Tales of Pangea - L'enigma del fuoco fatuo

di Iryael
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** | Capitolo I | Mires e Jekar ***
Capitolo 3: *** | Capitolo II | Richiesta di aiuto ***
Capitolo 4: *** | Capitolo III | Incontro con Cerbero ***
Capitolo 5: *** | Capitolo IV | Sacerdoti, massa di vigliacchi e bugiardi ***
Capitolo 6: *** | Finale | Verità ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


 
Premessa
La storia che stai per leggere è tratta da un gioco di ruolo presente in internet, pertanto mi sembra opportuno dare un minimo di spiegazione del mondo in cui è ambientata...
 
 
 
Esiste una terra, da qualche parte nel Multiverso, dove trova rifugio chi si perde irrimediabilmente.
 
Questo luogo, noto come Pangea, è la sintesi della Creazione: qui la presenza degli Elementi è talmente grande che chi vi giunge sviluppa subito l’affinità verso il proprio Elemento, che nel proprio mondo di origine tende a rimanere assopita per tutta la vita.
Per questo ed altri motivi molti hanno visto Pangea come un mondo mitologico, mistificandolo fino all’inverosimile: non è così.
In Pangea vivono esseri come noi che ridono, scherzano, piangono, gridano e si offendono. Pangea è un continente come potrebbe essere la nostra Oceania, ma traboccante di gramarye, un misto di energia fisica e di quella che si definisce “magia”.
Il gramarye è l'insieme delle forze della natura: è l'energia termica, l'energia idrica, l'energia eolica, è la forza di gravità e molto altro, e alberga in ogni essere vivente. Il gramarye è quindi il “potere” che permette agli abitanti di Pangea di compiere azioni che altrimenti sarebbero impossibili. I vari gramarye sono la base degli Elementi (Fuoco, Acqua, Terra, Aria, Luce ed Oscurità) e il fulcro delle tecniche; e sono tutto ciò che permette a Pangea di continuare a esistere.
 
Il popolo di Pangea è composto da molte razze che abbracciano un unico culto, quello della Triade: da qui nascono le tre Gilde Aelios, Eos e Selene.
I componenti della Gilda Aelios sono creature benevole e protettive, ma tutt'altro che sciocche: riconoscono facilmente le varie facce del Male e ingannarle è molto difficile. Il loro più grande desiderio è conquistare Pangea per espandere ovunque pace e moralità...impossibili da mantenere se congiunte con la libertà, e ciò crea una certa tensione con la Gilda Selene. I membri della Gilda Aelios adorano il Sole come divinità della luce e della ragione.
Coloro che fanno parte della Gilda Eos sono quelli che più si avvicinano alla neutralità. Ritengono le guerre inutili e le loro ambizioni, benché spesso grandiose, sono spesso personali e non comprendono la smania di conquista del mondo. Possono però fraternizzare senza problemi con i seguaci di Aelios come con quelli di Selene. La loro divinità principale è l'Eclisse, la perfetta fusione tra luce e ombra, simbolo dell'equilibrio.
Infine c’è la Gilda Selene: i membri di questa Gilda amano l’indipendenza più della loro stessa vita, e la libertà è sacra per loro. Non temono la morte né la sofferenza, e l’autonomia che li caratterizza li rende creature molto fiere. Il loro più grande desiderio è conquistare Pangea per renderla un Paese pieno di libertà, una libertà che però non può resistere se unita alla moralità tanto desiderata dalla Gilda Aelios. Considerano la Luna la dea della sapienza e della libertà.
 
Vi è poi una distinzione in base alle capacità di ciascuno, ed allora si hanno i silenziosi e agili Cacciatori, i Ferini in grado di comunicare con gli animali, i Ninja e le Kunoichi, ladri e predatori per eccellenza, i Medium, i forti Paladini ed i Maghi, grandi manipolatori della natura.
 
La vita trascorre tranquilla in queste terre dal sapore antico, ma vi è un’unica storia – per la precisione una leggenda – che tutti sanno ma nessuno, o pochi folli, vogliono verificare: la leggenda del Labirinto di Akolasia. Si dice che questo posto sia la terra madre di tutto il gramarye presente su Pangea, e che chi riesce a trovarlo può cercare di aspirare al controllo di un nuovo Elemento.
Bugia o verità? Nessuno può dirlo con certezza, perché coloro che sono andati non hanno più fatto ritorno...

 

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Capitolo 2
*** | Capitolo I | Mires e Jekar ***


:: I ::
Mires e Jekar
I
l Santuario di Inti era un posto davvero magnifico. Immerso nel verde ai piedi dei Monti Jawas, svettava verso il cielo con i suoi sedici obelischi di cristallo rosso, disposti secondo i punti cardinali. Sulla cima di ciascuno, un angelo dorato reggeva un disco con il simbolo di Aelios e lo volgeva verso la direzione in cui guardava. Più in basso, internamente al cerchio formato dalle torri, una cinta muraria circolare di un caldo ocra racchiudeva le stanze dedicate al culto e dei sacerdoti che onoravano il dio.
Ma al Faro di Aelios – così com’era chiamato il Santuario di Inti – le cose ultimamente non andavano come dovevano. I sacerdoti, soprattutto quelli più giovani e con minor forza spirituale, sparivano misteriosamente dalle loro stanze poco dopo la terza funzione, quella del tramonto, e le stanze in cui gli scomparsi alloggiavano venivano trovate piene di inquietanti fuochi fatui.
 
Quella sera, dopo la terza funzione, il novizio Mires scese le scale che dal piano terreno – dove si svolgevano le funzioni – portavano al piano interrato, dove alloggiavano i novizi. Non era solo: con lui c’era suo fratello maggiore Jekar, un altro novizio, come ordinato dal Gran Sacerdote. Da quando era sparito l’ultimo novizio, il quarto della serie, il Gran Sacerdote aveva disposto che nessuno girasse per il Santuario privo di scorta.
A differenza di Mires, però, Jekar camminava eretto, pronto ad affrontare qualunque demone gli si fosse parato davanti.
«Andiamo, Mires, non puoi nasconderti dietro la mia tunica!» disse, dopo aver dato un’occhiata veloce al fratello, alquanto inquieto.
«Non mi sto nascondendo...» biascicò Mires.
«Come no! Allora chi è che mi stringe convulsamente la manica?» incalzò Jekar.
«Non capisco come fai» rispose l’altro per cambiare discorso «A te non fa paura questa storia dei fuochi fatui? Non pensi mai che oggi possa essere il tuo giorno?»
«Ehi! Non portare jella!» sbottò il primo «Certo che ci penso, per questo mi sono premunito delle formule di terzo livello. Qualunque demone o spirito infestante si troverà di fronte ad una bella sorpresa» aggiunse con sicurezza.
«Terzo livello? E...basteranno?» chiese Mires.
«Spero di sì» rispose sorridendo Jekar «Su cinque livelli, il terzo dovrebbe fornire un buon grado di protezione, no?»
«S-sì...»
«Bene» fu la risposta soddisfatta di Jekar «Con tutta la fatica che ho fatto per imparare a recitarli, devono funzionare»
Svoltarono alla terza traversa del corridoio principale e proseguirono fino in fondo, giungendo innanzi a due porte poste l’una di fronte all’altra
«Ehi, non ti preoccupare troppo. Piuttosto, dopo portami i volumetti che hai che finiamo di vedere l’organizzazione per quella faccenda di Felt Dasken» disse Jekar, prima di entrare nel suo alloggio. Mires annuì ed entrò nel suo.
Non appena il giovane ebbe chiuso la porta alle sue spalle, sentì l’inquietudine aumentare. Eppure nel suo alloggio non c’era niente fuori posto: il letto era fatto, la cassapanca non aveva segni di rimaneggiamento...passò una mano tra i corti ricci rossi, confuso.
«Devo smetterla di pensare male...non c’è nessuno qui» si disse «Piuttosto, sarebbe meglio che andassi a parlare con Jekar per quella faccenda...» mormorò. Prese alcuni volumetti dal comò e li scorse rapidamente.
«Jaren...»
Il ragazzo si zittì, ripensando a quanto aveva detto.
«Uh? Ho detto Jaren? Devo essermi sbagliato...no no, devo andare da Jekar, adesso vado...» continuò, rimettendo un paio dei volumetti che aveva in mano dove li aveva presi.
«Jaren...dov’è?»
Mires si bloccò. Non aveva parlato lui...
«...Dove lo avete relegato?»
Non era stato più di un sussurro al suo orecchio, eppure gli aveva gelato il sangue nelle vene. Si voltò lentamente, trovandosi di fronte ad un volto spettrale, di quel pallore tipico dei cadaveri, contornato da una chioma di capelli scuri e lisci.
In preda al panico, annaspò. Lo spirito si irritò non poco a quella mancanza di risposta.
«Dimmelo, Umano!»
Ma Mires, con le pupille dilatate per la paura, gridò con quanto fiato aveva in gola. Lo spirito lo guardò con occhi pieni di rabbia, afferrandolo per il bavero della tunica, intimandogli con lo sguardo di rispondere. Il ragazzo smise di urlare.
«Io...Io non lo so! Non so chi sia! Non lo so! Non lo so!» disse, tentando inutilmente di allontanare lo spirito dal suo corpo. La presa dello spirito era reale e solida, ma le mani del novizio sembravano attraversare del fumo quando sfiorava lo spirito.
«Menti!»
In quel momento, la porta si aprì e Jekar fece irruzione nella stanza.
«Mires!» chiamò, ma non poté fare a meno di urlare alla vista dello spirito «Aah! Una Yurei!»
«Eccone un altro!» sibilò lo spirito «Sacerdoti infami ed ipocriti!»
 Jekar puntò la mano verso l’anima e cominciò a recitare una formula. La recitò velocemente, cercando di non incespicare nei suoni sibilanti, e mentre progrediva una catena di fumo argentato fuoriusciva dal suo palmo e si allungava verso lo spirito.
La Yurei non attese che la corda evocata dal novizio la rispedisse negli inferi e, sempre senza mollare la presa su un Mires terrorizzato, evocò le sue Blazing Chains: dal pavimento si alzarono cinque catene di fuoco puro che si lanciarono contro Jekar. Questi, preso dalla recitazione e impedito dalla veste, non riuscì a schivarle. Cercò di ignorare il dolore che quelle catene gli stavano causando e di continuare a recitare la formula ma ben presto il collo, i polsi e le caviglie, dove si erano arrotolate le catene evocate dallo spirito, cominciarono a fare troppo male per continuare a recitare. La Yurei se ne accorse e, scaraventato con foga Mires contro la testiera del letto, si lanciò su Jekar, sfoderando una spada che sembrava fatta di fumo con cui tranciò di netto le funi mistiche del novizio.
«Non osare, tu!» gridò lo spirito.
«Non osare te!» sentì gridare dalle sue spalle. Quando si voltò trovò Mires che, lacrimoni a parte, faceva ruotare tra le mani un bastone con fare esperto «Non toccare mio fratello!»
La Yurei ghignò.
«Tuo fratello, eh? Sarà un’ottima vittima per contraccambiare Jaren!»
Jekar gridò per il dolore causatogli dalle catene.
Mires saltò sul letto e, da lì, si scagliò sulla Yurei con il preciso intento di colpirla, ma lo spirito fu più veloce di lui e gli scagliò addosso le Blazing Chains, che lo riportarono a terra con un tonfo e con un certo odore di carne bruciata.
Ridendo malignamente, sparì in un turbinio portando con sé Jekar. Dopotutto, il nuovo arrivato sembrava più informato del fratellino.
«Fra...fratello! Nooo!» e proruppe in un urlo di dolore per le catene dal calore insopportabile.
Prima di svenire per il dolore vide una serie di fuochi fatui accendersi nell’alloggio.
Poi il dolore e l’oblio lo presero prepotentemente.

 

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Capitolo 3
*** | Capitolo II | Richiesta di aiuto ***


:: II ::
Richiesta di aiuto
M
ires fu trovato riverso a terra. I soccorritori – tre sacerdoti che stavano andando dal Gran Sacerdote – lo portarono immediatamente nella stanza di fronte e si adoperarono per controllarne lo stato di salute. A parte le ammaccature, gli unici sfregi erano cinque grandi ustioni ai polsi, alle caviglie ed al collo.
«Questa è opera della creatura, senza dubbio» decretò il Primo, prima di rivolgersi al Terzo «Per favore, vai a chiamare il Gran Sacerdote»
Il Terzo annuì ed uscì a passo svelto dalla camera, dileguandosi nel corridoio.
«Quello che mi domando è perché la creatura non lo abbia portato via come ha fatto con tutti gli altri» disse il Secondo
«Magari ha lottato ed è riuscito a cacciarla» ipotizzò il Primo
«Non credo. Di là è pieno di fuochi fatui...se anche l’avesse cacciata, sarebbe solo una cosa temporanea»
In quel momento il Gran Sacerdote entrò nella camera assieme al Terzo, che lo aveva fortunosamente incrociato proprio mentre scendeva le scale.
Era un uomo di mezza età, minuto, dalla mascella squadrata. Gli occhi sottili erano grigi come il metallo, ed i capelli corti erano brizzolati. La sua tunica era molto più pomposa di quelle degli adepti, rossa con le finiture dorate.
«Figli di Aelios, ditemi, cos’è successo?» esordì con voce delicata, avvicinandosi al corpo di Mires.
«Stavamo giusto venendo da lei, eminenza, quando abbiamo avuto il sentore di qualcosa che non andava» spiegò il Primo «Quando ci siamo avvicinati, lo abbiamo trovato riverso in mezzo alla stanza e lo abbiamo portato qui. Temiamo sia la creatura.»
«Capisco, capisco...ma andate a chiamare un medico, ora. Le sue ferite mi sembrano gravi, non vorrei che si infettassero» disse. Fu il Primo a scattare, stavolta, e a dileguarsi nel corridoio.
E mentre il Secondo ed il Terzo vennero messi ad esaminare la camera di Mires, il Gran Sacerdote si chiese se non fosse tutto dovuto ad un suo errore.
* * * * * *
Ovviamente, la notizia era volata di bocca in bocca e per la mattina seguente l’intero Santuario sapeva del nuovo attacco.
Nel refettorio c’era un continuo vociare più alto del solito, e non accennò a diminuire finché il Gran Sacerdote non prese la parola.
«Figli di Aelios» esordì. Se quando si era alzato il vociare era calato, ora che aveva cominciato a parlare era cessato del tutto «Come immagino sappiate, c’è stato un nuovo attacco. Ebbene, il novizio Mires è riuscito a sfuggire alle grinfie della creatura ed ora sta riposando sotto la sorveglianza del medico. Pare anche che Mires fosse solo in quel momento, quindi gioite perché oggi nessuno è stato portato via» a quelle parole grida di giubilo si alzarono dalle tavolate.
«Sbagliate»
Quella voce, flebile ma ferma e piena di dolore, fu come una doccia fredda per l’intera congrega. Tutta la sala si voltò verso l’ingresso dove Mires, pallido come un cadavere, fissava con occhi carichi di disapprovazione il Gran Sacerdote.
«Voi tutti sbagliate. Quella Yurei si è portata via Jekar...»
Subito dopo, sfinito dallo sforzo compiuto – perché lui non aveva voluto sentire ragione di rimanersene nel letto e si era alzato ed era salito di due piani per parlare con il Gran Sacerdote – svenne di nuovo.
* * * * * *
Mires aveva detto “quella Yurei”.
Era ormai chiaro di che cosa si trattasse. E non gli piaceva per niente.
Quella donna lo aveva perseguitato da viva e lo avrebbe fatto anche da morta...ma perché non si dava pace?! Tanto ormai quel che era fatto era fatto!
Ad ogni modo, lui come Gran Sacerdote poteva fare ben poco. L’unica cosa da fare sarebbe stato chiamare qualcuno abbastanza folle da scendere di sua spontanea volontà negli Inferi e mettere pace all’anima di quella donna. L’ideale sarebbe stato un Mezzodemone.
A proposito...ma non era venuto uno di loro a proporre i suoi servigi nella città vicina?
 
Il sorriso del Gran Sacerdote si allargò fin quasi a trasformarsi in un ghigno.
Guardò fuori dalla finestra del studio: a giudicare dalla luna dovevano essere le quattro del mattino. Prima di uscire dalla stanza, con un gesto rapido spense la candela che con la sua luce fioca illuminava il suo scrittoio: in quell’attimo, poco sopra il ghigno, gli occhi brillarono di un’inquietante luce maligna.
* * * * * *
«Fuori da qui!!!»
L’oste sembrava davvero fuori di sé. Eppure lui glielo aveva detto chiaro e tondo che non aveva molto denaro con sé.
Mah, alcuni Umani rimanevano un mistero.
Arashi si alzò dalla terra battuta della strada in cui l’oste lo aveva pressoché lanciato e si ripulì velocemente la giacca rossa, assicurandosi che nessuno avesse visto quella scena. Ci sperava, ma non era molto convinto che quella cosa fosse possibile. Non alle otto e mezza del mattino di un giorno di mercato.
“E ciò conferma che la sfiga è un’ottima cecchina” pensò, trovandosi di fronte ad uno che aveva tutta l’aria di essere un sacerdote di Aelios e che lo osservava con insistenza.
«Beh, che vuoi?» chiese, caustico. Ma l’omino continuava a fissarlo con quel suo ghigno stampato in faccia: poteva quasi percepire il suo sguardo scivolargli sui capelli chiari, soffermarsi sugli occhi azzurri e scendere sulla sua giacca rossa dalle maniche risvoltate all’altezza del gomito, i guanti a mezze dita, i pantaloni di pelle – il tutto sempre rimanendo a qualche metro da lui – e solo dopo qualche secondo gli rispose.
«Sei tu Arashi lo Scacciademoni?»
«Può darsi» rispose, sbrigativo. Ma che voleva quello?
«Sono il Gran Sacerdote del Santuario di Inti. Se sei Arashi, ho da proporti un lavoro»
Le orecchie di Arashi si drizzarono alla parola “lavoro”. Era senza il becco d’un quattrino, e un po’ di soldi non gli sarebbero tornati scomodi.
«Sono Arashi, sì, ma non parliamo di lavoro qui» rispose, cambiando tono e guardandosi intorno. Ma la gente passava oltre e sembrava non prestare loro attenzione «Lei non ha uno studio? Temo di aver perso la mia camera qui» disse. Il Gran Sacerdote lo guardò compiaciuto.
“Mezzodemoni...promettigli quello che a loro interessa e faranno qualunque cosa” si disse, prima di rispondere con un cenno d’assenso.
«Il mio studio è al santuario, ma se hai voglia di camminare...»
«Molto bene, andiamo» rispose Arashi, sbrigativo, superando il sacerdote con rapide falcate lunghe. Contava di lasciarlo alle sue spalle, ma l’omino lo sorprese con un passo abbastanza svelto da reggere il confronto e camminargli al pari. Così, in silenzio, attraversarono la città in tutta la sua lunghezza cercando di evitare le vie piene di bancarelle, camminando vicini.
Ma Arashi stava ragionando: aveva deciso che avrebbe accettato quel lavoro – qualunque lavoro fosse – solo perché aveva bisogno di soldi, ma l’odore che il Gran Sacerdote si portava appresso era strano, quasi come se stesse cercando di trattenerlo perché sgradevole. O forse era solo un’idea di Arashi, perché l’aroma d’incenso che quell’uomo aveva addosso era talmente forte da rendere difficile il riconoscimento di qualunque odore. Ad ogni modo, avrebbe tenuto la distanza di sicurezza con lui.
Soltanto quando furono usciti dalla cittadina – la cui guardia di turno, addormentata, si era presa un’occhiata di sdegno da parte di entrambi – Arashi si azzardò a chiedere dettagli.
«Di che si tratta?»
Il Gran Sacerdote continuò a camminare guardando avanti.
«Una Yurei infesta il Faro di Aelios da qualche tempo, catturando i sacerdoti» rispose. Pareva davvero preoccupato dalla faccenda «Novizi, per lo più, ma non posso tollerare oltre che uno spirito di Selene metta a soqquadro l’intero santuario, è un pericolo per noi e per i fedeli»
«Quindi sei venuto a cercarmi, okay. Quanti ne sono spariti?»
«Cinque, da quando lo spirito si è manifestato. L’ultimo è sparito ieri sera, dopo l’ultima funzione»
«Uhm...sono mille Guil, allora» rispose Arashi, svelto.
Il Gran Sacerdote si voltò a fissarlo, allibito.
«Ma...come puoi chiedermi mille guil?»
«Oh, posso e lo faccio. Sono l’unico Scacciademoni in città, in fondo...e poi sono cinque persone da riportare indietro e uno spirito da pacificare. Contando duecento guil per ciascuna persona e trecento per lo spirito mi pare di averti già fatto un bello sconto, vecchio» rispose tranquillamente Arashi.
“E ti va bene solo perché sei un Mezzodemone, sennò ti avrei lasciato in mezzo alla polvere prima” pensò il Gran Sacerdote, fissando torvo il giovane al suo fianco. Arashi lo guardò un momento, prima che un sorriso soddisfatto si stendesse sul viso. Un sorriso ironico e irritante, ma che scatenò la stessa reazione nel Gran Sacerdote: le labbra si stirarono appena in quello che sembrava un sorriso rassegnato, ma che aveva ben altri significati.
«E va bene, avrai ciò che chiedi. Che Aelios ti protegga»
«Così sia» rispose distrattamente Arashi.
* * * * * *
Una volta giunto al santuario, ad Arashi fu offerto di riposare e pranzare, mentre il Gran Sacerdote parlava con alcuni adepti più anziani.
E nel refettorio Arashi intanto si godeva la vista delle adepte, chiedendosi come mai le donne più belle finissero sempre per farsi seguaci di qualche dio. Ah, se fossero finite fra le sue mani!
Ma i suoi pensieri peccaminosi furono presto interrotti dal Gran Sacerdote.
«I fratelli più anziani ed esperti sono d’accordo per accompagnarti fino alle porte degli Inferi dopo la seconda funzione, quella del mezzogiorno» disse «Non appena terminerà, fatti trovare all’ingresso principale: all’interno del Faro di Aelios non sono consentite operazioni spirituali di tale portata»
«Che regola inutile» borbottò Arashi. Il Gran Sacerdote finse di non aver sentito e se ne andò, lasciando Arashi alla sua zuppa e alle sacerdotesse.
 
Circa mezz’ora dopo, Arashi era davanti al massiccio portone borchiato del santuario. La funzione era finita ed una fiumana di persone stava uscendo dal luogo di culto. Svelto, il Mezzodemone si spostò a lato della folla, dove fu raggiunto da una manipolo di sacerdoti.
Controllò che lo spadone fosse bene assicurato nel fodero che portava a spalla, e li seguì all’interno del bosco che si innalzava ad ovest del santuario.
Non camminarono a lungo, ma si inoltrarono abbastanza da poter compiere il rito in una radura senza che occhi indiscreti li spiassero. Gli affari del santuario dovevano rimanere interni al santuario, era una delle regole che vigevano in quel posto.
Arashi osservò i sacerdoti mettersi in cerchio attorno a lui, disponendosi ai vertici di un ottagono virtuale, ed ascoltò i loro mantra senza capirci molto. Poi fili d’energia oro e argento si dipanarono dalle loro mani e lo avvolsero come una rete fredda e strana, piena di pensieri e di immagini che lui percepiva chiaramente. Ma questa rete con tutte le sue sensazioni al seguito durò poco: qualche strofa cantata dopo vide il mondo dissolversi in polvere colorata e ricomporsi come fosse fatto da miliardi di pezzi di puzzle, e la rete scomparve con una nota argentina lasciandogli osservare un luogo a lui familiare ed estraneo al tempo stesso.
 
Era arrivato negli Inferi.

 

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Capitolo 4
*** | Capitolo III | Incontro con Cerbero ***


:: III ::
Incontro con Cerbero
L’
Inferno si apriva ai suoi occhi come un ambiente scuro, formato da isole di roccia sospese ad un’altezza considerevole sopra un oceano di lava, unica fonte di luce, che con il suo lento scorrere dava origine a pigre volute di fumo che riempivano l’aria. Le rocce più piccole rimanevano sospese a mezz’aria, mentre le isole più grosse erano collegate tra loro mediante ponti in legno e canapa che – oltre a resistere miracolosamente alla temperatura altissima del luogo – creavano una geometria simile a quella delle tele di ragno.
Arashi era su una roccia del diametro di una dozzina di metri, molto più elevata rispetto alle altre. Da quell’altezza si sarebbe potuto ammirare l’ambiente infernale per miglia e miglia, se non vi fosse stato tanto fumo ad appannare la visuale. Davanti a lui, due colonne massicce si innalzavano ad una distanza considerevole una dall’altra: i marmi che un tempo le ricoprivano erano ormai spariti, rovinati dal tempo e dal clima impietoso del luogo, ed i capitelli erano rovinati scompostamente al suolo. Attraverso le larghe scanalature che correvano lungo la lunghezza delle colonne era possibile vedere graffi straordinariamente profondi.
Era una visione che inquietava, ma a dispetto delle reazioni che chiunque avrebbe avuto trovandosi di fronte ad un tale spettacolo, Arashi sorrise con aria da spaccone.
«Sembra che qui ci sarà da divertirsi» disse, ignorando apertamente il caldo che aleggiava in quel luogo. Per accentuare ulteriormente la sua aria di sfida verso quel posto, il Mezzodemone estrasse lo spadone – un’arma dalla lama molto lunga e pesante, che però riusciva a maneggiare come se non fosse più gravoso di un bastone da passeggio. Immaginò un paio di affondi, quindi oltrepassò le colonne con aria sicura, entrando di fatto negli Inferi. In una fiammata, sparì dall’isola-ingresso ed arrivò su una delle isole che aveva visto prima, tra due colonne simili a quelle tra cui era appena passato.
L’isola era più grande della prima, ma il particolare più minaccioso era la gigantesca creatura acquattata a pochi metri di distanza dalle porte dell'Inferno. Con le narici frementi per aver fiutato la presenza di Arashi, tre grosse teste lupesche si sollevarono contemporaneamente. Queste erano collegate a un corpo canino grosso come quello di un toro, terminante in tre code lunghe e sottili simili ad una frusta.
Cerbero si sollevò in piedi sulle zampe possenti, snudando le zanne affilatissime ed emettendo un ringhio lungo e feroce dalle tre fauci gemelle.
E per tutta risposta, Arashi sorrise con aria strafottente: il cricetino – così come la sua mente lo aveva ribattezzato – sembrava affamato e difficilmente lo avrebbe fatto passare oltre senza procurargli grane, ma il Mezzodemone decise di fare comunque un tentativo.
«Andiamo, bello, non ho tempo da perdere a giocare con te...» disse avvicinandosi alla bestia per oltrepassarla, ma Cerbero non gradì ed emise un ringhio basso di avvertimento. Arashi sbuffò.
«Andiamo, Bobby, fammi passare...» mormorò facendo qualche altro passo avanti.
Cerbero, alla vista di quella palla di pelle che cercava di proseguire ignorandolo, sentì venire meno la sua proprietà sul territorio e si innervosì ancora di più. Ringhiando più forte, si accucciò sulle zampe, pronto a scattare.
Di fronte a quell’avviso, Arashi si fermò.
Era chiaro che Cerbero non lo avrebbe fatto passare in nessun caso, quindi serrò la presa sullo spadone e si mise in posizione di guardia.
Che voce fastidiosa, sembrò sussurrare l’istinto dell’animale. La voce del visitatore aveva un che di freddo e sarcastico che lo infastidiva profondamente. Di sicuro, se fosse provenuta dal suo stomaco sarebbe stata molto meno fastidiosa. O forse no: quello puzzava di Mezzodemone, e gli appartenenti a quella razza non avevano mai avuto un buon sapore, fin dalla notte dei tempi.
 
Ha invaso il mio territorio. Devo eliminarlo.
 
All’ordine dettato dall’istinto, la creatura si scagliò contro Arashi, facendo scattare contemporaneamente le tre teste: due lo avrebbero immobilizzato per le spalle, e la terza gli avrebbe divorato la testa. Già poteva sentire le ossa scricchiolare, mentre con un ultimo urlo la mascella cedeva e lui poteva banchettare...
Ma l’attacco non andò a buon fine: Arashi indietreggiò rapidamente, evitando le due teste laterali, ed all’attacco della terza lui si piegò fluidamente all’indietro.
«Sei lento, Bobby» disse, mostrandosi spavaldo. Sapeva che avrebbe irritato la belva: d’accordo che non parlava, ma non era stupida. Lucifero non avrebbe mai messo una bestia stupida a guardia degli Inferi.
“Se affronto le tre teste insieme non ne esco” pensò Arashi, muovendo fluidamente la spada per colpire la testa di destra con un affondo dal basso verso l’alto, potenziato dal colpo di reni che il Mezzodemone sfruttò per rialzarsi.
Quando la lama entrò nella carne abbastanza da far percepire il dolore a Cerbero – ed erano veramente secoli che nessuno gli infliggeva dolore – la bestia fece perno sulle zampe robuste e balzò all’indietro, trovandosi con un orrendo taglio che andava dal mento della sua testa sinistra alla clavicola. Emise un ringhio sofferente e barcollò lievemente all’indietro, uggiolando, prima di riacquistare equilibrio. Un solo pensiero si fece strada nella sua testa: fare a pezzi il Mezzodemone che gli aveva inflitto il danno. Però non poteva avvicinarsi troppo o dargli modo di fuggire; ed il modo migliore era sicuramente chiuderlo in trappola: con le spalle al muro, nemmeno Lucifero sarebbe stato invincibile.
Pensando di sconfiggerlo con questa tattica, cominciò a spostarsi da una parte e dall’altra come a zig-zag. Arashi si trovò disorientato dalla nuova tattica della bestia e si ritrovò ad indietreggiare fino ad un paio di metri dal bordo dell’isolotto di pietra. In seguito, a chi glielo avesse chiesto, avrebbe detto che faceva tutto parte del piano, ma in quel momento stava pensando che forse non avrebbe dovuto irritare la bestia e procurarle il taglio mostruoso alla testa sinistra ed al contempo stava maledicendo il committente che – dannazione – si era messo contro una Yurei. C’erano tante cose che una persona poteva fare, ma giungere a farsi odiare da qualcuno fino a desiderare vendetta in punto di morte per diventare Yurei (o Kirei, a seconda se la persona è un uomo o una donna) per essere tormentati...quella era una gran cagata.
 
Il filo dei pensieri di Arashi fu spezzato da un nuovo attacco di Cerbero: Arashi lo vide a mezz’aria, teso in un balzo con le zampe in avanti che puntavano le braccia e le teste con le zanne snudate rosse per i bagliori della lava. Il Mezzodemone saltò rapidamente all’indietro per evitare l’attacco, trovandosi sul bordo dell’isolotto. In quel momento, una vampata d’aria calda gli sollevò la giacca lunga trascinandola verso un cielo inesistente.
«Non ti ho fatto abbastanza male, eh?» chiese con la sua solita aria spaccona, prima di scattare con la rapidità di una serpe: balzò in avanti e, brandendo lo spadone con entrambe le mani, menò un fendente da sinistra a destra. Sapeva che doveva farla breve perchè in uno scontro di resistenza contro Cerbero non aveva speranze, e fortunatamente il suo colpo andò a segno. Un uggiolio di dolore echeggiò nell'aria, subito seguito da un tonfo: la testa centrale di Cerbero cadde e rotolò a terra, tagliata di netto, irrorata dalla cascata di sangue nerastro e vischioso che usciva dal moncherino sul corpo. La scena fece sorridere Arashi, che per un momento si distrasse ad osservare la testa rotolante.
Furibondo, Cerbero inventò una nuova offensiva: le due teste si allontanarono - l'una cercando di azzannargli l'anca sinistra e l'altra la spalla destra, in modo che Dante potesse ferirne una alla volta - mentre la coda simile a una frusta sibilava nell'aria da dietro, schizzando verso il mezzodemone, tentando di immobilizzare le sue braccia al torace o perlomeno di stringere le costole in una morsa brutale.
L’offensiva andò a buon fine e Arashi fu stretto delle tre code. Sollevato da terra, al cospetto di due paia di occhi carichi di rabbia, per la prima volta Arashi sentì l’adrenalina correre su per la schiena e cercarsi spazio nel petto oppresso dalla forza della bestia. Stretto nella morsa delle code, al Mezzodemone non rimase altro da fare che richiamare il gramarye: una membrana di oscurità solida gli si avvolse attorno, proteggendolo dai morsi di Cerbero ed al contempo disorientando il nemico. Approfittando del momento, riuscì a divincolarsi e ricadere a terra giusto un momento prima che la membrana si disfacesse. Mentre cercava di portarsi a distanza di sicurezza dal cane infernale, prima rotolando e poi, dopo essersi rialzato, indietreggiando velocemente, Cerbero non demordeva e cercava continuamente di azzannarlo.
“Accidenti, ma non gli fa male il moncherino???” pensò Arashi, schivando l’ennesimo morso, poco prima di accorgersi di essere nuovamente sul ciglio dell’isolotto. Con impeto, strinse lo spadone e respinse l’attacco della testa sinistra, lasciandogli un taglio profondo sulle labbra. Mentre Cerbero indietreggiava uggiolando, il Mezzodemone si lanciò in avanti e trafisse la testa con un affondo dal basso verso l’alto. Con foga estrasse lo spadone e, vedendo che era ancora attiva, si affrettò a schivare un paio di zampate e, con il fendente successivo, infilò la lama nel collo fin quasi a staccargli la testa, bagnandosi del sangue nero della bestia. Ululando, Cerbero si alzò sulle zampe posteriori e fece schioccare le code. Ricadde pesantemente al suolo, cercando di schiacciare Arashi, ma il Mezzodemone gli sgusciò tra le zampe, non senza venire frustato brutalmente dalle code. In seguito al colpo ricevuto, Arashi perse lo spadone e rotolò nella terra, mentre Cerbero si voltò, gettandosi con foga sul Mezzodemone.
 
Attaccalo ora! Ora che è indifeso come un contadinello!
 
La testa sinistra ciondolava, quasi priva di vita, ma la destra era ancora viva e si gettò a fauci spalancate verso la testa del Mezzodemone. In difesa, Arashi alzò un braccio e lo ricoprì della stessa membrana oscura che lo aveva protetto in precedenza. Il morso arrivò, più violento del previsto, ed Arashi percepì dolore. Il cane infernale prese a scuotere con violenza l’arto del Mezzodemone come a volerglielo staccare, e mentre Arashi cercava di non urlare per il dolore al braccio in difesa, con l’altro cercava di raggiungere l’elsa dello spadone, allungandosi fino allo spasimo. La sentiva, la sentiva con la punta delle dita: l’elsa era lì vicina, ma non riusciva ad afferrarla. Non finché la belva continuava a torcergli il braccio. Così abbandonò il tentativo di raggiungere lo spadone e, raccoltosi, sferrò un calcio a piedi uniti al ventre della bestia, che mollò la presa uggiolando: Arashi ritrasse il braccio che fino a quel momento era stato tra le fauci di Cerbero e rotolò di lato, contro le zampe a destra, troppo vicino alla testa sana affinché riuscisse a morderlo, ma abbastanza vicino allo spadone da poterlo afferrare. Quando lo strinse nella mano sinistra, lo fece ruotare e lo affondò di punta nel fianco del cane infernale, senza dargli il tempo di reagire. Cerbero non poté far altro che allontanarsi ululando, non senza tentare di morderlo con la testa ciondolante. Per fortuna di Arashi, il colpo non andò a segno: non volendo perdere nuovamente la sua arma, quando Cerbero aveva scartato in seguito al colpo, se lo era trascinato dietro finché la lama non era uscita dal corpo. Caduto disteso sul terreno, il Mezzodemone fece leva sulle gambe e si rialzò.
“Devo tagliargli la testa che ciondola, almeno quella o sono punto e a capo” pensò, ansimando. L’avambraccio destro, quello che lo aveva riparato dalle fauci del cane infernale, ora pulsava sempre più forte. Tuttavia afferrò lo spadone con entrambe le mani e si lanciò contro Cerbero, puntando alla testa di sinistra. Cerbero fece saettare le code, puntando a tenerlo più lontano possibile, ma il Mezzodemone riuscì ad evitarle ed infilare la lama del suo spadone nel collo della testa di sinistra e finire il lavoro precedentemente cominciato. Un nuovo fiotto del sangue nerastro del cane infernale gli si riversò addosso, riportandogli alle narici il tanfo del metallo e dello zolfo, mentre la seconda testa saltava via. Ululando dal dolore, Cerbero caricò improvvisamente ed alla cieca, prendendo di sorpresa Arashi, che cadde nuovamente a terra per l’impeto del colpo. Giunto al centro dell’isolotto, Cerbero si voltò verso il Mezzodemone.
 
Non posso ucciderlo io. Lo farà la lava.
 
La bestia optò per un attacco suicida: ora che Arashi era tra lui e il mare di lava, si scagliò con tutte le forze rimaste contro il Mezzodemone, le code pronte ad afferrarlo nel caso in cui avesse cercato di evitare il colpo.
 
Io morirò comunque.
 
Intuendo ciò che Cerbero aveva intenzione di fare, Arashi assunse la sua forma demoniaca: spesse placche ossee lo ricoprirono da testa a piedi, rendendolo irriconoscibile. Persino il suo respiro, sotto le placche, sembrava metallico. Dentro di sé sentiva di non avere quasi più nessun controllo sulla sua potenza: era al limite.
Cerbero era molto vicino, con la sua carica lo avrebbe quasi certamente scaraventato di sotto, ed Arashi rivestì l’avambraccio destro di gramarye ancora una volta, stavolta plasmandolo come una lama. Aveva deciso di tagliargli la testa mentre cercava di caricarlo: si diede lo slancio, fece qualche passo avanti e cercò di attuare il suo piano con un rapido movimento da sinistra verso destra. Cerbero chinò l'ultima testa sotto il colpo, che lo prese solo di striscio; poi, sempre ringhiando contro l'avversario, continuò la tattica suicida. Demoniaco o no, il nemico non avrebbe potuto resistere a un suo assalto diretto se questo l’avesse colpito. Ormai non gli importava più nulla di mangiarsi Arashi, o di punirlo per l’invasione del suo territorio: bastava vendicarsi di colui che l'aveva condannato a morte, perché era solo questione di tempo prima che la creatura venisse uccisa dalla troppa perdita di sangue o da Lucifero in persona per aver fallito.
Si scagliò per l'ennesima volta contro l’avversario con l’ululato distorto dalla sofferenza, gli orribili moncherini di collo sussultanti sulle spalle. Se avesse raggiunto il nemico, l’avrebbe trascinato con sé nel mare di lava. La coda sferzava l’aria, sempre pronta a torcersi attorno ad Arashi e a scaraventarlo nei meandri dell'inferno.
Il Mezzodemone decise di invocare un’ultima volta il gramarye: si concentrò ed impegnò parte delle sue energie per generare due mani di Oscurità solidificata, che fermarono la corsa del cane infernale. Senza esitare, si scagliò contro l’ultima testa con lo spadone ben saldo tra le mani e rivestito di gramarye. Con un urlo feroce, reso più cupo dalle placche che ricoprivano il volto, recise l’ultima testa di netto con una violenza tale che l’arto rotolò oltre il ciglio dell’isola e cadde di sotto, nel gorgogliante mare di lava.
Il corpo scuro e peloso di Cerbero s’accasciò a terra con un rumore soffocato, ormai privo di vita. Quando Arashi si avvicinò per controllare che fosse definitivamente morto, il corpo sussultò, facendo prendere un colpo al Mezzodemone che si chiese se non fosse di nuovo tornato in vita grazie a qualche potenziamento di Lucifero. Poi, quando si rese conto che quello spasimo era dettato soltanto dalle reazioni dei nervi, il Mezzodemone si rilassò e tornò alla sua forma normale facendo ritirare le placche ossee.
“Forse sarebbe meglio se gettassi anche il corpo nella lava” si disse, valutando l’idea di far rotolare il cadavere fino al ciglio dell’isolotto “Non si sa mai, se per caso Lucifero decidesse di passare di qui e me lo facesse tornare vivo e fresco come una rosellina, sarei nel letame fino al collo. Uno scontro posso anche sopportarlo, ma il cricetino mi ha gettato per terra troppe volte per non perdere il controllo alla svelta in una seconda manche
Così, rinfoderato lo spadone, Arashi invocò di nuovo le mani di Oscurità che aveva sfruttato durante il combattimento e spinse il cadavere giù dall’isolotto. Quando si sporse per assicurarsi che non sarebbe stato più un problema, vide una sorta di palla infuocata che affondava sempre di più nel mare di lava. Soddisfatto del risultato ottenuto, il Mezzodemone si apprestò finalmente ad attraversare il primo ponte, quello che Cerbero aveva tentato di bloccargli.
«Uff...accidenti, certo che fa caldo qui» commentò a metà del ponte. Effettivamente, l’innaturale calore si faceva più intenso ad ogni passo; e quasi certamente sarebbe morto abbrustolito se non fosse stato per il suo sangue di Demone.
Attraversato il primo ponte, giunse ad un’isola di modeste dimensioni, attraversata da rocce alte ed acuminate, simili a spine di pietra. Arashi poté giurare di aver visto qualcosa brillare tra quelle rocce, ma quando si voltò non vide nulla. Colei che lo aveva osservato da quel nascondiglio sin dal momento in cui aveva messo piede all’Inferno, stava lentamente scivolando lontano dal suo nascondiglio, non volendo che lui la scorgesse prima che lei decidesse quando e come rivelarsi.
«Devo affrettarmi» mormorò Arashi «Questo posto fa schifo, e per di più è un labirinto. Dovrò cominciare a mettere delle tracce per non perdermi» ragionò, guardandosi continuamente intorno. Non erano molte le occasioni per mettere piede all’Inferno, ma se tutte le volte doveva sentirsi a disagio perché si sentiva osservato...beh, allora meglio starsene a casa.
Affrettò il passo. Le isole si susseguivano in ogni forma e dimensione: in talune trovava brani di corpi maciullati, resti degli spuntini di Cerbero, in altre si potevano osservare anime racchiuse in gabbie di qualche strano materiale, od intente ad assolvere qualche pena, ma comunque non molte. Lo sguardo che tutte però rivolgevano ad Arashi era sempre di glaciale invidia.
Preso dal ragionare sul dove andare, non si accorse di essere seguito. Fu solo quando, all’inizio di un ponte, una moltitudine di catene di fiamme apparvero dal nulla e rosero le funi dei ponti che se ne accorse. Tornò indietro in fretta, sulla piccola isola deserta che aveva appena passato, spaventato da quella improvvisa apparizione. Lì, con un ghigno soddisfatto sul volto, si trovò faccia a faccia con uno spirito che aveva ancora teatralmente il braccio alzato ed avvolto dal gramarye.
Lo stesso che ancora rodeva il ponte mentre cadeva nel mare di lava.

 

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Capitolo 5
*** | Capitolo IV | Sacerdoti, massa di vigliacchi e bugiardi ***


:: IV ::
Sacerdoti, massa di vigliacchi e bugiardi
L
o spirito, dalla pelle simile all’avorio, svolazzava nel suo abito rubino: lunghi capelli scuri e lisci contornavano il volto mentre gli occhi, rossi come brace ardente, tradivano una soddisfazione immensa.
Arashi se ne infischiò della posa teatrale e biascicò sibilanti imprecazioni fra i denti, intuendo che era stata quella donna a mandargli in fiamme il ponte.
«Ehi, tu! Che accidenti ti è saltato in mente?!» gridò dopo l’ennesima bestemmia.
Ma l’anima continuò a guardarlo, senza dire niente, mentre calava il braccio con lentezza scenica.
«Tu sì» mormorò lei con voce leggera.
«Che vuoi da me?!»
La mano corse rapida all’elsa dello spadone.
«Lo sento, sei diverso» rispose lo spirito. Arashi alzò un sopracciglio.
«Eh?»
«Tu sei qui, e ci sei con anima e corpo! Tu sai dov’è il mio Jaren!» a quel nome, lo sguardo si fece più profondo «Parla, Demone, dimmi dov’è!»
Alla parola “demone”, la presa sull’elsa dello spadone si fece più salda: Arashi odiava essere chiamato così. Lui non era un Demone.
Nessuno doveva chiamarlo così. Nessuno.
«Non conosco nessun Jaren» dichiarò, freddo «Adesso dimmi dove posso passare per andare avanti»
Ma la donna nemmeno lo ascoltò; anzi, alzò una mano per chiedere silenzio. Arashi notò che aveva le dita incredibilmente lunghe e secche.
«Taci, Demone» cantilenò «Jaren è qui, in qualche angolo del mondo dei morti. Nessun altro oltre a te e quelli come te può avere libero accesso a questo mondo, pertanto devi essere stato tu od uno dei tuoi compari ad aver portato qui mio figlio ed a legarlo con catene di sangue»
«Bah, non ne so niente, spirito!» rispose, sciogliendo la presa sullo spadone. Quindi s’incamminò nella direzione dell’isola precedente, mentre la Yurei scendeva a terra fluttuando «Adesso dammi una risposta: ho dei sacerdoti da riportare nel mondo dei vivi, io»
La donna attese che Arashi le arrivasse di fianco prima di parlare. Arashi diede segno di volersi fermare davanti allo spirito, ma poi la oltrepassò.
«Sacerdoti...nient’altro che una massa di vili ed ipocriti» disse. Arashi si fermò, improvvisamente attento «Aelios si è dimenticato dei suoi figli, ed Eos ha volto lo sguardo altrove. Solo Selene si degna di essere un faro per gli abitanti di Pangea, mentre gli adepti degli altri due dèi non fanno altro che seminare false speranze. Non meriterebbero forse di finire tutti tra le braccia di Lucifero?»
A quel discorso le pupille di Arashi si dilatarono per la sorpresa. Fu solo per un secondo, poiché il suo ego lo voleva freddo e distaccato, ma la sorpresa fu tale che si voltò di scatto. Quando incontrò gli occhi della Yurei, una folata d’aria calda passò sull’isolotto, agitando le vesti ed i capelli dei due.
«Quindi sei tu che tormenti i poveri vecchi del mondo di sopra...» concluse Arashi.
«Parla, Demone, o ti affogherò in questi abissi infuocati» rispose la donna. Il Mezzodemone sorrise tra sé.
«Se proprio ci tieni...» disse, recuperando la sua aria spaccona «Ho rispedito all’Inferno così tanti Demoni da aver perso il conto, ma non ho mai toccato alcun Umano, nemmeno il più malvagio. Quindi non so chi sia questo Jaren di cui vai tanto parlando»
«Non mentire!» sibilò la donna, facendo vibrare il suo gramarye rossastro attorno a sé.
«Spiacente, ma dovrai affogarmi nel mare di lava...sempre che ti riesca» rispose. Vedendo il gramarye fremere con intensità sempre crescente, Arashi sguainò lo spadone per un’eventuale difesa.
La donna lo guardò, sprezzante, poi mosse vagamente la mano destra ed in essa apparve una spada che pareva fatta di nebbia solida.
«Vedrai, ti farò ricordare io» ringhiò.
“Una persona gentile che si arrenda a parole no, eh?” si ritrovò a pensare il Mezzodemone, intuendo dall’impugnatura della spada che era un’arma che si prestava ai giochi di polso “Quindi è una a cui piacciono le finte” ragionò.
In quel mentre, lo spirito scattò in avanti: in un primo momento sembrò che il suo attacco fosse diretto al collo, ed Arashi attuò una guardia alta, ma all’ultimo effettuò un gioco di polso che definì il fianco come nuovo obiettivo. Fortunatamente, Arashi riuscì a roteare in tempo lo spadone e ad andare ad intercettare la lama avversaria.
L’avversaria aveva uno sguardo terribile, osservò Arashi spingendola indietro con un movimento secco nel tentativo di farle assumere una guardia difensiva. La Yurei sfruttò lo slancio offertole dal Mezzodemone e si portò a buona distanza, riconoscendo che non sarebbe stato un avversario facile da battere con la spada. Quindi alzò il braccio libero ed invocò le Blazing Chains: cinque spesse catene simili a serpenti di fuoco fuoriuscirono dalle asperità del terreno e puntarono agli arti di Arashi. Svelto, il Mezzodemone evocò la sua Membrana Oscura ed una solida muraglia di oscurità gli si erse intorno. Le catene di fuoco vi picchiarono contro con una forza spaventosa e si dissolsero, annullandosi assieme alla muraglia e lasciando vedere Arashi, ora con lo spadone in mano, pronto ad un attacco.
«Sarei sorpreso...se la tua magia funzionasse» disse, strafottente, prima di lanciarsi all’attacco. La Yurei assunse finalmente una guardia difensiva, mentre a breve distanza da lei il Mezzodemone spiccò un balzo per sfruttare il peso del suo spadone in un fendente vigoroso. Quando il colpo calò, la lama dello spadone si scontrò contro il piatto della spada di fumo, alzata prontamente come difesa dallo spirito, che la sorreggeva anche in punta con l’altra mano. Una seconda vampata avvolse l’isola, scompigliando i capelli candidi di Arashi e rivelandone la fronte imperlata di sudore. Il Mezzodemone godette dell’espressione di difficoltà della Yurei, credendo di averla così messa alle strette. Ma quando sorrise, con il suo risolino dall’aria superiore, lo spirito rispose con la stessa espressione, irritandolo.
Poi, con precisione calcolata, inclinò di scatto la lama verso la punta. Arashi, colto alla sprovvista, non poté fare altro che assecondare il movimento, lasciando scivolare lo spadone: in quel momento la Yurei gli assestò un pugno sul fianco rimasto scoperto, facendolo gridare per il dolore. Approfittando della sua reazione, lo spirito fece un passo indietro e nel contempo fece roteare la spada come se volesse tagliare Arashi di netto all’altezza della vita. Il Mezzodemone in risposta fece un salto indietro: non riuscendo a portarsi alla distanza necessaria per vanificare l’attacco, fece correre la lama parallelamente al terreno. Di nuovo le due lame s’incrociarono a mezz’aria, di nuovo una vampa d’aria calda arrivò a loro, che dopo il colpo si allontanarono uno dall’altra.
«Dimmi dove si trova Jaren o ti ucciderò, stolto!» sputò con rabbia la Yurei.
I due presero a camminare in cerchio tenendosi sott’occhio, ciascuno con la propria arma in mano pronta a scattare.
«Di nuovo...ma cosa vuoi che ti dica? Non ho idea di chi sia questo qui di cui parli tanto!» rispose per l’ennesima volta Arashi «E anche se potessi rispondere, di certo non abbasseresti la guardia e tenteresti di uccidermi» aggiunse con un tono decisamente più freddo. Le labbra della Yurei si stirarono in qualcosa di simile ad un sorriso.
«Però! Tua madre è stata generosa con l’intelligenza...» commentò acidamente. Arashi la guardò come se volesse annientarla con gli occhi.
Lo spirito scattò in avanti, alzando la spada di fumo sopra la testa per calarla con precisione quando fu vicina all’avversario: Arashi alzò prontamente lo spadone per difendersi. Non aveva bisogno di sorreggere la lama con due mani, e l’avversaria gli offriva tutto il ventre: rivestì il pugno di gramarye e colpì il più forte possibile la Yurei. Il pugno, ricoperto dal gramarye color pece, penetrò nel ventre dello spirito e sembrò bruciarla. La Yurei emise un urlo di dolore e dovette ritirarsi, mentre Arashi sorrideva trionfante.
«Voi spiriti siete patetici» sentenziò «Credete di aver ottenuto chissà quale potere, invece siete le creature più deboli dell’universo. Ammetti la tua sconfitta, Yurei, deponi l’arma e vediamo di discuterne: non ho voglia di combattere contro qualcuno che sicuramente finirei per distruggere»
«Non dire stronzate, Demone» rispose l’altra «Non puoi distruggermi finché non avrò chiuso la questione che mi lega al mondo terreno»
«Oh, hai ragione. Però posso infliggerti seri danni e, credimi, non avrei il minimo risentimento»
La Yurei rifletté un momento: era risaputo negli inferi che i Demoni e le loro stirpi non provassero alcun sentimento se non la gioia del distruggere.
«Potrei infliggerti così tanta sofferenza che alla fine cederesti e faresti qualunque cosa io voglia pur di non patire altro dolore...pensaci, Yurei»
Lo spirito lo fissò con astio, ricomponendosi. Lentamente, mentre si raddrizzava, rifletté sulla proposta del Mezzodemone. Alla fine afferrò la spada di fumo e con un ampio gesto teatrale la portò parallela al terreno, poi con un movimento secco la piantò nel terreno innanzi a lei. Arashi interpretò quel gesto come un “va bene, hai vinto”, ma quando osservò lo sguardo della donna non vi vide altro che lucida determinazione. Perfino il ghigno che aveva assunto gli suggerì che aveva in mente qualcos’altro.
«Massì, Demone, ti accontenterò» esordì lei «E alla fine vedremo se crederai ancora nella purezza degli adepti di Aelios»
Arashi capì che stava per dargli una spiegazione, così calò lo spadone «Avanti, sono tutt’orecchie»
La Yurei raccolse ancora qualche secondo, arricciando le labbra come indecisa sulle parole da usare.
«Jaren è mio figlio» disse infine «Ha sei anni. Un anno fa si è ammalato di febbre sanguigna...conosci questo morbo, Demone?»
Arashi diniegò con la testa «è una malattia che non tocca noi Mezzidemoni»
«Beh, di sicuro tocca noi Umani, ed è una febbre maledettamente difficile da curare, abbastanza forte da trascinare una persona alla tomba. Non so come Jaren l’abbia contratta, sta di fatto che lo portai fino ad Inti con la speranza che i sacerdoti di Aelios lo guarissero»
“La solita storiella patetica” pensò il Mezzodemone.
«E quei bastardi che cosa fecero? Lo lasciarono alla mercè dei Demoni!»
Arashi annuì. Conosceva i Demoni della Dorsale Nevischio, aveva avuto già a che fare con loro: erano crudeli perfino più dei loro simili delle pianure.
«Loro che si professano come i guaritori più abili, i migliori di tutta Pangea, prima lo ignorarono e poi mi dissero che era stato rapito ed ucciso dai Demoni! Che dopo il viaggio che avevo affrontato non c’era più niente da fare!»
Di fronte a tanto rancore il Mezzodemone rimase colpito. Era veramente tanto per un Umano. Poi il tono calò.
«Non poteva essere vero, non può esserlo! Ma i giorni passavano e di Jaren non c’era traccia. Chiesi aiuto per cercarlo, ma dovetti fare da sola. I sacerdoti mi guardarono con compassione e cercarono di convincermi della loro versione ad ogni discussione. Non gli credetti, ovviamente. Ma il ritmo di ricerca che adottai fu troppo elevato rispetto alle soste ed all’alimentazione che facevo, e quando alla fine il Tristo Mietitore venne a prendermi, giurai che quei dannati sacerdoti avrebbero pagato per lasciar morire Jaren»
Arashi comprese l’odio che la Yurei provava per il sacerdoti, e nel profondo pensò di capirla.
«Quindi il vecchio mi ha detto solo la metà della storia che gli interessava...Certo...Con la versione integrale non avrei mai accettato l’incarico, anche a costo di dormire all’aria aperta per tutto il mese» ragionò. Poi si ricordò dello strano odore del Gran Sacerdote «Non c’è dubbio, la storia puzza»
La Yurei tolse la spada dal terreno e la puntò contro Arashi.
«Ora, Demone, voglio sapere le tue intenzioni»
Arashi sfoderò il suo miglior atteggiamento da sbruffone.
«Metti via quella spada, Yurei, che con me non ti servirà più» disse, rinfoderando lo spadone «E finiscila di darmi del Demone. Mi vedi forse orecchie e coda animali addosso?»
«Hmm...no, è vero» riconobbe lo spirito, facendo svanire la spada «Hai le fattezze di un Umano, ma le stesse abilità di un Demone. Sei un incrocio?»
«Un Mezzodemone» precisò lui «Di nome Arashi. Posso sapere il tuo, di nome?»
«Chiamami Ai, Mezzodemone. A quanto vedo, i sacerdoti si sono rivelati vigliacchi ed ingannatori anche con te. Che intendi fare?»
«Voglio capire. A che pro non raccontarmi tutto? Se mi avessero detto cosa ti ha fatta diventare Yurei, mi avrebbero fornito un’arma in più per sconfiggerti»
«Ma non capisci? Sono un peso proprio scomodo per Inti. Vogliono che tu mi neutralizzi e basta»
«Significherebbe che stanno nascondendo qualcosa»
«Non stenterei a crederlo»
«Beh, la mia missione è quella di liberare i sacerdoti che hai rapito. Intanto portiamo su quelli»
«Quello, vorrai dire» lo rimbeccò Ai «Ne ho rapiti alcuni per convincerli a dire la verità su Jaren, ma quei vermi rimangono fedeli fino all’ultimo alla loro ipocrisia. Ad eccezione dell’ultimo, sono morti tutti»
«Okay, basterà quello. Portalo qui» ordinò Arashi, sbrigativo. Aveva avuto un’intuizione circa il Gran Sacerdote. Avrebbe dovuto verificarla, e per farlo avrebbe dovuto varcare le porte degli Inferi con la Yurei ed il sacerdote.
«Muovi i quarti posteriori, Mezzodemone. Se lo vuoi, dovrai venire a prendertelo di persona: io non servo nessuno» rispose Ai, voltandosi verso un’isoletta secondaria ed incamminandosi.
Arashi ghignò, seguendola. Che caratterino!
La Yurei lo guidò attraverso una serie pressoché infinita di isole ed isolette semi-disabitate e sempre più calde: il terreno in discesa indicava che si stavano avvicinando alla lava sotto di loro. Alla fine si fermò su un’isola simile a quella sui cui avevano combattuto lei ed Arashi ed indicò un’isoletta priva di collegamenti alla loro destra. Somigliava ad una gabbia per canarini, pensò Arashi, ma al suo interno c’era un ragazzo emaciato dalla tunica sacerdotale lisa. Il Mezzodemone lo squadrò: era svenuto e non doveva pesare più di cinquanta chili, ma erano comunque un peso non da ridere, vista la strada che avrebbero dovuto fare. Ai lo guardò con disprezzo e, quando andò a prelevarlo dalla gabbia, gli sputò addosso bestemmiando nel dialetto colorito del Flamarhen.
«Tieni il tuo pivello» disse ad Arashi, lanciandogli il ragazzo come se non pesasse più di una piuma. Arashi si scansò e lasciò che rotolasse nella polvere, prima di sollevarlo e caricarselo in spalla.
«Adesso, torniamo al santuario. Ho avuto un’idea, ma per verificarla avrò bisogno anche della tua presenza. Se tutto va come credo, allora avremo da fare pulizia» disse.
«Pulizia? Cosa intendi per pulizia? E se non va come pensi?»
«Andrà come credo, fidati. E quando dico pulizia, intendo di Demoni. Non sai che i peggiori sono quelli di forma umana?»
Ai non capì cosa intendesse, ma decise di fidarsi. Voleva portarla al santuario? In tal caso meritava la scorciatoia.
«Vieni, allora. Per te penso che anche Lucifero farebbe un’eccezione: ti porto fuori volando» disse, tendendo la mano al Mezzodemone. Vedendo che lui non aveva capito, gli afferrò la mano e cominciò a sollevarsi da terra, dapprima lentamente, poi sempre più in fretta. L’ampia veste palpitava attorno al suo corpo come l’ala di un corvo mentre Ai sfrecciava trascinando Arashi ed il giovane sacerdote con sé verso il cielo infernale.
Pochi minuti dopo Arashi provò una strana sensazione, come se fosse atterrato da un salto, e si rese conto di aver smesso di volare. Sbatté le palpebre, e si ritrovò attorniato dal denso fogliame del bosco che accerchiava il Faro di Aelios.
Ai lo strattonò per rimetterlo in piedi e fece un cenno con la testa al santuario.
«La tana del serpente» mormorò, piccata. Arashi non rispose, ma si incamminò al suo fianco fino all’ingresso del luogo di culto.
“Che calma” pensò “Sembra anche troppa”
Vide Ai fremere, mentre richiamava la spada di fumo solido.
«Per favore, ricorda che non devi ucciderli tutti. Te ne basta solo uno» disse, ricevendo un’occhiata torva dalla Yurei.
«Non garantisco» Arashi ignorò la risposta, poi afferrò la maniglia del portone minore e spinse con tutte le sue forze.
Era la funzione del tramonto, file e file di sacerdoti stavano in religioso silenzio a pregare. Nessuno li degnò di uno sguardo, nemmeno quando Arashi gettò il corpo di Jekar su una panca.
Notò che Ai aveva già puntato la sua arma verso l’altare, e si affrettò ad imitarla. Al rumore dello spadone che veniva sguainato, i sacerdoti si voltarono infastiditi. Ma alla loro vista un’ondata di paura invase la sala. Allora anche il Gran Sacerdote, seduto sul suo scranno sull’altare, si degnò di guardare cosa avesse creato tanto scompiglio.
Un lampo di sorpresa passò nel suo sguardo, mentre passava dalla Yurei al Mezzodemone.
«Salve, vecchio. Temo che sia ora di concludere la funzione»

 

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Capitolo 6
*** | Finale | Verità ***


:: Finale ::
Verità
Q
uando il Sommo Sacerdote alzò lo sguardo e scorse i due visitatori, nei suoi occhi opachi lampeggiarono stupore e paura.
«Figli di Aelios, alzatevi! Presto! Rifugiatevi nelle vostre stanze, e che nessuno esca fino a nuovo ordine!» ordinò. I sacerdoti sembravano aspettare solo quell’ordine, perché subito si levarono grida acute mentre gli adepti correvano da tutte le parti, cercando rifugio poi nelle aperture che conducevano ai piani inferiori, dove si trovavano le loro stanze. Arashi ed Ai non si mossero: entrambi volevano il Gran Sacerdote.
Quando tutti ebbero lasciato la sala, il Gran Sacerdote si alzò dal suo scranno e andò a chiudere le porte come se non fosse successo nulla. Dopo che anche l’ultimo battente fu chiuso, l’uomo si voltò verso i due e li fissò con crudele ribrezzo.
«Bene bene, Arashi» disse con la sua voce profonda «Mi pareva di averti chiesto di liberarci della Yurei, non di condurla qui. Cosa significa ciò?»
«Tecnicamente, tu non mi hai mai chiesto di pacificare questa Yurei, e del resto io non l’ho inclusa nel prezzo del servizio» rispose il Mezzodemone. L’odore dell’incenso era così forte da coprire ogni altro presente nella stanza, ma Arashi riuscì comunque a sentire quella nota repressa che il Gran Sacerdote aveva indosso quando gli aveva affidato l’incarico. Tuttavia sarebbe stato chiaro a chiunque, in quel momento, che era tutt’altro che una persona gentile e caritatevole.
«Ti sei fidato della Yurei? O ti ha pagato forse meglio di me?»
«Diciamo che...mi sono chiesto spesso una cosa laggiù, tra Cerbero ed i dannati. Mi sono accorto del tuo odore strano sin dal nostro incontro. Qui c’è molto incenso, quindi riesci a nasconderlo quasi del tutto, ma come mai ti porti appreso l’odore sulfureo degli Inferi, vecchio?»
Ai drizzò le orecchie. Era a quello che si riferiva con quella frase enigmatica, davanti alla cella del novizio?
Il Gran Sacerdote non rispose, ma mosse un passo in direzione dei suoi avversari senza timore od esitazione.
«Rispondi, Demone! Rispondi e torna negli Inferi!» gridò Arashi, con un gesto eloquente dello spadone.
Il Gran Sacerdote si avvicinò ancora, sogghignando
«Non hai bisogno di spedirmi all'inferno» disse in tono mite ma venato di minaccia «Ci sono già passato, sai? Sei rude, ragazzo, sei davvero rude. Speravo avresti mostrato un maggiore senso di fratellanza...in fondo tra Demoni bisognerebbe intendersi, no?»
Sbatté le palpebre, e i suoi occhi prima quieti e grigi si accesero di un brutale bagliore dorato. Due corna caprine apparvero sulla fronte, strappando la mitra sacerdotale, brillanti di gramarye smeraldo.
Il Demone strinse con forza l'asta sacerdotale, roteandola di fronte a sé come un'alabarda, lo sguardo fisso su Arashi.
«Gli Umani sono facili da manovrare» sibilò «Da’ loro un dio e una giusta motivazione e si prostreranno ai tuoi piedi. Avevo bisogno di spiriti, e loro me li fornivano... gli spiriti dei mendicanti, dei malati e dei feriti, me li lasciavano da parte con la cieca convinzione che questo gentile vecchio padre li risanasse...» proruppe in una risata gelida «Che ingenuità! I Demoni sono fatti per divorare spiriti, per cibarsene e ricavarne nuova forza. E ora, caro Arashi... ti offro due possibilità: unisciti a me e a questi stolti burattini Umani, o unisciti a quella sottospecie di cadavere ambulante e incontra la tua morte»
Ai ringhiò, per nulla contenta di sentirsi chiamare “sottospecie di cadavere”, e gettò un’occhiata sospettosa al Mezzodemone.
«Incontrare la morte? Sono parole pesanti, le tue, se sai con chi stai parlando...ma non sia mai che il Grande Aelios abbia un Demone come te come sua guida su Pangea! IO RIFIUTO!»
Il Gran Sacerdote socchiuse gli occhi e sogghignò.
«Sei più Umano che Demone» disse in tono derisorio. «Una nullità. Non avrei mai dovuto assoldare un mercenario dal sangue tanto debole.»
Senza perdere altro tempo in chiacchiere, si fiondò sul mezzodemone e sull'anima.
Ai gli si parò davanti e mise la spada di piatto, bloccando il colpo del sacerdote diretto al ventre di Arashi; ma il filo acuminato della spada non spezzò l'asta, anzi, fu quest'ultima a scalfire l'arma della Yurei.
«Basta giocare! Vi rispedirò entrambi all'inferno, e stavolta per sempre!»
Una rapida torsione dell'asta, ed il Gran Sacerdote scaraventò Ai contro la parete.
Poi si voltò verso Arashi con sguardo famelico, l’asta stretta in pugno, e balzò addosso al Mezzodemone mulinando ferocemente l’arma. Arashi si aspettava il colpo, e non fece fatica a schivarlo ed a contrattaccare facendo correre lo spadone parallelamente al terreno.
La lama affondò nel fianco del Gran Sacerdote. Sentire l’acciaio affondare nella carne diede ad Arashi la carica.
«Non ci siamo, vecchio» lo apostrofò sogghignando. Un fiotto di sangue giunse in bocca al Demone e gli tinse le labbra di un rosso forte mentre si allontanava dagli avversario. Mentre fissava Arashi con occhi fiammeggianti per la rabbia, sputò il sangue che gli era giunto in bocca e poi si pulì le labbra con il dorso della mano.
A quel punto Ai lo assalì alle spalle, circondandogli la testa con un braccio per strangolarlo.
«Dimmi dov’è Jaren, bastardo, se non vuoi che ti trapassi» ringhiò al suo orecchio.
«Yurei, più gli spiriti sono giovani e più sono saporiti» rispose il Demone, prima di afferrare la testa di Ai con le mani cariche di gramarye ardente. Lo spirito gridò di dolore, sentendosi bruciare la faccia, e dovette lasciare la presa. In quello stesso momento cinque massicce radici sbucarono dal pavimento sotto i piedi di Arashi e cercarono di immobilizzarlo avvolgendosi attorno al suo corpo. Ma la crescita era più lenta del normale, ed Ai non ebbe difficoltà a bruciarle non appena salirono sopra il ginocchio del Mezzodemone. Vedendo lo spirito intento a rigenerarsi, Arashi le lanciò un’occhiata d’intesa: lascialo a me. La Yurei annuì.
«Che c’è, vecchio, le anime che hai mangiato non vogliono collaborare?» chiese con tono derisorio. Il Gran Sacerdote si lanciò su Arashi, incurante della ferita al fianco che pulsava a ritmo di marcia, e diresse il colpo verso la testa del Mezzodemone: Arashi lo lesse come un attacco frontale, semplice e prevedibile; ma all’ultimo il Gran Sacerdote cambiò direzione dell’asta e spiazzò la difesa del Mezzodemone alzando il colpo.
“Dannazione!”
Arashi non poté far altro che pararsi la faccia con il braccio sinistro: il colpo che ricevette fu terribile, un dolore lancinante corse dal braccio al cervello. Menò un fendente alla cieca: per evitarlo il Gran Sacerdote dovette nuovamente allontanarsi, dando modo ad Arashi di aggirarlo fino ad avere sott’occhio sia il nemico che Ai. Notò che la Yurei aveva sospeso la rigenerazione del volto per rialzarsi, ed ora stringeva nuovamente in mano la sua spada.
«Ti ho sottovalutato, Demone» ammise Arashi «Non sei spazzatura...fammi divertire» ordinò con il suo tono strafottente.
Subito dopo si gettò sull’avversario menando un fendente dall’alto. Il Gran Sacerdote evitò il colpo deviandolo con l’asta, quindi spazzò l’aria davanti a sé per far allontanare quel fastidioso scricciolo bianco e rosso.
Ai, alle spalle del Gran Sacerdote, non attese oltre e si lanciò verso le spalle del Gran Sacerdote ringhiando un urlo selvaggio, decisa ad affondare fino in fondo la lama della sua spada nel torace del Demone.
Quando questi si accorse dell’attacco alle spalle, si spostò quel tanto che bastò a non fare arrivare il colpo al cuore: la lama penetrò nei pressi della scapola destra, causandogli un dolore assurdo. Quasi contemporaneamente, Arashi si lanciò in un affondo. Il Demone non ebbe scampo: questa volta la lama lo trapassò al centro del torace, lì dove pulsava il suo cuore nero. Ai tolse di colpo la spada dalla schiena del Gran Sacerdote, e così Arashi. Il suo corpo senza vita si accasciò sul pavimento di marmi policromi, adagiato su una pozza di sangue scuro che andava formandosi.
Nel luogo di culto l’eco delle ultime grida andò spegnendosi. Il Mezzodemone e la Yurei rimasero a guardare lo spettacolo pietoso del Gran Sacerdote per qualche secondo.
«Che pessimo perdente» commentò Arashi, lo sguardo fisso sulla ferita mortale che gli aveva inflitto. Ai non rispose.
Per un attimo ancora la visione sanguinolenta rimase lì, poi si dissolse in un misero mucchietto di cenere.
«Non va» disse Ai.
Arashi la guardò in faccia. Aveva ancora pesanti segni della bruciatura infertale dal Demone, ed i suoi occhi sembravano ancora più disperati di prima.
«Cosa non va?» chiese.
«Quel bastardo si è nutrito dell’anima di Jaren. Se n’è forse andata con lui?»
«Non è possibile. Ogni anima segue il suo corso. Non può essere stata dispersa con lui» rispose Arashi
«E allora dov’è?»
La sua voce era davvero disperata.
«Ehi» la chiamò lui. Lei sembrò non sentirlo.
«Oh, il mio bimbo, il mio piccino...»
«Ehi...»
«Il mio bambino...l’ho perduto davvero...l’ho perduto...»
«Ehi, Yurei...» Arashi stava perdendo la pazienza.
«...perduto...»
«YUREI!» gridò, riuscendo ad ottenere l’attenzione di Ai «Vuoi finirla di frignare e venire qui?!»
«Non interrompere il mio dolore, Mezzodemone, se non vuoi una morte precoce!» ringhiò lo spirito.
«Per le palle di Aelios, vuoi venire qui oppure no?! Si tratta del tuo preziosissimo Jaren!» sbottò Arashi, ignorando del tutto la minaccia di Ai. La Yurei, a sentire quel nome, si avvicinò subito: tre fiammelle sottili ardevano sul pavimento, spettrali e al contempo stupende nel loro scintillio vacuo ed evanescente; gradualmente, sotto gli occhi sorpresi di Ai ed Arashi, le fiamme s'innalzarono da terra e presero a galleggiare a mezz'aria.
«Ma...che sono?» chiese lo spirito.
«Guardale bene» rispose il Mezzodemone.
Prima che svanissero in uno sbuffo di fumo, Ai ed Arashi ebbero la fugace visione di tre volti: due erano flaccidi e rugosi, volti di vecchi scavati dalla malattia, ma il terzo, liscio e morbido malgrado il pallore, apparteneva ad un bambino.
«Jaren!»
Con un misto di gioia e dolore, Ai vide l'anima di suo figlio scomparire dal mondo terreno, finalmente libera dalla malefica influenza del Gran Sacerdote.
«Adesso sono liberi...» disse Arashi, per la prima volta con un vero sorriso sul volto «Che fai ancora qui? Va’ a raggiungere tuo figlio!»
«Tempo al tempo, Mezzodemone. Prima di lasciare questo mondo vorrei ringraziarti come si deve»
Lo spirito giochicchiò un’ultima volta con la sua spada, prima di voltare l’elsa verso Arashi «Nelle mani di un semplice Umano sarebbe utile come uno sbuffo di fumo, ma tu hai dimostrato di essere di ben altra pasta. Prendila: a me ormai non serve più»
Arashi, dopo aver rinfoderato lo spadone, la soppesò: era leggerissima, e l’impugnatura pareva adattarsi alla sua mano, mentre la lama difficilmente avrebbe perso il filo. Indubbiamente, un’ottima arma.
Ai salutò il Mezzodemone con un cenno, quindi scomparve come le tre fiammelle, avendo spezzato la catena di rancore che la legava al mondo terreno.
Arashi continuò a guardare il luogo dove era sparita Ai per alcuni secondi, prima di andare a sedersi su una panca. Lasciò vagare la mente sulle figure che adornavano l’interno del santuario, nel silenzio più assoluto: gli intonaci chiari, le figure dipinte con colori caldi e le statue in marmi bianchi e rossi davano l’impressione di essere a casa, in un luogo caldo ed accogliente.
Rimase così, solo nel suo silenzio, fino a ché il novizio si riprese.
«Radioso Aelios...» mugolò «Ma...dove sono?»
«Al Faro di Aelios» rispose Arashi, senza voltarsi «E ti sei appena perso un combattimento coi controfiocchi»
«Il...il Gran Sacerdote?» chiese Jekar, vedendo la mitra e l’asta in terra, rovinati.
«Era un impostore. Un Demone, e si è servito di voi per procurarsi le anime con cui nutrirsi»
«Cosa???» gridò con la voce arrochita per lo svenimento.
«Abbiamo bisogno di cure, entrambi» andò avanti Arashi «Non so tu cos’abbia passato in compagnia di Ai, ma il vecchio ha picchiato duro con quell’asta»
Il ragazzo lo fissò stranito, non capendo nulla del discorso di Arashi, ma non si risparmiò dall’alzarsi e dal dirigersi verso l’altare maggiore.
«Vieni, se hai bisogno di cure. Vivian è un’ottima guaritrice» disse, invitandolo a seguirlo. Arashi sparì con lui dietro una delle porte dove, prima dello scontro, erano spariti i sacerdoti.
 
«Mamma, è lui il tato che ti ha aiutato a sconfiggere il sacerdote cattivo?»
Ai fissò Jaren, ora in braccio a lei. Non appena lo aveva raggiunto negli Inferi, lo aveva riportato in superficie per un’ultima vista al santuario.
«Sì tesoro. Si chiama Arashi, sai?» rispose, non appena vide il Mezzodemone sparire oltre il muro «è uno tosto, ma sotto sotto è un bravo Mezzodemone. Ti piace questo posto?»
«No. È troppo grosso. E chiuso. E poi qui parlano tutti sempre a voce bassa e dicono sempre le stesse cose»
Ai rise.
«Torniamo a casa, mamma, dai!»
«Va bene, tesoro, va bene. Ma la nostra casa ora è da un’altra parte...»
«È grossa? Posso fare i salti sul letto?»
«Grandissima. Ma certo, tesoro, potrai saltare sul letto finché ti pare...»
Lentamente, nella luce del tramonto, i due spiriti svanirono.
 
Il santuario tornò al suo silenzio ed alla sua quiete.

 

 

 

 

 


Fine della seconda Tale.
Ringrazio tutti i lettori, e sixy-chan per aver reso possibile la scrittura di ciò: io sono solo la persona che riporta i fatti, gli ideatori che post dopo post hanno costruito la missione da cui è stata tratta questa storia sono sixy-chan e ArashiUzumaki. Un applauso va anche a loro.
 
Alla prossima!
Iryael

 

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