And the shadow of the day will embrace the world in grey. di Red S i n n e r (/viewuser.php?uid=70554)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giostra - Everybody knows where I'm going. Yeah, I'm going down. [Na/Ki] ***
Capitolo 2: *** Pioggia - I have to fall to lose it all, but in the end it doesn't even matter. [Sess/Kag] ***
Capitolo 3: *** Gentle breeze: All the things she said running through my head. ***
Capitolo 1 *** Giostra - Everybody knows where I'm going. Yeah, I'm going down. [Na/Ki] ***
And
the shadow of the day will embrace the world in grey.
#01: Giostra Everybody
knows, everybody knows where I going. Yeah, I’m going down.
[Naraku!Kikyou]
_________________________________________________________________________________
All the rights moves in
all the wrong faces, yeah we're going down.
Affondava
e rideva. Rideva
di quel suo patetico affondare, in
sabbie mobili come odio viscoso.
E
quando lei se ne andava ancora rideva, ma quando lui
ritornava era di sé che sorrideva.
Anche
se il brigante non esisteva più, anche se il
fuoco aveva creato Naraku e non Onigumo la
risata restava e
cancellava ogni cosa; avrebbe voluto
cancellare ogni cosa, ma
non vi riusciva.
Era
la schiena di Kikyou, era sempre la schiena della donna
che era costretto a guardare e a ricordare, e nemmeno la sua sprezzante
risata
poteva cancellarla, nemmeno quel suo ridere sguaiato, al sicuro del suo
castello, poteva salvarlo.
Sempre
quella maledetta schiena che se ne andava via,
nemmeno il viso gli faceva intravedere, nemmeno una pallida mano,
nemmeno il
suono della sua voce: solo
la sua
schiena che se ne andava.
Com’era
crudele, ma com’era stupido pensare che lo fosse!
Il
ricordo di quella pelle bianca e di quei capelli scuri lo
tormentavano, anelava il tocco di quelle mani pallide e la carezza dei
suoi
occhi scuri, bramava le cure che la donna aveva dedicato al brigante e
che a
lui negava con tanta soddisfazione.
Di
quei suoi inconfessati desideri Kikyou
era conoscenza e ne
gioiva, freddamente, come solo un morto
può fare: piegava le labbra in un sarcastico sorriso,
voltandogli le spalle con
disgusto.
Con disgusto.
Naraku
arricciava le labbra infastidito, orgoglioso e punto
sul vivo, e fatalista urlava: “Un giorno ti
ucciderò!”
Ma
lei rideva, rideva di lui e delle sue menzogne, rideva di
Onigumo – che non voleva morire – e di Naraku, che
non voleva capire, e poi se
ne andava, voltandogli le spalle, senza nemmeno prestare attenzione
alle mosse
del nemico, senza nemmeno curarsi di lui, lui che più di
ogni altro non avrebbe
saputo ucciderla.
E
si ritrovava a stringere il nulla tra le dita, si
ritrovava a dover osservare il suo riflesso, a tendere la mano senza
mai
toccarla, senza mai averla; ed era stupido ed insensato, se ne rendeva
conto,
ma con la stessa facilità capiva che non poteva far nulla per evitarlo.
Socchiudeva
gli occhi immaginando il volto austero della
bella donna stravolto dal piacere e dall’eccitazione,
immaginava quelle labbra
bianche – che sempre gli si erano rivolte con sarcastici
sorrisi – potessero urlare
con vigore il suo nome, incitandolo e pregandolo; immaginava di
accarezzare le
sue lunghe gambe e i suoi seni freddi.
Immaginava
di scoparsela e di sentire la sua inespressiva voce resa vibrante di
gemiti
dissoluti.
Ma
era la propria mano quella che lo toccava, che tastava la
propria lunghezza e durezza, era sua la voce che emetteva piccoli
gemiti ed era
sua la mano che si muoveva frenetica così com’era
sua la voce che gridava
liberatoriamente, non era Kikyou e non lo sarebbe mai stata, ma nella
penombra
del suo castello al riparo dalla luce – rivelatrice di
quell’inganno così sporco
– poteva semplicemente far finta
per poi, subito dopo, fingere che
non fosse mai successo.
Pallide
mani torturavano i capezzoli inturgiditi dell’uomo,
una bocca lasciva ripercorreva con le labbra carnose e la lingua
insolitamente
fredda i suoi pettorali, piccoli gemiti e ansiti malcelati si
mischiavano col
nome della donna ripetuto centinaia di volte come un mantra.
Mani
fredde gli arroventavano la pelle con i loro tocchi
decisi e studiati, il membro teso e pulsante che richiedeva attenzioni,
la mano
che afferrava l’asta saldamente e le spinte ritmiche ed
assuefanti, il piacere –
il piacere puro – che si mischiava col fiato caldo e coi
gemiti indecenti che
fuoriuscivano dalla gola in ansiti rochi.
Si arrischiò a
guardarla, desiderò di vedere le sue guance arrossate e i
suoi occhi neri resi
liquidi dal piacere, ma fu il suo sorriso sarcastico quello che vide,
furono i
soliti occhi neri e freddi che si fusero con i propri: i capelli neri e
lisci
ad incorniciarle il volto, e le labbra strette in una smorfia di
scherno. Inaspettatamente
venne, venne forte nella propria mano calda ansimando pesantemente, nella mente ancora il
ricordo del suo sorriso
derisorio.
Tese
la mano, cercò di raggiungere la sua figura sempre
più
piccola – sempre più distante –
cercò di afferrarla stupidamente con una mano,
ma l’unica cosa che strinse fu il proprio odio viscoso che
scivolava tra le dita,
ricordo del piacere poc’anzi provato.
Era
stupido ed insensato, e rise, rise osservando il proprio
sperma bianco – il proprio odio
viscoso
– che gli urlava forte le sue colpe e la sua
stupidità ricordandogli, ogni
volta, che sarebbe stata la schiena di Kikyou quella che si sarebbe
fissata per sempre nella sua
memoria.
La
schiena della donna che Onigumo aveva desiderato più
dell’aria,
la stessa che sorrideva sarcastica urlando senza parlare il suo
disgusto, la
stessa per cui si masturbava ogni notte.
La
risata ruppe gli ansimi sempre più radi scoppiando
letteralmente nella stanza, spadroneggiando sulla tranquilla penombra
venutasi
a creare; rideva forte, Onigumo, tronfio e derisorio, rideva di Naraku
e del
suo modo patetico di vivere.
Fu
con un scatto secco e preciso che la pelle della schiena
fu tagliata: un unico e preciso fendente, il sangue che gocciolava
dalla katana
e il marchio - il tatuaggio del ragno nero che faceva bella mostra di
sé sull’epidermide
lacerata - lo
sbeffeggiava, ricordandogli
chi era e cosa voleva, sorrise amaro quando sentì la pelle
della schiena
rigenerarsi e con essa il simbolo della sua maledizione quotidiana.
Con
la risata che rimbombava nella stanza vuota e ingrigita
e le labbra piegate in una smorfia , Naraku si alzò
accarezzando tra le dita la
sfera degli Shikon, imbevendola di quell’odio nero e viscoso
che solo quella
donna sapeva istillare in lui, beandosi nella certezza che presto
sarebbe stata
sua, che l’avrebbe uccisa e imprigionata nella sfera.
Rise,
e i lunghi capelli neri ricaddero sugli occhi sottili
dipinti di viola, e cercò Naraku, cercò di
convincersi che era la sfera che
voleva, che solo quello era il suo scopo… Ma la risata
continuava, rimbombando
a non finire in quel silenzio imbevuto di solitudine –
stupida prigione del
futuro re del mondo – e
lui, proprio
lui, non aveva la forza di spegnerla perché lo sapeva, lo
sapeva che quella
risata era divenuta parte inscindibile di sé: forse la
più forte, forse solo la
più stupida.
Con
l’immagine di lei dietro le palpebre e l’odio che
lo
immergeva come sabbie mobili, non seppe capire a chi fosse indirizzato
quel dolore
al petto, perché tutto si ripeteva ma nulla aveva
più senso e lui impazziva, l e t t
e r a l m e n t e, tra luci e
colori morenti in una giostra di ricordi vecchi e nuovi che si
frapponevano tra
loro senza mai morire, restando lì a torturarlo ogni giorno
di più – ogni giorno di
più.
E
nella giostra, nulla si fermava, tutto
vorticava, ogni cosa si ripeteva e la sua mente impazziva di
risate
folli e sciocchi desideri; tutto
svaniva
e si disfaceva col calar del sole, quando un nuovo giro iniziava e il
mondo
veniva cancellato per qualche istante, solo
qualche istante, il tempo necessario a far finta che la
menzogna fosse la
vita vera.
“Ti
ucciderò.” Pregando affinché quella fosse la verità.
Ma
sul pavimento,
ogni notte, v’erano sangue e sperma ed una katana sporca
d’entrambi.
__________________________________________________________________________________________
Salve!
°ç° Ritorno a rompere con una
raccolta di crack pairing, mi son detta: perché non dar
spazio alla coppie inusulai o semplicemente dimenticate? Detto fatto. XD
Questa Naraku/Kikyou mi girava
in testa da un po', finalmente ora sono riuscita ascrivere
qualcosa che, comunque, non si avvicina molto alla mia idea di base -
oh beh, pazienza. XD
Duunque, spero sentitamente che
vi sia piaciuta e che i due siano IC, mi hanno fatto penare e non poco!
Non so quante Shot verrano fuori da questo mio esperimento ma credo non
più di dieci e sarà un progetto a lungo
termine... credo. *riot*
Beh, aspettatevi un po' di
crack pairing [molto crack e poco pairing a dirla tutta XD] sia etero
che yaoi *ç*, e perchè no? Anche yuri.
Credo che la prossima
sarà una Sesshoumaru/Kagome, che non è
propriamente un crack pairing nei siti inglesi ma il fandom italiano
è completamente invaso da InuYasha/Kagome che non
c'è proprio spazio per il bel fratellone. Ma che problema
c'è? Ci penso io! *ç*
Ah, aggiornerò la
mia raccolta di drabble quanto prima, parola di boyscout! +__+
Red.
|
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Capitolo 2 *** Pioggia - I have to fall to lose it all, but in the end it doesn't even matter. [Sess/Kag] ***
Storia
ispirata a "Raindrops" di YoukaiYume. Ringrazio sentitamente rosencrantz per
avermelo ricordato.
Purtroppo dato che sono molto rincoglionita e avevo all'attivo due
Sesshoumaru/Kagome ho invertito le introduzioni e quella con i credits
ce l'ho nella storia che sto scrivendo da poco.
Scusate ancora l'inconveniente, non sono una plagiatrice e ci terrei a
precisarlo.
Non me ne vogliate male, vi prego.
And the shadow of
the day will embrace the
world in grey.
Pioggia_
I have to fall to lose it all, but
in the end it
doesn’t even matter. [Sesshoumaru!Kagome]
(It
starts with)
One
thing / I don’t know why
It
doesn’t even matter how hard you try.
Sinceramente,
a pensarci bene, non sapeva
come era successo tutto quello.
Non
sapeva dire se fosse stata una cosa
graduale e lenta, come una goccia d’acqua, oppure veloce e
scatenata come una
piccola cascata. No, non riusciva a capirlo - o almeno a deciderlo
– e più ci
pensava più la confusione aumentava, quindi, aveva
semplicemente deciso di non
pensarci: semplicemente, senza affanno. E s’accorse,
d’un tratto, che quella
era davvero una bella parola: semplicemente.
Scorreva
via come un torrente, ma con calma,
la stessa che può avere una goccia d’acqua, senza
affanno, ma scavando a fondo, come la più
turbolenta delle cascate: semplicemente.
Pioveva
fuori, di quella pioggerellina lenta
e instancabile che indispettisce tutti per la sua debolezza: insomma,
perché
non manifestarsi tutta insieme come una violenta tempesta, eh?
Perché sempre
poco per volta, perché?
Tutti
si rinchiudevano in casa, guardando con
astio il cielo bianco come cotone, contando il tempo a suon di sbuffi
spazientiti. Kagome era l’unica che guardava quella pioggia senza affanno e senza ribellarsi, anzi,
decise che le piaceva, decise che tutta quella calma la rilassava
proprio.
Uscì
all’aperto, schermandosi dalla pioggia
fine col fidato ombrello: nella capanna regnava un clima sonnacchioso e
nessuno
s’accorse della sua insolita passeggiata.
Sorrideva
Kagome, sentendo nell’aria molto
più dell’odore della terra bagnata, sorrideva
Kagome, ed in silenzio annuiva.
Il
ritmico ‘plic’ delle gocce sull’ombrello
era l’unico ritmo dei suoi passi, con una strana sensazione
alla bocca dello
stomaco, come un presentimento e una quieta certezza, come la paura che
potesse
non realizzarsi e l’ansia se invece accadesse.
Percorrendo
passi già fatti, Kagome arrivò ai
piedi di un grosso albero, e sorrise, senza che il peso allo stomaco si
spostasse.
Occhi
ambrati e tuttavia così freddi la scrutarono
attenti, rispondendo al suo sguardo senza capirlo davvero.
“Sesshoumaru-sama,”
esordì, mordendosi le
labbra e con esse le parole.
L’altro
spostò lo sguardo tra le fronde dell’albero
sulle cui radici si era seduto. Freddo e distaccato continuò
ad osservare il
cielo bianco e candido, non preoccupandosi
di far caso a lei.
A
lei che, senza volere, era divenuta una
costante. Ed era stupido e un po’ ipocrita pensare che fosse
solo un caso.
Lei
rimaneva lì, tenendo forte l’ombrello e
guardandolo con un po’ di paura e apprensione, pensando a
tante cose ma, in
definitiva, sperando che almeno la
guardasse.
E
lui lo faceva, almeno per qualche istante,
qualche manciata di secondi per capire che non si era trattato di uno
sbaglio;
e poi tutto ritornava come prima ma senza tristezza. Tutto tornava come
prima
ed era quasi un piacere, un modo col quale il cuore batteva regolare e
c’era solo
il cielo bianco di cui preoccuparsi.
Kagome
sorrise incontrando il suo sguardo e
Sesshoumaru si chiese per quale motivo i suoi occhi risultassero
così caldi.
Era
forse per questo che, InuYasha, impediva, ogni volta, che si
chiudessero per
sempre?
Si
alzò, si alzò con affanno a dir la
verità,
e fu subito preso di mira dalla pioggia che intaccò,
irrispettosa, i suoi
capelli candidi, come il cielo che l’aveva generata.
E
poi smise, d’un tratto, e l’odore
dell’umana
si fece quasi insopportabile. Abbassò lo sguardo e lei era
lì, proteggendolo
dalla pioggia e da un mondo che, probabilmente, mai l’aveva
capito.
Era
lì, e con lei il suo sguardo: forte e
determinato; dolce, anche, ma soprattutto caldo. Lo guardava senza
paura e
senza apprensione, li aveva lavati via dal suo volto, anche se la
pioggia non l’aveva
mai intaccata [almeno lei].
“Puoi
tenerlo, se vuoi.” Lo guardò di nuovo,
porgendogli quello strano affare.
Lui
la guardò un attimo stranito, e la guardò
veramente forse per la prima volta. Si chiese il perché di
quella gentilezza e
s’arrabbiò, s’arrabbiò
perché lui non aveva mai avuto bisogno di nulla e di
nulla aveva bisogno anche in quel momento.
La
scostò da sé con freddezza, tornando ad
amare la presenza della pioggia sulla pelle, e le voltò le
spalle perché il suo
sguardo era troppo simile a quello di Rin e, come il suo, proprio non
lo
capiva.
Iniziò
a camminare, lo sguardo della donna
fisso alla sua schiena, e cercò di non pensare, di non
volere. Cercò consolazione
in quella pioggia che scendeva senza affanno, colorando il mondo di
bianco e
umidità, cercò invano.
“Tornerò.”
E
capì che la donna, a differenza della
pioggia, gli era entrata dentro.
______________________________________________________________________________________________
Salve!
Torno dopo un bel po' di tempo sul fandom InuYasha con una raccolta
cominciata... cominciata troppo tempo fà. XD
Ritorno
con una flash Sesshoumaru/Kagome, veramente molto inutile.
-ç-
Ho
voglia di approfondire il pairing, quindi, è probabile che
continuerò a scrivere shot legate a questa. E ovviamente
scriverò di altri pairing assurdi e improbabili, nella
speranza di rimanere sempre e comunque IC. *king*
La
prossima shot penso proprio che sarà una Sango/Kagome. XDD
Bellatrix_Indomita:
Grazie infinite! ** Te l'ho detto, mi sono impiccata con l'IC ma se tu
dici che è perfettamente riuscito io sono very happy. Grazie
per tutti i tuoi fantastici commenti e complimenti, davvero.
Black virgo: Grazie
anche a te! Mi fa davvero piacere che lo sdoppiamento di
personalità tra i due ti sia piaciuto, l'ho pensata
così dall'inizio e mi fa piacere essere riuscita a renderlo
almeno un po'. XD Spero continuerai a seguirmi, grazie
ancora. **
Grazie anche a Nicole221095 [Se a
coppia è tra le tue preferite spero davvero che questa ti
piaccia. -ç-] e a Dioni.
Alla
prossima!
Red.
|
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Capitolo 3 *** Gentle breeze: All the things she said running through my head. ***
And the shadows
of the day will embrace the world in
grey.
Gentle breeze_ All the things she
says running through my
head,
running through my head. [Sango/Kagome]
______________________________________________________________________
If
I'm asking for help it's only because
Being
with you has opened my eyes
Could
I ever believe such a perfect surprise?
“Sei sicura che non ci sia
quel pervertito di Miroku,
in giro?” Sango assottigliò gli occhi, scrutando
le ombre tra gli alberi con
sguardo assassino.
Kagome agitò la mano benevola, “E’
andato via con InuYasha e Shippo” rassicurò
l’amica con tranquillità, “sono andati a
cercare un’altra fonte d’acqua calda,
di certo non vorranno che succeda di nuovo quel è successo
la scorsa volta!”
Asserì convinta Kagome, stringendo il pugno rabbiosa.
L’aria della sera era piacevole e portava con sé
una brezza tiepida e
profumata, la primavera era arrivata col suo carico di profumi e fiori
dalle
corolle profumate e le ragazze, stanche dal tanto peregrinare, avevano
accolto
con gioia l’idea di farsi un meraviglioso bagno ristoratore.
Avevano scoperto la fonte
d’acqua calda per caso e ne
avevano reclamato subito il possesso, come poter fare altrimenti?
Kagome, per
ovviare qualsiasi tipo di situazione spiacevole, aveva suggerito
caldamente ad
InuYasha di portare Miroku e Shippo con sé, alla ricerca di
una fonte d’acqua
calda diversa dalla loro e sicuramente molto lontana.
Il tutto si era concluso con un paio di strepiti da parte di InuYasha,
lamenti
convulsi da parte di Miroku e un deciso “Osuwari!”
da parte di Kagome. I due
erano stati visti allontanarsi, con Shippo alle calcagna, verso lidi
più
appartati, diciamo così.
L’ultima volta che si era presentata un’occasione
del genere, Miroku - e chi
altri sennò? – si era appostato dietro i cespugli
selvatici per poter osservare
in tutta tranquillità le forme generose e benevole della
divina Kagome e della
dolce Sango, per ritrovarsi in seguito l’Hiraikotsu in testa
e i timpani
perforati da urla inumane. InuYasha, a onor del vero, in tutto
ciò non
c’entrava poi molto, ma Kagome, infuriata come non mai, aveva
deciso che dargli
un paio di “osuwari” non sarebbe poi stata una
così cattiva idea.
Le due ragazze sorridendo rilassate entrarono in acqua sospirando di
piacere al
calore e alla nebbiolina di condensa che le abbracciava, quasi.
L’Hiraikotsu giaceva
dimenticato sul bordo roccioso di
quella pozza d’acqua naturale accanto all’arco e
alle frecce di Kagome. Almeno
per una volta potevano dimenticare la loro missione ed essere
semplicemente due
ragazze.
Ridacchiarono tranquille nel silenzio
della sera, con
il cielo che si faceva sempre più scuro, Sango aveva gli
occhi chiusi ed era
appoggiata al bordo roccioso, tranquilla, i capelli bagnati le
ricadevano sul
petto, inusualmente sciolti.
“Sango” la
richiamò l’altra ragazza, “Sango, cosa
credi di fare una volta che sarà tutto finito?”
Kagome sembrava stranamente
ansiosa, attorcigliava una ciocca di capelli attorno
all’indice e non la
guardava in volto.
Sango la guardò perplessa,
“Be’, Kagome, lo sai. Spero
di liberare Kohaku una volta per tutte e uccidere Naraku.”
“Sì, questo lo
sapevo” replicò Kagome con un breve
sorriso, “ma mi chiedevo… dopo tutto questo, tu te
ne andrai, vero?” si
attorcigliò di nuovo una ciocca di capelli intorno
all’indice, non la guardava
e la nebbiolina impalpabile e calda era una sorta di muro, tra di loro.
“Sì, me ne
andrò.” Le diede ragione Sango, risoluta.
“Mi mancherai
tanto.” Sussurrò Kagome piano, “Tanto.
Tu
sei stata la mia sola vera amica da due anni a questa parte
e…” si morse un
labbro, a disagio.
Non sapeva esattamente cosa le passava
per la testa, né
perché si sentisse così a disagio –
insomma, era Sango, quella! – ma l’idea che
se ne potesse andare, le faceva rimpiangere di essere così
vicino alla fine di
tutto, alla resa dei conti.
Sango era stata la sua unica amica,
molto più di Eri e
Ayumi, e con lei aveva parlato di tutto, riso e pianto. Lei era stata
il suo
unico punto fermo quando InuYasha correva da Kikyo, la spalla su cui
piangere e
la propria ancora sicura.
Inconsapevolmente, l’aveva
sempre ammirata per la sua
forza, e un po’ anche per la sua bellezza, e sapere che di
lì a pochi mesi –
giorni, forse – se ne sarebbe andata, la destabilizzava nel
profondo.
“Mi mancherai”
ripeté con la voce tremante, stavolta
guardandola negli occhi, la guardò anche Sango con le guance
rosse per il
calore e Kagome non poté frenarsi dal pensare che era bella.
Bella come lei non
sarebbe mai stata, con i capelli lunghi e morbidi a lambirle la
schiena, liscia
e forte al tempo stesso.
Senza nemmeno che se ne accorgesse
– colpa della
nebbiolina perché, no, lei non stava piangendo –
Sango fu davanti a lei e l’abbracciò
stretta, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
“Saremo sempre
amiche” replicò con forza, ma anche la
sua voce tremava un po’, “Sempre.”
Anche Kagome
l’abbracciò, stringendola per i fianchi
sottili, un po’ goffa e impacciata, i loro seni si
schiacciarono e i suoi
capezzoli si inturgidirono per il freddo – sì, era
sicuramente il freddo.
Sango iniziò ad
accarezzarle la schiena con movimenti
concentrici e gentili e Kagome singhiozzò un po’,
le lacrime che si
mischiavano con l’acqua calda.
Kagome strinse più forte i
fianchi dell’amica e dopo
poco smise di piangere, senza però lasciarla:
appoggiò la testa sulla sua
spalla e tirò su col naso ancora una volta.
Sango non aveva smesso di carezzarle
la schiena e i
suoi movimenti concentrici ora la imbarazzavano un po’, i
loro seni erano ancora
pressati tra di loro e tutto quello che Kagome riusciva a pensare
è che non si
era sentita mai così al sicuro in vita sua.
La mano di Sango scese più
in basso, quasi fino a
raggiungere le sue natiche in una carezza leggera e forse distratta, ma
Kagome trattenne
a stento un gemito, c’era l’odore di Sango intorno
a lei ed era buono e
familiare.
Il suo abbraccio era diverso da quelli
che raramente
le aveva dato InuYasha: quelli erano goffi e protettivi e lui sapeva di
vento e
bosco, Sango invece l’abbracciava con sicurezza e affetto e
il suo odore era
buono, anche se non sapeva di vento e non era un po’
pungente. Forse era tutta
la sua sicurezza, quella che InuYasha non aveva mai avuto con lei, a
farla
sentire così bene.
“Sango…”
sussurrò contro il suo collo, “ti voglio
bene,” disse e voltò appena la testa per
guardarla, lo fece anche Sango e per
caso le loro labbra si sfiorarono in una carezza leggera, data dalla
troppa
vicinanza.
Arrossirono entrambe, ma non si
spostarono, si
guardarono negli occhi e poi Sango sorrise, di quel suo sorriso dolce
che
scaldava gli occhi.
“Anche io,” disse
e le loro labbra si sfiorarono
ancora, e ancora. Sango le prese il volto tra le mani e le
accarezzò le labbra
con le proprie, trovandole umide e arrendevoli. Kagome strinse gli
occhi con
forza, imbarazzata e confusa, ma non si allontanò e non
riuscì nemmeno a
pensare che fosse sbagliato, perché non lo era. Niente di
così bello poteva
essere sbagliato, era impossibile.
In una carezza leggera, Kagome le
sfiorò la schiena e
poi le spalle affondando le mani nei suoi capelli umidi e scuri,
trovandoli
morbidi come aveva sempre immaginato.
Sango strinse con i denti il suo
labbro, ma piano, con
una delicatezza che forse solo una donna poteva avere e
sentì Kagome gemere per
la prima volta. La strinse di più e i loro seni vennero di
nuovo a contatto,
con più forza, i loro capezzoli turgidi si scontrarono di
nuovo e un brivido le
fece tremare entrambe – Kagome
non pensò
più che fosse per il freddo della sera perché,
ormai, sentiva tanto caldo.
Si staccarono lentamente dal bacio e
si guardarono
negli occhi, entrambi liquidi, poi sorrisero e Kagome si
avvicinò di nuovo, in
una carezza ancora leggera, ma meno indecisa. Le loro lingue vennero a
contatto
e Sango mugolò nella sua bocca.
La cacciatrice non aveva mai baciato
Miroku, ma era
quasi certa che con lui non sarebbe stato lo stesso. Con Kagome
era… morbido,
non trovava altre parole, e l’affetto che la legava a lei era
diverso, molto diverso
rispetto alla gelosia imbarazzata e un po’ possessiva che la
legava al monaco.
Con Kagome non aveva paura di essere
lasciata
indietro, come invece succedeva con Miroku, non
aveva paura di essere la seconda scelta. Sango
si fidava di lei, perché Kagome c’era sempre
stata, perché Kagome
era la sua migliore amica e quindi era
giusto.
Doveva essere giusto.
L’abbracciò
stretta e la baciò ancora, le sfiorò piano
il volto, le guance, e quando si staccò da lei la
trovò sorridente e con un po’
di rossore a colorarle le guance e gli zigomi.
Nemmeno Kagome aveva mai baciato
InuYasha ed anche lei
sapeva – ne era sicura – che non sarebbe stato lo
stesso. InuYasha l’aveva
lasciata sola tante volte per correre dietro ad un fantasma, e Sango
c’era
stata sempre, perché Sango era sicura della loro amicizia e
Kagome vi era
rifugiata sempre. Sango era la sua preziosa amica, e lo sarebbe stata
sempre.
L’abbracciò
stretta, sorridendo tranquilla e sentì
Sango sospirare contro il suo collo. “Promettimelo”
le disse piano, “promettimi
che saremo amiche per sempre.”
Sango la guardò negli
occhi, sorridendo complice, “Te
lo prometto,” disse, accarezzandole il volto,
“saremo amiche per sempre,” la gentile
brezza della sera le fece rabbrividire e ne risero, insieme.
E non c’era niente di sbagliato.
_____________________________________
Salve! Visto che non mi sono
dimenticata di questa
raccolta?
Ritornerò sicuramente su questa coppia, per ampliarla
e spiegarla di più, rendendola credibile. Il titolo
è tratto dall’omonima
canzone delle T.a.T.u, e io ho poco altro da dire.
È una piccola flash, senza pretese, ma spero sia
piaciuta e che io sia rimasta IC.
Adesso lavorerò sulla Miroku/InuYasha, magari come
spin off di questa. *LOL*
A presto!
Red.
|
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