Tre lustri

di Ernil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno di tre ***
Capitolo 2: *** Due di tre ***
Capitolo 3: *** Tre di tre ***



Capitolo 1
*** Uno di tre ***


Sommario: A quindici anni dalla morte di Dumbledore, Harry e Draco hanno un bizzarro incontro.

« Malfoy? » disse Potter, voltandosi.

« In carne, ossa e sangue puro » rispose Draco, e sogghignò.

Rating: Verde.

Disclaimer: non possiedo niente, e, a rigor di logica, nemmeno ci lucro. È un vero peccato, ma è un prezzo da pagare.

Beta: Geilie.  

Note dell’Autrice/1: Questa storia partecipa alla Criticombola indetta da Criticoni, prompt 52 [Tempi], 2012.

Note dell’Autrice/2: storia bizzarra. Mi stavo letteralmente ficcando le mani nei capelli perché non avevo assolutamente la minima idea di come usare questo prompt (ho cercato di buttarlo nel water e tirare l’acqua, ma mi hanno detto che non rispettava le regole). E poi esce Eiden con questa idea tutta sbrilluccicante di bellezza, e i miei occhi si sono cuoricinati.

Quindi, l’idea è sua e senza di lei probabilmente il mio corpo penderebbe senza vita, attaccato al mouse in attesa di ispirazione. Grazie, grazie, grazie.

 

 

1) Uno

 

[Non potremmo fare almeno una riunione che non finisca con la riesumazione di un cadavere?

 

The Simpsons]

 

 

Curiose coincidenze, quelle che portano gli uomini sulle stesse tombe, negli stessi corridoi e, quanto di più importante, a contemplare le stesse morti.

Curiose coincidenze.

Draco Malfoy si fermò a qualche passo di distanza dalla tomba bianca in riva al Lago dove quasi quindici anni prima Albus Dumbledore era stato deposto, sottile e dritto come uno di quei re del passato, nel luogo del suo riposo eterno.

Draco non era stato presente. A quei tempi, si trovava sotto la dubbia ala protettrice di Lord Voldemort, lontano, molto lontano dalla scuola in cui aveva portato la morte e che ora si stagliava alle sue spalle, alta, imponente e probabilmente inamovibile.

Draco socchiuse gli occhi, fissando la nuca di Harry Potter, in piedi davanti alla tomba del vecchio. Quelli attaccati alle sue mani dovevano certamente essere i suoi deliziosi pargoli.

Una smorfia, e Draco scivolò sull’erba silenzioso come un gatto. Fu alle loro spalle in pochi passi, la luce del sole che gettava le loro lunghe, scure ombre alle loro spalle.

« Potter. E discendenza, vedo » strascicò. « Curiosa coincidenza ».

Potter sussultò, e Draco lasciò che le sue labbra si incurvassero in un pigro sorriso.

« Malfoy? » disse Potter, voltandosi.

« In carne, ossa e sangue puro » rispose Draco, e sogghignò prima di far vagare lo sguardo sui due bambini che si aggrappavano alle mani di Potter come se avessero appena visto un fantasma, di quelli rievocati davanti al fuoco.

« Non sei cambiato, vedo » commentò Potter. Draco roteò gli occhi.

« Noi Malfoy non invecchiamo così alla svelta. Ti rallegrerà sapere che mio padre, alla matura età di cinquantotto anni, non ha perso una briciola del suo fascino ».

Fu il turno di Potter di roteare gli occhi.

Draco dovette distogliere lo sguardo. Potter era assolutamente incapace di roteare gli occhi con classe. Avrebbe dovuto ascoltare con più attenzione le lezioni del professor Snape – o perlomeno guardarlo. Nessuno aveva saputo roteare gli occhi e inarcare le sopracciglia come Snape.

« Allora... sei venuto qui a salutare Dumbledore? Eri alla cerimonia? »

La domanda riscosse Draco dai suoi pensieri sui cari, bei vecchi tempi. Gettò uno sguardo sprezzante a Potter. I bambini seguivano muti il loro colloquio.

« Certo che no, Potter. Mi hai preso per un sentimentale? Sono qui per questioni che concernono la scuola. Non ho partecipato a quella patetica gara a chi è più ipocrita ».

Lo sguardo di Potter fu stupito.

Ma naturalmente.

Si trattava di Potter.

« Bambini » disse, « perché non fate un giro del Lago? »

Malfoy osservò i due bambini che si allontanavo gettandogli occhiate timorose. Quando i due furono abbastanza lontani, Potter riprese a parlare.

« Non è gentile da parte tua ». Era accigliato.

Draco sogghignò.

« Più che non gentile, io direi non coraggioso » strascicò. « Sarei collassato a metà del discorso del Ministro. Non mentire » aggiunse. « Sai che a lui non sarebbe piaciuto ».

Accennò con la testa alla tomba bianca. Gli agenti atmosferici non sembravano averla minimamente logorata, in tutti quegli anni esposta alla pioggia, al sole e al vento.

« Lui mentiva sempre » disse Harry. Malfoy lo guardò storto.

« Non gli sarebbe piaciuto il discorso » specificò. « E in ogni caso, Potter, chi è che non è gentile adesso, eh? Parlare male di Dumbledore sulla sua tomba ». Sbuffò. « In tutti questi anni, non hai migliorato il tuo tatto ».

Potter non rispose, non subito. Guardava la scritta incisa nel marmo. Malfoy lasciò scorrere lo sguardo sulla tomba.

L’erba verde dell’estate la circondava come un mare; il vento muoveva i fili verdi, rendendoli simili a onde. Loro erano persi nel mezzo di quell’oceano, e quella bara era il pezzo di porta cui si stavano aggrappando.

Draco sapeva che non avevano cose in comune, se non qualche morto. Dumbledore era uno di questi, e stare sulla tomba dell’uomo a cui doveva la vita era come scivolare indietro negli anni, anche solo di poco.

Si costrinse a non voltarsi a guardare la Torre d’Astronomia. Potter parlò, e Draco sospirò.

« Dumbledore mentiva spesso » disse Harry quieto. Aveva posato una mano sul marmo, e le sue dita coprivano la prima parte del nome del celebre Preside. « Sono sicuro che non gli sarebbe dispiaciuto sentirselo dire ».

Draco guardò la tomba, evitando accuratamente lo sguardo di Potter. Il suo viso non mostrava emozioni. 

Non avrebbe mai dimenticato la morte di Dumbledore. Non avrebbe mai dimenticato gli sfregi sul viso di Snape.

Non avrebbe mai dimenticato che doveva al vecchio la vita. E, nel contempo, non poteva dimenticare, non poteva, come avesse manipolato tutti, dal primo all’ultimo; come avesse saputo, ma non avesse agito.

Aveva aspettato. Perché era meglio così.

« Cosa pensi? »

La voce di Harry lo trasse dai suoi pensieri come se una mano lo avesse estratto dall’acqua gelida mentre affogava.

Guardò Potter con disgusto. I suoi pensieri non erano affare altrui.

Tanto meno quando i suoi pensieri si radunavano in un miscuglio ibrido di riconoscenza, orgoglio e odio.

« Non credo che ti riguardi. Tu cosa ci fai su questa tomba, Potter? » chiese, fuori dai denti. Dopotutto, era ancora un Serpeverde, e mai avrebbe smesso di esserlo. E i Serpeverde chiedono quello che vogliono con voce imperiosa, e aspettano la risposta con aria fra il borioso e l’annoiato.

Quello che Draco non si aspettava fu che Potter ridacchiasse. Quando Potter ridacchiava, le prime rughe attorno ai suoi occhi si facevano vedere; c’era una strana, lievissima fossetta sulle sue guance; la cicatrice sbiadita sulla fronte finiva nascosta sotto la pelle. Tutte queste minuzie annotò il cervello di Draco.

« Perché non dovrei esserci? » chiese Potter, alzando i suoi occhi verdi che Draco aveva sempre desiderato – e ancora desiderava – far diventare neri.

« Perché ti usò » sibilò Draco, irritato dall’evidente stupidità di Potter. Non che avesse sperato che negli anni Potter potesse migliorare. Ma addirittura regredire. « Usò te come usò Snape, come usò me per i suoi piani. Mi sorprende che tu non abbia lasciato il suo corpo come pasto per cani e uccelli (1) ».

Harry Potter si sistemò gli occhiali sul naso; un gesto che Draco non ricordava di avergli mai visto fare, ma forse se lo era solo dimenticato.

Non pensava a Potter abbastanza spesso da ricordare ogni sua singola abitudine. Grazie Merlino per i piccoli miracoli.

« Io non sono un Serpeverde » disse Potter. Si strinse nelle spalle. « La vedo in modo diverso. Albus aveva uno scopo da raggiungere, per il... »

« Bene Superiore » lo interruppe tagliente Draco, e le sue dita tracciarono le parole incise nel marmo, sotto il nome di Dumbledore.

Per il Bene Superiore.

« Già, così » disse Potter, e la sua mano, troppo vicina a quella di Draco, tornò con nonchalance nella tasca dei jeans. « Io, l’ ho perdonato. Sempre che ci fosse qualcosa da perdonare. Era un grand’uomo ».

Guardò malinconicamente attorno.

Malfoy fece una smorfia. I romanticismi non erano per lui. Erano per quelli come Potter.

« È vero che hai chiamato tuo figlio come lui? » Guardò i due bambini, che si erano fermati in riva al lago.

Potter sollevò ancora gli occhi verdi su di lui. C’era un lieve sorriso sulle sue labbra.

« È vero. Ti avevo invitato alla festa per la nascita di Albus » aggiunse. « Non sei venuto ». Sembrava in disappunto.

Draco ignorò l’osservazione. Ovvio che non fosse venuto.

Ci teneva a vivere per vedere suo figlio arrivare a scuola, almeno.

« Albus Severus » disse invece, e poi sogghignò. « E pensare che Weasley si permise di offendermi per il mio nome... »

Anche Harry sogghignò.

Draco poté solo dedurre che i tanti anni passati da Potter al Ministero richiedessero il saper produrre un sogghigno decente. La legge della sopravvivenza nella civiltà.

« Allora, dimmi » disse Harry, e con grande irritazione di Draco tornò a posare la mano sulla tomba. « Che cosa fai qui, se non sei venuto a salutare Dumbledore? »

Malfoy portò la mano nella tasca del suo completo, ben lontana da quella di Potter.

Non lo aveva mai toccato o sfiorato senza intenzioni ostili, non avrebbe cominciato adesso.

« Te l’ ho detto, Potter. Affari. Il nostro incontro qui è solo una coincidenza ».

Potter fermò le sue dita su una “e” del nome di Dumbledore, e poi alzò lo sguardo su Malfoy. Non era stupido che indossasse ancora quegli occhiali rotondi?

« Io non credo nelle coincidenze ».

 

 

(1) Da “Iliade”, Canto I

 

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Capitolo 2
*** Due di tre ***


2) Due

 

[Will the wind ever remember,

The names it has blown in the past,

And with this crutch, its old age and its wisdom,

It whispers, “No, this will be

The last”

 

The wind cries Mary, Mina]

 

 

« Non credo nelle coincidenze » disse Harry, e la faccia di Malfoy fu un vero sollievo – come tornare ai vecchi tempi.

« Non è affar mio, Potter » strascicò. Harry quasi rise, ma si limitò a un sorriso e a continuare a tracciare con il dito le lettere che componevano il nome di Albus Dumbledore.

« No, immagino di no. Però è buffo, non è vero? »

Malfoy non rispose.

Con l’indice, Harry continuò a tracciare i contorni, distrattamente. I bambini stavano giocando in riva al lago. Li guardò, mentre tiravano sassi.

Non avevano idea del prezzo che si era dovuto pagare perché loro avessero la possibilità di giocare. Forse erano troppo piccoli – forse erano troppo ingenui.

Forse nessuno di quelli che sarebbero venuti avrebbe mai capito come si sentiva a poggiare la mano sul marmo freddo e pensare che lì sotto si sgretolava la carne del più grande uomo del ventesimo secolo. Morto da quindici anni, freddo e putrido nelle sue vesti colorate, come il fantasma che un tempo si era alzato dalla polvere, a Grimmauld Place.

« Verranno mangiati dalla piovra gigante, se continuano ad avvicinarsi tanto » disse Malfoy all’improvviso, con indolenza. Non sembrava preoccupato. Divertito, semmai.

Ovviamente, era tipico di Malfoy.

Harry guardò James e Albus che si schizzavano l’acqua addosso.

« Non c’è nessun rischio del genere » disse. « Non lo sapevi? La piovra è morta molti anni fa ».

Harry osservò con attenzione il viso di Draco. Ci fu un qualche mutamento negli occhi grigi – come se fosse stato colto di sorpresa.

Harry sapeva riconoscerlo, quel lampo. Lo aveva già visto altre volte. Per esempio, quando i Mangiamorte avevano fatto irruzione nella Torre...

Fece una smorfia. Girava tutto attorno a quello, non era vero?

« Non mi era giunta voce » disse Malfoy, con indifferenza. Harry annuì.

« In seguito alle ferite dei Giganti, nella battaglia finale... ma immagino che tu non l’abbia saputo. Avendo fatto l’ultimo anno da privato ».

Le labbra di Malfoy si chiusero in una linea dura che diceva chiaramente che non aveva voglia di parlarne. Harry ponderò per un attimo l’idea, stuzzicante, di infastidirlo di proposito.

Poi la abbandonò.

Quei tempi erano da molto passati. La piovra era morta, la capanna di Hagrid era vuota, e loro parlavano senza inflessione sulla tomba di Dumbledore.

Se solo pensava a tutto quello che era successo. Uno si aspettava che Dumbledore resuscitasse, prima o poi. Perché, dannazione, era Dumbledore.

Ma Dumbledore non era resuscitato.

A quindici anni dalla sua morte, Harry cominciava a perdere le speranze.

« Hai davvero chiamato tuo figlio Scorpius? » chiese, casuale.

Gli occhi di Draco lampeggiarono in modo pericoloso, ma rispose con la solita voce:

« Scorpius Hyperion ».

Harry sbuffò per nascondere una risata e guardò da un’altra parte.

« Bel nome » sogghignò.

« Va’ al diavolo, Potter » disse Malfoy in modo automatico.

« Sempre dopo di te, Malfoy » replicò Harry, e poi ci fu un piccolo silenzio.

Harry si rese all’improvviso conto che non avevano molto di cui parlare che non fosse tabù. Non si poteva parlare dei vecchi giorni di scuola, perché si erano odiati.

Non si poteva parlare di Quidditch, perché... beh, si erano quasi ammazzati ogni volta che fossero montati su una scopa.

Non si poteva parlare del loro lavoro o delle loro famiglie e dei loro amici in comune, perché, davvero, a nessuno interessava nulla dell’altro, non avevano amici in comune, e sarebbe stato ipocrita. Era qualcosa che lui e Malfoy avevano sempre potuto risparmiarsi, le bugie fra di loro.

Non si poteva parlare di Voldemort, né dei Mangiamorte, né della guerra, né del dolore. Perché erano stati su fronti opposti, disposti a ferirsi a vicenda... e Harry sentiva, in un qualche modo, che, anche se Dumbledore era morto, e così tutti gli altri che avevano rovinato loro la vita, dentro di loro erano ben vivi.

Vivi e vegeti.

Harry sentiva ancora la voce di Dumbledore nella sua testa, qualche volta. Chissà se Malfoy sentiva qualche voce.

Naturalmente, avere Albus nella testa non rendeva meno doloroso stare sulla sua tomba. Anzi.

« Mi manca » disse all’improvviso.

Colse lo sguardo di Malfoy, in un qualche modo imbarazzato e preso contropiede.

« Continuo a pensare che non meriti nulla da noi » disse dopo qualche attimo. Harry poteva sentire un micron di incertezza nella sua voce. « Non si merita che stiamo qua, né tutte le cerimonie come quella che gli hanno fatto prima. È morto, Potter, sveglia ».

Harry sorrise.

« Dentro non muore mai del tutto, vero? Solo poco a poco (1) ».

Malfoy lo guardò come se fosse pazzo, e Harry fu assolutamente certo che sapesse perfettamente cosa volesse dire, e quello sguardo fosse perché aveva scoperto di non essere il solo ad avere una profondità cerebrale superiore a quella di un vasetto di marmellata.

Per qualche attimo si guardarono, poi Malfoy disse:

« Beh, ora devo andare. Se ti dico che è stato un piacere, mentirei, ma non credo che a Dumbledore dessero così fastidio le bugie. Quindi... »

« È stato un piacere » lo interruppe Harry, sempre sorridendo. Pensò per un attimo di tendere la mano, poi ricordò quello che aveva pensato circa la mancanza di ipocrisia fra loro, e si limitò a continuare ad accarezzare la tomba di Dumbledore. « Ci si vede in giro » disse.

Malfoy fece una smorfia, poi un cenno e si incamminò verso i cancelli di Hogwarts. Harry lo guardò finché non si Smaterializzò.

Poi, riprese a osservare i bambini che giocavano, ascoltando la risatina di Dumbledore nella sua testa.

 

 

(1) Da “La storia di Lisey”, di Stephen King: “Nel cuore muore solo poco a poco, vero?”

 

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Capitolo 3
*** Tre di tre ***


3) Tre

 

[Non bisognerebbe affliggersi per ciò che è stato ed è senza rimedio.

 

Shakespeare]

 

 

« Guarda guarda » mormorò.

« Che cosa, mia cara? »

« Per l’amor di Salazar, Dumbledore. Concentrati sulla partita, o non mi riterrò personalmente responsabile per la strage delle tue pedine. Me ne lavo le mani ».

Il vecchio nel ritratto dedicò un sorriso a Severus Snape prima di tornare a guardare la schiena della sua anziana, vecchia amica e ora Preside, Minerva McGonagall.

Minerva guardava fuori dalla finestra.

L’erba del prato scintillava sotto il sole come un bizzarro cielo alieno. E, sulle rive del Lago Nero, la tomba bianca di Dumbledore brillava bianca come un sasso lucido, liscio e perfetto sul fondo di un ruscello.

Vicino alla tomba, due uomini. Minerva sapeva chi erano.

I capelli biondi di Draco Malfoy erano una pagliuzza d’oro. Perfino dal lontano la posa era inconfondibile – spalle dritte, postura aristocratica, mani ficcate nel completo su misura.

Quanto all’altro... il sole si rifletteva sulle lenti rotonde di Harry Potter. Era disinvolto, e Minerva poteva vedere la mano posata sulla tomba, in un gesto d’affetto, o protezione, o stanchezza.

« Sono Harry Potter e Draco Malfoy » disse, rispondendo alla domanda di Dumbledore. « Stanno parlando vicino alla tua tomba, Albus ».

« Parlando? Perfino dopo tutti questi anni, la tua scorta di eufemismi continua a stupirmi, Minerva. E questa è la deplorevole fine del tuo alfiere, Dumbledore » aggiunse Snape, allungando una mano nel ritratto di Dumbledore per muovere una pedina in avanti.

Dumbledore sorrise cortesemente, uccise la torre di Severus e inclinò la testa, rivolto verso Minerva.

« Parlando, mia cara? Sulla mia tomba? »

« Così pare » mormorò Minerva. « Devo ricordarvi che è il quindicesimo dalla tua morte, Albus? »

« Cielo, come ho potuto dimenticarmene » disse Snape, tagliente. Mentre Dumbledore ridacchiava, Minerva inclinò appena la testa e gli sorrise.

« Perdonami, Severus. Tendo a dimenticare il tuo ruolo. La mia mente che vacilla, suppongo ».

« Se la tua mente vacilla » disse Snape acido « da’ le dimissioni. Abbiamo già avuto Presidi dalla dubbia sanità mentale, e uno di essi mi ha fatto esasperare al punto di doverlo uccidere ».

Dumbledore rise. Minerva tornò a guardare fuori dalla finestra, dove le silhouette lontane di Malfoy e Potter continuavano a parlare.

Una cosa che non avrebbe mai capito era come potessero Dumbledore e Severus metterla sempre tanto sul ridere.

Non ne parlavano spesso – ma generalmente lo facevano con leggerezza. Severus sfoggiava tutto il suo incredibile sarcasmo, Dumbledore sorrideva, e lei, ogni volta che guardava la tomba in riva al Lago... ogni volta ricordava la notte terribile in cui si era chinata sul corpo senza vita di Dumbledore. Il dolore, la delusione, il tradimento, l’incredulità.

L’odio.

Eppure, eccoli lì, a giocare a scacchi nelle loro cornici, e non erano altro che quadri... quadri. Ritratti, pallide ombre di ciò che erano stati in vita. Una cornice che chiunque poteva strappare, come erano già stati strappati una volta.

Le sue deboli mani, pallide e venate d’azzurro e senza anelli, si alzarono ad aprire la finestra. L’aria di giugno invase la stanza come un sospiro di Zefiro, ma non portò fino a lei le voci dei due che, presso la tomba di Dumbledore, parlavano.

Le labbra di Minerva si curvarono leggermente a quell’immagine insolita, e tornarono a tendersi nella solita linea quando i suoi occhi, inevitabilmente, scivolarono sulla tomba.

Aveva perso il conto delle volte che era andata a passeggiare in riva al Lago, e si era fermata davanti a quel posto, dove ora stavano Malfoy e Potter.

Aveva perso il conto delle volte in cui aveva desiderato avere indietro Albus.

Dumbledore aveva sempre detto che, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura.

Ma Minerva sapeva di non essere una mente ben organizzata, e pensava non si potesse parlare di avventura quando non ci sarebbe stato ritorno a casa.

I due ragazzi si stavano congedando. La figura esile di Malfoy si incamminò a testa alta verso i cancelli. Potter rimase vicino alla tomba.

Minerva si voltò in tempo per vedere Dumbledore battuto di stretta misura da Snape. Oppure Dumbledore si era fatto battere.

Non capiva. Probabilmente non avrebbe mai capito.

Lentamente, si lasciò cadere sulla sedia del Preside, su cui i due uomini che ora stavano discutendo vivacemente sulla legittimità di una certa mossa avevano entrambi, una volta, preso posto.

Perfino da lì, nonostante le montagne di carte sulla scrivania, riusciva a vedere la tomba di Albus. A volte pensava che Dumbledore avesse scelto apposta di posizionarla lì.

In tal caso, era stata una buona scelta. Nessuno che entrasse poteva non vederla. E tutti, sempre, si sarebbero ricordati dell’uomo che vi giaceva dentro, decomponendosi, smembrandosi. E con lui, un’epoca che si era chiusa quindici anni prima.

Forse, pensò Minerva chinandosi con un sospiro sulle lettere ministeriali, forse però da lì potevano ricominciare. Rinascere dalle ceneri – come la fenice.

E se non loro, i loro figli.

Potter era ancora vicino al lago. I suoi bambini gli giocavano accanto, spruzzandosi l’acqua addosso.

Minerva chinò il capo e cominciò a vergare una lettera, mentre alle sue spalle Dumbledore raccontava a Snape un aneddoto.

Erano quindici anni che raccontava aneddoti dalla sua cornice, e sembrava che la sua scorta non potesse aver fine.

Minerva tentò di concentrarsi, ed inevitabilmente si ritrovò a ridere silenziosamente per la fine della barzelletta di Dumbledore.

Erano passati quindici anni dalla sua morte, eppure, ancora, Albus era la dimostrazione che, per riparare, perdonare e ridere, non era mai troppo tardi.

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