La primavera di Sakura

di Shinta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


SOX DEMULTIPLEX

LA PRIMAVERA DI SAKURA

“Torniamo a casa assieme Sakura-chan?”

“Oggi no, mi spiace… ho degli impegni…”

Affacciata all’ampia finestra della mia classe respiravo quell’aria fresca e frizzante che la Primavera porta con sé nel mio paese.

Con sguardo trasognato guardavo verso il basso, tra quella folla di studenti che lesti si apprestavano a far ritorno alle loro case, cercando di scorgere la sua figura, inutilmente.

Lasciavo così che i miei occhi si perdessero in lontananza, fin quasi a sfiorare l’orizzonte coperto dalle dolci colline che circondano questa zona, e rimanevo ad osservare per qualche minuto, coi gomiti sul davanzale, i maestosi alberi di ciliegio del parco.

Accadeva spesso di questi tempi, che dentro di me, in un angolo profondo del mio cuore, un forte senso di paura e di malinconia prendesse il sopravvento su tutto, quasi avvolgendo la mia mente in una nebbia fitta e densa come il latte, e con l’anima come stretta in una morsa mi abbandonavo tra le lacrime.

Questa sensazione non si mostrava chiara ai miei occhi, questa forte tensione non si presentava alla mia mente come una immagine ben definita, come qualcosa che io potessi chiamare per nome; nonostante ciò, sapevo benissimo di cosa si trattasse, e forse proprio per questo, mi sforzavo di non riconoscerla.

Durante le lezioni qui a scuola, riuscivo a non sentirmi così oppressa da quella tensione, in quanto mi trovavo costretta a concentrarmi su altre cose…; però, quando la campanella con la sua lenta melodia sanciva la fine delle lezioni, nel mio cuore scendeva quell’alone di tristezza, che avrebbe continuato ad avvolgermi interiormente per tutta la giornata.

Ma i petali rosa dei ciliegi in fiore… quelli, non so come, riuscivano a illuminarmi il cuore, a farmi sentire subito meglio.

Forse è per via del mio nome, non lo so [Sakura vuol dire “ciliegio”]; so solo che ogni qual volta li vedo ondeggiare nell’aria, in queste solari giornate primaverili, posarsi sopra i muri e colorare tutto di quelle loro chiare tonalità, in me è come se si accendesse la speranza, e le ombre che mi fanno star male venissero spazzate via.

Presi la mia cartella, e come avevo detto a Sachiko, non tornai a casa.

Volevo passare da lui, volevo vederlo, sapere come stesse.

Io e Ken siamo amici sin dall’infanzia.

Da bravi amici un tempo stavamo sempre insieme, anche perché abitavamo uno affianco all’altro, prima che i suoi si trasferissero in un’altra casa, ed insieme ne abbiamo combinate di tutti i colori.

Sembravamo inseparabili, ognuno era per l’altro “l’amico del cuore”, e molti ci davano addirittura per futuri innamorati!

A dire il vero, benché a quei tempi non sapessi nemmeno cosa fosse l’amore, ero certa anche io che un giorno noi due ci saremmo fidanzati, perché non riuscivo ad immaginarmi senza di lui, lo avrei voluto accanto per sempre, come abbiamo fatto per tanti e tanti anni della nostra infanzia.

Ma poi si cresce, si cambia… gli interessi personali cambiano, passioni un tempo sconosciute si accendono e finisco per prenderti tutto, anima e corpo… si scopre che al mondo non ci sono solo Sakura e Kensuke, e che non era scritto da nessuna parte che fossimo destinati a stare insieme.

Attraversai il ponte che taglia in due il mio paese, avvertendo la vitalità del fiume che scorreva sotto di me calmo e cristallino, e ne ebbi un senso di pace. La sua superficie brillava limpida sotto i raggi del Sole che, alto sopra le case, riscaldava piacevolmente il mio corpo, facendomi sentire viva, facendomi quasi venir voglia di correre per gli immensi prati che costeggiano le viuzze della campagna e rotolarmi in essi, fino a confondermi nel verde intenso dei fili d’erba, per assorbire il profumo dei girasoli e perdermi tra i mille colori dei tulipani, e poter dimenticare così tutti i miei problemi.

La primavera, nel mio paese, è davvero fantastica.

******

Era già una settimana, che Ken non veniva a scuola.

Io e lui frequentavamo entrambi il terzo anno, e avevamo scelto il Liceo Adachi per poter continuare a stare ancora in classe insieme, visto che l’Adachi, oltre a essere un’ottima scuola, è anche il posto di lavoro di mia zia Nanako che, in quanto addetta alla segreteria dell’istituto, ci aveva assicurato che avrebbe fatto il possibile per infilarci nella stessa sezione. La zia pareva così convincente e sicura di sé, che quasi mi venne da ridere quando lessi gli elenchi delle classi affissi alle pareti accorgendomi che Ken non era in classe con me!

“Non sarà certo questo a dividerci!” pensai allegramente, mentre la mia vita da liceale stava ormai per cominciare.

Bussai alla porta, e ben presto mi venne ad accogliere la signora Hikari, la mamma di Kensuke.

Era tanto che non tornavo qui, e tutto mi dava un forte senso di nostalgia.

Ma ciao Sakura-chan! Che bella sorpresa!”

La signora Hikari era una donna molto giovane, dopotutto aveva avuto il figlio a soli 17 anni, ed ogni volta che mi sorrideva, con quel suo volto così espressivo e sincero, dai lineamenti morbidi e delicati, mi pareva illuminarsi di luce propria.

Quando la vedevo così allegra, gli occhi accesi di una gioia di vivere che un po’ le invidio, pensavo al mio amore per i ciliegi, e cominciavo a chiedermi se davvero fosse tanto assurda la relazione tra i nomi delle persone e il loro carattere… [Hikari vuol dire “luce”]

“Buonasera Hikari-san” le risposi con un piccolo inchino, sorridendole dolcemente, dopodiché mi tolsi le scarpe. L’ingresso di quel piccolo ambiente famigliare era come lo ricordavo, nulla era cambiato, apparte la sensazione che le cose si fossero rimpicciolite. Da piccola, la cassapanca di legno accanto alla parete, mi sembrava altissima.

Sei venuta per trovare Ken vero?”

“A dire il vero sì… è un po’ che non si fa vedere”

La sua espressione gioiosa era rapidamente cambiata. Hikari voleva un bene dell’anima a suo figlio e ogni qual volta lo vedeva giù, lo sapeva triste per qualche cosa o solo pensasse che Ken potesse essere nei guai, si rabbuiava e si spaventava da morire al pensiero di non poterlo aiutare in nessun modo; nonostante ciò però, la sua forza di volontà e la sua incredibile luce interiore, la spingevano a fare tutto il possibile per fargli tornare il sorriso sulle labbra, e anche se quello che faceva sarebbe forse servito a poco, lei si impegnava comunque a dare il massimo.

Oggi per esempio era tutta indaffarata nel preparargli il suo piatto preferito per cena, seguendo passo passo le istruzioni di un programma culinario alla TV.

“Allora sali, è in camera sua! Non ha voluto vedere alcuni suoi amici che sono venuti a trovarlo, ma a te non può dire di no!” mi rispose sorridendo come sempre.

Il rapporto di Hikari-san con Ken è sempre stato un qualcosa di particolare; troppo poco formale per essere definito rapporto madre-figlio, ma neanche troppo confidenziale come quello tra sorella e fratello. La verità è che dalla nascita del bambino, Hikari è stata costretta a rivestire il duplice ruolo di madre e quello di padre, e questo per una donna della sua età non dev’essere stato facile.

Per me è quasi un mito.

******

Salii le scale, calpestandone la soffice moquette verde, e mentre i miei sensi abbandonavano i profumi caldi e intensi della cucina percorsi quel corridoio luminoso che per tanti anni da piccola avevo percorso assieme a Kensuke, quando andavamo nella sua stanzetta a giocare a Doraemon; lui faceva Nobita, ed io, imitando la voce del gatto con la tasca in pancia (ero sempre munita del mio marsupio a quei tempi) tiravo fuori gli oggetti più strani che rubavo a casa mia e gli attribuivo un particolare potere,e da lì iniziavamo a immaginarci una quantità incredibile di avventure…

Una volta ricordo che, inconsapevole di cosa fosse, rubai dalla camera dei miei un preservativo e dopo averlo gonfiato gli attribuii il potere di funzionare come un pallone aerostatico, cosicché Ken alias Nobita si era ritrovato a girare per il paese tenendo in mano quello “strano palloncino” sotto lo sguardo meravigliato di tutta la gente del quartiere!

Ricordando questi piacevoli episodi sorrisi, quasi malinconicamente, dopodiché bussai alla sua porta.

“Ken, sono Sakura”

Come immaginavo non ottenni risposta, così continuai a bussare…

“Ken, dai, fammi entrare, voglio sapere almeno come stai…”

Silenzio.

“NOBITA! Apri questa porta, o ti tiro un chuski in testa!!!

E finalmente, dopo aver fatto un po’ la voce grossa, sentii il clack della serratura che si apriva.

Lo trovai vestito con una larga felpa azzurra degli Hornets e dei calzoncini corti blu, i capelli scompigliati, con il gel che si era seccato, e completamente scalzo.

Non mi scomposi più di tanto. Ero abituata a vederlo in quelle condizioni, e lui lo sapeva, difatti non si vergognò né si scusò di essersi presentato così.

Ciò che non ero abituata a vedere, e che mi fece molta paura, erano quei suoi occhi neri così spenti, così senza personalità; il vederlo camminare con quei passi lenti, e sentire la sua voce così debole, come se si sforzasse quasi di parlare… sembrava uno di quegli anziani malati negli ospedali.

Doraemon non bussava così forte… la stanza di Nobita aveva i fusuma. Mi disse con quella sua voce senza tono.

Mi sedetti sul suo letto, appoggiandomi con le spalle al muro, e poi mi strinsi le ginocchia al petto, proprio come quando ero piccola;

“Una volta la tua camera li aveva i fusuma.

Scrollò le spalle, e tornò a sistemare le sue action figures sullo scaffale. Stetti ad osservarlo un po’ in silenzio; continuava a cambiarle di posizione continuamente, come se non lo facesse per il semplice scopo di ordinarle, ma solo per passare il tempo.

“Come stai…?” Osai chiedere, timorosamente

“Bene”

“Ken, non mi sembra proprio…sembri un fantasma”

“Può essere…”

Era già stato un miracolo l’avermi fatta entrare in camera, forse pretendevo troppo a fargli scucire anche qualche parolina di più…; in fondo sapevo bene che cosa lo avesse gettato in questa situazione, non avevo bisogno di chiederglielo.

Ciò che mi preoccupava era che non trovavo il modo di consolarlo, di aiutarlo in qualche modo… non riuscivo a vederlo così giù.

Sin da piccolo, i suoi occhi non erano mai stati troppo allegri o luminosi… sembravano sempre tristi, apatici… anche se questa volta lo erano da fare impressione.

In poche situazioni, da quando abbiamo iniziato il liceo, li ho visti brillare, bruciare ardentemente attraverso quelle sue iridi nere così profonde e limpide, tanto da farlo apparire un’altra persona:

quando parlavamo assieme rivangando tra i ricordi, e quando giocava a basket, o semplicemente ne parlava.

Quello sport, da quando si era iscritto al club di pallacanestro al primo anno, era diventato la sua vita… giorno dopo giorno la passione per la palla a spicchi, la competizione, il rumore delle scarpette sul parquet, il frusciare morbido della retina dopo ogni tiro a segno… tutto quanto ha iniziato a crescere dentro di lui sempre di più, fino quasi a prendere completamente possesso del suo corpo.

Due anni fa, frequentavamo entrambi il primo liceo, la squadra di basket della scuola si era riuscita a qualificare per le finali nazionali, cosa che non era mai accaduta prima…; Ken era uno dei talenti della squadra, una matricola che però alcuni credevano addirittura superiore al capitano; dopo la prima partita in quel di Hiroshima, dove i nazionali si disputano ogni anno, ricordo che mi telefonò non appena la sirena sancì la fine della gara, per informarmi della vittoria della squadra grazie ad un suo canestro sul fil di sirena, quello che viene detto un “buzzer beater

Non dimenticherò mai la sua voce, che veniva rotta di tanto in tanto dall’ansimare per la fatica e che quasi pareva urlasse per la gioia che gli esplodeva in corpo…

Sakuchan, ce l’abbiamo fatta! Abbiamo vinto con un mio canestro decisivo!!!

“Complimenti Ken, sapevo che non mi avresti deluso!” riuscii a dire quasi con le lacrime agli occhi… sapevo quanto era importante per lui, lo avevo visto faticare in palestra e sacrificarsi tanto durante l’anno…e poi seguivo quasi tutte le partite del club, ero una loro tifosa.

“Se arriviamo in finale ti pago il biglietto e ci vieni a vedere!”

Ok!” dissi ridendo.

La partita seguente però persero, contro la finalista dell’anno precedente.

Pensavo che al suo ritorno Ken sarebbe stato terribilmente triste e deluso, invece lo ritrovai pieno di voglia di riprovarci l’anno successivo, e di convinzione di riuscire a portare il titolo nazionale qui nel nostro paese.

Dove sono finiti tutti quei poster che avevi?” Chiesi, notando che le mura erano stranamente spoglie…

“Li ho tolti, tutto qui.”

“Non mi sembra che cercare di dimenticarlo riesca a farti stare meglio…”

Uff…ha qualche consiglio migliore dottoressa?” rispose gelido.

Mi alzai e, andando verso di lui, lo presi per i polsi guardandolo negli occhi…

“E’ dentro di te ormai. Hai vissuto la tua vita recente, e immaginato quella futura in sua funzione. Non riuscirai mai a cancellarlo Ken.”

E allora? Ormai lo sai che non posso più fare niente! Oramai è finito tutto.” E con uno scatto un po’ brusco si liberò dalla mia presa. Continuai a seguirlo con gli occhi, fin verso il letto, dove si era gettato pesantemente, cercando qualche soluzione alternativa;

“Perché…perché non ti proponi come manager del club?” proposi, sicura tuttavia del suo netto rifiuto

Tsk… manager del club…”

E perché no! Dopotutto il manager è fondamentale! Forse non lo sai, ma anche ai manager danno il piatto commemorativo della vittoria dei campionati nazionali!”

“Non lo so, e non mi interessa…” rispose acido, tanto che io ci rimasi un po’ male… devo sicuramente averlo dato molto a vedere, perché improvvisamente il suo volto fino ad allora inespressivo, si contrasse in una smorfia di mortificazione…

“Scusami… so che lo dici perché non vuoi vedermi così… perché mi vuoi bene… ma è inutile. Tutto ciò che la gente mi dice, mia madre, i compagni, tutti… tutto quanto mi scorre addosso senza lasciare il segno, tutte quelle belle parole di conforto mi sembrano così utopistiche e inutili… che cosa ne sanno gli altri di quello che provo io…”

“Io lo so cosa provi Ken… io ti conosco meglio di chiunque altro…”

“Non puoi saperlo. Non hai mai passato un dolore uguale. Forse ti sarà capitato qualcosa di simile, o anche di più doloroso… ma non uguale. Mia madre ha cercato di tirarmi su, ponendomi gli esempi di tanti a cui era successa la stessa cosa, ma ne erano usciti più che bene…”

E tu?”

“Io non sono gli altri, ognuno reagisce a stimoli uguali in modo diverso, perché ognuno di noi è diverso! Se avvicino un fiammifero accanto a un mucchio di paglia, questo prende fuoco, ma se lo metto in un bicchiere d’acqua si spegne...”

“Mi sembra elementare…” feci perplessa.

“Già. Lo è. Eppure pare che nessuno lo capisca. E tutti chiedono alla paglia di reagire come l’acqua…”

Aprì il cassetto del comodino accanto al letto per estrarre il suo Game Boy, e lo accese iniziando a giocare.

Io, che mi ero seduta a cavalcioni su di una sedia, iniziavo a capire il significato delle sue parole.

Finora tutti gli erano venuti a dire che cosa avrebbe dovuto fare, come si sarebbe dovuto comportare, di dimenticare ciò che aveva amato seppur da poco tempo, ma intensissimamente…; nessuno mettendosi mai nei suoi panni, ognuno prendendo a ideale di comportamento un “uomo immaginario” che agisce sempre con la razionalità, sempre nel modo giusto, un uomo senza debolezze e pieno di virtù. Uno che di fronte anche ai più grandi problemi sa sempre mantenere il suo autocontrollo e la sua forma abituale. Un uomo che di fronte a un fiammifero, sa comportarsi come l’acqua.

Forse, anche io ho peccato di presunzione, convinta di conoscerlo a fondo.

E’ vero, non potevo sapere come si sentisse. Ma avrei fatto comunque qualunque cosa per aiutarlo! Non sono una psicologa, non mi serve capire le turbe psichiche dei miei pazienti; sono un’amica, la migliore amica di Kensuke, e gli voglio essere accanto ogni volta che ne avrà bisogno.

Non perché devo, ma perché lo voglio.

Ebbi un’illuminazione. O forse ero andata da lui, con in testa già l’intenzione di prendere questa decisione.

Aprii la porta, poi con entrambe le mie braccia presi il suo e lo alzai dal letto, trascinandolo fin fuori dalla stanza!

“Ma che cavolo fai!!! Non ho voglia di uscire!”

Vieni con me, devo portarti da una parte!”

“No! Dove vuoi portarmi?”

“Andiamo alla stazione” gli risposi sorridendo

“Sakura, piantala” rispose lui duro “ti ho detto che non ho voglia…”

“Ken, non ti fidi di me?”

“Non è questo…”

“Ti ricordi quando io ero nei casini? Tu mi hai sempre aiutato, nonostante non ti avessi chiesto nulla; a volte nemmeno sapevo che eri a conoscenza dei miei problemi, eppure di colpo ecco una tua telefonata, una tua lettera… e portavi sempre in me un raggio di sole, un raggio caldo e luminoso. E’ vero, non capisco appieno cosa provi… ma so per certo che in momenti freddi e bui come questi, quel raggio donato dal tuo migliore amico è il regalo più grande del mondo.

Dalla cucina arrivavano gli odori del riso bollito e delle spezie, mescolandosi piacevolmente a quelli della moquette appena lavata. La signora Hikari imprecava verso il televisore urlando frasi del tipo “Come pensi che possa avere a portata di mano delle noci e dei datteri in primavera?? Aaaah…maledette repliche!” mentre fuori dall’ampia finestra in fondo al corridoio, un vento allegro si era alzato, portando con sé quel tesoro di petali rosati che tanto amavo.

Sentivo il suo cuore battere, mentre mi abbracciava stretta.

* * * * *

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, e se vi piace come è scritta, grazie ^^ Ah, cmq continua...

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Capitolo 2

Il treno sfrecciava imponente e veloce tra le verdi, morbide colline di questa regione.
Ci sarebbero voluti ancora quindici minuti circa prima di giungere a destinazione, e Ken per un'ora, praticamente da quando eravamo partiti, non aveva proferito parola.
Un pò stanca chinai il capo appoggiandolo al poggiatesta del sedile, e guardai fuori dal finestrino semichiuso...; il vento che entrava rabbioso mi agitava i capelli solleticandomi la fronte, costringendomi a legarli dietro la nuca con un elastico, mentre attraversavamo un altro piccolo paesino, simile al mio...;
Tutto quanto fuori, scorreva velocemente di fronte ai nostri occhi, ed i colori degli alberi, delle siepi e delle casette lontante, che si muovevano più lentamente, si sfumavano sulla retina lasciando l'impressione che si mescolassero tra di loro, distruggendo la materialità... riducendola ad un semplice gioco di luci e riflessi;
come in un quadro espressionista, che riempiva il cuore.
Improvvisamente, quasi fosse nascosto dalle imponenti querce e le rada fauna che costeggiava la ferrovia, un mare azzurro, calmo e cristallino si aprì orgoglioso di fronte ai miei occhi.
Faccio questo tragitto molto spesso, ma ogni volta è come se rivivessi le emozioni della prima volta che, affacciata al finestrino di questo stesso treno, lui mi abbracciava e mi indicava il mare, promettendomi che presto ci saremmo andati assieme.
A quest'ora la spiaggia era quasi vuota, e tutto sembrava così vivo...; la superficie lievemente increspata dal fresco vento primaverile risplendeva di luccichii argentati, ed il tutto in lontananza si tingeva di mille sfumature di blu, azzurro, verde acqua...; la sensazione di calma che ne ricavavo mi faceva sembrare che il treno rallentasse, quasi per gustarsi anch'esso quello splendido panorama, per non perderne neppure un prezioso fotogramma; se non fosso per il duro, ferroso rumore delle rotaie e delle carrozze, mi sarebbe parso di star galleggiando;
era tutto, come quella prima volta che vidi il mare assieme a lui.

Attraverso il riflesso del vetro, cercai di scorgere la figura di Ken, che con le braccia incrociate, quasi sprofondato nel sedile, guardava anch'esso fuori dal finestrino;
tuttavia non ne sembrava affatto colpito... i gabbiani che sorvolavano danzando quella grande distesa azzurra, le vele colorate e le barche dei pescatori in lontananza, le piccole nuvole soffiate dal vento scivolavano morbidamente sui suoi occhi vitrei e spenti, senza lasciare il minimo segno, senza riuscire a trasmettergli quella voglia di continuare a vivere, di continuare a sognare che oggi, forse un pò pretenziosamente, avrei voluto donargli io.
Guardai la sua immagine riflessa sul vetro, e venni riportata indietro dai miei pensieri sino allo scorso autunno.

* * * * * *

Faceva molto, molto freddo.
Sembrava quasi che l'inverno a Hiroshima fosse giunto con qualche settimana di anticipo, e se di mattina il tepore del sole era di qualche conforto, la sera si gelava.
Ma non quella sera; quella sera, all'interno del Palazzetto l'atmosfera era caldissima, tesa, ma entusiasmante. La nostra scuola si giocava l'accesso alla finale del campionato nazionale affrontando l'istituto tecnico Aida, una delle squadre favorite, e alla fine della prima frazione di gioco ci trovavamo in vantaggio di 13 punti, con una prestazione magnifica di Kensuke.

Molte cose erano cambiate in lui dopo l'ultimo campionato nazionale.
Le splendide partite giocate l'anno prima in quel di Hiroshima, catapultarono l'attenzione sulla nostra squadra e specialmente su di lui, una matricola che giocava meglio del proprio capitano, che aveva leadership e carisma da vendere in campo, e che soprattutto aveva ancora ampi margini di miglioramento.
Incominciarono ad interessarsi a lui già numerose università, si parlava anche di nazionale juniores, di nuovo talento del basket nipponico...; lui ne era estremamente felice, ma da una parte incominciava a sentire su di sé una pressione sempre più forte... ; tutte le aspettative del nostro piccolo paese ora, che non aveva altre scuole oltre l'Adachi e che non era mai contanto un granché a livello nazionale, erano concentrate su di lui.
Il giornale locale scriveva spesso articoli sul club, ed aveva perfino mandato a Hiroshima un inviato speciale (cosa mai successa prima) per seguire il cammino della squadra e del suo asso; gli anziani lo salutavano incoraggiandolo spesso, chiedendo di far onore a questo piccolo paese, mentre i ragazzini lo ammiravavano, tentando poi di emularne le gesta nei pochi playground all'aperto.
Ken si ritrovò con quel carico di aspettative da dover soddisfare, che quasi si dimenticò la sola ragione per la quale ogni santo giorno da quando aveva iniziato, stava ore e ore solo lui, l'asfalto, un pallone e un cerchio metallico, a provare tiri da ogni posizione.

Questo carico iniziò a pesargli, e spesso veniva da me a parlarmi di quanto lo spaventasse adesso affrontare di nuovo il campionato nazionale.
Se avesse fallito anche quest'anno gli sarebbe rimasta un'ultima sola possibilità, e poi avrebbe sentito dentro che non sarebbe stato solo lui a uscirne sconfitto, o solo il club di basket...; tutto il paese avrebbe perso un sogno.

"Ma non è il loro sogno Ken! Loro stanno cavalcando un sogno che non gli appartiene, perchè forse non ne hanno più! Questo sogno è solo tuo, e non devi renderne conto a nessuno, sia che tu riesca a realizzarlo, sia che non ci riesca."
"Sì è vero... è il mio sogno, il mio sogno più grande. Sapevo che avrei fatto bene a parlartene... gli altri mi avrebbero preso in giro, o non mi avrebbero capito.."
"Ed io ti capisco...?"
"Mmm... abbastanza!" rispose sorridendo fissando per un attimo il soffitto, per non darmi troppa soddisfazione; "ora qui mi vedono come il salvatore della patria... ma io devo solo giocare a basket, perché è la cosa che amo fare! Mentre tu... tu mi vedi sempre e solo come Kensuke, come il tuo amico d'infanzia Kensuke."
"E non va bene?"
"No, tutt'altro! Quando sono con te, quando ti vedo... dimentico tutto, tutti i problemi grandi e piccoli che ho...; ogni volta faccio una sorta di salto indietro, e questo ritorno all'infanzia, anche se può sembrare un pò patetico, mi fa tornare ad apprezzare i veri valori della vita! Mi fa ricordare chi sono veramente, che cosa amo e cosa voglio..."
"Allora per te io sono un pò come sono i petali di ciliegio per me?" gli risposi ridendo, e lui rise allegramente, certo che l'avessi capito.
"Bene, adesso devo andare... domani ci sono gli ultimi allenamenti prima della partenza!"
"Mi raccomando, metticela tutta!" gli dissi porgendogli il palmo della mano, per farmi dare il cinque!
"Puoi contarci!" e sorridendo accontentò la mia richiesta, con una energica manata, fin quando la porta della mia camera non si chiuse alle sue spalle

"Sei il mio petalo di ciliegio più prezioso..." pensai, mentre dalla finestra della mia camera, lo vedevo allontanarsi.

* * * * * *

"Stazione di Otomo! Stazione di Otomo!"

Finalmente arrivammo a destinazione.
Otomo è un paesino piccolo e rurale, simile al nostro. La gente è molto accogliente, e sempre nei mesi caldi si respira un'atmosfera di profondo contatto con la natura.
Sapeva dove stavamo andando, ma non sapeva il perchè.
Camminammo per qualche minuto lungo la strada principale, finchè attraverso stradine secondarie non giungemmo ai margini di un vastissimo campo di grano, tagliato in due da un sentiero ben delineato.
Le spighe ondeggiavano bionde al vento, pronte per la prossima mietitura, mentre ora si limitavano a creare un bellissimo quadro dalle tonalità calde e intense solleticando i petali dei papaveri, così intensamente rossi da sembrare infuocati.
L'ombra di una grande, vecchia quercia, pareva indicarci la via.
Questa bella visione, il ronzio quasi melodico degli insetti unito al frinire delle cicale, e quel buonissimo odore di erba appena tagliata dai prati alle nostre spalle, facevano sembrar quasi che la natura di quel posto si fosse organizzata per accoglierci nel migliore dei modi.

"E' lì Shinobu?" mi chiese Ken, indicando una piccola casa in fondo al sentiero tra le spighe;
"Sì, il mio ragazzo abita lì." risposi fissando l'edificio, che si trovava più in basso di dove eravamo noi, e che ancora ci appariva piccolo; "non è bellissimo questo posto? Sembra quasi il nostro paese.."
"Già... è davvero bello." disse guardandosi attorno per avere una panoramica completa dell'ambiente, prima di incamminarci lungo il sentiero.

Le spighe ci solleticavano le caviglie nude, e mentre l'aria si andava rinfrescando per il lento sopraggiungere della prima sera, le nostre ombre si proiettavano lunghe dinanzi a noi, quasi avessero voglia di staccarsi dai nostri piedi e raggiungere il prima possibile casa di Shin.
Non fu possibile e si dovettero accontentare di aspettare i nostri passi regolari, che ci avevano finalmente portato di fronte il cancelletto dell'abitazione del mio ragazzo.
Lanciai un'occhiata a Ken, che si era appoggiato alla ringhiera di recinzione e guardava il sentiero dal quale eravamo venuti, e suonai il citofono: due suoni brevi e uno lungo, era così che mi riconosceva.
Sentimmo il cancello scattare ed entrammo, Ken un pò titubante. Chissà se sarebbe riuscito a capire perchè l'ho voluto portare qui, a conoscere una persona che non aveva mai visto, ma di cui gli avevo tanto parlato.

Prima che potessimo salire i pochi gradini che portavano all'ampia terrazza dove c'era la porta d'ingresso, questa si aprì e Shinobu ci venne incontro, accogliendoci calorosamente!

"Sakura, ciao! Non mi aspettavo che oggi venissi!" mi disse stringendomi per le mani, poi mi baciò le labbra.
Le labbra rosee e fine risaltavano bene sulla sua pelle chiara, ma ancor di più lo facevano gli occhi, grandi e neri, che sempre brillavano di energia; oggi teneva i suoi lunghi capelli legati dietro la testa, ed ogni volta che lo faceva gli dicevo che assomigliava a un samurai, per prenderlo un pò in giro.
"Mmm...davvero non te l'aspettavi?" chiesi sorridendo
"No, però lo speravo" mi rispose dolcemente carezzandomi la testa. Il carezzare la testa è proprio un suo vizio! Ricordo che le prime volte che uscivamo dopo che ci eravamo messi assieme, quando me lo faceva mi dava davvero fastidio, mi faceva sentire un cane! Specie poi quando eravamo davanti altre persone.
Tuttavia ho capito che è un suo modo per dimostrarmi il suo affetto, e tuttora il pensare ad ognuna di questa sue carezze mi fa battere il cuore.

"Tu devi essere Kensuke, l'amico di Sakura!" fece poi Shin rivolgendosi al ragazzo che, fino ad allora, era rimasto in silenzio alcuni passi indietro.
"Sì, molto piacere.." stringendogli la mano
"Mettetevi pure seduti attorno al tavolino, io vado a prendere qualcosa da bere!" disse Shinobu indicandoci le sedie sulla terrazza, e rientrando poi in casa a prendere le bevande

"Vuoi startene zitto tutto il tempo?" cercai di scuotere un pò Ken mentre ci accomodavamo a posto
"Perchè mi hai portato qui? Non capisco!"
"Non ti piace come posto?" chiesi simulando una ingenuità che colse, infatti scosse il capo rassegnato, e sospirò
"Sìsì... bel posto. Speriamo solo che Shinobu porti qualche bibita alcolica, così smetto per un pò di stare giù"
"Aaaah, che bel sistema!" risi io, contenta comunque che Ken avesse iniziato a smettere col suo sciopero della parola
"Ti sei scelta un bel ragazzo comunque... complimenti. E' più carino che in foto."
"Grazie!" risposi, sorridendo al suo sorriso. Le sue parole erano sincere. In quel momento Shinobu tornò con un vassoio, con sopra 3 bicchieri di vetro e 2 caraffe di tea...; procedeva verso di noi con passo incerto e tremolante, come se da un momento all'altro dovesse far cadere tutto! Il tenere degli oggetti in equilibrio su un vassoio non era certo il suo forte! Una volta, eravamo a mangiare al Mc Donald's, rovesciò in terra il vassoio colmo che stava portando e divenne rosso d'imbarazzo!
In realtà fu un bambino troppo agitato che, nel rincorrere un suo amico, gli diede un colpo accidentale al fianco rovinando un equilibrio già piuttosto precario...ma non se la sentì di incolpare un ragazzino, e per di più quando arrivò l'addetto alle pulizie con lo straccio per pulire in terra, Shinobu glielo sfilò letteralmente dalle mani e pulì per conto suo quel lago di coca-cola ai suoi piedi, tra gli sguardi divertiti e incuriositi dei presenti!

"Aspetta, che ti do una mano..." disse Ken, alzandosi e alleggerendo il carico di Shin, poggiando le due pesanti caraffe sul tavolino.
"Grazie mille! Purtroppo sono un impiastro, da piccolo non so quanti bicchieri ho rotto a mia madre!" rise Shin
"Santa donna..." aggiunsi io, ridendo con lui
"Immagino tu abbia maggiore equilibrio di me, vero Ken?"
"Ora come ora non ne sarei così sicuro..." replicò tristemente
"Sai, Sakura mi ha detto di quello che è successo... intendo col basket. Sapevo che eri giù, ma non credevo fino a questo punto..."
"Lo so, scusami..." sembrava amareggiato, e ci mise un pò a rispondere "...a dire il vero ora mi piacerebbe essere allegro come te!" quelle parole mormorate tra i denti sembravano quasi più un desiderio che una constatazione.
"Ah, beh, se sembro così felice è perchè ho così tante speranze e progetti in testa che, per tenerli a bada e coltivarli uno per uno, non ho tempo per rattristarmi! Vero Saku-chan?"
"Sì" gli risposi guardandolo in quei suoi occhi splendenti, pieni di voglia di vivere. "E se non mantieni le promesse che mi hai fatto, te la faccio pagare!"
Rise, nonostante col mio pugno chiuso fingessi di minacciare di colpirlo.
"Cosa le hai promesso?" Chiese Ken sorridendo. Se fino a pochi minuti fa cercava di estraniarsi da tutto e tutti, adesso, anche perchè portandolo qui quasi ce lo avevo costretto, pareva riscoprire inconsciamente il fatto che non poteva fare a meno del calore umano.
"Oh beh... per prima cosa che quest'estate saremmo andati almeno un paio di giorni a Disney World! A lei piace tantissimo, anche se a dire il vero a me non è che piaccia più di tanto... ma lo sai meglio di me, sta qui è una testa dura, e se si mette una cosa in testa! Ahahah!"
"Sì..." annuì con gli occhi chiusi, imitando certe persone un pò snob Kensuke "...certe volte è davvero proprio una testona!" u_u
"Come osate voi due???" esclamai divertita
"Ok ok scherzavamo!!! E poi... poi le ho promesso che saremmo andati a vedere un concerto dei Jude and Mary... ma quelli piacciono sopratutto a me!"continuò ridendo
"Ah capisco... se non sbaglio il concerto c'è tra un paio di mesi..."
"Già, è l'ultima data del tour."
"Ti abbiamo disturbato Shinchan?" gli chiesi, dopo che fummo restati alcuni istanti in silenzio sorseggiando il the.
"Ma scherzi?" rispose lui sincero "stavo studiando economia politica e mi stavo quasi addormentando... però il prossimo mese ho l'esame... mi manca poco e mi laureo..."
"Wow davvero?" fece sinceramente entusiasta Ken. Per noi che ancora dovevamo terminare gli studi superiori, l'università appariva già come un ostacolo insormontabile, e trovarsi di fronte un ragazzo come noi al quale mancavano pochi esami per laurearsi ci pareva incredibile
"E già..." rispose Shin guardando verso la lontana ferrovia.
Il nostro treno stava tornando da dove eravamo venuti.
"Sapete... una volta, quando ero piccolo, di qui passava un solo treno, ed era molto meno frequente di questo... passava quasi ogni due ore..;
era un treno vecchio, lento e malridotto, ma a me piaceva tantissimo." iniziò a raccontare Shinobu, mentre noi lo ascoltavamo in silenzio
"Come mai ti piaceva così tanto?" gli chiesi. Non avevo mai sentito di questa storia, e mi incuriosiva, anche il fatto che la stesse raccontando proprio adesso.
"Il motivo per il quale mi piaceva così tanto era stupido, ma per un bambino niente è stupido, banale... tutto quanto è magico, tutto è una scoperta, un volo di fantasia. Sul primo vagone di quel treno, sotto i finestrini dove c'era il conducente, c'era un grande disegno fatto con le bombolette di Atom, nella sua tipica posizione di volo.
Non sò cosa mi dicesse la testa, ma pensavo che se avessi preso quel treno mi avrebbe portato da lui, nel suo mondo... beh, è una cosa curiosa no?" concluse sorridendoci, anche se fino a quel momento era stato particolarmente serio...
"Ma io ero convinto del fatto che prendere quel treno mi avrebbe portato da Atom, ed ero intenzionato a fare di tutto per prenderlo.
Tutti i giorni mi davo da fare in casa, aiutavo il nonno nei campi e cose del genere per cercare di rimediare qualche yen per fare il biglietto, ma ci volle un bel pò di tempo prima di riuscire ad accumulare la somma necessaria per percorrere l'intera tratta.
I soldi che raccimolavo li mettevo dentro un piccolo barattolo di vetro, che poi sotterravo sotto la grande quercia che c'è alla fine del sentiero.
Era infatti proprio lì che andavo ogni sera, correndo lungo il campo di grano, per vedere quel vecchio treno partire verso il mio sogno, con gli occhi che brillavano dalla speranza di poterlo prendere, e dalla consapevolezza di stare facendo il possibile per riuscirci."

"E riuscisti ad accumulare la somma necessaria?" intervenne Ken

"Sì, ci riuscii... o meglio mi mancavano ancora pochi yen, ma il grosso del biglietto era già in mano mia...; quando una sera fummo svegliati dai lamenti del nonno, che si sentiva male. Il dottore venne immediatamente, e ci disse che il malanno di mio nonno era piuttosto particolare e per le cure sarebbero serviti dei nuovi medicinali provenienti dalla lontana america, che costavano tantissimo.
Adesso siamo una famiglia normale, ma prima eravamo dei semplici coltivatori, apparte mio padre che faceva l'insegnante, ma non avevamo abbastanza soldi, ed egli ne era molto preoccupato.
Intorno al letto del nonno, che dormiva per la puntura fattagli dal dottore, ma che si vedeva stava soffrendo terribilmente, mio padre era seduto sui talloni, col le mani nei capelli, mentre la mamma piangeva.
Tutto taceva, pochi rumori strappavano il silenzio che regnava nella penombra di quella stanza, pochi rumori che però a me, che ero seduto in terra vicino la testa del nonno, facevano malissimo...il suo respiro affannato, contratto...i singhiozzi tristi di mia madre...; non avevo mai provato una sensazione simile, tutto mi stava opprimendo, mi schiacciava... volevo piangere, ma cercai di imitare il papà e mantenere un un contegno onorevole...ma era troppo per me...;
sentivo che se il destino era avverso, avrei dovuto fare il possibile per aggiustare le cose, anche se ero solo un bambino.
Non ce la feci a sopportare quella scena ed uscii di corsa dalla camera, percorrendo a gran velocità la distesa di spighe, nonostante fosse buio pesto. Inciampai più e più volte, ma ogni qual volta mi rialzavo correvo più veloce di prima, nella mia corsa rabbiosa, triste... le lacrime mi rigavano il volto, e per la fatica ed i singhiozzi non riuscivo quasi a respirare.
Intorno a me tutto era buio, solo delle fievoli luci in lontananza delle varie piccole abitazioni non riuscivano a farmi trovare la grande quercia.
Mi raggomitolai al suolo, piangendo.
Tutta la rabbia e il fuoco che fino a poco prima mi bruciava dentro, e che mi aveva fatto scattare verso il campo di grano, pareva essersi spento, dissolto improvvisamente... sentivo ora un gran freddo, che mi gelava le ossa;
mi sentii perso...solo... sconfitto...

quando improvvisamente, sentii un rumore lontano.

Era un rumore così famigliare, così a me caro che smisi subito di piangere, ed il cuore mi si riempì di speranza.
Mi alzai in piedi, e benchè fosse buio pesto mi voltai con sicurezza verso la ferrovia, ora sapevo dov'era.
La luce che riempiva l'interno del treno, aveva illuminato la grande quercia, che ora mi appariva chiaramente.
Atom, era venuto a salvarmi."

"Caspita..." fece Ken toccato, mentre io, che conoscevo Shinobu, mi sentivo il cuore stringere... " e con i soldi del biglietto sei riuscito a comprare i medicinali per tuo nonno?"
"Assolutamente no!" replicò Shin ridendo. "Era una somma troppo esigua quella che avevo! Ma quando il dottore mi vide ritornare in casa col mio barattolo, le unghie rotte, le mani e le ginocchia lerce di terra, ed il viso bagnato di lacrime, si intenerì così tanto che fece un prestito a mio padre, col quale avrebbe potuto assicurare medicinali al nonno fino alla guarigione!"

"Che bella cosa... ma poi, non sei più riuscito a prendere quel treno?"
"No, ma per me è rimasto sempre un sogno. Di notte, quando ero nel mio letto, non mi addormentavo sinchè non sentivo i suoi due lunghi fischi; mi piaceva credere che fosse Atom che mi dava la buonanotte, che mi salutava.
Ogni qual volta pensavo al fatto che mi mancasse pochissimo per poterlo raggiungere, mi intristivo tantissimo.
Ma bastava affacciarmi alla finestra, e chiamare il nonno, che curvo sui campi era tornato in salute.
Lui si alzava, e voltandosi verso di me mi salutava sventolando il suo cappello di paglia, sorridendomi con dolcezza.
Il poter scendere le scale a perdifiato per saltargli al collo, abbracciarlo e baciarlo, tutto questo era più importante di Atom."

Non riuscii a parlare, e tutti rimanemmo in silenzio per un pò. Solo dopo alcuni istanti Ken, prese la parola.

"Io... non l'ho più il mio sogno. E niente, potrà riportarmelo."

* * * * * *

"AAAAAAAAAARGHHHH!!!!"

Il Palazzetto, che fino a quel momento era stato una festa di colori, di rumori, di canti e urla di incitamento, venne ammutolito dallo straziante grido che aveva gelato tutti i presenti.
Sul campo, un giocatore dell'Adachi si rotolava a terra, entrambe le mani portate in basso, a sorreggersi il ginocchio.
Hikari-san era accanto a me. D'istinto mi prese la mano nella sua, stringendomela forte.
Lei che fino a quel momento era stata una fan scatenata, ora era quasi impallidita, tremava... non c'era bisogno di guardare chi fosse a terra, avevamo riconosciuto subito quella voce, quell'urlo di dolore che mi strozzava il cuore.
Anche se sapevo fosse inutile, mi sporsi un pò dalla ringhiera, sperando che lì a rotolarsi in terra non ci fosse lui, che fosse qualcun'altro.

La notte la passammo tra pronto soccorso e ospedale.
Attraverso la vetrata del pronto soccorso vedevo i dottori parlare con Hikari-san, che stringeva la mano del figlio, muto, scuro in volto... depresso, arrabbiato...;
"Sono saltati i legamenti del ginocchio. Non può più giocare a basket." mi disse tra lacrime.
"Alla fine abbiamo pure perso..." aggiunse Ken, su una sedia a rotelle, sorridendo amaramente.

Non vedemmo più un suo sorriso per tanto, tanto tempo.

* * * * * *

"Sognavi di diventare un giocatore professionista?" gli chiese Shinobu seriamente
"Sì...cioè..no... non era il professionismo che mi interessava...; sin da quando ho toccato per la prima volta un pallone da basket, la prima volta che un pò goffamente sono riuscito a tirarlo dentro quel cerchio arancione che sempre mi era sembrato lontanissimo, quasi irraggiungibile... ho sentito dentro di me una gioia tale, una passione così grande nascere improvvisamente, forte come un'esplosione, che quasi era ormai diventata la mia sola forza motrice...;
Era come il tuo sogno.
Ed io, giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, tiro dopo tiro... cercavo di...di migliorare sempre di più, per pura passione, puro amore verso questo sport.
L'ambizione al professionismo, al titolo nazionale... sono solo stati semplici "effetti" causati dalla passione che ci mettevo e da un talento particolare che per fortuna avevo scoperto...; ma quando mi hanno detto che non avrei potuto più giocare..."

"Ti è crollato il mondo addosso.."

"Sì... ma la cosa peggiore non era il fatto che non avevo la forza per reagire... mi mancava, anzi mi manca, la "voglia" di reagire... a che scopo dovrei rialzarmi dopo essere caduto? Che cosa dovrei cercare sotto la grande quercia, tanto ardentemente da rompermi le unghie e sporcarmi di terra? Non ho più niente da cercare, niente che mi riscuota da questo torpore.
La mia forza motrice si è esaurita da un bel pezzo ormai."

La sera era scesa ormai completamente, e tra poco avremmo dovuto far ritorno a casa.
Shin premette l'interruttore dietro la persiana e l'ampio balcone si illuminò;
Tutt'intorno era un frinire di cicale, e le rane gracidavano lontane. Ogni tanto l'incedere veloce del treno accompagnava tamburosamente la natura nel suo concerto.
Ken si era aperto con quel ragazzo che aveva conosciuto solo da poche ore, perchè aveva sentito che poteva fidarsi di lui... che raccontargli di come una cosa apparentemente poco seria come giocare a basket, era per lui la cosa più importante di tutte, con la certezza che questi non avrebbe riso di lui, ma anzi lo avrebbe capito in pieno.

"Io...non so cosa dirti. Comprendo tutta la tua rabbia e il tuo senso di angoscia, di disfatta... credimi, lo capisco davvero. Ma non posso credere che un ragazzo di 17, 18 anni, non abbia né la forza, né altri sogni...né nessun altra cosa per cui vale la pena rialzarsi da terra."
riprese Shinobu dopo essere tornato al tavolo

"Eppure è così...; forse, un giorno, passerà..."

"Perchè non provi... che so... a ritornare nella squadra come manager?" gli sorrise Shinobu; Ken, che questo discorso l'aveva già sentito, sprofondò nella sedia, e mi lanciò un'occhiata, alla quale risposi sorridendogli, facendo cenno di sì col capo.

"Non mi interessa..., non mi interessa più." rispose svuotato, una voce priva di tono e di qualunque sentimento.
"Ma dai! Forse non lo sai, ma anche ai manager danno il piatto commemorativo per la vittoria ai Campionati Nazionali!" lo incalzò il mio ragazzo.
Ken lasciò cadere la testa all'indietro e sospirò profondamente, poi si tirò su, guardandoci entrambi rapidamente.
Stava sorridendo.

"Lo so, lo so... oh, ma siete proprio uguali voi due!!!" e scoppiò in una grossa risata, alla quale ci unimmo anche noi.

Ci scambiammo le ultime parole con Shin, poi dovemmo salutarlo.
Lungo il sentiero nel campo di grano, Ken mi precedeva, come quando da piccoli ci avventuravamo in qualche posto sconosciuto.

Fu così bello tornare a vederlo sorridere, che per pochi istanti, per pochi piccoli istanti, le ombre che stagnavano in me parvero dissiparsi.

fine cap 2

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Capitolo 3
*** Epilogo ***


EPILOGO

"Vivi ogni tuo singolo giorno, come se fosse l'ultimo."

Circa una settimana dopo quel nostro incontro,
Shinobu morì.

La malattia cardiaca che lo aveva colpito e che per mesi lo aveva costretto a prendere ogni tipo di medicinale, ed a recarsi almeno due volte al mese in ospedale, decise che era oramai arrivato il tempo di porre fine alle sue sofferenze nella maniera più crudele e triste.

Nel paradiso di quel pomeriggio primaverile Shin sapeva tutto.
Sapeva che oramai gli restavano pochi giorni, poche settimane... eppure non smetteva di sognare, di guardare avanti...di immaginare un suo futuro senza di quella dannata malattia che l'ha portato via ai suoi genitori, ai suoi amici; che me lo ha portato via per sempre.
Ed anche io lo sapevo.
Quando ci mettemmo insieme ci giurammo che ci saremmo raccontati tutto l'uno dell'altra, o per lo meno tutte quelle cose che, direttamente o indirettamente, avrebbero potuto riguardare entrambi, e naturalmente questa sua malattia rientrava di diritto in questo genere di confidenze.
Scelse di dirmelo dopo un pranzo a casa sua, assieme ai suoi genitori.
Mi stava riaccompagnando al treno quando, sotto la grande quercia, io che gli camminavo davanti mi sentii afferrare una mano.
Mi girai sorridente, ma un pò scocciata perchè non avrei potuto perdere il treno, ma subito capii che c'era qualcosa che non andava...; lui mi teneva la mano forte, ma le sue dita tremavano, il suo braccio tremava... il capo era chino sul petto, ed ogni qual volta cercava di alzarlo per guardarmi in faccia e parlarmi, subito lo rigettava in basso, come se si rendesse conto che ciò che stava per dire era una cosa così grande, così maledettamente grande per due semplici ragazzi come noi, noi che non avevamo mai fatto nulla di male, che il solo pronunciare quelle frasi avrebbe avuto una forza dirompente tale da spaccare la terra, da far tremare tutto... da allontanarmi da lui.
Mille pensieri mi passarono in testa in quel momento prima della rivelazione...;
Pensai che mi avesse tradita, ed allora di certo, nonostante quanto lo amassi, o forse proprio per questo, non gliel'avrei perdonata facilmente; oppure che avesse deciso di abbandonare l'università nonostante gli mancasse pochissimo, o non so quali altre assurde fantasticherie immaginai...;
Immaginai tutto, ma non quello che di lì a poco, mi avrebbe confessato.

Rimasi immobile a guardarlo; tutto il silenzio attorno a noi era così opprimente, così fastidioso che avrei voluto urlare, urlare più forte che potevo, come se avrebbe potuto cambiare qualcosa.
Lui continuava a stringere la mia mano con entrambe le sue, cercava conforto in me, ma di fronte una simile cosa io mi sentivo così piccola e impotente, così inutile che egoisticamente avrei voluto che fosse lui a consolare me, per quella notizia shockante.
Rimanemmo così alcuni istanti, che parvero interminabili.

Il mio ragazzo stava per morire.

Riformulavo continuamente queste parole dentro la mia testa, ma mai assumevano una forma precisa e delineata, erano sempre aereose, inconsistenti...tanto inconsistenti che quasi pensai fosse solo un sogno, un brutto sogno... o forse non era poi così grave, forse ci sarebbe stato sicuramente qualcosa da fare, forse anche questo dannato problema, come tutti gli altri problemi che avevamo promesso di confidarci o che abbiamo incontrato nel corso della nostra vita assieme, anche se all'inizio appariva gigantesco ed insormontabile, alla fine unendo le nostre forze saremmo riusciti a risolverlo, e probabilmente tra qualche mese avremmo riso della sua scena sotto la grande quercia.
Sì, pensai questo.
Lo pensai e, con l'intento di rassicurarlo stavo anche per dirglielo... quando vidi cadere da sotto i suoi capelli che gli coprivano gli occhi, una lacrima, una lacrima che sì andò a infrangere pesantemente sul dorso della mia mano, che ancora era tra le sue.
Quel tocco pungente, quelle lacrime che mai avevo visto in lui, e che ora scendevano copiose e mi apparivano così pesanti e dolorose che solo in quel momento capii, solo allora tutte quelle parole che pochi istanti fa mi parevano leggere come piume che ondeggiano dolcemente nell'aria fino a posarsi morbide al suolo, ebbero finalmente una forma delineata, dei contorni duri e freddi, una sagoma ferrea e mastodontica che probabilmente né io, né lui né i suoi genitori...nè nessun altra persona sarebbe riuscito a cancellare.
Più volte nel corso della mia vita ho avuto la sensazione che il cuore mi si stringesse fino a farmi male, ma quella volta mi accorsi che prima d'allora non avevo mai provato davvero quella sensazione...; non lo sentivo più battere, sembrava stesse per scoppiare... la testa mi girava vorticosamente e gli occhi parevano coprirsi di un banco di nebbia che non mi permetteva di distinguere chiaramente le cose attorno a me... il respiro mi mancava, non riuscivo ad aprire bocca, a dire nulla perchè tutto ciò che sarei riuscita a dire sarebbe risonato alle mie orecchie così stupido e inutile...; così tristemente inutile...
Ma davanti a me c'era lui.
Lui che doveva soffrire sicuramente il doppio di me, lui che forse aveva già il cuore in pezzi e che ha avuto il coraggio e la forza di confessarsi, di apparire sempre così naturale durante quella cena nella quale aveva riso e scherzato come al solito, nella quale lui era stato dolce come al solito...lui che è sempre stato forte, molto più di me, e che sapeva consolarmi ogni volta che mi sentivo triste per una delle mie stupidissime idiozie...;
Lui adesso chiedeva il mio aiuto, adesso sentiva che non ce l'avrebbe fatta da solo a sopportare questo peso enorme, voleva che questa volta fossi io quella che lo tirava su di morale, che lo aiutava ad uscire dalle situazioni più spiacevoli.

Mi sottrassi alle sue mani, per portare il mio indice sotto il suo mento invitandolo ad alzare il volto e a guardarmi in faccia, guardarmi negli occhi...
le guance bagnate brillavano al sole sotto gli occhi rossi e le ciglia umide, ed io che mi sentivo scoppiare dentro tentavo di mantere la calma, trattenendo le lacrime che bussavano sempre più prepotentemente alle mie palpebre.
Lui, che non aveva perso nemmeno in quell'occasione il suo spirito protettivo, cercò di sorridermi, ma le lacrime che aumentarono la loro intensità tradirono ogni suo tentativo...poi mormorò con quel poco di voce che riusciva ad avere, qualcosa che non scorderò mai...

"Ti chiedo scusa...scusami se non potrò stare per sempre con te come ti avevo promesso... e scusami se ti chiedo di farti carico assieme a me di questo peso insopportabile... scusami tanto..."

Ora anche io stavo piangendo.
Sentivo i nervi che piano piano si distendevano, e ogni volta che tentavo di fermarmi subito venivo schiacciata dall'oppressione, dalla paura... e così piangevo ancora più forte di prima...
Cercai di recuperare un pò l'autocontrollo e, anche se fu difficilissimo, ci riuscii... lo guardai in quei suoi occhi che mai avevo guardato come in quel momento...

"Io ti amo Shin. Ti amo da morire... e starò con te per sempre..."

Mi gettai tra le sue braccia scoppiando il lacrime, e lui tentò di consolarmi carezzandomi la testa... anche quella volta fu Shinobu a sentire il bisogno di proteggermi.

Il mio ragazzo stava per morire.

E fu così che, in quella mite serata primaverile, lo dissi a Kensuke.
Proprio sotto la stessa quercia... la quercia sotto la quale Shin aveva piantato il suo sogno.

Doveva capire, capire perchè l'avessi portato in quel luogo.
Mentre percorrevamo il sentiero tra le spighe, non faceva che parlarmi di come Shinobu fosse un bravo ragazzo e fosse pieno di voglia di fare, di sognare, di voglia di vivere...ma che certo la situazione del mio ragazzo non poteva essere paragonata a quella sua...
Doveva capire.

Glielo dissi con le parole più semplici e nella maniera più calma che riuscii a trovare.
Gli dissi che Shinobu sapeva tutto e che anche io lo sapevo...
La sua reazione non fu poi tanto diversa dalla mia... impallidì e rimase a guardarmi incredulo, il vento fresco della sera che agitava le spighe ai nostri piedi, ghiacciava il sudore sulle nostre fronti facendo un male cane.
Tremante sulle gambe si voltò verso casa di Shin.
Lui era ancora lì sulla terrazza, che metteva a posto i bicchieri e le caraffe... si accorse che Ken si era voltato a guardarlo e gli sorrise, gli sorrise salutandolo più e più volte con la mano... poi mimando il gesto di giocare a basket gli fece il tipico segno "victory" con le dita...
e se ne rientrò in casa.

Ken fece due passi, due brevi passi, pesanti...pesantissimi... poi si gettò a terra sulle ginocchia, le mani a coprirsi il volto.
Il treno che dovevamo prendere passò nella direzione oppostà accanto a noi, rendendoci chiaramente visibili a intermittenza. Fu il metallico rumore della locomotiva e dei vagoni l'unico suono che riuscii a percepire; in quei lunghi momenti sembrava che anche tutte le cicale, i grilli, le rane, e tutti gli uccelli, rimanessero ad osservare un ossequioso silenzio.
Mi dispiaque molto l'averlo fatto piangere.

* * * * *

Ormai sono passati sei mesi dalla scomparsa di Shinobu, ed un pò di cose sono cambiate.
Gli esami di ammissione all'università sono vicini, ed io ed un paio di mie amiche ci ritroviamo spesso insieme per studiare in gruppo, in modo di unire l'ultile al dilettevole, anche se poi la maggior parte delle volte finisce che si inizia a parlare di tutto dimenticandoci completamente che dovremmo studiare, così la notte, invece di dormire, tocca accendere la piccola abatjour della scrivania sotto la finestra, e studiare sul serio fino alle ore piccole.
A volte a noi si aggiungono anche Kensuke ed un suo amico.
Tutti noi del gruppo puntiamo ad entrare in delle buone università, perciò il livello di preparazione di base è buono per tutti, e non ci costa difficoltà studiare con loro due, anche se penso che sotto sotto a Ken e Ichitaka interessino un paio di mie amiche...; beh, me lo farò sicuramente dire da lui.
Il signor Kozuma, proprietario della libreria non molto distante da qui e amico di vecchia data di mio padre, mi ha inoltre offerto di lavorare da lui come commessa, ed io ho accettato subito entusiasta!
Leggere mi è sempre piaciuto, e poter lavorare in una libreria di un paesino di provincia è una cosa meravigliosa...; centinaia e centinaia di titoli diversi di tutti i paesi del mondo, a tua disposizione, c'è solo l'imbarazzo della scelta!
Mi siedo al banco, e comodamente appoggiata alla poltroncina, inizio ad immergermi nelle avventure di qualche samurai, nelle vicende di un amore impossibile, in storie di magia o quant'altro si desideri, in attesa che arrivi qualche cliente da consigliare o servire.
Vedendomi così, il signor Kozuma mi ha concesso di prendere in prestito un libro ogni due settimane, e ciò mi ha resa davvero felice.
Quando il tempo è mite, mi siedo sotto l'albero che c'è nel mio giardino, perdendomi tra le righe fitte appoggiate sulle pagine che scorrono veloci tra le mie dita...; ogni tanto vi si posa sopra un petalo rosa, e allora guardo verso l'alto, dove l'albero di ciliegio che ha voluto regalarmi Shinobu mi guarda proteggendomi con la sua ombra.
E' stato il suo ultimo regalo, un regalo che vivrà in eterno, come il mio amore per lui.

Almeno una volta al mese vado a trovarlo al cimitero.
Tra le mille lapidi la sua risalta ai miei occhi come se splendesse, sempre adorna dei fiori che regolarmente io, Ken, i suoi amici e i suoi genitori gli portano.
Molto spesso capita un fatto curioso.
Quasi ogni persona che passa davanti il luogo dove riposa il mio Shin, per far visita ai propri cari, si ferma ad osservare la foto di quel ragazzo così sorridente e allegro che forse è stato chiamato in cielo troppo presto.
Poi immediatamente si china, attirata da qualcosa di particolare... qualcosa dalla forma tonda, che poggia verticalmente su di un supporto di plastica nera.
Questa scena, mi commuove ogni volta, e mi riporta immancabilmente al giorno che insieme io e Ken, vedemmo Shin per l'ultima volta.

Perchè forse non lo sapete, ma anche ai manager danno il piatto commemorativo per la vittoria ai Campionati Nazionali.

La primavera di Sakura - fine

Con questo terzo capitolo si chiude questa storia, che sinceramente è una delle mie preferite. (delle mie, ovvio)
Questo epilogo chiude il cerchio, spiega alcuni perchè che rimanevano in sospeso nei primi due capitoli...; Spiega perchè Sakura sentisse dentro di sé quel senso di angoscia e malinconia, spiega in che modo intendesse aiutare Ken... ma molto rimane aperto, perchè in fin dei conti solo di contorno.
Quello che mi premeva far capire con questa storia, è che spesso si litiga, spesso si fanno questioni o ci si crea dei problemi che a noi sembrano così grandi che ci sentiamo persi, e ci deprimiamo.
Ma in realtà le cose importanti della vita sono ben altre, sono altre le cose a cui attribuire peso.
Purtroppo ce ne rendiamo conto solo quando ci capitano tra capo e collo...; allora ci guardiamo indietro, e rimpiangiamo quei momenti in cui ci "disperavamo" per cose talmente sciocche e frivole da apparirci ora senza senso.
E' così che Sakura ha voluto aiutare il suo miglior amico.
Ed è forse quello un regalo che Shinobu ha voluto fare al migliore amico della ragazza che tanto ha amato.
Fargli capire, prima di provarlo sulla propria pelle, che ogni secondo della vita è prezioso e degno di essere vissuto.

Tra l'altro è la prima volta che mi commuovo addirittura un pò nello scrivere, penso di averci messo parecchio di me stesso.
I personaggi tra loro si assomigliano tutti un pò, e credo sia una grossa pecca. Comunque in ognuno di loro c'è qualcosa di me, e qualcos'altro ancora non è in nessuno di loro.
Ora che la storia è giunta alla fine, voglio ringraziare chi ha letto queste righe ed in particolare, senza fare nomi, tutte quelle persone che mi hanno aiutato con consigli e critiche preziose, grazie di tutto cuore.

Shinta

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