Il fiore degli Assassini

di Elkade
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amici di famiglia ***
Capitolo 2: *** Il manoscritto ***



Capitolo 1
*** Amici di famiglia ***


Non so come, ma mi sembra che il tempo scorra sempre più veloce. Gli anni volano rapidi e inclementi, corrono come cavalli selvaggi, fuggono per mai più tornare. Eppure ricordo come fosse ieri la mia gioventù. Mi sorprendo a vedere i miei figli già grandi, Federico ed Ezio soprattutto, e ad accorgermi di quanto poco io abbia fatto perché seguissero le mie orme. Non li ho mai davvero iniziati al Credo, e non so se lo farò mai. Non voglio che diventino come me, che vivano come vivo io, sempre a nascondersi e a fuggire, a mentire persino alla propria famiglia, a rischiare tutto per combattere una guerra che non hanno iniziato e che forse non sentirebbero loro, una guerra che potrebbe non finire mai: voglio che restino sereni e spensierati come lo sono ora, da ragazzi. Ma in fondo glielo devo, devono sapere chi sono in realtà. Non è giusto che per tutta la vita conoscano solo una maschera del loro padre, e non chi è veramente. Ma forse è necessario che anche loro dimostrino di essere degni di diventare Assassini, prima di divenire tali.

Io e Mario avevamo la loro età quando fummo iniziati al Credo, ma non direttamente da nostro padre. Ricordo che quando Mario compì i diciotto anni ricevemmo una visita da parte di vecchi amici di famiglia. Nostro padre fu molto felice del loro arrivo, e fu per lui quasi come incontrare di nuovo dei familiari.

Quel giorno io e Mario eravamo come sempre arrampicati sul tetto di casa, tanto per far arrabbiare nostra sorella, che odiava quel nostro “comportamento da saltimbanchi”. Ci definiva “piccioni sul trespolo”. Dal canto mio adoravo sentirla strillare stizzita, e prenderla in giro, da bravo fratello minore e zecca qual ero. Da parte sua, Mario sembrava far di tutto per incitarmi a ignorare i rimproveri di Lisa, e a seguire l’esempio del primogenito, ovviamente lui. Avevo una ammirazione troppo grande per Mario per dare retta a Lisa.
Mio fratello propose una gara. Avremmo dovuto arrivare fino alla porta di Monteriggioni correndo solo sui tetti. Chiunque altro ci avrebbe dato quantomeno degli incoscienti, ma almeno eravamo giovincelli. E pensare che nonostante gli anni quest’abitudine non è cambiata… Ciò che poteva sorprendere era che nostro padre ce lo lasciasse fare senza nemmeno un rimprovero, ma allora non avevamo idea che anche quello fosse una sorta di addestramento. Ci lanciammo giù dal tetto, dritti nel carro di fieno sottostante, uscendone poi pieni di paglia ovunque, ma non ce ne curammo. Scendemmo in fretta la scalinata della villa, per poi lanciarci velocemente alla scalata della prima casa. Quando fummo giunti in cima entrambi, la nostra competizione ebbe inizio. In quanto ad agilità eravamo quasi alla pari, forse potevo reputarmi più agile perché non ero che un adolescente mingherlino e ancora in crescita. In compenso, Mario aveva un equilibrio migliore del mio, e i suoi salti decisamente più lunghi. Balzando di tetto in tetto, di balcone in balcone, di tegola in tegola, con la grazia di gatti ci muovevamo con maestria persino sulle corde per i panni, con la spensieratezza di chi sa volare. Al termine del percorso, col fiato corto, ci gettammo in un’ammucchia di foglie secche, ci rialzammo e raggiungemmo il più in fretta possibile la porta. La toccammo nel medesimo istante. Scoppiammo a ridere, la schiena contro la parete.
«Oh Giovanni, sai mica chi è quella?» Mi bisbigliò Mario accennando ad una ragazza che osservava attenta un giovane pittore all’opera. Non ricordavo di averla mai vista, non certo a Monteriggioni. Occhi del colore del cielo limpido, boccoli dorati, il viso dolce da bambina e un fisico dalle forme decisamente più adulte. Scossi il capo, ben poco cosciente e incapace di pronunciare anche solo un monosillabo. Un leggero colpetto sulla nuca mi ridestò dal mio sogno ad occhi aperti. «Non dormire, fratellino. Chi dorme… non piglia donne!» Sghignazzò Mario prima di lasciarmi solo e partire all’attacco. Io mi scrollai di dosso paglia e foglie, pronto a sostituirlo non appena lei lo avesse cacciato via. Ero certo che lo avrebbe fatto. Aveva l’aria di uno spaventapasseri, come diceva nostra sorella, non poteva sperare di far colpo. Mario fece una riverenza alla fanciulla, che appena lo vide scoppiò a ridere: «Mario, come vi siete conciato!». Entrambi restammo interdetti. Come poteva una straniera conoscere il suo nome? Decisi di avvicinarmi e fare buon viso a cattivo gioco: «Bentornata madamigella. Cosa vi riconduce a Monteriggioni?». Lei non fece in tempo a rispondermi, che comparve una grande ombra scura proiettata sopra la mia. Mi voltai istintivamente, trovandomi di fronte un individuo alto e nerboruto, con capelli, barba e sopracciglia folti e scuri, occhi glaciali e una cicatrice che gli solcava la guancia sinistra. Indietreggiai, mentre Mario mi imitava. Era una figura decisamente inquietante. Lo vidi sollevare le grandi mani ed abbassarle su me e mio fratello. Con nostra grande sorpresa, tutto ciò che ci attendeva era una pacca sulla schiena. Da togliere il fiato, ma una semplice pacca amichevole. «Ma tu guarda, i fratelli Auditore! Quanti anni sono trascorsi dall’ultima visita?» Latrò l’uomo, all’apparenza felice di incontrarci. Nella mia mente iniziò a farsi spazio qualche ricordo vago, ma ancora troppo debole perché potessi assegnare un nome a quelle figure. «Messere, che vi porta nella nostra umile cittadina?» Cercò di salvarmi Mario. L’uomo sfoderò un largo sorriso, conducendoci lungo la strada principale in direzione della villa, seguito dalla ragazza che doveva essere la figlia: «Sono venuto a trovarvi, naturalmente! Sono anni che non vedo né voi, né vostro padre, e ci siamo messi d’accordo per lettera per incontrarci. Non ne sapevate nulla?». Fortunatamente, nostra madre era in giro per Monteriggioni e la incrociammo sul nostro cammino, in compagnia di una donna della sua età e di un ragazzo poco più grande di me. Fu grazie a lei se riuscimmo ad evitare una ben misera figura. Li accolse con un abbraccio caloroso, quasi si trattasse di membri della nostra stessa famiglia.
Arrivati a casa, finalmente ricevemmo spiegazioni. L’uomo con la cicatrice si chiamava Pietro de’Liberi, ed era un amico di vecchia data di mio padre. Le nostre famiglie, ci dissero, erano legate da più di un secolo, nonostante fossero geograficamente molto distanti, noi Auditore a Monteriggioni e i de’Liberi a Premariacco, molto più a nord.
Quella sera ci radunammo davanti al camino, in tre gruppi distinti, i miei genitori con Pietro e sua moglie Anna, Lisa con Valentina, la figlia di Pietro, e io e Mario con Andrea, il primogenito de’Liberi. Giuro di non aver mai visto mio fratello così assente, lo sguardo fisso solo su Valentina e ben poco attento ai discorsi del nostro ospite. In compenso, io rivolgevo la mia attenzione solo ad Andrea. Era un personaggio davvero insolito. Era più giovane di mio fratello, ma la sua altezza era di molto superiore, come anche la sua stazza. In quanto a spalle decisamente non c’era confronto, in quello era degno figlio di suo padre. Aveva l’aria di chi è avvezzo ad indossare armature, e a combattere. Anche il suo viso era sfregiato, appena sotto l’occhio sinistro. In compenso i suoi abiti erano di buona fattura ed eleganti, che ingentilivano quel suo aspetto da guerriero. Parlando con lui seppi inoltre che stava studiando per diventare notaio, il che mi sorprese molto. Il detto “non giudicare un libro dalla copertina” era più azzeccato che mai in quel caso.
Dopo un po’ mio padre e Pietro si alzarono e riscossero Mario dai suoi pensieri. De’Liberi teneva in mano una scatola in legno squadrata, con incisioni e decorazioni in oro. Doveva contenere qualcosa di molto prezioso. «Dobbiamo parlarti, figliolo» Disse sorridendo Pietro mentre aiutava Mario ad alzarsi. Vidi i tre attraversare la sala e scomparire nella biblioteca. Ebbi l’impulso di seguirli, ma non mi parve il caso di impicciarmi. Se non ero stato chiamato anche io uno motivo doveva pur esserci…

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Capitolo 2
*** Il manoscritto ***


La serata trascorse rapida, proprio come succede quando la compagnia è buona, son buoni i discorsi, buone le risate e buono il vino. Pian piano, nelle ore che volavano, i ricordi del passato riemergevano da una memoria coperta dalla polvere degli anni, nonostante io fossi giovane ed avessi trascorso ben pochi inverni.
Mi tornarono alla mente un Andrea e un Mario a litigare per la minima sciocchezza, una piccola Valentina e una Lisa con giochi da piccole dame, un Pietro più giovane ma dall’aspetto non certo più delicato e una Anna quasi identica alla figlia: immagini sbiadite dell’ultimo nostro incontro. Era passato molto tempo dell’ultima visita dei de’Liberi, ed io non ero che un fanciullo allora. Un fanciullo che le prendeva di santa ragione dal proprio fratello e dal suo amico. Quante volte avevamo fatto a botte, e quante volte Andrea aveva prevalso lasciandoci rotti e contusi, ma noi ci divertivamo così, nonostante i rimproveri di Lisa. D’altro canto gli adulti non si preoccupavano minimamente di interrompere i nostri giochi violenti a meno che non li ritenessero troppo pericolosi- la soglia del troppo pericoloso chiaramente non comprendeva nulla che fosse lividi, graffi o cadute da qualche albero. Come addestrare inconsapevolmente un assassino fin dalla tenera età…

Con questi aneddoti della nostra infanzia la mezzanotte arrivò in un soffio, e altrettanto veloce se ne andò. Spento il camino e tirate le tende, ognuno si ritirò nella propria stanza. Morfeo, però, non venne a farmi visita. Mario ancora non tornava, e così mio padre e Pietro. Dalle stanze al piano di sotto non si sentiva alcun rumore, né voci. Silenzio. Dopo una breve quanto ansiosa attesa, decisi di scendere di nuovo. La curiosità mi martellava in testa incessante, una goccia dopo un’altra, un ticchettio continuo che mi impediva di restarmene a letto tranquillo e sereno. Non avrei aspettato il giorno dopo per scoprire quel segreto.
Tornato nel salone scoprii che il caminetto era di nuovo acceso. Mario era seduto su uno dei divanetti, chino a leggere un libro in pergamena. Sembrò non accorgersi del cigolio della porta, e io mi avvicinai silenzioso come un felino nel buio della camera. Diedi un’occhiata migliore al volume che mio fratello teneva tra le mani, sempre a debita distanza. Non mi sembrava che ci fosse nulla di simile nella nostra biblioteca. Chiaramente doveva essere molto vecchio, certo più di me. «Che leggi?» Feci io, mentre Mario sobbalzava per la sorpresa e si affrettava a nascondere ogni cosa con aria colpevole, negando la mia affermazione ripetutamente. Io insistetti, sporgendomi per intravedere almeno la copertina del libro, che però lui aveva celato con un lembo del mantello. «Non è roba da mocciosi»  Biascicò lui respingendomi deciso. Sorrisi, malizioso. Se non era per bambini e lo stava leggendo da solo nel cuore della notte, un motivo doveva pur esserci. «Fratellone, fratellone, non si leggono libri sconci! Soprattutto pensando alla nostra ospite» Lo schernii e lo spintonai leggermente, ma lui mi restituì il colpo con gli interessi, facendomi indietreggiare: «Piantala, idiota… è un libro che mi ha dato Pietro e non intendo mostrarlo né a te, né a nessun altro». Tombola! Ecco il segreto della scatola. Un vecchio manoscritto? No, qualcosa di così prezioso da non poter essere condiviso nemmeno con il proprio fratello. Nemmeno con il migliore amico e il più grande complice di una vita. Non era da Mario tenermi un segreto, nient’affatto. Continuai ad insistere ancora per un po’, da parassita qual ero, piagnucolando e supplicandolo perché mi leggesse almeno una frase, il titolo, che mi mostrasse un disegno, qualsiasi cosa. Ripresi anche a provocarlo e ad alludere, ma uno schiaffo mi tappò la bocca all’istante. Avevo esagerato, ed era ora di cambiare aria. Tornare nella mia stanza al momento era ciò che più desideravo al mondo e non mi feci ripetere due volte di filar via.

 La guancia continuò a dolermi anche il giorno seguente, che mi servisse da lezione per la mia malizia. Il ceffone di Mario era stato inaspettato quanto violento. Molte volte mi ero azzuffato con lui, ma mai mi aveva colpito con tanta forza volontariamente. Dovevo avergli proprio fatto saltare i nervi… Certo non aveva gradito le insinuazioni su Valentina, e a giusta ragione. Sembrava anche aver preso a cuore quel misterioso libro, il che era utile a tenermi lontano come un topo dal granaio.
La mattina dopo mi alzai di buon'ora con l’intenzione di indagare sul manoscritto, ma scoprii che qualcuno era stato più mattiniero di me. Nel cortile della villa, svegli e pimpanti, trovai mio padre e Pietro che tiravano di scherma, assieme ad Andrea, Valentina e Mario che facevano da spettatori. Nulla poteva sorprendermi di più, soprattutto per la bravura dei due combattenti. Erano agili, scattanti, aggraziati, Pietro in particolar modo. Nonostante la sua stazza aveva una sveltezza invidiabile da chiunque, e dava parecchio filo da torcere al suo avversario. Anche mio padre, però, sembrava darsi da fare, parando, schivando e colpendo con maestria. «Quanta ruggine, Vincenzo! Quando ti decidi a passare il testimone a chi è più degno di te?» Lo derideva Pietro, accorgendosi che stava già iniziando a crollare. «Non sono vecchio abbastanza per ritirarmi» Replicava lui, troppo orgoglioso per cedere, deciso a mostrargli di cosa era capace. Ma era chiaro, Pietro era esperto nell’uso della spada, ed aveva l’aria di chi si allena ogni giorno, al contrario di mio padre che, a quanto ne sapevo, aveva lasciato la lama nel fodero per molto tempo. Nel giro di qualche stoccata e fendente avevamo già un vincitore. E non era un Auditore.
«Forza, Mario, mostrateci che sapete fare!» Incitò Valentina sogghignando mentre il viso di mio fratello cambiava drasticamente colore. Chiaramente non si aspettava una simile richiesta, specialmente da lei, ma non si lasciò pregare. Scattò in piedi e raggiunse Pietro, scambiandosi di posto con nostro padre per iniziare il combattimento. Non sembrava affatto a suo agio, era agitato, sia per il fatto di dover fronteggiare de’Liberi, sia perché era consapevole di avere addosso gli occhi di Valentina. Le donne, le donne e i loro sortilegi! Sarebbero capaci di rendere pazzo il più saggio degli uomini. «Avanti, Mario! Sii audace nell’assalto, non mostrarti vecchio nell’animo. Che non ci sia timore nella tua mente, sta’ in guardia: puoi farcela!» Lo incitò Pietro, sorridendo. «Mancherebbe tutto, se nel cuore non ci fosse l’audacia» Recitò Mario, anche lui con un sorriso, scandendo le parole come avesse recitato una poesia. Non capivo per quale motivo si fossero messi a parlare in modo tanto teatrale, così strano. Mi pareva di essere l’unico a non intuirne il senso. «Oh, bene! Vedo che impari in fretta» Si complimentò Pietro dopo una risata. Mi stavano nascondendo qualcosa, che forse stavo iniziando a capire. «Ancora non sono in grado di mettere in pratica» Spiegò Mario, visibilmente in imbarazzo. Pietro appoggiò la propria spada accanto al muro della villa, e fece cenno a mio fratello di avanzare, disarmato: «Ora vedremo, giovane Auditore, se davvero sei degno del nome che porti!». In quel momento ebbi il forte presentimento che sarebbe servito un cerusico al più presto.
Mario esitò un istante, ma avanzò e si mise in guardia, le gambe piegate, le mani con i palmi aperti e puntati verso l’avversario, le braccia vicine al corpo ma pronte a scattare in avanti, gli occhi ben fissi sulle spalle dell’avversario. Anche Pietro aveva assunto la posizione di combattimento, questa volta con il braccio sinistro proteso in avanti e il destro dietro la schiena, come a voler nascondere le sue intenzioni. Invitò Mario ad attaccare, che però ancora titubava. Sapeva che non sarebbe stato facile contro quel bestione, era il doppio di lui. Con tutta la buona volontà, atterrarlo non sarebbe stata una passeggiata. Provò a spostarsi, ma Pietro indietreggiò nella stessa direzione. Si giravano attorno, si studiavano. Nessuno avanzava, nessuno osava, nessuno rischiava. Andrea sembrava annoiarsi terribilmente. Pietro si decise a sbloccare quella situazione insostenibilmente statica. Si avvicinò a Mario, facendo scattare un pugno in avanti, ma lui scartò di lato e contrattaccò cercando di sferrare un colpo al viso. De’Liberi però e immobilizzò il braccio dell’avversario, mentre con l’altra mano andava a spingere sul suo petto per atterrarlo. Di nuovo un assalto non andò a segno, i due si sciolsero dalle prese in cui si erano incatenati l’un l’altro. Mario sembrò farsi coraggio e si gettò ancora su Pietro, un pugno dritto al mento. L’avversario lo intercettò prima che l’assalto fosse compiuto e ne approfittò afferrando il polso e costringendolo a piegarsi. Bastò un semplice sgambetto per fargli mancare la terra sotto i piedi e farlo finire lungo disteso sulla schiena.
Valentina si trattenne dal ridere, e così anche suo fratello. Credevo che Mario fosse in grado di menar le mani, ma non c’era paragone con Pietro, nel modo più assoluto. Non osavo immaginare che figura avrei fatto al suo posto e pregai di non essere chiamato anche io. Le scaramucce con certi ragazzacci di Firenze non erano sufficienti come preparazione ad affrontare un simile avversario. «Ne avrete di che allenarvi, se questo è tutto ciò che sapete fare» Osservò Andrea, schietto. Aveva ragione, non eravamo particolarmente brillanti nel combattimento, ma in fondo non avevamo imparato da nessuno. Io e mio fratello eravamo stati i maestri l’uno dell’altro, la nostra esperienza era data solo dalle liti tra noi e con altri. Non dubitavo che invece Pietro avesse avuto un buon maestro, e a giudicare dal suo fisico lo stesso si poteva dire del figlio. Non era gente che faceva a scazzottate una volta ogni tanto. «Non ho certo insegnato loro a combattere a nove anni» Cercò di giustificarci nostro padre, con l’aria colpevole di chi non ha assolto al proprio dovere come si conviene.
Andrea pareva contrariato. Da ciò che avevo appreso la sera prima durante la conversazione con lui, Pietro lo aveva indirizzato agli studi da notaio ma al tempo stesso aveva preteso che fin da piccolo fosse in grado di maneggiare una spada, facendo di lui un’insolita accozzaglia di sapienza borghese, linguaggio da viaggiatore e abilità militari nobiliari: un uomo dalle molte qualità. Ciò di cui sembrava andare più fiero erano le sue doti di guerriero, nonostante gli avessero causato qualche guaio. La cicatrice, infatti, era il risultato di un duello che aveva ingaggiato, ora non ricordo bene per quale affronto subito. Ci aveva quasi rimesso l’occhio ma pare che l’altro contendente non fosse vissuto tanto a lungo da raccontarlo. Incredibile quanto sembrasse più aristocratico lui di tutta la mia famiglia messa assieme, nonostante non fosse di sangue nobile, così attaccato all’onore e simili stupidaggini. In compenso sapeva essere anche più alla mano, quando voleva, e a seconda dell’occasione diventava il più serio e altezzoso dei duchi o il più divertente compagno da osteria. Devo ammetterlo, un personaggio ambiguo sul serio. Mi chiedevo quale fosse il suo vero carattere…
Perso nei miei pensieri, non arrivai ad accorgermi subito che qualcun altro si era unito a noi. Un uomo a cavallo era arrivato al galoppo alla scalinata della villa, era sceso e aveva percorso in fretta le gradinate, porgendo una lettera a mio padre. Era una busta chiusa e sigillata con la ceralacca. Il messaggero si raccomandò che fosse solo Vincenzo ad aprirla, ed era da parte di un certo Bertrando Vadi. Nome non nuovo, ma nemmeno così noto. Possibile che si facessero vive così tante vecchie conoscenze tutte in una volta?




[***L’angolo di Elkade***

Ehm… sì, prova, ok… Ciao a tutti e buona notte! Ehm no, va bene, chiedo scusa ^^” prima volta che scrivo qualcosa ai miei lettori, abbiate pietà di me…

Bene bene, grazie a tutti coloro che hanno letto il primo capitolo, in particolar modo comix che mi ha ordinato di continuare questo assurdo progetto, Elika95 con i suoi preziosissimi aiuti (l’ho fatta impazzire, chiedo venia XD), Darkness666 per avermi fatto da cavia come sempre e renault per aver messo tra i preferiti questa umile fic.

Qualche piccola nota è doverosa, anche se non spiegherò tutto direttamente in questo capitolo. Primo: NO, non sono diventata Fantozzi (vedi “Vadi”, che questo cavolo di pc continua a correggermi in “vada”). Secondo: la maggior parte dei personaggi usati per questa fanfiction è di mia invenzione, tranne chiaramente quelli citati in Assassin’s Creed II. Si sono intravisti, però, due cognomi che a fanatici medievali come me possono suonare familiari, ossia de’Liberi e Vadi- sono assolutamente certa che in questo momento i poveri Fiore e Filippo si staranno rivoltando nella tomba… chiedo venia. Ho voluto creare un collegamento con questi due personaggi (di cui parlerò meglio in seguito) con uno tramite discendenti e con l’altro per predecessori, ma non avendo notizie sui loro nomi, sulla loro provenienza e sulle date di nascita ho dovuto ideare le loro famiglie di sana pianta: per questo motivo ci ritroviamo con Pietro, Andrea e Valentina da una parte -nipote e pronipoti di Fiore de’Liberi- e Betrando dall’altra -nonno di Filippo Vadi. Per chi fosse interessato, su wikipedia si possono trovare articoli su di loro, ma io consiglio di leggerli tra qualche capitolo, anche perché ve li farò conoscere sotto una luce particolare, e non esattamente fedele alla realtà. Spero di riuscire a continuare questa fanfiction, ho visto che ha riscosso abbastanza successo ma purtroppo sono piena di impegni… sigh… aiuto…

Grazie ancora a tutti quanti!]

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