Solo una lettera

di CowgirlSara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Questa è la mia seconda ff su Alessandro Magno, ha uno stile un po’ diverso dall’altra e sarà articolata in due parti, ma spero che vi piacerà altrettanto (anzi, già che ci sono: GRAZIE PER I COMMENTI a “Il richiamo”!). Per chi non l’avesse riconosciuta la canzone in introduzione è “Too much love will kill you” dei Queen, pezzo che io adoro. Buona lettura.

Sara

 

Prima parte

 

I'm far away from home
And I've been facing this alone
For much too long...

Il dolore gli faceva pulsare tutto il braccio, caldo e pungente; avrebbe dovuto almeno lavarsi la ferita, ma ora era occupato a pensare ad altro.

L’arrivo dei rifornimenti era sempre un evento, ovunque fosse l’accampamento, i soldati, gli schivai, le donne, si assiepavano in attesa di novità, notizie, forse, messaggi da casa; Efestione, invece, sperava sempre che arrivassero un giorno più tardi.

Lui era un generale di Alessandro, il suo braccio destro a detta di molti, e la sua parte razionale si opponeva a quest’idea, ma un uomo non è fatto solo di logica, per questo, ogni rifornimento per lui era una pena. Certo non lo dava a vedere, non era nel suo carattere, nessuno sospettava quello che gli stava accadendo, nessuno doveva sapere. Specialmente lui.

Una fitta al braccio lo distrasse dalla lettura della lettera; fece una smorfia infastidita, non era proprio il momento per essere scocciati dalla lacerazione provocata da una freccia… e vallo a dire agli assediati!

Il sangue gli colava lungo il braccio, se lo tamponò con un panno, senza quasi togliere gli occhi dalla pergamena che aveva in mano; si chiedeva come potesse ancora continuare a leggere quegli scritti, nonostante tutto. Avrebbe potuto semplicemente ignorarli, ma non voleva.

Le parole gli bruciavano negl’occhi come fossero scritte col fuoco. Lo stesso effetto ogni volta. Si sentiva offeso, ferito nell’orgoglio, impotente, ma, allo stesso tempo, pronto a difendere con i denti tutto ciò che riteneva importante.

Finì di leggere la lettera sospirando, accorgendosi che quella firma gli si era come stampata con violenza nella mente; con un gesto di stizza gettò la pergamena sul letto, e rimase in piedi, immobile.

“Efestione, Alessandro ti sta…” La voce profonda di Tolomeo interruppe il corso dei suoi pensieri; il giovane chinò pesantemente il capo, sbuffando.

“Sì, lo so.” Mormorò quindi, interrompendo l’amico con un gesto della mano. “Devo andare da Filippo, per la ferita.”

L’altro, infatti, aveva fermato la frase proprio vedendo la ferita al braccio di Efestione. “Stai perdendo molto sangue…”

“Lo so.” Rispose secco lui. “Dovevo fare una cosa.” Aggiunse poi, quindi si avvicinò ad un bacile pieno d’acqua e si lavò il viso.

Tolomeo si guardò intorno, domandandosi la ragione per cui, una persona attenta e curata come Efestione, stesse lì a farsi colare il sangue addosso; vagando con lo sguardo si accorse del rotolo gettato sul materasso.

“Hai ricevuto una lettera?” L’amico annuì. “E chi ti ha scritto?” Continuò quindi, ben sapendo che Efestione non aveva parenti; gli rispose una specie di via di mezzo tra una risata e un gemito.

Tolomeo, incuriosito, continuava a fissarlo; l’altro si asciugò il viso, poi lo raggiunse vicino all’uscita della tenda.

“Mi accompagni?” Gli chiese.

“Direi, non voglio certo che mi svieni in mezzo al campo, con tutto quel sangue che hai perso, ci rischio i gioielli di famiglia se Alessandro lo scoprisse…” Fece ironico, mentre Efestione gli faceva una smorfia depressa.

Camminavano attraverso il campo, tra le attività di quella fine giornata; Efestione si stringeva il panno intorno alla ferita, Tolomeo gli camminava accanto, preoccupato, ma la curiosità era molta di più. Voleva sapere della lettera.

“Non erano buone notizie, vero?” Si decise, infine, a chiedergli.

“Sempre le stesse.” Rispose Efestione, senza guardarlo.

Tolomeo s’incuriosì ancora di più. “Che vuol dire? Ma chi ti ha scritto?” Domandò con urgenza.

Efestione si fermò, sospirando, alzò gli occhi verso il sole che stava tramontando, incerto se confidarsi con l’amico e compagno d’armi di una vita.

“Olimpiade.” Affermò infine; Tolomeo spalancò gli occhi, completamente stupito.

L’uomo si scostò di un passo, per guardarlo meglio. “Mi stai prendendo in giro?!” Esclamò allibito.

Efestione scosse il capo con un sorriso divertito. “No di certo.” Rispose tranquillo.

“Scusa, ma…” Riprese Tolomeo, posando le mani sui fianchi. “…per quale motivo ti avrebbe scritto?” Aveva la fronte aggrottata, era perplesso. Giustamente.

“Per lo stesso identico motivo per cui lo ha fatto tutte le altre volte.” Dichiarò l’altro, allargando le braccia e riprendendo a camminare.

“Ah, perché non è la prima volta…” Mormorò l’amico.

“No.” Disse solo Efestione.

“Ma che cosa vuole da te? Insomma, non capisco…”

“Un cosa sola, Tolomeo.” Affermò l’altro, precedendolo davanti alla tenda di Filippo. “Che me ne torni in Macedonia con la coda tra le gambe.”

“Tu?!” Sbottò l’uomo, indicandolo; lui annuì.

“Sarei deleterio per la causa di Alessandro.” Aggiunse Efestione.

“Ha sbagliato uomo.” Proclamò Tolomeo, negando col capo; l’amico non rispose, mentre copriva i pochi passi che lo separavano dal medico. “Scusa, ma lei non sa… insomma, credevo che lui le avesse… voi due…”

Efestione si voltò verso di lui, aggrottando la fronte. “Di cosa parli, Tolomeo?”

Si scambiarono uno sguardo. “Lo sai.” Rispose poi l’uomo. “Dico, tu e Alessandro… lo sappiamo, non si dice, ma…” Aggiunse vago, grattandosi la nuca.

Efestione gli fece un breve sorriso malinconico, poi si girò verso la tenda. “Devo farmi curare questo braccio.” Detto questo entrò, e Tolomeo capì che si era già aperto abbastanza.

Poco dopo, stringendo i denti mentre Filippo gli cuciva la ferita, Efestione rifletteva sull’opportunità di parlare ad Alessandro di tutta quella storia; si sarebbe tolto un bel peso, ma era certo di non peggiorare le cose?

 

Entrò nella tenda con un gesto naturale, un’abitudine tranquilla, familiare, in special modo a quell’ora del giorno, quando il sole tingeva d’arancio l’orizzonte. La tenda era vuota.

Su un tavolo scuro, sulla destra, c’era cibo, frutta, vino; a sinistra, in fondo, il grande letto con le coperte riccamente ricamate, i cuscini. Vicino all’entrata, invece, un tavolo ingombro di carte, mappe, tavolette per scrittura, pergamene; il lavoro di Alessandro. Di lui, però, nessuna traccia.

“Xandre?” Chiamò Efestione, avvicinandosi al tavolo col cibo.

Un fruscio brusco dal fondo della tenda lo fece sobbalzare: era il re, che procedeva a grandi passi verso di lui, con una coppa in una mano ed un papiro nell’altra. Efestione l’osservò, era in uno stato pietoso: impolverato, con i capelli color fango, la tunica sporca, lo sguardo distratto e, perfino, una traccia di sangue incrostato sulla coscia. Il giovane aggrottò la fronte, perplesso.

“Oh, finalmente! Traditore, che volevi fare stasera? Evitarmi?” Proclamò raggiungendolo, quindi gli sfiorò le labbra con un veloce bacio; quando si scostò, Efestione fece una smorfia. “Hai fame? Se vuoi mangiare, mangia, c’è tanta di quella roba!” Non era strano vedergli fare più cose insieme, ma era il modo a preoccuparlo. “Io ho una fame che non ci vedo, oggi!” Si muoveva per la tenda a scatti, come una mosca, sembrava incapace di fermarsi in un punto. “Sembrano due giorni che non mangio!”

“Forse perché sono due giorni che non mangi.” Intervenne calmo Efestione.

Alessandro si bloccò in mezzo alla tenda, con la coppa vicina alle labbra, e lo guardò con espressione scettica. “Dici?” Fece poi, lui annuì. “E’ che ho un sacco di cose da fare, carte da leggere, persone da gestire…” Continuò Alessandro, riprendendo a muoversi, ma poi alzò di nuovo gli occhi sull’altro. “Ma tu mangia, dai.”

“Mangio, mangio!” Proclamò arreso Efestione alzando le mani, quindi abbassò gli occhi su un vassoio dove era disposto qualcosa che sembrava carne, ma aveva un aspetto strano. “Che cos’è questa roba?” Domandò.

Alessandro fece una risatina furba. “Coccodrillo.” Rispose poi.

“Coccodrillo?!” Replicò allibito Efestione, spalancando gli occhi. “Quegli animali che…” Mimò con la mano la bocca del coccodrillo. “…sul fiume…”

“Sì.” Ribatté Alessandro soddisfatto. “Ma non fare quella faccia, è buono, sa di pollo.” L’incitò quindi, con un gesto; Efestione riabbassò gli occhi sulla carne, poco convinto.

L’altro, nel frattempo, continuò a muoversi nella tenda, si avvicinò al tavolo con le carte, rovistò tra papiri e pergamene, ne prese alcuni, svuotò la coppa, raggiunse Efestione e la riempì di nuovo, quindi alzò gli occhi e lo guardò; lui fece altrettanto.

“Non hai fame?” Chiese Alessandro.

“La smetti di chiedermelo!” Sbottò Efestione.

“Oh, stai calmo!” Replicò l’altro, divertito, adorava queste schermaglie verbali; però, poi, si accorse dell’espressione dell’amico, che arricciava platealmente il naso. “Cosa c’è?” Domandò dubbioso.

Efestione sospirò. “Alessandro…” Esordì quindi. “…non esiste un modo gentile per dirtelo…” Fece una pausa abbastanza lunga, fissandolo. “Tu puzzi.”

Alessandro spalancò i grandi occhi chiari, facendo un passo indietro, quindi aggrottò la fronte con espressione irata. “Ieri sera non puzzavo così tanto, per te, mi sembra.” Ribatté indignato, mettendosi le mani sui fianchi.

“Molto, ma molto, meno di oggi.” Rispose Efestione; sapeva di aver toccato un tasto pericoloso, ma sperava che non se la sarebbe presa troppo.

L’espressione di Alessandro si rilassò lievemente, si grattò la fronte, spostò gli occhi sul tavolo. “Beh… ma oggi ho avuto molto da fare…” Tentò di giustificarsi, poi rialzò gli occhi, in un moto di orgoglio, e si scostò dal tavolo, ricominciando a muoversi. “La costruzione del terrapieno è in ritardo, ho dovuto controllare la sistemazione degli animali, ho sudato molto… e poi…” Si girò di scatto verso Efestione, e stavolta lui lo vide piuttosto pallido e con lo sguardo strano. “E poi c’è stato quello stramaledetto attacco, non ce l’aspettavamo… cioè, sapevo che avrebbero attaccato ancora, ma non oggi, evidentemente hanno saputo che avremmo ricevuto i rifornimenti, si sono approfittati di un buco nelle nostre difese…” Continuava a parlare, ed il suo tono s’infervorava sempre più, come cresceva la preoccupazione di Efestione. “…ah, ma non passeranno, non sanno con chi hanno a che fare! Entrerò nella loro maledetta città, oh se mi faranno entrare in quel tempio, a costo di radere al suolo tutta l’isola, io…”

“Fermati.” Gli ordinò l’amico, lui si bloccò, guardandolo. “Calmati, sei troppo agitato.” Aggiunse, avvicinandosi e prendendolo per le spalle. “Non stai bene, non fai che muoverti, sei pallido, hai le pupille dilatate…” Alessandro lo fissava perplesso. “Dimmi, da quanto non dormi?”

L’uomo diede l’impressione di pensarci un momento. “Mah… da ieri notte, direi…” Rispose quindi.

“No.” Replicò sicuro Efestione, scuotendo il capo.

“Come no!” Sbottò Alessandro. “Cosa ne vuoi sapere tu, russavi!” Quando, a seguito del sorrisino dell’amico, si rese conto di aver ammesso la mancanza di sonno, lui roteò gli occhi e reclinò il capo all’indietro, arreso.

“Lo vedi che non sei lucido?” Affermò Efestione, mentre stringeva le mani sulle sue spalle.

“Io sono lucidissimo!” Protestò il re.

“Se vedessi la tua faccia in questo momento, non lo diresti.” Ribatté pronto l’altro.

“Ma cosa vuoi che ti dica?!” Sbottò lui, allargando le mani. “Sarà colpa di questi incensi egiziani!” Aggiunse, indicando il braciere vicino al letto; Efestione lo guardò.

“E allora, sai cosa?” Gli disse quindi. “Li buttiamo via, e poi ti fai un bagno.” Aggiunse deciso, scostandosi da lui.

Si avvicinò al tripode di bronzo, dentro cui fumavano le ceneri d’incenso, ed afferrò il bacile, quindi si diresse verso l’uscita della tenda; Alessandro, ridacchiando, si sedette su una panca decorata, proprio lì vicino. Efestione scostò il lembo di chiusura e lanciò la cenere fuori, senza stare troppo a guardare; l’altro osservava distrattamente.

“Oh, scusa Filota!” Lo sentì esclamare, mentre guardava da un’altra parte; si girò di scatto e intravide un imbarazzato Efestione, che teneva in mano in modo impacciato il bacile, mentre davanti a lui Filota, a braccia allargate, osservava depresso la sua figura piena di cenere. Alessandro scoppiò, ovviamente, a ridere, guadagnandosi un’occhiata gelida dell’amico.

“Filota…” Riprese, tornando a guardare l’altro soldato. “…dimmi che stavi andando a cambiarti…”

“Veramente…” Rispose quello. “…mi ero appena lavato…”

Qui, se possibile, Efestione arrossì ancora di più e la sua espressione si fece molto, molto, rammaricata; Alessandro non ne poteva più, lo sentivano benissimo anche da fuori.

“Do… domani ti prendo una nuova tunica e… e un vasetto di olii da bagno…” Balbettò imbarazzato Efestione, cercando un rimedio al suo errore, mentre Filota si scuoteva l’abito. “Adesso, se vuoi scusarmi, devo… devo risolvere una questione…” Detto questo rientrò nella tenda, chiudendo l’uscita alle sue spalle; al soldato non restò che andarsene mesto, borbottando tra se.

Alessandro, nel frattempo, si contorceva dal ridere, mezzo rannicchiato tra i cuscini della panca; Efestione, in un moto di stizza gli lanciò contro il bacile che ancora aveva in mano, prendendolo di striscio a un braccio.

"Oh, ma che fai?!" Esclamò l’altro ancora ridendo. "Mi vuoi ammazzare?! Quell’affare è di bronzo!"

"Hm." Commentò l’amico, incrociando le braccia mentre gli dava le spalle. "Dovremmo invece preoccuparci di non scalfire il bacile, data la consistenza granitica della tua adorabile testolina bionda…" Alessandro scosse la sua chioma dorata, raddrizzandosi e infilando un’espressione offesa. "E poi…" Continuò Efestione, tornando a guardarlo. "…dovrei ucciderti davvero, per la figuraccia che mi hai fatto fare!"

"Senti, fino a prova contraria, sei tu che lo hai preso pieno!" Protestò l’altro, che restava mezzo sdraiato sulla panca; i suoi occhi chiari brillavano nella semi oscurità con un lampo divertito.

Efestione si avvicinò. "Avresti almeno potuto smettere di ridere, non hai visto che ero in imbarazzo?" Per tutta risposta, Alessandro ricominciò a ridere, prima sommessamente, poi sempre più forte; l’altro sbuffò, posandosi le mani sui fianchi. "Smettila, mi stai facendo perdere la pazienza." Lo redarguì Efestione.

L’espressione dell’altro cambiò, da divertita in maliziosa; socchiuse gli occhi con un sorrisino sbieco. "E sentiamo, che cosa vorresti farmi?" Domandò provocatorio.

Lui, che aveva afferrato subito il senso della frase, fece una smorfia sadica, pregustando l’effetto della sua risposta. "Da me non avrai un bel niente." Affermò secco. "Almeno finché non ti sarai lavato…" Aggiunse poi, senza nascondere una certa disponibilità.

Alessandro aggrottò la fronte, inarcando allo stesso tempo un sopracciglio, cosa che gli diede un’espressione alquanto poco raccomandabile, mentre Efestione, ridacchiando, chiamava un servo.

"Fai portare l’acqua per il bagno del Re, e che sia calda, molto calda, anzi direi… bollente…" Ordinò divertito l’uomo.

"Te la farò pagare!" Protestava nel frattempo il grande conquistatore.

 

Era mezzo sdraiato su un fianco, sul bordo del letto, il braccio gli faceva ancora un po’ male; davanti a lui c’era la vasca di legno in cui Alessandro stava facendo il bagno, vedeva solo la parte alta della sua schiena, il profilo delle braccia muscolose appoggiate sul bordo, il collo abbronzato, i capelli bagnati. La luce nella tenda era soffusa, le lampade tremolavano al vento che filtrava da fuori, l’aria era riempita dai vapori dell’acqua calda e dal profumo degl’olii; gli unici suoni il leggero muovere dell’acqua e il vento di mare, che gonfiava le coltri.

Le schermaglie con Alessandro lo avevano distratto dai suoi pensieri, come succedeva sempre; stare con lui era la cura ad ogni dolore, e lo era sempre stata, da anni e anni, sarebbe stato ancora così, era la sua unica certezza.

L’ennesima lettera, però, era reale, nelle sue mani, ed era come se le parole scritte avessero anche loro consistenza e solidità, gli pesavano sul cuore; adesso, pensandoci, non sapeva se aveva fatto bene a portarsela dietro. Scorse ancora una volta gli occhi sui quei rimproveri senza senso, sugli avvertimenti minacciosi, su consigli cui non avrebbe potuto attendere, perché c’era qualcosa di più grande ad impedirglielo; eppure non riusciva a farsi scorrere tutto addosso, quella situazione gli pesava, quell’astio lo addolorava, poiché veniva da quella persona.

Guardò Alessandro. Per lui avrebbe affrontato le orde degl’inferi. Senza paura.

Aveva taciuto la faccenda delle lettere perché non voleva creare ulteriori dissapori tra lui e sua madre. Amava Alessandro, e lui amava sua madre; il loro era un rapporto strano e contorto, ma l’amava. Era a conoscenza di avere il potere di dividerli, e non lo voleva.

Sospirò pesantemente, quindi posò la pergamena sul letto e si alzò, raggiunse la vasca, al centro della tenda, poi cominciò a massaggiare delicatamente il collo e le spalle del suo re, la pelle resa morbida dal bagno. Un gesto talmente familiare che, ormai, non c’era neanche più bisogno di chiedere. Alessandro si rilassò, reclinando il capo contro il suo ventre, gli occhi socchiusi.

"Va meglio, adesso?" Gli domandò l’uomo qualche istante dopo; Efestione si limitò a rispondere con un monosillabo. "Hai mangiato il coccodrillo?" Chiese quindi lui.

"Sì…" Il massaggio continuava, dolcemente. "…sa di pollo." Alessandro ridacchiò.

"Che cosa stavi leggendo, prima?" L’interrogò il re poco dopo; l’altro pensò, e non era la prima volta, che lui avesse gli occhi anche dietro la testa, o forse era solo merito dei suoi sensi sempre all’erta, come quelli di un gatto selvatico pronto a sfuggire ad ogni attacco del nemico.

"Niente d’importante, ne parliamo dopo." Rispose Efestione, senza riuscire a nascondere il suo tono malinconico; quindi fece per scostarsi, ma Alessandro gli afferrò la mano, costringendolo a guardarlo negl’occhi.

"Phai…" Mormorò preoccupato, aveva avvertito chiaramente un turbamento, in quella voce che conosceva persino meglio della sua.

"Ti ho sempre detto tutto, Xandre." Replicò lui con sincerità. "Ne parliamo dopo, ora devi mangiare e riposarti." Ripeté dopo una pausa.

Efestione si allontanò e Alessandro, rassegnato ma non domo, uscì dall’acqua, restando in piedi nella vasca; stava ancora riflettendo su come estorcere informazioni al suo reticente amico, quando si sentì avvolgere da un morbido panno di lino. Mani forti percorrevano delicatamente il suo corpo, asciugando l’acqua che ancora bagnava i suoi muscoli; avrebbe riconosciuto quel tocco anche senza poter vedere… Con un rapido gesto fermò con le proprie le mani di Efestione su di se, tirandolo contro la sua schiena, poi allentò la presa.

“Continua…” Ordinò con voluttà, reclinando il capo all’indietro.

Efestione, con sua sorpresa, però, si scostò, facendolo quasi ricadere in acqua. “No.” Gli rispose secco. “La tua cena è pronta…” Continuò indicandogli il tavolo. “Dopo.”

Alessandro, che non amava certo essere respinto, si avvolse il panno intorno ai fianchi sottili con un gesto brusco, quindi uscì dalla vasca, curandosi di bagnare in giro il più possibile; Efestione si limitò a scuotere la testa davanti al suo ennesimo, deprecabile, attacco d’infantile disappunto.

“Dai, non fare il bambino…” Gli disse.

“Non infastidirmi.” L’interruppe lui alzando una mano, mentre si avvicinava al tavolo. “Devo mangiare.” L’altro scosse nuovamente il capo.

Efestione tornò a sedersi sul letto, mentre Alessandro gli dava le spalle mangiando rumorosamente, un lieve sorriso gl’increspò le labbra. La lettera giaceva ancora sulle coperte, la riprese in mano, ancora una volta indeciso sul da farsi; lanciò un’occhiata di sfuggita al compagno e strinse la presa sulla pergamena. Sapeva che se decideva di non parlare, ormai, Alessandro sarebbe ricorso anche alla tortura pur di conoscere il contenuto della lettera, ma non voleva ferirlo. In alcun modo.

Aprì di nuovo la lettera, srotolandola piano, quindi si mise a fissarla assorto, cercando di decidere cosa fare.

“Allora, mi vuoi dire di che si tratta?” La voce autoritaria di Alessandro lo fece quasi sobbalzare; alzò gli occhi su di lui, richiudendo velocemente la pergamena.

“E’…” Rispose Efestione, abbassando il viso. “…solo una lettera…”

L’altro lo fissò per qualche istante, aggrottando la fronte. “Però, sembra che ti turbi, in qualche modo…” Ipotizzò poi, sedendosi accanto all’amico. “Posso leggerla?” Ecco, la domanda.

Efestione prese un lungo respiro, poi lo guardò. “Io, infine, credo di… no.” Rispose quindi.

 

CONTINUA…

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


"Come no

Bene, bene, eccoci qui con il finale di questa storia. Spero di non essere stata troppo sadica a lasciarvi così in sospeso (sì, sì, lo sono stata, ihihihihih!) e anche che il seguito vi piaccia; certo, è diversa da “Il richiamo” per forza di cose (anche se non saprei dire quale preferisco), c’è molto più dialogo ed i personaggi sono più giovani, ma ho concluso comunque un lavoro che mi soddisfa. Vi ringrazio tutti per i commenti, sempre apprezzatissimi. Un bacio.

Sara

 

Seconda parte

 

La voce dell’amore / Respiro orizzontale

Di un grande fuoco / E un cuore

Non lo si può cambiare

 

"Come no?!" Sbottò Alessandro, scostandosi e girandosi verso di lui, mentre assumeva un’espressione pericolosa.

Efestione abbassò gli occhi sulle proprie mani. "E’ una questione troppo personale." Replicò serio.

"Veramente non capisco…" Mormorò l’altro, con un sibilo. "E’ una novità assoluta, questa, da quando ci conosciamo nulla di te è mai stato tanto intimo da non rivelarlo a me…" Dichiarò, mal celando la disapprovazione per il comportamento del compagno. "Cosa c’è scritto di tanto importante, in quella lettera, perché io non possa saperlo?" Domandò quindi, alzando minacciosamente il tono.

"Cerca di capire." Protestò debolmente Efestione. "Lo faccio per il tuo bene…"

"Poco fa hai affermato che mi avresti detto tutto, che lo hai sempre fatto!" Replicò determinato Alessandro. "Il contenuto di questa lettera è così privato?" Gli chiese, piegando di lato la testa e fissandolo con sguardo incalzante; l’altro non sapeva cosa dire, aveva pensato di proteggerlo, tacendogli la verità, ma ora sapeva cosa stava pensando Alessandro e non poteva permettere che quei pensieri foschi li dividessero. "Adesso me la farai leggere!" Proclamò il re, interrompendo i suoi pensieri e strappandogli la pergamena dalle mani.

"No, fermo!" Esclamò Efestione, cercando di opporsi, ma Alessandro si gettò di lato, rotolando sul letto. "Lascia almeno che ti spieghi!" Continuò preoccupato lui, cercando di riprendere la lettera, ma si ritrovò con un piede di Alessandro piantato alla base del collo. "Toglimi il piede dalla faccia!" Protestò innervosito.

L’altro non tolse il piede, ma invece lo spinse via, e quando Efestione tentò di nuovo di prendergli la pergamena, lui estrasse una spada e gliela puntò contro con un sorriso maligno.

"Ma che fai? Dormi con una sarissa sotto il materasso?!" Chiese stupito l’uomo castano.

"Beh?" Fece Alessandro, stringendosi nelle spalle. "La mia vita è in costante pericolo, anche lontano dalla battaglia, dunque lo faccio…" Aggiunse, girandosi per mettersi seduto sul bordo opposto. "Ah, e se è per quello, ho anche un pugnale sotto il cuscino, non si sa mai."

Efestione, rassegnato, sospirò e si lasciò andare contro i cuscini alle sue spalle; era perfettamente consapevole che non era cosa da comuni mortali contrastare la volontà di Alessandro, chissà adesso come l’avrebbe presa… Si mise ad osservare la sua schiena, una goccia d’acqua si staccò dai suoi capelli ancora bagnati, correndo giù tra le scapole, sulla pelle percorsa dalle cicatrici; lui leggeva attento, scorrendo gli occhi sul foglio. Efestione vedeva il suo viso voltato di tre quarti, ma non gli sfuggì l’improvvisa, serrata, contrazione della mascella; le spalle di Alessandro s’irrigidirono e la presa sulla lettera si strinse. Ormai aveva capito.

Alessandro, quando ebbe finito di leggere, sospirò rabbiosamente col naso, posando la lettera sulle ginocchia. "Se non fossimo così lontani, salterei sul primo cavallo e andrei a tirarle il collo di persona…" Sussurrò quindi, minaccioso.

"Ed io cercherei d’impedirtelo ad ogni costo." Ribatté saggiamente Efestione.

"Perché!" Esclamò Alessandro con occhi saettanti. "E’ mia madre!" Aggiunse battendosi una mano sul petto con energia, cosa che lasciò un segno rossastro sui suoi muscoli tirati.

"E’ proprio per questo che te lo impedirei." Insisté l’altro, serio.

Alessandro strinse i denti e tornò a guardare la lettera. "Io… io non riesco a capire perché…" Mormorò sconsolato, scuotendo il capo. "Quante te ne ha scritte di queste?" Chiese quindi, tornando a guardare Efestione, avevano entrambi un’espressione triste.

"Decine." Rispose lui, guardandolo negl’occhi. "Almeno una ogni volta che ha scritto anche a te." Alessandro emise un rumore sordo, a metà tra un lamento e un ringhio, riabbassando il capo; Efestione si avvicinò a lui, posandogli una mano sulle spalle.

"Ah, ma lasciami il tempo di risponderle e vedrai!" Proclamò poco dopo il re, rialzando fieramente il capo dorato. "Non avrà più il coraggio di riempirti di false accuse e ingiusti insulti, oh, vedrai come la sistemo…"

"Non lo farai." Lo interruppe deciso l’altro; Alessandro alzò su di lui uno sguardo capace di trapassarlo, come fa il fulmine con la coltre della notte, ma Efestione non ebbe timore.

"E’ mia madre!" Dichiarò ancora una volta l’altro, chiaramente adirato.

L’uomo dai capelli castani rimase calmo, anzi gli strinse delicatamente la base del collo. "Lo so." Gli disse. "Ma è con me che ce l’ha…" Alessandro tentò di divincolarsi, ma lui lo trattenne. "No, ascoltami." Pur riluttante, si rimise a sedere. "Se ora tu le scrivi, in risposta a questa lettera, lei penserà che io ti ho portato dalla mia parte, e tu non devi entrarci nulla in questa storia, è tra me e lei…" Alessandro respirava profondamente, ascoltando le sue parole, pronto a dibattersi ed a protestare. "…se penserà che cerco di dividervi, la gelosia si trasformerà in odio, e la prossima volta, invece delle minacce, arriverà un sicario…"

Alessandro si girò di scatto verso di lui, l’espressione indignata. "Pensi davvero che ne sarebbe capace?!" Esclamò.

"E tu?" Ribatté soltanto Efestione; l’altro non rispose, gli diede di nuovo le spalle, sdraiandosi su un fianco con uno sbuffo.

Passò qualche istante di sordo silenzio, entrambi erano persi dietro ai loro pensieri, poi Efestione si avvicinò ad Alessandro; gli scostò i capelli dal viso, carezzandogli il braccio, quindi si chinò su di lui, posando il capo sulla sua spalla.

"Io…" Esordì il biondo sovrano, con un filo di voce. "…ho cercato mille volte di spiegarle…"

"Shhh…" Gli fece l’altro, mentre gli carezzava il collo. "Xandre… non biasimarla, se non riesce a capire."

"A volte ho pensato…" Ribatté lui, mettendosi supino per vederlo. "…che fosse più una questione di volontà, da parte sua, Phai." Efestione sorrise appena.

"Guardami." Gli disse poi, scostando i capelli biondi da tutta la sua fronte con un unico gesto. "Hai fiducia in me?" Gli domandò.

"In te… soltanto." Rispose Alessandro remissivo.

"E non pensi che se Alessandro è tanto grande, non sia anche un po’ merito dei suoi generali?" Lui annuì scetticamente divertito. "E allora lasciami fare, lascia che sia io a risponderle, come ho sempre fatto, non entrare in questa storia, dammi retta per una volta…" Alessandro voltò il viso dall’altra parte, lui lo prese per il mento, costringendolo a voltarsi di nuovo. "So tenerle testa, credimi, non è la prima volta che lo faccio…"

"Appunto." Lo interruppe bruscamente lui. "Se sei così bravo a tenerle testa, allora perché continua a scrivere, e perché ti fa stare così male?!"

"Xandre, la conosci, è tua madre, che domande!" Sbottò Efestione.

"Sì, infatti…" Replicò mestamente Alessandro, scostandosi da lui ed alzandosi. "…che domande…"

Scuotendo il capo si diresse verso l’uscita posteriore della tenda e ne scostò i lembi, respirando intensamente il fresco della notte e l’odore del vento di levante. Si mise a riflettere sul comportamento di Efestione, era irragionevole. Lui aveva un ascendente su Olimpiade che il suo compagno non avrebbe potuto avere mai, era logico che fossi lui, con la sua autorità di figlio e di sovrano, a mettere fine a questo inutile gioco al massacro. Ripensò alle parole della lettera; certo, anche con lui, la donna, non si risparmiava in durezza, ma con Efestione era stata addirittura cattiva. Era difficile accettare che le due persone che più amava al mondo non riuscissero a capirsi; ad ogni modo, nonostante Olimpiade non avesse mai mascherato la sua disapprovazione nei confronti di Efestione, l’uomo non aveva pronunciato una sola parola contro di lei, e questo a dispetto degli anni in cui lei lo aveva tormentato con quelle lettere atroci. Questo andava a vantaggio del suo amico, e gli confermava, in modo definitivo, che la sua fiducia era ben riposta.

Sì, e gli Dei ben sapevano che non era fiducia semplice, quella che gli concedeva; era l’anima denudata, nella sua vera fragilità, un qualcosa di così profondo e intimo da essere quasi difficile anche solo da accettare. Figuriamoci da spiegare. Forse per questo sua madre non aveva mai capito… Eppure le aveva timidamente parlato di anime che si toccano, e lei blaterava di lussuria…

«Ma cosa importa alla fine? Tanto non potrà mai capire, non si può paragonare l’amore di una madre per un figlio a ciò che io provo per Efestione. Lei non ha mai amato nessuno così, quindi non può capire…»

"Che cosa stai guardando?" Sussurrò una voce dolce; si girò e lui era là, al suo fianco, come in ogni gioco, battaglia, sogno, della sua vita.

Alessandro gli sorrise, poi alzò di nuovo gli occhi alla grande luna piena di quella notte. "Vedi com’è grande la luna, stanotte?" Gli disse, indicandola. "Sembra che gli Dei l’abbiano calciata tra le nostre braccia…" Spiegò distrattamente.

“Hm…” Fece l’altro, sollevando a sua volta lo sguardo. “…tu starai anche cullando la luna…” Si girò verso di lui, con aria malinconica. “…ma le mie braccia sono vuote.”

Alessandro lo fissò per un lungo istante, esaminando con serietà i bei lineamenti che tanto conosceva, poi sollevò una mano e gli carezzò la tempia e lo zigomo, dolcemente.

“Se me lo chiedi tu, la posso benissimo rimandare indietro.” Gli disse quindi, continuando a guardarlo con il capo piegato di lato.

Efestione gli sorrise. “Sì…” Ammise timidamente. “…vorrei che tu lo facessi.”

Alessandro, allora, lasciò andare il lembo della tenda, che si richiuse su di loro, poi si avvicinò al compagno e gli catturò le labbra in un bacio appassionato; Efestione rispose con partecipazione al bacio, abbracciandolo con forza e tirandolo verso l’interno della tenda.

“Vieni, vieni con me…” Mormorò con un filo di voce, quando riuscì a staccarsi da Alessandro, che però continuò a baciargli il collo e le spalle; il peplo che copriva i fianchi del re cadde a terra poco prima che raggiungessero il letto e vi cadessero sopra.

 

Oltre le coltri della tenda il mondo si stava schiarendo nell’alba, lo capiva benissimo dalla luce più chiara che, da qualche minuto, s’intravedeva sotto il bordo. Alessandro non dormiva, anche se si era svegliato da poco; il sonno ancora lo illanguidiva, non era una sensazione che amasse, e poi, vedere che stava nascendo il giorno, gli metteva addosso un’insopprimibile voglia di alzarsi.

Si girò verso Efestione, lui dormiva ancora profondamente, su un fianco, dandogli le spalle; osservò il suo bel corpo nudo, disteso tra le lenzuola stropicciate, e sorrise soddisfatto, mentre si metteva supino. Fare l’amore con lui era ancora bello, come se fosse sempre la prima volta, ma allo stesso tempo sempre diverso; quanto al dolore… lui era stato abituato fin da bambino a resistere ad ogni tipo di dolore, fisico e morale, quindi era una cosa accettabile, ci si abituava, e poi… il piacere era molto più intenso di qualsiasi altra cosa. Certo, non avrebbe permesso a nessun altro, ciò che concedeva ad Efestione, quel tipo d’intimità era solo sua.

Basta. Decise di alzarsi, dormire era la cosa più inutile del mondo, questa notte lo aveva fatto solo sotto le minacce di Efestione, ma continuava a pensare che rubava soltanto tempo a tutte le altre cose che avrebbe potuto fare.

Alessandro si girò nuovamente verso il compagno, gli carezzò il braccio e il fianco, poi avvicinò il viso alla sua schiena e ne inspirò il profumo, sapeva di loro due e di mare, quindi gli baciò la spalla dolcemente, e poi si sollevò per fare altrettanto col suo orecchio; Efestione, senza svegliarsi, mugolò e alzò una mano per scacciarlo come fosse una mosca fastidiosa. Alessandro si allontanò reprimendo una risatina, non lo voleva svegliare; l’altro mise un braccio oltre la testa e torse il busto, mostrando il petto e l’addome. Il re gli rivolse un ultimo sorriso, s’infilò la prima tunica a portata di mano ed uscì.

Alessandro iniziò a camminare attraverso l’accampamento che, intorno a lui, si stava risvegliando; i rumori erano quasi soffusi, nella luce opaca del primo mattino, l’aria fresca adeguata a chi si è appena svegliato. L’uomo si lavò il viso al primo pozzo che incontrò, mentre ascoltava le voci intorno a se: il pianto di un bambino, un fischiettio melodioso, l’uggiolare di un cane, e, lontana ma più chiara degli altri, la risacca del mare. Prese quella direzione, senza un preciso perché.

Mentre camminava si ritrovò a pensare alla discussione della sera prima, alle parole crudeli di sua madre, alla sua decisione nel volerle rispondere, alla stoica determinazione di Efestione nel volerglielo impedire; per un attimo, tutta quella faccenda, li aveva divisi. Per fortuna era durato il tempo di un respiro.

Alessandro, veramente, in quel momento, aveva stentato nel capire il compagno; sapeva che, dietro l’apparenza tranquilla e mite di Efestione, si nascondeva una persona sicura di se e delle proprie decisioni, ma, prima di tutto, non aveva idea che lui gli avesse tenuto nascosto per tanto tempo il fatto delle lettere di Olimpiade, e poi, Santi Numi, si parlava di sua madre!

Quanto gli sembrava sterile, ora, la sua posizione, davanti a quest’alba sul mare, ai gabbiani… si stese contro la chiglia di una barca rovesciata sulla spiaggia e spaziò il suo sguardo sull’orizzonte; aveva in mano un grappolo di datteri freschi, nemmeno ricordava chi glieli avesse dati, ma li mangiò con piacere.

Fermò gli occhi sul terrapieno in costruzione: questa cosa lo stava rallentando oltre il dovuto, ma, allo stesso tempo, non voleva rinunciare all’impresa, era contraddetto ma non avrebbe rinunciato; d’altra parte, Dario era ancora là fuori, una pecca inammissibile. Era frustrante non poter fare tutto nel momento stresso in cui lo desiderava; in certe occasioni avrebbe voluto potersi sdoppiare, ed era esilarante pensare alle reazioni di chi lo circondava: il mondo non era pronto per un solo Alessandro, figuriamoci per due!

Represse un sorriso. Un sorriso amaro. Era abbastanza intelligente da capire che i suoi sogni erano troppo grandi per qualsiasi uomo, ma non poteva comunque rinunciarvi. Non era nemmeno tanto stupido da credere di essere veramente figlio di un dio, l’importante era che lo credessero gli altri. Ciò che contava era il dono che aveva, e cioè quello di riuscire a far credere nei suoi sogni anche coloro che lo seguivano, dal primo generale all’ultimo schiavo. Finché aveva quel potere era salvo, il giorno in cui sarebbe venuto a mancare, forse, sarebbe finita la sua vita.

Poco importava, comunque, adesso era forte e giovane, bruciava di passione, ambizione e voglia di conoscenza, e la sua energia non sarebbe venuta meno, almeno finché voltandosi avrebbe visto gli occhi di Efestione su di se, il suo braccio forte a sostenerlo, il suo amore a scaldarlo; se era grande, e sapeva di esserlo, molto del merito andava alla volontà e all’affetto del suo compagno.

Gli tornò alla mente un evento di molti anni prima, un’estate della loro adolescenza, a Pella…

 

Era un pomeriggio brillante, come solo i pomeriggi estivi in Macedonia sanno essere, Alessandro era in piedi, in mezzo ad un prato, ed il sole impetuoso disegnava la sua ombra scura sull’erba; Efestione gli si avvicinò, fermandosi a qualche passo da lui.

"Cosa fai?" Gli chiese incuriosito.

"Avvicinati ancora." Gli ordinò deciso il principe, lui lo fece. "Ancora qualche passo." Continuò Alessandro, e l’altro ubbidì nuovamente; adesso le loro spalle si sfioravano.

"Vuoi dirmi cosa stai facendo?" Si decise quindi a chiedergli di nuovo.

"Guarda." Gl’indicò, continuando a fissare il basso. "Adesso la nostra ombra è una sola."

Efestione sorrise un po’ perplesso, poi guardò Alessandro. "E cosa vuol dire?"

L’altro alzò gli occhi chiari su di lui. "Che finché splende il sole, noi due siamo uno." Spiegò serio.

 

Era ancora valido quel che aveva detto allora, loro erano uno, questo contava sopra ogni cosa, e se lui era Alessandro non poteva permettere che niente, niente, cambiasse questo, né il giudizio della gente, né le minacce di sua madre, o la volontà degli Dei; erano così, il loro cuore non lo potevano cambiare. Non voleva perdere Efestione. Non poteva rischiare, non voleva farlo.

"Mio Signore, grande re?" Una voce timida lo distrasse dai suoi ragionamenti; alzò gli occhi sulla figura magra di un giovane servo.

"Dimmi." Lo incitò con un gesto pigro, restando comunque seduto.

"Mi hanno chiesto di domandarti se vuoi mangiare." Gli disse il ragazzo.

Alessandro distolse nuovamente lo sguardo e sospirò, riflettendo per qualche attimo. "Sì…" Rispose infine, senza guardarlo. "…ma non qui." Aggiunse alzandosi e scuotendo la sabbia dalla sua tunica. "Fai portare nella mia tenda, per due." Il ragazzo annuì e corse via.

Alessandro diede un ultimo sguardo all’orizzonte, respirò profondamente la fragrante brezza proveniente dal mare, poi sorrise e s’incamminò per la sua tenda.

 

Quando la raggiunse i servi avevano già portato tutto il necessario, togliendo gli avanzi della cena; sul tavolo c’erano latte appena munto, pane caldo con uvetta, frutta, focacce e miele.

Alessandro lanciò un’occhiata al letto, Efestione dormiva ancora; incredibile come riuscisse a farlo tanto a lungo. Sorrise, poi chiese ai servi di lasciarlo; loro si allontanarono silenziosi.

Mangiò una focaccia spalmata di miele e si leccò le dita come un bambino; dopo aver bevuto un sorso di latte, decise di svegliare Efestione. Si sedette sul letto, accanto a lui, poi lo costrinse a mettersi supino, nonostante i lamenti, quindi cominciò a baciargli le labbra; quando lo sentì rispondere al bacio, sorrise compiaciuto, ma non si fermò, almeno finché Efestione non gli prese il viso tra le mani.

“Le tue labbra sanno di miele…” Mormorò l’uomo, con voce ancora impastata e gli occhi sempre chiusi.

“So essere anche dolce… quando voglio…” Replicò Alessandro, con un sensuale sussurro.

Efestione socchiuse gli occhi, continuando a tenere il viso del compagno tra le mani. “La maggior parte delle volte, però, sei proprio acido…”

Alessandro si scostò, fingendosi brusco. “Senti chi parla, tu sei peggio del latte andato a male, quando ti ci metti!” Scherzò quindi; l’altro sorrise divertito.

“Sei la cosa più bella che qualcuno possa vedere svegliandosi.” Affermò allora Efestione, carezzandogli i capelli; Alessandro sorrise con dolcezza.

“Come ti sta il braccio, oggi?” Gli domandò poi, spostando gli occhi sulla fasciatura del compagno.

“Ahm…” Fece lui, flettendo il muscolo nel punto ferito. “…direi meglio…”

“Bene.” Disse Alessandro annuendo, poi fece per alzarsi dal letto, ma Efestione lo trattenne; lui tornò a guardarlo con espressione interrogativa.

“Prima ho aperto gli occhi e… non c’eri.” Affermò Efestione.

Alessandro si strinse nelle spalle con aria indifferente. “Avevo voglia di camminare, non volevo svegliarti, sono andato a fare una passeggiata.” Rispose, ma non gli sfuggì il rimprovero negl’occhi del compagno. “Oh, per tutti i fulmini di Zeus! Lo so che cosa pensi!” Sbottò quindi, puntandogli contro l’indice. “Giuro che ho dormito, l’ho fatto per tutta la notte!”

“Vabbene, vabbene, ma non urlare per pietà!” Replicò Efestione alzando le mani. “Mi sono appena svegliato!”

Scoppiarono entrambi a ridere e, quando smisero, Alessandro si gettò sul letto al fianco di Efestione; le loro spalle nude si sfioravano.

“Lo sai che sei pigro? Ma come fai a dormire così tanto?” Domandò ironico il re, qualche momento dopo; l’altro scosse semplicemente le spalle, con una smorfia.

“Tu dove sei stato a passeggiare?” Ribatté poi.

“Sulla spiaggia…” Efestione stava per fare un commento, ma fu interrotto. “…dovevo riflettere.” La voce di Alessandro si era fatta più seria.

Efestione aggrottò le sopracciglia incuriosito, girandosi verso il compagno. "E… a proposito di che cosa?" Gli chiese.

"Quello che è capitato ieri sera." Rispose distrattamente Alessandro, fissando la volta della tenda; l’altro s’incupì, alzandosi su un gomito per guardarlo meglio. "Ho camminato ed ho pensato." Spiegò lui.

"Sarai giunto ad una conclusione, quindi." Mormorò Efestione, che, però, si sentiva stranamente teso, sarà stato per l’atteggiamento sfuggente di Alessandro.

"Certo, non sono uno che ama perdersi nei voli pindarici, dovresti saperlo." Replicò brusco lui.

Efestione rimase interdetto per un istante, immaginando, dal tono usato, che Alessandro non si fosse mosso dalle posizioni della sera prima; infine sospirò, arreso, e si gettò di nuovo supino sul letto.

Trascorse un lungo momento di silenzio, mentre da fuori giungevano ovattati i suoni dell’accampamento ormai risvegliato; entrambi sapevano che il tempo loro concesso per stare insieme stava per scadere, presto i doveri di ognuno li avrebbero divisi per quella nuova, intera giornata.

Efestione era ormai convinto che Alessandro sarebbe intervenuto nella disputa tra lui ed Olimpiade; certo, le cose potevano anche andare bene, ma lui già s’immaginava la regina accettare formalmente la richiesta del figlio di lasciarlo in pace, mentre in realtà avrebbe messo su, nell’ombra, chissà quale sadica macchinazione per sbarazzarsi del suo ingombrante amante… Si maledisse a voce alta, dentro la sua mente, dicendosi che Olimpiade non poteva essere tanto folle da rischiare, con una mossa così azzardata, il rispetto del proprio figlio; alla fine, l’amore di Alessandro li proteggeva entrambi: lui che lo possedeva e lei, che aveva paura di perderlo.

 

Il silenzio dilatava i sensi di Alessandro; gli giungevano alle orecchie suoni lontani, voci, il nitrito dei cavalli, perfino il mare, lontanissimo… il respiro di Efestione, così vicino…

Era tardi, e sapeva cosa stava pensando il suo compagno; non capiva perché non riusciva a parlargli, eppure le parole erano pronte. Perché gli era sempre così difficile ammettere di non aver ragione? Anche con lui… lui che lo capiva, lo aspettava, lo perdonava sempre…

Sentiva il suo corpo nervoso muoversi accanto a se, incerto, come in attesa di una reazione che non arrivava; lo stava facendo soffrire, lo faceva sempre, ma non significava che gli piacesse.

Ora basta. Un uomo è un vero uomo se ammette i propri errori, ancora di più se è un re. Aveva fatto stare abbastanza Efestione sui carboni ardenti, era ora di smetterla. Allungò una mano…

Quando Efestione sentì la mano di Alessandro cercare la sua, poi stringerla delicatamente, fu sopraffatto dall’emozione; quel gesto non era casuale: quando erano meno che adolescenti e ancora non conoscevano la dolcezza di un bacio sulle labbra, il languore di una carezza, quando il piacere fisico si riduceva ad un abbraccio, Alessandro si stendeva accanto a lui, come ora, e gli prendeva la mano, a quel tempo sarebbero potuti rimanere così per l’eternità.

Girò il capo di scatto, trovando gli occhi misteriosi di Alessandro a fissarlo; come sempre, per un attimo infinito, si smarrì davanti a quelle iridi di due colori diversi, ma poi la tenerezza di quello sguardo lo sommerse e sorrise, ricambiando il gesto dell’altro.

"Sai, non credo che tu abbia capito." Affermò Alessandro, lui alzò sorpreso le sopracciglia.

"Che cosa?" Ribatté Efestione.

"Ciò che ho deciso." Rispose l’altro.

"Allora spiegamelo bene." Continuavano a guardarsi negl’occhi ed a tenersi la mano.

"Vedi…" Esordì il biondo sovrano, distogliendo un attimo lo sguardo. "…capirai anche da solo quanto per me sia difficile ammetterlo, ma… temo che stanotte io abbia commesso un errore." Parlava fissando il vuoto sopra di se, ma la presa sulla mano di Efestione si era stretta, palesando lo sforzo che stava facendo, e l’altro rispondeva con vigore, ben comprendendo la sua ansia. "Ancora… ancora ritengo che la mia reazione fosse giusta, come il mio sdegno, e sono sempre convinto che il mio intervento sarebbe la cosa migliore." Respirò profondamente e si girò a guardarlo. "Ma ho pensato anche a te, al tuo punto di vista."

"Ebbene?" Lo incalzò Efestione.

Alessandro distolse nuovamente gli occhi. "Ricordi quando ti dissi che, finché splendeva il sole, noi saremmo stati una cosa sola?" Gli chiese, lui annuì, lo ricordava benissimo e sentiva che era ancora vero. "Phai…" Si girò con impeto su un fianco, verso di lui. "…io non posso permettere che niente, niente al mondo, ci divida." Dichiarò deciso afferrandolo per le braccia. "Non le vane parole di mia madre, perché… io non posso perderti, la sola idea di vivere un istante senza di te mi è intollerabile, possono privarmi di qualsiasi cosa, qualsiasi, ma non del tuo sostegno." Aggiunse con occhi fiammeggianti, poi lo lasciò e abbassò lo sguardo. "Forse sono sbagliato, il mio cuore è sbagliato, per questo bisogno che non so vincere, ma, ormai, non lo posso cambiare…"

"E nemmeno vuoi, infine…" Pensò Efestione, che non riusciva a togliere gli occhi da quella testa china davanti a se, dai capelli biondi che gli sfioravano il petto.

Era rimasto molto colpito dal discorso di Alessandro, inutile dire che non si apriva spesso in questo modo, ed era importante quello che aveva detto; non che Efestione avesse bisogno delle parole per conoscere i sentimenti di Alessandro, erano certezze che gli venivano da un luogo più profondo di quello dove nascono i discorsi, ma la sincerità e la passione che l’altro ci aveva messo erano da apprezzare, provenendo da qualcuno che preferiva di gran lunga i fatti alle parole. Lo conosceva bene, anche se, ancora adesso, dopo lunghi anni insieme, si stupiva della facilità con cui, a momenti, riusciva a penetrare i suoi pensieri, come anche della difficoltà nel fare la stessa cosa in certi altri; Alessandro era una persona estremamente complessa, ma che nel profondo aveva tanto amore da dare, anche se chi lo circondava non riusciva a capirlo. Efestione, però, lo sapeva, lo capiva, perché lo conosceva meglio di chiunque altro, ed era disposto a dargli l’amore che cercava.

Gli prese il viso tra le mani, costringendolo ad alzare lo sguardo; i suoi occhi chiari lo fissavano seri, in attesa, lucidi come specchi. Uno azzurro, uno grigio. Come un demone, come un gatto… come un angelo. Come un Dio.

"Se tu sei sbagliato, Xandre…" Gli disse infine. "…allora lo sono anch’io, perché tutto quel che hai detto vale anche per me." Poi si strinse il suo capo al petto.

Lo sentì rilassarsi contro il suo cuore, con un sospiro, quindi un suo braccio gli cinse la vita, avvicinandoli ancora di più, qualche istante dopo la sua voce lo raggiunse, bassa ma sicura.

"Non le risponderò, non m’intrometterò in questa faccenda, voglio che tu agisca come ritieni più giusto, io… mi fido di te…" Affermò Alessandro.

"Questo mi rende felice." Ribatté dolcemente Efestione.

"Spero soltanto che serva." Dichiarò l’altro, scostandosi per guardarlo.

"Anche se non servisse…" Riprese lui. "…adesso ne sei a conoscenza, so cosa ne pensi e questo toglie un peso alla mia anima. La tua fiducia è la cosa più importante." Si sorrisero.

"Ora dobbiamo alzarci." Ricordò il sovrano, mettendosi energicamente seduto. "Il dovere chiama entrambi."

Efestione sorrise, stiracchiandosi. "Sì, mio Re!" Proclamò divertito, l’altro gli diede una piccola spinta, fingendosi offeso dal tono usato.

"Ci vediamo stasera." Gli disse poi, però, con un tono dolce, quando si fu messo in piedi.

"Se così desideri." Gli rispose Efestione, scendendo dall’altra parte del letto, mentre lo guardava negl’occhi.

"Lo desidero." Fu la breve affermazione di Alessandro, ma, nel calore della sua voce, c’era molto più di quel che esprimevano le semplici parole.

 

Epilogo

 

La fiamma dorata del lume ad olio rischiarava tenuemente il tavolo a cui era seduto Efestione; lo stilo correva sicuro tra le sue dita, mentre tracciava sulla pergamena la risposta per Olimpiade.

 

Mia signora, madre della mia anima,

 

Ho ricevuto la tua nuova lettera ed ho visto che anche stavolta non ti sei risparmiata nel darmi preziosi consigli e suggerimenti, di ciò ti ringrazio.

Io, ancora una volta, mi accingo a risponderti, benché il mio stato d’animo mi spingesse verso il silenzio, poiché è difficile trovare parole per rispondere a ciò che tu mi dici.

Finora ho tentato la strada della diplomazia, quella della rabbia e dello sdegno, ma niente pare funzionare, neanche le suppliche, quindi ritengo che anche una mancata risposta da parte mia, non porrebbe fine alla nostra corrispondenza, o forse, peggiorerebbe soltanto le cose.

Voglio sia chiaro che non provo alcun sentimento negativo nei tuoi confronti, poiché non è possibile odiare chi ha dato la vita a ciò che di più prezioso esista a questo mondo.

Vorrei soltanto che tu capissi, ma comprendo che questo esula dalla tua volontà; per quanto possa rattristarmi la tua scelta, non sono nella posizione di farti cambiare idea, ne credo tu vorrai prendere in considerazione una mia proposta in tal senso.

Ho il mio dovere da compiere, e molto poco tempo da perdere. Troppe cose, nel cammino trionfale di tuo figlio, dipendono da questo umile soldato, come da ogni altro di questo esercito.

Ma se non fossi sicuro che da me dipende anche molto altro, accetterei ben volentieri il tuo perentorio invito a fare ritorno in patria. Non credere che questa campagna, più lunga e avventurosa di quanto fosse nelle nostre più rosee, o fosche, previsioni, sia ciò che di meglio può chiedere un uomo; io soffro, come tutti i miei compagni, ma sopporto il dolore perché questa scelta l’ho fatta per amore, e non mi vergogno a dirtelo, mia signora.

È la devozione a spingermi. La fede nell’unico Dio che io conosca e che anche tu veneri. Per questo io ti chiedo ancora una volta di provare a capire, poiché, anche se in modi diversi, siamo bruciati dallo stesso fuoco, una fiamma che le mie preghiere esortano a non spegnersi mai. È per questo che io sono qui, e vi resterò: per preservare quella fiamma.

Non la farò spegnere, anche se dovesse costarmi un’atroce morte. Non lascerò il suo fianco, non permetterò che resti scoperto in battaglia solo perché io non ci sono, non gli farò mancare il mio conforto dopo il sangue dato e preso.

Ma se tu ancora ti rifiuti di comprendere, io, da ora in avanti, mi rifiuterò di discutere nuovamente con te. La mia decisione è irrevocabile, lo seguirò fino alla fine del mondo e non tornerò indietro finché non lo farà lui. Non c’è niente di più importante di Alessandro, per me, a questo mondo.

Se sei orgogliosa anche solo la metà di quanto egli lo è, so che non ti arrenderai, né mi aspetterei di meno dal ventre che lo ha partorito, ma sappi, e lo dico con certezza assoluta, niente di quello che potresti fare riuscirà a separarci. Niente.

Non sono più quel ragazzino che potevi spaventare con i tuoi serpenti, sono un generale di Alessandro, ed insieme a lui ho visto cose che tu non potrai mai neanche immaginare, ma non provo astio nei tuoi confronti, perché non posso far altro che venerare colei che portò in grembo la mia ragione di vita; non sprecherò mai una parola cattiva, o ti mancherò di rispetto, davanti a lui, desidero che tu lo sappia.

Ora ti saluto, e spero, ma non credo, che questa sia l’ultima lettera che sarò costretto a scriverti. Ti auguro una buona salute ed una lunga vita.

 

Tuo devoto

 

Efestione

 

Finito di scrivere l’uomo rilesse attentamente la lettera, dimostrandosi convinto di ciò che aveva scritto, quindi l’arrotolo e la sigillò, per poi inserirla in un tubo di cuoio; all’alba sarebbe partita, insieme alle altre, verso la Macedonia.

Efestione si rilassò con un sospiro contro lo schienale della sua sedia, soddisfatto, qualche istante dopo si alzò, pulì le mani dallo sporco della scrittura con uno straccio, quindi spense il lume ed uscì dalla tenda.

La notte era chiara; la luna, ancora quasi piena e brillante, illuminava placidamente l’accampamento, accompagnata da una fitta coltre di stelle. L’aria profumava di mare. Efestione si diresse verso la spiaggia.

La zona del terrapieno era illuminata dalle fiaccole e le ombre dei soldati di guardia si stagliavano minacciose nei bagliori dei fuochi, ma lui si diresse nella parte più a nord, dove aveva intravisto una sagoma familiare.

Alessandro osservava il riflesso delle fiamme sull’acqua scura, era quasi ipnotico, certamente affascinante; non si accorse dell’arrivo di Efestione, almeno finché questi non gli toccò un braccio.

Rimasero a guardarsi negl’occhi per un lungo istante, gli occhi chiari e bicromi di Alessandro in quelli caldi e nocciola di Efestione, paghi anche solo di questo; infine sorrisero.

"Vieni più vicino." Chiese Efestione all’altro.

Alessandro sollevò sorpreso le sopracciglia. "Perché?" Domandò quindi.

"Dai, vieni." L’incitò lui tranquillo.

"Mah…" Fece il re, perplesso, mentre gli si metteva accanto, Efestione gli passò un braccio intorno alle spalle, e Alessandro, pur non capendone il motivo, si gustò il piacevole contatto.

"Guarda l’ombra." Gli suggerì, però, il compagno, e allora lui chinò il capo.

Anche se la luce delle torce li raggiungeva debolmente, ai loro piedi e dietro, si allungava sulla sabbia grigia una sola ombra scura e indefinita. Alessandro rialzò gli occhi in quelli di Efestione sorridendo.

"Hai visto?" Gli disse l’altro. "Non è necessario il sole, per essere uno." Alessandro non rispose, si limitò a sorridere e carezzargli i capelli, annuendo.

S’incamminarono lungo la spiaggia vicini, tenendosi per la vita, allontanandosi lungo la riva, verso una notte piena di promesse, perché ormai erano certi che, anche nell’oscurità più cupa, sarebbe bastata la luce del loro amore a renderli una cosa sola.

 

FINE

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