L'altra faccia dello specchio

di SunS H I N E
(/viewuser.php?uid=87990)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1_ Proibito ricordare ***
Capitolo 2: *** Passa ***
Capitolo 3: *** Candido ***
Capitolo 4: *** Sconfinato ***
Capitolo 5: *** Nel desiderio. ***
Capitolo 6: *** Voce ***
Capitolo 7: *** Attesa ***
Capitolo 8: *** Rose bianche. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1_ Proibito ricordare ***


Era sera quando la incontrai. Una dannatissima sera d’estate. Non avevo mai visto estati così calde,nei miei diciassette anni di vita. Alle sette di sera la temperatura era sempre oltre i trenta gradi,l’asfalto ribolliva,fumava,e l’unico posto allettante per la corsa era la spiaggia. Distava poco dalla residenza estiva dei miei,qualche chilometro di strada bruciacchiata dal sole. Sapevo di essere una maniaca della perfezione,curavo il mio fisico con irritante precisione,stando attenta a non ingrassare di un etto. Trattavo me stessa come una bambola,una di quelle di porcellana. Avevo una concezione forse un po’ troppo superficiale di bellezza,lo capisco. DOVEVO essere bella,credevo che solo così potessi essere me stessa. Così quando la vidi correre sulla spiaggia,non feci troppo caso a chi potesse essere,concentrata nella mia bolla di egocentrismo. Non notai subito gli occhi gonfi di pianto,le labbra socchiuse,le mani sporche di sangue. Non vidi altro che l’abito di seta, imperlato di piccole gocce di sudore, che giudicai assolutamente inadatto per l’occasione. Era bello,di un colore particolare. Metteva in risalto le sue curve,piene nel punto giusto. Aveva un bel viso,notai. Gli occhi chiari,le ciglia lunghe e delicate che le accarezzavano le guance,se abbassava gli occhi. I raggi di sole illuminavano uno sguardo che etichettai come annoiato,evitando accuratamente di cercare in quegli occhi la gioia di vivere. Ancora adesso la frustrazione dell’apparenza mi strazia. Magari sarebbe andata diversamente,se mi fossi soffermata sui tratti familiari. Continuai a correre,la musica nelle orecchie che copriva il rumore del mare agitato. Non mi stancavo mai di sentire sotto le dita la sabbia correre via,insieme a me,ed il riflesso dorato del sole che tramontava mi spinse ad andare avanti fino al punto in cui la spiaggia diventava troppo stretta,poi tornai indietro,rallentando leggermente. C’erano ancora diversi chilometri da fare. Dapprima non feci caso alla schiera di poliziotti davanti ad un piccolo bar in riva al mare. Ero abituata alle divise,mi padre era un carabiniere di alta considerazione,e non mi aveva mai spaventato l’idea della pistola nella sua giacca. Poi fui costretta a rallentare per il traffico di persone,e rimasi impietrita. Un corpo giaceva immobile e privo di vita,avvolto in una maschera di sangue. Il mio primo impulso fu quello di tapparmi gli occhi ed andarmene. Ma c’era qualcosa che mi tratteneva con gli occhi fissi sul volto sfregiato dell’uomo. Qualcosa di familiare. Qualcosa di terribile. Nell’istante in cui vidi la mano di mia madre posarsi sui miei occhi capii. Quel corpo spezzato era il corpo di mio padre. Nell’attimo che precedette ogni colpo di testa,ogni emozione,ogni piccolo dettaglio si affollò nella mia mente,confondendosi. Caddi sulla sabbia fresca,ed ogni ricordo si tinse di nero.
 
Nota d’autore: Spero di essere seguita in questo mio colpo di testa. E’ un’idea strana ed inquietante,ma amo tingere la vita di nuovi colori. Avrò l’occasione per continuare a spiegarmi,spero!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Passa ***


Staccare gli occhi dal soffitto mi era impossibile. I contorni sbiadivano assieme a me,le lacrime che solcavano e bruciavano sulla pelle.Quanto era passato?Un'ora?Un giorno? Tutto era distratto ed assente,io stessa per prima stentavo a ricordare cosa facessi,sdraiata su un pavimento che non era il mio. Provai a ricomporre passo per passo un sentiero forse mai esistito,ma mi arresi al primo ostacolo.Chiusi di nuovo gli occhi.Passo un minuto,o forse un'ora. Quando la luce iniziò a pungermi gli occhi mi costrinsi ad alzarmi. Era giorno,difficile stabilire se fosse mattina o pomeriggio. Non mi importava tutto sommato.Un passo,poi un altro.Attraverso sabbia e cemento,guidata dal vento.Voglio andare a casa. Dove è casa mia? Passa.Passa tutto.Non con il tempo,non grazie agli attimi che subentrano a riempire vuoti sempre più pesanti.Passa perchè siamo esseri umani.E non ci sono permesse pause. E' passato un pò dall'ultima volta che ho guardato mio padre negli occhi. Contano i giorni,contano i secondi,quando non si ha più nulla da vivere? Non sono andata al suo funerale.Non ho pianto su un corpo che non mi apparteneva. Non ho ricordi tristi.Ma non ho ricordi felici. Non ho ricominciato a vivere,semplicemente continuo a camminare per una strada calda,bloccata dentro ad un ricordo.Non fa poi così male.D'altra parte non ho niente da piangere.Forse non l'ho mai avuto. "Non e' normale,Melissa!Lo capisci che non è normale?" Sobbalzo,mi cade la forchetta con un rumore sordo,affoga nella salsa piccante.Mi chiedo cosa abbia scatenato quella reazione.E' un pò che non parlo con mia madre,convenevoli a parte. Si è rifatta una vita.Deve essere passato un bel pò. "Che cosa?" Sorride tetra. "Questo Melissa." Mi squadra,una lacrima che sta per sfuggirle dagli occhi. Si sofferma sulle occhiaie violacee,il mio corpo sciupato cattura i suo occhi per quache istante,poi li libera,liberi di vagare alla ricerca di quei segni rossi sui polsi.Non fanno male. "non capisco" è un sussurro.Ma è abituata ai sussurri. "Melissa,è passato un anno,un anno!" Ah ecco,un anno.Non perdo tempo a pensarci.Allontano il piatto da me.Sto per vomitare. "E guardati!" continua,imperterrita "Non mangi più...non esci più...ti fai del male" afferra i miei polsi.Sobbalzo.Non fa male,non fa male. "Non fa male" "non è questo il punto,Mel" addolcisce la voce,ma le mani continuano a stringere.Non fa male. "Melissa,non hai mai voluto parlarne...e io...non so cosa fare,Mel" piange, lei. Chissà che gliene frega.Non capisco. "Non capisco" Lei sospira.Si asciuga gli occhi,e si alza.Mi fissa per un istante,non vede niente nei miei occhi.Se ne spaventa,lo intuisco.Sorrido,attenta a non piegare la bocca. Si allontana,fa finta di lavare le stoviglie,ma strofina sempre lo stesso piatto.Quello pulito. "Ne ho parlato..con Maria." Cerco di fare mente locale.Chi è Maria? "La psicologa.” Chiarisce. “Mi è stata molto utile,dopo...dopo il fatto." Prendo in mano un coltello.Non è molto affilato,ha la punta arrotondata,sporca di salsa. Il manico di ferro sembra saldo.E' freddo. "Lei...dice che non va bene,Melissa.Dice che..." Non è normale?Si,lo hai già detto... "..non è normale.Ha detto che...insomma..." Giro il coltello,più volte.La lama tocca le cicatrici.E' una bella sensazione. "potresti provare a fare una seduta da lei,ecco." Sangue.Rosso,vivo sangue.Mi alzo. Non si volta,lei.Sa che non è il caso. "Ok". Sparisco dietro la porta lucente.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Candido ***


"C'è una parte del mio cervello che non ricorda.O forse rifiuta il ricordo.Bianca,è bianca come la neve,candida. Poi c'è quella parte,un pò più piccola,un pò più nascosta.Sono sicura che li dentro ci sia cosapevolezza.". Allungo un braccio a sfiorare la suferficie liscia della telecamera.
"Io so...". Off.Una semplice pressione e lo schermo diventa nero. Buffo,fino ad un attimo fa c'era una persona riflessa,la sua immagine catturata così bene da sembrare addirittura reale. Chi era?Non la riconosco neanche più.
"Mel..Mel sei pronta,tesoro?"
Stupida!Vorrei urlarle.Stupida,stupida,stupida. Lei pensa che basterà a mettere le cose a posto.
"Si" sussurro.Non mi sente.
"Melissa..." entra in punta dei piedi in camera mia,una mano protesa verso di me. Vorrei scappare.Voglio scappare,voglio andarmene,ma che senso ha?Niente ha più senso.
"Si" lo ripeto.Sorride ed esce.
"E allora muoviti,lumaca".Mi chiudo la porta alle spalle,e vorrei che fosse per sempre.
 
 
"Allora Melissa...".Me la immaginavo proprio così.Con gli occhialetti calati sul naso,gli occhi chiari e pacati e quel sorrisino calmo.Stretta in un tailleur grigio chiaro dimostra una cinquantina di anni.
"parlami un pò di te...non so praticamente nulla!".fa dell'ironia. Ne sa più lei di me,scommetto.
"Neanche io".Sorride.Era previsto,non è vero?
"Vedi Melissa,per fare il mio lavoro ho bisogno che tu collabori.Non posso cercare di aiutarti,se tu non vuoi."
"Mi chiamo Melissa...frequento il liceo classico.." non trovo niente da aggiungere.Scuoto la testa.
"Questo lo so già. Qualcosa in più di te.Magari...magari se ti va potresti raccontarmi un pò del tuo passato."
Vorrei davvero dirle di più.Ma non capisce.Io non so niente del mio passato.
"Non lo so"
"Beh,potresti partire da quando eri piccola.Hai avuto una bella infazia,Melissa?" Interpreta male.Che razza di strizzacervelli è?
"Non lo so." Mi guarda,e scuote la testa.La treccia ordinata oscilla,lenta, a scandire un gesto fin troppo teatrale.
"So cosa pensa."
"Io non penso niente.Non vuoi farmi pensare niente,ed io sono una psicologa,non un'indovina."
"Non mi serve una psicologa.Mi serve un'indovina."
L'ho incuriosita.Primo errore.
"Cosa vuoi dire,Melissa?"
"Io non ho problemi,nella mia testa.Non ho ricordi che mi rendono pazza,se questo vuole farmi intendere.Io non ho ricordi,semplicemente.Magari,se lei fosse una buona indovina,potrebbe cogliere qualcosa al di là di quel muro bianco che mi riempie il cervello. Magari saprebbe farmi ricordare  come era il sapore di un gelato,o la sensazione di calore di un camino acceso.Magari potrebbe dirmi come era fatta la mia vechcia casa,come si chiamavano le mie vecchie amiche.Magari" chino la testa,ormai ad un centimetro dalla sua."magari saprebbe anche dirmi il nome di mio padre,o quanti anni ho adesso."
Una lacrima.Non è mia. "Ma è solamente una psicologa.E non mi serve a niente raccontare altre bugie solo per coprirle la frustrazione di non ricordare assolutamente niente."
Si asciuga la lacrima.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Sconfinato ***


"Non che non ci pensi mai.Capita spesso,invece.E non che non voglia,è che proprio mi sembra di sbattere continuamente sul solito muro di vetro.Che cosa strana...non riesco ad abbatterlo."
Poso la telecamera. Frustrata.No non è la parola giusta.Niente,non sento niente.Come se quel bianco dentro la mia testa si fosse accomodato in ogni angolo del sistema nervoso. Fa quasi paura. Mentre la lama scorre mi dico che si,sono viva.
 
Terza seduta.Di merda,come al solito. Alla faccia della finezza. E' come restare davanti ad uno specchio per una lunga e fottuta ora.Alla faccia della finezza,di nuovo.Non credevo neanche più di saper usare l'ironia.Facciamo progressi.Cavolate.
 
"Prova a non pensarci,se è questo il problema.Distraiti.Esci a fare una passeggiata,scrivi,disegna..." sembra facile. Abitiamo in città,adesso. Orrenda,grigia,triste città. E non so disegnare. Mettere in ordine una stanza già ordinata non mi tiene abbastanza impegnata. Aprire gli armadi è ancora più triste che cercare di ricordare.Scatoloni.Ordinati,pragmatici,inutili scatoloni mai disfatti.Chissà,chissà cosa ci può essere là dentro. Non è il momento,mi dico.Mi butto sul letto.Ed è subito sera.
 
Le tre di notte.Le tre di notte?Lo dice la sveglia.Lo dicono i miei occhi stanchi.Lo dice la casa silenziosa.
Strano come risulti inutile lo scorrere del tempo quando non si hanno ricordi o pensieri a tenerci in frenetica attesa. Mi alzo.Il riattivarsi lento del sangue nelle vene è quasi un fastidio.Come se fossi stata stretta in una prigione,invece che in un letto a due piazze.La luce filtra a scaglie argentate dalle imposte chiuse.
Mi avvicino alle ante socchiuse del mobile in legno scuro.Minaccioso,chissà perchè mi appare così minaccioso. Richiamo assurdo ed irrazionale.Muro.Sempre il solito bianco muro,nel buio della notte.Sospiro,ed è un dolore al petto,un urlo straziante.Apro le ante.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Nel desiderio. ***


"C'ero quasi riuscita. Davvero...ero a un passo dal tornare lì,di nuovo.Come in un film,ero sicura che fosse lì dentro la chiave.Logico,la vita non è un film" Off.
On "No.La MIA vita non è un film."
Crollo di nuovo sul letto,le ante ancora aperte,e dentro un buio impalpabile,e dentro un vuoto lacerante.
 
 
"Mel.."
No,di nuovo. Voglio solo dormire. Ma oggi è martedì.
"Mel,sveglia...faremo tardi alla seduta."
Ovvio.La sua seduta.
Dieci minuti dopo sono fuori casa.Lei è in macchina che mi aspetta.Tamburella con le dita sul volante. Deve essere al telefono,le sue labbra si muovono a tempo,sussurrando parole che non mi va di sentire. Mi appoggio alla portiera.La vedo agitarsi,la vedo sorridere.La vedo ridere.
Quando le sue labbra smettono di correre entro nell'auto,silenziosa,strisciando quasi.
"Finalmente.."
Pochi kilometri,pochi minuti,troppo pochi.Lo studio,quell'edificio dall'aria innocua,un pò scrostato,un pò tetro,un pò vacuo,mi accoglie di nuovo.
Ed io di nuovo scappo dal suo abbraccio.
"Non servirà mai a niente così" mi dice lei.
Entriamo ed una donna sulla cinquantina ci scocca un'occhiata scocciata.L'abbiamo distubata,sono sicura che la lettura di 'donna moderna' è molto più interessante dell'arrivo di un'altra pazza.
"Signore..?" chiede. Signore.Parli per lei.
"Abbiamo una seduta dalla dottoressa Medici." Mi accarezza un braccio,involontariamente,o forse si,ma lo nasconde bene.
"Non siete state avvertite?" chiede  l'altra.Le unghie laccate stridono sul giornale mentre lo stringe un pò di più. Se l'errore è stato suo,non lo da a vedere.
"Evidentemente no.."
"La dottoressa è in malattia...ha annullato tutte le sedute fino a lunedì prossimo..."
"Non tutte" il mio sussurro si perde.Sono sicura che nessuno lo abbia notato.
"Non tutte". E' una voce vicina,tanto da poterla toccare.Simile,da poterla omologare.Le mie parole,qualcuno ha detto le mie parole. E mi stupisco di provare desiderio.Di voltarmi e vedere di chi è la voce che mi ha fatto desiderare.
"Michela,la mamma ha chiesto se potevo sostituirla con la signorina..ha detto di averlo lasciato scritto"
Chi è?Cosa vuole?
"Ah...oh...signor Medici non.." Tormenta il giornale.
"Fa niente." Chiude secco.
Chi è? Cosa vuole?
"Vieni...Melissa,vero?" Mi sento stupida.E,per la prima volta,incrocio i suoi occhi.Poi,la stanza si fa buia.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Voce ***


"Scusa,scusa..."
E sarà la centesima volta che lo dico.La centesima volta che lo sente.
Ha stupito tutti.Ha stupito me.Che strano.Ma lui sorride.
"Hey,ti ho detto di finirla!" fa roteare gli occhi.E sorride.E sorride.Ed è un raggio di sole.E fa male.
"Comunque,io direi di cominciare a parlare un pò.Non mi vorrai far fare tardi al mio appuntamento con lo studio!"
Studia.Mi dovrebbe interessare?No,non dovrebbe.
"Studi?"
Mi guarda,un pò sorpreso.O forse imbarazzato,è un pò che non provo a leggere le espressioni degli altri.E' un pò che non mi importa.Ed il cuore mi batte un pò più forte,urta contro il petto,e fa rumore,ne sono sicura.Ma è normale?E' quella pausa,quel momento di cui fanno parte pochi secondi,quell'attesa.Mi dovrebbe interessare?No,non dovrebbe.
"Scusa se...insomma,non volevo farmi gli affari tuoi."
Mi ritiro in me stessa,il guscio si chiude.Tirare fuori la testa mi richiede forse troppa energia,come se avessi perso l'allenamento.Come se non parlassi così da mesi.Aspetta,Melissa.Tu non parli così da mesi.E il buio torna ad avvolgermi.
 

"Non so cosa sia successo.Cavolo,ero li.E parlavo.Ed ero...si,ecco,mi sembrava di essere fuggita per una volta da quella gabbia di pensieri ingarbugliati.Rovina tutto,come al solito.Certo,Melissa,servi solo a questo."
La telecamera mi guarda.Ed una luce mi sorride beffarda.Cazzo,non ho inserito la batteria...
 

Non sono sicura di averlo sentito.Un suono lungo,prolungato.Non sono sicura,è come se mi fosse apparso in un ricordo più vivido degli altri.E' così che si scandiscono i pensieri umani?In flash così vivi da poter credere che si tratti di insensate realtà?Forse.
Comunque,quello era davvero il suono di un telefono.
La sento parlare. Non avevo ancora sentito squillare il telefono di questa casa.Forse nessuno aveva ancora il nuovo numero.Forse,chissene.
Ma ora,ora che c'è?E sento il cuore battere,accellerare.Perchè?Forse ho qualche strana malattia.Ma si,pure questa. Gli ospedali mi spaventano.Non è stato facile entrarci,oggi.Mi ricollegano a ricordi più vivi.Più irraggiungibili.
"Mel" non l'avevo sentita entrare.
"Mel,è per te...".No.No,io sono malata.Io non posso parlare.Non posso.
Ma la cornetta in mano mia scotta.E ora,cosa devo fare?cosa devo dire?Che pratica stupida da scordare.Me l'avvicino all'orecchio.
"Hey,hey Mel,non mi svenire anche per telefono."
Basta quello.Basta una voce. E mi accorgo di sorridere.E mi accorgo di piangere.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Attesa ***


"Pause.Rewind.Play.Li vorrei anche nella mia vita.Per quegli attimi in cui ti senti felice.Per quegli attimi in cui ti senti morire.Sarebbe facile.Come cancellare un foglio già bianco.Che c'è da cancellare?Se annulli la felicità,annulli anche il dolore.Lo dicono anche i Buddhisti." Ma stavolta non ci credo neanche io.     
 
 
Le cinque di pomeriggio arrivano in fretta quando le aspetti. Attendo il divagare del tempo osservando il cielo sfumare. E ogni nuova sfumatura segna un altro passo,e mi ritrovo a pensare.Tutto questo è talmente stupido che mi dimentico di accendere il tasto realtà.E va bene così,davvero,va bene così.
Un telefono ovattato che suona,un'auto lontana,l'eco dispersiva di passi nell'appartamento vicino.E passa,il tempo,scandito da  un orologio che conta un minuto si e un minuto no.
Poi il mio cuore comincia a martellare.E fa male,non è più abituato.Si sente stretto,oppresso,vorrebbe uscire e volare fuori,illuminare la strada già nera,e scorgerci una macchina,una berlina scura,o magari una panda scassata,o una bravo,quella che piaceva tanto a...Un vuoto.Il solito muro bianco,un pò meno spesso,forse,ma invasivo.E il cuore rallenta di nuovo.5 e dieci,5 e undici,5 e dodici. E cambia di nuovo.Il cuore va a rimbalzi,lui,protesta e un pò piange,un pò si arrabbia.La mia vista si annebbia,mi alzo,passeggio,poi torno seduta.Ma il cielo non mi basta più.Esamino ogni giardino,ogni facciata,ogni luce accesa,ogni metro di strada.E sono convinta che se il campanello non suona il bicchiere che ho in mano finirà con il frantumarsi in mille pezzi.
Ed il campanello suona.Quasi magicamente,surrealmente.Una di quelle cose che leggi nei libri,o che senti in tv.O che magari senti per la strada,da una ragazza un pò esaltata,che ci mette del suo e si capisce benissimo che inventa storie,che anche quella sera le hanno dato buca.Perchè succede a me?Che poi,cosa succede?Cosa è cambiato,a parte il cielo che si è tinto di rosso?
E' inspiegabile,talmente nascosto e buio,intrigato da una rete nera che non riesco a farci luce.Ed è come se mi perdessi nei miei pensieri,mentre mia madre apre la porta e io resto li,immobile,sicura che sia solo una scena di un'ennesima stupida serie televisiva,di quelle spagnole,ripetitive ed insignificanti,nelle quali alla fine non ci capisci nulla.La mia mano allenta la presa ed in un attimo sono consapevole che il pavimento non ha trovato gradevole l'impatto con il cristallo.Quello del servizio buono.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Rose bianche. ***



"Tranquilla,ti ho detto,ci penso io".Forse è solo una finta,quel volto rilassato.O forse lei ha troppa fiducia in quel mezzo psicologo con un mazzo di rose bianche in mano.Cerco di ricordare cosa diceva quel giornale,in un ricordo sbiadito,sul colore delle rose,ma stasera non ho voglia di cercare risposte.Nè di pormi domande. "Ok.." Ed è tutto così normale,forse il suo sorriso,forse la sua voce,quella voce ipnotica che mi fa dimenticare ogni cosa. "Ok." ripeto. "Gliela riporto in tempo,signora,stia tranquilla." interpreta male quel filo di inquietudine che mia madre non sembra voler abbandonare.E non sa che è perchè sono malata.E non lo so neanche io.Viene facile un sorriso mentre mi porge le rose e mi guarda,aspettando qualcosa,forse un grazie,forse un passo verso di lui e quel profumo insopportabilmente dolce. Tutto è così normale,come un deja vu.Un lunghissimo deja vu che non so da cosa proviene,ma che bussa,insistente.E più va avanti nel tempo,nelle azioni,più è difficile resistergli. Cambia di nuovo,così all'improvviso,senza che sia io a comandare niente.Appare spontanea una porta,una porta aperta di quelle che non vedevo da tempo.Fa breccia in uno dei tanti muri bianchi,mi apre uno squarcio,nella testa,che gira,come se avessi inalato troppa aria e tutto quell'ossigeno cercasse di distruggere a poco a poco il mio cervello.Si infila in ogni particella,ed è lenta come un gas mortale,la consapevolezza dura e fredda di un ricordo.Ha un sapore metallico,come quando ti mordi la lingua ed il sangue si unisce alla saliva,e da un pò noia e un pò no. Chiara come una pozza d'acqua rischiarata dalla luna,mi si apre una visione e sfocia in un ricordo.In un vero ricordo.

 

14 febbraio.Ho dodici anni. Sono alla finestra,ansiosa.Guardo dalle tende che profumano di pulito,mi alzo,vado alla porta,poi mi siedo.Di nuovo sento una macchina,e mi alzo ancora.Delusa la vedo sfilare via. Mia madre mi segue,sorridendo. "Non verrà,mamma." Ho quasi le lacrime agli occhi. "E' ancora in perfetto orario,Mel...arriverà,tranquilla." "E se non verrà?". "Sarà lui a perderci.Ed io ci guadagnerò,non mi piace mandarti fuori vestità così..."Scuote giocosamente la testa.Mi tocco il vestito di seta azzurro,quello con il bustino,quello che mi ha regalato per l'occasione.Me l'ha comprato ad una boutique,per questa volta.Le è costato molto,ma con papà che è sempre a lavoro,togliersi una piccola soddisfazione ogni tanto è d'obbligo.Così ha detto. "Non verrà." decido.E nell'istante in cui lo dico,il campanello suona. Sorrido,un sorriso sincero e forse un pò teso.Anche mamma sorride,ma è un sorriso tirato.Lei non è felice.E un pò mi dispiace. "Mel..." lui mi saluta. Ha un mazzo di rose in mano.Cinque bellissime rose.Bianche. Suo padre gli tiene una mano sulla spalla,sorridente di quel sorriso un pò falso che si usa in certe circostanze. "Tieni sono per te.". Ed anche lui sorride,ma il suo sorriso somiglia al mio.Mi alzo sulle punte per dargli un bacio,uno di quelli innocenti sulle guance.So che stasera non basterà.Lui ha 14 anni.E' carino,vestito con i soliti jeans scuri ed una camicia bianca leggermente aperta.Ha il suo solito profumo dolce,e per un attimo tutto mi sembra perfetto. "Gliela riporto in tempo,signora,stia tranquilla." E mi piace la sua cortesia,ed anche a mia madre. Poggio le rose su un vaso di cristallo e lo ringrazio. "Rose bianche." mi dice "Amore puro.".

 

 Torno alla realtà con uno scatto quasi doloroso,come un elastico troppo tirato che si rompe all'improvviso e torna a ciondolare nelle tue mani frustando l'aria. Non deve essere passato più di qualche secondo.Mia madre sta ancora pulendo i resti del mio casino.Lui continua a sorridere,porgendomi il mazzo.E' tutto uguale.Tutto tranne me.Mi sento più leggera,più libera,come se d'un tratto un pezzo di catena fosse scomparso,e la sua assenza provocasse sollievo.Ci sono riuscita. Calpesto i calcinacci di quel pezzo di muro abbattuto,e gli vado incontro. Mi getto tra le sue braccia. "Alessio." Mi abbraccia,per niente sorpreso.Mi stacco dopo qualche secondo,gli occhi lucidi nei suoi. "Tieni,sono per te" Mi porge le rose.Cinque splendide rose bianche. "Grazie." Le poggio sul tavolo."Rose bianche.Amore puro." ci chiudiamo la porta alle spalle.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=440477