Il peggior incubo, il miglior sogno di Lovy91 (/viewuser.php?uid=71277)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** "Non voglio morire!" ***
Capitolo 2: *** Quegli straordinari occhi verdi ***
Capitolo 3: *** "Ho paura" ***
Capitolo 4: *** Una notte col vampiro ***
Capitolo 5: *** Un racconto da Damien ***
Capitolo 6: *** AVVISO! ***
Capitolo 7: *** Note amare ***
Capitolo 1 *** "Non voglio morire!" ***
Nota= Il punto di vista principale è quello di Rebecca e Damien!
Prefazione
“Il destino va schifo spesso. A volte
è fantastico. E raramente è entrambe le cose. Il mio, era una rarità.
Un'arma a doppio taglio con cui si divertiva a vedermi piangere,
sorridere, piangere e sorridere.
Guardare i miei incubi e i miei sogni
come uno spettatore del cinema. Guardare i miei cambiamenti interiori,
modellandoli e scoprendosi fiero del suo potere su di me, a cui io non
posso oppormi. Il suo non è un dono, no. Lo lascia decidere a me.
Cosa mi era successo? Semplice: ho
scoperto che i vampiri esistono. Il peggiore incubo, il miglior sogno.
Un incantato e crudele mondo che ti trascina in un vortice a cui non
puoi dire addio. Voglio fuggire, voglio restare. Non lo so neanche io.
Ma per Damien, resterò e tremerò. Anche se lui mi ucciderà ma almeno
potrò dire di aver sognato e aver provato paura per davvero...”
Capitolo 1
“Non voglio morire!”
Rebecca
<< Due parole >>, disse Elene, china su un cruciverba per
metà lasciato in bianco. Elene è appassionata di cruciverba grazie alla
sua casalinga madre. Anche se mi chiedevo spesso come si potesse
definire una donna “casalinga” senza che facesse sul serio le faccende
domestiche. I misteri della vita.
<< Elene, siamo da ieri che cerchiamo di concludere questo
cruciverba. Anzi, mi correggo: tu, stai cercando di finirlo e costringi
me e Amanda a rispondere >>, dissi e lei mi fece una smorfia.
Amanda alzò lo sguardo dalla sua rivista di gossip. << Ho sentito
il mio nome? >>.
Alzai gli occhi al cielo e mi concentrai sul mio frullato al
cioccolato. << Senti le voci >>.
Fece spallucce e tornò alla sua rivista, impegnata a scoprire con chi
se la facesse l'attore di turno.
Presi un sorso del mio frullato, leggendo il libro di storia nella
speranza di ricordare qualcosa per il compito di Lunedì. Certo, potevo
studiare il pomeriggio ma erano due settimane che studiavo senza
fermarmi, divisa tra i libri e il piano che amavo e non avrei lasciato
neanche per la fine del mondo. Amanda e Elene (Eleonore, ma lei
preferiva essere chiamata così. Pur di far incavolare suo padre, si
tingerebbe i capelli di rosso) avevano insistito perché io andassi con
loro a una festa fantastica in un locale poco dopo la East Side. Come
potevo dire di no a una serata tutto ballo e luci luccicanti? No, non
potevo. Avevo fatto venire le crisi a mio padre per lasciarmi andare,
temeva per me. Ma ho sedici anni e mezzo, tra cinque mesi ne ho
diciassette, non sono una bambina. Spesso mi chiedevo io stessa se lo
ero mai stata.
Sospirai, cercando di ricacciare il pensiero della mamma nell'angolino
buio della mia mente dove lo avevo relegato e ripescavo il giorno del
suo compleanno, del mio e del giorno della sua morte e come tale lì
doveva restare.
<< Rebecca, smetti di pensare >>, disse distrattamente
Elene, scartando la verdura che non voleva e gettandolo in un bidone
vicino. A volte mi sorgeva il dubbio che stesse diventando anoressica.
Conoscevano la mia espressione quando pensavo alla parola “mamma” e
fermavano il flusso di pensieri prima che fosse troppo tardi.
Crollare nella mensa scolastica di una scuola privata non era proprio
il caso.
Sono tutti snob e non aspettano altro che un passo falso per farti
divenire la barzelletta della scuola. Inoltre, io ero la “poveraccia”
ed ero già oggetto di scherno perché mio padre non era un impresario ma
un semplice poliziotto di New York, nella West Side. Trovato che fare
il poliziotto lì era più nobile che contrattare con i giapponesi di una
nuova marca di qualsiasi cosa. Ma quegli idioti non ci arrivavano.
Amanda e Elene erano diverse. Cioè, la moda e i soldi erano il loro
argomenti centrali e quando non c'era niente da dirsi passavano agli
smalti. Ma non mi avevano mai fatto pesare il mio budget né che non
fossi vestita firmata e mi avevano accolta con calore, le uniche due.
Mi era andata favolosamente e mi stava benissimo. Erano superficiali ma
simpatiche e leali. Il genere di amicizia che io ho sempre cercato e
alla scuola pubblica non ho mai trovato. O forse non l'ho mai cercata,
non lo so.
Amanda si alzò dalla sedia, tirandola indietro e lo stridio venne
inghiottito dai rumori dei commensali.
<< Vado a ritoccarmi il trucco. Chi viene con me? >>.
Mi alzai. << Vengo io. Io però devo andare la bagno >>, ci
tenni a precisare e Amanda sospirò, arresa. Fosse stato per loro, sarei
diventata una Barbie a disposizione di quelle due. Chissà quando, mi
avrebbero acchiappata e truccata come volevano. Cosa c'era di così
brutto in un semplice ombretto e lucidalabbra?
Misi da parte il libro di storia che mi ordinava di chiudersi e lo
cacciai nella borsa marrone che usavo da due anni.
Il pavimento di marmo produceva un rumore che mi piaceva tantissimo
sotto le nostre scarpe nere e con il tacco di tre centimetri,
obbligatorio per le ragazze. Il bagno più vicino era a poco più di
mezzo metro dalla mensa, al piano terra. La scuola era formata da tre
piano larghissimi.
Amanda spinse la porta con la spalla e vi entrò e io la seguii. Si
piazzò davanti allo specchio, poggiando sul bancone color sabbia e
pulito tanto da specchiarcisi, la borsetta dorata contente i trucchi.
Si passò una mano tra i corti capelli biondi e si lamentò.
<< Devo cambiare shampoo >>.
Io non le risposi ed entrai nel cubicolo vicino alla porta. Non c'era
nessuna nel bagno e ne ero felice. Non dovevo sopportare le loro
risatine affettate ogni volte che mi guardavano. Quando uscii,
riallacciandomi la gonna, Amanda era ancora lì a passarsi il fard per
dare un po' di colore a quella pelle bianca che si ritrovava.
Io misi le mani sotto un getto di acqua fredda e le scossi per togliere
le prime gocce d'acqua e le asciugai con la carta raffinata del bagno
scolastico. Lì tutto era raffinato come se incappassero in una
punizione in caso contrario.
Mi guardai allo specchio per constatare che ero sistemata. Non ero
fissata come lei mie amiche però non ci tenevo a sembrare una mezza
sconvolta (anche se dopo tre ore, lo ero abbastanza).
I miei capelli lisci e castano scuro erano sistemati, avrebbero retto
fino a casa. L'ombretto marrone era quasi a posto ed evidenziava i miei
occhi azzurri con il contorno blu, come quelli di mio nonno paterno. La
divisa della scuola evidenziava il mio fisico: una semplice camicetta
bianca, una giacchetta rossa e una gonna plissettata anch'essa rossa e
con in bordi dorati.
Non ero bella come Amanda o Elene, però non ero da buttare anche se
doveva ammettere una scarsa fiducia in me, Rebecca Clare Walker. Non
ero una timida, introversa, ero semplicemente me. Rebecca.
Mio padre non si capacitava del mio modo di essere però lasciava
correre. Dalla morte della mamma, lasciava sempre correre. Praticamente
negli ultimi quindici anni.
La campanella suonò e la mia amica sbuffò, chiudendo la borsetta
frettolosamente.
<< La Lopez mi dirà le stesse parole di ogni volta: “Amanda
devi impegnarti!” >>.
<< Non ha tutti i torti >>, mi trovai d'accordo con
l'insegnante. La scuola non era il forte di Amanda, studiava quanto
bastava a essere promossa. Io ero una secchiona e grazie a me aveva la B in matematica.
Ritrovammo Elene all'uscita dal bagno e ci salutò con un pigro e stanco
gesto della mano e ci affiancò per andare a chimica, una delle poche
lezioni che seguivamo assieme. Non era un problema, ci vedevano tutti i
giorni, tranne quando dovevamo studiare. Non mi piaceva studiare in
gruppo, mi distraeva.
In poche parole, trascorse le fantastiche due ore di scuola sarei
tornata a casa, mi sarei preparata, sarei andata a fare shopping
frenato fino alla sera, un altro giro a casa e poi a ballare! Meglio di
così...
Il locale era pieno di gente. I ragazzi in pista erano tutti intenti a
provarci con le ragazze e alcune parevano gradire, per niente
infastidite. I corpi che ballavano al ritmo di quella musica
orecchiabile mi facevano venire voglia di lanciarmi in pista anche io.
Ma i piedi mi dolevano un sacco dopo aver ballato con Elene e Amanda
per un'ora fino a quando i piedi non avevano gridato pietà e un po' di
pausa. Non che le mie amiche erano messe meglio.
Sedute al bancone, bevevamo un cocktail analcolico. Elene guardava
mordendosi il labbro quelle bibite colorate dentro le bottiglie di
vetro rilucente alla luce del locale. Tutti gli adolescenti provano
l'alcool in qualche modo ed è peggio: sai quanto è buono e sai di non
poterne toccare se non a qualche festa di punch corretto pesantemente.
Io ne avevo bevuto un bicchiere e mi era bastato per non toccarlo mai
più. Ma per lei mie migliori amiche era un'attrazione irresistibile e
io scuotevo la testa sorridendo e sorseggiando il mio mix di frutti
dolcissimi e battendo la mano sulla gamba a tempo di musica.
Durante le danze qualche ragazzo ci aveva provato ma io, i tipi che si
credono degli dei, non li sopporto e preferisco lasciarli perdere e
rimanere con lei mie amiche a divertirmi.
La bevanda sparì e io mi leccai le labbra. << Ottimo. Com'era il
vostro? >>.
<< Una squisitezza! >>, mi rispose Elene, torcendosi in un
dito i capelli neri e lisci, acconcianti con la piastra. << Ma
devo dire che quello di Amanda era molto più buono >>.
Amanda annuì. << Sublime >>.
Ridemmo e ci lasciammo andare a chiacchiere, ridendo delle tipe troppo
truccate o veramente brutte o dei ragazzi che venivano scartati uno
dopo l'altro.
Quel pomeriggio, durante lo shopping, Elene aveva lanciato uno strillo
che ci aveva fatto cadere tutti i pacchetti e le buste sul marciapiede
ma la perdonammo una volta visto il motivo di quelle urla.
E così, ora, indossavamo lo stesso vestito ma di colore differente. Non
l'avevamo mai fatto ma le cavolate con le amiche sono insuperabili. Era
adatto alla discoteca, di un tessuto lucido e stretto in vita, appena
sopra il ginocchio. Il mio era bordeaux, quello di Elene blu notte e
quello di Amanda dorato. Gli stivali erano simili, neri e i nostri
preferiti.
La serata promettevano bene finché non arrivò una chiamata di mio padre.
<< Rebecca, dove sei? >>.
<< In un locale, te l'ho detto! >>, strillai per farmi
sentire da lui.
Fui costretta a uscire dal posto per capire qualche parola. La musica e
le voci divennero sempre più attutite, come se fossero in un'altra
stanza. Sparirono quasi del tutto quando mi appoggiai a una ringhiera a
circa dieci metri di distanza, uscendo da una porta secondaria.
<< Torno tra un paio di ore! Ho la macchina! >>.
<< Un'ora >>.
<< Un'ora e mezza >>.
<< D'accordo, Rebby >>, si arrese. << Ma stai
attenta. I ragazzi mettono le mani addosso in quei posti >>.
Arrossii un poco e dopo un breve saluto riattaccai. Mi ravvivai i
capelli, pronta per ballare ancora e divertirmi quando mi fermai.
<< Bellissima! >>, urlò una voce impastata.
Mi voltai e mi pentii di averlo fatto. Un ragazzo si stava avvicinando
a me. Lo riconobbi come uno che avevo rifiutato in pista.
Era abbastanza vicino da me e notai la faccia arrossata e il sorriso a
metà sul volto. Era ubriaco. Quindi doveva avere ventuno anni o sopra
lì.
Camminai per rientrare, un po' spaventata. Non si sai mai cosa possa
fare un ragazzo ubriaco, in particolare se lo hai rifiutato due ore
prima. Inoltre faceva un freddo che mi faceva i brividi, ero uscita
frettolosamente e senza giacca.
La sua mano mi fermò ancora, sul mio braccio. << Dove vai?
>>.
Lo strattonai. << Lasciami! >>, dissi con forza. Poi mi
allontanai ancora e quando giunsi alla porta mi attaccò contro il muro.
Potevo strillare e nessuno mi avrebbe sentita.
Doveva mantenere la lucidità e ragionare.
“Pensa a cosa ti ha insegnato tuo
padre a otto anni”, mi dissi e tesi il palmo della mano e lo
spiaccicai sulla base nel naso. Mugolò e mi lasciò andare, una mano sul
naso gocciolante di sangue. Io presi a correre, gesto dettato dal
panico quanto stupido. Dovevo rientrare, invece di fuggire. Pensai e mi
ricordai che l'ingresso non era lontano. Il buttafuori poteva aiutarmi.
Correvo e i miei passi echeggiavano ovunque, nel silenzio dei vicoli
che mi separavano dalla mia meta. Ero sicura di avercela fatta quando
mi accorsi che quel maledetto era riuscito a seguirmi. Il naso non
sanguinava più e la sua faccia era aggressiva.
Ero morta di paura. La borsa mi cadde di mano e si abbandonò sul
selciato sporco. Arretrai e deglutii.
Avevo sbagliato tutto. Avrei dovuto rientrare e basta. Metterlo al suo
posto con due parole e stop. Usare il telefono, gridare. Tutto quello
che mi aveva insegnato mio padre si era rivelato inutile. A che serve
essere la figlia di un poliziotto allora?!
Il ragazzo si era avvicinato e un alito di birra e vino mi arrivò
all'olfatto e storsi il naso.
<< Sei così bella... >>, disse con fare mieloso.
<< Non toccarmi. Mio padre è un poliziotto! >>, lo
minacciai.
<< Oh, quante storie per un bacetto >>, disse e io mi
ritrovai ancora contro il muro. La sua mano sul mio viso e io cominciai
a piangere, temendo quello che poteva accadermi. Ero stupida, ma non
fino a quel punto. Ero indifesa e dovevo ammetterlo a me stessa. La
paura mi dominava tanto da essere sicura di essere fatta di essa.
Cercai di scacciare le sue mani inutilmente e mi strinse i fianchi con
fare possessivo.
E poi... la mia vita cambiò.
Fu un attimo. Uno solo.
Il mio aggressore era steso a terra, rantolante. Io gli occhi
spalancati, il respiro mozzo, il battere del mio cuore a livelli
minimi, rischiando un collasso. Non riuscivo a urlare, a muovermi. Ero
diventata di ghiaccio.
Il mio aggressore era morto. Non in un attimo, no. Lentamente, sotto i
miei occhi.
Da cosa?
Da un altro ragazzo. Chino su di lui, la bocca alla gola, non la
staccava come se ne avesse bisogno. E poi capii perché, compresi e
vorrei non averlo mai fatto.
Damien
La città sotto i miei occhi sembrava viva, pulsante. E non era mai
cambiata.
Fissare New York da un grattacielo è uno spettacolo, seduto sul tetto,
la notte. Ovviamente non tutti hanno tale coraggio.
Guardai l'orologio che avevo al polso, vecchio di dieci anni. Era
arrivato il momento di cambiarlo.
Mezzanotte. Era ora di andarmene via da lì, non volevo passare tutta la
notte su quel tetto.
Guardai sotto di me e stavo calcolando la distanza della caduta e poi,
mi lanciai. Atterrai senza problemi, un salto leggero come sempre.
Invisibile. Dovevo essere invisibile
Camminando cominciai ad avvertire una sensazione che conoscevo troppo
bene. Mi portai le mani alla gola e storsi il viso. << No, fa che
non sia come penso >>.
Invece lo era. E per quanto desiderassi che non lo fosse, dovevo cedere
o altro lo avrebbe fatto per me.
Come spesso mi accadeva, mi pareva di divenire ancora meno... notabile.
Come se quella sensazione mi rendesse inavvicinabile. Quanto aveva
ragione l'istinto umano. Certo, devo dire che gli umani sono creature
che passano la vita desiderando di migliorare, di essere migliori degli
altri. Di vivere felici e non ci riescono mai. Non sono mai felici, mai
contenti. Altrimenti non sarebbero umani.
Non lo odiavo. A volte mi facevano pena per quella vita che si
costruivano e che tanto alla morte perdevano.
Io non conoscevo la morte e mai l'avrei conosciuta, perciò non potevo
parlare per esperienza. Più o meno...
Avevo percorso già cinquanta metri e alle mie orecchie giunsero passi.
Passi nervosi. Colsi una nota di panico. E altri passi, lamenti di un
naso rotto.
Curioso, mi avvicinai per capire cosa stesse succedendo. Sbuffai.
Un umano se la stava prendendo con una giovane umana, forse diciotto
anni. Gli umani sanno essere malvagi.
Lei era carina, dovevo ammetterlo anche se le ragazze umane non le
guardavo. Lui il classico idiota che crede di poter avere tutte le
ragazze del mondo. Glielo leggevo in faccia.
Era impregnato di alcool il suo fiato, lo avvertivo.
L'umana non mi interessava e stavo per andarmene quando l'odore arrivò
alle mie narici. Il naso sanguinante aveva lasciate tracce di sangue
per la via ed erano... deliziose. Guardai l'umano che intanto aveva
messo le mani sulla ragazza.
Se avessi fatto quello che avevo in mente, dovevo uccidere anche lei.
Forse era meglio lasciar perdere: probabilmente sarebbe morta lo stesso
ma meglio lui che per mano mia.
Ma non ci riuscivo. Era troppo tardi. Mi dispiaceva per la ragazzina,
però. Sperai non fosse figlia unica.
Strisciai lungo la parete, osservando la scena, con un mezzo sorriso
rilassato. Poi, scattai.
Non mi vide neanche. Riuscì a capire qualcosa quando si ritrovò contro
il selciato. Alla mia vista, stava per strillare e non fece in tempo.
I miei canini affondarono nella sua pelle dura che trafissi senza
problemi. Le vene erano vicine e le raggiunsi in dieci secondi,
affondando ancora di più i canini nella pelle. I gemiti di dolore erano
gorgogli fastidiosi che avevo imparato a non udire come se non
esistessero. Non avvertii nemmeno uno strillo della ragazza, forse si
era pietrificata. Il sangue del ragazzo non era dei migliori ma mi
accontentai. Era dolce e caldo quanto bastava. Anche salato ogni tanto.
Bevvi più a fondo e l'umano soffriva ne ero sicuro. Il sangue sulla mia
lingua cominciò a diminuire man mano per finire del tutto. Lo mollai e
mi pulii dal rivolo di sangue che usciva dalla mia bocca, le labbra
erano appiccicose.
Non ero fiero di me stesso e allo stesso tempo ne ero contento. Il
sangue dentro di me mi faceva sentire benissimo come se fossi sotto
l'effetto di qualcosa. Ma sapevo anche cosa accadeva una volta bevuto
da poco.
Mi decisi a calcolare la ragazzina. Era ancora contro il muro. Il suo
cuore era quasi fermo, non lo sentivo quasi. Magari moriva per lo
spavento.
Era pallida quasi quanto me, gli occhi dilatati.
Era bella, non carina.
Doveva provenire dal locale da come era vestita. I lunghi capelli
castano scuro, liscissimi, erano un po' sconvolti. Il colore naturale
era una di una tonalità leggermente scura. Era magra, forse un po'
troppo. Guardai per bene il viso tondo. Aveva un bel naso. Gli
occhi erano belli: grandi, dolci e azzurri, luminosi. Anche se
arrossati e sgranati per la serata che si stava rivelando l'ultima
della sua vita. Rimasi a fissarli più del dovuto, e scossi la testa,
per riprendermi.
Mi alzai e mossi un paio di passi.
<< Non toccarmi >>, ripeté lei come se fossi ancora il suo
primo aggressore.
<< Non preoccuparti. Non soffrirai come ha sofferto lui >>,
la consolai.
Lei scosse la testa, questa volta il respiro le accelerò come il cuore.
<< Cosa... cosa... vuoi da me? >>.
<< Sfortunatamente, sei nel posto sbagliato, al momento
sbagliato. Non ti avrei toccata se non fossi una testimone scomoda
>>.
<< Non voglio morire! >>, disse lei, con le lacrime
sulle guance. Strizzò le palpebre e due lacrime rotolarono fino a
terra. Le guardai cadere, un po' combattuto. Dentro di me, la
battaglia.
“Uccidila, uccidila, uccidila!”,
mi sussurrava una voce ammaliante.
Una piccola, ma presente, parte mi comandava di girare i tacchi e
lasciarla vivere.
Troppo piccola.
Le sfiorai i capelli e lei prese a piangere ancora di più. Non si
muoveva, doveva essere morta di spavento.
La guardai negli occhi, a dieci centimetri dal suo viso e mi fermai a
guardarli più del dovuto. Scossi la testa. Che mi prendeva?
<< Lasciami andare >>, supplicò lei, il trucco
completamente sciolto.
Forse potevo lasciarla andare...
La mia distrazione mi fu fatale. La ragazzina pareva tanto spaventata
ma era una che non si arrendeva. Mi tirò in pugno che non mi scalfì e
si fece male. Agitò la mano in aria, la bocca spalancata, trattenendo
un'imprecazione.
La mia decisione di due secondi prima svanì. Il pugno non le aveva
rotto niente ma le aveva aperto piccole ferite, minuscole ma
sufficienti a far uscire una goccia di sangue. D'istinto mi portai la
sua mano alla bocca. Cercò di impedirmelo, ma ero troppo forte per lei.
Si arrese, forse rendendosi conto che ormai era inutile combattere.
O magari era sotto il mio influsso. Il mio tono dolce e calmo,
rassicurante, la rendeva un po' meno spaventata. Comportandomi nel modo
opposto sarebbe morta d'infarto. Così non poteva fuggire.
<< Fai parte di una setta satanica? >>, riuscì a chiedermi,
la bocca asciutta.
<< Uhm... >>, sussurrai. << Sono dannato, ma non
faccio parte di una setta >>.
Guardò il cadavere a terra, dissanguato e una pozza di sangue
sfuggitami i primi secondi. Poi guardò la sua mano e poi me.
Il suo sangue era molto ma molto più delizioso di quello del primo. Era
una ragazza, e le ragazze hanno il sangue più buono. Lo sanno tutti. Il
suo non era male. Una goccia mi confermò che avevo ragione. Un sapore
che esplodeva come una festa nella mia bocca. Eh sì. Ormai era senza
scampo: anche volendo non potevo lasciarla andare. Era troppo tardi.
Ero diventato l'angelo nero che l'avrebbe portata via. Dovevo cercare
di farle male il meno possibile, questo dovevo concederglielo.
Lei aveva storto la bocca quando ne avevo catturato una goccia con le
labbra.
<< No, non ci credo >>, boccheggiò. << Tu sei...
sei... un vampiro >>.
<< Che genio, Einstein. E ti dirò anche il mio nome: Damien
>>.
Angolo!
Questa storia ho cominciato a scriverla circa un mesetto fa ed è la mia
prima storia sui vampiri anche se non fantasy. Dato che ho la pessima
abitudine di scrivere senza sapere dove andrò a finire, aspettatevi di
tutto XD. Chi ha già letto le mie storie ne sa qualcosa!
Come ho già detto, questa è la prima storia sui vampiri, quindi
abbiante clemenza se farà, come dire?, un pò schifetto! Datemi le
vostre opnioni!
Baci!
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Capitolo 2 *** Quegli straordinari occhi verdi ***
Capitolo 2
Quegli straordinari occhi
verdi
Rebecca
Okay. Era chiaro che chiunque comandasse il destino era da cercare, con
un'arma possibilmente. Chi aveva scritto il mio? Un pessimo scrittore?
Sicuramente.
Perché solo uno scrittore mediocre poteva scrivere la scena della mia
morte in questo modo. Io, uccisa da un vampiro a sedici anni. Che fine
orribile, proprio orribile.
Non mi capacitavo che la persona stupenda davanti a me fosse un
vampiro. Guardandolo meglio, ora che avevo capito e messo insieme i
tasselli, si vedeva che non era... umano.
La sua pelle era bianchissima, non pallida, bianca. Gli occhi erano
neri e impenetrabili. Ed era bellissimo. Alto un metro e novanta, un
fisico da paura e i capelli neri e corti, poco mossi. Il suo viso era
da lasciare senza fiato. Sembrava giovane, forse un anno più di me.
Già, ma da quanto?
Riuscivo a notare tutto con l'adrenalina che mi inondava. Forse ci si
sente in questo modo quando si sta per morire per mano di un vampiro
che prima ti salva la vita o altro e poi vuole ucciderti.
Che ironia, cavolo.
Teneva ancora la mia mano nella sua, vicino alla bocca. Quel poco
sangue doveva averlo fatto uscire di testa. Dopo averlo colpito, un
dolore bruciante mi aveva colpito e le ferite si erano aperte. Pareva
fatto di pietra.
<< Non molti assassini dicono il proprio nome alla vittima
>>, dissi, con un filo di voce.
Damien. Che nome particolare. << E se sopravvivessi? >>.
Mi piacerebbe.
Sorrise appena e mi guardò. << Non sopravviverai, fidati >>.
Mi passai la mano libera sul viso per lavare vie le lacrime e me la
ritrovai nera di rimmel ma decisamente in quel momento non mi
interessava. Stavo per morire, che fossi truccata o no, non faceva
differenza.
Potevo tentare di fuggire e se poi lo facevo arrabbiare? Era pur sempre
un vampiro, mica un semplice ragazzo ubriaco. Avrebbe potuto farmi
qualsiasi cosa.
Finalmente lasciò andare la mia mano e la nascosi dietro la schiena,
appiattendomi ancora di più contro il muro come se ci potessi
scomparire dentro e scappare lontano da lui. Anche se... non volevo
proprio scappare.
Quell'essere mi affascinava. Per quanto fosse una creatura del male, mi
affascinava e non poco. Quella sua natura tanto diversa, quegli occhi
neri mi lasciavano senza fiato. Forse mi stava ipnotizzando.
Si avvicinò ancora di più a me.
Aprii bocca per parlare, ma non me lo permise.
<< Sssh... E se ti sentono? Non vogliamo farci scoprire, vero?
Altrimenti anche altri moriranno. E io non voglio >>.
Mi sorpresi. << Non vuoi? >>.
Rise. << Scommetto che tu adesso mi vedi come il cattivo vampiro.
È la mia natura, in effetti. Ma non amo uccidere. Lo faccio solo perché
è necessario. Quando... ho sete, fame, chiamala come vuoi >>.
<< Sono il dolce? >>, chiesi e parve più un mormorio. Non
avevo più saliva nella bocca. Non capivo neanche perché rimanessi a
parlare con lui, il mio assassino, invece di tentare la fuga e salvarmi.
Aggrottò le sopracciglia scure. << Non saprei >>, disse.
<< Non ho mai considerato tali, voi umani >>.
Poggiò una mano sul collo, all'altezza della vena pulsante. <<
Non credi che dovremo farla finita? Questa attesa ti sta uccidendo
>>.
<< Sì, è vero >>, ammisi. << È peggio della
morte stessa >>. Era vero. Rimanere lì, attendere la mia morte,
era peggio. Se morivo, non dovevo attendere nulla.
Annuì. << D'accordo >>.
E così, era finita. Dovevo fare un resoconto della mia vita prima che
fosse troppo tardi.
Mi era piaciuta, seppur breve?
Posò le labbra sulle mie spalle, lievemente.
Sì, in fondo sì. Certo, se la mamma non fosse morta, le cose sarebbero
andate sicuramente meglio. Papà non si sarebbe mai improvvisato chef
provetto mandando due volte a fuoco la cucina. E io non avrei dovuto
sobbarcarmi l'appartamento per cinque anni prima di prendere una
domestica.
Le spostò sul mio collo, provocandomi brividi. E lui se ne accorse.
Le mie amiche sarebbero state sicuramente infelici e sperai non si
sentissero in colpa per la mia morte. Mio padre ne sarebbe uscito
distrutto, ne ero sicura. Prima la mamma, poi io. Solo, sarebbe rimasto
solo.
Avvertii una lieve punzecchiatura, come la puntura di un ago.
Il respiro mi venne decisamente meno, il cuore voleva già fermarsi e la
testa non la sentivo nemmeno. Ero diventata di roccia, non mi reggevo
in piedi.
Un dolore più acuto solleticò la pelle, i canini facevano male. Non
andò più a fondo. Cercava di non farmi male, era logico. Un vampiro
buono? Una magra consolazione.
Chiusi gli occhi ed evitai di piangere quando due voci posero fine a
tutto. Damien scattò, allontanandosi da me. Doveva sentirci molto
meglio di me. Mi toccai il collo e non c'era niente, lo aveva appena
sfiorato. Sospirai per quanto mi fosse possibile.
Lo guardai e notai che mi guardava anche lui.
Divenni perplessa. Gli occhi non erano più neri ma verdi, color prato.
Allungai il collo per essere certa di averci visto giusto.
<< Sei fortunata >>, disse, e pareva sollevato. Quasi
contento. << Le tue amiche. Vivi, mi raccomando. Non dire niente
a nessuno >>.
<< Non voglio finire la vita in manicomio >>, ci tenni a
precisare.
<< Spero di non incontrati più. Hai un buon sangue, complimenti
>>.
Non seppi se prenderlo come un complimento o un'offesa. Optai per la
prima. << Grazie >>.
Mi guardò tanto a lungo da farmi arrossire, come se mi stesse scrutando
e poi i passi si fecero più vicini, le voci pure.
Mi voltai per veder arrivare le mie amiche e corsi verso di loro.
Controllai se c'era ed era svanito. Accidenti. In cosa mi ero cacciata.
Ero proprio una combina guai.
Non riuscivo ad analizzare lucidamente la situazione e decisi di
rimandare a quando mi sarei trovata al sicuro a casa mia, nel mio letto
e meglio ancora alla luce del giorno. I vampiri non escono alla luce.
Supplicai che le leggende fossero vere.
Elene e Amanda erano sconvolte.
<< Dov'eri finita? Sei sparita da oltre mezz'ora >>, mi
rimproverò Amanda.
<< Scusate, ero a fare una passeggiata >>, mentii.
Si guardarono, shoccate.
<< Di mezz'ora? >>, chiese perplessa Elene.
<< Sì. Avevo voglia di aria >>.
Amanda mi prese una mano, quella ferita. << E questo come te lo
sei fatto? >>.
<< Sono caduta >>. Mentire stava divenendo facile.
Il vestito e il trucco erano messi male ma mi giustificai dicendo che
era colpa della caduta, che ero scoppiata in lacrime per il dolore alla
mano. Un sacco di balle.
Mi guardavano con occhi luccicanti di rabbia. Non perché le avevo
mollate nel bel mezzo di una bella serata divertente ma perché ero
svanita nel nulla e si erano impaurite molto.
La loro paura non era niente in confronto la mia. Tremavo e le mie
amiche pensarono fosse per il freddo e mi trascinarono dentro il
locale.
Stare in mezzo a quella gente e sotto gli occhi di Amanda e Elene era
troppo difficile per come mi sentivo. Raccattai giacca e borsa e dissi
alle due che me ne tornavo a casa. Le proteste arrivarono a fiumi e
nutrii i loro sospetti che non fossi uscita per l'ossigeno. Quella
notte, era l'ultima delle mie preoccupazioni. Uscii dal locale tanto in
fretta da lasciarmi dietro di me le persone che danzavano e la faccia
delle mie amiche sconvolte.
In macchina crollai sul sedile e chiusi ben bene le portiere. E se
fosse tornato? Se riuscivo a ritornare nell'appartamento, lui non
poteva certo tornare e uccidermi con mio padre in casa. Quella notte
non aveva il turno. Una piccola fetta di fortuna.
Mi voltai per controllare che non ci fosse nessuna auto e la strada era
libera: erano ancora tutti a diversi. Dove dovevo essere anche io
finché un vampiro non aveva cercato di uccidermi.
Rammentai anche del cadavere nel vicolo, il mio aggressore. In fondo,
non meritava di morire in quel modo. E sa aveva sanguinato e attirato
quell'essere era solo colpa mia. Un bruciante senso di colpa venne
accolto a braccia aperte fra il panico, la paura e l'orrore. Doveva
arrivare qualche altro amico alla festa dei cattivi sentimenti?
Guidavo e eseguivo i gesti meccanicamente. La mia mente e i miei
ricordi erano da tutt'altra parte, rimasti ancora nel vicolo in
compagnia di Damien.
<< Adesso pure per nome lo penso >>, bofonchiai. << E
parlo da sola. Sono pazza. È ufficiale >>.
Schiacciai il piede sull'acceleratore. Sentivo il bisogno del mio
letto, della foto della mamma e della presenza, anche se addormentata e
russante, del mio papà.
Controllavo in ogni specchietto dell'auto se mi seguiva. Era certamente
più veloce di me e magari si trasformava in pipistrello. Scossi la
testa, e trattenni a stento un sorriso nervoso.
Il respiro mi era tornato regolare e il cuore batteva più regolarmente.
Fisicamente, stavo bene. Era moralmente che ero a terra.
Eppure una piccola parte di me, una timida particina, ancora desiderava
guardare quegli occhi verdi. I suoi occhi neri mi spaventavano, quelli
verdi mi facevano sognare.
Era come se quel vampiro, Damien, fosse due presenze in una, diverse
solo nel colore degli occhi. Ma entrambe affascinavano.
E io ci ero cascata appieno.
In lontananza vidi il palazzo dove abito dalla morte della mamma.
Parcheggiai l'auto in fretta e furia e salii le scale velocemente come
mai avevo fatto in vita mia. Con una mano tremante, aprii la porta
dell'appartamento.
“Fa che sia a letto. Che si limiti a
chiedere se sono io”, pregai mentalmente.
Trucco sciolto, capelli disfatti e vestito stropicciato. Che poteva
pensare?
<< Rebby >>.
Presi un bel respiro sollevato. Grazie al cielo.
<< Sì, papà. Sono io. Chi vuoi che sia? >>.
<< Che so. Potevo anche essere un fantasma >>. La sua
risata giunse fino all'ingresso.
“O un vampiro”, pensai.
Non si alzò per controllarmi. La fiducia che mi ero costruita servì.
Non fumo, non mi drogo e non bevo alcolici neanche se ne ho
l'occasione. Cercando di non mostrare panico nei miei passi, mi levai
gli stivali e li gettai all'ingresso e corsi in camera, chiudendo la
porta a doppia mandata. Anche se era inutile, in effetti, non potevo
farne a meno. Per fortuna, avevo il bagno in stanza.
Crollai contro la porta, e ci strisciai fino a cadere per terra.
Ero proprio nei casini. Perché per quanto lui mi avesse detto di
vivere, sapevo che io ero a conoscenza di tutto. Di giorno ero al
sicuro, di notte per niente. Non sapevo dove abitavo ma non ci avrebbe
messo niente a scoprirlo.
Dovevo fuggire via? Scappare?
Forse si sarebbe arreso e mi avrebbe lasciata libera di cadere nella
pazzia in cui stavo incappando.
In bagno mi lavai la faccia e mi feci una doccia. Avvolta
nell'asciugamano, allo specchio, notai due puntini rossi sul collo,
dove si erano posati i suoi canini. Vi posai la mano e avvertii un
lieve bruciore, niente per cui mi sarei strappata i capelli dal dolore.
Acchiappai il primo pigiama che trovai e mi infilai a letto, nel vano
tentativo di dormire e dimenticare o magari di non svegliarmi mai più,
cadere in un oblio piacevole dove non potevo pensare a quello che mi
era accaduto.
Quegli occhi verdi mi avevano davvero colpita molto. Tanto verdi non li
avevo mai visti. E neanche così neri e spaventosi.
Scivolare nel sonno fu difficile ma dopo un'ora, stravolta da quella
serata, ci riuscii.
Con gli occhi verdi di Damien nei miei sogni...
Damien
<< Fratello, è tutto okay? >>.
Una mano bianca come la mia pelle si posò sulla mia spalla destra, con
affetto. L'accarezzai.
<< Sto bene, Celeste. Sul serio >>.
<< A me non sembra. Hai cenato stasera? >>.
Risi. << Sì, non preoccuparti. Molto buono >>.
<< Anch'io >>.
La vampira accanto a me chiuse gli occhi e sospirò. Adoravo Celeste.
Era la mia migliore amica, se non mia sorella. Anche se non
biologicamente.
Aveva i tratti comuni di tutti i vampiri: pelle bianca, occhi neri
quando era veramente una vampira, una bellezza che avrebbe fatto
diventare verdi d'invidia le donne umane.
I suoi occhi erano ora di un bel color nocciola che cozzavano con i
suoi capelli ricci, rossi, un po' più giù delle spalle. Un tempo doveva
aver avuto le lentiggini sul quel viso pieno di allegria.
Tese in un sorriso le sue labbra sottili, rosa. << Eppure sei
turbato >>.
<< Non posso proprio mentirti, eh? >>.
<< Agli empatici non si mente >>, disse seria e poi scoppiò
in una risata argentina.
L'unico tratto negativo nel frequentare Celeste era che non potevo
nasconderle nulla. Un'empatica è sempre una gran scocciatura anche se è
tua sorella come se leggesse nel pensiero. Be', lei leggeva le mie
emozioni.
Storsi il naso. << Ho risparmiato un'umana stasera. Una ragazzina
>>.
La sua bocca si aprì a metà, adesso era lei agitata. << Cosa hai
fatto? Damien sei impazzito?! Perché lo hai fatto? >>.
<< Non avevo scelta. Stavano arrivando le sue amiche. Avrei
dovuto uccidere anche loro. E sai che non voglio >>.
<< Capisco che il tuo sia stato un gesto nobile. Ma non possiamo
lasciare testimoni in giro per il mondo. Conosci molto bene le regole
>>. Era severa.
<< Lo so >>, replicai triste.
Strinse gli occhi a fessura. << Stavi per ucciderla? >>.
<< Sì >>, sospirai.
<< Leggo una certa esitazione però >>, captò.
<< Un po' >. Fui sincero. Quegli occhi dolci e azzurri mi
avevano fermato un attimo. Una distrazione fatale in cui mi aveva anche
colpito, facendosi male.
Non mi ero mai sentito attratto dalle ragazzine umane. Lei era la prima
a provocarmi una sensazione particolare che mi scuoteva e non riuscivo
a decidermi se mi piaceva oppure no.
Quegli occhi azzurri mi avevano colpito dentro.
<< Mica ti piace? >>, chiese scandalizzata lei.
Sgranai gli occhi. << Non dirlo neanche per scherzo! È solo una
ragazza fortunata, molto fortunata >>.
Fortunata perché le sue amiche stavano per venire a salvarla? No, non
ero questo il motivo.
Avevo posato i canini sulla sua pelle, li aveva appena affondati e mi
ero fermato. Lei avrà pensato che mi stavo concentrando ma in verità mi
ero proprio bloccato. L'odore del suo sangue sotto la pelle, che
scorreva, mi attirava tantissimo, un profumo dolcissimo. Lo volevo.
Eppure non ci ero riuscito ed era la prima volta che mi accadeva una
cosa simile.
Le sue lacrime, la dolcezza del suo sguardo pieno di paura aveva
colpito il mio cuore fermo da tanti anni, una leggera scarica
elettrica, ma sufficiente a disorientarmi.
Celeste si alzò dalla panchina dov'eravamo seduti, al Central Park. Si
pulì dalla polvere la gonna rossa e corta. Le dicevo di non portarle o
avrebbe attirato più umani di quanti volesse realmente.
<< Sta arrivando l'alba, Damien >>.
<< Manca ancora mezz'ora >>, le feci notare.
<< Non è una buona abitudine tergiversare fino ai limiti. Non
voglio vederti andare a fuoco >>.
Mi alzai anche io, pigramente. Il cielo si schiariva e stava divenendo
blu cobalto, le stelle impallidivano e la luna svaniva lentamente per
prendersi dodici ore di riposo e tornare la notte. La luna era la mia
compagna di eternità, ormai.
<< Magazzino? >>, mi domandò.
<< E magazzino sia >>, concordai.
Il magazzino era uno dei pochi luoghi bui dove potevamo nasconderci
durante le ore di luce, l'ora in cui gli umani cominciavano la loro
giornata quotidiana, noiosamente quotidiana.
Celeste si mise all'erta. << Arrivano >>.
Sbuffai, scocciato.
Justin e Melinda Warren. Due dei pochi vampiri biologicamente legati.
Due vampiri balzarono davanti a noi dopo aver corso in diverse falcate
il Central Park.
Melinda mi guardò e le voltai la faccia. Era fissata con me ma non io
con lei. Suo fratello gemello, Justin, mi guardò male.
Celeste cercò di spezzare la tensione e si rivolse a i due gemelli
Warren. << Ehi, ehi! Com'è andata la notte? >>.
<< Fantastica. Siamo andati a ballare. Vero Melinda? >>,
disse rivolgendosi alla sorella.
<< Vero, Justin. Si trovano un sacco di spuntini là >>.
Rise spensierata.
Odiavo questo modo di pensare delle persone normali. Ma d'altronde, in
fin dei conti, loro erano questo.
<< E tu Damien? >>, mi domandò Melinda.
<< Ho passato un po' di tempo in giro per New York e poi con
Celeste >>, dissi, e in parte era la verità. Non era il caso di
raccontargli di quella ragazza. Adesso che ci pensavo non sapevo il suo
nome... Però suo padre era un poliziotto...
<< Bene. Sono felice per te >>, disse acida Melinda.
Quell'acidità era dovuta al fatto che io non ero andato da lei.
Insomma, non potevo passare la mia eternità con una stupida oca come
Melinda. Era bellissima, accidenti se lo era. Celeste era bellissima,
ma lo era nella media dei vampiri. Come me e Justin (anche se era
il gemello di Melinda. Lui era biondo e con occhi color castani).
Melinda era tutt'altra cosa. I lunghi capelli color melassa le
coprivano la schiena e terminavano in boccoli acconciati alla
perfezione. Il corpo da modella con ogni cosa al posto giusto. Occhi
appena allungati blu mare e labbra piene e non troppo.
La bellezza di Melinda era stata la prima cosa a colpirmi, vent'anni
fa. Però non potevo giocare al ragazzino per sempre. Anche se in
effetti il mio aspetto lo era.
<< Ragazzi, tra un quarto d'ora c'è l'alba >>, disse
Celeste, come un disco rotto.
<< Ci vediamo domani notte >>, disse Justin. Prese per mano
la sorella e lei mi scoccò un'occhiata velenosa per poi sparire con un
salto di tre metri e toccare terra per poi saltare ancora e sparirono
dalla nostra vista due secondi dopo.
Celeste mi guardò. << Povera Melinda >>.
<< Sono stanco dei vecchi giocattoli >>, dissi. A lei non
lo avevo mai detto e non c'è ne era bisogno.
Celeste annuì e cominciò a correre e la seguii. La notte era finita.
Angolino!
Ecco il secondo capitolo, spero vi piaccia. In questi giorni riesco a
dedicare a EFP un pò di tempo visto che sono a casa per l'influenza ma
presto diverrà sempre meno perchè tra quattro mesi ho la maturità e
devo impegnarmi per arrivarci altrimenti son dolori XD
Quindi se tra un paio di mesi ci metterò molto a postare, sapete il
perché.
I primi ringraziamenti vanno a chi ha recensito e messo tra le seguite!
Grazie mille!
Alla prossima!!!
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Capitolo 3 *** "Ho paura" ***
Capitolo 3
“Ho paura”
Rebecca
Non avevo mai temuto il buio, neanche da bambina. Quando la luna si
incastonava nel cielo, il sole spariva oltre i grattacieli io me ne
stavo alla finestra a guardarla, quando non avevo sonno. Mio padre non
si era mai svegliato per le mie urla di paura, tipici dei bambini
quando si svegliano e trovano il grande buio in agguato.
Adesso ne ero terrorizzata. Perché ero a conoscenza di ciò che celava.
Era fatto per nasconderli, per permettergli di agire indisturbati,
uccidere senza problemi. I testimoni scomodi venivano uccisi. Io ero
stata fortunata, troppo. Sarebbe tornato, ne ero certa.
Quella sera, papà aveva il turno di notte e io rimasi a sola a casa.
Quando me lo aveva detto, la forchetta mi era caduta nel piatto,
durante la cena ed ero impallidita. Durante il giorno ero rimasta
chiusa in camera mia e lo aveva insospettito e la mia reazione a cena
ancora di più.
Non poteva farsi cambiare il turno all'ultimo minuto ed ci era andato.
Una volta chiusa la porta alle sue spalle, io mi ero affrettata a
chiuderla a chiave con tanto di chiavistello e sbarrare tutte le
finestre e acceso tutte le luci. Come una fanatica di film vampireschi
avevo messo un crocefisso in camera. Avrei voluto anche un paletto ma
legno in casa non c'è ne era. E se nessuna di queste cosa funzionava,
allora c'era solo da piangere a quel punto.
Dopo aver dato fondo a ogni mia conoscenza sui vampiri grazie a libri,
film e Internet mi misi a letto alle dieci di sera come una brava
bambina. Tirai la coperta sopra la testa e presi dei bei sospiri per
addormentarmi. Chiusi anche gli occhi, sperando servisse a qualcosa. Mi
ero alzata alle dieci dopo aver dormito sette ore perciò non doveva
essere un problema addormentarmi.
Dopo un'ora in cui mi rigiravo nel letto, mi misi seduta e mi passai
una mano tra i capelli scomposti. Inutile, non dormivo e non potevo
continuare in questo modo. Il giorno dopo era domenica, quindi okay. Ma
lunedì, martedì e così via? Non sarei mai riuscita a concentrarmi a
scuola e avrei perso la borsa di studio per i miei scarsi voti.
“E quanti viaggi mentali inutili ti
fai”, conclusi.
Poi un ticchettio. Mi voltai di scatto alle finestre, in camera mia c'è
ne erano due. Presi a tremare di colpo. Strinsi tra le dita i lembi
della coperta.
Un secondo ticchettio alla finestra, quella più vicino al mio letto.
“Non piangere, non piangere e non
urlare”, mi dissi, cercando di mantenere la calma.
Le finestre erano chiuse, non dovevo temere niente. Poi mi battei una
mano sulla fronte.
Prima di andare a dormire aveva timidamente guardato fuori il paesaggio
cittadino per assicurarmi che tutto andasse regolarmente, niente
pipistrelli in vista. E mi ero dimenticata come una smemorata di
richiuderla.
Dovevo scappare dalla stanza e non riuscivo a muovermi, ero bloccata
sul letto neanche ci fosse la colla. Una parte di me lo faceva per la
paura e l'altra... per il fascino che aveva su di me. Un fascino che
attirava e avrei voluto esercitasse ancora.
La finestra era aperta a metà e poi si spalancò del tutto. E lui entrò.
Un balzo tanto leggero che neanche lo udii come se fosse una piuma.
Eppure la sua pelle era dura come la pietra. Si era rialzato con uno
scatto veloce e mi aveva guardata.
Io non mi mossi. Cercavo di respirare senza successo.
Ci guardammo a lungo, senza dirci niente.
I rumori della città si perdevano nella mia stanza come se fosse
enorme, invece che piccola. Il mio respiro e il suo erano gli unici
rumori presenti e la luce era quella della luna.
Ero esangue.
<< Non voglio farti del male >>, disse finalmente.
Gli regalai un sorriso ironico. << Come posso crederti? Ieri
stavi per uccidermi! >>.
Sembrava a disagio. << Tutto sommato, la tua paura la capisco.
Anche io ne avrei >>.
<< Ma tu sei un vampiro. Quindi non ne hai >>, ribattei con
forza.
<< Anche i vampiri hanno paura >>, disse e mi colpii molto
quella frase.
Quella punta di debolezza in lui mi rese meno paurosa. Mi alzai cauta,
guardando la porta con la coda dell'occhio. Il crocefisso era sotto il
cuscino e dovevo solo allungare una mano per prenderlo...
<< So che non dovrei essere qui >>.
<< No, non dovresti >>, concordai duramente. <<
Sbaglio o avevi detto che dovevo vivere? La tua presenza non indica
vita, sappilo >>.
<< Sono morto, lo so. Non c'è bisogno che me lo ricordi >>,
disse acido. << E non lo sarai anche tu. Non sono qui per
ucciderti >>.
<< Ah no? >>, esclamai, sedendomi sul letto. Era una mossa
per prendere quello che cercavo.
<< Non sto mentendo, sul serio. Non mento. Almeno qualcosa di
giusta nella mia esistenza la faccio >>.
I suoi occhi erano verdi e non neri come quando mi aveva incontrata.
Quel verde stupendo che mi affascinavano tanto, tanto, tanto.
Mi balzò un dettaglio nella mente. << Come mi hai trovata?
>>.
<< Ho seguito il tuo odore. Mi ha portato alla tua scuola e lì ho
sbirciato negli schedari finché non ti ho trovata. Hai un bel nome.
Rebecca >>, mi fece un complimento.
<< Grazie >>, dissi sincera. Era pur sempre un complimento,
no?
Era rimasto a osservami, a scrutarmi. Cosa stava guardando con tanto
insistenza? Non poteva certo guardarmi perché ero truccata e messa
bene. Indossavo un pigiama giallo e morbido, visto il freddo di
Febbraio e le mie pantofole anch'esse gialle e morbidose.
Strisciai sul letto per essere più vicina al cuscino. Dovevo solo
infilare la mano lì sotto e prendere la croce...
Seguitava ad osservarmi. Non parlavamo più.
<< Senti, io... >>.
Non finì la frase perché sfoderai la croce di colpo, alzandomi dal
letto e mossi tre passi nella sua direzione. Mi aspettavo una fiammata
e poi un esplosione con tanto di cenere.
Invece ottenni un suo gemito come di dolore. Arretrò e si mise le mani
davanti al viso come se una luce lo accecasse.
<< Mettilo via! >>, pregò con voce disperata. Era in totale
panico. Come me la sera prima.
<< Ma anche no >>, ribattei. << Perché non sei
esploso? >>.
Vidi una smorfia indispettita dietro le sue braccia. << I film e
le letteratura del ventunesimo secolo sono proprio devianti. I vampiri
hanno paura dei crocefissi, Rebecca. Non esplodiamo >>.
<< E ti trasformi in pipistrello? >>.
Evitò una risata. << Se metti via quel coso risponderò a tutte le
tue domande >>.
Valutai la sua proposta. Se voleva uccidermi l'avrebbe già fatto. Sarei
morta e neanche me ne sarei accorta. Guardai la croce, la mia arma
contro di lui. Sospirai e mi chiesi se fossi idiota.
<< Okay. Ma ti avverto: la tirerò fuori di nuovo se sarà
necessario >>, minacciai.
<< Va bene, va bene! >>.
La rimisi sotto il cuscino e lui abbassò le braccia. I suoi respiri
erano a scatti e stavano tornando normali.
Mi sedetti sul letto e gli feci segno di usare la sedia della scrivania.
Scosse la testa. << Non mi stanco >>.
<< Non ti stanchi mai? >>, chiesi ingenuamente.
<< No. Non dormo, non mangio, non sono mai stanco >>, mi
spiegò. << Ecco perché riesco a stare in piedi, sto una
meraviglia >>.
<< Bugiardo >>, dissi senza essere troppo accusatoria.
<< Cosa? >>.
<< Bugiardo >>, ripetei tranquilla.
<< Che vuoi dire? >>.
<< Non puoi veramente pensare una cosa simile. Non puoi essere
felice di uccidere e vivere questa... esistenza >>, risposi.
Il mio pensiero, troppo sfacciato, lo lasciò senza parole. E quegli
occhi verdi assunsero tinte nere, rimanendo uguali.
Il mio cuore accelerò i suoi battiti.
Lo guardai con un certo timore.
<< I tuoi occhi... >>, mormorai. << Stanno cambiando
colore. Non credo che tu possa guardarti allo specchio >>.
Avevo detto una cavolata poiché i suoi tornarono verdi (e stupendi devo
dire) e scoppiò in una risata allegra. Andò davanti allo specchio del
mio armadio e vidi la sua bellissima immagine riflessa.
<< Ah >>, riuscii soltanto a dire, imbarazzata. <<
Quindi vi riflettete >>.
<< Eh già >>.
<< Che figura >>, mormorai a denti stretti con una bassa
risatina quasi isterica.
Si fece serio. << Per tornare alle tue parole, non amo uccidere.
Ma non posso farne a meno >>.
<< Non puoi? >>, chiesi.
<< Non posso >>, ripeté. << Non mi è possibile.
Vorrei non farlo >>.
Le mie paure si stavano sciogliendo come neve al sole. Un sensazione
piacevole, quella della sua compagnia, prendeva il suo posto. Ero tesa,
sì, però non come la sera prima. Come se non avesse tentato di
azzannarmi il collo per uccidermi, bevendo il mio sangue.
Realizzai che doveva essere tentato da me, dal mio sangue.
<< Da quanto sei così? >>, gli domandai con cautela. Era
una domanda alquanto personale, almeno secondo me.
Esitò nella risposta, ci avevo giusto.
<< Se non vuoi, capirò >>, dissi anche se ero un po'
dispiaciuta. Tanto valeva capirci un po' di più.
Scosse la testa e poi annuì. << Dal 1898. Avevo diciotto anni
>>, rispose e si aspettò una qualche reazione da me.
Feci due conti. Era nato nel 1880. Quindi... avevo ben centotrenta
anni. << Caspita >>, esclamai a bocca aperta. <<
Hai... centotredici anni più di me >>.
Rise e lasciò un sorriso su quelle labbra. << Sono vecchio. Tra i
miei simili sono considerato un'adolescente rompiscatole per altri
cento anni >>.
Anche io risi per quella battuta e dovevo ammettere che era un ragazzo
ironico. Ma quel dettaglio, il vampirismo, non era cosa da poco. Se ci
fossimo incontrati in circostanze diverse, se non avesse cercato di
uccidermi, se fosse stato umano avrei ceduto a quegli occhi verdi a
quel viso, e al suo sorriso.
Un vero peccato.
<< E la luce del sole? >>, continuai con
l'interrogatorio.
<< Quella è vera. Prendiamo fuoco e diveniamo cenere >>,
spostò gli occhi sull'orologio al polso, << tra sei ore e mezza
devo essere al sicuro >>.
<< Solo la luce del sole? >>.
<< Solo quella. L'artificiale non ci fa niente >>, mi
spiegò. << Accendere tutte le luci non mi farà fuggire via
>>.
Era calmo, si era calmato. Il suo disagio era svanito. Così come le mie
sensazioni negative. Sembravano vecchi amici che discutevano sul tempo
invece che un vampiro e un'umana che parlavano di vampirismo. E io
avevo anche mollato la mia presa sul crocefisso.
<< Non ti dà fastidio il mio... il mio...? >>.
<< Il tuo sangue? Oh sì. Non ne hai idea >>, rispose,
anticipando quello che volevo chiedergli. Per un attimo vidi balenare
un sorriso poco amichevole e la faccia del vampiro dentro di lui.
<< Il sangue di voi umani ci attira sempre, in ogni momento.
Resistervi è difficilissimo. Sopratutto se lo hai già assaggiato. Io
l'ho fatto con il tuo e come ti ho già detto, hai un buono sangue
>>.
<< Ma non mi stai toccando >>, notai.
Si fece scuro in volto. << Perché non sento bisogno di sangue.
Sono sazio, ecco il motivo >>.
Rabbrividii. Significava una cosa sola: aveva ucciso anche quella
notte. E mi ricordai che non avevo sentito nessuna notizia al
telegiornale di alcun ritrovamento di cadavere dissanguato. Allora il
mio aggressore era ancora lì.
Mi portai una mano alla bocca, una voglia di vomitare assurda. Balzai
in piedi e cercai di contenermi. Se proprio dovevo, lo avrei fatto in
bagno.
<< Ehi >>, esclamò lui. << Stai bene? >>.
<< No, per niente >>, risposi. Presi profondi sospiri per
non far salire il cibo dallo stomaco. Doveva restare dov'era.
<< Mi dispiace >>, disse triste. << Non avrei dovuto
risponderti in tal modo >>. Si passò una mano fra i capelli
scuri, nervoso.
La nausea restò ma almeno il contenuto del mio stomaco rimase dov'era.
E non feci un'altra pessima figura. Mi risedetti, leggermente sudata.
<< Allora perché sei qui stanotte? >>, chiesi finalmente.
Un giro di parole per arrivare a questo quesito.
Parve ponderare la risposta, perché non parlò per cinque minuti buoni.
E quello che disse, mi lasciò senza respiro: << Volevo rivederti
>>.
Damien
Non si mosse a quelle due parole. Restò in silenzio a guardarmi. I suoi
stupendi occhi azzurri, più scuri di una tonalità nel buio in cui io
riuscivo a vedere perfettamente, erano pieni di perplessità e stupore.
Il suo cuore batteva più velocemente, lo avvertivo.
Certo che gli umani si emozionano subito.
<< Che vuoi dire? >>, chiese con voce bassa ma io la udii
lo stesso.
Non sapevo che risposta darle. Quella ragazzina mi aveva completamente
scombussolato. Non avevo mai lasciata nessuno in vita, in particolare
un'umana. Come scusa mi dicevo che l'avevo risparmiata solo per non
dover uccidere anche le sue amiche però non era quella la reale
motivazione e ne ero consapevole. I suoi occhi mi aveva letteralmente
stregato.
E lo facevano anche adesso. Avrei voluto sempre vedere scintillarci una
luce e mai offuscati dalla tristezza e dalla paura che io stesso le
provocavo.
<< Io... io... non capisco >>, disse alla fine lei.
<< Tu mi ha risparmiata per le mie amiche >>.
<< Non lo so >>, le confessai. Volevo parlarle in modo da
non spaventarla. << Quando... ti ho posato i canini sul collo,
pronto a morderti... >>.
<< Ti stavo concentrando per non farmi male >>, mi
interruppe.
Scossi la testa. << No. Non ci riuscivo >>. L'avevo detto.
Non mi guardò, fissò il muro davanti a sé. << Perché? >>.
<< I tuoi occhi >>.
Mi guardò di scatto, investendomi con i suoi occhi azzurri. <<
Come? >>.
<< I tuoi occhi >>, ripetei calmo. << Mi hanno...
colpito molto. Tutto qua >>.
Si lasciò andare ad una risata che mi confuse.
Sorrise e mi disse: << Anche i tuoi. È reciproco >>.
Ridacchiai. << Che coincidenza. Diciamo che sono qui perché
volevo rivedere i tuoi occhi e sincerarmi che stavi bene >>.
<< Diciamo che sto bene. Scioccata, ma sto bene >>, disse
con un velo di ironia.
Scoppiai a ridere e vidi uno sguardo diverso dai precedenti. Come se la
mia risata le piacesse.
Be', a me piaceva la sua.
Si contorceva le dita, non sapendo come continuare.
Guardai l'ora al polso. Realizzai che era umana e quindi dormiva.
Doveva essere stanchissima dalla sera prima e dopo la nottata passata
in parte in bianco, glielo leggevo dalle occhiaie che le si vedevano
appena sotto i suoi occhi che tanto mi affascinavano. Nella media della
bellezza umana, lei superava benissimo la media.
E fu così che mi resi conto di cosa stessi combinando. Io non dovevo
essere là, in quella stanza con la ragazza dagli occhi azzurri e
luminosi. Io dovevo starle lontana, fuggire lontano e lasciarla vivere.
L'avevo già terrorizzata e bastava. Cosa pensavo di fare?
Io ero un vampiro, lei una umana felice.
Io un essere condannato a un'eternità infinita, lei no.
Scossi la testa a scatti e velocemente mi avvicinai alla finestra,
posando un piede sul bordo.
Lei balzò in piedi. << Che fai? Dove vai? >>.
<< Vado via! >>, dissi con enfasi.
Lei camminò fino a me, fermandosi a pochi passi di distanza. Ancora non
era abbastanza sicura di me, per avvicinarsi del tutto.
<< Che ti prende? Non tirerò fuori la croce se è questo che ti
preoccupa >>.
<< Io non dovrei essere qui >>, dissi guardandola. Lei
inclinò leggermente la testa verso destra, guardandomi preoccupata
della mia reazione e del cambio d'umore. << Tu sei un'umana. Non
so cosa avessi in mente ma non importa >>. Misi anche l'altro
piede sul bordo, e mi sporsi per assicurarmi che non ci fossero umani
nei balconi sotto. Non udivo passi, né battiti di cuore nelle
vicinanze. Erano tutti nelle loro letti o in giro per New York. Sotto
di me la strada brulicava di persone: dovevo muovermi nel vicolo a
fianco al palazzo.
Rebecca non aveva intenzione di farmi andare via in questo modo, senza
una reale spiegazione anche se era chiaro.
Mi sentivo alquanto stupido. Celeste, avevo bisogno di Celeste.
E poi, una sua mano. Sulla mia spalla destra. Mi irrigidii a quel
contatto improvviso. Il calore della sua mano sulla mia maglia che
copriva la mia pelle ghiacciata.
Un leggero brivido la percorse e quel gesto doveva esserle costato
moltissimo.
<< Non puoi pretendere di venire e andartene quando vuoi
>>, cominciò e pareva tanto un rimprovero. << Cosa credi
che debba fare io ora? Vivere tutta la mia vita con la certezza che i
vampiri esistono e diventare una paranoica con i fiocchi? >>.
Mi voltai. << Mi stai accusando di averti rovinato... la vita?
>>.
Tolse la mano e la strinse a pugno. << Ci sei andato vicino...
>>. Si sforzava di non piangere. << Ho paura >>,
confessò. << Come faccio ad essere sicura che quello che è
successo ieri non possa accadere ancora? Un altro vampiro che porrà
fine alla mia vita >>.
Mi sedetti sul bordo della finestra e congiungetti le mani. <<
Che cosa vuoi? >>, le chiesi arreso.
<< La tua protezione >>, disse decisa.
<< Cosa?! >>, esclamai. << Scherzi? >>.
<< Affatto >>, ribatté.
Era seria?
<< Dici davvero? >>.
Annuì e io risi.
Lei inarcò un sopracciglio.
Smisi di ridere.
<< Cavoli, dici sul serio >>.
<< È il minimo, dopo ieri notte >>. Mi stava forse
ricattando e giocando sui miei sensi di colpa?
<< Non ho sensi di colpa >>.
Storse la bocca. << Dovresti >>.
<< Invece no. Se tu fossi morta mi sarebbe dispiaciuto ma da lì
ai sensi di colpa è una lunga strada. Sono un vampiro. Se avessi anche
i sensi di colpa, passerei l'eternità a piangere. Anche se non posso
>>.
Rimase sbalordita. << Scherzi tu adesso? >>.
<< No. Sono morto, ricordi? >>, le chiesi retoricamente.
Sbuffò. << Non cambiare discorso, sai. Voglio la tua protezione
>>.
<< Per tutta la tua vita? >>.
<< Non so. Vedremo. Almeno finché non riordino le idee...
>>. Sembrava pregarmi.
Rimasi seduto sul bordo della sua finestra a pensare. Era spaventata,
si vedeva. Dopotutto, anche io lo sarei stato se fossi un umano.
<< D'accordo >>, mi arrendetti. Lei sorrise e io ne fui
contento, mio malgrado.
<< Ora devo andare >>, dissi un po' dispiaciuto di quel
luccichio triste nei suoi grandi occhi azzurri.
Si mordeva un labbro come se stesse pensato. Poi prese le punte dei
suoi capelli di quel particolare colore di capelli scuri e lo torcette
nelle dita dalle unghie curate e dipinte di bianco pallido, affatto
screpolato.
<< Mio padre ha il turno di notte... >>, cominciò e io
cominciai a scuotere la testa, capendo dove voleva arrivare. << …
che dici se vengo con te? Domani non ho scuola. Devo essere di ritorno
le sei minimo. Lui torna alle sette ed è preciso come un orologio
svizzero >>. Rise appena.
<< Non posso portarti con me. Rebecca, sei umana >>, ero
serissimo. << Non puoi passare la notte con me, con un vampiro
>>.
<< Posso, se ci sei tu >>, disse come se io fossi un angelo
custode invece che l'angelo nero che aveva cercato di ucciderla
ventiquattro ore.
<< Ascoltami bene >>, dissi lentamente. << Io non
sono buono. Io uccido. Questo particolare te lo sei dimenticato?
>>.
Annuì e poi scosse la testa come se avesse cambiato idea all'ultimo
minuto. << Non stasera >>.
<< E se ti uccidessi? Potrei anche farlo >>. Era vero e non
avevo nessuna intenzione di farla venire con me a tradimento.
<< Non lo farai. Mi fido di te. Più o meno >>, si corresse
all'ultimo.
Non avevo scelta, dovevo portarmela dietro. << Okay >>,
sussurrai. << Ma mettiti qualcosa di pesante. Fa freddo >>.
Un grande sorriso su quel viso mi scosse ancora più della sera prima.
Sparì dalla mia vista come se fosse velocissima, impaziente di
trascorrere una notte in giro per New York con un vampiro. Entrò nel
bagno e ne uscì dopo dieci minuti cambiata e con indosso un capotto
pesante. Andò alla scrivania della camera e dal cassetto prese un mazzo
di chiavi.
Me le mostrò. << Però prendiamo la mia auto >>.
Angolino!
Ecco un altro capitolo spero vi piaccia!!! E spero ancora che per
essere la mia prima storia sui vampiri non stia uscendo male! Ringrazio
ancora chi l'ha messa tra le preferite, chi legge, chi commenta, chi
l'ha messa tra le seguite, insomma un pò di tutto XD
Alla prossima!
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Capitolo 4 *** Una notte col vampiro ***
Capitolo 4
Una notte col
vampiro
Rebecca
Alla mia proposta esibì una faccia sconvolta e offesa e lessi un certo
disagio nei suoi occhi verdi. Mi chiesi cosa potesse essere. La
risposta giunse una volta saliti in macchina.
Damien non aveva la patente.
Mi disse che non era necessario, che dopotutto nessun vampiro, a parte
quelli vampirizzati negli ultimi sessant'anni, hanno la patente.
Ecco perché non voleva prendere l'auto. Come ogni uomo odiava che una
donna lo superasse. Certe cose non cambiano neanche con la morte.
La mia era un auto di seconda mano che mio padre aveva comprato da un
amico. Lui l'aveva acquistata e poi la viziata figlia aveva deciso per
un altro modello e il padre si era ritrovato costretto a vederlo. E me
la ero beccata io. Proprio di lusso, come si dice.
Misi in moto e guardai nello specchietto per accertarmi che di non
investire nessuno. L'orologio digitale del cruscotto indicava circa
mezzanotte. Avevo cinque ore, quasi sei, da trascorrere con Damien e la
sicurezza che quella notte non sarei morta per mano di un vampiro.
Anche se... Damien mi aveva avvertito che poteva uccidermi. Aveva
“mangiato” ed ero certa che non volesse altro. Ma un po' ero spaventata.
Mentre guidava, Damien fissava davanti a sé, un punto fisso. In
silenzio.
Non sopporto i silenzio imbarazzati e mi costrinsi a rompere il
ghiaccio.
<< Allora, Damien. Dimmi un po': vivi da solo? >>.
<< Be', tecnicamente non vivo >>. Lo fulminai con gli
occhi. Pignolo. Capì che non avevo voglia di scherzare. Disse: <<
Ho passato i primi quarant'anni della mia esistenza solo, per New York.
Sono nato qui >>.
Cercai di sorvolare il fatto che avesse vissuto già quarant'anni quando
ne dimostrava diciotto a malapena. << E poi? >>.
<< Poi ho incontrato Celeste >>.
<< E chi è? >>, chiesi affascinata dal quel nome tanto
bello.
<< Una sorella, per me lo è. L'ho conosciuta quando io ero già un
vampiro. È nata nel 1922 >>.
Sgranai gli occhi e distolsi l'attenzione dalla strada per pochi
secondi e rimase con la bocca aperta a metà.
Continuò, avvertendo la mia curiosità. << Aveva sedici anni e li
avrà per sempre >>.
Feci una smorfia. << Non vorrei mai passare l'eternità da
adolescente >>.
Rise. << In effetti, è frustrante >>.
<< E di te che mi dici? >>, gli chiesi e smise di ridere,
come se avessi detto chissà cosa. Non era una domanda da rivolgere a
uno che conosci da un giorno. O sì?
<< Perché sei così? >>.
Calò il silenzio.
Teneva gli occhi stretti a fessura come se dovesse ricordarsi il
momento esatto. << Era il... 1898. Sono stato attaccato da una
vampira >>.
Rabbrividii. E poi aggrottai le sopracciglia. Ma se era stato
attaccato... ed era sopravvissuto... allora... << Sei un vampiro
perché una vampira non è riuscita a ucciderti? >>.
<< Era una giovane e inesperta vampira di pochi giorni. Ed ecco
il risultato >>.
Scossi la testa. Condannato a quella vita per un errore banale di una
vampira idiota. Mi dispiaceva per lui, tanto. Non era giusto.
<< E la tua famiglia? >>.
<< Ovviamente sono tutti morti. Avevo una sorella più grande e
una più piccola. Si sono sposate e hanno avuto una due bambini e
un'altra un bambino. Loro sono morte durante la seconda guerra
mondiale, i miei nipoti di recente. E i miei genitori non lo so
>>.
<< E non si sono disperati per la tua scomparsa? >>.
<< Oh sì >>, esclamò come se fosse la cosa più naturale del
mondo. << Ovvio. Ma quando diventi come me gli umani diventano
sempre meno importanti. Anche quelli che ami >>.
Mi chiesi quanta verità ci fosse in quelle parole. Li aveva sul serio
dimenticati?
Mi guardò. << E tu? >>.
<< Io? >>, chiesi sorpresa.
<< Sì, tu. Prima, nella tua stanza, hai parlato solo di tuo
padre. Non di tua madre >>.
Strinsi le mani sul volante, combattendo contro le lacrime naturali che
volevano scendere appena udivo quella parola maledette che nella mia
vita mai era stata bella. Di lei non ricordavo niente, nulla, zero. Ed
era la cosa più terribile.
<< È morta >>, dissi semplicemente, fermando la
macchina a un semaforo rosso e prendendo fiato.
<< Mi dispiace >>, disse sincero. << Quando? >>.
<< Quindici anni fa. Avevo due anni. Tumore ai polmoni, metastasi
al cervello >>, raccontai, ripetendo le parole di mio padre di
alcuni anni prima.
<< Ti capisco. So cosa vuol dire perdere qualcuno che ami
>>, mi confortò.
Sorrisi. << Non è importante. È stato tanto tempo fa
>>.
Che bugia enorme! Era sempre importante. Anche se non lei non c'era
più. Ma preferivo le bugie alla verità dolorosa.
Il semaforo divenne verde e partii di nuovo. Per poi ricordarmi che non
avevo la minima idea di dove andare.
<< Portami da Celeste. Sarà al Central Park. Sotto la statua di Alice nel paese delle meraviglia.
Lei piace tanto >>.
Gli diedi un'occhiata un po' perplessa. << Sarà contenta di
vedermi? >>.
<< Affatto >>, rispose calmo. << Ma la calmerò. Cerca
di non mostrarti spaventata, per favore. Controlla le tue emozioni
>>.
Aggrottai le sopracciglia. << Motivo? >>.
<< È empatica >>, disse, stringendosi nelle spalle.
Approfittando che non ci fosse nessuno né davanti né dietro di me per
via della scorciatoia presa, premetti il piede sui freni con forza,
fermando la macchina di botto. Lui sobbalzò e mi guardò a occhi
spalancati. Non si era mosso di un centimetro.
<< Vuoi dirmi che lei ha dei... poteri? >>.
<< Esistono i vampiri. Perché non i poteri? >>.
<< È solo che sembra tanto da... telefilm >>.
Rise di gusto e mi guardò. << E i vampiri a quale appartengono?
>>.
<< Buffy, magari?
>>, tentai e rise ancora.
<< Quel telefilm è solo una mera imitazione di noi. Alcune cose
sono vere, anche i cacciatori di vampiri >>.
<< Vorresti farmi credere che esiste una cacciatrice di vampiri?
>>.
<< Non una. Tanti >>.
Le parole erano condite da un tono secco, come se non volesse parlarne.
Le luci della città illuminavano di vari colori per pochi secondi
l'abitacolo e rimasi a riflettere in silenzio.
Non gli stavano simpatici, era certo. In effetti, li uccidevano.
Ma i cacciatori di vampiri avevano ragione in fondo?
Damien uccideva gli essere umani e sicuramente anche la sua amica, e
tutti gli altri vampiri. Allora era giusto?
Lo scrutai con un'occhiata veloce.
Il suo viso non era per nulla turbato, quei discorsi dovevano essere
normali per lui. Mi aveva detto, in camera, di aver già “mangiato”.
Altre persone erano morte. Come potevo accettare tutto ciò? Per un paio
di occhi verdi belli come quelli?
Stavo diventando superficiale come le snob delle mia scuola del cavolo?
La sua bellezza era pura, purissima. Mi chiesi se non lo fosse anche da
umano e mai lo avrei saputo.
Provai a immaginarmi Damien di fronte a dei cacciatori di vampiri.
Nella mia fantasia costruita da film e sceneggiati, i cacciatori erano
armati di paletti e acqua santa. I vampiri, i denti in bella mostra.
Quelli di Damien non li avevo mai visti sul serio: davanti al mio viso
li aveva mantenuti normali, da finto umano.
E il pensiero della sua morte mi contorse lo stomaco in modo
fastidioso. Non volevo che accadesse una cosa del genere.
Ma dovevo ricordarmi che lui era un vampiro nel vero senso della
parola, poteva uccidermi in qualsiasi momento, anche ora.
Il Central Park si stagliò in tutta la sua magnificenza in lontananza.
Poco dopo, parcheggiai l'auto nel parcheggio praticamente deserto a
parte me e Damien. Scese dalla macchina con movimenti fluidi e io
restai a guardarli.
<< Ehi! >>, esclamò. << Sveglia! >>.
Mi ridestai e mi resi conto che l'avevo fissato troppo. Scossi la testa
e i capelli. << Sono sveglia >>.
<< Allora seguimi >>, disse lui.
Entrammo nel parco ed era avvolto da un silenzio che mi inquietava
parecchio. E pensare che non era la prima volta: forse la verità che mi
si era spalancata da un giorno lo rendeva tale. Quanti si celavano come
Damien, così?
<< Come fai a sapere dove trovarla? >>, gli domandai dopo
una decina di minuti.
Lui era qualche passo avanti a me, camminava tranquillo. Voltò appena
il viso per guardarmi. << Sento il suo odore >>.
Non capii perfettamente cosa intendesse, però annuii comunque.
Ancora silenzio. Cominciava a scocciarmi e pure molto. Poteva parlare,
accidenti! Non dovevo essere sempre io a cominciare il discorso!
Poi una voce.
<< Damien! Che cosa stai combinando pezzo di idiota?! >>.
La voce era arrabbiata e percepii un basso ringhio.
Un ciclone rosso si fermò dinanzi a noi.
E conobbi Celeste.
A prima vista, rimasi folgorata da tanta bellezza. Mi sentii molto
male, un colpo all'autostima incredibile.
La pelle bianca era compatta, liscia. Un fisico molto bello, sembrava
scolpito in palestra. Gli occhi grandi e di un bel color nocciola,
incastonati in un viso a cui una modella avrebbe pagato caro prezzo per
averlo. Un cascata di riccioli rossi contornava il tutto, sembravano
non conoscere l'umidità.
Peccato che quel viso tanto bello fosse contorto in una smorfia di
rabbia, mezza umana mezza vampira. Le labbra scoprivano i denti
affilati e bianchi, comunque normali, senza canini pericolosi.
Tremai comunque e mi ricordai delle parole di Damien. Poteva sentire le
mie emozioni.
Damien mise le mani avanti. << Calmati >>.
<< Non mi dire che devo calmarmi! È umana! Cosa non ti entra in
testa, ah? Umana! >>, scandì ben bene come se Damien non potesse
capire. << Sangue, cuore che batte, arrossisce, mangia, beve,
dorme. E cosa più importante muore.
Dimmi, hai per caso bevuto il sangue di un tossico stanotte? >>.
Per quanto fosse macabra quella battuta, faceva ridere ed io nascosi un
sorriso.
Damien invece rise. << Una volta. Mai più. Però non stanotte
>>.
<< Non ho proprio voglia di scherzare, guarda! >>.
Era proprio incavolata. Mica c'erano delle leggi?
Mi resi conto di essere rimasta lì, come una maleducata senza
presentarmi.
Allungai la mano destra. << Piacere. Rebecca Walker >>.
Lei fissò la mia mano, incrociò le braccia e non la prese. L'abbassai,
sconfitta.
<< Celeste, non devi pensare male, capito? Vuole solo che la
protegga, tutto qua >>, disse lui innocentemente.
Sciolse il groviglio di braccia e lo fissò stupefatta. << Sei
pazzo, per caso? Proteggerla? Da chi? >>.
<< Dai vampiri >>.
<< Dai vam... Tu devi essere sinceramente malato. Anzi no, fuso.
E tu cosa sei, sentiamo? Sai che protesti ucciderla prima dell'alba
>>. Mi guardò come se fossi un tenero antipasto.
<< Non lo farò >>, promise e mi lasciò spiazzata. Lo disse
con molta determinazione.
La vampira fece un verso scettico e gli voltò la faccia.
<< Celeste, almeno presentati >>, la supplicò Damien.
<< Ti prego >>.
Mi guardò con la coda nell'occhio e sbuffò. << Celeste Brown
>>.
Le sorrisi. << Piacere >>, ripetei come un'idiota.
<< Piacere mio >>, borbotto lei, sarcastica. Mi guardò
dall'alto al basso. << Uhm... Per essere un'umana, nella media
della bellezza, sei molto carina. E la cosa mi stupisce >>.
Dovevo prenderlo come un complimento?
<< Grazie >>, dissi non del tutto convinta.
<< Sii carina >>, la pregò Damien. << È
un'amica e noi non trattiamo male gli amici, no? >>.
<< Amica? >>, sbottò. << Amica! >>, ripeté
indignata. << Per fortuna, ho già cenato >>.
Non potei fare a meno di disgustarmi.
Damien mi guardò con un'occhiata di scuse.
Mi schiarii la voce e poi le chiesi, sperando di non sembrare una
stupida umana terrorizzata: << Prometto che non dirò niente
>>.
<< Certo che non lo farai! >>, disse con un velo di
minaccia lei. << Primo perché finiresti in manicomio. Secondo
perché non so quanto ti convenga avermi come nemica >>.
<< Celeste >>, la
rimproverò Damien, aspro.
<< Dì Celeste quanto ti pare e piace, Damien. Lei è un guaio che
tu hai causato >>.
E così rimasi a guardare con occhi sbigottiti i due vampiri che
litigavano...
Damien
D'accordo.
Ammettevo che lasciar vivere Rebecca non era stata una mossa furba.
Ammettevo di aver sbagliato ad andare da lei quella notte. E ammettevo
anche di aver errato a portarla da Celeste.
Ma non che lei la trattasse male. Era pur sempre maleducazione nei suoi
confronti.
Rebecca se ne stata immobilizzata a guardarci litigare come se i litigi
tra vampiri fossero diversi dalle schermaglie umane.
Celeste era sul serio incavolata. In tutti quegli anni, l'avevo vista
rare volte in quello stato.
<< Celeste ti calmi? >>.
<< Non dirmi che devo calmarmi, sai?! >>, esordì la vampira
dai rossi capelli. << Non osare >>, ripeté lentamente.
Ero esasperato. << Senti, potremmo rimanere qui tutta la sera,
anche tu l'eternità a bisticciare per Rebecca. Sarebbe pressoché
inutile, amica mia >>.
<< Anche perché l'umana l'eternità non ce l'ha >>, ci tenne
a precisare Celeste, una frecciatina in piena regola.
Rebecca aggrottò le sopracciglia, irritata.
Un'espressione buffa che mi fece trattenere una risata.
Celeste batteva un piede a terra, braccia conserte. Il bellissimo viso
piegato in una smorfia di irritazione e da un pizzico del vampiro
dentro di lei.
Poi l'espressione cambiò di scatto, sciolse l'intreccio di braccia,
smise di battere il piede e voltò la testa per guardare un punto
preciso.
Rebecca mi guardò. << Perché fa così? >>.
<< Portala via >>, disse Celeste.
Colsi un po' di panico nella sua voce. << Perché? >>.
<< Justin e Melinda. Saranno qui tra sessanta secondi >>.
<< Maledizione >>, imprecai.
<< Chi sono? >>, chiese Rebecca. Chiaramente era
spaventata. Se sopravviveva anche a questo niente l'avrebbe mai uccisa.
<< Sono due vampiri nostri amici. Se ti vedono qui, ti
uccideranno >>, le spiegai e forse fui un po' troppo specifico
perché un suono strozzato venne da lei.
<< Cinquanta secondi >>, mi ricordò Celeste.
Mi avvicinai a Rebecca e poi le feci segno di seguirmi. Ma non appena
mossi un passo un rampicante sbucò dal terreno e fermò le mie caviglie,
impedendomi di andare via.
<< Justin deve aver percepito qualcosa >>, dissi, guardando
Celeste.
<< Percepito? >>, chiese tremendamente confusa Rebecca.
E purtroppo avevo ragione. Nei parchi, in posti del genere, i gemelli
Warren erano imbattibili. Quand'erano diventati vampiri, loro stessi si
erano sorpresi di come il dono dell'immortalità avesse rafforzato
ancora di più il fatto che fossero gemelli eterozigoti.
Justin possedeva la rara capacità dell'empatia ambientale. Riusciva a
percepire le emozioni della natura, i suoi cambiamenti, captare le
sensazioni della fauna.
Melinda comandava la natura come se gli appartenesse. Riusciva a
comprendere il linguaggio degli animali e a comandarli.
In poche parole, Justin si occupava della teoria, Melinda della pratica
per quanto riguardava la natura.
Proprio in un parco dovevo portarla, ero stato stupido e sprovveduto.
E quei secondi tanto preziosi volsero alla fine.
I due amici atterrarono sul suolo con eleganza, Melinda più di Justin.
Celeste fece un sorriso stentato.
Per quanto non sopportasse Rebecca, non voleva la sua morte.
La nostra politica era: uccidi solo per mangiare, non per divertimento.
Gli occhi blu di Melinda guardarono me e poi Rebecca.
La ragazzina era contro un albero, il respiro accelerato e i battiti
troppo veloci. Sgranò gli occhi alla vista di Melinda, colpita dalla
sua bellezza accecante.
Justin si guardava attorno, ascoltando la natura.
<< Liberami >>, dissi categorico a Melinda.
Fece un cenno della testa e le radici tornarono al sottosuolo,
lasciando solo due buche nel terreno.
Fece un ghigno in direzione di Rebecca. << Oh oh. Un dessert?
Perché non ci hai invitato, Damien? >>.
<< Il suo sangue ha un buon odore... >>, disse Justin,
guardando Rebecca con occhi che non mi piacevano affatto.
Rebecca non piangeva ancora e mi chiesi se lo avrebbe fatto. Forse no.
Rimaneva in silenzio, non voleva tradire alcuna emozione. Era
orgogliosa, lei.
Divenni aggressivo, fu naturale. << Non è un dessert >>.
Celeste mi aiutò: << Ha ragione. Non è qui per morire >>.
<< Prego? >>, ci chiese Melinda.
<< E per cosa, allora? >>, continuò Justin.
Non sapevo cosa rispondere. Se gli avessi detto che era lì perché la
stavo proteggendo mi avrebbero deriso abbastanza e le parole non li
avrebbero fermati. Justin e Melinda si divertivano con gli umani ogni
tanto.
<< Damien, portami a casa >>, disse Rebecca con voce quasi
inesistente.
<< Adesso >>, le assicurai. << Non rimaniamo >>.
<< Stai scherzando? >>, domandò Melinda, incredula.
<< Affatto >>, disse tagliente Celeste. << Non
dobbiamo ucciderla, chiaro? Ora lei se ne va a casa sua, intesi?
>>. Il suo tono era ghiaccio allo stato puro.
I due gemelli risero e poi si guardarono. E quando guardarono Rebecca,
i canini in bella vista.
Lei cacciò un piccolo strillo di paura e cadde all'indietro contro un
albero. Una piccola radice creata da Melinda l'aveva fatta inciampare.
Mi parai davanti a lei. << Non scherzo Melinda >>.
<< Io neanche >>, disse lei con tono di sfida.
Justin le fece eco.
<< Damien, era questo che intendevo in camera >>, disse
Rebecca, la gola secca.
Celeste si mise dinanzi a me. << Basta! >>.
Un sibilo sordo nacque dalle labbra rosa di Celeste e scoprì i canini.
<< Ora basta, tutti e tre >>, dissi. << Non voglio
che litighiate per Rebecca. Perché non ci sono motivo. Smettetela
>>.
I due gemelli e Celeste smisero di guardarsi in cagnesco e i canini
tornarono al loro posto.
Sbuffarono tutti, tranne io e Rebecca.
Il battito del suo cuore era troppo veloce. Doveva andarsene da quel
parco. Subito. O sarebbe morta di crepacuore.
Le offrì la mia mano. << C'è ne andiamo >>.
Lei la prese dopo alcuni attimi di esitazione e rabbrividì al contatto.
Freddo com'ero, mi sarei stupido del contrario.
Melinda e Justin mi guardavano come se non mi riconoscessero. Come se
quello che avevano dinanzi a loro non fosse il vero Damien, compagno di
due decenni.
O forse non mi conoscevano per davvero.
Uccidere senza motivo, è inutile. Del tutto. E Rebecca non meritava di
morire. Certo, due notti prima ci era andata vicina ma solo perché era
una testimone scomoda e noi vampiri non dobbiamo lasciare testimonianze
in giro per il mondo.
E sì che lei mi aveva colpito, e tanto. Insomma, lei non sarebbe morta
per mano di un vampiro. O perlomeno, non per mano di un vampiro che non
fossi io. Perché se proprio era questo il destino di Rebecca, preferivo
che fossi io a compiere un gesto tanto ignobile nei confronti suoi e
della sua vita che sembrava aver preso una piega decisamente brutta.
Frequentare vampira era decisamente una piega brutta.
Ci allontanammo di molti passi, sotto gli sguardi dei gemelli e quello
di Celeste, un po' delusa dal mio comportamento nei confronti di quella
che, per quelli della mia razza, è un'insignificante umana.
Ma Rebecca lo era, per me?
La guardai mentre camminavamo.
Lei teneva gli occhi bassi, fissi sul terreno. Le labbra le tremavano
appena e il colorito non era roseo ma tinto di una tonalità pallida.
Frenava i singhiozzi.
<< Non preoccuparti >>, le dissi e lei alzò i suoi occhi
azzurri bellissimi.
<< Davvero? >>.
Dissi tre parole, tre parole che dalle mie labbra immortali non
dovevano uscire, rimanere intrappolate dov'erano, nel fondo del mio
cervello.
<< Ci sono io >>.
Angolino!
Ecco un altro capitolo! Spero vi sia piaciuto!!! In questo abbiamo
visto come non avrà vita facile Rebecca! Al prossimo capitolo e grazie
per chi l'aggiunge nelle preferite, nelle seguite, chi legge, chi
commenta! Fatemi sapere se vi è piaciuto ;-)!
All prossima!
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Capitolo 5 *** Un racconto da Damien ***
Capitolo 5
Un racconto da Damien
Rebecca
Tre parole, solo tre parole.
Possono davvero rendere una persona nervosa?
Cosa voleva dire, Damien?
Me ne stavo così, a fissare il cielo che scoloriva. Diveniva sempre più
azzurro, sempre meno blu. La luna andava via, il sole sorgeva. Le
stelle impallidivano. I rumori della città cambiavano.
Un'enorme cambiamento.
Come quello successo nella mia vita. Ora Damien mi avrebbe protetta dai
vampiri realmente cattivi, sadici, senza rispetto della vita umana al
cento per cento. Lui lo faceva solo per costrizione, per mangiare. Non
era giusto, certo. Ma cosa potevo fare? Avrei tanto voluto trovare un
modo per permettere a Damien di non uccidere, magari anche per Celeste.
Per quanto la bella vampira dai rossi riccioli non mi sopportasse mi
aveva aiutata, non voleva la mia morte. Non come gli amici loro, i due
vampiri con i poteri della natura.
Damien mi aveva lasciata in camera mia un'ora dopo quella scenetta,
assicurandomi che potevo dormire sogni tranquilli, avrebbe fatto la
guardia. Ed io gli avevo creduto ma non avevo chiuso occhio tutta la
notte.
Ed ora che il sole occupava il suo spazio nel cielo, Damien doveva
andarsene per rintanarsi in un luogo sicuro dai raggi del sole che
potevano scalfirlo e io ero al sicuro fino al tramonto.
Appoggiata al bordo della finestra, la testa posata sulle mie braccia
come se volessi dormire, guardavo con occhi lucidi dal sonno che mi
travolgeva la città sotto di me. Il sole cominciò ad alzarsi e i raggi
dorati disegnavano linee dorate sui grattacieli a specchio.
Mi colpirono agli occhi e li socchiusi: ai miei occhi chiari la luce
del sole dava fastidio se troppo intensa e niente è più luminoso di un
raggio dell'alba.
Le sette.
L'orologio tintinnò. Io sospirai. Mezz'ora dopo, mio padre avrebbe
fatto il suo ingresso con i suoi pesanti stivali e la giacca blu e
bianca. E scaricata la pistola. Da piccola, una volta, stavo per
spararmi e da quel giorno papà ci sta attento. Anche perché lo schiaffo
non me lo dimenticherò mai.
Un sospirò sfuggì dalle mie labbra e un freddo pungente mi attraversò.
La mattina faceva troppo freddo. Così mi infilai sotto le coperte per
dormire un po', almeno un po'.
La foto della mamma mi sorrideva come per incoraggiarmi.
Il dolce sorriso di mia mamma, incinta di me, mi faceva sentire bene.
Papà diceva sempre che io ero il regalo più bello che la vita avesse
fatto a lui e alla mamma. Un prova tangibile del loro amore, della
mamma qualcosa era rimasto.
<< Oh, mamma. Cosa devo fare? >>, chiesi alla foto che mai
mi avrebbe risposto. << Perché te ne sei andata? >>.
Non so quanto tempo passò e non doveva essere tanto. La porta
scricchiolò e si aprì e i borbottii di mio padre al cellulare arrivano
fino a me, sepolta sotto pesanti coperte lilla.
<< Rebecca >>.
<< Sono qui >>.
Mi svegliava sempre quando tornava.
<< Tutto bene, piccola? >>.
<< Tutto okay >>, mentii. Niente era okay. Niente.
Aprì leggermente la mia porta per guardarmi. Mi sorrise. Avevamo lo
stesso sorriso. << Hai dormito? >>.
<< Certo >>. Un'altra bugia.
<< Ora prendo un bel café e vado pure io. Resta fino a quanto
vuoi. Tanto domani viene la signorina >>.
<< Grazie, papà. Sei il migliore >>.
<< Arrossisco, figlia mia, se mi dici così >>.
Risi a mio malgrado.
Mi diede la “buonanotte” e se ne andò in cucina. Io presi due profondi
respiri e poi affondai il viso nelle mani e scoppiai a piangere.
Era inutile. Mentivo a me stessa.
La scena di quella notte mi aveva traumatizzata troppo. I due vampiri
con i canini affilati, Damien un vero e proprio vampiro, mi aveva
terrorizzata. Era sicura che se avessero insistito, Damien avrebbe
abbandonato le spoglie del buono e indossato quelle delle cattive. E lì
sarei morta di paura.
Quella Melinda sembrava avercela con me. Aveva una cotta per Damien? Ma
come poteva solo pensare che Damien preferisse me a lei? Cavoli, era
stupenda.
Io non ero brutta, ma neanche bellissima. Carina, azzarderei. Ma la sua
era una bellezza eterea che nemmeno quella di Celeste poteva competere,
figurarsi io.
Mi voleva uccidere? Forse.
Suo fratello voleva uccidermi? Forse.
Celeste? No.
E... Damien? Lui voleva uccidermi?
Mi aveva detto che avevo un buon sangue, un buon sapore... Un dolce
sangue che gli aveva fatto perdere la testa con una goccia sola. Aveva
ammesso che poteva uccidermi quando voleva. Ed io ero la stupida
ragazzina abbindolata da lui? E se stava giocando con me?
No, Damien non l'avrebbe mai fatto. Lo conoscevo da poco ma ero già
certa di questo. Ne ero sicura. Perché? Non ne avevo idea.
Mi attaccavo a quel poco che sapevo e cercavo di trovare più ipotesi
possibili. Non potevo fare altro...
… e tutto si complicò una settimana dopo. Il sabato successivo, io ero
uscita di testa. Il motivo era semplice: non avevo più visto Damien. Lo
avevo aspettato non appena la notte calava su New York ma lui non era
più venuta. Non doveva proteggermi?
Lo avevo aspettato ma alla fine cedevo sempre. Ero sempre umana, mica
una vampira e le occhiaie peggioravano la situazione.
E quel sabato, Elene e Amanda erano a casa mia. Mi vedevano abbattuta e
voleva consolarmi. Ma non potevano consolarmi, accidenti! Non potevo
dirgli la verità: come minimo avrebbero pensato che mi drogo e pure
pesantemente.
Non gli dava fastidio il fatto che abitassi in un appartamento e non in
una villa come loro. Due rarità nella East Side e nella mia scuola, in
particolare.
Il pomeriggio era dedicato a una cosa che adoravamo...
<< Tutte e ripeto tutte le stagioni di Gossip Girl! >>, trillò
Amanda con un pacchetto di DVD nella mano destra.
Io e Elene facemmo due saltelli e cercai di mostrami entusiasta.
Adoravo Gossip Girl ma non
ero dell'umore giusto per sbavare dietro a Nate o Chuck.
Amanda adorava indiscutibilmente Dan con la sua faccia da ragazza
ingenuo e quando c'era lui non capiva niente.
Popcorn, telecomando, divano e televisore (almeno questo era al plasma.
Dio ringrazi i pagamenti rateali).
Amanda e Elene si gettarono sul mio vecchio divano del salotto e in
mezzo a loro, ridacchiando e cercando di mostrarmi la ragazza di sempre.
<< Metti metti! >>, incitò Elene ad Amanda.
La nostra amica fece partire il DVD dal primo episodio.
I primi due li guardammo tranquille e spensierate. Idem il terzo. Con
loro, riuscii a dimenticarmi in parte della piega che la mia vita aveva
preso e mi concentrai sugli attori e sul mito mio, di Elene e Amanda:
Blair.
All'inizio del quarto, nel mezzo di una risata, guardai fuori dalla
finestra e mi accorsi che stava calando la notte e l'entusiasmo
guadagnato con tanta difficoltà, svanì come risucchiato.
<< Rebecca, va tutto bene? >>, mi chiese preoccupata Amanda
del mio cambiamento di umore improvviso.
Elene smise di ammirare Chuck e mi guardò anche lei ansiosa.
Smorzai la tensione. << Sto bene, sul serio >>.
<< In questa settimana eri strana, sai... Giù, preoccupata per
qualcosa. Perfino a scuola non ti sei impegnata come di dovere e a
pianoforte hai fatto schifo >>, disse Elene.
<< Grazie Elene >>, dissi sarcastica.
<< È la verità, Rebby. Dicci la verità >>, mi invitò Amanda.
Mi morsi un labbro. No, non potevo. Damien era stato categorico. Ma
dopotutto, Damien era anche svanito, non si era fatto più vivo.
<< Ecco... >>.
Il campanello suonò.
Voltai subito la testa in direzione dell'ingresso. Non aspettavo
nessuno.
<< Chi è? >>, mi domandò Elene.
<< Non so. Mio padre è a lavoro e comunque ha le chiave >>.
Scavalcai il divano e i cuscini per scendere e per andare ad aprire. Le
mie amiche mi seguirono.
<< Chi è? >>, domandi svogliata.
<< Damien >>.
Sgranai gli occhi e aprii la porta immediatamente. Dimenticandomi delle
mie amiche.
Ed era sulla soglia della mia porta, quasi imbarazzato. Il suo viso
giovane e eterno mi guardava, i suoi occhi verdi.
Sbattei le palpebre per rendere vera quella visione.
<< Porca paletta >>, commentò Elene, a bocca aperta davanti
alla bellezza di Damien.
<< Sono morta e finita in paradiso? >>, sussurrò Amanda.
Convinta che lui non la sentisse. E infatti ridacchiò.
<< Che ci fai tu qui? >>, dissi tutto d'un fiato, forse
troppo aspra.
<< Ehm... io... volevo parlarti >>, rispose.
Guardai le mie amiche. Si mangiavano Damien con gli occhi e mi sentii
gelosa. Un moto naturale. Scossi la testa e tornai a lui.
<< Adesso? >>.
<< Anche tra un'ora o due. Sai, io ho tutto il tempo che vuoi
>>, mi ricordò e sorrisi.
<< Okay, tra un'ora al Central Park >>.
<< Perfetto. A dopo, Rebecca. Signorine >>, disse gentile
come un vero ragazzo dell'ottocento, chinando appena la testa e andando
via.
Chiusi la porta e mi preparai ad affrontare le mille domande delle mie
amiche.
<< Chi era quel figo assoluto? >>, domandò a raffica Elene.
<< Diccelo subito, Rebecca! >>, continuò Amanda.
Si avvicinarono pericolosamente.
Misi le mani avanti. << Un amico >>.
<< Cosa? Con uno così ci avrei provato subito! >>, disse
sconvolta Amanda.
<< Io lo avrei baciato direttamente! >>, sbottò Elene, con
la delicatezza femminile che ogni tanto se ne andava in vacanza.
Risi. << Smettiamola di guardare Gossip Girl, ragazze >>.
<< Chi se ne frega adesso! >>, strillò Elene.
<< Vogliamo che ci racconti tutto! >>.
<< Ma non c'è niente da raccontare >>, mentii, andando in
cucina per bere un bicchiere d'acqua freddo, ghiacciato che mi
svegliasse.
Cosa era venuto a fare fino a casa mia? Era pazzo per caso? Sì, pazzo.
Sapeva che c'erano due umane con me. Per forza lo sapeva.
Le mie amiche mi guardavano e ciarlavano in continuazione, chiedendo
risposte a gran voce. Risposte che io non potevo dare, dovevo
salvaguardare la loro incolumità. Mi scolai il bicchiere di acqua
freddo di colpo e mi svegliò con il suo freddo pungente giù per lo
stomaco.
<< Non so se avete sentito ma io devo essere al Central Park tra
un'ora. Mi dispiace mollarvi così >>.
<< Per andare con uno del genere? >>, dissero in coro.
<< Puoi mollarci quando vuoi! >>.
Le abbracciai. << Siete mitiche >>.
Ci abbracciammo per circa un minuto e poi Amanda mi prese per un
braccio, Elene per l'altro e cominciarono a trascinarmi fino in camera
mia.
<< Ma che fate?! >>.
<< Adesso vedrai! >>.
Damien
<< Non è stata una bella mossa. Ultimamente hai strane manie
>>, disse Celeste, seduta accanto a me su una panchina, un
braccio poggiato sullo schienale e un dito nei capelli rossi e ricci.
<< Le amiche non se ne sarebbero andate prima di ore. Non potevo
attendere >>, cercai di scusarmi.
Celeste storse il naso. << Le umane l'avranno bombardata di
domande. Povera Rebecca >>.
Scoppiai a ridere. In effetti, non le avevo giocato un bel tiro con
quell'entrata in scena. Inoltre le due ragazzine avevano mostrato
particolare interesse nei miei confronti. Come tutte le donne umane.
<< Volete che vi lasci soli? >>.
La domanda di Celeste mi costrinse a distogliere l'attenzione dalle
stelle ai suoi occhi color nocciola. << Come? >>.
<< Volete che vi lasci soli? >>, ripeté lentamente come se
fossi uno sciocco e questo la fece ridere. Aveva letto la mia
irritazione dalle emozioni dentro di me. Che potere fastidioso.
<< Non stiamo uscendo >>.
<< Mmm... >>, mormorò lei, stringendo le labbra e guardando
altrove.
Le misi una mano sul viso e la obbligai a guardami. << Perché hai
detto “mmm”? >>.
<< Non posso? >>.
<< Piantala di prendermi in giro, Celeste. Dimmi cosa pensi
>>.
<< Penso che a te l'umana piaccia >>, disse semplicemente e
l'idea non le piaceva.
<< A me l'umana >>, dissi quella parola invece di Rebecca
per farle l'eco. << Non piace in quel senso >>.
<< Bugiardo! >>, disse con enfasi, battendo le mani sulle
gambe. << Lo leggo dalle tue emozioni. Per me sei un libro aperto
>>.
<< Allora vedi di chiuderlo, il libro >>, sbottai irritato.
<< Magari potessi! >>.
Non volevo litigare con lei ed era stato sleale dirle quelle parole. Il
potere di Celeste era tutt'altro che rose e fiori. Leggere qualsiasi
emozione dentro un umano o vampiro che sia non era quasi mai piacevole,
niente che meritasse tenerlo. Ma questo era Celeste e lo sarebbe stato
per l'eternità.
Le sorrisi. Mi aveva voltato la faccia ed era corrugata.
<< Dai sorellina, non fare così >>.
Il nomignolo dei primi tempi la colpì e mi guardò con un sorriso appena
accennato. << Scuse accettate, fratello >>.
Mi fece una carezza fraterna e poi si irrigidì. Fissava un punto
lontano.
<< Che c'è? >>.
<< Sta arrivando e direi che forse è il caso che vi lascio
davvero da soli >>.
Mostrai tutta la mia perplessità. << E perché? >>.
Fece un cenno della testa, indicando dietro di me. Mi voltai a tre
quarti e non potei fare a meno di rimanere a bocca aperta per lo
stupore.
Era Rebecca?
Una ragazza avanzava verso di noi, con passi timidi e corti come se non
volesse essere in quel parco. I capelli era sistemati alla perfezione,
con la piastra (essere l'ex di Melinda ha i suoi vantaggi) e le punte
erano leggermente mosse. Il suo viso era truccato di colori classici e
stesi perfettamente come se ci avesse messo mano un'estetista. Un
vestito lilla scuro copriva il suo busto, per scendere alla vita e poi
divenire un'ampia gonna sopra il ginocchio, con i bordi lavorati ed era
senza spalline. Un copri spalle appena più scuro le proteggeva le
spalle dal freddo. Le gambe erano fasciate da calze di un candido
bianco. Le scarpe era delle decolté nere e lucide. Nella destra,
stringeva una borsetta anch'essa lilla, dello stesso colore del
vestito, quasi fossero la stessa stoffa. E per finire, al collo,
splendeva una collana argentata che terminava in un pendaglio a forma
di R in cui era incastonate delle pietra azzurre, come i suoi occhi, e
la lettera finemente lavorata.
Ero senza parole.
Prima avevo guardato i suoi occhi celestiali ed ora... ero colpita
dalla sua semplice bellezza. Lei si considerava carina, passabile, come
del resto fanno molte sedicenni. Ma invece era bellissima e neanche se
ne accorgeva.
Celeste mi guardò e notò la mia espressione. Non serviva essere
un'empatica. << Vi lascio soli >>, disse e prima che
potessi dire qualsiasi cosa, scappò via e divenne un'immagine sfocata
per svanire tra gli alberi del Central Park.
Rebecca si avvicinò a me e si fermò a cinque passi di distanza. Era
veramente a disagio.
<< Sei bellissima >>.
Il mio complimento la rese ancora più timida e alzò lo sguardo per
guardarmi. << Grazie >>, mormorò. << Sono state le
mie amiche. Dicevano che non potevo presentarmi davanti a te in jeans e
maglietta >>.
Sorrisi. << Che brave >>.
Non riuscivo a non guardarla. Era bellissima, stupenda e... tentatrice.
La bellezza unita al sangue che le scorreva nelle vene, al suo
sapore... No, non potevo, non dovevo. Lei doveva vivere.
Cercai di riprendere il controllo di me stesso, di essere il Damien
buono.
Mi alzai dalla panchina e le porsi una mano.
<< Vieni, passeggiamo >>.
Le accettò la mia offerta con un cenno di consenso della testa, facendo
ondeggiare i suoi capelli scuri e spargendone un buon profumo attorno a
me.
I primi minuti trascorsero in silenzio.
<< Anche se non mi hai visto, io c'ero questa settimana >>.
<< Sul serio? Pensavo che te ne fossi andato >>.
<< Invece c'ero. Ti proteggevo, che credi? >>.
Si rilassò e rise. << D'accordo. Mi hai fatto ridere >>. I
suoi occhi si illuminarono.
Quindi era felice di sapere che io c'ero. Ne ero felice anche io.
Ci addentrammo verso il lago The Pond, per sederci lì di fronte e
chiarire qualcosa. Ci volle circa mezz'ora e in quel lasso di tempo
notai occhiate sfuggevoli di ragazzi verso di lei. Mi resero geloso, lo
ammettei a me stesso.
Il lago apparve in lontananza e lei affrettò il passo per andare a
sedersi su una panchina proprio lì di fronte. Inspirò profondamente la
sua aria pura e chiuse gli occhi e li riaprì, guardandomi e mi invitò a
sedermi accanto a lei.
<< Sei scusato >>.
<< Dici davvero? >>.
<< In fondo, mi proteggi no? >>.
<< Ovvio. Io ho fatto il casino e io lo rimedio >>.
Una risatina la scosse e osservò le acque scure del lago che
riflettevano il cielo sopra di esso.
<< Damien >>, mi chiamò.
<< Dimmi >>.
<< Come si diventa come te? >>.
La domanda mi lasciò sgomento. La guardai con occhi tormentati.
Lei mi restituì un'occhiata imbarazzata per quella domanda.
<< Perché vuoi saperlo, Rebecca? >>.
<< Sono curiosa, tutto qui. Tanto vale che sappia tutto fino in
fondo, non ti pare? >>.
Cercai di trovare le parole migliore per spiegarle tutto.
<< È complicato >>.
<< Quanto? >>, domandò curiosa. << Tu lo hai mai
fatto? >>.
Prese un bel respiro. << Sì >>.
Si mise dritta, non poggiò più la schiena contro la panchina. <<
Con chi? >>.
<< Con Celeste >>, confessai.
<< Quindi... Celeste è un vampiro... per causa tua >>. Le
tremavano le labbra.
<< Era necessario. Sarebbe morta >>, dissi, quasi mi stessi
giustificando.
<< Spiegati meglio >>, mi incitò lei.
I miei ricordi vagarono lontani, molto lontani, nel 1938. Una Celeste
umana, sedici anni. Io un vampiro che l'aveva conosciuta una notte.
<< Suo marito la picchiava >>, cominciai.
<< Suo marito? Un momento... Celeste ha sedici anni dal 1938, no?
Ed era già sposata? >>.
Annuii. << All'epoca funzionava in questo modo. Aveva anche una
figlia, Emily. Aveva sei mesi quando Celeste è... morta >>,
spiegai.
Era così che avevo conosciuta Celeste, la prima volta. In una piazza,
nella piccola città dove viveva. Stringeva al petto Emily, cinque mesi.
Le somigliava molto: aveva gli stessi capelli ricci e rossi della
mamma, gli occhi erano di quel bastardo di suo padre, azzurri.
Io avevo mangiato da poco e quella ragazzina disperata mi aveva
intenerito. La bimba piangeva.
<< Aveva una figlia? >>, ribatté scioccata Rebecca.
<< Che fine ha fatto? >>.
<< Celeste non lo sa però Emily è ancora viva. Ma sta morendo. È
molto malata, ictus. Vive proprio qui, a New York. Suo padre, Charles,
finì in galera per l'omicidio di Celeste e gli hanno dato
cinquant'anni. È uscito nel 1989, quando ormai Emily era grande. Non ne
ha voluto sapere nulla di lui così il vecchio si è rintanato
nell'alcool ed è morto tre anni dopo, nel 1992 >>.
Rebecca ascoltava tutto, lettera dopo lettera. La storia di Celeste era
orribile e la stessa protagonista non ne conosceva tutti i risvolti
dopo il suo cambiamento. Non potevo dirglielo, si sarebbe afflitta per
l'eternità. Io ero venuta a sapere tutto grazie ad accurate ricerche.
<< Continua >>, disse Rebecca. Per quanto tremasse e tutto
non voleva che io smettessi.
<< Un mese dopo averla incontrata per la prima volta, ritornai a
trovarla per vedere se lei e la neonata stavano bene. Prima di
avvicinarmi a casa sua, colsi il dolce odore del sangue, il suo.
Sbirciai dalla finestra della sua abitazione: suo marito era nobile.
Lei era a terra, pugnalata al cuore, stava per morire. Emily strillava
a più non posso e suo marito stava appoggiato alla bordo del camino a
sorseggiare whisky. Non resistetti a quell'immagine. Charles prese la
bambina e uscì dalla stanza e io ne approfittai. La presi in braccio e
la portai via da quella casa maledetta. Ci nascondemmo in un vicolo e
lì... la cambiai >>.
<< Come hai fatto? >>, domandò Rebecca, esangue.
Mi morsi un labbro. << La morsi. Al collo due volte. Al secondo
morso, cominciò ad agitarsi e aprì gli occhi tenuti chiusi fino a quel
momento. Riuscì a guardarmi e mi riconobbe e chiese a gran voce dove
fosse Emily. Le raccontai cos'ero veramente e che cosa stava
diventando. Ben presto, nel giro di poche ore, la pelle di Celeste
divenne bianca e fredda, gli organi morirono. Gli occhi divennero neri
e la pelle si indurì. I sensi si affinarono. Alla terza ora, si rialzò
da sola. Si guardò e tentò di piangere e si accorse di non poterlo fare
mai più. Fu a quel punto che mi credette sul serio. Mi odiò i primi
giorni e tornò a cercare sua figlia >>.
<< Ma poi divenne sempre meno importante >>.
<< Sì. Accettò cos'era diventata, si assicurò che Emily stesse
bene e andammo via da quella città. Non l'ha più vista >>,
conclusi il racconto e ogni volta che lo ripercorrevo mi provocava una
sensazione poco piacevole.
La ragazza era pallida e sembrava respirare male. Percepii un battito
del cuore più veloce.
<< Ma Celeste ha un potere, tu no. I vampiri dell'altra volta
anche >>, si ricordò e lessi una certa curiosità nella sua voce.
<< I poteri che hanno certi vampiri possono derivano da molte
cose. Justin e Melinda, se non non lo sapessi, sono fratelli gemelli
biologici. Sono morti lo stesso giorno per mano di due sadici vampiri.
Il fatto di essere gemelli deve aver contribuito a sviluppare delle
capacità che si completano l'un l'altra. Ma Celeste non lo so. Forse è
una sorta di dono per ciò che la vita le aveva riservato e la vita
eterna ha voluto ripagarla. O forse era, da umana, solo molto
ricettiva. Io non sono niente di speciale. Sono un vampiro comune
>>.
Rise. << Esistono vampiri comuni? >>.
Non le risposi e mi persi nella sua risata.
<< Non è giusto >>, disse di colpo.
<< Prego? >>.
<< Non è giusto che le persone soffrano in vita per poi
venire ripagati con questo >>, mi spiegò.
<< Non lo è, hai ragione. Ma funziona così e non possiamo farci
niente >>.
E forse, dentro di me, non sarei mai voluto tornare umano. Ma a lei non
lo dissi. Mi limitai a camminare con lei al mio fianco, la notte ancora
tutta per noi.
Di una cosa ero certo: era felice di avere una notte tutta per noi...
Angolino
D'accordo... Sono giusto ma
giusto un pò in ritardo... Ma ho avuto qualche piccola problema con
Internet e varie... Però sono tornata con un altro capitolo e chiedo
infinitamente scusa!!! Mi spiace! Be', spero vi piaccia! Alla
prossima!!!
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Capitolo 6 *** AVVISO! ***
Chiedo decisamente scusa se non ho ancora postato! Ma purtroppo si
avvicinano gli esami e io sono di maturità, quindi devo risolvere i
problemi a scuola, ho un manoscritto da finire e tanti altri piccoli
casini della mia vita >.< Quindi spero capiate se non posto! Vi
prego di perdonarmi!!!
Alla prossima!
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Capitolo 7 *** Note amare ***
Capitolo 6
Note amare
Rebecca
Due mani di colore diverso si posarono sulle mie spalle e guardai a
destra e a sinistra per vedere di chi mai potessero essere. Ero
impegnata a mangiare i biscotti al cioccolato fatti il giorno prima e a
leggere una rivista.
Stavo sgranocchiando un boccone quando le mie due migliori amiche mi
interruppero.
<< Ebbene? >>, chiesero in coro, frementi di curiosità.
Io mi accigliai e compresi di cosa parlassero ed era un bel problema,
questo. Non potevo dare troppe informazioni anche perché, in effetti,
non era successo niente.
<< Abbiamo parlato >>, dissi, stringendomi nelle spalle e
tornando ai miei buonissimi biscotti al cioccolato.
Le loro facce sconvolte mi irritarono non poco. Che cosa mai si
aspettavano?
<< No, cioè... Tu avevi a disposizione un tipo come quello e non
lo hai baciato? >>. Amanda mostrava tutta la sua incredulità.
Ingoiai il boccone e poi dissi: << Non dobbiamo per forza
baciarci >>, presi la scatola di latta con i biscotti. Una vana
speranza. << Biscotti? >>.
Elene mi diede una piccola botta sulla mano e la scatola tornò sul
tavolo della mensa.
<< Sei incredibile! Ma almeno lui ci ha provato? >>.
<< No >>, risposi e purtroppo non ero del tutto
indifferente a quella risposta negativa. Mi dispiaceva che non lo
avesse fatto.
<< È gay? >>, mi chiese Amanda.
<< No! >>, esclamai. Anche se non c'era niente di male,
ovviamente. Però ne ero sicura, dopo aver avuto un piacevole incontro
con la bella Melinda Warren, sua ex storica.
Le mie amiche non potevano comprendere. Damien era un vampiro, io
un'umana. Lui era eterno, io no. E c'era anche la questione del mio
sangue, che per lui era qualcosa di attraente e sublime. Le lasciai
questionare e mi concentrai sui biscotti, cadendo in una sorta di
depressione cronica.
Chissà cosa faceva Damien durante il giorno. Lui mi aveva spiegato che
con Celeste si nascondevano in uno scantinato quasi del tutto buio. Era
abbastanza sicuro. Non dormiva quindi l'unica cosa che poteva fare era
attendere il ritorno dell'oscurità. Che cosa deprimente. Fu un pensiero
naturale dentro di me, che vivevo alla luce del sole e non c'era niente
di più bello.
Un bisbiglio spezzò i miei pensieri.
<< Ultimamente è il periodo dei fighi! >>, cinguettò Elene
e un altro commento di Amanda seguì il suo. Io cercai di capire il
motivi di tali affermazioni e poi capii. Un ragazzo stava camminando
per la mensa con l'aria di chi è nuovo. La sua faccia mi era nuova.
Indossava la divisa della scuola, la versione maschile: giacca rossa,
pantaloni dello stesso colore e una camicia bianca spiccava da sotto la
giacca. Un metro e settantacinque minimo, capelli disordinati e biondi,
occhi verde scuro, color muschio. Il viso era tondo, le labbra sottili,
il naso possedeva una bella linea.
Sì, era bello. Ma non come Damien.
<< Forse ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a orientarsi
>>, rise Elene e Amanda si unì.
Scossi la testa e tornai alle mie frivole, ma piacevoli, occupazioni.
Andavo sempre in bagno prima delle altre due ore di lezione. Non mi
andava di uscire durante lo svolgimento e perdermi degli appunti utili.
Sì, ero una secchiona.
<< Scusa >>.
Mi voltai e vidi il nuovo arrivato impalato in mezzo al corridoio.
<< Dici a me? >>.
<< Ci sei solo tu >>, mi fece notare con un sorriso
divertito.
Diedi una rapida occhiata attorno e mi resi conto che il biondo aveva
ragione.
Arrossii leggermente. << Giusto. Sei nuovo? >>.
Mi porse la mano. << Mi chiamo Logan Edwards >>.
<< Rebecca Walker >>, mi presentai gentilmente,
stringendogli la mano.
La lasciò. << Ho qualche problema a orientarmi. Dov'è la lezione
di letteratura del terzo anno? >>.
Mi illuminai. Era del mio stesso anno? Sembrava molto più grande.
<< Devo andarci anch'io. Ti faccio strada >>, offrii e
Logan accettò.
Per il corridoio deserto risuonavano solo i nostri passi. Il silenzio
era imbarazzante.
<< Allora... da dove vieni? >>, gli domandai.
<< Colorado >>, rispose.
<< I tuoi ti hanno spedito proprio in questa gabbia? >>.
Posi la domanda con un sorriso.
Rise. << A dire la verità, mi hanno espulso e i miei mi hanno
mandato qui per punizione. Sto in convitto >>.
<< Ah >>, riuscii a dire, senza sapere cosa aggiungere.
<< E ho anche ripetuto l'anno >>.
Quindi era sul serio più grande. Aveva quasi diciotto anni.
Ormai eravamo davanti all'aula per la noiosa lezione. Le lezioni sono
sempre noiose, chi più chi meno. Il ragazzo osservò l'aula di media
grandezza, adatta a contenere circa venti alunni. Le pareti color
nocciola chiaro, i banchi lucidi, le tendine bianche, il pavimento
immacolato, la lavagna di ardesia appena pulita dal gesso di tutta una
mattina. Una cosa buona delle scuole private è che sono sempre pulite.
Il mio primo anno l'ho trascorso in una di quelle e devo dire che
quelle private sono un paradiso in confronto.
Alcuni erano già seduti, altri erano fermi vicini all'entrata.
Logan mi sorrise. << Be', grazie >>.
<< Di niente. Hai bisogno di aiuto anche domani? >>.
Ci pensò su. << Non credo. Grazie per il pensiero >>.
Ricambiai il suo sorriso, cercando di farlo apparire solo amichevole.
<< Prego. Ora devo andare. Ci vediamo Logan >>.
Entrai nell'aula con i miei libri e li posai sul banco. Presi il
quaderno degli appunti e lo aprì. Sospirai. Logan mi diede un'occhiata
e mi lanciò un sorriso. Gliene feci uno piccolo anche io.
"Brava Rebecca" , pensai, "l'ultima cosa di cui hai bisogno è un
ammiratore proprio adesso".
Tornata a casa, scoprii che mio padre aveva il turno notturno, e la
mattina dopo sarebbe rientrato alle sei. Perfetto. Era venerdì, il che
voleva dire un'intera notte con Damien.
Alla cinque, si preparò per uscire. Sulla soglia della porta, mi
chiese: << Che fai tu oggi? >>.
Mi irrigidii. Non amavo dire bugie a mio padre. Ma quale figlia direbbe
al proprio padre che va a trascorrere tutta la notte con un vampiro?
<< Studierò >>. Una risposta piena di maturità.
<< Brava! A domani, tesoro. Ti voglio bene >>.
<< Anche io, papà >>.
Se ne andò ed io mi morsi la lingua. Bugiarda, bugiarda, bugiarda.
Mancava ancora un'ora al tramonto. Una doccia per rilassarmi era la
cosa migliore, seguita da un forte café. Non ero solita berlo, ma mi
serviva quella sera e notte. Aprii l'armadio, e osservai tutti i miei
vestiti e alla fine scelsi.
Infilai il mio vestitino color champagne, poi lasciai i capelli
sciolti, sistemati in modo che sembrassero mossi, sperando che
l'umidità non li rovinasse. Le mie scarpe con i lacci, più scure del
vestito, le calze bianco sporco. Infilai la collanina con l'iniziale
del mio nome e mi truccai. Sperai che non fossi troppo elegante.
La verità è che voleva cercare di fare bella figura con Damien. Ma non
sarei mai stata bella come lui, Celeste o Melinda. Ero solo un'umana.
E per quanto facessi finta che non fosse un dettaglio importante, c'era
e prima o poi avrei dovuto farci i conti, ma non ora.
Avevo appena finito di passarmi il lucidalabbra trasparente che
suonarono alla porta. Corsi e poi mi ricordai che dovevo darmi un
contegno, perciò l'ultimo mezzo metro camminai. Ma dopotutto era
inutile, Damien aveva sicuramente sentito i miei passi veloci già dalla
camera da letto.
I suoi stupendi occhi verdi mi guardarono e le sue labbra si aprirono
in un sorriso. Era bellissimo, troppo bello.
Poi pensai al prezzo che aveva pagato per quella bellezza e mi
intristii di colpo. No, dovevo essere felice.
<< Ciao >>, feci.
<< Ciao, Rebecca. Sei pronta? >>.
<< Prendo la borsa e arrivo! >>.
Agguantai la borsa nera sul divano, mi diedi un'ultima occhiata al
trucco e ai capelli, le chiavi ed ero sul pianerottolo. Chiusi la porta
con due scatti e scendemmo le scale. Presi la mia macchina e Damien si
sistemò sul sedile del passeggiare. Mi sembrava ancora strano che
guidassi io, una ragazza, e non lui che era il ragazzo.
<< Devi cenare? >>, mi domandò.
Non ci avevo pensato. << In effetti sì >>.
<< Non mangiate nei... fast-food? >>, disse incerto.
Mi scappò una risata. << E tu cosa faresti? >>.
Si strinse nelle spalle. << Non c'è problema. Posso fingere di
essere umano per qualche tempo >>.
<< Allora McDonalds sia! >>.
Damien
Mi bastò mettere piede in quel posto per trovare una nota positiva
nella vita dei vampiri. L'odore era nauseante. Ma forse il loro olfatto
non coglieva tutto.
Inutile dire che tutte le ragazze mi lanciarono sguardi e altrettanti
sguardi a Rebecca, rose di gelosia. Roteai gli occhi. Neanche le
vampire erano molto diverse da questo punto di vista.
Rebecca scelse un menù pieno di roba che storsi la bocca solo a
guardarla nell'immagine colorata. Ci sedemmo nell'ultimo tavolo e
Rebecca guardava quella roba con un sorriso compiaciuto. C'era un
grande hamburger, una porzione grande di patatine fritte, coca-cola non
dietetica.
<< Non sapevo che voi ragazze mangiaste tutta questa roba. Mi ero
fatto tutt'altra idea >>.
Inghiottì il boccone e disse: << Be', tanto non ingrasso. Sono
estremamente fortunata su questo punto di vista >>. Mangiò una
patatina, poi mi guardò con uno sguardo strano. << Cosa
succerebbe se tu mangiassi cibo umano? >>.
Non seppi cosa risponderle. Non ci avevo mai provato. Sapevo solo che
faceva schifo, tutto qua.
Mi allungò una patatina. << Prova >>.
Presi quella cosa gialla unta di olio. La guardai schifato e Rebecca
rise di gusto. La misi in bocca e la masticai.
Puah! Se solo Rebecca avesse avuto i sensi un pò più fini, si sarebbe
accorta della schifezza che stava mangiando! Sentivo tutto il sapore
dell'olio, dei semi, quel sapore che in pratica non c'era. Sentivo
ancora un retrogusto metallico della friggitrice, il cartone dov'erano
state messe. Il sale, non parliamone.
Presi un fazzoletto e la sputai dentro.
<< Se solo tu sapessi cosa ti stai mangiando! >>.
<< Roba buonissima! >>, mi rimbeccò lei, facendomi una
linguaccia e tornando a mangiare. << Non sai che ti perdi
>>.
<< Purtroppo lo so >>.
Ridemmo entrambi e la lasciai mangiare.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, era troppo bella.
Semplice, carina, femminile. Se ne rendeva conto, certo, ma non le
importava. Chissà se si era accorto che la fissavo di tanto in tanto.
Probabilmente sì.
Finita la sua cena erano passate le sette e un quarto. Ma pagai io. Non
avevo nessuna intenzione di lasciare pagare una ragazza. Va bene che
venivo dal milleottocento ma seguivo l'andamento moderno.
<< Dove andiamo? >>, chiese una volta saliti nella sua
auto. << Mi piacerebbe un bel posto >>.
E sapevo anche quale. << Segui le mie indicazioni allora >>.
<< È bellissimo Damien >>, sussurrò incantata Rebecca.
Davanti a noi, New York. In tutto il suo splendore. Le luci
risplendevano fino al cielo, la città più bella del mondo.
Eravamo seduti su ciò che restava di un balcone di una vecchia villa a
tre piani villa abbandonata. Il giardino era ormai incolto da anni.
L'avevo portata lassù con un salto e lei si era spaventata moltissimo,
ma poi aveva ammesso di essersi divertita comunque.
Seduti l'uno accanto all'altro, cercavo di tenermi comunque a debita
distanza. Non volevo fare niente di avventato.
C'era il silenzio. Era troppo occupata a guardare New York dall'alto.
<< Come conosci questo posto? >>.
Temevo quella domanda. << Ci sono venuto per la prima volta molti
anni fa, quando ero un vampiro appena creato >>.
<< Esattamente? >>.
Non volevo turbarla, ma aveva dimostrato di essere coraggiosa, molto
più di tanti umani. << La prima volta che ho ucciso >>.
Si voltò di scatto a guardarmi. Seguitavano a guardare davanti a me.
<< Scusa >>, mormorò, mortificata.
<< Non lo sapevi. Scusa io semmai >>.
Come potevo dimenticare quella notte? Mi ero risvegliato ore dopo, dopo
ore di incoscienza e dolore in una forma che non era la mia. Ero quasi
impazzito e quando la sete mi aveva attaccato, avevo ucciso il primo
uomo, un vecchio, che era passato. Mi ero sentito un mostro ed ero
venuto là. Avevo passato la notte a pensare, pensare, pensare. Per poi
rendermi conto di cos'ero diventato e non potevo fare altro che
arrendermi al mio destino e alla mia eternità di assassino.
<< Sai Damien >>, spezzò il silenzio lei, << a volte
penso a come deve essere la vita di un vampiro >>.
<< Non ti perdi niente >>, le assicurai.
<< Lo so. Non so come si può sopportare qualcosa che non avrà ma
fine... Deve essere... >>.
<< Terribile >>, completai. << E lo è. Ma non
possiamo farci niente. Il destino ha scelto questa vita per noi,
qualcosa a cui non possiamo opporci. Neanche se volessimo. Ma va bene
così >>.
<< Se potessi scegliere torneresti umano? >>.
Torneresti umano?
Quella domanda mi spiazzò. Avevo passato oltre cento anni in questa
forma, e la domanda non mi aveva mia sfiorato. Se fossi stato umano...
non avrei incontrato lei. Sarei morto prima della sua nascita...
Perfino prima di quella dei suoi genitori.
L'aria andava alleggerita.
<< Be', ti saresti perso la mia affascinante compagnia >>.
Rebecca fece un'espressione esasperata e scosse la testa. <<
Modesto >>.
<< Ammettilo che è la verità >>.
Mi diede un buffetto sul braccio, lo avvertii appena. << Ma
piantala >>.
Scoppiammo a ridere per alcuni minuti e poi ci guardammo. Quegli occhi
azzurri luminosi come due stelle erano sempre più belli, come del resto
lo era lei.
Tesi la mano a toccare la sua. La sfiorai appena e il mio tocco gelido
la fece sussultare. Però sorrise, un leggero sorriso.
Qualcosa cambiò. L'atmosfera si fece talmente leggera da essere
invisibile. La luna parve diventare più grande, le stelle più
brillanti. Sotto di noi, New York sembrava guardarci.
Tolsi la mano dalla sua e la feci scorrere sul suo braccio fino ai
capelli morbidi. Lei mi cinse le spalle con le braccia in un movimento
veloce. Si avvicinammo entrambi e mi ritrovai a baciarla. Fu...
stupendo. Inspiegabile. Scollegai il cervello, la coscienza, tutto.
C'ero solo io, lei, quel bacio. Fu un bacio lungo, tenero, passionale,
poi di nuovo tenero.
Ma quel profumo, il suo... Era buonissimo.
Poi la ragione tornò, potente e quasi arrabbiata per quello che avevo
combinato.
<< No! >>, esclamai, staccandomi da lei di colpo.
La turbai. << Damien? >>.
<< No, Rebecca. Non possiamo! >>.
<< Ma... che dici? >>, stava per piangere.
Mi alzai in piedi e mi misi le mani nei capelli. Io ero un vampiro, lei
un'umana. Che futuro c'era tra noi?
Le sue lacrime bagnarono il cemento del balcone.
<< Scusami Rebecca >>, mormorai abbassandomi per guardarla.
<< Scusa >>.
Stava per aprire bocca, ma la bloccai.
Qualcosa era arrivato ai miei sensi. Passi veloci, troppo veloci. E
l'odore era umano, non di un vampiro.
<< No... >>, mormorai. << Non può essere >>.
Non feci in tempo a finire la frase che una freccia con la punta
infuocata mi evitò per un pelo. Alla vista del fuoco, indietreggiai
come davanti al diavolo.
Rebecca balzò in piedi.
<< Ma che succede? >>.
<< Un'umana... >>.
Colsi le parole di qualcuno nascosto nell'erba.
<< Dobbiamo andarcene, non possiamo con lei presente! >>.
Erano due voci maschili ma i passi che si allontanavano erano il
doppio. Un ringhio naturale mi nacque sulle labbra ma ottenni solo un
grande spavento di Rebecca.
Dovevo parlare subito con Celeste, Melinda e Justin. Immediatamente.
<< Che succede?! >>.
<< Ti porto a casa subito. Devo parlare con gli altri vampiri
>>.
<< Perché? Noi dobbiamo parlare! >>>, protestò con
rabbia, stringendo i pugni tanto da far diventare bianche le nocche.
La guardai. Aveva ragione. Ma non stanotte.
<< Perdonami, Rebecca. Ti giuro che... facciamo così. Io torno
verso le due e mezza, okay? >>.
Allentò la stretta ai pugni. Abbassò gli occhi. << Ci sto.
Promettilo >>.
<< Promesso >>.
<< E mi dirai anche cosa è successo? >>.
<< Anche >>.
Non sorrise, ma ero certo che stesse meglio. Riacchiappò la borsetta e
si sistemò il vestito.
<< Andiamo >>.
Angolino!
Sono imperdonabile! Chiedo veramente scusa per
avervi fatto attendere altro, ma ci sono stati diversi problemi... Però
ecco il capitolo! Vi prometto che non vi farò mai più attendere tanto e
presto aggiornerò anche l'altra storia! Grazie a chi ancora mi segue e
un bacione!
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