Hyperversum - Il Nido del Drago di cartacciabianca (/viewuser.php?uid=64391)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** Vecchi e giovani ***
Capitolo 3: *** Soldato e contadina ***
Capitolo 4: *** Help ***
Capitolo 5: *** Questione di famiglia ***
Capitolo 6: *** Madame et Monsieurs ***
Capitolo 7: *** Lacrime segrete ***
Capitolo 8: *** Un altro falco in famiglia ***
Capitolo 9: *** Il ricordo dietro le sbarre ***
Capitolo 10: *** God save me ***
Capitolo 11: *** Spiccicare il francese ***
Capitolo 12: *** Ariane ***
Capitolo 13: *** Una briciola di colazione ***
Capitolo 1 *** Un nuovo inizio ***
Premessa:
A
conoscenza di un romanzo collettivo autorizzato da Cecilia, confesso
che non ne ho letta nessuna pagina. Perciò, anche se gli
eventi sono leggermente posticipati rispetto la data di conclusione del
terzo libro, questa storia non ha nulla a che vedere col romanzo
collettivo.
Ne
approfitto anche per consigliare a chiunque si aspetti una scrittura
impeccabile e perfetta come quella della Randall, di chiudere
immediatamente questa pagina! Sono consapevole di non meritare di
potermi affiancare ad una scrittrice di tanto talento che ammiro, adulo
e rispetto come Cecilia. ^^ Molto semplicemente sto dicendo che non so
scrivere! XD
Detto
ciò, spero lo stesso che la trama in mente abbia catturato
la vostra attenzione e stimolato la vostra curiosità.
Ora
vi lascio! :D
Diciassette
anni dopo, nel mondo moderno…
Quel suono.
Risvegliava
gli addormentati sui banchi e rubava i disperati dalle interrogazioni.
Quanto amava quel suono non sapeva dirlo, perché aveva
salvato la pagella di fine quadrimestre più di una volta a
più di uno studente.
L’elettronico
“drin” di una campanella scolastica
tuonò per tutto l’edificio e l’urlo
collettivo degli alunni fece tremare la terra. I corridoi si riempirono
di ragazzi in maglietta, canottiera e pantaloncini che correvano verso
l’uscita, verso la libertà. Il fracasso era
assordante, dalle grida dei ragazzi al trambusto dei banchi singoli che
venivano letteralmente gettati da parte, in un unico gesto di
assolvimento. Ai lati del corridoi stavano due bidelle con i gomiti
poggiati sulle scope, e guardavano la mandria di rinoceronti
abbandonare la scuola e riversarsi come un fiume in piena nel cortile
esterno. La battaglia coi gavettoni cominciò
all’istante, non ci fu pietà per nessuno.
L’aula
della IV A superiore, che l’anno successivo sarebbe diventata
“matura” per così dire, era
già mezza vuota. Alcune ragazze corsero fuori tenendosi per
mano e sbraitando energiche di felicità, il professore
finiva di sistemare i suoi ultimi appunti annuali nella cartella da
ufficio posata sulla cattedra. Sola nella stanza assieme a lui, a
riordinare i fogli scarabocchiati e le penne, c’era una
ragazza dai corti capelli castani, lisci ma un po’ ribelli
dietro le orecchie. Le lentiggini attorno al naso piccolo e grazioso le
aveva rubate alla madre, mentre gli occhi attenti sembrava averglieli
prestati suo padre. Vestiva sobriamente, jeans e maglietta bianca,
sopra la quale aveva indossato un maglioncino di cotono e mezze maniche
col cappuccio.
Raccolse
tutte le sue cose nello zaino, tra cui il blocco da disegno e
l’astuccio pieno di matite. Si caricò in spalla il
tutto, dimenticandosi però di chiuderlo adeguatamente.
Prima di
uscire dall’aula, lanciò un’occhiata nel
cortile fuori dalla finestra più vicina e si
fermò a guardare. Il trambusto proveniente
dall’esterno le faceva gelare le ossa, come tutti gli anni.
La guerra diventava sempre più spietata: alcuni ragazzi
erano entrati in possesso del tubo dell’acqua che usava il
bidello per annaffiare il viale fiorito della scuola, e adesso
sparavano a tutta birra addosso al primo che capitava loro a tiro.
Alcuni disgraziati, invece, avevano aggiunto ai gavettoni
dell’acqua anche sacchi di farina e uova.
Il
professore in piedi accanto alla cattedra finì di sistemare
le sue cose, riallacciò la valigetta e la impugnò
pronto ad andarsene. Si accorse di lei e, notando la smorfia che le si
era dipinta sul viso, inarcò un sopracciglio.
–Signorina, se vuole posso prestarle il mio ombrello-
scherzò l’uomo.
La ragazza
si volse lentamente verso di lui, ma era già sulla strada
per l’uscita dell’aula. –Non si
preoccupi- blaterò sorpassandolo e avviandosi in corridoio. E poi quale idiota si porta
dietro un ombrello d’estate?
Il
quarantenne laureato in storia dell’arte le andò
dietro per un certo tragitto, poi svoltò, probabilmente
diretto alla sala professori come tutti i docenti.
Ogni
anno la stessa storia, la
stessa medesima fuga come fossi il più ricercato ladro di
gioielli d’America! Odio l’ultimo giorno di
scuola… pensava la ragazza affacciandosi
all’ingresso principale della scuola. Si permise di osservare
i ragazzi di V lanciarsi gavettoni e schifezze d’ogni sorta
solo qualche istante. Dopodiché fece dietro front e si
avviò verso la mensa. Questa era deserta e la
traversò quasi di corsa. Passato il refettorio,
arrivò nelle cucine che trovò anch’esse
vuote e silenziose, ma puzzolenti di pollo fritto, verdure bollite e
formaggio. Una volta fuori, oltre la porta lasciata aperta da chi era
incaricato di cestinare la pattumiera, raggiunse la strada come
d’abitudine.
Le grida dei
ragazzini nel cortile le arrivavano come una eco distante e soffuso,
presto sostituito dall’abbaiare di due pastori tedeschi oltre
una recinzione metallica.
-Ehi,
ciao…- mormorò la ragazza chinandosi alla loro
altezza e, nonostante prigionieri oltre la recinzione,
allungò loro una mano e si fece annusare le dita.
–Ecco, così, bravi- sorrise lei nel vederli
calmarsi allo stesso tempo, come gemelli in perfetta sincronia.
–Anche se siete pestiferi come dicono, non potete certo
essere peggio del mio- ridacchiò prendendo qualche residuo
di merendina dalla tasca del suo zaino. Ne diede un pezzo ad entrambi i
fratelli pastori, salutò carezzandoli sul naso umido e si
avviò questa volta di corsa sul marciapiede.
-Eccola!-
sentì gridare alle sue spalle.
-Sì,
è lei! Addosso!-.
A
quanto pare è
destino… si disse con una certa amarezza senza
voltarsi indietro.
-Mike,
allunga il tubo!-.
Il sole del
pomeriggio colorava d’arancio gli alberi del viale. Soffiava
una brezza fresca che faceva danzare il pupazzetto di peluche a forma
di drago legato al suo zaino. La giovane aveva impiegato quaranta
minuti di passeggio per arrivare a casa, e davanti lei c’era
la porta d’ingresso ancora chiusa. Aveva percorso tutto il
tragitto in quello stato, bagnata fino alle ossa. Puzzava in una
maniera immonda di acqua di fogna che le avevano schizzato quelli
dell’ultimo anno con la pompa, e meno male che era entrata
nel loro campo visivo ad uova e farina esaurite.
Fortuna
che è estate,
dai che forse non mi ammalo… ma quel pensiero
non bastava a consolarla.
Finalmente
si decise ad estrarre le chiavi di casa dalla tasca umida dei
pantaloni. Mamma e papà sarebbero tornati dal lavoro prima
uno poi l’altro con orari diversi, ma lei aveva tempo
sufficiente per farsi una doccia e…
-Helly!-.
La ragazza
irrigidì le spalle e si voltò senza allontanare
la mano con la chiave dalla serratura.
Fermo al
limitare del marciapiede, sul sellino di un motociclo, c’era
un giovane che, quando si tolse il casco e spense il motore
scoppiettante, mostrò una chioma di capelli castano chiaro
scompigliati in ciocche ribelli. Occhi verde smeraldo e il volto maturo
con qualche accenno di barba. –Guarda come sei ridotta-
commentò facendo una smorfia.
-Hai
ragione! Sono fradicia! Oddio, ma come ho fatto a non
accorgermene…- brontolò lei con sarcasmo.
Inserì e girò la chiave nella serratura.
-Mi
dispiace, ma quando è suonata non ti ho più
vista, volevo darti un passaggio- disse alludendo allo scooter su quale
sedeva.
-Grazie,
Gabriel, ma non avrei accettato comunque- affermò
freddamente. –Ciao- aggiunse poi entrando in casa.
L’abbaiare di un cane svegliato dal tintinnio delle chiavi si
era già diffuso per tutto il quartiere. –Skip,
piantala!- lo strillò lei.
-Aspetta,
Helly, dai!- il giovane smontò dallo scooter e mise il
cavalletto. Arrivò di corsa sulla soglia prima che la
ragazza potesse chiudergli la porta in faccia.
-Che cosa
c’è?!- eruppe fulminando l’amico con
un’occhiataccia.
-Mi hanno
dato il debito in storia- comunicò semplicemente.
–A settembre dovrò fare gli esami di ammissione,
perciò ho pensato: dato che sei la migliore della scuola in
quella materia, magari…-.
-No-.
-In cambio
ti aiuto in matematica, promesso- sorrise.
-Ho detto di
no. Ciao-.
-Helly,
accendi il cell! Ti chiamo!- strillò lui a porta ormai
chiusa.
Una volta al
sicuro tra i quattro muri di casa, attese che Skip la smettesse di
abbaiare. Chiuse gli occhi e ascoltò il tintinnio delle
unghiette delle sue zampe ticchettare sul parquette, mentre
scodinzolava come un matto con la lingua a penzoloni fuori dalla bocca.
-Sì,
sono loro- mormorò la ragazza facendosi annusare la mano,
dove il cane aveva riconosciuto l’odore dei due pastori.
–Seduto- ordinò, e così
l’animale fece. –Bravo- sorrise lei aggiungendo
alle parole anche una festosa carezza. Si appoggiò con le
spalle alla parete e lasciò cadere lo zaino a terra. Non le
importava se il felpino bagnato avesse macchiato l’intonaco
della parete o le scarpe rovinato il pavimento.
Scale.
Bagno. Doccia. Tre
comandamenti divenuti sacri in casi come quelli.
La
diciassettenne si avviò su per i gradini, seguita da Skip, e
si spogliò durante il tragitto, ma il cane cambiò
presto direzione e andò a sgranocchiare l’ossicino
di gomma lasciato nella stanza della padrona.
La ragazza
arrivò in bagno con indosso solo la biancheria e accese il
getto d’acqua regolando la temperatura. Ammirò lo
specchio che lentamente si appannava per via del calore che aumentava,
e si vide riflessa con i capelli già bagnati attaccati al
viso, piatti, raggrinziti e scoloriti. Il viso pallido reduce di una
carnagione bianca anche sotto il sole estivo, le lentiggini castane e
gli occhi azzurri. Si carezzò le guance stirandosi la pelle
con un sospiro. Poi spostò la sua attenzione
all’orologio da polso che si slacciò mentre
leggeva le lancette.
Mamma
fa il turno
all’ospedale anche ‘sta notte, e papà
tornerà dall’ufficio tra un’oretta. Ragionò.
Forse faccio in tempo ad
andare da Samantha prima che torni, così ho la scusa per non
preparare la cena, si disse.
Faceva buio.
Salutata
Samantha sulla soglia di casa, era montata sul primo mezzo pubblico che
passava sulla strada e in una mezz’oretta era di ritorno.
Scese dall’autobus con un saltello e intraprese il viale
alberato che aveva percorso già quattro volte in una sola
giornata, tra andata e ritorno da scuola e casa dell’amica.
Samantha Fox distava abbastanza perché un contrattempo
l’avesse potuta tenere occupata fino a quell’ora di
rientrare, così che ad attenderla in casa avrebbe trovato
solo un cane affamato, una madre preoccupata e un padre entrambe le
cose.
Di fatti,
quando Helly trasse le chiavi e le infilò nella serratura,
Skip accorse subito sull’ingresso e cominciò ad
abbaiare dall’altra parte della porta. Quando
entrò, la ragazza trovò casa buia quasi come
l’esterno.
-Papà-
chiamò. –Papà, ci sei?- si
guardò attorno notando che la sua cartella da lavoro e le
chiavi della macchina (che aveva anche visto parcheggiata nel vialetto)
erano sul mobile lì accanto, assieme alle bollette imbustate
prese dalla cassetta della posta.
Skip
abbaiò ancora e fece avanti e indietro dal primo gradino
delle scale ai piedi della ragazza, come a volerle indicare una
direzione da seguire.
-Va bene, ho
capito che hai fame, aspetta un attimo!- sbuffò accendendo
le luci del soggiorno e dell’ingresso. Lasciò la
sua roba sul tavolo da pranzo e arrivò in cucina. Accese le
luci anche lì e preparò in fretta da mangiare per
il cane, versandogli nella ciotola due pugni di croccantini, ma Skip
continuava ad abbaiare.
-Zitto,
stupido! Se papà sta dormendo, così lo svegli!-
lo rimproverò.
Nulla da
fare, il cane era agitatissimo e bazzicava a destra e sinistra
cantilenando e mugolando.
-Vuoi
uscire?- gli chiese lei afferrando il guinzaglio dalla cesta e
mostrandolo al cane.
A
quanto pare no…
pensò vedendolo peggiorare, piuttosto.
Poi, a
sorpresa, Skip scattò di corsa su per le scale.
La ragazza,
scocciata e senza parole, si limitò a posare il guinzaglio
sul ripiano della cucina e seguire il cane al piano di sopra. Giunta in
corridoio, trovò Skip a grattare la porta dello studio di
suo padre con una zampa. Si chinò su di lui e lo fece
smettere. –Grazie, così danno la colpa a me-
sibilò. –Smettila, si può sapere che ti
prende?- chiese sollevandosi in piedi. Lanciò
un’occhiata alla stanza da letto dei suoi genitori, ma fu
sorpresa di trovare il letto vuoto e tutto rifatto come lo lasciava la
mamma la mattina.
Quindi
papà non sta
dormendo… constatò la ragazza, e
nello stesso istante Skip riprese a grattare la porta mugolando.
Questa
è zona
Off-Limit per me da diciassette anni, lo sai? Razza di cagnaccio,
guarda cosa mi fai fare… sbuffò.
Posò la mano sulla maniglia e si decise ad aprire,
chiedendosi se suo padre non stesse lavorando a qualcosa di importante
che l’aveva tenuto incollato al computer tutto il giorno.
Socchiuse leggermente la porta e spiò all’interno
attraverso la fessura creata. Anche se era piuttosto buio,
riuscì a scorgere l’interno silenzioso e avvolto
dalle ombre, ma il motore del computer andava e il bagliore dello
schermo illuminava la poltrona vuota.
Forse
è in bagno e ha
lasciato il computer acceso… si disse
dimenticando aperta la porta e avviandosi in corridoio, mentre Skip,
invece, entrava nello studio e cominciava ad abbaiare impazzito.
Helly non ci
fece caso e raggiunse il bagno, ma non trovandovi nessuno ad occuparlo,
tornò sui suoi passi e andò a cercare in salone. Magari si è
addormentato sul divano e non ci ho fatto caso.
Ma nulla da
fare, suo padre non era in nessuno di questi posti.
Sentendo il
cane abbaiare ancora dal piano di sopra, Helly salì di nuovo
le scale due gradini alla volta, ben intenzionata a mettere a tacere
quell’animale una volta per tutte. –Non hai fame,
non vuoi uscire, graffi le porte!- strillò.
Piombò nello studio spalancando la porta. –Skip,
almeno smettila di…-.
-GRAZIE AL
CIELO!-.
Si
sentì stringere calorosamente da un paio di braccia forti
che l’avvolsero tutta, mentre l’orecchio andava a
posarsi sul battere forsennato di un cuore in corsa come un treno.
-…Papà?-
mormorò la ragazza, stretta al petto dell’uomo.
-Dannazione-
proruppe lui scostandola appena da sé. La teneva ferramente
per le spalle facendole quasi male. –Hellionor, mi hai fatto
venire un accidenti! A me e a tua madre!- aggiunse guardandola negli
occhi, coi propri accesi di terrore e furore assieme.
La ragazza
non sapeva che cosa dire, e così tacque.
L’uomo
si passò una mano in mezzo ai capelli biondi e se li
stirò all’indietro con un gesto nervoso.
–Si può sapere dove sei stata?- domandò
furibondo.
-Ero da
Samantha- sibilò esangue. –Dove credevi che
fossi?- chiese subito dopo con una risatina isterica.
-Presto,
chiama tua madre e dille che stai bene- disse invece lui andando dietro
la scrivania e riprendendo la tastiera e il mouse sotto le dita.
–L’hai fatta preoccupare- aggiunse scoccandole
un’occhiata burbera.
-Più
di quanto lo sei tu?- rise lei.
-Hellionor
Eva Freeland, non sto scherzando- sbottò l’uomo
avviando il processo di spegnimento del computer. –Avresti
potuto almeno avvertire, ho temuto che…-
s’interruppe scuotendo la testa e guardando chissà
cosa sul desktop del PC.
-Cosa? Che
Skip avesse mangiato me invece dei croccantini? Ma per favore,
papà. L’anno prossimo mi consegnano il diploma,
non sono più una bambina-.
-E allora
dimostralo, e fa’ una cazzo di telefonata!-
strillò Daniel.
La ragazza
s’irrigidì d’un tratto come una statua.
Non aveva mai visto suo padre così arrabbiato.
-Tieni-
l’uomo le lanciò il suo cellulare, che Helly
afferrò al volo. –Chiama Jodie, ma non pensare di
averla passata liscia, signorina- l’ammonì.
–Per adesso va’ giù e prepara la cena.
Più tardi tua madre ed io decideremo come passerai
l’estate-.
La ragazza
si avviò nel corridoio. -E meno male che in questo paese
sono già maggiorenne!- si lamentò componendo il
numero sul cellulare dell’ospedale dove lavorava sua madre.
-In Francia
non lo saresti!- ribatté Daniel a gran voce.
-E chissene
frega!- gridò dalle scale.
Dopo un
lungo attimo di silenzio, Daniel guardò Skip che si era
accucciato sotto la scrivania, avendo ascoltato le urla dei due fino ad
allora con timore ed orecchie abbassate. Il signor Freeland si
chinò a fargli una carezza, e il cane prese subito a
scodinzolare grazie al tocco magico del padrone.
-Quella
ragazzina mi ucciderà, se continua così-
sospirò Daniel appoggiandosi allo schienale della sedia.
Fissò l’icona di Hyperversum
galleggiare sul desktop come screensaver. Scrutò allungo la
mela fluttuante sullo sfondo nero, sbollentando man a mano che il tempo
inesorabile del mondo reale gli scivolava addosso.
‘Sta
volta ho avuto davvero paura che avesse scoperto la mia
password… sospirò l’uomo, e nel farlo
si voltò a guardare una vecchia foto incorniciata posata
sulla mensola vicina. Vi erano quattro figure abbracciate
amichevolmente, e Daniel non fece fatica alcuna nel riconoscerli dal
primo all’ultimo.
In ordine da
sinistra a destra: Martin
Freeland, Jodie Carson, Daniel Freeland e ultimo, ma non
d’importanza, Jean de Ponthieu, il Falco
d’Argento… mio migliore amico Ian Maayrkas.
Daniel prese
tra le dita quella vecchia foto, guardando prima gli amici poi
l’icona di gioco sul desktop.
Sarà
meglio avvertire Ian che mia figlia non si è persa nel
Medioevo come temevo.
Angolo
d’Autrice
Eccomi,
finalmente ce l’ho fatta! Nella mia testa credo di aver
architettato a sufficienza per poter finalmente mettere mani su questa
fan fiction, stata fantasia troppo a lungo. Per essere un primo
capitolo, i fatti, come avrete notato, scorrono
“abbastanza” tranquilli! ^^ Ma sì, diamo
spago alle paranoie di Daniel e vediamo cosa succede ad una sua
presunta figlia, il cui nome per esteso è Hellionor Eva
Freeland.
I personaggi
di questa storia saranno più o meno quelli descritti nel
libro, e le vicende ricalcano un presunto seguito del terzo libro,
perciò, se siete gran curiosoni ma non avete ancora letto il
terzo volume della Randall, non andate oltre con la lettura di questa
storia! XD
Hyperversum
è diventata ormai una parte di me, non riuscendo
più a togliermelo dalla testa nemmeno ora che devo ancora
finire i compiti di matematica! XD
Detto
ciò, voglio ringraziare in anticipo lettori e recensori. ^^
Qualsiasi
commento è ben accetto, critiche positive o negative
verranno serbate come tesori di un altro mondo.
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Capitolo 2 *** Vecchi e giovani ***
In quegli
anni tutte le contee francesi centro settentrionali tiravano un sospiro
di sollievo, e tra di queste non poteva mancare la ricca e florida
Châtel-Argent, mai stata così bella.
La
città era nel pieno delle attività giornaliere.
Il sole splendeva alto nel limpido cielo azzurro residuo di un inverno
clemente. La gente era per le strade a trafficare di bancarella in
bancarella, i carri, il bestiame, le merci, la musica, i soldati di
guardia sulle mura, i contadini per i campi… Gli alberi e i
viali erano i fiore, e così i maestosi giardini interni del
maniero portante il vessillo del Falco d’Argento.
Tornare
così di fretta nel medioevo era stato pressoché
essenziale. In quella mattina aveva fatto dentro fuori da Hyperversum
già due volte, col timore che Hellionor avesse indovinato la
password del suo computer e curiosato tra le sue partite.
Le
avrei tagliato le mani, se
avesse osato! Non voglio trascinare anche lei in questa storia. In
diciassette anni ho fatto i salti mortali per tenerla lontana dal mio
studio, e per poco così non mi vedeva riapparire davanti al
suo naso! Come per… “magia”. Se
sarà necessario, porterò il segreto con me fin
nella tomba. Pensava Daniel con una smorfia e gomiti
appoggiati al davanzale della finestra, mentre la brezza primaverile
dell’anno 1232 gli carezzava il volto scompigliandogli i
capelli biondi. Ammirava il paesaggio del castello dalla sua torre
più alta, ad attendere l’amico nella sua stanza
privata dove l’avrebbe raggiunto a breve.
1232…
sospirò gonfiandosi i polmoni di quell’aria pura e
celestiale.
Al solo
pensiero, Daniel si stupiva di quanto il tempo fosse trascorso
velocemente, all’insegna di una vita trascorsa a viaggiare
nel tempo senza scrupoli.
Col
concludersi della Crociata Albigese nel 1229, d’interessante
era successo ben poco. Filippo Augusto, l’uomo che in
battaglia l’aveva reso cavaliere, era spirato il 14 luglio
1223. A prendere tra le mani la questione della Crociata era stato
Luigi VIII, di ritorno avvilito dall’Inghilterra ma ben
intenzionato a porre fine a questi inutili e spregevoli massacri.
Veniva affiancato ovviamente dalla moglie Bianca di Castiglia, tanto
quanto dal Falco d’Argento quando, assaporato il gusto della
scomunica a Raimondo VII, Luigi aveva puntato con le lance in resta
dritto verso Tolosa, alla conquista del nucleo di tanti mali.
Impadronitosi di quelle terre, ne colse l’intera
giurisdizione, affiliando nel 1226 definitivamente la Linguadoca alla
Francia.
Il Leone di
Francia venne meno nell’inverno di quell’anno, con
grande scalpore e dispiacere della corte tutta. Daniel ricordava ancora
la ricorrenza funebre tenutasi nell’abbazia di Saint-Denis, a
Parigi. Un colpo amaro
della provvidenza, aveva pensato affianco
all’amico Ian, che presentava quel giorno assieme ai
cavalieri della Corona. Il potere era così succeduto ad un
piccolo Re, all’epoca solo dodicenne.
Luigi IX,
detto il Santo, guidato dalla spavalderia degli uomini di cui si era
circondato, e appoggiato dalla madre Bianca, eccolo già in
battaglia contro una nuova rivolta. Nel 1228 spalancava i cancelli di
Tolosa e, giunto ad un compromesso con Raimondo VII, nel 1229
prometteva al conte la giurisdizione delle sue terre, in cambio della
sua unica erede Giovanna promessa al fratello del Re, Alfonso di
Poitiers, e la completa ammissione della regione nei domini Francesi.
I
grandi passi della storia
medievale… Daniel rimaneva ammaliato tutte le
volte, quand’invece pensava che fosse solo Ian quello ad
emozionarsi a certe scene.
Erano
diciassette anni che faceva avanti e indietro tra il passato e il
presente. Quell’arco di tempo era trascorso sia nella
realtà che nella storia. Sia lui che Ian avevano varcato la
soglia della quarantina, e conti come Granpré stavano per
raggiungerli. Non si sentivano vecchi o stanchi, affatto! Solo
più maturi, vissuti e cavalieri di Francia ogni giorno
di più.
In
effetti sono cavaliere
anch’io! Sorrise.
La porta
della stanza si spalancò di colpo giusto in
quell’istante. Quando Daniel si voltò, Ian lo
accolse con un’espressione preoccupata in viso.
-Nous
avons cherché
partout! (1)- disse il cavaliere venendogli incontro a
grandi passi.
Daniel gli
si avvicinò ancora col sorriso sulle labbra e le mani giunte
dietro la schiena, ma non disse nulla.
Ian
aggrottò al fronte. –Perché ridi?-
domandò cupo, mentre nella stanza compariva alle sue spalle
dama Isabeau.
-Madame,
siete
più bella di quanto ricordassi-
s’inchinò Daniel umilmente.
-Monsieur,
ci siamo
visti solo ieri- assentì confusa la donna, permettendosi
comunque di arrossire.
-Daniel,
levati quel sorriso dalla faccia, dannazione! Capisci che la questione
è seria?!- sibilò Ian, ma ancor prima che
l’amico potesse replicare, il Falco proseguì con
queste parole:
-Il
passaggio con Hyperversum
funziona solo se nell’arco di cento metri ci sono
anch’io, quindi posso assicurarti che non ho mai lasciato la
biblioteca del castello per tutta la settimana. Se qualcuno fosse
apparso nella mia stanza durante la notte, o davanti a me o mio figlio
durante la lezione, che dici, forse me ne sarei accorto, no?
Perciò datti pace, perché tua figlia non
è qui- eruppe serio.
Isabeau si
avvicinò al marito. –Perché sei
così arrabbiato?- domandò flebile.
Ian
scoccò un’occhiataccia all’amico, per
poi rispondere: -Almeno io ho insegnato ai miei figli un po’
di educazione e rispetto. O vogliamo presentare Ty Hamilton ad
Hellionor e farle raccontare
“l’esperienza”?- abbassò il
tono ugualmente pungente.
-Ian, grazie
per la pazienza e l’aiuto, ma Hellionor era semplicemente
fuori di casa- mormorò serio Daniel. –La mia
è stata una preoccupazione inutile e superficiale,
perdonami: non avrei dovuto scomodarti tanto-.
Ian
sembrò rasserenarsi tirando un gran sospiro di sollievo.
–Hai ragione, ma scusami tu per questa scenata. Sono solo un
po’ infastidito dal fatto che per colpa tua abbia dovuto
rimandare la battuta di caccia da Etienne- blaterò.
-Battuta di
caccia?- chiesero assieme Isabeau e Daniel, guardando Ian con eguale
stupore.
Il cavaliere
guardò prima uno, poi l’altra. –Pensavo
di avervene parlato ieri a cena…-.
-Ieri a cena
io non c’ero- si difese Daniel. –Non è
che stai cominciando a perdere colpi?- ridacchiò.
Ian
gonfiò il petto e irrigidì le spalle.
–Vogliamo parlare di te? Sono diciassette anni che continuo a
ripeterti quanto sarebbe utile chiudere a chiave quel maledetto
ufficio!-.
-Che fai, ti
offendi?- lo canzonò Daniel.
-Basta, monsieurs,
vi
prego- rise Isabeau frapponendosi tra i due. –Se la figlia di
monsieur
Daniel non corre alcun rischio, non c’è motivo di
mostrare tanta scortesia- accordò con gioia.
Dilungò
un certo silenzio, poi Daniel si rivolse all’amico.
-L’invito
di Sancerre è ancora valido?- chiese.
-Sei
interessato?- si stupì Ian.
-Non io! Era
per te- eruppe Daniel.
-In tal
caso, penso di sì- assentì il cavaliere guardando
la moglie. –Ti andrebbe di venire con me e Marc?-
domandò ad Isabeau.
La donna ci
pensò un istante. –Credo che per questa volta
dovrai portare i saluti a monsieur
Etienne da parte mia-
pronunciò affitta. –Desidero accertarmi di persona
che Michel sconti tutto il castigo-.
Daniel si
preoccupò all’istante. –Che è
successo mentre non c’ero?- formulò accigliato.
Ian gli
rispose con una nota amara e severa nella voce adulta: -Quel ragazzino
ha il brutto vizio fare troppo di testa propria-.
-Mi ricorda
tanto qualcuno- si beffò Daniel.
-Monsieur
Henri
è rimasto poco contento della sua condotta- intervenne
Isabeau amareggiata quanto il marito.
Daniel
s’immaginò il trentasettenne Henri de
Granpré accompagnato dal giovane Michel come suo scudiero.
–Che ha combinato?-.
-Niente che
una mente moderna come la tua possa comprendere- lo
rasserenò Ian con un sorriso posandogli le mani sulle
spalle. –Ma sarei molto onorato se per l’occasione
venissi anche tu- aggiunse.
-Sono io
quello onorato, qui dentro- obbiettò Daniel.
–L’idea di mettermi in sella ad un cavallo
inseguendo volpi e selvaggina in mezzo al bosco si prospetta
tutt’altro che allettante-.
-Sei proprio
invecchiato!- lo rintronò Ian.
Daniel gli
scoccò un’occhiataccia, ma nel contempo gli
sfuggì un sorriso. –Hai un capello bianco- disse.
Ian si
allarmò. –Dove?!- e guardò Isabeau
così che lei potesse confermare.
-Solo uno?-
ridacchiò la donna, di comune accordo con l’amico
del Falco.
-Ma questa
è una congiura…- borbottò Ian
lasciando la stanza, seguito dalle risate divertite della dama e
l’amico.
Un
mese dopo…
-Spegni quel
maledetto computer e vieni qui, idiota!- sbottò Hellionor
afferrando la prima cosa che le capitò tra le mani e
lanciandola addosso al ragazzo. Gabriel si tolse il casco con visore
dagli occhi giusto in tempo per vedersi arrivare in fronte la sua
agenda.
-Vuoi
passare l’anno, o vivere su quella sedia tutta la vita?!-
aggiunse lei abbozzando una mappa concettuale di studi su un foglio
bianco, che successivamente il suo “scolaro”
avrebbe compilato.
-Arrivo,
prof- scherzò lui.
Hellionor si
voltò e fece per lanciargli qualcos’altro.
-Va bene, va
bene!- Gabriel scoppiò dalle risate e mise in pausa il
sistema di gioco, sul quale comparve un’icona fluttuante a
forma di mela. Si alzò da davanti la scrivania e
andò a sedersi sul suo letto, accanto alla ragazza che era
circondata di libri e quaderni con appunti e fogli vari. Erano a casa
di lui, nella sua bella cameretta singola tappezzata di poster
metallari e simboli anarchici.
-Scusa, ma
stavo per uccidere Attila, capisci?- pronunciò orgoglioso.
-Pure mio
padre gioca con quella cazzata- borbottò lei.
Gabriel
sgranò gli occhi. –Non ci credo!-.
-Ti giuro.
Sta le ore davanti al computer, dice per lavoro, ma mamma ogni tanto mi
racconta delle sue partite. Fortunatamente a me quel gioco non piace,
perché proprio non ci tengo a farmi fottere il cervello da
quella droga…-.
-Guarda che
è divertentissimo, una volta dovresti provare-.
-I miei non
vogliono-.
-E
perché, scusa?-.
-Intanto
sono pienamente d’accordo con loro. E come seconda
cosa… non vogliono e basta, dicono che è stupido
e pericoloso per il cervello, ed io ci credo-. E a quanto pare hanno ragione,
aggiunse con il pensiero rivolto all’amico. Guarda come sei
ridotto… Gabriel scoppiò in una
bolla la gomma da masticare che aveva in bocca.
La ragazza
sospirò e si rimise a scrivere con una smorfia. -Voglio
vedere quando sarai tu a dovermi preparare gli omogeneizzati di
matematica- brontolò affondando con rabbia la penna sulla
carta.
-Omoche?-
chiese confuso.
-Il fatto
che tu non sappia cosa sono gli omogeneizzati non mi stupisce-
ridacchiò lei. Tua
madre deve essersi dimenticata di darti un po’ di vitamine al
cervello!
Il ragazzo
si strinse nelle spalle. –Se parli di quella robetta
appiccicosa che si da ai bambini, a me piace. Una volta ne ho
assaggiato uno, sai, di mio cugino che ha due anni-.
-Questo
spiega molte cose- continuò a ridere lei. Si vede che si è
dimenticata di smettere di dartelo, piuttosto!
–Forza, allora- gli porse il foglio sul quale aveva disegnato
lo schema. –Riempi i campi in base a quello che ti ho
spiegato sulla Corte Francese del XIII secolo. E spicciati- lo
ammonì, -perché dobbiamo recuperare anche tutti
gli appunti sulla Crociata Albigese-.
-Anche?!-.
-Che fai
quella faccia stupita? Tanto non sai nemmeno di cosa sto parlando! Un
argomento alla volta, a piccoli passi, possiamo farcela, vedrai- gli
sorrise.
Gabriel
afferrò il foglio da compilare e prese a mordicchiare la
matita, avendo dubbi già dal primo riquadro.
Hellionor lo
guardò in silenzio giusto un minuto, poi si
scocciò, ed esasperata aprì il libro di storia
alla pagina sull’argomento. –Leggi!- eruppe
sbattendoglielo in faccia. –Ad alta voce- aggiunse.
Gabriel
posò il foglio e si schiarì la gola. -Quarto
figlio di Luigi VIII e di Bianca di Castiglia, Luigi il Santo
succedette al padre nel 1226, essendo già morti i tre
fratelli maggiori. Il dodicenne sovrano mosse i suoi primi passi sotto
l'egida della madre, che per alcuni anni assicurò con
decisione la reggenza. Dopo l'improvvisa morte del padre, infatti,
Luigi venne rapidamente armato cavaliere e consacrato re, appena in
tempo per affrontare la rivolta dell'aristocrazia ostile alla reggenza
della straniera regina-madre. Bianca, infatti, era spagnola. Continuo?-.
-E me lo
chiedi?-.
Il ragazzo
sbuffò e riacchiappò il segno.
La lezione
di storia andò avanti tutto il pomeriggio. Nonostante nella
stanza di Hellionor ci fosse il ventilatore acceso e a tutta birra, si
crepava di caldo. Phoenix non era mai stata più torrida.
Gabriel aveva proposto di andare a fare lezione in giardino, ma poi,
appena aperta la finestra, la temperatura era come raddoppiata. La
ragazza fu costretta a stare in canottiera e pantaloncini, gli stessi
con cui il sabato mattina andava a fare un giretto del quartiere di
corsa, tanto per tenersi in forma, e che indossava sotto ai jeans.
Aveva fatto tappa a casa di Gabriel come stabilito dalle lezioni che si
era offerta di dargli quell’estate, dato che nessuna delle
famiglie dei ragazzi avrebbe lasciato l’Arizona per altri
luoghi, causa lavoro. Hellionor aveva portato con sé i suoi
appunti e i suoi libri del corso di storia, assieme ad un quaderno
bianco nel caso che Gabriel si fosse deciso ad insegnarle un
po’ di matematica come si deve.
Le occhiate
interessate di Gabriel su di lei piuttosto che sul libro si erano fatte
sempre più frequenti, e la ragazza non poteva fare a meno di
accorgersene. Cominciava a darle fastidio che il suo ripetente la
mangiasse con gli occhi invece di concentrarsi sullo studio.
La lezione
del giorno dopo si tenne a casa Freeland.
Gabriel si
fece trovare sulla soglia di casa già a buon ora del
mattino, armato del quadernone di appunti che la ragazza gli aveva dato
in prestito, affinché gli desse un’occhiata quella
sera. Suonò il campanello, e Skip cominciò subito
ad abbaiare come un pazzo.
Ad aprire la
porta fu Jodie, in procinto di avviarsi a lavoro. Nella mano aveva
già le chiavi della macchina e a tracolla la borsa con gli
effetti personali.
-Salve
signora Freeland- salutò lui garbatamente.
-Ah,
Gabriel, sei arrivato. Entra- pronunciò cordiale la donna
scambiandosi di posto col ragazzo. Quando Gabriel fu in casa e Jodie
sul tappetino d’ingresso, chiamò la figlia a gran
voce avvertendo dell’ospite giunto.
-Arrivo!-
rispose Hellionor dal piano di sopra.
Jodie tolse
l’allarme dalla macchina pigiando sul telecomandino legato
alle chiavi. –Mio marito lavora a casa oggi e non vuole
essere disturbato, perciò fate i bravi- disse aprendo la
portiera.
Hellionor
scese le scale di corsa e comparve sulla soglia di casa giusto in tempo
per salutare con un bacio la madre. Jodie si soffermò a
bisbigliarle qualcosa all’orecchio, ma la riposta della
ragazza fu un’espressione imbarazzata e indignata.
Dopodiché la signora Freelland mise in moto e
sparì nel viale alberato.
Hellionor
richiuse la porta e accompagnò l’ospite sino nella
sua stanza. –Perdona il disordine, è abituale di
questi giorni. Sai, non avendo molto a cui badare… prima
avevo la scuola che, come dire… restringeva il campo-
ridacchiò lei nervosamente, scomoda di dover mostrare la
propria camera al ragazzo che sapeva averle tentate tutte pur di farsi
piacere a lei.
Gabriel
mosse un passo alla volta e posò i libri sulla scrivania.
–Dov’è il tuo computer?- chiese confuso.
-Papà
l’ha portato a riparare- lo informò lei
dondolandosi sui talloni. –Perché?-
domandò subito dopo.
Gabriel fece
scivolare lo zaino dalle sue spalle al letto. Aprì una
taschina laterale e mostrò un dischetto lucido.
–Ti avevo portato una cosa-.
-Che
cos’è?- la ragazza scattò verso di lui
e gli tolse il dischetto dalle mani, rigirandoselo nelle
proprie.
-Un software
per Hyperversum-
spiegò Gabriel. –Uno scenario per
l’ambientazione- aggiunse.
-Guarda che
mio padre ce l’ha già, te l’ho detto-
eruppe lei seria in volto.
-Lo so, ma
il programma è una cosa, lo scenario un’altra.
Quest’ultima è personalizzabile, ed io ho creato
la mia-.
-In base a
cosa, scusa?-.
-La Corte
Francese del XIII secolo- pronunciò con orgoglio.
Hellionor
sgranò gli occhi e guardò ammaliata il dischetto
tra le sue dita.
-Eh,
già- sospirò Gabriel, e mentre allargava la
cerniera dello zaino per mostrare una coppia di caschi e di guanti in
fibra ottica al suo interno, aggiunse: -E pensare che sono stato tutta
la notte a compilare i parametri. Che peccato che non possiamo
giocarci- scosse la testa.
-Mi spiace-
disse Hellionor con freddezza restituendogli il dischetto.
–Il mio è momentaneamente assente e mio padre sta
lavorando, ed essendo questi gli unici computer che abbiamo in casa,
credo che dovremo accontentarci dei buon vecchi libri- arrise lei con
una smorfia.
-Di’
la verità: un po’ ti dispiace, e secondo me tuo
padre sta giocando invece di lavorare- ridacchiò.
Hellionor si
strinse nelle spalle. –Se anche fosse, non voglio
impicciarmi. Forza, allora: a lavoro- annunciò afferrando il
libro e lanciandosi seduta sul letto. –Metti via quella roba
e sistemati comodo- ordinò sfogliando le pagine fino al
capitolo prescritto. –Vediamo cos’hai imparato
‘sta notte- si beffò allegra.
Gabriel
sbuffò e gettò lo zaino con i guanti, i caschi e
il dischetto da una parte. Poi si sedé di fronte alla
ragazza schiarendosi la gola e sentendosi la bocca improvvisamente
impastata dall’emozione dell’interrogazione.
Skip
passeggiava da una parte all’altra della stanza cercando un
comodo posticino dove schiacciare un pisolino. Rintracciata la cuccia
imbottita che Hellionor aveva nella sua stanza, si sistemò
lì e si addormentò nel lasso di pochi
minuti.
Le prime ore
trascorsero tranquille.
D’un
tratto si udirono dei passi nel corridoio e il vecchio Skip, dormiente
nella sua cuccia, non se ne
accorse subito; tantomeno i due del tutto presi dallo studio. La porta
si aprì.
-Helly io
vado. Fai uno squillo a Jodie e dille che ‘sta sera la passo
a prendere io- nella stanza entrò il padre della ragazza
che, nel trovarsi di fronte sua figlia accanto ad un baldo giovane che
probabilmente incontrava per la prima volta, rimase non poco stupito.
-Buon
dì, signor Freeland- esordì Gabriel.
-Papà
lui è Gabriel. Te ne ho parlato, no?- lo precedette
Hellionor prima che suo padre potesse farsi i suoi spregevoli e
protettivi filmati mentali.
-Ah,
Gabriel!- sobbalzò Daniel. Mosse un passo avanti e
allungò la mano verso l’ospite, che gliela strinse
con un sorriso. –Lo storico pigro…-
brontolò l’uomo, ma la figlia lo
fulminò con un’occhiataccia. –Molto
piacere. So che in cambio delle lezioncine darai a mia figlia qualche
ripasso di matematica. Vedi di mantenere la parola-.
-Ho giurato
sulla mia testa, signore- scherzò il giovane.
-Ottimo,
ottimo…- farfugliò Daniel. Tornò a
rivolgersi alla figlia. –Ti lascio in custodia la casa e
Skip. Dagli da mangiare, io torno ‘sta sera tardi- disse.
Hellionor
annuì con una risata. –Fa’ con calma,
non preoccuparti-.
-Arrivederci
signor Freeland- salutò Gabriel.
-Piccola, al
mio rientro voglio trovarti a letto- pronunciò allegro.
–Da sola- aggiunse più severo scoccando
un’occhiata eloquente all’ospite.
-Papà!-
Hellionor scattò in piedi e spinse il padre fuori dalla sua
stanza. –Sei peggio di mamma, in certe cose…-
sibilò quando furono soli in corridoio.
-Ho fatto
qualcosa di male al di fuori del mio dovere di genitore?- chiese Daniel.
-Tu prendi
troppo alla lettera quel maledetto manuale del bravo genitore!- eruppe
Hellionor accompagnandolo all’ingresso.
Rientrata in
stanza, trovò l’amico seduto alla scrivania vuota
e chino sui libri.
La
temperatura cominciava ad alzarsi man a mano che si avvicinava il
mezzogiorno. Gabriel fu incaricato di accendere il ventilatore e lo
sparò a tutta birra sul letto, ma ciò
provocò un turbine che spazzò per aria la gran
parte degli appunti e dei fogli con gli schemi di Hellionor. La ragazza
saltò sul letto e cercò di recuperarne alcuni
gridando: -Spegnilo! Spegnilo!-.
Gabriel
sembrava divertirsi, perché rideva come un matto e non
spegneva mica il ventilatore, anzi! Indirizzava i fogli più
in alto.
Freeland
smontò dal materasso e si rimboccò le maniche
pronta a menare se necessario, ma Gabriel cominciò a
scappare per la stanza come una femminuccia, e ridendo come un idiota.
-Dai,
smettila!- ridacchiava Hellionor.
Gabriel alla
fine cedette e, aiutando la ragazza a raccogliere i fogli,
continuò a ridere sotto i baffi.
-Sei un caso
disperato- blaterò Helly. –Ma sei così
anche in classe?- domandò.
-Sì-
rispose lui, e sembrò vantarsene.
-Povere le
tue professoresse- commentò lei.
Lo studio
riprese tranquillo così com’era iniziato per
qualche ora, fin quando i primi crampi allo stomaco per la fame non
cominciarono a farsi sentire.
-Ehi, dove
vai?- chiese Gabriel nel vederla alzarsi dal letto senza una parola.
Hellionor
tacque e mosse alcuni passi verso la porta. Si fermò e gli
rispose mentre posava la mano sulla maniglia. –Hai fame? Vado
a preparare qualcosa da mangiare-.
-Guarda, tra
poco devo tornare a casa. Ho detto ai miei che sarei rientrato per
pranzo. Comunque se stai pensando ad una merenda di metà
mattina, buona idea!- arrise lui.
-D’accordo,
ma tu continua!- lo sgridò lasciando aperta la porta alle
sue spalle. Traversò il corridoio e giunse sulle scale che
Skip le veniva incontro di corsa abbaiando.
-No, non te
la do la pappa, mi spiace- borbottò la ragazza ferma sul
pianerottolo. Si chinò a grattarlo dietro le orecchie.
–Mamma ti ha lasciato la ciotola piena ‘sta mattina
e se l’hai svuotata in tre secondi, non è un
problema mio. Manca ancora un po’ all’ora di cena,
vecchiotto- rise.
Il cane
tirò indietro le orecchie e andò a stendersi sul
divano, sapendo che la padrona più indulgente ben glielo
permetteva.
Di ritorno
dalla cucina con un vassoio di acqua e biscotti per la merenda, uno dei
quali Hellionor aveva già in bocca, aprì la porta
della stanza di spalle. Trovò la camera vuota e per un
attimo credé che Gabriel potesse essersi suicidato
buttandosi dalla finestra, che di fatti era aperta.
La ragazza
posò il vassoio sulla scrivania e, levandosi il biscotto di
bocca, chiamò l’amico più volte, ma
questi non gli rispose. –Se ti sei nascosto, non è
divertente!- sbottò Hellionor frugando dietro la porta,
nell’armadio e dietro le tende. –Gabriel,
dannazione, esci fuori!- strillò, ma si arrese in fretta al
pensiero che il suo amico potesse essere semplicemente in bagno.
Sospirò
e rilassò le spalle, preda del costante terrore che quel
ragazzo aspettasse solo il momento migliore per saltarle addosso.
Uscì dalla stanza rifacendosi la coda e lanciò
un’occhiata al bagno lì accanto, ma vedendo la
porta aperta e la luce spenta all’interno,
scartò anche quell’evenienza.
-Ma dove
diavolo…- e poi vide.
La porta
dello studio di suo padre era leggermente socchiusa, e
dall’interno proveniva una luce che la ragazza aveva imparato
a riconoscere. Man a mano che si avvicinava, riuscì a
sentire un sottofondo di musica elettronica con toni medievali, e da
quel punto in avanti non ci furono ulteriori dubbi.
-Gabriel!-
la ragazza piombò nell’ufficio gridando il suo
nome.
Sorprese il
ragazzo seduto sulla poltrona dietro la scrivania, con indosso il casco
e i guanti. Sobbalzò e si guardò attorno
sperduto, e solo allora si accorse di essere stato chiamato nel mondo
reale e non in quello del gioco. Si tolse il casco, ma Hellionor era
già al suo fianco mettendo le mani scuramente dove non
avrebbe dovuto.
-Si
può sapere come ti viene in mentesi toccare il computer di
mio padre?!- strillò furibonda pretendendo il mouse e
cliccando la voce di uscita dal menù di pausa che era
comparso nel momento in cui Gabriel aveva bloccato il gioco.
-No,
aspetta, così fai un casino! Cazzo, fermati!- il ragazzo le
strinse i polsi costringendola ad allontanarsi e, alzandosi dalla
sedia,
spinse indietro l'amica. –Hellionor, calmati!- eruppe.
La ragazza
guardava ora lui poi il desktop del computer. –Come hai
fatto? Come sapevi la password?- chiese con sgomento infinito.
-Tuo padre
ha lasciato tutto acceso quando è uscito-
confessò Gabriel scostandosi da lei e rimettendosi seduto.
Scansando guanti e casco da una parte della scrivania, prese il
controllo di mouse e tastiera riparando al danno fatto
dall’amica.
-Questo non
ti autorizza a…!- fece per obbiettare, ma Gabriel la
precedette.
-Sì,
scusa, hai ragione, perdonami! Ma quando mi sono accorto che il
computer era acceso, la tentazione era troppa! All’inizio, lo
ammetto, volevo solo provare il mio scenario dato che non ne ho avuta
occasione, avendolo ultimato solo ‘sta mattina prima di
uscire. Appena mi sono seduto, invece, ho rintracciato il caricamento
di una partita già iniziata, e be’, Helly! Lo
scenario di tuo padre è incredibile! Grandioso,
spettacolare! Devi assolutamente vedere!-.
La ragazza
scosse la testa. –No, Gabriel, tu non capisci! I miei mi
ammazzano se…-.
-E dai!
È solo una partita, un gioco! Cosa vuoi che succeda?- le
sorrise affabile.
Il suo amico
era al settimo cielo, ma Hellionor aveva cominciato a torturarsi
l’unghia del pollice nervosamente. Non le piaceva
l’idea di usare il PC di suo padre, disubbidendo
così a ben due dei comandamenti di casa: 1. non entrare
nello studio. 2. non giocare ad Hyperversum.
Solo
niente telefono, amiche e
piedi fuori di casa per tutto il resto dell’estate!
Già, cosa vuoi che succeda?! sbuffò
la ragazza.
-E va bene-
si arrese alla fine. –Ma una vita sola, non voglio nemmeno
aspettare il game over, chiaro?- proruppe afferrando una sedia e
sistemandola vicino alla poltrona dove sedeva l’amico.
-Chiarissimo.
Tieni- Gabriel le porse guanti e casco. –Vedrai, non te ne
pentirai- disse sorridendo emozionato e in modo sincero, mentre
guardava la ragazza prepararsi.
(1) Nous
avons cherché
partout!: Abbiamo cercato dappertutto!
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Capitolo 3 *** Soldato e contadina ***
Intanto,
nella Francia del XIII secolo…
Il
grido del falco spaventò uno stormo di uccelli appollaiato
tra i rami. Questi spaziarono per un istante tra gli alberi del bosco,
poi fuggirono via tra le fronde e le foglie librandosi
nell’azzurro limpido cielo.
La
piccola volpe rossa schizzava da un arbusto all’altro come
una freccia. Le zampette velocissime trattavano metri e metri di suolo
in pochi secondi, la coda tra le gambe, i muscoli tesi e scattanti, il
muso allungato e le orecchie basse. Sfiatava verso il riparo
più vicino, annusava l’aria fresca del bosco senza
fermarsi mai. Inseguita dal trottare intenso di alcuni cavalli sul
selciato selvaggio a poche spanne da lei, fuggiva disperata. La caccia
si era aperta così.
-Dannazione,
Ian, maledetto quel tuo falco, l’ha spaventata! Ancora poco e
l’avrei centrata con l’arco!- si lamentò
il cavaliere in testa al gruppo. Era un uomo dal volto tirato e
determinato, la chioma mossa lunga e castana. Busto eretto, talloni ben
piantati verso il basso nelle staffe. Indosso portava speroni e
stivali, assieme all’emblema di famiglia sotto il mantello da
caccia. L’arco in una mano, le redini nell’altra,
mentre il suo palafreno manteneva un galoppo onorevole.
-Guarda
il lato positivo, Etienne! Così è più
divertente!- ridacchiò il compagno d’armi che
galoppava alla sua sinistra. Costui era Henri de Granpré, la
cui capigliatura fluente e castana preferiva tenerla corta. Il viso era
quello di sempre: eternamente solare e fanciullesco, anche
così avanti negli anni. Occhi scuri di giovane Falco che
anche lui era sempre stato.
-Vediamo
quanto ti divertirai, Henri, ad inseguire quella maledetta volpe in un
buco di terra grande quanto la tua testa!- sbottò amaro
Sancerre.
Henri
lasciò che il cavallo di Etienne lo portasse più
avanti nella corsa e, accostandosi alle tre figure rimaste poco
più indietro, assunse in viso un’aria poco serena.
-Non
è mai stato così… truce-
commentò Granpré verso di Ian.
-Lascia
che si sfoghi almeno nella caccia- sospirò
quest’ultimo. –È solo parecchio
contrariato dal fatto che Donna gli abbia
“regalato” un’altra bambina-.
-Etienne
desidera un figlio maschio al quale insegnare l’arte della
guerra che tanto lo appassiona- spiegò Granpré.
–Tre figlie femmine. Questo non gli ci voleva-.
-E a
quanto pare io non basto a fargli compagnia- intervenne un giovane del
tutto nuovo. Il ventisettenne che aveva appena parlato era Louis de Sancerre,
primo ed unico erede del conte Guillaume de Sancerre, e nipote di
Etienne.
-Louis,
non per scoraggiarvi, ma siete già troppo vecchio-
intervenne un quarto cavaliere.
-Marc,
ma ti sembra il modo di rivolgerti ad un feudatario maggiore?- eruppe
Ian fulminando il ragazzo con un’occhiataccia.
-Perdonatemi,
padre- Marc abbassò lo sguardo sullo sterrato e si
limitò a portar dritto il suo cavallo.
-Suvvia,
siamo tra amici- sorrise Louis amichevole verso il più
giovane del gruppo.
Padre e
figlio indietreggiarono ancora, lasciando andare avanti i conti di
Granpré e Sancerre, che accorsero a recuperare Etienne a
vagare da solo nel bosco.
Ian
proseguì al passo, e Marc tirò le redini facendo
altrettanto. Il conte de Ponthieu e il suo cadetto furono avvolti dalla
quiete della foresta.
-Non
voglio che tu ti permetta certi colpi di testa come tuo fratello
Michel. Anche se è Louis stesso a dartene il consenso, non
devi rivolgerti a lui come uno stretto consanguineo. Speravo che almeno
questo ti fosse entrato in zucca- lo rimproverò.
Marc
tese le spalle incassando l’accusa. –Chiedo venia:
non intendo certo insabbiare il confine che distingue me da mio
fratello, tantomeno le responsabilità che competono a
ciascuno di noi-.
Ian
sospirò. Non riusciva proprio a punire con tanta
rigidità chi era così uguale a lui in tutto. Marc
de Ponthieu, il diciassettenne che aveva dinnanzi, dagli occhi ai
capelli, dalla corporatura ai vestiti, era una sua fotocopia.
E
pensare che ormai faccio
fatica a ricordare cosa sia una fotocopiatrice! Scoprì
Ian con un sorriso.
Marc se
ne accorse. –Cosa vi rallegra, padre?- domandò
sereno.
-Nulla-
assentì vago il conte. –Piuttosto, vedi di tenere
a mente cosa ti ho detto. E da oggi, voglio che porti più
rispetto anche ad Etienne. Sta passando un brutto periodo- convenne
partendo al trotto, e Marc lo imitò.
Etienne
fermò il cavallo, tese l’arco, incoccò,
e in una frazione di secondo puntò la sua preda.
Accompagnò con un grido di liberazione la freccia, che
sibilò nell’aria immobile della foresta e
colpì la volpe prima che questa raggiungesse la sua tana.
L’animale si accasciò contro le radici
dell’albero con uno schianto per via del colpo ricevuto in
pieno costato. Ansimò per qualche istante dissanguando in
terra, poi tacque e morì.
Granpré
e il nipote di Etienne, Louis, giunsero alle spalle del signore di
Séour fermandogli accanto i cavalli.
-Bel
colpo- ammise Louis con sincera ammirazione.
Etienne
non rispose, smontò dalla sella e si chinò sulla
carcassa.
Ian e
Marc apparvero nel momento in cui Etienne estrasse la freccia dai
muscoli ancora caldi e tesi dell’animale. Marc
corrugò la fronte e le labbra a quella truce visione, ma si
trattenne dal commentare così come, con
un’occhiata eloquente, gli aveva chiesto suo padre.
Alla
piccola Alix avrebbe fatto
piacere un animaletto di compagnia…
pensò nel contempo Ian, amaro. Se solo Etienne si fosse degnato
di lasciar vivere quella povera bestia e portarla al castello.
-Qualcuno
di voi sente lo stomaco brontolare?- domandò invece Louis
con una certa ironia.
Granpré
si permise un mezzo sorriso. -Sarebbe ora di rientrare-
suggerì Henri. –Certamente siamo attesi per pranzo
alla tavola di madame
Donna-.
-Infatti-
sbottò Etienne liberandosi della carcassa della volpe in un
cespuglio vicino. Dopodiché rimontò in sella e
fece strada per il ritorno.
Nel
mondo moderno…
Gabriel
armeggiò con esperienza nel menù di avvio e
impostò data, ora e località secondo delle
coordinate già predefinite.
-E se
mio padre si accorgesse della partita modificata?- chiese Hellionor con
un moto di ansia che le si agitava nello stomaco, compatta nel casco
che indossava per la prima volta sulla testa.
-Ho
aperto un nuovo caricamento, ‘sta tranquilla. Della vecchia
partita ho ricalcato solo l’ambientazione. Ho inserito il
dischetto coi dati del mio personaggio, mentre per creare il tuo volevo
aspettare di averti accanto- disse cordiale.
-Tu
cosa sei?- domandò Hellionor.
-Per
ora la mia esperienza in questo tempo del gioco mi permette di essere
un soldato comune. Appartengo però al casato di un nobile
cavaliere francese vissuto in quell’epoca. Ho studiato il
profilo del Cadetto giusto ‘sta mattina. Un
certo…- Gabriel ci pensò qualche istante avviando
in contemporanea il caricamento. –Scusa, mi sfugge il nome-.
-Perfetto!
Servi un Signore di cui nemmeno conosci il nome. Che vergogna-
ridacchiò istericamente la ragazza.
-E dai,
tanto a chi vuoi che importi? Il nostro sarà solo un giretto
turistico. Appena entriamo ti spiego i comandi-.
Hellionor
annuì e serrò i pugni testando la
comodità dei guanti.
In una
decina di minuti, ecco forgiato dal nulla il personaggio che Gabriel
creò per lei in base ai gusti della ragazza, tenendo
però fede alla somiglianza del viso per quanto le texture
del gioco potessero permetterlo.
-Soddisfatta?-
chiese lui durante una nuova procedura di caricamento.
Hellionor
si sistemò più comoda sulla sedia.
–Penso di sì…-.
La
musichetta medievale di sottofondo discrepò il suo volume
poco a poco, poi lo schermo all’interno del casco si fece
tutto buio come la notte, mentre una voce elettronica femminile
presentava data e luogo della partita.
-Saltiamo
l’introduzione, va’…-.
-No,
aspetta!- Hellionor scattò in avanti con un braccio teso.
Troppo
tardi, ma Gabriel, spaventato dal gesto improvviso della ragazza,
sobbalzò sulla sedia. –Che
c’è?! È una parte di storia che
già conosciamo- ridacchiò. –Tranquilla!
Il baldo soldato non permetterà alla povera giovane
contadina di finire in pasto ai leoni-.
-Intanto,
non penso che nella selva francese incontreremmo mai dei leoni. Come
seconda cosa…- esitò. –Ho un brutto
presentimento-.
-Ma non
dire sciocchezze, e smettila di farti schiava del senso di colpa. Sei
troppo una brava ragazza, Helly. Tuo padre non lo verrà a
scoprire, vedrai. Per sicurezza il salvataggio della partita lo
terrò con me nel mio dischetto, così non
lasceremo tracce-.
-C’è
sempre la cronologia del computer, e…-.
-Helly-
sospirò Gabriel sollevando il visore del casco. Fece
altrettanto a quello della ragazza e la guardò negli occhi.
Hellionor
era rigida come un palo di legno sulla sedia. Apriva e chiudeva i palmi
nervosamente a contatto coi guanti di fibra.
-Finché
non ti calmi non avvio la partita- la minacciò il ragazzo.
-E
allora non farlo-.
-Rilassati!-
le strinse le spalle. –È finzione, diamine, non
sentirai dolore se qualcuno dovesse tagliarti un dito!- rise.
–Comunque, tanto per farti stare tranquilla, ho impostato la
partita senza un obbiettivo preciso. In Francia si vive dopotutto un
certo periodo di Pace, se metti da parte i contrasti tra la corte Luigi
IX e quei taccagni del sud bravi solo a far pregiudizi. Il Re
partirà per la Settima Crociata solo tra qualche anno.
Entriamo in gioco come turisti, quindi per adesso goditi il viaggio.
Poi, ne sono certo, non potrai più farne a meno!-.
Hellionor
non sapeva cosa l’attendesse oltre la soglia del mondo reale,
al confine tra storia e fantascienza. Hyperversum era
sempre stato per lei un luogo ostile e segreto, una parte di mondo che,
fin dalla prima adolescenza e negli anni successivi, non
l’aveva mai attratta a tal punto da desiderare di mettervi le
mani. Sia per gusti personali che per costrizione dei parenti,
Hellionor non provava curiosità e interesse alcuno nel mondo
al di là del grande muro della fantasia. Lo scenario, come
detto da Gabriel, poteva anche ricalcare in dettaglio l’epoca
medievale che stavano studiano, ma sarebbe rimasto tutto a livello di
gioco, nell’immaginazione di un pazzo che fumandosi
chissà cosa aveva inventato quell’aggeggio.
Eppure,
si ritrovò a pensare quanto fosse strana quella situazione.
Daniel Freeland giocava su un unico scenario ambientato nella Francia
del XIII secolo da diciassette anni. Poteva suo padre interessarsi
tanto…
Ad
interrompere il filo dei suoi pensieri fu l’immagine del
pianeta Terra visto dallo spazio. Davanti agli occhi della ragazza,
l’inquadratura si avvicinava alla terra sempre più
velocemente, traversando le nubi dell’atmosfera e le nuvole
del cielo, andando a circoscrivere un determinato tracciato di terra
all’interno dello stato Francese.
-Dove
stiamo andando di preciso?- chiese la ragazza.
-Un
castello nella Francia settentrionale. Borgogna, penso…-
annunciò la voce di Gabriel attraverso
l’auricolare incorporato nel casco. –Dalle immagini
mi è sembrato un bel posto-.
I due
personaggi si materializzarono in aperta campagna, durante una fresca
mattina estiva. Sopra le loro teste c’era un cielo azzurro
limpido come uno specchio. Sotto i loro piedi un sentiero che portava
sino alla prima cinta di mura del grande e magnifico maniero, le cui
torri svettavano nell’immenso proiettando la propria ombra
nella pianura attorno. Il sole rischiarava l’orizzonte fin
dove la qualità delle texture del gioco lo permetteva, con
un dettagli grafico sensazionale.
Hellionor
restò del tutto a bocca asciutta di fronte la spettacolare
vista che le si prospettava dinnanzi. Oltre al castello, i cui emblemi
blu e bianchi sventolavano al vento, la gente trafficava viva
sull’ingresso per la cittadella.
In un
breve lasso di tempo, durante il quale Gabriel arrestò lo
scorrere delle lancette nel gioco, il ragazzo spiegò ad
Hellionor i comandi basilari per governare il suo personaggio. Freeland
imparò in fretta, non senza riscontrare qualche
difficoltà sui primi passi, ma col trascorrere
dell’esperienza, la rasserenò Gabriel, sarebbe
diventata capace quasi senza accorgersene.
Riprese
tra le mani le briglie del gioco, soldato e contadina seguirono lo
sterrato fino alle mura della città. Com’era
abitudine nel gioco, ma anche storicamente, si registrarono coi propri
nomi di battesimo al posto di guardia.
-E’
incredibile! Sembra di essere davvero nel medioevo…-
mormorò Hellionor.
-Vieni,
facciamo un giro in città- suggerì Gabriel, e
condusse avanti il suo personaggio.
Hellionor
gli andò dietro come fosse la sua ombra.
-Sei
una contadina, calati nella parte- ridacchiò il ragazzo.
-E voi,
messere, potreste anche spiegarmi come mai, dopo tanti studi assieme,
non siete ancora in grado di riconoscere lo stemma dei Sancerre sulla
vostra e sulla divisa di tutti i soldati qui attorno!- si
beffò la ragazza con una nota di rimprovero.
Effettivamente
Gabriel portava sul petto la figura araldica dei Sancerre: una barra
bianca obliqua in campo blu, e come lui tutte le guardie per la
città.
-Ah! Ma
certo!- il personaggio del ragazzo mimò il gesto di battersi
una mano in fronte. –Sancerre, Etienne e Guillaume de Sancerre!-.
-Per
rimediare al votaccio dovrai rispondere a questa domanda: chi dei due
affiancò il Falco d’Argento nella Battaglia di
Bouvines?-.
-Etienne,
ovviamente. I due erano grandi amici-.
-Che
bravo, meriti una stellina- fece una smorfia. –E chi dei due
è ancora in vita se questo è l’anno
1232?-.
-Etienne!
Ma adesso smettila di fare storia e guardati attorno!- il suo
personaggio allargò le braccia accogliendo tutta la
città. –Non è meraviglioso?-.
La
ragazza annuì col sorriso sulle labbra, e il suo personaggio
fece altrettanto.
Girovagarono
allungo per la cittadella fortificata, bazzicando qua e là
tra una bancarella e l’altra, conversando coi mercanti e
interpellando i passanti. Hellionor si stupì
dell’incredibile varietà di voci, vestiti,
accessori e caratteri di cui disponeva Hyperversum.
Ciascuna persona aveva le sue fattezze, le sue espressioni, il suo tono
di voce, l’età e un posto ben collocato
all’interno dell’attività del castello.
-Séour-
annunciò Hellionor ad un tratto.
-Come?-
chiese Gabriel riscosso dai suoi pensieri, mentre traversavano la zona
del mercato.
-Séour-
ripeté la ragazza con un sorriso radioso stampato in volto,
e il suo avatar teneva incredibilmente fede. –Dimora di
Etienne de Sancerre. Siamo a Séour- annunciò con
chiarezza.
Il
personaggio di Gabriel si accarezzò la maglia con
l’emblema della nobile famiglia sul petto. –Che
onore- pronunciò orgoglioso.
Dopo un
interminabile minuto di silenzio, Gabriel si rivolse di nuovo a lei:
-Ti
piace- constatò beffardo.
Hellionor
fu costretta ad annuire. –Non pensavo fosse
così… reale- sospirò.
-E
questo è niente. Aspetta di entrare in battaglia e
maneggiare una spada-.
La
ragazza gli tarpò subito le ali con una smorfia.
–No grazie, credo che quel genere di cose non faccia per me-.
-E va
bene- rifletté Gabriel. –Se le lame ti spaventano,
il tuo personaggio potrebbe sempre farsi una certa fama come arciere-.
-Sono
una donna, e comunque sarei negata anche in quello-.
-In Hyperversum
non
conta se sei una donna. Devi mettere da parte la storia al gioco,
Hellionor- eruppe più serio.
-La
contadina mi piace- insisté lei.
-Guarda
che anche l’aratro è pericoloso-
l’ammonì Gabriel.
-Se
devo scegliere tra le campagne e la guerra, scelgo la prima- arrise
l’altra.
-Non
hai nemmeno provato. Smettila di andare avanti a pregiudizi!-
ridacchiò.
-Non
sono pregiudizi, solo… non voglio sciupare tutto e subito.
La vita tranquilla, anche quella virtuale, mi piace, la preferisco di
gran lunga-.
-Tutte
uguali voi femmine- blaterò, ed Hellionor gli
scoccò un’occhiataccia.
Gabriel
svoltò d’un tratto in una stradina più
buia, lasciando interdetta l’amica. -Vieni, avviciniamoci al
castello-.
-Non
credo sia una buona idea- sibilò la ragazza, costretta
però a seguire col proprio avatar il compagno di viaggio.
–Sicuramente è una zona privata e controllata
dalle guardie-.
-Non
preoccuparti: dopotutto sono uno di loro e mi faranno passare-.
-Già,
a te sì…- brontolò lei.
-Sei
sempre così pessimista. Se ti spacci per la mia dama di
compagnia, forse combiniamo qualcosa-.
-Dama
di compagnia?!- le si rizzarono i capelli.
Gabriel
scoppiò in una fragorosa risata. Hellionor, invece, era
ancora tesa come una corda di violino, non riuscendo a dissimulare
l’ansia che le si agitava nello stomaco sotto forma di
fastidiose farfalle. Finzione,
Hellionor! Finzione! Smettila di essere così nervosa.
Infondo, cosa può capitarci di tanto male? Spero solo di non
dover giocare con un avatar senza un dito per il resto della mia
vita…
Il
cortile dell’alta corte era vicinissimo. Il torrione al
centro del castello svettava imponente. Gli stemmi dei Sancerre
sventolavano nel vento appesi ai davanzali delle finestre oppure in
alto tra i merli delle mura.
-Basta,
Gabriel, siamo abbastanza vicini. Dai, torniamo indietro…-
Hellionor cominciava ad inquietarsi. Gli occhi digitali ma
così ben fatti delle ronde di guardia e degli arcieri sui
bastioni erano solo su di loro. Qualcosa, inoltre, le faceva tremare la
terra sotto i piedi. Inizialmente credé che si trattasse di
una sua impressione dovuta al nervoso che le circolava nel sangue, ma
poi, lo scalpiccio frenetico di zoccoli si fece sempre più
vicino.
-Sta’
tranquilla- sbuffò Gabriel continuando dritto. -Hyperversum delle
volte lo fa a posta. Mette sotto pressione i giocatori, così
un gesto o un passo falso…-.
-GABRIEL!-.
Il
ragazzo si voltò per vedersi venire addosso quattro
cavalieri in corsa sui possenti palafreni.
Hellionor
si gettò su di lui e lo spinse via dalla strada, giusto in
tempo perché la carica di cavalli li sfiorasse entrambi di
un pelo. Il dolore della caduta l’assalì
all’improvviso. Percepì i gomiti sbucciarsi, le
ginocchia premere sulla pietra della terra anche attraverso il tessuto
ruvido e spoglio della gonna. Suoni, profumi, voci sembravano aver
assunto una sfumatura più percettibile,
più… reale: il puzzo di sterco di un vicolo
vicino, il frastuono degli zoccoli dei cavalli e il loro nitrire
spaventati. E poi il francese, parlato dalla gente… ovunque.
Proprio
in mezzo
all’autostrada! Gemé Hellionor
riaprendo gli occhi. Ancora non aveva osato muoversi di un centimetro
quando si accorse di essere completamente stesa sopra il suo amico.
Gabriel era a terra pancia all’aria e mugolava qualcosa a che
fare col suo fondoschiena.
-Scema,
mi sei saltata addosso davvero e sono caduto dalla sedia!-
lagnò Gabriel.
Hellionor
sollevò la testa, poi si mise in ginocchio, mentre il cuore
in petto le batteva sempre più forte. Sbatté le
palpebre più volte, fissando un punto dritto davanti a
sé.
Il
gruppo di cavalieri si era fermato nel bel mezzo della strada,
circondato dalla gente curiosa che aveva assistito alla scena e udito
le urla. Il cerchio di donne, uomini e bambini si stringeva attorno ai
due ragazzi a terra. Uno dei passanti offrì la propria mano
per aiutare Hellionor ad alzarsi. Nel frattempo, con un accento e
parlato straniero, diceva qualcosa che la ragazza non riusciva a
comprendere.
Hellionor
rifiutò scuotendo la testa, non sapendo che altro fare.
-Gabriel…- mormorò esangue. Allungò
una mano a carezzare il tessuto dell’uniforme che indossava
l’amico: la sentì calda, e solida come la vera
cotta di maglia che portava sottostante all’usbergo con
l’insegna dei Sancerre. Gli diede uno scossone.
–Gabriel…- singhiozzò. Nel guardarlo in
faccia, quando il ragazzo si mise seduto, stava ormai per svenire.
–Gabriel, non sei caduto dalla sedia, Gabriel…-.
-Che
botta- gemé il giovanotto massaggiandosi i gomiti
indolenziti, e fu allora che anch’egli si accorse di avere
addosso almeno tre chili di ferro su ginocchia, braccia e petto.
Guardò
verso l’amica a bocca aperta, e sembrò impiegare
qualche istante per leggere attraverso i suoi occhi, ora reali, azzurri
come diamanti e lucidi per le lacrime che si andavano a creare.
Dopodiché Gabriel si tastò il volto, quasi
schiaffeggiandosi le guance, aprì e chiuse i palmi dieci
volte, si guardò attorno boccheggiando in assenza
d’aria.
Hellionor
prese a tremare come una foglia. –Dimmi che non siamo dove
penso che siamo…- frignò sentendo improvvisamente
freddo, e le forze anche solo per stare seduta a terra le venivano
meno.
-Oh
merda…- imprecò Gabriel. –È
impossibile… cosa… ma… non
capisco… dove siamo?-.
Spariti
i guanti.
Sparito
il casco.
Culo a
terra, chissà come, nel vero mondo medievale.
Ecco
dove siamo…
Hellionor scoppiò in un silenzioso pianto isterico.
|
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Capitolo 4 *** Help ***
Con
grande stupore dei suoi compagni d’arme, uno dei cavalieri
smontò palesemente di sella sotto gli occhi curiosi della
gente attorno e tornò indietro. Man a mano che si avvicinava
a grandi passi verso di loro, Hellionor stringeva sempre più
forte il tessuto della gonna tra le dita. Gabriel accanto a lei si tese
come una corda di violino.
Il
cavaliere andò incontro ai due riversi in terra e
afferrò Gabriel per la sua veste da soldato, trascinandolo
in piedi con le cattive maniere. –Stupide
fou! Voulais-tu faire tuer toi?! (1.) - gli
strillò contro profondamente arrabbiato.
Il
volto severo e la mascella contratta per l’ira traspiravano
un caratterino facilmente irritabile giunto sul limite della
sopportazione. I capelli scuri gli incorniciavano un viso abbronzato,
adulto e segnato dagli anni. La minacciosa spada legata al fianco
faceva gelare la pelle. Scosse Gabriel incitandogli la risposta, ma il
ragazzo era paralizzato sulle gambe inferme ad occhi sgranati, mentre
quelli profondi dell’uomo lo fissavano con rabbia.
Gabriel
respirava a fatica: la forza del cavaliere che aveva davanti,
stringendolo per la veste, lo faceva levitare per aria coi piedi a
penzoloni. Era sbiancato improvvisamente come un cadavere, il cuore gli
tuonava così forte nel petto che Hellionor, alle sue spalle,
avrebbe detto di poterlo sentire.
Mille
pensieri le si agitavano nella testa. Mille ipotesi, mille tormenti la
mordevano alla base dello stomaco senza lasciarle prendere fiato. La
ragazza rimase zitta e in ginocchio al suolo, guardando la scena dal
basso. Intimorita, spaventata, lacrimante, vide un secondo cavaliere
smontare di sella e giungere dietro al compagno. Costui aveva i tratti
molto differenti dall’amico: capelli corti e castano chiari,
ma il viso era pallido e gli occhi colmi di rancore e
serietà che, ad un volto apparentemente giovane e fino come
quello di un suo coetaneo, non si addicevano. Sembrava quasi che stesse
fingendo di essere serio. –Etienne,
ça suffit (2.)- proruppe severo quel tanto che
bastò.
Etienne
de Sancerre lasciò la presa sulla divisa del ragazzo con uno
strattone e lo gettò indietro. Gabriel perse
l’equilibrio e cercò il sostengo dietro di
sé, ma ad attenderlo trovò solo una nuova caduta
a terra. Il fatto suscitò le risate di alcuni bambini e
soldati capitati ad assistere tutt’intorno ai due.
-Tu
as reproché assez
des gens aujourd'hui (3.)- sbottò ancora
l’altro cavaliere.
-Il
y en a même trop
des gens incapables pour la route (4.)-
borbottò Etienne scoccando un’ultima occhiataccia
a Gabriel, poi si voltò incamminandosi verso il suo cavallo
e gli altri compagni, seguito da Henri.
Hellionor
riconobbe con facilità la cadenza francese, ma il senso
delle parole, nonostante le fosse stata insegnata un po’ di
grammatica da suo padre Daniel, sfumava dietro la cortina di paura e
confusione che le fluttuava davanti agli occhi. Si strinse con
disperazione a Gabriel, ricaduto seduto sulla strada al suo fianco, e
l’amico le cinse i fianchi con le braccia.
Insieme,
stretti l’uno a l’altra, guardarono i due cavalieri
dar loro le spalle e rimontare in sella ai propri destrieri. Etienne de
Sancerre condusse avanti il convoglio verso l’alta corte, a
seguirlo fu l’uomo intervenuto a difesa del ragazzo, assieme
ad un giovane biondino vestito di rosso. Su cinque che erano, solo due
cavalieri si soffermarono a tener buoni i cavalli. La gente tornava
alle faccende quotidiane, il trambusto per strada riacquistava vigore e
consistenza.
Hellionor
incontrò gli occhi prima di uno, poi dell’altro
nobile, riconoscendoli immediatamente come padre e figlio. La
capigliatura, il portamento in sella coi talloni ben piantati verso il
basso, e l’usbergo da caccia col falco d’argento in
campo bianco e azzurro erano solo dettagli di chi questi potessero mai
essere.
-Père-
chiamò
il più giovane incamminandosi al trotto sulla via.
Jean
Marc de Ponthieu indugiò allungo sulla figura di Hellionor,
scrutando la fanciulla dall’alto del suo palafreno bianco.
Accorciò le redini, irrigidì le spalle, poi
piantò i talloni nei fianchi dell’animale e
raggiunse i compagni d’arme, in silenzio, assieme al figlio.
Non
appena le acque si furono placate e le figure dei cinque cavalieri
abbastanza lontani tra la gente che animava il corso centrale di
Séour, Hellionor e Gabriel si alzarono in piedi aggrappati
alle proprie vesti con le unghie. Fissavano entrambi il punto preciso
in cui Jean de Ponthieu, Henri de Granprè ed Etienne de
Sancerre si erano diretti al galoppo. Dopo interminabili istanti di
silenzio teso, i due ragazzi si guardarono a loro volta negli occhi,
misurano l’uno il terrore dell’altra,
così da smentire ogni incertezza ed ottenere solo conferma e
controprova.
Una
frazione di secondo, poi scapparono assieme di corsa sulla strada, in
una fuga disperata verso l’ignoto che, ahimé, non
li avrebbe salvati.
Hellionor
gli stringeva la mano e Gabriel conduceva facendosi largo tra la gente
a spintoni. Quella, infastidita, si voltava e li malediceva nella
lingua madre, accompagnando spesso le parole a qualche gesto offensivo.
Gabriel ribaltò ceste, secchi d’acqua e gabbie di
galline. Travolse bambini, capre e bestiame di ogni sorta, ma nulla
impediva alle sue gambe di portarli il più lontano possibile
da lì.
Hellionor
ansimava dietro di lui. Il cuore e i polmoni si erano fatti
improvvisamente di piombo, il sangue caldo le arrivava alla testa
troppo in fretta offuscando anche un solo pensiero sensato. La nebbia
del terrore ostruiva le vie della comprensione. Era persa, persa in un
mare di irrealtà e immaginazione. Lottando contro la dolente
richiesta dei suoi muscoli di fermarsi, Hellionor continuava a correre.
Nel frattempo si ripeteva che era solo un sogno, un orribile incubo, e
presto si sarebbe svegliata, presto sarebbe tutto finito.
Poi
però ricordava le immagini reali appena vissute: le spade, i
cavalli, la lingua francese, i profumi, i suoni, i volti della
storia… La concezione comune dell’accaduto era una
soltanto: Hyperversum
li aveva abbandonati in un mondo ancor più nuovo e diverso
della pura fantascienza di un videogame.
Gabriel
svoltò d’un tratto in un vicolo buio e stretto. Si
accostò alla parete e si fermò per riprendere
fiato. Hellionor si posizionò di fronte a lui. Si guardarono
allungo, mentre i loro respiri ansanti andavano non in sincronia ma
quasi. Le guance rosse, il corpo tutto un tremore. La gente passeggiava
incurante sul corso principale di Séour, trafficando la via
tra una bottega e l’altra.
Hellionor
ammirava lo stemma dei Sancerre sul petto dell’amico e
provava la stessa paura che aveva sentito pungerla nel vedere il suo
amico così minacciato dal conte Etienne.
-Chiama
l’icona…- mormorò flebile lei.
-Non…
posso…- ansimò Gabriel in risposta.
-Chiama
l’icona…!- insisté la ragazza.
–Chiama quella maledetta icona! Voglio uscire da questo cazzo
di gioco! ORA!- strillò disperata.
-Non
posso! NON POSSO, capisci?! N-o-n p-o-s-s-o! I guanti e il casco sono
andati a farsi fottere, vedi?! Non ci sono!- gridò chiudendo
e aprendo le mani, scompigliandosi i capelli sudati con furore.
–Cazzo!- si voltò e batté un pugno sul
muro di mattoni.
Hellionor
lasciò trascorrere alcuni secondi, così che
Gabriel sbollentasse la rabbia che lei aveva contribuito ad alimentare
in lui. Stette in silenzio a guardare come l’amico si voltava
e scivolava a terra con le spalle al muro. Posò i gomiti
sulle ginocchia e, nascondendo il volto tra le braccia,
scivolò nel buio dei sensi.
Hellionor
bruciò quel metro di distanza e andò ad
inginocchiarsi al suo fianco.
-Potrebbe
essere un sogno- ipotizzò asciugandosi gli occhi dalle
lacrime. –Perché non provi a darti un pizzico?-
rise, ma fu per solo isterismo.
Gabriel
non rispose.
La
ragazza chinò la testa affondando il mento nel petto.
Posò inerte le mani in grembo sulle ginocchia unite sedendo
sui talloni. Lanciò un’occhiata in strada, e vide
la gente continuare le sue compere tra una bancarella e
l’altra, i contadini portare il bestiame sui carri, i bambini
giocare e le guardie pattugliare con le spade legate al fianco.
Hellionor rabbrividì quando un soldato del casato di
Sancerre passò davanti allo spiraglio del vicolo. Questi
fece per proseguire oltre, ma soffermandosi a guardare la figura di un
suo possibile conoscente, tornò indietro.
-Stephèn?-
chiamò con accento francese.
-Mandalo
via- sibilò Gabriel con la testa nascosta tra le braccia.
Hellionor
squadrò il soldato dalla testa ai piedi e, improvvisando,
riuscì a costruire una frase sensata.
-No,
Il est pas
Stephèn, (5)- pronunciò esangue.
-Merci,
madame (6)- l’armato
proferì un cordiale inchino e proseguì per la sua
strada.
Hellionor
tornò a rivolgere la sua attenzione all’amico, il
quale si ostinava a tenere la testa incassata tra le braccia, manco
fosse uno struzzo col becco sottoterra. Raccogliendo tutto il suo
coraggio, gli sfiorò il braccio, e il ragazzo
sollevò finalmente il mento
dall’oscurità. Gabriel si guardò
attorno alla ricerca dell’uomo, del quale poco prima aveva
udito solo la voce e il cadente accento straniero nella pronuncia del
tutto ignota delle parole.
La
ragazza gli sorrise affabile quando incrociò i suoi occhi
spaventati. –Se n’è andato-
annunciò con un certo sollievo.
Gabriel
si strinse le ginocchia al petto e vi posò il mento.
–Chissà chi era ‘sto Stephèn-
borbottò quasi non gli importasse veramente.
-Forse
ti ha scambiato per qualcun altro- suggerì lei stringendosi
nelle spalle.
-Già…,-
mugolò Gabriel, -…forse-.
-Ti
supplico…- gemé Hellionor. –Almeno
prova…-.
Gabriel
probabilmente non seppe resistere oltre a quegli occhi che lo
imploravano come un cucciolo smarrito. Annuì con una certa
convinzione passiva, come se lui stesso temesse di avere ragione. Non
si alzò, piuttosto sollevò solo la mano destra
sopra il ginocchio, all’altezza del naso di Hellionor e
chiamò, con voce tremante:
-Help-.
La mela
fluttuante di Hyperversum
si materializzò sul suo palmo con un bagliore rosato
diffussosi nel vicolo.
-È
incredibile…- fiatò Gabriel stupefatto.
–Siamo ancora in gioco- mormorò guardando prima la
mela poi la ragazza che gli era accanto.
Hellionor
si permise un sorriso. –Portaci via- annunciò in
fine con immenso sollievo.
-Ricardo,
dammi venti minuti e sono da te!- sbottò Daniel aprendo la
porta d’ingresso e richiudendosela alle spalle.
All’orecchio aveva il cellulare, nell’altra la
valigetta da lavoro. Non era rientrato a casa perché il
lavoro l’aveva congedato, anzi! Ricardo gli stava col fiato
sul collo da quando era uscito la volta prima, per poi tornare subito
indietro e di gran corsa, perché sapeva di aver lasciato il
computer acceso e incustodito quando non avrebbe dovuto. Skip gli venne
incontro a fare le feste. –No, non sono a casa! Sono in
macchina!- mentì l’uomo salendo le scale, e il
cane gli venne dietro. –C’è un traffico
della miseria, farò tardi, perciò avverti gli
altri, invece di perdere tempo e continuare a farmi la ramanzina!-
disse traversando il corridoio. Aprì la porta dello studio e
si avviò alla scrivania lanciando un’occhiata alla
partita che lui stesso aveva lasciato in sospeso quella mattina.
–Ho detto che sto arrivando, non scaldarti troppo-
continuò Daniel salvando la partita, uscendo dal gioco e
avviando il processo di spegnimento del computer. –Se volete
iniziare la riunione senza di me, i documenti che ti servono devi solo
stamparli: li ho inviati per posta la settimana scorsa- una pausa.
–Come a chi?! A te, idiota!- eruppe scollegando
distrattamente guanti e caschi dalle rispettive porte USB del computer.
Rimise un po’ d’ordine sulla scrivania tenendo
incollato all’orecchio il cellulare. Skip cominciò
ad abbaiare dal corridoio.
-…Eh,
Sono davanti ad un canile- spiegò Daniel al collega, uscendo
dallo studio e richiudendosi la porta alle spalle. -No, non era il mio
cane!- obbiettò contro le accuse di Ricardo.
Hellionor
sobbalzò. -Che cosa è successo?-
domandò con spavento. –Perché la mela
è sparita?! Richiamala subito!- gemé.
-Help-
si apprestò a dire Gabriel. –Help!- ancora,
più forte. –HELP!- strillò in preda al
panico.
Hellionor
ricadde seduta sui talloni, sconcertata e avvilita. –Questa
non ci voleva…- mormorò.
-Deve
essere un danno al sistema, un blocco di qualche genere; di sicuro non
è grave- spiegò Gabriel nervoso.
–Vedrai, tra pochissimo riappare!- aggiunse fingendo un certo
contegno. In realtà era ben chiaro quanto anche lui fosse
terrorizzato: la mano aperta e tutto il braccio alzato gli tremavano
visibilmente.
-Help…-
tentò Hellionor al posto suo, ma il palmo restava bianco e
vuoto.
-Help…-
provò di nuovo Gabriel. –Help, help, help!- prese
a ripeterlo senza sosta. –Gioco del cazzo, perché
non funzioni?!- strillò esaurito. Un attimo dopo nei suoi
occhi colmi di rabbia passò un flusso di debolezza, e fu
allora che al ragazzo scivolò una lacrima sulla guancia.
Hellionor
si gettò ad abbracciarlo, e lo strinse forte più
che poté, ma Gabriel era rigido con un ginocchio tirato al
petto e l’altro disteso a terra. Lasciò rilassare
le spalle nel sentirsi invadere del calore della ragazza, ma il dolore,
la paura, l’incertezza… era troppa.
Il
chiasso cittadino oltre le mura del vicolo giungeva loro in memoria di
come il mondo medievale fosse là fuori ad attenderli.
1.
« Stupide fou! Voulais-tu faire tuer toi?! »
–« Stupido pazzo ! Volevi farti ammazzare
?! »
2.
« Etienne, ça suffit » –
« Etienne, basta ».
3.
« Tu as reproché assez des gens aujourd'hui
» – « Hai
sgridato
abbastanza gente per oggi. »
4.
« il y en a même trop des gens incapables pour
route » - « Ce
n’è anche troppa di gente incapace per strada
»
5.
« No, Il est pas Stephèn »
- « No, lui non è Stephèn ».
6.
« Merci, madame » - «
Grazie, signora ».
Angolo
d’Autrice:
Vorrei
ringraziare immensamente le utenti sbrodolina
e _TattaFede_
per essersi cimentate nella folle avventura che sarà leggere
questa storia! XD Ancora sono felicissima dei commenti che avete
lasciato al capitolo precedente, non pensavo di meritare tanti
complimenti! Grazie, grazie di cuore. ^^
Ovviamente
spero che questo aggiornamento non vi abbia deluse. Ho cercato di
rendere i fatti il più reali possibili, come avrete certo
notato dal dialogo in francese nella scena iniziale.
L’entrata in scena di Daniel che, sbadatamente, spegne il
computer e torna a lavoro annuncia l’inizio
dell’avventura, o almeno una parte di essa! Perché
non appena tornerà a casa e si accorgerà di cosa
è realmente successo, ne vedremo delle belle! XD
Detto
ciò, lascio a voi la parola, augurandomi che continuate a
seguire la fan fiction e di poter leggere al più presto un
vostro commento! ^-^
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Capitolo 5 *** Questione di famiglia ***
Il
gruppo di cavalieri entrò nel cortile dell’alta
corte al trotto. In testa c’era Etienne che, appena si vide
venire incontro lo scudiero, smontò svelto di sella,
rifiutò con sgarbo il suo aiuto e condusse personalmente il
cavallo nelle stalle.
-Mon
Dieu…(1.) In
tre settimane che sono ospite qui, posso giurare di non averlo mai
visto comportarsi in questo modo, mai-
sottolineò sbalordito Louis de Sancerre, fermando il cavallo
accanto a quello di Jean de Ponthieu. Questi ignorò il
compagno e seguì con gli occhi il tragitto di Etienne, che
scortò il palafreno per le redini attraverso la piazza.
-È
un brutto colpo al suo valore- intervenne Henri de Grandpré
con amarezza nella voce. –E non parlo solo della figuraccia
da tiranno che ha fatto con la sua gente, poco fa in strada-
sospirò scendendo dalla groppa, -dentro di lui si sta
combattendo una terribile guerra-.
Schiarendosi
la voce Marc attirò l’attenzione del padre, unico
ad essere ancora in sella.
Ian si
riscosse violentemente dai suoi pensieri e abbandonò la
groppa del cavallo agilmente. Posò una mano sulla testa del
ragazzo e gli scompigliò i capelli con un mezzo sorriso. Gli
scudieri si occuparono dei cavalli dei loro signori, mentre questi
s’incamminavano verso il torrione.
-Ciò
nonostante, sono sicuro che è solo questione di tempo-
aggiunse Grandpré con sollievo. –Quando
‘sta sera Etienne siederà a tavola e
guarderà i volti delle sue figlie, gli passerà in
un istante- arrise sincero.
-Può
darsi, ma la vergogna lo perseguiterò fino alla tomba-
intervenne Marc, amaro. Conti e cadetti si voltarono a guardarlo
impressionati.
-Insomma,
guardiamo in faccia la realtà- riprese Marc con imbarazzo,
sentendosi osservato. –Etienne non può permettersi
di non avere eredi, o tutto il patrimonio della sua famiglia passerebbe
a…-.
-Me-
sentenziò Louis altezzoso, interrompendo il cadetto.
Non
montarti troppo la testa,
Jean sbirciò il giovane Conte de Sancerre di sottecchi. Vorrei ricordarti che Etienne
è ancora in perfetta forma, Donna pure, e non
c’è alcun limite sulle nascite! ridacchiò
tra sé e sé.
Marc,
che sembrò intuire al volo i pensieri del padre, sorrise a
sua volta. –Chissà che Donna ed Etienne non
tentino di avere un altro figlio- disse apertamente, con grande stupore
degli altri cavalieri.
Henri
scoccò un’occhiata eloquente a Jean, che in volto
assunse subito un’espressione severa. –Non sarai
certo tu a suggerirglielo, vero Marc?- strinse una spalla al figlio
come ammonimento, e fu più che sufficiente.
Abbassa
la cresta, pulcino. Sai
benissimo che certe cose non riguardano né te né
nessuno di noi, aggiunse mentalmente scambiando uno
sguardo d’intesa con Henri.
Marc
annuì, scusandosi sottovoce.
I due
ragazzi girarono a vuoto la città per il solo bisogno di
scaricare i nervi, la tensione, e abituarsi a quel mondo estraneo che
li aveva presi in ostaggio. Allo stesso tempo, però,
pregavano perché Hyperversum
riprendesse a funzionare da un momento all’altro e
ciò li costringeva a tentare di evocare l’icona
ogni venti, venticinque passi.
-Aspetta!-
eruppe Hellionor afferrando il polso di Gabriel e abbassandogli il
braccio prima che il ragazzo potesse pronunciare una sola parola.
In
quell’istante un battaglione di soldati armati
traversò la piazza a pochi passi da loro e sparì
in una stradina secondaria di gran corsa.
Gli
amici restarono allungo paralizzati nel bel mezzo del piazzale, sul
quale affacciavano qualche palazzina e una chiesa.
-Stavo
pensando…- cominciò la ragazza attirando
l’attenzione dell’altro su di sé,
-… se siamo davvero nel medioevo, sarebbe pericoloso evocare
l’icona mentre tutta questa gente ci guarda- disse alludendo
ai bambini che giocavano con una palla, alle donne che prendevano
l’acqua da una fontanella e agli armati che pattugliavano le
strade.
Gabriel
aggrottò la fronte. –Ma noi non siamo nel
medioevo- eruppe. –Siamo ancora in gioco, la partita
è attiva!- spiegò tanto convinto.
–L’unico problema è che Hyperversum ha
smesso di funzionare a dovere e rende tutto più…
reale!- ridacchiò istericamente.
Hellionor
si accigliò. –Quindi tu pensi che questa sia solo
la causa di un… malfunzionamento?-.
-Non lo
penso, lo so per certo! Dai, Hellionor, non dirmi che hai creduto
davvero di essere nel medioevo!- chiese sarcastico.
-Be’…
sì- confessò lei stringendosi nelle spalle.
-Che
sciocchina- continuò lui incamminandosi.
–È impossibile che siamo finiti nel medioevo, le
macchine del tempo non esistono! Tsk!- alzò gli occhi al
cielo.
E
se avesse ragione?…
pensò Hellionor. Forse
Hyperversum
ha solo avuto un corto e, mandandoci in pappa il cervello, ci fa
credere di non avere addosso né guanti né casco!
Ma questo come spiega la lingua che parlano gli abitanti e tutto il
resto? Si chiese la ragazza ascoltando le chiacchiere
francesi tra due donne con in braccio i rispettivi marmocchi. Forse è solo
questione di tempo e si aggiusterà da solo…
sospirò Hellionor riempiendosi i polmoni di aria pulita. Già, ma quanto tempo?
Gemé poi seguendo l’amico.
Ian si
affacciò da un battente nel grande e silenzioso salone.
Etienne, seduto a capo tavola con nient’altro attorno che non
fosse la sua e l’ombra del seggio sul quale sedeva, poggiava
un gomito sul bracciolo e due dita a reggersi il mento. Indosso aveva
ancora i vestiti da caccia e sul tavolo c’era una coppa di
vino piena che certamente qualche servo gli aveva portato, per poi
ricevere un brusco congedo. Il cadetto era talmente assorto nei suoi
pensieri che non si accorse di lui, così Ian
bussò piano sulla porta per avvertire prima di comparire del
tutto in sala.
Etienne
non si scompose: tacque immobile come una statua anche quando Ian gli
andò incontro a grandi passi lenti e gli sedé
accanto, spostando una sedia senza rumore.
Trascorsero
alcuni minuti, forse un’ora, chi poteva dirlo? Tutto
ciò che fece Ian fu contemplare l’amico nella sua
interna battaglia silenziosa. Etienne, inclinato da un lato sullo
scranno, respirava con regolarità apparentemente tranquillo.
In
quegli ultimi anni Ian l’aveva visto cambiare velocemente, ma
il colpo di grazia doveva essere stata la visita a Séour di
Louis de Sancerre. Il nipote di Etienne era un biondino altezzoso e
figurato, avaro, presuntuoso e senza scrupoli. Il tipico principino con
tanto denaro da sperperare, senza un minimo ringraziamento verso le
fatiche della generazione precedente. La sua sola presenza alla caccia
di quella mattina aveva aperto in Etienne una ferita profonda, troppo
difficile da ripulire in così poche parole, quante ne erano
bastate per infettarla.
Ian non
poteva lontanamente immaginare lo sconforto e il dolore
dell’amico. A Jean Marc de Ponthieu, padre di due maschi uno
più bello dell’alto, sembrava difficile credere
che Etienne non fosse addirittura geloso di lui.
Eppure,
perché Sancerre non riusciva a consolarsi pensando a
situazioni addirittura peggiori? Monsieur
de Grandpré sarebbe morto senza eredi da lì a
breve, perché, ormai trentasettenne, ancora non era stato
combinato a nessuna bella dama di Francia.
Forse
quella considerazione Etienne l’aveva già fatta
centinaia di volte, ma non bastava ad alleviare nessuna delle sue
sofferenze.
Però
Ian sapeva.
Sapeva
che l’Etienne di una volta non si sarebbe mai arreso
così facilmente, e nel caso il suo amico avesse voluto
gettare la spugna, lui stesso non glielo avrebbe concesso. Etienne non
voleva e non poteva mostrare a Séour, al suo popolo, alla
Francia intera, di essere diventato il cadetto che non era mai stato:
il coraggioso ed orgoglioso Sancerre si stava nascondendo dietro una
spessa cortina di invidia, rancore e malessere. Ian rabbrividiva al
solo pensiero, e si convinceva di poter osare qualsiasi cosa pur
di migliorare la situazione.
Anche
quello che il suo onore di cavaliere e uomo politico non gli
concedevano di fare.
-Dovresti
tentare ancora- suggerì il Falco d’un tratto,
spezzando quel lungo e angoscioso silenzio.
Etienne
inarcò un sopracciglio.
Ian si
mise comodo sullo scranno appoggiandosi allo schienale. –Sei
giovane, vivrai un’altra ventina d’anni, si
può fare- sospirò guardando fuori dalle ampie
finestre. Il suo sguardo tranquillo si perse per le case e le campagne
attorno all’alta corte, mentre Etienne, al suo fianco, si
irrigidiva sul seggio.
-Anzi,
ti conosco fin troppo bene per non dubitare che tu lo abbia
già fatto- ridacchiò Ian.
-Non so
di cosa stai parlando- ammise Etienne con stupore.
-Oh,
avanti! Se cominciassi a smentirmi, non ti riconoscerei più-
aggiunse Ian scoccandogli un’occhiata eloquente.
Etienne
si sistemò dritto sullo scranno e prese la coppa di vino dal
tavolo. –Ripeto: Je
ne sais pas de quoi tu parles (2.)- disse bagnandosi
appena le labbra.
-Non
sei così stupido da non capire, anche se non lo sapessi- lo
rimbeccò Ian con una nota giocosa.
Etienne
gli scoccò un’occhiataccia, conferma alle
ipotesi di Ian, che arrise soddisfatto e divertito. –Il Falco
del Re colpisce ancora- sospirò Etienne. –Mi hai
scoperto…- borbottò.
-Quando?-
chiese Ian sereno.
Sancerre
parve confuso. -Cosa?-.
-Quando
tu e Donna… l’ultima volta- domandò
restio sull’argomento.
-Come
mai tanto interesse?- si sbalordì Etienne aggrottando la
fronte.
Il
Falco sorrise sincero. -Solo innocente curiosità, giuro-.
L’altro
cadetto appoggiò entrambi i gomiti sui braccioli e
rilassò i muscoli delle spalle. Continuando a tenere la
coppa nella mano, fissò un punto dritto davanti a
sé e tacque allungo prima di parlare. –Alcune
settimane fa- confessò lasciandosi sfuggire una smorfia
allegra. Probabilmente il solo ricordo gli scaldava il cuore. Qualche
istante dopo, Etienne si riscosse dal piacere sobbalzando sulla sedia.
-Ma che tu lo sappia non ti autorizza a monitorare da oggi in poi la
mia vita sessuale, sia ben chiaro!- pronunciò, non senza
colorare leggermente le guance.
Ian
scoppiò in una fragorosa risata. –Non era certo
questa la mia intenzione, Etienne!-.
Sancerre
declinò l’imbarazzo sul nascere distogliendo lo
sguardo. –Avanti, sputa il rospo: tu e Henri siete in
combutta, eh?-.
-Affatto-
Ian scosse la testa. –L’idea di venirti a
infastidire con simili domande è soltanto mia-
scherzò.
-Spero
che tu sia orgoglioso di te stesso, allora- mugugnò Sancerre
buttando giù il vino tutto d’un sorso.
–Non
temere, mi assumo tutto il merito, ma soprattutto la
responsabilità, delle scoperte. Il detto mi
seguirà nella tomba-.
Etienne
si volse verso di lui. –Grazie, ma aspetta a cantare
vittoria- pronunciò serio posando la coppa vuota sul tavolo.
–Guarda Henri, per esempio: crescere con due sorelle maggiori
lo ha condannato ad una vita da…-.
Ian lo
interruppe prima che potesse finire la frase. –Non mi sembra
che Henri sia venuto su così male, dopotutto-.
Etienne
gli volse uno sguardo carico di sottintesi.
-Forse
un po’… particolare in termini di gusti personali-
dovette ammettere sbrigativo. –Ma è un gran
maestro di spada, un acuto osservatore e…-.
-Un
debole di polso- s’intromise Sancerre. Notando
l’espressione confusa del Falco proseguì dicendo:
–Credi che non sappia in che modo si occupa di tuo figlio?
Anzi, fossi in te terrei Michel lontano da lui, se non vuoi ritrovarti
a dover contare i nipoti solo dalla parte di Marc-.
Ian non
poté credere a quelle parole. –Davvero non ti
riconosco più, allora…- mormorò
esangue. –Vuoi che allontani mio figlio da…- fece
una breve pausa per misurare il suo sconcerto. –Stiamo
parlando di Henri, Santo Cielo!- eruppe d’un tratto.
–Nostro amico, nostro compagno, Etienne, non puoi dire sul
serio-.
-Ma tu
non puoi nascondere il rischio- sbottò l’altro.
–La prendi così alla leggera, lo dai quasi per
scontato, ma non devi farlo, Jean. Non sto dando nessuna colpa a Henri,
per carità, gli voglio un bene dell’anima, ma ora
come ora sappiamo bene entrambi quanto sia importante tenere al sicuro
le nostre terre e la completa giurisdizione su di esse. Bianca di
Castiglia fatica ancora oggi a mantenere la Corona sulla testa di suo
figlio, mentre Luigi se ne va a caccia di reliquie per il mondo! Noi
Feudatari siamo divisi in due grandi gruppi: con o contro sua
Maestà. Le rivalità interne non finiranno mai, ma
io, come cadetto e feudatario minore, ho la responsabilità
di preservare le terre della mia famiglia sotto la mia sola ed unica
competenza, schierato ovviamente dalla parte di Luigi IX- concluse.
Ian
tacque, ammutolito, spaventato da quella considerazione tanto vera e
palpabile. La Francia, nonostante le guerre finite o sospese, era
ancora divisa in quei due grandi gruppi che Etienne chiamava
così: pro e contro la Regina Straniera. Tante volte Ian
aveva temuto le stesse minacce e seguito lo stesso ragionamento di
Etienne, ma mai aveva osato condividere i suoi sospetti con qualcuno in
modo tanto diretto.
-Prova
a pensare, adesso, quale sarebbe il rischio se Henri non si sposasse
mai continuando ad allontanare da sé qualsivoglia dama di
Francia. La resa dei conti arriverebbe il giorno della sua morte,
quando le sue terre avrebbero pari possibilità di finire
nelle mani di Bianca tanto quanto in quelle dei Feudatari Maggiori
contro di lei- spiegò più accuratamente Sancerre.
-Perciò
è per questo che sei tanto arrabbiato con lui?-
domandò Ian e un’ombra scura gli passò
in viso. Lo consideri
uno stupido incosciente?! Aggiunse mentalmente.
-No,
non sono arrabbiato con monsieur
de Grandpré, ma solo preoccupato nei suoi interessi. Henri
sta a cuore a me tanto quanto a te o de Bar, pace all’anima
sua, e non vorrei mai che gli accadesse una simile disgrazia-.
-Ma le
sue sorelle? Eloise e Mathilde? Loro sono sposate, possono…-
provò Ian, ma Sancerre scosse la testa.
-No,
Jean, non è così che funziona. Sei talmente
ammaliato dalla figura di Bianca di Castiglia, che la stessa ti rende
cieco dinnanzi la vera forza di una donna meno importante. Eloise e
Mathilde saranno anche felicemente sposate o promesse ai Conti
più illustri di Francia, ma la legge vuole che le terre
della loro famiglia vengano conservate dall’erede maschio, e
se questi è indisposto, gettate all’asta dalla
corte più vicina-.
-Lo so,
lo so!- borbottò Ian lasciandosi andare contro lo schienale
della sedia. –Quindi cosa mi consigli di fare, scusa?- eruppe
infastidito. La questione dell’eredità era capace
di farlo innervosire ogni benedetta volta che capitava in un discorso,
anche appena accennata.
Notando
il distacco dell’amico e il suo fastidio, Etienne
tentò un approccio diverso. -Non voglio che Henri si senta
escluso per quello che è, anzi, sarebbe un incubo essere
l’artefice di una tale ingiustizia. Piuttosto stavo
riflettendo su un fatto…- pronunciò vago tornando
a guardare fuori dalle finestre.
-Cosa?-
chiese Ian cupo.
-È
sciocco parlarne così, sembriamo due comari. Ma voglio
confidarti che mia figlia Eleonore, la maggiore, ha sempre avuto un
certo debole per lui, pur conoscendo i gusti particolari di monsieur de
Grandpré bene quanto noi-.
-Etienne!-
Ian restò del tutto sbalordito, permettendosi una risatina
sommessa.
-No,
no, ascoltami, dai- insisté Sancerre. –Sono serio,
non fare così-.
-Certo,
non ho dubbi su questo- continuò a ridere Ian, -solo non
capisco per chi lo faresti, se per tua figlia o per Henri-.
-Per
Henri, ovviamente! Pensi davvero che sfrutterei un mio compagno
d’arme al fine di assecondare i desideri di mia figlia?!-
eruppe Sancerre indignato. –Così mi offendi-.
-Perdonami.
Adesso vediamo di prendere questo toro per le corna: Henri lo sa?-
chiese Ian più rigoroso.
Sancerre
scosse la testa. -E vorrei che fossi proprio tu a parlargliene-
annunciò.
-Cosa?!-
Ian s’irrigidì. –Non starai dicendo sul
serio! Io non avrei nemmeno dovuto saperlo! Non sono cose che mi
riguardano- obbiettò.
-Non ti
riguardavano prima
che facessimo questa conversazione. Le carte in tavola sono cambiate
nel momento in cui hai voluto impicciarti della mia vita privata! Hai
firmato la tua condanna giurandomi obbedienza, Falco, e adesso non ti
permetterò di tirarti indietro quando ti fa comodo-
scherzò Sancerre.
Ian
scrollò le spalle, arrendendosi. -Va bene, va bene! Me ne
occupo io: porterò Henri a fare una passeggiata in
città e tra una chiacchiera e l’altra…
cadrò sull’argomento, scoprendo cosa ne pensa.
Contento? Ma insomma, c’è qualcun altro a parte me
che sa cos’hai in mente?- riformulò il Falco.
Etienne
dissentì ancora. –No, tu sei il primo. Nemmeno
Donna sospetta che stia organizzano un matrimonio combinato per nostra
figlia-.
-Allora
dovresti parlarne prima con loro- disse Ian alzandosi in piedi, ed
Etienne lo imitò. –Cominciando da Eleonore:
assicurati che lo voglia davvero- si raccomandò
l’americano.
-Ah!
Ormai posso darlo per scontato!- si beffò Sancerre prendendo
con sé la propria coppa vuota dal tavolo e avviandosi fuori
dalla sala, seguito a ruota da Ian. –Quella ragazza non ha
occhi per altro quando Henri viene a farmi visita. Ne riceverai la
conferma questa sera a cena, quando faremo incontrare ufficialmente i
due per la prima volta- aggiunse scoccando all’amico
un’occhiata eloquente.
-Ci
conto- sorrise Ian, felice.
(1.)
«Mon Dieu…» –
« Mio Dio… »
(2.)
« Je ne sais pas de quoi tu parles » -
« Non so di cosa stai parlando. »
Angolo
d’Autrice:
Eleonore
de Sancerre è un personaggio storico di non grande rilievo
all’interno della corte francese del XIII secolo, ma fu vera
prima figlia di Etienne II de Sancerre, ovvero il Sancerre che
conosciamo tutti così bene ^^
In
questo piccolo angolo d’autore voglio ringraziare
immensamente _TattaFede_
, akuby_ge
e sbrodolina
per i commenti ai capitoli precedente, sperando che anche questo abbia
tenuto alta l’audience della fan fiction.
Ah!
Adesso mi diverto!
Oggi,
mentre scrivevo questo capitolo, ho ottenuto la rivelazione che speravo
di avere! Premetto che nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle, se
riuscirò a costruire un periodo decente e modellare
più accuratamente un’idea che per ora si presenta
solo come abbozzo, ma che sarà pilastro portante della fan
fiction.
Per
quanto riguarda questo capitolo… ho tre punti fondamentali
da chiarire:
1.
Ammetto di aver giocato malvagiamente col personaggio di Henri de
Grandpré [del quale sbagliavo a scrivere il cognome nei
capitoli precedenti, scrivendolo
“Grandprè” invece di
“Grandpré” (l’attento sulla
“E” finale -.-)].
Su
di lui credo di dover aprire un’altra sorta di parentesi.
Ancora
ricordo di aver letto da qualche parte che Monsieur de
Granprè sarebbe stato, dopo il matrimonio tra Etienne e
Donna, l'unico dei compagni d'arme a non sposarsi. Da lì, la
mia mente malvagia ha pensato: e se Henri fosse... "speciale"? XD
Ovviamente all’insaputa di Etienne, Jean e Hanri il
“grande” , che ne avrebbero tentate di tutti i
colori pur di maritarlo ad una donna. Stimo, rispetto e ammiro
moltissimo il personaggio di Henri de Grandpré solo per
questa mia idea personale che mi sono fatta di lui, possedendo io un
amico di quel genere… Gli amici gay sono i migliori! XD
Attenzione alle “checche” però, eh!
Quelle si accollano troppo! U_U
2.
D'altra parte, però, mi sono divertita un mondo a costruire
il dialogo tra Sancerre ed Ian. Sono due personaggi che quando stanno
assieme la pensano sempre diversamente ma allo stesso tempo abbracciano
su un fine comune. Spero di non aver deluso le aspettative dei lettori
caratterizzando sia Ian che Sancerre troppo OOC, cosa che mi
dispiacerebbe troppo!
Ovviamente,
solo i vostri commenti potranno svelarmelo!
3.
Sono stata costretta ad aumentare il rating della fan fiction da giallo
ad arancione proprio per la questione di Henri, ma non solo! XD Mi sono
resa conto di aver utilizzato più volte paroline poco carine
nei dialoghi tra padre e figlia nel mondo moderno e di averne volute
inserire altre all’interno dei dialoghi nei capitoli
successivi. Spero che non me ne vogliate per un tale
affronto… mi vergogno un casino -.-
Bene,
per adesso penso di poter concludere XD Aspetto avidissima i commenti
*W*
A
presto! ^^
P.S.
Per
tutti i fans/le fans, vorrei mostrarvi il mio ultimo prodotto
multimediale tutto dedicato a Hyperversum. ^^
Si
tratta di un video musicale di sole immagini, ma se adocchiate il testo
della canzone, capirete perché mi ha colpito tanto. Credo
che ne farò presto una sorta di song-fic. Ecco il link, qui
sotto ^^
http://www.youtube.com/watch?v=TiG5NxXBP8M
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Capitolo 6 *** Madame et Monsieurs ***
Nella
reggia dei Sancerre,
qualche
ora prima…
Eleonore
de Sancerre si barricò in stanza anche quella mattina.
Aveva
assistito dalla finestra della sua camera all’arrivo dei monsieurs de
Grandpré e de Ponthieu, guardandoli entrare nel cortile
della sua corte prima uno e poi l’altro a distanza di pochi
giorni. Suo padre aveva organizzato l’amichevole caccia senza
un vero motivo particolare, ma probabilmente per la sola gioia di
circondarsi dei suoi vecchi e valorosi amici.
Louis
de Sancerre era stato il primo ad abitare le stanze degli ospiti della
corte di Séour, seguito da Henri qualche giorno dopo e
successivamente dal Falco e il suo pulcino. Eleonore aveva sempre
sospettato che dietro quell’amichevole riunione tra compagni
d’arme ci fosse, da parte di suo padre, una sorta di grido
d’aiuto. Jean ed Henri erano forse stati invitati a corte per
sopprimere l’atmosfera di rivalità tra monsieur il
giovane, avido conte de Sancerre, e suo padre?
Eleonore
si appoggiava tutte le volte coi gomiti sul davanzale della finestra
allungandosi verso l’esterno e, sbirciando il conte de
Grandpré ad ogni occasione, cominciava a considerare quei
gesti abituali addirittura un rito giornaliero.
Non si
erano mai incontrati ufficialmente, lei e il conte, pur conoscendosi
entrambi di fama. A cena le tre sorelle sedevano alla stessa tavola del
cadetto loro padre, certo, ma l’attenzione degli ospiti era
vacua quando non si discuteva di politica o altro che, in ogni caso,
non interessava le donne.
E
così Eleonore si ritrovava spesso sola nei suoi alloggi
privati, a sbirciare di tanto in tanto nel cortile interno o nei
giardini dietro la torre. Lo ammirava passeggiare tra il verde delle
volte in compagnia di sua madre, madame
Donna, delle altre di Etienne. Con entrambi, monsieur de
Grandpré aveva un rapporto solare, giocoso e aperto, e suo
padre era incredibilmente felice nel bearsi della sua compagnia.
L’aggiungersi
di Jean e Marc aveva segnato, per l’indomani, la prima
giornata di caccia.
Eleonore
si era svegliata presto e, affacciandosi dalla finestra, aveva
osservato i cavalieri lasciare la corte di buon mattino. I possenti
palafreni erano scomparsi oltre le mura dell’alta corte e poi
sullo sterrato che conduceva al bosco, mentre nell’aria
fredda della mattina spiegava le sue ali un magnifico falco. Il gruppo
non sarebbe rientrato prima del tardo pomeriggio.
Bonne
fortune… (1.)
aveva pensato la ragazza senza staccare gli occhi esclusivamente da uno
dei cinque cavalli.
L’interesse
per Henri non era nato da un episodio particolare, bensì
spezzettato nella segretezza che c’era sempre stata nella
vita della giovane dama. Di fatti, Eleonore de Sancerre era nota a
corte come la “principessa fantasma”, perennemente
chiusa nella sua stanza, e non solo quando Henri de Grandpré
faceva loro visita. Essendo figlia maggiore di un cadetto di Francia si
aspettava che suo padre l’avrebbe combinata in matrimonio da
un momento all’altro, ma arrivata ai suoi sedici anni,
Eleonore ringraziava il cielo ogni giorno di essere ancora libera e
vergine. Sapeva perché monsieur de Grandpré non
si era mai maritato, sapeva chi era Henri veramente e che cosa lo
teneva lontano dalle donne. Ma Eleonore sapeva che una persona dolce e
speciale come lui non poteva essere altro, e questo la faceva
impazzire, impazzire da morire.
Verso
le undici del mattino, dure ore dopo la partenza dei cavalieri,
Eleonore sentì bussare alla porta della sua stanza, si
voltò e vide sulla soglia un giovane soldato col vessillo
dei Sancerre in petto. –Bonjour,
madame (2.)- disse.
Eleonore
lo riconobbe subito accogliendolo con un risolino. –Bon matin
à vous, monsieur Stephèn (3.)-
rispose cordiale.
Il
ragazzo mosse un passo nella camera. -Devraient se
préparer pour votre leçon d'équitation
(4.)- suggerì quest’ultimo con un
sorriso.
La
ragazza annuì e cominciò a vestirsi non appena il
soldato ebbe richiuso la porta. Indossò dei pantaloni da
equitazione, degli stivali e una camicia bianca con le maniche lunghe e
larghe. Mise i guanti e si raccolse i capelli. Quando fu pronta,
uscì dalla sua stanza e si avvicinò a
Stephèn che attendeva nel corridoio assieme ad altri due
uomini dei Sancerre. Questi l’accolsero prima con un sorriso,
poi scambiandosi un’occhiata complice.
-Je
suis…-.
Non
riuscì a terminare perché un quarto uomo alle sue
spalle le strinse un fazzoletto umido davanti alla bocca e al naso,
bloccandole il respiro. Eleonore sgranò gli occhi e
l’ultima immagine che ebbe fu il sorriso amaro e soddisfatto
del suo carissimo Stephèn.
Quel
pomeriggio…
Etienne
de Sancerre entrò di colpo nella stanza che condivideva con
la sua sposa, non immaginando che Donna stesse riposando assieme alla
piccola Alix. La dama, nel vederlo giungere in stanza
tutt’altro che silenziosamente, gli scoccò
un’occhiataccia di braci.
Etienne
sobbalzò sul tappeto.
-Ce
que tu veux?! (5.)-
sibilò Donna coprendo con la mano l’orecchio della
bambina, che dormiva rannicchiata accanto alla madre.
-Ti
devo parlare. Ora- sottolineò Etienne con tono di voce
altrettanto basso.
Donna
gli fece cenno di avvicinarsi e il marito le s’inginocchio
davanti, ai piedi del letto.
-Sii
breve- si augurò la dama alludendo al sonno della bambina.
–Finalmente è riuscita ad addormentarsi-
mormorò carezzando la guancia di Alix con il palmo. La
principessina de Sancerre aveva il pollice in bocca e le gote rosa. I
capelli scuri le cadevano sul viso tondo da bambina in morbidi piccoli
boccoli.
Etienne
sorrise dolce, poi guardò la sposa. –Sono venuto a
chiederti cosa ne pensi di Henri e la nostra Eleonore, insieme-
sussurrò.
Donna
inarcò un sopracciglio. –Ti sembra il momento?!
Non potevi aspettare questa sera?!- eruppe.
Etienne
scosse la testa. –Ricordi che ne avevamo già
discusso, ma… le particolarità di monsieur Henri
giocavano a sfavore?-.
Donna
fu costretta ad annuire, pur scocciata dal fatto che suo marito non si
desse pace su certe cose.
-Poco
fa ho parlato con Jean della faccenda, ed entrambi pensiamo che sia non
solo una necessita della famiglia di Henri, ma anche un’abile
mossa politica per assicurare le sue terre al nostro casato,
quando…-.
-Ma
come sei funebre, Etienne! Henri non morirà certo domani, ha
tempo per trovarsi qualcuna della sua età- disse Donna.
-Visto,
nemmeno tu capisci…- borbottò Sancerre
appoggiando il gomito sul ginocchio.
-No, io
capisco benissimo invece. Capisco che sei diventato un avido
arraffatore di terre tanto quanto tuo nipote! Tu…-.
Non
poté terminare perché Alix si era definitivamente
svegliata, mugolando una sorta di
“père!” quando, riaprendo gli occhi, si
vide il padre davanti.
-Bonjour,
mon petit princesse!- gioì
Etienne sollevando la bambina dal letto e caricandosela in braccio.
–Fatto bei sogni?- le chiese prima che Donna, furiosa per
l’accaduto, potesse azzardare una parola. La signora Sancerre
si mise seduta sul letto. –Grazie- sbottò al
marito.
Alix
annuì, ed Etienne riuscì quasi a specchiarsi nei
suoi grandi occhi verdi. -Suvvia, moglie, era già sveglia da
prima che entrassi- provò a difendersi il cavaliere.
-Non ne
dubito…- borbottò Donna alzandosi dal letto, si
passò una mano tra i capelli e socchiuse gli occhi in modo
stanco. Etienne, accorgendosi della spossatezza della moglie,
richiamò l’attenzione delle balie nel corridoio.
Una di queste entrò in stanza e prese Alix dalle braccia del
cavaliere, che gliela lasciò con premura; l’altra
ripiegò e stirò le lenzuola sprimacciate del
letto.
-No,
datela a me- fece per dire Donna, ma Etienne si frappose tra lei e la
balia.
-Sei
distrutta, amore mio, lascia che adesso se ne occupino loro- intervenne
l’uomo mentre la dama, con dispiacere, vedeva portarsi via,
fuori dalla camera, la sua bambina.
Una
volta soli, Etienne le prese il viso tra le mani e la baciò
dolcemente sulle labbra.
-Non
dirmi che ora ti dispiace- bofonchiò Donna stanziandosi di
qualche passo, ma, notando l’espressione confusa del marito,
si apprestò ad aggiungere: -Averci svegliato, intendo, non
dirmi che ora ti dispiace-.
-Certo
che no,- arrise Etienne, -o non avrei potuto fare questo- aggiunse con
malizia e, attirandola a sé, la baciò di nuovo
con più passione e trasporto.
-Quindi,
credi che si possa fare?- chiese Sancerre separando d’un
tratto le labbra da quelle della moglie.
Donna
lo guardò allungo perplessa. –Monsieur
Henri lo sa già?-.
Etienne
si strinse nelle spalle. –Ho incaricato Jean di farci due
chiacchiere e cadere accidentalmente sull’argomento. Nel
frattempo voglio dare la notizia a Eleonore. Allora,
dov’è?- domandò sereno.
-Alla
sua lezione di equitazione del sabato. Avec Stephèn-
spiegò Donna con naturalezza.
-Questo
non è possibile- eruppe Etienne aggrottando la fronte.
–I soldati hanno visto Stephèn lasciare la corte
sta mattina, ma era solo. Ho cercato Eleonore nella sua stanza e non
c’è…- disse.
In
quell’istante udirono bussare alla porta, e si voltarono
entrambi ancora abbracciati verso l’ingresso della stanza.
Sulla soglia era apparso un soldato semplice in divisa, aveva il fiato
corto e il volto sudato sotto l’elmo. Sembrava venuto fino
agli alti piani della torre di gran corsa. –Monsieur, nous ne
pouvons pas trouver Stephen! Nous avons cherché
partout… (6.)- spiegò ansimando.
Marito
e moglie si irrigidirono scambiandosi un’occhiata allarmata.
Per qualche istante regnò un tetro silenzio, poi scattarono
entrambi di corsa fuori dalla stanza.
-Avvertite
il mio tenente monsieur
Fabien di battere tutte le strade e di bloccare ogni
uscita dalla città. Se sono ancora qui, non andranno
lontano- annunciò Etienne mentre traversavano assieme il
corridoio a passi veloci.
-Io
controllo nelle altre stanze e avverto le balie. Mon Dieu…
- mormorò Donna spaventata.
Etienne
la fermò improvvisamente afferrandola per le spalle.
–Calmati, non può essere andata lontano, la
troveremo-.
Donna
scosse la testa. –Sapevo che era pericoloso lasciare che
facesse lezione da sola- singhiozzò lei.
Sancerre
la strinse forte a sé e sentì il suo cuore
batterle impazzito nel petto, tanto quanto il suo.
-…marcondirondirondello.
Ma che bel castello, marcondirondirondà- canticchiava
Gabriel mentre camminavano lungo le mura esterne dell’alta
corte.
Oddio,
questo è andato…
-Puoi
smetterla per cortesia?- Hellionor lo fulminò con
un’occhiataccia.
-Dai,
canta con me: ti scomparirà quel grugno dalla faccia e
sicuramente ti sentirai meglio-.
-Io sto
già benissimo. Sei tu che hai qualche rotella nel cervello
da rimettere a posto, perciò smettila- brontolò
la ragazza.
-Problema
numero uno: ho fame- si lamentò Gabriel.
-No, il
vero problema numero uno è tornare a casa!- eruppe Hellionor.
Facevano
avanti e indietro per la cittadella di Sèour da ore,
tenendosi stretti l’uno all’altra per mano e senza
una meta precisa.
-Forse
dovremmo chiedere aiuto- propose Gabriel fermandosi a guardare la torre
dell’alta corte.
-Ah!-
rise Hellionor istericamente. –E secondo te un conte francese
del XIII secolo può prestarci il suo manuale
d’istruzione di Hyperversum?!-
digrignò continuando a camminare e trascinandolo con
sé.
-Va
bene, ma adesso calmati- mormorò il ragazzo.
Hellionor
era troppo su di giri per stare calma.
Nella
sua testa si agitavano mille pensieri senza un filo logico, suscitati
solo dalle immagini che le apparivano a raffica davanti agli occhi.
Continuava a ripetersi che poteva trattarsi solo di un sogno, che
bastava trovare la forza e la volontà di svegliarsi, cosa
probabilmente a loro mancante. Allo stesso tempo però,
Hellionor temeva che qualcosa fosse davvero andato storto: aveva paura
di credere che il gioco avesse aperto una sorta di passaggio spazio
temporale verso il XIII secolo, e che il mondo attorno a lei fosse
reale, pericoloso e insidioso come lo descrivevano i libri di storia.
Questa concezione era certamente passata per la fronte anche a Gabriel,
il quale sembrava aver accettato meglio (o peggio) la
realtà. Il suo modo di reagire era tipico del sesso
maschile: impulsivo, emotivo, ma soprattutto affamato.
-Una
locanda- disse d’un tratto Gabriel fermandosi davanti ad un
edificio basso e spoglio, sul cui ingresso pendeva l’insegna
con un topo e una fetta di formaggio dipinti sopra.
-Genio,
hai con te qualche moneta?- eruppe Hellionor.
Gabriel
lasciò la mano della ragazza e si perquisì le
tasche dei pantaloni. Quando rialzò gli occhi in quelli
dell’amica, aveva in faccia un’espressione
avvilita. –No…- borbottò.
-Bravo,
e non pensarci nemmeno di rubarli!- sbottò lei
incamminandosi. Gabriel le andò dietro sbuffando e con le
spalle curve.
-C’est
lui! Prenez-lui! (7.)-.
Un
soldato a cavallo frenò il suo palafreno in mezzo alla folla
e puntò la spada verso di loro. Hellionor e Gabriel si
scambiarono uno sguardo agitato mutando totalmente colore di pelle.
S’immobilizzarono nel mezzo della strada mentre attorno ai
due si formava un semicerchio di gente spaventata. Assieme al cavaliere
che aveva parlato, Hellionor riconobbe uno dei tre soldati a cavallo
che lo circondavano: era lo stesso che qualche ora prima le aveva
chiesto di un certo Stephèn,
in quel vicolo.
La
ragazza rabbrividì, pensando che avesse cambiato idea e
avesse deciso di indagare più a fondo. Magari questo Stephèn,
il personaggio che Gabriel impersonava nel gioco, era un ladro o un
bandito e l’americano gli somigliava abbastanza da far
trasparire ogni dubbio.
-Presto,
scappa!- strillò lei.
Gabriel
era fatto di cera.
-Dannazione,
scappa! Ce l’hanno con te!- gridò la ragazza nel
panico.
-Perché?!-
gemé Gabriel terrorizzato.
-Non lo
so, ma adesso scappa!- Hellionor lo spinse via con le cattive maniere e
per poco Gabriel inciampò. Non appena ebbe compreso a pieno
la situazione bene quanto l’amica, il ragazzo
scattò di corsa dalla parte opposta alla posizione delle
guardie, travolgendo la gente che incontrava sul suo cammino.
Il
cavaliere ordinò ai tre uomini di inseguire il fuggitivo, e
questi partirono alla carica spronando con ira i palafreni.
L’uomo nel mezzo la raggiunse e fermò il cavallo
davanti ad Hellionor che, d’un tratto, cominciò a
temere anche per la propria vita. Ma poi il cavaliere fece un gesto del
tutto inconsulto, smontando di sella, togliendosi l’elmo e
scansando il mantello che gli intralciava il braccio.
-Mademoiselle
Eleonore- s’inchinò
con una riverenza.
Oh
diamine… se
Gabriel è un ricercato, io a chi assomiglio?!
imprecò la ragazza. Si chiese inoltre se gli abiti che
indossava potessero appartenere non ad una umile contadina,
bensì ad una nobile donna di un certo rango. Di fatti
Hellionor non vestiva di troppi stracci, anzi. La camicia era bianca e
linda, la gonna lunga pulita e il corpetto di un rosso porpora acceso. Posso essere tutto, tranne una
contadina! Pensò timorosa.
Il
cavaliere davanti a lei fece per dire qualcosa, ma venne interrotto da
una voce conosciuta che parlò fuori campo.
-Monsieur
Fabien, Qu'est-ce qui
passe ici? (8.)- eruppe in francese Henri de
Grandpré.
Hellionor
si voltò e vide lui e monsieur de Ponthieu venir loro
incontro, quest’ultimo ad occhi sgranati, rigido come una
statua e bianco in volto come un lenzuolo.
Poco
prima…
Ian
entrò nella stanza degli ospiti che le era stata offerta e
sorprese Marc alla finestra, ammirando il paesaggio delle colline.
-Perché
non fai compagnia a Eleonore?-
chiese il Falco rivolto al pulcino.
Marc
non si scollò dal davanzale. –E’ fuori
per la sua lezione di equitazione- spiegò il ragazzo senza
tono.
-Ah-
ammise Ian cominciando a cambiarsi. Anche lui come Etienne,da quando
erano tornati dalla caccia, non aveva avuto modo e tempo di vestirsi in
modo più presentabile, cosa che suo figlio invece aveva
già fatto.
Voltandosi,
Marc si accorse che suo padre aveva preso con sé anche il
mantello. –Dove vai?- volle chiedere.
-Devo
scambiare due chiacchiere con monsieur
Henri- spiegò apertamente.
-Perché?-
s’incuriosì Marc, ma Ian gli scoccò
un’occhiata eloquente. Il ragazzo sbuffò.
–D’accordo, mi faccio i fatti miei…-
brontolò tornando a guardare fuori dalla finestra.
Quando
fu pronto, Ian si avvicinò a lui e gli baciò la
testa. –Non annoiarti troppo mentre non ci sono, mi
raccomando- scherzò.
Marc
scrollò le spalle sbuffando.
Jean ed
Henri lasciarono il castello dei Sancerre per avventurarsi alla volta
delle caotiche strade cittadine. Il clima nel quale si immersero era
quello del tardo pomeriggio, il sole calante e il cielo limpido. La
gente si apprestava a concludere le ultime vendite al mercato, alcune
bancarelle già chiudevano, le donne rientravano in casa per
preparare la cena, e sulle strade non si vedeva più un
bambino.
-Allora,
di cosa volevate parlarmi, monsieur?-
formulò Henri sereno.
Ian gli
sorrise continuando a camminare con le mani giunte dietro la schiena.
–Io e Sancerre abbiamo…-.
-Lo
sapevo- ridacchiò Grandpré ancor prima che
l’amico potesse concludere. Ian assunse
un’espressione confusa, ed Henri si piegò meglio.
-Lo
sapevo che dietro a tutto questo c’era lo zampino di Etienne-
fece allegro.
-Quindi
sai già cosa sto per dirti?-.
-Veramente
no, anche se mi piacerebbe indovinare- giocò Henri.
Ian
sorrise. –D’accordo. Mettiamo alla prova il tuo
senso di Falco, e vediamo se è rimasto quello di una volta
alla pari del mio-.
Grandpré
ci pensò qualche istante. –Siccome monsieur de
Sancerre è terribilmente preoccupato per la sua discendenza,
la vostra conversazione non può non essere pesata sulla
questione dell’eredità- rifletté vacuo.
Quest’uomo
è un mostro! Peggio di me contando che io dalla mia parte ho
ottocento anni di storia letta e riletta…
-Perciò
posso dedurre che…- riprese Henri grattandosi il mento,
-siate entrambi preoccupati per le mie terre-.
-Di’
la verità, stavi origliando!- Ian scoppiò in una
fragorosa risata.
-Giuro,
non lo farei mai- esultò Henri, altrettanto stupito.
–Perché, ho indovinato?- chiese incredulo.
Ian fu
costretto ad annuire. –Sì, temo proprio di
sì- sospirò.
Da quel
momento tacquero entrambi, lasciando trascorrere alcuni minuti di
passeggio prima di riallacciare l’argomento. Si preparavano
ad affrontare il discorso ognuno a proprio modo, conoscendo
già, in un certo senso, l’uno i timori
dell’altro.
-Sono
pienamente a conoscenza della mia condizione, e apprezzo la vostra
premura- Henri parlò per primo. –Ma se mi
è concesso scegliere, non voglio unirmi ad una donna che non
amerei e che lei, sapendo ciò che sono, molto probabilmente
non amerebbe me. L’aiuto tuo e di Etienne l’ho
già accolto in passato, assecondando il vostro giudizio su
chi maritare alle mie sorelle, e per questo non sarò mai in
grado di sdebitarmi. Pregare perché il giorno della mia
morte la Francia si veda unita e senza guerre, sarà tutto
quel che farò fino ad allora, perché le mie terre
possano cadere nelle mani giuste senza coinvolgimenti esterni, forzati
o ingiusti- dichiarò senza ombra di dubbio o ripensamento.
Ian
rilassò le spalle riempiendosi d’aria i polmoni.
–Ti sembrerà strano, ma al posto tuo farei la
stessa cosa-.
Henri
inarcò un sopracciglio. –Davvero?-.
Ian
annuì. –Perché no? Certo, forse ci
ripenserei se avessi l’opportunità di proteggere
sotto il mio tetto la figlia del mio migliore amico- assentì
vago.
Grandpré
si fermò di colpo. –…Cosa?-
mormorò sprovveduto.
Ian
dovette tornare sui suoi passi per affiancarsi all’amico.
–Siccome ho vissuto troppo allungo in mezzo ai giri di
parole, te lo dirò in modo semplice e, speriamo, indolore:
Etienne vorrebbe organizzare un matrimonio combinato tra te e sua
figlia Eleonore, la maggiore-.
Henri
indietreggiò, boccheggiando senza produrre suono.
–Io… come… come gli è
saltato in testa?!- eruppe poi.
Ecco,
questo è
proprio quello che non sarebbe dovuto succedere… pensò
Ian passandosi la mano sul volto.
-Ho
appena concluso di dire che non voglio legarmi ad una donna che
finirebbe per disprezzarmi e tu ribalti la tovaglia offrendomi la mano
della figlia di Sancerre?! Ma dov’è il Signore
perché moderi la mente degli uomini malati come Etienne,
quando serve?!- imprecò alzando gli occhi al cielo.
Ian
tacque, pregando silenziosamente perché Dio moderasse
Grandpré, piuttosto.
Dopo un
minuto o due Henri parve riacquistare un minimo di lucidità,
e l’americano colse l’occasione al volo.
-Perdonami,
non intendevo ferirti-.
-No, tu
non hai fatto nulla- dissentì il più giovane.
–De Bar, pace all’anima sua, aveva ragione quando
disse che senza di lui a ricordargli le buone maniere, Etienne sarebbe
andato a ruota libera verso la follia, ogni giorno sempre peggio. Quel
cavaliere è rimasto ragazzino anche a
quarant’anni, non posso crederci… e come tale ci
immagina tutti quanti: deve aver perso lo scorrere del
tempo…- borbottò.
-Ma
allora, cosa ne pensi?- chiese Ian, confuso dalle tante chiacchiere del
compagno d’arme.
-Ci sto
ancora pensando- eruppe Henri riprendendo il cammino.
-Guarda
che tu ad Eleonore piaci- intervenne il cadetto Ponthieu.
Henri
restò spiazzato anche da quell’affermazione.
–Com’è possibile se non le ho mai
rivolto la parola da quando sono qui al giorno della sua nascita?-
chiese sbalordito.
-Questo
dovresti chiederlo a lei, non a me- si difese Ian. –Io faccio
solo da portavoce-.
-Allora
sei caduto più in basso di quanto credessi-
scherzò Grandpré, non senza una nota amara nella
voce.
-Seriamente,
Henri, credi di poter valutare la cosa? Etienne si è
raccomandato di estorcerti una risposta definitiva prima di
‘sta sera, ma per me hai tutto il tempo che ti serve- sorrise
affabile.
-Ti
ringrazio- sospirò il conte. –Ciò
significa, immagino, che non mi è concesso declinare
l’offerta- ammise.
Ian
sgranò gli occhi. –Non ho mica detto che sei
costretto- assentì.
-Mi
domando come una sedicenne possa provare tanto interesse per me! Non
voglio che spacci la sua infatuazione fanciullesca per vero amore e poi
si ritrovi a mani vuote…-.
-Lei lo
sa- intervenne Ian con grande stupore dell’altro cavaliere.
–Etienne mi ha garantito anche questo, oltre al fatto che ad
Eleonore basterebbe starti accanto per essere felice-.
-Jean,
se pensi che una ragazza di sedici anni sa cosa la renderà
felice per il resto della sua vita, mi deludi- pronunciò
serio.
-Henri,
sappiamo bene entrambi che certe scelte non ci appartengono, e
perciò non possiamo interferire con esse. Almeno per questa
volta voglio essere imparziale, riferire ciò che Etienne mi
ha detto di dirti, quindi non cercare il mio giudizio-.
-Eleonore
è stata informata almeno di tale condizione?-
domandò cupo Henri.
-Sancerre
ha voluto fare tutto molto di fretta, non chiedermi perché-
borbottò.
-È
sicuramente qui che sbaglia. Te l’ho detto: Etienne
è rimasto il bambino impulsivo di sempre-
commentò Henri. -Quindi…
ci penserai?- domandò Ian in definitiva.
Henri
fece per riaprir bocca, ma il grido di un soldato e lo scalpitare di
zoccoli proveniente dal fondo della strada attirò la loro
attenzione.
Henri
ed Ian si scambiarono un’occhiata allarmata e imbracciarono
le spade che portavano al fianco, dirigendosi spediti in quella
direzione.
Voltato
l’angolo, Ian riuscì a scorgere un gruppo di
cavalieri a cavallo allontanarsi tra la folla di corsa, mentre uno di
loro smontava di sella e s’inchinava dinnanzi ad una giovane
donna.
Henri
andò avanti con la spada alla mano, mentre Ian, dietro di
lui, era diventato una sorta di fantasma.
È
la ragazza di
‘sta mattina… ma che cosa succede?!
Gemé stringendo convulsamente la presa attorno
all’impugnatura della lama.
-Monsieur
Fabien, Qu'est-ce qui
passe ici?- chiese Henri de Grandpré
riconoscendo il cavaliere davanti alla ragazza.
-Monsieurs,
Eleonore
de Sancerre è stata rapita questa mattina, ma fortunatamente
io e i miei uomini l’abbiamo ritrovata mettendoci sulle
tracce del suo compagno- spiegò Fabien alludendo alla
ragazza dietro di sé.
Eleonore?
Rapita?! Ehi, aspetta
un attimo! Ian sgranò gli occhi. Quella non è
Eleonore!
Jean
tentò di replicare alle parole del generale Fabien, ma Henri
lo precedé.
-Eleonore?
Vous êtes
Eleonore?- domandò il conte de
Grandpré, ingenuamente e con meraviglia.
La
ragazza posò un istante la sua attenzione sul cavaliere che
lo accompagnava, riconoscendolo subito come il leggendario Falco
d’Argento. Quindi quei due cavalieri, si disse, erano gli
stessi di quella mattina. Quando Henri de Grandpré le chiese
effettivamente se il suo nome fosse Eleonore, lei
annuì, perché la pronuncia francese di Hellionor doveva
essere quella. Quindi quest’uomo mi conosce.
Guardò Henri. Anzi,
mi conoscono tutti… pensò, ma ogni
suo ragionamento sfumò dietro il gesto fatto dal Falco
subito dopo.
Jean
Marc de Ponthieu si batté disperatamente una mano in fronte.
Il
cavaliere Fabien l’aiutò a montare in groppa al
suo cavallo come una principessa, ed Hellionor si irrigidì
sulla sella non appena incrociò gli occhi del Falco
d’Argento, il cui azzurro celestiale l’aveva
congelata come una statua. Nel momento in cui Henri de
Grandpré, Feudatario Maggiore di Francia le aveva rivolto un
inchino, Hellionor si era sentita presa in giro, da Hyperversum in
primis, ma in secondo luogo da quella situazione che le si ritorceva
contro in modo sempre più assurdo.
Stringendo
le mani sulle redini e rendendosi conto di ricordare abbastanza bene
quelle nozioni di equitazione avute da sua madre fino ai dodici anni,
Hellionor riuscì a sistemarsi dritta nonostante il mondo
attorno che aveva occhi solo per lei.
-Madame,
è un vero onore conoscervi di persona già
così presto, e vedervi in salute mi riempie di gioia il
cuore, nonostante il racconto della vostra disavventura-.
Hellionor
si volse verso il conte de Grandpré e riuscì a
decifrare una buona parte del suo discorso, ringraziando mentalmente i
corsi pomeridiani della scuola e suo padre Daniel per le buone nozioni
di francese.
Io?
Rapita? Si
stupì Hellionor guardando anche Fabien, il cavaliere
semplice lì affianco che discuteva appartato ma a gran voce
col Falco d’Argento. Sembrava una conversazione poco
amichevole, perché quest’ultimo mostrava segni
nervosi nell’atteggiamento e nel tono di voce adottato col
cavaliere che, in tutti i modi più cordiali possibili,
tentava di spiegare che Eleonore de Sancerre, prima genita di Etienne
II, era stata data dispersa, e nel frattempo indicava Hellionor seduta
in sella al cavallo.
Intanto,
Henri de Grandpré si era fermato ai piedi della ragazza e la
guardava dal basso con un’espressione in viso serena e
pacifica. Le mani giunte dietro la schiena e i capelli castani
pettinati ordinatamente. La barba ben fatta e gli occhi dolci e scuri
come quelli di un cerbiatto. –L’avete proprio fatto
penare vostro padre- sghignazzò il Feudatario Maggiore
alludendo a monsieur
Fabien e de Ponthieu che ancora discutevano sui dettagli
dell’accaduto.
Hellionor
tacque e, temendo che il suo accademico francese avrebbe rovinato quel
che poteva rovinare, si limitò ad annuire chinando la testa.
Henri
sembrò divertito dalla sua reazione. –Permettetemi
di riaccompagnarvi a casa prima che Etienne, conoscendolo, decida di
impiccare mezza città pur di scovare chi vi ha fatto questo-
disse Grandpré ed Hellionor gli lasciò docilmente
le redini così che il conte potesse guidare il cavallo
direttamente da terra, camminandogli affianco.
-Monsieur,
aspettate!-.
Il
palafreno inchiodò quando Henri de Grandpré si
voltò e vide Jean de Ponthieu venir lui incontro assieme
all’ufficiale Fabien. –Aspettate, monsieur,
lasciatela a me- suggerì d’un tratto il capo delle
guardie di Séour, con grande stupore degli altri presenti,
Hellionor compresa.
-Allora
fate in fretta, dannazione, Etienne sarà disperato se quello
che si dice è la realtà- pronunciò
serio Henri porgendo le redini al cavaliere Fabien, che condusse
l’animale su per la strada. Hellionor lanciò
un’occhiata alle sue spalle: Henri e Jean le venivano dietro
tenendosi a distanza dal cavallo, ma solo quest’ultimo
guardava la ragazza con la solita scintilla di serietà negli
occhi. Hellionor, dalla sella, si tese come una corda di violino.
Quell’uomo col falco d’argento sul petto le
infondeva un certo timore da quando l’aveva incontrato per la
prima volta quella mattina in strada, per poi ritrovarselo accanto
anche mentre tutti sembravano saperla lunga su chi fosse il personaggio
che Hellionor impersonava in gioco.
Una
figlia di Etienne II de
Sancerre, forse? Si chiese.
Non
solo i tre cavalieri di Séour a terra, ma la gente tutta la
fissava con curiosità, stupore e interesse. Certamente,
assistendo alla scena di poco prima, si erano domandati cosa stesse
succedendo e perché metà dei cavalieri di
Séour fosse sulle tracce di un loro stesso soldato.
Hellionor cominciò a temere per Gabriel, domandandosi se gli
uomini di Etienne II fossero riusciti a strapparlo dalla strada e
sbatterlo in una cella per un crimine che non aveva fatto. Si rese
conto di aver abbandonato l’amico nel bel mezzo di una contea
francese del XIII secolo senza che sapesse dire nemmeno “buon
giorno” o “buona sera” nella lingua
parlata.
La
ragazza si morse un labbro guardando nella direzione in cui il suo
compagno di partita era sparito, scrutando tra volti e corpi estranei e
pregando di vederlo riapparire da un momento all’altro.
Sforzandosi
di mettere assieme qualche buona parola, Hellionor si rivolse
così all’ufficiale: -Monsieur, il
ragazzo che era con me, perché è ricercato dai
vostri uomini?-.
Il capo
delle guardie restò interdetto a quella domanda. –Madame,
Stephèn è accusato di aver contribuito alla
vostra cattura- disse grave.
-Ma
siete sicuro che è stato lui?- insisté Hellionor.
L’uomo
annuì ancor più confuso. –Madame,
Stephèn è il vostro tutore e vostro
amico…- mormorò flebile. –Ovvero
l’uomo che vi trascorreva accanto più tempo, e il
fatto che sia scappato di gran corsa è una prova
inequivocabile-.
Tutore?
Qualche
parola le sfuggiva, ma il senso le era chiaro. Ma chi diavolo pensano che sia?!
Si chiese Hellionor, ma almeno, se erano diretti verso la
reggia di Etienne II, voleva dire vitto e alloggio abbastanza comodo.
Il gioco le aveva offerto tutto su un piatto d’argento, ed
Hellionor era curiosa di sapere fin dove si sarebbe spinto.
Ma la
verità era che c’era ben poco per cui stare
tranquilla. In cuor suo sapeva che non poteva trattarsi di un sogno o
di un’allucinazione in alcun modo. Sapeva che
l’idea del buco spazio-tempo era in sospeso nella sua testa e
temeva di andare incontro alla verità ammettendo di essere
davvero imprigionata nel medioevo. Obbiettivamente la paura cresceva ad
ogni passo del cavallo, man a mano che il torrione dei Sancerre si
faceva sempre più vicino, mentre alle sue spalle, Feudatari
Maggiori e quant’altro, si sarebbero presto accorti di aver
sbagliato persona.
Le
possibilità plausibili erano due. Quella buona in cui
sperava era che Hyperversum
si fosse pappato il suo cervello e l’avesse intrappolata nel
regno della fantasia nel quale ogni ubriaco o insano di mente si perde.
Quella cattiva, era il naufragio nel medioevo, il passaggio spazio
temporale dal quale suo padre aveva sempre cercato di proteggerla.
Ora
è
chiaro… Hellionor sgranò gli occhi e
divenne un tutt’uno con la pietra della terra quando Fabien
l’aiutò a scendere dal cavallo, una volta giunti
nel cortile dell’alta corte.
La
ragazza si reggeva a stento sulle gambe e cercò il sostegno
del corpo che trovò più vicino. Sono nel medioevo…
pensò col volto esangue rendendosi conto di essere
artigliata alle vesti di qualcuno, che le circondò la vita
con un braccio per sorreggerla.
Suoni,
immagini, voci… divennero un insieme confuso e incolore che
sfumò verso l’oscurità. Ciò
che vide fu il suo viso preoccupato di Henri de Grandpré,
prima di crollare svenuta tra le ali del Falco.
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Capitolo 7 *** Lacrime segrete ***
-Presto, chiamate un dottore! Potrebbe essere stata avvelenata!-
strillò in allarme Henri de Grandpré mentre
aiutava l’amico Jean Marc a sostenere con delicatezza
l’inerme corpo della giovane principessa, crollata come in
sonno tra le ali del Falco d’Argento.
Ian
accanto a lui serrò i denti. E ora che diavolo faccio?! Cosa
accadrà quando Etienne scoprirà che questa
ragazza non è sua figlia, mentre tutti gli altri avranno
intuito il contrario?!
Con
quei pensieri ad uccidergli la ragione tenendogli la mente impegnata,
Ian non si accorse delle mani armate amiche che gli prelevarono di
dosso il corpo di Hellionor Freeland, portandola dentro il castello su
una sorta di lettino.
-Chiamate
Monsieur de Sancerre! Sua figl…- fece per annunciare il
cavaliere Fabien, ma Ian lo interruppe prima che potesse dettare altri
ordini.
-Occupatevi
della principessa. Avverto io monsieur Etienne e madame Donna- eruppe
autoritario a tal punto da far tacere anche Henri de
Grandpré, alle sue spalle, già in procinto di
replicare o intervenire sulla questione.
-Henri,
va’ con lei!- disse subito dopo Ian al Feudatario Maggiore. Sperando che Hellionor dorma
ancora per un po’… si
augurò Ian avviandosi di corsa tutt’altra parte.
Grandpré
annuì mezzo convinto, e seguì Fabien e i suoi
uomini che scortavano il corpo della ragazza dentro la corte, con
destinazione le stanze private della principessa. Al convoglio si
unirono alcune serve che, fortunatamente, non sembrarono accorgersi dei
piccolissimi particolari che la Freeland aveva dissimili alla de
Sancerre.
E
ora chi lo racconta a Daniel!?
Ian
salì le scale del torrione due gradini alla volta. Quando fu
all’ingresso, proseguì spedito nel corridoio e poi
dritto verso una meta precisa. Trovò Donna Barrat
là dove gli avevano indicato le guardie della corte e sapeva
di trovarla, ovvero nella stanza che madame de Sancerre condivideva con
suo marito da più di 17 anni. Giunto dinnanzi alla soglia
bussò ed entrò solo quando sentì la
voce rauca e incrinata dal pianto di Donna dargli il consenso.
-Donna…-
mormorò Ian, triste nel vedere la sua amica seduta sul bordo
del letto a piangere con un fazzoletto ricamato che si rigirava
più volte, nervosamente, tra le dita.
-Oh,
Ian!- gemette lei asciugandosi un altro fiume di lacrime che le
sgorgarono dagli occhi in quell’istante, mentre il Falco le
veniva incontro e l’abbracciava come una sorella.
-Dove
sono le tue serve?- chiese il cavaliere. –Sarebbero dovute
rimanere a farti compagnia, perché sei sola?- si
preoccupò.
-Le ho
mandate… via!- singhiozzò lei stringendosi con
più forza all’amico. Il suo corpo magro e snello,
nonostante l’età, era traversato da continui
spasmi e tremori del pianto disperato che prese a sfogare sulla spalla
del cavaliere.
-Andrà
tutto bene, vedrai… la troveremo- si costrinse a dire Ian,
pur avendo la mente affollata di ben più gravi pensieri, e
tutti riguardanti la figlia del suo migliore amico sparita a sua volta
dal proprio tempo. Che
diavolo di casino! Ma tutto insieme doveva succedere?! Si
chiese con un moto di rabbia sedendo sul letto accanto a Donna,
così che la dama potesse sfogare le lacrime su di lui senza
che stesse scomodo. Devo
restare con lei finché non si calma… o non
potrò mai dirle che cosa è realmente successo.
Trascorse
qualche minuto, giusto il tempo necessario perché Donna
dissimulasse il terrore. -Dov’è Etienne?- chiese
Ian a sorpresa, volendo chiarire la questione ad entrambi prima che nel
castello scoppiasse il putiferio. Poteva parlare sia in presenza di
Donna che di Etienne utilizzando mezzi termini, e poi conferire in
privato con lei, approfondendo l’argomento “Hyperversum”
all’amica. Due
piccioni con una fava. Devo mettere a tacere le voci che Eleonore
è stata rapita, ma allo stesso tempo darla ancora per
dispersa. Certo che le situazioni più complicate me le vado
a cercare, eh?! È proprio come diceva de Bar…
In
quell’istante, sull’uscio della stanza, apparve
Etienne de Sancerre, bianco in volto come un lenzuolo. Non aveva
né bussato né detto una parola mentre si
avvicinava alla moglie e all’amico con un curioso foglio di
pergamena arrotolato nella mano.
Ian si
adombrò. –Cos’è?-
domandò alludendo al plico che Etienne, dette quelle parole,
sembrò stringere con ardore crescente tra le dita.
-Era
nella stanza di Eleonore- spiegò senza tono, dilaniato da un
dolore amaro che lo trasformò in tutt’altra
persona. Potava quasi dirsi che, con quella smorfia seria e angosciata
sulle labbra, sembrasse più vecchio.
-D’accordo,
ma cos’è?- insisté Ian e la
conversazione tra i due sembrò attirare
l’attenzione di Donna, ancora stretta tra le braccia del
Falco.
Le
rughe sulla fronte di Etienne si fecero profonde. Porse la pergamena
all’amico e questi l’aprì svelto, pur
indugiando.
-È
un riscatto- spiegò il cadetto de Sancerre.
Donna
si portò una mano alla bocca. Gli occhi di Ian scorrevano
come lo scanner di una fotocopiatrice sulle righe contenute nel plico.
Sobbalzò a sentir pronunciare quelle parole da Etienne che,
stanziandosi e andando verso la finestra, lasciò vagare lo
sguardo sulla propria corte.
Donna
che non sapeva se piangere, gridare o svenire.
-La
notizia non deve divulgare- affermò duro come il ferro
Etienne de Sancerre. –Chiunque ha rapito mia figlia, non
vuole che si sappia fuori dalla mia corte, o… Eleonore,
loro… loro la… la uccideranno-.
Ian
s’irrigidì sgranando gli occhi. –Ma non
ha senso! Cos’è che temono?!- eruppe pieno di
collera balzando in piedi.
Etienne
dovette appoggiarsi al davanzale della finestra pur di non crollare. La
sola idea gli prosciugava le membra. –Vorrei esserle stato
più vicino…- gemé dimenticando del
tutto la domanda fattagli da Ian.
Il
Falco guardò prima lui poi Donna che, seduta sul bordo del
letto, aveva preso tra le bianche e magre mani la pergamena,
sfogliandone il contenuto lei stessa. Quando giunse alla riga che
annunciava il riscatto e le varie richieste dei rapitori, si
portò il pugno chiuso al cuore stringendo forte il tessuto
della veste tra le dita sottili. Le sfuggì un nuovo
singhiozzo, gli occhi arrossati tornarono a riempirsi di lacrime, una
delle quali non tardò a scorrerle sulla guancia.
Ian non
seppe che fare, cosa pensare. A sua volta si mise le mani tra i capelli
stirandoli indietro, disperato. –Mon Dieu…-
invocò.
Etienne
si scostò dalla finestra e andò a sedersi accanto
alla moglie, passando accanto all’amico senza dir nulla.
Strinse Donna a sé e nascose il volto tra i boccoli rossi
della sua donna, nel vano tentativo di mascherare le lacrime che Ian
aveva visto comparirgli agli angoli degli occhi qualche istante prima.
Il
Falco guardò il cadetto Etienne e non riuscì
davvero a capacitarsi di chi fosse. Di fronte al dolore che condivideva
con la moglie, Etienne mostrava un lato di sé che, come
detto in precedenza, semplicemente… non gli apparteneva, non
era lui.
Il
valoroso Sancerre, condottiero di eserciti, Cadetto di Francia,
vassallo di Luigi IX, era scomparso, dissolto nell’aria come
fumo, gettato al vento come polvere.
Ian,
uscendo dalla stanza al fine di lasciare ai coniugi la privacy che
meritavano, si chiese piuttosto se Etienne sarebbe cambiato dopo
quell’esperienza. In lui crebbe il timore di vedersi
invecchiare davanti un uomo lacerato dalla disperazione, che un tempo
era stato tutt’altro. Oppure, il poco di speranza che gli
restava, avrebbe conservato il Sancerre di una volta facendo
sì che fosse solo un momento di debolezza passeggera.
Ian,
attendendo come una sentinella fuori dalla porta, sperò e
pregò che fosse così.
Henri
lo sorprese con le spalle al muro fuori dalla soglia e gli
fermò di fronte.
Ian,
assorto nei suoi pensieri più oscuri, non vi fece proprio
caso, almeno fin quando Grandpré non attirò la
sua attenzione chiamandolo ben due volte.
Ian si
riscosse interiormente con violenza inaudita, ma senza darlo a vedere,
e si volse verso il cavaliere.
Questi
azzardò un inchino col capo. –La principessa
Eleonore è in buone condizioni, il medico l’ha
visitata, ma è ancora assopita- lo informò.
Ian si
adombrò. –Qualcuno ha… detto qualcosa?-.
Henri
sembrò non capire.
-Le
serve, le sorelle… sono con lei?- spiegò meglio.
-Sì,
l’ho lasciata in compagnia di una serva- rispose
Grandpré.
Siccome
Henri non aggiunse altro, Ian suppose che ancora nessuno si fosse
accorto della sostituta auto-piazzata al posto di Eleonore de Sancerre.
-Sai
dove posso trovare Etienne?- chiese Henri guardandosi attorno.
Ian
sobbalzò, ma riuscì comunque a mascherare il
nervoso. –Sì, sì, l’ho visto
nel salon… nella biblioteca!- si corresse, dando ad Henri
una meta ancor più lontana, così da guadagnare
tempo.
Il
Feudatario Maggiore annuì, seppur poco convinto.
–Che brutta faccenda… Etienne sarà su
tutte le furie- ammise greve, avviandosi.
Ian lo
seguì con lo sguardo fin sulle scale. –Oh,
sì… non immagini nemmeno in che bestia si sia
trasformato- borbottò con una smorfia.
-Di chi
stai parlando?-.
Ian
sobbalzò e si voltò di scatto trovandosi Etienne,
ad un passo di distanza, sulla soglia della stanza. Il Cadetto Sancerre
aveva il viso tirato, bianco come un lenzuolo e gli occhi
già meno gonfi di come li ricordava Ian, prima che anche un
valoroso cavaliere come lui si permettesse qualche lacrima in compagnia
della moglie.
-Perché
hai mentito ad Henri? Sapevi che ero qui- proruppe Etienne.
-Devo
parlarti- si apprestò a dire Ian, prima
d’innervosirlo ulteriormente. Quando vide comparire sulla
soglia anche Donna, si corresse: -Devo parlare ad entrambi-.
Etienne
fu come trafitto dal tono duro e severo dell’amico che,
fissandolo allungo negli occhi, gli trasmise buona parte delle sue
intenzioni.
Il
cadetto scosse la testa e fece per controbattere, volendo sicuramente
districarsi nelle operazioni militari alla ricerca di sua figlia, ma
Ian lo precedette.
-Riguarda
Eleonore- sbottò il Falco entrando nella stanza.
Mimò a Donna ed Etienne di fare altrettanto, e non ci fu
bisogno di ripetere.
Ian
lasciò che Donna restasse in piedi in mezzo alla stanza, pur
avendola implorata di sedersi. Etienne non fu da meno:
guardò più volte fuori dalla finestra,
distraendosi con la mente, non prestando attenzione al discorso
intrapreso da Ian, il quale era partito da principio. Ian
accennò allo sgarbo di Etienne di quella mattina, nel
rientro dalla caccia, quando il cadetto si era abbassato ad insultare
un innocente. Parlò della ragazza, ma Etienne
sembrò non averci fatto particolarmente caso
com’era invece successo ad Ian, che in quegli occhi verdi
aveva rivisto la paura di chi si è perso nel medioevo e non
riesce più a tornare indietro.
Donna
ascoltò con minuziosa attenzione, volendo capire da subito
dove volesse arrivare il suo compagno di avventure temporali con quei
riferimenti.
-Ma
questo cosa c’entra?!- sbraitò il cadetto, ora
più infastidito che mai.
-Correggimi
se sbaglio, ma i rapinatori non vogliono che si sappia fuori dalla tua
corte del rapimento di Eleonore-.
Etienne
annuì, pensieroso, ma su altro.
-In tal
caso siamo fortunati ad avere come figlia una principessa fantasma-
rise Donna istericamente.
-Non lo
metto in dubbio, ma non basterà che si parli con Eleonore
attraverso la porta di una stanza. Cosa diranno i servitori quando per
mesi la loro principessa non scenderà dalla torre nemmeno
cenare?- chiese Ian all’amico.
Etienne
scrollò le spalle, deciso. –Farò
giurare ai miei ufficiali e inservienti di mantenere il segreto-.
-Con
tutti i cavalieri che hai mandato in strada ‘sta mattina, a
qualcuno di loro sarà pur scappato di bocca, che dici?!-
eruppe Ian, agitato.
-E
allora cosa proponi di fare? Sentiamo!- ruggì Sancerre.
Ian
tacque alcuni istanti, elaborando il miglior modo per spiegare il piano
architettato durante l’attesa di prima. –Se
mettessimo qualcuno al posto di Eleonore, qualcuno che le somigli,
magari, tu avresti libero arbitrio in campo militare contro i
rapinatori di tua figlia senza doverti preoccupare anche di questo.
Basta che una persona poco fidata sappia la verità e siamo
rovinati. Perciò, se facciamo credere a tutti di avere
ancora con noi tua figlia, le voci sul suo rapimento si dissolveranno
come sabbia nell’acqua- disse tutto d’un fiato.
Non
ci credo…
pensò Ian notando l’espressione assorta di Etienne
che, assieme a Donna, stava valutando davvero la sua proposta, come se
fosse una cosa sensata. Non
riesco a crederci… si ripeté
più volte Ian, pur addolorato di dover architettare altre
bugie a distanza di 17 anni dalla promessa fatta al fallimento
dell’ultima.
Donna
sgranò gli occhi e guardò Ian con un moto di
ansia.
Il
Falco annuì nella sua direzione, confermando mille dei
pensieri e dei timori della fanciulla; poi la dama cercò
qualcosa su cui sedere piuttosto che crollare a terra. Diventata un
tutt’uno con il legno della sedia, Donna tacque oltremodo
come una statua.
-Allora?-
insisté Ian attirando l’attenzione del cadetto.
Etienne
gli volse un’occhiata truce. –Ne parli come se
l’avessi già fatto- commentò serioso.
Ian
rabbrividì. Perché
ho un brutto presentimento? Si chiese guardando
l’amico negli occhi.
-Però
mi sembra sensato- ne convenne Sancerre, d’improvviso.
–O meglio, sensato quel che basta. Perciò, essendo
l’unica soluzione che ci resta… Jean, temo di
doverti dare ragione-.
-Perfetto.
Allora lascia che sia io a trovare il sosia che fa al caso nostro-
sorrise Ian, più sollevato.
La cosa
sembrò insospettire l’altro cavaliere. Questi non
riuscì ad aprir bocca che qualcuno bussò alla
porta della stanza.
-Avanti…-
acconsentì Donna, precedendo i due uomini.
-Monsieur,
hanno
ritrovato madame
Eleonore- annunciò la damigella affacciandosi appena nella
camera.
Etienne
stirò le rughe sulla fronte nel gesto consueto di spalancare
gli occhi. –Cosa?!- eruppe con tono di voce più
alto. Donna balzò in piedi ed entrambi i coniugi si
gettarono nel corridoio, al seguito della serva, prima che Ian
riuscisse a fermarli.
Al
convoglio diretto alle stanze di Eleonore si era aggiunto da poco anche
Fabien, imbronciato nei riguardi di monsieur de Ponthieu che non si era
degnato di avvertire Etienne per tempo come offertosi di fare.
Giunti
sulla soglia, fu Donna la prima ad entrare, seguita da Etienne e infine
da Fabien e Ian. Quest’ultimo congedò la serva che
li aveva scortati fin lì, ben intenzionato a chiarire la
faccenda una volta per tutte.
Quando
la damigella uscì dalla stanza, Ian richiuse la porta.
-Sta
ancora dormendo, mio signore, è svenuta quando
l’abbiamo portata al castello, poco fa- spiegò
Fabien facendosi da parte.
Donna
restò affianco ad Ian quando questi le scoccò
un’occhiata eloquente.
Sancerre
aggirò il letto e giunse sul lato verso il quale sua figlia
era rivolta, con gli occhi chiusi, infagottata sotto le coperte.
Etienne sedé sui talloni e, con un sincero e sollevato
sorriso sulle labbra, scostò la frangia dei capelli dal viso
della ragazza.
L’espressione
che Etienne assunse in volto bastò perché Donna
si voltasse e, rivolgendosi al cavaliere, dicesse: -Monsieur Fabien,
potreste attendere fuori, di grazia?-.
Il
cavaliere s’inchinò profondamente devoto e
ubbidì, poi richiudendosi la porta alle spalle.
Ian
continuò a fissare il pavimento attendendo una qualsiasi
esclamazione di Etienne che spezzasse quell’amaro silenzio.
Sancerre
si sollevò lentamente e tornò vicino alla moglie,
rimasta in disparte per tutto quel tempo.
-Jean,
perché il mio luogotenente pensa che una perfetta
sconosciuta sia mia figlia?- eruppe Etienne non senza una nota ilare
nella voce, attirando d’un tratto l’attenzione
dell’altro cavaliere.
Il
Falco alzò gli occhi nei suoi mantenendo rispetto e rigore.
-Io e monsieur
Henri
abbiamo incontrato per strada una ragazza che somigliava molto a tua
figlia. Il quel momento, mentre i tuoi cavalieri inseguivano il
presunto responsabile del rapimento, a noi si è aggiunto
Fabien, che, scambiando quella ragazza per Eleonore, ha voluto
riportarla al castello. Adesso anche Henri, non avendo mai conosciuto
tua figlia, pensa che sia lei- spiegò d’un fiato.
-Quindi…
avevi già premeditato tutto!- commentò furente
Sancerre, incredulo.
-Non
tutto, temo- ammise Ian, sentendo il limite della pazienza di Etienne
farsi sempre più prossimo. –Credimi, avrei voluto
dirtelo prima, ma sei corso via! E non volevo che altri
sentissero… e vedessero- aggiunse alludendo alla ragazza
distesa nel letto.
Etienne
si passò le mani in viso, sconcertato. –Se lei
è qui, allora mia figlia dov’è?- chiese
più a sé stesso, sentendo riaffiorare la
disperazione e l’angoscia. Aveva quasi creduto di poter
tirare il sollievo quando quella damigella aveva annunciato il
ritrovamento di Eleonore, ma Ian distruggeva le sue certezze
così, mascherandogli ancora una volta la verità.
Etienne
era combattuto. Combattuto tra lo sfuriare addosso al suo amico o
l’accettare il dolore che lo trasformava nell’uomo
che non era mai stato, nel debole che non aveva mai voluto essere.
Angolo
d’Autrice:
Un
grazie speciale a sbrodolina
per il commento al capitolo precedente, sperando che anche questo le
sia piaciuto ^^
Avverto
che ho inglobato il precedente settimo capitolo nel 6 spostando le
dovute recensioni, o meglio… la dovuta recensione. Forza
signori! Non ditemi che su 100 visualizzazioni e passa al primo
capitolo di questa storia solo di queste hanno commentato!
Così mi deprimo… ç_ç
Sperando
che le cose vadano meglio, vi do appuntamento al prossimo capitolo che,
sinceramente, non so quanto in fretta riuscirò a pubblicare,
avendo molte altre ff a cui dedicarmi. ^^
A
presto!
(1.
)« Bonne fortune » - « Buona
fortuna. »
(2.)
« Bonjour, madame » - « Buon
giorno, signora. »
(3.)
« Bon matin à vous, monsieur Stephèn
» - « Buona mattina a voi, signor
Stephèn. »
(4.)
« Devraient se préparer pour votre
leçon d'équitation» -
« Dovreste prepararvi per la vostra lezione di equitazione.
»
(5.)
« Ce que tu veux ?! » - «
Che cosa vuoi ?!. »
(6.)
« Nous ne pouvons pas trouver Stephen ! Nous avons
cherché partout…» -
« Non riusciamo a trovare Stephèn ! Abbiamo
cercato dappertutto…. »
(7.)
« C’est lui ! Prenez-lui ! »
- « E’ lui ! Prendetelo ! »
(8.)
« Monsieur Fabien, Qu'est-ce qui passe ici? » -
« Signor Fabien, cosa sta succedendo qui ? »
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Capitolo 8 *** Un altro falco in famiglia ***
Hellionor riaprì gli occhi solo quella sera, quando le
stelle erano già tante e luminose nel limpido cielo nero.
Dalla finestra socchiusa traspirava una brezza fresca primaverile, in
leggero contrasto con il flebile calore del caminetto acceso a
rischiarare la stanza. Gli unici suoni erano il macabro canto di un
gufo appollaiato nel giardino, qualche ronda di guardia e il lontano
mormorio della gente che passeggiava ancora per le strade. Per il
resto, il firmamento ospitava una magnifica luna crescente e tante
stelle da far invidia alla vetta del Monte più alto
d’America, qualunque esso fosse. Hellionor non era mai andata
bene in geografia.
Sul
comodino vicino al letto c’era anche una candela profumata,
ma la camera tutta aveva un gradevolissimo odore di aroma zuccherato e
mogano antico.
La
ragazza si mise seduta sul materasso del letto a baldacchino non senza
avvertire una certa vertigine per via dello scatto improvviso. Le
coperte che le nascondevano le gambe erano soffici e imbottite di piuma
d’oca. Aveva riposato su cuscini puliti altrettanto morbidi
e, guardandosi attorno, riconobbe un arredo davvero di buon gusto,
nonostante la penombra che avvolgeva la stanza.
I
mobili erano antichi, certo, ma traspiravano da ogni poro minuziosi
dettagli che caratterizzavano quella come la camera di una viziatissima
principessina francese del XIII secolo, con tanto di intonaco color
confetto, tappeti e quadri graziosi raffiguranti animali come gatti o
bellissimi cavalli. Le tende erano di un rosso tendente al rosa che,
nell’oscurità della notte e alla sola luce della
candela, mostravano una tonalità quasi sul fucsia.
Voltandosi a più parti della camera, Hellionor riconobbe un
pregiato scrittoio di mogano, una cassettiera e in fine una zona
toeletta con tanto di bacile pieno d’acqua, spazzole,
fermagli, nastri e quant’altro al fine di abbellire i saputi
magnifici capelli della principessa Eleonore de Sancerre.
Ancora
frastornata per l’accaduto e coi ricordi confusi a
mo’ di pezzi di puzzle sparsi sul tavolo, Hellionor richiuse
gli occhi e si lasciò cadere di schiena tra i morbidi
cuscini del letto. La testa prese a girarle vorticosamente, sempre con
maggior intensità man a mano che le immagini delle ultime
ore coscienti tornavano al loro posto.
Nell’oscurità
degli occhi chiusi Hellionor rivide la sua separazione da Gabriel
fuggito via con le guardie di Sancerre alle calcagna. I volti di Henri
de Grandpré e Jean Marc de Ponthieu la tormentarono allungo,
assieme alle parole del cavaliere Fabien, che sembrava rivolgersi a lei
come sua sovrana.
Ma
che diavolo sta succedendo?
Per un
secondo ancora Hellionor volle bearsi dell’illusione di star
solamente sognando e che presto, tra qualche minuto forse, si sarebbe
risvegliata non tra le rudimentali ma nobiliari lenzuola di un letto
principesco, bensì nel suo materasso singolo stretta al suo
peluche compratole da suo padre da bambina, ad una gita al Luna Park.
Hellionor
contò fino a tre… cinque… ok, DIECI!
Ma non accadde nulla…
Il
silenzio si fece spettrale, a tal punto teso e nervoso che la ragazza
si vide costretta a riaprire gli occhi e rimettersi seduta, non
riuscendo nemmeno a riprendere sonno. Potevano essere trascorse poche
ore oppure un giorno intero, chissà… magari era
trascorso solo il tempo necessario perché qualcuno la
spogliasse (eh, sì! Addosso non aveva più gli
abiti che ricordava di aver indossato in città,
bensì una soffice e leggera vestaglia da notte color
porpora) e la infilasse sotto le coperte.
Hellionor
si premette le tempie.
Se le
constatazioni fatte prima di svenire erano esatte, Hyperversum aveva
aperto una porta spazio-temporale verso il passato intrappolandola nel
XIII secolo francese, tra malattie, guerre e quant’altro. La
priorità in quel caso era una soltanto, si disse, ovvero
trovare e scappare assieme a…
-GABRIEL!-.
La
ragazza sgranò gli occhi e scivolò di corsa fuori
dalle lenzuola. Camminando scalza sul pavimento, arrivò alla
porta ma, non fece in tempo ad afferrare la maniglia, che
sentì prima dei passi e poi delle voci vicinissime alle sue
orecchie.
Hellionor
tornò indietro fulminea e si infilò di nuovo
sotto le coperte in una frazione di secondo. Si voltò dalla
parte opposta del materasso, verso la finestra, e chiuse gli occhi.
Nella
stanza fecero il loro leggiadro ingresso due figure, l’una
molto diversa dall’altra. La penombra della camera
contribuiva a nasconderne le fattezze, nonostante Hellionor fosse
rivolta tutt’altra parte e avesse gli occhi chiusi. Lo
scoppiettare del camino fu l’unico suono di sotto fondo per
un minuto circa, prima che uno dei due cominciasse a parlare.
Erano
un uomo e una donna dei quali, conversando nella lingua madre francese,
Hellionor non riuscì a raccogliere il significato di molte
espressioni. Il dialogo non fu tanto lungo, ma intenso e sussurrato,
costituito per lo più di domande e risposte, Hellionor
capì giusto quello.
All’improvviso
qualcuna delle due figure si avvicinò a lei e le
scostò i capelli dal viso. Hellionor
s’irrigidì come una statua sforzandosi di non
muovere un muscolo quando la dama fece un dolce commento sul suo viso.
-Mon
Dieu, sont les
mêmes !- esultò sotto voce la donna.
L’uomo,
rimasto in disparte nella penombra della stanza, non azzardò
un passo. –Donna, lei non deve saperlo- pronunciò
severo.
Hellionor,
che aveva compreso a pieno solo quell’ultima frase,
sobbalzò ma non diede a vederlo.
-Quando
credi che si sveglierà?- domandò Donna
all’amico tornandogli accanto.
Ian
tacque allungo prima di rispondere. –Se abbiamo fortuna, non
tanto presto- ammise con una smorfia.
-Chissà
come la prenderà suo padre quando…-
mormorò la dama, bianca in viso e tutto un tremore.
Ian
andò verso il camino e, sedendo sui talloni, lo
attizzò un poco sistemando un nuovo ciocco tra le piccole
fiamme scoppiettanti. –Non la manderà
giù facilmente, se è quello che intendevi dire-
brontolò sotto voce.
Donna
si avvicino a lui guardando prima l’amico poi la fanciulla
sul letto a baldacchino. Gli occhi ancora gonfi di terrore e
smarrimento erano incapaci di dissimulare lo sconforto che le se
agitava in corpo. Donna Barrat, alias madame de Sancerre, era in
fermento quanto il compagno per quello che sarebbe successo nei
prossimi giorni.
-Perché?-
gemé d’un tratto piantando lo sguardo negli occhi
azzurri del Falco. –Ian, perché? Non era
necessario, non avresti dovuto svendere la figlia del tuo migliore
amico così. Credi ancora che sia un gioco? Pensa bene al
nome di chi hai messo in pericolo- sibilò pungente,
disperata come poteva esserlo una donna privata
all’improvviso di una figlia e di tutta la fiducia che
riponeva nel suo compagno di sventure a carattere storico.
-Non
sapevo che altro fare- mormorò flebile il Falco.
–Ti prego, credimi: era l’unica soluzione, ma so
come uscirne. Per farlo, però, ho bisogno del tuo aiuto- ne
convenne.
Donna
sembrò non ascoltarlo, e piuttosto scosse la testa.
–Etienne sta allestendo il convoglio per le ricerche,
sarà molto impegnato in questi giorni, e così
anch’io- sentenziò dura come la roccia.
–Vorrei tanto aiutarti, Ian, ma mio marito ha bisogno di me,
e mia figlia ha bisogno di noi, assieme, ora più che mai.
“Sfortunatamente” Hyperversum non duplica le
persone, ed io non posso occuparmi sia di lei che della mia vera
figlia- eruppe. –L’unico supporto che mi
è concesso offrirti è il silenzio su questa
faccenda della quale Etienne non dovrà mai fare parte. Con
Guillaume, 17 anni fa, è stato un conto, ma
Etienne…- Donna si strinse nelle spalle, rabbrividendo.
–Lui è diverso. È…
È troppo ottuso, caparbio e schiavo della sua mente
medievale per capire, se ce ne fosse bisogno. Perciò Ian,
sono addolorata, ma dovrai risolvere questo problema da solo- disse
tornando a guardarlo negli occhi.
-Non
voglio mettere in pericolo la nostra vita qui- mormorò il
Falco. –Tantomeno adesso che ci si ritorce tutto contro
un’altra volta. Te lo garantisco, Donna, farò
tutto ciò che è in mio potere per proteggere te e
la tua famiglia, Eleonore compresa che chiunque te l’abbia
strappata, giuro sulla mia anima, sconterà la pena che
merita-.
-Quindi
cosa farai?- domandò madame de Sancerre volendo cambiare
argomento.
Ian
indugiò ancora, guardando prima la donna poi Hellionor sotto
le coperte. Tacque allungo ripensando più volte alla farse
che aveva in mente fin dall’inizio della conversazione con
l’amica.
-Porterò
Hellionor a Châtel-Argent e la terrò là
finché Daniel non verrà a riprendersela-
sentenziò in fine, con grande stupore della donna.
-Pensi
che sia un guasto del gioco?- chiese sconcertata. –Non credi
che possa trattarsi solo di curiosità se è finita
quaggiù?- sbottò con angoscia.
Ian
aveva valutato già tutte le opzioni. –Se fosse
stata innocente curiosità, rendendosi conto della situazione
sarebbe scappata appena avuta la possibilità. Io dico che
è successo qualcosa al computer e quando Daniel si
accorgerà che gli manca in casa qualcuno, saprà
dove andare a cercare- pronunciò serioso il Falco
d’Argento.
-D’accordo,
allora, su questo non ci sono dubbi, ma…
Châtel-Argent… è così
distante… cosa dirai ad Etienne su questa storia? E monsieur Henri? E
Fabien, e chiunque voglia salutare Eleonore de Sancerre! Cosa dirai
alla nostra gente quando saprà la sua principessa scomparsa
come credevano?- mormorò macabra, pensando già
che la sua vera figlia fosse condannata.
-Porterò
Hellionor ufficialmente
nelle mie terre, Donna, fingendo che ella abbia insisto personalmente,
così che nessuno avrà ripicche.
Contemporaneamente Etienne avvierà le ricerche su vostra
figlia e, quando la troverete, Hellionor l’altra
sarà bella che andata nel suo secolo. Il tempo
giocherà a mio favore: una volta rimessa la vera Eleonore al
suo posto nella storia, nessuno si accorgerà delle
differenza perché tutti non avranno avuto modo di ricordare
quella finta. Ma per questi giorni che verranno ho bisogno di tenere la
ragazza con me affinché non corra altri rischi e Daniel
possa sapere dove trovarla, in qualsiasi caso- spiegò.
Donna
si costrinse ad annuire, seppur molto turbata e poco convinta. Giunse
le mani in grembo e guardò ancora Hellionor Freeland distesa
sotto le coperte. –Proteggila, Ian, proteggila a qualsiasi
costo-.
-Sia
l’ultima cosa che faccio-.
-Spero
per te che tu stia scherzando- ridacchiò nervosa la dama.
Ian si
permise una risata. –Ma anche no…-
sospirò incrociando gli occhi della donna.
Madame
de Sancerre
tacque allungo a sua volta, mentre il silenzio si faceva pesante e
spettrale nella stanza.
-Cosa
racconto ad Etienne?-.
-La
verità- rispose il Falco.
La dama
si adombrò.
-Non quella
verità, Donna- chiarì Ian.
–Di’ lui da parte mia di mettercela tutta a
ritrovare vostra figlia. Saprà accettare le mie decisioni
adesso che ne è al corrente-.
-‘Sta
volta, Jean, l’hai fatto davvero arrabbiare- ne convenne lei
con una smorfia. –Non ho mai visto Etienne
così… furibondo-.
-Mi
comporterei in altrettanto modo o peggio se qualcuno osasse toccare uno
solo dei miei figli-.
-Ti
auguro con tutto il cuore che non succeda mai…-
mormorò Donna. –Perché è una
cosa terribile…- singhiozzò asciugandosi una
lacrima.
Ian la
strinse a sé prima che potesse ricominciare a piangere.
L’accompagnò lentamente fuori dalla stanza ma, una
volta nel corridoio, Donna Barrat cedé al dolore e si
lasciò travolgere ancora una volta dalla disperazione. Le
sue grida risuonarono per tutta la fortezza di Séour,
finché non accorsero due guardie e una serva che scortarono
la dama nelle sue stanze private.
Sul
posto si fece vivo anche Henri de Grandpré, allarmato
oltremodo dalle urla di Donna e con indosso semplici vesti e nessun
arma. Sembrava appena uscito dal letto.
Ian si soffermò a guardare il
Feudatario Maggiore che a sua
volta seguiva con gli occhi la riguarda di Madame de Sancerre
allontanarsi nel buio del corridoio, scortata dalle guardie e dalla
serva.
Dopo
interminabili secondi di silenzio, fu Henri a parlare per primo.
-Ancora
non capisco cosa la turbi tanto…- si chiese.
Il
Falco si tese sulle zampe. Henri
pensa che Eleonore sia di nuovo tra noi. Non è a conoscenza
del fatto che quella sotto le coperte sia solo un rimpiazzo…
Crede che sia la vera Eleonore, la stessa che Etienne vorrebbe che
sposasse!
-Anche
Etienne si comporta in modo strano. Sono già un paio
d’ore che non l’ho più visto. Non era
nemmeno a cena- commentò Grandpré scrutando
l’oscurità attorno a sé, come se il
signore di Séour potesse comparire da un momento
all’altro.
-Henri,
torna a dormire, dai. È stata una giornata dura per tutti-.
-E tu,
allora? Che ci fai in giro a quest’ora, Falco?- proruppe
Henri scherzoso.
Ian
sorrise.
-Comunque
il tuo pulcino ti cercava quando ha sentito le urla di madame Donna.
Gli ho detto di tornarsene a letto, e penso che da oggi in poi mi
odierà per questo- ridacchiò Henri.
-Hai
fatto bene, invece- ne convenne l’altro.
Ian
rientrò nella stanza che condivideva con Marc e lo
trovò seduto sul letto a gambe incrociate. Lucidava la lama
di un piccolo pugnale passandovi una pezza di pelle di daino.
Alzò gli occhi sul padre quando lo vide entrare e lo
seguì di sbieco in ogni suo gesto.
-Spero
per te che tu non abbia messo troppo in discussione gli ordini di
monsieur de Grandpré- pronunciò l’uomo
cominciando a spogliarsi.
-Non
sono come mio fratello- borbottò Marc lucidando con
più forza il taglio. Le candele accese nella camera erano
due: una sul comodino accanto al letto e l’altra sullo
scrittoio accanto alla finestra. Lo scoppiettare del camino
restò l’unico suono per qualche tempo, fin quando
Ian non soffiò sulle candele e s’infilò
sotto le coperte.
-Adesso
dormi- disse tirandosi le coperte fin oltre la spalla, assaporando la
morbidezza del cuscino e del piumino.
Marc,
dal canto suo, indugiò alcuni istanti. –Padre, che
sta succedendo?-.
Quella
domanda fece riaprire gli occhi ad Ian d’un tratto, che si
ritrovò a fissare l’oscurità dinnanzi
al suo naso.
Marc
posò il pugnale sul comodino ma rimase seduto sul letto.
–Quella ragazza che abbiamo incontrato per strada
‘sta mattina è la stessa che i soldati hanno
portato in barella nel castello. So chi e cos’ho visto,
padre, e non sono uno sciocco- proruppe.
Ian si
voltò dalla sua parte e si vide trafitto dagli occhi di suo
figlio mai come prima di allora. E
così c’è un altro falco in
famiglia… sospirò. Non posso mentire a mio figlio.
Non posso e non devo più mentire a nessun membro della mia
famiglia, almeno fin quando sarò in vita.
-Qualcuno
ha tentato di rapire Eleonore de Sancerre ‘sta mattina. Io,
Henri e il luogotenente di Etienne, Fabien, l’abbiamo
riportata al castello, ma si dice sia crollata svenuta per debolezza di
cuore. Ti basta?-.
Marc
tacque valutando toni e parole scelti dal genitore. Alla fine dovette
annuire, non sapendo cosa e in che modo aggiungere d’altro.
Il
pulcino si cacciò sotto le coperte e chiuse il becco.
Angolo
d’autrice:
*w* Che
bello! Avete commentato in tantissime! Grazie ragazze, così
mi commuovete ç_ç mi sento felice a leggere tutti
quei bei commenti, è davvero un’emozione
indescrivibile! Non trovo altre parole per dirlo, ma grazie, grazie
infinte!
Sperando
che anche questo piccolo post vi sia piaciuto, sono altrettanto gioiosa
che la storia vi stia appassionando tanto quanto appassiona a me
l’idea di scriverla. ^^
Ammetto
di star giocando un po’ troppo con dei personaggi molto OOC,
e me ne vergogno, perciò vi chiedo perdono per questa mia
piccola debolezza.
Cosa
accadrà in casa Freeland al momento della scoperta,
be’… penso di non poter dare troppi spoiler,
perché rovinerebbero quelle piccole sorprese di cui
è composta questa storia. ^^
Ancora
grazie a
_TattaFede_
xevel
Leowynn95
Sbrodolina
akuby_ge
Allora
a presto! *O*
Irene
|
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Capitolo 9 *** Il ricordo dietro le sbarre ***
Quella non era destinata ad essere una notte tranquilla, Etienne lo
sapeva.
Dopo
essersi svegliato di soprassalto a seguito di un incubo, il cavaliere
francese si era ritrovato seduto su una grande poltrona davanti ad un
camino. Guardandosi attorno circospetto e teso come una molla, si
accorse ben presto di essere solo nel grande salone
d’ingresso della torre. Gli ci volle qualche istante per
ricordare come fosse finito su quella poltrona. Come aveva potuto
permettersi di schiacciare un pisolino proprio ora che il suo
più grande tesoro rischiava la vita?! Etienne si maledisse
tante volte quanti schiaffi avrebbe voluto darsi, se ne avesse avuta la
forza. Perché la terribile realtà fu, per il
cavaliere, ammettere di essere troppo stanco anche solo per alzarsi da
lì.
Ricordava
bene di aver dettato ordini a destra e a manca per tutta la notte,
organizzando le squadre di ricerca appena farlo era stato in suo
potere. Aveva chiamato Fabien al suo fianco affidandogli il compito di
dirigere una prima cavalleria notturna che, munita di segugi, era
partita alla volta della foresta giusto poche ore prima. Il piano
originale comandava che monsieur
de Sancerre salisse in sella ad un cavallo e partisse coi cani, ma la
stanchezza e la confusione per l’accaduto erano state tali da
sbatterlo seduto e poi dormiente su quella poltrona.
Aveva
sognato sua figlia Eleonore in balia di temibili mercenari.
Chi
poteva essere la mente criminale di tutto, si chiese. Chi aveva tanto a
male il casato dei Sancerre da tentare un simile oltraggio? Chi?! Ma
soprattutto… perché, dannazione,
perché?!
Etienne
si premette le tempie posando i gomiti sulle ginocchia. Chiuse gli
occhi e scosse la testa che gli pulsava, a furia di ripensare
più e più volte al volto di sua figlia rigato
dalle lacrime di una scomoda prigionia.
Tanto
dolore a quale
fine?… si chiese guardando a terra, dove la
luce scoppiettante del camino guizzava sul tappeto. Denaro? No, troppo
scontato… Fama? Solo un pazzo sequestrerebbe la figlia di un
importante Feudatario per farsi conoscere nel regno! Gloria?
È forse un vecchio conto che vuol essere saldato? Posso aver
fatto un torto a qualcuno che non ha dimenticato la mia
faccia… ma chi?! Giuro sul mio onore di essere stato onesto
in tutta la mia vita! Non ha senso fare questo a me! E
perché adoperare nell’anonimato?! Cosa vogliono
nascondere?! Non vogliono che la Corona di Francia sia informata della
questione, forse perché quel dannato si nasconde a corte e
non vuole attirare troppe attenzioni sulla sua tana?! Be’, se
pensa di essere al sicuro, si sbaglia di grosso!
Etienne
scattò in piedi nello stesso istante in cui nella sala
fecero la loro apparizione due semplici guardie.
-Monsieur,
i
cavalieri che questa mattina inseguivano Stephèn nella
cittadella sono rientrati circa un’ora fa- disse la prima
sentinella.
Etienne
inarcò un sopracciglio per lo stupore. –Lui
dov’è?- chiese adirato.
I
soldati si scambiarono un’occhiata nervosa.
-Stephèn,
lui dov’è?!- domandò nuovamente con
maggior vigore, non ottenendo subito una risposta.
-Ehm, monsieur,
l’uomo che hanno portato con loro credevano che lo fosse, ma
non è Stephèn - confessò la seconda
guardia, aspettandosi la peggio reazione dal suo signore.
Questa
non tardò ad arrivare.
Marc,
nella pigrizia del dormiveglia, sentì semplicemente la porta
della stanza socchiudersi. Dischiuse un occhio e vide una piccola ombra
silenziosa farsi largo tra quelle nella camera, fino a raggiungere,
quatta come un gatto, il lato opposto del letto sul quale riposavano il
Falco e il suo pulcino.
-Monsieur
de
Pothieu- chiamò la guardia chinandosi all’altezza
dell’uomo. –Monsieur
de Pothieu, è urgente, vi prego, svegliatevi-.
Niente
da fare. Il buon vecchio Falco aveva tanta astuzia quanto il sonno
pesante.
-Monsieur…-
insisté la guardia sfiorando la spalla del cavaliere con due
dita. –Monsieur,
ve ne prego, Etienne desidera parlarvi, svegliatevi-.
Da
sotto le coperte Marc tallonò la gamba del padre, che si
svegliò trafelato sollevandosi su un gomito. Il cavaliere,
trovandosi il soldato davanti, sulle prime allungò la mano
al pugnale sotto al cuscino, ma quando la guardia ripeté la
pappardella detta in precedenza, Ian evitò di sfoderare la
lama.
-Vi
attendo fuori- sussurrò il soldato sparendo nel buio del
corridoio e richiudendo la porta della stanza dietro di sé.
Ian si
tirò su a fatica e, una volta seduto, lanciò
un’occhiata al figlio sotto le coperte.
–L’ho capito che sei sveglio- pronunciò
con una nota ilare nella voce.
Marc
posò l’altra guancia sul cuscino voltandosi verso
di lui. –Lo ero da anche prima di te- si beffò.
-Questo
non ti autorizza a darmi calci- disse scontroso.
-Allora
la prossima volta svegliati da solo, e poi parliamo della tua bella
figura a colazione! Perché il suo, signor Falco, fa invidia
al sonno di una pantegana!- lo derise tirandosi le lenzuola fino al
naso e girandosi dall’altra parte del letto.
Ian
sospirò.
Non
sopportava di farsi prendere in giro dal figlio in quel modo, ma tanto
meno desiderava farlo tacere con le cattive maniere da genitore
oppressivo e tipicamente medievale, meritevole quindi di un certo
rispetto. Marc, dopotutto, non gli aveva fatto altro che un favore. Con
la mezza età alle porte, Ian doveva cominciare a far
più attenzione su certe cose e ringraziare di dovere chi gli
evitava certe “belle figure”, altroché.
Il
vecchio Falco si alzò dal letto e si rivestì
senza troppe frivolezze. Se Etienne l’aveva convocato
così su due piedi nel bel mezzo della notte, doveva essere
successo qualcosa di ancora più grave.
Prima
di uscire, però, Ian si voltò e guardò
nuovamente il giovane Marc sotto le coperte. Incrociò il suo
sguardo di ghiaccio giusto un istante, perché il pulcino si
voltò dalla parte opposta del letto col broncio stampato
sulla faccia.
-Cerca
di dormire, non ci metterò molto- disse il padre che
lasciava tutto solo suo figlio.
Marc
non rispose, ed Ian non pretese altro da lui.
Come
promesso, il Falco trovò la guardia ad attenderlo nel
corridoio, con una torcia in mano e la spada nel fodero.
L’uomo, quando gli venne incontro, sembrò
piuttosto nervoso. Il comando al quale aveva dovuto sostare
l’aveva messo parecchio a disagio.
-Perdonatemi
ancora, monsieur, se ho violato la vostra intimità- aggiunse
chinando il capo.
Ian
fece un neutro sorriso e un dolce cenno d’assenso, invitando
la guardia a fargli strada.
Questi
s’incamminò all’istante scattante come
una molla, portando avanti la luce della torcia che
illuminò, attraversato il corridoio, la rampa di scale che
portava ai piani inferiori della torre. La guardia proseguì
spedita ed Ian gli tenne dietro a piccoli passi e nervi saldi. Anche il
Falco, come l’uomo davanti a lui, era particolarmente teso.
Si trovava a dover raggiungere Etienne per un motivo che poteva dare
quasi scontato: al suo compagno d’arme erano tornati i
bollori di quella mattina, ed Ian non aveva idea di cosa avrebbe fatto
o detto per allietare i tormenti del suo carissimo amico. Andava da
Etienne a mani nude, senza nient’altro da offrire che non
fosse il già dato, ovvero nient’altro che la
compassione. Un misero sentimento, quello, che bastava a chi di poco
non raccoglieva i beni per sfamarsi. Un signore di Francia, invece, la
bruciava nel camino la compassione, servendosi più che altro
delle maniere pesanti al fine di raggiungere i propri ideali o scopi.
Ian sapeva bene che, nell’evenienza in cui Etienne avesse
deciso di vendere la sua stessa vita per quella di Eleonore, gettandosi
di persona in bocca ai suoi rapitori, non avrebbe potuto nulla per
impedirlo. Le uniche armi che il Falco aveva ancora a disposizione,
nonostante gli anni, erano la sua astuzia e agilità
politica, con la quale sapeva e aveva saputo destreggiarsi anche a
corte.
Da un
lato, Ian temé che fosse proprio questo ciò che
Etienne voleva da lui e stava per chiedergli. Dall’altro,
odiava temere che il cavaliere fosse già stanco del gioco di
ruolo nel quale aveva coinvolto sua figlia e una totale sconosciuta.
Che
miseria…
sospirò Ian chiedendosi, in tutto ciò, come fosse
riuscito a dormire così beato ben sapendo di vivere in una
tale situazione.
Giunti
nel salone d’ingresso, il soldato scortò il suo
signore in uno stretto e angusto corridoio adiacente, al quale si aveva
accesso per una porticina in ferro e legno che aprì
un’altra guardia dall’interno, quando
sentì bussare.
Il
tragitto nella galleria, che Ian sapeva condurre alle segrete del
torrione, durò giusto un minuto. Poi, davanti al naso del
cavaliere si parò un ancor più stretta scaletta a
chiocciola in pietra che scendeva di una decina di metri più
in basso. Alle sue spalle, Ian si vide raggiungere dalla guardia che
aveva aperto loro la porticina, mentre quella davanti a lui faceva luce
con la torcia scendendo i gradini uno alla volta.
Ian,
seppur con mille dubbi in testa, non volle chiedere quale fosse
esattamente la destinazione o perché Etienne
l’avesse convocato nelle segrete, piuttosto che di fronte al
calduccio di un caminetto.
Lì
la temperatura si era fatta nettamente più rigida.
L’umidità arrivava alle stelle ed ogni piccolo
suono, anche il lontano squittire di un topolino, veniva amplificato a
tal punto da sembrare vicinissimo, quasi Ian ne avesse uno in mezzo ai
piedi.
La
scala finì dove apparve una camera tonda e non troppo
spaziosa scavata nella terra e rivestita dei soliti blocchi di pietra.
C’erano un tavolo, sul quale erano sparsi dei volumi, carte e
alcune candele, e una sedia sulla quale sedeva un uomo che Ian
riconobbe come il carceriere.
Tutt’attorno
si diramavano varie gallerie secondarie, chiuse da inferriate con
lucchetto, che conducevano alle celle dei detenuti.
Di quei
tempi le segrete dei Sancerre erano più vuote che mai. La
politica di Etienne sapeva essere rigida quanto giusta ed equilibrata
per tutti, perciò in gattabuia ci finiva un ladro o un
malfattore ogni morte di Papa.
-Monsieur
de
Ponthieu, ben venuto- azzardò il carceriere alzandosi
strusciando rumorosamente la sedia.
Ian
chinò il capo in segno d’assenso limitandosi a
tacere col sorriso teso sulle labbra.
-Venite,
monsieur de Sancerre è di qua che v’attende-
aggiunse il responsabile della prigione avviandosi verso
l’unica delle gallerie circostanti aperta al
pubblico.
Ian si
lasciò le due guardie alle spalle e seguì il
carceriere, che prese con sé una torcia dalla parete e
traversò spedito il corridoio.
Sia
sulla destra che sulla sinistra Ian vide celle solo vuote. In tutte
c’era un giaciglio improvvisato su un’amaca, un
buco in un angolo a terra come latrina, un tavolino con cassetto per
gli effetti personali e una piccola grata che dava sulla strada
all’esterno.
Traversando
quei cunicoli bui con tanta minuziosa attenzione, Ian fu assalito dal
tempestoso ricordo della sua breve seppur significativa prigionia a
Cairs, sull’inizio di quella preziosa avventura.
Rallentando
il passo, ebbe quasi la chiara immagine di se stesso, circondato dagli
amici e d Isabeau dietro le sbarre. S’immaginò
riverso a terra nella pozza di sangue delle sue cicatrici che, come a
ricordargli quei momenti, tornarono a farsi vive sulla schiena anche a
distanza di vent’anni.
Il
Falco rabbrividì, maledicendosi di aver osato ripensare ad
un doloroso aspetto della sua vita che in passato si era promesso di
eliminare definitivamente. Assieme al ricordo delle cicatrici,
però, Ian rivide nei suoi anche gli occhi di Daniel, seduto
in angolo della stessa cella.
Quegli
occhi verdi, nascosti da una scompigliata frangia bionda, lo fissarono
allungo, arrabbiati, carichi di odio e rimprovero.
Angolo
d’autrice:
Ma
di tutta questa gente che segue e ha la ff nei preferiti, siete in
pochissimi a commentare! °A° Vi prego, per me
è importante sapere cosa ne pensate! .__.
Detto
questo, vorrei rispondere a _TattaFede_
dicendo che con il significato di “-Mon Dieu, sont les
mêmes!-“ ci sei andata molto vicino! XD Anche se la
traduzione esatta è “Mio Dio, sono
identici!” riferito a Hellionor che somiglia molto,
più che alla madre, al padre.
Inoltre,
anticipo che potrei assentarmi per un certo periodo a partire dal
prossimo capitolo, causa scuola e poca ispirazione alla scrittura. Come
avrete notato, sto andando avanti con dei post davvero miserabili,
l’uno di cinque pagine appena. -.-‘
Continuerò, perciò, a scrivere quel che
sentirò voglia di scrivere, ed avendo molte altre fan
fiction sparse in varie sezioni da portare avanti, potrei dedicarmi una
volta più ad una che un’altra. Questo non vuol
dire che sospendo la storia di Hellionor Freeland, per
carità! Non sia mai! Amo troppo questo personaggio che ho
inventato (assieme a tutti quelli della Randall ovviamente!!! XD) e le
idee sono tante anche per quanto riguarda questa storia. ^^ La mia
è solo una raccomandazione: potrei postare quando meno ve
l’aspettate u.u
Nel
frattempo rendo pubblico il mio contatto msn, nel caso a qualcuno
venisse voglia di fare due chiacchiere più da vicino su
questa meravigliosa collana fanta-storica *-*
cartacciabianca@hotmail.it
P.S.
Prima
ero Elika95 u.u Ho cambiato niiiiiik! XD
|
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Capitolo 10 *** God save me ***
Hellionor
sgranò gli occhi continuando a guardare il soffitto.
Fissava un punto preciso nell’oscurità
da minuti, ormai, chiedendosi più e più volte
cosa fare. La signorina Freeland tremava sotto le coperte come un
agnellino al cospetto di un famelico leone del deserto, pronto a
papparsi la sua preda da un momento all’altro. Attendeva
inerme, spaventata anche dai rumori più insignificanti che
le gravitavano attorno: dal vento fuori della finestra al proprio
respiro. Il cuore le batteva così forte in petto da farle
male e la ragione le veniva meno man a mano che si sforzava di mettere
insieme un pensiero sensato.
Non voglio
morire qui! Fu la prima cosa che le venne in mente
mentre si metteva seduta sul materasso, tentando invano di scrutare
oltre l’oscurità che la comprimeva in quella
grande stanza, improvvisamente piccola e opprimente come una scatola di
cartone.
La giovane Freeland sguisciò via dalle coperte riuscendo a
posare i piedi in terra, prima uno poi l’altro tallone. Il
freddo legname sotto i plantari le mandò un brivido lungo la
spina dorsale, che la fece alzare tutta dal letto. Riuscendo a mala
pena a stare in piedi, Hellionor si allungò verso la
finestra, portando avanti un braccio e appoggiandosi, in fine, al
cornicione che precedeva i vetri colorati. Scansò un lembo
di tenda e sbirciò il nero della notte avvolgere tetti,
camini e chiese di un paesello costruito dentro le grandi mura di
Séour, al centro della quale presiedeva l’alto
torrone nel quale Hellionor aveva compreso di trovarsi.
Dove
sarà Gabriel? Si chiese terribilmente in
ansia, mordendosi un labbro.
Un improvviso scalpiccio familiare attirò la sua attenzione,
attratta da un gruppo di cavalieri neri che traversò la
piazza e sparì per le buie strade della cittadella,
presieduto da un unico cavaliere col mantello blu e bianco. Hellionor
riconobbe quella come l’uniforme in borghese del generale
Fabien, l’uomo che con la sua ostinazione l’aveva
esortata a “tornare” a castello, nel quale, per la
cronaca, la ragazza non era mai stata.
Forse lo
stanno ancora cercando…pensò
subito dopo la giovane Freeland, ricordandosi che il suo carissimo
amico e compagno di studi era là fuori al freddo, braccato
come un animale dai soldati di Etienne de Sancerre.
Ma io cosa
ci faccio qui?! Si chiese ancor più
sconsolata e, a furia di mordersi il labbro inferiore coi denti, si
ferì quest’ultimo a sangue. Era agitata in una
maniera spaventosa. Quello che era successo e che sarebbe ancora dovuto
succedere la turbava nel profondo, innervosendo anche la parte di lei
sempre stata pacata, tranquilla, rigorosa, sia a scuola che con gli
amici.
Sconsolata, la ragazza mosse due passi indietro. Trovando
dietro di sé l’ostacolo di una sedia imbottita, vi
si accomodò su un bracciolo di questa. Si posò le
mani in grembo e si accorse di avere la propria immagine riflessa a
meno di un metro alla sua destra. Lo specchio dell’antico
“salone di bellezza” sembrava prendersi gioco di
lei, deridendola ora che la ragazza, guardandosi, riusciva a scorgere
quanto i segni della disperazione fossero ben visibili anche sul suo
viso, oltre che nel profondo della propria anima quieta.
Sembro un
fantasma… se la mamma mi vedesse
ora…sospirò, ah, la mamma…
Singhiozzò, costretta ad asciugarsi una lacrima.
Poco dopo già piangeva come una fontana, non
riuscendo a trattenersi oltre o modellare il tono del pianto sempre
più acuto. Quando qualcuno si accorse in che razza di
condizioni era, probabilmente era trascorsa un’oretta buona,
durante la quale Hellionor era rimasta seduta sul bracciolo della sedia
ad asciugarsi lacrima dopo lacrima con la manica della veste da notte.
Sentì bussare alla porta, ma nonostante nella
stanza si fosse presentata una bambina alta poco più di un
metro con un volpe di pezza tra le braccia, Hellionor non
riuscì a smettere di singhiozzare.
-Eleonore-
mormorò la bimba con pesante accento
francese e stropicciandosi un occhio. Aveva corti boccoli castani e un
faccino tondo punteggiato di lentiggini. La stazza era quella di un
piccolo nano dei boschi e indosso aveva un pigiamino rosa ricamato
d’azzurro.
La Freeland scattò in piedi e guardò
la neonata ferma sull’ingresso, arrossendo, vergognandosi di
essere in quello stato di fronte a chi (probabilmente come altri prima
di lei) l’aveva scambiata per qualcun altro.
-Eleonore,
pourquoi pleures-tu? (1.)- domandò
gracilmente.
La ragazza rabbrividì. Sta
parlando con
me… ma cos’ha detto?!
Sforzandosi di mettere insieme una frase sensata, con quel
poco di francese delle lezioni di Daniel che ricordava, Hellionor
ingoiò il groppo in gola e si rivolse allo scricciolo con
poche e semplici paroline.
-Je vais
bien, vous allez coucher-toi (2.)-.
La bimba non rispose, piuttosto le venne incontro
zampettando inferma sulle gambine e, una volta che le fu abbastanza
vicino, si gettò ad abbracciarla senza preavviso.
Hellionor sgranò gli occhi, non abituata ad una
simile manifestazione d’affetto da una così
piccola bimba, per di più del tutto estranea. Ma poi,
ricordando che là dentro (dovunque si trovasse) qualcuno
aveva preso l’antipatica briga di scambiarla per qualcun
altro, Hellionor si costrinse a prendere parte a quel gioco di
marionette del quale non sapeva esattamente perché facesse
parte.
Carezzò i boccoli della bambina che,
dopo qualche istante, si staccò da lei e volò
all’ingresso della stanza, trascinandosi dietro la volpe di
pezza. -Bonne nuit,
soeur (3.)- salutò prima di voltarsi e
sparire come un fantasma.
Appena ebbe la certezza che si fosse allontana abbastanza,
Hellionor andò ad affacciarsi in corridoio attraverso lo
spiraglio di porta che la bambina aveva lasciato aperta.
Guardò di qua e di là, impaurendosi di fronte
allo spettrale silenzio che regnava nel torrione. Le scale per i piani
superiori erano a pochi passi da lei, di fronte al suo naso, mentre per
scendere avrebbe dovuto percorrere la circonferenza della torre e
raggiungere la rampa di scale che andavano nella direzione opposta.
Devo
trovare quell’idiota e insieme
andarcene da qui!… pensò Hellionor,
ma quando
mise un piede fuori dalla sua stanza, scorse con la coda
dell’occhio un leggero barlume arancio venire dal fondo del
corridoio. Comprese al volo che si trattava di una torcia e, come un
fulmine, volò di nuovo sotto le coperte, dimenticandosi
però di chiudere la porta.
Ben presto due toni differenti di voce maschile che
sussurravano fra loro si delinearono nelle sue orecchie, fin quando le
due guardie non attraversarono quel tratto del corridoio.
-Attendez-
eruppe uno all’improvviso.
Hellionor chiuse gli occhi e serrò la mascella,
tesa come un filo di spago tra le lenzuola.
Uno dei due soldati, quello con le mani libere, si
avvicinò alla porta aperta della sua stanza e la richiuse
poco dopo, proseguendo la pattuglia assieme al compagno.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo e
liberazione, avvertendo il sangue ricominciare ad essere pompato dal
cuore con ritmo regolare nelle vene. Lanciò
un’occhiata fuori dalla finestra, attraverso il piccolo
spazietto tra le tende formatosi quando ne aveva scostato un lembo. Il
cielo stellato che si apriva sopra Séour cominciava a
stemperarsi all’orizzonte, segno di un’alba ormai
prossima.
L’ultimo ricordo che ebbe di quella notte
trascorsa insonne, nel costante terrore di un luogo e un tempo che non
le apparteneva, Hellionor vide la chiara immagine di suo padre
apparirle davanti alle palpebre abbassate. Il vero ed unico cavaliere
che sarebbe accorso a salvarla.
Ian sgranò gli occhi.
-Etienne, FERMO!- strillò prima che questi
potesse infierire sul giovane ragazzo inginocchiato di fronte al
feudatario.
Sancerre si voltò verso l’amico col
palmo della mano ancora alzato, pronto a scoccare un violento schiaffo
sulla guancia del ragazzo, che due guardie tenevano imprigionato per i
gomiti (come se le catene ai piedi e ai polsi non bastassero). Lui ed
Etienne erano all’interno di una cella sorvegliata da tre
uomini in divisa. Le grate erano state aperte per permettere al sovrano
di far visita al prigioniero, mentre tutt’attorno regnava un
silenzio tombale, fatta eccezione per il pianto isterico del fanciullo
in veste da soldato di Séour.
Ian precedette il carceriere che l’aveva scortato
fin lì e si affiancò al Compagno
d’Arme.
-Jean, era ora, per Dio!- esultò Etienne
scoccandogli un’occhiata furibonda.
–Perché ti ci è voluto tanto, si
può sapere?!-.
-Mi ci è voluto il tempo che mi ci è
voluto, Etienne- proruppe severo. –Ora dimmi che cosa diavolo
sta succedendo!-.
Il francese mosse un passo indietro, lasciando al centro
della stanza il ragazzo e le due guardie che lo tenevano per i gomiti.
–I miei uomini hanno inseguito e catturato costui che
credevano si trattasse di Stephèn, l’uomo che,
guarda caso, da quando Eleonore è scomparsa, è
scomparso anche lui- spiegò Etienne senza mezzi termini.
Il Falco d’Argento volse un secondo sguardo al
ragazzo inginocchiato dinnanzi a lui e rabbrividì. Un altro
innocente sulla coscienza non ce lo voglio, grazie! Si
disse ricordando
prima Ty Hamilton, poi se stesso nelle stesse condizioni.
I luridi capelli sudati gli cadevano davanti al volto; il
ragazzo, privato della propria forza di ribellione al cospetto di un
così importante Feudatario di Francia che gli aveva aizzato
contro tutti i cavalieri della città, cominciò a
suscitargli una pena senza precedenti. Se non avesse colto fin da
subito tutto quel sudore, Ian avrebbe detto che stesse tremando di
freddo. Probabilmente un alto numero di guardie armate lo mettevano
parecchio a disagio, soprattutto se si trattava di un ragazzino
piombato nel XIII secolo dal giorno alla notte. Singhiozzava, anche,
balbettando quando poteva povere parole in un inglese azzardato, data
la situazione in cui si trovava.
-Please,-
diceva, -I’ve
done nothing…
nothing… please… God save me (4.)-.
Ian cominciò a temere il peggio. Hellionor non
era sola…
-Perché lo volevi schiaffeggiare?
Cos’ha detto? Cosa pensi che abbia fatto?!- ruggì
ad Etienne, ancor più infastidito dal fatto che il suo amico
osasse sfogare su un povero innocente la collera accumulata.
-Guarda che me lo ricordo anch’io!- eruppe questi
in risposta. –Sulla strada, ‘sta mattina, era con
la ragazza! E come seconda cosa, è inglese!-.
-Non vuol dire che faccia parte della storia, Etienne,
lascialo andare!-.
Il dibattito tra i due cadetti stava prendendo una brutta
piega.
-Non finché non avrà confessato cosa
ha da nascondere e perché un inglese indossa la divisa dei
miei uomini!- lo minacciò punzecchiandolo con
l’indice.
Ian inizialmente si tirò indietro, troppo
sconcertato per quello che stava succedendo. Dovunque si voltasse
c’era qualcuno o qualcosa a ricordargli i terribili giorni,
ma che, i terribili anni trascorsi nella menzogna. Ed ora quella
menzogna tornava a galla, come un pezzo di sterco sulla cresta
dell’onda, che puntava dritto verso la sua spiaggia.
Etienne ha
ragione se pensa che questo ragazzo,
probabilmente un amichetto di Hellionor, sia fuggito per nascondersi
alle guardie avendo qualcosa da nascondere. Non posso negargli i
diritti che come sovrano esercita sul suo popolo. Ma non posso neanche
restare a guardare…
Ian si passò una mano in fronte, sempre
più agitato. Ora era lui che cominciava a sudare freddo,
sentendosi cuocere tra due fuochi ardenti: da una parte la collera di
Etienne, costantemente sulla sua spalla a ricordargli a mo’
di coscienza quanto fosse importante continuare ad imboccare bugie
all’uomo che era e che chiedeva la verità;
dall’altra il terrore di rovinare l’adolescenza e
il resto della vita ad una povera anima bianca.
Improvvisamente, sotto gli occhi carichi di sospetto di
Etienne, Ian sembrò giungere ad una conclusione. Si
voltò verso l’amico e, senza badare allo sguardo
pieno di speranza del ragazzo inginocchiato a terra, strinse la spalla
al compagno d’Arme, aggiungendo queste parole:
-Etienne, sei troppo coinvolto per poter prendere delle
decisioni politiche, finiresti per tagliare la testa ad un povero
innocente. Se si tratta di un traditore o qualche inglese in cerca di
guai, lascia che me ne occupi io. Tu va’ a riposare, torna da
Donna-.
Etienne sgranò gli occhi, scettico di sentir
venire simili sciocchezze da quel becco di falco. –Tu
pretendi di poterti sostituire a me?- chiese in un filo di voce,
tagliente come un rasoio. –Starai scherzando, spero! Io non
mi muovo da qui! C’è la vita di mia figlia, in
ballo, e farò tutto il possibile per partecipare attivamente
anche al più piccolo gesto affinché Eleonore
torni tra le mie braccia!-.
Pronunciato quel nome (Eleonore) il ragazzo inginocchiato ai
piedi dei due cadetti tirò su la testa d’un
tratto, guardando prima uno poi l’altro.
–Hellionor?!
Sirs, you know where Hellionor is,
don’t you?!- domandò sconcertato.
Ian gli diede un calcetto per farlo azzittire, prima che gli
salissero in gola altre frasi poco compromettenti data la sua
posizione.
Etienne, fortunatamente, lo ignorò, continuando a
rivolgersi ad Ian con tono d’accusa.
-Pensi che non sia in grado di assumermi le mie
responsabilità?! Ho cresciuto tre figlie, amministrato terre
cinque volte più vaste delle tue, tenuto a bada sovrani
egoisti e combattuto più delle guerre che sogni! Vorrei
ricordarti che mentre tu eri chiuso in una cella di api con la toga e
il rosario al collo, io accanto a mio padre decimavo quei maledetti
barbari!- strillò indicando il ragazzo, alludendo alla razza
anglosassone.
La lingua tagliente di Etienne fece sbiancare il viso del
giovane suddito e dei suoi uomini. Solo Ian riuscì a
mantenere una certa dignità, la testa alta e gli occhi
dritti in quelli del Compagno d’Arme.
-Non importa quante teste inglesi tu abbia tagliato in
battaglia, Etienne, quei tempi sono finiti e dovresti saperlo-
sottolineò crudamente il Falco d’Argento.
–È vero, non posso negarti anche questo: mentre io
imparavo il latino e cantavo a Dio in un convento, tu eri là
fuori ad affrontare il mondo sin dalla culla. Non sto mettendo in
dubbio le tue capacità di sovrano, ti sto solo chiedendo di
comprendere che hai bisogno di metterti un attimo da parte, svuotare la
mente, e magari, solo dopo che avrai fatto tutto questo, tornare qui e
prendere decisioni in merito- spiegò con fermezza.
Etienne gonfiò il petto e sollevò le
spalle, incutendo ancor più terrore nel ragazzo
inginocchiato ai suoi piedi. Questi, in attesa d un verdetto ora che
attorno a lui si era fatto un improvviso silenzio, fu travolto da una
medesima ondata di brividi, mentre gli occhi gli si gonfiavano
nuovamente di lacrime.
Etienne, in fine, vinto da un soffuso sentimento di
pietà e debolezza, giunse alla ragione con un sospiro
liberatorio.
-Le volevo bene…- mormorò Sancerre,
-ma non abbastanza per proteggerla da questo-.
Ian tornò a stringergli la spalla con tocco
fraterno. –La troveremo,- disse, -ma ora va’ a
riposare. Lascia stare il convoglio, posa le armi, non partire; sai che
non ce n’è bisogno, e consola tua moglie.
È questo che altri non possono fare per te-.
Etienne gli sorrise riconoscente. –Grazie, amico
mio-.
Il Falco lo guardò uscire dalla cella e
allontanarsi nel corridoio delle prigioni, seguito da due dei tre
uomini rimasti a fare la guardia, portando con sé
il tenue chiarore di una fiaccola.
Quando fu certo che Sancerre fosse abbastanza lontano, Ian
si rivolse ai soldati che inchiodavano il fanciullo a terra e,
congedandoli, ordinò loro di lasciare che di quello se ne
occupassero solo le catene. Chiese inoltre di restare solo col
prigioniero. I due uomini fecero una faccia dubbiosa, ma tennero fede
all’ordine e affidarono ad Ian l’ultima fiaccola,
quella portata dal carceriere, mente anch’egli abbandonava la
cella per tornare alla sua solita e povera mansione.
Finalmente il Falco d’Argento fu faccia a faccia
col giovane americano, che in tutti i lunghi minuti seguenti non
osò sollevare gli occhi da terra, conferendo a se stesso
un’aria ancor più sudicia e malandata.
Chissà dove l’hanno pescato…
si chiese Ian che colse alcuni residui di fango e paglia sulla divisa
di Séour che indossava. È
il minimo che Etienne
non fosse arrabbiato anche per questo. Certi tessuti costano una cifra,
e pulirli richiede una certa dimestichezza. Non a caso ciascun
cavaliere tiene molto al proprio usbergo, lavandolo e lucidandolo di
persona, se non si è in possesso di un fedelissimo scudiero,
ma la stessa cosa vale per i soldati, gli arcieri, e
così via…
Ian avanzò di un passo, e come una
molla il ragazzo strisciò indietro sulle ginocchia,
accompagnato dal tintinnio delle catene. –Vi prego, signore,
lasciatemi andare, non ho fatto nulla, sono innocente-
mugolò in un inglese che non poteva dirsi tale, per quanto
si sentiva (a chi sapeva riconoscerlo) l’uso
dell’accento americano.
Ian si costrinse ad assumere ugualmente un atteggiamento
autoritario, o tutta la sua messa in scena sarebbe stata inutile.
Andò incontro al ragazzo e lo afferrò prima per i
capelli, per fargli sollevare la testa e poi, avendo a portata di
sguardo i suoi occhi rigati dal terrore, lo prese per la collottola dei
vestiti. Successivamente Ian lo alzò da terra e lo
sbatté con le spalle al muro, suscitandogli
un’inquietudine fuori da ogni schema e nuovi tremori.
-Ascoltami bene, razza di bastardo!- gli ringhiò
contro nella lingua che avrebbe capito, tenendogli imprigionato il
mento con una mano. –I casi sono due: o sei una
maledettissima spia inglese a discapito di una nuova guerra
perché i tuoi signori ubriaconi cercano vendetta, oppure hai
rapito e nascosto Eleonore de Sancerre e ti fingi innocente! In
entrambi i casi, puoi star certo che torni alla patria senza testa e
sgozzato peggio di un maiale!-.
Il ragazzo gemé ricominciando a piangere come un
bambino.
-Allora?! Sputa il rospo!- insisté Ian, con
più rabbia in faccia di quanta ne aveva Sancerre qualche
minuto prima.
Strillando in modo a dir poco agonizzante, il ragazzo
insisteva col dire che era innocente. Inoltre, in un attimo di follia,
ebbe pure la spigliatezza di chiedere un avvocato.
Ian gli diede un nuovo scossone, sbattendolo
un’altra volta al muro. –Mi avete stufato, te e i
tuoi amichetti inglesi sempre a predicare stupidaggini! Ringrazia
piuttosto il Dio in cui credi, ragazzo, perché ti
concederò cinque minuti per decidere cosa farne della tua
vita, se dirmi la verità o meno! Dopodiché, sarai
ciccia per lupi ed io non avrò più a che fare
né con te, né con la tua gente!- lo
ammonì.
Il fanciullo tacque.
-Sono stato chiaro?!- strillò Ian.
Quello annuì trenta volte in mezzo secondo.
Lasciandolo scivolare con la schiena lungo la parete, Ian
indietreggiò di un passo. –Bene- disse avviandosi
fuori dalla cella. Richiuse la grata a chiave e, battendo i piedi sul
pavimento di pietra, finse di camminare lungo il corridoio per parecchi
metri.
Sarò
stato abbastanza convincente? si chiese voltandosi e
guardando indietro.
Il piano del Falco d’Argento era molto semplice.
Effettivamente le possibilità erano due: o
Hyperversum
aveva portato
i giocatori nella reale dimensione della
storia, oppure Hyperversum
aveva intrappolato
i giocatori nella reale
dimensione della storia.
In entrambi i casi, Hellionor Freeland e un suo anonimo
amichetto di scuola avevano deciso di farsi un’innocua
partitella al videogame, non immaginando cosa sarebbe potuto succedere
loro nel qual caso si fossero imbattuti nel Falco d’Argento.
Una cosa era certa: se il gioco era ancora funzionante, le minacce
inferte da Ian al ragazzo gli avrebbero dato un ottimo motivo per
chiamare l’icona di Hyperversum
e darsela a gambe nel giro di
pochi secondi, senza pensarci due volte.
Infondo era stata Donna ad ipotizzare che Hyperversum
funzionasse ma che Hellionor non avesse ancora avuto occasione di
accedere all’icona senza essere vista. Mentre Ian, dal canto
suo, sosteneva il contrario, ovvero l’ipotesi più
plausibile che meno gli andava a genio.
Se Ian fosse tornato a controllare la cella e non vi avesse
trovato nessuno, sarebbe stata la fine della più grande
bugia degli ultimi 20 anni, ma anche l’inizio di una piccola
svista che avrebbe mandato Etienne su tutte le furie (di nuovo).
Al cadetto Ponthieu non restava che aspettare. Aspettare un
intenso bagliore verdastro provenire alle sue spalle che,
ahimé, non venne.
-No... ti prego! No!-gemé il
prigioniero. –Stupido di gioco! Perché non
funzioni!-.
Quanto odio
avere ragione… sospirò il
Falco d’Argento tornando sui suoi passi,
all’insegna di una nuova e rischiosa avventura medievale.
(1.
)« Eleonore, pourquoi pleures-tu? » -
«
Eleonore, perché piangi ? »
(2.)
« Je vais bien, vous allez coucher-to » -
« Io sto bene, voi andate a dormire. »
(3.)
« Bonne nuit, soeur (3.) » - « Buona
notte, sorella »
(4.)
« Please, I’ve done nothing…
nothing… God save me… » - «
Per favore, io non ho fatto nulla… nulla… che Dio
mi salvi… »
(5.)
« Hellionor?! Sirs, you know where Hellionor is,
don’t you?!» - « Hellionor ?! Signori,
voi sapete dov’è Hellionor, non è
così?!. »
Angolo
d’Autrice:
Sono tornata! XD
Eh, sì, per
chi non ci credeva (me compresa) l’ispirazione mi
è tornata e ho finito di scrivere questo capitolo giusto due
minuti fa, il tempo di scrivere questo angioletto d’autrice e
dei ringraziamenti addizionatelo voi! XD Fatto sta che ci ho impiegato
quasi un mese a ritrovare la mia musa per questa storia, e devo dire
che mi sento molto soddisfatta di quello che ho scritto, dal primo
all’ultimo rigo.
La bambina che entra nella stanza di Eleonore e scambia Hellionor per
sua sorella, tengo a precisarlo, è Alix, l'ultima genita di
Etienne e Donna ^^
Perdonate
eventuali
errori di distrazione (come al solito) ma non ho proprio voglia di
rileggere una terza volta (eh sì, gli errori mi scappano
anche alla quarta lettura! XD).
Grazie a Nymphy
Lupin
(anche per me è stata una gioia immensa trovare su EPF la
sezione Hyperversum a lettura conclusa! ^^ ) e _TattaFede_
(mannaggia
alla squola!!!) per le recensioni al capitolo precedente, sperando che
anche questo vi sia piaciuto.
Detto ciò,
non mi resta altro che darvi appuntamento al prossimo capitolo! ^^
A presto! ^O^
caltaccia :3
|
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Capitolo 11 *** Spiccicare il francese ***
Qualcuno era entrato nella sua stanza dimenticando aperta la finestra.
Hellionor se ne accorse a sue spese quando una folata di venticello
primaverile s’insinuò tra le lenzuola e le fece
venire la pelle d’oca alle gambe. La ragazza
rabbrividì e strizzò gli occhi con una smorfia,
dovendosi abituare così in fretta anche alla luce del
mattino.
-Bonjour, mademoiselle!-.
Hellionor si riscosse sotto le coperte e balzò sul letto per
lo spavento.
La proprietaria di quella voce squillante era un donnina bassa e tozza,
che probabilmente non superava più del metro e cinquanta,
pesava ottanta chili e somigliava troppo, ma troppo alle nane femmine
delle fiabe! Aveva lunghi capelli biondi a piccoli riccetti rilegati in
una treccia che le ciondolava dietro la schiena mentre camminava. Si
spostava da una parte all’altra della stanza sistemando
alcuni vestiti nell’armadio e ripiegando le coperte
più pesanti, che avevano tenuto al caldo la principessa
durante quella notte. Se si stava occupando di quel genere di faccende,
Hellionor comprese che si trattava di una serva (non troppo) comune.
-Je suis heureuse de
constater que vous avez vous bien
récupéré par les désastres
de la nuit dernière, Eléonore. Stephèn
va payer cher cet affront à la couronne de l'homme qui l'a
protégé comme un fils. Vous devriez voir la
façon dont votre père est en colère!
Et votre mère, madame Donna, est un miracle que elle respire
encore! (1.)- esultò la nana sbattendo un
lenzuolo fuori dalla finestra. -J'espère
donc que, aujourd'hui, vous devrez aussi avoir une bonne course. Votre
père et monsieur de Pothieu veux vous dire un mot,
Eléonore, et l'affaire semble sérieuse. Pour
l'instant je serais heureux de te voir faire un bon petit
déjeuner en compagnie de vos sœurs et votre
mère. Ils attendent vous dans le salon et j'ai la
tâche de escorter vous là avec une bonne odeur et
l'air présentable! (2.)- concluse venendole
incontro sul bordo del letto.
Hellionor, che non aveva capitolo una sola parola di quella stretta e
frettolosa parlantina francese, tacque ammutolita, quando gli occhietti
scuri e porcini della nana si posarono su di lei e indugiarono sulla
sua figura, la Freeland cominciò a temere il peggio.
-Sainte-Catherine et la
Vierge!- gridò ad un tratto la serva balzando
sul posto. -Vous
n'êtes pas Éléonore de Sancerre!-
strillò in preda alla collera.
Quest’ultima
parte l’ho capita… ammise Hellionor
con una smorfia. Contemporaneamente, dalle labbra tirate e i genti
stretti, le sfuggì un mugolio idiota e imbarazzante.
-Gardes! Gardes!- la
serva voltò i tacchi e si avviò in una corsetta
buffa fuori dalla stanza. I suoi passi si estinsero pochi metri dopo
nel corridoio, quando Hellionor, attraverso uno spiraglio della porta,
riuscì ad intravedere una figura femminile che prendeva la
nana sotto braccio. Era madame Donna, la padrona di casa, che
trascinò con sé la serva giù per le
scale mormorandole qualcosa di inudibile da quella distanza. La nana
continuava a ripetere il nome di Eleonore e agitava le braccia,
gesticolando in modo a dir poco femminile. Le due scomparvero sulla
tromba delle scale.
Hellionor si concesso un lungo istante di immobilità e
spettrale silenzio, durante il quale non accese un muscolo e trattenne
il respiro.
Quella che le era passata davanti agli occhi le era sembrata una scena
di qualche assurdo film ricco di un’insolita
comicità. La scenetta esilarante di uno sketch da cabaret,
una commedia o una soap-opera francese! La ragazza era davvero senza
parole in bocca, con la gola secca e lo stomaco sotto sopra.
Già il fatto che in quel mondo si parlasse
tutt’altro che la sua lingua la metteva fortemente a disagio.
Se in più doveva svegliarsi di prima mattina con nani
logorroici a girarle per la stanza, avrebbe cominciato a considerare
quel posto un vero e proprio manicomio!
Hellionor si strinse le ginocchia al petto nascondendo le gambe col
tessuto del lungo camice di seta bianca da notte. Si
appoggiò allo schienale del letto a baldacchino e
restò in quella posa un tempo infinito che le parve
un’eternità.
Non sapeva né cosa fare, né cosa dire,
né a cosa pensare!
Dovunque fosse, non era sul suo pianeta! Gli Alieni dovevano averla
rapita nel sonno assieme a Gabriel e portata indietro nel tempo con
chissà quale assurdo marchingegno in loro possesso.
La ragazza si premette le tempie con insofferenza crescente. Se avesse
avuto una pistola avrebbe preferito spararsi: era senza dubbio molto
meglio farla finita e vedere di che razza di sogno si trattava,
piuttosto che continuare quella farsa da circo.
I suoi tumultuosi pensieri vennero interrotti da un cauto bussare due
colpi alla porta della sua stanza.
La ragazza si strinse ancor più a sé stessa e
guardò l’ingresso della camera, scorgendo una
familiare figura maschile ferma sotto l’uscio ad attendere,
probabilmente, il permesso di varcare la soglia.
Hellionor tirò troppo allungo la corda della pazienza di
Jean Marc de Ponthieu, che si vide costretto ad entrare nelle stanze di
Eleonore de Sancerre senza aver ricevuto il consenso: per via del
semplice fatto che, Hellionor Freeland, aveva le labbra cucite
dall’imbarazzo.
Il Falco del Re si richiuse la porta alle spalle con delicatezza e
attese svariati istanti, assieme a lei, in quel tormentato silenzio.
Hellionor lo guardò allungo con occhi di ghiaccio:
scrutò nei dettagli ogni suo singolo movimento, squadrandolo
da capo a piedi più volte, se necessario. La fluente chioma
scura era ordinatamente raccolta in una coda di cavallo che cadeva tra
le sue scapole. Indossava abiti sobri, come qualsiasi importante
Feudatario vestirebbe nella Santa Domenica. Al fianco presenziava una
fedele spada corta per nulla ingombrante. Al collo, Hellionor lo vide
bene, gli pendeva, intrecciato ad una catenella, l’anello del
casato dei Ponthieu. Il volto allungato, dal mento pronunciato, gli
occhi grandi e azzurri e la fronte ampia, gli conferivano
l’aspetto regale, o meglio dire, leggendario che veniva
descritto nei libri di storia.
L’accenno a Jean Marc de Ponthieu durante le lezioni della
sua professoressa del liceo era stato minimo ed essenziale, come per
tutti i cavalieri francesi di quell’epoca. Avendo studiato
unicamente la battaglia di Bouvines a riassunti e la corte francese in
modo generico e schematico, Hellionor era stata costretta, dal
programma poco dettagliato e dal suo somaro compagno di sventure, a
ridurre il suo interesse per la Francia. Ogni tanto era suo padre,
Daniel Freeland, a farle qualche accenno più approfondito
sulle gloriose battaglie del Falco d’Argento, con particolare
riguardo al periodo più tormentoso della sua vita, ovvero
l’ascesa al trono di famiglia come Conte de Ponthieu.
Ora, l’Jean Marc della storia francese era una statua di
marmo vicino all’ingresso della sua camera e, come lei,
attendeva una sua qualsiasi reazione che gli desse il vero e proprio
consenso alla parola.
Hellionor tremò: il suo sguardo intenso e carico di
rammarico la metteva ancor più in soggezione di quanto ne
fosse stata capace la nana. Nonostante questi timori, la ragazza
trovò espressivamente la forza di mostrare un mezzo sorriso
di riconoscenza nei confronti dell’uomo che l’aveva
salvata dalla strada.
-Il tuo nome sarà davvero Eleonore come dici, ma io non
credo che tu sia la ragazza che tutti qui pensano di aver trovato-.
Hellionor sobbalzò.
Jean Marc si rivolgeva a lei con inglese perfetto, forse un
po’ decadente in fatto di accento, ma comunque
grammaticalmente impeccabile come quello di inglesino di Oxford.
Inoltre, c’era da considerare il fatto che Jean sembrava
averla riconosciuta, in realtà, come la persona sbagliata
che non avrebbe dovuto dormire tra quelle lenzuola. Nel momento in cui
la ragazza sgranò gli occhi per lo scetticismo, il Falco del
Re sorrise più caldamente. –Quando ti ho vista ho
pensato subito che fossi straniera assieme a quel tuo amichetto in
divisa. Devi sapere che il signore di queste terre, Etienne de
Sancerre, non ama molto quelli come voi- spiegò senza mezzi
termini, ed Hellionor capiva alla perfezione almeno quella parte del
contesto nel quale era stata catapultata senza preavviso. –Il
mio nome è Jean Marc de Ponthieu, signore di
Châtel-Argent e Falco della Corona. Sicuramente avrai sentito
parlare molto di me nelle terre da cui vieni-.
Hellionor scosse la testa, mentendo, ovviamente, ma non seppe subito
perché aveva scelto di dire una bugia. Forse andare a
raccontare ad un ricco signore di Francia che un videogioco
rovina-pomeriggio-studio l’aveva teletrasportata nel medioevo
non era una mossa troppo saggia da fare, ma almeno mentire per quanto
riguardasse le sue conoscenze storiche le era permesso. Si sarebbe
mostrata più acculturata di quanto sembrasse e
più preparata a combattere le avversità di quel
tempo, se era realmente vero che si trovava nel medioevo.
Nuovamente di fronte a quella realtà, Hellionor si
sentì vorticare la testa.
-Egli è anche un mio carissimo amico- continuò
Jean andando verso la finestra. –Io, Etienne e monsieur de
Granpré siamo tutto ciò che resta della nostra
Compagnia. Il giorno in cui abbiamo combattuto assieme in battaglia,
abbiamo giurato sul nostro sangue di essere sempre uniti nel bene e nel
male, nelle vittorie e nelle sconfitte, nella buona e nella cattiva
sorte-.
Detto così
sembra che si sono presi a matrimonio! Hellionor tacque
compiaciuta da quel pensiero. Da come ne parlava, il Falco sembrava
andare molto fiero del suo passato.
Jean lanciò un’occhiata all’esterno e
spaziò allungo con lo sguardo sulla cittadella di
Séour che era già nella piena attività
dei mercati e delle strade caotiche. –In questi lunghi anni
di pace le nostre contee hanno prosperato indisturbate, mentre Luigi IX
concentra le sue Guerre sui confini Tedeschi e quelli spagnoli, sempre
alla ricerca di qualche pezzo antico per la sua collezione privata-
ridacchiò con allegria.
Hellionor sorrise.
-Ma il verde di questi prati nasconde infidi paludi salmastre, pozzi
oscuri preservatori dell’avidità umana e servi
dell’anarchia. Il rapimento di Eleonore de Sancerre non solo
ha distrutto il cuore del mio carissimo amico, abbattendo a catena
anche il mio e quello di monsieur Henri, ma ha sparso i semi di una
nuova temibile rivolta-.
Mio Dio… i
libri di storia non parlano di un’altra guerra interna! Luigi
IX, come hai detto, concentra le forze militari altrove e la Francia
vive in pace! Non può essere… non ci credo!
Hellionor avvertì un brivido gelido risalirle lungo la spina
dorsale. Ma io ci sono dentro fino al collo lo stesso…
-Il tuo ruolo in tutto ciò è molto semplice-
disse ad un tratto con grande sorpresa della ragazza.
Jean si allontanò dalla finestra e andò a sedersi
sulla poltroncina accanto al letto.
Mio… ruolo? Hellionor
ingoiò il groppo in gola a fatica. Allora si tratta davvero di un
gioco? Allora siamo ancora nel gioco!
-Come ti ho detto, la figlia di Etienne è stata rapita. I
suoi sequestratori hanno lasciato un messaggio nel quale obbligano
Sancerre e tutto il suo casato a non rendere pubblica la notizia, o la
ragazza farà una brutta fine. Siccome né io
né lui vogliamo che accada qualcosa di male alla principessa
Eleonore, tu dovrai fingere per noi di prendere il suo posto, almeno
finché qualcuno non riporta a casa quella vera-.
Hellionor avrebbe voluto chiedergli ulteriori spiegazioni, ma il Falco
del Re la fece tacere con un gesto della mano prima che potesse
proferire parola.
-Non ci resta molto tempo. Tra poco da quella porta entreranno le
ancelle private di Eleonore de Sancerre che ti aiuteranno a vestirti.
Dovrai comportarti con loro col massimo distacco, poiché
molte delle persone che ti circondano non sono state informate su chi
sei realmente. La verità è custodita solo dagli
amici e i parenti più stretti, ma soprattutto da chiunque
sarebbe stato in grado di notare l’impercettibile differenza
che vi contraddistingue-.
-Ovvero?- domandò Hellionor, aprendo bocca per la prima
volta.
Jean sorrise colpito. –Il colore degli occhi- disse.
–Eleonore li ha marroni. Tu li hai verdi come
tuo…- s’interruppe di colpo.
La ragazza aggottò le sopracciglia, curiosa di sapere che
razza di complimento stava venendo dal becco del Falco.
Jean tornò in piedi e andò verso
l’ingresso della stanza, aprì la porta e fece per
uscire, con un improvviso alone di malinconia stampato sul viso.
-Aspettate!- lo chiamò Hellionor, balzando giù
dal letto e gli andò incontro camminando scalza sul
pavimento.
Jean si voltò poco prima di afferrare la maniglia della
porta.
-Non spiccico una parola di francese! Come farò a rivolgermi
alle ancelle o a chiunque mi domanda qualcosa?- domandò
terribilmente in ansia.
Jean, che per la sua altezza impressionante la guardava con un certo
distacco da una certa altitudine, marcò oltremodo le rughe
della fronte.
Spiccico…
voce del verbo spiccicare, modo indicativo tempo presente, credo non
esita un termine simile in quest’epoca! Dannazione! Hellionor
si portò una mano davanti alla bocca, mordendosi la lingua. Devo fare attenzione, e che
cavolo!
Jean alzò gli occhi al cielo, sospirando. -Eleonore, la vera
Eleonore, non era una ragazza molto loquace e spigliata- la
documentò Jean. –Tendeva spesso al silenzio e se
ne preferiva stare per i fatti suoi chiusa nella sua stanza.
Finché starai in mia compagnia, cercherò di farti
rivolgere il meno domande possibili, ma nel caso io non sia presente,
annuisci, nega, ma non aprire bocca. Potresti seriamente compromettere
la situazione-.
Hellionor si sentì pienamente offesa da quelle parole. Non
solo Jean sosteneva che parlasse un pessimo francese, ma si rifiutava
persino di farla apparire come una persona pensante, piuttosto che
annuire e negare come fanno i mongoloidi.
La ragazza dovette ugualmente piegarsi a quella condizione. Non
c’era motivo di opporsi e non ce ne sarebbe stato in futuro.
Prima che Jean le voltasse nuovamente le spalle, Hellionor si costrinse
a catturare ancora la sua attenzione.
-Monsieur,
vi ricordate il ragazzo che era con me quella mattina in strada?-
chiese.
Jean irrigidì il collo e lasciò correre lo
sguardo ben oltre la ragazza che gli stava di fronte.
–Sì, mi ricordo. Cosa vuoi sapere, di preciso?-.
-Dove si trova, se sta bene, e se le guardie del vostro amico
l’hanno arrestato. Sembravano piuttosto arrabbiare quando
l’hanno beccato in strada-.
Jean inarcò un sopracciglio.
Beccato! BECCATO!
Dannazione, di nuovo, di nuovo !
-Se è così che si parla nella tua terra di
barbari, vedi di fare più attenzione a quando ti rivolgi a
qualcuno- la riprese con voce profonda.
-Sì, signore, mi perdoni-.
-Il tuo amico sta bene. Ha trascorso una notte tranquilla nelle
prigioni del torrione, non temere per lui-.
Una notte tranquilla
nelle squallide prigioni medievali di un vecchio torrione! Nooooo! Non
temo affatto per lui! Il minimo sarà trovarlo impiccato ad
una trave con la cintura dei pantaloni!
Jean notò al volo l’espressione crucciata della
ragazza e le posò una mano sulla testa, con fare
profondamente paterno. –Posso ripetertelo, se vuoi: sta bene,
è vivo. L’unica cosa che non posso garantirti
riguarda la sua salute mentale, che sarà nettamente
inferiore di quando lo abbiamo trovato-.
Ah! Non dovreste farvi
problemi su questo, signore! Poco sano di mente lo era già.
Al massimo sarà più intelligente di prima, se
è vero che gli opposti si toccano.
Jean de Ponthieu restava tutt’ora un completo sconosciuto,
oltre che rinomato Conte di Francia. Che si permettesse di farle
così affettuose carezze le infondeva la solita soggezione.
Hellionor arrossì e quando se ne accorse, il Falco del Re
lasciò subito la sua stanza, richiudendosi la porta alle
spalle con un tonfo appena udibile.
(1.) « Sono felice di
notare che vi siete ripresa bene dalle sciagure della scorsa notte,
Eleonore. Stephèn pagherà caro questo affronto
alla corona dell'uomo che lo ha protetto come un figlio. Dovreste
vedere vostro padre come è arrabbiato! E vostra madre, la
signora Donna, è un miracolo se respira ancora!»
(2.) « Dunque, spero che
oggi abbiate ugualmente voglia di fare una bella passeggiata a cavallo.
Vostro padre e monsieur de Pothieu desiderano scambiare due parole con
voi, Eleonore, e la questione sembra seria. Per adesso sarei contenta
di vedervi fare una buona colazione in compagnia delle vostre sorelle e
vostra madre. Vi stanno aspettando nel salone ed io ho il compito di
scortarvici con un buon profumo e un aspetto presentabile!»
Non so voi, ma io sto
morendo dalla curiosità di leggere un vostro commento! XD
L'ispirazione per questa storia sta salendo alle stelle! Speriamo bene!
^-^ A presto!
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Capitolo 12 *** Ariane ***
Qualcuno
a curarsi del suo
aspetto venne ugualmente.
Su commissione dell’Alta Corte, e come preannunciato da Jean
de Ponthieu, quattro ancelle minute e discrete irruppero nella stanza
poco dopo che il gran Conte era scomparso, e si sparpagliarono per la
camera l’una ad effettuare preparativi per la loro signora
senza badare minimamente al lavoro dell’altra.
Erano ragazze bellissime, notò Hellionor con un certo
stupore. Non avevano l’aria delle povere servette
squattrinate che spesso sono costrette a “servire”
in modo particolare i padroni di casa. Erano molto differenti tra loro,
ma rappresentavano per intero lo splendore e il benestare di tutte le
classi sociali francesi, specialmente in quei secoli di pace.
Nonostante il severo rispetto dovuto alla presenza di una principessa -
che lavarono, vestirono e pettinarono in un lasso di tempo brevissimo -
l’atteggiamento tranquillo e il sorriso solare facevano
pensare a Biancaneve. Immaginare che quelle erano le originali compagne
di ventura di Eléonore de Sancerre che, come tutte le dame
di tutte le corti medievali, la storia proteggeva, le fece accapponare
la pelle. Se da una parte cominciò ad apprezzare le
condizioni nelle quali si trovava, dall’altra non riusciva a
combattere un’angoscia costante. Non c’era qualcosa
fuori posto che facesse ulteriormente pensare ad un malfunzionamento di
Hyperversum
o ad uno scenario creato del cervello umano sotto shock. Non poteva
trattarsi di un sogno, tantomeno di realtà virtuale: era
tutto troppo perfetto, troppo vero.
Mentre un’ancella le stringeva i lacci del corpetto sulla
schiena, ad Hellionor mancò la terra sotto i piedi e per
poco non crollò a terra svenuta di nuovo. La damigella se ne
accorse e tese il collo per guardare l’immagine sua e della
ragazza riflesse nello specchio che Hellionor aveva di fronte.
-Mademoiselle, vi sentite bene?- domandò in francese, ma la
Freeland lesse nei suoi occhi smarriti il significato in lingua
inglese.
Hellionor annuì timidamente stirandosi le pieghe del vestito
quando la donna alle sue spalle ebbe finito di allacciarle il corpetto.
Mentre la prima si allontanava, poco convinta di quella risposta, una
seconda ancella prese ad acconciarle i capelli in una treccia, decorata
di nastri rossi - lo stesso colore che il casato dei Sancerre sfoggiava
con tanta fierezza – e come dettava la moda
dell’epoca. Il tutto abbellito da un cerchietto bianco a
strisce rosse, che serviva a tenere in ordine le ciocche sfuggenti che
un tempo, Hellionor Freeland, portava a mo’ di frangia.
Non appena la principessa ebbe le scarpette basse ai piedi e la
sopravveste primaverile addosso assieme all’abito bianco e
rosso, tre delle quattro damigelle si misero in disparte commentando e
parlottando fra loro.
Hellionor restò di spalle per quanto poté, sotto
i riflettori di quelle tre pettegole che con molta
probabilità avevano notato qualcosa di strano in lei. Sono fritta…
pensò irrigidendosi. Ora
andranno a raccontare la cosa al primo passante, e presto tutti a
Séour sapranno chi sono! Anzi, chi non sono!
La quarta ed ultima damigella, la più anziana, solo dopo
aver finito di ripiegare la veste da notte sotto il cuscino del letto
rifatto, scacciò quelle tre comari battendo le mani
intimando loro di smetterla e andarsene. Le ragazze abbandonarono la
stanza all’istante, come tre topini che hanno appena visto un
gatto con gli artigli piantati nel pavimento, pronto a spiccare un
balzo e mangiarseli tutti in sol boccone. Quando furono scomparse nel
corridoio e poi giù per le scale della torre, Hellionor vide
la ragazza indugiare un istante sulla sua figura, squadrandola da capo
a piedi e poi soffermandosi a fissarla negli occhi.
La Freeland si tese ancor più sulle zampe. Altro che gatto
dal pelo rizzato… se ne avesse avuta la forza, sarebbe
scappata urlando a gambe levate.
Gli occhi incredibilmente azzurri della ragazza - che non dimostrava
più di una ventina d’anni - la congelarono sul
posto. Il fisico asciutto, le forme proporzionate, il viso allungato, i
capelli neri, lunghi fino alle spalle, un po’ mossi, e
l’abito color fiore di granturco – blu chiaro
– le infusero un certo imbarazzo che Hellionor non
riuscì a dissimulare dietro il goffo gesto di voltarsi
tutt’altra parte.
-Scusami se ti ho dato fastidio-.
Hellionor quasi sobbalzò per lo stupore di sentirsi
rivolgere quelle parole nella sua lingua. Certo, la cadenza francese
c’era, ma che quella damigella sapesse di doversi rivolgere a
lei in inglese la turbava oltremodo.
-Je m’appelle
Ariane- disse, questa volta nella sua lingua –e
servo la famiglia della principessa da tempo sufficiente per capire che
tu non lo sei-.
La voce era profonda, sapiente e nonostante la crudezza delle parole,
Hellionor si sentì stranamente sollevata. Ariane non
sembrava per nulla infastidita, arrabbiata o minimamente alterata. Il
suo viso era una maschera di compostezza e comprensione che infusero in
Eva la medesima calma.
All’inizio…
-Prima che tu salta alle conclusioni, i miei erano dubbi privati: non
credevo del tutto alle voci che circolano nel palazzo, ma solo ora che
ti ho di fronte mi rendo davvero conto di cosa sta succedendo-.
-Come sai che parlo inglese?-.
Era la domanda più sensata che le fosse venuta in mente.
Ariane sorrise debolmente. –Forse non avrei dovuto, ma ho
origliato un po’ della conversazione tra te e le Faucon d’Argent-.
-E tu perché lo parli?- scambiando due chiacchiere
amichevoli con quella ragazza, ad Hellionor piaceva pensare di potersi
creare una prima valorosa alleata. Sopravvivere nella Francia medievale
senza sapersi rivolgere ad altri era una battaglia che non voleva
combattere da sola.
-I miei genitori hanno vissuto durante la guerra- cominciò
Ariane senza staccare gli occhi dai suoi. -Mentre mio padre combatteva
l’invasione anglosassone al fronte, mia madre perdeva tempo
ad insegnarmi la vostra lingua piuttosto che la nostra. Di fatti, pochi
mesi più tardi, la cittadella da cui vengo venne conquistata
dagli inglesi e rimase nei loro domini molto allungo. Se sopravvissi lo
devo a lei, mia madre, che si ammalò e morì poco
tempo dopo. Di mio padre so per certo che spirò versando le
sue ultime gocce di sangue sul campo di Bouvines. Ero solo una bambina
quando madame Donna mi trovò sul ciglio della strada,
rivisitando assieme al marito le terre liberate
dall’invasione. Poiché non parlavo una parola di
francese, mi ritengo ancora oggi fortunata: la pietà di
quella donna mi ha salvata dalla prostituzione e il suo amore mi ha
cresciuta come una figlia. Eléonore era per me una sorella.
La sua scomparsa mi rattrista molto. Quando ho sentito dire che Fabien
l’aveva riportata al castello, in me si è acceso
un barlume di speranza, che però, adesso…
è spento per sempre- quel racconto risvegliò
sentimenti e dolori inimmaginabili in Ariane, che continuò a
fissarla negli occhi traspirando la solita compostezza, come se
l’appena pronunciato fosse semplicemente un copione da teatro
e non la sua storia. La sua triste storia.
Quel minimo senso sentimentalista, occultato da un profondo senso del
dovere, infastidì troppo l’Americana
perché se ne stesse zitta al suo posto.
-Sei hai sentito bene, dovresti sapere che nessuno si sta dando per
vinto qui! Il Falco ed Etienne ritroveranno Eléonore!-
eruppe Hellionor d’un tratto, suscitando una reazione poco
conveniente nella fanciulla. Forse non avrebbe dovuto essere
così incisiva, impulsiva di fronte a chi sta soffrendo
tanto, e questo Jean Marc glielo aveva anche suggerito.
Ariane aggrottò la fronte e la sua espressione si fece
più dura. –Sei una povera illusa se pensi come
tutti gli altri che qualsivoglia siano i mezzi e gli sforzi, la vera
Eléonore tornerà tra noi. A te poi cosa importa,
scusa? Chissà chi eri prima di trasformarti in una nobile
principessa! Magari una povera contadina, o peggio ancora, figlia dello
stesso poveraccio che pur di assicurarsi un radioso futuro per la
parente, ha scelto di rapire la vera Eléonore e aspettare
che ci finissi tu sul trono!-.
La Freeland tremò a quell’accusa, che sosteneva
un’ipotesi plausibile e un inganno ben architettato.
-Perciò smettila di darti tanta pena per la nostra perdita e
pensa a recitare bene la tua parte- disse avviandosi verso la porta
–per quanto ne so, potresti essere una pidocchiosa attrice da
circo che indossa solo una maschera- commentò prima di
uscire, dando le spalle alla ragazza. –Voi inglesi mi fate
schifo…- borbottò sparendo nel corridoio con
passo ritmato.
Hellionor sedé lentamente sul bordo del letto, sentendo la
terra mancarle ancora una volta sotto i piedi. Era il colmo se oltre a
dover giocare un ruolo che non le apparteneva e non aveva mai chiesto,
era anche costretta a sorbirsi spinose offese sulla razza anglosassone,
della quale non faceva nemmeno parte! Sono Americana, diamine! Ma che
vuoi che ne sappiano questi francesini con la puzza sotto al naso della
Grande Mela!
Il quel momento Hellionor percepì aumentare la collera. Non
avrebbe permesso ad Ariane di trattarla in quel modo! Se era stata
incoronata principessa temporaneamente le doveva lo stesso il rispetto
che un tale appellativo merita di diritto. Che racconti a chi vuole la vera
versione dei fatti! Per quanto IO ne so, le persone meno fidate che
entrano a conoscenza di questo segreto non fanno una bella fine, e se
Ariane l’ha scoperto da sé, vuol dire che i
signori Sancerre non hanno voluto dirglielo, sperando che non si
accorgesse della differenza… cosa che invece,
be’… è successa.
.:Angolo d'Autrice:.
Imploro umilmente il vostro perdono per aver avuto il
coraggio di postare questo abominevole capitoletto di appena 3 pagine,
ma ho sentito necessario fermarmi qui. Come avrete notato, sto
diventando una lumaca negli aggiornamenti per colpa dei bellissimi
libri che sto leggendo, che mi rubano gran parte della giornata
(assieme a scuola, sport, friends & Co.)
Volevo porgere i miei omaggi a Cfrancy
che si è sparafleshata 10 capitoli in un arco di tempo
brevissimo, commentandoli anche! Apprezzo molto le tue critiche
costruttive, senza dubbio mi sono di aiuto per quanto riguarda la
manipolazione della trama e lo stile dei personaggi. La storia
d’amore di cui parli è un po’ argomento
tabù in questa storia, nel senso che ci sarà, ma
sto architettando bene bene cosa, quando, come… ma
soprattutto tra chi farlo accadere! XD Quando Donna e Ian hanno parlato
nella stanza di Eléonore, Hellionor era sveglia, certo, ma
capiva poco e niente di quello che si dicevano i due francesi! XD Per
il resto… Sono felicissima che la fan fiction ti abbia
presa, spero che continuerai a seguirla. ^-^
Un ulteriore ringraziamento va a cioccolatoprego,
che ha corretto il mio blasfemo francese da Google Translator in
qualcosa di sensato e adatto alla fiction! ^-^ Mercie!
Si ringrazia in fine anche:
_TattaFede_
xevel
Leowynn95
Sbrodolina
Nynphy
Lupin
Per aver aggiunto la storia tra le preferite/seguite/da ricordare, o
semplicemente per aver recensito qualche sperduto capitolo ^-^
Detto ciò, vorrei aprire una piccola parentesi per Ariane,
che sarà un personaggio portante in questa fan fiction e
che, se avete intenzione di continuare a seguirmi (XD), di tenere sotto
stretta osservazione. Per lei ho in mente grandi cose assieme, e ne
combinerà certe assieme ad Hellionor e quel povero Gabriel!
Probabilmente può non essere apparso molto rilevante, ma
anche Marc giocherà il suo ruolo *sghignazza:
muahahahahahah*
U_U A presto (spero!)
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Capitolo 13 *** Una briciola di colazione ***
Accompagnata da una
delle serve che l’avevano aiutata a vestirsi, Hellionor
attraversò l’immenso salotto d’ingresso
della torre, diretta verso il luogo dove sua
“madre” e le sue sorelle che in realtà
non aveva stavano tenendo colazione.
La Freeland camminava a piccoli passetti scattanti: la gonna del
vestito le impediva quella facilità nei movimenti data dai
pantaloni, che già le mancavano pazzescamente. Nel
frattempo, rimuginando sulla vita moderna che si allontanava da lei
come lei fuggiva dalla convinzione di essere solo in un gioco virtuale,
non perdeva occasione di crogiolarsi nella bellezza della sua nuova
casa: si distrasse a guardare un arazzo, un quadro o semplicemente
qualche finestra dalla quale sbirciare fuori. Era tutto come lo aveva a
stento immaginato nei libri, a come lo raccontavano pellicole
cinematografiche o ricostruzioni teatrali. Ma ora che Hellionor ci era
caduta dentro, sarebbe stato più corretto sostenere che il
mondo medievale era paragonabile ad un sogno: bellissimo ma bizzarro,
meraviglioso ma soprattutto pericoloso.
Il via vai estenuante della servitù s’interrompeva
quando qualcuno le concedeva un inchino o un gesto del capo, per poi
riprendere subito le proprie mansioni senza indugiare. Nessuno la
guardava in faccia troppo a lungo, ma Hellionor non seppe dire se per
rispetto o per timore. Magari ambedue le cose.
Di guardie armate ce n’erano molte, e forse era un bene dato
che la situazione, in un modo o nell’altro, non si era ancora
del tutto risolta. Eléonore, la vera Eléonore de
Sancerre, era prigioniera chissà dove e chiunque,
all’interno della corte, poteva essere un probabile
favoreggiatore dei rapitori. Quelle che vedeva legate ai fianchi dei
soldati di ronda erano lame lucide e taglienti, spade vere che lei non
aveva mai visto se non fuori dalle istantanee dei polverosi testi
scolastici. Gli elmi, le corazze di quei pochi che Hellionor ebbe modo
di soffermarsi ad osservare, luccicavano tutti; non c’era un
armigero con l’uniforme fuori posto o macchie di vino
sull’usbergo. Magari qualche sorso tra amici ci scappava
negli orari di congedo, ma ora che la vita di una Sancerre era appesa
ad un filo invisibile, Etienne o qualcuno al suo posto si stava e
avrebbe continuato ad occuparsi con rigorosa attenzione delle milizie
militari.
Se da una parte ammirare le meraviglie della storia era un passatempo
che regalava il sorriso sulle labbra, dall’altra Hellionor
era turbata da altrettante questioni.
In cima alla lista c’era il malfunzionamento del gioco. La
Freeland si era ferramente convinta: Hyperversum doveva aver aperto una
sorta di buco spazio temporale traghettando lei e il disperso Gabriel
in una dimensione medievale ultraterrena. Il segreto tanto avidamente
custodito da suo padre nel proprio computer era svelato come lo era il
perché, oltre alla convinzione personale, Hellionor non
avrebbe mai dovuto avvicinarvisi. Il primo pensiero della ragazza fu di
parlarne con sua madre, appena riuscita a tornare nel XXI secolo; ma
poi immaginò che le realtà potevano essere
molteplici: forse anche Jodie sapeva, o era addirittura una complice di
suo padre in quella scoperta sensazionale!
Perché, parlandoci chiaro, davanti alla poltrona di Daniel
Freeland c’era piazzata la prima macchina del tempo mai
esistita.
In secondo luogo, Hellionor era ansiosa e preoccupata nei riguardi del
suo non carissimo amico, causa di tutti i loro mali.
Seguendo la serva che le faceva strada per salotti e corridoi,
infischiandosene quando poteva della gente che la salutava o le
rivolgeva qualche incomprensibile parola in francese arcaico, Hellionor
rimuginò su quanto ancora avrebbe dovuto aspettare prima di
trovarsi davanti la brutta faccia di Gabriel. Quegli occhi verdi un
po’ le mancavano, oltre a tormentarle la coscienza, assieme
al taglio lungo fino alle spalle di lisci capelli castani. La ragazza
si mordeva le unghie non riuscendo ad immaginare in che modo un Conte
francese del XIII secolo usava trattare un presunto prigioniero di
guerra. L’avrebbero torturato? L’avrebbero tenuto a
digiuno? Monsieur
de Ponthieu era stato troppo vago, dannazione!
Al terzo posto si piazzava la smarrita Principessa Sancerre.
I nemici della Corte di Séour non si contavano nemmeno sulle
dita di una mano. Perché qualcuno avrebbe dovuto sottrarre
al casato una così giovane perla? Se Hellionor ricordava
bene quanto letto nei libri di storia, la Francia di
quegl’anni era una vasta distesa campestre di rose e fiori.
Le uniche battaglie, e tutt’altro che sanguinose, Luigi il
Santo le combatteva sulle coste spagnole, traghettando spesso in Italia
o in Inghilterra a caccia di qualche reliquia per la sua prestigiosa
collezione privata.
Il filo dei suoi pensieri s’interruppe quando Hellionor,
che si aspettava di arrivare in un’ampia camerata
con un lungo tavolo nel centro agghindato di cibo, si
risvegliò, condotta dalla serva, nei giardini retrostanti
della torre.
Un turbinio di profumi (frutta e fiori) e altrettanti suoni, tra cui il
canticchiare degli uccellini, il crosciare di alcune fontane e delle
voci in lontananza, riuscirono per qualche breve istante a distrarla
dalle sue angosce.
Le immagini di Gabriel in catene e dei suoi genitori imbronciati
vennero cancellate da un’unica grandiosa visione di pace e
armonia: il viale di ciottoli che stavano attraversando finiva dove si
apriva uno spazio verdeggiante circondato dai colori primaverili di
alberi e cespugli in fiore. Il ronzio delle api, assieme alle melodie
dei fringuelli, faceva da sottofondo al variopinto quadretto di
famiglia che Hellionor si trovò di fronte.
Nel mezzo del prato verde sorgeva un tavolo imbandito per la colazione,
al quale sedevano unicamente rappresentati del gentil sesso di casa
Sancerre; tre figure femminili, due principesse e una Regina.
Marie era la figlia intermedia; lucidi boccoli terra di Siena coprivano
buona parte del volto imbronciato, mentre gli occhi gonfi e arrossati
erano quelli di chi ha da poco messo il tappo ad una fontana di
lacrime. Qualcuno doveva averla informata del rapimento della
sorella solo quella mattina, per poi trascinarla fuori dalla sua stanza
e costringerla a presenziare per la colazione ancora con i singhiozzi
che le si arrampicavano in gola. Era una bambina minuta, sui dieci o
undici anni, e non aveva infilato niente nello stomaco oltre a poche
briciole di un biscotto mordicchiato e abbonato sul
bordo del tavolo – alla più probabile portata di
qualche passerotto.
Guardandola, Hellionor pensò che se fosse cresciuta nel XXI
secolo sarebbe stata la reginetta del punk rock, tutta Green Day e
Avril Lavigne. Pelle chiara, occhi infossati e scuri, perfetti per
ospitare chili di ombretto nero. Indossava un abito con gonna blu
oltremare; il corpetto rinchiudeva un seno che non c’era e
non ci sarebbe stato per parecchi anni a venire.
La voce tagliente della moglie di Etienne ordinò, in poche e
concise parole, a Marie di stare composta e la bambina
raddrizzò le spalle in mezzo secondo.
Madame Donna sfigurava in un completo primaverile color lavanda,
comodamente adagiata al capotavola. I riccioli rossi più
ribelli le cadevano sulle spalle, mentre il grosso era raccolto sulla
nuca da un nastro in pendant col vestito. Le maniche a sbuffo della
camicia arricchivano le braccia magre, mentre le forme pronunciate
erano ben racchiuse nel corpetto.
Ad Hellionor sfuggì un gemito.
Donna de Sancerre aveva tutt’altro l’aria, quella
mattina, della povera madre privata di una figlia.
L’atteggiamento, imboccando personalmente la piccola Alix
seduta sulle sue ginocchia, era quello di un’imperatrice che
si arrocca nella fortezza della propria sovranità pur di
scampare a debolezze e rimpianti. Dov’erano le guance
sciupate, gli occhi gonfi e arrossati? Sotto quanto strato di trucco,
vestiario e austerità madame
de Sancerre stava nascondendo la sua vera natura? Perché il
fragile tulipano indossava spine di rosa? Hellionor la
immaginò piangere, implorare e gridare disperatamente per
ore mentre nella torre di Séour servitori e soldati
correvano a destra e sinistra pur di alleggerire il cuore della loro
signora con il ritrovamento della sperduta Eléonore.
Probabilmente Hellionor si era fatta un’idea sbagliatissima
della signora Sancerre e si maledisse di aver solo pensato che una
contessa del XIII secolo potesse abbandonarsi a pianti e piagnistei. La
moglie di Etienne era (o sarebbe?) passata alla storia per la
disinvoltura con la quale vestiva il ruolo di regina sulla scacchiera
del tempo, degna di affiancare lo spirito ardito e battagliero di suo
marito. Proteggere l’integrità e l’onore
della famiglia agli occhi del popolo, oltre alla tristezza e alla
malinconia femminile, significava evitare di far scolare ben altri
segreti; il ricatto parlava chiaro: nessuno, a parte una cerchia
strettissima di amici, parenti e servitori, doveva sapere che
Eléonore de Sancerre era ancora prigioniera in mani nemiche;
nessuno, a parte quei fidati privilegiati, doveva sospettare che la
fanciulla dal vestito bianco e rosso, che si accomodava in quel momento
accanto a Marie, era un temporaneo rimpiazzo.
L’occhiata che le scoccò madame Donna
durò giusto un istante, sostituita prestissimo da
un’arricciata di naso da parte di Marie che, soffocando
qualche altra lacrima e asciugandosi il moccolo con la manica del
vestito, si beccò una nuova strigliata della madre.
Hellionor sobbalzò sulla sedia, pensando che la quiete di
uccellini canticchianti e alberi in fiore era un malizioso velo di
finzione: in realtà serve e padrone, sedute o riunite
attorno al tavolo, stavano camminando su un campo minato;
poiché i colpevoli del rapimento, a parte un misterioso e
vanificato Stephèn, giravano ancora liberi per la contea,
l’intera corte di Séour sarebbe stata a lungo
andare reggia di una commissione investigativa. Un passo falso avrebbe
potuto tradire chiunque, innocenti o dolenti, e bisognava pensare a
salvare la pelle.
Guardandosi attorno senza riuscire a toccare cibo, Hellionor
passò in rassegna tutti i volti dei servitori presenti;
alcuni non osavano guardarla negli occhi, per rispetto; altri
s’insospettivano del suo aspetto e aggrottavano per un
istante le sopracciglia; allora Hellionor preferiva distogliere lo
sguardo sul coppiere che le versava il latte o la fanciulla che le
serviva della frutta fresca e appetitosa, pur di non prolungare il
dubbio.
Non seppe precisamente quanto tempo la Freeland riuscì ad
ignorare i crampi di stomaco: era combattuta tra le regole
dell’educazione moderna, che le imponevano di fare il maggior
numero di complimenti possibili, e le regole del suo temporaneo gioco
di ruolo, che le suggerivano piuttosto di essere naturale e discreta
come lo sarebbe stata Eléonore de Sancerre.
Essere o semplicemente respirare al posto di una principessa scomparsa
divenne presto un’estenuante agonia. Il sole del mattino si
spostava con estrema lentezza nel campo azzurro e infinito del cielo.
Il rispettoso silenzio della tavola si protrasse in un’ora
buona, frazione temporale che bastò ad Hellionor per buttare
in gola due sorsi di latte, un chicco d’uva e un mozzicone di
pane dolce. Il resto, sotto comando della signora Sancerre, fu portato
via dai servitori quand’ancora Marie non aveva finito. Donna
ordinò ad un’ancella, che Hellionor riconobbe come
Ariane, di accompagnare Marie e la piccola Alix in una passeggiata per
il giardino. A breve sarebbe giunto un certo Don Davìd per
far recitare alle due fanciulle qualche declinazione latina; poi, solo
verso il mezzogiorno, la famiglia si sarebbe riunita per pranzare.
Nel frattempo dettò che lei ed Eléonore
fossero lasciate sole.
Quella fetta di prato si svuotò nell’arco di mezzo
minuto. La tovaglia bianca volò via dal tavolo per la
colazione, allontanandosi assieme alle serve, come un fantasma, verso
le cucine. In pochi secondi il mogano del mobile fu tirato a lucido e
le dieci sedie vuote riposte ordinatamente tra i quattro piedi.
Hellionor deglutì a vuoto.
Lei e madame
Donna de Sancerre erano rimaste a ragion del suo volere. Persino la
natura aveva scelto di tacere: nel giardino non tirava più
uno sbuffo di vento; le risatine di Alix che inseguiva una farfalla si
erano perse assieme ai singhiozzi di Marie. La figlia media, invece di
riprendere gli studi di latino, avrebbe preferito tornarsene a piangere
nella sua stanza, e perciò aveva tanto da lamentarsi. Le due
bambine Sancerre, strette alle mani di Ariane, erano scomparse tra i
cespugli di rose e margherite mentre la signora di Séour
fissava la sua terza figlia con occhi di ghiaccio.
Non che i suoi occhi fossero azzurri, ma in quel momento Hellionor
rabbrividiva di una paura fredda bestiale. Quella donna la stava
studiano, dall’altro capo del tavolo, contando i suoi respiri
e i battiti di ciglia. Chissà cosa pensava madame di una
sporca anglosassone nei panni della propria figlia prediletta.
Dopotutto, non era un segreto che Donna de Sancerre fosse, alla pari
del marito, sprezzante verso chi aveva, stava e avrebbe tentato di
razziare altre terre francesi. Forse la contessa non lo immaginava
nemmeno, ma tra Francia e Inghilterra le partite di calcio del futuro
sarebbero state sanguinose quanto o più delle battaglie
medievali. Le rivalità tra le due coste si sarebbero
addolcite solo con l’avvento delle Guerre Mondiali, ivi si
sarebbero alleate per combattere un nemico comune ad entrambe: la
Germania.
Ma, ecco, questo madame
Donna non poteva saperlo; sarebbe stato inutile provare a convincerla
che, al di fuori del rincorrere una palla, Francia e Inghilterra
avevano tanto in comune.
Hellionor si morse un labbro.
Cosa diavolo andava pensare?! Si faceva tanti complessi
sull’astio tra le due coste, dimenticando un dettaglio
essenziale: lei era americana! Non inglese! E ci teneva come tutti gli
americani a sottolineare le differenze tra questo e l’altro
Continente; ma ovviamente, vallo a raccontare che vieni
dall’altra parte del Mondo e che pertanto non puoi essere
trattata da inglese in terra francese!
Un mezzo sorriso compassionevole si stirò sulle labbra della
contessa. –Sai andare a cavallo, Eléonore?- chiese
in un inglese arrugginito e con tono ambiguo: si aspettava che
rispondesse di no, quant’è vero che la figlia di
un contadino o di un mercante, pescata per strada, può darsi
come non darsi all’ippica.
Hellionor scosse la testa, sapendosi indisposta a rispondere
diversamente. L’ ultima volta che aveva messo piede nelle
staffe era stata qualche estate fa, nella tenuta dello zio Martin, che
si era stabilito nell’Oregon come battitore della nazionale
in vacanza e cavallerizzo professionista nel tempo libero. Ammetteva di
aver preso delle lezioni con sua madre, ma…
-Ça va bien-
tagliò corto madame Donna con finto interesse,
probabilmente. –La passeggiata in questione sarà
tranquilla, non avrai problemi-.
-Passeggiata?- balbettò Hellionor, in inglese, maledicendosi
già.
Gli occhi della contessa si piantarono di nuovo nei suoi. –Mon mari et monsieur
de Ponthieu desiderano consultarsi con te in privato, e non possono
rischiare di farlo sotto il naso della corte. Nessuno è
entrato o uscito dalla città, perciò siamo certi
che la spia, chiunque essa sia, è ancora
all’interno della mia casa. Di conseguenza, l’unico
luogo sicuro in cui tenere discussioni ufficiali è il bosco,
assieme alla riservatezza che offrono le sue fronde e le sue insidie-.
Hellionor annuì spaventata. L’idea di montare in
sella al fianco di due cavalieri tanto importanti la elettrizzava nel
modo sbagliato; mettere da parte i fanatismi storici e consegnarsi
nelle mani di uomini armati non la rassicurava, ma
all’improvviso non sapeva cosa temere di più: il
bosco medievale, con tanto di bestie feroci, briganti e lupi cattivi,
oppure un nuovo delirio di Etienne de Sancerre.
.:Angolo
d’Autrice:.
Nell’introduzione avevo lasciato scritto che stavo lavorando
a questo capitolo, cortissimo e insignificante, un po’ come
il precedente, perciò vi supplico, abbiate pietà
.___. In questi focosi (alle volte tempestosi e piovosi, come oggi)
giorni agostani scrivere è l’ultimo dei miei
pensieri. Sono distratta da tantissimo altro, ci si sta mettendo pure
l’esame di matematica a settembre, e data una partenza
fissata per il lunedì che viene, non penso di potermi
dedicare a questa storia almeno fino a settembre inoltrato, quando
sarà stilato il verdetto ufficiale sul mio curriculum
scolastico. In qualsiasi caso, sappiate che non ho deciso di
abbandonare Hellionor così come ve l’ho lasciata
:) ho tante idee per quest’avventura e voglio arrivare a
scriverle tutte, finale compreso, perciò non disperate: si
trattasse di altri due mesi, io arriverò a quella benedetta
scena tra Hellionor e Ma… oddio, mi scappava lo spoiler! XD
Spero di non aver stecchito nessuno sulla sedia :D
cioccolatoprego, _TattaFede_, Cfrancy:
a queste tre Dee chiedo il mio umile perdono, sempre per il semplice
fatto di trascinarvi nell'irrante attesa di un nuovo capitolo! Grazie
per aver recensito i precedenti, sperando di non avervi annoiate con
questo.
Detto ciò, ho notato che in sezione stanno aumentando le
belle storielle da seguire. Vedrò di dare
un’occhiata non appena mi sarò ripresa dagli
ultimi faticosissimi giorni ^^
Un’altra cifra in crescita è quella della gente
che ha aggiunto la fan fiction ai preferiti e alle seguite! :D Mi sento
onorata, un grazie a tutti questi magnifici esemplari di esseri umani!
Spero di leggere presto le vostre impressioni... ma spero ancor
più ardentemente di ritrovare l'ispirazione, la voglia e il
tempo che questa maledetta estate mi ha portato via così in
fretta...
Saluti,
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