Eleanor Rigby

di RubyTuesday_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Look at all the lonely people... ***
Capitolo 2: *** Golden Slumbers ***
Capitolo 3: *** Here Comes The Sun ***
Capitolo 4: *** Riflessioni... (parte uno) ***
Capitolo 5: *** I Feel Fine ***
Capitolo 6: *** If I fell... ***
Capitolo 7: *** All you need is love... ***
Capitolo 8: *** Till There Was You ***
Capitolo 9: *** Here I stand, head in hand ***
Capitolo 10: *** Let It Be ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Look at all the lonely people... ***


 

Eleanor Rigby

 

1.Look at all the lonely people...

 

 

Era una mattinata gelida, piovosa e buia, tipica dell’inverno inglese. Una leggera foschia ricopriva l’intera città e i lampioni accesi creavano giochi di luce spettrali, quasi come fossero fantasmi provenienti da un’epoca lontana, ormai conclusa, dimenticata.

Molte persone camminavano sotto la pioggia; tutte avevano un passo spedito e andavano ognuna per la propria strada, senza incrociare lo sguardo con nessuno, senza scambiarsi alcun segno di affetto, amicizia o semplicemente di gioia.

Ormai non c’era più spazio per qualunque sentimento di amore, felicità, o comunque per nessun sentimento positivo in città.

 La vita nel piccolo borgo trascorreva così, lenta e triste, e sembrava sprofondare in un abisso di isolamento senza fondo. Le strade, le piazze, le case parevano abbandonate, dimenticate sotto una profonda coltre di solitudine. Il campanile della chiesa s’innalzava sopra i comignoli, quasi come un tetro vigile che vegliava sugli abitanti, e la chiesa gettava la sua cupa ombra su ogni casa, su ogni via e su ogni persona. Le campane scandivano ritmicamente le ore, i giorni, i mesi, gli anni. Il cimitero sul retro, dietro la cupola, sembrava ormai un’intricata giungla di erbacce, che crescevano indisturbate sulle lapidi di marmo, anch’esse fredde e sole come tutto ciò che le circondava.

 

Una ragazza stava in piedi vicino alla finestra della chiesa. Sembrava che aspettasse qualcosa, o qualcuno; ma Eleanor Rigby aspettava da ventidue anni, e la sua attesa non cessava. Era cresciuta così, aspettando alla finestra, osservando le luci dei lampioni, le gocce d’acqua che scendevano lungo il vetro e i passanti.

Eleanor guardava tutte quelle persone sole che giorno dopo giorno percorrevano lo stesso cammino, alla stessa ora, con la stessa espressione. Le aveva osservate per vent’anni, incessantemente. Tutte quelle persone, senza saperlo, avevano qualcosa in comune con lei.

Anche lei era sola, forse la più sola di tutti. Ma non perdeva la speranza, e testardamente aspettava alla finestra, qualcosa. Viveva in un sogno, sognando una vita migliore, un mondo migliore.

“Vieni, Eleanor. La cena è pronta” disse una voce proveniente da qualche parte nella chiesa.

Quante volte aveva sentito quella voce? In effetti, era una delle poche voci che Eleanor avesse mai sentito, a parte la sua.

Padre McKenzie si sedette a un tavolo; aspettava. Finalmente, sentì dei passi provenire dalla sagrestia. Una ragazza, alta, magra e pallida, simile a un fantasma, fece il suo ingresso nella piccola sala polverosa.

Quanto era cresciuta, pensò il Padre. In ventidue anni, Eleanor era diventata una bella “fanciulla”: il viso snello, sottile e aggraziato era coronato dai capelli color della cenere, e qualche lentiggine spuntava timidamente intorno al naso; ma la cosa che più colpiva della ragazza erano gli occhi. Due occhi di un azzurro chiarissimo, tendente al grigio, penetranti e tristi. Due occhi di ghiaccio sempre vigili per osservare ciò che succedeva intorno. Sì, era una bella ragazza, ma sul suo viso si potevano vedere chiaramente la tristezza, la solitudine, la disperazione. Questi sentimenti non l’avevano mai abbandonata da quando il Padre la conosceva. Da sempre. Ventidue anni prima, in una notte burrascosa e fredda, nel pieno dell’inverno, il battente della porta della chiesa l’aveva svegliato. Si era alzato ad aprire, ma non c’era nessuno. Solo un piccolo fagotto, che anche allora l’aveva guardato con gli stessi occhi di ghiaccio, giaceva ai piedi della scalinata che portava alla chiesa. Il Padre l’aveva raccolto, e da quel giorno Eleanor era divenuta parte della sua vita. L’aveva cresciuta, nella solitudine della chiesa, anno dopo anno. La povera ragazza era sempre stata sola. Sola come tutte le persone della città, sì, ma anche di più. In tutti quegli anni, non aveva mai sorriso, né mostrato alcun segno di gioia… Sognava, osservava e aspettava, con pazienza e perseveranza, sicura che qualcosa sarebbe cambiato, prima o poi.

 

 

 

Note:

Stamattina pioveva e c'era la nebbia, giornata da depressione insomma. Allora ho deciso di ascoltare un po' di musica, è partita Eleanor Rigby e mi si è accesa una lampadina in testa. Ho visto chiaramente uan figura spettrale che guardava dalla finestra di una chiesa e ho deciso di raccontare la storia di Eleanor, probabilmente con scarsi risultati.

Spero vi piaccia, e buon anno a tutti!

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Capitolo 2
*** Golden Slumbers ***


 

  Golden Slumbers

 

 

Un flebile “grazie” provenne dalle labbra della ragazza. I due mangiarono in silenzio, come ogni volta. Padre McKenzie non cercava di parlare alla commensale, ed Eleanor non cercava di parlare al Padre. Sembrava che ci fosse come un tacito accordo tra i due.  Pur abitando nella stessa chiesa, pur avendo bisogno uno dell’affetto dell’altra, non si conoscevano. Come ogni altra persona della cittadina, avevano innalzato intorno a se stessi una cortina di ferro, difficilmente avvicinabile. Come gli altri vivevano rintanati nella propria solitudine, nella paura, nell’insicurezza.

Finirono la cena e poi tornarono ognuno alle proprie occupazioni, come al solito. Eleanor si diresse verso una scalinata che portava a un piano rialzato, sopra la navata centrale. Lì stava un piccolo organo, che un tempo era servito forse per le celebrazioni. La ragazza passava intere giornate suonandolo, riempiendo di una musica triste la chiesa vuota. Quando Eleanor suonava si sentiva veramente viva, la sua mente viaggiava sulle note, libera, fuori dalle mura che si era costruita, volente o nolente, col tempo. Anche il Padre si rallegrava della musica, che lo distraeva dalle preoccupazioni della vita quotidiana.

Ma quando l’ultima nota cessava di suonare, allora il sogno svaniva e tutto ritornava come prima. La solita vita triste, banale, sola. Sempre la stessa vita, da ventidue anni, senza nessun cambiamento.

 

Finito di suonare, Eleanor ridiscese la scalinata e si diresse verso la camera dove dormiva. Improvvisamente, l’occhio le cadde su un piccolo particolare che non aveva mai notato prima d’allora. Un chicco di riso. Guardando meglio si accorse che c’erano molti chicchi per terra. La cosa non aveva alcun senso, perché quei chicchi dovevano essere lì da almeno… ventidue anni. Eleanor pensò che quel riso dovesse risalire a un matrimonio, avvenuto molti anni prima.

Era strano, perché la ragazza non riusciva a immaginarsi un mondo “felice”: quella chiesa era sempre stata cupa, polverosa, vecchia e triste. Tutta la cittadina era sempre stata immersa nella solitudine, per quanto potesse ricordare. Evidentemente però, molto tempo addietro, c’era stato un tempo in cui gli abitanti del paese ridevano, erano felici, e la domenica si ritrovavano in chiesa, chiacchieravano tra loro e trascorrevano le loro giornate serenamente.

“Mi sarebbe piaciuto esserci” pensò Eleanor mentre si avviava a letto. Lì, con la testa sul cuscino, al buio, immaginava come doveva essere stato il matrimonio.

Vedeva il sole alto nel cielo, gli alberi in fiore, i giardini ordinati e variopinti; poteva sentire il cinguettio degli uccelli sui rami dei peschi e il profumo dei fiori. Udiva le grida e le risate dei bambini che giocavano tra loro, e le campane della chiesa suonare a festa. Assorta nei suoi pensieri si addormentò, e sognò tantissime persone, sorridenti, che parlavano allegramente tra loro, vestite eleganti, e che si avviavano verso la chiesa. La cupa sala che conosceva bene quanto le sue tasche era completamente diversa, luminosa e profumata com’era nel sogno. Tutto era ornato di fiori, e l’organo… ah, com’era dolce la musica suonata dall’organo! Solo ascoltarla faceva svanire ogni tristezza. Vicino all’altare c’era un sacerdote… ma sì, era proprio lui, Padre McKenzie, più giovane e allegro. Accanto stava un giovanotto, attendendo qualcosa; probabilmente era lo sposo. Sorrideva, e nei suoi grandi occhi verdi si vedeva chiaramente quanto fosse felice. Quel viso… Eleanor l’aveva visto altre volte. I capelli scuri, che nascondevano la fronte, gli occhi verdi, grandi e dolci, sinceri. L’espressione allegra in volto… sì, ora ne era sicura, non era la prima volta che Eleanor lo sognava.

Improvvisamente, nella sala si fece silenzio, e l’organo iniziò a suonare. Tutti i presenti si voltarono verso l’entrata, per vedere la sposa. Entrò una ragazza vestita di bianco, sorrideva, era felice.

La musica continuava a suonare, la ragazza avanzava con passo un po’ incerto verso l’altare, il ragazzo sorrideva, gli occhi scintillanti.

Nell’aria aleggiava una sensazione si spensieratezza, felicità, serenità. Il sole entrava dalle vetrate, e creava incantevoli giochi di luce colorati. Il profumo dell’incenso avvolgeva la sala…

 

 

 

Note:

Ecco fatto, anche il secondo capitolo. Non sono ancora del tutto convinta di questa faccenda, ma viste le recensioni positive (grazie a tutti! =D ) sono andata avanti.

Dal prossimo capitolo (che per ora è abbozzato metà sul computer e metà nella mia testa) comincia a succedere qualcosa di più interessante, ve lo prometto. Questi primi mi servivano come introduzione all'atmosfera di solitudine-tristezza-depressione della canzone.

Ok, sto parlando troppo...  Cercherò di aggiornare presto, anzi, mi metto subito a lavoro!

 

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Capitolo 3
*** Here Comes The Sun ***


  

     Here Comes The Sun

 

Eleanor si svegliò improvvisamente.

 Una luce calda, dorata, entrava dalla finestra.  Alla ragazza parve di sentire il profumo dei fiori entrare dalla finestra, ma pensò che fosse impossibile. Raramente splendeva il sole nella sua città, e comunque la coltre di solitudine che aleggiava su di essa rimaneva opprimente. “Sto ancora sognando” si disse. “Coraggio, Elle. Svegliati, torna tra noi. Non farti illusioni; quando aprirai gli occhi fuori starà piovendo, farà freddo, la solita nebbia coprirà le strade e tutte quelle persone sole continueranno a camminare indisturbate. Coraggio. Uno… due… tre…”

Eleanor aprì gli occhi. La stanza era luminosa, calda, accogliente. Il sole entrava veramente attraverso il vetro. La ragazza corse alla finestra e la aprì. L’aria frizzante della mattinata dicembrina entrò nella stanza. Fuori, le persone continuavano la loro lenta, inarrestabile, triste marcia. Ma almeno il sole splendeva alto nel cielo, come capitava assai raramente da quelle parti.

Eleanor si alzò, fece colazione, e prese un libro. Aveva deciso che si sarebbe seduta fuori, sugli scalini della chiesa, a leggere, sfruttando il sole che così di rado si faceva vedere.

Nulla era cambiato, ma la nebbia opprimente si era alzata, lasciando un po’ di respiro agli abitanti, o almeno, a Eleanor.

Ma tutto finisce, prima o poi. E, infatti, non molto tempo dopo le nuvole cominciarono a ricoprire il cielo, la nebbia iniziò ad avanzare come un esercito di spettri lungo le strade della città. Tutto ritornò avvolto nella solita coperta opprimente e abbandonata. Una leggera pioggia iniziò a cadere sulle strade.  “Be’, è stato bello finché è durato” pensò la ragazza, sconsolata. Rientrò, e si sedette davanti all’organo. Iniziò a suonare.

Con le note fece uscire tutta la tristezza, lo sconforto, la solitudine che sentiva dentro. La musica inondò la chiesa, regalando qualche altro attimo felice alla ragazza. 

˜

Un ragazzo camminava per la strada, tenendo in mano un ombrello nonostante fosse già bagnato fradicio. Il solo vedere quel posto gli faceva venire i brividi… ma come poteva la gente viverci? Tutte le persone che passavano sembravano tristi, delle macchine che non provavano emozioni… sole… sì, tutte le persone, di ogni città sembravano così, ma la nebbia e la pioggia accentuavano questa sensazione. “Che depressione vivere qui…” si disse.

Continuò a camminare lungo le strade della città-fantasma. Ecco, il nome giusto per descrivere l’abitato… tutto sembrava abbandonato, dimenticato, da molto tempo.

Arrivò nella piazza principale, se piazza si poteva chiamare; l’unica cosa ancora integra era la chiesa. Una chiesa cupa, vecchia, e sola come il resto del paese. Stava per passare oltre quando, improvvisamente, gli parve di sentire una musica provenire dall’interno della chiesa… sì, una melodia triste, grave ma dolce. Forse era solo frutto della sua immaginazione? Gli pareva strano sentire della musica in un posto così. Si ritrovò a sorridere della sua sorpresa. “Ora, non esageriamo. Non è un cimitero, è solo una città un po’… cupa…deprimente… dimenticata… sola… niente di più normale!”.

Spinto dalla curiosità, decise di andare a vedere.  Sì avvicinò alla porta, bussò e la spinse. La musica cessò immediatamente.

Entrò nella chiesa: era tetra, polverosa, abbandonata. Non sembrava che ci fosse nessuno, eppure era certo di aver sentito la musica provenire da lì dentro.  Girovagò un po’ tra le panche, guardando i vecchi affreschi scoloriti dal tempo. Poi, il suo sguardo cadde su un piccolo organo, appoggiato vicino al muro su una specie di balcone rialzato. E, vicino all’organo una figura spettrale che lo osservava.

“Ehm… ciao!” disse il ragazzo. “Eri tu che suonavi?”

Sentì un rumore di passi che scendevano le scale scricchiolanti.

 “Sì, ero io…” era una ragazza ad aver parlato.

Era avvolta nella penombra e non poteva ancora vederla bene. La ragazza fece ancora qualche passo, si fermò alla luce di una candela. I due si guardavano, uno davanti all’altra.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                            

 

Note: (devo trovare un nome migliore xD)

Ciao a tutti! Per prima cosa grazie delle recensioni incoraggianti che avete lasciato nel capitolo precedente.

Avevo promesso che in questo sarebbe successo qualcosa di interessante (se interessante si può chiamare) e quindi... niente eccolo qui. Spero che vi piaccia, il fatto è che ho tutta la storia in testa ma non sono sicura di riuscire a renderla bene, ho paura di saltare qualcosa che a me sembra ovvio...

Vabbe', adesso scappo.

Ciao ciao

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Capitolo 4
*** Riflessioni... (parte uno) ***


Questo capitolo sarà un po’ strano.

Diciamo che l’intento sarebbe quello di descrivere i pensieri di Eleanor al momento dell’incontro. Poi, in pratica, non so cosa sia uscito…

 

 

Riflessioni

 

Ma che succede? Nessuno entra in questa chiesa da un sacco di tempo. A chi importa più di entrare in chiesa ormai? A nessuno. Appunto. E adesso, tu. Da dove arrivi?

Mi stai guardando, da molto tempo o forse da pochi istanti, non lo so. Non riesco a dire niente, a pensare niente. Penso solo che ti ho già visto, altre volte.

Ma dove? E’ impossibile, è tutta immaginazione. Non è reale. D’altra parte, cos’è la realtà se non quello che noi percepiamo? Ma quello che noi percepiamo, appunto, lo percepiamo NOI. Quindi si può dire che sia immaginario. Conclusione: la realtà non esiste, io non esisto, tu non esisti.

Ma se non esisti, perché sei qui che mi fissi?

Eleanor, pronto, ci sei? Sveglia. Smettila con le divagazioni filosofiche. C’è una persona qui davanti a te che ti ha appena chiesto qualcosa.

E in effetti, mi hai chiesto qualcosa, ma ci metto un po’ prima di capirlo.

“Abiti qui?”

Vedi di rispondere, Eleanor.

“Ehm… sì. Sì, abito qui”

“Proprio QUI nella chiesa?”

Ma che cosa ti interessa?

“Sì, nella chiesa.”

Sorridi. La gente qui non sorride, non c’è più tempo per sorridere. Non c’è tempo neanche per parlare con gli altri.

 “Tu… non abiti in questa città, vero?”

“No, in effetti no. Ma abito qui vicino…”

Non rispondo. Cosa dovrei rispondere? Inoltre, mi metti a disagio con quel tuo sorriso… io non so sorridere. O almeno, non ci ho mai provato. Non ho avuto molte occasioni di sorridere in vita mia, in effetti.

“Ma qui è sempre stato tutto così… dimenticato?”

Bella parola, dimenticato. Nel novero degli aggettivi con qui ho definito questa città non c’è “dimenticato”. Deprimente, abbandonata, sola, triste, cupa, sì, ma dimenticata no. E invece è proprio la parola adatta per descriverla. Dimenticata.

“Sì… almeno, per quello che mi posso ricordare. Sempre così.”

“Mmh…”

Non riesco a capire cosa significhi quel “mmh”.

Continui a guardarmi, e sorridi. Hai i tuoi grandi occhi verdi fissi nei miei.

Ti ho già visto, ne sono sicura. In giro? Mi sembra strano...

Ma no, sarà la tua immaginazione, è che tu VUOI averlo già visto, Eleanor.

E invece no, non è immaginazione. Gli occhi verde bosco che mi fissano mi sono familiari. Il sorriso anche. Non è la mia fantasia, non è un caso.

Quanto tempo è che mi stai guardando, che io ti sto guardando? Non ne ho idea.

Ma c’è qualcosa nel tuo sguardo che mi impedisce di distogliere il mio…

 

 

Note:

Capitolo molto breve e piuttosto malriuscito credo. Spero che si riesca a capire e che non si faccia caos con i dialoghi interiori.

A breve seguirà un altro capitolo dello stesso tipo ma cambiando punto di vista. La narrazione è abbastanza rallentata =D

Ok, visto che non c'è altro da dire e che per una volta ho tempo rispondo alle recensioni.

Clafi: anche io faccio sempre così, mi vengono le idee ma poi sono sbagliate! Ma magari questa volta è giusto...

TheThief_: grazie, ma non credere che sia una cosa così interessante... anzi, è piuttosto banale!

The Night Before 1965: stessa cosa, non aspettarti granchè! Alla fine è una cosa poco interessante...

Laban: Sì, è vero, però la mia mente limitata non so per quale motivo non riesce a immaginarsi una persona vecchia nello stato di Eleanor... (sì vabbe' lascia perdere)  e quindi ho chiuso un occhio sull'età =D

Marty_youchy: ... chi sarà? Bisogna aspettare ;-) (anche perchè se svelo la sua identità la storia perde la sua misteriosità...)

Zazar90: Continuo continuo... ma in questo capitolo Eleanor combina ben poco!

Kiru: Eh, appunto, mi sa che se non è ancora avvenuto tralascerò presto qualcosa.

Grazie a tutti per le recensioni che mi lasciate =D

Ciao ciao

 

Sofia

 

 

 

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Capitolo 5
*** I Feel Fine ***


1.  I Feel Fine

Due occhi brillarono nell’oscurità della chiesa. Padre McKenzie, appoggiato ad una colonna, osservava la scena.

Eleanor parlava con quel ragazzo entrato poco prima e, cosa mai successa prima d’ora, sorrideva. Che fosse arrivato il momento tanto atteso?

Eleanor aveva bisogno di amicizia, affetto; cose che le erano state negate fin da bambina.

Anche da piccola la ragazza aveva mostrato grandi capacità di giudizio una saggezza precoci per la sua età. Era cresciuta prima degli altri, chiudendosi prima nella sua fortezza di solitudine senza mai aver avuto una persona cara. I genitori non li aveva mai conosciuti; amici non ne aveva mai avuti… ma d’altra parte, non era la sola.

Però il Padre capiva che Eleanor era diversa, che aveva bisogno di vivere in un mondo più sereno, come di sicuro non era il mondo che la ragazza aveva conosciuto; come non era il mondo in generale.

E adesso, questo ragazzo spuntato fuori dal nulla, riusciva a farla sorridere, lei che non aveva mai sorriso. Forse le sue speranze erano state ripagate.

Il Padre fu risvegliato dalle sue riflessioni dal rumore di passi che scendevano le scale. Eleanor si avvicinò, con una strana luce negli occhi

“Ehm… io… lui… andiamo fuori, c’è il sole…”

“Certo, Eleanor”

Anche il solo uscire dalla chiesa e respirare un po’ d’aria avrebbe fatto bene a Eleanor.

“Ok… ciao… grazie…”

“Dai Eleanor, andiamo!” disse il ragazzo, e la prese per mano, trascinandola fuori dalla chiesa.

I due ragazzi camminavano, anzi correvano, per le strade mano nella mano.

Il sole splendeva, e la città non sembrava più quel cupo insieme di case invaso dalla nebbia… sì, le persone c’erano ancora, non erano cambiate, tutto era rimasto come prima, ma Eleanor non lo vedeva; dopo tanto tempo, qualcuno era arrivato. L’attesa era finita.

 

 

 

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Ecco qui il quinto capitolo (è il quinto vero?)… speravo di riuscire ad aggiornare prima della fine delle vacanze ma non ci sono riuscita quindi… boh, quindi niente J

Questo capitolo è molto breve ma dovevo finire di sistemare un  po’ di dettagli, soprattutto sulla storia di Eleanor… Ok, non ho molto da dire quindi rispondo alle vostre recensioni che sono sempre rincuoranti xD

The Night Before 1965: grazie… con il tempo il mistero sarà svelato (forse).

Kiru: Sì Eleanor è proprio una mente filosofica… Tutto il tempo che passa alla finestra dovrà impegnarlo in qualche modo, credo.

Clafi: Eeeh… chi lo sa se avevi indovinato? Tutto verrà chiarito prima o poi xD

TheThief_: Sì, mi pare di averlo accennato… ma saranno proprio gli occhi di Paul? Mah…

Zazar90: Sai che hai delle capacità profetiche? xD No seriamente, hai detto che ti immaginai Paul che prende Eleanor (o te J) per mano, ed era quello che avevo programmato succedesse in questo capitolo… (anche se qui si parla del ragazzo misterioso…)

Marty_youchy: Giusta obiezione quindi… come hai detto tu il mistero continua!

Laban: Era quello che avevo pensato anche io, riguardo all’età… Tanto, sarà stata giovane anche lei, no? xD

 

 

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Capitolo 6
*** If I fell... ***


Capitolo In Cui Non Succede Niente

E con la parola niente intendo proprio NIENTE!

 

Camminavano per le vie ancora costellate di pozzanghere dopo la pioggia. L’aria era fresca nonostante il sole, e tutto era avvolto nella solita nebbia.

Ma i due ragazzi non se ne accorgevano; a entrambi bastava la vicinanza dell’altro per non notare la tristezza che aleggiava intorno a loro.

Ridevano e parlavano come se si conoscessero da sempre; Eleanor aveva superato la timidezza iniziale, e adesso conversava fluentemente, con un bel sorriso stampato sulle labbra.

Una novità, per lei. Niente e nessuno era mai riuscito a farla sorridere… fino ad allora.

Provava una sensazione nuova, si sentiva leggera… e qualcos’altro che non riusciva a definire. Ma che importava, in fondo? Stava bene, era a suo agio, sorrideva. Niente di meglio.

“Dimmi Eleanor, il Padre vive anche lui nella chiesa?”

“Sì, vivo con lui… non conosco i miei…”

“Oh. Mi dispiace…”

“Tranquillo, non serve dispiacersi. Sono qui ora, no?”

“Sì” disse lui, sorridendo “hai proprio ragione.”

Era stupefacente come, vivendo in un posto come quello, Eleanor riuscisse a prendere tutto in modo così ottimistico. Era quello che le aveva dato la speranza, dove molti altri avrebbero mollato fin dall’inizio.

Continuavano a camminare lungo le strade semi-deserte senza un vero itinerario. Ognuno dei due seguiva l’altro, e così procedevano tranquillamente, mano nella mano, senza una meta.

La loro allegria provocava sorpresa nelle persone che incontravano, che ormai non erano più abituate provare un sentimento simile.

Camminarono per ore, quel giorno. Alla fine, si accorsero entrambi che era molto tardi, e decisero quindi di tornare indietro. Eleanor doveva tornare in chiesa, e il ragazzo a casa.

Arrivarono nella piazza e si fermarono su un marciapiede. Nessuno dei due voleva salutare l’altro, in fondo. Quella giornata insieme era stata speciale, entrambi lo sapevano.

“Be’… allora… ciao!” disse lui.

“Ciao”

“Ci possiamo rivedere, qualche volta? Oggi sono stato proprio bene…”

“Certo… anche io sono stata bene; grazie.”

“Bene allora… non ti sconvolgere se mi vedrai riapparire da queste parti!”

La ragazza sorrise.

“Ok… allora ciao…”

“Ciao… anzi, arrivederci”

Le loro mani si sfiorarono.

Eleanor iniziò ad arrossire; si accorse che lui si stava avvicinando sempre di più…

In quel momento, una macchina passò veloce sulla strada sollevando l’acqua di una pozzanghera, e i due ragazzi si ritrovarono bagnati fradici da capo a piedi.

“Accidenti alle auto!” disse lui, con una nota di dispiacere nella voce

Eleanor scoppiò a ridere, trascinando anche l’amico con sé.

“Bene… adesso, devo proprio andare. Ciao!” disse, e si allontanò veloce verso la chiesa.

Il ragazzo la guardò camminare, mentre nel suo inconscio malediceva chi aveva inventato le macchine.

Quando lei scomparve dalla vista, iniziò a camminare e si allontanò.

Un solo pensiero occupava la sua mente…

 

 

 

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Bene, in questo capitolo non succede niente di interessante, come avrete notato dal titolo.

Diciamo che serve per inquadrare la situazione… (sì, ok, lo so che non ha senso xD)

Non manca tantissimo alla fine, spero di riuscire ad aggiornare nei prossimi giorni, compatibilmente con la scuola =D

Rispondo alle vostre recensioni incoraggianti.

Marty_youchy: eh sì che vale, perché sennò poi il mistero non è più… misterioso! Animoticon

Zazar90: davvero sei un’aliena? Nuoo strabello. Da che pianeta vieni? Ok, a parte gli scherzi, grazie! Sono contenta che ti sia piaciuto e spero ti piaccia anche questo.

Clafi: nono, niente messaggi subliminali. Con il tempo, scoprirai se avevi ragione… o no…

Laban: hai visto, alla fine ci sono riuscita prima di sera! Mi è venuta l’ispirazione a cena xD

TheThief_: grazie, anche questo capitolo è breve ma meglio del precedente… Sorriso

Cocorit: come ho detto ad altri… leggere per scoprire!

 

Adesso scappo xD

Buona notte (perché adesso sono le 20.52)

Ciao ciao

Sofia (o Hill o Fool o On xD come vuoi Laban Sorriso)

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Capitolo 7
*** All you need is love... ***


All You Need Is Love

 

 

Un ragazzo avanzava con passo spedito verso la piazza. Camminava assorto nelle sue riflessioni, completamente inconscio del mondo intorno a lui. Aveva un’espressione indecifrabile, simile a quella di tutte le persone che passavano lì attorno; ma in realtà, lui era ben diverso. Loro erano sole, tristi, non provavano sentimenti, mentre lui aveva conosciuto una ragazza che gli aveva cambiato la vita. Una ragazza, anche lei, triste e abbandonata, più di tutti forse, ma che non aveva mai perso la speranza. E questo era bastato per far riacquistare la speranza anche a lui.

E non aveva pensato ad altro, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, da quando aveva incontrato lei.

Il suono di un organo lo riportò alla realtà, facendogli capire che era arrivato alla chiesa. La musica risuonava nell’aria, bellissima e terribile, dolce e triste.

Si avvicinò alla porta ed entrò.

Appena lo vide la ragazza smise di suonare e si precipitò giù dalla scalinata, incontro all’amico che non vedeva da tempo.

Sorrideva, radiosa, ma negli occhi c’era ancora un velo di tristezza…

“Ciao!”

“Ciao Eleanor… come stai?”

“Tutto bene. E tu?”

“Bene… sono contento di rivederti”

“Sì, anch’io”

Era da tempo che non tornava nella chiesa, ma niente era cambiato.

Seduto in un angolo, Padre McKenzie scarabocchiava qualcosa su un foglio.

“Buon giorno, Padre” lo salutò il ragazzo.

“Salve figliolo!”

Il Padre era sempre contento di vederlo, anche quando piombava in chiesa di mattina all’alba com’era capitato un paio di volte.

“Dai Eleanor, andiamo a fare una passeggiata e lasciamo lavorare il Padre”.

“Sì, sì, hai ragione. Andiamo”

I due uscirono.

Camminavano e parlavano, come al solito. Di qualunque argomento.

Ormai tra di loro era nato un legame che niente avrebbe potuto spezzare; un’amicizia più forte delle mura che un tempo li nascondevano dal resto del mondo, ma che con il tempo avevano finito per cedere.

Camminavano e parlavano, anche per ore, completamente assenti dal mondo reale, trasportati in un’altra dimensione, come in un sogno. Come succedeva prima che si separassero, nessuno dei due aveva saputo per quanto. Tutto era tornato come prima.

Con la venuta della primavera, sugli alberi avevano cominciato a spuntare timidamente le prime gemme, e nell’aria si avvertiva quella sensazione di… libertà, che si prova quando dopo un inverno lungo, freddo e solo, il ghiaccio finalmente si scioglie.

Attraversavano le vie della cittadina, senza una meta precisa, come al solito.

Voltandosi a guardare Eleanor in faccia, vide che era pallida. Più pallida del solito.

“Sì… sto bene, solo un po’ di mal di testa. Niente di grave”

“Mmh… be’, in ogni caso, forse è meglio tornare, si sta facendo tardi, e se stai anche male…”.

“Sì ho capito, sei stanco” ridacchiò lei “torniamo!” iniziò a camminare tirandolo per un braccio, ridendo.

La risata argentina della ragazza risuonò tra le case, e riempì quel tramonto di primavera.

 

 

 

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Eccomi! Dopo mille peripezie sono riuscita finalmente ad aggiornare! (Immagino che vi stiate disperando perché non vi ho più rotte le scatole per una settimana… J) Questo capitolo è stato una specie di tela di Penelope, scrivevo un pezzo poi lo cancellavo, poi lo riscrivevo; come se non bastasse, oggi ho fatto l’esame del patentino per la moto e quindi nei giorni scorsi ho dovuto studiare. Ma alla fine sono riuscita a continuare, sfruttando l’assemblea di istituto sulla sicurezza di oggi durata ben 4 ore! Quindi dato che mi annoiavo mi sono messa a scrivere… E a un certo punto è arrivato il mio prof. di italiano, aiuto! Che poi invece si è messo a leggere quello che stavo scrivendo e me lo ha pure corretto (quindi non ero l’unica che si annoiava… xD).

Scusatemi se nella storia ripeto sempre le stesse cose, ma non me ne accorgo… J mi perdonate?

Perdonatemi anche perché la mia mente malata ha pensato bene di… eeeh, chi lo sa. Vi dico solo che c’è un motivo per cui le frasi in corsivo sono in corsivo. Io non lo so ;-)

Non rispondo alle recensioni perché devo scappare!

Baci e buona notte a tutte

Sofia o THE J

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Capitolo 8
*** Till There Was You ***


Till There Was You

 

 

I due si incamminarono verso la chiesa. Stava ormai facendosi buio, e l’ultima fioca luce del giorno si riversava nelle strade. Il silenzio regnava incontrastato, rotto solo dal fruscio del vento tra le fronde degli alberi.

Eleanor era confusa, dentro di lei ribollivano mille emozioni. Dopo tutto, era molto che i due non si vedevano, e da quando l’amico era partito, la vita della ragazza era ritornata uguale a quella di prima. Solo che questa volta era sicura che prima o poi sarebbe cambiata, era certa che lui sarebbe tornato. E così era stato. Adesso erano di nuovo insieme, e il cuore della ragazza non si era ancora capacitato di questo fatto… ma c’era qualcosa che la tormentava, un peso che si stava portando dietro da troppo tempo. Eleanor fu riportata alla realtà dalle grida di due bambini che si rincorrevano per strada, un sorriso le sfiorò le labbra. Sorrideva spesso, adesso.

“Come va Eleanor?”

“Bene, tranquillo! Ho solo mal di testa!”

“Se lo dici tu…” e le sorrise. Un sorriso rassicurante come quello della prima volta che si erano incontrati.

“Ma sì, dai!” cercò di ricambiare il sorriso, ma improvvisamente fu pervasa da un senso immenso senso di tristezza.

Ripresero a camminare, ormai erano molto vicini alla chiesa. Si fermarono davanti alle scale, proprio come la prima volta che si erano incontrati. In effetti, quel giorno era una seconda prima volta, perché avevano passato molto tempo senza vedersi.

Si rifermarono ancora.

“Bene… ci vediamo in questi giorni allora”

“Certo!”

“Ehm… io dovrei… devo… ehm… dovrei andare…” balbettò Eleanor. Non smettevano di guardarsi negli occhi.

La ragazza avrebbe voluto parlare, c’era una cosa molto importante che il suo amico doveva sapere. Ma come dirglielo? Intanto lui continuava a guardarla.

“Ehm, io vado, ciao!” non poteva dirglielo. Ma doveva. Non ce la faceva.

“Sì, ciao. A domani…” le si avvicinò.

In quel momento, l’ultimo raggio di sole inondò la piazza, rivestendo gli edifici di una calda luce dorata, come in un sogno. Le loro labbra si incontrarono.

In quel momento, il tempo si fermò. Passarono attimi lunghi come secoli, o forse passò molto tempo. Eleanor avrebbe voluto fermare il succedersi dei secondi, rimanere lì, senza dover preoccuparsi di niente; fermare il tempo era impossibile, perché tutto finisce. Ma la ragazza non poteva rovinare quegli attimi. Non gli avrebbe detto niente, almeno per il momento.

 

 

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Ciao a tutte! Ho aggiornato in fretta questa volta J contente?

Questo capitolo è più corto del titolo in pratica, infatti all’inizio avevo pensato di unirlo al precedente. Ma poi ho deciso che questo capitolo segnerà una svolta nella storia, e quindi l’ho lasciato com’era.

Non ho molto altro da dire, anche perché devo andare a pallavolo, quindi scappo!

Spero che vi sia piaciuto.

Ciao e baci

THE (o Sofia xD)

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Capitolo 9
*** Here I stand, head in hand ***


Here I Stand, Head In Hand

Turn My Face To The Wall

 

Un ragazzo era seduto su una poltrona, la testa fra le mani, lo sguardo vitreo perso nel vuoto.

I suoi due amici lo guardavano, senza capire. Era così da un sacco di tempo, ormai neanche loro sapevano più da quanto di preciso. Per quanto provassero a chiamarlo, ad attirare la sua attenzione, niente. Continuava a restare immobile.

Hey!… ma ci vuoi dire che cos’hai?”

“Mmh”

“Lascia perdere, tanto non parla. Non è qui presente…”

“Forse hai ragione”

I due si scambiarono uno sguardo d’intesa e uscirono dalla stanza. Quel giorno il loro amico era proprio strano. Era uscito la mattina, come al solito, senza che nessuno sapesse dove stesse andando. Poi era tornato, in verità prima rispetto agli altri giorni. Non aveva salutato nessuno e si era seduto lì sulla poltrona, dove era rimasto fino ad adesso, la testa fra le mani e rivolto verso il muro.

 

~

 

La porta si aprì ed entrarono due ragazzi che bisbigliavano tra loro.

Ma cosa volevano ancora da lui?

Non avevano capito che dovevano lasciarlo in pace?

Voleva stare da solo, da solo. Cosa c’era da capire?

E invece, loro continuavano a fargli domande alle quali, lo sapeva, non avrebbe mai dato risposta.

Forse perché le risposte non le conosceva neanche lui…

Non li ascoltava neanche più ormai, le loro parole scivolavano fuori e si disperdevano nell’aria, senza che giungessero a lui.

Non riusciva più a sentirli.

Voleva solo un po’ di pace, di silenzio, un posto tranquillo per poter riflettere in pace.

Questo i suoi amici non sembravano capirlo.

Basta, non poteva continuare.

Non riusciva a non pensarci.

E così, decise.

Di scatto si alzò, prese la giacca e si diresse verso la porta, ignorando le occhiate perplesse che gli stavano scoccando gli altri.

Scese le scale, uscì in strada.

Sarebbe andato.

 

 

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Ciao a tutte! Altro capitolo cortissimo, ma vi prometto che dal prossimo inizieranno dei capitoli un po’ più complessi. xD

Come vi sarete accorte, è cambiato qualcosa… ma cosa lo vedrete solo nei prossimi capitoli *risata malefica*

Adesso rispondo alle recensioni dopo tanto tempo =D

Marty: l’attesa si fa lunga… e l’identità del mitico ragazzo… mah, si scoprirà più avanti. O forse non si scoprirà mai? Vedremo…

Zazar: per ora non si scopre niente… magari in un secondo momento. Oppure mai! Muahahah! =D

Cocorit: mi raccomando riprenditi dallo svenimento eh! =D

Laban: e chi ha detto che Il Ragazzo Misterioso è Paul? xD Chi lo sa… bene ecco il seguito, anche se per sapere la vicenda… be’, c’è tempo…

TheThief: Grazie =D Sono contenta che ti piaccia, era la parte di cui ero meno sicura! Comunque ti basta se ti do nome, cognome, data e luogo di nascita, residenza, numero di telefono, e-mail, codice fiscale? Eheh come ho già detto, ogni cosa a suo tempo… =D

 

Bene adesso vi abbandono perché devo preparare la cartella per domani che poi non ho tempo.

Ok, ciao e baci a tutte

The (eh sì, ormai mi chiamo così J)

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Capitolo 10
*** Let It Be ***


There Is Still A Light That Shines On Me

Shine Until Tomorrow, Let It Be.

 

Sentivo che quel giorno mi dovevi dire qualcosa. E avevo ragione, vero?

Da quella volta in poi, ci hai sempre provato, ma non hai mai osato.

E forse è stato meglio così… forse.

C’era, ogni volta, qualcosa che ti tratteneva.

E l’avevo capito subito, perché nei tuoi occhi c’era un’ombra cupa sotto una maschera di felicità.

Non ci vedevamo da tanto tempo, quel giorno, eppure qualcosa era cambiato. Ma cosa, non l’avevo capito subito.

Avevamo parlato tanto, più delle altre volte.

Eri felice, sorridevi, eppure avvertivo un tremito nella tua voce, nella tua mano stretta nella mia.

O forse, non volevi dirmelo.

Dovevi, ma non volevi. E alla fine non ci sei riuscita.

Giorno dopo giorno, cambiavi. Sì, eri sempre tu, ma c’era qualcosa di diverso.

E con il passare del tempo quel qualcosa diventava sempre più oscuro e incomprensibile.

Tu dicevi che andava tutto bene. Andava tutto bene.

Ma non era vero, questo lo sapevo, e per quanto cercassi di parlartene, tu non dicevi nulla.

Forse, alla fine, è stato un bene. O forse no. Non lo so neanche io.

Non avrei potuto fare niente, in ogni caso.

Le giornate passavano, e ogni giorno mi sembravi più debole, più triste, anche se facevi di tutto per nasconderlo.

Tutto ha una fine. E’ l’unica certezza che abbiamo.

Ma quando quella fine arriva, si mostra sempre più sconvolgente di quanto avremmo immaginato, e così è stato per me, per te, per noi.

 

Quella bella giornata di settembre, non sembrava diversa dalle altre. Eppure, lo è stata.

Quel giorno, come ogni volta, ti ho accompagnata a casa.

Sembravi distrutta, e avrei voluto rimanere con te. Avrei dovuto.

Ma invece, dovevo allontanarmi per un paio di giorni.

Quella sera, sei scoppiata in lacrime.

Non riuscivo a capire perché. Così, all’improvviso. In lacrime.

Non avevo capito che quello era un addio.

Un addio. Addio per sempre.

 

Sono stato via solo tre giorni, sono tornato prima, volevo rivederti.

Ma la chiesa era vuota, l’organo non c’era più, e ad accogliermi ho trovato solo il Padre, il viso logorato dal dolore. Mi ha dato una lettera, che non ho avuto il coraggio di aprire fino ad ora.

Ma è giunto il momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

Spero che non dovrai leggere questa lettera, spero che quando tornerai io sarò ancora qui, tutto tornerà come prima. E’ una speranza vana, lo so, ma cosa mi ha aiutato ad andare avanti in tutti questi anni se non la speranza che qualcosa sarebbe cambiato?

E così è stato, qualcosa è cambiato: sei arrivato tu, mi hai salvata, facendomi finalmente provare la gioia di vivere, la gioia di sapere che ogni volta che tu te ne andavi saresti tornato. Che non mi avresti abbandonata.

Per questo volevo dirti, semplicemente, grazie; quello che non sono mai riuscita a dirti.

Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto se non ti ho mai detto niente e hai dovuto scoprire tutto da solo, leggendo la lettera. Ma non ce l’ho fatta, non volevo darti dolore e forse volevo dimenticare, evadere dalla realtà, almeno fin quando possibile.

Ho pensato che sarebbe stato meglio per entrambi.

Ho nostalgia di ieri, quando insieme camminavamo mano nella mano, e niente avrebbe potuto separarci; tutti i problemi sembravano così lontani, mentre adesso mi travolgono come un fiume in piena inonda la campagna e distrugge tutto ciò che lo circonda.

Ti devo dire addio, mio caro amico.

O forse, solo arrivederci.

Solo arrivederci.

 

Eleanor

 

 

 

 

Pioveva, e tutto era ricoperto da una spessa coltre di nebbia. Faceva freddo, segno che l’inverno stava ormai iniziando.

Un ragazzo stava in piedi, sul retro della chiesa. Regnava il silenzio, e tutto d’intorno non c’era nessuno, solo il tetro contorno degli alberi che crescevano lì attorno. Ad un certo punto, il ragazzo sentì il rumore di passi sulla terra bagnata. Una mano gli si posò sulla spalla.

Era Padre McKenzie, che probabilmente per tutto quel tempo (quanto?) l’aveva osservato dalla finestra della chiesa. La stessa finestra dalla quale Eleanor guardava tutte le persone sole che camminavano per strada.

Adesso, erano lui e il Padre ad essere soli.

Inaspettatamente, si rivolse a lui.

“Ragazzo, non peggiorare le cose. Le persone non muoiono mai veramente, se il loro ricordo rimane vivo dentro di noi. Eleanor rimarrà qui, finché qualcuno si ricorderà di lei. E la sua memoria sarà come una luce, che ci guida anche quando la notte è più buia; splenderà fino a domani, per sempre, se tu lo vuoi. Bisogna che ogni cosa faccia il suo corso. Lascia che sia, perché tutto finisce prima o poi.”

Detto questo, se ne andò, così come era arrivato.

Il ragazzo si avvicinò alla lapide, bianca e fredda come il ghiaccio. Lasciò cadere un fiore sull’erba, e si allontanò. Si girò un’ultima volta a guardare.

 

Eleanor Rigby

Si allontanò, sotto la pioggia battente.

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

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Purtroppo per voi, non è veramente la fine. Ci sarà l’epilogo che spero di postare appena possibile, dovrebbe essere molto breve. Solo una breve conclusione.

Questo capitolo è venuto più triste di quanto avevo programmato… mah, spero che vi piaccia lo stesso. Per un momento ho pensato di far finire tutto bene del tipo “e vissero tutti felici e contenti”, perché mi sono affezionata a Eleanor ormai (^_^ lasciate perdere la mia mente malata), ma poi mi sono ricordata che dovevo far fede alla canzone… e quindi, ecco qui.

Non rispondo alle recensioni perché devo scappare, spero che vi piaccia questo capitolo.

Ciao a tutte

THE J

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Epilogo

 

 

Rientrò così velocemente come era uscito. I suoi amici lo guardavano sbalorditi. Aveva qualcosa di veramente strano.

Si fiondò al pianoforte, iniziò a suonare.

Una melodia che non avevano mai sentito prima. Che avesse avuto un’illuminazione per una nuova canzone?

Era una melodia… triste, ma bella. Malinconica.

Mano a mano che procedeva, scriveva qualcosa su un foglio.

 

Il giorno in cui ho conosciuto Eleanor, le persone camminavano per strada… sembravano così sole…

 

Ah! Look at all the lonely people
Ah! Look at all the lonely people

 

Si giro verso la finestra.

 

Ma certo, la finestra! La finestra della chiesa e…il riso… e… il matrimonio di cui gli aveva parlato la ragazza! La ragazza che aspettava alla finestra…

 

Eleanor Rigby, picks up the rice in a church
where a wedding has been
Lives in a dream
Waits at the window, wearing the face
that she keeps in a jar by the door

 

E perchè aspetta?

 

Who is it for?
All the lonely people

 

Chi sono?

 

where do they all come from?
All the lonely people,
where do they all belong?

 

 

Una nuova immagine gli balenò nella mente.

 

Padre McKenzie un giorno scriveva qualcosa… nella solitudine della chiesa…

 

where do they all come from?
All the lonely people,
where do they all belong?

 

Finchè il ricordo di Eleanor sarebbe rimasto vivo, anche lei sarebbe stata viva…

 

Eleanor Rigby, died in the church
and was buried along with her name

 

Nessuno era andato al suo funerale.

 

Nobody came

 

Father McKenzie, wiping the dirt
from his hands as he walks from the grave
No one was saved
All the lonely people,
where do they all come from?
All the lonely people,
where do they all belong?

 

 

Ecco, Eleanor Rigby. Il suo ricordo sarebbe rimasto per sempre…

 

Uno degli amici si avvicinò, gli prese di mano il foglio dove aveva scarabocchiato le parole.

Iniziò a leggere.

“Che ottimismo, ragazzi! Adesso dimmi, chi sarebbe questa Eleanor Rigby?

Il ragazzo guardò l’amico con aria grave.

“Ehm… è una lunga storia, John…”

 

 

 

 

 

E questa è veramente la fine! Siete contente? Avevo già pronto questo capitolo, dovevo solo rivederlo un attimino… spero che vi sia piaciuto.

Ed ecco svelato il mistero di Eleanor Rigby e del Ragazzo Misterioso (sì, be’, avevate già indovinato; sarà meglio che non mi metta a scrivere libri gialli =D)

Ringrazio tutti quelli che hanno letto e recensito questa storia, spero che vi sia piaciuto leggerla!

Devo anche fare un ringraziamento speciale a “All the lonely people”, Eleanor Rigby, Padre McKenzie, Paul McCartney (J era giusto), John Lennon, Ringo Starr e George Harrison.

Magari la prossima fic che scriverò sarà un po’ più allegra.

Adesso vi lascio,

Ciao e un bacio a tutte

THE J

 

 

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