Artemisia di Me91 (/viewuser.php?uid=25338)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Artemisia
Capitolo
1
To
die, to sleep;
To sleep:
perchance to dream: ay,
there's the rub
(“Hamlet”,
W. Shakespeare)
Il vento
scuote l’erba, facendola oscillare, e ballare,
bagnata di quella liquida e argentea luce lunare.
Il buio inghiotte il prato; opprimente, invalicabile.
Ma lei è là, là al centro. Una visione
di bianco; una
candida veste al vento.
I capelli, grano maturo, velati d’argento di luna, si
muovono come vessilli nell’aria.
Nessun suono. Il vento tace e l’erba e l’abito e la
chioma
d’oro ballano in silenzio.
La sua pelle, immacolata neve, risplende di bianca luce, in
quel buio.
I suoi occhi, cerulei zaffiri, son fissi in avanti,
attenti, sereni.
Allora muove appena le rosee labbra, sussurrando qualcosa.
E’ il vento a trasportare la voce, dolce, soave, che poi
risuona per il prato
come una bella melodia.
Un nome. Solo un nome.
... Artemisia.
Artemisia...
Apre gli occhi; i suoi occhi
grigi, intensi.
L’ha sognata di nuovo.
Artemisia,
Artemisia... Oh, pena del mio cuore, terra di
salvezza, mela che desidero. Ti ho amato, e t’amo in sogno, e
ti cerco, e ti
cercherò in veglia, mio angelo bianco. Chi sei?
Perché non ti sveli? Perché
continui a chiamarmi, ma non riesco a trovarti? Ti diletta vedermi
penare,
angosciarmi, consumarmi... io, che così tanto ti bramo?
Maledetta, maledetta e
bellissima agonia del mio spirito, riuscirò a trovarti,
riuscirò a farti mia...
Presto consumerò la mia vendetta; sarai al mio fianco,
opprimente e
rassicurante Artemisia. Mia pena, mio amore.
Si alza, scansando le morbide
coperte rosso cupo, e poi inizia a vestirsi lentamente, con in volto
un’espressione pensierosa.
Mentre si abbottona la camicia
candida, il suo sguardo è perso fuori, oltre i vetri della
finestra di quella
lussuosa camera.
Scruta la notte, sorvolando con lo
sguardo le fitte chiome del bosco, e poi fissa la luna, rimirando la
sua
struggente bellezza.
Non può non pensare ancora a lei,
Artemisia. Quante notti passate a cercarla, quanti sonni inquieti,
più inquieti
del solito. E che agonia dentro di sé, ad ogni alba
contemplata senza lei
accanto, perché quel dì sarebbe stato un ennesimo
sogno tormentato.
Indossa il mantello nero, nero
come i suoi folti e lucidi capelli, nero come il suo abito, nero come
il suo
spirito.
Corruga leggermente la fronte,
stringendo un po’ i pugni mentre di nuovo il volto di lei torna ad assillare la sua mente.
Se
non ho più un’anima, come posso ancora amare?
Perché non
si sono portati via anche il mio cuore? Quante sofferenze, quanti
dolori mi
sarei potuto risparmiare...
Attraversa fluidamente e
silenzioso varie stanze del suo castello sontuoso, illuminato appena
dalla fioca
luce offerta da tante candele, e si ferma nel salone centrale.
Si avvicina al tavolo e va ad
afferrare tranquillamente la busta sigillata posata sul legno. La
scruta in
silenzio, assorto nei suoi pensieri, poi la apre, scoprendo
così un invito
ufficiale per un ballo in una villa di un nobile. Lo aveva con
sé l’uomo da cui
si era nutrito la notte precedente.
Un
ballo... un ballo importante.
Ci riflette un attimo, rileggendolo.
E’ per quella sera.
Allora si apre pian piano in un
sorriso compiaciuto, mostrando appena i suoi canini affilati,
così innaturali.
E’ ora di cena.
Inghilterra del 1800.
Non si era mai fermato a
riflettere su quanti anni avesse ormai. Però ora, immobile
nel buio con lo
sguardo fisso sulla luminosa villa in festa in fondo al vialetto
davanti a sé,
mentre osserva le ultime giovani dame dirigersi verso la casa
ridacchiando tra
di loro, non può fare a meno di ripensare alla sua
gioventù, quando ancora era
un ragazzo come altri, perennemente in cerca di donne e svago.
Improvvisamente,
i suoi anni - quanti? Non ricorda - gli pesano gravemente sulle spalle.
Da
quando, in quegli ultimi mesi, Artemisia ha iniziato a fargli visita in
sonno,
la vita gli è parsa più vuota che mai. Giovinezza
eterna, è vero, ma che
farsene se si è soli? Vivere per sempre, ma come si
può senza di lei? Senza
Artemisia, come potrebbe
ancora esistere?
Chiude gli occhi, irrigidendo i
tratti del viso. Cerca di ritrovare la calma e la concentrazione;
impiega
qualche istante, poi può riaprire gli occhi, rilassato.
Ora non è il momento per le pene
d’amore.
Un ennesimo sorriso eccitato gli
si dipinge in viso.
Una festa lo aspetta.
Si avvia per il vialetto, con una
camminata elegante e fluida. Lo osservano tutti, attratti dal suo passo
sicuro
e silenzioso, dal suo aspetto affascinante e seducente, dal suo odore
ammaliante. Tutti, uomini e dame, incantati.
«Il vostro invito, signore?»
chiede una guardia all’ingresso della villa.
Lui sorride appena, abbagliandolo
con il suo tenebroso fascino, e gli allunga la busta aperta con un
delicato
movimento della mano. La guardia, stregata da tanta grazia e bellezza,
senza
parlare, né afferrare la busta, si sposta di lato per
lasciarlo passare.
Lui fa un leggero inchino con il
capo, sorridendo ancora, ed entra con calma.
Al suo passaggio, gli invitati si
voltano a guardarlo, gustando la sensazione di pace e di
tranquillità che
sembra irradiare intorno a sé. Tutto in lui, dal suo aspetto
al suo odore, al
modo in cui si muove nella sala, attrae e affascina. La musica leggera
che
aleggia nella stanza sembra accompagnare il suo morbido passo, come un
tributo
a quell’armonia.
Si ferma accanto un tavolo con
addobbi floreali e cibo, continuando ad osservare gli invitati intorno
a lui
che ancora al passaggio non possono fare a meno di voltarsi a
guardarlo. E
quindi lui sorride delicatamente alle dame e china rispettosamente il
capo agli
uomini, rimanendo immobile al suo posto.
Sciocchi.
Sciocchi e ciechi che non riuscite a veder oltre
la mia apparenza. Se solo sapeste dove si trova ora la mia anima...
Provo
compassione per voi, insignificanti esseri incapaci di comprendere
quanto sia
vuota la vostra vita. Sarò caritatevole; vi
libererò da questa pena. Molti di
voi verranno graziati dal mio morso di morte, mediante il quale potrete
finalmente dire addio a questo nulla che continuate a chiamare vita. Altri,
invece,
continueranno a vivere e soffrire, e io rimpiango queste vostre povere
anime
destinate a vagare ancora per questa terra, vuote e senza scopo.
Io
sono il Dio di questo mondo mortale. Solo chi riterrò
degno verrà liberato dalla maledizione della carne. Non
pregatemi, non
sfuggitemi... non potete farlo.
Avrebbe agito a momenti,
all’ora
del valzer finale.
Socchiude gli occhi,
concentrandosi. Dal suo corpo freddo inizia a propagarsi
un’aria gelida, che
invade pian piano la grande sala. Le luci delle candele tremolano tutte
insieme, come infreddolite da quell’improvviso gelo. Mentre
parte il valzer, e
i primi invitati iniziano a lamentarsi per il freddo, le candele si
spengono
contemporaneamente. Diviene buio.
Si alza qualche gridolino
spaventato, la musica si ferma e gli invitati iniziano ad agitarsi.
Lui rimane ad occhi chiusi,
gustando quel miscuglio di sensazioni che percepisce chiaramente
invadere i corpi
delle persone intorno a lui. Irritazione, sorpresa, agitazione, paura.
Sospira
di piacere e freme appena. E’ eccitato, come sempre prima di
agire.
Riapre gli occhi grigi, riuscendo
a vedere anche meglio al buio. Distingue chiaramente le sagome degli
invitati,
ogni particolare caratteristica dei loro abiti, anche le rughe
più sottili sui
loro volti. Arriccia lievemente il labbro superiore, scoprendo i canini
affilati, vagando con lo sguardo tra la gente per scegliere il primo da
graziare con la sua misericordia.
E’ in quel momento, in quel
preciso momento, che vede lei.
Artemisia...
Percepisce i muscoli del corpo
irrigidirsi come pietra, mentre il cuore, anche se fermo da anni,
sembra aver
ripreso a battere all’improvviso. E batte più
forte che mai, togliendogli il
respiro; anche se, in realtà, lui non respira più
da parecchio tempo. I sensi
sembrano offuscarsi di un colpo, lasciandolo confuso, smarrito.
L’espressione è
sorpresa e colpita da tanto splendore.
Nel buio, lei sembra irradiare
luce e grazia. Indossa un abito di un rosso cupo, quasi nero, lucido e
brillante, decorato con rose in rilevo sulla stoffa; i capelli dorati,
raccolti, cadono in pochi e morbidi ricci sulle spalle; sul viso
angelico è
dipinta un’espressione calma, forse solo gli occhi color del
cielo sono
sorpresi da quell’improvviso buio sceso sulla sala. Si trova
tra la folla,
visibilmente per nulla turbata, al contrario degli altri vicino a lei.
Artemisia...
Arretra d’istinto un paio di
passi, non riuscendo a staccarle gli occhi di dosso. Ora che finalmente
l’ha
trovata, ne sembra spaventato. O forse è solamente
meravigliato.
Sei
proprio tu, Artemisia? ... E come potresti non esserlo?
Angelo che cammini tra così tanti dannati, rosa fresca tra
queste spoglie
pietre, oh, non riesco a credere ai miei occhi. La tua bellezza
è così fulgida
che temo che la mia mente mi stia ingannando. Può esistere a
questo mondo un essere
così magnifico? Artemisia, incantevole creatura celeste
dagli occhi cerulei,
perché mai sei scesa dal cielo, allontanandoti dai tuoi
compagni, per giungere
qui, in questo mondo maledetto? Perché mai soffrire tra
così tante anime vuote
e penose, tu, che di cotanta luce risplendi? Oh, Artemisia... Desidero
così
tanto salvarti che donerei nuovamente la mia anima agli Inferi, per te.
Riuscirò a farti mia, liberando il tuo spirito dalla
sofferenza di questa carne
mortale, e ci ameremo per sempre, mio fulgido angelo.
Si muove rapidamente verso
l’uscita della sala, sparendo presto fuori, nel buio, non
notato.
E’ turbato e ancora sorpreso da
quell’apparizione. Ha
bisogno di
ritrovare la lucidità.
Appena uscito dalla stanza, l’aria
ritorna tiepida e piacevole. Scompaiono la paura e
l’agitazione, anche se
rimane il buio. Mentre i domestici si danno da fare per riaccendere le
candele,
lei, sospirando con
un’aria stanca,
si dirige alla porta, intenzionata ad andarsene.
«Lady Green, ve ne andate? Non
trovate sia troppo presto?» la ferma lord Baker sfiorandole
un braccio con le
dita.
Lei gli volge lo sguardo e
risponde tranquillamente:
«Scusatemi, lord Baker, ma sono
veramente stanca. E’ stata una bellissima festa. Ancora
auguri per l’incarico
ricevuto da sua maestà in persona.» china
rispettosamente il capo.
«Non vorrà andarsene a causa di
questo imprevisto.» insiste lui, sorridendole e alludendo al
buio sceso in sala
«E privarmi così della vostra splendida
visione.»
Lei sorride appena, facendo
brillare i suoi bellissimi occhi.
«Mi lusingate, davvero.»
«Il vostro sorriso è in grado di
illuminare anche l’oscurità più
fitta.» sussurra lord Baker, avvicinandosi
ancor più e prendendole una mano. Gliela bacia delicatamente
sul dorso, senza
staccare gli occhi scuri da quelli splendenti di lei. Lady Green ritira
quindi
la mano lentamente, con un gesto elegante, e dice infine con la sua
voce soave:
«Perdonatemi ancora, ma devo
andare.»
«Certo.» sussurra lord Baker,
sorridendole.
E’ tornata tutta la luce.
Lady Green non aggiunge altro, si
volta ed esce dalla sala.
Il suo sguardo azzurro è
perso
fuori, verso la luna alta nel cielo. Le mani posate
sull’elaborata balaustra di
pietra del piccolo balcone della sua stanza e addosso solo un abito da
notte di
seta bianca. Aderisce al suo corpo, mostrandolo perfetto e immacolato,
come la
stoffa dell’abito.
I capelli, sciolti, danzano
dolcemente all’aria, disegnando forme indefinite ed astratte.
Abbassa le palpebre, godendo di
quella piacevole e fresca sensazione della brezza sulla sua pelle.
Sul volto si dipinge
un’espressione serena.
C’è silenzio tutt’intorno,
spezzato solamente dal canto della notte che si alza dagli alberi del
grande
giardino della casa assopita.
E lui là, là sul tetto, che la
osserva. Seduto sulle tegole, con un ginocchio alzato su cui ha posato
il
braccio, lo sguardo intenso fisso su di lei. Il mantello scuro fruscia
appena
nella brezza e i suoi capelli neri seguono la stessa dolce danza di
quelli oro
di lei.
La osserva e non può farne a meno.
E’ come rivivere il suo sogno, che così tanto lo
tormenta. Ed è una sensazione
meravigliosa sapere che non si tratta solamente di un sogno.
Artemisia è vera, vera, più vera che mai.
E’ vero il suo
corpo, il suo profumo incantevole; sono veri i suoi morbidi capelli, i
suoi
occhi color del mare, del cielo. Ed è vero, e tangibile,
l’amore che prova per
lei.
Mia
bella Artemisia...
Distoglie gli occhi da lei,
attratto dal suono di passi leggeri che si stanno avvicinando al
balcone. Così
nota la giovane domestica in abito da notte affacciarsi di fuori e dire
con
preoccupazione:
«Lady Green, non dovreste stare
qui... Vostro padre si è molto raccomandato; per la vostra
salute cagionevole
sarebbe meglio che non prendeste freddo.»
«Sto bene.» la rassicura lei,
rimanendo ad occhi chiusi e mostrando ancora
quell’espressione rilassata.
«Ma lady, davvero, non vorrei...»
prova ancora a dire la ragazza, a disagio.
Lei sospira e rialza le palpebre,
per poi voltarsi verso la domestica.
«D’accordo, vengo dentro.
Effettivamente avrei bisogno di riposare.» afferma con ancora
quell’aria stanca
e ritorna in camera, seguita subito dall’altra ragazza.
Lui corruga leggermente la fronte,
meditabondo.
Mia
Artemisia, sei dunque malata? Questa terra immonda sta
inquinando la tua anima così tanto da farti star male? Oh...
angelo del mio
cuore... Non sai quanta pena mi porta saperti sofferente...
Si sporge silenziosamente dal
tetto della casa, solo per riuscire a sentir meglio cosa stiano
dicendo, lady
Green e la domestica, dentro la camera. Grazie al suo fine udito,
nonostante le
due stanno parlando a mezza voce per non svegliare nessuno, riesce a
sentirle
chiaramente come se si trovasse nella stanza con loro.
«E’ stata una bella festa?»
domanda la domestica, preparando un bicchiere d’acqua per
lady Green che sta
scostando le morbide coperte del letto.
«Noiosa.» asserisce l’altra con
aria seccata, sedendosi sul materasso e posandosi la trapunta leggera
sulle
gambe «Troppo formale.»
«Era una festa importante. In
onore di lord Baker.» la domestica le porge il bicchiere.
«Ah, evita di nominarlo.» beve un
istante con una smorfia irritata «Che uomo insistente. E
assillante, direi. La
sua presenza, il suo odore perfino, mi toglie il fiato.»
«Sembra un uomo per bene, di
ottima famiglia.» le ricorda la ragazza, sistemando bicchiere
e brocca su un
vassoio «Vostro padre sarebbe onorato di vedervi in sposa a
lord Baker.»
«Non è ciò che desidero,
però.» le
fa notare lei, decisa «Non ho mai conosciuto uomo
più viscido e meschino. Mi
domando come potrei, piuttosto, liberarmene...»
«Basterebbe trovare un uomo
altrettanto adatto da entrare nelle grazie di vostro padre.»
Lady Green scuote la testa in un
chiaro segno sconsolato.
«Non è affatto semplice soddisfare
mio padre...»
«Oh, lady, non so che dirle...»
«Non dire nulla.» fa un gesto con
la mano per far intendere di voler chiudere lì la questione
«Lasciami
riposare.»
«Certo.» la ragazza china un po’
il capo «Buona notte, lady.» esce poi dalla camera.
Lei invece sospira, esausta, e
posa il capo sui cuscini, fissando i teli del suo letto a baldacchino.
Con aria
pensierosa, torna infine a volgere lo sguardo al cielo, appena visibile
attraverso il piccolo spiraglio concesso dalle candide tende della
finestra.
Eh...
l’Amore. Nulla di più impossibile da ottenere in
questa triste e grigia città.
Il velo di malinconia che ricopre il mio cuore si fa sempre
più spesso. Nessun
uomo è stato ancora in grado di scostarlo e far
così respirare il mio spirito
per la prima volta. E ho sempre meno tempo... La mia anima è
inquieta e
tormentata; smaniosa di trovare l’Amore, la cosa che
più bramo al mondo. Ma il
mio corpo è stanco... Le membra sono sempre più
pesanti e a volte prendere
fiato è una pugnalata al petto e un dolore fitto e
terribile. So già che
arriverà il giorno in cui invocherò
disperatamente la morte con le mani alzate
al cielo. Spero solo che Dio sarà abbastanza misericordioso
da concedermela
senza farmi soffrire oltre ciò che posso ancora sopportare...
Si assopisce.
E’ ancora notte fonda e
quindi lui
è lì, nella stanza, e la osserva.
A pochi passi dal letto, ha lo
sguardo fisso sul suo viso; sta contemplando la sua straordinaria
bellezza.
Lei dorme; il respiro leggero e
calmo e un’aria pacata. E’ una visione.
Mio
spirito bianco e puro... Rimarrei per sempre qui,
solamente a guardarti. Sei bella, bella oltre ogni dire. E il tuo
odore,
perfino il tuo nome, mi infondono un calore forte nel petto... Mi sento
vivo.
Vivo come sono stato, forse, un tempo, ma nemmeno un tempo mi sono mai
sentito
così bene. E pronuncerei il tuo nome continuamente, al
vento, alle stelle, solo
per godere del suo suono così dolce. Il tuo nome,
semplicemente il tuo nome,
sussurrato nella notte, al buio, nel silenzio, come
un’armonia di un’arpa, come
il canto di un uccello, come il vento su di un campo di grano. Il tuo
nome... solo
il tuo nome...
Si china verso di lei e
avvicina
le labbra al suo orecchio, per poi mormorare con voce calda:
«Artemisia...»
Lei alza le palpebre, svegliata da
quel sussurro ignoto.
Ha ancora il volto verso la
finestra, è così che nota che è
aperta. Le tende frusciano, mosse dalla brezza
notturna, e il canto dei grilli si diffonde chiaro per la camera.
Sorpresa, scosta con calma le
coperte e scende poi dal letto. Si avvia a piedi nudi alla finestra e
la
chiude. Scruta la luna per un’ultima volta, poi si gira per
dirigersi al letto.
Sobbalza e reprime un grido a
stento, notando lui sdraiato sul
materasso, di fianco, con un gomito sulla trapunta e il capo posato sul
palmo
della mano per tenerlo rialzato. Le rivolge uno sguardo intenso, grigio
cenere,
e la sta osservando con aria assorta.
«Mio Dio, chi siete?» chiede
subito lady Green, punta e ancora un po’ spaventata
«Da dove siete entrato?»
Lui sorride appena, con ironia,
come se la cosa fosse ovvia, e risponde con un tono calmo e suadente:
«Dalla finestra.»
Lei lancia uno sguardo stupito ai
vetri, poi torna a rivolgerlo al suo “ospite”,
mostrandosi irritata.
«Siete pregato di andarvene
immediatamente.» dichiara con aria decisa «Mi
metterò ad urlare a momenti e voi
verrete arrestato.»
«Con quale accusa?» domanda
tranquillamente lui, rimanendo calmo, quasi impassibile.
«Vi siete introdotto nella mia
camera per rubare qualcosa o magari rapirmi.» afferma lei,
aggrottando le
sopracciglia e indicandolo con l’indice «Poco
cambia. Alle guardie basterà
sapere che siete entrato senza il mio permesso.»
«Perdonatemi, allora. Non sono
stato cortese ed educato.» si alza dal letto con un unico
movimento fluido che
lascia lady Green meravigliata.
Le si avvicina e le si ferma a
pochi passi di distanza, guardandola negli occhi; lei arretra
d’istinto,
colpita da quella sensazione rassicurante e calda che sembra emanare.
Ogni cosa
di lui, dal modo in cui la guarda al profumo dolce che lo circonda,
l’attrae e
la confonde. Rimane spiazzata, senza parole.
«Posso darti del “tu”?» chiede
quindi lui, chinando appena il capo.
Lei sembra riprendersi e risponde
immediatamente, infastidita:
«Naturalmente no. Che cosa fate
ancora qui? Andatevene prima che...»
«Che?» la incita muovendosi in
avanti e fermandosi a qualche centimetro dal suo viso.
Lei arretra ancora, fino a toccare
il muro alle sue spalle. Perde sicurezza in presenza di quell’uomo.
«Che... che chiami qualcuno.»
riesce a concludere, tirando un po’ le labbra, a disagio.
«Perché non l’hai già fatto,
dunque?» le sorride lievemente, con una strana espressione
intensa, mostrando
un po’ i suoi candidi denti.
«Perché...» esita lei, fissando i
canini acuminati. Percepisce il cuore accelerare i battiti, capendo.
Si sente gelare dentro per
l’orrore.
«Voi siete...» mormora, la voce un
poco mossa «Un non-morto.
Un
demone... Un essere immondo.»
«Mi riempi di complimenti.» commenta
lui senza cambiare espressione «Vampiro
va più che bene.»
Lady Green soffoca a stento un
gemito spaventato.
Lui percepisce chiaramente la sua
paura e un po’ ne gode, come fa sempre, ma subito se ne
preoccupa. E’ la donna che ama, non vuole che sia spaventata
da lui.
«Non temere, mia bella Artemisia.»
abbassa il tono, socchiudendo gli occhi e avvicinandosi con le labbra
al collo
della ragazza, che si irrigidisce «Senza il tuo permesso non
oserò ferirti in
alcun modo. Se tu lo vorrai, invece...» mostra un
po’ i denti, pericolosamente
vicino alla pelle di lei, che infatti percepisce il suo fiato caldo su
di sé.
«Non lo voglio!» afferma decisa
lady Green, prendendo coraggio e scivolando via da lui, che rimane
fermo nella
sua posa, immobile, osservandola con la coda dell’occhio
tornare al letto e
sedersi sulla sponda, per poi portandosi una mano al petto. Fissa il
pavimento,
più bianca del solito. Sembra però avere meno
paura di prima. Forse ha
capito... che lo ha in pugno.
Lui rimane tranquillo,
raddrizzandosi e voltandosi appena verso di lei.
«Non desideri una vita immortale?»
le domanda con voce calda, alzando leggermente un sopracciglio.
Lei rialza gli occhi, fissandoli
sui suoi coraggiosamente. Si fa seria, quando dice con risolutezza:
«Perché mai dovrei volerla?»
«Suvvia, Artemisia... tutti i
mortali desiderano cambiare il proprio destino!» sospira lui
con un’aria furba
«Io lo so bene...»
«Io il mio destino l’ho
accettato.» dichiara lei con forza, guardandolo con
un’espressione decisa «Non
sono una codarda.»
«Non ti rimane molto da vivere. Io
ci penserei bene... Ti offro la possibilità di cambiarlo.» insiste lui con
voce suadente.
«Solo chi non crede in Dio, o chi
ci crede ma ha un’anima troppo sporca per salvarsi, ha paura
di morire.»
ribatte lady Green con calma e fermezza «Voi vi siete
lasciato tentare. Avevate
così tanta paura di
morire?» si zittisce, rimanendo un po’ tesa. Forse
ha calzato troppo la mano...
Ma lui rimane impassibile, anche
quando chiede dopo qualche attimo di silenzio:
«Perché... tu non ne hai nemmeno
un po’?»
«Ho fiducia nella mia fede. Ella
mi salverà.» afferma la ragazza fieramente.
«La fede... già...» mormora lui,
socchiudendo appena gli occhi.
«Non potete capirmi, perché non
credete in Dio.»
«Chi ti dice che non vi creda?» il
tono è ironico «So perfettamente
dov’è andata a finire la mia anima... Ora
brucia tra le orrende fiamme dell’Inferno, schernita dagli
altri dannati come
me. Non l’avrò mai più
indietro...»
Lei corruga lievemente la fronte.
«E questo non vi spaventa? Non è
maggiormente terribile questo, che il fatto di dover morire al termine
di una
vita piena? Io non vi capisco... Che senso ha continuare ad esistere in questo modo? E’
orribile...»
«Artemisia, non porti domande
retoriche.» scuote appena il capo «Pensi davvero
che se avessi avuto la
certezza di salire in cielo avrei scelto questa
“vita”? ... No... il fatto è
che la mia anima era già dannata da molto tempo.»
Lady Green tira un po’ le labbra,
comprendendo, e non risponde. Si corruccia invece un po’,
confusa, e chiede:
«Perché continuate a chiamarmi
“Artemisia”?»
Lui rimane visibilmente spiazzato
a questo punto.
«E’ il tuo nome.» afferma con
convinzione.
Lei alza un sopracciglio.
«Vi siete mal informato.» dice con
un’aria vagamente sarcastica «Il mio nome
è Helen, mio padre è lord Green. E
comunque, vi ricordo di non avervi dato il permesso di darmi del
“tu”.»
«Helen?» ripete
lui, abbassando lo sguardo pensieroso e confuso «Non
è possibile...» rialza gli occhi su di lei
«Eppure... eppure sei la stessa
persona... ne sono sicuro.» ignora completamente
l’ultima frase pronunciata
dalla ragazza.
«Di che parlate?» chiede Helen
Green, increspando lievemente la fronte.
«Parlo di Artemisia.» si avvicina,
fermandosi di fronte a lei con un ginocchio a terra e afferrandole una
mano
«Parlo di te.»
La sua pelle è gelida; al
contatto, Helen rabbrividisce.
«Non capisco...» si irrigidisce un
po’, a disagio a così poca distanza da lui
«Non...»
«Sei tu.» insiste, guardandola con
intensità negli occhi «Sei tu quella meravigliosa
visione che popola i miei sogni...
Come potrei sbagliarmi? Non posso. Sei proprio tu.»
«Mi... mi avete sognata?» sembra
perplessa.
Lui annuisce con il capo.
«E ti sogno ancora, giorno dopo
giorno. Riempi poi la mia mente per tutta la veglia. Non hai idea da
quanto
tempo ti sto cercando...»
«Cercavate me?» ripete lei,
sorpresa «Per questo siete qui? Per incontrarmi di
proposito?»
«Proprio così.» le stringe
più
forte le mano «Artemisia è il nome che sento
aleggiare nell’aria delle mie
visioni. L’unico suono tra tanto silenzio...»
«Ma non è il mio nome. Mi confondete
con un’altra.» prova a ritirare la mano, ma lui la
ferma, serrando ancor di più
la presa.
«Invece sono sicuro di non
sbagliarmi.» dichiara con convinzione «Helen o
Artemisia non fa differenza. Sei
comunque la donna che ho scelto di amare.»
«Voi mi amate?» mormora lady
Green, turbata.
Lui continua a guardarla con
un’intensità struggente. Va a socchiudere gli
occhi, senza staccare lo sguardo
dal viso di lei, poi sussurra delicatamente:
«Ti ho amata dalla prima volta che
ti ho sognata. Ti amo solo come si può amare una boccata di
aria fresca dopo
attimi di apnea; come si possono amare le stelle in cielo dopo un
temporale;
come si ama la parte di anima che sentiamo ci manca... Io, che son
morto e poi
tornato ad esistere, sono riuscito finalmente a vivere di nuovo ora che
ti ho
incontrata. Sei come l’aria che non respiro più da
anni; il mio cuore è tornato
a battere in tua presenza. Sono vivo, di nuovo, ed è come se
avessi ritrovato
la mia anima perduta, perché con te non mi sento
più vuoto dentro. Sei l’angelo
che mi ha ridato la vita, come potrei non amarti?»
Lei tira un po’ le labbra,
sentendo il cuore batterle all’impazzata.
Mi
ama... Mi ha sognata e mi ama...
Si sente confusa più che mai.
Quelle parole che le ha detto... sono bellissime. Nessuno le si era mai
dichiarato così. Come si può amare in quel modo?
Non lo sa; non ha mai amato in
vita sua e non sa, quindi, cosa si provi di preciso. Ma davvero
l’amore è così bello?
Davvero merita di essere amata in
quel modo? Lui nemmeno la conosce, come può essersi
innamorato così solamente
da un sogno? E poi... poi lui è un vampiro.
Un brivido percorre la schiena di
lady Green.
Un vampiro si è innamorato di lei.
Vorrebbe sprofondare, morire, al solo pensiero. Amarlo significherebbe
solamente soffrire perché presto se ne sarebbe andata,
mentre lui avrebbe
continuato a vivere. Per rimanere con lui, invece, avrebbe dovuto
dannarsi... E
come avrebbe potuto farlo? Dio non avrebbe mai compreso una cosa
simile. E lei
ha paura delle fiamme dell’Inferno.
Per questo ritira subito la mano
dalla stretta dell’altro e si alza in piedi, fermandosi
accanto la finestra con
lo sguardo puntato in basso. Gli dà le spalle.
Lui si rialza lentamente,
guardandola con un’espressione attenta.
Dopo qualche attimo di silenzio,
Helen mormora:
«Non devi amarmi,
invece.»
Lui si corruccia un po’,
chiedendole:
«E perché mai?»
«Perché io non intendo rischiare
la dannazione eterna per te.» dichiara lei, fissando il cielo
stellato con
un’aria pensierosa.
«Vorresti dire che non vuoi
nemmeno provare ad
amarmi?» domanda,
incupendosi.
«Pensavi di impietosirmi o altro
venendo qui, dicendomi che mi stai cercando da moltissimo tempo e
confessandomi
il tuo amore?» il tono è un po’ punto
«Pensi che sono una donna così facile? Ho
i miei principi.»
Lui non risponde subito.
Rimangono a fissarsi negli occhi,
con un’incredibile intensità. E’ lei a
distogliere lo sguardo per prima,
dirigendolo altrove.
Lui è serio e composto, ma non
sembra affatto turbato o altro. E’ freddo e quasi
impassibile, come una statua
pensierosa.
Dopo un po’, raddolcisce
l’espressione del viso, tranquillo.
«Sai, Artemisia, penso
che tu abbia solamente bisogno di tempo. Ti
desidero così tanto che non credo mi arrenderò
facilmente. Alla fine cadrai
anche tu nel baratro senza fondo dell’Amore, agonizzante,
come lo sono io ogni
volta che ti penso ma tu non sei al mio fianco.»
Lei storce leggermente le labbra,
commentando con disappunto:
«Sembra orribile... Per questo starò
attenta e non commetterò il tuo stesso errore.»
Lui accenna appena un sorriso,
forse divertito.
«E poi non chiamarmi Artemisia. Ti
ho già detto che non è il mio nome.»
ribadisce lady Green, tornando seria.
«Perdonami, ma per me sei e
rimarrai sempre Artemisia.»
ribatte
alzando le spalle con noncuranza.
Helen sembra un po’ infastidita da
quelle parole e quindi non attende a dire:
«Ti sei presentato qui, in camera
mia, svegliandomi in piena notte e spaventandomi a morte; mi dici che
mi ami
come se nulla fosse; non mi porti rispetto, fai
l’arrogante... e io non so
nemmeno il tuo nome.»
«E’ vero, hai ragione!» si prostra
in un elegante inchino, facendo oscillare il mantello
«Scusami, Artemisia, ma
in tua presenza, abbagliato e annebbiato com’ero da tanta
bellezza, mi sono
dimenticato le buone maniere.» torna a guardarla, notando con
piacere che lei è
lievemente arrossita.
Continua a guardarla, dicendo con
tono affabile:
«Chiami pure Edgar.»
«Edgar...» ripete lei, con aria
pensierosa «Avrai pure un cognome, no? Un casato, una
famiglia...»
«Il nome di famiglia l’ho perso da
anni, forse secoli. Non sono nemmeno sicuro di riuscire a
ricordarmelo.»
sospira lui con disinvoltura «Sono solamente Edgar,
adesso.»
«Un vampiro senza nemmeno un
nome...» la sua voce è lievemente ironica
«Interessante...»
«Tutto di me è interessante.»
afferma Edgar con sicurezza, con un’aria forse di scherno.
«Ma non mi dire...» commenta lei
con tono piatto.
Lui torna immediatamente freddo e,
in un movimento rapidissimo, che lei riesce appena a notare, le si
avvicina,
fermandosi alle spalle.
Helen rabbrividisce e sente il suo
corpo irrigidirsi quando Edgar, dietro di lei, avvicina le labbra al
suo
orecchio, sussurrando:
«Avrai modo di scoprirlo.»
«Chi ti dice che voglia
rivederti?» mormora lei, con i battiti del cuore impazziti.
Lui le va a cingere delicatamente
la vita con le braccia, rispondendo avvicinando le labbra al suo collo:
«Fidati.»
Lei rabbrividisce di nuovo e posa
quindi le mani su quelle di lui.
«Lasciami...» mormora con voce
lievemente tremante. Avrebbe voluto dirlo con più forza e
convinzione, ma la
vicinanza di Edgar pare come annebbiare i suoi sensi.
Lui rialza con calma il capo,
annusandole i capelli con gli occhi chiusi, come in estasi; non sembra
affatto
intenzionato a lasciarla.
«Smettila.» Helen pare abbia
riacquistato un po’ più di lucidità.
Lui riapre gli occhi e si stacca
lentamente da lei, che si gira immediatamente a guardarlo.
«Vattene, ora.» gli ordina
guardandolo con decisione, ma il suo corpo ancora un po’
tremante la smentisce.
Edgar se ne accorge quindi accenna
un sorriso compiaciuto.
«Sì, vado per questa notte. Tra
poco farà l’alba e ho bisogno di riposo.»
Si avvia alla finestra, aprendola
ed uscendo sul balcone. Si volta infine indietro, osservando lady Green
sull’uscio con le braccia incrociate per proteggersi un
po’ dal freddo della notte,
un po’ da quella forte emozione che sembra invadere il suo
petto.
Si guardano negli occhi.
«Tornerò domani notte, Artemisia.»
le annuncia con calma «Mi attenderai?»
«No, non credo.» dichiara lei, ma
con poca risoluzione.
«Ti troverò ovunque andrai.» afferma
Edgar, con un’aria quasi sofferente e tormentata
«Non posso
perderti.»
Lei increspa lievemente la fronte,
tirando un po’ le labbra.
Edgar sale quindi sulla balaustra
di pietra e, dopo averle lanciato un ultimo sguardo, salta
giù, atterrando
silenziosamente nel giardino e allontanandosi.
Lady Green non accenna a voler
rientrare.
Ha lo sguardo fisso in avanti, nel
punto in cui si trovava lui fino a
pochi istanti fa.
Il cuore non ha ancora smesso di
battere all’impazzata.
Il
destino si prende gioco di me... Si diverte a vedermi
soffrire. Continua a sferzare i suoi colpi su questo cuore stanco,
indebolendomi sempre di più. Non so cosa fare...
Si lascia scivolare di spalle
contro il muro e finisce quindi seduta a terra, lentamente. Punta lo
sguardo in
basso, con un’espressione persa.
Le ritornano in mente le parole
del vampiro, la sua aria tormentata
e
sofferente.
Certo non aveva mai pensato a
quanto fosse doloroso amare.
Il cielo va intanto a schiarirsi e
lei rialza quindi gli occhi, osservando il sole spuntare dietro gli
alberi.
Abbassa le palpebre, desiderando
di morire all’istante.
Meglio la morte che la sofferenza,
questo è certo.
L’alba.
Edgar è in piedi sopra un tetto di
una vecchia casa della periferia e osserva il sole nascere; lo sguardo
pensieroso
puntato sul disco dorato e in volto un’espressione serena.
L’alba non è mai stata così dolce
e amara allo stesso tempo.
E’ la prima che osserva con la
certezza che finalmente potrà riposare più
tranquillo. Però, allo stesso modo,
sa che il suo spirito sarà comunque tormentato,
perché non potrà vedere lei
finché non giungerà nuovamente la
notte.
Non può restare fuori troppo a
lungo; la luce del sole lo ferisce. Non che gli bruci la pelle, come si
crede,
ma gli procura comunque un dolore intenso, come se fosse arso vivo.
Ma l’alba quel giorno è
particolarmente bella.
Resterà ancora un po’ a rimirarla.
Continua...
Beh, eccomi qua con la mia prima
fic sui vampiri... Spero vi piaccia! =)
Lascio l'indirizzo del concorso a cui ho partecipato, nel caso vogliate
dare un'occhiata anche alle storie delle altre concorrenti. ^^
http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=8773987&p=1
Questo contest consisteva nel
scegliere una frase e/o un'immagine e inserire entrambe (o, appunto,
una delle due) nella storia, che chiaramente doveva parlare di almeno
un vampiro.
La frase che ho scelto è questa: "Hai mai desiderato qualcuno al
punto di smettere di esistere?"
L'immagine, invece, è questa qua: http://it.tinypic.com/view.php?pic=10h7ebs&s=3
La fic ha vinto anche altri
premi, ovvero: "La
migliore interpretazione della frase e immagine scelta"; "La fic
più originale"; "Il miglior stile"; "La preferita dalla
giuria"; "La fic più triste".
Aggiornerò ogni due o
tre giorni; ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno.
^^
Alla prossima!
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2
Solo
tu hai il potere di rendermi triste o donarmi gioia e conforto
(Eloisa
a Abelardo)
«Mia
cara, hai proprio una brutta
cera questa mattina.» nota lord Green versandosi del
caffé in una tazza «Sei
stata male questa notte?» domanda poi con un tono preoccupato.
«Va tutto bene, padre.» sospira
Helen, fissando senza appetito la sua colazione «Sono
solamente un po’ stanca.»
Lord Green rimane a guardarla
intensamente e, lisciandosi un baffo brizzolato, domanda con la sua
voce
profonda:
«Allora dimmi... E’ stata una
bella cerimonia?»
«Come? Oh, ieri sera...» la
giovane pare riscuotersi e quindi aggiunge con un’aria
annoiata:
«Sai bene che non adoro particolarmente
questo tipo d’eventi.»
«Invece la tua presenza era
importante.» asserisce suo padre, deciso, afferrando con una
mano la tazza e
con l’altra il giornale appena portato da un suo servitore
«Se non avessi avuto
quel convegno sarei andato io stesso... ma credo che alla fine lord
Baker abbia
preferito la tua presenza alla mia.» increspa le labbra in un
sorriso, un po’
nascosto dai folti baffi.
Helen preferisce non rispondere e
allora lord Green, dispiegando il quotidiano, prosegue tranquillamente:
«Lord Baker è davvero un ottimo
partito. Possiede molti terreni e la sua rendita è
più che discreta; per non
parlare dell’ottima famiglia da cui discende. Credo proprio
che faccia al caso
tuo.»
«Ti prego, padre, non voglio
parlare di lord Baker.» lo interrompe la lady, storcendo le
labbra «Sai bene
quanto lo trovi insopportabile.»
«Questo non significa nulla,
Helen.» insiste lord Green, continuando a leggere i titoli
con noncuranza
«Queste faccende vanno oltre certe formalità,
quali la “simpatia” o la
“piacevolezza”.»
«Ma io non lo amo, padre!» esclama
allora Helen, con una punta di disperazione nella voce.
«Credi che sia questo ciò che
conta?» lord Green abbassa di scatto il giornale rivolgendosi
alla figlia con
un’espressione dura e un tono autorevole «Il
matrimonio va oltre l’amore! Credi
che io amassi tua madre, o che lei amasse me, quando ci siamo sposati?
In
seguito, poi, abbiamo imparato a conoscerci e ad amarci; per te
sarà lo stesso,
se proprio desideri amare.»
«Ma voi due eravate straordinari,
insieme! Eravate simili, vi capivate.» ribatte la ragazza
«Mentre io so bene
che non riuscirei mai ad amare un uomo come lord Baker.»
«Farai senza l’amore, dunque!»
dichiara il lord con convinzione.
«Ma che cos’è un matrimonio senza
amore, padre?» insiste Helen, con coraggio.
«E’ affari!
E’ convenienza!
Ecco che cos’è!» ribadisce lord Green
con foga «Helen, queste non sono cose che
tu possa gestire; non sei abbastanza matura per farlo.
Perciò, lascia che sia
io a dirigere le trattative; tu limitati a fare ciò
che deve essere fatto. E’ solamente questo il tuo
compito;
abbandona questi tuoi sogni infantili e insensati, è il
momento di crescere!
Hai ormai vent’anni; dovresti sapere come funzionano certe
cose.»
Helen abbassa lo sguardo,
mordendosi un labbro e stringendo i pugni, frustrata.
«Parlerò oggi stesso con lord
Baker. Organizzerò un incontro tra voi entro questa
settimana.» decide lord
Green, tornando alla sua rivista con calma «E ora va a
cambiarti: ti aspettano
i tuoi cugini per una cavalcata, non ricordi? Non farli attendere
troppo.»
«Sì, padre.» mormora lei,
alzandosi con un’aria incupita e allontanandosi dal grande
tavolo.
«Ah, Helen...» lord Green alza gli
occhi dal giornale per guardarla.
Anche lei gli rivolge lo sguardo,
in attesa.
Sul volto di lui è dipinta
un’espressione accurata quando si rassicura:
«Mi raccomando: non affaticarti.»
Lei annuisce con il capo ed esce
dalla stanza.
Helen si avvia lentamente per il
prato dietro la villa, dirigendosi alle stalle.
I suoi passi frusciano tra l’erba
armoniosamente, mentre il vento fa danzare il suo foulard di seta
bianca al
suono di quella musica.
Il suo cuore, stretto in una morsa
ferrea, pare voglia scoppiare; non sembra essere più in
grado di reggere così
tante emozioni e sentimenti.
Helen tira le labbra, con lo
sguardo puntato al suolo, proseguendo ad avanzare malinconicamente tra
l’erba.
Non
so che fare... vorrei solamente fuggire. Ma andare
dove?
«Cugina Helen! Finalmente!» la
saluta con eccitazione un’allegra giovane dalla chioma bruna
e gli occhi di un
verde intenso.
Helen si costringe a sorridere e
si mostra a proprio agio, salutando a sua volta:
«Cugina Cecily, è davvero un
piacere rivederti.»
«Perché, vedere noi non ti
aggrada?» domanda un ragazzo fascinoso, sui trenta; cugino
Gordon.
«Per caso non entriamo più nelle
tue grazie?» aggiunge suo fratello minore Millard con un
sorriso smagliante,
mentre Cecily ridacchia divertita.
«Non sia mai, cugino.» Helen
sorride affabilmente.
«Meno male; mi sarei offesa,
altrimenti.» dichiara con sarcasmo Marion, la bella cugina
maggiore; l’unica
sposata tra i cinque.
Partono poi con i cavalli,
galoppando per i boschi vicini della campagna inglese, chiacchierando
con
disinvoltura.
«Ah, fratello, il prossimo mese
compirai ventisei anni... quando pensi di trovare moglie,
eh?» chiede Gordon
ridendo.
«Poni certe domande proprio tu,
fratello, che di sposarti proprio non ne hai la minima
intenzione?» lo
sbeffeggia Millard, affiancando il proprio cavallo a quello
dell’altro.
«Suvvia, non dirmi che la vita da
scapolo non ti diverte!» esclama Gordon «Tu, tutto
fissato con le donne, della
vita non hai capito proprio nulla!»
«Senza amore non c’è vita.»
asserisce l’altro con convinzione.
«Ah, stolto! Non hai ancora aperto
gli occhi? Una donna ti taglia semplicemente le ali!» ribatte
il fratello.
«Non è necessario che ti innamori
di una donna, cugino Gordon.» fa notare Marion con un sorriso
divertito.
«Non sia mai!» Gordon scuote il
capo con disgusto.
«La verità è che non vuoi
crescere.» afferma Cecily con un’aria furba
«Non vuoi prendere in mano le tue
responsabilità.»
«E’ ancora presto per prendere in
mano certe
responsabilità.» sbotta
Gordon «Non intendo nemmeno pensarci!»
«Cambierai idea appena avrai
trovato la donna adatta a te.» lo contraddice Millard
annuendo con il capo.
«La donna che cerco non esiste.»
sospira il fratello «L’unica che potrebbe
soddisfare i miei canoni, è solamente
cugina Helen.» sorridendo come gli altri, gira lo sguardo
verso la suddetta,
persa nei suoi pensieri, e dice ad alta voce per farsi sentire,
sovrastando il
rumore prodotto dagli zoccoli dei cavalli sul terriccio:
«Helen, accetteresti la mia mano?»
Lei alza lo sguardo di scatto,
tornando in sé, e lo guarda confusa.
«Perdonami, non stavo ascoltando.»
si scusa.
«Gordon si sta dichiarando.»
ridacchia Millard.
«E non sarebbe la prima volta!»
sospira Marion con gli occhi al cielo.
«Dunque, Helen? Vuoi essere mia
sposa?» domanda ancora Gordon con il suo sorriso.
Lei scuote il capo e, sospirando
con esasperazione, dice:
«Ti stancherai mai, Gordon? Fin da
quando eravamo bambini non fai altro che chiedermelo... Mi spiace
davvero, ma non sei il marito che desidero.»
«E nemmeno zio Arnold è mai stato
d’accordo!» aggiunge Millard.
«In questo caso sono contenta,
perché mio padre mi dà ragione.»
commenta Helen, con un piccolo sorriso.
«Oh, beh, allora smetterò di
chiedertelo.» sospira Gordon, poi rivolge lo sguardo alla
cugina più piccola,
dicendo con calore:
«Cecily, sono anni che non ci
vediamo... direi che sei diventata a dir poco stupenda. Chiedo il tuo
permesso
per corteggiarti.»
«Uhm... non saprei... vediamo
prima se riuscirai a raggiungermi!» Cecily, ridendo, sprona
la sua cavalcatura
e parte veloce per la strada.
Divertito a sua volta, Gordon si
sbriga a seguirla, con alle spalle Millard, mentre Marion e Helen
continuano a
camminare tranquillamente in groppa ai propri destrieri.
«Non cambieranno mai...» commenta
Marion.
«Infatti.» concorda l’altra.
Dopo qualche istante di silenzio,
Marion si rivolge alla cugina con un tono più serio:
«Helen, va tutto bene? Sembri
turbata.»
«Davvero?» fa la ragazza a mezza
voce, con gli occhi fissi sulla criniera castana del suo cavallo.
«Ho saputo di lord Baker... tuo
padre vuole davvero combinare il tuo matrimonio con lui?»
Helen si limita ad annuire appena
con il capo.
Marion rimane silenziosa qualche
istante, poi inizia a dire premurosamente:
«Helen, purtroppo non sono cose
che possiamo gestire noi povere figlie di ricchi signori...»
«Parli proprio come mio padre.»
sospira Helen, malinconica.
«Questa è la realtà.» le fa
notare
la cugina che, dopo una pausa, chiede a voce bassa:
«Per caso... sei innamorata di
qualcuno in questo momento?»
Helen stringe con forza le
briglie, adombrandosi.
Marion nota la reazione e,
sorpresa, domanda subito:
«E tuo padre lo sa?»
«“Sa” cosa?» chiede
l’altra,
guardandola.
«Che nel tuo cuore c’è un altro
uomo.»
«Non c’è nessun uomo nel mio
cuore.» nega Helen, distogliendo di scatto lo sguardo.
Ripensandoci, quella
frase le sembra alquanto ambigua.
Lui
non è più un uomo...
Scuote con forza la testa per scacciare
quei pensieri.
Marion, preoccupata, insiste:
«Helen, sai che a me puoi dire
ogni cosa... sono la tua più fidata amica, oltre che tua
cugina.»
«Lo so.» calmandosi, la giovane
torna a guardarla con uno sguardo confortato «Non temere,
Marion, sarai la
prima a sapere ogni cosa, appena ne saprò di più
io stessa.»
«Sei così tanto confusa in questo
momento?» si meraviglia l’altra.
«Eh... più di quanto tu creda.»
*
Il vento
continua a far danzare l’erba, nella notte, sempre
nel più assoluto silenzio.
La bella lady è sempre lì, al centro; fulgida
figura bianca
nel buio.
I suoi occhi cerulei son sempre fissi in avanti; dolci;
incantevoli.
Ed ecco: muove le rosee labbra.
Un sussurro trasportato dal vento.
... Artemisia.
Edgar si desta immediatamente,
percependo la notte appena calata.
Si alza e si veste fissando il
cielo stellato e la luna e intanto ripensa a lei e al suo sogno.
Perché mai quel nome? Artemisia...
Quale significato cela la
sua visione?
Eppure,
nonostante la curiosità del mistero, tutto sta perdendo
il suo significato, ora che finalmente l’ho trovata. Nulla
vale più al suo
confronto. Solo Artemisia, Helen Green, ha significato per me.
Esce poi dal suo castello, non
curandosi nemmeno di partire alla ricerca di cibo,
e si dirige alla villa di Artemisia.
Helen si trova già sul
balconcino
della sua stanza con lo sguardo perso nel vuoto e
un’espressione scura sul
volto.
Posa le mani sulla balaustra e
tira un po’ le labbra, a disagio.
Che
sto facendo qui? Sto cercando una conferma che non sia
stato solamente un sogno quello dell’altra notte? Spero forse
che solo di un
sogno si sia trattato per trovare così conforto? Forse non
dovrei rimanere
ancora qua fuori... sarebbe meglio rientrare.
Tesa, si volta di scatto, facendo
frusciare la veste da notte, e si muove verso la porta a vetri aperta
per
tornare dentro, quando una strana e famigliare sensazione la invade
improvvisamente e una voce, affascinante e tenebrosa allo stesso tempo,
esordisce alle sue spalle con un tono piacevolmente sorpreso:
«Artemisia... mi stavi dunque
attendendo?»
Helen si volta immediatamente,
posando lo sguardo ceruleo su quello perlaceo dello scuro e freddo
vampiro
appoggiato tranquillamente alla balaustra di pietra del suo balconcino,
e,
tornando lucida dopo essere stata colta un attimo da un brivido, dice
con
calma:
«Credo che tu abbia frainteso. Sì,
ti stavo aspettando, ma solamente per dirti di andartene e evitare di
ripresentarti qui in futuro. Non ho alcuna intenzione di passare del
tempo con
te.»
«Per quale motivo, Artemisia?»
chiede lui, rilassato «Non credo di darti alcun
fastidio.»
«La tua presenza mi infastidisce.
Il tuo odore, la tua persona.» ribatte lei con voce ferma
«Che cosa vuoi da me,
vampiro? Io non ti temo; temo solamente la tua condizione. Ma tu hai
fatto voto
che non mi avresti trasformata come te se io non avessi voluto,
perciò posso
evitare di temere anche questo perché non ti darò
mai il mio consenso.»
Edgar increspa appena la fronte,
rimanendo in silenzio, e Helen prosegue:
«L’unica cosa che potrai ottenere
da me è la mia morte, se la desideri.»
«Come potrei desiderarla?» mormora
lui, serio.
La giovane alza allora il capo,
affermando:
«Dunque non avrai niente da me;
preferirei morire che esaudire i desideri di un dannato. E la morte non
la temo
affatto.»
Edgar rimane silenzioso a
guardarla qualche altro istante, poi dice con la sua voce piena:
«Sei la donna più coraggiosa che
abbia mai incontrato. Non posso che stimarti, mia bella Artemisia. Ma
allo
stesso modo le tue parole mi feriscono: mi trovi davvero
così terribile?»
«Vorresti negare di essere un
mostro?» lo sfida lei con decisione.
«Come potrei negare un’evidenzia
simile?» mormora allora Edgar, cupo «So bene in
cosa mi sono trasformato.»
«E allora come puoi pensare che io
possa trovarmi a mio agio con te?» gli fa notare, alzando un
po’ il tono di
voce.
Il volto di lui si trasfigura di
colpo in una maschera sofferente, quando dice:
«Ti prego, non condannarmi prima
ancora di conoscermi.»
Helen scuote il capo, asserendo:
«Io non intendo
conoscerti,
Edgar. Non intendo innamorarmi di te.»
«D’accordo, Artemisia.» rilassa i
tratti del viso «Non ti costringo a far nulla. Ti chiedo
solamente di passare
del tempo con me. La tua presenza mi riempie di una gioia che non
provavo da
parecchio tempo... una gioia che forse non ho ma provato.»
Helen rimane a guardarlo, tornata
a disagio, e lui la supplica ancora:
«Ti chiedo solamente questo.
Nient’altro, se non vuoi che lo faccia.»
«Non vorrei nemmeno passare del
tempo con te, in realtà.» dice lei, perdendo
però un po’ di sicurezza.
«Suvvia, si tratterà solamente di
parlare amabilmente qualche ora...» le sorride e lei si sente
sciogliere
dentro, colpita da quel fascino oltre misura «Davvero, nulla
di più.»
Rimangono in silenzio qualche
attimo, infine lei, con un mezzo sospiro, dichiara la resa.
Helen si volta ed entra in camera
senza ancora parlare e Edgar, colto da incredibile felicità
ed eccitazione,
riesce a malapena a contenere le emozioni e rimanere tranquillo, mentre
la
segue all’interno.
«Ma dimmi... come hai fatto
a
diventare un... vampiro?» si decide a chiedergli, con un tono
un po’ esitante.
«Sai, non ricordo con precisione.»
Edgar si porta una mano al mento, riflettendo «Il mio
passato, in particolare quel giorno,
è così... confuso. Una
macchia indistinta di ricordi, qualche immagine, qualche emozione.
Ciò che so
con certezza è che ho provato un dolore inimmaginabile, pari
forse solo a
quello che si può provare alla nascita, quando entriamo in
questo mondo ignoto
abbandonando un confortevole riparo... Già, ho provato cosa
significa morire.»
«Morire...» mormora Helen,
corrugando lievemente la fronte.
Lui annuisce con il capo, dicendo:
«Sì, morire. Quando un vampiro ti
morde, si muore. Se invece decide di farti diventare come lui, e dunque
inietta
il suo veleno in te, si muore comunque, per poi rinascere la notte
successiva
del tutto diverso.»
La giovane appoggia i palmi
indietro, sulle morbide coperte del letto, inarcando così di
un po’ la schiena,
e continua a fissare intensamente l’altro, seduto a un paio
di braccia da lei
sulla sponda del materasso. Sono lì da qualche ora, a
parlare e confrontarsi,
oppure semplicemente a guardarsi negli occhi, in silenzio. Non sa di
preciso
che cosa sta facendo: si trova seduta sul proprio letto a pochi
centimetri del
predatore più letale del mondo. Eppure, non ha paura.
Helen storce un po’ le labbra e si
ritrova a commentare:
«La morte non è così orribile come
la descrivi.»
«Ma davvero... e tu, che
l’hai già provata, sai bene di che
parli, vero?» fa lui, ironico.
«Tu la morte la temevi.» ribatte
lei, decisa «Ecco perché l’hai trovata
orribile.»
Edgar alza un sopracciglio,
affermando:
«La teoria sulla morte più
affascinante che abbia mai udito... Davvero credi, quindi, che se non
si teme
la morte questa può divenire la cosa più dolce e
bella a cui un uomo può
aspirare?»
«Naturalmente sì.»
«E tu Artemisia? Dici di non
temerla; perciò sei certa che sarà
un’esperienza meravigliosa? La più
bella?»
la interroga lui, incuriosito.
Helen abbassa lo sguardo,
pensierosa. Dopo una pausa, mormora:
«Semplicemente, per me la morte
sarà un sollievo. Una liberazione. Andrò in posto
migliore.»
«Una liberazione?» ripete Edgar,
incupendosi.
Lei annuisce con il capo.
«Sono così stanca... il male che
ho dentro mi sta distruggendo. La mia unica consolazione è
che mi troverò
meglio, dopo.»
«Artemisia, no...» Edgar le si fa
più vicino e le prende delicatamente una mano, cercando il
suo sguardo azzurro
che è sfuggevole e triste.
«Se è una liberazione ciò che
cerchi, ti prego... accetta quella che ti offro io.» le
chiede a mezza voce,
intensamente.
Lei si morde un labbro.
«Edgar... non posso.» ritira la
mano e si alza in piedi, fermandosi davanti la finestra chiusa.
«Ma se non temi la morte, non
temere ciò che ti sto offrendo...» insiste lui con
lo stesso tono di prima,
rimanendo sul letto.
«Ho paura, in realtà, del Giudizio
Finale. Dio condanna i deboli di spirito, i dannati.» mormora
lei, tremante e
con le lacrime agli occhi.
«Artemisia, io voglio solamente
salvarti. Puoi credermi: è così. Non desidero
altro che tu viva... puoi anche
non accettarmi, ma ti supplico: vivi.»
«Ti prego, smettila.» si porta di
scatto le mani al viso, singhiozzando lievemente «Edgar...
basta così...»
Lui, incupendosi, si alza quindi
dal letto e le si fa vicino, per poi abbracciarle delicatamente la vita.
Lei singhiozza un po’ più forte,
mentre le lacrime le rigano il volto.
«La mia proposta ti fa davvero
così tanta paura?» sussurra Edgar, comprensivo.
Helen annuisce, tremando ancora.
Lui avvicina il viso ai suoi
capelli, chiudendo gli occhi e assaporandone il buon odore. Lei
continua a
piangere, disperata.
Non
piangere, Artemisia...
Il volto del vampiro si tira in
un’espressione di sofferenza.
«Artemisia...» mormora, aprendo di
un poco gli occhi «Non voglio che tu soffra per le mie
parole. Perdonami.»
«Se non vuoi che soffra...» lei
prova a voltarsi verso di lui che quindi la lascia per far
sì che gli occhi
lucidi di lei s’incontrino con i suoi addolorati.
Helen conclude con voce poco
ferma:
«Allora non propormi più di
diventare come te.»
Edgar tira le labbra,
irrigidendosi.
«Se davvero mi ami come dici...
devi farmi questa promessa.» ribadisce lei, mentre nuove
lacrime le scivolano
sulla pelle.
«Io...» il vampiro s’incupisce,
esitando.
«Ti prego.» sussurra lei con occhi
lucidi.
Dopo qualche istante di silenzio Edgar
distoglie quindi lo sguardo e, con un’espressione
amareggiata, dice a mezza
voce:
«Va bene, Artemisia... se è ciò
che vuoi...»
«Grazie...» sussurra lei,
abbassando gli occhi e dirigendosi al letto.
Edgar si volta verso la ragazza,
che si è seduta sulla sponda, e le chiede:
«Posso comunque continuare a farti
visita?»
«Ci tieni così tanto?» gli domanda
di rimando, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto ricamato.
«Ma certo, mio angelo.» risponde
lui con enfasi.
Lei lo guarda intensamente, per
poi enunciare con dolcezza:
«Solo
tu hai il potere di rendermi triste o
donarmi gioia e conforto. Il mio amore ha raggiunto tali vette di
follia che
rubò a se stesso ciò che più
agognava... Ad un tuo cenno, subito cambiai il mio
abito e i miei pensieri, per dimostrarti che sei tu l'unico padrone del
mio
corpo e della mia volontà...»
Edgar mostra un sorriso sghembo,
commentando:
«Uhm... appropriato.»
«Sono parole che pronuncia Eloisa ad
Abelardo.» anche Helen sorride lievemente «Possono
perfettamente essere
assegnate anche a te, non trovi? La passione che provava Eloisa
è molto simile
alla tua.»
«Ma nella vicenda, anche Abelardo è
follemente innamorato...» fa notare lui.
«Quella è solo una storia, in fondo.» lo
contraddice Helen.
Edgar sospira e poi recita con emozione:
«Quanto più chiudo gli
occhi,
allora meglio vedono,
perché per tutto il giorno guardano cose indegne
di nota;
ma quando dormo, essi nei sogni vedono te,
e, oscuramente luminosi, sono luminosamente diretti
nell’oscuro.»
«Shakespeare...» capisce Helen, colpita.
«Anche questi versi sono molto
appropriati, non trovi Artemisia?» sorride lui, volgendo
intanto lo sguardo
fuori.
Sta per albeggiare.
Anche Helen se ne accorge, quindi domanda:
«E’ quasi giorno... devi andartene?»
Lui dapprima abbassa lo sguardo, poi
torna a rivolgerlo a lei, dicendo:
«Se vuoi che resti...»
«Ma cosa ti accade se ti esponi alla luce
del giorno?» lo interroga, incuriosita.
Lui storce un po’ le labbra, rispondendo
di malavoglia:
«Un dolore intenso, sulla pelle, come se
un fuoco mi divori... come se improvvisamente mi ritrovassi
all’Inferno tra le
fiamme.»
«Ma è orribile...» fa lei allarmata.
«Poco m’importa, Artemisia, se, in cambio
di questo dolore, posso passare più tempo con te.»
la rassicura il vampiro con
decisione.
«No... non voglio che resti. Non voglio
che ti veda mio padre.» ribatte lei, lanciando uno sguardo
alla porta della
camera «E’ troppo rischioso.»
«Come vuoi...» cede lui, del tutto
succube della ragazza «Tornerò appena
farà buio.»
«Dovrei dormire, ogni tanto.» prova a
dire lei, ma senza nemmeno troppa convinzione.
Edgar le sorride, dicendo:
«Dormi pure quando passo a trovarti, se
vuoi; vederti dormire mi rende sereno.»
«Mi sentirei a disagio.» commenta lei
storcendo le labbra.
Lui ride; una risata limpida e oscura
allo stesso tempo.
Alla giovane manca quasi il fiato,
colpita da quel meraviglioso suono.
«Stai bene, Artemisia?» lui, che sembra
capire, le si rivolge con uno sguardo ironico.
«La tua presenza mi sta letteralmente
annebbiando i sensi.» si porta una mano in fronte, presa da
un lieve capogiro.
«Potrei dire lo stesso per te.» sorride
lieve Edgar di rimando.
«Immagino sia una caratteristica di voi
esseri.» lo ignora Helen «Così...
affascinanti e ammalianti.»
«Caratteristica che usiamo in genere per
confondere e stregare le nostre vittime, in effetti.» spiega
il vampiro con
disinvoltura.
«Sarei una tua vittima, dunque?» Helen
sembra punta.
«Se potessi evitare di influenzarti in
questo modo con i miei poteri, davvero lo farei, Artemisia. Purtroppo,
non è
una cosa che posso controllare.» sospira Edgar, spiacente.
Lei rimane a guardarlo in silenzio ancora
un po’, infine si decide a chiedere, cupa:
«Sei mai stato attratto dal mio sangue?»
Edgar mostra un’espressione sofferta
quando risponde:
«Non potrei mai farti una cosa simile.»
«Cosa accade se non ti... nutri?» pronuncia
l’ultima parola con evidente disgusto.
Edgar abbassa gli occhi, adombrandosi e
dicendo:
«Il mio corpo appassirà lentamente,
finché, privo di gran parte delle forze, non
sparirò per sempre, tramutandomi
in cenere trasportata poi via dal vento.»
Helen non sa che dire. Si limita a
continuare a fissarlo, pensierosa.
Non
può quindi fuggire dalla sua condizione... In questo siamo
davvero molto
simili.
Il vampiro increspa un po’ la fronte, mentre
il primo raggio di sole, filtrato attraverso le tende semiaperte della
porta a
vetri, va ad accarezzare la chiara pelle del suo volto.
Helen se ne accorge e quindi dice:
«Ora vai. Il tuo riposo ti attende.»
Edgar le sorride lievemente ed esce sul
balconcino.
La ragazza si affaccia per vederlo salire
sulla balaustra, girarsi verso di lei e pronunciare:
«Tornerò appena mi sarà possibile, mia
bella Artemisia.»
Sta per saltare, quando lei lo ferma,
chiedendogli d’impulso:
«Mi ami davvero come dici?»
«Non potrei mai mentirti.» dichiara
Edgar, serio.
«Davvero non puoi vivere
senza di me? Veramente sono ormai l’unica cosa che conta per
te?» insiste lei, seria a sua volta.
«Non mi credi, Artemisia?» mormora lui.
Helen tira appena le labbra.
«Non capisco come tutto ciò sia
possibile.» confessa a mezza voce.
Edgar le rivolge lo sguardo più intenso
che mai, sussurrando:
«Hai mai desiderato
qualcuno al punto di smettere di esistere? Al
punto di rifiutarti di fare qualsiasi altra cosa, di stare in qualsiasi
altro
posto, che non sia in sua compagnia?
Ecco dunque, Artemisia,
che da quando ti ho incontrata ho deciso di morire nuovamente, per
rinascere
ancora... per vivere una vita dove tu sei presente. E questa volta no,
la morte
non mi ha spaventato; sarà forse perché, come
dici tu, l’ho intesa come la cosa
più bella che mi sia mai capitata. Non esisto più
in tua assenza, Artemisia:
sei tu il mio punto di riferimento, ora. Perciò, credimi:
non mentirò mai sui
miei sentimenti in tua presenza.»
Helen rimane in silenzio, mentre il cuore
pare non voglia smettere di rallentare i suoi battiti.
Edgar volge lo sguardo al sole nascente e
nasconde a malapena una smorfia di dolore; colpito in pieno dalla luce.
Torna
quindi a guardare Helen, dicendo con un tono dispiaciuto:
«Perdonami, ora, ma devo andare.»
Senza attendere risposta, salta dal
balconcino e sparisce in un istante.
Helen rimane sulla soglia della porta a
vetri, cercando di respirare; è invasa dentro da una tale
emozione che il corpo
pare non risponda più alla sua volontà.
E’ pietrificata, con lo sguardo nel
vuoto, nel punto in cui, fino a poco prima, si trovava il vampiro; il
vampiro
che ha appena pronunciato delle parole bellissime.
Hai mai desiderato
qualcuno al punto di smettere di esistere?
Si porta una mano al petto, sentendo chiaramente il cuore
non rallentare la sua corsa.
Non so più cosa
pensare...
Colta da un malore, torna lentamente in camera, lasciandosi
cadere di fianco sul letto.
I suoi respiri sono faticosi, ora, e la vista si sta
annebbiando, mentre nel petto infiamma il dolore per un cuore malato.
Tossisce un poco, poi rimane immobile sul letto, aspettando
che passi.
Lentamente il dolore si placa e lei, sfinita, abbassa le
palpebre, tremando un po’ per il freddo.
Credo di essermi
innamorata di un mostro...
Una lacrima le riga la guancia, mentre sprofonda in un sonno
agitato.
Continua...
Eccomi di nuovo qua! =)
Grazie tantissimo a tutti coloro
che hanno letto e in particolare a chi ha recensito:
storyteller lover:
Grazie tantissimo dei complimenti! Mi fa piacere vederti tra i lettori;
dopo aver letto la tua fic e aver iniziato a stimarti per il tuo gran
talento (anzi io! xD) mi sento onorata di leggere una tua rece. =) Sono
contenta che la storia ti piaccia, spero sarà
così fino alla fine (ancora altri due capitoli). ^^ Ah, no,
le frasi in corsivo sono pensieri dei personaggi usciti dalla mia
testolina bacata... le citazioni sono quelle in grassetto all'inzio dei
capitoli e altre due citazioni si trovano in questo secondo capitolo
(le ho indicate: una è di Eloisa ed Abelardo, l'altra
è di Shakespeare). Beh, lo prendo come un complimento se ti
piacciono così tanto! =) Ciao!
Achiko:
Ciao! =) Sono davvero contenta che la storia ti piaccia; spero di non
averti deluso in questo secondo capitolo. ;) Grazie tantissimo dei
complimenti: è sempre un piacere riceverli! ^//^ Davvero
sarai la mia lettrice numero 1? Wow, che bello! =) Allora alla
prossima, ciao!
Grazie anche a chi ha aggiunto la
storia alle Preferite e Seguite. ^^
Aggiornerò questo
venerdì o sabato... a presto! =)
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
Che
cos'altro è l'amore, se non
una pazzia molto discreta, una amarezza che soffoca, e una dolcezza che
fa
bene?
(“Romeo e Giulietta”, W.
Shakespeare)
L’erba danza, armoniosa,
e il vento fa ballare anche gli steli più lunghi,
piegandoli, flettendoli.
La luna brilla nel
cielo e la sua luce accarezza i dintorni, per poi sparire un
po’ più in là,
mangiata dal buio.
La bella è al centro e
guarda in avanti, silenziosa, mentre i suoi canditi abiti e suoi dorati
capelli
ballano con la brezza.
Sta per muovere le
labbra, quando la visione cambia d’improvviso; una morbida
nebbia invade il
prato, rada, e uno scintillio alle spalle della giovane la fa voltare,
come
incuriosita.
Dietro la bella lady
fa la sua apparizione un lago argenteo e, lontano, un famigliare
castello. La
ragazza guarda in quella direzione, senza parlare; è di
spalle, ora, e non si
scorge più, quindi, il suo volto angelico.
La nebbia si alza
ancora un po’ e il sogno cambia nuovamente; nel
più assoluto silenzio, la bella
avanza in avanti, per poi fermarsi appena i suoi piedi, scalzi, vengono
bagnati
dalle placide acque del lago. In quell’istante, i suoi
immacolati abiti
iniziano a macchiarsi di un nero cupo, come è nera la notte,
così come i
capelli; l’oro muta, diviene nero.
La lady si muove
ancora; si china con calma e strappa dalla terra una piccola pianta
biancastra;
quindi si rialza e la tiene in mano, tornando a rivolgere lo sguardo al
lontano
castello.
Sempre silenzio.
Nessun suono.
Nessuna voce.
Nessun nome.
E infine la visione
sparisce, inghiottita da quel nero.
Edgar
balza seduto sul letto, respirando affannosamente; in
volto un’espressione sconcertata. Stringe con forza le
coperte, non riuscendo a
calmarsi.
Perché quel sogno? Perché quel cambiamento?
Perché Artemisia
rimane in silenzio, tinta ora di nero?
Gira gli occhi verso la finestra dalle tende chiuse; si
intravede appena la luce del giorno che rischiara i dintorni.
E’ pieno dì.
Distoglie lo sguardo, non riuscendo ancora a regolare il
respiro; agitato, balza giù dal letto e inizia a girare
intorno nella sua
stanza, con una mano tra i capelli.
«Che vuol dire, maledizione! Che sia un oscuro
presagio?» si
domanda, senza fermarsi.
Ricorda il sogno; il lago, il castello. Si affaccia
immediatamente alla finestra, ignorando il bruciore del sole, e volge
lo
sguardo al limpido laghetto che si estende alla sua sinistra, oltre il
cortile.
Il lago, il
castello... Il mio castello
e il mio lago.
Ora capisce.
«Che voglia significare che Artemisia infine
accetterà?» si
chiede, allontanandosi dalla finestra e tornando a girare intorno con
un po’
più calma «Vorrà diventare come me?
Verrà a vivere qui? Che significhi questo,
il fatto che nella visione da candida e pura si tramutava, si tingeva
di nero?
... Non lo so proprio.»
Si ferma e appoggia la schiena al muro, passandosi una mano
sul volto stanco e provato.
Prima d’ora, non si era mai svegliato in quel modo in pieno
giorno, né tanto meno aveva mai rinunciato a mangiare una
sera. Probabilmente
era in grado di resistere senza nutrirsi per qualche altro giorno,
ancora;
decisamente una fortuna, visto che di mangiare
non è proprio in vena in quel momento. Allo stesso modo, sa
che non riuscirà a
dormire ancora per quel giorno.
Posa il capo indietro sulla parete, pensieroso.
Devo controllare come
sta... devo stare con lei di più.
Si rende conto di non riuscire più a sopportare
l’assenza di
Artemisia nemmeno nelle ore di sonno.
Forse è per questo che
ho avuto l’incubo... Devo tornare da lei.
Si stacca dal muro e si prepara; vuole raggiungerla subito.
«Cugina...»
con un sorriso, il volto allegro della dolce
Cecily fa la sua apparizione da dietro il tronco del grande salice
sotto la cui
ombra è seduta Helen, che alza gli occhi verso
l’altra, sorpresa.
«Cecily! Pensavo fossi ripartita questa mattina... che fai
ancora qui?» chiede Helen, mentre Cecily si va a sedere al
suo fianco.
«Mio padre ha avuto un contrattempo.» sospira la
giovane
mora, visibilmente seccata «Partiamo tra poco... In questo
modo, però, saremo a
casa solamente quando calerà la notte; avevo programmato
già tutto il mio
pomeriggio e ora non potrò più fare
niente.» torna a sorridere guardando la
cugina «In ogni modo, non ho saputo resistere e sono venuta a
salutarti.»
«Sai che mi fa piacere stare in tua compagnia.»
anche Helen
le sorride dolcemente «Potevi venire a pranzo... Se avessi
saputo che non
saresti partita subito ti avrei invitato sicuramente.»
«No, sono qui solo per un veloce saluto.» le spiega
l’altra
«Ti passerò a trovare presto, comunque.»
«Sarebbe fantastico.» annuisce Helen.
Cecily si mostra preoccupata quando dice:
«Ho sentito che sei stata male questa notte e che ti sei
alzata dal letto solo verso mezzodì... come stai ora cugina
Helen?»
«Meglio.» la rassicura, posando una mano sul petto
«Solo un
dolore passeggero.»
Cecily non sembra affatto rincuorata.
«Mi dispiace molto cugina... Vorrei tanto che
guarissi...»
confessa tristemente.
Helen distoglie lo sguardo, puntandolo al suolo.
«Credo che non potrò mai guarire.»
mormora con
un’espressione scura.
Cecily va ad abbracciarla con affetto, dicendo:
«Non smettere mai di sperare. Io sono certa che presto
starai bene.»
«Grazie.» Helen ricambia l’abbraccio.
Le due si dividono e Cecily, tornando allegra per tirare
l’altra
su di morale, indica il libro che Helen tiene in una mano ed esclama:
«“Romeo e Giulietta”? Cugina, che
cos’è tutto questo
romanticismo improvviso?»
«Oh, questo...» Helen abbassa gli occhi sul libro,
arrossendo «Ho avuto semplicemente voglia di leggerlo di
nuovo...» prova a dire
in imbarazzo.
«Uhm, qui c’è di mezzo un
uomo...» Cecily le rivolge uno
sguardo furbo «Non ho dubbi! ... Per caso hai deciso di
accettare la mano di
cugino Gordon?» si mette a ridere.
«Giammai!» anche Helen ride con lei.
«Signorina Cecily...» si avvicina una domestica.
«Sì?» fa la giovane, asciugandosi gli
occhi lacrimanti per
il gran ridere.
«La vostra carrozza è pronta. Vostro padre vi sta
aspettando.» conclude la donna.
«Oh, è già ora di andare...»
storce le labbra, dispiaciuta.
«Torna a trovarmi presto, d’accordo?» si
rassicura Helen.
«Sì, sì, cugina, non temere! A
presto!» la saluta Cecily,
alzandosi e avviandosi poi alla carrozza insieme la domestica.
«A presto.» le dice dietro Helen, guardandola
andarsene.
Non stacca lo sguardo da quella direzione finché non vede la
carrozza allontanarsi. Con un sospiro, quindi, si raddrizza, pronta a
continuare la sua lettura, quando una voce famigliare alle sue spalle
la fa
sobbalzare:
«Davvero una giovane piena di gioia di vivere, tua
cugina.»
Helen si gira di scatto, notando così Edgar di fianco il
tronco dell’albero con le braccia incrociate e una spalla
postata sul legno.
«Che ci fai qui?» si stupisce la lady, incredula
«E’ pieno
giorno! E’ da poco passata l’una!»
«Lo so bene.» Edgar fa una smorfia «Il
sole è
particolarmente cocente, in
effetti.
Ma quest’ombra mi dà un po’ di
sollievo.»
«Starai soffrendo molto...» constata Helen,
impensierita.
«Sbaglio, Artemisia, o ti stai preoccupando per
me?» sorride
furbo lui, compiaciuto.
«Ti sbagli!» Helen distoglie lo sguardo, mentre le
guance le
si colorano lievemente di rosso.
Lui sorride ancora un po’ e, sedendosi elegantemente al
fianco della giovane, domanda:
«Ti spiace se siedo qui?»
La ragazza scuote appena il capo, tornando a rivolgere lo
sguardo sulla copertina del libro, pensierosa.
Edgar nota il titolo e, con un tono suadente, afferma:
«Questa tua “voglia” di Shakespeare
è nata grazie a me e
alle mie parole, vero?»
«Sbagli di nuovo, vampiro.» nega fieramente Helen,
posando a
terra il libro «Un’idea d’amore
così fine e profonda che solo Shakespeare, in
particolare in “Romeo e Giulietta”, riesce a
trasmetterti, non può in alcun
modo essere associata ai tuoi modi, o alle tue parole.»
«Dunque non mi trovi abbastanza fine e profondo?»
chiede Edgar
alzando con ironia un sopracciglio.
«Infatti.» asserisce lei, guardandolo con
un’aria di sfida.
Lui le rivolge uno sguardo intenso e pungente, ribattendo in
un sussurro:
«L’amore che provo per te non può essere
paragonato in alcun
modo a dei versi di Shakespeare?»
Helen storce un po’ le labbra, non sapendo ora che
rispondere.
«Ecco, vedi Artemisia? Ti lascio a corto di parole come solo
delle frasi di un fine e profondo
poeta posso fare.» constata Edgar, sicuro.
La giovane volta il capo verso la campagna che si estende
davanti a loro e, con un sospiro malinconico, dice:
«Forse non hai ancora compreso che devi
dimenticarmi.»
«Come posso farlo?» le chiede Edgar, portando il
busto in
avanti per avvicinarsi di più a lei «Artemisia,
non posso!»
«E invece devi.» Helen torna a rivolgergli con
decisione lo
sguardo «Continuerai solamente a soffrire in questo modo. E
soffrirei anch’io,
lo ammetto.»
«Perché mi fai questo, Artemisia?»
insiste lui, con un
accenno di disperazione nella voce, che è quasi un sussurro
«Perché ti fai
questo?»
Helen increspa un po’ la fronte.
«Non so di che parli.»
«Perché non accetti di amarmi?» le
mormora Edgar guardandola
fissa negli occhi.
Lei attende qualche istante prima di rispondere a mezza
voce:
«Io non ti amo.»
«Perché non puoi amarmi?» replica il
vampiro con la stessa
espressione intensa di prima.
«Per via della tua condizione.» risponde Helen, con
lo
stesso tono di prima.
Non posso amare un
vampiro... un mostro...
Si ripete, convinta.
«Allora, se rifiutassi la mia condizione, tu mi
ameresti?»
domanda Edgar dopo un istante.
Helen alza le sopraciglia, incredula.
«Non puoi farlo.» esclama, certa.
«Posso farlo, invece.» dichiara lui, serio
«Se questo mi
permetterà di stare con te... di farmi accettare da
te.»
«Ma... come...?» balbetta lei, spiazzata.
«Sei certa di non voler diventare come
me?» le chiede Edgar in un sussurro.
«Sì.» risponde subito lei, senza
pensarci troppo.
Lui la guarda con un’aria meditabonda, poi dice lentamente:
«Quindi accetti il tuo destino... Accetti di morire a causa
del tuo male.»
Helen annuisce appena con il capo, scura in volto.
Edgar rimane in silenzio qualche momento, poi riprende a
dire con lo stesso tono di prima:
«D’accordo, Artemisia; tu hai fatto la tua scelta.
E dunque
io faccio la mia... Senza di te per me non c’è
vita. Senza di te non posso più
esistere. Ecco quindi che ho deciso: morirò con
te.»
Helen spalanca gli occhi, stupefatta, ed esclama, allarmata:
«Non puoi, Edgar!»
«Invece sì.» insiste lui, deciso
«Rifiuto così la mia
condizione di vampiro. Rifiuto di nutrirmi.
Rifiuterò anche di riposare al dì per stare con
te e vegliare la notte su di
te.»
«Morirai!» quello che esce dalle labbra della
giovane è
quasi un grido carico di disperazione.
Helen si porta quindi una mano alla bocca, mentre gli occhi,
senza il suo permesso, divengono lucidi di lacrime.
Edgar rimane composto, con uno sguardo tranquillo e un’aria
serena.
«Artemisia...» le dice con voce calda
«Quindi tieni a me?»
«Non voglio che tu muoia a causa mia.» la voce le
trema
lievemente, e le lacrime iniziano a scendere, incontrollate
«Mi sentirei in
colpa... io non...»
Non riesce a concludere; Edgar ha posato una mano sul suo
volto e la sta accarezzando dolcemente, rimanendo sereno.
«Se lo stai facendo per convincermi ad accettare la tua
proposta di diventare come te... davvero, non posso... non puoi farmi
questo...» continua a dire lei, sempre più
disperata.
«No, davvero, non è per questo.» le
mormora lui,
accarezzandole ora i capelli «Io rispetto la tua decisione e
non insisterò
oltre. Perciò tu rispetta la mia, ti prego.»
«Non posso...» si morde un labbro, sentendosi in
colpa.
«Artemisia, non temere per me.» le sorride appena,
pacato
«Questa volta non ho paura di morire, perché
starò al tuo fianco. Ho vissuto
fin troppo e fin troppo inutilmente. Ora sei tu il senso della mia
esistenza e
se tu hai deciso che è ormai l’ora, per te, di
lasciarti morire, che senso ha,
quindi, che io continui a vivere? Te l’ho detto: non
c’è vita senza di te.
Accetto dunque il mio destino, che è solo questo: vivere gli
ultimi momenti
della mia esistenza con te; attendendo insieme la morte
liberatrice.»
«Preferisci quindi rinunciare a convincermi a passare una
vita con te per sempre, per poter morire ora con me come io
ho deciso?» domanda lei, non riuscendo ad accettare la cosa.
«Sì, lo preferisco.» dichiara Edgar
senza esitare.
«Perché?» chiede Helen, non volendo
arrendersi.
Edgar risponde a mezza voce, cupo:
«Perché non voglio che tu divenga un
mostro.»
«Cos...?» rimane lievemente con le labbra
dischiuse,
stupita.
«Se è solo un mostro ciò che vedi in
me, questo è ciò che
poi penserai di te stessa quando sarai nella mia stessa condizione. E
non è
quel che voglio.» fa una breve pausa, poi riprende:
«Davvero, non fartene una colpa. Tu mi hai ridato la vita,
Artemisia. Sono io che ho deciso di scegliere la morte. Ciò
che sto vivendo con
te in questi giorni è così intenso e vero che non
può essere paragonato a
nessun periodo della mia lunga esistenza. Preferisco quindi vivere
pienamente
con te questi pochi attimi, che continuare poi una vita vuota e priva
di
senso.»
Le prende delicatamente il volto tra le mani; lei
rabbrividisce per il freddo contatto.
I suoi occhi perlacei guardano gli azzurri e lucidi di lei
con una forza e convinzione tale che Helen si stente quasi vacillare.
«Edgar...» mormora, tremante.
Lui le si fa un po’ più vicino con il viso,
sussurrando:
«Non aver paura di me, Artemisia.»
Lei socchiude gli occhi, ribattendo con un fil di voce:
«Non ne ho affatto.»
Le loro labbra sono così vicine che i respiri caldi vanno a
legarsi insieme.
«Ti amo, Artemisia.» afferma Edgar in un sussurro e
infine
raggiunge le labbra di lei, che non si sottrae.
La bacia intensamente, a lungo; entrambi chiudono gli occhi
e Helen alza una mano, posandola su quella di lui che è
ancora appoggiata alla
sua guancia.
Il cuore della giovane batte impazzito e anche Edgar sente
battere il proprio cuore, nonostante ciò sia impossibile
perché fermo da tempo.
Il corpo del vampiro freme appena, colto dentro da una profonda
emozione, mentre Helen è persa del tutto nella bellezza di
quel contatto. Si
sente ammaliata, si sente bene, benissimo, e ha dimenticato del tutto
il fatto
che sta baciando un vampiro. Ma lui
non è più un vampiro; ha rinnegato la sua
condizione e l’ha fatto per lei,
solamente per lei.
Come può rifiutare colui che l’ama così
tanto da decidere di
smettere di esistere? Non può farlo.
Ed ecco, dunque, che Helen ha capito davvero ciò che
intendeva Edgar con le sue parole.
In quel momento, lui riapre improvvisamente gli occhi e, con
un movimento fulmineo, sparisce in un attimo.
Anche Helen rialza le palpebre, confusa; è sparito
così in
fretta che è riuscita appena a percepire il movimento.
Senza capire, si guarda intorno, cercandolo, quando vede
qualcuno avvicinarsi.
«Oh, no...» storce le labbra con disappunto.
«Lady Green! Eccovi, finalmente.» sorride lord
Baker,
raggiungendola.
«Lord Baker... che sorpresa...» fa lei con un tono
piatto.
Lui si inchina e la invita a fare una passeggiata insieme.
Lei riesce a stento a non sospirare, esasperata, quindi è
costretta ad accettare a malincuore.
Lord Baker le offre il braccio e insieme si avviano per il
prato, allontanandosi dal salice; Helen lancia un ultimo sguardo
speranzoso in
quella direzione, ma non vede nessuno.
«E’ una splendida giornata, non trovate?»
esordisce l’uomo,
indicando il cielo limpido.
«Bellissima.» commenta la lady senza entusiasmo.
«Già.» fa lord Baker senza aggiungere
altro.
Helen gli rivolge quindi uno sguardo serio, asserendo:
«Vi prego di smetterla di tergiversare. Vi ha invitato mio
padre, non è così?»
«Infatti, Helen.» risponde lui, con un mezzo
sorriso
compiaciuto «Vostro padre mi ha proposto di venire a
parlarvene.»
«Non c’è proprio nulla da dire,
August.» afferma lei,
distogliendo lo sguardo «Mio padre vi avrà
già comunicato il mio parere,
suppongo.»
«Mi ha solamente detto che siete ancora un po’
scettica.» fa
un gesto con la mano per indicare noncuranza «Vi capisco,
Helen, non ci
conosciamo molto bene.»
«Un po’ scettica?» ripete lei,
staccandosi da lord Baker e
rivolgendogli uno sguardo duro «Forse non avete compreso: io
non intendo
sposarvi, lord Baker.»
«Ciò va oltre la vostra decisione,
Helen.» insiste lui,
calmo «Vostro padre è d’accordo; il
nostro matrimonio è già stabilito.»
«Scordatevelo.» sibila la lady, decisa.
Lui le rivolge un sorriso sicuro e ironico e dice:
«Helen, fatevene una ragione. Questo maggio diventerete mia
sposa.»
«Mi rifiuto.» insiste Helen con fermezza.
«A costo di portarvi con la forza sull’altare, noi
ci
sposeremo tra due mesi.» ribadisce lord Baker, sta volta
serio «Sono venuto
solamente a comunicarvelo. Ora perdonatemi, lady, ma sono pieno
d’impegni.» si
inchina ancora «A presto, mia sposa.»
Helen gli dà immediatamente le spalle e si dirige al salice.
Lord Baker le lancia un ultimo sguardo di trionfo e se ne va a sua
volta.
La ragazza raggiunge il salice e, frustrata, appoggia
pesantemente la schiena al tronco, lasciando cadere le braccia lungo i
fianchi.
«Artemisia...»
Helen alza subito lo sguardo e, sorpresa, vede Edgar seduto
su un ramo che la sta guardando.
«Edgar...»
Lui salta a terra e le prende una mano, dicendo
premurosamente:
«Ti proteggerò io, Artemisia.»
«Di che parli?» chiede lei, ancora un po’
annebbiata a causa
di tutti quegli avvenimenti concentrati in pochi attimi.
«Terrò quell’uomo lontano.»
spiega Edgar, serio.
Lei scuote il capo.
«Lascia stare. Ci penso io.»
«Cosa intendi fare?»
«Parlerò con mio padre.» sospira
«So come fare.»
Edgar la guarda intensamente.
«Sei sicura?»
Lei gli sorride con dolcezza.
«Certo.»
Lui avvicina il suo viso a quello di lei, annusandole i
capelli con gli occhi socchiusi, estasiato.
«Scusa se prima mi sono nascosto.» le mormora,
tornando a
rivolgerle lo sguardo «Penso sia una buona cosa non farmi
vedere.»
«Sì, è meglio.» annuisce
Helen, andando ad accarezzargli un
braccio teneramente «Sarà il nostro
segreto.»
«Oh, che bel segreto, Artemisia.» Edgar le sorride
con la
gioia negli occhi.
Lei avvicina le labbra a quelle del vampiro e gli sussurra:
«Ora va, amor mio... ti aspetto questa notte.»
Si baciano ancora, fremendo entrambi per l’emozione.
«Aspettami, allora. Non sarò lontano.»
si rassicura Edgar,
appena dividono le labbra.
Lei allora gli chiede:
«Dove si trova la tua dimora?»
Lui dirige lo sguardo oltre il prato, rispondendo:
«Là, sulle sponde del laghetto.»
«Oh, quel bel castello?» chiede la lady, osservando
la
sagoma lontana di torri e tetti.
«Sì, proprio quello laggiù.»
le sorride lui.
«Pensavo fosse disabitato...» confessa Helen.
«In un certo senso è così.»
ridacchia Edgar, senza staccare
gli occhi da lei.
Allora anche Helen torna a guardarlo e dice:
«Un giorno me lo farai vedere.»
«Volentieri.»
Rimangono in silenzio a sorridere lievemente.
«Sta sera stessa parlerò con mio padre.»
è Helen a parlare
di nuovo «Ti riferirò più
tardi.»
«Va bene.» Edgar le accarezza un’ultima
volta la guancia,
poi sparisce in un attimo.
Helen, sospirando sognante, posa il capo al tronco,
chiudendo gli occhi.
Che meraviglioso sogno sta vivendo.
Edgar
torna al suo castello e inizia a girare per le stanze
in penombra, senza una meta precisa, ignorando il bruciore della luce
del sole
che a tratti filtra attraverso la fessura delle tende socchiuse.
Si sente euforico.
Raggiunge la sua camera e si lascia cadere supino sul letto,
con lo sguardo perso tra le morbide pieghe del telo rosso sopra di lui
del suo
letto a baldacchino.
Nel petto gli è esplosa una gioia immensa; una gioia che non
ha mai provato prima, che ora gli scorre dentro come corrente elettrica.
E’ felice; felice come non mai.
Incredibilmente, è felice di morire. La morte non gli era
mai sembrata così dolce. Morirà per lei; per
Artemisia. Morirà, finalmente.
Perché è così contento? Non lo sa di
preciso, non sa
spiegarlo. E’ come se... se stesse facendo la cosa giusta. E
questo lo riempie
di gioia.
Artemisia... Prima di
conoscerti vedevo; vedevo bene intorno a me. E c’erano tanti
sentieri da
seguire; più facili, alcuni, altri intricati e oscuri. E io
non sapevo mai
quale scegliere. Ecco poi che sei giunta tu e mi hai indicato la
strada. E’
proprio quella che avevo scartato fin dall’inizio e che
temevo di percorrere
perché la trovavo la peggiore di tutte le altre. Ebbene tu
me l’hai mostrata
come la più bella, la più giusta. Ti sei
già avviata per quel sentiero,
facendomi luce. E io ti seguo, Artemisia, perché finalmente
riesco a vedere
davvero... Adesso so cosa fare. E mi sento bene, benissimo.
Cosa accadrà dopo la morte? Non lo sa. Non gli interessa.
L’importante è che se ne andrà con lei;
stringendole la mano.
E giunti al cospetto
degli angeli, tu tornerai con loro, Artemisia, e io andrò
all’Inferno. Eppure
non soffrirò affatto; perché a te
affiderò il mio cuore. Tu lo porterai con te
in Paradiso e staremo insieme per l’eternità; non
in terra, bensì in cielo.
Si sente sfinito, stranamente. Non si era mai sentito così
prima.
Sospira, stanco, e chiude gli occhi.
Riposerà un po’, per poi andare da lei.
«Padre...»
Arnold Green alza gli occhi dal giornale che sta leggendo,
comodamente seduto su una poltrona di velluto, e dirige lo sguardo
verso sua
figlia, appena entrata nello studio.
«Oh, Helen... Suppongo tu abbia parlato con
August.»
asserisce lord Green, togliendosi gli occhiali.
«E’ proprio di ciò che volevo
parlarti.» Helen va a sedersi
di fronte a lui con un’espressione cupa.
Il padre si accorge del suo stato d’animo e le chiede,
preoccupato:
«Non ti senti bene, Helen?»
«Padre...» la giovane trae un breve sospiro,
guardandolo
intensamente «Non voglio sposare
quell’uomo.»
Lord Green aggrotta le sopracciglia, iniziando a dire:
«Ne abbiamo già discusso; non
è...»
«Fallo per me.» gli occhi le si velano di calde
lacrime «Sto
morendo...»
Lui si pietrifica, sbiancando.
«Helen...» mormora, a corto di parole.
«Non prendiamoci in giro, padre.» lei scuote il
capo,
tirando le labbra «Hai sentito il dottore, vero? Non ci sono
speranze di
guarigione.»
«Sciocchezze.» ribatte lord Green, cercando di
mostrare
sicurezza «Era solamente un ciarlatano. Ti riprenderai
presto, figlia mia.»
«Non è vero e tu lo sai bene quanto me.»
insiste lei, con
gli occhi lucidi «Va sempre peggio... mi sento sempre peggio.
Sono sempre più
debole, ho sempre meno appetito, dormo sempre meno alla
notte...»
«Helen, no...» lord Green si passa una mano sul
volto,
mentre si contrae in un’espressione profondamente addolorata
«Non dire queste
cose...»
«Padre...» Helen gli afferra una mano
«Davvero, io non ho
paura di morire.»
Lord Green non resiste e lucide lacrime iniziano a rigare le
sue guance barbute.
«Sei così giovane, piccola mia...» si
dispera a mezza voce,
accarezzandole la mano «Non posso perderti... Non riesco ad
accettarlo...»
«Ti prego di farlo, o io soffrirò di
più.» ribatte lei,
piangendo a sua volta.
Lui va ad abbracciarla, stringendola forte a sé; Helen si
inginocchia a terra, ricambiando l’abbraccio.
«Quindi ti supplico, padre mio...» mormora tra le
lacrime,
ancora stretta a lui «Non voglio sposare lord Baker.
E’ il mio ultimo
desiderio... Vorrei solamente rimanere qui, con te, fino a che mi
sarà
concesso.»
Lord Green la stringe ancor di più, chiudendo con forza gli
occhi carichi di lacrime; poi, annuendo con il capo, le dice:
«Sì, figlia mia, d’accordo...
Parlerò domani stesso con lord
Baker.»
«Grazie...» Helen sorride lievemente; felice.
Continua...
Ciao a tutti! =)
Ormai manca solamente un capitolo
per concludere... spero che fin qui vi sia piaciuta. ;)
Un ringraziamento per tutti coloro che hanno letto e chi ha aggiunto la
storia alle Seguite e Preferite (nel prossimo e ultimo capitolo
metterò l'elenco completo). ^^
Achiko:
Ehi, ciao! =) Mi segui davvero, wow... che coraggio! xD Ammetto di aver
ideato la storia solo per partecipare al concorso, quindi non
è tanto una fic come quelle che "posto comunemente", nel
senso che magari ho sottolineato certi aspetti invece che altri... ad
esempio, punto caratteristico è l'amore struggente di Edgar
che, sì, è molto più umano che
vampiresco... E' vero, certe cose andrebbero cambiate, ma non seguo i
tuoi consigli solo perché la fic è già
conclusa, se no l'avrei fatto volentieri. =) Accetto sempre consigli,
figurati! Anzi, mi aiutano a migliorarmi in seguito. ^^ Sono contenta
che comunque la storia ti piaccia: grazie! *//* E se hai qualcos'altro
da farmi notare, non esitare a farlo! Chissà, forse un
giorno rimodificherò la fic per poi postarla nuovamente...
non si sa mai. -_^ Ciao!
Il prossimo e ultimo
aggiornamento sarà mercoledì sera. A presto! ;)
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4
Il tuo veleno è rapido; e
così,
con un bacio, io muoio
(“Romeo e Giulietta”, W.
Shakespeare)
Ancora quel vento
silenzioso per il prato, che muove tutto senza produrre alcun suono.
La lady non è più
bianca, pura; è ancora di spalle, vestita di nero. Anche i
suoi capelli color
dell’oro sono ora più neri della notte.
Sta guardando il
castello, in lontananza, bagnandosi i piedi nelle acque del lago.
E’ immobile.
Poi, ecco: si muove.
Si china e afferra una pianta biancastra, per poi raddrizzarsi e
tornare a
guardare il castello, che pian piano viene inghiottito dalla nebbia
sempre più
fitta. E sparisce.
Scompare anche il
lago, e l’erba. E infine scompare anche lei, avvolta dalla
nebbia e dal buio
nel silenzio più totale.
Con
un gemito soffocato, Edgar si ritrova seduto sul suo
letto, grondante di sudore freddo e con il respiro affannoso.
Si porta una mano al petto e si stringe la camicia, fissando
con occhi sbarrati le coperte.
Ancora questo sogno...
Si passa la mano tra i capelli, chiudendo gli occhi e
calmandosi a poco a poco.
Quel sogno così inquieto non gli dà tregua.
E’ solo la
seconda volta che lo vive -
è talmente
reale...-, eppure lo colpisce dentro come se fossero dì e
dì che ha quella
visione.
Inizia a preoccuparsi...
Helen
sta volteggiando per la camera in abito da notte,
ballando ad occhi chiusi un valzer che sta suonando il suo cuore.
Quella musica
che solo lei riesce a sentire la rende leggera e felice; ad occhi
chiusi
continua a ballare.
«Sei stupenda.» commenta Edgar con uno sguardo
dolce, appena
entrato dalla finestra socchiusa.
Lei apre gli occhi e si ferma, sorridendogli con calore.
«Mi lusinghi.» fa un piccolo inchino, scherzando
con lui.
Edgar la raggiunge con un fluido movimento e le si ferma
alle spalle, cingendole la vita con delicatezza.
Lei volta il capo indietro per guardarlo negli occhi, poi si
baciano intensamente.
«Hai parlato con tuo padre?» le chiede lui appena
dividono
le labbra.
Helen annuisce con il capo, sorridendo di gioia.
«Non sono più costretta a sposare
nessuno.»
«Allora accetta la mia mano, Artemisia.» sussurra
Edgar con
enfasi, avvicinando il volto a quello di lei.
«I nostri cuori sono già uniti.» mormora
Helen, socchiudendo
gli occhi e percependo il fiato caldo di lui sulle labbra «E
il nostro
matrimonio sarà celebrato dagli angeli.»
«Mi sposerai dopo la morte?» sorride Edgar,
guardandola
intensamente.
«Sì; ti troverò, ovunque andrai, e ti
porterò con me.»
dichiara lei.
«Non avrai bisogno di cercarmi; ti lascerò il mio
cuore.» le
accarezza i capelli con una mano «Così, anche se
saremo divisi da Inferno e
Paradiso, in realtà i nostri spiriti saranno insieme... per
sempre.»
Le loro labbra si uniscono ancora, ardenti.
Helen
apre gli occhi, svegliata dalla calda luce del sole
che bagna il suo viso.
Ha lo sguardo verso la finestra dalle tende aperte. Mai una
mattina di sole le è sembrata più bella.
Si gira nel letto e dirige lo sguardo verso Edgar, sdraiato
di fianco accanto a lei.
Lui la sta guardando con un piccolo sorriso sulle labbra.
«Buongiorno, Artemisia.»
Lei storce lievemente le labbra, lanciandogli uno sguardo obliquo.
«Uhm... ti sei vestito.» commenta con un tono
deluso.
Edgar la va ad abbracciare, accarezzandole le braccia nude
come il resto del corpo nascosto dalla trapunta, e le chiede in modo
suadente:
«Mi desideri ancora?»
«Sei piuttosto bravo.» anche lei sorride, divertita.
Edgar le sfiora le labbra con le sue, per poi affermare:
«E’ stata la più bella, tra le
notti.»
Helen lo guarda dolcemente, scostandogli, delicata, dei
ciuffi neri di capelli da davanti gli occhi perlacei.
«Tu sei bello.» ribatte la ragazza.
«Non quanto te, Artemisia.» sussurra lui con un
sorriso.
Lei gli passa le dita sul viso, seguendone i lineamenti
perfetti illuminati dalla luce del sole che lo colpisce in pieno.
Si mostra preoccupata.
«E’ meglio chiudere le tende.» decide,
muovendosi come per
alzarsi, ma Edgar la ferma, tenendola ancora stretta a sé e
ribattendo con
calma:
«Non ce n’è bisogno.»
«Sì, invece. Non voglio che tu soffra in questo
modo...» gli
posa una mano sulla guancia, guardandolo ancora con un’aria
impensierita.
Lui posa una mano su quella di lei ancora appoggiata al suo
viso e dice con un tono rassicurante:
«Davvero, Artemisia, non è importante. E poi,
questa luce
dorata fa brillare la tua morbida pelle e illumina i tuoi occhi come
cerulei
zaffiri... non mi priverei di questa visione per nulla al
mondo.»
Rimangono in silenzio qualche istante, poi Helen insiste:
«Dovresti riposare un po’. Rimani qui, se vuoi, a
dormire;
chiuderò a chiave la porta. Potrai raggiungermi
più tardi; ti aspetterò in
giardino dopo pranzo, sotto il salice.»
Lui scuote il capo, adombrandosi.
«Non intendo dormire.»
«Per qual motivo?»
Edgar abbassa lo sguardo, cupo in volto.
«Ti sogno ancora, Artemisia, ma la visione non è
più
piacevole.» confessa, fremente appena «E’
buia; cupa. Non fai più luce. Temo
sia uno scuro presagio...»
Lei gli rivolge il sorriso più dolce, quando dice:
«Edgar... E’ solo un sogno.»
«Proprio in sogno ti vidi per la prima volta.»
ribatte lui,
tornando a guardarla.
Helen sospira.
«Faccio anch’io molti sogni, ma pochi si
avverano.» si mette
a sedere tranquillamente «E in genere si avverano proprio
quelli in cui credo
con tutta me stessa. Quindi, Edgar, ti basterà non credere
in quella visione e
questa non avverrà.»
Lui le lancia un sguardo stupito e la giovane conclude con
un sorriso rassicurante:
«Il sogno di incontrarmi si è avverato
perché tu desideravi
con tutto te stesso che si avverasse.»
«Non smetterai mai di sorprendermi!» esclama Edgar,
ridendo.
Anche lei ride, cristallina.
Qualcuno bussa alla porta.
Edgar volta immediatamente il capo in quella direzione,
fiutando attentamente l’aria.
«E’ la domestica.» afferma il vampiro,
alzandosi in piedi in
un attimo.
«Oh...» fa Helen, sorpresa, guardando
l’orologio della
camera «Sono già le otto...»
«Lady, siete sveglia? Sono le otto.» la maniglia si
inizia
ad abbassare, segno che la domestica sta per entrare.
«Edgar!» bisbiglia Helen, guardandolo allarmata.
Lui capisce e, rapido, esce in balcone e sale sul tetto con
un salto.
In quel momento, la domestica apre la porta.
«Oh, lady, siete sveglia.»
Helen, seduta ancora sul letto, si mostra assonnata.
«Sì, mi sono alzata proprio ora.» mente,
simulando un
piccolo sbadiglio.
«Ma siete completamente svestita!» si sorprende la
domestica, chiudendo subito la porta della camera.
Helen si sbriga a dire per salvare la situazione:
«Ho avuto caldo questa notte...»
«Oh, cielo...» sospira l’altra,
immergendosi nell’armadio in
cerca di buoni abiti.
Helen, sorridendo divertita, lancia uno sguardo alla
finestra socchiusa, immaginando che Edgar abbia sentito.
Infatti il vampiro, seduto sul tetto, trattiene a stento le
risate, divertito a sua volta.
«Avevi
caldo questa notte?» ride Edgar, spuntando da dietro
il tronco del salice.
Helen, seduta a terra sull’erba, ride a sua volta.
«Non sapevo che altro inventare!»
Lui le si siede accanto, senza perdere il sorriso, e chiede:
«Hai caldo anche adesso? Se vuoi posso aiutarti io a
spogliarti...» le posa una mano sull’allacciatura
del vestito blu che indossa.
Helen gli scosta il braccio, ribattendo con ironia:
«Immagino già la faccia di mio padre se ci
scoprisse...
sarebbe felicissimo.»
«Naturalmente scherzavo, Artemisia.» Edgar le
accarezza
dolcemente una guancia «Non farei mai nulla del genere senza
il tuo consenso.»
Lei lo guarda teneramente, dicendo:
«Sei molto cambiato dalla prima volta che ti ho
incontrato.»
«Mi hai cambiato tu.» annuisce lui.
«Spero in bene...»
«Naturalmente.»
Helen sorride e guarda il cielo grigiastro a causa delle
argentee nubi che incombono sul prato.
«Pare dovrà piovere...» commenta,
sospirando, poi torna a
rivolgergli lo sguardo «Per lo meno, l’assenza
della luce del sole ti dà un po’
di sollievo.»
«Sì, infatti.» asserisce Edgar,
sdraiandosi a terra supino.
Helen gli propone:
«Riposati. Starò al tuo fianco.»
«Non voglio smetterti di guardarti nemmeno un istante,
Artemisia.» dichiara lui, rifiutando l’offerta.
Helen gli si sdraia accanto, mormorandogli all’orecchio:
«E allora sognami.»
Edgar le rivolge un piccolo sorriso, afferrandole una mano.
Lei stringe la presa e lo incita ancora a dormire.
Il vampiro sospira profondamente e cede; chiude gli occhi
senza lasciarle la mano.
Si addormenta immediatamente; sfinito.
«Non
direte sul serio, lord Green.» sibila lord Baker,
aggrottando le sopracciglia.
Lord Green, in piedi accanto la finestra del salotto, lancia
uno sguardo fuori, al cielo, sospirando malinconicamente:
«Cercate di capire...»
«Mi avevate promesso la mano di vostra figlia.»
insiste
l’altro con decisione, muovendo un passo avanti e posando le
mani sullo
schienale della poltrona davanti a lui «Dicevate di essere un
uomo di parola.»
«Ed è così, lord, credetemi.»
lord Green storce un po’ le
labbra, a disagio «Dovete quindi perdonarmi... Helen
è la mia unica figlia e
per lei voglio solo il meglio.»
«Io sono il meglio per vostra figlia!» esclama lord
Baker,
punto.
«Helen non vi desidera.»
«Pensavo che questo fosse irrilevante.» sbotta
l’altro uomo,
stringendo con ira la presa sulla poltrona di velluto chiaro.
«Non posso più ignorare il fatto che le manca poco
tempo da
vivere.» ribatte lord Green, mostrandosi ora irremovibile
«E sono pronto a
soddisfare ogni suo desiderio, perché presto non
l’avrò più con me. E lei non
desidera sposarvi. La questione finisce qui, August; non avevamo
firmato nessun
accordo e nessun patto è mai stato suggellato, quindi ritiro
semplicemente la
mia proposta e mi scuso ancora per il disturbo che vi ho recato. Spero
vogliate
tornare a farci visita in futuro, dimenticando ogni
contrasto.»
Lord Baker tira le labbra, visibilmente irritato, e, con un
tono falsamente calmo, si limita a dire:
«Certamente, Arnold... ci rivedremo.»
Si volta ed esce dal salotto senza aggiungere altro.
Lord Green sospira di nuovo, lasciandosi cadere seduto sulla
poltrona.
«Farei di tutto per te, mia piccola Helen...» si
dice tra sé
e sé, tornando a guardare il cielo con aria pensierosa.
Lord Baker, furioso, esce quindi dalla villa, avviandosi per
la stradina di ghiaia verso la carrozza che lo sta aspettando. Appena
giunto
alla carrozza, però, dirigendo lo sguardo verso il prato,
nota Helen Green
seduta di spalle sotto un bel salice; lo stesso sotto cui si trovava il
giorno
precedente.
Increspando la fronte, seccato, muove qualche passo in
direzione dell’albero, con l’idea di parlarle.
E’ in quel momento che si
accorge di una sagoma vestita di scuro sdraiata a terra accanto a lei.
Si ferma di colpo, sorpreso.
Sembra un uomo; un uomo assopito sotto i rami del salice.
Helen Green pare lo stia guardando, immobile... gli stringe la mano.
Lord Baker si sente pietrificare, colto dentro da una rabbia
incontenibile.
E dunque lady Green preferisce la compagnia di un altro uomo
alla sua...
Stringendo i pugni con ira, torna alla sua carrozza,
salendovi e ordinando al cocchiere di partire immediatamente.
In testa ha ancora le immagini appena viste.
Frustrato, continua a stringere i pugni, bisognoso di
sfogarsi.
E così, Helen, mi
rifiuti...
Rivolge lo sguardo fuori, attraverso il piccolo vetro dello
sportello, e sul volto si dipinge un’espressione cupa.
Ma se non posso averti
io, Helen, non potrà averti nessun altro.
Questa è una promessa.
E lui è un uomo di parola.
*
La lady è ancora
di
spalle; il vento si è fatto stranamente più
violento e, quasi con rabbia, le
scuote i capelli neri e l’abito scuro, agitandoli in una
danza non più
armoniosa.
In mano ha quella
pianta biancastra; il vento non la smuove. I suoi rametti sono fermi,
immobili
e freddi.
Il castello non si
vede più; inghiottito dalla nebbia e dal buio.
Sta sparendo anche il
lago e, presto, se ne andrà anche lei...
Vorrebbe urlarle,
chiamarla, ma le labbra gli si muovono e da esse non esce alcun suono.
Disperato, continua a
gridare silenzioso, ed ecco che lei pare udirlo.
Lentamente, con un
movimento quasi innaturale, la lady inizia a voltarsi verso di lui,
mentre il
lago viene divorato sempre più dalla nebbia.
E infine lei si volta
a guardarlo; e lui si sente gelare dentro.
Gli occhi sono
solamente orbite vuote, nere, che sanno di morte: gli zaffiri sono
stati
trafugati; al loro posto un baratro buio.
La lady tende il
braccio in avanti e lascia andare la pianta; il vento la trasposta
rapida verso
di lui, mentre le labbra di lei si muovono ed esce l’unico
suono della
visione... non più una musica, bensì un grido di
morte.
E la foschia e
l’oscurità si mangiano tutto.
«Nooo!»
il vampiro si desta all’istante, trovandosi seduto
in un bagno di sudore gelido.
«Edgar, calmati!» Helen va ad abbracciarlo
immediatamente
«Era solo un sogno.»
«Oh, Artemisia!» Edgar la stringe forte a
sé, strizzando gli
occhi e immergendo il viso tra i suoi capelli dorati
«E’ stata la visione
peggiore di tutte!»
«Era solo un sogno.» ripete lei con un tono
rassicurante
«Nulla più.»
«Come puoi non temere un simile presagio di morte?»
le
chiede allora lui, stringendola ancor di più «Non
posso più ignorarlo...»
Lei tira le labbra, adombrandosi.
«Io morirò comunque, Edgar, tra qualche
tempo.» inizia a
dire a mezza voce «Magari è questo che vedi... In
ogni modo, non ci trovo nulla
di sbagliato in questo sogno: perché in effetti un giorno me
ne andrò per
sempre.»
Edgar rimane in silenzio qualche istante, puntando gli occhi
in un luogo imprecisato alle spalle di Helen. Poi mormora con
un’aria incupita:
«Allora forse questo sogno sta a significare che non sono
ancora pronto a lasciarti andare.»
Helen increspa lievemente la fronte e si stacca da lui per
guardarlo negli occhi; lo sguardo del vampiro freme appena e sembra
profondamente tormentato.
«Edgar...» abbassa gli occhi, senza capire
«Pensavo avessi
fatto una scelta...»
«Ed è così, Artemisia; avevo
scelto.» lui le afferra una
mano, parlandole con un tono un po’ sofferto
«Però ora ho paura... ho paura non
tanto di morire, quanto di veder morire te.»
«E perché dovresti temere questo se io stessa non
lo temo?»
ribatte Helen, tornando a guardarlo intensamente.
Lui storce un po’ le labbra, visibilmente angosciato.
«Io...» si ferma e abbassa gli occhi su la mano che
le sta
stringendo «Io non posso lasciarti morire.»
Helen rimane in silenzio, con in volto un’espressione scura.
Distoglie lo sguardo, rivolgendolo alla campagna. Poi sospira
brevemente.
«Che illusa che sono stata...» dice ad un certo
punto con
voce cupa «Solamente un’illusa.»
Lui torna a guardarla, con un’aria tormentata.
«Mi ero illusa che mi amassi davvero.» conclude
lei,
socchiudendo gli occhi.
«Ma è vero, Artemisia!» va a stringerle
anche l’altra mano
«Ti amo con tutto me stesso, te lo giuro.»
«Allora perché non sei in grado di accettare la
mia scelta?»
ribatte lei, tirando le labbra.
«Non ci riesco...» il volto del vampiro si contrae
in una
smorfia di dolore, quasi.
«Dunque vattene ora, Edgar, e non sarai costretto a soffrire
ancora.» sentenzia Helen, mostrandosi impassibile e dura.
«Artemisia, ti prego...» le sussurra lui,
sofferente «Non
farmi questo...»
«Smettila.» ordina lei, scostandosi e rifiutandosi
di
guardarlo «E vattene.»
«Ti supplico, amor mio...» insiste con forte
sconforto «Non
farmi questo... se davvero tieni a me, non farlo.»
«Vattene via, Edgar.» ripete Helen, chiudendo gli
occhi.
Lui si morde un labbro, disperato, e sparisce.
Helen si volta indietro, notando che lui non c’è
più. E
allora inizia a piangere silenziosamente, stringendo tra i pugni la
gonna
dell’abito e maledicendolo.
«Posso
entrare, lady?» dopo aver bussato, la domestica
socchiude la porta e sbircia all’interno della camera.
Helen, seduta sul letto con uno sguardo perso tra le pieghe
delle coperte, mormora:
«Sì, Dorothy, entra pure.»
La domestica si chiude la porta alle spalle e mostra il
vassoio che ha in mano, dicendo:
«Vostro padre si chiedeva se ora non aveste voglia di
mangiare... sono le tre del pomeriggio.»
La giovane lancia un fugace sguardo all’orologio della
stanza,
poi risponde con un sospiro spento:
«No, non ho fame.»
Dorothy si mostra impensierita.
«Vi è capitato qualcosa, lady? Sembrate molto
triste... pare
abbiate pianto a lungo.»
Helen non risponde, incupendosi ancor di più.
La domestica fa un piccolo inchino con il capo.
«Perdonatemi, lady, sono stata importuna.» si volta
per
andarsene, ma l’altra la ferma, spiegando con un tono scuro:
«In effetti sì, Dorothy, sono molto
triste.»
La domestica si gira a guardarla, premurosa e attenta.
Helen alza gli occhi verso di lei, chiedendole con un’aria
malinconica:
«Dorothy, se ci fosse un uomo che dichiara di amarti con
tutto se stesso... un uomo che anche tu ami follemente
perché diverso, perché è
l’uomo che stavi cercando da una vita... ma se ci fosse una
condizione da
accettare per poterlo amare per sempre; una condizione che ti
permetterà di
stare con lui per l’eternità... tu cosa faresti?
Accetteresti, oppure no?»
«Oh, lady, accetterei, certo.» sorride dolcemente
l’altra.
Helen increspa lievemente la fronte, aggiungendo a
malincuore:
«Ma se questa condizione fosse terribile? Se ti facesse
molta paura, nonostante lui ti
assicura di rimanerti accanto e aiutarti a superare il
terrore?»
La domestica rimane pensierosa qualche momento, poi inizia a
dire lentamente:
«Non so di quale condizione possa trattarsi, lady... ma una
cosa so con certezza. Se l’amore è grande, puro,
bello, allora è in grado di
sostenerci anche nelle prove più terribili. Non conosco
condizione abbastanza
orribile da oscurare la bellezza dell’amore. Non ne esiste
una tale.»
«E se ti dicessi che questa è la più
terribile di tutte?» la
interroga Helen, tormentata.
Dorothy la guarda intensamente.
«Lady... voi amate questo uomo?»
La giovane annuisce con il capo, mentre gli occhi le si
fanno lucidi.
«E siete certa dell’amore che prova lui per
voi?» chiede
ancora l’altra.
«Me ne ha dato la prova.» mormora la ragazza
«Ha detto, e mi
ha dimostrato, che è disposto a tutto per me...»
Tranne che vedermi
morire...
Aggiunge mentalmente, fremendo.
La domestica quindi conclude seriamente:
«Allora lady, se le cose stanno così, fossi in voi
io
accetterei qualsiasi condizione. Anche la più orribile. Per
l’amore, lo farei.»
Helen abbassa lo sguardo, pensierosa.
Le lacrime vanno a rigarle le guance, calde.
«Se è una
liberazione ciò che cerchi, ti prego... accetta
quella che ti offro io.»
Si morde un labbro, fremendo.
«Se non temi la
morte, non temere ciò che ti sto
offrendo...»
«Io voglio solamente salvarti. Puoi credermi: è
così. Non
desidero altro che tu viva... puoi anche non accettarmi, ma ti
supplico: vivi.»
«Edgar...» sussurra Helen, così piano
che Dorothy non riesce
a sentire.
Forse dovrei
accettare...
«Oh,
tesoro, ti senti meglio?» chiede lord Green, alzando
gli occhi e rivolgendoli alla figlia appena entrata nel salotto.
«Sì, meglio.» annuisce Helen, andando a
sedersi al tavolino
da the con il padre.
«Arrivi giusto in tempo per bere qualcosa; sono le
cinque.»
sorride lord Green, mostrandole poi l’elaborata bottiglia che
ha in mano.
Questa contiene un liquido di un verde acceso, trasparente e
limpido.
«Assenzio?» chiede la giovane, sorpresa.
«Me l’ha lasciata lord Baker; è un dono
per dimostrarci che
non porta rancore. Sta per partire per l’America per affari;
crede che non
potrà più tornare in Inghilterra.»
spiega lord Green.
«Sai bene, padre, che è meglio che tu non beva
certe cose.»
lo ammonisce lei «Hai una certa età.»
«Lo so, lo so...» sospira il padre con noncuranza
«Ne farò a
meno. Ma almeno tu provalo; è un dono, in fondo.»
«E va bene, ne bevo un sorso.» si arrende Helen,
poi gli
sorride dolcemente «Mi tirerà un po’
su.»
«Lo spero, figlia mia.» lord Green ne versa un
po’ in un
bicchiere; il liquido risplende alla poca luce pomeridiana di quel
giorno
grigiastro. Dopo di che, lord Green posa l’apposito
cucchiaino forato sull’orlo
del bicchiere e vi mette sopra una zolletta di zucchero. Afferra poi la
brocca
con l’acqua fredda, versandone un po’ nel bicchiere
da sopra il cucchiaino;
l’assenzio viene così diluito finché
non supera la metà del bicchiere, perdendo
la lucentezza e divenendo di un colore opaco, lattiginoso.
«Ecco qua.» lord Green afferra il cucchiaino,
posandolo in
un piatto, e Helen va ad afferrare il bicchiere con il distillato.
«Grazie.»
«Di nulla.» suo padre si prepara una tazza di the
«Io mi
accontenterò del the.» ridacchia, aggiungendo lo
zucchero.
Helen avvicina il bicchiere alle labbra e beve un poco; mostra
un’espressione disgustata, appoggiando di nuovo il bicchiere
sul tavolo.
«L’assenzio non mi è mai piaciuto
molto.» commenta,
pulendosi le labbra con una salvietta.
«Lo so bene.» ride suo padre «Oh, beh; se
a te non piace e
io non posso berlo, credo proprio che questa bottiglia
prenderà la polvere tra
gli altri liquori e distillati!»
«Meglio così, padre.» ribatte Helen con
un sorriso.
«Vai a prendere una boccata d’aria, Helen; pare che
domani
pioverà, meglio approfittarne oggi.» le consiglia
lord Green «Ti fa bene stare
all’aperto.»
«Sì, hai ragione.» la ragazza si alza e
decide di
raggiungere il suo salice.
Appena
giunta sotto l’albero, la giovane si siede e sospira.
Posando distrattamente una mano a terra, si accorge di averla
appoggiata sul
libro che ha lasciato lì il giorno precedente;
“Romeo e Giulietta”.
Lo afferra, osservando la bella copertina con in mente mille
pensieri.
Mentre è così, pensierosa e immobile a
contemplare il libro,
il cuore inizia a batterle un po’ più forte,
recandole un leggero fastidio.
Sorpresa, si porta quindi una mano al petto, mentre anche il capo
inizia a
dolerle. Il corpo prende a tremare e lei sente caldo.
Il libro le cade dalle mani, mentre respirare diviene sempre
più faticoso.
Con un gemito soffocato cade a terra di fianco, contraendo
il volto in una smorfia sofferente.
Suda; si agita a terra, dolorante, e si sente sempre più
debole.
Il cuore inizia a rallentare, sempre più stanco.
Helen si sente soffocare; la vista è annebbiata e sta per
perdere coscienza.
«Ed... Edgar...» rantola, chiudendo gli occhi.
Il cuore rallenta sempre più.
E infine si ferma.
Edgar
è in camera sua, seduto sul letto con le mani tra i
capelli e i gomiti posati sulle ginocchia.
E’ immobile ed è in quella posa, con le palpebre
abbassate e
un’aria afflitta e angosciata, da quando ha lasciato Helen
quella mattina.
Le tende della stanza sono aperte; filtra la poca luce e gli
brucia la pelle, ma lui ormai non sente più nemmeno il
dolore.
Mia Artemisia... Come
posso vivere senza di te? Ero così certo di aver trovato la
strada giusta, ma
ora non ne sono più tanto sicuro. Mi pare di nuovo quella
più terribile e
vorrei solamente salvarti, farti cambiare via... Mia Artemisia...
In quel momento, inaspettata, l’immagine della lady
senz’occhi, vestita di scuro, si materializza nella sua mente
in modo violento,
per poi sparire di nuovo.
Edgar balza in piedi, spaventato, e si guarda intorno con
un’aria confusa.
Cos’è accaduto? ...
Questa sensazione che mi sento dentro... cosa...?
Si gela, ora certo di aver compreso.
Non può essere...
Scatta immediatamente verso la finestra, lanciandosi contro
i vetri e frantumandoli. Atterra nel cortile sottostante e parte di
corsa verso
la villa della sua amata.
Pochi istanti, ed è arrivato sotto il salice.
Si immobilizza.
Lei è là, all’ombra dei rami, sdraiata.
Pare dormire; è
perfettamente immobile, bellissima. La pelle chiara e immacolata brilla
ancora
nella fioca luce pomeridiana che filtra come piccole perle attraverso
le poche
aperture offerte dai rami del salice; i capelli paiono una cascata
d’oro e
vanno a bagnare l’erba, scossi appena da una piccola brezza.
Gli occhi sono
però celati dalle palpebre e le labbra sono lievemente
aperte, come nell’atto
di dire qualcosa.
Helen Green è perfetta nella sua immobilità; pare
il
soggetto di un bellissimo dipinto ad olio; del più grande,
tra i maestri di
pennelli.
Non può essere...
Si ripete, congelato nella sua posa.
Non è possibile...
Le si avvicina lentamente, con un’espressione atona; le si
inginocchia poi accanto, prendendola tra le braccia delicatamente, come
per non
svegliarla.
Sembra davvero assopita. La contempla in silenzio,
perdendosi con lo sguardo sui lineamenti perfetti del suo bel viso puro.
Il male che avevi
dentro ti ha sopraffatto?
Tira le labbra, in un’espressione sofferente.
In quel momento, un odore particolare raggiunge il suo naso;
colto subito dal suo fine olfatto.
Sembra assenzio, ma c’è qualcosa di strano... del
veleno.
Un veleno ha ucciso Helen Green.
«Veleno...» mormora, con una voce cupa e spenta
«Ti hanno
ucciso, mio angelo? Oh, stolti, che siano maledetti...» tira
il volto in una
smorfia di dolore, stringendo ancor di più a sé
il corpo della giovane «Chi ti
ha fatto questo non ha capito di aver commesso il peggiore dei peccati.
Ha
strappato dal prato il fiore più bello; e ora il prato
appassisce, piangendo.»
Le scosta teneramente dei piccoli ricci biondi dalla fronte,
per poi avvicinare il viso a quello di lei e sussurrarle con gli occhi
socchiusi e una voce spezzata dalla sofferenza:
«Mi dispiace, Artemisia... Questo non sarebbe dovuto
accadere. Se avessi saputo... io...»
Ancora l’odore del distillato solletica il suo naso,
addolorandolo ancor di più.
Poi increspa lievemente la fronte, pensieroso.
Assenzio...
Si irrigidisce, comprendendo all’improvviso.
Ecco perché Artemisia...
Ecco cos’era quella pianta biancastra che Helen Green teneva
in mano nella sua
visione... Ecco perché quel presagio di morte.
L’Assenzio deriva dai
fiori e le foglie dell’Artemisia...
Era tutto così semplice, quindi. Aveva sognato,
sì, la donna
a cui avrebbe donato il cuore, ma oltre che trovarla avrebbe dovuto
salvarla...
ma ora è troppo tardi.
«Dolce Helen, perdonami, ti prego...» le dice a
mezza voce,
fremendo appena «Per tutto questo tempo ho continuato a
chiamarti Artemisia,
senza immaginarmi che orribile significato avesse in realtà
questo nome. Nel
sogno continuavi a ripetermelo; volevi che ti salvassi. Guardavi il mio
castello,
in lontananza, e mi chiedevi aiuto... E io non avevo capito nulla... e
ora tu
sei morta.»
Chiude con forza gli occhi, sentendoli carichi di lacrime.
«Che stolto sono stato; il mio errore è
imperdonabile. Tu
non dovevi morire, Helen... Era l’unica cosa che volevo
davvero. Mi ero illuso
di riuscire a lasciarti andare e ti avevo promesso anche di morire con
te. Io
la morte non la temo più da quando ti ho incontrata, ma,
semplicemente, non
potevo accettare la tua. Perché non si sono presi la mia, di
vita? Perché tu,
Helen, così pura creatura? Nessuno più di te
meritava ancora di vivere in
questo sporco e corrotto mondo terreno... nessuno.»
Edgar riapre gli occhi, tornando a guardarla.
Ora si sono diradate un po’ di nubi; la luce del sole
risplende per il prato, facendo brillare il viso di lei.
Lui la stringe di più a sé e alza gli occhi al
cielo.
«Gli angeli ancora risplendono, anche se
è caduto
quello più splendente.»* mormora, chiudendo ancora
gli occhi.
Dopo un attimo torna
lentamente a guardare la giovane, mentre delle
lacrime vanno a rigare il suo viso. Non piange da moltissimo tempo; non
credeva
di esserne ancora in grado. E invece sì, ora piange. Piange
per lei; fredda,
silente.
«Sei morta, Helen... e se sei morta tu, mia stella, mio punto
di riferimento,
mia anima... lo sono anch’io.» socchiude gli occhi
e avvicina quindi il viso a
quello di lei.
Non teme più la morte, ormai. D’altronde,
perché dovrebbe temerla?
Trova maggiormente terribile una vita senza di lei, che le fiamme
dell’Inferno.
E poi si sente stanco; stanco come non mai. E aveva fatto una scelta;
le aveva
fatto una promessa.
E dentro è già morto; è morto
nell’istante in cui l’ha vista lì, sotto
il salice, immobile.
Quando le sue labbra giungono a sfiorare quelle morbide di lei, Edgar
infine
sussurra, leggermente fremente:
«Bacerò le tue labbra:
c’è rimasto forse un po’ di veleno a
darmi morte.»*2
La bacia delicatamente,
chiudendo del tutto le palpebre e bagnandole il
viso con le sue lacrime.
Il vento si alza dunque un po’ più forte e il
vampiro svanisce in una
nube di cenere trasportata via dalla brezza, lasciando solamente il suo
cuore
abbracciato a quello della bella Helen Green...
Per sempre insieme; non in terra, bensì in cielo.
Fine
* Frase di
Shakespeare
*2
Da “Romeo e
Giulietta” di Shakespeare
Perdonate l'enorme
ritardo, ma in questi giorni sono stata molto impegnata e ho passato
pochissimo tempo al computer. ^^'
La storia termina qui. Ringranzio chi mi ha seguito, sperando di non
aver deluso nessuno con questo finale. =)
Un ringraziamento speciale ad Achiko,
che ha inserito la storia tra le Preferite,
poi a chi ha aggiunto la storia alle Seguite,
ovvero: Arwen
Woodbane; Bella_kristen;
egypta; Isy_264; LuNa1312; sono_io; storyteller; zero2757.
E infine un grazie a chi ha commentato lo scorso capitolo:
Achiko: Grazie di avermi
seguito fino alla fine; sono contenta che la storia ti sia piaciuta. =)
Grazie anche dei consigli, che sicuramente cercherò di
seguire in una futura storia sui Vampiri. ^^ Spero che l'ultimo
capitolo non ti sia dispiaciuto... sai, prima ancora di capire bene
come avrei svolto tutta la vicenda, la fine era bella stampata nella
mia testa! xD Non potevo modificarla, quindi, eheh. Ciao! =)
Bella_kristen: Oh, sì,
anche tu partecipavi al concorso! Ti sei dovuta ritirare,
però, vero? Spero che posterai la tua storia: sono curiosa!
** Ho letto anch'io le altre fic partecipanti - tutte quelle che hanno
postato fino adesso, se non mi sono scordata qualcuno xP - e devo dire
che alcune sono davvero belle, non trovi? (La mia non è
compresa <.< ... xD) Mi fa piacere sapere che la storia
finora non ti è sembrata affatto male: spero che anche
quest'ultimo capitolo sia di tuo gradimento! ;) Ciao!
Un bacione a tutti e...
alla prossima! ^^
by,
Me91
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