Every time we touch di Soul Sister (/viewuser.php?uid=89966)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** the beginning ***
Capitolo 2: *** No longer alone ***
Capitolo 3: *** New Cullen ***
Capitolo 4: *** First Training ***
Capitolo 1 *** the beginning ***
...Every
time we touch
Corri. M’intimai,
nonostante sapessi già di essere
al limite delle possibilità a me consentite in pubblico. Provare a
seminarli
non era così difficile. Era riuscirci, che diventava un tantino più
complesso.
Vidi un furgone fermo, e senza
farmi vedere vi salii a bordo. L’autista richiuse le porte, e pochi
istanti
dopo sentii il rombo del motore.
Mi sentii quasi al sicuro, in
quel poco tempo in cui viaggiai, nascosta nell’oscurità.
Ma non riuscii nemmeno a tirare
un sospiro, che mezzo si fermò.
L’uomo aprì le porte, afferrò
uno
dei tanti scatoloni, e mentre lo scaricava, ne approfittai per
sgattaiolare
fuori dall’abitacolo.
Alzai lo sguardo, e rimasi
pietrificata: quell’auto nera era lì, loro
mi aspettavano appoggiati alla portiera della macchina, uno affianco
all’altro,
con un ghigno in volto.
No!
Pensai, in panico.
Iniziai a correre sotto la
pioggia più veloce di un qualsiasi essere umano, nella direzione
opposta a loro.
Volevo fuggire, volevo salvarmi.
Sentivo i loro passi ciabattare
non troppo lontano da me. Accelerai, mandando a quel paese tutte le
raccomandazioni fatte dalla mia istruttrice.
Allungai una mano in fronte a
me, concentrandomi su un bidone della spazzatura, e all’improvviso esso
cominciò a fluttuare, per poi scaraventarsi contro uno dei due
individui. Meno uno.
Sapevo di averlo solo abbattuto
momentaneamente, e che poi sarebbe tornato a rincorrermi, ma era meglio
di
nulla.
Scivolai, e cercando di non
volare a terra, misi male il piede. Strinsi forte i denti, e proseguii.
- promettimi che riuscirai a
scappare Bella. Promettimi che lotterai fino all’ultimo, e non ti
arrenderai
mai. So che sarà difficile, ma devi riuscirci. –
- sì, nonna. Te lo prometto:
mai -
Ripresi a correre, ignorando il
dolore alla caviglia, ignorando i miei polmoni che parevano avessero
preso
fuoco e ignorando il mio cuore che mi scalpitava furioso nel petto.
Non mi dovevo arrendere.
Ma non era semplice, per una
come me. Quei due mi stavano alle calcagna, non cedevano terreno. E
questo mi
metteva ancora più panico. E sotto pressione, io non combinavo mai
nulla di
buono. Mai. Non riuscivo ad essere razionale.
Vidi un boschetto, e m’inoltrai
tra le piante. Qui avrebbero certamente rallentato. I ramoscelli
sporgenti non
m’infastidivano e non mi rallentavano assolutamente. Misi il campo di
forza, una
specie di barriera trasparente che niente poteva scalfire. La boscaglia
era
sempre più fitta, la luce veniva meno e gli alberi non aiutavano il
passaggio
dei raggi solari.
Inciampai in una radice, e
caddi a terra. Come sempre, la mia goffaggine si faceva sentire nei
momenti
assolutamente meno opportuni. Sentii distintamente del calpestare di
ramoscelli
e foglie secche: mi avevano raggiunta. Ma a quel punto, pensai di
mollare: che
differenza avrebbe mai fatto?
Pov Edward
Ero stranamente agitato. Avevo
uno strano presentimento, o meglio, una strana paura. Ed io
raramente provavo
quell’emozione così sgradevole. Forse perché sapevo che niente avrebbe
mai
potuto farmi realmente male, oppure perché avevo una fiducia cieca
nelle mie
capacità e nella protezione della mia famiglia.
Ma quel gelido giorno
invernale, nella mia casa calda e riparata, nel mio minuscolo e poco
popolare
paesino, con tutti i miei familiari lì con me, avevo paura.
E non sapevo assolutamente perché.
Avvertii i miei familiari che
andavo a farmi una dormita, magari sarebbe servito a qualcosa. Mi
sdraiai sul
mio divano di pelle nera, con le braccia dietro alla testa, provando a
rilassarmi. Cercai di allontanare i pensieri altrui dalla mia mente, e
chiusi
gli occhi.
Lei. Quella persona che ormai
da dieci anni, occupava i miei sogni, e la maggior parte dei miei
pensieri,
ricomparve nei meandri dei miei sogni anche quella volta.
Chi era? Perché la
sognavo? E perché sentivo l’assoluto bisogno di proteggere quella
persona che
nemmeno conoscevo? Eppure, mi sentivo molto legato a lei. Sarà che dopo
tutto
quel tempo, era difficile pensare ad un mio sogno in cui lei non ci
fosse.
La cosa che vedevo chiaramente, erano i suoi occhi. Due
bellissimi, profondi espressivi occhi color cioccolato. Il resto era
avvolto da
una leggera foschia, e mi era impossibile vedere il viso completo.
Quel giorno, erano spaventati,
ansiosi, diversamente dal solito, tristi e spenti. Perché aveva
paura,ora?
Benché
non sapessi chi fosse, ero dipendente
da quella persona, se sentivo che lei era felice lo ero anch’io. I
nostri
sentimenti, le nostre emozioni erano collegate, erano le stesse
dell’uno e
dell’altro.
Gli occhi svanirono, e tutto si
fece buio.
Mi ero svegliato con il cuore
scalpitante, il respiro accelerato, e l’ansia era cresciuta a vista
d’occhio.
Ora ero consapevole che ero preoccupato per lo sconosciuto, o la
sconosciuta,
dei miei sogni.
Mi misi una mano sul cuore come
per fermarlo, poi passai l’altra nei capelli. Cosa le stava per
accadere?
Una visione di Alice mi entrò
prepotentemente nella testa.
Alberi.
Sembravano quelli di Forks. C’era una figura che correva. Dei passi
dietro
di lei: stava scappando.
Cosa stava vedendo mia sorella,
e soprattutto, perché?
La
persona cadde a terra. I suoi occhi, si potevano distinguere
chiaramente. Erano
quegli occhi. E le
persone che la inseguivano erano
sempre più vicine.
Non riuscii a finire di
guardare. Mi buttai giù dalla mia finestra, non avevo tempo di fare
tutto
correttamente, e iniziai a correre per il bosco. Pensai al luogo che
aveva
mostrato la visione. In poco tempo mi trovai lì.
Quella a terra era una ragazza,
i cui lunghi capelli castani incorniciavano il viso dalla pelle
diafana. Era la
creatura più bella che avessi mai visto. Era qualcosa di strabiliante,
nella sua
imperfezione, nella sua fragilità. Ma non persi tempo a guardare il suo
aspetto. Era lei, la ragazza dagli occhi castani.
E i due uomini che la
seguivano, l’avevano raggiunta. Le puntavano contro delle pistole; uno
di loro
premette il grilletto, e nello stesso istante mi buttai su di lei per
proteggerla.
Pov Bella
No,
pensai.
Sentii qualcuno buttarsi
accanto a me. Era un ragazzo, che aveva avuto la sventata idea di
salvarmi. Ma
non avrei permesso che quel ragazzo, che aveva messo addirittura a
rischio la
sua vita per proteggermi senza nemmeno conoscermi, venisse uccisa da
quei due
farabutti.
Alzai lo scudo, e la pallottola
ci sbatté contro, per poi cadere a terra.
Il ragazzo alzò lo sguardo, e
incontrò il mio.
Incredibile,
aveva gli stessi…
Possibile che lui fosse
l’angelo dei miei sogni, quello che con i suoi occhi mi aveva convinto
ad
andare avanti? Erano di un verde meraviglioso, smeraldino.
<< cosa sta succedendo?
>> chiese una voce maschile, quasi angelica. Il ragazzo si scostò
un po’
da me, e si voltò verso quell’uomo. E così, notai i capelli erano
castano-ramati, spettinati, che incorniciavano le sue iridi.
<< calma, dobbiamo
prendere solo la ragazza. Ragazzo, togliti è pericolosa! >> disse
un
tizio. Il ragazzo non si mosse.
<< Edward. >> fece
l’uomo
che aveva parlato prima. Biondo, austero, guardando il ragazzo accanto
a me. Vicino
a lui, c’era una donna dal viso dolcissimo incorniciato da dei capelli
color
caramello, e con degli occhi azzurri che in quel momento trasmettevano
tutta la
sua ansia e la paura. Dietro a lei, c’erano due bellissime ragazze.
Una
alta, statuaria, dal fisico mozzafiato. Bionda, e dagli occhi azzurro
ghiaccio.
L’altra era minuta, dai tratti delicati, e pareva un folletto. Aveva
gli occhi
azzurrissimi, stupendi, e dei capelli corvini, corti e tutti
scompigliati.
Accanto a loro, c’erano due ragazzi: uno alto e nerboruto, con i
capelli neri e
ricci, l’altro alto e muscoloso, meno dell’altro, biondo con gli occhi
azzurri.
Che cosa
mi mettevo a fare la radiografia, in un momento del genere?
<< ragazzo, davvero
potrebbe farti del male. >> mentì l’altro.
<< io non sono pericolosa
>> dissi piano. Il ragazzo si voltò ad osservarmi, << io
non sono
pericolosa! >> insistetti.
<< e perché, allora i
tuoi genitori ti hanno abbandonata in quell’orfanatrofio?! >>
fece quello
di prima.
<< non mi hanno
abbandonata! >> le lacrime mi annebbiarono la vista, <<
siete stati
voi a ucciderli! Mi avete portato via le persone a cui volevo bene.
Loro mi
volevano proteggere! >> dissi, mentre singhiozzavo. La rabbia e
il dolore
facevano sentire con più chiarezza ogni fibra del mio corpo, ed anche
un
controllo maggiore sui miei poteri. << smettetela di farmi del
male! >> Mi alzai, e il ragazzo si scansò
di
un po’. Ormai vedevo tutto rosso, ma comunque chiaramente, anche
piangendo.
Stringevo i pugni lungo i fianchi. Il ragazzo dai capelli ramati mi
guardava
stupito, meravigliato, e spaventato.
<< voi. Non dovete
nemmeno nominare i miei genitori!
>> urlai. Vedendo che iniziavo a tremare, segno che stavo per
scoppiare,
i due mi puntarono contro di nuovo le armi. Illusi,
non potevano farmi niente.
<< santo cielo, Carl!
>> esclamò la donna dal viso dolce, accanto a quello biondo con
la voce
meravigliosa. << non possiamo far niente.. >> sussurrò alla
donna.
Io ignoravo quegli scambi di battute. Strinsi maggiormente i pugni. Un
masso lì
vicino cominciò a fluttuare, incerto. Mi sentivo potente,
volevo fargliela pagare per avermi
portato via la mia famiglia.
Le persone lì presenti
guardavano la scena attonite, ma non spaventate. All’improvviso uno dei
due
uomini cadde a terra stordito, mentre l’altro veniva come percosso da
qualcosa
d’invisibile. E io non centravo nulla. Anch’egli finì a terra,
tramortito.
Le forze, intanto, cominciavano
a venirmi meno.
Ero forte, ma non a tempo
indeterminato. Mi stancavo molto velocemente.
Le energie si
esaurirono del tutto, e mi
lasciai andare, trascinata nell’oscurità.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** No longer alone ***
...Every time we touch
Capitolo 2- No longer alone
Sentivo
la mia testa annebbiata, confusa. L’unica cosa chiara, in quel momento,
era il
dolore pulsante nelle tempie, e un fischio fastidioso nelle orecchie.
Pian
piano feci mente locale degli ultimi avvenimenti successi. Ricordavo
gli occhi
verdi, i due Men in black, la forza
scorrere nelle vene con l’adrenalina e poi... Be’, più nulla. Avevo
come un
vuoto, su quello che era stato in seguito.
Per
lo meno, ero ancora viva.
Dov’ero? Sicuramente
non nella foresta. Mi trovavo al caldo, su qualcosa di estremamente
comodo e
morbido. Potevano avermi presa, ma non mi avrebbero riservato un
trattamento
simile, non dopo tutto quello che avevo fatto loro.
Nonostante
il desiderio di scoprire dove fossi e cosa mi fosse successo, non
riuscivo ad
alzare le palpebre. Ero intorpidita, e solo ora cominciavo a prendere
sensibilità di braccia e gambe.
Sentii
dei rumori, e mi decisi ad aprire gli occhi. La luce mi accecò, e
dovetti
battere più volte le palpebre per abituarmi.
- Si è svegliata! - sentii
una voce
femminile acuta, ma non fastidiosa, urlare quelle parole. Girai il capo
appena, e potei vedere chi aveva parlato. Era la ragazza minuta che
avevo visto
nel bosco. Aveva un sorriso abbagliante stampato sul viso, e per un
momento mi
chiesi se quando avevo aperto gli occhi, non ero stata accecata da lei.
-
Ciao, ben svegliata! Io sono Alice, piacere. Sai hai dormito per due
giorni, ci
hai fatto preoccupare tantissimo! -, aveva parlato tutto d’un fiato.
Aveva una
strana somiglianza con la radio, quella ragazzina, un non so che di
logorroico.
Ma bene o male avevo capito.
Mi
schiarii la gola - Dove sono? -,
domandai, eludendo la presentazione. Cercai
di tirarmi su, ma un capogiro mi fece ricadere sdraiata.
-
Attenta, sei ancora debole... - disse l’uomo biondo, entrando nella
stanza con
un sorriso mozzafiato, e dall’aria calma e paziente.- Io sono Carlisle,
e sei a
casa nostra. Dopo che sei svenuta, ti abbiamo portato qui. Avevi la
febbre
molto alta, ora è scesa. - Spiegò a tono basso, capendo che la voce
troppo alta
mi dava fastidio. Quell’uomo mi trasmetteva fiducia, era sicuramente
una brava
persona, ne ero convinta.
- ecco
cara, penso tu abbia sete. –, la donna dal sorriso dolce mi porse un
bicchiere
d’acqua fresca, che bevvi tutto d’un sorso.
-
grazie mille -,
mormorai, imbarazzata da tutte queste premure.
- io
sono Esme. -, mi sorrise dolcemente. Cercai di ricambiare il gesto, a
modo mio,
e lei l’apprezzò. – stai bene, ora, piccola? – annuii piano.
-
come ti chiami? – chiese Carlisle, garbato. Dubitavo l’avrei mai visto
essere
maleducato. – Isabella. Isabella Marie Swan. – risposi, dicendo il mio
nome per
esteso. Sentivo che di loro mi potevo fidare. – ma... e gli uomini che
m’inseguivano? – le tre persone presenti nella stanza ridacchiarono,
alla mia
domanda tentennante.
-
Oh, Edward, mio figlio, li ha stesi. – Esme mi sorrise dolcemente - con
noi,
tesoro, sei al sicuro –
-
Grazie per le premure, ma io... Dovrei proprio andare. – mormorai,
scostando le
coperte di dosso. La donna appoggiò delicatamente le mani sulle mie
spalle, e
mi bloccò. Dato che non mi ero ancora ripresa, spiegò, sarei rimasta a
casa
loro. Almeno, fin quando la temperatura corporea non avesse raggiunto
un grado
decente.
In
quel momento, vidi la porta socchiudersi, e quattro ragazzi fecero il
loro
ingresso. C’erano: il biondo e fiero, il moro nerboruto, la bionda
mozzafiato,
e il ragazzo dagli occhi verdi. Il primo era sorridente come non mai,
il
secondo stava un po’ sulle sue, mentre la terza mi guardava con una
strana
espressione. Che fosse rammarico?
Il
rosso, invece, Edward, mi guardava attentamente.
- Ehi,
la bell’addormentata sì è svegliata! Buondì. – si schiarì la gola, con
fare
teatrale, e mi spuntò un sorriso divertito sulle labbra. Si avvicinò al
mio
letto, e afferrò la mia mano. – Bon jour, mademoiselle. Io sono Emmett, piacere. – alla fine, mi
fece
ridacchiare. – Bella -
- Io
sono Rosalie. - fece, con sufficienza, la
bionda mozzafiato. Non risposi, intimorita dalla sua magnificenza e
dalla sua
espressione da superiore.
- Io
sono Jasper – disse infine l’altro. Lui stava molto sulle sue,
nonostante non
avesse un’espressione contrariata dalla mia presenza, lì. Comunque, la
sua aria
fiera mi metteva in soggezione quanto lo sguardo sospettoso di Rosalie.
-
Edward, non ti presenti? - chiese Esme, voltandosi verso l’ultimo
figlio. Lo
stesso feci io, constatando che ora che l’osservavo meglio, era ancora
più
bello. I suoi occhi erano fissi nei miei, e non accennavano a spostare
l’attenzione su qualcosa d’altro.
Nella
stanza era calato il silenzio totale. La tensione era talmente densa
che si
poteva tagliare col coltello. Nessuno fiatava.
Ma era possibile che fosse
davvero il ragazzo dei miei
sogni?
Anche
lui pareva confuso quanto me. possibile che anche lui avesse sognato
me? Qualcuno
si schiarì la gola, ed entrambi spostammo lo sguardo. - io.. sono
Edward – fece
lui, mentre una leggera sfumatura rosea colorava le sue guance.
- Io
sono Bella. – ripetei, per l’ennesima volta.
Poi,
come se fosse la cosa più ovvia del mondo, mi chiesi perché mi avessero
salvata
e ospitata, non conoscendomi neppure. Sarei potuta davvero essere
pericolosa,
stando alle parole dei due tizi. Io sapevo che mentivano, ma queste
persone non
conoscevano la mia storia. Perché prendermi con loro, rischiando tanto?
Valeva
di più ciò che dicevano due adulti, o una ragazzina dal carattere molto
suscettibile, che si era mostrata un po’ troppo strana ai loro occhi?
- Mi chiedevo... –
tentennai, guardandomi le
mani che tormentavo – perché mi avete salvata? Insomma, quelle persone
avrebbero potuto avere ragione sul mio conto -.
- Avrebbero potuto,
ma noi non gli abbiamo
creduto. Sappiamo che sei pericolosa
quanto potremmo esserlo noi. – fece Carlisle.
Poi
prese la parola sua moglie: - E ovviamente, non avremmo mai potuto
lasciarti in
quelle condizioni. -
- Bella, sappiamo il tuo
segreto – fece
Alice con un sorriso – noi siamo come te. – Rimasi perplessa, davanti a
quest’affermazione. Insomma, credevo che fosse una maledizione caduta
solo
sugli Swan, invece mi sbagliavo. Non era così, c’erano altre persone
come me,
come i miei genitori e mia nonna. Non ero
più sola.
- io
riesco a capire poteri e a teletrasportarmi, per esempio. – fece
Carlisle,
facendomi rimanere a bocca aperta.
- Ed io sono davvero
molto forte, potrei
abbattere una casa soffiando solamente! – Si vantò Emmett. – un giorno
ti farò
vedere, se non mi credi – sorrise vittorioso.
– Io
prevedo il futuro! – sopraggiunse Alice, - e Rose ha una certa
influenza sulla
natura. – E io che credevo di essere speciale. Le loro doti andavano
ben oltre
le mie.
- Io
sono un empatico, percepisco e manipolo le emozioni – spiegò Jasper, -
mentre
Esme capisce chi mente, e trasmette fiducia; è molto simile al mio -
- Edward
legge il pensiero, sa diventare invisibile ed è molto veloce!
- elogiò
Alice. Edward leggeva il pensiero.
Arrossii
inevitabilmente.
- A parte il suo. - fece
lui,
evidentemente deluso da quella situazione. L’intera famiglia guardò
lui,
sorpresa, e poi me.
- Tu che dote
possiedi? – proruppe poi Emmett,
rompendo il silenzio con la sua curiosità. - Sono uno scudo, mentale e
fisico e
poi possiedo la telecinesi. >> dissi.
Vorrei mi facesse
sentire ciò che pensa,
è frustrante non sentirla! Il pensiero era di Edward, che a quanto
pareva, era piuttosto infastidito dal mio mutismo mentale.
- Mi
sto ancora esercitando ad alzarlo, quello psichico. E’ ancora difficile
per me. - Fammi indovinare: tu
leggi anche nel pensiero. Pensò il
rosso, e giustamente, annuii. Oh, è bello
sapere che non sarò il solo a essere tormentato dai pensieri altrui.
- non
credo per molto, io non posso rimanere qui troppo a lungo. Vi metterei
nei
guai. – feci, a capo chino.
- prego?-
chiese Emmett.
-
non c’entri tu – ribatté Edward al fratello.
- gne gne,
Edward, gne gne. -
-
uh, ho capito: leggi nel pensiero? – domandò Alice, esaltata – come
Eddy! -
- sì,
è molto fastidioso a volte. – ammisi.
E’ sempre molto fastidioso. Corresse Edward.
- a
volte può essere utile. - ribattei .
A volte, hai detto bene.
Però tu non vivi in una
famiglia dove tutti non sanno controllare ciò che pensano: non è bello
scoprire
certi particolari. Pensò
Edward,
infastidito.
-
non hai tutti i torti – concordai.
- la
smettete di estraniarci dalla vostra conversazione!? – esclamò Alice,
innervosita. Incrociò le braccia al petto, il suo piede scalpitava sul
parquet.
-
comunque, Bella, non vogliamo assolutamente che tu te ne vada. Forks è
un
luogo sicuro, poco abitato e praticamene fuori dal mondo. Non verranno
mai a
cercarti qui. Potresti stabilirti da noi per un po’. – propose
Carlisle.
-
Bellina, tu rimani qui! E poi, otto sono meglio di una, contro quei
bifolchi!
>> disse Emmett, gonfiando il petto.
-
saresti la benvenuta – insistette Esme, con sguardo accorato.
- E
poi, Emmett ha ragione. Ti potremmo aiutare – fece Alice, implorante,
congiungendo le mani, - ti prego, rimani! –
- Io
non vorrei crearvi qualche guaio; non c’entrate in questa storia, non
voglio
coinvolgervi in questa faccenda.. Si sono sacrificate già troppe
persone
innocenti – feci, cupa.
Siamo già coinvolti, ormai.
Resta, Bella.
Edward
mi guardò implorante, con quegli occhi verdi splendidi luminosi di
speranza.
Ti prego.
Fu
forse questa, la goccia che mi fece cedere.
-
EVVAI‼ - Alice cominciò a saltellare per la stanza, battendo le mani e
ridacchiando.
Ah, veggenti! Pensammo all’unisono io
e il rosso ricattatore.
-
quindi, deduco tu abbia deciso di rimanere. – Carlisle mi sorrise.
- SI’,SI’,SI’,SI’!
- urlò Alice in risposta, al mio posto, felice come non mai.
Diventeremo
grandi amiche, Bella. Alice era entusiasta.
Bellina
resta!So già che mi divertirò un mondo con lei. I pensieri di Emmett m’inquietarono. Aveva
in mente
già una serie di scherzi e battutine da farmi.
So
che non è pericolosa, spero solo che non ci crei davvero dei problemi. Questa era Rosalie, un po’ diffidente. Per
lo
meno, una persona con una reazione normale c’era.
E’ una brava persona,
dopotutto. Magari, riuscirò ad
esserle amico. Voglio provarci.
Grazie.
L’unica cosa che pensò
Edward. Provai
ad alzare lo scudo, ero ancora debole per permettermi di lasciarlo su
troppo a
lungo.
Pensai
solo una cosa: grazie a voi. E ricedette.
Lui
mi guardò sbalordito. ti ho sentita… Annuii, sorridendo.
Ricambiò il
sorriso, sincero. - Emmett, Soffoco! – esclamai, quando quel ragazzo mi
prese
tra le braccia, muscolose. Lui scoppiò in una fragorosa risata,
riadagiandomi
sul letto. Vidi cosa indossavo solo in quel momento. Rimasi allibita,
disgustata anche. Vestivo un pigiama rosa confetto, con merletti di qui
e di
là.
-
rosa cconfetto? – balbettai, schifata.
-
si! Non è carinissimo? – disse Alice, con gli occhi che le brillavano.
Rimasi a
fissare i pantaloni del mio pigiama, con occhi sgranati.
-
non è così brutto. – mentii – è solo
che… rosa? >> dissi, rossa per
l’imbarazzo. Non volevo offenderla. Edward, invece, sghignazzava, come
il resto
dei presenti, per altro. Per me ti
dona. Pensò Edward con nonchalance. Avvampai ancor più, dopo il
suo
commento.
Il
rosa non le piace… Bella, che colore vorresti che sia, quello, diciamo,
principale nel tuo guardaroba? Pensò
Alice.
Mi
indicai con l’indice, non avevo capito se si riferiva a me.
No,
guarda. A pinco pallino! Si, parlo, anzi, comunico con te! Scoppiò a ridere per il suo stesso
pensiero. Edward
era preoccupato per la sua sanità mentale quanto me. Anzi, tutti
la guardavano come se fosse pazza.
Beh, allora?
-
blu. – dissi, risoluta. Era sempre stato il mio colore preferito.
Sì,
ti dona quel colore. Molto più del rosa. Concordò Alice con un sorrisino.
Le
donano tutti i colori secondo me. Pensò Edward. Arrossii per il
complimento e lui avvampò a sua volta, capendo di aver fatto una gaffe.
Ehm…
potresti evitare di concentrarti sulla mia testa? Privacy, please!
Annuii,
cercando di non prestare attenzione alla sua mente.
-
Quindi, ora sei una Cullen a tutti gli effetti: benvenuta in famiglia,
Bella. –
fece Carlisle, con un sorriso. Quelle parole mi commossero.
- Cara,
cos’hai?! – Esme mi si avvicinò, preoccupata. Mi gettai tra le sue
braccia e la
strinsi forte. – grazie – dissi, mentre lei mi cullava con fare
materno.
- E
di cosa, bambina mia? – domandò, con un sorriso caloroso.
- mi
avete accolta, senza pretendere niente e io... Davvero, vi sono
riconoscente. –
balbettai sconnessamente.
- ragazzi,
però ora dovete andare a riposare, domani c’è scuola. Io la visiterò.
Se starà
meglio, provvederò ad avvisare il liceo del suo arrivo. Sempre se sei
d’accordo, Bella. –
- certo
– annuii, concorde con lui. Volevo integrarmi con la realtà di questa
famiglia,
dare loro problemi era l’ultima cosa nella lista dei miei desideri.
Dopo
che mi ebbero salutato, Esme e i ragazzi uscirono dalla stanza,
lasciandomi con
Carlisle. Mi visitò, e disse che mi stavo rimettendo in fretta. Una
bella dormita,
e sarei tornata come nuova. Mi chiese, però, di non agitarmi più così,
perché
il mio organismo non allenato ne avrebbe risentito. Raccontò che loro,
ormai da
tempo, per avere più controllo sulle loro doti, si esercitavano. Mi
propose di
partecipare agli allenamenti, e io acconsentii. Solo così, in caso di
necessità, avrei utilizzato al meglio e più coscienziosamente i miei
poteri,
senza che la salute ne rimettesse.
Esme,
poi, mi mostrò la casa. Essa era gigantesca, ben arredata. Quasi
fiabesca.
Infine, mi ricondusse nell’ala in cui eravamo partite, dicendomi che
sarebbe
stata la mia stanza, d’ora in poi. Mi promise che l’avrebbe sistemata,
perché
che secondo lei era piatta e insignificante, anche se, a parer mio, era
già
bellissima così.
Mi
diede un bacio sulla guancia, e si congedò, augurandomi un buon riposo.
Decisi
di farmi una doccia rilassante.
Erano
giorni che non tiravo un sospiro di sollievo, figurasi godere
dell’acqua calda.
Quando uscii dal bagno personale (comunicante con la mia stanza), vidi
dei
vestiti appoggiati al letto, e un biglietto. Lessi:
Ta dà!Ho previsto che ti saresti voluta
fare una doccia, e anche che non avresti avuto cambi. Per cui, mi sono
premurata di procurarti qualche straccio per la notte. Da sottolineare,
non
concordo su questo genere di vestiti, ma per questa volta, te
l’abbuono. Domani
mattina t’aiuto io con l’abbigliamento, sicuramente farai un disastro:
il primo
giorno di scuola devi fare colpo!
Buonanotte. Un bacio enorme, la tua
veggente.
Sorrisi:Alice
era fantastica. Non era difficile volerle bene. Guardai cosa aveva
preparato: fortunatamente nulla di rosa.
C’erano
una maglietta a mezze maniche molto larga, in cui ci stavo almeno tre
volte, e
dei pantaloncini azzurri. Comodo ed essenziale: ottimo lavoro Alice.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** New Cullen ***
- ¡ Hola Chicos!
- We, sorpresi? Beh, eccomi qui!
Ormai questa storia è una delle 'essenziali', la scrivo perchè sono
ispirata, finalmente!
- Il che, è solo una sfortuna per
voi, che vi dovete sorbire le mie schifezzuole...
- No, sul serio, non so cosa mi
possa essere uscito stavolta. Nulla di buono, sicuramente.
- Beh, Bella è entrata nella Cullen
Family... Questo è un piccolo capitolo di passaggio. E' trattato
brevemente il tema 'amore', e spiego un po' la vita dei ragazzi. Beh,
non sono proprio come i Cullen originali, vi avviso. Soprattutto
Emmett, Jasper e Edward. In piu, ho voluto cambiare un po' Rose, che
sarà piu aperta con Bella, e non la guarderà in cagnesco. U.U Vi lascio
al capy, ora...
- Buona
lettura!
Capitolo
3- New Cullen
«Bella Bellina, il giorno s’avvicina!»
Quella cantilena mi trascinò via
dall’incoscienza beata del sonno. La voce trillante di Alice, benché
fosse
davvero musicale, mi dava fastidio. Era sempre così al risveglio.
Mugugnai una
risposta della serie “lasciami in pace,
voglio dormire”, e mi raggomitolai sotto le coperte. Mi sarei
riaddormentata, se non mi fossi ritrovata sul pavimento freddo. Riaprii
di
scatto gli occhi. Alice era di fronte a me, a braccia conserte, con un
sorrisino divertito sul viso da folletto. «Sai che ore sono?» domandò,
ignorando la mia occhiataccia. Non aspettò la mia risposta, e riprese
immediatamente: «sono già le sei! Abbiamo solo due ore di tempo per
renderti
presentabile.» annunciò. La sua espressione pareva inorridita, al
pensiero di
non riuscire nell’impresa. La mia faccia era il ritratto del terrore, i
suoi
pensieri non preannunciavano qualcosa di buono. Forcine, pettini, fard,
matite
e ombretti vari; ma mica dovevamo andare a scuola?!
Alice mi porse una mano, che io afferrai di
buon grado, aiutandomi ad alzarmi. Tornata in posizione eretta, la mia
sorella
acquisita temporaneamente, mi prese per un braccio e mi trascinò in
quella che
doveva essere la sua stanza. Era davvero immensa, e ben arredata. Non
si poteva
dubitarne, con Alice. A quanto pareva, amava la moda e lo stile. Il suo
sogno
era di essere una stilita famosa, per creare capi d’abbigliamento di
tutti
i generi. Cosa che, anche se non per
mestiere, faceva già. In una parte della camera c’era un tavolo con un
mucchio
di stoffe di vario genere e colori e una macchina da cucire; affianco
al quale,
stava un manichino bianco mezzo vestito.
«Bella, vedi quel bel vestitino blu? »
indicò proprio il modello che avevo appena notato. Rabbrividii. Quello
era un
vestitino? E io che credevo fosse una di
quelle cinture alte...
«Lo metterai alla festa che sto per
organizzare in onore del tuo arrivo! » trillò tutta eccitata.
Strabuzzai gli
occhi, pronta a dirgliene quattro, ma m’interruppe.
«Non voglio lamentele, ormai tanto è
deciso. Oggi ne parlerò con Carlisle, e lui dirà di sì. E non cercare
appoggio
da Esme, perché lei adora aiutarmi in queste cose.» Misi il broncio, e
la feci
ridere. Mi trascinò verso una nuova porta, e quando l’aprì, quasi non
svenni.
Era una cabina armadio, ma era più grande della stanza in sé!
Alice prese un paio di jeans sbiaditi ad
arte e una camicetta blu. «Non sono il massimo, però..Per oggi può
passare.
Dobbiamo andare assolutamente a fare shopping!» mi lanciò
un’occhiataccia: «e
tu non ti opporrai. » Mi consegnò i vestiti, e io mi cambiai. Alice poi
mi fece
sedere davanti allo specchio del suo bagno enorme. Pareva tanto un
salone di
bellezza degno degli studi di Hollywood. Mi fece la pulizia del viso,
ma non ne
ero sicura, e mi sistemò le sopracciglia. Non volevo le toccasse, ma
alla fine
avevo ceduto. Ormai avevo capito che Alice otteneva sempre ciò che
voleva, e io
non potevo farci nulla. L’unica cosa da fare era acconsentire senza
lamentarsi
troppo, o la tortura sarebbe stata anche peggiore.
«Pronta! » annunciò, e io mi guardai allo
specchio. Mi aveva migliorata, questo era certo. Però le mie
sopracciglia non
erano così male, nemmeno prima!
Scendemmo in sala da pranzo, dove la
famiglia era riunita. Emmett e Jasper erano ancora in pigiama, e ciò
scatenò
l’ira di Alice.
«Non siete ancora pronti?! »
«Alice, dai, non dobbiamo andare ad un
galà! » sbottò Emmett.
«Bisogna essere almeno presentabili! »
«Tranquilla che non veniamo a scuola in
pigiama. » Il ragazzo grizzly sorrise con in bocca il cucchiaio, e io
nascosi
la risatina con un colpo di tosse. Emmett ammiccò in mia direzione, e
ricevetti
un’occhiata truce da Alice. «Non capite niente! » la folletta sbuffò,
sedendosi
a tavola per fare colazione. Carlisle m’indicò la sedia accanto alla
sua, e io
mi accomodai. Esme mi accarezzò una guancia, appoggiandomi davanti una
tazza
con del latte caldo. Ringraziai, arrossendo. I passi di Edward giunsero
dalla
rampa, ed eccolo entrare nella stanza. Sorrise a tutti, in un modo
solare, poi
sedette di fronte a me.
«Buongiorno, famiglia »
«Buongiorno. Ecco tesoro. » Esme gli porse
la tazza, e lui le sorrise di nuovo.
«Siamo di buonumore, Eddy? »
«Non si vede?»ribatté ad Emmett,
sorridente.
Finita la colazione, Emmett e Jasper si
prepararono, poi Esme ci buttò fuori casa; eravamo in ritardo per la
scuola, e
la signora Cullen non voleva che arrivassi tardi il primo giorno.
Alice mi affiancò fin quando non fummo nel
garage gigantesco di villa Cullen. Ormai avevo capito che tutto, qui,
era di
dimensioni esagerate. La camera di Alice non era da calcolare,poteva
essere un
appartamento a sé, tanto era grande.
Nel garage c’erano sei auto tirate a
lucido. Erano il classico tipo di macchine da ricconi; di certo, una
persona
normale non poteva avere una Porsche, una Mercedes e una BMW, tutte per
sé. E
accanto a quelle, erano parcheggiate una Volvo, una jeep e una Auston
Martin
Vanquish. No, di certo i Cullen non avevano problemi di soldi. Eppure
non erano
delle persone snob e antipatiche; anzi, erano generosi e altruisti, i
Cullen.
«Allora, io, Bella, Edward e Emmett
prendiamo la Volvo. Tu e Jazz la M3. » annunciò la folletta,
riferendosi a
Rosalie. La bionda annuì, senza troppo entusiasmo. Salimmo nelle
rispettive
auto, io me ne stavo dietro con Alice, mentre al posto di guida c’era
Edward,
con affianco Emmett. In poco tempo, arrivammo alla Forks High School,
grazie
alla guida da pazzi e spericolata dei Cullen. «Ma guidate tutti così?»
domandai, mentre scendevo dall’auto, attenta a non perdere
l’equilibrio. Mi
sentivo quasi nauseata.
Alice si strinse nelle spalle: «ci piace
andare veloce.»
«L’avevo notato.» borbottai. Rosalie e
Alice mi accompagnarono in segreteria, e mi presentarono come loro
cugina
acquisita, figlia adottiva di uno zio in Alaska. Storia
più complicata no, eh?
La donna alla scrivania, la signora Cope,
mi porse dei fogli da far controfirmare ai professori e la piantina
della
scuola. Non l’avrei usata, per fortuna avevo Alice che mi stava
incollata come
una sanguisuga e mi scorrazzava ovunque.
La prima lezione era letteratura inglese,
con Emmett. Solo che lui un compagno di banco l’aveva già, quindi
dovetti
sedermi accanto ad una ragazza. Lei si presentò come Angela, ma era
timida
quanto me, e non parlò molto. Presi appunti come lei e al suono della
campanella ci salutammo ancora. Emmett si affiancò a me, e mi scortò
alla
seconda ora. Accanto a lui, mi sentivo come marcata da un bodyguard. E
in
effetti, con la stazza ci stava pure. Ma l’orso era una persona
simpaticissima,
e quando sorrideva, cioè praticamente sempre, aveva delle fossette
sulle guance
che lo facevano sembrare un bambino.
«Bellina, eccoci qui! Ora di ginnastica!»
esclamò. Il mio entusiasmo scemò del tutto. Avevo sempre odiato quella
materia:
nonostante fossi dotata di robe degne di una storia di fantascienza,
ero
scoordinatissima. Il mio equilibrio era praticamente inesistente. Però,
forse,
una cosa buona con la mia mancanza l’avevo ottenuta...
«Non ti piace?» Emmett ridacchiò,«come
mai?»
«Sono negata in qualsiasi sport» tagliai
corto. Emmett alzò un sopracciglio, con calcolato scetticismo. «Fidati:
non mi
hai mai vista giocare»
Detto ciò, si congedò. Avanzai timidamente
verso il professore, che stava compilando un registro, seduto dietro ad
un
tavolino messo in un angolo appartato della palestra. Mi schiarii la
gola, per
farmi notare. Il docente alzò il naso dalle scartoffie, e mi scrutò
attentamente:«Tu devi essere Isabella Swan» Annuii, mentre un
fastidioso
rossore si diffondeva sulle mie gote.
Fortunatamente, quel giorno il professore
si era scordato la divisa, e io non avevo il ricambio. Sarei stata
tranquillamente seduta sulla cavallina, a seguire la lezione.
Mi avviai verso il mio giaciglio
momentaneo, e mi ci sedetti sopra.
«Ciao‼» chi mi aveva rivolto la parola, era
un ragazzo biondo, sufficientemente alto, con degli occhioni azzurri
spalancati. Mi rivolse un sorriso entusiasta. Non sembrava
antipatico:«Io mi
chiamo Mike Newton. Tu sei..Isabella, giusto?»
Annuii:«Sì»
«Beh, ti farò compagnia» con un cenno del
capo, mi fece notare la spalla slogata. Sorrise, sedendosi accanto a
me. Il
professore fischiò, e il resto della classe si fece intorno a lui.
Cominciarono
a correre, e ringraziai il cielo per avermi fatto saltare la lezione.
«Non sapevo che i Cullen avessero cugini in
Alaska...Em e Jazz non me ne hanno mai parlato» disse Mike, guardandosi
le
mani, poi tornò a guardarmi in viso; «Beh, benvenuta a Forks.»
«Grazie» gli sorrisi gentile. Alla fine
della lezione, Mike, con cui avevo chiacchierato molto durante l’ora,
insistette per presentarmi i suoi amici.
Era nella squadra di football della scuola,
insieme a Jasper e Emmett, e, da quanto avevo capito, erano il trio dei
dongiovanni. Soprattutto lo erano i due Cullen. Incredibile. Non me lo
sarei
mai aspettato.
Mike mi aveva confidato, sottovoce, che a
lui interessava una ragazza di nome Jessica; me l’aveva indicata
durante la
partita di pallavolo.
Il resto della giornata fu relativamente
tranquillo. Il consiglio dei docenti era sempre lo stesso: «stai
attenta e
prendi appunti, così ti rimetti in pari col programma.»
In un battibaleno, arrivò la pausa pranzo.
«Bella!»
Alice comparve al mio fianco, sorridente ed allegra. Ringraziò Mike, a
capo
chino, poi chiese scusa e mi rapì nel vero senso del termine. Entrammo
nella
mensa, Alice non stava più nella pelle. Era elettrizzata, euforica. Ma
tutto il
suo entusiasmo morì nel giro di un secondo. Notai il suo labbro
tremare, gli
occhi luccicare, tristi, mentre si riempivano di lacrime. Seguii il suo
sguardo; l’attenzione della piccola folletta era tutta sull’ingresso
opposto
della sala. Lì c’era Jasper. Se ne stava con una ragazza. Le teneva una
mano
sul fianco, l’altra era appoggiata alla parete, intrappolandola.
E capii, quando Alice insistette di
metterci in coda per voltare le spalle alla scena, che non provava un
semplice
affetto di fratellanza verso Jasper. La guardai negli occhi, e lei
accennò un
sorrisino timido. Prendemmo solamente sue sode, poi Alice mi condusse
all’esterno. Passammo davanti a Jasper e alla ragazza, che non fecero
assolutamente caso a noi.
Constatai che, nonostante fossero diversi,
i Cullen erano riusciti ad
inserirsi, al contrario mio.
Io e la folletta ci sedemmo su una
panchina, in cortile. Soffiava un leggero venticello, che scuoteva le
foglie
secche e le faceva cadere a terra. C’era quiete, silenzio. E una certa
aria
malinconica. Come quella che emanava Alice, a capo chino, che
giocherellava con
la sua bottiglia.
«Alice..» la chiamai, cautamente. Mi
dispiaceva
vederla così.
Alzò gli occhi azzurri, e li vidi pieni di
lacrime. Sorrise, imbarazzata, passandosi una mano per
asciugarli:«Scusami,
sono una sciocca.» Non parlai. Se si fosse voluta sfogare, io l’avrei
ascoltata
e consolata. Ma non volevo fosse un obbligo.
«E’ che..sono una vera stupida...Un’illusa.
Ogni volta che mi sorride, che mi guarda, il mio cuore si riempie di
speranza...» la voce le tremò, «Ma mi ritiene solo un’amica, o una
sorella
acquisita...Che vana consolazione!» Si lasciò sfuggire un singhiozzo, e
il mio
cuore si strinse in una morsa di dispiacere ancora più ferrea.
«Non mi guarderà mai come una
ragazza...» ruggì, tra le
lacrime,«Ma dopotutto, c’ha la fila dietro..Non mi vedrà mai, proprio.»
appoggiò la fronte sulla mia spalla, e la lasciai piangere per un tempo
indefinito. Le carezzai i capelli, cercando di infonderle consolazione.
Alzò il capo, si asciugò velocemente le
lacrime, e mi sorrise sinceramente:«Grazie, Bella..Mi dispiace che tu
mi abbia
vista così. Oggi non so cosa mi sia preso. Di solito, mi so controllare»
«Perché non provi a parlarci?» domandai,
bevendo un sorso di Soda. Alice sorrise amaramente:«con Jasper, dici? »
ridacchiò, senza allegria «A che servirebbe? Solo a rovinare
l’atmosfera in
casa e a far preoccupare Esme..E’ pressoché inutile. Te lo ripeto:
Jasper mi
ripete continuamente che sono la sua migliore amica. Io è da quando
abbiamo
tredici anni che ho una cotta per lui, e non riesco a farmela passare!
E lui
sono anni che mi racconta delle sue storie d’amore con altre, era a me
che
chiedeva consigli su come conquistarle..Beh, non che adesso gli servano
i miei
consigli su come far cadere ai suoi piedi le ragazze: ne ha fin troppe
che gli
muoiono dietro...» Alice sospirò.
«Diciamo che Jasper non è uno da storie
serie..Il
suo record è di un mese, con una che era pressoché insistente e
opprimente, e
calcola che si trattava di una mezza scommessa con Emmett. Sarebbe
potuta
durare anche meno»
«Ammetto che non me lo immaginavo così. E
nemmeno Emmett.»
«Oh!- esclamò Alice, esasperata- un altro
che va in giro a spezzare i cuori..»
«Fammi indovinare: Rosalie?»
Alice mi guardò implorante:«non dirle che
te l’ho detto.»
«Muta. Comunque, non ho ancora parlato con
lei, e dubito che la prima conversazione tra noi verterà su questo.»
feci,
imbarazzata. E non ero nemmeno sicura che
ci saremmo parlate mai. Avevo l’impressione di non andarle troppo
a genio.
Alice sorrise:«Non le stai antipatica, se è
quello che pensi. Rose sta sempre un po’ sulle sue. In questo periodo,
poi, è
praticamente intrattabile. A differenza mia, lei si sfoga così..Non le
va giù
che sia più di una settimana che Emmett sta con la stessa ragazza.»
Alice
scosse la testa. «Ma anche lei è poco furba. Emmett è convinto che lei
lo odi,
e viceversa. Non sanno comportarsi civilmente, quando sono vicini.
Emmett è
competitivo di natura; appena Rose gli fa un commento, e lo fa apposta,
Emmett
deve ribattere... E’ così da non so quanto tempo.»
«E Edward?» Alice alzò un sopracciglio, e
cercò di nascondere un sorrisino. Evitai di immaginare a cosa sarebbe
potuta
giungere, con la mia domanda, la sua mente contorta. «Per curiosità»
sottolineai.
«Lui è single. Splendidamente e fieramente
single.» nel mio cuore, per un motivo a me sconosciuto e irragionevole,
si
mosse qualcosa. Era lo stesso sentimento che avevo provato quando
Carlisle mi
aveva chiesto di rimanere, la stessa emozione che avevo sentito quando
Alice e
Emmett mi avevano sorriso. Era la medesima sensazione che mi gonfiava
il petto
quando Edward mi appariva in sogno: era speranza.
«Strano» mi limitai a commentare. Alice si
lasciò andare ad una risata allegra, e ne fui felice. Stavo riuscendo a
farla
svagare un po’.
«Uhm- si ricompose-, la maggior parte delle
ragazze, qui, pensa che Edward sia il più bello scapolo di Forks,
nonché
d’America.»
«Non è difficile da credere» mi lasciai
scappare, con un po’ di scetticismo. Alice rise di nuovo.
«Per me è esagerato..Okay che è carino, ma
è tanto vero che Jasper è innegabilmente più bello di lui. » quando
pronunciò
il suo nome, a Alice luccicarono gli occhi. «Ha un’attrattiva speciale,
charm,
fascino..E il suo sguardo di ghiaccio, Dio..Sentissi il mio cuore come
batte
quando incrocio il suo sguardo!» Sorrisi, intenerita. Era davvero
cotta. Nonostante
ciò, non mi potevo dire d’accordo con lei. Era assolutamente di parte
con
Jasper! Ma lasciai correre.
«Alice, ma quindi..Voi siete stati tutti
adottati?»
«Ringrazierò sempre Esme per averci presi
con sé. Vedi, lei non poteva avere bambini, e questo l’ha sempre resa
molto
triste. Ha praticamente implorato Carlisle di portarla in un
orfanotrofio!-
sorrise teneramente- Lì c’era Emmett. E’ stato il primo ad arrivare a
casa.
Solo che Esme non era ancora soddisfatta, e ha usato la scusa che
Emmett si
sentiva solo, per fare un’altra visita là. E c’ha trovato i gemelli
Hale...»
In quel momento, la campanella suonò, e io
e Alice ci alzammo contemporaneamente. «Beh, poi la storia non è molto
complicata.» disse Alice, cominciando ad avviarsi;«Questa volta, era
Carlisle a
volerne uno. E’ venuto, questa volta solo, e – così dice lui- incantato
da due
piccoli bimbi: io e Edward. Indeciso, ci ha portati tutti e due a casa.
Non
immagini l’euforia di Esme» Alice rise. Stavamo entrando di nuovo
nell’edificio, adesso. «Io e Edward ci conosciamo praticamente da
sempre, per
questo siamo così legati. Ma anche con gli altri; quando siamo
arrivati, Em,
Rose e Jasper avevano pochi anni...CAVOLO, SONO IMPRESENTABILE!» con
quell’urlo, Alice mi aveva assordata per metà. Dovevano debellare
qualsiasi
superficie riflettente, quando in giro c’era Alice. Io la trovavo
splendida, ma
lei non era del mio stesso avviso. Corse come una forsennata per tutto
il
corridoio, poi si sentì un tonfo, e la voce inconfondibile di Alice
urlacchiare. La raggiunsi, e la scena mi mise una certa ansia. Alice
era a
terra, Jasper stava inveendo contro un altro ragazzo, e tutti gli altri
erano
lì che osservavano straniti la scena.
«Hai capito, razza di imbecille? Stai
attento, la prossima volta: potevi farle del male, bestione che non sei
altro!»
Da sottolineare, che il ragazzo che aveva investito Alice era pressoché
scheletrico, alto e all’apparenza più fragile del cristallo. Per me, si
era
fatto più male lui di Alice. Anzi, lei mi sembrava stesse bene, forse
un po’
shoccata, ma stava bene.
«Jasper..» cercò di chiamarlo.
«Chiedile scusa, idiota!» esclamò il
biondo. Il ragazzo-grattacielo balbettò sconnessamente delle scuse.
Poverino,
era mortificato. Non era nemmeno colpa sua: Alice era partita in quarta
e non
aveva guardato dove andava. Alice si rialzò, e Jasper le si affiancò
immediatamente.
«Tutto bene?» chiese, preoccupato. Solo amica? Pensai, scettica.
«Sì, ma non è colpa sua. Non ho guardato
dove andavo» mormorò Alice, senza guardarlo.
«Fila!» esclamò Jasper all’altro, e lui si
volatilizzò, spaventato. Alice si scostò dal biondo, e mi venne al
fianco.
«Andiamo, Bell» Io annuii, poi la seguii fino alla classe di spagnolo.
Poi lei
mi salutò, e si spostò a quella affianco. Io entrai nella stanza, e mi
guardai
intorno. Notai Rosalie, in fondo all’aula. Lei mi sorrise, stupendomi,
e mi
fece cenno di raggiungerla. Il prof non era ancora entrato, e la classe
era
mezza vuota. M’incamminai, incespicando, fino al fondo. Rosalie mi
salutò:«ciao, Bella!»
«Rosalie» balbettai.
«Senti...» fece, arrossendo,«mi dispiace
per la freddezza che ho dimostrato nei tuoi confronti: è che ancora non
sapevo
se fidarmi..»
«E cos’è che ti fa fidare di me, ora?»
«Non lo so..» disse, pensierosa.«Però ormai
fai parte della famiglia, no? – Sorrise ancora- e poi, oggi sono
particolarmente su di giri, che abbraccerei la mia peggior nemica!» mi
preoccupai, a quell’affermazione. Rosalie mi guardò, poi rise:«che non
sei tu,
tranquilla!»
In quel momento, in classe entrò una
ragazza alta, bionda, dall’aria superficiale. Rose grugnì a bassa
voce:«Wilma Spencer..»
sibilò, poi scosse la testa e sorrise.
«Oh, che sciocca..- si riprese- Non devo più
pensare a Emmett.» si ricordò che non sapevo nulla, e arrossì. «Acqua
passata.
Sì, mi sono presa una cotta per lui, ma ora è passata..» i suoi occhi
però non
sembravano esser d’accordo con le parole. Brillavano di tristezza.
«E poi, oggi un ragazzo, non so se sai chi
è, Tyler, mi ha chiesto di essere la sua ragazza...» Sorrise, «E ho
detto sì.»
--
L’ora con Rosalie era passata in modo
divertente, tra chiacchiere sussurrate e risate soffocate. Era più
simpatica di
quando immaginassi. Ma non ero in confidenza quanto lo ero con Alice,
non
ancora almeno.
«Salve!» esclamò la bionda, arrivate alla
macchina di Edward. Lì, c’erano lui e Alice.
«Gli altri due?» domandai. Edward- che non
avevo visto tutto il giorno- mi fece un cenno col capo, dietro sé.
Jasper e Emmett
erano appartati rispettivamente con una ragazza, e si baciavano
abbastanza
audacemente.
«Per me, si risucchiano a vicenda. Quando
arriva
Jasper, avrà la faccia sfigurata.» Il commento acido di Alice fece
sorridere
sia me che Edward. Beh, se lui non lo sapeva, abile lettore di
cervelli, chi
doveva essere a conoscenza?
Alice e Rose si persero in una
conversazione su quel tipo, Tyler, e Edward mi si avvicinò. «Com’è
andata?» si
indicò la testa, e compresi.
«Sinceramente, non ho sentito tanto
fastidio. A me basta non concentrarmi, che tutto fila liscio» sorrisi,
trionfante. Edward sbuffò: «insegnami, allora.»
«Vedrò che si può fare» gli sorrisi
nuovamente, e lui ricambiò.
«EHI VOI DUE!» esclamò Alice, facendoci
trasalire entrambi, «IO DEVO PARLARE CON CARLISLE!»
Mi voltai di nuovo verso Edward: «Sarà
piccola, ma la voce ce l’ha eccome...»
«E non è nulla..» Edward montò al posto di
guida.
Io lo seguii, e salii dietro, con Alice.
Davanti a noi, ancora Emmett.
«Allora, Bellina! Pronta ad
affrontare il
primo allenamento?»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** First Training ***
- Buondììì! :)
- Ehm..lo so che è da un bel po'
(piu di un anno, mi sa) che non aggiorno, ma sono tornata!
- Diciamo che questa storia mi
piace scriverla, mi piace molto, ma a volte ho dei vuoti che non saprei
colmare, e ci metto un po' per scrivere..poi le ispirazioni per altre
storie mi prendono tempo, a volte non ho nemmeno tempo di scrivere
nulla, c'è la scuola...uh, diciamo che è tutto contro di me XD
- Vabbè, non mi dilungo
molto...vi posso solo ringraziare se leggere. :)
- First
Training
- -Allora, Bella.
- Carlisle prese
a parlare, passeggiando avanti
e indietro per il giardino nel retro di casa Cullen. Giardino, sì:
forse era
meglio dire campo, o pianura direttamente. Era davvero immenso, e da
quel che
mi aveva spiegato Alice prima che suo padre arrivasse, lo curava tutto
Esme,
per quello era così bello e fiorito. -Prima di cominciare, vorrei
spiegarti
cosa intendiamo per allenamenti- congiunse le mani, fece un gesto, e le
sciolse
di nuovo, sempre con un’aria concentrata.
- -I nostri poteri
non sono una cosa da nulla, possono essere rischiosi, instabili, e
questo credo
che tu già lo sappia.- disse, e io annuii. Aveva ragione, soprattutto
io sapevo
essere piuttosto un pericolo, se innervosita. -Inoltre, come ti è
successo,
dopo poco ti stanchi e perdi i sensi senza forze, e questo è gravoso su
di te.
Dopotutto, lo sappiamo tutti che l’altro giorno, se non ci fosse stato
Edward,
ti avrebbero presa.- rabbrividii a quell’affermazione del dottor
Cullen.
Cercavo di pensarci poco, sinceramente. Ma aveva dannatamente ragione,
se non
ci fosse stato suo figlio avrei potuto dire addio alla mia libertà e
molto
probabilmente anche alla mia vita. Anche se era una bella botta
all’ego,
sentirsi dire certe cose, soprattutto se si era abituati come me a
cavarsela da
soli e a farla franca con le proprie forze.
- Carlisle fece un
sorrisetto, probabilmente mi leggeva in faccia il disappunto.
- -Per questo, è
doveroso che tu impari a mantenere un controllo. I miei figli,
normalmente,
stanno a coppie, eccetto Edward. Credo che per le prossime volte, possa
fare
eccezione.-
- Edward mi sorrise, e
dovetti ammettere a me stessa che il suo sorriso fosse veramente
bellissimo.
- -Bene, iniziamo.
- Annunciò Carlisle, e tutti i fratelli
Cullen
si sparpagliarono per l’immenso prato.
- Edward infilò le
mani nelle tasche, e mi fece cenno di seguirlo con un movimento del
capo. Mi
affiancai con due falcate a lui, e lo seguii senza fiatare, nonostante
ci
stessimo allontanando molto dal resto della famiglia.
- Alla fine, dedussi
che la loro casa fosse al limitare della foresta, perché la vegetazione
era
molto più fitta.
- Inciampai qualche
volta nelle radici, ma riuscii sempre a recuperare l’equilibrio, senza
sfracellarmi al suolo o peggio addosso a Edward: ci mancava solo fare
un’altra
figuraccia con lui! Quella dell’orfana suicida ormai era già stata
ampiamente
fatta, purtroppo.
- Edward si fermò
solo ad un certo punto del bosco, a una decina di metri da un
fiumiciattolo zampillante.
L’acqua era cristallina, e, solo a vederla, mi vennero i brividi: era
sicuramente freddissima, considerando le temperature di Forks.
- -Saltami in groppa-
disse solo, al che lo guardai piuttosto male.
- -Eh?- ok, con le
risposte intelligenti non ce la facevo proprio, ma in quel momento era
il male
minore..insomma, perché diavolo dovevo salirgli sulla schiena?!
- Edward sbuffò,
sempre con un sorrisetto sulle labbra: -Dobbiamo saltare- spiegò, con
un’aria
ovvia.
- Alzai gli occhi al
cielo. -Ce la faccio benissimo a saltare quella cosetta da niente.- lo
apostrofai, con un tono piuttosto irritato. Se c’era qualcosa che
faceva uscire
tutto il mio orgoglio in tutta la sua possente orgogliosità
era proprio trattarmi come una damigella indifesa. Io
odiavo essere trattata come un’incapace.
- Edward scrollò le
spalle, -Se ci finisci dentro, sappi che non tornerò indietro perché
devi
asciugarti.
- Gli lanciai
un’occhiata e usai appositamente un tono pungente: -Nel caso,
sopravvivrò; ma
dubito fortemente di finire nell’acqua.-
- Negli occhi di
Edward passò un guizzo strano, uno scintillio che rese ancora più vivi
quegli
specchi che erano le sue iridi verdi.
- -Saltiamo insieme?
- Annuii solamente.
- -Bene, al tre.
Uno..due..tre!- Al via scattammo entrambi, prendendo più velocità per
saltare
il fiume. Ad un passo dallo staccare, però, misi un piede in fallo, e
nella
frazione di secondo in cui precipitavo come un’allocca nell’acqua, vidi
Edward
spiccare un bel balzo.
- L’acqua era gelida,
avevo ragione. Appena riemersi sputai quella che avevo ingoiato
nell’impatto, e
tossicchiai un po’, finchè non sentii un suono piuttosto irritante
dalla riva
opposta. Mi voltai con uno sguardo truce verso di Edward, che si teneva
la
pancia dal ridere. –Te l’avevo detto io!- sghignazzò, quello stupido.
- Cercai di attivare
la barriera, tanto per non inzupparmi ancora di più, e cercai di
raggiungere
l’altra parte nuotando. M’issai su una roccia, mentre ancora Pel di
carota
rideva come un cretino.
- -Allora, Malpelo,
la finiamo di ridere? Non c’è nulla di divertente!- sibilai, strizzando
i miei
capelli, e poi la maglietta.
- Edward cercò di
contenersi, con veramente scarsi risultati. –A me sembra che ci sia da
ridere,
e anche tanto..La prossima volta dammi retta, bimba.-
- -Bimba lo dici a
qualcun altro, ciccio!- sbottai, incrociando le braccia al petto. –Ora
mi
spieghi perché siamo venuti qui, quando il resto della famiglia si
allena a
casa.-
- Edward fece
spallucce. –Avevo voglia di fare una passeggiata..e poi io ho un posto
speciale
dove allenarmi- Disse Edward, riprendendo a camminare.
- –Sbrigati, su!-
m’incitò, ancora con un ghigno strafottente sulle labbra.
- Lo seguii stizzita,
pestando i piedi nell’erba umida; guardai dove ci stavamo dirigendo, e
mi
accigliai ulteriormente: la vegetazione era ancora più fitta e quasi
inaccessibile, e Edward ci stava andando di filato.
- -Ehm..non vorrei
fare la scassapalle, ma Edward..-
- Lui voltò il capo,
appositamente per rivolgermi quel sorriso meraviglioso.
- -Calma bimba.
Aspetta e vedrai.
- Incrociai le
braccia sotto al petto, sbuffando.
- Dolce e
sensibile..macchè! Edward era la conferma alla regola: l’apparenza
inganna. Che
razza di sbruffone! Sembrava facesse apposta a lanciarmi quei ghignetti
sghembi
per farmi collassare, come se leggesse i miei pensieri e sapesse
l’effetto
destabilizzante che avevano su di me.
- Edward spostò un
ramo, e io lo seguii incerta, ben attenta a guardare dove camminavo; ci
mancava
solo che finissi a gambe all’aria, e poi la mia dignità sarebbe
definitivamente
affondata.
- Alzai gli occhi dal
terriccio, e rimasi letteralmente senza fiato: davanti a me si stendeva
una
piccola radura fiorita, illuminata da un fievole raggio di sole; aveva
un
qualcosa di fiabesco, e era quasi impossibile distogliere lo sguardo
dal
paesaggio davanti a me.
- -Bello,vero?
- Annuii, incapace di
far altro.
- -E’ il mio posto
preferito..vengo spesso qui, per allenarmi, per riflettere. È un posto
che
sento mio.
- A quelle parole
sentii il mio cuore sprofondare in una morsa di rammarico.
- -Scusami…-
mormorai, abbassando il capo. Mi sentivo una stupida, perché quello era
il
posto segreto di Edward, dove andava a prepararsi, e io gli ero
piombata tra
capo e collo.
- -Per cosa, scusa?-
domandò, confuso.
- -Questo è il tuo
posto, ed io mi sento come un’imbucata ad una festa.- spiegai,
spicciola.
- Sentii suoi passi
avvicinarsi, e si fermò a un passo da me.
- La sua mano scattò
sotto il mio mento, lasciandomi di sasso, perciò per lui fu facile
farmi alzare
lo sguardo ai suoi occhi.
- -Ti ho portata
perché volevo che tu lo vedessi,
Bella. Altrimenti saremmo rimasti con gli altri, non trovi?- Non
risposi, non
sapevo che dire, e francamente non ne avevo nemmeno la facoltà in quel
momento.
- I suoi pensieri
dicevano esattamente la stessa cosa, con la stessa convinzione che
leggevo nei
suoi occhi verdissimi.
- Sospirò. –Bella, il
fatto è che so che di te posso
fidarmi, non potrei fare altrimenti. I tuoi occhi sono stati un rifugio
altrettanto caro per me, quando stavo male. Sei stata inconsapevolmente
un
porto sicuro..-
- Nei pensieri di
Edward vorticò l’immagine dei miei occhi, il suo sollievo nel vederli:
lo
stesso sollievo che provavo io quando mi lasciavo sprofondare nel sonno
solo
per vederli e sentire quella speranza che mi trasmettevano.
- Involontariamente
le mie labbra si erano stese in un sorriso incerto, e Edward fece
scivolare le
dita, che erano ancora sotto il mio mento, fino alle guance.
- -L’altro giorno ti
ho sognata..ho visto i tuoi occhi spaventati, poi Alice ha avuto una
visione, e
io non sono riuscito a stare fermo..-
- -Non ti ringrazierò
mai abbastanza, Edward.- dissi sincera, guardandolo con più sicurezza
negli
occhi.
- Lui accennò quel
maledetto sorriso sghembo, facendo mancare di un battito il mio cuore.
–Forza,
ora direi di cominciare.
- Seguii Edward al
centro del prato, dove il debole –e miracoloso- raggio di sole riusciva
a
superare le nuvole cupe, illuminando la radura in un modo quasi magico.
- Pensai che avremmo
fatto qualcosa di strano e improbabile, difficilissimo da fare per una
gabba
come me a muoversi, invece si lasciò cadere nell’erba soffice, e mi
fece un
cenno di raggiungerlo. Non mi feci pregare due volte.
- -Bene. La lettura
della mente direi che non ha bisogno di allenamenti, non trovi?- fece,
con
nonchalance. Ridacchiai, annuendo con vigore. –Poi sei uno scudo fisico
e
mentale..però del primo direi che ti sei servita egregiamente prima
nell’acqua.- Edward sciabolò le sopracciglia, e il suo sorriso divenne
ancora
più divertito al ricordo del mio bagno fortuito di qualche minuto
prima.
- -Ed infine c’è la
telecinesi..ma va per secondo in ordine d’importanza: ora devi lavorare
sull’alzare a piacimento lo scudo mentale.-
- Lo guardai
divertita. –Così puoi spulciare tranquillamente nella mia testa, giusto?
- Edward rise:
-Esattamente.
- Sbuffai, soffiando
via una ciocca ribelle di capelli caduta sul mio viso, e Edward la
riavviò con
un gesto fulmineo dietro il mio orecchio.
- Sentii le mie
guance andare a fuoco, ma tentai di ignorarle: dovevo sembrare il più
calma
possibile, che figura avrei fatto altrimenti?
- -Ok, ci provo.-
mormorai, chiudendo gli occhi.
- Cercai di
accumulare un po’ di concentrazione, ovviamente tentando di isolare il
pensiero
che Edward fosse al mio fianco pronto ad un attentato al mio cervello.
- Per me era molto
difficile sollevare quello scudo psichico, e non solo perché fosse
mentalmente
sfiancante. Era sempre stata una protezione che mi rendeva sicura: non
avevo
mai provato il bisogno di sollevarlo,
ma solo una semplice curiosità di sapere se ne fossi in grado.
- Il che,era
tranquillamente fattibile, ma dopo qualche tentativo avevo mollato:
c’ero
riuscita pochissime volte ad alzarlo, e, ad essere sincera, mi stupivo
che
l’avessi fatto il giorno prima per ringraziare Edward.
- Ma se farlo avrebbe
aiutato ad avere un controllo maggiore di me stessa, avrei provato.
Anche se
francamente, ritenevo la telecinesi molto più importante della
curiosità di
Edward.
- -Sai che la mia
mente non è nulla di particolare?- dissi, sempre ad occhi chiusi, ma
lasciando
perdere quel minimo di concentrazione accumulata.
- -Zitta e cerca di
sollevare lo scudo.-ribattè lui, con un tono tra il divertito e
l’esasperato.
- Serrai maggiormente
gli occhi, e respirai a fondo.
- Coraggio, pensai, alzati..
- Il mio scudo era
come un elastico, molto poco estendibile però, tanto che non riuscivo
nemmeno a
sollevarlo. Quando si spostava, di poco s’intende, dopo poco riscattava
al suo
posto come una molla.
- “Bella,
devi concentrarti. La concentrazione e la determinazione aiutano sempre
alla
riuscita. Ricorda, volere è potere: e tu hai potere, piccola mia.”
Queste erano le parole che mi
diceva mia nonna, quando m’incoraggiava per qualcosa che non mi usciva,
o, al
contrario, quando era terribilmente fiera di me per i progressi che
facevo.
- Volere
è potere, volere è potere..
- Sentii l’elastico
mentale vibrare, mentre serravo con ancora più forza gli occhi, le
sopracciglia
così aggrottate che avrebbero potuto sfiorarsi sul mio naso.
- Mentre in una parte
della mia mente cercavo la mia determinazione per riuscire nel mio
scopo,
un’altra parte non poteva fare a meno di rivivere gli ultimi momenti
della mia
vita, prima che incontrassi i Cullen.
- I pomeriggi sulla
sedia a dondolo, passati con il braccio steso e il palmo rivolto verso
un
bicchiere di cristallo da sollevare dal tavolo a qualche metro di
distanza; le
parole e gli abbracci di mia nonna Marie, il suo affetto, i suoi
racconti su
mamma e papà..
- Poi quella mattina,
un rumore di vetri infranti, l’urlo gracchiante e agghiacciante di
Marie, delle
voci cupe e autoritarie, e il panico. Un tonfo, e mia nonna sulla
soglia della
mia stanza, che mi faceva promettere di scappare, che avrei lottato
sempre per
la libertà.
- Poi la nostra fuga
per un pelo, e, poco tempo dopo, il giorno in cui la rapirono ed io
venni
affidata ad un orfanotrofio, da cui volevo fuggire.
- Ed infine, gli
uomini in nero che mi cercavano, la consapevolezza che sapevano che
possedevo
delle doti particolari, il dolore per la perdita dell’unica mia ancòra
di
salvezza. Ed infine Edward, Edward che mi salvava..
- -Bella, basta.
- Alle parole di
Edward sussultai, aprendo gli occhi; sentii come se l’elastico fosse
stato
esteso troppo e fosse scattato al suo posto con forza, e capii di
avercela
fatta.
- Guardai il ragazzo
di fronte a me, con una smorfia sul viso.
- Due istanti, e mi
ritrovai tra le sue braccia forti, ancorata al suo petto marmoreo.
- -Ora sei al sicuro,
Bella. Sei al sicuro, te lo prometto.-
- ***
- -Wow! E’
magnifico!- esclamò Edward, sospeso a mezz’aria a un metro da terra,
gli occhi
scintillanti di divertimento e meraviglia. Accennò qualche bracciata a
stile
libero, ridacchiando tra sé e sé. -Sto volando, yeah!-
- Mi morsi un labbro,
trattenendo una risatina e cercando di mantenere la concentrazione e
non farlo
spappolare al suolo senza che neanche se ne rendesse conto.
- Probabilmente era
la cosa-o persona- più pesante che avessi mai fatto levitare, e non era
una
cavolata. Senza contare che continuava a muoversi, e, soprattutto, la
scena era
così esilarante e tenera che era ancora più difficile stare concentrata
e
vigile.
- -Ti diverti, eh?-
mi concessi di sorridere.
- Lui si liberò in
una risata. –Sì, ma ora fammi scendere! Direi che ti sei sforzata
abbastanza
per oggi.-
- Con un sospiro
liberai Edward dalla morsa della telecinesi, e lui atterrò elegantmente
al
suolo, con un sorrisone ad illuminargli il viso.
- -Grandioso! Il
primo uomo a volare!- si vantò, saltellando e battendo le mani come un
bambino.
- Risi liberamente:
-Mi sembri Alice!-
- -Ok, la cosa non
deve sapersi, rovinerei la mia reputazione da ragazzo composto!- disse,
con un’aria
da cospiratore, guardandosi intorno con fare sospetto.
- Beh, come prima
manche di allenamento, l’avevo trovata piuttosto divertente. Non si era
mostrata come l’avevo immaginata, ma mi piaceva decisamente di più
così.
- -Ma Edward..- lo
chiamai poi, accigliandomi. –Oggi mi sono allenata solo io. Non
dovresti fare
anche tu qualcosa?-
- Mi lanciò un
sorrisetto sghembo,-Qualsiasi cosa io faccia, sarà sempre un
allenamento per
te.-
- E poi, sparì.
- Ah già, lui aveva
la capacità di diventare invisibile.
- Scrutai l’aria
intorno a me, un sopracciglio alzato e voglia di sfida.
- -Prova a trovarmi, Bella-
La sua voce vibrò nell’aria, e mi voltai di scatto alle mie spalle.
- -Ma tu ti sposti,
mi dici come faccio a trovarti?- sibilai, irritata.
- -Starò fermo,
promesso. Ma tu trovami.- Feci un passo avanti, verso la sua voce,
tentennante,
poi proseguii piano piano.
- -Edward?- chiamai,
ma in risposta ricevetti solo una risata.
- Due secondi dopo,
urtai qualcosa, o meglio Edward, e due istanti dopo ancora mi ritrovai
sulla
sua groppa. Ci misi un po’ per rendermene conto.
- -Mettimi giù!-esclamai,
sclaciando per fargli mollare la presa dalle mie gambe e farmi
scivolare a terra.
- Edward rise ancora.
–Innanzitutto, è quasi il crepuscolo, ed è ora di rientrare. E
soprattutto,
devo allenare il mio potere preferito..che non posso apprezzare con una
polenta
imbranata come te a piedi.-
- Sbuffai. –Non sono
lenta!
- -Come no!- fece
beffa Edward, ovviamente non sapeva che sapessi correre molto
velocemente.-Prima ci abbiamo messo le ore perché continuavi
ad inciampare!-
- -Camminare è
camminare, correre è molto meglio!- ribattei.
- Edward voltò appena
la testa, per mostrarmi il suo sorrisetto. –Sono pienamente d’accordo. –
- Un istante dopo,
stavamo sfrecciando a una velocità impensabile tra gli alberi, l’aria
che
sferzava i nostri visi, l’adrenalina nelle vene.
- Edward si lasciò
andare in un urlo entusiasta, e io non potei che ridere e comprendere
quel suo
sfogo. Correre per lui era una liberazione, proprio come per me: lo
leggevo nei
suoi pensieri, ma soprattutto lo dimostrava lui, come fuggiva rapido,
sicuro,
quasi spensierato, a zig zag nel bosco. Sembrava aspettasse quel
momento da
giorni, e ora potesse finalmente farlo. E magari era proprio così.
- Pochi minuti, e
raggiungemmo i dintorni di villa Cullen, e Edward cominciò a
rallentare, fino a
fermarsi per farmi scendere.
- -Allora??
- Mi guardai le
unghie con nonchalance. –Non male.
- Edward rise
apertamente, quasi a prendermi in giro. –Non male?
- -Sì. Io sono più veloce.-
ribattei, con un ghigno di sfida.
- Edward mi porse la
mano. –La prossima volta, ti sfido ad una gara di corsa. Non accetto un
rifiuto,
se sei così sicura di te.-
- Afferrai la sua
mano, e la strinsi. –Accetto.
- Ridendo,
raggiungemmo il cortile, e lo trovammo vuoto.
- Sono
già rientrati tutti.
Pensò Edward, tranquillamente.
- Lo seguii fino alla
portafinestra, ed entrammo.
- -Allora, come ti è
sembrato il primo allenamento?- mi chiese.
- Sorrisi, -Mi è
piaciuto. Sì.
- Edward si battè una
mano sul petto. –Sempre detto che il maestro fa la differenza!
- Risi, -Caro, qui è
tutta farina del mio sacco. Chi è che ti ha fatto volare?- lo
beffeggiai, guardandolo
con aria superiore.
- Edward alzò le
mani. –Okay, come vuoi.-
- Ma
ho ragione ioo!
-
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=461467
|