Imagination and Reality di The_Viking (/viewuser.php?uid=92879)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un giorno come tanti altri ***
Capitolo 2: *** Improvisation ***
Capitolo 3: *** Österreich ***
Capitolo 1 *** Un giorno come tanti altri ***
Un giorno come tanti altri.
Ti alzi dal letto ancora semiassonnato e, prima di rendertene conto,
vieni assorbito da pensieri riguardanti i tuoi problemi e quello che
dovrai fare quel giorno. Ti vesti e fai colazione, come fai sempre;
sono gesti meccanici, che non devi nemmeno pianificare. Esci di casa,
convinto che la vita sia là fuori ad aspettarti; pareva un
giorno come tanti altri, eppure alla vita si sostituisce la morte.
Quel giorno, apparentemente identico a tutti gli altri, diviene invece
il giorno finale della tua vita, ma perché? Tutto quello che
eri prima, tutto quello che eri diventato in anni di crescita, non solo
fisica ma anche psicologica, viene sradicato di colpo da una
stupidaggine: un albero che ti cade in testa, un incidente con l'auto,
una esplosione a seguito di una fuga di gas, una malattia incurabile...
ci sono infinite cause di morte, una più sciocca dell'altra.
Sono tutte sciocche perché assolutamente ridicole in
confronto a quello che è costato essere diventati delle
persone. Hai impiegato anni per farti una cultura, per diventare
responsabile, per imparare a vivere in mezzo agli altri, per sapere
come comportarti, per distinguere le cose giuste da quelle sbagliate.
Basta un secondo, a volte anche meno, e tutto questo svanisce. Diventi
un semplice ricettacolo di mosche, vermi e altri esseri schifosi; ti
fanno un funerale, se sei fortunato qualcuno piange per te, poi quel
che rimane del tuo corpo resta a marcire in una cassa di legno
sottoterra, finché il tempo non lo dissolve. Sopravvivi solo
nei ricordi altrui, se hai saputo farti ricordare.
La cosa più assurda è che ne abbiamo paura;
eppure la morte mette fine ai nostri pensieri, alle nostre sofferenze,
anche ai piaceri, certo, ma che bisogno di piaceri può
esserci una volta che non li si può più provare
né se ne sente la necessità?
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Capitolo 2 *** Improvisation ***
Sul letto la chitarra, sulla scrivania la tastiera mi osservano,
immobili, come a pregarmi di dar loro nuovamente vita, di trasformarle
in organismi vivi, di non lasciarle essere semplici
soprammobili. Io, avvinto dalla passione, non posso, non riesco a
trattenermi dal lasciarle in quello stato di abbandono. Ora afferro la
chitarra, ora mi getto sulla tastiera e scarico me stesso su di loro,
come se mi stessi lanciando in una battaglia all'ultimo sangue contro
un nemico che non vuole arrendersi.
Cosa ci lega? Perché non posso fare a meno di voi?
Potrei ora cimentarmi nell'esecuzione di qualche pezzo di repertorio,
tentare una cover
di qualche gruppo di nicchia, discretamente capace ma ignorato dalla
critica; eppure la tentazione è troppo grande, lo stimolo
irresistibile.
Chiudo gli occhi, trattengo il respiro. Improvviso. Quello che suono
non è frutto di un lungo lavoro di pianificazione,
è soltanto ciò che mi scorre per la mente in quel
momento, è la traduzione in musica del presente, del mio
stato d'animo, di me stesso. A volte viene fuori qualcosa di
sgradevole, di dissonante, di sbagliato, ma non importa. Ciò
che importa è quello che comunico a me stesso producendo
quel suono. E' un dialogo con me stesso quello che conduco, io solo
"parlo" e io ascolto.
Un tenebroso e inquietante riff
in palm muting
sorge dalla chitarra, una successione di accordi jazz prende vita
sul mosaico bianco e nero della tastiera. Non sono forse queste le
migliori esplicazioni di me? Non sono forse migliori di mille sproloqui
a vuoto, di parole scolorite e consumate da un utilizzo tante volte
improprio, corrotto dall'ipocrisia, dalla superstizione, dal
pregiudizio?
I due strumenti sembrano soddisfatti: hanno avuto quello che
chiedevano. Una parte di me è rimasta su di loro, una parte
di loro è rimasta in me. Mi allontano, continuando a
improvvisare anche mentalmente: una melodia prende vita dentro di me,
si evolve, si arricchisce di armonici e strumenti extra per poi svanire
nel buio abisso dell'oblio, coperta dalla musica che sento in giro. E'
morto qualcosa, ma altro si prepara a nascere.
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Capitolo 3 *** Österreich ***
Quello che segue è un esperimento in cui, influenzato dal
fatto di aver recentemente studiato in letteratura inglese gli autori
moderni Woolf e Joyce, provo a trasformare in un "flusso di coscienza
scritto" quello che passa per la mia mente durante una porzione di un
viaggio.
Viaggio, sono diretto a Vienna da Salisburgo. Il mezzo di
trasporto è un autobus sul quale molti posti sono vuoti. E'
il secondo giorno di viaggio; ieri si sentiva un frenetico discorrere
dei più disparati argomenti, oggi c'è quasi
silenzio. L'autostrada si tuffa in una valle circondata da boschi di
conifere. Non ho né caldo né freddo: sto bene
così. Qualcuno parla di una canzone, qualcun altro ascolta
una canzone; io sono seduto da solo, assorto nella scrittura e nella
contemplazione del paesaggio che m'attornia. Vedo un cartello recante
la scritta "Mondsee"; probabilmente il paese ha preso il nome da un
certo lago Mond. Non sono riuscito a leggere quanto manchi a Vienna;
secondo le mie previsioni, circa 250 km. Prima stavo pensando agli
altri. Avere pranzato assieme ai miei compagni di classe è
stato illuminante: sono potuto giungere a una riflessione interessante
(nel frattempo l'ipotizzato lago si materializza nella sua bellezza, ma
lo supero in men che non si dica). Tale riflessione riguarda il tema su
cui i discorsi tra gli appartenenti alla mia generazione (ma non essi
soli) tendono immancabilmente, escludendo gli altri argomenti: le
persone. Senti sempre costoro spettegolare di qualcuno, lodare qualcun
altro, citare le abitudini di qualcheduno o passare in rassegna il
rapporto che hanno con mezzo mondo. Possibile che, per gli altri, le
persone (ma, difficilmente, loro stesse) debbano sempre, costantemente
essere al centro delle riflessioni? Questa gente non ha delle passioni,
degli hobby, dei sogni o anche solo degli ingenui pensieri su quello
che appare ai loro occhi, come li ho io ora sul paesaggio? Sono io ad
avere torto o sono tutti loro? Per quanto mi riguarda, potremmo anche
avere ragione tutti o non averla nessuno, poco cambierebbe. Il
paesaggio si è fatto meno aspro, alle montagne si sono
sostituite le colline. C'è un bel sole che dà
allegria. I miei compagni non sanno il tedesco; nemmeno io lo so, ma
almeno mi sforzo di leggerlo; loro no. Provinciali e mentalmente pigri
fino alla morte. Ecco, forse sono come loro: li critico
perché parlano sempre degli altri e mi ritrovo a fare lo
stesso con loro. In cosa sono migliore, se lo sono? Non andiamo molto
veloci. L'autostrada, a due corsie, è percorsa da alcuni
camion che procedono piuttosto lenti; tutto sommato non mi importa.
Quando un impegno (in questo caso guidare il pullman) non deve essere
sbrigato da me, mi sento tranquillo, liberato da quelle
responsabilità di cui mi sento normalmente investito.
Osservo le foreste: sento un irrefrenabile impulso a raggiungerle, a
camminarci dentro, a respirare a fondo il profumo del legno e quello
dei funghi. Ah, se potessi fare tutto quello che mi viene in mente! A
volte sono freni esterni, quelli che mi impediscono di farlo, ma molto
spesso sono piuttosto rigido con me stesso: non mi concedo, forse,
piaceri che mi potrei concedere, eppure non vivo malissimo: quel che ho
mi è quasi sempre sufficiente. Ora ascolto un po' di musica,
circondato dalla natura austriaca, abbandonandomi alla
tranquillità.
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