Sonata Arctica's di x_Dana (/viewuser.php?uid=42615)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tallulah, è più facile vivere da soli. ***
Capitolo 2: *** My Selene ***
Capitolo 3: *** Shy ***
Capitolo 1 *** Tallulah, è più facile vivere da soli. ***
Tallulah
"Hey, credo che sia
meglio finirla qui"
Le parole mi colpirono
come un pugno in pieno viso, e gli occhi mi si riempirono di lacrime,
come se qualcuno mi avesse strappato via la pelle del petto con artigli
crudeli e impietosi.
A malapena percepii il
suo tocco sulla mia mano, quando me la prese e se l'avvicinò
alla guancia, carezzandola leggermente come se bastasse
perchè io la perdonassi.
La verità
è che sapevo che lei non aveva le parole, aparte quelle che
aveva pronunciato in precedenza, che avevano firmato la mia condanna
senza diritto di appello.
Appello all'amore che in
quel momento mi stava straziando il petto.
Dopo altri istanti di
silenzio, pronuncio le parole che dovrebbero uscire dalla tua bocca,
rosa e leggermente tremante.
"Addio, allora"
Le depongo un bacio
sulla guancia, beandomi per l'ultima volta del suo calore, e
cominciando a camminare oltre le sue spalle.
Appena il suo sguardo
verde mi abbandonò sentii le spalle incurvarsi per
accogliere un singhiozzo, silenzioso e a lungo trattenuto, e sperai che
lei non guardasse indietro.
O mi avrebbe visto
piangere in silenzio.
Una volta a casa mi
distesi sul letto, con la faccia premuta sul cuscino, e ci rimasi le
ore.
Forse i giorni.
Un sorriso amaro mi si
dipingeva sul viso, quando pensavo che proprio in quel momento
dettagli insignificanti mi venivano in mente, quei dettagli a
cui hai sempre dato così tanta importanza.
Ricordi quella volta che guardavamo il tramonto, seduti sulla
scogliera, sferzati del vento gelido?
Il modo convinto in cui mi avevi detto "Questo non finirà
mai", e il sorriso che aveva preceduto il nostro bacio, che andava a
sigillare la tua promessa.
E io credevo ad ogni singola parola che lasciava le tue labbra, ed ero
convinto che per te fosse lo stesso.
Non so perchè è finita.
Mi ricordai anche le
stelle cadendi, d'estate, il giorno in cui è iniziata la
nostra storia, qualche anno fa.
Con un sorriso
radioso mi avevi indicato quella piccola scia luminosa nel
cielo, ma ero troppo preso dai tuoi occhi smeraldini e dai tuoi capelli
biondi lucenti per accorgermene.
Stavamo passeggiando sul
sentiero, entrambi con i nostri desideri in mente, e li abbiamo
affidati alle stelle cadenti.
Spero che il tuo si
avveri, perchè il mio si è infranto.
Ora che mi sono rimasti solo i dettagli, della nostra storia, ripenso a
qualche tempo fa.
All'ultima volta che ci siam visti, quando mi hai lasciato.
Dovevo capirlo che qualcosa non funzionava, dal sorriso falso che mi
hai regalato, quando hai lasciato andare la mia mano.
E infondo al cuore percepivo la tua insicurezza, non sapevi cosa fare,
e nei tuoi occhi cominciavano già a brillare calde lacrime
d'addio.
E quando sono solo mi prendo la testa fra le mani, stringendo forte i
miei corti capelli neri. E penso che sia meglio vivere da soli, che
continuare ad avere paura che qualcosa finisca.
Tallulah, così si chiama la donna che amo.
Tallulah, è più facile vivere da soli, senza la
paura che finisca il tempo per noi
Tallulah, trova le parole e torna indietro, ti prego.
Questo per noi sarebbe potuto essere il paradiso...
La prima notte di primavera, le luci delle bancarelle e dei fuochi mi
colpiscono gli occhi, abituati al buio della mia stanza.
La musica mi circonda, ma non mi tocca, solo
perchè non c'è lei a dividerla con me.
I rumore delle scarpe sul morbido terriccio che ricopre la strada in
questo giorno di festa, a ritmo, attira la mia attenzione.
Un breve sorriso stanco mi attraversa il volto smunto in un lampo, nel
vedere i miei compaesani ridere e ballare, su di loro le ombre dei
fuochi della sagra si dimenano ostinate.
Subito il senso di calore si trasforma in gelo mortale, quando la vedo,
col volto illuminato ad intermittenza.
E' mano nella mano con il batterista della banda, quello coi capelli
lunghi, che la guarda come se potesse amarla davvero.
Come se potesse amarla più di me.
Ma infondo è lui quello che ora sta ballando con la mia
regina.
Paralizzato, non oso salutarti, spaventato dal ricordo della voce di
lei mentre mi dice addio.
Ma i sentimenti bruciano ancora, sono ancora vivi come lei li ha
lasciati.
Tallulah.
Pronuncio sottovoce il suo nome, chiudendo gli occhi, gustandone il
suono per la prima volta dopo settimane.
Sulle palpebre chiuse mi si disegnano le ombre della danza.
In tutto quel tempo mi sono arrabbiato con lei solo una volta, alzando
la voce.
E così lei decide di vendicarsi ora.
Ma l'amerò per sempre, non importa con chi lei balli, con
chi lei rida.
La riconquisterò un giorno, se me ne darà la
possibilità.
Ma prima, c'è una cosa che deve capire, e che io ho capito
sulla mia pelle. Sul mio cuore.
Tallulah, it's easier to
live alone, than fear the time it's over.
Oh Tallulah, find the
words, and talk to me oh Tallulah.
This could be...
(sonata arctica. Tallulah)
Ringrazio i miei amati Sonata per questa canzone :P
E la dedico ai miei amici, che loro sanno u.u.
A presto :3
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Capitolo 2 *** My Selene ***
My
Selene
Mi ricordo ancora, la
notte in cui sei andata via per sempre, la luna che brillava alta nel
cielo d'estate, contornata da una coltre di cielo nero.
Resto seduto sulla scogliera, illuminato dagli ultimi raggi del sole,
sotto di me il rumore delle onde che si infrangono sui sassi scuri ed
appuntiti.
Il vento frizzante di inizio autunno arriccia gentilmente le pagine del
quaderno che tengo in grembo, una matita nera giace dimenticata vicino
alla mia mano aperta.
Ogni sera, da quel giorno, mi siedo su questo sasso e cerco di riempire
con poesie d'amore le pagine ancora immacolate di questo quaderno.
Ma immancabilmente il mio sguardo viene catturato dalla luna,
splendente ed irraggiungibile, e il mio cuore viene stretto dal gelo
della solitudine.
Ti rivedo col tuo vestito leggero ed argentato, animato dalla brezza,
che mi sorridi mentre saltelli sulla collina, le scarpe in mano e i
piedi nudi danzanti sull'erba, i capelli color del platino sparsi sulla
schiena nuda.
L'immagine è così vera che mi pare di poter
sentire il tuo profumo agrodolce nell'aria che ormai va scurendosi, ma
in questo mondo così legato alla realtà la
solitudine è fissa sulla mia pelle.
Se solo potessi essere
il tuo Endimione potresti scendere dalla lattea luna per incantarmi nel
tuo sonno eterno, e riposare con me tutta la notte.
Finalmente la luna piena spunta dall'acqua scura, bagnandomi coi suoi
raggi candidi dove mi sembra di poter addormentarmi in pace, cullato
dalle tue braccia.
Ma fino a che non saremo riuniti, vivo per quella notte in cui due
anime si incontreranno, ma la mia speranza scompare
già prima che arrivi l'alba, le ombre della notte spariranno
per lasciarmi solo nell'ombra, senza di te.
Il cielo è sereno, nell'aria nessun rumore, più
ti guardo, Luna, più i tuoi raggi sembrano giocare,
inseguiti dalle onde della distesa infinita sotto di me.
E' una visione perfetta, che sembra appartenere ad un mondo divino, ma
io, il ragazzo più solo al mondo, sono sempre solo in cerca
della mia rima, ancora senza la mia Selene nell'immobilità
della notte.
Mi lascio cadere all'indietro sulla roccia, dove piccoli sassolini mi
pungono la schiena, ed osservo il cielo con un lieve sorriso dipinto
sul volto, sembri così vicina, Selene, che posso vederti
danzare nel cerchio bianco e perfetto della luna, ma nell'aria manca il
dolce suono della tua voce e il silenzio tradisce le mie visioni.
Incapace di dimenticarti
spero che il mio sogno diventi realtà, sono solo una sagoma
scura che si staglia lontana, nella luce della luna calante,
aspettandoti. Sono la solitudine.
Sono talmente lontano dal mondo ormai, che non posso fare altro che
sperare nel tuo ritorno, schiavizzato dai miei sogni, e da quando te ne
sei andata non c'è più nessuno che si prende cura
di me, nessuno a cui importi.
Passo il mio giorno nascondendomi dalla luce del sole, imprigionato
nella mia stanza buia, intrappolato in quello che una volta era un
sogno di speranza ed ora è un incubo in cui tu non puoi
raggiungermi.
E' passato
così tanto tempo, e sono tutto solo.
Posso perdonare la vita, quando ti vedo anche solo in sogno, ma il
quaderno è ancora aperto e le pagine sono vuote come la mia
anima, malgrado io cerchi di aggrapparmi alla speranza che lentamente
svanisce, cercando di spezzare la desolazione che odio.
Sembra solo ieri, quando
carezzavo i tuoi capelli sparsi sul cuscino, saggiandone la morbidezza
tra le dita, osservando il tuo volto pallido e sottile illuminato dai
raggi lunari, le labbra socchiuse nel tuo sonno.
Ti cingevo dolcemente,
beandomi del contatto con le tue forme sottili e quasi eteree,
cullandoti nella notte.
Ma ora siamo solo io e
la tristezza.
Questa è la mia ultima sera, il mio tramonto, ho passato
talmente tanto tempo qui, a sperare di poterti abbracciare, che sono
diventato la notte.
La luce del giorno nuovo mi spazzerà via, mia amata Selene,
la realtà graffia in profondità, sanguineresti
insieme a me?
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Capitolo 3 *** Shy ***
shy
Shy
Non ricordo bene come arrivai al Citylight la prima volta, nemmeno
ricordo l'anno preciso, ma ricordo bene il periodo: era
Novembre,
la pioggia scrosciava senza pietà formando rivoli per le
strade
acciottolate e la luce del sole era ormai un ricordo lontano e
impreciso.
Entrai nel locale in cerca di riparo, ricordo che il locale mi
colpì appunto per la sua assenza di peculiarità;
tutto rigorosamente in legno scuro e le imbottiture di sedie
e
divanetti erano di un porpora sbiadito dal troppo uso.
Ordinai un caffè, questo me lo ricordo, scuro e amaro, per
poi
affondare la testa nel quotidiano e assaporarne il sapore di carta
stampata da poco.
Non alzai il volto quando la cameriera mi lasciò la tazza,
un
pò ingiallita, sul tavolo di legno scuro; quando finalmente
mi
decisi a ringraziarla scorsi solo i capelli che ondeggiando le
coprivano il viso sottile.
Ricordo benissimo il tuffo al cuore e tutte le sensazioni contrastanti
che provai, quello scorcio di pelle candida su di uno zigomo appuntito
mi perseguitò per giorni prima che ritrovai il coraggio di
tornare al Citylight.
Il locale era troppo vicino alla sua casa, non riuscivo a credere che
dopo anni fosse finalmente tornata senza dirlo a nessuno, ma la
dolorosa speranza che fosse vero mi attanagliava le viscere nel modo
più totale.
Ho sempre pensato che sarebbe venuta da me se fossietornata, solo ora
capisco quanto mi sbagliavo su entrambe le cose.
Quando tornai al Citylight non badai affatto a tutti i dettagli che di
solito mi piace notare: i cuscini lisi, le scritte incise sui tavoli di
legno, le tende bruciacchiate e le file di alcolici impolverati dietro
al bancone; il mio sguardo vagava irrequieto per locale in cerca della
sua chioma rosso scuro.
Quasi ridevo, nascosto dietro alla mia pagina di cronaca,
stavo
cercando in una donna rossa quella che da ragazzina aveva sempre avuto
i capelli di un pece così profondo da ricordare il buio di
quando il sole sparisce dal mondo per mesi.
Alla fine il suo corpo ondeggiava veramente vicino al tavolo al quale
ero seduto, non ricordo di aver mai girato lo sguardo così
velocemente; l'immagine del lampo che riuscì a vedere fuori
dalla finestra appannata rimase impressa nei miei occhi per ore.
Non riuscì a guardarla nemmeno quando le ordinai il solito
caffè, speravo di sentire la sua voce, magari mi avrebbe
esortato a guardarla e io mi sarei sentito libero di alzare lo sguardo
e di scoprire se sopra quello zigomo c'erano davvero degli occhi color
ghiaccio.
Non potevo reggere il pensiero di poter essere deluso nel vedere altri
occhi che non fossero i suoi e al contempo non volevo scoprire se lei
veramente era tornata senza venire da me.
Presi l'abitudine di ordinare direttamente al bancone, dove stava una
prosperosa ragazza mora con delle graziose efelidi sul naso, poi mi
sedevo vicino alla colonna di legno liscio e affondavo il viso nel
giornale.
Ogni giorno mi fermavo fino a tardi, quando uscivo la strada era
talmente impregnata di pioggia che riusciva persino ad inumidirmi gli
stivali pesanti, non ricordo di averci mai badato poichè il
mio
cuore e la mia mente erano troppo impegnati a rimproverarsi di non aver
guardato nemmeno quella volta.
Un giorno mi decisi ed entrai di fretta nel locale, il primo passo sul
pavimento di legno fu talmente pesante da far girare parecchi volti;
sorrisi in modo cortese e tutti distolsero l'attenzione, di nuovo non
cercai il suo sguardo, ma non me ne preoccupai.
Con fierezza stavo seduto al tavolo, il giornale appoggiato davanti a
me e non rialzato come al solito, pronto ad essere usato come scudo per
proteggermi dall'illusione dei suoi occhi.
Infine era davanti a me e il mio sguardo era inchiodato sui titoli di
testa, come se questi mi legassero la nuca in modo che non potessi
distogliere lo sguardo.
Alzai lo sguardo solo quando lei si voltò per tornare dietro
al
bancone e prepararmi l'ordinazione, fu in quel momento che la mia mente
mi giocò lo scherzo più sporco di tutti: avrei
giurato di
averla vista girarsi, veloce come il lampo che vidi giorni prima, e
schiacciare l'occhio nella mia direzione.
Rimasi imbambolato per quelle che mi parvero ore, nemmeno mi accorsi
quando l'altra donna mi appoggiò il caffè davanti
regalandomi anche, credo, un ampio sorriso.
Non poteva veramente essere la mia Dana, lei non sarebbe tornata senza
avvertirmi, presi il coraggio ed alzai gli occhi mentre serviva un
gruppo di persone lontano da me.
Il suo sorriso solare, vagamente malizioso, mi faceva venir voglia di
fuggire e piangere per ore, poichè non era indirizzato a me.
L'ennesima sera al Citylight, tenevo senza ormai alcuna speranza gli
occhi puntati sul giornale, in ogni caso, sembrava stare bene e quegli
anni non dovevano essere stati difficili per lei, lontana da casa, come
avevo temuto e, infondo, sperato.
Mi ritrovai a scribacchiare sul fondo pagina qualche parola sconnessa,
la mia penna era mezza scarica e più che altro grattava la
carta
col rumore fastidioso di chi vuole parlare ma non ha più
voce.
"Morirei ancora per te, ogni giorno"
Non presi nemmeno in considerazione l'idea di farglielo
trovare
nel piattino del caffè, semplicemente lo gettai nel cestino
più vicino prima di andarmene nuovamente sotto la pioggia.
Le stesse scene si ripetevano da settimane ormai e il mio povero cuore
già affaticato dalla sua scomparsa temeva in una
ricaduta,
non riuscivo a staccarmi dalla speranza che una sera, prima di
chiudere, mi avrebbe chiamato almeno per dirmi che stavo dimenticando
il capello sul tavolo.
Ricordo l'ultima sera che mi ritrovai al Citylight dopo un vagare poco
convinto, la strada di ciottoli era stranamente asciutta e nel cielo le
stelle erano finalmente prive delle nuvole che le avevano coperte per
mesi.
Il solito tavolo era libero e aspettai con pazienza il suo arrivo per
ordinarle la solita tazza ingiallita, colma di caffè nero,
sentivo i suoi passi farsi vicini e il cuore mi esplodeva nel petto
come al solito.
Sapevo che lei si sentiva sempre il mio sguardo sulla schiena, e temevo
per l'idea che poteva farsi, ma speravo in una sua parola e in una sua
esortazione a guardarla, a dirle il mio nome. Speravo nuovamente in un
suo occhiolino nell'allontanarsi e volevo a tutti i costi poterle
chiedere se era lei, se era veramente tornata, forse per restare.
Il cuore mi batteva così forte quando alzai lo sguardo, che
credetti di morire.
Vidi dei lunghi capelli biondi davanti a me, e un sorriso timido.
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