Piccola
premessa:
Argh. Questa è una
sasunaru, una sasunaru come la concepisco io, senza troppe
ukettosità pucciose di mezzo. E' nostaglica e a tratti
inutile, portate pazienza. Doppio argh: è pure sportiva.
Non so, forse mi facevo di canne quando ho scritto.
Dedico questa
mini-long fiction a delle persone per me importanti. Faccio questa
dedica in maniera totalmente sincera, in ordine alfabetico,
perché auguro a ciascuna delle destinatarie tutto il bene
possibile.
A Bella, con la quale condivido un
amore per il trio di Ame (scrivi
su di loro**) e visto che entrambe abbiamo scoperto l'erotismo delle
MadaIta (scrivi anche su di loro**) Lasciando perdere i miei messaggi
poco subliminali, devo proprio ringraziare Deathnote e prì
che ci hanno
fatto conoscere. Scoprire che fai i miei stessi studi è
stata una
grande giuoia; ricorda: dobbiamo scavare insieme, eh!
A hu
chan,
perché è il mio modo per dirti che, qualsiasi
cosa succeda, ti sono vicina. Magari l'intera inutilità
della storia ti servirà da distrazione, assieme al picchiare
sulla tastiera e scrivere fiumi di righe. Sono fiera del tuo traguardo
all'università **
A Ila, visto che mesi fa le sono
arrivate calze e scarpe - veramente belle - grazie
anche ai miei mistici influssi positivi (sì, certo, come no
XD) Devi
ammettere però che la mia rima magica era proprio ganza *O*
Cerca di
riemergere dai libri di scuola, ogni tanto, lo studio fa male
ù.ù
A Ile, innanzi tutto per sperare
che l'esame incombente ti vada alla grande, poi perché
magari un giorno inventeranno davvero il teletrasporto e allora potremo
sentirci, vederci, parlarci ogni giorno. Eppure, teletrasporto o meno,
condividiamo ogni volta sempre tantissime cose e ne sono tanto, tanto,
felice.
A Odu, che quest'anno ha la
maturità e, pur odiando la filosofia, deve
comunque averci a che fare. Vedrai che andrà bene, ne sono
sicura.
Spero sempre che tu abbia l'ispirazione per continuare a scrivere su
Naruto e, perché no, propormi quell'attesa storia
ambientanta
nell'antica Grecia**
A prì, alla quale per prima, dopo
mesi, ho accennato qualcosa di relativo alle sasunaru. Grazie per
l'intraprendente spirito suicida mostrato nell'apprezzare la mia
produzione letteraria. Mi manca gufettare fino alle due di notte
ç__ç
Capitolo
I
Win
your match
Gli spalti
attorno al campo da gioco erano gremiti di folla. D'altronde, la
semifinale dei campionati regionali di pallavolo attirava sempre un
buon numero di persone. Le scuole che riuscivano a parteciparvi lo
dovevano ai duri allenamenti svolti nei mesi precedenti: arrivare a
quel traguardo, dopo tante fatiche, era una soddisfazione.
Ciò che contava in seguito era semplicemente vincere.
Shikamaru
osservò gli avversari alla battuta, non senza una certa
apprensione perché avevano un eccellente servizio. Doveva
ammettere, però, che la difesa della propria squadra era
comunque su buoni livelli. L'imprevedibilità, era il vero
problema: lui che era abituato alla riflessione e agli schemi,
detestava che qualcosa andasse contro i suoi progetti.
La sua
agilità mentale gli consentiva, tutto sommato, di arginare
le problematiche improvvise con una strategia fulminea e,
così, evitare il disastro.
Era l'ultimo set: dovevano giocarsi il matchpoint contro l'Ueta. Al
momento, soltanto un punto distanziava le due squadre: bastava un
errore, un microscopico sbaglio e la sconfitta sarebbe stata dietro
l'angolo per entrambe le contendenti.
Shikamaru
si terse il sudore dalla fronte, assottigliò gli occhi,
osservò attentamente dove si posizionava il battitore e con
un gesto della mano avvisò i suoi compagni di tenersi pronti.
L'arbitro fischiò. Il ragazzo alla battuta si
elevò in una schiacciata e lanciò la palla oltre
la rete: un servizio rapido, veloce e piuttosto infido visto che
superava la prima linea.
Non appena
udì il fischio dell'arbitro, Shikamaru corse al suo posto di
alzatore. Kiba, a centro campo, ebbe una prontezza sufficiente da
ricevere il servizio con un bagher ben controllato. Allora, l'alzatore
fu pronto a compiere il suo lavoro: alzare la palla allo schiacciatore.
A dire il vero, il suo era un compito non facile. Anche adesso, nel
mezzo della partita, con il fiato degli avversari sul collo, la
tensione e il cuore che pompava sangue, ossigeno, adrenalina, Shikamaru
seppe che, scegliendo uno solo dei due schiacciatori, avrebbe fatto
inevitabilmente un torto all'altro.
Ormai, non
si trattava più di favoritismi o preferenze; contava solo
una cosa: portare la squadra alle finali.
Strinse i denti e fu questione di pochi secondi. Pochi secondi per
decidere, facendo la differenza.
In
precedenza aveva notato un buco nella difesa degli avversari; forse,
ipotizzò prima di piegare le dita per accogliere la palla,
quella falla difensiva sarebbe stata sufficiente per creare un po'
scompensi. Nel momento in cui fletté i gomiti,
così da alzare, comprese chi sarebbe stato il giocatore
giusto.
“Sasuke!” gridò.
Il ragazzo era già pronto. Aveva le gambe piegate, lo
sguardo serio e adombrato, le labbra assottigliate. I muscoli
guizzarono nello scatto in avanti: tre soli passi, per arrivare in un
salto a sorpassare la rete, tendere la mano e schiacciare.
Ma non
c'era alcuna palla nella sua traiettoria quando si elevò:
mimò il gesto e, facendolo, si rese conto di aver recitato
una perfetta finta. La palla, infatti, spettava soltanto a Naruto.
Naruto, l'ultimo entrato nella squadra. Naruto che, nonostante fosse
stupido e testone, aveva compreso perfettamente le tattiche ideate da
Tsunade e percepiva, con sorprendente precisione, il momento in cui
toccava realmente a lui.
Il
giocatore dai capelli biondi, gli occhi lucidi dall'attenzione e la
tensione, era corso immediatamente in avanti e nel vedere la palla
alzata da Shikamaru, che gli dava le spalle, inconsapevolmente sorrise.
Per un solo istante, ebbe il terrore di perdere
quell'opportunità, lasciandosi sfuggire la schiacciata dalle
mani. Ma in seguito, non appena il palmo della sua mano
toccò la palla, realizzò di essere riuscito a
raggiungerla; allora schiacciò, con tutta la forza che aveva
in corpo, la rabbia accumulata in quei mesi d'allenamento, la passione
che metteva in un gioco amato con tutto se stesso.
Il suo
lancio, preciso e potente, sorpassò il muro avversario e non
venne intercettato dalla difesa che, come aveva osservato Shikamaru,
aveva lasciato uno spazio di troppo: errore imperdonabile in una
semifinale di tale portata.
L'arbitro fischiò.
In quel preciso istante tutto il campo si zittì: la folla
rimase con le bocche semiaperte, gli striscioni tra le mani e gli
incoraggiamenti sospesi. I giocatori si fissarono gli uni con gli
altri, in un secondo di stupore. E poi, alla fine del fischio,
Shikamaru e i propri compagni di squadra realizzarono di aver vinto la
partita. Avevano vinto e un solo suono era stato sufficiente a
decretare la fine di cinque set giocati sul filo del rasoio.
Fu Naruto il primo ad esplodere in un grido di gioia e, in qualche
modo, di liberazione:
“Abbiamo
vinto! Abbiamo vinto!” lo ripeté più e
più volte, rosso in gola, con le lacrime agli occhi che si
mischiarono al sudore.
Ricevette il caloroso abbraccio dei suoi compagni di squadra: un
abbraccio unico, che rese i protagonisti simili a una sorta di sfera
caotica e rumorosa. Anche Sasuke, suo malgrado, venne coinvolto
dall'esultanza generale. Dopo aver sospinto l'irruento abbraccio di
Kiba, dovette sorbirsi la festosa allegria di Naruto che gli
batté pacche sulle spalle e, tronfio nonché
megalomane come al suo solito, non si risparmiò nemmeno di
alzare le dita al cielo in segno di vittoria e farsi una corsa sotto
gli spalti.
Sasuke, sospirando, scosse la testa per poi prenderlo per il collo
della maglia e ribadirgli:
“Stupido,
non è una partita di calcio.”
Naruto, stranamente, non si offese della provocazione: “Dai,
Sasuke, abbiamo vinto. Divertiti!”
Divertiti.
Suonava
davvero semplice quell'incoraggiamento. Sasuke prese uno degli
asciugamani dalla panchina e, portandoselo al collo, guardò
la gente esultare, applaudendo con un certo vigore. Rispetto al
silenzio di pochi minuti fa, sembrava essere scoppiata l'Apocalisse.
Non mancò di notare la delusione cocente degli avversari:
avevano il volto rigato dalle lacrime. Piangevano per una sconfitta che
aveva segnato il futuro, almeno per quell'anno.
Forse anche lui, se avesse perso, avrebbe rischiato di piangere. La
pallavolo era la sua vita. Dedicava ore agli allenamenti, a studiare
schemi assieme all'allenatrice e ai compagni di squadra, giornate
intere spese a correre, a fare esercizi. E le notti... quante notti
passate a studiare, per recuperare il tempo speso durante il giorno.
Spesso, crollava sulla propria scrivania, risvegliandosi al mattino con
la sensazione di non aver concluso nulla.
Avrebbe
voluto essere in grado di fare tutto, risultando pur sempre il
migliore. In quel periodo della sua esistenza, Sasuke sentiva di
riuscire ad essere realmente se stesso esclusivamente giocando a
pallavolo: in campo, tra i suoi compagni, arginava la sua voglia di
rimanere da solo e si sentiva parte di qualcosa. Poi, l'ebbrezza della
vittoria, la tensione della competizione... ogni sensazione, gli
ricordava di star compiendo un gioco anche per sé. Si
sentiva invincibile e niente, come la pallavolo, poteva trasmettergli
quella sublime illusione.
Ad un certo punto, si sentì chiamare. Voltandosi si rese
conto che era uno dei giocatori avversari, venuto a complimentarsi
nonostante il viso fosse ancora umido dalle lacrime.
“Avete giocato davvero una bella partita.” disse,
con voce un po' soffocata.
Si strinsero la mano.
“Anche voi.” ammise sinceramente Sasuke.
Osservò il ragazzo andarsene. Probabilmente, lui non sarebbe
riuscito a fare lo stesso: andare dal proprio avversario e
complimentarsi dopo aver subito una sconfitta. Naruto, invece, ci
sarebbe riuscito eccome; con un sorriso, nonostante l'amarezza, avrebbe
stretto la mano che li aveva fatti perdere. Perché era
entusiasta al limite del masochismo nel trovare squadre superiori,
capaci di metterlo alla prova.
“Te la sei presa perché Shikamaru ha scelto te,
anziché Naruto?”
Sasuke guardò diversi secondi Tsunade. Non gli
ricambiò lo sguardo direttamente ma, con le braccia
incrociate, un cappellino sulla testa dagli scompigliati capelli
biondi, contemplava soddisfatta la propria squadra.
“No – negò Sasuke, impassibile
– Shikamaru ha fatto quello che riteneva giusto.”
Certo, gli dava fastidio non essere stato lui a segnare il punto della
vittoria, ma non era così infantile per prendersela.
Ovviamente, se avessero perso a causa di Naruto glielo avrebbe fatto
rimpiangere per tutta la vita.
L'allenatrice si girò e sorrise, per poi alzare le spalle:
“Meno male, la pensavo diversamente. Allora direi che stasera
puoi venire a festeggiare assieme a noi.”
“Se ne avrò voglia.” ribadì
il ragazzo stando sul vago.
“Io scommetto di sì.” disse lei, con
fare un po' complice.
Poi si allontanò e prese Naruto per le orecchie, visto che
stava per arrampicarsi sugli spalti così da raggiungere la
piccola tifoseria della propria scuola.
Al vedere
quella scena, ripensando alle ultime parole di Tsunade Sasuke sorrise.
Quella, fu
l'ultima partita di pallavolo che giocò con il Takeguji.
*
L'estate
precedente Naruto, in occasione delle vacanze estive, era entrato a far
parte del Takeguji, dopo essersi trasferito da poco nella scuola. Venne
accolto bene dagli altri componenti, anche se ogni tanto questi si
divertivano a prenderlo in giro perché veniva da un paesino
campagnolo nel cuore dell'Hokkaido e non aveva mai visto il mare.
Da loro, invece, il mare era il protagonista di ogni estate e gli
allenamenti continuavano anche in quell'occasione. Qando la palestra
non era disponibile, al mattino c'era sempre la spiaggia: chilometri e
chilometri di sabbia, da percorrere insieme correndo. Appoggiando i
piedi sul lungomare, l'acqua marina esplodeva in tante gocce d'acqua e
per un solo istante tantissime impronte vivevano sul terreno sabbioso,
per poi venire cancellate dalla mano del mare.
Sasuke si sarebbe sempre ricordato quella mattina d'estate.
La squadra, accompagnata da Tsunade, aveva appena finito di correre.
Mentre l'allenatrice si era seduta senza troppe cerimonie sulla sabbia,
posando a terra la sua borsa con un fida bottiglia di saké e
alcune carte con schemi da studiare assieme agli allievi, gli altri
avevano deciso di buttarsi in mare, lanciando in aria le proprie
magliette.
Kiba era stato il primo a tuffarsi: dopo una corsa e un salto,
scomparve tra le onde, per poi riemergere rumoroso come al suo solito.
Shikamaru, sbuffando, era rimasto sdraiato sulla riva sdraiato, con le
braccia incrociate dietro la testa e le gambe accavallate.
Neji aveva
tentato di rimanere in disparte, nella sua ottica di capitano, ma Kiba
lo aveva preso per un braccio fino a gettargli la testa sotto l'acqua;
certo, l'irruenza di Choji nel gettarsi tra le onde aveva sicuramente
contribuito a infradiciare il compagno di squadra. Lo stesso Choji che,
pur sfiancandosi negli allenamenti, non dimagriva neanche di mezzo
chilo; allora, dando per impossibile una dieta, accompagnava la fine di
ogni allenamento con un pacchetto di patatine o, meglio ancora, una
capatina al ristorante take-away più vicino.
Sasuke si era seduto sulla spiaggia. Ogni tanto guardava gli altri
tuffarsi in mare, per poi chiudere gli occhi e pensare a niente in
particolare. Grazie alla risacca, non gli dava nemmeno più
di tanto fastidio il vociare dei suoi compagni e, tutto sommato,
ciò rendeva quel momento di pausa piuttosto piacevole.
Almeno,
finché un Naruto fradicio, coi capelli grondanti d'acqua, i
pantaloncini zuppo e il sorriso entusiasta, non gli si
piazzò davanti coi pugni sui fianchi e uno sguardo
trionfante:
“Allora, quand'è che ti decidi a entrare in
acqua?”
Sasuke alzò la testa e lo studiò con tutta l'aria
irritata di cui era capace:
“Mai.”
tagliò corto.
Di solito, gli altri rinunciavano e tornavano a farsi gli affari
propri. Ma, come scoprì quel giorno, Naruto non era
propriamente “gli altri”. Ed era oltretutto
più fastidioso e insistente della media umana; dunque, per
logica, superava anche le soglie di sopportazione di Sasuke, per quanto
basse.
“Avanti – ribadì il ragazzo –
non ti costa nulla. Ti alzi, fai un tuffo e quando vuoi esci.”
“Facciamo così – propose Sasuke,
fingendo una calma che non aveva – tu giri la schiena, ti
tuffi e quando vuoi esci. Io sto qui seduto, mi faccio gli affari miei
e quando voglio mi alzo.”
Naruto strinse i denti e dilatò le narici. Lo faceva sempre
quando litigava con Sasuke.
“Sai di essere insopportabile, vero? - siccome non voleva
risposta aggiunse, alzando le spalle – Perfetto, stai
lì come un vecchio. Quando ti vedrò mummificato
nella sabbia, non verrò a salvarti.”
“Ecco, splendido, se non lo fai mi faresti un
favore.” ribatté.
Naruto strinse i pugni e senza dire una parola se ne andò. A
quel punto, Sasuke credette veramente di aver vinto la sua personale
sfida contro di lui.
Ma nel
momento in cui ricevette una maglietta grondante d'acqua in piena
faccia, capì di essersi clamorosamente sbagliato. Con una
lentezza impressionate, si tolse il vestito di dosso, si
alzò in piedi stringendolo ancora tra le mani e
fissò i suoi compagni.
Tutti, persino Kiba, smisero di muoversi. Guardarono a loro volta
Sasuke, con la voglia di scoppiare a ridere per l'impagabile scena di
vedere lui, orgoglioso e sempre distaccato, stare immobile coi capelli
fradici, lo sguardo irritato e una maglia non sua tra le mani.
Poi, la goccia che fece traboccare il vaso: Naruto, tenendosi le
braccia attorno alla vita, scoppiò a ridere. L'Uchiha si
diresse contro a passo di carica e, dopo aver gettato la maglia in
acqua, gli si lanciò addosso. Fu divertente vedere i due
compagni di squadra accanirsi l'uno nei confronti l'altro per poi
finire platealmente in acqua, tra schizzi di schiuma marina, bolle e un
dimenarsi di piedi.
Quando realizzò pienamente la stupidità di una
lotta senza né capo, né coda, Sasuke si
arrestò, allontanando con uno spintone Naruto. Rimase in
piedi, immerso fino all'ombelico.
“Sei infantile, oltre che irritante.”
Naruto rise: “Non sono stato io a entrare fino in acqua per
giocare.”
“Non stavo giocando. Specialmente con te.”
sbottò il ragazzo.
Fece per andarsene e uscire; fu allora che Naruto ne
approfittò per tirare fuori la lingua e fare una smorfia. In
quel preciso istante, Sasuke si voltò un'ultima volta;
vedendolo, faticò a trattenere un sorriso, ma per amor
proprio non esitò a muovere un passo verso di lui e
spingerli la testa sott'acqua.
In fondo,
era divertente per una volta non pensare realmente a nulla. Naruto si
dibatteva e trascinava anche lui, mentre gli altri li incoraggiavano;
già Kiba aveva scommesso 500 yen che avrebbe vinto Naruto.
Tsunade, chiudendo la bottiglia di saké, sorrise nel
guardare i suoi alunni divertirsi e stare insieme spensierati. Naruto,
con il suo entusiasmo contagioso, aveva portato allegria e voglia di
fare in quella piccola squadra non troppo importante. Sentiva che
tutti, insieme, sarebbero riusciti a creare qualcosa di grandioso.
Vedere Sasuke partecipare, stare al gioco e arrabbiarsi, la sorprese e
parallelamente la fece sentire più sicura; sicura che, in un
modo o nell'altro, anche lui voleva essere parte di quel gruppo, per
quanto amasse stare sempre sulle sue. Aveva bisogno di un rivale e di
una spinta che facesse emergere quella competitività e
quella voglia di vivere che possedeva: quel rivale, quella spinta,
altri non era che Naruto.
Dopo che che tutti uscirono dall'acqua, si sedettero sulla sabbia. Kiba
era sdraiato con le braccia e le gambe spalancate a prendere il sole;
ogni tanto si grattava una guancia con la mano, ricordando un cane
infastidito dai granelli di sabbia infilati tra la pelliccia.
Poi di
tanto in tanto spendeva qualche parola per discutere con Naruto su chi
fosse stato il miglior giocatore di pallavolo del Giappone. Entrambi
difendevano ostinatamente le proprie posizioni e non volevano saperne
di dar ragione all'altro.
Shikamaru si limitò a sospirare e a chiudere gli occhi; ma
se come lui anche Neji e Choji tutto sommato riuscirono a ignorare i
due rumorosi litiganti, Sasuke minacciò con tono di voce
straordinariamente controllato:
“O tacete, o andate a litigare lontano da qui.”
Kiba borbottò qualcosa in protesta, poi svogliatamente si
girò con la pancia sulla sabbia, lasciando la schiena
scoperta al sole.
Naruto,
seduto con le gambe incrociate, mise il broncio. Dopo aver atteso
diversi istanti, annoiato dal silenzio della spiaggia si
alzò in piedi, scrollandosi la sabbia di dosso, e propose:
“Ho un'idea: perché non costruiamo una rete da
pallavolo qui sulla costa? Allenarsi sulla sabbia farà bene
e poi magari riusciamo a coinvolgere anche gli altri ragazzi della
zona. Sarà divertente!”
Tutti e sei i componenti, allenatrice compresa, lo guardarono perplessi
diversi istanti. Poi Shikamaru ammise, alzando le spalle:
“Perché no? Non è male, in fondo. Anche
se non ho per nulla voglia di mettermi lì a montare reti
finito di correre.”
Kiba si alzò a sedere e, dopo essersi infilato un dito
nell'orecchio per togliersi dei grumi di sabbia, commentò:
“In effetti l'esagitato qui non ha tutti i torti. Tutti
insieme dovremmo fare abbastanza in fretta.”
“Che ne pensa, Tsunade? - domandò Choji, gonfiando
pensieroso le guance – Ah, magari possiamo mettere su un
chiosco. Finiti gli allenamenti viene fame e non è facile
trovare negozi aperti anche di domenica.”
L'allenatrice si massaggiò il mento, infine inaspettatamente
sorrise:
“Ma
sì, non avete tutti i torti. Avremo uno spazio tutto nostro
e, come dice Naruto, possiamo coinvolgere anche altri giovani.
Più iscritti per la nostra scuola, non male davvero.
Oltretutto il preside mi darebbe un incentivo sullo stipendio,
ultimamente sono sempre al verde e... - prima di infangare
ulteriormente la sua reputazione, vista la natura di cattiva
investitrice, si riscosse e scattando in piedi esclamò
– avanti, pelandroni! Muovete il sedere e andate fino alla
palestra per prendere tutto l'occorrente!”
“Muovete? - domandò Shimakaru, inarcando un
sopracciglio – E lei non viene con noi?”
“Nah, io sono l'allenatrice: non ho bisogno di sfiancarmi, a
differenza di voi. Andrò a fare un saluto nel bar di
Jiraiya, almeno lì farà fresco mentre vi
aspetto.”
Cercò di far finta di nulla, ma tutti sapevano che andare a
fare un saluto, in realtà voleva dire bersi un bicchiere di
saké. Quanto al fresco del locale, indubbiamente aveva
ragione: meglio che stare sulla spiaggia sotto il sole, anche se ne
avrebbe giovato l'abbronzatura.
Accettando quel compromesso poco equo, la squadra si
incamminò, Shikamaru con le chiavi della palestra i mano e
gli altri spintonandosi scherzosamente.
Solo Sasuke
era rimasto immobile, con le braccia incrociate. Naruto, voltandosi, lo
vide e consigliò agli altri di proseguire. Allora, gli
andò incontro e domandò, nonostante sapesse
già la risposta:
“E tu non vieni?”
“No. Non ho tempo da perdere in sciocchezze. Quest'anno
abbiamo il campionato.”
Naruto sospirò: “Senti, so di venire da fuori. Ma
tu dammi tempo e vedrai che imparerò come stare in questa
squadra. Fino ad allora, ritienimi pure uno stupido esaltato noioso,
liberissimo di farlo, ma... - si fece serio, quando ribadì
– ricorda sempre che io amo la pallavolo esattamente quanto
la ami tu. Ogni cosa che faccio, la faccio per migliorare, crescere, e
giocare da campione.”
Fu con quelle parole, che Sasuke realizzò di non aver mai
compreso realmente Naruto. Ingiustamente, in quel poco tempo lo aveva
considerato alla stregua di un qualsiasi un ragazzo superficiale,
capace solo di divertirsi e sorridere. Invece, possedeva la sua stessa
passione, la sua stessa competitività che lo portava sempre
e solo a cercare di dare il meglio di sé.
Si fissarono negli occhi.
Poi, dopo
un istante, Sasuke fece presente:
“Non
stare imbambolato a guardarmi. Ti ricordo che abbiamo una rete da
costruire.”
Dicendo questo lo toccò appena sulla spalla e
scattò in avanti, voltandosi solo per accennare ad un
sorriso. Naruto, colto di sorpresa, scoppiò a ridere e poi,
aggrottando le sopracciglia, lo rincorse: i suoi passi sollevarono
nuvole di sabbia e la risacca, il vento, il sole, asciugarono la
propria pelle odorosa di salsedine. La maglietta in una mano svolazzava
come uno stendardo, mentre Sasuke correva con la propria, fradicia,
indosso.
*
Sdraiato
sul letto intento a fissare distrattamente la tappezzeria rovinata
della stanza, Naruto ripensò a quel giorno. Si chiese come
stesse Sasuke, anche se già sapeva cosa provasse. Tuffando
il volto nel cuscino, avvertì il senso di colpa farsi strada.
Rimpianse
di aver proposto la creazione di quello stupido campo da gioco: se non
l'avesse fatto, a quest'ora tutto sarebbe stato diverso.
Eppure, quell'estate nessuno avrebbe pensato che gli eventi avrebbero
potuto prendere una piega simile. Forse proprio perché era
estate e credevano di avere il futuro davanti, insieme.
|