare le lacrime su di lui senza che stesse scomodo. Devo restare con lei finché non si calma… o non potrò mai dirle che cosa è realmente successo.
Trascorse qualche minuto, giusto il tempo necessario perché Donna dissimulasse il terrore. -Dov’è Etienne?- chiese Ian a sorpresa, volendo chiarire la questione ad entrambi prima che nel castello scoppiasse il putiferio. Poteva parlare sia in presenza di Donna che di Etienne utilizzando mezzi termini, e poi conferire in privato con lei, approfondendo l’argomento “Hyperversum” all’amica. Due piccioni con una fava. Devo mettere a tacere le voci che Eleonore è stata rapita, ma allo stesso tempo darla ancora per dispersa. Certo che le situazioni più complicate me le vado a cercare, eh?! È proprio come diceva de Bar…
In quell’istante, sull’uscio della stanza, apparve Etienne de Sancerre, bianco in volto come un lenzuolo. Non aveva né bussato né detto una parola mentre si avvicinava alla moglie e all’amico con un curioso foglio di pergamena arrotolato nella mano.
Ian si adombrò. –Cos’è?- domandò alludendo al plico che Etienne, dette quelle parole, sembrò stringere con ardore crescente tra le dita.
-Era nella stanza di Eleonore- spiegò senza tono, dilaniato da un dolore amaro che lo trasformò in tutt’altra persona. Potava quasi dirsi che, con quella smorfia seria e angosciata sulle labbra, sembrasse più vecchio.
-D’accordo, ma cos’è?- insisté Ian e la conversazione tra i due sembrò attirare l’attenzione di Donna, ancora stretta tra le braccia del Falco.
Le rughe sulla fronte di Etienne si fecero profonde. Porse la pergamena all’amico e questi l’aprì svelto, pur indugiando.
-È un riscatto- spiegò il cadetto de Sancerre.
Donna si portò una mano alla bocca. Gli occhi di Ian scorrevano come lo scanner di una fotocopiatrice sulle righe contenute nel plico. Sobbalzò a sentir pronunciare quelle parole da Etienne che, stanziandosi e andando verso la finestra, lasciò vagare lo sguardo sulla propria corte.
Donna che non sapeva se piangere, gridare o svenire.
-La notizia non deve divulgare- affermò duro come il ferro Etienne de Sancerre. –Chiunque ha rapito mia figlia, non vuole che si sappia fuori dalla mia corte, o… Eleonore, loro… loro la… la uccideranno-.
Ian s’irrigidì sgranando gli occhi. –Ma non ha senso! Cos’è che temono?!- eruppe pieno di collera balzando in piedi.
Etienne dovette appoggiarsi al davanzale della finestra pur di non crollare. La sola idea gli prosciugava le membra. –Vorrei esserle stato più vicino…- gemé dimenticando del tutto la domanda fattagli da Ian.
Il Falco guardò prima lui poi Donna che, seduta sul bordo del letto, aveva preso tra le bianche e magre mani la pergamena, sfogliandone il contenuto lei stessa. Quando giunse alla riga che annunciava il riscatto e le varie richieste dei rapitori, si portò il pugno chiuso al cuore stringendo forte il tessuto della veste tra le dita sottili. Le sfuggì un nuovo singhiozzo, gli occhi arrossati tornarono a riempirsi di lacrime, una delle quali non tardò a scorrerle sulla guancia.
Ian non seppe che fare, cosa pensare. A sua volta si mise le mani tra i capelli stirandoli indietro, disperato. –Mon Dieu…- invocò.
Etienne si scostò dalla finestra e andò a sedersi accanto alla moglie, passando accanto all’amico senza dir nulla. Strinse Donna a sé e nascose il volto tra i boccoli rossi della sua donna, nel vano tentativo di mascherare le lacrime che Ian aveva visto comparirgli agli angoli degli occhi qualche istante prima.
Il Falco guardò il cadetto Etienne e non riuscì davvero a capacitarsi di chi fosse. Di fronte al dolore che condivideva con la moglie, Etienne mostrava un lato di sé che, come detto in precedenza, semplicemente… non gli apparteneva, non era lui.
Il valoroso Sancerre, condottiero di eserciti, Cadetto di Francia, vassallo di Luigi IX, era scomparso, dissolto nell’aria come fumo, gettato al vento come polvere.
Ian, uscendo dalla stanza al fine di lasciare ai coniugi la privacy che meritavano, si chiese piuttosto se Etienne sarebbe cambiato dopo quell’esperienza. In lui crebbe il timore di vedersi invecchiare davanti un uomo lacerato dalla disperazione, che un tempo era stato tutt’altro. Oppure, il poco di speranza che gli restava, avrebbe conservato il Sancerre di una volta facendo sì che fosse solo un momento di debolezza passeggera.
Ian, attendendo come una sentinella fuori dalla porta, sperò e pregò che fosse così.

Henri lo sorprese con le spalle al muro fuori dalla soglia e gli fermò di fronte.
Ian, assorto nei suoi pensieri più oscuri, non vi fece proprio caso, almeno fin quando Grandpré non attirò la sua attenzione chiamandolo ben due volte.
Ian si riscosse interiormente con violenza inaudita, ma senza darlo a vedere, e si volse verso il cavaliere.
Questi azzardò un inchino col capo. –La principessa Eleonore è in buone condizioni, il medico l’ha visitata, ma è ancora assopita- lo informò.
Ian si adombrò. –Qualcuno ha… detto qualcosa?-.
Henri sembrò non capire.
-Le serve, le sorelle… sono con lei?- spiegò meglio.
-Sì, l’ho lasciata in compagnia di una serva- rispose Grandpré.
Siccome Henri non aggiunse altro, Ian suppose che ancora nessuno si fosse accorto della sostituta auto-piazzata al posto di Eleonore de Sancerre.
-Sai dove posso trovare Etienne?- chiese Henri guardandosi attorno.
Ian sobbalzò, ma riuscì comunque a mascherare il nervoso. –Sì, sì, l’ho visto nel salon… nella biblioteca!- si corresse, dando ad Henri una meta ancor più lontana, così da guadagnare tempo.
Il Feudatario Maggiore annuì, seppur poco convinto. –Che brutta faccenda… Etienne sarà su tutte le furie- ammise greve, avviandosi.
Ian lo seguì con lo sguardo fin sulle scale. –Oh, sì… non immagini nemmeno in che bestia si sia trasformato- borbottò con una smorfia.
-Di chi stai parlando?-.
Ian sobbalzò e si voltò di scatto trovandosi Etienne, ad un passo di distanza, sulla soglia della stanza. Il Cadetto Sancerre aveva il viso tirato, bianco come un lenzuolo e gli occhi già meno gonfi di come li ricordava Ian, prima che anche un valoroso cavaliere come lui si permettesse qualche lacrima in compagnia della moglie.
-Perché hai mentito ad Henri? Sapevi che ero qui- proruppe Etienne.
-Devo parlarti- si apprestò a dire Ian, prima d’innervosirlo ulteriormente. Quando vide comparire sulla soglia anche Donna, si corresse: -Devo parlare ad entrambi-.
Etienne fu come trafitto dal tono duro e severo dell’amico che, fissandolo allungo negli occhi, gli trasmise buona parte delle sue intenzioni.
Il cadetto scosse la testa e fece per controbattere, volendo sicuramente districarsi nelle operazioni militari alla ricerca di sua figlia, ma Ian lo precedette.
-Riguarda Eleonore- sbottò il Falco entrando nella stanza. Mimò a Donna ed Etienne di fare altrettanto, e non ci fu bisogno di ripetere.
Ian lasciò che Donna restasse in piedi in mezzo alla stanza, pur avendola implorata di sedersi. Etienne non fu da meno: guardò più volte fuori dalla finestra, distraendosi con la mente, non prestando attenzione al discorso intrapreso da Ian, il quale era partito da principio. Ian accennò allo sgarbo di Etienne di quella mattina, nel rientro dalla caccia, quando il cadetto si era abbassato ad insultare un innocente. Parlò della ragazza, ma Etienne sembrò non averci fatto particolarmente caso com’era invece successo ad Ian, che in quegli occhi verdi aveva rivisto la paura di chi si è perso nel medioevo e non riesce più a tornare indietro.
Donna ascoltò con minuziosa attenzione, volendo capire da subito dove volesse arrivare il suo compagno di avventure temporali con quei riferimenti.
-Ma questo cosa c’entra?!- sbraitò il cadetto, ora più infastidito che mai.
-Correggimi se sbaglio, ma i rapinatori non vogliono che si sappia fuori dalla tua corte del rapimento di Eleonore-.
Etienne annuì, pensieroso, ma su altro.
-In tal caso siamo fortunati ad avere come figlia una principessa fantasma- rise Donna istericamente.
-Non lo metto in dubbio, ma non basterà che si parli con Eleonore attraverso la porta di una stanza. Cosa diranno i servitori quando per mesi la loro principessa non scenderà dalla torre nemmeno cenare?- chiese Ian all’amico.
Etienne scrollò le spalle, deciso. –Farò giurare ai miei ufficiali e inservienti di mantenere il segreto-.
-Con tutti i cavalieri che hai mandato in strada ‘sta mattina, a qualcuno di loro sarà pur scappato di bocca, che dici?!- eruppe Ian, agitato.
-E allora cosa proponi di fare? Sentiamo!- ruggì Sancerre.
Ian tacque alcuni istanti, elaborando il miglior modo per spiegare il piano architettato durante l’attesa di prima. –Se mettessimo qualcuno al posto di Eleonore, qualcuno che le somigli, magari, tu avresti libero arbitrio in campo militare contro i rapinatori di tua figlia senza doverti preoccupare anche di questo. Basta che una persona poco fidata sappia la verità e siamo rovinati. Perciò, se facciamo credere a tutti di avere ancora con noi tua figlia, le voci sul suo rapimento si dissolveranno come sabbia nell’acqua- disse tutto d’un fiato.
Non ci credo… pensò Ian notando l’espressione assorta di Etienne che, assieme a Donna, stava valutando davvero la sua proposta, come se fosse una cosa sensata. Non riesco a crederci… si ripeté più volte Ian, pur addolorato di dover architettare altre bugie a distanza di 17 anni dalla promessa fatta al fallimento dell’ultima.
Donna sgranò gli occhi e guardò Ian con un moto di ansia.
Il Falco annuì nella sua direzione, confermando mille dei pensieri e dei timori della fanciulla; poi la dama cercò qualcosa su cui sedere piuttosto che crollare a terra. Diventata un tutt’uno con il legno della sedia, Donna tacque oltremodo come una statua.
-Allora?- insisté Ian attirando l’attenzione del cadetto.
Etienne gli volse un’occhiata truce. –Ne parli come se l’avessi già fatto- commentò serioso.
Ian rabbrividì. Perché ho un brutto presentimento? Si chiese guardando l’amico negli occhi.
-Però mi sembra sensato- ne convenne Sancerre, d’improvviso. –O meglio, sensato quel che basta. Perciò, essendo l’unica soluzione che ci resta… Jean, temo di doverti dare ragione-.
-Perfetto. Allora lascia che sia io a trovare il sosia che fa al caso nostro- sorrise Ian, più sollevato.
La cosa sembrò insospettire l’altro cavaliere. Questi non riuscì ad aprir bocca che qualcuno bussò alla porta della stanza.
-Avanti…- acconsentì Donna, precedendo i due uomini.
-Monsieur, hanno ritrovato madame Eleonore- annunciò la damigella affacciandosi appena nella camera.
Etienne stirò le rughe sulla fronte nel gesto consueto di spalancare gli occhi. –Cosa?!- eruppe con tono di voce più alto. Donna balzò in piedi ed entrambi i coniugi si gettarono nel corridoio, al seguito della serva, prima che Ian riuscisse a fermarli.
Al convoglio diretto alle stanze di Eleonore si era aggiunto da poco anche Fabien, imbronciato nei riguardi di monsieur de Ponthieu che non si era degnato di avvertire Etienne per tempo come offertosi di fare.
Giunti sulla soglia, fu Donna la prima ad entrare, seguita da Etienne e infine da Fabien e Ian. Quest’ultimo congedò la serva che li aveva scortati fin lì, ben intenzionato a chiarire la faccenda una volta per tutte.
Quando la damigella uscì dalla stanza, Ian richiuse la porta.
-Sta ancora dormendo, mio signore, è svenuta quando l’abbiamo portata al castello, poco fa- spiegò Fabien facendosi da parte.
Donna restò affianco ad Ian quando questi le scoccò un’occhiata eloquente.
Sancerre aggirò il letto e giunse sul lato verso il quale sua figlia era rivolta, con gli occhi chiusi, infagottata sotto le coperte. Etienne sedé sui talloni e, con un sincero e sollevato sorriso sulle labbra, scostò la frangia dei capelli dal viso della ragazza.
L’espressione che Etienne assunse in volto bastò perché Donna si voltasse e, rivolgendosi al cavaliere, dicesse: -Monsieur Fabien, potreste attendere fuori, di grazia?-.
Il cavaliere s’inchinò profondamente devoto e ubbidì, poi richiudendosi la porta alle spalle.
Ian continuò a fissare il pavimento attendendo una qualsiasi esclamazione di Etienne che spezzasse quell’amaro silenzio.
Sancerre si sollevò lentamente e tornò vicino alla moglie, rimasta in disparte per tutto quel tempo.
-Jean, perché il mio luogotenente pensa che una perfetta sconosciuta sia mia figlia?- eruppe Etienne non senza una nota ilare nella voce, attirando d’un tratto l’attenzione dell’altro cavaliere.
Il Falco alzò gli occhi nei suoi mantenendo rispetto e rigore.
-Io e monsieur Henri abbiamo incontrato per strada una ragazza che somigliava molto a tua figlia. Il quel momento, mentre i tuoi cavalieri inseguivano il presunto responsabile del rapimento, a noi si è aggiunto Fabien, che, scambiando quella ragazza per Eleonore, ha voluto riportarla al castello. Adesso anche Henri, non avendo mai conosciuto tua figlia, pensa che sia lei- spiegò d’un fiato.
-Quindi… avevi già premeditato tutto!- commentò furente Sancerre, incredulo.
-Non tutto, temo- ammise Ian, sentendo il limite della pazienza di Etienne farsi sempre più prossimo. –Credimi, avrei voluto dirtelo prima, ma sei corso via! E non volevo che altri sentissero… e vedessero- aggiunse alludendo alla ragazza distesa nel letto.
Etienne si passò le mani in viso, sconcertato. –Se lei è qui, allora mia figlia dov’è?- chiese più a sé stesso, sentendo riaffiorare la disperazione e l’angoscia. Aveva quasi creduto di poter tirare il sollievo quando quella damigella aveva annunciato il ritrovamento di Eleonore, ma Ian distruggeva le sue certezze così, mascherandogli ancora una volta la verità.
Etienne era combattuto. Combattuto tra lo sfuriare addosso al suo amico o l’accettare il dolore che lo trasformava nell’uomo che non era mai stato, nel debole che non aveva mai voluto essere.
















Angolo d’Autrice:
Un grazie speciale a sbrodolina per il commento al capitolo precedente, sperando che anche questo le sia piaciuto ^^
Avverto che ho inglobato il precedente settimo capitolo nel 6 spostando le dovute recensioni, o meglio… la dovuta recensione. Forza signori! Non ditemi che su 100 visualizzazioni e passa al primo capitolo di questa storia solo di queste hanno commentato! Così mi deprimo… ç_ç
Sperando che le cose vadano meglio, vi do appuntamento al prossimo capitolo che, sinceramente, non so quanto in fretta riuscirò a pubblicare, avendo molte altre ff a cui dedicarmi. ^^
A presto!



(1. )« Bonne fortune » - « Buona fortuna. »
(2.) « Bonjour, madame » - « Buon giorno, signora. »
(3.) « Bon matin à vous, monsieur Stephèn » - « Buona mattina a voi, signor Stephèn. »
(4.) « Devraient se préparer pour votre leçon d'équitation» - « Dovreste prepararvi per la vostra lezione di equitazione. »
(5.) « Ce que tu veux ?! » - « Che cosa vuoi ?!. »
(6.) « Nous ne pouvons pas trouver Stephen ! Nous avons cherché partout…» - « Non riusciamo a trovare Stephèn ! Abbiamo cercato dappertutto…. »
(7.) « C’est lui ! Prenez-lui ! » - « E’ lui ! Prendetelo ! »
(8.) « Monsieur Fabien, Qu'est-ce qui passe ici? » - « Signor Fabien, cosa sta succedendo qui ? »

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Capitolo 8
*** Un altro falco in famiglia ***




Hellionor riaprì gli occhi solo quella sera, quando le stelle erano già tante e luminose nel limpido cielo nero. Dalla finestra socchiusa traspirava una brezza fresca primaverile, in leggero contrasto con il flebile calore del caminetto acceso a rischiarare la stanza. Gli unici suoni erano il macabro canto di un gufo appollaiato nel giardino, qualche ronda di guardia e il lontano mormorio della gente che passeggiava ancora per le strade. Per il resto, il firmamento ospitava una magnifica luna crescente e tante stelle da far invidia alla vetta del Monte più alto d’America, qualunque esso fosse. Hellionor non era mai andata bene in geografia.

Sul comodino vicino al letto c’era anche una candela profumata, ma la camera tutta aveva un gradevolissimo odore di aroma zuccherato e mogano antico.
La ragazza si mise seduta sul materasso del letto a baldacchino non senza avvertire una certa vertigine per via dello scatto improvviso. Le coperte che le nascondevano le gambe erano soffici e imbottite di piuma d’oca. Aveva riposato su cuscini puliti altrettanto morbidi e, guardandosi attorno, riconobbe un arredo davvero di buon gusto, nonostante la penombra che avvolgeva la stanza.
I mobili erano antichi, certo, ma traspiravano da ogni poro minuziosi dettagli che caratterizzavano quella come la camera di una viziatissima principessina francese del XIII secolo, con tanto di intonaco color confetto, tappeti e quadri graziosi raffiguranti animali come gatti o bellissimi cavalli. Le tende erano di un rosso tendente al rosa che, nell’oscurità della notte e alla sola luce della candela, mostravano una tonalità quasi sul fucsia. Voltandosi a più parti della camera, Hellionor riconobbe un pregiato scrittoio di mogano, una cassettiera e in fine una zona toeletta con tanto di bacile pieno d’acqua, spazzole, fermagli, nastri e quant’altro al fine di abbellire i saputi magnifici capelli della principessa Eleonore de Sancerre.
Ancora frastornata per l’accaduto e coi ricordi confusi a mo’ di pezzi di puzzle sparsi sul tavolo, Hellionor richiuse gli occhi e si lasciò cadere di schiena tra i morbidi cuscini del letto. La testa prese a girarle vorticosamente, sempre con maggior intensità man a mano che le immagini delle ultime ore coscienti tornavano al loro posto.
Nell’oscurità degli occhi chiusi Hellionor rivide la sua separazione da Gabriel fuggito via con le guardie di Sancerre alle calcagna. I volti di Henri de Grandpré e Jean Marc de Ponthieu la tormentarono allungo, assieme alle parole del cavaliere Fabien, che sembrava rivolgersi a lei come sua sovrana.
Ma che diavolo sta succedendo?
Per un secondo ancora Hellionor volle bearsi dell’illusione di star solamente sognando e che presto, tra qualche minuto forse, si sarebbe risvegliata non tra le rudimentali ma nobiliari lenzuola di un letto principesco, bensì nel suo materasso singolo stretta al suo peluche compratole da suo padre da bambina, ad una gita al Luna Park.
Hellionor contò fino a tre… cinque… ok, DIECI! Ma non accadde nulla…
Il silenzio si fece spettrale, a tal punto teso e nervoso che la ragazza si vide costretta a riaprire gli occhi e rimettersi seduta, non riuscendo nemmeno a riprendere sonno. Potevano essere trascorse poche ore oppure un giorno intero, chissà… magari era trascorso solo il tempo necessario perché qualcuno la spogliasse (eh, sì! Addosso non aveva più gli abiti che ricordava di aver indossato in città, bensì una soffice e leggera vestaglia da notte color porpora) e la infilasse sotto le coperte.
Hellionor si premette le tempie.
Se le constatazioni fatte prima di svenire erano esatte, Hyperversum aveva aperto una porta spazio-temporale verso il passato intrappolandola nel XIII secolo francese, tra malattie, guerre e quant’altro. La priorità in quel caso era una soltanto, si disse, ovvero trovare e scappare assieme a…
-GABRIEL!-.
La ragazza sgranò gli occhi e scivolò di corsa fuori dalle lenzuola. Camminando scalza sul pavimento, arrivò alla porta ma, non fece in tempo ad afferrare la maniglia, che sentì prima dei passi e poi delle voci vicinissime alle sue orecchie.
Hellionor tornò indietro fulminea e si infilò di nuovo sotto le coperte in una frazione di secondo. Si voltò dalla parte opposta del materasso, verso la finestra, e chiuse gli occhi.
Nella stanza fecero il loro leggiadro ingresso due figure, l’una molto diversa dall’altra. La penombra della camera contribuiva a nasconderne le fattezze, nonostante Hellionor fosse rivolta tutt’altra parte e avesse gli occhi chiusi. Lo scoppiettare del camino fu l’unico suono di sotto fondo per un minuto circa, prima che uno dei due cominciasse a parlare.
Erano un uomo e una donna dei quali, conversando nella lingua madre francese, Hellionor non riuscì a raccogliere il significato di molte espressioni. Il dialogo non fu tanto lungo, ma intenso e sussurrato, costituito per lo più di domande e risposte, Hellionor capì giusto quello.
All’improvviso qualcuna delle due figure si avvicinò a lei e le scostò i capelli dal viso. Hellionor s’irrigidì come una statua sforzandosi di non muovere un muscolo quando la dama fece un dolce commento sul suo viso.
-Mon Dieu, sont les mêmes !- esultò sotto voce la donna.
L’uomo, rimasto in disparte nella penombra della stanza, non azzardò un passo. –Donna, lei non deve saperlo- pronunciò severo.
Hellionor, che aveva compreso a pieno solo quell’ultima frase, sobbalzò ma non diede a vederlo.

-Quando credi che si sveglierà?- domandò Donna all’amico tornandogli accanto.
Ian tacque allungo prima di rispondere. –Se abbiamo fortuna, non tanto presto- ammise con una smorfia.
-Chissà come la prenderà suo padre quando…- mormorò la dama, bianca in viso e tutto un tremore.
Ian andò verso il camino e, sedendo sui talloni, lo attizzò un poco sistemando un nuovo ciocco tra le piccole fiamme scoppiettanti. –Non la manderà giù facilmente, se è quello che intendevi dire- brontolò sotto voce.
Donna si avvicino a lui guardando prima l’amico poi la fanciulla sul letto a baldacchino. Gli occhi ancora gonfi di terrore e smarrimento erano incapaci di dissimulare lo sconforto che le se agitava in corpo. Donna Barrat, alias madame de Sancerre, era in fermento quanto il compagno per quello che sarebbe successo nei prossimi giorni.
-Perché?- gemé d’un tratto piantando lo sguardo negli occhi azzurri del Falco. –Ian, perché? Non era necessario, non avresti dovuto svendere la figlia del tuo migliore amico così. Credi ancora che sia un gioco? Pensa bene al nome di chi hai messo in pericolo- sibilò pungente, disperata come poteva esserlo una donna privata all’improvviso di una figlia e di tutta la fiducia che riponeva nel suo compagno di sventure a carattere storico.
-Non sapevo che altro fare- mormorò flebile il Falco. –Ti prego, credimi: era l’unica soluzione, ma so come uscirne. Per farlo, però, ho bisogno del tuo aiuto- ne convenne.
Donna sembrò non ascoltarlo, e piuttosto scosse la testa. –Etienne sta allestendo il convoglio per le ricerche, sarà molto impegnato in questi giorni, e così anch’io- sentenziò dura come la roccia. –Vorrei tanto aiutarti, Ian, ma mio marito ha bisogno di me, e mia figlia ha bisogno di noi, assieme, ora più che mai. “Sfortunatamente” Hyperversum non duplica le persone, ed io non posso occuparmi sia di lei che della mia vera figlia- eruppe. –L’unico supporto che mi è concesso offrirti è il silenzio su questa faccenda della quale Etienne non dovrà mai fare parte. Con Guillaume, 17 anni fa, è stato un conto, ma Etienne…- Donna si strinse nelle spalle, rabbrividendo. –Lui è diverso. È… È troppo ottuso, caparbio e schiavo della sua mente medievale per capire, se ce ne fosse bisogno. Perciò Ian, sono addolorata, ma dovrai risolvere questo problema da solo- disse tornando a guardarlo negli occhi.
-Non voglio mettere in pericolo la nostra vita qui- mormorò il Falco. –Tantomeno adesso che ci si ritorce tutto contro un’altra volta. Te lo garantisco, Donna, farò tutto ciò che è in mio potere per proteggere te e la tua famiglia, Eleonore compresa che chiunque te l’abbia strappata, giuro sulla mia anima, sconterà la pena che merita-.
-Quindi cosa farai?- domandò madame de Sancerre volendo cambiare argomento.
Ian indugiò ancora, guardando prima la donna poi Hellionor sotto le coperte. Tacque allungo ripensando più volte alla farse che aveva in mente fin dall’inizio della conversazione con l’amica.
-Porterò Hellionor a Châtel-Argent e la terrò là finché Daniel non verrà a riprendersela- sentenziò in fine, con grande stupore della donna.
-Pensi che sia un guasto del gioco?- chiese sconcertata. –Non credi che possa trattarsi solo di curiosità se è finita quaggiù?- sbottò con angoscia.
Ian aveva valutato già tutte le opzioni. –Se fosse stata innocente curiosità, rendendosi conto della situazione sarebbe scappata appena avuta la possibilità. Io dico che è successo qualcosa al computer e quando Daniel si accorgerà che gli manca in casa qualcuno, saprà dove andare a cercare- pronunciò serioso il Falco d’Argento.
-D’accordo, allora, su questo non ci sono dubbi, ma… Châtel-Argent… è così distante… cosa dirai ad Etienne su questa storia? E monsieur Henri? E Fabien, e chiunque voglia salutare Eleonore de Sancerre! Cosa dirai alla nostra gente quando saprà la sua principessa scomparsa come credevano?- mormorò macabra, pensando già che la sua vera figlia fosse condannata.
-Porterò Hellionor ufficialmente nelle mie terre, Donna, fingendo che ella abbia insisto personalmente, così che nessuno avrà ripicche. Contemporaneamente Etienne avvierà le ricerche su vostra figlia e, quando la troverete, Hellionor l’altra sarà bella che andata nel suo secolo. Il tempo giocherà a mio favore: una volta rimessa la vera Eleonore al suo posto nella storia, nessuno si accorgerà delle differenza perché tutti non avranno avuto modo di ricordare quella finta. Ma per questi giorni che verranno ho bisogno di tenere la ragazza con me affinché non corra altri rischi e Daniel possa sapere dove trovarla, in qualsiasi caso- spiegò.
Donna si costrinse ad annuire, seppur molto turbata e poco convinta. Giunse le mani in grembo e guardò ancora Hellionor Freeland distesa sotto le coperte. –Proteggila, Ian, proteggila a qualsiasi costo-.
-Sia l’ultima cosa che faccio-.
-Spero per te che tu stia scherzando- ridacchiò nervosa la dama.
Ian si permise una risata. –Ma anche no…- sospirò incrociando gli occhi della donna.
Madame de Sancerre tacque allungo a sua volta, mentre il silenzio si faceva pesante e spettrale nella stanza.
-Cosa racconto ad Etienne?-.
-La verità- rispose il Falco.
La dama si adombrò.
-Non quella verità, Donna- chiarì Ian. –Di’ lui da parte mia di mettercela tutta a ritrovare vostra figlia. Saprà accettare le mie decisioni adesso che ne è al corrente-.
-‘Sta volta, Jean, l’hai fatto davvero arrabbiare- ne convenne lei con una smorfia. –Non ho mai visto Etienne così… furibondo-.
-Mi comporterei in altrettanto modo o peggio se qualcuno osasse toccare uno solo dei miei figli-.
-Ti auguro con tutto il cuore che non succeda mai…- mormorò Donna. –Perché è una cosa terribile…- singhiozzò asciugandosi una lacrima.
Ian la strinse a sé prima che potesse ricominciare a piangere. L’accompagnò lentamente fuori dalla stanza ma, una volta nel corridoio, Donna Barrat cedé al dolore e si lasciò travolgere ancora una volta dalla disperazione. Le sue grida risuonarono per tutta la fortezza di Séour, finché non accorsero due guardie e una serva che scortarono la dama nelle sue stanze private.
Sul posto si fece vivo anche Henri de Grandpré, allarmato oltremodo dalle urla di Donna e con indosso semplici vesti e nessun arma. Sembrava appena uscito dal letto.
Ian si soffermò a guardare il Feudatario Maggiore che a sua volta seguiva con gli occhi la riguarda di Madame de Sancerre allontanarsi nel buio del corridoio, scortata dalle guardie e dalla serva.
Dopo interminabili secondi di silenzio, fu Henri a parlare per primo.
-Ancora non capisco cosa la turbi tanto…- si chiese.
Il Falco si tese sulle zampe. Henri pensa che Eleonore sia di nuovo tra noi. Non è a conoscenza del fatto che quella sotto le coperte sia solo un rimpiazzo… Crede che sia la vera Eleonore, la stessa che Etienne vorrebbe che sposasse!
-Anche Etienne si comporta in modo strano. Sono già un paio d’ore che non l’ho più visto. Non era nemmeno a cena- commentò Grandpré scrutando l’oscurità attorno a sé, come se il signore di Séour potesse comparire da un momento all’altro.
-Henri, torna a dormire, dai. È stata una giornata dura per tutti-.
-E tu, allora? Che ci fai in giro a quest’ora, Falco?- proruppe Henri scherzoso.
Ian sorrise.
-Comunque il tuo pulcino ti cercava quando ha sentito le urla di madame Donna. Gli ho detto di tornarsene a letto, e penso che da oggi in poi mi odierà per questo- ridacchiò Henri.
-Hai fatto bene, invece- ne convenne l’altro.

Ian rientrò nella stanza che condivideva con Marc e lo trovò seduto sul letto a gambe incrociate. Lucidava la lama di un piccolo pugnale passandovi una pezza di pelle di daino. Alzò gli occhi sul padre quando lo vide entrare e lo seguì di sbieco in ogni suo gesto.
-Spero per te che tu non abbia messo troppo in discussione gli ordini di monsieur de Grandpré- pronunciò l’uomo cominciando a spogliarsi.
-Non sono come mio fratello- borbottò Marc lucidando con più forza il taglio. Le candele accese nella camera erano due: una sul comodino accanto al letto e l’altra sullo scrittoio accanto alla finestra. Lo scoppiettare del camino restò l’unico suono per qualche tempo, fin quando Ian non soffiò sulle candele e s’infilò sotto le coperte.
-Adesso dormi- disse tirandosi le coperte fin oltre la spalla, assaporando la morbidezza del cuscino e del piumino.
Marc, dal canto suo, indugiò alcuni istanti. –Padre, che sta succedendo?-.
Quella domanda fece riaprire gli occhi ad Ian d’un tratto, che si ritrovò a fissare l’oscurità dinnanzi al suo naso.
Marc posò il pugnale sul comodino ma rimase seduto sul letto. –Quella ragazza che abbiamo incontrato per strada ‘sta mattina è la stessa che i soldati hanno portato in barella nel castello. So chi e cos’ho visto, padre, e non sono uno sciocco- proruppe.
Ian si voltò dalla sua parte e si vide trafitto dagli occhi di suo figlio mai come prima di allora. E così c’è un altro falco in famiglia… sospirò. Non posso mentire a mio figlio. Non posso e non devo più mentire a nessun membro della mia famiglia, almeno fin quando sarò in vita.
-Qualcuno ha tentato di rapire Eleonore de Sancerre ‘sta mattina. Io, Henri e il luogotenente di Etienne, Fabien, l’abbiamo riportata al castello, ma si dice sia crollata svenuta per debolezza di cuore. Ti basta?-.
Marc tacque valutando toni e parole scelti dal genitore. Alla fine dovette annuire, non sapendo cosa e in che modo aggiungere d’altro.
Il pulcino si cacciò sotto le coperte e chiuse il becco.









Angolo d’autrice:
*w* Che bello! Avete commentato in tantissime! Grazie ragazze, così mi commuovete ç_ç mi sento felice a leggere tutti quei bei commenti, è davvero un’emozione indescrivibile! Non trovo altre parole per dirlo, ma grazie, grazie infinte!
Sperando che anche questo piccolo post vi sia piaciuto, sono altrettanto gioiosa che la storia vi stia appassionando tanto quanto appassiona a me l’idea di scriverla. ^^
Ammetto di star giocando un po’ troppo con dei personaggi molto OOC, e me ne vergogno, perciò vi chiedo perdono per questa mia piccola debolezza.
Cosa accadrà in casa Freeland al momento della scoperta, be’… penso di non poter dare troppi spoiler, perché rovinerebbero quelle piccole sorprese di cui è composta questa storia. ^^
Ancora grazie a
_TattaFede_
xevel
Leowynn95
Sbrodolina
akuby_ge


Allora a presto! *O*
Irene

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Capitolo 9
*** Il ricordo dietro le sbarre ***




Quella non era destinata ad essere una notte tranquilla, Etienne lo sapeva.

Dopo essersi svegliato di soprassalto a seguito di un incubo, il cavaliere francese si era ritrovato seduto su una grande poltrona davanti ad un camino. Guardandosi attorno circospetto e teso come una molla, si accorse ben presto di essere solo nel grande salone d’ingresso della torre. Gli ci volle qualche istante per ricordare come fosse finito su quella poltrona. Come aveva potuto permettersi di schiacciare un pisolino proprio ora che il suo più grande tesoro rischiava la vita?! Etienne si maledisse tante volte quanti schiaffi avrebbe voluto darsi, se ne avesse avuta la forza. Perché la terribile realtà fu, per il cavaliere, ammettere di essere troppo stanco anche solo per alzarsi da lì.
Ricordava bene di aver dettato ordini a destra e a manca per tutta la notte, organizzando le squadre di ricerca appena farlo era stato in suo potere. Aveva chiamato Fabien al suo fianco affidandogli il compito di dirigere una prima cavalleria notturna che, munita di segugi, era partita alla volta della foresta giusto poche ore prima. Il piano originale comandava che monsieur de Sancerre salisse in sella ad un cavallo e partisse coi cani, ma la stanchezza e la confusione per l’accaduto erano state tali da sbatterlo seduto e poi dormiente su quella poltrona.
Aveva sognato sua figlia Eleonore in balia di temibili mercenari.
Chi poteva essere la mente criminale di tutto, si chiese. Chi aveva tanto a male il casato dei Sancerre da tentare un simile oltraggio? Chi?! Ma soprattutto… perché, dannazione, perché?!
Etienne si premette le tempie posando i gomiti sulle ginocchia. Chiuse gli occhi e scosse la testa che gli pulsava, a furia di ripensare più e più volte al volto di sua figlia rigato dalle lacrime di una scomoda prigionia.
Tanto dolore a quale fine?… si chiese guardando a terra, dove la luce scoppiettante del camino guizzava sul tappeto. Denaro? No, troppo scontato… Fama? Solo un pazzo sequestrerebbe la figlia di un importante Feudatario per farsi conoscere nel regno! Gloria? È forse un vecchio conto che vuol essere saldato? Posso aver fatto un torto a qualcuno che non ha dimenticato la mia faccia… ma chi?! Giuro sul mio onore di essere stato onesto in tutta la mia vita! Non ha senso fare questo a me! E perché adoperare nell’anonimato?! Cosa vogliono nascondere?! Non vogliono che la Corona di Francia sia informata della questione, forse perché quel dannato si nasconde a corte e non vuole attirare troppe attenzioni sulla sua tana?! Be’, se pensa di essere al sicuro, si sbaglia di grosso!
Etienne scattò in piedi nello stesso istante in cui nella sala fecero la loro apparizione due semplici guardie.
-Monsieur, i cavalieri che questa mattina inseguivano Stephèn nella cittadella sono rientrati circa un’ora fa- disse la prima sentinella.
Etienne inarcò un sopracciglio per lo stupore. –Lui dov’è?- chiese adirato.
I soldati si scambiarono un’occhiata nervosa.
-Stephèn, lui dov’è?!- domandò nuovamente con maggior vigore, non ottenendo subito una risposta.
-Ehm, monsieur, l’uomo che hanno portato con loro credevano che lo fosse, ma non è Stephèn - confessò la seconda guardia, aspettandosi la peggio reazione dal suo signore.
Questa non tardò ad arrivare.

Marc, nella pigrizia del dormiveglia, sentì semplicemente la porta della stanza socchiudersi. Dischiuse un occhio e vide una piccola ombra silenziosa farsi largo tra quelle nella camera, fino a raggiungere, quatta come un gatto, il lato opposto del letto sul quale riposavano il Falco e il suo pulcino.
-Monsieur de Pothieu- chiamò la guardia chinandosi all’altezza dell’uomo. –Monsieur de Pothieu, è urgente, vi prego, svegliatevi-.
Niente da fare. Il buon vecchio Falco aveva tanta astuzia quanto il sonno pesante.
-Monsieur…- insisté la guardia sfiorando la spalla del cavaliere con due dita. –Monsieur, ve ne prego, Etienne desidera parlarvi, svegliatevi-.
Da sotto le coperte Marc tallonò la gamba del padre, che si svegliò trafelato sollevandosi su un gomito. Il cavaliere, trovandosi il soldato davanti, sulle prime allungò la mano al pugnale sotto al cuscino, ma quando la guardia ripeté la pappardella detta in precedenza, Ian evitò di sfoderare la lama.
-Vi attendo fuori- sussurrò il soldato sparendo nel buio del corridoio e richiudendo la porta della stanza dietro di sé.
Ian si tirò su a fatica e, una volta seduto, lanciò un’occhiata al figlio sotto le coperte. –L’ho capito che sei sveglio- pronunciò con una nota ilare nella voce.
Marc posò l’altra guancia sul cuscino voltandosi verso di lui. –Lo ero da anche prima di te- si beffò.
-Questo non ti autorizza a darmi calci- disse scontroso.
-Allora la prossima volta svegliati da solo, e poi parliamo della tua bella figura a colazione! Perché il suo, signor Falco, fa invidia al sonno di una pantegana!- lo derise tirandosi le lenzuola fino al naso e girandosi dall’altra parte del letto.
Ian sospirò.
Non sopportava di farsi prendere in giro dal figlio in quel modo, ma tanto meno desiderava farlo tacere con le cattive maniere da genitore oppressivo e tipicamente medievale, meritevole quindi di un certo rispetto. Marc, dopotutto, non gli aveva fatto altro che un favore. Con la mezza età alle porte, Ian doveva cominciare a far più attenzione su certe cose e ringraziare di dovere chi gli evitava certe “belle figure”, altroché.
Il vecchio Falco si alzò dal letto e si rivestì senza troppe frivolezze. Se Etienne l’aveva convocato così su due piedi nel bel mezzo della notte, doveva essere successo qualcosa di ancora più grave.
Prima di uscire, però, Ian si voltò e guardò nuovamente il giovane Marc sotto le coperte. Incrociò il suo sguardo di ghiaccio giusto un istante, perché il pulcino si voltò dalla parte opposta del letto col broncio stampato sulla faccia.
-Cerca di dormire, non ci metterò molto- disse il padre che lasciava tutto solo suo figlio.
Marc non rispose, ed Ian non pretese altro da lui.
Come promesso, il Falco trovò la guardia ad attenderlo nel corridoio, con una torcia in mano e la spada nel fodero. L’uomo, quando gli venne incontro, sembrò piuttosto nervoso. Il comando al quale aveva dovuto sostare l’aveva messo parecchio a disagio.
-Perdonatemi ancora, monsieur, se ho violato la vostra intimità- aggiunse chinando il capo.
Ian fece un neutro sorriso e un dolce cenno d’assenso, invitando la guardia a fargli strada.
Questi s’incamminò all’istante scattante come una molla, portando avanti la luce della torcia che illuminò, attraversato il corridoio, la rampa di scale che portava ai piani inferiori della torre. La guardia proseguì spedita ed Ian gli tenne dietro a piccoli passi e nervi saldi. Anche il Falco, come l’uomo davanti a lui, era particolarmente teso. Si trovava a dover raggiungere Etienne per un motivo che poteva dare quasi scontato: al suo compagno d’arme erano tornati i bollori di quella mattina, ed Ian non aveva idea di cosa avrebbe fatto o detto per allietare i tormenti del suo carissimo amico. Andava da Etienne a mani nude, senza nient’altro da offrire che non fosse il già dato, ovvero nient’altro che la compassione. Un misero sentimento, quello, che bastava a chi di poco non raccoglieva i beni per sfamarsi. Un signore di Francia, invece, la bruciava nel camino la compassione, servendosi più che altro delle maniere pesanti al fine di raggiungere i propri ideali o scopi. Ian sapeva bene che, nell’evenienza in cui Etienne avesse deciso di vendere la sua stessa vita per quella di Eleonore, gettandosi di persona in bocca ai suoi rapitori, non avrebbe potuto nulla per impedirlo. Le uniche armi che il Falco aveva ancora a disposizione, nonostante gli anni, erano la sua astuzia e agilità politica, con la quale sapeva e aveva saputo destreggiarsi anche a corte.
Da un lato, Ian temé che fosse proprio questo ciò che Etienne voleva da lui e stava per chiedergli. Dall’altro, odiava temere che il cavaliere fosse già stanco del gioco di ruolo nel quale aveva coinvolto sua figlia e una totale sconosciuta.
Che miseria… sospirò Ian chiedendosi, in tutto ciò, come fosse riuscito a dormire così beato ben sapendo di vivere in una tale situazione.
Giunti nel salone d’ingresso, il soldato scortò il suo signore in uno stretto e angusto corridoio adiacente, al quale si aveva accesso per una porticina in ferro e legno che aprì un’altra guardia dall’interno, quando sentì bussare.
Il tragitto nella galleria, che Ian sapeva condurre alle segrete del torrione, durò giusto un minuto. Poi, davanti al naso del cavaliere si parò un ancor più stretta scaletta a chiocciola in pietra che scendeva di una decina di metri più in basso. Alle sue spalle, Ian si vide raggiungere dalla guardia che aveva aperto loro la porticina, mentre quella davanti a lui faceva luce con la torcia scendendo i gradini uno alla volta.
Ian, seppur con mille dubbi in testa, non volle chiedere quale fosse esattamente la destinazione o perché Etienne l’avesse convocato nelle segrete, piuttosto che di fronte al calduccio di un caminetto.
Lì la temperatura si era fatta nettamente più rigida. L’umidità arrivava alle stelle ed ogni piccolo suono, anche il lontano squittire di un topolino, veniva amplificato a tal punto da sembrare vicinissimo, quasi Ian ne avesse uno in mezzo ai piedi.
La scala finì dove apparve una camera tonda e non troppo spaziosa scavata nella terra e rivestita dei soliti blocchi di pietra. C’erano un tavolo, sul quale erano sparsi dei volumi, carte e alcune candele, e una sedia sulla quale sedeva un uomo che Ian riconobbe come il carceriere.
Tutt’attorno si diramavano varie gallerie secondarie, chiuse da inferriate con lucchetto, che conducevano alle celle dei detenuti.
Di quei tempi le segrete dei Sancerre erano più vuote che mai. La politica di Etienne sapeva essere rigida quanto giusta ed equilibrata per tutti, perciò in gattabuia ci finiva un ladro o un malfattore ogni morte di Papa.
-Monsieur de Ponthieu, ben venuto- azzardò il carceriere alzandosi strusciando rumorosamente la sedia.
Ian chinò il capo in segno d’assenso limitandosi a tacere col sorriso teso sulle labbra.
-Venite, monsieur de Sancerre è di qua che v’attende- aggiunse il responsabile della prigione avviandosi verso l’unica delle gallerie circostanti aperta al pubblico.
Ian si lasciò le due guardie alle spalle e seguì il carceriere, che prese con sé una torcia dalla parete e traversò spedito il corridoio.
Sia sulla destra che sulla sinistra Ian vide celle solo vuote. In tutte c’era un giaciglio improvvisato su un’amaca, un buco in un angolo a terra come latrina, un tavolino con cassetto per gli effetti personali e una piccola grata che dava sulla strada all’esterno.
Traversando quei cunicoli bui con tanta minuziosa attenzione, Ian fu assalito dal tempestoso ricordo della sua breve seppur significativa prigionia a Cairs, sull’inizio di quella preziosa avventura.
Rallentando il passo, ebbe quasi la chiara immagine di se stesso, circondato dagli amici e d Isabeau dietro le sbarre. S’immaginò riverso a terra nella pozza di sangue delle sue cicatrici che, come a ricordargli quei momenti, tornarono a farsi vive sulla schiena anche a distanza di vent’anni.
Il Falco rabbrividì, maledicendosi di aver osato ripensare ad un doloroso aspetto della sua vita che in passato si era promesso di eliminare definitivamente. Assieme al ricordo delle cicatrici, però, Ian rivide nei suoi anche gli occhi di Daniel, seduto in angolo della stessa cella.
Quegli occhi verdi, nascosti da una scompigliata frangia bionda, lo fissarono allungo, arrabbiati, carichi di odio e rimprovero.





Angolo d’autrice:


Ma di tutta questa gente che segue e ha la ff nei preferiti, siete in pochissimi a commentare! °A° Vi prego, per me è importante sapere cosa ne pensate! .__.

Detto questo, vorrei rispondere a _TattaFede_ dicendo che con il significato di “-Mon Dieu, sont les mêmes!-“ ci sei andata molto vicino! XD Anche se la traduzione esatta è “Mio Dio, sono identici!” riferito a Hellionor che somiglia molto, più che alla madre, al padre.
Inoltre, anticipo che potrei assentarmi per un certo periodo a partire dal prossimo capitolo, causa scuola e poca ispirazione alla scrittura. Come avrete notato, sto andando avanti con dei post davvero miserabili, l’uno di cinque pagine appena. -.-‘ Continuerò, perciò, a scrivere quel che sentirò voglia di scrivere, ed avendo molte altre fan fiction sparse in varie sezioni da portare avanti, potrei dedicarmi una volta più ad una che un’altra. Questo non vuol dire che sospendo la storia di Hellionor Freeland, per carità! Non sia mai! Amo troppo questo personaggio che ho inventato (assieme a tutti quelli della Randall ovviamente!!! XD) e le idee sono tante anche per quanto riguarda questa storia. ^^ La mia è solo una raccomandazione: potrei postare quando meno ve l’aspettate u.u
Nel frattempo rendo pubblico il mio contatto msn, nel caso a qualcuno venisse voglia di fare due chiacchiere più da vicino su questa meravigliosa collana fanta-storica *-*
cartacciabianca@hotmail.it
P.S.
Prima ero Elika95 u.u Ho cambiato niiiiiik! XD

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Capitolo 10
*** God save me ***


Hellionor sgranò gli occhi continuando a guardare il soffitto.
Fissava un punto preciso nell’oscurità da minuti, ormai, chiedendosi più e più volte cosa fare. La signorina Freeland tremava sotto le coperte come un agnellino al cospetto di un famelico leone del deserto, pronto a papparsi la sua preda da un momento all’altro. Attendeva inerme, spaventata anche dai rumori più insignificanti che le gravitavano attorno: dal vento fuori della finestra al proprio respiro. Il cuore le batteva così forte in petto da farle male e la ragione le veniva meno man a mano che si sforzava di mettere insieme un pensiero sensato.
Non voglio morire qui! Fu la prima cosa che le venne in mente mentre si metteva seduta sul materasso, tentando invano di scrutare oltre l’oscurità che la comprimeva in quella grande stanza, improvvisamente piccola e opprimente come una scatola di cartone.
La giovane Freeland sguisciò via dalle coperte riuscendo a posare i piedi in terra, prima uno poi l’altro tallone. Il freddo legname sotto i plantari le mandò un brivido lungo la spina dorsale, che la fece alzare tutta dal letto. Riuscendo a mala pena a stare in piedi, Hellionor si allungò verso la finestra, portando avanti un braccio e appoggiandosi, in fine, al cornicione che precedeva i vetri colorati. Scansò un lembo di tenda e sbirciò il nero della notte avvolgere tetti, camini e chiese di un paesello costruito dentro le grandi mura di Séour, al centro della quale presiedeva l’alto torrone nel quale Hellionor aveva compreso di trovarsi.
Dove sarà Gabriel? Si chiese terribilmente in ansia, mordendosi un labbro.
Un improvviso scalpiccio familiare attirò la sua attenzione, attratta da un gruppo di cavalieri neri che traversò la piazza e sparì per le buie strade della cittadella, presieduto da un unico cavaliere col mantello blu e bianco. Hellionor riconobbe quella come l’uniforme in borghese del generale Fabien, l’uomo che con la sua ostinazione l’aveva esortata a “tornare” a castello, nel quale, per la cronaca, la ragazza non era mai stata.
Forse lo stanno ancora cercando…pensò subito dopo la giovane Freeland, ricordandosi che il suo carissimo amico e compagno di studi era là fuori al freddo, braccato come un animale dai soldati di Etienne de Sancerre.
Ma io cosa ci faccio qui?! Si chiese ancor più sconsolata e, a furia di mordersi il labbro inferiore coi denti, si ferì quest’ultimo a sangue. Era agitata in una maniera spaventosa. Quello che era successo e che sarebbe ancora dovuto succedere la turbava nel profondo, innervosendo anche la parte di lei sempre stata pacata, tranquilla, rigorosa, sia a scuola che con gli amici.
Sconsolata, la ragazza mosse due passi indietro. Trovando dietro di sé l’ostacolo di una sedia imbottita, vi si accomodò su un bracciolo di questa. Si posò le mani in grembo e si accorse di avere la propria immagine riflessa a meno di un metro alla sua destra. Lo specchio dell’antico “salone di bellezza” sembrava prendersi gioco di lei, deridendola ora che la ragazza, guardandosi, riusciva a scorgere quanto i segni della disperazione fossero ben visibili anche sul suo viso, oltre che nel profondo della propria anima quieta.
Sembro un fantasma… se la mamma mi vedesse ora…sospirò, ah, la mamma… Singhiozzò, costretta ad asciugarsi una lacrima.
Poco dopo già piangeva come una fontana, non riuscendo a trattenersi oltre o modellare il tono del pianto sempre più acuto. Quando qualcuno si accorse in che razza di condizioni era, probabilmente era trascorsa un’oretta buona, durante la quale Hellionor era rimasta seduta sul bracciolo della sedia ad asciugarsi lacrima dopo lacrima con la manica della veste da notte.
Sentì bussare alla porta, ma nonostante nella stanza si fosse presentata una bambina alta poco più di un metro con un volpe di pezza tra le braccia, Hellionor non riuscì a smettere di singhiozzare.
-Eleonore- mormorò la bimba con pesante accento francese e stropicciandosi un occhio. Aveva corti boccoli castani e un faccino tondo punteggiato di lentiggini. La stazza era quella di un piccolo nano dei boschi e indosso aveva un pigiamino rosa ricamato d’azzurro.
La Freeland scattò in piedi e guardò la neonata ferma sull’ingresso, arrossendo, vergognandosi di essere in quello stato di fronte a chi (probabilmente come altri prima di lei) l’aveva scambiata per qualcun altro.
-Eleonore, pourquoi pleures-tu? (1.)- domandò gracilmente.
La ragazza rabbrividì. Sta parlando con me… ma cos’ha detto?!
Sforzandosi di mettere insieme una frase sensata, con quel poco di francese delle lezioni di Daniel che ricordava, Hellionor ingoiò il groppo in gola e si rivolse allo scricciolo con poche e semplici paroline.
-Je vais bien, vous allez coucher-toi (2.)-.
La bimba non rispose, piuttosto le venne incontro zampettando inferma sulle gambine e, una volta che le fu abbastanza vicino, si gettò ad abbracciarla senza preavviso.
Hellionor sgranò gli occhi, non abituata ad una simile manifestazione d’affetto da una così piccola bimba, per di più del tutto estranea. Ma poi, ricordando che là dentro (dovunque si trovasse) qualcuno aveva preso l’antipatica briga di scambiarla per qualcun altro, Hellionor si costrinse a prendere parte a quel gioco di marionette del quale non sapeva esattamente perché facesse parte.
Carezzò i boccoli della bambina che, dopo qualche istante, si staccò da lei e volò all’ingresso della stanza, trascinandosi dietro la volpe di pezza. -Bonne nuit, soeur (3.)- salutò prima di voltarsi e sparire come un fantasma.
Appena ebbe la certezza che si fosse allontana abbastanza, Hellionor andò ad affacciarsi in corridoio attraverso lo spiraglio di porta che la bambina aveva lasciato aperta. Guardò di qua e di là, impaurendosi di fronte allo spettrale silenzio che regnava nel torrione. Le scale per i piani superiori erano a pochi passi da lei, di fronte al suo naso, mentre per scendere avrebbe dovuto percorrere la circonferenza della torre e raggiungere la rampa di scale che andavano nella direzione opposta.
Devo trovare quell’idiota e insieme andarcene da qui!… pensò Hellionor, ma quando mise un piede fuori dalla sua stanza, scorse con la coda dell’occhio un leggero barlume arancio venire dal fondo del corridoio. Comprese al volo che si trattava di una torcia e, come un fulmine, volò di nuovo sotto le coperte, dimenticandosi però di chiudere la porta.
Ben presto due toni differenti di voce maschile che sussurravano fra loro si delinearono nelle sue orecchie, fin quando le due guardie non attraversarono quel tratto del corridoio.
-Attendez- eruppe uno all’improvviso.
Hellionor chiuse gli occhi e serrò la mascella, tesa come un filo di spago tra le lenzuola.
Uno dei due soldati, quello con le mani libere, si avvicinò alla porta aperta della sua stanza e la richiuse poco dopo, proseguendo la pattuglia assieme al compagno.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo e liberazione, avvertendo il sangue ricominciare ad essere pompato dal cuore con ritmo regolare nelle vene. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra, attraverso il piccolo spazietto tra le tende formatosi quando ne aveva scostato un lembo. Il cielo stellato che si apriva sopra Séour cominciava a stemperarsi all’orizzonte, segno di un’alba ormai prossima.
L’ultimo ricordo che ebbe di quella notte trascorsa insonne, nel costante terrore di un luogo e un tempo che non le apparteneva, Hellionor vide la chiara immagine di suo padre apparirle davanti alle palpebre abbassate. Il vero ed unico cavaliere che sarebbe accorso a salvarla.

Ian sgranò gli occhi.
-Etienne, FERMO!- strillò prima che questi potesse infierire sul giovane ragazzo inginocchiato di fronte al feudatario.
Sancerre si voltò verso l’amico col palmo della mano ancora alzato, pronto a scoccare un violento schiaffo sulla guancia del ragazzo, che due guardie tenevano imprigionato per i gomiti (come se le catene ai piedi e ai polsi non bastassero). Lui ed Etienne erano all’interno di una cella sorvegliata da tre uomini in divisa. Le grate erano state aperte per permettere al sovrano di far visita al prigioniero, mentre tutt’attorno regnava un silenzio tombale, fatta eccezione per il pianto isterico del fanciullo in veste da soldato di Séour.
Ian precedette il carceriere che l’aveva scortato fin lì e si affiancò al Compagno d’Arme.
-Jean, era ora, per Dio!- esultò Etienne scoccandogli un’occhiata furibonda. –Perché ti ci è voluto tanto, si può sapere?!-.
-Mi ci è voluto il tempo che mi ci è voluto, Etienne- proruppe severo. –Ora dimmi che cosa diavolo sta succedendo!-.
Il francese mosse un passo indietro, lasciando al centro della stanza il ragazzo e le due guardie che lo tenevano per i gomiti. –I miei uomini hanno inseguito e catturato costui che credevano si trattasse di Stephèn, l’uomo che, guarda caso, da quando Eleonore è scomparsa, è scomparso anche lui- spiegò Etienne senza mezzi termini.
Il Falco d’Argento volse un secondo sguardo al ragazzo inginocchiato dinnanzi a lui e rabbrividì. Un altro innocente sulla coscienza non ce lo voglio, grazie! Si disse ricordando prima Ty Hamilton, poi se stesso nelle stesse condizioni.
I luridi capelli sudati gli cadevano davanti al volto; il ragazzo, privato della propria forza di ribellione al cospetto di un così importante Feudatario di Francia che gli aveva aizzato contro tutti i cavalieri della città, cominciò a suscitargli una pena senza precedenti. Se non avesse colto fin da subito tutto quel sudore, Ian avrebbe detto che stesse tremando di freddo. Probabilmente un alto numero di guardie armate lo mettevano parecchio a disagio, soprattutto se si trattava di un ragazzino piombato nel XIII secolo dal giorno alla notte. Singhiozzava, anche, balbettando quando poteva povere parole in un inglese azzardato, data la situazione in cui si trovava.
-Please,- diceva, -I’ve done nothing… nothing… please… God save me (4.)-.
Ian cominciò a temere il peggio. Hellionor non era sola…
-Perché lo volevi schiaffeggiare? Cos’ha detto? Cosa pensi che abbia fatto?!- ruggì ad Etienne, ancor più infastidito dal fatto che il suo amico osasse sfogare su un povero innocente la collera accumulata.
-Guarda che me lo ricordo anch’io!- eruppe questi in risposta. –Sulla strada, ‘sta mattina, era con la ragazza! E come seconda cosa, è inglese!-.
-Non vuol dire che faccia parte della storia, Etienne, lascialo andare!-.
Il dibattito tra i due cadetti stava prendendo una brutta piega.
-Non finché non avrà confessato cosa ha da nascondere e perché un inglese indossa la divisa dei miei uomini!- lo minacciò punzecchiandolo con l’indice.
Ian inizialmente si tirò indietro, troppo sconcertato per quello che stava succedendo. Dovunque si voltasse c’era qualcuno o qualcosa a ricordargli i terribili giorni, ma che, i terribili anni trascorsi nella menzogna. Ed ora quella menzogna tornava a galla, come un pezzo di sterco sulla cresta dell’onda, che puntava dritto verso la sua spiaggia.
Etienne ha ragione se pensa che questo ragazzo, probabilmente un amichetto di Hellionor, sia fuggito per nascondersi alle guardie avendo qualcosa da nascondere. Non posso negargli i diritti che come sovrano esercita sul suo popolo. Ma non posso neanche restare a guardare…
Ian si passò una mano in fronte, sempre più agitato. Ora era lui che cominciava a sudare freddo, sentendosi cuocere tra due fuochi ardenti: da una parte la collera di Etienne, costantemente sulla sua spalla a ricordargli a mo’ di coscienza quanto fosse importante continuare ad imboccare bugie all’uomo che era e che chiedeva la verità; dall’altra il terrore di rovinare l’adolescenza e il resto della vita ad una povera anima bianca.
Improvvisamente, sotto gli occhi carichi di sospetto di Etienne, Ian sembrò giungere ad una conclusione. Si voltò verso l’amico e, senza badare allo sguardo pieno di speranza del ragazzo inginocchiato a terra, strinse la spalla al compagno d’Arme, aggiungendo queste parole:
-Etienne, sei troppo coinvolto per poter prendere delle decisioni politiche, finiresti per tagliare la testa ad un povero innocente. Se si tratta di un traditore o qualche inglese in cerca di guai, lascia che me ne occupi io. Tu va’ a riposare, torna da Donna-.
Etienne sgranò gli occhi, scettico di sentir venire simili sciocchezze da quel becco di falco. –Tu pretendi di poterti sostituire a me?- chiese in un filo di voce, tagliente come un rasoio. –Starai scherzando, spero! Io non mi muovo da qui! C’è la vita di mia figlia, in ballo, e farò tutto il possibile per partecipare attivamente anche al più piccolo gesto affinché Eleonore torni tra le mie braccia!-.
Pronunciato quel nome (Eleonore) il ragazzo inginocchiato ai piedi dei due cadetti tirò su la testa d’un tratto, guardando prima uno poi l’altro. –Hellionor?! Sirs, you know where Hellionor is, don’t you?!- domandò sconcertato.
Ian gli diede un calcetto per farlo azzittire, prima che gli salissero in gola altre frasi poco compromettenti data la sua posizione.
Etienne, fortunatamente, lo ignorò, continuando a rivolgersi ad Ian con tono d’accusa.
-Pensi che non sia in grado di assumermi le mie responsabilità?! Ho cresciuto tre figlie, amministrato terre cinque volte più vaste delle tue, tenuto a bada sovrani egoisti e combattuto più delle guerre che sogni! Vorrei ricordarti che mentre tu eri chiuso in una cella di api con la toga e il rosario al collo, io accanto a mio padre decimavo quei maledetti barbari!- strillò indicando il ragazzo, alludendo alla razza anglosassone.
La lingua tagliente di Etienne fece sbiancare il viso del giovane suddito e dei suoi uomini. Solo Ian riuscì a mantenere una certa dignità, la testa alta e gli occhi dritti in quelli del Compagno d’Arme.
-Non importa quante teste inglesi tu abbia tagliato in battaglia, Etienne, quei tempi sono finiti e dovresti saperlo- sottolineò crudamente il Falco d’Argento. –È vero, non posso negarti anche questo: mentre io imparavo il latino e cantavo a Dio in un convento, tu eri là fuori ad affrontare il mondo sin dalla culla. Non sto mettendo in dubbio le tue capacità di sovrano, ti sto solo chiedendo di comprendere che hai bisogno di metterti un attimo da parte, svuotare la mente, e magari, solo dopo che avrai fatto tutto questo, tornare qui e prendere decisioni in merito- spiegò con fermezza.
Etienne gonfiò il petto e sollevò le spalle, incutendo ancor più terrore nel ragazzo inginocchiato ai suoi piedi. Questi, in attesa d un verdetto ora che attorno a lui si era fatto un improvviso silenzio, fu travolto da una medesima ondata di brividi, mentre gli occhi gli si gonfiavano nuovamente di lacrime.
Etienne, in fine, vinto da un soffuso sentimento di pietà e debolezza, giunse alla ragione con un sospiro liberatorio.
-Le volevo bene…- mormorò Sancerre, -ma non abbastanza per proteggerla da questo-.
Ian tornò a stringergli la spalla con tocco fraterno. –La troveremo,- disse, -ma ora va’ a riposare. Lascia stare il convoglio, posa le armi, non partire; sai che non ce n’è bisogno, e consola tua moglie. È questo che altri non possono fare per te-.
Etienne gli sorrise riconoscente. –Grazie, amico mio-.
Il Falco lo guardò uscire dalla cella e allontanarsi nel corridoio delle prigioni, seguito da due dei tre uomini rimasti a fare la guardia, portando con sé il tenue chiarore di una fiaccola.
Quando fu certo che Sancerre fosse abbastanza lontano, Ian si rivolse ai soldati che inchiodavano il fanciullo a terra e, congedandoli, ordinò loro di lasciare che di quello se ne occupassero solo le catene. Chiese inoltre di restare solo col prigioniero. I due uomini fecero una faccia dubbiosa, ma tennero fede all’ordine e affidarono ad Ian l’ultima fiaccola, quella portata dal carceriere, mente anch’egli abbandonava la cella per tornare alla sua solita e povera mansione.
Finalmente il Falco d’Argento fu faccia a faccia col giovane americano, che in tutti i lunghi minuti seguenti non osò sollevare gli occhi da terra, conferendo a se stesso un’aria ancor più sudicia e malandata.
Chissà dove l’hanno pescato… si chiese Ian che colse alcuni residui di fango e paglia sulla divisa di Séour che indossava. È il minimo che Etienne non fosse arrabbiato anche per questo. Certi tessuti costano una cifra, e pulirli richiede una certa dimestichezza. Non a caso ciascun cavaliere tiene molto al proprio usbergo, lavandolo e lucidandolo di persona, se non si è in possesso di un fedelissimo scudiero, ma la stessa cosa vale per i soldati, gli arcieri, e così via…
Ian avanzò di un passo, e come una molla il ragazzo strisciò indietro sulle ginocchia, accompagnato dal tintinnio delle catene. –Vi prego, signore, lasciatemi andare, non ho fatto nulla, sono innocente- mugolò in un inglese che non poteva dirsi tale, per quanto si sentiva (a chi sapeva riconoscerlo) l’uso dell’accento americano.
Ian si costrinse ad assumere ugualmente un atteggiamento autoritario, o tutta la sua messa in scena sarebbe stata inutile. Andò incontro al ragazzo e lo afferrò prima per i capelli, per fargli sollevare la testa e poi, avendo a portata di sguardo i suoi occhi rigati dal terrore, lo prese per la collottola dei vestiti. Successivamente Ian lo alzò da terra e lo sbatté con le spalle al muro, suscitandogli un’inquietudine fuori da ogni schema e nuovi tremori.
-Ascoltami bene, razza di bastardo!- gli ringhiò contro nella lingua che avrebbe capito, tenendogli imprigionato il mento con una mano. –I casi sono due: o sei una maledettissima spia inglese a discapito di una nuova guerra perché i tuoi signori ubriaconi cercano vendetta, oppure hai rapito e nascosto Eleonore de Sancerre e ti fingi innocente! In entrambi i casi, puoi star certo che torni alla patria senza testa e sgozzato peggio di un maiale!-.
Il ragazzo gemé ricominciando a piangere come un bambino.
-Allora?! Sputa il rospo!- insisté Ian, con più rabbia in faccia di quanta ne aveva Sancerre qualche minuto prima.
Strillando in modo a dir poco agonizzante, il ragazzo insisteva col dire che era innocente. Inoltre, in un attimo di follia, ebbe pure la spigliatezza di chiedere un avvocato.
Ian gli diede un nuovo scossone, sbattendolo un’altra volta al muro. –Mi avete stufato, te e i tuoi amichetti inglesi sempre a predicare stupidaggini! Ringrazia piuttosto il Dio in cui credi, ragazzo, perché ti concederò cinque minuti per decidere cosa farne della tua vita, se dirmi la verità o meno! Dopodiché, sarai ciccia per lupi ed io non avrò più a che fare né con te, né con la tua gente!- lo ammonì.
Il fanciullo tacque.
-Sono stato chiaro?!- strillò Ian.
Quello annuì trenta volte in mezzo secondo.
Lasciandolo scivolare con la schiena lungo la parete, Ian indietreggiò di un passo. –Bene- disse avviandosi fuori dalla cella. Richiuse la grata a chiave e, battendo i piedi sul pavimento di pietra, finse di camminare lungo il corridoio per parecchi metri.
Sarò stato abbastanza convincente? si chiese voltandosi e guardando indietro.
Il piano del Falco d’Argento era molto semplice.
Effettivamente le possibilità erano due: o Hyperversum aveva portato i giocatori nella reale dimensione della storia, oppure Hyperversum aveva intrappolato i giocatori nella reale dimensione della storia.
In entrambi i casi, Hellionor Freeland e un suo anonimo amichetto di scuola avevano deciso di farsi un’innocua partitella al videogame, non immaginando cosa sarebbe potuto succedere loro nel qual caso si fossero imbattuti nel Falco d’Argento. Una cosa era certa: se il gioco era ancora funzionante, le minacce inferte da Ian al ragazzo gli avrebbero dato un ottimo motivo per chiamare l’icona di Hyperversum e darsela a gambe nel giro di pochi secondi, senza pensarci due volte.
Infondo era stata Donna ad ipotizzare che Hyperversum funzionasse ma che Hellionor non avesse ancora avuto occasione di accedere all’icona senza essere vista. Mentre Ian, dal canto suo, sosteneva il contrario, ovvero l’ipotesi più plausibile che meno gli andava a genio.
Se Ian fosse tornato a controllare la cella e non vi avesse trovato nessuno, sarebbe stata la fine della più grande bugia degli ultimi 20 anni, ma anche l’inizio di una piccola svista che avrebbe mandato Etienne su tutte le furie (di nuovo).
Al cadetto Ponthieu non restava che aspettare. Aspettare un intenso bagliore verdastro provenire alle sue spalle che, ahimé, non venne.
-No... ti prego! No!-gemé il prigioniero. –Stupido di gioco! Perché non funzioni!-.
Quanto odio avere ragione… sospirò il Falco d’Argento tornando sui suoi passi, all’insegna di una nuova e rischiosa avventura medievale.





(1. )« Eleonore, pourquoi pleures-tu? » - « Eleonore, perché piangi ? »
(2.) « Je vais bien, vous allez coucher-to » - « Io sto bene, voi andate a dormire. »
(3.) « Bonne nuit, soeur (3.) » - « Buona notte, sorella »
(4.) « Please, I’ve done nothing… nothing… God save me… » - « Per favore, io non ho fatto nulla… nulla… che Dio mi salvi… »
(5.) « Hellionor?! Sirs, you know where Hellionor is, don’t you?!» - « Hellionor ?! Signori, voi sapete dov’è Hellionor, non è così?!. »








Angolo d’Autrice:
Sono tornata! XD
Eh, sì, per chi non ci credeva (me compresa) l’ispirazione mi è tornata e ho finito di scrivere questo capitolo giusto due minuti fa, il tempo di scrivere questo angioletto d’autrice e dei ringraziamenti addizionatelo voi! XD Fatto sta che ci ho impiegato quasi un mese a ritrovare la mia musa per questa storia, e devo dire che mi sento molto soddisfatta di quello che ho scritto, dal primo all’ultimo rigo.
La bambina che entra nella stanza di Eleonore e scambia Hellionor per sua sorella, tengo a precisarlo, è Alix, l'ultima genita di Etienne e Donna ^^
Perdonate eventuali errori di distrazione (come al solito) ma non ho proprio voglia di rileggere una terza volta (eh sì, gli errori mi scappano anche alla quarta lettura! XD).
Grazie a Nymphy Lupin (anche per me è stata una gioia immensa trovare su EPF la sezione Hyperversum a lettura conclusa! ^^ ) e _TattaFede_ (mannaggia alla squola!!!) per le recensioni al capitolo precedente, sperando che anche questo vi sia piaciuto.
Detto ciò, non mi resta altro che darvi appuntamento al prossimo capitolo! ^^
A presto! ^O^
caltaccia :3

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Capitolo 11
*** Spiccicare il francese ***



Qualcuno era entrato nella sua stanza dimenticando aperta la finestra.
Hellionor se ne accorse a sue spese quando una folata di venticello primaverile s’insinuò tra le lenzuola e le fece venire la pelle d’oca alle gambe. La ragazza rabbrividì e strizzò gli occhi con una smorfia, dovendosi abituare così in fretta anche alla luce del mattino.
-Bonjour, mademoiselle!-.
Hellionor si riscosse sotto le coperte e balzò sul letto per lo spavento.
La proprietaria di quella voce squillante era un donnina bassa e tozza, che probabilmente non superava più del metro e cinquanta, pesava ottanta chili e somigliava troppo, ma troppo alle nane femmine delle fiabe! Aveva lunghi capelli biondi a piccoli riccetti rilegati in una treccia che le ciondolava dietro la schiena mentre camminava. Si spostava da una parte all’altra della stanza sistemando alcuni vestiti nell’armadio e ripiegando le coperte più pesanti, che avevano tenuto al caldo la principessa durante quella notte. Se si stava occupando di quel genere di faccende, Hellionor comprese che si trattava di una serva (non troppo) comune.
-Je suis heureuse de constater que vous avez vous bien récupéré par les désastres de la nuit dernière, Eléonore. Stephèn va payer cher cet affront à la couronne de l'homme qui l'a protégé comme un fils. Vous devriez voir la façon dont votre père est en colère! Et votre mère, madame Donna, est un miracle que elle respire encore! (1.)- esultò la nana sbattendo un lenzuolo fuori dalla finestra. -J'espère donc que, aujourd'hui, vous devrez aussi avoir une bonne course. Votre père et monsieur de Pothieu veux vous dire un mot, Eléonore, et l'affaire semble sérieuse. Pour l'instant je serais heureux de te voir faire un bon petit déjeuner en compagnie de vos sœurs et votre mère. Ils attendent vous dans le salon et j'ai la tâche de escorter vous là avec une bonne odeur et l'air présentable! (2.)- concluse venendole incontro sul bordo del letto.
Hellionor, che non aveva capitolo una sola parola di quella stretta e frettolosa parlantina francese, tacque ammutolita, quando gli occhietti scuri e porcini della nana si posarono su di lei e indugiarono sulla sua figura, la Freeland cominciò a temere il peggio.
-Sainte-Catherine et la Vierge!- gridò ad un tratto la serva balzando sul posto. -Vous n'êtes pas Éléonore de Sancerre!- strillò in preda alla collera.
Quest’ultima parte l’ho capita… ammise Hellionor con una smorfia. Contemporaneamente, dalle labbra tirate e i genti stretti, le sfuggì un mugolio idiota e imbarazzante.
-Gardes! Gardes!- la serva voltò i tacchi e si avviò in una corsetta buffa fuori dalla stanza. I suoi passi si estinsero pochi metri dopo nel corridoio, quando Hellionor, attraverso uno spiraglio della porta, riuscì ad intravedere una figura femminile che prendeva la nana sotto braccio. Era madame Donna, la padrona di casa, che trascinò con sé la serva giù per le scale mormorandole qualcosa di inudibile da quella distanza. La nana continuava a ripetere il nome di Eleonore e agitava le braccia, gesticolando in modo a dir poco femminile. Le due scomparvero sulla tromba delle scale.
Hellionor si concesso un lungo istante di immobilità e spettrale silenzio, durante il quale non accese un muscolo e trattenne il respiro.
Quella che le era passata davanti agli occhi le era sembrata una scena di qualche assurdo film ricco di un’insolita comicità. La scenetta esilarante di uno sketch da cabaret, una commedia o una soap-opera francese! La ragazza era davvero senza parole in bocca, con la gola secca e lo stomaco sotto sopra. Già il fatto che in quel mondo si parlasse tutt’altro che la sua lingua la metteva fortemente a disagio. Se in più doveva svegliarsi di prima mattina con nani logorroici a girarle per la stanza, avrebbe cominciato a considerare quel posto un vero e proprio manicomio!
Hellionor si strinse le ginocchia al petto nascondendo le gambe col tessuto del lungo camice di seta bianca da notte. Si appoggiò allo schienale del letto a baldacchino e restò in quella posa un tempo infinito che le parve un’eternità.
Non sapeva né cosa fare, né cosa dire, né a cosa pensare!
Dovunque fosse, non era sul suo pianeta! Gli Alieni dovevano averla rapita nel sonno assieme a Gabriel e portata indietro nel tempo con chissà quale assurdo marchingegno in loro possesso.
La ragazza si premette le tempie con insofferenza crescente. Se avesse avuto una pistola avrebbe preferito spararsi: era senza dubbio molto meglio farla finita e vedere di che razza di sogno si trattava, piuttosto che continuare quella farsa da circo.
I suoi tumultuosi pensieri vennero interrotti da un cauto bussare due colpi alla porta della sua stanza.
La ragazza si strinse ancor più a sé stessa e guardò l’ingresso della camera, scorgendo una familiare figura maschile ferma sotto l’uscio ad attendere, probabilmente, il permesso di varcare la soglia.
Hellionor tirò troppo allungo la corda della pazienza di Jean Marc de Ponthieu, che si vide costretto ad entrare nelle stanze di Eleonore de Sancerre senza aver ricevuto il consenso: per via del semplice fatto che, Hellionor Freeland, aveva le labbra cucite dall’imbarazzo.
Il Falco del Re si richiuse la porta alle spalle con delicatezza e attese svariati istanti, assieme a lei, in quel tormentato silenzio.
Hellionor lo guardò allungo con occhi di ghiaccio: scrutò nei dettagli ogni suo singolo movimento, squadrandolo da capo a piedi più volte, se necessario. La fluente chioma scura era ordinatamente raccolta in una coda di cavallo che cadeva tra le sue scapole. Indossava abiti sobri, come qualsiasi importante Feudatario vestirebbe nella Santa Domenica. Al fianco presenziava una fedele spada corta per nulla ingombrante. Al collo, Hellionor lo vide bene, gli pendeva, intrecciato ad una catenella, l’anello del casato dei Ponthieu. Il volto allungato, dal mento pronunciato, gli occhi grandi e azzurri e la fronte ampia, gli conferivano l’aspetto regale, o meglio dire, leggendario che veniva descritto nei libri di storia.
L’accenno a Jean Marc de Ponthieu durante le lezioni della sua professoressa del liceo era stato minimo ed essenziale, come per tutti i cavalieri francesi di quell’epoca. Avendo studiato unicamente la battaglia di Bouvines a riassunti e la corte francese in modo generico e schematico, Hellionor era stata costretta, dal programma poco dettagliato e dal suo somaro compagno di sventure, a ridurre il suo interesse per la Francia. Ogni tanto era suo padre, Daniel Freeland, a farle qualche accenno più approfondito sulle gloriose battaglie del Falco d’Argento, con particolare riguardo al periodo più tormentoso della sua vita, ovvero l’ascesa al trono di famiglia come Conte de Ponthieu.
Ora, l’Jean Marc della storia francese era una statua di marmo vicino all’ingresso della sua camera e, come lei, attendeva una sua qualsiasi reazione che gli desse il vero e proprio consenso alla parola.
Hellionor tremò: il suo sguardo intenso e carico di rammarico la metteva ancor più in soggezione di quanto ne fosse stata capace la nana. Nonostante questi timori, la ragazza trovò espressivamente la forza di mostrare un mezzo sorriso di riconoscenza nei confronti dell’uomo che l’aveva salvata dalla strada.
-Il tuo nome sarà davvero Eleonore come dici, ma io non credo che tu sia la ragazza che tutti qui pensano di aver trovato-.
Hellionor sobbalzò.
Jean Marc si rivolgeva a lei con inglese perfetto, forse un po’ decadente in fatto di accento, ma comunque grammaticalmente impeccabile come quello di inglesino di Oxford. Inoltre, c’era da considerare il fatto che Jean sembrava averla riconosciuta, in realtà, come la persona sbagliata che non avrebbe dovuto dormire tra quelle lenzuola. Nel momento in cui la ragazza sgranò gli occhi per lo scetticismo, il Falco del Re sorrise più caldamente. –Quando ti ho vista ho pensato subito che fossi straniera assieme a quel tuo amichetto in divisa. Devi sapere che il signore di queste terre, Etienne de Sancerre, non ama molto quelli come voi- spiegò senza mezzi termini, ed Hellionor capiva alla perfezione almeno quella parte del contesto nel quale era stata catapultata senza preavviso. –Il mio nome è Jean Marc de Ponthieu, signore di Châtel-Argent e Falco della Corona. Sicuramente avrai sentito parlare molto di me nelle terre da cui vieni-.
Hellionor scosse la testa, mentendo, ovviamente, ma non seppe subito perché aveva scelto di dire una bugia. Forse andare a raccontare ad un ricco signore di Francia che un videogioco rovina-pomeriggio-studio l’aveva teletrasportata nel medioevo non era una mossa troppo saggia da fare, ma almeno mentire per quanto riguardasse le sue conoscenze storiche le era permesso. Si sarebbe mostrata più acculturata di quanto sembrasse e più preparata a combattere le avversità di quel tempo, se era realmente vero che si trovava nel medioevo.
Nuovamente di fronte a quella realtà, Hellionor si sentì vorticare la testa.
-Egli è anche un mio carissimo amico- continuò Jean andando verso la finestra. –Io, Etienne e monsieur de Granpré siamo tutto ciò che resta della nostra Compagnia. Il giorno in cui abbiamo combattuto assieme in battaglia, abbiamo giurato sul nostro sangue di essere sempre uniti nel bene e nel male, nelle vittorie e nelle sconfitte, nella buona e nella cattiva sorte-.
Detto così sembra che si sono presi a matrimonio! Hellionor tacque compiaciuta da quel pensiero. Da come ne parlava, il Falco sembrava andare molto fiero del suo passato.
Jean lanciò un’occhiata all’esterno e spaziò allungo con lo sguardo sulla cittadella di Séour che era già nella piena attività dei mercati e delle strade caotiche. –In questi lunghi anni di pace le nostre contee hanno prosperato indisturbate, mentre Luigi IX concentra le sue Guerre sui confini Tedeschi e quelli spagnoli, sempre alla ricerca di qualche pezzo antico per la sua collezione privata- ridacchiò con allegria.
Hellionor sorrise.
-Ma il verde di questi prati nasconde infidi paludi salmastre, pozzi oscuri preservatori dell’avidità umana e servi dell’anarchia. Il rapimento di Eleonore de Sancerre non solo ha distrutto il cuore del mio carissimo amico, abbattendo a catena anche il mio e quello di monsieur Henri, ma ha sparso i semi di una nuova temibile rivolta-.
Mio Dio… i libri di storia non parlano di un’altra guerra interna! Luigi IX, come hai detto, concentra le forze militari altrove e la Francia vive in pace! Non può essere… non ci credo! Hellionor avvertì un brivido gelido risalirle lungo la spina dorsale. Ma io ci sono dentro fino al collo lo stesso…
-Il tuo ruolo in tutto ciò è molto semplice- disse ad un tratto con grande sorpresa della ragazza.
Jean si allontanò dalla finestra e andò a sedersi sulla poltroncina accanto al letto.
Mio… ruolo? Hellionor ingoiò il groppo in gola a fatica. Allora si tratta davvero di un gioco? Allora siamo ancora nel gioco!
-Come ti ho detto, la figlia di Etienne è stata rapita. I suoi sequestratori hanno lasciato un messaggio nel quale obbligano Sancerre e tutto il suo casato a non rendere pubblica la notizia, o la ragazza farà una brutta fine. Siccome né io né lui vogliamo che accada qualcosa di male alla principessa Eleonore, tu dovrai fingere per noi di prendere il suo posto, almeno finché qualcuno non riporta a casa quella vera-.
Hellionor avrebbe voluto chiedergli ulteriori spiegazioni, ma il Falco del Re la fece tacere con un gesto della mano prima che potesse proferire parola.
-Non ci resta molto tempo. Tra poco da quella porta entreranno le ancelle private di Eleonore de Sancerre che ti aiuteranno a vestirti. Dovrai comportarti con loro col massimo distacco, poiché molte delle persone che ti circondano non sono state informate su chi sei realmente. La verità è custodita solo dagli amici e i parenti più stretti, ma soprattutto da chiunque sarebbe stato in grado di notare l’impercettibile differenza che vi contraddistingue-.
-Ovvero?- domandò Hellionor, aprendo bocca per la prima volta.
Jean sorrise colpito. –Il colore degli occhi- disse. –Eleonore li ha marroni. Tu li hai verdi come tuo…- s’interruppe di colpo.
La ragazza aggottò le sopracciglia, curiosa di sapere che razza di complimento stava venendo dal becco del Falco.
Jean tornò in piedi e andò verso l’ingresso della stanza, aprì la porta e fece per uscire, con un improvviso alone di malinconia stampato sul viso.
-Aspettate!- lo chiamò Hellionor, balzando giù dal letto e gli andò incontro camminando scalza sul pavimento.
Jean si voltò poco prima di afferrare la maniglia della porta.
-Non spiccico una parola di francese! Come farò a rivolgermi alle ancelle o a chiunque mi domanda qualcosa?- domandò terribilmente in ansia.
Jean, che per la sua altezza impressionante la guardava con un certo distacco da una certa altitudine, marcò oltremodo le rughe della fronte.
Spiccico… voce del verbo spiccicare, modo indicativo tempo presente, credo non esita un termine simile in quest’epoca! Dannazione! Hellionor si portò una mano davanti alla bocca, mordendosi la lingua. Devo fare attenzione, e che cavolo!
Jean alzò gli occhi al cielo, sospirando. -Eleonore, la vera Eleonore, non era una ragazza molto loquace e spigliata- la documentò Jean. –Tendeva spesso al silenzio e se ne preferiva stare per i fatti suoi chiusa nella sua stanza. Finché starai in mia compagnia, cercherò di farti rivolgere il meno domande possibili, ma nel caso io non sia presente, annuisci, nega, ma non aprire bocca. Potresti seriamente compromettere la situazione-.
Hellionor si sentì pienamente offesa da quelle parole. Non solo Jean sosteneva che parlasse un pessimo francese, ma si rifiutava persino di farla apparire come una persona pensante, piuttosto che annuire e negare come fanno i mongoloidi.
La ragazza dovette ugualmente piegarsi a quella condizione. Non c’era motivo di opporsi e non ce ne sarebbe stato in futuro.
Prima che Jean le voltasse nuovamente le spalle, Hellionor si costrinse a catturare ancora la sua attenzione.
-Monsieur, vi ricordate il ragazzo che era con me quella mattina in strada?- chiese.
Jean irrigidì il collo e lasciò correre lo sguardo ben oltre la ragazza che gli stava di fronte. –Sì, mi ricordo. Cosa vuoi sapere, di preciso?-.
-Dove si trova, se sta bene, e se le guardie del vostro amico l’hanno arrestato. Sembravano piuttosto arrabbiare quando l’hanno beccato in strada-.
Jean inarcò un sopracciglio.
Beccato! BECCATO! Dannazione, di nuovo, di nuovo !
-Se è così che si parla nella tua terra di barbari, vedi di fare più attenzione a quando ti rivolgi a qualcuno- la riprese con voce profonda.
-Sì, signore, mi perdoni-.
-Il tuo amico sta bene. Ha trascorso una notte tranquilla nelle prigioni del torrione, non temere per lui-.
Una notte tranquilla nelle squallide prigioni medievali di un vecchio torrione! Nooooo! Non temo affatto per lui! Il minimo sarà trovarlo impiccato ad una trave con la cintura dei pantaloni!
Jean notò al volo l’espressione crucciata della ragazza e le posò una mano sulla testa, con fare profondamente paterno. –Posso ripetertelo, se vuoi: sta bene, è vivo. L’unica cosa che non posso garantirti riguarda la sua salute mentale, che sarà nettamente inferiore di quando lo abbiamo trovato-.
Ah! Non dovreste farvi problemi su questo, signore! Poco sano di mente lo era già. Al massimo sarà più intelligente di prima, se è vero che gli opposti si toccano.
Jean de Ponthieu restava tutt’ora un completo sconosciuto, oltre che rinomato Conte di Francia. Che si permettesse di farle così affettuose carezze le infondeva la solita soggezione. Hellionor arrossì e quando se ne accorse, il Falco del Re lasciò subito la sua stanza, richiudendosi la porta alle spalle con un tonfo appena udibile.



(1.) « Sono felice di notare che vi siete ripresa bene dalle sciagure della scorsa notte, Eleonore. Stephèn pagherà caro questo affronto alla corona dell'uomo che lo ha protetto come un figlio. Dovreste vedere vostro padre come è arrabbiato! E vostra madre, la signora Donna, è un miracolo se respira ancora!»

(2.) « Dunque, spero che oggi abbiate ugualmente voglia di fare una bella passeggiata a cavallo. Vostro padre e monsieur de Pothieu desiderano scambiare due parole con voi, Eleonore, e la questione sembra seria. Per adesso sarei contenta di vedervi fare una buona colazione in compagnia delle vostre sorelle e vostra madre. Vi stanno aspettando nel salone ed io ho il compito di scortarvici con un buon profumo e un aspetto presentabile!»




Non so voi, ma io sto morendo dalla curiosità di leggere un vostro commento! XD L'ispirazione per questa storia sta salendo alle stelle! Speriamo bene! ^-^ A presto!

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Capitolo 12
*** Ariane ***


Qualcuno a curarsi del suo aspetto venne ugualmente.
Su commissione dell’Alta Corte, e come preannunciato da Jean de Ponthieu, quattro ancelle minute e discrete irruppero nella stanza poco dopo che il gran Conte era scomparso, e si sparpagliarono per la camera l’una ad effettuare preparativi per la loro signora senza badare minimamente al lavoro dell’altra.
Erano ragazze bellissime, notò Hellionor con un certo stupore. Non avevano l’aria delle povere servette squattrinate che spesso sono costrette a “servire” in modo particolare i padroni di casa. Erano molto differenti tra loro, ma rappresentavano per intero lo splendore e il benestare di tutte le classi sociali francesi, specialmente in quei secoli di pace. Nonostante il severo rispetto dovuto alla presenza di una principessa - che lavarono, vestirono e pettinarono in un lasso di tempo brevissimo - l’atteggiamento tranquillo e il sorriso solare facevano pensare a Biancaneve. Immaginare che quelle erano le originali compagne di ventura di Eléonore de Sancerre che, come tutte le dame di tutte le corti medievali, la storia proteggeva, le fece accapponare la pelle. Se da una parte cominciò ad apprezzare le condizioni nelle quali si trovava, dall’altra non riusciva a combattere un’angoscia costante. Non c’era qualcosa fuori posto che facesse ulteriormente pensare ad un malfunzionamento di Hyperversum o ad uno scenario creato del cervello umano sotto shock. Non poteva trattarsi di un sogno, tantomeno di realtà virtuale: era tutto troppo perfetto, troppo vero.
Mentre un’ancella le stringeva i lacci del corpetto sulla schiena, ad Hellionor mancò la terra sotto i piedi e per poco non crollò a terra svenuta di nuovo. La damigella se ne accorse e tese il collo per guardare l’immagine sua e della ragazza riflesse nello specchio che Hellionor aveva di fronte.
-Mademoiselle, vi sentite bene?- domandò in francese, ma la Freeland lesse nei suoi occhi smarriti il significato in lingua inglese.
Hellionor annuì timidamente stirandosi le pieghe del vestito quando la donna alle sue spalle ebbe finito di allacciarle il corpetto. Mentre la prima si allontanava, poco convinta di quella risposta, una seconda ancella prese ad acconciarle i capelli in una treccia, decorata di nastri rossi - lo stesso colore che il casato dei Sancerre sfoggiava con tanta fierezza – e come dettava la moda dell’epoca. Il tutto abbellito da un cerchietto bianco a strisce rosse, che serviva a tenere in ordine le ciocche sfuggenti che un tempo, Hellionor Freeland, portava a mo’ di frangia.
Non appena la principessa ebbe le scarpette basse ai piedi e la sopravveste primaverile addosso assieme all’abito bianco e rosso, tre delle quattro damigelle si misero in disparte commentando e parlottando fra loro.
Hellionor restò di spalle per quanto poté, sotto i riflettori di quelle tre pettegole che con molta probabilità avevano notato qualcosa di strano in lei. Sono fritta… pensò irrigidendosi. Ora andranno a raccontare la cosa al primo passante, e presto tutti a Séour sapranno chi sono! Anzi, chi non sono!
La quarta ed ultima damigella, la più anziana, solo dopo aver finito di ripiegare la veste da notte sotto il cuscino del letto rifatto, scacciò quelle tre comari battendo le mani intimando loro di smetterla e andarsene. Le ragazze abbandonarono la stanza all’istante, come tre topini che hanno appena visto un gatto con gli artigli piantati nel pavimento, pronto a spiccare un balzo e mangiarseli tutti in sol boccone. Quando furono scomparse nel corridoio e poi giù per le scale della torre, Hellionor vide la ragazza indugiare un istante sulla sua figura, squadrandola da capo a piedi e poi soffermandosi a fissarla negli occhi.
La Freeland si tese ancor più sulle zampe. Altro che gatto dal pelo rizzato… se ne avesse avuta la forza, sarebbe scappata urlando a gambe levate.
Gli occhi incredibilmente azzurri della ragazza - che non dimostrava più di una ventina d’anni - la congelarono sul posto. Il fisico asciutto, le forme proporzionate, il viso allungato, i capelli neri, lunghi fino alle spalle, un po’ mossi, e l’abito color fiore di granturco – blu chiaro – le infusero un certo imbarazzo che Hellionor non riuscì a dissimulare dietro il goffo gesto di voltarsi tutt’altra parte.
-Scusami se ti ho dato fastidio-.
Hellionor quasi sobbalzò per lo stupore di sentirsi rivolgere quelle parole nella sua lingua. Certo, la cadenza francese c’era, ma che quella damigella sapesse di doversi rivolgere a lei in inglese la turbava oltremodo.
-Je m’appelle Ariane- disse, questa volta nella sua lingua –e servo la famiglia della principessa da tempo sufficiente per capire che tu non lo sei-.
La voce era profonda, sapiente e nonostante la crudezza delle parole, Hellionor si sentì stranamente sollevata. Ariane non sembrava per nulla infastidita, arrabbiata o minimamente alterata. Il suo viso era una maschera di compostezza e comprensione che infusero in Eva la medesima calma.
All’inizio…
-Prima che tu salta alle conclusioni, i miei erano dubbi privati: non credevo del tutto alle voci che circolano nel palazzo, ma solo ora che ti ho di fronte mi rendo davvero conto di cosa sta succedendo-.
-Come sai che parlo inglese?-.
Era la domanda più sensata che le fosse venuta in mente.
Ariane sorrise debolmente. –Forse non avrei dovuto, ma ho origliato un po’ della conversazione tra te e le Faucon d’Argent-.
-E tu perché lo parli?- scambiando due chiacchiere amichevoli con quella ragazza, ad Hellionor piaceva pensare di potersi creare una prima valorosa alleata. Sopravvivere nella Francia medievale senza sapersi rivolgere ad altri era una battaglia che non voleva combattere da sola.
-I miei genitori hanno vissuto durante la guerra- cominciò Ariane senza staccare gli occhi dai suoi. -Mentre mio padre combatteva l’invasione anglosassone al fronte, mia madre perdeva tempo ad insegnarmi la vostra lingua piuttosto che la nostra. Di fatti, pochi mesi più tardi, la cittadella da cui vengo venne conquistata dagli inglesi e rimase nei loro domini molto allungo. Se sopravvissi lo devo a lei, mia madre, che si ammalò e morì poco tempo dopo. Di mio padre so per certo che spirò versando le sue ultime gocce di sangue sul campo di Bouvines. Ero solo una bambina quando madame Donna mi trovò sul ciglio della strada, rivisitando assieme al marito le terre liberate dall’invasione. Poiché non parlavo una parola di francese, mi ritengo ancora oggi fortunata: la pietà di quella donna mi ha salvata dalla prostituzione e il suo amore mi ha cresciuta come una figlia. Eléonore era per me una sorella. La sua scomparsa mi rattrista molto. Quando ho sentito dire che Fabien l’aveva riportata al castello, in me si è acceso un barlume di speranza, che però, adesso… è spento per sempre- quel racconto risvegliò sentimenti e dolori inimmaginabili in Ariane, che continuò a fissarla negli occhi traspirando la solita compostezza, come se l’appena pronunciato fosse semplicemente un copione da teatro e non la sua storia. La sua triste storia.
Quel minimo senso sentimentalista, occultato da un profondo senso del dovere, infastidì troppo l’Americana perché se ne stesse zitta al suo posto.
-Sei hai sentito bene, dovresti sapere che nessuno si sta dando per vinto qui! Il Falco ed Etienne ritroveranno Eléonore!- eruppe Hellionor d’un tratto, suscitando una reazione poco conveniente nella fanciulla. Forse non avrebbe dovuto essere così incisiva, impulsiva di fronte a chi sta soffrendo tanto, e questo Jean Marc glielo aveva anche suggerito.
Ariane aggrottò la fronte e la sua espressione si fece più dura. –Sei una povera illusa se pensi come tutti gli altri che qualsivoglia siano i mezzi e gli sforzi, la vera Eléonore tornerà tra noi. A te poi cosa importa, scusa? Chissà chi eri prima di trasformarti in una nobile principessa! Magari una povera contadina, o peggio ancora, figlia dello stesso poveraccio che pur di assicurarsi un radioso futuro per la parente, ha scelto di rapire la vera Eléonore e aspettare che ci finissi tu sul trono!-.
La Freeland tremò a quell’accusa, che sosteneva un’ipotesi plausibile e un inganno ben architettato.
-Perciò smettila di darti tanta pena per la nostra perdita e pensa a recitare bene la tua parte- disse avviandosi verso la porta –per quanto ne so, potresti essere una pidocchiosa attrice da circo che indossa solo una maschera- commentò prima di uscire, dando le spalle alla ragazza. –Voi inglesi mi fate schifo…- borbottò sparendo nel corridoio con passo ritmato.
Hellionor sedé lentamente sul bordo del letto, sentendo la terra mancarle ancora una volta sotto i piedi. Era il colmo se oltre a dover giocare un ruolo che non le apparteneva e non aveva mai chiesto, era anche costretta a sorbirsi spinose offese sulla razza anglosassone, della quale non faceva nemmeno parte! Sono Americana, diamine! Ma che vuoi che ne sappiano questi francesini con la puzza sotto al naso della Grande Mela!
Il quel momento Hellionor percepì aumentare la collera. Non avrebbe permesso ad Ariane di trattarla in quel modo! Se era stata incoronata principessa temporaneamente le doveva lo stesso il rispetto che un tale appellativo merita di diritto. Che racconti a chi vuole la vera versione dei fatti! Per quanto IO ne so, le persone meno fidate che entrano a conoscenza di questo segreto non fanno una bella fine, e se Ariane l’ha scoperto da sé, vuol dire che i signori Sancerre non hanno voluto dirglielo, sperando che non si accorgesse della differenza… cosa che invece, be’… è successa.
















.:Angolo d'Autrice:.
Imploro umilmente il vostro perdono per aver avuto il coraggio di postare questo abominevole capitoletto di appena 3 pagine, ma ho sentito necessario fermarmi qui. Come avrete notato, sto diventando una lumaca negli aggiornamenti per colpa dei bellissimi libri che sto leggendo, che mi rubano gran parte della giornata (assieme a scuola, sport, friends & Co.)
Volevo porgere i miei omaggi a Cfrancy che si è sparafleshata 10 capitoli in un arco di tempo brevissimo, commentandoli anche! Apprezzo molto le tue critiche costruttive, senza dubbio mi sono di aiuto per quanto riguarda la manipolazione della trama e lo stile dei personaggi. La storia d’amore di cui parli è un po’ argomento tabù in questa storia, nel senso che ci sarà, ma sto architettando bene bene cosa, quando, come… ma soprattutto tra chi farlo accadere! XD Quando Donna e Ian hanno parlato nella stanza di Eléonore, Hellionor era sveglia, certo, ma capiva poco e niente di quello che si dicevano i due francesi! XD Per il resto… Sono felicissima che la fan fiction ti abbia presa, spero che continuerai a seguirla. ^-^
Un ulteriore ringraziamento va a cioccolatoprego, che ha corretto il mio blasfemo francese da Google Translator in qualcosa di sensato e adatto alla fiction! ^-^ Mercie!
Si ringrazia in fine anche:
_TattaFede_
xevel
Leowynn95
Sbrodolina
Nynphy Lupin
Per aver aggiunto la storia tra le preferite/seguite/da ricordare, o semplicemente per aver recensito qualche sperduto capitolo ^-^
Detto ciò, vorrei aprire una piccola parentesi per Ariane, che sarà un personaggio portante in questa fan fiction e che, se avete intenzione di continuare a seguirmi (XD), di tenere sotto stretta osservazione. Per lei ho in mente grandi cose assieme, e ne combinerà certe assieme ad Hellionor e quel povero Gabriel! Probabilmente può non essere apparso molto rilevante, ma anche Marc giocherà il suo ruolo *sghignazza: muahahahahahah*
U_U A presto (spero!)


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Capitolo 13
*** Una briciola di colazione ***


Accompagnata da una delle serve che l’avevano aiutata a vestirsi, Hellionor attraversò l’immenso salotto d’ingresso della torre, diretta verso il luogo dove sua “madre” e le sue sorelle che in realtà non aveva stavano tenendo colazione.
La Freeland camminava a piccoli passetti scattanti: la gonna del vestito le impediva quella facilità nei movimenti data dai pantaloni, che già le mancavano pazzescamente. Nel frattempo, rimuginando sulla vita moderna che si allontanava da lei come lei fuggiva dalla convinzione di essere solo in un gioco virtuale, non perdeva occasione di crogiolarsi nella bellezza della sua nuova casa: si distrasse a guardare un arazzo, un quadro o semplicemente qualche finestra dalla quale sbirciare fuori. Era tutto come lo aveva a stento immaginato nei libri, a come lo raccontavano pellicole cinematografiche o ricostruzioni teatrali. Ma ora che Hellionor ci era caduta dentro, sarebbe stato più corretto sostenere che il mondo medievale era paragonabile ad un sogno: bellissimo ma bizzarro, meraviglioso ma soprattutto pericoloso.
Il via vai estenuante della servitù s’interrompeva quando qualcuno le concedeva un inchino o un gesto del capo, per poi riprendere subito le proprie mansioni senza indugiare. Nessuno la guardava in faccia troppo a lungo, ma Hellionor non seppe dire se per rispetto o per timore. Magari ambedue le cose.
Di guardie armate ce n’erano molte, e forse era un bene dato che la situazione, in un modo o nell’altro, non si era ancora del tutto risolta. Eléonore, la vera Eléonore de Sancerre, era prigioniera chissà dove e chiunque, all’interno della corte, poteva essere un probabile favoreggiatore dei rapitori. Quelle che vedeva legate ai fianchi dei soldati di ronda erano lame lucide e taglienti, spade vere che lei non aveva mai visto se non fuori dalle istantanee dei polverosi testi scolastici. Gli elmi, le corazze di quei pochi che Hellionor ebbe modo di soffermarsi ad osservare, luccicavano tutti; non c’era un armigero con l’uniforme fuori posto o macchie di vino sull’usbergo. Magari qualche sorso tra amici ci scappava negli orari di congedo, ma ora che la vita di una Sancerre era appesa ad un filo invisibile, Etienne o qualcuno al suo posto si stava e avrebbe continuato ad occuparsi con rigorosa attenzione delle milizie militari.  
Se da una parte ammirare le meraviglie della storia era un passatempo che regalava il sorriso sulle labbra, dall’altra Hellionor era turbata da altrettante questioni.
In cima alla lista c’era il malfunzionamento del gioco. La Freeland si era ferramente convinta: Hyperversum doveva aver aperto una sorta di buco spazio temporale traghettando lei e il disperso Gabriel in una dimensione medievale ultraterrena. Il segreto tanto avidamente custodito da suo padre nel proprio computer era svelato come lo era il perché, oltre alla convinzione personale, Hellionor non avrebbe mai dovuto avvicinarvisi. Il primo pensiero della ragazza fu di parlarne con sua madre, appena riuscita a tornare nel XXI secolo; ma poi immaginò che le realtà potevano essere molteplici: forse anche Jodie sapeva, o era addirittura una complice di suo padre in quella scoperta sensazionale!
Perché, parlandoci chiaro, davanti alla poltrona di Daniel Freeland c’era piazzata la prima macchina del tempo mai esistita.
In secondo luogo, Hellionor era ansiosa e preoccupata nei riguardi del suo non carissimo amico, causa di tutti i loro mali.
Seguendo la serva che le faceva strada per salotti e corridoi, infischiandosene quando poteva della gente che la salutava o le rivolgeva qualche incomprensibile parola in francese arcaico, Hellionor rimuginò su quanto ancora avrebbe dovuto aspettare prima di trovarsi davanti la brutta faccia di Gabriel. Quegli occhi verdi un po’ le mancavano, oltre a tormentarle la coscienza, assieme al taglio lungo fino alle spalle di lisci capelli castani. La ragazza si mordeva le unghie non riuscendo ad immaginare in che modo un Conte francese del XIII secolo usava trattare un presunto prigioniero di guerra. L’avrebbero torturato? L’avrebbero tenuto a digiuno? Monsieur de Ponthieu era stato troppo vago, dannazione!
Al terzo posto si piazzava la smarrita Principessa Sancerre.
I nemici della Corte di Séour non si contavano nemmeno sulle dita di una mano. Perché qualcuno avrebbe dovuto sottrarre al casato una così giovane perla? Se Hellionor ricordava bene quanto letto nei libri di storia, la Francia di quegl’anni era una vasta distesa campestre di rose e fiori. Le uniche battaglie, e tutt’altro che sanguinose, Luigi il Santo le combatteva sulle coste spagnole, traghettando spesso in Italia o in Inghilterra a caccia di qualche reliquia per la sua prestigiosa collezione privata.
Il filo dei suoi pensieri s’interruppe quando Hellionor, che  si aspettava di arrivare in un’ampia camerata con un lungo tavolo nel centro agghindato di cibo, si risvegliò, condotta dalla serva, nei giardini retrostanti della torre.
Un turbinio di profumi (frutta e fiori) e altrettanti suoni, tra cui il canticchiare degli uccellini, il crosciare di alcune fontane e delle voci in lontananza, riuscirono per qualche breve istante a distrarla dalle sue angosce.
Le immagini di Gabriel in catene e dei suoi genitori imbronciati vennero cancellate da un’unica grandiosa visione di pace e armonia: il viale di ciottoli che stavano attraversando finiva dove si apriva uno spazio verdeggiante circondato dai colori primaverili di alberi e cespugli in fiore. Il ronzio delle api, assieme alle melodie dei fringuelli, faceva da sottofondo al variopinto quadretto di famiglia che Hellionor si trovò di fronte.
Nel mezzo del prato verde sorgeva un tavolo imbandito per la colazione, al quale sedevano unicamente rappresentati del gentil sesso di casa Sancerre; tre figure femminili, due principesse e una Regina.
Marie era la figlia intermedia; lucidi boccoli terra di Siena coprivano buona parte del volto imbronciato, mentre gli occhi gonfi e arrossati erano quelli di chi ha da poco messo il tappo ad una fontana di lacrime. Qualcuno doveva averla  informata del rapimento della sorella solo quella mattina, per poi trascinarla fuori dalla sua stanza e costringerla a presenziare per la colazione ancora con i singhiozzi che le si arrampicavano in gola. Era una bambina minuta, sui dieci o undici anni, e non aveva infilato niente nello stomaco oltre a poche briciole di un biscotto mordicchiato e   abbonato sul bordo del tavolo – alla più probabile portata di qualche passerotto.
Guardandola, Hellionor pensò che se fosse cresciuta nel XXI secolo sarebbe stata la reginetta del punk rock, tutta Green Day e Avril Lavigne. Pelle chiara, occhi infossati e scuri, perfetti per ospitare chili di ombretto nero. Indossava un abito con gonna blu oltremare; il corpetto rinchiudeva un seno che non c’era e non ci sarebbe stato per parecchi anni a venire.
La voce tagliente della moglie di Etienne ordinò, in poche e concise parole, a Marie di stare composta e la bambina raddrizzò le spalle in mezzo secondo.
Madame Donna sfigurava in un completo primaverile color lavanda, comodamente adagiata al capotavola. I riccioli rossi più ribelli le cadevano sulle spalle, mentre il grosso era raccolto sulla nuca da un nastro in pendant col vestito. Le maniche a sbuffo della camicia arricchivano le braccia magre, mentre le forme pronunciate erano ben racchiuse nel corpetto.
Ad Hellionor sfuggì un gemito.
Donna de Sancerre aveva tutt’altro l’aria, quella mattina, della povera madre privata di una figlia. L’atteggiamento, imboccando personalmente la piccola Alix seduta sulle sue ginocchia, era quello di un’imperatrice che si arrocca nella fortezza della propria sovranità pur di scampare a debolezze e rimpianti. Dov’erano le guance sciupate, gli occhi gonfi e arrossati? Sotto quanto strato di trucco, vestiario e austerità madame de Sancerre stava nascondendo la sua vera natura? Perché il fragile tulipano indossava spine di rosa? Hellionor la immaginò piangere, implorare e gridare disperatamente per ore mentre nella torre di Séour servitori e soldati correvano a destra e sinistra pur di alleggerire il cuore della loro signora con il ritrovamento della sperduta Eléonore. Probabilmente Hellionor si era fatta un’idea sbagliatissima della signora Sancerre e si maledisse di aver solo pensato che una contessa del XIII secolo potesse abbandonarsi a pianti e piagnistei. La moglie di Etienne era (o sarebbe?) passata alla storia per la disinvoltura con la quale vestiva il ruolo di regina sulla scacchiera del tempo, degna di affiancare lo spirito ardito e battagliero di suo marito. Proteggere l’integrità e l’onore della famiglia agli occhi del popolo, oltre alla tristezza e alla malinconia femminile, significava evitare di far scolare ben altri segreti; il ricatto parlava chiaro: nessuno, a parte una cerchia strettissima di amici, parenti e servitori, doveva sapere che Eléonore de Sancerre era ancora prigioniera in mani nemiche; nessuno, a parte quei fidati privilegiati, doveva sospettare che la fanciulla dal vestito bianco e rosso, che si accomodava in quel momento accanto a Marie, era un temporaneo rimpiazzo.
L’occhiata che le scoccò madame Donna durò giusto un istante, sostituita prestissimo da un’arricciata di naso da parte di Marie che, soffocando qualche altra lacrima e asciugandosi il moccolo con la manica del vestito, si beccò una nuova strigliata della madre.
Hellionor sobbalzò sulla sedia, pensando che la quiete di uccellini canticchianti e alberi in fiore era un malizioso velo di finzione: in realtà serve e padrone, sedute o riunite attorno al tavolo, stavano camminando su un campo minato; poiché i colpevoli del rapimento, a parte un misterioso e vanificato Stephèn, giravano ancora liberi per la contea, l’intera corte di Séour sarebbe stata a lungo andare reggia di una commissione investigativa. Un passo falso avrebbe potuto tradire chiunque, innocenti o dolenti, e bisognava pensare a salvare la pelle.
Guardandosi attorno senza riuscire a toccare cibo, Hellionor passò in rassegna tutti i volti dei servitori presenti; alcuni non osavano guardarla negli occhi, per rispetto; altri s’insospettivano del suo aspetto e aggrottavano per un istante le sopracciglia; allora Hellionor preferiva distogliere lo sguardo sul coppiere che le versava il latte o la fanciulla che le serviva della frutta fresca e appetitosa, pur di non prolungare il dubbio.
Non seppe precisamente quanto tempo la Freeland riuscì ad ignorare i crampi di stomaco: era combattuta tra le regole dell’educazione moderna, che le imponevano di fare il maggior numero di complimenti possibili, e le regole del suo temporaneo gioco di ruolo, che le suggerivano piuttosto di essere naturale e discreta come lo sarebbe stata Eléonore de Sancerre.  
Essere o semplicemente respirare al posto di una principessa scomparsa divenne presto un’estenuante agonia. Il sole del mattino si spostava con estrema lentezza nel campo azzurro e infinito del cielo. Il rispettoso silenzio della tavola si protrasse in un’ora buona, frazione temporale che bastò ad Hellionor per buttare in gola due sorsi di latte, un chicco d’uva e un mozzicone di pane dolce. Il resto, sotto comando della signora Sancerre, fu portato via dai servitori quand’ancora Marie non aveva finito. Donna ordinò ad un’ancella, che Hellionor riconobbe come Ariane, di accompagnare Marie e la piccola Alix in una passeggiata per il giardino. A breve sarebbe giunto un certo Don Davìd per far recitare alle due fanciulle qualche declinazione latina; poi, solo verso il mezzogiorno, la famiglia si sarebbe riunita per pranzare.
Nel frattempo dettò che lei ed Eléonore fossero lasciate sole.
Quella fetta di prato si svuotò nell’arco di mezzo minuto. La tovaglia bianca volò via dal tavolo per la colazione, allontanandosi assieme alle serve, come un fantasma, verso le cucine. In pochi secondi il mogano del mobile fu tirato a lucido e le dieci sedie vuote riposte ordinatamente tra i quattro piedi.
Hellionor deglutì a vuoto.
Lei e madame Donna de Sancerre erano rimaste a ragion del suo volere. Persino la natura aveva scelto di tacere: nel giardino non tirava più uno sbuffo di vento; le risatine di Alix che inseguiva una farfalla si erano perse assieme ai singhiozzi di Marie. La figlia media, invece di riprendere gli studi di latino, avrebbe preferito tornarsene a piangere nella sua stanza, e perciò aveva tanto da lamentarsi. Le due bambine Sancerre, strette alle mani di Ariane, erano scomparse tra i cespugli di rose e margherite mentre la signora di Séour fissava la sua terza figlia con occhi di ghiaccio.
Non che i suoi occhi fossero azzurri, ma in quel momento Hellionor rabbrividiva di una paura fredda bestiale. Quella donna la stava studiano, dall’altro capo del tavolo, contando i suoi respiri e i battiti di ciglia. Chissà cosa pensava madame di una sporca anglosassone nei panni della propria figlia prediletta. Dopotutto, non era un segreto che Donna de Sancerre fosse, alla pari del marito, sprezzante verso chi aveva, stava e avrebbe tentato di razziare altre terre francesi. Forse la contessa non lo immaginava nemmeno, ma tra Francia e Inghilterra le partite di calcio del futuro sarebbero state sanguinose quanto o più delle battaglie medievali. Le rivalità tra le due coste si sarebbero addolcite solo con l’avvento delle Guerre Mondiali, ivi si sarebbero alleate per combattere un nemico comune ad entrambe: la Germania.
Ma, ecco, questo madame Donna non poteva saperlo; sarebbe stato inutile provare a convincerla che, al di fuori del rincorrere una palla, Francia e Inghilterra avevano tanto in comune.
Hellionor si morse un labbro.
Cosa diavolo andava pensare?! Si faceva tanti complessi sull’astio tra le due coste, dimenticando un dettaglio essenziale: lei era americana! Non inglese! E ci teneva come tutti gli americani a sottolineare le differenze tra questo e l’altro Continente; ma ovviamente, vallo a raccontare che vieni dall’altra parte del Mondo e che pertanto non puoi essere trattata da inglese in terra francese!
Un mezzo sorriso compassionevole si stirò sulle labbra della contessa. –Sai andare a cavallo, Eléonore?- chiese in un inglese arrugginito e con tono ambiguo: si aspettava che rispondesse di no, quant’è vero che la figlia di un contadino o di un mercante, pescata per strada, può darsi come non darsi all’ippica.
Hellionor scosse la testa, sapendosi indisposta a rispondere diversamente. L’ ultima volta che aveva messo piede nelle staffe era stata qualche estate fa, nella tenuta dello zio Martin, che si era stabilito nell’Oregon come battitore della nazionale in vacanza e cavallerizzo professionista nel tempo libero. Ammetteva di aver preso delle lezioni con sua madre, ma…
-Ça va bien- tagliò corto madame Donna con finto interesse, probabilmente. –La passeggiata in questione sarà tranquilla, non avrai problemi-.
-Passeggiata?- balbettò Hellionor, in inglese, maledicendosi già.
Gli occhi della contessa si piantarono di nuovo nei suoi. –Mon mari et monsieur de Ponthieu desiderano consultarsi con te in privato, e non possono rischiare di farlo sotto il naso della corte. Nessuno è entrato o uscito dalla città, perciò siamo certi che la spia, chiunque essa sia, è ancora all’interno della mia casa. Di conseguenza, l’unico luogo sicuro in cui tenere discussioni ufficiali è il bosco, assieme alla riservatezza che offrono le sue fronde e le sue insidie-.
Hellionor annuì spaventata. L’idea di montare in sella al fianco di due cavalieri tanto importanti la elettrizzava nel modo sbagliato; mettere da parte i fanatismi storici e consegnarsi nelle mani di uomini armati non la rassicurava, ma all’improvviso non sapeva cosa temere di più: il bosco medievale, con tanto di bestie feroci, briganti e lupi cattivi, oppure un nuovo delirio di Etienne de Sancerre.











.:Angolo d’Autrice:.
Nell’introduzione avevo lasciato scritto che stavo lavorando a questo capitolo, cortissimo e insignificante, un po’ come il precedente, perciò vi supplico, abbiate pietà .___. In questi focosi (alle volte tempestosi e piovosi, come oggi) giorni agostani scrivere è l’ultimo dei miei pensieri. Sono distratta da tantissimo altro, ci si sta mettendo pure l’esame di matematica a settembre, e data una partenza fissata per il lunedì che viene, non penso di potermi dedicare a questa storia almeno fino a settembre inoltrato, quando sarà stilato il verdetto ufficiale sul mio curriculum scolastico. In qualsiasi caso, sappiate che non ho deciso di abbandonare Hellionor così come ve l’ho lasciata :) ho tante idee per quest’avventura e voglio arrivare a scriverle tutte, finale compreso, perciò non disperate: si trattasse di altri due mesi, io arriverò a quella benedetta scena tra Hellionor e Ma… oddio, mi scappava lo spoiler! XD Spero di non aver stecchito nessuno sulla sedia :D
cioccolatoprego, _TattaFede_, Cfrancy: a queste tre Dee chiedo il mio umile perdono, sempre per il semplice fatto di trascinarvi nell'irrante attesa di un nuovo capitolo! Grazie per aver recensito i precedenti, sperando di non avervi annoiate con questo.

Detto ciò, ho notato che in sezione stanno aumentando le belle storielle da seguire. Vedrò di dare un’occhiata non appena mi sarò ripresa dagli ultimi faticosissimi giorni ^^
Un’altra cifra in crescita è quella della gente che ha aggiunto la fan fiction ai preferiti e alle seguite! :D Mi sento onorata, un grazie a tutti questi magnifici esemplari di esseri umani!




Spero di leggere presto le vostre impressioni... ma spero ancor più ardentemente di ritrovare l'ispirazione, la voglia e il tempo che questa maledetta estate mi ha portato via così in fretta...
Saluti,


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