Every time we touch

di Soul Sister
(/viewuser.php?uid=89966)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** the beginning ***
Capitolo 2: *** No longer alone ***
Capitolo 3: *** New Cullen ***
Capitolo 4: *** First Training ***



Capitolo 1
*** the beginning ***


...Every time we touch

Corri. M’intimai, nonostante sapessi già di essere al limite delle possibilità a me consentite in pubblico. Provare a seminarli non era così difficile. Era riuscirci, che diventava un tantino più complesso.

Vidi un furgone fermo, e senza farmi vedere vi salii a bordo. L’autista richiuse le porte, e pochi istanti dopo sentii il rombo del motore.

Mi sentii quasi al sicuro, in quel poco tempo in cui viaggiai, nascosta nell’oscurità.

Ma non riuscii nemmeno a tirare un sospiro, che mezzo si fermò.

L’uomo aprì le porte, afferrò uno dei tanti scatoloni, e mentre lo scaricava, ne approfittai per sgattaiolare fuori dall’abitacolo.

Alzai lo sguardo, e rimasi pietrificata: quell’auto nera era lì, loro mi aspettavano appoggiati alla portiera della macchina, uno affianco all’altro, con un ghigno in volto.

No! Pensai, in panico.

Iniziai a correre sotto la pioggia più veloce di un qualsiasi essere umano, nella direzione opposta a loro. Volevo fuggire, volevo salvarmi.

Sentivo i loro passi ciabattare non troppo lontano da me. Accelerai, mandando a quel paese tutte le raccomandazioni fatte dalla mia istruttrice.

Allungai una mano in fronte a me, concentrandomi su un bidone della spazzatura, e all’improvviso esso cominciò a fluttuare, per poi scaraventarsi contro uno dei due individui. Meno uno.

Sapevo di averlo solo abbattuto momentaneamente, e che poi sarebbe tornato a rincorrermi, ma era meglio di nulla.

Scivolai, e cercando di non volare a terra, misi male il piede. Strinsi forte i denti, e proseguii.

- promettimi che riuscirai a scappare Bella. Promettimi che lotterai fino all’ultimo, e non ti arrenderai mai. So che sarà difficile, ma devi riuscirci. –

- sì, nonna. Te lo prometto: mai -

Ripresi a correre, ignorando il dolore alla caviglia, ignorando i miei polmoni che parevano avessero preso fuoco e ignorando il mio cuore che mi scalpitava furioso nel petto. Non mi dovevo arrendere.

Ma non era semplice, per una come me. Quei due mi stavano alle calcagna, non cedevano terreno. E questo mi metteva ancora più panico. E sotto pressione, io non combinavo mai nulla di buono. Mai. Non riuscivo ad essere razionale.

Vidi un boschetto, e m’inoltrai tra le piante. Qui avrebbero certamente rallentato. I ramoscelli sporgenti non m’infastidivano e non mi rallentavano assolutamente. Misi il campo di forza, una specie di barriera trasparente che niente poteva scalfire. La boscaglia era sempre più fitta, la luce veniva meno e gli alberi non aiutavano il passaggio dei raggi solari.

Inciampai in una radice, e caddi a terra. Come sempre, la mia goffaggine si faceva sentire nei momenti assolutamente meno opportuni. Sentii distintamente del calpestare di ramoscelli e foglie secche: mi avevano raggiunta. Ma a quel punto, pensai di mollare: che differenza avrebbe mai fatto?

Pov Edward

Ero stranamente agitato. Avevo uno strano presentimento, o meglio, una strana paura. Ed io raramente provavo quell’emozione così sgradevole. Forse perché sapevo che niente avrebbe mai potuto farmi realmente male, oppure perché avevo una fiducia cieca nelle mie capacità e nella protezione della mia famiglia.

Ma quel gelido giorno invernale, nella mia casa calda e riparata, nel mio minuscolo e poco popolare paesino, con tutti i miei familiari lì con me, avevo paura. E non sapevo assolutamente perché.

Avvertii i miei familiari che andavo a farmi una dormita, magari sarebbe servito a qualcosa. Mi sdraiai sul mio divano di pelle nera, con le braccia dietro alla testa, provando a rilassarmi. Cercai di allontanare i pensieri altrui dalla mia mente, e chiusi gli occhi.

Lei. Quella persona che ormai da dieci anni, occupava i miei sogni, e la maggior parte dei miei pensieri, ricomparve nei meandri dei miei sogni anche quella volta.

Chi era? Perché la sognavo? E perché sentivo l’assoluto bisogno di proteggere quella persona che nemmeno conoscevo? Eppure, mi sentivo molto legato a lei. Sarà che dopo tutto quel tempo, era difficile pensare ad un mio sogno in cui lei non ci fosse.

La cosa che vedevo chiaramente, erano i suoi occhi. Due bellissimi, profondi espressivi occhi color cioccolato. Il resto era avvolto da una leggera foschia, e mi era impossibile vedere il viso completo.

Quel giorno, erano spaventati, ansiosi, diversamente dal solito, tristi e spenti. Perché aveva paura,ora?

Benché non sapessi chi fosse, ero dipendente da quella persona, se sentivo che lei era felice lo ero anch’io. I nostri sentimenti, le nostre emozioni erano collegate, erano le stesse dell’uno e dell’altro.

Gli occhi svanirono, e tutto si fece buio.

Mi ero svegliato con il cuore scalpitante, il respiro accelerato, e l’ansia era cresciuta a vista d’occhio. Ora ero consapevole che ero preoccupato per lo sconosciuto, o la sconosciuta, dei miei sogni.

Mi misi una mano sul cuore come per fermarlo, poi passai l’altra nei capelli. Cosa le stava per accadere?

Una visione di Alice mi entrò prepotentemente nella testa.

Alberi. Sembravano quelli di Forks. C’era una figura che correva. Dei passi dietro di lei: stava scappando.

Cosa stava vedendo mia sorella, e soprattutto, perché?

La persona cadde a terra. I suoi occhi, si potevano distinguere chiaramente. Erano quegli occhi. E le persone che la inseguivano erano sempre più vicine.

Non riuscii a finire di guardare. Mi buttai giù dalla mia finestra, non avevo tempo di fare tutto correttamente, e iniziai a correre per il bosco. Pensai al luogo che aveva mostrato la visione. In poco tempo mi trovai lì.

Quella a terra era una ragazza, i cui lunghi capelli castani incorniciavano il viso dalla pelle diafana. Era la creatura più bella che avessi mai visto. Era qualcosa di strabiliante, nella sua imperfezione, nella sua fragilità. Ma non persi tempo a guardare il suo aspetto. Era lei, la ragazza dagli occhi castani.

E i due uomini che la seguivano, l’avevano raggiunta. Le puntavano contro delle pistole; uno di loro premette il grilletto, e nello stesso istante mi buttai su di lei per proteggerla.

Pov Bella

No, pensai.

Sentii qualcuno buttarsi accanto a me. Era un ragazzo, che aveva avuto la sventata idea di salvarmi. Ma non avrei permesso che quel ragazzo, che aveva messo addirittura a rischio la sua vita per proteggermi senza nemmeno conoscermi, venisse uccisa da quei due farabutti.

Alzai lo scudo, e la pallottola ci sbatté contro, per poi cadere a terra.

Il ragazzo alzò lo sguardo, e incontrò il mio.

Incredibile, aveva gli stessi…

Possibile che lui fosse l’angelo dei miei sogni, quello che con i suoi occhi mi aveva convinto ad andare avanti? Erano di un verde meraviglioso, smeraldino.

<< cosa sta succedendo? >> chiese una voce maschile, quasi angelica. Il ragazzo si scostò un po’ da me, e si voltò verso quell’uomo. E così, notai i capelli erano castano-ramati, spettinati, che incorniciavano le sue iridi.

<< calma, dobbiamo prendere solo la ragazza. Ragazzo, togliti è pericolosa! >> disse un tizio. Il ragazzo non si mosse.

<< Edward. >> fece l’uomo che aveva parlato prima. Biondo, austero, guardando il ragazzo accanto a me. Vicino a lui, c’era una donna dal viso dolcissimo incorniciato da dei capelli color caramello, e con degli occhi azzurri che in quel momento trasmettevano tutta la sua ansia e la paura. Dietro a lei, c’erano due bellissime ragazze. Una alta, statuaria, dal fisico mozzafiato. Bionda, e dagli occhi azzurro ghiaccio. L’altra era minuta, dai tratti delicati, e pareva un folletto. Aveva gli occhi azzurrissimi, stupendi, e dei capelli corvini, corti e tutti scompigliati. Accanto a loro, c’erano due ragazzi: uno alto e nerboruto, con i capelli neri e ricci, l’altro alto e muscoloso, meno dell’altro, biondo con gli occhi azzurri.

Che cosa mi mettevo a fare la radiografia, in un momento del genere?

<< ragazzo, davvero potrebbe farti del male. >> mentì l’altro.

<< io non sono pericolosa >> dissi piano. Il ragazzo si voltò ad osservarmi, << io non sono pericolosa! >> insistetti.

<< e perché, allora i tuoi genitori ti hanno abbandonata in quell’orfanatrofio?! >> fece quello di prima.

<< non mi hanno abbandonata! >> le lacrime mi annebbiarono la vista, << siete stati voi a ucciderli! Mi avete portato via le persone a cui volevo bene. Loro mi volevano proteggere! >> dissi, mentre singhiozzavo. La rabbia e il dolore facevano sentire con più chiarezza ogni fibra del mio corpo, ed anche un controllo maggiore sui miei poteri. << smettetela di farmi del male! >> Mi alzai, e il ragazzo si scansò di un po’. Ormai vedevo tutto rosso, ma comunque chiaramente, anche piangendo. Stringevo i pugni lungo i fianchi. Il ragazzo dai capelli ramati mi guardava stupito, meravigliato, e spaventato.

<< voi. Non dovete nemmeno nominare i miei genitori! >> urlai. Vedendo che iniziavo a tremare, segno che stavo per scoppiare, i due mi puntarono contro di nuovo le armi. Illusi, non potevano farmi niente.

<< santo cielo, Carl! >> esclamò la donna dal viso dolce, accanto a quello biondo con la voce meravigliosa. << non possiamo far niente.. >> sussurrò alla donna. Io ignoravo quegli scambi di battute. Strinsi maggiormente i pugni. Un masso lì vicino cominciò a fluttuare, incerto. Mi sentivo potente, volevo fargliela pagare per avermi portato via la mia famiglia.

Le persone lì presenti guardavano la scena attonite, ma non spaventate. All’improvviso uno dei due uomini cadde a terra stordito, mentre l’altro veniva come percosso da qualcosa d’invisibile. E io non centravo nulla. Anch’egli finì a terra, tramortito.

Le forze, intanto, cominciavano a venirmi meno.

Ero forte, ma non a tempo indeterminato. Mi stancavo molto velocemente.

Le energie si esaurirono del tutto, e mi lasciai andare, trascinata nell’oscurità.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** No longer alone ***


...Every time we touch

Capitolo 2- No longer alone

Sentivo la mia testa annebbiata, confusa. L’unica cosa chiara, in quel momento, era il dolore pulsante nelle tempie, e un fischio fastidioso nelle orecchie.

Pian piano feci mente locale degli ultimi avvenimenti successi. Ricordavo gli occhi verdi, i due Men in black, la forza scorrere nelle vene con l’adrenalina e poi... Be’, più nulla. Avevo come un vuoto, su quello che era stato in seguito.

Per lo meno, ero ancora viva.

Dov’ero? Sicuramente non nella foresta. Mi trovavo al caldo, su qualcosa di estremamente comodo e morbido. Potevano avermi presa, ma non mi avrebbero riservato un trattamento simile, non dopo tutto quello che avevo fatto loro.

Nonostante il desiderio di scoprire dove fossi e cosa mi fosse successo, non riuscivo ad alzare le palpebre. Ero intorpidita, e solo ora cominciavo a prendere sensibilità di braccia e gambe.

Sentii dei rumori, e mi decisi ad aprire gli occhi. La luce mi accecò, e dovetti battere più volte le palpebre per abituarmi.

- Si è svegliata! - sentii una voce femminile acuta, ma non fastidiosa, urlare quelle parole. Girai il capo appena, e potei vedere chi aveva parlato. Era la ragazza minuta che avevo visto nel bosco. Aveva un sorriso abbagliante stampato sul viso, e per un momento mi chiesi se quando avevo aperto gli occhi, non ero stata accecata da lei.

- Ciao, ben svegliata! Io sono Alice, piacere. Sai hai dormito per due giorni, ci hai fatto preoccupare tantissimo! -, aveva parlato tutto d’un fiato. Aveva una strana somiglianza con la radio, quella ragazzina, un non so che di logorroico. Ma bene o male avevo capito.

Mi schiarii la gola - Dove sono? -, domandai, eludendo la presentazione. Cercai di tirarmi su, ma un capogiro mi fece ricadere sdraiata.

- Attenta, sei ancora debole... - disse l’uomo biondo, entrando nella stanza con un sorriso mozzafiato, e dall’aria calma e paziente.- Io sono Carlisle, e sei a casa nostra. Dopo che sei svenuta, ti abbiamo portato qui. Avevi la febbre molto alta, ora è scesa. - Spiegò a tono basso, capendo che la voce troppo alta mi dava fastidio. Quell’uomo mi trasmetteva fiducia, era sicuramente una brava persona, ne ero convinta.

- ecco cara, penso tu abbia sete. –, la donna dal sorriso dolce mi porse un bicchiere d’acqua fresca, che bevvi tutto d’un sorso.

- grazie mille -, mormorai, imbarazzata da tutte queste premure.

- io sono Esme. -, mi sorrise dolcemente. Cercai di ricambiare il gesto, a modo mio, e lei l’apprezzò. – stai bene, ora, piccola? – annuii piano.

- come ti chiami? – chiese Carlisle, garbato. Dubitavo l’avrei mai visto essere maleducato. – Isabella. Isabella Marie Swan. – risposi, dicendo il mio nome per esteso. Sentivo che di loro mi potevo fidare. – ma... e gli uomini che m’inseguivano? – le tre persone presenti nella stanza ridacchiarono, alla mia domanda tentennante.

- Oh, Edward, mio figlio, li ha stesi. – Esme mi sorrise dolcemente - con noi, tesoro, sei al sicuro –

- Grazie per le premure, ma io... Dovrei proprio andare. – mormorai, scostando le coperte di dosso. La donna appoggiò delicatamente le mani sulle mie spalle, e mi bloccò. Dato che non mi ero ancora ripresa, spiegò, sarei rimasta a casa loro. Almeno, fin quando la temperatura corporea non avesse raggiunto un grado decente.

In quel momento, vidi la porta socchiudersi, e quattro ragazzi fecero il loro ingresso. C’erano: il biondo e fiero, il moro nerboruto, la bionda mozzafiato, e il ragazzo dagli occhi verdi. Il primo era sorridente come non mai, il secondo stava un po’ sulle sue, mentre la terza mi guardava con una strana espressione. Che fosse rammarico?

Il rosso, invece, Edward, mi guardava attentamente.

- Ehi, la bell’addormentata sì è svegliata! Buondì. – si schiarì la gola, con fare teatrale, e mi spuntò un sorriso divertito sulle labbra. Si avvicinò al mio letto, e afferrò la mia mano. – Bon jour, mademoiselle. Io sono Emmett, piacere. – alla fine, mi fece ridacchiare. – Bella -

- Io sono Rosalie. - fece, con sufficienza, la bionda mozzafiato. Non risposi, intimorita dalla sua magnificenza e dalla sua espressione da superiore.

- Io sono Jasper – disse infine l’altro. Lui stava molto sulle sue, nonostante non avesse un’espressione contrariata dalla mia presenza, lì. Comunque, la sua aria fiera mi metteva in soggezione quanto lo sguardo sospettoso di Rosalie.

- Edward, non ti presenti? - chiese Esme, voltandosi verso l’ultimo figlio. Lo stesso feci io, constatando che ora che l’osservavo meglio, era ancora più bello. I suoi occhi erano fissi nei miei, e non accennavano a spostare l’attenzione su qualcosa d’altro.

Nella stanza era calato il silenzio totale. La tensione era talmente densa che si poteva tagliare col coltello. Nessuno fiatava.

Ma era possibile che fosse davvero il ragazzo dei miei sogni?

Anche lui pareva confuso quanto me. possibile che anche lui avesse sognato me? Qualcuno si schiarì la gola, ed entrambi spostammo lo sguardo. - io.. sono Edward – fece lui, mentre una leggera sfumatura rosea colorava le sue guance.

- Io sono Bella. – ripetei, per l’ennesima volta.

Poi, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, mi chiesi perché mi avessero salvata e ospitata, non conoscendomi neppure. Sarei potuta davvero essere pericolosa, stando alle parole dei due tizi. Io sapevo che mentivano, ma queste persone non conoscevano la mia storia. Perché prendermi con loro, rischiando tanto? Valeva di più ciò che dicevano due adulti, o una ragazzina dal carattere molto suscettibile, che si era mostrata un po’ troppo strana ai loro occhi?

- Mi chiedevo... – tentennai, guardandomi le mani che tormentavo – perché mi avete salvata? Insomma, quelle persone avrebbero potuto avere ragione sul mio conto -.

- Avrebbero potuto, ma noi non gli abbiamo creduto. Sappiamo che sei pericolosa quanto potremmo esserlo noi. – fece Carlisle.

Poi prese la parola sua moglie: - E ovviamente, non avremmo mai potuto lasciarti in quelle condizioni. -

- Bella, sappiamo il tuo segreto – fece Alice con un sorriso – noi siamo come te. – Rimasi perplessa, davanti a quest’affermazione. Insomma, credevo che fosse una maledizione caduta solo sugli Swan, invece mi sbagliavo. Non era così, c’erano altre persone come me, come i miei genitori e mia nonna. Non ero più sola.

- io riesco a capire poteri e a teletrasportarmi, per esempio. – fece Carlisle, facendomi rimanere a bocca aperta.

- Ed io sono davvero molto forte, potrei abbattere una casa soffiando solamente! – Si vantò Emmett. – un giorno ti farò vedere, se non mi credi – sorrise vittorioso.

– Io prevedo il futuro! – sopraggiunse Alice, - e Rose ha una certa influenza sulla natura. – E io che credevo di essere speciale. Le loro doti andavano ben oltre le mie.

- Io sono un empatico, percepisco e manipolo le emozioni – spiegò Jasper, - mentre Esme capisce chi mente, e trasmette fiducia; è molto simile al mio -

- Edward legge il pensiero, sa diventare invisibile ed è molto veloce! - elogiò Alice. Edward leggeva il pensiero.

Arrossii inevitabilmente.

- A parte il suo. - fece lui, evidentemente deluso da quella situazione. L’intera famiglia guardò lui, sorpresa, e poi me.

- Tu che dote possiedi? – proruppe poi Emmett, rompendo il silenzio con la sua curiosità. - Sono uno scudo, mentale e fisico e poi possiedo la telecinesi. >> dissi.

Vorrei mi facesse sentire ciò che pensa, è frustrante non sentirla! Il pensiero era di Edward, che a quanto pareva, era piuttosto infastidito dal mio mutismo mentale.

- Mi sto ancora esercitando ad alzarlo, quello psichico. E’ ancora difficile per me. - Fammi indovinare: tu leggi anche nel pensiero. Pensò il rosso, e giustamente, annuii. Oh, è bello sapere che non sarò il solo a essere tormentato dai pensieri altrui.

- non credo per molto, io non posso rimanere qui troppo a lungo. Vi metterei nei guai. – feci, a capo chino.

- prego?- chiese Emmett.

- non c’entri tu – ribatté Edward al fratello.

- gne gne, Edward, gne gne. -

- uh, ho capito: leggi nel pensiero? – domandò Alice, esaltata – come Eddy! -

- sì, è molto fastidioso a volte. – ammisi.

E’ sempre molto fastidioso. Corresse Edward.

- a volte può essere utile. - ribattei .

A volte, hai detto bene. Però tu non vivi in una famiglia dove tutti non sanno controllare ciò che pensano: non è bello scoprire certi particolari. Pensò Edward, infastidito.

- non hai tutti i torti – concordai.

- la smettete di estraniarci dalla vostra conversazione!? – esclamò Alice, innervosita. Incrociò le braccia al petto, il suo piede scalpitava sul parquet.

- comunque, Bella, non vogliamo assolutamente che tu te ne vada. Forks è un luogo sicuro, poco abitato e praticamene fuori dal mondo. Non verranno mai a cercarti qui. Potresti stabilirti da noi per un po’. – propose Carlisle.

- Bellina, tu rimani qui! E poi, otto sono meglio di una, contro quei bifolchi! >> disse Emmett, gonfiando il petto.

- saresti la benvenuta – insistette Esme, con sguardo accorato.

- E poi, Emmett ha ragione. Ti potremmo aiutare – fece Alice, implorante, congiungendo le mani, - ti prego, rimani! –

- Io non vorrei crearvi qualche guaio; non c’entrate in questa storia, non voglio coinvolgervi in questa faccenda.. Si sono sacrificate già troppe persone innocenti – feci, cupa.

Siamo già coinvolti, ormai. Resta, Bella.

Edward mi guardò implorante, con quegli occhi verdi splendidi luminosi di speranza.

Ti prego.

Fu forse questa, la goccia che mi fece cedere.

- EVVAI‼ - Alice cominciò a saltellare per la stanza, battendo le mani e ridacchiando. Ah, veggenti! Pensammo all’unisono io e il rosso ricattatore.

- quindi, deduco tu abbia deciso di rimanere. – Carlisle mi sorrise.

- SI’,SI’,SI’,SI’! - urlò Alice in risposta, al mio posto, felice come non mai.

Diventeremo grandi amiche, Bella. Alice era entusiasta.

Bellina resta!So già che mi divertirò un mondo con lei. I pensieri di Emmett m’inquietarono. Aveva in mente già una serie di scherzi e battutine da farmi.

So che non è pericolosa, spero solo che non ci crei davvero dei problemi. Questa era Rosalie, un po’ diffidente. Per lo meno, una persona con una reazione normale c’era.

E’ una brava persona, dopotutto. Magari, riuscirò ad esserle amico. Voglio provarci.

Grazie. L’unica cosa che pensò Edward. Provai ad alzare lo scudo, ero ancora debole per permettermi di lasciarlo su troppo a lungo.

Pensai solo una cosa: grazie a voi. E ricedette.

Lui mi guardò sbalordito. ti ho sentita… Annuii, sorridendo. Ricambiò il sorriso, sincero. - Emmett, Soffoco! – esclamai, quando quel ragazzo mi prese tra le braccia, muscolose. Lui scoppiò in una fragorosa risata, riadagiandomi sul letto. Vidi cosa indossavo solo in quel momento. Rimasi allibita, disgustata anche. Vestivo un pigiama rosa confetto, con merletti di qui e di là.

- rosa cconfetto? – balbettai, schifata.

- si! Non è carinissimo? – disse Alice, con gli occhi che le brillavano. Rimasi a fissare i pantaloni del mio pigiama, con occhi sgranati.

- non è così brutto. – mentii – è solo che… rosa? >> dissi, rossa per l’imbarazzo. Non volevo offenderla. Edward, invece, sghignazzava, come il resto dei presenti, per altro. Per me ti dona. Pensò Edward con nonchalance. Avvampai ancor più, dopo il suo commento.

Il rosa non le piace… Bella, che colore vorresti che sia, quello, diciamo, principale nel tuo guardaroba? Pensò Alice.

Mi indicai con l’indice, non avevo capito se si riferiva a me.

No, guarda. A pinco pallino! Si, parlo, anzi, comunico con te! Scoppiò a ridere per il suo stesso pensiero. Edward era preoccupato per la sua sanità mentale quanto me. Anzi, tutti la guardavano come se fosse pazza.

Beh, allora?

- blu. – dissi, risoluta. Era sempre stato il mio colore preferito.

Sì, ti dona quel colore. Molto più del rosa. Concordò Alice con un sorrisino.

Le donano tutti i colori secondo me. Pensò Edward. Arrossii per il complimento e lui avvampò a sua volta, capendo di aver fatto una gaffe.

Ehm… potresti evitare di concentrarti sulla mia testa? Privacy, please!

Annuii, cercando di non prestare attenzione alla sua mente.

- Quindi, ora sei una Cullen a tutti gli effetti: benvenuta in famiglia, Bella. – fece Carlisle, con un sorriso. Quelle parole mi commossero.

- Cara, cos’hai?! – Esme mi si avvicinò, preoccupata. Mi gettai tra le sue braccia e la strinsi forte. – grazie – dissi, mentre lei mi cullava con fare materno.

- E di cosa, bambina mia? – domandò, con un sorriso caloroso.

- mi avete accolta, senza pretendere niente e io... Davvero, vi sono riconoscente. – balbettai sconnessamente.

- ragazzi, però ora dovete andare a riposare, domani c’è scuola. Io la visiterò. Se starà meglio, provvederò ad avvisare il liceo del suo arrivo. Sempre se sei d’accordo, Bella. –

- certo – annuii, concorde con lui. Volevo integrarmi con la realtà di questa famiglia, dare loro problemi era l’ultima cosa nella lista dei miei desideri.

Dopo che mi ebbero salutato, Esme e i ragazzi uscirono dalla stanza, lasciandomi con Carlisle. Mi visitò, e disse che mi stavo rimettendo in fretta. Una bella dormita, e sarei tornata come nuova. Mi chiese, però, di non agitarmi più così, perché il mio organismo non allenato ne avrebbe risentito. Raccontò che loro, ormai da tempo, per avere più controllo sulle loro doti, si esercitavano. Mi propose di partecipare agli allenamenti, e io acconsentii. Solo così, in caso di necessità, avrei utilizzato al meglio e più coscienziosamente i miei poteri, senza che la salute ne rimettesse.

Esme, poi, mi mostrò la casa. Essa era gigantesca, ben arredata. Quasi fiabesca. Infine, mi ricondusse nell’ala in cui eravamo partite, dicendomi che sarebbe stata la mia stanza, d’ora in poi. Mi promise che l’avrebbe sistemata, perché che secondo lei era piatta e insignificante, anche se, a parer mio, era già bellissima così.

Mi diede un bacio sulla guancia, e si congedò, augurandomi un buon riposo. Decisi di farmi una doccia rilassante.

Erano giorni che non tiravo un sospiro di sollievo, figurasi godere dell’acqua calda. Quando uscii dal bagno personale (comunicante con la mia stanza), vidi dei vestiti appoggiati al letto, e un biglietto. Lessi:

Ta dà!Ho previsto che ti saresti voluta fare una doccia, e anche che non avresti avuto cambi. Per cui, mi sono premurata di procurarti qualche straccio per la notte. Da sottolineare, non concordo su questo genere di vestiti, ma per questa volta, te l’abbuono. Domani mattina t’aiuto io con l’abbigliamento, sicuramente farai un disastro: il primo giorno di scuola devi fare colpo!

Buonanotte. Un bacio enorme, la tua veggente.

Sorrisi:Alice era fantastica. Non era difficile volerle bene. Guardai cosa aveva preparato: fortunatamente nulla di rosa. C’erano una maglietta a mezze maniche molto larga, in cui ci stavo almeno tre volte, e dei pantaloncini azzurri. Comodo ed essenziale: ottimo lavoro Alice.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** New Cullen ***


¡ Hola Chicos!
We, sorpresi? Beh, eccomi qui! Ormai questa storia è una delle 'essenziali', la scrivo perchè sono ispirata, finalmente!
Il che, è solo una sfortuna per voi, che vi dovete sorbire le mie schifezzuole...
No, sul serio, non so cosa mi possa essere uscito stavolta. Nulla di buono, sicuramente.
Beh, Bella è entrata nella Cullen Family... Questo è un piccolo capitolo di passaggio. E' trattato brevemente il tema 'amore', e spiego un po' la vita dei ragazzi. Beh, non sono proprio come i Cullen originali, vi avviso. Soprattutto Emmett, Jasper e Edward. In piu, ho voluto cambiare un po' Rose, che sarà piu aperta con Bella, e non la guarderà in cagnesco. U.U Vi lascio al capy, ora...
Buona lettura!

Capitolo 3- New Cullen

«Bella Bellina, il giorno s’avvicina!»

Quella cantilena mi trascinò via dall’incoscienza beata del sonno. La voce trillante di Alice, benché fosse davvero musicale, mi dava fastidio. Era sempre così al risveglio. Mugugnai una risposta della serie “lasciami in pace, voglio dormire”, e mi raggomitolai sotto le coperte. Mi sarei riaddormentata, se non mi fossi ritrovata sul pavimento freddo. Riaprii di scatto gli occhi. Alice era di fronte a me, a braccia conserte, con un sorrisino divertito sul viso da folletto. «Sai che ore sono?» domandò, ignorando la mia occhiataccia. Non aspettò la mia risposta, e riprese immediatamente: «sono già le sei! Abbiamo solo due ore di tempo per renderti presentabile.» annunciò. La sua espressione pareva inorridita, al pensiero di non riuscire nell’impresa. La mia faccia era il ritratto del terrore, i suoi pensieri non preannunciavano qualcosa di buono. Forcine, pettini, fard, matite e ombretti vari; ma mica dovevamo andare a scuola?!

Alice mi porse una mano, che io afferrai di buon grado, aiutandomi ad alzarmi. Tornata in posizione eretta, la mia sorella acquisita temporaneamente, mi prese per un braccio e mi trascinò in quella che doveva essere la sua stanza. Era davvero immensa, e ben arredata. Non si poteva dubitarne, con Alice. A quanto pareva, amava la moda e lo stile. Il suo sogno era di essere una stilita famosa, per creare capi d’abbigliamento di tutti i generi. Cosa che, anche se non per mestiere, faceva già. In una parte della camera c’era un tavolo con un mucchio di stoffe di vario genere e colori e una macchina da cucire; affianco al quale, stava un manichino bianco mezzo vestito.

«Bella, vedi quel bel vestitino blu? » indicò proprio il modello che avevo appena notato. Rabbrividii. Quello era un vestitino? E io che credevo fosse una di quelle cinture alte...

«Lo metterai alla festa che sto per organizzare in onore del tuo arrivo! » trillò tutta eccitata. Strabuzzai gli occhi, pronta a dirgliene quattro, ma m’interruppe.

«Non voglio lamentele, ormai tanto è deciso. Oggi ne parlerò con Carlisle, e lui dirà di sì. E non cercare appoggio da Esme, perché lei adora aiutarmi in queste cose.» Misi il broncio, e la feci ridere. Mi trascinò verso una nuova porta, e quando l’aprì, quasi non svenni. Era una cabina armadio, ma era più grande della stanza in sé!

Alice prese un paio di jeans sbiaditi ad arte e una camicetta blu. «Non sono il massimo, però..Per oggi può passare. Dobbiamo andare assolutamente a fare shopping!» mi lanciò un’occhiataccia: «e tu non ti opporrai. » Mi consegnò i vestiti, e io mi cambiai. Alice poi mi fece sedere davanti allo specchio del suo bagno enorme. Pareva tanto un salone di bellezza degno degli studi di Hollywood. Mi fece la pulizia del viso, ma non ne ero sicura, e mi sistemò le sopracciglia. Non volevo le toccasse, ma alla fine avevo ceduto. Ormai avevo capito che Alice otteneva sempre ciò che voleva, e io non potevo farci nulla. L’unica cosa da fare era acconsentire senza lamentarsi troppo, o la tortura sarebbe stata anche peggiore.

«Pronta! » annunciò, e io mi guardai allo specchio. Mi aveva migliorata, questo era certo. Però le mie sopracciglia non erano così male, nemmeno prima!

Scendemmo in sala da pranzo, dove la famiglia era riunita. Emmett e Jasper erano ancora in pigiama, e ciò scatenò l’ira di Alice.

«Non siete ancora pronti?! »

«Alice, dai, non dobbiamo andare ad un galà! » sbottò Emmett.

«Bisogna essere almeno presentabili! »

«Tranquilla che non veniamo a scuola in pigiama. » Il ragazzo grizzly sorrise con in bocca il cucchiaio, e io nascosi la risatina con un colpo di tosse. Emmett ammiccò in mia direzione, e ricevetti un’occhiata truce da Alice. «Non capite niente! » la folletta sbuffò, sedendosi a tavola per fare colazione. Carlisle m’indicò la sedia accanto alla sua, e io mi accomodai. Esme mi accarezzò una guancia, appoggiandomi davanti una tazza con del latte caldo. Ringraziai, arrossendo. I passi di Edward giunsero dalla rampa, ed eccolo entrare nella stanza. Sorrise a tutti, in un modo solare, poi sedette di fronte a me.

«Buongiorno, famiglia »

«Buongiorno. Ecco tesoro. » Esme gli porse la tazza, e lui le sorrise di nuovo.

«Siamo di buonumore, Eddy? »

«Non si vede?»ribatté ad Emmett, sorridente.

Finita la colazione, Emmett e Jasper si prepararono, poi Esme ci buttò fuori casa; eravamo in ritardo per la scuola, e la signora Cullen non voleva che arrivassi tardi il primo giorno.

Alice mi affiancò fin quando non fummo nel garage gigantesco di villa Cullen. Ormai avevo capito che tutto, qui, era di dimensioni esagerate. La camera di Alice non era da calcolare,poteva essere un appartamento a sé, tanto era grande.

Nel garage c’erano sei auto tirate a lucido. Erano il classico tipo di macchine da ricconi; di certo, una persona normale non poteva avere una Porsche, una Mercedes e una BMW, tutte per sé. E accanto a quelle, erano parcheggiate una Volvo, una jeep e una Auston Martin Vanquish. No, di certo i Cullen non avevano problemi di soldi. Eppure non erano delle persone snob e antipatiche; anzi, erano generosi e altruisti, i Cullen.

«Allora, io, Bella, Edward e Emmett prendiamo la Volvo. Tu e Jazz la M3. » annunciò la folletta, riferendosi a Rosalie. La bionda annuì, senza troppo entusiasmo. Salimmo nelle rispettive auto, io me ne stavo dietro con Alice, mentre al posto di guida c’era Edward, con affianco Emmett. In poco tempo, arrivammo alla Forks High School, grazie alla guida da pazzi e spericolata dei Cullen. «Ma guidate tutti così?» domandai, mentre scendevo dall’auto, attenta a non perdere l’equilibrio. Mi sentivo quasi nauseata.

Alice si strinse nelle spalle: «ci piace andare veloce.»

«L’avevo notato.» borbottai. Rosalie e Alice mi accompagnarono in segreteria, e mi presentarono come loro cugina acquisita, figlia adottiva di uno zio in Alaska. Storia più complicata no, eh?

La donna alla scrivania, la signora Cope, mi porse dei fogli da far controfirmare ai professori e la piantina della scuola. Non l’avrei usata, per fortuna avevo Alice che mi stava incollata come una sanguisuga e mi scorrazzava ovunque.

La prima lezione era letteratura inglese, con Emmett. Solo che lui un compagno di banco l’aveva già, quindi dovetti sedermi accanto ad una ragazza. Lei si presentò come Angela, ma era timida quanto me, e non parlò molto. Presi appunti come lei e al suono della campanella ci salutammo ancora. Emmett si affiancò a me, e mi scortò alla seconda ora. Accanto a lui, mi sentivo come marcata da un bodyguard. E in effetti, con la stazza ci stava pure. Ma l’orso era una persona simpaticissima, e quando sorrideva, cioè praticamente sempre, aveva delle fossette sulle guance che lo facevano sembrare un bambino.

«Bellina, eccoci qui! Ora di ginnastica!» esclamò. Il mio entusiasmo scemò del tutto. Avevo sempre odiato quella materia: nonostante fossi dotata di robe degne di una storia di fantascienza, ero scoordinatissima. Il mio equilibrio era praticamente inesistente. Però, forse, una cosa buona con la mia mancanza l’avevo ottenuta...

«Non ti piace?» Emmett ridacchiò,«come mai?»

«Sono negata in qualsiasi sport» tagliai corto. Emmett alzò un sopracciglio, con calcolato scetticismo. «Fidati: non mi hai mai vista giocare»

Detto ciò, si congedò. Avanzai timidamente verso il professore, che stava compilando un registro, seduto dietro ad un tavolino messo in un angolo appartato della palestra. Mi schiarii la gola, per farmi notare. Il docente alzò il naso dalle scartoffie, e mi scrutò attentamente:«Tu devi essere Isabella Swan» Annuii, mentre un fastidioso rossore si diffondeva sulle mie gote.

Fortunatamente, quel giorno il professore si era scordato la divisa, e io non avevo il ricambio. Sarei stata tranquillamente seduta sulla cavallina, a seguire la lezione.

Mi avviai verso il mio giaciglio momentaneo, e mi ci sedetti sopra.

«Ciao‼» chi mi aveva rivolto la parola, era un ragazzo biondo, sufficientemente alto, con degli occhioni azzurri spalancati. Mi rivolse un sorriso entusiasta. Non sembrava antipatico:«Io mi chiamo Mike Newton. Tu sei..Isabella, giusto?»

Annuii:«Sì»

«Beh, ti farò compagnia» con un cenno del capo, mi fece notare la spalla slogata. Sorrise, sedendosi accanto a me. Il professore fischiò, e il resto della classe si fece intorno a lui. Cominciarono a correre, e ringraziai il cielo per avermi fatto saltare la lezione.

«Non sapevo che i Cullen avessero cugini in Alaska...Em e Jazz non me ne hanno mai parlato» disse Mike, guardandosi le mani, poi tornò a guardarmi in viso; «Beh, benvenuta a Forks.»

«Grazie» gli sorrisi gentile. Alla fine della lezione, Mike, con cui avevo chiacchierato molto durante l’ora, insistette per presentarmi i suoi amici.

Era nella squadra di football della scuola, insieme a Jasper e Emmett, e, da quanto avevo capito, erano il trio dei dongiovanni. Soprattutto lo erano i due Cullen. Incredibile. Non me lo sarei mai aspettato.

Mike mi aveva confidato, sottovoce, che a lui interessava una ragazza di nome Jessica; me l’aveva indicata durante la partita di pallavolo.

Il resto della giornata fu relativamente tranquillo. Il consiglio dei docenti era sempre lo stesso: «stai attenta e prendi appunti, così ti rimetti in pari col programma.»

In un battibaleno, arrivò la pausa pranzo. «Bella!» Alice comparve al mio fianco, sorridente ed allegra. Ringraziò Mike, a capo chino, poi chiese scusa e mi rapì nel vero senso del termine. Entrammo nella mensa, Alice non stava più nella pelle. Era elettrizzata, euforica. Ma tutto il suo entusiasmo morì nel giro di un secondo. Notai il suo labbro tremare, gli occhi luccicare, tristi, mentre si riempivano di lacrime. Seguii il suo sguardo; l’attenzione della piccola folletta era tutta sull’ingresso opposto della sala. Lì c’era Jasper. Se ne stava con una ragazza. Le teneva una mano sul fianco, l’altra era appoggiata alla parete, intrappolandola.

E capii, quando Alice insistette di metterci in coda per voltare le spalle alla scena, che non provava un semplice affetto di fratellanza verso Jasper. La guardai negli occhi, e lei accennò un sorrisino timido. Prendemmo solamente sue sode, poi Alice mi condusse all’esterno. Passammo davanti a Jasper e alla ragazza, che non fecero assolutamente caso a noi.

Constatai che, nonostante fossero diversi, i Cullen erano riusciti ad inserirsi, al contrario mio.

Io e la folletta ci sedemmo su una panchina, in cortile. Soffiava un leggero venticello, che scuoteva le foglie secche e le faceva cadere a terra. C’era quiete, silenzio. E una certa aria malinconica. Come quella che emanava Alice, a capo chino, che giocherellava con la sua bottiglia.

«Alice..» la chiamai, cautamente. Mi dispiaceva vederla così.

Alzò gli occhi azzurri, e li vidi pieni di lacrime. Sorrise, imbarazzata, passandosi una mano per asciugarli:«Scusami, sono una sciocca.» Non parlai. Se si fosse voluta sfogare, io l’avrei ascoltata e consolata. Ma non volevo fosse un obbligo.

«E’ che..sono una vera stupida...Un’illusa. Ogni volta che mi sorride, che mi guarda, il mio cuore si riempie di speranza...» la voce le tremò, «Ma mi ritiene solo un’amica, o una sorella acquisita...Che vana consolazione!» Si lasciò sfuggire un singhiozzo, e il mio cuore si strinse in una morsa di dispiacere ancora più ferrea.

«Non mi guarderà mai come una ragazza...» ruggì, tra le lacrime,«Ma dopotutto, c’ha la fila dietro..Non mi vedrà mai, proprio.» appoggiò la fronte sulla mia spalla, e la lasciai piangere per un tempo indefinito. Le carezzai i capelli, cercando di infonderle consolazione.

Alzò il capo, si asciugò velocemente le lacrime, e mi sorrise sinceramente:«Grazie, Bella..Mi dispiace che tu mi abbia vista così. Oggi non so cosa mi sia preso. Di solito, mi so controllare»

«Perché non provi a parlarci?» domandai, bevendo un sorso di Soda. Alice sorrise amaramente:«con Jasper, dici? » ridacchiò, senza allegria «A che servirebbe? Solo a rovinare l’atmosfera in casa e a far preoccupare Esme..E’ pressoché inutile. Te lo ripeto: Jasper mi ripete continuamente che sono la sua migliore amica. Io è da quando abbiamo tredici anni che ho una cotta per lui, e non riesco a farmela passare! E lui sono anni che mi racconta delle sue storie d’amore con altre, era a me che chiedeva consigli su come conquistarle..Beh, non che adesso gli servano i miei consigli su come far cadere ai suoi piedi le ragazze: ne ha fin troppe che gli muoiono dietro...» Alice sospirò.

«Diciamo che Jasper non è uno da storie serie..Il suo record è di un mese, con una che era pressoché insistente e opprimente, e calcola che si trattava di una mezza scommessa con Emmett. Sarebbe potuta durare anche meno»

«Ammetto che non me lo immaginavo così. E nemmeno Emmett.»

«Oh!- esclamò Alice, esasperata- un altro che va in giro a spezzare i cuori..»

«Fammi indovinare: Rosalie?»

Alice mi guardò implorante:«non dirle che te l’ho detto.»

«Muta. Comunque, non ho ancora parlato con lei, e dubito che la prima conversazione tra noi verterà su questo.» feci, imbarazzata. E non ero nemmeno sicura che ci saremmo parlate mai. Avevo l’impressione di non andarle troppo a genio.

Alice sorrise:«Non le stai antipatica, se è quello che pensi. Rose sta sempre un po’ sulle sue. In questo periodo, poi, è praticamente intrattabile. A differenza mia, lei si sfoga così..Non le va giù che sia più di una settimana che Emmett sta con la stessa ragazza.» Alice scosse la testa. «Ma anche lei è poco furba. Emmett è convinto che lei lo odi, e viceversa. Non sanno comportarsi civilmente, quando sono vicini. Emmett è competitivo di natura; appena Rose gli fa un commento, e lo fa apposta, Emmett deve ribattere... E’ così da non so quanto tempo.»

«E Edward?» Alice alzò un sopracciglio, e cercò di nascondere un sorrisino. Evitai di immaginare a cosa sarebbe potuta giungere, con la mia domanda, la sua mente contorta. «Per curiosità» sottolineai.

«Lui è single. Splendidamente e fieramente single.» nel mio cuore, per un motivo a me sconosciuto e irragionevole, si mosse qualcosa. Era lo stesso sentimento che avevo provato quando Carlisle mi aveva chiesto di rimanere, la stessa emozione che avevo sentito quando Alice e Emmett mi avevano sorriso. Era la medesima sensazione che mi gonfiava il petto quando Edward mi appariva in sogno: era speranza.

«Strano» mi limitai a commentare. Alice si lasciò andare ad una risata allegra, e ne fui felice. Stavo riuscendo a farla svagare un po’.

«Uhm- si ricompose-, la maggior parte delle ragazze, qui, pensa che Edward sia il più bello scapolo di Forks, nonché d’America.»

«Non è difficile da credere» mi lasciai scappare, con un po’ di scetticismo. Alice rise di nuovo.

«Per me è esagerato..Okay che è carino, ma è tanto vero che Jasper è innegabilmente più bello di lui. » quando pronunciò il suo nome, a Alice luccicarono gli occhi. «Ha un’attrattiva speciale, charm, fascino..E il suo sguardo di ghiaccio, Dio..Sentissi il mio cuore come batte quando incrocio il suo sguardo!» Sorrisi, intenerita. Era davvero cotta. Nonostante ciò, non mi potevo dire d’accordo con lei. Era assolutamente di parte con Jasper! Ma lasciai correre.

«Alice, ma quindi..Voi siete stati tutti adottati?»

«Ringrazierò sempre Esme per averci presi con sé. Vedi, lei non poteva avere bambini, e questo l’ha sempre resa molto triste. Ha praticamente implorato Carlisle di portarla in un orfanotrofio!- sorrise teneramente- Lì c’era Emmett. E’ stato il primo ad arrivare a casa. Solo che Esme non era ancora soddisfatta, e ha usato la scusa che Emmett si sentiva solo, per fare un’altra visita là. E c’ha trovato i gemelli Hale...»

In quel momento, la campanella suonò, e io e Alice ci alzammo contemporaneamente. «Beh, poi la storia non è molto complicata.» disse Alice, cominciando ad avviarsi;«Questa volta, era Carlisle a volerne uno. E’ venuto, questa volta solo, e – così dice lui- incantato da due piccoli bimbi: io e Edward. Indeciso, ci ha portati tutti e due a casa. Non immagini l’euforia di Esme» Alice rise. Stavamo entrando di nuovo nell’edificio, adesso. «Io e Edward ci conosciamo praticamente da sempre, per questo siamo così legati. Ma anche con gli altri; quando siamo arrivati, Em, Rose e Jasper avevano pochi anni...CAVOLO, SONO IMPRESENTABILE!» con quell’urlo, Alice mi aveva assordata per metà. Dovevano debellare qualsiasi superficie riflettente, quando in giro c’era Alice. Io la trovavo splendida, ma lei non era del mio stesso avviso. Corse come una forsennata per tutto il corridoio, poi si sentì un tonfo, e la voce inconfondibile di Alice urlacchiare. La raggiunsi, e la scena mi mise una certa ansia. Alice era a terra, Jasper stava inveendo contro un altro ragazzo, e tutti gli altri erano lì che osservavano straniti la scena.

«Hai capito, razza di imbecille? Stai attento, la prossima volta: potevi farle del male, bestione che non sei altro!» Da sottolineare, che il ragazzo che aveva investito Alice era pressoché scheletrico, alto e all’apparenza più fragile del cristallo. Per me, si era fatto più male lui di Alice. Anzi, lei mi sembrava stesse bene, forse un po’ shoccata, ma stava bene.

«Jasper..» cercò di chiamarlo.

«Chiedile scusa, idiota!» esclamò il biondo. Il ragazzo-grattacielo balbettò sconnessamente delle scuse. Poverino, era mortificato. Non era nemmeno colpa sua: Alice era partita in quarta e non aveva guardato dove andava. Alice si rialzò, e Jasper le si affiancò immediatamente.

«Tutto bene?» chiese, preoccupato. Solo amica? Pensai, scettica.

«Sì, ma non è colpa sua. Non ho guardato dove andavo» mormorò Alice, senza guardarlo.

«Fila!» esclamò Jasper all’altro, e lui si volatilizzò, spaventato. Alice si scostò dal biondo, e mi venne al fianco. «Andiamo, Bell» Io annuii, poi la seguii fino alla classe di spagnolo. Poi lei mi salutò, e si spostò a quella affianco. Io entrai nella stanza, e mi guardai intorno. Notai Rosalie, in fondo all’aula. Lei mi sorrise, stupendomi, e mi fece cenno di raggiungerla. Il prof non era ancora entrato, e la classe era mezza vuota. M’incamminai, incespicando, fino al fondo. Rosalie mi salutò:«ciao, Bella!»

«Rosalie» balbettai.

«Senti...» fece, arrossendo,«mi dispiace per la freddezza che ho dimostrato nei tuoi confronti: è che ancora non sapevo se fidarmi..»

«E cos’è che ti fa fidare di me, ora?»

«Non lo so..» disse, pensierosa.«Però ormai fai parte della famiglia, no? – Sorrise ancora- e poi, oggi sono particolarmente su di giri, che abbraccerei la mia peggior nemica!» mi preoccupai, a quell’affermazione. Rosalie mi guardò, poi rise:«che non sei tu, tranquilla!»

In quel momento, in classe entrò una ragazza alta, bionda, dall’aria superficiale. Rose grugnì a bassa voce:«Wilma Spencer..» sibilò, poi scosse la testa e sorrise.

«Oh, che sciocca..- si riprese- Non devo più pensare a Emmett.» si ricordò che non sapevo nulla, e arrossì. «Acqua passata. Sì, mi sono presa una cotta per lui, ma ora è passata..» i suoi occhi però non sembravano esser d’accordo con le parole. Brillavano di tristezza.

«E poi, oggi un ragazzo, non so se sai chi è, Tyler, mi ha chiesto di essere la sua ragazza...» Sorrise, «E ho detto sì.»

--

L’ora con Rosalie era passata in modo divertente, tra chiacchiere sussurrate e risate soffocate. Era più simpatica di quando immaginassi. Ma non ero in confidenza quanto lo ero con Alice, non ancora almeno.

«Salve!» esclamò la bionda, arrivate alla macchina di Edward. Lì, c’erano lui e Alice.

«Gli altri due?» domandai. Edward- che non avevo visto tutto il giorno- mi fece un cenno col capo, dietro sé. Jasper e Emmett erano appartati rispettivamente con una ragazza, e si baciavano abbastanza audacemente.

«Per me, si risucchiano a vicenda. Quando arriva Jasper, avrà la faccia sfigurata.» Il commento acido di Alice fece sorridere sia me che Edward. Beh, se lui non lo sapeva, abile lettore di cervelli, chi doveva essere a conoscenza?

Alice e Rose si persero in una conversazione su quel tipo, Tyler, e Edward mi si avvicinò. «Com’è andata?» si indicò la testa, e compresi.

«Sinceramente, non ho sentito tanto fastidio. A me basta non concentrarmi, che tutto fila liscio» sorrisi, trionfante. Edward sbuffò: «insegnami, allora.»

«Vedrò che si può fare» gli sorrisi nuovamente, e lui ricambiò.

«EHI VOI DUE!» esclamò Alice, facendoci trasalire entrambi, «IO DEVO PARLARE CON CARLISLE!»

Mi voltai di nuovo verso Edward: «Sarà piccola, ma la voce ce l’ha eccome...»

«E non è nulla..» Edward montò al posto di guida.

Io lo seguii, e salii dietro, con Alice. Davanti a noi, ancora Emmett.

«Allora, Bellina! Pronta ad affrontare il primo allenamento?»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** First Training ***


Buondììì! :)
Ehm..lo so che è da un bel po' (piu di un anno, mi sa) che non aggiorno, ma sono tornata!
Diciamo che questa storia mi piace scriverla, mi piace molto, ma a volte ho dei vuoti che non saprei colmare, e ci metto un po' per scrivere..poi le ispirazioni per altre storie mi prendono tempo, a volte non ho nemmeno tempo di scrivere nulla, c'è la scuola...uh, diciamo che è tutto contro di me XD
Vabbè, non mi dilungo molto...vi posso solo ringraziare se leggere. :)
First Training
-Allora, Bella.
Carlisle prese a parlare, passeggiando avanti e indietro per il giardino nel retro di casa Cullen. Giardino, sì: forse era meglio dire campo, o pianura direttamente. Era davvero immenso, e da quel che mi aveva spiegato Alice prima che suo padre arrivasse, lo curava tutto Esme, per quello era così bello e fiorito. -Prima di cominciare, vorrei spiegarti cosa intendiamo per allenamenti- congiunse le mani, fece un gesto, e le sciolse di nuovo, sempre con un’aria concentrata.
-I nostri poteri non sono una cosa da nulla, possono essere rischiosi, instabili, e questo credo che tu già lo sappia.- disse, e io annuii. Aveva ragione, soprattutto io sapevo essere piuttosto un pericolo, se innervosita. -Inoltre, come ti è successo, dopo poco ti stanchi e perdi i sensi senza forze, e questo è gravoso su di te. Dopotutto, lo sappiamo tutti che l’altro giorno, se non ci fosse stato Edward, ti avrebbero presa.- rabbrividii a quell’affermazione del dottor Cullen. Cercavo di pensarci poco, sinceramente. Ma aveva dannatamente ragione, se non ci fosse stato suo figlio avrei potuto dire addio alla mia libertà e molto probabilmente anche alla mia vita. Anche se era una bella botta all’ego, sentirsi dire certe cose, soprattutto se si era abituati come me a cavarsela da soli e a farla franca con le proprie forze.
Carlisle fece un sorrisetto, probabilmente mi leggeva in faccia il disappunto.
-Per questo, è doveroso che tu impari a mantenere un controllo. I miei figli, normalmente, stanno a coppie, eccetto Edward. Credo che per le prossime volte, possa fare eccezione.-
Edward mi sorrise, e dovetti ammettere a me stessa che il suo sorriso fosse veramente bellissimo.
-Bene, iniziamo.
Annunciò Carlisle, e tutti i fratelli Cullen si sparpagliarono per l’immenso prato.
Edward infilò le mani nelle tasche, e mi fece cenno di seguirlo con un movimento del capo. Mi affiancai con due falcate a lui, e lo seguii senza fiatare, nonostante ci stessimo allontanando molto dal resto della famiglia.
Alla fine, dedussi che la loro casa fosse al limitare della foresta, perché la vegetazione era molto più fitta.
Inciampai qualche volta nelle radici, ma riuscii sempre a recuperare l’equilibrio, senza sfracellarmi al suolo o peggio addosso a Edward: ci mancava solo fare un’altra figuraccia con lui! Quella dell’orfana suicida ormai era già stata ampiamente fatta, purtroppo.
Edward si fermò solo ad un certo punto del bosco, a una decina di metri da un fiumiciattolo zampillante. L’acqua era cristallina, e, solo a vederla, mi vennero i brividi: era sicuramente freddissima, considerando le temperature di Forks.
-Saltami in groppa- disse solo, al che lo guardai piuttosto male.
-Eh?- ok, con le risposte intelligenti non ce la facevo proprio, ma in quel momento era il male minore..insomma, perché diavolo dovevo salirgli sulla schiena?!
Edward sbuffò, sempre con un sorrisetto sulle labbra: -Dobbiamo saltare- spiegò, con un’aria ovvia.
Alzai gli occhi al cielo. -Ce la faccio benissimo a saltare quella cosetta da niente.- lo apostrofai, con un tono piuttosto irritato. Se c’era qualcosa che faceva uscire tutto il mio orgoglio in tutta la sua possente orgogliosità era proprio trattarmi come una damigella indifesa. Io odiavo essere trattata come un’incapace.
Edward scrollò le spalle, -Se ci finisci dentro, sappi che non tornerò indietro perché devi asciugarti.
Gli lanciai un’occhiata e usai appositamente un tono pungente: -Nel caso, sopravvivrò; ma dubito fortemente di finire nell’acqua.-
Negli occhi di Edward passò un guizzo strano, uno scintillio che rese ancora più vivi quegli specchi che erano le sue iridi verdi.
-Saltiamo insieme?
Annuii solamente.
-Bene, al tre. Uno..due..tre!- Al via scattammo entrambi, prendendo più velocità per saltare il fiume. Ad un passo dallo staccare, però, misi un piede in fallo, e nella frazione di secondo in cui precipitavo come un’allocca nell’acqua, vidi Edward spiccare un bel balzo.
L’acqua era gelida, avevo ragione. Appena riemersi sputai quella che avevo ingoiato nell’impatto, e tossicchiai un po’, finchè non sentii un suono piuttosto irritante dalla riva opposta. Mi voltai con uno sguardo truce verso di Edward, che si teneva la pancia dal ridere. –Te l’avevo detto io!- sghignazzò, quello stupido.
Cercai di attivare la barriera, tanto per non inzupparmi ancora di più, e cercai di raggiungere l’altra parte nuotando. M’issai su una roccia, mentre ancora Pel di carota rideva come un cretino.
-Allora, Malpelo, la finiamo di ridere? Non c’è nulla di divertente!- sibilai, strizzando i miei capelli, e poi la maglietta.
Edward cercò di contenersi, con veramente scarsi risultati. –A me sembra che ci sia da ridere, e anche tanto..La prossima volta dammi retta, bimba.-
-Bimba lo dici a qualcun altro, ciccio!- sbottai, incrociando le braccia al petto. –Ora mi spieghi perché siamo venuti qui, quando il resto della famiglia si allena a casa.-
Edward fece spallucce. –Avevo voglia di fare una passeggiata..e poi io ho un posto speciale dove allenarmi- Disse Edward, riprendendo a camminare.
–Sbrigati, su!- m’incitò, ancora con un ghigno strafottente sulle labbra.
Lo seguii stizzita, pestando i piedi nell’erba umida; guardai dove ci stavamo dirigendo, e mi accigliai ulteriormente: la vegetazione era ancora più fitta e quasi inaccessibile, e Edward ci stava andando di filato.
-Ehm..non vorrei fare la scassapalle, ma Edward..-
Lui voltò il capo, appositamente per rivolgermi quel sorriso meraviglioso.
-Calma bimba. Aspetta e vedrai.
Incrociai le braccia sotto al petto, sbuffando.
Dolce e sensibile..macchè! Edward era la conferma alla regola: l’apparenza inganna. Che razza di sbruffone! Sembrava facesse apposta a lanciarmi quei ghignetti sghembi per farmi collassare, come se leggesse i miei pensieri e sapesse l’effetto destabilizzante che avevano su di me.
Edward spostò un ramo, e io lo seguii incerta, ben attenta a guardare dove camminavo; ci mancava solo che finissi a gambe all’aria, e poi la mia dignità sarebbe definitivamente affondata.
Alzai gli occhi dal terriccio, e rimasi letteralmente senza fiato: davanti a me si stendeva una piccola radura fiorita, illuminata da un fievole raggio di sole; aveva un qualcosa di fiabesco, e era quasi impossibile distogliere lo sguardo dal paesaggio davanti a me.
-Bello,vero?
Annuii, incapace di far altro.
-E’ il mio posto preferito..vengo spesso qui, per allenarmi, per riflettere. È un posto che sento mio.
A quelle parole sentii il mio cuore sprofondare in una morsa di rammarico.
-Scusami…- mormorai, abbassando il capo. Mi sentivo una stupida, perché quello era il posto segreto di Edward, dove andava a prepararsi, e io gli ero piombata tra capo e collo.
-Per cosa, scusa?- domandò, confuso.
-Questo è il tuo posto, ed io mi sento come un’imbucata ad una festa.- spiegai, spicciola.
Sentii suoi passi avvicinarsi, e si fermò a un passo da me.
La sua mano scattò sotto il mio mento, lasciandomi di sasso, perciò per lui fu facile farmi alzare lo sguardo ai suoi occhi.
-Ti ho portata perché volevo che tu lo vedessi, Bella. Altrimenti saremmo rimasti con gli altri, non trovi?- Non risposi, non sapevo che dire, e francamente non ne avevo nemmeno la facoltà in quel momento.
I suoi pensieri dicevano esattamente la stessa cosa, con la stessa convinzione che leggevo nei suoi occhi verdissimi.
Sospirò. –Bella, il fatto è che so che di te posso fidarmi, non potrei fare altrimenti. I tuoi occhi sono stati un rifugio altrettanto caro per me, quando stavo male. Sei stata inconsapevolmente un porto sicuro..-
Nei pensieri di Edward vorticò l’immagine dei miei occhi, il suo sollievo nel vederli: lo stesso sollievo che provavo io quando mi lasciavo sprofondare nel sonno solo per vederli e sentire quella speranza che mi trasmettevano.
Involontariamente le mie labbra si erano stese in un sorriso incerto, e Edward fece scivolare le dita, che erano ancora sotto il mio mento, fino alle guance.
-L’altro giorno ti ho sognata..ho visto i tuoi occhi spaventati, poi Alice ha avuto una visione, e io non sono riuscito a stare fermo..-
-Non ti ringrazierò mai abbastanza, Edward.- dissi sincera, guardandolo con più sicurezza negli occhi.
Lui accennò quel maledetto sorriso sghembo, facendo mancare di un battito il mio cuore. –Forza, ora direi di cominciare.
Seguii Edward al centro del prato, dove il debole –e miracoloso- raggio di sole riusciva a superare le nuvole cupe, illuminando la radura in un modo quasi magico.
Pensai che avremmo fatto qualcosa di strano e improbabile, difficilissimo da fare per una gabba come me a muoversi, invece si lasciò cadere nell’erba soffice, e mi fece un cenno di raggiungerlo. Non mi feci pregare due volte.
-Bene. La lettura della mente direi che non ha bisogno di allenamenti, non trovi?- fece, con nonchalance. Ridacchiai, annuendo con vigore. –Poi sei uno scudo fisico e mentale..però del primo direi che ti sei servita egregiamente prima nell’acqua.- Edward sciabolò le sopracciglia, e il suo sorriso divenne ancora più divertito al ricordo del mio bagno fortuito di qualche minuto prima.
-Ed infine c’è la telecinesi..ma va per secondo in ordine d’importanza: ora devi lavorare sull’alzare a piacimento lo scudo mentale.-
Lo guardai divertita. –Così puoi spulciare tranquillamente nella mia testa, giusto?
Edward rise: -Esattamente.
Sbuffai, soffiando via una ciocca ribelle di capelli caduta sul mio viso, e Edward la riavviò con un gesto fulmineo dietro il mio orecchio.
Sentii le mie guance andare a fuoco, ma tentai di ignorarle: dovevo sembrare il più calma possibile, che figura avrei fatto altrimenti?
-Ok, ci provo.- mormorai, chiudendo gli occhi.
Cercai di accumulare un po’ di concentrazione, ovviamente tentando di isolare il pensiero che Edward fosse al mio fianco pronto ad un attentato al mio cervello.
Per me era molto difficile sollevare quello scudo psichico, e non solo perché fosse mentalmente sfiancante. Era sempre stata una protezione che mi rendeva sicura: non avevo mai provato il bisogno di sollevarlo, ma solo una semplice curiosità di sapere se ne fossi in grado.
Il che,era tranquillamente fattibile, ma dopo qualche tentativo avevo mollato: c’ero riuscita pochissime volte ad alzarlo, e, ad essere sincera, mi stupivo che l’avessi fatto il giorno prima per ringraziare Edward.
Ma se farlo avrebbe aiutato ad avere un controllo maggiore di me stessa, avrei provato. Anche se francamente, ritenevo la telecinesi molto più importante della curiosità di Edward.
-Sai che la mia mente non è nulla di particolare?- dissi, sempre ad occhi chiusi, ma lasciando perdere quel minimo di concentrazione accumulata.
-Zitta e cerca di sollevare lo scudo.-ribattè lui, con un tono tra il divertito e l’esasperato.
Serrai maggiormente gli occhi, e respirai a fondo.
Coraggio, pensai, alzati..
Il mio scudo era come un elastico, molto poco estendibile però, tanto che non riuscivo nemmeno a sollevarlo. Quando si spostava, di poco s’intende, dopo poco riscattava al suo posto come una molla.
“Bella, devi concentrarti. La concentrazione e la determinazione aiutano sempre alla riuscita. Ricorda, volere è potere: e tu hai potere, piccola mia.” Queste erano le parole che mi diceva mia nonna, quando m’incoraggiava per qualcosa che non mi usciva, o, al contrario, quando era terribilmente fiera di me per i progressi che facevo.
Volere è potere, volere è potere..
Sentii l’elastico mentale vibrare, mentre serravo con ancora più forza gli occhi, le sopracciglia così aggrottate che avrebbero potuto sfiorarsi sul mio naso.
Mentre in una parte della mia mente cercavo la mia determinazione per riuscire nel mio scopo, un’altra parte non poteva fare a meno di rivivere gli ultimi momenti della mia vita, prima che incontrassi i Cullen.
I pomeriggi sulla sedia a dondolo, passati con il braccio steso e il palmo rivolto verso un bicchiere di cristallo da sollevare dal tavolo a qualche metro di distanza; le parole e gli abbracci di mia nonna Marie, il suo affetto, i suoi racconti su mamma e papà..
Poi quella mattina, un rumore di vetri infranti, l’urlo gracchiante e agghiacciante di Marie, delle voci cupe e autoritarie, e il panico. Un tonfo, e mia nonna sulla soglia della mia stanza, che mi faceva promettere di scappare, che avrei lottato sempre per la libertà.
Poi la nostra fuga per un pelo, e, poco tempo dopo, il giorno in cui la rapirono ed io venni affidata ad un orfanotrofio, da cui volevo fuggire.
Ed infine, gli uomini in nero che mi cercavano, la consapevolezza che sapevano che possedevo delle doti particolari, il dolore per la perdita dell’unica mia ancòra di salvezza. Ed infine Edward, Edward che mi salvava..
-Bella, basta.
Alle parole di Edward sussultai, aprendo gli occhi; sentii come se l’elastico fosse stato esteso troppo e fosse scattato al suo posto con forza, e capii di avercela fatta.
Guardai il ragazzo di fronte a me, con una smorfia sul viso.
Due istanti, e mi ritrovai tra le sue braccia forti, ancorata al suo petto marmoreo.
-Ora sei al sicuro, Bella. Sei al sicuro, te lo prometto.-
***
-Wow! E’ magnifico!- esclamò Edward, sospeso a mezz’aria a un metro da terra, gli occhi scintillanti di divertimento e meraviglia. Accennò qualche bracciata a stile libero, ridacchiando tra sé e sé. -Sto volando, yeah!-
Mi morsi un labbro, trattenendo una risatina e cercando di mantenere la concentrazione e non farlo spappolare al suolo senza che neanche se ne rendesse conto.
Probabilmente era la cosa-o persona- più pesante che avessi mai fatto levitare, e non era una cavolata. Senza contare che continuava a muoversi, e, soprattutto, la scena era così esilarante e tenera che era ancora più difficile stare concentrata e vigile.
-Ti diverti, eh?- mi concessi di sorridere.
Lui si liberò in una risata. –Sì, ma ora fammi scendere! Direi che ti sei sforzata abbastanza per oggi.-
Con un sospiro liberai Edward dalla morsa della telecinesi, e lui atterrò elegantmente al suolo, con un sorrisone ad illuminargli il viso.
-Grandioso! Il primo uomo a volare!- si vantò, saltellando e battendo le mani come un bambino.
Risi liberamente: -Mi sembri Alice!-
-Ok, la cosa non deve sapersi, rovinerei la mia reputazione da ragazzo composto!- disse, con un’aria da cospiratore, guardandosi intorno con fare sospetto.
Beh, come prima manche di allenamento, l’avevo trovata piuttosto divertente. Non si era mostrata come l’avevo immaginata, ma mi piaceva decisamente di più così.
-Ma Edward..- lo chiamai poi, accigliandomi. –Oggi mi sono allenata solo io. Non dovresti fare anche tu qualcosa?-
Mi lanciò un sorrisetto sghembo,-Qualsiasi cosa io faccia, sarà sempre un allenamento per te.-
E poi, sparì.
Ah già, lui aveva la capacità di diventare invisibile.
Scrutai l’aria intorno a me, un sopracciglio alzato e voglia di sfida.
-Prova a trovarmi, Bella- La sua voce vibrò nell’aria, e mi voltai di scatto alle mie spalle.
-Ma tu ti sposti, mi dici come faccio a trovarti?- sibilai, irritata.
-Starò fermo, promesso. Ma tu trovami.- Feci un passo avanti, verso la sua voce, tentennante, poi proseguii piano piano.
-Edward?- chiamai, ma in risposta ricevetti solo una risata.
Due secondi dopo, urtai qualcosa, o meglio Edward, e due istanti dopo ancora mi ritrovai sulla sua groppa. Ci misi un po’ per rendermene conto.
-Mettimi giù!-esclamai, sclaciando per fargli mollare la presa dalle mie gambe e farmi scivolare a terra.
Edward rise ancora. –Innanzitutto, è quasi il crepuscolo, ed è ora di rientrare. E soprattutto, devo allenare il mio potere preferito..che non posso apprezzare con una polenta imbranata come te a piedi.-
Sbuffai. –Non sono lenta!
-Come no!- fece beffa Edward, ovviamente non sapeva che sapessi correre molto velocemente.-Prima ci abbiamo messo le ore perché continuavi ad inciampare!-
-Camminare è camminare, correre è molto meglio!- ribattei.
Edward voltò appena la testa, per mostrarmi il suo sorrisetto. –Sono pienamente d’accordo. –
Un istante dopo, stavamo sfrecciando a una velocità impensabile tra gli alberi, l’aria che sferzava i nostri visi, l’adrenalina nelle vene.
Edward si lasciò andare in un urlo entusiasta, e io non potei che ridere e comprendere quel suo sfogo. Correre per lui era una liberazione, proprio come per me: lo leggevo nei suoi pensieri, ma soprattutto lo dimostrava lui, come fuggiva rapido, sicuro, quasi spensierato, a zig zag nel bosco. Sembrava aspettasse quel momento da giorni, e ora potesse finalmente farlo. E magari era proprio così.
Pochi minuti, e raggiungemmo i dintorni di villa Cullen, e Edward cominciò a rallentare, fino a fermarsi per farmi scendere.
-Allora??
Mi guardai le unghie con nonchalance. –Non male.
Edward rise apertamente, quasi a prendermi in giro. –Non male?
-Sì. Io sono più veloce.- ribattei, con un ghigno di sfida.
Edward mi porse la mano. –La prossima volta, ti sfido ad una gara di corsa. Non accetto un rifiuto, se sei così sicura di te.-
Afferrai la sua mano, e la strinsi. –Accetto.
Ridendo, raggiungemmo il cortile, e lo trovammo vuoto.
Sono già rientrati tutti. Pensò Edward, tranquillamente.
Lo seguii fino alla portafinestra, ed entrammo.
-Allora, come ti è sembrato il primo allenamento?- mi chiese.
Sorrisi, -Mi è piaciuto. Sì.
Edward si battè una mano sul petto. –Sempre detto che il maestro fa la differenza!
Risi, -Caro, qui è tutta farina del mio sacco. Chi è che ti ha fatto volare?- lo beffeggiai, guardandolo con aria superiore.
Edward alzò le mani. –Okay, come vuoi.-
Ma ho ragione ioo!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=461467