Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Perché non rispondeva? Era tutto il giorno che la cercava.
Bailey posò la cornetta, amareggiata.
Era
tanto tempo che non sentiva Maddie, la sua migliore
amica, e le avrebbe fatto piacere parlarle. Da quando
si era trasferita nel Minnesota non si sentivano più
tanto spesso come avrebbe voluto… Maddie, con i suoi
genitori, era stata l’unica presenza costante nella sua vita, e adesso che non
c’era più Bailey si sentiva sola.
Sola e triste, perché significava che non aveva altri amici. Significava che non
aveva amato e non si era fatta amare abbastanza.
Per
una normale ragazza di dodici anni non era poi così grave.
Una
normale ragazza di dodici anni aveva una vita intera davanti per riparare ai
suoi errori.
Baileyno.
Assorta in questi pensieri, scese in cucina, dove trovò la
madre che preparava uno strano intruglio di verdure. Fece una smorfia.
L’odore non era dei migliori.
La
madre la notò e, con un velo di preoccupazione, le chiese: “Tutto bene,
tesoro?”
“Sì…
Cos’è quella roba, mamma?”domandò
scoccando alla pentola uno sguardo di diffidenza.
“Questa
non è roba, Bailey,
questo è un piatto sano che rinforza i muscoli e le ossa. Ti assicuro che è
molto meglio dei tuoi soliti hamburger” la rimproverò
la signora Graffman.
“Se lo dici tu…”
La
ragazza si appoggiò al tavolo con le mani e sollevò lievemente i piedi da
terra. Si sentì leggera. Non che non lo fosse: era molto
magra. E non perché mangiava poco.
“Bailey… sicura che vada tutto bene?” le chiese ancora la
madre, guardandola. “Sembri… triste. Che c’è? Sei riuscita a parlare con Madelaine?”
Bailey valutò per un istante l’idea di dire una bugia a sua madre.
No, non valeva la pena.
“Mmm… Veramente no. Non risponde
nessuno. Come al solito.”
La
madre la guardò apprensiva. Capiva quello che provava la figlia. O perlomeno,
lei ne era convinta.
“Prova
a chiamare più tardi. Saranno fuori. Sicura che non siano già
partiti?”
“Non
credo. Di solito vanno in vacanza a fine luglio. E comunque
non importa. Non dovevo dirle nulla di urgente” e
senza aspettare una risposta dalla madre, uscì dalla stanza.
Tornò in camera sua, aveva voglia di ascoltare un
po’ di musica. Non aveva uno stereo, di solito usava
il lettore cd portatile. Lo preferiva, perché quando ascoltava una canzone
voleva che quella canzone le appartenesse, voleva essere trasportata via dalla
melodia, ma da sola. Per questo non aveva bisogno di uno stereo.
Inserì
un vecchio cd dei Green Day e schiacciò il pulsante fino a quando non arrivò
alla sua canzone preferita.
Another
turning point
A
fork stuck in the road
Time
grabs you by the wrist…
Il
lettore si spense. Dovevano essersi scaricate le pile.
Bailey, seccata, scese di nuovo in cucina per dire alla madre che
andava al Wallman’s a comprare delle pile.
Una
volta fuori, si impose di non pensare a Maddie. Era una bella giornata di sole, poteva fare un
giretto per il quartiere, nonostante Bethesda non
fosse certo un panorama così piacevole.
Ma
era comunque meglio del Wallman’s,
constatò entrando nel supermercato pochi minuti dopo. Era come
entrare in un enorme frigorifero. Solo che i frigoriferi quando sono
chiusi sono completamente bui, mentre quello stanzone, con le pareti così
bianche e le luci al neon accecanti era decisamente
ben illuminato.
Bailey notò anche, come tutte le volte che vi entrava, che il Wallman’s somigliava terribilmente a
un ospedale. E di ospedali Bailey
ne aveva abbastanza.
Si
diresse verso il corridoio due, dove presupponeva si trovassero
le pile che cercava. Guardava avanti, ma non si rendeva bene conto di quello
che vedeva, poiché la sua mente, nonostante gli sforzi, tornava insistentemente
ai biipdel telefono di Maddie.
E fu proprio perché non vedeva dove andava che inciampò in una
piramide di deodoranti. Non riuscì a recuperare l’equilibrio, e cadde sul
freddo linoleum del supermercato perdendo conoscenza.
Bailey strizzò gli occhi. Era sdraiata. Le sembrava che qualcosa
sotto di lei si stesse muovendo. Aprì leggermente gli occhi, e vide una sagoma
verde spuntare sullo sfondo bianco. Sentiva che qualcuno le teneva la mano, e
la strinse.
Si
rese conto di essere su un’ambulanza.
Quando aprì definitivamente gli occhi, si accorse che la sagoma era
una ragazza di circa quattordici anni con capelli ricci e disordinati, con la
divisa di Wallman’s.
Sorpresa,
si girò e chiese a quello che sembrava essere un infermiere: “Perché questa qui
di Wallman’s mi tiene la mano?”
***
Bailey non si ricordava esattamente cosa fosse successo durante il
resto del tragitto, ma una volta arrivata in ospedale era stata portata in una
stanza privata, e poco dopo erano arrivati anche i
suoi genitori, preoccupati più che mai.
“Bailey, santo cielo, non sai che
spavento ci hai fatto prendere!” esclamò la madre abbracciandola. “Stai bene?
Hai male da qualche parte?”
“No…
Sto bene, mamma, non preoccuparti” rispose Bailey,
che non aveva le idee molto chiare su quello che era successo. Era caduta?
Dove?
In
quel momento un dottore entrò nella stanza.
“Salve,
sono il dottor Moore. Voi siete i signori Graffman?” chiese. Era un uomo di mezza età, con la faccia
un po’ rossa e due gran baffoni. A Bailey
venne in mente un personaggio di Futurama, quella specie di aragosta…
il dottor Qualcosa.
Il
padre rispose facendo un cenno affermativo con il capo, mentre la madre
continuava a guardare la ragazza apprensiva.
“Vostra
figlia non si è fatta praticamente nulla, ha solo
perso conoscenza per qualche minuto… Può tornare a casa anche subito” continuò
il dottore.
“è
sicuro che stia bene? Avete fatto tutte le analisi?”
insistette la signora Graffman.
“Non
si preoccupi, signora, le assicuro che è tutto
regolare. Ora vi lascio” e detto questo, uscì dalla
stanza.
***
Poche ore dopo, Bailey era
rientrata a casa con sua madre, mentre il padre era tornato al lavoro.
Era
stesa sul letto, intenta a fissare le foto sul comodino. Lei e i suoi genitori.
Lei e Maddie. Le foto ritraevano tutte
gli stessi soggetti.
Prima
che la ragazza potesse deprimersi ancora di più, il
campanello di casa suonò. Non sarebbe certo stato un evento così eccezionale,
se non fosse stato per il fatto che il campanello di
casa Graffman suonava esclusivamente se il padre
dimenticava le chiavi, fatto comunque molto raro.
Sentì
i passi della madre che si dirigevano verso la porta. Poi sentì una voce che
non riconobbe.
Pochi
secondi dopo, altri passi incerti salivano le scale e si dirigevano verso la
camera di Bailey. La porta socchiusa si aprì di
qualche centimetro, e ne sbucò una testa arruffata.
La
testa disse “Ehi, ciao” e avanzò di qualche passo, portandosi dietro il resto
del corpo. “Bè, sono Tibby…”
Bailey la riconobbe.
“Sei
la ragazza del supermercato” disse, alzandosi a sedere.
“Sì”.
Tibby si avvicinò ancora al letto e le porse un
portafoglio che Bailey conosceva. Era il suo.
“Mi
hai sfilato il portafoglio?” chiese strizzando gli occhi. Sapeva di non essere
simpatica. Ormai era una abitudine comportarsi così,
si divertiva quasi.
La
ragazza chiamata Tibby la guardò torva. “Non ti ho
sfilato il portafoglio. All’ospedale lo hanno usato per chiamare i tuoi
genitori e poi per sbaglio è rimasto a me. Eccolo, comunque”
e lo lanciò sul letto.
Bailey lo afferrò e guardò dentro, contando le banconote. “Secondo me avevo più di quattro dollari”
“Io
credo di no.”
“Perché li hai presi tu.”
Tibby sembrava incredula. “Stai scherzando? Credi davvero che ti avrei rubato i soldi e poi mi sarei fatta tutta questa
strada per venire qui a riportarti il tuo patetico portafoglio? Cos’altro c’è che vale la pena di restituire a parte i
soldi? Il tuo oroscopo? Rischiamo chissà che disgrazia se dimentichi il tuo
segno zodiacale?”
Bailey era sorpresa. Le piaceva la gente che diceva apertamente
quello che pensava, ma non credeva che Tibby fosse
una di quelle.
Ovviamente
questo non significava che adesso sarebbe stata più gentile.
“E
cosa c’è invece di importante nel tuo portafoglio? Una
patente per guidare la bici? Un tesserino di riconoscimento di Wallman’s?” ribattè, curandosi di
pronunciare Wallman’s con quanto più disprezzo
riusciva a fare.
Tibby la osservò strizzando gli occhi. “Quanti anni hai? Dieci?
Chi ti ha insegnato ad essere così tagliente?
Bailey la fissò arrabbiata. “Ne ho dodici.” disse
gelida. “Quanti anni hai tu? Tredici?”
In
quel momento la voce di sua madre arrivò dal piano di sotto. “Bailey! È ora di prendere la medicina! Vuoi mandare giù la
tua amica?”
“Certo”
gridò Bailey di rimando. Guardò Tibby
con aria divertita. “Ti dispiace?”
L’altra
scosse la testa. “Certo che no, visto come accetti i favori.”e uscì dalla stanza avviandosi giù per le scale.
Bailey aspettò che Tibby rientrasse, ansiosa
di riprendere la battaglia. Prese le pillole che le porgeva
la ragazza. “Allora hai mentito sull’età per avere il posto da Wallman’s? Il minimo non è quindici?”
L’altra
ragazza aveva assunto un sorriso falso. “Sì, è il minimo. E
in effetti ho quindici anni.”
Baileysi irritò. Perché
era tornata gentile? “Non li dimostri” disse, cercando di provocarla.
“Credo
di no” rispose piano Tibby.
Bailey capì. Aveva quasi voglia di piangere, e in
effetti gli occhi le si stavano inumidendo pericolosamente. “Te l’ha
detto, vero?”
“Mi
ha detto cosa?” chiese Tibbypraticamente
senza espressività.
“Che sono malata!” esclamò Bailey,
cercando di mantenere un’aria da dura.
“No”
mormorò l’altra, fissando il pavimento.
“Non
credevo che fossi una bugiarda” ribatté secca Bailey.
Tibby era chiaramente a disagio. “è meglio che io vada” disse in
un sussurro.
“Bene.
Esci di qui” disseBailey,
dura.
“Okay.
Ci vediamo” la salutò la ragazza, andando verso la
porta.
“Complimenti
per il grembiule” le sibilò Bailey alle spalle.
Non
ne era sicura, ma le sembrava di aver sentito un flebile
“Grazie” mentre Tibby usciva.
***
Hola! E così è andato anche il secondo
capitolo… ora… ringraziamenti!
Elychan: Sono
contenta che ti piaccia il personaggio di Bailey, ha
colpito molto anche me! Continua a recensire, eh! ^__^
Quella
sera, a cena, Bailey si sentiva stanca. Non aveva
voglia di mangiare. Aveva solo voglia di dormire.
A un certo punto la madre di Bailey
ruppe il silenzio. “Bailey, quella ragazza che è venuta
oggi… mi sembrava simpatica. Potreste uscire insieme qualche volta, no?”
Bailey non rispose subito. Non voleva pensare a Tibby.
Quel pomeriggio l’aveva delusa, nonostante si fossero conosciute per pochi
minuti. Aveva già catalogato Tibby nella lista
Persone Sincere, quando Puff! Bastava mettere in
mezzo la sua malattia e cambiava tutto. Non era certo la prima volta che
succedeva.
“Non
so, mamma… vedrò”
“Bè, a me sembrava una ragazza simpatica.”
Insistette la madre.
“Senti
mamma, non mi va di parlarne, okay?” disse scocciata Bailey,
alzandosi da tavola.
Salì
le scale di corsa, ma non andò in camera. Si diresse invece verso il bagno.
Piazzatasi
davanti allo specchio, Bailey si osservò
attentamente. Dimostrava dieci anni?
Forse
sì. D’altronde era piatta, bassina e molto magra. Non biasimava Tibby
per quello che le aveva detto. Neanche
sul fatto che era così tagliente. Ma era il suo
modo di mettere alla prova alla gente. Non sapeva neanche lei se lo faceva
perché era malata o no.
Tibby in questo era stata sincera.
Forse
sua madre aveva ragione.
Forse
lei e Tibbypotevano andare
d’accordo.
***
Il
girono dopo, prima di uscire, si preparò con cura.
Aveva intenzione di andare a trovare Tibby da Wallman’s,e voleva sembrare
più grande. Indossò dei pantaloni militari simili a quelli che avevaTibby il giorno prima, e
tracciò una linea di eye-liner nero sotto gli occhi.
Arrivata
davanti al supermercato, aspettò per circa cinque minuti
prima di decidere di entrare piuttosto che aspettare fuori.
Appena
la vide, Tibby esclamò “Che diavolo ci fai qui?” Era
chiaro che non si aspettava di rivederla.
“Pensavo
di concederti una seconda opportunità” disse Bailey
con naturalezza.
“In
che senso?”
Bailey roteò gli occhi, irritata. “Una seconda opportunità di
dimostrare che non sei una stronza”
“Chi
sarebbe la stronza qui?” esclamò arrabbiata Tibby.
Bailey sorrise. “Ehi, senti, ma quel grembiule è il tuo vestito per
tutte le occasioni?”
“Sì,
se vuoi te lo presto” rispose ironica Tibby.
“Nooo, è bruttino” ribattèBailey.
Inaspettatamente
l’altra scoppiò a ridere. “è ben foderato, ed è fatto di petrolio.” Si mise a impilare scatole di assorbenti interni.
“Carino.
Hai bisogno di una mano?” chiese Bailey.
“Stai
cercando un impiego da Wallman’s?
“No,
mi dispiace solo di aver distrutto quell’espositore
di deodoranti”
“Antitraspiranti”
precisò Tibby.
“Giusto”
disse Bailey, e cominciò ad accatastare le scatole di assorbenti. “Insomma, te lo levi ogni tanto quel
grembiule? O lo porti ventiquattr’ore
su ventiquattro?”
“Ti
dispiace lasciar perdere l’argomento?”
Bailey si sentiva bendisposta, e rispose “Okay, per un po”. Respinse una ciocca di
capelli biondi dagli occhi. “Quando finisci il turno,
posso offrirti un gelato o qualcos’altro? Sai, come ringraziamento per non
avermi rubato tutti i soldi.”
L’altra
esitò. “Certo, perché no?” disse infine.
“Grande”
esclamò Bailey “A che ora?”
“Finisco
alle quattro”
“Passo
a prenderti” propose Bailey, e si voltò per andare. “Ma sei carina con me solo perché ho il cancro?” chiese,
voltandosi indietro.
Tibby parve soppesare la domanda per qualche istante. Alzò le
spalle. “Credo di sì”
Bailey annuì “Okay”
Per
il momento andava bene così.
***
Ciao
a tutti!
Che dire… lo so che è una storia triste ma io l’ho trovata molto
bella!
Grazie
a tutti quelli che hanno letto, ma soprattutto aElychan!!!
Grazie mille!
Bailey era affascinata da ciò che Tibby
le stava raccontando davanti a un gelato al cioccolato
con biscotti. A quanto pare, aveva intenzione di
girare un piccolo documentario sulle persone che la colpivano o divertivano di
più. AncheBailey avrebbe
voluto farlo, ma non aveva nemmeno una videocamera!
Considerando
il modo in cui l’altra le parlava, Bailey
si chiese se Tibby non avesse altri amici con cui
passare il tempo.
“Ma
hai degli amici?” chiese a un certo punto.
“Sì”
rispose Tibby sulla difensiva, e cominciò a
raccontare delle sue fantastiche, meravigliose amiche. C’era Lena, bellissima e
molto timida, che stava passando le vacanze aOia, sull’isola di Santorini dove
erano nati i suoi genitori, poi c’era Carmen, per metà portoricana, che aveva
raggiunto suo padre in South Carolina per passare con
lui le vacanze, e infine Bridget, la biondissima
atleta che era ad un campo di calcio in Messico, a Baja
California.
Bailey ascoltò affascinata, fino a quando non fu il suo momento di
descrivere Maddie. Tralasciò il particolare che non
la vedeva da sei mesi e non la sentiva da due.
A un certo punto, Tibby guardò oltre
le spalle di Bailey e fece una faccia strana.
“Perché fai quella faccia?”
Tibby le lanciò un occhiata incandescente.
“Cosa intendi?”
“Così,
con tutte le guance risucchiate in dentro” rispose Bailey
esibendosi in un’imitazione esagerata.
La
ragazza avvampò violentemente. “Ti sbagli, non stavo facendo nulla”
Bailey seguì il suo sguardo, a capì cosa
aveva attirato l’attenzione dell’amica.Accanto al balcone, c’era un ragazzo di circa sedici anni.
“Ti
piace?”
Tibby esitò. “è okay” disse infine.
Bailey non era molto convinta. “Credi? Che cosa
ti piace di lui?”
“Che cosa mi piace di lui?”Tibby era un po’ irritata. “Guardalo”
Bailey lo fissò apertamente, sapendo di mettere Tibby
in imbarazzo. Il ragazzo non era granché, agli occhi di Bailey.
Aveva i capelli lucidi tenuti su con una quantità industriale di gel, e degli
orecchini luccicanti al lobo destro.
“Secondo
me ha l’aria stupida” sentenziò.
“Davvero?”
domandò Tibby, pur non essendo particolarmente
interessata al suo giudizio.
“Ma crede sul serio che quegli orecchini siano carini? E poi, insomma, guardagli i capelli. Quanti chili di gel ci ha messo?”
Tibby la guardò seccata. “Bè, non
offenderti Bailey, ma tu hai dodici anni. Non sei
nemmeno entrata nella pubertà. Perdonami dunque se non accetto il tuo esperto
parere sui ragazzi”
Bailey non era affatto offesa, anzi, si stava
divertendo. “Non mi offendo per nulla” assicurò. “Ti dirò una cosa. Prima o poi troverò un ragazzo che ne vale la pena, e tu mi
dirai se non sei d’accordo.”
“Bene”
concordò Tibby, anche se non particolarmente
entusiasta.
***
Quella
sera, Bailey prese una decisione. Le sarebbe piaciuto
molto girare un filmino come Tibby, ma visto che non aveva l’attrezzatura adatta, avrebbe aiutato
l’amica come assistente.
Che lei l’avesse voluta o no.
***
Il
mattino dopo, Bailey arrivò davanti a casa Rollins (aveva letto il cognome sul cartellino di Wallman’s di Tibby e aveva
cercato l‘indirizzo sull’elenco) e suonò il campanello.
Venne
ad aprire una donna di chiare origini latino-americane. Bailey
si presentò come un’amica di Tibby e chiese se poteva
salire. Mentre attraversava il corridoio, notò che una
bambina di circa un anno stava giocando sul divano con degli animali colorati
di plastica.
Pochi
secondi dopo era già nella camera della ragazza. “Ciao”
Tibby la guardò sorpresa. Non era entusiasta di vederla. “Bailey, ma cosa ci fai qui?”
Bailey si sedette sul letto disfatto. “Non riesco a non pensare al
tuo film. È un’idea fantastica. Voglio aiutarti.”
“Non
puoi. Non ho nemmeno cominciato” protestò l’altra.
“Quindi hai assolutamente bisogno d’aiuto” dedusse. “Sarò il
tuo cameraman, il tuo tecnico del suono, il tuo capo-elettricista… Il tuo uomo
tuttofare” concluse.
“Non
sembri esattamente un uomo” puntualizzò Tibby.
“Potrei
essere la tua assistente. Il tuo ufficio stampa. O una
portaborse”
“Grazie,
ma davvero non ho bisogno d’aiuto” ripeté Tibby.
Bailey si era rialzata e si era avvicinata a
una gabbietta di plastica contente un piccolo e cicciotto porcellino d’India.
“Chi è questo qui?” chiese.
“è
Mimì. Ce l’ho da quando
avevo sette anni” spiegò l’altra.
“è
tenera. Posso prenderla?”
Tibby la guardò, un po’ stupita. “Certo.”
Con
cautela, Bailey estrasse Mimì
dalla gabbietta, tenendola in una mano a cucchiaio. “Oh, com’è calda. Io non ho
nemmeno un animale.”
“Mimì non fa molto. È abbastanza vecchia e dorme un
mucchio.”
“Si
annoia lì dentro, secondo te?” chiese Bailey.
Tibby scrollò le spalle. “Non lo so. Credo che sia abbastanza
felice. Non credo che senta nostalgia della vita selvaggia.”
Bailey si sistemò su una sedia, sempre tenendo in mano Mimì. “Hai già deciso chi sarà il tuo prossimo
intervistato?” chiese.
“Probabilmente
Duncan, lo svitato di Wallman’s”
rispose vaga l’amica.
“In
che senso, svitato?”
“Mio
Dio, è che… è che parla un’altra lingua: “dirigentese”.
Si sente così importante… ed è ridicolo.”
“Ah”
commentò Bailey, grattando la pancia di Mimì.
“Poi
c’è una con delle unghie incredibili” continuò Tibby.
“E credo che anche Brianna
meriti qualche attimo di gloria per la sua pettinatura che sfida la forza
gravitazionale! Poi mi piacerebbe intervistare la donna che lavora al multisalaPavillion: sa recitare
intere scene di film, ma solo quelli idioti.”
Bailey era sempre più entusiasta. “Io ho sempre voluto fare un
documentario.”
“Perché non ne fai uno?” chiese Tibby.
“Non
ho la videocamera. Non so come fare. Mi piacerebbe davvero che tu mi
permettessi di aiutarti” disseBailey
con un sorriso angelico.
Tibby sospirò. “Stai cercando di farmi sentire in colpa perché hai
la leucemia, vero?”
“Sì.
Abbastanza.” Strinse a sé Mimì. “Senti,quella al piano di sotto era la tua
sorellina?”
Tibby annuì.
“Bella
differenza di età, eh?”
“Quattordici
anni. Ho anche un fratellino di due. Sta dormendo.”
“Uno
dei tuoi genitori si è risposato?”
“No.
I genitori sono gli stessi. Hanno sposato un nuovo stile di vita.”
Bailey era interessata. “Cosa intendi?”
“Bè, non saprei.” Tibby si lasciò
cadere sul letto. “Quando i miei genitori hanno avuto me, abitavamo in un
appartamento minuscolo sopra un ristorante della WisconsinAvenue e mio padre scriveva per un quotidiano
socialista mentre studiava legge. Poi, quando non ne ha potuto più di lavorare
come un pazzo come pubblico difensore, siamo andati a vivere in una roulotte su
due acri di terreno oltre Rockville, e mio padre ha
imparato le regole dell’agricoltura biologica, mentre mia madre scolpiva piedi.
Un’intera primavera l’abbiamo passata in tenda in Portogallo.”Tibby si guardò in giro. “Ora lo vedi, come viviamo.”
Baileysi incuriosì ancora. “Erano
giovani, quando hanno avuto te?”
“Diciannove
anni.”
“Una
specie di esperimento” commentò Bailey
cullando Mimì addormentata.
Tibby si girò a guardarla. “Credo di sì”
Bailey rifletté. “Poi sono diventati adulti e hanno voluto avere
figli sul serio.”
Tibby distolse lo sguardo da lei e Mimì.
Si era rattristata, forse. “Bè, devo uscire, tra
poco. È meglio che tu vada” disse.
Bailey decise di non insistere. Si alzò per rimettere Mimì nella gabbia e uscì.
Doveva
convincere Tibby che sarebbe stata un’ottima
assistente durante le riprese del suo film.
Per
questo si stava dirigendo al Seven-Eleven, per
convincere un ragazzo di nome Brian a farsi intervistare per il documentario di
Tibby. Sapeva che Brian era la persona più adatta.
Accelerò
il passo, felice come non lo era stata da molto tempo.
***
Mezz’ora
dopo, tornata a casa, chiamò Tibby.
“Ho
fissato la prima intervista per il nostro film” esclamò eccitata.
Tibby sbuffò nel ricevitore. “Il nostro film?”
“Scusa.
Il tuo film. Quello per cui ti do una mano.”
“Chi
ha detto che mi dai una mano?” chiese Tibby.
“Per
favore, per favore…” la supplicò Bailey.
“Dai,
Bailey. Ma non hai niente di
meglio da fare?”
Bailey non rispose subito. Decise di evitare la domanda. “Ho
fissato l’intervista per le quattro e mezza, dopo che esci dal lavoro” disse
invece. “Se vuoi posso fare un salto a casa tua a prendere la roba.”
“E chi dovremmo intervistare?” chiese ormai rassegnata Tibby.
“Quel
ragazzino che gioca sempre ai giochino elettronici al Seven-Eleven di fronte al Wallman’s.
Ha occupato tutti e dieci i primi posti della classifica del gioco più
difficile.”
“Effettivamente
suona disperato quanto basta” borbottò Tibby.
“Allora
ci vediamo più tardi?”
“Non
so ancora che ho progetti ho.”
Ovviamente
per Bailey era un sì.
***
Alle
quattro, quando Tibby finiva il turno, Bailey si fece trovare proprio davanti all’entrata del Wallman’s.
Aveva
in mano la telecamera e le altre attrezzature che aveva
preso a casa di Tibby poco prima. Loretta, la
domestica latinoamericana, l’aveva lasciata entrare senza problemi.
“Come
va?” chiese Bailey all’amica non appena la vide uscire.
“Sto
morendo di morte lenta” rispose quella, prima di sussultare rendendosi conto troppo tardi di quello che aveva detto.
Bailey invece non ci fece caso più di tanto. “Allora andiamo, non
c’è tempo da perdere!” esclamò, brandendo la telecamera.
***
Quando entrarono nel Seven-Eleven, Bailey si convinse ancor di più che aveva scelto la persona
giusta.
Probabilmente
se ne convinse anche Tibby, appena fatte le
presentazioni con Brian McBrian. Quel ragazzo era
davvero la caricatura del perdente: pelle chiarissima, ossuto,
sindrome del monosopracciglio, capelli unti
color cacca di cane, apparecchio per i denti muschiato e un modo di parlare a
sputacchio davvero disgustoso.
In
una parola, perfetto.
Bailey cominciò a montare le attrezzature, improvvisando una
giraffa per il microfono esterno, Brian iniziò a giocare a Dragon Master, come richiesto dalle intervistatrici, e Tibby prese a filmare.
Prima
di inquadrare Brian, voleva prendere il locale. Puntò la telecamera sul ragazzo
dietro al bancone che, neanche Tibby fosse stata una
reporter di 60 Minutes,
si coprì il viso con le mani. “Niente telecamere! Niente telecamere!” gridò.
Bailey scoppiò a ridere, proprio mentre Tibby
spostava l’inquadratura su di lei, per poi finire con un’inquadratura di spalle
di Brian. Poi interruppe, per iniziare le riprese vere e proprie.
“Pronto?”
chiese al ragazzo.
Lui
si voltò. Bailey sistemò meglio il microfono.
“Si
gira” annunciò Tibby.
Bailey notò che Brian non cambiò posizione o fece strane mosse come
fa di solito la gente inesperta davanti a una
telecamera. Rimase fermo, a fissare Tibby senza
battere ciglio.
“Dunque, Brian, sappiamo che sei un habituè
qui al Seven-Eleven” cominciò Tibby.
Bailey la ammirava per come riusciva a tenere ferma la telecamera, nonostante dietro di lei ci fosse una folla
di persone esagitate che discuteva per qualcosa, come d’altronde si fa sempre
nei bar.
Brian
annuì.
“Che
orari fai?”
“Bè, più o meno dall’una alle undici.”
“Ma perché, il negozio chiude alle undici?”
“No,
le undici sono il mio coprifuoco” spiegò lui.
“E durante l’anno scolastico?”
“Durante
l’anno vengo qui solo dalle tre alle cinque.”
Brian
indicò il parcheggio che si intravedeva oltre la
vetrina. “Un mucchio di gente passa la sua vita là
fuori” disse. Poi puntò il dito verso il videogioco: “Io vivo qui.”
Bailey vide che l’amica era interdetta dallo sguardo fermo di
Brian.
“Allora,
raccontaci di Dragon Master” continuò
Tibby.
“Ti
faccio vedere” disse lui infilando due monetine da un quarto di dollaro nella
fessura. “Il livello uno è la foresta. Siamo nel 436 d.C., l’anno della prima grande spedizione in cerca del Santo Graal.”
“Ci
sono in totale ventotto livelli, che vanno dal quinto
al venticinquesimo secolo d.C..
Soltanto una persona è riuscita finora ad arrivare al livello ventotto su questa macchina.”
“Tu?”
chiese Tibby.
“Sì,
io. Il 13 febbraio.”
A
Bailey venne da ridere. Si era segnato la data?
“Magari
oggi riesci a farcela di nuovo” disse Tibby.
“Possibile”
confermò Brian.
Bailey si sporse con Tibby oltre la
spalla del ragazzo per vedere l’alter ego virtuale di Brian, un enorme
guerriero muscoloso, radunare truppe di fedeli e una donna tutta curve perché
combattessero al suo fianco.
“Di
draghi non ne incontri neanche uno fino al livello sette”
spiegò.
Al livello quattro ci fu una battaglia navale. Al livello sei i
barbari diedero alla fiamme il villaggio di Brian e
lui riuscì a salvare donne e bambini. Bailey
osservava affascinata le mani di Brian muoversi con destrezza tra leve e
bottoni, mentre lui non abbassava mai gli occhi dallo schermo. Sentì uno scatto
alla sua destra, e si accorse che la telecamera di Tibby
si era spenta, ma l’amica non ci fece caso più di tanto.
Dopo
il lungo assedio di un castello medievale, Brian mise il gioco in pausa e si
voltò sul suo sgabello.
“Mi
sa che hai finito la batteria” disse a Tibby.
“Sì,
hai ragione” rispose lei. “Era la terza e non ne ho
più. Magari possiamo finire l’intervista più tardi.”
“Certo”
annuì Brian.
“Puoi
continuare a giocare, se vuoi” propose Tibby.
“D’accordo.”
Bailey comprò per sé e per Tibby una crostatina di frutta Hostess Snowball
e rimasero entrambe a guardare l’alter ego eroico di Brian superare
ventiquattro livelli prima di finire incenerito dalla vampata del drago.
Bailey passeggiava verso il Wallman’s di Tibby. Era
uscita un po’ prima del solito, perché aveva voglia di fare un giretto
da sola.
Pensava
alle amiche di Tibby. Era affascinata da loro… provò a immaginarsi una bella ragazza mora che dipingeva
tranquilla il mare della Grecia, Lena. E una ragazza dalla pelle scura e i
riccioli folti che si arrabbiava con la nuova
fidanzata del padre e i suoi figli biondi e silenziosi che la guardavano
perplessi, Carmen. E, infine, quella che la
affascinava di più, una ragazza biondissima che giocava a calcio lanciando
occhiate languide al suo bell’allenatore messicano, Bridget.
Si
chiese se conoscendole di persona sarebbe rimasta delusa, e sorrise tra sé.
Magari Lena non era tanto bella, Carmen non era così cattiva e Bridget non era tanto bionda. Poteva anche essere che Tibby avesse esagerato nel descriverle per impressionarla. O magari lei le vedeva proprio così, perché erano le sue
migliori amiche e per lei erano perfette.
Bailey sospirò. Tibby si rendeva conto di
essere incredibilmente fortunata?
Bailey ammise a sé stessa che un po’ la invidiava. Era sempre piena
di progetti grandiosi, aveva tre grandi amiche con cui aveva
un rapporto anche più che fraterno, cosa provata dai Pantaloni.
Già,
i Pantaloni. Erano i jeans di cui le parlava in
continuazione. Tibby le aveva raccontato che, l’ultimo giorno prima che le amiche partissero, aveva
trovato dei blue jeans in fondo all’armadio di Carmen e aveva insistito per
provarli. Le amiche l’avevano guardata ammirata. Lei, la timida pallida Tibby, con quei jeans stava
benissimo. Le andavano un po’ sotto i piedi, ma pazienza. Allora aveva proposto
che li provasse anche Bridget, la più alta. Ancora
una volta, i pantaloni si adattavano perfettamente alle gambe forti e muscolose
di Bridget. Allora li provò anche Lena. Lena stava
bene con qualsiasi cosa, le aveva dettoTibby, ma quei pantaloni erano incantevoli su di lei.
Mancava solo Carmen. Lei non voleva provarli, convinta che non le sarebbero andati,
perché era decisamente la più voluttuosa delle
quattro, con il tipico fisico delle portoricane. Ma i
pantaloni non avevano trovato resistenza sulle cosce, e avevano avvolto
perfettamente il corpo morbido di Carmen. Se i jeans
andavano bene a tutte e quattro avevano qualcosa di magico, aveva detto. E così erano nati i Pantaloni Viaggianti.
Se li sarebbero tenuti a turno, ogni settimana circa. Bailey
era curiosa di vederli addosso a Tibby.
***
Bailey entrò nel Wallman’s e individuò subito Tibby che attaccava
i prezzi sulle confezioni di matite colorate.
“Pantaloni
da paura” commentò Bailey, vedendo l’amica. Erano
quelli i famosi jeans?
“Questi
sono i Pantaloni” disse Tibby orgogliosa.
Bailey ora capiva perché li riteneva magici. Per quanto ammirasse Tibby, doveva ammettere che i pantaloni che indossava di
solito la rendevano simile a tutto fuorché a una
ragazza… ma quei jeans le stavano proprio bene, la rendevano più femminile.
“Ti
stanno benissimo” disse ammirata.
“Dovresti
vederli sulle mie amiche” rispose Tibby.
“è
già successo qualcosa con i jeans?” chiese Bailey. Ormai anche lei si era convinta del fatto che
fossero magici.
“Bè, sì e no. Un ragazzo ha visto
Lena nuda e il nonno di lei ha cercato di prenderlo a
pugni” disse l’amica con un sorrisetto. “Se tu
conoscessi Lena, sapresti che per lei è un bel problema.”
Bailey rifletté. “Lena è quella che sta in Grecia.”
“Esatto”
“Bridget li ha già avuti?” domandò curiosa.
“No,
la prossima è Carmen. Poi tocca a Bridget.”
“Vorrei
sapere cosa ci farà lei” meditò Bailey.
“Qualche
follia” scherzò Tibby. Ma
poi parve esitare.
Bailey osservò il suo viso. “Sei preoccupata per Bridget, vero?”
L’amica
era pensierosa. “Forse” considerò lentamente. “Forse lo siamo tutte un
pochino.”
“Per
sua madre?” chiese Bailey. Tibby
le aveva raccontato che la madre di Bridget era morta
pochi anni prima, e Bridget
era rimasta a vivere con il fratello gemello e il padre. Praticamente
viveva da sola, aveva detto Tibby.
“Sì.
Soprattutto per quello.”
“Era
malata?” domandò Bailey. Tibby
non le aveva detto in che circostanze era morta.
“No…
non fisicamente, perlomeno. Aveva… una brutta depressione.”
“Ah”
disse Bailey. Capì che era meglio cambiare argomento.
“Insomma… e a te è già successo qualcosa da quando hai i Pantaloni?”
“Ho
rovesciato una Sprite e Duncan
mi ha accusato di tenermi gli scontrini.”
Bailey sorrise. “Ossia?”
“Ho
dimenticato di dare lo scontrino a una cliente” spiegò
l’altra.
“Ah”
commentò Bailey. “Brutto” scherzò.
“Allora,
sei pronta ad andare al Pavillion?” chiese Tibby.
“Certo.
Ho portato la roba e caricato tutte le batterie.”Bailey aveva preso l’abitudine di passare a casa di Tibby per lavorare sul film mentre lei non c’era. Tibby le aveva spiegato le cose principali, tipo come
aggiungere la colonna sonora e montare le varie riprese, e ormai Loretta la lasciava sempre entrare.
“Bene.
Andiamo!” esclamòTibby.
***
Quando
arrivarono al PavillionMargaret,
la donna che dovevano intervistare, stava ancora lavorando alla cassa, per cui dovettero aspettare qualche minuto.
Entrate
nell’atrio del cinema, Bailey riconobbe il ragazzo per cuiTibby aveva una cotta. Thomas, o qualcosa del genere. AncheTibby lo vide, a giudicare dalla sua espressione
sognante.
“Ma cosa ci trovi in quello lì?” esclamò Bailey.
“Niente,
a parte il fatto che è uno dei ragazzi più belli che
io abbia mai visto” rispose Tibby aspra.
Il
ragazzo le notò, e si diresse verso di loro. “Ehi, Tibby.
Come te la passi?”
Tibby ci mise un attimo a capire quale doveva essere la risposta. “Bene”
disse rigida.
A
Bailey venne da ridere. L’amica era piuttosto
ridicola in quel momento.
“Lavori
da Wallman’s?” chiese ancora il ragazzo. Uno dei suoi
amici scemi ghignò.
“No,
porta quel grembiule solo perché è stupendo” intervenne Bailey,
senza riuscire a trattenersi.
Tibby sussultò. “Ci vediamo” disse rivolta al ragazzo e ai suoi
amici, e trasportò l’amica fuori dal cinema. “Bailey, tieni la bocca chiusa, ti spiace?” disse
arrabbiata.
“Perché dovrei?” ribatté Bailey.
In
quel momento, apparve Margaret. “Ragazze, ci siete?”
Bailey lanciò un’occhiataccia a Tibby, e
quella rispose “Sì, siamo pronte”
Qualche minuto più tardi, l’intervista era cominciata. Margaret sedeva su uno sgabello davanti a
una parete con il poster di Ragazze a
Beverly Hills.
“Margaret, da quanto tempo lavori qui?” domandò Tibby.
“Bè, vediamo…” la donna ci pensò su. “Doveva essere il 1971”
“Quanti
film credi di aver visto?”
“Più
di diecimila, direi”
“E il tuo preferito?”
“Non
saprei, veramente. Sono così tanti! Questo lo adoro”
disse indicando il poster alle sue spalle. “E anche Fiori d’acciaio è uno dei miei
preferiti”
“è
vero che sai recitare scene intere?”
Margaret arrossì. “Certo. Bè,
non voglio esagerare. Riesco a ricordare solo qualche parte. In questo momento
ce n’è una davvero carina di Sandra Bullock. Volete sentirla?” propose entusiasta.
A
Bailey venne un’idea. “Possiamo guardare un film
insieme?
“Vuoi
dire se possiamo entrare e guardarne uno ora? Tutte e
tre insieme?” chiese la donna stupita.
“Esatto”
confermò la ragazza.
Margaret fece un gran sorriso. “Sì, credo che possiamo. Ce n’è uno davvero carino che sta iniziando in
sala quattro.”
Entrarono
nella sala.
“Di
solito io sto in piedi in fondo” disse la donna. “Ma
questi posti sono davvero carini, non vi pare?”
Si
sedettero in tre posti vicini. Durante tutta la commedia, Margaret
si girò a guardare le ragazze così tante volte che sia Tibby
che Bailey si chiesero quanti di quei diecimila film
avesse visto in compagnia di qualcuno.
Aveva
preso un impegno con Tibby, e di certo l’avrebbe
mantenuto, ma non sapeva come se la sarebbe cavata.
Mentre si dirigeva verso casa dell’amica, si chiese come si sarebbe
comportata Tibby. Diretta e naturale? O timida e impacciata?
Sperava
di non averla messa in difficoltà con quell’idea,
sapeva che Tibby era meno sicura di quello che voleva
dimostrare. Bè, entro poco l’avrebbe scoperto.
***
Afferrò
una sedia, posizionandola accanto alla gabbia di Mimì. “Io mi siedo qui” affermò.
Tibbyguardò lei poi la gabbia “Maledizione”
esclamò.
“Cosa?” domandò Bailey.
“Ieri
mi sono completamente dimenticata di darle da mangiare!” rispose la ragazza
afferrando il pacchetto di semini.
“Posso
farlo io?” propose Bailey.
Tibby la guardò sorpresa “Certo”.
Baileyne approfittò per coccolare il
porcellino d’India, e quando ebbe finito si sedette al suo posto.
L’amica
la guardò titubante. “Pronta?”
Bailey trasse un respiro profondo. “Credo di sì.”
All’improvviso
si ricordò di una cosa. “Aspetta!”
“Che c’è?” disse Tibby seccata.
“Posso… Posso mettermi i Pantaloni?”
“I
Pantaloni?” chiese l’altra stupita.
“Sì,
posso prenderli in prestito?”
“Dubito
che siano della tua misura.”
Bailey fece spallucce. “Non importa. Posso provarli? Non li terrai
ancora molto, giusto?”
Tibby acconsentì, ma non era particolarmente entusiasta.
“Ecco”disse, e glieli passò.
Bailey li indossò, e finalmente fu pronta. Erano grandi per lei, ma
andava bene così.
Si
sedette di nuovo, e l’amica accese la telecamera. “Allora, raccontami
qualcosa.”
Bailey si sistemò meglio sulla sedia. Tibby
sembrava sicura di sé, ma lei sapeva che era solo un modo per nascondere quello
che provava. “Fammi una domanda” la sfidò.
“Di
cosa hai paura?” chiese la ragazza senza esitazioni.
Bailey dovette rifletterci. Non se lo era mai chiesta. “Credo… del
tempo. Ho paura del tempo” disse infine risoluta.
“Insomma, ho paura di non averne abbastanza. Non abbastanza per
capire la gente, come sono davvero, o di essere capita a mia volta. Ho paura
dei giudizi prematuri e degli errori di valutazione dovuti alla fretta. Non
puoi correggerli, se non hai abbastanza tempo. Ho paura di… vedere solo i
trailer e non i film.”
Tibby la guardava incredula.
“Cosa c’è?” chiese Bailey.
“Niente.
È solo che mi sorprendi ogni giorno.”
Bailey sorrise, divertita. “Mi piace che tu ti lasci sorprendere.”
***
Il
giorno dopo,Bailey
era diretta come sempre al Wallman’s. Era in largo anticipo, così decise di sedersi nelle
panchine del retro. Notò che c’era un’altra persona, una donna. Singhiozzava.
La ragazza si avvicinò, e riconobbe Angela, la commessa del supermercato.
Si
sedette accanto a lei, e disse, dolcemente: “Qualcosa non va?”
“Sì”
rispose la donna tirando su con il naso. “Sì, non ti preoccupare.”
“Sei…
sicura?” domandò ancora Bailey, titubante.
“Sì…
è solo che… quell’idiota del mio ex marito! Vuole farmi
causa perché ritiene gli debba dei soldi!” esclamò
Angela arrabbiata.
La
ragazza si ritrasse. Non si aspettava una reazione del genere! Angela sembrava davvero
distrutta, e Bailey si sentì in dovere di fare
qualcosa per aiutarla.
“Vuoi
parlarne?” propose.
Angela
non sembrava molto convinta, quindi aggiunse “Magari davanti a
una coppa di gelato? Offro io.”
La
donna la guardò, riconoscente. “Mi piacerebbe molto, grazie. Ma
non vorrei annoiarti”
Bailey le sorrise “Non c’è problema, davvero”
Angela
esitò ancora un attimo. “Okay, d’accordo!” disse infine.
La
ragazza le tese una mano per alzarsi e, insieme, si incamminarono
verso la gelateria.