Summer's Sunny Days

di mery_wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Pistachio&Vanilla ***
Capitolo 3: *** Bread&Butter ***
Capitolo 4: *** Cherries ***
Capitolo 5: *** Darkness (believe) ***
Capitolo 6: *** AVVISO DI SOSPENSIONE ***
Capitolo 7: *** Black Sun ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Estate

 

 

 

In bilico
Tra santi e falsi dei
Sorretto da
Un’insensata voglia
Di equilibrio

[ Negramaro - Estate ]

 

 

 

Ricordo che quell’estate aveva fatto più caldo del solito.

Sì, è come se il calore della pietra riscaldata dal sole cocente fosse penetrata dentro il mio corpo, in una sensazione che non se n’è andata mai più.

In bilico su quel muretto di pietra calda che ci aveva offerto un posto su cui stare in bilico, a cantare con la tua chitarra, e a guardare la luna che rispecchiava il suo pallore sulla superficie del mare.

Espiravo l’odore del salmastro, intonando malinconie passate e parlandoti di quel ragazzo che, tempo fa, mi aveva infiammato il cuore. Del ragazzo che poi me lo aveva spezzato. E pregavo che lui si ricordasse di me, che lui un giorno potesse tornare ad amarmi come io continuavo ad amare lui. E avevo quella sensazione che, parlandone con te, sarebbe andato tutto a posto.

Restavo in equilibrio tra quello che sentivo per lui e quello che iniziavo a sentire per te.

 

 

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Note:

D'accordo, questa sarà la mia prima ff a più capitoli.

Quindi non aspettatei chissà quale esperta, perchè non lo sono. Qui metterò pezzi di me, pezzi della mia vita e spero tantissimo di trasmettervi le stesse emozioni che ho provato io. Naturalmente, visto che non sono una persona che fa le cose con costanza non aggiornerò spesso, ma se voi commentate in tanti, esprimete i vostri pareri - anche negativi - potrei anche essere più veloce! ù_ù

E questo non è uno sporco ricatto! Solo una semplice richiesta. =D

Concludendo, preciso che per gni capitolo - non so quanto sarà lunga questa ff - posterò una strofa di questa bellissima canzone. I primi capitoli credo che saranno un pò corti e andranno a ripercorrere gli eventi passati come una serie di flashback. Se mi dilunghrò troppo o se sarò troppo pesante me lo direte, non è così? Non è così?!

Con questo ho finito, al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Pistachio&Vanilla ***


DISCLAIMER: i diritti delle canzoni che ho usato non mi appartengono, bensì sono dei Negramaro, Alessandra Amoroso, Lady GaGa e dei Trading Yesterday; mitici Trading Yesterday!

I personaggi mi appartengono eccome, ma non ci guadagno niente...

 Un Grazie a CipDebbi che ha avuto il buon cuore di recensire il mio primo capitolo.

Grazie.

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1

PISTACHIO&VANILLA

 

 

 

E resto qui
Sul filo di un rasoio
Ad asciugar
Parole
Che oggi ho steso
E mai dirò

 

 

 

<< A che gusto lo vuoi? >>.

<< Bho, non saprei. Qual è il più buono, secondo te? >>.

<< Questa è la migliore gelateria di Napoli, Giulia, sono tutti gusti buonissimi >>.

Oltre la lastra di vetro facevano mostra di sé tutti i più svariati mix di gelati mai visti al mondo.

Li guardavo un po’ nauseata da una così varietà di colori. E poi i coni ricoperti al cioccolato e nocciole, canditi, liquirizia e altrettante schifezze possibilmente ingeribili...

Erano troppo per i miei occhi.

<< È così un orgia di colori che mi sta venendo mal di testa solo a guardarli! >>, sbottai.

Miriam mi diede una gomitata alle costole, guardando altrove con un sorrisetto malizioso. La solita. Possibile che pensasse sempre male?

<< Io voglio tutto quello che ha a che fare con il cioccolato! >>.

<< Te pareva! >>.

<< Io lo prendo alle ciliegie e limone! >>.

<< Wagliù e facit ambress! >>.

Sbuffai scocciata. << Puoi smetterla di fare il cafone, Carlo? Parla Italiano... >>.

<< Se ci riesci >>, completò per me Rosaria, giusto per togliersi lo sfizio di sfottere quello che era il suo migliore amico.

<< Nu m’accirit a salut, eh! >>.

<< La devi scmettere! >>. Con velocità fulminea arrivò al ragazzo uno scappellotto sulla nuca.

Certo, anche lei aveva il dono della cordialità napoletana...

Una volta usciti dalla gelateria, la nostra comitiva uscì per strada e passeggiammo a lungo cantando qualche canzoncina per distrarci dal caldo non così afoso e tipico dell’estate, ma che aveva fatto sciogliere in men che non si dica il mio vaniglia e pistacchio. Mi maledivo per aver scelto un gusto che mi riportava in modo così surreale a Salina, dove l’arsura e l’odore del mare attraversava i ricordi e raggiungeva le mie narici.

<< Rah-rah-ah-ah-ah! Mum-mum-mum-mum-mah! >>, un coro abbastanza stonato, attirò l’attenzione di alcuni passanti. Nessuno dei miei amici sembrò curarsene e continuare a cantare a squarcia gola, ridendo sguaiatamente.

<< GaGa-oo-la-la! Want your bad romance! >>, continuarono imperterriti.

Mi sembrò persino di rivivere le stesse sensazioni. Fissai la coppa del mio gelato, con quel verde stinto che si mescolava così male con il bianco della vaniglia. Diavolo. Che grande cazzata che avevo fatto...

<< Senza andata né ritorno, io consumo un'altro giorno, confinandomi di niente. Tanto il niente è quello che hai lasciato dietro te... >>, iniziai a canticchiare per conto mio.

<< Senza andata né ritorno! Sto sprecando un'altro giorno in più. Per vivere e ricominciare! >>, continuarono le mie amiche con entusiasmo, quasi stonate, scambiando il mio tentativo d’isolarmi per altro. << Per sognare  all’orizzonte un cielo azzurro senza nuvole! >>.

Un cielo senza nuvole...

 

 

Verde

Azzurro

Bianco

 

 

Rigirai il cucchiaino nella coppetta come avrebbe fatto una strega malvagia mentre nel suo calderone faceva qualche miscuglio indicibile. Nel mio gesto non c’era nulla di malvagio.

O almeno, non apparentemente.

Perché sì, dentro di me sorridevo malvagiamente immaginando una piccola personcina persa in quel mare di gelato al pistacchio ormai sciolto. E giravo e rigiravo con il cucchiaino di plastica più velocemente per zittire quella vocina che mi diceva di piantarla.

Non volevo. Dovevo affogare quella personcina. Dovevo

<<  Smettila o finirai per schizzartelo in faccia  >>, una voce mi derise e due occhi terribilmente irritanti si piantarono nei miei. << B’è, non mi saluti? >>.

<< Che vuoi? >>, sbottai come se fossi al primo giorno di mestruazioni.

<< Cos’hai contro il gelato? >>, mi chiese fintamente, divertito.

<< Mi irrita >>.

<< Questo lo avevo capito anche da solo. Perché poi? >>.

<< È verde >>, risposi come se fosse la risposta più ovvia del mondo.

Oh, certo.

Adesso rincominciavo con quella storia del lo amo alla follia più folle e poi lo odio, deve morire ora.

Non mi riferivo certo al biondo impudente e alquanto abbronzato di fronte a me. Bensì a colui che avevo indirizzato le mie fantasie, i miei progetti per un fottuto futuro che non ci sarebbe stato.

Gaetano sapeva essere l’essere più corretto di questo mondo, ma a volte era troppo concentrato sui sé stesso per accorgersi di quello che gli accadeva attorno.

Sì, come no.

Poi l’avrei buttata sul melodrammatico, attaccando con discorsi moralisti e vittimisti.

Cazzo, no. Non volevo rincominciare con quella storia della ragazzina innamorata di uno abbastanza menefreghista da non importarsene un fico secco. Volevo rincominciare a guardare al cielo senza pensare che prima o poi avrebbe preso un colore verdognolo...

<< A che punto sei? >>, mi chiese Luca dopo aver ordinato una granita. Lo guardai stranita, come se non sapessi a cosa si riferiva. Lui indicò il block-notes al mio fianco dal colore sbiadito e le pagine giallastre, arricciate e secche che emanavano un nonché di malandato.

Capii e poi lo fulminai con lo sguardo.

<< Hai il diritto di non parlare >>, sibilai minacciosa. << Qualunque cosa che dirai potrà essere usata contro di te, in tribunale >>. Lui rise, per niente spaventato.

<< Addirittura in tribunale?! Oddio, non credi di star esagerando? >>, mormorò e sentii quasi una sfumatura di rammarico. Oh, non sopportavo quando faceva così!

<< Tuffarsi nel mare ghiacciato non è esagerato, Luca. Schizzarmi le gambe per darmi fastidio non è esagerato, Luca. Tirarmi in acqua con te, Luca... >>, mi trattenni dal dargli una sberla in faccia e non alzarmi in piedi e riempirlo di insulti. Sì, di certo mi erano arrivate le mestruazioni ed io non me ne ero accorta. Mi sentivo troppo su di giri. << Questo che è esagerato! >>, urlai.

Sì, mi riferivo proprio al primo giorno di vacanze estive. Quando eravamo arrivati in spiaggia Luca non aveva esitato per togliersi i vestiti e rimanere in mutande e poi gettarsi in acqua come se stesse morendo di caldo. Forse quella giornata era stata anche più calda delle altre ma fatto sta che non esitò dal venirmi a prendere e buttarmi in acqua, con in tasca il mio amato block-notes...

Mi veniva ancora il nervoso a pensare che tutti gli appunti che vi avevo scritto sopra... adesso erano persi; persi per sempre! Irrecuperabili!

E non era bastato a niente metterlo al sole, nella speranza che si asciugasse.

Le pagine fradice si sbriciolavano come molliche di pane nelle mie mani e l’inchiostro era completamente sciolto, le parole illeggibili.

Luca non avrebbe mai dovuto osare di

<< Ma quante storie! >>, disse lui esasperato. Tirò fuori il portafogli. << Dai, per farmi perdonare te ne compro uno nuovo, d’accordo? >>.

Si guardò attorno, nel frattempo che la rabbia omicida montava dentro di me, per accertarsi che in quel paese sulla costa di Salina ci fosse almeno qualche cartoleria.

<< A meno che tu non mi riscriva tutti gli appunti che ho perso, io non ti perdonerò proprio un bel niente! >>, borbottai contrariata dalla sua improvvisa gentilezza e sincerità.

Buttò il portafogli verde sul tavolo di plastica bianco talmente lucido, sotto il sole, da sembrare avorio. << Io scrivo. Tu detti >>. Scese a patti.

<< Perché mai? >>, alzai un sopracciglio, diffidente.

<< E ti pare che io mi debba ricordare per filo e per segno tutto quello che scrivevi là sopra? >>.

<< Non detterò mai e poi mai quello che c’era scritto >>. Me ne sarei vergognata troppo.

Certo, Luca leggeva tutto quello che scrivevo. Un po’ per prendermi in giro, un po’ per curiosità.

Ma non mi ero mai chiesta perché lo facesse. La vera ragione.

Non avrei mai avuto il coraggio di ripetere a voce quello che lui leggeva.

<< Pazienza >>, fece spallucce, abbandonandosi allo schienale della sua sedia. Guardò i passanti che passeggiavano con tranquillità e coraggio sotto il sole cocente di mezzogiorno.

Rimasi in silenzio a fissare la sua espressione assorta. Si portò una mano tra i capelli, scostandoseli dalla fronte e fece un mezzo sorriso. Per un momento credetti che lo stesse facendo perché lo fissavo. Ma poi,voltandomi anch’io vidi che era lui che fissava una ragazza, in strada, appoggiata al muretto che dava sul mare.

Irritata sbottai: << Non bevi? >>. Lo riscossi dalle sue probabili fantasie. << Se sei disidratato non avrai mai successo con le donne, sai? La pelle si fa secca e l’abbronzatura diventa da schifo >>.

Rise, imbarazzato stavolta. << Oh, cazzo mi hai scoperto, eh? >>. Sospirai, esausta. Mi alzai e feci per andare verso l’interno del bar. Luca, giusto in tempo mi prese per il braccio.

 << ’addò vai? >>.

Lui e il suo napoletano del cazzo! << In bagno >>.

<< Ti accompagno >>.

<< Che?! >>, lo guardai allibita, stringendo le labbra.

<< Non sia mai che un maniaco sfondi la porta e abusi di te! >>, si giustificò con la voglia di scherzare.

<< L’unico maniaco, qui, sei tu >>, gli puntai il dito contro, raccattando la mia borsa.

<< Ch’hai proprio preso gusto ad accusarmi, eh? >>.

Cambiando idea, uscì in strada e a passo spedito mi diressi verso la scaletta che portava in spiaggia... se così si poteva chiamare una sponda piena zeppa di sassi grandi, sdrucciolosi e bollenti.

Luca mi venne dietro, tenendomi il passo con capacità. << E adesso dove vai? >>.

<< Dove tu non ci sei >>, sbottai senza guardarlo negli occhi.

Ma avrei giurato che fossero illuminati della luce della sagacia.

<< Che gentile che sei, Giulia >>.

<< Non potresti andare a rompere qualcun altro? Insomma, perché proprio io? >>. Scendemmo gli scalini di corsa, camminando sui sassi con i sandali che si scaldavano mano a mano.

<< Se tutti i fiori appassissero...! >>, recitò all’improvviso, frettoloso. Il suo tono di voce non era chiaro, ma mi sembrò che stesse cantando. Riprese fiato. << E se tutte le nubi della tempesta decidessero di rimanere... >>, continuò mentre io lo ascoltavo, immobile. << Allora io mi ritroverei uguale ogni ora: lei è il domani ed io sono l’oggi >>.

Sapeva di avermi in pugno con quelle frasi. Erano mie, ovvio che mi aveva in pugno.

Mi commoveva quasi che lui riuscisse a ricordarsele, al contrario di come mi aveva detto prima.

<< Non è lei... >>, gli dissi, di spalle, acida da morire. << È lui. Non cambiare le parole >>.

<< Te la riscriverò! >>, si affrettò a dire. << Comprerò un nuovo block-notes, più bello di quella merda di quadernetto che avevi e ti riscriverò questa canzone! >>.

<< È in inglese >>, precisai pacata.

<< Non fa niente! È  l’unica che ricordo, Giulia, ti prego! La riscriverò e tu non dovrai dettare niente: penserò a tutto io >>.

Mi voltai verso di lui, ricordando anch’io un pezzo di quella mezza canzone che avevo scritto.

Lui è la luce del sole, ma il sole se n’è andato”

<< Se il giusto se ne sta andando, io preferirei essere nel torto! >>, disse ancora Luca, come se mi dovesse dare la prova che la ricordasse davvero. << Ti fidi di me? >>, mi porse la mano, in una richiesta. Acconsentì seria, vedendo quella canzone sotto un nuovo punto di vista.

E appena Luca afferrò la mia mano, con forza mi prese in braccio come se fossi leggera leggera.

Con una corsa poi si buttò in acqua, mentre rideva sollevato.

Mi tappai il naso e serrai gli occhi quando ebbi l’impatto con l’acqua fresca.

Riemersi con il vestitino che usavo come pareo bagnato fradicio e lui con la maglietta zuppa.

Ridemmo e poi in un impeto di furia scherzosa lo schizzai. << Sei un bastardo! >>, risi. << L’hai fatto di nuovo! Non ti perdonerò mai più! >>.

La sensazione che provavo, però, mi diceva l’esatto contrario.

Era la prima volta da quando ero arrivata, che il cielo non mi era mai sembrato così azzurro.

E il verde era solo un colore lontano, sbiadito come il block-notes sul tavolo bianco.

 

 

Presi il cellulare da sopra il comodino.

E pensare che quella mattina rimpiangevo di averlo lasciato lì.

Invece mi ero sentita più libera, quell’aggeggio faceva inutili promesse che non sarebbero state mantenute.

Sul display mi apparve l’avviso che avevo perso due chiamate ed erano arrivati cinque messaggi.

Oh, allora qualcuno mi caga!

Canticchiai la canzone che Luca aveva recitato solo una mezz’ora prima. Mi chiesi se anche lui stesse controllando il suo cellulare oppure se stava mettendo a stendere la sua maglietta fradicia.

Impiastro, lo insultai mentalmente e risi di cuore. Ricordai all’infinito il momento in cui il sole aveva brillato come non mai mentre io e Luca ci schizzavamo in acqua. Finché non lessi un messaggio che mi fece ricredere nell’oblio di un verde bottiglia.

 

“Da Gaetano:

Ciao! Tutto bene?

 

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Note:

 

Stamattina mi è venuta l’ispirazione e ho dovuto scrivere!

Credo che i capitoli non si ridurranno ad essere corti o semplice flash-back ma inizieranno sempre come una situazione del presente e poi andrà a ritroso ripercorrendo gli eventi del passato. Forse il colore del titolo vi ha fatto venire la nausea più dei gelati “tutti i gusti più uno” XD Ma ho voluto richiamare il verde del pistacchio, l’azzurro del cielo e il biancastro della vaniglia. Spero di non essere stata troppo volgare con le parolacce o l’aggiunta di quelle frasi in napoletano! Ma non ne ho potuto fare a meno! Era una tentazione troppo forte: il mio istinto napoletano ha preso il sopravvento. Ha fatto tutto lui, giuro!   >>///<<

Okay XD adesso passiamo alle spiegazioni:

Ho usato vari testi per questo capitolo. Il primo è dei Negramaro, Estate, come ho precisato nello scorso capitolo. Il secondo sono i versi incoerenti di Lady GaGa in Bad Romance, per chi non l’avesse capito e non credo che abbiano bisogno di traduzione! Poi  la terza che ho usato è Senza Nuvole di Alessandra Amoroso. E per ultima, ma non da meno, She Is The Sunlight dei Trading Yesterday *_*

Io li amo alla follia: in ogni loro canzone c’è il riassunto di un periodo della mia vita.

Ovviamente, però, ho voluto che in questa storia il testo l’avesse scritto Giulia – che scrive canzoni, per l’appunto, come ho accennato nel capitolo – e avesse cambiato il “lei” con “lui”. Perdonatemi, purtroppo anche io quando la canto cambio sempre “she” con “he” XD E non a caso Luca ha recitato i versi della canzone nel modo originale. Spero che l’uso del napoletano non vi abbia urtato i nervi –  io lo uso sempre quando sono incazzata e agitata e guarda caso oggi sono in questo stato d’animo, oltre che malinconica e triste. Le frasi dovrebbero essere comprensibili, o almeno credo, e se mi sbaglio, avvertitemi e metterò una sorta di traduzione. ù_ù

Spero di avervi strappato almeno uno straccio di emozione dal vostro cuoricino.

Giulia e Luca li ho usati anche per altre mie ff originali, l’ultima – un po’ triste – The Things That I Never Tell You oppure come un’altra più vecchia L’amore Conta. Ma questa ff non ha a che fare con nessuna di queste due, perciò la mia è una semplice pubblicità XD

Cia0, ciao a presto - forse!

 

“Dona l’8% del tuo tempo alla causa pro recensioni

Farai felici milioni di scrittori.”

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Capitolo 3
*** Bread&Butter ***


Ehi, buongiorno!

Grazie ^^ grazie di cuore per le recensioni!

Già due recensione mi riempiono il cuore di gioia, ma anche qualche altro misero commentuccio da parte di solo quelli che leggono accrescerebbe la mia già bassa autostima da scrittrice è_é

Ringrazio anche dal profondo del mio cuore effe_95 che si è unita a recensire Sunny insieme a CipDebbi.

P. S. vi consiglio di leggere questo capitolo con in sottofondo la canzone di Sarah McLachlan, Blackbird che potrete trovare qui, su YouTube.

È lei che ha ispirato questo capitolo.

 

 

 

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2

BREAD&BUTTER 

 

Non senti che
Tremo mentre canto?
Nascondo questa stupida allegria
Quando mi guardi

 

 

 

Da quel giorno siamo sempre insieme Jenny e io, come il pane e il burro.

[ Forrest Gump ]

 

 

<< Sgrunt. ‘Giorno... >>, borbottai, grattandomi distrattamente una guancia.
<< Buongiorno. Dormito bene? >>. Mia madre mi accolse nella cucina assolata, con un sorriso altrettanto raggiante.
<< Direi di no >>.
<< Perché mai quella faccia cadaverica, sorellina? >>, fece mio fratello minore, sbigottito.
<< Mh... Non è che mi va di parlarne, ok? >>. Odiavo quando mi facevano il terzo grado di mattina presto. << Ditemi che ore sono >>. 
Caspita, mi sentivo come se avessero messo la sveglia alle cinque del mattino.
<< È mezzogiorno >>.
Spalancai gli occhi e la bocca. << Miseria ladra... >>, biascicai, più che sorpresa.
Decidendo di non pensarci ancora su, mi fiondai verso il frigorifero, famelica. Ma subito la voce di mio fratello mi ammonì:
<< Non vorrai mangiare a quest’ora! >>.
<< Lo sai che poi a pranzo non toccherai niente, vero? >>, rincarò la dose mia madre.
<< E non rompete >>, sbottai, di malumore.
Mio fratello sopirò: << Eppure ieri sembravi di così di buonumore... >>.
Preferii non rispondere.
Poi entrambi i miei familiari si fecero i fattacci propri, come se glielo avessi ordinato. Salvatore riprese a sfogliare il suo fumetto giapponese e mia madre a togliere 
dalla tavola i resti della cena di ieri. Bevvi un bicchiere d’acqua per schiarirmi le idee e poi mi rivenne in mente cos’era accaduto ieri...
No, niente paura.
Non si trattava di nessuna invasione aliena, ultimatum alla generazione umana o qualcosa di catastrofiche. Avevamo solo visto un film alquanto insensato, insieme a 
degli amici che ci erano venuti a trovare nella nostra casa in campagna. Ma era stato comunque un evento di dimensioni epiche, per me.
Il mio stomaco si contorse all’idea che tra poco sarebbe iniziato un nuovo anno scolastico. Con quello che era successo ieri era bello poter credere che non fossimo già a Agosto...
Feci uno sbadiglio e la mia pancia emise un brontolio alquanto imbarazzante.
Non so se sia stato per la mia faccia oppure per il rumore del mio stomaco ma suscitai una certa pena in mia madre che, alla fine, acconsentì a preparami la colazione.
Mi lodai mentalmente, per la mia performance da cane bastonato. Sorrisi diabolicamente.
<< Guarda >>, fece mia madre, << abbiamo comprato dei cornetti vuoti così li possiamo riempire di ciò che più ci piace. Te ne preparo uno. Cosa vuoi che ci metta dentro? >>.
La guardai aprire il cornetto con un coltello. Ci pensai su: << Burro >>.
<< Sicura? >>, chiese, stranita. << Non ti disgusta? No? Come vuoi >>. Spalmò il burro dentro il cornetto ed aspettai pazientemente che mi servisse.
Non avrei dovuto trattarla come una serva. Di certo non la guardavo con lo sguardo che diceva chiaramente “ora inginocchiati e baciami i piedi” ma non potevo far a meno 
di stare seduta, a rimuginare. << Come ai vecchi tempi >>, bofonchiai tra me, senza voler che ascoltassero la mia constatazione.
<< Come hai detto? >>, mi fu chiesto inevitabilmente.
Iniziai a masticare il mio pane e burro, diffidente. << Niente, niente >>.

 

***

 

<< Fa caldo... >>.
<< Sì, è almeno la centesima volta che lo ripeti >>.
<< Ma è vero...! >>.
<< Sentila, non ha neanche la forza di parlare! >>.
Mi voltai, fulminando con lo sguardo Luca. << Non sono stata io a tracannarmi metà bottiglietta d’acqua, se non sbaglio >>. Dire che assomigliavo ad un serpente era poco.
Nella salita ripida di asfalto dal paese fino alle casette affiancate sulla collina che avevano affittato la mia famiglia e quella di Luca c’era sempre da faticare.
Specialmente se erano le cinque del pomeriggio, dopo merenda e senza essere muniti di almeno un litro d’acqua.
Sospirai. Mi chiesi se Luca lo facesse a posta ad irritarmi. Ci voleva un talento, d’altronde.
<< Comunque, potevi anche farti un bagno prima di salire. Il costume ce l’avevi >>.
<< Non ci tengo a lavarmi da capo >>.
<< Come vuoi tu >>.
<< E poi quella piscina piana di sassolini che voi chiamate mare è infestato dalle meduse. Perché sfidare ben due volte la sorte? Non voglio essere punta. 
Stamattina l’ho scampata appena in tempo >>.
<< B’è, questo lo devi a me >>, si lodò. In quel momento mi pentii di avergli espresso la mia gratitudine. << Se non ci fossi stato io e non avessi catturato quella medusa, 
tu saresti stata punta >>.
<< Oh, certo. Adesso non è che sei diventato un eroe. Non montarti la testa >>.
Ma a che serviva dirglielo, poi?
La testa montava, quello là, ce l’aveva dalla nascita. Ci avrei scommesso che le sue prime parole – mi manca solamente la conferma finale, che non potrò mai avere – erano state 
“Quanto sono bello”. A volte, la sua vanità mi faceva venire i giramenti di... testa. Sì, testa.
<< Piantala, Luca >>, intervenne suo fratello minore. Per un momento pensai che stesse per dire qualcosa di intelligente. << Che l’unico che non ha paura delle meduse, qui, 
sono io >>, concluse con un senso di superiorità.
Oh, come non detto.
Come se la mia mente e quella di Luca fossero collegate, ci guardammo silenziosamente.
Sorridemmo diabolicamente.
Facendo finta di niente lasciammo andare avanti Vincenzo e ci limitammo a stargli alle spalle, camminando più lentamente.
Ci limitammo solo per poco. Facendoci un cenno quasi disinteressato, ci avvicinammo a lui di soppiatto.
Prendemmo fiato:
<< MEDUSA! >>, gridammo all’unisono nelle sue orecchie.
Vincenzo trasalì, prendendo l’equilibrio. << Dove?! >>, si guardò attorno, allarmato.
Veloci come fulmini, io e Luca iniziammo a correre, sorpassandolo. << Medusa di terra! >>, gli gridò Luca, per indispettirlo ancora di più.
Vincenzo, quando si accorse della beffa iniziò a pronunciare parole irripetibili.
Corremmo più velocemente perché se solo ci avesse preso non osavo immaginare cosa ci avrebbe fatto. Ma ridevamo, ridevamo così forte che ad un certo punto 
dovemmo smettere di correre, per il mal di pancia.
Ormai il fratellino del ragazzo che avevo davanti era lontano ed aveva rinunciato a raggiungerci. Il sole picchiava così forte che pensai di avere le allucinazioni.
Perché vidi Luca splendere sotto quella luce forte. La sensazione che provai alla testa non doveva essere altro che un allucinazione.
Smisi di ridere.
Lui non sentì il mio cambiamento, ancora troppo preso a sghignazzare di gusto.
Cercai di distrarmi da suo viso dai lineamenti che non mi erano mai sembrati così carini fino a quel momento e tentai di trovare un qualsiasi pensiero che mi distraesse.
Diamine, dovevo smetterla di fissarlo. Non era educato. Ed era imbarazzante.
Pensai a Gaetano.
Mi diedi mentalmente della stupida per aver voluto pensare a lui.
 
A rovinarmi la giornata bastava veramente poco.
Bastavano le nuvole grigie che oscuravano il sole, così vitale per il mio buonumore.
Bastava la pioggia, così deprimente.
Per rovinarmi la giornata bastava solo un messaggio di Gaetano, il mio vecchio migliore amico.
A volte, poteva sembrare che aiutarmi nelle mie difficoltà e starmi vicino fosse l’obiettivo per cui era nato, altre che farsi i fatti propri, sparendo dalla circolazione, 
fosse la cosa migliore per tutti. Non vi avevo mai dato troppo peso al suo strano comportamento.
Almeno, non finché non mi ero innamorata di lui...
<< Sei silenziosa. Cosa ti succede? >>, Vincenzo mi si avvicinò, con aria apprensiva.
<< Pensavo >>, risposi senza rendermene conto.
A cena non era da me restarmene zitta a rimuginare, era abbastanza ovvio. A me piaceva blaterare e blaterare all’infinito e scherzare persino mentre mangiavamo.
Era questo uno dei vantaggi ad essere con Vincenzo e Luca in vacanza: non ci si annoiava mai.
Sarà perché Vincenzo è irascibile e rumoroso; una volta scatenato il suo uragano non lo ferma più nessuno. Ed è fermamente convinto di quello che fa, anche se non è una 
mossa intelligente.
Sarà perché Luca è più ragionevole, ma altrettanto rumoroso e fastidioso se si lasciava andare. E forse il suo repertorio di battute era anche migliore di quello di 
Vincenzo – essendo il fratello maggiore.
Oppure sarà la somma di quei due fratelli, il che era assolutamente irresistibile.
Ma fatto sta che quella sera non sopportavo proprio nessuno.
Luca tentò di attirare l’attenzione altrui su di sé:
<< Vuoi vedere un trucco con le carte? >>, mi chiese cacciando un mazzo di carte francesi dalla tasca del pantalone.
Subii il suo stupido giochetto con quelle stupide carte, senza smettere un attimo di pensare a Gaetano. Diamine! Era come un’ossessione.
Più il tempo scorreva, più il suo nome m’invadeva la testa.
Tic tac, tic tac, tic tac.
Gaetano Gaetano, Gaetano Gaetano, Gaetano Gaetano.
<< Ehi, ma ti pare che tua sorella debba stare con il broncio a tavola? >>, bisbigliò Luca a mio fratello, nel tentativo vano di non farsi sentire da me.
Non avrei dovuto dargli molto peso, non avrei dovuto neanche arrabbiarmi e rispondergli. Però lo feci.
<< Perché? >>, gli dissi, alzando la voce. << C’è qualche problema se oggi ho la luna storta? Non ti va bene che io sia arrabbiata; che vuoi da me? 
Non posso essere sempre a tua disposizione per tutte le stronzate che ti vengono in mente, lo capisci? Smettila di fare il bambino, non ti sopporto quando fai così! >>.
Mi alzai dal tavolo e lo lasciai lì, basito, a guardare il mio posto vuoto.
Mi diressi verso la spiaggia a passo spedito e mi sedetti sui ciottoli scomodi e duri.
Avvolsi le ginocchia tra le braccia ed ebbi la tentazione di affondarvi il viso e piangere a dirotto.
Forse mi sarei sentita meglio dopo un pianto liberatorio.
Quando si aveva una profonda tristezza come la mia era dura far finta che andasse tutto bene.
Non andava mai tutto bene, non fino in fondo.
Perché da quando mi ero dichiarata e Gaetano mi aveva respinto con freddezza... tutto era diventato più freddo. E neanche il sole mi sembrava più così caloroso come ricordavo.
Il gelo era nel cuore, ed aveva il colore verde degli occhi di Gaetano.
Dovevo avere una faccia molto arrabbiata, visto che in uno scatto scaraventai in acqua un sassolino arraffato da terra. Immaginai che quel sassolino dal colore rossastro
 fosse Gaetano e mi sentii vagamente più soddisfatta, nella certezza che in quel momento stesse affogando.
Guardando il mare all’orizzonte mi accorsi di come il profilo dell’isola di fronte spariva nel semibuio rischiarito dallo spicchio di luna nel cielo che combatteva 
contro il nero attorno a sé, per non essere inghiottito dall’oscurità.
Mi persi a contemplare il mare buio e calmo, in quella sera animata dallo sciabordio delle barche in vicinanza. E tutto quel nero inghiottì anche i miei pensieri.
Li azzerò quasi tutti, rendendomi partecipe di uno solo: Luca.
Cazzo, dovevo averlo offeso. Non lo vedevo così stranito da non ricordavo più quanto tempo.
Infondo lui voleva solo tirarmi su di morale e i suoi tentativi di tutta una serata, pensandoci bene, erano più che ammirevoli. Oh, ma perché non si faceva i fatti suoi?
Oltre che suo buon pregio, l’altruismo era anche un gigantesco difetto. Il suo cuore grande non meritava il trattamento che gli avevo dato io.
<< Oh, eccoti qui >>, esclamò la voce di Luca, raggiante. Come se non fosse successo niente.
Mi raggiunse in poco tempo e si sedette affianco a me, con calma.
<< Che velocità. Mi hai già perdonata? >>, sputai sarcastica.
Non avrei dovuto esserlo.
<< No >>, rispose secco, pur sorridendo. << Ma pensavo che ci volesse qualcosa per tirarti su il morale, non credi? >>.
Solo in quel momento mi accorsi che con sé aveva una specie di valigia. Quando la aprì vi era una chitarra vecchio stile all’interno, di quelle dal legno chiaro e lucido.
Alla vista di quella meraviglia qualcosa dentro di me si mosse, forse commozione.
<< Sai, ho preso lezioni di chitarra quest’anno >>, mi spiegò, pratico mentre prendeva dalla tasca interna della valigia un plettro. << Non mi piace che debba essere io a dirlo, 
ma sono diventato anche piuttosto bravo a suonarla. Speravo che ascoltare un po’ di musica dal vivo, ti distraesse dai brutti pensieri che hai >>.
Mi suonarono abbastanza stranamente quelle parole, dette da lui. Luca che non voleva ammettere di esser diventato bravo a suonare la chitarra?
Cosa c’era che non andava?
Di solito era lui a correre da tutti i suoi amici per vantarsi della sua nuova abilità; invece l’aveva tenuta nascosta a quasi il mondo intero...
Iniziò prima ad accordare lo strumento per bene e poi a strimpellare, improvvisando per la maggior parte del tempo.
M’incantai alla vista delle sue mani che si muovevano in maniera così naturale sulle corde.
<< Wow >>. Quella sera era tutto più strano del solito. << Perché non mi chiedi a cosa penso? >>, gli chiesi, malinconica.
<< Sarebbe scorretto verso di te. Di certo ci saranno ottimi motivi perché tu abbia una faccia così arrabbiata. Ma non è possibile che io debba sapere sempre tutto di tutti. 
Hai ragione quando dici che io dovrei smetterla di fare il bambino >>.
Acconsentii, annuendo. Non so cosa mi spinse a confidarmi, esattamente, ma forse era solo l’odore del salmastro che mi aveva dato leggermente alla testa:
<< Mi sento molto triste.
Perché ogni volta che tento di stare bene fallisco e mi sento ancora più triste. I miei familiari si preoccupano per il mio stato e io non vogliono che lo facciano. Voglio solo 
che mi lascino in pace con la mia tristezza. Forse non è come dicono, e la solitudine non aiuta per niente.
Io mi sento davvero sola.
Ci sono persone che dicono di sentirsi sole al mondo, che non c’è nessuno che le capisca. Alcuni dicono che coloro che dicono così non sanno cos’è la vera solitudine.
Ma sentirsi soli è l’esperienza più universale del mondo. La gente si sente piccola. E inutile. Si crede che ci sono persone molto più perfette di noi, e che noi non meritiamo niente. 
Puoi anche non crederci, Luca, se ti dico che mi odio per fare questi pensieri. Vorrei stare meglio, ma la mia tristezza profonda non me lo permette. 
Sento che ogni giorno fallisco miseramente il mio tentativo di vivere con felicità. Perché io, per Gaetano, non sono niente. Io per Gaetano non sono abbastanza >>. 
E iniziai a piangere, versando lacrime amare mentre Luca ascoltava, senza smettere di suonare quella musica che era diventata come un sottofondo. 
<< Anche se ce la metto tutta... non è abbastanza! È come se io non fossi abbastanza >>. La mia voce si spezzò sull’ultima frase.
Cadde un silenzio riempito dalle sue note e dai miei singhiozzi.
<< No, noi non siamo mai abbastanza per il mondo... >>, sussurrò Luca o forse lo immaginai soltanto. Non ebbi mai una vera verifica di quello che disse.
<< Lo sai, questa è una delle mie canzoni preferite >>, disse Luca ad alta voce, sorridendo teneramente.
Cacciò un foglio con un testo. Me lo porse, anche se non lessi nessuna delle sue parole.
Mi limitai ad ascoltare la melodia alla chitarra, estasiata.
<< Puoi cantarmela, per favore? >>. Sorrisi tra le lacrime. << E asciugati quegli occhi! Che cantautrice sei se ti commuovi già all’inizio della tua performance? 
Credevo che lo facesse solo Michael Jackson... >>.
Risi divertita.
Sì, Luca mi sapeva sempre tirar su di morale.
Avendo già memorizzato il ritmo, non mi rimase che lasciare che le parole fuoriuscissero con naturalezza dalle mie labbra.
 
<<  Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly
All your life
You were only waiting for this moment to arise.
Blackbird singing in the dead of night
Take these sunken eyes and learn to see
All your life
You were only waiting for this moment to be free
Blackbird fly
Blackbird fly
Into the light of a dark black night
Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly
All your life
You were only waiting for this moment to arise
You were only waiting for this moment to arise
You were only waiting for this moment to arise
>>.
 
Ci sorridemmo entrambi, in quel momento magico e silenzioso.
Un momento che sarebbe stato perfetto nella storia se un uccello non avesse sorvolato sopra le nostre teste, facendoci sobbalzare.
Con gli occhi sgranati guardammo la figura nera che si confondeva con il cielo, che volava libera tra acrobazie leggiadre nell’aria.
<< È un uccello... >>, constatò Luca, respirando profondamente.
<< Nero >>, completai io.
Scoppiammo a ridere per l’ironia del momento.
Insomma, avevamo appena cantato una canzone che parlava di un uccello nero ed eccome comparire uno, dal cuore del cielo buio.
Quella figura che era riuscita a portarmi pace nel cuore, anche solo per un momento, sparì com’era comparsa. Anche se finsi di dimenticare quella sagoma quasi onirica, 
quella notte fui sempre all’erta.
Con gli occhi puntati all’orizzonte, in cerca di quel blackbird di cui io e Luca avevamo cantato.

 

 

 

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 Note:

 

Okay, anche questo è finito! *fa la danza di festeggiamento*
Credo che mi sia venuto abbastanza bene, però giudicate voi.
Cercavo giusto l’ispirazione per scrivere questo capitolo quando rivedendo una scena del film con il geniale attore Sean Penn, Io Sono Sam – film che mi ha sconvolto nel 
profondo – e ascoltando  Blackbird omonima canzone dei Beatles, cantata poi da Sarah McLachlan.
Fa molto più effetto quella cantata da Sarah, secondo me! *_*
Perciò ho chiesto di sentirla, ha allietato i miei giorni febbrili, in cui mi sono dedicata a questo capitolo anche se è un po’ corto, secondo me.
La citazione di Forrest Gump non è a caso, visto che da quel giorno Giulia e Luca sono molto uniti, come il pane e il burro... ;)
Ho trovato, per la mia gioia, anche la versione solamente suonata di Blackbird, il link è qui ch rende molto più l’effetto. Forse.
E sono contenta che nel capitolo scorso le frasi in napoletani siano state mitiche e abbiano favorito l’effetto che desideravo: far apparire la situazione come la realtà. XD
Spero solo di non aver esagerato con l’ultima scena della chitarra!  >>////<<  
Grazie ancora delle recensioni e spero che anche altri possano aggiungersi a recensire, per la gioia del mio piccolo cuoricino bisognoso di commenti. *fa la ruffiana*
Qui c’è la traduzione, fatta da me XD, della canzone:
 
L’uccello nero canta nel cuore della notte
Prendi queste ali spezzate e impara a volare
Tutta la tua vita
Eri solo in attesa di questo momento, per sorgere
 
L’uccello nero canta nel cuore della notte
Prendi questi occhi infossati e impara a vedere
Tutta la tua vita
Eri solo in attesa di questo momento, per essere libero
 
L’uccello nero vola
L’uccello nero vola
Nella luce di una scura e buia notte
 
L’uccello nero canta nel cuore della notte
Prendi queste ali spezzate e impara a volare
Tutta la tua vita
Eri solo in attesa di questo momento, per sorgere
Eri solo in attesa di questo momento, per sorgere
Eri solo in attesa di questo momento, per sorgere.”

 

“Dona l’8% del tuo tempo alla causa pro recensioni

Farai felici milioni di scrittori.”

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Capitolo 4
*** Cherries ***


Questo capitolo e la canzone al suo interno sono dedicati entrambi a voi, CipDebbi,  effe_95 e Angel Texas Ranger (Benvenuta *.*). E anche a voi, lettori nell’ombra!

Grazie di cuore, dico davvero.

Post Scriptum:

Vi lascio la colonna sonora anche stavolta: ù_ù Misguided Ghosts dei Paramore.

Buona lettura. ^^

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3

CHERRIES

 

 

 

Non senti che
Tremo mentre canto?

 

Ero venuto a scrivere di verità, bellezza, libertà e

della cosa in cui credevo di più, in assoluto: l’amore.

C’era solo un problema.

Non ero mai stato innamorato!

[ Christian – Moulin Rouge ]

 

 

 

 

Era un po’ buffo.

Buffo e strano – quello che sentivo dentro.

Pericoloso ammetterlo, dato che ero una di quelle persone la cui descrizione appropriata era senza ombra di dubbio come un libro aperto.

Quasi scontato prevedere che qualcuno mi chiedesse perché avessi quell’espressione da Alice Nel Paese Delle Non Meraviglie. Inutile dire che ce l’avevo da quando mia madre mi aveva consigliato sotto cordiale invito a vedermi Moulin Rouge con lei.

Sì, non era stato così terribile.

Ma avevo i miei propositi per non vedere film del genere, brutto finale a parte...

Respirai a fondo l’aria pulita delle campagne bagnate da un leggero strato di pioggerella, assaporando con pigrizia una ciliegia dolce e saporita.

In un primo momento tutta quella distesa infinita di verde mi aveva dato fastidio agli occhi; troppo sfavillante, in contrasto con il cielo di un azzurro raro, picchiettato di nuvole.

Fastidioso ma piacevole.

Casa, pensai involontariamente.

Era così, in fondo.

Ogni anno mi allontanavo da quel luogo di pace per avventurarmi in una vita frenetica e troppo cruda, paragonata a quel mio angolo di paradiso.

Il suono di una vecchia chitarra intonante qualche vecchia canzone popolare invadeva la brezza di fine estate piacevolmente. Pensai di non poter fare a meno di un posto come quello.

Dove il sole brillava costantemente – anche se non nello stesso modo.

... Perché non nello stesso modo, poi? Cosa c’era di così diverso?

La compagnia.

Sì. Mi ritiravo in campagna, ogni volta, quando avevo bisogno di leccarmi qualche ferita dolorante e stanca di essere stuzzicata dallo smog della città. E per stare da sola, con me stessa.

Riflettere... riflettevo per capire.

Non ne avevo molto bisogno quel giorno.

Una cosa l’avevo capita, dalla sera precedente.

Luca.

Era lui il luminoso pezzo di casa che mi mancava.

 

***

 

<< And run. From them, from them. With no direction. We’ll run from them, from them. With no conviction >>, galvanizzata, riempii i polmoni d’aria, inspirando l’odore del salmastro. << ‘Cause I’m one of Those ghosts... Travelling endlessly... >>.

I passi precedettero le parole: << Oh, che note malinconiche >>. Luca mi si sedette affianco, sulla sabbia sassosa e scottante, a torso nudo.

<< Don’t need no roads >>, finsi di correggere sul foglio un errore inesistente, senza più né intonazione né entusiasmo nella voce.

<< Ehi, m’ignori? >>, assottigliò lo sguardo, fulminandomi. Io feci lo stesso, verso il mare.

<< In fact, They follow me... >>, continuai, imperterrita.

<< Senti un po’, Giulia. Visto che sei in vena di cantare perché non la fai da capo? Così l’apprezzo meglio e tento di tradurla in Italiano >>.

Irrigidii la schiena, maledicendomi per aver raccolto i capelli bagnati in una coda alta, quando invece avrei potuto mascherare la mia faccia imbarazzata, lasciandoli sciolti.

Ancora provavo un po’ d’imbarazzo, al ricordo della sera scorsa.

Mentre Luca sembrava a proprio agio, naturale e genuino come sempre.

Girai il muso dalla parte opposta alla sua, per dispetto.

Lui sorrise e si stese sui sassi, con le braccia incrociate dietro al collo. << Oh, non dirmi che ti senti più potente solo perché sei su una sdraio, che ti fa apparire più alta di me! >>, sbottò, divertito. << Tanto lo sappiamo entrambi che non mi supererai mai veramente >>.

Non risposi – come forse avrei dovuto fare.

Distesi le gambe, prima piegate contro il petto e fissai il mio pareo rosso, in contrasto con la sedia sdraio verde limone.

Alla fine sospirai, convinta: << I'm going away for a while. But I'll be back, don't try and follow me.
'Cause I'll return as soon as possible. See I'm trying to find my place.

But it might not be here where I feel safe. We all learn to make mistakes >>. Pronunciai le parole con l’intonazione di prima: malinconica, tuttavia calma ed emozionata, in qualche modo.

Luca bloccò la mia sottospecie di nenia: << Aspetta un attimo:“Guarda, cerco di trovare il posto a cui appartengo. Ma... potrebbe non essere qui il posto in cui... sentirmi al sicuro. Impariamo tutti a commettere sbagli” >>.

Nascosi un sorriso, sotto una smorfia. << Non te la cavi tanto male in Inglese >>.

<< Saprei fare di meglio, se solo tu scandissi di più le parole! >>, m’incolpò, allungando un braccio e toccandomi la punta del naso con un dito. Un gesto affettuoso, pensai.

Mi aveva scatenato qualcosa dentro... Cos’era?

<< L’hai scritta tu, vero? >>, riprese a parlare, con più calma.

Mossi la testa, infastidita. << È una bozza >>, borbottai.

<< È molto bella >>.

Guardai a lungo i suoi capelli biondi. Il profilo morbido delle labbra. Le ciglia, gli occhi in cui il cielo si rispecchiava nel suo medesimo colore.

Avrei voluto restar così, immobile, con le sue parole ad aleggiare nell’aria. Con un retrogusto agrodolce che sapevo riconoscere spesso in lui, nel suo modo di essere.

Avrei voluto rimanere così, immobile, con il sole che bruciava la nostra pelle dolcemente.

<< Puoi dirmi, per carità, perché hai la testa fra le nuvole? Cos’è, pensi a Gaetano, ancora? >>.

Storsi le labbra nel sentire quel nome. No, non mi era passato neanche per la mente Gaetano. Sto pensando a te, gridai dentro di me. << Dai, Giulia. Dimentica. A che pro essere innamorata di uno che non se ne importa davvero niente di te? >>.

Conoscevo già quel ragionamento. L’avevo fatto, nella mia testa, mille e mille volte. Ma sentirlo dire era tutt’altro discorso.

<< Tu non lo sai >>, strinsi i pugni, trattenendomi dall’urlargli addosso.

<< È una stupida ossessione >>, continuò a torturarmi.

Ricacciai indietro le lacrime, ferita. << Perché? >>, sputai. << Tu sai cosa significa essere innamorati? Sai cosa significa non sentirsi affatto liberi; rinchiusi in gabbia? Sai quanto mi costa mantenere segreto quello che provo? >>.

Luca si mise seduto, affrontando il mio sguardo furioso. << E tu lo sai? Ne parli tanto, ma sei mai stata davvero innamorata? >>, fu quella, forse, la domanda che mi spiazzò più di tutte. << Quello che provi tu non è amore. È tormento! >>, alzò la voce, mettendosi in piedi.

<< L’amore è come l’ossigeno, non è per niente qualcosa di doloroso e triste! Se sei innamorata quello che ti ricorda lui non è certo una cosa che ti fa soffrire: è tutt’altro! E anche se dovessi sentirti incatenata a quella persona non puoi fare a meno di essere felice. E soddisfatta >>.

Luca non era più furioso. Camminava, su di giri, davanti a me e sorrideva. Sorrideva in modo felice e indicava l’infinità del mare.

<< E gli vorresti dedicare canzoni su canzoni; e non quelle che esprimono il dolore dell’assenza. No... Quelle canzoni sono che parlano di felicità, della verità e di quanto il mondo è più bello quando quella persona è con te! Perché quella persona è la migliore del mondo.

E vorresti... >>, mi si avvicinò, cercando di trattenere il respiro incalzante. << Vorresti dirlo a tutto il mondo che ora c’è una canzone, che è sua. Giulia, non lo sai cos’è l’amore. Se lo sapessi, di certo non saresti così infelice >>.

I suoi occhi, nei miei, mi diedero nuove consapevolezze.

È strano come il più piccolo gesto, come le parole di una persona riescano a sottrarti dal bilico.

Da quel bilico scuro, infinito e orribile; dove ci si sente soffocare.

Luca non aveva torto: non sapevo ancora cos’era l’amore.

Ricambiai il sorriso, inconsciamente. Complice. Anche se non più in equilibrio su di un filo sottile, ero caduta dalla parte meno affilata, quella giusta.

 

<< Dove stiamo andando? >>, chiesi per l’ennesima volta.

<< Lo scoprirai presto >>.

<< Lo voglio sapere adesso! >>, ribattei, come una bambina capricciosa.

Vincenzo mi si avvicinò e sorrise malignamente: << Cineforum >>, suggerì semplicemente.

Emisi un grido simile a quelli dei rockettari, esaltata. << Che film andiamo a vedere?! >>.

Luca gemette, frustrato. << Doveva essere una sorpresa! Perché glielo hai detto? >>, fulminò con lo sguardo Vincenzo. << Comunque... Sì, andiamo a vedere un film. Hanno organizzato una sorta di cinema all’aperto, vicino alla spiaggia: Moulin Rouge >>, lo disse con un sorriso soddisfatto.

Spalancai gli occhi, sorpresa. Risi. << Mi spieghi cos’hai da ridere? >>.

<< È solo che non me lo sarei mai aspettato da un brontolone come te: insomma, credevo che tu detestassi cose come i film d’amore! >>, gli diedi una pacca sulla spalla, divertita.

Lui ingobbì leggermente la schiena, a contatto con la mia mano, come se fosse pesata un quintale.

<< Mi sottovaluti, mia cara. E poi, non è che mi piace. Sinceramente non lo trovo tutto questo granché, ma è sempre meglio che non fare niente >>.

Fece spallucce e guardò davanti a sé, forse per non incontrare il mio sguardo.

Non lo faceva con convinzione da quando aveva fatto quel discorso, sulla spiaggia.

 

Malgrado il film fosse davvero bello, non riuscii a concentrarmi come avrei voluto.

Perché... b’è, c’erano tanti perché.

Perché Luca non aveva esitato per sedersi accanto a me, tanto vicino che avrei potuto toccarlo e abbastanza lontano da farmi morire d’imbarazzo se gli avessi teso la mano.

Ma poi a cosa serviva dargli la mano?

Perché il modo in cui guardava lo schermo, con interesse esplicito, gli faceva inarcare le sopracciglia piacevolmente e i suoi occhi brillavano di una luce fredda e attraente.

Perché sembrava un uomo e non più il ragazzino paffuto che conoscevo da sempre – quello che da quando era piccolo mi tirava i capelli e metteva il broncio se io mi lamentavo. Quello che voleva sempre avere ragione e che ogniqualvolta litigavamo mi faceva frignare e poi si faceva perdonare con una mano intenta a scompigliarmi i capelli, senza tirarmeli.

Era dimagrito molto da allora, un figurino si poteva dire.

Perché era riuscito a farmi vedere la sua parte matura, senza esserne costretto. Spesso si comportava come un bambino, solo per il gusto di farlo. Perché essere il maggiore di tre fratelli indisciplinati e bisognosi non era facile.

Perché era sempre lui a prendersi le responsabilità e se non fosse stato per quei momenti in cui si lasciava andare alle cazzate, sarebbe impazzito di certo.

Perché avevo smesso di pensare a Gaetano una volta e per tutte e quell’amaro magone se n’era andato alla velocità delle canzoni di cui s’animava il film, dai suoi colori caldi a quelli più freddi.

Vincenzo aveva rubacchiato dal buffet del ristorante dove cenavamo delle ciliegie che avevano un aspetto delizioso.

Dovevo mangiarle o ero io ad impazzire.

Luca si sporse oltre di me per prenderne una manciata nella sua mano destra. Al contatto del suo gomito, il mio corpo s’irrigidii ma non respinse il calore che emanava. Era piacevole, dopotutto.

Cercando di nascondere il rossore alle guancie, tentai di mangiare le ciliegie con naturalezza.

Non ci riuscii.

Mi voltai verso Luca e lo vidi mettersi in bocca, con lentezza, una ciliegia rossa, scura e dall’aria succosa. La masticò guardando le immagini degli attori che ballavano, inconsapevole dei miei occhi sul suo viso.

D’improvviso quel gesto mi sembrò attraente da far paura e naturale più di ogni altra cosa.

 

 

_____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

 

 Appuntino per Angel Texas Ranger: quello che volevi dire a Giulia, nel commento è svanito. XD Intendo che la frase che hai scritto è unita alle virgolette e perciò e sparita. E se non hai finito di leggere lo scorso capitolo, no problem!, ho aumentato il font. ;)

Note della pseudo-autrice della malora:

Ho cambiato il nome dell'angolino in cui straparlo di me e quello che ho scritto. XD Mi rispecchia?

Sapete... mi sono commossa! <3

I vostri commenti sono un toccasana per la mia autostima che da -23 è salita a 1! Gioiamo! *.*

Sì, non mi sono fatta sentire per un po’ *si nasconde* Dovete sapere che è successo un episodio alquanto spiacevole per me – niente di grave, no, non per la mia incolumità! Intendo per la mia autostima.

Postando una Fic su di un altro fandom ho avuto un commento – non faccio nomi, per correttezza – che in maniera un pochino brusca, a mio parere, mi ha fatto notare che la vicenda di cui parlava quello che avevo scritto era stata già trattata molte altre volte, in passato. E, di conseguenza, era “banale”. Io non mi sono certo offesa per questo – sì, un po’ sì – ma per i pregiudizi che ha avuto.

Forse non sembra, ma io sono su EFP da due mesetti, quasi. E non sono neanche adulta, dichiaro di avere quattordici anni... già. è___é E la cosa che più mi dà fastidio che oltre a non dare occasione di migliorare ai nuovi arrivati – siccome devono essere già tutti esperti, lì – lo si dica con così poca delicatezza. Avranno le loro ragioni, non lo nego. Non è neanche la prima critica che ricevo, eh, ho imparato ad accettarle malgrado l’avvilimento che portano.

E ho imparato che devo mettercela tutta per migliorare!

Giunti a questo punto, mi ricordo che non dovrei parlare dei miei fatti personali! °V°

Perciò...

*Svanisce*

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Capitolo 5
*** Darkness (believe) ***


4

DARKNESS

(believe)

 

 

È il segno
Di un’estate che
Vorrei potesse non finire mai

 

Never ending

Light that is bright

Brightly shining tomorrow

My heart is missing the

village in secret

Even if my eyes are shedding tears,

the sky is still deep blue

No matter what happens to the world

Belive in love and

Walk down your road.

 

[Valkyria Chronicles – Isara Song ]

 

 

 

 

Il tramonto è più bello del solito.

Forse per dare importanza o struggente effetto al mio gesto che va avanti dall’eternità.

Dimmi che sei qui, dimmi che ci sei; prego.

Pregare non è una delle mie priorità. Non  in questo momento, almeno.

Non sei qui. No. Dove, dove puoi essere? Non puoi scomparire così perché è troppo da sopportare tutto in una sola volta.

Ho bisogno di te. Mi guardo attorno: c’è folla, una caterva di fluidi pensieri, occhi grigi e capelli neri.

Rispondi o arriverò al delirio.

Chiama il mio nome con la tua muta voce e scrutami nel profondo con le tue palpebre serrate.

Corro ma le gambe mi fanno male.

Troppo per continuare a correre disperatamente; ma è la stessa disperazione a mandarmi avanti.

Cerco il tuo sguardo che si nasconde dietro un sipario di capelli biondi. Non riesco a trovare le mani che si ritirano dietro mura difficili da scavalcare.

La sua remissività mi devasta. Mi devasta questo.

Più sono smaniosa di trovare nello spazio un qualsiasi spiraglio, più esso diventa vasto e bianco.

Mi fa impazzire.

Dio, non lo sopporto più. Strillo per rompere le pareti dell’infinito che si allarga sempre più.

Si sta insinuando dentro di me e cerco di strapparlo dal petto con violenza nei gesti.

Impazzisco.

 

Luca.

 

Ecco che svolto a destra e poi a sinistra, si prosegue a rotta di collo verso una luce cha svanisce.

Quello che mi manca è lì, nascosto nell’ombra delle strade. Negli angoli impolverati, sull’orlo dei marciapiedi e tra l’erba verde che cresce in mezzo alle mattonelle.

Dio, eccolo lì.

Una muraglia che trattiene il gelo della tristezza, che assorbe il blu del cielo e degli occhi.

Ne vengo attratta dalla sua crudele forma diroccata.

Sento qualcosa che si affievolisce, che grida mormorando calore dalle labbra stanche.

Grido ancora, strappando pezzi di me stessa e lanciandoli come sassi contro la capanna di cemento.

Dura, impenetrabile e friabile come cartongesso.

Io sono troppo debole per abbatterla con i miei soli pugni.

Dio, Luca, fammi entrare. Apri un’entrata piccola quanto un ditale e fammici passare attraverso.

Sono troppo stanca per inginocchiarmi a terra e supplicarti.

Luca, fammi entrare.

Sbatto i pugni ma i rumori non cessano. È un lamento che strugge, io non posso farci niente.

Quello che c’è dentro le quattro mura di cartone sta assalendo Luca e lo divora.

Se non faccio subito qualcosa sento che sarò distrutta.

Le finestre sono rotte, ma da lì passa solo la morte.

Dalle lì posso ferirmi con i loro vetri appuntiti. Da dove passo io?

Non posso strisciare. Non posso scavalcare.

Dove, dove, dove...

Eccolo, mi sta venendo incontro. Il battito di cuore accelera finché Luca non viene tanto vicino da permettermi di rallentare.

Ecco che vedo i suoi occhi affilati dalla frangia scomposta. Sono induriti dal gelo che l’ha assalito.

Ci riesci a capirmi?, mormora da dietro una crepa della sua barriera indistruttibile.

 

La sua fragilità è pari al cristallo. I pezzi di lui sono sparsi tutti per terra ed io cammino in punta di piedi per non fargli del male.

 

***

 

Da Gaetano:

Ehi come va?

 

Risposta a Gaetano:

Non hai niente di più originale da dire? A me va

bene, te?

 

Da Gaetano:

Oh, non ti scaldare! Io sto bene anche se

tu non me la racconti giusta...”

 

Risposta a Gaetano:

Non sono arrabbiata... tu non ti fai

Sentire da tempo e... lasciamo perdere.

Mi racconti qualcosa?

 

 

Non rispose più.

Mi strinsi di più le ginocchia piegate tra le braccia, prima di sprofondarvi il viso in mezzo e singhiozzare.

Ma cosa mi era preso?

Stavo così bene, prima di quel messaggio ed ora era ritornato tutto come una settimana fa.

Il brutto di sentirsi attraverso gli SMS era senza dubbio il non poter ascoltare il tono di voce, osservare l’espressione e tutte le altre cose che si potevano fare parlandosi faccia a faccia.

Non sono altro che parole senza vita, su un display del cellulare, eppure aleggiavano nel bagno assieme al rumore della pioggerellina fine che bagnava il vetro della finestra.

Nell’altra camera, sul letto, Luca e Vincenzo insieme a mio fratello guardavano Kill Bill e si sentivano le voci anche in bagno, anche se mi coprivo le orecchie con i palmi delle mani.

<< Lo odio >>, sputai cercando di non piangere.

Mi chiesi dove fosse andata a finire la ragazza allegra che aveva riso fino al mal di pancia con Luca, al bar, sulla spiaggia, in mare rischiando di avere i crampi.

Lo sentii proprio in quel momento chiamarmi e bussare alla porta chiusa a chiave: << Oilà, che fai lì dentro, le cose sporche? >>, e rise facendo per entrare.

Trovandola chiusa non fece altro che riprovare inutilmente; trovai la forza di urlare.

<< Vai affanclulo, va! >>.

Luca provò ancora ad entrare. Poi bofonchiò qualcosa di incomprensibile. << Che sgarbata >>, sentii chiaramente questo e mi fece tanto male, aver scacciato anche lui...

Passarono secoli, mi pare, da quando lo avevo mandato a quel paese, il film doveva essere finito.

La pioggia aveva infuriato più violentemente sul nostro bungalow, sovrastando tutti gli altri rumori.

Stavo per alzarmi, guardando il buio della sera attraverso la finestra appannata, per prendere qualcosa da mettere sotto i denti dal frigo bar – che stupida che ero, non avevo cenato neppure – quando, all’improvviso, se ne andò la corrente.

Rimasi al buio, al centro del bagno, con la mano tesa verso la maniglia della porta.

E ci fu black-out anche nella mia mente.

 

 

<< Giulia! Giulia! >>, voci confuse si fecero spazio nel cervello, come una radio che riprende definizione. << Giulia, sveglia, ti prego! >>.

Aprii gli occhi e mi trovai davanti il viso di Luca, preoccupato. Mi stringeva la mano così forte che dovetti lamentarmi perché allentasse la presa.

<< Ahh... L-Luca... >>, nella testa rimbombavano i pensieri e le parole come una profonda eco.

<< Finalmente! Stai bene? >>.

<< No... credo... di aver sbattuto la testa... >>. Ero svenuta; ecco la verità. Svenuta per paura, più che semplice sbadataggine.

<< Ma come diavolo hai fatto a sbattere la testa? E dove?! >>.

<< Ti prego... Non alzare la voce >>, alzai la mano debolmente e cercai di aprire gli occhi, aspettandomi di vedere la luce chiara e distinta della lampadina appesa al soffitto.

Posai le dita sulla bocca di Luca, per rafforzare il concetto delle mie parole. Poi lasciai cadere la mano lungo il corpo, stancamente... era come se avessi corso per mille miglia, senza sosta, prima di stramazzare sul pavimento fresco e bianco del bagno.

Sentii Luca sospirare. << Dove siamo? >>, biasciai.

<< Non dirmi che hai perso la memoria, oddio! >>.

<< No >>.

Ricadde il silenzio e pregai che Luca non parlasse più. Un tuono illuminò il cielo e mezza stanza di una luce violetta e poi ritornò tutto completamente buio.

Deglutii e irrigidii il busto che, mi accorsi, era poggiato sulle ginocchia di Luca.

Non ebbi nemmeno la forza di imbarazzarmi... ero messa proprio male. Ma poi cosa c’era da vergognarsi?

Ci conoscevamo fin da bambini, proprio come fratello e sorella.

<< Vincenzo e Gianfranco sono andati a chiamare nostro padre. È saltata via la corrente per un fulmine e non sappiamo come fare... >>.

Cercai di respirare regolarmente. << È... tutto... buio... >>.

<< Oh, è vero! >>, fece sarcastico. << Che spirito d’osservazione. Non credevo che fossi così sveglia da accorgertene! È tutto buio, ma è la scoperta dell’acqua calda! >>, mi scimmiottò, lasciando trasparire un velo di nervosismo.

Eppure non capivo cosa c’era da essere nervosi... << Beh, ma dev’essere già un miracolo che te ne accorga, visto che giusto un minuto fa eri mezza morta su questo cazzo di pavimento! >>.

Cacciò tutte le parole con rabbia e, anche se non lo avrebbe voluto, cattiveria.

Doveva aver avuto paura, diavolo. Un altro tuono lampeggiò sul suo volto contratto dalla preoccupazione e mi sentii vagamente più sollevata, prima di rimanere di nuovo al buio.

<< Ti ho fatto preoccupare. Scusa. Non deve essere stato un bello spettacolo... >>.

<< Figuriamoci! >>, sbuffò. << Non è stato proprio edificante, perché mi ha fatto capire che non è bello, per gli altri, quando sveng... >>.

<< Tu? E quando mai sei svenuto, egoista che pensi solo a te stesso? >>.

Luca mi strinse la mano per la seconda volta da quando mi ero svegliata e sentii i suoi occhi su di me. << Svengo tante volte e meno male che non è mai successo davanti ad una lamentosa come te. Se ti ho paragonato a me, oh mi dispiace, non credevo che ti desse fastidio avere qualcosa in comune! >>, Dio, quando ci si metteva d’impegno, per fare a gara a chi era più arrabbiato; quello che vinceva era sempre lui.

<< Non dicevo questo. Lasciamo stare >>, volevo chiedergli di lasciarmi andare la mano, ma non lo feci più. La sua stretta calda era tranquillizzante. << Sai che non sei granché come cuscino? >>.

<< È un modo per dirmi di andare di là o è tanto per sparare una cazzata? >>.

Non gli risposi e cercai di uscire dallo stato catatonico in cui era caduto il mio corpo.

Era così buio che non riuscivo a muovere un muscolo e meno male che Luca mi sorreggeva, mentre ci alzavamo in piedi.

Quando fui sicura che le mie gambe fossero abbastanza stabili, lasciai il braccio di Luca e lo guardai aprire la porta e uscire dal bagno.

Anche nell’altra stanza non c’era la luce – era anche più oscuro.

E ora? Dietro di me sentivo muoversi l’oscurità e tramare alle mie spalle, crollandomi tutta sul petto, pesantissima.

<< A... aspetta. Luca >>, mi tremava la voce.

<< Che c’è? >>, mi chiamò, immaginai che si era seduto sul letto, in attesa di me.

<< Vieni >>, supplicai a voce bassa.

Se non fosse stato per la luce col cavolo che lo guardavo con gli occhi traslucidi, mentre lui si affacciava sulla porta a guardare me, ancora in piedi e immobile.

<< Vieni, Luca >>, mormorai, chiudendo gli occhi, << vieni... >>.

Non sapevo cosa lo spinse a farlo.

Fatto sta che Luca mi venne vicino e finalmente iniziai a fare qualche passo verso l’uscita.

Quando poi fece di nuovo per allontanarsi, gli afferrai il braccio con forza dettata dalla paura.

E solo in quel momento Luca sembrò capire, trattenendo il fiato. << Hai paura del buio? >>, sussurrò calmo, con una delicatezza che non era sua.

Ebbi paura anche di rispondere.

Poi presi coraggio per annuire e lo feci, sentendo le sue braccia calde circondarmi.

Quel contatto mi sciolse completamente in un budino molliccio e rilassato. << Sì >>.

 

 

<< Conosco un modo infallibile contro questa paura >>, mi trascinò sul letto e mi fece sedere sulla sponda lontana dal comodino munito di lampada.

<< È irrazionale >>, cercai di spiegargli, tramando e chiudendo gli occhi. << Non è nemmeno una paura che avevo da piccola... >>. Lo sentii allontanarsi da me e frugare nei cassetti alla ricerca di qualcosa. Lo lasciai fare, in attesa che finisse.

<< Mh >>, mugugnò, forse interessato. << Continua a parlare, vai >>.

Era una rassicurazione? << Trovo difficile anche parlarne, adesso. Alla luce non sarebbe la stessa cosa, perché non tremerei come faccio quando è buio. Quando la luce è accesa potrei anche negare di avere paura... ma... >>. Adesso era buio e non potevo negarlo.

Non si può negare l’evidenza.

Singhiozzai rumorosamente. Raccolsi le gambe al petto e rimasi ancora immobile, ipnotizzata e spaventata dal rumore della pioggia.

<< Lo sapevi cosa diceva Einstein? Che il buio non esiste >>, rise e ancora trafficava nei cassetti, lontano da me. << Sembra impossibile, ma è cosi e lui lo ha dimostrato – anche se non scientificamente. Diceva: in accordo con le leggi della fisica, il buio, in realtà, è assenza di luce. E come il buio, quello che noi chiamiamo freddo, è assenza di calore. >>.

Era molto saggio quel che diceva. Davvero. Ma... << È la teoria di un uomo adulto, geniale e vaccinato >>.

Ergo: il suo tentativo di tranquillizzarmi non era servito a nulla.

<< E pensare che era un bambino piccolo così quando lo disse >>, ribatté lui, ridendo. << Genio, sì. Adulto, non tanto >>.

Ancora rumore – stava chiudendo i cassetti.

Udii un tintinnio strano e poi il suo peso sul materasso, vicinissimo a me. Mi disse di aprire gli occhi e gli ubbidii, mentre si toglieva la felpa con un gesto scocciate e la metteva intorno alle mie spalle, in un gesto sbrigativo.

Poi, con mia grande sorpresa, mi bendò gli occhi. << Luca...? >>.

<< No, non voglio fare niente di sconcio, te lo prometto >>, eppure rideva, mentre io non trovavo nessun motivo esilarante per farlo.

Sospirai, sentendo il suo respiro sulla mia fronte. Avrei voluto guardarlo negli occhi, per capire la sua espressione, invece mi ritrovavo bendata e inerme.

<< Su, dai! >>, mi disse. << Smile >>, cantilenò.

Infine mi ficcò le cuffie nelle orecchie, con la musica che partiva << Questa canzone mi tranquillizza sempre. Dovrebbe avere lo stesso effetto con te >>.

Certo, essere sola con un maschio, in una camera buia, bendata e privata dell’udito non doveva essere proprio il massimo della sicurezza.

Ma dovevo credere in lui.

Think about the love inside the strength of heart”.

Sentii Luca mettermi un braccio attorno alle spalle e lasciai andare la testa sulla sua spalla.

Everythingis gonna be al right, Everythingis gonna be alright. Bee strong. Believe”.

<< Grazie. Luca >>. E iniziai a piangere. Silenziosa.

Era senz’altro poco per ripagarlo della bontà che aveva dimostrato di avere.

Era un inizio. Sentivo il buio, attorno a me, ma anche il calore del corpo di Luca. << E di che >>.

Avrebbe continuato a piovere. Però se ero con lui, il buio non mi avrebbe invaso.

Dovevo essere forte. E crederci.

______________________________________________________________________________________________________________

Note della pseudo-autrice della malora:

Ok.

Sono in un ritardo imperdonabile.

Scusatemi!!!

Sì, parecchi problemi personali, poco tempo e poca voglia. Avete capito bene. E poi ho notato che le recensioni sono diminuite davvero tanto, e quindi...

Bhà. Quindi beccatevi sto capitolo e commentate. è___é

Sapete, comincio ad odiare un po' Luca... forse perchè assomiglia a qualcuno che conosco e non mi va proprio giù.

Laciamo perdere. Sentitevi questa. A me tranquillizza tantissimo.

Wolf.

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Capitolo 6
*** AVVISO DI SOSPENSIONE ***


Avviso: Buonsalve, gente. Vi ricordate di me?

Ovviamente no, perchè non aggiorno da tempo e beh... volevo avvisarvi della sospensione di questa storia. Ci sarebbero dei motivi personali di cui non amo alla follia parlarne, ma uno di questi è senz'altro la mancanza d'idee. è_é

Avevo iniziato con determinate idee, sì, ma nel corso del tempo sono maturata e "cambiatae mi chiedevo se fosse il caso di sospenderla a tempo indeterminato - per poi riprenderla, ovviamente - o lasicarla incompleta.

Alla fine ho optato per una pausa di tipo tre mesetti, per schiarire qualche idea. Tipo.

A presto, allora - si spera. :D''

Wolf.

 

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Capitolo 7
*** Black Sun ***


Bene, eccomi ritornata. Per l'ultima volta, in via eccezionale. Ho approfittato di un periodo come questo, un periodo adatto, per finire questa storia che mi ha accompagnata in momenti davvero belli e davvero brutti. Insomma. Ringrazio coloro che l'hanno seguita in silenzio, a coloro che hanno commentato positivamente questa crescita in forma di longfic, e coloro che hanno solamente letto.

Ad ognuno di voi: CipDebbi/Ebbi, effe_95, Angel Texas Ranger. Vi ringrazio sinceramente. <3333

E, non so, godetevela. E' stato difficile scrivere questo ultimo capitolo, ma alla fine mi sento soddisfatta. Ho completato qualcosa.

 


5

BLACK SUN

 

 

 

In bilico

Tra tutti i miei vorrei

Non sento più

Quell’insensata voglia

Di equilibrio

 

 

 

Chi l'avrebbe detto prima che io, un giorno, avrei perso tempo dietro a te.

Come quando un uomo cerca Dio, non lo trova più e impazzisce,

io impazzisco se rimango ancora senza te.

[ Negramaro – Londra Brucia ]


Sparkling grey, in my own veins

Any more than a whisper

Any sudden movement of my heart

And I know, I know I'll have to watch them pass away.

[ Evanescence – The Last Song I’m Wasting For You ]


Se muore lei, per me, tutta questa messa in scena del mondo che gira; lo possono pure smontare e portare via. Schiodare tutto. Arrotolare tutto il cielo e legarlo su.

E possono pure spegnere questa luce bellissima del sole che mi piace tanto... Tanto.

[ Attilio – La Tigre E La Neve ]

 

 

Sono passati mesi e mesi. Ancora non mi sono abituata all’idea di averlo vicino; figurarsi a quella di tenerlo a un milione di miglia di distanza.

Ci sono volte in cui mi ritrovo a sognarlo, sognare di poter avere delle chance in un altro mondo parallelo.

Se la sorte fosse stata più magnanima, con i nostri destini, forse adesso non saremmo così lontani.

Adesso che ci penso non siamo mai stati lontani. Non del tutto.


Capisce quando mi sento male a tre metri di distanza.

Le poche volte che mi vede piangere se n’è sta in silenzio, seduto di fianco a me, senza guardarmi neanche.

Sappiamo entrambi che tra di noi c’è un telaio invisibile, che tesse un filo rosso, mettendocelo al collo come un cappio. Nessuno dei due reagisce: ci lasciamo soffocare entrambi, sorridendo senza mostrarlo.


Luca è altruista da far schifo.

In effetti, sono poche le volte che pensa a se stesso. S’interesserebbe di te anche se stesse perdendo un arto. Cercherebbe di risolverti i problemi, pur di non pensare ai suoi.

Mi accenna più volte, di quello che gli accade, ma lo omette subito dopo.

Quando pensa a sé lo fa con disinteresse, cercando di scrollarsi di dosso il peso che non vuole portare.

Gli chiedo di spiegarmi cos’è il diabete e lui va in agitazione. Si arrabbia tantissimo, i suoi occhi ardono.

Potrei rimanerne ipnotizzata.

 

<< Fammi capire: sei indecisa fra due relazioni? >>

<< Sì. Ma insomma, cosa c’è di strano? È come quando tu sei indeciso se mangiare braciole o cotoletta, credo che sia ugua— >>

<< No, no, no. Non stiamo parlando di cibo. Ci sono due persone, in gioco, c’è la loro dignità. >>

Rido. << Che? >>

<< Il cibo è cibo; si mangia, non ha dei sentimenti e poi chi se ne frega. Ma qui stiamo parlando degli esseri umani e non credo che ci si possa riempire lo stomaco di loro – a meno che tu non sia cannibale. >>

<< Beh, hai ragione. >>

<<  Lo so che ho ragione.  >> Una pausa. << Stavamo parlando di...? >>

<< Due persone. >>

<< Ok, questo lo sapevo. >> Si guarda intorno, come se dovesse rivelare chissà quale segreto. Dà l’impressione di non voler far sapere agli altri quello di cui stiamo parlando; mi sovrasta con il suo corpo e cerca di catturare i miei occhi. << So che uno è Gaetano, ma l’altro? Voglio sapere chi è. >>

<< Ne sei sicuro? >>

<< Se non me lo dici subito ti farò qualcosa di terribile. >>

Gliel’avrei detto comunque, con o senza minaccia. Solo una questione di tempo. << Sei tu. >>

 

Le sue mani sono sempre calde. Le mie sono sempre fredde.

Mi prende in giro, Rosaria, quando faccio questo paragone, dice: << mani fredde, cuore caldo  >> e ride.

E lui, allora?

Mani calde, cuore freddo?

 

<< Cosa ci trovi in lui, non l’ho ancora capito. >>

<< È... qualcosa di buono. Lui mi rende migliore e meno... >> – risata – << indurita. Da tutto quello che succede, sai. Sembra stupido, ma queste sono le mie ragioni. >>

<< Ma cos’è?, un ammorbidente? >>

<< Sì! È quello che cercavo di spiegarti! >>

<< Oddio... >>

<< Vabbeh, che te lo dico a fare. >>

<< ...Che poi non sei tanto addolcita come dici di essere. >>

 

A casa mia fa caldo. Mi siedo sul letto, Luca mi guarda.

<< Tu da che parte dormi, la notte? >>

<< A che scopo, questa domanda? >>

<< Ma così, tanto per. >>

<< Mioddio, cose più normali no? >>

<< Questa è una cosa normalissima, da chiedere. >>

<< E allora quando incontri qualc—no, lascia perdere. Destra, comunque. >>

<< Io sinistra. >>

<< Wah, ora sì che ha senso, ‘sta cosa. >>

Si siede al mio fianco, mi prende la mano. << Tu dormi a destra, io sinistra. Potremmo dormire già assieme. Non ti sembra figo? >>

<< Figo? Non è una parola adatta, figo. >>

<< Hai ragione, è adatta solo a me. >>

<< ...No, ma non hai capito nulla. >> Rido, malgrado non ci sia nulla da ridere. Lui sembra... leggero. Spensierato. << Io credo che tu non sappia usare giuste parole in una determinata situazione. >>

<< Scusa se non sono analfabeta, eh! >>

<< Oh, ti perdono. >>

<< Che bastarda. >>

Ridiamo. Prova a baciarmi, poi mi abbraccia e il calore del suo corpo mi avvolge completamente.

Mi sento così protetta.

 

Tutto quel che fa mi stordisce e mi annebbia in qualcosa di simile alla felicità.

Mi hanno detto di non distogliere mai gli occhi dalla realtà. Non tutto ciò che ci sembra reale, lo è davvero.


<< Oh, non chiudere la porta! >>

<< Perché mai? >>

<< Sono stati i miei genitori a dirlo, dicono che dobbiamo sempre essere sotto controllo. >>

<< Ma da quando stai ad ascoltare i tuoi genitori, Luca? >>

<< Beh, che vuoi, che ci vedano limonare? >>

<< Potremmo sempre andare altrove, per limonare in pace. >>

<< Tipo? >>

<< In Australia. >>

<< Come no. >>

<< Sì! L’Australia è perfetta. Quando qui a Napoli sarà inverno, ce ne andremo in Australia, visto che lì sarà ancora estate. >>

<< Eh, sì, e soldi li scippiamo a qualcuno in mezzo alla strada. >>

<< Faremo gli zingari: tu suonerai la chitarra ed io ballerò a piedi scalzi. Guadagneremo i soldi così. >>

Alza un sopracciglio, mi tira uno schiaffo leggero sulla spalla. << Fai troppi progetti. >>

<< In verità, il mio è solo uno. >>

Voglio che sia sempre estate.


Avrei dovuto dargli ascolto, una volta tanto, invece di guardare il cielo dello stesso colore dei suoi occhi. Avrei dovuto fantasticare di meno.


<< Ehi, ma oggi sai dov’è Luca? Non lo vedo proprio.  >>

<< Non te l’ha detto? >>

<< ...No. >>

<< Un controllo, ieri sera si è sentito male. >>

Una fitta alla pancia – uno sguardo alla finestra: piove. << Cos’ha avuto? >>

<< Boh. >>

<< Ma come, sei il fratello, dovresti saperlo. >>

<< Qualcosa a che fare con il diabete, forse un calo di zuccheri. >> Guarda nella mia stessa direzione, poi si accorge che non c’è nulla di rilevante.

<< Davvero non ti ha detto nulla? >>

Sta tuonando, ora.


Ecco la verità.


Sta per andarsene, gli prendo il braccio e stringo le dita attorno alla sua pelle scoperta. Lui si scosta.

<< Aspetta. >>

<< Che c’è? >> Sembra guardare altrove.

<< È che... >> non trovo nulla da dire. << tutto bene? >>

<< Sì, certo. >>

<< Ieri Vincenzo mi ha detto che non ti sei sentito bene. >>

<< Ma che cazzo dici, mica mi sono sentito male. Ero solo stanco e ho preferito restare a casa. >>

Bugiardo.

<< Sì? >>

<< Ma cosa vuoi, un certificato? >>

<< Luca, volevo solo esserne sicura. >>

Gli amici lo chiamano, lui si allontana ancora un po’. << Vado. >> Allungo il braccio, vorrei fermarlo. Vorrei metterci tutta la forza che ho, fargli male, costringerlo a rimanere qui.

Non si volta nemmeno a guardarmi e allora lo lascio andare via.


Ci rivedremo?


Oggi ho pensato che potrei perderti. Che cosa orribile, pesarlo. Potrei non vederti più sorridermi. Il mio cuore ha iniziato a dibattersi senza sosta, e a fare male. Ho avuto paura che tu potessi abbandonarmi.

Ho avuto paura di rimanere da sola.


Lo penso spesso. Penso alle sue braccia che mi stringono forte e mi sorreggono dopo tutti i colpi che mi stremano.


Non te ne accorgi, di come ho bisogno di te? Non te ne accorgi?

Guardami.

Vorrei dirti qualcosa di così potente da convincerti a stare con me per sempre.

Sono ancora molto innamorata di te.


Da Luca:

Giulia ti lascio, non fare domande, ti scongiuro.


Basta così.

 

Non ce la faccio.


Succede tutto troppo in fretta, fa male. I secondi passano, il mio cuore trema – fran! – le mie gambe tremano – bam! –, le dita – crack! –, non arriva più l’aria alla testa.

No—


Non ce la faccio, non ce la faccio, non ce la faccio, non ce la faccio.

Non ce la faccio...


Silenzio.


<< L’ho sempre paragonato ad un sole luminoso. Mi faceva sentire al sicuro, in mezzo al buio. >>

Adesso che non c’è, rimango immobile e mi sembra di svenire ogni giorno.

 

L’unica cosa che rimpiango in assoluto, ogni maledetto giorno che vivo è...

È non averti mai detto quanto ti ho amato.

È non averti detto che ti amo da morire.


Forse non sarò felice mai più.


Lui fa parte del mio passato. Adesso dov’è? Sta ancora stracciando il mio corpo come un foglio di carta – a distanza.


Mi sembra di essere circondata dall’acciaio. Io sono di sabbia. Il minimo soffio, e potrei cambiare forma, rinascere. Non entra uno spiffero, dall’acciaio che mi circonda.


Sono devastata. Stanca.

 

Stanotte l’ho sognato ancora, dopo mesi e mesi. Non credevo fosse possibile.

Eravamo lontani e divisi da una moltitudine di persone – forse Luca mi cercava.

Di sicuro io cercavo lui.

Il sogno era così sfocato, come se lo avessi visto mentre piangessi. Fatto di luce accecante. Adesso ho paura di dimenticarlo.


Forse lo amo solo per ripagarlo di un favore. Di quando mi ha salvata, da tutto quel buio.

Tutto quello che faccio è basato su uno scambio equo.

 

Oggi sono felice dopo chissà quanto tempo. Mi sembrano quasi anni.

Non ho più paura di nulla, ormai. Ho perso tutto quello che mi sosteneva, e ho imparato a camminare, andare avanti con le mie sole forze. Con solo le mie gambe.

Adesso splende di nuovo un timido e tiepido sole di primavera. Si respira un’aria è fresca e piacevole, non così afosa.

Le giornate non sono molto luminose, ma finalmente meno buie.

Il mio cuore pompa di nuovo sangue e la mia vita sta scorrendo, palpitando allo stesso suo ritmo.

Ancora ci penso, a Luca. Il mio sole.

Un sole che non ha più nulla per cui splendere, che si eclissa lentamente nella notte.

Un sole che diventa nero.


L’ho detto che non ho più paura?, sì. Ho bisogno di ripeterlo molte volte.

Non ho smesso di sognare, né di guardare il cielo.

C’è la differenza che, adesso, mi guardo attorno e osservo mutare le persone, i paesaggi.

Ho un desiderio, che non si è mai spento, mai, che è restato nelle recondite parti di me stessa.

Vivere in estate, per sempre illuminata da un sole che non smetterà mai di splendere.

Un sole reale.

Partire in Australia, vivere per sei mesi nel caldo, lavorare sodo e vedere cose sorprendenti, avere emozioni nuove, incontrare gente; e poi ritornare a Napoli, giusto tre mesi afosi, per rivedere chi amo.

Qualcosa di semplice. E pieno. Non chiedo di più. Questo è il mio unico desiderio da sempre.

Così la nostalgia non mi divorerà più il cuore.

Saranno ancora – e sempre – soleggiati giorni d’estate.

 

 

In bilico

Tra santi che

Non pagano

E tanto il tempo

Passa e passerai

Come sai tu

In bilico e intanto

Il tempo passa e tu non passi mai

 

 

FINE.

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