Imagination and Reality

di The_Viking
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un giorno come tanti altri ***
Capitolo 2: *** Improvisation ***
Capitolo 3: *** Österreich ***



Capitolo 1
*** Un giorno come tanti altri ***


Un giorno come tanti altri.
Ti alzi dal letto ancora semiassonnato e, prima di rendertene conto, vieni assorbito da pensieri riguardanti i tuoi problemi e quello che dovrai fare quel giorno. Ti vesti e fai colazione, come fai sempre; sono gesti meccanici, che non devi nemmeno pianificare. Esci di casa, convinto che la vita sia là fuori ad aspettarti; pareva un giorno come tanti altri, eppure alla vita si sostituisce la morte.
Quel giorno, apparentemente identico a tutti gli altri, diviene invece il giorno finale della tua vita, ma perché? Tutto quello che eri prima, tutto quello che eri diventato in anni di crescita, non solo fisica ma anche psicologica, viene sradicato di colpo da una stupidaggine: un albero che ti cade in testa, un incidente con l'auto, una esplosione a seguito di una fuga di gas, una malattia incurabile... ci sono infinite cause di morte, una più sciocca dell'altra.
Sono tutte sciocche perché assolutamente ridicole in confronto a quello che è costato essere diventati delle persone. Hai impiegato anni per farti una cultura, per diventare responsabile, per imparare a vivere in mezzo agli altri, per sapere come comportarti, per distinguere le cose giuste da quelle sbagliate.
Basta un secondo, a volte anche meno, e tutto questo svanisce. Diventi un semplice ricettacolo di mosche, vermi e altri esseri schifosi; ti fanno un funerale, se sei fortunato qualcuno piange per te, poi quel che rimane del tuo corpo resta a marcire in una cassa di legno sottoterra, finché il tempo non lo dissolve. Sopravvivi solo nei ricordi altrui, se hai saputo farti ricordare.
La cosa più assurda è che ne abbiamo paura; eppure la morte mette fine ai nostri pensieri, alle nostre sofferenze, anche ai piaceri, certo, ma che bisogno di piaceri può esserci una volta che non li si può più provare né se ne sente la necessità?

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Capitolo 2
*** Improvisation ***


Sul letto la chitarra, sulla scrivania la tastiera mi osservano, immobili, come a pregarmi di dar loro nuovamente vita, di trasformarle in organismi vivi, di non lasciarle essere semplici soprammobili. Io, avvinto dalla passione, non posso, non riesco a trattenermi dal lasciarle in quello stato di abbandono. Ora afferro la chitarra, ora mi getto sulla tastiera e scarico me stesso su di loro, come se mi stessi lanciando in una battaglia all'ultimo sangue contro un nemico che non vuole arrendersi.
Cosa ci lega? Perché non posso fare a meno di voi?
Potrei ora cimentarmi nell'esecuzione di qualche pezzo di repertorio, tentare una cover di qualche gruppo di nicchia, discretamente capace ma ignorato dalla critica; eppure la tentazione è troppo grande, lo stimolo irresistibile.
Chiudo gli occhi, trattengo il respiro. Improvviso. Quello che suono non è frutto di un lungo lavoro di pianificazione, è soltanto ciò che mi scorre per la mente in quel momento, è la traduzione in musica del presente, del mio stato d'animo, di me stesso. A volte viene fuori qualcosa di sgradevole, di dissonante, di sbagliato, ma non importa. Ciò che importa è quello che comunico a me stesso producendo quel suono. E' un dialogo con me stesso quello che conduco, io solo "parlo" e io ascolto.
Un tenebroso e inquietante riff in palm muting sorge dalla chitarra, una successione di accordi jazz prende vita sul mosaico bianco e nero della tastiera. Non sono forse queste le migliori esplicazioni di me? Non sono forse migliori di mille sproloqui a vuoto, di parole scolorite e consumate da un utilizzo tante volte improprio, corrotto dall'ipocrisia, dalla superstizione, dal pregiudizio?
I due strumenti sembrano soddisfatti: hanno avuto quello che chiedevano. Una parte di me è rimasta su di loro, una parte di loro è rimasta in me. Mi allontano, continuando a improvvisare anche mentalmente: una melodia prende vita dentro di me, si evolve, si arricchisce di armonici e strumenti extra per poi svanire nel buio abisso dell'oblio, coperta dalla musica che sento in giro. E' morto qualcosa, ma altro si prepara a nascere.

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Capitolo 3
*** Österreich ***


Quello che segue è un esperimento in cui, influenzato dal fatto di aver recentemente studiato in letteratura inglese gli autori moderni Woolf e Joyce, provo a trasformare in un "flusso di coscienza scritto" quello che passa per la mia mente durante una porzione di un viaggio.

Viaggio, sono diretto a Vienna da Salisburgo. Il mezzo di trasporto è un autobus sul quale molti posti sono vuoti. E' il secondo giorno di viaggio; ieri si sentiva un frenetico discorrere dei più disparati argomenti, oggi c'è quasi silenzio. L'autostrada si tuffa in una valle circondata da boschi di conifere. Non ho né caldo né freddo: sto bene così. Qualcuno parla di una canzone, qualcun altro ascolta una canzone; io sono seduto da solo, assorto nella scrittura e nella contemplazione del paesaggio che m'attornia. Vedo un cartello recante la scritta "Mondsee"; probabilmente il paese ha preso il nome da un certo lago Mond. Non sono riuscito a leggere quanto manchi a Vienna; secondo le mie previsioni, circa 250 km. Prima stavo pensando agli altri. Avere pranzato assieme ai miei compagni di classe è stato illuminante: sono potuto giungere a una riflessione interessante (nel frattempo l'ipotizzato lago si materializza nella sua bellezza, ma lo supero in men che non si dica). Tale riflessione riguarda il tema su cui i discorsi tra gli appartenenti alla mia generazione (ma non essi soli) tendono immancabilmente, escludendo gli altri argomenti: le persone. Senti sempre costoro spettegolare di qualcuno, lodare qualcun altro, citare le abitudini di qualcheduno o passare in rassegna il rapporto che hanno con mezzo mondo. Possibile che, per gli altri, le persone (ma, difficilmente, loro stesse) debbano sempre, costantemente essere al centro delle riflessioni? Questa gente non ha delle passioni, degli hobby, dei sogni o anche solo degli ingenui pensieri su quello che appare ai loro occhi, come li ho io ora sul paesaggio? Sono io ad avere torto o sono tutti loro? Per quanto mi riguarda, potremmo anche avere ragione tutti o non averla nessuno, poco cambierebbe. Il paesaggio si è fatto meno aspro, alle montagne si sono sostituite le colline. C'è un bel sole che dà allegria. I miei compagni non sanno il tedesco; nemmeno io lo so, ma almeno mi sforzo di leggerlo; loro no. Provinciali e mentalmente pigri fino alla morte. Ecco, forse sono come loro: li critico perché parlano sempre degli altri e mi ritrovo a fare lo stesso con loro. In cosa sono migliore, se lo sono? Non andiamo molto veloci. L'autostrada, a due corsie, è percorsa da alcuni camion che procedono piuttosto lenti; tutto sommato non mi importa. Quando un impegno (in questo caso guidare il pullman) non deve essere sbrigato da me, mi sento tranquillo, liberato da quelle responsabilità di cui mi sento normalmente investito. Osservo le foreste: sento un irrefrenabile impulso a raggiungerle, a camminarci dentro, a respirare a fondo il profumo del legno e quello dei funghi. Ah, se potessi fare tutto quello che mi viene in mente! A volte sono freni esterni, quelli che mi impediscono di farlo, ma molto spesso sono piuttosto rigido con me stesso: non mi concedo, forse, piaceri che mi potrei concedere, eppure non vivo malissimo: quel che ho mi è quasi sempre sufficiente. Ora ascolto un po' di musica, circondato dalla natura austriaca, abbandonandomi alla tranquillità.

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