La cacciatrice

di Clive Danbrough
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Preambolo ***
Capitolo 3: *** Parte 1 ***
Capitolo 4: *** Parte 2 ***
Capitolo 5: *** Parte 3 ***
Capitolo 6: *** Parte 4 ***
Capitolo 7: *** Parte 5 ***
Capitolo 8: *** Parte 6 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Ciao a tutti!

A differenza delle Cronache dei Necromanti, questo racconto è al momento in fase di stesura. Lo sto scrivendo nel tempo concessomi dall’Università, perciò potrebbe passare del tempo prima che inserisca nuove parti.

Spero che la Cacciatrice vi piaccia, è un thriller con elementi horror ed erotici… e come vi ho già detto è in fase di stesura, perciò ogni commento, recensione, critica è GRADITISSIMA… mi raccomando, non lasciatemi sulle spine!!!

 

PS: e leggete le Cronache…

 

BUONA LETTURA!

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Capitolo 2
*** Preambolo ***


CIAO RAGAZZI!

SOTTOPONGO ALLA VOSTRA ATTENZIONE QUESTA MIA CREAZIONE… è L’INIZIO DI UN ROMANZO HORROR CON ELEMENTI EROS… è IN FASE DI STESURA, PERTANTO POTREBBE VOLERCI DEL TEMPO PRIMA CHE LA AGGIORNI… MA SE ARRIVERANNO TANTE RECENSIONI, FARÒ DEL MIO MEGLIO PER AGGIUNGERE NUOVE PARTI IL PRIMA POSSIBILE!

MI RACCOMANDO, HO BISOGNO DELLE VOSTRE RECENSIONI PER MIGLIORARE IL MIO STILE! SE VOLETE DARE UN PICCOLO GIUDIZIO, FARE UN COMMENTO, ESPRIMERE UN’IMPRESSIONE, FOSSE ANCHE BANALE, VI PREGO DI FARLO! J

NEL FRATTEMPO, VI AUGURO UNA BUONA LETTURA

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Capitolo 3
*** Parte 1 ***


 

Il chiarore di una pallida alba allontana poco a poco le ombre di quella che è stata una fredda notte. La tiepida luce mattutina fa sì che le foglie bagnate luccichino come se fossero ricoperte da piccolissimi diamanti trasparenti. Durante la notte ha piovuto, il che giustificherà di lì a qualche ora una fresca e umida mattinata. È ancora estate, tuttavia: benché il sole non sia più quello che ha infuocato le lunghe giornate di luglio e agosto, è ancora abbastanza caldo da asciugare rapidamente l’asfalto fradicio delle strade e da regalare agli abitanti della contea di Pine una nuova giornata all’insegna del bel tempo.

Sono ormai le sei del mattino. Le verdi e lussureggianti fronde degli alberi frusciano placide in un’atmosfera surreale, come onde smosse da un vento che soffia sul pelo dell’acqua. Piccoli animali rintanati nelle cavità dei tronchi cominciano a risvegliarsi, mentre uccelli e bestie notturne si affrettano leste verso i propri rifugi. È stata un’intensa notte di caccia, nella quale molte creature non sono scampate all’oscurità del bosco.

Questo bosco si trova nella contea di Pine, a qualche miglio da una ancora sonnolenta e tipica città del Minnesota chiamata Nember. È attraversata per intero da una strada pressoché rettilinea, sulla quale viaggiando in auto si possono osservare dal finestrino quasi tutti gli edifici degni di nota. Quasi per incanto appare sulla carreggiata un’automobile blu tirata a lucido, una Ford con gli abbaglianti accesi, malgrado il buio del primo mattino non sia tale da renderli necessari. Proviene da Henriette, a sud di Nember, e viaggia a una velocità appena sopra i limiti consentiti. Il tratto che ha percorso è quello compreso tra le due città, che è privo di qualsiasi traccia di insediamenti umani. Se uno straniero camminasse lungo questo stesso tracciato e si mettesse ad ammirare il paesaggio circostante fingendo di poggiare i piedi sul morbido prato, anziché sul duro asfalto, avrebbe senz’altro l’impressione di essere il primo uomo apparso in quella terra selvaggia. Proverebbe una sensazione davvero rara, di quelle che hanno provato solo i grandi avventurieri.

Alla guida della Ford blu non c’è un intrepido esploratore. Anzi, l’uomo al volante è l’esatto opposto di un esploratore. Si chiama David Holby, e del paesaggio che ha intorno, per quanto meraviglioso sia, non gli importa assolutamente nulla. È vero che Holby vive nella contea di Pine da quando succhiava beatamente il latte dal biberon, e i suoi genitori erano ancora felicemente sposati, ed è anche vero che il suo sorprendente disinteresse verso quell’esplosione di natura incontaminata potrebbe essere dovuto alla scarsa lucidità di un uomo che si è alzato da meno di mezz’ora, ma la realtà dei fatti è ben diversa. Semplicemente, Holby non è in grado di riconoscere e apprezzare la bellezza. Ha perduto questa capacità in seguito a tragici eventi: la causa di divorzio intentata dalla ex moglie appena due anni fa, i gravi problemi finanziari della vecchia Libreria Holby – l’impresa di famiglia gestita dal fratello minore Josh – e, come se ciò non fosse sufficiente a rendere già abbastanza complicata la vita di quest’uomo, la madre di David è morta da meno di un anno.

Con simili macigni a gravare sul suo cuore, non sorprende che egli non mostri alcun apprezzamento verso ciò che lo circonda. È un uomo freddo e disilluso, rifiuta di intrattenere un contatto con quanto lo circonda perché teme di ricevere altre terribili delusioni.

Non si interessa più alle donne, perché il ricordo di Kristen, la sua ex moglie, l’unica donna che lo ha fatto invaghire al punto da convincerlo a sposarla, lo addolora e lo rende furibondo allo stesso tempo, e adesso il volto di ogni donna rappresenta per lui uno specchio dove l’immagine riflessa di Kristen continua a lanciargli feroci occhiate di disprezzo.

Non si interessa ai soldi, ma questa non è una novità. La Libreria Holby, per esempio, secondo il volere dei genitori, avrebbe dovuto essere gestita sia da David che da Josh. Ciò avrebbe garantito ai due rampolli della famiglia di godere di un discreto reddito, dal momento che all’epoca la piccola attività non era ancora sommersa dai debiti e poteva avvalersi di un certo prestigio in tutta Nember. I genitori di David erano già pronti a sostituire la storica insegna del negozio con una nuova, recante la scritta Libreria Fratelli Holby, maggiormente appropriata. Al culmine del loro orgoglio, David aveva stroncato le aspettative di mamma e papà: disse loro di non voler intraprendere una carriera da libraio, di essere disposto a rinunciare alla comproprietà del negozio e alla cospicua somma che ne sarebbe derivata, pur di inseguire le proprie ambizioni. David sapeva di infondere un profondo rammarico nei cuori dei genitori, soprattutto della madre, ma promise a sé stesso che li avrebbe resi nuovamente fieri diventando preside della Hepswood High School.

EHI CIAO A TUTTI!!!! Spero vi sia piaciuto quanto avete letto finora :) Se avete letto tutto, vi ringrazio per la vostra attenzione :) mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate del mio lavoro, basta anche un semplice commento, un'impressione... va bene tutto! Non siate timidi! Io ci conto, eh? Sto cercando di migliorare il mio stile, perciò ho bisogno di tante recensioni!! Non fatele mancare!!!

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Capitolo 4
*** Parte 2 ***


Il grande sogno di David Holby, sin dall’età adolescenziale, era stato infatti quello di insegnare. Quando la sua mente era giovane e fervida di immaginazione, si vedeva addirittura capo degli insegnanti, intento a impartire memorabili lezioni sia agli studenti che allo stesso corpo insegnante. Sarebbe divenuto un docente di tale spessore da venir ricordato come uno dei migliori nella storia del suo paese, e magari un giorno la sua memoria sarebbe stata onorata con un’effigie di marmo all’ingresso della scuola. Quel pensiero lo accarezzava voluttuoso, ma ogni volta il buon David rammentava a sé stesso che quel giorno era ancora lontano, e avrebbe dovuto sudare parecchio per guadagnarselo. Per questo non aveva mai dato più importanza del necessario allo stipendio, cercando di badare solo alla qualità del suo insegnamento. I sogni di David iniziarono a incrinarsi all’università, quando non riuscì a laurearsi con il massimo dei voti, come si era preposto. Tuttavia, occorreva ben altro per demoralizzare quello spirito battagliero, e difatti David fu assunto come insegnante di storia alla Hepswood. In quel campo di battaglia, le sue visioni fantastiche ricevettero una memorabile sconfitta. In ventidue anni da insegnante, il professor Holby per i suoi allievi non è stato altro che un individuo eccentrico, talvolta enigmatico, talvolta buffo, rischiando spesso di venire apertamente deriso.

Infine, a David Holby non interessa nemmeno la vita. Almeno da quando è morta sua madre, Aileen. È stata una leucemia a portargliela via, e solo durante la veglia funebre, al cospetto del feretro aperto, ha capito a fondo che cosa significasse per lei la vecchia Libreria Holby. Guardando quel volto addormentato, quegli occhi che non si sarebbero più riaperti, quelle labbra rigide e immobili, aveva compreso finalmente l’entità del dolore che le aveva arrecato. Ma lei, la signora Aileen Holby, non aveva mai permesso a quella sofferenza di uscire in superficie, perché essa avrebbe turbato soprattutto David, impedendogli di realizzare il suo sogno.

«Ti ho causato un grande dolore, mamma. E non ho nemmeno raggiunto il mio obiettivo. Dovevo darti ascolto. Ti ho fatto soffrire per niente» aveva mormorato sottovoce, accarezzando la guancia gelida di Aileen.

Si sente molto male ogni volta che ripensa a quel giorno. Ha spezzato il cuore alla sua mamma, in nome del proprio egoismo. Questo crede David. Per un figlio attaccato alla madre, non può esistere pensiero che addolori di più. Si sente svuotato, privo di anima, eppure percepisce chiaramente la tristezza che lo attanaglia.

Riassumendo, David Holby è un uomo infelice. Ha divorziato, e i soldi che passa alla ex moglie per gli alimenti ammontano a quasi tutto il suo magro stipendio di insegnante sottovalutato. La Libreria Holby, ora in mano al fratello, sta per fallire. Forse non sarebbe successo se, a suo tempo, avesse rispettato il volere materno. Josh non ha mai avuto uno spiccato senso degli affari, ma questo non significa che sia un idiota, anzi. Può darsi che in realtà spettasse a lui inseguire i propri sogni, anziché assumersi l’onere di amministrare la libreria. Il rimorso è davvero qualcosa di opprimente. David ha sempre sopportato a fatica quella sensazione.

Con simili fardelli addosso la vista si annebbia, e persino il verde stupendo di quell’angolo di pianeta appare grigio. Il professor Holby vive a Henriette proprio perché non sopporta di svegliarsi la mattina e vedere Nember, la città dove è cresciuto e nella quale risiedono tutti i suoi ricordi, anche quelli più dolorosi. Lavorando alla Hepswood High School, tuttavia, è costretto a recarsi a Nember cinque giorni alla settimana, dunque l’idea di trasferirsi non si è rivelata molto azzeccata.

“Il mattino è un momento strano”, pensa David mentre schiaccia ulteriormente il pedale del-l’acceleratore. Al mattino, appena sveglio, è sempre assalito da una valanga di pensieri. Pensa soprattutto alla sua vita schifosa, e quando è in macchina non può non venirgli in mente la curiosa somiglianza tra lui e una balena che va a morire, arenandosi sulla spiaggia.

“Ho cinquantaquattro anni. Sto andando alla deriva” continua a pensare, mentre il tachimetro della Ford indica che la velocità è ormai superiore alle sessanta miglia orarie.

Ci siamo. David Holby ha infine deciso di porre fine alla sua esistenza. È stanco di aspettare. È stanco di alzarsi la mattina presto e rendersi conto, ogni volta, che non ha un futuro davanti a sé. C’è qualcosa che lo aspetta, naturalmente, ma non è ciò che lui desidera. Al contrario, ad attenderlo vi è proprio quello che più lo terrorizza: una vita piatta e vuota, privata della fiamma di un sogno, di un traguardo da raggiungere... una vita che va avanti per inerzia.

EHI CIAO A TUTTI!!!! Spero vi sia piaciuto quanto avete letto finora :) Se avete letto tutto, vi ringrazio per la vostra attenzione :) mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate del mio lavoro, basta anche un semplice commento, un'impressione... va bene tutto! Non siate timidi! Io ci conto, eh? Sto cercando di migliorare il mio stile, perciò ho bisogno di tante recensioni!! Non fatele mancare!!!

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Capitolo 5
*** Parte 3 ***


Il professore sembra più risoluto delle altre volte. Già in passato aveva meditato di farla finita, ma si era trattato solo di effimeri sfoghi dovuti perlopiù ai fumi dell’alcol (perché David, da quando è morta la madre, ha cominciato a bere). Forse, questa volta andrà fino in fondo.

Nember gli si staglia dinanzi, addormentata e immersa nella foschia di quel mattino di fine estate. Ancora pochi metri e imboccherà St. Paul Road. Le prime case affacciate sulla via principale accolgono la vettura con indifferenza, ancora immerse nel sonno, mentre questa procede con un’an-datura che è decisamente pericolosa nel bel mezzo di un centro abitato. Gli abbaglianti sono insistentemente accesi. La Ford blu è l’unica auto nei paraggi, ma anche se comparisse all’orizzonte un veicolo della polizia – cosa, peraltro, estremamente improbabile – il professor Holby non li spegnerebbe né tanto meno rallenterebbe. Ha preso la sua decisione.

L’acceleratore è pigiato al massimo. David non deve fare altro che lasciarsi trasportare, adesso. È un fulmine che sta attraversando Nember in tutta la sua lunghezza, e osservando gli edifici scorrere da una parte e dall’altra della strada ha l’impressione di vedere frammenti di ricordi della propria vita che saettano intorno a lui. Man mano che avanza sempre più veloce, intravede sulla destra l’emporio Danny’s Store, dove da ragazzo più volte ha trascorso le giornate in compagnia di amici che ha perso di vista da anni, poi il cinema New Vision, vecchio e bisognoso di restauri, sulla sinistra. Nonostante la velocità distingue chiaramente i negozi, le abitazioni, i viottoli laterali e tutti i dettagli di quel piccolo angolo del Minnesota, come se stesse tranquillamente passeggiando sul marciapiede. Rivede sé stesso, giovane adolescente straripante di energie e speranze, piccolo uomo orgoglioso della fresca indipendenza recentemente acquisita, che cammina per le strade felice di essere a un passo dal mondo degli adulti.

Peccato che sia andata a finire così. Peccato che i suoi sogni siano rimasti tali. Forse non ci ha messo abbastanza impegno, forse ha sprecato troppe opportunità, o chissà che altro. Magari, semplicemente non era destino. Non ha mai voluto credere in cose come il destino, perché l’idea di un’esistenza predeterminata sotto ogni aspetto lo ha sempre terrorizzato. All’irrequieto professore di storia della Hepswood piaceva andare avanti con la convinzione di essere il solo timoniere della propria nave, capace di virare in una direzione o nell’altra a seconda del proprio volere, unico padrone di sé stesso. Alla fine, ha dovuto ricredersi. Nel suo caso, almeno, la mano del destino ha avuto la meglio, riuscendo a schiacciare la sua volontà e a vanificare i suoi sforzi.

È quasi a metà della via principale quando scorge, sulla sinistra, uno stabile che ai suoi occhi è tetro e desolato. Ha due piani, ognuno ricolmo di finestre con le persiane abbassate, e le sue pareti apparirebbero di un cupo color grigio anche sotto la piena luce pomeridiana. La facciata è scarna e deturpata da alcune strisce nerastre, segni di sporcizia e deterioramento presenti da anni e anni. La porta d’ingresso è chiusa a chiave, e non si vedono bagliori provenire dall’interno. Il tetto è perfettamente piatto, ma dalla sua posizione David può intravedere le sagome degli alberi del cortile che fanno capolino oltre il bordo delle grondaie, facendo assumere alla sommità dell’edificio un aspetto frastagliato. Ha l’impressione che quel luogo lo scruti minaccioso, e la sensazione è notevolmente amplificata dal fatto che il tutto è ancora avvolto nella penombra del mattino.

Holby sta guardando per l’ultima volta la Hepswood High School.

Un osservatore imparziale, come ad esempio lo straniero di prima, non descriverebbe la vecchia scuola superiore di Nember come un rudere tenebroso. Riconoscerebbe che l’aspetto della facciata non è certamente tra i più allegri, ma non proverebbe il disagio che avverte qualcun altro. Non sentirebbe le proprie viscere rimescolarsi a causa dell’ansia, perché per lui quella non è che una scuola come tante. Per il professor Holby, invece, rappresenta un autentico incubo, e la vede sotto sembianze ben differenti. Ne ha paura, al punto che, senza accorgersene, si ritrae con ribrezzo nel proprio sedile come se un viscido e disgustoso insetto si fosse posato a pochi centimetri da lui. Ha subito tante umiliazioni tra quelle mura, è stato sbeffeggiato, ridicolizzato ed emarginato come un sacco di immondizia. Proprio laggiù la depressione ha cominciato ad avvolgerlo tra le sue spire.

Vedere la Hepswood rafforza la sua determinazione. Vorrebbe schiantarsi contro quei muri tanto odiati, ma si rende conto che il tentativo sarebbe infruttuoso. Oltre a non raggiungere la facciata, l’urto contro la scalinata non sarebbe sufficientemente violento da ucciderlo. Deve proseguire, poiché non manca molto alla meta.

La Ford sfreccia inarrestabile lungo il tratto finale di St. Paul Road, talmente veloce che il suo conducente non può più distinguere le sagome che lo circondano. David ormai può vedere solo ciò che si trova dinanzi a sé, ed è esattamente ciò che vuole. Non intende soffermarsi in reminiscenze che avrebbero la sola conseguenza di protrarre la sua infelice esistenza. Uscito dalla cintura di case, intravede finalmente a poche centinaia di metri l’obiettivo a cui stava mirando. Davanti a un sfondo di alberi selvaggi, si staglia un polveroso cumulo di ferraglia circondato da una sorta di palizzata, realizzata anch’essa in metallo. È una visione orrenda, assai peggiore della scuola appena oltrepassata o di qualsiasi traumatico ricordo rievocato finora. Si tratta di un autentico squarcio nel paesaggio, ricorda vagamente un buco nero pronto a risucchiare ciò che gli si trova accanto. Quaggiù a Nember, quel piccolo recinto, contenente spazzatura metallica di ogni genere, è chiamato il deposito di ruggine. Non è difficile intuire il perché. In questa ristretta area sul ciglio della strada, alcune fabbriche e tante imprese locali della contea di Pine scaricano materiali difettosi o inutilizzabili di ogni tipo. Per molte di esse, è un notevole risparmio di tempo e denaro.

La strada è leggermente rialzata in corrispondenza della grata che circoscrive il deposito di ruggine. David, al culmine della sua follia, vede in ciò un segno del maledetto destino. Così, una volta per tutte, mette da parte ogni pensiero nella sua mente e punta dritto a un ammasso di tubi di ferro arrugginiti al margine della recinzione. Punte acuminate rossastre si protendono dal disordinato ammasso in cui sono state abbandonate, opache e sinistre, in attesa che gli anni le corrompano ulteriormente.

David vorrebbe dire qualcosa, un attimo prima di ritrovarsi sul punto più alto del tratto irregolare della strada che porta a Brook Park. Purtroppo, le frasi importanti non sono mai state il suo forte. Persino al funerale della madre aveva rischiato di fare scena muta. Inoltre, a che servirebbe ora pronunciare una di quelle sontuose frasi da film? Nessuno potrebbe sentirlo, e la sua voce si perderebbe nel vuoto.

L’asfalto incuneato di qualche centimetro funge da trampolino per la parte sinistra della Ford, che si ritrova improvvisamente sollevata e inclinata di oltre sessanta gradi rispetto al livello della strada, mentre la parte destra è ancora in contatto con l’umida carreggiata. In men che non si dica, la macchina si ribalta e oltrepassa in volo la grata che racchiude il vecchio e malsano deposito di ruggine di Nember. È un incidente spaventoso, lo schianto sul terreno polveroso è micidiale. Il tettuccio della Ford raschia su di esso producendo una marea di scintille, prima di ribaltarsi nuovamente e infrangersi contro il muro di pali aguzzi. Il serbatoio e il motore sono perforati dai tubi arrugginiti, e la benzina comincia a formare una pozzanghera.

David Holby è ancora vivo. È frastornato dai colpi ricevuti, ma sente chiaramente il dolore lancinante proveniente da ogni parte del suo corpo. Ha un braccio rotto, entrambe le gambe fratturate e il petto che pare sul punto di esplodere, per quanto gli fa male. Non saprebbe dire se gli è rimasta qualche costola intatta, perché a giudicare dall’atroce sofferenza sembra che non gli sia rimasto un solo osso integro. Lo specchietto retrovisore si è staccato dal supporto, perciò non può vedersi in viso. Tuttavia, non ha bisogno di uno specchio per capire che la sua faccia è coperta di sangue.

Ancora pochi minuti di agonia, ancora un po’ di pazienza. Una benedetta scintilla scaturirà dal motore danneggiato e le sue vicende terrene avranno fine. Sarebbe stato meglio morire sul colpo, naturalmente, perché il dolore sta diventando davvero accecante. David comincia a pentirsi di quello che ha fatto poc’anzi. Si pente di non aver frenato all’ultimo momento.

RECENSITE MI RACC!!! EHI CIAO A TUTTI!!!! Spero vi sia piaciuto quanto avete letto finora :) Se avete letto tutto, vi ringrazio per la vostra attenzione :) mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate del mio lavoro, basta anche un semplice commento, un'impressione... va bene tutto! Non siate timidi! Io ci conto, eh? Sto cercando di migliorare il mio stile, perciò ho bisogno di tante recensioni!! Non fatele mancare!!!

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Capitolo 6
*** Parte 4 ***


A poche centinaia di metri dall’angusto deposito di ruggine, la maggior parte degli abitanti di Nember è immersa nel sonno. Molte sveglie suoneranno di lì a poco, ma non sarà per merito loro se quella mattina molte persone si risveglieranno in anticipo. Una di queste è Allison Weberly, detta Allie, che al momento è profondamente addormentata nel letto di camera sua, e sta sognando.

È uno strano sogno, quello che Allie sta facendo adesso. Forse, il sogno più bizzarro che la sua mente abbia partorito sino ad oggi. I suoi occhi si muovono, saettano da una parte all’altra sotto le palpebre, seguono con attenzione un evento immaginario che il suo cervello sta elaborando apposta per lei. Una luce soffusa domina un ambiente selvatico, una foresta coperta da un manto di foglie ambrate. È un luogo bellissimo: sfumature dorate ricoprono ogni superficie visibile, il verde degli alberi è quello degli smeraldi, lucente e profondo, dal quale gli occhi, se potessero, non si staccherebbero mai. È indubbiamente un sogno: non può esistere niente di così bello, nella realtà. C’è qualcuno, in quella boscaglia. Qualcuno che Allie conosce bene. Un ragazzo giovane e aitante, che si guarda attorno meravigliato. È palesemente stupito di trovarsi lì, probabilmente non sa nemmeno come ci è arrivato. Tuttavia, non sembra preoccupato di essersi smarrito. Al contrario, sembra felice di esser capitato laggiù, in una dimensione dove l’orrore e l’angoscia non sono che un vago ricordo, appartenente al lontano mondo degli uomini.

Improvvisamente, una nebbia bianca e vaporosa si addensa tra i lisci e perfetti tronchi degli alberi. Scorre tra di essi come acqua che fluisce tra i sassi di un ruscello. Lentamente avvolge il ragazzo, quasi senza che questi se ne renda conto. Sembra che la nebbia lo stia accarezzando, che lo voglia stringere a sé, per impedirgli di scappare. Così come è comparsa, così la foschia si dipana, rapida e silenziosa. Allo stesso tempo, un rumore di foglie calpestate indica che qualcuno si avvicina. Si alza una brezza giocosa, che spazza la radura e sgombra il terreno. Tuttavia, la nebbia resiste in mezzo agli alberi, adombrando il resto della selva.

Il ragazzo è esattamente al centro di quel cerchio circondato dalla bruma. Il rumore di passi è cessato. D’un tratto, ecco che dalla barriera fumosa si protendono due braccia femminili, lunghe e sottili, che si allargano in attesa che qualcuno si abbandoni al loro abbraccio. Le dita delle mani sono affusolate e candide, vellutate come seta. Non si riesce a scorgere il capo o il corpo della donna a cui appartengono, ma è sufficiente la visione di quelle meravigliose mani a convincere il ragazzo ad avvicinarsi. Quando è a meno di due passi dalla punta delle dita, si arresta. Rimane immobile un istante, non di più, dopodiché immerge le proprie braccia nella nebbia nel tentativo di stringere l’oggetto del suo desiderio.

Allie sta assistendo alla scena da un punto alle spalle del ragazzo. È un’entità incorporea all’interno di una realtà immateriale, e nemmeno lei è in grado di capire dove si trova. Non può parlare, non può muoversi, non può far altro che continuare ad osservare, immobile. È costretta a restare impassibile come una roccia anche quando le braccia della donna misteriosa si chiudono in una morsa che fagocita il giovane, bloccandolo e trascinandolo nella nebbia, che nel frattempo è divenuta nera. I tronchi lisci si sono anch’essi improvvisamente deturpati, riempiendosi di profondi solchi dai quali sgorga una sostanza limacciosa nera come l’inchiostro. La foresta non è più dorata, ma cupa come la più tetra delle notti. Vorrebbe gridare, accorrere in aiuto dell’incauta vittima, ma non può farlo. La sua agitazione è tale che la mente la restituisce al mondo dei vivi.

Allie così si sveglia di soprassalto. Ha gli occhi sbarrati, ma subito li richiude. Si passa il dorso della mano sulla fronte, che è imperlata di sudore. Sbuffa, sollevata. Era solo uno stupido incubo.

“Era così strano, però...”

Istintivamente, gira la testa di lato sul cuscino e scruta la sveglia digitale sul comodino. Sono le sei e un quarto. Se c’è una cosa che Allie odia è svegliarsi all’improvviso prima che l’irritante trillo di quel maledetto apparecchio pervada la stanza. Avvolta dalle coperte e immersa nel caldo tepore del letto, ripensa al sogno da cui si è ridestata poc’anzi. Non ricorda bene i dettagli, ma potrebbe giurare che il volto del ragazzo che ha veduto cadere nelle spire di quella donna misteriosa le era ben noto.

A mano a mano che i minuti trascorrono, il ricordo del sogno si fa sempre più confuso. Quanto più Allie recupera lucidità, tanto più le emozioni appena provate si affievoliscono, impelagandosi nell’oblio. Tra circa due ore, non ricorderà più niente. Rammenterà di essersi risvegliata bruscamente – fattore che ne influenzerà l’umore pessimo per buona parte della giornata – ma non l’incubo. Riapre nuovamente gli occhi, neri e profondi, pensando al susseguirsi di eventi che l’attendono quel giorno. Ripensa alle mattine e ai pomeriggi d’estate, alle gite fuori mano, ai profumi della foresta e della campagna, e non può non deprimersi nel rendersi conto che dovranno trascorrere quasi sei mesi prima che possa riprovare quelle sensazioni.

“Io odio l’autunno, accidenti!”

Allie fa per rigirarsi nel letto, nel tentativo di guadagnare qualche altro minuto di sonno, ma c’è qualcosa che glielo impedisce. Un boato assordante che attraversa tutta Nember, ridestando chiunque vi risieda. La giovane Weberly è leggermente più lucida di coloro che si distaccano dalle braccia di Morfeo in quel preciso istante, così intuisce immediatamente che si tratta di un’esplosione. È inoltre certa che il frastuono provenga da nord, verso Brook Park. Era molto vicino, a meno di un chilometro.

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Capitolo 7
*** Parte 5 ***


Istintivamente, Allie si strappa di dosso le coperte e si affretta verso la finestra della camera, cercando di individuare la ragione del preoccupante scoppio. Si appiattisce lungo il vetro come un geco – non si sogna nemmeno di aprire la finestra, con il freddo che fa a quell’ora – e intravede con sgomento una nube di fumo nerissimo innalzarsi proprio a nord. Le case del vicinato le impediscono di scorgere la sorgente di quel fumo, ma non v’è dubbio che si tratti di un incendio. Molte luci vengono accese in quel momento e brillano dalle vetrate delle abitazioni circostanti. Compaiono allo stesso tempo diverse facce incuriosite quanto la sua, che cercano di capire che cosa sia avvenuto. Alcuni temerari spalancano addirittura le finestre, permettendo al freddo mattutino di penetrargli in casa. In quel mentre, Allie si accorge di essersi affacciata pressoché nuda, e si copre immediatamente il corpo con le mani, imbarazzata. Anche se l’attenzione dei vicini è rivolta altrove, si ritrae frettolosamente come se qualcuno l’avesse notata.

Indossa rapidamente una maglietta e afferra il telefonino posto sul mobiletto accanto al letto. Compone un numero e attende. Dall’altra parte il telefono squilla, e dopo una decina di secondi, per Allie lunghi come altrettanti minuti, una voce impastata dal sonno le risponde con una specie di grugnito.

«Jake! Jake, hai sentito quel botto?» domanda concitata Allie.

L’interlocutore risponde con un altro grugnito.

«Jake, hai sentito quello che ho detto?!»

«Sì, maledizione! Ti sento! Cosa cazzo hai da urlare alle sei di mattina?»

Se si fossero trovati faccia a faccia, probabilmente Allie avrebbe colpito con un violento ceffone Jake Ederson, il suo fidanzato, per averle risposto in maniera tanto villana. Tuttavia, Allie riconosce che lei per prima non è stata esempio di buona educazione, chiamando il suo ragazzo al cellulare ad un’ora tanto sconsiderata, tanto più che la mattina presto non è certo il momento migliore di Jake. Così, riconoscendo che in quel momento non sta parlando con il vero Jake, ma con un surrogato ancora imbambolato dal sonno, decide di perdonarlo.

«Non hai sentito quell’esplosione?»

«L’unica esplosione che sento è quella dentro la mia testa, dopo che mi hai svegliato così dolcemente...»

«Ascoltami bene, Jake. Guarda dalla finestra. Vedi qualcosa?»

Allie ha l’impressione di sentire Jake bofonchiare qualcosa di incomprensibile, mentre si dirige dove gli è stato indicato. Attende qualche secondo, dopodiché Jake parla nuovamente. La sua voce è cambiata, adesso: è allarmata, e il tono è sicuramente molto più vigile di quello precedente. Il vero Jake ha ripreso possesso del suo corpo.

«Porca miseria! C’è un incendio nel deposito di ruggine!»

«Nel deposito di ruggine, hai detto?»

«Sì! C’è fuoco dappertutto, sembra... sì, sembra che una macchina si sia schiantata contro la ferraglia!»

Allie impreca sottovoce. Ha chiamato Jake perché abita proprio al confine settentrionale di Nember, e la sua stanza dà esattamente sul terreno dove, a quanto pare, è avvenuto l’incidente. Da quella stanza si vede la strada che si assottiglia verso l’orizzonte fino a Brook Park, ed è impossibile non vedere il vecchio, insalubre e squallido deposito di ruggine. Jake avrà senz’altro una visione completa della scena, e Allie sente un’insana curiosità prendere possesso di lei a poco a poco.

«Non riesci a vedere nient’altro?»

«No... mio Dio, è un vero inferno. Non saprei descrivertelo, Allie. Sembra che i primi curiosi si stiano avvicinando».

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Capitolo 8
*** Parte 6 ***


Ciao a tutti! Spero che la mia storia vi stia piacendo… scusate il lungo periodo senza aggiornamenti, ma gli esami incombevano!

Vi incito ancora e sempre a recensire e commentare, e a farmi sapere che cosa ne pensiate J è vitale per il mio lavoro sapere che impressioni vi dia il mio stile di scrittura, perciò vi esorto a lasciarmi qualche commento sia che la storia vi piaccia sia (E SOPRATTUTTO!!!) che non vi piaccia!

Saluti a tutti e grazie!

Clive Danbrough

 

 

 

 

 

 

 

 

«Pensi che qualcuno abbia già chiamato i pompieri?»

«Può darsi, mi sembra di vedere delle luci lampeggianti che vengono da Brook Park...»

Jake non riesce a distogliere lo sguardo dall’inquietante spettacolo che ha preso vita a poche centinaia di metri dalla sua finestra. Scruta le fiamme che divampano all’interno del recinto, alimentate dal carburante che è fuoriuscito dalla vettura danneggiata, ridotta a uno scheletro di lamiera completamente invaso dal fuoco. La macchina, dopo esser uscita di strada ed essersi ribaltata, si è scontrata contro il muro di pali appuntiti che da mesi erano accatastati nella piccola discarica. Chiunque la stesse guidando, ora è ridotto a un cumulo di cenere. Nessuno può sopravvivere a un incidente del genere. Forse l’autista era ubriaco, oppure è stato un colpo di sonno, o chissà che altro. Sono questi i pensieri che affollano la mente di Jake al momento. A malapena si ricorda di essere ancora al telefono con la fidanzata.

«Jake! Sei ancora lì? È successo qualcos’altro?» lo richiama Allie.

«No. Ascolta, è tutto molto confuso... ci vediamo tra un’ora davanti alla scuola?»

Allie esita. Non sa se accettare o precipitarsi fuori casa e correre sul luogo dell’accaduto. Alla fine, propende per la prima possibilità. Tra circa due ore, la scuola aprirà e una marea di studenti si riverseranno nei suoi corridoi, portando con sé una valanga di informazioni, voci, notizie e chissà che altro. In mezzo a quell’oceano di parole, non sarà facile discernere la realtà dei fatti dalle invenzioni delle menti più fantasiose, ma ciò che è certo è che verrà delineato un quadro generale dell’accaduto sufficientemente completo. Inoltre, Allie non è sicura di poter rimanere impassibile alla visione di un cadavere carbonizzato.

«D’accordo. Alla Hedwood tra un’ora. A dopo».

 

 

 

Allie preme un tasto sul cellulare e pone fine alla chiamata. Sente dei rumori nella camera accanto: il boato non è passato inosservato neppure ai suoi genitori. Apre l’armadio, fruga per diversi minuti in mezzo al cumulo di indumenti stipati al suo interno ed estrae un paio di jeans scuri e una felpa nera. Li indossa rapidamente e scende al pianerottolo. Mette ad abbrustolire due fette di pane e prepara del caffè. Tra non molto Albert e Rose Weberly scenderanno dabbasso per fare colazione, e con una certa sorpresa troveranno la loro figlia in piedi, intenta a tostare il pane e a friggere delle uova. Un evento simile non succedeva dai tempi delle medie, quando Allie ancora non si era incamminata sul bizzarro e tortuoso sentiero dell’adolescenza, lungo il quale aveva incrociato il piacere della trasgressione.

Un rumore di passi pesanti fa capolino dalle scale. Con tutta probabilità, si tratta del papà di Allie. La ragazza spegne la fiamma e si precipita in bagno, ansiosa di evitare i commenti e le battute mattutine di Albert Weberly, che sono le uniche peggiori di quelle che propina alla famiglia durante il resto della giornata.

Davanti allo specchio, Allie si lava la faccia e si pettina. In poco tempo, lo specchio riflette l’immagine di una bella ragazza di diciassette anni, dagli occhi chiari e intriganti, con capelli scuri e lisci, tagliati corti. La pelle delicata e pallida, i lineamenti aggraziati e decisi, le labbra carnose difficilmente le permettono di passare inosservata.

Quando ritorna in cucina, trova seduti al tavolo i suoi genitori. C’è un posto vuoto davanti a un piatto con del pane tostato, prosciutto e uova fritte. Un buongiorno riecheggia nella stanza, praticamente gridato dalla voce di suo padre. Per chissà quali motivi, è sempre di buonumore. Allie si siede e ricambia il saluto, seppur con convinzione molto minore. Ritiene strano che nessuno in quella casa fuorché lei si sia accorto del boato che ha destato di soprassalto mezza Nember.

«Papà, non hai sentito niente?» si decide infine a domandare.

«Che cosa avrei dovuto sentire, tesoro?» risponde Albert, addentando una fetta di pane tostato con prosciutto.

«C’è stato un incidente poco fa! Una macchina è esplosa a meno di due miglia da qui. Possibile che tu non abbia sentito lo scoppio?»

«Una macchina esplosa, hai detto?» esclama Albert, mentre il suo volto assume finalmente un’espressione decisamente seria. «Accidenti, non immaginavo questo. Certo che ho sentito quel rumore, ma non pensavo si trattasse... ci sono feriti?»

«Non lo so con certezza. Spero di saperne di più a scuola. Tuttavia... credo che qualcuno ci sia rimasto secco».

«Dici davvero?» domanda Albert, aggrottando la fronte.

Non c’è una gran somiglianza tra Allie e suo papà, né fisica né tanto meno caratteriale. Albert Weberly è un uomo alto e paffuto, con radi capelli biondicci accuratamente pettinati sulla testa ormai calva. Ha gli occhi azzurri, un viso bonario, ha molta pazienza e vede il buono dappertutto. Fa l’impiegato in banca, e non potrebbe essere più diverso dalla figlia, che ha un carattere più schivo e ombroso. È una persona sicuramente molto ottimista, un omaccione simpatico che sorride alla vita, qualunque cosa essa possa riservare. Per questo a Allie fa un strano effetto vedere quel faccione di norma sorridente contratto in una smorfia di preoccupazione.

Appoggiate su una sedia lì accanto, ci sono una ventiquattrore perfettamente lucidata e una giacca blu scuro ripulita e ordinata, riflesso della pace che domina il cuore di quest’uomo. Al piano di sopra, abbandonato a sé stesso in un angolo di una disordinatissima camera da letto, lo zaino di Allie è coperto da un giubbotto di jeans, gettato lì sopra il giorno prima al ritorno da scuola. La sregolatezza è una componente imprescindibile della vita di Allie, componente che si nutre di caos e musica a tutto volume propagata dalle cuffie di un impianto stereo che Jake le ha regalato due mesi fa per il compleanno.

Si alza da tavola, il rito della colazione con papà è ormai terminato. S’incammina verso la propria camera, quando una voce la richiama improvvisamente.

«Allie!» grida. «Vuoi che oggi venga a prenderti io a scuola?»

Senza farsi vedere, Allie sorride. È il tipico atteggiamento che suo padre assume ogniqualvolta accade qualcosa di spiacevole nel raggio di cinquecento miglia quadrate: senza rendersene conto, chiede alla figlia se desidera un passaggio a casa dopo la fine delle lezioni.

«Grazie, ma preferisco tornare col bus. Ci vediamo stasera, papà».

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