L'illusione

di Babu 17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Abbandono ***
Capitolo 2: *** 2. Mamma ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. Sorpresa ***
Capitolo 5: *** 5. Compagnia ***
Capitolo 6: *** 6. Guardia del corpo ***
Capitolo 7: *** 7. Mancanza ***
Capitolo 8: *** 8. Desiderio ***
Capitolo 9: *** 9. Gelosia ***
Capitolo 10: *** 10. Coma ***
Capitolo 11: *** 11. Contatto ***
Capitolo 12: *** 11. Contatto ***



Capitolo 1
*** 1. Abbandono ***


Salve

Salve a tutti i lettori. Eccovi una nuova storia direttamente dalle mie manine sante =). Spero ardentemente che vi piaccia tanto quanto vi è piaciuta l'altra mia storia: “Mi appartieni. Ti appartengo” (ancora in pubblicazione).

Recensite in tanti. Voglio proprio sapere che cosa ne pensate.

Bacioni.

Buone feste.

Babù.


1. Abbandono


-Mike! Ti prego! Non andartene!-, urlai in preda alla disperazione, -Non lasciarmi! Io ti amo!-. Cercai di afferrargli un braccio: dovevo fermarlo. Dovevo costringerlo ad ascoltarmi.

Con un movimento secco scostò la mia mano.

Chiuse gli occhi e sospirò: -Helena, smettila di comportarti come una bambina. Lo sapevamo che sarebbe finita così: non siamo fatti per stare insieme. Siamo...troppo diversi, ci faremmo solamente del male. Era da un po' che cercavo il coraggio per dirtelo-.

-Ti prego...cambierò...-, cercai di dire tra i singhiozzi.

-Non sei tu il problema...sono io...-. Abbassai lo sguardo. Certo, sempre la solita storia: caricati la colpa, tanto per alleggerirmi la sofferenza.

-Se sei tu il problema allora perché mi stai lasciando tu? Non dovrei farlo io?-, chiesi in preda ad una mezza crisi isterica.

-Io...non so che cosa dirti Lena, non voglio più stare con te...fattene una ragione!-. Sbatté la porta d'ingresso ed uscì dalla mia vita.

Mi inginocchiai. Piansi, piansi forte per scaricare tutto quel dolore che si era accumulato nel mio cuore. Era incredibile che un organo così piccolo potesse contenere tutto quel sentimento.

Non era possibile! Era successo di nuovo! Perché tutti i ragazzi che amavo non facevano altro che scoparmi per qualche mese, illudermi e poi abbandonarmi come un giocattolo vecchio?

Possibile che non esistesse un solo uomo di cui fidarsi in tutto il mondo?

Qualcosa mi disse che era possibile, molto probabile.

Anche Mike, che mi era sembrato un così caro ragazzo fin dal principio, mi aveva mollata come una cicca di sigaretta e mi aveva schiacciata con la solita solfa: “Non sei tu. Sono io!”. Fottiti stronzo! Era successo di nuovo, maledizione. Che cosa avevo che non andava? Perché i ragazzi adoravano fuggire da me? Avevo la peste? La malaria? L'AIDS!?

Avevo mal di testa; era come se un omino piccolo, piccolo con un piccone stesse colpendo violentemente il mio cranio. Tump, tump, tump, tump, andando avanti di questo passo presto si sarebbe aperto un varco e sarebbe uscito all'aria aperta.

Chiusi gli occhi. Mi stesi per terra e continuai a piangere fino a che tutto intorno a me divenne buio.

Mi addormentai.

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Capitolo 2
*** 2. Mamma ***


Salve a tutti! Ho deciso di postare già il secondo capitolo e di aspettare i vostri commenti e le vostre opinioni. Spero davvero che vi piaccia.

Fatemi sapere che cosa ne pensate.

Bacioni.

Babù.


2. Mamma


Qualcosa mi sfiorò la guancia. Era qualcosa di fresco, profumato, pulito. Mi infondeva tanta sicurezza. Cos'era? Un animale no di certo, io non avevo animali domestici; mi avrebbero portato via troppo tempo. Volevo aprire gli occhi. Solo che non ci riuscivo, come se una forza sconosciuta mi costringesse a tenerli chiusi.

Mi sforzai.

Schiusi piano gli occhi ed una luce accecante mi stordì.

Li richiusi nuovamente e li strofinai con forza, forse ero diventata cieca.

Provai di nuovo ad aprirli, ma la luce si era offuscata. Stava sparendo. Guardai con attenzione e, nel bianco puro della luminescenza, vidi un volto. So che sembra assurdo: ma ho visto davvero un volto!

Stavo di certo impazzendo. Dopo la quinta volta che ti mollavano senza motivo dopo averti usata era normale avere dei piccoli disturbi mentali.

La serratura della porta scattò e lo stipite mi colpì dritto in testa. -Ahia!-, dissi massaggiandomi il bernoccolo.

-Che diavolo ci fai per terra davanti alla porta?-, chiese una voce familiare.

-Niente mamma, cercavo una cosa-.

-Per terra?-.

-Si!-.

-L'ho sempre detto che non sei tutta normale! Mah!-, disse andando in cucina. Quando si voltò le feci la linguaccia: odiosa vecchiaccia! Te lo faccio vedere io se non sono normale! Mi alzai da terra ed andai in camera mia. Ora, oltre ad essere depressa ero anche arrabbiata nera, maledetta!

Odiavo mia madre: era tutto ciò che non avrei mai voluto essere in tutta la mia vita. Anche se era bella, aitante, carismatica...mi facevano schifo tutte le sue qualità. La trovavo sgradevole come la puzza di pesce marcio.

Ero stata costretta ad andare a vivere con lei ad Amburgo quando mio padre era impazzito. Io e papà non avevamo più nessuno, solo noi due. Con lui io stavo bene, riuscivamo a capirci, in qualche strano modo. Poi era successo il fattaccio: aveva avuto un incidente automobilistico che l'aveva paralizzato; i primi tempi era sembrato che si ristabilisse, poi era impazzito, aveva cercato di aggredire me e la sua infermiera e l'avevano rinchiuso in manicomio. Crisi isteriche frequenti. Perdite di memoria. Le ferite che peggioravano.

Entrò in coma e morì entro un anno. Ed io fui portata qui di peso.

Odiavo quel posto come odiavo quella donnaccia che mi aveva abbandonata prima che compissi il primo anno di età.

Non la sopportavo. Non sopportavo il suo comportamento da santa quando, invece, era la prima che la regalava a tutti quelli che le passavano a tiro.

Era saccente, antipatica, scontrosa, falsa e rompi palle. Insomma, non saremmo mai potute andare d'accordo, nemmeno se ci fossimo impegnate.

Lei odiava me e mi riteneva un peso. Io odiavo lei a la ritenevo una vacca.

Convivenza civile.

Mi gettai sul letto e sospirai. Maledetti tutti! Stronzi! Che mondo del cavolo! Incredibile come una giornata che sarebbe dovuta essere perfetta diventi così orribile. Mi rannicchiai in un angolo e scoppiai di nuovo a piangere: -Maledetto Mike e le sue stupide scuse!-.

Di nuovo sentii quella sensazione di carezza sul volto.

Quella freschezza.

Quel sentimento.

Aprii gli occhi. Per un attimo vidi dei lineamenti, poi tutto scomparve. Che diavolo mi stava succedendo?

Il cellulare squillò. Era un sms della mia amica Katya; avevamo legato subito Katya ed io, era una ragazza simpatica e piena di vita. Stava sempre appiccicata a me facendomi ridere in continuazione: era una tale scema. Però era dolce e da ben due anni (cioè da quando mi ero trasferita) era l'unica che mi avesse accettata per quello che ero e non si fosse mai lamentata di tutto ciò che combinavo, o per cosa mi lamentavo.

Com'è andata con Mike? Sesso sfrenato?”, risi.

Mi ha lasciata”, scrissi ed accesi una sigaretta.

Cosa!? Oddio tesoro come stai? Tutto bene? Vuoi che venga lì?”.

Mi sembrava di vederla: tutta preoccupata che aspettava una mia risposta. “No, tranquilla...me la cavo”.

Preferisci andarlo a picchiare domani?”.

Ci penso poi ti dico. A domani. Byebye”.

Era carina come idea, di certo avrei picchiato duro e mi sarei divertita. Adesso avevo solo voglia di piangere.

Il letto era comodo, troppo comodo. Stavo per riaddormentarmi quando qualcuno si schiarì la voce.

Aprii gli occhi e saltai a sedere. Chi c'era?

Mi guardai attorno e spalancai la bocca: non era possibile.

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Capitolo 3
*** 3. ***


Ho deciso di pubblicare un nuovo capitolo sperando che vi piaccia tanto quanto i precedenti. Ammetto che è una storia un po' strana, particolare, ma mi è piaciuto moltissimo scriverla. Mi sono divertita.

Rispecchia un po' tutto quello che provano le fan quando sognano.

Sono contenta di come sia uscita e spero vivamente che leggerete e recensirete anche questo capitolo.

Grazie per il sostentamento che mi date.

Baci.

Babù.


3. “Sto davvero impazzendo”


Ok, nella mia testa c'era davvero qualcosa che non andava. Com'era possibile altrimenti che proprio lui fosse davanti ai miei occhi in quel momento? No, no, c'era qualcosa che non tornava.

-Perché fai quella faccia?-, chiese la figura longilinea di fronte ai miei occhi.

Oddio: parlava anche.

Basta alcool. Guardai le sigarette sul comodino. Presi il pacchetto e lo lanciai contro il muro. Basta fumo.

-Ti senti bene?-. Sarcastico, il ragazzo mi guardava curioso con il sopracciglio destro inarcato.

Era...buffo, che proprio lui fosse nella mia camera. Buffo che, tra tutti i ragazzi al mondo, proprio lui la mia mente avesse scelto di farmi vedere. Chiusi gli occhi e li riaprii; era ancora li.

Mugolai frustrata.

Rise.

-Non credi che sia reale?-, chiese sorridendo.

-E' una domanda stupida, credi davvero che io sia così scema da credere che tu sia vero? Oh, ma andiamo!-. La mia voce risuonò un po' isterica, colpa delle troppe emozioni accumulate quel giorno.

-Io sono reale-.

-Non prendermi in giro-.

-Sono reale perché tu vuoi che io sia reale-.

Spalancai gli occhi: -Io? Io vorrei che un sacco di cose divenissero reali, ma proprio tu...bah, ho i miei dubbi-.

Continuò a sorridere nonostante la mia scortesia, -Eppure, qualche anno fa non desideravi altro che incontrarmi. Ricordi?-.

Era passato così tanto tempo. Quattro anni. Quattro lunghi anni. -Lo desideravo quando avevo quattordici anni, adesso sono grande e non ho più sogni in cui credere-.

Divenne triste, -E' sbagliato rinunciare ai propri sogni, sai?-.

-Se lo dici tu-.

-Io ho sempre ragione, Helena, ricordi? Lo dicevi sempre-.

Gli lanciai un cuscino. -Lasciami in pace! Visione dei miei stivali!-.

Mi gettai sul letto ed affondai la faccia nel materasso. Desiderai che sparisse, lo desiderai con tutta l'anima. Sto diventando pazza, mamma ha ragione a dire che non sono normale! Guarda che cavolate che immagino! -Helena?-, mi chiamò melliflua la sua voce, -Helena perché ti nascondi?-.

-Lasciami stare!-.

Rise di nuovo. Si sedette sul letto e si avvicinò piano al mio orecchio: -Ricordi che cosa sognavi qualche tempo fa?-. Percepii delle note maliziose nella sua voce, -Rammenti ancora tutte quelle belle cose che avevi immaginato di fare con me?-.

Il sangue mi salì velocemente al cervello ed arrossii come un pomodoro. Alzai la testa di colpo e mi ritrovai a pochi centimetri dal suo viso. La visione si stava avvicinando, piano. Le nostre labbra erano quasi a contatto.

La porta si aprì di scatto. -Helena è da tre ore che ti chiamo!-, urlò mia madre entrando in camera, -Muoviti o la cena si raffredderà-. Si fermò a guardare la mia posizione sul letto. -Non stai scomoda?-, chiese innocentemente. Annuii. Sospirò: -L'ho sempre detto che sei proprio strana...comunque la cena è in tavola, io esco, ci vediamo domani mattina-.

-Non torni a casa?-.

-Si, ma molto tardi...quindi immagino che dormirai, visto che domani hai scuola-.

-Ok, ciao mamma-.

-Ciao-. Si chiuse la porta alle spalle.

Mi lasciai cadere sul letto.

Bill era sparito.


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Capitolo 4
*** 4. Sorpresa ***


Rieccomi con un nuovo capitolo. Sono contenta che vi sia piaciuto e soddisfatta di tutte le recensioni. Grazie infinite per i mille complimenti e per aver avuto voglia di continuare a leggere la mia storia.

Un bacio ed un abbraccio enorme.

Babù.

Grazie di cuore.


4. Sorpresa


Andai in cucina. Il mio piatto era pieno di una sostanza giallognola che somigliava a degli spaghetti, mi avvicinai sospettosa. Disgustoso. Nemmeno il suo odore mi ricordava della pasta. Presi il piatto e lo rivoltai dentro la spazzatura. Che schifo, mamma non era mai stata brava a cucinare.

Presi un paio di uova dal frigo e mi feci una grossa e succulenta frittata: avevo proprio bisogno di calorie. Avevo le allucinazioni, mangiare mi sembrava una soluzione più che decente per mandarle via.

Mentre le uova soffriggevano in padella andai a riempirmi un bicchiere di latte fresco, anche quello mi avrebbe aiutata a tirarmi su di morale e anche ti testa. Ne bevvi un sorso e spensi il gas. Il profumo dell'omelette aveva invaso la cucina.

-Mmmmh, che fame!-, mi voltai verso la porta della cucina e trattenni un grido.

-Che cazzo ci fai qui?-. Urlai sconvolta.

Scoppiò a ridere e si sedette su una delle sedie a sua disposizione, -Sono tornato per vederti-.

-Che pensiero gentile-.

-Posso averne un po' anche io?-, chiese indicandomi la padella.

Sgranai gli occhi: -Sei un'illusione, tu non mangi!-.

-E' colpa tua se mi comporto in maniera così reale-.

Inarcai un sopracciglio, -Non scaricare la colpa su di me, non c'entro niente se tu hai deciso di comparire per rompermi violentemente le scatole!-. Mi sedetti di fronte a lui ed iniziai a mangiare. Appoggiò il viso ad una mano e restò ad osservarmi.

-Smettila di guardarmi a quel modo, mi da fastidio-. Sbottai quando fui costretta ad alzarmi per prendere un altro bicchiere di latte dal frigo.

-Perché mi tratti in questo modo? Qualche tempo fa saresti stata contenta di vedermi entrare nella tua cucina...-, fece scivolare due dita sulla superficie del tavolo, -...ricordi ancora il sogno che avevi fatto riguardo me, te ed il tavolo della cucina di tuo padre?-.

Avevo l'assurda tentazione di lanciargli il cartone del latte, -Ma vuoi startene zitto?! Che diavolo ne sai di quello che sognavo quando ero una bambina?-.

Si alzò, si avvicinò e mi sorrise cingendomi i fianchi con un braccio: -Ricordati che vengo da qua dentro-, disse indicandomi la mia testa. -Io so tutto di te, forse anche più di quello che tu stessa sai-.

Avvicinò le sue labbra alle mie e le sfiorò. Rabbrividì. Tentai di scansarlo, ma le mie mani affondarono nel suo petto senza toccarlo, era come se fosse fatto d'aria. Rise: -Smettila di rifiutarmi, lo sai bene che mi vuoi qui, al tuo fianco...mi vuoi. Ammettilo. Ammettilo a te stessa-.

Scossi la testa.

-Perché sarei qui altrimenti?-.

Le sue labbra premettero sulle mie, con forza impercettibile.

Arrossii nuovamente. Rimasi immobile a riflettere su quello che aveva appena detto: aveva ragione? Volevo davvero che lui restasse li accanto a me?

Nella mia testa qualcosa urlò: si!

Lasciai cadere il bicchiere vuoto che si ruppe in mille pezzi e risposi a quel bacio fasullo, quel bacio che mi faceva stare bene, tanto bene, troppo bene. Portai le mie braccia dietro il suo collo ed aprii piano la bocca.

All'improvviso non sentii più nulla sotto le mie dita.

Era scomparso.

Chiusi gli occhi e mi sforzai di non piangere: mi ero illusa di nuovo e questa volta proprio della persona più sbagliata del mondo.

Presi la scopa e la paletta ed incominciai a raccogliere i cocci del bicchiere.

Qualche anno fa non avrei desiderato altro che ritrovarmi a letto con il ragazzo più corteggiato del momento: Bill Kaulitz. E adesso guarda che cosa mi combinava la mia mente! Stavo impazzendo davvero, come se non bastassero i ragazzi bastardi, un padre morto ed una madre puttana a farmi sclerare più del dovuto.

Vaffanculo! Non era giusto che fossi costretta a soffrire in quel modo. Che cervello stupido che mi ero ritrovata. Che vita di merda.

Perché? Perché tra tutte le persone che potevo immaginarmi...proprio lui?


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Capitolo 5
*** 5. Compagnia ***


Chiedo umilmente scusa se non sono riuscita a postare prima di oggi! Ho avuto dei seri problemi di connessione, ma l'importante è che oggi pubblichi, finalmente, il capitolo successivo.

Chiedo ancora scusa e ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono la mia storia.

Baci e sentiti auguri di buone feste.

Babù.


5. Compagnia


Avevo bisogno di una doccia. L'acqua calda mi avrebbe aiutata a riprendermi dalla brutta giornata. Tra Mike, mia madre, Katya e le visioni avrei avuto bisogno di una bella visita da uno psicanalista; ero convinta che nel mio cervello ci fosse qualche cosa che non andava, se devo essere sincera l'avevo sempre saputo di non essere normale. Ma arrivare ad immaginare un cantante tedesco che tenta di sedurmi...era esagerato!

Mi spogliai e lasciai che il getto bollente rilassasse i muscoli tesi. Il rumore dell'acqua mi liberava la mente, era meglio che non pensassi a niente o avrei rischiato una bella crisi isterica.

Sentii un rumore dietro di me. Pensai che fosse uno scricchiolio di qualche mobile.

Poi un tocco freddo sfiorò la mia schiena.

Mi girai e gridai.

Bill rise.

-Accidenti! Che cazzo fai?-. Lo guardai: era nella doccia con me ed era nudo; la cosa non mi piaceva affatto. Proprio no, non mi piaceva.

-Avevo pensato che sarebbe stato carino farti compagnia-. D'istinto cercai di coprire il mio corpo con le mani.

-Non mi va la tua compagnia! Non adesso soprattutto! Ti pare che io sia in vena?-.

Mi accarezzò la guancia con due dita: -Prima eri in vena di baciarmi-.

Scostai la sua mano, -Non mi va. Stupida illusione! Levati e lasciami spazio!-. Lo spinsi fuori dalla doccia. Sorrise.

-Come sei prepotente-. Si appoggiò al muro e stette a guardarmi fino a che non uscii dal box e non mi arrotolai in un asciugamano.

Cercai di non degnarlo di uno sguardo. Mi chiusi la porta del bagno alle spalle e tornai in camera mia. Entrai e sospirai: non ce la facevo già più. Andai verso il letto e, -E no! Ma non è possibile!-, vidi Bill coricato a pancia in giù con addosso solo i boxer.

-Levati, avanti!-, ordinai rabbiosa.

-Non ci penso neanche! Perché non ti corichi con me?-.

Alzai gli occhi al cielo e mi diressi verso la porta: -Vado a dormire sul divano-.

Bill comparve improvvisamente di fronte alla porta. Aveva gli occhi lucidi, -Ti prego, non voglio che ti arrabbi-.

Il mio cuore si sciolse, -E...e va bene...-. Mi coricai vicino a lui e chiusi gli occhi. Iniziò a giocare con i miei capelli. Sbuffai: -Potresti almeno lasciare che mi addormenti? Domani ho scuola, sai?-.

-Scusa-, disse e rimase fermo. Immobile.

Richiusi gli occhi e sperai di addormentarmi con facilità.

Mi rigirai più volte.

Poi Bill cominciò a cantare.

Non conoscevo quella canzone.

Mi addormentai. Non sognai niente.

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Capitolo 6
*** 6. Guardia del corpo ***


Capitolo per EFP 6. Guardia del corpo.

Orbene! =D Eccoci giunti al sesto capitolo, ancora non riesco a crederci di essere praticamente a metà della storia. E' emozionante!

Ordunque (oggi mi piacciono le parole ''antiche'' XD), spero, come sempre, che il nuovo capitolo vi piaccia tanto quanto i precedenti. Non vedo l'ora di leggere le recensioni (sperando che ce ne siano e che siano esaurienti).

A questo punto vi lascio ad una piacevole lettura.

ByeBye. See you later.

Bacioni.

Babù.


6. Guardia del corpo


Mi svegliai in ritardo. Merda! Afferrai una brioches confezionata, la cartella, la sciarpa e la giacca e corsi velocemente fuori di casa. Avevo programmato la sveglia, solo che poi l'avevo spenta senza pensarci. Meno male che Bill mi aveva svegliata...ma che diavolo penso?! Mi stavo lasciando condizionare.

Arrivai appena in tempo per prendere l'ultimo autobus, mamma non mi dava ancora il permesso per usare la macchina. Il pullman era pieno zeppo, mi sembrava di non riuscire neppure a respirare. Salutai due o tre facce che conoscevo e mi isolai nel mio mondo grazie alle cuffie e all'i.pod.

-Come stai stamattina?-, chiese una voce suadente al mio orecchio.

Mi voltai verso Bill. Avevo la tentazione di rispondergli di andarsene a quel paese, ma non mi conveniva: mi avrebbero sentita troppe persone. Feci finta che non avesse detto niente.

-Che fai? Mi ignori?-, rise tra se, -Che bambina cattiva-.

Riprese a giocare con i miei capelli ed io arrossii. Avevo tanta voglia di urlargli: Bill smettila!

Finalmente il bus si fermò ed io scesi a pochi passi dalla mia scuola. Sospirai e, quando un po' di gente si allontanò dalla fermata, mi voltai verso la visione con noncuranza e sussurrai: -Non seguirmi!-.

Scoppiò a ridere, -Non sono io che voglio seguirti, sei tu che vuoi che io ti segua-.

-Piantala con questa storia! Io non voglio nulla del genere!-.

-Dillo al tuo cuore...-, disse indicandomi il petto, -Non sono io che decido, ma tu, ricordalo bene-.

Alzai le braccia al cielo e cominciai a camminare, in fretta. Sarei arrivata in ritardo. Bill teneva il mio passo senza sforzo: -Dove stiamo andando?-, chiese canticchiando la canzone che aveva usato per farmi addormentare.

-A scuola! Sai, io non sono come te, io faccio qualche cosa nella vita!-.

-Siamo scontrosi stamattina eh?-.

-Stai un po' zitto!-. Rise. Ma che diavolo ci trovava da ridere sempre!

Il cancello era vicino. Avevo paura di andare a scuola con Bill, che cosa sarebbe successo se non mi fossi trattenuta e gli avessi urlato contro di sparire? Non volevo nemmeno pensarci. Sarebbe stata la fine della mia vita in quel dannato postaccio.

Lanciai un'occhiata al ragazzo vicino a me: -Bill, tu devi assolutamente aspettarmi qui. Ok?-.

Lui annuì, sorrise e mi diede un bacio sulla guancia.

Alzai gli occhi al cielo: -E piantala con queste avance!-.

Mi voltai e rimasi di ghiaccio, Katya era lì, a pochi passi. Aveva sentito tutto?

-Con chi parlavi?-, chiese innocente.

-Parlottavo tra me e me- alzai una mano in segno di saluto. Pregai che ci credesse.

Katya scoppiò a ridere e mi prese per mano, -Vieni va, pazzoide!-. Mentre mi trascinava per il cortile della scuola mi voltai un paio di volte per essere sicura che non si muovesse dal cancello. Difatti era lì. Immobile. Fermo. Statico. Così irreale da sembrare quasi vero. Socchiusi gli occhi; meglio non pensarci troppo mi sarei data solo false speranze.

-Che cosa guardi? C'è qualche ragazzo carino?-, chiese Katya con quella sua espressione così solare.

-Niente-. Mentii.

Infilai la mano nella tasca della giacca, dov'erano le sigarette?

Accidenti le avevo scordate!

-Katya hai una sigaretta da prestarmi?-.

Sorrise dolce: -Certo! Ma domani me ne riporti due!-.

-Strozzina-, aspirai una boccata di fumo. Relax.

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Capitolo 7
*** 7. Mancanza ***


Ecco a voi, miei cari lettori, un nuovo capitolo direttamente dalle mie manine sante XD. Spero vivamente che vi piaccia e che lo recensirete con sincerità brutale (quindi niente commenti sdolcinati e spudorati XD. Scherzo!).

Vi ringrazio tutti per i complimenti e gli incoraggiamenti.

Grazie.

Bacioni.

A presto.

Babù.


7. Mancanza


-A domani! Ciao!-. Salutai con la mano la mia amica e sorrisi guardando il suo visetto felice. Era così dolce. Così tenera. Sarebbe piaciuta anche a papà, di certo. Lui adorava le amiche che mi trattavano come una persona normale e non come una fuori di testa.

Attraversai veloce il cortile e mi avvicinai piano al cancello, pronta per trovarmelo davanti. Svoltai l'angolo e...lui non c'era. Che fine aveva fatto? Dov'era andato? Perché non mi aveva aspettata? In fondo era solamente un'illusione, non gli sarebbe costato niente comparire di fronte a me come per magia.

Invece non c'era.

La tristezza mi avvolse.

Ero stata abbandonata anche da un'allucinazione.

Una lacrima rigò il mio viso. Presi l'autobus e tornai a casa, non volevo pensare.

Mamma era andata a lavorare presto, non c'era nessuno. Sola. Ogni adolescente ne sarebbe stato contento, ma io, io ero da troppo tempo sola ed incominciava a farmi male tutto quell'opprimente silenzio.

Chiusi gli occhi e mi gettai sul divano. Che cosa diavolo ci facevo ancora qui? Per quale assurdo motivo stavo ancora vivendo?

Mi scompigliai i capelli -Merda!-.

Il silenzio in casa era troppo spesso, avevo bisogno di rumore, di casino. Di vita.

Accesi lo stereo ed infilai uno dei miei cd, uno di quelli che “risvegliavano i morti” come diceva mamma. Era forte, era potente. La musica entrò nelle mie vene e si espanse come una macchia d'olio.

Dentro di me sentivo uno strano vuoto.

Ero triste.

Giù di corda.

Senza fare niente.

Poi una voglia mi costrinse a muovermi: corsi in camera, aprii l'armadio e presi una grossa scatola verde. Tornai in salotto e ne tirai fuori il contenuto. Riviste, posters, cd, dvd, disegni, scritte, lettere, fan fiction; tutta la mia vita da quattordicenne malata di “tokiohotellite” era lì, nelle mie mani. Sogni nel cassetto. Desideri per il futuro. Lacrime versate quando mi ero resa conto che non avevo alcuna speranza, nessuna.

La rabbia prese possesso di me e gettai la scatola per terra spargendone in giro il contenuto.

Maledetti loro e le loro canzoni.

Maledetto questo mondo che non mi ha dato nemmeno una possibilità.

Vaffanculo.

Accesi una sigaretta, aspirai il fumo e lo feci penetrare nei polmoni. Chiusi gli occhi. Non volevo pensare a niente.

Soprattutto non volevo pensare a Bill, quella stupida visione che mi aveva fatta impazzire per tutto il tempo, che mi era stata appiccicata come una sanguisuga e che, adesso, mi aveva lasciata sola. Immersa nella solitudine. Sola.

Spensi lo stereo. Tornai nella mia stanza, mi gettai sul letto e sospirai.

Io non pensavo di volerlo davvero al mio fianco, eppure adesso mancava. Mancava come se fosse stato normale che mi stesse accanto.

Chiusi gli occhi.

Poi un rumore arrivò dal salotto. Forse era la mamma che rientrava a casa.

No, era un suono diverso. Musica? Ma avevo spento lo stereo. Da dove arrivava?

La risposta mi attraversò il cervello: la tv. Eppure non l'avevo accesa. C'era qualcuno in casa?

Mi alzai dal letto e corsi in sala.

Sorrisi. Era lì.

Stravaccato in mutande sul mio divano. Gli saltai al collo e lo abbracciai. -Sono così contenta di rivederti!-.

Ed il vuoto dentro di me si colmò.

Mi strinse al suo petto, -Credevo che non volessi più vedermi!-, dissi scoppiando a piangere.

Restai accoccolata contro di lui per ore. Piansi, mi disperai, urlai; ero così stanca. Stavo soffrendo e l'unica cosa che mi rendeva serena era quell'allucinazione. Così dolce. Così reale. Era caldo, parlava, sorrideva, profumava...tutto mi faceva credere che fosse vero, vivo.

Avevo paura di confondere realtà ed immaginazione.

-Devo dedurre che ti sono mancato?-, chiese dopo qualche ora.

Annuii. Le lacrime non si fermavano.

-Bene, ho dimostrato il fatto che vuoi davvero che io ti rimanga affianco- sussurrò al mio orecchio.

-Perché?-.

-Cosa?-.

-Perché non sei reale?-, dissi tra un singhiozzo e l'altro.

Non rispose, restò in silenzio. Ad abbracciarmi.

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Capitolo 8
*** 8. Desiderio ***


Inizio l'introduzione col ringraziare tutti coloro che leggono la mia storia, soprattutto Claudia che mi regala sempre recensioni splendide e complimenti bellissimi. Grazie di cuore, a tutti.

Posto un nuovo capitolo sperando vivamente che vi piaccia.

Baci.

Babù.


8. Desiderio


Quando la porta d'ingresso si aprì di colpo mi svegliai. Sbadigliai. Dov'ero? Ah, già, sul divano del salotto. Che ci facevo lì? Ah, giusto, ero abbracciata a Bill. Bill? Dove era finito per l'ennesima volta? Accidenti a lui ed alle sue sparizioni improvvise. -Helena? Ci sei?-, disse mia madre entrando in casa.

-Si, sono qua-.

-Dormivi?-.

-Si, ero stanca-, provai a giustificarmi.

-Capisco. E che cos'è tutto questo casino per terra?-. Guardai il pavimento della sala: era ancora pieno di tutte quelle cose da quattordicenne. Erano sparse un po' ovunque. -Metti a posto che fra poco arriveranno-.

-Chi arriverà?-, chiesi curiosa.

-Il mio capo con suo figlio! Non te lo ricordi?-.

Evidentemente no.

-Ma se te l'ho detto ieri sera! A che cosa pensi sempre che non mi ascolti mai?-.

Di certo non ai cazzi come te.

-Su, avanti, sistema e poi vatti a preparare...-.

Annuii. Entrai in camera e mi stesi sul letto a pancia in giù, accesi una sigaretta e guardai verso la scrivania dove era seduto Bill. -Perché sparisci sempre quando arriva mia madre?-.

-Perché tu non vuoi che lei mi veda-. Era logico.

-Puoi rimanere se vuoi-, dissi timida.

-Sei tu che comandi, basta che tu mi dica che mi vuoi sempre al tuo fianco ed io ci sarò...-. Si voltò verso di me e sorrise: -Non dovresti prepararti per la grande cena?-.

-Non ne ho tanta voglia-, mi lamentai alzandomi in piedi. Aprii l'armadio e tirai fuori una maglietta rossa ed un paio di pantacollant neri. -Che ne dici?-, chiesi senza troppo interesse.

Si alzò, frugò fra i miei abiti e sorrise tirando fuori una maglietta verde lunga. -Io preferisco questa-.

-Come vuoi tu-.

Feci per spogliarmi, poi mi ricordai che non ero sola. -Ehm, potresti almeno girarti? So che non sei vero, però mi mette ansia svestirmi di fronte a te-.

Obbedì. -Non sbirciare eh?-.

Rise.

-Ecco! Come sto?-, gli chiesi aprendo le braccia per farmi vedere meglio. Lui sorrise e mi cinse la vita con le mani: -Sei splendida-. Avvicinò il suo viso al mio e mi baciò, fu un bacio delicato, come baciare l'aria.

-Helena! Vieni che sono arrivati gli ospiti!-. Sbuffai ed andai alla porta.

-Mi aspetterai qui, vero?-.

-Se questo è il tuo desiderio-.

-Si lo è...sicuro che ci sarai?-.

-Si-.

Uscii dalla stanza, certa che, tornando, l'avrei trovato al suo posto. Lì, dove doveva stare.


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Capitolo 9
*** 9. Gelosia ***


Per la gioia delle mie dolcissime fan posterò il nuovo capitolo pregando che vi piaccia quanto è piaciuto a me. =) Vi mando degli enormi bacioni e vi ringrazio di tutto cuore per il vostro splendido sostentamento.

Ringrazio nuovamente Claudia per le sue recensioni che mi commuovono e mi rendono sempre molto felice. Migliorano davvero la mia giornata.

Baci a tutti.

A presto.

Babù.


PS: Grazie.


9. Gelosia


Era incredibile come gli esseri umani che frequentava mia madre fossero così sciocchi ed inutili. Il suo capo, oltre ad essere uno schifoso maschilista rompi palle, era anche grasso e brutto; non riuscivo a credere che mia madre avesse una storia con quella specie di maiale ambulante.

Suo figlio? Beh, il figlio era bello oltre ogni dire; di certo non aveva preso dal padre. Il vero problema era che se la tirava come un modello e non come il segretario di una piccola azienda a conduzione familiare. Certo, era carino, simpatico, gentile, un po' porco (visto tutti i doppi sensi che faceva) e un buon partito, ma non era abbastanza per me.

Anzi, lo trovavo odioso. Antipatico. Schifoso. Orripilante.

Non credo che lui pensasse le stesse cose di me visto come mi guardava, compiaciuto e malizioso.

Mi faceva venire voglia di vomitare.

Ascoltare i suoi discorsi meschini e volgari tutta la sera fu stressante. Dovetti anche sorbirmi tutte le sue avance. Che schifo. E, come se non bastasse, mia madre lo incitava! Continuava a dire frasi come: “ma che bella coppia che sareste”; “quanto sei dolce e simpatico”; “hai visto com'è bella la mia ragazza?”. Insomma, non stava zitta neppure un minuto. Non che fosse mai stata zitta in vita sua.

Cercai di non stare ad ascoltare niente di tutto quello che dicevano.

Erano così deludenti.

Al termine della cena ci accomodammo in salotto.

Il ragazzo si venne a sedere vicino a me: -Allora, come ti è sembrata la serata?-.

Provai a non essere troppo scortese, -Piacevole-.

Si avvicinò al mio orecchio -Se vuoi posso trovare un modo per renderla ancora più piacevole-.

Socchiusi gli occhi e lo fulminai: -Non credo proprio che sia il caso-. Mi alzai dal divano e salutai gli ospiti. -Scusate ma sono stanca. Vado a dormire. Buona notte-.

Corsi fino alla mia stanza e mi ci chiusi a chiave. Finalmente. Mi voltai e, appena lo vidi, il cuore mi si riempì di felicità. Mentre mi coricavo sul letto gli feci segno di stendersi vicino a me. Lo fece.

Passarono lunghi minuti in cui gli tenni la mano e respirai il suo profumo fresco.

Qualcuno bussò alla mia porta: -Helena?-.

-Dimmi mamma!-.

-Io accompagno il mio capo e suo figlio a casa...non aspettarmi alzata-. Ci avrei scommesso.

-Va bene mamma. Ciao-.

Non rispose al mio saluto, tanto meglio. Guardai Bill negli occhi e stetti in ascolto: dei passi, delle risate, la porta che si chiudeva, il cigolio della chiave nella toppa. Tutti fuori? Si, c'era silenzio in casa: perfetto. Non avrei potuto chiedere altro.

-Mi spiace di averti lasciato troppo solo-, dissi sorridendo.

-Non fa niente-.

-Davvero?-.

-Si-. Sembrava triste.

-C'è qualcosa che non va?-, chiesi preoccupata.

-Si-.

Il mio cuore fece un battito sordo: -Che cosa?-.

-Sono arrabbiato-.

-Ho fatto qualche cosa di sbagliato?-.

-Sono arrabbiato con quel tipo, quel figlio di...-, strinse i pugni e digrignò i denti.

Risi.

-Che ci trovi da ridere?!-.

-Sei geloso!-.

Arrossì, -Ma figurati!-.

-Si che lo sei!-, gridai ridendo. Continuai a ripeterglielo mentre gli facevo il solletico. Si dimenò un po' per poi bloccarmi mettendosi sopra di me. -No, che non sono geloso!-.

Alzai un po' la testa e gli morsicai il labbro inferiore: -Si, lo sei...-.

Bill sgranò gli occhi e mi fissò. Sorrisi. Non mi importava più se non era reale: volevo viverlo. Viverlo fino in fondo. Anche se era una follia, una pazzia bella e buona. Volevo vivere quel sogno in cui avevo creduto per tanto, troppo tempo.

-La tua mente mi sta chiedendo qualcosa di strano...-, disse sovrappensiero.

-Bill?-, richiamai la sua attenzione. Mi fissò. -Vuoi fare l'amore con me?-.

Sorrise dolce, mi ricordava Katya. -Io non sono reale, ricordi?-.

-Sarai reale fino a che io vorrò che tu lo sia...ed io voglio che tu sia reale, Bill, lo voglio davvero...perché solo con te riesco a non sentirmi sola ed abbandonata. Solo tu riesci a curare il mio cuore e non mi importa se sei solamente una stupida illusione. Voglio amarti. Voglio amarti come ti amavo una volta, quando ancora ero piccola ed innocente...-.

Avvicinò le labbra alle mie ed un bacio ci unì dolcemente.

Le sue mani erano delicate, il suo tocco gentile ed i suoi sospiri mi ricordavano la brezza invernale. Era tutto così magico, fuori dal tempo che avevo mai conosciuto. I suoi baci, le sue carezze, i suoi movimenti. Tutto era perfetto. Perfetto come non lo era mai stato con nessun'altro ragazzo nella mia vita.

Chiusi gli occhi per godermi appieno tutto quell'amore a cui ero estranea.

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Capitolo 10
*** 10. Coma ***


E' davvero molto triste per me ammettere che siamo giunti al penultimo capitolo. Ringrazio tutti coloro che hanno letto, apprezzato e recensito il mio racconto.

Spero che il colpo di scena che ho scelto vi piaccia. Non vedo l'ora di sapere che cosa ne pensate.

Di certo Claudia non se lo aspetta =).

Buona lettura.

Baci.

Babù.


PS (per Claudia): mi spiace molto di non essere più riuscita a connettermi spesso, ma sono davvero molto pressata da compiti ed interrogazioni. Ti chiedo scusa e ti mando un centinaio di bacioni, ed una scatola con la neve dentro per posta xD.


10. Coma


Quella mattina mi svegliai tardi. Non avevo sentito la sveglia. Aprii gli occhi e la luce accecante del mattino mi colpì come uno schiaffo, che razza di ora era? Guardai l'orologio sul comodino: le dieci e mezza.

Osservai la mia stanza. Tutto era al proprio posto, come l'avevo lasciato la sera prima.

Mi alzai dal letto per sgranchirmi le ossa. Ero nuda. Perché ero nuda?

Non mi ricordavo niente, sentivo solo che la testa era pesante come un macigno. Cercai di ripensare alla sera precedente, ma era tutto così sfocato ed indefinito! Le immagini scorsero lente nella mia mente.

Infine...-Bill?-, chiamai incerta. -Bill? Dove sei?-. Indossai una maglia ed un paio di mutande ed uscii dalla mia camera. -Bill?-, nessuna riposta. Il cuore cominciò a farmi male.

-Bill? Che fine hai fatto?-. Guardai dappertutto, in cucina, in salotto, in bagno, in camera di mia madre. Lui non c'era. Non c'era da nessuna parte. Da nessuna parte.

Restai in piedi, sulla soglia della mia stanza e cercai di non piangere.

Ero stata una sciocca a credere, anche solo per un momento, che potesse funzionare davvero tra me ed una immagine inventata dalla mia mente. Quella notte mi ero spinta troppo oltre con la fantasia e, adesso, ne dovevo pagare le conseguenze e sopportare tutta quella solitudine che si stava avvicinando al mio cuore.

Perché? Perché era dovuto accadere proprio a me?

La mia mente crollò.

Mi inginocchiai. Presi la testa fra le mani e feci scendere le lacrime.

Quante volte ancora mi sarebbe successo di essere abbandonata come una prostituta inutile?

La follia e la rabbia s'impossessarono di me. Afferrai la scatola verde che conteneva tutto ciò a cui mai avrei voluto rinunciare: i miei sogni. La svuotai per terra ed iniziai a distruggere tutto ciò che ero stata e tutto ciò che mi ricordava il suo odioso e bellissimo volto.

Strappai le lettere.

Bruciai le foto.

Distrussi le riviste.

Sputai su tutto ciò che avevo creato e su tutto ciò che avevo desiderato.

Odiavo profondamente tutto quello che ero stata.

Uccisi ciò che rimaneva di una vita senza senso e lo richiusi nuovamente nella scatola. La presi e mi diressi in cucina per buttare definitivamente quel film di quarta categoria nella spazzatura. Spazzatura aperta: la vita c'è ancora. Spazzatura chiusa: addio vita, non ci sei più. Lasciai cadere qualche lacrima solitaria.

Poi mi voltai. Non ci volevo più pensare.

Presi un bicchiere di latte dal frigo e mi sedetti.

Sul tavolo c'era un quotidiano aperto. Strano, mamma non teneva mai i giornali: li gettava tutti; diceva che occupavano solo spazio e che sporcavano esageratamente con l'inchiostro.

C'era una foto che occupava gran parte della pagina, una foto che avrei voluto non vedere. Era una loro foto. Che ci facevano su di un giornale serio? Che fine avevano fatto gli articoli scandalistici sui giornaletti per le ragazzine?

Lessi il titolo e rimasi immobile: Bill Kaulitz è caduto in coma.

La paura prese possesso del mio corpo. Che razza di macabra casualità era che quell'articolo fosse finito tra le mie mani?

Lo lessi; c'era scritto che, in seguito ad un incidente automobilistico di una settimana fa, il cantante della band più criticata della Germania era caduto in uno stato di coma. Si trovava all'ospedale...le condizioni erano incerte...tutti si preoccupavano...Tom dice: “A volte parla nel sonno, dice strane cose, strane frasi. Non sappiamo che cosa pensare...”.

Improvvisamente ricordai un vecchio discorso. Di troppo tempo fa: -E' caduto in coma-.

-Che cosa vuol dire? Che morirà?-, presi un bel respiro, -La prego, mi dica se mio padre sta per morire...-.

-Vede ci sono diversi stadi e tipi di coma...e quello in cui si trova suo padre è chiamato “coma del sogno”, il paziente si trova immerso in una fase R.E.M. perenne che gli fa vivere un sogno continuo. Alcuni dicono che si può venire a contatto con la parte addormentata e risvegliarla, ma io credo siano solo supposizioni per dare speranza alle famiglie distrutte dal dolore. In poche parole: io credo che suo padre abbia poche possibilità di sopravvivere a lungo-.

Come una freccia un pensiero mi attraversò la mente: ero davvero pazza? Poteva esserci sul serio qualche cosa di reale in tutto quello che avevo vissuto?

Per tutto il tempo avevo creduto di essere stata io a chiamarlo in mio soccorso, perché la mia mente desiderava ardentemente qualcuno per non sentirsi più sola. Ma se fosse stato il contrario? Se fosse stata la sua anima a venirmi a chiedere aiuto?

La visione di mio padre, bloccato in uno stupido letto di ospedale, fece irruzione nella mia mente: “Helena, ricordati che le coincidenze non esistono..."

Ad una causa corrisponde sempre un effetto uguale e contrario.

C'era solo un modo per scoprirlo e non dovevo perdere tempo.

Corsi fuori di casa e presi la macchina: al diavolo gli ordini della mamma.

Dovevo correre, e correre veloce.

Forse, almeno per quella volta, la fortuna sarebbe stata dalla mia parte.

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Capitolo 11
*** 11. Contatto ***


E' davvero emozionante poter concludere un racconto. Sono davvero contenta che sia piaciuto e che abbia riscontrato tante opinioni positive.

Grazie mille a tutti coloro che hanno letto la mia storia.

Grazie per tutti i commenti.

Grazie per tutto.

Ci vediamo alla prossima storia che scriverò. Abbracci e grossi baci.

Vostra Babù.

Un Ringraziamento speciale a Claudia. Ti auguro il meglio. Grazie di tutto. Baci nevosi!


11. Contatto


Il quotidiano aveva indicato uno dei più famosi ospedali di Amburgo come luogo di ricovero di Bill.

L'autostrada scorreva veloce sotto le ruote. Con forza schiacciavo quel benedetto pedale. Andiamo! Pensavo irritata, forza! Non mollarmi proprio adesso! Maledizione! Non mi sarei lasciata vincere dal destino: quella volta ce l'avrei fatta.

Guidare non era mai stato il mio forte, infatti più di una volta le macchine mi avevano ammonita a suoni di clacson. Non che io ci facessi caso più di tanto; la mia testa era sempre da un'altra parte.

Sapevo la strada per l'ospedale, non so come facessi, ma la conoscevo a memoria. Come se l'avessi già percorsa più volte...fissai la via concentrata ed imboccai l'uscita a destra.

Guardai l'orologio sul cruscotto. Quanto ci avevo messo ad arrivare? E se fosse stato già troppo tardi? Il mio stomacò reagì, fece uno strano gorgoglio e si chiuse. Ermeticamente.

Parcheggiai.

Scesi dall'automobile.

Scansai qualche passante e passai tra le porte scorrevoli dell'ospedale.

Ed ora che ero dentro? Che cosa avrei fatto? Da che parte sarei andata? Come diamine avrei fatto ad entrare nella sua stanza? Avevo davvero fatto tutto quello solo per sentirmi dire da un omone vestito di nero che non avevo nessun diritto di vederlo? Assolutamente no.

Guardai intorno in cerca di una soluzione.

Quando ebbi un'illuminazione.

Il ripostiglio. Uguale: abiti. Abiti di pazienti, di dottori, di infermiere.

M'infilai circospetta, sperando che nessuno mi avesse vista. Frugai nella cesta dei panni sporchi, tra gli asciugamani. Trovai una divisa di solo una taglia in più della mia: fortuna sfacciata.

Uscii dallo stanzino e camminai sicura per i corridoi dell'edificio.

-La stanza di Bill Kaulitz per cortesia-.

-La duecentotré-.

-Grazie-.

-Di nulla-.

Cercavo di mantenere un passo tranquillo e naturale, sereno.

Duecentouno, duecentodue, duecentotré...presi un profondo respiro e bussai. -Avanti-. Entrai con delicatezza. Lo spettacolo mi colpì: in mezzo alla stanza c'era un letto bianco e candido dove dormiva beata una creatura più reale del previsto; vicino al ragazzo c'erano altri tre individui che seppi immediatamente identificare come Georg, vicino alla finestra; Gustav, seduto in un angolo; Tom, che teneva la mano di Bill. Bill in carne ed ossa, non più un'illusione.

-Chi sei?-.

Restai senza parole. -I...io-.

-Sei una giornalista?-, chiese Gustav alzandosi dalla sedia. -Siamo stufi che ci giriate attorno. Lasciateci in pace, per favore!-.

Mi rannicchiai contro il muro. -Non sono una giornalista...-, cercai di dire.

-Chi sei allora?-. La voce arrivava da in fondo alla stanza: era stato Georg?

I miei occhi erano fissi su di lui, -Io...io sono una sua amica...-.

-Amica?-, Tom mi fulminò con lo sguardo, -Non ti conosco, non ti ho mai vista gironzolargli attorno-.

-Sono un'amica piuttosto nuova-.

-Tsk, e anche piuttosto fasulla!-.

-No, sono una sua amica...io...io non so come spiegartelo...-. Cercai di avvicinarmi al suo corpo inerme: volevo solo toccarlo. Mi sarebbe bastato. Sapevo che sarebbe bastato. -Ti prego, sono qui per aiutarlo-.

Tom sgranò gli occhi: -Che cosa credi di poter fare?!-, il suo tono saccente e scontroso mi irritò.

Sfiorai la mano di Bill, quella che Tom teneva stretta tra le sue.

-Dammi una possibilità-, dissi a me, forse a Tom, forse a quel corpo coricato e pallido.

Il ragazzo lasciò la mano. Forse si fidava.

Accarezzai la fronte a Bill e sorrisi. Mi avvicinai al suo orecchio: -Sono venuta a trovarti...non eri una semplice visione. Lo sapevo...lo sapevo che non lo eri...-, iniziai a piangere, -Ma anche se lo fossi stato non mi sarebbe importato...davvero Bill, non mi importa cosa sei, chi sei, che cosa vuoi da me...non importa...ma mantieni la promessa: avevi detto che ci saresti stato se io ti avessi voluto. Ed io ti voglio Bill, ti voglio al mio fianco...ti prego...non fa niente se rimarrai per sempre un'allucinazione...-. Sussurrai così piano che nessun'altro sentì. -Io ti amerei comunque-.

Chiusi gli occhi e lasciai cadere le lacrime mentre intonavo quella canzone che non conoscevo. Quella canzone che mi faceva addormentare: desiderai che lo svegliasse.

Lo desiderai con tutta me stessa. Annullai il mio io per far si che si destasse dal suo sonno.

Io credo nei miracoli e tu, Bill?

Il silenzio era tutto attorno a me.

-Stai bene con la divisa da infermiera, sai?-.

Incrociai il suo sguardo. Sorrisi. -Davvero?-.

-Si-, disse lui stringendo le palpebre appiccicate dal sonno, -Dove sono?-. Era spaesato.

-Sei in ospedale-, disse Georg riprendendosi dallo shock.

-Oh, si, ricordo...l'incidente...-.

Si voltò verso di me e, con la mano libera dai flebo, fece incontrare le nostre labbra. -Io ti conosco...riconosco il tuo viso, ma...non riesco a ricordare il tuo nome-.

-Helena...mi chiamo Helena-.

Asciugò con il pollice una mia lacrima. -Ti ho sognata, sai? Helena...è stato un sogno lungo e tanto triste...poi felice...poi di nuovo triste......e tutto si è fatto buio. Poi ho sentito la tua voce ed ho trovato la via per tornare a casa-. Accarezzò il mio volto. -Sei un angelo?-.

Scossi la testa.

-Sei un'illusione?-.

Sorrisi: -Sono la tua illusione-.

-Sparirai?-, chiese con voce triste.

-Sono qui perché il tuo cuore è venuto a cercarmi per sussurrarmi che mi volevi. Fino a che mi vorrai io resterò con te...si trattasse anche di restare per sempre...-.

Strinsi la sua mano.

Ed il mondo fu finalmente completo.


The end

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Capitolo 12
*** 11. Contatto ***


E' davvero emozionante poter concludere un racconto. Sono davvero contenta che sia piaciuto e che abbia riscontrato tante opinioni positive.

Grazie mille a tutti coloro che hanno letto la mia storia.

Grazie per tutti i commenti.

Grazie per tutto.

Ci vediamo alla prossima storia che scriverò. Abbracci e grossi baci.

Vostra Babù.

Un Ringraziamento speciale a Claudia. Ti auguro il meglio. Grazie di tutto. Baci nevosi!


11. Contatto


Il quotidiano aveva indicato uno dei più famosi ospedali di Amburgo come luogo di ricovero di Bill.

L'autostrada scorreva veloce sotto le ruote. Con forza schiacciavo quel benedetto pedale. Andiamo! Pensavo irritata, forza! Non mollarmi proprio adesso! Maledizione! Non mi sarei lasciata vincere dal destino: quella volta ce l'avrei fatta.

Guidare non era mai stato il mio forte, infatti più di una volta le macchine mi avevano ammonita a suoni di clacson. Non che io ci facessi caso più di tanto; la mia testa era sempre da un'altra parte.

Sapevo la strada per l'ospedale, non so come facessi, ma la conoscevo a memoria. Come se l'avessi già percorsa più volte...fissai la via concentrata ed imboccai l'uscita a destra.

Guardai l'orologio sul cruscotto. Quanto ci avevo messo ad arrivare? E se fosse stato già troppo tardi? Il mio stomacò reagì, fece uno strano gorgoglio e si chiuse. Ermeticamente.

Parcheggiai.

Scesi dall'automobile.

Scansai qualche passante e passai tra le porte scorrevoli dell'ospedale.

Ed ora che ero dentro? Che cosa avrei fatto? Da che parte sarei andata? Come diamine avrei fatto ad entrare nella sua stanza? Avevo davvero fatto tutto quello solo per sentirmi dire da un omone vestito di nero che non avevo nessun diritto di vederlo? Assolutamente no.

Guardai intorno in cerca di una soluzione.

Quando ebbi un'illuminazione.

Il ripostiglio. Uguale: abiti. Abiti di pazienti, di dottori, di infermiere.

M'infilai circospetta, sperando che nessuno mi avesse vista. Frugai nella cesta dei panni sporchi, tra gli asciugamani. Trovai una divisa di solo una taglia in più della mia: fortuna sfacciata.

Uscii dallo stanzino e camminai sicura per i corridoi dell'edificio.

-La stanza di Bill Kaulitz per cortesia-.

-La duecentotré-.

-Grazie-.

-Di nulla-.

Cercavo di mantenere un passo tranquillo e naturale, sereno.

Duecentouno, duecentodue, duecentotré...presi un profondo respiro e bussai. -Avanti-. Entrai con delicatezza. Lo spettacolo mi colpì: in mezzo alla stanza c'era un letto bianco e candido dove dormiva beata una creatura più reale del previsto; vicino al ragazzo c'erano altri tre individui che seppi immediatamente identificare come Georg, vicino alla finestra; Gustav, seduto in un angolo; Tom, che teneva la mano di Bill. Bill in carne ed ossa, non più un'illusione.

-Chi sei?-.

Restai senza parole. -I...io-.

-Sei una giornalista?-, chiese Gustav alzandosi dalla sedia. -Siamo stufi che ci giriate attorno. Lasciateci in pace, per favore!-.

Mi rannicchiai contro il muro. -Non sono una giornalista...-, cercai di dire.

-Chi sei allora?-. La voce arrivava da in fondo alla stanza: era stato Georg?

I miei occhi erano fissi su di lui, -Io...io sono una sua amica...-.

-Amica?-, Tom mi fulminò con lo sguardo, -Non ti conosco, non ti ho mai vista gironzolargli attorno-.

-Sono un'amica piuttosto nuova-.

-Tsk, e anche piuttosto fasulla!-.

-No, sono una sua amica...io...io non so come spiegartelo...-. Cercai di avvicinarmi al suo corpo inerme: volevo solo toccarlo. Mi sarebbe bastato. Sapevo che sarebbe bastato. -Ti prego, sono qui per aiutarlo-.

Tom sgranò gli occhi: -Che cosa credi di poter fare?!-, il suo tono saccente e scontroso mi irritò.

Sfiorai la mano di Bill, quella che Tom teneva stretta tra le sue.

-Dammi una possibilità-, dissi a me, forse a Tom, forse a quel corpo coricato e pallido.

Il ragazzo lasciò la mano. Forse si fidava.

Accarezzai la fronte a Bill e sorrisi. Mi avvicinai al suo orecchio: -Sono venuta a trovarti...non eri una semplice visione. Lo sapevo...lo sapevo che non lo eri...-, iniziai a piangere, -Ma anche se lo fossi stato non mi sarebbe importato...davvero Bill, non mi importa cosa sei, chi sei, che cosa vuoi da me...non importa...ma mantieni la promessa: avevi detto che ci saresti stato se io ti avessi voluto. Ed io ti voglio Bill, ti voglio al mio fianco...ti prego...non fa niente se rimarrai per sempre un'allucinazione...-. Sussurrai così piano che nessun'altro sentì. -Io ti amerei comunque-.

Chiusi gli occhi e lasciai cadere le lacrime mentre intonavo quella canzone che non conoscevo. Quella canzone che mi faceva addormentare: desiderai che lo svegliasse.

Lo desiderai con tutta me stessa. Annullai il mio io per far si che si destasse dal suo sonno.

Io credo nei miracoli e tu, Bill?

Il silenzio era tutto attorno a me.

-Stai bene con la divisa da infermiera, sai?-.

Incrociai il suo sguardo. Sorrisi. -Davvero?-.

-Si-, disse lui stringendo le palpebre appiccicate dal sonno, -Dove sono?-. Era spaesato.

-Sei in ospedale-, disse Georg riprendendosi dallo shock.

-Oh, si, ricordo...l'incidente...-.

Si voltò verso di me e, con la mano libera dai flebo, fece incontrare le nostre labbra. -Io ti conosco...riconosco il tuo viso, ma...non riesco a ricordare il tuo nome-.

-Helena...mi chiamo Helena-.

Asciugò con il pollice una mia lacrima. -Ti ho sognata, sai? Helena...è stato un sogno lungo e tanto triste...poi felice...poi di nuovo triste......e tutto si è fatto buio. Poi ho sentito la tua voce ed ho trovato la via per tornare a casa-. Accarezzò il mio volto. -Sei un angelo?-.

Scossi la testa.

-Sei un'illusione?-.

Sorrisi: -Sono la tua illusione-.

-Sparirai?-, chiese con voce triste.

-Sono qui perché il tuo cuore è venuto a cercarmi per sussurrarmi che mi volevi. Fino a che mi vorrai io resterò con te...si trattasse anche di restare per sempre...-.

Strinsi la sua mano.

Ed il mondo fu finalmente completo.


The end

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