Nimue

di Shainareth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Unione ***
Capitolo 2: *** Ostagar ***
Capitolo 3: *** Soli ***
Capitolo 4: *** Lothering ***
Capitolo 5: *** Alistair ***
Capitolo 6: *** Redcliffe ***
Capitolo 7: *** Il castello ***
Capitolo 8: *** Casa ***
Capitolo 9: *** La Torre del Circolo ***
Capitolo 10: *** L'Oblio ***
Capitolo 11: *** Maghi e templari ***
Capitolo 12: *** Introspezione ***
Capitolo 13: *** Imboscata ***
Capitolo 14: *** Gli elfi Dalish ***
Capitolo 15: *** Lupi mannari ***
Capitolo 16: *** Spiriti ***
Capitolo 17: *** La Foresta di Brecilian ***
Capitolo 18: *** Le antiche rovine ***
Capitolo 19: *** Zannelucenti ***
Capitolo 20: *** Famiglia ***
Capitolo 21: *** Verso Orzammar ***
Capitolo 22: *** La città dei nani ***
Capitolo 23: *** I due successori ***
Capitolo 24: *** La scelta ***
Capitolo 25: *** Il Thaig Ortan ***
Capitolo 26: *** Le Trincee dei Morti ***
Capitolo 27: *** Branka ***
Capitolo 28: *** Addii ***
Capitolo 29: *** Svolte ***
Capitolo 30: *** Denerim ***
Capitolo 31: *** Haven ***
Capitolo 32: *** L'Urna delle Sacre Ceneri ***
Capitolo 33: *** Jowan ***
Capitolo 34: *** Pianificare ***
Capitolo 35: *** Il prigioniero di pietra ***



Capitolo 1
*** L'Unione ***







Nimue





La Chiesa ci insegna che è stata l’arroganza degli uomini a portare la Prole Oscura nel nostro mondo.

I maghi hanno cercato di impossessarsi del Cielo, finendo col distruggerlo.

Furono cacciati, traviati e maledetti dalla loro stessa corruzione.

Tornarono sottoforma di mostri, i primi Prole Oscura.

Sono diventati un Flagello per queste terre, inarrestabile e implacabile.

I regni dei nani furono i primi a cadere, e dalle Vie Profonde la Prole Oscura ci attaccò ripetutamente, fino a che non fummo sul punto di essere annientati.

Poi, giunsero i Custodi Grigi.

Uomini e donne di tutte le razze, guerrieri e maghi, barbari e re… i Custodi Grigi sacrificarono ogni cosa per lottare contro le forze dell’oscurità… e infine prevalsero.

Sono passati quattro secoli da quella vittoria e da allora abbiamo mantenuto alta la guardia. Abbiamo osservato e atteso il ritorno della Prole Oscura, ma coloro che un tempo ci chiamavano eroi… hanno dimenticato.

Ora siamo rimasti in pochi, e i nostri avvertimenti sono stati ignorati per troppo tempo.

Potrebbe essere troppo tardi. Ho visto con i miei occhi ciò che si profila all’orizzonte.

Che il Creatore ci aiuti.

 

Duncan, Capo dei Custodi Grigi del Ferelden











CAPITOLO PRIMO - L’UNIONE




La prima cosa che vidi non appena riaprii gli occhi fu il volto di Alistair, e questo, per quanto poco potesse piacermi, mi fu almeno di conforto.

   «Congratulazioni», mi disse con quel suo sorriso da schiaffi. «Voi e le vostre graziose orecchie a punta ce l’avete fatta.»

   Ero viva per davvero? O quel disgraziato mi aveva seguita nel regno dei morti col solo intento di prendermi per i fondelli? Pensando a questa possibilità, valutai seriamente l’idea di dargli una testata sul naso. Se non lo feci, fu unicamente perché Duncan si avvicinò a noi e mi porse un boccale d’acqua. Ancora frastornata, mi misi a sedere e bevvi avidamente, come se avessi una sete insoddisfatta da giorni, cercando di mandare via l’orribile sapore che avevo ancora in bocca. Mi guardai intorno, mentre lui mi parlava non so più di che cosa. Non riuscivo ad ascoltarlo, ero troppo concentrata sul fatto che i corpi di Daveth e Jori erano già stati rimossi e che il cielo si era ormai scurito per l’arrivo della notte. Quando poi Duncan si allontanò, mi voltai verso Alistair e quasi lo aggredii.

   «Quanto ho dormito?»

   «Dormito? Ah», rise lui in risposta al mio urgente quesito. «Ed io che mi ero preoccupato perché credevo che foste svenuta.» Sentii il viso in fiamme per l’imbarazzo e la stizza. «Circa mezz’ora, non di più», decise poi di venirmi incontro, forse per pietà.

 

Le cose fra me e quel giovane non erano iniziate propriamente nel migliore dei modi. Quando ero arrivata all’accampamento, lì ad Ostagar, Duncan mi aveva spiegato che, una volta ripresami dal viaggio, avrei dovuto prendere parte ad un certo rito, detto Unione, che avrebbe decretato il mio eventuale ingresso nell’ordine dei Custodi Grigi. Personalmente ero stanca di quel genere di cose, poiché avevo appena affrontato il Tormento che aveva già fatto di me una maga degna di rispetto. Il Primo Incantatore Irving ed i templari che avevano assistito alla mia ultima prova da apprendista me lo avevano dipinto come un esame difficile e ad alto rischio per la mia incolumità e, forse, anche per quella degli altri, maghi e templari, presenti nella Torre del Circolo. Ero quindi entrata nell’Oblio – il mondo dei sogni – con un carico di paura tale da spingermi a non muovere passo senza prima essermi guardata attorno almeno due volte, i sensi perennemente allerta. E alla fine quel dannato Tormento si era rivelato una sciocchezza: avevo incontrato alcuni Demoni senza neanche bisogno di combatterli, fatta eccezione per uno, e avevo persino fatto amicizia con un topo. Beh, più o meno. Ad ogni modo, al mio ritorno non avevo detto nulla agli altri di quel che pensavo realmente, poiché temevo di apparire stupidamente arrogante – e già mi bastava essere stata etichettata per anni come la cocca di Irving per via della mia passione per lo studio.

   Era stato a causa di questo che avevo preso alla leggera il rito invece molto più rischioso dell’Unione. Duncan mi aveva detto che, oltre a me, aveva reclutato altri due aspiranti Custodi Grigi, e che, mentre riposavo, se volevo ero libera di fare la loro conoscenza. Daveth era un tipo irriverente e mi aveva confidato subito che forse l’iniziazione si sarebbe svolta nelle Selve Korcari. La notizia non mi era piaciuta molto, benché un branco di lupi non poteva certo essere peggiore del demone con cui avevo avuto a che fare nell’Oblio. Tuttavia, non erano state proprio quelle bestie affamate a spaventarmi, quanto le altre, eventuali creature che pullulavano la zona da qualche tempo e con le quali, con tutta probabilità, avremmo dovuto avere a che fare già l’indomani. Per lo meno questo era ciò che aveva detto Re Cailan Theirin quando Duncan mi aveva presentato a lui.

   Il figlio del defunto Re Maric era giovane e pieno di vita. Confesso che quando lo avevo visto ero rimasta quasi abbagliata da lui. Era pieno di sé, come ci si aspetta da un qualunque personaggio tanto importante, e nonostante non avesse neanche un filo d’argento a schiarirgli ulteriormente la lunga chioma bionda, credeva di sapere già tutto della vita e, peggio ancora, del Flagello che si stava abbattendo sul Ferelden, al punto da non sentire minimamente la necessità di consultarsi con il suo secondo, Loghain Mac Tir, più anziano ed esperto di lui in molti, moltissimi campi. In altre parole, Re Cailan era un idiota. Eppure non riuscivo a non provare nei suoi confronti una simpatia più che genuina. Purtroppo avevo un debole per gli idioti.

   L’altro aspirante Custode si chiamava Jori. Era un omone grande e grosso, buono e molto devoto ad Andraste. Si era dimostrato subito gentile ed io ero stata felice di sapere che lui, Daveth ed il Re non avevano avuto nulla da ridire sulla mia persona né, soprattutto, sul fatto ch’io fossi donna. Non che soffrissi di complessi di inferiorità a causa del mio sesso o della mia razza o della mia condizione di maga, ma la cosa mi aveva comunque dato sollievo: essere accolto da dei sorrisi sinceri in un posto in cui ti senti alieno è decisamente incoraggiante e ti aiuta ad affrontare meglio l’ignoto. Ero stata soddisfatta del mio arrivo ad Ostagar, dicevo, almeno fino a che non mi era toccato fare la conoscenza dell’altro Custode Grigio che, con Duncan, si sarebbe occupato di me.

   Alistair si era presentato come un odioso, rognoso attaccabrighe. Questo perché probabilmente lo avevo colto in uno dei suoi momenti peggiori, ma a vederlo intento a torturare psicologicamente e verbalmente un povero rappresentante del Circolo dei Magi ed uscirne vittorioso, mi si erano accartocciate le budella. Sulle prime, quindi, pur pensando a lui come ad un giovane dall’intelletto sveglio, lo avevo odiato. Quando poi si era accorto di me e mi aveva squadrata da capo a piedi, aveva finito per demolire quel minimo di speranza che ancora avevo nutrito nei suoi riguardi.

   «Sapete, quello che mi piace del Flagello è il modo in cui unisce le persone», mi aveva detto quando l’Incantatore era andato via, su tutte le furie. Si era poi avvicinato come a volermi studiare meglio. «Voi siete… la terza aspirante recluta? Confesso che vi immaginavo diversa.»

   Ormai piena di pregiudizi, ero rimasta sulla difensiva. «Avete qualcosa contro gli elfi?»

   «Cosa? Oh, no, no, perdonatemi. Non intendevo questo», aveva iniziato allora a mettere le mani avanti. Anche il quartiermastro aveva fatto la stessa cosa quando, poco prima, mi aveva scambiata per una della servitù, strigliandomi ben bene per non avergli ancora portato non so che armatura tirata a lucido. «Io sono Alistair. Come vi chiamate?»

   «Nimue.»

   «È un bel nome.»

   «Duncan mi ha detto di rivolgermi a voi per il rito dell’Unione», avevo spiegato, ignorando a bella posta il suo tentativo di rimediare all’errore. Non che io fossi permalosa, ma quel suo sorriso indisponente mi dava da pensare. Specie perché si ritrovava ad abbellire un volto di per sé non perfetto, rendendolo in qualche modo interessante; e la cosa mi faceva stare sulle mie per ben due ragioni: primo, perché avevo da poco imparato a non fidarmi più così su due piedi di nessuno a causa di ciò che era avvenuto alla Torre del Circolo poco prima che Duncan mi portasse via; secondo, perché ero appena stata testimone di quali tranelli fosse capace la lingua lunga di quello sconosciuto.

   «Bene», aveva annuito Alistair. «Allora, se siete pronta, possiamo cominciare. Venite, vi faccio strada.» Si era quindi avviato avanti a me, iniziando a sciorinare la propria onniscienza sull’accampamento e sulla situazione in cui si trovava il Ferelden. Lo avevo lasciato parlare fino a che non aveva nominato i maghi presenti ad Ostagar. Di certo doveva essersi accorto dalla tunica che indossavo e dal mio bastone che ero una di loro, per cui non mi ero fatta scrupoli a chiedergli informazioni circa la discussione avuta pochi minuti addietro con quell’Incantatore anziano. Inaspettatamente, Alistair non aveva dato segno di risentirsi di sapere che io avessi origliato, pur senza volerlo, e, anzi, mi aveva subito spiegato che la Chiesa aveva problemi ad accettare l’aiuto del Circolo. Pertanto a lui era toccato l’ingrato compito di fare da paciere fra le due parti, perché, aveva continuato, era stato cresciuto in un’abbazia ed avviato agli studi e all’addestramento per diventare un templare. Proprio poco prima che prendesse i voti, però, Duncan si era mostrato interessato a lui, e dal momento che la Chiesa era stata restia ad accettare la sua richiesta – poiché Alistair era dotato di molto talento – Duncan si era risolto ad invocare il Diritto di Coscrizione per strapparlo da un avvenire che altri gli avevano imposto senza neanche chiedere la sua opinione e lo aveva così ammesso nell’ordine dei Custodi Grigi. Inoltre, aveva voluto precisare Alistair a scanso di ulteriori equivoci, a differenza di altri templari, lui era da sempre affascinato dalla magia, per cui non vi era alcun dubbio che il futuro che Duncan gli aveva offerto era di gran lunga più allettante di quello a cui per anni aveva creduto di essere destinato.

   Durante il suo racconto mi ero ritrovata a chiedermi per quale ragione volesse darmi tutte quelle informazioni sul suo conto, dal momento che neanche gliele avevo chieste; e, soprattutto, avevo nutrito il forte dubbio che stesse prendendo in giro anche me, esattamente come aveva fatto con quell’Incantatore anziano.

   Avevo appena risolto di rimandare a dopo un giudizio definitivo sul mio accompagnatore, che questi, trovato finalmente Duncan già insieme a Daveth e Jori, aveva esordito con un: «Chiedo scusa per il ritardo, ma eccomi infine con la nostra più giovane aspirante recluta e le sue graziose orecchie a punta.»

   Era stato in quel momento che avevo deciso di catalogare Alistair come il più colossale idiota che mi fosse mai capitato fra i piedi. Il secondo incontrato quel giorno, ma senza dubbio l’unico verso il quale non mi sarebbe riuscito di provare un minimo di simpatia. Nemmeno per sbaglio.

   Duncan doveva avermi letto nel pensiero, poiché aveva scosso la testa e aveva sospirato. «Alistair, dovreste cercare di essere più cauto quando parlate. Specie se vi trovate a fare da intermediario in questioni delicate come quella che vi era stata affidata.»

   «Fantastico, quindi sapete già tutto?» Lo sguardo di paterno rimprovero che gli aveva rivolto era almeno servito a fargli abbassare la cresta. «Va bene, d’accordo. Cercherò di stare più attento in futuro. È solo che non ho digerito per nulla il fatto che abbiano scelto proprio me per risolvere la cosa. L’ho trovato uno scherzo di cattivo gusto.»

   Forse comprendendo il suo stato d’animo meglio di quanto avessi potuto fare io, Duncan si era deciso a lasciar cadere la discussione ed era tornato a rivolgersi a noialtri. «Adesso passerò a spiegarvi il primo passo che vi porterà a compiere il rito dell’Unione.»

   Ci aveva detto che dovevamo entrare nelle Selve, esattamente come mi aveva anticipato Daveth, e che lì avremmo dovuto procurarci del sangue di Prole Oscura. Più facile a dirsi che a farsi, avevo pensato, rabbrividendo all’idea di trovarmi a tu per tu con una di quelle creature. Mi rendevo conto di aver scelto di mia volontà di mettermi a disposizione dei Custodi Grigi – anche se più che per testare le mie capacità, ero stata costretta a farlo per sfuggire alla furia dei templari – nonché di aver già affrontato un demone nell’Oblio e di esserne uscita incolume, ma i Prole Oscura erano tutt’altra cosa. Da bambina avevo letto su un vecchio libro di storia che trattava dell’ultimo Flagello, avvenuto quattro secoli prima, che con Prole Oscura si intendevano esseri oscuri, corporei, storpi, dall’aspetto raccapricciante. Non avevo saputo interpretare a dovere quella descrizione, per cui l’avevo automaticamente associata a qualcosa di schifoso, come ragni o vermi giganti e bavosi, o giù di lì, perché quelle erano le cose più repellenti che mi erano venute in mente a quell’età. Ero rimasta traumatizzata da quella mia stessa fantasia, al punto che per una settimana mi ero incapricciata a dormire con la candela accesa – che poi altri spegnevano non appena si accorgevano che mi ero appisolata. Persino adesso, a distanza di molti anni, mi auguravo piuttosto di tornare a trovare Topo nell’Oblio che affrontare i Prole Oscura – ma di Topo parlerò in seguito.

 

«Vi serve una mano?»

   Pur riconoscendo in quell’offerta un tono sincero e gentile, mi ero rifiutata di guardare Alistair negli occhi, declinando il suo invito e proseguendo da sola. Con mio grande fastidio, a lui era stato affidato il compito di scortarci all’interno delle Selve, poiché avevamo necessariamente bisogno di una giuda e Duncan doveva discutere di certi affari importanti con il Re in vista della battaglia che si faceva sempre più vicina. Ne avevano già vinte due, e Cailan era certissimo che quella dell’indomani avrebbe avuto il medesimo esito. Loghain non era del suo stesso avviso, ma questi era pessimista e diffidente per natura, al punto da non vedere di buon occhio né l’alleanza con i Custodi Grigi né quella con Orlais, cosa in cui invece Cailan contava non poco benché il suo stesso padre avesse combattuto una gloriosa guerra contro il vicino regno dell’Ovest diversi anni prima, guerra dalla quale lo stesso Loghain era tornato a casa da eroe.

   «Perché tutta questa premura con lei?», si era lamentato Daveth, cogliendo l’occasione per domandare spiegazioni circa la continua presenza di Alistair al mio fianco. A dire il vero me lo stavo chiedendo anch’io, e con parole certamente meno educate. «È per via del fatto che è femmina o perché ha le gambe corte? Eppure so che gli elfi sono veloci.»

   «Chiudete quella bocca», aveva protestato Jori, decidendo di venire in mio soccorso. Gliene ero stata grata. «È naturale mostrare un minimo di riguardo verso una donna.» Si era fermato qui, senza dare giustificazioni alla malsana curiosità di Daveth circa la lunghezza dei miei arti inferiori, coperti, per fortuna, dalla lunga veste color ocra che portavo da che avevo concluso il mio ciclo di studi al Circolo dei Magi.

   Alla fine Alistair non aveva risposto, ed io avevo preferito concentrarmi sulla mia paura dei Prole Oscura piuttosto che sulla mia bassa statura – la mia testa arrivava a malapena alla spalla del nostro accompagnatore – che comunque non mi impediva di tenere il passo degli altri. Se rimanevo indietro, era soltanto perché preferivo far andare avanti loro. Solo dopo aver sussultato a causa di un fruscio fra le frasche che costeggiavano il sentiero per cui ci stavamo avventurando, mi ero resa conto che, dopotutto, pensare agli spauracchi dell’infanzia non era cosa saggia. Avrei dovuto distrarmi in qualche modo.

   «Com’è il Tormento?», mi aveva domandato all'improvviso Alistair, forse accortosi della mia agitazione.

   «Com’è l’Unione?»

   Lo avevo visto sorridere. «Non vi è concesso di parlarne, eh?»

   «Voi siete un templare, dovreste saperlo.»

   «Se aveste ascoltato con più attenzione il mio racconto, vi sareste ricordata che non ho mai preso i voti.»

   «D’accordo. Non siete un templare, ma è come se lo foste.»

   «Attenta a quella radice», mi aveva avvisata, afferrandomi per un gomito per aiutarmi a scavalcarla. «Quindi… avete paura di me?»

   Mi ero voltata nella sua direzione, scivolando sul muschio cresciuto sulla corteccia umida e rischiando l’osso del collo. «Anche se maghi e templari sono nemici giurati», e mentre lo dicevo, Alistair si era lasciato scappare una risata divertita, «ciò non vuol dire che io vi tema. Oltretutto, conosco un giovane, tale Cullen, che al Circolo stravedeva per noi.» Non era propriamente la verità, poiché, a detta del mio amico Jowan, Cullen stravedeva soltanto per me. Ma ad Alistair questo non doveva interessare, per cui avevo deciso di allargare la simpatia che quel poveretto provava nei miei confronti verso tutti gli studenti della Torre.

   Alistair, che mi aveva sorretta prima che potessi fare un bel capitombolo, aveva aggrottato un sopracciglio con un certo disappunto. «Di nuovo, mia signora, dimostrate di non aver prestato attenzione alle mie parole», si era rassegnato a spiegarmi da capo. «Quando dicevo che ero affascinato dalla magia, ero serio.» Lo avevo fissato con un certo scetticismo, e allora lui si era sentito in dovere di continuare ad argomentare in sua difesa. «Quello che sto cercando di farvi capire, è che non…»

   A quel punto si era zittito, così di colpo che avevo pensato che gli avessero strappato la lingua. Non mi era stato concesso di porre domande perché lui mi spinse a terra, gridando un avvertimento ai nostri compagni affinché quelli potessero correre alle armi. Per alcuni istanti non avevo capito nulla, schiacciata com’ero dal peso di Alistair. Avevo sentito il ferro della sua spada fendere l’aria ed il suo corpo scostarsi dal mio; poi alcune imprecazioni, delle urla belluine, qualcosa che cadeva sull’erba accanto a me. Avevo alzato lo sguardo e mi ero ritrovata davanti due occhi vuoti, intrisi di sangue, terribili. Erano fissi su di me, eppure non vedevano nulla. Quando avevo realizzato che essi appartenevano alla testa mozzata di una creatura inumana ero scattata all’indietro, terrorizzata, arrancando sul terreno fangoso ed instabile. Avevo poi alzato il capo, portando finalmente la mia visuale sul resto della scena e mi ero resa conto che eravamo sotto attacco.

   La prima vittima, quella decapitata, era stata di Alistair. Era decisamente bravo a combattere, e benché non potesse competere con la stazza di Jori, i suoi movimenti ed i suoi colpi svelavano un corpo possente ed un vigore in cui difficilmente mi sarei imbattuta negli anni a venire. Ma lui non era l’unico a darsi da fare e a tenere i nemici lontani da me: Daveth e Jori si erano subito dimostrati all’altezza del compito assegnatoci da Duncan.

   Mentre assistevo alla lotta con fare impotente, d’un tratto l’attenzione di Alistair si era spostata su di me, sebbene la sua lama stesse ancora affondando fra le viscere di quello che poi mi avrebbero spiegato essere un Hurlock. Avevo visto Alistair impallidire, staccarsi frettolosamente dalla creatura e correre nella mia direzione. Spaventata da quella reazione, e temendo che fosse impazzito per chissà quale sortilegio, avevo levato le mani verso di lui ed avevo iniziato a recitare velocemente i versetti di quella formula magica che, prima fra tutte, avevo imparato in caso di attacco da parte di chiunque mi si fosse scagliato contro. Non che reputassi davvero Alistair un malintenzionato, ma in quel frangente la paura mi aveva del tutto annebbiato la ragione. Ero ormai pronta a scagliare la scarica di elettricità che avevo accumulato fra le dita, quando lui aveva mosso il braccio sinistro con forza, smuovendo l’aria sopra di me e colpendo con lo scudo qualcosa che io non potevo vedere. Alle sue spalle, però, stava tornando all’attacco l’Hurlock da lui ferito un attimo prima, purtroppo non abbastanza gravemente per impedirgli di provare nuovamente ad ucciderlo. A quel punto, pur non essendo ancora del tutto lucida, avevo compreso che avrei dovuto indirizzare il fulmine contro di lui e non contro quello che, a quanto udivano le mie graziose orecchie a punta, stava invece piantando la spada nella carne di uno di quei maledetti Prole Oscura che tanto mi disgustavano, rivelandosi così non già mio assalitore, bensì mio salvatore.

  Sul collo mi era scivolato addosso del liquido caldo e denso, il cui odore acre mi dava allo stomaco. Mi ero imposta di resistere, e mentre l’Hurlock crollava a terra carbonizzato, ed Alistair colpiva ancora con lo scudo il suo avversario, mi ero rimessa in piedi cercando di non intralciarlo; quindi, raccogliendo il mio bastone, lo avevo rivolto contro i quattro Genlock – più piccoli e tarchiati – con cui erano alla prese Jori e Daveth, ora in difficoltà. Infine, avevo invocato il favore della natura che subito era accorsa in mio aiuto: una lingua di fuoco aveva investito in un solo istante tre dei Genlock, proprio poco prima che l’ultimo cadesse per mano di Daveth.

   Quando si erano resi conto che il pericolo era ormai cessato, lui e Jori si erano voltati a guardarmi, stupiti e allarmati a un tempo, probabilmente presi di sorpresa dal potere che avevo nascosto fino ad allora.

   «E dicono che la magia sia frutto del demonio», aveva considerato Jori a mezza voce.

   «Sciocchezze», lo aveva immediatamente contraddetto Daveth, recuperando fiato. «Avete mai visto un demone che salva degli umani e combatte contro i propri simili?»

   «No», aveva ammesso l’altro. «A dire il vero non ho mai visto un demone, e prego il Creatore che non accada mai.»

   Mentre li lasciavo parlare a vanvera sulla questione, una mano mi aveva toccato la nuca, facendomi urlare e balzare di lato. «Calma, sono io!», aveva esclamato Alistair, frattanto che il mio bastone lo colpiva sulle costole. «Ahi…», aveva mormorato in tono lamentoso, scrutandomi con cipiglio perplesso. «Mi chiedo come possiate nascondere tanta forza in quel corpicino sottile.»

   «Mi avete spaventata», mi ero giustificata, per la prima volta senza volermi legare al dito quell’ennesima battuta sulla mia persona.

   «Vi chiedo perdono, volevo solo accertarmi che la vostra testa fosse ancora ben salda al suo posto», aveva precisato lui, guardandosi attorno con aria soddisfatta. «Anche perché temo che adesso dovremo strizzarvi i capelli per recuperare il sangue che riempirà la vostra fiala», aveva aggiunto, ridendosela sotto i baffi per essersi reso conto di avermi fatto una doccia vermiglia quando era corso ad aiutarmi. Avevo arricciato il naso, disgustata molto più degli altri a causa dei miei sensi elfici, ed Alistair aveva riso di nuovo. «Lo vedete, Daveth?», aveva ricominciato, oltrepassandomi per raggiungerlo. «Dite ancora che ha le gambe corte, e la nostra amica vi tramuterà in uno scarafaggio.»

   «Quello non so farlo», mi ero affrettata a dire per non apparire troppo spaventosa. «E se anche così non fosse, mi farebbe alquanto… ribrezzo.»

   «Più dei Prole Oscura?», mi era stato domandato.

   I miei occhi avevano allora indugiato sull’ammasso di carne morta, deforme e maleodorante che insozzava l’erba intorno a noi, provocandomi un conato di vomito. Mi ero trattenuta dal mostrare ai miei compagni il colore dei miei succhi gastrici unicamente per orgoglio; quindi, avevo mentito con una spudoratezza che, me ne rendevo conto, non mi apparteneva. «Certo.»

   Loro erano scoppiati a ridere. «La ragazzina ha fegato», aveva detto Daveth, ammirato o forse intento solo a reggere il gioco della nostra guida. «Anche se mi chiedo come abbia fatto a non accorgersi dell’arrivo di questi cosi. È un elfo, per la miseria.» Non avevo saputo rispondere, in quanto la cosa non era chiara neanche a me.

   «Coraggio, datemi le vostre fiale», ci aveva interrotti Alistair, chinandosi su uno dei cadaveri degli Hurlock. «Prima compiamo il nostro dovere, prima potremo tornare all’accampamento. A meno che non vogliate fare un altro incontro del genere. I Prole Oscura sono molto più numerosi di quanto possiate immaginare.»

   Non ci eravamo lasciati pregare e ci eravamo subito dati da fare per recuperare il sangue necessario – a quanto pareva – per il rito dell’Unione. In realtà eravamo consapevoli che questo non ci avrebbe permesso di lasciare in fretta le Selve, poiché Duncan ci aveva incaricati di un altro compito che con il nostro reclutamento aveva ben poco a che fare: dovevamo recuperare dei documenti. Tempo prima, infatti, da quelle parti vi era un insediamento umano ormai abbandonato e in rovina. Fra le sporadiche costruzioni in pietra che ancora rimanevano in piedi – niente più che poche colonne o residui di mura abbattute – vi era un deposito appartenente ai Custodi Grigi. A noi toccava trovarlo, perché lì dovevano essere stati nascosti, e sepolti dalla natura che, selvaggia, aveva preso il sopravvento, alcuni trattati che legavano questo valoroso ordine ai maghi del Circolo da cui provenivo, alla città dei nani, fra le Montagne Gelide, e alla leggendaria comunità degli elfi Dalish che, si diceva, si trovava da qualche parte nella foresta di Brecilian. Tramite quei documenti, Duncan e il Re speravano di convincere questi antichi e potenti alleati del Ferelden a schierarsi insieme agli uomini per poter affrontare uniti il Flagello che dal nostro regno si sarebbe poi abbattuto impietosamente su tutto il continente Thedas.

   L’idea di girovagare nelle Selve, però, mi piaceva sempre meno. Sin dal nostro ingresso non avevamo fatto altro che incrociare infausti segnali che mi davano da pensare sull’esito della nostra escursione. Non lontano dall’accampamento, infatti, avevamo assistito impotenti ad uno spettacolo terribile: per terra giacevano i corpi senza vita di alcuni dei nostri soldati, massacrati. Uno solo di loro respirava ancora, e, per fortuna, era ancora in grado di camminare. Per cui gli avevamo prestato soccorso e lo avevamo indirizzato per il breve sentiero da noi appena percorso che lo avrebbe condotto dritto all’accampamento senza correre altri pericoli. Quelli, comunque, erano stati solo i primi cadaveri in cui ci saremmo abbattuti quel pomeriggio.

   Intanto avevo perso la cognizione del tempo, né avevo potuto aiutarmi con la luce del sole. La fitta vegetazione si chiudeva sopra di noi come un soffitto a volta, impedendoci di scoprire per quanto ancora avremmo potuto avventurarci in quel labirinto tetro ed incontaminato ormai da secoli dalla mano dell’uomo. Sostare lì nelle ore notturne era impensabile, dovevamo necessariamente tornare all’accampamento prima che il buio richiamasse altre tenebre ben più pericolose di un sparuto numero di Prole Oscura mandati in avanscoperta.

   Alistair non aveva finito di farcelo presente che ce li eravamo trovati nuovamente davanti, proprio nei pressi di un’ampia porzione di muro ancora intatto. Questa volta, però, non ci avevano colti impreparati, ed io avevo subito messo mano al mio bastone, alzando su di me, sprovvista di armatura, una barriera protettiva ed iniziando a combattere sin dal principio con i miei compagni – e confesso di essere stata tanto coraggiosa unicamente perché dalla lotta precedente avevo compreso che avrei potuto farcela. Nonostante questo, comunque, lo scontro si era rivelato più lungo e arduo del precedente, e Daveth era stato ferito da un bestione alto forse due metri e del tutto simile a quello che avevo ucciso per mezzo di una scarica elettrica. Timorosi per la sua vita, noialtri ci eravamo stretti attorno a lui, finendo tuttavia per farci circondare dal nemico, molto più numeroso.

   «Ora ci farebbe davvero comodo una delle vostre magie», mi ero sentita dire. Per cui, passando velocemente in rassegna gli incantesimi che conoscevo, avevo deciso di ricorrere all’Esplosione Mentale, che, per quanto innocua potesse apparire, in realtà aveva la facoltà di stordire i miei avversari, rendendoli inermi per un breve lasso di tempo. Tempo che noi impiegammo per atterrare un paio di Genlock e consentirmi di passare ad un secondo attacco magico. Il fuoco era quindi scaturito dalla cima del mio bastone, ed il sovrannumero dei Prole Oscura era stato cancellato dalla forza di Jori e dalla maestria con spada e scudo di Alistair.

   Una volta certi che il pericolo fosse stato sventato, ci eravamo chinati su Daveth per scoprire l’entità delle sue ferite. Se l’era cavata con qualche ammaccatura, un vistoso taglio sull’avambraccio, un sopracciglio spaccato ed un grosso, doloroso bernoccolo sul cranio che lo aveva costretto a terra privo di sensi per un po’. Ma almeno era vivo e, tutto sommato, abbastanza sano per poter proseguire la marcia sulle sue gambe.

   Stavamo ancora finendo di prestargli soccorso, che d’un tratto ero stata di nuovo colta da una strana sensazione, la stessa che mi aveva fatta sussultare all’inizio della nostra avventura. Mi ero guardata attorno, i sensi allerta, ma niente mi portava a credere che lì vicino vi fossero altri esseri ripugnanti come quelli che avevamo appena ammazzato. La mia attenzione, intanto, si era focalizzata su qualcosa: un grosso baule impolverato e ricoperto di edera, posto vicino al muro intatto.

   «Che siano lì dentro? La magia dovrebbe averli protetti.» Le parole di Alistair mi avevano colta di nuovo alla sprovvista. «Vi spiacerebbe andare a controllare?», mi aveva domandato, mentre lui e Jori finivano di occuparsi di Daveth.

   Mi ero perciò avvicinata al baule con un certo, reverenziale timore, ma prima ancora che potessi sfiorarlo, una voce femminile mi aveva fermata: era stato quello il mio primo incontro con lei, una delle persone che avrebbero inciso maggiormente sul mio futuro. Davanti a noi si era infine mostrata la donna più bella che io avessi visto fino ad allora. Morrigan.

   Ben consapevole del suo fascino arcano ed esotico, era avanzata verso di me con passo seducente ed espressione glaciale e passionale a un tempo. Mi sembrava la contraddizione personificata, eppure la sua apparizione non riusciva a sconvolgermi o a spaventarmi. Neanche quando i miei compagni mi fecero presente che, con tutta probabilità, eravamo alle prese con la famosa e pericolosissima Strega delle Selve.

   «Cosa cerchi?», mi aveva chiesto Morrigan, piantando i suoi magnifici, felini occhi ambrati nei miei che, per quanto potessero risaltare nel verde della foresta, non potevano reggere il paragone.

   «Questo posto», avevo iniziato, incerta, «apparteneva ai Custodi Grigi?»

   «Non più», era stata lapidaria nella sua risposta, lanciando uno sguardo poco allegro al resto del mio gruppo. «Ora appartiene alla foresta.»

   «Che fine hanno fatto i documenti che erano conservati qui?», si era intromesso Alistair, affiancandosi a me. «A noi interessano solo quelli.»

   «Oh», aveva sillabato Morrigan, intrecciando le braccia sul petto in bella vista. «Quelli non si trovano più qui da parecchio, ormai.»

   «Sono andati distrutti?»

   «No. Li ha presi mia madre», aveva spiegato con un’alzata di spalle. «Se li volete, dovrete chiederli a lei.»

   «Non fidatevi, potrebbe essere una trappola», aveva sibilato Daveth, rimanendo indietro con Jori.

   La nuova arrivata aveva preferito ignorarlo per tornare a rivolgersi a me. «Che vuoi fare?»

   Avevo battuto le palpebre più volte, confusa. Toccava a me decidere? «Quei trattati sono molto importanti per tutto il Ferelden. E non solo.»

   «Vieni con me, dunque?» Stavo per voltarmi verso Alistair per consultarmi con lui, ma qualcosa mi aveva fatta desistere e, senza quasi rendermene conto, avevo annuito. Morrigan aveva sorriso. «Forse dovresti dare ascolto ai tuoi amici: potrebbe essere un tranello.»

   «Può darsi», le avevo concesso. «Ma non possiamo fare a meno di quei trattati.»

   Apprezzando la mia risolutezza, le labbra di lei si stesero ulteriormente, stavolta in un’espressione sincera. «Seguitemi. Vi porterò da mia madre.»

   Avevo obbedito all’istante, e Alistair non aveva perso tempo a tenere il passo. «Siete una maga?»

   «Molto brava, anche», gli aveva risposto l’altra.

   «Ma non siete stata al Circolo, dico bene?» Il tono guardingo del Custode che mi aveva preso sotto la sua ala protettiva mi suonava nella testa in modo piuttosto insolito. Non che lo conoscessi da tanto, in effetti, ma fino a quel momento mi aveva mostrato soltanto un lato del suo carattere, per cui la più che giustificata cautela verso Morrigan strideva pesantemente con la gentilezza, seppur irriverente, che aveva invece avuto per me sin da subito.

   Lei aveva riso beffardamente. «Cosa sei, un templare?»

   «Quasi», aveva ammesso Alistair, sfidandola. I loro sguardi si erano incrociati, e per quanto non avessi in dono la lettura del pensiero altrui, non mi ci erano voluti altri scambi di battute per capire che fra loro fosse nata un’istantanea antipatia. Pur comprendendo la prudenza di Alistair, non condividevo l’idea di alzare un muro di mattoni fra noi e quella ragazza, poiché, se davvero era la Strega che tanto temeva Daveth, trovavo poco saggio inimicarsela.

   «Non mi piace questa storia», blaterava intanto il nostro compagno ferito, mentre Jori lo aiutava a rimettersi in piedi.

   «Neanche a me. Ma mi piace ancor meno il pensiero di rimanere qui per tutta la notte», gli aveva fatto notare lui. «Questo posto è freddo, e non ho la minima intenzione di imbattermi in altri Prole Oscura.»

   Nonostante le lamentele di Daveth e le acide battute con cui Alistair aveva deciso di mascherare – o forse solo di colorire – la propria diffidenza nei confronti di Morrigan, avevamo seguito lei fin nel cuore delle Selve, dove in uno spiazzo che lambiva le paludi si ergeva una capanna molto vecchia eppure, per un qualche strano motivo, in qualche modo confortevole alla vista. Era stato lì che una allegra donna anziana ci era venuta incontro e, presentandosi come la madre di Morrigan, ci aveva spiegato che era stata costretta a sottrarre i trattati dei Custodi Grigi al loro antico nascondiglio perché la magia che li aveva protetti originariamente si era ormai esaurita. Pertanto, li aveva presi sotto la propria responsabilità, salvandoli da un’eventuale distruzione grazie a dei poteri di cui lei stessa era dotata e che le consentivano di vivere laggiù del tutto indisturbata, senza che templari, Chasind – gli abitanti delle Selve Korcari, riuniti in tribù primitive – o anche semplici curiosi potessero avvicinarsi a loro. Mostrandosi di gran lunga più ospitale di quanto ci fossimo inizialmente aspettati, la madre di Morrigan ci aveva offerto acqua e cibo e, per prima cosa, ci aveva messo in mano i famosi documenti che cercavamo.

   Benché non avessimo motivo di dubitare di lei, a differenza di sua figlia quella donna non aveva attirato le mie simpatie. L’avevamo ringraziata e avevamo salutato lei e Morrigan con una parvenza di gentilezza, certo; tuttavia quell’incontro mi aveva lasciato dentro un senso di inquietudine – che non volevo necessariamente intendere come qualcosa di negativo, ma che pure non sapevo ben definire.

   Una volta tornati all’accampamento, in mezzo ai soldati e con la foresta ormai dietro di noi, eravamo stati liberi di tirare un sospiro di sollievo. «Andate a darvi una ripulita mentre porto questa roba a Duncan», ci aveva detto Alistair, avviandosi. «Ci vediamo tra poco per il rito. Cercate di non farci aspettare troppo.»

   La prima cosa che avevo fatto, allora, era stata seguire il suo consiglio, mettendo la testa sotto l’acqua per lavarmi il sangue di dosso. Mi sentivo stanca, per cui non avevo voglia di tergiversare e speravo che anche Daveth e Jori si sarebbero presentati in fretta al luogo dell’appuntamento. Mi ero cambiata d’abito ed ero volata di nuovo fuori dalla mia tenda, marciando spedita verso il mio obiettivo. Sulla strada, però, mi ero fermata al canile dove le truppe tenevano i loro cani da guerra, i mabari, e dove mi era stato chiesto il favore di procurare un fiore nella foresta, la Grazia di Andraste, che sarebbe servito per preparare una medicina per curare una di quelle bestie, infettata dal sangue di Prole Oscura durante l’ultimo scontro. Mi era stato spiegato che quegli animali erano molto intelligenti e soprattutto che ognuno di loro riconosceva un solo padrone. Quello del cane malato era morto, e l’addestratore non riusciva a farsi accettare da lui. Per tale ragione, vedendomi interessata alla questione, mi aveva offerto l’opportunità di lasciare che il mabari si affezionasse a me, e benché non appartenesse propriamente ad una razza che mi piaceva – preferivo cani più mansueti e più simili ai lupi – quando avevo incrociato il muso triste di quell’esemplare non ero riuscita a dire di no.

   Augurandomi quindi che le sue condizioni di salute potessero migliorare, mi ero incamminata verso il punto in cui Duncan ci aspettava. Duncan era il capo dei Custodi Grigi del Ferelden, e a lui spettava il compito di reclutare nuovi membri nell’antico ordine che aveva come unico obiettivo quello di combattere la Prole Oscura e debellare i Flagelli – l’ultimo dei quali si era abbattuto sul Thedas circa quattro secoli prima. Duncan era un uomo forte e dall’aspetto solenne, temprato dagli anni e ancor più dalle battaglie combattute. Era amato e rispettato da molti non soltanto per la carica che ricopriva, ma anche per la sua indiscutibile saggezza, al punto che Re Maric e suo figlio Cailan si erano affidati al suo giudizio in moltissime occasioni.

   Io non lo conoscevo che da una manciata di giorni, eppure già gli dovevo tanto: mi aveva portata via dalla Torre del Circolo. Non che non amassi quel luogo, per carità, anche se confesso che spesso mi pareva più una prigione che una casa; subito dopo il Tormento, però, mi ero cacciata in un brutto, pessimo guaio che aveva compromesso la mia posizione non tanto agli occhi del Primo Incantatore Irving, che si fidava della mia parola e del mio giudizio, quanto del capo dei templari del Circolo, Greagoir. Il tutto perché ero stata così ingenua – ed incosciente – da lasciarmi convincere dal mio amico Jowan ad appoggiare la sua fuga dalla Torre con la ragazza che amava. Fortunatamente, sebbene le cose si fossero messe nel peggiore dei modi, Duncan aveva già reclamato me a nome dei Custodi, e se pure Greagoir si fosse opposto alla cosa perché convinto che io andassi punita, quel grand’uomo si era detto disposto a ricorrere al Diritto di Coscrizione pur di avermi nell’ordine, così come aveva già fatto con Alistair. Non ve ne era stato bisogno, comunque, perché anche Irving si era schierato dalla mia parte, riuscendo così a convincere i templari a lasciarmi partire.

   Ad ogni modo, quando avevo raggiunto Duncan e Alistair, Jori e Daveth erano già lì, lamentandosi del mio ritardo – cosa che invece nessuno degli altri due mi fece pesare. L’Unione, dunque, poteva avere inizio. Duncan ci aveva allora spiegato in cosa consisteva: dovevamo bere il sangue raccolto nelle Selve. Il solo pensiero era bastato a farmi tornare in bocca il sapore di bile, ma ero riuscita a dominarmi di nuovo, cercando di prestare attenzione al resto delle sue parole. Attraverso quel rituale, i Custodi facevano propri dei sensi tutti nuovi, forti, selvaggi, utili a percepire la presenza dei Prole Oscura che altrimenti ci sarebbe stata difficile individuare. Ecco, mi ero infine capacitata, la ragione per cui Alistair mi aveva battuta sul tempo durante il nostro primo scontro nella foresta; perché lui aveva già acquisito quelle facoltà che nulla avevano a che vedere con i miei sensi di elfo.

   Ero stata sul punto di trovare la cosa interessante, nonostante tutto, quando Duncan aveva aggiunto un altro significativo particolare: non tutti erano in grado di superare l’Unione. Mi ero domandata il perché, e solo dopo che Daveth aveva dato un sorso dal calice colmo di sangue che Duncan gli aveva offerto, tutto mi era stato chiaro: bere il sangue di Prole Oscura, unito ad una goccia di quello di un Arcidemone, corrompeva il nostro, rendendoci quasi un ibrido fra umani – elfi nel mio caso – e creature demoniache. Daveth non aveva retto alla prova, crollando a terra in pochi istanti. Morto.

   Avevo fatto un passo indietro, inorridita, andando ad inciampare sui piedi di Alistair che ancora una volta mi aveva prontamente sostenuta e stretta per le spalle, come a volermi infondere coraggio. Più facile a dirsi che a farsi, visto che io ne ero sempre stata sprovvista.

   «Mi dispiace, Daveth», aveva mormorato Duncan, il viso contrito. Aveva poi portato la propria attenzione su Jori, il quale sembrava addirittura più sconvolto di me.

   «Un momento», aveva detto, balbettando in preda alla paura. «Non potete chiedermi questo.»

   «Jori, bevi», lo aveva esortato Duncan, paziente, porgendogli il calice.

   Lui aveva scosso il capo freneticamente, arretrando. «No, no, no. Non posso. Non c’è gloria in tutto questo», aveva insistito, iniziando a cercare la spada.

   «Jori…» Duncan aveva messo via il sangue, a quel punto, mettendo anche lui mano alle armi. Non ero disposta a credere che si sarebbe giunti a tanto, eppure niente mi lasciava auspicare in un esito diverso.

   «Ho una moglie, ad Altura Perenne», aveva continuato Jori, brandendo il ferro davanti a sé ed arrivando a toccare il muro alle sue spalle. «È incinta. Aspetta il mio ritorno.»

   Duncan però non era stato intenzionato a cedere alle sue preghiere, e quando l’altro, disperato, lo aveva attaccato, era stato costretto a difendersi e, purtroppo, a compiere il gesto estremo di ucciderlo.

   «Mi spiace», aveva sussurrato con voce affranta, mentre Jori fissava gli occhi terrorizzati e quasi privi di luce nei suoi, esalando l’ultimo respiro. Infine, mentre lasciava cadere il suo corpo, Duncan si era voltato verso di me. Le mie gambe avevano tremato, ed io ero stata investita da un’ondata di gelo che, nonostante il tepore delle mani di Alistair che ancora mi sorreggevano, mi aveva strappata violentemente all’orrore di quanto ero appena stata testimone.

   Dovevo scegliere se morire per mano dei Custodi Grigi, ai quali mi ero unita per non essere massacrata dai templari, o se bere un veleno che avrebbe potuto uccidermi. L’ultima decisione spettava a me. L’istinto di sopravvivenza – e solo quello – mi aveva suggerito di accettare la prova, poiché quella era l’unica speranza di vita che mi era rimasta. Avevo focalizzato la mia attenzione sul calice e quindi, imponendomi di ignorare i due cadaveri ancora caldi, me lo ero portato alle labbra, sfidando così la sorte. Prima di bere, tuttavia, avevo cercato lo sguardo di Duncan, supplicando il Creatore di poterne risucchiare almeno in parte quella forza e quel coraggio che vi si potevano leggere. Allora, senza più pensare a nulla, avevo mandato giù un sorso. E mentre sentivo la bocca e la gola bruciarmi, un fuoco era avvampato nel mio petto, espandendosi in un istante in tutto il resto del mio corpo. Quando alla fine aveva raggiunto la testa, la vista mi era venuta meno insieme ai sensi.

   L’ultimo pensiero che ero stata in grado di formulare era stato: Sto morendo.








Link all'illustrazione originale: http://lilithblack.deviantart.com/art/Morrigan-First-meeting-182845229












Odio le Mary Sue, i Gary Stu e l'OOC, per cui se pensate ch'io stia toppando alla grande vi prego di farmelo notare senza problemi. Anche perché, confesso, nel videogioco sono quasi arrivata a detestare Nimue perché LÍ è risultata troppo, troppo Mary Sue. La Nimue che immaginavo io, invece, è ben altra e vorrei riproporla qui, con tutti i suoi pregi, certo, ma anche con un bel corollario di difetti. Inoltre chiedo scusa per le varie differenze che troverete qua e là, ma da un lato non voglio scrivere una storia in cui riporto semplicemente ogni dettaglio del gioco (sarebbe una noia, altrimenti) e dall'altro confesso di non ricordare affatto tali dettagli. ^^; Che capra che sono...
Prima di chiudere, una piccola nota: Alistair lo odiavo davvero all'inizio. XD Scoprendo pian piano il suo personaggio, però, non ho potuto fare a meno di innamorarmene così com'è stato per tutti gli altri che ho preso nel mio gruppo, Morrigan in particolare. ♥
Grazie per la cortese attenzione,
Shainareth





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Capitolo 2
*** Ostagar ***












CAPITOLO SECONDO - OSTAGAR

 




Alistair mi aiutò a rimettermi in piedi e dovetti reggermi ancora a lui per via di un brutto capogiro. «Sono contento che ce l’abbiate fatta», mi disse. Nella sua voce non c’era più alcuna ombra di beffa, e di questo gliene fui grata. Se avesse continuato con i suoi stupidi scherzi, sicuramente mi sarei concentrata sull’orribile sapore che ancora mi impestava la bocca col preciso e maligno scopo di vomitargli addosso. «Alla mia Unione morì soltanto una persona», prese a raccontarmi in attesa ch’io riprendessi padronanza di me, «ma fu comunque terribile.»

   «Non stento a crederlo», biascicai. In realtà reputavo tutto quello una pazzia, ma mi guardavo bene dal palesarlo a lui o a Duncan. «Dunque… Ora sono un Custode Grigio?»

   «Sì», mi sentii rispondere. «Non temete, non avrete altre prove da affrontare», mi tranquillizzò. «A parte il rito di stanotte.»

   Levai lo sguardo ancora annebbiato su di lui. «Che rito?», domandai con un senso di smarrimento e di panico. Non era finita? Fino a quanto avrei dovuto sfidare la fortuna?

   «Quello in cui dovrete danzare nuda per l’accampamento e accoppiarvi con l’intero esercito.»

   Schiaffeggiai Alistair su un gomito – il suo viso si trovava troppo in alto per me – ed iniziai ad allontanarmi da lì, barcollando. Sapevo che mi stava seguendo, lo sentivo ridere alle mie spalle. «Vi divertite a prendervi gioco di me?»

   «Lo facevo solo per farvi rilassare», si discolpò. E compresi che probabilmente anche lui ne sentiva il bisogno, nessuno poteva rimanere impassibile ad uno spettacolo crudele come quello senza batter ciglio.

   «Da quanto tempo siete un Custode?», gli chiesi, rallentando ulteriormente l’andatura per invitarlo ad affiancarmi. Non che ve ne fosse bisogno, visti i miei passi incerti, ma accettai di buon grado il suo braccio anche per non crollare di nuovo a terra. Ad occhio e croce dovevamo avere la stessa età, anche se la mia condizione di elfo mi faceva apparire più giovane a causa della leggendaria immortalità della mia razza, ormai perduta in seguito alle unioni avvenute con gli umani. Ne dedussi perciò che anche per Alistair non fosse passato molto da che Duncan lo aveva sottratto alla Chiesa.

   «Meno di sei mesi», mi confidò, infatti. «E vi assicuro che, a parte l’inizio, poi ce la spassiamo alla grande.»

   «Ballando nudi al chiaro di luna?»

   «Quando siamo ubriachi.»

   Gli concessi la soddisfazione di strapparmi un sorriso. «Oh, non vedo l’ora di far baldoria insieme a tutti voi. Anche se dubito succederà presto.»

   «Con la Prole Oscura alle porte, la vedo difficile», confermò, fermandosi quando fummo arrivati alla mia tenda. «Per ora non pensateci», mi raccomandò. «Cercate solo di riposare. Probabilmente avremo bisogno di voi e dei vostri poteri prima di quanto vorremmo.» Detto questo, mi augurò la buonanotte e proseguì per la sua strada.

   Rientrai nel mio piccolo rifugio, lo stesso che condividevo con Wynne, un’Incantatrice anziana che conoscevo dai tempi del Circolo e che aveva lasciato la Torre mesi prima per seguire il Re sui campi di battaglia. Sebbene lei fosse ancora in giro e la luna non fosse troppo alta in cielo, mi lasciai cadere a peso morto sul mio giaciglio, intenzionata a saltare la cena per via dello stomaco sottosopra, e sprofondai in un sonno lungo e pesante, privo di quei sogni che avrebbero invece disturbato le mie notti a venire.

 

Il mattino dopo mi svegliai con una fame incredibile, il che mi fece supporre che, nonostante avessi ingerito quel velenoso intruglio oscuro, il mio corpo reagiva bene alla mia nuova vita da Custode Grigio. Guidata dall’ottimismo, ne parlai con Wynne mentre mi vestivo, e lei, gentile e premurosa come la ricordavo, mi consigliò di mangiare molto e, soprattutto, di sostanza. Avevo bisogno di recuperare le energie spese il giorno addietro e di immagazzinarne di nuove in vista dello scontro che si faceva sempre più imminente.

   «Come vanno le cose al Circolo?», volle sapere. Wynne vi era molto devota, ed era una di quei maghi che accettano di buon grado il controllo dei templari, poiché, come dice anche la Chiesa, la magia esiste per aiutare l’uomo, non per dominarlo.

   «Il Primo Incantatore sta bene», iniziai a rispondere, immaginando che quella fosse una delle prime notizie che avesse voluto avere. «Ma… poco prima della mia partenza c’è stato un incidente», fui onesta. «Creato anche da me.»

   Lei mi guardò scettica. «Siete sempre stata un’allieva modello. Permettetemi di dubitare della gravità di questa storia.»

   Era vero, non avevo mai creato problemi a nessuno né mi ero mai cacciata da sola nei guai. Tutto perché avevo paura delle punizioni dei templari, che pure non temevo troppo: c’era da farlo solo quando si era in presenza di un Maleficar, cioè di un Mago del Sangue, perché era allora che i soldati presenti alla Torre sguainavano davvero la spada con l’intento di fare del male se non addirittura uccidere. Io però non volevo rogne, neanche le più lievi, e se avevo macchiato il mio impeccabile curriculum di maga, era stato solo perché di mezzo c’era il mio più caro amico. Ecco l’unica ragione per cui muovevo il deretano dalla mia comoda e tranquilla posizione di innocua fattucchiera, per aiutare chi mi stava a cuore – e solo quando era strettamente necessario.

   Scossi il capo, mortificata. «Ricordate il mio amico Jowan?»

   «Il giovanotto con i capelli neri?», chiese Wynne, facendo mente locale. Aveva una buona memoria.

   «Mi aveva convinta a distruggere il suo filatterio affinché i templari non potessero rintracciarlo.» Un filatterio è quella ampollina di vetro in cui, per volere del Circolo e della Chiesa, viene conservato il sangue di ogni apprendista che mette piede nella Torre, così che, tramite quello, i templari possano sempre controllare i suoi movimenti e, nel qual caso dovesse svelarsi autore di malefici, raggiungerlo e giustiziarlo. Detto con le parole di Morrigan, un filatterio non è altro che un guinzaglio per i maghi.

   «Cosa? E perché?» Adesso il tono di Wynne si era fatto preoccupato.

   Sospirai, nascondendo il viso fra le mani. «Era innamorato della giovane apprendista sacerdotessa della cappella, Lily, e progettava di scappare con lei.»

   «Ma le sacerdotesse fanno voto di castità, così come i templari», continuava ad essere contrariata lei. Mi chiesi se non le sarebbe venuto un infarto quando avesse finito di sentire il mio racconto. «Perché li avete aiutati?»

   «Perché erano disperati…  Jowan confidava nella mia comprensione: qualcuno aveva messo in giro la voce che lui si interessasse di Magia del Sangue, e per questo volevano farlo diventare un Mago della Calma. Jowan non voleva rinunciare ai suoi sentimenti per Lily, né voleva farla soffrire dimenticandosi di lei. Voi lo sapete meglio di me, vero? Che chi non viene ritenuto in grado di affrontare il Tormento, viene sottoposto al rito che fa di lui un mago privo di emozioni e dedito soltanto ai propri doveri. Personalmente la trovo una barbarie. I templari ci trattano come se fossimo dei demoni.»

   «In alcuni casi hanno ragione a temerci», mi interruppe Wynne, accorgendosi che mi stavo scaldando. «O preferite lasciare ai meno dotati di noi la possibilità di accedere all’Oblio e di morire lì o, peggio, di liberare uno dei demoni che non vedono l’ora di impadronirsi di noi e di trasformarci in Abomini? Sapete di che sto parlando, avete superato da poco quella stessa prova.»

   Non aveva torto, ma, essendo nata in un’enclave ed avendo subito soprusi fin da bambina, la cosa mi faceva infuriare. «Ma c’è dell’altro», ripresi, senza riuscire a nascondere la vergogna.

   «E a giudicare dalla vostra espressione, dubito che mi piacerà», concluse Wynne, preparandosi al peggio.

   Mi feci coraggio e vuotai il sacco. «Eravamo riusciti a distruggere il filatterio, ma siamo stati scoperti poco prima della loro fuga. Io e Lily non abbiamo opposto resistenza, ma Jowan ha preferito rischiare il tutto e per tutto pur di non subire processi o, alla meglio, rimanere condizionato dalle leggi della Torre.»

   Wynne trattenne il fiato. «È davvero un Mago del Sangue?» Anuii, e lei si portò le dita alle tempie, chinando la testa e chiudendo gli occhi. «Come diamine vi è saltato in mente di aiutarlo? Non vi ha sfiorato l’ipotesi che, se accusato di essere un Maleficar, poteva esserlo per davvero? Come avete potuto essere tanto ingenua?»

   «Mi fidavo di lui! E si fidava anche Lily!», mi difesi, sentendo ancora bruciare quella ferita. «Quando abbiamo scoperto la verità, comunque, abbiamo deciso di lavarcene le mani e di abbandonarlo al suo destino.» E non avevamo potuto fare altrimenti: i Maghi del Sangue usano magie proibite, oscure, ed essere loro complici significa macchiarsi del medesimo crimine.

   «E poi cos’è successo?», mi invitò ad andare avanti Wynne, un poco più calma.

   Scrollai nervosamente le spalle. «Lily è stata portata via… Non credo se la caverà con poco, non nel posto in cui l’hanno rinchiusa. Ed io sono stata ad un passo dal fare la stessa fine. Mi ha salvata Duncan, reclamandomi fra i Custodi Grigi.» Solo allora realizzai che, forse, lui ed Irving avevano voluto affidare la mia vita alla sorte, facendomi prendere parte al rito dell’Unione. La rabbia mi divorò, ma solo per un istante, perché alla mente mi sovvenne che comunque il Primo Incantatore mi aveva presentata a Duncan prima dell’incidente e mi aveva chiesto di fargli da cicerone all’interno della Torre, magari per lasciargli modo di studiarmi. Il che poteva significare che i due avessero scelto me sin dall’inizio.

   «E Jowan?»

   «Svanito nel nulla. E spero non faccia altre sciocchezze.» Sbuffai, infastidita da quel ricordo e dal saperlo ridotto in quello stato. Jowan era stato forse il mio amico più caro durante gli anni di studio trascorsi al Circolo, e la scoperta che si era davvero lasciato sedurre dal lato oscuro della magia era stata per me una delusione più grave del suo tradimento nei miei confronti e in quelli della ragazza che diceva di amare.

   «Mi auguro davvero che abbiate ragione», disse Wynne, alzandosi da dov’era seduta. «Come sta Cullen?», domandò poi, finendo di raccogliersi i capelli canuti in una coda e lanciandomi uno sguardo eloquente che mi fece arrossire più della sua curiosità. «Era presente al vostro Tormento, immagino.»

   «Con tutti gli altri templari», confermai, impacciata.

   «Poverino. Se vi foste lasciata vincere dal Demone dell’Oblio, sarebbe impazzito dal dolore di dovervi uccidere.» Rimasi in silenzio, fingendo di trovare più interessanti le punte dei miei piedi delle sue allusioni. «Ha preso bene la vostra partenza?»

   «Non lo so, non ci ho parlato», risposi, riprendendo a vestirmi con una certa agitazione. In realtà non sapevo se i sospetti di Jowan – e a quanto pareva non solamente suoi – fossero fondati o meno, ma era un dato di fatto che quando provavo a rivolgergli la parola, Cullen iniziava a balbettare e a dire cose senza senso. Alle volte avevo addirittura il sospetto che mi prendesse in giro, vista la teatralità dei suoi gesti e delle sue frasi. Ad ogni modo, a differenza degli altri templari della Torre, Cullen si dimostrava gentile e sempre pronto a scambiare due chiacchiere – per quanto confuse fossero – con me, e questo mi impediva di trovarlo antipatico e, anzi, a sua insaputa gli avevo ormai fatto dono dell’aggettivo di buffo. Mi faceva tenerezza, per cui mi era impossibile non assecondare i suoi sorrisi sciocchi e melliflui. Rimaneva però il fatto che avesse preso i voti e che il suo compito consistesse nel tenere a bada i maghi, a volte combatterli. Forse persino me. Era assurdo fantasticare su un’eventuale svolta nel nostro disastroso rapporto di cavaliere innamorato e di principessa amata ma appartenente ad un mondo a lui ostile. Non c’era futuro, neanche per una semplice, vuota scappatella.

   Fui grata a Wynne quando cambiò argomento. Appena uscimmo all’aria aperta, dovetti socchiudere gli occhi a causa della luce del sole. Era una bella giornata, ed il cielo era completamente terso. Neanche sembrava esserci una minaccia in agguato. La fortezza di Ostagar, massimo punto d’avanzamento dell’Impero Tevinter nelle terre sudorientali dei barbari, era un tempo il più importante avamposto difensivo a sud del Mare del Risveglio. Si trovava al confine delle Selve Korcari e controllava ogni tentativo di invasione dei barbari oggi noti come Selvaggi Chasind. La fortezza occupava uno stretto passaggio tra le colline, e doveva essere aggirata per raggiungere i fertili bassopiani al nord, cosa che si era rivelata molto difficile a causa della sua posizione naturale. Come gran parte degli avamposti imperiali a sud, Ostagar era stata abbandonata dopo il crollo del Tevinter, durante il primo Flagello. Era poi stata saccheggiata dai Chasind e, quando la loro minaccia era venuta meno in seguito alla nascita del moderno Ferelden, Ostagar era caduta in rovina. Per quattro secoli era rimasta disabitata, anche se la maggior parte delle mura sono tutt’oggi in piedi, così come la Torre di Ishal, che prende il nome dal Grande Arconte che ne aveva ordinato la costruzione. Ostagar resta un testamento del potere magico dell’Impero, e Re Cailan e il Teyrn Loghain avevano deciso di assembrare proprio lì le truppe per combattere l’avanzata della Prole Oscura verso nord.

   Quando Wynne ed io raggiungemmo l’area adibita alla mensa, vidi una mano svettare in aria ed agitarsi vivacemente in cenno di saluto: Alistair. Si levò in piedi, lasciando i suoi compagni di colazione, e ci corse incontro, dandomi il buongiorno con un grosso sorriso stampato in faccia. Ricordo che in quel momento chiesi a me stessa se anche il mabari che avevo aiutato un giorno mi avrebbe riservato la stessa, scodinzolante accoglienza.

   «Come andiamo? Tutto bene?»

   «Sì, grazie. Ho dormito come un ghiro», lo rassicurai.

   «Incubi?»

   Feci segno di diniego. «Ero troppo impegnata a dormire.»

   «Credetele. Non mi ha neanche sentita rientrare in tenda», confermò Wynne.

   Alistair si accorse finalmente della sua esistenza. «Oh, voi siete sua nonna?»

   Impallidii all’istante, scandalizzata io per prima per quell’insolenza che mai, mai e poi mai avrebbe dovuto mostrare nei riguardi di una donna. Specie se effettivamente anziana come Wynne. Quest’ultima, tuttavia, mi sorprese, distendendo le labbra in un’espressione divertita e prendendo molto sportivamente lo scherzo di quel disgraziato. «Se lo fossi dovrei avere anch’io le orecchie a punta, non credete? Le sue sono molto graziose.»

   «Ah», rise lui, rivolgendomi uno sguardo di trionfo. «Che vi dicevo, ieri?»

   Sospirai, arrendendomi all’umore gioviale dei due. «Ci sono novità?»

   Alistair parve pensarci un attimo, mentre ci accompagnava in cerca di posti liberi. «Re Cailan vorrebbe aspettare aiuti da Orlais, ma Loghain si oppone. C’è da capirlo, ci ha combattuto una memorabile guerra, anni fa. È diventato quello che è proprio per le sue imprese di quei tempi.»

   «Non sono esperta di guerre», aveva preso parola Wynne, «ma sono del parere che dovremmo accogliere di buon grado tutto l’aiuto che ci viene offerto. Il Flagello avanza, e presto potrebbe non essere più un problema del solo Ferelden, ma di tutto il Thedas.»

   «È quello che pensano anche il Re e Duncan», concordò Alistair. «Loghain è un abile combattente ed un ottimo stratega, ma in certi casi dovrebbe lasciare da parte l’orgoglio. Stiamo parlando di una cosa troppo grande perché le armate del Ferelden possano gestirla da sola. Figurarsi uscirne vittoriose.»

   «Ho sentito dire che Loghain preferirebbe non scendere in battaglia, stanotte.»

   «Su questo non ha del tutto torto», affermò quando trovammo un tavolo quasi libero. «Anche Duncan non è convinto che sia una buona idea. Teme che alla testa dell’orda di Prole Oscura che affronteremo possa esserci un Arcidemone», e nel dirlo abbassò la voce. «Il Re però si fida del suo istinto e non vuole aspettare. È convinto che Loghain possa studiare per tempo una tattica che ci farà vincere. Lo stesso Loghain che cerca di mettere zizzania fra lui e Duncan. Oltre che fra il Re e sua moglie.»

   «Hanno litigato di nuovo?»

   Alistair alzò le spalle. «Non che mi interessino le loro beghe amorose, ma è uno dei pettegolezzi che fanno girare qui all’accampamento. Loghain è il padre della Regina Anora, è normale che lei si senta soffocare dalla sua posizione di mediatrice.»

   «Perché Loghain vuole allontanare Duncan dal Re?», non mi trattenni dal chiedere, scrutando da parecchia distanza l’uomo dai capelli neri e due pesanti ombre sotto gli occhi. Come se mi avesse sentita, Loghain levò lo sguardo nella nostra direzione, incrociando il mio e lasciandomi inquieta per quel suo aspetto lugubre.

   «Al Teyrn non vanno a genio i Custodi Grigi», mi comunicò Alistair, greve. «Non so i dettagli. Forse teme che, essendo Cailan aperto come suo padre, il nostro ordine possa passare in primo piano e magari oscurare la sua popolarità. È solo un’ipotesi, ma potrebbe essere vera.»

   «Sciocchezze», sbuffò Wynne, accigliata. «I Custodi Grigi sono stati riammessi nel Ferelden vent’anni fa proprio da Re Maric per la loro utilità in situazioni come quella che stiamo vivendo. Lui e Duncan erano buoni amici.»

   Alistair si chiuse improvvisamente nel silenzio, per cui, vedendolo fermo e muto, i suoi compagni lo reclamarono alla loro tavola. «Devo andare», disse. Mi rivolse un’occhiata e poi chiese: «Volete venire con me? Vi presenterò al resto del gruppo.»

   «Oh», fui colta alla sprovvista, come se fino a quel momento mi fossi convinta erroneamente che gli unici altri Custodi presenti ad Ostagar, oltre me, fossero lui e Duncan.

   «Suppongo sia una buona occasione per farsi degli amici», mi suggerì Wynne, ammiccando. «Almeno così sentirete meno la mancanza di quelli che avete lasciato alla Torre.»

   Aveva ragione. Come sempre da che l’avevo conosciuta. «D’accordo, allora», acconsentii.

   «Da questa parte», disse Alistair, aprendomi la strada con un ampio gesto del braccio.

   Salutai Wynne e seguii il mio compagno; il quale subito si premurò di presentarmi a tutti. Non ero l’unica donna, e non fui neanche troppo sorpresa di vedere tra i Custodi Grigi altri elfi, maghi e persino dei nani, benché gli umani guerrieri fossero di gran lunga in maggioranza. Quello che mi sconcertava era ben altro: per ognuno di loro, probabilmente altri avevano perso la vita esattamente come Jori e Daveth. Sapevo chi erano i Custodi Grigi, ed ero anche consapevole di ciò che essi rappresentavano agli occhi del mondo. Tuttavia, io non ero stata tanto nobile da anteporre il bene di tutti al mio, e se mi ero unita a loro era stato solo perché costretta dalle circostanze.

   Essere al centro dell’attenzione, comunque, non mi piaceva. Di più, mi spaventava. E vista la mia ritrosia nello spiccicare parola, Alistair trovò il modo per rompere il ghiaccio, oltre che la sua testa per mia mano. «Nimue è la mia ragazza», annunciò, sedendosi accanto a me. Lo sguardo che gli lanciai fu tale che metà di quelli che udirono quella frase scoppiò a ridere. Ringraziai il Creatore che Duncan fosse assente.

   «Attento, Alistair», prese le mie difese una donna con una vistosa cicatrice sul viso. Non volli immaginare come se la fosse procurata. «Mai suscitare il desiderio di vendetta di una signora. A maggior ragione se è una maga.»

   «Nimue è buona», giurò lui, convinto davvero delle sue argomentazioni. «Non si addentrerebbe mai in chissà quali arcani segreti solo per tramutarmi in un ammasso inumano e ripugnante di squame e pelo», disse, incrociando i miei occhi. «Dico bene?»

   Studiai il colore nocciola delle sue iridi e compresi. «Avete la coscienza sporca?»

   «Non ancora, ma so già che stuzzicherò non poco la vostra pazienza. Lo faccio con tutti», mi mise in guardia.

   Annotai l’informazione, pur non riuscendo a capire se egli andasse realmente fiero di quel lato dispettoso del suo carattere. «In tal caso potrei sempre decidere di darvi fuoco.»

   «Non lo fareste mai», rise. Sul suo volto, però, lessi con soddisfazione il dubbio ch’io potessi dire il vero.

   «Alistair, oggi tocca a te rimettere in ordine il magazzino. Sbrigati», gli ordinò qualcuno dal fondo della tavolata.

   «Perché a me?», si accigliò lui, contrariato. «L’ho fatto due giorni fa.»

   «Ma ieri no», gli fu risposto. Ecco come crolla un leader, pensai fra me.

   «Avevo da fare, stavo eseguendo gli ordini di Duncan», insistette Alistair. «E poi perché devo farlo sempre io?»

   «Perché sei la più giovane delle reclute.»

   Aprì bocca per replicare, ma si trattenne e si girò verso di me. «Quanti anni avete?»

   «Ha importanza?»

   «Avete già capito dove voglio arrivare, vero?»

   «Se state per chiedermi di prendere il vostro posto, vi risparmio la fatica.»

   Alistair mi ignorò bellamente, cercando nel mio aspetto qualcosa che smascherasse la mia età. «Siete più giovane di me. Dovete esserlo.»

   Mi lasciai scappare un sorriso. «E voi dovete essere un bell’ingenuotto. Gli elfi fisicamente invecchiano dopo rispetto agli umani. Potrei avere il doppio dei vostri anni.» Il che era esagerato, ma volli comunque mettere alla prova la sua intelligenza.

   Il suo giudizio rimase in sospeso per qualche istante. «Non vi credo. Siete reduce dal Tormento, il che significa che avete appena concluso il vostro corso di studi al Circolo dei Magi. È impensabile che abbiate più di vent’anni. Ed è già dir tanto.»

   «Vi lascerò con questa convinzione», affermai, poiché Alistair aveva fatto un ragionamento impeccabile, eccetto che per un particolare: non aveva idea di quanti anni avessi quando i templari mi avevano condotto alla Torre. Potevo averne avuti cinque, otto, dieci o persino quattordici. Ma notando come lui ci fosse rimasto male, decisi di scendere a patti. «Vi rivelerò la mia età solo se promettete di aiutarmi col magazzino.»

   «Allora è vero che siete più giovane di me», concluse lui, impettito.

   Risi più per la sua espressione che per la discussione. «Questo non posso dirlo se non so con certezza la vostra età, prima. E comunque sono l’ultima arrivata, è giusto che adesso i lavori più fastidiosi tocchino a me.»

   «Vi avrei aiutata lo stesso. Siete una donna, non sarebbe galante lasciarvi fare tutto da sola.»

   «Ed è anche piccolina», aggiunse il suo vicino, avendo ascoltato per intero la nostra conversazione. «Si spezzerà sotto il peso della prima cassa, quindi se non la vuoi avere sulla coscienza ti conviene aiutarla per davvero.»

   «Mi sono perso qualcosa?», domandò l’ultimo arrivato, un uomo scuro con la barba incrostata di qualcosa che mi riusciva impossibile identificare.

   «Alistair s’è trovato la ragazza», iniziarono a canzonarci gli altri.

   «Era anche ora», applaudì lo sconosciuto. «Bella scelta, ragazzo. Gli elfi femmina ce l’hanno più stretta.»

   Mi si contorse lo stomaco e piantai lo sguardo, furioso, sul mio pasto. Ormai non mi imbarazzavano più certi luoghi comuni; da che ho memoria, all’enclave ero stata abituata a sentire di peggio dai signorotti locali che di tanto in tanto scavalcavano i cancelli per venire a prendersi gioco di noi o, non di rado, a molestare le ragazze più giovani – finanche ad imporre loro vere e proprie violenze fisiche. Quando avevo lasciato quel luogo ero troppo piccola per subire quel tipo di attenzioni, per fortuna, però il rancore per quello che anni prima avevano fatto a mia sorella maggiore rimaneva e si rinnovava in me tutte le volte che qualcuno o qualcosa riportava a galla quegli orribili ricordi.

   «Non altra parola.» Alistair prese le mie difese prima ancora che lo facessero gli altri, che pure mi dimostrarono solidarietà nonostante alcuni riuscirono a ridere per quell’infelice battuta. «Portatele rispetto o io non ne avrò per voi.»

   «Andiamo, vuoi davvero trattarla come una donna?» Il tono della voce di quell’uomo mi ripugnava. «Gli elfi femmina servono solo a pulire e a svuotarti le palle.»

   «Se aveste un minimo di cervello», iniziò seriamente ad inalberarsi Alistair, e non solo lui, «terreste la lingua a freno. State parlando di un Custode. Come voi e me.»

   «Un Custode che ce l’ha stretta», intervenne non so chi, dando man forte al suo disgustoso compare. «Lascia perdere, Krain. Cosa vuoi che ne sappia un templare di com’è fatta una femmina?»

   Afferrai la scodella con la mia razione di cibo e mi alzai da tavola, notando lo smarrimento sul volto del mio difensore. «Alistair, mostratemi la strada per il magazzino, per favore», gli dissi, cercando di apparire dolce nonostante dentro mi sentissi esplodere come un vulcano.

   «Subito», assentì dopo qualche attimo, che sfruttò per riprendersi. «Io… mi scuso per la loro maleducazione», aggiunse poi.

   «Non datevene pena», risposi, affrettando il passo per mettere il maggior numero di metri fra me e quei bastardi. «Non è certo colpa vostra», lo rassicurai, evitando di mettere il dito nella piaga nel ricordargli che alla fine ci era andato di mezzo anche lui. «Ci sono abituata.»

   Non potevo vedere la sua espressione, concentrata com’ero su ciò che si parava davanti a me e nient’altro. Ero intenta soltanto a sbollire la rabbia e, credo, lui dovette accorgersene, perché prese a spiegarmi che, sfortunatamente, non tutti i Custodi Grigi erano senza macchia. «Vedete… Tra noi ci sono anche assassini e meretrici. Siamo un po’ come la Chiesa, accogliamo chiunque voglia unirsi a noi per amore di giustizia o perché non ha altra scelta.»

   «Come noi due, quindi», ringhiai fra i denti così piano che lui parve non udirmi.

   Alla fine, comunque, ci occupammo davvero del magazzino insieme, e quando riuscii a rilassarmi un po’, scoprimmo che avevo un anno più di Alistair. Questi mi accusò di prenderlo in giro, tornando ad atteggiarsi a grande eroe come aveva fatto quando ci eravamo conosciuti. In verità non era affatto lo spaccone che voleva far credere, anzi. Era persino più modesto di me. E più nobile, perché mi sbagliavo sulla motivazione che l’aveva spinto ad unirsi ai Custodi: non aveva accettato l’invito di Duncan unicamente per liberarsi di un destino da templare, ma perché Alistair credeva davvero di poter fare qualcosa per il mondo. Quel giorno scoprii dunque che il suo carattere timido ed insicuro – poiché tale si stava rivelando finalmente ai miei occhi – lo penalizzava molto sul piano sociale, al punto che l’unico modo che aveva per vincere queste sue debolezze era quello di trincerarsi dietro ad un sorrisetto beffardo e di snocciolare battute a volte irriverenti prima ancora che altri potessero ferirlo. Non potevo sapere quale procedimento lo avesse portato ad assumere tale atteggiamento verso il prossimo, ma ipotizzavo che potesse entrarci l’esistenza infelice che aveva condotto nell’abbazia in cui lo avevano costretto a studiare. Ed io, che avevo vissuto al chiuso della Torre del Circolo dei Magi per tanto, troppo tempo, lo capivo perfettamente.

   Da come ne parlava, comunque, non era difficile intuire che Alistair provasse grande ammirazione per i Custodi Grigi – e per Duncan in particolare – nonché che fosse contento di quella nuova vita che invece in me lasciava ancora molte riserve, a cominciare dal rito di iniziazione. Non esposi i miei dubbi, non volevo turbarlo né interrompere l’armonia delle sue chiacchiere – Alistair era invero uno di quei pochi uomini che in certi momenti danno del filo da torcere al cicaleccio insistente delle donne. Avevo per lo meno iniziato ad accantonare la mia antipatia nei suoi confronti, del tutto immeritata, concedendogli di ricominciare da zero non solo perché mi aveva salvato la vita nelle Selve o perché continuava a trattarmi con un occhio di riguardo, probabilmente perché giovane quanto lui e pertanto inesperta della vita. Non aveva tutti i torti, poiché non mi era capitato spesso di lasciare il Circolo, anzi, e questo mi aveva a lungo isolata dal mondo al di fuori delle mura della Torre. Apprezzavo tutto questo, e più ci parlavo, più mi rendevo conto di quanto, scherzi a parte, egli fosse sincero e armato di buona volontà, qualità che avrebbero mandato in estasi nonna Wynne e che di certo non potevano lasciare indifferenti me: ero così anch’io.

   Verso sera fummo mandati a chiamare da Duncan. A dispetto del sole mattutino, il cielo si era coperto di nubi, ed una fitta pioggerella cadeva incessante su di noi. Nell’accampamento erano tutti in fermento per l’imminente scontro, ed il caos la faceva da padrone nel suo pur ordinato viavai di soldati, servi, maghi e sacerdotesse. Non erano pochi quelli che se ne stavano inginocchiati ai piedi della statua di Andraste che torreggiava su un grande spiazzo, mentre preghiere e benedizioni venivano pronunciate attraverso un palpabile velo d’incenso che mi faceva girare la testa. Due volte fui afferrata e strattonata per un braccio perché scambiata per una degli elfi domestici, ed Alistair, infastidito, intervenne ancora in mio soccorso assicurando che ero lì in qualità di Custode Grigio e non di sguattera. Dal modo in cui urlò per sovrastare il chiasso che riempiva l’aria tutt’intorno, mi convinsi definitivamente che non mentiva riguardo alle mie orecchie.

   Quando raggiungemmo i nostri compagni, Duncan aveva da poco preso parola, iniziando a discutere di quello che, con tutta probabilità, ci saremmo ritrovati ad affrontare dì a poco. Tutti prestavano grande attenzione, meno me che mi ritrovavo davanti ad una muraglia di persone che mi sovrastavano in altezza di almeno una testa, non consentendomi di vedere il nostro oratore. Provai a spostarmi sulla destra, poi sulla sinistra; mi misi persino in punta di piedi ma nulla. Non potendo rimanere indifferente al quel continuo agitarmi, Alistair mi scoccò un’occhiata seccata e, intuito il mio problema, non riuscì a fare a meno di ridere. Lo odiai per questo.

   «Salite sui miei piedi», mi disse. Lo fissai scandalizzata. E offesa. «Avete ragione, non cambierebbe molto», infierì lui, tornando a far nascere in me il desiderio di schiaffeggiarlo. «Sulle spalle, allora.»

   «Siete matto?», sibilai, furiosa. Considerato anche il fatto che ero in piena sindrome premestruale, quel ragazzo rischiava seriamente la vita. «È sconveniente. E ridicolo», aggiunsi, imbarazzata.

   «Avete un’idea migliore? Volete che vada a prendervi una cassa su cui arrampicarvi?»

   Un tizio vicino a noi ci intimò di fare silenzio prima ancora ch’io potessi ribattere con indignazione. Infine, non riuscendo a trovare vie d’uscita, persi la battaglia contro il mio orgoglio e mi inerpicai sulla schiena del mio compagno, dandogli uno scappellotto quando mise una mano dove non avrebbe dovuto. Qualcuno rise. A parte quel piccolo incidente di percorso, comunque, come torre Alistair era perfetto. Pur non essendo un gigante, era alto abbastanza da consentirmi una visuale ampia di tutto ciò che ci circondava. La voce di Duncan ebbe un’incertezza nel preciso istante in cui i suoi occhi scuri si accorsero di noi, e nonostante questo proseguì stoicamente nel suo discorso. Con me era sempre stato gentile e disponibile, dolce persino; eppure adesso lo animavano un ardore ed una forza capaci di irretire chiunque. Il carisma e la grandezza di quell’uomo non erano secondi a nessuno. Ecco perché Alistair lo ammirava tanto.

   «Nella guerra, vittoria. Nella pace, vigilanza. Nella morte, sacrificio.» Fu questo il motto con cui Duncan chiuse il suo monologo, lo stesso motto che apparteneva all’ordine sin dalla sua fondazione, quattro secoli prima.

   Scivolai giù dalle spalle di Alistair, trovando piacevolissimo il contatto delle suole dei miei stivali sul ciottolato bagnato e tornando a guardare il mondo dalla solita prospettiva a cui ero abituata. Non sapevo poi molto sui Custodi Grigi, ma dovevo ammettere che cominciavo ad essere fiera dell’opportunità che mi era stata data di affiancarli contro la Prole Oscura. Tutti parlavano di mettere mano alle armi, li sentivo, e l’idea di scendere in campo in una battaglia in grande stile mi spaventava ancora. Provai ad indagare lo stato d’animo del mio collega più giovane e non potei fare a meno di gemere davanti alla luce che gli faceva brillare le pupille: era ansioso di seguire gli altri in guerra. Pensai che fosse vittima della follia collettiva o che forse quell’insano desiderio derivasse dalla sua condizione maschile; anche alla Torre del Circolo, infatti, la maggior parte dei duelli che avvenivano fra gli studenti erano organizzati da ragazzi come lui, abbastanza grandi per sentire e amare l’adrenalina, eppure troppo infantili per comprendere fino in fondo i rischi che un combattimento – sia pure fatto per gioco – potesse comportare. Ma quello che stavamo per affrontare era un Flagello, non una gara di abilità. E se da una parte apprezzavo il coraggio di Alistair e degli altri guerrieri, rimproverando per la prima volta a me stessa quella paura che per anni mi aveva tenuta lontana dai guai al Circolo, dall’altra continuavo a sperare che almeno le reclute fossero esentate dal prendere parte alla battaglia di quella notte.

   Prima che potessi dire, fare o riflettere su altro, il Creatore aveva deciso per me e Alistair diversamente; e sempre Gli sarò grata per questa Sua scelta. Duncan si fece largo fra la folla fino a che non ci raggiunse. «Voi due, venite con me», ci disse con espressione poco serena sul volto scuro. Non esitammo a seguirlo senza osare porre domande. Ci condusse in un posto appartato e meno caotico, quello in cui lui, Loghain ed il Re stavano finendo di studiare la strategia finale.

   Avevo visto Cailan soltanto una volta, al mio arrivo ad Ostagar il giorno addietro, quando Duncan me lo aveva presentato. Per quei pochi minuti in cui si era premurato di parlarmi, il Re si era dimostrato gentile ed io, come già detto, mi ero sentita in qualche modo affascinata dalla sua vitalità e dal suo ottimismo. Adesso che lo vedevo di nuovo, però, la prima cosa che mi saltò all’occhio fu un’altra: mi ricordava qualcuno. Alistair. C’era qualcosa, nello sguardo, o forse nel modo di parlare… Credo che li accomunassero una boriosità simile eppure opposta – autentica quella di Cailan, ostentata quella di Alistair – e l’allegria che le loro chiacchiere riuscivano a diffondere nell’aria. In ogni caso, su una cosa erano completamente diversi: Cailan era sempre positivo e non si lasciava scoraggiare mai; Alistair era pessimista per natura e cadeva facilmente preda dell’ansia a causa del suo carattere troppo sensibile. Ma queste sarebbero state tutte cose che avrei imparato col tempo e che all’epoca non avrei davvero potuto notare.

   «Formeremo due blocchi d’attacco», iniziarono a spiegarci. Nel primo si sarebbero schierati il Re con il suo esercito, e Duncan con i Custodi Grigi; nel secondo, il resto delle armate presenti, capeggiate da Loghain, che, al segnale dato dal fuoco acceso sulla torre più alta dell’accampamento, avrebbe guidato i rinforzi in aiuto dei compagni già impegnati in battaglia. A dire il vero non mi intendevo di tattiche di guerra, per cui non sapevo se lasciarmi influenzare dal volto gioviale di Cailan o se invece da quello tetro di Loghain, molto scettico riguardo al buon esito dello scontro – ma, chissà per che motivo, preferii assecondare la mia preoccupazione tipicamente femminile. In ogni caso, mi sfuggiva ancora la ragione per cui eravamo stati mandati a chiamare soltanto noi fra tutti i membri del nostro ordine, ed il fatto che Duncan accennasse alla possibilità che l’esercito nemico fosse guidato da un Arcidemone, come mi aveva già detto Alistair, mi fece tremare le gambe.

   «Cosa faremo se c’è davvero?», domandai, tentando di apparire più calma di quanto fossi in realtà.

   «Ce la faremo sotto, ecco cosa», rispose Alistair, l’unico capace di darmi retta, al momento – e di leggermi nel pensiero.

   «Nimue», mi chiamò Duncan, avvicinandosi a noi. «Non scenderete in campo. Non stanotte.» Avrei voluto baciarlo. «Sarete voi ad occuparvi del fuoco sulla Torre di Ishal», cominciò ad istruirmi. «Da lassù potrete avere una panoramica di tutta l’area circostante, quindi vi renderete subito conto di quando giungerà il momento in cui dovrete dare il segnale alle truppe del Teyrn.» Spostò gli occhi bruni su Alistair, ed i suoi lineamenti parvero addolcirsi. «Voi l’accompagnerete», lo informò.

   «Cosa?», stentò a crederci l’altro, stordito da quella notizia che, a quanto pareva, lo contrariava parecchio. «Io voglio combattere con voi!»

   «È un ordine», ribatté Duncan. Eppure dal tono che usò non mi parve davvero tale. Ciononostante, bastarono alcuni istanti di silenzio ed uno scambio di sguardi perché Alistair chinasse il capo e si arrendesse senza avanzare nuova proteste.

   Quella fu l’ultima volta che vedemmo Duncan e Re Cailan, perché quella notte sarebbe passata alla storia del Ferelden come la notte della strage, quella in cui l’intero ordine dei Custodi Grigi del nostro regno venne annientato dalla Prole Oscura a causa del più vile dei tradimenti.

   Lo scontro infuriò prima del previsto e l’intero accampamento fu preso d’assalto. Ma quella non doveva essere una mia preoccupazione, poiché era un altro il compito che ci era stato assegnato, dal quale dipendevano le sorti di ognuno. E tuttavia, quando giungemmo all’ingresso della Torre di Ishal, trovammo ad attenderci la peggiore delle sorprese: il nemico si era già impadronito dell’intera costruzione, annientando completamente i soldati posti a guardia. Forse non dovevamo scendere in campo con l’esercito maggiore, ma anche Alistair ed io adesso eravamo costretti a batterci per salvare la vita nostra e degli altri. Ci unimmo alle ultime difese presenti col disperato proposito di riconquistare la torre. Non fu semplice, e nonostante fino a quel momento non avessi mai mostrato un cuor di leone, stupii me stessa mantenendo una parziale lucidità e reggendo il gioco ai miei compagni. Ero l’unica maga del gruppo, e la loro salute dipendeva anche da me e dalle mie capacità di guaritrice. Non ero un asso, ma sapevo cavarmela e tanto doveva bastare. La mia mente volò a Wynne, chiedendomi dove fosse e se sarebbe riuscita a cavarsela. Lei era una Guaritrice Spirituale. Ammiravo i suoi poteri, li trovavo estremamente utili, benché poco offensivi, cosa rischiosa se ci si trovava in situazioni del genere.

   Col supporto mio e di Alistair, che finalmente poteva sgranchirsi i muscoli come e quanto voleva, fummo in grado di recuperare terreno. Incontrammo difficoltà nei pressi dell’armeria, ma la facemmo franca grazie anche alle grosse balestre posizionate a nostro favore. Subimmo comunque pesanti perdite, ed in cima alla torre arrivammo soltanto in quattro. Fu lì che, come se ci avesse aspettato, ci imbattemmo nel bestione più grosso che avessi visto fino ad allora: un Ogre. Era alto almeno tre metri, massiccio, dalla spessa pelle bluastra e con grandi corna tortili e ramificate sulla sommità del capo. Lui solo, col suo aspetto decisamente poco rassicurante, ci separava dal compiere la nostra disperata missione.

   Indietreggiai, atterrita dal suo ruggito, e quando iniziò una pesante corsa nella nostra direzione, l’istinto ebbe la meglio e gli scagliai contro un Glifo di Paralisi, immobilizzandolo per una lunga manciata di secondi. Giurandomi amore eterno, Alistair e gli altri due guerrieri gli furono addosso, colpendolo il più possibile fintanto che l’Ogre rimaneva inoffensivo. Mi unii a loro con quel poco che potevo fare, cercando di non dar fuoco a nessuno che non fosse blu e di risparmiare le energie per un nuovo eventuale glifo. Il bestione si liberò dal mio incantesimo e, infuriato e ferito, caricò sui suoi assalitori, incornando una delle guardie che vomitò sangue prima di essere scagliata di sotto, dove il Re ed i Custodi erano alle prese con diversi esemplari di pachiderma come quello che, me lo sentivo, stava per ucciderci tutti. L’Ogre lanciò un nuovo urlo di guerra, facendo tremare il pavimento e costringendomi in ginocchio. Si scagliò verso di me, l’unica a non indossare un’armatura, e se non fui spazzata via da una sua zampata fu solo merito di Alistair, che mi afferrò per un braccio, anche a costo si spezzarmelo, e mi trascinò lontano. Riparammo dietro ad alcune macerie crollate da una delle pareti che fino ad un attimo prima avevano sorretto l’entrata, e lì, ansimando per la fatica e lo spavento, mi rese partecipe del suo piano.

   «Io lo attiro e voi lo colpite con i vostri incantesimi.»

   «Siete matto?! Vi farete ammazzare!», strillai, isterica, mentre la voglia di piangere si impadroniva di me. Voleva lasciarmi da sola dopo aver assistito alla sua morte?!

   «Forse», ammise lui, fissandomi negli occhi. «Ma confido che voi mi salverete.» Era serio. Tremendamente serio. Potevo deluderlo? No. E nemmeno volevo farlo.

   Accettai la sua idea, pur tremando di paura, e mentre lui scattava di lato, uscendo allo scoperto per correre a dare man forte all’ultimo dei soldati rimasti, iniziai a recitare la prima delle numerose formule magiche che fui costretta a gridare in quella notte disperata. Fu col cuore in gola che iniziai l’attacco in piena regola, quando ormai il solo Alistair era in grado di rimanere in piedi, scappando da una parte all’altra per evitare che l’Ogre avesse abbastanza tempo per colpire, seppur lento rispetto a noi. Dovevamo approfittare di quella sua debolezza, e mi resi ben presto conto che, allo stato attuale delle cose, la soluzione escogitata da Alistair era forse l’unica in grado di salvarci la vita. Sempre ammesso che il nemico fosse crollato prima che noi due avessimo esaurito le energie. Tra un incantesimo offensivo e l’altro, oltretutto, dovevo cercare di difendere anche il mio compagno, ricorrendo in più occasioni alla Magia Guaritrice, perché non sempre gli riusciva di schivare i pesanti attacchi del nemico. Non osavo immaginare quanto fosse sofferente, ma fino a che Alistair fosse rimasto dritto sulle gambe, io non avrei ceduto alla stanchezza: si fidava di me ed io di lui. Non importava come, ma saremmo sopravvissuti almeno fino a che non avessimo acceso quel dannato fuoco, poiché Duncan e Re Cailan attendevano il nostro aiuto.

   Sbiancai quando l’Ogre riuscì ad agguantare Alistair, stringendolo nel palmo della mano e picchiandolo con forza tale che temetti che fosse morto sul colpo. Vidi il bestione caricare un secondo pugno, e ricorsi alle mie ultime riserve di magia per imprigionarlo di nuovo in un Glifo di Paralisi. Funzionò, ed Alistair cadde al suolo, restando fermo per alcuni attimi che mi parvero eterni. Quando si mosse, il mio cuore riprese a battere, sentendomi ormai del tutto svuotata. Più testardo di me, e pur grondante di sangue e sudore, rinsaldò la presa attorno all’elsa della spada, scagliando lo scudo per aria dopo averlo quasi spaccato sulla testa dell’Ogre che, immobile, assisteva impotente alla propria morte. Alistair cacciò un urlo liberatorio dai polmoni, utilizzando il corpo stesso dell’avversario come base d’appoggio non appena lo atterrammo per mezzo di un mio Quadrello Arcano e di una spallata in cui lui, probabilmente, riportò una brutta lussazione. Tuttavia, nemmeno stavolta si lasciò vincere dal dolore e, agguantando la propria arma a due mani, ne piantò a fondo la lama nella gola dell’Ogre che provò a ruggire ancora, senza successo. Il suo rantolo morente si perse nel clangore della battaglia che imperversava di sotto.

   Ritrovato il movimento delle gambe, corsi verso Alistair, scivolando sul bagnato, ma pronta a sostenerlo mentre scendeva dal cadavere del bestione. Lui mi gridò di non perdere tempo e di curarmi unicamente del fuoco. Obbedii, sentendo il suo passo zoppicante raggiungermi subito dopo. Le fiamme avvamparono in fretta, nonostante la pioggia, alte abbastanza perché chiunque, nel raggio di diverse miglia, potesse vederle. Eppure non facemmo in tempo a tirare un sospiro di sollievo che il resto del muro ancora in piedi alle nostre spalle crollò, ed un’orda di Prole Oscura ci fu addosso. Caddi a terra, sentendo la voce di Alistair chiamare forte il mio nome fra il sibilo delle molte frecce che ci venivano scagliate contro e che mi trafissero in più punti. Poi, il niente.








Link all'illustrazione originale: http://lilithblack.deviantart.com/art/Nimue-Alistair-179476370












Oddio, non credevo di ricevere tante recensioni. Sono commossa, davvero. ♥
Come avrete notato, in questo capitolo ho cominciato a prendermi le libertà di cui parlo nella sintesi che presenta la ff: insomma, non voglio fare una triste telecronaca degli eventi che, in fin dei conti, vive chiunque giochi a Dragon Age: Origins. Ho voluto rendere più importante il personaggio di Wynne rispetto a quello che è, in questa sorta di cappello alla storia, perché mi pareva improbabile che lei e Nimue non si fossero mai incontrate alla Torre del Circolo (benché è anche assurdo pensare che tutti i maghi si conoscano fra loro, ma vista la dedizione di Wynne al Circolo, ho preferito così). E con la presenza di Wynne, spero di aver dissolto i dubbi di The Mad Hatter che mi aveva ricordato di lei: non c'è pericolo ch'io la dimentichi, tranquillo. ^^
Per rispondere invece a Laiquendi, forse ha ragione a dire che scendo troppo nei particolari, ma questi mi servono per caratterizzare a trecentosessanta gradi la protagonista, che, se ci pensate, è l'unica novità di questa fanfiction, e quindi l'unica cosa su cui io possa lavorare di fantasia. Oltretutto non faccio mistero di una cosa: dilungarmi in descrizioni e dettagli mi serve per esercitarmi nella scrittura. Quindi chiedo ai lettori di pazientare nel qual caso dovessi risultare logorroica. Per amore di sincerità, anzi, ammetto di aver allegramente scopiazzato la descrizione di Ostagar dai codici del videogioco. Ehm... XD (Quanto ad Alistair, cara Laiquendi... Nonostante lo sia abbastanza, non c'è pericolo che io lo faccia pucci-pucci, credimi: lo adoro troppo quando fa lo scemo. XD)
Inoltre invito chiunque abbia qualche dubbio o critica a farsi avanti, perché sono sempre pronta al confronto di idee, con la speranza che le vostre parole mi aiutino a migliorarmi. :D
Nel momento in cui pubblico questo secondo capitolo, sono già alle prese con il sesto. E devo anche confessarvi una cosa: mi spiace per Alistair, ma muovere Morrigan è dannatamente divertente. XD
Grazie di cuore a chi legge, ai due recensori da me nominati poc'anzi, e a NicoDevil e ad Atlantislux (che, povera santa, mi fa anche da beta nonostante non sappia un'acca di questo fandom).
Shainareth
P.S. Ah, per inciso: dopo averci perso su mezz'ora, la battaglia contro l'Ogre sulla Torre di Ishar l'ho risolta davvero come l'ho descritta. ^^;





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Capitolo 3
*** Soli ***







CAPITOLO TERZO - SOLI




Mi svegliai di soprassalto, balzando a sedere e rabbrividendo per il freddo. Avevo la testa sottosopra e il corpo intorpidito, ma ero viva, scampata per la seconda volta alla morte nel giro di pochissime ore. Qualcuno doveva vegliare su di me in maniera instancabile, e che fosse il Creatore o la Sua amata sposa Andraste, poco mi importava.

   «Dovresti evitare di agitarti.»

   Trasalii perché non mi ero affatto accorta della presenza accanto a me; ed io fissai due occhi smarriti e probabilmente poco intelligenti su Morrigan, in piedi al mio capezzale. «Dove sono?», domandai in tono roco, mentre mi rendevo conto di essere nuda, a parte alcune bende che mi fasciavano il corpo lì dove le frecce della Prole Oscura mi avevano colpita. Eppure adesso quasi non sentivo dolore. Mi avvolsi nella coperta più per mancanza di calore che per pudore.

   «A casa mia», mi sentii rispondere. Il mio sguardo vagò tutt’intorno e mi parve di riconoscere l’interno della capanna che si ergeva fra le paludi nel cuore delle Selve Korcari. «Mia madre ti ha curato le ferite.»

   Avrei voluto ringraziare, ma la voce faticava a venire fuori. Mi sentivo stonata, spaesata. Cercavo di rimettere insieme tasselli di un mosaico che però continuava ad apparirmi confuso o alla rovescia.

   «Ostagar è caduta.» Quella notizia mi schiaffeggiò abbastanza forte da riportarmi al presente. «È tutto finito. Il Re è morto e l’esercito annientato.» Un momento, mi dissi, doveva esserci un errore. Morrigan però sembrava sapere quello che diceva. «Non ci sono sopravvissuti a parte te ed il tuo amico. A proposito, è qui fuori che si dispera per te.»

   «Con il mio amico alludete ad Alistair?» Speravo, pregavo che fosse così. In primo luogo per l’egoistico desiderio di non voler rimanere da sola. Ero un Custode Grigio da poco più di ventiquattr’ore e non volevo anche essere l’ultimo.

   «Il biondino con la faccia da tonto», scrollò le spalle Morrigan. Tirai uno dei più grossi sospiri di sollievo che ricordo a tutt’oggi. Alistair era vivo e, a quanto pareva, stava anche bene, forse meglio di me. «Dovresti andare a parlargli, prima che faccia salire il livello delle acque della palude con le sue lacrime da mammoletta.»

   «Come… ci siamo salvati?», volli sapere, iniziando lentamente a scendere dal letto mentre lei mi allungava i vestiti.

   «È stata mia madre», mi comunicò Morrigan. Adesso che la guardavo meglio, mi rendevo conto di quanto, pur rimanendo bellissima, ella fosse umana. Il suo modo di muoversi, che sulle prime mi era parso solenne, il suo modo di parlare, di osservarsi attorno erano così dannatamente umani che chiesi a me stessa la ragione per cui l’avessi inizialmente scambiata per una creatura ultraterrena. «Si è trasformata in un enorme falco ed è volata fin sulla torre dove ha trovato te e quello sciocco. Vi ha afferrati nelle zampe ed è fuggita via, portandovi qui, in salvo. Almeno per ora.»

   «Vostra madre… è una Mutaforma?» Man mano che mi risvegliavo dall’incubo, cercavo di prestare attenzione ai particolari.

   «Lo sono anch’io», ammise Morrigan, aspettando pazientemente ch’io finissi di rendermi presentabile. Non che in quella situazione Alistair avrebbe fatto caso alle mie occhiaie o al brutto livido che mi sfigurava la faccia, all’altezza dello zigomo sinistro, ma volevo per lo meno essere sicura di non aver infilato l’abito al contrario – e viste le vertigini che mi costringevano a rallentare continuamente le mie azioni, non ne ero troppo sicura. «Ma ora vieni, hai bisogno di mangiare.»

   Quando uscimmo all’aria aperta, fui felice di scoprire che ero ancora in grado di respirare a pieni polmoni – nonostante avvertissi una lieve fitta al costato. Scorsi immediatamente la figura di Alistair, in piedi, che, in riva alla palude, fissava l’orizzonte con espressione assorta e sperduta. Immaginai che fosse la stessa che Morrigan poteva leggere sul mio volto. Lo chiamai, e non appena mi vide, lui mi venne incontro, mentre luce e colore tornavano a ravvivargli il viso. Non zoppicava più, né portava il braccio appeso al collo. Sembrava davvero essere tutto intero, a parte qualche piccola ammaccatura. Le cure che ci erano state date avevano avuto del miracoloso.

   «Siete viva… Io… credevo che foste morta.» Faceva fatica a parlare a causa dell’emozione. Aveva gli occhi lucidi e arrossati, ed io ne dedussi che doveva aver pianto fino a poco prima. Non me ne stupii. «È un sollievo sapere che mi sbagliavo.»

   «State bene?»

   «Sì, io sì», si affrettò a tranquillizzarmi, riprendendo gradatamente padronanza di sé. «Ma la battaglia della scorsa notte è stata un disastro e…»

   «Lo so», lo interruppi per non costringerlo a dire quel che nessuno di noi due voleva ancora accettare. «Morrigan me l’ha detto.»

   «Io non capisco… Com’è potuto succedere?»

   «Loghain vi ha traditi», prese parola la vecchia Strega delle Selve, avvicinandosi a noi in assoluto silenzio. Ci guardò con commiserazione, ma non perse tempo a sbatterci in faccia la realtà affinché fossimo pronti ad affrontare il futuro.

   «Cosa?», balbettò Alistair, temendo di aver capito male. «Come sarebbe a dire?»

   La donna ci spiegò allora quanto ignoravamo. Sapevamo già che Loghain era in disaccordo con le decisioni di Re Cailan circa quello scontro, e non era mistero che anche Duncan nutrisse seri dubbi sul suo esito. Perciò, sebbene io e Alistair ci fossimo quasi fatti ammazzare per riuscire a dare il segnale all’esercito, anziché caricare in aiuto del Re e dei Custodi Grigi, il Teyrn aveva ordinato la ritirata, abbandonando Ostagar e lasciando che tutti quelli che lo avevano preceduto in battaglia venissero barbaramente massacrati dal nemico.

   La testa mi girò di nuovo, ed io fui costretta a sedermi sull’erba, reggendomi la fronte con una mano e stringendo un lembo della gonna nell’altra. Non riuscivo a credere che davvero ci si potesse macchiare di un tale crimine. Forse ero troppo ingenua, forse troppo buona. Di certo, però, adesso ero assalita dalla nausea che una simile ignominia mi aveva procurato. Più sanguigno di me, Alistair reagì con rabbia, gridando, imprecando, non riuscendo a stare fermo. Fra i due, adesso ero io quella che sentiva il bisogno di piangere.

   «Loghain, sporco traditore! Usurpatore!», urlava più a se stesso che a noi. «Ha reso vedova sua figlia e ha annientato l’intero ordine dei Custodi Grigi!» Non volli esprimere il mio parere ad alta voce per non contrariarlo ulteriormente, ma in tutta onestà l’ultimo dei miei pensieri era proprio quello dei Custodi Grigi – non in quanto esseri umani, ma soltanto come ordine, poiché ritenevo che una vita era una vita, a prescindere dal fatto che fosse appartenuta ad un re o ad un mendicante, ad un eroe o ad un assassino. Certo Alistair aveva ragione comunque, perché il Flagello si stava abbattendo su di noi, e senza i Custodi Grigi saremmo stati in grosse difficoltà.

   «Siete rimasti voi due», ci fece notare la donna dai capelli incanutiti.

   «Certo, ma da soli cosa possiamo fare?»

   Lei rise, divertita da chissà cosa. «Ragazzo, ricordo di averti consegnato dei preziosi trattati non più di due giorni fa.»

   Alistair sgranò gli occhi, ritrovando l’entusiasmo in un sol colpo. «I trattati!», esclamò, fissandomi con un enorme sorriso. «La madre di Morrigan ha ragione! Duncan me li aveva affidati ieri sera, ricordate?» A dire il vero no, ero stata troppo impegnata a tremare come un coniglio per farci caso. «Riteneva che fossero più al sicuro con me, ed in effetti li ho ancora qui.» E nel dirlo li cacciò fuori da una tasca ben riparata fra la camicia e l’armatura. Si accovacciò sui talloni, di fronte a me, e me li mostrò. «Con questi possiamo obbligare nani, Dalish e maghi ad appoggiare la nostra causa. Gli accordi sono accordi, giusto?»

   «E siete sicuro che funzionerà?», domandai, ancora sconvolta ma in qualche modo più speranzosa. «Voglio dire… Basterà per costringere Loghain a collaborare con noi Custodi? Mi è parso di capire che non ci ami alla follia…»

   «E potete star sicura che dopo quanto è accaduto i suoi sentimenti per noi sono del tutto corrisposti. Il Re è morto», annunciò Alistair, tornando ad incupirsi. «Non so cosa voglia fare la Regina, ma Loghain è suo padre e la cosa non ci aiuta. Abbiamo bisogno di un nuovo sovrano, e io ho già un nome in mente: Eamon Guerrin, l’Arle di Redcliffe.

   «Perché lui?»

   «È il fratello della defunta Regina Rowan, moglie di Maric e madre di Cailan», continuò a spiegarmi senza perdersi d’animo. Credeva ciecamente in quel che diceva, ragion per cui conclusi che Alistair doveva essere pessimista soltanto per ciò che riguardava se stesso. «In altre parole, Arle Eamon è lo zio di Cailan. È l’unico che può prenderne il posto.»

   «E se fosse dalla parte di Loghain?» Non era mia intenzione scoraggiarlo, ma avevo bisogno di certezze per rendermi conto della situazione nel suo insieme.

   Alistair scosse il capo con decisione. «Lo conosco bene. Arle Eamon è un uomo buono e giusto. Quando saprà quel che è successo, sono più che sicuro che si schiererà dalla nostra parte.»

   «E ce la faremo?»

   «Tra maghi, elfi e nani», tornò a dire la donna a cui dovevamo la vita, «a me pare che stiate parlando di un esercito in piena regola. Dovete solo metterlo insieme.»

   «La madre di Morrigan ha ragione», fu d’accordo Alistair, picchiettando il dorso delle dita sui trattati. «Abbiamo questi dalla nostra parte. Possiamo farcela. Dobbiamo tentare. Per Duncan, per Cailan e per tutti gli altri, vittime non della Prole Oscura, ma del peggiore dei tradimenti.» Ad agitare il suo animo erano unicamente l’affetto ed il senso di giustizia verso i compagni morti ad Ostagar. Lo vidi rimettersi in piedi. «Ma non abbiamo ancora ringraziato la madre di Morrigan per ciò che ha fatto per noi», ricominciò, distendendo nuovamente i tratti del volto.

   «Non parlare di me come se non ci fossi», lo riprese bonariamente lei, incrociando le braccia al petto.

   «Perdonatemi», sorrise l’altro con fare impacciato. «È solo che non mi avete detto come vi chiamate.»

   «In tal caso ti sarebbe bastato chiedere, non trovi? Sono Flemeth.»

   «Flemeth?», ripeté, quasi trasecolando. «Daveth aveva ragione! Siete davvero la Strega delle Selve!»

   Lei scosse le spalle. «È uno dei tanti modi in cui mi chiamano», ammise, allegra.

   Dopo essersi allontanata per tutto quel tempo, Morrigan tornò da noi. «Allora, Flemeth», esordì sfregandosi le mani, «in quanti saremo a tavola?»

   «Lascia da parte lo stufato, ora», borbottò sua madre. «I nostri ospiti partiranno presto.» Mi lanciò uno sguardo ed io accettai l’aiuto di Alistair per tornare in posizione eretta. «E tu andrai con loro.»

   «Oh, fantastico», commentò lei, sovrappensiero. Solo in un secondo momento si rese effettivamente conto delle parole pronunciate da Flemeth. «Cosa?!» Non pareva particolarmente felice, anzi.

   «Avranno bisogno di aiuto», le spiegò la donna, fissando le pupille nelle sue senza mai battere le ciglia. Mi fece quasi impressione. «Del tuo aiuto.»

   Morrigan si morse il labbro inferiore, soppesando l’invito – o per meglio dire l’ordine. Quindi, scoccando una terribile occhiata ad Alistair, si arrese. «Va bene, ho capito.»

   «Ehm…» L’unico uomo presente si schiarì la voce. «Non per guardare in bocca a caval donato, ma non credete che sarà un problema? Non è mai stata alla Torre del Circolo. Fuori da questa foresta lei è considerata un’eretica.»

   «Cos’è, ti si è risvegliato l’istinto del templare?», volle sapere Morrigan, inacidita.

   Lui fece segno di no, mettendo le mani avanti. Lo capivo, poverino, era da solo in balia di tre maghe, due delle quali non rispondevano neanche alle leggi della Chiesa. «Quello che intendevo è che gli altri potrebbero avere da ridire se noi accettassimo il vostro aiuto.»

   I loro sguardi si fermarono su di me, costringendomi a dare un parere. «Io non…» Mi fermai per riorganizzare le idee. Quindi risposi. «In quanto maga io stessa, so che non è prudente, Alistair», cominciai a riflettere a mezza voce. «Tuttavia mi pare che non abbiamo molta scelta. Siamo rimasti noi due soli, abbiamo bisogno di aiuto, e visto che Flemeth e Morrigan ci hanno già dimostrato più volte la loro benevolenza… Beh, credo che sia il caso di accettare l’offerta.»

   Alistair si lasciò andare ad un sospiro, mentre inarcava le braccia sui fianchi. «Giusto. Suppongo abbiate ragione.»

   «Bene», parve soddisfatta Morrigan, regalandomi un sorriso. «Vado subito a prendere il mio bagaglio.»

   «E un vestito», le suggerì di malavoglia Alistair, mentre lei si allontanava. Lo colpii con un gomito: era vero che quella ragazza se ne andava in giro piuttosto scollata, ma indispettirla poco prima della nostra partenza insieme a lei mi pareva assai poco furbo.

   «Vogliate perdonarmi, Flemeth», ripresi a parlare per cambiare argomento. «Non vi ho ancora ringraziata per quanto avete fatto fino ad ora per noi.»

   «Mi ringrazierai davvero quando fermerete il Flagello», disse lei, ridendo. «I miei poteri sono forti, è vero, ma non è detto che resisteranno ancora a lungo. Fate il vostro dovere di Custodi Grigi», ci pregò, tornando seria. «Vi affido la cosa più preziosa che ho proprio per questo.»

   Quello fra Flemeth e Morrigan non fu esattamente il più tenero degli addii; eppure, benché le due dimostrassero di essere in disaccordo su tutto, dai loro sguardi e dalle loro parole si poteva intuire che fra loro vi fosse amore. Certamente diverso da quello comune fra madre e figlia, ma ugualmente amore.

   Prima di partire, Morrigan suggerì di dirigerci anzitutto verso Lothering, un villaggio a nord delle Selve, non troppo distante dal punto in cui ci trovavamo. Lì avremmo potuto fare comodamente rifornimenti nel qual caso avessimo voluto darle ascolto. In alternativa, se non gradivamo che mettesse becco nelle questioni mie e di Alistair, si offrì di rimanere in silenzio per tutta la durata del nostro lungo viaggio. Anticipai il mio compagno nella risposta per precauzione, e le assicurai che poteva parlare liberamente di tutto ciò che le passava per la testa, poiché ero convinta che, se proprio dovevamo vivere fianco a fianco per settimane, tanto valeva farlo in modo sincero, magari con la speranza di stringere una buona amicizia.

   A quell’esortazione, Flemeth rise per l’ennesima volta. «Ti pentirai di averlo detto», mi assicurò. Me ne chiesi la ragione, e non ci volle molto perché il mistero mi fosse svelato. Una cosa, allora, fu certa: in compagnia di Alistair e Morrigan non mi sarei mai annoiata.

 

Non avevamo fatto molta strada quando, attraversando le fattorie abbandonate che circondavano Ostagar, lungo un sentiero sabbioso ci venne incontro un cane. Corse verso di noi, con la lingua penzoloni e le corte orecchie all’indietro, e quando mi ero ormai convinta che si sarebbe fermato solo dopo avermi falciata, la bestia rallentò l’andatura ed iniziò a farmi le feste. Nonostante il mio stupore, non riuscii a resisterle e la accarezzai sul capo, lasciandomi contagiare dalla sua gioia. Ne avevo bisogno.

   «È uno dei mabari dell’esercito», osservò Alistair, sorridendo anche lui alla scena. «Chissà come ha fatto a cavarsela.»

   «Forse… Ah!» Il cane mi buttò a terra nella foga di dimostrarmi il suo affetto. Era di taglia piuttosto grossa, come tutti i mabari, e considerando il fatto ch’io sono sempre stata minuta, mi riusciva impossibile avere la meglio contro di lui. Mi sovrastava di parecchio. «Per il Creatore! Sta’ buono!»

   «Ti ci vorranno secoli, ora, per toglierti il suo odore di dosso», commentò Morrigan, arricciando il naso e facendo qualche passo indietro. «È il tuo cane?»

   «Non ho animali», risposi, cercando di sfuggire all’entusiasmo del nuovo arrivato.

   «Ah, no?» Lei spostò lo sguardo su Alistair. «Credevo di sì.»

   «Dev’essere il mabari che ho aiutato la sera della mia iniziazione», spiegai, anticipando ancora una volta il mio compagno che, lo sapevo, stava per ribattere alle maligne allusioni di quella che ormai sembrava essere sua nemica naturale.

   «Allora probabilmente adesso vi riconosce come sua padrona», disse invece, già dimentico dell’affronto subito perché distratto dalle mie parole. «I mabari obbediscono ad una sola persona. È un cane da guerra ed è addestrato a combattere la Prole Oscura, potrebbe tornarci utile.»

   «Significa che ce lo porteremo dietro?», gemette Morrigan. «È un maleodorante sacco di pulci! Non basta Alistair?»

   «Dobbiamo trovargli un nome», esclamai a voce alta, evitando di nuovo che volassero offese anche dall’altra parte.

   «Il cane è vostro», mi fece notare il mio collega, rimanendo invidiabilmente calmo. «Decidete voi.»

   «Alistair è un bel nome», suggerì Morrigan, vivace. «Almeno per un cane.»

   «Avete intenzione di insultarmi ancora a lungo?», volle sapere il poveretto, cercando ancora di non perdere le staffe.

   «A dire il vero ti stavo facendo un complimento», replicò la figlia di Flemeth. «Se ci pensi, quell’animale potrebbe sentirsi offeso sapendo di essere paragonato a te.»

   Alistair sospirò pesantemente, ma non le diede soddisfazione. «Merlino», dissi io, rialzandomi finalmente da terra.

   «È un nome ancora più stupido di quello del tuo lacchè», mi rimproverò Morrigan.

   «Forse», le concessi, con grande scorno del nostro compagno, vittima incompresa di due arpie. «Ma non mi viene in mente altro, al momento, ed io non ho voglia di passare metà del nostro viaggio per Lothering a scervellarmi per trovarne uno che possa soddisfare tutti. Che si accontenti di questo.» Merlino abbaiò, mandando fuori uso il mio orecchio sinistro, mentre mi saltellava attorno col rischio di farmi nuovamente perdere l’equilibrio.

   «Se voi due avete finito di prendermi per i fondelli, proporrei di proseguire.»

   «Alistair ha ragione, rimettiamoci in marcia», concordai, scansando il mabari e riprendendo il cammino, mentre lui mi trotterellava accanto felice – Merlino, non Alistair.

   Credevo, mi illudevo che fosse finita lì, e invece sbagliavo. «E così ora abbiamo un cane», riprese a parlare Morrigan con un sorrisetto che era tutto un programma e la rendeva ancora più affascinante di quanto già non fosse. «E il più stupido del gruppo resta ancora Alistair.»

   «Non pretendo che voi comprendiate la profondità delle persone che vi circondano», si difese ammirevolmente lui.

   «Dicendo profondità intendi il tuo stomaco?», gli fu risposto. «Ho visto quanto mangi, e fai impressione. Schifo, per essere precisi.»

   «Tutti i Custodi Grigi mangiano molto», spiegò Alistair. «È un effetto collaterale del rito dell’Unione», proseguì, chiarendomi le idee sui crampi all’addome che mi facevano arrancare dietro di loro, appoggiata affannosamente al mio bastone anche a causa delle ferite in via di guarigione, che pure non facevano troppo male come invece mi ero aspettata. Eppure prima di partire ci eravamo ingozzati a volontà. «Non mi aspetto neanche che capiate queste cose basilari.»

   «Non mi interessano.»

   «Allora non parlatene.»

   Morrigan schioccò le labbra con disappunto, mentre Alistair si voltava nella mia direzione, prendendo a camminare all’indietro per allargare le braccia e per rivolgermi uno sguardo esasperato. Non potevo biasimarlo, essere attaccati ripetutamente in quel modo, e senza ragione apparente, non piaceva a nessuno. Continuavo tuttavia a chiedermi per quale ragione lei gli desse addosso senza tregua, convincendomi sempre più che non poteva essere soltanto a causa della disputa avuta durante il nostro primo incontro. D’accordo, Alistair stuzzicava parecchio i nervi della gente con cui aveva a che fare, ma una volta capito il suo carattere, si cominciava a ridere di quegli scherzi insieme a lui e basta. Anzi, ora come ora, mi dicevo, un po’ di allegria ci avrebbe solo fatto bene.

   Proseguimmo con quell’andatura fino a che la luce del giorno non iniziò ad imbrunire. Andare avanti di notte non era consigliabile, eppure Lothering non era lontana. Ma io ero già spossata e, suppongo, anche Alistair doveva esserlo, poiché entrambi avevamo ancora nella mente e nel corpo il dolore di quanto avevamo appena perso ad Ostagar. Stavamo ancora valutando l’idea di poterci accampare anzitempo e di riprendere il cammino l’indomani mattina presto, quando Merlino corse alla testa del gruppo e puntò qualcosa davanti a noi. Anche Alistair ci sbarrò la strada con un braccio, intimandoci il silenzio ed iniziando a cercare l’elsa della spada.

   Fu costretto ad estrarla un istante dopo, poiché anch’io per la prima volta avvertii subito la presenza di un drappello di soldati della Prole Oscura. Ci comparve davanti agli occhi prima ancora che Morrigan fosse pronta ad ingaggiare battaglia. Battaglia che, a dispetto delle apparenze, si rivelò più breve del previsto. In un attimo Merlino fu addosso ad uno di loro, atterrandolo ed inchiodandolo a terra con le zampe anteriori, affondando i denti aguzzi nelle sue carni e strappandone grossi pezzi. Non avevo idea di quanto forte ed utile potesse rivelarsi un mabari, né di quanto potenti fossero i poteri di Morrigan, basati per lo più sul gelo. Richiamò il favore della natura come me, e rallentò per qualche istante le azioni degli avversari con la sua Stretta Invernale, che ne intorpidì le membra e ci concesse la possibilità di abbatterli senza correre grandi rischi. Con due potenti alleati del genere, mi sentii pressoché al sicuro, almeno fintanto che avessimo avuto a che fare con piccoli gruppi di Prole Oscura. Mi preoccupava molto di più, invece, il pensiero di poter incappare nel famoso Arcidemone di cui ci aveva parlato Duncan.

   Alla fine, comunque, decidemmo di fare una sosta. Dopo aver messo finalmente un po’ di cibo nello stomaco, crollai subito addormentata. Quella notte sognai, per la prima volta da che ero diventata un Custode. Vidi qualcosa di sconvolgente, di enorme, di oscuro, spaventoso. Due ampie ali, tenebrose, inquietanti, e le fauci di un mastodontico drago, piene di zanne affilate. Un ruggito mi perforò i timpani, ed io sobbalzai nel sonno, svegliandomi di colpo.

   «Incubi, eh?» I miei occhi si posarono su Alistair, seduto vicino al fuoco a qualche passo di distanza dal punto in cui mi ero distesa per riposare. Nonostante la stanchezza, sembrava avesse tutta l’intenzione di rimanere sveglio per fare la guardia.

   «Sembrava così reale…», boccheggiai. Potevo sentire il battito accelerato del mio cuore persino nelle orecchie.

   «Lo era», mi assicurò lui, gettando fra le fiamme un ramoscello secco. «Non ho avuto modo di dirvelo, prima, ma dopo l’Unione i Custodi Grigi vengono assaliti da questo tipo di sogni. Visioni, per la precisione», cominciò a chiarirmi. «Non so bene se siamo noi a spiare la Prole Oscura o se è lei che spia noi attraverso questi incubi. All’inizio è dura, a me capitava spesso di svegliarmi a causa delle mie stesse urla. Col tempo, però, imparerete a dominare le vostre capacità, non temete.» Rimasi in silenzio, e lui sbirciò nella mia direzione. «Ho pensato che doveste saperlo», aggiunse allora.

   «Grazie, Alistair. Lo apprezzo molto», risposi infine, ancora scossa, ma anche lieta di poter contare almeno sul suo aiuto. Ne approfittai per chiedergli del mio sogno. «Il drago… è l’Arcidemone?»

   Scrollò le spalle. «O per lo meno è l’aspetto con cui ha deciso di presentarsi. Credo.»

   Non potevo pretendere che sapesse ogni cosa, anche Alistair era soltanto una recluta, dopotutto. Mi guardai attorno, stringendomi nelle spalle. Merlino era accucciato accanto a me, e mi fissava con gli occhioni neri e lucidi, forse in pena per le mie condizioni. Lo accarezzai dietro la nuca. «Dov’è Morrigan?»

   «Laggiù.» Alistair fece segno verso una luce lontana. Morrigan si era accampata per conto suo. «Immagino che sia nemica del comune socializzare, oltre che della simpatia.» Mi misi lentamente in piedi, e sia lui che Merlino alzarono la testa nello stesso momento. «Dove andate?»

   «A scambiare due chiacchiere con lei.»

   «Perdete il vostro tempo.»

   «Forse, ma voglio comunque darle voce, in modo che possa capire che le siamo amici.»

   «Parlate per voi, per favore», mi sentii dire, mentre mi incamminavo per raggiungere il piccolo falò acceso dalla figlia di Flemeth. Merlino mi si era subito affiancato, seguendomi fedelmente.

   «Il tuo cane non abbassa mai la guardia», esordì Morrigan quando mi avvicinai, senza però scomodarsi a levare lo sguardo su di me. Se ne stava accovacciata in prossimità del fuoco, le mani tese verso di esso in cerca di calore ed un mantello scuro sulle spalle, che le copriva finalmente i seni non soltanto nei punti essenziali.

   Mi fermai di fronte a lei, intrecciando le braccia al petto. «Mi segue ovunque.»

   «Ho notato.»

   «Merlino è davvero un bravo cane», aggiunsi, sorridendo alla bestiola che curiosava intorno, tendendo le orecchie ad ogni rumore.

   «Oh, parlavi di lui? Io intendevo Alistair», disse Morrigan, divertita.

   Ponderai sulla questione per un istante. «Beh, anche lui è piuttosto fedele, sì», fui costretta ad ammettere, riuscendo ad ottenere da lei un cenno d’approvazione. «Perché non venite con noi?»

   Fece spallucce. «Non sono abituata alla compagnia, preferisco starmene da sola», mi spiegò. «Oltretutto ho paura che quell’animale mi attacchi le pulci.» Evitai di chiederle se si stesse riferendo ancora ad Alistair. Il bagliore delle fiamme illuminava gli anelli che portava alle dita affusolate. Mi piacevano molto, li avevo osservati già in precedenza, durante il tragitto, per cui notai subito che ne mancava uno, il più semplice di tutti. Feci vagare lo sguardo e lo vidi abbandonato a terra, poco distante. Mi chinai per raccoglierlo. «Non farlo», mi fermò Morrigan.

   «Credevo vi fosse caduto», mormorai, esitando prima di drizzare nuovamente la schiena.

   Lei scosse i capelli neri, ed i suoi occhi ambrati, quasi dorati alla luce del falò, si fermarono su di me. «Quell’anello è intriso di magia. Sto cercando un modo per annullarne i poteri. È un dono di Flemeth.»

   «Se ve l’ha regalato vostra madre, allora sarà bene che lo teniate con più cura», le rimproverai, ingenua.

   «Proprio perché me l’ha dato lei devo sbarazzarmene», ribatté invece Morrigan, seria. «Portandolo con me, Flemeth saprà sempre dove mi trovo.»

   Corrucciai la fronte, sempre più confusa. «E… non è una buona cosa?»

   La vidi sorridere di sdegno. «Forse per te che sei abituata al guinzaglio della Chiesa.» Quelle sue parole mi mortificarono, facendomi arrossire. «Non mi aspetto che tu capisca, né ho voglia di spiegartelo», concluse, tornando a fissare davanti a sé e lasciando cadere la questione. Tacqui, imbarazzata, non sapendo che altro dire. Morrigan mi venne incontro con voce tranquilla, segno che non avevo motivo di credere di averla disturbata. «Faresti bene a tornare da Alistair. È da un pezzo che sta spiando in questa direzione, e se lo lasci aspettare ancora gli si allungherà il collo in modo disgustoso.» Mi voltai verso di lui, che subito spostò la propria attenzione altrove. Probabilmente si era messo in testa di vegliare su di me senza che la cosa mi pesasse troppo. «È uno sciocco», commentò Morrigan.

   «Ma no, è molto dolce», la contraddissi, intenerita.

   «Allora va’ da lui, o comincerà a pensare che ti tengo incatenata qui per mezzo di chissà quale arcana arte magica.»

   Risi e annuii. «Buonanotte, Morrigan.»

   «‘Notte», mi rispose distrattamente, lasciandomi allontanare in compagnia di Merlino. Tutto sommato ero contenta della conversazione avuta con lei. Avevo potuto scoprire alcune cose sul suo conto, benché apparentemente insignificanti, e sebbene non mi avesse affatto trattata come un’amica, ero certa che avesse apprezzato la mia preoccupazione nei suoi riguardi. Credevo di iniziare a capire il suo carattere contorto; difficile, certo, ma non impossibile come si era invece convinto Alistair.

   Quando tornai da lui, volli tranquillizzarlo. «Visto? Non mi ha morso.» Sorrise appena, evitando di guardarmi e tenendo le spalle curve. Qualcosa non andava, e sarebbe stato inutile domandargli la ragione del suo turbamento. Mi rannicchiai al suo fianco, in attesa che aprisse bocca. Non lo fece, e questo mi mise ancor più in allarme, abituata com’ero, ormai, alla sua lingua lunga. «Se sentite il bisogno di parlare di ciò che avete dentro», iniziai quasi sottovoce, timorosa com’ero di apparire invadente, visto quel che era successo con Morrigan, «io so ascoltare, checché ne diciate.» Alistair alzò gli occhi scuri su di me, incerto sul da farsi. «Non siete obbligato», ci tenni a fargli sapere, «ma forse parlarne con qualcuno potrebbe farvi sentire meglio.»

   Tirò su col naso, riportando lo sguardo da tutt’altra parte, e per qualche attimo rimase in silenzio, per cui cominciai a rassegnarmi al fatto che non avesse voglia di sfogarsi. Non con me, per lo meno. «Vi ringrazio», mi sorprese invece, facendomi rilassare all’istante. «Ma non vorrei annoiarvi.»

   «Scherzate? Dopo tutto quello che è successo, dovremmo cercare di sostenerci a vicenda almeno noi due, non credete? Ripeto, non voglio obbligarvi a parlare di ciò che non volete o che non ritenete di dover raccontare ad una sconosciuta, su questo non vi è dubbio.» In realtà sapevo bene che Alistair non si era mai fatto problemi in proposito, dato che quando ci eravamo conosciuti mi aveva quasi raccontato anche delle malattie avute da bambino. Era per questo che, vedendolo muto, mi impensieriva. E mi faceva persino impressione. «Solo… mi preoccupo per voi.»

   Lui scrutò ancora nella mia direzione. «Io… Siete davvero gentile.»

   «Come voi lo siete sempre stato con me, fin dall’inizio», ci tenni a rammentargli.

   L’ombra di un nuovo sorriso sfiorò le sue labbra sottili. «Anche quando vi ho presa in giro per le vostre orecchie a punta?»

   Ruotai le pupille verso il cielo notturno, sospirando rassegnata. «Volevate rompere il ghiaccio, no?» Merlino uggiolò per chissà che motivo, premendo il naso umido contro il mio gomito affinché gli facessi spazio per posare il muso sul mio grembo. «Lo vedete? Abbiamo tutti bisogno di coccole.»

   «Quindi se poggio la testa sulle vostre ginocchia, farete anche a me i grattini?»

   «Attento, Alistair», cantilenai, divertita dalla sua solita faccia tosta: per lo meno riusciva ancora a scherzare. «Sfidate troppo la pazienza delle maghe.»

   «Voi siete buona.»

   «Insistete su questo punto per convincere voi stesso o ve lo dice il vostro istinto di templare? Potete mettermi alla prova, se volete.»

   «No, grazie», si arrese subito, ravvivando il fuoco. «Pensavo ai Custodi Grigi», prese a dire poi, facendosi più serio. «Io e voi siamo gli ultimi due rimasti in tutto il Ferelden.»

   «Lo so», mormorai tristemente, ricordando quanto lui tenesse al nostro ordine.

   «Sapete… È vero che i Custodi hanno tanti pessimi grattacapi con la Prole Oscura e tutto il resto, però sanno anche godersi la vita.» Mentre proseguiva a parlare, mi rallegravo nel vederlo finalmente tornare a sciogliersi. «Una volta – non ricordo più come – ci ritrovammo a gareggiare fra noi per vedere chi fosse riuscito a reggere meglio l’alcol. Il risultato fu che crollammo tutti ubriachi, e quando Duncan arrivò, anziché arrabbiarsi come avrebbe dovuto, scoppiò a ridere così tanto che finì col piangere.» Adesso però era lui che rideva, ed io non potevo fare a meno di lasciarmi contagiare dal suo umore. «Duncan era sempre severo», continuò con evidente nostalgia. «Con le reclute come noi, tuttavia, era premuroso e tollerante.» La sua voce ebbe un’incertezza e lui tacque.

   «Gli eravate molto affezionato, vero?»

   Annuì più volte, fino a chinare il capo affinché io non mi accorgessi che era sul punto di lasciarsi vincere dalle lacrime. Allungai una mano e gli passai una carezza sulla schiena, sentendo il suo respiro sofferente. Allora anch’io iniziai seriamente, e con più calma, a riflettere su ciò che avevo perso ad Ostagar, ed il ricordo di Wynne mi procurò un nodo alla gola. Appoggiai la fronte contro la spalla del mio compagno, e quando mi resi conto di aver miseramente fallito nel mio tentativo di risollevargli il morale, ero già in preda ai singhiozzi ed Alistair non tardò ad imitarmi. Rimanemmo a piangere così per diversi minuti, ritenendo stupido e dannoso trattenere ancora il dolore che ci stringeva il cuore.













Facciamoci forza e confessiamo la verità. Il cane non l'avevo chiamato Merlino. Ho scelto questo nome (con la complicità di Atlantislux) perché si abbinava a quello di Nimue (e tutti e due si sposano bene con quello di Morrigan, anche se quando battezzai Nimue non sapevo della sua esistenza). In realtà il cane si chiamava... *fatica a scriverlo* ... Giffidoro.
Lo so che state ridendo. Ma se ridete per questo, cosa farete quando saprete il nome che ho dato a quello dell'elfo di mio fratello? (Per inciso, il suo mabari si chiamava Cercagno**a. XD) Mi viene quasi voglia di aprire un sondaggio sul mio blog per votare il nome più stupido e quello più bello. A patto che partecipino in massa i lettori di questa long, perché di autovotarmi non ne ho voglia. XD
Chiusa la parentesi su Merlino/Giffidoro (ah, mi sa che nella prossima partita, comunque, lo chiamerò Alistair II), andiamo oltre.
Mi inchino a tutti voi, ringraziandovi per la vostra generosa opinione sulla fanfiction, perché, sul serio, ero terrorizzata dall'idea di metterla online: troppo stupida, continuavo a ripetermi. Atlantislux ci ha messo un pezzo a convincermi a postarla. E tra lei e NicoDevil (che invece la legge per la prima volta solo qui su EFP), non so chi delle due abbia più pazienza con le mie menate. (LOL, proprio ora mi rendo conto che ho trasmesso a Nimue tutto il mio coraggio. Che coniglie, che siamo! XD)
Un bacio quindi alle mie povere vittime (Atlantislux e NicoDevil), a The Mad Hatter (Sempre più felice di sapere che approvi il modo in cui sto procedendo, quindi sii sempre sincero e fammi notare se qualcosa non ti torna, okay? ^^), a Salice (Descrivere i Custodi Grigi in modo troppo piatto sarebbe stato come creare un esercito di Gary Stu: in tal caso penso che mi sarei messa a capo dell'orda di Prole Oscura che li ha annientati. XD E per rispondere alla tua domanda, non ho ancora avuto il piacere di procurarmi i libri, ma lo farò quanto prima. ^^) e a Laiquendi (Beata te che hai trovato un nome decente come Kerberos per il tuo mabari! XD Quanto alle scene di battaglia... mi terrorizza scriverle perché è la prima volta che mi cimento in questo tipo di descrizioni, quindi le tue parole non possono che farmi gongolare come una scema!). Infine mando anche un bacino a Ly Ay per aver aggiunto la presente alle storie preferite. ♥
Buon fine settimana a tutti,
Shainareth
P.S. La storia dell'anello di Morrigan l'ho rubata dalla partita di mio fratello, e chi ha giocato con un personaggio maschile, che ha avuto una relazione con lei, sicuramente se ne sarà accorto.





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Capitolo 4
*** Lothering ***







CAPITOLO QUARTO - LOTHERING




Situato lungo la Strada dell’Ovest, a nord delle Selve Korcari, in passato Lothering era stato un punto d’appoggio commerciale per la fortezza di Ostagar, nella fascia meridionale dell’Impero. Col tempo, comunque, divenne importante anche per il non troppo lontano villaggio di Redcliffe e la comunità dei mercanti e dei nani di superficie provenienti da Orzammar – la capitale del regno dei nani. Quando vi arrivammo noi, però, Lothering era diventato soprattutto il rifugio di quanti scappavano dal Flagello, che da sud muoveva minacciosamente le sue orde di guerrieri oscuri. Era, quella, la situazione ideale per chi voleva speculare sulla sofferenza della povera gente, riuscendo a farla franca perché coloro che avrebbero dovuto occuparsi di punirli erano invece costretti a pensare anzitutto a prestare soccorso a chi ne aveva immediato bisogno.

   Quando arrivammo alle porte del villaggio, fummo fermati da un gruppo di banditi. Non erano intenzionati ad attaccarci, dissero, se avessimo pagato un pedaggio – che essi giustificavano come una raccolta di fondi per le riparazioni della Gran Via Imperiale. Non avevamo molti soldi con noi, ma di combattere non se ne parlava, se si poteva evitarlo. Non ci misero molto a capire che non eravamo profughi, per cui ci guardarono con maggior sospetto, specie quando uno di loro ipotizzò che potessimo essere Custodi Grigi. Apprendemmo allora una verità che ci fece agghiacciare: per tutto il Ferelden si stava spargendo la voce che a tradire Re Cailan eravamo stati noi. La rabbia crebbe in me ed Alistair al punto da superare la disperazione. E la prudenza. Confermammo di essere Custodi Grigi, e anche parecchio infuriati, specie io che ero una maga; e poiché fra i banditi iniziò ad insinuarsi la paura di uno scontro fra gli assassini del Re e di un intero esercito, riuscimmo a convincerli che era meglio che loro facessero finta di non averci visti per non essere cacciati in mezzo a quella brutta faccenda.

   Stavo ancora maledicendo quel figlio di buona donna di Loghain, che Alistair si fermò ad osservare il villaggio dall’alto delle mura. «Quanta tristezza», mormorò, dando uno sguardo al campo dei rifugiati e ai mendicanti accalcati ai margini delle strade. «E intanto Loghain se la ride.»

   «Oh, hai deciso di tornare fra noi?», iniziò Morrigan, dietro di lui. «Ti vedevo assorto.»

   «Non avete sentito cosa sta succedendo?»

   «Certo che sì. E se fossi in voi, marcerei dritta per Denerim e gliela farei pagare», rispose, venendogli incontro per la prima volta.

   «No, faremmo soltanto il suo gioco», scosse il capo lui. «Ora come ora siamo troppo deboli.»

   «Cosa proponete di fare, allora?», domandai. Non avevamo ancora parlato nel dettaglio dei nostri progetti, a ben guardare.

   «Andiamo a Redcliffe», decise. Sembrava sicuro di sé, come tutte le volte che si parlava di Duncan o dei Custodi Grigi. «L’appoggio di Arle Eamon ci è indispensabile. Da soli abbiamo ben poche possibilità.»

   «Ieri accennavate al fatto che lo conoscete», gli rammentai, sperando che potesse saziare la mia curiosità in proposito.

   Annuì. «Vedete, è lui che mi ha cresciuto», confessò con voce appena incerta.

   «Oh, ci stiamo abbandonando alla nostalgia dei ricordi?»

   Si volse a fissare Morrigan con astio. «Fatemi indovinare: questo è il malinconico momento in cui scopriamo che non avete mai avuto amici?»

   «So essere molto amichevole, se voglio», sottolineò lei, rimirandosi le belle unghie curate. «Sfortunatamente, mi è impossibile essere più intelligente.»

   Decidendo di ignorarla, Alistair tornò a parlare con me. «Sono figlio di una serva che… beh, ebbe una relazione con un pezzo grosso, sapete… Per farla breve, sono un bastardo.»

   «Non usate quella parola», lo rimbrottai. «Non mi piace, e nemmeno vi si addice. Non siete un cane.» Merlino abbaiò per protesta.

   «È quello che sono», non se ne curò Alistair.

   «Dunque», provai a ricapitolare, accantonando la questione, «siete figlio illegittimo dell’Arle di Redcliffe?»

   «Oh, no, no», si affrettò a smentire lui. «Ma Arle Eamon mi prese comunque sotto la propria responsabilità. Almeno finché gli fu possibile e non fu costretto a mandarmi via, chiudendomi in un’abbazia per iniziarmi agli studi per diventare un templare.»

   «E com’è che hai fallito il tuo addestramento?», volle sapere Morrigan, tornando alla carica. «Eri troppo stupido anche per la Chiesa?»

   «Che voi ci crediate o meno», cominciò Alistair, risentito, «ero uno dei migliori. Solo che poi sono stato reclutato nei Custodi Grigi.»

   «Come mai Arle Eamon vi mandò via? Posso chiedervelo?», continuavo invece io con le mie domande.

   Lui mi rispose volentieri. «Per via di sua moglie, l’Arlessa Isolde. È una donna molto religiosa e considerava la mia presenza nella sua casa una vergogna.»

   «Cosa? E perché?», non mi capacitai, mostrando tutta la mia intenzione di difendere quello che, a conti fatti, stava diventando un mio buon amico. Era incredibile come in tre giorni appena fossi arrivata a capovolgere il mio giudizio su di lui. Rimaneva pur sempre un idiota, ai miei occhi, ma di quelli che piacevano a me.

   Alistair sorrise, lieto di sentirmi ragionare in quel modo. «In molti pensavano che io fossi realmente figlio di Arle Eamon. Anche l’Arlessa cominciò a sospettarlo, e nonostante a suo marito non importasse quel che diceva la gente, la cosa le provocava un grande imbarazzo. Fu per questo che mi spedirono in Chiesa.»

   «E vostra madre?»

   «Oh, lei era già morta. Quando ero molto piccolo. Non ho molti ricordi di lei. Avevo un medaglione con l’emblema della Fiamma di Andraste che le apparteneva, ma…» Esitò prima di continuare. «Lo lanciai rabbiosamente contro un muro quando decisero di mandarmi all’abbazia, e andò in pezzi. Era l’unica cosa che mi rimaneva di lei. Fu un gesto molto stupido», concluse con un sospiro amaro.

   «Eravate solo un bambino», cercai di consolarlo.

   «Beh, in ogni caso fui mandato via, e anche se Arle Eamon veniva a trovarmi molto spesso all’abbazia, io fui talmente cocciuto da non volerlo mai incontrare. Perciò, dopo qualche tempo, smise di cercarmi. Da allora non l’ho più visto.»

   Morrigan ed io ci guardammo, e dall’espressione che lessi sul suo viso, compresi che quella che doveva porre la domanda chiave ero io, che almeno avrei usato parole gentili. «Alistair», esordii con un grazioso sorriso che voleva celare i miei dubbi sulla sua intelligenza. «Abbiate la cortesia di togliermi una curiosità.»

   «Chiedete pure», si mostrò ancora disponibile lui.

   «Se voi e Arle Eamon non vi siete lasciati in buoni rapporti… come potete essere certo che accetterà di aiutarci?»

   «Di questo non dovete preoccuparvi», mi assicurò lui distendendo le labbra verso l’alto. «È l’uomo più onesto che conosca. Saprà prendere la decisione migliore. Inoltre è lo zio di Cailan: non lascerà che la morte di suo nipote rimanga impunita.»

   Fu con questa sua ottimistica speranza che ci addentrammo per le vie di Lothering, stipate di gente proveniente dalle terre che avevamo attraversato per giungere fin lì. Vidi dei bambini che piangevano, aggirandosi da soli in cerca di genitori che forse non avrebbero più rivisto. Uno di loro, coi capelli rossi, ci corse incontro domandandoci se per caso ci fossimo imbattuti in sua madre. Era scappato da una delle fattorie che ci eravamo lasciati alle spalle il giorno addietro, e adesso aspettava che lei lo venisse a prendere, mentre suo padre ed il loro vicino discutevano di qualcosa. Dal suo racconto ci apparve assai poco probabile che quella donna e suo marito fossero ancora in vita. Stringeva il cuore essere testimoni di tanta disperazione.

   Una famiglia di elfi chiedeva l’elemosina sul ciglio della strada principale, ma nessuno pareva notarli, e non soltanto perché erano tutti nella stessa barca. Gli elfi sono disprezzati e considerati esseri inferiori da buona parte degli umani. Io lo so bene perché sono nata in un’enclave dove le ingiustizie dei signorotti prepotenti sono all’ordine del giorno. Crescendo sarei dovuta andare in sposa ad uno sconosciuto, poiché la nostra razza è in via d’estinzione e gli anziani fanno di tutto per favorire la procreazione, a cominciare dai matrimoni combinati con gente proveniente da altre enclavi, così che i rapporti fra gli elfi di tutte le parti del Thedas possano rinsaldarsi. Oppure mi sarei ritrovata a fare la sguattera da qualche parte, molestata di tanto in tanto dagli uomini per i quali avrei dovuto lavorare o, peggio, violata contro la mia volontà – com’era successo a mia sorella. La magia presente nel mio sangue, invece, mi aveva salvata, perché quando si seppe quel che ero, vennero mandati dei templari a strapparmi dal petto di mia madre per condurmi alla Torre del Circolo; dove, almeno lì, i maghi non fanno granché caso alla razza a cui appartiene un’apprendista – questo perché anche loro sono sempre guardati con sospetto o disprezzo per via delle chiacchiere della Chiesa.

   Fui distolta dai miei pensieri dalle voci concitate di un mercante e di una sacerdotessa che, dall’altro lato della strada, litigavano a causa della speculazione che faceva l’uomo su ciò che vendeva e che pure aveva acquistato pochi giorni prima dagli stessi abitanti del villaggio a prezzi bassissimi. Al centro della via, invece, stazionava un templare. Ero abituata ad interagire con loro alla Torre del Circolo, e dopo aver avuto a che fare sia con Cullen che con Alistair, continuavo a reputarli tutt’altro che un pericolo per la sottoscritta. Non che mi illudessi che fossero tutti abbastanza lucidi da discernere il dovere dal loro fanatismo. Ero consapevole che tanti, troppi templari erano – e sono – accecati dalla fede in cui hanno deciso di riversare loro stessi, al punto da annullare ogni volontà e diventare strumenti atti ad annientare ogni singolo mago che possa aver anche solo involontariamente commesso un errore di giudizio, così com’era capitato a me. Oltretutto le cose erano cambiate: eravamo ricercati. Loghain sapeva quanti Custodi Grigi erano stati mandati ad accendere il fuoco durante la battaglia di Ostagar e, purtroppo, conosceva anche i nostri nomi ed i nostri volti. L’unica fortuna era che le notizie su me ed Alistair non erano ancora state diffuse dappertutto, o comunque non in modo dettagliato. Pensavamo inoltre che non eravamo i soli ad essere costretti ad agire con prudenza; anche lo stesso Loghain doveva farlo per non rivelare ad altri la paura che certamente aveva di noi, che conoscevamo la verità su quella notte maledetta.

   Il templare ci fermò, ma non ci riconobbe. Ci diede soltanto il benvenuto, avvisandoci di non causare problemi, perché già ci pensavano i gruppi di malviventi che, come branchi di lupi affamati, si aggiravano nei dintorni. Se avevamo bisogno di qualcosa, ci disse, potevamo rivolgerci all’Anziana Miriam o alla Venerabile Madre nella cappella in fondo alla strada. Fu lì che ci recammo anzitutto, fra le proteste di Morrigan che preferì rimanere fuori dalla porta insieme a Merlino. Io ed Alistair avanzammo lungo la navata centrale nella penombra della chiesa scarsamente illuminata, osservando con tristezza i disperati che si erano barricati lì in cerca di conforto, affidandosi alle uniche cose che gli rimaneva: le preghiere e la fede nel Creatore. A vigilare sull’ordine di questi infelici vi erano altri templari, ovviamente, e fu il loro comandante a chiederci se necessitassimo di assistenza. Rispondemmo di no, che avevamo solo sentito il bisogno della pace di quel luogo sacro. Lo informammo però dei banditi all’ingresso del villaggio e lui non ne parve sorpreso, perché, ci fece sapere, non era la prima volta che quei delinquenti si fermavano lì ad infastidire i profughi. Seccato per la situazione, chiamò subito uno dei suoi uomini e lo mandò sul posto insieme ad altri compagni. Già che c’eravamo, gli chiedemmo dove avremmo potuto fare rifornimenti e magari mangiare un pasto caldo, e lui ci indirizzò alla locanda, situata dall’altra parte del ponticello di pietra che sormontava il torrente che divideva in due il villaggio. Prima di congedarsi da noi, inoltre, ci avvertì che avremmo fatto meglio a non aspettarci troppo: sebbene Lothering fosse un punto strategico di scambi commerciali, allo stato attuale delle cose gli affari andavano in modo pessimo, per cui avremmo trovato poco e a prezzi forse troppo alti.

   Decidemmo comunque di tentare. La taverna non era molto ampia, e anche al suo interno si poteva notare il male che affliggeva quel posto. Su un soppalco alcuni musicisti se ne stavano con le mani in mano, senza neanche accennare alla possibilità di suonare qualcosa per intrattenere gli avventori, tutti troppo impegnati a piangere miseria e ad imprecare contro la sorte avversa per preoccuparsene. L’unica figura silenziosa presente era quella di una giovane sacerdotessa dai capelli tagliati sopra le spalle, rossi, che se ne stava addossata ad una parete a scrutare chiunque le passasse davanti. Ci accomodammo ad uno dei pochi tavoli liberi ed iniziammo a parlare con l’oste, quando la porta si spalancò, lasciando entrare una decina di soldati armati fino ai denti. Il loro capo si guardò attorno, e non appena si accorse di noi, ci venne incontro con viso arcigno.

   «A giudicare dalla vostra tunica e dal vostro bastone, deduco che siete una maga», esordì, fissandomi con insistenza.

   «Che volete?», volle sapere Alistair, guardingo.

   L’attenzione dell’uomo si spostò su di lui, studiandolo attentamente. «Voi due», rispose alfine con aria soddisfatta. «Credevate davvero che, dopo quanto è successo, Teyrn Loghain vi avrebbe lasciati andare?»

   L’oste si allontanò frettolosamente non appena ebbe udito quel nome. Alistair allora si alzò in piedi, ed io e Morrigan lo imitammo. «Per quale ragione Loghain vi ha mandati a cercarci? Di che siamo accusati?» In realtà lo sapevamo, ma preferivamo averne conferma direttamente dai suoi tirapiedi.

   «I Custodi Grigi sono accusati di alto tradimento, nonché dell’uccisione di Re Cailan», annunciò la guardia a gran voce, atterrendo tutti gli avventori.

   Alistair questa non la mandò giù. Riuscii a trattenerlo per un braccio prima che gli si avventasse contro e mi misi fra loro, augurandomi di poter risolvere l’alterco in modo pacifico. «Ragionate», cominciai, rivolta al soldato. «Se davvero i Custodi Grigi avessero fatto tutto questo, perché sono rimasti uccisi anche loro?»

   Lui mi scrutò divertito. «Quindi gli elfi sanno anche parlare, oltre che spalare letame.» Di nuovo Alistair fece per reagire e di nuovo fui costretta a fermarlo, anche se con maggior fatica di prima. «Quando ho parlato di tradimento ad opera dei Custodi», prese intanto a spiegare l’altro con sommo disprezzo, «intendevo il vostro, di voi due soltanto.» Troppo allibiti per spiccicare parola, gli permettemmo di continuare con le sue assurde accuse. «Loghain sa perfettamente dove volete arrivare», e nel dirlo i suoi occhi fulminarono Alistair, «ma non ve lo permetterà. Né io ho intenzione di lasciarvi fuggire di qui», minacciò, sguainando la spada.

   «E addio al nostro pranzo», ringhiò Morrigan, brandendo subito il proprio bastone.

   «Attenta a non colpire i clienti», le raccomandai.

   «Cercherò di trattenermi», mi assicurò fra i denti, dando lei stessa inizio allo scontro.

   I soldati ci furono addosso, ed Alistair si frappose fra noi e loro, pronto, nella sua folle rabbia, ad affrontarli tutti per consentirci di lanciare i nostri incantesimi senza interruzione alcuna. A dargli man forte venne inaspettatamente la sacerdotessa dai capelli rossi che avevamo visto in fondo al locale e che si buttò nella mischia armata di un grosso pugnale. Non capivo per quale ragione lo avesse fatto, ma dal momento che si era schierata dalla nostra parte, io e Morrigan facemmo di tutto per bloccare e colpire gli uomini che minacciavano di attaccare lei ed Alistair alle spalle. Se per merito della loro abilità con le armi e della nostra magia o se per grazia divina – che intanto aveva condotto anche Merlino all’interno della taverna a darci aiuto – non so dirlo, ma riuscimmo ad avere la meglio. Non appena atterrammo il capo dei nostri avversari, questi implorò pietà davanti alla spada di Alistair. Potevamo decidere se ucciderlo o se lasciarlo andare. Non eravamo degli assassini, per cui io stessa gli intimai di abbandonare immediatamente Lothering e di comunicare a Loghain che noi sapevamo la verità e che presto gliel’avremmo fatta pagare.

   «Addio anche all’elemento sorpresa», si lamentò Morrigan, vedendo il gruppo fuggire via. «A volte mi chiedo chi sia più cretino fra te e Alistair.»

   «Magari agendo così metteremo sotto pressione Loghain, spingendolo a commettere errori per paura di essere smascherato davanti a tutti», risposi senza perdermi d’animo, coprendo la replica risentita del mio collega. Morrigan mi concesse il beneficio del dubbio, mentre richiamavo Merlino indietro, corso per qualche metro alle calcagna dei soldati battuti in ritirata.

   «Perdonatemi», ci sentimmo dire in quel momento dalla sacerdotessa, ora coperta di sangue su mani, viso e vesti. «Voi siete Custodi Grigi?»

   «Per il Creatore!», esclamò Alistair, accorgendosi solo in quell’istante di lei. «State bene? Siete ferita? Morrigan, l’avete colpita con i vostri malefici?», accusò spaventato e arrabbiato.

   Lei mi fissò intensamente. «Posso, vero?», implorò. «Posso strappargli la lingua e cavargli gli occhi?» Aprii la bocca con l’intento di calmarla, ma lei proseguì. «Proporrei anche di tirargli via il cervello dalle narici, se solo ne avesse uno.»

   «Sto bene, nessuno mi ha ferita», si intromise la ragazza con i capelli rossi, sperando così di placare gli animi.

   «Chi siete?», le domandai, frattanto che gli altri due si lanciavano gli ultimi, poco velati insulti. «Perché ci avete aiutati?»

   Lei si morse il labbro carnoso, come a voler scegliere con cura la risposta da darmi, e questo mi fece supporre che stesse preparando una bugia. «Mi chiamo Leliana, servo Andraste nella chiesa del villaggio.» A questo potevo credere, visto l’abito da lei indossato. «Io… devo venire con voi», aggiunse poi, lasciandoci spaesati. «Potete non credermi, ma il Creatore mi ha detto di farlo.»

   «È matta», fu la prima cosa su cui si trovarono d’accordo Alistair e Morrigan, mortificando visibilmente Leliana. Tanto bastò per farmi intuire che fosse davvero convinta di quel che diceva.

   Non volendo urtare maggiormente i suoi sentimenti, provai a ragionarci. «In che senso vi ha detto di venire con noi?»

   Esitò ancora, facendo vagare i suoi occhi chiari sui miei compagni. «So che può sembrare assurdo, ma… ho fatto un sogno. E nel sogno ho visto una grande luce e ho capito quello che dovevo fare. So combattere, posso esservi d’aiuto.»

   «Perché?», domandai, trovando molto più convincente il fatto che sapesse padroneggiare una lama della sua visione mistica. Non ero mai stata troppo religiosa, ma non ero nemmeno del tutto miscredente. «Voglio dire, perché il Creatore dovrebbe volere questo?»

   «Non lo so», ammise, intimidita. «Non conosco i Suoi piani. Sono soltanto uno strumento nelle Sue mani, esattamente come voi.»

   «Dove avete imparato a combattere?», fu l’ottimo quesito che le pose Alistair. «Insomma, non tutte le sacerdotesse se ne vanno in giro ad accoltellare chi cade nel peccato.»

   «Perché, voi templari che fate? Non vi accanite contro i maghi?», ebbe da ridire Morrigan sul suo commento.

   «I templari non sono propriamente paragonabili alle sacerdotesse», spiegò lui, seccato. «E per l’ennesima volta, io non sono uno di loro.»

   «Non sono sempre stata chiusa in una chiesa», ci informò Leliana, riuscendo a mettere nuovamente fine ad una loro discussione. In tutta onestà, l’avrei presa nel gruppo anche solo per quella sua straordinaria capacità. Magari, pensai, il Creatore l’aveva messa sulla mia strada affinché zittisse Morrigan ed Alistair una volta per tutte, così che io potessi lasciar riposare quelle orecchie a punta che tanto piacevano al mio compare. «Se mi vorrete con voi, vi racconterò la mia storia.»

   Ponderai seriamente sulla questione. «Figurarsi», sbuffò Alistair, convinto che stessimo perdendo tempo.

   «Va bene», lo sorpresi invece io. «Se credete di dover sposare la nostra causa, siete libera di seguirci.»

   «Cosa?», esclamò infatti lui, afferrandomi per un braccio per indurmi a dargli retta. «Perché dovremmo portarla con noi? Lei non c’entra niente con la nostra missione.»

   «Il Flagello riguarda tutti, Alistair», gli ricordai. «Inoltre, pensateci, una mano potrebbe farci comodo. O siete del parere che riusciremo sempre a cavarcela noi tre da soli?» Merlino abbaiò. «Noi quattro», mi corressi. «Vi immaginate se, anziché un nugoletto di soldati di Prole Oscura, ci trovassimo davanti un intero battaglione? Siamo forti, e lo abbiamo dimostrato. Ma siamo sopravvissuti fino ad ora anche e soprattutto grazie all’aiuto di altri. Avete già dimenticato che se siamo qui, in grado di respirare e reggerci sulle nostre stesse gambe, è per merito della madre di Morrigan? Se non fosse stato per lei, a quest’ora saremmo stati cibo per corvi, lì in cima alla Torre di Ishal.»

   Alistair si ammutolì, lasciandomi andare in segno di resa. Apparentemente il mio ragionamento non faceva una piega. «E se fosse una trappola, una spia del nemico?», provò ad intervenire Morrigan, ancora restia a darmi ascolto.

   «In tal caso saremo comunque quattro contro una.» Riuscii ad avere l’ultima parola, benché io stessa nutrivo dei dubbi sulla lealtà di Leliana. Tornai allora a rivolgermi a lei. «Potete venire con noi, dunque. Ma in fretta, perché credo che ormai si sappia della nostra presenza, qui. Dobbiamo andarcene subito.»

   «Oh, non c’è problema», rispose lei, mentre un nuovo entusiasmo le accendeva lo sguardo. «Grazie, mia signora. Non vi deluderò.»

   A quel punto mi osservai finalmente intorno, rendendomi conto di come avevamo ridotto la locanda. Alzai gli occhi sull’oste con aria contrita e lui scosse il capo. «Non mi importa», assicurò, timoroso delle conseguenze che la nostra presenza avrebbe potuto causare. «Basta che ve ne andiate.»

   «E il nostro pranzo?», protestò Alistair, affamato almeno quanto me.

   «Vi darò quello che volete, ma poi via di qui», esclamò l’uomo, correndo verso la cucina.

   «Siamo disposti a pagare», precisammo a scanso di equivoci, mettendo mano al sacchetto di cuoio chiaro in cui avevamo raccolto le poche monete di cui disponevamo.

   Tornare in chiesa adesso, in mezzo a tutti quei templari, non era prudente. Sgattaiolammo perciò dalla porta sul retro e coprimmo con passo veloce la distanza che ci separava dall’uscita del villaggio, dove saremmo stati raggiunti da Leliana, scappata a recuperare pochi effetti personali e, soprattutto, un mantello che nascondesse le macchie di sangue sulla gonna e sul corpetto. Attraversando la zona residenziale, ci imbattemmo in quella che, suppongo, dovesse essere l’Anziana Miriam, troppo occupata con i profughi per badare a noi. In periferia scorsi una grossa gabbia di ferro, di quelle usate per i prigionieri, in cui era stato rinchiuso un qunari. Lo riconobbi dalla pelle scura e dall’enorme mole, che lo distinguevano a colpo d’occhio dai semplici umani. A dirla tutta non sapevo molto su quella gente, a parte che era in guerra contro l’Impero Tevinter per il dominio delle terre settentrionali del Thedas, e che i suoi mezzi di combattimento erano di gran lunga più avanzati dei nostri. L’uomo incarcerato, comunque, aveva l’aria triste, ma rassegnata, per cui mi convinsi che dovesse essere stato condannato alla pena capitale in seguito a chissà quale crimine.

   Quella mia distrazione mi costò la perdita di un nuovo siparietto fra i miei primi due compagni di viaggio, intenti a confabulare fra loro. «Che succede?»

   «Niente», tagliò corto Alistair, nascondendo qualcosa che, in ogni caso, dalla mia angolazione mi risultava impossibile vedere. Chiaramente quel suo niente voleva dire tutto, per cui lo fissai con circospezione.

   Stranamente Morrigan venne in suo aiuto. A modo suo. «Si è solo reso conto di essere un imbecille.» E siccome lui ebbe subito da replicare con vigore, decisi di smetterla di indagare e di lasciare che si scannassero a vicenda, benché poco prima mi fossero sembrati quasi complici. Lì per lì mi sfiorò addirittura la folle idea che se la intendessero segretamente.

   Quando Leliana fu da noi, avvertendoci che per tutto Lothering si stava diffondendo la notizia della nostra presenza, ci affrettammo a lasciare la zona. Non appena salimmo i gradini che ci avrebbero riportati sulla Strada dell’Ovest, ci imbattemmo in due nani che, poveretti, cercavano di difendersi come potevano da alcuni Prole Oscura che il mio mabari aveva avvertito già a distanza. La cosa ci preoccupò non poco; non tanto per quello scontro, che si concluse in pochi istanti con la nostra vittoria, quanto perché se quegli esseri si erano spinti fino a lì significava allora che presto anche quel villaggio sarebbe stato preso d’assalto. E noi non potevamo fare niente per evitarlo.

   «Ci avete aiutati!», esclamò uno dei nani, un signore con la barba castana intrecciata sul mento e lo sguardo allegro nonostante la disavventura appena capitatagli. Ci venne incontro svelto, mentre quello che supponevo essere il suo ragazzo gli saltellava dietro. Stavano bene tutti e due, per fortuna. «Non so davvero come sdebitarmi. Io e mio figlio vi siamo grati, vi dobbiamo la vita. E anche tutte le nostre merci», aggiunse, facendo cenno al carro rovesciato in mezzo alla via, ma comunque pressoché intatto. Eravamo davvero intervenuti in tempo. O quasi, visto che non distante dal punto in cui ci trovavamo giaceva il corpo senza vita di un uomo.

   «Lo conoscevate?», chiesi.

   Il nano scosse il capo. «Era già morto quando siamo arrivati», spiegò. «Mi chiamo Bodahn Feddic, e questo è Sandal», si presentò infine.

   Suo figlio, un ragazzetto biondo dagli occhi grandi e con un enorme sorriso sulla faccia, balzò sul posto e batté le mani. «Incantesimo!» Realizzai subito che doveva avere un qualche ritardo mentale, ma ovviamente non posi domande al riguardo.

   «Sentite», riprese Bodahn, accarezzando Sandal sulla testa per farlo stare calmo, «le cose qui non sono facili, ed i mercanti come noi rischiano molto. Dove siete diretti? Visto quanto siete forti, potremmo viaggiare insieme. In cambio vi prometto dei fortissimi sconti su tutto ciò che ho da vendere.»

   La proposta era certamente allettante, perché ci sarebbero stati di sicuro dei momenti, durante il nostro viaggio, in cui saremmo stati lontani per giorni dai luoghi abitati e quindi senza possibilità di rifornirci in caso di emergenza. Tuttavia adesso sapevamo con certezza quanto pericolosa era la nostra missione: braccati non solo dalla Prole Oscura, ma anche da Loghain e dai suoi sgherri. Non potevamo permettere che degli innocenti venissero coinvolti per colpa nostra.

   «Credeteci, buon uomo», prese a rispondere Alistair, anticipando le mie parole. «Non vorreste seguirci se vi dicessimo dove siamo diretti.»

   «È troppo pericoloso», confermai.

   Bodahn Feddic parve rassegnarsi ed alzò le spalle, sospirando. «Beh… suppongo non ci sia molto da fare, allora.»

   «Incantesimo?»

   «Buono, Sandal», mormorò a suo figlio, prima di tornare a rivolgersi a noi. «Possiamo almeno sdebitarci in qualche modo?»

   «Abbiamo dei soldati alle costole», mi sussurrò Alistair. «Sarebbe meglio non perdere altro tempo.»

   «Non occorre», dissi allora al mercante. «Abbiamo soltanto fatto il nostro dovere», assicurai.

   «Siete davvero delle persone nobili», replicò lui, sinceramente ammirato. «Vi auguro ogni bene.»

   «E noi lo auguriamo a voi.»

   «Forza, Sandal. Raccogliamo la merce», lo sentimmo dire al suo ragazzo, mentre noi ci allontanavamo senza neanche poterci permettere di aiutarli.

 

Percorremmo in silenzio un bel tratto di strada prima che Leliana, quasi dimenticata dal resto del gruppo, prendesse parola. «Chi è che comanda?»

   «Nessuno», risposi io, sorpresa. Doveva esserci necessariamente un capo?

   «Nimue», mi contraddisse invece Alistair. Mi volsi a guardarlo stranita, così di colpo che quasi mi slogai il collo. «Siete più razionale di me, credo», iniziò a difendersi lui. «Io sono troppo emotivo.»

   «Vorrai dire stupido», infierì Morrigan come suo solito.

   «Non dategli retta», dissi a Leliana. «È Alistair il Custode anziano.»

   «Forse», ricominciò lui, ritenendo più urgente chiarire la questione sollevata dall’ultima arrivata rispetto al ribattere alle ingiurie di Morrigan. «Ma io non voglio comandare alcunché. Sono un pessimo leader, e sono anche pigro. Quindi preferisco cedervi il posto.»

   Contrariata, feci per aprire bocca, se non che la figlia di Flemeth scoppiò a ridere. «La realtà è che sei impedito a fare qualunque cosa richieda un minimo di cervello.»

   «Dite quel che volete», rimbeccò Alistair, innervosito, «ma vi avverto che è come se fossi un templare. Conosco molti modi per sfuggire alle vostre stregonerie e farvi a pezzi, se solo volessi.» Morrigan sbeffeggiò quella sua dichiarazione in maniera poco educata. Ignorandola, l’altro tornò a rivolgersi a me. «Voi però non avete nulla da temere, non potrei mai farvi del male.»

   «Ruffiano», mi anticipò ancora la Strega delle Selve, stizzita.

   «Quindi siete voi, Nimue, a prendere le decisioni per tutti?», volle sapere Leliana, per nulla turbata dal batti e ribatti dei due. Il che mi parve una fortuna.

   «Io… No, affatto», insistetti.

   «Sì, invece», insistette Alistair più di me, passando un braccio attorno alla mia nuca ed attirandomi a sé. Impacciata, cercai di liberarmi, senza successo. «Ve ne prego», bisbigliò in confidenza. «Quando lasciano decidere a me, succedono sempre delle brutte, pessime cose. Finiamo col perderci, rimaniamo senza cibo, qualcuno muore ammazzato…»

   E Duncan mi aveva affidato lui come guida? Valeva così poco la mia vita?

   Alistair spiò Morrigan con la coda dell’occhio. «Volete davvero che tale sciagura si abbatta su di noi prima del Flagello? Non pensate al vostro cane e alla povera Leliana?»

   «E Morrigan?», osservai, sopportando la sua vicinanza. Era troppo grosso e forte perché io riuscissi a levarmelo di dosso. «Vi siete dimenticato di lei.»

   «Quella ci seppellisce tutti», fu la pronta risposta che ricevetti. «Me lo farete questo favore, sì?»

   «Se me lo chiedete con quell’aria da cucciolo bastonato non posso non cedere», sospirai rassegnata ma ancora poco convinta. «Vi avverto, comunque, che non ho intenzione di fare un bel niente senza prima avervi consultato. Non so nulla né sulla Prole Oscura né sui Custodi Grigi. Anzi, a ben guardare non so niente del mondo, dato che ho vissuto tutta la mia vita prima in un ghetto e poi in una campana di vetro.»

   «Come me all’abbazia», rammentò Alistair. Avremmo senz’altro preso delle ottime decisioni insieme, vista la nostra grande esperienza. «Ad ogni modo, sul serio, potrete sempre contare sul mio aiuto», mi assicurò cominciando ad allentare la presa sul mio collo e consentendomi finalmente di tornare a respirare per bene. «Chiedo solo che abbiate voi l’ultima parola.»

   «Va bene, d’accordo. Ora lasciatemi», capitolai definitivamente, spingendolo lontano da me.

   «E quindi?», volle una risposta precisa Leliana.

   Scoccai un’ultima occhiata al mio collega. «Comando io», annunciai con ben poco entusiasmo. Lui si portò le mani al petto, commosso, ed io avvertii l’improvvisa voglia di aizzargli contro il mio mabari.

   «L’unico mio rammarico», ricominciò, tornando a prestare attenzione alla strada, «è che qui sono l’unico maschio. O magari è una fortuna, chissà?» Merlino latrò. L’addestratore del canile di Ostagar non mi aveva mentito riguardo all’intelligenza di queste creature. A volte persino più acute di alcuni esseri umani. «Oh, scusami. Hai ragione», concesse Alistair alla bestia. «Siamo in due.»

   «E, pensa un po’, lui è più attraente di te, oltre che più sveglio.»

   «Sapete, Morrigan, se dipendesse dalla mia volontà, non avreste fatto mezzo miglio con noi.»

   «Ma disgraziatamente per te, hai appena stabilito che non sei tu a comandare», gli fece notare lei, dando per l’ennesima volta prova di superarlo quanto a lingua lunga.

   «Invece di blaterare idiozie», ribatté Alistair, ostentando superiorità, «vi suggerirei davvero di tornare indietro. Vostra madre è anziana, dopotutto. Cosa fareste se le succedesse qualcosa?»

   «Intendi prima o dopo che io sia scoppiata a ridere?», rispose Morrigan in tono allegro, strappando una spiga dal margine della strada ed iniziando a giocherellarci con fare disinvolto, mentre Leliana la osservava incuriosita.

   Alistair grugnì qualcosa che, se alle orecchie delle altre arrivò come un suono indistinto, alle mie, più sensibili, suonò come: «Mi fa sempre più paura.»

   «Diteci qualcosa di voi, Leliana», intervenni a quel punto per amor di pace, benché anch’io continuassi a chiedermi che razza di rapporto legasse Flemeth a sua figlia. Personalmente non avrei mai augurato la morte a mia madre, nemmeno per scherzo.

   Leliana fece spallucce. «Il mio è un passato che vorrei dimenticare», mormorò fissando l’orizzonte con aria assorta. «Ma nella Chiesa ho trovato la pace», proseguì, curvando distrattamente verso l’alto le piccole labbra carnose. «Il Creatore mi indica la via e Andraste guida i miei passi.»

   Non occorsero altre domande, perché da lì in avanti iniziò un lungo sermone sulla grandezza del Cielo, del Creatore e della Sua sposa. Morrigan si limitò a sbuffare ad ogni pausa – e le fui grata per essersi limitata a questo – mentre Alistair, che di tanto in tanto mi rivolgeva delle occhiatacce per rimproverarmi di aver preso Leliana con noi, aveva ormai assunto la tipica espressione assente dell’uomo sposato che non può sfuggire alle chiacchiere incessanti della moglie. Quanto a me, cercavo di vedere il lato positivo della cosa: l’ultima arrivata aveva una bella voce, molto musicale. Mi venne sonno, e cominciai a cullarmi nella speranza che lei potesse accompagnarmi con quella nenia anche prima di andare a dormire, quella stessa sera.

 

«Avete un momento?»

   Dalla sua espressione dedussi che Alistair dovesse essere contrariato per qualcosa. E sapevo anche il perché. Con una certa riluttanza, lasciai il mio posto davanti al fuoco, accanto a Leliana e al cane, e lo seguii dove nessuno avrebbe potuto udirci.

   «Ho fatto qualcosa di sbagliato?», domandai prima ancora che lui aprisse bocca.

   Lo vidi trattenere il fiato, ed io ebbi timore che con esso stesse soffocando anche la collera. «Non proprio», mi tranquillizzò infine. «Permettetemi però di esporre dei dubbi sui nostri compagni di viaggio.»

   «Merlino vi crea problemi?», cominciai allora io, sulla difensiva. «Se è per la pipì che ha fatto prima sui vostri stivali, vi prometto che non accadrà più. Anzi, se dovesse ripetersi, ve li pulirò ancora cento volte», minimizzai, agitando le mani davanti a me con fare sciocco.

   «Lasciate perdere quel sacco di pulci, ora», scacciò via la questione Alistair con un gesto stizzito del braccio. «Parlavo di Leliana.»

   «Oh.»

   «Senza offesa per la vostra capacità di giudizio, ma a me sembra una fanatica.»

   «Anche a me», confessai con una certa vergogna. «Ma non c’è nulla di male a portarcela dietro se vuole rendersi utile, non vi pare? Sa combattere.»

   E questo a me bastava e avanzava. Non avevo alcuna voglia, infatti, di andarmene a spasso per il Ferelden da sola con Alistair e la Prole scura e Loghain alle calcagna. Non perché non mi fidassi di lui – di Alistair, intendo – poiché avevo ormai capito che le sue spacconerie erano tutta apparenza e che in realtà egli era un ragazzo davvero onesto. Il punto era che mi faceva sentire più sicura l’idea di avere intorno a me un piccolo esercito in grado di trarmi d’impaccio durante i momenti di crisi. Potevo forse essere biasimata per la troppa prudenza?

   «Inoltre», continuai, «in questo modo la benedizione del Creatore ci accompagnerà nella nostra difficile missione. Non vi conforta la cosa? Siete stato cresciuto dalla Chiesa, dovreste lasciarvi suggestionare almeno un po’ dalle parole di Leliana.»

   «È bello sapere che anche voi sapete prendervi gioco degli altri», ritorse lui, incrociando le braccia al petto e fissandomi torvo.

   «Oh, non potrei mai prendermi gioco di voi», gli assicurai con gran faccia tosta.

   «Siete credibile quanto Morrigan in abito sacerdotale.» Quell’immagine fece crollare la mia maschera e fui costretta a confessare la verità. Alistair sospirò, decidendo di venirmi incontro. «Va bene, accettiamo la benedizione del Creatore. Ma che mi dite di Morrigan?»

   «Cos’ha che non va?», chiesi, guardandomi in giro spaesata.

   Lui sorrise, ma non per manifestare il suo divertimento. «Forse la domanda corretta è “Cos’ha che va?”», volle mettere in chiaro. «Tanto per cominciare, non sappiamo neanche se è una Maleficar.»

   Piantai gli occhi nei suoi, risoluta. «Impossibile», negai. Non perché fossi sicura del fatto mio, quanto perché, dopo aver avuto a che fare con Jowan, mi rifiutavo di credere di essere caduta ancora nello stesso, ingenuo errore.

   «Pensate davvero che sia affidabile?», insistette Alistair.

   «Potrebbe tornarci utile», dissi con sincerità. Era inutile girare attorno ai problemi con lui, visto che era l’unica persona di cui potessi fidarmi appieno. E che credeva realmente in me. «Ci ha già aiutati più volte. Perché dubitare di lei?»

   «Non fa altro che darmi addosso.»

   Fui sul punto di ridere per la tenerezza che mi fece, e se mi trattenni fu solo perché non volevo rischiare di urtare la sua sensibilità. «Proprio non vi piacete, eh?»

   Alistair sospirò di nuovo, grattandosi la corta barba bionda che gli spuntava sul mento. «No, è vero», ammise. «Per questo voglio contare sulla vostra intelligenza, dato che, a quanto pare, io sarei uno stupido.»

   «Voi non siete stupido», ribattei troppo in fretta per apparire credibile, tanto che lui inarcò un sopracciglio. «Lo vedete? Se lo foste, neanche vi verrebbe il dubbio ch’io stia mentendo.»

   «Fingerò di credervi», volle chiudere il discorso lui, a metà fra il serio ed il faceto.

   «Dovreste farlo per davvero», lo esortai, questa volta con più dolcezza. Mi sorrise. «A parte questo, avete lamentele anche sul cane?»

   «Prima mi ha morso.» Mi mostrò la mano, ma non riuscendo a vedere i particolari nella penombra che divideva l’oscurità della notte dalla luce falò acceso in mezzo alla radura, fui costretta a tastargli la pelle con i polpastrelli delle dita, scoprendo così dei segnetti circolari che potevano davvero essere ricondotti al morso di qualcuno.

   «Non esce sangue», osservai, pratica. «Che gli avete fatto?»

   «Non potrei mai fargli niente, è il vostro cane», ribatté con fare ovvio e quasi offeso. «Sono solo passato vicino al suo cibo.»

   «Beh, non fatelo più. Dopo lo sgriderò di nuovo, comunque. Non mi piace che si accanisca contro di voi.»

   «Forse è geloso», scherzò. Lasciai ricadere la sua mano con malagrazia e gli scoccai un’occhiata colma di significato che lo indusse subito lui a tacere, arrendendosi prima ancora di iniziare a ricamare sulla solita storia.

   Rimanemmo in silenzio per qualche istante; quindi, mentre scrutavo il piccolo fuoco di Morrigan in lontananza, mi sovvenne una curiosità. «Cosa fanno i Custodi Grigi quando il mondo non è minacciato dal Flagello? Voglio dire… Conducono una vita normale? Cosa dovrò aspettarmi se e quando usciremo incolumi da tutto questo?»

   Vidi Alistair in difficoltà. «Già, non ve l’ho ancora detto.»

   «Cosa?» Il suo balbettare mi mise in allarme. «Devo preoccuparmi?»

   Prese un grosso respiro. E molto coraggio. «Vedete, bevendo il sangue di Prole Oscura, diventiamo più forti, resistenti, pronti agli scontri fisici e mentali più ardui», cominciò. «Se ci pensate, è un bell’affare.»

   «Se si sopravvive all’Unione», non mi trattenni dal fargli notare con una certa acidità.

   «Se si sopravvive», confermò, non riuscendo a darmi torto. «Tutto ciò che facciamo, quindi, è combattere la Prole Oscura.»

   «Fino a quando?»

   «Non è un lavoro a tempo determinato. Cioè, lo è», si corresse subito dopo, «ma non perché poi decidiamo di smettere e ci ritiriamo in famiglia. È solo che… il sangue di Prole Oscura corrompe il nostro, lo sapete. Perciò col tempo la corruzione inizia a prendere il sopravvento.»

   «Diventiamo come loro?», lo interruppi, terrorizzata, sentendo il gelo impadronirsi di me.

   Alistair scosse vigorosamente il capo per cavarmi dalla testa quell’idea. «No, ma è pur vero che il nostro corpo non regge.» Avrei voluto chiedergli in che senso, ma non me la sentii di farlo. «Non conosceremo mai la vecchiaia, Nimue», proseguì lui, tetro, fissandomi come se fosse colpa sua. «I Custodi Grigi rimangono tali per circa trent’anni. Poi, per impedire che la corruzione prenda il sopravvento, si recano nelle Vie Profonde, nel regno dei nani, dove i Prole Oscura dimorano da che sono nati. È lì che i Custodi muoiono, combattendo per evitare che quelle mostruosità lascino il sottosuolo.»

   Rimasi sconcertata. Sentii l’improvviso bisogno di sedermi, e Alistair fu così gentile da guidarmi a terra e da inginocchiarsi accanto a me quando le gambe non mi ressero più. «Perché… Perché non mi è stato detto subito?», rantolai. Non che avesse fatto molta differenza, dato che rimanendo al Circolo sarei forse andata incontro ad una sorte più crudele. «È una cosa importante, per la miseria!», mi ritrovai poi ad urlare, affondando le unghie nelle sue braccia, che ancora mi reggevano.

   «È risaputo che i Custodi Grigi sacrificano ogni cosa per combattere la Prole Oscura», mi rammentò lui, cercando di farmi ragionare. «È per questo che a noi si uniscono soltanto coloro che sono mossi da ideali superiori o che non hanno nulla da perdere.»

   Mi presi del tempo per calmarmi. Inutilmente, perché mi accorsi che stavo tremando. «C’è altro che devo sapere?», lo supplicai.

   «Non che implichi la nostra vita», rispose Alistair, «ma in effetti sì. La corruzione del sangue ci crea delle difficoltà nella… riproduzione.»

   Chiusi le palpebre, raccogliendo tutto il mio autocontrollo. «Diventiamo frigidi? Impotenti?» A dire il vero non avevo mai scoperto le gioie del sesso, quindi, se anche così fosse stato, non ne avrei certo sentito la mancanza.

   «Cosa? No, no.» Alistair quasi rise, ed io lo fulminai con gli occhi. «Non so quanto sia vero», prese a spiegarmi con un certo imbarazzo, «ma pare che, anzi, da quel punto di vista acquisiamo addirittura parecchia resistenza.» Evitai di fargli notare l’implicita confessione che mi aveva appena fatto, e cioè che, come gli avevano rinfacciato alcuni nostri compagni ad Ostagar, egli non aveva mai conosciuto una donna. «Il punto è che i Custodi hanno difficoltà nel concepimento», riprese. «Possono mettere al mondo dei figli, certo, tuttavia è raro che accada. E solitamente non ci provano nemmeno, perché, sapete, hanno pur sempre la Prole Oscura a cui badare. Per lo stesso motivo, benché non siano proibiti, i matrimoni dei Custodi Grigi non sono visti di buon occhio.» Un po’ come quelli dei maghi, pensai. «Inoltre, se già è difficile per uno di loro concepire un bambino, per una coppia è quasi impossibile.»

   Non sentivo l’immediata esigenza di diventare madre, visto che, a causa della magia che scorreva nelle mie vene, avrei finito per condannare parte della mia progenie alla prigionia della Torre voluta dalla Chiesa; eppure quella era un’eventualità che non avevo escluso del tutto. Invece ora, quasi sicuramente, dovevo accantonare ogni fantasia al riguardo.

   «E voi… avete accettato tutto questo senza batter ciglio?»

   «Non l’ho mai detto», mi sorprese Alistair, gentile e paziente. Mi sovvenne che anche lui, come me, non avesse mai potuto pensare di mettere al mondo dei figli se fosse rimasto fra i templari. «Ma dal momento che qualcuno deve pur pensare al bene comune, e che questo fardello è capitato a noi, tanto vale fare il nostro dovere fino in fondo.» Invidiai il suo coraggio. Era talmente nobile che mi faceva vergognare di me stessa. «Tanto, presto o tardi, tutti noi dovremo recarci nelle Vie Profonde.»

   «Come facciamo a sapere quando?»

   Alzò le spalle. «Lo capiremo e basta. Non so bene come, sono una recluta come voi.» Si zittì per un attimo e poi mormorò: «Duncan… Lui mi aveva confidato che, dopo il Flagello, ci sarebbe andato.» La sua voce si fece più bassa, triste. Sapevo quanto gli aveva voluto bene, e adesso, benché fossi sconvolta dalle ultime scoperte, toccava a me sostenerlo. Potevamo anche essere degli eroi agli occhi della gente comune, ma la verità era che soffrivamo esattamente come tutti. «Non mi è rimasto niente di lui.»

   «Avete il suo ricordo.»

   «E lo porterò sempre con me», giurò solennemente. «Credete che sia sciocco?»

   Scossi la testa. «Non ditelo nemmeno per scherzo.»

   «Io… avrei voluto andare a rendergli omaggio. Ad Altura Perenne.» Aveva gli occhi lucidi. Mi si strinse il cuore. «Mi piacerebbe farlo quando tutto questo sarà finito.»

   «Forse allora verrò con voi», gli promisi, facendo scivolare le mie mani sulle sue. Nonostante tutto, glielo dovevo. Anche se mi rimanevano solo trent’anni di vita, Duncan mi aveva sottratto alla furia dei templari e mi aveva salvata mandandomi sulla Torre di Ishal con Alistair, al quale adesso cominciavo seriamente ad affezionarmi. Eravamo compagni, fratelli legati dalla stessa, meschina sorte. Probabilmente ci saremmo persino ritrovati a percorrere insieme il cammino di morte nelle Vie Profonde.

   Incrociò il mio sguardo, e nel suo lessi nuova speranza. «Vi ringrazio.»













Prima che mi sputiate addosso, vorrei puntualizzare una cosa, anzi due.
1. Non ho lasciato morire Sten perché mi stesse antipatico. L'ho fatto perché lì per lì non ero riuscita a liberarlo, e siccome questo è il primo GdR a cui gioco (a parte i primi della SNES basati sugli anime, ormai vecchissimi), ignoravo parecchie cose, a cominciare dal fatto che ero libera di tornare a Lothering (a patto che non avessi concluso un'altra missione di primaria importanza). Inoltre, siccome sono intelligente (ironia portami via), mi ero in qualche modo convinta che quella di liberare Sten fosse una missione secondaria. ... Adesso peserete bene le parolacce, vero? *puppy eyes*
2. Quando ho scritto Lì per lì mi sfiorò addirittura la folle idea che se la intendessero segretamente (riferito a Morrigan ed Alistair), non mentivo. A Lothering ho seriamente cominciato a shipparli, e pure di brutto. XDDD (A conferma che non avevo mai giocato ad un GdR del genere...) Anche qui mi ero convinta di una cosa sbagliata, e cioé che prima o poi mi sarei voltata verso di loro e li avrei trovati intenti a "suonar trombe" in un cespuglio. XD (Come attenuante posso dire che lo ha pensato anche mio fratello. Il che dimostra che certe cose, come l'idiozia, sono proprie dei geni di famiglia.)
Ovviamente queste non sono le uniche cretinaggini che ho fatto/creduto, anche se la più colossale di tutte sta ancora facendo ridere Atlantislux (che come al solito ringrazio per la disponibilità a farmi da beta). Avrete modo di leggere e di ridermi dietro anche voialtri, non temete.
Intanto mi fermo qui, ringraziando tutti i lettori, e Salice (Su Alistair e Morrigan non mi ripeto, ho già detto tutto su. XD), The Mad Hatter (Ecco, ora sai come Nimue ha interagito con Sten: non è stata un'amicizia molto lunga, però. XD) e NicoDevil (Se ti è piaciuta Morrigan nel terzo capitolo, dove ancora la stavo "testando", ho paura di sapere cosa ne penserai giunti al quinto... XD) per essere stati tanto gentili da lasciarmi due righe. ^^
Shainareth





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Capitolo 5
*** Alistair ***












CAPITOLO QUINTO - ALISTAIR




Passarono i giorni. Fu una fortuna che la nostra strada si incrociò di nuovo con quella di Bodahn Feddic, che ci aveva raggiunti allorché il nostro gruppo aveva dovuto sostare un po’ più a lungo sulla strada per Redcliffe. Insistendo affinché viaggiassimo insieme, Bodahn ci raccontò allora la sua storia, di come era stato costretto ad emigrare in superficie, perché cacciato dal regno sotterraneo dei nani in seguito ad una brutta vicenda dalla quale, diceva lui, ne usciva più che pulito. Ma ormai la sua reputazione era stata compromessa, e siccome sua moglie lo aveva lasciato, egli aveva preso Sandal ed era andato via. Sandal non era realmente suo figlio. Bodahn lo aveva trovato nelle Vie Profonde, quelle che i nani esplorano in cerca di pietre – ma delle loro usanze parlerò più in là. Il ragazzo era solo, e dal momento che aveva dimostrato di possedere uno straordinario talento nell’incantamento delle armi e degli oggetti – cosa impensabile per quelli della loro razza, giacché non si è mai riscontrato un singolo caso di nano mago – Bodahn aveva deciso di prenderlo con sé. Entrambi ne avrebbero tratto profitto e, soprattutto, si sarebbero fatti compagnia a vicenda. Fra loro era comunque nato davvero l’amore che vi è solitamente fra un padre ed il suo figliolo; lo si capiva dalla cura che Bodahn aveva di Sandal e dalla pazienza che mostrava nei suoi riguardi, visto il problema mentale del giovane. Che in verità si riconduceva ad un lieve ritardo dell’intelletto e niente più. Nonostante l’età, Sandal era come un bambino, forse ancor più dolce perché privo di ogni malizia. Ogni tanto io, Leliana ed Alistair parlavamo con lui, ma le nostre conversazioni non duravano mai a lungo, in quanto Sandal si distraeva facilmente.

   Bodahn Feddic ci mise a disposizione delle tende per permetterci di accamparci in modo decente. Gli dissi che gliele avremmo pagate non appena avessimo avuto del denaro sufficiente a coprire quella spesa, ma lui rispose che, finché gli assicurassimo la nostra protezione, non era necessario. Intanto, ci era però possibile acquistare da lui quel poco che ci occorreva di urgente e, meglio ancora, barattare armi e armature. Alla fine, infatti, eravamo stati costretti a darci al saccheggio delle vittime che ci lasciavamo alle spalle, e dalle corazze e dai mezzi con cui i Prole Oscura combattevano mi resi conto che, benché mostri, essi erano attrezzati esattamente come noi che li contrastavamo.

 

«Bevete», ordinai ad Alistair, porgendogli un boccale pieno di liquido fumante. Era stato ferito durante l’ultimo scontro, e non dal nemico. Per farmi perdonare, allora, mentre Leliana gli cambiava le fasciature alle ustioni, mi ero messa a trafficare con le erbe, preparando intrugli medici e tonici che gli consentissero di riprendersi al meglio.

   Seduto al centro dello spiazzo in cui ci eravamo fermati il giorno prima, lui prese il bicchiere e se lo portò distrattamente alle labbra, troppo concentrato ad osservare il lavoro di Leliana per far caso al resto. Finì con lo sputare metà di quello che aveva bevuto, facendoci poco galantemente una doccia calda. «Che diavolo è?», starnazzò, disgustato. «Volevate avvelenarmi?»

   «È un impiastro curativo», gli dissi stizzita, togliendogli il boccale di mano per riempirlo nuovamente. «Se volete guarire, bevete senza fare storie.»

   «L’ha preparato Morrigan?», volle sapere lui, respingendo la mia mano. «Scommetto di sì. Fa schifo, e…»

   «Mi lusingano i vostri complimenti sulle mie capacità di erborista», lo interruppi, riuscendo a zittirlo. E a mortificarlo quanto me.

   «Avete usato della radice elfica?», mi domandò Leliana, finendo di asciugarsi pazientemente il viso con una manica della veste sacerdotale. Le avevamo procurato un’armatura per viaggiare, ma quando eravamo accampati, preferiva tornare ad indossare il vecchio abito. Annuii, spiegandole che avevo raccolto alcune piante medicinali lungo la strada, in modo che potessimo averne una piccola scorta in caso di emergenza. «Oh, dovete assolutamente berla, Alistair», mi venne in aiuto, tornando a stringere la benda attorno al suo braccio. «La radice elfica possiede delle eccellenti proprietà, in grado di ripristinare la salute in pochissimo tempo. Siamo fortunati ad avere con noi una persona che si intende di questo genere di cose.»

   «Anche Morrigan sa sicuramente prepararne», li informai, spingendo di nuovo l’impiastro verso il ferito.

   «Da lei non accetterei neanche dei soldi per paura che siano maledetti», commentò lui, arrendendosi. Scrutò la bevanda con una certa ripugnanza. «Non si potrebbe fare qualcosa per il sapore?»

   «Non siamo ricchi abbastanza da permetterci degli zuccherini», gli ricordai.

   Lo vidi sorridere in quel modo che, lo sapevamo entrambi, avrebbe potuto procurargli una sberla. «Ma potreste addolcirmi v…» Non concluse la frase, lasciandosi scappare un’esclamazione e voltandosi a guardare Leliana, rea di aver stretto troppo la fasciatura.

   «Vi chiedo scusa.» Nell’espressione della nostra compagna, tuttavia, c’era ben poco di dispiaciuto, ed il tono usato pareva quasi allegro.

   «Grazie, Leliana», le dissi io.

   «Solidarietà femminile», rispose lei, serafica. Aveva un viso d’angelo e quando era intenta alla preghiera sembrava la più innocua delle creature. Invece, Leliana sapeva il fatto suo, rivelando non soltanto di essere un’abile combattente, ma soprattutto molto astuta. Non ci aveva ancora raccontato molto del suo passato, solo che era nata ad Orlais, ed il suo leggero accento naturale lo confermava. Sua madre, ci aveva detto, era comunque originaria del Ferelden, e dal momento che anche lei si sentiva in qualche modo appartenente alle nostre terre, aveva preferito lasciare Orlais per poter ammirare i paesaggi di cui aveva sentito tanto parlare quando era bambina.

   Mi inginocchiai accanto ad Alistair, impegnato a mandar giù la medicina di malavoglia, e gli scostai i capelli chiari dalla fronte. «Brucia ancora?», chiesi, studiando con una morsa al cuore la piccola piaga che si era formata in quel punto.

   Lui si concesse il tempo necessario per riprendersi dal saporaccio dell’impiastro, e poi biascicò: «Un po’. Comunque meno di quando me l’avete procurata, non temete.»

   Non c’era l’ombra di rimprovero nella sua voce, ma l’ironia era ben intuibile. «Ve l’ho già detto che sono mortificata?»

   «Almeno quindici volte», rispose, dandomi indietro il bicchiere, mentre premevo delicatamente un fazzoletto imbevuto di unguento sull’ustione che gli avevo accidentalmente causato durante l’ultimo scontro, quando, cercando di mettere fuori gioco i nemici alle sue spalle, ero ricorsa all’Esplosione Infuocata. «La prossima volta che lanciate incantesimi tanto pericolosi, però, avvertitemi.»

   «Così verrà meno l’elemento sorpresa», osservò Leliana, iniziando a metter via le bende sporche. «Cercate piuttosto di stare attento voi.»

   «Oh, certo», ribatté Alistair, indispettito. «Lo direte voi, al mio avversario, di non spingermi all’indietro nel tentativo di atterrarmi?»

   «Allora non varranno neanche gli avvertimenti di Nimue», aggiunse lei, ancora dalla mia parte.

   L’altro sbuffò. E risbuffò quando, pochi istanti dopo, Morrigan passò dietro di me, intonando un motivetto gioviale sull’inutilità dei templari, specie di quelli stupidi, che non sanno difendersi neanche dalle magie più semplici. «Vi siete coalizzate contro di me, ammettetelo.»

   «Giuro di no», dissi, cercando di coprire il canto. «Piuttosto, so che Bodahn ha dei cristalli del fuoco, potrebbero tornarvi utili. Anzi, prendete, ve lo cedo volentieri.» Mi tolsi dal pollice un anello incantato che conferiva al suo possessore maggiore resistenza al fuoco, e glielo infilai ad un dito.

   Alistair mi fissò con sospetto. «Significa che succederà spesso ch’io mi ritrovi ridotto ad una torcia umana per mano vostra?»

   Strinsi le labbra, preoccupata. Sapevo di avere talento come maga, solo che a volte, per sua sfortuna, quando mi trovavo nella mischia venivo assalita dal panico e finivo col commettere degli errori. Quello era stato il primo di grave entità, comunque. «Vi do anche questo», affermai, glissando la domanda ed aggiungendo all’anello contro il fuoco, quello contro l’elettricità.

   «Voi sapete senz’altro tranquillizzare la gente», bofonchiò, quasi rassegnato. «Un giorno me la pagherete, vi avverto.»

   «Non ne avete anche uno contro il gelo?», s’interessò Leliana, osservando la scena con diletto.

   «Non so usare quel tipo di magia», risposi. E forse, per l’incolumità dei miei compagni, era meglio così.

   «Voi no, ma lei sì.» Indicò Morrigan, la quale se ne andava ancheggiando per l’accampamento continuando a canticchiare la sua Ballata del Templare Stupido, seguita a breve distanza da Merlino che teneva il tempo con i suoi uggiolati. «Oh, ha preso un’altra stecca.»

   Alistair si aggrappò alla manica della mia tunica con fare disperato ed occhi allucinati. «Andate a chiedere a Bodahn se ha qualcosa che mi salvi la vita contro quella pazza.»

   «Subito», obbedii, ma prima ancora che potessi alzarmi, Leliana riprese a parlare.

   «Guardate il lato positivo: se Nimue dovesse darvi ancora fuoco, Morrigan vi salverà la vita congelandovi.»

   «Che idea geniale», le applaudì le mani lui con sarcasmo. «Avete sempre una soluzione per tutto, voi.»

   Leliana sospirò con umiltà. «È il Creatore che mi guida.»

   Non riuscii a sentire altro perché mi allontanai piuttosto celermente e, strada facendo, afferrai Morrigan per un gomito e la trascinai lontano da Sandal, che aveva preso a ripetere incessantemente il ritornello della sua canzone.

   «Che c’è?», mi domandò, seccata. «Non vi piace la mia ballata?»

   «Perché dovete sempre offenderlo?» Sebbene il mio volesse essere un aspro richiamo, il tono che usai suonò molto più simile a quello di un prigioniero che invoca pietà.

   «Perché è un idiota», fu inflessibile lei, liberandosi dalla mia presa. «Ma non è colpa sua, poverino», riprese poi, ostentando grande pena. «Tutti i templari lo sono.»

   «Siete ingiusta.»

   «Mi spieghi perché difenderlo?», iniziò allora ad inalberarsi. «Sei una maga anche tu, dopotutto. Credi davvero a tutte le panzane che va farneticando la Chiesa riguardo la nascita della Prole Oscura? Credi davvero che sia colpa dei maghi? Ammettiamo per assurdo che le cose stiano così: perché dovremmo pagarne noi le conseguenze? Si tratta di una cosa successa migliaia di anni fa. Con questa scusa ci tengono relegati in una prigione, con una catena al piede, controllando ogni nostro minimo movimento. Come puoi accettare tutto questo?»

   Dal modo in cui il suo sguardo dardeggiava si capiva che la questione la toccava nel profondo; e, invero, non lasciava indifferente neanche me. Con la differenza, però, che nonostante tutto, alla Torre del Circolo avevo trovato una prigione assai più accogliente di quella in cui ero nata.

   «Sono in molti a pensarla come voi. Io per prima, lo confesso», sospirai, cercando anzitutto di calmarla. «Tuttavia dimenticate che, leggende a parte, non tutti a questo mondo vogliono usare la magia per scopi benevoli, anzi.»

   «Oh, bene», ribatté Morrigan, intrecciando le braccia al petto. «Quindi per prevenire eventuali catastrofi, è giusto mettere sotto chiave dei bambini e negare la libertà a tutti coloro che manifestano dei poteri? È una cosa molto crudele, e la Chiesa ha davvero una gran bella faccia tosta a dire che i cattivi siamo noi. Si è persino procurata un esercito, perché, ovviamente, lei aborre la violenza. Tranne quando si tratta di massacrarci se osiamo contraddire le assurde regole che ci impone, certo.»

   «Sentite», iniziai, non avendo alcuna voglia di discutere oltre la cosa, dal momento che, pur facendolo, io e lei non avremmo potuto cambiare un bel niente, «non dico che abbiate torto. Quello che però mi preme al momento è altro, e cioè che cerchiamo di andare d’accordo almeno tra di noi. Alistair non è davvero un templare, ve l’ha pur detto decine di volte. E nemmeno voleva diventarlo. Inoltre, non disprezza affatto i maghi, sapete?»

   Morrigan socchiuse le palpebre, studiandomi attraverso due sottili fessure. «Sei davvero diventata sua amica?»

   Presi fiato. «Sì. Lo sono», ammisi senza remora alcuna. «È un bravo ragazzo, non farebbe del male a nessuno.»

   «Solo perché è troppo stupido», replicò lei. Ma il modo in cui aveva incurvato le labbra all’insù, mi lasciò ben sperare.

   «Non sarà l’essere più intelligente sulla faccia del Thedas», le concessi di malavoglia, «ma non è affatto come lo dipingete. È solo molto ingenuo. Ed è leale e armato delle migliori intenzioni, e tanto basta per meritare la mia stima.» Rimase in silenzio, forse troppo orgogliosa per ammettere che, in fin dei conti, avevo analizzato la situazione meglio di lei, accecata com’era dai pregiudizi. «Non vi sto chiedendo di farci necessariamente amicizia, però sarebbe carino se almeno la smetteste di insegnare a Sandal quella canzone», mormorai, imbarazzata dalle parole che il figlio di Bodahn Feddic stava ripetendo a voce molto alta allo stesso Alistair – il quale, pover’anima, sopportava e resisteva stoicamente alla tentazione di correre verso di noi per schiaffeggiare Morrigan.

   Quest’ultima sbuffò. «Va bene, ho capito», si arrese, agitando le mani per aria con fare nervoso. «Mi limiterò a punzecchiarlo quando il piccoletto non ci sarà fra i piedi. Contenta?»

   «Siete un tesoro», risposi con un sorriso.

   «Lo faccio per te, sia chiaro. Non per lui», ci tenne a precisare, categorica. «E solo perché sei stata così gentile da dargli fuoco al posto mio.» Rise, mentre io tornavo a mettermi le mani nei capelli. «Che pivello.»

   «È stato colto alla sprovvista», tentai di giustificarlo. «E comunque è rimasto eroicamente in piedi», aggiunsi, sempre più ostinata a tessere le lodi del mio collega.

   Morrigan mi scrutò con compassione. «Dopo essersi rotolato a terra per spegnere le fiamme», specificò. Sentii il sangue affluire al viso. «Se non vuoi ammazzarlo, cerca di stare più attenta, la prossima volta», mi mise poi in guardia. «Non che mi importi granché di quello sciocco, ma francamente non ho alcuna intenzione di ritrovarmi a seguire una maga imbranata che attenta alla vita dei suoi compagni.»

   «Mi dispiace», farfugliai, sempre più in colpa. Non riuscivo neanche più a reggere il suo sguardo.

   «Blablabla», mi fece il verso lei. «Svegliati e reagisci, anziché inumidirti gli occhioni verdi di lacrime per farti coccolare. Piangere per quel che si è fatto non porta a nulla. Impara ad usare il cervello prima di agire, così almeno ti renderai conto per tempo dei tuoi errori», concluse stancamente, lasciandomi sola con la mia umiliazione e con la consapevolezza che lei avesse maledettamente ragione.

   «Che vi ha detto quella strega?», mi interrogò Alistair quando tornai indietro senza riuscire a nascondere il mio stato d’animo.

   «Che sono un disastro», pigolai, accucciandomi accanto a lui per infilargli l’ennesimo anello al dito. «E non ha torto.»

   «Volete davvero darle retta?» Ecco che partiva un altro rimprovero. Per lo meno ero contenta che Leliana si fosse allontanata per riportare Sandal da suo padre. «Sentite, per quel che mi riguarda, non ho un bel niente da biasimarvi, anzi. Mi avete salvato la vita in più di un’occasione, eppure ci conosciamo… da quanto? Dieci giorni? Due settimane? È un’ottima media, non credete?»

   «Le vostre parole sarebbero di maggior conforto se ieri non vi avessi quasi ammazzato», gli feci notare, ormai in depressione.

   «D’accordo, ritrovarsi con la punta dei capelli bruciacchiata ed essere stretto in un’armatura di metallo incandescente non è stata proprio un’esperienza divertente, ma succede a tutti di commettere uno sbaglio. Anzi, si è trattato di un incidente, lo sapete anche voi.» Mi diede un’amichevole pacca sulla spalla per costringermi a guardarlo. «Esitate in battaglia per paura di far del male a qualcuno dei vostri compagni, e sarete voi a pagarne le conseguenze. Non pensate a questo, solo ad usare la testa.»

   Era la stessa cosa che mi aveva detto Morrigan, e lì per lì mi chiesi se, facendoglielo notare, Alistair non si sarebbe messo a ruggire per lo sdegno.

 

Per tutto il viaggio verso Redcliffe non incontrammo più uomini di Loghain, e sinceramente speravo che così sarebbe stato fino a che non fossimo giunti a Denerim, forti già dell’appoggio degli alleati su cui affidavamo le nostre speranze.

   Benché fosse situata sulla sponda meridionale del Lago Calenhad, dove, su un isolotto a nord, sorgeva la Torre del Circolo dei Magi, non ero mai stata a Redcliffe, che Alistair non mancò di descriverci in modo piuttosto minuzioso. Insieme vaneggiammo a proposito del fatto che fossimo cresciuti praticamente a poche miglia l’uno dall’altra, pur senza saperlo, e Leliana convenne che, dopotutto, se anche non fossimo diventati Custodi Grigi, forse era destino che i nostri cammini si incrociassero lo stesso, allorché lui avesse preso i voti e magari fosse stato assegnato alla Torre del Circolo, dove con tutta probabilità mi sarei fermata dopo il Tormento. A quel pensiero, entrambi rimanemmo sovrappensiero; e seppure non potevo sapere con certezza cosa passasse per la testa di Alistair, non dubitavo che anche lui si stesse chiedendo quale sarebbe stato il futuro migliore per tutti e due: prigionieri di una vita che non avevamo chiesto o liberi per il mondo ma braccati come conigli.

   Lasciando Bodahn Feddic e suo figlio all’accampamento poco distante, non appena scorgemmo il villaggio da lontano, il gruppo si fece stranamente silenzioso. Questo perché Alistair smise di colpo di parlare. Volli attribuire a questo prodigio un suo particolare stato d’animo, dovuto alla visione di quei luoghi a lui cari. Non era così, in realtà, perché ad un certo punto egli si schiarì la voce e mi fermò con decisione per un braccio.

   «Cosa c’è?», domandai, notando sul suo volto un’espressione turbata.

   Si grattò la nuca, guadagnando tempo sulla risposta da darmi. «C’è che devo dirvi una cosa.»

   «Sentiamola, allora», lo esortai gentilmente, sperando così di aiutarlo a vincere la ritrosia.

   «Vi ricordate quando vi ho detto che Arle Eamon mi aveva preso sotto la sua custodia, quando ero piccolo?», iniziò allora, non senza qualche incertezza nella voce. Gli feci segno di sì, e lui proseguì. «Lo fece per… proteggere sua sorella, la Regina Rowan. E per proteggere me da lei, in effetti.»

   A quel punto avevo già perso il filo del discorso. «Perché? Che c’entrava la Regina Rowan con voi?»

   Vidi Alistair far vagare nervosamente lo sguardo dappertutto meno che su di me, Leliana e Morrigan, decidendo poi di rivolgerlo al cane, molto meno espressivo di noi. «Vi ricordate anche che vi dissi di essere figlio di un pezzo grosso? Ebbene, quello che intendevo era che… Re Maric era mio… padre», confessò infine, alzando timidamente gli occhi nella mia direzione. «Cailan era mio fratello», aggiunse per dovere di cronaca. Ecco, dunque, perché mi erano sembrati tanto simili. E, a tutt’oggi, sono qui a chiedermi che tipo fosse Re Maric, poiché sospetto che l’idiozia dei suoi figli fosse cosa ereditaria.

   «Un attimo», si intromise Leliana con invidiabile calma. Fu un bene, in quanto io stavo ancora cercando di rendermi conto del vero significato di quella rivelazione. «Questo non vi rende forse l’erede al trono?»

   «Cosa? No! Cioè, sì. In teoria», prese a balbettare lui, agitato. «Io però non ho alcuna intenzione di diventare re, nella maniera più assoluta. Non voglio rogne. E poi non sono nemmeno in grado di distinguere lo stivale destro da quello sinistro.»

   «È anche a questo che servono i consiglieri», gli suggerì l’altra.

   «Non ne basterebbero mille per sopperire alla sua mancanza di intelligenza», commentò invece Morrigan con cipiglio corrucciato e aria confusa, come quella che dovevo mostrare anch’io.

   «Che io sia intelligente o meno non ha importanza, giacché non voglio la corona», ribatté Alistair, tornando a guardarmi in attesa ch’io spiccicassi parola.

   «Perché… Perché non me lo avete detto subito?», chiesi a quel punto, tentando di riordinare le idee e di scacciare dalla mente quella che mi ricordava di aver dato fuoco al principe ereditario del Ferelden.

   Lui sospirò. «Mi rincresce di avervelo tenuto nascosto, ma non mi piace che si sappia in giro. La gente tende a trattarmi sempre con un occhio di riguardo, per questo, o in alternativa con disprezzo, come se io fossi un fastidio. E devo ben esserlo, visto che adesso il trono è vacante. Lo stesso Duncan… Beh, lui credo che mi abbia tenuto lontano dalla battaglia, ad Ostagar, proprio perché pensava che fosse più sicuro mandarmi con voi sulla Torre di Ishal. Sapete, nel qual caso fosse successo qualcosa a Cailan.»

   «E difatti vi ha salvato la vita, in questo modo», osservai, ancora smarrita.

   «Non credete che non gliene sia grato, perché almeno potrò vendicare lui e tutti gli altri», replicò Alistair, indurendo per un solo istante i tratti del volto. «Il punto però è un altro. Non voglio che, adesso che siete al corrente della cosa, voi cominciate a comportarvi in maniera diversa, con me. Confesso che sono stato costretto a rivelarvi la mia identità perché probabilmente ne sentirete parlare quando saremo al castello, e ho pensato che avrebbe potuto essere imbarazzante scoprire la verità per bocca altrui», spiegò, visibilmente infastidito. «Vorrei che mi trattaste come al solito, come il figlio di una serva.»

   Lo fissai negli occhi per alcuni secondi, ancora stordita, ma ormai persuasa dalle sue parole. «Non è quello che siete?»

   Sorrise, sollevato. «Precisamente», annuì, riprendendo il cammino come se nulla fosse successo. «Quindi sentitevi libera di darmi fuoco tutte le volte che volete.»

   «Buono a sapersi», disse Morrigan, sfregandosi le mani.

   «Parlavo con Nimue, non con voi, brutta megera.»

   «Alistair», lo chiamai io, allungando il passo per affiancarlo, Merlino alle calcagna come sempre. «Visto che siete solito raccontarmi a singhiozzi cose che sono invece di fondamentale importanza, siano esse sui Custodi Grigi o su di voi, ve ne supplico: c’è altro che devo sapere? Oppure un giorno mi sveglierò e mi direte che siete la Regina Anora?»

   Fece una smorfia. «Se lo fossi, avrei sposato mio fratello. Sarebbe stato piuttosto immorale.»

   «Rispondete», gli intimai, incaponita a sapere ogni cosa.

   «No, nient’altro. Ve lo giuro», obbedì lui, sincero. «Non ho più segreti per voi. A parte un paio di nei in punti strategici del corpo che non mi dispiacerebbe affatto mostrarvi.» Roteai il bastone vicino alla sua testa, minacciando di colpirlo ed intimandogli il silenzio.

   Alla fine, mentre Leliana discuteva sull’eventualità che un contrariato Alistair salisse al trono, e Morrigan disperava davanti ad una tale sciagura per il nostro regno, a suo dire molto più pericolosa del Flagello, anch’io continuai a rimuginare fra me sulla questione, tentando inutilmente di convincermi che la situazione forse non era così grave come appariva. Di certo, comunque, adesso, sotto ben altra luce, mi spiegavo la vera ragione per cui Loghain ci voleva morti: non solo perché eravamo dei testimoni scomodi, ma anche e soprattutto perché uno di noi due aveva il potere di soffiargli la corona – Bodahn ci aveva infatti informati che, sulla strada, aveva sentito dire che Loghain si fosse autoproclamato reggente del Ferelden, facendo le veci di sua figlia Anora. In un attacco di panico, mi venne voglia di lasciarmi andare ad una lunga, fragorosa risata isterica, ritmandola con dei poderosi colpi di randello sul cranio di Alistair, colpevole di essere al contempo la persona dalla quale avrei dovuto stare il più lontano possibile per assicurarmi salva la vita, eppure l’unica di cui mi potessi fidare appieno. Se mi trattenni dal cedere ai nervi fu solo perché, guardandolo, egli non riusciva a comunicarmi altro che serenità, nonostante tutto: era la mia ancora. Sospirai pesantemente, e da quel momento decisi che per me Alistair sarebbe stato Alistair, lo stesso scemo che avevo conosciuto alcune settimane prima ad Ostagar, e nient’altro. Questa convinzione mi avrebbe inoltre concesso di non pensare troppo al fatto che le cose fossero ben più complicate di quanto avessi immaginato in origine.

 

Quando entrammo nel villaggio, lo trovammo sottosopra. L’agitazione della gente era percepibile a grande distanza, e questo ci fece presagire qualcosa di brutto. Cercammo allora di carpire informazioni da quei pochi che se ne stavano fermi per le strade, e quello che scoprimmo non ci piacque per niente: Arle Eamon era caduto malato, di un male sconosciuto e apparentemente incurabile. Come se questo non fosse bastato, il castello, ci dissero, era divenuto luogo inaccessibile a causa di un oscuro maleficio che faceva giungere morte anche fra la popolazione. Attoniti, decidemmo di rivolgerci all’autorità competente del posto, il sindaco Murdock, e lui ci indirizzò immediatamente in chiesa, dove aveva trovato riparo gran parte degli abitanti. Fu lì che incontrammo Bann Teagan, fratello minore di Eamon e proprietario del bann di Rainesfere. Era un uomo dall’aspetto piuttosto giovanile ed elegante, e ricordo che pensai che se Arle Eamon avesse avuto quella stessa espressione buona impressa nel volto, mi sarei lasciata sicuramente influenzare da quella e dalle parole del mio compagno, appoggiando la sua eventuale candidatura al trono.

   Sulle prime, quando ci scorse dal fondo della cappella, Bann Teagan esitò un attimo, ma poi riconobbe Alistair e si precipitò da noi, spiegandoci grossomodo ciò che ci era appena stato riferito fuori. «Quindi siete rimasti solo voi due?», concluse sconvolto quanto noi, non appena apprese la verità sulla caduta di Ostagar. «Non vi nascondo che immaginavo già qualcosa del genere. Sono tornato pochi giorni fa da Denerim, e posso assicurarvi che Loghain sta facendo una bella campagna contro di voi. Sua figlia dubita della sua parola, eppure non ha il coraggio di opporsi. Se mio fratello stesse bene, muoverebbe immediatamente contro di lui, forte dell’appoggio di molti Bann, potete starne certi», ci assicurò, guardando ora Alistair, ora me. Quando i suoi occhi chiari si posarono sul mio viso un po’ più a lungo, scosse il capo. «Vogliate perdonarmi. A causa dell’emergenza pare ch’io abbia dimenticato le buone maniere. Sono Teagan Guerrin», si presentò allora, regalandomi un sorriso.

   «Nimue Surana», mormorai, intimidita dalla cordialità di quell’uomo tanto affascinante.

   «Posso sperare di avere la vostra collaborazione?»

   «Esattamente, cosa sta succedendo qui?», volle sapere Alistair. «Cos’è questa storia dei mostri che scendono dal castello?»

   «Non sono propriamente mostri», precisò Bann Teagan, il bel volto tirato per la stanchezza delle troppe ore di veglia. «Sono non-morti. Cadaveri, che pure si muovono, e arrivano al villaggio, facendo vittime fra la popolazione. Sono tutti terrorizzati, qui,  l’unica speranza che ci è rimasta, temo sia quella di affidarci al Creatore.»

   «Quindi non si tratta di Prole Oscura?»

   «Non ne abbiamo idea», sospirò, passandosi una mano sulla barba castana che gli incorniciava le labbra, mentre il suo sguardo tornava ripetutamente su di me. «Stiamo provando ad organizzare l’ultima, disperata difesa, ma temo che dopo stanotte non ci sia più molto da fare.»

   «E l’esercito?»

   «Le guardie del castello sono rimaste prigioniere lì. Quanto ai cavalieri di Redcliffe… L’Arlessa è una donna molto devota, lo sapete. È convinta che per salvare la vita di Eamon serva l’Urna delle Sacre Ceneri di Andraste. Pare che abbia proprietà miracolose, e per questa ragione ha organizzato una spedizione per recuperarla. Forse è solo una leggenda, forse no. In ogni caso lei ci crede fermamente, e adesso noi ci ritroviamo senza soldati. Abbiamo provato a richiamarli, ma nessuno ha ancora fatto ritorno, salvo Ser Perth e pochissimi altri.»

   Alistair prese un grosso respiro, le mani sulle anche. «Insomma, siamo arrivati appena in tempo…»

   «Cosa suggerite di fare?», domandai, intenzionata a rendermi utile per quel che potevo. Se si trattava solo di non-morti anziché di Arcidemoni, forse potevo farcela. Forse. Decisi di aggrapparmi anch’io a quel poco di fede che avevo, e piantai gli occhi sulla statua di Andraste posta alle spalle di Bann Teagan; solo dopo diversi attimi mi resi conto di aver commesso un errore, perché mi parve di capire che il fratello di Arle Eamon avesse frainteso l’oggetto della mia contemplazione, regalandomi un sorriso più largo del precedente, e che, lo confesso, mi imbarazzò non poco.

   «Potete parlare col fabbro, e magari convincerlo a rimettersi al lavoro», mi suggerì. «Sua figlia lavora al castello, per mia cognata, e dal momento che nessuno può mettervi piede, lui si è intestardito a non darci una mano finché qualcuno non gli porterà notizie della ragazza. Magari il fatto che siete Custodi potrebbe avere una qualche influenza su di lui.»

   «Proveremo a fargli capire la gravità della situazione», promise Alistair.

   Decidemmo allora di darci una mossa, e per prima cosa andammo a recuperare Leliana, impegnata a conversare con una ragazza. Si chiamava Kaitlyn e le stava raccontando che i suoi genitori erano stati uccisi pochi giorni addietro, e che lei era disperata perché suo fratello minore era scappato, forse intenzionato a vendicarsi da solo della tragedia. Leliana aveva un aspetto ed una voce molto dolci, ed il suo modo di parlare, lento e pacato, aveva il potere di rasserenare l’animo di chi l’ascoltava. La fanciulla parve infatti calmarsi non appena le promise che sarebbe andata a dare un’occhiata a casa loro, con la speranza che il bambino si fosse barricato lì dentro. Non ebbi nulla da obiettare, in proposito, e mentre la nostra compagna si affrettava a lasciare la chiesa, io e Alistair la seguimmo fin sulla soglia.

   «Ma lo sentite quanto starnazza quel deficiente?», fu l’epica questione con cui Morrigan ci raggiunse insieme a Merlino, che subito pretese una carezza sul muso. Non lontano dalla cappella, in effetti, vi era un uomo che, in preda al panico, annunciava la disfatta di Redcliffe e la morte di tutta la popolazione nel giro di poche ore. «Cos’è questa storia dei cadaveri che camminano? Se la sta inventando o che altro?»

   Le ripetemmo ciò su cui Bann Teagan ci aveva illuminato poc’anzi, mentre, dopo aver chiesto ancora una volta indicazioni a Murdock, ci incamminavamo per parlare con Owen, il fabbro del villaggio. Morrigan accolse quelle notizie con una faccia seccata e sbuffò all’indirizzo di chiunque avesse avuto la geniale trovata di rallegrare le notti di tutti con una resurrezione in grande stile di morti putrefatti e puzzolenti. Fu allora che io e Alistair avemmo la conferma che lei non era una Maleficar, e la cosa ci fu di grande conforto. Quando giungemmo a destinazione, comunque, trovammo Owen barricato nella sua bottega. Provammo a parlargli attraverso la porta, tuttavia quello continuava a dire che non sarebbe uscito di lì fino a che qualcuno non gli avesse promesso di portargli notizie di sua figlia Valena. Se fossimo sopravvissuti alla battaglia di quella notte, saremmo comunque dovuti salire al castello, per cui gli assicurammo il nostro aiuto, mettendo a tacere Morrigan a cui invece non andava giù l’idea di doverci sempre sobbarcare i problemi degli altri, com’era successo anche a Lothering con Bodahn Feddic e Sandal. La decisione presa diede i suoi frutti, ed il fabbro ci aprì la porta, dandoci la sua parola che sarebbe tornato immediatamente al lavoro affinché i cittadini avessero armi e armature pronte prima che scendesse la notte.

   Non avevamo fatto che pochi passi per lasciare l’officina di Owen, che, grazie alla storia di Valena, mi sovvenne di aver dimenticato di domandare qualcosa a Bann Teagan. «Al castello sono rimasti solo vostro fratello e sua moglie, oltre alle guardie e alla servitù?», gli chiesi quando, accompagnata nuovamente dal solo Alistair, tornai in chiesa.

   Bann Teagan fece segno di diniego. «C’è anche loro figlio Connor.»

   «E la vostra famiglia?»

   Lo vidi distendere le labbra ancora una volta. «Oh, no. Non sono sposato, se è questo che vi preme sapere.»

   «Bene», mormorai distrattamente. Adesso che sapevo la verità su Alistair, la consapevolezza di non doversi curare di troppe persone di alto lignaggio in qualche modo mi faceva sentire meglio.

   Solo quando l’altro mi parlò di nuovo, involontariamente incoraggiato da quel mio innocente commento, fui assalita dalla voglia di mordermi la lingua. «Se però un giorno dovessi convolare a nozze, lo farei senz’altro con una donna bella come voi.»

   Sperando di aver inteso male, mi voltai indietro per cercare Morrigan: era ovvio che si stesse riferendo a lei. A chi altri, se no? Morrigan però era rimasta fuori dalla cappella, come al solito insieme al mio cane. Risolsi di rivolgermi allora a Leliana, già dimentica che era andata via.

   Sentii Alistair schiarirsi la gola e camuffare un’osservazione dietro alcuni colpi di tosse, ma che a me risultò molto chiara per via delle mie orecchie a punta. «Sta parlando con voi.»

   «Oh», balbettai scioccamente, sentendo il viso in fiamme. Bann Teagan era senza dubbio un uomo avvenente, e mi riusciva impossibile rimanergli indifferente. Tuttavia, vista la mia posizione a quel tempo, il matrimonio non era affatto tra le mie priorità. Unirmi ad un umano, oltretutto, mi avrebbe condannata davanti a tutta la comunità elfica, dalla quale sarei stata scacciata e rinnegata. E non volevo che accadesse. «Ma io sono una maga», dissi allora, cercando di far leva sull’altro aspetto penalizzante della mia persona.

   Bann Teagan non demorse. «I maghi possono sposarsi, se vogliono. Non c’è legge che glielo vieti», mi corresse.

   «Anche i Custodi Grigi possono farlo», si intromise poco convenientemente Alistair. Avrei voluto aprirgli la testa in due per appurare se Morrigan avesse ragione a proposito del suo contenuto.

   «Forse», concessi loro, rimanendo diplomaticamente sul vago e cercando al contempo di apparire lusingata – cosa che ero per davvero. «Ora come ora, però, credo che sia di prioritaria importanza per tutti cercare un modo per sopravvivere alla maledizione del castello e alla Prole Oscura.»

   «Su questo non c’è dubbio», concordò fortunatamente il mio nuovo corteggiatore. E quando questi ci volse le spalle per tornare a preoccuparsi della gente stipata in chiesa, ne approfittai per colpire Alistair col mio bastone, tanto per dimostrargli che, oltre a volerlo punire per la sua linguaccia, me ne infischiavo altamente che fosse l’erede al trono, e che quindi non aveva motivo di preoccuparsi che potessi cambiare atteggiamento nei suoi confronti per questa ragione.

   «Non siate arrabbiata, suvvia», rise lui, nonostante tutto. «Non lo siete, vero?», domandò poi, assumendo un’espressione contrita.

   Mi presi qualche secondo per rispondere. «Non lo sono», sospirai infine, smettendo di pungolarlo con la punta della mia arma. Il mio problema era che quel disgraziato riusciva a vincermi con il solo sguardo. Non lo faceva intenzionalmente, sia ben inteso; ma quando mi fissava con quegli occhi pentiti – o tristi – finivo immancabilmente per lasciarmi intenerire ed abbassare la guardia. «Tuttavia, se avete un po’ di pietà per me e per i miei poveri nervi, abbiate anche la bontà di lasciar perdere gli scherzi. Almeno per oggi.»

   Lui annuì. «Promesso», disse. E si fece una croce sul petto. «Volevo però mettervi al corrente di una cosa.»

   «Un’altra?», uggiolai, esausta per le novità della giornata.

   Rivolse la sua attenzione a Kaitlyn, in fervida attesa che Leliana tornasse con notizie di suo fratello. «Quella ragazza mi ha fatto venire in mente che mi avete ordinato di non nascondervi più nulla. E prima che mi picchiate di nuovo, non riguarda né Loghain né il Re né i Custodi, lo giuro.» Mi rassicurò la sincerità del suo sguardo, per cui concessi a me stessa di rilassarmi un po’. «Riguarda me soltanto, e poiché voi siete tanto buona, ho deciso di appellarmi al vostro cuore d’oro.»

   Sospirai di nuovo, già stanca di sentirlo parlare a vanvera. «Arrivate al sodo, per cortesia.»

   «Subito», mi accontentò lui, avvicinandosi. «Vedete», iniziò a sussurrare, «anch’io, come Kaitlyn, sto cercando una persona.»

   «Che persona?»

   «Una donna», confessò, e dal modo in cui gli si illuminarono le pupille, cominciai a credere che si trattasse di una cosa davvero seria. «Vive a Denerim, e vorrei poterla incontrare se dovessimo passare da quelle parti.»

   «È la vostra fidanzata?», chiesi a bruciapelo, interessata alla faccenda. Cercavo infatti di immaginare quale fanciulla potesse essere tanto folle da concedergli il proprio cuore. Alistair era un caro ragazzo, per carità, e pur non essendo bellissimo non lo si sarebbe neanche per sogno potuto definire brutto, anzi. Solo che… aveva un non so che di ancora tremendamente infantile, e la cosa non giocava a favore della sua virilità.

   A quella mia domanda, vidi il suo viso, più o meno calmo fino ad un attimo prima, tramutare in un lampo. «Cos…? No!», esclamò, facendo echeggiare quelle due parole per tutto l’atrio della chiesa ed attirando perciò l’attenzione di molti. Imbarazzato, mi prese per le spalle e mi portò fuori, decidendo che, dopotutto, la sua confidenza non necessitava per forza di un luogo sacro. «Ho una sorella», annunciò infine, deciso. E prima ancora ch’io potessi replicare, confusa, precisò subito: «Figlia solo di mia madre. Re Maric non aveva alcuna parentela con lei.» Mi diede il tempo di far mia quell’informazione. Quindi proseguì. «Non l’ho mai vista, ma so che mia madre l’ebbe diversi anni prima che nascessi io. A dire il vero non sono neanche sicuro che lei sappia di me. Tutto quello che sono riuscito a scoprire sul suo conto sono il nome, Goldanna, e l’indirizzo dove abita.» Esitò un attimo quando Merlino tornò a scodinzolarmi intorno. «Non sono mai andato a cercarla, fino ad ora», riprese poi Alistair, «perché confesso di aver sempre avuto… paura. Insomma, credo sia normale… no?»

   «Comprensibilissimo», lo tranquillizzai, dimostrandogli solidarietà. Stava per lasciarsi vincere dall’ansia, e non era il caso di abbandonarlo a quell’odioso stato d’animo con cui familiarizzavo anch’io molto più spesso di quanto volessi ammettere. «Ma perché adesso avete cambiato idea?»

   «Per due ragioni», mi spiegò, forte ora del mio appoggio. «Primo, perché non è detto ch’io sopravviva al Flagello, e perciò non ho alcuna intenzione di morire con questo rimpianto.» Sembrava davvero tornato sicuro di sé, e non potei fare a meno di ammirare questo suo repentino recupero delle proprie emozioni. «Secondo, perché… beh, dopo la morte di Cailan, Goldanna è l’unica parente che mi sia rimasta. Almeno che io sappia.»

   Sentii il cuore ripiegarsi su se stesso. Fu allora che realizzai che, in effetti, Alistair non aveva mai avuto una vera famiglia, e visto il suo carattere puro e affettuoso, potevo ben immaginare quanto invece gli sarebbe piaciuto poter contare su un punto di riferimento stabile come quello. Ricordo nitidamente che in quel momento decisi che, fino a quando fossimo rimasti insieme, sarei stata io la sua famiglia, perché ancora una volta mi aveva fatto capire che si fidava di me: il bene che sentivo di provare nei suoi confronti aumentò spaventosamente, al punto che non mi riusciva affatto difficile pensare a lui come ad un fratello. A dispetto delle mie orecchie a punta.

   «Vi accompagnerò da lei, avete la mia parola», promisi con nuovo fervore.

   Mi fissò dritto negli occhi per alcuni istanti, in assoluto silenzio, quasi fosse rimasto spiazzato dalla mia risposta. «Io… vi sarò sempre debitore per questo», sussurrò poco dopo.

   «Oh, no, non ditelo nemmeno per sogno», lo ripresi gentilmente, scuotendolo con fare scherzoso per un braccio. «Siamo amici, dopotutto.»

   «Amici?», mormorò, ripetendo con cura quella parola. «Quasi non speravo che arrivaste a considerarmi tale.»

   «E perché no?», replicai con dolcezza. «Apprezzo molto la vostra compagnia. Pensavo lo aveste capito.»

   Sul suo volto comparve un sorriso, dapprima timido, poi più accentuato. «Dite davvero?»

   «Certo», confermai, convinta.

   Aprì le labbra per parlare ancora, le chiuse, le riaprì, le richiuse. Infine, arrossendo come un bambino, e non riuscendo più a reggere il mio sguardo, balbettò: «Anch’io… Anch’io sto bene con voi. Sono contento di avervi conosciuta.»

   «Quel mentecatto continua a gufare sull’esito della battaglia di stanotte», ci interruppe Morrigan, tornando da noi con fare visibilmente scocciato perché costretta a sorbirsi le farneticazioni del pazzo del villaggio. «Se continua, penso proprio che lo cospargerò di vino e gli darò fuoco.»

   «A che vi serve il vino se potete usufruire della magia?», risi, provando pena per il poveretto.

   «Almeno prenderà fuoco più in fretta e non dovrò sentire ancora la sua voce che strepita come un ossesso», ribatté con uno sbuffo. Si portò le mani ai fianchi e scoccò un’occhiata di sbieco ad Alistair. «Che hai?»

   «Niente», disse lui, schiarendosi la voce. «Oh, ecco Leliana», ci indicò.

   La vedemmo spuntare da dietro un’abitazione tenendo per mano un bambino biondo che trascinava dietro di sé una grossa spada dall’elsa elaborata, molto bella. La missione di ricerca per conto di Kaitlyn aveva avuto successo, per cui accompagnammo Bevin – questo il nome del piccolo  che si era nascosto in casa, pronto a combattere chiunque avesse cercato di invaderla – da sua sorella. Quest’ultima fu talmente felice di rivederlo che nemmeno lo rimproverò per lo spavento che le aveva fatto prendere. Gli sequestrò tuttavia la spada, e quando il suo sguardo si posò su Alistair, la offrì a lui.

   «Combatterete per noi, non è vero?»

   L’altro la guardò, confuso. «Sì, certo, però… Non posso accettare il vostro dono.»

   «Apparteneva a nostro nonno. Pare che questa lama abbia ucciso un drago», ci raccontò Kaitlyn. «Non è molto, ma è tutto quello che possiamo darvi per ripagare la vostra gentilezza.»

   «È stata Leliana a trovare vostro fratello», le fece presente Alistair.

   «E voi siete un suo compagno. Un Custode Grigio», insistette la ragazza. «Noi non potremo mai maneggiare questa spada, mentre voi siete un guerriero, pronto a difenderci a costo della vostra vita. Usatela, stanotte, ve lo chiedo per favore.»

   Lui avrebbe voluto protestare ancora, glielo si leggeva in faccia; ma davanti a quella richiesta di disperato aiuto, non poté far altro che cedere. «Ve la renderò quando tutto questo sarà finito.»








Link all'illustrazione originale: http://lilithblack.deviantart.com/art/Alistair-e-la-medicina-cattiva-181275090











Avete una vaga idea di quante volte io abbia dato fuoco ad Alistair? XD Sempre involontariamente, sia ben chiaro, il che forse è anche peggio. Anche Morrigan, comunque, aveva sempre la dannata abitudine di congelarci tutti... Comunque, alla fine Alistair ho dovuto davvero attrezzarlo contro il fuoco, e quando Wade, a Denerim, mi fece quella benedetta armatura di scaglie di drago, mi parve un dono del cielo: l'ho infilata immediatamente ad Alistair per evitare ulteriori danni. ^^;
Permettetemi ora di ringraziare tutti i lettori ed in particolare la mia beta Atlantislux, quell'adorabile matta di Lara (E grazie ancora di aver inserito la storia fra le preferite!) e The Mad Hatter.
A quest'ultimo, però, vorrei rispondere qui. Non so se hai ricevuto la mia email, in ogni caso ripeto ora quello che ti avevo scritto, così magari da dissipare anche le perplessità degli altri. Leliana all'inizio dà davvero l'impressione di essere una fanatica, ma questo non vuol dire che lo sia. Anche Alistair dà l'impressione di essere un idiota, ma non lo è per davvero. Recupererò entrambi i personaggi nel corso della storia, non preoccupatevi. Per ora mi sto focalizzando sulle prime impressioni di Nimue, che non sono certo quelle definitive. :) Quanto alla storia con Alistair, anche qui mi tocca precisare una cosa: tutto ciò che leggete dovete interpretarlo senza malizia, giacché la loro è una semplice amicizia. Certo, alla fine di questo capitolo Nimue ha detto qualcosa che ha lasciato di sasso il nostro (quasi) Templare, ma stiamo sempre parlando di un affettuoso rapporto di amicizia e niente più, perché comunque i due andavano d'accordissimo, tanto che, come avete letto, Alistair le ha confidato praticamente subito di Goldanna (mentre all'elfo di mio fratello ne parlò qualche tempo dopo). Avrei trattato la cosa più o meno allo stesso modo se avessi preso in considerazione un protagonista maschile, evitando però tutte le battutine a doppio senso di Alistair, è chiaro. XD Spero di aver dissolto i dubbi di The Mad Hatter, ma se non è ancora convinto o ne ha di nuovi, sia pure sincero e me li esponga senza remore, ché tanto non mi offendo né mi scoraggio dal continuare la fanfiction. Stesso invito è rivolto anche tutti gli altri lettori. ^^
Buon fine settimana,
Shainareth





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Capitolo 6
*** Redcliffe ***







CAPITOLO SESTO – REDCLIFFE




«Quella spada ti rende felice? È da un pezzo che sorridi come uno scemo.»

   Per una volta Alistair evitò di risponderle per le rime. «Non è per la spada che sorrido», precisò, posando gli occhi nocciola su di me.

   Anche Morrigan, seguendo il suo sguardo, mi fissò incuriosita. «Mi sono persa qualcosa?»

   Feci spallucce, perché in effetti anch’io mi stavo chiedendo come lui riuscisse ad essere così tranquillo prima di una vera battaglia; specie dopo quello che era accaduto ad Ostagar. Seduta insieme a loro sui gradini della chiesa, tanto per cambiare io me la stavo letteralmente facendo sotto, al punto che, dopo essermi mangiata tutte le unghie delle mani, a furia di giocarci nervosamente, avevo iniziato anche a logorare l’estremità di un braccialetto di fili intrecciati che una delle mie compagne mi aveva regalato alcune settimane prima che lasciassi il Circolo, come buon augurio per la prova del Tormento.

   «Se proprio ci tenete a saperlo, sono felice perché Kaitlyn ed il ragazzino si siano ritrovati», affermò Alistair, tornando a prestare attenzione alla milizia cittadina. Ad addestrarla c’era Ser Perth, uno dei pochi cavalieri rimasti a Redcliffe da che l’Arlessa aveva organizzato la spedizione per cercare l’Urna delle Sacre Ceneri di Andraste. «Lei è davvero una brava sorella», proseguì Alistair, convinto. «Sorella», ripeté fra sé, impostando la voce. «Non credete che sia una bella parola? Sooorella

   Decidendo di lasciarlo crogiolare nella propria allegria, mi concentrai sui preparativi per lo scontro. Owen aveva mantenuto la parola e si era rimesso al lavoro di buona lena, battendo il ferro senza un attimo di riposo, e Murduck dirigeva le operazioni di costruzioni delle barriere che la popolazione stava ergendo sulla strada per il castello, punto da cui sarebbe sicuramente spuntato il nemico. Nessuno di noi riusciva a capire quale maleficio si fosse abbattuto sulla zona; se ci fosse stato un mago al servizio dell’Arle si sarebbe almeno potuto pensare allo zampino di un Maleficar, e invece Bann Teagan ci aveva assicurato che così non era. Non ci restava quindi che supporre la presenza di un demone, anche se non sapevamo spiegarci come fosse giunto fin lì senza che qualcuno lo evocasse.

 

Rimanemmo con quel dubbio fino a sera. Più il sole si abbassava dietro le colline che circondavano il villaggio, più la gente si faceva nervosa. Ciononostante, cercò di mantenere invidiabilmente la calma, fiduciosa com’era nella presenza di ben due Custodi Grigi. Avrei voluto gioirne anch’io, ma purtroppo avevo la maledetta consapevolezza che, per quanto forti, i Custodi rimanevano comunque creature mortali, incapaci di compiere miracoli. Inoltre, i due presenti non erano affatto degli eroi: solo un ragazzo con della lanugine bionda sulle guance ed una maga potenzialmente capace di dare accidentalmente fuoco alle loro case nel tentativo di difenderle. Sbuffai, sospirai, mi agitai così tanto che fu solo quando Morrigan mi abbaiò contro di smetterla e Leliana mi consolò accompagnandomi di nuovo in chiesa per una benedizione, che riuscii parzialmente a rilassarmi.

   «So che è più facile a dirsi che a farsi», mi disse Alistair, quando fummo di ritorno, «ma cercate di non perdere la testa. Questa gente si fida di noi, e se non ci mostriamo determinati, rischiamo di demoralizzarli.»

   «La suggestione fa molto», concordò Leliana, passandomi affettuosamente una carezza sulla schiena. «Vedendoci sicuri di noi, sono certa che anche tutti gli altri lo saranno e perciò daranno il massimo per sopravvivere.»

   «E noi pure, perché non vogliamo certo morire qui», mormorò Morrigan, infastidita.

   «Vorrei avere i nervi saldi come voi», confessai ad Alistair poco dopo, mentre seguivamo gli altri che si inerpicavano sulla salita verso il castello. Noi avremmo costituito la prima linea. Purtroppo.

   «Chi ha detto che sono calmo? Nessuno qui lo è per davvero», rispose il mio amico. Mi voltai a guardarlo spaventata, e lui mi sospinse gentilmente in avanti con una mano, per darmi conforto e calore. «Noi due da soli abbiamo sconfitto un Ogre. Vi pare poco?»

   «Lottiamo per la vita, come abbiamo sempre fatto da che siamo nati.» E su questo Morrigan non aveva torto.

   «Per una volta datele retta», mi consigliò ancora Alistair, lasciandomi andare. «Inoltre avete promesso di accompagnarmi a conoscere mia sorella, ricordate?»

   «Avete una sorella?», domandò Leliana. Aveva indossato la sua armatura ed imbracciato un arco fornitole dalla milizia cittadina, preferendolo al grosso pugnale che portava solitamente con sé. Diceva di essere più brava con quello.

   «Sorellastra», le rispose Alistair, che si era arreso a confidare la cosa anche alle altre per darmi coraggio. «Per parte di madre.»

   «I tuoi genitori erano conigli?»

   Quella battuta di Morrigan mi strappò una risata che non riuscii a trattenere in alcun modo. «Mi dispiace, Alistair. Sono pessima», tentai di farmi perdonare.

   Lui sorrise, ed io gliene fui riconoscente. «Oh, non curatevene. Confesso di averlo pensato anch’io in almeno un’occasione», scherzò per risollevare il morale generale.

   Quando giungemmo in posizione, mi sentivo già più tranquilla. Al mio fianco non avevo solo dei compagni fidati, ma anche un esercito, benché non troppo esperto. Per scacciare la tensione ed ingannare l’attesa, mi misi a giocare col mio cane, l’unico che davvero pareva non preoccuparsi di nulla. Aspettammo quasi due ore inutilmente; poi una fitta nebbia calò su di noi, insieme ad un freddo innaturale che ci intorpidì i muscoli. Poco dopo, come una cascata, scesero loro: i non-morti. Erano davvero cadaveri vivi, per quanto inverosimile possa sembrare l’idea. Si muovevano, camminavano, emanavano strani versi e, soprattutto, erano armati ed intenzionati a massacrarci. Decisi di non pormi domande sulla loro origine, tuttavia una fra tutte si affacciò alla mente: essendo sicuramente opera di magia oscura, che un tempo quelle fossero state le guardie del castello?

   La battaglia iniziò. Morrigan ed io rimanemmo indietro, insieme a Leliana e agli altri arcieri incaricati di colpire il nemico a distanza. Alistair, difeso dal mio fedele mabari, si era invece unito ai guerrieri destinati allo scontro ravvicinato. Non mi parevano in difficoltà a causa della forza fisica, perché gli avversari si rivelarono più deboli del previsto. Il problema che si presentò, invece, fu nella differenza di numero: per ogni caduto, ne arrivavano almeno altri due. Inoltre noi che stavamo indietro avevamo lo svantaggio della scarsa visibilità: a causa della nebbia, infatti, correvamo il grosso, pericoloso rischio di colpire anche i nostri. Avevo quindi il terrore di poter sbagliare ancora una volta i calcoli e di ferire gli alleati, e questo mi portò ad esitare troppo spesso prima di lanciare un qualunque attacco. Morrigan, che se ne accorse, mi strigliò a dovere, ricordandomi che ciò che importava realmente, allo stato attuale delle cose, era respingere il nemico per impedirgli di passare oltre, giungendo così al villaggio dove, oltre all’ultimo drappello di soldati a difesa di Redcliffe, c’erano donne, bambini e anziani che avevano affidato a noi le loro ultime speranze.

   Ripensai allora a Kaitlyn e a suo fratello, ripensai alla fede di Leliana, ripensai al desiderio di Alistair di incontrare sua sorella. Ripensai al fatto che ero diventata un Custode Grigio per sfuggire alla morte. E realizzai che non potevo darla vinta alla parte più vile del mio carattere. Avevo affrontato un Ogre e molti altri Prole Oscura, in fin dei conti. Potevo farcela.

   Non essendo in grado di affidarmi ai miei sensi di Custode, mi affidai a quelli di elfo. Alzai una barriera protettiva su di me, e balzai in avanti, avvicinandomi alla mischia pur senza entrarvi. Vista, udito, olfatto: contavo su di loro. Indirizzai il mio bastone verso il punto in cui il nemico continuava a scendere nella nostra direzione e richiamai a me la forza del fuoco e dell’elettricità. Al mio fianco sentii il passo veloce di Morrigan; la quale, raggiungendomi, esclamò una lode a mio favore, pronta a darmi volentieri man forte con il suo ghiaccio. Di che avevo paura, in effetti? Eravamo maghe, più temibili di un qualunque altro guerriero, fintanto che avessimo potuto servirci del vantaggio della distanza. Lei non era un elfo, ma immaginavo che i lunghi anni passati nelle Selve Korcari in compagnia di Flemeth le avessero consentito di sviluppare sensi selvatici, e perciò migliori di quelli di un semplice umano.

   Infine, arrivò il momento in cui la cascata si arrestò. Il primo attacco era stato fermato con successo e senza gravi conseguenze. Tirammo il fiato, ma solo per un breve attimo, perché qualcuno dal villaggio corse nella nostra direzione: senza che potessimo spiegarci come, i non-morti erano arrivati fin lì.

   Ci precipitammo giù dalla collina, troppo impegnati ad evitare di romperci l’osso del collo per lasciarci andare ad imprecazioni. Ci tenemmo tutto dentro, così che la rabbia potesse poi sfociare dal nostro corpo sottoforma di forza e determinazione. Fra le case il velo di nebbia non era riuscito a penetrare, e purtroppo già da lontano assistemmo impotenti alla morte delle ultime milizie. Morrigan urlò e piantò i piedi a terra, alzando le braccia al cielo scuro e rovesciando le pupille all’indietro. Conoscevo quel tipo di incantesimo, benché non avessi mai provato ad eseguirlo. Gridai agli altri di non avvicinarsi al campo di battaglia, ma prima ancora che qualcuno potesse darmi ascolto, Morrigan aveva invocato una violenta tempesta, circoscritta al punto in cui si trovava il nemico, al fine di indebolirlo. Fu allora che la maggior parte dei nostri compagni arretrò, spaventata dalla prospettiva di rimanerne travolto.

   «Arcieri!», richiamò a gran voce Ser Perth, dimostrando di saper mantenere il sangue freddo in ogni situazione. Gli archi furono puntati, compreso quello di Leliana, e decine di frecce saettarono nell’aria, andando a segno solo in minima parte a causa del forte vento che le faceva deviare. Quando poi la magia di Morrigan fu sul punto di placarsi, i due eserciti tornarono a scontrarsi per decidere le sorti della battaglia, e poiché nel centro abitato lo spazio era ristretto, anche io e le mie compagne fummo costrette nella mischia. Stringemmo i denti, cercando di bilanciare attacco e difesa, ma gli avversari erano troppi, tanto che cominciarono ad avere la meglio.

   Caddero molti uomini, e quando Leliana fu scagliata a terra, persi il controllo, temendo che fosse rimasta uccisa. Anche Morrigan fu inchiodata al suolo, e l’urlo di dolore che mi raggiunse mi annebbiò la ragione, facendomi diventare una furia cieca. Non vidi più nulla; davanti a me c’erano soltanto quei maledetti cadaveri ambulanti che forse volevano rinfoltire le proprie file con coloro che falciavano sulla loro strada. Non glielo avrei permesso. Redcliffe non sarebbe diventata una seconda Ostagar.

   Non so dire quanto tempo passò quando mi resi conto di essere stata completamente circondata, ma la voce di Alistair alle mie spalle mi infuse la fiducia necessaria per continuare a combattere. Sentivo la sua spada fendere l’aria, il suo scudo parare numerosi colpi. Lottammo schiena contro schiena fino a che l’ultimo nemico rimase in piedi. Poi, dopo parecchi istanti in cui ci imponemmo il silenzio per accertarci che fosse tutto finito, crollammo tutti e due in ginocchio, in mezzo ai molti, troppi corpi, appartenenti ad entrambi gli schieramenti, che non avrebbero più riaperto gli occhi.

   Col cuore in gola ed il fiato pesante, cercai il mio amico con lo sguardo, e quando ci rassicurammo a vicenda delle nostre condizioni, arrancammo in aiuto dei superstiti, che, grazie al Creatore, contrariamente a quanto avevamo disperato, risultarono essere parecchi. Merlino mi zoppicò accanto, guaendo debolmente, ed io lo abbracciai, portandomelo dietro quando mi avvicinai a Morrigan – mentre per fortuna Leliana si rimetteva lentamente in piedi da sola, perché era stata protetta dall’armatura e quindi non destava grosse preoccupazioni. La figlia di Flemeth respirava ancora, ma presentava un paio di brutte ferite. Misi immediatamente mano al sacchetto in cui conservavo gelosamente la polvere di lyrium per gli incantesimi e le fiale di impiastri curativi che avevamo preparato insieme quel pomeriggio. E fra la mia, seppur minima, conoscenza della magia guaritrice ed i nostri intrugli, riuscii a farla rinvenire in poco tempo e a curarle le piaghe più gravi.

 

Il sole sorgeva ad est, ed i suoi primi, timidi raggi iniziavano a farsi strada fra le colline che circondavano Redcliffe, ormai salva. Dei cadaveri nemici, impilati gli uni sugli altri, non rimanevano altro che cenere e pochi rimasugli di carne bruciata, mentre verso il cielo si innalzava ancora una colonna di fumo scuro, riempiendo l’aria di un odore penetrante e nauseabondo.

   I caduti alleati, fra i quali si contava anche il povero sindaco Murdock, erano invece stati compostamente allineati davanti all’altare maggiore della chiesa, dove la gente piangeva per loro e al contempo ringraziava il Creatore per quello che era stato risparmiato. I numerosi feriti erano stati medicati ed alcuni di loro erano già in grado di muoversi quasi normalmente, mentre altri erano purtroppo spirati prima dell’alba. Quanto ai miei compagni, la sola Morrigan ci aveva fatto temere il peggio, ma le tempestive cure che le avevo prestato avevano sortito effetto immediato; e sebbene fosse costretta a sorreggersi al proprio bastone per camminare, riusciva per lo meno a stare ritta sulle gambe, anche se a fatica.

   «E poi dicono che l’arte magica debba essere messa al bando», fu il suo modo di ringraziarmi. «Mi chiedo davvero se l’Urna di cui tanto parlano abbia risultati altrettanto miracolosi.»

   «Non parlate in questo modo blasfemo in chiesa», l’ammonì Leliana. Perché sì, alla fine riparammo tutti insieme lì dentro, compresa l’orgogliosa figlia delle Selve.

   Seduto a terra accanto a me, la schiena abbandonata contro la parete, Alistair si mise ad osservare la Lama Verde ricevuta da Kaitlyn. «Quella ragazza aveva ragione. Questa spada potrebbe davvero aver ucciso un drago. È molto più potente della mia.»

   «Anche più bella, se posso permettermi», osservò Leliana, lieta di poter cambiare argomento.

   «Non mi serve che vinca un concorso di quel tipo, sapete?», sorrise lui. «Piuttosto, temo che mi occorrerà al più presto uno scudo nuovo. Il mio è quasi inutilizzabile. Magari chiederò ad Owen se gliene è avanzato uno fra quelli di metallo.»

   Nel modo di gesticolare si lasciò sfuggire un leggero gemito, udito soltanto dalle mie orecchie. «Vi fa molto male?», domandai. Oltre a varie, piccole lesioni, si era procurato un taglio più o meno profondo al braccio sinistro a causa di una lama che era riuscita a perforare il suo scudo.

   «Solo quando lo muovo», rispose lui con una smorfia. «Di certo sto meglio di altri», si consolò, mentre io tornavo a togliergli la benda per controllare la ferita. «Alla fine, comunque, ce l’abbiamo fatta», riprese, osservando le mie dita che passavano sulla sua pelle, concedendogli sollievo per merito della magia. «Esattamente come ad Ostagar, siamo rimasti a combattere noi due soltanto. Siamo forti, eh?»

   «Oppure solo fortunati», commentai io, scettica. «In ogni caso, non abbiamo fatto tutto da soli, anzi. La tempesta di Morrigan è stata molto efficace, ha indebolito parecchio i nostri avversari.»

   «È vero», ammise Alistair, rivolgendo un cenno di sincera riconoscenza alla nostra compagna. «Come lo è il fatto che Leliana sia un asso con quell’arco.» Lei stese le labbra verso l’alto. «Dove avete imparato?»

   «Ad Orlais, ovviamente», prese a raccontarci. «A corte si organizzavano spesso tornei per intrattenere i nobili, soprattutto, e così mi sono adattata. Anche se fino ad ora non avevo mai usato questa mia capacità in una vera battaglia.»

   «A corte?», ripeté l’altro, incuriosito. «Eravate al servizio di qualcuno?», chiese ancora, per poi ringraziarmi quando gli coprii di nuovo il taglio con la fasciatura.

   Leliana chinò lo sguardo stanco. «Ero un bardo. Mi occupavo per lo più di allietare i miei padroni con il canto.»

   Alistair parve affascinato da quella notizia. «Quindi sapete anche suonare uno strumento?»

   «Certamente», disse lei, pizzicando graziosamente la corda del suo arco, come a volerci dare dimostrazione delle sue abilità. «Magari un giorno, se dovessero capitarmi un liuto, un’arpa o una chitarra fra le mani, vi farò sentire qualcosa.» Rivolse gli occhi azzurri all’altare, dove le sorelle ed i fratelli della chiesa stavano rendendo omaggio ai caduti con le loro voci. «Ora, però, credo che l’unico canto capace di confortarci sia il loro», mormorò mestamente.

   Le porte in fondo alla navata centrale si schiusero, cigolando debolmente sui cardini, e Bann Teagan e Ser Perth apparvero sulla soglia insieme ad altri due soldati. Il nobile si diresse verso di noi, ed io, Alistair e Leliana facemmo per alzarci, ma lui ci fece segno di rimanere pure seduti, comprendendo il nostro bisogno di riposo. «Non so davvero come ringraziarvi per ciò che avete fatto stanotte», esordì, accovacciandosi sui talloni accanto ad Alistair. «Il pericolo per ora sembra davvero scongiurato. Tuttavia rimane un mistero la fonte di tutto questo… e di sicuro si trova su al castello.»

   «Come vi comporterete?», chiese il mio amico.

   Bann Teagan sospirò, passandosi una mano sul viso tirato. «Voglio andare ad indagare», affermò poi, continuando a tenere basso il volume della voce per non disturbare tutti gli altri. «Oggi stesso», aggiunse. «Bisogna mettere fine a tutto questo prima che su di noi piova un’altra ondata come quella che abbiamo appena fermato. Inoltre sono preoccupato per mio fratello. Non so neanche se è ancora vivo, maledizione.»

   «Sono sicura che le vostre preghiere, unite a quelle dell’Arlessa e degli abitanti del villaggio, saranno ascoltate dal Creatore», disse piano Leliana, cercando di regalargli un po’ di speranza.

   «Siete gentile, vi ringrazio.»

   «Avete intenzione di andarci da solo, al castello?», volle sapere Alistair, preoccupato.

   «Ser Perth e gli altri verranno con me», rispose Bann Teagan.

   «Come farete a salire lassù?», domandai. «Non avete detto che nessuno riesce a farlo?»

   Lui ci mostrò la mano sinistra, e con essa un grosso anello con su inciso il simbolo dei Guerrin. «Su al mulino c’è un passaggio che porta ai sotterranei del castello», ci fece presente. «È nascosto a tutti, meno che alla mia famiglia. Lo aprirò per mezzo di questo», e dicendolo picchiettò un dito sulla pietra con lo stemma. «So che avete già fatto tanto per noi, ma non posso esimermi dal chiedervi di vegliare sul villaggio fino che io non sarò tornato.»

   Annuii. «È il minimo che possiamo fare», promisi. «Ma… come mai non avete usato quel passaggio finora?»

   «Oh», parve in imbarazzo lui, distogliendo lo sguardo dal mio. «Mi spiace ammetterlo, ma non sono coraggioso come sembra», confessò. «Aspettavo il ritorno di Ser Perth e degli altri cavalieri, così che qualcuno rimanesse qui a fare buona guardia.»

   Mi morsi il labbro inferiore, chiedendo scusa con l’espressione del volto. «Certo, mi rendo conto… È più che comprensibile. Dopotutto lassù potrebbe esserci un demone.»

   Bann Teagan mi ringraziò accennando un sorriso. «Verrò con voi», si fece avanti Alistair, interrompendoci.

   «Avete bisogno di riprendervi», lo ammonì gentilmente l’altro, scuotendo la testa. «Inoltre è qui che servite maggiormente. Siete un Custode, e siete un eroe per questa gente. Si fida di voi. Di tutti voi», ci tenne a precisare, facendo scorrere gli occhi sui nostri visi. «Non posso privarla anche della vostra presenza. Temo si lascerebbero sconfortare.»

   «O magari si sentirebbe più sicura se andassimo ad estirpare insieme la radice del male che la affligge», insistette Alistair, determinato.

   Bann Teagan parve rifletterci su, indeciso sul da farsi. Qualcuno alle sue spalle lo chiamò. «Avremo modo di riparlarne», assicurò, prima di alzarsi e di allontanarsi.

   «Se ci andate voi, verrò anch’io», annunciai, stupendo tutti con quell’impensabile atto di coraggio da parte mia.

   Alistair mi fissò attonito. «State scherzando, vero? Toglietevelo dalla testa», aggiunse quando si rese conto che ero seria. «Uno di noi due deve rimanere qui.»

   «E perché dovrei essere io?», ribattei, contrariata.

   «Ascoltatemi. È più sicuro così. Non sappiamo cosa si celi al castello», mi avvertì lui, sperando di dissuadermi.

   Fui irremovibile. «Proprio per questo. Avrete bisogno dei poteri di un mago, foss’anche solo per potervi curare le ferite. Cosa fareste, poi, se vi troverete ad affrontare per davvero un demone? Forse voi siete più esperto di me riguardo alla Prole Oscura, e di sicuro ve la cavate contro i Maleficar visto il vostro addestramento da templare. Ma non sapete nulla di demoni, mentre io ho già avuto a che fare con loro durante il Tormento.»

   «Beh, su questo non c’è dubbio», mi concesse, pur controvoglia. «Però…»

   «Alistair, siate onesto», tornai a parlare, sovrastando la sua confusa protesta. «Cosa pensate che accadrà al Ferelden se lasciamo il trono nelle mani di Loghain?»

   «Loghain deve pagare per ciò che ha fatto», disse subito lui, risoluto.

   «Ed io sono del vostro stesso avviso», gli giurai. «Tuttavia, e il Creatore non voglia, se dovesse capitarvi qualcosa adesso, nessuno riuscirebbe più a smuoverlo dal posto in cui si è insinuato. State tranquillo, non è mia intenzione trattarvi come un principe», misi le mani avanti per evitare che fraintendesse. «Ma fino a che Arle Eamon non si sarà ripreso, sempre ammesso che lo faccia, voi avete un dovere verso questo regno. O preferite lasciare la gente in balia di un traditore?»

   Alistair attese un solo istante prima di rispondere, con un sospiro. «Certo che no.»

   «Per questa ragione, e visto che avete affidato a me il comando del nostro gruppo, vi faccio divieto assoluto di morire. Altrimenti l’ultima volontà di Duncan non sarà rispettata.» Sapevo che quello era un colpo basso, ma era l’unico modo che avevo per convincerlo a darmi retta. «E poi, lo avete detto anche voi che devo accompagnarvi da vostra sorella, lo avete dimenticato?», continuai, più gentilmente. «Quindi state pur certo che neanch’io mi lascerò uccidere tanto facilmente», conclusi, ormai certa di aver avuto l’ultima parola.

   «Visto che le mie sono finite, dammi un’altra di quelle schifezze che hai preparato oggi», ci interruppe Morrigan, allungandosi verso di me. Mi volsi a guardarla, e sul suo volto lessi un’espressione decisa. «Sia ben chiaro che non vi lascerò distruggere da soli quel figlio di buona donna che mi ha conciata in questo stato. Anzi, vorrei potergli staccare la testa con le mie stesse mani.»

   «Siete ferita», osservai con fare ovvio.

   «Per questo ti ordino di darmi un altro impiastro», replicò lei, stizzita. «Muoviti.»

   Vedendomi esitare, Leliana si schierò dalla sua parte. «State pur certa che ci sarò io a difenderla quando saremo al castello.»

   «Non ho chiesto il tuo aiuto», si indispettì ulteriormente l’altra.

   «Ed io ve lo offro lo stesso.»

   «Posso benissimo cavarmela da sola.»

   «Vi credo», le venne incontro Leliana. «Nimue però sarà in pensiero per voi. E se la farete agitare, potrebbe finire con l’incendiarci tutti senza volerlo. Volete davvero che succeda?»

   «Per la barba di Flemeth, no!», esclamò Morrigan, atterrita all’idea. «E tu, sbrigati, dammi quell’impiastro», mi fece, autoritaria.

   Mortificata, obbedii, farfugliando timidamente: «Me lo farete pesare ancora per molto?» Passai una carezza dietro la nuca del mio mabari in cerca di consolazione. Alla fine avevano accolto in chiesa anche lui, distintosi in battaglia quanto noi. «E tu, cucciolone? Che vuoi fare?», gli chiesi, fissandolo negli occhioni neri. «Resti qui o vuoi venire con me?» Quasi non finii di parlare, che Merlino, accucciato alla mia destra, si levò sulle zampe e mi spinse a terra, bloccandomi sotto al suo enorme peso e sbavandomi la faccia. «Che schifo!», piagnucolai, proteggendomi con le braccia.

   «Ehi, ehi!», intervenne Alistair, afferrandolo per il collare e spingendolo lontano da me. «Via da lì! Quello è il mio posto!»

   «Aspettate che me lo tolga di dosso e vedrete qual è il vostro vero posto», minacciai, mentre Leliana iniziava a ridere e Morrigan finiva di bere la medicina. «Merlino, basta! Cattivo cane! Cattivo cane!», lo rimproverai. E questo ammonimento, unito agli sforzi di Alistair, riuscì a farlo star finalmente buono. «Che schifo», ripetei, asciugandomi le mani dalla sua saliva. Gli scoccai un’occhiataccia, e lui guaì, ripiegando le orecchie all’indietro. «È inutile che fai quello sguardo alla Alistair, sei stato cattivo.» Adesso fu la volta di Morrigan di sghignazzare, fra le proteste del mio compare. «Potrai venire con me solo se ti comporterai bene.» Merlino abbaiò, scodinzolando, ed il suo verso rimbombò per tutta la cappella, facendomi arrossire per aver disturbato il sonno e la preghiera degli altri.

   «Vergogna, ti sei fatto battere sul tempo da un cane», fu la frecciata che Morrigan lanciò all’indirizzo di Alistair, incurante della mia presenza.

   «State zitta», bofonchiò lui con un certo imbarazzo. «Ne guadagnerete in salute.»

   «Ti preoccupi per me? Che carino», lo canzonò ancora l’altra.

   Il nostro compagno la ignorò, preferendo tornare a sedersi, questa volta fra me e Merlino. Il quale, tranquillo, gli si acquattò accanto e poggiò la zampa sulla sua gamba, la lingua penzoloni. Alistair lo scrutò inarcando un sopracciglio e la bestia ricambiò lo sguardo. «Adesso ti metti pure a fingere di essermi amico?», lo accusò, sentendosi preso in giro anche da lei. Ciononostante, preferì sorridere, adattandosi a passargli un braccio attorno al collo per fargli dei grattini sotto la mandibola.

 

Vinti dalla stanchezza, alla fine crollammo addormentati gli uni sugli altri. Non riuscimmo tuttavia a tenere gli occhi chiusi per molto, ma quelle poche ore di riposo giovarono non poco alla nostra salute. Le membra anchilosate a causa della scomoda posizione in cui eravamo costretti in chiesa, decidemmo di sgranchirci le gambe, persino Morrigan che ora zoppicava appena e lamentava solo un vago dolore allo sterno, lì dove aveva ricevuto il colpo che l’aveva tramortita. Uscimmo all’aria aperta, sotto gli sguardi grati delle persone e, sentendomi a disagio, provai a nascondermi dietro Alistair, che con la sua mole mi copriva alla loro vista senza grosse difficoltà. Adesso, alla luce del giorno, la gente era tornata più volentieri in strada, felice di poter rivedere il sole. Da lontano scorgemmo Kaitlyn e suo fratello sul molo. Ridevano. Non li disturbammo, preferendo proseguire verso il fiume per poterci lavare un po’ di sudiciume di dosso. L’acqua fredda, per quanto ci facesse rabbrividire, ci svegliò del tutto, e noi rimanemmo seduti sulla sponda a bagnarci i piedi per diversi minuti prima che Bann Teagan ci mandasse a chiamare.

   Lo trovammo nei pressi del mulino, insieme a Ser Perth. Non aveva detto che poche parole, che dalla vicina salita che conduceva al castello discese, correndo, una donna in abiti eleganti, seguita da una guardia. Sembrava quasi che scappasse da qualcosa. Riconosciutala all’istante, Bann Teagan le si fece frettolosamente incontro, e noi subito gli fummo dietro, poiché anche Alistair non aveva dubbi che si trattasse dell’Arlessa Isolde.

   «Teagan! Oh, Teagan!», esordì lei, quasi collassando fra le braccia del cognato. «Meno male che siete vivo!»

   «Questo dovrei dirlo io a voi», rispose lui, preoccupato. «Che sta succedendo al castello? Che ne è di Eamon? È ancora vivo?»

   Isolde annuì freneticamente. Era sconvolta. «Sì, sì, ma non si è ancora svegliato», spiegò agitata, aggrappandosi alle sue braccia. «E Connor, Teagan… Connor ha bisogno di voi!»

   «Di me? Sta bene?»

   «Io non…» Interruppe il suo balbettio, accorgendosi di noi. Provò a dominare i nervi, senza molto successo. «Ho paura che possa accadere qualcosa di orribile anche a lui», ricominciò con voce malferma. «Teagan, ve ne supplico, venite con me.»

   «Un momento», non riuscì più a trattenersi Alistair, facendo un passo avanti. «Come avete fatto ad arrivare qui? Ci era stato assicurato che il castello fosse stato isolato dal villaggio da una forza oscura.»

   La donna lo fissò con aria smarrita, forse cercando di metterlo a fuoco. «Voi chi… Alistair!», esclamò poi. «Siete voi? Cosa ci fate qui?» La sua domanda non era un’accusa e, anzi, il tono con cui era stata rivolta lasciava intuire che la sua presenza le dava in qualche modo speranza.

   «È venuto ad aiutarci», le fece sapere Bann Teagan, gentilmente. «Ora però, diteci, come avete fatto a giungere qui? Che sta succedendo?»

   Lei mosse la testa a destra e a manca. «Io non ne ho idea», ansimò, tornando a farsi vincere dall’ansia. «So solo che dovevo venire a cercarvi. Per Connor, capite? Il mio bambino!»

   «D’accordo, Isolde, d’accordo», le concesse l’altro, sperando di riuscire a calmarla almeno in parte. «Verremo.»

   «No, no! Solo voi, Teagan! È rischioso! Potrebbero scoprirci!»

   A quel punto mi sovvenne il pensiero che qualcosa non quadrasse. «Venite a chiedere aiuto, eppure in questo modo rischiate solo di intrappolare un’altra persona lì al castello», non mi trattenni dal far notare. Lady Isolde mi guardò, attonita. «Perdonatemi, ma sembra quasi una trappola.»

   «È un’accusa molto grave, la vostra», ribatté, pur non manifestando rabbia nei miei confronti.

   Bann Teagan si mise fra noi, promettendole che l’avrebbe seguita. Quindi, trasse da parte Alistair e me, e ci mise in mano l’anello con lo stemma di famiglia. «Ve lo affido», disse. «Il piano era che io mi introducessi nel passaggio segreto di cui vi ho parlato stamattina. Da lì sarei spuntato nei sotterranei del castello, e poi nel cortile. A quel punto, con un po’ di fortuna, sarei riuscito ad aprire i cancelli a Ser Perth e agli altri.» Scosse il capo. «Ora non posso più farlo.»

   «Non pensate che possa davvero trattarsi di una trappola?», lo mise in guardia Alistair, timoroso per la sua vita. «Non dubito di vostra cognata, ma… ammetterete anche voi che la sua storia non è molto convincente.»

   «Guardatela», quasi lo interruppe Bann Teagan, dimostrando molto più coraggio di quanto ci avesse fatto credere in chiesa. «È sconvolta. Non posso abbandonarla in queste condizioni. Ora come ora, con mio fratello più morto che vivo, sono l’unico su cui Isolde possa fare affidamento.» Non potevamo dargli torto. «Prendete l’anello e, ve ne prego, offrite voi supporto a Ser Perth al posto mio.»

   «Se è questo che volete, lo faremo», assentì Alistair, immaginando, a ragione, che anch’io avrei risposto allo stesso modo.

   «Ve ne sono grato», sospirò l’altro, posando una mano sulla sua spalla. «Fate attenzione.»

   «Anche voi.»

 

Trovare il passaggio nel mulino non fu difficile. Non quanto calarsi attraverso di esso, perché quando Alistair utilizzò la vecchia, corta scala di legno che facilitava la discesa, alcuni pioli si ruppero sotto il suo peso, rivelandosi marci a causa dell’umidità del luogo. E se Merlino e Leliana riuscirono comunque a raggiungere il capofila con un balzo, io e Morrigan ci trovammo penalizzate dalla mia piccola statura e dalle sue ferite. Dovetti arrendermi e lasciare che Alistair si allungasse verso di me per prendermi fra le braccia come se fossi stata una bambina; e quando lui, per pura galanteria, si offrì di fare lo stesso con Morrigan, lei lo scacciò col bastone, tirandoglielo appresso, e si adattò invece a recitare una formula a me sconosciuta. Pochi istanti dopo, al suo posto comparve una bellissima, sinuosa gatta nera che, agilissima, fu da noi con pochi salti. Troppo sbalorditi da quel prodigio, ci dimenticammo di tener fermo Merlino, che subito si avventò contro di lei. La gatta fuggì lungo il tunnel di pietra che si trovava ora davanti a noi, col cane alle calcagna che abbaiava come un ossesso. Fu solo dopo un’estenuante corsa che li trovammo intenti a rotolarsi a terra, giocando spensieratamente. A quanto pareva, Merlino l’aveva ben riconosciuta dall’odore.

   «Scommetto che se avessimo aspettato un altro po’, li avremmo trovati in atteggiamenti intimi», considerò Alistair, quasi ridendo.

   La gatta puntò due occhi gialli contro di lui. Quindi, si drizzò sulle zampine e prese a trotterellare velocemente nella sua direzione. Arrivata a pochi passi, tornò a prendere le sembianze umane di Morrigan; la quale, strappandomi il suo bastone di mano, lo colpì forte sulla testa e proseguì di nuovo per la galleria buia, illuminata appena dalla luce che avevo fatto apparire sulla cima della mia arma e, ora, da quella della maga mia collega.

   «La preferivo in versione felina», si lagnò Alistair, massaggiandosi la fronte.

   «Sta’ zitto o ti trasformo in un topo e ti mangio in un boccone», lo minacciò lei.

   «Morrigan», chiamai io, tutta entusiasta per via di ciò a cui avevo assistito. «Sei davvero una Mutaforma!», commentai scioccamente. Senza rendermene conto, abituata a sentirla parlare, le diedi del tu, e dal momento che lei non ebbe nulla da ridire, continuai a farlo. «Puoi insegnarmi?»

   «No», mi tagliò le gambe senza curarsene. «E non perché non ne sia in grado, ma semplicemente perché non ne ho voglia.»

   «Oh, andiamo!»

   «Ti ho detto di no. Finiresti per trasformarci tutti in pinguini mentre affrontiamo l’Arcidemone», fu la risposta che distrusse in un attimo ogni mia speranza. «E ora sbrighiamoci, altrimenti quando arriveremo ne troveremo ben tre di Teagan.»

   «Credete dunque che sia una trappola?», domandò Leliana, mentre Alistair e Merlino mostravano di essere gli unici a preoccuparsi della mia sensibilità ferita.

   Morrigan scrollò le spalle. «Non ne ho idea, ma è un dato di fatto che lassù sta succedendo qualcosa di oscuro, e che più passa il tempo, più la situazione rischia di peggiorare.» Su questo aveva ragione.

   Ci affrettammo per il passaggio senza sapere a cosa stavamo andando incontro, ma forti almeno della convinzione che, se gli attacchi al villaggio avvenivano unicamente di notte, almeno gli abitanti di Redcliffe sarebbero stati al sicuro fino al tramonto. Doveva essere stato anche questo a convincere Bann Teagan ad affidarci quella missione.

   Stavo ancora ragionandoci su, quando la strada ci fu sbarrata da un grosso portone. «Probabilmente al di là di questo si trovano le prigioni», rifletté Alistair, cercando di scavare nella sua memoria, alla ricerca di un qualche ricordo riguardante i sotterranei del castello in cui aveva vissuto da bambino. Non pareva esserci alcuna maniglia per aprire, né un batacchio per chiedere di entrare a chi si fosse trovato dall’altra parte. Il nostro compagno provò a spingere contro la superficie di legno e metallo che ci ostacolava il cammino, invano. «È bloccato», concluse, dando rabbiosamente un pugno al suo avversario inanimato.

   «O magari serve solo una chiave», lo corresse Morrigan, facendo luce su una piccola incavatura che al buio ci era sfuggita. Aveva più o meno la stessa forma e la stessa grandezza della pietra dell’anello che Bann Teagan ci aveva affidato, per cui non perdemmo tempo e provammo ad inserirla lì.

   Con una leggera torsione del polso verso destra, qualcosa scattò all’interno della serratura, ed Alistair tornò a fare pressione contro il portone, riuscendo finalmente a smuoverlo. Di fronte a noi si aprì un nuovo passaggio, più vivo perché illuminato da alcune torce poste alle pareti di pietra, fra le grate che delimitavano l’angusto spazio di diverse celle. Eravamo davvero sbucati nelle prigioni, dunque. L’unico inconveniente fu che, non appena facemmo pochi passi, fummo sorpresi dal nemico. Cinque o sei non-morti ci furono addosso, e noi, pur presi alla sprovvista, riuscimmo a ricorrere in fretta alle armi. Merlino fu il più rapido di tutti e ne atterrò uno, mentre Alistair si parò davanti a me e Morrigan, sprovviste di armature, e Leliana sguainava il suo pugnale, pronta a difendersi. Lui respinse con lo scudo uno degli avversari, che cadde vittima della Stretta Invernale di Morrigan. Approfittando di una fessura che si era venuta a creare fra i miei compagni, mi intrufolai e puntai il bastone contro l’assalitore di Leliana, mettendolo a terra con un Fulmine. Liberatici anche degli ultimi rimasti, tirammo il fiato, ma non rinfoderammo le armi per prudenza; infine, prima di muoverci da lì, ci guardammo intorno per appurare che non vi fossero altri pericoli.

   «Chi va là?», sentimmo chiedere dal fondo delle segrete. «C’è qualcuno?»

   Quella voce, che rimbombando debolmente per l’ambiente chiuso ci fece sobbalzare, era senza dubbio umana. Cosa peggiore, mi parve di conoscerla. Molto bene. Pur con circospezione, fui la prima ad avviarmi verso la cella da cui ero sicura che provenisse, ed i miei compagni mi furono subito dietro. Anzi, Alistair mi rallentò per un braccio, facendomi segno di rimanere in silenzio e, soprattutto, alle sue spalle. Mi adattai ad obbedirgli, ma quando l’interno della prigione ci fu pienamente visibile, non potei fare a meno di lasciarmi andare ad un’esclamazione, e mi precipitai ad aggrapparmi alle sbarre di ferro della grata, mentre un giovane dai capelli neri mi fissava con aria altrettanto smarrita.

   «Tu…?»

   «Jowan!»













Se c'è una cosa che odio, sono le scene di battaglia. Ieri ho finito di scrivere il nono capitolo, incentrato sulla Torre del Circolo che avrei fatto volentieri a pezzi. E dire che non l'ho mai detestata mentre giocavo, anche perché il primo premio per la parte più soffocante (in tutti i sensi) della storia va senza dubbio alla città dei nani e alle Vie Profonde. Mi verrà la febbre quando dovrò scrivere di Orzammar, già lo so...
A Redcliffe, comunque, è vero che mi erano rimasti in piedi solo Alistair e Nimue. Per un soffio, fra l'altro, perché mi pare che avevo pure finito gli impiastri curativi durante quella dannata battaglia davanti la chiesa. Ah, mi sono presa la libertà di lavorare un po' di fantasia sulle mutazioni di Morrigan (che personalmente non ho mai sviluppato perché preferivo altri tipi di magie d'attacco), anche se nel video di presentazione del personaggio, sul sito ufficiale, la si vede trasformarsi in una bestiola che non è possibile usare nel gioco.
Concludo ringraziando sempre i lettori tutti, la mia preziosa, paziente beta Atlantislux, Lara (che mi fa tanto, tanto ridere e mi sta dando anche dei consigli per sbrogliarmela, con questa long, alla Torre del Circolo, visto che Nimue è troppo cretina per rendersi utile, benché lì ci sia cresciuta) e The Mad Hatter (a cui mando un bacione per aver inserito la fanfiction fra le storie preferite). Ah, e tranquillizzo quest'ultimo: non mi sono minimamente risentita per le tue "critiche" (neanche le chiamerei così, guarda), e, anzi, se tu e/o gli altri lettori avete delle osservazioni da farmi, positive o negative che siano, sono disponibilissima a discuterne. ^^ Purché mi vengano poste con tatto come ha sempre fatto The Mad Hatter, o non garantisco di trattenermi dal prendervi a testate sulle gengive. XD Perdonatemi, ma detesto la maleducazione. ^^;
Buon fine settimana a tutti,
Shainareth





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Capitolo 7
*** Il castello ***







CAPITOLO SETTIMO – IL CASTELLO




«Lo conoscete?», mi chiese Leliana, alle mie spalle. Non le risposi, non riuscii a farlo.

   «Nimue, tu… tu che ci fai qui?», mi domandò invece il prigioniero, soddisfando indirettamente la curiosità della mia compagna.

   «Cosa ci fai tu in carcere, piuttosto!» Ero frastornata. «Che hai combinato, stavolta?»

   Jowan si morse il labbro inferiore, indeciso sulle parole da usare. «Io… ho commesso un errore.»

   «Anche bello grosso, a giudicare dal posto in cui ti hanno sbattuto», convenne Morrigan, l’unica che sembrava assistere impassibile alla scena.

   Lui si avvicinò alla grata. «Nimue… Dov’è Lily?»

   «Dove vuoi che sia?», farfugliai, sconvolta dalla sua faccia tosta. «È stata punita per colpa tua.»

   A quelle parole, Jowan affondò le dita fra i folti capelli neri, il viso stravolto dal dolore. «La mia Lily», sussurrò con voce tremula, entrando quasi in una trance capace di intorpidirgli ogni facoltà. «La mia Lily…»

   «Avresti dovuto pensarci prima, a lei e a quel che sarebbe capitato a tutti e tre a causa delle tue azioni!», iniziai allora a rinfacciargli, riprendendomi a poco a poco dallo shock e, soprattutto, mostrandomi per nulla disposta a perdonarlo. Non che oggi voglia giustificare l’operato di Jowan, ma all’epoca non ero ancora stata rapita dalla follia dell’amore, per cui forse risultai più dura di quanto avrei dovuto. «E ora, dimmi, che hai combinato qui?»

   Lo vidi alzare gli occhi su di me in un’espressione di terrore. «Nimue… Mia buona Nimue», prese poi a farneticare, slanciandosi per prendermi le mani, ancora strette attorno alle sbarre. «Vogliono giustiziarmi», sussurrò, tremando. «Tu mi aiuterai di nuovo, vero? Lo farai?»

   Mi sottrassi a quel contatto con un gesto di stizza. «No, se prima non mi avrai raccontato ogni cosa.»

   Jowan prese tempo, avvilito dal muro che avevo eretto fra noi, dando prova di non fidarmi più di lui. E come potevo farlo? «Quando sono fuggito dalla Torre del Circolo», iniziò allora, prendendo coraggio, «non sapevo dove andare. Non senza Lily. Mi sentivo vuoto, capisci?» Non so cosa mi trattenne dallo scagliargli contro una fattura. «Mi sono rifugiato a Denerim. Grande com’è, ho pensato che sarebbe stato più difficile essere rintracciato. E invece lo fecero, ma non per punirmi.»

   «Ti hanno lasciato andare? Com’è possibile?» Se Greagoir avesse saputo, non avrebbe mai perdonato un seguace della Magia del Sangue, per cui ero restia a credere a quanto appena udito.

   «In cambio mi ordinarono di venire qui», mi rispose Jowan. «Per uccidere un uomo», confessò, abbassando lo sguardo intriso di vergogna. «Arle Eamon.»

   Fu a quel punto che, rimasto devotamente in silenzio ad ascoltare, Alistair cedette all’ira, scagliandosi contro di lui. Vinto dalla sorpresa, e vedendolo con ancora la spada in pugno, Jowan si allontanò subito verso il fondo della cella. «È colpa vostra se è in quelle condizioni?!», urlò il Custode fuori di sé, mentre io mi precipitavo a frappormi fra lui e la porta della prigione, finendo schiacciata contro il metallo gelido dell’inferriata. «Lo avete ucciso?!»

   «No! No!», ribatté Jowan, spaventato. «È vero, sono stato io ad avvelenarlo, ma non l’ho ucciso!»

   «Jowan, come diavolo hai potuto?», mi unii allora ad Alistair, che finalmente si accorse di avermi travolta e fece alcuni passi indietro per consentirmi respiro.

   «Se non avessi obbedito, mi avrebbero consegnato ai templari!», si giustificò il mio vecchio amico, quasi in lacrime.

   «E questo ti autorizzava forse ad invocare un demone? Ti rendi conto di quanti hanno perso la vita, per questo?»

   L’altro scosse la testa con decisione. «Non l’ho evocato io, quello. Posso giurarlo», disse, tornando ad avanzare verso di noi, come a dimostrazione che era pronto ad affrontare anche la spada di Alistair. Il suo volto, alla luce tremula delle torce, mi parve sincero. Eppure non volli correre il rischio di credergli senza aver saputo prima ogni cosa. «È stato Connor a farlo», affermò con sicurezza, stravolgendo tutti.

   «Il figlio dell’Arle?», chiese Morrigan, la sola abbastanza lucida per interrogarlo in proposito.

   «Come… No, non è possibile», stabilì allora Alistair, non potendo concepire una simile assurdità. «Come e perché avrebbe dovuto farlo? È un bambino», continuò, risoluto. «Le vostre accuse…»

   «È un mago», replicò Jowan, interrompendolo. «Sua madre si era accorta della cosa non appena Connor aveva manifestato i primi segni di magia; ma non voleva che si sapesse per paura che glielo portassero via e lo rinchiudessero alla Torre. Com’è successo a noi due, Nimue», aggiunse, rivolgendosi di nuovo a me.

   A questo potevamo credere. Primo, perché Lady Isolde era talmente devota alla Chiesa che non era da scartare l’ipotesi che potesse aborrire la magia. Secondo, perché quello non sarebbe stato certo il primo caso di un genitore che nasconde la verità sul proprio figlio per timore di perderlo – e questo genere di cose succede spesso, in particolar modo fra gli elfi che non vogliono far crescere i propri piccoli in una comunità di umani, ragion per cui alla Torre del Circolo i maghi appartenenti alla mia razza sono in larga minoranza.

   «L’Arlessa lo ha nascosto persino a suo marito», continuò Jowan, «per cui, quando, poco dopo il mio arrivo, lei ha scoperto che non ho più legami con il Circlo, mi ha assunto come precettore del bambino.»

   «E tu gli hai insegnato la Magia del Sangue?», volli sapere, cercando di soffocare la rabbia che, lo sapevo, stava divorando anche Alistair.

   «No, affatto», ci assicurò l’altro. «Gli ho insegnato solo pochi incantesimi, di quelli basilari e del tutto innocui. Per controllare la magia, capisci?»

   «E il demone?», domandai, intimandogli di arrivare al dunque.

   Jowan non si lasciò pregare oltre. «Quando ho avvelenato l’Arle, mi hanno rinchiuso qui sotto, quindi non so bene cosa sia accaduto», spiegò. «So però che Connor è l’unico mago presente al castello, perciò non escludo che possa aver trovato uno dei miei libri e lo abbia usato per invocare il demone. Involontariamente, è chiaro.»

   «Chi è stato ad ordinarvi di uccidere l’Arle di Redcliffe?», intervenne Leliana, anche lei, come Morrigan, più lucida perché più estranea ai fatti e alle persone coinvolte in quell’inganno di quanto non lo fossimo io ed Alistair. Jowan spostò su di lei la propria attenzione, rimanendo quasi indifferente, come se fosse stato preparato a quella domanda. «Avete detto che è successo a Denerim. Deve trattarsi di qualcuno abbastanza potente da riuscire a spaventare un mago.»

   Quell’osservazione fu come un lampo capace di illuminare una notte di novilunio, ed un campanello d’allarme suonò prepotente nelle nostre teste, rendendoci consapevoli dell’identità del mandante dell’omicidio prima ancora che il prigioniero aprisse bocca.

   «Teyrn Loghain», confermò difatti Jowan. Ora tutto aveva senso, e la sua storia si sposava spaventosamente bene con la nostra. «Però, ve lo giuro, se avessi saputo che sarebbe andata a finire in questo modo…»

   «Hai cercato di uccidere un uomo, Jowan!», lo misi a tacere io, cedendo alla collera. «E non per legittima difesa!»

   «Ero stato ricattato», si discolpò debolmente lui. Ebbe per lo meno la decenza di abbassare ancora lo sguardo e di ammettere anche il resto. «Confesso, però, di aver ricevuto del denaro in cambio. E vista la mia condizione di fuggiasco, non sapevo in che altro modo procurarmene tanto in una sola volta. Non potevo permettermi di fermarmi nello stesso luogo troppo a lungo.»

   Sospirai, aggrappandomi pesantemente alla grata che mi separava da lui e rendendomi maledettamente conto che se ci trovavamo in quella situazione era anche a causa mia, che lo avevo aiutato a distruggere il suo filatterio alla Torre del Circolo. Senza quello, e senza la ragione per cui era diventato un Maleficar – e cioè Lily –, Jowan non aveva più nulla da perdere, eccetto la vita. Sul piano razionale potevo anche capirlo. Condannavo ancora il rito della Calma, ma, alla luce delle ultime scoperte, fui assalita dal dubbio che forse sarebbe stato meglio per tutti che lui lo avesse affrontato.

   «Nimue», mi chiamò in un sussurro, chiudendo i pugni attorno alle sbarre, poco sopra le mie mani, che ora non osava sfiorare. Levai gli occhi su di lui, trovando i suoi che imploravano aiuto. «Fammi uscire da qui, per favore.»

   Avrei voluto tornare bambina per potermi permettere il lusso di piangere a volontà. «Jowan», rantolai, disperata, «come puoi chiedermelo, dopo tutto quello che è successo?»

   «Io non volevo che si arrivasse a questo punto», ribatté. Era pentito, lo sapevo, lo conoscevo. Era sempre stato impulsivo e poco riflessivo, ecco perché commetteva errori tanto clamorosi. «Non avrei mai immaginato che Connor avrebbe richiamato un demone.» Ero indecisa, indecisa, indecisa. Gli volevo bene, tanto. Tuttavia, ero ancora ferita dal suo tradimento e, peggio ancora, dal suo crimine. «Fammi uscire, te ne supplico. Farò qualunque cosa per porre rimedio ai miei sbagli.»

   Mi presi qualche istante per riflettere. Jowan non era fondamentalmente cattivo, altrimenti non avrei mai potuto stringere amicizia con lui. Non dubitavo neanche del fatto che adesso dicesse il vero, e cioè che volesse davvero rendersi utile. Lasciarlo andare, però, significava correre troppi rischi, e se dovevo decidere fra il salvare la sua vita e se mettere forse ancora una volta a repentaglio quella degli altri… Non volevo condannarlo a morte, tuttavia ci ritrovavamo entrambi invischiati in faccende più grandi di noi – su schieramenti opposti, oltretutto – che non ci concedevano la libertà di scegliere in base ad egoistici, seppur comprensibili, capricci.

   «Non ti prometto niente», dissi alla fine. «Per ora resterai qui. È più sicuro anche per te.» Sentii Alistair che, al mio fianco, si lasciava andare ad un sospiro di sollievo. Giusto, pensai. Dovevo tener conto anche della sua opinione, poiché le azioni sconsiderate di Jowan avevano finito per far del male anche a lui, colpendo i suoi affetti. Capii allora di aver fatto bene a temporeggiare, così che avessi modo di riflettere con calma.

   Jowan annuì, comprendendo la mia posizione. «Aspetterò.»

 

Pur con la sensazione di aver mancato in qualcosa, mi lasciai lui e le prigioni alle spalle, riprendendo il cammino insieme ai miei compagni. Nessuno mi pose domande riguardo a quell’incontro, ed io apprezzai la loro discrezione. Mi ripromisi comunque di raccontare la verità almeno ad Alistair quando saremmo usciti incolumi da tutta quella storia. Meritava di sapere ogni cosa, perché lui per primo aveva sempre riposto in me, facendomi partecipe dei segreti che lo riguardavano, soprattutto quelli più importanti. Era giusto che facessi altrettanto.

   «Gli staccherò la testa dal collo», minacciò fra sé. Temetti che pensasse di tornare indietro per giustiziare Jowan, e pur non potendo biasimarlo in alcun modo, mi preparai psicologicamente a mettermi un’altra volta fra loro. «Intendo Loghain», precisò dopo un attimo, regalandomi un fugace sguardo per tranquillizzarmi.

   «Almeno adesso abbiamo avuto un’ulteriore prova che mira più al trono che alla sicurezza del Ferelden», osservò pratica Leliana, analizzando ancora la questione meglio di noi. «E, se fossi in voi, terrei gli occhi aperti: gli assassini si aggirano per le corti molto più spesso di quanto possiate immaginare.»

   «Se quello è un mago», prese invece a dire Morrigan a voce alta, cambiando argomento di punto in bianco, «perché non è fuggito? Che ci vuole a fondere le sbarre con il fuoco?»

   Calò il silenzio. Quindi, schiarendomi la gola, fui costretta a confessare in un pigolio: «Jowan non ha mai brillato per intelligenza.»

   «Capisco», commentò la figlia di Flemeth, pensierosa. Si rivolse ad Alistair. «Hai visto? Ne abbiamo trovato uno più scemo di te.» Lui evitò di ribattere; nervoso com’era, era sconsigliabile che lo facesse. Morrigan tuttavia non era del suo stesso avviso. «Cos’è, il tuo?», continuò tornando a parlare con me. «Un metodo per sembrare più sveglia, quello di circondarti di gente stupida?»

   Alistair sbuffò e accelerò il passo. Io gli fui subito accanto. «Vi dirò ogni cosa su Jowan non appena potremo trovare un attimo di calma», gli assicurai, spaventata dall’eventualità di perdere la sua benevolenza.

   «Il fatto che voi conosciate quell’individuo non vi rende necessariamente sua complice.» Il suo tono era teso, ma non arrabbiato. Non con me, per lo meno. «Non temete, vi ho inquadrata meglio di quanto crediate, e so che non siete una criminale.»

   «Vi ringrazio», risposi, sinceramente commossa. «Ad ogni modo, a maggior ragione, vi racconterò tutto al riguardo.» Lo vidi annuire e piegare appena le labbra all’insù, segno che apprezzava la mia sincerità.

   «Ah, perdonatemi per prima», sospirò poi. «Vi ho fatto male?»

   Ci misi qualche istante per capire che si stesse riferendo al momento in cui, in preda, all’ira, mi aveva schiacciata fra sé e la grata della cella. «Oh, no, no. Non preoccupatevi. Sto bene.»

   Chiariti momentaneamente i malintesi almeno fra noi due, proseguimmo attraverso le segrete, fino a che non arrivammo ad una scalinata che, secondo Alistair, portava all’ala del castello destinata alle guardie e alla servitù. Salimmo lentamente al piano superiore, attenti ad ogni minimo rumore e, soprattutto, a non farne. Sul pianerottolo non c’era nessuno, ma da una delle porte che davano sul corridoio che si era aperto davanti a noi, mi parve di sentire qualcosa che nessun altro udì. Avrei voluto dare la colpa alla mia immaginazione, ma più avanzavamo, più quel suono, come un balbettio confuso, mi sembrava reale. Anche Morrigan disse di avvertire qualcosa, e alla fine decidemmo di dare un’occhiata. Alistair propose di sfondare la porta, ma fermammo la sua boria maschile per accertarci prima di una cosa: poggiai un orecchio contro la superficie di legno che ci separava da quella presenza a noi sconosciuta, e riconobbi una voce di donna, piuttosto giovane, intenta a sussurrare disperate preghiere.

   Schiudemmo l’uscio con delicatezza, e subito piombò il silenzio. Un urlo si alzò un attimo dopo, nel momento in cui due occhi atterriti si posarono su di noi. Una ragazza, poco più che adolescente, indietreggiò, fuggendo a nascondersi dietro una delle pile di sacchi custoditi nel piccolo magazzino in cui lei si era rifugiata, a quanto pareva, per sfuggire al pericolo che incombeva sul castello.

   «Non abbiate paura», provò a parlare Leliana, facendo pochi passi avanti. «Siamo qui per aiutarvi.»

   «Chi siete?», ci sentimmo domandare con tono incerto, mentre la fanciulla sbirciava nella nostra direzione, restia ad uscire allo scoperto.

   «Siamo qui su ordine di Bann Teagan», spiegò gentilmente Alistair, rimanendo sulla soglia per non spaventarla oltre. «Come vi chiamate?»

   «Valena», ci rispose lei dopo qualche istante. «Che ne è di Redcliffe?»

   «Il villaggio è salvo, per ora. State tranquilla», la rassicurò ancora Leliana.

   «Valena», riprese invece il nostro compagno con fare pensoso, «non era il nome della figlia di Owen?», mi chiese.

   La ragazza saltò in piedi. «Conoscete mio padre?», volle sapere, speranzosa.

   «Vi sta aspettando», le confermai, lieta di averla trovata viva e in salute.

   «Scappate da qui», le suggerì Alistair, facendole cenno di venir fuori.

   Lei scosse la testa, portandosi le mani davanti alla bocca e tornando a muoversi verso la parete alle proprie spalle. «No, no! Ci sono i mostri!»

   «Non da dove veniamo noi», replicò Leliana. «Di quelli che c’erano, ce ne siamo già occupati», aggiunse per farla calmare.

   «Non possiamo accompagnarla al villaggio, non ne abbiamo il tempo», ragionai sottovoce con Alistair. «Né possiamo lasciarla qui.»

   «L’unica sarebbe quella di farla scappare per il passaggio segreto», rispose lui.

   «La scala di legno che porta al mulino si è rotta», gli ricordai.

   Agitò una mano in aria con fare spiccio. «Le basterà chiudersi la porta delle prigioni alle spalle per essere al sicuro. Eventualmente, torneremo noi a prenderla dopo. O magari potrebbe provare a salire comunque, il gradino fra il tunnel e il mulino non è poi così alto.»

   «Non per voi, certo», bofonchiai, imbarazzata.

   Mi sorrise. «Siete carina anche perché siete in miniatura», affermò con tenerezza, come se fosse bastato un complimento per scusarsi.

   Morrigan sbuffò, seccata per tutta quella perdita di tempo. «Che si arrangi», disse senza troppo tatto. «Non possiamo curarci di salvare anche gli scarafaggi presenti nelle dispense del castello.»

   Le scoccammo un’occhiata poco gioiosa. «Valena», iniziai allora io, «se imboccate le scale che portano di sotto e poi correte oltre il portone che troverete in fondo ai sotterranei, vi ritroverete in un tunnel. Quel passaggio porta al mulino di Redcliffe.»

   Lei parve pensarci su, valutando la situazione e scrutando con sospetto Morrigan. «Devo andare da sola?»

   «Nessuno vi farà del male», le promise Alistair. «Nei sotterranei troverete un prigioniero, però», l’avvertì per non farla giungere lì impreparata. «Non è pericoloso. Beh, non per voi», si corresse a denti stretti. «Ad ogni modo, se dovesse rivolgervi la parola, non dategli retta e continuate per la vostra strada.»

   «Merlino», mi sovvenne in quel momento, acquattandomi accanto al mio mabari, «vai con lei.» Lui reclinò la grossa testa da un lato, fissandomi con gli intelligenti occhi neri. «Proteggila, mi raccomando.» Abbaiò in risposta, assordandomi come al solito. In realtà non avevo molta voglia di separarmi da un così valido membro della squadra, ma che altro potevamo fare?

   «Vi sentirete più sicura con Merlino», confermò Leliana, porgendo una mano alla fanciulla per aiutarla ad uscire dal suo nascondiglio. «I mabari sono molto forti. Conoscete questa razza?»

   Valena fece segno di sì. «Ce ne sono anche qui al castello», ci informò. «Poco più avanti, vicino all’armeria.» Quindi, vincendo ogni paura, accettò il nostro consiglio e, mormorata qualche confusa parola di ringraziamento, scappò verso le scale insieme al cane.

   «Non per farvi pesare la mia intelligenza», riprese Morrigan, non appena li vedemmo sparire, «ma visto che c’eravate, perché non le avete chiesto di confermare la storia del prigioniero?»

   Noialtri tre rimanemmo muti. Alistair fece per aprire bocca, ma poi ci ripensò e si limitò a schiarirsi la gola e a riprendere il cammino. «Valena era molto spaventata», tentò una blanda difesa Leliana, torturandosi le dita delle mani all’altezza del petto. «Probabilmente non avrebbe saputo risponderci.»

   «Flemeth mi ha costretta a viaggiare con un branco di cretini», concluse a quel punto Morrigan, scuotendo nervosamente il capo e battendo le mani sulle gambe in un moto di stizza. «Mi verrebbe voglia di chiudere in carcere anche voi. Tanto, furbi come siete, riuscireste a trovare il modo di rimanere intrappolati lì dentro anche con la porta della cella spalancata.»

   «Mi commuovo ogni secondo di più per la vostra simpatia», borbottò Alistair, procedendo con passo spedito. «Comunque, almeno una siamo riusciti a salvarla», affermò poi, recuperando parte dell’innato buonumore. «Magari fosse così anche col resto degli abitanti del castello», aggiunse con un sospiro.

   Immaginavo come dovesse sentirsi. Ad essere preso d’assalto era il posto in cui aveva passato l’infanzia, dopotutto, e le persone che erano state coinvolte le conosceva bene. Se fosse successa una cosa del genere alla Torre del Circolo, mi sarei sentita morire, perché quel luogo rimaneva il mio porto sicuro, a dispetto delle parole di Morrigan. In cuor mio, perciò, pregavo che, dopo la morte di Duncan e di suo fratello, Alistair non fosse costretto a dover piangere anche quella di Arle Eamon, al quale pure era molto affezionato. Strinsi la presa attorno al mio bastone e mi affrettai ad affiancarlo.

   Giunti alla fine del corridoio, svoltammo un angolo e penetrammo all’interno di quella che doveva essere l’armeria di cui ci aveva parlato Valena. Fu lì che ci trovammo davanti un altro gruppo di nemici, e noi, convinti di riuscire a cavarcela come al solito, commettemmo il grave errore di non ricordarci della presenza dei mabari. Ci fiutarono subito come intrusi, e in cinque ci furono immediatamente addosso. Sarebbe stata la fine se a Morrigan non fosse venuta in mente la geniale idea di usare una delle sue metamorfosi.

   A questo punto, tuttavia, dovrò scusarmi per non essere in grado di dare un resoconto dettagliato del combattimento che si svolse contro i mabari, poiché non appena un enorme aracnide nero, molto più alto di me, mi passò accanto, sfiorandomi una spalla con le massicce zampe nodose e pelose, un terrore mi annichilì, tanto che, credo, persi conoscenza.

   Fu solo dopo diversi minuti che, riprendendomi, mi ritrovai semidistesa sul pavimento, fra le braccia di Alistair, col fiato corto, il battito cardiaco accelerato ed il viso rigato dalle lacrime. «State bene? State bene?», mi stava chiedendo lui, spaventato, tenendomi con mani tremanti.

   «Non ne avevo idea!», discuteva invece Morrigan, più in là, insieme a Leliana. «Che ne sapevo, io, che ha la fobia dei ragni?»

   «State bene?» Il mio sguardo saettò da una parte all’altra della stanza: i mabari ed il resto dei nostri avversari si trovavano a terra, avvolti da grosse ragnatele e colpiti a morte, mentre i miei compagni parevano essere tutti interi. «Nimue?» Mi concentrai su Alistair, che mi fissava ancora con occhi spauriti. Mi feci forza e provai ad annuire con la testa, aggrappandomi a lui per issarmi a sedere e rassicurarlo. Avevo già avuto attacchi di panico, anni prima, ma mai di quella portata. Se non lo avessi già fatto nell’incoscienza, mi sarei abbandonata volentieri ad un altro pianto per la vergogna di essermi ritrovata in quella situazione: svenuta durante un combattimento, finendo per di più col pesare su chi invece volevo aiutare.

   «Come vi sentite?», mi domandò anche Leliana, avvicinandosi ed inginocchiandosi al mio fianco. Dietro di lei, Morrigan rimase in piedi, guardandomi con espressione a metà fra la preoccupazione ed il fastidio. Non osava muovere un passo nella mia direzione.

   Provai a regolare il respiro, rimanendo però ben salda al mio soccorritore. «Meglio», biascicai. «Io non volevo… Mi dispiace, mi dispiace», cominciai a gemere, mortificata, nascondendo poco coraggiosamente il viso contro il petto di Alistair.

   Il quale subito mi strinse a sé, protettivo. «Va bene, va tutto bene», sussurrò, cercando di farmi calmare. E di calmarsi a sua volta. «Non è successo niente.»

   «Volete bere un po’ d’acqua?»

   Leliana mi offrì la sua borraccia, ed io l’accettai. Quindi rialzai le iridi su Morrigan, che ancora se ne stava in disparte. Tentai di rimettermi in piedi e, quando ci riuscii con discreto successo, le dissi solo: «Grazie.» La vidi aggrottare le sopracciglia nere. «E, per favore», mi costrinsi a pregarla, «evita ancora quella mutazione, se possibile. Oppure avvisami prima, così ch’io mi prepari psicologicamente. O eviti di guardarti.» Mi sentivo una perfetta idiota.

   Lei strinse le labbra, dubbiosa, ma assentì. «Coi demoni, però, te la cavi, vero?», volle sapere. Giustamente.

   «Oh, sì, alla grande», le assicurai, passandomi le dita sul viso per asciugare le lacrime. «Uno di loro è anche mio amico», buttai lì, sperando che il ricordo di Topo mi aiutasse a star meglio. Lessi grande sconcerto sul volto degli altri, ma preferii non soffermarmi sulla questione e presi il bastone che Leliana mi stava allungando. «Possiamo proseguire.»

   «Sicura?»

   «Assolutamente.»

   «Ce la fate a camminare da sola?», si preoccupò Alistair, sostenendomi ancora per un gomito benché non ve ne fosse ormai più bisogno.

   Mi sforzai di sorridergli, imbarazzata. «Certo, state tranquillo», risposi. Provò a lasciarmi andare con una certa prudenza, e quando appurò che non stavo mentendo, raccolse da terra la spada e lo scudo, abbandonati probabilmente quando era corso da me. «Non volevo farvi spaventare», farfugliai fra le labbra, rendendomi di colpo conto di quanto iniziassimo a dipendere l’uno dall’altra. E non sapendo valutare se questo fosse un bene o un male.

 

Alla fine, comunque, giungemmo senza altri intoppi all’ultima porta, quella che ci separava dal cortile del castello. Fu con enorme cautela che Alistair spiò al di là del nostro nascondiglio, e quando tornò a rivolgersi a noi, scosse la testa. «Sono anche qui, e sono numerosi. C’è un tipo grosso, però, diverso dagli altri. Fa paura», ammise, seppur con la vergogna tipica dei bambini.

   «È un Revenant, accidenti», imprecò Morrigan, che nel frattempo si era messa a sbirciare anche lei verso il nemico.

   «Cos’è?»

   «Un cadavere posseduto da un Demone dell’Ira», spiegai io, lasciandomi andare ad un pesante sospiro. «Molti di loro sono capaci di lanciare incantesimi, ma di solito preferiscono lo scontro ravvicinato.»

   «Questo è armato di tutto punto», osservò Alistair con voce alquanto sofferente. «È pericoloso?»

   Alzai le spalle. «È la prima volta che me ne trovo davanti uno. Ma so che sono deboli contro gli attacchi fisici.»

   «Ottimo», si riebbe lui, contento.

   «Solo che si rigenerano velocemente», lo mise in guardia Morrigan. «Oltretutto hanno il potere di attirare a sé gli avversari che cercano di fuggire. Ah, e se vengono circondati possono colpire più persone contemporaneamente.»

   Alistair valutò la questione, trattenendo il fiato e restringendo lo sguardo. «Questo però sapete farlo anche voi due, giusto?», chiese conferma a lei e me. «Quindi mi basterà attaccarlo direttamente, no?»

   «E tutti gli altri?»

   «Ah, già», si ricordò, mordendosi l’interno della bocca.

   «Alistair, è quello il cancello?», domandò Leliana, affacciatasi sull’uscio. «Quello che dobbiamo aprire?»

   «Proprio quello», confermò l’altro, alzando un braccio quando, accorgendosi che volevo guardare anch’io, si decise a farmi spazio. «Dobbiamo aprirlo, ma…»

   «È impensabile farlo dopo aver battuto quella moltitudine di cadaveri. Bisogna aprirlo prima», considerai. Aguzzai la vista, cercando di scorgere Ser Perth al di là della grata di legno che delimitava il cortile del castello. «Mi pare che ci siano delle persone, lì dietro.»

   «Ci staranno aspettando», disse Leliana.

   Morrigan sbuffò. «Elfo, tu sei la più veloce», affermò. «Corri ad aprire il cancello agli altri. Noi tre intanto proveremo a coprirti le spalle, trattenendo il nemico.»

   Mi volsi a fissarla con occhi spalancati. «Sei matta? Non ce…»

   «Ce la faremo», mi interruppe lei, spazientita, «se tu ti sbrigherai. Abbiamo bisogno di aiuto.»

   Vista l’ultima mia dimostrazione di forza di carattere durante lo scontro con i mabari, non potevo affatto permettermi di stare a questionare sulla faccenda. Mi adattai perciò ad accettare il suo piano e, afferrando un lembo della lunga gonna per evitare di inciamparci durante la corsa, mi precipitai infine all’aria aperta, imponendo a me stessa di non lasciarmi distrarre da niente e di concentrarmi soltanto su quella leva che avrebbe consentito ai rinforzi di supportare l’azione d’attacco dei miei compagni.

   Fu col cuore in gola che mi gettai in una corsa disperata, imponendo alle mie orecchie di non far caso all’urlo di guerra lanciato da Alistair né al sibilo delle prime frecce che venivano scoccate alle mie spalle. Mi concentrai invece sugli uomini in armatura che, ora li vedevo nitidamente, aspettavano fiduciosi dietro l’inferriata che impediva ogni comunicazione fra Redcliffe ed il castello. Giunta a destinazione, agguantai la grossa barra di legno che si ergeva a circa un metro e mezzo d’altezza dalle mura interne, e, imprecando assai poco femminilmente a causa della fatica a cui fui costretta in quell’operazione, cercai di tramutare in forza l’incitamento che Ser Perth ed i suoi mi gridavano, entusiasti di essere ad un passo dal compiere la loro missione. Il cancello iniziò a smuoversi, ma la presa mi venne meno, ed io ricaddi all’indietro, a terra. Benché Morrigan mi reputasse – a ragione – la più veloce del gruppo, aveva senza dubbio sopravvalutato due cose: la mia statura, vista la posizione della leva, e la mia potenza muscolare. Non mi persi d’animo, comunque, e mi diedi aiuto col bastone, incrociandolo perpendicolarmente alla barra di legno che avrebbe azionato il meccanismo per alzare l’inferriata. Quindi, afferrando la mia arma alle due estremità, e piantando un piede contro il muro, ripresi a spingere verso di me; infine, con uno scatto secco, la leva venne giù, facendomi fare un bel capitombolo sulla schiena per la seconda volta. In un clangore di catene il passaggio fu aperto, ed i cavalieri di Redcliffe si precipitarono in mezzo alla battaglia, caricando il nemico con tutte le loro energie. Mi affannai a rimettermi dritta sulle gambe, e cercai con lo sguardo i miei compagni. Vidi il Revenant, anzitutto, che si ergeva imponente nel cortile e si scagliava contro Alistair. Quest’ultimo parò con lo scudo il suo colpo prima di sferrare un fendente che però non andò a segno. Aveva una freccia conficcata nell’avambraccio, eppure sembrava indifferente al dolore. Se avessi usato la magia del fuoco per aiutarlo, avrei corso il rischio di far del male anche a lui, per cui risolsi di concentrare il mio incantesimo sul solo Revenant anziché su più avversari. Accumulai una discreta quantità di elettricità all’interno del mio corpo e la lasciai fluire attraverso le mani, fino a che essa non si ammassò sulla cima del mio bastone che ne amplificò l’effetto. La riversai così verso il mio bersaglio, prendendolo in pieno senza tuttavia riuscire a metterlo fuori combattimento. Accortosi di me, il Revenant commise allora l’errore di dare le spalle ad Alistair, convinto com’era dell’efficacia del sortilegio che gli aveva appena scagliato contro; fu in quel momento, invece, che il mio amico mise a tacere ogni sospetto circa il suo valore di templare, poiché non lasciò passare che pochi attimi appena per dominare il proprio spirito interiore ed usare la propria ferrea volontà per annullare la magia di cui era stato vittima. Non contento, prima ancora che il Revenant potesse farmi qualcosa, lo trafisse energicamente all’altezza dei reni, costringendolo ad un urlo sordo e a ricadere al suolo, ormai del tutto innocuo. E mentre io tentavo ancora di riprendermi dalla meraviglia che mi aveva riempito gli occhi e la mente, Alistair non perse tempo e si affrettò a dare appoggio a Leliana, ora in difficoltà. Mi riebbi, e dopo aver finalmente scorto Morrigan impegnata a scagliare maledizioni ed incantesimi contro degli Scheletri Arcieri che scoccavano i loro dardi dalla cima delle scale che portavano all’ingresso principale del castello, risolsi di ricorrere alla magia curatrice, perché di forza d’attacco mi pareva ne avessimo a sufficienza.

   Quando lo scontro si concluse, il cortile era pieno di cadaveri, tutti inoffensivi ed appartenenti all’esercito del demone che si era impadronito della residenza dell’Arle – eccezion fatta per un cavaliere. Ser Perth si fece incontro ad Alistair e me, già intenta a cercare di curargli la ferita al braccio e a rimproverargli l’incoscienza che lo aveva portato ad estrarre la freccia con un gesto brusco, senza neanche pensare alle conseguenze.

   «Faremo irruzione all’interno non appena sarete pronti», ci disse Ser Perth, seguito diligentemente dai suoi uomini.

   «Anche subito, se occorre», rispose Alistair dopo aver fatto scorrere lo sguardo su me, Morrigan e Leliana, tutte in ottima salute.

   L’altro annuì. «Andiamo, allora», annunciò, aprendoci la strada lungo le scale su cui giacevano i mucchietti d’ossa ridotte a pezzi dalla figlia di Flemeth.

   Con la massima cautela, varcammo silenziosamente la soglia del castello, e sebbene ci aspettassimo un’accoglienza violenta da parte dei non-morti, nessuno si frappose fra noi e la sala principale, quella in cui Arle Eamon concedeva udienza. Fu tuttavia lì che fummo costretti ad assistere ad uno spettacolo piuttosto umiliante: in fondo alla sala, circondata dalle fedeli guardie, Lady Isolde se ne stava in piedi accanto ad un bambino, l’espressione avvilita; e ad allietare suo figlio Connor vi era quello che a tutta prima scambiammo per un giullare, ma che ben presto si rivelò alle nostre coscienze come Bann Teagan, evidentemente attirato lì con l’inganno – come avevamo ipotizzato – e ora obbligato a mortificare se stesso con quelle movenze che non facevano per nulla onore alla regale immagine che avevo imparato ad apprezzare il giorno addietro.

   Alistair aggrottò un sopracciglio. «Fossi in voi, mi troverei un altro spasimante», mi consigliò di cuore.

   «È sotto l’effetto di qualche incantesimo», spiegò Morrigan che, come me, ignorò stoicamente le parole del nostro compagno, evitando per una volta di rispondergli.

   Non potendo sopportare oltre quella scena aberrante, mi feci avanti affiancata da Ser Perth.













Oh-oh-oh. Non so voi, ma io odio Jowan. O per lo meno avrei voluto spaccargli le ossa. Ma il gioco prevedeva che lui fosse un graaande amico di Nimue, quindi mi era impossibile lasciarglielo uccidere (a meno che non caratterizzassi lei in maniera diversa). Ciò non toglie che lo considera un imbecille. Fatto e finito.
I ragni. Ecco una delle ragioni per cui la Morrigan della mia partita non è MAI ricorsa a tale metamorfosi: bastavano ed avanzavano i ragni che dovevano affrontare a Brecilian e nelle Vie Profonde. Ogni volta che spuntavano, iniziavo ad urlare e andavo in tilt. Ho idea che - pace all'anima di Alistair che si ritroverà sempre sotto il tiro dei suoi incantesimi - anche Nimue farà la stessa cosa. Se non mi muore prima per lo schifo. XD
Oh! Ieri ho comprato il secondo dei romanzi della saga! *_* (Il primo deve ancora arrivarmi, sigh!) A dire il vero ho spulciato solo un capitolo, quindi non posso certo dare un'opinione sulla storia. Mi piace però l'idea di leggere di Duncan da giovane. E non solo di lui, ovviamente.
Prima di salutarvi, rispondo velocemente alle ultime recensioni ricevute.
Lara - Come già detto in privato, Nimue NON è affatto coraggiosa. Ha solo paura di rimanere da sola ad affrontare il Flagello, tutto qui. XD E siccome Alistair è la cosa più simile ad una guida che si ritrova sotto il naso, non può certo lasciarlo morire, ti pare? In più, e mi pare di averlo scritto nel secondo capitolo, Nimue si smuove solo per aiutare gli amici e solo se è strettamente necessario. No, in realtà credo che alla condizione di Custode Grigio non si abituerà mai. Per lo meno, non così velocemente.
Atlantislux - Anzitutto grazie per il betaggio. Quanto a Jowan, come avrai letto più su, non sei l'unica a non amarlo. Riguardo a Nimue, invece, non sai quanto io sia felice di sentirmi dire che la sua caratterizzazione ti piaccia! <3 Anche perché ho sempre il maledetto terrore di renderla troppo Mary Sue o comunque un personaggio troppo scontato. Mi darò da fare per tenermi alla larga da disgrazie simili.
The Mad Hatter - Se riesco a strapparti qualche risata qua e là non posso che ritenermi più che soddisfatta. :D Anche se penso che sarà più avanti che mi darò alla pazza gioia con l'umorismo... Tutto sta a prendere la mano con i personaggi e l'ambientazione, e mi sa che già con l'Oblio sono a buon punto.
Curiosità: ma davvero vi sembra che io stia dando un tocco di umanità in più a Morrigan? Se sì, sono contenta, perché comunque è un personaggio ambiguo e contraddittorio, e la amo anche per queste ragioni. Mi piace davvero renderla affascinante come una creatura magica eppure continuare a sottolineare tutte le sfaccettature umane della sua personalità. Se però dovessi esagerare, per favore, fatemelo notare, eh!
Grazie a tutti i lettori. ^^
Shainareth





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Capitolo 8
*** Casa ***







CAPITOLO OTTAVO – CASA




«Fermate immediatamente questa farsa!», tuonai. La mia voce risuonò per la sala, inducendo i presenti a guardarmi. Lady Isolde si portò le mani al volto, iniziando a tremare dalla testa ai piedi, mentre Bann Teagan finalmente arrestava le sue capriole e si voltava anche lui nella nostra direzione.

   «Nessuno può dirgli quello che deve fare», gracchiò come un pappagallo ammaestrato, ostentando un tono che non era suo, per poi concedersi ad una risata sguaiata ed andare a sedersi accanto a suo nipote.

   Che subito lo redarguì, aspro. «Quante volte vi ho detto che non dovete parlare se non siete interpellato? Quante?»

   «Connor», osò farfugliare sua madre, avvilita, «per favore…»

   «Zitta», ordinò lui con un gesto stizzito. Il suo divertimento era stato interrotto, e la cosa pareva averlo messo di pessimo umore. Mi scrutò con due occhi spaventosi per un bambino della sua età, sospettosi e malvagi. «Cos’è, questa?», domandò a Lady Isolde, studiandomi con crescente curiosità.

   «È un elfo, Connor», rispose lei, docile. «Ne avete già visti, ricordate? Proprio qui al castello. Ne abbiamo diversi fra la servitù.»

   Connor distese le labbra in un sorriso che non mi piacque per niente. «Oh, sì. Gli ho fatto strappare via le orecchie per darle in pasto ai cani.»

   Mi si contorsero le budella, e fui costretta a piantarmi le unghie nei palmi delle mani per costringermi a non urlare. «Se prima avevo qualche rimorso, ora sono felice di aver massacrato quei cani bastardi», ringhiò Alistair alle mie spalle. Come se fosse stata colpa di quelle povere bestie.

   «Beh? Che vuoi?», mi sentii chiedere dal ragazzino, che non la smetteva di squadrarmi con disprezzo e di atteggiarsi come un sovrano. Sarebbe stata una scena buffa se non avessi sospettato che Connor fosse posseduto da un’entità maligna. In caso contrario, io stessa non avrei esitato ad assestargli due sonori ceffoni per rimetterlo al suo posto, nobile o straccione che fosse.

   «Voglio che la smettiate di attaccare il villaggio, e soprattutto che richiamate il demone.» Mi fece eco una risata di scherno. «Cosa ci guadagnate da tutto questo?»

   «Mio padre», affermò il bambino, tornando terribilmente serio. Sorpresa da quelle parole, rimasi a fissarlo in silenzio per alcuni istanti. Infine, evidentemente stufo della mia presenza, vociò verso le guardie. «Che non rimanga niente di loro», dichiarò.

   Quindi, prima ancora che potessi ribattere, scappò fuori dalla stanza. Feci per inseguirlo, ma Bann Teagan si mise in mezzo, fermandomi con le cattive, mentre i soldati di Connor si scagliavano contro quelli di Ser Perth.

   «Spostatevi, non voglio farvi del male», provai a dirgli, nella speranza che tanto bastasse.

   Inutilmente, perché del gentiluomo che avevo salutato poche ore prima non rimaneva traccia. Anzi, mi aggredì con un pugno che non fui in grado di evitare del tutto, procurandomi non poco dolore al viso. E dal momento che lui era di nuovo sul punto di colpirmi, e che io non avevo modo di difendermi dalla sua forza se non per mezzo della magia, fui costretta a ricorrervi, limitandomi tuttavia ad incantesimi che non rischiassero di ammazzarlo. Non ero fatta per il combattimento ravvicinato, però, per cui fui raggiunta da altre percosse senza ch’io riuscissi a scagliare il più semplice Quadrello Arcano. Furente e disperata, risolsi di contrattaccare col mio bastone, e solo con quello, picchiando il mio avversario – perché ormai tale dovevo considerarlo – sul volto e sulle costole, facendo appello a tutte le mie energie. Inoltre, per una volta la mia bassa statura mi concesse il vantaggio di schivare un nuovo pugno, poiché mi abbassai sulle ginocchia appena in tempo; infine, ritenendo di aver perso fin troppo tempo, strinsi la presa attorno alla mia arma e, usandola di punta, la spinsi violentemente contro il mio assalitore. Il quale fu obbligato a piegarsi su se stesso, gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata in un’espressione di grande sofferenza, mentre con le mani andava a ripararsi tardivamente la zona più delicata del suo corpo. Crollò a terra, del tutto incapace di muoversi ancora.

   «Mi spiace», annaspai, sentendomi seriamente in colpa perché temevo che quella legnata ai testicoli potesse avere gravi conseguenze per lui in futuro.

   Mi voltai poi verso il resto della battaglia, e rimasi spaesata: a parte pochi particolari che li contraddistinguevano, i cavalieri di Redcliffe e le guardie del castello mi sembravano identici, nella mischia. Per evitare di sbagliare e di correre in aiuto della fazione sbagliata, mi affiancai a Morrigan, in difficoltà perché costretta ad indietreggiare per non essere fatta a pezzi dalle spade nemiche; priva di armatura com’era, rischiava davvero grosso. Si era però arrangiata ricorrendo ad un’Esplosione Mentale, che aveva stordito gli avversari che la circondavano, consentendole di abbatterne alcuni per mezzo della Stretta Invernale. E quando l’effetto del primo incantesimo si fu dissolto, ne scagliai uno uguale io stessa, rendendo di nuovo inoffensivi quelli che erano riusciti a rimanere in piedi.

   «State bene?», volle sapere Ser Perth, precipitandosi a soccorrere Bann Teagan quando uscimmo vincitori anche da questo ennesimo scontro.

   L’altro aveva ora ripreso conoscenza, e scrollando il capo nel tentativo di scacciare la confusione che gli aveva oscurato la ragione da che aveva messo piede all’interno del castello, si concesse qualche attimo prima di rantolare un sofferto: «Sì, grazie.» Alzò gli occhi chiari su di me, che, mortificata, mi ero andata quasi a nascondere dietro Morrigan, tamponandomi col dorso di una mano il sangue che, seppur in minima quantità, fuoriusciva ancora dal taglio sul labbro che mi aveva provocato col suo primo pugno. «Sono… Sono stato io a farvi quello?», volle sapere, profondamente contrito. «Sono desolato, non era mia intenzione, giuro che non…»

   «Va tutto bene», gli assicurai, capendo allora di non essere l’unica sopraffatta dai sensi di colpa. «Non eravate in voi, non pensateci.»

   «Teagan!», sentimmo gemere da un angolo della stanza, dove Lady Isolde, dimenticata fino a quel momento, aveva trovato rifugio per non essere coinvolta dalla battaglia. Tremava più di prima, piangendo disperata.

   Bann Teagan si rimise in piedi a fatica a causa del dolore, scoccandomi questa volta un’occhiata che mi fece arrossire, e, sorretto ancora da Ser Perth, arrancò verso sua cognata, che subito si aggrappò a lui, singhiozzando ed implorando perdono. Leliana mi colpì piano ad un gomito, obbligandomi ad esigere spiegazioni dettagliate su quanto stava accadendo. Mi schiarii la gola e mi feci avanti a nome del mio gruppo. Dopotutto, il comando era stato affidato a me, cosa che tendevo spesso a dimenticare.

   «Vogliate scusarmi, Arlessa», esordii con voce incerta, provando pietà per le sue lacrime. «Dov’è andato Connor? Che sta succedendo? Ce lo direte, adesso?»

   Lady Isolde provò a farsi forza, passandosi le dita sulle ciglia bagnate e cercando di placare i singulti che le scuotevano il corpo sottile. Fu solo dopo diversi tentativi che riuscì a parlare. «Connor… aveva manifestato i primi segni di magia, e allora… Non volevo che me lo portassero via, non volevo!» Scoppiò di nuovo a piangere, per cui ci toccò pazientare ancora. «Credo che abbia evocato qualcosa», riprese poi, facendo grossi respiri. «Non ne ho idea, lui non è mai stato così aggressivo! Connor è un bambino dolcissimo! Non fa del male a nessuno, quando è in sé!»

   «Lo sappiamo, Isolde, lo sappiamo», le diede subito ragione Bann Teagan per farla calmare, evitando così che lei crollasse ancora in gemiti incomprensibili. «Dov’è, ora?»

   Lei tirò su col naso. «Connor è sempre preoccupato per suo padre», spiegò. «Immagino sia da lui. Ci va ogni volta che è turbato per qualcosa.»

   «Non sarà pericoloso per Arle Eamon?», si preoccupò Alistair, guardando me che, a quanto gli avevo detto, ero esperta in materia.

   «No», lo tranquillizzai allora, rivolgendomi anche a Lady Isolde, la quale pareva pendere ora dalle mie labbra. «Se è vero che Connor ha evocato un demone, probabilmente lo ha fatto in cerca di qualcosa che potesse aiutare suo padre.» O almeno questa era la conclusione a cui si poteva giungere dalle parole di Jowan, confermate ora da quelle dell’Arlessa. «Suppongo perciò che si tratti di un Demone del Desiderio, forse il più scaltro di tutti ed il più abile ad irretire la mente dei maghi. Ovviamente, essendo Connor soltanto un bambino, non si è preso gioco di lui con l’inganno di una promessa lasciva. Il Demone del Desiderio si nutre di qualunque sogno agiti l’animo umano. Ma per fortuna è per lo più innocuo per l’incolumità fisica del posseduto e per quella delle persone che lui ama», spiegai, rispolverando nella memoria le mie conoscenze in merito. «Ciò non toglie che non possiamo lasciare le cose come stanno.»

   «Esiste un modo di salvarlo?», volle sapere Bann Teagan.

   Presi tempo. «Sì, una soluzione c’è», proferii infine, pur con tono non troppo ottimista. «Tuttavia…»

   Vidi il terrore dipingersi sul viso di Lady Isolde davanti a quella mia esitazione, ma prima ancora che lei potesse realizzare l’idea di poter perdere suo figlio, Morrigan venne in mio soccorso, attirando l’attenzione di tutti. «Tuttavia al momento è inattuabile.»

   «Perché?»

   «Occorrono più maghi», li informò con un sospiro. «E se anche qui ci siamo già io e lei», e nel dirlo fece segno verso di me, «ci serve soprattutto una gran quantità di polvere di lyrium. Che noi non abbiamo.»

   «Potremmo chiedere aiuto al Circolo dei Magi», mi sovvenne all'istante, stupendo me stessa per la rapidità con cui riuscii a risollevare la situazione e, in particolar modo, le speranze di quella madre affranta. «Non è lontano. Sono sicura che il Primo Incantatore ci darebbe immediatamente una mano», affermai convinta.

   «E volete lasciare il demone libero di agire?», domandò Leliana, scettica.

   «Se sta solo facendo il gioco di Connor, nutrendosi del suo amore per Arle Eamon, possiamo stare tranquilli», risposi.

   «Allora fate in fretta, per favore», ci pregò Bann Teagan, stringendo le spalle della cognata con un braccio per infonderle coraggio.

   Alistair annuì. «Torneremo al più presto», assicurò.

   «Prima però vi spiacerebbe lasciarci controllare che Connor e l’Arle siano al sicuro?», chiesi per scrupolo di coscienza. «Sarà un modo per testare definitivamente le intenzioni del demone ed accertarci che anche voi non corriate altri rischi.»

   Bann Teagan e Lady Isolde non ebbero nulla da ridire, anzi, ed io e i miei compagni ci facemmo indicare la strada per raggiungere le stanze del signore del castello. Fu dalla porta aperta dello studio che, attraverso il corridoio per tenerci a debita distanza da lui e non metterlo in agitazione, scorgemmo Connor al capezzale del padre, immobile a letto e pallido come se fosse morto. Il bambino sussurrava preghiere, adesso, con la sua voce naturale, incrinata dal pianto dovuto alle tristi condizioni in cui versava il genitore. Ecco cosa avevano scatenato l’incoscienza e l’egoismo di Jowan, responsabile indiretto di molte vite spezzate. Se solo non lo avessi aiutato… Scossi il capo, scacciando quell’idea dalla testa: se non lo avessi aiutato, Jowan sarebbe comunque finito nei guai, ricorrendo molto prima alla Magia del Sangue pur di evitare il rito della Calma. Non sapevo cosa odiare su tutto il resto, se quel maledetto rito, se la Magia del Sangue o se la Chiesa, che, tramite la disperazione, induceva tanti maghi a commettere gli stessi errori del mio amico – sempre ammesso che potessi ancora considerarlo tale.

   Non riuscendo più a tollerare la visione di quel bambino distrutto dal dolore e del suo adorato padre in fin di vita, rivolsi gli occhi stanchi altrove, dando uno sguardo d’insieme alla stanza in cui ci trovavamo, stipata di alti scaffali addossati alle pareti e pieni di libri, i cui titoli, in condizioni normali, mi sarei precipitata a leggere per amor di conoscenza. Al centro dello studio, di fronte alla porta aperta, vi era una grande scrivania, quasi sepolta da volumi impolverati, carte, probabilmente documenti importanti, pergamene nuove, boccette d’inchiostro, penne ed oggetti di vario genere. Battei le palpebre quando, per pura curiosità, mi avvicinai per focalizzare meglio quello che avevo inizialmente scambiato per un ninnolo qualsiasi. Lo presi per osservarlo da vicino, rigirandolo cautamente fra i polpastrelli; si trattava di un ciondolo che presentava diverse spaccature, ma su di esso si poteva ancora nitidamente distinguere l’emblema della Fiamma di Andraste.

   «Alistair?», chiamai sottovoce, per non disturbare le preghiere di Connor, a cui si erano aggiunte quelle mute di Leliana e, forse, dello stesso Alistair. «È vostro, questo?»

   Lui si accostò a me, ed io gli porsi l’amuleto. Non appena l’ebbe fra le mani, il suo volto mutò espressione, manifestando incredulità e, suppongo, gioia. Mi fissò con due occhi straniti e commossi. «Dove lo avete preso?»

   «Era qui, sullo scrittoio», risposi, additando come una bambina, ancora non del tutto certa di essere meritevole di lode – o se piuttosto di essere colpevole di furto.

   Alistair rimase ad ammirare la scrivania per alcuni secondi, in devoto silenzio, il pendente ancora fra le dita. «È quello di mia madre», mi spiegò poi, con voce più calma. «Era andato in pezzi», mi ripeté, confermando il racconto che aveva fatto a me e Morrigan a Lothering. Era sempre stato sincero, sin dall’inizio. «Lui… Arle Eamon deve averne incollato i frammenti col proposito di restituirmelo», ragionò, tornando a studiare con affetto tutto ciò che gli rimaneva della donna che l’aveva messo al mondo. «Era anche per questo, allora, che veniva tutti i giorni all’abbazia, per potermelo rendere.» Alzò lo sguardo lucido su di me, incrociando il mio, e mi venne spontaneo sorridergli. «Grazie per averlo trovato.»

   «Non è me che dovete ringraziare, ma Arle Eamon per averlo conservato fino ad ora», risposi con sincerità.

   «Dobbiamo salvarlo», stabilì, stringendo il ciondolo nel pugno.

   «Li salveremo entrambi. Sia lui che suo figlio», gli promisi.

 

Riconsegnato quindi il castello al controllo dell’Arlessa, di Bann Teagan e di Ser Perth, scendemmo nuovamente verso Redcliffe, questa volta dalla via principale, per assicurarci che anche lì fosse tutto in ordine, e che Valena fosse tornata da suo padre sana e salva. Merlino ci fiutò da grande distanza, perché mi saltò addosso non appena raggiungemmo il mulino, posto all’entrata del villaggio, e mi riempì di gioiose feste che mi fecero un gran bene al cuore. Quando gli abitanti ci videro tornare, acciaccati ma per lo meno vivi, anche loro ci corsero incontro per avere notizie dal palazzo del loro signore. Fummo grossomodo in grado di tranquillizzarli, benché non proprio a tutti rasserenò l’idea di avere un demone a pochi passi da casa; e, fra la gratitudine di Owen, che ci offrì una ricompensa che ci rifiutammo di accettare con grande disappunto di Morrigan, e l’insistenza di Kaitlyn affinché Alistair tenesse la Lama Verde, l’unica cosa che chiedemmo in cambio, fu un po’ di cibo da mettere nello stomaco, giusto quel tanto che ci avrebbe consentito di recuperare le forze necessarie per raggiungere l’accampamento lì vicino, affidato a Bodahn Feddic e a Sandal, e rimetterci in marcia per la Torre del Circolo non appena fosse sorto il giorno nuovo – il sole era infatti ormai quasi del tutto tramontato, e noi avevamo davvero bisogno di riposo.

   Una volta ripresa la nostra strada, ritrovammo le tende e la roba che avevamo lasciato alla radura esattamente al loro posto, intatte e accoglienti. I nostri affezionati mercanti provenienti dalla città sotterranea di Orzammar cominciarono ad agitare le piccole braccia non appena ci videro tornare, felici come se fossimo stati amici di lunga data. Davanti al fuoco, raccontammo loro quel che era accaduto a Redcliffe e li avvisammo anche che saremmo dovuti partire verso Kinloch Hold, sul Lago Calenhad, per cui eravamo costretti a chiedergli di aspettarci ancora lì per due o tre giorni.

   Bodahn ci tranquillizzò con un gesto veloce della mano. «Prendetevi tutto il tempo che vi serve», ci disse. «La situazione in cui ci troviamo è seria. Il Ferelden… Anzi, l’intero Thedas rischia di essere distrutto dal Flagello. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. E chi meglio dei Custodi Grigi è in grado di affrontare questa crisi?»

   Avrei voluto essere ottimista quanto lui, perché in verità io ed Alistair da soli avremmo dovuto compiere un miracolo per soffocare il Flagello prima che si espandesse su tutto il continente. Eravamo stati fortunati ad aver incrociato sulla nostra strada prima Morrigan e poi Leliana, per non parlare del mio fedelissimo mabari.

   Quando, ormai sazi di cibo ed appagati dalla birra che avevamo bevuto insieme, i due nani si ritirarono per la notte, mandai Merlino a chiamare Morrigan, sempre in disparte rispetto al resto del gruppo. La vedemmo trascinarsi verso di noi, esausta ed infastidita dal fatto che, per convincerla a seguirlo, il mio cane era dovuto ricorrere al più vile dei trucchi: rubarle la biancheria dallo zaino, azione che gli era costata parecchi insulti.

   «Se vuoi di nuovo chiedermi di insegnarti a mutare forma», iniziò a mettere le mani avanti la figlia di Flemeth, saettando uno sguardo di fuoco nella mia direzione, «puoi scordartelo.»

   «Non ci penso nemmeno», le feci sapere, invitandola a sedersi accanto al fuoco. «Dopo la tua ultima performance, ti assicuro che non ho più tutta questa voglia di imparare quel tipo di magia. Anzi.»

   «Meglio così.» Morrigan si lasciò cadere stancamente fra Alistair e Leliana. «Allora, sentiamo, che vuoi?»

   «Parlarvi di Jowan.»

   «Credi che me ne importi qualcosa?», ribatté, seccata per quella perdita di tempo.

   Il nostro compagno le offrì un boccale di birra. «Bevete, così almeno chiuderete il becco, per una volta.» Lei glielo tolse di mano con fare brusco, regalandogli una smorfia come ringraziamento. Ma per lo meno obbedì. E di nuovo fui assalita dal dubbio che la loro antipatia reciproca nascondesse invece tutt’altro tipo di sentimento, qualcosa che, se Morrigan le avesse portate, avrebbe indotto Alistair a tirarle le trecce pur di richiamare la sua attenzione. Come se avessero ancora avuto cinque anni. Mi rendevo ben conto dell’assurdità di quell’idea, eppure non volevo escluderla, iniziando al contrario a reputare quasi divertente quello stato di cose. E, segretamente, speravo di avere ragione.

   Leliana mi riportò alla realtà spronandomi a raccontare quel che avevo promesso; e lo feci senza tralasciare niente, ripetendo ciò che avevo detto ad Ostagar alla povera Wynne, aggiungendo però alcune spiegazioni riguardo Jowan ed i miei rapporti con lui, e pochi altri particolari che chi non è mai stato alla Torre del Circolo non può sapere. In conclusione, mi mostrai disposta ad inginocchiarmi ai piedi di Alistair per implorare umilmente il suo perdono: avrei potuto fermare Jowan non appena mi aveva messa al corrente del suo piano di fuga dal Circolo, e invece gli avevo persino dato man forte.

   «Scherzate?», mi rispose lui, attonito. «Non è mica colpa vostra. Toglietevelo dalla testa.»

   «È certo però che abbiate sbagliato ad aiutarlo», affermò invece Leliana, convinta. «A prescindere da quello che Jowan ha combinato dopo essere scappato dalla Torre, lasciare troppa libertà ad alcuni maghi rappresenta un pericolo. Per gli altri, ma anzitutto per loro stessi.»

   «Oh, certo», le batté le mani Morrigan, sprezzante. «Mettiamo tutti i maghi al rogo, a partire da quelli come me, che si sono rifiutati di farsi infinocchiare dalle chiacchiere della Chiesa.»

   «Non ho nulla contro i maghi in genere», volle chiarire l’altra, risentita. «Ma, checché ne diciate, certe misure sono necessarie, come ad esempio il controllo tramite i filatteri da parte della Chiesa.»

   «Alcuni pensano che la Chiesa controlli anche i templari, qualora voleste saperlo», ci informò inaspettatamente Alistair, strisciando con fare distratto la pianta di uno stivale per terra e tenendo lo sguardo basso. «Tramite il lyrium», aggiunse. «Gliene fa assumere con la scusa che quella cosa aiuta a sviluppare le loro capacità, ma francamente ho sempre avuto dei seri dubbi al riguardo. Sapete, quella robaccia causa seri danni agli umani e agli elfi, ed è addirittura letale per i maghi. Perciò in molti credono che sia tutta una scusa per far sì che i templari cadano in dipendenza da lyrium e siano in qualche modo costretti a rimanere dove sono. È solo una teoria da prendere con le pinze, comunque, sia ben chiaro», ci tenne a sottolineare poi con un’alzata di spalle.

   «Lo stesso è per i maghi», tornò allora all’attacco Morrigan, ora più ostinata di prima. «Come si può accettare che le cose vadano avanti così?»

   «La Chiesa ha bisogno dei templari, Alistair», provò a convincerlo Leliana, ancora calma, e tuttavia ferma nella propria posizione. «Senza di loro, i Maleficar avrebbero la strada spianata, e chissà di quali e quante nefandezze potrebbero macchiarsi.»

   «Non discuto di questo», replicò lui, dando prova di non pensarla affatto come Morrigan. «Dico solo che c’è gente che trova sospetto il modo in cui la Chiesa gestisce la situazione. Un templare è un templare, e non ha bisogno di essere imbottito di lyrium, perché solitamente è dotato di grande fede, profonda al punto da votarsi anima e corpo al proprio compito, senza che nulla possa turbare il suo spirito.» Sentendo ciò, non potei fare a meno di chiedermi se Cullen fosse davvero così devoto come avrebbe dovuto, dal momento che, a causa mia, agli occhi degli altri dava invece segno di distrarsi con estrema facilità. Improvvisamente mi sentii in colpa. «Per i maghi, però, è tutt’altra storia», continuò Alistair.

   «E perché mai?», rimbeccò Morrigan, sempre più stizzita. «Non siamo tutti così idioti o pazzi da evocare demoni o da nutrirci della vita di chi ci sta intorno, sai?»

   «Forse non voi», riprese parola Leliana, «ma molti altri sì. Credetemi quando vi dico che al mondo c’è gente davvero priva di scrupoli, disposta a passare sopra tutto e tutti pur di trarre vantaggi personali.» Adesso anche il suo tono si era fatto più appassionato, ed il suo viso si stava scaldando, come se una qualche fiamma a noi sconosciuta le bruciasse in corpo.

   «Hai idea di quanti templari mi abbiano dato la caccia senza ch’io avessi fatto alcunché?», ringhiò l’altra. «E tutto perché non ho ceduto il mio sangue alla Chiesa.»

   «Forse allora dovreste farlo.»

   Stufa di stare a discutere di quella questione che avrebbe soltanto continuato ad incrinare i rapporti della compagnia, Morrigan abbandonò sgraziatamente il boccale vuoto davanti a sé e si rimise in piedi. Quindi, senza dire una parola, ci lasciò per tornare alla sua tenda. Poco dopo, sentendo anche lei il bisogno di stare da sola, Leliana ci augurò fiaccamente la buonanotte e si ritirò.

   Soltanto lo scoppiettio del fuoco, ora, rompeva il silenzio piombato improvvisamente sull’accampamento, ed io e Alistair rimanemmo a meditare fra noi e noi, mentre Merlino, in procinto di appisolarsi al mio fianco, pretendeva un’ultima carezza.

   «Io volevo solo raccontare ciò che era successo prima che lasciassi la Torre», farfugliai dopo un po’, mortificata. Il mio amico scoppiò a ridere, intenerito. «Lo giuro», pigolai ancora.

   «Lo so, lo so», mi consolò. «Mi spiace solo che, anziché rendere più saldo il gruppo…» Non finì la frase per non abbattermi ulteriormente. Fece un grosso sospiro e si alzò da dov’era seduto. «Vado anch’io», disse. «È meglio riposare finché ne abbiamo l’occasione. Dovreste farlo anche voi», mi consigliò. Annuii, continuando a fissare il mio cane senza vederlo realmente. «Ehi», mi richiamò Alistair, costringendomi a levare lo sguardo su di lui. «Jowan sarebbe fuggito comunque, con o senza il vostro aiuto. Se davvero vi si deve accusare di qualcosa, allora state ben attenta alla vostra ingenuità. Anche se personalmente non riuscirei mai a rimproverare a nessuno di essere troppo buono.»

   Stirai le labbra in un sorriso, seppur poco convinto. «Grazie.»

 

Benché il giorno dopo ci fossimo messi in viaggio di buon’ora, arrivammo Kinloch Hold che era ormai sera. L’aria umida ci costrinse ad avvolgerci nei mantelli, e quando scendemmo verso il molo rimasi interdetta alla vista di un templare che se ne stava lì dove sapevo essere solitamente Kester, l’uomo che da anni si occupava di traghettare la gente fino alla scogliera su cui sorgeva la Torre del Circolo. Decidemmo che forse era meglio chiedere informazioni al riguardo alla Principessa Viziata, la piccola taverna del posto. Fu proprio sull’uscio che scorsi Kester, e subito mi affrettai nella sua direzione, chiamandolo prima che sparisse all’interno della locanda.

   «Oh, mi ricordo di voi», mi disse con aria allegra. «L’ultima volta, quando vi ho portata via dalla Torre insieme a Duncan, eravate appena reduce dal Tormento. E ora siete addirittura un Custode Grigio.»

   «Beh», iniziai con una certa ovvietà, «sapete com’è? Sono andata via dal Circolo proprio col proposito di diventarlo.»

   Lui rise amichevolmente. «Allora, cosa posso fare per voi, signorina Custode?»

   «Dobbiamo raggiungere la Torre.» Che altro, se no?

   «Impossibile», affermò, inarcando le braccia sui fianchi. «I templari mi hanno sequestrato la barca.»

   «Cosa?», esclamai, incredula, mentre alle mie spalle Morrigan si lasciava andare ad un sonoro sbuffo.

   Kester si soffermò a guardarla con diffidenza. «Di voi, invece, non mi ricordo», mormorò.

   «Non ti ricordi perché…»

   Mi precipitai ad interrompere l’acida risposta della mia compagna prima che succedesse il finimondo. «Con tutti i maghi che vanno e vengono dal Circolo, potete davvero giurare di tenerli tutti a mente?», chiesi all’uomo.

   Che dovette alzare le mani in segno di resa. «Non pretendo di avere una memoria tanto buona. Ma una così bella è difficile da dimenticare», ammise senza malizia. «Ad ogni modo, non posso accontentarvi al momento», tornò a dire. «Mi hanno sequestrato la barca e non so quando la riavrò. Anzi», continuò facendomi cenno, «voi che siete un Custode Grigio, in quanto autorità, forse potete aiutarmi a convincere quel dannato a sloggiare da qui.»

   «Perché vi hanno preso la barca?», domandò Leliana, cercando di capirci qualcosa.

   Kester fece un grosso sospiro. «Il punto è questo: non me lo vogliono dire», borbottò con fastidio. «Ma siccome vietano alla gente di arrivare fino alla Torre, suppongo che sia successo qualcosa laggiù.»

   «Di che tipo?»

   «E come posso saperlo? Credo però che si tratti di qualcosa di grosso», ci disse in confidenza. «Quel moccioso che hanno messo al mio posto afferma che Greagoir è su tutte le furie.»

   «La sfortuna ci perseguita», commentò Alistair, guardando verso il molo.

   «Beh, provate a parlarci voi», ci consigliò Kester. «Io ormai ho perso le speranze. Si rifiuta di darmi ascolto. È una vita che faccio questo lavoro, capirete che mi secca non poco ritrovarmi disoccupato così, dall’oggi al domani, e senza nemmeno uno straccio di spiegazione.»

   «D’altra parte», prese a ragionare Leliana, «se è successo qualcosa di grave al Circolo dei Magi, è meglio per voi starne alla larga.»

   «Questo è certo.»

   «Grazie delle informazioni, Kester. Proveremo a parlare noi con quel templare», promisi, salutandolo ed avviandomi decisa verso il soldato, mentre vietavo perentoriamente a Morrigan di rivelare a chicchessia di essere un’eretica, pena un’improvvisa, inopportuna caccia alla strega – l’ultima cosa di cui avevamo bisogno al momento.

   Il discorso appena fatto con Kester non mi era piaciuto per niente. Non sapevo che pensare riguardo a ciò che stava succedendo alla Torre, ma dopo aver avuto di nuovo a che fare con Jowan, la prima cosa che sperai fu che Greagoir non si fosse messo in testa di stringere la sorveglianza al porto e su chiunque volesse attraversare il lago a causa di quanto era accaduto prima che io partissi, anche perché la vigilanza era sempre stata impeccabile e non si erano mai verificati grandi incidenti da che io ero stata condotta lì da bambina. E, tuttavia, mi dicevo che se non fosse stata questa la motivazione che aveva spinto Greagoir a stanziare uno dei suoi uomini al molo, di certo sarebbe stato qualcosa di più preoccupante. Mi sentivo inquieta. E nervosa. E se avessi avuto ancora Jowan sotto mano, gli avrei infilato i cocci del suo filatterio su per il…

   «Fermi dove siete», ci intimò il templare non appena gli fummo vicini, troncando i miei aulici propositi di vendetta. «Il lago non si può attraversare, quindi potete pure tornarvene da dove siete venuti.»

   «Siamo Custodi Grigi», gli comunicai spassionatamente, infischiandomene del rischio di finire ingiustamente accusata di aver lasciato morire il Re ad Ostagar. Morrigan mi scoccò un’occhiata carica di significato, che io interpretai come un rimprovero: raccomandavo la prudenza a lei, ma non a me stessa.

   Il ragazzo, poiché doveva avere pressappoco la mia età, mi regalò invece un sorriso scettico. «Certo, e io sono la Regina di Antiva.»

   «Voi siete un uomo», gli feci notare senza batter ciglio.

   Lui aggrottò la fronte, mostrando di non essersi affatto aspettato quella osservazione. «Beh», riprese in difficoltà, «comunque non potete passare.»

   «D’accordo», annuii per nulla rassegnata. «Allora preparatevi ad essere strigliato ben bene dal vostro superiore.» Lo vidi schiudere le labbra, perplesso. «Conosco Greagoir quanto voi, forse meglio, perciò sono sicura di non poter essere smentita se dico che si arrabbierà molto quando saprà che ci avete lasciato attraversare il lago a nuoto quando invece potevate farci risparmiare la fatica.»

   Batté le palpebre, sempre più confuso. «Volete attraversare il lago a nuoto?»

   «O a nuoto o con una barca», gli assicurai, decisa. «Ma in ogni caso, Greagoir saprà che non avete voluto rendervi utile per due Custodi Grigi», minacciai, facendo segno anche verso Alistair e sventolando i trattati sotto il naso del ragazzo.

   Quest’ultimo allora scattò in un impeto di orgoglio, non convinto nemmeno dai documenti ufficiali. «Credete davvero che io caschi in un simile tranello?» Fece una pausa improvvisa, rimanendo a bocca aperta e sfoggiando un’espressione ben poco intelligente. «… Ma è anche vero che il capo ha un pessimo carattere», ammise sconsolato. Sbuffò e ci fece cenno con un braccio. «Va bene, d’accordo, andiamo. Al limite ci penserà lui a darvi una lezione», concluse, facendoci strada per la barca di Kester.

   «Avete davvero un eloquio convincente», si congratulò con me Leliana, mentre ci accodavamo a Carroll – questo il nome del templare.

   «Adesso capite perché non riesco mai a contraddirla?», intervenne Alistair, sogghignando. «È per questo che lascio parlare lei.» Si voltò subito in direzione di Morrigan, puntandole un dito contro. «E voi non azzardatevi a dire che è dovuto al fatto che sono stupido.»

   Lei tirò un angolo della bocca in su. «Coda di paglia, eh?»

   «Zitti o vi butto a mollo», li avvisai io, salendo a bordo del traghetto con Merlino. «Tutti e due», precisai a scanso di equivoci. Ero abbastanza nervosa per farlo davvero.

   «Non è adorabile quando fa così?» Probabilmente Alistair non si rendeva ben conto del pericolo a cui andava incontro. Oppure era intimamente masochista.

   «Se lo dici tu», borbottò Morrigan, mentre io tempestavo di schiaffetti il braccio del nostro compagno, che intanto continuava a ridere come uno scemo anche perché quella che si faceva male, battendo le unghie contro la sua armatura nascosta dal mantello, ero io.

   Quando mi fui sfogata a sufficienza, eravamo già al largo. Le acque del lago erano appena increspate da una brezza che penetrava le ossa, lo si poteva notare dalla luce della lanterna posta a prora, alla quale si aggiungeva il debole chiarore della sottile falce di luna che dava l’impressione di far sorridere il cielo notturno in modo obliquo. Mi alzai il cappuccio sul capo, pur sapendo che la distanza da percorrere era minima; conoscevo l’umidità micidiale di quel luogo, e l’unico modo per evitare una brutta infreddatura era quello di cautelarsi adeguatamente, sempre e comunque.

   Non appena fummo abbastanza vicini, mi sporsi fuori bordo per inquadrare meglio la Torre che, almeno all’esterno, pareva sempre la stessa, silenziosa e solenne, come un gigante che sovrastava l’area circostante, rendendo il paesaggio incantato agli occhi di chiunque non vi avesse mai messo piede. Abituata com’ero a viverci, avevo dimenticato quelle sensazioni che mi avevano lasciata attonita da piccola, quando vi fui accompagnata per la prima volta; e ora, che pure mancavo da lì da appena due mesi, erano tornate prepotentemente ad affascinarmi, rapendomi il cuore. Forse Morrigan non aveva torto a definire il Circolo dei Magi una prigione, ma non potevo negare che fosse la più accogliente che io potessi immaginare. Era il posto in cui ero cresciuta, dopotutto, quello in cui avevo non solo imparato che non tutti gli umani sono dei criminali, degni di essere odiati fino alla morte. Ma soprattutto quello in cui avevo imparato a conoscere davvero me stessa e a dominare il mio animo e quegli strabilianti poteri che mi avevano costretta ad andare in esilio dall’enclave in cui ero nata, e che ormai, pur con un certo rammarico, non riuscivo più a considerare casa – poiché con quest’ultima, preziosa parola ero molto più avvezza a definire la Torre del Circolo, entro la quale avevo passato la maggior parte della mia vita senza temere la benché minima violenza o umiliazione.

   Accettai di buon grado l’aiuto di Alistair per rimettere piede a terra una volta arrivati, e prima di imboccare l’entrata principale, scoccai un ultimo, adirato sguardo a Carroll, colpevole di non averci voluto rivelare cosa diamine stesse succedendo, aumentando così la mia ansia e rendendomi senza dubbio poco gradevole ai miei poveri compagni di viaggio, che pure non mi fecero pesare nulla, forse consapevoli dello stato emotivo in cui mi trovavo. Mi seguirono anzi in silenzio, e quando valicammo l’ingresso della Torre, ci trovammo circondati da diversi templari, le spade puntate contro di noi.

   «Che diavolo succede?», sentimmo tuonare oltre il muro di uomini che si era serrato intorno a noi.

   «Greagoir!» Riconobbi subito la sua voce, l’avevo ben impressa nella memoria, specie quando era così alterata.

   Lui si aprì un varco fra i suoi sottoposti, e, non appena mi vide, stupore e fastidio si dipinsero sul suo volto maturo. «Voi!», esclamò, quasi scandalizzato. «Che ci fate qui? Credete ch’io abbia dimenticato che avete aiutato un Maleficar a fuggire?»

   «Ora è un Custode Grigio», intervenne Alistair in mia difesa, infondendomi la forza necessaria per non farmi capitolare di fronte a quella accusa.

   Gli occhi severi di Greagoir si fissarono su di me, come a volermi studiare, come se non mi avessero mai vista. «Dunque ce l’avete fatta», considerò, meditabondo.

   «Greagoir, che accade?», domandai, decidendo di focalizzare l’attenzione di tutti sulla questione più urgente.

   «Ho chiesto l’Annullamento. Sto aspettando il via libera da Denerim.» Quelle parole furono feroci più di un pugno al plesso solare.

   Smarrita, incredula, iniziai a tremare. «Cosa…? Perché? Perché?», volli sapere, pronta ad aggredirlo se non mi avesse dato una risposta soddisfacente.

   «Cos’è l’Annullamento?», chiese alle mie spalle Leliana, in un bisbiglio.

   «È quando i templari decidono di… far pulizia di un determinato luogo perché si sono venuti a creare gravi problemi con i maghi», le spiegò Alistair. E dal suo tono si poteva ben intuire come la cosa non gli andasse a genio.

   «I demoni hanno passato il Velo», prese invece ad informarci Greagoir, scrutando adesso anche il resto del gruppo con circospezione. Non me ne curai più di tanto, perché ciò che aveva appena detto era talmente sconcertante che mi stordì. «Non ho idea di che cosa abbia provocato questa fuga dall’Oblio, ma una cosa è certa: siamo stati costretti a sigillare al di là di quel portone laggiù qualunque cosa si trovi qui dentro.»

   «Che ne è degli abitanti della Torre?», annaspai, non troppo sicura di volerlo realmente sapere.

   Lui scosse gravemente il capo. «Tutti morti, temo. Maghi e templari.»

   «Non è possibile!», inorridii in un concentrato di rabbia e dolore. «Qualcuno deve essersi salvato!»

   «Non vedo come.»

   Rimasi in silenzio per riordinare le idee. «Andrò a controllare», comunicai, forte di un coraggio che si impadroniva di me soltanto in situazioni disperate come quella.

   «È pieno di demoni», mi mise in guardia Greagoir, probabilmente prendendomi per matta. «Diventerete un Abominio com’è successo agli altri. Forse persino ad Irving.»

   «Il Primo Incantatore non è uno sprovveduto», ribattei, irritata. «Sono sicura che ci siano dei sopravvissuti.» Dovevano essercene. Quella era la mia casa, e coloro che vi si trovavano dentro erano la mia famiglia. «Inoltre ho bisogno che il Circolo sia pronto ad affrontare il Flagello», gli comunicai. «Avrete senz’altro saputo che Ostagar è caduta. I Custodi hanno bisogno dell’aiuto dei maghi.»

   «Ho paura che dobbiate rinunciarvi», mi contraddisse Greagoir. «Questo non è più un posto sicuro. E a meno che non venga qui il Primo Incantatore in persona e mi giuri il contrario prima che arrivi l’approvazione a procedere con l’Annullamento…»

   «Se è di lui che avete bisogno», lo interruppi alzando la voce, «ve lo porterò», annunciai sicura di me. «Ora aprite quel portone. Andrò a vedere con i miei occhi cosa sta succedendo e, in caso, cercherò di porre rimedio.»

   «A cosa?», stentò a credermi il mio interlocutore. «Avete intenzione di uccidere tutti i demoni e gli Abomini che si sono impadroniti del Circolo?»

   «Sì, se necessario.»

   Ci fissammo negli occhi per diversi, lunghi istanti. Quindi, convincendosi della mia serietà, Greagoir sospirò stancamente. «Cosa credete di poter fare da sola?»

   «Non è sola.» Alistair fece un passo avanti, affiancandosi a me. «Andrò con lei.»

   «Non è un posto per un semplice guerriero, quello», lo avvisò l’altro.

   «Ho ricevuto un addestramento da templare, prima di essere ammesso fra i Custodi Grigi», dichiarò il mio amico. «So come cavarmela. Almeno con i Maleficar e gli Abomini.»

   «Siete comunque soltanto in due…»

   «In tre», prese parola Morrigan, convinta, facendo sentire la sua voce solo in quel momento, forse perché memore del mio avvertimento sul suo status di eretica.

   «Quattro», non volle esser da meno Leliana. «Quattro, più un cane da guerra.»

   Avrei voluto baciarli tutti, i miei compagni, uno ad uno. Mi ripromisi di farlo qualora fossimo usciti incolumi da quel posto che i templari consideravano invece già perduto.

   Davanti a quell’ammirevole dimostrazione di nobiltà d’animo, Greagoir abbassò le ultime difese. «E sia», ci concesse. «Ma se non tornerete in tempo, verrete coinvolti nell’Annullamento.»













Sto leggendo Il Trono Usurpato, finalmente! *_* E amo Maric, Loghain e Rowan, soprattutto nei primissimi capitoli. Sto ridendo come una cretina da che ho iniziato la lettura, davvero, perché, se possibile, Maric è anche più scemo di suo figlio Alistair. XD Adorabili, adorabili! <3
Immagino tra l'altro che, grazie ai due romanzi, io possa migliorare questa storia, avvalendomi dei maggiori dettagli sul background della saga, come, per fare un esempio sciocco, il nome di Kinloch Hold, località che nel videogioco viene chiamata unicamente "porto del Lago Calenhad" (ma di porti sul lago immagino ce ne siano diversi, a cominciare da quello di Redcliffe).
Attualmente sono al lavoro con il capitolo tredicesimo, e devo dire che, lasciata alle spalle tutta l'avventura del Circolo dei Magi, mi sto divertendo parecchio, anche perché adesso posso tornare a spaziare con la fantasia. <3
Mi fermo qui, ringraziando tutti i lettori, la mia carissima beta Atlantislux, Lara e The Mad Hatter. ^^
Buona Pasqua a tutti!
Shainareth





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Capitolo 9
*** La Torre del Circolo ***












CAPITOLO NONO – LA TORRE DEL CIRCOLO




Il rumore pesante del portone che veniva chiuso alle nostre spalle dai templari fu tutt’altro che rassicurante; ormai però era impossibile avere ripensamenti, eravamo costretti a proseguire. Oltretutto, paradossalmente, avere la consapevolezza di affrontare decine di demoni e maghi posseduti mi spaventava assai meno del maestoso, oscuro drago che abitava i miei incubi da che Ostagar era caduta. Prima di avere a che fare con lui, comunque, c’era da salvare la Torre.

   A capo della mia fida squadra di soccorso, come prima cosa iniziammo ad ispezionare i dormitori al primo piano. Rividi con disperata nostalgia il letto su cui avevo trascorso le notti di parte dell’infanzia e di tutta l’adolescenza: come il resto, era stato messo sottosopra. Tende, lenzuola, cuscini strappati ricoprivano il pavimento sudicio insieme a libri, oggetti rotti ed indumenti d’ogni tipo. Sembrava che qualcuno avesse evocato un tornado all’interno di quelle stanze.

   Presi un grosso respiro e proseguii oltre, fino a quando, poco dopo, sulla nostra strada non si misero tre giovani maghi, alcuni bambini, apprendisti appena arrivati al Circolo, ed un’Incantatrice anziana. L’avrei riconosciuta fra mille. Un brivido mi scosse da capo a piedi e le gambe mi tremarono, eppure nemmeno per un attimo fui assalita dal dubbio che si trattasse di un’allucinazione, poiché anche Alistair si lasciò andare ad un’esclamazione di stupore.

   «Wynne!», chiamammo ad una voce.

   Impegnata a tenere d’occhio una barriera magica che lei stessa aveva eretto per isolare quella porzione della Torre dai piani superiori, Wynne si girò nella nostra direzione, e lo stesso senso di smarrimento che si era impadronito di noi assalì anche lei.

   «Siete salvi?», annaspò, visibilmente commossa, quando le fummo accanto in poche falcate.

   «È quello che stavamo per chiedervi noi», mormorai, lieta di aver trovato almeno lei.

   Mi fissò con tenerezza materna. «Sono felice che stiate bene. Tutti e due», affermò con la solita voce calma e gentile che tanto mi era mancata. «Non appena mi è stato possibile, sono tornata qui per far sapere a tutti la verità su Loghain e su ciò che è accaduto realmente ad Ostagar quella notte», ci spiegò, iniziando a manifestare il proprio rancore verso il Teyrn. «E potete star certi che se uscirò viva anche da questo disastro, non mancherò di muovere contro quel maledetto traditore.»

   «È quello che abbiamo intenzione di fare noi», giurò Alistair, sempre pronto a sottolineare la propria posizione al riguardo.

   «Wynne», quasi li interruppi. Mi spiacque farlo, ma ritenevo assai più urgenti gli affari del Circolo, al momento, anche e soprattutto perché noi stessi rischiavamo grosso. Mi sarei volentieri abbandonata alle chiacchiere e alle più affettuose manifestazioni di gioia non appena risolti i guai in cui ci trovavamo. «Che succede qui?»

   La vidi corrugare la fronte e stirare le labbra pallide e sottili in un’espressione seria e stanca. «I maghi si sono ribellati. Uldred ha fomentato una rivolta, incitando molti di essi a ricorrere alla magia proibita per sfuggire all’incessante controllo della Chiesa.» Pregai affinché Morrigan e Leliana rimanessero in silenzio, ed il Creatore dovette ascoltarmi, in quanto nessuna delle due fiatò. «Troppi demoni hanno passato il Velo, e troppi maghi sono diventati Abomini. Forse persino lo stesso Uldred.»

   A ben pensarci, probabilmente avrei preferito sentirmi dire che oltre la barriera magica eretta da Wynne c’era l’Arcidemone, poiché, stando a quanto appena udito, mi sarebbe toccato non soltanto combattere i demoni, ma soprattutto uccidere dei miei simili, seppur per autodifesa. Chiusi gli occhi nel tentativo di scacciare dalla mente ogni scrupolo al riguardo e di fare una rapida analisi della situazione. «E i templari?», chiesi mentre rialzavo le palpebre.

   Wynne scosse la testa, ed io non ebbi bisogno di sapere altro. «Cosa volete fare?»

   «Sradicare il male alla radice», dichiarai senza esitare. «Qualunque cosa abbia provocato tutto questo, va fermata. Subito.»

   «Sono d’accordo con voi. Vi accompagnerò», disse lei. «Anche perché non posso più trattenere questa barriera. Anzi, mi stupisco io stessa di essere riuscita a mantenerla attiva fino ad ora. Non ho davvero idea di come abbia fatto», mormorò osservando perplessa il proprio operato. Si volse poi verso gli altri maghi che vegliavano con lei. «Abbiate la bontà di prendervi cura dei bambini, per favore.»

   «Affidateli pure a noi», la tranquillizzò Petra, una ragazza che sapevo essere stata una delle sue allieve prima che Wynne lasciasse Kinloch Hold per seguire Re Cailan in battaglia. «Nessuno farà loro del male.»

   «Sempre ammesso che non gliene faremo noi», sussurrò la sua compagna, impaurita, mentre l’altro giovane presente la rimbrottava di non dire quelle cose davanti ai piccoli. Conoscevo anche lei, e molto bene, per cui non mi stupii di sentirla ragionare in quel modo: essendo religiosissima, Keili, passava molto più tempo nella cappella del Circolo che in altri luoghi, convinta com’era di essere malvagia unicamente perché nata maga. Auspicava perciò la propria morte, senza tuttavia avere il fegato di cercarla da sé. Ero certa che non ci stesse granché con la testa.

   «I vostri amici verranno con noi?», volle sapere Wynne, soffermando lo sguardo su Leliana e, soprattutto, su Morrigan. La quale, con mia somma gratitudine, aveva momentaneamente deciso di votarsi al silenzio per non far trapelare il suo disprezzo per quel posto e per non palesare così la sua condizione di eretica.

   Annuii. «Così hanno deciso.»

   «Bene. Allora lasciate che auguri a noi tutti buona fortuna. Ne avremo davvero bisogno.» Quindi, con pochi movimenti, Wynne annullò il proprio incantesimo e la barriera svanì.

   Armati di coraggio e buona volontà, attraversammo la soglia successiva, e quel che vedemmo ci gelò il sangue. Perché di sangue erano imbrattate le pareti, macabramente decorate con ributtanti, rigonfie e pulsanti vesciche di carne – se umana o meno era impossibile stabilirlo, ma di sicuro era corrotta dalla Magia del Sangue e dagli oscuri poteri dei demoni – il cui odore sgradevole, unito alla visione faceva rivoltare lo stomaco, specie a me che avevo un olfatto maggiormente sviluppato. Come se quel ritratto dell’orrore non fosse bastato, tre cadaveri ci sbarravano la strada, stesi in terra e tutti appartenenti a dei templari.

   Trattenni il respiro coprendomi la bocca con una mano ed avvertendo un tremore per tutto il corpo. Wynne mi passò una carezza sulla schiena ed avanzò fra i caduti, osservandone i volti che, lo notai dopo, conservavano un’espressione agghiacciante.

   «Non c’è», mi sentii dire dalla mia buona amica. Tirai il fiato, pur rotto da silenziosi singhiozzi di un pianto che si rifiutava di venir fuori.

   «Chi?», domandò Alistair con una lieve incertezza nel tono, forse per timore di apparire indiscreto.

   «Cullen», rispose Wynne, facendo scorrere ancora gli occhi tutt’intorno, ignara di cosa stesse per scatenare.

   Lui fece mente locale e mi rivolse la propria attenzione. «Non era quel templare di cui avete fatto cenno ad Ostagar? Quello che ama i maghi?» Odiai la sua buona memoria.

   Anche l’altra si girò a guardarmi. «È questo che gli avete detto?» Mi morsi il labbro inferiore, intenzionata a rimanere muta.

   «In che senso?», s’incuriosì a quel punto Alistair. «Non è vero?»

   Wynne sospirò, l’ombra di un sorriso sul volto anziano. «Che io sappia, Cullen ama una sola maga. Dalle orecchie a punta», precisò.

   Lo sguardo che mi riservò il mio compagno, oltre a farmi arrossire, mi indusse a chinare il capo.

   «E così abbiamo il fidanzatino», non mancò di prendermi in giro Morrigan, deliziata. «Quante regole avete infranto?»

   «Neanche una», ribattei furiosa. «Cullen è un templare. Io sono una maga. Non c’è modo per cambiare le carte in tavola», presi a sottolineare, camminando celermente in direzione di Wynne. «Al momento comunque non ha alcuna importanza. Concentriamoci sulla nostra missione.»

   Non ritornammo quasi più sull’argomento, per fortuna, proseguendo per il corridoio lugubre per lo più in silenzio. Non mi volsi mai verso gli altri, non me la sentivo; e non perché avessi la coscienza sporca, quanto perché il disagio provato dalla rivelazione di Wynne, unito all’ansia, aveva aumentato vertiginosamente il mio nervosismo.

   La sola Morrigan pareva non avere a cuore la mia sensibilità, continuando a ridere. «Certo che ci vuole un bel coraggio ad andare a letto con uno capace di ammazzarti nel bel mezzo dell’amplesso.»

   «Cullen non mi ha mai sfiorata», volli chiarire una volta per tutte. E, invero, chissà se glielo avrei permesso, oltretutto; non per fare del razzismo, ma come ho già avuto modo di dire a proposito di Bann Teagan, gli elfi ripudiano i propri simili che accettano di unirsi agli umani, e di essere disconosciuta da mia madre e da mia sorella non ne avevo la minima intenzione.

   «A maggior ragione dovresti infischiartene di lui. Un templare in meno», commentò acida Morrigan.

   «Potreste cortesemente chiudere la bocca?», si intromise Leliana, stufa di sentire le sue cattiverie. Non le fui mai grata come in quell’istante, benché mi ero aspettata che a prendere le mie difese sarebbe stato piuttosto Alistair, che invece, come Wynne, evitò di parlare ancora.

   Passammo oltre, e fu poche stanze più in fondo che fummo costretti ad ingaggiare battaglia per la prima volta da che avevamo messo piede lì dentro. Davanti a noi si trovava un Demone dell’Ira, il cui spaventoso corpo incandescente rendeva del tutto inutili i miei attacchi di fuoco. Non solo. Attorno a lui vi erano dei maghi corrotti e posseduti, divenuti ormai irreversibilmente degli Abomini – o almeno questo fu ciò che ci disse Wynne, perché noialtri non ne avevamo mai visti prima. Per un attimo esitai: anche se adesso erano del tutto irriconoscibili, non era affatto da escludere che quelle creature fossero state dei miei compagni di studi o persino degli insegnanti. Subito però mi sovvennero alla mente le parole che Alistair e Morrigan mi avevano detto giorni prima, all’accampamento, quando avevo accidentalmente ferito il mio amico Custode, e decisi di dare loro ascolto per non essere di peso e, soprattutto, per assumermi le mie responsabilità: ero entrata lì dentro di mia iniziativa, trascinandomi dietro dei compagni leali. Ed io non volevo deluderli.

   Per nulla spaventata, allora, mi scagliai contro il demone, forte anche della consapevolezza di poterlo sconfiggere perché ne avevo affrontato uno identico nell’Oblio, durante il mio Tormento, anche se in quell’occasione ero stata aiutata da Topo. Stavolta, invece, mentre gli altri si occupavano degli Abomini, lo combattei da sola, scoprendo di essere migliorata al punto da farcela senza appoggio esterno. Ad essere onesta, comunque, in assenza di Wynne, pronta a prestarci le sue cure di Guaritrice Spirituale, molto più efficaci delle mie, avrei indubbiamente incontrato maggiori difficoltà.

   Quando mi volsi verso il resto del gruppo, fui lieta di scoprire che anche loro se l’erano cavata piuttosto bene, a parte la ferita che Alistair si era procurato a Redcliffe e che ora pareva essersi riaperta. «Non è grave come sembra», gli stava spiegando Wynne. «Tuttavia andrebbe fasciata, e al momento non ho nulla sottomano per farlo.»

   Non ero stata brava come medico. Senza pensarci troppo, afferrai l’orlo inferiore della mia tunica e lo tirai con forza, strappandone una lunga striscia sotto gli occhi attoniti degli altri. Mi avvicinai ad Alistair ed iniziai ad avvolgergli quella benda improvvisata attorno al braccio. «Mi scuso per non essere stata in grado di fare di più», gli dissi, continuando però a tenere lo sguardo basso, le mani che a tratti tremavano.

   Me ne intrappolò una nella sua non appena finii di stringere il nodo della stoffa per tenerla ferma. «Dovreste smetterla di essere così severa con voi stessa», mi riprese. «Siete molto più utile di quanto immaginiate.» Arrischiai finalmente a levare gli occhi su di lui e lo vidi sorridere. «Troveremo il vostro amico», mi promise, serrando la presa sulle mie dita gelide. «E faremo di tutto per salvarlo.»

   Pressai le labbra fra loro per non piangere, commossa per l’ennesima volta dalla sua bontà. «Mi scuso per avervi mentito riguardo Cullen.»

   «Mi conoscevate appena», alzò le spalle lui, dando poca importanza alla cosa. «Non pensateci più. Andiamo invece ad aiutare lui e tutti gli altri che riescono ancora a resistere a questo disastro.»

   Wynne mi passò un braccio dietro la vita, invitandomi gentilmente a riprendere il cammino, ed io la seguii docilmente. Arrivati al secondo piano, ci ritrovammo davanti una scena piuttosto inaspettata: un mago, solo, se ne stava ritto in piedi lì dove lo avevo lasciato l’ultima volta che ero stata al Circolo. Lo conoscevo bene, era tutto ciò che Jowan non voleva diventare: un Mago della Calma.

   «Owain!», esclamai, precipitandomi nella sua direzione perché preoccupata per la sua incolumità. Mi fissò con quegli occhi privi di emozione che tanto mi facevano impressione, dandomi la sensazione che appartenessero ad una statua o ad un cadavere. Eppure Owain era vivo e apparentemente in salute. «Che ci fate qui?»

   «La guardia al magazzino», mi rispose atono. Quello era il lavoro che gli era stato affidato da che aveva preso parte al rito della Calma che aveva fatto di lui una creatura vuota di una qualunque parvenza di umanità, in bene e in male. Era una sorta di prevenzione a cui venivano forzati quei maghi che si mostravano troppo deboli per affrontare il Tormento, rischiando altrimenti di venire posseduti da chissà quale demone, o che erano sospettati di simpatizzare con la Magia del Sangue. Owain era stato uno di questi, e ormai si limitava unicamente ad obbedire agli ordini che gli erano stati impartiti, anche adesso che tutto era in rovina, senza avvertire minimamente il desiderio di essere libero di provare quella paura che avrebbe invece assalito chiunque altro.

   «Non avete visto quello che sta succedendo?», provò a farlo ragionare Wynne, la fronte aggrottata che metteva in risalto le rughe dovute all’età.

   «Proprio per questo è meglio che qualcuno rimanga qui, per evitare che i ribelli possano saccheggiare le nostre scorte», replicò ancora Owain, impassibile.

   Con i Maghi della Calma c’era poco di che ragionare, purtroppo. «Owain, posso dare un’occhiata al magazzino?», domandai quindi. «Stiamo cercando di sistemare le cose prima che sia troppo tardi. Magari qui potrebbe esserci qualcosa di utile al nostro scopo.»

   Lui scosse impercettibilmente la testa. «Non senza l’autorizzazione di un Incantatore anziano.»

   «Ed io cosa sarei?», gli fece notare Wynne con una certa ovvietà.

   «Oh», commentò l’altro, senza però mostrare stupore. «Allora vi prego di firmare l’apposito modulo di richiesta», le raccomandò, cercando uno di quei documenti in uno degli armadietti lì accanto e mettendolo in mano alla mia amica. Che lo scrutò interdetta, ma alla fine si arrese a sospirare e a chiedere ad Alistair la cortesia di prestarle la schiena per avere un sostegno su cui scrivere.

   «È proprio necessario?», osò Leliana, mentre io mi introducevo già nella stanza per frugare su ogni scaffale e in ogni baule. «Sapete, andiamo di fretta.»

   «È la prassi», la informò Owain. «Devo sempre catalogare tutto ciò che entra ed esce da qui, così da fornire poi un resoconto dettagliato al Primo Incantatore.»

   Fra le altre cose, trovai della polvere di lyrium, delle pozioni già pronte e, soprattutto, parecchi libri che immaginavo dovessero essere piuttosto importanti, forse proibiti perché non conservati in biblioteca insieme agli altri. In frangenti diversi avrei pagato per poterne sfogliare anche solo poche pagine, ma il tempo stringeva, per cui mi limitai ad accettare di doverli lasciare lì dov’erano. Stavo davvero per farlo, se non che, nel modo di rimetterli a posto dopo averli rimossi da una cassapanca in cerca di quel che poteva fare al caso nostro, uno di essi mi sfuggì di mano, aprendosi sul pavimento con la copertina, nera ed anonima, rivolta in su. Senza farci caso, lo raccolsi e ne sistemai una pagina che a causa della caduta si era piegata su se stessa. Nel farlo, con gli occhi ne scorsi distrattamente qualche parola, e quando mi accorsi che lì vi era scritto il nome di Flemeth, mi soffermai a leggere alcune righe.

   «Morrigan?», chiamai, dimentica di avercela con lei per le prese in giro su Cullen. «Verresti un attimo? C’è una cosa che dovresti vedere.»

   Lei mi raggiunse, svogliata. «Che vuoi?» L’afferrai per un lembo della gonna scura, la tirai giù, obbligandola ad inginocchiarsi accanto a me, e infine le misi fra le braccia il volume appena trovato. «Cos’è?»

   «C’è il nome di tua madre, qui dentro», le sussurrai, invitandola ad abbassare a sua volta la voce affinché la cosa rimanesse fra noi; come Morrigan, anche Flemeth era un’eretica.

   L’espressione della mia compagna mutò di colpo, rivelando ora parecchia curiosità per la faccenda. «Era qui?», domandò in un bisbiglio, sfogliando il libro con sguardo avido. «Sai cos’è questo?» Feci segno di no. «Il Grimorio di Flemeth», annunciò. «Vi sono annotati tutti i suoi segreti, compresi quelli che non mi ha mai voluto rivelare.» Lo chiuse con un gesto secco e piantò le pupille nelle mie. «Non te ne avevo ancora parlato e tu me lo stai regalando. Perché?»

   Indecisa se farle notare che non era affatto nelle mie intenzioni donarlo a lei, apparendo altrimenti una ladra al resto del Circolo, presi tempo come mio solito e risposi: «Pensavo potesse interessarti.»

   «Oh, eccome se mi interessa», mi garantì. «Lo studierò con calma quando torneremo all’accampamento», mi comunicò, armeggiando con gli abiti per nascondervi sotto quel prezioso tesoro. Scandalizzata da quel furto tanto sfacciato, fui sul punto di gridare per farmi ridare il Grimorio e rimetterlo al suo posto; tuttavia mi trattenni dallo sgolarmi perché Morrigan fece una cosa che mi spiazzò: mi disse, e con sincerità, una parola che non mi sarei mai aspettata di sentirle pronunciare. «Grazie.»

   Chiusi il becco, rendendomi infine complice del suo reato, seppur con una certa vergogna. Ma quando mi sarebbe ricapitata l’occasione di avvicinarmi a lei senza dover necessariamente darle ragione circa l’esiguo numero di neuroni che vagavano spensierati nella spaziosa scatola cranica di Alistair? Cosa che, invero, più passavano i giorni, più mi trovava contraria, visto che quel poveretto non era affatto stupido. Era solo distratto, ecco. Ingenuo e distratto.

   «Owain, vi consiglio di cuore di rifugiarvi nel magazzino, se proprio volete rimanere», gli stava dicendo Wynne mentre noi tornavamo da loro.

   «Non che faccia poi chissà quale differenza», borbottò Alistair, guardandosi attorno accigliato per contemplare con aria mesta i corpi senza vita di alcuni maghi che potevano intravedersi oltre quella porzione di corridoio. C’era effettivamente da stupirsi che Owain fosse stato lasciato in pace.

   Augurandoci che la situazione non cambiasse almeno per lui, rimasto impassibile a tutto, perfino alla pipì che Merlino gli fece su un piede – e prima o poi avrei dovuto insegnare a quel cagnaccio a non farla addosso alla gente –, ci inoltrammo all’interno del secondo piano, oltre i cadaveri di alcuni ragazzi che conoscevo solo di vista e di due miei vecchi insegnanti. Dovevo farci l’abitudine, mi dissi rabbiosa, stringendo i pugni ed ingoiando il rospo. Passando attraverso la biblioteca, fummo costretti di nuovo a rallentare la nostra corsa. Sulla soglia giaceva un templare morto, e di nuovo Wynne si offrì di riconoscerlo al posto mio. Nemmeno quello era Cullen, né lo erano gli altri caduti in armatura presenti in quell’ampia stanza, tutti vittime dei diversi Abomini che ora spadroneggiavano lì indisturbati. Li attaccammo insieme, avvantaggiati dal fatto che si erano divisi e sparpagliati fra le varie sezioni della biblioteca, nascosti alla vista dei loro compagni dagli alti e larghi scaffali che ancora rimanevano in piedi – il resto era stato buttato a terra ed il libri trattati come fossero stati carta straccia.

   Fu poco prima di imboccare le scale per il terzo piano che ce li trovammo per la prima volta davanti. Loro, i Maghi del Sangue, due maschi ed una femmina, che si erano resi complici del mostro che aveva causato quella sciagura abbattutasi sulla Torre. Udimmo le loro voci a distanza e, nascosti, cercammo di carpire dai loro discorsi ulteriori informazioni circa i loro propositi ed il luogo in cui si trovava Uldred. Non fummo in grado di sentire molto, poiché purtroppo Merlino starnutì ed i tre si accorsero della nostra presenza. Alistair fu il primo a scagliarsi contro il nemico, guidato dal suo istinto di guerriero addestrato proprio per sconfiggere quel tipo di avversari. Io, Morrigan e Wynne lo seguimmo a ruota, mentre il mabari raggiungeva il nuovo capogruppo nella mischia e Leliana cercava di rendersi utile con le sue frecce – e prima o poi anche a lei, come al mio cane, avrei dovuto insegnare qualcosa, e cioè che i maghi vanno affrontati di petto e non a distanza, per evitare che essi abbiano il tempo di recitare formule per incantesimi letali.

   I due uomini crollarono al suolo in una pozza vermiglia in poco tempo, mentre la ragazza, ferita e spaventata, si gettò ai nostri piedi, invocando pietà. Fu allora che, scrutandola più da vicino alla luce che avevo acceso sulla cima del mio bastone per rischiarare i corridoi bui, la riconobbi: una mia compagna, una di quelle più affezionate, la stessa che mi aveva regalato il braccialetto di fili intrecciati che portavo ancora al polso.

   «Tu…», biascicai, non riuscendo nemmeno a rimanere sconvolta dalla scoperta. Ormai ero preparata, mi aspettavo qualunque cosa, specie dopo ciò che mi aveva fatto il mio – ex – migliore amico. «Cosa credevate di fare tutti quanti?»

   In lacrime, lei neanche mi fissò, terrorizzata dalla spada di Alistair, dalla cui lama grondava ancora il sangue dei suoi compari. «Volevamo solo essere liberi», ansimò col respiro rotto dai singhiozzi. «La Chiesa ci tiene in gabbia come se fossimo animali, e perciò volevamo… Oh, ma io non volevo che si arrivasse a questo punto, davvero!»

   Mi aspettavo che Morrigan e Leliana riprendessero ad accapigliarsi sulla questione, e invece ancora non fiatarono, forse provando pena per i miei nervi; la situazione era già abbastanza complicata di per sé, e mettersi a litigare ora sarebbe stato nocivo.

   «Per favore», gemette la ragazza, «lasciatemi andare…»

   «Dov’è Uldred?», pretese di sapere Wynne prima di prendere una decisione sul destino di quella disgraziata.

   «In cima alla Torre, nella sala del Tormento», rispose lei, solerte. «È da lì che ha richiamato i demoni.»

   «Pazzo criminale», commentò l’altra, disgustata.

   «Sparisci», ordinai io alla giovane. La quale non se lo fece ripetere due volte e fuggì via, nella direzione da cui eravamo venuti noi. Mi strappai il braccialetto dal polso e lo buttai a terra con rabbia.

   «Perché l’hai lasciata andare?», mi chiese Morrigan. La sua non era una lamentela, ma semplice curiosità.

   «Quando all’uscita si vedrà circondata dai templari, ci penserà due volte prima di ripetere gli stessi errori», sospirai, riprendendo la marcia con passo spedito. «Ammesso e non concesso che non l’ammazzino prima, si intende.»

   Ero delusa, e amareggiata. Dopo Jowan, anche altri miei amici mi avevano voltato le spalle, apparendo ormai ben lontani da quell’idea di famiglia su cui mi ero illusa di poter contare fino a quel momento. Né riuscivo più a considerare la Torre come quella calda, dorata prigione che avevo chiamato casa e che ora invece mi dava sempre più l’impressione di essere terribilmente soffocante, svuotata com’era dei sui ideali e di tutto ciò in cui un tempo avevo ciecamente creduto. Il passato si stava sgretolando fra le mie mani, ed io fui improvvisamente assalita da un tetro, freddo senso di solitudine.

   Vagavo con aria smarrita lungo il terzo livello della Torre, con la consapevolezza che due piani soltanto, ora, mi separavano da quel bastardo che aveva distrutto tutto. Mai come allora fui d’accordo con Wynne, Alistair e Leliana: i maghi erano troppo pericolosi per essere lasciati a piede libero per il mondo. Quello che Morrigan non capiva era che non eravamo tutti uguali, e che purtroppo – se per predisposizione d’animo o per sventura non aveva importanza – eravamo capaci di annientare ogni cosa ci fosse capitata sotto gli occhi con il minimo sforzo. O forse lei lo sapeva. Doveva saperlo, mi convinsi un attimo dopo. Era solo testarda, orgogliosa, inflessibile riguardo alla libertà selvaggia in cui l’aveva allevata sua madre. Era sbagliato.

   Di colpo mi arrestai, avvertendo qualcosa che non mi piacque per nulla. Accortisi della mia esitazione, i miei compagni indugiarono a loro volta, i sensi all’erta. E infine qualcuno – o qualcosa – riportò in vita i cadaveri che giacevano sulla nostra strada, circondandoci com’era successo a Redcliffe.

   «Ripiegare!», fu il comando di Alistair, nostro stratega militare, accortosi che un’altra ondata di non-morti si stava ergendo più innanzi. Scappammo verso l’ultimo ingresso attraversato, rifugiandoci dietro il muro in cui si apriva la porta, così che, visto lo spazio stretto, i nemici non potessero passare in gruppo ma al massimo in due o tre per volta. Ci assicurammo di tenerli impegnati ed intrappolati lì, pressati alle spalle dagli altri; non era concesso loro di indietreggiare né di avanzare, a meno che i primi della fila non venissero sconfitti. Benché non fossero eccessivamente forti, a causa del loro numero rimanemmo in quel punto della Torre anche troppo, e quando riuscimmo a liberarcene, ci imbattemmo in un Orrore Arcano, ovvero un mago posseduto da un Demone della Superbia. Capace di usare incantesimi pericolosi, risolvemmo di attaccarlo tutti insieme; se lo avessimo invece affrontato insieme ai cadaveri tornati in vita, difficilmente ce l’avremmo fatta.

   Fu poche stanze più in là che invece incontrammo il primo vero ostacolo per me, Wynne e Morrigan: i templari. Si avventarono su di noi senza il minimo preavviso, decisi a farci a pezzi. Uno di loro mi bloccò i polsi, costringendomi con la schiena alla parete, gli occhi spiritati che mi fissavano attraverso le fessure dell’elmo dell’armatura. Se in primo momento avevo ipotizzato che fosse in preda ad un raptus di follia dovuto al prolungato uso di lyrium che magari gli impediva di distinguere i Maleficar dagli altri maghi, ben presto dovetti ammettere che non era così, poiché provò a mettermi le mani addosso non soltanto con l’intento di uccidermi. Conclusi quindi che il suo dovere non c’entrava un accidenti, e che quel poveretto doveva essere posseduto da un qualche demone – e non era difficile intuire quale. Con tutta probabilità non c’era più nulla da fare per salvarlo, e dal momento che non mi era possibile fare altrimenti – pena l’essere barbaramente fatta a pezzi – fui costretta a scendere a compromessi. Smisi di agitarmi e gli concessi di spalmarsi su di me, con le mani strette in guanti di cotta di maglia che mi facevano male e che si chiudevano a coppa sulle parti più arrotondate del mio corpo. Perciò, sopportando con pazienza ed approfittando della sua distrazione, impossibilitata com’ero a muovermi verso il bastone che mi era caduto a terra durante la colluttazione, accumulai una discreta quantità di energia elettrica fra le dita e, chiedendogli perdono, la lasciai fluire attraverso la sua armatura di metallo. Crollò al suolo, fumando e lasciando un orrendo odore di bruciato, ed io, ora libera di correre in aiuto dei miei compagni, raccolsi la mia arma e cercai di raggiungere Morrigan, anche lei in difficoltà per via della capacità dei templari di risucchiarci ogni energia magica. Fui in grado di fare ben poco, tuttavia, perché un altro soldato mi fu addosso, questa volta a spada sguainata. Evitai per un soffio che mi tranciasse di netto una gamba, ma fui comunque colpita, al punto che finii a terra in un lago di sangue, urlando per il dolore. Ci pensò Merlino a salvarmi da una fine peggiore, sbalzando il templare lontano da me. E se non fosse stato per la forza di Alistair, per l’agilità di Leliana e la magia guaritrice di Wynne, più esperta di me in situazioni del genere, io e Morrigan saremmo state sopraffatte.

   «Come sta il vostro braccio?»

   «Di certo meglio della vostra gamba», mi fece notare Alistair con una certa preoccupazione, quando ci concedemmo una pausa per ricorrere agli impiastri curativi e per recuperare fiato non appena l’ultimo avversario fu atterrato.

   Sebbene Wynne avesse fatto il possibile per fermare almeno l’emorragia, sfoggiavo una grossa fasciatura blu e ocra sopra al ginocchio sinistro, visibile a colpo d’occhio a causa della tunica strappata e alla quale avevo deciso ormai di attingere in assenza di garze sterili. Da molti anni, e cioè da quando avevo smesso di portare i capelli raccolti in trecce, non ero abituata ad andarmene in giro tanto scoperta, e la cosa mi procurava un po’ di imbarazzo; ma dovevo farmi passare anche quello, c’era poco da fare. Oltretutto un abito più corto mi avrebbe consentito più libertà di movimento.

   «Ce la fate a camminare?»

   «Posso appoggiarmi al mio bastone», rasserenai Leliana, finendo di bere la boccetta con la medicina che mi aveva passato Morrigan.

   Quest’ultima sbuffò minacciosamente, infastidita anche lei dall’aver subito l’umiliazione di sentirsi mettere licenziosamente le mani addosso. «La prossima volta che me li ritrovo davanti, li spazzo via con una palla di fuoco.»

   «Rischiereste di incendiare l’intero edificio», la riprese Wynne, impegnata a curarle il brutto taglio sulla fronte che un templare le aveva procurato.

   «Chi se ne importa?», ribatté lei, stizzita. Forse accortasi di aver detto qualcosa di ambiguo, aggiunse pigramente: «Questo posto è già andato in malora, nel caso non te ne fossi accorta.»

   «Cos’avevano quei templari? È chiaro che non fossero lucidi», ragionò Leliana, rivolgendosi ad Alistair.

   Lui scrollò stancamente le spalle. «Devono aver ceduto alle lusinghe di qualche demone.»

   «Non dovrebbero essere addestrati proprio affinché questo non accada?»

   «Sicuro. Ma molto probabilmente quelli che si sono lasciati sedurre in quel modo…» Alistair esitò, cercando conferma nel mio sguardo.

   Sospirai. «Aspettiamoci un Demone del Desiderio da qualche parte.»

   Morrigan rise. «Ci credo che sia quello, il responsabile. Scommetto che il sogno proibito di ognuno di quegli omini di latta che hanno stupidamente fatto voto di castità è proprio quello di prendere una delle maghe che dovrebbero ammazzare e farsi una sana… uhm… Come posso dirlo con parole poco volgari?»

   «Non ditelo affatto. Siete stata comunque molto chiara», la fermò Leliana, il cipiglio corrucciato.

   «Non ho forse ragione?», continuò l’altra, ammiccando verso Alistair con l’immancabile intento di prenderlo in giro.

   «Pensate agli affari vostri», replicò lui, risentito.

   «Se permetti lo sono, visto che mi hanno palpeggiata ben bene», rimbeccò Morrigan, irritata, mentre Wynne le raccomandava di stare ferma. «Che schifo…»

   Alistair lasciò cadere l’argomento, tentennando con lo sguardo su di me. Forse si stava domandando se anch’io avessi subito le stesse molestie. Fu delicato, preferendo non chiedere nulla. «Spero che non fosse fra loro», sussurrò in confidenza.

   Oscillai debolmente il capo, apprezzando la sua apprensione nei riguardi non soltanto delle mie ferite fisiche e morali. «No, ma comincio quasi a sperare di trovarlo morto piuttosto che ridotto in quelle tristi condizioni.» Non avevo alcuna voglia di combattere contro Cullen.

   «Non è detto che si sia lasciato vincere dall’oscurità», volle tranquillizzarmi Wynne con un sorriso. «Abbiate fiducia, mia cara. Come io ne ho nella volontà del Primo Incantatore.»

   «Lui sono sicura che sia ancora vivo», affermai, convinta di quel che dicevo. «E soprattutto lucido. Si starà di certo dando da fare per fermare Uldred.»

   «E noi andremo presto a dargli una mano.»

   Quando infine riuscii a reggermi in piedi con l’aiuto del bastone, arrancai dietro ai miei compagni, con Leliana pronta ad offrirmi il braccio alla prima difficoltà ed Alistair solerte ad issarmi sulla spalla sana quando la strada ci veniva sbarrata dalla varia mobilia scaraventata senza alcun riguardo nel bel mezzo dei corridoi. Mi aveva appena messa giù con cura, attento a non farmi male, che ci venne incontro lei. Bellissima, seducente, quasi nuda. Era comprensibile che moltissimi uomini cadessero vittime del suo fascino. Aveva una fiammata rosa sul capo, al posto dei capelli, due grandi corna ricurve sulla fronte ed una lunga coda sottile; eppure era irresistibile, con quel viso perfetto e quel corpo senza difetti, adornato di catenelle dorate, pendenti sui capezzoli a malapena coperti.

   «Connor è posseduto da uno di questi?», volle sapere Alistair.

   «Sì, ma non ha subito un adescamento per lussuria», gli spiegai, senza perdere di vista il demone che, serafico, continuava ad ancheggiare lentamente nella nostra direzione.

   Lui parve rimuginare sulla questione. «Quel bambino avrà seri problemi con le donne, quando sarà cresciuto», considerò allora.

   «O magari sarà più sveglio di te», lo contraddisse Morrigan, la cui avvenenza per una volta veniva messa in secondo piano.

   «Fortuna che siamo per lo più donne», si rincuorò Wynne. Si rivolse poi ad Alistair. «Non credete a nessuna, licenziosa proposta che vi farà», gli raccomandò.

   «Sarò anche un uomo con gli ormoni in subbuglio», ammise l’altro, a metà fra l’imbarazzo e l’orgoglio, «ma non sono tanto sprovveduto», concluse piccato.

   «Però lei è davvero, davvero bella», farfugliò accanto a me Leliana, il cui tono quasi rapito mi fece aggrottare un sopracciglio.

   Non ebbi modo di chiedermi niente, poiché il demone si fermò di fronte a noi, studiandoci con aria deliziata. «Mi presento, miei cari: il mio nome è Lux», cominciò con voce suadente. «Siete pronti anche voi a vivere il vostro bel sogno di puro piacere?»

   «Il tuo invito è senz’altro appetitoso», rispose Wynne, facendosi portavoce del gruppo. «Tuttavia, temo che dovremo rifiutare.»

   L’altra rise soavemente. «Anche quel bel ragazzo laggiù?»

   «Ho già la mia bella tentazione», iniziò stoicamente lui, «e se resisto a lei, posso resistere anche ad altre mille come te.» Quelle parole gli fecero senza dubbio onore, aumentando la nostra stima nei suoi confronti. Anche quando, subito dopo, le mie orecchie da elfo lo sentirono bofonchiare, sottovoce, un confuso: «Almeno spero.»

   In un batter di ciglia, però, il demone svanì, mettendoci tutti in allarme. Tornò a comparire a pochi centimetri da Alistair, sicuramente intenzionata ad irretirlo come aveva fatto con gli altri templari. Lui indietreggiò istintivamente, andando ad inciampare nella libreria rovesciata alle nostre spalle e finendo ingloriosamente a gambe all’aria.

   «Ehi!», esclamò nervoso. «Non farlo più!»

   Come se quella sciagurata gli avrebbe dato retta, pensai fra me. «Ti consiglio caldamente di stargli lontano, demone», avvertì Wynne.

   Lei rise ancora con fare flautato, fluttuando attorno alla sua preda, soffiandogli sul volto e massaggiandosi le mammelle sotto i suoi occhi, sgranati in un’espressione che mi parve di terrore. «Ti va di fare un patto con me, mio tes…» Non le lasciai concludere la frase, perché le scagliai contro uno dei miei incantesimi, stufa com’ero di vedere il mio amico in imbarazzante difficoltà.

   «Oh, no!» Morrigan pestò un piede a terra, assai contrariata. «Perché l’hai fatto?», mi rimproverò. «Volevo vedere come andava a finire!»

   «Non abbiamo tempo per questo genere di scherzi», le feci presente, tenendo alta la guardia. «E, soprattutto, Alistair non è un giocattolo.»

   Accusato il primo colpo, il demone si girò verso di me, furioso. «Immagino che sia finita qui», ringhiò, perdendo improvvisamente parte del suo fascino. «E dire che avevo intenzione di risolvere la faccenda in maniera pacifica.»

   «Ecco», sbuffò Morrigan, fortemente infastidita. «Adesso invece ci tocca combattere. Sei contenta?»

   «Non possiamo lasciare un demone in libertà», obiettai risoluta. «E voi, Alistair, alzatevi e dimostrate di essere un vero templare, di quelli che non si lasciano ingannare tanto facilmente dalle cosce di una svergognata qualsiasi, seppur nuda e bellissima.»

   «Vi assicuro che non sono quelle che sto fissando», ammise con un colpetto di tosse, senza girarci troppo intorno. «Ma vi assicuro anche che, per quel che mi è consentito vedere da questa angolazione, le vostre non hanno poi molto da invidiarle.»

   Avvampai, provando l’insana voglia di darlo in pasto al demone. E neanche a farlo apposta, questi, evidentemente stanco delle nostre chiacchiere, iniziò il contrattacco proprio contro noi due. Nel goffo tentativo di evitare la sua magia, feci un brusco movimento che mi provocò un lancinante dolore alla ferita, ed io crollai a terra, sfuggendo per un pelo al sortilegio. Wynne e Morrigan non si lasciarono certo pregare per correre in nostro aiuto e colpirono la bella seduttrice alle spalle, fomentandone però la rabbia. Il demone decise quindi che non eravamo io ed Alistair gli avversari più pericolosi, e subito si scagliò contro le nostre compagne. Leliana provò a scoccare alcune frecce, ma i rapidi scatti del bersaglio le rendevano difficile il lavoro; né Merlino poteva fare granché contro un essere galleggiante a mezz’aria.

   Imprecai fra me e me, ed infischiandomene di essere quasi sdraiata sul lurido, maleodorante pavimento di quel posto maledetto, invocai un Glifo di Paralisi. Inutilmente, perché Lux riuscì a resistere a quella prova tutta mentale. Innervosita, strillai: «Spostatevi!» Accorgendosi allora della fiamma che stava per fuoriuscire dalla cima del mio bastone, Morrigan sbiancò e si tuffò di lato, conscia di cosa stessi per combinare, mentre Wynne, più lenta, per poco non fu investita dal mio fuoco.

   Furiosa per quella follia, la figlia di Flemeth invocò un fulmine e poi il gelo, finendo così il demone che, levando un ultimo, acuto grido di morte, si accasciò su se stesso ed infine si dissolse in fumo.

   «Pazza incosciente!», mi urlò contro Morrigan, cercando di riprendersi dallo spavento. «Non azzardarti mai più a farlo all’improvviso!»

   «Vi ha salvato la vita», protestò Alistair per me, rimettendosi finalmente in piedi e scuotendo la testa per scacciare via le immagini che lo avevano ridotto in uno stato piuttosto vergognoso. «E in ogni caso, vi ha avvertite, no?»

   «Sì», convenne Wynne con un sospiro, mentre Leliana veniva in mio aiuto, «ma avrei gradito che lo avesse fatto qualche secondo prima», aggiunse venendo verso di me anche lei, pronta a dare un’occhiata alla mia gamba. «Il taglio non è profondo», disse, ripetendomi la diagnosi di una mezz’ora prima. «Però non potete continuare a sforzarvi in questo modo, o rischierete di peggiorare la situazione.»

   «Cercherò di stare attenta», promisi, affannandomi per tornare in posizione eretta con non poca fatica, nonostante Leliana ed il mio bastone mi fornissero stabile sostegno.

   In realtà non facemmo che pochi passi appena che addosso a noi si riversarono, uno dopo l’altro, nuovi Abomini. Ormai certa della forza dei miei compagni, mi rassegnai a rimanere dietro di loro, con Wynne pronta a farmi persino da scudo, se necessario. Infine,  dopo essere stata di nuovo issata in spalla da Alistair, con tanta pazienza da parte sua, fummo in grado di salire le scale che portavano al quarto piano, dove incontrammo forse la maggiore delle difficoltà. Non già costituita da un altro Demone del Desiderio che aveva irretito un templare col quale sembrava aver instaurato un solido, reciproco rapporto di piacere e di nutrimento fisico e spirituale; che invero sapevamo avrebbe comportato al poveretto un prezzo troppo grosso da pagare, tanto che decidemmo di intervenire per liberarlo da quella catena benché la sua bella carceriera ci avesse assicurato che non avrebbe torto un capello né a lui né ad altri se l’avessimo lasciata fare. Bensì da un’altra creatura che Uldred aveva liberato: un Demone della Pigrizia, impossessatosi di un Abominio.

   Fu a quel punto che, senza che potessimo evitarlo o anche solo accorgercene, una pesante sonnolenza si impadronì di tutti noi. I sensi mi vennero meno, ed io caddi pesantemente contro il pavimento di pietra, immobile e priva di conoscenza.








Link all'illustrazione originale: http://lilithblack.deviantart.com/art/Demon-desire-182661410











Mi mangio le mani perché questo capitolo si conclude allo stesso modo di uno de La Chiamata, il secondo romanzo incentrato sul prequel di Dragon Age: Origins. Non è colpa mia, giuro: mi sono ritrovata purtroppo a scorgere parecchie rassomiglianze fra ciò che avevo già scritto e ciò che ho letto nei due libri (soprattutto il secondo), e a tratti persino fra i personaggi di Nimue e Fiona (cosa che però non mi dispiace affatto! XP). Uff! Mi sembra quasi di aver plagiato, benché abbia la coscienza pulita. ç_ç
Ah, alla fine ho fatto trovare il Grimorio di Flemeth nel magazzino perché dubito che Nimue lo avrebbe rubato dalla stanza del Primo Incantatore. È troppo bacchettona.
Stavolta sarò breve, per vostra fortuna, quindi mi limito come sempre a ringraziare i lettori, Atlantislux (Alla quale ho reso omaggio con il Demone del Desiderio su sua richiesta... :P), Lara (Io sto ancora gongolando per l'epilogo de La Chiamata, e tu? ♥) e The Mad Hatter (Oh, my...! Di che mi ringrazi, scusa? ò_o Ah, ma come procede quella cosina che stai scrivendo? Fammi sapere, eh! Anche per email, se ti va. ^^) che sono sempre pronti a darmi un parere, pubblico e/o privato che sia.
Bacini a tutti e buon fine settimana!
Shainareth
P.S. Si vede che questo è uno dei capitoli che ho odiato di più?





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Capitolo 10
*** L'Oblio ***







CAPITOLO DECIMO – L'OBLIO




Finalmente il peggio era passato. Fuori il sole illuminava un giorno caldo ma non asfissiante, rendendo piacevole passeggiare lungo i viali e nei selvatici, sicuri dintorni della fortezza di Weisshaupt. Ricordo bene quanto quella sensazione di benessere riempisse il mio animo, regalandomi serenità. E dopo aver viaggiato per mesi e mesi in una compagnia disomogenea di persone con le quali avevo sì rischiato la vita, ma che comunque continuavo a reputare poco più che conoscenti, a parte Alistair, mi godevo anche la pace della solitudine. Nessuno intorno a me. Solo la natura. Era una sensazione nuova, tutta da scoprire, visto che ero cresciuta alla Torre. E pur da sola, potevo stare tranquilla, non avevo paura. Di cosa avrei dovuto averne, dopotutto?

   Presi gli ultimi grossi respiri d’aria pura, e quasi facendo una piroetta su me stessa, fra il silenzioso fruscio della mia gonna turchese, ripresi la strada di casa. Già, perché adesso vivevo lì insieme agli altri Custodi Grigi, e, nonostante la brutta esperienza avuta con alcuni di loro ad Ostagar, dovevo ammettere che non era poi tanto male. Una volta rotto il ghiaccio ci si divertiva, Alistair aveva ragione. E Duncan? Oh, un uomo adorabile. Sempre gentile, buono, saggio come pochi altri mi era capitato di incontrare.

   Non appena varcai l’uscio della fortezza, il rumore dei miei passi riecheggiò prima su per le scale e poi nella grande sala delle riunioni. Era vuota. Sospirai, sorridendo al pensiero che sicuramente anche gli altri erano andati a godersi la bella giornata fuori da quelle mura di pietra, che pure consentivano di riposarsi all’ombra, dando un po’ di refrigerio a chi, come me, non era abituato a stare per troppo tempo sotto ai raggi del sole. Udii un brusio lontano, ed in fondo scorsi Duncan parlare con due miei compagni. Subito mi diressi verso di loro, quasi volando per quanto ero felice.

   «Siete già rientrata?», mi sentii domandare.

   Feci spallucce. «Comincia a far troppo caldo, per me.»

   Duncan distese le labbra, seminascoste dai baffi scuri. «Allora riposatevi pure. È giusto che, adesso che è tutto finito, ognuno di noi si conceda il meritato premio.» Nei suoi occhi non c’era più la preoccupazione che vi avevo letto la prima volta che ci eravamo incontrati, ed i tratti regolari e forti del suo volto adesso erano molto più rilassati. Mi piaceva vederlo così sereno, specie ora che avevamo ricacciato la Prole Oscura nelle profondità della terra.

   Fu ripensando a questo che mi scoprii incapace di ricordare come. Il sole doveva avermi dato alla testa, pensai, cercando di fare mente locale e massaggiandomi svogliatamente un angolo della fronte con le nocche delle dita di una mano. Tuttavia più cercavo di far tornare a galla quelle memorie, più esse mi sfuggivano. Qualcosa non quadrava. O forse ero soltanto stanca.

   «Dov’è Alistair?», biascicai. Di sicuro lui non avrebbe riso di me se gli avessi chiesto di aiutarmi. Beh, magari un pochino mi avrebbe presa in giro, ma di sicuro io gli avrei risposto per le rime o lo avrei persino picchiato prima di stabilire, come al solito, che quel modo di scherzare era la cosa che ci piaceva fare di più.

   Vidi Duncan tergiversare. «Non siete stufa di trovarvelo fra i piedi?»

   «Un po’ sì, lo confesso», gli concessi. Ma dopo il tradimento di Jowan e degli altri miei compagni alla Torre del Circolo, Alistair era rimasto il mio unico amico.

   La Torre del Circolo. Era stato lì che l’avevo visto l’ultima volta, non durante la battaglia contro l’Arcidemone. E per quanto delle fasi conclusive del Flagello da cui eravamo appena scampati io non ricordassi un accidenti, ero sicura di non aver più incontrato Alistair dopo aver varcato la soglia di Kinloch Hold.

   «Dov’è Alistair?», ripetei, più smarrita di prima. Duncan rimase in silenzio, ed io alzai su di lui uno sguardo piuttosto accigliato. «Ho fatto una domanda.» Usare quel tono autoritario col capo del mio ordine non era cosa che avrei normalmente fatto, ma cominciavo seriamente ad innervosirmi, anche e soprattutto perché adesso iniziavo a sospettare la verità, e se ancora non l’accettavo, era perché mi rifiutavo di ammettere di essere cascata in quel tranello con entrambi i piedi. Ero così ansiosa che tutto avesse fine? Tanto da abbassare la guardia in quel modo infantile? Tanto da non riconoscere il luogo in cui avevo passato la prova definitiva del mio corso di studi? Il Primo Incantatore Irving ne sarebbe stato deluso, e forse Greagoir avrebbe ordinato agli altri templari di uccidermi perché stavo rischiando di cedere il passo ad un demone, portandolo forse con me nella Torre, oppure di rimanere intrappolata in quel mondo immaginario come la più ingenua, inesperta e stupida delle fattucchiere.

   E mentre cercavo di scacciare l’immagine della spada di Cullen che calava su di me, mi morsi un labbro, mortificata verso la mia stessa intelligenza – che troppo spesso dimenticavo di possedere. «Questo è un sogno», conclusi allora, sentendo un groppone allo stomaco. Duncan assunse un’espressione grave, ma non disse nulla. «Il Flagello è ancora in atto, non abbiamo finito un bel niente», continuai, scuotendo il capo. «Tu non sei reale», affermai poi, puntando il mio bastone contro di lui. «Questo è l’Oblio.»

   Non finii quasi di pronunciare quelle parole, che lui mi fu addosso, con i suoi grossi pugnali nelle mani, pronto a farmi a pezzi. Fui abbastanza lesta da impedirgli di colpirmi, e solo perché sapevo che ce l’avrei fatta. È tutta una questione di volontà nell’Oblio. Non che in un combattimento vero le cose siano tanto diverse, anzi. Fu solo quando Duncan mi calciò con forza la gamba sinistra che un dolore acuto si impadronì di me, offuscandomi la vista e facendomi cadere a terra. Avevo dimenticato quella maledetta ferita. Wynne aveva detto che non avrei dovuto sforzarmi, ma se fossi rimasta immobile sarebbe stato anche peggio. Ricorsi all’Esplosione Mentale, stordendo il mio avversario ed i suoi due sgherri, elevai una barriera protettiva su di me, e ricorsi alla magia dell’elettricità, prima con un semplice fulmine, poi una serie a catena, così che potessi attaccarli tutti e tre insieme. La mia strategia ebbe successo, ma Duncan, più robusto degli altri, si riprese prima di crollare, pronto ad affondare le sue lame nella mia carne. Inerme, persino incapace di strisciare via in tempo, urlai la formula per il Glifo di Paralisi, ultima mia speranza per aver salva la vita. Sì, perché nell’Oblio si muore esattamente come nel mondo reale.

   Funzionò, e facendomi forte della consapevolezza che quello che avevo davanti non era lo stesso uomo che mi aveva portata ad Ostagar, ricorsi all’Esplosione Infuocata e ad un Quadrello Arcano. Infine, non appena lui fu al suolo ed io rimasi l’unico essere presente capace di respirare, mi lasciai ricadere all’indietro, sentendo il bisogno di recuperare non soltanto le energie, ma soprattutto la lucidità. Dovevo fare il punto della situazione.

   Ricordavo. Adesso ricordavo tutto. Ci eravamo recati a Kinloch Hold per cercare aiuto, perché Connor, il figlio di quell’Arle Eamon che Alistair avrebbe voluto mettere sul trono al posto suo, era stato posseduto da un demone. Lì però ci era stato detto che i maghi si erano ribellati e che Uldred aveva liberato altre creature oscure dall’Oblio. Ed era laggiù che adesso mi trovavo, trascinatavi dentro da quel maledetto Abominio della Pigrizia in cui ci eravamo imbattuti giusto poco prima di riuscire a raggiungere la sala del Tormento, dove Uldred aveva deciso di mettere fine a tutto.

   Decisi allora che, non appena fossi uscita da quel posto e avessi raggiunto la cima della Torre, Uldred si sarebbe ritrovato con parecchie ossa rotte. E non importava che io fossi fisicamente debole quanto un bambino, perché con la rabbia che avevo in corpo di sicuro sarei riuscita comunque a fracassargli qualche costola, un braccio o anche due, entrambe le gambe e, soprattutto, i denti, che gli avrei fatto ingoiare uno per uno con un bel po’ del suo stesso sangue. Oh, sì, tanto per deglutire meglio. E gli avrei cavato gli occhi dalle orbite e gli avrei fratturato il naso, anche. E poi…

   Mi tirai su a sedere, rendendomi finalmente conto di una solenne verità: ero pericolosa. Forse era un bene che non avessi un briciolo di forza nei muscoli, altrimenti sarei stata una macchina da guerra formidabile, incapace di controllarmi in momenti come quelli.

   Fissai la mia ferita, pulsava come se avesse avuto vita propria. Adesso non indossavo più quel bell’abito turchese, soltanto i rimasugli della mia vecchia, sdrucita, sporca ed inguardabile tunica color blu e ocra. Bleah. Mi appoggiai al bastone e mi rimisi lentamente in piedi, guardandomi attorno senza dover necessariamente credere a tutto ciò che mi si parava davanti alla vista. A parte me ed i cadaveri fittizi dei tre Custodi Grigi non c’era nient’altro. Solo una fievole luce che proveniva da un leggio su cui era aperto un grosso tomo e che prima non avevo scorto. Provai ad avvicinarmi, e, non appena sfiorai le pagine del volume, uno strano bagliore mi avvolse, ed un’energia sconosciuta parve risucchiarmi all’interno del libro.

   Mi ritrovai scaraventata in un altro luogo che, lo riconoscevo, era l’Oblio puro. L’Oblio, il regno dei sogni e degli spiriti, è un mondo dove realtà ed irrealtà collidono e si confondono fra loro, rendendo molto difficile per una mente non allenata discernere il limite di questi due concetti. Noi maghi veniamo addestrati apposta per riuscire a farlo, poiché è lì che ci avventuriamo durante il rito del Tormento. Quando affrontai il mio, ritrovandomi per la prima volta in quella dimensione eterea e distorta, avevo una fifa matta; adesso, invece, appena due mesi più tardi, scoprivo di essere diventata più coraggiosa. O meglio, dopo tutto quello che avevo affrontato ad Ostagar, a Redcliffe e al Circolo, cominciavo ad avere più fiducia nelle mie capacità. Due demoni o tre non mi avrebbero spaventata poi troppo. A patto che si fossero presentati uno alla volta. Il pensiero di Topo si affacciò alla mia mente con una certa dolcezza, nonostante ormai sapessi la verità sul suo conto. Topo mi si era presentato con questo nome e queste sembianze quando ero entrata lì per la prima volta. Parlava. La cosa non mi aveva spaventata, lasciandomi più che altro stranita – insomma, erano ben altre le cose di cui aver paura. Mi aveva spiegato che era uno spirito rimasto intrappolato nell’Oblio da tanto di quel tempo che ormai era impensabile, per lui, sperare di tornare indietro. Voleva però aiutarmi a trovare la via del ritorno, per cui si era offerto di accompagnarmi durante la mia prova. Ed io, davanti alla prospettiva di avere un alleato su cui contare, ovviamente ci ero cascata come una babbiona. Nemmeno quando Topo aveva improvvisamente assunto delle sembianze umane, quelle di un uomo giovane, avevo anche solo per un attimo dubitato della sua lealtà. Mi aveva quindi scortato al cospetto dello Spirito del Valore, col quale ero riuscita ad evitare lo scontro grazie alla persuasione di quel mio eloquio che tanto ammiravano sia Leliana che Alistair. Anche col Demone della Pigrizia ero stata in grado di farla franca grazie all’ingegno – perché sì, in taluni momenti ne dimostravo parecchio, benché sia difficile da credere – ed egli si era persino adoperato per insegnare a Topo, che evidentemente era un Mutaforma, la trasformazione in Orso. Con il Demone dell’Ira, però, ero stata costretta ad ingaggiar battaglia, e grazie anche al mio nuovo amico peloso ne ero uscita viva. A quel punto, tuttavia, ero stata finalmente assalita dal sospetto che le cose erano state troppo facili. Davanti a quella confessione, Topo mi aveva sorriso, rincuorandomi: avevo visto giusto, arrivando a capire la verità, poiché il vero demone era lui stesso. Non mi aveva attaccata, e anzi mi aveva lasciata andare: il mio Tormento poteva essere considerato superato a pieni voti, mi aveva detto. Quindi, senza altre parole, ero stata trascinata via dall’Oblio, risvegliandomi sul mio letto, nel dormitorio femminile della Torre del Circolo. Dove avevo trovato Jowan ad accogliermi con tanto entusiasmo, giusto poco prima dell’arrivo di Duncan e della sua geniale idea di coinvolgermi nelle sue beghe amorose con Lily e tutto il resto.

   Scacciando via quell’ultimo spiacevole ricordo, mi chiesi se, ora che ero di nuovo lì, avrei rivisto Topo. Non fu lui, comunque, quello in cui mi imbattei subito. Mi ritrovati, invece, faccia a faccia con Niall, un Incantatore che conoscevo dai tempi del mio apprendistato. Se ne stava immobile davanti ad un altro portale, indeciso su cosa fare, e non appena mi vide mi corse incontro.

   «Siete voi!», iniziò con una certa impazienza nella voce. «Siete quella che è partita con Duncan per diventare un Custode Grigio, vero?»

   «Sì, sono io, Niall.»

   «Oh», balbettò in sorpresa e con vergogna. «Anche voi sapete chi sono. Confesso però che io non rammento il vostro nome.»

   «Nimue.»

   «Proprio lei», annuì, battendosi una mano sulla fronte. «Vogliate perdonarmi, ho la testa totalmente nel pallone. Sapete… mi sono perso.»

   Non era mia intenzione mettere il dito nella piaga, ma non potei far a meno di fargli notare che: «Un Incantatore del vostro livello non dovrebbe essere in grado di riconoscere l’Oblio ad occhi chiusi?»

   «Oh, certo», mi assicurò lui. Più che imbarazzato, però, adesso mi pareva quasi tormentato dall’angoscia. «La difficoltà sta nel ritrovare la strada. Vedete, improvvisamente tutto è cambiato, da quando alla Torre… Siete stata alla Torre?»

   «È da lì che vengo. Purtroppo», sospirai.

   «Eh. Un bel guaio.» Niall strinse le labbra. «Confesso di aver avuto paura per quello che è successo.»

   «Sarebbe stato assurdo pensare che un essere umano… un elfo o quello che è», farfugliai, agitando una mano per aria al fine di scacciare via la questione, «rimanesse impassibile davanti a quello spettacolo.»

   «È esattamente questo il punto. Uldred si è spinto troppo oltre. Non avrebbe dovuto farlo, in questo modo la Chiesa ci terrà ancora di più in catene.» Non ci voleva un genio per capirlo, ma evidentemente di persone dotate di acume ce n’erano davvero poche fra i maghi. «Per paura di essere trasformato anch’io in un Abominio, sono corso da Owain, al magazzino, e mi sono fatto dare la Litania di Adralla. Sapete cos’è?»

   «È un canto, giusto?» Quel nome non mi era nuovo, dovevo averlo letto su qualche libro della biblioteca.

   «Lo si usa contro i Maghi del Sangue», confermò lui, «per impedire che essi possano prendere possesso della tua mente. Vostra», si corresse. «Scusate di nuovo.»

   «Siamo in una situazione d’emergenza, al bando i convenevoli.»

   «Vi ringrazio», rispose, dando prova di non aver capito niente.

   «Dov’è ora la Litania?»

   «Accanto al mio corpo, nella stanza in cui l’Abominio della Pigrizia ci ha trascinati qui.»

   «Fantastico.»

   «Mh», convenne. «Ma non ci servirà qui dentro. Anche perché non si può uscire.»

   «Certo che si può uscire», ribattei, accigliata.

   Mi contraddisse con un cenno della testa. «Ve l’ho detto, non è più come prima, quando tutto era in ordine. L’Oblio è infinito, e ora come ora, ovunque voi proviate a girarvi, troverete sempre un ostacolo. Muri di fuoco, portoni di ferro invalicabili, porte spirituali oltre le quali è impossibile passare per quelli come noi… Ah, ci sono persino delle tane di topo», aggiunse. «Come si fa ad entrare nella tana di un topo con le nostre dimensioni? Forse un Mutaforma potrebbe farlo, ma io no. Voi siete una Mutaforma?»

   «Non ho ancora intrapreso nessuna specializzazione. Mi sono diplomata da poco», gli rammentai.

   Lo vidi scoraggiarsi più di prima. «Speravo lo foste», sospirò. «Rimarremo intrappolati qui per il resto della nostra vita. No, per l’eternità. E i nostri corpi rimarranno alla mercé dei demoni, torneranno cenere o magari si mummificheranno.»

   In un raptus masochista, provai ad immaginare la scena. «No, non mi piace», affermai decisa e disgustata. «Ce ne andremo da qui. Tutti e due.»

   «Non vedo come», borbottò Niall, scettico. «E in ogni caso… Per me ormai è tardi», sospirò. «È passato troppo tempo da quando ho abbandonato il mio corpo.» Tacque un attimo. «Rimarrete a farmi compagnia? Almeno avrò qualcuno con cui parlare», riprese poi, implorando pietà con gli occhi.

   Non era uno sguardo alla Alistair, ah. Potevo resistere, ah-ah. Anche perché non avevo alcuna intenzione di morire così giovane, lasciando per di più i miei compagni nei guai. «Qualcuno deve fermare tutto questo», dissi. «Vedrete che io tornerò indietro.»

   «Ci sono dei demoni», mi avvisò Niall, sempre più abbattuto. «Sono forti sapete?»

   Ecco una cosa che poteva effettivamente farmi tentennare. «Quanti ne sono?»

   «Non ne ho idea. Sembra che facciano la guardia a qualcosa. A dei prigionieri, forse.»

   «Quali prigionieri?»

   «Quelli del Demone della Pigrizia della Torre, ovviamente.»

   Ah. Giusto, non ero stata l’unica ad appisolarmi soavemente a Kinloch Hold. Beh, a ben pensarci, cercai di farmi coraggio, ero meno scema di quel che avevo creduto in un primo tempo, perché sicuramente anche gli altri membri del mio gruppo erano caduti a terra come pere mature. Oh, e se posso permettermi di farci su dell’umorismo, e se potevo farne anche allora, è perché nel reame dei sogni solitamente non si corrono grandi rischi immediati se si è soltanto proiettati in una dimensione che rispecchia i nostri desideri o le nostre paure più intime. Per me c’era stata la pace dopo il Flagello. Era strano, però, che io avessi fantasticato a proposito della fortezza di Custodi Grigi quando invece li avevo reputati dei pazzi sin dal momento in cui avevo affrontato il rito dell’Unione. Forse mi stavo abituando alla cosa. Forse il Circolo dei Magi non era davvero più il posto in cui volevo stare. Forse. Oppure quello di trovarmi a Weisshaupt era un incubo. Mi tenni il dubbio.

   «Troverò anche i miei compagni e li riporterò indietro», promisi quindi a me stessa a voce alta.

   Niall mi fissò come se fossi stata pazza. «Non ce la farete mai!»

   «Abbiate fiducia. È tutta questione di volontà.»

   «O di fortuna.»

   Annuii. «Fino ad ora ne ho avuta molta, lo confesso. Spero che non mi abbandoni giusto adesso», mormorai fra me e me.

   Quindi, zoppicando appoggiata al mio bastone, mi diressi senza altre esitazioni verso l’unica via che poteva essere subito percorsa. Si trattava di un portale magico. Non sapevo cosa ci fosse al di là di esso, ma che altro potevo fare? Rimanere intrappolata lì e lasciare gli altri in balia del Demone della Pigrizia che si stava prendendo gioco di tutti noi? Non l’avrei mai fatto. Anche solo per non passare l’eternità a sorbirmi le farneticazioni di Niall.

   Non appena attraversai il portale, mi ritrovai a fronteggiare un Demone dell’Ira. Così, di punto in bianco. Pur presa alla sprovvista, ebbi comunque tutto il tempo di cercare una certa stabilità sulle gambe, poiché il nemico sembrava essere già impegnato in combattimento. Non capivo con chi o con cosa. Lo vedevo solo colpire nel vuoto. Brandendo la mia arma, allora, ne approfittai per puntarla contro di lui e coglierlo alle spalle. Non era una mossa onorevole, ma che mi importava? Ero una fanciulla in pericolo, non il cavaliere venuto a salvarla dal drago cattivo. Quando, sconfitto, il demone svanì in fumo, provai ad osservarmi intorno; giunta a pochi passi dal punto in cui il mio avversario si era dissolto nel nulla, mi soffermai a pensare che quel posto mi era vagamente familiare: era lì che avevo affrontato l’altro Demone dell’Ira insieme a Topo. Alzai lo sguardo verso la costruzione scura, una delle poche caratteristiche costanti dell’Oblio che avevo già visto durante il mio Tormento: la Città Nera, che fluttuava a mezz’aria in un punto lontano. Secondo la Chiesa, un tempo quella era stata la Città Dorata che il Creatore aveva forgiato affinché essa potesse accogliere i Suoi figli mortali quando questi avessero concluso il loro ciclo vitale. Tuttavia, i Magister dell’Impero Tevinter l’avevano distrutta introducendosi lì quando erano ancora in vita, contaminandola con i loro peccati. Era stato allora che i maghi erano stati trasformati nei primi Prole Oscura. E ancora ne pagano le conseguenze.

   Chiedendomi per l’ennesima volta per quale dannato motivo anch’io dovessi subire tante discriminazioni nonostante fossi nata oltre mille anni dopo, in un impeto di rabbia piantai la punta del mio bastone a terra. Un urlo stridulo, quasi fosse stato un verso di animale malmenato, raggiunse le mie orecchie. Abbassai lo sguardo ed imprecai, pallida come un cencio, inginocchiandomi e sentendo un dolore cane alla gamba. «Topo!», chiamai, liberando la sua coda dalla pressa in cui l’avevo schiacciata, pronta ad usare la magia guaritrice per alleviarne le sofferenze. «Perdonami! Perdonami!»

   Era ferito gravemente – e non perché io gli avessi quasi staccato la coda, sia ben inteso – per cui adesso mi veniva facile realizzare che il demone stesse combattendo lui. Ma perché? Non erano entrambi creature dell’Oblio?

   «Ti ringrazio, ma la magia non mi salverà», rantolò il mio unico amico di quel posto irreale. «Sto morendo.»

   Scossi il capo, disperata. «Oh, no! No, non morirai!» Non gli avrei permesso di abbandonarmi in quel momento. «E poi ho bisogno di nuovo del tuo aiuto! È successa una catastrofe alla Torre», gli spiegai.

   Lui mi fissò con uno dei suoi piccoli occhietti a bottoncino, nero e profondo come la notte, ma opaco, come se più nessuna stella riuscisse ad illuminarlo. «Devi uccidere Yevena, il demone che spadroneggia qui… Lei protegge il suo padrone, il Demone della Pigrizia… Prendi i miei poteri e salva chiunque sia rimasto intrappolato negli incubi… Uccidi i demoni che proteggono il loro signore…»

   «Come? Cosa?», balbettai agitata, per nulla certa di quel che dovevo fare. «Aspetta, che significa che devo prendere i tuoi poteri?» In risposta, una calda energia spirituale mi investì in pieno, facendomi rabbrividire da capo a piedi e lasciandomi senza fiato. Scrollai la testa, questa volta per riprendere padronanza di me stessa, e focalizzai di nuovo la mia attenzione sul mio amico. Aveva chiuso le palpebre. «Topo?», chiamai, senza però ottenere risposta. «Topo? Mi senti? Topo?» Avvicinai la mano con cui lo stavo curando al suo corpicino straziato soltanto per accorgermi che la sua piccola gabbia toracica aveva smesso di muoversi su e giù per accompagnare il respiro. Con un polpastrello, gli passai una carezza sulla testolina. «Grazie», mormorai dolcemente. «Cercherò di fare del mio meglio per non deluderti.»

   Mi rimisi faticosamente in piedi, appoggiata al bastone, e mi resi conto che adesso le parole di Niall cominciavano ad avere senso: se Topo mi aveva passato i suoi poteri, allora forse potevo anche usufruire degli stretti cunicoli da lui utilizzati per i suoi spostamenti attraverso l’Oblio. Non avevo mai avuto granché simpatia per i roditori, e adesso mi toccava diventare uno di loro. Mi chiesi cosa avrei fatto se Topo fosse stato un ragno. Rabbrividii per lo schifo e mi concentrai sulla mia missione. Morrigan non aveva voluto insegnarmi a mutare forma? Bene, avrei comunque sperimentato quell’esperienza anche senza il suo aiuto. Fu sperando di non diventare uno scarafaggio che raccolsi tutte le mie forze spirituali e mi abbandonai al flusso che sentii invadermi il corpo. Era una sensazione stranissima, non del tutto spiacevole, ma che lasciava assai frastornati.

   Quando mi ripresi da quello smarrimento iniziale, mi accorsi di avere una visuale piuttosto ristretta. Bassa. Mossi il naso, ed i miei baffi vibrarono in aria. No, un momento. D’accordo, molte donne hanno problemi di peluria in eccesso, ma per quel che mi riguardava, grazie non soltanto al colore chiaro dei miei capelli, di certo non avevo quello dei baffi. Quello che mi faceva più impressione, comunque, non erano tanto quelli o la coda, che pure mi creava qualche difficoltà di movimento, quanto il fatto che dovessi intrufolarmi nella tana di Topo che vedevo lì vicino. Speravo che almeno non fosse troppo sporca. E puzzolente. Non che Topo lo fosse, ma spiegatelo voi alle mie fisime così tipicamente femminili.

   Mossi velocemente i primi passetti verso quello che adesso, in proporzione, mi appariva come un vero e proprio tunnel, e lo imboccai. Sbucai in uno spazio nuovo, in presenza di un altro Demone dell’Ira, più debole del primo, e tornando al mio stato naturale riuscii a combatterlo senza difficoltà. Ormai ero diventata forte abbastanza da non temere un singolo avversario come quello. Se lo avessi raccontato alla Nimue che Duncan aveva accompagnato ad Ostagar, quella mi avrebbe guardato con fare inorridito, convinta che io fossi pazza. Alle spalle del demone appena abbattuto, vi era un altro portale e non appena lo attraversai, mi ritrovai di nuovo da Niall.

   «È successo qualcosa?», mi chiese allarmato. «Mi sembrate diversa da prima…»

   Mi volsi verso il mio fondoschiena, sperando che non mi fosse rimasta la coda. «Ehm… sono diventata un topo», presi a spiegargli, controllando per sicurezza anche il labbro superiore. «Solo per qualche istante, però.»

   «Ci siete riuscita? Avete ottenuto quel potere?», domandò ammirato lui. «Ho visto delle tane di topo. Siete diventata abbastanza piccola da passarci attraverso?»

   Sorrisi. «Pensavo che vi foste rassegnato a rimanere qui per sempre.»

   «Oh… beh… Voi siete molto più coraggiosa di me.» Quelle parole mi sconvolsero: da quando ero degna di essere definita tale? Proprio io che me la facevo sotto al minimo rumore? Proprio io che mi spaventavo della mia stessa ombra? Niall non sapeva che se mi stavo dando tanto da fare era soltanto perché ero troppo attaccata alla vita. «Ero così sicuro che non ci fosse modo per andar via da qui… Pensate di riuscire ad imparare altre trasformazioni? Magari così riuscireste a passare oltre gli ostacoli che hanno fermato me.»

   Per scoprirlo avrei dovuto provarci. Lo feci. Mi diressi nuovamente verso il leggio che, a quanto pareva, fungeva anch’esso da portale, e mi ritrovai sbalzata in una dimensione diversa, oscura: davanti a me si diramavano diverse strade. Fui costretta a percorrerle tutte. Quel lungo viaggio attraverso l’Oblio ed i suoi tranelli mi portò davvero ad incontrare quello di cui mi aveva parlato Niall, e cioè muri di fuoco, portoni troppo pesanti da aprire e porte spirituali attraverso le quali mi sarebbe risultato impossibile passare. Non starò qui a descrivere ogni particolare della mia avventura per tutta una serie di ragioni, tra le quali, lo confesso, l’aver volontariamente rimosso molti ricordi di quel dedalo che, facendomi ammattire a causa di parecchie crisi isteriche, mi portò ad acquisire altre mutazioni. Rammento dello spirito di un templare che, riconoscente per il soccorso che gli diedi contro alcuni Prole Oscura, mi fece dono della capacità di diventare puro spirito, esattamente come lui; rammento di un templare addormentato e di un demone che mi attaccarono insieme e, non so come, sconfiggendoli riuscii ad ottenere il dono di divenire una creatura fatta di sole fiamme; infine, rammento di aver affrontato anche dei maghi, dei sacerdoti e dei golem al fine di ottenere l’abilità di trasformarmi in un grosso, pesante e forzuto essere di pietra.

   Fu grazie a tutto ciò che riuscii anche a sconfiggere Slavren, Rhagos, Vereveel e Uthkiel, i guardiani del demone che ci aveva spediti nell’Oblio. Quando fui in grado di tornare da Niall, con i nervi a pezzi ed una voglia indicibile di spaccare Uldred in un punto che per pudicizia non menzionerò, gli assicurai che ormai era quasi fatta. Mancava solo quella maledetta battona di Yevena, e fu proprio con lei che, al fine di apparire meno folle agli occhi di Niall che durante la nostra ultima conversazione mi aveva fissata con timore maggiore di quando mi aveva spiegato che non c’era modo di tornare indietro, sfogai tutta la mia rabbia. Come Maga del Sangue sarei stata davvero spietata, lo riconosco.

   Quindi, mentre cercavo di calmarmi, davanti a me si aprirono altri passaggi, questa volta semplici portali da percorrere con le mie sembianze, delle quali, dopo tutti quei cambiamenti, avevo seriamente iniziato ad innamorarmi nonostante rischiassi di rimanere zoppa a vita. Che Morrigan si tenesse pure tutti i suoi segreti: ne avevo abbastanza di fluttuare a mezz’aria al rallentatore e di ardere in ogni parte del corpo, e soprattutto ne avevo abbastanza di peli e di caviglie da elefante; una volta uscita dall’Oblio, col cavolo che mi sarei messa a studiare per diventare una Mutaforma.

   Armata di pazienza, mi inoltrai dunque attraverso quelli che scoprii essere i sogni vissuti dai miei compagni ancora prigionieri.

 

La prima che trovai fu Wynne. Se ne stava in piedi in mezzo a quella che pareva una foresta, fra due giovani apprendisti che giacevano in terra, forse non soltanto svenuti. Sembrava stare bene, almeno fisicamente. Avrei voluto correrle incontro, ma vista la mia ferita mi risultava impossibile. Mi accontentai di avvicinarmi a passo lento, e mi accorsi che stava farneticando qualcosa, con voce rotta, a proposito del suo fallimento come insegnante. Come se quegli allievi fossero morti a causa sua.

   «Wynne?», la chiamai con discrezione.

   Si volse a fissarmi, smarrita, il viso spaventosamente invecchiato. «Siete voi… Oh, andate via! Lasciatemi da sola con il mio dolore», gemette, stringendosi nelle spalle. «Non sono stata in grado di proteggere i miei ragazzi… Darò loro degna sepoltura e poi… poi piangerò finché non avrò più fiato in corpo…»

   Non potevo lasciarla in quelle condizioni. «Wynne… Cercate di calmarvi.»

   Assunse un’aria corrucciata. «Come posso farlo? Come potete rimanere impassibile davanti a questo spettacolo?» Credeva davvero a ciò che stava vivendo. Lei, che pure era molto più esperta di me. Mi chiesi quanto quel sogno dovesse farle male. Da che la conoscevo, mai mi era capitato di vederla così, anzi. Wynne era sempre stata una donna forte, determinata, votata al bene degli altri prima ancora che al proprio. Erano queste le ragioni per cui mi ero affezionata a lei sin da subito.

   L’unica cosa che potevo fare ora per non urtare i suoi sentimenti era di aiutarla a ragionare. «Wynne, per favore. Provate a pensare per quale motivo vi trovate qui.»

   «Cosa dite? Non lo vedete cos’è appena successo? Dov’eravate quando avevo bisogno di voi?» Quell’accusa mi mortificò comunque, benché sapessi che non avevo colpe per quella strage fittizia. Ma il tono di Wynne era così provato che non potei fare a meno di avvertire una stretta al cuore. «Credevo che foste mia amica…»

   «Lo sono», la interruppi gentilmente. «E sono anche l’unica cosa reale quaggiù. Non lasciatevi ingannare da ciò che vedete.»

   Non che sperassi di averla vinta con tanta semplicità, eppure lessi sul suo volto le prime tracce del dubbio. Mi parve che per un istante i suoi occhi scuri si focalizzassero sulla punta delle mie orecchie. Me ne chiesi la ragione, ma convincendomi che si trattasse solo di una mia fisima, non posi domande ed aspettai. Wynne abbassò lo sguardo, confusa. «È… difficile… provare a mettere a fuoco il presente», cominciò poi a balbettare, portandosi una mano alla fronte. «È come se qualcosa volesse impedirmelo… Non ho mai avuto problemi di concentrazione… Forse allontanarmi per un po’ da questo posto mi aiuterà a star meglio, a vedere le cose più chiaramente», concluse tornando a guardarmi con più sicurezza. Almeno ora avevo di nuovo la sua fiducia.

   Le sorrisi per incoraggiarla e le tesi una mano. «Venite via con me, allora?»

   Di colpo uno dei cadaveri si rialzò. Apparteneva ad un elfo, che la pregava di non lasciare lui ed il suo compagno da soli – elfo anche quello. Con prontezza di spirito, Wynne riuscì finalmente a capire la verità. «Per il Creatore!», esclamò, provando amarezza per l’essersi lasciata giocare così facilmente e per la crudeltà di quell’incubo. «Sta’ lontano da me!»

   Il ragazzino, poiché di tale si trattava, provò ad insistere per convincerla a rimanere, ma lei non si lasciò più ingannare e si unì volentieri a me per abbattere lui e l’altro spirito che si avventò su di noi. Combattere altri maghi, benché apprendisti, non fu semplice, ma riuscimmo a cavarcela comunque.

   «Wynne, state bene?», domandai al termine della battaglia che, fortunatamente, aveva scacciato via ogni mio malumore grazie anche alla vicinanza della mia buona amica.

   Quest’ultima vacillò per un attimo sulle gambe, ma poi si riebbe e si volse immediatamente verso di me. «Grazie al Creatore è tutto finito… Perdonatemi se vi ho fatta stare in ansia», mi pregò, avvicinandosi ed inginocchiandosi davanti a me per alleviare le sofferenze alla mia ferita con i suoi poteri. Fu un sollievo non da poco.

   «Oh, non ditelo. Anch’io sono stata sul punto di farmi vincere dalla volontà del Demone della Pigrizia», confessai. «Ora però dovremmo affrettarci a trovare anche gli altri e a lasciare questo dannato posto.»

   «Avete ragione», rispose. «Finisco di medicarvi e… Un momento», farfugliò, avvertendo qualcosa di insolito. Una luce cominciò ad avvolgere il suo corpo, e lei non fece in tempo ad aggiungere altro che svanì davanti ai miei occhi.

   Ero rimasta di nuovo sola. Sbuffai spazientita e, sperando che Wynne fosse tornata indietro e non fosse invece rimasta intrappolata da qualche altra parte, mi affrettai quanto più potei verso la strada che mi avrebbe condotta in un nuovo sogno.

 

Sorpresi Alistair in condizioni completamente differenti da quelle in cui avevo trovato Wynne: stava giocando con dei bambini davanti alla porta di un’abitazione piuttosto modesta, spensierato proprio come se fosse stato uno di loro. Poco distante, sulla soglia, vi era una donna dai capelli rossicci che di tanto in tanto guardava la scena e rideva di cuore.

   Fu il mio compagno ad accorgersi della mia presenza prima ancora che io potessi zoppicare nella sua direzione. «Nimue!» Si rialzò da terra e mi venne incontro, tutto contento come avrebbe fatto Merlino. «Pensavo proprio a voi», mi disse, lasciandomi stupita.

   «A me?»

   «Sicuro. Davanti ai marmocchi non potrei dirlo, ma mancavate solo voi per completare il mio piccolo angolo di felicità.»

   Rimasi pensierosa per qualche istante. Poi mi feci coraggio e chiesi: «Come dovrei interpretare questa affermazione?»

   «Oh, lascerò decidere a voi», mi sorrise Alistair, usando un tono per nulla infantile.

   «Ricordatemi di spaccarvi questo bastone sulla testa, quando avrò finito di adoperarlo come stampella.»

   «Contateci, sarà la prima cosa che vi dirò.»

   «Ne deduco che la mia interpretazione sia esatta», sospirai stancamente.

   Quel disgraziato cambiò argomento, rivolgendo un cenno verso la donna a me sconosciuta. «Ricordate di quando vi ho parlato di Goldanna? Beh, eccola qui», me la presentò, al settimo cielo, mentre lei si faceva vicina insieme ai bambini. «E questi sono i suoi figli. Siamo una gran bella famiglia, eh?»

   In un attimo dimenticai i miei propositi omicidi verso quel lato del suo carattere dispettoso e irriverente, poiché adesso egli mi stava mostrando l’altro lato, quello che più amavo. Provai una pena infinita, mista alla grande tenerezza che mi aveva assalito non appena lo avevo visto: mi toccava distruggere il suo bel sogno. «Alistair», cominciai allora, sentendo un groppo allo stomaco al pensiero di procurargli del dolore. «Mi spiace dovervelo dire, ma dobbiamo andare via. È una trappola.»

   Si volse a scrutarmi stranito, ma non adirato. «Di che state parlando?»

   «Alistair, la tua amica si ferma a cena?», volle sapere Goldanna.

   Lui saltò su come se avesse avuto la stessa età dei suoi nipotini. «Goldanna è un’ottima cuoca», ci tenne a farmi sapere. «Rimarrete, vero? Per favore, per favore, rimanete.»

   «Sicuro che resterà, ed io vi preparerò tutto quello che vorrete», sorrise l’altra, gentile. Ecco come doveva apparire quella donna nel cuore e nelle speranze di Alistair: il ritratto della sorella perfetta.

   Mi sentivo sempre più male, ma non c’era niente che potessi fare per aiutarlo se non metterlo davanti alla realtà. «Alistair… Non possiamo restare. Venite via con me.»

   «Vi comportate in modo strano», mormorò lui, mostrando una diffidenza che non aveva mai usato nei miei confronti.

   Sospirai ancora, fissandolo da sotto in su con occhi imploranti. «Vostra sorella si trova a Denerim, non qui. Devo ancora accompagnarvi da lei, ricordate?» Lo vidi esitare, finalmente. «Alistair, ve lo chiedo per favore. Riflettete su come siete arrivato qui. Riflettete attentamente.»

   Il suo sguardo si fece più arrendevole. «D’accordo», mi concesse allora, «se basta così poco per farvi contenta…» Realizzai allora che anch’io dovessi avere una certa influenza su di lui quando assumevo quell’espressione che gli riusciva così dannatamente bene. Lo vidi aggrottare la fronte, impegnato a ricordare. «È… strano… Io non…»

   «Alistair, vieni a cena, forza», cercò di distrarlo Goldanna. O meglio lo spirito che si stava spacciando per lei.

   Lui scosse il capo, confuso. «No, un attimo…», prese a tartagliare, cercando conferma nel mio volto. «Io rammento… una torre. Il Circolo dei Magi… era sotto attacco… C’erano dei demoni…» Si fermò per qualche secondo. «Poi diventa tutto confuso… Non riesco a ricordare altro», sussurrò, continuando ad aspettare ch’io tornassi a parlare.

   «È stato uno di quei demoni ad intrappolarci nell’Oblio», gli spiegai. «Ci troviamo ancora lì.»

   Alistair batté le palpebre, provando a fare mente locale. «State dicendo… che questo è un sogno? Ma è così reale…»

   Goldanna rise. «Oh, ma certo che è reale. Forza, ora andate a lavarvi le mani per la cena, così…»

   «Qualcosa non quadra qui», la interruppe Alistair, ignorandola per la prima volta. «Penso che… Credo che io debba davvero venire con voi», mi disse.

   Stesi le labbra, sollevata dal sentirlo ragionare in quel modo. «Credo anch’io», gli assicurai. «Abbiamo perso fin troppo tempo.»

   Non ci fu concesso di fare o dire altro, tuttavia, perché d’improvviso la voce di Goldanna mutò, abbassandosi terribilmente di almeno due ottave. Quindi, ritenendo inutile nascondersi ulteriormente, il demone uscì allo scoperto, benché insistesse nel mantenere l’aspetto della sorella di Alistair, forse per poterci rendere le cose più complicate. Purtroppo per lui, però, non funzionò; lo stesso Alistair, ferito nell’animo, gli si scagliò contro, mentre i bambini circondarono me, pronti a dare man forte alla loro mamma immaginaria. E mentre ricorrevo ad un’Esplosione Mentale, di nuovo mi chiesi quando sarei stata libera di sfogarmi su Uldred.

   «Goldanna…?», balbettò il mio amico quando finimmo di occuparci di tutti loro. Era piuttosto deluso, non era difficile intuirlo. «Non posso crederci… Come ho fatto a non capire che si trattava di una farsa?»

   «Siamo nell’Oblio», gli ripetei, zoppicandogli accanto. Mi sorresse quando mancai goffamente un passo. «Tutto sembra reale, qui.»

   «Sì, certo», ribatté, assicurandosi che riuscissi a stare in piedi da sola e grattandosi la nuca con fare impacciato. «Posso… Posso chiedervi il favore di non dire a nessuno quanto sono stato stupido?»

   Se non risi fu solo perché io lo ero stata quanto lui; anche più, considerato il fatto che io nell’Oblio ci ero già stata. «Giuro che non aprirò bocca.»

   «Bene», mi ringraziò con un cenno del capo. Fu sul punto di aggiungere altro, ma anche lui, come Wynne, fu avvolto di colpo da uno strano bagliore. «Ehi… Che diavolo mi sta succedendo? Ehi!»

   Avrei voluto piangere quando lo vidi sparire. Dovevo portare pazienza. Feci dei grossi, profondi respiri. Infine, decisi di proseguire.

 

Con Leliana fu più difficile. La trovai inginocchiata davanti ad un altare, intenta alla preghiera, in compagnia di una sacerdotessa anziana. Sembrava davvero non far caso a niente, immersa com’era nella propria pace interiore. Sembrava un’altra persona. A conti fatti, mi resi conto soltanto in quell’istante che non sapevo nulla di lei. Leliana mi aveva raccontato solo che veniva da Orlais e che un tempo era stata un menestrello, senza aggiungere altro. Questo spiegava la sua familiarità con le faccende di corte, quindi potevo crederle. Non le avevo mai posto domande, perché mi aveva fatto intendere di non voler ripensare al proprio passato; eppure anche a me che ero cresciuta nel mondo chiuso della Torre del Circolo era arrivata la voce che di frequente i bardi non erano semplici cantori innocui, e se Leliana non aveva mai approfondito la questione, probabilmente anche per mancanza di occasioni visto il susseguirsi di disgrazie che non volevano saperne di darci respiro, un motivo doveva esserci. Ciononostante, nelle settimane che avevamo trascorso insieme, per quel poco che potevo conoscerla, mai una volta mi aveva dato modo di dubitare della sua fedeltà e, anzi, aveva corso spesso il rischio di perdere la vita per aiutare me e Alistair a portare a termine la nostra missione. Come adesso.

   «Leliana?», mi arrischiai a chiamarla, avvicinandomi lentamente a loro.

   Entrambe levarono il capo nella mia direzione, e la mia compagna mi guardò con aria smarrita. «Chi siete?», mi chiese, scoraggiandomi. Wynne ed Alistair, a differenza sua, non si erano affatto dimenticati di me. Barcollai e quasi caddi, ma nessuno stavolta mi aiutò.

   «Per favore, non disturbate le sue preghiere», mi rimbrottò la sacerdotessa anziana, approfittando del mio attimo di smarrimento.

   «Venerata Madre», riprese Leliana in un bisbiglio, alzandosi in piedi. «Io non la conosco.»

   Non eravamo intime al punto da poterci definire amiche, ma ci rimasi comunque male. Tanto che decisi di affrontare la situazione di petto, foss’anche solo per scaricare il nervosismo. «Siamo nell’Oblio. La tua mente è stata soggiogata.»

   Di nuovo lei mi fissò confusa. «Cosa… Di cosa state parlando?»

   La sacerdotessa tornò ad ammonirmi. «Per favore, lasciatela in pace. Ha bisogno di silenzio e di solitudine per calmare il proprio animo e liberare la propria mente.»

   Non mi arresi. «Leliana», ricominciai, sperando che anche lei non facesse caso alle parole della vecchia strega che le stava accanto. «Ve ne supplico. Dovete fidarvi di me quando vi dico che questo posto non è reale.» Lessi ancora incredulità sul suo viso. «Non ricordate la ragione per cui avete lasciato il convento?»

   Una luce le infervorò subito lo sguardo. «Ricordo di un segno…»

   «Ne abbiamo già discusso, Leliana», la mise a tacere Venerata Madre con fare deciso. «Il Creatore non ha tempo per preoccuparsi di noi mortali. Queste vostre visioni sono opera dei demoni.»

   «Il Creatore si cura di noi, invece», si trovò in disaccordo lei, con mio grande sollievo. «Forse la mia visione non era opera Sua, ma sono certa che Egli mi stia comunque indicando la giusta via da seguire.» Non fui mai tanto devota al Creatore come in quel momento. Leliana scosse il caschetto rosso, accigliata. «Non so chi voi siate, ma di certo non siete quella Venerata Madre che mi aveva accolto con tanto amore quando sono entrata in chiesa.»

   «È un demone», intervenni allora per dare il colpo di grazia alle ultime resistenze di quel tranello. «Sta cercando di ingannarvi.»

   Gli occhi azzurri di Leliana tornarono a posarsi su di me. «Non ho ancora le idee ben chiare, ma… in effetti ora mi pare di ricordarmi di voi. Io vi conosco, forse… Voglio fidarmi di voi.»

   «Venite via con me, dunque.»

   «Ma è qui che Leliana ha trovato la pace», provò ancora a mettersi in mezzo la donna. «Questa è la sua casa, il suo rifugio.»

   «Porto la pace della Chiesa nel mio cuore», ribatté l’altra, senza più esitazioni. «Verrò con voi», concluse, facendo un passo nella mia direzione.

   Fu quello che indusse il demone a gettare via la maschera, e subito fu addosso a Leliana. Attuai un Glifo di Paralisi prima ancora che potesse farle del male, e a quel punto la mia compagna afferrò le armi ed iniziò il contrattacco da lontano, mentre io invocavo il fuoco e l’elettricità. Fu tuttavia una delle frecce di Leliana a sconfiggere la sua plagiatrice.

   «Santo Creatore…», ansimò poi, tremando da capo a piedi, sconvolta. «Era… era…»

   «Un demone, sì», sbuffai. Per la situazione in sé, non perché ce l’avessi con lei e la sua sorpresa. In effetti penso che avrei potuto essere più gentile, ma ne avevo fin sopra i capelli di quel posto, e dovevo ancora scoprire che fine avessero fatto Morrigan ed il mio segugio.

   Leliana si portò una mano davanti al viso, incredula. «Ho la testa pesante… confusa… Mi sembra di essermi appena svegliata da un terribile incubo…» Spostò la sua attenzione su di me. «Mi spiace di non avervi riconosciuta subito, Nimue…»

   «Va tutto bene, state tranquilla», la rassicurai con un cenno del capo. «Ora però…»

   «Abbiamo una missione da portare a termine», mi anticipò, ritrovando parzialmente la calma. «Vi seguirò ovunque, quindi possiamo… Che mi succede?»

   La luce misteriosa inghiottì anche Leliana, cosa alla quale ormai stavo facendo tristemente l’abitudine.

 

Benché temetti di dover imprecare ancora a lungo durante il viaggio che mi avrebbe portato dagli ultimi due prigionieri ancora da soccorrere, fui felice di scoprire che in realtà li avrei volentieri baciati entrambi sulla bocca. Sì, anche se Morrigan era una donna e se Merlino era un mabari. Ovviamente quella malsana fantasia mi passò alla svelta davanti alla prospettiva di ritrovarmi trasformata in uno scarabeo stercorario ricoperto di bava canina.

   Ad ogni modo, Morrigan stava litigando con sua madre. D’altra parte, potevo aspettarmi incubo peggiore, per lei? A parte forse una notte d’amore con Alistair, a dispetto delle mie sciocche fantasie sui due.

   «Via! Va’ via! Mi hai già seccata abbastanza!»

   «Sono tua madre… Non mi ami più?»

   «Se tu sei mia madre, il mio mignolo è la regina del Ferelden. So chi sei, spirito dell’Oblio, non mi farò ingannare da te.» Morrigan sì che era una tosta. Come potevo non adorarla, nonostante la sua linguaccia e la consapevolezza che ci saremmo scornate parecchie volte, in futuro, a causa dei nostri caratteri in completa antitesi?

   Flemeth, o quel che era, la fissò con rimprovero. «Credi di essere più intelligente di tua madre? La tua arroganza sarà punita!» Senza altro preavviso, le assestò un ceffone sul viso, facendola indietreggiare per il colpo e la sorpresa, e lasciando me a dir poco allibita. Magari quella non era la vera Flemeth, ma dimostrava parecchio carattere, esattamente come Morrigan. «Questo è per avermi mancata di rispetto!»

   La giovane Strega delle Selve piegò il capo di lato, ricomponendosi con la sua solita, affascinante grazia. «Mh. Adesso va meglio. Le somigli già di più», disse sinceramente ammirata, inarcando le braccia sui fianchi. «Tuttavia ormai è tardi, spirito. Avresti dovuto pensarci prima.»

   «Ehm… Morrigan?»

   I suoi occhi felini cercarono la mia figura. «Oh, eccoti, finalmente! Vieni qua e toglimi di torno questo fastidioso spirito! Sono stufa di essere bastonata!»

   «Sai che è uno spirito?», mi azzardai a chiedere.

   «Ovvio che sì.»

   «Perché non te ne sei sbarazzata da sola?»

   «Perché questa dannata è quasi più odiosa di mia madre.»

   Non capivo il nesso logico, ma decisi di adattarmi. «D’accordo, ma dammi una mano, per favore.» Già, esisteva anche un per favore di cui Morrigan sembrava ignorare l’esistenza. Prima o poi avrei dovuto presentarglielo.

   «Bene. Uccidilo e andiamocene via.»

   Magari più prima che poi. Se non colsi l’occasione al volo fu solo perché il demone anticipò le nostre mosse. Fu lo scontro più duro di quelli che avevo affrontato fino a quel momento nell’Oblio; e visto che quello era solo un surrogato di Flemeth, mi domandai, e con una certa ansia, quanto diamine dovesse essere potente quella vera. Ad ogni modo, eravamo in due a combattere quel duello tra maghe, e se riuscimmo a cavarcela fu per i meravigliosi poteri d’attacco di Morrigan e la mia, seppur scarsa, conoscenza della magia guaritrice.

   «Era ora che si togliesse di mezzo», sbuffò la mia compagna, lasciandosi cadere a terra, esausta. «Perché diavolo non sei venuta prima ad aiutarmi?»

   Ecco, adesso l’avrei schiaffeggiata esattamente come aveva fatto prima lo spirito. «Giungere fin qui non è stato tanto semplice, sai? Oltretutto non sei stata l’unica a rimanere intrappolata in un sogno.»

   «Hai già liberato anche gli altri? E perché giungi da me solo ora? Cos’è, sono l’ultimo gradino nella scala delle tue simpatie?», si offese lei.

   «Sto ancora cercando il mio cane», la tranquillizzai. Morrigan sapeva che, nonostante tutto, a Merlino ero molto, molto affezionata.

   Scoppiò a ridere. «Lo sapevo che Alistair veniva dopo di me.»

   «Parlavo del cane che sbava», sospirai rassegnata.

   «Appunto», ribatté lei, sorridendo dispettosa. «Lo hai mai visto mentre mangia? È davvero… Ehi!» L’alone luminoso che aveva fatto svanire nel nulla gli altri, avvolse il suo corpo. «Che accidenti…? No! Non di nuovo! Mi rifiuto!»

   Rimasta sola, mi affrettai a raggiungere l’unico membro del gruppo che mancava ancora all’appello.

 

Merlino sonnecchiava beato. Da solo, soprattutto, il che mi fece tirare il fiato davanti alla prospettiva di non dover necessariamente ricorrere alla magia. Il sogno del mio mabari era dunque quello di poter oziare tutto il giorno, senza dovermi seguire sui campi di battaglia? Povero cagnone, pensai. Magari una volta o l’altra avrei anche potuto lasciarlo a fare la guardia all’accampamento con Bodahn Feddic e Sandal. Dopotutto era una creatura fedele, un amico, non una macchina da guerra. Non era giusto che lo trascinassi in lotte sanguinose insieme a me soltanto perché mi crogiolavo nell’imprinting che caratterizza i mabari ed i loro padroni.

   Non appena mi avvicinai, lui mosse le orecchie. «Merlino?» Aprì gli occhi, alzando il muso nella mia direzione. «Sei stanco, Merlino?» Uggiolò. Lo era per davvero. «Ti prometto che, quando lasceremo Kinloch Hold, potrai dormire tutto il tempo che vorrai. Almeno fino a che non avremo risolto i problemi a Redcliffe.» Non potevo inginocchiarmi accanto a lui o avrei finito per sforzare la gamba più di quanto non avessi già fatto; per cui allungai almeno una mano per accarezzarlo, e Merlino subito si drizzò sulle zampe per sfregare il testone contro di essa e per leccarmi le dita. Era una cosa che non amavo troppo, in effetti, ma quella volta mi fece davvero piacere. «Andiamo via, d’accordo?»













L'Oblio mi ha fatta impazzire. Non che fosse realmente difficile, ma era così lungo ed intricato...! Certo, però, la parte che ho odiato davvero è stata quella dei nani: non finiva piùùù! @_@
Ah, l'altra volta ho detto una cretinata riguardo Kinloch Hold: si tratta della Torre del Circolo vera e propria, non del porto sul lago. L'altra idiozia che ho scritto, questa volta all'interno della fanfic, è nel quinto capitolo, quando ho fatto dire ad Alistair che è stato cresciuto lontano da Denerim affinché fosse protetto da Rowan e per proteggere Rowan da lui. In realtà (l'ho rivisto ieri nella nuova partita a cui sta giocando mio fratello) Alistair non nomina affatto la defunta Regina, ma parla solo di suo fratello, e dice che è stato cresciuto a Redcliffe così che niente potesse mettere a repentaglio l'eredità di Cailan. Mi toccherà perciò rimediare nei prossimi capitoli, tanto l'argomento tornerà più volte a galla prima dell'Incontro dei Popoli. Oltretutto ci tengo a far sì che tutto coincida in modo più o meno logico con quanto viene raccontato nei due romanzi della saga (ed in particolare con l'epilogo che, a conti fatti, è la cosa che mi interessa di più per diverse ragioni).
Ringrazio la mia beta Atlantislux (Che presto ricoprirò di baci per aver votato Nimue come miglior personaggio originale al nuovo concorso indetto dal sito! ♥), Lara (Tu e "Lei" siete TREMENDE! XD A proposito, piaciuto il lato "cattivo" di Nimue?) e The Mad Hatter (Quanto al rapporto fra Nimue e Cullen, ti rimando al prossimo capitolo, dove verrà spiegato nel dettaglio. ^^) e tutti gli altri lettori. :D
Buon proseguimento di settimana,
Shainareth
P.S. Il presente capitolo è dedicato a Lara, che mi ha aiutata con la parte su Leliana. ^^





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Capitolo 11
*** Maghi e templari ***












CAPITOLO UNDICESIMO – MAGHI E TEMPLARI




«Ah-ah! Vi siete fatta giocare anche voi», stava ridendo Alistair.

   «Ti rendi conto che con quell’anche stai ammettendo di essere stato ingannato come un pollo?», gli fece notare Morrigan, serafica, giunta lì poco prima di me. Dunque, una volta scomparsi alla mia vista, i miei compagni si erano tutti radunati in unico punto dell’Oblio, vuoto ed impalpabile come tutto il resto, lo stesso dove anch’io adesso ero approdata. «Ad ogni modo, ti informo che io non mi sono affatto lasciata gabbare dagli spiriti, sai? Scommetto che persino quel maleodorante sacco di pulci che ci portiamo dietro non c’è cascato.»

   «Merlino mi ha riconosciuta dall’odore», spiegai, raggiungendoli lentamente proprio insieme a lui. Stavano tutti bene, e la cosa non poteva che darmi sollievo. Alla faccia di Niall e del suo pessimismo.

   «Grazie al Creatore siete salva», esclamò Wynne, quasi correndomi incontro insieme a Leliana. Mi divorò con occhi apprensivi, come fa una mamma che ha ritrovato il proprio bambino perso fra la folla con l’intento di assicurarsi che sia tutto intero.

   Morrigan agitò una mano sotto al naso di Alistair. «Lo vedi che sei più stupido di quel cane?»

   «Ehi», iniziò a protestare il mio amico, estremamente risentito, «guardate che anch’io l’ho riconosciuta subito! Diteglielo anche voi, Nimue.»

   «Spero non dall’odore», gemetti in conferma, appoggiandomi a Leliana, che invece non spiccicava parola, rossa in viso per l’essere stata la sola a non ricordarsi di me durante il suo sogno ad occhi aperti.

   «Se vi dicessi di sì, che fareste?», volle sapere Alistair, con un certo interesse, prima di darmi una risposta definitiva.

   Gli scoccai un’occhiataccia. «Vi metterei guinzaglio e museruola, come minimo.»

   «Adesso che si fa?», chiese Leliana con voce incerta. «Come facciamo ad uscire da qui?»

   In quel momento un ruggito rimbombò tutt’intorno. Alistair sguainò la spada, Wynne si pose davanti a me. «Temo di conoscere questo maledetto verso», borbottò il primo, palesando un certo nervosismo. E non avrei potuto dargli torto, poiché anch’io lo avevo già sentito. Ad Ostagar. Sulla Torre di Ishal.

   Mi vennero i sudori freddi: se eravamo sopravvissuti quella volta, e per puro miracolo, non era certo che avremmo potuto cavarcela anche adesso, benché fossimo diventati senza dubbio più forti e avessimo dalla nostra altri quattro compagni affidabili e da non sottovalutare.

   Il suolo in apparenza inconsistente su cui poggiavamo i piedi tremò improvvisamente, ed un secondo ruggito ci raggiunse con prepotenza, annunciando l’apparizione di quello stesso, colossale essere che aveva quasi ammazzato Alistair e me la notte del tradimento di Loghain. In lontananza, vedemmo l’Ogre picchiarsi il petto con i grossi pugni, mentre Leliana e Morrigan si lasciavano andare ad un’esclamazione di stupore, mista a paura, ed il nostro – quasi – templare si lasciava invece sfuggire un’imprecazione tutta maschile.

   «Okay, signorine maghe», cominciò poi fra i denti. «Temo che ora più che mai dovrò affidare la mia vita nelle vostre mani.»

   «Alistair, non azzardatevi!», gridai, terrorizzata alla prospettiva che potesse ricorrere allo stesso stratagemma dell’altra volta.

   «Avete un’idea migliore? Se sì, vi prego di esporla subito: ci tengo a non morire qui, sapete?»

   «Di che sta parlando?», mi domandò Wynne, senza perdere d’occhio il bestione.

   Mi morsi un labbro. «Quel pazzo vuole farsi ammazzare.»

   «Non mi ammazzerà nessuno se mi aiuterete di nuovo», ci tenne a precisare lui. «Adesso siete in tre, e scommetto che anche Merlino e le frecce di Leliana mi saranno di grande aiuto.»

   «Che hai in mente?», si affrettò a chiedere Morrigan, notando che l’Ogre aveva preso a camminare verso di noi con aria minacciosa.

   «Quel pachiderma è forte da far schifo», iniziò a spiegare Alistair, «ma è altrettanto lento. Se poteste attaccarlo con i vostri incantesim…» Non fece in tempo a finire la frase, che l’altra alzò le braccia al cielo e ricorse ad una magia a cui io non avrei fatto appello neanche morta per evitare di fare più danni che altro. Sulla cima del suo bastone, un ramo di quercia annerito ma dotato di caratteristiche essenziali per chi, come noi due, faceva ricorso ai poteri della natura, comparve una scintilla, sostituita poi da una piccola sfera fiammeggiante; infine, Morrigan scagliò una palla di fuoco contro il nemico, atterrandolo in un attimo. «Che diav…?!», annaspò Alistair, indietreggiando e, soprattutto, allontanandosi da lei, gli occhi sgranati. «Siete pericolosa, per la miseria!»

   Lei gli fece dono di uno dei suoi migliori sguardi di sufficienza. «Ma non mi dire», lo prese in giro, schioccando le belle labbra. «Credi che possa andar bene così?»

   «Dannazione, sì!»

   «Nimue?», cinguettò Morrigan. «Che ne dici di…»

   Alistair puntò un dito verso di lei con fare provocatorio, interrompendola. «Non mettetele strane idee in testa.»

   Fui sul punto di morderli entrambi. Non lo feci unicamente perché l’Ogre si rialzò, ancora ricoperto di lingue di fiamme, e tuonò una terza volta. Quindi, furibondo, conficcò le grosse dita nel terreno e ne trasse un enorme masso, aprendo un cratere fra lui e noi, pronto a scagliare il suo colpo. Se ci avesse schiacciati sotto quel coso, come minimo ci saremmo trovati con le ossa sbriciolate.

   «Gettatevi di lato!», ci avvisò Alistair. E noi, come tanti soldatini obbedienti, scappammo in direzioni opposte. Mi sentii trascinare via da Leliana e da Wynne, mentre Merlino e gli altri nostri compagni scattavano dall’altro lato. Il macigno volò oltre le nostre teste, schiantandosi lontano. «Gli Ogre sono degli idioti», riprese con le sue lezioni sulla Prole Oscura quello che, a conti fatti, potevamo chiamare maestro. «Quando lanciano qualcosa, state pur certi che punteranno sempre dritto, davanti a loro.»

   Non gli fu consentito di continuare il suo addestramento teorico sul campo, che il nostro avversario stava di nuovo caricando contro di noi. Stavolta fu Wynne a prendere l’iniziativa: visto che l’Ogre era in grado di usufruire di rocce ricavate dal suolo, si rimise velocemente in piedi e, decisa, anche lei invocò l’aiuto della terra, scagliando contro di lui un grosso proiettile di pietra. Riuscì ad abbatterlo.

   Alistair fischiò, ammirato. «Confesso che in questo momento mi sento davvero un pivello.»

   «Magari è perché lo sei», replicò la figlia di Flemeth, eseguendo con estrema eleganza una Stretta Invernale. Era così, sempre: ogni volta che ricorreva alla magia, Morrigan sembrava danzare. Avrebbe fatto innamorare chiunque, e perciò continuavo a domandarmi come diavolo facesse, Alistair, a resistere al suo fascino. Fossi stata al posto suo, e con un po’ di faccia tosta, non avrei perso tempo a farle una corte spietata.

   Fu vedendola far ricorso al ghiaccio, comunque, che a Leliana venne un’idea. «Se lo congelaste, dopo potreste farlo a pezzi con il colpo di prima!»

   «Ottimo consiglio», considerò Wynne. «Dopo di voi, Morrigan.»

   Lei non se lo fece ripetere due volte, e subito rinchiuse l’Ogre in un Cono di Freddo che lo tramutò in una grottesca statua di ghiaccio, infranta poco dopo da un secondo Pugno di Pietra. Ma lo scontro non era affatto concluso, anzi. I frammenti del mostro tremolarono per qualche istante, poi si levarono in alto, disponendosi in una colonna che vorticava attorno a se stessa, ed infine si ricompattarono, fumando e rinsaldandosi in una nuova creatura: un Demone dell’Ira.

   «Lo ammazzo io! Lo ammazzo io!», urlai come una pazza, nonostante fossi ancora costretta al suolo dalla botta riportata a causa della caduta presa nella fuga. Ne avevo fin sopra i capelli di demoni, e se fosse dipeso da me, avrei fatto man bassa delle loro teste prima di tornare alla realtà.

   «Taci, stupida», mi rimbrottò Morrigan, per nulla stanca di ricorrere ai propri poteri. «Il gelo è la soluzione migliore in questi casi.» Ed era vero. Appuntai di imparare assolutamente almeno gli incantesimi basilari di quell’elemento, perché ogni volta che avevo a che fare con un Demone dell’Ira, il cui corpo è coperto interamente di fiamme, mi toccava fare almeno il doppio della fatica per sconfiggerlo. Morrigan ci mise praticamente un battito di ciglia, e se da un lato la cosa mi fece esaltare, dall’altro mi innervosì ulteriormente.

   Anche questa volta, tuttavia, il nemico tornò alla carica, cambiando di nuovo forma: adesso avevamo a che fare con un Abominio. E dopo l’Abominio, dovemmo vedercela con un’Ombra ed un Orrore Arcano prima che il nostro avversario si decidesse a presentarsi a noi con le sue vere sembianze, quelle di un Demone della Pigrizia, lo stesso che aveva tramutato in un Abominio il mago che ci aveva spediti nell’Oblio e che ci teneva intrappolati laggiù.

   La prima volta in cui mi ero imbattuta in un Demone della Pigrizia, non solo non ci avevo dovuto combattere, ma per di più Topo mi aveva dato alcuni consigli utili al riguardo. Per l’esattezza mi aveva messa in guardia dalla più pericolosa delle sue caratteristiche: la Bufera, capace di congelare o, peggio, uccidere sul colpo.

   «Non dategli il tempo di lanciare incantesimi!», avvertii il gruppo, spaventata per quello che sarebbe potuto accadere. «Alistair, fatevi sotto e massacratelo!»

   «Agli ordini, capo», scattò lui all’istante, lanciandosi in una corsa eroica verso il nemico insieme a Merlino. Anche Leliana tese l’arco, prendendo la mira e scoccando la prima freccia. Dal canto mio, mentre Wynne si adoperava con la magia guaritrice per dare soccorso alla nostra prima linea, mi appellai al Fulmine, concentrando l’elettricità soltanto sull’avversario, benché, così facendo, la potenza del mio colpo ne risentisse parecchio. Ma se mi fossi del tutto abbandonata ai miei poteri, suppongo che Alistair, ridotto ad un omino abbrustolito con piccole saette azzurrine fra i capelli, mi avrebbe come minimo picchiata, non appena finito lo scontro. E con deliziata cattiveria.

   Riuscimmo ad avere la meglio. L’incubo era dunque finito.

   L’ennesimo portale si aprì davanti a noi, e senza neanche curarci di riprendere fiato ci gettammo oltre quella soglia, tenendoci ben stretti gli uni agli altri per non disperderci una seconda volta. Ritrovammo Niall, che quando mi vide rimase a bocca aperta per lo stupore.

   «Ce l’avete fatta?»

   «Ve l’avevo detto che non sarei rimasta qui», risposi, aggrappata sempre a Leliana.

   Lui scrutò con crescente desiderio un nuovo passaggio che si era improvvisamente venuto a creare in quella porzione di Oblio. «Sapete… Si è formato poco fa», mi spiegò. «Forse adesso è davvero possibile uscire da questo posto.»

   «Venite con noi?»

   «Oh, no, non posso», scosse il capo Niall, assumendo un’espressione mesta e rassegnata. «Ve l’ho detto, per me ormai è tardi. Ma voi potete. Fatelo finché siete in tempo.»

   Lo fissai con sincero dispiacere. «Prima o poi ci rivedremo.»

   «Se vi capiterà di nuovo di passare da queste parti, forse», fece spallucce, un sorriso appena accennato ad increspargli le labbra. «Ricordatevi della Litania di Adralla. Vi aiuterà contro Uldred.»

   Annuii. «Grazie, Niall.»

   «Proteggete il Circolo e tutti coloro che sono rimasti lì», ci pregò lui. «E, soprattutto, state attenti.»

 

Il risveglio sul lurido pavimento di pietra della Torre fu una delle cose più piacevoli che ricordo di quella maledetta avventura. L’Abominio era svanito, adesso, e al suo posto vi era il cadavere storpio e rigonfio di un mago del quale nessuno avrebbe potuto riconoscere l’identità. Pensai con tristezza a quanti di noi avevano avuto quell’identico, sventurato destino, e cercai con lo sguardo il corpo di Niall. Era riverso al suolo, gli occhi e la bocca spalancati per il dolore e la paura. Mi venne quasi da piangere. Nella mano destra, chiusa a pugno, stringeva qualcosa: la Litania. Fu Wynne a prenderla per me.

   «Affrettiamoci», disse. «Non possiamo permetterci altre perdite di tempo. La sala del Tormento è proprio qui sopra.»

   Fuggimmo da quella stanza degli inganni e proseguimmo lungo il corridoio che ci avrebbe portato all’ultima scalinata della Torre. Sul fondo di esso, tuttavia, vi era una strana luce rosata: una prigione magica, e al suo interno vi erano due templari. Il primo sembrava già morto, il secondo era invece in ginocchio, le mani giunte davanti a sé in segno di preghiera. Lo avrei riconosciuto fra mille.

   Scivolai via dalla stretta di Leliana e zoppicai quanto più velocemente potei verso di lui, il cuore in gola, il naso che mi pizzicava per le lacrime che sentivo farsi imminenti.

   «Dove andate?», tentò di fermarmi la mia compagna, rincorrendomi ed acciuffandomi per una manica della tunica. La scacciai, protendendomi sempre più verso l’uomo che, evidentemente, gli altri non avevano ancora inquadrato bene.

   «Cullen?», osò a quel punto Wynne, intuendo la ragione della mia agitazione.

   «Cullen!», chiamai io, ritrovando la voce, seppur malferma.

   Lo vidi alzare la testa nella nostra direzione, studiandoci uno per uno. Infine, quando fummo a pochi passi di distanza, il templare sbarrò gli occhi. «Voi…?», rantolò, smarrito, mentre io mi accucciavo davanti a lui.

   «State bene?», iniziai, avvertendo la speranza rinascere in seno. Era salvo, non sembrava ferito né, soprattutto, vittima di alcun incantesimo. Qualcuno aveva eretto una barriera magica attorno a lui per impedirgli di salire in cima alla Torre.

   Fu sul punto di muoversi verso di me, ma poi cambiò bruscamente idea, lanciando un urlo. «Vattene!», tuonò, facendomi sussultare. «Vattene, visione!»

   «Cosa…? No, no! Cullen! Sono io!», mi precipitai a rassicurarlo, cercando di prendergli le mani fra le mie. Mi scacciò con un gesto violento. «Cullen…»

   «Io lo so», riprese umettandosi le labbra con la lingua, le dita serrate fra loro così forte da tremare, le pupille fisse sul mio viso. Mi guardava in modo spaventoso. «Lo so che sei una visione. Va’ via, demone!»

   «Cullen!», esclamai ancora, iniziando ad agitarmi seriamente. «Sono davvero io! Sono Nimue! Sono venuta a…»

   «No!», ribatté vigorosamente, mettendomi a tacere. «Tu sei solo una visione! Sei la giusta punizione! Sì, la punizione per il mio peccato! Per l’essermi infatuato di una maga!»

   Per molti mesi avevo aspettato il momento in cui Cullen mi avrebbe confessato i suoi sentimenti, senza tuttavia aspettarmi che lo facesse davvero. Sarebbe stato controproducente per entrambi. Eppure avevo covato una minima, flebile speranza nel cuore, foss’anche stato solo per egoistico autocompiacimento. Adesso, finalmente, aveva fatto il grande passo. Avrei potuto esserne felice, nonostante tutta la miseria che si era abbattuta sulla Torre, se non avesse pronunciato quelle parole con un disprezzo talmente sentito che mi fece male. Tanto da ridurmi al silenzio, tanto da impedirmi di respirare per qualche attimo.

   Dunque, Cullen non mi vedeva come una fanciulla degna del suo amore – o della sua passione che fosse – ma come la più terribile delle tentazioni. A ben guardare, forse mi considerava alla stregua di un Demone del Desiderio. Lo avrei accettato, perché un templare ha dei doveri verso la Chiesa, perché fa giuramento di castità. Però lui non mi vedeva soltanto come una tentazione dalle forme arrotondate. Per Cullen ero maledetta. A causa della mia magia. Come se io avessi avuto colpe, come se io avessi potuto scegliere di non essere più quella che ero: un elfo e una maga, la creatura più aberrante agli occhi di un umano fermamente devoto alla Chiesa.

   Non capivo se il suo risentimento fosse verso ciò che rappresentavo o se piuttosto verso se stesso, caduto vittima di un fascino che non avevo mai voluto veramente esercitare su di lui; ma quella sua reazione mi svuotò completamente di ogni energia. Due braccia mi avvolsero le spalle, ed io riconobbi il tocco premuroso di Wynne. Nascosi il volto contro il suo petto, incapace di reggere ancora lo sguardo disgustato di quell’uomo che ormai non riconoscevo più.

   «Cullen, non è una visione», provò a dissuaderlo allora lei, più calma.

   Fu a quel punto che l’altro cominciò a convincersi che dicevamo il vero, perché adesso non ero più io a mettere alla prova la sua fede. «Voi… Non siete una visione?»

   «No», ripeté Wynne. «Siamo qui per liberare la Torre dai demoni.»

   «Non ci riuscirete», la mise in guardia Cullen. Non potevo più vederlo, ma adesso potevo sentire l’ansia nel tono della sua voce. «La Torre è perduta. Il Primo Incantatore è sicuramente morto. Bisogna uccidere tutti i maghi rimasti.»

   «Non dite assurdità. Non tutti i maghi sono malvagi.»

   «Sono creature spaventose. Sono dei mostri. Con tutto quel potere… potrebbero distruggere ogni cosa in un lampo», insistette, rigirando con cattiveria il coltello nella piaga che mi aveva procurato al cuore. «Non avete visto cosa hanno combinato qui? Estirpare il male alla radice è l’unica soluzione.»

   «Riuscireste davvero ad uccidere lei?», s’innervosì a quel punto Wynne, mentre anche Morrigan adesso si lasciava andare ad una furiosa imprecazione contro di lui. Non ero sicura di voler sapere la risposta. Mi abbandonai ad un fremito e ad un silenzioso singhiozzo, ma non piansi.

   Cullen non disse nulla. Fu Alistair a parlare al posto suo. «Nessuno farà del male ai maghi che ancora resistono alla corruzione dei demoni», gli assicurò, deciso. «Non lo permetterò.» Era stato cresciuto come un templare anche lui, eppure… che abisso incolmabile!

   «Ma i maghi potrebbero essere trasformati in Abomini!»

   «Uccidereste anche delle persone innocenti per non correre questo rischio? Davvero lo fareste?»

   «Io non…»

   «Dov’è Uldred?», domandò Wynne, interrompendo la discussione.

   «Qui sopra, nella sala del Tormento», mormorò Cullen dopo qualche secondo di esitazione, sollevando quantomeno i dubbi su un eventuale spostamento del nostro avversario principale. «Potrebbe essere troppo tardi.»

   «Ci proveremo comunque.»

   «Se è così che avete deciso… Possa il Creatore vegliare su di voi», si arrese alla fine, benché a malincuore.

   «Nimue?» Sbirciai timidamente verso Alistair che si stava accovacciando al mio fianco. I suoi occhi gentili indagarono nei miei con paura e tristezza. «Ce la fate a camminare? C’è un’ultima scalinata da salire.» Annuii lentamente, ma quando provai a reggermi in piedi, vacillai. «Vi porterò io fino alla sala del Tormento», si offrì allora, passandomi delicatamente un braccio dietro la schiena. Mi allungai verso di lui senza riuscire a parlare, abbandonandomi alle decisioni dei miei compagni. Quindi, rifiutandomi di guardare ancora Cullen, lasciai che Alistair mi conducesse via da lì.

 

Quando Wynne aveva parlato di Uldred per la prima volta, quella notte, mai avrei collegato quel nome a quell’uomo alto e dalla testa calva. Lo conoscevo da tempo, sebbene, per chissà quale capriccio del destino, non avessi mai memorizzato come si chiamasse. E lo conosceva anche Alistair: Uldred era il rappresentante del Circolo che avevamo visto al concilio di guerra quando ci era stata affidata la missione di accendere il fuoco sulla Torre di Ishal, poco prima che Ostagar cadesse. Non avevamo idea che si fosse salvato anche lui. Peggio, non avevamo idea che quella discussione avuta con la Venerata Madre a cui lo aveva spinto indirettamente lo stesso Alistair nel momento in cui ci eravamo incontrati per la prima volta, avrebbe portato a questo. Ad una ribellione contro la Chiesa tutta. Ad un tradimento verso chi si fidava del Circolo.

   La sala del Tormento è strutturata in modo circolare. Lì si radunano parte dei templari presenti alla Torre quando uno degli apprendisti viene ritenuto in grado di affrontare la prova finale del suo corso di studi. Lì fui condotta dal Primo Incantatore diverse settimane prima, spaventata all’idea di fallire e di essere uccisa dalla spada di Cullen, al quale, neanche a farlo apposta, era stato dato ordine di intervenire se io avessi stoltamente liberato uno dei demoni dall’Oblio.

   Quello che trovai ad accogliermi adesso lassù, però, fu uno spettacolo assai diverso, che mi suscitò un terrore molto più forte e decisamente straziante: sotto lo sguardo di svariati, impotenti maghi ed incantatori, compreso Irving, Uldred e due Abomini circondavano un giovane, costretto in ginocchio ed impossibilitato a muoversi per la tortura a cui lo stavano sottoponendo. Ad un tratto lo sollevarono da terra, ed Uldred si avvicinò a lui prendendogli il viso con una mano.

   «Accetti il dono che ti sto offrendo?», gli domandò con fare allettante.

   Il ragazzo annuì. Se per paura di morire o se per scarsa volontà spirituale era impossibile stabilirlo. L’altro lo lasciò andare, e la magia che lo teneva prigioniero in catene invisibili venne meno, facendolo crollare al suolo, privo di ogni forza. Uldred lo scrutò dall’alto per qualche istante; quindi, appellandosi ai suoi poteri, terribili e di certo di provenienza demoniaca, scagliò su di lui un sortilegio. Il corpo del giovane iniziò a tremare, poi a muoversi come in preda a convulsioni; infine, circondato da una luce sinistra, prese a gonfiarsi, trasformandosi lentamente in un raccapricciante Abominio, i cui tratti storpi erano resi nauseabondi dalla carne viva e ridotta in brani.

   Incapace di resistere oltre, Wynne si fece avanti. Io la seguii ancora aggrappata ad Alistair e al mio bastone. Il triste ricordo di Cullen era sparito di colpo dalla mia mente, ed io ero tornata alla realtà più urgente ed importante.

   Non fu su Wynne, tuttavia, che Uldred concentrò la sua attenzione. «Mi ricordo di te», sorrise con fare arrogante, puntando i piccoli, malvagi occhi scuri nei miei. «L’apprendista che Irving amava più di tutti. Quella su cui aveva riposto ogni sua speranza, spedendola fra i Custodi Grigi.» E fino a quel momento non gliel’avevo granché perdonata, come decisione. Ma dato quanto era accaduto a Kinloch Hold, ormai non faceva più alcuna differenza. «Uldred non l’ha mai pensata allo stesso modo, e di certo neanch’io riesco a vedere tutta questa particolarità in te.» Se Uldred parlava in terza persona riferendosi a se stesso, significava solo una cosa: un demone si era impadronito di lui, e non era difficile intuire quale, vista la boria manifestata, vista la sua assoluta convinzione di poter dominare la magia senza ricorrere alla vigilanza costante della Chiesa. Sperai che tutto questo servisse a Morrigan come ammonimento.

   «Fermate immediatamente questa carneficina», gli intimò Wynne a gran voce, distogliendolo dalla mia figura. La mia amica era tesa più che mai, le mascelle serrate, le labbra livide per la rabbia. Non dubitavo del fatto che avrebbe preferito morire pur di impedire a quel criminale di continuare quella strage.

   Uldred rise. «E perché mai? Proprio ora che sono ad un passo dalla vittoria?»

   «Quale folle chiamerebbe così questo scempio?», ringhiò ancora Wynne, disgustata. «No», scosse il capo violentemente. «Non vi permetteremo di fare altre vittime.»

   «E chi me lo impedirà, voi?» Fu solo quando mettemmo mano alle armi che l’uomo davanti a noi comprese che facevamo sul serio. Oltre che della mente, lo spirito si impadronì anche del suo corpo, quindi, ed il Demone della Superbia fece la sua comparsa, enorme, maestoso, simile ad un Ogre ma molto, molto più terrificante. È il peggiore fra i demoni mai comparsi nel Thedas fino ad oggi, di gran lunga più potente del già temibile Demone del Desiderio.

   Neanche si fossero messe preventivamente d’accordo, Morrigan e Wynne combinarono i loro incantesimi allo stesso modo con cui si erano occupate della prima forma con cui si era manifestato il Demone della Pigrizia nell’Oblio, e ghiaccio e terra sistemarono in pochi istanti due degli Abomini che si stavano scagliando contro di noi. Del terzo si occuparono Alistair, Leliana e Merlino, mentre a noi maghe toccava fronteggiare l’avversario più forte per ovvie ragioni.

   Vedendosi in inferiorità numerica perché privato dei suoi fidi sgherri, il demone tese una zampa verso uno dei maghi che, addossati gli uni sugli altri, assistevano inermi alla battaglia. «La Litania!», mi gridò Wynne. «Vuole trasformarlo in Abominio!»

   Con mani tremanti, cacciai fuori dalla tunica in cui l’avevo nascosta la Litania di Adralla, il canto che avrebbe scongiurato quel pericolo. Non avevo idea di come usarlo, per cui mi limitai a strillare a pieni polmoni le parole che erano scritte sulla pergamena che Niall aveva ottenuto da Owain prima di morire. Se era vero che ero piena di talento come credeva il Primo Incantatore, allora mi sarebbe bastato questo per averla vinta. Funzionò, difatti, incrementando la furia di Uldred, che si avventò su di noi, riuscendo ad atterrare Alistair e Leliana in un sol colpo. Era fortissimo, ma lento nei movimenti, e finché non avesse fatto ricorso alla magia, avremmo potuto comunque tenergli testa, forse sconfiggerlo. Ricorremmo uno dopo l’altro all’intorpidimento dei sensi, alla paralisi, al congelamento e a tutto ciò che ci potesse consentire di renderlo inerme, seppur per poco, e di ferirlo abbastanza gravemente da obbligarlo a diminuire la potenza e la frequenza dei suoi attacchi. Una folata di fuoco si abbatté su di noi, facendoci urlare, benché non ci procurò poi tutti quei danni che avevamo inizialmente temuto.

   Non ricordo con esattezza quanto durò quel maledetto scontro, so solo che alla fine di esso mi ritrovai quasi senza voce a furia di urlare per impedire che nuovi Abomini facessero la loro comparsa sul campo di battaglia. Quando il Demone della Superbia crollò al suolo, morto insieme ad Uldred, la forza nelle gambe mi venne definitivamente meno, ed io mi accasciai a terra, stringendo ancora fra le dita la Litania, bruciacchiata sui bordi. Merlino trotterellò da me, strofinando il naso umido contro la pelle del mio viso. Infastidita, alzai la testa per farlo smettere, e mentre gli passavo una carezza sul muso con fare esausto, mi accorsi con sollievo che nessuno dei miei compagni aveva riportato ferite serie. Mi guardai attorno, stordita, come se non fossi io, come se tutto quello che adesso si parava davanti alla mia vista fosse vissuto da qualcun altro. Mi sentivo esausta, distante dal mondo. Le vertigini mi costrinsero a chiudere le palpebre ed io fui sopraffatta da un piacevole intorpidimento generale. Era tutto finito.

   «Irving, state bene?» La voce di Wynne mi giunse lontana. Ci avrebbe pensato lei, ora. Potevo concedermi qualche minuto, giusto? Ero stata brava, dopotutto. Avevo faticato più degli altri, laggiù nell’Oblio. Potevo lasciarmi finalmente andare.

   Quando Alistair iniziò a tirarmi su di peso, avrei voluto morderlo. «Usciamo da questo posto», mi disse piano. «I templari, di sotto, non sanno che si è concluso tutto per il meglio. Evitiamo di dargli la possibilità di fare irruzione e di uccidere i sopravvissuti. Noi compresi, magari.»

   «Mi fa male la gamba», biascicai capricciosamente. Non volevo saperne di muovermi da lì.

   «A me il braccio, ma la vostra gamba è senza dubbio più graziosa, avete ragione. Bisogna assolutamente salvarla», cercò di persuadermi.

   «Ho sonno…»

   «Dormitemi pure addosso, se vi fa piacere. Anche se sonnecchiare a testa in giù vi farà sembrare un opossum.»

   Quella osservazione mi fece riaprire gli occhi, e fu allora che mi resi conto di essere stata di nuovo issata sulla sua spalla come un sacco di patate. Dietro di noi, Leliana chiudeva la fila insieme a Merlino, reggendo il mio bastone e ridendo per le battute del nostro compagno. «Dov’è il Primo Incantatore?»

   «Ci cammina davanti insieme a Wynne e agli altri maghi», rispose Alistair, iniziando a scendere cautamente le scale affinché non ci rompessimo entrambi l’osso del collo. «Beh… Per voi è diverso. Vi cammina davanti al fondoschiena.»

   «Ho voglia di picchiarvi», gli feci sapere con un gemito.

   «Vi voglio bene anch’io», rispose lui. Lo picchiai sul serio, e, se solo ne avessi avuto la forza, avrei continuato a farlo fino a che non ebbi udito di nuovo la voce di Cullen, piena di meraviglia per quello che eravamo riusciti a fare. «Non pensateci», mi sussurrò Alistair, serio. «Probabilmente quello che ha detto prima non lo pensava davvero. Era solo sopraffatto dal dolore per la perdita dei suoi amici templari.» Forse era realmente così. Tuttavia Cullen aveva ormai esternato i suoi combattuti sentimenti nei miei confronti. Non c’era modo di cancellare quel ricordo dalla mia memoria. Non c’era niente da fare, come avevo sempre sospettato. Ormai non riuscivo più a vederlo con gli stessi occhi di prima. E, sembrerà strano, neanche me ne importava. Non ora che avevo ritrovato un minimo di pace, non ora che i miei compagni si affrettavano a starmi vicini il più possibile. La premura iniziale di Wynne, il calore del corpo di Alistair, il sorriso di Leliana, la consapevolezza che il Circolo era salvo e che il Primo Incantatore era vivo… mi bastavano quelli. Non mi sarei neanche sprecata ad odiare Cullen, non avevo tempo per farlo. Ero un Custode Grigio, ed il primo dei miei pensieri doveva essere proteggere il mondo dal Flagello. Non sapevo ancora bene come fare, ma fintanto che avessi avuto la guida di Alistair e l’appoggio del nostro piccolo gruppo, avrei per lo meno vissuto i miei ultimi momenti con rassegnata tranquillità. E vista la situazione in cui mi trovavo, potevo auspicare qualcosa di meglio?

   «Ce l’hanno fatta davvero?», annaspò Cullen, ora libero dalla prigione in cui era stato costretto fino a quel momento.

   «Come potete vedere», annuì il Primo Incantatore, seppur a fatica. Era molto anziano, non c’era da stupirsi che fisicamente avesse risentito di quella disavventura più degli altri. «Wynne e Nimue hanno salvato il Circolo insieme ai loro amici. Abbiamo un debito incolmabile nei loro confronti.»

   «Debito che potrà essere saldato se li arruoliamo tutti nelle nostre file», sentii canticchiare sommessamente Morrigan da qualche parte, pensando già al profitto che ne avremmo tratto. «Li avete ancora i documenti dei Custodi, voi due?»

   «Certo che sì», replicò Alistair. «Ma è meglio rimandare la discussione a più tardi.»

   «Andiamo, adesso, gli altri templari stanno aspettando», proseguì Irving. «Greagoir ha il diritto di sapere che la Torre è di nuovo sotto il nostro controllo. Oh… Signorina, per favore, aiutatemi a camminare, sono sfinito.»

   «Appoggiatevi pure a me», si affrettò ad accontentarlo Morrigan, con voce deliziata. Immaginavo che la divertisse come una pazza il pensiero che l’ignaro Primo Incantatore del Circolo dei Magi del Ferelden chiedesse l’aiuto di un’eretica.

   «Non mi pare di avervi mai vista qui…»

   «Vengo da Orlais», fu la risposta pronta che diede. «Dal Circolo di… ehm…»

   «Montsimmard», le suggerì Wynne, pacata.

   «Proprio quello.»

   Che avesse intuito la verità su Morrigan, decidendo tuttavia di chiudere un occhio, visto l’aiuto che ci aveva dato? Lo speravo davvero, o avremmo passato tutti dei grossi, grossissimi guai.

   Ad ogni modo, quando fummo di sotto, Greagoir manifestò uno stupore maggiore persino di quello di Cullen quando ci vide arrivare insieme ad Irving. Il capo dei templari della Torre, dopotutto, non ci aveva forse detto che avrebbe accettato di ritirare la richiesta di Annullamento soltanto se il Primo Incantatore in persona gli avesse giurato che quel luogo era tornato ad essere un posto sicuro? Ebbene, gli avevamo portato Irving, vivo e vegeto, e questi non tardò a spiegargli che tutto era finito, che Kinloch Hold non era più in pericolo e che Uldred ormai era morto.

   «Uldred ha torturato questi maghi, sperando di tramutarli in Abomini. Non sappiamo quanti di loro lo siano diventati», prese di colpo parola Cullen, che ci aveva seguito.

   «Cosa?», stentò a crederci Irving. «Non siate ridicolo!»

   «È logico che parli così! Potrebbe essere un Mago del Sangue! Non avete visto cosa hanno fatto?», domandò il più giovane al proprio superiore, con fare agitato. Avrei voluto sputargli in un occhio. «Non permetterò che accada di nuovo!» Magari in tutti e due.

   «Sono io che comando qui, non tu», gli ricordò a quel punto Greagoir, mettendolo finalmente a tacere. «Irving?»

   «Ricostruiremo il Circolo», affermò lui, deciso. «Abbiamo imparato molto da questa tragedia e ne siamo usciti più forti e compatti.»

   «Se mi assicurate questo, io vi credo.»

   Cullen tornò a protestare, scandalizzato. «Potrebbero essere posseduti da un demone! Un demone sopito, che attende di uscire allo scoperto!»

   «Basta così! Ho già preso la mia decisione», tuonò Greagoir, irritato. Si volse verso di me, che ora me ne stavo con i piedi a terra, aggrappata sia a Leliana che ad Alistair perché incapace di reggermi del tutto da sola. «Grazie», mi disse sincero. «Avete dato prova di essere amica sia dei maghi che dei templari.»

   «Io… ho fatto solo il mio dovere», mormorai. «Più per coscienza che altro.» Quella risposta piacque molto a Wynne, che mi sorrise di cuore. «Tuttavia… Odio dovervelo chiedere in un frangente simile, ma i Custodi Grigi hanno bisogno di aiuto.»

   Vidi lo smarrimento sui volti dei presenti, ed io mi domandai se anche Irving e Greagoir fossero caduti nel tranello delle bugie di Loghain o meno. «Che genere di aiuto?», vollero sapere. Alzai lo sguardo su Alistair, e lui subito obbedì mettendo mano ai trattati che avevamo recuperato nelle Selve Korcari per conto di Duncan. Gli altri li analizzarono attentamente. «Sono autentici», garantì Irving.

   «I templari non possono muoversi da qui, specie se il Circolo dovrà essere ricostruito», si scusò Greagoir con un sospiro. «Ciò non toglie, comunque, che i maghi sono liberi di aiutarvi, se lo desiderano. Ora scusatemi, ma andrò a sincerarmi di persona delle condizioni in cui si trova la Torre», aggiunse infine, iniziando ad allontanarsi insieme ad un piccolo gruppo di soldati, tra i quali figurava anche Cullen.

   «Il minimo che possiamo fare è aiutarvi contro la Prole Oscura», ci garantì allora il Primo Incantatore. «Non sono di certo sopravvissuto a tutto questo per essere poi ucciso dal Flagello. Siamo rimasti in pochi, ma siamo forti. Voi ne siete un esempio lampante», disse poi, guardandomi e facendomi arrossire come tutte le volte che cominciava a lodarmi davanti a tutti. Odiavo quando succedeva. «Come Primo Incantatore, vi do la mia parola. Il Circolo dei Magi si unirà ai Custodi Grigi nella battaglia.»

   «Irving, ho una richiesta», intervenne a quel punto Wynne. «Vorrei poter seguire i Custodi.»

   Questa sarebbe stata senza dubbio un’ottima cosa.

   «Ma noi abbiamo bisogno di voi. Il Circolo ha bisogno di voi», fu la debole opposizione dell’altro.

   «Vi ringrazio per la fiducia e l’affetto», replicò lei. «Tuttavia credo che il Circolo se la caverà benissimo anche senza di me. Ha voi, dopotutto.» Irving tentennò per un attimo, ma non parlò. «Questi ragazzi sono coraggiosi e di buon cuore. Sono capaci di grandi cose», continuò Wynne. «Se lo accetteranno, offrirò loro tutto l’aiuto che posso affinché raggiungano con successo i loro obiettivi.»

   Alistair ed io ci scambiammo un rapido sguardo, e dal momento che lui mi sorrise, non esitai nella mia risposta. «Saremmo onorati di avervi al nostro fianco, Wynne.»

   Il Primo Incantatore si concesse un lungo sospiro. «Vi permetterò di seguirli, se lo vorrete», concesse quindi alla mia amica. «Ma ricordate che questa sarà sempre la vostra casa.»

 

Fummo costretti a rimandare la partenza per diverse ore, e non potevamo fare altrimenti. Eravamo tutti sfiniti. Adesso che era tornata la calma, mi obbligarono a stare distesa, o al massimo seduta, così che potessero curarmi a dovere la ferita più grave; era impensabile, infatti, che potessi rimettermi in viaggio in quelle condizioni, né potevo costringere quel poveretto di Alistair a sobbarcarsi il mio peso fino a Redcliffe. Avevamo parlato di Connor ad Irving, e lui si era offerto di venire con noi fino al castello per scacciare il demone e liberare così il bambino da ogni altro spirito maligno.

   Leliana rimase a farmi compagnia per tutto il tempo, per cui ci fu concessa l’occasione di discutere di alcune cose. E a dimostrazione di come entrambe non vedessimo l’ora di farlo, iniziammo a parlare quasi contemporaneamente. Si scusò di nuovo per aver diffidato di me nell’Oblio, ed io le assicurai che non me l’ero presa nella maniera più assoluta.

   «Posso chiedervi una cosa?», cominciai poi, cercando di resistere alla sonnolenza, non appena fummo lasciate da sole. Lei non ebbe niente da obiettare. Non volevo indagare subito sul suo passato di bardo, benché confesso che la cosa mi incuriosisse parecchio; per cui mi concentrai su altro con il proposito di conoscerla meglio prima di giungere a conclusioni affettate. «Com’era la vita in convento?»

   «Tranquilla, silenziosa. Quello è senza dubbio il luogo ideale per chiunque voglia dedicarsi unicamente alla preghiera», prese a rispondere, serafica. Una delle cose che mi piacevano di Leliana era che anche se era spaventata, arrabbiata o perplessa, non alzava quasi mai la voce, che invece conservava un’invidiabile calma, capace di rilassare chiunque l’ascoltasse. «Anche se non sempre era piacevole», aggiunse senza problemi. «I frati, lì, sono convinti che il Creatore non abbia tempo per preoccuparsi di tutto e di tutti. A volte sembravano deridere il mio modo di vedere le cose.»

   «Non è bello deridere gli altri, a prescindere da ciò in cui si crede.»

   Mi sorrise. «Grazie.»

   «Ho solo detto quello che penso», precisai. Non mi piaceva fare complimenti gratuiti, e di certo non agli amici o alle persone che consideravo importanti. Agendo in modo differente, avrei avuto l’impressione di apparire ipocrita a me stessa prima ancora che a loro. «Voi come vedete il Creatore?»

   «Come Colui che si manifesta attraverso il mondo che ci circonda», spiegò Leliana. «Io… vi ho seguita anche per questo.»

   «Non per via del sogno?»

   Annuì. «Le cose sono collegate.»

   «In che modo?»

   Rimase in silenzio per qualche istante, forse per convincere se stessa che avrei prestato attenzione alla sua storia senza minimamente considerare l’ipotesi di prenderla in giro. «Quando ero a Lothering sognai un’oscurità soffocante, capace di spazzare via ogni cosa, persino i raggi del sole.»

   «Avete sognato il Flagello?»

   «Non vedo che altro potesse essere», confermò. «Quando il buio aveva ormai avvolto tutto, io iniziai a cadere nel vuoto. Mi sentii perduta.»

   «L’altra volta però mi avevate parlato di un simbolo di luce o di qualcosa del genere», le rammentai non appena si fermò di nuovo.

   «È vero», disse, tornando a curvare verso l’alto le piccole labbra carnose. «Mi svegliai in quel momento», proseguì nel suo racconto. «E quando uscii all’aria aperta per riprendermi da quello stato di smarrimento, il mio animo inquieto fu di colpo illuminato da un segnale. Sono sicura che fosse del Creatore.» Non ebbi tempo di chiederle cosa intendesse, che lei stessa saziò la mia curiosità. «Da una pianta morta era spuntata una rosa. Un’unica rosa, capite? Vera. Viva. Splendida.» Adesso i suoi occhi erano pieni di entusiasmo. «Come poteva essere nata da una pianta morta? Era quello il segno, ne sono certa. La rosa era la luce, la speranza che possiamo ancora fare qualcosa per questo mondo.»

   In qualche modo la passione con cui pronunciò quelle sue parole riuscì a farmi venire la pelle d’oca. «E io… che c’entro con questa rosa?»

   «Voi Custodi Grigi siete la luce, capace di spazzare via l’oscurità che sta per abbattersi su di noi», mi rispose senza indugio Leliana.

   Battei più volte le palpebre, confusa. Da un lato, quello più irrazionale, la capivo; dall’altro, però, non riuscivo davvero a collegare quella rosa ai Custodi Grigi. Non volli ferirla, per cui decisi di assecondare il suo fervore religioso; dopotutto, mi dissi, non era da escludere che il Creatore volesse realmente accompagnarci nell’adempimento del nostro arduo compito.

   «Non mi credete?», domandò Leliana, vedendomi in silenzio.

   Le sorrisi per rassicurarla. «Vi crederò, se crederete in voi stessa.»

   «Quello lo faccio già», affermò, determinata. «Non mi importa se la Chiesa non è d’accordo, ma io so ciò che sento e mi fido di ciò che il Creatore infonde nel mio cuore.»

   «Allora io mi fiderò di Lui. E di voi pure.»








Link all'illustrazione originale: http://lilithblack.deviantart.com/art/Cullen-s-rejection-182994922












Aggiornamento anticipato, ma oggi mi girava così. XD Sarà l'euforia di aver concluso il quindicesimo capitolo, ieri. Boh.
Da che parte comincio? Dalla dolcezza di Leliana? Dallo stress post-Oblio? Dagli insulti per Cullen?
Quando ho assistito alla scena in cui questo mentecatto mi ha maltrattato Nimue, avrei voluto entrare nel gioco per spaccargli la faccia, davvero. Lurido cretino che non è altro. +_+ The Mad Hatter, caro, dopo aver letto ciò che quell'idiota ha detto alla mia povera maga, potevo secondo te costruirci su una storia d'amore a lieto fine? Ma col cavolo! Quando creerò un altro personaggio cresciuto a Kinloch Hold, ne farò una Maga del Sangue e lo tratterò malissimo, giuro. +_+ (Da notare: Nimue non porta risentimento, o quasi, verso quel verme, mentre io sì, e tanto.)
Bene, e dopo questo sfogo vi saluto. Ringrazio quindi i lettori, la mia beta Atlantislux (Più che una dedica, ti dovrei fare una statua!), Lara (E adesso, e adesso? Ancora -19? O la barretta dell'approvazione è scesa di nuovo perché Nimue non ha spaccato il setto nasale a Cullen? XD) e a The Mad Hatter per le loro recensioni. ^^
A presto!
Shainareth





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Capitolo 12
*** Introspezione ***







CAPITOLO DODICESIMO – INTROSPEZIONE




Avevo creduto che la notte della battaglia di Ostagar sarebbe stata senza dubbio la peggiore della mia vita, ma una volta messo piede al Circolo dei Magi mi ero dovuta ricredere. Benché avessi dormito un po’, lo stress accumulato mi aveva impedito di riposare a dovere; ogni volta che provavo a chiudere gli occhi davanti a me compariva l’Oblio, con i suoi spiriti, con Niall, con Topo, con Uldred e tutti gli altri demoni. E se per sbaglio riuscivo ad appisolarmi, nei miei sogni venivo circondata dai templari, Cullen mi insultava e poi mi squarciava il petto con la sua spada, già sporca del sangue del Primo Incantatore. La consapevolezza di potersi ora lasciare quell’inferno alle spalle mi consolava molto, e man mano che ci allontanavamo mi sentivo meglio. Anche la ferita alla gamba mi dava meno problemi.

   Viaggiare a bordo di un carro aveva di certo la sua comodità. Ci era stato messo a disposizione dal proprietario della Principessa Viziata, la locanda del molo del Lago Calenhad, dove eravamo stati riaccompagnati sul finire della mattinata e dove il vecchio Kester aveva ricevuto l’autorizzazione a riprendere il proprio mestiere di traghettatore. Mi avevano anche dato degli abiti nuovi, per fortuna, giacché ormai i miei erano irrecuperabili. Si era offerta Leliana di procurarmeli, ed io mi ero quindi adattata e rassegnata ad una gonna corta – e a conti fatti, se dovevo combattere, era decisamente più comodo così –, e siccome, mi aveva detto Wynne, per i primi tempi mi sarebbe rimasto un vistoso livido sopra al ginocchio sinistro, Leliana si era preoccupata anche di trovarmi delle calze lunghe abbastanza da coprirlo. Mi ero chiesta allora se non fosse stato meglio indossare direttamente dei pantaloni, ma Wynne mi aveva subito fatto cambiare idea.

   «Ve la sentireste poi di toglierli davanti a tutti nel qual caso la ferita dovesse riaprirsi e voi necessitaste di cure immediate?» Neanche per l’anticamera del cervello.

   Prima di lasciare il Circolo avevo di nuovo incrociato Cullen. Ci eravamo fissati per qualche attimo, in silenzio e con assoluta inespressività; e quando uno dei suoi compagni gli aveva rivolto la parola, lo avevo sentito farneticare a proposito del fatto che era pentito di non essere stato fuori dalla Torre, a combattere i maghi per difendere gli altri templari.

   «Posso dargli fuoco?», mi aveva chiesto Morrigan con un ringhio. Ero stata costretta a dirle di no, anche perché, se avessi potuto, avrei voluto farlo io stessa. Ma, purtroppo, dopo quanto era accaduto proprio per colpa dei Maleficar, era preferibile evitare altri problemi. Anche solo per non darla vinta a quel… quel…

   Mi ero appena scoperta capace di inventare nuovi insulti tutti per Cullen, roba che mai avrei creduto possibile fino al giorno prima, quand’ecco che Petra, una dei ragazzi che si era presa cura degli apprendisti più giovani del Circolo durante la catastrofe, era venuta a cercarmi.

   «Credete che Wynne stia bene?», aveva voluto sapere con aria assai preoccupata.

   «Considerando la tragedia che ci ha travolti, direi di sì», le avevo risposto con un’alzata di spalle. «Perché me lo chiedete? È successo qualcosa? È malata, forse?»

   «Oh, no», mi aveva rassicurata lei, pur continuando a mostrarsi inquieta. «Solo che, durante lo scontro iniziale, sono stata attaccata da uno degli Abomini, e se non fosse stato per Wynne…», aveva iniziato poi a raccontare, mordendosi un labbro. «Mi ha fatto da scudo ed è stata colpita al posto mio», mormorò con occhi lucidi. «Ho pensato fosse morta.»

   «Vi assicuro che è più che viva», l’avevo subito contraddetta, sperando di calmarla.

   Petra aveva scosso il capo, asciugandosi le palpebre con la punta delle dita. «Avreste dovuto vederla. Era caduta a terra, non si muoveva più, neanche se provavo a chiamarla. Era morta, vi dico.»

   Confusa, avevo osato domandare: «Intendete forse che Wynne è posseduta da qualcosa?»

   «No!», aveva esclamato lei, quasi scandalizzata. Mi aveva presa per un gomito e mi aveva portata lontana dal gruppo dei templari più vicino a noi per evitare che neanche una parola della nostra conversazione potesse arrivare alle loro orecchie. «No, è impossibile», aveva ripreso allora, convinta. «Quando ha riaperto gli occhi, non ho notato la minima anomalia in lei.»

   «Beh, nemmeno io», le avevo garantito. «Mi è parsa la stessa di sempre. E se fosse stata vittima di un demone, posso garantirvi che quest’ultimo avrebbe avuto decine di occasioni per uscire allo scoperto sin da quando abbiamo oltrepassato la barriera creata da lei.»

   Sentendo ciò, Petra aveva cominciato finalmente a rasserenarsi. «Vi prenderete cura di lei, ora che Wynne viaggerà al vostro fianco?»

   «Sempre», le avevo promesso, comprendendo benissimo il suo stato d’animo, martoriato dai sensi di colpa e pieno di affetto per l’anziana insegnante.

   Malgrado ciò, comunque, allo stato attuale delle cose la più debole delle due ero senza dubbio io; tanto che trascorsi parte del tragitto per Redcliffe aggrappata a Wynne, sonnecchiando contro la sua spalla. La sua vicinanza era una delle cose che più mi tranquillizzava, forse perché, nonostante la mia età, avevo bisogno del calore e della dolcezza di una madre. Dopotutto, la mia, chissà se l’avrei più rivista…

 

Arrivammo all’accampamento sull’imbrunire, ed io mi sentii non poco sollevata dal rivedere Bodahn Feddic e suo figlio Sandal, i quali accolsero con sorpresa, ma non certo con malanimo, le nuove presenze: il Primo Incantatore Irving, che sarebbe ripartito per la Torre non appena salvato Connor, e Wynne e Pether, un emissario del Circolo, che sarebbero invece rimasti insieme a noi. Ci concedemmo quindi una sosta, e dal momento che andavo migliorando, decisi di fare due passi prima che scendesse del tutto la notte.

   Sentendo il bisogno di stare da sola, mi allontanai verso la sponda del lago su cui sorgeva Redcliffe, in cerca di quella tranquillità che avrebbe potuto confortare il mio animo inquieto. Camminai lentamente, misurando con andatura incerta la breve distanza fra l’accampamento ed il riposante verde della rigogliosa vegetazione che lambiva lo specchio d’acqua. Il cinguettio degli ultimi uccelli ancora svegli riempiva le mie orecchie, giungendo come un piacevole sottofondo ai pensieri che si accavallavano nella mia mente. La Torre era salva, il Circolo dei Magi sarebbe presto tornato attivo, e la mia reputazione, macchiata a causa di Jowan, era stata riabilitata agli occhi di Greagoir e degli altri templari. Non correvo più alcun rischio con loro, e non soltanto perché ero un Custode Grigio, e quindi immune alle comuni leggi del Thedas. Eppure non ero contenta. Avevo perso dei compagni, e questo mi aveva portato di nuovo a mettere in discussione me stessa davanti alla Chiesa. Checché ne dicesse Morrigan, noi maghi avevamo davvero bisogno del suo guinzaglio. Eravamo troppo pericolosi, continuavo a ripetermi, pur senza mai arrivare a considerarmi alla stregua di un mostro: sarebbe stato come dare ragione a Cullen. Un mostro era tutt’altra cosa. Poteva anche essere un normalissimo essere umano, capace però di pugnalare il proprio migliore amico alle spalle. Come Loghain.

   C’erano in realtà molti modi per ferire gli altri. Ed io lo avevo appena sperimentato come vittima. Anche se mi ero imposta di non darvi più importanza, le parole di Cullen, che ero stata così felice di vedere vivo e in salute, mi erano parse crudeli quasi quanto quelle dei prepotenti che, quand’ero piccola, si intrufolavano nella nostra enclave per prendersi gioco di noi elfi e darci fastidio. L’amore su cui avevo fantasticato da bambina era crollato su se stesso fin da quando ero stata rinchiusa nella Torre del Circolo, perché lì, a parte me, vi erano pochi altri elfi, tutti più grandi, più piccoli o comunque non di mio gradimento. L’idea di crescere in un luogo pieno di umani mi aveva inizialmente atterrita, ma col tempo mi ci ero abituata, scoprendo che non tutti loro disprezzavano quelli della mia razza, anzi. Fra i maghi questo tipo di distinzioni si fanno davvero di rado, specie perché essi non si curano nemmeno delle convenzioni sociali: vivono in una sorta di enclave anche loro, se così si può definire, e si accontentano di quel mondo chiuso e, a tratti, ottuso. Spesso incomprensibile per coloro che vivono al di fuori di esso.

   Io però lì ci ero cresciuta, eppure non mi azzardavo minimamente a pensare di unirmi ad un umano perché, oltre al trauma di mia sorella, a cui invero avevo assistito in prima persona, speravo di tornare dalla mia famiglia non appena mi sarebbe stato possibile. Poi era arrivato Cullen, e vedendomi circondata da amici e amiche che si facevano compagnia a vicenda senza troppi complimenti, e ritrovandomi io nell’età più difficile, quella in cui passavo la maggior parte del tempo a litigare con me stessa, avevo per lo meno finito con l’abbandonarmi alla convinzione che un amore platonico avrebbe potuto aiutarmi, che fosse bastato a rendere il mio cuore autosufficiente – senza però fare i conti con il mio corpo in continua agitazione. Non volevo unirmi ad un umano, e tuttavia il mio sguardo si rivolgeva sistematicamente ad uno di essi. Che non potevo avere. E che, invero, non volevo affatto. Specialmente adesso.

   Ero talmente persa nella miriade di pensieri che mi confondevano la mente, al punto da non farmi quasi accorgere di quello che mi succedeva intorno, che fui sorpresa da una rosa che qualcuno mi stava porgendo. Una rosa bellissima, dai petali color carminio. Mi fissava dal suo occhio centrale, in attesa che io la prendessi fra le dita. Lo feci.

   «Sapete cos’è?»

   «Un… trabocchetto?»

   Alistair, che mi aveva raggiunto fin lì senza ch’io me ne avvedessi, si lasciò andare ad una risata dispettosa. «Vi ho fatto lo sgambetto, eh? Scoprirete che so essere davvero malvagio, se voglio.» Alzai gli occhi su di lui. «Non guardatemi in quel modo scettico, è vero!», esclamò, risentito.

   «Se lo foste, forse Morrigan sarebbe già caduta ai vostri piedi da un pezzo», lo contraddissi. «E non per la puzza.» Vidi la sua espressione mutare radicalmente. «Per il Creatore, no!», mi affrettai a rassicurarlo. «Non prendetemi alla lettera! Stavo scherzando!»

   Finse di annusarsi un’ascella. «Ecco, anche perché ho fatto il bagno proprio poco fa. Sarebbe un record arrivare a puzzare quanto il vostro cane in così poco tempo.»

   «Ognuno ha il suo odore, date retta al mio nasino da elfo», gli spiegai, soffermandomi ad osservare i suoi capelli umidi.

   «Il mio com’è?»

   Mi concessi qualche secondo per trovare la parola adatta. «Speziato», risposi infine, cercando un compromesso.

   Inarcò un sopracciglio, ma decise di cambiare argomento, tornando al motivo per cui mi aveva seguita. «Ad ogni modo, quella è una rosa.»

   «Fin qui ci ero arrivata anch’io», gli feci notare. «Dove l’avete presa?»

   «A Lothering.»

   Pensai di aver capito male. «Lothering? Sono passate settimane da quando ce la siamo lasciata alle spalle… Come può essersi mantenuta così fresca per tutto questo tempo?»

   «Morrigan», farfugliò lui di malavoglia.

   Corrucciai la fronte. «Prego?»

   Alistair sbuffò. «Ricordate quel battibecco fra me e lei, quando stavamo aspettando Leliana alle porte del villaggio?»

   Provai a fare mente locale. «Quando mi avete nascosto…»

   «…questa rosa, sì», interruppe lui la mia domanda. «Beh, la colsi in quel momento. Ero rimasto affascinato dal fatto che, in mezzo a tutta quella miseria e alla morte a cui eravamo sfuggiti ad Ostagar, fosse ancora possibile ritrovarsi davanti ad una meraviglia del genere. Era l’unica fra gli arbusti che abbiamo visto laggiù. Spiccava come una splendida regina. Volevo preservarla dalla distruzione della Prole Oscura, e così…»

   Di colpo mi sovvenne il racconto di Leliana: probabilmente si trattava della stesso fiore di cui lei mi aveva parlato, quel segno divino che l’aveva spinta a seguirci nella nostra avventura. E Alistair, ignaro della cosa, l’aveva distrutto. Non sapendo se ridere o piangere, decisi di tenere quel segreto per me, provando pena per la fede di Leliana e tanta, disperata tenerezza per l’innocenza di Alistair.

   «Cogliendola però l’avete uccisa», osservai, pur timorosa di ferire la sua intelligenza.

   «Morrigan me lo fece notare con parole molto meno gentili», si lamentò con una smorfia. Giustamente, di che mi preoccupavo? Ai suoi occhi non sarei mai risultata insensibile in confronto a Morrigan. «Quindi, per pietà verso quel povero fiore, decise di venirmi incontro e di fargli un incantesimo, affinché rimanesse sempre intatto e perfetto», concluse Alistair con un’alzata di spalle.

   «È stata gentile», commentai, tornando a fissare la rosa che avevo in mano. Avevano ragione, sarebbe stato un peccato lasciarla avvizzire a Lothering. Forse Leliana non sarebbe morta, se lo avesse saputo. O magari avrebbe potuto interpretare quella storia come la volontà del Creatore: dopotutto lei e la rosa stavano viaggiando insieme, il che significava che la strada scelta da Leliana era quella giusta.

   «Non lo direste se aveste sentito quel che mi ha soffiato contro.»

   Sorrisi rialzando le iridi sul mio sventurato amico. «Perché ora la date a me?»

   Dovetti averlo preso in contropiede, perché chiuse di scatto le mascelle, torturandosi l’interno della bocca ed assumendo un’aria parecchio inquieta. «Quel Cullen è un imbecille», stabilì poi, deciso. «Non dovreste sprecare neanche più un pensiero per lui.»

   Chinai di nuovo lo sguardo, rigirandomi lo stelo del suo dono fra le dita. «Lo so. E vi assicuro che non ho alcuna intenzione di perdere altro tempo a piangere per colpa sua», replicai. «In realtà non ero nemmeno innamorata di lui.»

   «Sul serio?», mi domandò con fare incerto.

   «Sì, ho sempre saputo di non esserlo, anche se mi sarebbe piaciuto scoprirmi capace di provare un sentimento del genere per qualcuno.»

   «Beh, non è detto che non arriverete a farlo, un giorno.»

   Mi concessi qualche secondo per farmi l’ennesima analisi introspettiva. «Vedete… Fra il tradimento di Jowan, quello degli altri maghi al Circolo e le parole di Cullen… ho perso fiducia verso tutte quelle certezze che fino a pochi giorni fa avevano sorretto il mio mondo», sospirai quindi, stancamente. «Per questo, ora che ho trovato persone come voi, che sono disposte a rischiare la vita con me e per me, ho deciso di concentrarmi soltanto sulla missione che ci è stata affidata. Non ho più una casa in cui tornare, al momento, a parte quella in cui sono nata. E francamente vorrei dimenticarla. Non perché io non abbia desiderio di rivedere la mia famiglia, è solo che…» Mi zittii, non riuscendo più a ragionare con lucidità sulla questione. In realtà non sapevo nemmeno io il perché non volessi rimettere piede all’enclave. O meglio di motivi ce n’erano a bizzeffe, ma almeno mia madre e mia sorella avrei voluto riabbracciarle.

   «Vi regalo questa rosa perché mi fa pensare a voi.» Le parole di Alistair mi colsero alla sprovvista, e di nuovo mi volsi nella sua direzione, trovando ad accogliermi un giovane serio e sicuro di sé. «Quando vi guardo, quando siete tutta presa da ciò che state facendo, quando vi gettate a capofitto in quello in cui credete… siete bellissima.» Sentii il sangue affluire al viso, e per diversi istanti suppongo di non aver capito più nulla, benché lui continuasse a parlarmi. «Siete come quella rosa, come una luce nell’oscurità.»

   Erano le stesse parole di Leliana, su per giù, ma messe in bocca a lui sortivano tutt’altro effetto sul mio cuore. Abbassai gli occhi ancora una volta, incapace di reggere i suoi che mi fissavano con fare penetrante. Si aspettava una risposta. Gliela diedi. «Io… Grazie, Alistair. È un pensiero molto dolce», riuscii a mormorare.

   Rimanemmo in silenzio per qualche attimo. «Bene», affermò lui con voce più leggera, dopo aver preso un grosso respiro. «Possiamo mettere da parte il momento imbarazzante e passare a quello bollente, che ne dite?»

   «Oppure possiamo passare oltre e costringervi ad un altro bel bagno nel lago, che ne dite?»

   «Dico che stavo scherzando, e che anche voi dovreste smetterla di prendermi alla lettera», tentò allora di raddrizzare il tiro.

   «Era uno scherzo?», volli sapere, progettando di spingerlo davvero in acqua.

   «Certo che lo era», rise, schiarendosi la gola e lasciandomi col dubbio che non lo fosse affatto.

   Ma la rosa rimaneva fra le mie mani. Alistair aveva capito quanto stessi male e perciò mi aveva raggiunta per non lasciarmi da sola a piangere. Era esattamente l’amico di cui avevo bisogno.

   «Posso chiedervi un favore?»

   «Nulla di equivoco, spero», lo avvisai, dando vita ad una fiammella su un palmo come avvertimento.

   «Giuro di no», sorrise lui, spegnendola con la punta delle dita per dimostrarmi che, se solo avesse voluto, avrebbe davvero potuto vincere la mia magia. «Il punto è che Morrigan sa di quel fiore, per cui vi sarei grato se non le diceste che ora lo avete voi.»

   «Perché no?»

   Lo vidi fare un’altra smorfia. «Mi prenderebbe in giro fino alla nausea.»

   «Oh, giusto. È davvero probabile che lo faccia.»

   «Appunto.»

   «Terrò il segreto per noi, allora.» Era meglio che anche Leliana non sapesse, a ben guardare.

   «Ve ne sono grato», disse, iniziando pigramente ad imboccare la strada del ritorno.

   Mi accodai a lui, appoggiata al mio bastone. «Sono io che vi ringrazio per avermi risollevato il morale.»

   «Con la mia puzza?» Scoppiai a ridere. «In effetti potrebbe essere un buon deterrente per tenere alla larga tutti i pensieri cattivi. E non solo quelli. Magari anche la Prole Oscura.»

   «Siete davvero scemo.»

   «È solo la vostra impressione.»

 

Quando il mattino dopo fummo di nuovo al castello di Redcliffe, Lady Isolde quasi ci volò incontro, una nuova speranza nel cuore. La situazione non era cambiata dalla nostra partenza, per fortuna, per cui nessuno aveva corso altri rischi da quell’ultima notte in cui i non-morti erano scesi al villaggio.

   «Vi ringraziamo per aver fatto così presto», ci disse Bann Teagan, accompagnandoci verso le stanze di suo fratello. Il suo sorriso, tuttavia, non bastava a nascondere l’agitazione che provava ancora per Arle Eamon e suo figlio. «Il demone non ha più dato segni di risveglio, ma Connor non ha voluto saperne di lasciare il capezzale di suo padre», ci informò, mostrandoci la scena con un gesto della mano non appena fummo arrivati davanti alla soglia spalancata della camera da letto dell’infermo.

   «Non abbiate timore», rispose il Primo Incantatore. «Mi recherò io stesso nell’Oblio per risolvere la faccenda e liberare il bambino.»

   La trovai una mossa stupida. Non perché non mi fidassi delle sue abilità, figurarsi; ma Irving era così anziano che dopo le legnate prese contro Uldred avrebbe davvero potuto correre dei rischi. Non glielo avrei potuto lasciar fare.

   «Vorrei poterci andare io, col vostro permesso», mi feci avanti a quel punto.

   «Voi?», domandò Irving, stupito. «Ne siete sicura?»

   «Assolutamente.»

   Mi sentii afferrare con forza per un braccio, ed Alistair, che aveva voluto seguirci insieme a Wynne e Leliana, piantò gli occhi nei miei. «Siete forse impazzita?», volle sapere con tono quasi di rimprovero. Nel suo sguardo potevo leggere molta ansia. «Siete ancora ferita.»

   «Non più di quanto lo fossi l’ultima volta che sono stata lì», gli ricordai, cercando di apparire gentile, benché il nervosismo si fosse di nuovo impadronito di me non appena avevo udito la parola Oblio. «Capisco la vostra preoccupazione, e vi ringrazio. Ma un demone solo non mi spaventa. So bene come affrontarlo.»

   Lui parve incerto. «Non dubito di questo, è solo che… avete già fatto tanto e…»

   Lo presi per mano e, scusandomi con gli altri, mi allontanai con lui di alcuni passi. «Per favore», cominciai con voce implorante ma decisa. «Mi conoscete abbastanza da aver capito che non sono affatto un cuor di leone», ammisi senza vergogna. A lui ormai sentivo di poter dire tutto. «Ma questa è una cosa che devo fare io.»

   «Perché, quando c’è chi può sostituirvi?»

   «Per via di Jowan.» Si trovava ancora nelle prigioni, a quanto avevo saputo da Ser Perth, ma nessuno di noi ne aveva parlato con Irving o Greagoir, anche perché Jowan al momento era sotto la giurisdizione di Redcliffe, e fino a che Arle Eamon non si fosse ripreso nessuno avrebbe potuto decidere per lui sulla sorte di quel disgraziato.

   Alistair sbuffò, seccato, passandosi una mano sulla corta barba bionda che gli incorniciava il mento. «Quando vi metterete in testa che non è colpa vostra?», mi riprese stancamente. «È come se io mi ritenessi responsabile delle follie di Uldred solo perché ad Ostagar ho spinto i maghi ad un confronto con la Venerata Madre.»

   «Nessuno potrebbe mai accusarvi per quello che è successo alla Torre del Circolo», ribattei, allibita da quell’assurdità.

   «Appunto», convenne lui, seriamente intenzionato a non lasciarmi andare. «Quindi, che se la sbrighi il Primo Incantatore.»

   «È per coscienza», provai ancora a spiegargli, portando pazienza. «Aiutando Connor ora, smetterò di torturarmi al pensiero che quanto è successo qui sia anche dovuto alla mia imprudenza, seppur in minima parte.» Alistair fece un profondo respiro, guardandosi attorno per qualche istante prima di tornare a fissare me con una certa contrarietà. Sul serio, mi riusciva difficile capire il motivo per cui si mostrava tanto apprensivo nei miei confronti. Non sarebbe stato certo il mio primo viaggio nell’Oblio, e, anzi, ci ero stata già prima che ci incontrassimo. «Andrà tutto bene», gli promisi, pronta a raggiungere gli altri per impedirgli di protestare oltre. «Sono pronta», comunicai ad Irving.

   Questi mi scrutò, dubbioso. «Non preferite che vi sostituisca io? E la vostra ferita?»

   Scossi la testa. «Vi ringrazio, ma voglio essere io a liberare Connor dal demone.»

   «Quand’è così, allora…», si arrese lui, inarcando le folte sopracciglia grigie, senza più insistere. «Venite, non perdiamo altro tempo.»

 

Penso ancora che l’Oblio dovesse essere stanco di avermi come ospite di passaggio, e tuttavia non fece mai niente di serio per intrappolarmi lì in pianta stabile, se si eccettua il tentativo del Demone della Pigrizia col suo sogno sulla fortezza di Weisshaupt. Ad ogni modo, quando fui costretta a tornarci a Redcliffe, non incontrai più Niall. Mi ritrovai invece in uno spazio angusto, popolato da molti spettri: le immagini diafane di Connor e di Arle Eamon si cercavano e si rincorrevano, chiamandosi disperati, senza mai riuscire ad incontrarsi o a riconoscersi. L’uomo che mi aveva messa al mondo insieme a mia madre era morto poco prima che io nascessi, per cui capivo ben poco del rapporto che potesse legare un figlio a suo padre; ma il Primo Incantatore era stato un buon surrogato, tutto sommato, benché non vi fossero mai state fra noi le effusioni che invece non avrei disdegnato.

   Mi osservai attorno, cercando di distinguere, in quella moltitudine di spiriti innocui, quale fosse quello che avrei invece dovuto combattere. Provai ad avanzare, fino a che, attraversato un portale, mi fermai davanti ad una camera da letto arredata in modo parecchio surreale. Ai piedi del talamo Connor mi fissava con sguardo deciso. Ecco il mio avversario, mi dissi. Ci parlai, pur sapendo quanto fosse inutile, e fui costretta ad eludere diversi raggiri e a diventare sorda alle lusinghe che mi vennero rivolte. Alla fine si venne allo scontro, non una ma svariate volte, poiché quelle che il Demone del Desiderio mi scagliava addosso non erano altro che proiezioni di se stesso, ed io gli dimostrai che nessuna di esse avrebbe in alcun modo avuto la meglio su di me.

   La battaglia decisiva fu dura. E non perché il demone, bellissimo come sempre, cercasse di convincermi a lasciarlo andare con la promessa di non tornare per molto tempo o di insegnarmi la Magia del Sangue, affatto. Fu più complicata di quanto mi aspettassi soltanto perché quella dannata femmina cornuta aveva il potere di dividersi in molte copie, finendo così per circondarmi ed attaccarmi contemporaneamente da più punti. Se non gliela diedi vinta fu per più di una ragione: anzitutto, perché volevo davvero aiutare Connor; secondo, perché volevo lavarmi la coscienza dalla colpa di aver dato man forte a Jowan nella sua fuga dal Circolo; poi, perché non avevo alcuna intenzione di lasciarci le penne per colpa di un demone soltanto, dopo che ne avevo combattuti a decine; infine, e non era una motivazione da sottovalutare, non volevo lasciare Alistair da solo ad affrontare il Flagello e tutto il resto. Avevo delle responsabilità, non sarei più fuggita.

 

Mi risvegliai forse sul letto più soffice su cui avessi mai dormito fino a quel momento. Odiavo le fasi successive ai viaggi nell’Oblio, mi sentivo completamente rintronata e, soprattutto, mi ricordavano la volta in cui ad accogliermi, alla fine del Tormento, avevo visto la faccia tutta sorridente di Jowan. Se me lo fossi trovato davanti adesso, pensai, gli avrei spaccato gli incisivi con un calcio.

   «Tutto bene?» Fu una consolazione sentire la voce di Wynne. Mi tirai a sedere con qualche difficoltà, trovandola accomodata su di una sedia accanto a me. Anche Leliana era rimasta di nuovo al mio fianco, e ora se ne stava vicino alla finestra della camera che i Guerrin avevano messo a mia disposizione. Sorridevano entrambe, e questo bastò a confortarmi.

   «Connor sta bene?», domandai per scrupolo.

   «È di là, riposa anche lui», mi rispose Leliana, avvicinandosi. «Lady Isolde vorrebbe farvi un monumento, credo.»

   Quelle parole ebbero il potere di farmi rilassare non poco. Avevamo salvato sia Redcliffe che il Circolo dei Magi, ottenendo per di più l’appoggio di quest’ultimo nella battaglia contro la Prole Oscura. Ora non ci restava che assoldare anche gli elfi Dalish e i nani, e mettere Arle Eamon sul trono, giusto? Non poteva essere più difficile di quanto già era stato fino ad allora.

   «C’è un giovanotto, qui fuori, che si sta disperando per voi», mi fece sapere Wynne con voce divertita, facendo ridacchiare Leliana.

   Sorpresa, smisi di stropicciarmi un occhio. «Chi?», chiesi con fare poco intelligente.

   «Alistair temeva per la vostra vita», mi spiegarono.

   «Gli ho pur detto che non c’era motivo di preoccuparsi», protestai infastidita. «Ormai entro ed esco dall’Oblio senza tante cerimonie.»

   «Cercate di capirlo, poveretto», prese invece le sue difese Wynne, alzandosi da dov’era seduta ed iniziando ad avviarsi verso il camino che, acceso, regalava un piacevole tepore all’ambiente. «Il Tormento lui lo ha vissuto da templare, non da mago. E l’unico a cui abbia mai assistito ha avuto l’esito peggiore che possiate immaginare», mi raccontò poi, lasciandomi interdetta. «Pare che la ragazza sotto esame sia stata posseduta da un demone e… beh, potete indovinare come sia andata a finire. Ecco perché Alistair è tanto in pensiero per voi.»

   «Quel fetente!», sbottai di colpo, lasciando spiazzate le mie compagne, che, evidentemente, si erano aspettate tutt’altra reazione da parte mia. «Dov’è? Dov’è, che lo prendo a randellate?», cominciai a minacciare, rimettendomi goffamente in piedi con l’intenzione di picchiarlo per davvero.

   «È così che trattate chi si preoccupa per voi?», stentò a seguirmi Leliana, reggendomi per un braccio e restia ad allungarmi il bastone per timore ch’io ne facessi un uso improprio.

   Non volli sentire ragioni, e anche se Wynne tentò di calmarmi, riuscii comunque a raggiungere la porta. La spalancai con forza, e subito mi ritrovai davanti Alistair, rimasto seduto su una cassapanca lì fuori in attesa che io riprendessi i sensi. Felice di vedermi, si sollevò con un grosso sorriso sulle labbra, che però gli feci passare non appena iniziai a pungolarlo con la punta della mia arma, a tratti ancora adibita a stampella.

   «Ahi, oh!», si lamentò, cercando di bloccarmi. «Se non vi conoscessi, giurerei che siete tornata dall’Oblio indemoniata!»

   «Bugiardo!», lo ingiuriai fra i denti, continuando a colpirlo. «Voi sapevate com’era il Tormento!»

   A quel punto comprese il mio risentimento e, tenendomi finalmente ferma per i polsi, fu costretto alla resa. «Sì», ammise. «Però, se ci pensate, quella volta, nelle Selve, non vi dissi mica che io non sapevo di che si trattasse», prese a difendersi con astuzia. «Vi chiesi soltanto com’era stato il vostro. Curiosità di templare, capite? E poi pensavo ci sareste arrivata da sola, visto che vi avevo pur detto che tipo di addestramento avevo ricevuto.» Non aveva torto, ma io lo fissai comunque biecamente attraverso le palpebre socchiuse in un’espressione poco amichevole. «Oltretutto, se permettete, anche voi mi avevate tenuta nascosta quella cosa su… Quello

   Quello era ormai il modo con cui tutti chiamavamo Cullen, giacché avevo fatto divieto assoluto di pronunciare ancora il suo nome in mia presenza.

   «Beh, sì», gli concessi. «Ma siete comunque un disgraziato», puntualizzai, stizzita per l’aver scoperto soltanto ora di essere stata presa in giro da lui una volta di più, quando ci trovavamo ancora ad Ostagar. «L’ho pensato dal primo momento e vi confermate come tale.»

   Alistair rise. «Io invece ho sempre adorato le vostre orecchie, lo sapete.» Gli pestai un piede con la gamba ferita, tanto per rassicurarlo sulle mie condizioni di salute e per far divertire ulteriormente lui e le nostre compagne, che si godevano la scena alle mie spalle.

   «A quanto pare siete in ottima forma», intervenne a quel punto Bann Teagan. Non lo avevo minimamente notato, eppure se ne stava lì, forse sin dall’inizio. Arrossii di colpo, lasciando il mio bastone nelle mani di Alistair ed indietreggiando verso quest’ultimo. Inciampai maldestramente su chissà cosa, ed il mio compagno mi sorresse per miracolo. «Fa piacere vedervi sprizzare energia da tutti i pori», mi sorrise invece Bann Teagan, guardandomi con affetto.

   «Grazie», tartagliai con un filo di voce. «Siete molto gentile.»

   «Non mi piace questa disparità di trattamento», si lagnò Alistair con tono infantile. Lo ignorai per ripicca.

   «Connor dorme ancora?», si interessò Wynne.

   «Una domestica mi ha detto che si è svegliato anche lui da poco», rispose Bann Teagan, sereno. «Non saprò mai come ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per noi.»

   «E vostro fratello?», chiesi, sperando che fosse risolto anche quell’altro problema.

   Lui sospirò mestamente, tornando ad incupirsi. «È ancora incosciente», mi comunicò. «Tuttavia confidiamo nelle Sacre Ceneri di Andraste, semmai la missione dei nostri cavalieri andrà a buon fine.»

   Sentii il respiro di Alistair, accanto a me, farsi più pesante. «Credete ch’io possa parlare con Connor?», osai.

   «Non avete neanche bisogno di chiedere il permesso», mi rimproverò bonariamente Bann Teagan, distendendo le labbra e porgendomi il braccio.

   La presa in cui il mio amico Custode mi aveva stretta per non farmi cadere si fece più forte, ed io fui colta da un brivido che lì per lì non riuscii a spiegarmi; avvertivo una strana tensione nell’aria e la cosa mi metteva piuttosto a disagio. «Alistair», mormorai sottovoce. «Non occorre che mi sosteniate ancora.»

   «Giusto, perdonatemi», bofonchiò lui, restituendomi il bastone e lasciandomi andare di malavoglia. Accettai quindi l’invito di Bann Teagan e mi feci guidare fino alla camera di suo nipote, mentre alle nostre spalle potevo nitidamente distinguere i passi di Alistair che ci seguiva come un mastino.

   Colore di capelli a parte, con il naso lungo e le orecchie a sventola, Connor somigliava molto a sua madre. Adesso che incontravo finalmente lui, ancora a letto ma cosciente, e non il suo alter ego demoniaco, potevo leggere nei suoi occhi tutta la dolcezza e l’innocenza di cui aveva parlato l’Arlessa. Trovammo quest’ultima al capezzale del bambino insieme al Primo Incantatore, fermatosi lì a discorrere con loro circa i poteri di Connor ed il fatto che, una volta che la situazione si fosse ristabilita, ci sarebbe stato un posto per lui al Circolo. Lady Isolde pareva ascoltare con aria rassegnata, ma il sorriso che le increspava le labbra rassicurava non poco: aveva avuto indietro il suo figlioletto, pretendere di più sarebbe stato troppo.

   Quando mi vide arrivare, l’Arlessa scattò in piedi e mi venne incontro, le mani strette al petto. «Voi… Oh, non so da dove cominciare per ringraziarvi per quanto avete fatto per Connor!» Imbarazzata, provai a schermirmi e a balbettare che in fin dei conti lo avrei fatto per chiunque, ma lei non volle sentir ragioni. «Ho un bastone magico molto antico e potente», mi spiegò poi. «Apparteneva a mio padre. Sapete, Connor ha ereditato da lui i suoi poteri», continuò con voce tremula, abbassando lo sguardo. «Io vorrei dimostrarvi la mia gratitudine regalando quel bastone a voi.»

   «Non occorre, davvero», risposi, colpita ora dall’umiltà di quella donna. Per quanto potesse ritenere blasfema la magia, amava moltissimo la propria creatura, su questo non c’era alcun dubbio. «Tenetelo da parte per quando Connor sarà grande. Avrà un ricordo di suo nonno, in questo modo.»

   Lady Isolde mi fissò commossa. «Siete una delle persone più oneste che io abbia mai conosciuto», mi disse. Si volse quindi verso il bambino. «Avete visto, Connor? È stata questa signorina a salvarvi.» Il piccolo mi scrutò con aria smarrita, ma rimase in silenzio. «Perdonatelo, è ancora scosso e pare che non ricordi nulla.»

   «Forse è un bene», commentai. «Vi spiace se resto a parlare con lui per qualche minuto?»

   «Certo che no», esclamò lei, tornando a sorridere. «Accomodatevi pure.»

   «È un’ottima idea», convenne Irving, alzandosi da dov’era seduto per cedermi il posto. «Discutendo del Circolo con una maga più giovane, sono certo che Connor si tranquillizzerà maggiormente.»

   «Vi lasciamo soli», si propose Bann Teagan, circondando le spalle della cognata con un braccio per portarla fuori. «Alistair?»

   Questi invece, che, come avevo intuito, ci aveva seguiti fin sulla soglia, fece alcuni passi nella mia direzione. «Vorrei rimanere anch’io», esordì sfacciato. «Se Nimue servirà a rasserenare Connor sugli altri maghi, io servirò a farlo sui templari. Così gli daremo un quadro più chiaro del luogo in cui andrà a vivere fra qualche tempo.» Il ragionamento non faceva una grinza, per cui nessuno ebbe da ridire nulla e, anzi, Irving e Lady Isolde si profusero in nuovi ringraziamenti anche per lui. Quindi, mentre gli altri uscivano, Alistair andò a posizionarsi dall’altro lato del letto, fissandomi con aria dispettosa e compiaciuta.

   «Voi… avete scacciato via il demone?», pigolò Connor, distogliendomi dal proposito di uccidere il mio collega con lo sguardo.

   «Beh, sì», presi a rispondere. E vedendolo piuttosto intimorito, mi premurai di spiegargli meglio come stavano le cose. «I demoni solitamente non bazzicano nel nostro mondo, a meno che qualcuno non li evochi. Per cui sono sicura che adesso nessuno di loro vi darà più fastidio.»

   «E se anche così non fosse, vi basterà fare un fischio e la nostra esperta in esorcismi verrà qui di corsa. Con le sue orecchie a punta riesce a sentire persino gli ultrasuoni a grande distanza.»

   Alistair aveva deciso di tornare all’accampamento con un occhio nero, quel giorno. Tuttavia era almeno riuscito a strappare una risata a Connor, per cui decisi di liquidare la faccenda con un sospiro. «Il Circolo dei Magi è un bel posto. Certo al momento è inagibile per via di un piccolo incidente che si è verificato per colpa di un incantatore un po’ toccato», e nel dirlo picchiettai la punta di un dito sulla tempia per rendere meglio l’idea, «ma quando tutto sarà tornato alla normalità e voi sarete pronto, sono certa che lì troverete un nido caldo e accogliente almeno quanto lo è questo in cui siete nato.»

   «Ma non ci saranno i miei genitori…», farfugliò Connor, stringendo le coperte fra le mani.

   «Vi farete nuovi amici, però», cercai di tirarlo su di morale. «Ci sono tanti altri bambini come voi, alla Torre.»

   Lui parve rifletterci con fare serio, la fronte corrucciata. «Ci sono anche delle bambine?», volle sapere poi, alzando gli occhi scuri su di me con interesse.

   Rimasta spiazzata da quella domanda, tardai a replicare, cedendo purtroppo ad Alistair la possibilità di farlo al posto mio. «Sapete, Connor… Assomigliate molto a vostro zio Teagan», affermò con pungente sarcasmo.

   Stavolta avrei riso io, se non fosse stato che il piccolo ne chiese la ragione. «Perché siete bello e forte come lui», mi affrettai allora a salvare capra e cavoli, riuscendo involontariamente a far sbuffare il mio amico, assai risentito per quella mia osservazione. «Ad ogni modo sì, ci sono anche diverse bambine.»

   «Ed è vero che i templari uccidono i maghi?», fu il quesito più scomodo che pose Connor di punto in bianco, tornando a mostrare paura.

   Io ed Alistair ci scambiammo uno sguardo; toccava a lui, ora. Si umettò le labbra e cominciò. «I templari si scagliano solo contro i maghi che si macchiano di crimini ricorrendo alla Magia del Sangue. Un ladro o un assassino viene arrestato dalle guardie del signore del villaggio o della città in cui si trova, giusto? È la stessa cosa, solo che i templari agiscono per conto della Chiesa.» Aspettò che il bambino dicesse qualcosa, ma non lo fece. «Ad ogni modo, voi non avete nulla da temere», continuò dunque Alistair, sorridendogli. «Non finché vi terrete lontano dalla Magia del Sangue ed obbedirete al Primo Incantatore e agli altri insegnanti.»

   «Non dovete avere paura dei templari», gli diedi man forte io, in quanto maga. «A me non hanno mai fatto niente, e anzi con alcuni di loro ci vado anche d’accordo. Guardate», iniziai allungando un braccio verso Alistair e facendo comparire una piccola lingua fiammeggiante sul palmo della mano. Come la sera precedente, lui si sporse nella mia direzione, spegnendola con il proprio. «Visto? I templari fanno questo e basta, il più delle volte. Eppure io e Alistair siamo buoni amici.»

   «Ottimi amici», precisò il mio compagno, stringendo la presa attorno alle mie dita.

   «Persino il Primo Incantatore ed il capo dei templari della Torre del Circolo sono legati da un rapporto di reciproca stima», aggiunsi ancora, cercando inutilmente di liberarmi. Non potevo neanche fare troppa forza, altrimenti Connor avrebbe pensato che le nostre fossero tutte chiacchiere senza fondamento. «Può confermarvelo lo stesso Irving, se volete.»

   Lui parve convincersi, e se anche così non fosse stato, ero ragionevolmente sicura che, com’era successo a me, si sarebbe gradatamente abituato a tutto ciò che riguardava il nostro mondo dorato, racchiuso in quella Torre che da molti secoli sorgeva su di una scogliera al largo della costa nord-orientale del Lago Calenhad.

 

«Avete un momento per me?», mi domandò Alistair quando lasciammo la camera di Connor. Non mi teneva più per mano, per fortuna, ma aveva l’aria turbata.

   «È successo qualcosa?»

   «Da questa parte», rispose, facendomi strada verso lo studio dell’Arle, così che potessimo parlare a quattr’occhi, senza interferenze esterne.

   Lo seguii obbediente, ma quando chiuse la porta alle nostre spalle, vi si appoggiò contro con entrambi i palmi, la testa piegata fra le braccia tese, zitto e immobile. «Alistair?»

   «Sì, scusate», mormorò distrattamente, riprendendo padronanza di sé e voltandosi nella mia direzione. Si schiarì la gola. «Lo so che ve l’hanno già detto fino alla nausea, però… ci terrei a ringraziarvi anch’io per ciò che avete fatto per Connor.»

   Sorrisi, intenerita. Tutta questa preparazione psicologica solo per dirmi grazie? «Smettetela, sciocco. Che altro avrei dovuto fare, lasciarlo in balia del demone?»

   «No, certo che no», mi contraddisse, iniziando a misurare nervosamente la stanza con passi ampi. «È solo che avete voluto esporvi in prima persona nonostante la cosa vi riguardasse unicamente in quanto maga.»

   Corrucciai le sopracciglia. «Dimenticate Jowan.»

   «Comincio ad odiarlo sul serio quel nome», biascicò lui con un gesto stizzito. «Anche se mai quanto…» Si interruppe da solo, preferendo evitare di ricordarmi ancora di Cullen.

   «Non l’ho fatto solo per via di Jowan», ci tenni allora a precisare, sperando così di chiarire la faccenda una volta per tutte. «L’ho fatto anche per voi.» Alistair si fermò vicino allo scrittoio ed alzò lo sguardo su di me, fissandomi a lungo senza tuttavia aprire bocca. Provai a scuotere le spalle. «Insomma, pensavate davvero che non tenessi in conto come doveste sentirvi? Forse non avete legami di sangue con questa gente, ma in qualche modo per voi sono la cosa più vicina ad una famiglia, dico bene?»

   Sono sempre stata un tipo dal cuore tenero, ecco perché mi trovavo ad andare terribilmente d’accordo con Alistair, perché ci assomigliavamo da morire. Anche lui non aveva visto granché suo padre, a ben pensarci. Re Maric non aveva potuto prenderlo e crescerlo con sé per il bene ed il futuro del suo primogenito, Cailan, nonché unico figlio legittimo. Mi ero perciò convinta che, bisognoso com’era d’affetto, anche Alistair fosse ricorso ad una figura paterna che potesse, nella sua immaginazione, sostituire quella che gli era venuta meno da bambino: e se pure avevo il sospetto che la più importante per lui fosse stata quella di Duncan, non dubitavo affatto che anche Arle Eamon, che dopotutto lo aveva tenuto con sé fino a che gli era stato possibile, dovesse aver costituito un elemento fondamentale della sua cresciuta.

   «Mi illudo?» Battei le palpebre, confusa. Alistair scrollò il capo. «Mi illudo di certo», concluse con un sospiro, passandosi le mani sul volto e ricominciando a fare su e giù per lo studio. «È solo che noi due abbiamo trascorso davvero molto tempo insieme», tornò quindi a parlare senza quasi prendere fiato, «in mezzo alle tragedie, alla morte… C’è persino un Flagello che incombe su di noi… Alla fine non vi mancherà tutto questo?»

   «Se permettete no», ribattei in tutta onestà. Quale matto ne avrebbe avuto nostalgia?

   Lui si lasciò scappare una risatina tesa. «Naturalmente.» Arrestò di nuovo il passo quando mi fu di fronte e tornò a guardarmi negli occhi. «Potrà sembrarvi strano… e lo so che in fin dei conti ci conosciamo da poco», continuò serio, «ma mi sono reso comunque conto di… tenere a voi. Molto.» Qualcosa scattò in me, e anch’io cominciai di colpo a sentirmi inquieta, benché non ne capissi ancora la ragione. «Penso che sia perché ne abbiamo già passate tante, insieme… Non lo so. O forse è frutto della mia immaginazione.»

   Non avevo la più pallida idea di cosa rispondergli. Vuoto totale. Se anche dalla porta fosse improvvisamente spuntato il Primo Incantatore vestito da donna e truccato come la peggiore delle prostitute del bordello di Denerim, credo davvero che sarei rimasta impassibile.

   «Mi inganno di certo», concluse Alistair con un lieve sbuffo, chinando le ciglia perché scoraggiato dal mio silenzio. Emisi un suono strano, simile al verso di una poiana, ed il suo sguardo saettò di nuovo sul mio, pieno di speranza. «O forse… credete di sentire la stessa cosa per me?»

   Feci un profondo respiro, sentendomi in trappola. «Io… Anch’io tengo a voi, mi sembrava fosse chiaro», provai allora a riordinare le idee per entrambi. «Non ve lo avevo già detto l’altra volta che sto bene in vostra compagnia? Trovo sia normale che ci preoccupiamo l’un per l’altra in questo modo.»

   Lo vidi sorridere, incredulo, mentre riprendeva colore. «Oh, Creatore», mormorò allora, sfiorandomi la pelle del viso con il dorso delle dita di una mano. «Quanta bellezza c’è in voi… Sono un uomo fortunato.»

   Stavo ancora cercando di capire perché mai si ritenesse tale, che Alistair mi sorprese vincendo la distanza fra noi. Non ricambiai il suo bacio, ma nemmeno lo respinsi. Mi limitai ad accettarlo passivamente, né potevo fare altro allibita com’ero, al punto da non riuscire a muovere muscolo.

   Quando si allontanò dalle mie labbra, ancora chino su di me, fu nuovamente assalito dall’incertezza, forse anche a causa del mio pallore cadaverico. «Ho… sbagliato, vero? È successo troppo in fretta, non è così?» Stava visibilmente per farsi prendere dal panico.

   Mossi convulsamente la testa a destra e a manca, timorosa di spezzargli il cuore. «No, no, Alistair, state tranquillo», annaspai, aggrappandomi con le unghie e con i denti all’inutile illusione di apparire calma. «Mi è… piaciuto.» Ed era vero. Almeno per quel poco di cui mi ero resa conto.

   «Sul… Sul serio?»

   Annuii più volte, fissandolo da sotto in su con una gran voglia di piangere. Nonostante fosse tutto curvo su di me, Alistair poggiò la fronte contro la mia, chiudendo gli occhi per potersi godere meglio quel momento. Avrei voluto farlo anch’io, e perciò lo invidiai non poco.

   Dopo alcuni istanti, mi lasciò finalmente andare, più sollevato. «D’accordo.» Si schiarì di nuovo la voce, la linea della bocca curvata verso l’alto. «Torniamo a fare qualunque altra cosa stessimo facendo, prima che io mi dimentichi perché sono qui», confessò, prendendosi in giro da solo.













Sicuramente mi prenderete per scema, ma, vi giuro, non mi ero MINIMAMENTE resa conto che Alistair facesse il filo a Nimue. Nemmeno dopo la faccenda della rosa, non scherzo. E quando lui s'è dichiarato, ho tragicamente interpretato quel tengo a voi in modo sbagliato. Per cui, vedendo Nimue ricambiare il bacio di Alistair, sono impallidita e ho cominciato ad urlare: «Cosa fai, disgraziata?! Ferma! Ferma!» Ma quella sfacciatella non m'ha dato ascolto...
Ho preferito perciò riproporre anche in quest'occasione la Nimue che avevo in testa, che spero risulti più credibile della Mary Sue che era nel gioco. E tenete conto che non ho mentito neanche sulla faccenda di Bann Teagan: gli avevo posto domande di carattere personale per conoscerlo meglio (innocenza 100%), e invece quel marpione s'è messo a corteggiarmi l'elfo. Di più (e qui si ride), solo di recente ho scoperto che pure Leliana ci aveva provato con lei - e, indovinate?, non mi ero accorta nemmeno di questo, anche perché Leliana deve aver capito che Nimue è un caso perso (sì, va beh, lo è quella che la muove) e ci ha subito rinunciato.
La verità, almeno riguardo ad Alistair, è che contavo in parte su Cullen (non sapendo quanto fosse pessimo quest'ultimo). E se a questo ci aggiungete che ignoravo del tutto le battute a doppio senso che Alistair faceva a Nimue perché ero CONVINTA che facessero parte del suo repertorio di scherzi, e che non avessero necessariamente un secondo fine, forse capirete bene che è stato facile per me non comprendere la situazione.
A tutto ciò si aggiunga che:
1. ho sempre accuratamente evitato di dire ad Alistair frasi del tipo: «Qualcuno vi ha mai detto quanto siete bello?» perché non lo pensavo affatto (pur non reputandolo brutto, sia ben chiaro!), e anche perché... mi vergognavo a farlo (ebbene sì!);
2. non credevo si potesse avere una romance con lui;
3. come ho sempre detto, Alistair lo shippavo da morire con Morrigan, mica col mio personaggio!
Immaginate quindi che trauma è stato, per me, vedere Nimue e Alistair amoreggiare quella prima volta...
Ma la cosa più comica di tutte è stata che la rosa, Alistair, non l'ha data a Nimue in privato, ma alla fine dell'avventura alla Torre del Circolo, e cioé davanti a: Wynne, Morrigan, Irving, Greagoir, templari vari e, soprattutto, davanti a Cullen (che, a modo suo, si era appena dichiarato). Roba che, visto il suo stato psicologico in quel momento, Nimue gliel'avrebbe infilata su per il naso. XD (Ad esser buona.) Per esigenze di copione, quindi, ho dovuto risolvere diversamente, altrimenti Alistair sarebbe passato per una carogna (cosa che non è).
Chiudo qui, ché ho già scritto un romanzo. Un bacio a tutti i lettori, alla mia paziente beta Atlantislux, che sta ancora ridendo per la determinazione con cui ho affrontato la romance con Alistair (Sì, sì, come no?), a Lara (Che intelligenza suprema, il mio personaggio, eh? XD), a The Mad Hatter (Hai visto che in un certo, contorto modo la storia d'amore è venuta comunque fuori? X°D) e a ENS, che ha inserito questa long fra le fanfiction preferite (Grazie!!! :D).
Shainareth
P.S. A dimostrazione che ci sono e non ci faccio (benché non sia motivo di vanto), non avevo capito subito neppure la domanda per Alistair riguardo al fatto che non avesse mai avuto rapporti sessuali. Perciò Nimue (che giustamente prima o poi mi manderà a quel paese perché le figuracce le fa lei e non io) gliela fece spensieratamente in chiesa, davanti a Morrigan, Leliana e Bann Teagan. Chiedo venia, Alistair! XD





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Capitolo 13
*** Imboscata ***







CAPITOLO TREDICESIMO – IMBOSCATA




Secondo l’opinione collettiva, per quanto siano ritenuti esseri inferiori, gli elfi hanno la fama di figurare fra le creature più belle ed eleganti che popolano le nostre terre. In particolare, le loro femmine sono fra le più desiderate, poiché minute ed aggraziate. Le orecchie lunghe e affusolate, l’ossatura sottile, gli occhi leggermente obliqui ed allungati, la carnagione perfetta ed i lineamenti delicati sono fra le cose che, nelle convinzioni dei maschi umani, farebbero impazzire chiunque. È questa una delle tante ragioni per cui nelle enclavi di tutto il Thedas spesso si introducono alcuni di loro, e perché molte delle serve elfo degli umani finiscono spesso per assoggettarsi alle voglie dei loro padroni. Quanto a me, sono sempre stata ancora più piccola rispetto a quelle della mia razza, ma, pur ammettendo di non essere affatto brutta, non ho mai avuto la pretesa di sentirmi bella. Se ho un difetto, anzi, è senza dubbio il leggero strabismo all’occhio destro; per non parlare poi della totale disarmonia delle forme del mio corpo. Per farla breve, non sono mai stata niente di particolare.

    Non avevo perciò la più pallida idea di cosa Alistair ci trovasse in me, e considerato anche il fatto che non mi pareva il tipo di persona che si lascia trascinare dalla massa, probabilmente non era il mio aspetto ad averlo rincretinito. Doveva esserci dell’altro. Forse era per via del carattere. Eppure ero convinta di non essere troppo amabile neanche sotto quel punto di vista, perché se venivo assalita dall’ansia o dal nervosismo, finivo spesso per diventare acida, scontrosa ed insofferente. E certamente riconoscevo di avere anche dei pregi, benché mi sembrassero cosa da poco. O meglio cose normali. Perché, sì, nel quotidiano per me era normale essere onesta e gentile, soprattutto con chi per primo si dimostrava tale nei miei riguardi. Ed Alistair lo era stato, nonostante i suoi continui scherzi e la sua lingua lunga.

   Era indubbio che mi fossi affezionata a lui, che gli volessi bene, ma da qui ad arrivare ad altro… Se mi si chiedeva se mi piacesse, avrei risposto di sì senza esitazioni. Tuttavia ci sono molti modi di farsi piacere una persona, e nel mio caso non pensavo affatto a lui come ad un uomo. Immagino che se all’epoca lo avesse saputo, Alistair ne sarebbe uscito mortificato. Mi trovavo perciò in una situazione assai delicata: da una parte non volevo illuderlo, dall’altra l’idea di spezzargli il cuore mi faceva morire. Sarebbe stato meglio che lui avesse taciuto, mi ripetevo, sarebbe stato meglio che tutto fosse rimasto come all’inizio; ma ormai il dado era tratto, ed io ero in gabbia. Dovevo decidere se rimanerci, fingendo che tutto andasse bene e che io sapessi cosa stavo facendo, oppure se recuperare la libertà, parlandogli apertamente e confessandogli la verità. Visto il mio grande coraggio, ovviamente scelsi la posizione più comoda, e cioè quella di prigioniera in una relazione che non avevo cercato in nessuna maniera. E mi sentivo da schifo. Non per me. Per lui.

   Di una cosa, comunque, non avevo motivo di rimproverarmi: ero stata sincera quando lui mi aveva esposto i suoi pensieri, poiché anch’io tenevo davvero a lui, anche se in maniera diversa. Se proprio dovevo schiaffeggiarmi da sola, avrei dovuto farlo per non aver compreso prima la situazione che, soltanto adesso, mi appariva talmente chiara che mi sentivo ancora più scema di quanto già non fossi. Tutti i suoi complimenti, le sue gentilezze, le parole che mi aveva detto regalandomi la rosa… Non vi avevo dato peso. Anzi, per essere precisa, non avevo voluto darvi peso. Un po’ perché lui scherzava sempre, e alle volte mi riusciva davvero difficile capire quando fosse serio e quando no, un po’ perché la mia mente era stata sempre occupata da altro, come Cullen, per esempio. Alistair valeva mille volte quell’imbecille che avevo lasciato alla Torre del Circolo, me ne rendevo conto soltanto ora. Ma c’era anche un’altra convinzione ben radicata in me che mi aveva impedito di concludere che Alistair potesse avere davvero un interesse nei miei confronti: Morrigan. Mi ero stupidamente fatta prendere dalla fantasia che, nonostante tutto, fra quei due sarebbe potuto nascere qualcosa. Ne ero sicura, per la miseria, perché lei era tanto bella e lui tanto nobile e… e a ben guardare erano troppo, dannatamente diversi per poter stare insieme.

   Durante i miei studi mi ero sempre sentita ripetere che avevo una grande percezione di quello che mi accadeva attorno, e che potevo contare su un ottimo intuito ed una logica quasi impeccabile; a patto che non prendessi in esame qualcosa che riguardava me in prima persona, nel quotidiano, perché allora succedeva che tutte le mie capacità sensoriali venivano meno a causa della mia insicurezza. Se avessi almeno avuto un’amica con cui parlare, a cui chiedere consiglio… Ma a chi potevo rivolgermi? Leliana e Wynne mi avrebbero senz’altro rimproverata, a ragione, per la mia cecità, costringendomi a rivelare ogni cosa ad Alistair. Morrigan, invece, neanche volevo prenderla in considerazione, perché, oltre a non volere che mi ridesse in faccia, temevo mi avrebbe implorato di lasciare le cose come stavano per scoprire fino a che punto sarebbe arrivato lui; o magari mi avrebbe implorato di sbattergli sul muso la verità per vederlo soffrire. Odiavo l’idea di sentirmi dire sia l’una che l’altra cosa, da chiunque fosse arrivato questo o quel suggerimento. E tutto perché odiavo l’idea di rendere Alistair ridicolo agli occhi degli altri. Non lo meritava. Lo avrei difeso, sempre. Anche da me stessa, benché ancora non sapessi come fare.

 

«Cosa farete adesso?»

   Kaitlyn abbassò lo sguardo sul fratellino, che teneva per le spalle, avanti a sé. Come molti altri, non avevano fatto ritorno alla propria abitazione, preferendo rimanere nella chiesa del villaggio fino a che la situazione al castello non si fosse ristabilita. «Siamo rimasti soli, quindi immagino che ci toccherà andare in orfanotrofio. Verremo divisi.» Era una situazione intollerabile: non bastava che avessero perso entrambi i genitori?

   «Non avete dei parenti?», volle sapere Leliana, preoccupata.

   La ragazza scosse il caschetto biondo. «Ne abbiamo a Denerim, ma… ci mancano i soldi per arrivare fin lì.»

   Senza neanche consultarci, mettemmo tutti mano al nostro sacchetto di monete, lieti che Morrigan non fosse lì a rimproverarci di essere degli idioti. «Credete che questi basteranno?»

   Kaitlyn sgranò gli occhi, ritrovandosi un discreto gruzzoletto fra le mani. «Oh, cielo… Io… No, io non posso accettare!»

   «Scherzate? È il minimo, dopo quello che avete fatto per noi», rise Alistair, porgendole anche la spada di suo nonno.

   Lei tornò a scrollare il capo, questa volta con più decisione. «A maggior ragione, ve la regalo.» L’altro sospirò, pronto a ribattere, ma Kaitlyn lo mise a tacere. «È il prezzo da pagare.»

   «Siete una bella testa dura.»

   Alzò le spalle, stringendo fra le dita le monete. «Saprò farmi rispettare quando sarò sposata.»

   «Su questo non c’è dubbio», intervenne Bann Teagan, raggiungendoci e regalandole un sorriso sincero. «Pregherò affinché voi e vostro fratello possiate avere una vita migliore, d’ora in avanti.»

   «Mi piacerebbe poter tornare qui a Redcliffe, un giorno», pigolò la ragazza, facendosi piccola accanto a lui. Da grande esperta qual ero, riconobbi i segni di una bella infatuazione. E di nuovo mi diedi della deficiente. Una cosa era certa, comunque: visto come era andata a finire con Alistair, e prima ancora fra Jowan e Lily, mi ero decisa a non progettare più il matrimonio di nessuno.

   «Sono certo di poter parlare anche a nome di Eamon, assicurandovi che questo posto sarà sempre la vostra casa.» Gli occhi chiari di Kaitlyn brillarono per la commozione e Bann Teagan la rassicurò posandole una mano sulla spalla. Si rivolse poi a noialtri con aria mesta. «La commemorazione dei caduti sta per iniziare. Isolde vorrebbe che ci foste anche voi.»

   Il molo era gremito di gente che si stringeva l’un l’altra in cerca di conforto o pregava compostamente per le anime dei propri cari. Ser Perth, l’Arlessa Isolde e Connor erano in mezzo a loro, come se non avessero mai ricoperto cariche importanti all’interno di Redcliffe, benché l’armatura massiccia del primo e gli abiti raffinati degli altri due facessero una certa differenza. Più avanti, Bann Teagan si fermò innanzi al falò che era stato acceso in onore delle vittime della tragedia che si era abbattuta sul villaggio, mentre la milizia cittadina si occupava di sistemare i corpi sulle barche, spingendole poi sulle scure acque del lago, ai piedi del castello. L’aria era piena del penetrante odore dell’incenso che le sacerdotesse della cappella del villaggio spargevano tutt’intorno, facendo oscillare come pendoli i turiboli appesi alle catenelle che avevano fra le mani, dai quali fuoriusciva un fumo sottile che mi faceva girare la testa, riportandomi alla mente la notte della battaglia di Ostagar. Gli arcieri incendiarono la punta delle loro frecce e le scoccarono lontano, per dare fuoco alle barche già al largo. Fu una cerimonia lunga e silenziosa, che nessuno avrebbe dimenticato molto presto.

   «Che progetti avete?», mi incalzò Bann Teagan, una volta che, lasciato insieme il luogo della commemorazione, riuscimmo di nuovo a parlare con fare più o meno disinvolto.

   Probabilmente non ve ne era l’intenzione da parte sua, ma sentendo Alistair spostare il peso del corpo da un piede all’altro, al mio fianco, mi rimpicciolii tutta, prendendo quella mossa come una sorta di ammonimento. «Dobbiamo ancora discutere i dettagli», iniziai allora a rispondere con voce malferma per i sensi di colpa, cercando di sfuggire agli occhi azzurri di Bann Teagan che mi squadravano con insistenza. Alistair tossì appena per chissà quale ragione avulsa dalla mia persona, magari ancora a causa dell’incenso, ma la coscienza sporca fece vacillare il resto delle mie parole. «Di certo dobbiamo reclutare fra le nostre file i nani di Orzammar e… i cosi, lì… quelli con le orecchie a punta.»

   Bann Teagan curvò un angolo della bocca verso l’alto ed inarcò un sopracciglio, scrutando le estremità allungate dei miei padiglioni auricolari. «Gli elfi?»

   «I Dalish, sì», confermai con un gesto teatrale della mano, mentre gli altri si lasciavano andare ad una risatina sommessa.

   «Saremo di ritorno quanto prima», promise Alistair, «così da poter marciare tutti insieme contro Loghain.»

   L’altro annuì, stirando le labbra in un’espressione grave. «Sperando che, per allora, anche mio fratello sarà in grado di farlo.»

   «Lui sarà alla testa dell’armata», ribatté il mio compagno, risoluto. «Fate il possibile per trovare quell’Urna. E se non doveste riuscirci, giuro che mi unirò io stesso alla ricerca delle Sacre Ceneri di Andraste.»

 

Il carro che ci aveva accompagnati fin lì tornò sulla strada per Kinloch Hold, fermandosi prima al nostro accampamento per consentirci di scendere e lasciando dietro di sé soltanto una scia di polvere ed il rumore delle ruote di legno che cigolavano sui perni quando fu ripartito. A ben guardare, quel mezzo di trasporto non era molto stabile, per cui mi meravigliai di come ci avesse portati fino a Redcliffe senza collassare prima. Salutammo il Primo Incantatore con affetto e non appena mi fu possibile corsi a cercar riparo nella mia tenda, sprofondando sul giaciglio che usavo per dormire. Mi sentivo sfinita, e senza che me ne accorgessi cominciai a piangere silenziosamente. Era evidente che il mio corpo ne avesse bisogno, e, pensai, anche il mio animo ne avrebbe tratto giovamento. Assecondai le lacrime, evitando di trattenerle oltre, e mi strinsi nelle spalle, rannicchiandomi su me stessa per il dolore che mi stringeva il ventre e sentendomi tristemente sola per la prima volta da che avevo lasciato Ostagar.

    Alle mie spalle, qualcuno smosse i lembi dei teli che costituivano l’entrata al mio rifugio, ma non mi voltai a vedere chi fosse. Per quel che mi riguardava, poteva anche essere Loghain in persona, eppure me ne sarei infischiata; non avevo voglia di muovermi da lì.

   «Dormi?»

   Mi asciugai il viso. «No», mormorai con voce roca. «Che c’è?»

   Sentii Morrigan farsi avanti e sistemarsi accanto a me. Era la prima volta che mi cercava di sua iniziativa e non volevo scacciarla. «Il vecchio tornerà?», mi chiese. E quando le risposi di no, aggiunse: «Meno male. Con lui in giro non potevo certo tirare fuori il Grimorio di mia madre.»

   Già, ricordai a me stessa con vergogna, lo avevamo rubato al Circolo. «Potevi leggerlo mentre eravamo al villaggio.»

   «Quel maledetto impiccione dell’emissario non mi scolla gli occhi di dosso», si lamentò lei, seccata.

   Sorrisi. «È perché sei bella.»

   «Quasi quasi preferisco gli sguardi infastiditi di Alistair», mi ignorò lei.

   Quel nome mi mise in allarme, benché il poverino non fosse presente. «Non parlare di lui.» Non volevo pensarci.

   «Di Alistair?», si incuriosì la mia compagna. «Avete litigato?»

   «Figurati.»

   «Ti sei accorta che è un idiota?», rise.

   «È un tesoro, e tu dovresti smetterla di trattarlo male.» Non volevo essere acida, ma il tono che usai fu comunque tutt’altro che neutro.

   Rimase zitta per qualche attimo. Poi domandò: «Che hai?»

   «Il ciclo», risposi asciutta. Morrigan non poteva saperlo, ma quello che avrei dovuto avere ad Ostagar si era bloccato in seguito allo spavento della battaglia, dello scontro con l’Ogre, dell’attacco della Prole Oscura e tutto il resto. E adesso, a distanza di settimane, che potevo rilassarmi almeno fisicamente, il mio corpo era tornato a funzionare a dovere.

   «E ti riduci a piangere per questo?»

   Non le sfuggiva niente, per la miseria. Pur temendo che potesse leggere il resto dei miei problemi dalla mia espressione, mi decisi finalmente a stendermi supina per prestarle attenzione. Se ne stava seduta a gambe incrociate non lontana da me, il mento poggiato sul palmo di una mano, mentre con le dita libere giocherellava con fare assorto con le frange della sua gonna scura. Mi chiesi per l’ennesima volta come diamine potesse, Alistair, rimanerle indifferente, al punto da preferirle me, che non avevo neanche la metà del suo fascino o del suo carisma.

   «Di che volevi parlarmi?»

   «Di Flemeth», disse. «Non ho potuto leggere il Grimorio per bene, ma ho dato una scorsa ad alcune pagine, e temo che non sia quello originale.» Fece spallucce. «Me lo farò bastare comunque, per ora.»

   «Perché sei così ossessionata da tua madre?» Le parole mi uscirono di bocca prima che potessi impedirlo.

   Morrigan corrucciò la fronte, lasciando che alcune pieghe fra le sopracciglia scure le rovinassero la pelle liscia e perfetta. «Chi ha detto che sono ossessionata da lei?», volle sapere, brusca. «Se tu scoprissi di poter venire a conoscenza di tutti i segreti della magia di quel vecchio che se n’è appena andato, non andresti fino in fondo?»

   Ci pensai. «No», risposi infine. «Per quanto mi piaccia studiare, credo che certe cose preferirei non saperle.»

   «Allora rimani pure nella tua ignoranza, se vuoi. Io non farò altrettanto.» Ma la mia non era ignoranza, quanto paura di imbattermi in qualcosa di pericoloso. Che altro, se no? «Per questo reputo preziosissimo quel libro.»

   «Tua madre», iniziai d’improvviso, quasi interrompendola, «è la stessa Flemeth di cui si parla nelle leggende?»

   Morrigan parve non scomporsi. «Quanto sai delle leggende?»

   «La più famosa è quella che i Chasind raccontano ai propri bambini per spaventarli e renderli più inclini all’obbedienza», risposi. «O almeno è quello che ho letto, perché né all’enclave né a Kinloch Hold se ne è mai parlato. Daveth la conosceva bene, però. E anche Alistair, suppongo, visto il modo in cui hanno reagito quando ti abbiamo incontrata la prima volta.»

   «E tu ci credi?»

   Scossi le spalle. «Mi interessa di più la verità. E immagino che tu sia l’unica, a parte Flemeth, a saperla.»

   Lei storse la bocca, indecisa su come cominciare il discorso. «Posso dirti ciò che Flemeth stessa mi narrò di persona. Ho solo la sua versione dei fatti, se devo essere sincera. Vuoi sentirla comunque?»

   «Mi aiuterà a non pensare», sospirai, stropicciandomi gli occhi.

   «Mi hai presa per la tua cantastorie?», s’infastidì Morrigan. Risi pur non volendo. «Se hai bisogno di un menestrello, va’ a chiamare la tua amica profetessa.»

   Mi colpì non poco l’acidità con cui si riferì a Leliana. Ce l’aveva ancora con lei? Eppure ero convinta che a Morrigan non importasse un fico secco di quello che pensavano gli altri. «Sul serio, voglio solo conoscerti meglio», precisai allora, per rabbonirla. Non era neanche una bugia, oltretutto, per cui avrei preso due piccioni con una fava.

   «Ti interessi a me?», mi sentii chiedere dopo qualche attimo di esitazione, la voce appena incerta.

   «Non dovrei?»

   La mia compagna si morse un labbro, evitando il mio sguardo stupito. «Secondo i racconti dei bardi», prese a parlare poco dopo con tono più calmo, «c’era un tempo in cui Flemeth era giovane e bella. Viveva in una terra di barbari, e accendeva il desiderio di chiunque la vedesse.»

   Se Morrigan aveva preso da lei, non avevo motivo di dubitare di quell’affermazione. «Di quanto tempo fa si parla?»

   «Molti secoli fa, prima che questa regione assumesse il nome di Ferelden.» Addirittura secoli? Quanto diavolo era vecchia, Flemeth? «Secondo le storie, Flemeth si innamorò di un bardo, Osen, e fuggì dal castello di suo marito, il temibile Lord Conobar… Il quale giurò vendetta per la sua infedeltà. In realtà, mia madre sostiene che il suo vero marito fosse Osen, mentre Conobar era soltanto un lord geloso che l’ammirava da lontano, e che un giorno contattò il suo rivale, offrendogli ricchezze e potere in cambio della sua incantevole moglie. E Osen accettò.»

   «E vendette sua moglie ad un altro uomo?»

   «Quella del bardo è una vita povera, e l’amore svanisce di fronte alla fame. Fu Flemeth stessa a suggerire l’accordo.»

   Anche noi elfi, all’enclave, non avevamo nulla; e se anche in molti erano costretti al furto pur di sopravvivere, mia madre mi aveva insegnato che l’onore viene prima di tutto. Mi risultava perciò inconcepibile pensare di svenderlo in quel modo, e, benché non fosse mio marito, ero più che certa che Alistair si sarebbe fatto ammazzare piuttosto che cedermi a qualcun altro. Arrossii a quel pensiero, ma lo accettai comunque: Alistair non avrebbe tradito neanche un’amica in cambio di denaro.

   «Sarebbe andato tutto bene se Lord Conobar avesse tenuto fede alla sua parte dell’accordo», continuò Morrigan, inarcando appena un sopracciglio quando si accorse del sangue che mi era affluito al viso. Tentai di coprirlo con le mani, fingendo di sfregarmi di nuovo gli occhi. «Ma era uno stolto, e aveva promesso soldi che non possedeva. Osen venne attirato in un campo, assassinato e lasciato a marcire laddove era caduto.» Pur non reputandolo giusto, una parte di me si convinse che, in fin dei conti, se l’era cercata: era stata la sua punizione. «Flemeth parlò con gli spiriti e apprese dell’inganno. Giurò vendetta. Implorò gli spiriti di aiutarla, ed essi uccisero Conobar.»

   «Spiriti?», chiesi confusa. «Io avevo letto che si trattava di altro

   «Il demone di cui parlano le leggende fece la sua comparsa in seguito», mi spiegò Morrigan, tranquilla. «Vedi, gli alleati di Lord Conobar diedero la caccia a Flemeth. La inseguirono fin nelle Selve, dove ella si nascose. Fu lì che trovò il demone, e fu sempre lì che ricevette da lui i suoi poteri.» Sebbene conoscessi quella storia, sia pure con sfumature diverse, fino ad allora non avevo mai immaginato in modo realistico cosa potesse significare essere posseduti da un’entità del genere. Dopo quanto avevo visto alla Torre del Circolo non più di due giorni prima, però, il minimo che potei fare fu di rabbrividire. «Le leggende parlano tutte del grande eroe Cormac, che sconfisse Flemeth ed il suo enorme esercito quando ella invase i bassopiani, secoli più tardi. Tutte menzogne. Non ci fu alcuna invasione. Secondo Flemeth, i Chasind non radunarono mai un esercito sotto il suo stendardo né si scontrarono con un guerriero di nome Cormac. Questi, semmai, condusse una brutale guerra civile contro il suo stesso popolo, e più tardi sostenne che era servita ad annientare il male radicato tra i lord. Così venne venerato come un eroe. Flemeth venne aggiunta alla leggenda solo molto più tardi. Forse fu a causa della grande guerra che scoppiò, ma mia madre sostiene di non sapere come sia iniziata.»

   «Una storia interessante», commentai quando fui sicura che fosse finita. Ed era interessante per davvero, se non altro perché cominciavo a guardare Flemeth in maniera assai diversa da prima. Non mi era mai piaciuta molto, e adesso mi spiegavo anche diverse cose, tra le quali il fatto che la Prole Oscura, pur aggirandosi nelle Selve Korcari ed impadronendosi di Ostagar, non avesse minimamente sfiorato la capanna della vecchia Strega. Ecco anche come aveva fatto, Flemeth, a preservare i trattati dei Custodi Grigi una volta che la magia che li aveva protetti finché aveva potuto si era esaurita. Ecco come aveva saputo di me ed Alistair in fin di vita sulla Torre di Ishal. Possedeva i poteri di un demone, e questo la rendeva non poco pericolosa. Mi domandai di colpo la ragione per cui aveva insistito affinché Morrigan ci seguisse, e la cosa mi mise in allarme.

   Sbirciai nella sua direzione, ma la mia compagna era talmente presa dall’esaminare una collana tribale che avevo raccolto durante il mio primo viaggio all’interno delle Selve e che avevo lasciato in bella vista insieme ad altre cianfrusaglie di mia proprietà, che non vi fece attenzione. La studiava con occhi ammirati. «Se ti piace, te la regalo.»

   Alzò di scatto la testa nella mia direzione, pallida. «Sul serio?», mi chiese, esitando e facendo per rimetterla a posto.

   Scrollai le spalle. «Io non la uso. Prendila tu.»

   «Oh… Allora grazie», farfugliò, mostrando un certo imbarazzo. Era adorabile. Non potevo credere che fosse pericolosa. Non per me o Alistair, a dispetto delle sue frecciate velenose.

   Mi misi lentamente a sedere per poterla guardare meglio. «Posso chiederti un’altra cosa?»

   «Se proprio devi.»

   «Le leggende di cui hai parlato… non sostengono forse che Flemeth abbia diverse figlie?»

   Morrigan tornò ad assumere la stessa espressione imperscrutabile che aveva avuto per tutto il suo racconto, come se la cosa non la riguardasse affatto. Eppure Flemeth era sua madre. «Vuoi sapere se ho delle sorelle? Me lo sono chiesta anch’io», confessò con un cenno del capo, continuando a rigirarsi distrattamente la collana di ossa levigate fra le dita. «Le storie parlano di molte Streghe delle Selve, dopotutto. Non solo di una», prese allora a ragionare. «E queste storie esistevano da molto prima che nascessi io. Flemeth si rifiuta di parlare di altre figlie, se mai sono esistite. Dunque dubito che io sia davvero la prima.» E ancora pareva per nulla toccata dalla questione.

   Provai a farla riflettere più a fondo. «Perché dovrebbe rifiutarsi di parlarne?»

   «I Chasind sostengono che vi sia stata una… rottura tra Flemeth e le sue figlie», rispose lei. «Dicono che un giorno Flemeth diede la caccia a tutte loro attraverso le Selve e mangiò i loro cuori.» Mi si contorse lo stomaco, ma Morrigan fece di nuovo spallucce. «Potrebbe essere vero. Non ho mai visto un’altra Strega. Forse, una volta o l’altra, Flemeth mangerà anche il mio cuore.»

   La fissai a bocca aperta e sguardo inorridito: come diamine faceva ed essere tanto calma davanti a quella possibilità? «Morrigan… ti rendi conto che da quello che mi stai dicendo, ne viene fuori che tua madre è un Abominio?» Nel momento stesso in cui lo chiesi, si affacciò alla mia mente il ricordo di Topo e dei poteri che mi aveva regalato nell’Oblio. Era una cosa diversa, però, cercai di tranquillizzarmi: Topo poteva essere uno spirito benigno, in fondo, e quando avevo provato, per pura curiosità, a mutare forma poco prima di tornare a Redcliffe, avevo scoperto con sollievo di non esserne più capace. Quindi, almeno io, non ero di certo diventata un Abominio.

   «Esistono molte cose in questo mondo e nel successivo che tu ed io non possiamo neanche sperare di comprendere», mi contraddisse Morrigan con aria grave, mostrando finalmente un’emozione nei suoi bellissimi occhi dorati. «Cosa Flemeth sia diventata è un mistero… persino per lei, sospetto.»

   Non riuscivo a capacitarmene. «Com’è possibile che sia sopravvissuta così a lungo?»

   «Il demone dentro di lei l’ha trasformata in… qualcos’altro. Non so se si tratti davvero di un Abominio o meno. So solo che mia madre è astuta. E che è parte delle Selve, così come queste sono parte di lei. Ma non è immortale. Può sanguinare. Una lama piantata nel cuore la ucciderebbe come chiunque altro, sempre che la lama fosse così fortunata da trovarlo.»

   Buono a sapersi, mi dissi, prendendo nota di quella preziosa informazione. Non che volessi combattere Flemeth, non ero così folle né ne avevo motivo. Non finché lei si fosse dimostrata disponibile nei nostri confronti, per lo meno, e dal momento che non aveva fatto altro che aiutarci…

   «Posso chiederti di tua madre?» Quella domanda mi colse alla sprovvista. Che anche Morrigan volesse conoscermi meglio? Ne fui in qualche modo lusingata. «Non molti hanno la fortuna di avere un Abominio leggendario come genitrice, ma sono comunque curiosa.»

   In effetti, al confronto, mia madre non era nulla di speciale. Per fortuna. «Vive in un’enclave, ad Altura Perenne», risposi. Era questo, difatti, uno dei motivi per cui avevo promesso ad Alistair di accompagnarlo fin lì per rendere omaggio a Duncan. Sempre che fossimo sopravvissuti al Flagello. A ben guardare, avevo promesso diverse cose ad Alistair, compreso di aiutarlo a cercare sua sorella. Me ne accorsi solo in quell’istante, e la scoperta mi lasciò spiazzata.

   Morrigan mi riportò alla realtà. «È lì che sei nata?»

   Annuii. «Non è un bel posto. Almeno, non il quartiere in cui vivono mia madre e mia sorella.»

   «Quindi tu hai una sorella di sicuro?» Non seppi dire se nel tono della sua voce ci fosse invidia o altro, ma parve interessata alla cosa.

   «Ha otto anni più di me, ma non la vedo da troppo tempo», spiegai con una piccola morsa di nostalgia. «Adesso è sposata e ha anche tre figli.» Terminai quella frase con un sussurro lontano. Davvero non volevo più tornare a casa? Forse, visto che erano mesi che non lo facevo, potevo almeno scrivere due righe a mia madre, nella speranza che le ricevesse. Ma poi mi dissi che in ogni caso non avrei potuto ricevere risposta. Rimandai la lettera a più tardi, se non addirittura all’indomani.

   «Com’è vivere in mezzo alla gente?» Fissai Morrigan con fare tanto stupito da metterla involontariamente a disagio. «Sai… Sono cresciuta nelle Selve… Ogni tanto scappavo in qualche villaggio vicino, come Lothering… Ecco perché lo conosco», mi spiegò. «A proposito, il nano che viaggia con noi mi ha detto che, mentre eravamo via e lui faceva affari nei dintorni, ha sentito delle voci al riguardo… Pare che Lothering sia caduto sotto la Prole Oscura.»

   Chinai la testa, sconsolata. «Almeno Leliana siamo riusciti a salvarla», mormorai, comunque affranta da quell’unica consolazione. «Conoscevi molte persone, lì?»

   «Di vista, più che altro», rispose Morrigan, atona. «Mia madre mi ha insegnato diverse regole per vivere in comunità, ma… Insomma, ci sono cose di cui non mi ha mai parlato e che proprio non capisco», tornò a balbettare con fare incerto.

   «Del tipo?»

   Lei si accigliò, perplessa. «Per esempio… Perché la gente deve toccarsi?» Per un attimo un pensiero poco casto attraversò la mia fantasia: qualcuno l’aveva molestata, a parte i templari alla Torre? «La trovo una cosa fastidiosa», annunciò irritata. «Perché devi necessariamente stringere la mano a qualcuno se vuoi scambiare un semplice saluto?»

   «Perché devi necessariamente aspettarti un bacio da qualcuno se gli dici semplicemente che stai bene in sua compagnia?»

   Quello sfogo appena sussurrato fra me e me mi costò caro. Morrigan rimase sorpresa e la sua fronte tornò a distendersi, mentre i suoi occhi mi scrutavano con attenzione. Provai a far finta di non aver detto niente, volgendo lo sguardo altrove ma non riuscendo ad impedirmi di arrossire di nuovo. «L’ha fatto?», mi chiese. Mi morsi un labbro. «L’ha fatto davvero?» Adesso era palesemente divertita. Sbuffai, reputandomi un’idiota: proprio a lei dovevo dirlo? Non risposi. «Ma tu guarda», mormorò, giocando con più vivacità con la collana. «E io che lo facevo un incapace…»

   «Non ho mai fatto il suo nome», cercai di difendermi.

   «Il nome di chi?», mi prese in giro Morrigan.

   «Fuori», la scacciai allora, troppo imbarazzata per continuare il discorso. «Tu non ne sai niente, intese?»

   «E vuoi negarmi il mio giocattolo preferito?»

   «Sì!», esclamai, lanciandole contro il fagotto di stoffa che adoperavo come cuscino. «E adesso fuori!» Morrigan rise più forte, ma si alzò ed obbedì senza aggiungere altro. Crollai di nuovo sul mio giaciglio, meditando vendetta contro la mia stupida lingua lunga: se Alistair avesse saputo, mi avrebbe schiaffeggiata. E ne avrebbe avute tutte le ragioni, e non soltanto perché avevo raccontato di noi a Morrigan.

   Di noi, poi… Era un concetto talmente indefinito… Dopo essere usciti dallo studio dell’Arle non ne avevamo più parlato, ed era sbagliato. Sapevo che Alistair non era il genere di persona che prende questo tipo di cose alla leggera. Per cui mi chiedevo se, in tutto ciò, egli tenesse conto di tre cose di fondamentale importanza. La prima, che lui era un umano ed io un elfo. La seconda, che lui era un templare ed io una maga. Infine, la terza, che superava di gran lunga le altre due messe insieme: lui era il figlio del Re ed io non ero nessuno. Quanto ci avrebbe messo per realizzare che era una follia intraprendere una relazione amorosa fra noi, che per di più eravamo Custodi Grigi? Prima o poi, volente o nolente, se anche io fossi stata fino in fondo al suo gioco, avrebbe dovuto fare  i conti con la realtà. E avrebbe ricevuto un’amara sorpresa.

 

Alla fine non riuscii a riposare. Sbuffando, mi alzai e, senza più essere costretta ad usare il bastone come stampella, uscii fuori dalla tenda. I raggi del sole mi ferirono gli occhi, ed io dovetti schermarmi la vista con una mano. Mi guardai attorno e vidi Leliana intenta a parlare con Pether, mentre, più in fondo, Merlino giocava con Sandal. Aspettai di riabituarmi alla luce del giorno ed allungai il collo verso il punto in cui Morrigan, seduta per conto suo e con un libro sulle ginocchia, approfittava della distrazione di Pether per leggere quello che supponevo essere il famoso Grimorio di sua madre. La cosa mi tranquillizzò: significava che non si era precipitata da Alistair per prendersi gioco di lui. Alistair non c’era, però, e se da una parte la cosa mi faceva rilassare, dall’altra mi impensieriva un po’. Non ero abituata alla sua assenza.

   «Vi spiace se vi pongo alcune domande?» Sobbalzai in modo piuttosto goffo, tant’è che Wynne fece un passo indietro. «Non volevo spaventarvi», si scusò, confusa.

   «Perdonatemi», farfugliai cercando di calmare i battiti del cuore. «Ad ogni modo, certo, sono tutta orecchi.» Detto da me faceva piuttosto ridere, ma lei non vi badò.

   Si limitò ad intrecciare le braccia sotto al seno e a fissarmi perplessa. «Perché non mi avete avvisata che stiamo viaggiando con il Principe?»

   «Oh», biascicai. «Alistair ve l’ha detto?»

   «Dopo aver tentato di convincermi che è stato cresciuto da dei cani volanti fedeli ad Andraste.» Mi lasciai andare ad una risatina divertita: che idiota, quell’Alistair. Wynne mi ammonì con lo sguardo ed io mi sforzai di tornare seria. «Come vi salta in mente di portarvelo dietro?»

   Battei più volte le palpebre, smarrita. «Guardate che non sono io che me lo porto dietro», presi allora a contraddirla con decisione. «Sicuramente lui vi giurerà il contrario, ma sono io che sto seguendo Alistair.»

   «Vi seguite a vicenda?»

   Mi strinsi nelle spalle. «Così pare.» Gli occhi scuri di Wynne si restrinsero in due fessure, e anche la linea sottile in cui serrò le labbra mostrò il suo disappunto. «La verità è che non ho la più pallida idea di quello che devo fare», ammisi, troppo stanca di tenermi tutto dentro. «Mi sto affidando a lui. Lo so che è l’erede al trono e che è dannatamente rischioso schierarlo in prima fila per fronteggiare il Flagello, ma è anche un Custode Grigio. Non dimenticatelo.»

   Wynne sospirò pesantemente, abbassando il capo per darmi ragione. «Mi chiedo davvero come andrà a finire tutta questa storia…»

   «Vorrei saperlo anch’io», mormorai atona, spostando la mia attenzione su Merlino che, la lingua penzoloni, correva felice a prendere un sasso lanciatogli da Sandal. «So solo che ho giurato a me stessa di proteggerlo.» Sentivo lo sguardo di Wynne su di me, come se stesse cercando di leggere nei miei pensieri, ma non mi volsi nella sua direzione. «Alistair però non deve saperlo.»

   «Gli siete molto affezionata?» Sebbene pronunciate con l’intonazione di una domanda, sapevo che quelle parole erano una constatazione.

   «È sempre stato gentile con me», le spiegai senza lasciar tralasciare grandi emozioni. «Mi ha confortata quando mi sentivo persa, prende sempre le mie difese, mi dà coraggio… È senza dubbio una delle persone migliori che io abbia mai conosciuto.»

   Wynne si concesse una risata sommessa, di facile interpretazione, ma non commentò, benché mi fece arrossire. «Per lo meno vi ha fatto dimenticare in fretta Cullen», considerò poi, iniziando ad incamminarsi verso Leliana e Pether.

   «Non è come pensate!», scattai sulla difensiva, trotterellandole dietro con fare agitato.

   «Perché, a cosa penso?», continuò a scherzare lei. Tacqui, non sapendo cosa rispondere. Wynne si fermò di nuovo, puntando lo sguardo su Morrigan. «Quella donna…» Deglutii a vuoto. «Non viene da Orlais, vero?»

   Mi torsi le dita delle mani all’altezza del petto. «No», pigolai mortificata.

   Lei registrò quell’informazione con un lungo silenzio, le iridi scure sempre incollate sulla figlia di Flemeth. «Che il Creatore ci assista», sospirò infine, scoccandomi un’occhiataccia e riprendendo il cammino con pazienza.

 

Ci rimettemmo in marcia il giorno seguente. Dopo esserci consultati tutti insieme, decidemmo di tornare indietro, sulla strada per Lothering e di spingerci a nord dei Colli Meridionali per poter imboccare da lì la Foresta di Brecilian dove, secondo le ultime voci raccolte da Bodahn durante i suoi affari, era stato avvistato un accampamento degli elfi Dalish. Sapevamo del rischio che correvamo ripiegando di nuovo per Lothering dopo che questa era caduta sotto la piaga della Prole Oscura, ma l’alternativa era dirigerci a ovest, verso le Montagne Gelide, per avere accesso alla città dei nani. Non avevamo niente contro Orzammar, tuttavia era lì sotto, nelle Vie Profonde, che il pericolo della Prole Oscura restava in agguato tra un Flagello e l’altro; figurarsi adesso che il quinto di essi incombeva spaventosamente su di noi. Non eravamo ancora pronti per affrontare anche solo l’idea di avvicinarci così tanto alle profondità della terra. Non eravamo neanche sufficientemente forti per farlo.

   Viaggiare a piedi non era comodo, tuttavia ci consentiva di prendere sentieri secondari, lontano da occhi indiscreti e, soprattutto, lontano dalla contaminazione che si era allargata a macchia d’olio nella zona meridionale del Ferelden. Adesso non era solo Alistair ad avvertire la presenza di Hurlock, Genlock e Ogre. Da settimane non ci eravamo più imbattuti nei Prole Oscura, per cui avevo dimenticato la fastidiosa sensazione che si provava quando uno di essi si trovava nelle vicinanze: un ronzio soffuso prese ad occuparmi la mente, distorcendo parte delle mie percezioni. Alistair mi aveva rassicurato dicendomi che in poco tempo avrei imparato a gestire la cosa, spingendo quello spiacevole sottofondo ai margini della mia coscienza. E in effetti fu così. Mi chiesi se anche il mio cane lo sentisse, e provai una gran pena per lui.

   Poco prima di arrivare a Lothering, comunque, subimmo un attacco che non avremmo potuto evitare, anche perché non si trattava di Prole Oscura. Mentre attraversavamo una via sterrata, fiancheggiata dai pendii di alcune colline, vedendoci da lontano, una donna ci corse incontro con fare disperato, invocando aiuto. Quasi crollò a terra, ma Alistair e Pether l’afferrarono prima che fosse troppo tardi. Piangendo, lei ci disse che degli uomini avevano attaccato il suo carro, uccidendo suo marito e suo figlio, e che era sfuggita per un soffio al loro tentativo di aggressione solo perché quelli parevano più interessati ai loro averi che a lei.

   «Da che parte sono?»

   «Più avanti», rispose singhiozzando. «Per favore, per favore, non lasciatemi sola! Ho bisogno di quelle merci, sono tutto ciò che ho!»

   Non avendo molta scelta, dal momento che i banditi si trovavano sulla nostra strada e che non era neanche da considerare l’idea di tornare indietro o di abbandonare quell’infelice al suo destino, ci lasciammo guidare da lei fino al luogo dell’assalto. Le avevamo detto di aspettarci indietro insieme a Bodahn, Sandal, Pether e Merlino, ma non aveva voluto sentir ragioni. Pensai che forse non si fidava neppure di noi.

   Quando fummo a pochi passi dal carro, effettivamente rovesciato in mezzo alla via per sbarrare il cammino, non trovammo alcun cadavere, a parte quello di un povero animale da traino. Davanti ad esso, però, si stagliava un elfo dall’esotica carnagione scura, ornata con un tatuaggio sul lato sinistro del volto, e dai capelli chiari che gli scendevano sulle spalle. Indossava un’armatura leggera, e dietro la sua schiena si potevano notare le impugnature di due grossi pugnali da combattimento. Se ne stava fermo lì, le braccia conserte, a fissarci con aria allegra e la bocca larga aperta in un sorriso assai furbo.

   «Il ricognitore aveva ragione», esordì lui con accento straniero, mentre noi ci arrestavamo di colpo e la donna invece proseguiva fino ad affiancarlo soddisfatta. «Due giovani biondi, un ragazzo ed un elfo femmina, un guerriero ed una maga. Che mi venga un colpo se non sono loro i Custodi Grigi.» Si trattava di una trappola, ormai era palese.

   «Chi siete?», volle sapere Alistair, con voce dura e allarmata a un tempo, la mano già stretta sull’elsa della spada.

   «Ha importanza?» L’elfo si rivolse alla sua collega. «Sei stata brava», si congratulò ammirato. Lei chinò la testa in cenno di ringraziamento. «Ma prima di crogiolarci nel successo della nostra missione, cerchiamo di finirla, okay?»

   Detto questo, schioccò le dita, ed io avvertii nitidamente il suono di alcune corde tendersi. Solo allora alzammo lo sguardo verso i pendii, appena in tempo per scorgervi due file di arcieri che ci puntavano contro decine di frecce: eravamo circondati. Vidi la donna levare le braccia verso l’alto e compresi.

   «È una maga. Alistair, occupatevi di lei, al resto penseremo noi.»

   «Siete matta?»

   Non ebbi tempo di replicare, perché la battaglia cominciò. Approfittando di un incantesimo di paralisi formulato da Wynne contro alcuni arcieri, con agili balzi, Leliana li raggiunse in fretta, le dita serrate attorno al proprio pugnale, pronta a colpire i nemici nei punti vitali. E fra una pioggia di saette che Morrigan si preoccupò di congelare a mezz’aria, mi feci coraggio ed invocai la potenza di una palla di fuoco che si scagliò sui nostri assalitori, costringendoli a terra, urlanti e gementi. Li finimmo con dei fulmini, mentre alle nostre spalle Leliana, liberatasi dei primi avversari, era passata a recidere i tendini delle caviglie di quelli rimasti. Affidandosi a lei e alla sua destrezza con le lame, Wynne si era intanto unita ad Alistair, intrattenendo l’elfo mentre il nostro compagno finiva di sistemare la maga. Se avevano sperato di averla facilmente vinta con i suoi poteri si sbagliavano di grosso: dalla nostra avevamo incantesimi altrettanto potenti, moltiplicati per tre, e, meglio ancora, un templare che sapeva il fatto suo.

   L’inconveniente si risolse in breve, a conti fatti, e l’unico sopravvissuto al nostro massacro fu l’elfo, ancora bloccato dalla magia di Wynne. Leliana rinfoderò il pugnale dopo averne pulito la lama su di un panno appeso alla cintura, ed inforcando il proprio arco balzò davanti al prigioniero, tenendolo sotto tiro e dando la possibilità alla nostra Incantatrice anziana di allentare la morsa su di lui. L’elfo ricadde pesantemente al suolo, spossato. Scrollò il capo con aria confusa, cercando di riprendersi, e infine alzò gli occhi nella nostra direzione, i lunghi capelli biondi che gli ricadevano sul viso. Benché fosse ferito, sorrideva.

   «Volete davvero uccidermi così, su due piedi?», domandò d’un tratto. «Fossi in voi, non lo farei.»

   «Perché?», domandò Alistair, rigirandosi l’elsa della spada nel pugno.

   L’altro si mosse, e poiché lo facemmo anche noi, pronti a scattare contro di lui, alzò le braccia per farci capire che non aveva più alcuna intenzione ostile nei nostri confronti. «Non volete sapere chi sono e chi mi ha ingaggiato?»

   «Non siete dei comuni briganti, questo era parso chiaro sin dal principio», ribatté Leliana. «Dite un nome. Starà a noi, poi, decidere se credervi o meno.»

   Messosi a sedere a gambe incrociate, le mani ancora ben in vista, il prigioniero fece scorrere lo sguardo intelligente da Alistair a me e viceversa. «Voi due siete i Custodi Grigi, dico bene?» Non attese una conferma per continuare, ma già avevamo compreso la situazione. «Teyrn Loghain deve temervi molto per aver assoldato uno come me.»

   «Oppure non ci teme affatto, visto quanto sei scarso», infierì Morrigan, annoiata.

   L’elfo scosse la testa. «Non sono io ad essere debole, tesoro. Siete voi ad essere forti.» Le sue pupille indugiarono ancora su di me, come se lui stesse preparandosi ad escogitare qualcosa. «Avete mai sentito parlare dei Corvi di Antiva?» Certo che sì, chiunque li conosceva nel Thedas. Era un’organizzazione di assassini di alto livello, temuta e rispettata, alla quale nessuno, neanche un re, avrebbe mai tentato di opporsi. Loghain era dunque arrivato ad assoldare uno di loro pur di eliminare me e Alistair? «Mi chiamo Zevran. Zev, se vi piace di più», si presentò l’elfo. «Ho una proposta per voi.»

   «Vi sembriamo tanto idioti da decidere di trattare con chi ha appena cercato di ammazzarci?», s’innervosì Alistair.

   «Si fa quel che si può, nella vita», rispose Zevran, scuotendo le spalle sottili. Per essere uno della mia specie, aveva un aspetto nient’affatto elegante, e probabilmente avrebbe potuto esercitare un certo fascino soltanto su quelle donne che amano l’uomo con l’aria da canaglia. Non su di me, comunque. «Personalmente non ho nulla contro di voi, e dal momento che tornare dai Corvi significherebbe morte assicurata, mi chiedevo se non foste interessati a me.» Di nuovo il suo sguardo si fermò sul mio. Mi sorrise. «Potrei esserti utile, sai?», disse ancora, decidendo di rivolgersi a me sola.

   «Perché mai dovremmo scendere a patti con uno come voi?», volle sapere Leliana, la freccia sempre incoccata nell’arco. Si mosse lateralmente per portarsi alle sue spalle e tenerlo meglio sotto controllo. Fra noi, sembrava quella che si fidava di meno. «Potreste concludere l’opera non appena abbasseremmo la guardia.»

   «I Corvi non tollerano il minimo fallimento», la contraddisse lui, serio. «Che mi uccidiate qui o che decidiate di lasciarmi andare, loro mi troverebbero e mi giustizierebbero.»

   «E pretendete di unirvi a noi, mettendoci maggiormente in pericolo?», ribattei, sconcertata da quella prospettiva. «Non se ne parla nemmeno.»

   Zevran non si perse d’animo e tornò a stendere la bocca verso l’alto, in un modo che non mi piacque per niente. «Tu sei molto più forte di me, saprai proteggere entrambi. Ed io posso avvertirti per tempo delle trappole tese dai Corvi, so come lavorano», cominciò quindi nella sua opera di convincimento. «E se questo non ti bastasse, posso guadagnarmi cibo e protezione in ben altri modi.»

   Alistair si accorse ben prima di me che i suoi occhi erano scesi a studiare con chiaro interesse i centimetri di pelle che il mio abbigliamento lasciava scoperti – e, a dire il vero, non erano poi molti, a parte le braccia. «Perché mai dovremmo fidarci di un assassino?», chiese, mostrandogli la lama della spada.

   Neanche questo bastò a scoraggiare l’elfo. «Perché anche i Custodi Grigi prendono assassini fra le loro fila», spiegò serafico. «Servono per prevedere le mosse dei nemici.»

   «Quelli che ho conosciuto io erano molto più interessati alla mia… conformazione fisica, credetemi», bofonchiai, tanto per fargli capire quanto poco li avessi in considerazione, utili o meno che fossero.

   «Tutte balle», sghignazzò Zevran. «Non è vero che le donne elfo ce l’hanno più stretta.» Sbuffai, a disagio. «Garantisco io, che ne ho provate tante.» Nel dirlo, ammiccò nella mia direzione.

   Vidi Alistair sul punto di spingere la propria arma contro la sua gola, ma si trattenne grazie anche all’intervento di Morrigan. «O magari sei tu che non noti la differenza a causa della tua, di conformazione fisica.»

   Dinanzi a quell’affondo maligno e pesante, il mio compagno allentò la presa sull’elsa, mentre un’espressione vittoriosa si dipingeva sul suo volto, a testimoniare il suo grande orgoglio virile. Zevran invece rise più forte di prima. «Se dovessimo davvero fare affidamento ai luoghi comuni, allora cosa dovremmo pensare di questo spilungone del vostro amico? Con i piedi enormi che si ritrova, non oso immaginare il resto

   La punta della spada di Alistair tremò leggermente, e noi tutte, compresa Wynne, ci voltammo a fissarlo senza quasi accorgercene. Lui avvampò. «Oh! Giù gli sguardi, signore!», sbottò, imbarazzato come un bambino. «Ma roba da matti…», farfugliò poi confusamente, voltandosi ed allontanandosi di qualche passo per sfuggire alle nostre fantasie.

   «Troppo carino», commentò Leliana, intenerita. «Mi domando se sia vero.»

   «Viene voglia di pizzicargli le guance», convenne Wynne, deliziata da tanta innocenza.

   «A me di pizzicargli altro», ci sorprese l’elfo.

   «Hai sentito, spilungone?», cinguettò Morrigan col suo solito fare canzonatorio. «Al tuo posto, ci penserei molte volte prima di dargli le spalle.»

   Allarmato da quella verità, Alistair si girò di nuovo verso di noi, tenendo alta la guardia con lo scudo e la spada ben in vista, ma non disse nulla. Mi sforzai di rimanere seria e tornai a prestare attenzione al prigioniero, che intanto aveva ripreso a parlare. «Visto che lui non sembra intenzionato a favorire, che mi dici di te?»

   «Prego?», balbettai, sperando di aver capito male.

   «Ti serve qualcuno che ti faccia divertire? Che ti scaldi il letto?» Alistair piombò fra noi come un grosso avvoltoio affamato. «Oh», osservò allora Zevran, incurvando un angolo della bocca in su. «A quanto pare c’è già qualcuno che lo fa», concluse.

   «Zitto», gli intimò l’altro, nervoso. «Non vi permetto di parlarle in questo modo.»

   Divertito, l’elfo inarcò le sopracciglia. «Voglio solo rendermi utile», garantì sincero. «E comunque, se vi interessa, sono a disposizione di entrambi. Anche contemporaneamente.»

   Con grande sconcerto, mi resi conto che gli unici scandalizzati da quella proposta indecente eravamo io ed Alistair. «Via di qui, prima che vi squarci la gola», ruggì furioso il mio compagno.

   «Calma, calma», provò a trattare ulteriormente Zevran. «Non abbiamo ancora sentito la risposta di questa bambolina.»

   «Credete davvero di potermi raggirare con le vostre lusinghe?», dissi quindi. Se non avevo intenzione di dormire con Alistair, figurarsi se volevo farlo anche con lui.

   «Andiamo, sono sicuro di poter assecondare ogni capriccio di una dea del sesso come te.»

   Nauseata, non ebbi nulla da obiettare quando Alistair gli si avventò contro. Lo agguantò per il bavero dell’armatura e lo sollevò da terra con la forza di un solo braccio. Gli piantò la punta della spada alla gola. «Un’altra parola e siete morto», ringhiò cercando di essere convincente. Sapevo che non lo avrebbe mai ucciso, non certo per così poco, visto che l’altro era anche disarmato. Perciò non intervenni, né lo fecero le altre.

   Zevran tacque una volta per tutte, gli occhi scuri in quelli del suo aguzzino, forse sperando di capire se facesse sul serio o meno. Ma Alistair era arrabbiato davvero, e forse sarebbe realmente apparso pericoloso a chi, come l’elfo, non lo conosceva.

   «Sparite e non fatevi rivedere mai più», affermò poi, spintonandolo via. Leliana si spostò per non essere travolta, pur continuando a tenere la corda dell’arco tesa, pronta a scoccare la freccia, se necessario. Non ve ne fu bisogno, comunque, perché l’assassino di Antiva ci rivolse un ultimo saluto con un impercettibile cenno del capo e infine scappò via, inerpicandosi su per uno dei pendii che costeggiavano il sentiero e sparendo presto alla nostra vista, non appena si rifugiò fra la macchia d’alberi più vicina.

   Probabilmente era stata un’imprudenza lasciarlo andare, ma poiché noi non eravamo alla stregua dei nostri avversari politici, non avevamo la minima intenzione di uccidere i loro sicari, a meno che non fosse strettamente necessario, o, peggio, portarceli dietro col rischio che ci ammazzassero a tradimento. C’era ancora l’eventualità che Zevran ci seguisse, però, per cui decidemmo di non abbassare mai la guardia. Né con lui né con tutti quelli che ci avrebbero di nuovo avvicinati per strada. Meglio essere prudenti che morti.













L'unica cosa davvero seccante di questa long è che purtroppo spesso sono costretta a riportare dialoghi sputati (o quasi) a quelli del videogioco, come nel caso del racconto di Morrigan su Flemeth.
Sull'incontro con Zevran, invece, ho provato a ricorrere alla memoria, così che potessi aggiungere dettagli che, credo, potessero dare un'idea del suo personaggio. E siccome, fifona come sono (e com'è di conseguenza Nimue), non ho voluto prendere in considerazione l'idea di portarmelo dietro (insomma, è un assassino!), mi sono dovuta affidare anche al betaggio di NicoDevil (che invece adora l'elfo di Antiva) per quella parte.
Non conoscendo bene Zevran, perciò, chiedo scusa ai suoi fan nel qual caso avessi toppato con la sua caratterizzazione. Non perché non mi fidi del giudizio di NicoDevil, anzi; è solo che a me Zevran non piace per niente (almeno per quel poco che ci ho avuto a che fare, poi magari potrei anche cambiare idea la prossima volta che giocherò, visto che ho intenzione di portarmelo appresso), per cui ho sempre la dannata paura di cadere nel bashing più infame. E OOC e bashing sono le due cose che odio di più nelle fanfiction, per cui sentitevi pure liberi di bastonarmi se dovessi cadere nell'uno o nell'altro errore.
Tornando brevemente allo scorso capitolo, non mi aspettavo riscuotesse tanto successo, anche perché Nimue non ci fa propriamente una bella figura. Anzi. E credo che con l'aggiornamento di oggi sia stata piuttosto chiara: Lara non ha tutti i torti a dire che Nimue ha assecondato Alistair per pietà... Che situazione del cavolo, poveri tutti e due.
Concludo ringraziando tutti i lettori, la mia beta Atlantislux (anche per la dettagliata analisi psicologica che ha fatto ad Alistair e Nimue nella sua ultima recensione), NicoDevil (per l'aiuto extra che mi ha dato), The Mad Hatter (Uhm... sì, forse possiamo dire che avevi ragione, anche se ci sono voluti dodici capitoli per far capire a quell'addormentata del mio elfo come stessero le cose. XD), Evertine (Ti ringrazio, ma, credimi, il colpo di scena romantico non era voluto: me lo sono trovato anch'io fra capo e collo mentre giocavo. ^^; ), ENS (Oddio! Io a quello spero di non arrivarci mai! Anche perché, oltre che Zevran, non mi piace neanche Isabela! XD) e Lara (Ma no! Ma no! Alistair non puzza! Ha solo un odore... speziato, ecco. XD) per il loro sostegno. ^^
Shainareth
EDIT: Dimenticavo! La storia dei piedi enormi di Alistair non è proprio farina del mio sacco, benché anch'io li avessi notati. Ho preso spunto da qui: http://aimo.deviantart.com/art/DA-Big-Feet-Alistair-141179023





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Capitolo 14
*** Gli elfi Dalish ***







CAPITOLO QUATTORDICESIMO – GLI ELFI DALISH




«È bello essere giovani e innamorati, eh?» La voce di Wynne mi procurò un serio principio di infarto, specialmente per via delle parole che usò.

   Passata da un po’ Lothering, o meglio quel che ne rimaneva, approfittammo del calar della sera per riposare a dovere. Da giorni infatti la presenza della Prole Oscura mi ronzava nella testa, segno che si trovava nei paraggi; e non appena quel fastidioso sottofondo si attenuò, fin quasi a scomparire, ci permettemmo il lusso di accamparci per bene, montando le tende senza più accontentarci soltanto di un piccolo falò e di un po’ di cibo. Eravamo lieti di poter dormire in modo decente e, soprattutto, senza il continuo allarme dei nemici che rischiavano di saltarci addosso da un momento all’altro. Alistair mi aveva spiegato che i Prole Oscura sentono la presenza dei Custodi Grigi grazie alla corruzione del sangue di questi ultimi, per cui probabilmente, così come noi cercavamo di evitare loro, loro cercavano di tallonare noi. Dalla nostra però avevamo due vantaggi: anzitutto, un paio di Custodi sono meno visibili di un vespaio di Prole Oscura; in secondo luogo, Alistair ed io eravamo appena entrati nell’ordine, e pertanto il nostro sangue ed i nostri corpi non erano ancora pesantemente compromessi dalla corruzione quanto i loro. Difficilmente ci avrebbero intercettati.

   Quel pensiero mi aveva confortata al punto da farmi credere che avrei potuto dormire più o meno bene, quella notte… e invece no. Anzitutto perché era arrivata Wynne a mettere becco nella già delicata situazione fra me ed il mio collega. Dopo quella volta a Redcliffe, Alistair non mi aveva più cercata in privato, benché anch’io in effetti evitassi accuratamente di trovarmi da sola con lui troppo a lungo per timore che fossimo costretti in qualche maniera a riprendere il discorso. Mi stavo perciò illudendo che, con un po’ di fortuna, Alistair avrebbe pian piano messo da parte la questione, magari reputandola un increscioso incidente di percorso. Da gran vigliacca qual ero, difatti, speravo di liberarmi la coscienza in questo modo, così da non dover affrontare la realtà. Eppure, una parte di me viveva in costante agitazione: perché Alistair non mi cercava più? Gli avevo fatto qualcosa di male? Aveva capito tutto? O forse non gli interessavo poi così tanto? Più ci pensavo, più mi sentivo inquieta, e non ne capivo la ragione.

   «Non per impicciarmi dei vostri affari privati, ma va avanti da molto?», volle sapere Wynne, approfittando del fatto che fossi lontana dagli altri, impegnata a dar da mangiare al mio cane. Non risposi, non sapevo cosa dire. La sentii sospirare e si accovacciò di fronte a me. La sua lunga tunica rossa e marrone si adagiò al suolo in un fruscio impercettibile e lei rimase in silenzio per un po’. «È evidente, lo sapete?», riprese poi con voce calma e quasi intenerita, mentre con una mano passava una carezza sulla testa di Merlino. «È difficile non accorgersi che vi fa gli occhi dolci quando è convinto che nessuno lo stia guardando.» Mi resi conto di arrossire, e ringraziai il crepuscolo per la possibilità che mi dava di nascondere almeno in parte i colori del mio viso. «È l’erede al trono», mi rammentò dolcemente Wynne, cercando di farmi ragionare. Se non altro, pur toccando il tasto più importante, aveva deciso di non accennare a quelli ben più dolorosi che riguardavano il mio essere elfo e maga.

   «Alistair non vuole diventare re», risposi laconicamente. Non che volessi confermare i sospetti della mia buona amica sui miei sentimenti per lui, tuttavia non riuscivo neppure a convincermi di rivelarle la verità.

   «Me l’ha detto», mi concesse Wynne. «Rimane però il fatto che siete due Custodi Grigi e che avete delle grosse responsabilità.» Come se non lo avessi saputo… Era venuta a ricordarmi quanto odiassi ciò che ero diventata, nonostante mi sforzassi di cogliere i lati positivi della cosa? «Alistair mi sembra piuttosto inesperto nelle faccende di cuore.»

   Io invece avevo forse numerose storie d’amore alle spalle? «Lo è», replicai, cercando di dominare il nervosismo. Se non lo fosse stato, Alistair si sarebbe immediatamente accorto che qualcosa non quadrava e me ne avrebbe chiesto conto.

   «È un bravo ragazzo, ingenuo e puro. Mi si spezzerebbe il cuore a vederlo star male.»

   Arrabbiata, alzai finalmente lo sguardo su Wynne. «State forse dicendo che potrei ferire Alistair?» Era l’ultima cosa che volevo, e per evitare che accadesse mi stavo scervellando da giorni per trovare una soluzione che facesse meno danni possibili.

   Wynne scosse la testa canuta con estrema pazienza. «Non intenzionalmente, certo.» Mi vergognai di me stessa, rendendomi conto che aveva ragione. Chinai gli occhi senza riuscire a vedere realmente ciò che stavo fissando: dopotutto aspettavo un segno che mi indicasse la via da seguire, giusto? Allora probabilmente il Creatore mi aveva mandato lei per fare chiarezza nell’intricata matassa di pensieri che mi affollavano la mente. «Ma, in quanto Custodi Grigi, potrebbe venire il momento in cui sarete costretti a dover compiere delle scelte dolorose. E per allora sarà troppo tardi, ci avete pensato?» Annuii silenziosamente, sentendo il naso pizzicare per il pianto contro cui stavo lottando. Wynne mi passò le dita fra i capelli per scostarmeli dalla fronte. Fu un gesto molto materno, che apprezzai al punto da lasciarmi vincere da una lacrima solitaria. La scacciai con un rapido gesto della mano. «Perdonatemi», mi sussurrò Wynne, sinceramente contrita. «Voglio solo il bene di entrambi, lo capite?» Abbozzò un sorriso. «Ad ogni modo, il mio è solo un consiglio. Fatene ciò che volete. Non è a me che dovete delle spiegazioni. State tranquilla, non vi importunerò più al riguardo.»

   «Grazie», biascicai con voce incerta. Mi schiarii la gola per renderla più ferma. «Rifletterò su quanto mi avete detto.» E lo avrei fatto davvero, anche se quello era già un chiodo fisso che mi tarlava la mente da prima che lasciassimo Redcliffe.

   Quando Wynne mi lasciò di nuovo sola, mi parve di sentire più freddo di quanto già non facesse. Mi strinsi nelle spalle, continuando a rimanere dov’ero e a rimuginare sulla questione. E la conclusione a cui giunsi per l’ennesima volta era che dovevo essere sincera fino in fondo, con Alistair, per evitare ad entrambi guai maggiori in futuro. Presi perciò a pensare a come dirglielo, e l’unica cosa che mi pareva sensata era l’obiezione mossa da Wynne: in quanto Custodi Grigi avremmo dovuto dedicare la nostra attenzione e la nostra vita unicamente alla salvaguardia dell’umanità.

   Chiusi gli occhi nel tentativo di scacciare dalla testa il ricordo di quel maledetto rito dell’Unione, quello che aveva stravolto la mia esistenza in modo irreversibile, abbreviandola e rendendola assai più pericolosa. Cosa ci avevo guadagnato, da tutto quello?

   «Comincia a far fresco, eh?»

   Ecco cosa.

   Riaprii le palpebre e vidi Alistair raggiungermi e sedersi lì dove pochi minuti prima era stata Wynne. «L’inverno non è poi così lontano, dopotutto», risposi, sentendomi di colpo più serena. Ero consapevole del fatto che stavo per dargli una stilettata al cuore, eppure mi sentivo calma, forse rassegnata.

   «Fareste bene a mettervi qualcosa addosso.»

   «Aspetto che Merlino finisca la sua cena e vado.» Gettai un altro grosso boccone al mio mabari, lisciandogli il dorso mentre lui spalancava le fauci.

   «Formaggio?», farfugliò Alistair, stralunato. «Gli state dando del formaggio?»

   Lo fissai perplessa. «Sì, perché?»

   «I cani mangiano carne», mi accusò con aria severa. «Come potete sprecare del prezioso formaggio per un fetido ammasso di pulci?» Merlino ringhiò, lasciando cadere quella leccornia a terra. «Parlavo di me, non di te», si corresse allora Alistair, facendo l’amicone col mio segugio perché memore dell’ultimo morso ricevuto. «Tu sei un bel cucciolone, bravo e obbediente. Vero?» Merlino abbaiò, scodinzolando felice e tornando a leccare la sua cena.

   «Non so chi dei due sia più scimunito», commentai sconsolata. «Che avete contro il formaggio?»

   «Ho un’insana passione per il formaggio. Ci dormirei persino insieme», replicò Alistair, stizzito. «Se voi foste fatta di formaggio…»

   «Buono, zitto, ho capito», gli tappai la bocca prima che potesse continuare, senza riuscire ad evitare di arrossire.

   «Credevo che fosse finito, e invece scopro che avete dato a lui l’ultimo pezzo», bofonchiò il mio collega, scostando la mia mano e prendendola fra le sue per riscaldarmela.

   «Mi spiace, se lo avessi saputo…»

   Sbuffò, guardando con chiara invidia Merlino che sgranocchiava il suo pasto. Dovevo dirgli la verità, e ora mi pareva il momento adatto: eravamo soli ed io ero abbastanza determinata a farlo. Se avessi tentennato, forse sarei tornata a farmi trascinare dagli eventi senza concludere nulla.

   «Alistair?», cominciai, sentendo il piacevole tepore delle sue dita sulle mie. Non osavo muovermi.

   «Mh?»

   Non alzò gli occhi su di me, e lo reputai un buon segno: non avrei saputo resistere, altrimenti. Aprii la bocca per parlare, ma subito mi resi conto di non avere idea di come iniziare il discorso. Dovevo sbrigarmi o mi sarei persa ancora una volta. Notando che non spiccicavo parola, Alistair sollevò la testa. Ahi. Esitai di conseguenza. Il suo sguardo rimase fisso sul mio per qualche attimo, ed io compresi che davvero non avrei mai potuto fargli del male. Le sue iridi castane mi scrutarono con forza e dolcezza al contempo, risultando efficaci come calamite.

   «Che c’è?», mi esortò dopo un po’, inconsapevole della tribolazione in cui mi stava costringendo da giorni. Lo avrei preso a ceffoni, salvo poi pentirmene un secondo dopo.

   Sospirai, arrendendomi all’evidenza dei fatti: non volevo disilluderlo. Perché non ne avevo il coraggio, ovviamente, ma anche e soprattutto perché adesso cominciavo a dubitare di me stessa. «Niente, l’ho dimenticato.»

   «Memoria corta?», mi canzonò lui.

   «Può darsi», mormorai con un sorriso, stringendo la mano nella sua. A ben guardare, non avrei mai potuto schiaffeggiarlo.

   «Dite che se glielo rubo, mi morde?» O forse sì?

   «Avreste cuore di rubare il cibo di bocca ad un cane?»

   «Sì, se quel bastardo si slinguazza il mio formaggio», ribatté Alistair, indignato.

   «A maggior ragione: ormai è ricoperto di bava», gli feci notare con fare schifato.

   «Beh, magari togliendo la parte esterna…»

   «Alistair!», esclamai inorridita, benché in realtà stessi ridendo.

   «Cosa?», fece il finto tonto lui.

   «Non potete essere serio!»

   «Voi sottovalutate il mio amore per il formaggio.»

   «Al punto da ingurgitare anche la bava di un mabari?»

   Fece spallucce. «Perché no? Ho bevuto sangue di Prole Oscura…»

   Il ragionamento filava, ma… bleah. «E avete anche avuto il coraggio di baciarmi?!», gli rinfacciai. Alla fine, come la perfetta cretina che sono, fui io a rispolverare l’episodio. Mi venne naturale, e, anzi, farlo mi parve una liberazione.

   «E lo farei altre mille volte, se solo me ne lasciaste l’occasione», ammise Alistair senza vergogna.

   «Scemo», soffiai in evidente imbarazzo. Mi liberai dalla sua presa e lo spintonai con entrambe le mani, sbilanciandolo all’indietro ma non abbastanza da farlo cadere. «Doppio scemo», aggiunsi, vedendolo sghignazzare.

   Quindi, mi alzai finalmente in piedi ed iniziai a dirigermi verso la mia tenda, pur non così in fretta da non sentirgli dire scherzosamente al mio cane: «E sarei io, quello timido…» E poi: «Me ne lasceresti un pezzetto?»

   Merlino ringhiò.

   Agitata, indispettita, eppure tremendamente lusingata come una bambina lodata dalla mamma, mi rintanai nel mio rifugio anche per mettere qualcosa di più pesante addosso. Non potei farlo, tuttavia, perché caddi nell’agguato di Morrigan che, vedendomi, saltò su dal mio letto – sul quale si era piazzata chissà quando – e mi fu addosso come un predatore.

   «Dobbiamo parlare», esordì con tono lugubre.

   «Se è per via di Alistair», cominciai io, improvvisamente preoccupata dal fatto che potessimo contenderci lo stesso uomo, «ti assicuro che non è successo più niente, tra noi.»

   Gli occhi felini di Morrigan si svuotarono di ogni parvenza di intelligenza, e lei balbettò, inebetita: «Cosa…?»

   Il tarlo del dubbio si insinuò in me, ricordandomi quanto poco incline fossi a capire le faccende amorose mie e degli altri. «Non ti piace?», chiesi comunque per scrupolo.

   «Vuoi morire?», mi domandò lei, scoccandomi uno sguardo torvo. «Non ci metto niente a trasformarmi in un grosso ragno peloso e schifoso.» Rabbrividii da capo a piedi, indietreggiando istintivamente nell’oscurità della tenda e stringendomi nelle spalle. «Tienitelo pure, quello sciocco», precisò disgustata, a scanso di equivoci. «Ho cose di gran lunga più importanti a cui pensare.» Fece luce con la sommità del suo bastone, rischiarando appena l’ambiente in modo suggestivo. «Nonostante quel mago spione ed il poco tempo libero, ho finalmente finito di leggere il Grimorio», annunciò, tetra.

   «Ed era interessante?», mormorai, impacciata per la figura appena fatta.

   «Devi uccidere Flemeth.»

   «Cosa?!» La fissai a dir poco allibita. «Come puoi chiedermi di…?»

   «Rammenti quello che ti ho detto l’altro giorno?», mi incalzò Morrigan. Di colpo mi sembrò tornata la stessa creatura incantata che avevo incontrato nelle Selve Korcari. «Pare sia vero. Flemeth si nutre sul serio delle sue figlie per sopravvivere attraverso i secoli.»

   Intontita, tesi le braccia in avanti, mostrandole i palmi delle mani e facendole cenno di fermarsi. «Hai detto anche che quel Grimorio è un falso.»

   «Mi porterai quello originale quando Flemeth sarà morta.»

   Era dannatamente seria, e la cosa mi spaventò non poco. «Morrigan, non puoi chiedermi di ammazzare tua madre!»

   «Preferisci che sia lei ad ammazzare me?!», volle sapere irritata, corrucciando la fronte.

   Scossi il capo con violenza, gesticolando con foga. «No!», esclamai seccamente. Lei si calmò e mi lasciò continuare. «Flemeth però ha salvato la vita a me ed Alistair, e ci ha aiutati con la faccenda dei trattati. Fatico a credere che…»

   «Dimentichi che è un tutt’uno con un demone», mi interruppe a quel punto Morrigan. «Conosco mia madre. Il fatto che voi scongiuriate il Flagello potrebbe essere in ogni caso nei suoi interessi», mi spiegò. «Oltretutto, se non poniamo fine alla sua esistenza, dopo di me moriranno molte altre ragazze. Non ci hai pensato?» In effetti no.

   «Lei ci ha detto che tu sei la cosa più preziosa che ha», provai a ribattere debolmente.

   «Certo. Al momento sono la sua unica figlia, e quindi la sua unica fonte di nutrimento.»

   Era una storia paradossale ed agghiacciante. Rimasi in silenzio, riportando a galla ogni frammento del racconto di Morrigan, e mi resi conto che, in ogni caso, l’anziana Strega delle Selve poteva costituire comunque un pericolo: era un Abominio, se non peggio.

   «Perché devo essere io a farlo?»

   «Tu sei forte», affermò Morrigan senza esitare, dandomi l’impressione di credere ciecamente alle sue parole. «Anche se sei convinta del contrario, dentro di te c’è molto potere.» Erano le stesse cose che mi ero sentita ripetere decine di volte durante gli anni passati a Kinloch Hold. Morrigan doveva avermi studiata attentamente per essere giunta alle medesime conclusioni dei miei insegnanti. Si fidava così tanto di me? Al punto da volermi affidare la sua vita?

   «Flemeth è più forte.»

   «Allora tu superala», mi esortò, avvicinandosi. Un fuoco che non le avevo mai visto nello sguardo l’agitava tutta, rendendola bellissima e piena di passione. «Non ti sto chiedendo di affrontarla ora.»

   «Quando?»

   Morrigan rimase in silenzio, gli occhi nei miei, come se stesse cercando di leggermi nell’anima, di violare segreti di cui forse nemmeno io ero a conoscenza. Dovette trovarvi qualcosa di spiacevole, forse, perché calò le ciglia scure, assumendo per un solo, breve attimo un’espressione mesta.

   «Prima che affrontiate l’Arcidemone», disse poi, tornando determinata come prima, le mascelle serrate a sottolineare la sua serietà.

   L’alternativa era lasciarla morire.

   «Dovrò farlo da sola?»

   «Non mi importa chi porterai con te», mi rassicurò. «Io però non potrò aiutarti, o finirei per essere divorata subito, magari in un suo disperato tentativo di rinvigorirsi. Non mi illudo che tanto basti a fermarla. Ucciderla, intendo. Non so cosa sia realmente Flemeth, ma prima che possa tornare offensiva, passerà del tempo, e se tu mi porterai il suo Grimorio, potrò studiarlo e prepararmi ad un suo eventuale ritorno.»

   Mi presi qualche istante per riflettere con calma, e mi resi conto che quella era un’altra delle cose davanti alle quali non mi sarei potuta tirare indietro neanche volendo. Feci un respiro profondo. «Dammi del tempo», le dissi allora, pronunciando quella risposta con incredibile lentezza. Troppe perplessità mi attanagliavano la coscienza, ma sapevo che Morrigan non era una bugiarda. «Ne riparleremo quando avremo reclutato Dalish e nani.»

   Strinse le labbra in un’espressione incerta, forse delusa. «D’accordo», mi concesse infine. «Spero solo che Flemeth non ci ripensi e mi divori prima del previsto.»

   «Non lo farà. E se solo si azzardasse a farsi viva, sarò io stessa a farla a pezzi», dichiarai convinta. Almeno questo potevo prometterglielo subito.

   Annuì, rilassandosi con un sospiro. «Bene.»

   «Perciò stammi sempre vicino.»

   «Sei matta?», mi scrutò nauseata lei, agitando la mano libera davanti a sé come a voler allontanare fisicamente quell’offerta. «Non voglio esserci quando inviterai Alistair nel tuo letto.»

   «Morrigan!», ululai scandalizzata, coprendomi il viso in fiamme per la vergogna e facendo un altro passo indietro. Quindi, scrollando la testa per scacciare chissà quale immonda immagine dalla mente, spense la luce del bastone ed uscì, lasciandomi sola nella confusione più completa.

   Fra la storia di Flemeth ed i miei problemi personali, quella notte non avrei certo potuto riposare quanto avrei voluto.

 

Man mano che ci avvicinavamo ai confini di Brecilian, a nord dei Colli Meridionali, la presenza della Prole Oscura andava diminuendo sempre più, fino a scomparire del tutto. L’aria si purificava, e questo riuscivano ad avvertirlo anche gli altri nostri compagni, tanto era stata corrotta quella che avevamo respirato fino a quel momento. Persino la vegetazione pareva trarne giovamento, tornando lentamente più fitta e variegata. Fu un sollievo, benché su di noi incombeva ancora il timore di altre imboscate da parte dei tirapiedi di Loghain. Ma Zevran non si era più fatto vivo e sulla nostra strada non eravamo incappati in altri intoppi.

   Non avevo mai incontrato i Dalish, comunità di elfi nomadi che vagano per il Thedas. Viaggiano su carri che loro indicano con la parola aravel, e che sono decorati da rappresentazioni delle loro divinità e trainati da grandi cervi bianchi, gli halla. Gli aravel sono adornati con ampi teloni e luminosi manti di seta scossi dal vento, sui quali spesso è intessuto lo stemma di una famiglia importante. La maggior parte degli umani chiamano questi loro mezzi di trasporto navi di terra, poiché in condizioni di forte vento può sembrare che i Dalish viaggino davvero su lunghe navi dotate di alte vele per annunciare il loro arrivo – o, esaminando la cosa da un altro punto di vista, per avvisare gli altri di scappare. Pochi umani, infatti, possono sostenere di aver visto gli aravel da vicino, perché i clan Dalish che tollerano intrusioni nei loro accampamenti sono davvero pochi. Pur disprezzandoli e chiamandoli Orecchie Piatte, chiudono invece un occhio per gli elfi come me, cresciuti in città o comunque gomito a gomito con la razza che essi odiano sopra ogni altra cosa: la storia racconta che sono stati proprio gli umani a scacciare i primi elfi dalle loro terre. Ed è sempre per colpa loro se la nostra razza rischia l’estinzione: quando un umano ed un elfo si uniscono e generano un figlio, fisicamente quest’ultimo sarà sempre umano, benché nelle sue vene scorra anche sangue di elfo.

   «Ora, spiegatemi in che modo riusciremo a trattare con questi selvaggi.»

   «Non sono selvaggi, Morrigan, è soltanto gente che ha scelto la libertà.» Mi volsi a guardarla. «Non è poi quello che hai fatto tu?»

   Lei scrollò le spalle, ruotando gli occhi al cielo per non ammettere che avevo ragione. Sapevo che non aveva paura e che le sue lamentele avevano come unico scopo quello di tormentare me, Alistair, Leliana e Wynne. Avevamo trovato un posto all’apparenza piuttosto sicuro per piantare di nuovo le tende, ed avevamo affidato tutto a Bodahn e a Sandal, come al solito, lasciando a Pether e a Merlino il compito di fare buona guardia ai nostri amici nani. Separarsi così a lungo dal mio cane non era stato semplice; non tanto per me, quanto per lui, che aveva comunque iniziato a seguirmi quando avevamo lasciato il campo. Gli avevo allora ordinato di tornare indietro, ma lui non aveva voluto saperne di obbedire. Con grande scorno di Alistair, mi ero perciò ingegnata a promettergli dell’altro formaggio per quando ne avrei trovato, e Merlino si era infine convinto a lasciarmi andare, dimostrando per l’ennesima volta l’incredibile intelligenza dei mabari.

   «Secondo me vi infilzeranno con le loro frecce prima ancora che voi possiate scorgerli», continuava intanto Morrigan, tranquilla.

   «Perché mai voi dovreste scamparvela, invece?», volle sapere Alistair, infastidito da quell’uccellaccio del malaugurio.

   Lei curvò vezzosamente le labbra verso l’alto. «Mia madre conosce bene i Dalish. Molti anni fa si aggiravano nelle Selve Korcari, sai? E ti assicuro che loro le portavano grande rispetto.»

   «Sì. A lei», le fece presente l’altro.

   «Non sono creature sciocche», ribatté Morrigan, per nulla indispettita. «Sanno riconoscere una maga potente, quando la vedono.»

   Leliana si intromise con un fare divertito. «Quindi gli unici che rischiano davvero siamo io e voi, Alistair.»

   «Non sapete quanto questo mi riempia di gioia», commentò lui, procedendo svogliatamente fra la vegetazione ai margini della foresta.

   «Mi sembrate nervoso», osservò Wynne, serena quanto Leliana.

   «Sì, beh, non dovrei? Come diavolo fate a non preoccuparvi?»

   L’anziana maestra fece cenno nella mia direzione. «Ho come il sentore che i Dalish ci penseranno due volte prima di uccidere un altro elfo.»

   Alistair focalizzò la propria attenzione dapprima sulle mie orecchie, e poi sul resto del mio corpo, mettendomi fortemente a disagio. «Piantatela di guardarmi o vi lascerò mangiare da loro.»

   «Oh, certo, perché adesso i Dalish sono cannibali», rise lui, cominciando a ciondolarsi nella mia direzione per urtarmi con un colpo di fianchi che per poco non mi fece perdere l’equilibrio.

   Meditai vendetta, limitandomi tuttavia a regalargli un’occhiataccia. «I cannibali mangiano la carne dei propri simili, e grande e grosso come siete, voi non potreste essere scambiato neanche per sbaglio per un elfo.»

   «Ma voi mi difenderete, vero?» Gli risposi con una smorfia poco educata che Morrigan apprezzò non poco e che fece sorridere persino il diretto interessato.

   Stavamo per tornare a discutere, quando sentimmo una voce sconosciuta. «Fermi dove siete, stranieri.» Che avessimo compreso o meno il significato di quell’avvertimento, la sorpresa ci fece comunque desistere dal muovere un altro passo. Dall’alto di uno degli alberi che svettava rigoglioso sopra di noi, piovvero al suolo tre figure, i primi Dalish. Uno di loro, una donna bionda con il viso coperto di tatuaggi scuri, come tutti gli altri del clan, si avvicinò cautamente a noi. Portava arco e faretra sulla schiena, ma non diede segno di volerli usare. «Procedendo in questa direzione vi imbatterete in un accampamento Dalish. Vi consiglio di cambiare strada. E in fretta.»

   Ci fu qualche attimo di imbarazzante silenzio da parte nostra, con tutti che aspettavano che qualcuno parlasse, e invece niente. Non so chi mi diede una leggera spinta alle spalle, e fu allora che scoprii che quelle carogne dei miei compagni mi avevano lasciata sola in testa al gruppo. Regalando mentalmente loro un epiteto poco gentile, mi affannai allora a rispondere: «In realtà, stiamo cercando proprio i Dalish.»

   La donna ci scrutò attraverso le ciglia chiare, insospettita forse dalla nostra esitazione. «Lo trovo piuttosto… difficile da credere. Cosa potremmo avere a che fare noi Dalish con voi?»

   «Siamo Custodi Grigi. Vorremmo poter incontrare il vostro capo», affermai senza ulteriori perdite di tempo. Non che non temessi per la mia vita, ma il fatto che anch’io fossi un elfo doveva pur significare qualcosa per loro, no? Almeno così speravo.

   L’altra mi guardò sorpresa. «Dei Custodi Grigi, dite?» I suoi occhi ci scrutarono attentamente, come se il nostro aspetto bastasse a confermare le mie parole. «Come faccio a sapere che non state mentendo?»

   «Abbiamo dei trattati che lo testimoniano», le spiegai quindi, pronta a voltarmi verso Alistair per farmeli passare.

   L’elfo però mise una mano avanti, facendomi segno di stare ferma. Probabilmente temeva che uno di noi, muovendosi di scatto, potesse impugnare le armi o ricorrere a chissà quale trucco. «Non vi credo», annunciò, lasciandoci col fiato sospeso per qualche istante. «Tuttavia lascerò che sia Zathrian a decidere se siete davvero dei Custodi Grigi.»

   «Zathrian… è il vostro capo?», mi azzardai a domandare.

   Lei annuì. «Vi avverto: quando sarete all’accampamento, farete bene a tenere le mani a posto, perché le nostre frecce sono sempre pronte ad essere scoccate nella vostra direzione.»

   «Confortante», biascicò Alistair con un sorriso tirato.

   La donna lo fulminò con lo sguardo. «È un Custode anche lui», mi affrettai a specificare per salvarlo da chissà quale punizione.

   «Seguitemi», ci esortò allora l’elfo, assai malvolentieri.

 

Non appena mettemmo piede all’accampamento, mi resi di colpo conto di quanto mi sentissi stranita in mezzo a tanti miei simili. Abituata per anni a vivere tra gli umani, avevo forse iniziato a sentirmi quasi una di loro? Impossibile, mi convinsi. Anche se a Kinloch Hold nessuno faceva granché caso alla mia razza, da che ero andata via da lì con Duncan non c’era stato giorno in cui qualcuno non mi avesse fatto notare quanto fossi diversa. Alistair per primo, seppur non certo con intenti discriminatori, anzi. Mi domandai allora come dovessi apparire agli occhi suoi e degli altri; ma poiché nessuno dei miei compagni aveva mai dato segno di disprezzare quella che ero – e questo mi confortava non poco, viste le esperienze vissute durante la prima infanzia – preferii scacciare ogni dubbio al riguardo. Rimaneva tuttavia una nuova consapevolezza: per quanto fossi lontana dal sentirmi umana, non riuscivo a riconoscermi in quegli elfi che al momento stazionavano ai margini della Foresta di Brecilian. Stavo davvero perdendo la bussola anche su me stessa, oltre che sulle mie sicurezze di un tempo, oppure tutto sarebbe tornato come prima nell’istante in cui mi sarei di nuovo affacciata in un’enclave elfica, ricordando ciò che ero stata prima che i templari mi portassero via? Una cosa era certa: ero bravissima a crearmi nuovi problemi senza aver anche solo tentato di risolvere quelli in sospeso, che già per conto loro mi toglievano il sonno.

   Ad ogni modo, i Dalish sono molto, molto diversi da noi meschini elfi di città. Vivono felici con le loro tradizioni, venerano i loro dei e, come i maghi, anche loro hanno una visione del mondo parecchio frastagliata e, soprattutto, bidimensionale. Quest’ultima cosa, tuttavia, penso sia comune anche a quelli che vivono nei centri abitati. Forse non era poi un male ch’io fossi stata strappata all’enclave, né che fossi cresciuta fra gli umani.

   La donna bionda mantenne la parola data e ci scortò fin nel cuore dell’accampamento, dove gli altri elfi, ed in particolare i bambini, ci guardarono per lo più con diffidente curiosità. Qualcuno fra quelle che reputavo essere guardie si accodò a noi, tanto per essere sicure che non tentassimo chissà quale follia. «Zathrian», chiamò Mithra, colei che ci aveva fatto strada, fermandosi davanti ad un uomo. Era un elfo di età indefinibile ma presumibilmente abbastanza in là con gli anni, dalla testa calva e dal mento a punta. Indossava una lunga tunica verde e oro, ed il lungo bastone bianco che aveva con sé lasciava intuire che fosse un mago.

   Avendo una religione diversa dalla nostra, i Dalish non sono soggetti alle leggi della Chiesa, e pertanto non mandano i loro maghi ai vari Circoli esistenti nel Thedas, anzi. Praticano la loro magia, assai più antica della nostra, poiché, secondo la tradizione, gli elfi vissero nel Ferelden molto prima di chiunque altro. Anche se ormai gran parte del loro sapere è andato perduto, è compito del Guardiano di ogni clan preservare quanto resta e tramandarlo al suo successore.

   Zathrian era il Guardiano di quella comunità. Ci accolse con uno sguardo piuttosto freddo. «Non sono dell’umore per ricevere degli stranieri. Mithra, perché li hai portati qui?»

   «Sostengono di essere Custodi Grigi e di voler parlare con noi», prese a raccontare lei. Dal modo in cui gli si rivolgeva, si capiva perfettamente che gli portasse grande rispetto. «Ho pensato perciò di lasciare a voi ogni decisione riguardo a loro.»

   Lui rifletté per qualche secondo sulla questione. Quindi rispose: «È stato saggio da parte tua. Ma serannas, Mithra, puoi tornare al tuo posto.»

   «Ma nuvenin, Guardiano», s’inchinò la donna, per poi allontanarsi senza più prestare attenzione ad altro.

   Il mago prese invece a rivolgersi a noi. «Sono Zathrian, il Guardiano di questo clan. E voi?» Ci presentammo a turno, cercando di apparire il più umili ed innocui possibili. Gli occhi indagatori dell’uomo si soffermarono con un certo interesse su tutti e cinque. «Confesso che non mi sarei mai aspettato delle buone maniere da degli shemlen», mormorò poi, quasi fra sé, scrutando i miei compagni.

   Shemlen è la parola dalish che si riferisce agli umani, mentre noi elfi di città, avendo dimenticato quasi del tutto il nostro primitivo linguaggio, usiamo il suo derivato shem. A dire il vero, essendo stata a lungo fra gli umani, avevo ormai rimosso quel termine dalla memoria, ed il sentirlo pronunciare dopo così tanto tempo, mi riportò alla mente diversi, nostalgici ricordi che, tuttavia, non mi facevano granché onore: avevo scordato quell’odio inveterato fra le nostre razze, e la cosa mi metteva non poco a disagio. Sarebbe tornato davvero tutto come prima, una volta tornata dalla mia famiglia?

   «Posso sapere cosa siete venuti a fare qui? Ci portate notizie del Flagello?», ci interrogò Zathrian, distogliendomi da quel passato che mi lasciava assai smarrita. «Non è una novità per noi: ho già sentito la corruzione spandersi da sud.» Il suo cipiglio si fece scuro. «Vorrei poter portare il clan più a nord, ma sfortunatamente al momento non mi è possibile.»

   Con un gesto del braccio, ci fece cenno verso quella che, pur da lontano, aveva tutta l’aria di essere un’infermeria che a tutta prima nessuno di noi aveva notato. Decine di elfi se ne stavano stesi su delle brande lasciate all’aperto, alcuni immobili, altri in preda a quelle che sembravano essere convulsioni, altri ancora gementi. Mi chiesi se non fossero vittime della contaminazione della Prole Oscura, ma nei dintorni non vi era traccia di essa né di quel fastidioso ronzio che aveva accompagnato fin lì il viaggio mio e di Alistair.

   «Si direbbe che anche voi abbiate i vostri problemi», osservò mestamente questi. «Che sta succedendo?»

   Zathrian provò a glissare sulla domanda. «Immagino che siate qui per quei trattati che noi Dalish abbiamo firmato secoli fa. Mi spiace, ma non siamo in grado di mantenere fede a quell’impegno.» Sospirò, capendo di essere costretto a dare ulteriori informazioni al riguardo. «Venite con me, per favore.»

   Ci condusse quindi fra quelli che, più che malati, parevano essere feriti. Ancora ricoperta di sangue nonostante fosse stata medicata con fasciature ed impiastri, quella gente versava comunque in condizioni pessime. Dubitavo che sarebbe sopravvissuta a lungo.

   «Circa un mese fa, il clan si è recato nella Foresta di Brecilian, com’è nostra usanza quando ci addentriamo in questa zona del Ferelden», prese a spiegarci il Guardiano, aggirandosi lentamente fra le brande. «Siamo sempre stati molto attenti a non offendere la natura evitando di provocare dei danni alle foreste in cui ci nascondiamo, eppure non ci aspettavamo che sarebbe successo questo.» Si fermò e si voltò nella nostra direzione. «Brecilian pullula di lupi mannari. Ci hanno teso un’imboscata, e ora troppi dei nostri guerrieri giacciono privi di vita.» Sospirò di nuovo, tornando a prestare attenzione ad uno dei feriti ed inginocchiandosi al suo capezzale. «Con la nostra arte magica siamo riusciti ad uccidere i nostri fratelli che erano stati aggrediti, così da evitare che si trasformassero anche loro in bestie», mormorò tristemente. «Il Flagello deve essere fermato, su questo non c’è dubbio. Tuttavia, pur volendo, non abbiamo modo di fornirvi alcun aiuto.» Si rimise in piedi e chinò il capo in segno di scuse. «Sono mortificato.»

   Perché ovunque andavamo succedeva sempre qualcosa che ci complicava le cose? Anche se avevamo i maghi dalla nostra parte, pronti a scattare in nostro soccorso non appena Pether si fosse messo in contatto con loro, avevamo bisogno di un esercito molto più vasto e potente per fronteggiare il Flagello. Altro che quello che Cailan, Loghain e Duncan avevano schierato ad Ostagar. Se c’era una cosa di cui non si poteva rimproverare il Teyrn di Gwaren, era l’aver compreso prima di tutti che quella era una battaglia persa in partenza. Peccato solo che l’avesse dimostrato nel peggior modo possibile, e cioè abbandonando gli altri senza neanche provare a far ragionare il Re o a dargli manforte.

   «Di certo avrete molti altri guerrieri», iniziai dunque nella mia disperata opera di convincimento. Non che fossi insensibile a quello spettacolo devastante, ma come Custode Grigio dovevo anzitutto pensare alla mia missione – cosa che tendevo troppo spesso a dimenticare.

   Zathrian scosse il capo. «Non abbastanza da potervi essere d’aiuto e da consentirci un minimo di difesa.»

   «Perché quelle bestie vi hanno assaliti?», s’incuriosì d’un tratto Morrigan, intervenendo nella discussione.

   «Sono feroci e spietati, non hanno una vera ragione per attaccare qualcuno. Tuttavia, rimane comunque il mistero dell’imboscata», rispose l’uomo. «Ci aspettavamo delle bestie non certo più astute di un lupo rabbioso, e invece ci siamo dovuti ricredere, finendo per concludere che sono in possesso di un notevole livello di intelligenza.»

   «Magari è stato un caso», suggerì Morrigan.

   «Ho tutte le ragioni per dubitarlo.»

   Si dice che un tempo degli animali selvaggi e feroci girovagassero per le terre del Ferelden, e non solo, e che ad un certo punto gli spiriti maligni si impossessarono di loro trasformandoli in orribili mostri. Ricordo che, quando eravamo ancora a Kinloch Hold, parecchio prima che io affrontassi il Tormento, Wynne mi disse che, a conti fatti, un lupo mannaro non era poi così diverso da un Abominio. Secondo la leggenda, comunque, gli umani li combatterono e li annientarono. Eppure quelle creature erano ancora lì, e ciò che Zathrian ci stava raccontando lo confermava.

   «Non c’è un modo per aiutare la vostra gente?», volle sapere Leliana, prendendo parola per la prima volta e mostrando forse più di tutti noi una grande pena per quegli elfi in fin di vita.

   «La corruzione dei mannari è una maledizione che si diffonde velocemente nel sangue, portando ad una lunga agonia che precede la morte o, peggio, la trasformazione in un essere mostruoso», ci istruì ancora il Guardiano, con tono grave. «L’unica cosa che potrebbe aiutarli dovrebbe provenire dalla fonte stessa della maledizione. E potete ben immaginare quanto sia difficile che ciò avvenga.»

   «State parlando di un lupo mannaro?»

   «No, parlo di ciò che ha reso tali quelle creature», ci corresse Zathrian. «Nella Foresta di Brecilian dimora un grande lupo. Noi lo chiamiamo Zannelucenti. È lui che ha dato origine questa piaga, ed è attraverso il suo sangue che essa è stata diffusa. Se Zannelucenti venisse ucciso e se qualcuno mi portasse il suo cuore, forse potrei riuscire a fermare tutto questo.» Il suo volto, rimasto fino ad allora quasi imperturbabile, assunse un’espressione dubbia. «Purtroppo, però, si tratta di un compito troppo pericoloso per noi.» Si mosse e ci fece cenno di seguirlo altrove. «Ho mandato alcuni cacciatori nella Foresta, una settimana fa, ma nessuno di loro ha fatto ritorno», continuava frattanto a spiegare. «Non posso rischiare altre vite.»

   «Non avete considerato la possibilità di cercare aiuto altrove?», chiese Wynne. Lei era una di quegli umani che non badava affatto alle differenze fra la sua razza e la nostra, e con gli anni mi ero convinta che questo non avesse niente a che vedere con l’educazione ricevuta al Circolo.

   «Da chi?», ribatté Zathrian, arrestando il passo e prendendo a gesticolare in modo contrariato. «Dai figli della pietra? Dagli shemlen? Pensate davvero che abbiano del tempo da volerci dedicare?»

   «Non era mia intenzione offendervi», gli fece notare cortesemente Wynne.

   «Lo so», le concesse l’uomo, cercando di dominare gli impulsi. «Ma gli eventi passati ci hanno insegnato che i Dalish possono contare unicamente su loro stessi.»

   «Avete detto che forse sareste in grado di fermare la maledizione», mi intromisi io, tentando di sviare la sua attenzione da quel risentimento radicato nelle profondità del suo animo ed in quello di molti altri della nostra specie.

   «Non abbiamo alcuna garanzia che funzioni», ammise Zathrian. «Malgrado ciò, questa è l’unica speranza che ci resta.»

   Se avessimo analizzato la situazione da un punto di vista egoistico e calcolatore, dopo aver avuto a che fare con il demone di Redcliffe e quelli di Kinloch Hold, avremmo concluso che a questo mondo non si ottiene mai niente per niente. Bastò invece un silenzioso scambio di sguardi fra me ed i miei compagni per comprendere che le nostre coscienze ci avrebbero impedito di ragionare in quel modo: c’era della gente che moriva, nei dintorni di Brecilian, esattamente com’era successo prima nel villaggio di Arle Eamon e alla Torre del Circolo. C’era forse differenza fra quegli umani e questi elfi? Ancora una volta fui commossa dalla grandezza del cuore di coloro che viaggiavano al mio fianco, ben lungi com’erano dal farsi condizionare dagli stupidi pregiudizi che guidavano ancora testardamente le scaramucce fra gli abitanti del Thedas e gli elfi tutti.

   «Cercheremo Zannelucenti per voi», fui costretta a promettere, benché i battiti accelerati del cuore ed un senso d’angoscia che iniziò a stringermi la bocca dello stomaco mi pregassero disperatamente di chiudere il becco e di farmi gli affari miei. Ma che altro potevo fare? Se dovevo morire durante il Flagello per mano della Prole Oscura a causa della mancanza di aiuto da parte di uno dei nostri alleati, non era forse la stessa cosa morire per mano di un branco di feroci lupi mannari? Tanto valeva provare ad investire il tempo concessomi per procurarmi tutto l’appoggio possibile, così che, una volta trovatami faccia a faccia con l’Arcidemone, magari le letali frecce dei Dalish mi avrebbero salvato il fondoschiena.

   Zathrian mi fissò con sincera sorpresa, facendo poi scorrere gli occhi anche sui volti degli altri per convincersi che stavamo dicendo la verità. Alla fine, annuì. «Devo però avvertirvi che nella Foresta di Brecilian c’è molto più dei lupi mannari.»

   Ottimo, pensai. Dircelo prima, no? Mi appoggiai saldamente al mio bastone per nascondere l’improvvisa vertigine che mi annebbiò la vista.

   «Il Velo che separa il regno degli spiriti dal nostro è diventato talmente sottile da permettere a molti di loro di impossessarsi di parecchie creature, vive o morte che siano.»

   Il Velo? Gli spiriti? Potevo farcela. Mi ringalluzzii di colpo, recuperando sicuramente colore in viso: non erano forse cose di competenza di un mago? Non le avevo forse già affrontate in abbondanza? Ormai l’Oblio e i demoni mi facevano un baffo.

   Zathrian chinò di nuovo la testa, questa volta in segno di rispetto ed ammirazione. «Se però volete comunque provare… vi auguro buona fortuna.»













Per rispondere alle vostre recensioni, sicuramente Zevran avrebbe colorito questa long. Tuttavia, il fatto che avesse cercato di ammazzarmi il pg mi ha fatta desistere dal prenderlo nel gruppo (e vi ricordo che questo è il primo GdR a cui gioco a dieci anni di distanza da quelli per SNES). E poi, mettetevi nei miei panni: avevo già i miei bei problemi a gestire il rapporto con Alistair (tutte le volte che ci andavo a parlare col proposito di mollarlo, mi lasciavo vincere dalle sue espressioni cucciolose, il cursore del mouse tremava su quell'opzione, ed io finivo ovviamente per non dirgli niente), e quindi non avevo tutta questa voglia di gettare benzina sul fuoco portandomi appresso un tizio che per convincermi a tenerlo con me ha fatto diverse proposte sconce al mio povero elfo ebete. E protesto pure, perché al pg di mio fratello Zevran si è limitato a presentarsi come il compagnone del gruppo, non come un animale da letto! XD
Per farla breve, okay che questo è un gioco, ma dubito che una persona di buon senso (e fifona come Nimue) si sarebbe fidata di un assassino pronto a molestarla sessualmente da un secondo all'altro. ^^; Il prossimo pg che mi creerò probabilmente lo farò più sprovveduto, così da prendere nel gruppo anche Zevran (e prima ancora Sten... ma lì è stata questione di incapacità, non di buon senso). Chissà che non mi scopra ad amare anche lui come tutti gli altri, un giorno...
Quanto al capitolo di oggi, ammetto di esser ricorsa ai codex del gioco e alle spiegazioni di Wikia per fare un quadro completo dei Dalish. Sto imparando più scrivendo questa fanfiction che giocando al videogioco. XD Ah, piccola precisazione: mi è stato detto che nei sottotitoli italiani i Dalish chiamano gli umani sh'amlen (cosa che ovviamente io non ricordo), mentre in quelli inglesi il termine che usano è shemlen. Io ho preferito usare quest'ultimo perché fedele alla versione originale, visto che comunque si tratta di una parola elfica: nei romanzi, per esempio, le Vie Profonde vengono comunque lasciate in lingua originale, Deep Roads, e lo stesso è stato fatto per la Prole Oscura, darkspawn. Per queste cose, di cui esiste la traduzione italiana, mi atterrò ai nomi che conosciamo tutti, ma per la lingua elfica no. Abbiate pazienza.
Passo ai saluti e ai ringraziamenti ai lettori, alla mia (santa) beta Atlantislux, a The Mad Hatter (Se ti diverti per le disgrazie cerebrali del mio elfo sono contenta! Spero di riuscire sempre a strapparti un sorriso, di tanto in tanto, anche perché le storie troppo serie mi annoiano da morire. ^^), ENS (Sono abile a schivare i pg preferiti degli altri, eh? XD A me invece piace molto Wynne... Che posso dire? De gustibus non disputandum est. :3 Quanto ai bardi e agli assassini, avrò modo di scoprire la loro vera utilità nelle prossime partite: per questa mi sono focalizzata principalmente sui maghi e sui templari per via del personaggio che avevo scelto all'inizio. ^^), Evertine (Santa subito! XD Odio fare copia/incolla dal videogioco, e tu così mi risollevi non poco il morale! >_< E riguardo Morrigan... beh, è anche colpa di Alistair, comunque: poteva scegliersi una donna più intelligente, anziché una che di certo non sprizza furbizia da tutti i pori. XD E dire che iniziando a scrivere questa storia avevo intenzione di fare di Nimue un personaggio furbo... Proprio! XD) e Lara (Addirittura al WWF? Povero, povero Alistair! E comunque non credo che Morrigan lì volesse proteggerlo: stava semplicemente prendendolo per il c**o... Un po' come avrebbe voluto fare anche Zev, diciamocelo. X3 Sull'Esplosione Infuocata invece hai ragionissima, e Alistair dovrebbe rivedere un po' le proprie scelte. XD).
Buona domenica a tutti! ^O^
Shainareth





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Capitolo 15
*** Lupi mannari ***







CAPITOLO QUINDICESIMO – LUPI MANNARI




«Pioverà prima di stasera», mormorai, scrutando il cielo attraverso il fogliame degli alberi.

   «Come fate a dirlo? Non ci sono nuvole.»

   «Probabilmente si rifà al suo olfatto da elfo», spiegò Morrigan per me.

   «Dev’essere una bella fortuna avere un simile vantaggio», commentò Leliana, ammirata.

   La giovane Strega delle Selve storse la bocca. «O forse una sfortuna», disse. «Non l’invidio affatto. Non dev’essere piacevole essere costretta a trattenere il respiro quando è vicina ad Alistair.»

   Questi alzò il capo nella sua direzione, fortemente indignato, ed io lo rassicurai prima ancora che partisse alla carica. «Ti assicuro che non c’è nulla che non vada nel suo odore.» Certo, come chiunque altro, ne aveva uno tutto suo, e a me piaceva. «Oltretutto è da escludere che qualcuno di noi possa profumare di rose dopo tutto questo peregrinare. Vuoi sapere cosa mi viene in mente annusando te?», domandai con fare provocatorio.

   «Oh, Creatore! Vi imploro di dirlo», sghignazzò Alistair, guardandomi adorante.

   «No, grazie», mi rispose invece Morrigan piccata, ignorandolo.

   «A me lo direte, vero?», insistette lui. Gli rivolsi un sorriso divertito, facendo segno di no con la testa e proseguendo il cammino insieme alle altre.

   Prima di addentrarci nella Foresta, i Dalish ci avevano fornito dei viveri, due tende, un nuovo arco per Leliana, più lungo e resistente, ed un’altra faretra piena di frecce magiche. Immaginavo che ci sarebbero servite. Zathrian ci aveva detto di stare attenti ai lupi bianchi, che costituivano gli occhi e le orecchie di Zannelucenti lì a Brecilian, ma personalmente ritenevo che non fossero solo loro a dover destare la nostra preoccupazione, anzi. Prima di tutto, dovevamo curarci di non essere morsi dai mannari, altrimenti avremmo rischiato di divenire come loro, e non era una bella prospettiva.

   Zathrian aveva un’apprendista, una giovane maga di nome Lanaya, che aveva studiato sotto la sua guida da che era piccolissima. Si era dimostrata piuttosto curiosa riguardo la vita al di fuori del mondo dei Dalish, per cui, vedendo un elfo estraneo al clan, mi aveva rivolto alcune domande sulle città umane, delle quali aveva solo sentito parlare. Le pareva cosa assai strana, mi aveva detto, che la gente accettasse di vivere ammassata in delle abitazioni simili a scatole, per di più in pianta stabile. Mi aveva anche confessato che se solo fosse stata più coraggiosa, si sarebbe spinta lei stessa ai margini di una città per poterla osservare con i propri occhi. Mi chiese anche delle enclavi elfiche, ovviamente: non potei mentire, ammettendo che, nel mondo civilizzato dagli umani, gli elfi non godono propriamente di grande rispetto. Tutt’altro. Lanaya mi aveva allora guardata con occhi colmi di pena per me e per gli altri nostri simili costretti in condizioni tanto degradanti. Non le avevo spiegato che io ero cresciuta altrove, perché il suo sguardo mi aveva fatta sentire vulnerabile come lo ero stata durante gli anni della mia prima infanzia: più rimanevo in quella comunità, più riaffioravano alla mente ricordi di un passato che mi illudevo di aver rimosso. Volevo andar via.

   «Gli umani... si sono mai pentiti... di quello che ci hanno fatto?» Era stata questa la domanda che mi aveva sorpresa più di tutte le altre.

   Un tempo gli elfi erano immortali, e vivevano in armonia con la natura e con le loro divinità. I primi shemlen che incontrarono furono i maghi dell’Impero Tevinter. Gli elfi allora iniziarono a commerciare con quella gente, diventando amici. Questo però portò a delle amare scoperte: dalle unioni fra le due razze, si scoprì che nascevano unicamente bambini umani a causa della predisposizione genetica degli elfi ad adattarsi alla nuova vita, che aveva portato un’altra dolorosa sorpresa. A furia di stare a stretto contatto con esseri non eterni, anche gli elfi iniziarono ad invecchiare e a morire. Spaventati, essi cercarono di evitare ulteriori legami con gli umani, ma questi interpretarono il loro allontanamento come segno di ostilità: invasero Elvhenan, la loro patria, e ridussero in schiavitù il suo popolo. Gli elfi persero del tutto la loro immortalità e le divinità a cui tanto erano devoti li abbandonarono. I dettagli della guerra sono andati perduti nei secoli. Si dice tuttavia che gli schiavi elfi furono i più fedeli seguaci della Profetessa Andraste durante la Sua rivolta contro l’Impero. Secondo la leggenda, o storia che dir si voglia, fu infatti Andraste a deporre i Magister del Tevinter, e dopo la Sua vittoria gli elfi furono ricompensati per la loro lealtà con una nuova terra in cui vivere: le Valli.

   Al di là della mia prigionia di maga, se mi si chiedesse la ragione per cui non sono mai stata troppo credente nonostante l’aiuto che Andraste concesse ai miei antenati, risponderei che è colpa della Chiesa se gli elfi caddero nuovamente in disgrazia. Nelle Valli essi crearono la loro seconda madrepatria, ed iniziarono a ripristinare le tradizioni e la cultura di Elvhenan, compreso il culto per gli antichi Dei. Per diverso tempo gli umani fedeli alla memoria di Andraste rispettarono i loro alleati elfi. Tuttavia, col cambio generazionale, e con la diffusione del Canto della Luce e della religione del Creatore, le relazioni fra le due razze cominciarono di nuovo ad incrinarsi poiché gli elfi non volevano saperne di convertirsi, e alla fine la Chiesa guidò una spedizione punitiva contro di loro. Scacciati dalle Valli, molti elfi si piegarono ad accettare le condizioni imposte dai loro aggressori, finendo per essere rinchiusi nelle enclavi all’interno delle città umane e per sottomettersi al culto del Creatore. Non deve perciò stupire che i Dalish disprezzino quelli come me.

   «Non so», avevo risposto in tutta onestà a Lanaya. «Forse alcuni lo hanno fatto. Gli umani non sono tutti uguali», avevo provato a spiegarle, volgendo lo sguardo verso gli altri. «I miei compagni, per esempio, mi hanno sempre trattata come se fossi una di loro.»

   «Com’è la vita in un’enclave?»

   Avevo preso un profondo respiro, mordendomi il labbro inferiore prima di mormorare blandamente: «Non certo come la vostra.» Lanaya aveva abbassato gli occhi, probabilmente compatendo l’esistenza mia e degli altri nostri fratelli. «Ciononostante, anche lì ci sono momenti di pura gioia», avevo aggiunto, benché io non li ricordassi quasi.

   In realtà non ero stata affatto felice nell’enclave, e però non riuscivo neanche a provare invidia per i Dalish: forse vivevano in libertà, senza condizionamenti di sorta, eppure, oltre che alle loro antiche tradizioni, continuavano a coltivare anche lo stesso odio degli elfi di città. Ritengo ancora che sia poco nobile portare rancore in questo modo, esattamente come fanno i Maleficar e gli eretici nei confronti della Chiesa. Non è forse per cose del genere che nascono le guerre?

   Comunque, non era quello il pensiero che doveva occupare la mia mente in quel frangente. Dovevo concentrarmi sulla nostra nuova missione.

   La Foresta di Brecilian è assai diversa dalle Selve Korcari, lo si può notare subito. Tanto per cominciare, il clima di queste ultime è perennemente umido a causa delle paludi; per non parlare dell’onnipresente nebbia sospesa nell’aria, che rende l’ambiente ancora più tetro di quanto già non sia. Erano anche queste, suppongo, le ragioni per cui Daveth non era stato molto felice di sapere di doversi recare lì prima di procedere con l’Unione, e non avevamo potuto dargli torto: non sono pochi gli uomini che temono le Selve non soltanto per i Chasind e per la Strega che vi dimora da tempo immemore.

   Benché anche qui, ora, si avvertiva nitidamente dell’arcana magia nell’aria, a testimonianza di come il Velo fosse sottile più che altrove, Brecilian appariva in ogni caso tutt’altro tipo di ambiente ai nostri occhi. Tutto era di un colore verde acceso, con animali di diverse specie e per nulla spaventosi, con odori gradevoli e la luce del sole che, nonostante le alte querce frondose, penetrava a sprazzi qua e là, rischiarando i nostri passi sul tappeto di foglie e muschio e confortando i nostri cuori. Man mano che avanzavamo fra le fitte fila di alberi, andando incontro all’ignoto, mi sembrava di avvertire quell’incanto vissuto dai Dalish, liberi e sereni insieme alla natura. Rimanevano ancora esseri mortali, eppure invecchiavano molto più lentamente di noi elfi di città, fino al punto da riuscire a protrarre la propria esistenza addirittura per secoli, in taluni casi.

   Rimuginando su quanto, tuttavia, potesse davvero essere felice una creatura sempiterna, lasciai che un senso di pace mi pervadesse il corpo e la mente, placando l’iniziale paura che si era impadronita di me – per sicurezza, comunque, mi tenevo sempre vicina a questo o a quel mio compagno di viaggio.

   D’un tratto Morrigan rallentò l’andatura, ed io pure. «Lupi», sussurrò, facendo scorrere lo sguardo tutt’intorno con quell’alone di mistero che circondava i suoi sensi, efficaci quasi quanto i miei. Ci fermammo, rimanendo in silenzio nella speranza di captare il minimo rumore, e ci accorgemmo subito che sulle nostre teste il canto degli uccelli si era spento.

   Poi arrivarono loro, saltando su di noi da un dosso alla nostra destra. Adoravo i lupi come animali, ma farmi divorare da loro non rientrava precisamente fra le mie priorità. Fu complicato abbatterli, si muovevano troppo velocemente ed in gruppo, senza darci la possibilità di reagire per tempo. Considerato però il fatto che noi maghe non avevamo alcun’armatura a proteggerci, ce la saremmo anche cavata bene se non fosse stato per qualcosa che mi piombò improvvisamente alle spalle, arpionandomi per le braccia e gettandomi al suolo. Mi ero voltata giusto in tempo per vedere i suoi artigli conficcarsi nella carne, lacerandola e facendomi urlare per il dolore; e quando mi accorsi che due arcate piene di denti aguzzi stavano per azzannarmi al volto, riuscii a malapena a trovare la forza e la prontezza per bloccarle con il mio bastone, che pure avevo rischiato di perdere nella caduta. Cercando di ignorare le ferite, e serrando la mia arma fra le mani, mi accorsi allora di cosa mi aveva atterrato: un lupo mannaro, enorme ed implacabile. Ammutolii per il terrore, ma non mollai la presa, continuando a spingere il bastone intrappolato fra le sue fauci nel vano tentativo di allontanarlo. I suoi occhi spaventosi mi fissavano con odio, e la sua saliva pioveva copiosa su di me. Stanco della mia resistenza, ringhiò più forte, e alle mie orecchie giunse nitido il rumore di qualcosa sul punto di cedere, mentre le prime schegge del mio unico mezzo di difesa schizzavano già sul mio viso, graffiandomi la pelle. Con un tetro presagio di morte, vedendo infine la mia arma spezzarsi in due ed il mio assalitore sputarne via una parte, mi era stato appena concesso il tempo di rendermi conto di ciò che stava per capitarmi, quand’ecco che una lama penetrò a fondo nel suo corpo, trapassandola completamente fino a mostrarsi a me, ricoperta di sangue scuro. Un lungo, acuto uggiolato di dolore si propagò nell’aria, e la bestia si contorse attorno all’acciaio che la stava uccidendo, ottenendo però una sofferenza maggiore. Due, tre frecce gli si conficcarono sul muso, un’altra in un occhio. Tuttavia, prima che, ormai quasi priva di vita, la creatura potesse accasciarsi su di me, il mio salvatore riuscì a far leva sulla spada, scagliando il lupo mannaro di lato e concedendomi finalmente respiro. Fu con un ulteriore, rapido gesto che Alistair lo trafisse una seconda volta, alla gola, per poter così mettere fine alle sue pene e alle mie.

   Senza che me ne avvedessi, un’intensa energia vitale iniziò a propagarsi dentro di me. Sfinita, spostai lo sguardo ancora terrorizzato verso Wynne, china alla mia sinistra ed impegnata a rimarginare le mie ferite. «Vi ha morso?», volle sapere.

   Scossi impercettibilmente il capo, cercando di placare il battito accelerato del cuore. Era tutto finito, mi ripetevo, tutto finito. «Ci è mancato poco, però», rantolai con un filo di voce.

   «Nimue!» Alistair mi fu addosso quasi come la bestiaccia di poco prima, facendomi sussultare. Era pallido e spaventato almeno quanto me. Provai a sorridergli per tranquillizzarlo, ma lui mi ignorò. «Sta bene, vero? Non è grave, vero?», chiese a Wynne con fare agitato.

   «Sta più che bene», gli rispose lei. «Ha solo bisogno di riprendersi dallo shock.»

   «Pare non ce ne siano altri nei paraggi. Quello di poco fa è spuntato fuori dal nulla», stava ragionando intanto Leliana da qualche parte, alle spalle del mio compagno. «Ha approfittato della nostra distrazione causata dai lupi per aggredirci. Forse Zathrian ha ragione: queste creature sembrano avere un’intelligenza superiore.»

   Morrigan sbuffò. «Se è così, ci toccherà tenere i sensi molto più all’erta del solito.»

   «Voi siete feriti?», domandai, ristabilendomi poco a poco.

   «No, nessuno si è fatto niente, o quasi», mi consolò Wynne. «E ora non siete ferita più neanche voi, sebbene vi rimarrà un vago torpore», aggiunse, scostando le sue mani dalle mie braccia.

   «Grazie», biascicai. Le alzai per osservarle, notando ora soltanto dei segni lividi ed il sangue rappreso lì dove prima c’erano stati dei grossi tagli dovuti agli artigli del mostro. Mi accorsi di stringere ancora nei pugni le due metà del mio bastone. Mi misi lentamente a sedere, sorretta da Alistair, che non voleva saperne di mollarmi. «Ormai è inutilizzabile», mormorai sconsolata.

   «Come farete senza?», si preoccupò lui.

   «Serviva solo ad amplificare la magia, ma i miei poteri restano», gli spiegai, gettando via entrambi i pezzi di legno. «È un peccato, però. Me lo aveva regalato il Primo Incantatore quando mi sono diplomata.»

   «Ringrazia che si sia rotto quello e non qualcuna delle tue ossa», mi ricordò giustamente Morrigan. Chiusi gli occhi per scacciare dalla mente le orribili immagini dell’assalto appena subito.

   «Quanto tempo fa è successo?», s’incuriosì Leliana. Era salita sul dosso dal quale ci erano piombati addosso i lupi per tenere sotto controllo la situazione, ma vi stava già scendendo, e aveva evidentemente deciso di perdersi in chiacchiere per qualche minuto per consentirmi di riprendermi.

   «Meno di tre mesi. E mi chiedo chi diavolo me l’abbia fatto fare di lasciare Kinloch Hold. Ci ho passato quasi tutta la vita, lì.»

   «Posso chiedervi quanti anni avevate quando vi hanno portata al Circolo?»

   «Cinque.»

   «Così piccola?», si meravigliò Alistair, riacquistando anche lui un po’ di colore. «Non credevo che i poteri dei maghi potessero manifestarsi anche in così tenera età.»

   «Per ognuno è diverso», lo informò Wynne, aiutandomi a pulirmi il viso dal sangue del mannaro e dalla sua saliva. «Io, per esempio, avevo nove anni quando scoprii di possedere la magia.»

   «Se avevi cinque anni e hai completato il tuo ciclo di studi soltanto da poco, devono farvi studiare parecchio, lì», rifletté Morrigan, braccia conserte, fissandomi con aria corrucciata. «O devo forse credere che tu fossi una tale incapace da non riuscire a superare l’approvazione dei tuoi professori?» Sapevo che non lo pensava davvero, se no non si sarebbe mai rivolta a me per la storia di Flemeth.

   Wynne anticipò la mia risposta. «In realtà Nimue è sempre stata una delle allieve più promettenti, altrimenti i Custodi Grigi non si sarebbero mai interessati a lei, vi pare?» Mugugnai con fastidio ed imbarazzo, evitando di guardare gli altri. «Tuttavia, quando giunse da noi era piuttosto… irrequieta. Come un gattino dal pelo arruffato. Ci mettemmo parecchio per riuscire ad ammansirla», continuò lei, scostandomi i capelli dalla fronte e ridacchiando con affetto.

   «Irrequieta? Ammansirla?», ripeté Alistair, con un sorriso a mezza bocca. «Com’è che la cosa non mi stupisce? Ogni tanto mostrate ancora il lato più birichino del vostro carattere.»

   «Non è a questo che si riferisce Wynne», sospirai a disagio. «Non…» Tacqui per qualche secondo e provai a riformulare la frase. «La vita nelle enclavi elfiche non è propriamente idilliaca», iniziai allora a rivelargli. «Per cui, pur riconoscendo un salto di qualità fra quella vissuta fino ad allora e quella nuova nel Circolo, continuavo ad essere spaventata.»

   «Da cosa? Dai templari?»

   Strinsi le labbra, levando gli occhi su quelli del mio compagno. «Dagli umani», fui costretta ad ammettere. La sua espressione mutò radicalmente, e le sue mani, che ancora mi sorreggevano, ebbero un fremito. «Adesso non più, è tutto molto diverso», lo tranquillizzai, spostando lo sguardo anche su Leliana e Morrigan, ammutolite anche loro davanti alla mia confessione. «Gli anni trascorsi alla Torre mi hanno insegnato a non fare stupide distinzioni fra me e voi, come invece fanno tanti altri elfi.»

   «E la maggior parte degli umani», completò la giovane Strega delle Selve, atona. «Che idiozia.»

   «È quello che dico anch’io», annuii risentita. Tornai quindi a rivolgermi al solo Alistair, che sembrava essere il più turbato del gruppo. «Scusatemi se non l’ho fatto prima, ma lasciate che vi ringrazi per avermi salvata per l’ennesima volta.»

   «Io… Di niente», balbettò con fare confuso, tenendo le pupille basse.

   Gli afferrai il viso fra le dita per costringerlo a guardarmi. «Non azzardatevi a sentirvi in colpa senza motivo o a provare pietà, perché non ve lo perdonerei», l’ammonii con la massima serietà. «Anche se siete umano, non avete niente a che vedere con quanto subiscono gli elfi di città dai vostri simili.»

   «Lo so, è solo che…» Si bloccò, volgendo con preoccupazione le iridi verso il nostro pubblico. Si schiarì la gola. «Non potremmo rimandare la discussione a dopo?», mi bisbigliò.

   «Sì, credo sia meglio», gli concessi, lasciandolo andare e rialzandomi finalmente in piedi. «Se siete pronti, proporrei di proseguire», affermai quindi. Indugiai per qualche istante a fissare il cadavere del mannaro che, poco distante, giaceva in una pozza vermiglia e rabbrividii visibilmente. «Anche se francamente non ho tutta questa voglia di ripetere l’esperienza appena vissuta…»

   «Statemi vicina», mi ordinò Alistair, con un tono che voleva essere risoluto. Sorrisi, intenerita all’idea che si fosse messo in testa di vegliare su di me più di quanto non facesse già normalmente, ed obbedii.

   Riprendemmo il cammino, dunque, e nonostante i nostri timori, nessun’altra creatura si mise sulla nostra strada. Almeno fino a che, seguendo la sponda del torrente che attraversava la foresta, ai piedi di una breve cascata non fummo sorpresi da qualcosa di completamente inaspettato. Il ringhiare di un lupo bloccò i nostri passi e tre enormi bestie, ritte su due zampe come se fossero state simili a noi, ci sbarrarono la via. I miei compagni si chiusero attorno a me con fare protettivo e le armi in pugno, ed io non potei fare a meno di apprezzare la loro premura.

   «I nostri ricognitori hanno detto il vero», risuonò una voce cupa, vincendo persino il fragore dell’acqua che si schiantava sulle rocce lì vicine. Uno dei tre lupi mannari, quello col pelo più scuro, confermò ulteriormente i sospetti di Zathrian, parlandoci come se fosse stato un essere dotato di intelligenza superiore. «Ironia della sorte, i Dalish hanno mandato una di loro insieme a degli umani per vendicarsi e per farci tornare al nostro posto…»

   Benché fossi mezza tramortita per la sorpresa e la paura, a scanso di equivoci, la parte più vigliacca di me ci tenne a precisare che: «Io… non sono un elfo Dalish.»

   Ottenni tutt’altro effetto, perché gli occhi dei tre si focalizzarono sulla mia figura. Mi nascosi dietro Alistair. «Il mio nome è Passosvelto. Sono io che guido i miei fratelli e le mie sorelle, tutti vittime di un’orribile maledizione», si presentò invece educatamente il capobranco, palesando il loro disprezzo per quello che erano diventati e sottolineandolo con un nuovo, nervoso ringhio. «Tornate indietro, ora, e dite ai Dalish che avete fallito la vostra missione.»

   Dunque non volevano attaccarci? Davvero? Interessante. Provai a calmare i brividi del corpo.

   Passosvelto però parlò ancora. «Ditegli che saremo felici di vederli soffrire a causa della stessa maledizione che ci ha afflitto per così tanto tempo… Pagheranno in questo modo ciò che è capitato a noi.»

   «Non vogliamo farvi del male», esordì Morrigan, apparentemente la più rilassata fra noi. Forse perché era abituata a trattare con gli animali delle Selve? «Preferiremmo discutere con calma.»

   Il mannaro socchiuse le palpebre, scrutandola con sospetto. «Non siete stati mandati da Zathrian? Quel bastardo vuole solo la nostra distruzione», riprese Passosvelto con rabbia.

   «Avete attaccato il suo clan, perché non dovrebbe volersi vendicare?»

   «Non ne sapete niente, vero? Siete degli stolti», s’innervosì più di prima lui, muovendosi di poco nella nostra direzione. Indietreggiai istintivamente, cozzando contro Leliana, ferma alle mie spalle. «Fuggite da qui finché potete. Fuggite dai Dalish e ditegli che ormai sono condannati.»

   Nessuno di noi riuscì a spiccicare altra parola prima che i tre corressero via, lasciandoci attoniti e pieni di dubbi e di angoscia. Rimanemmo fermi dov’eravamo per un minuto buono, zitti ed immobili. Quindi, Morrigan ci rivolse la propria attenzione.

   «Sembrerebbe che conoscano Zathrian», affermò con voce pensosa. «Qualcuno deve averli informati sul suo conto. Ma chi? E a che pro?»

   «Che avete in mente?», volle sapere Wynne, lo sguardo ancora puntato nella direzione da cui i lupi mannari erano spariti.

   Morrigan fece una smorfia, le braccia intrecciate sotto ai seni ben in vista. «Sinceramente? Non ho idea di quello che sta succedendo qui, ma sono del parere che se quelle bestie fossero state davvero assetate di sangue come ci è stato detto dai Dalish, a rigor di logica non si sarebbero certo prese il disturbo di avvertirci di scappare.»

   «I lupi mannari sono buoni, dunque?», s’interrogò Alistair, scettico.

   Lei scosse le spalle. «Nessuno è buono o cattivo. Ogni creatura è fatta di luci ed ombre, sai?», lo informò. «Quello che intendo dire è altro.»

   «C’è qualcosa sotto, giusto?», s’intromise Leliana. «È a questo che vi riferite?»

   «Non ne ho la certezza, ma sospetto di sì», annuì Morrigan.

   Alistair parve contrariato. «Siete orba? Non avete visto cos’hanno combinato a quei poveri elfi?»

   «Solo perché te la fai con uno di loro, non significa che siano tutti meritevoli di lode», si spazientì lei, riuscendo subito a farlo ammutolire. «Te l’ho appena detto: ognuno di noi possiede luci ed ombre», ripeté grave. «Non sto condannando nessuno, non ancora. Sto solo vagliando delle ipotesi plausibili.»

   «Quel Passosvelto», cominciò a ragionare Wynne a mezza voce, «ha parlato di una vendetta.»

   «Forse si riferiva al fatto che molti di loro sono stati uccisi dai Dalish», provò a riflettere Leliana.

   «Non regge», obiettò ancora Morrigan con un gesto secco della mano.

   «Non abbiamo certezze», le ricordò l’altra.

   Tacque per pochi secondi e infine sospirò. «Forse no», ammise. «Tuttavia potremo scoprirne di più soltanto andando a fondo alla faccenda.» I suoi occhi ambrati si soffermarono su di me, troppo impegnata a calmarmi per poter prendere parte alla loro discussione. «Che si fa?»

   Mi crogiolavo spesso nell’illusione che qualcuno si dimenticasse che il capo fossi io, lì, visto l’ottimo carisma di tutti loro, e invece, a quanto pareva, i miei compagni avevano tutti una memoria dannatamente buona. Sbuffai, coprendomi il viso con le mani. «Ci serve un esercito», mormorai sconsolata.

   «Quindi si prosegue», concluse per me Alistair, con rassegnazione. «Dopotutto siamo venuti qui per questo, per reclutarne uno.» Scosse il capo, innervosito. «Né possiamo lasciare quella povera gente in balia di una maledizione come questa senza averne trovato la causa», aggiunse poi tra i denti.

   «Perché non prendete il mio posto?», gli domandai quando ci mettemmo nuovamente in marcia, continuando a costeggiare il torrente.

   Lui mi fissò con aria accigliata. «Siete matta? Lo avete visto anche adesso, no? Ragionate molto meglio di me.»

   «Non che ci voglia molto», ci tenne a fargli sapere Morrigan, scocciata.

   Alistair la ignorò a bella posta. «Siamo il braccio e la mente», preferì invece proseguire con un sorriso d’incoraggiamento. «A ognuno il suo compito.»

   Sarei anche stata d’accordo se alla mente in questione fosse stato concesso di non correre rischi o di leggere nel grande libro della sapienza, ammesso che esista una roba del genere, così da non commettere eventuali errori che avrebbero portato i suoi sottoposti in grembo della morte. Fino a quel momento era andato tutto bene, e grossomodo nessuno si era lamentato delle mie decisioni, a parte qualche piccola osservazione da parte di Morrigan; ma per quanto ancora sarebbe durata la nostra fortuna? Perché, sì, ero convinta che la maggior parte della mia forza fosse tutta lì.

   «Vi capita spesso di parlare con le bestie?», si interessò Wynne, mettendo fine alle mie fisime. Morrigan le rivolse la propria attenzione, rimanendo però in silenzio. «Perdonatemi, ma sono rimasta ammirata dal vedere il vostro sangue freddo davanti a dei lupi mannari.»

   «Sono una Mutaforma», le rivelò scrollando le spalle. «Per rendermi credibile come animale c’è bisogno che io mi comporti come loro, e per fare una cosa del genere è necessario osservarli attentamente, imparando tutto ciò che c’è da sapere sui loro comportamenti.»

   «C’è una bella differenza fra un comune lupo e quelli con cui avete parlato poc’anzi», le fece notare l’Incantatrice anziana.

   «Mh», le concesse Morrigan. «Con le bestie non devi mai mostrare di avere paura. Altro motivo per cui non tutti possono diventare Mutaforma», aggiunse, ruotando le pupille verso di me.

   Piccata, aggrottai la fronte e le spiegai: «Ti informo che nell’Oblio ho assunto le sembianze di un topo.»

   Sorrise con fare divertito. «Sono molto lesti a scappare.»

   Sbuffai, imprecando mentalmente contro di lei e decidendo di non continuare il discorso, reputandolo inutile e nocivo. Non passò molto, tuttavia, che un grido straziante mi distolse bruscamente dai miei pensieri, e tutti e cinque ci stringemmo repentinamente l’uno vicino all’altro.

   «Viene da laggiù», disse Alistair, allungando subito il passo per accorrere in aiuto del malcapitato. Perché era indubbio che qualcuno fosse sotto attacco.

   Senza ribattere, lo seguimmo all’istante, preparandoci psicologicamente alla lotta. Mi chiesi se ci saremmo imbattuti nuovamente nei tre mannari di poco prima, ed in risposta ai miei quesiti, vedemmo diversi esemplari dei loro fratelli impegnati ad accanirsi su un uomo solo, un Dalish. Leliana impugnò l’arco e scoccò una freccia, che si andò a conficcare fra le scapole di uno di quei bestioni, grossi ognuno il doppio di normale essere umano. Il suo uggiolato fece spostare l’attenzione del gruppo su di noi.

   «Umani?», ringhiò uno di loro, studiandoci approssimativamente. «No. C’è un elfo fra loro. Sono stati mandati dai Dalish», si convinse allora. E senza più stare a questionare, si lanciò nella nostra direzione, accompagnato dai suoi compari.

   Un’ondata di gelo improvvisa, tuttavia, arrestò la loro avanzata, e Wynne rispose per tempo alla magia di Morrigan con il suo proiettile di dura pietra, riuscendo a ridurre in pezzi due di loro. Un altro, quello già ferito, fu invece investito da altre frecce, e quando fu abbastanza vicino, Leliana fu lesta ad estrarre il suo grosso pugnale proprio nel momento in cui l’animale le saltava addosso, trafiggendolo all’altezza del cuore e spingendo la lama in profondità fin quasi all’elsa; con un rapido movimento in avanti, fece pressione sull’arma con entrambe le mani e, mentre l’avversario le ricadeva sopra, rischiando di schiacciarla sotto al suo colossale peso, Leliana gli squarciò l’addome. Il suo verso morente si perse nella foresta, proprio quando Alistair dava il colpo di grazia al mannaro che si era invece scagliato contro di noi, indebolito dai due fulmini che gli avevo lanciato contro e che lo aveva scosso da capo a piedi. Morrigan e Wynne abbatterono l’ultimo, dimostrando ancora una volta di essere un’accoppiata imbattibile – e se solo non avessero avuto una visione del mondo opposta, magari sarebbero anche potute diventare buone amiche.

   «Ha delle brutte ferite», sentenziai quando mi accostai al Dalish che, bocconi, giaceva al suolo privo di conoscenza. «Wynne», iniziai a chiamare, per poi voltarmi e scoprire che lei mi si stava già affiancando.

   «Posso provare a curarlo, ma non possiamo lasciarlo qui né portarcelo dietro», annunciò, dandosi da fare per come poteva. «Se è stato morso, però, non credo di poterlo aiutare.»

   «Faremmo meglio a riportarlo all’accampamento», propose allora Alistair, aiutando Leliana a venir fuori da sotto al corpo della bestia che le era crollata addosso morendo.

   Alzai lo sguardo verso Morrigan per assicurarmi di avere anche la sua autorizzazione a procedere, ma lei subito fece spallucce. «Sei tu che decidi», replicò alla mia silenziosa domanda. «E in ogni caso, pensi davvero ch’io abbia cuore di lasciarlo qui a morire o, peggio, a diventare uno di loro?»

   «No di certo», la tranquillizzai, vedendola crucciata per quella mia tacita insinuazione. In realtà non intendevo affatto accusarla, volevo soltanto un po’ di appoggio psicologico.

 

«Andaran atish’an, Custodi», ci accolse Mithra, venendoci incontro poco prima che raggiungessimo i confini della foresta, mentre altri due Dalish si facevano avanti per liberare Alistair del peso del loro compagno. «I nostri ricognitori vi hanno visti avvicinarvi con il corpo di uno di noi», ci spiegò. I suoi occhi riconobbero finalmente il ferito. «Deygan!», esclamò, preoccupata, portandosi una mano davanti alla bocca. «Lui… è uno dei cacciatori che non aveva fatto ritorno al campo… Non è morto, vero?»

   «Gli abbiamo prestato tutte le cure possibili, dovrebbe cavarsela», la rassicurò Wynne. «Non sembra presentare segni di morsi, e spero davvero di non sbagliarmi.»

   «Sono felice che siamo arrivati in tempo per salvarlo», disse Leliana, guardando l’uomo con fare compassionevole. «Ringraziando il Creatore, siamo riusciti a portarlo da voi senza problemi.»

   «Ma serannas… Il vostro aiuto è stato prezioso», riprese Mithra con un sospiro di sollievo. «Lasciate che di Deygan ci occupiamo noi, ora. Lo porteremo da Zathrian, forse lui riuscirà a salvarlo.»

   Li guardammo allontanarsi verso l’accampamento, e per un attimo progettai di seguirli. Ma i miei compagni mi avrebbero sicuramente riacciuffata per i capelli e trascinata con forza di nuovo nella foresta, per cui desistetti e, mugugnando improperi contro la situazione in generale, mi adeguai a ritornare sui miei passi. Ovviamente stando sempre incollata ad Alistair, il mio eroe personale: mi aveva già salvata da un mannaro, perciò nulla gli impediva di farlo ancora. Erano pensieri come questi a rendermelo caro più di quanto non fosse nelle mie convinzioni.

   «Se avessimo tardato anche solo di un minuto, quel poveretto non si sarebbe salvato», sospirò mestamente Leliana. «Mi auguro che anche gli altri cacciatori che non hanno fatto ritorno siano ancora vivi.»

   «Ne dubito», mormorò Alistair, triste. «Quante possibilità ci sono che siano stati tutti tanto fortunati da resistere per una settimana a quei bestioni?»

   Gli feci dono di un’occhiata disperata, cercando di comunicargli silenziosamente parole che ad alta voce non avrei mai avuto il coraggio di pronunciare. Qualcosa come: Oh, smettetela di dire così! Siete la mia unica speranza di sopravvivenza! Non siate tanto pessimista o comincerò a piangere!

   «Duole ancora la caviglia?», chiese Wynne a Leliana. Si era fatta male quando il suo ultimo avversario le era crollato addosso, schiacciandola sotto al suo peso, e adesso zoppicava appena. Aveva rimediato anche una debole zampata al costato, per fortuna senza gravi conseguenze.

   «No, grazie a voi il dolore è quasi scomparso», disse la nostra arciera provetta, tranquillizzando un po’ tutti. «Avete dei poteri davvero preziosi.»

   «Lo penso anch’io», le sorrise Wynne, peccando di modestia, forse, ma con la consapevolezza che nessuno avrebbe mai potuto smentirla. E, in effetti, avrei imparato proprio di lì a pochissimo l’essenziale utilità della Magia Guaritrice, che, pur praticandola io soltanto in minima parte, ci aveva già tirati fuori dai guai a Redcliffe. E l’avrei imparata a mie spese, purtroppo, benché non direttamente sulla mia pelle.

   Passati oltre la cascata dove ci eravamo imbattuti in Passosvelto, fu quando stavamo superando anche il punto in cui avevamo trovato Deygan che successe. Così in fretta ed inaspettatamente che nessuno di noi ebbe modo di tentare qualcosa prima che capitasse l’irreparabile. Il solo Alistair ebbe una prontezza di riflessi tale da riuscire a sbalzarmi di lato, spingendomi via ed evitando così ch’io, sprovvista di armatura, rimanessi uccisa dalla nuova imboscata in cui cademmo vittime. Per un attimo non capii niente, stordita com’ero dalla botta alla testa che mi ero procurata con la caduta. Presto però l’urlo del mio compagno mi riportò alla realtà, e quando finalmente mi resi conto di quel che stava accadendo, era già troppo tardi: Alistair giaceva a terra, l’armatura sfondata sul fianco sinistro, mentre su di lui torreggiava un mannaro dal pelo fulvo. La sua zampa anteriore destra grondava di sangue fresco.

   Non avevo idea di cosa stessero combinando le altre, avevo del tutto spento il cervello, preda com’ero ormai del terrore di scoprire che quel maledetto scherzo della natura avesse ucciso colui che invece io avevo giurato di proteggere a tutti i costi. L’ansia, la paura, la rabbia e mille altre emozioni confuse e strazianti si impadronirono di me, e prima ancora che il nemico potesse partire una seconda volta all’attacco, magari infierendo sul corpo inerme che si era frapposto fra noi, fui io ad avventarmi contro di lui. Lo scagliai al suolo con un proiettile di pietra, lontano dal mio salvatore, che rimaneva immobile; quindi, senza lasciare alla bestia il tempo materiale per reagire, una folata di fiamme la investì, e la sua pelliccia prese subito fuoco. Non fece in tempo ad uggiolare per il dolore, però, perché una scarica di fulmini di entità sempre maggiore lo scosse la capo a piedi, ed un’ultima, ben concentrata scarica elettrica lo uccise. Non me ne accorsi immediatamente, tuttavia, e mi accanii sul suo cadavere con una sfera infuocata, seppur circoscritta per evitare di causare danni anche alla foresta.

   Probabilmente, anzi sicuramente, sarei andata avanti con quella tortura se le energie me lo avessero consentito; e invece crollai fra le foglie sotto ai miei piedi, sorretta all’ultimo secondo da due braccia a me sconosciute. Non erano quelle materne di Wynne, né quelle calde e confortanti dell’uomo che, fino a quel momento, si era preso cura di me nel migliore dei modi.

   «Nimue! Nimue!», mi stava chiamando Leliana, agitata, tentando di farmi tornare in me. «Basta così, è morto!»

   Col respiro pesante e gli occhi che mi bruciavano per delle lacrime che ancora mi rifiutavo di versare, provai a guardarmi attorno: oltre a quello che avevo ucciso, vicino a noi vi era anche la carcassa di un altro mannaro, congelato per metà – certamente opera di Morrigan. Alle nostre spalle, invece, le altre due maghe del gruppo erano chine sul nostro compagno. Non riuscivo a vedere il volto di lui, coperto com’era dalla figura della giovane Strega delle Selve. Mi bastavano però le imprecazioni borbottate a mezza voce da quest’ultima e l’espressione tesa e preoccupata di Wynne per comprendere che questa volta non ce l’eravamo cavata con poco.

   Aprii la bocca per parlare, ma da essa uscì solo un rantolo senza senso. Volevo, dovevo sapere se Alistair era vivo, e anche se le due si stavano dando da fare per prestargli i primi soccorsi – a testimonianza del fatto che effettivamente c’erano delle speranze –, fu solo quando, aiutata da Leliana, mi trascinai da loro che recuperai parte della lucidità mentale che richiedeva la situazione. Anche se lui era pallido ed i suoi occhi erano chiusi, il cuore di Alistair batteva ancora. Tremando, gli presi il viso fra le mani, ed il respiro, seppur debole, che avvertii sulla pelle quando mi curvai per baciargli la fronte fu per me nuova linfa vitale.

 

Non saprei quantificare il tempo che trascorsi nella tenda che Leliana e Morrigan si erano affrettate a tirar su per mettere al riparo il ferito dalla pioggia che aveva iniziato a cadere su di noi, ma credo che, di fatto, Alistair rimase incosciente per almeno tre ore. Che io passai a piangere, imprecare e pregare a un tempo, ammesso che non fossi impegnata con Wynne a cambiargli le fasciature o a rimirare il volto pallido e sudato di quella che, per un verso o per l’altro, stava ormai diventando la persona più importante della mia vita.

   A furia di osservare Alistair, mi scoprii a trovarlo bello. Fissavo ammirata la corona di ciglia chiare che gli orlava le palpebre chiuse, mi piaceva il suo naso, sottile e leggermente aquilino, trovavo virile la linea decisa del suo mento, mi veniva voglia di sfiorare le sue labbra con la punta delle dita. Ogni tanto gliele bagnavo con un po’ d’acqua o gli asciugavo la fronte per dargli refrigerio, e allora lui contraeva i muscoli del viso e si lamentava nel sonno. Mi chiedevo quanto diavolo ci avrebbe messo a svegliarsi, e quando lo fece, trattenni il fiato e mi sforzai di non scoppiare nuovamente in singhiozzi.

   «Alistair?», chiamai piano. Vidi il suo sguardo cercarmi con fare confuso. «Come state?» Era una domanda sciocca, certo, ma era anche l’unica che mi premeva rivolgergli in quel momento.

   Il mio compagno fece una smorfia, schiudendo la bocca e biascicando con voce roca: «… Sono morto.»

   «Davvero?»

   «Sì. E ora il Creatore mi sta premiando con lo spirito più affascinante che abbia mai concepito.»

   Sorrisi, sentendo un tuffo al cuore: stava bene. Decisi di tranquillizzarlo. «Macché. Avete soltanto battuto la testa.»

   «La testa? Allora perché ho un dolore atroce al fianco?»

   «Ah, già», fui costretta a rivelare, stirando le labbra in una linea retta e passandogli una carezza sul volto. «Un mannaro vi ha spappolato la milza.»

   Lui corrucciò la fronte. «Solo?»

   «Non è grave: Wynne vi ha già rimesso a posto. È la testa che preoccupa.»

   «Non mi fa male», protestò, incerto.

   «No, ma lo sapete anche voi che ha sempre avuto dei seri problemi e che la minima botta non può che peggiorare la situazione. Ammesso che questo sia possibile.»

   «Avete ragione», ammise, levando una mano per prendere quella che avevo allungato verso di lui.

   «Già.»

   Socchiuse gli occhi per godersi quel contatto, e rimase in silenzio per un po’, tanto che pensai che si fosse riaddormentato. «Chi mi ha… spogliato?», mi chiese invece d’improvviso, accorgendosi di essere quasi nudo, eccezion fatta per una coperta che gli avevamo gettato addosso per tenerlo al caldo.

   «Wynne», risposi.

   «Che meraviglia», commentò con scarso entusiasmo.

   «Ma io l’ho aiutata. Ho sbirciato un po’», confessai per tirarlo su di morale.

   Funzionò. «Davvero?», domandò, inarcando un sopracciglio e tornando a spiare nella mia direzione con espressione palesemente divertita.

   «Sì», lo accontentai.

   «E cosa avete pensato?»

   «Non ve lo dico», cinguettai, dispettosa.

   «Monella…»

   «Non azzardatevi a farlo mai più», lo supplicai con voce malferma, chinandomi su di lui per abbracciarlo. Poggiai la mia guancia fresca contro la sua, accaldata per la febbriciattola che gli era salita a causa della ferita. La bionda barba incolta che gli incorniciava il viso era talmente morbida che neanche mi punse. Sapevo che premere in quel modo i miei piccoli seni contro il suo petto nudo significava torturarlo, ma volevo che si rendesse conto, che lo sentisse: il mio cuore, che batteva forte per la paura appena provata e per la gioia di saperlo vivo.

   «Lo rifarò molte volte, invece», rispose serio, affondando la bocca fra i miei capelli e circondandomi teneramente con le braccia.

   «Vi odio», farfugliai, lasciandola di nuovo vinta alle lacrime.

   Lo sentii ridere sommessamente. Sapevamo entrambi che la mia era una bugia. Qualcosa stava cambiando fra noi, e probabilmente quella situazione non avrebbe fatto altro che peggiorare i problemi a cui stavamo andando incontro. Ma la verità era che Alistair ed io non eravamo altro che creature mortali, sull’orlo del precipizio forse più di chiunque altro.













Attualmente sono alle prese con il capitolo diciannove, e devo confessare che non mi piace per nulla ciò che sto scrivendo. A dire il vero non mi piace neanche come sta venendo fuori questa fanfiction, ma probabilmente è dovuto anche al fatto che non sono di ottimo umore. Ho avuto una settimana terribile.
Per sfogarmi, quindi, credo che caricherò qualche videogioco come Mount&Blade per tagliare ferocemente un po' di teste. Aaah, che bello avvalersi di certi mezzi per poi tornare tranquillamente ad essere la solita, innocente e pucciosa fanciulla di sempre! <3
Chiedo scusa a tutti se ho toppato alla grande in qualche punto della storia, abbiate pazienza e, anzi, se è possibile vi prego di farmi notare gli errori, così ch'io possa porvi rimedio. ^^
Saluto e ringrazio tutti i lettori, la mia santa beta Atlantislux, la mia sconclusionata Lara, ENS (Francamente? Non so dirti se Nimue avrebbe potuto convincere Sten o meno, visto come sono andate le cose, forse hai ragione tu. Aggiungo però che dalla sua aveva un'altissima capacità di persuasione. E ricordati poi che nel videogioco lei È Mary Sue. Fatta e finita. Mentre proseguivo con la partita, oltretutto, mi facevo molti meno problemi di quelli che leggi qui, per cui non dare nulla per scontato.), Evertine (Dopo l'ultima scena di questo capitolo, mi sa proprio che hai visto giusto. :P), The Mad Hatter (Sì, diciamo che Nimue non è proprio fortunatissima... E Morrigan è adorabile! Se ti piace come la sto caratterizzando, mi rendi felice! :D), Ashar (Grazie mille, cara! E grazie anche per aver inserito la presente fra le fanfiction seguite!), The Warden Archivist (Se non fossi astemia, ti farei compagnia con il lambrusco, credimi! XD Le tue recensioni mi hanno fatta davvero arrossire, grazie! >///<), ed Erecose (Al quale mando un bacio per tanti buoni motivi. ^^).
Buona domenica a tutti!
Shainareth





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Capitolo 16
*** Spiriti ***







CAPITOLO SEDICESIMO – SPIRITI




«Tanto per saperlo… quando potrò riavere i miei vestiti?»

   Mi voltai a guardarlo quando ormai ero in procinto di uscire dalla tenda. Alistair mi fissava con il rossore delle guance reso più marcato dal pallore del volto esausto, aspettando che gli dessi una risposta.

   «A che vi servono?», volli sapere, cauta.

   Fece un gesto ovvio. «A cosa serviranno mai dei pantaloni?»

   «Avete già quella coperta.»

   «Lo so, ed è imbarazzante.»

   Mi permisi finalmente di sorridere, tornando verso di lui per premergli una mano sulla fronte e spingerlo contro il letto di fortuna su cui lo avevamo adagiato. «State giù e pensate a riposare. Ve li renderò quando sarete in grado di proseguire.»

   «Sto bene», mi assicurò.

   «Ne dubito, con tutto il sangue che avete perso.»

   Credetti di averla vinta perché si zittì per qualche attimo. «Ammettetelo: mi avete sequestrato le brache perché avete dei secondi fini», riprese invece poi, fingendosi serio.

   «Volete che vi ci strozzi, con quelle brache?», minacciai, dandogli una schicchera fra gli occhi. Si lamentò come un bambino ed io sospirai. «Wynne ha eretto una barriera attorno a noi per evitare che qualcuno possa attaccarci per un po’», iniziai a spiegargli. «Quindi, visto che sta dando fondo a tutte le sue energie per consentirvi di riprendervi, tornate a dormire. Sarebbe scortese rendere inutile il suo lavoro, non credete?»

   Parve convincersi ed io mi rilassai. «Sì… Avete ragione», mormorò. «Mi spiace avervi fatte spaventare.»

   «Se vi spiace, allora evitate altri colpi di testa come quello di oggi.»

   «Non era un colpo di testa, e lo sapete anche voi.»

   Se ci fossimo inoltrati troppo in quel discorso, di sicuro avrei cominciato a dar di matto. Anche se con un bel po’ di ritardo, avevo ormai capito cosa dovevo fare con Alistair, come comportarmi con lui; tuttavia mi mancava ancora la calma necessaria per affrontare quella nuova situazione, e al momento ero troppo tesa per farlo. Decisi allora che prima di chiarire il tutto con lui, dovevo assuefare me stessa a quella novità. E speravo ardentemente che nessuno di noi due ci lasciasse le penne anzitempo.

   Wynne sollevò un lembo della tenda, sbirciandovi dentro e facendo entrare l’aria fresca della sera. «È permesso o disturbo?» Le feci cenno di entrare, amandola segretamente per quella sua tempestività. Lei avanzò nella fioca luce del proprio bastone, portandosi all’altra sponda del letto e scrutando il ferito dall’alto. Aveva i capelli umidi e le spalle dell’abito punteggiate dalle gocce d’acqua che cascavano dal cielo ormai da ore. «Come vi sentite?», domandò, inginocchiandosi accanto a lui e tastandogli la fronte.

   «Come se un lupo mannaro mi avesse sventrato», si sentì rispondere.

   «Ricordatemelo ancora, e finirò il lavoro che quella bestiaccia ha lasciato in sospeso», assicurai ad Alistair.

   La nostra compagna si limitò a stendere le labbra sottili in un’espressione divertita, ma non disse nulla. Lui invece ruotò gli occhi al cielo. «Ma diventate tutte così?», le chiese in confidenza. Progettai di rubargli anche la coperta, oltre che i calzoni.

   «Solo in determinate circostanze», lo istruì Wynne. «Anzi, se tenete ai vostri timpani, vi consiglio vivamente di non stuzzicare oltre i suoi nervi.»

   Lui corrucciò la fronte. «Non ho fatto niente», obiettò.

   «Le avete quasi spezzato il cuore», ribatté l’altra, incurante della mia presenza.

   Alistair si volse a guardarmi, ed io mi alzai di nuovo in piedi, pronta a fuggire come al solito. «Chiamate se avete bisogno», sbuffai di malavoglia. E senza aspettare altra parola da parte loro, mi affrettai ad uscire, mentre lei sogghignava alle mie spalle.

   «Wynne», udii prima ancora che lasciassi la tenda, «potrei scambiare due parole con voi?»

   «Certamente.»

   «Beh, anzitutto lasciate che vi ringrazi per avermi salvato.»

   «Ed io ringrazio voi per aver salvato Nimue.»

   «E poi volevo chiedervi un’altra cosa», ricominciò Alistair, vago, quando si fu accertato che fossi andata via. «Cosa fareste se qualcuno vi dicesse che vi ama?», domandò in un bisbiglio.

   Sapevo che non era corretto, ma una volta fuori, rimasi sotto la pioggia ad ascoltare il resto del loro discorso col cuore che, a quelle parole, prese a battere forte: avevo infatti paura che Wynne cominciasse a fare a lui lo stesso discorso che aveva affrontato con me giorni addietro, e la cosa mi spaventava non poco. Ormai era tardi, per la mia sanità mentale, e se lei fosse riuscita a persuaderlo… cosa avrei fatto, io?

   «Questo qualcuno lo conosco?», chiese invece l’anziana maestra, sinceramente interessata alla questione.

   «No, voglio dire... Supponendo che voi siate una donna...»

   «Io sono una donna, Alistair. So che è difficile da credere, ma sforzatevi», portò pazienza davanti a quella dimostrazione di scarso acume.

   «Ah, ecco... Non era quello che intendevo. Solo... supponete di essere un’altra donna. Se qualcuno vi dicesse che vi ama, come reagireste?»

   «Beh, dipende. In che modo me lo dice? Io amo questa persona? Ho bisogno di un contesto per immedesimarmi.»

   A giudicare dal suo balbettio, Alistair doveva essere in difficoltà, e di certo io non sarei tornata indietro per aiutarlo. «Io... Io non so se lo amate. Forse. Voi... avete trascorso molto tempo con questa persona.»

   «Forse allora dovreste aspettare il momento giusto», gli venne incontro Wynne al posto mio, per fortuna. «Prendetela in disparte quando siamo accampati, magari dandole un regalo.» Un regalo che avevo già ricevuto, senza darvi peso e dimostrando un’imperdonabile insensibilità, e che però ora custodivo gelosamente fra i miei effetti personali, nascosto alla vista di tutti.

   «Oh, non stavo parlando di me...», tentò di difendersi Alistair, imbarazzato. «Stavo solo…» Si interruppe e sospirò, arrendendosi davanti alla consapevolezza di non essere in grado di mentire. «Fate finta che non abbia detto niente.»

   Wynne rise sommessamente. «Come volete», mormorò, mettendo fine alla discussione.

   Levai lo sguardo al cielo, mentre la pioggia mi bagnava da capo a piedi. A ben guardare, avrei dovuto parlare con Alistair il prima possibile. Facendomi coraggio, presi un grosso respiro e mi avviai verso l’altra tenda che le mie compagne avevano issato nel frattempo. Le trovai stranamente intente a discorrere senza accapigliarsi, e quella novità mi lasciò davvero esterrefatta.

   «Come va?», si interessò subito Leliana non appena mi vide.

   Scrollai le spalle. «Ha ricominciato a dire sciocchezze.»

   «Peccato. Speravo che fosse migliorato», storse il naso Morrigan, seduta a gambe incrociate in un angolo. «Ma per lo meno adesso hai smesso di piangere.»

   Mordicchiandomi un labbro, mi sedetti accanto a Leliana, che mi passò una carezza di incoraggiamento dietro la schiena. «Volete mangiare qualcosa?»

   «Sì, grazie», mormorai, prendendo dalle sue mani una striscia di carne secca. «Forse anche lui avrà fame.»

   «Vado a portargli qualcosa, allora», si propose lei, obbediente. «Così vedo anche come sta.»

   Scattai sull’attenti prima ancora che si alzasse in piedi. «No, ferma!», esclamai senza riuscire a moderare il tono della voce. Lei mi fissò stupita, ferma in attesa che dicessi qualcosa. Mi schiarii la voce. «Non potete», aggiunsi, cercando di controllarmi.

   «Perché no?»

   Addentai il mio pasto per prendere tempo e ponderare le parole per rispondere. O, meglio ancora, per evitare di farlo. Fu Morrigan, quindi, ad accorrere in mio aiuto. «Perché gli mancano i pantaloni.» A volte il suo essere così diretta mi faceva venir voglia di schiaffeggiarla.

   «Oh. Capisco», si mostrò delicata Leliana. «E perché allora lei può andare da lui e io no?», volle sapere dalla figlia di Flemeth.

   «Perché lei lo rimette subito in piedi», le spiegò quella. «O per lo meno, gli rimette in piedi un pezzo

   «È perché conosco la Magia Guaritrice», puntualizzai, stizzita, accanendomi sulla mia carne per evitare di azzannare invece Morrigan.

   «Ah, sì?» Leliana tornò a guardarmi. «L’altra volta però avete lasciato che mi occupassi io delle sue ustioni.»

   «L’altra volta lui non era nudo.»

   «Morrigan, smettila», grugnii, avvertendo il sangue affluire al viso sempre più velocemente.

   Leliana annuì, dando segno di aver finalmente compreso. «Beh, ma non mi scandalizzo mica. Anzi, vi dirò, sono anche piuttosto curiosa.»

   Mi voltai verso di lei con aria feroce. «Siete appena uscita da un convento», obiettai, nascondendo dietro quell’osservazione la mia vera, nuova vocazione all’omicidio.

   «Ci ero entrata per rifugiarmi nella preghiera, ma ciò non significa che io abbia preso i voti.»

   «Ma... Non... Io... Insomma!», cominciai a balbettare, disperata, meditando di lanciarle la mia striscia di carne in un occhio se solo avesse osato muovere un passo fuori da lì.

   «Magari in due, tra le altre cose, riusciremo a risollevargli anche il morale», continuò invece quella disgraziata.

   «Leliana!», gracchiai a quel punto, non sapendo se picchiarla o se buttarmi a terra e scalciare come una mocciosa di tre anni. «Non ve lo permetterò!»

   Lei finalmente tacque, scrutandomi attentamente negli occhi. Quindi, con un sospiro, ricominciò a parlare con Morrigan. «Avevate ragione: è fin troppo facile prenderla in giro», disse, portandosi la borraccia d’acqua alle labbra per camuffare un sorriso.

   «Lasciamoli riprodurre: tra lui e lei, sai che figli svegli verranno fuori?», infierì Morrigan, scuotendo la testa. Lì per lì il suo ghigno mi sviò, ma col senno di poi, ricordandomi di questa sua frase, non avrebbe più potuto sfuggirmi il suo sguardo per nulla divertito. In effetti, per tutto quel tempo, mi ero chiesta per quale ragione Morrigan avesse taciuto su ciò che le avevo confidato a proposito di me ed Alistair. Mi ero aspettata che torturasse quel poverino con battute infelici, e invece era stata muta come una tomba. Discreta come se non le avessi mai detto nulla. Avevo provato a spiegarmelo con la speranza che forse finalmente Morrigan stava iniziando a provare amicizia nei miei confronti. E benché non fossi del tutto in errore, quella non era l’unica ragione che le aveva impedito di dedicarsi al suo passatempo preferito – e cioè stuzzicare i nervi del nostro compagno.

   «Siete due megere», mugugnai, risentita. Scoppiarono a ridere simultaneamente, per la prima volta in vita loro d’accordo su qualcosa. «Vi detesto.»

 

La notte trascorse tranquilla. Morrigan aveva dato il cambio ad un’esausta Wynne per il mantenimento della barriera protettiva, mentre Leliana si era occupata di riparare alla meno peggio l’armatura di Alistair ed io ero rimasta accanto a lui, sonnecchiando con un occhio solo nel qual caso avesse avuto bisogno di qualcosa o si fosse sentito improvvisamente male. E invece quel disgraziato aveva finito per farmi ridere per buona parte del tempo, cominciando a farneticare sull’eventualità che, se fosse bastata un’unghiata da parte dei mannari per farci diventare come loro, allora io e lui ci saremmo tramutati di lì a poco in bestioni orrendi, con enormi zanne e una pelliccia irta e setosa. Non sarebbe certo stata un’immagine divertente, se lui non avesse aggiunto un importante dettaglio che, almeno per quella sera, lasciai correre con cattiveria: in quelle condizioni, saremmo corsi fino a Kinloch Hold e avremmo ridotto Cullen ad una poltiglia umana. Non prima, però, di aver terrorizzato Morrigan.

   «Ma ci pensate che portento può essere un lupo mannaro templare? Mi divertirei come un pazzo, giuro», mi aveva detto ad un tratto, incapace di prendere sonno, credo, per la mia vicinanza. «Certo sarebbe una soddisfazione, per me, farla pagare a quella strega in prima persona, ma sarei troppo curioso di vedere chi rimarrebbe in piedi per ultimo, fra loro due.»

   «E al vincitore che premio daremo?»

   «Non so. Che ne dite delle mutande di quell’elfo di Antiva? Sono sicuro che a Quello andrebbero benissimo», aveva risposto, maligno più che mai, rivangando le insinuazioni fatte a proposito di conformazioni fisiche varie. «Anzi, magari scopriamo che gli stanno anche larghe, specie sul davanti.»

   A quel punto avevo riso così forte che Morrigan si era affacciata a controllare cosa diavolo stessimo combinando; e sentire la sua voce proprio in quel momento aveva rischiato davvero di spedirmi all’altro mondo per i crampi allo stomaco. Tanto che, quando lei se ne era andata mandandoci a quel paese, avevo allungato una gamba per calciare quella di Alistair e farlo smettere una buona volta di dire cretinate. Invano, perché poi aveva iniziato a delirare sul fatto che i lupi mannari non portassero le brache, trovando la cosa a dir poco sconveniente.

   «Insomma, prima erano esseri umani. O elfi. Quindi perché perdere il pudore così di colpo?»

   «Wynne deve aver aggiunto dell’alcol all’ultimo impiastro curativo che vi ha dato», avevo riflettuto io a mezza voce, stropicciandomi gli occhi. «O almeno è quello che mi verrebbe da credere se non sapessi quanto vi divertite a fare l’idiota.»

   «Davvero, come si fa a stabilire se sono maschi o femmine? Si annusano come i cani?»

   «Smettetela immediatamente, o giuro che vi faccio dormire con Morrigan.»

   «Per questo potrei offendermi davvero», aveva ribattuto, serio. Per poi aggiungere: «Posso riavere i miei pantaloni?»

   «No.»

   «Prometto che non fuggirò. Voglio solo andare a spaventare quella strega.»

   «Buonanotte, Alistair.»

   «Sarebbe ‘buona’ se vi degnaste di avvicinarvi un po’.»

   «Non esiste che io lo faccia, visto il pericolo.»

   «Che pericolo?»

   Avevo trattenuto il fiato per un attimo. Quindi gli avevo confessato: «Alistair, io vedo al buio.»

   «I gatti vedono al buio», mi aveva contraddetto, spaesato.

   «Anche gli elfi.»

   «Oh», aveva commentato lui, perdendo di colpo la voglia di scherzare, mentre fra noi calava un silenzio imbarazzante. Poi lo avevo sentito schiarirsi la gola e domandare: «Riuscite a vedere anche il rossore del mio viso?»

   «No, quello no», lo avevo rassicurato, intenerita.

   «Dovete però darmi atto del fatto che a me, le mutande di quell’elfo, andrebbero strette.»

   «Morrigan?», avevo canticchiato sottovoce con tono dispettoso.

   Mi ero sentita afferrare per un braccio, seppur a tentoni a causa dell’oscurità – infatti Alistair aveva dapprima calcolato male le distanze, rischiando di strapparmi via il naso. «No, no! Non chiamatela! Farò il bravo, lo giuro!»

   Alla fine, comunque, fra la magia e gli impiastri a base di radice elfica, di cui per fortuna Brecilian era piena, il ferito era ristabilito davvero in fretta, tanto che, il mattino seguente, fui costretta ad ammettere che, visto anche il referto medico di Wynne, Alistair era di nuovo in grado di rimettersi in piedi e di camminare. Mi arresi perciò a restituirgli i vestiti, e lui ne approfittò immediatamente per rubarmi le scarpe e rendermi pan per focaccia. Quando riuscii a riprenderle, con i piedi ormai sporchi di fango, lo riempii di botte e fu solo quando Leliana gli riportò l’armatura che mi fermai, massaggiandomi le mani che mi dolevano a causa dei pugni con cui avevo cercato invano di fargli male.

   «Ecco qua», esordì Leliana, porgendogli la corazza. «Riparata alla meno peggio.»

   Alistair la prese, iniziando subito ad indossarla. «Oh, andrà benissimo, grazie», rispose entusiasta. «Siete stata voi ad occuparvi anche della mia camicia?»

   «Ci ha pensato Wynne a quella», gli fece sapere lei.

   «Sul serio?»

   «Che vi aspettavate dalla nonnina del gruppo?», gli sorrise l’anziana maestra, aiutando me e Morrigan a smontare le tende.

   «Giusto», annuì Alistair contento, terminando di stringere le innumerevoli cinghie dell’armatura. «Siete davvero adorabile, grazie. Io sono una frana col rammendo», disse poi, chinandosi per darci una mano e lasciandosi scappare una smorfia per la ferita che gli tirava ancora il fianco. «Sollevo immancabilmente troppa stoffa, la roba finisce per starmi stretta ed io per prendere freddo.»

   «Puoi sempre chiedere a qualcuno di riscaldarti», mormorò Morrigan scoccandomi un’occhiata.

   Che io restituii con aggressività. «Usando te come braciere? Non ci metto niente a riempirti di combustibile.»

   «Intendevo dire che ti basterebbe dargli fuoco come al solito», mi corresse lei, inarcando le sopracciglia con aria meravigliata. Possibile che ancora una volta volesse mantenere la parola data e non punzecchiare Alistair sulla questione? «Se poi hai la coscienza sporca, è affar tuo.»

   «Mi sfugge qualcosa?», chiese il nostro compagno, fingendo di faticare a star dietro ai nostri discorsi.

   «Zitto o vi do fuoco sul serio», abbaiai nervosa.

   Alistair si volse in direzione di Wynne con sguardo afflitto. «Vogliate perdonarmi, ma Nimue è molto più adorabile di voi.»

   Lei si lasciò andare ad un sospiro. «Non preoccupatevi. Credo che sopravvivrò alla delusione.»

   «Ho cambiato idea», stabilii a quel punto. «Darò fuoco a tutti.»

 

Alla fine comunque ci rimettemmo in marcia per davvero, e questa volta non mi appiccicai ad Alistair con l’intento di usarlo come scudo, quanto con quello di proteggerlo da qualunque cosa in cui ci fossimo imbattuti da lì in poi. Foss’anche stata un’orda di Ogre, avrei avuto il coraggio di affrontarla e di ridurla in cenere. Guai a chi avesse toccato ancora Alistair o anche solo una delle mie compagne: avrei morso molto più ferocemente di uno schifosissimo lupo mannaro. Gli altri continuavano a ripetermi di stare indietro perché sprovvista di un’arma, ma io ormai mi ero intestardita a fare da capogruppo, e al diavolo la paura. E quando la parte più razionale di me provò umilmente a farmi notare che c’era ben poco di furbo in ciò che stavo facendo, le sbraitai contro che la cosa più stupida da fare, al momento, era dubitare delle mie capacità e lasciare che ancora una volta qualcuno si sacrificasse al posto mio. Ero consapevole di essere forte, altrimenti Morrigan non sarebbe venuta a chiedermi aiuto riguardo a Flemeth; per di più avevo sconfitto un mannaro da sola. Questo bastava a darmi la certezza che avrei potuto ucciderne un altro.

   «Quindi... voi siete una femmina, giusto, Leliana?»

   Quel sussurro così tremendamente stupido mi raggiunse le orecchie di colpo, facendomi quasi incespicare nei miei stessi piedi.

   «Ah, sì? Che novità. Da quando?», stava rispondendo lei, fissando Alistair con aria corrucciata.

   Lui non demorse, continuando a farfugliare con la speranza che non sentissi. Non ero sicura che Morrigan e Wynne riuscissero ad udire quelle confidenze, ma io lo facevo benissimo, pur non intenzionalmente. «Volevo solo un consiglio. Cosa dovrei fare se... se credessi che una donna è speciale e...»

   «Volete farle la corte? Ecco un buon consiglio: non mettete in dubbio la sua femminilità», gli raccomandò Leliana, gentile.

   «D’accordo, sì. Ottimo consiglio», dovette ammettere Alistair. Era incredibile la facilità con cui riuscisse ad attirarsi le simpatie di tutte – eccetto quelle di Morrigan – senza che una sola di noi avesse cuore di fargli notare quanto fosse sciocco.

   «Perché me lo chiedete? Temete che le cose non seguiranno il loro corso naturale?»

   «Perché dovrebbero farlo? Soprattutto quando chiedo alle donne se sono femmine o meno.»

   Sorrisi fra me e me, avvertendo crescere una voglia matta di correre ad abbracciarlo. Non era sciocco per nulla. E anche Leliana lo pensava. «Aggiunge fascino al vostro personaggio, Alistair. Voi siete un po’ imbranato. Fate molta tenerezza.»

   «Devo fare l’imbranato? Non avete appena detto di non fare cose del genere?»

   «Siate voi stesso. Sapete come farlo, no...?»

   «D’accordo, fate finta che non vi abbia chiesto nulla.» E due. Anche con Wynne era finita allo stesso modo, per cui mi domandai se Alistair sarebbe arrivato a chiedere consulenza anche a Morrigan.

   L’idea mi terrorizzò, pur reputandola impossibile: Alistair non era così masochista. Per sicurezza, comunque, mi affiancai a lei per scoraggiarlo, meditando nuovamente di rassicurarlo il prima possibile sui miei sentimenti per lui. E maledicendolo al contempo: perché dubitarne proprio ora che finalmente avevo le idee chiare anziché prima, quando invece non ero affatto sicura del fatto mio? Sospirai, dandomi dell’imbecille per essere passata dall’infatuazione per un templare ottuso all’innamoramento per un templare… tenero, per usare le parole di Leliana. Di sicuro avevo qualcosa di mal funzionante nel cervello. Magari i miei neuroni passavano più volentieri il tempo a girarsi i pollici. Per lo meno, rispetto a prima avevano fatto un’evoluzione, scoprendo che i suddetti pollici erano anche opponibili.

   Sovrappensiero, scavalcai una radice con un piede, ma quella si mosse e mi fece mancare l’appoggio, facendomi crollare di faccia a terra. Benché non piovesse più da ore, il suolo era ridotto ad un tappeto di fango e foglie zuppe, per cui non feci una gran bella figura quando, rialzandomi sulle ginocchia, le calze strappate, mi rivolsi agli altri con il viso completamente sudicio.

   «Sei un disastro», commentò Morrigan, accanto a me. «Il bastone ti serve più per non farti cadere che per amplificare i tuoi incantesimi.»

   «La radice si è spostata», obiettai stupidamente. Lei mi fissò con pietà. «È vero!»

   Qualcuno mi passò le braccia sotto le ascelle, sollevandomi senza difficoltà per consentirmi di riguadagnare la posizione eretta. «Ecco fatto», disse Alistair, affannandosi a togliere chissà cosa rimasta intrappolata fra i miei capelli. «Se avete bisogno di appoggio, c’è sempre il mio braccio.»

   «Sono capace di camminare da sola, grazie», ribattei imbronciata. Perché mi prendevano per un’impedita? «Vi ripeto che non sono inciampata. Beh, non questa volta», mi corressi. In effetti spesso mi capitava di farlo, ma quasi mai di perdere del tutto l’equilibrio.

   «Sì, certo», mi derise ancora Morrigan, intrecciando le braccia al petto.

   «Potrebbe avere ragione, invece», si intromise Leliana, porgendomi un fazzoletto pulito ma umido. Lo aveva lavato la sera prima insieme a poca altra roba, ma ovviamente nulla si era asciugato. «Non avete mai sentito parlare dei Silvani Selvaggi?» Dal modo in cui l’altra aggrottò le sopracciglia scure, Leliana comprese di no. «Sono alberi misteriosi e oscuri. La Foresta di Brecilian è uno dei posti in cui essi sono stati avvistati, sapete? Il Velo qui è talmente sottile, che spesso gli spiriti riescono a fuggire dall’Oblio, impossessandosi degli alberi e donando loro un’innaturale, sinistra intelligenza.»

   Quella storia ci lasciò a bocca aperta per una manciata di secondi. Quindi, mentre mi sentivo solleticare ancora i capelli, domandai: «State dicendo che qui ci sono esseri del genere?» Lei annuì, fissando con aria perplessa qualcosa sopra la mia testa. «E sono spiriti buoni o cattivi?», chiesi ancora, tanto per sapere se, effettivamente, dovevo accettare davvero il braccio di Alistair o meno. E non solo per evitare di cascare di nuovo nel fango. Per la serie: al diavolo tutto il mio orgoglioso coraggio di poco fa!

   Leliana esitò. Poi mormorò con voce malferma: «Ecco, questo non lo so con certezza. Tuttavia», continuò additando qualcosa accanto a me, «potremmo provare a chiederglielo.»

   Mi voltai, e finalmente mi resi conto che non era affatto Alistair a sfiorarmi, ma le fronde di salice. Un salice che poco prima non era lì. Ero caduta per colpa di un platano, non di un salice. Col cuore in gola, alzammo lo sguardo verso di esso e quello ci rispose frustando un ramo per aria a folle velocità, colpendoci tutti e cinque contemporaneamente all’addome e mozzandoci il fiato. Ci spedì lontani con una forza assurda, come se avesse scagliato delle saette da un grande arco. Rotolai sino a che un rumore sordo ed un lamento soffocato non arrestarono il mio volo, ed io non fui strattonata per un braccio: Alistair, che mi aveva afferrata saldamente per un gomito, si era appena schiantato contro un tronco, evitando a me di fare la stessa fine.

   Lo sentii chiaramente biascicare un’imprecazione fra i denti. «Leliana», cominciò dunque, vedendola lunga distesa in terra non lontana da noi, «la prossima volta, potreste raccontarcele prima, queste belle leggende? Almeno avremo modo di prepararci al peggio per tempo.»

   «Non mi sembrano leggende», intervenne Wynne, portandosi una mano alla schiena con espressione dolorante in volto mentre si rialzava a fatica. «E direi anche che adesso sappiamo che queste creature non gradiscono la nostra presenza.»

   «Dite che abbiamo offeso la natura?», si preoccupò Leliana, tossendo a causa di qualcosa che le era finita in bocca.

   «Sciocchezze», sbottò Morrigan, balzando in piedi con furia. «Non abbiamo fatto nulla di male da che siamo entrati nella foresta. A parte uccidere dei lupi, ma solo per autodifesa. Stessa cosa per i mannari.»

   E siccome il salice stava tornando ad attaccarci, la figlia di Flemeth chiamò il gelo in aiuto, ma un tralcio si avviticchiò attorno alle sue caviglie prima che riuscisse a formulare l’incantesimo, e lei fu scaraventata in aria. Fu Wynne a salvarla prima che l’albero potesse colpirla al volo: col solo gesto di una mano, fermò la caduta di Morrigan a pochi metri dal suolo, ed io ne approfittai per ricorrere ad un Glifo di Paralisi, mentre Alistair si precipitava a recuperare la nostra compagna prima che si spezzasse l’osso del collo e Leliana estraeva dalla faretra ricevuta in dono dai Dalish la prima delle frecce magiche. La scoccò rapida, e quella si andò a conficcare nella corteccia del salice, che fremette e si agitò forsennatamente. Quindi, un fuoco fatato si sprigionò dall’interno del suo corpo legnoso, ed in poco tempo fu divorato dalle fiamme.

   «Così rischi di incendiare tutta la foresta, genio!», strepitò Morrigan, divincolandosi dalla presa di Alistair, che, ritrovandosi il suo gomito in un occhio, le regalò un insulto. Tornata padrona di se stessa, lei scattò a raccogliere il bastone che le era caduto e finì il Silvano con un’ondata di ghiaccio che spense il fuoco e salvò gli alberi vicini.

   «Con tutta la pioggia di ieri», obiettò Leliana, ignorandola ed incoccando un altro dardo, «stento a credere che qualcosa possa prendere fuoco», le fece notare. «Inoltre, dimenticate che queste frecce sono incantate: non credo che farebbero del male a chi non sono indirizzate.»

   Mi trascinai verso Alistair per accertarmi che non si fosse rotto né zigomo né arcata sopraccigliare, mentre Morrigan continuava a sbraitare come un ossesso contro il Silvano che le aveva rovinato la tunica. «Di che si lamenta?», non si capacitava il mio compagno, guardandola sconcertato. «Tanto è già come se non l’avesse.»

   «Gradirei che non mi faceste notare che lo avete notato», bofonchiai di malumore, afferrandogli la testa fra le mani e girandogliela nella mia direzione affinché si concentrasse invece su di me.

   I suoi occhi nocciola indugiarono nei miei. «Siete diventata più premurosa o sbaglio?» Se se n’era accorto, allora perché insisteva nel chiedere consiglio alle altre?

   «Anche più irascibile», lo misi in guardia.                        

   Lo vidi sorridere divertito, e la cosa mi diede i nervi. «Vi siete fatta male?», mi domandò d’un tratto, facendomi calmare all’istante. Docile come un agnellino, allora, gli spiegai che avevo solo un vago torpore alla spalla a causa dello strattone ricevuto. E mi sciolsi del tutto quando lui bisbigliò Meno male, scostandomi una ciocca di capelli dalla fronte. Mi resi conto di essere finita davvero in prigione, attirata dal suo sguardo buono e dalla sua indole affettuosa. Mi ci aveva messo lui a Redcliffe, lasciando però la porticina della gabbia aperta per consentirmi un’eventuale via di fuga. Io non solo non avevo avuto il coraggio di varcarla, rinunciando a riguadagnare la libertà per paura di ferirlo, ma me l’ero persino chiusa dietro, a chiave e con doppia, tripla mandata, prima di buttarla via, così che non potessi evadere neanche in futuro.

   Avrei voluto protestare contro la sua influenza sul mio povero cuore, e al contempo gettargli le braccia al collo. Nell’incertezza su cosa fare prima, quasi mi misi a piangere. Se non lo feci, fu solo perché Morrigan ci urlò di darci una mossa. E se anche non ci avesse pensato lei a farmi scendere dalle nuvole, lo avrebbe senza dubbio fatto l’altro Silvano di poco prima, poiché anche il platano ci raggiunse e frustò uno dei suoi rami nella nostra direzione, andando a vuoto solo per poco, ma portandosi dietro due colleghi piuttosto grossi e anziani. Wynne ed io provammo a rallentarli invocando l’aiuto della terra e sollevando zolle di fango affinché impedissero la loro avanzata. Morrigan e Leliana si accanirono quindi su di loro giusto in tempo per sentire, alle mie spalle, Alistair che gridava, avvertendoci dell’arrivo di altri Silvani pronti a circondarci. Mi chiesi se non si fossero risvegliati tutti insieme dopo aver capito che eravamo effettivamente pericolosi, visto il modo in cui avevamo reagito agli ammonimenti del salice. Ma che avremmo dovuto fare, secondo loro? Lasciare che ci prendesse a legnate nel vero senso della parola?

   «Se continuiamo a combatterli, finiremo per attirarne altri», ci avvisò Morrigan. Forse bisognava crederle, visto che fra noi era senza dubbio quella che capiva meglio la natura, con tutti i suoi capricci. «Andiamo via.»

   Così facemmo, correndo il più in fretta possibile nel fitto della foresta, pregando che ai mannari non saltasse in testa di tornare a darci la caccia proprio in quel momento. Con le fronde che ci schiaffeggiavano e ci graffiavano il viso e le braccia, percorremmo una lunga distanza scappando senza sapere né in che direzione dirigerci né se i Silvani ci stessero ancora seguendo. Ad arrestare definitivamente la nostra avanzata, a parte qualche ramo che si impigliava a tratti nei nostri abiti, ci pensò l’improvviso muro di nebbia che ci sbarrò la strada. Era talmente densa che non si riusciva a vedere oltre. Sembrava quasi solida.

   Wynne, che per tutta la fuga era stata sorretta da Alistair a causa dell’età avanzata, provò ad allungare un braccio oltre quella cortina, rabbrividendo per il freddo. Agitò la mano e poi la ritirò, ma non successe nulla. «È strana, tuttavia non mi pare pericolosa.»

   «Credete che sia prudente passarci dentro?», domandò Leliana. «Potremmo trovarci assaliti da qualcosa senza accorgercene.»

   «L’alternativa è tornare indietro», ci fece notare Morrigan, analizzando con malcelata impazienza la nostra situazione.

   «Non pensarci nemmeno», tagliai corto, in tono che non ammetteva repliche. «Ci farebbero a pezzi.»

   Lei si volse a fissarmi, inarcando un sopracciglio per la sorpresa. «Quindi stai suggerendo di rischiare? Tu?»

   «Beh», tergiversai io, cercando di non far caso alla presa in giro che implicava quella sua espressione, «potremmo sempre cambiare direzione.»

   «E se così facendo ci raggiungessero comunque?»

   «Prendetevi tutti per mano», ci ordinò allora Wynne, ponendo fine alla discussione. «Avanzeremo nella nebbia. Non avverto minacce di nessun tipo», ci spiegò pratica. Ci guardammo gli un con gli altri, e alla fine accettammo la sua soluzione – a parte Morrigan che si rifiutò di dare la mano a chiunque non fosse me.

   Quindi, facendoci coraggio, muovemmo cautamente i primi, incerti passi dentro quello spesso strato di nebbia e avanzammo nell’ignoto, intirizzendo per la pioggia di aghi freddi che ci penetrò improvvisamente le membra e si conficcò fin dentro le ossa. Non riuscivo a vedere nulla, neanche Leliana e Morrigan che mi stavano accanto e delle quali avvertivo la presenza unicamente perché le loro dita erano strette alle mie. Anche l’udito era quasi del tutto scomparso. Ma fino a che avessi sentito il contatto dei miei piedi contro il suolo, avrei evitato di farmi vincere dal panico. O almeno speravo di riuscire a farlo.

   Infine, d’un tratto fummo di nuovo fuori, piacevolmente e paradossalmente riscaldati dall’aria umida della foresta, sebbene i nostri abiti fossero zuppi, quasi come se avessimo attraversato a nuoto uno specchio d’acqua.

   «Siamo tornati dov’eravamo o sbaglio?», s’interrogò Alistair, studiandosi attorno.

   «Sbagliate», gli avevo assicurato, scettica. Dopotutto, una volta non mi aveva forse detto che si perdeva facilmente? «Non ricordo affatto quel… Ehi, è un pezzo della mia gonna, quello?», osservai scandalizzata, precipitandomi a raccogliere il piccolo brandello di stoffa chiara che mi era stato strappato via da uno degli arbusti accanto ai quali eravamo passati durante la nostra fuga.

   «Oh, sì che lo è»,  mi confermò Alistair con un sorriso compiaciuto, inclinando la testa su una spalla, gli occhi fissi sul mio fondoschiena. Una piccola scarica elettrica esplose fra i suoi piedi, e lui indietreggiò, travolgendo la povera Wynne. «Ehi! Potevate farmi male!», protestò sconcertato dal mio modo di farmi giustizia.

   L’anziana maestra ci mise a tacere, focalizzando la nostra attenzione su un quesito più urgente. «Se siamo tornati indietro, significa forse che abbiamo perso l’orientamento mentre attraversavamo la nebbia?»

   «Impossibile», contestò Morrigan, innervosita. «Sono certa di aver mosso i piedi sempre nella stessa direzione.»

   «Potrebbe trattarsi di un altro dei misteri di questa foresta», provò a suggerire Leliana, più pacata.

   «Potrebbe», assentì Wynne, cercando riordinare le idee. Fu però costretta a rinunciarvi subito. «Giunti a questo punto», sospirò alzando le spalle in segno di resa, «non ci resta davvero che provare a cambiare strada. E che il Creatore ce la mandi buona.»













Breve capitolo di transizione per far aprire un po' gli occhi al mio elfo ritardato. Chiedo umilmente scusa per aver riportato più o meno fedelmente i dialoghi fra Alistair e Wynne e fra Alistair e Leliana, ma non ho potuto resistere alla tentazione: quando li lessi nel gioco, rischiai seriamente di morire dal ridere. XD Alla fine, benché non volessi la romance con quello scemo di un templare, la sua bontà d'animo e le sue idiozie l'hanno avuta vinta: non resisto a questo diabolico connubio, c'è poco da fare.
Quanto al capitolo precedente, invece... LO SAPEVO! Il topos dell'infermierina, per quanto sfruttato, fa sempre la sua porca figura. XD
Concludo ringraziando tutti i lettori, la mia beta Atlantislux per l'infinita pazienza, Ashar (No, guarda, la parte di Orzammar credo inizierò a scriverla nel ventunesimo capitolo - ieri ho concluso il ventesimo - ma già so che mi inietterò qualcosa nelle vene per reggere allo stress e ai ragni. XD), ENS (Beh, senti, io conosco poco Sten e tu conosci poco il mio pg - e qui mi riferisco a quello della partita, non a quello della fanfic che invece è molto diverso - per cui è inutile stare a questionare su una cosa che non è mai stata fatta, ti pare? XD E anche se Nimue non avesse convinto Sten a parole, ti assicuro che gli avrebbe comunque spaccato il deretano. ♥), Evertine (Più che strani, certi legami li definirei inscindibili... e a mio avviso è una cosa stupenda, nonostante le circostanze sfavorevoli. ^^), The Warden Archivist (Nimue non poteva saltare addosso ad Alistair in quel momento o finiva per ammazzarlo; né lo avrebbe mai fatto al primo incontro, dato che, per quello che gli ha visto fare in quell'occasione, l'istinto le diceva piuttosto di castrarlo. XD Oh, poi ho risposto alla tua email, non so se l'hai ricevuta...), Lara (♥ ♥ ♥ E non dico altro! XD), The Mad Hatter (Se vuoi sapere qualcosa sul finale, mandami pure una email. ^^) e Mr X, alias Erecose (Che dopo questa mi sa che mi darà tante botte. XD Ma ti voglio bene, lo sai, sì? XD).
Ah, dimenticavo! Per chi se lo stesse chiedendo, non ci sarà nessuna Juggernaut, in questa long, perché non l'ho presa. E prima ancora che qualcuno pensi che sono un'impedita, lasciatemi chiarire che non l'ho fatto di proposito (nel senso che ho lasciato indisturbate le lapidi nella foresta per un motivo ben preciso).
E anche per stavolta è tutto. Il prossimo aggiornamento potrebbe arrivare in ritardo rispetto al solito, ma vi prego di portare pazienza: tra studio e impegni personali, dubito che nelle prossime settimane riuscirò a mantenere la stessa costanza nella stesura dei capitoli.
Buona domenica a tutti,
Shainareth





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Capitolo 17
*** La Foresta di Brecilian ***







CAPITOLO DICIASSETTESIMO – LA FORESTA DI BRECILIAN




Alistair batté più volte le palpebre prima di stropicciarsi gli occhi e scuotere la testa a destra e a manca. Quindi, credendo che questo sarebbe bastato a far sparire le allucinazioni, si concesse un grosso respiro e tornò ad alzare lo sguardo. Ma non era cambiato nulla, la Grande Quercia era ancora lì, davanti a noi, alta ed imponente, che ci fissava. Sì, ci fissava.

   Alistair si piegò leggermente nella mia direzione. «Posso anche capire che i mannari parlino. Dopotutto prima erano esseri dotati di parola, no?» Additò in direzione dell’ultima creatura in cui ci eravamo imbattuti. «Tuttavia mi riesce difficile credere che possano farlo anche gli alberi. Com’è possibile?»

   «Forse è sempre per via degli spiriti», ipotizzai, visibilmente meno sconvolta di lui. Non perché non avessi paura, ma soltanto perché mi ero convinta che, se davvero fosse stata ostile, quella quercia ci avrebbe già attaccati.

   Avevamo girato a vuoto per la foresta per non più di due ore, non riuscendo a cavare un ragno dal buco – e per fortuna, vista la mia aracnofobia – e non incontrando altri ostacoli lungo la strada. Sentendoci relativamente al sicuro, allora, avevamo deciso di fare una breve sosta per concederci qualche minuto di respiro ed un po’ di ristoro nel cibo. Dopo di che, proprio quando stavamo per rimetterci in viaggio, eravamo stati assaliti da ben tre Silvani. Le frecce dei Dalish avevano compiuto ancora una volta il miracolo, ma poi era arrivato lui, l’albero più maestoso della foresta. Aveva forma vagamente umanoide, con un doppio tronco alla base che sembrava costituirne le gambe, mentre due lunghi rami spogli fungevano da braccia e mani. Altri rami, intrecciati fra loro, salivano a formargli la cassa toracica, e tutta la schiena era coperta di fronde dalle foglie ingiallite, ma ancora stabili. Alla sua vista, ci eravamo paralizzati per lo stupore, tanto che né Leliana né Morrigan parvero ricordarsi delle armi che stringevano fra le dita e con le quali avevano già sconfitto gli altri Silvani. Dopo un lungo scambio di sguardi, la Grande Quercia aveva esordito parlandoci in rima, con voce cavernosa e gentile. Come se fosse uscita da un libro di favole. Chissà che tipo di spirito si era impossessato di lei…

   «Parlo come fate voi, esattamente», disse l’albero ad Alistair e me. «Non potrebbe essere diversamente.» Beh, su questo avevamo di certo opinioni divergenti.

   «Tu non… vuoi attaccarci?», volle sapere Morrigan, perplessa come tutti dal suo atteggiamento.

   «Stai parlando di certo degli altri…», comprese subito lui. «Mi scuso per i loro modi poco scaltri. Sono la Grande Quercia, o anche il Vecchio Albero, come molti altri mi conobbero.»

   «Cosa puoi dirci di questa foresta?», s’interessò Wynne, reputando urgente conoscere meglio il territorio in cui ci aggiravamo da circa ventiquattr’ore.

   La Grande Quercia oscillò la sporgenza nodosa che, sulla sommità del suo corpo ligneo, pareva proprio essere la testa. «Posso parlarti solo dell’albero di fronte a te, non ti sarà d’aiuto ma è abbastanza per me.»

   «Conosci Zannelucenti?», provai a chiedergli comunque.

   «Nel centro della foresta dimorano i mannari, dicono le leggende. Ma è la foresta stessa che quei lupi difende.»

   Se davvero poteva darci delle informazioni, tanto valeva approfittarne e raggranellare tutte quelle che potevamo. «C’è un modo per raggiungere il centro della foresta?»

   «Siate degni della benedizione, ed io vi dirò la soluzione», scese a compromessi la Grande Quercia.

   «Benedizione?», ripeté Alistair, sempre più sconcertato. «Cos’è una divinità?»

   Morrigan ed io gli intimammo bruscamente il silenzio, poiché l’albero stava già tornando a parlare. «Stavo dormendo indisturbato, quando un ladro mi ha derubato.»

   «Di cosa?»

   «Una ghianda, il mio seme», ci svelò subito. «Di ciò solo mi preme.» Alzò le lunghe braccia verso l’alto, facendoci sussultare tutti. «Senza di lei pace non avrò, e ben presto morirò.»

   Quel suo annuncio fu seguito da un assoluto silenzio, segno che essa aspettava una nostra risposta. Io ed i miei compagni ci guardammo subito gli uni con gli altri. «Forse sa davvero dove trovare Zannelucenti», cominciò Leliana.

   «Dovremmo quindi accettare di cercare quella ghianda? Potrebbe averla già mangiata qualche bestia», sbigottì Alistair, contrariato. Ma prima ancora che qualcuna di noi aprisse bocca per replicare, si riebbe e scrollò le spalle. «Oh, beh, volendo potremmo anche portargliene una qualsiasi e lei… lui, o quello che è, non se ne accorgerebbe nemmeno.»

   «Suppongo invece che i semi di una pianta siano molto simili a dei figli, sai?», gli fece notare Morrigan. «Dubito, quindi, che si lasci ingannare tanto facilmente.»

   «Ma è una pazzia! Come faremo a trovare proprio la sua?»

   «Andate ad est per quest’uomo trovare. Io rimarrò qui ad aspettare», intervenne la Grande Quercia, sciogliendo i nostri dubbi almeno in parte ed allungando un arto legnoso per mostrarci la via.

   «Quindi ce l’ha un uomo, non un animale», mormorò Leliana quasi fra sé, quando l’albero ci liquidò, ostinandosi a non dirci altro fino a che non gli avessimo portato ciò che lui ci chiedeva. «Questo cambia le cose. A meno che quella persona non sia poi stata trasformata in un lupo mannaro.»

   Non era incoraggiante per nulla. «Perciò… dovremmo frugare nelle tasche di tutti quei bestioni che incontreremo?» Nonostante ci fossimo rimessi in cammino, Alistair inarcò le braccia sui fianchi, regalandomi un’occhiata eloquente. «Tasche che ovviamente non hanno, visto che non portano i pantaloni.»

   Ruotai le pupille al cielo. «E dubito anche che, rovistando fra le loro pellicce, ne ricaveremo qualcosa.»

   «Non è detto che sia stato uno di loro a prendere quella ghianda», ragionò Wynne. «Dopotutto, cosa mai avrebbe dovuto farsene?»

   «Magari una marmellata?», suggerì il nostro compagno. «Quella di castagne non è affatto male.» Nessuno gli prestò attenzione, ma lui non parve certo demoralizzarsi per questo.

   Morrigan provò a stilare delle ipotesi. «E se ci vivesse qualcuno, qui?»

   «Chi può essere tanto folle da abitare in un posto del genere?», non si capacitò Alistair.

   Lei lo fissò con fare ovvio. «Beh, io e mia madre, per esempio.»

   «Appunto», convenne l’altro. «Folli.»

   Risolvendo di ignorarlo, Morrigan proseguì nel corso dei suoi pensieri. «Forse ci sono dei Dalish che sono sopravvissuti e che hanno deciso di rimanere nella foresta all’insaputa del loro clan.»

   «E perché mai avrebbero dovuto farlo, visti tutti i pericoli che si corrono in questo luogo?»

   Più ci arrovellavamo sulla questione, meno riuscivamo a riflettere con lucidità. Per cui ci demmo per vinti e proseguimmo verso oriente, seguendo le indicazioni della Grande Quercia e ripromettendoci di non stupirci più di nulla. E malgrado i nostri buoni propositi, non potevamo comunque rimanere indifferenti a tutto.

   Non passò più di mezz’ora, infatti, che ci imbattemmo in un lupo mannaro dal pelo molto chiaro. Con una sciarpa attorno al collo. La cosa era decisamente fuori luogo, e Alistair ed io avremmo senz’altro commentato in modo stupido se non fosse stato che la bestia era inginocchiata a terra, sofferente per qualcosa. Si accorse di noi quasi subito, fissandoci con occhi imploranti pietà. Neanche per un istante la reputammo pericolosa, al punto che mi avvicinai a lei senza temere nulla, benché Alistair mi raccomandasse di non abbassare la guardia: poteva benissimo essere un’imboscata. Eppure quello che avevamo di fronte era uno sguardo davvero provato dal dolore.

   Quando fummo a pochi passi da lui, l’animale iniziò a parlarci con grande sforzo e con voce cavernosa. «Per… favore… Aiutatemi…», rantolò, faticando a mettere insieme le parole. «Non sono la bestia selvaggia che sembro…»

   «Cosa ti è successo?», provai a domandargli, sentendo la pena crescere nel cuore.

   «Loro… Sono stata maledetta e trasformata in questa creatura…», mi rispose tra un rantolo e l’altro. «La maledizione mi brucia le viscere…» Si lasciò scappare un lamento, ma poi riprese lentamente la sua spiegazione. «Ero fuggita nella foresta… e i lupi mannari mi hanno trovata…»

   «Fate attenzione», tornò a mettermi in guardia Alistair, sempre pronto a ricorrere alla spada qualora ve ne fosse stato bisogno. Non potevo certo biasimarlo, visto cos’era accaduto l’ultima volta che avevamo avuto a che fare con uno di loro.

   La bestia spostò la propria attenzione su di lui, spaesata, senza però tradire alcuna nuova emozione. «Voi… siete umano. Io sono… Ero un elfo», si corresse. «Uno dei Dalish… Conoscete il mio clan?»

   Era quindi una degli elfi che non aveva fatto ritorno all’accampamento. «Zathrian ci ha mandato qui», le dissi.

   «Vi ha mandati il guardiano?», parve capire lei, tornando a focalizzarsi su di me. «Quindi… state cercando Zannelucenti.»

   «Esatto. Lo avete visto?», domandai.

   L’altra si concesse un attimo per regolarizzare il respiro. «Sì», confermò poi. «Ma… non è come pensate», ci sorprese. «Non c’è tempo per le spiegazioni… Ascoltatemi: mi chiamo Danyla. Mio marito… si chiama Athras. Per favore… portategli un messaggio.»

   Anche Leliana, a quel punto, fu vinta da quella scena straziante. «Sta soffrendo tantissimo, povera donna!»

   «La sciarpa che indosso», continuò Danyla, «portatela a lui… Ditegli che lo amo…»

   «Parleremo con Athras», promise il nostro arciere dai capelli rossi al posto mio. «Sarà preoccupato per voi. Gli diremo che…»

   «Che sono morta», la interruppe il mannaro. «Voglio che trovi la pace… È un brav’uomo. Ve ne prego… non permettete che soffra pensando a me in queste condizioni.» Non ci lasciò tempo di rispondere, che quell’infelice lanciò un urlo ferino, facendoci sobbalzare. «Il mio sangue… brucia a causa della maledizione… Per favore! Finitemi!»

   Troppo allibita da quella richiesta, esitai. «Sarebbe un gesto caritatevole», mormorò Wynne alle mie spalle. Forse lo era per davvero, tuttavia… con che cuore avrei trovato il coraggio per ucciderla?

   «Finitemi ora», ci supplicò ancora Danyla, «o vi costringerò a farlo!» E non scherzava, poiché subito si avventò contro di noi, raccogliendo tutte le energie che le erano rimaste per spingerci a darle il colpo di grazia. E dato che faceva sul serio, rischiando di ferire proprio me, purtroppo non potemmo fare altrimenti.

   Fu con le lacrime agli occhi che la vidi crollare al suolo, biascicando una benedizione per noi da parte dei suoi Numi. Leliana le si inginocchiò accanto, accarezzandole il capo e sussurrando una preghiera funebre. Quindi, con gentilezza le sfilò la sciarpa dal collo.

   Rimanemmo in silenzio per diverso tempo, riflettendo mestamente su quanto, dopotutto, anche i mannari soffrissero a causa di quella maledizione, vite distrutte nel corpo e, soprattutto, nella mente. Se un responsabile c’era, in tutta quella storia, doveva essere trovato. E alla svelta.

   «Anche lei ci ha lasciati con dei dubbi», constatò Morrigan, parlando per prima, pur con tono mogio. Aveva ragione, perché se persino una Dalish in quelle condizioni ci faceva notare che eravamo in errore, forse era legittimo pensare che fosse davvero così.

   «Quindi… che facciamo?», volle sapere Alistair. «Torniamo indietro a chiedere spiegazioni a Zathrian oppure proseguiamo?»

   «Lui potrebbe saperne quanto noi», scosse le spalle la figlia di Flemeth, prima di darci la sua opinione. «Se dipendesse da me, vorrei scoprirne il più possibile al riguardo. E l’unico modo per farlo è procedere per la nostra strada.»

   «Sono d’accordo», assentì Wynne. «Anche perché tornando sulle nostre orme, rischieremmo di scontrarci ancora con gli spiriti della foresta.»

   «Dovremmo farlo comunque, prima o poi, semmai riuscissimo a raggiungere di nuovo l’accampamento dei Dalish», le feci notare stancamente, continuando a tenere lo sguardo fisso sul cadavere ancora caldo di Danyla. «Questo posto non mi piace», confessai. «Non perché mi faccia paura. O meglio, non solo per quello.» Iniziai infine ad osservarmi attorno, senza però trovare nulla di strano o di pericoloso, sebbene lì a Brecilian, a quanto pareva, tutto poteva essere una potenziale fonte di guai. «Però credo che non abbiamo scelta», mi arresi.

   «Anche se volessimo lavarcene le mani», convenne Alistair, «abbiamo bisogno dell’aiuto dei Dalish. Siamo venuti qui apposta, dopotutto.»

 

Ormai rassegnati all’idea di dover andare ancora una volta incontro all’ignoto, proseguimmo il nostro viaggio nella parte orientale della foresta, non incontrando più né mannari né Silvani. Offrendosi di andare in avanscoperta, Morrigan era infatti ricorsa alla magia per tramutarsi in un corvo dal bellissimo piumaggio nero e lucido, indicandoci così la via più sicura. Avvistò per noi due orsi bruni davvero spaventosi per mole, dai quali ci tenemmo alla larga il più possibile.

   Ad un tratto, però, fummo io ed Alistair ad avvertire qualcosa molto prima che potesse farlo lei per mezzo della vista. Un ronzio dapprima soffuso ci penetrò nella testa, iniziando a farsi più forte mano a mano che ci avvicinavamo. Cosa ci facesse la Prole Oscura all’interno di Brecilian non lo scoprimmo mai. Non erano in molti, stabilì Alistair, più esperto di me.

   «Forse sono due», disse, lo sguardo fisso nel vuoto a testimoniare la grande concentrazione con cui si stava focalizzando su di loro. Il corvo planò sulle nostre teste, di ritorno dalla ricognizione in cui l’avevamo mandato dopo avergli indicato la direzione da noi temuta, e Morrigan affondò le zampe fra la chioma di Alistair, facendogli scappare un’imprecazione. «Sta’ giù, stupida bestia!», le ringhiò contro, scacciandola con le braccia.

   L’uccello parve ridere, e quella nostra impressione fu subito confermata dall’espressione divertita con cui Morrigan, poggiatasi a terra, si ripresentò a noi con le sue vere sembianze. «Piagnucoli come un lattante», lo prese in giro.

   «Non azzardatevi mai più a toccare i miei capelli!»

   «In realtà preferirei non toccarti e basta.»

   «E allora non fatelo!»

   Cercai di dissimulare un sorriso e mi rivolsi alla giovane Strega delle Selve. «Per sua stessa ammissione, Alistair ha un’ossessione per i suoi capelli.»

   Lei lo fissò stupita. «Ah, sì? Per quei quattro peli che hai in testa?» Se Alistair non fosse stato un gentiluomo, probabilmente le avrebbe allungato il dito medio. Io per lo meno lo avrei fatto. «Beh, giustamente. Non potendo vantare un grande cervello, ti curi almeno di ciò che te lo tiene al caldo per scongiurare la morte del tuo unico neurone», infierì poi Morrigan.

   «Che novità ci portate?», la mise a tacere Wynne, preoccupata più della nostra sorte che dello spensierato neurone del nostro Principe.

   «Sono Ogre», ci comunicò Morrigan. «A guardia di alcune rovine, mi pare.»

   «Sono in due?»

   Annuì. «Volendo potremmo anche farcela. Solo che sconsiglio di usare ancora il fuoco in grande quantità o rischieremo davvero di devastare l’intera foresta.» Il che significava ricorrere ad incantesimi come l’elettricità ed il gelo. «Quello dell’Oblio, in fin dei conti, non era poi così invincibile.»

   «Ne hai mai affrontati due contemporaneamente?», le domandai innervosita. «Alistair», iniziai senza aspettare risposta, «guai a voi se commettete altre sciocchezze.»

   Lui fece una smorfia. «Non sono così impaziente di farmi schiacciare come un acino, sapete?» Pur sentendolo ragionare in questo modo, ero perfettamente consapevole che non ci avrebbe messo molto a farmi sgolare per la sua incoscienza davanti al nemico. Sotto questo punto di vista, eravamo sempre stati i due opposti: lui impaziente di mettere al tappeto il proprio avversario, io impaziente di darmela a gambe. Lo ammiravo e lo reputavo un pazzo al tempo stesso.

   «Non ci sono altre strade?», chiese Wynne.

   Morrigan allungò un braccio verso est. «Decidendo di continuare in questa direzione, direi proprio di no», le spiegò. «Ci sono solo i resti diroccati di un’enorme costruzione antica. Non ho idea di cosa sia, ma a questo punto non è da escludere che la persona che ha rubato la ghianda all’albero si rifugi abitualmente lì per sfuggire ai pericoli della foresta.»

   «Persino alla Prole Oscura?», fu scettico Alistair.

   «Magari è uno di loro.»

   «Wow», boccheggiò con finto entusiasmo, avviandosi incontro a quel fastidioso ronzio. «Tutta questa adrenalina mi fa venir voglia di saltare per la gioia.»

   Alla fine trovammo gli Ogre. Non fu propriamente una visita di cortesia, la nostra, e loro dovettero capirlo all’istante, perché si scagliarono contro di noi con il loro passo lento e pesante. C’era di buono che non mi incutevano più lo stesso terrore di alcuni mesi prima, forse perché sapevo che non erano affatto invincibili come sembravano. Il primo degli assi che usammo io e Wynne fu una magia immobilizzante, così da permettere agli altri di ricorrere ai loro colpi più potenti sin dall’inizio, visto che eravamo più o meno nel pieno delle energie. Morrigan lanciò uno dei suoi incantesimi di ghiaccio, rischiando di coinvolgere anche Alistair che le sbraitò contro un epiteto poco galante – che, anziché farla indignare, la fece scoppiare a ridere. Uno dei due bestioni si liberò dal Glifo di Paralisi prima che esso esaurisse il proprio effetto, e con una potente zampata falciò Leliana. Lei cadde all’indietro, e Wynne accorse in sua difesa, invocando la terra ed indirizzando svariati proiettili di pietra contro il nemico. Il quale, preso in contropiede, fu atterrato da Alistair: ripetendo quasi il grandioso spettacolo di quella lontana notte ad Ostagar, il nostro compagno approfittò dello stordimento momentaneo dell’Ogre per spingerlo al suolo con una possente spallata. Quindi, agguantando la spada a due mani, gli saltò addosso e piantò la Lama Verde alla base del suo collo. Stille di sangue nero gli schizzarono in viso e sull’armatura, ma Alistair non si scompose e, anzi, non appena si fu accertato della morte del suo avversario, vociò verso Leliana affinché scagliasse una freccia Dalish sulla sua carcassa: anche se apparentemente privi di vita, ci avrebbe spiegato poco dopo, gli Ogre possono risvegliarsi senza alcun preavviso e tornare forti quanto prima se non più; per tale ragione, i Custodi Grigi sono soliti dar loro fuoco non appena li sconfiggono.

    Abbattere anche il secondo fu ancora più semplice. Non perché io e Morrigan fossimo più forti degli altri, quanto perché il gelo della figlia di Flemeth riusciva ad atrofizzare le membra del Prole Oscura, rendendolo del tutto inoffensivo. E fra questo, i miei Glifi di Paralisi e le nostre Esplosioni Mentali combinate, riuscimmo a cavarcela senza neanche un graffio, continuando indisturbate a lanciare i nostri incantesimi di attacco fino a che un borioso Alistair non volle farsi bello ai nostri occhi riproponendosi in tutto il suo splendore di uomo vigoroso e vanesio: atterrò anche quest’Ogre e lo trafisse con la sua arma.

   «Hai finito di fare la primadonna?», volle sapere Morrigan, intrecciando le braccia sotto ai seni con aria infastidita.

   Lui la fissò compiaciuto, balzando giù dal corpo del nemico con un leggero fiatone. «Ammettetelo: siete rimasta colpita.»

   «Non è me che devi impressionare, fesso», lo rimbrottò l’altra, facendo cenno verso di me con il capo.

   Pur rimanendo un attimo interdetto davanti alla scoperta che Morrigan sapesse, o avesse comunque capito, Alistair si volse nella mia direzione ed io quasi lo presi a ceffoni. «Azzardatevi di nuovo, e state pur certo che vi darò fuoco intenzionalmente», lo avvisai, sopraffatta dallo spavento anziché dall’ammirazione per le prodezze appena mostrateci.

   «Visto che vi piace incendiare le cose, sfogatevi su di lui», mi consigliò con un sorriso da schiaffi, additando il suo trofeo di guerra dalla spessa pelle bluastra. Il sospiro che cacciai dai polmoni fu molto più simile ad un ringhio. Gli scoccai un’occhiataccia, e tuttavia obbedii e bruciai il cadavere dell’Ogre senza altre proteste.

   Morrigan ci scrutò con cipiglio corrucciato. «Mi ripeterò, ma fatico davvero a stabilire chi sia il più cretino di voi due.»

   Frattanto, Wynne aveva provveduto a rimarginare le escoriazioni di Leliana, che pure rimaneva dolorante per la botta ricevuta sia per la zampata, sia per il violento contatto con il terreno, benché fosse stato ammorbidito dalla pioggia del giorno addietro. Nel complesso, però, nessuno si era fatto seriamente male, e la consapevolezza che stessimo diventando forti al punto da riuscire a sconfiggere ben due Ogre senza gravi conseguenze ci fu non poco di conforto.

   «Cosa conterranno queste rovine?», si domandò Wynne, osservando le mura ricoperte di muschio e le colonne mezze diroccate che forse un tempo avevano sorretto un porticato. Non vi erano arcate o squarci che mostrassero un qualsivoglia tipo di ingresso, e pertanto concludemmo che per trovarne uno avremmo dovuto seguire il perimetro di quella costruzione malandata.

   Scoprimmo presto che invece non ci sarebbe stato possibile, poiché l’altra parte dell’edificio, a noi inizialmente invisibile, era crollata, e la foresta aveva ricoperto il resto. Fummo allora costretti a seguire soltanto le vaghe tracce rimaste di quell’insediamento, chiedendoci se mai saremmo riusciti a trovare qualcosa.

 

Non passò molto, a dire il vero, che più avanti trovammo un accampamento.

   Una tenda era issata a lato di una piccola radura. Della legna era stata accatastata poco distante in modo ordinato, mentre al centro scoppiettava un piccolo fuoco, a testimonianza che fosse recente, e attorno ad esso vi erano dei posti a sedere composti da ceppi di alberi tagliati e da un tronco morto steso sull’erba.

   Ci guardammo in giro senza abbassare la guardia. Non c’era aria di corruzione, e nemmeno del proprietario. Ipotizzammo che potesse essere stato già attaccato dagli Ogre o dai mannari, eppure non vi erano segni di lotta nelle vicinanze.

   Cominciando ad avvertire l’aria fresca della sera, che pure era ancora lontana, mi avvicinai al falò e tesi le mani per riscaldarmi. Fu allora che lo scorsi: un uomo, un umano piuttosto anziano, che se ne stava rannicchiato dietro ad una pila di sacchi e mi fissava con due enormi occhi sgranati. Mi mise i brividi.

   «Credo… di averlo trovato», mormorai ai miei compagni con tono incerto. Loro mi furono subito accanto, ed io indicai verso lo sconosciuto.

   Wynne si propose di farci da portavoce. «Chiedo venia, buon uomo», iniziò con il suo solito garbo, facendo anche un lieve cenno di saluto con la testa. «Sarebbe così cortese da…»

   «Non siete mannari e nemmeno spiriti», la interruppe lui con una vocetta pacata che contribuiva a renderlo inquietante. «Che tipo di alberi siete?»

   Alistair corrucciò le sopracciglia chiare. «È matto? Chi diavolo è?»

   L’altro spostò lo sguardo spiritato nella sua direzione, gesticolando con fare agitato. «Domande! Domande! Sempre domande!», farfugliò fra sé, come se noi non riuscissimo ad ascoltarlo. «Dicono che furono delle domande a rendermi pazzo.» Almeno ne era consapevole. «Hanno fatto lo stesso con voi?» Oscillò il capo da una parte all’altra, studiandoci tutti eppure dandoci l’impressione di vedere oltre le nostre figure. «Fai una domanda e otterrai una domanda. Dài una risposta e otterrai una risposta. Oh, come amo questo gioco!»

   «Non ci sta con la testa», concluse Alistair, tetro. «Potrebbe essere stato lui a rubare la ghianda, tutto sommato», ci suggerì quindi. «Una persona normale non saprebbe che farsene, mentre un pazzo…» Non era un’ipotesi da scartare, in effetti.

   «No!», urlò d’un tratto l’uomo, quasi balzando fuori dal suo nascondiglio e mostrandoci il suo abbigliamento sudicio e sciatto, pur rimanendo piegato sulle ginocchia. «Non è una domanda! E se è una risposta, non è la risposta ad una domanda che ho fatto!», gracchiò, visibilmente innervosito. «Non hai capito le regole?»

   «Fate attenzione», ci bisbigliò Wynne per non farsi udire da lui. «Non è una persona qualunque. È un mago.» Ed il bastone che portava sulla schiena, legato a tracolla con un cordoncino sottile, lo confermava.

   «Un mago molto potente», aggiunse Morrigan, appellandosi al proprio istinto.

   «Vuoi giocare secondo le regole o no?», stava rivolgendosi a non so bene chi quell’individuo assai curioso.

   «Quindi… vorresti porci una domanda?», provai a parlarci io.

   Lui parve calmarsi, forse contento per ciò che avevo detto. «Penso che sia il tuo turno.»

   Indecisa su cosa chiedergli prima, cercai anzitutto di tastare genericamente il terreno. «Cosa sai dirci di questa foresta?»

   «Troppi spiriti», replicò subito il mago, facendosi scuro in volto. La sua lunga barba bianca fremette, dando l’idea di come quell’argomento lo rendesse partecipe. «È questo il problema della foresta. E tutte le maledizioni e gli ululati degli uomini-lupo contribuiscono a renderti matto.» E non aveva torto, a ben pensarci. «E anche se gridi contro di loro per farli smettere, quelli si nascondono nelle profondità della foresta, protetti dagli alberi.» Quindi quel tizio era abbastanza pericoloso da mettere paura ai mannari? Ottima notizia. Mi accostai al mio templare preferito, pronta ad aizzarlo contro di lui alla minima minaccia di quel vecchio squilibrato. «C’è un modo per prendersi gioco degli alberi, ovviamente. Sono degli stupidi.» Si alzò da dov’era accucciato e si avvicinò a noi, costringendomi istintivamente ad un passo indietro. «Non molto tempo fa ho rubato qualcosa ad una quercia», ci confidò tutto contento. Che Alistair avesse dunque ragione? «E adesso quella non smette di molestarmi. Mi aiuteresti a dargli fuoco?»

   «Di che quercia parli?», s’interessò Morrigan, a quel punto. Se fosse stato davvero lui, il ladro, forse ci saremmo guadagnati il favore della foresta, e la cosa non ci sarebbe stata per nulla sgradita.

   L’anziano eremita aggrottò la fronte. «Questa è un’altra domanda. Ora tocca a me farne una.» Tamburellò le dita scheletriche contro la bocca con aria pensierosa e poi chiese: «Come ti chiami?»

   Non avendo la più pallida idea di chi di noi dovesse rispondere, i miei compagni mi diedero delle leggere gomitate per farmi parlare. Li odiai tutti, dal primo all’ultimo. Compreso quel disgraziato di Alistair. «Nimue», grugnii allora in risposta al mago. Lui mi rise in faccia, mortificandomi. Era così sciocco il mio nome?

   «È una confessione, la tua!»

   «Cosa?»

   «Sei stata mandata da loro!», mi accusò. «Ma sei troppo scaltra e hai cercato di prenderti gioco di me!» Ma che andava farneticando?! «Però io sono più furbo di te», concluse lui, incrociando orgogliosamente le braccia al petto. «Bene. E ora è il tuo turno. Domanda! Domanda, suvvia!»

   A dire il vero avrei voluto andarmene, piuttosto che avere ancora a che fare con quella strana creatura. «È così… tu vivi qui?»

   «In quel ceppo», rispose lui, puntando l’indice contro un albero morto poco distante. «Non è così male come sembra. Ma dove potrei andare, altrimenti? Devo stare lontano da loro.» I suoi occhi tornarono a sgranarsi e lui ad osservarsi attorno con fare agitato. «Loro sono qui fuori e ti guardano, ti rubano ogni segreto.»

   «Chiedimi qualcos’altro», si fece di nuovo avanti Morrigan, forse iniziando a prenderci gusto.

   L’uomo sorrise. «Posso? Sì, sì, posso!» Ruotò le pupille in alto e domandò: «Dove sei nata?»

   «Rispondigli», mi ordinò la Strega delle Selve.

   «Sei stata tu a…!» Ma la mia protesta fu messa a tacere da un colpo secco del suo bastone. «Ad Altura Perenne», mi arresi quindi, terrorizzata all’idea di finire fra le braccia del folle a furia di spintoni. Come capo, a ben guardare, non valevo un soldo bucato.

   L’eremita mi fissò attraverso due fessure sottili. «Che diabolica intelligenza», commentò a labbra strette. «Continui con la tua facciata, eppure io posso vedere attraverso le tue bugie.» Non era una menzogna, ma non osai contraddirlo per timore che potesse arrabbiarsi. «Tocca a te, ora! Domanda, domanda!»

   «Chi sei?», intervenne Wynne, cercando di inquadrare meglio la situazione.

   Fu una mossa sbagliata, forse, perché lo sconosciuto fece un balzo indietro, facendoci spaventare. «Chi sono io?», ripeté indignato. «Perché vuoi saperlo? Loro! Ti hanno mandata loro? Ti hanno detto loro di chiedermelo?»

   «Quante domande!», rise Morrigan a quel punto. «Faresti bene ad avere delle risposte pronte, prima di chiedere tutte queste cose.» Eccola, la vera, diabolica intelligenza del nostro gruppo.

   Lui sbuffò contrariato. «Gabbato dalle mie stesse regole», si lamentò, facendo un brusco gesto con il braccio. «Lo so che ti hanno mandato loro. Lo so, lo so», borbottò nervosamente. «Ma le regole sono regole. Chiedi.»

   «Sei stato tu a rubare la ghianda alla Grande Quercia?», incalzò Morrigan.

   Il mago socchiuse le palpebre in modo sospettoso. «Oh… Tutto diventa chiaro, adesso. Tu, l’albero parlante…» Si zittì. Poi, fatta mente locale, ammise: «Il fatto è che, sì, ho preso io la ghianda di quell’albero. È stato facile rubargliela. Quello sciocco avrebbe dovuto tenerla sotto chiave. Ma se vuoi, posso barattarla con te con qualcos’altro.»

   «Cosa ti interesserebbe avere?»

   Ci mostrò il palmo della mano. «È il mio turno, ora», ci tenne a farci sapere. «Che tipo di relazione hai con tuo padre?»

   «Mio padre morì prima ch’io nascessi», dichiarai, prima che qualcuno potesse pungolarmi ancora. Odiavo raccontare di me agli sconosciuti, specie quando ancora non mi ero confidata del tutto con persone alle quali tenevo – in questo caso Alistair e Leliana, poiché Wynne mi conosceva bene, e a Morrigan qualcosa avevo già detto durante la nostra prima conversazione su Flemeth.

   «Interessante», mormorò l’eremita. «Questo significa che hai avuto un padre.»

   «Che intuito geniale», mugugnò Alistair per me.

   «Visto che è il mio turno», tornò a parlare Morrigan, «cosa vuoi in cambio della ghianda?»

   «Dipende da quello che hai», fu l’ovvia risposta che ricevette.

   Leliana tirò fuori dalla sua sacca un libro di storia antica sugli elfi che aveva preso all’accampamento Dalish. «L’ho letto ieri tutto d’un fiato, e anche se mi spiace separarmene, magari potrebbe tornarci utile ora.»

   «Ci daresti la ghianda in cambio di questo?», volle sapere Morrigan, reputandola una buona idea.

   «Prima devo domandarti un’altra cosa», stabilì il folle, annuendo con decisione. «È nelle regole.» Ignorando la brutta imprecazione che lei gli soffiò contro, il mago ci stupì con una nuova curiosità: «Sei mai stata… innamorata?»

   Paonazza, gli voltai le spalle e piantai le pupille in quelle della Strega delle Selve. «Stavolta non rispondo io», misi in chiaro, senza minimamente prendere in considerazione la possibilità di mentire e sforzandomi invece di non far caso agli occhi che Alistair mi teneva incollati addosso.

   «Significa che lo sei?», mi sbeffeggiò lei con poco tatto. Mi ostinai al silenzio, serrando le mascelle per evitare di azzannarla alla giugulare. «Sì, buon uomo», disse allora con finta dolcezza, circondandomi con le braccia per cullarmi come se fossi stata la sua bambolina. «È proprio innamorata.» Se avessi potuto, avrei ammazzato lei, altro che Flemeth. E anche Leliana, che sentii ridacchiare divertita.

   «Che cosa noiosa», commentò l’eremita con tono piatto. «Dopotutto, forse non è stata mandata da loro», concluse in base a chissà quale nesso logico. «Quindi… qual era la tua domanda?»

   «Scambieresti la ghianda con questo libro di storie sugli elfi?», si fece avanti Leliana, mentre io e Morrigan finivamo di sputarci addosso insulti poco velati.

   «Un libro! Oh, sì, sì!», esclamò lui, entusiasta. «Potrei leggerlo a mezzanotte!» Si diresse quindi velocemente nella tenda e vi sparì dentro. Diversi, inquietanti rumori ci fecero intuire che stesse rovistando in un pollaio, ma nessuno di noi espresse i propri dubbi ad alta voce. Il mago uscì poco dopo, tornando con una bella, grossa ghianda fra le dita. «Eccola!», ci annunciò, tendendo entrambe le mani per darcela e al contempo per avere in cambio il libro di Leliana. Quest’ultima eseguì il baratto, ma prima ancora che potesse ringraziare, lui scappò accanto al fuoco ed iniziò a ballare da solo col suo nuovo compagno di carta e inchiostro, senza più prestarci la minima attenzione.

   «Proporrei di andarcene prima che ci ripensi», fu il saggio suggerimento di Alistair che tutte noi accogliemmo con solerzia.

   Non sapevamo, a dire il vero, se fosse prudente lasciare quel tipo da solo. E in libertà, soprattutto, perché poteva realmente costituire un pericolo, dal momento che sia i mannari che la Prole Oscura fingevano di non curarsi della sua esistenza. Probabilmente si trattava di un eretico. Ma come fosse finito nel cuore della foresta era un mistero sul quale preferimmo non indagare a fondo.

   Sopravvivemmo anche a questo, insomma, e ritornammo presto sui nostri passi, cercando di ricordare la strada percorsa poco prima. Morrigan assunse di nuovo la forma di un corvo per indicarci la via dall’alto. Nessuno di noi dubitava del fatto che in un posto del genere lei sapesse orientarsi meglio di chiunque altro, per cui la seguimmo ad occhi chiusi, mentre Leliana continuava a rigirarsi la ghianda fra i polpastrelli, studiandola con attenzione.

   «Siamo sicuri che sia quella che cerchiamo?»

   «Siate ottimista, Alistair», lo rincuorò lei, alzando lo sguardo nella sua direzione. «Se anche non lo fosse, avremo comunque dimostrato la nostra buona volontà alla Grande Quercia.»

   Lui non parve molto d’accordo. «E se quella dovesse convincersi che stiamo cercando di prenderla in giro portandole una ghianda qualunque?»

   «In tal caso le chiederemo qualche informazione in più sul ladro», scosse le spalle Leliana.

   Non occorsero altre domande per quel giorno, per fortuna, poiché quando la Grande Quercia ci vide tornare, riconobbe immediatamente il suo seme e, felice come solo un albero può esserlo, ci mise fra le mani uno dei suoi rami come ricompensa. Stavo già maledicendo l’inutilità di quell’affare, quando il suo proprietario ci fece sapere che era intriso di magia, al punto da vincere il favore della foresta, che non ci avrebbe più ostacolato nel nostro cammino – a patto, ovviamente, che noi non le mancassimo di rispetto. Fu una gran fortuna, a ben guardare, perché in tal modo non soltanto avremmo incontrato meno ostacoli lungo il nostro cammino, ma per di più adesso io potevo tornare ad avere un’arma assai efficace.

 

Tra le altre cose, la Grande Quercia ci disse che c’era una via più breve per trovare di nuovo le rovine che avevamo visto ad est, vicino al punto in cui viveva l’eremita matto. Si trattava di imboccare di nuovo la strada che ci aveva condotti fino alla nebbia: quest’ultima era provocata dagli spiriti della natura, esattamente come tutto il resto, e pertanto, ora che avevamo la loro benedizione, potevamo passarvi attraverso del tutto indisturbati, arrivando in poco tempo alle antiche costruzioni diroccate.

   Era la verità, poiché non appena mettemmo di nuovo piede in quel drappo magico che ci aveva tratti in inganno quella stessa mattina, non solo non avvertimmo più alcuna sensazione di gelo, ma soprattutto la nebbia si dissolse nel nulla. Pur convinti di aver risolto buona parte dei nostri problemi, e di poterci ora finalmente dedicare unicamente alla questione dei lupi mannari, quando ci ritrovammo davanti all’ingresso di quello che aveva tutta l’aria di essere un mausoleo o qualcosa di molto simile, non riuscimmo comunque a gioirne.

   Davanti ad esso, quattro creature alte ed imponenti si drizzarono sulle massicce zampe posteriori, fissandoci con irritazione. «La foresta vi ha lasciati passare?», ci chiese Passosvelto, avanzando guardingo nella nostra direzione. «A quanto pare, siete più forti di quanto credessimo. I Dalish devono aver fatto centro, questa volta, mandando voi», continuò, scrutandoci con crescente curiosità. «Tuttavia, non posso farvi procedere oltre. Lasciate questo posto.»

   Altri tre mannari galopparono verso di noi, fermandosi però dietro al loro capogruppo e rassicurandoci circa i loro propositi: non ci avrebbero attaccati, a meno che noi non lo avessimo fatto per primi.

   «Non potreste lasciarci provare a risolvere questa storia fra voi e i Dalish?», prese parola Morrigan, cercando di misurare bene le parole.

   Passosvelto ci mostrò i denti. «Siete venuti qui su ordine di quei traditori per uccidere Zannelucenti», cominciò a rispondere per nulla incline alle trattative. «Non resterò fermo a guardare.»

   «Non vogliamo fare del male a Zannelucenti», azzardò la nostra compagna, cauta. «Vogliamo solo parlare.»

   «Non vi credo. Non voglio correre il rischio di credervi», ringhiò di nuovo l’altro. «Vi siete introdotti nel nostro rifugio per ucciderci! Non è la prima volta che succede!» Si spostò lateralmente, misurando lo spazio antistante le rovine con ampie falcate. «Qui Zannelucenti ci protegge. Qui siamo amati», ci spiegò in apparenza calmo. Ma poi si voltò scatto, tornando a fissarci con occhi furiosi, stavolta. «Difenderemo Zannelucenti anche a costo delle nostre vite!»

   Lanciò un acuto ululato, annunciando l’inizio dello scontro rimandato troppo a lungo. Le armi già in pugno, non fummo presi alla sprovvista e, anzi, fui abbastanza lesta da ricorrere subito ad un incantesimo di stordimento collettivo dei nostri avversari, che ci concesse un piccolo vantaggio. Capito ormai come fronteggiare i mannari, Morrigan e Wynne, con il supporto di Leliana, riuscirono a sbarazzarsi di due di loro in tempo relativamente breve, mentre io, forte del mio nuovo bastone magico, ne avevo già abbattuto da sola un terzo ricorrendo al potere del fulmine e del fuoco. In realtà avrei forse potuto metterci meno per liberarmene, ma dato che Alistair si era scagliato da solo contro Passosvelto, e visto anche come si era concluso l’ultimo scontro con i loro simili, avevo tenuto costantemente d’occhio lo svolgersi del loro duello, concludendo che, se non colto di sorpresa, il mio compagno sapeva destreggiarsi alla grande contro un energumeno simile. Alla fine, comunque, accorremmo a dargli man forte, poiché Passosvelto non era affatto semplice da sconfiggere.

   Tuttavia, proprio un attimo prima che potessimo dargli il colpo di grazia, qualcosa mi travolse, buttandomi al suolo. «Nimue!», urlò Alistair, scattando verso di me. Mi afferrò per le spalle, ed io mi aggrappai subito alle sue braccia, spaventata ma fortunatamente incolume.

   In difesa di Passosvelto era arrivato un lupo dal manto bianco come la neve, le cui zampe erano interamente avvolte da fasci lignei, quasi fossero state radici rovesciate o ramoscelli spogli. Ci abbaiò contro a lungo, facendoci arretrare e consentendo così al suo amico di fuggire via oltre l’edificio diroccato alle loro spalle. Infine, accertatosi che esso fosse ormai in salvo, si accomiatò con un ululato per nulla minaccioso e si dileguò anche lui.

   Troppo allibiti per spingerci al loro inseguimento, rimanemmo fermi dov’eravamo per qualche attimo, gli sguardi puntati lì dove i due erano spariti.

   «Tutto bene?» Cercando di calmare i battiti del cuore, annuii energicamente, riuscendo a tranquillizzare il mio soccorritore, che mi aiutò a rimettermi in piedi.

   «Quello… Poteva essere lui Zannelucenti?», s’interrogò Leliana, una freccia ancora incoccata nell’arco.

   «Non ne ho idea», mormorò Wynne, accigliata, prestando il proprio potere di rimarginare le ferite di Alistair, leggermente contuso ma intero.

   Infine, Morrigan avanzò verso le rovine, fermandosi prima di entrarvi. «C’è un solo modo per scoprirlo», annunciò.













Bleah, brutto, brutto capitolo. Tuttavia ci sono delle parti che proprio non posso tralasciare, per cui sopportate con pazienza. Personalmente, comunque, avrei volentieri incendiato la Grande Quercia con quel suo odioso parlare in rima (rime qui tutte inventate da me, perché ovviamente non le ricordavo mica) e strappato la lingua all'eremita pur di farlo smettere con quelle domande del... Sto zitta, è meglio. Fortuna che i prossimi due capitoli mi piacciono di più.
Alla fine ho aggiornato prima ancora del previsto, vuoi perché comunque il materiale per farlo ce l'ho (sono circa a metà del ventunesimo capitolo), vuoi perché nei prossimi giorni mi sarà più difficile farlo.
Prima di concludere, vorrei rivolgere alcune righe ad ENS. Che tu possa criticare l'incoscienza di Nimue nello scorso capitolo ci sta tutto, anche perché io stessa l'ho sottolineata. Ma che tu possa arrivare a credere ch'io sia davvero andata a spasso disarmata in una zona tanto pericolosa come Brecilian, mi sembra davvero inverosimile: mi prendi in giro? XD E comunque sì, normalmente Nimue faceva da apripista, Alistair era il secondo, Morrigan la terza e, che tu ci creda o no, Wynne chiudeva il gruppo. Eppure sono sempre andata avanti senza problemi: erano un quartetto invincibile, te l'assicuro, anche senza specializzazioni di sorta per Nimue. Insomma, la "MORTE" di cui parli non era per i miei, ma per i loro avversari. A questo punto mi viene spontaneo rigirarti la domanda che mi facesti tempo fa a proposito dei bardi e degli assassini: ma ti sei reso conto di cosa sia realmente un Guaritore Spirituale in Dragon Age: Origins? Perché a me Wynne è risultata essere un personaggio fondamentale, se ben impiegato (magari non hai saputo sfruttarlo a dovere). Oltretutto, scusa se mi permetto, nonostante io abbia fatto scelte diverse dalle tue, il gioco l'ho finito esattamente come te, sai? ^^
Chiarito questo, passo ai saluti e ai ringraziamenti per tutti i lettori, per la mia adorata beta Atlantislux, Ashar (Mon amour, dimentichi che i ragni ci sono anche a Brecilian. XD), ENS, The Mad Hatter (Grazie mille per l'incoraggiamento! :D Hai poi trovato una soluzione a quel dubbio che mi dicevi per email?), Evertine (Troppo, troppo buona! Non far caso a questo capitolo, il prossimo dovrebbe piacerti di più. ^^ Almeno spero! XD), Lara (My love, l'autentica genuinità è un dono prezioso, non lo sai? XD), The Warden Archivist (I capitoli come quello precedente servono a smorzare un po' la tensione, credo. ò_o Email arrivata, ti ho anche risposto, seppur in ritardo, sorry! >_<) ed Erecose (Sempre tanto, tanto carino! Tra l'altro pare che tu sia l'unico che si accorge di determinati particolari o di determinati espedienti narrativi che sono costretta ad inventarmi qua e là. ^^).
Perdonate il solito romanzo post-capitolo, ma l'ho detto che parlo più di Maric e Alistair messi insieme! >_<
Buona domenica a tutti!
Shainareth





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Capitolo 18
*** Le antiche rovine ***







CAPITOLO DOCIOTTESIMO – LE ANTICHE ROVINE




Scendemmo giù per una scalinata ancora intatta, nonostante un grosso squarcio nel muro d’ingresso. Quel luogo era sopravvissuto nei secoli alle intemperie, eppure pareva ancora abitato per via delle fiaccole accese ai lati delle pareti. Forse erano proprio i mannari a tenerlo vivo. Il pavimento al di là del portone che attraversammo poco dopo presentava alcune lastre divelte, ma questo non ci impedì in alcun modo di procedere. Un’altra gradinata ci condusse in un’ampia sala, al centro della quale vi era una pedana circolare costituita da due gradini. Per raggiungerla, però, avremmo dovuto scendere altre scale, stavolta crollate e sostituite dalle grosse e massicce radici di un albero che era riuscito a vincere la pietra posta lì da mano artificiale.

   «Questo posto è di fattura elfica», ragionò Alistair sottovoce, come se avesse timore di disturbare qualcuno o qualcosa. «Non sono i nani a vivere sottoterra?», domandò, iniziando a scivolare cautamente verso il basso e tendendo una mano a Wynne per agevolarle la discesa.

   «Non chiedetelo a me», risposi cercando di non rompermi l’osso del collo, vista la mia proverbiale agilità. «Non so niente degli antichi elfi. Sono nata in un tugurio e cresciuta in una torre.»

   «Torre dalla quale io mi sarei buttata giù sin dal primo giorno», commentò Morrigan, accendendo la stizza della mia anziana insegnante.

   «Si dà il caso, Morrigan, che il Circolo dei Magi sia un’importante istituzione che educa i maghi affinché non si lascino sottomettere dai poteri sopiti nel loro animo.»

   Lei sbuffò. «Come? Tarpandogli le ali?»

   Tossii rumorosamente di proposito, sperando che la smettessero di discutere su una questione che avrebbe solo inasprito i loro rapporti. «Proporrei di proseguire in silenzio per accertarci che non ci sian…!» Tanto per cambiare, i miei piedi si rifiutarono di mantenere aderenza col suolo ed io sarei ruzzolata giù se Leliana non mi avesse afferrata per la gonna, tirandomela per non farmi spaccare la testa ed alzandomela vergognosamente davanti a tutti, anche se solo in parte.

   «State bene?», mi chiese preoccupata.

   Sopraffatta dall’imbarazzo, mi aggrappai come meglio potei ad una delle radici ed annaspai: «Sì, sì, ma lasciatemi, adesso!» Lei obbedì, aiutandomi a sollevarmi per un gomito. «Grazie», le dissi non appena recuperai un minimo di decenza.

   «Oggi è proprio una bella giornata, eh?», sentii farneticare Alistair dabbasso. «Il cielo è di un azzurro incredibile.»

   Morrigan aggrottò la fronte. «Che cavolo dici? Ormai è quasi notte. E anche se fosse, dove lo vedi il cielo da qua sotto?», non si capacitò, provando a guardare in alto, forse in cerca di una crepa nel soffitto che facesse filtrare la luce esterna. Ma Alistair non aveva la più pallida idea di cosa stesse dicendo e, anzi, parlando a vanvera cercava di non farmi pesare il fatto di aver assistito alla scena. Nonostante tutto, ancora una volta apprezzai la sua delicatezza nei miei riguardi.

   Quell’incidente, comunque, ci distrasse al punto che non ci accorgemmo di essere nuovamente sotto attacco se non quando dei lupi mannari provenienti da un varco sulla destra ci assalirono. Fu una fortuna che fossero in due soltanto, e sapendo ormai come districarci in uno scontro con quelli della loro razza, riuscimmo ad abbatterli in poco tempo.

   Alistair si offrì di allungare il collo oltre il punto in cui quelle bestie erano comparse alla nostra vista, scoprendo così un altro corridoio discendente ed una porta sbarrata che ostruiva il passaggio. «Dubito che ne spunteranno ancora da qui.»

   Sulla sinistra c’era un arco simile, mentre davanti a noi, in fondo alla sala si poteva scorgere un terzo ingresso, anch’esso sigillato.

   «Visto che, come ci ha gentilmente fatto notare Morrigan, il sole è ormai tramontato, forse ci converrebbe recuperare un po’ di forze prima di proseguire», consigliò Wynne, guardandosi attorno. «Tornare in superficie significherebbe esporci ai pericoli degli animali selvaggi, forse, e proseguire potrebbe voler dire andare incontro ad altri mannari.»

   «Suggerite dunque di accamparci qui, per stanotte?»

   «Per ora è tutto tranquillo. Approfittiamone finché possiamo.»

 

Alistair si offrì di fare il primo turno di guardia, e dopo non più di un paio d’ore, Leliana gli diede il cambio sotto il mio sguardo vigile. Incapace di stare fermo per la preoccupazione, e di trovare pace nel sonno esattamente come me, lo vidi allontanarsi verso il passaggio di sinistra. Mi alzai silenziosamente dal punto in cui mi ero stesa per non disturbare le altre, ed ignorando l’occhiata interrogativa della nostra compagna dai capelli rossicci, lo seguii.

   «Siete imprudente», lo sgridai quando si accorse di me, lasciandosi raggiungere. «Non andatevene in giro da solo.»

   «Vi ho svegliata? Mi spiace.» Davanti a quel tono contrito, abbandonai l’idea di continuare nella mia predica. «Voglio solo dare un’occhiata per accertarmi che non ci siano pericoli imminenti», dichiarò, riprendendo a camminare.

   «E se ci fossero? Finireste per farvi ammazzare», protestai, tallonandolo come Merlino avrebbe fatto con me.

   «L’ottimismo di voi donne è qualcosa di sconcertante», mi prese in giro, scendendo alcuni gradini in tutta tranquillità e precedendomi fino ad una pila di macerie che sbarravano il tragitto. «Ecco, non c’è nulla», affermò Alistair, alzando appena le braccia ai lati del corpo e lasciandole ricadere giù, mentre le sue mani andavano a battere contro la corazza che gli riparava la parte alta delle gambe. «Vi preoccupate sempre per niente», mi accusò, continuando però a guardarsi attorno nella semioscurità di quel corridoio abbandonato.

   Vista la tranquillità del posto in cui adesso ci trovavamo, lontano dalla bolgia della foresta e da occhi indiscreti, reputai che quello fosse il momento migliore per quella famosa chiacchierata privata che mi ero ripromessa di fargli il giorno addietro. «Alistair, ora che siamo soli, potrei parlarvi qualche minuto?», esordii non appena mi accorsi che stava per ripercorrere la strada a ritroso.

   Rallentò il passo. «Certamente», disse, distendendo le labbra verso l’alto. «Di che si tratta?»

   Mi fermai, e anche Alistair fece lo stesso. «Di noi due», rivelai, cercando di non apparire troppo tetra.

   Il suo sorriso si smorzò, e lui spostò il peso del corpo da un piede all’altro. «Qualcosa non va?», mi domandò con voce incerta, accorgendosi della mia serietà.

   Scossi il capo per tranquillizzarlo. «Volevo solo scusarmi con voi per non essere stata onesta fino in fondo», iniziai a spiegargli. «Vi assicuro che non vi ho mai mentito», precisai a scanso di equivoci, «ma ammetto di non avervi detto come stessero esattamente le cose.» Presi coraggio e, calando le ciglia per non guardarlo in faccia, aggiunsi: «E me ne vergogno.»

   «Di che state parlando?», volle sapere giustamente Alistair. Il suo tono non implicava ancora alcun rimprovero, e questo mi diede la spinta per organizzare in maniera convincente il mio discorso, senza temere di fargli del male. Non troppo, per lo meno.

   «Io… ai vostri occhi devo esser sembrata una poco di buono, vero?»

   Lui mi fissò allibito. «Cosa? Siete matta? Perché mai?»

   «Per via di Cullen», risposi, quasi interrompendolo.

   A quel punto, Alistair tentennò. «Avevate detto di non pensare più a lui.»

   «Non l’ho mai amato», gli confermai, e tanto bastò per vederlo rasserenarsi un po’ in viso. «Tuttavia, ho creduto che, notando la facilità con cui sono passata da lui a voi, vi foste fatto una brutta opinione di me.» Complimenti, Nimue, mi applaudii da sola: stavo impostando il mio ragionamento come se fossi andata a letto con entrambi.

   Alistair si accigliò, evidentemente contrariato per qualcosa. E benché fossi certa che volesse biasimarmi a causa di quella mia convinzione, riuscì a stupirmi. «State forse dicendo che è per questa ragione che mi sono messo a farvi la corte? Perché vi reputo una facile?»

   «Oh, Creatore, no», esclamai, coprendomi gli occhi con una mano.

   Lui mi afferrò per il polso e me la scostò dal viso affinché i nostri sguardi si incrociassero ancora. «Vi giuro che non è per quello.»

   «Lo so, Alistair, vi credo», provai a tranquillizzarlo. Quella conversazione non era affatto cominciata nel migliore dei modi. «Siete troppo onesto per fare questo genere di cose. O per approfittarvi delle debolezze di chicchessia», specificai, per cavargli dalla testa anche quell’idea. Dopotutto, qualcuno di più maligno avrebbe potuto anche ipotizzare che Alistair si fosse fatto avanti proprio nel momento in cui ero più vulnerabile, così che magari io potessi cercare consolazione fra le sue braccia.

   «Non oserei mai farlo», mi assicurò, serio, allentando la presa su di me.

   «La verità è che ho scoperto troppo tardi come comportarmi con voi», confessai. «Dopo l’ultima volta, a Redcliffe… Quel giorno, nello studio dell’Arle, pur intuendo cosa stavate per dirmi, io… interpretai le vostre parole in maniera sbagliata.»

   Alistair assunse un’espressione confusa. «Cosa… Cosa c’era da fraintendere?»

   «Non è colpa vostra», misi in chiaro, arrossendo. «È che sono stupida.»

   «No che non lo siete.»

   «Credevo che le vostre fossero le parole di un amico.»

   Il sorriso che stava per abbellirgli i tratti del volto a causa dei miei sensi di colpa gli si congelò sulla bocca. «… D’accordo, magari un pochino lo siete», biascicò atono.

   Disperata, mi aggrappai alle cinghie della sua armatura. «Alistair, vi giuro, non ho mai, mai, mai voluto prendermi gioco di voi. È solo che non volevo ferirvi.» Il suo silenzio pesò parecchio sulla mia coscienza. «Il fatto è che dopo tutto quello che era successo a Redcliffe e a Kinloch Hold ero talmente confusa che avrei avuto bisogno di tempo per riordinare le idee, e in quel frangente l’ultimo dei miei pensieri …»

   «Ero io?», mormorò Alistair con rassegnazione.

   «No», negai con decisione. «E lo sapete», gli rimproverai. «Non c’è stato un solo istante in cui non vi abbia tenuto in considerazione. Sin da quando ci siamo conosciuti.»

   «Questo mi conforta un po’», disse lui, pur senza entusiasmo. «Per me è stato lo stesso con voi. Anche se immagino sia stata una cosa comunque diversa.» Sospirò. «Ma almeno adesso capisco perché mi evitavate.» Se n’era accorto. E questa nuova consapevolezza mi fece male. Mi sentii un mostro. «Che idiota sono stato…»

   Abbassò gli occhi, ed io allungai una mano per accarezzargli una guancia. «È stata una mia mancanza», ripetei, colpevole. «Adesso però le cose sono cambiate. Ho fatto ordine nei miei sentimenti.» Le sue iridi castane tornarono di nuovo su di me, e non poté sfuggirmi il fatto che fossero piene di tristezza. Il cuore mi si strinse in una morsa terribile, e se avessi potuto, mi sarei inflitta duemila scudisciate per espiare il mio maledetto peccato. Anzi, avrei dato a lui il frustino per punirmi e lasciargli sfogare quella delusione fino a che non mi avesse strappato la carne di dosso. «Quando quel mannaro vi ha ferito», presi a spiegargli, facendo poi scorrere le dita sul suo petto e sul suo fianco sinistro, «mi sono sentita morire.» Tacqui per qualche secondo, per scongiurare il tremore della voce dovuto alle lacrime che cercavano di vincermi. «In quel momento ho realizzato che non ho bisogno soltanto della vostra amicizia.»

   «Insomma… dovevo farmi squartare per farvi rendere conto che sono un uomo anch’io», mi accusò blandamente. Era stanco di parlare. Voleva una risposta sincera e definitiva.

   Mi sollevai faticosamente sulla punta dei piedi, convinta di stupirlo con un gesto d’amore. Lo sorpresi invece con una goffa scivolata dovuta alla nostra differenza d’altezza, finendo con un fragoroso cozzare di denti che fece esclamare entrambi per il dolore.

   «Mi dispiace, mi dispiace!», implorai, di nuovo sul punto di piangere per la mia totale incapacità nell’arte della seduzione.

   Lui alzò una mano per farmi zittire, l’altra davanti alla bocca, forse per assicurarsi che fosse ancora tutto intero. «Che volevate fare?»

   «Baciarvi», pigolai mortificata.

   Alistair inarcò un sopracciglio. «Rompendomi un incisivo?»

   Serrai le palpebre, coprendole con i pugni per la vergogna. «Sono una colossale demente, lo so. Perdonatemi. Per tutto.»

   Lo sentii ridere affettuosamente, mentre chiudeva i palmi a coppa attorno al mio viso. «Siete dolcissima», mi smentì. Tornai timidamente a guardarlo, e lui passò la punta dei pollici sotto i miei occhi per asciugarli. «Un po’ tonta, forse», fu costretto a concedermi, «ma io non sono certo nella posizione per potermi vantare di avere un acume più sviluppato del vostro: avevate bisogno di tempo e non l’ho capito. Sono stato un bell’egoista.»

   «Questo non è vero», mi intestardii, pronta a sorvolare su ogni sua mancanza dopo ciò che io avevo fatto a lui.

   «Se non sono egoista, allora sono stupido.»

   «Quindi… siamo due stupidi», conclusi.

   Annuì gravemente. «Dovremo farcene una ragione.»

   «Mh.»

   Si curvò su di me e sfregò il naso contro il mio. «Però lasciate fare a me, va bene?»

   Feci segno di sì con la testa ed aspettai come una bambina obbediente. E quando avvertii le sue labbra sulle mie, non ci misi molto a ricambiare il bacio, comprendendo finalmente quanto fossi stata sciocca a non averlo fatto sin dalla prima volta.

 

«Ecco perché tardavano tanto.»

   La voce divertita di Leliana ci fece sobbalzare, costringendoci a spiccicarci l’uno dall’altra. Imbarazzata, tentai di nascondermi dietro Alistair, che si offrì subito di farmi da scudo contro gli sguardi delle nostre tre compagne. «In realtà, noi…», si schiarì la gola, non sapendo bene da dove cominciare.

   «Un’altra visione del genere, e vomiterò l’anima», borbottò Morrigan, visibilmente infastidita.

   «Uh, buono a sapersi», la prese in giro lui, afferrandomi per le spalle e facendo per baciarmi di nuovo. Lo respinsi con il ramo della Grande Quercia, facendo ridere Leliana ancora una volta.

   Wynne venne in mio soccorso. «Spero che, oltre ad appartarvi, abbiate per lo meno dato uno sguardo intorno.»

   «È tutto chiuso, qui», rispose Alistair. «Stavamo per tornare indietro. Più o meno», ammise poi.

   Lei sospirò pesantemente, fissandoci a metà fra rimprovero e pazienza. «Allora probabilmente ci toccherà combattere ancora», ci informò. «Di là abbiamo avvertito dei rumori, è per questo che vi abbiamo raggiunti.»

   «Hai dei pessimi gusti, sai?», mi stava dicendo intanto Morrigan, sconcertata. Le scoccai un’occhiataccia, ma evitai di risponderle e mi misi a seguire gli altri senza ulteriori perdite di tempo.

   Tornammo nella sala, vuota esattamente come l’avevamo trovata all’inizio, a parte le carcasse dei due mannari e alcune ossa, forse appartenenti a degli elfi, sparpagliate nel mezzo della pedana circolare.

   «Oltre la porta in fondo», ci spiegò Leliana. «O almeno è ciò che ha detto Morrigan.»

   Mi aspettavo che Alistair pronunciasse una qualche battuta del tipo: E c’è da fidarsi di quello che dice lei? Invece tacque e si avviò per primo verso il punto indicatogli. Prima di gridare al miracolo che lo aveva, almeno per una volta, spinto a dar credito alle parole della Strega delle Selve, la piacevole consapevolezza di essere cagione del suo buon umore mi portò scioccamente ad arrossire.

   Accostai un orecchio alla superficie lignea che ci separava dall’ambiente successivo, ma non udii nulla. Guardai gli altri e scossi il capo. «Se qualcosa c’è, non è nelle immediate vicinanze.»

   «Andiamo, allora.» Alistair tornò alla testa del gruppo, offrendosi egli stesso come volontario per aprirci il portone ed affidandosi alla prontezza delle frecce di Leliana e ai poteri magici di noi maghe.

   La porta fu spalancata con un colpo secco, ed il nostro compagno, riparatosi preventivamente con lo scudo, si trovò a fronteggiare un corridoio vuoto, i cui lati erano costeggiati da colonne di marmo intarsiate e da statue di foggia femminile – forse divinità. Diversi metri davanti a noi si poteva scorgere un arco d’ingresso a qualche altra stanza, mentre altri due passaggi si diramavano perpendicolarmente a pochi passi di distanza dal punto in cui ci trovavamo.

   Ci mettemmo nuovamente in ascolto, certi che il rumore provocato dal calcio con cui Alistair aveva annunciato il nostro arrivo avrebbe allarmato qualcuno, o più probabilmente qualcosa, ma nessun suono ci raggiunse. Per prima cosa provammo a dare uno sguardo sulla sinistra, dove una breve scalinata discendente ci condusse ad un cumulo di macerie, del tutto simile a quelle che pochi minuti prima avevano assistito al chiarimento fra Alistair e me. Identico paesaggio fu quello che trovammo sulla destra. Rimaneva dunque l’arco in fondo al corridoio.

   Quando però osammo avvicinarci, un frenetico zampettare ci indusse ad arrestare il passo, e non appena mi accorsi di ciò che era sparso in terra e che pendeva dalle pareti, il sangue mi si raggelò nelle vene: enormi ragnatele, perfette nella loro trama geometrica che mi avrebbe senza dubbio affascinata se le mie gambe non avessero iniziato a tremare.

   «Nimue, state indietro», cominciò Alistair, allarmato, spostandosi davanti a me.

   Non ci fu bisogno di ripetermelo, perché subito mi accodai al gruppo, stringendo fra le mani il mio nuovo bastone ed imponendo al mio cuore di stare calmo. Dovevo scacciare la paura prima di cederle del tutto, dovevo pensare con lucidità: non era affatto sicuro che la bestia che aveva creato quelle trappole mortali fosse ancora nei paraggi. E se anche così non fosse stato, poteva benissimo avere dimensioni tali da essere schiacciata sotto la suola di uno stivale senza portarmi sull’orlo della follia.

   Un sibilo mise a tacere ogni traccia di buonsenso nella mia coscienza, e quando alzai lo sguardo al soffitto, ormai del tutto incapace di controllarmi, un urlo mi esplose dai polmoni. «Tenetela lontano!», gridò Alistair più avanti, mentre Leliana mi correva accanto e mi chiudeva in un abbraccio, impedendomi il resto della visione.

   Accasciandomi al suolo, mi aggrappai a lei, tremante come una foglia, piangendo e continuando a lanciare strilli che non avrebbero reso le cose semplici per nessuno. Sospetto anzi che furono proprio questi ad attirare i compagni del primo, massiccio ragno che era calato su di noi, terrorizzandomi al punto da perdere ogni barlume di lucidità. Non so cosa accadde dopo nello specifico, e non potendomi avvalere della vista, avevo solo udito e olfatto a darmi un’idea di ciò che mi era attorno: il rumore di tenaglie che scattavano, quello di una spada che affondava nella carne di qualcuno, il brusio degli incantesimi di Morrigan e Wynne, la voce concitata di Alistair e quella più pacata e più vicina di Leliana, che cercava, invano, di farmi calmare. Su tutto, spiccava l’odore del sangue, forte, penetrante, nauseante. Forse gli altri erano feriti ed io me ne stavo immobile a pensare egoisticamente alla mia fobia. Dovevo reagire, volevo reagire. E il mio corpo non obbediva. Mi odiai, provando, insieme all’orrore, rabbia e vergogna.

 

Mi diedero dell’acqua per farmi calmare, ma il respiro era ancora troppo accelerato e le lacrime continuavano ad uscire da sole. Da svariati minuti, ormai, ripetevo le mie scuse a tutti, reputandomi un’imbecille. Alistair mi teneva stretta fra le braccia come se fossi stata sua figlia, più che la sua innamorata, e Wynne mi sorrideva e mi accarezzava il viso come faceva quando ero piccola e scappavo a cercar riparo dietro la sua gonna in presenza di un microscopico ragno domestico. Non ero cambiata granché in tutti quegli anni, a ben pensarci, a parte forse il fatto che non potevo davvero più permettermi certe sceneggiate alla mia età e, soprattutto, in situazioni di autentico pericolo come quella di un attimo prima.

   Fortunatamente nessuno si era fatto troppo male. Solo Alistair costretto al corpo a corpo con quelle schifose creature era stato morso ad una gamba, ma lo schiniere aveva retto e lui ne era uscito per lo più incolume. «Va meglio?», mi domandò con pazienza, quando si accorse che avevo almeno smesso di piangere. Annuii e tirai su col naso, e lui mi premiò con un bacio sul capo.

   «Potrebbero essercene degli altri», fu l’agghiacciante rivelazione di Morrigan, di ritorno dalla sua ispezione nella sala in fondo al corridoio insieme a Leliana. «È pieno di ragnatele e di bozzoli antropomorfi, di là.»

   «Chiudete il becco», le ordinò Alistair in tono brusco quando mi sentì tremare di nuovo. «Non c’è niente di là, non c’è niente che ci interessi», mi rassicurò.

   «Non voglio esservi di peso», cominciai con un filo di voce, «per cui, per favore, la prossima volta pensate a voi stessi.» Per lo meno le mie buone intenzioni c’erano. «Leliana, Leliana», chiamai, allungando una mano verso di lei, che si inginocchiò al mio fianco, stringendo le dita alle mie come se stesse ascoltando le ultime volontà di un moribondo. «Leliana, non fatelo più», le rimproverai con scarsa convinzione. «Non esponetevi più al pericolo per me, ve ne prego.»

   «D’accordo», mi promise tranquilla. «Mi limiterò ad ammazzare quelle bestie prima che vi siano addosso.»

   Quell’immagine mi provocò un conato di vomito, ma riuscii meravigliosamente a dominarmi e mi limitai a rantolare: «Grazie.» Lei curvò le graziose labbra carnose all’insù.

   «Ora in piedi, ci avete già fatti preoccupare abbastanza», mi esortò Wynne, scrollandomi giocosamente per un braccio.

   Alistair mi sostenne quando le gambe mi tremarono, ma riuscii comunque a riacquistare un equilibrio più o meno stabile. «E le carcasse…?», domandai, tenendo gli occhi fissi nel vuoto per non vedere i cadaveri delle creature appena abbattute.

   «Congelate e mandate in frantumi», sbuffò Morrigan, seccata non poco per tutta quella perdita di tempo.

   Respirai a pieni polmoni e alzai la testa per guardarmi finalmente intorno. «Bene», dichiarai recuperando un po’ di coraggio, «sono pronta.»

   «Sicura?», si preoccupò ancora Alistair. Gli rivolsi un sorriso, seppur incerto.

   «Prima della fine del corridoio ce n’è un altro sulla sinistra», ci spiegò Leliana. «Non so dove possa portare, curva verso destra ed è l’unica via libera.»

   Non avendo alternative, ci incamminammo per la direzione indicataci da lei, dove trovammo l’ennesima scalinata discendente. Per precauzione, procedevamo cautamente in fila indiana: fornito dell’armatura più pesante e resistente, Alistair si mise ancora una volta in testa al gruppo, seguito da Wynne, pronta a proteggerlo con i suoi incantesimi da eventuali attacchi improvvisi, mentre io me ne stavo al centro, attaccata alla sua sottana non solo in senso figurato, e dietro di me Morrigan e Leliana ci guardavano le spalle.

   «Sei la vergogna dei Custodi Grigi», mi stava dicendo spassionatamente la Strega delle Selve. «E prima ancora dei maghi.»

   «Voi non avete paura di niente?», provò a difendermi l’altra.

   «Dell’ignoranza e della stupidità», ammise Morrigan. Dopo un secondo però volle precisare: «Tuttavia Alistair è un’eccezione.»

   Questi sospirò pesantemente. «Se non state zitta, giuro che vi tappo la bocca con uno dei miei calzini. E vi assicuro che sarà un’esperienza così traumatica che dopo avrete la fobia dei vostri stessi piedi.»

   Lei si lasciò scappare un verso disgustato, ma per lo meno evitò di parlare ancora. E se anche avesse voluto replicare, nessuno di noi le avrebbe più prestato attenzione poiché un ruggito rimbombò esattamente dal fondo del passaggio che stavamo attraversando.

   «Ho… Ho come un pessimo presentimento», ci fece sapere Leliana, palesando la preoccupazione di tutti e arrestando il passo come noialtri. «Non potremmo tornare indietro?»

   «Voi stessa avete detto che non ci sono altre strade», le rispose Wynne, cercando di mantenere la calma. «Alistair, volete che vada io avanti?»

   Lui le sbarrò la strada con un braccio. «Sarebbe un’onta indelebile, il mio onore di gentiluomo me lo vieta», affermò risoluto. «Morrigan, vi cedo il passo volentieri, se volete.» Quella gli lanciò un insulto che per decenza eviterò di ripetere. «D’accordo, d’accordo, bastava dire di no.»

   «Alistair, aspettate», iniziai con voce tremula e i nervi ancora tesi, agguantandolo per un polso. «Non potete esporvi così ad inutili rischi.»

   «Inutili?», mi sorrise. «Non abbiate paura, ho uno scudo e un’armatura.» Anche suo fratello li aveva quando era stato ammazzato da chissà cosa. «E poi sono certo che voi mi tirereste subito fuori dai guai», aggiunse, liberandosi gentilmente dalla mia presa e riprendendo ad avanzare verso l’ignoto. «Lo fate sempre, no?» Nonostante la paura, lo tallonai da vicino, per nulla intenzionata a lasciarlo morire: avevo promesso di proteggerlo e lo avrei fatto, a qualunque costo.

   Dopo un’altra svolta, il corridoio terminò in una nuova sala, simile a quella d’accesso alle rovine, ma più piccola, con la parete in fondo completamente sventrata ed uno squarcio gigantesco nel soffitto che lasciava penetrare la luce del cielo stellato ed il soffio fresco del vento di inizio autunno. Un secondo ruggito annunciò l’arrivo del nostro prossimo avversario, e l’oscurarsi improvviso del chiarore lunare a causa di due ampie ali mi indusse a chiedermi per quale dannatissima ragione il Creatore si ostinasse a mandarci addosso le sue creature più pericolose. A dirla tutta, all’inizio mi ero abbandonata alla convinzione che si trattasse dell’Arcidemone; poi mi ero ricordata che non vi era la minima traccia di corruzione, lì intorno, e avevo dovuto concludere che quello che ci stava planando addosso non era altro che un semplice drago. Persino più piccolo di quanto avessi temuto inizialmente.

   «Signore», annunciò Alistair, concentratissimo su di esso, «vi affido la mia vita.» Quindi partì a passo di carica, lo scudo davanti a sé e la spada pronta a scattare.

   «Alistair!», gridai terrorizzata. Se lo avessi seguito per fermarlo – e ci sarei riuscita perché ero più veloce di lui – avrei rischiato di esporre entrambi ad un pericolo maggiore, per cui mi limitai ad imprecare contro la sua incoscienza, annotando di prenderlo a schiaffi semmai fosse uscito vivo da quell’attacco suicida.

   E mentre Leliana incoccava le frecce sul suo arco ed io e Morrigan iniziavamo a scagliare i nostri incantesimi di elettricità e di gelo, sentii Wynne formularne rapidamente che non conoscevo: attorno ad Alistair comparve un alone azzurrognolo, e sotto ai suoi piedi si disegnò una figura luminosa che lo seguiva in ogni suo movimento.

   Il drago caricò il nostro imprudente compagno, che tuttavia riuscì a scansarsi prima di essere colpito dalla sua zampata e a scalfirne anzi la corazza con la Lama Verde che Kaitlyn gli aveva donato a Redcliffe. Che avesse davvero già ucciso una di quelle creature?

   La bestia ruggì per il dolore e frustò la coda, falciando il suo aggressore che perse l’equilibrio e cadde a terra. Rotolò sul fianco per non essere travolto quando il suo avversario si agitò e s’impennò sugli arti inferiori a causa di una saetta che gli perforò un occhio. Invocai un Glifo di Paralisi per consentire la fuga ad Alistair, che si rialzò senza neanche barcollare e tornò ad affondare il ferro fra le scaglie del drago, sotto l’attaccatura di una delle ali, e poi anche in una zampa. Non servì a nulla, tuttavia, perché di lì a pochissimo le sorti della battaglia cambiarono drasticamente.

   Stufo di essere bersagliato in quel modo, il drago provò a rialzarsi in volo, seppur a fatica, e planò nuovamente verso terra per attaccare Alistair, riuscendo a colpirlo in pieno. E tuttavia egli non si fece quasi nulla. Ricollegai quel prodigio alla magia che Wynne stava continuando a mantenere attiva su di lui, e la cosa mi lasciò a bocca aperta. La coda della bestia saettò nella nostra direzione, così improvvisamente che non riuscimmo a schivare in tempo. Fui sbalzata contro la parete alle mie spalle, battendo la nuca e perdendo il mio bastone. Sentii un rivolo caldo fra i capelli, la vista offuscata dal dolore. Quando riuscii di nuovo a guardarmi attorno con lucidità, mi accorsi che Wynne giaceva a terra poco lontano da me, apparentemente svenuta – o per lo meno speravo che lo fosse.

   Stavo per strisciare nella sua direzione quando mi accorsi con orrore che il sigillo di protezione che aveva avvolto Alistair fino ad un momento prima era svanito. Afferrai il ramo della Grande Quercia e mi rimisi in piedi, cercando di controllare i capogiri e precipitandomi in suo soccorso. Leliana mi anticipò, conficcando due frecce nel muso del drago, una sotto l’occhio già ferito. Morrigan iniziò a recitare non so che incantesimo, ma prima che potesse scagliarlo, anche lei fu travolta da un colpo di coda, finendo per volare contro un ammasso di detriti. Rimanemmo in tre. Per poco, però, perché quando il bestione tornò a prendere di mira Alistair, evitando i dardi di Leliana e resistendo alle mie magie convenzionali, si schiantò contro di lui con tutta la testa, e per un attimo temetti che lo afferrasse fra le mandibole e lo squartasse con le zanne aguzze. Alistair fu scaraventato contro una colonna, ricadendo poi pesantemente a terra in un clangore metallico.

   Urlai di rabbia, ma il drago mi ignorò e si avventò su Leliana. Ricorsi ad altro un Glifo di Paralisi e quello s’arrestò a mezz’aria, immobile, divenendo vittima dei nostri colpi. La mia compagna provò a scoccare una freccia dei Dalish, non ottenendo risultati: anch’io, poco prima, mi ero già dovuta arrendere al fatto che il fuoco non gli provocasse alcun danno. E la cosa mi aveva anche messa in allarme, perché quella sua resistenza alle fiamme limitava i miei interventi. Se solo avessi saputo usare la magia del gelo…!

   Liberatosi dalla mia morsa, la creatura s’avventò su Leliana, che fu in grado di sfuggire alle sue fauci, ma non alla zampata, finendo per essere gettata lontano come un foglio di carta. Ero sola. Sola contro un drago. Wynne, Morrigan, Alistair e Leliana giacevano al suolo, privi di conoscenza o comunque del tutto in grado di combattere ancora. Gli ultimi due, avendo riportato meno danni grazie alle armature, provarono a rialzarsi, ma le membra indolenzite e le ossa rotte li tennero incollati lì dov’erano, gridando dinanzi alla prospettiva di assistere impotenti alla mia morte.

   Tutti loro mi avevano protetta contro i ragni. Contro degli stupidissimi, maledettissimi ragni giganti. E ora rischiavano la vita perché io ero troppo inetta per ricambiare il favore.

   Gialli come la due enormi pietre di topazio intagliate, gli occhi del drago si fissarono su di me. Vi lessi il pericolo, eppure per la prima volta in vita mia non tentennai. Rimase fermo a studiarmi da lontano, e questo mi concesse il tempo necessario per formulare il primo incantesimo: il sangue che stavo perdendo e che mi stava portando via parte delle energie mi ricordò di una magia arcana che, in un certo senso, non era troppo dissimile da quelle proibite. Queste ultime non le conoscevo né mi interessavano, ma l’assorbimento di vita di un nemico mi era stato insegnato al Circolo. Era una cosa che mi repelleva non soltanto per l’idea in sé di venire a contatto con il sangue di qualcun altro, quanto soprattutto per quella di appropriarsene. Mi sembrava una pratica assai peggiore e più subdola di quella di un volgare assassino. Eppure fu la prima carta che giocai per poter poi, nel pieno delle forze, continuare la mia battaglia personale per la sopravvivenza, l’orgoglio e, prima ancora, la lealtà che dovevo ai miei compagni.

   Mi concentrai e guidai il flusso dei miei poteri verso la creatura dinanzi a me. Strisciò invisibile, silenzioso. Il drago si mosse appena, avvertendo qualcosa di strano, quasi volesse indietreggiare. Infine, la trappola scattò: la forza magica gli penetrò nelle viscere, strappandogli dal petto una discreta quantità di linfa vitale e ritornando repentinamente a me. Il mio corpo fu invaso da un calore avulso dalla mia persona, ed un nuovo vigore mi rimise in sesto, mentre la bestia lanciava un ruggito di dolore, dibattendosi contro un nemico che non poteva vincere né vedere.

   Respirai faticosamente per alcuni istanti; poi, recuperata padronanza di me, mi focalizzai sulla mia seconda mossa. E quando il drago si lanciò all’attacco, lo sorpresi con un’Esplosione Mentale, stordendolo e facendolo piombare a terra con un frastuono sulla pedana circolare, dalla quale si staccarono diverse schegge. Stordito, disorientato, rimase alla mercé del mio terzo incantesimo: simile a quella che Morrigan aveva richiamato a Redcliffe davanti alla chiesa del villaggio, ma molto più soffocante e letale, una tempesta di morte si abbatté sulla bestia alata, spossandola al punto da lasciarla agonizzante al suolo anche dopo che ebbe recuperato parte delle funzioni cerebrali.

   Il suo sguardo mi cercò ancora, questa volta implorando pietà. Mi avvicinai a lei non appena l’effetto della Nube Mortale si fu dissolto e, sentendola gemere, le posai una mano sul muso incrostato di sangue. «Mi spiace sia finita così», le dissi. «Se solo non ci avessi attaccati…» Un soffio di vento proveniente dal debole battito dell’ala che non era rimasta schiacciata sotto al suo enorme peso mi scostò dal viso i capelli già scompigliati ed impiastricciati di sangue e sudore. «Riposa, ora.»

   Alzai gli occhi al cielo notturno e richiamai il Fulmine.

 

«Siete molto più pericolosa voi di Morrigan.»

   Scossi le spalle. «Forse», ammisi. «Ma odio quel tipo di incantesimi.»

   «Perché?» Accovacciato scompostamente ai piedi della colonna che gli aveva rotto un braccio ed almeno un paio di costole, Alistair mi guardò come se avessi bestemmiato. «Sono utilissimi.»

   «Lo sono molto più quelli di Wynne», replicai aiutando quest’ultima a mettersi a sedere. Eravamo vivi tutti e cinque, ma le ferite riportate da alcuni di noi necessitavano della Magia Guaritrice della nostra Incantatrice anziana, che tuttavia non era attualmente in grado di eseguirla. Avevo perciò distribuito i primi impiastri curativi e dato fondo a quel poco di arte magica medicamentosa che conoscevo, ottenendo per lo meno che tutti riprendessero i sensi, rassicurandomi almeno in parte delle proprie condizioni di salute. «Preferisco preservare la vita, piuttosto che toglierla», spiegai. «Wynne, bevete un altro po’ di questo», dissi poi, abbassando la voce per rivolgermi a lei soltanto.

   Accostò le labbra alla boccetta e ne mandò giù il contenuto a piccoli sorsi. «Non avete ancora imparato», mi rimproverò con un sorriso stentato.

   «Eppure uso gli stessi ingredienti di tutti gli altri», obiettai arrossendo a causa del sapore non troppo gradevole delle pozioni che preparavo. «Cos’era quell’incantesimo che avevate posto su Alistair?»

   «Il Sigillo della Vita», mi rivelò Wynne, lasciandosi sfuggire una smorfia per via del dolore alle vecchie ossa indolenzite. «È simile al Glifo di Difesa, ma si concentra su un unico essere, seguendolo come un’ombra. Come avrete notato, è piuttosto efficace.»

   «Pensate che potrei impararlo anch’io?»

   «È un degli incantesimi di base dei Guaritori Spirituali», rispose tornando a rilassare i tratti del volto anziano.

   Avevo già capito che per portare avanti la missione dei Custodi Grigi di cui io ed Alistair ci eravamo dovuti far carico era indispensabile che perfezionassi le mie tecniche e ne imparassi di nuove che potessero tornarci utili sul campo di battaglia, ma tra il diventare una Mutaforma ed una Guaritrice Spirituale non avevo dubbi. «Mi insegnereste?»

   La linea della bocca di Wynne si curvò verso l’alto. «Risolviamo questa faccenda dei Dalish e sarò a vostra completa disposizione.»

   «Non saprò mai come sdebitarmi.»

   «Ci penserete quando saremo di nuovo in una situazione come questa e voi metterete a frutto ciò che avrete imparato da me.»

   Il passo strascicato di Leliana ci distolse dal nostro discorso. «Ci sono i corpi di alcuni cavalieri, più in fondo», esordì accasciandosi esausta e dolorante accanto a noi e poggiando la schiena contro la parete. «Persino quello di un nano. Probabilmente erano venuti qui a cercar gloria o a rubare il tesoro del drago.»

   «Che tesoro?»

   «Si dice che queste creature custodiscano un lauto bottino, fatto di oro, pietre preziose, armature, armi e quant’altro possa destare il loro interesse», ci raccontò. «A ben guardare, sotto questo punto di vista non sono poi tanto diversi da delle comuni gazze ladre.»

   «Credete che riusciremo a trovarvi una nuova corazza per Alistair?», domandai subito.

   Lei annuì. «È probabile. Anzi, se volete, vi accompagno a dare uno sguardo.»

   Fece per rimettersi di nuovo in piedi ma la frenai con una mano premuta sulla sua spalla. «Riposatevi», le raccomandai. «Sono l’unica in grado di combattere ancora, qualora ve ne fosse bisogno, quindi lasciate che sia io a pensare a tutto.» Fu sul punto di obiettare, ma mi misi l’indice davanti alla bocca per intimarle il silenzio.

   Mi alzai e mi diressi allora verso Morrigan, stesa ancora sulle lastre di pietra sudice e divelte che ricoprivano la pavimentazione della sala. Quando mi avvicinai, mi piantò gli occhi addosso con aria feroce. «Di’ ancora una volta che non sei in grado di uccidere Flemeth, e ti eviro il fidanzatino.»

   «Che c’entra lui?», volli sapere, indispettita, chinandomi su di lei per passarle un altro impiastro.

   Lei lo afferrò con malagrazia, senza un minimo di riconoscenza. «Con te non riesco a prendermela», confessò con un borbottio imbarazzato, girandosi su un fianco e puntellandosi su un gomito. «Sarebbe come fare violenza su una bambina cerebrolesa», aggiunse poi per trarsi d’impaccio, stappando la fialetta e disgustandosi per il sapore della mia medicina. «Ma lo schifo di questi cosi fa comunque di te un’autentica criminale.»

   «Se non lo vuoi, me lo riprendo», la provocai, allungando la mano.

   Lei me la schiaffeggiò per farmi stare ferma. «Va’ ad aiutare quel poveretto», mi esortò poi stancamente, trovando per miracolo una parola gentile nei suoi confronti. «Se prima non avesse colpito più volte quella bestia con la sua spada, dubito che saresti uscita incolume dallo scontro.»

   Proprio incolume non ero, visto il taglio sulla testa. Ma poiché si trattava effettivamente di roba di poco conto rispetto alle ferite degli altri, non replicai e mi avviai verso Alistair, cercando un’altra boccetta nel mio sacchetto di pelle. Quasi arrestai la mia azione a metà, però, perché sorpresi il nostro Principe intento a litigare con le cinghie della propria armatura.

   «Aspettate, aspettate. Vi aiuto», mi offrii subito, accucciandomi di fronte a lui, che lasciò ricadere le braccia con un gemito. «Bevete questo, intanto», gli ordinai, iniziando a slacciare l’imbracatura che teneva insieme i pezzi della parte superiore della corazza. «Come fate a portare addosso questa roba?»

   «Abitudine, credo», mi sentii rispondere dopo qualche momento. Alzai lo sguardo e vidi Alistair scrutare l’impiastro con aria assai riluttante. «Lo… avete preparato voi?», mi chiese.

   Per nulla stizzita da quell’implicita accusa, sospirai. «O quello che avete in mano o quello che ha preparato Morrigan. A voi la scelta.» Lo mandò giù d’un fiato. «Ci vuole pazienza.»

   «Concordo», ebbe la faccia tosta di annuire lui.

   «Non vi picchio solo perché siete già malconcio», gli feci presente, sfilandogli delicatamente la pettiera ed alleviandolo dal suo peso. «Che diavolo vi è saltato in mente di scagliarvi così a cuor leggero contro un drago?», gli domandai poi, cercando di contenere la rabbia.

   Visibilmente sollevato dal potersi permettere finalmente di respirare a pieni polmoni, Alistair contrasse i muscoli del viso per una fitta al costato. «Con gli Ogre ha sempre funzionato.»

   «Contro un drago», ripetei, prendendogli il mento con una mano per fissarlo negli occhi. «Dra-go», sillabai come se stessi parlando con un ritardato mentale. «La capite la differenza?»

   «Certo che sì», rise lui, per poi lamentarsi ancora. «Mi fidavo di voi. E ho fatto bene i miei conti.»

   Strinsi le dita attorno al metallo della sua armatura per non farlo attorno al suo collo e serrai le palpebre. «E se io non fossi stata all’altezza?»

   «Leliana mi ha raccontato come avete ridotto il mannaro che mi aveva ferito», mi smentì Alistair categorico. «Credete poco in voi stessa, ecco perché siete così scettica riguardo alla vostra vera forza», ci tenne a farmi sapere. «Anche le altre la pensano allo stesso modo.»

   Ne avevano parlato tra loro? Di questo? Discutevano di me in quei termini?

   «Non sono affatto invincibile», misi in chiaro, mostrandomi contrariata.

   «Nessuno dice questo», obiettò ancora lui. «E lo avete dimostrato prima, con quei grossi, schifosi ragni sputa-veleno.»

   Una vertigine mi costrinse ad aggrapparmi al suo ginocchio. «Erano… velenosi?», boccheggiai.

   Mi sorrise e mi passò una carezza sul naso con il dorso di un dito. «Erano. Ma sono morti. Non pensateci più, d’accordo?»

   «E se ce ne fossero altri?», cominciai ad agitarmi.

   «Li ucciderò tutti», mi promise. «L’ho fatto anche prima, no? Vi fidate di me?»

   Annuii convulsamente. «D’accordo. Allora bevete un’altra pozione», dissi, mettendomi freneticamente a cercare un’altra fialetta nella sacca.

   «Così sarò in grado di difendervi meglio, eh?», mi lesse nel pensiero lui con un sospiro.













Accipuffolina! Sono sparite delle recensioni! Bon, immagino che chi le ha cancellate avesse i suoi buoni motivi, ma ammetto che la cosa mi ha spiazzata un po'. XD
Tornando a noi, finalmente un capitolo che mi piace abbastanza. Vuoi per il chiarimento fra Nimue e Alistair, vuoi per la battaglia contro il drago. In realtà quest'ultima avrei voluto renderla più complicata, ma non essendo portata per questo tipo di scene, ho preferito risolvere in modo diverso, e cioé dando maggiore forza alla magia adoperata da Nimue (tra l'altro è stata davvero lei ad uccidere il drago durante la mia partita, anche senza specializzazioni).
Questa settimana aggiorno giusto perché mi sento in dovere di farlo, ma siccome ho scritto solo una paginetta dall'ultima volta che ho postato qui, è probabile che la prossima settimana vi lascerò a bocca asciutta. Ma non del tutto: ieri ho abbozzato la shot di cui parlavo nella recensione a quella di Salice (Ancora i miei complimenti per quel gioiellino. ^^), e in più me la sono anche illustrata con un disegno (sproporzionato, ma va beh). Spero di riuscire a mettere entrambi online quanto prima. Intanto, per chi fosse curioso, nella mia gallery su DeviantArt (il nick è sempre quello) trovate tutti gli scarabocchi che faccio di tanto in tanto su questa long (ma il disegno per la shot è decisamente più serio). In ogni caso, non aspettatevi dei capolavori.
Detto questo, non mi resta che ringraziarvi tutti quanti: Atlantislux per il betaggio e la recensione, Lara ed Erecose perché mi sopportano ogni santo giorno, anche agli orari più impensati, Evertine (Sempre buonissima: le tue parole mi hanno sinceramente commossa!), Ashar (Eccoli qui i ragni! Contenta? XD Ho visto che hai aggiornato, appena ho un attimo leggo e commento. ^^), ENS (Schieramento discutibile per TE! XD Per me invece era l'unico che mi garantisse subito la vittoria! <3 Ad ogni modo, sei stato gentilissimo nelle ultime righe che mi hai lasciato!), The Mad Hatter (Oh, guarda che non è una fanfiction comica, sai? XD Comunque, spero davvero di farti ridere/sorridere ancora con i capitoli a venire. ^^), Cass per aver inserito la presente fra le storie seguite, e tutti gli altri anonimi lettori.
Buona settimana a tutti!
Shainareth





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Capitolo 19
*** Zannelucenti ***







Gentili lettori, ricordo che posto questa fanfiction affinché si commenti, anche negativamente se ci sono le ragioni per farlo, il modo in cui scrivo e rappresento i personaggi e NON il modo in cui ho giocato la mia partita. Inoltre, poiché un GdR è creato apposta per tessere decine di storie dalle diverse sfumature per ogni personaggio con cui si gioca una partita, francamente reputo inutile, e assai stupido, stare continuamente a questionare sulle scelte fatte da ciascun giocatore. Se perciò non vi piacciono quelle di Nimue, siete pregati di non leggere o, meglio ancora, di starvene zitti: ciò che appare giusto o "fico" per voi non è detto che lo sia anche per gli altri.
Trovo oltremodo maleducato criticare con insistenza scelte tanto personali che, nel caso di un personaggio di prova come lo è Nimue, rispecchiano moltissimo quello che è il carattere e soprattutto l'indole di un giocatore. Si tratta di un videogioco, ovviamente, ma ricordate che a questo mondo esistono ancora persone dotate di una certa sensibilità.
Se, quindi, desiderate una storia con un protagonista come quello con cui avete giocato, siete pregati di scrivervela da soli. Grazie.
Pertanto concludo questa premessa con la speranza che vi stampiate bene in testa che le critiche, sia positive che negative, devono essere poste in modo costruttivo e soprattutto con garbo. Ah, e leggete il regolamento, quando andate a recensire, perché è scritto in grassetto maiuscolo che è VIETATO offendere la persona dell'autore (anche fra le righe) e parlare di altro rispetto alla storia. In caso contrario, non esiterò a contattare l'amministrazione del sito.
Buona lettura.










CAPITOLO DOCIANNOVESIMO – ZANNELUCENTI




«Dite che procedendo in questa direzione arriveremo da qualche parte?» Ero effettivamente preoccupata perché l’unico passaggio percorribile era quello aperto sulla parete in fondo, scavato nella pietra davvero come se fosse stata opera dei nani di Orzammar. Non soffrivo di claustrofobia – e per fortuna – tuttavia non mi piacevano i luoghi tanto angusti, mi davano comunque una sensazione di pesantezza e di soffocamento.

   «O procediamo o torniamo indietro», mi rispose Alistair, affacciandosi all’interno della galleria.

   Dal momento che la presenza del drago aveva fatto vuoto di altre creature attorno a quella zona, ne avevamo approfittato per riposare, finalmente. Wynne aveva recuperato più in fretta degli altri grazie alla propria magia interiore, e una volta ripresasi, aveva iniziato a occuparsi dei nostri compagni. Il tesoro del drago esisteva, comunque: custodito nel suo nascondiglio vero e proprio, in una grossa nicchia scavata fra le lastre levigate di pavimento e mura. Era formato per lo più da oggetti appariscenti e luccicanti. Vi avevamo trovato diverse cose interessanti, a cominciare da una nuova corazza di fattura elfica per il nostro Principe e alcune pietre preziose, oltre che a un discreto gruzzoletto di denaro. Esattamente come aveva detto Leliana.

   Alistair scavalcò il basso gradino che ci ostacolava il cammino, e ci guidò dentro quello che appariva un rozzo tunnel illuminato anch’esso da delle torce fissate su piantane di media altezza. Non sembrava essere molto lungo, per cui ci facemmo coraggio e cominciammo a mettere un piede davanti all’altro, sperando che la fortuna potesse assisterci ancora una volta.

   Non facemmo che pochi metri appena, tuttavia, che qualcosa ci lasciò esterrefatti: la figura diafana di un elfo. Uno spirito. Fissò i suoi occhi spenti su di noi, atterrito, e subito scappò in fondo alla galleria, gridando parole in un linguaggio arcano. Gli fummo dietro, cercando di capire con esattezza da dove fosse spuntato, e quando uscimmo dal cunicolo ci ritrovammo di nuovo nel mezzo di un crocevia, fra le rovine antiche. Non da soli.

   Il fantasma aveva richiamato in vita gli scheletri di guerrieri addormentati lì molto tempo prima, forse per timore che potessimo disturbare il riposo degli altri spiriti. Ci piombarono addosso da tutte le direzioni, e fummo costretti a combatterli pur non volendo. Dopo aver avuto a che fare con un drago di certo non temevo la loro forza. Ce la cavammo perciò con pochi graffi e poche ammaccature, che Wynne si premurò subito di rimarginare in pochi istanti.

   Proseguimmo lungo il passaggio che si era aperto davanti a noi, e per quanto fossi stanca di combattere contro cadaveri ambulanti, ne avrei volentieri baciato uno piuttosto che rivivere l’orrore che ci assalì poco dopo: altri ragni. E anche questi ci circondarono. Erano soltanto in quattro, ma per me, che ero sul punto di collassare al solo pensiero di vederne uno, fu una tragedia. Dovevo fidarmi dei miei compagni ed evitare di essere loro di peso. Quando si strinsero attorno a me, chiusi di scatto gli occhi e, cercando di dominare le lacrime e il tremore del corpo, ricorsi immediatamente a un’Esplosione Mentale, l’unica cosa che fui in grado di fare. Non so come andò lo scontro nel dettaglio, mi limitavo a rimanere immobile, con le palpebre serrate, i pugni stretti attorno al mio ramo di quercia, concentrata su un unico punto fermo: quelle bestie non mi avrebbero neanche sfiorata. Lo ripetevo a me stessa come una formula magica, mentre sentivo sulla pelle il gelo di quelle di Morrigan e nelle orecchie il clangore delle armi di Leliana e Alistair, mischiato ai gemiti di chi veniva colpito.

   Nessuno aveva pronunciato il mio nome o invocato aiuto, ma quando il calore del braccio che Wynne mi passò attorno alle spalle mi risvegliò dalla mia trance, facendomi sobbalzare e accorgere che non ero riuscita a contenere il pianto, mi passai le mani sul viso, chiedendo nuovamente scusa a tutti per la mia inutilità.

   «Ai ragni ci pensiamo noi», mi rincuorò Alistair, curvando le labbra in un sorriso nonostante l’affanno. «Voi però continuate a occuparvi dei draghi, intesi?» Lo reputai un ottimo accordo. Non perché fossi pazza, semplicemente consideravo quelle creature alate molto più eleganti, e soprattutto meno schifose, di quegli altri esseri a otto zampe. «Ci pensate? Anziché come Nimue il Custode Grigio, passerete alla storia come Nimue l’Ammazza Draghi.» Questo mi faceva un po’ impressione. «Tra l’altro siete avvantaggiata: anche l’Arcidemone è un drago.» Mi correggo: mi faceva girare la testa, al punto che, forse, preferivo affrontare un ragno gigante. Forse. Sì, forse.

   Giacché le mie gambe si rifiutavano di muoversi a causa della fobia – non potevo certo aspettarmi di essere guarita da un giorno all’altro, né ci speravano gli altri – la mia buona maestra mi prese per mano e mi aiutò a proseguire lungo il corridoio. Spuntammo in una nuova sala, con quattro ingressi e con una pedana circolare uguale a quelle viste da noi in precedenza. Di diverso c’era la presenza di un altro spirito, quello di un bambino. Non capivamo ciò che diceva, ma non era comunque difficile intuirlo: cercava sua madre.

   Alla mente mi tornarono le immagini vissute l’ultima volta che ero stata nell’Oblio, quando Connor e Arle Eamon si incrociavano senza riconoscersi, invocandosi a vicenda con fare disperato. Quella però era stata opera di un Demone del Desiderio, mentre questa volta era tutto diverso. Provammo a parlare con il ragazzino, ma i nostri linguaggi non erano compatibili nella maniera più assoluta, per cui scappò, richiamando altre entità che subito si impossessarono degli scheletri che giacevano sparpagliati sul pavimento. Non solo, perché ci piovvero addosso anche dalle stanze limitrofe. Erano una moltitudine. Troppi, dannatamente troppi. E visto che il mio corpo si decise di colpo a collaborare, fummo costretti a ripiegare – e mi vergogno a dirlo, ma io fui la prima a uscire da lì – e ad attuare una tattica del tutto simile a quella già sperimentata a Kinloch Hold, indugiando subito dietro l’entrata da cui eravamo passati così da impedire ai nostri avversari di riversarsi in massa su di noi. Fu uno scontro lunghissimo, e tante, tantissime volte sia Wynne che io fummo costrette a ricorrere alla Magia Guaritrice. Al punto che, una volta riusciti a mettere a terra anche l’ultimo scheletro, entrambe ci accasciammo contro una parete per recuperare fiato ed energie, come se avessimo combattuto corpo a corpo come Alistair, che pure, poveretto, era stato ferito molto più di noialtre.

   «Fortuna che la vostra magia non lascia cicatrici», commentò appoggiandosi pesantemente all’elsa della spada, la cui punta della lama era ben piantata fra le fessure delle lastre di pietra che ricoprivano la pavimentazione. «Altrimenti a quest’ora non sarei poi molto diverso da uno di quei cadaveri. Mi chiedo come facciano a non perdere pezzi mentre camminano… Stanno su per miracolo.»

   «Magia», lo corresse svogliatamente Morrigan, calpestando le ossa frantumate che avevamo appena abbattuto e tornando a dare uno sguardo d’insieme alla sala. «Sembra non ci sia nessun altro, qui.»

   Non appena ci sentimmo meglio, provammo a ispezionare anche le due stanza limitrofe, scoprendole camere mortuarie: degli antichi elfi che avevano abitato Brecilian adesso non rimanevano che dei sarcofagi, in parte scoperchiati. Se per opera dell’uomo, degli spiriti stessi o di creature a noi sconosciute, non ci era dato saperlo. In ogni caso, anche lì la foresta aveva vinto, perché le grosse, nodose radici degli alberi secolari erano riuscite ad arrivare fin laggiù, provocando squarci nelle pareti e non solo.

   «Sono davvero delle catacombe», ragionò Leliana atona. Quella nuova consapevolezza ci ridusse tutti in silenzio, o quantomeno a parlare a voce bassa, timorosi di disturbare quel luogo di eterno riposo con la nostra presenza. L’unica nostra consolazione era che, a differenza di chi ci aveva preceduto, noi non ci eravamo avventurati in quel posto con l’intento di depredare i corredi funerari degli elfi, quanto per aiutare i loro discendenti a liberarsi da un’orribile piaga che minacciava la loro esistenza.

   La porta in fondo alla sala principale era chiusa, ma non bloccata. Riuscimmo a passare oltre, fra un dedalo di corridoi e strade cieche, incrociando altri scheletri risvegliati dagli spiriti spaventati dalla nostra intrusione. Quel mausoleo era magnifico, pieno di storia e di sorprendenti dimostrazioni di quanto l’architettura e l’arte elfica fossero straordinarie ed eleganti. Ad ogni modo, più ci inoltravamo verso le profondità della costruzione, più si faceva imperante la presenza della natura, distruttrice di molte di quelle meraviglie. Ricordo che pensai che forse si stava semplicemente riprendendo il proprio territorio, e che nessuno dei defunti avrebbe potuto crucciarsi a causa di questo. Dopotutto, i Dalish non si sentivano parte integrante del creato?

   Arrivò tuttavia un momento in cui perdemmo l’orientamento. Da qualunque parte ci giravamo, non riuscivamo a trovare un punto per proseguire. Eppure doveva esserci un modo, perché, lo avevamo visto con i nostri occhi, Passosvelto e quello che credevamo essere Zannelucenti si erano rifugiati lì, e se non li avevamo incrociati per tutto quel tempo, significava che erano ancora nascosti da qualche parte.

   Su suggerimento di Morrigan, ci fermammo a riflettere in una stanza malmessa come tutte quelle più interne. A differenza delle altre, comunque, questa aveva una sorta di pozzo naturale formatosi in base a chissà quale principio che a noi sfuggiva. Fui io a scoprire che non si trattava di una semplice chiazza d’acqua penetrata dal suolo sottostante, perché ci misi sbadatamente un piede dentro e per poco non caddi nella voragine. Con una gamba infradiciata fin quasi al ginocchio, quindi, decisi di sedermi nel punto più lontano da quella trappola mortale, subendo ovviamente uno sguardo di ammonimento da parte di Morrigan, l’unica che si era prese la briga di farmi notare ancora una volta quanto poco fossi attenta a quello che facevo. In effetti mi chiedevo per quale ragione, dopo tutto quello che avevo combinato – a cominciare dal fatto che, poco prima, avessi involontariamente dato di nuovo fuoco ad Alistair, salvatosi soltanto grazie alle proprie abilità di templare –, nessun altro si decidesse a degradarmi da capitano a soldato semplice.

   «Sto bene, Wynne si è presa buona cura di me», mi ribadì lui che, pover’anima, armato di un sorriso e di tanto amore, mi si accovacciò di fronte per tranquillizzarmi. Più passava il tempo, più mi convincevo che fosse masochista.

   «Lo so», mormorai.

   «Allora via questo musino triste», mi esortò, tamburellando un dito sulla mia bocca.

   Presi la sua mano fra le mie, accarezzandola per dare un po’ di ristoro alla piccola piaga che io stessa gli avevo procurato. «Fa molto male?», domandai col cuore in una morsa.

   «Credo di averci fatto il callo, ormai.»

   «Smettetela di scherzare.»

   «Non stavo scherzando.»

   Alzai su di lui due occhi spaventati. Alistair rise. «Vi ucciderò davvero, un giorno o l’altro», gli assicurai stizzita. «Ma prima mi farò perdonare, spero quando torneremo dai Dalish», sospirai poi, senza ripetere ancora quanto mi sentissi in colpa per quanto accaduto.

   «Se quelli ci vedessero insieme, morirebbero per l’orrore, temo», disse Alistair non usando giri di parole. Già, ci avrebbero guardati così male che avrebbero finito per disprezzare maggiormente quel che eravamo. «Se volete davvero fare qualcosa per me, sorridete.» Mi sforzai di accontentarlo, pur senza molto successo. Ero stanca e l’unica cosa che volevo era tornare all’accampamento da Merlino e dagli altri.

   «Mi chiedevo se fosse possibile che quei due siano passati da qui», ragionò Morrigan, ferma a braccia conserte sulla soglia, attirando la nostra attenzione. «Ho cercato di seguire una qualsiasi traccia, e quei pochi elementi che ho raccolto, conducono tutti in questa stanza.»

   «È per questo che ci avete fatti fermare qui?», si stupì Leliana, guardandosi intorno e cercando forse di scorgere anche lei ciò che vedeva soltanto la Strega delle Selve.

   Quest’ultima si mosse, camminando con la sua solita, invidiabile grazia fino al centro della stanza, lì dove c’era il pozzo. Puntò gli occhi ambrati sulla sua superficie scura, studiandola come se avesse potuto leggervi dentro chissà quale arcano mistero. «Qui sotto», disse poi. «Le tracce scompaiono in questo punto. E l’unica cosa capace di cancellarle del tutto è l’acqua.»

   «State dicendo che dovremo nuotare attraverso un passaggio sommerso d’acqua?», volle capire Wynne, a metà fra lo scetticismo e l’interesse.

   Morrigan si volse nella mia direzione. «Cosa facciamo, capitano

   Lo fa apposta, pensai. Lo fa apposta a ricordarmi quello che sono. Che dovrei essere, mi corressi. E, per quanto fastidio mi desse, non potevo darle torto. Cercai Alistair con lo sguardo in cerca di aiuto. Lei se ne accorse e sbuffò. Mi stava mettendo ancora alla prova e io l’avevo di nuovo delusa. «Morrigan», cominciai allora, tornando a fissare lei sola. «Sei sicura?»

   «Sta a te fidarti», mi sentii rispondere. Quindi lei credeva di me, nonostante tutto? Era pazza come Alistair.

   Mi alzai in piedi dal punto in cui mi ero accucciata in preda al mio solito, vergognoso scoramento. «Allora proviamoci.»

   «Andrò io per primo», si offrì il nostro Principe, iniziando a slacciare le cinghie della corazza.

   «Che fate?»

   «Tolgo l’armatura, no? Altrimenti rischio di affond… Giusto», si interruppe, picchiandosi un pugno sul petto. «È giù che dobbiamo andare.»

   «Dev’esserci un tunnel che spunta da qualche parte, quella ti sarà sicuramente d’impiccio», espresse il proprio parere Morrigan. «Tuttavia, immagino che ti sarà utile se alla fine ci imbatteremo davvero in Zannelucenti o in qualche altro nemico. Ammesso che tu non affoghi prima.»

   «Vado in avanscoperta», annunciai allora, attirando gli sguardi di tutti.

   «Voi non andate da nessuna parte», mi contraddisse Alistair, preoccupato. Gli misi il mio bastone in mano per farlo tacere e mi avvicinai al pozzo. «Mi state ascoltando?», mi incalzò lui, seguendomi e afferrandomi per un braccio. Innervosita, materializzai una piccola sfera infuocata sul palmo per intimorirlo, ma lui la spense in un attimo con il proprio. «Non è questo il modo migliore per cercare di far rispettare i vostri ordini. Non funziona con me», mi rimproverò.

   Maledetto templare, imprecai sconfitta, fissandolo con rabbia.

   Il rumore di qualcosa che cadeva in acqua ci fece voltare in direzione del pozzo, e noi facemmo appena in tempo a vedere Leliana scomparire di sotto. Sbuffai, riprendendo il mio ramo di quercia, e rimasi in attesa insieme agli altri. Non passò in realtà molto che la nostra compagna tornò in superficie, annaspando per la prolungata mancanza d’aria.

   «Avevate ragione», boccheggiò verso Morrigan, aggrappandosi al pavimento per non affondare. «Il tunnel spunta in un altro luogo, non è lontano.»

   «Dici che ce la possiamo fare?»

   «Se riuscite a trattenere il fiato per un paio di minuti», ci spiegò.

   Mi chinai su di lei. «Allora uscite a riposarvi per qualche istante», la pregai affettuosamente.

 

Fradici da capo a piedi, infreddoliti e boccheggianti, fummo lieti di sbucare in un posto a noi sconosciuto, ma sempre all’interno delle rovine, come anticipatoci da Leliana. Magra consolazione, comunque, perché quando tornai a reggermi sulle gambe, rischiando di scivolare sul pavimento bagnato ed aggrappandomi al mio bastone, mi resi conto che anche quella nuova stanza avrebbe potuto definirsi camera mortuaria, benché non vi fossero sarcofagi: diversi cadaveri giacevano al suolo. Alcuni di essi erano smembrati, altri integri, altri ancora irriconoscibili. Sentii il sapore di bile in bocca e serrai le palpebre per dominarmi. Dimentico del nostro screzio di poco prima, Alistair mi passò un braccio dietro la schiena, inducendomi a proseguire.

   Non ci allontanammo molto, a dire il vero, che subimmo un attacco. Né spiriti, né draghi, né ragni – sia lodato il Creatore! – questa volta: mannari. Ci aggredirono in branco, avvantaggiati dal numero, circa il doppio del nostro, e quando lo scontro, nient’affatto semplice, fu concluso, nessuno di noi seppe spiegare come fossimo sopravvissuti o come fossimo riusciti a non farci mordere.

   «Forse al di là di quelle barricate c’è un passaggio. La loro tana.» Morrigan stava di nuovo studiando il loro territorio con meticolosa attenzione, mentre Wynne si occupava dell’ennesima ferita che aveva procurato ad Alistair molto più dolore delle mie ustioni, visto che una di quelle bestiacce gli aveva perforato scudo e armatura, affondando gli artigli nel braccio e rischiando di strappargli via un grosso pezzo di carne. Era finito ucciso da una scarica di fulmini, quel bastardo, e la sua carcassa bruciava ancora poco distante da noi. Se avessi saputo farlo, avrei spento il fuoco con uno sputo, e non certo per pietà nei suoi confronti.

   «Potresti farti squartare più spesso?» Alistair, pallido e madido di sudore a causa della sofferenza e del sangue perso, ringhiò nella direzione di Morrigan. «Non che io mi diverta a vederti in queste condizioni», ci tenne a precisare lei. Il vezzoso sorriso in cui le sue labbra erano curvate, tuttavia, ci lasciò molti dubbi. «Ma se il risultato è vederla diventare una spietata assassina, dovresti farci un pensierino, sai?»

   «Lo divento anche quando massacrano te», la informai con i nervi a fior di pelle, stringendo la mano sana del mio adorato templare – sì, ora era tornato tale – e passandogli una carezza sulla fronte. «O forse hai dimenticato come ti avevano ridotta a Redcliffe?»

   «Se ti decidessi a fare sul serio sin da subito, nessuno di noi rischierebbe di lasciarci le penne.» E su questo non aveva affatto torto.

   Non replicai, anche perché, sentendo i tendini e le ossa rinsaldarsi fra loro, Alistair provò una fitta di dolore talmente acuto che serrò la presa attorno alle mie dita, forte al punto che quasi mi lasciai sfuggire un’esclamazione. «Perdonatemi», ebbe comunque la premura di mormorare.

   «Non ditelo neanche», lo rassicurai. Gli davo fuoco, non mi impegnavo a dovere nelle battaglie così che gli altri rimanessero feriti, e a scusarsi era lui?

   «Nimue mi ha chiesto di insegnarle la Magia Guaritrice», si intromise garbatamente Wynne, continuando a tenere gli occhi sul suo paziente.

   Il quale mi guardò interessato. «Questa è una buona cosa», mi sorrise.

   «Almeno dopo avervi dato fuoco, sarò anche in grado di medicarvi a dovere», gli spiegai cercando di prenderla alla leggera. In realtà mi sentivo sempre peggio, e non mi capacitavo di cosa diamine ci avessero trovato in me Irving e Duncan. Per non parlare di Alistair, la mia vittima preferita.

   «Premurosa come siete, sarete un’ottima Guaritrice», mi incoraggiò lui, sforzandosi di non pensare al fastidioso torpore al braccio che adesso stava prendendo il posto del dolore.

   «È l’unico modo che ho per farmi perdonare», ammisi. Alistair mi fissò con biasimo, ma non disse altro, limitandosi a sospirare pesantemente e a chiudere gli occhi. Era questo che non capivo: se non ero né bella né amabile, perché prendersi la briga di spasimare per me? Anche le altre mie compagne sicuramente stavano facendo un grosso sforzo per non lamentarsi troppo – compresa Morrigan, forse. Quell’ondata di pessimismo mi stava uccidendo, e volli attribuire quel mio stupido, dannoso stato d’animo a quel posto umido, diroccato e pieno di morte. In più non ero riuscita ad accantonare la faccenda del drago e il mio ricorrere a due tipi di incantesimi che non mi piacevano e lasciavano dentro di me una sensazione sgradevole. Non era Magia del Sangue, eppure mi sentivo sporca lo stesso.

   Quando la brutta ferita di Alistair fu rimarginata a sufficienza, pur continuando a dolere sotto la fasciatura ed il guanto dell’armatura, ci rimettemmo in marcia. Ormai eravamo certi che fosse quello il nascondiglio dei lupi mannari, per cui ci rassegnammo all’idea di incrociarne molti altri prima di giungere a destinazione. Invece la resistenza fu assai minore di quella che ci eravamo aspettati inizialmente, e non appena varcammo la soglia di un’ampia sala, uguale a quelle che ci eravamo lasciati alle spalle all’inizio della nostra avventura in quel mausoleo elfico, sbattemmo il muso contro la verità.

   Passosvelto ci stava aspettando insieme ad alcuni dei suoi fratelli, intenti a mostrarci denti e artigli come se volessero saltarci addosso da un secondo all’altro. Lui però li mise a tacere, piantando le sue spaventose pupille ferine su di noi. «Non vogliamo che altri di noi vengano feriti», esordì, cercando di placare l’ira. «Siete ancora disposti a negoziare?» Avevano cambiato idea davanti alla nostra tenacia e alla nostra forza. «La nostra Signora è convinta che voi non siate stati informati a dovere sulla faccenda, e per questo mi ha chiesto di portarvi da lei.»

   «La vostra Signora?», ripeté Leliana, confusa.

   «Non vi farà del male, purché siate disposti a discutere con lei in modo onesto.»

   «E se fosse una trappola?», volle sapere Alistair, guardingo.

   Passosvelto ringhiò. «La nostra Signora non mente. Mai

   «Troppe cose non sono chiare in questa storia», ci suggerì Morrigan. «Credo sia davvero il caso di ascoltare ciò che hanno da dirci.»

   E se le parole di questa Signora non ci convincessero, potremmo comunque ricorrere alle armi e alla magia, era questo ciò intendeva la giovane Strega delle Selve. Tuttavia, se si fosse trattata davvero di una trappola, non sarebbe stato così semplice.

   «Portaci da lei», ordinai a Passosvelto. C’era di buono che il malumore mi rendeva più spregiudicata e decisa.

   «Seguitemi», obbedì lui. «Ma vi avverto: se provate a rompere la vostra promessa e a far del male alla nostra Signora, ve la farò pagare cara. Anche a costo di tornare indietro dall’Oblio.»

 

Ci portarono in un luogo quasi completamente sopraffatto dalla natura, dove alberi e piante crescevano più o meno allo stesso modo che in superficie, dove la luce penetrava da diverse spaccature nel soffitto e dove decine di mannari ci aspettavano, minacciosi certo, ma senza avventarsi contro di noi. Fummo presto circondati, e le bestie si lasciarono andare tutte a dei lunghi latrati, spaventandoci non poco. Stringemmo le nostre armi nel pugno, pronti a batterci da un momento all’altro. Dal fondo della sala, però, una creatura mai vista prima si fece avanti.

   Era bellissima, nonostante l’insolita carnagione verde pallido. Il suo corpo nudo era avvolto da quelli che sembravano essere gli stessi fasci lignei che ricoprivano gli arti di quel lupo bianco che avevamo incontrato poco prima di scendere nelle rovine, ed i suoi capelli neri scendevano lisci attorno al viso perfetto e sulle spalle, fino a coprirle i seni. Si avvicinò a Passosvelto e lo accarezzò su una spalla con una delle sue mani di forma vagamente umana. Quello si calmò all’istante, inginocchiandosi al suo cospetto, e anche gli altri si zittirono all’unisono, prostrandosi davanti alla nuova arrivata.

   «Vi do il benvenuto, mortali», prese parola lei con voce pacata e gentile, dimostrando di conoscere la Lingua del Re come i Dalish e i mannari. E tutti gli altri spiriti, a ben guardare, a parte quelli degli elfi che avevano abitato lì secoli addietro. «Io sono la Signora della Foresta.»

   «Vi ringraziamo per l’opportunità che ci concedete di discutere», risposi allora. Da qualunque parte la guardassi, non mi sembrava affatto malvagia. Persino i miei compagni avevano imprudentemente abbassato la guardia.

   «Mi scuso per il comportamento dei miei discepoli», continuò la Signora, sinceramente contrita. «Purtroppo sono in perenne lotta con la loro natura.» Sospirò. «Non dubito che abbiate delle domande, mortali. Ci sono cose che Zathrian non vi ha detto.»

   Questo lo avevamo ormai capito anche noi. «Che genere di cose?»

   Gli occhi obliqui di lei ci fissarono con forza e tristezza a un tempo. «Fu Zathrian a creare la maledizione che affligge queste creature e che adesso affligge la sua stessa gente.» Ci eravamo convinti di essere preparati a tutto, eppure quella dichiarazione ci lasciò allibiti, incapaci di ribattere. Era una menzogna. Doveva esserlo. «Secoli fa, quando i Dalish vennero in queste terre per la prima volta, una tribù di umani viveva qui nella foresta e tentò di scacciare via gli elfi. All’epoca Zathrian era un uomo giovane, e aveva un figlio e una figlia che amava smisuratamente. Tuttavia, durante una battuta di caccia, i due furono catturati dagli umani.»

   Passosvelto iniziò a ringhiare di nuovo. «Gli umani torturarono il ragazzo e lo uccisero», proseguì lui al posto della sua Signora. «La ragazza invece fu violentata e lasciata a morire.»

   Il respiro mi si mozzò, mentre davanti a me d’improvviso si materializzavano di nuovo le tragiche immagini che avevo visto da bambina, dove mia sorella Niniane veniva assalita da due energumeni, trascinata in un vicolo e violata senza che qualcuno, a parte me, se ne avvedesse.

   «I Dalish la trovarono prima che fosse troppo tardi, ma… scoprirono che era incinta.»

   Un senso di nausea mi provocò le vertigini ed io fui costretta a sorreggermi al bastone.

   «Quando lo seppe, ella si tolse la vita.»

    Mi sfuggì un singhiozzo insonoro, e chiusi le palpebre per non abbandonarmi alle lacrime. Avevo creduto di aver superato quel trauma infantile, e invece era ancora lì, sepolto nella mia coscienza, pronto a tornare a galla alla prima occasione.

   «Zathrian venne fin quaggiù, fra queste rovine, ed evocò uno spirito vincolandolo nel corpo di un lupo: Zannelucenti.»

   Lo capivo, purtroppo, capivo perfettamente quanto avesse sofferto quell’uomo. Accorrendo in aiuto di Niniane, mi ero resa subito conto di non poter fare niente per lei: il complice del suo aggressore mi aveva bloccata in un attimo, e per me, bambina di appena cinque anni, non era rimasto altro da fare che piangere e disperarmi, incapace persino di urlare perché una grossa mano mi aveva tappato la bocca.

   «Zannelucenti si avventò sugli umani. Molti vennero uccisi, altri maledetti come lui, e diventarono creature selvagge e perverse.»

   Lo capivo, eppure non condividevo ciò che aveva fatto. Si era spinto troppo oltre.

   «Diventarono come Zannelucenti», tornò a parlare la Signora della Foresta, la cui voce dolce accarezzò la mia coscienza, scacciando quegli orribili ricordi dalla mia mente. «Quando gli umani se ne andarono una volta per tutte, quelle creature si avventarono sui lupi.»

   «Finché non trovai voi, mia Signora», affermò Passosvelto, inducendomi a riaprire gli occhi per vederlo inginocchiarsi di nuovo davanti a lei. «Voi mi avete dato la pace.»

   «Mostrai a Passosvelto che c’era un altro lato della sua natura di bestia. Calmai la sua sete di vendetta e la sua umanità riemerse. Fu lui a portare a me tutti gli altri», ci confermò lei.

   «Perché quell’imboscata ai Dalish? Per vendetta?», pretese di sapere Morrigan, forse ancora perplessa sulla buona fede di quel racconto.

   «In parte», ammise la Signora della Foresta. «Vogliamo porre fine alla maledizione. Ciò che accadde ai figli di Zathrian fu grave, molto. Ma successe secoli fa, e coloro che commisero quelle atrocità sono morti da tempo.»

   I Dalish, però, non perdonano così facilmente. Non dopo tutto ciò che hanno subito gli elfi nelle ere passate, e che ancora subiscono nel chiuso delle enclavi. Ero stata fortunata per davvero ad essere stata strappata da quel luogo infernale, perché avevo potuto rendermi conto che il mondo non era così piccolo, che c’erano anche buoni sentimenti, che gli umani erano uguali a me. Avevo perciò potuto mettere da parte il dolore, convincendomi che ormai avevo già avuto la mia vendetta: impotente davanti allo stupro di Niniane, dentro di me si era accesa quella scintilla di magia, sopita fino ad allora, ed io avevo inconsciamente appiccato il fuoco ad entrambi i suoi aggressori.

   «Molte volte abbiamo cercato di parlare con Zathrian, ma ci ha sempre ignorati.»

   «Abbiamo contagiato questa maledizione alla sua gente, così che egli ponga fine a tutto per salvarla!», latrò Passosvelto.

   «Per favore, mortali… Dovete andare da lui. Portatelo qui. Se lui vedesse queste creature, se sentisse quanto soffrono… sicuramente acconsentirebbe a far finire tutto questo.»

   Uno spirito ci supplicava. Potevamo credergli? Non so cosa pensassero gli altri, ma io avevo già preso la mia decisione.

   «Lo porteremo qui», promisi. Mi rifiutai di accorgermi della reazione dei miei compagni. Quella storia mi toccava troppo da vicino per lasciare che qualcuno contestasse quella mia scelta. Avevano affidato a me il comando, dopotutto, e allora avrebbero rispettato la mia parola.

   «Ditegli che se non verrà, io non permetterò a nessuno di trovare Zannelucenti. E la maledizione che ha colpito anche il suo clan, non avrà fine.» La Signora della Foresta ci voltò le spalle e ci indicò un’uscita. «Fuori da questa stanza, c’è un passaggio che vi porterà dritti in superficie. Lo abbiamo riaperto per voi. Per favore, tornate con Zathrian il prima possibile.»

 

«Vi fidate davvero di ciò che ha detto quello spirito?»

   Nel tono di Alistair non c’era vero e proprio rimprovero, solo stupore e, probabilmente, fastidio: avevo deciso tutto da sola, senza consultarli. Ma non era stato lui a dire che il comando spettava a me?

   «Abbiamo ascoltato la versione di Zathrian e quella dei mannari, e ci siamo resi conto che non collidono fino in fondo.»

   «Per nulla», confermò lui con un cenno del braccio sano, proseguendo al mio fianco lungo le scale.

   «Per tale ragione, adesso torneremo da Zathrian e gli chiederemo di spiegarci meglio come stanno le cose. O preferivate ingaggiar battaglia contro tutti quei mannari e con uno spirito tanto potente?» Ecco che avevo iniziato con la mia parlantina da leader che non ammetteva obiezioni. Non perché volessi sul serio dettar legge, quanto perché sapevo che il mio ragionamento era impeccabile. «C’è dell’altro, comunque.»

   «E cioè?»

   Arrestai il passo e gli altri mi imitarono, mentre io piantavo gli occhi in quelli del mio collega. «Se solo quelle bestie avessero voluto, avrebbero maledetto anche noi», gli feci notare. «Ma se ben ricordate, durante gli scontri, nessuna di loro si è preoccupata di usare le zanne.»

   «Dimenticate il primo che vi ha assalita», mi ricordò Alistair, non del tutto convinto.

   Gli sorrisi senza allegria. «Dimenticate le mie orecchie a punta.» Le sue pupille indugiarono su di esse con aria confusa. «Passosvelto mi credeva una Dalish, rammentate?»

   «La sua teoria è bella convincente, eh?», mi venne finalmente in aiuto Morrigan, approvando le mie parole. E poiché né Wynne né Leliana ebbero da ridire, ne deducemmo che fossero d’accordo anche loro.

   Alistair sospirò, riprendendo a camminare in testa al gruppo. «E avete anche il coraggio di lamentarvi se lascio decidere sempre a voi…»

   Lo seguimmo in silenzio, almeno fino a che non arrivammo al piano più alto delle rovine, esattamente nella sala in cui avevamo sostato la notte addietro. Lì trovammo Zathrian che, da solo, si guardava attorno. Quando si accorse di noi, non parve del tutto sorpreso.

   «Siete già qui, dunque.»

   «Come avete fatto ad arrivare quaggiù?», domandò Wynne per me. «La foresta vi ha lasciato passare?»

   «Sono un Guardiano», rispose lui, serafico. «Posso accedere a qualunque tipo di magia, anche quelle che gente come voi ha dimenticato. Non sono mai stato bandito da questo posto.» Per lo meno su questo era sincero. Ma perché non dircelo prima? «Non c’era modo di sapere cosa vi sarebbe accaduto una volta che foste giunti qui, è per questo che sono venuto anch’io.»

   «Per accertarti che prendessimo il cuore di Zannelucenti», finì Morrigan per lui, con fare retorico e provocatorio a un tempo.

   «Infatti. Lo avete preso?»

   «Non riesci a capirlo da solo?»

   Zathrian socchiuse gli occhi, studiandoci con aria dubbiosa. «Direi che no, non lo avete preso», disse piano. Forse stava iniziando a capire. «Perché allora stavate lasciando le rovine?»

   «Se sapevate di queste rovine, perché non ce ne avete parlato?», s’incuriosì ancora Wynne.

   «Non ce n’era bisogno», tagliò corto lui. «Sapevo che le avreste trovate.»

   «La Signora della Foresta si è rifiutata di mostrarci Zannelucenti fino a che voi non spezzerete la maledizione», rivelai io a quel punto. Era inutile girarci intorno, tanto valeva affrontare di petto la questione.

   L’anziano elfo prese a camminare nervosamente per la stanza. «Non avete capito che lei in realtà è Zannelucenti?»

   «Sì», risposi. «Lo avevamo intuito.»

   «Davvero?», sentii farfugliare Alistair accanto a me. Mi sforzai di ignorarlo come tutte le altre.

   «È uno spirito», riprese allora Zathrian. «Cerca di convincervi a fare ciò che vuole, tutto qui.»

   «E sarebbe?»

   «Sopravvivere, suppongo», non si scompose lui. «È lo spirito più forte di questa foresta, lo stesso che io evocai secoli fa nel corpo di un lupo.» E lo ammetteva senza tanti problemi. Rimasi esterrefatta, e per un attimo paragonai quell’uomo a Flemeth: nessuno dei due si era fatto scrupoli a ricorrere all’Oblio per desiderio di vendetta. Non mi piaceva. «È come questa foresta: bellissima e terribile, tranquilla e selvaggia. Lei è la Signora e Zannelucenti insieme, le due facce di una stessa medaglia.» Un qualcosa di molto simile ad un Abominio, quindi? «La maledizione arrivò con lei.»

   «E voi siete in grado di spezzarla?», insistetti. Forse la Signora della Foresta era anche Zannelucenti, ma a dare l’avvio a quel tragico processo era stato lui, non lei.

   «Hanno attaccato il mio clan. Meritano di essere spazzati via, non di essere difesi», glissò la domanda lui. «Venite. Vi accompagnerò da lei, così potremo parlarle insieme ed io la forzerò a mostrarvi il vero aspetto di Zannelucenti. Dopo di che, lo uccideremo e prenderemo il suo cuore.»

   «I lupi mannari non sono selvaggi come sembrano», prese parola Alistair, questa volta più risoluto. «Sono davvero in grado di distinguere il bene dal male.»

   Zathrian si fermò a guardarlo con aria severa. «Anche se fosse, restano sempre le stesse, inutili creature di cui parlano le leggende.» Quell’osservazione non veniva da una mente lucida. «Non è la vostra battaglia, Custodi Grigi. Lasciateci prendere il cuore di quella bestia.»

   «Se non è la nostra battaglia, allora perché ci avete coinvolti?», s’innervosì il mio compagno.

   «Non hai considerato la possibilità di parlare con loro?», lo interruppe Morrigan.

   «E perché?», quasi la derise l’elfo. «Anche se affermate che essi hanno fatto propria la ragione, restano comunque delle bestie selvagge. Non cambia nulla.» Il mio biasimo per lui crebbe, al punto che ormai mi era impossibile comprendere oltre la sua sofferenza passata. «Tutto ciò che vogliono è vendicarsi… o essere liberati dalla loro maledizione, cosa che non farò mai.»

   «Nutrite ancora così tanto odio, dopo tutto questo tempo?» Non riuscii a fermare la mia coscienza.

   «Voi non eravate lì», ruggì Zathrian, sopraffatto infine dalla rabbia. «Voi non avete visto ciò che… ciò che hanno fatto a mio figlio. A mia figlia. E a molti altri.»

   «No, ma so cos’hanno fatto a mia sorella!», replicai con altrettanta foga. «C’ero. Ho visto tutto. Ho odiato quei bastardi con tutta me stessa, al punto che ne ho quasi spedito uno all’altro mondo.» Un gelido silenzio cadde attorno a me, e mi accorsi di essere di nuovo in lacrime. «Ho avuto la mia vendetta e non ne sono stata orgogliosa», ripresi con voce tremula. «Non ha portato a nulla, solo a farmi etichettare dagli altri come uno scherzo della natura a causa della mia magia. Mia sorella è rimasta ferita profondamente nell’animo, ma non si è lasciata vincere dal dolore e si è rifatta una vita.»

   «Mia figlia non è stata altrettanto forte.»

   «Perché le avevate insegnato a disprezzare gli umani, ecco perché!», gridai ancora. «Non sono qui per giudicare loro due, ora. Siete soltanto voi che non riesco a capire», proseguii quasi senza prendere fiato. «Questa storia deve finire. Troppe vite sono state rovinate a causa del vostro egoismo. La vostra gente soffre.»

   «Ho giurato di proteggerla e l’ho fatto», non batté ciglio Zathrian. «Ma non muoverò un dito per aiutare i discendenti di quei selvaggi che ricevettero per primi la maledizione.»

   «Non otterrete niente da noi se prima non accettate di parlare con quello Spirito», dichiarai, sempre più ferma nella mia posizione.

   Ci fissammo a lungo, gli occhi negli occhi, e capimmo che nessuno di noi era pronto a cedere.

   «D’accordo», mi concesse comunque Zathrian. «Vi seguirò. Ma se scoprissimo che tutto ciò che vogliono è vendicarsi? Mi proteggereste dal male che vorranno farmi?»

   «Lo farò», gli assicurai.

 

Passosvelto e gli altri mannari proruppero in ringhi e latrati molto più animati e profondi di quelli con cui ci avevano accolti all’inizio, mentre la Signora della Foresta rimase calma a guardarci avanzare nella sua direzione. Zathrian camminava in testa al gruppo, io lo tallonavo da vicino, pronta a bastonarlo in modo assai poco signorile nel qual caso avesse fatto una mossa falsa. A pensarci bene, mi ritrovavo in una situazione paradossale: nonostante quelle bestie per poco non avessero ammazzato me e Alistair, adesso ero totalmente schierata dalla loro parte, né provavo più un briciolo di paura. Ero solo furiosa con quello stupido mago cocciuto. Con me stessa. Più mi sforzavo di dimenticare il mio passato odio per gli umani, più quel dannato me lo riportava alla memoria. I miei compagni non meritavano di sentirsi giudicati con disprezzo, e l’amore che avevo appena scoperto per uno di loro non doveva essere macchiato da eventi ormai lontani nel tempo.

   «Eccoci qui, spirito», esordì Zathrian, fermandosi ad alcuni metri da Zannelucenti.

   Passosvelto balzò in avanti, frapponendosi tra loro con aria feroce. «È la Signora della Foresta! Rivolgiti a lei in modo appropriato!»

   L’elfo non si scompose, continuando a rivolgersi a lei. «Ti sei dato un nome, spirito? E ne hai dato uno anche ai tuoi animali domestici? A queste… bestie che ti seguono?»

   «Sono stati loro a farmene dono e a scegliersene uno proprio», rispose la Signora, calma come l’avevamo lasciata. «Mi seguono perché li ho aiutati a ritrovare loro stessi.»

   «Non sono altro che quello che erano i loro antenati: dei selvaggi! Rispecchiano fisicamente ciò che hanno nei loro mostruosi cuori!», ribatté Zathrian con spregio. Se avesse continuato in quei toni, sarei stata la prima ad azzannarlo, altro che Passosvelto.

   Quest’ultimo, invece, si mostrò molto più ragionevole di me. «Quest’uomo non vuole aiutarci, Signora! È un pericolo per voi! Non è qui per parlare!»

   «Ti sbagli», lo interruppe l’altro. «Sono qui per parlare. Ma la vostra natura vi costringe ad essere quello che siete.»

   «C’è della compassione nel tuo cuore, Zathrian», ci sorprese ancora Zannelucenti, facendosi vicina e fissandolo con tristezza. «Il tuo castigo si è protratto troppo a lungo.»

   «Il mio castigo è eterno, spirito, come il mio dolore. Questa non è altro che giustizia.»

   La Signora della Foresta non batté ciglio, ma, elegante come sempre, tornò fra i suoi discepoli. «Sei certo che sia soltanto il tuo dolore la ragione per cui non vuoi porre fine a tutto questo? Non hai detto ai mortali in che modo hai creato la maledizione?»

   No, non lo aveva fatto. Perché non mi sorprendeva, la cosa?

   «Ci ha detto che ti evocò e ti legò al corpo di un lupo», s’intromise Morrigan, decisa quanto me a scoprire la verità.

   «Ed è quello che fece», confermò lo spirito. «Io e Zannelucenti siamo un solo essere. Ma una magia del genere non avrebbe mai potuto essere eseguita senza un sacrificio, quello del sangue di Zathrian stesso.»

   Magia del Sangue… Ancora Magia del Sangue…

   «La tua gente crede che tu abbia ritrovato l’immortalità dei vostri antenati, Zathrian, ma non è così», proseguiva la Signora. «Più a lungo si perpetuerà questa maledizione, più a lungo vivrai tu.»

   «Questo non è vero!», protestò lui, punto sul vivo. Quanto ancora voleva spingersi oltre?

   «Quindi la sua morte porterà alla fine della maledizione?», chiesi. Non che avessi realmente intenzione di ucciderlo, benché l’istinto mi implorasse di farlo senza stare a rimuginarci troppo su. Bisognava però tener conto delle priorità e studiare bene la situazione.

   «No», fu sincera l’altra. «Ma le cose sono comunque strettamente collegate.»

   «Ammazziamolo, allora!», colse la palla al balzo Passosvelto, non riuscendo più a contenere le proprie emozioni. «Facciamolo a pezzi!»

   «Rimarrete sempre delle bestie!», gridò di rimando Zathrian. «Cosa ci guadagnereste uccidendomi? Sono l’unico in grado di fermare questa maledizione, e non lo farò mai!»

   «Ammazziamolo!», ribadì il mannaro, rizzando il pelo folto e scoprendo i denti aguzzi.

   «Li vedete?», lo additò il mago, rivolgendosi a me. «Attaccheranno anche voi! Fate ciò che dovete fare, Custodi, o via dalla mia strada!»

   «Non mi importa», affermai risoluta. «Non vi aiuterò in questa follia.»

   La voce di Alistair alle mie spalle mi diede ulteriore forza. «Sosteniamo soltanto ciò che riteniamo giusto.»

   «Allora morirete con loro!», urlò Zathrian, imbracciando il proprio bastone ed allontanandosi da noi, pronto alla lotta.

   I miei compagni ed io ci schierammo dunque in difesa di coloro che ci eravamo inizialmente prefissati di sconfiggere, mentre la Signora della Foresta, avvolta da una luce, tornava a prendere le sembianze di Zannelucenti, il lupo dal manto candido come la neve che avevamo già incontrato prima di scendere in quelle rovine. Lanciò un lungo ululato, e lo scontro ebbe inizio.

   Non potemmo tuttavia avvalerci del suo aiuto o di quello dei mannari, poiché Zathrian li immobilizzò in una prigione spirituale, così da avere soltanto noi cinque come avversari. La cosa non ci scoraggiò affatto, e, anzi, ci motivò maggiormente nelle nostre azioni. Alistair fu il primo a muoversi, avventandosi contro di lui per darci il tempo di formulare incantesimi, mentre Leliana incoccava la prima freccia. Non facemmo in tempo a far nulla, però, che l’elfo colpì Morrigan con la sua stessa magia, congelandola sul posto. Con una sonora imprecazione, il nostro templare sferrò un dritto contro il muso del nostro avversario, facendolo indietreggiare ed esclamare per il dolore.

   «Via di lì!», strillai. Alistair obbedì d’istinto, e solo dopo si rese conto di quanto avrebbe rischiato a non darmi subito ascolto: un’enorme fiammata scaturì dalla cima del mio ramo di quercia, e Zathrian ne fu immediatamente avviluppato.

   Si salvò ricorrendo all’energia del gelo, nonostante il dardo con cui Leliana lo trafisse ad una spalla, e spegnendo il fuoco e preparandosi alla successiva contromossa, il mago richiamò una bufera di neve. Un vento freddo e pungente ci penetrò nelle ossa, e i nostri corpi iniziarono ad intorpidirsi senza che potessimo evitarlo. Adesso la vista mi era ostacolata dalla coltre bianca che cadeva copiosamente e furiosamente intorno a noi, ma scorsi comunque Alistair scagliarsi di nuovo addosso al Guardiano. Ne interruppe un altro incantesimo con una possente spallata, atterrandolo ed inchiodandolo al suolo con un piede. Zathrian perse il bastone, ma non si diede per vinto: tese le braccia nella sua direzione, i palmi rivolti verso l’alto. Non aveva fatto i conti con i poteri del suo aggressore, comunque, che ne assorbì immediatamente l’energia magica, rendendolo del tutto inoffensivo e risucchiando anche il potere della bufera che subito cessò, lasciando sbigottite me, Leliana e Wynne, rimasta indietro per difendere Morrigan da eventuali colpi critici che ne avrebbero decretato la fine.

   «Sapete molte cose su noi umani», cominciò a spiegare Alistair, guardando lo sconfitto dall’alto, la Lama Verde puntata alla gola. «Quindi immagino sappiate anche cos’è un templare.» Senza di lui, in effetti, probabilmente non avremmo avuto la stessa fortuna, vista la velocità con cui Zathrian aveva messo fuori gioco Morrigan, Zannelucenti e tutti gli altri.

   L’elfo dapprima non rispose, troppo impegnato a riempirsi i polmoni d’aria nel disperato tentativo di recuperare forza. «Non… non posso batterti…», rantolò poi.

   «Uccidilo! Uccidilo subito!», latrò Passosvelto, tornato libero insieme a Morrigan e agli altri mannari.

   «No, Passosvelto», lo fermò la Signora della Foresta, riprendendo sembianze antropomorfe. «Noi non lo uccideremo. Se non c’è spazio per la compassione nei nostri cuori, come possiamo aspettarcene da lui?»

   «Non posso fare ciò che mi chiedi, spirito», riprese parola Zathrian quando Alistair lo lasciò andare, pur continuando a tenerlo d’occhio. Il mago si girò sul fianco a fatica, sforzandosi di alzarsi almeno sulle ginocchia. «Sono… troppo vecchio per conoscere la compassione. Tutto ciò che vedo davanti a me, sono i visi dei miei bambini, della mia gente… Non posso farlo.»

   «Hai avuto la tua vendetta. Ora basta», lo rimproverai ancora. «È andata avanti troppo a lungo, Zathrian.» Ormai non ero neanche più arrabbiata, solo stanca, delusa da tanta cocciutaggine che non faceva per nulla onore agli elfi.

   Lui riuscì a rimettersi in piedi, barcollando. «Io… forse ho vissuto troppo a lungo», ammise dopo qualche attimo, iniziando lentamente a ritrovare la lucidità. «Tutto questo odio… ha consumato la mia anima.» Spostò gli occhi vacui sulla Signora della Foresta. «Che mi dici di te, spirito?», le domandò per la prima volta senza disprezzo nel tono della voce. «Sei legato alla maledizione esattamente come lo sono io. Non hai paura della fine?»

   «Sei stato tu a crearmi, Zathrian», gli ricordò lei. «Mi hai dato una consistenza ed una coscienza che non esistevano. Non conosco il dolore e l’amore, né la speranza e né la paura, né tutta la gioia della vita. Tutto ciò che desidero è la fine. Per cui, te ne supplico, mio creatore… Poni fine a ciò che sono. Noi tutti ti supplichiamo di mostrare pietà.»

    L’anziano Guardiano calò le ciglia sul viso pallido in segno di resa e tornò ad inginocchiarsi a causa della spossatezza. Leliana raccolse il suo bastone e glielo rimise fra le mani per dargli un sostegno e per mostrargli piena fiducia. Lui rimase stupito dalla misericordia di tutti noi. «Tu… mi fai vergognare di me stesso, spirito… Non sono altro che un vecchio uomo che avrebbe dovuto da tempo finire i suoi giorni…»

   «Lo farai, quindi? Porrai fine alla maledizione?»

   Zathrian si appoggiò alla propria arma per riguadagnare la posizione eretta, l’attenzione tutta rivolta alla sua creatura. «Sì», affermò senza più ripensamenti. «Penso sia arrivato il momento per farlo.»

   La Signora gli sorrise. Passosvelto fece per avvicinarsi, ma lei lo fermò con un gesto. Un affettuoso scambio di sguardi fu il loro ultimo saluto. Infine, le pupille fisse nelle fessure scure che costituivano gli occhi di Zannelucenti, a dimostrazione che non c’era alcun rancore fra loro, Zathrian batté il fondo del bastone al suolo. Una alone magico si sprigionò da quel contatto, la maledizione fu spezzata, e lui ricadde pesantemente a terra, privo di vita. I mannari si strinsero subito attorno alla loro Signora, forse per proteggerla per l’ultima volta. Inutilmente. Un fascio di luce l’avvolse da capo a piedi, inghiottendola e non lasciando nulla di lei. Come un effetto domino, anche le bestie subirono le conseguenze di quel sortilegio, e lentamente ognuna di esse tornò ad assumere le proprie, originali sembianze: quelle di esseri umani, maschi e femmine.

   Increduli, si guardarono tutti gli un con gli altri, completamente spaesati, toccandosi e abbracciandosi a vicenda per accertarsi che non fosse soltanto un sogno, quanto piuttosto il risveglio da un incubo durato troppo, troppo a lungo. Poi, quello che, se non sbagliavo, doveva essere stato Passosvelto, si voltò ancora nella nostra direzione. «È finita. Lei… non c’è più. E noi… siamo umani», disse lentamente, sorprendendosi da solo per la sua nuova voce. «Quasi non ci credo…»

   «Non vi mancheranno tutta la forza e la velocità che vi garantiva il vostro precedente stato?», s’incuriosì Morrigan, affascinata forse più di chiunque altro a quel prodigio.

   «Come potrebbero mancarci le bestie che eravamo?», la smentì lui, mentre la sua bocca si apriva in un sorriso immenso e le sue braccia si allargavano come se egli volesse spiccare il volo. «È… straordinario!»

   «Cosa farete adesso?», volle sapere Wynne per accertarsi che non tornassero ad infastidire i Dalish stazionati ai margini di Brecilian.

   «Lasceremo la foresta, credo», rispose in fretta Passosvelto, senza l’ombra di bugia sul volto. «Cercheremo altri umani, vedremo cosa c’è lì fuori per noi. Sarà un’esperienza interessante.» Lo sarebbe stato per davvero, vista la prigionia a cui erano stati forzati fino a quel momento, costretti dalle loro sembianze ferine a nascondersi fra gli alberi e le rovine secolari di quel posto. «Grazie», pronunciò poi con un inchino, rispettoso esattamente come lo erano stati quelli per la sua Signora. «Noi… non dimenticheremo mai ciò che avete fatto.»













E finalmente ho finito il capitolo ventidue. Quello di Orzammar sarà un parto lungo e doloroso, forse anche peggiore di quando ho giocato.
Sapete una cosa? Mi ero completamente dimenticata del passato di Zathrian, perciò, quando mi sono resa conto che si sposava a meraviglia con quello di Nimue, ho zompettato dalla gioia perché potevo sfiziarmi con l'introspezione del mio elfo. <3
Passo ai saluti e ai ringraziamenti, a cominciare da quello per la mia beta Atlantislux, e a (in ordine alfabetico): Ashar (Se riesco a farti venire ispirazione, sono contenta! ^^ E poi... ti pare che una bacchettona come Nimue usi la Magia del Sangue? Suvvia, suvvia! XD), BgmnhOO, Cass, ENS (Di momenti divertenti spero ce ne saranno altri in futuro. ^^), Erecose (Dimmi, dimmi, Morrigan ti va bene anche qui? E Nonna Wynne? :D), Evertine (Meno male che Alistair è paziente, sì! XD E, come hai letto anche in questo capitolo, avevi ragione: basta sfiorare lui e Nimue si scatena e fa a pezzi tutto. XP), Lames76, Lara, Salice, Slepless e The Mad Hatter (Sempre troppo buono. ^^).
Spero di non aver dimenticato nessuno. In caso lo abbia fatto, vi supplico di perdonarmi. ç_ç
Un bacio e buona domenica!
Shainareth





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Capitolo 20
*** Famiglia ***







CAPITOLO VENTESIMO – FAMIGLIA




«È finita davvero», mi informò Lanaya, venendomi incontro e fermandosi a pochi passi da me. «I nostri cacciatori feriti si stanno riprendendo bene. Compreso Deygan.»

   Seduta ai piedi di un grosso albero non lontano dall’infermeria all’aperto, alzai il capo nella sua direzione. «Ne sono felice», le sorrisi. In realtà, benché quella storia si fosse risolta per il meglio, dentro di me non ero affatto tranquilla. Per tutto il viaggio di ritorno dalle rovine all’accampamento Dalish non avevo fatto altro che ripensare al corpo esanime di Zathrian, abbandonato lì dove la maledizione era stata spezzata. Per quanto avessi biasimato il suo modo di vedere le cose e di reagire al dolore, continuavo a sentirmi vicina a lui, troppo. Mi chiedevo cosa ne sarebbe stato di me se, anziché essere rinchiusa a Kinloch Hold, fossi rimasta a piede libero, senza qualcuno che mi insegnasse a capire che non era una data razza ad essere sbagliata, quanto l’anima della gente.

   «L’ho sentito, sapete? Quando Zathrian è morto», continuò Lanaya, il cui sguardo tradiva la tristezza per quella perdita. «Credo che fosse pronto, però.»

   «Sapevate del suo legame con la maledizione?»

   «Lo sospettavo», ammise, intrecciando le braccia sotto ai seni. «Zathrian non amava parlarne. Ad ogni modo, nessun altro ora è a rischio, e questo è ciò che conta davvero.»

   «Lo penso anch’io.»

   La vidi mordersi un labbro. «Sarà difficile… prendere il suo posto.» Già, lei era la sua unica discepola.  «È stato il Guardiano per molti secoli, mancherà a tutti.»

   «Ora siete voi il Guardiano», cercai di farle forza. «E se credete di non essere all’altezza del compito a cui Zathrian vi ha preparato per così tanto tempo, offenderete la sua memoria. O comunque sminuirete il suo lavoro e la fiducia che egli riponeva in voi.» Era una lezione che stavo imparando anch’io, dopotutto: per un qualche, a me inspiegabile, capriccio, i miei compagni mi volevano a capo della nostra squadra, e già troppe volte avevo deluso le loro aspettative. Bisognava che mi dessi una svegliata e cercassi di prendere seriamente in mano il mio destino. In fin dei conti, non avevo forse dimostrato di esserne capace in più di un’occasione?

   «Avete ragione», si convinse Lanaya, con espressione più serena. «Dov’è il vostro amico? L’altro Custode?»

   Presi a guardarmi attorno, alla ricerca della sua figura: alto com’era, rispetto a quella moltitudine di elfi, non sarebbe stato difficile rintracciarlo nonostante fosse ormai scesa la sera. «Non ne ho idea, forse si starà riempiendo lo stomaco da qualche parte», sospirai poi, non riuscendo in alcun modo a trovarlo. Avrei senz’altro avuto più successo se mi fossi messa in piedi, ma le gambe si rifiutavano di darmi retta, per cui lasciai perdere in partenza. «Volevate qualcosa da lui?»

   «Volevo solo fare un annuncio ufficiale.»

   «Vado a chiamarlo?»

   «Oh, no, lasciate pure che si riposi», mi fermò Lanaya, ed io gliene fui segretamente grata. «Glielo direte voi, allora.»

   «Di che si tratta?»

   Lei mi tese una mano. «Come nuovo Guardiano, vi assicuro il nostro appoggio in questa battaglia contro il Flagello.»

   Accettai il suo aiuto e tornai in posizione eretta, sinceramente troppo lieta per quella notizia per dare ancora corda alla pigrizia. «Grazie», dissi con fare sciocco.

   «Certo, ci vorrà un po’ prima che i nostri uomini saranno pronti, visto che sono ancora in convalescenza», spiegò Lanaya. «È passato molto tempo da quando i Dalish hanno marciato per la guerra… Ma sono certa che nessuno di noi si sottrarrà alla volontà dei nostri antenati. Abbiamo un trattato che ci lega ai Custodi Grigi da secoli, dopotutto.»

   «Sarete di fondamentale importanza per noi.» E ci credevo davvero.

   Riprese a camminare lentamente fra la sua gente, ed io la seguii, continuando a spostare lo sguardo a destra e a manca in cerca di Alistair. Scorsi Wynne e Athras insieme. Lui era il marito di Danyla, l’elfo donna che, vittima della maledizione, prima di perdere del tutto la lucidità e di cedere il passo alla bestia in cui si era già trasformata fisicamente, ci aveva affidato il suo messaggio d’amore e la sua sciarpa per quell’uomo che tanto soffriva per lei: adesso Athras poteva mettersi il cuore in pace. Di Morrigan non trovavo traccia, mentre vidi Leliana ferma a chiacchierare con un uomo di nome Sarel, che, pur non facendo mistero della sua diffidenza per gli umani, accettava di buon grado di parlare con chiunque si mostrasse interessato a racconti d’ogni tipo. Esattamente come la mia compagna. Leliana sapeva tante cose, ormai me ne ero convinta. Immaginavo che i menestrelli itineranti avessero comunque una buona cultura per poter deliziare i propri signori con le storie apprese sulla strada o con le leggende sulle creature antiche. A tal proposito, vista la lunga sosta a cui eravamo stati costretti dopo il combattimento contro il drago, mi ero voluta togliere una curiosità domandandole di Flemeth. Pur con sorpresa, Leliana aveva accettato di buon grado di raccontarmi di lei, descrivendola come una delle donne più belle mai esistite, al punto da far innamorare l’Arle di Altura Perenne, Conobar. Avevo dimenticato che la leggenda fosse nata nella città in cui anch’io avevo visto la luce, e la cosa mi aveva fatta rabbrividire. Non per la paura, quanto per l’impressione. Ad ogni modo, la versione di Leliana sosteneva che Conobar si fosse accorto soltanto dopo che la sua sposa fosse dotata di poteri, e che lo aveva tenuto nascosto a tutti per evitare un qualsiasi problema. Quando però a palazzo era giunto un poeta di nome Osen, le cose erano cambiate, e lui e Flemeth si erano innamorati perdutamente. Erano scappati insieme e si erano rifugiati tra le tribù dei Chasind, nelle Selve Korcari, dove avevano vissuto felici per molti anni. Un giorno, però, alla donna era giunta notizia che suo marito stava morendo e che voleva rivedere un’ultima volta il suo bel viso. Impietositasi, Flemeth aveva convinto Osen a seguirla ad Altura Perenne, e lì erano caduti vittime di un’imboscata: erano stati catturati, e lui ucciso sotto gli occhi dell’amata. Quest’ultima era stata rinchiusa in cima ad una torre, in preda al dolore e alla rabbia. Aveva perciò giurato vendetta e aveva richiamato dall’Oblio un demone. Aveva fallito, tuttavia, perché lo spirito maligno l’aveva posseduta, tramutandola in un Abominio. Dopo aver sterminato e massacrato tutti gli abitanti del castello, Conobar per primo, Flemeth aveva perso ogni traccia di umanità e si era rifugiata nuovamente nelle Selve per tramare e complottare per centinaia di anni. Fu lì che, nel frattempo, con l’aiuto dei Chasind generò le sue numerose figlie che ancora infesterebbero quei luoghi. Non sapevo se Morrigan avesse rivelato a Leliana e a Wynne di essere una di loro, e poiché preferivo evitare di scatenare eventuali ed ulteriori discordie nel nostro gruppo, continuavo a tacere del tutto al riguardo – sperando che Alistair facesse lo stesso. La giovane Strega delle Selve, in fondo, mi aveva confidato di essere riuscita ormai da tempo ad annullare la magia dell’anello che sua madre le aveva regalato, e pertanto potevamo stare sicuri che Flemeth non ci avrebbe seguiti – almeno per il momento. A quanto pareva, comunque, leggenda o meno che fosse, di vero in tutto ciò c’era che molti secoli prima una donna di fatale bellezza era stata contesa tra due uomini, che uno di essi l’aveva tradita uccidendo quello da lei amato, e che Flemeth era diventata un Abominio. Umanamente parlando, mi dispiaceva sul serio per il suo dolore, ma razionalmente le rimproveravo il suo volersi appellare alla magia oscura, fonte soltanto di guai maggiori per sé e per gli altri. Esattamente com’era stato per Zathrian.

   All’epoca ero davvero una sciocca. O forse soltanto un’ingenua.

   Ad ogni modo, non trovando niente di meglio da fare per passare la serata, salutai Lanaya e mi avvicinai al falò intorno al quale Sarel, Leliana e altri Dalish stavano ricapitolando quanto successo a Brecilian.

   «E… c’erano molti lupi?», sentii chiedere da un ragazzo biondo dal naso pronunciato e dalle orecchie più sporgenti della norma. Mi fermai davanti alle risate degli altri e lui chinò il viso con imbarazzo. «Perdonate la mia domanda inutile», farfugliò sottovoce.

   «La foresta era piena di mannari, e lui si preoccupa dei semplici lupi», lo prese in giro un giovane con le spalle larghe ed i capelli neri lunghi sulle spalle.

   Il poveretto si alzò e cercò la fuga per non subire altre umiliazioni. Leliana incrociò il mio sguardo e non mi servì altro per capire quello che dovevo fare: lo seguii, chiamandolo indietro. Tutto ciò che egli fece, fu voltarsi per dirmi: «Per favore, lasciatemi in pace.»

   «Posso sapere cosa vi è successo?»

   Strinse le labbra con fare nervoso, aprendo e chiudendo i pugni lungo i fianchi, indeciso se parlarne o meno. Decise di sì. «Io vorrei… dovrei essere un cacciatore», iniziò incerto, «ma fino ad ora non sono mai riuscito a catturare o uccidere un lupo, un orso o una qualunque altra preda.»

   Scossi le spalle. «E allora? Prima o poi ce la farete. Basta avere pazienza.»

   «No, no», si agitò lui, muovendo le mani davanti a sé per interrompermi. «Il punto è che…»

   Sospirò, mi voltò le spalle e andò ad appoggiarsi al tronco di uno degli alberi vicini, gli occhi fissi su un gruppo di ragazze intente a conversare fra loro attorno ad un altro falò dove stavano arrostendo un cinghiale. Faceva venire fame solo a sentirne l’odore. Pensai che, dopotutto, Alistair non dovesse essere molto lontano da lì.

   «La vedete quella con i capelli rossi?», riprese poi l’elfo con più calma.

   «Quella con la coda di cavallo?», chiesi, poiché con quella penuria di luce mi era difficile distinguere bene i colori a così grande distanza.

   «Lei è Gheyna. Io… la amo.»

   Invidiai la forza e la decisione con cui pronunciò quelle parole, poiché io non ero ancora in grado di farlo. Anzitutto perché avevo perso il mio innamorato. Dove diavolo si era cacciato?

   «Vorrei sposarla, ma lei mi rifiuta perché pensa ch’io sia un bambino», continuò il ragazzo quando lo affiancai per osservare meglio l’oggetto dei suoi desideri.

   «Perdonatemi… Come avete detto che vi chiamate?»

   «Cammen.»

   «Perdonatemi, Cammen», cominciai quindi con dolcezza. «Perché non provate a corteggiarla?» Se c’era riuscito Alistair, poteva farcela anche lui.

   L’elfo aggrottò le sopracciglia chiare. «Di… che state parlando? Non capisco.»

   «Non le avete mai esposto i vostri sentimenti? In modo chiaro, intendo.»

   Scosse mestamente il capo. «Beh, le ho fatto una serenata e siamo stati molte volte a parlare insieme sotto la luna… Ma tutto ciò non conta nulla: resto un apprendista, un bambino per lei.»

   Quella piccola, stupida donna… Non era certo da cose del genere che si misurava il valore di una persona. «Volete che vada a parlarle io?»

   Due pupille spaventate si posarono su di me. «Non… Non penso che servirà a qualcosa», mormorò Cammen.

   «Lasciate fare a me», ribattei risoluta ma gentile, avanzando subito in direzione di quella sciocca che prendeva tanto alla leggera il tormentato stato d’animo di quel povero giovanotto.

   «Cosa?», trasecolò questi, spiazzato, tentando inutilmente di fermarmi e rimanendo tuttavia immobile dietro l’albero. «Aspettate… Custode! Aspettate!»

   Fui sorda al resto delle sue proteste. Normalmente sarei rimasta sulle mie, magari studiando da lontano la situazione senza ficcarci il naso in modo tanto invadente. Qui però si trattava di qualcosa che mi toccava troppo da vicino: un cuore innamorato chiedeva di essere accettato, e invece veniva respinto per un insensato capriccio. Se però Gheyna mi avesse assicurato che quella era una mera scusa per non ferire il suo amico in modo peggiore, lo avrei compreso. Ecco perché mi premeva accertarmene.

   «Sei tu Gheyna?», domandai d’improvviso, imponendole la mia presenza non appena le fui abbastanza vicina.

   Lei, che se ne stava seduta su di una panca, si mise subito in piedi con molta educazione e mi scrutò con aria confusa. «Sì», confermò. «Voi siete uno dei due Custodi Grigi, dico bene?»

   Il mio stomaco brontolò per la fame: quel cinghiale sembrava dannatamente appetitoso. «Cammen mi ha parlato di te», esordii diretta, cercando di non pensare all’odore che mi riempiva le narici. Dovevo essere davvero arrabbiata per evitare giri di parole e per darle del tu senza tante cerimonie. Oppure avevo solo fretta di mettere fine alla questione per mangiare.

   «Sul serio?», saltò su la ragazza, sorpresa. «Che vi ha detto?»

   «Che ti rifiuti di sposarlo.»

   «Oh», biascicò, mentre sul suo volto lo smarrimento veniva sostituito da un’espressione mogia. «Non mi aspetto che voi comprendiate le nostre usanze, ma… non posso unirmi a lui.»

   «Non potete

   «Cammen è un apprendista da più di due anni, e non è ancora riuscito a prendere niente. Tutte le volte che ci prova, fa qualcosa di sbagliato e fallisce.» Era seria? «Forse gli Dei non vogliono la nostra unione. Non posso stare con un apprendista, vi pare?» Era seria.

   Le avrei volentieri riempito quella faccetta ossuta di ceffoni, ma mi sforzai di essere diplomatica come al solito. «Se lo ami, che ti importa di quello che è?» Io amavo il Principe del Ferelden, un umano, e per di più un templare, eppure allo stato attuale delle cose, con la morte pronta a coglierci da un momento all’altro, mi ero decisa ad infischiarmene bellamente e a seguire il mio cuore: per lo meno non avrei avuto alcun rimpianto.

   Presa in contropiede, Gheyna cominciò a balbettare. «E se… se lui non riuscisse mai a diventare un cacciatore? Che ne sarebbe della nostra famiglia?»

   «Se lo ami, credi in lui e aiutalo, anziché tagliargli le gambe in questo modo», ribattei, spazientita. «Si vive una sola volta, Gheyna», ripresi un attimo dopo, cercando di dominare le emozioni. «Se Cammen avesse cercato di compiacerti recandosi nella foresta da solo, magari rimanendo vittima di un grave infortunio o, peggio, dei mannari… Se tu non avessi più avuto la possibilità di dirgli quello che provi per lui, come ti saresti sentita, ora?» Se Alistair fosse rimasto ucciso quando mi aveva salvato la vita, anziché procurarsi soltanto quella brutta ferita al fianco, io sarei morta a furia di piangere per i sensi di colpa e per avergli taciuto la verità.

   Lei rimase in silenzio, torturandosi le mani all’altezza del petto, mentre un rossore le saliva al naso e agli occhi, a testimonianza del suo pentimento. «Voi… avete ragione», disse poi, mostrandosi più sicura. «Come donna, devo sostenerlo. Io… l’ho fatto star male per tutto questo tempo…»

   «Va’ da lui», sospirai stancamente, facendole cenno in direzione di Cammen rimasto ad osservare in disparte fino a quel momento.

   «Ma serannas… Grazie.» Corse via, e quando fu dal suo innamorato, quasi gli gettò le braccia al collo. «Cammen! Sono stata una stupida!», la sentii esclamare.

   Distolsi lo sguardo per lasciare loro un po’ di intimità e lo posai su quel succulento cinghiale che adesso tornava a richiamare prepotentemente la mia attenzione. Non era ancora cotto, ma magari, se lo avessi chiesto, me ne avrebbero messo da parte un pezzetto per dopo…

   Cammen mi chiamò a gran voce, e quando mi voltai verso di lui, lo trovai già davanti a me, felice come un bambino che ha appena ricevuto in dono un nuovo balocco. «Non so davvero come ringraziarvi», mi sorrise.

   «Allora non fatelo», gli risposi affettuosamente, mentre Gheyna lo affiancava e si aggrappava al suo braccio come una novella sposina.

   «Sentite, visto che la vostra amica che usa l’arco è appassionata di leggende», riprese il giovane, «posso permettervi di regalarvi un libro di canzoni Dalish?», mi propose. «Vorrei fare qualcosa per voi, in realtà, ma non saprei cosa…»

   «Non occorre, davvero…»

   «Per favore.»

   Mi arresi dinanzi a tanta gratitudine. «D’accordo, allora. A Leliana piacerà molto il vostro libro.»

   «Vado subito a prenderlo!», esclamò Cammen, trascinando l’amata via con sé e sparendo presto alla mia vista.

   Feci spallucce, senza trattenere una risata divertita davanti a tanto entusiasmo. Per la prima volta in vita mia sentivo di aver fatto qualcosa di utile a qualcuno in campo amoroso. Avrei voluto crogiolarmi nell’illusione di essere ormai diventata un’esperta in materia, ma alla mente mi tornarono presto i miei precedenti fallimenti, da Jowan e Lily ad Alistair e Morrigan – con Bann Teagan e Kaitlyn non mi ero neanche azzardata a provarci per non fare ulteriori danni.

   Avvertii l’avvicinarsi di passi attutiti dall’erba, e ben sapendo che fosse impossibile che Cammen fosse già di ritorno, non mi sorpresi troppo quando Leliana mi raggiunse con espressione ridente. «Avete risolto un altro problema?»

   Corrucciai la fronte, schermendomi con un gesto veloce del braccio. «Come sono le storie Dalish?», le domandai.

   «Molto interessanti», mi assicurò lei.

   «Bene, perché fra non molto avrete un libro di canzoni in lingua madre.»

   Mi fissò con occhi sgranati. «Dove lo avete trovato?»

   «Ve lo regalerà Cammen, quel ragazzo biondo», le rivelai. «A voi piace cantare, vero?»

   Tacque per alcuni istanti, scura in volto. Infine, prese coraggio e disse: «Vi ho mentito.»

   «Non… vi piace?», chiesi con fare confuso.

   Scosse il capo, chiudendo le palpebre per mantenere il sangue freddo e confessare la verità. «Riguardo al perché ho lasciato Orlais», ammise. «Non l’ho fatto perché volevo vedere le terre di cui mi parlava mia madre.» Rimasi in silenzio per non interromperla. «Finora non vi ho detto nulla perché avevo paura che voi poteste pensare male di me.»

   «Di voi, Leliana?», venni immediatamente meno ai miei propositi di lasciar parlare solo lei, troppo lo stupore. «Come potrei? Dopo tutto quello che avete fatto finora, rischiando la vita insieme a noi?»

   Tornò a guardarmi con l’ombra di un sorriso ad incresparle la piccola bocca carnosa. «Sono venuta qui nel Ferelden, rifugiandomi nella Chiesa, perché sono stata… cacciata da Orlais.»

   «Cacciata?», ripetei, sempre più smarrita. «Perché?»

   Abbassò di nuovo le ciglia, tormentata da ciò che mi stava raccontando. «Sono stata incastrata, tradita da qualcuno che pensavo di conoscere, qualcuno in cui credevo.» Prese fiato. «Marjolaine», mormorò con voce roca. «Lei era il mio mentore… Mia amica.» Si morse un labbro. Le faceva male parlarne, ma non osavo fermare il suo fiume di parole. «Anche su questo vi ho mentito. Fu lei ad insegnarmi l’arte dei bardi… Come incantare la gente con le parole e le canzoni. Tutto ciò che imparai da lei lo usai per aiutarla, perché era la mia maestra, e io l’amavo, ed ero felice di farlo.»

   «Come vi incastrò?», mi arrischiai a domandarle. Dopo aver avuto a che fare con Jowan, niente più mi sorprendeva.

   Leliana sollevò ancora una volta lo sguardo su di me. «Fu colpa mia, suppongo. Fui mandata ad assassinare un uomo e avrei dovuto portare a Marjolaine tutto ciò che egli aveva addosso. Non avevo idea di chi fosse, Marjolaine mi aveva solo dato un nome e una descrizione. Trovai dei documenti sul corpo di lui… documenti sigillati.»

   «Documenti importanti, immagino…»

   «Risultarono essere tali, sì», sospirò. «La mia curiosità ebbe la meglio. Qualcosa, dentro di me, mi diceva che io dovevo conoscere il contenuto di quelle lettere. Marjolaine… aveva venduto informazioni di ogni tipo su Orlais alle altre nazioni… Nevarra e Antiva fra le altre.»

   «Perdonatemi… ma non è ciò che fanno i bardi?» Non era mia intenzione offenderla, volevo solo inquadrare meglio la storia.

   Lei mi capì e non si scompose. «Alcuni. Ma ho sempre creduto che Marjolaine lavorasse nei confini di Orlais. Fu una brutta sorpresa scoprire che non era così.» Mi parlava come se fosse stata una bambina tradita dall’amica del cuore, e, a quanto pareva, le cose stavano realmente così. Forse erano anche cresciute insieme. Forse Marjolaine era come Loghain, che aveva visto nascere il figlio del suo amico fraterno e lo aveva poi lasciato morire senza tentare nulla per salvarlo. «La mia vita di bardo mi ha insegnato che la mia lealtà non dovrebbe essere stabile», continuò Leliana, lasciandomi per qualche attimo spiazzata da quell’ammissione. «La mia preoccupazione non era che Marjolaine fosse una traditrice, quanto che sarebbe stata in pericolo di vita se fosse stata catturata.» Oh, beh… Che avevo da rimproverarle? Anch’io avevo pensato la stessa cosa aiutando Jowan e Lily… Leliana aveva tutta la mia comprensione. «Orlais era stata in guerra con così tante nazioni…»

   «Cosa faceste, quindi?»

   «Avrei potuto lasciare tutto com’era, far finta di niente, ma non volli farlo.» Adesso la sua voce era tornata più forte. «Dovevo dirlo a Marjolaine, dovevo dirle che temevo per la sua vita. Lei mi tranquillizzò: ammise la sua colpa, ma disse che faceva parte del passato. Era per questo motivo che quei documenti dovevano essere distrutti.»

   «E voi le avete creduto…» Annuì, ed io non potei che provare pena e tenerezza per lei.

   «Almeno fino a che altri non mi mostrarono quegli stessi documenti, falsificati per mano sua, in cui veniva assicurata la mia colpevolezza, il mio tradimento.»

   «Altri chi?»

   «Le guardie orlesiane», biascicò Leliana con dolore. «Mi catturarono… e mi fecero delle cose orribili per farmi confessare tutto.» Un brivido di fuoco mi percorse tutta, e la rabbia mi divorò. Che quella donna avesse davvero lasciato che fosse torturata al posto suo andava oltre l’umana tolleranza. «Sopportai la punizione riservata ai traditori, al termine della quale tutto ciò che mi aspettava era una tomba senza nome.»

   E per fortuna questo non era accaduto. «Come siete riuscita a scappare?»

   «Le abilità che Marjolaine mi aveva insegnato tornarono utili a qualcosa, alla fine», rispose con fare ovvio. «Riguadagnai la libertà non appena me ne capitò l’occasione. Tuttavia non cercai Marjolaine, perché se avesse pensato che ero tornata per vendicarmi, mi avrebbe fatta arrestare di nuovo.»

   «Dunque… è per questo che siete venuta nel Ferelden, a Lothering.»

   Leliana storse la bocca. «Fui tentata di affrontarla ancora. Ero furiosa, ma cosa potevo fare contro Marjolaine? Così fuggii, rifugiandomi nella Chiesa. Il Ferelden mi ha protetta ed il Creatore ha salvato la mia anima.»

   Era questa la ragione della sua grande fede: era la sua unica consolazione. Mi chiesi quanto diamine dovesse sentirsi sola e la consapevolezza di riuscire a capire la sua sofferenza, così come capivo quella di Alistair, amplificava la stretta che avevo al cuore.

   «Ecco perché sono qui», concluse Leliana. «Il resto lo conoscete, compreso il motivo per cui vi ho seguiti. Dopo quello che vi ho sentito dire giù nelle rovine elfiche, ho ritenuto giusto che anch’io fossi sincera. Non voglio che ci siano altre bugie fra noi.»

   Rimasi senza parole. Non si era esposta solo per liberarsi la coscienza. Chinai il capo, commossa, reprimendo l’istinto di abbracciarla in mezzo a tanti Dalish ottusi. «Grazie per esservi confidata con me», farfugliai.

   Lei mi sorrise. «Grazie a voi per l’ascolto e la comprensione.»

   «Siete stata voi la prima a venirmi incontro quando vi parlai di Jowan», fui costretta a ricordarle.

   «Beh… Due storie simili, eh?»

   «Già.»

   «Quel cinghiale sembra davvero appetitoso», cambiò di colpo argomento la mia compagna, cercando di tornare alla normalità.

   «Oh, non ricordatemelo… Sto morendo di fame. Rimanevo qui perché speravo che anche Alistair venisse attirato dall’odore.»

   «Dato quanto mangia, non ne dubito», concordò Leliana.

   «A proposito, lo avete visto?», le domandai, ricominciando ad osservarmi attorno. «Non trovo più né lui né Morrigan. Non vorrei che lei abbia approfittato della mia distrazione per ucciderlo e sotterrarlo da qualche parte.»

   «O magari si sono semplicemente appartati», mi canzonò.

   «Quanto riuscite a correre veloce, Leliana?»

   Scoppiò a ridere. «Morrigan si è inoltrata di nuovo nella foresta», mi disse, smettendo subito di torturarmi.

   «A far cosa?»

   «Non ne ho idea. Io e lei non parliamo poi molto», mi rammentò con un’alzata di spalle.

   «Starà facendo sparire il corpo?»

   «No, non credo», mi contraddisse. Mi indicò un punto in lontananza. «Lo vedete quel piccolo fuoco laggiù? Quello ai margini della foresta? Alistair è lì. L’ultima volta che ci ho parlato era ancora vivo.»

   «Bene, perché volevo comunicargli che Lanaya ci ha dato l’appoggio del clan contro il Flagello», le spiegai. «Ma se Cammen non torna… Potreste aspettarlo voi per conto mio?», le chiesi. Stare troppo vicino alla cena senza poterne rubare un morso era un’agonia. «In fin dei conti, il libro che mi ha promesso è per voi.»

   Leliana fece segno di sì con la testa. «Certo», mormorò ancora stupita da quella novità. «Andate pure a recuperare il vostro bel Principe», aggiunse un attimo dopo, dandomi una leggera e scherzosa spinta in avanti.

   Pur arrossendo, stetti al gioco e la salutai per avviarmi. Ero davvero contenta che lei si fosse confidata con me, mi faceva sentire meglio. Avevo trovato una nuova amica, di quelle vere, e se da un lato la cosa mi spaventava un po’, visti tutti i tradimenti subiti in passato, dall’altro mi dicevo di stare tranquilla: anche Leliana era stata male per la stessa ragione, e pertanto ero sicura che non mi avrebbe mai voltato le spalle. Chissà che, a furia di starle accanto, non avrei ritrovato anch’io la fede…

   Scorsi Alistair lì dove mi era stato detto, seduto sull’erba sotto una grande quercia, con un boccale nel pugno, in disparte rispetto agli altri che si erano radunati attorno al falò. Per un attimo fui assalita dalla paura che quegli sciocchi lo avessero emarginato di proposito perché umano.

   «Mi domandavo dove foste finito», esordii, avvicinandomi. Lui si voltò a guardarmi con espressione indecifrabile. «Vi disturbo?»

   «Voi non disturbate mai», mi rispose, tornando a fissare davanti a sé con aria assente.

   «Di là c’è un cinghiale che mette appetito solo a guardarlo», gli feci sapere.

   «Sì, ne sento vagamente il profumo.» Eppure rimaneva fermo lì.

   Mi accomodai al suo fianco. «Immagino ci siano molte cose di cui parlare», mi feci avanti allora. Se le mie dichiarazioni nelle rovine avevano colpito Leliana, di certo neanche Alistair poteva essere rimasto indifferente. Era sempre stato onesto con me, mentre io invece non gli avevo mai raccontato nulla del mio passato, e lui veniva a scoprire ogni cosa nel peggior modo possibile. Lo vidi annuire svogliatamente, intanto che posava al suolo il boccale vuoto e catturava una delle mie mani fra le sue. «Scoppierà uno scandalo, se continuate», lo misi in guardia, benché nessuno al momento facesse caso a noi.

   «È gente ottusa. Me ne infischio di quel che pensa.»

   «Li disprezzate?», domandai stupita, corrucciando la fronte.

   Scosse il capo. «Non loro. Disprezzo il loro rancore, così come l’arroganza degli umani.»

   «È triste, ma siamo solo creature mortali.»

   «Alcune più deboli, altre più forti», confermò.

   «È raro sentirvi fare discorsi filosofici.»

   Girò il collo nella mia direzione con aria divertita. «Vero? Sarà perché ho bevuto troppo.»

   Avrei voluto sorridere anch’io a quell’affermazione. «A causa mia?» Non rispose. «Vi chiedo scusa.»

   «Per cosa?», volle sapere, lo sguardo di nuovo altrove.

   «Siete arrabbiato.»

   «Non è vero.»

   «Deluso, allora.»

   Ci rimuginò un po’ su. «Nemmeno», stabilì poi. «È solo che… mi sento impotente. È una sensazione che mi annienta.»

   Credetti di aver capito male. «Perché?»

   «Non posso fare niente per aiutarvi.» Quelle parole ebbero il potere di farmi ammutolire. «Voi… avete sofferto così tanto… Non ne avevo idea.»

   «Colpa mia che non ve l’ho detto», mormorai, reprimendo le solite lacrime che questo e quello mi provocavano alla fine di ogni ciclica macrobattaglia. E Alistair era sempre, per un verso o per l’altro, l’ingranaggio che innestava quel marchingegno che mi faceva scoppiare il cuore, aiutandomi a svuotarlo di tutti i brutti sentimenti e i cattivi pensieri.

   «Certe cose non sono facili da raccontare agli altri. E se anche così non fosse, non tutti sono chiacchieroni come me», mi fece presente.

   Ancora una volta non mi rimproverava di nulla. Chinai le ciglia, non sapendo che altro aggiungere, le dita saldamente intrecciate alle sue. Adesso che potevo tornare a rilassare la mente, mi rendevo sempre più conto di quanto fosse diventato importante per me. Di quanto io dovessi esserlo per lui, se arrivava a ridursi in quello stato a causa mia.

   «Non vi farò mai del male», mi sorprese ancora. «Mai», ripeté, portandosi la mia mano alle labbra.

   Un senso di sconfinata tenerezza mi riempì l’animo. «Lo so», gli sorrisi, invitandolo a guardarmi di nuovo. «Siete in assoluto la persona di cui mi fidi di più, al punto che sarei disposta ad abbandonarmi totalmente a voi», ammisi. Lessi meraviglia sul suo volto, confusione; e infine un vago rossore gli imporporò le guance, mettendomi in allarme. «Se state pensando a qualcosa di sconcio, vi strappo un orecchio», lo avvisai allora, rendendomi di colpo conto che, effettivamente, la mia ultima dichiarazione poteva essere assai fraintendibile.

   «Giuro che non ve l’avrei fatto pesare, stavolta», si difese Alistair.

   «Datemi l’orecchio», ordinai con fare perentorio.

   «Che ve ne fate? Le vostre sono molto più sfiziose delle mie.»

   «Poche storie, porgetemi l’orecchio», insistetti, non riuscendo a trattenere il divertimento.

   Lui si sporse invece per baciarmi il viso. «Non basterebbe. Devo chiedervi perdono per troppe cose, non solo per questo.»

   Cascai seriamente dalle nuvole. «Di che parlate?»

   Fece una smorfia. «Sapete… Tutte quelle stupide battutacce a doppio senso», confessò. «Vorrei però assicurarvi che non era mia intenzione molestarvi. Non sono come quel tale di Antiva. Davvero.»

   «Figurarsi», risi più di prima. «Scherzavate, lo so bene», lo tranquillizzai, comprendendo ora la sua inquietudine.

   «Per tastare il terreno, lo ammetto», riconobbe per dimostrarmi ancora la sua sincerità. Non me la presi per nulla e, anzi, lo apprezzai: come Leliana, anche lui stava cercando di condividere se stesso con me. Come se non l’avesse mai fatto…

   «È come quando io vi do dello scemo. Non lo faccio certo con l’intenzione di offendervi. Lo avete capito, vero?»

   «I vostri insulti sono molto più adorabili di quelli di Morrigan», mi confermò. «Di solito li interpreto come delle dichiarazioni d’amore.»

   Avvertii il sangue salire al volto. «Siete un cretino.»

   «Appunto.»

   «Vi odio.»

   «Oh, questa è pesante», continuò a prendermi in giro Alistair con aria soddisfatta. «L’ultima volta che lo avete detto, per poco non mi siete saltata addosso.»

   «Ero preoccupata da morire!», protestai in imbarazzo, alzando la voce di un’ottava al ricordo di lui costretto a letto con il fianco appena rattoppato da Wynne.

   «Eravate bellissima», mi calmò, serio, gli occhi nei miei.

   Boccheggiai a vuoto per qualche attimo. «Stiamo… dando spettacolo», tornai quindi a dire, sentendo ora nitidamente i primi commenti dei Dalish che, attirati dalla mia esclamazione, si erano infine accorti di noi.

   «Non me ne importa», ribadì il concetto il mio compagno.

   Tentennai per alcuni istanti, ma poi mi alzai in piedi e lo trascinai via con me, in un luogo più appartato, nell’oscurità degli alberi ai confini della foresta. Talmente rintronata dai miei sentimenti per lui da dimenticare del tutto la cena. E che gli elfi vedono al buio.

 

Benché Lanaya avesse insistito affinché restassimo con il suo clan ancora un giorno, così da poter recuperare appieno le energie, convinsi il mio gruppo a ritornare al nostro accampamento di buon mattino per due ragioni: anzitutto, non volevo far preoccupare oltre gli amici che avevamo lasciato tempo addietro e che non sapevano ancora se avevamo o meno portato a termine la missione con successo; in secondo luogo, non ero più tanto sicura che fossimo i benvenuti. Non dopo che, la sera prima, alcuni Dalish si erano accorti di me e Alistair nascosti – convinti di esserlo – ai loro occhi tra la rigogliosa vegetazione di quel posto incantevole. Non che avessimo fatto chissà cosa, ma avevo ben ragione di credere che anche un solo abbraccio, o peggio un bacio, fra un elfo e un umano potesse bastare ad offendere l’orgoglio di quella popolazione. Per cui, pur consapevole di non aver fatto nulla di male, mi era difficile, adesso, sentirmi a mio agio in mezzo a quella gente che ci fissava indignata da tanta sconsideratezza. Oh, beh, non che prima fossi davvero felice di trovarmi lì, visto il mio stato psicologico ed emotivo che faceva allegramente a pugni con l’inveterato odio dei Dalish nei confronti degli shemlen.

   L’unica mia consolazione, in tutto ciò, fu che al momento del commiato una voce mi raggiunse, sommessa ma felice. «Se lo ami, che ti importa di quello che è?» Mi voltai di scatto, e il sorriso di Gheyna mi contagiò, nonostante l’imbarazzo: aveva davvero imparato la lezione. Salutai lei e Cammen con un gesto della mano, come fanno i bambini, e mi avviai insieme ai miei compagni con animo più sereno, decisa a lasciare lì a testa alta quello che ero stata all’enclave e durante i primi anni passati a Kinloch Hold.

   Adesso a noi si era unito Caron, che era il rappresentante dei Dalish presso noi Custodi Grigi – esattamente come Pether lo era dei maghi del Circolo. Nell’insieme, Caron era un bel giovane, dalle orecchie grandi e dai capelli biondi raccolti in una lunga treccia che gli scendeva sulla schiena. Sulla sua fronte, come nella tradizione della sua gente, un tatuaggio dal motivo elegante lo distingueva da un comune abitante fereldiano della nostra razza. Non era un chiacchierone, ma per lo meno non aveva l’aria severa di Pether, del quale invece, dietro agli occhi scuri e alla folta barba nera che gli incorniciava la bocca, si poteva intuire, sopra tutto il resto, un certo interessamento nei confronti di Morrigan – che ovviamente non gradiva affatto le sue pur tacite attenzioni.

   Merlino ci venne incontro diversi minuti prima che mettessimo piede al campo. Non fui mai così contenta di vederlo come in quell’occasione, tanto che quando mi fu addosso, buttandomi letteralmente a terra a furia di farmi le feste, mi avvinghiai al suo collo, ridendo e cominciando a chiedergli come stesse. Ovviamente lui non mi rispose, ma dalla forza con cui mi teneva bloccata al suolo e dal modo in cui agitava la piccola coda appuntita non era difficile dedurre che fosse in ottima forma.

   Ritrovare i nostri effetti personali, ai quali i nostri amici nani e Pether avevano fatto buona guardia, fu come tornare a casa. Già, perché ormai la strada era il luogo in cui mi stavo abituando a vivere, vagabondando fra un pericolo e l’altro, eppure sempre più forte e fiduciosa: attorno a me si stava formando una nuova famiglia, e i nostri rapporti si facevano più saldi via via che passava il tempo. Avevo già da anni un ottimo legame con Nonna Wynne, come soleva chiamarla Alistair quando era abbastanza di buon umore da decidere di dar fastidio a qualcuno, e adesso che le cose erano state chiarite sia con lui che con Leliana mi sentivo bene. Rimaneva ovviamente l’incognita Morrigan, che a tratti si mostrava legatissima a me e a tratti distante quanto le Anderfels. Mi stavo convincendo che per me sarebbe rimasta un enigma forse fino alla fine. Visto il nostro carattere opposto, comunque, mi ero ormai rassegnata a prenderla così com’era, anche a costo di battibeccarci di continuo. Ma andava bene: se le cose fossero cambiate e una di noi due avesse ceduto all’altra, non sarebbe stata la stessa cosa.













Che capitolo fluffoso! *_* Perdonatemi, ma serviva per rimettere insieme gli ultimi pezzi del puzzle che riguardano la parte dei Dalish. Dal prossimo capitolo si comincia l'infinita danza dei nani, invece. Che allegria! XD
Ammetto però che adesso ho preso il via anche con Orzammar e sono quasi giunta a schierare i nostri eroi con uno dei due aspiranti sovrani del regno. E ho introdotto Oghren: lo adoro. ♥
Vi saluto, augurando la buona giornata a tutti e ringraziando quanti leggono. Un bacio in particolare alla mia paziente beta Atlantislux, a Lara e ad Erecose per il loro continuo, instancabile sostegno. Nonché a The Mad Hatter (Come vedi Nimue ha davvero cominciato a farsi un bell'esame di coscienza e ad acquisire maggiore sicurezza in se stessa, finalmente. ^^) ed Evertine (A congelare tutti ci pensava già Morrigan, quindi io contrattaccavo con il fuoco... Lo facevo per loro, eh! Per scongelarli! XD) e a quanti hanno aggiunto questa storia fra le fanfiction preferite o seguite. ♥
A presto!
Shainareth





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Capitolo 21
*** Verso Orzammar ***







ATTENZIONE! Questo capitolo contiene alcune notizie relative al primo romanzo della saga, Il Trono Usurpato, e anche nei prossimi troverete dei cenni ai prequel di Origins. Mi scuso con i lettori che non hanno avuto ancora la fortuna di ritrovarsi i libri fra le mani, ma giunti a Orzammar non ho potuto fare a meno di attingere da quelle pagine.
Buona lettura.







CAPITOLO VENTUNESIMO – VERSO ORZAMMAR




«Nell’ordine sono: Isil, Calinë e Anarórë», elencai contando sulla punta di indice, medio e anulare. Alistair sorrise, ma non mi interruppe, sopportando con pazienza le mie chiacchiere. «In realtà non li ho mai conosciuti, ma mia madre giura che sono i bambini più belli che abbia mai visto», ammisi con una punta di nostalgia nel tono della voce.

   «Quando andremo insieme ad Altura Perenne, vi accompagnerò da loro.» Mi zittii di colpo, alzando su di lui due occhi spauriti: diceva sul serio? «Insomma, è il minimo ch’io possa fare. Specie dopo che vi ho strappato quella promessa riguardo a Goldanna.»

   «E Duncan», gli ricordai. Scossi la testa. «Ma lo farò volentieri, lo sapete.»

   Lui intrappolò le mie dita ancora tese in una mano. «Sì, ma ora basta: non siete tenuta a raccontarmi ogni minimo dettaglio della vostra vita.»

   Lo fissai scandalizzata. «Certo che sì, invece. È questione di fiducia reciproca. Voi non mi avete forse detto tutto sul vostro conto?»

   «No», disse con cipiglio serio. «Per esempio, ho tralasciato il numero di donne che ho avuto.» Gli rubai la spada, abbandonata incautamente accanto a noi, e lui si arrese ancor prima che potessi progettare di infilzarlo come uno spiedo. «Sul serio, mi fa piacere sapere anche i nomi dei vostri nipotini e condividere questa vostra gioia, ma non sforzatevi.»

   «Non mi sforzo affatto», gli assicurai, gettando la Lama Verde a terra, ma tenendola comunque più vicina a me che a lui. Mi strinsi maggiormente il mantello attorno alle spalle, visto che il calore del fuoco davanti al quale avevamo appena finito di consumare la cena quella sera non bastava a vincere il vento freddo che si era alzato ormai da un paio di giorni. L’inverno era alle porte, dopotutto, e di lì a poco tutto il Ferelden si sarebbe ricoperto di neve come ogni anno. «È che sono di buon umore.»

   «Lo siete da quando abbiamo lasciato Brecilian», mi fece notare Wynne, seduta poco più in là con un boccale di birra fra le mani.

   «Da quando abbiamo lasciato i Dalish», la corresse Leliana, intenta a pizzicare una corda dello strumento musicale che Bodahn Feddic le aveva procurato ad un prezzo stracciato mentre eravamo via. Ci aveva deliziato la serata con una canzone del suo vecchio repertorio, forse una di quelle che aveva appreso da Marjolaine, e si era ripromessa di imparare al più presto anche le ballate riportate fedelmente sul libro donatole da Cammen.

   Ignorai i loro commenti e tornai a concentrarmi su Alistair. «Il marito di Niniane, invece…»

   «Si chiama Túrion, me lo avete già detto», mi mise a tacere lui.

   Stirai le labbra, imbarazzata. «Perdonatemi, devo essere davvero insopportabile.»

   «Adorabile», mi corresse ridendo.

   «Scusate se mi permetto di cambiare argomento, ma avete già pensato a che strada percorrere per giungere alle Montagne Gelide?», si intromise di nuovo Wynne, carezzando Merlino dietro a un orecchio e riportandoci a problemi più urgenti.

   Alistair annuì, mentre io mi allungavo verso la mia sacca da viaggio per tirarne fuori una vecchia mappa del regno. «Già che ci siamo immessi nuovamente sulla Strada dell’Ovest, proporrei di proseguire verso Redcliffe. Tagliare per Kinloch Hold, benché più vicino in linea d’aria ad Orzammar, sarebbe impossibile: in questa stagione il Lago Calenhad sarà ormai sul punto di ghiacciarsi, e difficilmente troveremo una barca disposta a traghettarci dall’altra parte. E se anche ci fosse, chissà quanto ci verrebbe a costare. Stiamo viaggiando in economia, purtroppo.»

   La mia anziana maestra corrucciò la fronte, centellinando un po’ di birra con aria pensierosa. «Mi pare una buona idea», concordò Leliana, alzando lo sguardo sulla carta geografica che avevo steso davanti a noi, alla luce del fuoco, così che fosse sotto gli occhi di tutti e quattro. «In questo modo potremo anche accertarci che Arle Eamon si sia ripreso.»

   «Immagino che questa sia la prima cosa che guidi Alistair in quella direzione», azzardò Wynne con tono affettuoso.

   «Lo confesso, sì», chinò il capo lui. «Ma c’è dell’altro.»

   «E sarebbe?»

   «Lothering.»

   «È proprio quello che mi lascia perplessa», ammise l’Incantatrice. «Ormai è tutto invaso dalla corruzione della Prole Oscura. Per che motivo dovremmo passare ancora da lì?»

   «Per capire fino a dove sono arrivati e renderci conto di quanto tempo abbiamo ancora a disposizione», le spiegò Alistair. «Spiare il nemico porta i suoi vantaggi, sapete?» Indubbiamente era lui l’esperto militare nel nostro gruppo, e tutto ciò che potevamo fare era di affidarci alle sue parole. «Oltretutto per Lothering dovremo passarci per forza. Il sud è nelle mani della Prole Oscura, ne avete avuto conferma a vostre spese proprio oggi», proseguì, rivolto alla sola Wynne, che subito dopo lo scontro avuto con un drappello di quegli esseri, tra i quali un Emissario – e cioè un Prole Oscura dotato di poteri magici –, aveva perso i sensi, così di colpo che nessuno di noi era riuscito ad attutire la sua caduta. «Inoltre è impensabile attraversare i Bannorn a nord: di sicuro non saranno pochi quelli che sostengono Loghain al momento, foss’anche per paura di ribellarsi. Se si accorgessero della nostra presenza, finiremmo per ritrovarci accerchiati, catturati e sbattuti a Fort Drakon nel giro di pochissimo», concluse Alistair.

   «Nella migliore delle ipotesi», suggerii io, spostando la mia attenzione dal punto in cui sorgeva Lothering sulla mappa a quello in cui c’era invece Denerim.

   «Voi donne andate davvero a braccetto con l’ottimismo.»

   «Il primo pessimista del gruppo siete voi», lo accusai distrattamente.

   «Quindi state suggerendo di proseguire esattamente nel mezzo dei due fuochi, fra la Prole Oscura e gli uomini fedeli a Loghain?», volle sapere ancora Wynne.

   Alistair scosse le spalle. «Ritengo sia il rischio minore. La prima servirà a scacciare i secondi, e noi Custodi sappiamo guardarci dalla corruzione ed evitare di imbatterci in quei mostri. Tuttavia, se avete idee migliori, esponetele pure.»

   «Avete davvero pensato a tutto», si complimentò Leliana, regalandogli un sorriso. Alla fine, dopo avermi chiesto se, a mio avviso, fosse il caso di confidarsi anche con gli altri riguardo al suo passato, e nonostante io le avessi risposto di fare quello che più si sentiva e di prendersi comunque del tempo per riflettere, il nostro abile bardo aveva deciso di vuotare subito il sacco anche con Wynne e Alistair. Entrambi l’avevano ascoltata e, seppur dopo un primo, comprensibile attimo di smarrimento da parte loro, l’avevano rassicurata che nulla sarebbe cambiato: il suo passato aveva contribuito a formare la Leliana che era adesso, la stessa che si era ben dimostrata capace di rischiare la vita per salvare la nostra. Bastava questo per darle fiducia, no? E così adesso noi quattro non avevamo davvero più segreti gli uni per gli altri. O quasi.

   «Non credo ci sia molto da discutere, in effetti», osservò allora la mia maestra. Sospirò, mentre faceva per alzarsi.

   «Dove credete di andare?», la fermai, sistemando meglio un sasso su uno dei bordi della mappa affinché non si arrotolasse di colpo non appena l’avessi lasciata. Lei si volse a fissarmi con aria perplessa. «Avevate detto che quando ci saremmo accampati ci avreste messi al corrente di qualcosa», le rammentai. Prima che lei svenisse al termine dell’ultimo scontro, l’Emissario ci aveva davvero messi in ginocchio – persino Alistair, i cui poteri da templare avrebbero invece dovuto garantirgli una certa immunità contro quelli di un mago – e a quel punto Wynne era stata animata da un’energia spaventosa, calda e accogliente, che aveva poi avvolto anche noi, rinfrancando il nostro spirito e curando le nostre ferite.

   «Potete giurarci che ce ne metterà al corrente», mi garantì il Principe, versandosi anche lui un po’ di birra nel boccale. «Mi sono preoccupato da morire. Quando è caduta, ho temuto che potesse essersi fratturata il femore. Sapete cosa succede ai vecchi che si rompono il femore?»

   Wynne inarcò le sopracciglia. «Mi commuove sinceramente la delicatezza che avete sempre nei riguardi della mia età, Alistair», gli rimproverò blandamente. Sospirò di nuovo e si rimise a sedere composta. «Ad ogni modo, se proprio devo, vi racconterò quello che è successo alla Torre.»

   «Quale torre?»

   «Quella del Circolo dei Magi, ovviamente», precisò, mentre Leliana metteva finalmente via lo strumento per ascoltare con attenzione. «Prima che voi arrivaste per combattere la follia di Uldred e i demoni che si erano impadroniti di Kinloch Hold, mi accadde qualcosa.» D’improvviso mi tornarono alla mente le parole di Petra, una delle sue allieve, che mi aveva presa da parte prima della nostra partenza. Un brivido mi percorse da capo a piedi. «Vi ricordate della mia apprendista, Petra?», mi chiese infatti Wynne. «Si imbatté in un demone, e se non fossi intervenuta, sarebbe morta. Salvai la sua vita, quel giorno. Tuttavia, io non riuscii a sopravvivere.»

   «Prego?», temette di aver capito male Leliana, corrucciando la fronte, mentre io sgranavo gli occhi e il sangue mi si ghiacciava nelle vene. Petra mi aveva detto proprio questo: quel giorno Wynne era morta.

   Alistair si lasciò andare ad una risatina. «Divertente», mormorò. «Quindi voi cosa sareste? Un fantasma? Una visione? Oh, no, no, aspettate! In realtà siamo ancora ad Ostagar e io mi sono ubriacato e ora sto sognando tutto.» Si rivolse a me, mostrandomi il boccale di birra. «Che vi dicevo? Stanotte si balla, mia cara.»

   «Nudi al chiaro di luna, sì», biascicai, cercando di prenderla alla leggera come faceva lui, anche se in realtà il cuore mi si era ormai già chiuso in una morsa di ferro.

   «Ehi, non dimenticate la parte migliore, quella in cui dovrete accoppiarvi con tutto l’esercito.»

   Zittii Alistair esattamente come avevo fatto mesi prima davanti a quello stesso scherzo, con uno schiaffo ben assestato sul gomito. «Questo è per la vostra sfacciataggine», iniziai, nervosa. «E ora fate silenzio: Wynne sta facendo un discorso serio.»

   «Serio?», ripeté lui, sbalordito dalla mia reazione. «Andiamo, non può essere morta!», tentò di farmi notare con un gesto così rapido del braccio che il contenuto del suo bicchiere si versò in buona parte accanto a Merlino.

   «Comprendo benissimo il vostro scetticismo, Alistair», intervenne a quel punto la diretta interessata con tono garbato. «Ma lasciate che vi spieghi l’intera storia», continuò, allungandosi nella sua direzione per versargli dell’altra birra. «Quello che Petra e io incontrammo era un demone molto, molto potente. Mi risucchiò ogni energia. La vita mi stava abbandonando… Ricordo nitidamente come tutto, suoni e luci, si stavano allontanando da me… L’oscurità più completa era ormai in procinto di imprigionarmi nel suo gelido abbraccio. Fu a quel punto che avvertii una presenza, che mi avvolse e mi cullò, sussurrandomi parole di conforto. Una sensazione impossibile da descrivere. Fui trascinata indietro, con forza e gentilezza al contempo. Sentii di nuovo il calore fluire nelle mie vene, i primi, piccoli suoni, e il freddo, scomodo pavimento di pietra della Torre premuto contro il mio fianco.»

   «È… una… storia incredibile», annaspò Leliana, battendo le palpebre e scuotendo il capo.

   Wynne sorrise. «L’Oblio è la dimora di spiriti sia benevoli che maligni, lo sapete», ci tenne a farci presente nel qual caso quel racconto ce lo avesse fatto dimenticare. Difficilmente quelli benevoli si mostrano, perché, a differenza degli altri, non desiderano nulla dai mortali. Tuttavia, fu uno di loro a salvarmi. Senza di lui, sarei morta. Non mi ha lasciata, è ancora qui, unito a me da un solido legame. Forse lo spirito non se lo aspettava, eppure si sta pian piano indebolendo. Sto vivendo grazie a lui, è vero, ma non so quanto ancora mi resta.»

   «Allora noi faremo del nostro meglio nel tempo che vi è rimasto», affermai con voce tremula, benché nelle mie intenzioni avrebbe dovuto essere ferma. Wynne, la mia Wynne, la mia maestra, la mia seconda madre, la mia guida, mi aveva abbandonata. Avevo creduto di averla persa ad Ostagar, e già allora ero stata travolta da un dolore che mi aveva lacerato il petto e che avevo sfogato in parte contro la spalla di Alistair, piangendo con lui la sua scomparsa e quella di Duncan, di Cailan e degli altri Custodi Grigi. Ciò nondimeno, averla ritrovata a Kinloch Hold, apparentemente viva ed in salute, mi aveva fatta rinascere: Wynne era stata senza ombra di dubbio una delle figure fondamentali della mia intera esistenza, fino a quel momento. E adesso venivo a scoprire che era morta per davvero, e che se potevo ancora parlarle, ascoltarla, abbracciarla, lo dovevo ad uno dei tanti spiriti che popolano l’Oblio – lo stesso Oblio che io invece odiavo. Nemmeno per una volta mi sfiorò l’idea ch’ella potesse essere diventata un Abominio, e se anche un pensiero del genere si fosse affacciato nella mia testa, lo avrei scacciato via con decisione.

   Wynne mi guardò con occhi colmi d’affetto, le pallide labbra sottili piegate in uno dei suoi dolcissimi sorrisi materni che riservava soltanto a me. Ero sicura che se fra noi due non ci fossero stati Alistair e il mio cane, mi avrebbe stretta a sé come faceva quando ero bambina e mi sorprendeva rincantucciata da qualche parte a singhiozzare perché avevo bisticciato con Jowan o con gli altri apprendisti o perché mi ero imbattuta in qualche orribile creaturina a otto zampe.

   Alla fine, comunque, non resistetti; mi alzai di scatto dal punto in cui ero accovacciata e, incurante di travolgere Alistair nella mia rincorsa, le gettai le braccia al collo, già in lacrime. La sentii ridere, mentre mi accoglieva sul suo petto e il nostro compagno imprecava sommessamente per la birra cadutagli sui calzoni. «Buona, buona», cercava di farmi coraggio Wynne, carezzandomi ripetutamente la schiena per farmi calmare. «Sono ancora qui, dopotutto.»

   Era ancora lì, certo, e io giurai a me stessa che, fino a che lo spirito non avesse abbandonato il suo corpo, avrei protetto entrambi con tutte le mie forze.

 

Mi stupii nel rendermi conto che ormai erano passati diversi mesi da quando avevo lasciato la Torre del Circolo insieme a Duncan. Il tempo mi era scivolato tra le dita quasi senza che me ne accorgessi. Se provavo a ripensare a quello che avevo fatto da quel momento in poi – l’Unione, Ostagar, Redcliffe, Kinloch Hold e Brecilian – mi sembrava di aver vissuto la vita di qualcun altro. Perché Nimue Surana non era tipo da cacciarsi nei guai o da cercare pericolose avventure – a parte la parentesi Jowan. Quest’ultimo era ancora nelle prigioni di Arle Eamon, in attesa di giudizio. Ero ancora arrabbiata con lui, ovviamente, ma una piccola parte di me mi faceva notare che se non fossi stata costretta a lasciare la Torre, forse sarei caduta anch’io insieme a Wynne e agli altri maghi del Circolo. A ben guardare, forse avrei dovuto ringraziare Jowan. All’epoca però mi chiedevo: si può davvero essere riconoscenti ad un Maleficar?

   Una folata di vento più forte delle altre mi sferzò i capelli sugli occhi, e io per poco non persi l’equilibrio. Il braccio robusto di Alistair mi sostenne, afferrandomi per la vita a trascinandomi al fianco del suo proprietario. «Aggrappatevi a me», disse il mio compagno, alzando la voce per sovrastare l’ululato della tempesta di neve che ci stavamo lasciando alle spalle. Sebbene l’intero Ferelden fosse uno dei regni più freddi del Thedas e l’inverno arrivasse con largo anticipo un po’ dappertutto, sulle Montagne Gelide era assai difficile non trovarlo già lì per buona parte dell’anno.

   Accolsi volentieri il consiglio del mio collega, puntellando i piedi e il bastone nella coltre bianca che ricopriva le rocce su cui procedevamo ormai da giorni. Mi voltai verso ovest: al di là di quella catena montuosa che costituiva i confini naturali del nostro regno, vi era Orlais, il posto da cui veniva Leliana, la nazione che per lunghi anni era stata in guerra con la nostra, insediando sul nostro trono Meghren l’Usurpatore. Moira la Regina Ribelle e Maric il Salvatore, rispettivamente nonna e padre di Alistair, lo avevano combattuto con tutte le loro forze, riuscendo infine a riconquistare il proprio diritto di nascita e restituendo il Ferelden al nostro popolo. Loghain aveva avuto un ruolo decisivo in tutto ciò, così come Rowan, che avrebbe poi sposato Maric e lo avrebbe affiancato alla guida del regno fino a che una brutta malattia non le aveva consumato le membra. E ora, morti anche Maric e il loro erede legittimo, Cailan, la corona sarebbe passata ad Alistair, ultimo discendente dei Theirin. Che però la rifiutava.

   «Sono nato sentendomi dire che non c’era posto per me a corte», mi ripeteva di tanto in tanto con fastidio. «Quindi perché mai dovrei sentirmi obbligato a prendere il posto di mio fratello se nemmeno mi interessa?»

   L’ultima volta che eravamo stati a Redcliffe, seguendo l’itinerario da lui scelto senza incontrare grossi intoppi nei vari drappelli di Prole Oscura che si aggiravano per tutto il meridione, avevamo scoperto che non era cambiato nulla nelle condizioni di Arle Eamon. Alistair mi aveva raccontato che quest’ultimo non lo aveva realmente trattato come un Principe. Con un occhio di riguardo, sì, ma non si era mai fatto scrupoli a farlo crescere con i ragazzi della servitù, dandogli soltanto un giaciglio di paglia nelle stalle. Ecco perché Alistair era tanto modesto, ecco perché non aveva strani grilli per la testa, ecco perché se ne infischiava di avere sangue reale nelle vene: aveva vissuto un’infanzia simile a quella dei bambini delle enclavi elfiche, benché più dignitosa perché priva di veri pericoli e sempre con un pasto pronto ad aspettarlo a fine giornata.

   Eppure era una situazione paradossale: suo padre aveva rischiato la vita per riconquistare il trono che era stato portato via alla loro famiglia dagli Orlesiani, e lui invece voleva regalarlo ad altri, anche perché, giustamente, non avvertiva alcun senso di responsabilità nei confronti di chi lo aveva preceduto nel ruolo di Re. Era figlio di Maric, certo, ma nessuno mai, nemmeno il suo stesso padre, si era interessato a lui come avrebbe dovuto, a parte Duncan e Arle Eamon. Le speranze di strappare quest’ultimo alla morte, tuttavia, si affievolivano giorno dopo giorno, così come quelle di Alistair di mettere lo zio di Cailan a capo della nazione al posto suo.

   Quando il vento e la neve decisero di darci tregua era ormai sera. Indecisi se approfittarne per riposare un po’ o meno, Morrigan ci indicò un punto ben preciso in lontananza. «Lì c’è qualcosa», ci disse. Aguzzammo la vista, e benché gli altri giurassero di non vedere nulla, anch’io scorsi una costruzione in pietra, forse un arco che delimitava un passaggio o una zona abitata.

   «Orzammar dev’essere vicina», concordò allora Alistair, mentre il suo respiro si condensava in bianchi sbuffi.

   Avanzammo stancamente fino a che i due fuochi posti ai lati di quello che aveva tutta l’aria di essere un portale fossero visibili a tutti. Poi la neve poggiata al suolo cominciò a farsi più rada, mentre gli alti alberi sempreverdi se ne stavano in parte chini sotto al suo freddo peso e i nostri passi si facevano più rapidi e leggeri. Giunti abbastanza vicini fummo in grado di distinguere il paesaggio al di là delle colonne di pietra abilmente lavorate dai nani, dove l’imponente parete rocciosa che annunciava l’ingresso alla città sotterranea di Orzammar arrestò il nostro cammino.

   «L’arte nanica ha del sorprendente», mormorò Leliana, esprimendo a voce alta il pensiero di tutti.

   «Potete ben dirlo», sorrise Alistair procedendo veloce verso due statue gemelle poste poco oltre l’arco sotto al quale ci trovavamo. Lo seguii adagio e quando lo raggiunsi, la sua mano stava già studiando la cura con cui gli antichi artigiani del posto avevano intagliato due guerrieri appoggiati alle loro enormi asce. Aveva in viso un’espressione che raramente gli avevo già visto, a parte nei momenti in cui insisteva per assistere alle lezioni di Magia Guaritrice che Wynne ormai mi impartiva da settimane. Quello che Alistair mi aveva detto nelle Selve Korcari era vero: a dispetto dell’addestramento da templare a cui era stato costretto quando, compiuti dieci anni, Arle Eamon aveva dovuto allontanarlo dal castello di Redcliffe, a lui la magia piaceva molto.

   «Anche voi la usate», avevo osservato io una volta, dopo la sua ennesima, entusiasta esclamazione che aveva seguito uno dei prodigiosi incantesimi di Wynne.

   Lui aveva sospirato. «Proprio no», mi aveva smentito con una punta di rammarico. «Nelle mie vene non scorre una sola goccia di magia.»

   «Eppure vi assicuro che il potere che i templari esercitano su di noi è molto simile.»

   Ci aveva pensato su un attimo e poi aveva trovato una sorta di compromesso, il sorriso sulle labbra. «Forse, sì. Resta però il fatto che è limitato: possiamo usarlo solo contro i maghi.»

   Dalla luce che ora gli brillava negli occhi, dunque, dovevo dedurre che le sculture dei nani gli piacessero allo stesso modo? Quando si accorse che lo fissavo, Alistair arrossì e lasciò ricadere la mano lungo il fianco. «Perdonatemi», balbettò. «È che ho un debole per l’arte figurativa», ammise.

   «Beh, è una cosa molto bella», lo rassicurai.

   «Dite? Non è da sciocchi?» Corrucciai la fronte, confusa. «Voglio dire… Sì, insomma, un guerriero dovrebbe interessarsi soltanto ad armi, alcol e donne», mi spiegò impostando la voce come quella di un omone grande e grosso e guardandomi con aria severa. Mi misi a ridere. «D’accordo, non ci riesco», si dichiarò sconfitto all’istante, dando corda al mio buon umore e spostando di nuovo la sua attenzione su una delle statue.

   «Morrigan può dire quello che vuole, ma se foste tutto muscoli e niente cervello o se non aveste interessi che si discostano da quelli da voi appena nominati, temo che sareste anche terribilmente noioso», gli assicurai. «E poi ricordatevi che state parlando con un topo di biblioteca: con questa vostra dichiarazione, mi avete toccato il cuore.»

   «Più di quanto non abbia già fatto?», mi prese in giro lui. Lo spedii in testa al gruppo con una pedata sul fondoschiena, spingendolo finalmente a riprendere il cammino e ad addentrarci in una grande piazza antistante il portone d’ingresso per Orzammar.

   Solitamente, secondo le loro usanze, i nani rispettabili vivono nel sottosuolo. Quelli che invece salgono in superficie come Bodahn Feddic e Sandal lo fanno per lo più perché costretti dalle circostanze, e non vengono certo più visti di buon occhio dai loro simili. Ad ogni modo, davanti a tanti nani e umani insieme, intenti a trattare beni d’ogni tipo in quello che aveva tutta l’aria di essere un mercato all’aperto ai confini di Orzammar, rimasi piacevolmente colpita. Non capivo come riuscissero a sopportare quel freddo, loro che non avevano mai messo piede sotto al cielo, ma forse svolgevano quelle attività da così tanto tempo che ormai si erano del tutto assuefatti al clima rigido del Ferelden, e delle Montagne Gelide in particolare.

   Ci aggirammo come turisti fra le bancarelle di armi, armature e manufatti d’ogni genere, troppo ammirati dalla maestria degli artigiani di Orzammar per lasciarci vincere dalla stanchezza. Vidi Morrigan soffermarsi davanti a uno specchio dai bordi dorati, e quando mi avvicinai, lo rimise a posto e riprese un’andatura piuttosto decisa.

   «Se ti piace, perché non lo compri?», le domandai, affiancandomi di nuovo a lei e sistemandomi meglio il cappuccio sulla testa.

   Scosse le spalle. «In realtà non è che mi piaccia davvero», mi spiegò. «È solo che mi ha riportato alla mente quello che avevo da bambina.» Era raro che si lasciasse andare spontaneamente a discorsi del genere, ma ogni tanto le sfuggivano ricordi che decideva di condividere con me sola. Non amava fare gruppo, lo sapevo; quando ci accampavamo rimaneva quasi sempre in disparte, accendendosi un fuoco tutto suo accanto alla tenda e consumando i suoi pasti in solitario. Se si trattava di parlare con me, però, allora sorrideva e mi concedeva due chiacchiere, seppur tirate. «Lo avevo rubato a una nobildonna», mi raggelò con la sua dichiarazione successiva. Sgranai gli occhi, ma tacqui per non urtarle i nervi: Morrigan sapeva benissimo cosa pensavo di gesti del genere, era inutile rimarcare ulteriormente la cosa. «Quando tornai a casa e lo mostrai a mia madre, lei andò su tutte le furie e lo gettò a terra, rompendolo in mille pezzi.»

   «Non mi sento di biasimarla», non mi trattenni dal commentare, «tuttavia avrebbe potuto essere un po’ più dolce. Dopotutto eri piccola.»

   La mia compagna si voltò nella mia direzione, fulminandomi con lo sguardo. «Flemeth fece benissimo, invece», mi rimbrottò, accigliata. «Esponendomi così tanto, avevo rischiato di mettere in pericolo sia me che lei.» Francamente credevo che Flemeth avesse ben poco di che temere, visti i suoi poteri. «E comunque è storia vecchia, non pensarci più», concluse Morrigan, ancora visibilmente nervosa.

   A differenza delle mie conversazioni con gli altri membri del gruppo, succedeva spesso che con lei finisse così: a volte ci trovavamo perfettamente d’accordo, altre volte ci intestardivamo su posizioni diametralmente opposte. Avere a che fare con Morrigan era una sorta di battaglia. Che mi piaceva molto. In quei lunghi mesi avevo imparato molto su di lei, e checché ne dicesse Alistair, la giovane Strega delle Selve non era affatto malvagia. Era solo cresciuta in maniera diversa, con una mentalità molto più aperta della nostra, benché più individualista. La si sarebbe potuta chiamare opportunista, sotto certi aspetti, eppure Morrigan non era neanche quello. Era selvatica. Non aveva concezione del bene e del male. Era tanto meravigliosa, quanto pericolosa. Ma era anche una bambina, innocente e pura, libera da ogni sorta di vera cattiveria e di pregiudizio. Da un lato la invidiavo, dall’altro non potevo che temere per lei.

   «Ci sono tante storie grandiose su re perduti che fanno ritorno alle loro terre per governare gloriosamente.» La voce di Leliana, intenta a passeggiare più indietro con Alistair, mi distolse dai miei pensieri.

   «Io non sono perduto», volle chiarire lui, con aria infastidita. «Né sono un re. E in me non c’è niente di glorioso.»

   «Siete il figlio di Maric», insistette l’altra con decisione. «Siete il legittimo re del Ferelden.»

   «Sono il figlio di una serva ingenua e di un uomo sfacciato che per caso era anche re», la corresse il povero Principe con cognizione di causa. Sospirò stancamente, passandosi una mano fra i capelli biondi. «Sentite, io non posso essere re. Ve lo dissi già in un’altra occasione: ci sono giorni in cui non riesco a distinguere lo stivale destro da quello sinistro.»

   «Da che mondo è mondo, moltissimi idioti sono stati messi a capo di grandi nazioni», cercò di incoraggiarlo Leliana. «E vi assicuro che voi non siete uno di questi. Non del tutto.»

   «Oh, che consolazione…»

   «Inoltre, anch’io ve lo dissi tempo fa: non preoccupatevi per i vostri stivali. I re non hanno bisogno di vestirsi da soli. È anche a questo che servono i consiglieri, no?»

   «E anche le serve ingenue, a quanto pare», chiuse il discorso Alistair, con un borbottio esasperato. Mi mordicchiai un labbro per non ridere, e lui spostò lo sguardo su di me. «Fatela smettere, è insopportabile quando comincia con questa solfa», mi implorò.

   «Io lo dico per voi», rimbeccò Leliana, incrociando le braccia al petto con fare offeso. C’era da crederle, benché non si rendesse propriamente conto che, se Alistair fosse salito sul trono, per me e lui non ci sarebbe stato alcun futuro insieme. Avendo vissuto come un bardo per molto tempo, fra tradimenti, sotterfugi e adescamenti d’ogni sorta all’interno di corti e palazzi nobiliari, a Leliana non scandalizzava affatto l’idea che un re potesse avere una o più amanti, e pertanto non ci trovava nulla di male se un giorno io fossi diventata una di loro – a dispetto del suo ritiro spirituale in chiesa. Come per Morrigan, anche per lei certi discorsi erano da intendersi senza reale cattiveria.

   «A proposito di re», iniziò Wynne che, come me, preferiva non intromettersi sull’argomento, «sarà vera la voce che Bodahn ha sentito in giro?»

   «Intendete quella su Endrin Aeducan?», le domandai. Si trattava dell’ultimo sovrano di Orzammar, che, stando a quanto si diceva in superficie, era morto da poco, lasciando confusione riguardo al suo successore. Bodahn non aveva saputo dirci di più, a parte che il primo e il secondo figlio di Endrin erano anch’essi scomparsi prematuramente, e che il terzogenito Bhelen era stato diseredato perché considerato non all’altezza dei suoi fratelli per ragioni che ignoravamo.

   Wynne stese le labbra sottili in un’espressione pensierosa. «Se fosse vero, sarebbe un problema», mi fece notare. «Voi e Alistair non potrete far rispettare gli accordi presi tra nani e Custodi Grigi se non quando un nuovo re sarà salito al potere.»

   «Magari nel frattempo sono riusciti a risolvere la disputa», suggerì il nostro compagno. «Per lo meno, spero che sia così: odio questo genere di cose. Chi se ne importa dei legami di sangue?»

   «La prendete troppo sul personale», lo rimproverò bonariamente la mia maestra.

   «Lo fareste anche voi, se foste al mio posto», rispose lui, cocciuto.

   «O magari mi assumerei le mie responsabilità.»

   Alistair si fermò a fissarla, allibito. «Le mie responsabilità?», ripeté indignato. «È colpa mia, ora, se sono nato per caso

   «Non è questo che intendevo», replicò Wynne, sincera, arrestando il passo a sua volta. «Se la pensassi a questo modo, dovrei supporre che sia colpa mia se sono nata maga.» Scosse il capo per scacciare la questione. «Tuttavia, perdonatemi, ma come io e Nimue ci siamo dovute rassegnare davanti ai nostri poteri, forse non sarebbe troppo sbagliato se anche voi faceste altrettanto.»

   «Sono due cose diverse, diversissime», la contraddisse Alistair, tornando a camminare frettolosamente. «Essere re porta solo rogne. La magia, invece, a suo modo è divertente.»

   Corrucciai la fronte, permettendomi di biascicare un assai perplesso: «Divertente

   «Lo è, in certi casi», mi fece presente lui. «Se io fossi un mago, non ci penserei due volte a fare un incantesimo paralizzante alla lingua di Morrigan, per esempio.»

   «Devi mangiarne, di polvere, prima di riuscirci», sbadigliò la figlia di Flemeth, senza scomporsi.

   «Sto facendo una supposizione», la zittì Alistair prima di tornare a rivolgersi a me e Wynne. «A quel punto», riprese allora a renderci partecipi della sua marachella immaginaria, «non ridereste come pazze nel vederla smascellarsi inutilmente nel tentativo di dire una delle sue solite cattiverie?»

   «Quasi quasi, con la mia divertentissima magia, ti faccio cadere i pantaloni davanti a tutta la piazza. Così vedremo chi riderà di chi», gli rispose Morrigan. E dal modo in cui aveva socchiuso le palpebre, per un attimo temetti che lo avrebbe fatto davvero.

   Per evitarle la tentazione, presi Alistair a braccetto e lo trascinai via con me, diversi passi davanti alle altre così da farlo smettere di accapigliarsi con chiunque gli capitasse a tiro. «Meno male che ci siete voi», mormorò sconsolato, lasciandosi guidare volentieri verso l’ingresso per Orzammar. «Siete l’unica che mi appoggia davvero.»

   «Per una mera questione di interesse», gli assicurai senza tanti complimenti. «Se saliste al trono, che ne sarebbe di me?»

   «Ecco l’ennesimo buon motivo per regalare la corona ad Arle Eamon», fu d’accordo lui, chinandosi per scostarmi di poco il cappuccio e posarmi un bacio sulla tempia. «Dite che sarebbe troppo sperare di portarvi al livello di Regina del Ferelden?»

   «Credevo che le mie orecchie a punta vi piacessero al punto da rimanervi impresse in testa, e invece scopro che ultimamente avete la tendenza a dimenticarvi della loro esistenza», gli rinfacciai con imbarazzo. Stavamo insieme da poco, tutto sommato, e fare discorsi così in grande, seppur per gioco, era decisamente fuori luogo. Li apprezzavo, sul serio, e mi facevano battere forte il cuore; ma c’erano troppe, troppe cose in sospeso per permetterci di abbandonarci così sconsideratamente alla meravigliosa seduzione di quei sogni ad occhi aperti. «Per di più avete appena finito di ammirare i miei divertenti…»

   «…poteri magici, lo so», concluse Alistair per me. «Che elfi e maghi non possano avere diritti di tal genere è assurdo», si accigliò.

   «Allora diventate re e sistemate la faccenda.»

   «No, no. Lascerò quest’incombenza ad Arle Eamon. Suo figlio è mago quanto voi, in fin dei conti, e se il vecchio giocherà bene le sue carte, potrà lasciare il trono a Connor.»

   Ovviamente tutti e due ci rendevamo perfettamente conto di quanto inutili fossero quei discorsi senza né capo né coda, ma era l’unico modo in cui riuscivamo a parlare della questione senza incupirci troppo. Oltretutto fino a che Loghain fosse rimasto lì dov’era e Arle Eamon non si fosse ripreso, avevamo le mani legate. Dovevamo concentrarci sui nostri doveri di Custodi Grigi, per prima cosa, ed era per questo che avevamo attraversato l’intero regno, da Brecilian alle Montagne Gelide, per adempiere al compito che Duncan ci aveva assegnato affidandoci gli antichi trattati che il nostro ordine aveva stipulato secoli addietro con fedeli alleati: Orzammar era l’ultima tappa di quel viaggio apparentemente infinito.

   «State insultando l’intero Ferelden con le vostre azioni!», sentimmo vociare dalla cima delle scale che portavano all’ingresso per la città sotterranea. «Re Loghain non tollererà che si ritardi l’operato dei suoi delegati.»

   Sebbene le parole Re Loghain ci contorsero le budella, rimanemmo in religioso silenzio per ascoltare il resto della conversazione dabbasso.

   «Veata!», esclamò il nano di guardia al portone, facendo un ampio gesto con il braccio per scacciare gli umani che lo importunavano – un messaggero, un mago e un soldato. «Questa terra al momento è invalicabile.»

   «Re Loghain richiede la fedeltà di chiunque sia a capo del vostro Concilio! Sono il suo delegato!»

   «Non mi interessa se siete il leccapiedi del re», si difese eroicamente il guardiano. «Orzammar non ha sovrani e non concederò a nessuno di passare fino a che il trono non sarà assegnato ad uno dei candidati.» E questo era un grosso, grave problema.

   Alistair e io ci precipitammo su per le scale, incuranti di esporci in quel modo davanti agli uomini di Loghain. «Perdonateci», iniziò il mio compagno, interrompendo la disputa verbale, «ma abbiamo degli importanti affari da sbrigare ad Orzammar.»

   «Di certo non più importanti dei miei», grugnì il delegato, stizzito per quell’intrusione.

   «I vostri affari dovranno aspettare», fu irremovibile il nano. «Orzammar ha dovuto limitare l’ingresso a tutti i forestieri fino a che il trono non sarà di nuovo stabile.»

   «Ma abbiamo urgenza di parlare con il vostro re», insistette Alistair.

   Il portavoce di Loghain si voltò ancora verso di lui. «Se non posso io, non potete neanche voi.»

   «Orzammar non ha un re, al momento», ripeté il povero guardiano, fermo nella sua posizione. «Endrin Aeducan è tornato alla Pietra meno di tre settimane fa, morto di dispiace per la perdita dei suoi figli. Il Concilio si è riunito per votare un successore, ma non sono ancora riusciti a trovare un accordo. Se non arriveranno a una soluzione al più presto, rischieremo la guerra civile.»

   «I Custodi Grigi hanno bisogno dei loro fedeli alleati nani», osai a quel punto. Che altro potevamo fare se non scoprirci? Il nostro ordine era ritenuto superiore a qualunque altro, e forse questo ci avrebbe avvantaggiati.

   «I Custodi Grigi hanno ucciso Re Cailan per il controllo del Ferelden!», obiettò il delegato, mentre Alistair allungava i trattati alla guardia, così che potesse riconoscere la loro autenticità. «Sono nemici giurati di Re Loghain!»

   «Qui c’è il sigillo reale», osservò il nano, zittendo le ingiurie urlate contro di noi. «Significa che solo il Concilio è autorizzato a recapitarla al sovrano. Custodi Grigi, potete passare», ci concesse infine, senza muoverci altre proteste.

   «Lasciate passare dei traditori?! Degli stranieri?!», non si capacitò il messaggero, adirato. «In nome di Re Loghain, richiedo che siano giustiziati per l’onore del Ferelden!»

   «È Loghain il traditore che ha ucciso Re Cailan ad Ostagar!», tuonò a quel punto Alistair, avanzando verso di lui per affrontarlo di petto. E diceva di non essere tagliato per fare il re…

   L’altro fece un passo indietro, intimidito dalla rabbia che gli leggeva negli occhi. «Cosa…? S-Sono bugie, diffamazioni! Re Loghain non le tollererà! Io non le tollererò! Sono il suo delegato!»

   «Potete essere chi vi pare e piace, ma le cose stanno esattamente come le ho dette!»

   «Uccidetevi pure se volete», si mise di mezzo la guardia, dividendo i due litiganti con invidiabile calma. «Ma portate la vostra zuffa lontano da qui.»

   Lo scontro armato a quel punto fu inevitabile, e nonostante l’incontenibile voglia che animava Alistair di spaccare la testa al famoso delegato di Loghain, il nostro templare fu costretto a scagliarsi unicamente contro il mago, lasciando a noi donne l’incombenza di occuparci di lui e dell’altro soldato a pochi metri dalle statue che avevamo ammirato insieme non più di un quarto d’ora prima – il posto in cui avevamo dovuto spostare il campo di battaglia.

   Quando tornammo dal nano davanti al portone della città, Alistair stava ancora sputando improperi contro Loghain e la sua corte di leccapiedi, mentre io lo rincorrevo per levargli via il sangue – non suo – che gli aveva imbrattato scudo e armatura, neanche fossi stata sua moglie o la sua cameriera. «Mi avete fatto un favore», ci sorprese la guardia con un’espressione decisamente più sollevata di quella con cui ci aveva accolto poco prima. «Quello sciocco era qui da una settimana, abbaiando le sue ragioni senza voler ascoltare le nostre. Tutti gli umani sono così toccati?», volle sapere, incurante del fatto che stesse parlando con quattro di loro – per conto mio, feci finta di non aver sentito. «Ad ogni modo, siete liberi di entrare a Orzammar, Custodi Grigi, anche se non ho idea di che aiuto possiate trovare qui.» Detto questo, fece cenno alle altre sentinelle alle sue spalle, e queste si mossero per schiudere finalmente il pesante portone che separava la città sotterranea dal resto del Thedas.













Quando parlo di Maric in termini di uomo sfacciato e di padre assai disinteressato, lo faccio ovviamente dal punto di vista di Nimue, in base a quello che le è stato raccontato da Alistair. Il quale, a sua volta, non conosce la verità relativa alla sua nascita. Personalmente, comunque, rimango del parere che Maric sia un personaggio fantastico, e se ho amato Alistair non potevo non amare lui. E comunque sì, avevo ragione quando, prima ancora di leggere i romanzi, al quinto capitolo di questa long scrissi: E, a tutt’oggi, sono qui a chiedermi che tipo fosse Re Maric, poiché sospetto che l’idiozia dei suoi figli fosse cosa ereditaria. All'epoca era solo una mia supposizione, ma adesso è una certezza. XD
Wah! La pianto qui. Vi comunico che io e Lanfranco (il solito neurone vagabondo) siamo in partenza, quindi la long si fermerà per qualche tempo. La raccolta invece penso di riuscire a portarla avanti, poiché le shot mi occupano decisamente meno tempo e, soprattutto, richiedono meno attenzione ai particolari. :P
Prima di salutarvi, ci tengo a ringraziarvi tutti per il sostegno che mi avete dimostrato finora: siete dei tesori, davvero. :D
Sperando di tornare ad aggiornare questa storia al più presto, vi auguro di cuore una buona estate. ^^
Shainareth





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Capitolo 22
*** La città dei nani ***







CAPITOLO VENTIDUESIMO – LA CITTÀ DEI NANI




Un tempo il regno dei nani comprendeva dodici grandi thaig – ovvero città – in tutto il Thedas, uniti fra loro dalle Vie Profonde, lunghe strade scavate nel sottosuolo. Al giorno d’oggi, tuttavia, ne rimangono soltanto due: Kal Sharok e Orzammar, appunto. La prima era la capitale dell’antico regno, mentre la seconda non era altro che la semplice dimora di fabbri e minatori.
   Come accadde per gli elfi, anche per i nani le cose cominciarono a cambiare con l’espansione dell’Impero Tevinter. Il Campione Garal, spostata la sede del potere a Orzammar perché più vicina alla superficie, ordinò una stretta sorveglianza sugli scambi con gli umani, e una nuova, prosperosa era sembrava iniziare per tutti i nani. Questi insegnarono ai nuovi amici concetti quali il commercio e la coniazione di moneta, mentre gli altri diedero loro una serie di cose che non esistevano nel sottosuolo, a cominciare dalla legna, per fare un esempio.
   Non si sa bene come, ma d’improvviso spuntò dal nulla la Prole Oscura, che si riversò nelle Vie Profonde come fosse fumo, e la Casta dei Guerrieri faticò a trattenerli lontano dalle città. Molti thaig andarono persi nel primo Flagello, fino a che un nuovo Campione non arrivò a portare ordine: Aeducan riuscì a difendere Orzammar, salvando così i nani dalla completa distruzione.
   La vittoria fu comunque pagata a caro prezzo: le Vie Profonde furono sigillate per trattenere la Prole Oscura, costringendo gli abitanti del sottosuolo ad abbandonare le città sopravvissute. Orzammar rappresenta l’ultimo baluardo di un antico impero che un tempo si estendeva nelle profondità di tutto il Thedas.

Quando il portone si chiuse alle nostre spalle, nonostante la fredda pietra che ci circondava, non potei fare a meno di sentirmi sollevata: eravamo finalmente al riparo dalla neve e dal gelo. Prima di entrare avevo creduto che l’oscurità di quel posto ci avrebbe accompagnati per tutto il tempo che avremmo trascorso lì a Orzammar. Non che per i miei occhi da elfo sarebbe stato un problema, in effetti, ma immaginavo che per i miei compagni sarebbe stato più difficile adattarsi subito alla perenne penombra di quel luogo. Invece, in realtà i nani erano davvero ingegnosi, poiché in ogni loro insediamento sono abituati a costruirvi canali lavici che fungono da sistemi di illuminazione e di riscaldamento per ovviare alla mancanza di luce e calore. Allo stesso modo, ogni zona del loro regno è munita di eccellenti condotti di areazione.
   La prima cosa che vedemmo varcati i confini di quella città, fu una sala enorme, dove torreggiavano imponenti delle alte sculture simili a quelle che avevamo già visto, ma ognuna diversa dall’altra perché raffiguranti, questa volta, i Campioni di Orzammar. I Campioni, come mi sarebbe stato spiegato di lì a poco, sono considerati quasi alla stregua di divinità, giù nel regno dei nani. Sono uomini e donne molto forti, coraggiosi, robusti come la Pietra da loro venerata. Sicuramente è un discorso difficile da capire per chi, come me, viene dal mondo esterno, ma guai ad ingiuriare contro un Campione davanti ad un nano.
   «Atrast vala, Custodi», ci salutarono alcune guardie, avvisate immediatamente del nostro arrivo. «Siete capitati qui in un momento piuttosto delicato. Solitamente preferiamo che i forestieri non siano testimoni dei nostri problemi interni, ma voi siete senza dubbio un’eccezione.»
   Ci aggirammo fra le imponenti statue dei Campioni, dove una madre stava dicendo alla propria figliola: «Se lavorerai duramente come Branka, il tuo nome sarà conosciuto in tutta Orzammar.»
   «Madre, io non voglio essere come quella donna!» sbuffò la ragazza, intrecciando le braccia al petto con aria chiaramente infastidita. «Lei…»
   «Non osare dirlo!» la riprese bruscamente l’altra, schiaffeggiandole una delle mani. «E ora sbrigati! Torniamo alla fucina! E cerca di lavorare meglio sui dettagli di quell’armatura che hai lasciato a metà!»
   «Come volete, madre», sospirò la più giovane, seguendola rassegnata.
   Alzai lo sguardo sulla rappresentazione di quella che, a quanto pareva, era il Campione Branka, i cui rozzi tratti scolpiti nella roccia non erano poi troppo dissimili da quelli dei nani veri e propri. Spostai la mia attenzione anche sugli altri presenti in sala, accorgendomi che molti di loro erano intenti alla preghiera. Wynne mi trascinò gentilmente via, verso l’altro grande portone in fondo, al di là del quale vi era la città vera e propria.
   Varcato anche quello, non ci fu dato modo di guardarci attorno poiché la prima cosa che ci saltò all’occhio fu una folla di guerrieri disposti in due schieramenti: le fazioni in lotta per il trono.
   «È il Concilio che sceglie i re», stava dicendo un nano dalla lunga barba grigia, il naso adunco e le orecchie a sventola, «ed è il re che nomina il suo successore. Niente di tutto ciò ha a che fare con i vincoli di sangue.»
   «O con chi, come ora, cerca di spingere il Concilio ad un colpo di stato», rimbeccò un uomo più giovane, dagli occhi chiari e la zazzera bionda. «Chi può dire con certezza cosa disse mio padre nelle ultime ore della sua vita, se l’unico presente eravate voi, Harrowmont?» Dunque quello che parlava era il Principe Bhelen?
   «Vi getterò in prigione!» esclamò l’altro. E poiché non portava alcun’arma, ne dedussi che dovesse essere soltanto un politico o un qualche leccapiedi come quello di Loghain che avevamo affrontato poco prima. Mi sembrava di vivere una sorta déjà vu, e per un attimo paragonai Bhelen Aeducan al mio compagno Alistair Theirin, entrambi allontanati di proposito dal proprio padre dal diritto alla corona.
   «Dovrai fare molto di più!» ribatté il figlio del defunto Re Endrin, in tono minaccioso.
   «Signori», cominciò uno di quelli che credevo spalleggiasse il più anziano, facendosi avanti, «non permetterò che Bhelen inciti una rivolta nel Distretto dei Diamanti!»
   Un uomo del Principe accolse immediatamente quell’avvertimento come una provocazione, mettendo mano all’ascia che portava sulla schiena e urlando: «Non parlerete ancora in questo modo all’uomo che diventerà re!» Fu questione di pochissimi istanti e, avventatosi sul proprio avversario, lo falciò e gli piantò la lama nel petto, senza tuttavia ucciderlo. Strillai spaventata e indietreggiai di almeno due passi; e così fecero i miei amici, colti alla sprovvista quanto me. Si sarebbe conclusa allo stesso modo la disputa fra Alistair e Loghain? Speravo davvero di no.
   In breve i calunniatori di Bhelen si diedero alla fuga, disperdendosi nella parte comune della città, dove i cittadini svolgevano le proprie attività quotidiane, dal commercio alla lavorazione dei metalli e della pietra. Poco dopo, anche il Principe e gli altri, forti della momentanea vittoria, si allontanarono, ma con più calma, lasciandoci con tanti dubbi e un vago senso di smarrimento.
   «Per la Pietra, che idioti!» imprecò il nano ferito, rialzandosi a fatica. Wynne si precipitò da lui, pronta a prestargli soccorso con la propria arte medicamentosa. «Non ci saranno combattimenti qui! Specialmente davanti a degli stranieri!» continuò lui come se nulla fosse, mentre la mia insegnante, valutate le sue condizioni di salute, si voltava verso di me e mi faceva segno di avvicinarmi, così da mettere in pratica ciò che stavo imparando durante le nostre ore di studio insieme. «Veata, abitanti della superficie», ci salutò il nostro paziente, una volta finito di sputare veleno. «Come Capitano delle Guardie, vi do il permesso di muovervi qui nella zona comune di Orzammar, ma state al vostro posto. Custodi Grigi o no, voglio ordine.» Quindi non parteggiava affatto per una delle due fazioni in lotta, era semplicemente lì per assicurare che i cittadini non venissero coinvolti in quella che rischiava di diventare una guerra civile.
   «Il Flagello si sta abbattendo su di noi», prese parola Alistair, frattanto che io finivo di usare la Magia Guaritrice. «Abbiamo bisogno dell’aiuto di Orzammar.»
   «Problemi della superficie», gli rispose quello. E benché io lo fissassi sconvolta, egli mi ringraziò per avergli richiuso la ferita. «Beh, al momento non abbiamo un re, come avrete sentito», riprese poi, tornando a rivolgersi ad Alistair. «Potete unirvi alle urla nella Sala del Concilio, se volete protestare. Questi signori bisticciano per niente: Bhelen, Harrowmont… che differenza fa? Neanche un Campione fra loro», sbuffò con aria seccata.
   «Campione?» chiesi, poiché all’epoca non sapevo di che parlasse.
   «Non conoscete i Campioni?» Il nano sbuffò di nuovo. «Siete davvero senza speranza, voi che vivete in mezzo a tutto quel cielo.»
   «Non siamo mica uccelli», bofonchiò Alistair, senza farsi udire.
   «Sono i più forti di noi, divinità viventi», spiegò l’altro, guardandomi con aria contrariata. «Se dovete essere il nostro Custode, almeno prendetevi la briga di conoscerci. Andate dai Modellatori dei Ricordi, nel Modellatorio. È la parte migliore del Distretto dei Diamanti.»
   «Che ci dite di Bhelen e Harrowmont?»
   L’uomo scrollò le spalle. «Si nascondono perché hanno paura l’uno dell’altro e operano in modo losco, come avrete visto. Bhelen parla al Concilio attraverso il suo secondo, Vartag Gavorn. Lord Harrowmont attraverso Dulin Forender. Non è certo bello, vi pare? Sembra che entrambi abbiano qualcosa di cui vergognarsi, magari agiscono in modo poco pulito.» Fece un gesto secco con il braccio. «E ora, se volete scusarmi, penso proprio che tornerò al mio lavoro.»
   Detto questo, si accomiatò. Ci trovavamo davvero in una situazione complicata, in bilico esattamente come lo erano gli abitanti di Orzammar. A differenza di questi ultimi, tuttavia, che comunque continuavano nelle loro attività artigianali per tirare a campare, noi non avevamo idea di che cosa fare né a chi rivolgerci. Ci osservammo attorno con aria spaesata, ammirando la magnificenza del posto in cui ci trovavamo, ma l’unico commento che riuscimmo a fare fu: «Certo che, per essere così bassi, i nani costruiscono soffitti davvero alti.»
   «Hai detto che non hai mai conosciuto tuo padre», esordì Morrigan cogliendomi alla sprovvista.
   «Sì, ma che c’entra ora?» volli sapere.
   «E sei sicura che fosse un elfo?» Aggrottai le sopracciglia, confusa. Morrigan levò una mano e la posò affettuosamente sulla mia testa. «Perché, data la tua statura, magari scopriamo che in realtà era un nano. Persino fra tutti quei Dalish di Brecilian eri forse la più bassa.»
   Prima ancora che potessi abbaiarle contro, Alistair mi strappò dalle sue grinfie mettendosi fra noi, pronto a difendermi. «Non datele retta», mi disse dolcemente per consolarmi. «E comunque, io adoro tutto ciò che è in miniatura.»
   «Lo dici per consolare alcune parti del tuo corpo?» infierì Morrigan, ridendo.
   «Se permettete, sono affari che non vi riguardano», rispose lui, ostentando eroicamente superiorità. «E ora chiudete il becco», continuò, prendendomi per mano e trascinandomi via.
   Una giovane donna ci fermò, venendoci incontro con aria turbata. «Avete visto? Non posso credere a quel che questa città sta diventando. Questo genere di cose non accadevano mai quando Endrin era vivo.»
   «Questo Bhelen è il figlio di Re Endrin?» volle sapere Wynne, accettando di buon grado di chiacchierare con lei per poter raggranellare maggiori informazioni possibili.
   «Aye», rispose l’altra. «Che terribile fardello per un padre avere solo Bhelen, l’unico rimasto di tre figli. Egli stesso si era reso conto che a Bhelen non interessava altro che il potere. Fu proprio lui a ordinare che venisse allontanato dal suo letto di morte e a scegliere invece Lord Harrowmont come erede.»
   «Perché tutto questo odio per Bhelen?» s’intromise Alistair. Mi chiesi se anche lui avesse paragonato la propria situazione a quella del Principe Aeducan e se quella domanda fosse stata dettata dal suo desiderio di capire meglio Re Maric.
   La donna aggrottò la fronte e strinse il pugno con rabbia. «Tutti sanno che fu lui a uccidere suo fratello Trian e che lasciò ricadere la colpa sul figlio preferito da suo padre.»
   Quella storia mi mise i brividi: non riuscivo a credere che tra fratelli si potessero concepire atrocità del genere per interesse. Alistair non aveva mai augurato la morte a Cailan, e, anzi, quando aveva saputo quel che gli era successo, ne aveva sofferto molto. Eppure sapevo che non erano neanche cresciuti insieme.
   Strinsi d’istinto le dita alle sue, e lui fece la stessa cosa. «Harrowmont è adatto alla carica di re?»
   «È un brav’uomo», ci rassicurò la nana, gli occhi accesi di speranza. «E anche un generale esperto. Re Endrin credeva in lui, e anch’io.»
   «Conoscevate Re Endrin?»
   «Il mio nome è Nerav Helmi, terza figlia della seconda matrona della dinastia Helmi. Ero una delle potenziali candidate a diventare la moglie di uno dei suoi figli», ci spiegò. «Era un buon re. Giusto e severo.»
   Anche Maric era stato un buon sovrano, e lo stesso Cailan non aveva deluso le aspettative di nessuno – a parte quelle di Loghain, evidentemente. «Com’è morto?» s’interessò ancora Alistair.
   Nerav calò le ciglia sul viso. «Quando il suo primo figlio fu ucciso e l’altro condannato dal Concilio, Re Endrin cadde malato e giacque a letto, finendo lì i suoi giorni.» Alzò di nuovo lo sguardo, più duro di prima. «Non è il fatto che egli sia ritornato alla Pietra che mi fa rabbia, quanto che è Bhelen il responsabile di tutto ciò!» Scosse il capo per calmarsi. Quindi ci chiese: «Ma voi, stranieri? Cosa vi porta ad Orzammar proprio in questo momento?»
   «Siamo Custodi Grigi», risposi io, prendendo per la prima volta la parola. «Lui è Alistair e io sono Nimue. Cerchiamo aiuto.»
   «Se siete Custodi Grigi, allora si spiega come mai vi abbiano lasciato varcare i cancelli d’ingesso», osservò la giovane donna con cipiglio corrucciato. «Ma che genere di aiuto intendete?»
   «Abbiamo dei trattati che legano Orzammar al nostro ordine, affinché ci presti le sue forze contro il Flagello.»
   Nerav sgranò gli occhi. «Un Flagello? Ora? Ma… i nostri guerrieri si uccidono l’un l’altro per le strade!» Sospirò, sinceramente contrita. «Mi dispiace, stranieri. Temo che non otterrete alcun aiuto da Orzammar.» Non era stata la stessa cosa per i maghi di Kinloch Hold e per i Dalish di Brecilian? Eppure alla fine si erano schierati al nostro fianco. Non c’era motivo di essere troppo pessimisti. O almeno così mi illudevo. «Se cercate l’appoggio di Lord Harrowmont, vi suggerisco di parlare con il suo secondo, Dulin Forender. Potrebbe procurarvi un’udienza.»
   Fu con questo consiglio che Nerav si accomiatò da noi, lasciandoci con una visuale un po’ più chiara dell’infernale situazione politica vissuta da Orzammar. Che il Principe Bhelen potesse davvero soltanto mirare al potere poteva anche essere, non sarebbe stato né il primo né l’ultimo. Tuttavia l’esperienza ci insegnava a dubitare anche dei falsi amici dei sovrani, e non era da escludere che Lord Harrowmont fosse un altro Loghain, anch’egli amato dai sudditi quasi quanto lo era stato Maric.
   Pur rendendomi conto di quanto tutto questo potesse in qualche modo colpirlo nel profondo, sapevo che non potevo neanche lontanamente immaginare cosa stesse provando Alistair: provenendo io dalla Torre del Circolo ero del tutto aliena a quel tipo di faccende. Non che lui fosse cresciuto a corte o in un ambiente in cui gli avevano insegnato a tener conto della propria posizione, ma pensavo – e penso ancora – che certe cose, certi legami, non possono passare inosservati neanche a chi non vuole avere niente a che vedere con le proprie origini. Ci trovavamo comunque di fronte a una situazione simile a quella che Alistair stava vivendo, creandogli grandi disagi sotto tutti i punti di vista.
   «Scusate!» proruppe una vocetta da sinistra. E prima ancora che mi voltassi, qualcuno mi afferrò per un braccio, facendomi quasi cadere a terra. «Siete una maga? Vero? Siete una maga?»
   La prima cosa che pensai, da quel primo incontro con Dagna, fu che avevo a che fare con una pazza. Mi guardava con due occhi vispi e brillanti, e il sorriso enorme che le abbelliva il viso e i codini in cui aveva raccolto i corti capelli rossi le conferivano un’aria assai allegra. Nell’insieme, era davvero graziosa. «Ehm… sì», risposi con esitazione.
   «Oh, lo sapevo!» esclamò lei, quasi compiendo un saltello sul posto. A vederla sembrava quasi una bambina, mentre solo dopo avrei scoperto che aveva poco meno dei miei anni. «E che altro potevate essere con quel bastone?»
   «Magari una che soffre di sciatica, vista l’età», mi prese in giro Alistair, essendo anche lui più giovane di me. Gli regalai uno sguardo torvo, anche e soprattutto perché la reputai una battuta offensiva nei confronti di Wynne. «Ricordatevi che vi voglio bene. Taaanto bene», puntualizzò quando agitai il ramo di quercia per fargli intuire dove lo avrei fatto scomparire se avesse insistito sull’argomento. In fin dei conti, anche quella poteva essere definita magia. L’unica consolazione fu che per lo meno quella storia del trono conteso non gli aveva fatto perdere il buon umore.
   Per fortuna, comunque, Dagna lo ignorò. «Stavo disperatamente cercando qualcuno che conoscesse il mondo di superficie, ma non mi sarei mai, mai, mai aspettata di incontrare addirittura una maga!»
   «Tre maghe», sorrise Wynne, avendola già presa in simpatia.
   L’altra si portò entrambe le mani al petto, fissandoci con ammirazione assoluta. «Non posso essere così fortunata…»
   «O sfortunata, dipende dai punti di vista», l’avvisò invece Morrigan, già stanca del chiasso da lei provocato.
   Dagna non si perse d’animo e ignorò anche lei. Si umettò le labbra e chiese: «Per caso… Per caso conoscete qualcosa chiamato “il Circolo”?»
   «Purtroppo», bofonchiò ancora la Strega delle Selve con un verso assai poco educato.
   «Io ho studiato lì», risposi. «E Wynne è una degli Incantatori anziani che vengono dal Circolo.»
   «Oh, mie signore, è un onore», si mostrò deliziata da quella scoperta la ragazza. «Non ho mai parlato con uno mago. A dire il vero non ne avevo neanche visto uno prima di oggi… Ma, ditemi, è vero che riuscite a manipolare le forze della natura con la vostra mente? Come se foste nati con il lyrium nelle vene?»
   «Non lasciatevi fuorviare dal suo fascino, bambina», la rimproverò la mia maestra. «Maneggiare la magia è molto pericoloso, una grande responsabilità.»
   «Come mai un nano è interessato al Circolo?» s’incuriosì Leliana. Tutti sanno che nessuno degli abitanti di Orzammar o di Kal Sharok potrà mai sentir scorrere il potere nel proprio corpo, e lo stesso Sandal, il figlio adottivo del buon Bodahn Feddic che viaggiava con noi, costituiva una grossa particolarità.
   «Per anni ho cercato di contattare qualcuno di lì, sapete?» cominciò allora a spiegarci Dagna. «Ho affidato lettere a ogni carovana che partiva per la superficie, eppure non ho mai ricevuto risposta. Vorrei sapere se possono accettarmi.»
   «Accettarvi?»
   «Per studiare», annuì lei, convinta.
   Alistair si curvò appena verso di me, bisbigliando a voce bassissima, così che io sola potessi udirlo. «È matta.»
   In effetti lì per lì non me la sentii di dargli torto. Ma avevamo detto la stessa cosa di Leliana, a ben guardare, quindi meglio aspettare di conoscere meglio quella pazzerella prima di giudicarla davvero. «Perché dovrebbero accettarvi?»
   «Nessun nano ha mai studiato al Circolo dei Magi!» affermò Dagna, contrariata. «Suppongo abbiate letto il Trattato sui Nani e la Non-Ereditabilità della Magia del Primo Incantatore Caethelun. Fece ricerche su nani di venti linee di sangue diverse, e scoprì che essi non potevano eseguire nessun tipo di incantesimo, a prescindere dall’esposizione al lyrium o al tempo trascorso in superficie. Il Circolo specula sul fatto che il lyrium nella Pietra ci protegge dalle influenze spirituali e col tempo ci rende immuni ad esse.» Ma il lyrium in realtà è anche un potente veleno, e a farne le spese sono soprattutto maghi e templari: può uccidere i primi e creare una disastrosa dipendenza per i secondi.
   «Quindi… cosa volete esattamente dal Circolo?» volle sapere Wynne, interessata alla questione molto più di noi.
   «Ve l’ho detto: voglio andare lì per studiare», fu l’ovvia risposta che ricevette.
   «Anch’io ve l’ho detto: è matta», ripeté il mio compagno, questa volta senza abbassare troppo il tono.
   Dagna rise, spolverando via la questione non un gesto della mano. «Oh, no! Io non voglio fare magie! Nessun nano può farle. Però non vedo perché io non possa studiare comunque lì. Potrebbe essere uno scambio prezioso: Orzammar potrebbe apprendere una delle grandi forze della natura della superficie, mentre il Circolo potrebbe guadagnarci un accesso diretto alle nostre conoscenze sulla produzione di lyrium», ci svelò infine, lasciandoci tutti a bocca aperta.
   «D’accordo, non è matta: è diabolica», boccheggiò Alistair.
   «Intelligenza, questa sconosciuta», lo prese per i fondelli Morrigan. Ero convinta che fosse troppo impegnata a rimirarsi le unghie delle mani perfettamente curate per prestare attenzione al nostro discorso, ma evidentemente sbagliavo: non si sarebbe mai lasciata sfuggire l’occasione di farsi gioco di qualcuno di noi. Di lui in particolar modo.
   «La trovo un’idea davvero interessante», commentò Wynne, conquistata dall’entusiasmo di quella ragazza. Si volse nella mia direzione. «Che ne dite? Potremmo portare il suo messaggio al Circolo, quando torneremo in superficie?»
   «Sarebbe meraviglioso!» esclamò l’interessata, battendo le mani. «Oh, il mio nome è Dagna, figlia di Janar della Casta dei Fabbri», si ricordò quindi di presentarsi. «Dite ai maghi di lì che ho cominciato a leggere Fortikum Kadab dell’Impero Tevinter, è proprio affascinante! Lo sapevate che i Lord Magister dell’Impero una volta possedevano le genealogie di tutte le famiglie umane conosciute in grado di mettere al mondo bambini con poteri magici?»
   «Ma quanti libri ha letto?» continuava a non trovare pace Alistair.
   «Io la trovo adorabile», sorrise Leliana, sinceramente ammirata. «Sarei davvero felice di poterla aiutare.»
   «Oh, andrò subito a preparare la mia roba, allora!» disse Dagna, tutta contenta. «Aspetterò al negozio di mio padre!»
   Non ci diede neanche il tempo di farle notare che sarebbe passato diverso tempo prima che potessimo tornare al Circolo dei Magi, che scappò via, con la stessa energia che ci si aspetta da una monella di dieci anni.
   «Siamo sicuri che quel Caethelun avesse ragione? Non sarà che è indemoniata?» azzardò Alistair.
   «Oh, Creatore!» esclamò di colpo Leliana, allarmata, facendoci voltare tutti nelle sua direzione. «Che cos’è?» ci chiese, additando un nug. I nug sono bestie onnivore la cui conformazione fisica può ricordare vagamente quella dei conigli, se non fosse che sono molto più grossi e completamente senza peli. A ben guardare, somigliano un po’ anche a dei maiali, come ci fece subito notare il nostro Principe. Sono creature docili, che popolano i tunnel sotterranei dei nani, i quali sono soliti cibarsi della loro carne.
   Ovviamente all’epoca non eravamo ancora tanto istruiti sulla cultura di Orzammar, e tutte queste informazioni le avremmo imparate da uno dei mercanti della parte comune della città, che vendeva appunto nug. Nonostante la sua iniziale ritrosia per essi, alla fine Leliana si innamorò di loro; e a tutt’oggi non so come diavolo potesse provare tenerezza per quel tipo di animali, visto che a me facevano piuttosto senso – anche se forse sono gli abitanti migliori del sottosuolo del Thedas.
   «Procedendo dritto di qua, su per quella scalinata, c’è il Distretto dei Diamanti», ci spiegò il nano che li commerciava. «Giù invece si va per le Vie Profonde. Brutto posto.»
   «Sì, sono piuttosto famose anche in superficie», confermò Alistair. Oltre alle descrizioni fatteci da Bodahn, sapevamo che noi Custodi avremmo dovuto percorrerle in cerca della morte quando sarebbe giunto il momento. Ma sapevamo anche che molto tempo prima, durante gli anni in cui l’Armata Ribelle muoveva contro Meghren l’Usurpatore, Maric, Loghain e Rowan erano scesi anche loro nelle Vie Profonde, e nonostante tutti i pericoli che vi avevano trovato, e che per poco non li avevano uccisi, esse erano state una via di fuga miracolosa. In quel periodo non ne ero a conoscenza, ma adesso so che Maric vi si recò una seconda volta, appena prima che l’ordine dei Custodi Grigi venisse riammesso nel Ferelden, per seguire proprio alcuni di essi che necessitavano dell’aiuto della sua memoria per poter uscire vivi da laggiù – ma di questo magari racconterò altrove.
   Mentre passavamo fra le botteghe e le bancarelle dei nani, non potemmo fare a meno di fermarci ad ammirare tutti i piccoli capolavori d’artigianato in cui questo popolo è assoluto maestro. Alistair mi confessò che, se pure l’arte figurativa gli piaceva tutta, amava in particolare tutto ciò che riguardava le creature arcane – e nutriva una certa passione anche per le pietre runiche. Scoprire tante piccole cose sui miei compagni mi rendeva segretamente felice, dal momento che ormai costituivano la mia nuova famiglia. Morrigan rimaneva sempre l’incognita maggiore, ma la fortuna fu dalla mia ancora una volta, e quando mi sorrise, non mi lasciai scappare l’occasione.
   Fra la tante merci esposte, c’era uno specchio dorato, diverso da quello che avevamo visto davanti ai cancelli di Orzammar, ma comunque abbastanza somigliante. E dal momento che il nano che lo possedeva mi promise un prezzo davvero stracciato, non esitai ad acquistarlo, pur fra le proteste di Alistair che reputava gettati via i soldi che spesi per quel regalo.
   Quando trotterellai da Morrigan, che se ne andava in giro per conto suo, senza far caso a noialtri, e le mostrai quel che avevo appena preso per lei, per una volta rimase senza parole. Mi fissò con due occhi smarriti, la bocca socchiusa per lo stupore. «Gli assomiglia?» le domandai.
   «È identico», precisò, ritrovando la voce e prendendolo fra le mani. «Come… È incredibile che tu abbia trovato qualcosa del genere… Io… non so cosa dire… davvero.» Vederla così fragile mi colpì al cuore: che fosse o meno la figlia della Strega delle Selve, di un Abominio, o di qualunque altra cosa fosse stata Flemeth, Morrigan rimaneva umana. Splendidamente umana. Scosse il capo, stringendo le labbra. «Certamente vorrai qualcosa in cambio.»
   Quasi risi. «Non essere sciocca, è un regalo.»
   Lei alzò una spalla, reclinandovi su la testa con fare che mi parve timido. «Parli come se io fossi abituata a questo tipo di cose, ma… non ho mai ricevuto regali in vita mia, a parte la collana che mi desti tempo fa», cominciò a dirmi, sciogliendosi lentamente e mostrandosi disposta ad aprirmi il suo cuore. «Non ho mai avuto niente per niente.» La capivo. All’enclave era più o meno la stessa cosa, e al Circolo più che doni veri e propri, tra di noi ci scambiavamo gentilezze e favori. «Suppongo ch’io debba ringraziarti. Quindi… grazie. È molto premuroso da parte tua pensare a me. L’ho apprezzato molto. Davvero.»
   Dopo quelle parole fui io a rimanere stordita, tanto che rimanemmo a guardarci come due cretine per diversi istanti. Almeno fino a che Alistair non passò accanto a noi borbottando: «Continuate così, e giuro che comincerò a diventare geloso.» Per amor di decenza, non riporterò qui ciò che gli rispose Morrigan, ma io lo colpii tre volte con la punta del mio bastone.
   Fu Leliana infatti a salvarlo dalla nostra ira, poiché mi chiamò da lei. Si era fermata a parlare con una nana che, ai piedi di una statua, aveva il volto segnato da una grande sofferenza e la pelle livida attorno agli occhi tristi. «Forse potremmo aiutare questa donna», mi spiegò la mia compagna con voce che tradiva una certa compassione.
   Mi sarei aspettata furiose proteste da parte di Morrigan, e invece rimase in silenzio, probabilmente ancora troppo presa dal mio gesto per riuscire a darci addosso a causa della nostra eccessiva gentilezza. «Che succede?» chiesi allora, approfittando del momento propizio.
   «Mi chiamo Filda, vedova di Teruck della Casta dei Fabbri», cominciò col presentarsi la signora, la voce pacata. «Prego ogni giorno per mio figlio Ruck. Per sapere se ritornerà da me sano e salvo o se i nostri antenati accetteranno la sua anima», mormorò, chinando il capo.
   «Che gli è accaduto?» si fece subito avanti Wynne, molto vicina al suo dolore.
   «Cinque anni fa», prese a raccontare Filda, «quando era solo un ragazzo, si unì ad un’escursione nelle Vie Profonde. Era l’unico fabbro in mezzo a tanti guerrieri, li aveva seguiti per riparare le loro armi, capite? Era così orgoglioso… Ma ad un certo punto, non so come, si ritrovò separato dagli altri. Loro tornarono, lui no.»
   «Perché nelle Vie Profonde?» domandai, ritenendola un’avventura assai pericolosa.
   «È dove dimorano i Prole Oscura», mi rispose lei. A maggior ragione non capivo il perché di quel viaggio. «Noi nani dobbiamo pattugliare costantemente le Vie Profonde, o finiremo per essere invasi da quelle creature. Ho già perso mio marito a causa loro. Se dovessi scoprire di aver perso mio figlio allo stesso modo…» Tacque, e il suo silenzio valse mille parole.
   «Non è mai andato nessuno a cercarlo?»
   Filda scosse leggermente la testa. «I capitani non vogliono avventurarsi lì per un solo uomo. Troppi di noi sono stati presi dalla Prole Oscura, laggiù.»
   «Noi non lo abbandoneremo», promise inaspettatamente Alistair per tutti. «Lo cercherò per voi, se volete.» Mi volsi a fissarlo costernata: era impazzito? Doveva esserlo, non c’era altra spiegazione. Ecco anche perché preferiva me ad una come Morrigan.
   «E come?» si mostrò scettica la donna. «Non c’è altro modo che scendere nelle Vie Profonde.» Appunto quello temevo.
   Il nostro Principe si concesse un sorriso a mezza bocca e una scrollata di spalle. «Siamo Custodi Grigi. Prima o poi ci recheremo comunque laggiù.» E questo era vero. Ma speravo che accadesse non prima di trent’anni.
   «Dei Custodi!» si stupì Filda, portandosi le mani davanti alla bocca. «Allora sì, voi potreste farcela! Solo i Custodi Grigi affrontano le Vie Profonde senza un esercito a scortarli.» Che meraviglia. «Grazie. Grazie infinite. Finalmente gli antenati hanno ascoltato le mie preghiere.»
   «Fatevi coraggio», le disse Wynne con calore. «Faremo del nostro meglio.» Evidentemente la pazzia era contagiosa. Avrei avuto la certezza che avrebbe corrotto anche la mia mente nel momento in cui li avrei seguiti nelle Vie Profonde. Per ora, comunque, con tutto il rispetto per il dolore di Filda, non c’era pericolo che facessi una cosa del genere.
   Proseguii con aria tremendamente contrariata nel nostro vagabondaggio nella zona comune di Orzammar, ancora incerti su cosa fare. Aspettavamo un segnale, o più semplicemente di riorganizzare le idee per prendere una decisione.
   «Abitanti della superficie!» udimmo poco dopo. Era un altro mercante che cercava di attirare la nostra attenzione. Ma per quanto mi piacessero i manufatti nanici, francamente mi era passata la voglia di fare acquisti o anche solo di curiosare intorno. «Lasciare entrare l’oro degli stranieri è una cosa buona e aiuta a calmare gli animi della gente di quaggiù», continuava lui, benché non gli stessimo prestando affatto attenzione. «Dovremmo lasciare i cancelli aperti, almeno per il commercio», insisteva. «Anche Bhelen la pensa così.»
   Ecco cosa mi riscosse dal torpore in cui ero caduta; al punto che subito mi feci vicina per sentire un punto di vista diverso da quello di Nerav. «La vostra fedeltà a Bhelen è palese. Perché?»
   «Non sarebbero affari vostri, ma io vado dove va l’oro», mi rispose il mercante, sincero. «È il partito aperto ai cambiamenti.»
   «Abbiamo sentito dire da qualcuno che Bhelen ha ucciso suo padre.»
   Quasi si fece una risata. «Certo. È quello che dice Harrowmont», precisò. «Nessuno dei due è un Campione, e sulla scala sociale sono allo stesso livello. Quanto a me, vado dove va l’oro, visto che Bhelen promette maggior commercio», ripeté per imprimerci meglio quel concetto nella testa.
   In fin dei conti, non ne avevamo saputo molto, al riguardo. Le accuse lanciate a Bhelen erano gravi, e il modo in cui uno dei suoi uomini aveva reagito, aggredendo addirittura il Capo delle Guardie che voleva soltanto mettere ordine in città, non gli faceva certo onore. D’altro canto, se era vero che l’unico ad aver ascoltato le parole del morente Endrin era stato Harrowmont, chi assicurava che quest’ultimo fosse stato scelto come successore dallo stesso Re? Cominciavo a credere che stessimo solo perdendo tempo e che non saremmo mai venuti a capo di nulla. Forse l’unica soluzione era parlare direttamente con il Concilio, poiché neanche dei loro portavoce volevo fidarmi.
   Quella sequenza di fastidiosi pensieri fu interrotta dalla visione inconsueta di un uomo strano: un nano vestito con i paramenti sacri della Chiesa. Era forse l’ultima cosa che mi aspettavo di vedere a Orzammar. Era assurdo quasi come un templare che si metteva a fare magie.
   Manco a dirlo, Leliana si precipitò verso di lui, che subito l’accolse con un sorriso. «Possa il Creatore benedire il vostro cammino, sorella.»
   «Possa il Suo Spirito divino illuminare sempre la vostra via», intonò prontamente la mia compagna. Morrigan stavolta si lasciò scappare un pesante sospiro.
   «Ah! È un vero piacere incontrare una persona credente», fu contento l’uomo. E nel modo di accentuare la curva delle sue labbra in segno di soddisfazione, i suoi piccoli occhi azzurri si restrinsero ulteriormente, conferendogli un’aria assai curiosa. «Sono Fratello Burkel, della Chiesa di Redcliffe, e sono ritornato nella terra dei miei antenati per diffondere il Canto della Luce.»
   Ecco l’ennesimo folle, pensai, poiché mi pareva altamente improbabile, se non impossibile, che i nani, da tempo immemore veneratori della Pietra, smettessero così di colpo di praticare le loro antiche preghiere per accogliere la religione del primo venuto. Fosse tornato lì con un folto gruppo di seguaci, magari avrebbe avuto più successo.
   «Sto facendo richiesta per aprire una cappella a Orzammar», disse, tutto convinto.
   «A chi bisogna rivolgersi per questo?» domandò Leliana, ovviamente già sua alleata.
   «Sono i Modellatori a controllare i cambiamenti della struttura e della società di Orzammar. Ho bisogno del permesso dei Modellatori dei Ricordi per mettere su un incontro di preghiera.»
   «Chi sono?»
   «Sono quelli che controllano il Modellatorio, il sistema dei registri di Orzammar», fummo lieti di sentirci spiegare. Per lo meno Fratello Burkel non ci prendeva per caproni ignoranti, a differenza di altri. «Un po’ come le storie della Chiesa, ma molto, molto più accurati. Essi tracciano le date di nascita e il lignaggio di ogni nano che viene al mondo in città, ogni proprietà in vendita, le morti in battaglia, i matrimoni o i divorzi.»
   «Se volete possiamo parlare noi con loro», si fece avanti Leliana. Io mi limitai ad alzare gli occhi al cielo, Morrigan – fortunatamente – solo a sbuffare di nuovo, intrecciando con fare seccato le braccia al petto.
   Gli occhi di Fratello Burkel si rimpicciolirono di nuovo e le sue labbra si aprirono in un nuovo sorriso. «Speravo l’aveste detto! Posso vedere la mano del Creatore sulla vostra spalla. Vi guida sempre.»
   «Il Modellatorio è nel Distretto dei Diamanti, giusto?» fece mente locale la mia compagna dai capelli rossi, quando ci fummo accomiatati da lui.
   «Forse non avremo neanche il tempo di andarci, sapete?» misi in chiaro, senza nascondere troppo il mio disappunto.
   «Immagino che invece ne avremo abbastanza per occuparci di quella ragazza che vuole andare al Circolo dei Magi, vero?» rimbeccò Leliana, affilando la lingua e piantando gli occhi chiari nei miei. Mi zittii all'istante. «Se questa Chiesa può aiutare anche una sola persona come ha aiutato me, allora credo che non ci sia nulla di male nell’appoggiare quell’uomo», aggiunse poi, placando la stizza di entrambe in un attimo. «E comunque nel Distretto dei Diamanti dobbiamo andarci lo stesso, se vogliamo chiarire questa storia del successore di Endrin con il Concilio.»
   Giunti a quel punto, avevamo ormai deciso la nostra prima tappa nella città di Orzammar.













Lo so, lo so. Avevo detto che non avrei aggiornato per un pezzo e che mi sarei invece dedicata alla raccolta. E invece ho fatto tutto il contrario: zero shot pronte e quattro capitoli da postare. Ho anche iniziato il ventiseiesimo. Come sono coerente! ^O^
Anzitutto lasciatemi ringraziare quattro persone in particolare per la consulenza riguardo la parte di Orzammar, perché senza di loro sarei ancora bella e impantanata. ^^ Mando quindi i miei più affettuosi riconoscimenti alla mia beta Atlantislux, al mio beta in seconda (per le pignolerie che ci accomunano sul senso della trama e sull'IC dei personaggi) Erecose, alla mia Lara e al mio The Mad Hatter, sempre dolcissimi e pronti a tendermi una mano non appena faccio i puppy eyes che mi riescono tanto bene (eh, beh, mica è un'esclusiva di Alistair). Vi adoro, ragazzi! >_<
Così come adoro anche tutti gli altri, lettori e commentatori, sia ben chiaro! :D Quindi un saluto va anche a tutti voi, con un ringraziamento nello specifico ad ashar (Figurati se Nimue fa Alistair allo spiedo... a meno che, in effetti, non decida poi di appiccare anche il fuoco. In quello sì che è abile! ^^), liriel (Cara, suppongo che TUTTE le fanciulle che hanno giocato con una Cousland che ha sposato Alistair si arroghino il tuo stesso diritto di considerare la loro creatura "LA regina del Ferelden", sai? XD) ed ENS (Grazie mille! Pare che la parte di Wynne sia piaciuta a tutti. *Gongola* Spero troverai piacevole anche i prossimi capitoli. ^^), CookieandDeadlySins, LayraLuinIsil, kelyseh e tutti quelli che ho conosciuto su DeviantArt e che si sono presi il disturbo di leggere le mie storie. ^^
Ah, e poi, perdonatemi, ma lasciate che io ringrazi di cuore lo staff di Wikia: loro non lo sanno, ma su quella di Dragon Age sto trovando tante di quelle informazioni che sembra quasi che io sappia davvero ciò che scrivo nei capitoli. XD
Buon proseguimento di settimana a tutti! ^^
Shainareth





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Capitolo 23
*** I due successori ***







CAPITOLO VENTITREESIMO – I DUE SUCCESSORI




«Alistair», udii alle mie spalle, mentre con Leliana procedevo in testa al gruppo verso il Distretto dei Diamanti, «potrei scambiare due parole con voi?»
   «Certamente, Wynne», rispose il nostro Principe con tono allegro. «Qualunque cosa per la mia seconda maga preferita.»
   «Immagino che la prima non sia Morrigan.»
   «Per lo Spirito del Creatore! Uccidetemi, se dovessi delirare e farfugliare eresie del genere!»
   «Guarda che ti prendo in parola», si intromise Morrigan, indispettita. Io e Leliana non riuscimmo a fare a meno di metterci a ridere.
   Wynne invece rimase invidiabilmente seria. «Mi è parso di capire che voi e Nimue siate diventati inseparabili, da quando ci siamo conosciuti a Ostagar», iniziò, apparentemente candida come la neve che ci eravamo lasciati alle spalle prima di metter piede ad Orzammar. «Uniti per i fianchi, quasi.»
   Arrossii, e dal momento che non osavo voltarmi verso di loro – mi bastavano gli occhi di Leliana fissi su di me – immaginavo che anche Alistair dovesse averlo fatto, perché la sua voce subì una leggera inclinazione. «Non pensate che sia un’esagerazione?»
   «Beh, credo comunque che sia arrivato il momento ch’io vi insegni da dove vengono i bambini.»
   «… Pardon?» rimase sconcertato l’altro. E io con lui. Tanto che mancai un passo, finendo quasi addosso a un ragazzino che scorrazzava poco distante da noi insieme ai suoi amici.
   «So che la Chiesa insegna che i bambini vengono portati dagli spiriti buoni dell’Oblio e che ve li mettono fra le braccia quando è giunto il momento giusto», proseguì Wynne, indomita. E senza pietà. «Ma non è vero. In realtà, quando un ragazzo e una ragazza si amano…»
   «Per la spada fiammeggiante di Andraste!» starnazzò Alistair, alzando di colpo il tono per interromperla. Dal canto mio, credo che se avessi ascoltato il resto della conversazione sarei caduta vittima di una crisi epilettica. «Lo so come nascono i bambini!»
   «Ah, sì?» si finse stupita Wynne. A volte era davvero peggio di Morrigan. Io che la conoscevo bene ne ero consapevole, ma quel poveretto evidentemente non aveva ancora inteso con chi avesse a che fare.
   «Spero vivamente di sì», ribatté, cercando di calmarsi.
   «Oh, d’accordo», gli concesse tregua lei. Rimase in silenzio giusto il tempo per sghignazzare, deliziata. «Oooh, guardatevi: siete arrossito tutto.»
   «Lo avete fatto apposta!» comprese finalmente Alistair, forse rimpiangendo il fatto di essere rimasto indietro con lei. E Morrigan. Che però rimase inaspettatamente zitta per tutto il resto del tempo – a differenza di Leliana che non riuscì a trattenersi dallo scompisciarsi.
   «Suvvia, Alistair. Perché mai avrei dovuto fare una cosa simile?»
   «Perché siete cattiva», l’accusò lui, covando vendetta. «Altro che la fragile, vecchia signora che volete far credere di essere. Non sono così stupido. Vi terrò d’occhio.»
   Wynne si lasciò andare di nuovo ad una lunga, divertita risata sommessa. «Siete adorabile.»
   «Voi no», replicò lui, stizzito come un moccioso. Lo capivo, lo capivo perfettamente. Purtroppo. Se già Wynne era stata capace di prendermi in giro per via di Cullen, del quale non ero neanche innamorata, figurarsi cosa non avrebbe potuto dire adesso che fra me ed Alistair era praticamente cosa fatta. Meglio comunque questo che sentirsi dire di chiudere la nostra storia lì, quando era appena cominciata.
   Qualcuno mi afferrò con forza per un braccio e non protestai minimamente quando il mio collega mi trascinò più avanti, così da sfuggire alle tre arpie con le quali viaggiavamo ormai da mesi. «Fa sempre così?» volle sapere.
   «Ehm… A volte», risposi, iniziando a salire con lui la scalinata che ci avrebbe portati nella parte alta della città. «Ad ogni modo, penso che abbiate ben poco di che lamentarvi, sapete?» Le sue iridi castane mi fissarono con fare contrariato, in attesa di una spiegazione. «Voi sapete essere molto più dispettoso, quando vi ci mettete.»
   «Beh… non lo nego», ammise. «Però non metto mai in imbarazzo gli altri», ci tenne a puntualizzare.
   Stavolta fui io a lanciargli un’occhiata scettica. «Devo ripetervi tutte le battute a doppio senso che mi avete fatto da che ci siamo conosciuti?»
   «Ve le ricordate tutte?» si congratulò Alistair con me, stranamente inorgoglito, mentre mi passava un braccio attorno alle spalle. «Ne ho molte altre nel repertorio, se volete sentirle», mi assicurò, lieto di potermene rendere partecipe.
   Tacqui per qualche attimo. Poi non riuscii ad evitare di ribattere con una certa acidità: «Avete un repertorio? Dunque siete solito fare l’imbecille con tutte le donne che vi capitano a tiro?»
   Lui sghignazzò, affondando la punta del naso fra i miei capelli. «Ve l’ho già detto che siete deliziosa quando vi mostrate gelosa?»
   «Chissà se lo sono anche quando vi mostro il dito medio. Vogliamo provare?»
   Tuttavia non riuscimmo a stabilirlo, poiché proprio in quell’istante raggiungemmo la parte di Orzammar in cui dimorano i nobili e in cui sono ubicate le strutture statali. Il Distretto dei Diamanti presenta edifici più lineari e puliti, ma, soprattutto, qui la gente è davvero impegnata a far niente rispetto ai comuni cittadini. Un po’ come avviene in tutte le zone civilizzate del Thedas, suppongo. In questi casi, non importa se sei un umano o un nano: se sei nato in una famiglia povera, resterai tale per tutta la vita; se sei nato in una famiglia ricca, avrai il potere di comandare su tutti quelli che non hanno avuto la tua stessa fortuna. A meno che tu non sia un religioso o un eretico. O a meno che tu non sia un elfo: allora la tua posizione sociale sarà irreversibilmente sempre in fondo, e tu sarai ultimo tra gli ultimi. Mi chiedo spesso per quale dannata ragione gli umani siano così invidiosi di noi, al punto da arrogarsi il diritto di disporre della nostra vita come più gli aggrada.
   Nel Distretto dei Diamanti, dicevo, gli edifici sorgono quasi tutti sulla sinistra. Due banditori si davano battaglia a suon di strilli davanti ai palazzi dei rispettivi padroni. Quello più vicino a noi parteggiava per Harrowmont, giurando che egli era: «…la voce della tradizione e della stabilità! Lord Bhelen è la voce dell’anarchia e della rovina!»
   Più in là, quello che sosteneva il figlio del defunto Endrin rispondeva: «I Custodi Grigi sono arrivati ad Orzammar, molto probabilmente per presentare i propri omaggi al legittimo re, il Principe Bhelen!»
   E questo ci metteva grandemente in imbarazzo, visto che non avevamo alcuna intenzione di appoggiare l’una o l’altra fazione. A noi interessava soltanto che qualcuno sedesse sul trono il prima possibile e ci assicurasse aiuto nel combattere la Prole Oscura anche in superficie. Scorgemmo lo sguardo di disappunto di Nerav, ferma a parlare con una donna in armatura, e l’unica cosa che ci venne in mente di fare, a quel punto, fu di fuggire verso il Modellatorio in cerca di un luogo dove poter pensare in pace e dove poter recuperare altre informazioni riguardo alla situazione presente.
   Scoprimmo quindi che un Modellatorio non è altro che una sorta di biblioteca, solo molto più fornito di tutto ciò che riguarda anche la sfera sociale del regno dei nani. Una sorta di grosso archivio comunale, se così possiamo definirlo. Protegge la conoscenza di Orzammar sfruttando certe proprietà del lyrium a me sconosciute. Fu qui, ad esempio, che scoprimmo che quello in cui si erano avventurati Re Maric e i suoi compagni diversi anni prima era il Thaig Ortan, caduto nelle mani della Prole Oscura durante l’ultimo Flagello più di quattro secoli fa. Come il padre di Alistair fosse riuscito a trovarlo, tuttavia, rimaneva ancora un mistero.
   Parlando con il Modellatore, comunque, fummo abbastanza persuasivi riguardo alla richiesta di Fratello Burkel: grazie a un invidiabile panegirico di Leliana circa la grande carità della Chiesa che avrebbe senza dubbio portato aiuto alle vedove e agli orfani di Orzammar, ci fu concesso il permesso di organizzare incontri di preghiera.

Dal momento che il Modellatorio è un’organizzazione apolitica, per cercare di capire meglio la situazione fra il Principe Bhelen e Lord Harrowmont fummo indirizzati alla Sala del Concilio, non distante da lì, dove si radunano gli ottanta membri, tutti appartenenti all’aristocrazia di Orzammar.
   Ci fu permesso di assistere al dibattito in corso, a patto che facessimo silenzio e che, soprattutto, non intervenissimo in alcun modo. La Sala del Concilio è molto ampia, e la sua struttura fa decisamente onore all’architettura nanica. Un uomo, al centro di essa, ascoltava attentamente ciò che gli altri dicevano, ed un gran numero di nobili, maschi e femmine, pareva darsi battaglia a viva voce.
   «Vi siete bevuti il cervello se pensate che potremmo passare una tale ordinanza. Metà delle nostre case potrebbe andare in rovina senza il commercio con la superficie», stava infatti dicendo un uomo.
   «La proposta sarà effettiva solo finché non avremo un re che ci assicuri rispetto dagli abitanti della superficie!» ribatté un altro.
   «Calma, signore e signori del Concilio. Ho già raddoppiato la guardia per prevenire ogni sorta di violenza. Devo aumentarne ancora il numero?» li provocò l’uomo al centro della sala per farli desistere dal cominciare una rissa verbale. A quanto sembrava, era l’incaricato a mantenere l’ordine.
   «Siniscalco Bandelor, i simpatizzanti di Bhelen ci stanno legando le mani!»
   «Propongo di mettere la faccenda al voto», suggerì una donna, più razionalmente.
   «E io propongo di farvi provare le armi della mia famiglia!» si sentì rispondere con asprezza.
   «Basta!» disse Bandelor al centro della sala. «Il Concilio è sciolto fino a che i membri non riprenderanno il controllo delle proprie emozioni!»
   Non era davvero un bel momento. Da che avevamo iniziato il nostro peregrinare per il Ferelden in cerca di alleati contro il Flagello, ovunque andassimo non facevamo altro che incappare in una serie di ostacoli apparentemente insormontabili che ci facevano mettere le mani nei capelli. Mi chiesi se non fossimo proprio noi a portare sfortuna.
   «Sono sempre più convinto di non voler diventare re», mormorò Alistair mentre, insieme a tutti gli altri, stavamo lasciando il Concilio per tornare nell’atrio d’ingresso di quell’edificio tanto antico e importante. «E di non voler neanche avere a che fare con la politica in genere. Nemmeno per sbaglio.» Di certo non lo avrei biasimato per questo, non dopo la scena a cui avevamo appena assistito.
   «Per la Pietra… Quanto sono sciocchi», sbuffava invece il Siniscalco, guardando fluire la folla di nobili fuori da quelle mura ed assicurandosi che le guardie facessero il loro lavoro. Quando poi si accorse di noi, fece un gesto veloce con il braccio e si avvicinò. «Sono desolato», esordì con voce spenta. «Solitamente non permettiamo che qualcuno assista alle nostre riunioni. Immagino che voi siate i Custodi Grigi, dico bene? Perdonatemi, sono davvero esausto. Tanto che avevo completamente dimenticato il messaggio che mi era stato riferito dalle guardie ai cancelli d'ingresso della città. Ad ogni modo, benvenuti a Orzammar, Custodi. Spero che possiate perdonare il caos di quaggiù. La perdita del nostro re è stata un duro colpo per tutti noi. Il rispetto per voi è grande, ma temo che non potrete ricevere udienza fino a che un nuovo sovrano non siederà sul trono.»
   «C’è un Flagello in arrivo», gli facemmo sapere, ripetendo quelle parole come una cantilena a chiunque pareva dimenticarsene.
   «È un problema, certo», fu d’accordo lui, chinando il capo, «ma è comunque meno urgente di un trono vacante. Il Concilio diventa cieco riguardo a tutto il resto.»
   «Non c'è nulla che si possa fare per rompere questa situazione di stallo?»
   «Devo ammetterlo, Custodi, non so davvero dove sbattere la testa. Ma forse voi potreste aiutarci.» Aggrottai la fronte, non capendo in che modo. «Dulin Forender, il portavoce di Harrowmont, si trova nella tenuta del suo signore. Vartag Gavorn, quello del Principe Bhelen, invece lo si vede spesso qui intorno. L’unica cosa che potete fare, è parlare con loro e magari riuscire a vedere ciò che sfugge a tutti noi, troppo coinvolti in questo conflitto politico per guardare la situazione con obiettività.»
   Dovevamo quindi essere noi a prendere posizione per risolvere i loro problemi? Vidi Alistair impallidire. Dopotutto aveva ragione: per uno strano scherzo del destino, tutto quello non sembrava altro che un’anticipazione di ciò che avremmo forse trovato a Denerim quando avremmo mosso contro Loghain – si sperava insieme ad Arle Eamon.
   «State calmo», provai a dirgli nonostante io per prima fossi agitata come mio solito. «Non è mica detto che ci coinvolgeranno del tutto in questa storia.»
   «Ho sentito che c’erano i Custodi Grigi a Orzammar», mi smentì immediatamente un uomo non appena fummo fuori da quel vespaio di politici incattiviti. «Sono Dulin Forender, il secondo di Lord Harrowmont, colui che Re Endrin scelse come suo successore.» E colui che in teoria avrebbe dovuto essere alla tenuta del suo signore. Quindi per quale dannato motivo era lì?
   Nessuno laggiù mi conosceva e perciò non avevo ancora avuto modo di manifestare ai nani il mio grande istinto di protezione nei confronti di Alistair – che di nuovo mostrò segni di insofferenza per l’intera faccenda. Di conseguenza, il povero Forender era completamente ignaro del mio improvviso desiderio di strappargli sadicamente gli attributi a unghiate, tanto che continuò in quelle che credevo inutili chiacchiere.
   «So che nel mondo di superficie è in atto un Flagello. È vergognoso che noi non siamo in condizione di potervi aiutare.»
   Ritrassi gli artigli come fanno i gatti, trovandomi perfettamente d’accordo con quel tipo. «Abbiamo dei trattati che legano Orzammar ai Custodi Grigi.»
   «Ne sono consapevole. Tuttavia anche se il mondo dovesse finire domani, Lord Harrowmont non può ignorare Bhelen, oggi.»
   «Ci piacerebbe parlare con lui», dissi allora. Alistair si voltò a fissarmi allibito. «Da qualche parte dovremo pur cominciare a cercare aiuto, vi pare?» provai a giustificarmi. Sbuffò, ruotando gli occhi al cielo e scrollando le spalle per lasciarmi carta bianca – o almeno così interpretai quella sua reazione.
   «In tempi normali, Lord Harrowmont sarebbe lieto di incontrarvi», mi rispose cortesemente Dulin Forender. «Sfortunatamente, abbiamo già catturato moltissime spie di Bhelen che cercavano di avvicinarsi al mio signore fingendosi suoi amici.» Qualunque cosa sentissimo in giro, ne usciva che Bhelen era davvero un criminale, un poco di buono. Almeno su questo c’era un abisso fra lui e il nostro Principe. «Per cui, mi spiace, ma devo chiedervi di provarmi la vostra buonafede prima di lasciarvi vedere Lord Harrowmont. Non vogliatemene, è solo una precauzione.»
   «In che modo potremmo convincervi che non lavoriamo per Bhelen?»
   «Potreste partecipare alla Prova di oggi», mi suggerì. «Purtroppo Bhelen trova sempre il modo per minacciare o intimidire i migliori combattenti della Casata degli Harrowmont e farli ritirare prima degli incontri.»
   «Prova?» ripetei, già dimentica di tutti gli insegnamenti che mi erano stati fatti fino a quel momento riguardo ai Campioni anche con l’ausilio del Modellatorio.
   «Avete presente la sala che c’è in fondo alla parte comune della città?» mi venne incontro Alistair, paziente. «È la sala delle Prove. Lì si affrontano i combattenti, e sempre lì spesso nascono le leggende sui Campioni.»
   «Oh», biascicai io. Ci misi qualche secondo per afferrare appieno la questione, e quando lo feci il mio compagno quasi mi applaudì. «Dovremmo combattere?!»
   «Dovreste, mi cara, dovreste. Da sola», mi pungolò ancora Alistair, intrecciando le braccia al petto a dimostrazione che non avrebbe mosso muscolo al riguardo. E fra me e lui era indubbio che quello in grado di fare a botte non ero io.
   Urgeva un piano di riserva. Abbozzai un sorriso rivolto a Dulin Forender. «Ehm… Volete che scopra perché i vostri combattenti si ritirano?»
   «Sarebbe… interessante, certo», convenne lui. «Tuttavia pensavo ad altro.» E questo altro mi spaventava non poco. «Se volete dimostrare la vostra lealtà, entrate nella sala delle Prove come un combattente. Con la vostra reputazione, non dubito che gli antenati vi favoriranno. Basterà questo per umiliare Bhelen.»
   Non c’era alternativa? Quasi quasi mi veniva voglia di schierarmi con Bhelen…
   «Forse entreremo lì dentro», gli concessi, mettendo però le mani avanti per fargli capire che non gli stavo promettendo un bel niente. «Ma solo per scoprire la ragione del ritiro degli altri.»
   «Ottimo», ne fu comunque contento Dulin Forender. «Parlate col maestro delle Prove e ditegli di aggiungere il vostro nome alla lista di Lord Harrowmont. I nostri combattenti chiave, due di quelli che abbiamo perso, sono Gwiddon e Baizyl. Potete dare un’occhiata nella camera di preparazione dei combattenti, dietro il ring, per vedere se si sono nascosti lì. E se non volete combattere, assicuratevi di trovarli prima che le Prove comincino, perché dopo il primo incontro nessuno può cambiare le liste.» Dunque non era necessario fare a botte. Recuperai circa dieci anni di vita. «Se mi cercate ancora, per una qualsiasi cosa, mi troverete alla taverna che è nella zona comune della città. Non c’è posto migliore di quello per avere dei pettegolezzi. Forse persino quello sulla vostra vittoria», ammiccò l’uomo prima di allontanarsi.
   Alla parola taverna i nostri stomaci esultarono all’unisono, e tutti noi cominciammo a seguire Dulin Forender, seppur a debita distanza per non ricominciare a parlare di cose che avrebbero fatto passare l’appetito ad Alistair. Beh, forse. Ad ogni modo, benché fosse di malumore, quest’ultimo non poteva darmi affatto torto: da qualche parte dovevamo cominciare, e se tutto ciò che si sentiva su Bhelen era vero, allora probabilmente era giusto appoggiare Harrowmont. Tuttavia quell’idea non ci entusiasmava molto, perché, nonostante le persone in gioco non fossero le stesse, ci sembrava quasi di dare credito a Loghain: se il figlio del defunto sovrano non è capace di regnare, allora che il comando sia affidato a qualcun altro. Il ragionamento non era sbagliato, però come si poteva essere sicuri che davvero Re Endrin avesse scelto Harrowmont come successore se in punto di morte non c’era stato nessun altro con lui?
   «Notizia dell’ultima ora», gridò il banditore del Principe al nostro passaggio, guardandoci con occhi colmi di speranza. «Lord Harrowmont si è trincerato nel passato! Quanto a lungo potrà ignorare che Orzammar deve cambiare per sopravvivere?» E su questo forse non c’era da scherzare, ammesso che fosse vero che gli affari dei nani andavano sempre peggio.
   «Saranno due anni, domani! Per tutti i santi, maledetti antenati! Come potete ignorarlo?!»
   Quelle esclamazioni concitate ci strapparono ad ogni altro pensiero, e la nostra attenzione si spostò su due uomini non distanti dalle scale che portavano alla zona comune della città. «Branka non andò lì da sola, Oghren», stava dicendo uno. Branka era il Campione rappresentato in una delle statue poste all’ingresso di Orzammar, per quel che ricordavo. «Prese con sé tutti i componenti della sua famiglia. Tranne te. È per questo che anneghi i dispiaceri alla taverna.»
   Il nano dai capelli rossi, che a quanto pareva si chiamava Oghren ed era niente meno che un parente di Branka, ribatté con rabbia: «Pensi che io sia spaventato da qualche cucciolo di guerriero che ha appena finito di succhiare dalla tetta della mamma?! Io...»
   «Se alzerai un dito contro un singolo cittadino di Orzammar ti sarà tolta la Casta a cui appartieni e sarai esiliato», lo mise in guardia l’altro. «Via di qui prima che chiami una guardia.» Pur sbuffando e masticando qualche altra imprecazione assai poco ortodossa contro non so bene chi, Oghren si allontanò, non prima di averci lanciato uno sguardo e aver inarcato un sopracciglio, come a chiedersi cosa ci facessero degli abitanti della superficie laggiù, nel loro regno.

«Bhelen non è molto amato.»
   «Di’ pure che, se potessero, lo bandirebbero da questo posto.»
   «Che avete intenzione di fare?» volle sapere Leliana. Non seppi davvero cosa rispondere alla sua domanda, che mi arrivò quasi come un brusio a causa della musica e delle canzoni che i nani cantavano poco più in là. La taverna era gremita di gente, compresi Dulin Forender e quel tipo dai capelli rossi, impegnato a vuotare l’ennesima bottiglia di alcol. «Mi domando come faccia a mandarne giù così tanta…» riprese Leliana, seguendo il mio sguardo. «Sapete, una volta ho bevuto della birra nanica e mi sono svegliata una settimana dopo a Jader, con indosso solo le scarpe e un asciugamano.» Ci voltammo tutti a fissarla. Lei scosse le spalle. «Erano altri tempi», liquidò così la questione, portandosi un boccone alle labbra con estrema disinvoltura.
   «Quell’uomo non era presente al Concilio?» Wynne fece cenno verso un tavolo in fondo alla taverna, riportandoci alla questione più urgente. «Suggerirei di informarvi meglio sul conto di Harrowmont prima di decidere da che parte schierarvi. E magari di ritrovarvi con le ossa rotte durante le Prove», sogghignò, facendomela pagare anche lei per aver deciso tutto senza consultarli.
   In realtà non era davvero così, poiché io non ero affatto sicura di voler appoggiare la causa di Lord Harrowmont. «Più che altro, prima vorrei ascoltare anche il secondo del Principe», affermai per tranquillizzare tutti. «Insomma, Wynne, mi conoscete, sapete che sono il tipo di persona che non ha colpi di testa e che ragiona sulle cose almeno venti volte prima di agire.»
   «Allora immagino che quando ti sei appiccicata ad Alistair i tuoi neuroni fossero in vacanza», infierì Morrigan, divertita.
   «Ah-ah-ah», le fece il verso il nostro compagno. «In certi momenti mi verrebbe voglia di riempirvi quella stupida faccia di schiaffi, lo sapete?»
   «Perché non provate a parlare anche con lui, a questo punto?» continuava Wynne nel suo discorso, ignorando a bella posta quei due imbecilli che ero stata costretta a portarmi dietro dalla battaglia di Ostagar.
   La reputai una buona idea, per cui acchiappai Alistair per un braccio prima che potesse rimbeccare all’ennesimo insulto di Morrigan e lo trascinai via con me. «Perché devo esserci anch’io?»
   «Perché siete l’altro Custode.»
   «Eh, ma l’altro Custode vi ha dichiaratamente espresso la propria opinione in merito: non vuole avere nulla a che fare con certe questioni.»
   Arrestai il passo, voltandomi a guardarlo con risolutezza. «Capisco perfettamente cosa state provando in questo momento, ma qui non si tratta della vostra situazione, Alistair», misi in chiaro una volta per tutte. «Bhelen non è il figlio illegittimo di Re Maric, e Lord Harrowmont non è Loghain.»
   Lo vidi alzare la testa verso il soffitto con fare esasperato. «Credete che non lo sappia? È solo che non dovremmo intrometterci in una situazione tanto delicata.»
   «Sono d’accordo con voi», gli assicurai, pur non addolcendo il tono della voce. «Ma se questo stato di cose non si sblocca in qualche modo, potrebbe scoppiare una guerra civile mentre siamo qui, e allora, tra le varie conseguenze che ne deriverebbero, potremmo dire addio all’alleanza con i nani. Ci avete pensato?»
   Alistair riempì i polmoni d’aria, trattenendo il respiro per qualche istante. Infine, sospirò pesantemente. «Sì, avete… avete ragione», disse, mortificato.
   Gli regalai un sorriso d’incoraggiamento. «Per adesso ci limiteremo a raccogliere informazioni, e solo dopo, se sarà necessario, prenderemo posizione. Vi sta bene?»
   Annuì silenziosamente, e se avessi potuto lo avrei abbracciato. Ma quella folla inibiva ogni mia dimostrazione d’affetto nei suoi confronti, anche perché un elfo e un umano davano già parecchio nell’occhio in mezzo ad una moltitudine di nani. Alla mente mi sovvenne il discorso fatto da Wynne poco prima di mettere piede nel Distretto dei Diamanti: in realtà per tutto quel tempo Alistair non mi aveva mai chiesto niente che andasse al di là di baci e carezze, e questo lo apprezzavo tantissimo. Nonostante la mia età, avevo ancora molte remore riguardo al sesso, probabilmente a causa della brutta esperienza vissuta da mia sorella, ed ero consapevole del fatto che Alistair dovesse averlo compreso, anche per via del discorso che mi aveva fatto la sera prima che lasciassimo i Dalish accampati ai margini della Foresta di Brecilian. In più, Alistair era un umano, e per troppo tempo io avevo avuto paura della sua razza, tanto che ero arrivata a farmi un esame di coscienza e a domandarmi se un giorno sarei riuscita a vincere ogni mia fisima e a donarmi davvero a lui. E in quel momento, vedendolo così abbattuto e indifeso, nel mio cuore cominciava a farsi strada una risposta, e speravo davvero che quella mia nuova convinzione continuasse a crescere e a rafforzarsi.
   «Quando… Quando tutto questo sarà finito», iniziai allora timidamente, spostando una ciocca di capelli dietro un orecchio ed evitando lo sguardo del mio compagno mentre sentivo nitidamente il calore salirmi al viso, «io vorrei… vorrei potervi ricambiare in qualche modo.»
   Alistair aggrottò la fronte. «Ricambiare cosa?»
   «La pazienza che avete con me», precisai, alzando lentamente gli occhi per incrociare i suoi.
   «Voi sopportate me, direi che siamo già pari», scrollò le spalle, tranquillo.
   Abbozzai un sorriso. «Sì, sì, però…» Mi schiarii la gola: se lui si era deciso a non muovere il primo passo per paura di urtare la mia sensibilità, toccava a me compierlo e rassicurarlo che non c’erano problemi. «Vorrei poter fare di più», confessai alla fine, pur col cuore che mi esplodeva in petto. «Capite cosa intendo?»
   «Che finalmente imparerete a non darmi fuoco?» azzardò lui, sghignazzando come un deficiente.
   Girai i tacchi per non prenderlo a bastonate sulle gengive, e ripresi a camminare nervosamente verso il politico presente al Concilio, maledicendo Jowan. Sì, Jowan. Perché durante gli ultimi anni passati a Kinloch Hold non aveva fatto altro che deridermi per la mia mancanza di tatto nei confronti di quei giovanotti che mi chiedevano di far loro compagnia in modo così delicato e gentile che io finivo immancabilmente per fraintendere le loro intenzioni e capire tutt’altro. Dopo la conversazione avuta con Alistair, però, avrei tanto voluto far sapere a tutti quegli sciupa femmine che non ero la sola creatura al mondo a mostrarsi insensibile sull’argomento. Ammesso e non concesso che, forse intimidito perché preso alla sprovvista da quella mia proposta, Alistair non avesse deciso di fingere di non capire, ovviamente. Decisi di tenermi il dubbio.
   «Voglio dire... Gli antenati hanno davvero bisogno del nostro aiuto per decidere chi è degno di salire al trono?» stava discutendo frattanto il politico con altra gente. Quando però si accorse di noi, subito si alzò in piedi e chinò la testa in segno di saluto, distogliendoci dal nostro imbarazzante discorso. «Lord Denek Helmi, membro del Concilio di Orzammar e grande delusione della mia stimata madre, che non ama che io trascorra tanto tempo nelle taverne», si presentò con grande ironia. «Avrete certamente sentito cosa stavo dicendo, vero? Sulla superficie non ci sono Caste, eppure tutto va a meraviglia. È così, Custodi?»
   Avrei voluto parlargli dei maghi e degli elfi, ma mi trattenni. Dopotutto, lì non c’erano né gli uni né gli altri, per cui se si parlava soltanto di umani, allora sì, in qualche modo si poteva dire che egli avesse ragione: nobili e plebei possono anche arrivare a mangiare alla stessa tavola o a contrarre matrimonio, in talune occasioni, perché non c’è legge che lo vieti. «Più o meno», dissi allora.
   «Ammetto di aver parlato con gente di altre Caste, di tanto in tanto», continuò Lord Helmi. «Sapete, la maggior parte dei fabbri o dei tavernieri potrebbero essere dei buoni oratori, se solo noi nobili li lasciassimo partecipare al Concilio.» Ecco un uomo che ragionava in modo notevole. E giusto. «Orzammar è così impantanata nella tradizione che nessuno si chiede se davvero le Caste siano necessarie.»
   «Perdonate la nostra ignoranza», prese parola Alistair, cominciando anche lui a trovare interessanti le sue parole, «ma come funziona esattamente il sistema delle Caste, qui?»
   Fu probabilmente questa la cosa che ci colpì molto, e cioè l’organizzazione sociale dei nani. Lord Helmi ci spiegò di buon grado che ognuno di loro è classificabile in base alla Casta, e coloro che nascono Senzacasta vengono considerati rifiuti della società e costretti a vivere nel Distretto della Polvere, luogo decisamente malfamato perché pieno di gente che fa quel che può per sopravvivere – praticando quindi attività illecite o dandosi finanche alla prostituzione. Quando una coppia mette al mondo un figlio, quest’ultimo prenderà la Casta del genitore del suo stesso sesso. Allo stesso modo, se una nobile o una donna appartenente alla Casta dei Fabbri decidesse di sposare un Senzacasta e mettesse poi al mondo un maschio, il bambino sarà un Senzacasta esattamente come suo padre e niente potrà mai cambiare questo stato di cose.
   A ben guardare, i nani Senzacasta non sono poi così diversi dagli elfi di città, bistrattati e trattati come feccia da moltissimi umani.
   «Voi chi appoggiate per la successione al trono?»
   Lord Helmi si limitò ad allisciarsi il viso ben rasato – a quel che ricordo, era uno dei pochissimi nani senza barba che io abbia mai incontrato nei mie lunghi viaggi. «Come ho detto prima, lascio la scelta ai nostri antenati. Ma è pur vero che il primo a volere l’abolizione delle Caste è il Principe Bhelen.»
   E tutti lo dipingevano come un mostro. Beh, se aveva davvero distrutto la propria famiglia per arrivare al potere di certo non era un santo. Tuttavia dimostrava di avere valide argomentazioni per conquistarsi le simpatie del popolino – che però non poteva votare – e di quanti, come Lord Helmi, sostenevano l’inutilità delle Caste, fautrici soltanto di gravi discriminazioni sociali.
   A quel punto non ero più tanto sicura di voler dare il mio appoggio a Harrowmont. Quando lo dissi ad Alistair, lui mi fissò con espressione confusa. «Non parteggerò né per l’uno né per l’altro, ve l’ho già anticipato», mi rispose mentre ci accomiatavamo da Denek Helmi. «Posso però esprimere la mia preoccupazione riguardo al fatto che state prendendo in considerazione l’idea di schierarvi dalla parte di un assassino?»
   «Lo so, non piace neanche a me», gli garantii. «Ma dovete ammettere che quello delle Caste non è per nulla un sistema equo: non sono altro che un veicolo per creare disuguaglianze e fomentare razzismo verso persone che, in realtà, non sono affatto dissimili da tutti gli altri.»
   «Su questo mi trovate d’accordo. Mi chiedo però se sia giusto stravolgere così, con l’aiuto del primo venuto dalla superficie, secoli e secoli di tradizione. Guardate i Dalish, per esempio.»
   Alzai una mano per farlo tacere. «Gli elfi combattono contro l’estinzione della propria specie. I nani no», gli ricordai. «E qui non stiamo parlando di convivenza, ma di apertura mentale.»
   Alistair annuì, grattandosi la nuca. «Giusto. Come al solito dimostrate di saper ragionare meglio di me», ammise. «Quindi volete parteggiare per Bhelen?» domandò senza entusiasmo. Farlo significava in qualche modo comportarsi da ipocriti: il figlio di Endrin non stava forse usato metodi affini a quelli di Loghain per agguantare il potere? Ciononostante, per quel che mi riguardava, non potevo comunque rimanere indifferente alla forte disparità che si faceva all’interno del popolo di Orzammar.
   «Non lo so», sospirai infine, volgendo lo sguardo intorno in cerca di un aiuto esterno. I miei occhi furono nuovamente richiamati dall’uomo con i capelli rossi che avevamo incrociato prima di lasciare il Distretto dei Diamanti, il parente di Branka. Nella mia testa scattò qualcosa, per cui indirizzai i miei passi nella sua direzione, con Alistair che, poveretto, pazientava a starmi dietro.
   «Che volete?» fu il benvenuto che ci diede Oghren, scrutandoci con gli occhi azzurri annebbiati dai fumi dell’alcol. Fece poi mente locale e aggiunse: «Ehi, ho sentito di voi. Siete i Custodi Grigi venuti dalla superficie. C’è una grande crisi nel mondo.» A conti fatti, per come parlava non sembrava neanche tanto brillo. Assurdo, visto il numero di fiasche che aveva vuotato fino a quel momento. «La gente dice che vi siete schierati con Harrowmont.»
   «No, questo non è vero», ci precipitammo a negare noi.
   Lui ci ignorò. «Suppongo che voi siate i soli che possano aiutarmi a trovare Branka. Ma suppongo anche che siate esattamente come tutti gli altri.»
   «Gli altri chi?» Aveva conosciuto altri Custodi prima di noi?
   «Quei maledetti lord assetati di potere», rispose Oghren, barcollando sulla sedia. «La loro unica preoccupazione è il culo che siederà sul trono. Non fate gli gnorri. I loro lacchè vengono da me solo quando vogliono qualcosa. Beh, se volete conoscere i segreti di un Campione, trovate Branka.»
   Dal momento che la sua voce monotona e soporifera mi aveva già appiattito il cervello, ed io avevo ormai concentrato la mia attenzione sulle quattro trecce in cui Oghren aveva raccolto i suoi lunghi baffi, facendomi rimpiangere i bei tempi andati in cui portavo i capelli acconciati in modo simile, fu Alistair a porre la domanda successiva. «Di quale Branka parlate? Del Campione?»
   «È dispersa nelle Vie Profonde da due anni!» esclamò Oghren, battendo un pugno sul tavolo e risvegliandomi dal torpore mentale. «Due anni e nessun, dannato esercito si è mosso per andare a cercarla!» Restrinse gli occhi in due fessure, studiandoci attentamente. «Siete venuti qui per conto di Harrowmont, eh? Per scoprire i suoi segreti? Quell’uomo sta cercando di avere qualunque cosa su di lei, lo so. Vuole tutto per sé, è così? Un po’ della perduta tecnologia degli antenati per gettare Bhelen fuori da qui, eh?»
   «Francamente, non abbiamo idea di che cosa stiate parlando», balbettò Alistair, incerto. Probabilmente anche lui, come me, si stava domandando se quella vecchia spugna fosse davvero lucido.
   «E se invece volessimo aiutarvi davvero?» chiesi io. Sentii lo sguardo del mio compagno sul collo rimproverarmi della mia lingua lunga, per cui mi voltai verso di lui e gli feci notare che: «Non siete stato voi a promettere a quella donna che avremmo trovato suo figlio nelle Vie Profonde? Beh, giacché dovremo recarci laggiù, potremmo cercare sia lui che Branka», proposi. Io che le Vie Profonde non volevo neanche sentirle nominare. Dannata birra nanica... A quanto pareva bastava anche solo l’odore che impregnava ogni angolo di quella taverna per risentirne a livello cerebrale.
   «E come faccio a sapere che non lavorate per uno di quei due? Per Harrowmont e Bhelen, dico», ci interruppe Oghren, togliendo ad Alistair la possibilità di replicare. «Non vi credo, lasciatemi in pace!»
   «Veramente non...», provai a smentire. Senza successo, tuttavia, perché l’altro batté di nuovo il pugno sul tavolo e mi scacciò con un violento gesto della mano, che quasi mi fece perdere l’equilibrio.
   «Ehi!» protestò a quel punto il mio compagno, arrabbiato per quel comportamento. «Stavamo solo cercando di aiutarvi!»
   «Sparite da qui, straccioni!» gridò Oghren, chiudendo definitivamente la conversazione.
   «Che razza di...» Alistair sbuffò, mi prese per un polso e mi portò via con fare protettivo. «Deve ringraziare che è ubriaco, altrimenti...» Si girò a guardarmi, dal momento che non fiatavo, e quando i suoi occhi incrociarono i miei, si permise di preoccuparsi. «Vi ha fatto male?»
   «Mi ha chiamata stracciona», farfugliai, contrariata e mortificata.
   Lui si lasciò scappare una risata sommessa. «Ricca non siete.» Misi il broncio. «Andiamo, ci sono ancora molte cose da scoprire prima di prendere una decisione.»
   «Avete deciso di collaborare?»
   «Mh», mi concesse. «È che se lascio fare tutto a voi finireste per scatenare una rissa come il peggior ubriacone di periferia.»
   «Ma non ho fatto niente!»
   «Propongo di andare a parlare anche col secondo di Bhelen, a questo punto», annunciò quando tornammo dalle nostre compagne. Che giustamente vollero essere informate su quanto avevamo scoperto.

Tornammo dunque al Distretto dei Diamanti, e sebbene credessimo che ormai fosse tardi per trovarlo ancora lì, quando chiedemmo di Vartag Gavorn ci risposero che era stato visto non più di due minuti prima aggirarsi proprio da quelle parti. E ovviamente tutti ci squadrarono malissimo, perché probabilmente convinti che, avendo già preso accordi con Dulin Forender, i Custodi Grigi stessero facendo il doppio gioco. Mi venne voglia di dar fuoco alle loro brache, e se mi trattenni fu solo perché non avevo la certezza delle loro accuse nei nostri confronti.
   Trovare il portavoce di Bhelen non fu difficile, dunque. Si aggirava per i corridoi del palazzo del Concilio con aria più che guardinga, attento a non farsi sfuggire il minimo dettaglio su chiunque gli capitasse sotto al naso. I suoi occhi poi si soffermarono su di noi, e lui si affrettò a venirci incontro. «Custodi, benvenuti. È sempre una benedizione, per Orzammar, ospitare il vostro ordine. Sono Vartag Gavorn, primo consigliere del nostro buon Principe Bhelen. Quali notizie ci portate?»
   «Abbiamo dei trattati che legano Orzammar ai Custodi Grigi. Abbiamo bisogno delle vostre truppe.»
   «Ah, sì. Quei trattati furono firmati dal Re, e Campione, Eithnar Bemot. Circa sedici generazioni fa. Tuttavia al momento non abbiamo un sovrano in grado di aiutarvi, immagino ve lo abbiano già detto. Bhelen è il primo a non volere dispute, ma purtroppo la situazione è quella che è, e si corre il rischio che Orzammar non possa assistervi durante il Flagello. Se anche Bhelen decidesse di aiutarvi mandando i suoi uomini in superficie, Harrowmont potrebbe approfittarne per rubargli il trono. Non possiamo correre il rischio di tornare a casa e trovare la nostra patria devastata da un tiranno incompetente come lui, una volta scongiurato il Flagello.»
   «C’è niente che possiamo fare?»
   «Se volete sposare la nostra causa, anzitutto dovreste dimostrare di non lavorare per Harrowmont», fu l’ovvia risposta che ci diede. «Forse non lo sapete, ma quell’uomo ha iniziato una campagna di corruzione e coercizione per assicurarsi che ogni Casata lo appoggi. Ma se qualcuno di neutrale, uno straniero, dimostrasse con prove inconfutabili gli inganni di Harrowmont... sono certo che il Principe Bhelen vi mostrerebbe la sua gratitudine.»
   «Che tipo di prove?» domandò Wynne. «Immagino le abbiate già, per parlare in questo modo.»
   «Harrowmont ha promesso la stessa parte della sua tenuta a due diversi nobili, Lady Dace e Lord Helmi», ci informò Vartag Gavorn.
   Ah. Ecco che gli altarini venivano scoperti pian piano. Da una parte un assassino e dall’altra un imbroglione. Che bella cosa, la politica.
   «Ovviamente non può concederla a entrambi, ma loro non lo scopriranno se non dopo che il voto sarà stato espresso. Ho le copie di quei documenti. Se quei due li vedessero, sicuramente rivaluterebbero le loro preferenze circa il nostro futuro sovrano.»
   «Per curiosità», si intromise inaspettatamente Leliana, avvezza a questo tipo di cose, al punto da capirne molto più di noi, «come avete fatto a procurarvi quelle copie?»
   «Questo non è importante. Se dovessero chiedervelo, dite loro che le avete trovate mentre cercavate nel Modellatorio notizie sui vostri trattati.» Avremmo quindi dovuto mentire? Oh, beh, non che in quello sporco gioco di menzogne una in più avrebbe cambiato di molto le carte in tavola. O sì? «Lady Dace», riprese Vartag Gavorn, «non lascia quasi mai il Distretto dei Diamanti. Ma Lord Helmi è più... Beh, potreste trovarlo alla taverna nella parte comune della città.» Ammesso che fosse ancora lì. «Una sola raccomandazione: non dite loro che questi documenti ve li ho forniti io.»

«Che schifo», mi lasciai sfuggire di bocca quando, una volta tornati in strada, ci fermammo a sedere nella zona comune della città, così da sfuggire direttamente allo sguardo dei nobili.
   «Capite adesso perché non voglio avere niente a che fare con roba simile?» Appoggiai la fronte contro la sua spalla per consolarlo e Alistair mi prese una mano, mentre la sua voce si faceva sempre più cupa. «Loghain è un pazzo, oltre che un criminale. Tutti gli uomini come lui lo sono. Compresi questi due.»
   «Senza offesa, Alistair, ma per governare ci vuole polso fermo e anche una buona dose di faccia tosta», gli fece presente Leliana.
   «Appunto per questo non voglio farlo.»
   «Appunto per questo vi servono dei fidi consiglieri.»
   «Avete preso una decisione o aspetterete l’evolversi degli eventi?» li interruppe Wynne per evitare discussioni inutili, mentre Morrigan continuava a farsi gli affari propri. Immaginavo che quel tipo di faccende la annoiasse terribilmente, anche perché non le tornavano di alcuna utilità. «Da una parte abbiamo un assassino, dall’altra un imbroglione: dubito che uno dei due si arrenderà tanto facilmente. Se continua di questo passo, la guerra civile sarà più che assicurata.»
   Stava suggerendo di prendere definitivamente posizione, e non potevamo darle torto. Ma di scegliere quale di quei due farabutti fosse il meno nocivo per il proprio popolo non ne avevamo alcuna voglia. Ripensai alle parole di Lord Helmi, che pur avendo ricevuto delle garanzie da Harrowmont, aveva palesato simpatia per le idee di Bhelen circa l’abolizione del sistema a Caste. La sua spiegazione sull’organizzazione sociale dei nani mi aveva messo i brividi, forse perché sensibilizzata dalla mia passata vita nell’enclave elfica.
   «Il Distretto della Polvere è qui vicino, vero?» domandai.
   «Avete intenzione di dare un’occhiata anche lì?»
   «Credo sia l’unica cosa che ci è rimasta da fare per renderci davvero conto di come funziona la vita qui a Orzammar.»













Per orgoglio ci tengo a precisare che Alistair non ha rifiutato Nimue manco mezza volta. XD A dirla tutta non credevo neanche che potesse farlo, e invece pare che esista pure questa eventualità. *_* 'Sto gioco è fenomenale, non c'è che dire.
Ad ogni modo, poiché all'epoca non ne avevo idea, aspettavo e aspettavo e aspettavo inutilmente che fosse Alistair a chiederle di fare un passo avanti nel loro rapporto, ma siccome lui non si muoveva, alla fine, pur morendo di vergogna (sono all'antica, abbiate pazienza, e quindi anche un videogioco mi procura seri traumi... XD), ho dovuto spingere Nimue a prendere l'iniziativa. Nella mia partita, a dire il vero, è successo tutto dopo Orzammar perché volevo festeggiare l'uscita da quel maledetto regno. X°D Ma non vi dico le parolacce che sono state pronunciate dalla mia boccuccia di rosa quando ho scoperto che mi bastava completare la quest di Alistair (e cioé DIECI MINUTI D'OROLOGIO DOPO che li avevo spediti a letto insieme) affinché lui prendesse coraggio e le chiedesse di raggiungerlo per la notte. ^^
Ho imprecato come uno scaricatore. Io, fanciullina pucciosa e zuccherosa. ^^ (<- Non fatevi ingannare, questo è il sorriso che annuncia la morte di qualcuno.)
Con la Cousland non farò questo errore. Con Nimue, comunque, a ben guardare ci stava che fosse lei a prendere l'iniziativa, almeno per come ho impostato il personaggio e per tutto ciò che lei e Alistair si sono detti l'ultima notte a Brecilian. Ecco anche perché ho preferito cambiare un po' la scena: da un lato perché quella del videogioco la trovo poco romantica (e ve lo dice una che schifa le cose troppo zuccherose), dall'altro perché sarei andata terribilmente OOC a far dire a Nimue quella maledetta frase: «Perché più tardi non mi raggiungete nella mia tenda?» (O qualcosa di simile.) No, no, assolutamente. Troppo sfacciata. Non è per nulla da Nimue.
Okay, dopo avervi fatto una capa come un pallone con tutte queste riflessioni, passo ai ringraziamenti. :D
Anzitutto alla mia beta Atlantislux, al pignolosissimo Erecose, alla mia Lara e a The Mad Hatter che mi stanno aiutando ad andare avanti con questa parte infinita del gioco, in cui, ve lo anticipo, sarò costretta a fare alcuni tagli (o questo o penso che morirò nel tentativo di riportare tutto in modo fedele). Poi, poi, grazie a ENS (Per le note storiche esistono sia i codici del gioco che la santa Wikia. XP), liriel (No, non esageriamo: Nimue sarà più bassina del normale, rispetto agli altri elfi, ma non al punto da essere scambiata per una nana. La mia Morrigan, però, si diverte a prenderla per i fondelli, tutto qui. ^^), Layra Luin Isil (Non sono ancora riuscita a leggere mezza riga, abbi pazienza ma ho a malapena il tempo per scrivere la mia ff... ^^; Appena potrò, stai pur certa che ti lascerò due righe. :D Unico appunto che ti faccio: il regolamento del sito vieta di fare spam, e quindi sarebbe meglio se in futuro evitassi di scrivere nelle recensioni che lasci - a me e agli altri - che hai postato o aggiornato.), ashar (Guarda, quel gioco lì dei ragni l'ho già vinto anche nella ff, per fortuna. XD), CookieandDeadlySins e kelyseh. E ancora Salice, che pian piano sta commentando i capitoli vecchi (Me ne sono accorta solo ora, sorry! ^^;;; ), coloro che hanno inserito questa long e/o la raccolta fra le storie preferite/seguite e, infine, tutti i lettori anonimi.
Ho finito? Boh, credo di sì. Ho scritto il mio solito romanzo. Che bello avere il dono della sintesi! :D
Ultimo annuncio e poi mi eclisso: non aggiornerò per un paio di settimane (e stavolta è vero, eh! XD), perché per il periodo di Ferragosto temo proprio di non riuscire a scrivere granché. Inoltre non penso che in quei giorni ci sia molta gente a perdere tempo davanti al PC anziché a godersi le vacanze. XD
A presto, allora! E grazie di tutto! :D
Shainareth





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Capitolo 24
*** La scelta ***







CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO – LA SCELTA




La nostra visita alla parte bassa della città di Orzammar fu determinante.
   Con quei colori spenti, quegli sguardi infelici, quegli abiti stracciati e quell'aria pallida e sciupata, gli abitanti del Distretto della Polvere mi riportarono bruscamente alla memoria quelli dell'enclave in cui ero nata. E la sensazione di soffocamento dovuta alla mancanza del cielo azzurro e sconfinato contribuiva non poco ad accrescere la mia angoscia, che pesava sempre più come zavorra nello stomaco.
   Salvo certi elementi che, vigili e fin troppo svegli, mi parevano assai poco raccomandabili, il resto dei nani di laggiù mi fece una gran pena. Più procedevamo per le strade di quella zona della città, più ero costretta a mordermi un labbro per non lasciarmi andare ad espressioni di pietà; non sarebbe stato giusto nei loro confronti. Uomini, donne, bambini lasciati a marcire lì o a morire di fame perché ritenuti indegni di stare insieme agli altri. E poco importava, secondo la tradizione, che uno di loro fosse di ingegno e di virtù superiori ad uno dei nobili: la legge parlava chiaro. E Harrowmont voleva perseverare in quello che, umanamente, non si poteva accettare.
   «Sarà anche un assassino, ma...» Alistair si interruppe. Scosse la testa, sospirò e si volse nella mia direzione «Voi... che ne pensate?»
   «Che mi pare di essere tornata a casa», risposi, sforzandomi di mantenere ferma la voce. Il mio sguardo vagò di nuovo tutt'intorno, soffermandosi su di una madre che, col piccolo attaccato al seno, se ne stava sulla soglia di uno degli edifici luridi e fatiscenti, forse chiedendosi quale futuro avrebbe potuto dargli una volta cresciuto. Stesi la bocca in una smorfia. «Avete ragione. Sarà anche un assassino, ma almeno vuole porre fine a tutto questo.»
   «Non mi piace l'idea di appoggiare un elemento simile», ci tenne comunque a farmi sapere il mio compagno, mentre un gruppetto di nani ci passava accanto scrutandoci da capo a piedi con occhi avidi più che curiosi. «Tenete stretto il denaro che avete con voi.»
   Era una raccomandazione che avevo sentito spesso scambiare fra gli umani che si avventuravano nella nostra enclave, convinti com'erano che tutti gli elfi, in quanto poveri, fossero anche ladri. Non biasimavo Alistair per quei sospetti, anche perché due dei tre che ci passarono di fianco avevano un'arma attaccata alla cintola, procurata chissà come. Mi inferocii a quella vista: se avevano i mezzi, pur loschi, per procurarsi della merce, perché sprecarli per robaccia del genere piuttosto che per viveri di prima necessità? Ma Karta – l'organizzazione a delinquere di laggiù – non aveva alcun interesse a migliorare le condizioni di quella gente, nata, nella sua ottica, unicamente per essere sfruttata. I Senzacasta, infatti, non avendo alcun diritto, non possedevano neanche quello di essere vittime della malavita: se cadevano a causa della delinquenza, nessuno poteva fare niente per loro. O meglio, nessuno voleva fare niente. Francamente, fra un imbroglione che decideva di perpetuare quella spietata forma di razzismo e un uomo improvvisatosi assassino per cancellare ogni differenza sociale, il peggior criminale dei due mi sembrava il primo. Non c'era nulla di glorioso nell'uccidere, consaguinei o meno che fossero le vittime, ma a fronte del benessere sociale, in alcuni casi forse non c'era alternativa.
   Anche Loghain avrebbe fatto la stessa fine di Re Endrin e dei suoi primi due figli? L'idea non mi piaceva, eppure i miei sentimenti negativi verso quell'uomo non riuscivano a farmi sperare in un esito diverso da quello.

«Il portavoce di Bhelen ci ha detto che Lady Dace non lascia mai il Distretto dei Diamanti», ci ricordò Leliana, precedendoci lungo la strada che ci avrebbe riportato laggiù. Anche lei, così come Wynne e persino Morrigan, era stata toccata in modo profondo dalla vita condotta dai Senzacasta, e la prima cosa che aveva fatto non appena eravamo usciti dal Distretto della Polvere, era stata di correre da Fratello Burkel per comunicargli sia del permesso rilasciatoci dal Modellatorio, sia delle condizioni dei nani poveri. Non aveva avuto bisogno di lasciarsi convincere, il religioso, perché subito ci ringraziò e cominciò a darsi da fare per mettere su una chiesa che potesse aiutare quella gente infelice.
   Non so quanto Leliana e gli altri fossero stati segnati da tutto quello, ma in me l'angoscia di tornare all'enclave di Altura Perenne e di trovarla invariata aveva peggiorato l'umore, e non di poco. Specie perché sapevo che, al contrario di Orzammar, nel Ferelden nessuno avrebbe mosso dito per migliorare le condizioni degli elfi. L'unico che, se lo avessero lasciato fare, avrebbe potuto qualcosa era Alistair – qualora fosse stato incoronato nuovo re una volta deposto Loghain. Ma se nemmeno Maric, erede legittimo, aveva potuto fare molto, quali speranze poteva avere il suo figlio naturale?
   Chiedendo informazioni in giro, riuscimmo infine a trovare Lady Dace. Le parlammo, spiegandole la situazione così come ci aveva chiesto di fare Vartag Gavorn, e quindi senza far cenno alla provenienza dei documenti che le mostrammo. Non che ve ne fosse bisogno, comunque, poiché, appena capito di essere stata imbrogliata, ella stessa si offrì di andare ad avvertire Lord Helmi del tranello in cui erano caduti per colpa di Harrowmont. Ci disse però che bisognava assolutamente avvisare anche suo padre.
   «Io non posso fare niente in proposito, è un accordo stipulato dall'intera casata, e solo lui può romperlo.»
   «Oh, d'accordo. Dove si trova adesso?»
   «Nelle Vie Profonde. È partito per una spedizione nel tentativo di mantenere la sicurezza in un antico thaig. Non sono certa che possa tornare prima delle elezioni, ma forse il suo voto potrebbe risultare importante... Potreste andare voi a cercarlo per dirglielo? Siete Custodi Grigi, sono certa che per voi sarà una sciocchezza avventurarvi laggiù. La nostra famiglia ve ne sarà sempre riconoscente.»
   «E come facciamo a sapere dove si trova vostro padre?» preferì mettere le mani avanti Alistair.
   «Dovrebbe trovarsi nel Thaig Aeducan», ci spiegò Lady Dace. «Prima di avventurarsi lì mi ha lasciato una mappa nel qual caso non dovesse fare ritorno dalla spedizione. Posso andare a prenderla, se volete. Anzi, farò di più: vi consegnerò anche un lasciapassare, altrimenti le guardie poste all'entrata delle Vie Profonde non vi lasceranno procedere.» Sparì in casa – poiché era stato là davanti che l'avevamo incontrata – per una manciata di minuti; dopo di che, tornò trafelata  e ci mise in mano tutto ciò che avrebbe potuto esserci utile. «Confido nel vostro aiuto», concluse con un inchino di ringraziamento. Quindi, scappò in tutta fretta verso l'uscita del Distretto dei Diamanti, pronta a raggiungere Lord Helmi per renderlo partecipe dell'inganno.
   Rimasi per un pezzo a contemplare quel lasciapassare, domandandomi se il Creatore ce l'avesse con me. Cos'avevo fatto di male, esattamente? Era perché avevo aiutato Jowan a fuggire dal Circolo? Perché avevo dato a Morrigan la mia parola di uccidere Flemeth? Perché non ero intenzionata a lasciare Alistair in pasto alla politica e volevo invece tenerlo egoisticamente incollato a me? O forse perché non avevo saputo perdonare Jowan e Cullen? Più mi scervellavo di capire, più mi veniva da piangere.
   Alla fine, esasperata, Morrigan mi strappò brutalmente alle mie elucubrazioni mentali cominciando a darmi della vigliacca. Non che fosse una novità sentirmi appellare dagli altri in quel modo, e siccome c'era un fondo di verità, tutto ciò che feci fu di starmene zitta e di seguire i miei amici con aria mortificata.
   «Magari non è così orribile come immaginate», provò a farmi ragionare Wynne.
   «Non lo direste, se sapeste che è laggiù che un giorno andrete a morire», mi lagnai, aggrappata al mio bastone come se fosse stata la mia unica ancora di salvezza. Ero talmente tesa che, a furia di stringerlo nel pugno, le nocche delle dita erano diventate bianche.
   «Dimenticate che sono già morta», mi sentii dire. Questo non contribuì a farmi smettere di lamentarmi.
   «Che non vi salti in testa di lasciar andare lo spirito proprio adesso», le raccomandai. «Anzi, come capo della squadra, ve lo ordino.» Wynne rise, Leliana stese le labbra in un'espressione rassegnata e divertita a un tempo, Morrigan ruotò gli occhi verso l'alto.
   «Non siamo gli unici Custodi che si inoltrano anzitempo nelle Vie Profonde e ne escono vivi», mi fece sapere Alistair, paziente, cercando di farmi calmare. «Inoltre, se ci pensate, anche Bodahn Feddic è stato laggiù diverse volte, eppure sta meglio di me e voi messi insieme. Molti nani fanno la stessa cosa. E persino Maric ci è stato.»
   «Vostro padre era un pazzo», ci tenni a fargli sapere con stizza. «E sospetto che voi abbiate ereditato da lui anche questo aspetto.»
   Alistair corrucciò la fronte. «Voi non lo avete conosciuto, giusto?»
   «No», ammisi.
   «E allora cos'altro avrei ereditato da lui, secondo voi?»
   Rimasi in silenzio per qualche attimo, ponderando bene sulla risposta da dare. «Beh», cominciai poi, «siccome voi e Cailan vi assomigliavate sotto diversi punti di vista, per quel poco che ho potuto osservare, presumo che abbiate preso entrambi da vostro padre.»
   «Quindi?» mi incalzò ancora il mio compagno. Ma con che cuore potevo dirgli che la cosa che mi era saltata all'occhio più delle altre era stata l'idiozia? Idiozia che adoravo, sia ben inteso.
   «Il vostro naso», rivelai allora, convinta. «Di certo lo avete preso entrambi da Re Maric.»
   «Non è stato un gran bell'acquisto», s'intromise Morrigan, contemplandosi distrattamente le unghie di una mano, com'era solita fare nei momenti di noia.
   «A me piace», rimbeccai, anticipando l'eventuale replica di Alistair, lieta per lo meno di aver spostato il nocciolo del discorso su altro.
   «Anche a me piace», mi diede man forte Leliana. «Benché confesso che li preferisco di gran lunga più piccoli e femminili», mi confidò. «Come il vostro, insomma.» Risposi al suo sorriso con una punta di incertezza, senza ribattere che, a mio parere, un uomo con un naso del genere sarebbe risultato assolutamente ridicolo alla vista. E ben poco virile.
    Alla fine, grazie a tutte quelle inutili chiacchiere, quasi non mi accorsi che eravamo ormai giunti davanti all'ingresso delle Vie Profonde. Per l'ennesima volta da che avevo iniziato la mia avventura con i Custodi Grigi, progettai la fuga. Alistair mi afferrò per un polso quando si accorse che avevo fatto un passo indietro non appena ci fermammo a parlare con le guardie. Gli avrei volentieri morso la mano, ma alla fine in me prevalse il senso di protezione nei suoi confronti: in tutta coscienza, non avrei mai potuto lasciarlo andare lì sotto da solo, in balia di chissà quali e quanti mostri. Avevamo vissuto poco, in fin dei conti, e ci eravamo innamorati troppo tardi. Fu con questi tetri pensieri che, rimpiangendo la pericolosità e l'umidità delle Selve Korcari, mi arresi a farmi trascinare nelle Vie Profonde. Scalciando e imprecando fra i denti.

Al senso di soffocamento si era adesso aggiunta la paura di morire da un secondo all'altro, divenuta ormai mia fedele compagna di viaggio ogni volta che muovevo passo nei miei spostamenti accanto ad Alistair e alle altre. Avrei voluto fare a meno di lei, che però mi si avvinghiava addosso come un'amante possessiva e gelosa e non voleva saperne affatto di mollarmi.
   Ciliegina sulla torta, le guardie poste all'ingresso delle Vie Profonde ci avevano avvertiti di stare attenti non solamente alla Prole Oscura, ma anche ai cacciatori oscuri. Dal nome fui tratta in inganno poiché supposi che parlassero di delinquenti che vivevano nascosti laggiù in attesa del primo incauto avventuriero che si fosse spinto nel loro territorio.
   «Sono strane bestie dalla testa simile a un verme», ci era stato invece spiegato, accrescendo in me la voglia di darmela a gambe. Come ho già avuto modo di raccontare all'inizio di questo lungo resoconto sulla mia vita da Custode Grigio, infatti, non sono solo i ragni a darmi problemi, benché quasi nulla ancor oggi riesce a farmi impazzire allo stesso modo.
   Le Vie Profonde sono un vero e proprio labirinto. Sarebbe sciocco precisare che io sia uscita viva di lì, dal momento che questa storia viene raccontata proprio da me, per cui mi limiterò a fare una breve descrizione di come esse appaiono oggi agli occhi di quei temerari che si spingono nei loro cunicoli bui. Io non ero certamente da annoverare in quest'elenco, poiché se all'epoca avessi avuto possibilità di scelta sarei emigrata da tempo a Orlais ad aspettare che qualche prode guerriero risolvesse la situazione per tutti; ma dal momento che Alistair aveva fin troppa influenza sul mio povero cuore e sulla mia coscienza, mio malgrado fui costretta a seguirlo.
   A voler essere onesta, appena imboccato uno dei tunnel che collegano il Thaig Orzammar a uno degli altri ormai caduti da tempo, non si nota grande differenza con una qualunque altra galleria scavata sottoterra. Avanzando però nella luce, pur fioca, di una torcia o di un bastone magico ci si rende conto di ciò che sono davvero le Vie Profonde: ovunque vi sono tracce di corruzione. Pareti e suolo sono interamente ricoperti di uno strato di nera sporcizia, se così può essere chiamata, qualcosa che sembra possedere una vita propria, e che pure è certamente morta. Ricordo perfettamente di come più volte, durante la nostra poco rilassante passeggiata lì sotto, domandai a me stessa se prima o poi anche il mio corpo e quello di Alistair sarebbero stati ricoperti dallo stesso sudiciume. D'un tratto, infatti, tornarono a ronzarmi nella testa le parole del mio compagno circa il destino dei Custodi Grigi: dopo l'Unione, viviamo circa trent'anni in mezzo agli altri e poi ci rechiamo giù nelle Vie Profonde per morire combattendo anche lì la Prole Oscura. Il nostro sangue è corrotto dal loro, le nostre membra anche. C'è dunque la possibilità che diventiamo uguali a quegli esseri?, seguitavo a chiedermi con una certa ansia. Quando avevo rivolto la questione ad Alistair, all'inizio della nostra avventura insieme, lui mi aveva detto di no; eppure adesso ero quasi ragionevolmente sicura che il suo fosse solo un modo per sviare il discorso o, cosa assai più probabile, essendo una recluta come me, egli stesso non sapesse bene cosa ci sarebbe accaduto un giorno. Non avevamo altre guide, dovevamo farci bastare quel poco che era stato insegnato ad Alistair prima della disfatta dei Custodi del Ferelden a seguito della battaglia di Ostagar, dove Duncan e Cailan avevano perso la vita.
   La mappa dataci da Lady Dace, comunque, era piuttosto dettagliata. Questo perché fortunatamente il Thaig Aeducan, dove si era recato suo padre, è uno di quei pochi posti che sono stati ritrovati dal popolo dei nani in mezzo alla demolizione attuata dalla Prole Oscura. Sapendo che laggiù era il posto in cui essa si annidiava, procedevo con terrore sempre maggiore che la mia esistenza sarebbe stata spezzata da un momento all'altro: sebbene Alistair e io fossimo capaci di avvertire la presenza di quegli esseri, anche loro potevano individuarci tranquillamente a causa della corruzione del nostro sangue. Fu per tale ragione che in più di un'occasione ci imbattemmo in alcuni drappelli di creature malvagie, troppo piccoli per destare reale preoccupazione, ma capaci ugualmente di farci stare perennemente sulle spine. Passarono un paio d'ore, credo, prima che riuscissimo a trovare il Thaig Aeducan e, nel cuore di esso, un gruppo di soldati impegnati a respingere, con difficoltà, quelli che scoprimmo essere i famosi cacciatori oscuri. Si tratta di bestie forse appena più piccole dei nug, ma certamente meno piacevoli alla vista – e già i nug a me non ispirano troppa simpatia – con la coda lunga e affusolata, le quattro zampette sottili, un collo massiccio e la testa... oscena: di forma molto simile a quella di un verme, davvero, la cui bocca si apre spaventosamente per far spazio a una doppia fila di denti aguzzi e raccapriccianti. Urlai per tutto il tempo in cui ci ebbi a che fare, ma per lo meno fui abbastanza coraggiosa da combatterli senza ricorrere all'aiuto di nessuno.
   Alla fine Lord Dace si trovava proprio fra quegli uomini, e il fatto di avergli salvato la vita ci fece immediatamente conquistare le sue simpatie. Gli spiegammo allora del perché lo stavamo cercando, che sua figlia ci aveva mandato laggiù, insomma, e dell'inganno subito. La sua indignazione davanti ai documenti che testimoniavano le nostre parole fu molta, e subito propose di tornare indietro per mandare all'aria i suoi accordi con Lord Harrowmont. Alcuni dei suoi compagni, però, erano feriti e avevano bisogno di cure. Wynne e io ci prodigammo immediatamente per aiutarli, ma fummo comunque costretti ad aspettare qualche tempo prima di rimetterci in marcia per raggiungere di nuovo Orzammar.
   Rimanere in un thaig, seppur abbandonato come quello di Aeducan, è molto meno terribile che stare nelle Vie Profonde vere e proprie, perché i sistemi di illuminazione e di areazione funzionano ancora perfettamente e non si è costretti a guardarsi alle spalle ogni secondo. Inoltre i thaig, come lo è anche Orzammar, sono più spaziosi e pertanto comunicano sensazioni assai più tranquille. Non mi stupii né allarmai troppo, quindi, quando Alistair cominciò a girovagare lì vicino da solo, guardandosi attorno con occhi curiosi. Dopo un po' mi fece cenno da lontano e perciò mi alzai da dove mi ero seduta e mi avvicinai. Mi indicò qualcosa in alto, e vidi chiaramente del muschio contro la parete di un edificio diroccato.
   «Pare che qui la corruzione abbia avuto effetti molto più lievi che altrove», osservò con un sorriso. In effetti era una bella scoperta, ci infondeva in qualche modo speranza. In cosa non so dirlo, ma ci concedeva di rilassare la mente.
   Lasciai scivolare lo sguardo anche sulle altre costruzioni, e quando ebbi una panoramica del luogo in cui ci trovavamo, non riuscii a non provare una grande sofferenza per tutti coloro che erano caduti nel disperato tentativo di difendere quel posto fino alla morte. Eppure, nonostante il costante pericolo della Prole Oscura, i nani si ostinavano a vivere nel sottosuolo. Era anche per questo che il Principe Bhelen voleva mandare all'aria le tradizioni e dare una svolta a tutto?
   «Io… volevo scusarmi», esordì d'un tratto Alistair, lasciandomi sorpresa. I suoi occhi saettarono tutt’intorno, come per volersi accertare che fossimo realmente da soli o che comunque nessuno potesse udirci. «Sapete, per via di quello che mi avete detto quando eravamo alla taverna», mi spiegò con voce incerta.
   Di colpo compresi. «Ah», balbettai, abbassando le ciglia sul viso. «Non… Non importa.»
   «Sì che importa», mi contraddisse lui, voltandosi nella mia direzione. «Avevo… Avevo compreso quel che intendevate, ma… mi avevate colto alla sprovvista.»
   «Mh», mugugnai a labbra serrate. «Lo avevo intuito», gli assicurai. «O meglio… speravo che così fosse.»
   Alistair spostò nervosamente il peso del corpo da un piede all’altro, facendosi più vicino. «Sul serio, io non… avevo intenzione di… rifiutarvi.» Provai a farmi coraggio e a rialzare il capo: era serio, e dispiaciuto. «Sarei un pazzo a farlo. Pazzo e masochista, visto che… beh…»
   Tacque, non riuscendo forse a trovare le parole per comunicarmi il suo desiderio nei miei confronti senza apparire indelicato. Avevo visto Cullen fare lo stesso svariate volte, ma la differenza fra loro era abissale: uno aveva sempre cercato di costringersi al silenzio e alla privazione per rispetto ai propri voti, l’altro di non urtare la mia sensibilità. E tuttavia, entrambi finivano immancabilmente per mortificarmi, in qualche modo.
   «Vi amo», mi stupì di nuovo Alistair, confessando quel sentimento per la prima volta. Ero consapevole della cosa, eppure quelle poche sillabe mi sconvolsero da capo a piedi, facendomi avvertire un forte tepore al centro del petto. Una gioia che mi fece sentire improvvisamente viva in mezzo a quel paesaggio abbandonato e alla corruzione che ci circondava. «Vi amo», ripeté lui con voce che tradiva l’emozione. «Però… ho… paura, credo…»
   «Di cosa?» gli chiesi piano. Avevo una dannata fretta di sapere anche tutto il resto, ma non osavo interromperlo o forzarlo. Ogni altra cosa non esisteva più, il tempo era di colpo diventato un concetto tristemente relativo, gli altri nostri compagni solo un vago ricordo.
   «Voi… lo sapete…» Si fermò di nuovo, fece un grosso respiro ed, evitando a tratti di guardarmi, riprese con tono sempre più basso: «Io… sono cresciuto in Chiesa, e… stavo per prendere i voti. Quindi non ho mai…»
   Annuii, venendogli incontro per non fargli completare la frase. «Lo so, lo so questo.»
   Parola mia, non avevo idea di come riuscissi a mostrarmi tanto calma quando in realtà mi sentivo esplodere da un esasperante concentrato di sentimenti d’ogni genere che quasi mi mozzava il fiato. Dovevo essere davvero tanto innamorata per costringermi ad apparire rilassata. Anche se le gambe mi tremavano. Era questo quello che Jowan e Winifred, l'altra mia migliore amica, avevano tentato di spiegarmi quando eravamo ragazzini? No, non era questo. Loro non parlavano di amore.
   «Però… io non capisco cosa c’entri.» Vidi Alistair mutare espressione del volto, sbiancando. Fu allora che mi accorsi di aver commesso un errore. «Cioè, c’entra per argomento, certo», mi affrettai a correggermi per tranquillizzarlo. «Stavamo parlando della stessa cosa, sì, ve lo giuro.»
   «Ecco, grazie per averlo specificato», sospirò lui, recuperando qualche anno di vita. «Perché… con voi non si può mai dire. Siete abile a fraintendere questo genere di cose.»
   Povero. Ero davvero una cretina. E tale dovevo apparire, ovviamente. Questa consapevolezza cominciò a far vacillare la mia sicurezza fasulla. «Mi dispiace… È solo che… non capisco come possa influire su noi due il fatto che voi siete cresciuto in Chiesa.»
   Alistair si portò una mano sulla nuca, massaggiandosela pigramente. «Ho pensato che magari… avreste preferito qualcuno di più… esperto», confessò, vincendo la ritrosia e incrociando il mio sguardo con fare timido. Era persino arrossito.
   Lo avrei baciato. E picchiato. «Avrei… Avrei voglia di cavarvi un occhio», gli feci sapere senza tanti complimenti. Mi fissò stranito, spaventato dalla linea dura in cui avevo incurvato la bocca e le sopracciglia. «Pensate davvero che sia importante? Che sia fondamentale?»
   «Io non…»
   «Per il Creatore!» esclamai, spazientita. «Arrivare a compiere questo passo insieme sarebbe un di più, ma non toglierebbe nulla al nostro rapporto. Non mi sono lasciata coinvolgere da voi solo perché volevo un trastullo notturno. Altrimenti…» Mi zittii, rendendomi conto di aver sguinzagliato troppo la lingua. «Quello che sto cercando di dirvi», ricominciai più posata, sperando di non farlo agitare più di quanto non avessi già fatto, «è che non mi importa. E comunque, in tutta onestà, vi assicuro che, esperto o meno, non potrei… capirlo. Non… potrei fare nessun genere di paragone», ammisi, imbarazzata. Se lui era stato onesto con me fino a quel punto, io non potevo certo tirarmi indietro.
   Ci mise qualche attimo per immagazzinare quella informazione. «Voi non… Non avete mai…?» chiese quasi con timore. Scossi frettolosamente il capo. Lo vidi chiudere le palpebre, come rinfrancato da quella notizia. «Credevo di sì.» E perché? Dannazione, non lo si capiva lontano un miglio che ero un disastro nelle faccende di quel tipo? «Voglio dire… Tutte le voci che si sentono in giro sulla vita nel Circolo dei Magi…»
   «Non è detto che sia una regola obbligatoria», ribattei interrompendolo, a metà fra la stizza e la mortificazione. «Pensateci… con quello che era successo a mia sorella e la mia conseguente paura per gli umani, e il fatto che mi fossi invaghita di un templare che aveva preso i voti… Non vi pare che, prima di innamorarvi di voi, io cercassi di ritardare questo momento il più possibile? O di rifuggirlo, addirittura?»
   «Immagino… di sì», mi diede ragione Alistair. Tornò a guardarmi, scrutando nei miei occhi con evidente commozione: alla fine anch’io avevo ammesso a parole il mio amore per lui. Accennò un sorriso. «Vi siete fatta fregare da uno cresciuto in Chiesa», disse per cercare di non cedere alle emozioni.
   «Zitto», bofonchiai, arrossendo più di prima.
   Sghignazzò, più per il sollievo che per il divertimento. «Una maga viziosa che si fa fregare da un verginello.»
   «La maga viziosa è verginella quanto voi, scimunito.» Si curvò su di me, avvolgendomi con le braccia. «E in ogni caso, ci ho ripensato: non lo meritate», aggiunsi per ripicca, senza però respingerlo.
   Non dovetti essere molto convincente, difatti, perché lui continuò a ridere. «Avrei dovuto intuirlo quando mi avete confessato di non aver afferrato le mie intenzioni, la prima volta che vi aprii il mio cuore.» Mi vergognavo ancora da morire, per quello, e quel disgraziato lo sapeva. «Forza, rompetemi un altro incisivo», mi ordinò allegro, facendo per baciarmi – e riuscendoci, pur dopo una debole protesta da parte mia.
   Per lo meno ci eravamo chiariti anche su quel punto. E se pure nella situazione in cui ci trovavamo ci era impossibile concretizzare subito quel nostro crescente desiderio, la consapevolezza che fosse comune a entrambi ci faceva stare bene. L’unica cosa che ci impensieriva, in tutto ciò, era l’incertezza di quello che avremmo trovato laggiù nelle Vie Profonde: ce l’avremmo fatta ad uscirne vivi come aveva fatto Re Maric anni prima?
   Quel dubbio, comunque, fu dissolto da Alistair. «Oh, non preoccupatevi», mi disse tutto contento quando iniziammo ad avviarci di nuovo verso gli altri. «Non mi lascerò ammazzare tanto facilmente. Non adesso che so cosa mi aspetta appena lasceremo questo posto sudicio e pericoloso.»
   A ben guardare, era ammirevole che riuscisse a trarre forza da una cosa del genere. Un po’ sciocco, forse, ma finché fosse servito a tenerlo in vita, andava bene così.

«Lady Dace ha appena attraversato in lacrime tutto il quartiere gridando a gran voce che razza di sanguisuga e bugiardo è Harrowmont», ci informò Vartag Gavorn, fregandosi le mani con aria soddisfatta quando tornammo da lui. «Quindi eravate seriamente intenzionati ad aiutarci», considerò quasi fra sé. Serrò le labbra, studiandoci con attenzione, le braccia inarcate sui fianchi, e infine annuì. «Ora, se siete pronti, potrò davvero introdurvi al Principe Bhelen. Tutto ciò che vi chiedo è di comportarvi con rispetto e, soprattutto, di tenere le armi a posto. Il colloquio non sarà privato, pertanto alla prima mossa falsa, le guardie prenderanno i loro provvedimenti», ci avvertì. «Non vogliatemene, è solo una precauzione. Siate giudiziosi e tutto andrà per il meglio.»
   Detto questo, ci scortò fino al Palazzo Reale. Avremmo incontrato Bhelen nelle sue stanze private, dalle quali difficilmente il Principe si muoveva: l'accesa rivalità fra lui e Harrowmont era arrivata davvero ad un punto in cui si poteva temere che non soltanto una spia, ma anche un sicario potesse essere stato assoldato per porre fine alla disputa in modo non proprio ortodosso. E anche se Vartag Gavorn con quelle parole si riferiva nello specifico a Harrowmont, io mi ero invece convinta che quel tipo di mezzi fossero piuttosto adoperati dal figlio del defunto Re Endrin. Alla mente mi sovvenne il ricordo di Zevran, l'elfo di Antiva che Loghain aveva ingaggiato per assassinare Alistair e me: ci aveva proposto un accordo, quello di aiutarci a sventare ulteriori imboscate in cambio di protezione, e per un attimo rimpiansi di averlo mandato via, poiché forse avrebbe davvero potuto tornarci utile in futuro, quando saremmo andati a Denerim a reclamare il trono – se per conto di Alistair o di Arle Eamon aveva poca importanza.
   Mentre tutti questi pensieri mi si affastellavano nella mente, Vartag Gavorn varcò la soglia del Palazzo Reale, e noi continuammo a seguirlo, osservandoci attorno e strabuzzando gli occhi, ancora per nulla abituati alla straordinaria architettura nanica. Dopo alcuni minuti di attesa in un'ampia sala deserta, fummo guidati fino alle camere del Principe, dove questi, vedendoci entrare, ci sorrise e quasi ci venne incontro. Come ci era stato detto, non era da solo; con lui vi erano alcune guardie e una donna, forse una serva, che se ne stava in un angolo, le mani strette in grembo e la testa bassa. Anche lei doveva essere una Senzacasta.
   «Sono colpito, Custodi», esordì Bhelen, risolvendo infine di stare fermo dov'era e di poggiare le nocche delle dita chiuse a pugno sul ripiano di un grosso tavolo di pietra, dietro il quale rimase in piedi per tutta la durata del nostro colloquio. «Non sono molti gli stranieri che comprendono così in fretta la... politica contorta di Orzammar.» I suoi occhi brillavano di ambizione e di grandi aspettative. «Sono il Principe Bhelen. Vartag mi ha parlato di vostri sforzi contro l'usurpatore che ha cercato di reclamare il trono di mio padre.»
   «Saremo sinceri», iniziai io, poiché Alistair aveva messo bene in chiaro la sua intenzione di restare il più possibile fuori dalla questione. In fin dei conti ero stata io a insistere per prendere posizione, non lui. Inoltre, di comune accordo avevamo deciso di non mostrarci troppo accondiscendenti con quello che, in ogni caso, per buona parte della popolazione del sottosuolo rimaneva un assassino. «Quel che ci interessa realmente, al momento, è ottenere tutto l'appoggio possibile contro il Flagello.»
   «Allora abbiamo un obbiettivo comune. Forse non ci piacciamo, ma il Flagello è la nostra priorità principale», rispose Bhelen, dimostrando di aver compreso perfettamente la situazione. «Ci occorre l'unità assoluta per combattere il fulcro del vero male.»
   «Dunque, onorerete il vostro accordo con i Custodi?»
   «Lo giuro sulle corazze dei miei antenati», confermò, accompagnando quella sua dichiarazione con un cenno del capo. «Non appena Orzammar sarà unita sotto il mio governo», fu costretto ad aggiungere. «Sfortunatamente, finché infurierà questo dibattito, non avrò il potere di inviare le truppe che vi occorrono. Per destituire davvero Harrowmont avremo bisogno di qualcosa di abbastanza drammatico da porre fine per sempre a questo dibattito.» Una messa in scena? Altre menzogne? Più mi addentravo nel mondo della politica, più comprendevo il povero Alistair e non potevo fare a meno che augurargli di non farne mai parte, a prescindere dall'esito della nostra relazione amorosa. «Cosa sapete sul Campione Branka?»
   «Non molto, a dire il vero», ammisi. «Solo che sparì nelle Vie Profonde due anni fa. O almeno questo è quello che abbiamo sentito in giro.»
   Bhelen annuì gravemente. «È l'unico Campione da quattro generazioni, e ha voltato le spalle a tutte le sue responsabilità. Un Campione è come un antenato nato in quest'epoca», ci spiegò. «Se tornerà, il suo voto potrà prevalere sull'intero Concilio. Chiunque goda del suo appoggio potrà conquistare il trono incontestato.» Avrei assolutamente tenuto lontano Alistair da tutto questo porcile.
   «Dunque sperate di riportarla indietro affinché vi appoggi.»
   Il Principe sorrise in un modo che non mi piacque per niente. I suoi occhi guizzarono in direzione della serva, che subito ricambiò lo sguardo con aria spaventata, come se temesse realmente per l'incolumità del suo padrone. «Io spero che voi la riporterete indietro affinché mi appoggi», rivelò infine lui, tornando a rivolgersi a noi con espressione spavalda.
   Eccolo, il trucco. Dovevamo tornare nelle Vie Profonde.
   «Cosa vi fa pensare che Branka sia ancora viva?» prese parola a quel punto Alistair, con voce dura, poiché io mi ero ammutolita per lo sgomento.
   «Aveva un'intera casata con lei, votata alla sua protezione», scosse le spalle Bhelen con noncuranza. «Visto il numero delle rovine ancora intatte, potrebbero sopravvivere a lungo. E anche Harrowmont la sta cercando... Non vale la pena di rischiare di considerarla morta soltanto per lasciare che sia lui a prendersi il merito di averla trovata. Non credete anche voi?»
   «Pensate che appoggerebbe la vostra candidatura a re?»
   «Speravo che poteste sfruttare il vostro leggendario fascino per persuaderla che il trono dovrebbe andare al legittimo erede.» Che colpo basso. Inferto proprio ad Alistair. Dubitavamo che Bhelen fosse al corrente della vera identità del mio compagno, eppure non poté colpire maggiormente nel segno. Avrei voluto mettergli le mani attorno al collo, perché dargli fuoco con la mia magia non mi avrebbe dato la stessa soddisfazione. «Tuttavia», riprese lui, non potendo neanche sospettare i miei reali pensieri, «se le Vie Profonde dovessero averle... confuso le idee, sarebbe meglio che non torni prima che il re sia stato eletto.»
   «Ci state chiedendo di ucciderla?» domandai, isterica, sentendomi sempre più divorare dalla rabbia e dalla frustrazione. Avevamo sbagliato? Avevamo sbagliato ad appoggiare quell'uomo?
   Bhelen agitò le mani davanti a sé per allontanare quell'idea. «Non oserei mai, è un Campione. È mio dovere proteggerla», ci assicurò con quello che doveva apparire come un cipiglio convincente. E forse lo era, ma ormai non ero più sicura di niente e continuavo a vedere complotti e menzogne dappertutto. «D'altra parte», aggiunse difatti il Principe, «dobbiamo rispettare le sue decisioni... Se dovesse preferire restare nelle Vie Profonde, piuttosto che aiutare il suo legittimo re a conquistare il trono, dovremmo aiutarla... con ogni mezzo.»
   Lo odiavo. Odiavo quel maledetto. Ed ero altrettanto certa di poter odiare Harrowmont allo stesso modo: non stava cercando anche lui Branka per la medesima ragione? E nessuno pensava a chi invece teneva realmente a lei, come quel nano dai capelli rossi con cui avevamo parlato alla taverna.
   «Che aspetto ha Branka?» chiese Alistair per me, con voce piatta. Era furioso almeno quanto lo ero io.
   «Non la conosco personalmente. Due anni fa ero ancora considerato un ragazzo, inadatto a frequentare l'alta società di Orzammar. Da quanto ho sentito la sua intelligenza non aveva rivali, ma le sue doti sociali erano... sotto la media per una tanto dotata.»
   «La troveremo per voi», fummo costretti a promettere.
   Bhelen sorrise di nuovo. «In questo modo, finiremo entrambi nella storia come i salvatori di un Campione», annunciò allegro davanti a quella prospettiva. «Finora i miei soldati hanno seguito le tracce di Branka fino al Monumento di Caridin, un antico crocevia perso quattro secoli fa contro la Prole Oscura. Le sue tracce terminano lì. Forse, con la vostra abilità di Custodi, potrete scoprire ciò che è sfuggito ai miei soldati.»

Per accedere al Monumento di Caridin, avremmo comunque dovuto varcare di nuovo l'ingresso principale delle Vie Profonde, attraverso le miniere, l'unica via che i nani hanno lasciato aperta per proteggere la città. Il Monumento di Caridin si trova a molte miglia di profondità nelle gallerie.
   Se la prima volta che avevamo messo piede nelle Vie Profonde lo avevamo fatto con animo insicuro e spaventato – almeno io – adesso quella che contorceva le budella mie e di Alistair era rabbia allo stato puro. No, di più. Disgusto. Intuito il nostro nervosismo, nessuna delle nostre compagne fece domande, limitandosi a seguirci in religioso silenzio.
   «Mi dispiace», dissi io a un tratto, così a bassa voce che Alistair aspettò qualche attimo prima di rispondere.
   «Per cosa?» cominciò, rendendosi conto di aver inteso bene. «Credete davvero che non sarebbe successa la stessa cosa se ci fossimo schierati con l'altro?» Scosse il capo, scettico. «Non sarebbe cambiato nulla. A nessuno di quei due importa realmente aiutare questa gente. E se fanno qualcosa per il proprio popolo, state ben certa che ne ricaveranno comunque dei vantaggi a livello personale.»
   «La serva», s'intromise allora timidamente Leliana, che su certe cose aveva l'occhio più lungo del nostro. Ci fermammo per voltarci a guardarla e lei, sentendosi incoraggiata a continuare, ci svelò la propria impressione. «Credo sia la sua amante. Forse Bhelen vuole abbattere il muro che li separa, ecco perché si preoccupa di annullare le differenze sociali, perché altrimenti, se la tradizione si perpetuasse ancora, non potrebbe stare con lei.»
   Sentii lo sguardo di Alistair su di me e fui costretta a ricambiarlo per via dello stesso sentimento che animava il suo cuore: lo capiva. Se ciò che Leliana supponeva corrispondeva alla verità, Alistair non poteva fare a meno di comprendere benissimo il punto di vista di Bhelen, poiché si trovava in una situazione identica.
   Incapace di reggere ancora quegli occhi tristi, chinai le ciglia sul viso e lui tese le dita per sfiorarmi una guancia. «Forse avete ragione», mormorò a fior di labbra.
   La nostra discussione fu interrotta. Probabilmente fu un bene. Ad ogni modo, fummo sorpresi da un uomo dai capelli rossi che ci sbarrò il cammino. Non si trattava dell'ennesimo fanatico di Harrowmont che voleva vendicarsi della scelta da noi effettuata – perché sì, nel frattempo eravamo stati aggrediti lungo la strada non appena si era sparsa la voce che avevamo deciso di schierarci con Bhelen – ma di Oghren, il nano ubriacone con cui avevamo parlato alla taverna e che ci aveva allontanati in modo brusco, dubitando della nostra sincerità.
   «E così... eravate seri, prima, quando dicevate che avreste aiutato Branka», esordì non appena fummo abbastanza vicini per parlare a quattr'occhi. «L'ho sentito in giro. Voi Custodi ovviamente siete sulla bocca di tutti. E, ora come ora, non mi importa neanche che lavoriate per qualcuno di quei porci che vogliono il trono. Mi basta che cerchiate per davvero Branka.» Gli assicurammo che così sarebbe stato e lui parve soddisfatto. «Non so se vi ricordate di me, ultimamente la gente mi dimentica spesso. O magari mi ignora e basta. Sono Oghren, comunque. E ho intenzione di venire con voi.»
   «Ne siete sicuro? Potrebbe essere pericoloso», lo mise in guardia Alistair, recuperando la voce che aveva quasi perso durante il nostro precedente scambio di opinioni.
   «Ehi, io sono l'unico al mondo, credo, che sia interessato a Branka come persona», ribatté l'altro, senza però mostrarsi offeso o arrabbiato per la messa in discussione delle sue capacità. «Per tutti gli altri, Branka è solo un simbolo, e a nessuno importa se rimane giù nelle Vie Profonde», ci rivelò. Avrei voluto tornare indietro per schiaffeggiare Bhelen. E anche Harrowmont, tanto per far capire a tutti che me ne infischiavo sia dell'uno che dell'altro. «Io so cosa voleva, so tutto di lei. Perciò, se uniamo i vostri indizi e le mie conoscenze, forse riusciremo ad avere successo. Che ve ne pare?»
   «Quanto siete forte, esattamente?» arrivai subito al nocciolo della questione io, prendendo inaspettatamente parola. Leliana si lasciò scappare una risatina, portandosi una mano davanti alla bocca per trattenerla, ma non me ne curai: avevo intenzione di uscire viva dal regno dei nani, e qualunque tipo di aiuto sarebbe stato sempre ben accetto. Inoltre, volevo assicurarmi che quell'uomo sapesse davvero ciò che stava facendo.
   Oghren fece scivolare la mano dietro la propria schiena, estraendo velocemente da alcune cinghie una grossa, affilatissima ascia da guerra. La posò pesantemente a terra, e in quel frangente non mi parve assai dissimile dalle sculture di pietra che Alistair si era soffermato ad ammirare prima che ci inoltrassimo a Orzammar. «Stai parlando con un berserker, mia cara.» Ero passata da stracciona a mia cara, il che mi pareva già una bella conquista. E il fatto che Oghren non sembrasse più tanto ubriaco contribuiva non poco a tirarmi su di morale. «Fammi arrabbiare, e spacco il mondo», mi informò con un ghigno seminascosto dai lunghi baffi di colore acceso che contrastava tanto con quello azzurro dei suoi occhi, al punto da lasciarmi quasi incantata.
   «Mi ricorda te, sai?» osservò Morrigan, guardandomi con aria seria. Arrossii ma lasciai correre anche questo; avevo altri pensieri per la testa, al momento. Primo fra tutti: nessuno si curava di Oghren e di quanto stava soffrendo.
   «Non mi pare un'idea malvagia», si permise di farci notare Wynne. «Voi cosa ne dite, Alistair?»
   «Che avere qualcuno che ne sappia più di noi non può che farci comodo», alzò le spalle lui. Se proprio dovevamo trovare Branka, lo avremmo fatto anzitutto per quel nano che le era tanto affezionato. «Avete trovato una scorta. O forse noi abbiamo trovato una guida», affermò poi, tendendo la destra al guerriero, che subito gliela strinse per suggellare quell'accordo.
   «Branka stava cercando l'Incudine del Vuoto», iniziò allora ad informarci Oghren, dopo le presentazioni generali, prendendo a camminare accanto a noi mentre proseguivamo verso l'ingresso delle Vie Profonde. «Si tratta del segreto per costruire i golem, ma è andato perduto secoli fa. La costruì Caridin nel Thaig Ortan, e grazie ad essa Orzammar conobbe un lungo periodo di pace, difesa com'era dai golem creati dall'Incudine. Sicuramente Branka avrà iniziato le sue ricerche proprio nel posto in cui essa è stata forgiata. Tuttavia, l'unica informazione utile che aveva, era che si trovava dopo il Monumento di Caridin, ma nessuno ha più visitato quel thaig da almeno cinquecento anni. Si dice che qualcuno, un gruppo di umani, tempo fa riuscì a trovarlo, o forse sono solo chiacchiere, non ne ho idea.»
   All'epoca ovviamente egli non poteva saperlo, però Oghren si stava riferendo proprio a Maric, a Loghain e a Rowan. E non solo.
   «Bhelen ci ha fornito una mappa», lo informò Alistair, ignorando quanto me cosa celasse in realtà il passato dei suoi genitori, legato indissolubilmente alle Vie Profonde in cui stavamo per avventurarci per la seconda volta. «Grazie a quella saremo capaci di raggiungere il Monumento di Caridin senza troppi problemi.»













Come avete letto, ho saltato a piè pari la parte inerente a Jarvia per non allungare terribilmente il brodo; dopotutto Karta non ha tutto questo peso sulla storia, anzi. Mi sono perciò permessa di andare direttamente dalla ricerca di Lord Dace nel Thaig Aeducan a quella di Branka nel Thaig Ortan. Con grande gioia di Nimue. XD
Quanto alla scelta fra Harrowmont e Bhelen, confesso che durante la mia partita andai a casaccio. X3 Anzi, feci questo furbissimo ragionamento: «Bhelen è l'erede legittimo! *O*» E intanto appoggiavo Alistair nel suo non voler diventare re. Coerenza anzitutto, gente. XD Ad ogni modo, alla fine non mi sono affatto pentita di essermi schierata con Bhelen per tutti i motivi che ho esposto qui - e anche per ciò che mi capitò nel finale del gioco.
Chiedo nuovamente scusa a tutti quelli che non hanno letto i romanzi sul prequel, ma ormai è impossibile per me non farne cenno. E temo che più andrò avanti, più continuerò a richiamarli. Abbiate pazienza come al solito, per cortesia.
Prima di chiudere, ringrazio di cuore la mia beta Atlantislux, il mio aiutante Erecose, Lara e The Mad Hatter che hanno contribuito in qualche modo a fornirmi informazioni su determinati particolari sulla lunga saga di Orzammar. E un grazie va anche ad ashar (Come confermato in questo capitolo, Alistair non è proprio tardo... Diciamo che fa lo scemo per non andare in guerra, ecco. XD), ENS (Troppo buono! In realtà prima di mettermi a scrivere questi capitoli temevo di fare una confusione infernale, quindi sono felicissima di sapere che invece me la sto cavando!) e a tutti coloro che continuano a leggere questa long infinita.
A presto, spero! Buona giornata e buon divertimento a chi è ancora in vacanza!
Shainareth





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Capitolo 25
*** Il Thaig Ortan ***







CAPITOLO VENTICINQUESIMO – IL THAIG ORTAN




«Provate a pensare positivo», si sforzò di consolarmi Alistair mentre procedevamo lungo uno di quei maledetti tunnel infestati di corruzione. «Quando tutto questo sarà finito, potremo andarcene da qui.»

   «E se morissimo prima di riuscire a farlo?» obiettai.

   Lo vidi stirare la bocca in una smorfia grave. «Beh... dubito di lasciarci le penne, perché io ho sempre la mia bella motivazione», disse poi, cercando di essere ottimista.

   «Voi siete un uomo. Per una donna è diverso.»

   Mi regalò un sorriso sornione prima di contraddirmi e rivelarmi il suo reale pensiero. «Non lo direte più quando accadrà.» Riuscì solo a farmi arrossire e a rendermi più nervosa di quanto già non fossi. «Seriamente», riprese allora, comprendendo di dover essere un po' più delicato, «neanch'io so se ce la caveremo, ma abbiamo già affrontato le Vie Profonde, non più tardi di dodici ore fa. Eppure siamo ancora vivi.»

   «Perché la nostra meta era il Thaig Aeducan, in cui i nani vanno spesso», precisai, stizzita. «Ora, vi ricordo, siamo diretti verso il nulla più completo.»

   «Questo non è vero», tentò di farmi ragionare lui. «Stiamo andando al Thaig Ortan.»

   «E, di grazia, mio signore, dove si troverebbe?»

   Alistair mosse un braccio davanti a sé come a volermi mostrare qualcosa di invisibile. «Quaggiù. Da qualche parte. Oghren ci sta accompagnando lì», fu l'unica cosa che fu capace di dire, pur consapevole che neanche Oghren sapesse esattamente la reale direzione da prendere.

   Ripresi a grugnire, piagnucolare, torturarmi le labbra, rendendomi insopportabile a tutti. «Siete un bugiardo», mi lagnai dopo alcuni istanti. Corrucciò un sopracciglio con aria contrariata, segno che non mi aveva mai mentito da che ci eravamo conosciuti e che tuttavia era curioso di sentire quale altra sciocchezza avessi tirato fuori dal mio repertorio di onnipresenti paure. «Avevate detto che non saremmo venuti quaggiù prima di trent'anni.»

   «E in effetti così doveva essere», mi confermò lui, armato di pazienza. «Solo che...»

   «Lo vedete che siete un bugiardo?»

   «Posso spaccarle il cranio con una randellata?» volle sapere Morrigan, stufa di stare a sentirmi – al punto da prendere miracolosamente le difese di Alistair.

   Che però le fece cenno di star buona e ferma. «Ecco, lo vedete?» continuò poi, tornando a parlare con me. «Se vi lamentate voi, cosa dovrebbero fare i nostri compagni, che non sono affatto tenuti a seguirci?»

   «Un punto per voi», biascicai, cercando di calmarmi. C'era un Flagello in atto, milioni di persone in pericolo di vita, e io mi preoccupavo solo di me stessa. «Vi chiedo scusa», sospirai, rassegnata ad andare incontro al mio destino. Dovevo morire nelle Vie Profonde, dopotutto. Speravo tuttavia che non sarebbe successo in quell'occasione. L'unica mia consolazione era che per lo meno non sarei stata sola.

   «Okay, disponiamoci in fila», stabilì dopo un po' Alistair, quando il passaggio divenne troppo stretto per passare tutti insieme. Mi chiesi per l'ennesima volta perché mai avesse affidato a me il comando, visto che anche lui ci sapeva fare in modo eccellente. E anche meglio di me, in certi momenti. Se solo non fosse stato così dannatamente insicuro di sé... I suoi occhi mi scrutarono con preoccupazione. «Voi forse è meglio che non stiate davanti», considerò.

   «E nemmeno dietro», confermai.

   Wynne sospirò. «Se può farvi stare meglio, vi aprirò io la strada.»

   «Perfetto, grazie.»

   «Io vi coprirò con le mie frec...» Leliana si bloccò, rendendosi conto che al buio aveva ben poco di che prendere la mira, specie se posta in prima fila. Certo poteva fare affidamento sulla fioca luce creata da noi maghe, ma sapevamo già che essa sarebbe stata destinata a sparire nel momento in cui avremmo ingaggiato battaglia, poiché i nostri poteri sarebbero stati impiegati in ben altri modi. «Col mio pugnale», si corresse allora il bardo, imbarazzata, «benché temo che non servirà poi a molto.»

   «Starò io con Wynne», la rassicurò il Principe. «Nimue, voi seguitemi.»

   «Io le starò dietro», si offrì allora Oghren, prendendo parola per la prima volta da che ci eravamo avventurati là sotto. «Almeno saprò come distrarmi lungo il cammino», aggiunse, lasciando scivolare lo sguardo sul mio fondoschiena. Pensandoci meglio, forse preferivo che lui continuasse a considerarmi una stracciona.

   Alistair tossì con cipiglio corrucciato. «Ricapitolando: Wynne e Oghren staranno davanti...»

   Il nano scosse le spalle, iniziando a scrutare anche la mia anziana maestra. «Per me va bene, basta che ci sia qualcosa da guardare.»

   «...mentre io e Morrigan chiuderemo la fila», proseguì l'altro, ignorando lui e la risata sommessa dell'Incantatrice anziana.

   Divertita, la figlia di Flemeth fece schioccare la lingua. «E non hai pensato al fatto che potrei colpirti alle spalle?»

   «Ci ho pensato eccome», le fece sapere Alistair con aria tetra. «Ma sono un gentiluomo, per la miseria. Non posso lasciare Nimue e Leliana in fondo al gruppo.»

   Lei lo fissò come se volesse spellarlo vivo. «Noto con piacere che non ti passa neanche per l'anticamera del cervello di considerarmi una donna.»

   «Me lo ricorda il fatto che non vi curiate di prendere una polmonite, che siete una femmina, sì», le assicurò Alistair, giocando col pericolo. «Ma non certo umana», precisò. «Sospetto anzi che il vostro essere una Mutaforma vi aiuti a nascondere la vostra vera natura.»

   «Guarda, guarda pure», gli concesse Morrigan, annoiata, infischiandosene delle sue allusioni maligne. «È l'unica cosa che ti è concessa fare.»

   Il Principe sorrise. «Non è lì che si soffermano i miei occhi quando mi capitate a tiro, qualora lo voleste sapere.» Lei forse non ci teneva a saperlo, ma io sì. Tanto che, sotto lo sguardo preoccupato di Leliana, avevo già impugnato il mio bastone come se fosse stato una clava, pronta com'ero a frantumargli le rotule, se necessario.

   «Ah, no? E dove?» s'incuriosì invece la bella Strega delle Selve.

   «Sul vostro naso», rispose Alistair senza esitazioni, salvando inconsciamente il proprio dalla mia cieca gelosia.

   «Oh», rimase stupita Morrigan. «E cos'avrebbe di tanto affascinante il mio naso?»

   Lui l'accontentò. «È identico a quello di vostra madre.»

   Fui di nuovo costretta a mordermi un labbro, questa volta per non scoppiare a ridere. Sentii però la nostra compagna ringhiare alle mie spalle, profondamente indignata. «Ti odio tantissimo.»

   «Prego?» chiese Alistair, palesemente divertito.

   «Niente», pose fine alla conversazione lei.

   «Ehi, mora», proruppe Oghren, davanti a me, voltandosi indietro e rallentando di poco il cammino. «Se vuoi, te le fisso io, le tette.»

   «Fa' pure», disse Morrigan, gelida. «Ma poi non lamentarti se ti ritrovi infilzato al mio bastone: pregno d'alcol come sei, saresti perfetto come torcia umana.»

   «Ora che vi siete trovata un molestatore tutto per voi», ricominciò a prenderla in giro Alistair, aspirando evidentemente a prendere il posto di Oghren nei progetti di lei, «possiamo proseguire in silenzio o per lo meno a bassa voce? Il minimo rumore potrebbe risultarci fatale», concluse, tornando serio. E facendomi ripiombare nell'ansia: sebbene capissi la necessità di tacere, finché si parlava, potevo distrarmi. Mentre adesso...

   Passò qualche tempo prima che la nostra guida, in testa al gruppo, si fermasse e mormorasse: «Il Monumento di Caridin.» Eravamo sbucati in un posto molto più luminoso dei soffocanti tunnel in cui ci eravamo avventurati fino a quel momento. «Non riesco quasi a credere che Bhelen sia riuscito a rintracciare questo posto.» Si voltò verso Alistair, credendolo evidentemente il nostro leader e spiegò: «Era il più grande dei crocevia dell'antico impero. Puoi raggiungere qualunque posto da qui, persino il famoso Thaig Ortan.»

   «Vedete qualche segno che possa ricondurci a Branka?»

   «No, ma sono sicuro che siamo sulle sue tracce. Cercava la casa di Caridin, lo so con certezza.»

   Detto questo, si avviò nuovamente lungo il sentiero obbligatorio. Qui il tipo di materiale usato per  la pavimentazione e i pilastri che sorreggevano il soffitto era di tipo diverso, e a mio parere anche più bello di quello utilizzato per costruire Orzammar. Numerose erano le segnalazioni stradali poste ai lati del lastricato, e tutte le entrate dei cunicoli adiacenti erano bloccate da grossi macigni franati in seguito a chissà quale evento; avendo ormai potuto ammirare la solidità delle costruzioni naniche, dubitavo che quelli fossero crolli dovuti all'incuria degli operai, e reputavo molto più probabile che la colpa dovesse ricercarsi in eventi esterni, a cominciare proprio dalla Prole Oscura.

   Non eravamo soli, comunque. Come previsto, Bhelen non era stato l'unico a rintracciare quel posto, poiché alcuni seguaci di Harrowmont ci stavano aspettando chissà da quanto, pronti a farcela pagare. Fra loro vi era persino una maga elfo. Quando vociammo ad Alistair di andare ad occuparsi di lei, egli tentennò, cosa che pagò cara, perché quella ne approfittò per lanciare su se stessa un Glifo di Difesa e una tempesta di ghiaccio contro tutti noi. Imprecando, dopo aver rotto il primo cranio con la sua possente ascia, i lunghi baffi rossi spolverati di brina, Oghren si scagliò contro di lei, sbalzando Alistair di lato con una poderosa spallata che lo fece barcollare.

   «Dietro di te, idiota!» gli urlò Morrigan, dandogli così modo di riprendersi prima che una grossa mazza chiodata potesse spaccargli le ossa. Timorosa per la sua incolumità, imprimetti su di lui il mio primo tentativo di emulare il Sigillo della Vita con cui la mia buona maestra si era presa cura di lui nelle rovine di Brecilian. Pochi minuti appena e lo scontro ebbe fine. Morrigan si diresse a grandi falcate contro Alistair, colpendolo ripetutamente con il proprio bastone sul petto, tanto da farlo indietreggiare e quasi finire con le spalle contro un pilastro. «Vuoi morire, eh?! Vuoi farci morire?!» iniziò ad abbaiare, furiosa, mentre sbuffi bianchi uscivano dalla sua bocca. Il Principe tacque, serrando le mascelle e stringendo l'elsa della spada nel pugno. «A cosa diavolo stavi pensando?!»

   I suoi occhi infine cercarono la mia figura, e allora tutto fu chiaro. «Sciocco», sospirai. La storia di Bhelen e della sua amata serva doveva essergli rimasta ben impressa, al punto da continuare ancora a rimuginarci su.

   Morrigan lo picchiò ancora più energicamente. «Non mi importa se il tuo nemico somiglia a lei: se esiti, finirete ammazzati tutti e due. E noi con voi!»

   Leliana l'afferrò per un braccio, costringendola ad allontanarsi, e io mi misi fra loro. «Non ero io.»

   «Lo so», mormorò Alistair, mortificato per il guaio combinato. «Mi dispiace. È che...»

   «Dovreste imparare a distinguere una persona dall'altra», intervenne gentilmente Wynne, interrompendolo. Non disse altro, eppure quel suo breve insegnamento fu pronunciato con calore tale da indurre Alistair ad annuire con vigore.

   «Sì, lo so, avete ragione», ammise più convinto di prima. «Sono solo stato colto di sorpresa, davvero.»

   «Ne siete sicuro?»

   Rinfoderò la propria arma e mi passò le dita fra i capelli, all'altezza della tempia. «Certo. Anche perché nessun'altra regge il paragone», tentò di sdrammatizzare con un sorriso. Che ricambiai.

   «Sto per vomitare», ci informò graziosamente Morrigan, facendo ridere Leliana, mentre con uno sbuffo sonoro Oghren si appoggiò all'ascia.

   Tirò su col naso e chiese: «Quindi il capo se la fa con la orecchie-a-punta?»

   «Oh, no, no», si affrettò a correggerlo il nostro compagno, un po' in imbarazzo. «È lei il capo.»

   L'altro corrucciò la fronte. «Ah, sì?» Mi squadrò da capo a piedi, come a cercare qualcosa di incoraggiante nella mia persona. «Ha un bel culo», fu tutto ciò che ebbe da commentare alla fine.

   «Guardatelo ancora e vi caverò gli occhi», gli assicurò Alistair.

   Oghren fece un gesto con la mano per accantonare la questione. «Lo terrò a mente, ma ora muovetevi o vi lascio indietro.» E dicendolo si issò l'ascia sulla spalla, si voltò e prese a camminare di nuovo davanti a tutti.

   Ci accodammo a lui, con Morrigan che non risparmiò l'ennesimo sguardo di rimprovero al nostro povero templare, colpevole di essere troppo sensibile riguardo a certe questioni. La cosa ovviamente mi lusingava, ma mi metteva anche in allarme: non bastavo già io con la mia insicurezza e la mia ansia a creare problemi?

   «La prossima volta che ti fermi a fissare un'altra maga elfo, ti castro.»

   «Non ti pare che questo dovrei dirlo io?»

   La figlia di Flemeth mi fece il verso e poi aggiunse: «E allora fallo, cretina!»

   «Siete gelosa?» volle sapere Alistair. Lei scoppiò a ridergli in faccia, così genuinamente da non far sorgere dubbi sulla sua sincerità. «Non di me, quanto della scollatura di quella tipa», precisò allora il nostro Principe.

   «Oh, sì, aveva due bocce enormi», concordò Oghren, che, nonostante sembrasse tutto preso dal suo desiderio di trovare Branka, non si lasciava sfuggire certi dettagli.

   «La prossima volta vi farò un malocchio, altro che glifo salvavita», sottolineai allora, facendo sogghignare il mio collega Custode, al quale era rivolta quella minaccia.

   «Giuro che me ne sono accorto solo dopo», cercò di rabbonirmi lui.

   «Lo credo bene», gli diede stranamente man forte la Strega delle Selve, seppur ancora irritata. «Altrimenti col cavolo che ti avrebbe ricordato la tua bella.»

   Fui io stavolta a sbeffeggiarla con un verso poco educato, ricevendo tuttavia consolazione dal mio innamorato, che mi assicurò che io ero molto, molto più bella, e che, ancora, quella di Morrigan era soltanto gelosia.

   Chiedendomi allora se tutto il nostro viaggio attraverso le Vie Profonde sarebbe stato accompagnato da opinioni e/o apprezzamenti sulla misura dei seni e dei fianchi di noi donne, arrivammo ad un punto morto: l'unica strada apparentemente percorribile terminava in un vicolo cieco, e nessuno di noi riusciva a trovare altro modo di proseguire. Ne approfittammo per sostare e riposarci, mentre a turno ripercorrevamo in coppie il tragitto appena fatto per accertarci che non ci fosse sfuggito nulla. Dalla segnaletica, scritta in lingua nanica, purtroppo non si poteva ricavare molto, poiché anch'essa era stata vittima dell'usura del tempo.

   «Siete ubriaco?» sentii chiedere ad Alistair quando io e Leliana fummo di ritorno dalla nostra ronda. «In nome del Creatore, come diavolo fate ad essere costantemente ubriaco?»

   Oghren rise, mettendo via una borraccia nella quale dubitavo vi fosse acqua. Sembrava che quei due avessero iniziato ad andare piuttosto d'accordo. «Invidioso, eh?»

   «Un po', lo ammetto», rispose il più giovane. «Non è giusto, per quanto io beva, non riesco mai ad ubriacarmi.»

   L'altro lo contraddisse con un rutto. «Sai, se tu bevessi di più, forse la smetteresti di lamentarti.»

   «Oh, l'hai detto», lo applaudì Morrigan, deliziata.

   «E la stessa cosa vale per la tua amichetta», continuò Oghren. «Tappale la bocca in modo virile, ogni tanto», gli consigliò, ammiccando cameratescamente nella sua direzione e incurante delle due maghe che erano con loro. La più giovane, anziché mostrarsi scandalizzata, non riuscì a non sghignazzare alle nostre spalle, mentre la mia anziana maestra ruotò le pupille al cielo, cercando di trattenere l'ilarità.

   Com'era prevedibile, Alistair invece arrossì fino alla punta delle orecchie, provando a protestare e a prendere le mie difese. Decisi di venirgli in aiuto, a quel punto, palesando finalmente la nostra presenza a tutti, e sperando che nessuno si avvedesse che anche il mio viso era avvampato a causa del sangue fluito fino alle gote. «Di là non c'è niente.»

   Alistair si alzò in piedi in fretta e furia, come a volersi discolpare davanti ai miei occhi, ma non ebbe tempo di spiccicare parola che Leliana aggrottò la fronte e tese una mano. «Sento uno spiffero», ci spiegò, avvicinandosi verso uno dei cunicoli ostruiti dalle macerie. «Viene da qui», disse allora, sicura di sé. «Venite anche voi.»

   La raggiungemmo e non potemmo far altro che confermare le sue parole. Quel passaggio era dunque percorribile, ma bisognava liberarne l'ingresso. Il punto era che non avevamo la più pallida idea da che parte cominciare. «Spostatevi», ci ordinò allora Morrigan. «Toglierò di mezzo quelle pietre con uno dei miei incantesimi.»

   «No, aspettate», stava cominciando a dire Alistair.

   Ma lei non lo fece finire di parlare e, anzi, si mise subito all'opera. Allarmati, ci tirammo istintivamente tutti indietro, addossandoci alla parete opposta e stringendoci gli uni agli altri. Io e Wynne ci premurammo anche di innalzare contemporaneamente una barriera che ci proteggesse da eventuali detriti che la bomba di fuoco messa in atto da Morrigan poteva provocare.

   Un frastuono riecheggiò per quella porzione di Vie Profonde, le rocce attorno a noi tremarono, e un attimo dopo fummo completamente avvolti da sottilissima polvere simile a fumo, tanto da non riuscire più a scorgere l'artefice di quel macello.

   «Morrigan!» strepitai, spaventata dall'idea che potesse essere stata travolta dalla sua stessa magia. «Morrigan!»

   «Ci sento, stupida!» replicò lei da qualche parte.

   «State bene?» volle sapere Wynne.

   «Certo che sì», rispose ancora l'altra, stizzita da quella domanda tanto offensiva per il suo orgoglio. Una folata di vento incantato spazzò via la coltre che ci impediva la vista, e fummo di nuovo in grado di guardarci attorno. «È libero, ora», ci informò Morrigan, soddisfatta.

   «Pregate affinché la Prole Oscura sia sorda, oltre che maleodorante», le rinfacciò Alistair passandole accanto per entrare per primo nel tunnel, contrariato da quel suo agire senza prima consultare gli altri.

   «Preferivi che morissimo qui sotto in attesa di trovare una soluzione alternativa?»

   «Fate luce e soprattutto silenzio», la zittì lui, afferrandola per un gomito e trascinandosela dietro come a volerla usare come lanterna.

   Un attimo dopo, tuttavia, fu costretto a spingerla nuovamente indietro, poiché, come me, avvertì qualcosa: quasi non fece in tempo a darci voce, che un'orda di Prole Oscura fu loro addosso. Morrigan gridò, vedendolo sopraffatto da tre di loro, e subito io e Oghren, più piccoli e agili degli altri, ci tuffammo in avanti per soccorrere il nostro compagno. Nelle retrovie, Wynne e Leliana si diedero da fare come meglio poterono, ostacolate tuttavia dal ristretto spazio del cunicolo in cui ora ci trovavamo. Non riuscivo a vedere Alistair, temevo fosse ferito gravemente, e invece, quando Oghren schiantò con un paio di poderosi colpi il più grosso dei nostri avversari, la sua testa bionda sbucò fra quelle calve dei Genlock rimasti – che finirono morti a terra nel giro di pochissimo.

   Poco distante avvertimmo la presenza di altre creature maligne, e i versi, quasi ruggiti, di alcune di loro ce ne diedero la conferma. Alistair e io stimammo che non erano molti, e senza neanche darci voce aprimmo la strada agli altri, che ci tallonavano per evitare che facessimo entrambi una brutta fine. In realtà non ero coraggiosa come volevo apparire; tutto ciò che facevo era impedire al mio Principe una qualunque azione sconsiderata. Il solo fatto di dover – e voler – preservare la sua incolumità, mi dava la forza per agire altrettanto spavaldamente, e finché egli fosse stato in grado di combattere, non avrei mai abbandonato il suo fianco.

   Lo strada si aprì in uno spiazzo più ampio, dove altri Prole Oscura ci attaccarono frontalmente. Oghren era davvero in gamba quanto mi aveva assicurato, tanto che qualunque cosa la sua ascia colpiva finiva immancabilmente a pezzi. Lottava con un'energia tale da far paura, il volto trasfigurato dalla rabbia, le tozze gambe ben piantate a terra, le braccia massicce che fendevano l'aria insieme alla sua arma che mai mancava il bersaglio. Sapevo che i nani erano forti e valorosi guerrieri, ma collegai scioccamente la grandezza di Oghren alla sua parentela con Branka, convinta com'ero che il vincolo di sangue giocasse la sua parte. Scoprii solo dopo che invece non era così.

   Abbattuta la folla di nemici che si erano riversati su di noi come un fiume in piena, ci concedemmo qualche attimo per recuperare fiato e studiare la zona. Nessuno di noi era ferito in modo grave, a parte qualche lieve contusione che Wynne si adoperò immediatamente a curare. Un ponte si ergeva in fondo, unico accesso al resto della galleria. Tutt'intorno, invece, erano state issate delle rozze barricate, forse una sorta di avamposto della Prole Oscura.

   «Quei dannati si sono portati via troppi di noi», grugnì Oghren, poco prima di sputare sulla carcassa menomata di uno di loro.

   «Credete che Branka ce l'abbia fatta?» si interessò Wynne, cercando di essere delicata.

   «Certo che sì», rimbeccò lui, stizzito. «Nessuno è in grado di farla secca, te lo dico io», le assicurò. «Sono più che sicuro che sia arrivata a quella dannata Incudine, o per lo meno a quel dannato Thaig Ortan.»

   «Che c'è?» volle sapere Alistair, stufo di avere gli occhi di Morrigan addosso da che avevamo affrontato la maga elfo.

   Lei gli puntò un dito contro. «Non azzardarti a morire», fu la laconica risposta che gli diede.

   Sconvolto da quelle parole, il giovane credette di aver capito male. «L'ha detto davvero?» mi chiese.

   «Sì», biascicai con scarso entusiasmo. Se un tempo ero stata la più accanita delle idiote che avrebbe gioito nel vederli insieme, adesso la gelosia mi contorceva le budella ogni volta che quei due iniziavano a battibeccare in quel modo, così a metà fra il serio e il faceto, tra il disprezzo e quello che mi pareva essere diventata una forma di contorto affetto. Speravo di sbagliarmi ancora, ovviamente, anche perché mi fidavo ciecamente di Alistair. Solo... avevo dei grossi complessi di inferiorità nei confronti di Morrigan, più che giustificati dal momento che lei non solo mi offuscava in bellezza, ma anche in intelligenza: da qualunque parte la guardassi, brillava molto più di quanto avrei mai potuto fare io in tutta la mia mediocre esistenza.

   «Ah», commentò il mio compagno, ancora perplesso. «Allora ha bevuto anche lei.»

   «No, stupido», lo ammonì l'altra. «Sto parlando sul serio. Mi servi vivo.»

   Alistair si lasciò scappare una risata. «Vi servo vivo?» Scosse il capo, incredulo. «Credevo che auspicaste alla mia morte.»

   «Cambio di programma», rispose Morrigan, senza scomporsi. «Qualcosa in contrario?»

   «No, no», alzò le mani lui. «Ho tutto di che guadagnarci, immagino.»

   «E di' grazie

   «A voi?»

   «A lei», lo contraddisse la Strega delle Selve, facendo cenno col capo nella mia direzione.

   Sia io che Alistair avevamo ormai perso il filo del discorso. «Che c'entro io?»

   «Se lui muore, tu piangi», sintetizzò lei in poche parole. «Non avrei la forza per sopportarti.»

   Sbuffai, evitando di replicare come avrei voluto. «Conviene muoversi», suggerì d'un tratto Alistair, lasciando così cadere l'argomento. «Sento che presto ne arriveranno altri.»

   Riprese quindi a farci da capofila, e io non esitai ad affiancarmi di nuovo a lui, pronta a illuminargli il cammino. Il tunnel tornò a restringersi e ad allargarsi più volte, almeno fino che non spuntammo di nuovo in quella che parve una strada principale. Fu allora che Oghren ruppe il silenzio che era calato fra noi e disse: «Credo che siamo sulla strada giusta. Il Thaig Ortan non dovrebbe essere troppo lontano.» Rinfrancati da quella sua sensazione, non facemmo che pochi passi che lo sentimmo di nuovo aprire bocca. «Ma sì, perché no?»

   Accortasi che lui la fissava con insistenza, Wynne aggrottò un sopracciglio. «Cosa?»

   «Potrei darti una ripassata. Perché no?»

   Vidi Alistair trattenere il respiro per non scoppiare a ridere, mentre Morrigan si volse a fissare i due con aria incredula e Leliana rimaneva ad ascoltare a bocca aperta. Dal canto mio, mi augurai di aver frainteso come mio solito. E invece no.

   «Una... ripassata?» ripeté Wynne, interdetta quanto noi.

   «Mh», annuì Oghren, tranquillo. «In qualunque momento. Preferibilmente al buio.» Mi domandai se tutte le sue oscenità fossero dettate dall'alcol o meno.

   «Suppongo che dovrei sentirmi lusingata», rispose allora lei, riuscendo a mantenere un gran contegno, sebbene Alistair avesse quasi le lacrime agli occhi. Di certo si stava vendicando tramite il nostro nuovo amico della storia che la mia maestra voleva raccontargli non molto tempo prima – quella su come nascono realmente i bambini.

   Ero sempre più convinta che le Vie Profonde e la birra nanica dessero alla testa a tutti.

 

«Per le tette delle mie antenate!» esclamò Oghren quando, dopo una serie infinita di cunicoli e di incroci vari e pieni di nauseante corruzione, uscimmo in un vasto spazio dalla luce azzurrognola. Evidentemente il nostro berserker era fissato con certe parti del corpo femminile e, soprattutto, se ne infischiava di adoperare parole piuttosto profane. «È il Thaig Ortan!» annunciò, sicuro come mai lo era stato fino a quel momento. «Non avrei mai creduto di riuscire ad arrivare fin qui.»

   Come detto, il Thaig Ortan non era soltanto il luogo in cui si supponeva fosse stata costruita l'Incudine del Vuoto, ma anche quello in cui Re Maric era stato in due occasioni ben distinte. Non ne sapevo molto in proposito, però immaginavo che Alistair dovesse sentire ancora una volta il peso sempre maggiore di tutte le coincidenze che lo avevano assalito da che avevamo messo piede nel regno dei nani. Era come se il destino volesse mettere alla prova il suo valore con quello del suo defunto padre. Non che credessi che lui nutrisse chissà quale sentimento d'amore nei suoi confronti, né lo si poteva granché biasimare visto che era stato abbandonato quand'era in fasce; eppure mi domandavo se tutto ciò non lo colpisse in profondità. O forse, mi concessi il beneficio del dubbio, lo reputavo più sensibile di quanto non fosse realmente: dopotutto, io davo molta più importanza di lui alla figura paterna perduta, dal momento che la mia era venuta meno ancor prima che io nascessi e non avevo avuto alcun motivo per portarle rancore. Forse attribuivo ad Alistair emozioni che in realtà avrei voluto vivere io al posto suo. Forse mi immedesimavo troppo nella sua situazione, forse sbagliavo, forse rischiavo di travisare ogni cosa, convincendomi che il mio compagno fosse molto più coinvolto. Forse, come al solito, mi facevo troppi problemi.

   «Branka è passata di qui», ci assicurò Oghren, interrompendo la fila dei miei pensieri. Le sue mani stavano scorrendo sulle pareti intorno, soffermandosi di tanto in tanto su determinati punti. «Traccia sempre dei piccoli solchi a intervalli regolari quando esplora un nuovo tunnel.» I suoi occhi azzurri erano velati di grande malinconia, e fu allora che mi chiesi per la prima volta quale fosse esattamente il legame che univa lui e Branka. Si voltò verso Alistair, l'unico forse a condividere per un verso o per l'altro il suo stato d'animo. «E così... tu e il capo...»

   Eccolo che si preparava di nuovo a dirne una delle sue. Mi chiesi quale fosse il vero Oghren, se quello dall'aria nostalgica e determinata o se quello sboccato e giocherellone. Cominciai a convincermi che probabilmente l'uno non escludeva necessariamente l'altro. Sospirai rassegnata, aspettando che quel nuovo teatrino fosse terminato. Ma la serie di sconcezze, fantasiose metafore sessuali, che riuscì a coniare fu talmente esagerata che, mentre Alistair tentava di interpretarle per trovarvi un senso, io nascosi il viso nel palmo di una mano sulla più esplicita di tutte. Su quella persino il mio povero innamorato rimase spiazzato e, cercando di restare eroicamente calmo, mormorò: «Ve le state inventando, ammettetelo.»

   Scocciato per non aver ricevuto la confidenza che voleva, Oghren sbuffò. «D'accordo, ho capito», si arrese, riprendendo a camminare. «Smettiamola di perdere tempo.»

   «Siete stato voi a cominciare», protestò Alistair, al quale fui costretta a dare una gomitata affinché evitasse di dargli ulteriormente corda. Se quel nano ubriacone avesse ripreso con le sue supposizioni oscene su noi due, avrei dato di matto.

   Avanzammo nella fioca luce del thaig, ma quando, a causa dei passaggi principali bloccati, fummo costretti ad adoperarne di secondari, io e Morrigan ricorremmo di nuovo alla nostra magia per rischiarare la strada. Nonostante il sudiciume dei muri anneriti dalla corruzione, né io né il mio collega Custode avvertimmo la presenza della Prole Oscura nelle vicinanze. Non era quest'ultima, infatti, ad infestare la zona, e, anzi, se lo fosse stata per me sarebbe stato di gran lunga meglio.

   Non ho idea se anche i giovani Maric e Loghain si imbatterono nella stessa orda di enormi, schifose creature a otto zampe, ma di certo non potevano avere più paura di me, altrimenti non sarebbero mai usciti vivi da quel posto. Né vi sarei uscita viva io se non avessi avuto con me dei bravi e pazienti compagni che, non appena fummo presi d'assalto da quegli esseri giganteschi, fecero di tutto per tenermi lontana dalla mischia. Non assistetti al combattimento e, come al solito, rimasi rannicchiata in un cantuccio, al riparo da quelle orrende bestie.

   Quando alle mie orecchie non giunse più alcun rumore della battaglia, mi azzardai a sbirciare avanti a me. E quasi morii di paura, poiché uno di quei ragni, evadendo il luogo dello scontro, era scivolato silenziosamente sopra la mia testa. Il sangue mi si ghiacciò nelle vene, e tutto ciò che fui capace di fare, fu di rimanere a fissarlo con occhi sbarrati. Volevo urlare e non riuscivo a farlo. E intanto oltre la parete rocciosa dietro la quale mi ero nascosta, tornarono a riecheggiare suoni e grida.

   Vedendomi inerme, il mio assalitore si piegò sulle massicce zampe anteriori, pronto a tessere la sua trappola mortale. Fu questione di un attimo, e Alistair sbucò dal nulla per frapporsi fra noi, salvandomi ma finendo vittima della ragnatela, che lo avvolse da capo a piedi. Forse Morrigan aveva ragione a dirmi che io e Oghren ci assomigliavamo, perché mi bastò quella visione per perdere del tutto la lucidità mentale. E prima ancora che la creatura fosse in grado di affondare le proprie tenaglie sulla sua nuova preda, una grossa lingua di fuoco la investì in pieno, facendola balzare indietro e contorcere al suolo tra versi striduli e raccapriccianti. Avevo ucciso un ragno gigante. Io.

   Lì per lì comunque non ebbi il tempo di rendermi conto del prodigio: mi precipitai immediatamente su Alistair raccomandandogli di fare affidamento ai suoi poteri di templare, poiché io potevo contare soltanto su quelli di maga per liberarlo da quella soffocante morsa appiccicosa in cui era costretto.

   «Immagino di aver fatto tutto fuorché la figura dell'eroe», si prese in giro da solo il mio compagno non appena lo tirai fuori da lì. Era esausto, spettinato, sporco di sangue e fuliggine e puzzava di sudore; eppure non mi era mai parso tanto bello.

   «Un po'», ammisi abbracciandolo, lieta di vederlo salvo anche se leggermente abbrustolito come ogni volta che decidevo di dargli una mano.

   Mi sentii stringere a mia volta. «Avete fatto tutto da sola? Ammirevole», si congratulò lui.

   «È molto più che ammirevole», convenne Wynne, raggiungendoci prima degli altri perché preoccupata. Allontanai Alistair con fare goffo e la mia insegnante rise. «Oh, non preoccupatevi», mi disse con assoluta sincerità. «Ammetto di aver cambiato idea.»

   «Davvero?»

   Lei annuì e l'altro domandò: «A proposito di cosa?»

   «Ero convinta che non fosse proprio una buona cosa che due Custodi si distraessero dal loro compito», gli spiegò Wynne, inginocchiandosi stancamente accanto a lui per guarirgli le piccole piaghe dovute al mio fuoco. «L'amore è un sentimento egoista, dopotutto. Ma vedere qualcuno che riesce a provare emozioni tanto forti e positive in mezzo a questo mondo di morte, tradimenti e distruzione, scalda davvero il cuore. Per cui... spassatevela.»

   «Guardate che vi prendo in parola», la mise in guardia il guerriero.

   Lei rise di nuovo. «Voi mi piacete molto, Alistair, e sono convinta che avrete buona cura della mia bambina», confessò, rivolgendomi uno sguardo pieno d'affetto che mi commosse non poco. «Anzi, vi dirò di più: è consolante sapere di poter contare su di voi, visto che io non potrò farlo ancora a lungo.»

   «Però... io sono un templare», le fu ricordato.

   Wynne scosse le spalle. «E siete anche un giovanotto per bene, per cui confido che ci avvertirete prima di impazzire e di decidere di farci a pezzi.»

   «Oh, sì, contateci.»

   «Sarò onesta», continuò, finendo la medicazione e prendendo gentilmente la sua mano fra le proprie. «Vorrei davvero che mio figlio fosse cresciuto esattamente come voi.»

   Alistair batté le palpebre. «Figlio?» ripeté confuso e sorpreso. «Avete un figlio, Wynne?»

   Lei annuì mestamente. «Non l'ho mai visto, a dire il vero. Successe molti anni fa. Quando una maga dà alla luce un bambino all'interno del Circolo, quello appartiene alla Chiesa. Forse può sembrare crudele, e forse lo è per davvero. Ma i figli dei maghi hanno alte probabilità di esserlo a loro volta. Si tratta di una precauzione.» Conoscevo quella storia, purtroppo, e benché ne parlasse con voce rassegnata, ero perfettamente consapevole che dentro di sé doveva soffrire ancora molto.

   «E non vi siete opposta alla cosa?», insistette Alistair, non riuscendo a capacitarsene.

   «Non ne ho avuto modo», continuò Wynne. «Ero esausta per il parto.»

   «Io... Mi dispiace.»

   «E di cosa? Non è mica colpa vostra.» Si rimise in piedi, appoggiandosi affannosamente al proprio bastone. «Ora però basta chiacchierare. Ho lasciato gli altri ad esplorare la zona, ma non so quanto sia prudente che rimangano da soli troppo a lungo. Temo per l'incolumità di uno di loro.»

   Alistair annuì, profondamente colpito dalla sua storia e completamente d'accordo con lei. «Oghren potrebbe finir male in mezzo a quelle due arpie, sono d'accordo.»

   Tuttavia si sbagliavano, perché a rischiare grosso, in quel mentre, era Leliana. La trovammo boccheggiante in un angolo, lontana parecchi metri dal nostro compagno nano. «Oh, ne ho sganciata una», ci spiegò lui con orgoglio. «Le mie sono letali.»

   Tirai su col naso e mi pentii immediatamente di averlo fatto. «È in momenti come questo che sono felice di essere quel che sono», borbottò Alistair fra sé, mentre io tentavo di reprimere un conato di vomito.

   «Dov'è Morrigan?» si interessò di sapere Wynne, non riuscendo a scorgerla.

   «È andata a dare uno sguardo più avanti», rispose Leliana, a fatica.

   «Da sola?»

   Fece segno di sì con la testa. «Si è trasformata in un grosso ragno schifoso e ha proseguito dritto verso quel tunnel laggiù. Come se non ne avessimo già visti abbastanza», l'anticipò Oghren, data la difficoltà che la poverina incontrava nel parlare. La capivo perfettamente, dannazione.

   «Come diavolo avete fatto a riempire tutto il tunnel con tale fetore?» stentava a crederci Alistair. «Voglio dire, piccolo come siete...»

   «Sarò basso, ma sono bello massiccio», gli fece notare l'altro. «Per non menzionare il mio bronto, eh eh.»

   «Il vostro...? Oh», comprese infine il più giovane, zittendosi.

   Morrigan tornò una manciata di minuti dopo, quando, fortuna per lei, l'aria aveva cominciato a purificarsi. «Cos'è quest'odoraccio?» fu la prima cosa che domandò quando ci venne incontro – con fattezze umane, grazie al Creatore. «Alistair, quante volte ti ho detto che dovresti lavarti almeno una volta ogni tanto?»

   Wynne interruppe il loro violento battibecco sul nascere. «Che notizie portate?»

   «Ci sono tre strade», dichiarò allora la Strega delle Selve, soddisfatta di aver comunque avuto l'ultima parola nel litigio. «Una è un vicolo cieco. Le altre due sono percorribili, ma piene di nidi di ragni.»

   «Ce n'è una più sicura?»

   «Sì, e pare spuntare in un'enorme caverna. Ci sono tracce del passaggio di qualcuno, lì», affermò, iniziando subito a mostrarci il cammino.

 

A differenza del Thaig Aeducan, il resto del Thaig Ortan non era affatto illuminato. Tutto ciò che potevamo fare era procedere a tentoni, guidati dalla sfera argentata che avevo fatto apparire sulla cima del mio bastone; se non combattevo in prima fila contro i ragni, almeno potevo rendermi utile in questo modo. Come Morrigan ci aveva detto, alla fine della strada imboccata c'era una vasta caverna, il thaig vero e proprio, in cui molti edifici ancora intatti erano rimasti alla mercé del tempo e delle creature più spaventose. Dagli alti soffitti penzolavano enormi ragnatele che mettevano i brividi anche ai miei compagni di viaggio. Proseguimmo in silenzio fino a che il rumore di un sasso che rotolava giù da alcuni gradini ci costrinse a fermarci. Feci più luce e, come colta in flagrante, la figura antropomorfa di un essere a noi sconosciuto scappò via. Non si trattava di certo di un Prole Oscura, sebbene sia io che Alistair continuassimo ad avvertire costantemente il ronzio della loro presenza come un fastidioso sottofondo lontano.

   Lo seguimmo fino all'entrata di un breve cunicolo dal quale ci gridò: «Non c'è niente per voi, qui! È tutto mio!»

   «Chi sei? Che ci fai quaggiù?» lo interrogò Oghren, forse sperando di saperne qualcosa su Branka, dal momento che avevamo a che fare con un altro nano.

   «Andate via!» ci intimò l'altro. E quando i suoi occhi spenti vagarono sul resto del gruppo, riprese: «Oh, abitanti della superficie. Lo so che siete qui per il mio tesoro. Ma è mio! L'ho trovato per primo!»

   Morrigan rischiarò con il proprio bastone e rivelò altri particolari di quello strano giovane: aveva capelli e occhi scuri, e movenze piuttosto insolite. Sembrava affetto da un morbo o da qualche altra malattia che gli inibiva parzialmente gli arti. E probabilmente non solo quelli, lo si capiva dal modo in cui strascicava le parole e ciondolava la testa.

   «È solo uno di quei nani che si sono persi e che sono stati contaminati», ci spiegò Oghren con una certa noncuranza. Un attimo dopo, tuttavia, mostrò un'ombra di disgusto e di pietà al contempo nell'espressione del volto. «Si sopravvive quaggiù soltanto mangiando carne di Prole Oscura morti», aggiunse allora. E per quanto Alistair e io avessimo avuto il coraggio di bere il sangue di quelle creature, mai ci sarebbe saltato in testa di cibarci quotidianamente di loro. «È l'unico modo che hanno per cavarsela quelli come lui, visto che così la Prole Oscura non si accorge della loro presenza. Solo che si paga un prezzo, e potete ben vedere quale: un tempo questo qui doveva essere sano e forte, altrimenti col cavolo che lo avrebbero lasciato entrare nelle Vie Profonde.»

   «Povera creatura», commentò Wynne sottovoce, mentre anche Leliana si lasciava andare ad un'esclamazione simile.

   Il nano malato si inoltrò all'interno del cunicolo e di nuovo noi gli fummo dietro, questa volta con più calma per non spaventarlo oltre. Lo trovammo nel suo nascondiglio: un ambiente spazioso e arredato alla bell'e meglio con tutto ciò che era riuscito a reperire nel corso dei mesi, o forse degli anni, che era stato costretto a passare laggiù, in compagnia di se stesso e di tutte le mostruosità che abitavano quei luoghi infestati di morte e corruzione.

   Quando ci vide, fece un balzo indietro e ricominciò a strillare: «È tutto mio! Andate via!»

   «Vogliamo solo parlarvi», gli rispose pacatamente Leliana.

   «Non voglio parlare! Andatevene!»

   «Non ruberemo nulla, ve lo promettiamo», tentò di persuaderlo.

   Parve riuscirci, perché lui la fissò meglio, quasi perdendosi nei suoi occhi. «Bella signora...» cominciò a dire a fior di labbra. «La bella signora non ruberà niente a Ruck? Né i vermi né le rocce?»

   Leliana scosse la chioma rossiccia, abbozzando un sorriso. «Voglio solo parlarvi. Giuro che non ruberò niente.» L'altro si convinse quindi ad ascoltarla. «Così... il vostro nome è Ruck?»

   «Ruck non ha un bel nome», prese a dire tristemente lui, «non è grazioso come la signora. Ruck è piccolo, brutto e storpio.»

   «Credo... di aver incontrato vostra madre», lo informò la mia compagna. «Si chiama Filda, vero?»

   Sentendo ciò, Ruck iniziò a muoversi convulsamente, negando con evidente incertezza. «N-No! Filda non esiste! Non esiste alcuna madre! Non esistono le sue dolci parole, non esistono le sue premure! Ruck non ha bisogno di quei bei ricordi!»

   «Vostra madre sente la vostra mancanza», intervenne a quel punto Wynne, partecipando fin troppo al dolore di quella donna. «Ci ha chiesto di trovarvi.»

   «Lei non sa nulla», ribatté il giovane, facendosi un po' più calmo. «Ero molto, molto arrabbiato, e qualcuno era morto. Volevano che Ruck andasse nelle miniere. Ma se non ci fossi andato, tutti avrebbero saputo, e perciò sono venuto qui.» Abbassò lo sguardo. «Una volta che hai mangiato... Una volta che sei stato preso dall'oscurità... la luce non ti manca più tanto. Adesso riesco a vedere al buio, sapete? E posso vedere anche l'oscurità dentro di voi», concluse, tendendo un dito malfermo verso me e Alistair.

   «Noi siamo Custodi Grigi», provò a spiegargli il mio compagno. «Non è proprio la stessa cosa.»

   «Come fai a difenderti dai ragni?» s'intromise Morrigan, curiosa come al solito.

   «Oh, loro preferiscono mangiare la piccola Prole Oscura», rispose Ruck. «Ma i Prole Oscura sono andati quasi tutti a sud. Sì, a sud, lontano, molto lontano, dove il loro sovrano oscuro li ha chiamati con la sua magnifica voce.»

   «Sta parlando dell'Arcidemone, eh?» ipotizzò, non a torto, Oghren.

   «Dopo che lui si è svegliato, ha chiamato tutti i suoi bambini, e loro sono andati da lui. Volevo andare anch'io per ammirare la sua bellezza.»

   «Dov'è ora? Lo sapete?» s'interessò Alistair.

   «Ha smesso di chiamare», fu tutto ciò che seppe dirci il povero figlio di Filda. «Avrei voluto andare anch'io, ma... Ruck è un codardo.»

   «Da quanto tempo siete qui?» tornò a parlare Leliana.

   Ruck scosse le spalle, curvate sotto un peso che non era dovuto all'età. «Cinque anni... forse sei? Ruck non ricorda più tanto gli odori e la vista della città.»

   «Ma è orribile!»

   Guardò di nuovo Leliana con sincera adorazione. «La bella signora capisce Ruck. Sa come Ruck si sente, vero?»

   «Sai dirci se qualcuno ha sostato da queste parti, negli ultimi due anni?» li interruppe Oghren, cercando di trarre qualche informazione utile da quella sosta che ritardava la sua ricerca di Branka.

   «Qualcuno sì, qualcuno», disse Ruck, e dalla breve e contorta descrizione che diede dei nani che erano stati laggiù, Oghren sembrò riconoscere qualche indizio che poteva effettivamente essere ricollegato alla donna che stavamo inseguendo laggiù nelle Vie Profonde.

   «Ruck, vostra madre...»

   «Ditele che sono morto! Che sono morto!» tornò ad agitarsi lui, non ammettendo di discutere ancora. In tutta onestà non avevo alcuna intenzione di mentire a Filda, non lo trovavo giusto. Al suo posto, mi dicevo, avrei voluto sapere la verità su mio figlio. Ma tra il farsi maestri di una data questione vista con occhi esterni e il viverla in prima persona c'è una gran bella differenza, e sapevo che su questa storia io e Wynne non saremmo affatto state d'accordo: lei comprendeva meglio di me il dolore di una madre che perde la propria creatura e che vive nella debole ma costante illusione che stia bene e che magari un giorno possa di nuovo tornare da lei.

   Lasciammo allora Ruck da solo e riportammo i nostri passi nel mezzo del Thaig Ortan, fra gli edifici rimasti in piedi nonostante fossero stati abbandonati alla corruzione. Non trovammo nulla, esattamente come ci aveva anticipato il povero Ruck. Per cui, vista la calma del momento, ne approfittammo per riposarci per qualche ora, quel tanto che ci avrebbe concesso di riempirci lo stomaco e di recuperare un po' di sonno.













Sono segretamente innamorata di Oghren. Davvero. Lo ero già mentre giocavo, ma quando ho preso a scrivere di lui la mia adorazione è aumentata a dismisura. Lo amo nei suoi teatrini con Alistair e Wynne! <3
Mi sono di nuovo arenata con la scrittura. *_* Conto di riuscire a sbloccarmi oggi stesso, visto che sono ormai arrivata all'ultimo capitolo ambientato a Orzammar, e sinceramente non vedo l'ora di uscire da qui (anche se ammetto che tutta questa parte mi è piaciuta tanto da scrivere).
Intanto mi sono rimessa almeno a scarabocchiare vignette idiote su Nimue e gli altri, e, se vi va, potete trovarne qualcuna sul mio profilo di DeviantArt. Ho anche abbozzato il povero Klarren, il mago di The Mad Hatter. XD
Ringrazio come al solito la mia beta Atlantislux, Erecose, Lara, The Mad Hatter (Sì, Nimue inizia a mostrare gli attributi, ma solo in senso figurato, altrimenti penso che Alistair scapperà a gambe levate non appena avranno modo di appartarsi. XD E per quanto riguarda Oghren e Branka, abbi pazienza e ti sarà spiegato tutto. ^^), ashar (La storia dei lampioni è ormai una pietra miliare di Dragon Age: Origins. XD Nella mia partita Nimue e Alistair affrontarono quel discorso a Redcliffe, in chiesa, davanti a Leliana, Morrigan e Bann Teagan. E tutto perché non avevo inizialmente capito dove volessero andare a parare quelle frasi... Sono l'ingenuità fatta persona, lo so. O forse sono solo cretina, che è più probabile. XD), ENS, Evertine, Layra Luin Isil, Salice, Laiquendi, The Warden Archivist, liriel, BgmnhOO, Sotorei, Cass, lames76, Slepless, kelyseh, CookieandDeadlySins, NicoDevil e tutti gli altri lettori per il loro sostegno, silenzioso e non. :D
Buon inizio di settimana a tutti. ^^
Shainareth
P.S. Spero di non aver dimenticato di nominare nessuno, altrimenti siete liberi di bastonarmi sulle dita. ç_ç





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Capitolo 26
*** Le Trincee dei Morti ***







CAPITOLO VENTISEIESIMO – LE TRINCEE DEI MORTI




Ragni. Ragni ovunque. Credevo di morire, e prima ancora di impazzire. Le mie urla isteriche si perdevano nel clangore della feroce battaglia in cui ci eravamo trovati, circondati e braccati, veri e propri topi in trappola. Non potevo permettermi di restare da parte, dovevo combattere o cedere il passo alla morte, rischiando di portare all'altro mondo con me anche tutti gli altri. Dal momento che non potevo permettermelo, fu con smisurato coraggio che mi aggrappai con entrambe le mani all'illusione che il Creatore, Andraste e tutte le divinità esistenti, che credessi in loro o meno, vegliassero su di noi, in quel momento. Di certo io non capivo molto. Sferravo colpi a destra e a manca, a qualunque cosa si muovesse attorno a me. Una volta rischiai di ridurre Leliana in cenere, e Alistair si era allora sacrificato per la sua incolumità. Lui e Oghren parevano instancabili nella lotta, abbattendo bestie in grande quantità e conquistandosi a pari merito il mio cuore. Morrigan ringhiava incantesimi del gelo, Leliana continuava a scoccare frecce per quel che poteva, arrivando talvolta a doverle usare quasi come pugnali quando i suoi avversari erano troppo vicini e ormai in procinto di saltarle addosso. Poco più distante, Wynne vegliava sulle nostre vite con uno di quei miracolosi espedienti che mi aveva da poco insegnato e che però non ero riuscita ancora a perfezionare. Avrei voluto poterle dare man forte, ma era già tanto se riuscivo a combattere, seppur a modo mio, insieme agli altri.

   D'un tratto Oghren fu sopraffatto da una di quelle mostruosità, che lo inchiodò al suolo e gli perforò armatura e spalla con le proprie tenaglie. Il poveretto si lasciò andare ad un ruggito di dolore, e Alistair, riuscendo proprio in quell'istante a liberarsi da un corpo a corpo estenuante, si schiantò contro il suo aggressore con una spallata, riuscendo a sbalzarlo lontano e poi a trafiggerlo con la lama della propria spada alla base dell'addome. Il ragno si contorse in un'orribile danza di morte, il suo sangue schizzò dappertutto, il suo verso stridulo ci riempì le orecchie e infine si attenuò proprio quando anche le sue zampe smettevano di dimenarsi. Ma non c'era tempo per gioire per quella breve vittoria. Un altro fu addosso ad Alistair, e, benché ferito, Oghren ricambiò subito il favore, occupandosene da solo. Anche Morrigan riusciva a cavarsela senza interventi di terzi, mentre Wynne, impegnata a conservare la propria energia magica per curarci le ferite, era assistita da Leliana. Quanto a me, stavo pian piano uscendo di senno: adesso non ero più io a battermi in prima linea, no. Era un'altra ragazza, un altro elfo, un'altra maga. Doveva esserlo per forza, perché Nimue Surana non avrebbe mai avuto la forza psicologica, prima ancora che fisica, per affrontare quegli scherzi della natura. E la mia sosia era persino brava, perché in breve aveva cominciato non solo a distinguere amici e nemici, ma anche e soprattutto a non sperare più nell'aiuto di qualcuno. Riuscì persino a dar fuoco a due ragni contemporaneamente, salvando Leliana e facendosi perdonare per il tentato omicidio di pochi minuti prima.

    La cosa peggiore di tutte, però, era che più creature abbattevamo, più ce ne arrivavano addosso. Che fine aveva fatto la Prole Oscura? Che fine avevano fatto quei colossi degli Ogre? Le Vie Profonde dovevano essere brulicanti di questi, non di aracnidi, per la miseria!

   Ce la cavammo, comunque. Per il rotto della cuffia, ma ce la cavammo. Quando Morrigan pose fine alla vita dell'ultimo avversario, Wynne crollò a terra esausta prima di tutti gli altri. Alistair, la spada ancora in pugno, quasi non voleva credere che fosse tornata la calma, e pur con l'affanno si guardava intorno come se si aspettasse un'ennesima ondata di nemici. Leliana si sedette accanto alla mia anziana maestra, stringendole una mano per accertarsi che stesse bene e Oghren abbandonò il peso del proprio corpo sulla pesante ascia da combattimento appoggiata al suolo, la ferita alla spalla che grondava sangue e pus. Quando Alistair fu sicuro che nessun'altra creatura fosse nelle immediate vicinanze, mi scorse da lontano e si trascinò lentamente verso di me, scuotendomi per un gomito. Non mi mossi, ero come paralizzata. Sospirò, rinfoderò la spada e, togliendomi il bastone di mano, mi circondò con le braccia.

   «È tutto finito», mi disse con voce roca e spezzata a causa della fatica. «Sei stata bravissima.»

   Neanche feci caso al modo in cui si rivolse a me. Mi aggrappai a lui con tutte le forze che mi erano rimaste in corpo e cominciai a singhiozzare disperata, sentendo di aver dato fondo a tutto il mio coraggio e di non poter più fare un passo o contrarre o rilassare un muscolo senza il suo sostegno.

   Alla fine, fu costretto a sollevarmi di peso e a portarmi dov'erano tutti gli altri. Morrigan si stava già occupando della ferita di Oghren, ma non conoscendo bene l'arte medicamentosa, si stava limitando a spalmargli un unguento e a fargli bere uno dei nostri impiastri. «Sta bene?» volle sapere quando Alistair tentò di adagiarmi accanto a Wynne e Leliana. Ma poiché non volevo saperne di lasciare il suo collo, si rassegnò a sedersi anche lui e a tenermi sulle ginocchia come se fossi stata sua figlia.

   «Sì, praticamente incolume», rispose quindi, affondando la bocca fra la mia chioma per premiarmi con tanti piccoli baci sul capo.

   Morrigan si lasciò andare ad una risata sommessa. «È incredibile quanti miracoli è in grado di fare la paura, eh?»

   Avrei voluto mandarla a quel paese, ma non ne avevo la forza. Mi limitai a rimanere immobile dov'ero, prendendomi le coccole del mio Principe, in attesa di recuperare quel tanto di energia magica che mi sarebbe servita per curare i miei compagni, che frattanto dovevano accontentarsi unicamente delle pozioni a base di radice elfica.

 

Fu soltanto dopo essermi dissetata che riuscii a tornare parzialmente lucida. Ero ancora fra le braccia di Alistair, ma per lo meno avevo smesso di piangere e di stritolargli il collo. Mi sentivo meglio, anche se il cuore continuava a battermi come un tamburo, e la consapevolezza che grossomodo stessimo tutti bene, mi dava un motivo in più per riprendermi del tutto. Le gambe tuttavia non mi reggevano ancora, e io non avevo la benché minima intenzione di guardarmi attorno: sapevo che eravamo circondati da decine e decine di carcasse di enormi ragni morti, congelati, mutilati, inceneriti, alcuni ancora fumanti. A causa del fuoco che avevo appiccato a quasi tutti quelli che mi erano piombati addosso – e il solo ricordo ancora oggi mi provoca non pochi brividi – avevo combinato un bel macello: non solo mi ero scagliata contro molte di quelle creature, ma avevo finito per incendiare anche la lunga fila di ragnatele che penzolavano dal soffitto e che ricoprivano più o meno interamente pareti e suolo. Se Morrigan non fosse intervenuta per tempo con la sua magia del gelo, probabilmente saremmo finiti affumicati o, peggio, arrostiti anche noi. Leliana e Oghren, che nonostante la ferita non sembrava risentire affatto del dolore e della fatica, si erano anche adoperati per ammucchiare alcuni cadaveri e darvi fuoco, così che avessimo per lo meno un po' di calore e di luce.

   Anche Wynne si era ripresa, forse persino più di me. Tuttavia le avevano fatto divieto di usare i suoi poteri ancora per un po', perché preoccupati per la sua salute prima ancora che della loro; e non a torto, dal momento che tutti noi dipendevamo da lei. O meglio, dipendevamo anche da me. Solo che nelle condizioni in cui mi trovavo era difficile che potessi essere d'aiuto. Chiedevo scusa a tutti, ma nessuno, neanche Morrigan, pareva irritato e, anzi, mi rivolgevano spesso sorrisi sinceri.

   «Magari è la volta buona che superiate la vostra fobia», ipotizzò Leliana, contenta.

   Wynne strinse le labbra. «Ne dubito», mormorò a bassa voce. «Non si tratta soltanto di una questione di disgusto o di paura», prese a spiegarle. Ormai anch'io ne ero consapevole, per cui la lasciai parlare liberamente, anche e soprattutto perché, vicino ad Alistair, mi pareva di essere nel posto più sicuro del mondo, in barba alle Vie Profonde e alla tana dei Prole Oscura e dei mostri giganti. «Per anni abbiamo cercato di recuperarla, al Circolo, ma non c'è stato verso. Tutto ciò che abbiamo potuto fare è stato arrenderci all'evidenza e all'ipotesi che, probabilmente, Nimue ricollega quelle creature a un qualche trauma indelebile vissuto nella prima infanzia.»

   «Quello di mia sorella», confermai con voce rauca, gli occhi chiusi e la testa abbandonata contro la spalla di Alistair. «Non chiedetemi come e perché, ma tutte quelle zampe mi ricordano...» Mi zittii, incapace di pronunciare il resto della frase.

   «Non c'è bisogno di parlarne», mi confortò il mio cavaliere, premendo la bocca contro la mia fronte. «E ribadisco che siete stata bravissima.» Abbozzai un sorriso, intimamente felice di essere stata in qualche modo d'aiuto ai miei compagni.

   «Oh, qui c'è qualcosa», ci diede voce Morrigan, allontanatasi di alcuni metri sotto lo sguardo vigile degli altri. Mi sforzai di schiudere le palpebre e scorsi la sua figura accovacciata accanto ad un basso tavolo di pietra – o tale mi sembrava – circondato da alcune casse di legno. La vidi prendere fra le dita un grosso tomo e spolverarne via dalla superficie polvere, fuliggine e ragnatele. Quindi iniziò a leggere e subito chiamò: «Nano! Questo ti interessa di certo!»

   Oghren scattò rapidamente nella sua direzione, zoppicando appena dal piede destro. Le scippò il volume di mano e si immerse anche lui fra le sue pagine. Pochi istanti appena e ruggì una feroce imprecazione, lanciando furiosamente il libro per terra e lasciandoci sbigottiti. «Sia maledetta la sua...!»

   «È scritto da Branka», disse dopo un attimo Morrigan, notando che l'altro non era in vena di chiarirci la situazione. «Pare che l'Incudine del Vuoto non sia stata costruita qui, ma a sud, nelle Trincee dei Morti.»

   Quel nome non era affatto incoraggiante, e quel che ci rivelò poi Oghren, cercando di calmarsi, confermò le mie paure. «Le Trincee dei Morti brulicano di Prole Oscura. Chi vi si avventura, è spacciato. Non posso credere che Branka si sia spinta così in là... Dev'essere impazzita.» Il tono della sua voce lasciava ben intuire quanto lei gli stesse a cuore. Mi chiedevo che tipo di legame ci fosse fra loro, forse erano fratelli.

   «Ha lasciato questo diario qui nel caso a lei e alla sua gente fosse successo qualcosa, confidando che un giorno qualcuno potesse passare di qui e recuperare il suo corpo», concluse Morrigan. «Beh, non è proprio per questo che siamo finiti quaggiù, ma temo che ci toccherà farlo. Anche se francamente preferirei lasciare tutto com'è e andare via. Bhelen ci ha dato istruzioni ben precise, e se continuiamo nella nostra ricerca, rischiamo di non uscirne vivi neanche noi.»

   «Tu sta' pure qua, io ci vado anche da solo», le fece sapere Oghren, nuovamente irritato.

   «Era tua moglie?» fu la domanda a bruciapelo che lei gli rivolse.

   Lui si abbandonò ad un pesante sospiro. «Sì.»

   «Lo immaginavo da quel che ha scritto a proposito di te.»

   «Non ha scritto un accidenti su di me, quella vecchia baldracca!»

   Morrigan sorrise divertita. Nonostante Branka fosse partita per cercare l'Incudine del Vuoto e si fosse portata dietro tutta la sua casata meno che suo marito, Oghren l'amava ancora, era evidente. «Guarda che parlava proprio di te.»

   Il guerriero grugnì lusingato. «Beh, si vede che le mancavo», farfugliò. E poi aggiunse, quasi fra sé e con aria soddisfatta: «Lo sapevo che le mancavo.»

   Forse aveva davvero nostalgia di lui, eppure non riuscii a fare a meno di chiedermi con che cuore lo avesse abbandonato. Se Alistair fosse stato mio marito – e anche se non lo fosse mai diventato – non mi sarebbe mai passato per l'anticamera del cervello di lasciarlo da qualche parte, per anni, unicamente per andare ad inseguire quella che con tutta probabilità era una chimera.

   «Beh, direi che possiamo tornare indietro», riprese Morrigan, tornando verso di noi.

   «Tu, forse», la contraddisse Oghren, risoluto, inducendola a voltarsi nella sua direzione. «Io invece sono sempre più determinato a seguire le sue tracce: se è a sud che è andata, io andrò a sud.»

   «Sei pazzo?»

   «No, sono solo un uomo in cerca di sua moglie», fu la risposta che commosse tutti gli altri. «Se volete venire con me, liberi di farlo. Altrimenti, grazie per avermi accompagnato fin qui e tanti saluti a tutti», annunciò infine, recuperando la propria ascia e issandosela sulla spalla buona.

   «Oghren!» chiamai a gran voce, riuscendo a sovrastare i tentativi dei miei compagni di fermarlo.

   Lui arrestò il passo e si girò a guardarmi. «Che vuoi?»

   «Non puoi andare da solo.»

   Scrollò le spalle. «Dubito che vogliate venire con me.»

   «Morirai.»

   «Almeno raggiungerò Branka. Anche se sono certo che è ancora viva. Lo sento qui», disse, puntando il pollice contro il petto. Quel maledetto sapeva come prenderci.

   Ansimai, sbuffai, mi guardai attorno schifandomi alla vista delle carcasse dei ragni e, fra la risatina sommessa di Alistair, bofonchiai: «Ti accompagniamo.»

   Oghren mi fissò, scettico. «C'è la Prole Oscura, laggiù.»

   «Nulla sarà peggio di questa nidiata di schifosi, putridi, velenosi, puzzolenti, giganteschi ragni», risposi, alzandomi finalmente in piedi, seppur barcollando.

   Tirò su col naso, toccato dal mio atto di coraggio. «E gli altri sono d'accordo?»

   «Sola non la lascio», mise subito in chiaro Alistair, mettendosi dritto sulle gambe anche lui.

   L'altro sorrise a mezza bocca. «Tu sì che mi capisci, eh?» disse, additandolo scherzosamente per un attimo. «Le donne sono tutte maledette: ci fanno sempre fare quello che vogliono loro.»

   «Oh, l'avete detto», gli resse il gioco il mio collega con espressione seria. «Ma sanno anche essere forti, sia nel fisico che nella mente. Vostra moglie è un Campione, dopotutto. Eh, beh, anche le nostre compagne non sono poi tanto da buttar via, sapete? Tranne Morrigan», precisò a scanso di equivoci, facendo cenno verso di lei, che ora lo guardava con occhi glaciali, le braccia intrecciate al petto. «Non fate quella faccia: siete o non siete stata voi a dire di volervela dare a gambe, poco fa? Persino il nostro Capitan Cuor di Leone, qui», e nel dirlo mi batté due colpetti affettuosi sulla sommità della testa, «non si è tirata indietro, e dubito che Wynne e Leliana ci abbandoneranno proprio adesso, dopo tutta la strada che abbiamo fatto per arrivare a questo punto.»

   «Assolutamente», confermò il bardo.

   «Visto?» fu lieto di constatare Alistair. «Andate, andatevene pure da sola, su», continuò nella sua presa in giro, muovendo ripetutamente una mano verso la direzione dalla quale avevamo raggiunto quel luogo.

   «Un giorno ti ammazzerò, sappilo», gli giurò Morrigan, gelida.

   «Non avevate detto che dovevo sopravvivere a qualunque costo?» Lei ringhiò, paonazza in volto, e, piena di orgoglio, sorpassò Oghren con ampie falcate, pronta a precederlo verso le Trincee dei Morti. «Non la trovate piuttosto contraddittoria?» ci chiese il Principe, divertito e confuso a un tempo.

   «Alistair, ve ne prego», sospirai rassegnata, sentendomi sfinita. «Oh, per Andraste!» esclamai subito dopo. «Fermala! Oghren! Oghren, per favore, fermala! Non possiamo procedere adesso! Siamo ancora tutti esausti!»

 

Se prima ci eravamo recati lì sotto per cercare Branka per ordine di Bhelen, adesso tutto era cambiato: né il Principe né Harrowmont meritavano il nostro aiuto in tal senso, poiché c'era qualcuno che aveva molto, molto più bisogno di noi.

   Con i suoi rutti sonori, i suoi odori assassini e i suoi commenti spesso osceni, Oghren non era certo un signore. Eppure aveva un cuore e una sensibilità di gran lunga più grandi di quelli dei due politici che da qualche tempo cercavano di farsi la pelle a vicenda per sedere sul trono di Orzammar. In breve, nonostante tutto, era riuscito a conquistarsi la nostra simpatia e, prima ancora, la nostra fiducia. La sola a rimanere sulle sue, come sempre, era Morrigan, ma ormai nessuno ci faceva più caso – oltretutto al momento era ancora arrabbiata con Alistair, cosa a cui eravamo altrettanto avvezzi e che ci lasciò del tutto indifferenti.

   Quel che nessuno di noi si aspettava, invece, era che il nostro arrivo alle Trincee dei Morti ci avrebbe sconvolto non poco, e non per la semplice presenza della Prole Oscura. Passarono alcune ore prima che riuscissimo a raggiungere il posto di cui Branka parlava nel suo diario, e quando fummo lì, dopo un'estenuante fuga da alcuni numerosi gruppi di creature maligne che a tratti ci sembravano essere sulle nostre tracce, rimanemmo impietriti.

   Il cammino ci era ostacolato da uno strapiombo, ai cui piedi scorreva un bellissimo fiume di lava, densa e incandescente, capace di portare luce e calore in tutta la zona. I nani se ne servivano spesso per rendere vivibili i loro thaig. Un ponte di pietra, più in là, collegava il punto in cui ci trovavamo alla riva opposta, dove si ergeva un'alta e imponente costruzione, forse di tipo militare. Genlock, Hurlock e Ogre, con i loro orribili musi, la pelle grigiastra ritratta sui visi e i denti aguzzi bene in vista, erano tutti ammassati laggiù, come ci aveva riferito Ruck, ammaliati dall'incanto del richiamo del loro padrone. Né io né Alistair eravamo capaci di udirlo, il che ci era di conforto: quella che anni dopo avrei scoperto essere definita col nome di Chiamata, per noi due era ancora molto, molto lontana. Un giorno, però, come tutti i Custodi Grigi, l'avremmo sentita anche noi. Ammesso che fossimo sopravvissuti altri trent'anni.

   I Prole Oscura stavano guardando in giù, verso il fiume di fuoco, e sembravano impazienti che qualcosa accadesse. Non visti, anche noi allora ci sporgemmo appena dal baratro, giusto in tempo per lasciarci andare ad un urlo e ricadere all'indietro, annichiliti. Dalle profondità del burrone si levò qualcosa di immenso, mostruoso, terribile: la prima cosa che riuscii a scorgere furono le ali, poi la lunga coda. La colonna vertebrale nascosta sotto quella che credevo essere la massiccia corazza di squame del drago – poiché tali erano le sembianze dell'ultimo arrivato – era interamente orlata da una cresta fatta di spuntoni, raccapriccianti come ogni singola parte del suo corpo; e solo quando la bestia sfrecciò verso l'alto e si poggiò poi con le grosse zampe sul bordo del ponte, fummo in grado di renderci conto di cosa ci stava realmente davanti: l'Arcidemone.

   Fu senz'altro la cosa più orribile e al contempo maestosa ch'io abbia avuto la sfortuna di vedere in tutta la mia vita. Non saprei tuttora dire se, malgrado la paura, il mio essere in qualche contorto modo affascinata da quel concentrato di malvagità fosse dovuto alla corruzione presente nel mio sangue, come ci aveva lasciato intendere Ruck. Non ebbi modo di pormi questo genere di domande, in quel frangente, né mi sarebbe interessato conoscere una risposta. Tutto ciò che volevo era uscire da lì, possibilmente prima che l'Arcidemone si accorgesse di noi e ci abbattesse come fa una violenta tempesta con le foglie secche aggrappate ancora per miracolo ai rami di un albero.

   La bestia frustò il sinuoso collo verso gli infiniti soffitti costruiti dai nani, poi spalancò le fauci e tornò col muso in giù, seminando una scia di corruzione col suo alito dannato per indicare la via da seguire ai suoi seguaci; che subito obbedirono al suo tacito ordine e si misero in marcia, avanzando compostamente fra le viscere di quel luogo dimenticato dal Creatore. Quanto a lui, all'Arcidemone, spiegò nuovamente le ampie ali e si levò in volo, volteggiando sopra le loro teste prima di aprire la strada e scomparire presto alla nostra vista.

   Eravamo atterriti, schiacciati contro la roccia che costituiva il suolo, incapaci di muoverci e di parlare. Riuscivamo a malapena a respirare. Sentivo le lacrime agli occhi, e non solo a causa della paura. Troppe erano le emozioni, le sensazioni negative che quello sconvolgente incontro ci aveva scaricato addosso, al punto da renderci momentaneamente delle nullità. Se solo si fosse reso conto della nostra presenza, l'Arcidemone avrebbe potuto tranquillamente spazzarci via e invadere la superficie senza trovare il minimo ostacolo. E invece no, il destino aveva disposto diversamente.

   «Noi... dovremmo combattere contro quel... quel... quel coso enorme?!» strillai, quando fui in grado di emettere non più soltanto rantoli. Alistair, che si era lanciato istintivamente addosso a me per proteggermi da un qualcosa che invero avrebbe ucciso entrambi senza possibilità di scampo, non mi rispose subito, gli occhi sgranati ancora fissi nel punto in cui il nemico era sparito. «Alistair...» invocai in un singulto.

   Spostò finalmente la sua attenzione su di me, che ero aggrappata alla sua armatura con entrambe le mani, quasi volessi affondare le unghie nel metallo. «I Custodi...» cominciò a balbettare, dopo essersi umettato le labbra a causa della gola arsa dal calore di quel posto e dallo stato d'animo. «I Custodi Grigi combattono contro gli Arcidemoni da tempo immemore», mi disse, tentando di articolare un discorso che potesse consolare sia me che lui. «Non so dirvi se anche gli altri erano dei draghi o se erano altrettanto grossi, ma sono certo che in qualche modo ce la caveremo. Forse noi saremo soltanto in due, qui nel Ferelden, però stiamo raccogliendo attorno a noi un grosso esercito, ricordate?» E notando ch'io non accennavo a calmarmi, provò a scuotermi ancora: «Vi fidate di me? Vi fidate?» Annuii convulsamente, poiché avevo bisogno di credere in qualcosa di materiale e non soltanto nel Creatore. Alistair mi baciò la fronte come per volermi premiare o forse per voler chiudere lì il discorso. «Ora, ascoltatemi», riprese, mettendosi goffamente a sedere e tirando su anche me, così che potessimo continuare a guardarci negli occhi. «Se l'Arcidemone si sta muovendo nel sottosuolo, vuol dire che non mancherà molto. Duncan aveva ragione: c'è un Flagello in atto. Una volta mi disse che anche Maric credeva che ce ne sarebbe stato uno in breve tempo.»

   «Maric è morto quasi sei anni fa», obiettai con la stessa voce tremula con cui avevamo iniziato a parlare.

   «Non so molto a riguardo, non so neanche come facessero a conoscersi. Vi riferisco soltanto le parole di Duncan», ammise lui. Le sue pupille ebbero un guizzo alle mie spalle, e io sussultai temendo che avesse scorto qualcosa di preoccupante. Le sue mani mi arpionarono le braccia, tenendomi ferma dov'ero. «Non c'è pericolo ora, non c'è pericolo», provò a tranquillizzarmi. Sembrava cercare un coraggio che aveva seppellito da qualche parte a causa di quanto era appena successo, e voleva a tutti i costi riesumarlo per poterlo infondere anche dentro di me. «Non siamo soli», mi ricordò abbassando il tono affinché fossi l'unica a sentirlo. «Non ve l'ho mai imposto prima, ma adesso ho bisogno che voi facciate di tutto per mantenere i nervi saldi e mostrarvi il più calma possibile.»

   «Come...? Come posso...?»

   «Nimue!» mi scosse per le spalle con vigore, quasi fosse arrabbiato. Ma non lo era per nulla. «Con noi ci sono quattro persone che ci stanno seguendo con la convinzione di poterci aiutare a risolvere questa maledetta situazione», mi rammentò, serrando le mascelle con una determinazione che non gli avevo mai visto in volto. «Credono in noi, Nimue. Credono che saremo in grado di salvare il mondo dal Flagello.»

   Sentii una lacrima scivolarmi lungo il viso e tirai su col naso, sforzandomi di reprimere un nuovo singhiozzo. «Dobbiamo... Dobbiamo proteggerli», mormorai allora, cominciando a mettere finalmente da parte l'egoismo e a comprendere quanto Alistair stava cercando di dirmi.

   Si lasciò andare ad un pesante sospiro, a metà fra lo sfinito e il soddisfatto. «Grazie», mi sorrise senza allegria, gli occhi ancora fissi nei miei. Non mi aveva mai guardata così, neanche durante il più intenso dei nostri momenti di intimità. «Datemi la vostra forza, perché da solo non posso farcela.»

   Rimasi ancora una volta senza parole: non stava soltanto cercando di farmi ragionare, la sua era una disperata richiesta di aiuto. Si affidava a me esattamente come io mi affidavo a lui.

   «Vi seguirò ovunque e farò tutto ciò che è in mio potere per scongiurare il Flagello insieme a voi», gli promisi, e non certo soltanto per via dell'amore che provavo nei suoi confronti.

   Mi meritai un altro bacio sul capo. Quindi, pur con movimenti ancora incerti, Alistair si rialzò sulle gambe. Inspirò e cacciò l'aria dai polmoni più volte prima di tornare a parlare agli altri, questa volta a voce più alta: «Io e Nimue abbiamo deciso di proseguire. Nessuno vi rimprovererà nulla se preferirete rimanere qui o tornare indietro.»

   «Non siate sciocco», lo riprese Wynne, accasciata in terra poco più in là e pronta a giurare ancora una volta la sua fedeltà alla causa che avevamo sposato insieme.

   Fu però interrotta da un profondo ringhio e da colpo secco, provocato da un'ascia che spacca la roccia sotto il suo enorme peso. «Sono arrivato fin qui per cercare quella vacca di mia moglie, e non me ne andrò fino a che non l'avrò trovata!» tuonò Oghren, mosso non solamente dall'orgoglio.

   Gli occhi di Alistair si spostarono su Leliana, che, rimettendosi anche lei lentamente in piedi, allargò le braccia ai lati del corpo. «Ve l'ho pur detto che è stato il Creatore a ordinarmi di seguirvi, no?»

   «Ve l'ho pur detto che siete pazza», le rispose lui.

   Il bardo si lasciò andare a una risatina, più isterica che divertita, che tuttavia non riusciva a celare le violente emozioni che ancora la scuotevano da capo a piedi. «Forse. Ma lo siete anche voi, se credete di uscire vivo da questo posto da solo.»

   «Non è solo», mugugnò di malavoglia Morrigan, acquattata accanto a lei, lo sguardo preoccupato fisso sull'orizzonte. Anche se era sconvolta, i suoi abiti in disordine e i suoi capelli corvini, solitamente appuntati sulla nuca, adesso scendevano parzialmente sulle spalle seminude e ai lati del volto, emanava una bellezza forse maggiore del solito. Com'era accaduto durante il nostro primo incontro e in altre sporadiche occasioni, in quell'istante mi sembrò essere tornata la creatura ultraterrena che tanto amavo. «Flemeth... che tu sia dannata», farfugliò apparentemente senza motivo. Spostò infine le iridi dorate su di me, poi su di Alistair e ancora su di me. «Voi due... per favore, cercate di non fare pazzie», ci stupì con voce gentile. «Il futuro del Ferelden e forse del mondo intero dipende dalla vostra volontà, prima ancora che dalla vostra forza. Tenetelo bene a mente.»

 

Col cuore in gola, pur con la consapevolezza che gran parte della Prole Oscura stanziata nel sottosuolo si stesse allontanando da noi, proseguimmo verso il ponte che scorgevamo da lontano. Fu solo dopo che ci accorgemmo che, all'imboccatura dello stesso, vi era schierata una guarnigione di nani combattenti, impegnati in un'ardua lotta contro alcuni Hurlock. Ci precipitammo d'istinto in soccorso dei guerrieri di Orzammar, e soltanto quando riuscimmo ad abbattere parecchi nemici ci rendemmo realmente conto della situazione: ci trovavamo davanti a una fortezza caduta nelle mani dei Prole Oscura. Dall'altra parte del ponte, infatti, in lontananza si potevano benissimo distinguere le tetre figure di altri di loro.

   Non c'era traccia di Branka, nel punto in cui ci trovavamo, per cui, con tutta probabilità, ella si era spinta oltre. Forse per un Campione non era difficile attraversare quel posto come lo era per noi. Quanto al gruppo di guerrieri che avevamo aiutato, invece, si trattava della Legione dei Morti, composta da uomini che sono considerati morti agli occhi dei loro fratelli e che combattono e si sacrificano per redimere se stessi.

   «Atrast vala, Custodi», ci salutò quello che doveva essere il capitano. «Non mi era mai capitato di vedere qualcuno di voi nelle Vie Profonde, ma non sono sorpreso della vostra presenza», continuò scuotendo le spalle. «Noi siamo la Legione dei Morti. Abbandoniamo le nostre vite per liberarci dalla paura e dalla speranza. L'arrivo del Flagello per noi è verità inconfutabile, ormai.» Fece scorrere lo sguardo su tutti e sei con fare assai perplesso. «C'è però da dire che non mi aspettavo affatto che sareste venuti in così pochi... Cosa state cercando?»

   «Alleati», fu la laconica risposta che diede Alistair. Giunti a quel punto avevo lasciato ben volentieri a lui il comando, sebbene, credo, egli non se ne fosse neanche reso conto. Stava cambiando. Me ne ero già accorta da un po' e adesso me ne stavo convincendo sempre più. Ne ero anche intimamente felice, poiché ero convinta che, se solo si fosse deciso a mettere da parte l'insicurezza e la modestia tipiche del suo carattere, Alistair avrebbe avuto enormi potenzialità come leader. E persino come re. Ma non spettava a me decidere del suo futuro, era una scelta unicamente sua, giusta o sbagliata che fosse. Non potevo e non volevo imporgli niente. Mi ero ripromessa che mi sarei limitata a consigliarlo per il suo bene e soltanto per quello, mettendo da parte ogni egoismo. L'unica cosa che per me contava, ormai, era che rimanesse in vita, a qualunque costo.

   Il capitano della Legione spostò il peso del corpo da un piede all'altro, lasciandosi andare ad un sospiro. «È certamente una tattica bizzarra, la vostra. Reclutare dalla prima linea... Lo sapete, lo avete visto: la Prole Oscura continua a prendere terreno nei nostri tunnel, piazzando avamposti ovunque, fra uno dei vostri Flagelli e l'altro. Datemi una valida ragione per cui noi nani dovremmo preoccuparci degli affari di voi abitanti della superficie.»

   «Stiamo cercando Branka», si intromise allora Oghren, facendosi avanti come portavoce dei nani.

   L'altro si lasciò sfuggire un sorriso. «Chi vi ha messo questa folle idea in testa? Abbiamo altre cose di cui preoccuparci a Orzamm...» Si bloccò, come se fosse stato colto da un'illuminazione. Sospirò di nuovo. «Capisco. Il Concilio non sa più dove sbattere la testa e vi hanno chiesto un aiuto esterno, dico bene?» Fummo costretti ad annuire. Lui scosse di nuovo le spalle. «Non è il mio lavoro aiutare il Concilio a perdere tempo dietro a inutili leggende. Tutto ciò che fa la Legione è mantenere lontana la Prole Oscura mentre quegli sciocchi dei lord decidono quale culo siederà sul trono vacante. Il Flagello è un problema della superficie, per quel che mi riguarda. Se volete cercare alla cieca, fate pure.»

   «Avete mai sentito parlare dell'Incudine del Vuoto?» domandai io, sperando almeno di spillare informazioni al riguardo. Mettendoci sulle tracce di quella, sicuramente ci saremmo messi anche su quelle di Branka.

   «Non l'ho mai vista, e se anche esistesse, non avrebbe alcun significato per me.» Il nostro interlocutore era senza dubbio un tipo che non amava perdersi in chiacchiere. «Se però cercate un Campione, allora potreste trovare l'Incudine, certo. E anche lyrium in quantità infinita.» Il che non sarebbe stato affatto male, visto che, a fronte di quello stravolgente incontro con l'Arcidemone, avevamo iniziato a preoccuparci che quello delle nostre scorte forse sarebbe finito prima che potessimo lasciare le Vie Profonde.

   Non riuscimmo a saperne di più. Ci toccava attraversare il ponte e non avevamo idea di cosa avremmo trovato dall'altra parte. Il fatto che la Legione dei Morti se ne rimanesse indietro non ci faceva per nulla stare tranquilli. Avevamo promesso, però, e le parole di Alistair, la sua richiesta di aiuto, mi stringevano ancora il cuore in una morsa forte e tenera al contempo. Non c'era dubbio che avrei affrontato qualunque cosa per lui e per gli altri, perché loro per primi avrebbero rischiato di tutto per me.

   Armati quindi di coraggio, avanzammo verso la Prole Oscura, scacciando dalla mente quel presagio di morte – una sorta di anticipazione di ciò che io e Alistair forse avremmo vissuto un giorno in quello stesso luogo – che paradossalmente ci faceva sentire più vivi che mai.

   Ci facemmo largo fra i nemici senza la minima esitazione, fingendo di non far caso al loro numero, di gran lunga superiore al nostro. Andammo perciò avanti a spaccare ossa e lanciare magie d'attacco fino a che l'ultimo non fu caduto sotto ai nostri colpi. Ci impiegammo diverso tempo, ma ne uscimmo pressoché intatti – e comunque, dopo essere sopravvissuta alla mostruosa quantità di ragni presenti nel Thaig Ortan, dubitavo fortemente di avere problemi ad affrontare tutto il resto, Arcidemone a parte. Le ferite di routine ormai erano bazzecole, poiché adesso anch'io ero in grado di prestare il giusto soccorso, esattamente come faceva Wynne. Mi ero persino decisa a mettere da parte ogni scrupolo riguardo a quegli incantesimi di cui non ero ancora sicura: la salute dei nostri compagni era più importante.

   Davanti a noi adesso si stagliava forse il più grande portone in ferro che avessi visto fino a quel momento. Alto e imponente, metteva soggezione il solo stare ai suoi piedi, benché fosse inanimato. Ci chiedemmo se non avessimo dovuto passare anche oltre quello, e l'idea non mi piacque per nulla.

   Mentre riprendevamo fiato e Wynne e io ci occupavamo delle costole rotte di Alistair, del piede zoppo di Oghren, che aveva ricominciato a dolere come prima, e soprattutto della brutta ferita all'addome di Leliana, Kardol, il capitano della Legione dei Morti che ci eravamo lasciati indietro, ci raggiunse fin lì da solo, guardandosi attorno con occhi sgranati, incredulo per lo spettacolo a cui aveva appena assistito.

   Quindi, ci fissò e, dopo aver annuito a se stesso in seguito a chissà quale fila di pensieri, dichiarò: «Vi siete guadagnati la nostra fiducia.» Fece una pausa e poi aggiunse: «Vi guarderemo le spalle, avete la nostra parola.»

   «Con quel “vi guarderemo le spalle” non intendete accompagnarci, vero?» volle sapere Alistair, facendo una smorfia a causa di una fitta al torace.

   «Siete forti, ma continuo a credere che siate anche folli», ci tenne a sottolineare Kardol con fare spiccio.

   «Immaginavo», mormorò l'altro, rassegnatosi all'idea di dover proseguire senza ulteriori rinforzi. Tuttavia, il fatto che qualcuno ci garantisse di non doverci preoccupare di essere circondati dalla Prole Oscura, era comunque una rassicurazione non da poco.

   «Non credo vi convenga passare di qui», ci avvertì poi il capitano della Legione, facendo cenno verso il portone. «Dì là», disse, stavolta indicando un passaggio verso sinistra, «se proseguite costeggiando questa costruzione, dovreste trovare un'altra apertura. Per lo meno, un tempo c'era. Non garantisco che sia ancora intatta. Non posso fare di più.»

   Tanto bastava, però. E se anche così non fosse stato, avremmo dovuto lo stesso accontentarci.

 

Ci prendemmo tutto il tempo necessario per riposare e curare alla meglio chi aveva bisogno della nostra Magia Guaritrice. In quel mentre nessun Prole Oscura si fece vivo, per fortuna. Quindi, quando Leliana e Ogren furono in grado di proseguire senza grossi problemi, ci avviammo verso la strada consigliataci dai nostri nuovi alleati, che costituivano comunque un valido conforto.

   Illuderci che tutti i Prole Oscura fossero spariti da quel posto insieme all'Arcidemone sarebbe stato da colossali sciocchi. La testa mia e di Alistair era piena di quel fastidioso brusio che ci segnalava la loro presenza, divenuto adesso forte al punto da rintronarci non poco: ovunque avvertivamo la corruzione, ne eravamo circondati e non riuscivamo più a capire esattamente da che parte sarebbero sopraggiunti i nostri avversari. Ne incontrammo diversi, ma il gruppo più numeroso fu quello posto dall'altra parte dell'alta costruzione che avevamo costeggiato. Fu lì che finalmente scoprimmo cos'era un bronto. No, non già ciò che Oghren si bullava di avere nei pantaloni, bensì un grosso e massiccio bestione quadrupede che vive nel sottosuolo e che i nani a volte riescono ad addomesticare e a sfruttare per i lavori nelle gallerie. Quello che ci fu addosso forse non aveva mai conosciuto il benché minimo tentativo di essere rabbonito, tant'è che, probabilmente senza rendersene conto, si unì alla carica dei nostri nemici.

   Faceva male, con quelle sue corna sul muso e sul dorso. Non provai il dolore in prima persona, ma sentii nitidamente un preoccupante scricchiolio di ossa quando si schiantò contro Alistair. Ovviamente Oghren non fu l'unico ad andare in berserk in quel momento, e fui quasi sul punto di dar fondo a tutta la mia energia magica se non fosse stato per una maledetta freccia che, scoccata alle mie spalle, mi trapassò il petto. La vista mi si annebbiò per un lungo istante, e nonostante la debolezza non lasciai andare il bastone che stringevo ancora in mano. Ruggii un'imprecazione e quando, recuperato l'uso degli occhi, mi accorsi che Leliana era di nuovo in difficoltà perché circondata da due energumeni, alzai le braccia al cielo e pronunciai un incantesimo, mentre una fitta lancinante e un fiotto caldo che scendeva lungo la schiena e l'addome mi annunciavano che non sarei riuscita a rimanere in piedi ancora per molto. Con quel mio intervento, la mia compagna se la cavò. Spostai lo sguardo verso gli altri: Morrigan aveva già congelato e ridotto in pezzi diversi Prole Oscura; Alistair colpiva con lo scudo e poi trafiggeva, aiutandosi a tratti con i calci; Oghren era la solita furia cieca e calava la sua possente ascia su qualunque creatura maligna gli capitasse a tiro. Tutti e quattro, comunque, si erano stretti attorno a me e Wynne, le uniche in grado di assicurare loro una possibilità di salvezza. Avevamo invocato una magia capace di curare gradualmente le ferite di chi ci stava vicino, entro un raggio di diversi metri, e tanto, al momento, pareva bastare per garantire a tutti la sopravvivenza. Era per questa ragione che non avevo perso i sensi, perché, se anche il mio incantesimo era venuto meno per qualche minuto, c'era sempre quello della mia maestra a dare sollievo alle nostre fatiche.

   Non so quantificare il tempo che ci occorse per far fuori tutti quei nemici, so solo che quando quello che credevamo essere l'ultimo cadde per mano di Oghren, dietro di lui ne sbucò un altro dal nulla. Se avessi usato una qualunque altra formula magica avrei senza dubbio rischiato di coinvolgere anche il mio compagno; risolsi perciò di ricorrere a quel maledetto trucco cui avevo già fatto ricorso, mio malgrado, contro il drago delle rovine di Brecilian. Fu una mossa istintiva, la mia, poiché non avevo tempo sufficiente per pensare o concentrarmi a dovere. Sapevo che non avrebbe funzionato al punto da uccidere il Prole Oscura, speravo tuttavia che servisse a ritardarne le azioni per dare tempo agli altri di colpirlo e metterlo fuori gioco. Senza neanche prendermi il disturbo di avvertire Oghren, poiché già alle mie orecchie stava arrivando il grido d'allarme di Morrigan, attivai la trappola e io assorbii buona parte della vita di quell'incauto Hurlock che, pur vedendosi solo, aveva cercato di mietere almeno un'ultima vittima.

   Il suo flusso vitale scivolò dentro di me, investendomi in pieno e stordendomi molto più di quello del drago di Brecilian: una forza oscura mi penetrò le viscere, mi accalappiò, mi fece urlare di dolore. Temo sia impossibile, per me, riuscire a descrivere con precisione la moltitudine di sensazioni negative che mi investirono, meno devastanti di quelle provate alla vista dell'Arcidemone, certo, ma comunque altrettanto nocive.

   Qualcuno mi afferrò per un braccio prima che potessi crollare a terra, non esausta, ma distrutta nel corpo e nella mente. Poi sentii la voce di Alistair strillare contro di me qualcosa, era furioso. Quando fui in grado di comprendere le sue parole, Wynne stava già provvedendo alla freccia che ancora mi lacerava la carne. «Non farlo più, maledizione! Non farlo più!»

   «Oghren rischiava di morire...» boccheggiai fiaccamente. Mi avevano fatta sedere e Leliana mi teneva per le spalle, mentre le mani di Alistair erano serrate attorno ai miei polsi. Non avevo idea di che fine avesse fatto il mio bastone.

   «Sono molto più robusto di quanto non sembri», protestò il guerriero di Orzammar, contrariato e preoccupato a un tempo.

   «Assorbendo la vita dei Prole Oscura c'è il rischio che tu possa accelerare il tuo processo di corruzione, non ci hai pensato?!» seguitava a rimbrottarmi il Principe, pallido per lo spavento.

   In effetti no, non ci avevo pensato. L'idea però neanche mi spaventava, forse perché mi interessava principalmente riuscire a concludere quanto prima la nostra missione laggiù e a tornare in superficie sulle mie stesse gambe. A ben guardare, mi sarei contentata di poter vedere ancora una volta la luce del sole.

   «Mi spiace», biascicai, pur non pentita per quanto avevo appena combinato. «Che fine ha fatto...?»

   «Gli ho aperto il cranio», mi spiegò Oghren, tirando su col naso. «Il suo cervello è spappolato più in là, se ti interessa vederlo.»

   Abbozzai un sorriso. «No, grazie...»

   «Tenetela ferma», mormorò Wynne dietro di me, prima di raccomandarmi: «Ora concentratevi e cercate di usare la vostra forza magica su voi stessa. Sarà doloroso.» Annuii e chiusi le palpebre, sforzandomi di essere pronta. La freccia fu estratta, e sebbene dalla mie labbra non sfuggì il minimo gemito, non riuscii a desistere dall'affondare le unghie nei palmi. «Premetele una mano sul petto», comandò Wynne. E vedendo l'attimo di esitazione da parte di Alistair, ripeté l'ordine con fare spazientito. Quindi, chiedendomi scusa per quell'indelicatezza a cui neanche feci caso, il giovane mi tamponò la ferita come meglio poté, in attesa che la Magia Guaritrice mia e di Wynne cominciasse a fare effetto.

   «Siete ferito?» gli domandai.

   «Non parlare», mi rimproverò ancora lui. Non era più adirato, solo stanco.

   «Sei ferito sì o no?» volli sapere a tutti i costi.

   «Non più del solito», si arrese a rispondermi. «Ma non azzardarti a fare nulla per me o giuro che ti mollo nel Thaig Ortan.»

   In mezzo alla tana dei ragni? Che gentile, il mio Principe... Riaprii gli occhi e li piantai nei suoi, che mi fissavano quasi con la stessa intensità di quando avevamo discusso dopo esserci imbattuti nell'Arcidemone. «Mi andrebbe bene, se mi giurassi anche di non andartene via con un'altra.»

   Le sue sopracciglia bionde si aggrottarono per un secondo, poi lui sospirò e si lasciò sfuggire un sorriso esausto. «Sei davvero scema.»

   «Lo so, ma questa, insieme alla tua vita, al momento è la cosa che mi preoccupa di più.»

   «Stai pur tranquilla che non lo vuole nessuna», mi fece coraggio Morrigan, la quale, poco distante, si guardava intorno insieme ad Oghren per accertarsi che non ci fosse più nessun pericolo.

   «Questo posto non è sicuro», osservò il nano, avvertendo chissà cosa nell'aria. «Sbrigatevi, dobbiamo andarcene da qui il prima possibile.»













Manca tanto così e sono fuori da Orzammar! çOç
Poi però comincia tutta la parte meno lineare, dove dovrò incastrare fra loro la storia delle Sacre Ceneri, le quest dei personaggi e i DLC. Sì, perché ho in mente di scrivere almeno di Picco del Soldato e, soprattutto, di Ritorno ad Ostagar. Quanto al DLC di Shale sono un po' indecisa, perché lei l'ho presa nel gruppo a partita conclusa, e quindi non ho granché idea di come si possa rapportare con gli altri personaggi. Quindi, per evitare OOC o altro, sto pensando di lasciar perdere e concentrarmi solo sugli altri due.
Si accettano suggerimenti. è_é
Saluto e ringrazio i lettori tutti, ma in particolar modo (in ordine alfabetico): ashar (Precisamente, io e Nimue siamo sceme allo stesso modo, e forse io anche più di lei. ^^; ), Atlantislux (La mia adorabile beta!), BgmnhOO, Cass, CookieandDeadlySins (Ancora grazie per il bellissimo commento allo scorso capitolo! :D), ENS (Bentornato! Anche se... non sapevo di avere un avvocato delle cause perse personale. X3), Erecose (Mio compagno di teorie e riflessioni assurde sulla Dragon Age. *_*), Evertine (Bentornata anche a te, carissima! :D), kelyseh, Laiquendi, lames76, Lara (Dall'infinita pazienza nel sorbirsi tutti i miei deliri da fangirl. XD), Layra Luin Isil, liriel, NicoDevil (Altra santa a cui devo un monumento. ^^; ), Salice, slan, Slepless, Sotorei, The Mad Hatter (Ti avverto che adesso m'è venuta un'idea per un disegno o forse addirittura un breve comic su Klarren. Per questa ragione, ti chiedo scusa in anticipo: le mie idee sono pericolose, lo sai. XD), The Warden Archivist.
Se dimentico qualcuno, frustatemi. Magari non troppo forte o, deboluccia come sono, finirei per schioppare... ç_ç
Oh, prima di accomiatarmi, per chi fosse interessato, informo che nell'ultima settimana ho aggiornato ancora la mia gallery su DeviantArt, scarabocchiando anche i Custodi di The Mad Hatter e di Lara. :D
Buona domenica a tutti!
Shainareth





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Capitolo 27
*** Branka ***







CAPITOLO VENTISETTESIMO - BRANKA




«È... incredibile», mormorò, fissandosi la mano destra, rimasta in parte sporca del mio sangue. Eravamo ancora fermi poco al di là della fortezza, ma avevamo trovato rifugio dentro un vecchio deposito vuoto.

   «Cosa?», gli chiesi.

   Alistair abbozzò un sorriso. «È sciocco, lo so. Ma... il tuo cuore», osservò con voce assorta. «Batteva.»

   «E spero continui a farlo ancora per parecchi anni, sai?»

   Si lasciò andare ad una breve, sommessa risata. «Intendevo dire che è stata una sensazione bellissima sentirlo contro il palmo della mia mano.» Alzò la testa verso di me, facendosi serio. «Prometti di non comportarti più come un'incosciente.» Non risposi, rimanendo a contemplare il colore dei suoi occhi. Erano castani, ma con delle pagliuzze dorate sparse a raggiera intorno alle pupille nere. «Prometti», mi intimò lui, accigliandosi.

   «Da quando ci siamo scambiati i ruoli?»

   «Prometti», ripeté per la terza volta, ignorando il fatto che la mia fosse una domanda più che legittima.

   «Prometto se prometti anche tu», posi come condizione. Non che ve ne fosse bisogno, in effetti, perché ormai avevamo capito che saremmo potuti uscire vivi da lì sotto soltanto se fossimo stati insieme: i nostri compagni, oltretutto, ci avrebbero impedito di morire a qualunque costo, poiché per loro eravamo l'unica speranza di scongiurare il Flagello.

   «Fammi capire», cominciò Oghren, seduto stancamente a terra a riposare a pochi passi da noi. «Le hai toccato le tette, e ti limiti a quel commento imbecille?»

   Mi morsi un labbro per non lasciarmi andare ad un ghigno divertito. «Sono un gentiluomo, sapete?» ribatté Alistair, pur arrossendo appena alla luce del bastone di Morrigan.

   «Prima di essere gentile, sii uomo fino in fondo», lo rimbrottò l'altro, indignato dal suo comportamento. «Appena ti capita l'occasione, ragazzo mio, appartati con lei. Possibilmente senza pantaloni.»

   Fui costretta a nascondermi il viso con le mani, incapace di contenere oltre sia l'ilarità che l'imbarazzo. «Chi vi dice che io non l'abbia già fatto?» continuava a difendersi con orgoglio il Custode.

   Oghren fece un verso poco educato con la bocca, e dalle fessure fra le mie dita riuscii perfettamente a distinguere lo sguardo scettico che lanciò al mio compagno. «Balle. Sento odore di purezza lontano un miglio.»

   A quel punto le mie spalle furono talmente scosse dalle risa, che Alistair si voltò a fissarmi con aria stizzita. Neanche provai a giustificarmi, limitandomi a ricambiare con occhi pieni di momentanea allegria. La cosa parve in qualche modo calmarlo, forse convinto che, dopo tutto quello che stavamo passando, non c'era nulla di male ad abbandonarsi a delle sciocchezze del genere – seppur a discapito del suo onore di uomo vissuto.

   «Cosa vi fa credere che sia come dite?» chiese allora.

   Il nano accostò la borraccia alle labbra, bevve un lungo sorso, si passò il dorso di una mano sulla bocca e ruttò. Quindi parlò: «Dalle risposte evasive che mi hai dato prima, quando ti ho fatto tutte quelle domande su te e lei che passate la notte a rotolarvi da qualche parte.»

   Mi girai di scatto verso Alistair, indignata. «Quali risposte? A quali domande?» pretesi di sapere.

   «Giuro che la vostra reputazione è immacolata esattamente come lo era prima di incontrarmi», mi rassicurò lui, impacciato.

   «E comunque», riprese Oghren, spezzando la frase con un nuovo suono proveniente dalla sua cavità orale, «hai la faccia del verginello.»

   «Vi spiace se cambiamo argomento?» si spazientì a quel punto il povero Principe, quando ormai anche Leliana e Wynne non riuscivano più a trattenersi dallo scompisciarsi.

   «Solo se mi farete assistere all'evento del secolo», lo prese ancora in giro il guerriero di Orzammar.

   «Oghren!» schiamazzai scandalizzata, allungando una gamba in avanti per calciare la sua.

   «Vuoi un po' di birra?» mi domandò. Ma poi tornò subito a rivolgersi ad Alistair. «Falla ubriacare, ogni tanto, magari riesci a concludere qualcosa.»

   «Non ci riuscirebbe neanche se avesse davanti la più disinibita delle donne del bordello più malfamato esistente al mondo», fu il commento di Morrigan che, accovacciata accanto all'ingresso del magazzino, si era offerta di rimanere lì di guardia. Nonostante il viso stanco e sporco, le sue labbra erano piegate in un vezzoso sorriso.

   «Quanto sarà passato da che siamo entrati nelle Vie Profonde?» chiesi per accantonare finalmente tutti quei discorsi. Sapevo che nessuno avrebbe potuto rispondermi, poiché laggiù è facilissimo perdere il conto non soltanto delle ore, ma anche dei giorni. Forse erano quattro, forse cinque, forse più; non ne avevamo idea. «Non sarebbe il caso di rimettersi in marcia?»

   «Come vi sentite?» m'interrogò Wynne. «Credete di riuscire a camminare?»

   «Ho solo un vago torpore al petto», le assicurai. «E poi niente mi farebbe stare meglio che uscire da questo posto: prima troviamo Branka, prima saremo fuori.»

 

Decidemmo allora che fosse davvero il caso di riprendere le ricerche. Avevamo trovato un passaggio nascosto proprio dentro quello stesso magazzino, e ritenendo più prudente proseguire da lì anziché dalla via principale, iniziammo a perlustrarlo nella sua interezza. Adesso ad aprirci la strada erano i nostri due uomini, mentre Morrigan e Leliana chiudevano la fila poiché ci eravamo ormai resi conto che i poteri di guarigione miei e quelli di Wynne erano di fondamentale importanza per il buon esito della nostra missione: stando nel mezzo del gruppo avremmo avuto modo di intervenire in soccorso degli altri senza alcuna difficoltà.

   D'un tratto, nel silenzio che circondava quel luogo, iniziai a udire qualcosa. Imposi ai miei compagni di fermarsi e di non fare rumore per mettermi meglio all'ascolto. Di nuovo mi parve di sentire un brusio lontano, forse una voce: non si trattava quindi di un Prole Oscura. Incuriositi da quella novità, si fecero tutti guidare da me, dopo ch'io ebbi cautamente preso posto accanto a Oghren, avanzando nella semioscurità. Più andavamo avanti, più la presenza di qualcuno veniva avvertita anche dagli altri, al punto che furono d'accordo nell'attribuire le parole apparentemente insensate che ci giungevano alle orecchie ad una donna, forse una nana. Ma non si trattava di Branka, secondo suo marito.

   Sul volto di Oghren adesso vi era dipinta un'espressione a metà fra il preoccupato e l'arrabbiato. Camminava a labbra serrate, l'ascia ben salda fra le mani, gli occhi fissi davanti a sé. Sembrava perso in pensieri piuttosto fastidiosi.

   La voce intanto aveva iniziato a elencare una serie di avvenimenti, susseguitesi nel giro di pochi giorni, dei quali tuttavia ancora non riuscivamo a capirne il senso. Parlava di un'altra persona, un'altra donna, divenuta una bestia. Per un attimo pensai che si trattasse di un Custode Grigio che, sceso nelle Vie Profonde in seguito alla propria Chiamata, non aveva trovato la morte e si era invece visto trasformare in un Prole Oscura. Sapevo però che le mie erano unicamente supposizioni e pertanto le tenni per me. In ogni caso, sarei stata smentita molto presto.

   Quando sbucammo nell'ennesimo tunnel, un tanfo di morte mi investì le narici e io barcollai per la nausea. Dovetti appoggiarmi al mio bastone per rimanere in piedi, aspettando che il capogiro passasse. Quindi, boccheggiando, dissi ai miei compagni: «C'è un cattivo odore, non lo sentite?»

   Leliana e Alistair si voltarono istintivamente verso Oghren. «Stavolta non c'entro», mise in chiaro lui, contrariato. In realtà non era stizzito con loro, ma tutto concentrato su ciò che stavamo inseguendo. Avanzò da solo, e Alistair gli fu dietro insieme agli altri, mentre io prendevo a trascinarmi verso la direzione da loro scelta.

   La galleria finiva in una sala rettangolare, dove l'olezzo di carne putrescente mi stordì più di prima. Anche alcuni dei miei amici si portarono una mano davanti al naso e alla bocca, e solo dopo essere entrati ci rendemmo conto della situazione: tutta la parte sinistra della stanza era stipata di cadaveri o di parti di essi. Ai piedi di quella lugubre e maleodorante piramide di carcasse giaceva una donna. Viva. Era lei che parlava, era lei che ci aveva inconsapevolmente attirati fin lì.

   Quando si accorse di noi, si levò in piedi, la schiena curva sotto quello che non poteva essere il peso degli anni. Con il capo ciondolante verso il basso, le mani incrociate sul ventre, mi ricordò terribilmente Ruck. Sembrava in preda a una febbre molto alta, era pallida, e i suoi occhi spenti, acquosi, quasi vitrei, tanto che non era un azzardo ipotizzare che forse quella nana era ormai divenuta cieca. O forse erano soltanto molto simili a quelli di un comune Prole Oscura.

   «Il primo giorno, essi arrivarono e presero tutti», ricominciò a farfugliare con la stessa voce roca che avevamo udito in precedenza. Non era in sé, e la sua pelle era inoltre ricoperta di raccapriccianti macchie scure.

   «Sono i segni della corruzione?» domandai ad Alistair in un sussurro, non riuscendo più a tenere quell'orribile sospetto per me. Saremmo davvero diventati così, un giorno? Non riuscì a rispondermi, poiché, come avevo immaginato, lui stesso non ne aveva idea.

   Fu la donna a parlare ancora. «Corruzione!» ripeté, senza però dare particolare risalto a quella parola. «Le ferite dei nostri uomini si infettarono e le loro menti non ressero. Sembravano bestie, furono i primi a morire», prese a raccontarci. «Non noi. Non io. Non Laryn. Noi non fummo toccate, riuscimmo a nutrirci. Di amici e di carne e di sangue e di bile e di... di...»

   «Per Andraste, basta così!» implorò Leliana, le dita serrate sulla bocca.

   Così sarei diventata?! Come avrei mai potuto accettarlo?! Chiusi gli occhi, intenzionata a non riaprirli se prima il mio stomaco non avesse trovato pace. Credevo di essermi abituata al tremore che aveva iniziato a martoriare le mie gambe dal momento in cui avevamo visto l'Arcidemone, eppure adesso mi pareva divenuto più forte, tanto che per un istante temetti di crollare a terra perché incapace di reggere ancora a tutte quelle crudeli verità.

   «Tutto ciò che potei fare, fu di desiderare che Laryn andasse per prima», continuava frattanto la povera infelice. «E così facendo ho potuto vedere il cambiamento.» Sentii il suo sguardo addosso e mi costrinsi a ricambiarlo. Non fissava soltanto me, ma anche Alistair che rimaneva impietrito al mio fianco con i miei stessi tetri pensieri nella testa. «Come fate a sopportarlo?» ci chiese senza emozione. «Come fa Branka a sopportarlo?»

   «Branka!» esclamò a quel punto Oghren, non riuscendo più rimanere in silenzio e facendosi largo per fronteggiare quell'infelice. «Che ne è di lei?!»

   «Non può essere perdonata», balbettò l'altra. «Non per ciò che ha fatto. Non per quello che è diventata.»

   «Cosa diavolo ha fatto, Hespith?!» insisteva il guerriero dai capelli rossi, dimostrando così di conoscere bene quella donna. «Cosa diavolo ha fatto?!»

   Lei scosse il capo. «No, non parlerò di quello che ha fatto! Non parlerò di ciò che è diventata! Non diventerò come Laryn! Non diventerò come Branka!»

   Spazientito, Oghren l'afferrò per un polso, scuotendola violentemente fin quasi a farle perdere l'equilibrio. Leliana e Wynne tentarono di fermarlo, ma tutto ciò che ottennero fu di riuscire a fargli mollare la presa, poiché imprecazioni e ingiurie continuarono a tuonare nell'aria. Oghren era fuori di sé, tanto che dovette intervenire anche Alistair per trattenerlo. Terrorizzata, Hespith scappò via, verso l'altro lato della sala, attraverso un'apertura che conduceva chissà dove.

   «Oghren! Oghren!» lo chiamavamo noialtri, sperando di farlo ragionare. «Spiegateci chi è quella donna!» Lui ruggì e sputò a terra, ma non accennò a calmarsi. «Se non ce lo direte, non vi aiuteremo oltre!»

   L'ennesimo osceno improperio rimbombò in quel posto infestato di morte, e infine Oghren smise di dimenarsi. Con il corpo scosso dalla rabbia e il petto che, sotto la pesante armatura rossastra, continuava a muoversi su e giù per l'affanno, il guerriero di Orzammar rimase in silenzio per alcuni lunghi momenti. Quindi, grugnì, distolse lo sguardo dal nostro e mugugnò qualcosa di indecifrabile.

   «Che?» sillabò Alistair, non avendo capito un accidenti.

   Oghren emise un sonoro sbuffo. «È l'amante di Branka!» sbottò poi. Per un attimo rimanemmo tutti ammutoliti. Lui sospirò, imbarazzato per quell'assurda storia. «Sì, sì, mia moglie mi ha messo le corna con un'altra vacca, contenti?!» E, nonostante l'abbandono e il tradimento, lui aveva continuato ad amarla e a cercarla senza sosta.

   Mi venne da piangere per la commozione, e subito mi feci avanti per abbracciarlo e dargli conforto. Ma, un po' perché mi resi conto che facendolo avrei forse ferito il suo orgoglio, un po' perché le mie gambe non volevano saperne di collaborare, tutto ciò che riuscii a fare fu un frastuono assordante. Gli altri si voltarono verso di me, spaventati, trovandomi stesa a terra fra il lerciume di quel posto e alcune vecchie armi appartenute forse alla casata di Branka.

   «Raccoglila», ordinò stancamente Morrigan al nostro Principe, accompagnando quella parola con un gesto svogliato della mano.

   Non vi furono altri commenti sulla mia performance, a parte un più che giustificato interesse da parte di Alistair sulle mie condizioni fisiche. Lo rassicurai che, a dispetto delle apparenze, stavo benone. Il che non era vero, né speravo che lui mi credesse. Solo... era giusto che lo dicessi, perché c'era chi stava peggio di me, ecco.

   «Cosa volete fare, adesso?» chiese cortesemente Wynne al povero Oghren.

   Lui strusciò un piede a terra, apparentemente concentrato su ciò che la suola del suo stivale stava calpestando. «Voi fate come vi pare», prese a dire, «ma io seguo quella baldracca.»

   «Ormai siamo giunti fin qui», osservò Leliana, passandogli un braccio attorno alle spalle per dargli conforto, «tanto vale continuare. Oltretutto sono certa che vostra moglie non sia lontana.»

   Il nano tirò sonoramente su col naso. «Quindi... venite con me?»

   In risposta, Alistair gli batté una pacca sulla schiena. «Andiamo, campione», gli sorrise incoraggiante, issandosi la spada dietro la nuca e precedendoci verso l'apertura dalla quale era sparita Hespith.

 

Quest'ultima, comunque, per quanto si fosse data alla fuga, continuava a lasciare indizi sui suoi spostamenti, borbottando e sospirando. In realtà nessuno degli altri era in grado di udirla, e perciò dovettero fare ancora una volta affidamento sulle mie graziose orecchie da elfo. Tra l'altro, ne avevamo talmente fin sopra i capelli delle Vie Profonde, della Prole Oscura e di Branka, che quasi gioimmo quando fummo colti di sorpresa da due grossi Ogre dalla pelle bluastra: finalmente potevamo tornare a sfogarci su qualcuno.

   Mentre al primo dei due bestioni capitò Oghren come avversario, supportato immediatamente da Morrigan e Wynne, il secondo marciò in direzione di Alistair, che lo affrontò senza la minima esitazione insieme a me e Leliana. Se un tempo quei colossi avevano avuto il potere di terrorizzarmi, adesso non mi parevano che due nemici poco più preoccupanti di un comune drappello di Prole Oscura. Non perché io fossi divenuta più forte, quanto perché cominciavo a comprendere realmente di cosa tutti noi fossimo capaci; inoltre, dopo il recente incontro con l'Arcidemone, sarebbe stato a dir poco ridicolo riuscire a spaventarsi per così poco.

   «Quella donna non c'è», ragionò Morrigan, guardandosi intorno quando uscimmo vincitori da quello scontro. «Probabilmente la corruzione del suo corpo è in stato talmente avanzato da permetterle di passare del tutto indisturbata in mezzo alla Prole Oscura.»

   «Riesci ancora a sentirla?» volle sapere Oghren da me.

   «Da questa parte», risposi dopo un attimo, per essere sicura che il mio udito non mi giocasse brutti scherzi. Ripresi a fare strada accanto a lui, evitando di ripetere agli altri ciò che Hespith continuava a raccontare a proposito della sua amica Laryn e del fatto che fosse stata presa dalla Prole Oscura, che fosse stata corrotta e che infine avesse divorato il suo stesso marito, diventando più grossa, rigonfia e maleodorante, al punto da riuscire a generare – non so bene come – altre creature. Era stomachevole, volevo che la piantasse, e perciò affrettavo il passo più che potevo, senza riuscire tuttavia a raggiungerla in tempi brevi.

   Il suolo cominciò di colpo a colorarsi di rosso, come se fosse ricoperto di sangue, e a un certo punto ci parve quasi di calpestare qualcosa di vischioso e morbido, qualcosa di troppo simile a della carne viva e pulsante. Faceva ribrezzo il solo pensiero. Ci concentrammo sulla nostra missione e proseguimmo imponendoci di non far caso a quel macabro tappeto, benché il suo tanfo fetido cominciasse a stordirmi.

   «Madre della Nidiata...» mormorò Hespith da qualche parte.

   «Cosa vuol dire?» domandò Leliana, poiché adesso anche gli altri erano di nuovo in grado di sentirla.

   Alistair scosse il capo, gli occhi fissi nell'oscurità avanti a noi. «Non ne ho la minima idea... Oghren?»

   «Ne so quanto voi», disse quello, stringendo la presa sull'impugnatura dell'ascia e passandosi la lingua sulle labbra asciutte. «Sarà una qualche creatura del sottosuolo», ipotizzò. «Qui sotto pullulano tante di quelle bestie strane che non mi stupirei si trattasse di una di loro.»

   Oghren non poteva avere più ragione di così.

   Quando fui sul punto di rimettere a causa di ciò che arrivava ai miei sensi per mezzo di occhi, naso e orecchie – e invero anche a causa di ciò che avvertivo sotto la suola degli stivali – tutto ci fu chiaro e dovetti ricacciare indietro il sapore di bile ormai giunto in bocca: non c'era neanche il tempo per vomitare.

   Fu con una sorta di ruggito che la Madre della Nidiata, che forse un tempo era stata la povera Laryn, ci accolse nel suo nido. Si trattava di un essere informe e quasi gelatinoso per via dell'incredibile quantità di grasso presente nel suo corpo. Apparve ai nostri occhi con una forma vagamente antropomorfa: la grande testa calva, che pure risultava sgradevole, non era per nulla orribile se paragonata alle cinque grosse paia di mammelle che penzolavano dal busto, ballonzolando in modo a dir poco osceno ad ogni movimento; due corte braccia ricordavano quasi le zampe posteriori di un maiale, mentre le gambe e i piedi erano spariti per lasciare posto ad una serie di robusti e violacei tentacoli che partivano dai fianchi e dall'addome simile a quelli di un ragno, fin giù all'estremità inferiore della creatura. Sembrava che davanti a noi si fosse materializzato il più ributtante degli incubi – l'Arcidemone rimaneva però il più spaventoso.

   «Che cavolo...?» Morrigan boccheggiò, il viso stravolto dalla stessa espressione sperduta e disgustata che probabilmente era dipinta su quello di tutti gli altri.

   Non fummo in grado di chiederci nulla, perché, fra un verso raccapricciante e l'altro, la Madre della Nidiata frustò i suoi orrendi tentacoli verso di noi. Ne scansammo uno, ma il secondo riuscì a colpire Oghren, che però rimase in piedi, limitandosi a barcollare all'indietro, stordito. Intuendo quindi di non avere altro tempo da perdere nella contemplazione di quello spettacolo nauseante, e provando pietà per ciò che era stato una volta, non esitammo ad affrontare quella battaglia fra noi e le sue viscide escrescenze mobili. Leliana puntò le proprie frecce dritte agli occhi e al muso del nostro avversario, mentre l'ascia di Oghren si abbatteva spietatamente contro quei tentacoli che cercavano di colpirlo ancora. In ogni suo colpo metteva tanta di quella foga che in poco tempo riuscì a tranciarne uno, che, ricadendo a terra, continuò a sanguinare, pulsare e dimenarsi come se fosse stato un'anguilla fuor d'acqua. Alistair e Morrigan avevano tacitamente raggiunto uno strano accordo: il primo respingeva per quel che poteva gli attacchi della Madre della Nidiata con lo scudo, e la seconda concentrava la propria energia magica sul resto, congelando quei lunghi bracci ripugnanti e rendendoli inoffensivi, così che bastasse un solo fendente ben assestato della spada del templare per ridurli in pezzi o per mozzarli. Quanto a me e Wynne, restavamo più indietro, attente a fornire ai nostri compagni tutte le cure immediate necessarie e, prima ancora, a salvarli da attacchi dai quali non potevano sperare di difendersi.

   Accadde però che, proprio quando credevamo che la vittoria non fosse poi troppo lontana, la Madre della Nidiata si lasciò andare ad un nuovo ruggito. Ritrasse come d'istinto i suoi tentacoli e, vedendosi in difficoltà, con un enorme sforzo mise a segno la sua tattica migliore: generò sul momento altri Prole Oscura, dei Genlock. Avendo ormai ben compreso, dopo tutti questi anni, come funziona questo processo, posso affermare che quella una volta era davvero stata una nana. Le Madri della Nidiata sono esclusivamente donne, che vengono prese, corrotte e traviate al punto da renderle irriconoscibili. Sono loro che mettono al mondo la Prole Oscura: se un tempo esse sono state umane, allora hanno il potere di creare degli Hurlock; se sono state nane, come nel caso di Laryn, danno alla luce dei Genlock; se sono state elfi, degli Shriek, che sono forse i più astuti e agili fra i seguaci degli Arcidemoni; se infine sono state qunari, degli Ogre.

   Noi comunque – grazie al Creatore – non assistemmo a questo processo nel dettaglio, poiché i nostri nuovi avversari si fecero largo spuntando da dietro quella montagna di carne rosa e gelatinosa che era la loro genitrice e subito si scagliarono contro di noi, senza ausilio di armi o corazze. Erano quindi piuttosto facili da abbattere, se non fosse stato che il loro numero aumentava continuamente. Si trattava anche di un espediente, in realtà, perché grazie a loro la Madre della Nidiata ebbe tutto il tempo per rigenerare le proprie ferite e tornare alla carica. In modo vittorioso.

   Uno dei suoi enormi tentacoli riuscì infatti ad avvilupparsi attorno al corpo di Morrigan, che emise un grido strozzato quando si vide sollevata in aria e stretta in una morsa che avrebbe potuto costarle la vita. Alistair urlò quasi più di lei, spaventato e furioso a un tempo. Subito gli fui vicino, e mentre io imponevo sulla nostra sventurata compagna un glifo che potesse difenderla il più possibile, il Principe scattò verso la Madre della Nidiata, scalciando contro il suo ventre e fendendolo con la spada. Non servì a molto, se non a far dimenare ulteriormente quell'ammasso quasi informe di mammelle e grasso, e fu solo quando Wynne mi ricordò che i Prole Oscura in genere hanno una resistenza al fuoco molto bassa che, affidandomi al Creatore, levai le braccia in alto e cominciai a recitare il mio incantesimo. Pochi attimi appena, e una luminosa, letale sfera fiammeggiante colpì la povera Laryn in mezzo agli occhi. Un verso stridulo rimbombò sopra di noi, e lei si portò entrambe le mani al volto ustionato, mentre Morrigan piombava al suolo, finalmente libera. La sua caduta fu attutita dallo spesso strato di sostanze mollicce che ricopriva la pavimentazione di quel posto, e lei fu di nuovo in grado di muoversi e di imprecare a gran voce – e non perse tempo a farlo.

   «Via da lì!» gridai ai miei compagni. «Indietro! Indietro!» Non riuscendo a farmi udire da tutti, anche la figlia di Flemeth cominciò a darmi man forte, prima con le parole e poi con i fatti, facendo scaturire scintille dalla cima del suo bastone e scagliandole contro la Madre della Nidiata. Afferrata infine la nostra strategia, Oghren, Leliana e Alistair non si lasciarono pregare oltre e ci raggiunsero sul fondo della caverna. Quindi, con l'aiuto di Wynne, noi tre maghe facemmo ricorso a tutta l'energia del fuoco che riuscimmo a trovare dentro di noi – e in me invero ce n'era in quantità apparentemente smisurata, ma questa non è una novità – tanto che nel giro di pochi minuti appena sia Laryn che le sue creature furono interamente avvolte dalle fiamme e rese del tutto inermi.

   Non restammo lì a fissare quel teatro degli orrori e, anzi, non appena fummo sicuri del fatto nostro, scappammo oltre, intenzionati più che mai a raggiungere Hespith e, possibilmente, anche Branka.

   La prima però non era lontana. La trovammo praticamente subito, mentre ancora il fuoco appiccato alla nidiata di Genlock scoppiettava nelle nostre orecchie e ci riscaldava le spalle.

   «Ecco da dove vengono», iniziò a parlare con la sua voce spenta, fissandoci con quei suoi occhi vuoti e inespressivi. «Ecco perché ci odiano, perché hanno bisogno di noi, perché ci prendono, perché si nutrono di noi.» Si fermò per qualche secondo, ma poi riprese prima ancora che uno di noi potesse aprire bocca. «Ma la cosa più crudele fra tutte è che tutto ciò sia permesso... Branka...» gemette infine, incrinando per la prima volta il tono. «La Pietra mi ha punita», continuò, ancora indisturbata. «Sto morendo a causa di qualcosa che è di gran lunga peggiore della morte stessa. Il tradimento.»

   «Dov'è lei?» volle sapere Oghren. Non osò mostrarsi furibondo, questa volta; se per via della pietà provata verso quella donna ormai spacciata o se per la stanchezza non avrei saputo dirlo. Hespith non parlò più, limitandosi a chinare la testa e a tendere un braccio verso la nostra sinistra.

 

Ammetto di non aver mai pensato che al mondo potesse esistere qualcosa di più ripugnante della Madre della Nidiata, dopo quanto avevo visto, e invece fui presto smentita: pur con fattezze ancora tipicamente naniche e la pelle per nulla intaccata dalla corruzione, quella donna era esattamente l'opposto di ciò che io anelavo a diventare. La odiavo. La odiavo con tutta me stessa. Per ciò che aveva fatto alla sua gente, a Hespith, a Oghren, a se stessa.

   Dopo averci sbarrato ogni via di fuga ostruendo l'uscita grazie ad una frana da lei stessa provocata con l'unico intento di intrappolarci lì, era apparsa davanti a noi, i capelli scuri che le ricadevano sulla fronte. Ci squadrò con occhi che solo per un attimo potevano sembrare lucidi, e mormorò: «Voglio essere schietta con voi. Dopo tutto questo tempo, la mia tolleranza per il galateo è piuttosto limitata. Spero che la cosa non vi disturbi.»

   «Rasatemi la schiena e chiamatemi elfo!» fu l'esclamazione di stupore che Oghren si lasciò sfuggire quando fu certo del fatto suo. « Branka? Per la Pietra, quasi non ti riconoscevo!»

   «Oghren», salutò quella in tono asciutto e con una certa noncuranza, come se per lei quell'uomo non avesse mai significato niente. «Sapevo che prima o poi avresti trovato il modo per arrivare fin qui. Spero tu sappia trovare la strada di casa con più facilità. E io come dovrei rivolgermi a voi?» domandò poi, spostando la sua attenzione su noialtri. «Mercenari di un signore di bassa lega venuto a cercarmi? O siete forse gli unici a non essere infastiditi dall'alito di Oghren?»

   «Porta rispetto, donna!» s'inalberò quello, giustamente. «Stai parlando con dei Custodi Grigi!»

   «Ah, siete dei galoppini importante allora», ci prese in giro lei. «Immagino che sia successo qualcosa di grave. Endrin è morto? Mi sembra plausibile. Era già con un piede nella fossa.»

   «Orzammar ha bisogno di un nuovo re per difendersi dal Flagello», m'intromisi io.

   Le sue labbra si piegarono all'insù, ma senza allegria. «Un re non può nulla contro un Flagello», mi rispose. «Ne abbiamo avuti per quaranta generazioni, eppure abbiamo sempre perso tutto. Non mi interessa se al suo posto il Concilio dovesse decidere di far sedere sul trono una scimmia ubriaca, quando la nostra unica speranza, la più grande invenzione, la sola cosa che possa far diventare le nostre armate l'invidia del mondo, è perduta quaggiù, fra la moltitudine di Prole Oscura da combattere. L'Incudine del Vuoto», annunciò con voce che adesso tradiva ciò che davvero le stava a cuore. «È capace di forgiare interi eserciti di golem, tenne alla larga il primo Arcidemone. È qui vicino. Lo sento.»

   «Sembra quasi che voi stiate chiedendo il nostro aiuto», dissi, decisa a non tenere a freno la lingua, visto il nervoso che mi scorreva nella vene. Avevo già dimenticato la fatica e la paura; il mio solo pensiero, in quel momento, era di prenderla a schiaffi. Per due anni, nonostante tutto quello che aveva patito per colpa sua, Oghren si era dannato per poterla trovare, rischiando la vita in prima persona là sotto, e ora che si rivedevano lei preferiva continuare a blaterare idiozie dettate da una mente malvagia e non dal tenero cuore di una moglie – o comunque di una creatura capace di provare un minimo di sentimento verso quell'uomo che invece si sarebbe gettato nudo nel fuoco per lei.

   «E tu pensi che, dopo tutti i miei sforzi, io ti lascerò avvicinare all'Incudine prima di me?» ribatté Branka, fissandomi con occhi ridotti a due fessure. «Quanto sei arrogante... Io e la mia gente abbiamo dato anima e corpo per cercarla. Se avrò successo, tutti i nani ne beneficeranno. I re, i politici... sono così effimeri. Farò qualunque cosa, sacrificherò qualunque cosa per l'Incudine del Vuoto.» Il suo fine era encomiabile, ma i mezzi per raggiungerlo annullavano in un colpo solo tutto il bene che si poteva ricavare da quella missione.

   «Ciò include anche Hespith e gli altri della vostra Casata?»

   «Piantala di cianciare», mi zittì. «Se volete coinvolgermi in questa elezione tra imbecilli, prima devo avere l'Incudine. C'è solo un'uscita, ed è qui davanti. Attraverso il labirinto di Caridin, fino a dove si trova l'Incudine», ci spiegò. «Tutti gli altri sono morti nel tentativo di trovare la strada giusta, ma le nostre ricerche ci hanno portato soltanto alla scoperta di vicoli ciechi e trappole mortali. L’unico sentiero percorribile pare essere quello, ma pullula di golem e attendevo proprio che qualcuno si decidesse a cercarmi per affrontarli insieme a lui. Beh, sono stata fortunata: i Custodi Grigi non sono forse rinomati per la loro forza e le loro abilità?»

   «Cosa diamine ti ha fatto questo posto?!» urlò a quel punto Oghren, non riuscendo a capacitarsi del cambiamento di sua moglie. «Ricordo di aver sposato una ragazza con cui bastava parlare solo un minuto per capire quanto fosse brillante!»

   «Io sono il tuo Campione», rispose Branka, orgogliosa, sillabando quelle parole come se stesse interloquendo con un ritardato mentale, e riducendolo ad un mortificante silenzio.

   Aveva oltrepassato il limite. Serrai le mandibole e strinsi la presa attorno al mio bastone, quasi come se volessi scagliarle contro un fulmine. Se Wynne non mi avesse bloccato il polso con una mano, forse lo avrei fatto davvero.

   «Non mi importa se deciderete di ostacolarmi, ma adesso che sono sul punto di avere quell'arma, non mi lascerò sconfiggere da nessuno», riprese poi la nana, fiera nella sua armatura chiara e scintillante, a dispetto del sudiciume di quel luogo infestato dalla corruzione. Ad annebbiarle la ragione, però, non era quella, ma la smisurata ambizione, che l'aveva portata fin laggiù, nelle viscere della terra, incurante di tutto. Era pazza.

   Si avviò lungo un tunnel scuro e noi le fummo dietro, senza però tentare di fermarla: come si era gentilmente curata di ricordarci, si trattava pur sempre di un Campione, purtroppo, e non ci era concesso attaccarla – né invero sapevamo quanto potesse essere forte, dato che passava da sola fra la Prole Oscura senza incontrare seri ostacoli e senza essere stata contaminata come era successo invece a Hespith.

   Fummo immediatamente testimoni della sua forza allorquando sulla nostra strada si pararono alcuni giganti di pietra, gli stessi golem che Caridin doveva aver creato con l'Incudine e che adesso forse erano stati posti a guardia di quell'arma per impedire ad altri di potersi avvicinare. Checché ne dicesse lei, a me sembrò che per Branka fosse quasi come se quelle creature fossero state fatte di carta, poiché, a dispetto della notevole differenza di statura, riuscì a distruggerne molte da sola – mentre noi fummo costretti a darci man forte l'un l'altro per abbattere le altre. C'era un abisso fra noi e lei. Mi chiesi cosa sarebbe successo: saremmo riusciti a farla ragionare? La risposta l'avevo già letta nei suoi occhi, e tuttavia, pur vanamente, speravo con tutto il cuore che la presenza di Oghren riuscisse in qualche miracolo.

 

Mano a mano che seguivamo quell'invasata, l'ambiente intorno a noi cominciava a rischiararsi. Alzammo lo sguardo verso il soffitto e scorgemmo con meraviglia degli intricati ghirigori di un acceso colore azzurro disegnarsi sulla volta che sovrastava le nostre teste: le vene di lyrium. Nei dintorni doveva esserci un grosso giacimento. Avevamo già visto, lungo il nostro infinito girovagare in quel dedalo che sono le Vie Profonde, alcuni piccoli minerali da cui i nani sono soliti estrarlo e lavorarlo, ma nessuno di noi si era azzardato a toccarlo a causa della sua nocività allo stato grezzo. Era incredibile come in quel cimitero, in quelle gallerie di morte, si potesse assistere ad uno splendore simile, e se avessi avuto la mente sgombra da altri pensieri, probabilmente avrei goduto maggiormente di quella visione.

   Lo spettacolo finì, interrotto bruscamente quando la nostra strada si aprì in un'enorme caverna dove lyrium e lava incandescente illuminavano a giorno l'ambiente circostante e dove un tepore simile a quello del sole di fine estate ci investì in pieno. Al centro della grotta vi erano dei nuovi golem, che però non diedero segno di muoversi al nostro ingresso e rimasero ad osservarci guardinghi dalla loro imponente altezza, come se fossimo ospiti al cospetto di un sovrano e loro le sue guardie. E tali dovevano essere, perché uno di loro, l'unico fatto di ferro e che se ne stava in fondo alla caverna, sembrava aspettare di poter conversare con noi; il che mi pareva inverosimile dal momento che quegli esseri di pietra, almeno così credevo, non avevano facoltà di parola.

   Con la coda dell'occhio vidi Alistair e Leliana guardarsi attorno a bocca aperta, esattamente come facevo io, mentre Wynne, Morrigan e Oghren non riuscivano a prestare attenzione ad altro che non fossero Branka o i golem. Poi, quello che se ne stava in disparte, il più grosso di tutti, parlò davvero.

   «Il mio nome è Caridin», esordì con voce metallica. Credemmo di aver capito male e rimanemmo ammutoliti davanti a quella dichiarazione. Lui proseguì indisturbato. «Un tempo ero uno dei Campioni dei nani di Orzammar. Se cercate l'Incudine, dovrete prima ascoltare la mia storia, o sarete distrutti nel tentativo di riviverla.»

   «Caridin?» stentò a crederci Branka, la fronte aggrottata dagli stessi dubbi che assillavano noi. «Lo stesso Caridin del Monumento?»

   «Sebbene io abbia fatto molte cose, durante la mia esistenza», prese a rispondere il gigante, «la mia fama e la mia posizione sociale sono stati consacrati per via di un solo oggetto: l'Incudine del Vuoto. Essa mi permise di forgiare uomini di pietra o di ferro, un'armata invincibile. Ma non ho mai rivelato a nessuno quale fosse il prezzo da pagare per ottenere tutto ciò.»

   «Di che diavolo stai parlando?» insisteva la guerriera di Orzammar. Caridin, che fino a quel momento si era rivolto indistintamente a tutti, spostò la propria attenzione su di lei soltanto e rimase a fissarla in silenzio per un po'. «Taglia corto, non ho voglia di aspettare ancora!» insistette Branka.

   «Nessun fabbro ha il potere di creare la vita», l'accontentò allora lui. «Per darne una ai golem, ho dovuto prenderla altrove.»

   «Sembra quasi Magia del Sangue», mormorò Wynne, mentre le rughe fra le sue sopracciglia si accentuavano a causa dell'espressione del suo volto. «Una strada molto pericolosa.»

   «La Prole Oscura ci spinse ad agire con urgenza», riprese a spiegare Caridin, come se non l'avesse udita. «Reclutai unicamente volontari, le cui anime impavide furono offerte in cambio della possibilità di difendere la loro patria. Ma poi Re Valtor divenne preda dell'avidità, e cominciò a costringere altra gente a sacrificarsi... Senzacasta, criminali, avversari politici... E alla fine l'Incudine prese anche me.»

   Era una storia terribile. Si creavano golem spezzando la vita degli altri. Branka non poteva volere davvero questo. Nessuno sano di mente o con un minimo di coscienza avrebbe potuto impadronirsi di quell'infernale arnese portatore di morte.

   «Cosa volete, adesso? Vendetta?» non riuscii a fare a meno di domandare, esattamente come avevo fatto con Zathrian al riparo delle rovine di Brecilian. La mia opinione su quel tipo di rivalsa non era mutata minimamente da allora.

   «No», mi rassicurò Caridin, cercandomi con quelle fessure scure e vuote che erano i suoi occhi. «I miei assistenti furono davvero abili a trasformarmi in ciò che sono, ma non abbastanza per perfezionare una verga di controllo che facesse di me uno schiavo. Ho conservato la mia lucidità mentale. Siamo rimasti sepolti qui per tutto questo tempo, e io sono riuscito a trovare un modo per distruggere l'Incudine.»

   «Distruggerla?!» trasecolò Branka, allibita.

   «Tuttavia, né io né gli altri golem siamo in grado di farlo. Non possiamo toccarla», continuò l'altro, ignorandola e rivolgendosi unicamente a me e ai miei compagni.

   «L'Incudine è mia!» scattò la nana, facendosi avanti per fronteggiarlo, i pugni serrati ai lati del corpo.

   «Tu!» tuonò Caridin contro di lei, così forte che la sua voce rimbombò fragorosamente per l'intera caverna. «Aiutami a distruggerla! Non lasciare che essa riduca in schiavitù più anime di quante ne abbia già prese!»

   «Non permetterò a nessuno di portarmela via!» non volle sentire ragioni lei, furiosa.

   Feci rapidamente alcuni conti: quello che si stava per verificare era uno scontro fra Campioni, due folli completi. C'era di buono che uno di loro si era pentito di tutti i crimini commessi e che adesso implorava l'aiuto di qualcuno per liberare il mondo da quella macchina mortale. Branka l'avevamo trovata, ma non voleva saperne di collaborare; e temetti per Oghren che l'unico modo per fermarla fosse quello di combatterla. Poi mi resi conto che non dovevo temere soltanto per lui, poiché quella maledetta era troppo, troppo forte per noi.

   «Se vi aiuteremo a distruggere l'Incudine», prese parola Leliana, che doveva aver fatto un ragionamento ancora più dettagliato e imparziale del mio, «voi promettete di appoggiare il nuovo re di Orzammar?»

   Caridin non fece in tempo a parlare che subito Branka urlò, paonazza in volto: «Non dategli ascolto! È una trappola! È pazzo!»

   «Da che pulpito...» si lasciò sfuggire Alistair, tetro.

   «Aiutate me ad ottenere l'Incudine, e vi prometto un esercito senza pari per fronteggiare il vostro Flagello!»

   «Branka, razza di folle...» disse Oghren, fissandola con evidente delusione nello sguardo e nel tono. «Questa cosa significa così tanto per te? Al punto da renderti cieca davanti a ciò che hai perso a causa sua?»

   «Guardati attorno», ribatté lei, per un solo istante quasi raddolcita. «Lo vedi com'è stato ridotto il nostro regno? Ad un cumulo di tunnel polverosi saturi di cadaveri di nani e Prole Oscura. L'Incudine ci riporterà al nostro antico splendore, alla nostra gloria di un tempo!»

   «Quell'Incudine è un male pari a quello della Prole Oscura!» gridai io, esasperata dalla marea di bestemmie che la sua bocca vomitava in faccia a suo marito. «Dobbiamo distruggerla!»

   «Cosa?!» proruppe Morrigan, sconvolta dal sapere in cosa stavo per coinvolgerla. Mi afferrò saldamente per un braccio e mi costrinse a guardarla. «Hai idea di quanto potrebbe tornarci utile quell'affare? Potremmo servircene per combattere l'Arcidemone!»

   Trattenni il fiato per contenere la rabbia e non schiaffeggiarla davanti a tutti, ma non riuscii a evitare di socchiudere le palpebre in modo sinistro e di stringere i denti fin quasi a farmi male. «D'accordo», presi a sibilare, divorata dall'odio verso quel lato del suo carattere che la rendeva avida di conoscenza fino al punto da non curarsi degli effetti che tale comportamento poteva provocare. «Impadroniamoci dell'Incudine, allora. Ma ti avverto che la prima anima che userò per testarla, sarà la tua.»

   La Strega delle Selve strabuzzò gli occhi per un istante, colta di sorpresa da quella risposta al veleno. «Tu non... non lo faresti mai», farfugliò. «Non ne avresti il coraggio.»

   «Forse lei no. Ma io sì», le fece sapere Alistair con fare spiccio, alle sue spalle. «E non ci sarebbe magia che tenga contro i miei poteri di templare: potrei immobilizzarvi e costringervi a offrire la vostra vita in cambio della vostra sete di potere.»

   «Sta' zitto, templare incapace!»

   «Sta' zitta tu!» sbottai, liberandomi dalla sua presa e puntandole contro il mio bastone. «Per quanto bene io possa volerti, non te lo lascerò fare, Morrigan», ringhiai. «Noi distruggeremo quell'Incudine, che tu lo voglia o no.»

   «È un ordine, capitano?» mi domandò, cercando di dominare le emozioni.

   «No», dissi più adagio. «Non voglio obbligare i miei amici a fare ciò che loro non vogliono. Tuttavia, vorrei invitarli a ragionare sulle disastrose conseguenze che le loro azioni potrebbero avere su tutti gli altri.»

   Morrigan rimase a fissarmi dritta nelle pupille per alcuni interminabili istanti, in assoluto silenzio. Infine, chinò il capo. «Sta bene. Distruggeremo l'Incudine», cedette controvoglia.

   «Paura di essere trasformata in golem?» la canzonò Alistair, rimanendo fermo dietro di lei.

   «Distruggiamo l'Incudine e facciamola finita!» esclamò ancora la ragazza, fingendo di non averlo sentito.

   «Grazie, stranieri», disse Caridin, dopo aver aspettato pazientemente che il nostro diverbio avesse fine. «La vostra compassione mi fa vergognare di me stesso.»

   «No!» strillò Branka, rimasta a discutere anche lei con Oghren riguardo a tutta quella questione. Lo spintonò lontano da sé e tornò ad abbaiare contro il golem. «Voi non farete nulla! Non finché io sarò viva!»

   «Branka!» tentò ancora una volta il suo povero marito, sconvolto dal dolore e dall'ira. «Non gettare via la tua vita per questo!»

   «Dobbiamo distruggere l'Incudine, Branka», insistetti io, cercando di aiutarlo come potevo.

   «Magari è solo confusa...» provò a calmarmi Oghren, vinto ancora una volta dall'amore per lei. «Se le diamo quel maledetto coso per un attimo, forse dopo si calmerà e tornerà a ragionare...»

   «È ossessionata, Oghren», intervenne Wynne in mio soccorso, con voce gentile e ferma al contempo, mentre Alistair e Leliana tenevano sotto stretta sorveglianza una Morrigan furibonda. Loro non lo sapevano, ma in realtà io non avevo alcun motivo di temere che lei ci tradisse, perché aveva bisogno di me, di noi, per liberarsi di Flemeth. «Ho paura che non tornerà più quella di prima. Mi dispiace», concluse la mia anziana maestra.

   Branka emise uno sbuffo di disprezzo verso tutti noi e, afferrando qualcosa dalla sacca che teneva appesa in vita, dichiarò: «Non sei il solo mastro fabbro, qui, Caridin! Golem, obbeditemi! Attaccate!»

   Alcuni di quelli che ci circondavano presero improvvisamente vita, facendo sobbalzare tutti. «Una verga di controllo!» osservò Caridin, preso in contropiede da quella mossa. «Amici miei!» prese allora ad implorare i suoi giganti di pietra. «Dovete aiutarmi! Non posso fermarla da solo!»

   Quelli, però, non lo ascoltarono.













Mettetevi comodi, perché ho una valanga di cose da dirvi.
Anzitutto mi scuso per il ritardo con cui aggiorno, ma di tempo per scrivere, e soprattutto di ispirazione, ne ho avuti ben pochi, ultimamente. Oggi però sono infine riuscita a concludere il capitolo ventotto e quindi ho deciso di postare questo. :D
In secondo luogo, vorrei ringraziare di cuore una persona che mi ha fatto una sorpresa graditissima, al punto da farmi saltare di gioia (nel vero senso della parola, eh). Senza che io le chiedessi nulla, Milly Miu Miu, conosciuta su DeviantArt col nick di Lilithblack, ha realizzato delle illustrazioni per questa fanfiction, rendendomi felicissima. Sia per la cosa in sé per sé, sia perché il suo stile è assolutamente fantastico. Il suo tratto è talmente delicato che mi ha rapito il cuore. Vi lascio il link alla sua gallery, perché merita davvero tantissimo: http://lilithblack.deviantart.com
Vorrei inoltre ringraziare Shadow Eyes, che oltre ad essere una ragazza deliziosa, anche lei si è divertita ad abbozzare un breve comic sulla sua Cousland e sulla mia Nimue. Questo non ve lo farò vedere perché l'autrice me l'ha vietato, ma vi assicuro che è troppo, troppo un amore. <3 Le espressioni di Nimue, specie quella dell'ultima vignetta, rendono perfettamente l'idea della coniglia che è in realtà. XD
Poi, poi... Un altro grazie, con tanto di inchino, va al mio fido collaboratore (sì, ormai ne ho uno), Erecose, che mi ha rinfrescato la memoria su molti dialoghi e molti particolari che io purtroppo, a distanza di tanti mesi, ho rimosso dalla mente o ho comunque molto più vaghi rispetto a quando ho iniziato a scrivere questa storia. Tra l'altro Erecose, poveraccio, si prende anche la briga di annotare ciò di cui discutiamo insieme e che io, puntualmente, dimentico dopo due minuti. XD Lo faranno santo. ^^ Anche perché mi sta aiutando persino a mettere insieme i pezzi di quello che, una volta finita questa fanfiction, ne diventerà il seguito. Sì, sono abbastanza folle per andare avanti.
Ancora, un abbraccio alla mia beta Atlantislux, che pur continuando a non sapere NULLA di tutto ciò che le faccio leggere ogni volta, si interessa a ciò che scrivo, mi corregge le sviste, mi dice ciò che a suo avviso non risulta troppo chiaro nella costruzione dei periodi, e mi chiede curiosità e spoiler sui personaggi e sul resto della trama. XD A lei spetta un monumento davanti al palazzo reale di Denerim, poco ma sicuro. :P
Non ho finito. Buoni lì, ché ora do una notizia importante a TUTTI i lettori, anonimi e non.
Io e Lara (dall'infinita pazienza anche lei) stiamo mettendo su un GdR sul mondo di David Gaider. Ma non un GdR fatto alla buona, bensì curato nei minimi dettagli. Vi avviso subito che non saranno presenti i personaggi del videogioco per vari motivi, ma se siete comunque interessati alla faccenda, o anche semplicemente curiosi o indecisi sul da farsi, potete mandarmi un'email, una nota su DeviantArt o un messaggio privato qui su EFP, tramite il form Contatta. Vi dico già che, se vi va, potrete anche usare uno dei personaggi che avete creato per Origins, tenendo però ben in mente che non potrà essere il Custode Grigio che ha salvato il Ferelden dal Flagello e che ha conosciuto Alistair, Morrigan e compagni (e se leggerete il regolamento provvisorio che abbiamo stilato e che fornirò a chiunque lo richiederà, ne capirete la ragione). Io stessa avevo inizialmente pensato di riutilizzare la Nimue della raccolta, più giovane, ingenua e spensierata di quella della long, ma adesso non ne sono più tanto sicura. Ci penserò su.
Okay, credo di aver finito. Perdonate l'enorme quantità di chiacchiere. ç_ç
Concludo con un ringraziamento generale ma sentitissimo a: ashar, BgmnhOO, Cass, CookieandDeadlySins, ENS, Evertine, kelyseh, Laiquendi, lames76, Layra Luin Isil, liriel, NicoDevil, Salice, slan, Slepless, Sotorei, The Mad Hatter, The Warden Archivist.
Vi adoro. Tutti.
Shainareth





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Capitolo 28
*** Addii ***












CAPITOLO VENTOTTESIMO - ADDII




Quel che accadde nel momento successivo a quello in cui Branka riuscì ad impadronirsi del comando di alcuni dei golem di Caridin fu assai confuso. Ricordo bene, però, la voce di Oghren che le implorava ancora una volta di fermarsi, i suoi occhi azzurri che cercavano disperatamente l’aiuto di Alistair. Ma lui non poteva fare nulla, esattamente come noialtre. La sola Morrigan si era dimostrata propensa a schierarsi con Branka, eppure adesso era costretta a combattere al nostro fianco per forza di cause maggiori: eravamo alleate, io e lei, e pertanto era necessario scendere a compromessi.

   Non c’era alternativa, dunque, e Oghren avrebbe dovuto farsene una ragione, purtroppo. Anzi, dovette farsela praticamente all’istante, quando quella folle di sua moglie gli si scagliò contro con la propria lama. Il guerriero riuscì a parare il colpo con l’impugnatura dell’ascia all’ultimo momento, gridando per lo sgomento, la rabbia, la disperazione. Branka mosse velocemente il braccio sinistro e lo colpì al capo con lo scudo, stordendolo e facendolo indietreggiare di qualche passo; quindi, spietata, tornò ad affondare l’arma, pronta a trafiggerlo. Se non riuscì a farlo fu solo perché in quel momento impressi un glifo a difesa del povero Oghren, mentre Leliana si preparava al contrattacco con le proprie frecce, altrimenti inutili sugli altri nostri avversari.

   Di quelli si stavano occupando i loro fratelli golem, insieme ad Alistair, Wynne e Morrigan, riuscivo a capirlo dai rumori alle mie spalle. Pur col cuore in gola per la loro sorte, cercai di fidarmi delle loro capacità e di non pensarci – cosa, quest’ultima, che mi riusciva piuttosto semplice dal momento che Branka teneva ben desta la nostra attenzione. Centrata ad una spalla da uno dei dardi di Leliana, il Campione lanciò un urlo di guerra, e provò di nuovo a scagliarsi contro Oghren, che stavolta non ebbe i riflessi abbastanza pronti per evitare il fendente che per poco non gli penetrò l’armatura all’altezza del petto.

   «Branka!» continuava a strepitare miseramente, incapace di accettare la realtà dei fatti. Lei però non lo ascoltava, o se lo faceva era del tutto insensibile ai suoi appelli. Una fiammata avvolse la donna, e davanti a quella visione, Oghren vociò ancora, spaventato per la sua incolumità. E mentre lei si contorceva in preda al dolore, lui si voltò verso di me, furioso. Nel frastuono di qualcosa che franava, forse un golem che alle mie spalle veniva fatto a pezzi, non fui in grado di afferrare ciò che mi inveì e lo reputai un bene: non potevo permettermi di esitare, la posta in gioco era troppo grande.

   Sfortunatamente, Branka si riprese in fretta, dimostrando così che il titolo vinto a Orzammar se l’era meritato appieno. Anche se con alcune piccole fiammelle fra i capelli, rivolse due occhi furenti nella mia direzione. «Sei morta», ringhiò partendo all’attacco.

   «Non credo proprio», la contraddisse Leliana, frapponendosi fra noi prima che l’altra potesse raggiungermi.

   Dovevo lasciarla fare, dovevo lasciarla fare, dovevo lasciarla fare. Ripetei a me stessa queste parole nel tentativo di convincermi che era l’unica maniera per riuscire in quell’impresa: la mia compagna si era accorta di ciò che stavo per evocare, e quello era il suo modo per farmi guadagnare tempo. Scoccò una freccia, poi un’altra, con una rapidità tale che lo scudo di Branka non riuscì a bloccarle tutte, ringhiando a causa di quella che le si conficcò all’inguine. Barcollò, costretta a fermarsi per un attimo; eppure questo non bastò a farla desistere dal suo proposito. Riprese la marcia a grandi falcate, gridando di rabbia, mentre Oghren cercava di rincorrerla.

   La distanza che ci separava fu sul punto di essere colmata. Leliana esitò, rimanendo tuttavia ferma al suo posto, forse persino pronta a farmi da scudo fino alla fine. Non ve ne fu bisogno, comunque, perché terminai di formulare il mio incantesimo appena in tempo. «Ora!» strillai.

   Leliana scattò di lato come una scheggia, rotolando sul pavimento roccioso proprio mentre dalla punta del mio bastone e dal palmo della mia mano scaturiva un’enorme concentrato di energia elettrica che andò a colpire Branka in mezzo al petto, percorrendone ogni cellula del corpo, tramortendola, provocandole enormi danni fisici e non. Il fulmine non si accontentò di lei, e come fosse stato dotato di vita propria passò oltre, evitando Oghren per mio ordine e scagliandosi invece spietatamente contro gli altri nostri avversari. Ne abbatté addirittura uno, azzerando il vantaggio che gli alleati di Branka erano riusciti a procurarsi dopo aver frantumato uno dei golem di pietra rimasti fedeli a Caridin.

   Non era finita, comunque. Perché, sebbene Oghren si fosse precipitato su di lei per soccorrerla, io lo scagliai lontano con una delle mie magie, anche a costo di fargli del male e, soprattutto, di farmi odiare da lui: era la sola cosa che potevo fare per proteggerlo. Non meritava di soffrire ancora per colpa di quella donna. No, di quel mostro.

   Alle mie spalle udii qualcos’altro andare in pezzi e la voce squillante di Morrigan che esclamava non so cosa a qualcuno. Leliana fu di nuovo in piedi, l’arco teso. «Non credo che ce la caveremo con così poco», la sentii ragionare. Prese la mira e lasciò andare la corda che teneva bloccato il dardo dalla punta infuocata, dono degli elfi di Brecilian.

   Il mio potere magico non era illimitato, e dovetti costringermi ad una pausa per recuperare fiato. Oghren ne approfittò per tornare in piedi proprio mentre anche Branka iniziava di nuovo a muoversi, dando così ragione alle supposizioni di Leliana. «Branka… Branka!» chiamava il povero nano, lasciandosi cadere in ginocchio accanto a lei e posandole entrambe le mani sull’armatura. Quel contatto provocò alcune scintille e, gemendo per la sorpresa e il lieve dolore, fu costretto a ritrarsi.

   «Non toccarla», gli dissi con una calma che non mi apparteneva. Mi sentivo estranea a me stessa e non mi piaceva. L’odio che provavo per quella donna mi aveva reso sorda alle proteste della pietà che solitamente albergava nel mio cuore. O, più probabilmente, era proprio per quella stessa pietà che mi ostinavo a voler porre fine alle ambizioni di Branka: senza di lei, Oghren avrebbe trovato pace, sarebbe stato libero da quel peso, libero di ricostruirsi una vita. Libero. «Il metallo è conduttore di calore ed elettricità, così come lo è il nostro corpo. Finiresti per morire anche tu.»

   «Mo… Morire?» balbettò, gli occhi sgranati che saettavano da me a lei e viceversa. «Morire!» gridò poi. «Non puoi ucciderla! Non puoi!»

   «Preferite che sia lei ad uccidere voi?» tentò di riportarlo con i piedi per terra Leliana. «Lo avete visto voi stesso: non ha più un briciolo di umanità. Nemmeno per coloro che un tempo ha amato.»

   «Spostati da lì», lo implorai io con voce più dolce. Oghren parve incerto sul da farsi. Aprì la bocca, la richiuse. I suoi lunghi baffi rossi tremolavano. «Per favore.»

   Non prese mai una decisione, perché pochi istanti dopo un poderoso pugno sotto al mento lo schiantò al suolo. «Oghren!» urlammo io e Leliana, spaventate. Imprecai, ma non feci in tempo a ricorrere alla magia che Branka si scagliò anche contro di me, abbattendomi con una spallata e facendomi volare lontano. Nella caduta persi il mio bastone, e per alcuni lunghi attimi mi mancò il respiro, come se qualcuno o qualcosa premesse violentemente contro il mio sterno, lì dove quella maledetta mi aveva colpito. Spalancai bocca in cerca d’aria, reclinai il capo all’indietro, gli occhi spalancati, e la vidi: Wynne giaceva a terra come me, ma non vi erano tracce di sangue su di lei o attorno a quello che speravo non fosse il suo cadavere. Sentii le ciglia bagnarsi di lacrime, e se avevo tempo per piangere, allora lo avevo anche per smettere di farlo e lottare per i miei compagni.

   Mi voltai sul fianco, una mano al petto, che ancora doleva non poco. Sospettavo diverse costole rotte, ma la Magia Guaritrice presente nel mio corpo mi fu di sollievo. Non volevo sprecarla tutta, però, non adesso che ero l’unica a poterla esercitare ancora. Né potevo permettermi di prosciugare le energie per pensare unicamente a me stessa.

   La voce spezzata di Leliana mi obbligò a fissare di nuovo la mia attenzione su Branka, che l’aveva raggiunta e spinta a terra, pronta ad affondare la lama, mentre con un piede premuto appena sotto al collo la teneva bloccata. La ragazza provò ad afferrarla per la caviglia con entrambe le mani nella speranza di farle perdere l’equilibrio, senza successo. Branka calò l’arma con violenza, e Leliana lanciò un urlo soffocato, mentre la spada le penetrava la carne all’altezza della spalla destra.

   «Così vedremo se riuscirai ancora ad usare il tuo stupido arco», sibilò la nana, ruotando il polso per trafiggerla in profondità. Un proiettile di pietra la colpì al capo, stordendola e facendola barcollare giù dalla mia compagna; ed io, che pur senza bastone riuscivo ancora a compiere i miei incantesimi elementali, mi rialzai in piedi.

   Branka scosse la testa ferita, e solo dopo una manciata di secondi si rese conto di quanto era accaduto. Mi lanciò uno sguardo furioso. «Puttana!» inveì, pronta a calpestare di nuovo Leliana per recuperare la spada rimasta dentro di lei. Se non riuscì a farlo, fu solo grazie all’intervento di Oghren, che le piombò alle spalle, circondandola con le braccia per bloccare le sue.

   «Non ti lascerò commettere altre pazzie!» ruggì, al colmo della sopportazione.

   «Tu non farai un bel niente!» ribatté la donna, cercando con ogni mezzo di liberarsi. L’altro fu costretto a sollevarla dal suolo per renderle le cose più difficili, ma questo le consentì di scalciare all’indietro tanto forte da tempestargli le gambe di botte. «Mollami o ammazzo anche te!»

   Come se non avesse già tentato di farlo prima…

   Spostai gli occhi su Leliana, preoccupata per la sua vita: aveva le palpebre spalancate, la bocca socchiusa, le dita attorno alla lama insanguinata che la teneva inchiodata a terra. «Nimue…» rantolò a fatica, cercandomi con le pupille nere. «Uccidila.»

   La fissai attonita: era quello che avevamo in effetti intenzione di fare, dal momento che non c’erano alternative, eppure sentirglielo dire così apertamente mi raggelò, e per un istante mi tornò alla mente la Leliana del suo racconto, il bardo, la spia, l’assassino. Non conoscevo affatto quella Leliana.

   «Fallo, prima che sia tardi!» mi rimproverò per la mia esitazione, alzando la voce. «Vuoi che l’Incudine cada nelle sue mani?! Vuoi che siano sacrificate migliaia di vite?!»

   Mi riscossi, capendo che, per quanto una persona potesse cambiare cercando compromessi con se stessa, fondamentalmente ci sarebbero state sempre delle caratteristiche di lei che sarebbero rimaste immutate. Per Leliana doveva essere così, e i mesi passati in Chiesa immersa nella preghiera avevano mitigato gli aspetti meno positivi della sua indole, rendendola assai più dolce ed equilibrata, al punto da scatenare la parte più bellicosa del suo io soltanto in momenti disperati come quello in cui ci trovavamo, quando in gioco c’era la sorte di un’intera popolazione. Era giusto così, avrei dovuto prendere esempio da lei e farmi forte di quell’insegnamento, mettendo a tacere gli egoismi e le paure e lasciando invece posto alla rabbia e alla mia sete di giustizia.

   Ferita gravemente dalle ustioni provocate dal fuoco e dal fulmine che le avevo scagliato contro, e con ben due frecce piantate in corpo e il sangue che le colava sul volto a causa del cranio spaccato dal mio ultimo incantesimo, l’incrollabile Branka era bloccata dall’abbraccio del marito, l’ultimo che avrebbe potuto assaporare, benché ormai privo di quella tenerezza che Oghren le avrebbe invece riservato un tempo. Stimai che forse un colpo non sarebbe bastato e, pur domandandomi se un altro fulmine avrebbe sortito i suoi effetti devastanti, ricorsi a quello, non prima di aver impresso su Oghren un’altra barriera protettiva, che adesso lo avvolgeva come una seconda pelle.

   La magia andò a segno, il guerriero dai capelli rossi gridò per lo spavento, lasciando istintivamente cadere la moglie al suolo ed indietreggiando, le mani a ripararsi gli occhi dalla luce accecante della saetta da me scagliata. Ma non servì a nulla. Fu con orrore che mi accorsi che ormai non avevo quasi più energie, se non quel tanto che mi consentissero di rimanere stentatamente in piedi. E Branka, la cui armatura era ormai un rottame e la cui pelle era ricoperta di piaghe che le devastavano i lineamenti scavandole la carne, si stava nuovamente avventando contro di me, capacissima di uccidermi a mani nude se solo ci avesse provato. Le gambe smisero di reggermi e io mi accasciai a terra, lo sguardo fisso nelle orbite infossate e quasi lattiginose di lei, attraverso le quali forse mi vedeva a malapena.

   Sarei morta lì se un altro proiettile di pietra non l’avesse colpita alla bocca dello stomaco, facendola volare lontano e schiantare contro una roccia. E mentre sentivo Morrigan richiamare la Stretta Invernale per porre fine una volta per tutte all’esistenza del leggendario Campione di Orzammar, le mie membra furono avvolte da un piacevole tepore che mi rinvigorì all’istante.

   «Avresti dovuto scagliare quel colpo dopo il mio, non prima.»

   Wynne sospirò, sfiorando appena la figlia di Flemeth con un’occhiata stanca e avanzando verso Leliana, bisognosa di cure molto più degli altri. «L’urgenza del momento mi ha costretta a pensare anzitutto all’incolumità degli altri.»

   Era viva. E stava bene. Avrei voluto chiedere come fosse possibile, ma le parole non venivano fuori. Allora ricordai dello spirito interiore che le consentiva quel tipo di prodigio e compresi. Mi osservai attorno, ancora stravolta, e capii che era davvero tutto finito. Soltanto un golem, a parte Caridin, era rimasto in piedi ed era dalla nostra parte. Quanto ad Alistair, se ne stava seduto più indietro, fra i detriti dei giganti che avevano combattuto con enorme fatica, e mi fissava da lì. Abbozzai un sorriso, che subito lui mi restituì. Doveva essere ferito come al solito, e il sangue fresco che gli macchiava l’armatura e la faccia non poteva che essere suo.

 

Un grido straziante ci riportò alla realtà. Oghren.

   Se ne stava accanto al corpo esanime di Branka, piangendo disperato e scacciando via in malo modo Wynne, avvicinatasi a lui per alleviarlo dalle pene delle ferite.

   «Un’altra vita perduta per colpa della mia invenzione. Vorrei che la storia non ne fosse mai venuta a conoscenza», mormorò Caridin, la cui voce metallica non gli consentiva di trasmettere il suo reale stato d’animo.

   «Stupida donna», gracchiò Oghren, cercando di darsi inutilmente un contegno. «Sapevo che sarebbe andata a finire così, lo sapevo

   «Non voglio che si ripetano episodi del genere», concordò il Campione di ferro. «Distruggete l’Incudine, per favore. Fatelo ora.»

   «Sì, bella idea distruggerla adesso, dopo tutta questa fatica», mugugnò Morrigan, ancora irritata per tutta quella faccenda e la nostra divergenza d’opinioni.

   «Lo faremo», assicurò invece Wynne, riuscendo infine a convincere il nano a lasciarsi medicare. «E vi giuro che mi occuperò personalmente di comunicare i vostri avvertimenti sulla creazione dei golem al Circolo dei Magi.»

   «Grazie», rispose Caridin, sincero. «C’è qualcosa ch’io possa fare per voi, prima di essere liberato da questo maledetto fardello?»

   «Oghren?» lo chiamò Wynne, sostenendolo per le spalle. «Avete sofferto molto a causa di tutto questo… C’è qualcosa che desiderate?»

   Lui tirò su col naso, passandosi il dorso di una mano sugli occhi. «No», disse. «O meglio. Ci sarebbe una cosa, ma è impossibile resuscitare i morti, vero? Né ci si potrebbe aspettare di poterla riavere sottoforma di golem, giusto?» Dopo tutto quello che era successo, voleva ancora Branka al suo fianco. Non sapevo se invidiare il suo modo di amare o se invece provare soltanto compassione per il suo cuore in pezzi.

   «Non farei una cosa del genere neanche se potessi», lo avvertì Caridin.

   Oghren scosse le spalle con apparente noncuranza. «Allora non voglio nulla. Niente che mi ricordi di tutta questa storia. È meglio che sia finita una volta per tutte.» Annuì a se stesso e poi aggiunse, indicando Alistair con una mano: «Ma c’è quella faccenda delle elezioni. Voglio dire… c’è sempre bisogno dell’appoggio di un Campione per mettere finalmente pace all’interno del Concilio, no?»

   Caridin si trovò d’accordo. «In tal caso, per l’aiuto che mi avete dato e per ciò che farete adesso, batterò il martello per l’ultima volta», annunciò. «Forgerò una corona, e voi la porrete sul capo del re che voi stessi sceglierete.»

   Passò diverso tempo prima che egli potesse terminare il suo lavoro, e noi ne fummo quasi sollevati: potevamo riposarci prima di riprendere la strada che ci avrebbe ricondotti a Orzammar. Finito con Oghren, Wynne tornò da Leliana, porgendole un’altra fialetta contenente un impiastro di radice elfica. Il nostro bardo era pallido a causa del sangue perso, i lisci capelli rossicci scomposti e a tratti appiccicati al viso per via del sudore. Tutto sommato stava bene, ci disse per tranquillizzarci, poiché aveva passato momenti ben peggiori tempo addietro per colpa di Marjolaine. Mi trascinai accanto a Morrigan per guarirle eventuali ferite, ma lei mi seccò con un’occhiataccia e mi fece bruscamente cenno verso Alistair. Il quale, vedendomi arrancare nella sua direzione, allungò subito una mano per aiutarmi a sedere di fronte a lui e non protestò quando gli rifilai una delle mie medicine dal sapore impossibile.

   Quando il rumore del martello smise di percuotere l’aria, lasciando posto a quello dei pesanti passi di Caridin, di ritorno verso di noi, ci rialzammo tutti in piedi, meno che Leliana, ancora troppo debole.

   «Eccola», disse il golem, mettendo fra le mani di Wynne la splendida corona d’oro che aveva appena finito di forgiare. «Datela a chi volete. Non voglio sapere il suo nome, ho già vissuto oltre il mio tempo e qui ormai non c’è posto per me.» Tacque per un istante, tornando a guardare indietro. «L’Incudine è laggiù.»

   «La distruggeremo come promesso», annuì Alistair muovendosi per compiere quel gesto.

   «No», lo fermò Oghren, avanzando deciso e anticipandolo lungo la strada che ci separava da quell’arnese infernale. Era rimasto per tutto il tempo accovacciato accanto al cadavere della moglie, osservandola in silenzio. Per sua stessa ammissione aveva compreso che sarebbe stato pressoché impossibile salvarla, e adesso forse stava cercando di abituarsi all’idea che non l’avrebbe più rivista, che avrebbe continuato la sua vita senza di lei. Definitivamente. «Sarò io a distruggerla», sentenziò quindi, non ammettendo alcuna replica. E in realtà nessuno avrebbe avuto niente da ridire al riguardo.

   Lo osservammo avanzare verso l’Incudine, l’ascia stretta nel pugno, e quando vi fu davanti si bloccò, fissando le vene di lyrium che passavano attraverso il metallo. «Che tu sia maledetta…» le disse, come se essa avesse potuto sentirlo. Infine, sollevò la propria arma con entrambe le braccia e scagliò il primo colpo, poi un altro, ruggendo a pieni polmoni per la rabbia e la disperazione, imprecando contro tutti quelli che vaneggiavano come Branka e pregando a modo suo che nessun altro potesse cadere ancora in quel madornale errore.

   «Avete la mia eterna riconoscenza», gli disse Caridin, raggiungendolo in cima alla rupe su cui ora, avvolti da un polverone nero, si trovavano lui e i resti dell’Incudine. «Atrast nal tunsha... Possiate trovare la vostra strada nell’oscurità.» Infine, senza aggiungere altro, si sporse dal baratro e si lasciò cadere giù, nel fiume di lava bollente sottostante.

   Non appena Caridin fu scomparso, anche l’altro golem rimasto si disattivò immediatamente. Era finita. Potevamo tornare indietro, ristabilire il governo di Orzammar e reclutare l’aiuto dei nani. Tutto ciò con la speranza che a nessun matto venisse più in testa di cercare ancora quella maledetta Incudine.

   «Cos’è questo?» domandò ad alta voce Morrigan, dall’altro lato della caverna. Era ferma davanti a quella che sembrava un’enorme lastra di pietra, la cui superficie era interamente ricoperta di rune. Non poteva leggerla, né potevamo farlo noi, anche se ci parve di riconoscere il nome di alcune importanti Casate nobiliari che avevamo sentito in città.

   «Scoreggiami una ninnananna!» fu l’originale esclamazione che ci lasciò attoniti quando Oghren ci raggiunse ai piedi della stele funebre. Era ancora sconvolto per quanto accaduto, gli occhi lucidi e arrossati, eppure il suo cervello era perfettamente attivo. «È un monumento a tutti quei nani che sono diventati golem!»

   «Ne siete sicuro?»

   «Certo che sì.» Levò un braccio per additare una fila di parole. «Qua c’è scritto proprio: Onoriamo coloro che si sono sacrificati lasciando che i loro nomi vengano qui ricordati.»

   «È orribile», mormorò Wynne, trovandomi perfettamente d’accordo. «Sono migliaia…»

   «Se riuscissimo a riportarla al Modellatorio, a Orzammar, scommetto che se la farebbero addosso! O magari ci pagherebbero un sacco d’oro. Probabilmente, entrambe le cose», suggerì Oghren, pragmatico.

   «Sarebbe fantastico, visto che i nostri ultimi soldi sono stati spesi… per cosa? Uno stupido specchio dorato?» mi rinfacciò Alistair, pur senza reale cattiveria.

   «Di’ un’altra parola e te lo spacco in testa, quello specchio», lo avvertii io, fulminandolo con lo sguardo.

   «Sul serio», tentò poi di rabbonirmi passandomi un braccio attorno alle spalle, «cerchiamo un modo per ottenere quel denaro, a meno che non vogliamo spedire Morrigan a passeggiare sul ciglio della strada.» Lei si volse a fissarlo con occhi gelidi ma non gli diede soddisfazione e rimase in silenzio. «So che lei ne sarebbe contenta, perché finalmente troverebbe qualcuno che se la fili», insistette Alistair, «ma noi Custodi Grigi dovremmo cercare di mantenere un minimo di contegno: che figura ci faremmo, se si sapesse che frequentiamo certa gentaglia?»

   Fortunatamente Morrigan non replicò, anche perché subito Wynne ci distrasse, mettendo mano alla propria sacca ed estraendone un foglio di carta e un carboncino. «Problema risolto, direi», approvò Oghren, tirando su col naso. «Anche se difficilmente riusciremo a ricalcare tutte queste iscrizioni per intero…»

 

Uscire dalle Vie Profonde, dopo giorni e giorni di sensazioni claustrofobiche che opprimevano tutti noi, impedendoci di dormire sogni tranquilli – a prescindere dagli incubi miei e di Alistair – e di riprenderci prima di quanto avremmo voluto, fu qualcosa di indescrivibile. Eravamo ancora sottoterra, certo, ma l’aria di Orzammar era molto più piacevole da respirare. L’emozionante libertà che ci sopraffece non appena tornammo in città ci stordì non poco. Vista, udito e olfatto sembravano di colpo diventati di gran lunga più sensibili per tutti, e noi tornammo a ridere di gusto per ogni minima cosa, foss’anche stato un rutto di Oghren.

   Dalla morte di Branka doveva essere passata una settimana, forse, non ne ero sicura allora e non lo sono nemmeno adesso. Oghren però stava meglio, aveva potuto chiudere definitivamente quella faccenda e tornare a guardare avanti a sé, e questo faceva stare bene anche noi che ormai gli eravamo davvero affezionati. Ci sarebbe mancato non poco quando avremmo lasciato Orzammar, e quel legame doveva essere reciproco, poiché appena ci fu possibile parlare di nuovo con Vartag Gavorn, il secondo di Bhelen, Oghren decise di venire con noi per darci una mano grazie alla sua testimonianza.

   Quando entrammo nella sala del Concilio, inizialmente nessuno si accorse di noi. Tutti i nobili erano intenti a litigare come al solito, questa volta in presenza di entrambi i candidati al trono, che se ne stavano in cima a una scalinata, in attesa di un verdetto che continuava a non essere deciso.

   «Signori del Concilio, vi richiamo all’ordine!» stava vociando il Siniscalco, esasperato nonostante la sua indiscutibile pazienza. «Questa discussione non porterà a niente!»

   «Dunque, perché queste tattiche di continui rinvii? Richiedo una votazione», pretese Bhelen, agguerrito. «Mio padre possiede un figlio vivente che può assumere il trono degli Aeducan... Chi avrebbe il coraggio di negarlo?»

   «Io», borbottò sottovoce Alistair, che non solo era sempre più disgustato da tutta quella faccenda, ma per di più doveva sopportare l’enormità di coincidenze che lo accomunavano a quell’uomo.

   «Vostro padre mi ha fatto giurare sul suo letto di morte che non vi avrei permesso di succedergli», stava invece ribattendo Harrowmont, irremovibile, mentre Vartag cominciava a schiarirsi la gola per attirare l’attenzione di tutti.

   «Mi scuso per l’interruzione Lord Siniscalco, ma i Custodi Grigi sono tornati», annunciò quando l’ebbe ottenuta.

   L’uomo sobbalzò e subito ci venne incontro. Sul suo volto erano dipinti meraviglia, speranza e anche perplessità: dopotutto non ci era stato ancora concesso di riposare a dovere o anche solo di ripulirci del sangue e del lerciume di cui sono piene le Vie Profonde. «Beh, Custodi?» cominciò dopo un attimo, scrutando con fare curioso Oghren, e chiedendosi probabilmente cosa ci facesse insieme a noi. «Che notizie portate?»

   «Una corona», risposi, sollevandola fra le mani, davanti a me. «È stata forgiata con l’Incudine del Vuoto.»

   «Caridin era stato intrappolato nel corpo di un golem», iniziò a spiegare Oghren per noi. «Questi Custodi gli hanno concesso la misericordia che cercava, liberandolo e distruggendo l’Incudine del Vuoto.» Un coro di soffocate esclamazioni si levò tutt’intorno, alcune ammirate, altre sconcertate. Avrei voluto precisare che l’Incudine era stata distrutta grazie a Oghren, ma lui mi anticipò, riprendendo parola. «Prima di morire, Caridin ha forgiato una corona per il prossimo re di Orzammar, scelto dagli antenati stessi.»

   «Vorrei poter credere alle parole di Oghren», intervenne Harrowmont, palesemente contrariato, «ma è noto che i Custodi Grigi sono alle dipendenze di Bhelen!»

   «Silenzio!» gridò il Siniscalco, non ammettendo altre obiezioni o interruzioni. «Questa corona è stata creata da un Campione, e reca l’antico sigillo della Casata Ortan», annunciò, prendendola dalle mie mani per scrutarla da vicino e confermando così le parole del nostro amico. «Ditemi, Custodi... chi ha scelto Caridin?»

   Il problema era proprio questo: Caridin non aveva scelto nessuno. Tuttavia non potevamo svelare questo particolare o saremmo stati ancora accusati di favoreggiamento nei confronti di Bhelen, e allora magari la situazione non si sarebbe risolta affatto, perché i seguaci di Harrowmont di sicuro non se ne sarebbero stati con le mani in mano ad accettare che i primi stranieri di passaggio decidessero per loro sulla sorte di Orzammar. Più esperta di noi in questo tipo di circostanze, Leliana, ci aveva raccomandato di mettere da parte ogni remora: se la politica era un gioco tanto sporco, in cui tutti mentivano a tutti, una bugia in più detta a fin di bene per sistemare le cose, o per lo meno per provare a farlo, forse avrebbe migliorato la situazione.

   «Caridin ha scelto Bhelen», fummo quindi costretti a dire, fra lo stupore generale.

   Una risata soddisfatta, in parte coperta dalle esultanze della fazione del Principe, risuonò per la sala. «Finalmente questa farsa è finita e io potrò prendere il mio legittimo posto sul trono di mio padre», affermò Bhelen, lanciando un’ultima, trionfante occhiata al suo rivale ed iniziando a scendere giù per la scalinata che lo avrebbe condotto a noi, verso il centro della sala.

   Anche gli altri membri del Concilio lo seguirono, compresi quelli che avevano appoggiato Harrowmont, pronti – o rassegnati – ad obbedire alla volontà del Campione Caridin e quindi a riconoscere Bhelen come loro nuovo sovrano. Si disposero tutti in cerchio, attorno a lui e al Siniscalco, il quale, non appena il Principe si inginocchiò, gli pose la corona sul capo e disse: «Che i ricordi vi giudichino degno, primo tra i signori delle Casate, re di Orzammar.»

   Quest’ultimo si levò in piedi e, pieno di sé e della nuova carica da lui ora ricoperta, si voltò verso il suo ex-avversario politico. «Mi riconoscete come vostro re?»

   «I-io non posso oppormi ad un Campione», fu costretto ad ammettere Harrowmont, mortificato. «Il trono è vostro... Re Bhelen.»

   Soddisfatto, lui prese a muovere qualche passo su e giù nel cerchio che gli altri nobili avevano formato intorno a lui, guardando tutti e nessuno. «Dunque, dunque, dunque…» iniziò poi. Si fermò e alzò un dito verso l’alto. «Come mio primo atto da re, richiedo l’esecuzione di quest’uomo!» ordinò puntando l’indice verso Harrowmont, che ora lo fissava allibito. «Guardie, arrestatelo!»

   «Non vi abbiamo affidato quella corona affinché poteste essere un tiranno!» urlò Alistair, facendo un passo in avanti, quasi come se fosse pronto a scagliarsi contro di lui.

   Bhelen aggrottò la fronte. «Conoscete meglio di chiunque altro la guerra che ci attende, Custode.» Sì, e Alistair conosceva anche meglio di chiunque altro cosa volesse dire avere sul collo il fiato degli scagnozzi di Loghain, che volevano la sua testa per evitare che gli venisse sottratto il trono. «Orzammar non può permettersi di essere divisa. Chiunque insidia il mio regno servirà soltanto la Prole Oscura. Tornerò al mio palazzo per riunire i generali e preparare la nostra forza per la superficie. Vi rivedrò lì, Custodi. Avete la mia gratitudine per tutto ciò che avete fatto.»

   Detto questo, prese a marciare spedito verso l’uscita insieme alle sue guardie del corpo e Vartag Gavorn, lasciandoci in mezzo a quella folla di nobili che ancora sembrava spaesata da quella novità.

 

«Schifoso bastardo», non riuscì a trattenersi Alistair, passandosi un panno sulla testa per asciugarsi i capelli. Eravamo tutti in condizioni disastrose, e Oghren ci aveva gentilmente offerto ospitalità a casa sua, mettendoci a disposizione anche la stanza da bagno – tutto sommato abbastanza pulita, il che stava a significare che lui e Branka dovevano avere per lo meno una domestica che si occupasse di tenere l’ambiente in ordine. Tuttavia, anche se i soffitti erano piuttosto elevati, il resto delle cose era leggermente fuori misura, e Alistair, il più alto e grosso di noi, aveva fatto una fatica immane ad entrare nella tinozza da bagno, facendoci non poco ridere con i suoi commenti idioti, borbottati a voce troppo alta perché noi, dall’altro lato della parete, potessimo ignorarli.

   «Smettetela di pensarci, vi farete soltanto il sangue amaro», cercò di consolarlo Leliana, che ormai stava bene e non riportava quasi più tracce della brutta ferita alla spalla destra. «I giochi di potere sono questi, c’è poco da fare. L’unico modo che avete per difendervi è di fare buon viso a cattivo gioco. Mettete da parte ogni utopia, altrimenti finirete per rimanere deluso.»

  «Vi facevo molto più ottimista nella vostra incrollabile fede nel Creatore», rispose lui, lasciandosi cadere stancamente su un massiccio sedile ricavato dalla roccia. «Ma hanno anche il fondoschiena di pietra?» si domandò, non capacitandosi della scomodità di quella casa.

   «Il mio culo è bello sodo anche grazie a quello, sai?» ribatté Oghren, sorridendo orgoglioso.

   «Sodo e letale.»

   «Si vede che, a differenza di noi nani, sei stato cresciuto attorniato da cose morbide e graziose, come quella che ti porti appresso.»

   «Mi chiamo Nimue», sospirai infastidita, ascoltando la conversazione dal fondo della stanza, dove mi ero messa a cercare nella mia sacca una certa qual cosa.

   «Oh, sì, certo», annuì Alistair, ignorandomi. «Per dieci anni ho dormito in una stalla, rischiando di risvegliarmi con il viso sporco di sterco di cavallo. Quello sì che è morbido, in effetti. Per non parlare delle soffici brande militari su cui all’abbazia ho passato mille notti insonni a spezzarmi la schiena. E, guarda un po’, adesso provo persino piacere a dormire in mezzo alla strada.»

   «Che vita misera», considerò distrattamente Morrigan che, seduta nel vano di una finestra, era intenta a rimirarsi nello specchio che le avevo regalato.

   «Non scambierei la mia per la vostra neanche morto.»

   «Sono stati davvero così duri gli anni passati in abbazia?» s’interessò Leliana.

   «No, che dite? Nominavo il Creatore almeno sei volte a notte.» E vedendo l’espressione scandalizzata del suo volto, Alistair fu costretto ad aggiungere: «Prima che estraiate uno stiletto e mi pugnaliate al cuore inneggiando alla giustizia divina, vi avverto che sto scherzando.» Lei ruotò gli occhi al cielo e scosse il capo. «Ammetto però di non essere mai stato un discepolo modello. Ho perso il conto delle volte in cui mi hanno sbattuto nelle cucine a lucidar pentole.» Fece spallucce. «Ero diventato anche piuttosto bravo.»

   «Per forza, un inetto come te può fare solo quel genere di cose.»

   Finse di non sentire il nuovo affondo di Morrigan e proseguì. «Comunque l’addestramento in sé per sé non era male, anzi. Mi piaceva.» Lo credevo bene, poveretto: era l’unico modo che aveva per scaricare la frustrazione.

   In quel mentre Wynne apparve sulla soglia della stanza, interrompendo quel piccolo momento di relax, e senza rivolgersi a nessuno in particolare, disse: «Bhelen manda a chiamare i Custodi.»

   Abbandonai la mia ricerca e alzai lo sguardo per incrociare quello di Alistair, che era tornato a mettere da parte il sorriso per una smorfia seccata. «Ci tocca», gli ricordai. Lo vidi annuire di malavoglia e si rimise in piedi, pronto ad andare subito al palazzo reale per incontrare quell’uomo sgradevole.

   Oghren volle venire con noi a tutti i costi. Non ne capimmo la ragione, ma lo lasciammo fare, visto quanto ci era già stato d’aiuto. Varcare di nuovo l’ingresso di quel posto adesso ci metteva addosso una sensazione assai sgradevole, e più tentavamo di scacciarla via, più quella si rafforzava. Trovammo Bhelen esattamente dove lo avevamo incontrato la prima volta, con la corona di Caridin sul capo e un sorriso smagliante in volto. Al suo fianco, la serva che Leliana sospettava essere sua amante.

   «Avete ampiamente dimostrato il vostro valore, Custodi», esordì non appena ci vide entrare. Era soddisfatto, eppure la sua felicità non riusciva a rendercelo piacevole neanche un po’. Sperammo vivamente di non esserci sbagliati ad appoggiarlo, e che almeno i nani Senzacasta avrebbero potuto beneficiare delle sue idee politiche. «Senza il vostro aiuto, non avrei conquistato il trono così facilmente e velocemente.»

   «Congratulazioni. Ben fatto», annuì Alistair, in tono convincente. Tuttavia, per me che conoscevo ormai quasi ogni sfumatura del suo carattere, sapevo che in realtà lo stava palesemente prendendo in giro. «Ora, dove sono le nostre truppe?» chiese infatti un attimo dopo, tagliando corto e arrivando al punto più importante di tutti: anche se Bhelen avesse mantenuto la parola riguardo l’abbattimento delle differenze sociali nel suo regno, senza il suo appoggio saremmo stati decisamente in difficoltà contro la minaccia del Flagello, che rischiava di spazzare via tutti, indiscriminatamente.

   «I miei generali si stanno già preparando ad una missione in superficie», ci informò il nuovo re. «Un mio emissario vi seguirà nel vostro viaggio. Quando avrete bisogno di noi mandateci a chiamare tramite lui e avrete ogni nano sano di Orzammar», promise, serio. «Avete fatto più di quanto mi aspettassi», ammise, «perciò vi offrirò anche una ricompensa personale in denaro. Suppongo vi serviranno dei fondi per la vostra causa.» Questo, unito al gruzzoletto che avremmo ricavato al Modellatorio, ci sarebbe sicuramente bastato per molti, molti mesi. E avrebbe anche tenuto Morrigan lontano dal ciglio della strada, a detta di Alistair. «Ora, ho molto da fare», prese a liquidarci Bhelen poco dopo. «Se non c’è nient’altro...»

   «Lo prenderemo come un grazie», mugugnò il mio compagno, contento per lo meno di potersi allontanare da lui.

   «Com’era inteso», confermò il nano. «Ora devo occuparmi degli altri supplicanti. Tornate a farmi visita qualche volta.»

   Ricordo nitidamente che, una volta usciti da lì, ci domandammo seriamente quanto ci avrebbero dato nel qual caso ci fossimo macchiati della colpa di regicidio, laggiù ad Orzammar; ma il fatto che Oghren ci assicurasse che non si facessero sconti per nessuno e che l’unica punizione per noi sarebbe stata la pena capitale, ci costrinse a desistere dal nostro proposito. Oltretutto, purtroppo avevamo bisogno di Re Bhelen, che ci piacesse o meno.

 

«Insomma», cominciò Oghren con un rutto, «alla fine te li sei tolti o no, i pantaloni?»

   Alistair aspettò di vuotare il proprio boccale prima di rispondere: «Meglio ancora: me li ha tolti lei.»

   Lo fissai incredula. «Lei? Di certo non stai parlando di me. Io non faccio certe cose.» Beh, non ancora.

   «Ti pare ch’io possa riferirmi a qualcun’altra? Di sicuro non a Morrigan, puoi metterci la mano sul fuoco. O appiccarti fuoco alla mano, che ti viene anche meglio», ci tenne a sottolineare.

   Incrociai le braccia sul tavolo davanti a me, scrutandolo sospettosa, senza che il caos visivo e sonoro della taverna in cui la gente si era stipata per festeggiare il nuovo re di Orzammar potesse distrarmi. «E, sentiamo, quando mai avrei fatto una cosa del genere?»

   «Brecilian», pronunciò prontamente lui, incurvando la bocca in un mezzo sorriso. «Ricordi quando abbiamo passato la notte insieme e tu mi hai sequestrato le brache?»

   Annuii. «Perché tu minacciavi di andartene a zonzo per la foresta, in mezzo ai lupi mannari», protestai, difendendo a spada tratta la mia reputazione.

   «Beh, ero comunque nudo», disse, sollevando la brocca e riempendomi il bicchiere con quella scura birra nanica che corrodeva le budella. Se non lo avessi conosciuto come le mie tasche, avrei potuto pensare che avesse dato ascolto a un vecchio consiglio di Oghren, cercando di farmi ubriacare per trovare in me una preda facile. «E sei stata tu a spogliarmi.»

   «Mh», gli concessi, osservando attentamente i suoi movimenti. «Io però ti ho tolto solo l’armatura e gli stivali», lo informai. «Al resto ci ha pensato Wynne.»

   Il suo braccio si bloccò a mezz’aria. «Anche i pantaloni?» domandò in un rantolo, impallidendo di colpo.

   «Soprattutto quelli», confermai spietata, allungandomi per riprendere il mio boccale e portarmelo alle labbra, così da nascondere in parte l’espressione del viso.

   «E di che ti lamenti?» volle sapere Oghren da Alistair.

   «Dovrei esserne contento?»

   Il guerriero di Orzammar scrollò le spalle. «Gallina vecchia fa buon brodo», affermò, facendomi sputacchiare parte della mia birra a causa delle risate. Il mio Principe lo guardò sconvolto, ma lui non si perse d’animo. «E comunque, scusa tanto ragazzo, ma hai un harem tutto per te: una mora, una rossa e una bionda. Fossi al posto tuo ne approfitterei tutte le notti. E anche tutte le mattine. Ma sì, una botta anche al pomeriggio e siamo tutti contenti», aggiunse poi fra sé e sé, ricominciando a bere e immaginandosi la scena davanti agli occhi.

   «Preferisco concentrarmi solo sulla bionda, grazie», replicò invece Alistair posando finalmente la brocca sul tavolo e portandosi pollice e indice sulle palpebre chiuse per scacciare quella stessa visione dalla mente.

   «Chi diavolo sarebbe la bionda?» mi inalberai io a quel punto, fissandolo torva.

   Lui levò il capo nella mia direzione e inarcò un sopracciglio. «Tu?» chiese con fare ovvio.

   Aggrottai la fronte, contrariata. «Io non sono bionda.»

   Alistair si mise una mano davanti alla bocca, rimanendo immobile a osservare il colore dei miei capelli. «Io sono biondo?» domandò allora.

   «Circa.»

   «Che risposta sarebbe?» non si capacitò, senza rendersi conto che ero già abbastanza sbronza da iniziare a sragionare – ma non troppo da perdere la lucidità.

   «Credo di sì», dissi, spazientita. «Che cavolo ne so!»

   «Se lo sono io, lo sei anche tu.»

   «No, i miei capelli sono castani!»

   «Troppo chiari per esserlo.»

   «Troppo scuri per essere biondi.»

   «Quel che contano davvero sono i peli che avete più sotto», fu l’osceno commento di Oghren che mise a tacere il nostro battibecco. In un’altra occasione sarei morta di vergogna, ma in quel momento non riuscii a fare a meno di scoppiare di nuovo a ridere. Mi succede sempre quando eccedo con l’alcol. Soddisfatto dalla mia reazione, il nostro nuovo amico sgomitò Alistair. «È abbastanza strafatta. Prendila e portatela via. Tieni, queste sono le chiavi di casa», e dicendolo gliele mise in mano.

   Il più giovane rimase a fissarle con fare interdetto. «State scherzando, vero?»

   «Fila, prima che ne approfitti io», lo prese in giro l’altro, riattaccandosi alla bottiglia.

   Ma Alistair rimase immobile dov’era. Lo tirai per la manica della camicia – poiché dopo tanto tempo aveva potuto finalmente togliersi di dosso l’armatura – e lo costrinsi a piegarsi verso di me. «Usciamo», gli sussurrai all’orecchio. Mi lanciò uno sguardo sorpreso, a metà fra l’allarmato e il contento. Infine, dopo un’ultima occhiata a Oghren, che ci fece un cenno di saluto con una mano, mi afferrò per il polso e mi trascinò via.

 

Con Leliana che si era votata ad aiutare Fratello Burkel nel suo proposito di aprire una chiesa laggiù, Wynne che consolava la povera Filda, e Morrigan a spasso chissà dove, non avevamo motivo di preoccuparci di nessuno. Alistair quasi sfondò il portone d’ingresso dell’edificio nel quale anche Oghren e sua moglie un tempo avevano fatto il loro nido d’amore. Avvinghiata al suo collo con le braccia, il mio compagno mi sollevò da terra con entrambe le mani, stanco di camminare incurvato per colpa della mia bassa statura, e io gli circondai la vita con le gambe, mentre lui con un piede richiudeva rumorosamente l’uscio e la sua bocca sembrava divorare la mia.

   Trovare la camera da letto in quelle condizioni non fu semplice. E fu ancora più drammatico constatare che il talamo era spaventosamente corto per noi. Cioè, per Alistair, perché bene o male io potevo anche starci, seppur a stento. La cosa ci fece dapprima ridere, poi imprecare. Infine, ci arrangiammo in qualche modo, troppa l’urgenza del momento. Mi sentivo in estasi, trasportata com’ero dalla passione che quei baci e quelle carezze accendevano e fomentavano in me continuamente. Era come se un fuoco fosse avvampato indisturbato nel mio ventre e mi investisse tutta. Avvertivo il respiro di Alistair sul viso, sulle labbra, sul collo, sulla scollatura dell’abito; le sue mani vagavano fra le pieghe della mia gonna; sentivo ormai nitidamente il suo corpo contro il mio, senza più che nessuna, maledetta corazza ci impedisse quel contatto tanto intimo. Inarcai la schiena per potermi appiattire meglio contro di lui, preda di quelle sensazioni che provavo solo ora per la prima volta in vita mia e che mi stavano lentamente facendo abbandonare del tutto la ragione. Eravamo impazienti, innamorati, decisi a lasciarci guidare soltanto dall’istinto e dai fumi dell’alcol.

   Ma poi l’incanto fu spezzato. La porta si spalancò, noi sussultammo e ci girammo appena in tempo per assistere a uno dei più fragorosi rumori che Oghren potesse espellere dalla propria gola. Ci guardò con occhi assenti, ci additò con l’indice e il medio della mano destra, la sinistra stretta attorno al collo di una fiasca, e ruttò ancora. Infine, barcollò sulle piante dei piedi e ricadde pesantemente all’indietro, in un preoccupante fracasso, steso sul pavimento come se fosse morto, la bottiglia che rotolava lontano.

   Per un attimo il mio compagno e io trattenemmo il fiato. Alistair mi baciò la fronte un’ultima volta, rimettendosi pigramente in piedi per andare ad accertarsi delle condizioni di quel nano ubriacone che tanto ci stava a cuore.

   «Oghren?» chiamò, mentre io mi mettevo a sedere, tornando a stringere i lacci del corpetto che quel poverino non era neanche riuscito ad allentare del tutto. Il padrone di casa non si mosse né emise altri suoni. Alistair provò a scuoterlo con la punta dello stivale, e finalmente lo sentì grugnire. Sospirò. «Appena si riprende, lo ammazzo», promise.

   Scoppiai a ridere per l’ennesima volta, tornando a giacere supina sul materasso, delusa di non poter continuare la nostra danza d’amore, ma consolandomi al pensiero che, rimandandola ad un secondo momento, e possibilmente senza alcol in corpo, avremmo potuto vivere quell’istante con maggiore lucidità. Ed ero più che sicura che anche Alistair la pensasse allo stesso modo – ragion per cui, in barba ai suoi propositi, Oghren sopravvisse ancora a lungo.








Link all'illustrazione originale: http://lilithblack.deviantart.com/art/Alistair-e-Nimue-tentativo-n-1-184571864











Come avrete notato, ho modificato l'introduzione alla fanfic. A voler essere onesta, dovevo aggiungere solo i ringraziamenti, ma poi, da brava mentecatta, ho commesso l'errore di aggiungere un "<" a mo' di cuoricino "<3" e ho cancellato tutto il resto. XD Ho cercato di riparare come potevo, tanto quel che avevo scritto dopo la citazione alla storia non era poi così importante. A parte precisare che Nimue NON è una Mary Sue. Almeno spero. ^^;
Al momento, comunque, sono in brodo di giuggiole. Ma di brutto.
Per chi non lo avesse già fatto, può capirne il motivo dando uno sguardo ai capitoli due e cinque di questa long, dove ho aggiunto, col suo consenso, le illustrazioni di Milly Miu Miu/Lilithblack. Adoro questa donna. Ha anche realizzato un comic sulla scena finale del capitolo dodici, quella in cui Alistair dichiara i propri sentimenti a quell'ebete di Nimue. ~♥
http://lilithblack.deviantart.com/art/Dichiarazione-pag-1-181714933
http://lilithblack.deviantart.com/art/Dichiarazione-pag-2-181715015
http://lilithblack.deviantart.com/art/Dichiarazione-pag-3-181715144
http://lilithblack.deviantart.com/art/Dichiarazione-pag-4-Fine-181715210
DonnaAnna di DeviantArt (http://donnaanna.deviantart.com) ci sta gentilmente aiutando con le traduzioni, così che anche chi non parla italiano potrà essere in grado di capire. In tutto ciò, io mi sento miseramente in colpa perché non so come diamine ricambiare tanta generosità. Se qualcuno ha qualche idea, che me lo dica, per favore! >_<
Passo a rispondere alle recensioni, visto che l'ultima volta non sono riuscita a farlo a causa della montagna di roba che avevo già da scrivere.
Evertine - Sì, devi sapere che Nimue soffre di gelosia cronica. Lo sta scoprendo solo adesso, ovviamente, e la cosa non è che le faccia troppo onore. Direi che ne hai già avuto un assaggio su DeviantArt, su quell'orrendo comic in cui diventa un Abominio. XP
The Mad Hatter - Oh, sì, per Hespit alla fine è dispiaciuto anche a me. In realtà anch'io stimo Caridin per aver compreso i suoi sbagli, ed è anche per questa ragione che ho fatto sì che Nimue lo appoggiasse. Ma ciò non toglie che il solo fatto di essere stato capace di creare quello strumento di morte basta a catalogarlo come matto.
ENS - Awww, grazie! In realtà so già che cambierai opinione con il prossimo aggiornamento, dove non succede praticamente NIENTE! XD Ma un capitolo di transizione ogni tanto ci vuole, abbiate pazienza. :P
ashar - Ma sai che rileggendo velocemente i vecchi capitoli mi sono quasi stranita io stessa nel vedere l'inconscia evoluzione del personaggio di Nimue? Parte come una ragazza ansiosa, vigliacca e insicura che si appoggia alle decisioni dei suoi compagni, e ora me la ritrovo a bacchettare questo e quello senza troppi complimenti. Mi diventerà una tiranna. XD
HikariShadow - Eh, alla fine non è stata Nimue a fare a pezzi Branka. Cioé, lei ha contribuito, ma a conti fatti è stata Morrigan a prendersene i meriti. E va beh, fa parte del lavoro di squadra. :D
Atlantislux - Tesoro, bentornata fra i commentatori! :D Sono contenta di sapere che, pur non conoscendo il fandom e non interessandoti più di tanto il genere fantasy, tu riesca a trovare un certo diletto in questa storia. C'è però da dire che parte del merito è anche tuo, e pertanto vale la stessa cosa che ho detto poc'anzi: gioco di squadra. ^^ E infatti la battuta di Alistair che vuol mandare Morrigan a passeggiare sul ciglio della strada, non è forse tua? XD
Shadow Eyes - Mia deliziosa fanciullina, credi davvero che io non debba ringraziarti, per di più pubblicamente, per l'affetto che hai per Nimue? Illusa. :D E ti ringrazio di nuovo (Tiè!) anche per l'altro disegno che mi hai passato l'altro giorno, quello con Tisifone, Nimue, Sho e Shane: ribadisco che è adorabile! ♥ A parte questo, anch'io mi ero fatta di Branka la stessa, identica opinione di donna forte, indomita, coraggiosa, giusta. E poi? Bleah. L'ho fatta fuori volentieri, Oghren non meritava di soffrire per colpa sua.
The Wall - Oh, grazie! *_* Sai, per Sten mi è dispiaciuto un po', dopotutto, come dice anche Morrigan, lo avrei liberato anche solo per pietà (senza però mettere Alistair in gabbia al posto suo. XD), ma siccome sono deficiente, ho cannato il modo in cui avrei dovuto convincere la Reverenda Madre a lasciarlo andare. :D Comunque, se vuoi farti due risate, guarda qui il vero motivo per cui Nimue non lo ha liberato: http://lilithblack.deviantart.com/art/Nimue-Surana-un-elfa-bassa2-181257130
In più mando un saluto e un ringraziamento generale a tutti i lettori anonimi e a: BgmnhOO, Cass, CookieandDeadlySins, Erecose (Che per questo capitolo mi ha aiutato TANTISSIMO!), Hanako_chan, kelyseh (Mia cara, ma dove sei finita? D: ), Laiquendi, lames76, Lara, Layra Luin Isil, liriel, NicoDevil, Salice, slan, Slepless, Sotorei, The Warden Archivist.
E credo di aver finito... è_é; Ovviamente se dimentico qualcuno, fatemelo notare con una frustata. Almeno così sarò sicura di ricordarmi sempre di lui/lei. XD
Buona domenica a tutti,
Shainareth
P.S. Il gioco di ruolo è ancora in fase di creazione, ma siamo ad un ottimo punto. Finora abbiamo arruolato cinque o sei accoliti, e sembrano tutti piuttosto soddisfatti del background che io e Lara abbiamo creato. Qualcun altro vuole aggiungersi? :D





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Capitolo 29
*** Svolte ***







CAPITOLO VENTINOVESIMO - SVOLTE




La luce del sole ci ferì gli occhi. Era debole a causa dell’inverno, eppure il tepore che mi accarezzò la pelle fu qualcosa di indescrivibile, come piacevole era la sensazione di sentirlo fin dentro le ossa. Le settimane passate nel regno dei nani ci avevano disabituati a tale prodigio, e ci sentimmo di colpo tutti più allegri, come se non avessimo mai visto gli orrori delle Vie Profonde, come se l’Arcidemone fosse stato solo un brutto sogno. E invece era reale, non dovevamo dimenticarlo. Come pure non dovevamo dimenticare che fra noi c’era una persona che al mondo di superficie non era affatto abituata.
   Oghren sospirò. «Datemi un momento», mormorò. Alla fine aveva deciso di sposare la nostra causa, seguendoci nel nostro disperato viaggio perché, rimasto vedovo e non visto propriamente bene da tutti laggiù a causa del suo caratteraccio, sosteneva di non avere più nulla che lo legasse realmente a Orzammar. Senza contare che ci eravamo ormai affezionati l’uno agli altri e, nonostante tutti i nostri avvertimenti circa il Flagello, egli aveva insistito per venire via con noi. In effetti da un punto di vista legale non aveva più nulla da temere grazie ai progetti del nuovo re, intenzionato ad abbattere le differenze sociali che dividevano i nani e a cambiare radicalmente punto di vista nei confronti di ciò che c’è al di fuori dei loro thaig.
   «Tutto bene?» domandai, preoccupata.
   Oghren si voltò a guardarmi irritato. «Certo che va tutto bene!» abbaiò, orgoglioso. «Ho solo bisogno di un dannato momento.» Alzò gli occhi, stranito. «Per la Pietra, mi sento quasi come se dovessi essere catapultato fuori dal mondo, con tutto quel cielo lassù.» Che fosse davvero la prima volta che lo vedeva?
   «Allora prendetevi pure tutto il tempo che vi serve», lo rassicurò Alistair, col quale ormai aveva instaurato una sorta di stramba amicizia. Sicuramente una di quelle cose da uomini che io fatico tutt’oggi a comprendere, ma che continua a farmi sorridere. «Abbiamo bisogno che voi siate pronto a combattere.»
   Il nano sogghignò. «Se dovessi combattere in una gara di bevute, vincerei prima ancora di cominciare.» Si diede un’occhiata intorno, dove i mercanti avevano continuato a portare avanti i loro affari del tutto indisturbati, incuranti di tutto ciò che avevamo invece passato noi di sotto. Oghren sospirò di nuovo, stringendo le labbra con fermezza, mentre le lunghe trecce dei suoi baffi tremavano appena per lo sforzo. «Va bene, basta così. Andiamo», stabilì. «Se aspettiamo ancora rischieremo di perderci la… come si chiama? Luce del giorno.»
   Mi avviai quindi insieme a lui per attraversare la piazza antistante l’ingresso per Orzammar, sentendomi lieta e serena dopo tanto tempo. I miei occhi erano come irretiti da qualunque cosa si muovesse nei dintorni, compresa la bianca condensa dei nostri respiri. Gli uccelli in volo, gli odori, i rumori… amavo il mondo. Particolarmente quello di superficie. Da che avevamo percorso quella stessa strada, prima di rimanere nel sottosuolo per tutto quel tempo, lo spessore della neve ai lati del sentiero principale mi sembrava aumentato. Mi strinsi nel mantello di lana, più per suggestione che per altro, fino a farlo aderire completamente al mio corpo.
   «Perché state sorridendo in quel modo?» La voce di Alistair mi distrasse dai miei pensieri, ma non dallo splendido paesaggio. «Sembrate sospettosa come il gatto che ha mangiato il piccione.»
   «Canarino», rispose Wynne.
   «Cosa?»
   «Sembro come il gatto che ha mangiato il canarino.»
   «Beh, io avevo un gatto molto grosso», replicò il giovane, «ma non è questo il punto. Il punto è: perché state sorridendo in quel modo compiaciuto?»
   La risata sommessa della mia anziana maestra risuonò quasi morbida, contribuendo a farmi rilassare ulteriormente. «La stavate fissando. Con grande interesse, aggiungerei. Come se foste... rapito.»
   «È il nostro capo. La guardo per trarne un esempio da seguire.»
   Oh. Parlavano di me? Tesi meglio le orecchie, iniziando a irrigidirmi: conoscevo Wynne, anche troppo bene.
   «Oh, vedo. E quale esempio avete trovato in quelle anche ondeggianti, mh?» Appunto.
   «No, no, no», si affrettò a negare il nostro Principe. Non mi serviva voltarmi nella loro direzione per capire di che colore fosse diventato. «Non stavo guardando... sapete, il suo... fondoschiena.»
   «Certamente.»
   «Stavo fissando... guardando, in quella direzione, forse, ma non stavo fissando... o realmente vedendo qualcosa.»
   «Sicuro.»
   Alistair sospirò. Così forte che parve quasi ringhiare. «Vi odio. Ve l’ho già detto una volta: siete una persona cattiva», concluse, facendo ridere tutti, compresa me, che però a differenza degli altri mi fermai e mi girai verso di lui, tendendo un braccio e puntando un dito all’orizzonte. «Che c’è?» mi chiese con fare impacciato. Era arrossito esattamente come avevo previsto.
   «Fila davanti a tutti. Così almeno potrò tenerti d’occhio.» Lo sentii grugnire qualcosa, ma trovandosi in torto evitò di controbattere e obbedì. Anche perché, dopo quanto era accaduto a casa di Oghren, era meglio che stesse zitto: mi vergognavo ancora da morire. Non per la cosa in sé, visto che ormai avevo deciso di concedermi a lui, quanto perché mi ero mostrata tremendamente sfacciata: avevo invitato un uomo a giacere con me, e per di più davanti ad una terza persona. Non potendo prendermela con qualcuno che non fossi io stessa, fu Alistair a pagarla, reo di avermi riempito il bicchiere di birra una volta di troppo. Forse due. Di positivo, in tutto ciò, c’era perlomeno che Oghren non ricordava un beneamato nulla, e quando lo avevo scoperto mi ero ritrovata a ringraziare la Pietra.
   «È un modo per scambiarvi le parti?» volle sapere Leliana, divertita, facendo cenno con la testa in direzione dell’altro Custode. E notando che faticavo a seguire il suo ragionamento, spiegò: «Beh, almeno adesso potete essere voi ad ammirare il suo fond…»
   «Oh, la miseria, non dirlo!» la fermò Morrigan, portandosi le mani alle orecchie e lasciando aprire il mantello sul davanti, così da mostrare i suoi soliti abiti succinti. Come facesse a non avere freddo non ne ho la più pallida idea. «Non farmi immaginare roba tanto disgustosa, per favore!»
   Il bardo sorrise, deliziata. «D’accordo», l’accontentò, continuando ad osservarla di sottecchi. «Voi siete bellissima, Morrigan», affermò poi, tutt’a un tratto.
   «Dimmi qualcosa che non so.»
   «Ma siete sempre vestita con quei cenci», ebbe di che lamentarsi Leliana, guadagnandosi due iridi glaciali su di sé. Non vi fece caso e proseguì. «Vi stanno bene», ammise. «Un piccolo strappo lì, uno squarcio qui per mostrare più pelle… Sì, capisco.»
   «Capisci che sono cresciuta in una foresta, spero», ribatté la figlia di Flemeth.
   «Magari un giorno riusciremo a procurarvi un bel vestito», continuava frattanto l’altra, ormai persa fra i suoi pensieri. «Di seta. No, forse di velluto. Il velluto è più pesante e protegge meglio dal freddo del Ferelden. Un velluto rosso scuro, sì. Con bordure dorate.»
   Leliana veniva da Orlais, dove la moda e lo sfarzo vanno a braccetto; non c’era quindi da stupirsi che fosse tanto affascinata da quel genere di frivolezze di cui, invece, molte donne del nostro regno si curano poco – o comunque mai allo stesso livello delle Orlesiane. Benché non mi interessassi troppo di quel tipo di cose, vederla tanto entusiasta mi piaceva, e le sue chiacchiere mi riempivano il cuore. E di certo era meglio questo che sorbirsi tutte le prediche sul Creatore con cui ci esasperava di tanto in tanto, in risposta alle divergenze d’opinione con Morrigan.
   «Ovviamente potrebbe essere tagliato in profondità sul davanti», seguitava a ragionare con aria piuttosto sognante. «Di certo non vogliamo coprire le vostre grazie.»
   «Smettila di fissarmi i seni in quel modo!» sbottò la Strega delle Selve, coprendosi immediatamente col mantello. «È a dir poco inquietante!»
   «Lo pensate davvero?» Ma Leliana non pareva affatto dispiaciuta per averle recato fastidio. «E se il vostro abito fosse tagliato in profondità sul davanti», riprese indomita, «potremmo appuntarvi i capelli in alto per far risaltare quell’adorabile collo.»
   «Tu sei malata», le rispose Morrigan, seria. «Piuttosto preferirei farmi vestire da Alistair», affermò, affrettando il passo per raggiungerlo. Doveva essere tremendamente sconvolta, a ben guardare.
   «Sarà divertente, lo prometto!» esclamò Leliana, tallonandola da vicino. «Vi procureremo anche delle scarpe! Ah, scarpe! Dovremmo fare compere insieme!»
   Le vidi azzuffarsi per un pezzo, l’una che quasi si aggrappava al petto dell’altra, che, cercando tregua, a sua volta sembrava sul punto di saltare in braccio ad Alistair. Che la scacciava a pedate. «Tutto questo sta prendendo una strana piega», commentai interdetta, mentre Wynne rideva con fare piuttosto divertito. E quando vidi che Morrigan era riuscita davvero ad afferrare il mio uomo per un gomito per metterlo fra lei e Leliana, e sentii Oghren sghignazzare la parola sandwich, scattai al loro inseguimento, giurando a voce ben alta che se non si fossero scollate entrambe da Alistair, le avrei ridotte in cenere. Come minimo.
   Era indubbio che le tormentate settimane trascorse nelle Vie Profonde ci avessero uniti ancora di più. In fin dei conti, non era stata un’esperienza del tutto negativa.

Non appena lo riabbracciai, Merlino non volle saperne di staccarsi da me per tutto il resto del giorno. Cenai col suo muso e una sua zampa sul grembo, rendendomi impacciata nei movimenti più di quanto già non fossi di mio. Ma anch’io ero troppo contenta di rivederlo, per cui mi assoggettai volentieri ai suoi affettuosi capricci, regalandogli spesso delle carezze dietro le orecchie.
   All’accampamento tutto era filato bene. Bodahn Feddic ci raccontò che durante la nostra lunga assenza gli affari da quelle parti erano andati a gonfie vele, e anche che Caron, l’emissario dei Dalish che ci seguiva, aveva finalmente deciso di rivolgere la parola al povero Pether, l’emissario dei maghi del Circolo. A loro, comunque, adesso si era aggiunto anche quello dei nani, il barbuto Fellhammer.
   «Voi elfi siete davvero orgogliosi, quasi quanto noi nani», mi disse con un sorriso compiaciuto.
   Stesi le labbra con fare pensieroso: forse dovevo fargli notare che, per esperienza diretta, noi elfi sapevamo trovare negli umani molte qualità. Evitai di far cenno a quelle che Alistair mi aveva in parte fatto scoprire a casa di Oghren e risposi: «A dire il vero non tutti lo sono. Questa è principalmente una caratteristica dei Dalish, mentre per noi elfi di città le cose stanno diversamente.»
   «Ecco perché voi andate tanto d’accordo con i vostri compagni», annuì Bodahn. «E vedo che non avete neanche problemi con i nani», continuò, facendo cenno verso Oghren, che non troppo distante da noi si era messo a importunare Wynne non appena aveva scoperto che anche lei aveva un debole per birra, vino e liquori – con la differenza che non ne abusava affatto.
   «Avevate dubbi?» ribattei con un sorriso, passando una carezza fra i riccioli biondi di Sandal, seduto accanto a noi. «Ora però vogliate scusarmi, sono piuttosto stanca. Penso che andrò a dormire.» Feci per alzarmi, e Merlino subito si mosse, lasciandomi libera ma continuando a braccarmi da vicino.
   Dopo aver dato una fugace buonanotte a tutti, esitai un attimo di più su Alistair che colse immediatamente il mio sguardo e, cercando di non attirare troppo l’attenzione degli altri, mi seguì, riuscendo a convincere il mio cane a rimanersene a fare buona guardia fuori dalla tenda.
   «Tieni», gli dissi, lanciando un piccolo fagotto ai suoi piedi quando si affacciò all’ingresso, lasciando entrare il fresco della sera. Mi guardò con aria perplessa e allora spiegai: «Visto quanto ti eri ingelosito di Morrigan, ho fatto un regalo anche a te.»
   Lo vidi arrossire alla luce del mio bastone. «Non mi ero affatto ingelosito», ci tenne a precisare, la fronte aggrottata.
   Sorrisi, dispettosa. «Se non lo vuoi, me lo riprendo.»
   «Chi ha detto che non lo voglio?» rispose lui, avanzando e chinandosi per raccogliere l’involucro di stoffa. Si accovacciò a terra e iniziò ad aprirlo. «Era questo che cercavi l’altro giorno nella tua sacca?»
   «Te ne eri accorto?»
   «Non mi sfugge mai niente di te.»
   Quelle parole meritarono un premio, e io smisi di tenergli il broncio per quanto accaduto a Orzammar. Mi avvicinai alle sue spalle e gli circondai il collo con le braccia. «In realtà è una sciocchezza», dissi quando finalmente comparve fra le sue mani una pietra runica nera.
   Lui la prese fra le dita, in modo da poterla vedere meglio alla fioca luce magica. «Eppure ti sei ricordata che adoro questo genere di cose… Grazie davvero, è molto bella», commentò con voce allegra. Già al Circolo dei Magi, poco prima che prendessimo la strada del ritorno per Redcliffe, aveva espresso forte curiosità per quel tipo di pietre, al punto che il Primo Incantatore gliene aveva fatta avere una di colore chiaro.
   «Morrigan può dire quello che vuole, ma non sei affatto stupido, né tantomeno ignorante», lo consolai. E dopotutto non era affatto lontano dalla realtà, ciò che dicevo, perché in più di un’occasione Alistair aveva dimostrato di essere piuttosto ferrato in diversi campi. Lui stesso, durante una delle sue rispostacce alla figlia di Flemeth a seguito di uno dei loro tanti battibecchi, aveva ammesso che all’abbazia aveva coltivato molto gli studi, oltre che l’esercizio fisico. «E così…» iniziai dopo qualche attimo, col chiaro intento di prenderlo in giro. «Ti piaceva l’addestramento da templare.»
   Lo sentii sogghignare, intuite le mie intenzioni, mentre continuava a rimirare il mio regalo. «Solo quello, giuro», mi rassicurò. Sospirò, abbassando la mano e riavvolgendo la pietra nella stoffa per evitare che si rovinasse. «Certo, adesso mi è d’aiuto, ma onestamente ne avrei fatto volentieri a meno, se avessi saputo a cosa mi avrebbe portato.»
   «A me?» chiesi. «Non ho paura dei tuoi poteri, e se anche ne avessi, non mi faresti mai del male.»
   «A te neanche morto», annuì Alistair, convinto. «A Morrigan forse…» continuò, fissando un punto lontano, come se stesse realmente accarezzando quell’ipotesi. Scosse il capo per scacciare quel pensiero. «Non ora però, può tornarci utile.»
   «Parli come lei.»
   «Come te», mise in chiaro. «Sei stata tu a convincermi che la sua presenza al nostro fianco poteva rivelarsi necessaria per questo motivo. Sperando solo che nel frattempo non diventi un Abominio, viste le idee balzane che le frullano per la testa. Siete… amiche, ormai. Più o meno.» Il modo in cui pronunciò le ultime frasi mi mise quasi in allarme.
   «C’è qualcosa che non va?»
   Scosse le spalle. «Solo uno spiacevole ricordo, e gradirei che non si ripetesse.» Prese a giocherellare con un lembo della stoffa del fagotto. «Il motivo per cui odiavo l’idea di dover diventare un templare.»
   All’improvviso mi sovvenne alla mente il racconto che Wynne mi aveva fatto al castello dell’Arle, poco dopo il mio ritorno dall’Oblio, in cui mi ero recata per aiutare Connor. «Perdonami, avevo dimenticato quel particolare», mormorai, allentando l’abbraccio e lasciandolo andare.
   Alistair si volse nella mia direzione, sbirciando il mio viso con fare preoccupato. «A dire il vero…» Si bloccò per riprendere fiato. «A dire il vero adesso c’è un’altra ragione che mi… tormenta. E scusa il gioco di parole, non è voluto.»
   «Di che si tratta?»
   Chinò lo sguardo. «Ho… il terrore di scoprire una cosa.»
   «Alistair?» lo chiamai gentilmente, invitandolo a continuare quando si zittì di nuovo.
   Annuì, facendosi coraggio e tornando ad alzare gli occhi su di me. «Ho il terrore di scoprire se conoscevi o meno quella ragazza.»
   Fu solo allora che realizzai quanto ero stata stupida a non averci pensato prima: per assistere ad un Tormento, seppur in qualità di apprendista templare, Alistair aveva dovuto necessariamente recarsi alla Torre del Circolo. La mia Torre del Circolo. E, come temeva lui, c’era davvero la possibilità che io avessi avuto un qualche tipo di rapporto con la ragazza che quel giorno aveva perso la vita a causa di un demone. In fin dei conti, Kinloch Hold è quasi come un villaggio, seppur strutturato in modo bizzarro, i cui abitanti bene o male si conoscono tutti almeno di vista.
   «Sai mica come si chiamava?» gli domandai piano.
   Esitò per qualche istante. Infine, pronunciò un nome, che in quel momento parve rimbombare nel silenzio intorno a noi come se fosse stato urlato. Mi morsi un labbro, mentre cercavo di impedire a tutti i costi di lasciarmi vincere dalle emozioni. Non ero brava a mentire, purtroppo, e lui lo capì subito. «Sii onesta, per favore», mi implorò con voce che tradiva l’ansia e la paura che qualcosa potesse incrinarsi fra noi a causa di quanto era accaduto prima ancora che le nostre strade si incrociassero.
   Era giusto, glielo dovevo, benché non avessi affatto voglia di spezzargli il cuore. «Insieme a Jowan», iniziai allora, «Winifred era la mia amica più cara», confessai.
   Lessi dolore sul suo volto, talmente sentito che sembrava quasi che stessimo parlando di una cosa avvenuta appena il mese scorso. «Io… Mi dispiace», riuscì a dire a fatica, mentre tornava ad abbassare gli occhi, ormai lucidi di pianto. Era straziante quella maledetta verità, eppure ciò che mi fece più male in quel momento fu proprio vederlo in quelle condizioni. «So che forse ciò che ti dirò potrà sembrare un modo per… non so, forse per attenuare le mie colpe, ma… quando accadde ne fui sconvolto.» Potevo ben immaginarlo dalla reazione che stava avendo adesso, poveretto. Quasi tremava. «Tanto che, appena mi fu possibile, io scappai…»
   «…in chiesa», completai per lui.
   Alzò lo sguardo, vagamente confuso. «Come lo sai?»
   «C’ero. Ti ho visto», gli spiegai, cercando di mantenere almeno io un tono fermo. «Ero lì con Jowan.» Alistair rimase a fissarmi, incapace di spiccicare parola. «Non ti ho riconosciuto, ad Ostagar, perché in chiesa mi voltavi le spalle.»
   Tirò su col naso, stringendo convulsamente la stoffa che aveva ancora fra le dita. «Potrai… Potrai mai perdonarmi per ciò che ho fatto?»
   Mi venne da piangere, ma sorrisi. E non certo per ipocrisia o nel tentativo di consolarlo. Mi allungai verso di lui per prendergli il viso fra le mani e guardarlo dritto negli occhi. «Perdonarti cosa? L’aver salvato la mia migliore amica dalla dannazione? L’aver salvato il Primo Incantatore, Wynne e tutti gli altri? L’aver salvato me?» Quel che stavo dicendo non era affatto un’esagerazione: i maghi che non superano il Tormento rischiano di divenire un passaggio che collega i demoni dell’Oblio al nostro mondo. Se quel giorno i templari non avessero ucciso Winifred, con tutta probabilità la Torre del Circolo si sarebbe trasformata in ciò che era diventata qualche tempo dopo, a causa di quel folle di Uldred. Scossi il capo, guardando Alistair con tutto l’amore che ero capace di provare nei suoi confronti: il giovane che quel triste, lontano giorno era entrato nella cappella di Kinloch Hold imprecando e piangendo, per poi gettarsi in ginocchio ai piedi della statua di Andraste implorando pietà per le sue colpe, era rimasto nel mio cuore. Avevo avvertito la sua sofferenza forse più della mia. Era sincera, reale. Era stato allora che avevo compreso quanto fosse difficile la vita per noi, maghi o templari che fossimo. «Non angustiarti più. Non ce n’è bisogno. Hai fatto quel che dovevi. Sei un eroe.»
   Se fu spinto dalla gratitudine per la mia comprensione, dal dolore di quella scoperta o dai sentimenti che aveva per me, non saprei dirlo, ma sospetto che fosse per via di tutte queste emozioni nel loro insieme, troppo forti per essere ancora trattenute dentro di lui. Alistair mi sfiorò la nuca con una mano e cercò le mie labbra con le sue. Non tardai a restituirgli il bacio, pur consapevole del fatto che, se Jowan avesse saputo, forse mi avrebbe accusata di tradire la memoria della nostra amica. Per Winifred, tuttavia, ormai non potevo fare più nulla; per Alistair sì. E non meritava forse anche lui un minimo di consolazione? Non si era forse dannato fin troppo per essere stato costretto a fare qualcosa che reputava di una crudeltà inaudita?

Quella notte facemmo l’amore. Fu dolce, appagante, molto più coinvolgente di quanto avessi potuto sperare, benché confesso che agli occhi degli altri sarebbe potuta apparire come la prestazione più disastrosa che il Thedas ricordi a tutt’oggi. Passammo infatti metà del tempo a piangere come bambini e l’altra metà a ridere per le battute idiote che il mio compagno snocciolava nella speranza di farmi rilassare. In realtà lui era più teso di me, e talmente preso dalla passione che non riuscì a scivolar via dal mio ventre in tempo. Non era un problema, gli dissi, poiché era assai improbabile, se non impossibile, che potessimo concepire un figlio insieme. Ma Alistair non era tranquillo in genere, temendo di essere riuscito a farmi unicamente male o, peggio, di avermi forzata in qualche modo. Quasi come se avesse avuto paura di un mio ripensamento, che io potessi sospettare che si fosse approfittato della situazione.
   «Se non avessi voluto, te lo avrei detto», lo rassicurai, intenerita. Parve credermi, e si concesse finalmente di rasserenarsi, abbandonandosi supino accanto a me. «E comunque la prossima volta andrà anche meglio», promisi con convinzione, «perché sapremo già come fare. Ci riproveremo ancora e ancora, e sarà sempre più bello.»
   «Mi chiedo se lo dirai anche quando ti benderò e ti legherò da qualche parte a testa in giù.» Mi girai sul fianco e gli diedi un buffetto sulla bocca, lieta però di sentirlo di nuovo ridere. Mi passò un braccio attorno al collo per attirarmi a sé e io mi appoggiai contro di lui, crogiolandomi nel tepore del suo corpo nudo. «Secondo la Chiesa, adesso dovrei essere colpito da un fulmine, sai?»
   «Davvero?»
   «Sì. All’abbazia ci dicevano continuamente che il sesso era peccato mortale e che dovevamo tenercene alla larga o il Creatore ci avrebbe puniti», mi raccontò. «Che balla assurda… Se è questo il modo in cui il Creatore ha voluto che ci accoppiassimo, perché mai dopo vorrebbe punirci per averlo fatto?» non si capacitò. «E comunque c’è una grossa falla nella loro storiella: se davvero dovevamo tenercene alla larga, almeno noi templari, perché minacciarci di essere colpiti dopo essercela spassata e non prima? Non ha senso.» Risi e lui mi baciò il capo. «Cosa diremo agli altri?»
   Aggrottai le sopracciglia. «Hai intenzione di informarli?»
   «Neanche morto», mise subito in chiaro. «Ma sicuramente ne parleranno. Lo fanno sempre. Figurati se gli sarà sfuggito il fatto che io mi sia fermato nella tua tenda per tanto tempo. E al buio.»
   «Se si azzarderanno ad aprire bocca», cominciai allora, imbarazzata alla sola idea che accadesse, «li darò in pasto alla Prole Oscura.»
   «È per questo che ti amo», sghignazzò, baciandomi ancora con trasporto. «Cosa… Cosa faremo ora?» mi domandò poi all’improvviso. «Noi due, intendo.»
   «Resteremo insieme, che altro se no?» risposi quasi stizzita. «E non mi importa quello che accadrà in futuro. Voglio stare con te.»
   Sorrise, scostandomi i capelli dal viso con le dita di una mano. «Era quello che speravo dicessi», ammise. Tacque un attimo, quasi incerto se aggiungere altro o meno. Lo fece. «Posso dirti che ti amo? Posso? Non ti ucciderò mica per avertelo fatto sentire ancora, vero?»
   Scoppiai a ridere per l’ennesima volta. «Ti amo anch’io.»
   «Sì, decisamente non uccide nessuno una frase del genere», concluse soddisfatto. Poi ci pensò su un altro po’ e affermò: «Tu però sei una bella imbrogliona.»
   Cascai dalle nuvole e mi puntellai su un gomito per guardarlo in faccia. «Perché? Che ho fatto?»
   «Hai spento la luce del bastone.»
   «Certo che sì. Ci avrebbero visti, se l’avessi tenuta accesa. E sarebbe stato imbarazzante anche per noi due.» E il solo pensiero mi faceva arrossire.
   Mi scrutò con sospetto. «Lo vedi che sei un’imbrogliona?»
   «Non ti seguo… Perché?»
   «Gli elfi vedono al buio. Me l’hai insegnato tu.»
   Mi morsi un labbro: ero stata scoperta. «Sì, d’accordo», ammisi a malincuore. «Ma se ci pensi, non è mica colpa mia se sono fatta in questo modo.»
   «Oh, no, no, sei fatta piuttosto bene, per quel che ho potuto toccare.» Gli diedi un altro buffetto, seppur intimamente lusingata. «È solo che anch’io avrei preferito evitare di andare alla cieca», spiegò. Si alzò a sedere, appoggiando il peso del corpo sul palmo di una mano. «Quindi ora tu riaccendi la luce e mi fai vedere.»
   Aspettai per accertarmi che fosse serio. Lo era. «Ripetilo e ti do fuoco.»
   «Ammettilo: stai per andare a fuoco tu stessa per l’imbarazzo», mi prese in giro.
   «Se lo sai, perché giri il coltello nella piaga?»
   «Perché sei troppo carina quando ti imbronci tutta vergognosetta», insistette, sogghignando. «E comunque, anche se non riaccendi la luce, domattina l’alba mi darà una mano.» Trattenni il fiato e lui se ne accorse. «Oooh, sì. Il dio sole è con me.» Provai a protestare e a scacciarlo dalla mia tenda, troppo debolmente per essere anche solo vagamente credibile o per impedirgli di baciarmi ancora, e ancora, fino a che non mi ritrovai di nuovo stesa sotto di lui, non più in un abbraccio appassionato, ma pieno di tenerezza. «Tanto te la faccio scontare domattina», promise più a se stesso che a me. Sospirai, rassegnata all’idea che, in ogni caso, prima o poi avrei dovuto cedere.

«Vi trovo cambiata.»
   Abbozzai un sorriso, piuttosto incerto. «Ah, sì?»
   Lui socchiuse le palpebre, scrutandomi attento, una mano affondata fra la barba castana. Il fuoco nel camino riscaldava le nostre membra e schiariva la penombra della grande sala, disegnando strane ombre tutt’intorno e illuminando i begli occhi azzurri di Bann Teagan.
   Ci aveva accolto col solito sorriso di benvenuto, sinceramente felice di rivederci, e non appena Alistair aveva espresso il desiderio di recarsi al capezzale di Arle Eamon, Lady Isolde ce lo aveva accompagnato volentieri. Fra loro parevano superati i vecchi attriti, anche e soprattutto perché ormai c’era ben poco da nascondere sulla vera identità del padre del mio compagno. In più eravamo visti come i benefattori di Redcliffe e non c’era verso di cambiare le cose.
   «Avete un’aria diversa», commentò quasi fra sé Bann Teagan, in piedi davanti al camino.
   Feci spallucce e cercai aiuto con lo sguardo altrove. Ma eravamo soli e io non avevo la più pallida idea di cosa dire o fare. Sapevo di non essergli indifferente. Più che altro perché me lo aveva fatto capire senza troppi giri di parole. E in presenza di Alistair, oltretutto. Solo che adesso il mio innamorato non c’era, e dovevo sorbirmi quell’imbarazzante incontro a due contando soltanto sulla mia presenza di spirito. Cosa che mi mancava in quel genere di situazioni, ormai lo avevo capito. Decisi che non appena Alistair si fosse fatto vivo, lo avrei preso a bastonate sulle gengive.
   A dire la verità, ero anche conscia del fatto che Bann Teagan non facesse sul serio. Forse era attirato soltanto dal fatto che io fossi un elfo, e perciò per quanto rispetto potesse avere nei miei confronti – ed essendo una gran brava persona, me lo aveva ampiamente dimostrato – sotto sotto io rimanevo una sorta di capriccio, per lui. Dopotutto a un nobile è proibito sposare un’esponente della mia razza, maga o non maga che sia. O meglio, non è che sia realmente proibito; è solo ritenuto sconveniente, e quindi affinché loro non perdano credibilità agli occhi degli altri, noi elfi veniamo puntualmente relegati all’ingrato compito di amanti.
   Non era il caso mio, comunque. Non ancora, per lo meno.
   «Saranno state le brutte settimane passate a Orzammar», provai a giustificarmi.
   «Dite?» Mi fissò con sospetto. «Uhm… Forse», mi concesse per pietà.
   Fortunatamente qualcuno entrò nella stanza, interrompendo il discorso, e Connor ci venne incontro insieme ad Alistair. Sorrisi al bambino, che subito mi informò circa i suoi progressi: adesso riusciva a far apparire una fiammella a comando sul palmo della mano. «Non mi spingo oltre», ci tenne a precisare subito, la fronte aggrottata. «Non voglio creare altri problemi.»
   «Fate bene», approvai, posandogli affettuosamente una mano sul capo. «Purtroppo la magia è piuttosto pericolosa. È meglio evitare di inoltrarsi in mondi che non conosciamo senza che qualcuno ci guidi.» Lo aveva imparato a sue spese, ed ero più che certa che Connor non ci avrebbe mai più riprovato.
   «Potete insegnarmi voi», propose.
   Lo fissai attonita. «Oh… Io non so se è il caso», protestai, cominciando ad arrossire alla prospettiva di avere un allievo. No, decisamente era troppo presto. Io stessa stavo ancora affinando le mie tecniche insieme a Wynne, e se Morrigan si fosse decisa a collaborare, avrei imparato anche la magia del gelo da lei. Ma la figlia di Flemeth ce l’aveva ancora con me per la storia dell’Incudine del Vuoto, e benché avessi cercato di farla ragionare, ero riuscita a rabbonirla soltanto in parte. «Vi conviene aspettare che il Circolo torni attivo, e sono certa che non ci vorrà ancora molto. Il Primo Incantatore sarà uno dei migliori insegnanti che potreste desiderare.»
   «Datele ascolto», mi diede man forte Alistair, rimasto indietro appoggiato col fianco contro l’arco d’entrata. «Lei è l’ultima persona a cui chiederei di farmi vedere come si crea roba del genere.»
   Se non gli scagliai una palla di fuoco fra gli occhi fu soltanto perché quel maledetto era in grado di annullare i miei poteri. «Invece di fare lo spiritoso, potreste rendervi utile a prevenire gli eventuali incendi della sottoscritta.»
   «Fortuna che riconoscete i vostri limiti, mia piccola piromane», mi applaudì quel disgraziato. Eravamo tornati a darci del voi, seppur a malincuore. Ma davanti ai Guerrin non potevamo fare altro che fingere che il nostro rapporto fosse rimasto pressoché lo stesso dall’ultima volta che eravamo stati lì a Redcliffe, pochi mesi prima.
   Connor rise, divertito come ogni volta che io e il mio collega cominciavamo a punzecchiarci in sua presenza. Quanto a Bann Teagan, invece, lo sorpresi a squadrare prima Alistair e poi me. Chinai la testa, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo.
   «Dunque, la situazione è davvero immutata», dissi, schiarendomi la voce e mettendo fine agli scherzi per iniziare a discutere di questioni più urgenti. Arle Eamon era ancora dove lo avevamo lasciato, sul fondo di un letto, pallido e freddo come fosse morto. Come facesse a rimanere in vita in quelle condizioni, nessuno era in grado di spiegarlo se non ipotizzando che forse era per via della Magia del Sangue usata inconsapevolmente dal suo figlioletto.
   Bann Teagan sospirò, portandosi stancamente le mani sulle anche, mentre io circondavo le spalle di Connor con un braccio per fargli forza e lui poggiava il capo sul mio seno, in cerca di consolazione. «Per lo meno siamo riusciti a scoprire qualcosa tramite i cavalieri che abbiamo mandato in cerca delle Sacre Ceneri di Andraste», ci informò. «C’è un uomo, tale Fratello Genitivi, che da diversi anni conduce studi sull’Urna», prese a raccontarci. «Forse lui potrebbe saperne di più.»
   Conoscevo Fratello Genitivi di nome, poiché a Kinloch Hold avevo letto alcuni dei suoi scritti sulla storia e sulla cultura del Ferelden, e non solo. «Intendete interpellarlo?»
   «Ci piacerebbe, sì», annuì Bann Teagan, stirando la bocca in un’espressione preoccupata. «Tuttavia non riusciamo a trovarlo da nessuna parte», sospirò ancora.
   «In che senso?» volle sapere Alistair. «Non siete riusciti a scoprire dove abita?»
   «Abita a Denerim», precisò l’altro. «A casa sua però non c’è anima viva. È questo il nostro problema: abbiamo perso le sue tracce proprio adesso che abbiamo bisogno di lui.» Fissò il Principe per qualche attimo, poi domandò: «È troppo chiedervi di darci una mano anche in questo?»
   «Nient’affatto», rispose lui per tutti e due, dimostrando di voler mantenere la parola data tempo prima, quando aveva affermato che, se fosse servito, si sarebbe mosso in prima persona per aiutare l’uomo che lo aveva cresciuto. «Dimenticate che anch’io sono affezionato a vostro fratello.» Bann Teagan gli sorrise con gratitudine, e subito mi feci avanti anch’io dichiarando la mia piena disponibilità nel metterci alla ricerca di Fratello Genitivi. E, dopotutto, poteva mai essere un’impresa più complicata e pericolosa di quella che avevamo affrontato nelle Vie Profonde? Per di più, senza Arle Eamon non avremmo potuto muovere contro Loghain, e tutto quello che avevamo fatto fino ad allora sarebbe stato quasi del tutto inutile.

Quando alcuni minuti dopo, uscendo dalla stanza, Alistair mi lanciò uno sguardo poco entusiasta, sospirai pazientemente. «Da soli davanti al camino acceso, eh? Ci mancavano giusto il vino e le rose.»
   «Sto seriamente considerando l’idea di infilarti questo bastone in una narice», gli feci presente, nervosa.
   «Non mi piace come ti guarda.»
   «Allora cerca di essere presente più spesso, così almeno eviterai di lamentarti e di farmi trovare in forte imbarazzo.»
   Rallentò il passo, allarmato. «Ti ha detto qualcosa?»
   «No.»
   «Ti ha fatto qualcosa?»
   «Oh, Creatore, no!» esclamai, fermandomi e girandomi verso di lui, indignata. «Perché devi essere così maligno?»
   «Non sono maligno, sono realista», si difese, quasi adirato. «Tu non sai come ragionano gli uomini.» Rimasi senza parole e lui ne approfittò per intrecciare le braccia al petto con aria di rimprovero. «Sì, stai sicura che anche il più santo di tutti prima o poi viene sfiorato da quel pensiero. Prendi Cullen, per esempio», e nel dirlo arricciò il naso per il fastidio che ancora gli procurava quel nome. Ruotai le pupille al cielo. «Sarebbe ora che tu cominciassi ad aprire gli occhi. Perché credi che ti stuzzicassi sempre? Per tastare il terreno, certo, ma immaginati un po’ la mia costernazione quando ho capito cosa c’era dall’altra parte: una ragazza che non riesce minimamente a rendersi conto di ciò che le succede attorno. Lo hai ammesso anche tu che non ti eri accorta di nulla fino a che non sono ricorso ai fatti.» Mi morsi un labbro, mortificata e indispettita a causa della vergogna. Respirò pesantemente. «Scusa», disse poi. «Non voglio sembrarti opprimente o che so io. Solo… mi preoccupo. E non perché non mi fidi di te, sia chiaro.»
   «Sì, lo so», pigolai. E non potevo neanche dargli torto.
   Sorrise intenerito e levò una mano per accarezzarmi il viso. Fu però costretto a fermare l’azione a metà, fingendo allora di grattarsi la nuca quando una delle serve del castello passò frettolosamente per il corridoio, incrociandoci e salutandoci con un inchino. «Non vedo l’ora di essere fuori da qui», bofonchiò fra i denti.
   «Mh», gli diedi ragione, spostando la mia attenzione fuori dalla finestra. Nel cortile, in cui diversi mesi prima avevamo affrontato il Reverant e i non-morti richiamati dal Demone del Desiderio evocato da Connor, ora regnava la calma e alcuni soldati facevano pigramente la guardia all’ingresso del maniero, mentre Merlino scorrazzava allegramente dietro a un sasso che un ragazzino della servitù continuava a lanciare lontano. «Se andiamo a Denerim adesso, sarà un bel problema», riflettei poco dopo a mezza voce.
   «Questo è vero, ma in qualche modo ce la caveremo. Come al solito, no?»
   «Siamo ricercati. Tu per primo», gli ricordai, tornando a guardarlo.
   Alistair si accostò alla finestra poggiando un braccio contro il muro di mattoni accanto all’intelaiatura delle persiane di legno spalancate nonostante il freddo, l’altra mano chiusa a pugno sul fianco, gli occhi che seguivano distrattamente i movimenti degli uomini dell’Arle. «Non posso abbandonarlo», disse solo.
   Ecco perché lo amavo. Perché era dannatamente onesto e leale.
   «È a Denerim che si trova tua sorella, giusto?» Si volse a fissarmi quasi di scatto, stupito forse che io ricordassi qualcosa che mi aveva fatto promettere quando ancora stavamo appena iniziando a conoscerci. Non nascosi una risatina divertita. «Credevi che me ne fossi dimenticata?»
   «Non… Non lo so, però… mi sono sorpreso lo stesso», ammise.
   «Una promessa è una promessa», affermai convinta, gli occhi nei suoi. «Come lo è quella in cui, se tutto andrà a buon fine, ti accompagnerò ad Altura Perenne per rendere omaggio a Duncan.»
   Si mosse in modo piuttosto inquieto e lo vidi stringere le labbra, come se stesse trattenendo il fiato. «Non puoi dirmi certe cose adesso», scoppiò infine, quasi in un ringhio sommesso, evitando il mio sguardo e arrossendo.
   Aggrottai un sopracciglio. «Perché no?»
   «Perché non posso baciarti, maledizione.» Risi di nuovo, questa volta più forte, e lui mi fulminò con un’occhiataccia. «Ah-ah-ah», mi fece il verso. «Ora sono io che ti faccio una promessa», mi assicurò, puntandomi un dito contro. «Non appena lasceremo questo posto, te la farò pagare. E molto cara, anche.»













Per chi si stesse chiedendo da dove nasce la storia di Alistair e Winifred, può leggerla all'interno della mia raccolta Frammenti, esattamente qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=523679
Ad essere onesta, fino all'ultimo sono stata indecisa se utilizzare o meno questa shot anche all'interno della long o se lasciare l'identità del templare alla fantasia dei lettori; perché, diciamocelo, non è che sia proprio il massimo dell'originalità, l'idea che Alistair e Nimue si fossero incontrati anche prima della battaglia di Ostagar. Ma da una parte gli sceneggiatori del videogioco mi hanno servito quest'opportunità su un vassoio d'argento, e dall'altra le recensioni e i commenti privati di chi ha letto quella raccolta mi hanno infine persuasa a confermare che uno dei templari che uccisero Winifred fosse proprio Alistair. Inoltre questo spunto mi ha aiutato non poco a rendere meno stucchevole (spero) la famosa prima notte fra lui e Nimue, dandole un significato ancora più profondo, che va al di là dell'amore e del sesso in sé per sé. Almeno dal mio punto di vista.
Oh, tra l'altro ieri me la sono anche illustrata da sola, 'sta scena. XD
http://shainareth.deviantart.com/art/DA-O-AlistairNimueLovers-183666181
E a proposito di disegni, continuano le meravigliose illustrazioni di Milly Miu Miu/Lilithblack, a cui vanno come sempre i miei più sentiti ringraziamenti! ♥ Potete trovarle ovviamente nella sua gallery di DeviantArt (http://lilithblack.deviantart.com/gallery/), anche se ho già provveduto ad aggiornare anche i capitoli uno, nove e undici. ♥
Restando in tema, devo sbaciucchiare virtualmente anche CoockieanDeadlySins per aver anche lei reso omaggio alla mia Nimue~! ♥
http://cookieanddeadlysins.deviantart.com/art/Nimue-and-Alistair-183444440
Sono davvero, davvero contenta e tremendamente lusingata per tutto quello che fate per me, foss'anche solo per la semplice, anonima lettura: se sono in grado di tenervi compagnia in modo piacevole con questa storia, ho ben raggiunto il mio scopo secondario (non vogliatemene, ma il primario è sempre quello di imparare a scrivere e di migliorarmi, e sarei un'ipocrita a non ammetterlo).
Concludo quindi ringraziando dal più profondo del cuore tutti voi, anche se i più, dopo l'ultimo capitolo, mi hanno maledetta a causa della scena finale. XD Ma mi sono fatta perdonare oggi, no? :P
Mando un bacio in particolare a: ashar, Atlantislux, BgmnhOO, Cass, ENS, Erecose, Evertine, Hanako_chan, HikariShadow, kelyseh, Laiquendi, lames76, Lara, Layra Luin Isil, liriel, NicoDevil, Salice, Shadow Eyes, slan, Slepless, Sotorei, The Mad Hatter, The Wall, The Warden Archivist.
Buona domenica a tutti!
Shainareth
P.S. Il GdR dovrebbe prendere il via oggi, siamo già in nove e le iscrizioni sono sempre aperte per tutti. ^^





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Capitolo 30
*** Denerim ***







CAPITOLO TRENTESIMO - DENERIM




Attraversata dal fiume Drakon, Denerim è situata nella parte nord-occidentale del Ferelden e affaccia sull’oceano di Amaranthine. Essa non è soltanto la capitale del regno, ma è anche considerata la città santa, poiché diede i natali ad Andraste. È inoltre tenuta in grande considerazione per via di Re Calenhad, conosciuto come il Cavaliere d’Argento, che unì le tribù della nostra terra in un’unica nazione, diventandone il primo re. La dinastia Theirin discende dalla sua, il che significa che in qualche modo uno degli eredi di Re Calenhad è sempre riuscito a sedere sul trono. Probabilmente era stata anche questa tradizione a spingere Maric a lottare per riprendersi la corona della sua famiglia dalle mani sporche di sangue di Meghren l’Usurpatore. E adesso che suo figlio Cailan era morto senza progenie, toccava ad Alistair prendere il loro posto – pensiero che, a differenza di suo fratello maggiore, lo angosciava non poco.
   A Denerim comunque non comanda soltanto il re. Questi è sì considerato più di ogni altro abitante del Ferelden, ma ad occuparsi della città ci pensa l’Arle. Avevamo saputo da Bodahn Feddic che, secondo le voci che raccoglieva per strada durante i suoi affari, quello della capitale era morto di recente, e che quindi adesso il suo posto era stato preso da quello di Amaranthine, Rendon Howe, un uomo che avremmo presto avuto modo di incontrare anche noi. Purtroppo.
   In ogni caso, quella era la prima volta che mettevo piede a Denerim, lì dove era stato trasportato il mio filatterio non appena avevo superato il Tormento. In un certo qual modo mi faceva un po’ senso sapere che una parte di me sarebbe sempre rimasta lì; quando io e il filatterio eravamo al Circolo, per lo meno a separarci c’erano soltanto alcuni strati di mattoni, mentre adesso le distanze si erano notevolmente allungate, e sebbene io fossi stata giù nelle vie Profonde, nella lontana Orzammar, il mio sangue continuava a rimanere chiuso in un’ampollina da qualche parte nella capitale. Assurdo. Credo che se non fosse per il fatto che tramite esso i templari possono rintracciarmi ovunque, non mi parrebbe poi diverso da una ciocca di capelli tagliata e regalata ad un amante – e, per inciso, ad Alistair non diedi mai nulla del genere, poiché, per quanto quest’idea possa apparire romantica, la trovo anche decisamente poco pratica per un guerriero.

Il freddo di quei giorni giocava a nostro favore, così che a nessuno pareva troppo strano vederci indossare le pesanti cappe forniteci dai Guerrin. Col cappuccio tirato sul capo, non potendo girare apertamente per le vie della capitale a causa della taglia che pendeva sulla nostra testa, eravamo dovuti ricorrere al più banale dei trucchi: un travestimento. Ci eravamo perciò affidati al genio di Leliana, esperta nell’arte dell’inganno molto più di tutti gli altri, persino di Morrigan, che pure aveva ammesso di essersi spesso improvvisata attrice per sfuggire ai templari o ad altra gente a lei sgradita. Eppure questa volta, davanti alla soluzione escogitata dalla nostra ex-spia di Orlais, la figlia di Flemeth era inorridita, e aveva cacciato fuoco e fiamme, mostrando tutto il suo sdegno. Mai quanto Alistair, comunque.
   Avrebbero dovuto giocare a marito e moglie. Purtroppo per me, anche. Ma capendo di non poter fare altrimenti, ci eravamo costretti tutti e tre al silenzio, accettando di assecondare le idee di Leliana. Io sarei stata la loro serva, chiaramente, poiché le mie orecchie a punta mi impedivano di recitare un altro ruolo, visto altrimenti con più sospetto dagli estranei. Quanto agli altri, invece, Wynne sarebbe stata la buona genitrice del mio collega Custode, Leliana la di lui sorella in procinto di prendere i voti in monastero, e Oghren un vecchio amico di famiglia. Merlino sarebbe stato soltanto Merlino, né più né meno.
   Nel piano originale, in questo teatrino della gioia e della cordialità in cui marito e moglie si sputavano addosso offese gratuite alla prima occasione, i miei ricchi padroni avrebbero dovuto essere approdati a Denerim in luna di miele; ma dal momento che, proteste dei due interessati a parte, era in effetti inverosimile che una coppia di neosposini viaggiasse con famiglia e amici al seguito, Alistair era per lo meno riuscito a convincere Leliana a motivare diversamente la nostra presenza nella capitale. Decidemmo perciò di comune accordo che ci trovavamo lì perché il mio buon signore Gwydion – nome fittizio di Alistair – si era di recente interessato ai manufatti nanici, così che ci sarebbe anche stato più facile spiegare la ragione per cui si era portato Oghren appresso. Gwydion, facoltoso collezionista di Altura Perenne, era a Denerim perché voleva dunque investire su questo genere di prodotti, e non potendo staccarsi dall’amata madre, dalla diletta sorella e dal suo affettuoso cane, si era portato dietro tutta la famiglia. Compresa quella carampana di mia moglie, aveva dovuto precisare poi, attirandosi l’ennesimo insulto della povera Morrigan.

Fortuna volle che nella piazza del mercato di Denerim ci fosse davvero un mercante nano. Ottimo per aiutarci a mantenere la nostra copertura, specie in mezzo a tanta gente: qualcuno ci avrebbe di sicuro visti trattare con lui, e di conseguenza avrebbe potuto eventualmente testimoniare a nostro favore nel qual caso una delle guardie ci avesse fermati per chissà che motivo.
   Il nano mi guardò dapprima come se fossi un essere curioso. «Che dici?» iniziò ammiccante, poco dopo. «Riuscirò a convincerlo a comprare quest’armatura?»
   «Oh, non chiedetelo a me, sono solo un’umile serva», risposi, abbassando timidamente lo sguardo.
   «Nonché mia amante», ci tenne a sottolineare Alistair, tanto per mettermi un ulteriore guinzaglio al collo nel qual caso all’uomo fosse venuta in mente qualche strana idea. Con mio grande scorno, ormai aveva la fobia che io potessi farmi infinocchiare da chiunque. Ad ogni modo, tutti lo fissammo allarmati a causa della sua incoscienza. «Beh, con una moglie frigida come la mia, è il minimo», si giustificò un attimo dopo, guadagnandosi un’occhiataccia da Morrigan.
   «Colpa tua che non vali un soldo bucato», passò allora al contrattacco lei. «E che hai seri problemi a… stare in piedi
   «Se hai bisogno di una ripassata, ci sono sempre io», intervenne poco opportunamente Oghren, serissimo.
   La coppia felice fece finta di non sentirlo. «Beh, mia cara moglie», ringhiò il Principe, «vi assicuro che con la vostra sostituta non ho affatto di questi problemi», s’impuntò balbettando, le orecchie rosse per l’imbarazzo che si intravedevano da sotto al cappuccio.
   «Mio signore, se posso permettermi… Vi pare il caso di parlare di certe cose davanti a vostra madre e vostra sorella?» provai a farlo ragionare io, indecisa se nascondermi per la vergogna o se piuttosto prenderlo a calci.
   «Sua madre e sua sorella sono più assatanate di me e te messi insieme, te lo dico io», ammiccò Oghren, dandomi una gomitata amichevole e facendo stizzire tutte e tre noi donne – non Morrigan, ma solo perché era troppo presa dal suo astio per il suo finto marito per badare al resto.
   Il mercante, anziché scandalizzarsi, rise con fare comprensivo. «Matrimonio combinato?»
   «Peggio», rispose Alistair con espressione palesemente disgustata. «Ho perso una scommessa, e ora mi tocca tenermela.»
   «Perché non dici che il tipo con cui l’hai persa non ha più di sette anni?» ribatté la sua presunta moglie, intrecciando le braccia al petto con aria sempre più indignata.
   «Quel moccioso è un diavolo. È vostro fratello, dopotutto.»
   «A sette anni si gioca la sorella più grande?» non si capacitò questa volta il nano, ascoltando quella storia a bocca aperta.
   Alistair fece spallucce. «Le corna sono una caratteristica di famiglia. Auch!» esclamò quando Morrigan gli diede un manrovescio sul braccio, che dovette fare piuttosto male, dal momento che avevamo dovuto lasciare all’accampamento armi ingombranti e armature vistose per non dare troppo nell’occhio, e che quindi lo pseudo Gwydion aveva indosso soltanto dei normalissimi abiti civili.
   «Possa il Creatore aver pietà delle vostre anime», sospirò pesantemente Leliana, alzando gli occhi al cielo e portando pazienza.
   «Insomma, figliolo», intervenne invece la buona Wynne, che se avesse potuto come minimo lo avrebbe tirato per un orecchio, «la compri o no, quest’armatura?»
   «Mah, non saprei», rispose Alistair, massaggiandosi la parte lesa e scrutando con fronte aggrottata la merce. Si rivolse ad Oghren. «Secondo voi ne vale la pena?»
   Quello si schiarì la gola. «Fa schifo», fu l’unica cosa che ebbe da dire. E poiché Leliana lo calciò ad una caviglia, si costrinse ad aggiungere: «Il clima di qui, sulla superficie, intendo. Ma diamo un’occhiata a questa ferraglia.» Si avvicinò all’armatura e ne prese l’elmo fra le mani, rigirandolo e rimirandolo con fare vagamente interessato. «E quanto vorresti, tu, per questo coso?»
   Non riuscii a sentire nient’altro della trattativa, perché d’improvviso Merlino puntò qualcosa e, abbaiando, scappò fra la folla. Spaventata all’idea di perderlo, mi precipitai al suo inseguimento, e Alistair mi seguì quasi all’istante, facendosi largo fra la gente in modo molto più goffo del mio, che, piccola com’ero, riuscivo invece a sgattaiolare come una bambina negli spazi più angusti, pur rischiando di inciampare nei piedi dei passanti.
   «Merlino!» chiamai quando arrivai ai margini della piazza. Non lo trovavo, e la cosa mi preoccupava non poco. «Lo vedi? Riesci a vederlo?» domandai non appena il mio compagno mi raggiunse, sperando che la sua altezza potesse essermi d’aiuto.
   «No, c’è tropp… Eccolo!» esclamò di colpo lui, puntando il dito davanti a noi. Il nostro cane stava già tornando nella nostra direzione, trotterellando con aria felice, la lingua penzoloni e la coda che si muoveva a destra e a manca. Ma non era solo: si era portato appresso un ragazzino. «Oh, mio…» cominciò Alistair, mentre io mi preparavo già a sgridare il mabari. «E questo da dove spunta? Wynne non aveva detto che i bambini nascono in tutt’altro modo?»
   «Merlino!» vociai quando quest’ultimo e il piccolo furono abbastanza vicini. «Dove diamine eri finito? Non farlo più, hai capito? Mai più!» La bestiola reclinò le orecchie all’indietro, guaendo e guardandomi con gli stessi identici occhi che avrebbe fatto Alistair se fossi stata adirata con lui. Sospirai, incapace di rimanergli indifferente. «Ora, da bravo, riportalo subito dove lo hai trovato», gli ordinai, cercando di ignorare il fatto che il ragazzino gli si era intanto avvinghiato al collo per riempirlo di coccole. «Subito!»
   Merlino obbedì, alla fine, e mentre lo aspettavamo, mi stupii del silenzio in cui era piombato Alistair. Mi volsi a guardarlo, accorgendomi improvvisamente che, dalla sua espressione, c’era qualcosa che non andava.
   «Che succede?»
   Sobbalzò, come colto alla sprovvista. «Oh, nulla.»
   «Ci hanno scoperto?» chiesi sottovoce, tirando di nuovo il cappuccio sulla testa, visto che mi era scivolato sulle spalle durante la corsa. Il che a mio avviso era pericoloso, dal momento che non passavo propriamente inosservata. Certo in città di servitori elfi ce ne sono parecchi, ma avendo la coscienza sporca – che poi realmente sporca non era – mi guardavo bene dal rischiare inutilmente.
   «No, no, tranquilla», disse Alistair, spostando nervosamente il peso del corpo da un piede all’altro. Si umettò le labbra con la punta della lingua. «Però… Siamo vicini. Almeno credo.»
   «A cosa?»
   «A dove abita mia sorella», mi rispose.
   M’illuminai di gioia per lui: se avessi saputo che Niniane era a due passi da me, non ci avrei pensato due volte e mi sarei precipitata da lei. «Sul serio? È qui?»
   Come per riflesso, anche Alistair cominciò a sorridere con fare eccitato. «Sì, sì, l’indirizzo corrisponde a quello che mi hanno dato.»
   «Vai da lei, allora.»
   Lui mi fissò allarmato. «Cosa? Cioè… da solo?» balbettò, mordendosi un labbro. «Lo so, sì, dovrei andarci, però…» Abbassò gli occhi pensieroso, poi li rialzò. «Vieni con me. Mi sentirei più sicuro. O magari potremmo… andarcene. Sì, insomma, non abbiamo certo tempo per fare visite. Forse dovremmo andare», disse poi tutto d’un fiato, così velocemente che quasi non compresi.
   Potevo dirgli di no? Neanche morta. E il solo fatto di sapere che per lui contavo così tanto mi riempiva di tenerezza. «D’accordo, andiamo da lei», annuii per fargli forza. «Avvisiamo gli altri, prima, o potrebbero credere che siamo finiti nei guai.»
   «Mi riconoscerà?» iniziò frattanto a vaneggiare, mentre attendevamo il resto dei nostri compagni. «Voglio dire… Avrà mai saputo della mia esistenza? Mia sorella», pronunciò poi, come se fosse una parola preziosa. «Suona strano. Sorella. Sooorella», tornò a sillabare come già aveva fatto diversi mesi prima a Redcliffe. Sospirò, scuotendo il capo. «Sto farneticando», si rese conto, imbarazzato. «Forse è meglio se andiamo. Sì, andiamo», decise infine, quando vedemmo gli altri sopraggiungere. «Andiamo.»

La casa di Goldanna affacciava proprio sulla piazza del mercato. Non era poi tanto più incoraggiante alla vista di quella in cui ero nata, segno che probabilmente neanche lei navigava nell’oro. Già questo bastò ad aumentare l’ansia del mio povero compagno. Alla fine, comunque ci avvicinammo giusto in tempo per trovare l’uscio socchiuso. Alistair prese coraggio; spinse piano la porta e, bussando su di essa, al contempo chiese permesso.
   Ci rispose una voce femminile dal fondo dell’abitazione, adducendo a dei panni da lavare – che Goldanna facesse la lavandaia? Poco dopo una figura sbucò da un angolo, identica a quella che avevamo visto nell’Oblio, nel sogno che Alistair stava vivendo a causa del demone del Circolo dei Magi: Goldanna. Si trattava di pura coincidenza o di un qualche potere degli spiriti maligni a me sconosciuto?
   «No, no, non abbiamo niente da farvi lavare», cominciò a mettere le mani avanti il Custode, preso alla sprovvista. «Il mio nome è Alistair. Sono… beh, potrà sembrarvi un po’ strano, ma… Voi siete Goldanna? Se è così, suppongo che io sia vostro fratello», rivelò quindi, reputando inutile girarci attorno. Il che era tremendamente imprudente da parte sua, visto che eravamo ricercati soprattutto nella capitale, dove avevamo visto affissi qua e là manifesti in cui i Custodi Grigi erano messi al bando. Tuttavia portai pazienza e lasciai correre quell’ingenuità da parte sua: Alistair stava realizzando il sogno di una vita, non potevo intromettermi troppo.
   La donna, però, lo guardò stranita. «Il mio cosa? Sono Goldanna, sì… Come conoscete il mio nome? Quale assurdità è mai questa?»
   «Sei sicuro che le tue informazioni fossero corrette, Alistair?» mi azzardai a chiedere sottovoce.
   «Sì, io… io credo di sì. Ne sono sicuro», mi rispose lui, cercando di mantenere la calma. Tornò allora a rivolgersi a Goldanna e spiegò: «Sentite, nostra madre… lavorava come serva al castello di Redcliffe, tanto tempo fa, prima di morire.» Beh, questo era ovvio. Era improbabile che ci avesse lavorato dopo morta, ma evidentemente i neuroni di Alistair faticavano parecchio a tenere un discorso di senso compiuto a causa dell’emozione. Io c’ero abituata. «Lo sapete? Lei…»
   «Tu!» sbottò di colpo Goldanna, accigliandosi e serrando pericolosamente le mascelle. I suoi occhi adesso dardeggiavano verso di lui in modo assai pericoloso. «Lo sapevo! Mi avevano detto che eri morto! Che il bambino era morto insieme alla madre! Lo sapevo che mi avevano mentito!» esclamò, visibilmente risentita. Quindi era davvero lei, la persona che stavamo cercando. Ma perché quello sguardo torvo? Francamente non capivo.
   «Vi hanno detto che ero morto? Chi? Chi ve l’ha detto?» non si capacitò Alistair, smarrito.
   «Quelli del castello!» ribatté Goldanna, furiosa, iniziando a fare su e giù per la stanza per il nervosismo. «Dissi loro che il bambino era del re e loro mi raccontarono che era morto. Mi diedero una moneta per farmi tenere la bocca chiusa e mi abbandonarono a me stessa. Lo sapevo!» ripeté, stringendo convulsamente i pugni.
   «Mi… Mi dispiace», provò a farla ragionare l’altro. «Io non lo sapevo. Il bambino non morì. Sono io. Sono… vostro fratello.»
   Dalla bocca di lei uscì un suono tutt’altro che educato. «Tu hai ucciso nostra madre», lo accusò subito dopo, fermandosi davanti a lui e tornando a fissarlo con rabbia. Una doccia fredda mi investì in pieno, e io sgranai gli occhi, esterrefatta per quell’assurdità: era matta?! «Hai idea di quello che ho passato per tutto questo tempo?» continuava frattanto Goldanna, irragionevolmente. «Quella moneta non durò a lungo, e quando tornai indietro a chiederne altre, mi sbatterono la porta in faccia!»
   «Non è certo colpa sua!» protestai a quel punto, non riuscendo a sopportare che lei lo trattasse in quel modo. Non era la dolce Goldanna dell’Oblio, la premurosa sorella che stravedeva per lui, quella che lo aveva accolto e amato come avrebbe fatto Niniane con me. Alistair, il mio povero Alistair, che tanto aveva desiderato conoscere sua sorella, l’unico membro della sua famiglia che gli era rimasto, adesso vedeva sgretolarsi ogni speranza davanti a sé. Mi sanguinò il cuore al solo pensiero.
   «E in nome del Creatore, tu chi sei?» rimbeccò quella pazza, poggiando le mani sui fianchi e scrutandomi con aria severa. «Una serva? Una puttanella che mira alle sue ricchezze?»
   Fu Alistair a farmi desistere dal malsano desiderio di spaccarle il cranio col tacco di una scarpa. «Ehi!» vociò prendendo immediatamente le mie difese. «Non vi permetto di parlarle in questo modo! È mia amica, ed è un Custode Grigio, come me!»
   «Oooh», ci prese in giro Goldanna, piegando le labbra in un sorriso che avrei voluto cancellare a suon di randellate. Peccato solo che il mio bastone fosse rimasto all’accampamento insieme a tutte le altre armi vistose. Mi accarezzò l’idea di andare a prendere in prestito quello di Wynne, che ci aspettava fuori insieme agli altri. «Un principe e persino un Custode Grigio. Chi sono mai io per avere l’onore di ricevere una vostra visita?» Di sicuro una maledetta, schifosa, fredda egoista. Per essere gentili. Avrei voluto dirle questo e molto altro, ma mi morsi un labbro per contenere parole che avrebbero potuto ferire Alistair. «Io non ti conosco, ragazzo», dichiarò invece lei, di tutt’altro avviso, intrecciando le braccia sotto ai seni. «Il tuo regale padre ha fatto leva sulla sua posizione per costringere mia madre ad avere rapporti con lei, portandomela via. E cosa ci ho guadagnato da tutto questo?» Un fratello? «Niente.» Idiota, dannatissima idiota. «Avrei dovuto raccontare la verità a tutti! Ho cinque bocche da sfamare, e a meno che tu non decida di aiutarmi, non so che farmene di te.»
   «Io…» mormorò Alistair, seriamente in difficoltà. Se avessi potuto, se solo avessi potuto trascinarlo via da lì o in alternativa dare una lezione a quella stupida…! «Mi dispiace», ripeté con voce malferma, mentre io chiudevo gli occhi e respiravo profondamente nel vano tentativo di non dare fuoco a niente – e soprattutto a nessuno. «Io non… non so cosa dire.»
   «Goldanna», ripresi allora io, decidendo di venirle incontro solo e soltanto per amore di Alistair. E anche se fossi stata unicamente sua amica avrei fatto la medesima cosa. Anzi, non è da escludere che avrei cercato di aiutare persino un perfetto estraneo. Non vedevo Niniane da troppo tempo per poter sopportare che due fratelli venissero separati dall’egoismo di uno di loro. «Alistair è venuto sin qui con la speranza di ritrovare la sua famiglia.»
   «Beh, l’ha trovata», fece spallucce Goldanna. «Ma cosa ci guadagno io? Niente, ecco cosa. Almeno fino a che lui non riesca a capire che la sua famiglia vive in modo disagiato.»
   Ah. Dunque cercava soltanto di spillargli dei soldi? Era questo che voleva? Alistair avrebbe dovuto comprare il suo affetto? Mi disgustava la sola idea. Odiai quella donna. La odiai quanto avevo odiato Branka.
   «Immagino che forse potrei darle del denaro… Per i miei nipoti?» si corresse poi il mio povero compagno, cercando aiuto in me. Aveva ragione, da solo non ce l’avrebbe mai fatta ad affrontare una simile arpia, così come anche Oghren aveva avuto bisogno di noi per liberarsi definitivamente di quel mostro di sua moglie. «Quindici sovrane, che dici? Mi permetterai di dargliele?»
   Mi voltai a fissarlo come se avesse appena bestemmiato in una lingua a me sconosciuta. Perché me lo chiedeva? Non ero né la sua padrona né quella del denaro che portavamo con noi. Per di più, non ero neanche una moglie venale e autoritaria, anzi. Goldanna doveva averlo mandato in totale confusione.
   «Alistair, non hai bisogno del mio permesso», lo rassicurai, cercando di suonare dolce.
   «Ecco qui, allora.» Mise mano al proprio sacchetto di monete, contò quelle che aveva promesso e le tese a sua sorella, che, imperterrita, lo fissava gelida. «Lo so che non è molto, ma…»
   «Tu, un principe», lo interruppe lei con disprezzo, «vieni qui con la tua grandiosa armata e tutto il resto, e sai offrirmi soltanto questo? Devi esserti convinto che io sia davvero stupida.»
   «No, aspettate», ricominciò a balbettare Alistair, non sapendo più come prenderla. «Io non penso un bel niente! Voglio solo aiutarvi, se posso…»
   «Vuoi aiutarmi?» proseguì Goldanna, sprezzante. «Allora fa’ qualcosa per i tuoi nipoti che non possono vivere come dovrebbero di diritto!»
   «Sembra che voglia soltanto i tuoi soldi», mi scappò di bocca alla fine, fulminando quella donna con lo sguardo.
   «Sì, sembra davvero come dici», mi concesse Alistair, non potendone più, stringendo le sovrane nel pugno. La sua voce tornò ferma e assunse un tono cupo. «Non mi aspettavo che mia sorella fosse così… Comincio a chiedermi perché mai sono venuto fin qui.»
   «Non lo so nemmeno io», rimbeccò Goldanna, piccata. «Né so cosa ti aspettassi di trovare. Ma non c’è niente qui per te! E ora fuori da casa mia! Tutti e due!»
   A quel punto, per evitare di darle davvero fuoco, afferrai Alistair per un braccio e lo trascinai via con me. «Andiamocene. Subito.»
   «Sono d’accordo», borbottò lui, senza nascondere la sua delusione e tornando ad intascare le monete che avrebbe invece voluto darle. «Andiamocene.»
   Quando tornammo dagli altri, nessuno osò chiedere nulla, viste le nostre facce. Leliana si morse il labbro inferiore, Morrigan chinò lo sguardo fingendo disinteresse, Wynne fissò Alistair con la stessa premura che avrebbe avuto la sua vera madre, e Oghren tirò rumorosamente su col naso, borbottando qualcosa che non riuscii a comprendere.
   «Beh… non era esattamente ciò che mi ero aspettato. Per essere ottimisti», ebbe la forza di commentare Alistair. «Questa era la famiglia che ho cercato così a lungo? Quella strega avida di oro? Non posso crederci.» Scosse il capo e sospirò. «Mi chiedo… Mi chiedo come potessi pretendere che lei mi accettasse senza battere ciglio. Non è ciò che farebbe una qualunque famiglia?» volle sapere da me. «Io… mi sento un completo idiota.»
   «Non hai bisogno di lei», gli dissi, risoluta. «Ci sono altre persone che tengono a te.»
   «Chi, per esempio?» Chiusi la bocca di scatto e tesi una mano a Wynne, facendole cenno di porgermi il suo bastone. Risero tutti, compreso Alistair. «Grazie, davvero», mormorò lui, commosso.
   «Io non so davvero cosa dire», aggiunsi poi, facendo ricadere il braccio lungo il fianco con fare sconsolato. «Mi spiace che le cose siano andate a finire così.»
   «Per lo meno ho te.» Era la prima volta che lo vedevo guardare il lato positivo della situazione, ed era sorprendente che ci provasse proprio adesso che il suo vero sogno era andato distrutto sotto ai suoi occhi. «Grazie per avermi accompagnato. Senza di te non credo avrei avuto la stessa forza. Per questo volevo dirti che ti amo.»
   «Ti amo anch’io, Alistair», mormorai impacciata, poiché mai mi sarei aspettata che lo ammettesse davanti a tutti.
   Mi sorrise con tenerezza. «Torniamo ai nostri doveri, ora.»

Le strade adiacenti alla piazza del mercato non erano pulitissime, ma purtroppo ci toccava continuare a bazzicare da quelle parti perché, a quanto pareva dalle informazioni dateci dai Guerrin, la casa di Fratello Genitivi si trovava lì vicino, non distante da una certa taverna. Quando riuscimmo a rintracciarla, Wynne provò a battere alcuni colpi alla porta, ma nessuno ci diede risposta alcuna. Provammo allora a chiedere alla locanda vicina se qualcuno sapesse darci qualche informazione al riguardo, e ci fu detto che il nostro uomo probabilmente era partito tempo prima per uno dei suoi viaggi di studio, e che, a pensarci bene, questa volta pareva essersi allontanato un po’ troppo a lungo. La gente ipotizzava che si fosse addirittura avventurato nel regno dei nani, ma era da lì che noi venivamo, e se ci fosse stato un altro umano ad Orzammar di sicuro lo avremmo notato.
   Perplessi, tornammo sui nostri passi e ci fermammo di nuovo davanti alla soglia dell’abitazione di Fratello Genitivi, indecisi sul da farsi. Di tornare a Redcliffe senza aver cavato un ragno dal buco non se ne parlava: da tutto questo dipendeva la salvezza dell’Arle e il futuro del Ferelden come regno.
   «Entriamo comunque.»
   Guardai Leliana come se fossi stata scema. «State scherzando, vero?» Lei mi ignorò, preferendo mettersi a rovistare nel sacchetto di pelle che aveva legato alla cintola dell’abito sacerdotale e dal quale estrasse una semplice forcina per capelli e un altro arnese a me sconosciuto. «Non siamo ladri!» esclamai inorridita quando la vidi inginocchiarsi davanti alla porta e iniziare ad armeggiare con la serratura.
   «Se non vuoi che ci arrestino, abbassa la voce», mi zittì Morrigan, infastidita. «E comunque sei liberissima di rimanere qua fuori a fare il palo.»
  «Il palo?!» E non significava comunque essere loro complice? «Non se ne parla! Alistair, di’ qualcosa!»
   Lui scosse le spalle. «Beh, in fondo non entriamo mica per rubare, no?» mormorò impacciato. «E comunque magari gli è successo qualcosa, qualcuno dovrà pure indagare.»
   «È comunque violazione di domicilio!»
   «Oh, sì, questo è vero», fu costretto a darmi ragione, storcendo la bocca.
   Morrigan sospirò. «Mentre voi due bacchettoni rimanete qui fuori a fare la guardia, noi vediamo di scoprire qualcosa», ci disse poi, quando Leliana riuscì infine a far scattare la serratura. «Evitate però di attirare l’attenzione, rimanendo immobili qui davanti a far niente come statue.»
   «Cosa dovremmo fare, allora, scusa?» continuai io, contrariata.
   «Quello che vi pare», rispose lei, affrettandosi dietro alla nostra scassinatrice e Wynne, che si era unita alla fazione opposta alla mia perché convinta anche lei che ci fosse qualcosa di losco sulla sparizione di Fratello Genitivi. «Pomiciate», fu l’ultima cosa che ci suggerì Morrigan, sparendo alla nostra vista.
   Benché fosse quasi entrato in casa anche lui, Oghren si fermò sulla soglia, tornando indietro di due passi. Si affacciò dalla porta. «Se pomiciate davvero, chiamatemi ché voglio assistere.» Rise quando lo mandai a quel paese, e si eclissò in casa, chiudendosi l’uscio dietro le spalle e lasciandoci sulla strada.
   Sbuffai un’imprecazione, mentre Merlino guaiva intuendo il mio nervosismo e strusciava la testa contro la mia mano per consolarmi. «Ci cacceremo nei guai», mormorai.
   Alistair poggiò la schiena contro il muro e incrociò le braccia al petto. «Forse però hanno ragione: potrebbe non esserci altro modo per scoprirne di più al riguardo, visto che neanche le ricerche dei cavalieri di Arle Eamon hanno avuto buon esito. E poi con Leliana e Wynne a vigilare sugli altri, mi sento più tranquillo.»
   Appellandomi al Creatore nella speranza che nelle parole di Alistair ci fosse un minimo di verità, mi arresi ad imitare il mio compagno e mi accostai anch’io al muro, accarezzando distrattamente il mio cane, lo sguardo perso lì dove, in fondo alla strada, si intravedeva parte dello spiazzo in cui vi era il mercato. In quel viavai di gente, scorsi una donna elfo che se ne andava a spasso a braccetto ad un uomo di mezz’età, forse il suo antico padrone che da serva l’aveva elevata alla condizione di amante e concubina. Esattamente quello che credeva Goldanna di me. Vestita con un largo e sfarzoso abito verde smeraldo ed una mantella scura bordata di pelliccia, vezzo che un esponente della nostra razza difficilmente potrà mai permettersi onestamente, la ragazza procedeva solennemente in mezzo alla piazza con le spalle rigide, i capelli castani acconciati in morbidi boccoli appuntati sulla nuca con un vistoso fermaglio a forma di farfalla, forse di fattura orlesiana. Un trucco appena meno pesante di quello delle donne di Orlais, infatti, le metteva in risalto gli zigomi sporgenti e le labbra carnose, e i lobi delle sue lunghe orecchie erano forati e ingioiellati – come se non fossero già state abbastanza appariscenti al naturale. Ma a lei non importava, e camminava a testa alta con un bruciante orgoglio che le brillava sotto le lunghe ciglia scure. Era ridicola, eppure andava fiera di quello che aveva e del suo amante che la trattava come una sua pari. A suo modo, mi fece tenerezza: era una di quei pochi elfi che, pur scendendo a compromessi con gli umani, erano arrivati a sedere alla loro stessa tavola, come una gran signora. E le andava bene così. Per un istante la invidiai, sebbene mi stessi chiedendo se si rendesse invece conto del modo in cui la gente la osservava, tra sorrisi maligni ed espressioni disgustate.
   «Vuoi che ti compri un abito come quello?» Lanciai ad Alistair uno sguardo eloquente. «Hai ragione. Lungo com’è, finiresti senza dubbio per inciampare nell’orlo. Chissà, magari vendono lo stesso modello anche per bambine», mi prese in giro.
   «Mi concerò così quando diventerai re e io mi abbasserò a essere una delle tue innumerevoli amanti», risposi con un groppo allo stomaco, tornando a fissare la donna. «Dovrò lottare con parecchie arriviste del genere, immagino.»
   «Non diventerò mai re», affermò con decisione. «È anche per questo che siamo qui, no?»
   «Ma tu pensa», si intromise colei che fingeva in pessimo modo di essere sua moglie, parlandoci attraverso le persiane semichiuse della finestra vicina, dalla quale stava evidentemente origliando la nostra discussione. «Ero convinta che tu volessi salvare il vecchio di Recliffe per puro spirito caritatevole, non per interesse.» Sorrise compiaciuta. «Hai guadagnato un punticino.»
   «Spero di perderlo dicendovi che, se pure Chi-Sapete-Voi non dovesse salire sul trono al posto mio, sono disposto a prendere i voti e a riarruolarmi nei templari», le rispose Alistair.
   «Lasciandomi sola, grazie», ribattei io, inarcando le braccia sui fianchi e fissandolo torva.
   «Vigliacco», commentò Morrigan, nauseata, mentre lui si affrettava a tranquillizzarmi.
   «Per questo dobbiamo fare di tutto per dare la corona a Chi-Sai-Tu, capisci?»
   «Perdonate se mi permetto, Gwydion, e con tutto il rispetto per voi, Nimue», prese inaspettatamente parola Wynne con voce contrariata, nascosta anche lei dietro le imposte, «credo che sia piuttosto deplorevole decidere di lavarsene le mani per una mera questione amorosa. Stiamo parlando di una cosa troppo importante per liquidarla in questo modo.»
   Alistair tagliò l’aria con un gesto stizzito del braccio ed io sbuffai di nuovo, tornando a guardare l’elfo agghindata a festa. «Toglietevelo dalla testa, Wynne: Nimue non c’entra nulla.»
   «È vero», confermò Leliana, venendo in nostro aiuto mentre usciva dall’uscio di casa apparentemente a mani vuote, per fortuna, e dava poi il via libera anche agli altri. «Gwydion è sempre stato contrario all’idea, sin dall’inizio.» Si diede un’occhiata intorno e, sicura che nessuno ci stesse osservando, si diresse a passo spedito lungo la strada vicina, pronta per tornare alla taverna. Fu lì che ci rifugiammo definitivamente, benché la nostra comitiva non dovesse passare del tutto inosservata; ci consolava però il fatto che quella locanda era talmente piena di gente che forse in pochi avrebbero realmente fatto caso a noi.
   «Mi chiedevo…» iniziò Oghren allisciandosi i baffi intrecciati quando ci fummo accomodati attorno ad un tavolo, troppo piccolo per tutti e sei – Merlino era ovviamente rimasto fuori. «Una come quella… Sai, quell’elfo tutto scintillante che stavate osservando prima? Beh, una come quella, le porterà le mutande?»
   «Vi sembrano domande da fare?» sospirò Leliana.
   Lui la scrutò con fare interessato. «E voi della Chiesa? Sotto quella veste?»
   «Che importanza ha?»
   «Va bene, tieniti pure i tuoi segreti. Lo scoprirò in un modo o nell’altro», si ripromise.
   «Buona fortuna», gli augurò la nostra compagna, con aria non troppo entusiasta.
   «Che novità avete?» li interruppe Alistair.
   Le iridi chiare di Leliana ruotarono da una parte all’altra della taverna – noi ci trovavamo proprio in uno degli angoli, ben riparati alla vista di molti – e lei si sporse verso me e il mio collega affinché, pur abbassando il tono della voce, fosse udita da entrambi. «Non c’era nessuno, esattamente come ci avevano detto», ci spiegò. «Se abbiamo perso tempo, all’interno della casa, è stato per cercare qualche indizio. Qualcosa devo pur averla imparata dal mio vecchio lavoro.»
   Oghren, che non sapeva del suo passato di spia, sorrise compiaciuto. «Quindi sei abile con le mani per quello. Interessante», commentò, immaginandosi chissà cosa.
   Leliana si schiarì la gola, decidendo di lasciarlo perdere. «Abbiamo trovato degli appunti riguardo un villaggio di nome Haven, sulle Montagne Gelide. Forse è lì che si è recato, in cerca dell’Urna.»
   Sgranai gli occhi, non sapendo se cedere al panico o meno. «Sulle Montagne Gelide?!» gracchiai sottovoce. «Ci siamo appena stati!»
   «Sei più lagnosa del solito, oggi», si infastidì Morrigan, accanto a me. «Falla smettere», ordinò ad Alistair, dandogli un colpetto sulla mano col dorso della propria.
   «Non è un cane», le rispose lui distrattamente, continuando invece a rimuginare sull’informazione appena ottenuta da Leliana. «State quindi suggerendo di attraversare di nuovo tutto il Ferelden per tornare lassù?»
   «Io non sto suggerendo un bel niente», rispose il bardo, serafica. «Ho solo detto che questa è l’unica pista che abbiamo ricavato perquisendo la casa di quell’uomo. Sta a voi ora decidere cosa fare», affermò. «Benché confesso che la voglia di trovare l’Urna mi stia divorando», farfugliò poi fra sé e sé, abbassando lo sguardo.

Alla fine, che altro potevamo fare se non seguire gli indizi che Leliana aveva trovato? Era la nostra unica pista e nessuno dei cavalieri di Redcliffe l’aveva ancora battuta. Lo avremmo fatto noi, dunque, e il solo pensiero di dover riattraversare il regno fin quasi ai confini con Orlais, fra la neve delle Montagne Gelide e tutto il resto, mi mettevano addosso una stanchezza tale che, mi ripromisi, quando tutto sarebbe finito, avrei dormito per un anno di fila, infischiandomene di tutto e di tutti. Per quanto mi fossi fatta valere nell’ultimo periodo, e io stessa me ne stupivo, di fondo rimanevo sempre la stessa ragazza vigliacca e per nulla incline a farsi invischiare in cose più grandi di lei. Se andavo dritta per la strada più impervia, adesso, era soltanto per senso di umanità, prima ancora che per senso del dovere: non avevo scelto io, di diventare un Custode Grigio. O meglio, lo ero diventata perché le altre alternative erano la morte e, nella migliore delle ipotesi, una vita come Adepto della Calma – e cioè come un involucro privo di emozioni.
   All’epoca in cui decisi di intraprendere il mio viaggio con Alistair e Morrigan, mi ero lasciata guidare dalla solidarietà per il mio compagno, e solo da quella. Non ero un’eroina, non ne capivo nulla di politica, di intrighi, di tradimenti… Ero soltanto una maga che per la prima volta metteva piede fuori dalla gabbia dorata in cui era cresciuta, che per quasi tutta la propria vita aveva ignorato cosa ci fosse al di là di quelle sbarre, che aveva paura di tutto e di tutti. E adesso, invece, mi ritrovavo ad essere la colonna portante di ogni cosa. Quando qualcuno dei miei compagni me lo faceva notare, mi soffermavo a pensare a quanto fosse assurdo tutto ciò; e allora ribattevo prontamente che se non fosse stato per loro io non sarei mai andata da nessuna parte, e su questo nessuno poteva smentirmi. In ogni caso, dal mio punto di vista la gloria che raccoglievamo ad ogni tappa del nostro viaggio era tutta per Alistair: era l’erede di Maric il Salvatore, era colui che ne avrebbe preso il posto, colui che, pur non palesando la propria identità agli altri, continuava a raccogliere consensi per la nostra causa e, indirettamente, anche per la sua – che lo volesse o meno.
   L’unico rammarico, in tutto ciò, era di non essere riuscita ad aiutarlo con sua sorella. Era una cosa troppo grande anche per me, quella. Ed era inconcepibile che, dopo tutti i nemici affrontati, nessuno di noi due era stato in grado di averla vinta su quella donna insensibile, insopportabile e venale. Stentavo persino a credere che fossero davvero fratelli.
   «Grazie per tutto quello che hai fatto oggi per me», mi disse d’un tratto Alistair quella sera, quando, tornati all’accampamento, rimanemmo da soli davanti al fuoco. Aveva l’aria abbattuta, eppure nei suoi occhi continuavo a scorgere la stessa luce di sempre.
   «Non ho fatto nulla», gli risposi sincera. «Anzi, avrei voluto poterti essere realmente d’aiuto, ma…» Mi zittii, incapace di completare la frase. Avevo già insultato Goldanna abbastanza a lungo fra me e me, e non era giusto che esternassi la scarsa considerazione che avevo di lei anche al povero Alistair, che già di per sé non era di ottimo umore.
   Lui abbozzò un sorriso. «Neanche te ne rendi conto», mormorò scuotendo il capo. Sospirò. «Sono fortunato ad avere te.» Mi prese una mano e la strinse fra le sue per riscaldarla. Rimase in silenzio a fissare le fiamme danzanti davanti a noi, e tuttora non sono sicura che le vedesse realmente. Nella sua mente e nel suo cuore stava certamente rielaborando tutte le delusioni e le sofferenze ricevute nel corso della vita, ed evidentemente io ero una delle sue poche consolazioni. «Tu… Tu sei stata la prima, per me, lo sai… E se dipendesse dalla mia volontà, saresti anche l’unica», confessò, alzando di nuovo lo sguardo su di me.
   Rimasi senza parole, cominciando ad avvertire il calore del fuoco sul volto. Chinai il capo, intimidita, pur continuando a tenere gli occhi nei suoi. «E… non ti importa ch’io sia un elfo?»
   Lo vidi sorridere, intenerito. «Certo che no», mi rispose con fare ovvio, lisciandomi la pelle del viso con il dorso delle dita di una mano. «Giuro che ti amerei anche se tu fossi un bronto», aggiunse, poggiando le labbra sulla mia fronte per ribadire il concetto.
   In realtà, per quanto mi sforzassi di non farmi complessi al riguardo, la vita continuava a sbattermi sul muso la grande differenza che c’era fra noi, e non solamente per colpa di una mera questione fisica. A conti fatti, in confronto ad un qualunque umano, io valevo meno che zero. Se non subivo discriminazioni vere e proprie era unicamente dovuto al fatto che ero una maga ed un Custode, e quindi la gente mi temeva a causa dei miei poteri o mi teneva in grande considerazione perché contavo quasi quanto un re – e forse più. E nonostante questo nessuno mi avrebbe accettata al fianco di Alistair, lo sapevo bene, né mi illudevo che le cose potessero andare diversamente. Non ero stupida fino a questo punto.
   Eppure, facendo appello al suo buon cuore e alla disperazione che lo legava a me forse ancor più dell’amore vero e proprio, lui si riteneva fortunato ad avermi. Senza rendersi conto di quanto invece fosse incerto il nostro futuro, sia che fossimo rimasti insieme, sia che avessimo continuato a percorrere due cammini paralleli ma differenti.














*Fangirl mood on*
Awww! Che bello! Ho potuto shippare come una matta Alistair e Morrigan, qui! XD
*Fangirl mood off*
La pianto perché se no la Nimue che è in me mi dà fuoco, come minimo. E avrebbe anche ragione, povera bestiolina... XD Però, davvero, mi sono divertita come una scema di scrivere le loro battute da marito e moglie. X3
A proposito di Nimue e Alistair, non sapete quanto mi abbiano fatto piacere i vostri commenti allo scorso capitolo... Davvero, non mi aspettavo che faceste tutti il tifo con le bandierine! XD (Oltre che per Leliana che fissa le grazie di Morrigan. XDDD Prendo appunti per il futuro! ♥) E sono felice di sapere che la scena d'amore sia stata di vostro gradimento. Temevo di scendere troppo nel melenso o di fare qualcosa di banale. In realtà in parte penso ancora che sia l'una e l'altra cosa, ma siccome si tratta pur sempre di una scena romantica, mi tocca pazientare. Anche perché Alistair è zuccheroso, c'è poco da fare. X3
Tra l'altro ho ricevuto anche un disegno sull'evento del secolo, e per questo non posso che ringraziare ashar! *_*
http://img442.imageshack.us/img442/9488/img005x.jpg
Mentre l'adorabile Milly Miu Miu ha già illustrato il capitolo ventotto (con la famosa scena fra Nimue e Alistair a casa di Oghren), il cui link originale si trova in fondo al capitolo, e in più ha anche fatto un disegno adorabile e puccioso su Nimue in chiave più moderna: http://lilithblack.deviantart.com/art/Nimue-pigiama-183939747
GRAZIE INFINITE, RAGAZZE!!!
Rispondo brevemente alle vostre recensioni.
ashar - Il capitolo sulle Sacre Ceneri, se tutto va come dovrebbe, sarà il prossimo. Sinceramente non so neanch'io cosa scriverò, il che è confortante, eh?
ENS - Iiih! (No, non sono un cavallo! È solo un verso scandalizzato, il mio!) Imbrogliona?! A me?! .... Beh, sì, ma tanto mi sono rifatta con questo capitolo, no? XD Ad ogni modo, grazie davvero per le belle parole, ci tenevo tanto ad avere anche il tuo parere riguardo quella scena. ^^ (Quanto ai sandwich, credo che esistessero... Se no, saranno stati una specialità di Orzammar, fatta con carne di nug. XD)
The Mad Hatter - Non rigirare il coltello nella piaga, per favore. ç_ç La faccenda di Goldanna, come hai letto, l'ho affrontata subito dopo la famosa prima notte insieme, e quando ho saputo che è dopo la sua quest che Alistair si fa finalmente avanti all'accampamento, mi sono mangiata le mani fino ai gomiti. Più che altro perché mi sono sentita una donnaccia a far proporre a Nimue quella cosa prima che lo facesse lui. ç_ç E va beh, ormai è andata. XD Quanto a Leliana... no comment. XD
Shadow Eyes - Awww! Grazie, cucciola! <3 Il collegamento con la raccolta di shot prima o poi andava fatto, e quale occasione migliore di questa? X3 A proposito, quella raccolta prima o poi la continuerò. Per ora sono un po' in stand by. ç_ç E per quel che riguarda Leliana... pfff! Mi diverto un mondo a mettere vaghi indizi qua e là sulla sua particolarità. È adorabilmente complessa e contraddittoria. X3
HikariShadow - Ecco uno dei pochi difetti di Dragon Age: Origins: l'interazione fra i vari membri del party è troppo scarsa, per i miei gusti! Avrei davvero voluto sentire un commento da parte di Alistair al discorso fra Leliana e Morrigan. Mi sarei accontentata anche di una delle oscenità di Oghren, giuro! XD
Milly Miu Miu - Awww! Grazie anche a te, cara, e non soltanto per la recensione, ovviamente! ♥ Hai visto che non sono poi così cattiva e che alla fine li ho fatti divertire per davvero senza alcuna interruzione? XD Piuttosto, spero tu ti sia ripresa definitivamente dall'influenza! ç*ç (Oh, e la battuta sull'abilità delle mani di Leliana, pronunciata da Oghren, è tutta ispirata al tuo comic su Miu, spero non ti spiaccia! >_<)
Evertine - Sì, alla fine s'è scoperto che era lui. David Gaider me lo aveva davvero servito su un piatto d'argento, non potevo non approfittarmene come ogni brava fangirl che si rispetti. è_é E comunque ogni tanto un po' di sano romanticismo in una storia fantasy/avventurosa non guasta, no? =P
The Warden Archivist - Bentornata! :DDD *Abbraccia* Buona lì, però, ché mi sa tanto di cosa impossibile che quei due possano popolare il mondo con la loro progenie, a prescindere dal modo in cui è finita la mia partita: che un Custode Grigio possa avere un figlio è già quasi un miracolo, ma che possano averlo una coppia di Custodi... beh, fa troppo barzelletta, secondo me. XD Poi, va beh, ci sono sempre miracoli più miracolosi di altri, ma non sono fangirl fino a questo punto. XD
Atlantis Lux - Mi hai recensito il capitolo ventotto e non il ventinove (che comunque mi hai commentato in separata sede, visto che mi beti ogni singola parola di questa long... Santa subito!), ma non sai quanto ho ghignato per quello che mi hai scritto riguardo Branka. XD E se la battaglia contro di lei è parsa ben scritta, ne sono strafelicissima. Sì, anche più del saperti rotolare a terra dal ridere per Oghren. XD
Inutile dire che ringrazio anche tutti gli altri lettori, vero? Un bacio quindi anche a: BgmnhOO, Cass, CookieandDeadlySins, Erecose (Sia santificato anche lui per i suoi consigli e la sua pignoleria! *___*), Hanako_chan, kelyseh, Laiquendi, lames76, Lara, Layra Luin Isil, liriel, NicoDevil, Salice, slan, Slepless, Sotorei e The Wall. Come al solito, se dimentico qualcuno, prendetemi a sberle. E poi fatemelo anche notare a parole, però, così almeno la prossima volta rimedio.
Concludo dicendovi che proprio con oggi sono passate due settimane dall'inaugurazione del GdR su Dragon Age creato da me e da Lara, e che le iscrizioni sono sempre aperte a chiunque abbia voglia di partecipare. Per ora siamo una dozzina di persone e ci stiamo davvero divertendo, anche se siamo ancora agli albori della storia e i personaggi stanno ancora imparando a conoscersi. Lascio il link a chiunque fosse interessato: http://dragonagegdr.forumfree.it/
A presto e buona domenica a tutti!
Shainareth





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Capitolo 31
*** Haven ***







CAPITOLO TRENTUNESIMO - HAVEN




Non molto tempo dopo aver lasciato Denerim, ci imbattemmo in Levy Dryden, un mercante che, vedendo noi maghe e i guerrieri armati di tutto punto, domandò a Bodahn Feddic quanto gli fosse costata una scorta del genere e, se non gli era di troppo disturbo, di dividere con lui il prezzo di quei mercenari finché avessero proseguito il viaggio nella stessa direzione. Alla fine, comunque, volenti o nolenti, ci costringemmo a spiegargli chi eravamo – dopotutto cosa poteva fare un uomo solo contro tutti noi? – e non appena sentì nominare i Custodi Grigi, quasi s’illuminò.
   «Duncan non mi ha mai nominato?» ci chiese, tutto contento, lasciandoci basiti. «Levy il Mercante?»
   Con me non lo aveva fatto di certo, anche perché avevo conosciuto Duncan troppo poco perché lui mi mettesse al corrente di tutte le sue amicizie. Fu perciò Alistair a rispondere. «Il nome dei Dryden non è visto sotto buona luce», disse, cercando, almeno nel tono della voce, di non apparire troppo sgarbato. «La vostra famiglia ha perso titoli e proprietà.»
   «Dite pure quel che vi pare della mia famiglia», replicò l’uomo, apparentemente risentito, «ma siamo da sempre fedeli servitori dei Custodi Grigi.» scosse poi il capo, imponendosi di restare calmo. «Perdonatemi, voi avete un Flagello da fermare e io vi sto facendo solo perdere tempo», riprese, gesticolando per scusarsi. «Però, vedete, Duncan mi aveva promesso che avremmo cercato insieme qualcosa di molto importante per i Custodi. E per me.» Il suo viso assunse un’espressione triste e lui calò gli occhi azzurri. «Ma il povero Duncan… Una simile tragedia… Io lo so, lo so che lui vorrebbe che il suo lavoro fosse portato avanti, ma ora come ora la sua promessa non potrà essere mantenuta.»
   «Come avete conosciuto Duncan?» gli chiese Alistair, cominciando a incuriosirsi. Era lecita una domanda del genere, poiché in effetti vi era solo la parola di Levy Dryden contro quella di un uomo che non avrebbe mai più potuto avere voce in capitolo.
   Il mercante scosse le spalle. «È quasi una favola», disse, tradendo una certa soddisfazione. «Io sono colui che riportò i Custodi Grigi nel Ferelden.» Aggrottai le sopracciglia così tanto, che lui sicuramente se ne accorse e perciò corresse il tiro. «Beh, uno di quelli che lo fecero. Eravamo in tanti, in effetti.» Così già risultava più credibile. «Per lo Spirito del Creatore… Sono un po’ nervoso… Sono troppo onorato di essere con voi, davvero.»
   «Andate avanti con il vostro racconto, per favore.»
   «Dopo che Re Maric ci liberò dal giogo orlesiano, i Custodi Grigi chiesero il permesso di tornare nel Ferelden per… affari interni. Io e altri simpatizzanti del vostro ordine ci facemmo portavoce dei Custodi, ma Teyrn Loghain era fermamente contrario a lasciar entrare dei Custodi di Orlais nel regno.» Almeno su questo non c’era da contraddire Levy, né da biasimare Loghain, vista la lunga guerra che quest’ultimo aveva combattuto in prima persona contro l’impero vicino. «Ma Maric – che Andraste lo benedica – era un sovrano giusto, e li lasciò entrare. Io ero lì quando i Custodi e il loro leader, Genevieve, si presentarono al re. I primi Custodi nel Ferelden dopo oltre un secolo. Fu il giorno più grande della mia vita.» Sorrise, orgoglioso. «All’epoca Duncan era un vero monello… Avevamo la stessa età e stringemmo amicizia.»
   A quel punto vidi sorridere anche Alistair, rapito molto più di me dalla storia di Levy per via del fatto che si stesse parlando non soltanto dei Custodi Grigi e di suo padre, ma soprattutto di lui, di Duncan, di cose che lo riguardavano e che Alistair non aveva probabilmente mai avuto modo di scoprire, per quanto avesse voluto sentirle raccontare proprio da quell’uomo che lui aveva considerato più vicino di Maric.
   «Lo stesso re», riprese Levy, sempre con lo stesso entusiasmo, «andò con i Custodi in chissà che missione segreta. Quando fece ritorno, annullò il decreto di Re Arland e i Custodi furono riammessi nel Ferelden.»
   «Esattamente… perché Re Arland bandì i Custodi Grigi?» intervenni io, che alla fin fine ne sapevo davvero poco sull’argomento.
   Di nuovo il mercante fece spallucce. «La gente dice che fu perché i Custodi erano diventati estremamente impopolari. Balle, dico io.» Fece un gesto stizzito con una mano, come a testimoniare il suo disappunto al riguardo. «Gli eventi recenti hanno dimostrato esattamente il contrario.»
   «Se la gente non aveva una buona opinione dei Custodi Grigi, perché Re Maric annullò il decreto?» domandai poi, molto più curiosa di Alistair al riguardo.
   Levy distese le labbra, quasi divertito. «Oh, Maric era un po’ un visionario… Una mente brillante», precisò subito per evitare equivoci. «Nel suo viaggio con i Custodi, doveva aver visto qualcosa di molto importante per la loro causa. Ma questo è ciò che si racconta a corte, di come lui migliorò i rapporti con Orzammar.»
   Che c’entrava Orzammar, in tutto quello? Stava forse a significare che Maric e i Custodi erano scesi nelle Vie Profonde? Se ciò era vero, allora Maric lì sotto ci era stato ben due volte: la prima, con Loghain e Rowan, durante gli anni della rivolta contro l’Usurpatore di Orlais; la seconda, tempo dopo, con i Custodi Grigi – tra i quali, a quanto pareva, figurava anche Duncan. Ma perché?
   «Una cosa però è certa», aggiunse Levy, serio e convinto ci quello che diceva. «Re Maric era un gigante fra gli uomini.»
   «Che tipo di promessa vi fece Duncan?» quasi ci interruppe Alistair. Sapevo che non aveva poi troppa considerazione di suo padre per via di quello che avevano passato lui, sua madre e sua sorella, ma in quel momento, più che seccato di sentir parlare dell’uomo a cui doveva la vita, mi parve turbato. Probabilmente Alistair stesso non sapeva più cosa pensare di Maric: era davvero il grande sovrano di cui tutti tessevano le lodi, o era colui che, come aveva raccontato Goldanna, approfittandosi della propria posizione privilegiata aveva fatto pressioni su una povera donna per poter giacere con lei e poi abbandonarla al suo destino? E se lo aveva fatto con lei, poteva benissimo averlo fatto con diverse altre.
   «Come sapete», prese a rispondere Levy, «il nome della mia famiglia è coperto di fango tra i nobili. Ma la mia bis-bis-nonna, Sophia Dryden, fu l’ultimo Comandante dei Custodi del Ferelden, ai tempi in cui erano considerati dei parassiti. Per questa ragione Re Arland bandì i Custodi e tolse titoli e proprietà alla Casata dei Dryden. Quando egli morì, scoppiò la guerra civile, e la nostra famiglia fu costretta alla fuga, perseguitata dai nemici e senza nessuno disposto ad aiutarla. Ma noi Dryden siamo tenaci», affermò Levy battendosi una mano sul petto con espressione fiera. «Siamo risorti e siamo diventati mercanti. E non abbiamo mai perso il nostro orgoglio.»
   «Come mai avete mantenuto il vostro nome?»
   «Il solo crimine commesso dai Dryden fu quello di proteggere il regno dal Flagello. Perché mai avremmo dovuto vergognarcene?»
   «E quindi? Cosa avevate chiesto a Duncan?»
   «La verità», rispose semplicemente. «Sophia Dryden morì nella vecchia base dei Custodi Grigi, a Picco del Soldato, in circostanze misteriose. Noi le siamo molto devoti e vorremmo ripulire dall’infamia il suo nome. Non mi interessano né i titoli né le terre: voglio soltanto scoprire la verità per poter ripristinare il nostro onore.»
   «Non ho mai sentito parlare di Picco del Soldato», ammisi intimidita. Anche se, a conti fatti, ero ormai un Custode da quasi un anno, rimanevo pur sempre una recluta come Alistair; ma a differenza sua io non avevo ricevuto nessun tipo di addestramento o istruzione sul nostro ordine, salvo le sporadiche informazioni che lui stesso si era premurato di fornirmi.
   «Beh», cominciò Levy, quasi imbarazzato, «nessuno ha più messo piede a Picco del Soldato dai tempi di Re Arland. O per lo meno, nessuno vi ha mai fatto ritorno. Ho trascorso anni della mia vita nel cercare di tracciare i tunnel che portano lì, e sono certo di aver trovato la strada giusta un paio di anni fa. Così andai da Duncan e gli dissi che, se avesse voluto, avrebbe potuto reclamare la vecchia base, mentre io avrei riavuto l’onore. Capite? Picco del Soldato è molto importante sia per ciò che rappresenta sia per la posizione strategica in cui si trova. Duncan disse che ne sarebbe valsa la pena. E sperava anche di ricostruire la storia perduta dei Custodi e magari di reperire qualche vecchio cimelio. Nessuno sa davvero cos’è accaduto laggiù.»
   «Se le cose stanno così, perché Duncan non vi aiutò?» volle sapere giustamente Alistair, incerto se credergli o meno.
   «La Prole Oscura stava risalendo in superficie nel sud del Ferelden, e Duncan era troppo occupato a reclutare nuovi Custodi e a incontrare il buon Re Cailan. Disse che mi avrebbe aiutato dopo la battaglia di Ostagar, che la missione a Picco del Soldato sarebbe stata molto importante. Ma… sfortunatamente sapete meglio di me quel che accadde dopo.»
   Che quell’uomo dicesse il vero o meno non lo sapevamo. Di una cosa eravamo certi, però: sapeva come prenderci. «Cosa volete ora da noi?»
   «Vedete… Io potrei anche andarci da solo, a Picco del Soldato», disse Levy, mortificato. «Però… di certo è un luogo pericoloso, quello. Mi aiuterete?»

Quando mi svegliai, e con gli occhi ancora chiusi, strisciai verso il calore che proveniva dal corpo di Alistair e mi aggrappai a lui come una scimmietta con la sua mamma. Da quando avevamo lasciato Denerim avevamo dormito insieme ogni notte, foss’anche solo per sentire l’uno la presenza dell’altro. Lui aveva bisogno di non stare da solo, io di averlo accanto finché potevo. Non eravamo semplici amanti, ma anche compagni, amici, fratelli. Avevamo finito per vivere in simbiosi, e tutte le volte che mi domandavo cos’avremmo fatto quando il nostro tempo insieme sarebbe scaduto, mi sentivo quasi mancare il respiro e scacciavo via la tristezza cercandolo e pretendendo che mi rimanesse abbastanza vicino per consentirmi non soltanto di vederlo, ma anche di toccarlo o di percepirne il respiro.
   Lo sentii muoversi. Dapprima si grattò inconsciamente la mascella, solleticandomi le orecchie con il suono delle unghie che strusciavano contro la barba bionda; poi allungò il braccio nella mia direzione e lo passò dietro la mia schiena. Ritrovandomi col naso schiacciato contro il suo petto, inspirai il suo odore e mi chiesi come facessi, un tempo, a considerarlo in parte sgradevole: adesso non avrei saputo vivere senza.
   Era già sorto il sole? Oppure potevo permettermi di stare lì dov’ero, e illudermi di potervi rimanere per sempre? A volte speravo di risvegliarmi ancora al Circolo, ma senza Alistair non avrebbe avuto senso. E se anche lui fosse stato lì, in una vita alternativa in cui nessuno di noi due era un Custode Grigio e il Flagello soltanto una favola, sarebbe stato uno dei templari che vigilano sui maghi che vengono rinchiusi in quella gabbia dorata. Altro che Cullen, però, mi ritrovavo a pensare allora, con un certo sdegno. Avremmo fatto la fine di Jowan e Lily?
   Alistair mugugnò qualcosa, forse un buongiorno, e si strinse di più a me, nascondendo la bocca nei miei capelli e sporgendo appena le labbra per darmi un bacio. Lo imitai, e poi cominciai ad infastidirlo soffiando con forza contro la sua pelle nuda e producendo un rumore ben poco educato. Anziché intimarmi di smetterla, mi passò una carezza sulla nuca. Era scemo quanto me, oltre ad avere una pazienza infinita, e questo mi era di conforto.
   «Albeggia», disse dopo un po’, con voce impastata dal sonno. Non risposi. «Credi che quell’uomo, ieri sera, dicesse il vero?»
   Mi sollevai su un gomito per poterlo guardare negli occhi. «Non so se è sincero o no», cominciai allora a dire. «Sta di fatto, però, che sa molte cose e che la sua storia è piuttosto dettagliata e credibile.» Il mio compagno prese a giocherellare distrattamente con le dita della mia mano, l’espressione assorta. Sorrisi. «Tu vuoi mantenere quella promessa, vero?»
   «Duncan non ne ha avuto la possibilità…» mormorò afflitto e quasi timoroso di darmi fastidio. Come se glielo avessi potuto negare… «Insomma, so che adesso non ne abbiamo il tempo: abbiamo le Sacre Ceneri da trovare, Loghain da detronizzare e un Flagello da fermare», elencò, forse per cercare di convincere se stesso che gli interessi personali dovevano essere messi in secondo piano. «Però, magari, quando tutto questo sarà finito…»
   Sempre ammesso che fossimo sopravvissuti, altrimenti la fortezza dei Custodi, oltre a risultare inutile per la mancanza di membri del nostro ordine nel Ferelden, sarebbe anche caduta nelle mani della Prole Oscura. «Quando tutto sarà finito», provai a fargli coraggio, tornando a stendermi accanto a lui, «potremo fare quel che ora non ci è concesso. A cominciare dal recuperare Picco del Sondato.» Ricevetti in premio un altro bacio sul capo. «E dall’andare ad Altura Perenne per rendere omaggio a Duncan.»
   Alistair me ne diede un terzo, molto più irruente e poi affermò, serio: «Prima però ti porto dalla tua famiglia.» Benché non avessi ragione di dubitare che lui comprendesse il mio stato d’animo meglio di chiunque altro, sentirglielo dire mi spiazzò il cuore per la commozione. «Sono certo che tua sorella sia molto più dolce e comprensiva della mia.»

Alla fine Levy Dryden aveva deciso di seguirci per tutto il nostro viaggio, in barba ai nostri avvisi riguardo alle insidie in cui sicuramente ci saremmo imbattuti e al fatto che non avremmo certo avuto la possibilità di fermarci a lungo in questo o quel posto. Si era imposto di riscattare l’onore della sua famiglia, oltre che il suo nome, e non ci sarebbe stato niente e nessuno che lo avrebbe fatto desistere da questo proposito. Diceva che lo faceva anche per Duncan e per i Custodi Grigi del Ferelden, e poiché forse poteva realmente esserci d’aiuto lo lasciammo fare, anche solo per dare una mano nell’allestire l’accampamento notturno o per dare una voce in più a Bodahn, Sandal e ai tre emissari che ci portavamo su e giù per il regno.
   Di pessimo umore a causa della neve che per lui continuava a costituire una fastidiosissima novità, Oghren grugnì qualcosa, che tuttavia nel vento freddo delle montagne gelide non tutti afferrarono. Wynne lo guardò, preoccupata. «Che cosa…» Si zittì, irrigidendo i tratti del volto. «Non importa, non voglio saperlo.» Non c’era da biasimarla, poiché da quando eravamo usciti dalle Vie Profonde, e per la verità anche prima che lo facessimo, Oghren le trotterellava spesso attorno con fare sornione, pronto a lanciarle qualche allusione che nessun uomo sano di mente avrebbe mai rivolto ad un’anziana signora perbene.
   «Va bene», rispose lui risentito, scoccandole un’occhiata quasi offesa. «Tieni pure il naso all’aria. Però, sai, anche se non tutti siamo cresciuti in una torre fra le nuvole come te, questo non fa di noi degli esseri insignificanti.»
   Wynne corrugò la fronte, accentuando le rughe che aveva fra gli occhi scuri. «Non volevo…»
   «E per di più», la interruppe il nano con tono stizzito, «non ho affatto apprezzato il modo in cui mi hai guardato l’altra notte.»
   «Il modo in cui… Cosa?» domandò lei, confusa. Che la memoria cominciasse a giocarle brutti scherzi?
   «Oh, tu sai a cosa mi riferisco», insistette Oghren, sicuro di sé. «Quegli occhi bramosi, affamati di…»
   «Non vi ho mai guardato, nano», lo mise a tacere Wynne, stringendosi nel mantello e inalberando un’espressione mortalmente indignata. «Certamente non in quel modo.»
   Lui ci pensò un attimo su. Infine, concluse serafico: «Hai ragione. Forse era il cane.»
   Tutti gli altri risero, meno che la mia maestra, che invece sospirò con pazienza, ed io, che subito cominciai a preoccuparmi per Merlino, rimasto all’accampamento, e per la sua incolumità. Non che volessi malignare sulla sanità mentale di Oghren o sulla sua condotta morale, ma capitava che quando era sbronzo – e questo accadeva spessissimo – il nostro compagno di Orzammar era capace di dire e spesso anche fare cose che ci lasciavano fortemente perplessi. Una volta si era persino presentato davanti a Bodahn Feddic senza pantaloni, domandandogli se avesse qualcosa per lucidargli l’arma – e nessuno di noi fu tanto indiscreto da chiedergli quale.
   «Piuttosto», esordì Morrigan dopo un po’, sistemandosi meglio il cappuccio sulla testa e voltandosi nella direzione di Leliana, «sei davvero sicura che questo villaggio esista? Sono ore che camminiamo!»
   L’altra le si fece vicino per agevolare la conversazione, resa difficile dal vento gelido che sferzava sulle nostre facce. «C’eravate anche voi a casa di Fratello Genitivi», le ricordò, «e fra i suoi appunti era il nome di Haven quello che spiccava maggiormente.»
   «Beh, è un posto che io non ho mai sentito», protestò ancora la figlia di Flemeth, «e non mi pare sia segnato sulla nostra mappa.»
   «Ma su quella di Fratello Genitivi c’era, e io l’ho memorizzata a dovere», le spiegò il nostro bardo, tranquilla.
   «Anche quest’abilità l’avete sviluppata grazie al vostro vecchio lavoro?» s’interessò Alistair, non lontano da loro.
   Leliana fece spallucce. «Una memoria di ferro è d’obbligo per svolgere certe missioni», rispose. «Foss’anche solo per non sbagliare obiettivo
   Quella rivelazione fu seguita da un breve silenzio. Poi il mio collega si lasciò sfuggire: «Se vi avessi conosciuta qualche tempo fa, dubito seriamente che mi sareste andata a genio.»
   Lei rise, sinceramente divertita. «Oh, vi assicuro che avrei avuto altri modi per entrare nelle vostre grazie.» E siccome sia Alistair che io la fissammo attoniti, si curò di aggiungere: «Sempre ammesso che avessi avuto qualche tornaconto.»
   «Ho idea che a me invece saresti piaciuta più prima», mormorò Morrigan, sovrappensiero. «Almeno saresti stata più onesta con te stessa.»
   «Sono certa che Leliana lo sia anche ora», la rimproverai, infastidita dalla piega che stava prendendo il discorso. «E comunque vedo qualcosa là in fondo», annunciai allungando una mano verso l’orizzonte.
   Gli altri mi risposero che non scorgevano nulla, ma io assicurai loro che qualcosa c’era per davvero. E poiché ormai si affidavano senza protestare troppo ai miei sensi di elfo, proseguimmo per la strada che ci era stata suggerita dalla mappa tracciata da Fratello Genitivi che Leliana aveva trovato e che, impossibilitata a rubare, aveva impresso nella mente con una precisione invidiabile. L’unico intoppo che avemmo fu che uno smottamento causato dalla neve ci ostacolò il cammino, e pertanto fummo costretti a cambiare itinerario col rischio di perderci. Ci affidammo all’orientamento di Morrigan, abituata a girovagare in posti sperduti come le Selve Korcari, dove in molti rischiavano di perdersi e di non fare mai ritorno. Fu così che, benché per un attimo tememmo di aver smarrito la via, ci ritrovammo presto ai piedi di una scalinata in legno incassata nella roccia e sormontata da un arco composto rozzamente da due pali, una trave e due fiaccole che ardevano all’ingresso del villaggio, abbarbicato in cima a una montagna.
   Congelati a causa del freddo, ci inerpicammo su per gli scalini fradici di neve, rischiando di romperci l’osso del collo, e quando raggiungemmo il centro abitato, una guardia si parò innanzi a noi, fissandoci con aria severa. «Che ci fate a Haven? Non c’è niente per voi, qui.» Non che come accoglienza fosse il massimo, ma per lo meno avevamo avuto la conferma di essere giunti nel posto giusto.
   «Quindi questo è Haven?»
   «Cosa volete?»
   Fu Leliana a rispondere per noi. «Vorremmo dare un’occhiata in giro», prese a dire. «Sapete, non è facile raggiungere questo posto e perciò, avendolo incrociato sulla nostra strada, ci interesserebbe dare uno sguardo.»
   «Non ci piace che gli abitanti di giù s’impiccino degli affari nostri», ribatté l’uomo, incrociando le braccia al petto con espressione infastidita. «Questo non è uno zoo.»
   La nostra compagna non si lasciò scoraggiare e sorrise. «Allora non vi dispiacerà rispondere a qualche domanda, giusto? Per esempio, da quanto tempo Haven si trova qui?»
   «Haven è sempre stato qui. La mia famiglia non ha conosciuto altra casa che questa.»
   «E chi si occupa del villaggio?»
   «Padre Eirik è la nostra guida, spirituale e non.»
   A quel punto le sopracciglia di Leliana si corrucciarono perplesse. «Reverendo Padre?» mormorò, risultando strana a se stessa. «Non ho mai sentito niente del genere…»
   «È sempre stato così a Haven. Non si rispettano granché le tradizioni», l’avvisò la guardia, spostando il peso del corpo da un piede all’altro con impazienza.
   «Le vostre tradizioni sono diverse dalle nostre?» prese parola Wynne, vedendo Leliana quasi in difficoltà di fronte a quella rivelazione.
   «Le nostre usanze non sono le stesse delle città di giù», le confermò l’altro, non curandosi di nascondere una certa noia dovuta a quella sorta di interrogatorio. Ma immaginai che pur di sbarrarci il cammino fosse disposto a tutto, anche a subire altre mille domande.
   «E come mai sono in pochi a conoscere Haven?»
   «Ci teniamo, a noi stessi», replicò l’uomo con scontrosa ovvietà. «Non abbiamo bisogno di annunciare la nostra presenza al mondo, è molto più pacifico così.» Ci squadrò ben bene: un’anziana signora, due giovani donne, un elfo, un ragazzo e un nano in effetti non rappresentavano una minaccia. Almeno apparentemente. Sospirò, agitando una mano per aria con fare accondiscendente. «Se volete, potete andare a fare rifornimenti alla bottega del villaggio», ci concesse. «Fatto ciò, vi suggerisco di sparire.»
   «Sbaglio o l’aria è diventata più gelida di quello che era già?» borbottò Alistair fingendosi allegro e guadagnandosi un’occhiataccia dalla guardia. Lo trascinai via, e insieme agli altri iniziammo a guardarci attorno.
   Il villaggio era recintato da una semplicissima staccionata di legno, e non pareva avere grandi difese, a parte la sua posizione. Ciò che ci stupì più di tutto il resto, a parte la faccenda del Reverendo Padre, fu che Haven era deserto. Ovunque ci girassimo non c’era anima viva, a parte due o tre persone che ci fissavano con aria diffidente e sprezzante, e il silenzio che regnava, unito al candore della neve, rendeva quel posto tremendamente suggestivo e inquietante. Non mi piaceva.
   La bottega si trovava lontano dallo sguardo della guardia, più in alto rispetto all’entrata del villaggio, e questo ci confortò: potevamo girovagare liberamente senza destare i suoi sospetti e senza essere visti. Il proprietario del negozio fu gentile, a suo modo, e fu mentre gli altri nostri compagni sbrigavano piccoli acquisti che io cominciai ad avvertire un odore poco gradevole. Sbirciai nella direzione di Oghren, ma se fosse stata opera sua, di certo se ne sarebbe vantato. Inoltre pareva che fossi l’unica ad avvertirlo.
   Troppo concentrata nel chiedermi da dove provenisse quel leggero lezzo, sussultai quando Leliana mi afferrò per un braccio e mi portò in un angolo per parlarmi in privato. «C’è un cadavere», mi disse senza troppi giri di parole.
   Mi vide sbiancare. «Cosa…?»
   Alzò gli occhi verso il negoziante, impegnato a trattare con Wynne, e spiegò: «Poco fa sono sgattaiolata sul retro», e a questo non era difficile crederlo benché nessuno di noi si fosse accorto di nulla, vista la sua abilità di spia, «e vi assicuro che c’è il cadavere malconcio di un uomo.» Si morse il piccolo labbro carnoso. «Dall’armatura e dai vestiti direi che si trattava di un… cavaliere di Redcliffe», mi rivelò con voce contrita. «Doveva essere arrivato qui per il nostro stesso motivo.»
   Serrai le palpebre: tragico indizio per capire che eravamo sulla strada giusta. «Pensate sia stato lui?» domandai, facendo un impercettibile cenno col capo verso il proprietario della bottega.
   «Se non è l’assassino, di certo ne è il complice, o non nasconderebbe il reato», mi fece presente la mia amica.
   «E perché non se n’è sbarazzato?»
   «Il sangue è ancora fresco, l’omicidio è stato compiuto da poco. Potrebbe essere accaduto proprio poco prima che noi arrivassimo al villaggio, forse stamattina», ipotizzò, le sopracciglia chiare appena aggrottate a sottolineare il suo stato meditabondo. «Oppure aspetta che scenda la notte per portarlo via, così che nessuno lo veda.»
   Mi voltai a guardare gli altri. «Cosa suggerite di fare?»
   «Ignorarlo.» Tornai a fissare Leliana con occhi sgranati, troppo sbigottita per spiccicare parola. «Se ci mettiamo a reclamare giustizia adesso, forse non saremo in grado di indagare oltre. E noi abbiamo un disperato bisogno di Fratello Genitivi», sussurrò con voce ferma. Sembrava davvero sicura di quel che diceva, e in effetti il suo discorso non faceva una piega. Annuii, decidendo di fidarmi delle sue capacità di giudizio in questo ambito; di certo era più esperta di me, e non di poco.
  Quando uscimmo da lì, Leliana si allontanò di nuovo col chiaro intento di indagare come solo lei avrebbe potuto fare ed io le diedi carta bianca. Non parlai subito con gli altri di quel che mi aveva già rivelato, poiché reputavo più prudente evitare di far agitare anche loro e, di conseguenza, di attirare ulteriormente l’attenzione di quei pochi individui che di tanto in tanto incrociavamo per strada.
   Aspettammo Leliana in un piccolo spiazzo, e quando lei tornò, ci diede una notizia tutt’altro che confortante. «In una di queste case c’è un altare di legno, completamente ricoperto di sangue.»
   Ignaro dell’omicidio che si era consumato nella bottega, Alistair fece spallucce. «E quindi? Non potrebbe essere un tavolo per cucinare?»
   «Credetemi: la carne non rilascia così tanto sangue», gli assicurò il bardo, torturandosi le dita delle mani all’altezza del petto.
   «Sto solo cercando di essere ottimista», protestò il giovane con una smorfia. «Tutte le altre ipotesi sono un po’ troppo inquietanti…»
   «E temo che siano anche le uniche realistiche», mormorai con un groppo allo stomaco. Sospirai, e dopo uno sguardo d’intesa fra me e Leliana, quest’ultima raccontò quanto aveva visto nel negozio. Come c’è da immaginarsi, anche gli altri nostri compagni, a quel punto, caddero dalle nuvole.
   «Tutto questo sta a significare che Haven non è affatto pacifico come sembra», concluse Wynne per tutti, non riuscendo a nascondere la preoccupazione. «Cosa volete fare?»
   «Spacchiamo un po’ di teste, che altro, se no?» s’intromise Oghren, l’unico che pareva non intenzionato a portare pazienza e ad agire con prudenza.
   «Non possiamo farlo senza esserci prima accertati che ciò che cerchiamo si trova qui.»
   «Sì, invece», mi contraddisse prontamente. «Prima spacchiamo le teste, poi cerchiamo quello che ci serve con tutta calma.»
   «Le cose in superficie accadono in modo diverso rispetto al sottosuolo», gli feci presente, infastidita.
   «Bah», fu il disappunto del nano, enfatizzato con un gesto stizzito del braccio. Non pose altre obiezioni e ci seguì in silenzio.

La chiesa di Haven si trovava in cima alla montagna. Sentendo la guardia parlare di un Reverendo Padre a capo del villaggio, e dopo aver scoperto l’esistenza di altari sacrificali all’interno delle mura domestiche degli abitanti del posto, l’unica cosa che ci venne in mente di fare, a quel punto, fu di proseguire dritto verso la cappella dove speravamo di scoprirne di più. Di sicuro Alistair aveva ragione: tutto quello che Leliana aveva visto per noi era inquietante e non lasciava presagire nulla di buono. Cominciavamo a capire perché alcuni dei cavalieri di Redcliffe, come quello che giaceva morto nella bottega, non avevano potuto fare ritorno. Ma cosa diavolo c’era di tanto sinistro attorno all’Urna delle Sacre Ceneri? La profetessa Andraste non era certo andata predicando immolazioni per rendere omaggio al Creatore! Non per quello che avevo imparato da bambina all’enclave, per lo meno, poiché al Circolo la religione viene messa abbondantemente da parte dalla gran parte dei maghi – accusati di essere empi dai maggiori esponenti della Chiesa. Iniziavo seriamente a temere per la vita di Fratello Genitivi. E anche per la nostra, a dirla tutta.
   Quando fummo vicini alla cappella, dal cielo cominciò a cadere, rado, qualche fiocco di neve. E mentre Oghren iniziava ad imprecare contro tutti i fenomeni atmosferici che stava imparando a conoscere da quando aveva lasciato Orzammar, e che lo infastidivano non poco, mi parve di udire qualcosa fra i suoi borbottii poco educati. Era come un brusio di voci sommesse, come un’adunata.
   «Riuscite a sentirlo?» domandai a quel punto, facendo cenno ad Oghren di tacere.
   «Ci sono delle persone in chiesa», mi diede ragione Alistair, che, pur tendendo le orecchie, non era riuscito a capire a cosa alludessi se non quando avevamo fatto qualche metro più avanti. «Forse l’intero villaggio.»
   «Questo spiegherebbe perché non abbiamo incontrato quasi nessuno», annuì Wynne.
   La facciata della cappella era molto semplice, con due finestre dai vetri colorati che formavano dei mosaici senza figure, ed una porta nel centro, illuminata per ciascun lato da una torcia che emanava un piacevole, benché perlopiù inutile, tepore.
   Fu Alistair a spingere il portone d’ingresso, e noi lo seguimmo fino a giungere alle spalle di una moltitudine di persone, tutte rivolte verso il fondo della chiesa. Data la mia scarsa statura, mi era impossibile scorgere oltre quella muraglia umana, ma supposi che al di là di essa vi fossero un altare e il Reverendo Padre, che in quel momento stava concludendo un incontro di preghiera con le seguenti parole: «… Siamo benedetti, siamo stati scelti per essere i Suoi difensori. Questo sacro compito è stato dato a noi soltanto; gioite, e preparate i vostri cuori per ricerveLa. Sollevate le vostre voci, e non disperate, perché Lei porterà i Suoi servi fedeli alla gloria quando…»
   Si bloccò di colpo, poiché qualcuno si era accorto del nostro arrivo e aveva finito con l’attirare l’attenzione di tutti, compresa quella dell’uomo che stava parlando. Come un torrente diviso da un ostacolo posto sul suo cammino, la folla si aprì in due, lasciandoci abbastanza spazio per avanzare indisturbati. Noi però rimanemmo fermi dov’eravamo.
   «Ah… benvenuti», disse allora il Reverendo Padre, fissandoci con espressione corrucciata e palesemente seccata. Data l’età, tradita non soltanto dalla lunga barba canuta, si reggeva ad un bastone piuttosto rozzo, che quasi faceva a pugni con la veste ricca di ricami e bordure dorate, troppo eccentrica per appartenere ad un uomo di Chiesa. Accanto a lui vi erano persino due soldati armati di tutto punto. «Avevo sentito di alcuni stranieri che si aggiravano per il villaggio. Suppongo abbiate apprezzato il tempo che avete trascorso finora qui a Haven, no?»
   Ci guardammo fra noi, consci che le parole di quell’uomo fossero tutt’altro che amichevoli. Alistair si chinò su di me, sussurrandomi all’orecchio: «Avverto magia minacciosa in questo posto. Potrebbero scagliarcela contro da un momento all’altro. Forse sarebbe meglio anticiparli.»
   Leliana fu d’accordo con lui, tanto che la sua mano stava già scivolando verso il grosso pugnale che portava con sé. «Abbiamo visto il cadavere di un cavaliere di Redcliffe, qui al villaggio», esordì per tastare le reazioni dei presenti.
   La linea della bocca del Reverendo Padre, se possibile, si curvò ulteriormente verso il basso. «Questo, fratelli», prese a rivolgersi ai suoi fedeli, «è ciò che accade quando permettiamo agli stranieri di entrare nel villaggio. Non hanno rispetto per le nostre tradizioni.»
   «Tradizioni?» ripetemmo in coro io e Morrigan, l’una allibita, l’altra disgustata. «È così che chiamate un omicidio in piena regola?» volle sapere la figlia di Flemeth.
   «Voi, stranieri, non potete capire le nostre usanze», continuava frattanto il vecchio.
   «Non ci teniamo a farlo, grazie», rimbeccò Alistair, la voce quasi fremente d’ira: quell’uomo era complice in quell’assassinio e in chissà quanti altri, e non solo rimaneva impunito, ma per di più aveva una massa di seguaci – folli quanto lui – tale da popolare un intero villaggio.
   «Potreste portare la guerra a Haven, con la vostra ignoranza», ci rimbrottò il Reverendo Padre.
   «Dov’è di Fratello Genitivi?» pretese di sapere Wynne, stufa di quelle farneticazioni. «Che ne avete fatto di lui?»
   «Non vi dobbiamo alcuna spiegazione», ribatté l’altro, battendo il bastone a terra con impeto tale che il suo volto divenne rosso per la rabbia. «Abbiamo un compito sacro, e mancare di proteggerLa sarebbe un gravissimo peccato.»
   Oghren sbuffò, insofferente. «Posso spaccarlo a lui, il cranio?» mi domandò a voce abbastanza alta perché tutta l’adunata emise un’esclamazione di indignato stupore, cominciando a fissarci peggio di prima.
   «Di chi parlate?» volli sapere, rivolta al Reverendo Padre. «Chi dovete proteggere? Andraste è morta da così tanti secoli che…»
   «Non bestemmiate!» m’interruppe il vecchio, tornando a battere la parte inferiore del bastone sul pavimento di pietra con veemenza tale che quel colpo risuonò forte per tutta la chiesa e, peggio, provocò anche una scintilla sospetta.
   Calò un silenzio mortale. Poi, con invidiabile calma, Leliana si fece avanti fino ad affiancarmi. «Non sono fedeli ad Andraste», mi spiegò con uno sguardo che non mi piacque per nulla: era molto simile a quello che le avevo visto in volto durante il combattimento contro Branka, lo sguardo di qualcuno che aveva già deciso cosa sarebbe accaduto l’istante seguente.
   Mi chiesi se fosse giusto uccidere in nome della fede, e subito mi risposi di no: era da folli, e noi non eravamo come gli abitanti di Haven. «Leliana», iniziai, cercando di farla ragionare. Ma le parole mi morirono in bocca quando sentii Alistair che, alle mie spalle, stava sguainando la spada. Mi voltai di scatto nella sua direzione, e fu quasi con orrore che vidi che anche Wynne, Morrigan e Oghren avevano impugnato a dovere le proprie armi. «State scherzando, spero!» esclamai.
    «Giù!» gridò il mio collega, afferrandomi con forza per il mantello e gettandomi a terra. Non riuscii a vedere quel che accadde negli attimi successivi, ma l’aria si stava improvvisamente impregnando di energia elettrica, e un momento dopo quello che avrebbe dovuto essere un fulmine svanì prima ancora di esplodere.
   La folla urlò, ammassandosi contro le pareti della cappella e riversandosi al di fuori di essa per non essere travolta nello scontro. «Un templare!» concluse il Reverendo Padre con un disprezzo nella voce che io avevo già udito troppe volte in passato, durante gli anni trascorsi al Circolo. Cercai di rimettermi in piedi e di capire cosa diamine stesse succedendo, e fu allora che tutto mi fu chiaro: quell’uomo era un mago, forse persino un Maleficar o comunque un eretico.
   Pur frastornata, agguantai il bastone che nella caduta mi era scivolato di mano. E mentre Oghren si scagliava con furia contro le due guardie armate, io mi affrettai ad accorrere in aiuto delle mie compagne, impegnate già in una lotta impari contro i più coraggiosi e fanatici dei seguaci di Eirik. Fu in quel momento che pur di non pensare al rischio che correvamo nel combattere contro della gente disarmata – ma comunque assai pericolosa, visti i principi morali che le loro labili menti avevano ormai assorbito per chissà quanto tempo – mi ricordai che una volta, svolgendo delle ricerche nella biblioteca del Circolo per un compito, avevo letto che in alcuni posti del Thedas, e in particolar modo a Rivain, non si pratica affatto la religione del Creatore e di Andraste; si crede invece soltanto negli elementi naturali.
   Haven, mi convinsi, per certi versi poteva aver preso spunto dalle usanze rivaini, poiché anche in quella lontana terra al centro delle credenze popolari vi sono delle persone dotate di poteri magici – tutte donne, a dire il vero – capaci di comunicare con gli spiriti e che spesso permettono loro di entrare nei propri corpi. E, ovviamente, vista la considerazione di cui godiamo noi maghi al suo cospetto, non mi ero stupita di scoprire che la Chiesa cercava – e cerca – di proibire e di seppellire queste millenarie tradizioni locali.
   Ricordo nitidamente, e spiacevolmente, che la mia fede, già di per sé non troppo stabile, in quel momento vacillò. Proprio quando invece avrei dovuto tenerla ben ancorata al mio animo.













Capitolo orrendo, ma mi tocca scrivere anche di queste cose. Chiedo però perdono per il ritardo con cui aggiorno stavolta: ho avuto un calo di ispirazione incredibile, dovuto più che altro al fatto che i prossimi capitoli presenteranno una narrazione più spezzettata a causa dei DLC e delle quest dei membri del party (Leliana, Morrigan, Wynne e Oghren) da intrecciare fra loro.
A proposito dei DLC: quello con Shale (Bwahahah! Avevo scritto "Shane", e chi conosce quest'ultima riderà con me! XD) non credo di inserirlo, per quanto mi piaccia il suo personaggio. Tratterò quindi di Picco del Soldato, come avete letto, e di Ritorno ad Ostagar.
Prima di passare ai saluti (alle recensioni adesso posso rispondere direttamente, che bello! <3), volevo mostrarvi un altro disegno, questa volta opera di una ragazza non ancora iscritta a EFP e che non legge neanche questa fanfiction (né gioca al videogioco). Semplicemente, Kio13 è un tesoro e ha voluto farmi questo piccolo, adorabile omaggio di sua spontanea volontà:
http://img8.imageshack.us/img8/6232/copiadif.jpg
Un grazie va poi a: ashar, Atlantislux, BgmnhOO, Cass, ENS, Erecose, Evertine, Hanako_chan, HikariShadow, kelyseh, Laiquendi, lames76, Lara, Layra Luin Isil, liriel, Milly Miu Miu, NicoDevil, Salice, sese87, Shadow Eyes, slan, Slepless, Sotorei, The Mad Hatter, The Wall, The Warden Archivist e TheWhiteFool.
Buona domenica e a presto!
Shainareth





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Capitolo 32
*** L'Urna delle Sacre Ceneri ***







CAPITOLO TRENTADUESIMO - L'URNA DELLE SACRE CENERI




Trovammo Fratello Genitivi oltre una parete di mattoni, nascondiglio che a primo acchito era impossibile da scorgere. Fu Leliana a capire che si trattava di un muro finto, ne aveva visti tanti durante gli anni trascorsi al fianco di Marjolaine. Oltre l’arco che lo incorniciava vi erano un’ampia sala e uno studio pieno di libri, appartenenti sicuramente al capo della setta del villaggio. Non ci fu possibile lasciarci distrarre troppo dalla mobilia della stanza perché gettato sul pavimento, come se fosse stata una bambola vecchia, vi era il corpo di un uomo.
   Era vivo, benché palesemente stordito, e ci fissava con occhi acquosi, spalancati. Il suo volto era ricoperto di ecchimosi, segno che doveva aver subito parecchie violenze da parte del mago di Haven. Che fosse destinato a diventare la vittima sacrificale di uno dei loro sanguinosi riti?
   «Chi… Chi siete?» boccheggiò, tirandosi appena indietro e atteggiando il viso in una smorfia, a sottolineare il dolore che gli procurava muoversi.
   Wynne si chinò su di lui, e Alistair la imitò poco dopo. «Siamo qui per aiutarvi», lo rassicurò, mentre la mia anziana maestra si adoperava immediatamente per curarlo.
   L’uomo, ancora spaventato, provò a tendere una mano verso il mio compagno, che subito gliel’afferrò per comunicargli conforto. «Voi… Voi non potete immaginare quanto io sia felice di vedere qui qualcuno che non sia del villaggio…» boccheggiò il poveretto, lasciandosi andare ad un gemito.
   «Ha una gamba rotta», osservò Wynne, constatando quale fosse la più grave delle ferite.
   Mi inginocchiai accanto a lei, pronta ad assisterla come potevo, benché in realtà non avessi assolutamente idea di cosa dovessi fare. Non che avessi dimenticato i suoi insegnamenti, ma in quei momenti, così ravvicinati allo scontro appena avvenuto in chiesa e che ci aveva visti vincitori, nella mia mente vi era tutto fuorché chiarezza. Ci eravamo battuti contro degli esseri umani, non contro dei mostri come avevamo fatto quasi sempre durante il nostro viaggio. E poco importava se ci eravamo già trovati altre volte in una situazione simile, come durante l’imboscata di Zevran o gli uomini di Loghain all’ingresso di Orzammar; per me quelli erano ricordi così lontani, così sbiaditi rispetto all’orrore delle Vie Profonde, che mi pareva inconcepibile dover usare le mie magie come mezzo di offesa verso creature che non appartenessero all’oscurità delle viscere della terra. Per colpa della religione, oltretutto. Non aveva senso, per nulla.
   L’uomo sospirò, riportandomi alla realtà. «È per quello che non mi sento più il piede.»
   «Posso alleviarvi il dolore e rimettere a posto l’osso, ma avrete bisogno di molto riposo», gli spiegò Wynne.
   Avvalendosi del sostegno di Alistair, lui si tirò stancamente su a sedere. «No… Non posso riposare adesso che sono così vicino al mio obiettivo… L’Urna è in cima alla montagna», ci rivelò con una vivida luce nello sguardo.
   «Abbiamo bisogno delle Ceneri», gli rivelò il figlio di Maric, sorreggendolo per le spalle. «Arle Eamon è malato, e deperisce giorno per giorno.»
   L’altro batté le palpebre, allarmato. «Arle Eamon è malato? Sopravviverà?»
   «È stato avvelenato da un sicario di Loghain.» Sapevo che Alistair non voleva ferirmi con quelle parole, e non solo perché corrispondevano alla pura verità, ma anche e soprattutto perché era ben conscio di quanto io fossi stata male per aver inconsapevolmente agevolato Loghain nella realizzazione del suo piano criminale. Inoltre io stessa mi ero convinta di aver assolto le mie colpe nel coinvolgimento di Jowan in tutta quella storia recandomi nell’Oblio per riportare indietro Connor e scacciare via il demone che si era impossessato di lui. Eppure in quel momento di confusione, la mia coscienza vacillò di nuovo pericolosamente.
   Calai le ciglia sul viso e continuai a rimanere in silenzio.
   «Politici», sospirò ancora Fratello Genitivi, scuotendo il capo con disappunto. «Mai che ne facciano una giusta.» Alzò gli occhi su Alistair. «L’Arle è un’anima nobile. Sono certo che le Sacre Ceneri lo aiuteranno», gli assicurò. «Le leggende parlano dei loro miracolosi poteri, dopotutto. Ci sono molte storie di pellegrini che sono stati guariti, come ciechi che sono tornati a vedere e infermi che hanno cominciato a danzare per la gioia. Forse è Andraste a farlo. Forse soltanto la forza della persuasione: convincendosi che le sue Ceneri sono magiche, lo diventano per davvero.» Prese fiato. «Haven giace all’ombra della montagna che custodisce l’Urna», prese a raccontarci. «C’è un vecchio tempio, lì, costruito per proteggerla. La porta è sempre chiusa, ma io so dov’è la chiave. Eirik indossa un medaglione che apre la porta del tempio… Ho visto come fare.»
   «Questo medaglione?» volle sapere Leliana, prendendo parola per la prima volta e facendo oscillare a mezz’aria un monile che, a quanto pareva, senza che io me ne avvedessi aveva sottratto al corpo del mago che ci eravamo lasciati indietro.
   «Sì», rispose lui, sollevato di vederlo in mano nostra. «Quella è la vostra chiave. Portatemi con voi all’interno della montagna. Vi mostrerò cosa fare.»
   «Solo quando avrò finito con la vostra gamba», lo mise bonariamente – e imperiosamente – in guardia Wynne, stirando le pallide labbra in un’espressione di rimprovero, la stessa che assumeva quando si ritrovava ad avere a che fare con la smania di Alistair e Oghren di tornare a menare le mani quando invece erano ancora più ammaccati che sani.
   Fratello Genitivi si costrinse ad annuire. «Sapete niente dei cavalieri che erano stati inviati qui?» gli domandò ancora Leliana, approfittando di quella sosta forzata.
   «Come potrei dimenticare?» mormorò l’uomo, afflitto. «Hanno teso loro un’imboscata. Alcuni furono uccisi, altri portati fin qui per essere interrogati. Eirik era così appagato all’idea di torturarli e ucciderli… Sembrava provare piacere nel farlo.»
   «Lady Isolde mandò quei cavalieri a cercarvi quando siete sparito», gli rivelò Alistair a mezza voce.
   Il volto di Fratello Genitivi si contrasse in un’espressione contrita. «Doveva essere disperata… Non poteva certo immaginare che li avrebbe spediti incontro alla morte.»
   «Haven è davvero un posto… bizzarro», disse Leliana, cercando di moderare le parole. «Perché qui ci sono dei reverendi padre?»
   Lui fece spallucce. «Non ne ho idea», sospirò, dichiarando implicitamente che tutti i suoi studi non gli avevano mai chiarito questo punto. «Anch’io, come voi, so solo che la Chiesa, da che è stata edificata, permette di ordinare soltanto sacerdotesse. Potrebbe darsi che gli abitanti del villaggio, i cosiddetti Discepoli di Andraste, anticiparono gli insegnamenti della Chiesa con la loro religione, e così non sono mai venuti a conoscenza dei nostri dogmi. Sono dei veri fanatici, non mi stupirei se le cose fossero andate così o, peggio, se avessero respinto con la forza ogni tentativo di conversione.»
   Questo era piuttosto probabile, vista la foga con cui si erano scagliati contro di noi, ma non mi consolava poi troppo. Lo fecero però la carezza che Leliana mi passò su una spalla e lo sguardo comprensivo che Alistair mi lanciò: si erano dunque resi conto di quanto ero rimasta scossa da quanto appena accaduto. Mi sentii indifesa, e mi venne da piangere come al solito. Mi facevo pena da sola.
   «Loro dovrebbero proteggere l’Urna», continuava a parlare Fratello Genitivi, senza far troppo caso alla mano che mi stavo passando sul viso per asciugare le lacrime. «E invece parlano ad Andraste, come se fosse ancora viva.»
   «E potrebbe essere vero?» domandai con voce tremula, facendo sorridere di tenerezza gli altri.
   Lo stesso Genitivi mi riservò un’occhiata gentile. «Sono abbastanza vecchio da poter affermare che tutto è possibile, bambina…» mi vezzeggiò in tono paterno.

La fede di quell’uomo, la sua dedizione per i suoi studi… Se da un lato tutto questo mi faceva ritrovare uno spiraglio di stabilità, dall’altro quasi mi spaventava. E non ne capivo la ragione.
   Il tempio non era troppo lontano dal villaggio. Non appena ci trovammo davanti all’ingresso fui quasi assalita dal panico, e se non fosse stato per il braccio che Wynne mi passò attorno alle spalle per comunicarmi un po’ del suo calore, probabilmente mi sarei rannicchiata ai piedi di quel santuario e avrei ricominciato a piangere, senza mai trovare il coraggio di varcarne la soglia. Sostenuto da Alistair, Fratello Genitivi non la smetteva più di parlare, mentre Leliana pareva già entrata in una sorta di silenzio mistico. Oghren e Morrigan sembravano essere i più disinteressati alla questione, stringendosi semplicemente nel mantello, ansiosi di entrare per evitare di morire congelati a causa della neve.
   Purtroppo per loro, l’interno del tempio non era affatto più caldo. Enormi stalattiti di pendevano dall’ingresso, e in alcuni punti esse si erano unite alle stalagmiti sottostanti, creando delle vere e proprie colonne di ghiaccio. Proposi a me stessa di consolarmi grazie all’artistico spettacolo offerto dal Creatore in onore del luogo in cui giacevano le Sacre Ceneri della sua sposa. Inutilmente.
   Ancora abbracciata alla paziente Wynne, con la quale procedevo in fondo al gruppo, osservavo senza vederle realmente le orme che i miei compagni lasciavano sulla neve che era riuscita a penetrare fin sulla scalinata oltre il passaggio d’entrata. Fu in cima ad essa che, davanti ad un portone che ci sbarrava la strada, Fratello Genitivi volle fermarsi e, porgendo la mano a Leliana, disse: «Datemi il medaglione.» Lei obbedì, e lui se lo rigirò fra le dita con fare pensieroso. «Se non ricordo male… Sì, sì, era così», farfugliò fra sé.
   Attenta al modo in cui lui maneggiava il ciondolo, Morrigan s’incuriosì e gli rivolse la parola per la prima volta. «Come fai a saperlo?»
   «Non vi fidate mai di nessuno, voi», commentò Alistair, infastidito.
   Le labbra della strega s’incurvarono in un grazioso e orgoglioso sorriso. «Ti sbagli. Mi fido di una sola persona a questo mondo: me stessa.» Lui ruotò le pupille verso l’alto, per nulla stupito di quella risposta.
   Fratello Genitivi però parve curarsi poco del loro breve scambio di battute e rispose alla domanda di Morrigan. «Esistono solo poche chiavi di questo genere al mondo, e io ne ho vista qualcuna», le rivelò, continuando a manipolare il medaglione.
   Dal punto in cui mi trovavo, alle loro spalle, non riuscivo a vedere nulla, e francamente neanche mi interessava; non ero mai stata davvero curiosa, e di questo la figlia di Flemeth continuava a rimproverarmi, dicendo che questa mia mancanza dimostrava il mio scarso intelletto. Forse aveva ragione, ma io ero – e sono ancora – altrettanto convinta che la troppa curiosità non porta altro che guai.
   «Basta trovare la giusta combinazione», continuava a dire Fratello Genitivi. «È difficile da spiegare.» Sebbene non gli pose nuovi quesiti, Morrigan non mi pareva per nulla convinta. «Ora lasciatemi vedere se riusciamo ad aprire questa porta… Dovrebbe esserci una fessura per inserire la chiave…» ragionò, dando uno sguardo d’insieme al grosso portone che ci barricava il vero ingresso al tempio e che, pochi attimi dopo, si spalancò davanti a noi, introducendoci in un’enorme costruzione di gelida pietra che lasciò incantata la nostra guida. «Finalmente…» farfugliò con occhi colmi di commozione, mentre il suo respiro continuava a condensarsi in leggere nuvolette.
   «Dobbiamo stare all’erta», gli ricordò Alistair, che ancora lo sorreggeva.
   «Oh… Sì, giusto, perdonatemi…» si scusò l’uomo, tornando con i piedi per terra. «Queste caverne furono create subito dopo la morte di Andraste», iniziò a spiegarci. «Potrebbero rivelarci segreti sulla Sua vita che ancora nessuno conosce…» Di nuovo si lasciò distrarre dalla magnificenza che ci circondava. «Mi occorrerà molto tempo per poter studiare questo posto… Lasciatemi qui», ci disse poi, di colpo. «Con la mia gamba rotta sarà impossibile per me proseguire al vostro fianco, rischierei solo di rallentarvi e di essere d’impaccio. Questo luogo sembra sicuro, almeno per ora.»
   «Ne siete certo?»
   «Assolutamente.»
   «Grazie, allora.»
   Pur volgendoci indietro di tanto in tanto per assicurarci che non gli accadesse nulla, lasciammo Fratello Genitivi lì all’entrata e ci spingemmo all’interno di quell’antica costruzione sepolta dal ghiaccio e dal mistero. Nell’aria si poteva avvertire un velo palpabile di quella che non avrei neanche saputo definire magia, ma che per certi versi la ricordava non poco. O forse era la suggestione, come ci aveva detto Fratello Genitivi? Se fosse servita a rendermi più forte e a scacciare tutti quei dannati dubbi che mi avevano assalita da quando eravamo arrivati a Haven, allora sarei volentieri caduta in quell’innocuo, miracoloso tranello. Tuttavia, per quanta fede potessi avere nel Creatore, non mi riusciva di averne altrettanta nella sua religione in sé, nella Chiesa e nei vari culti esistenti al mondo – opera di creature mortali e non di divinità – e nelle loro assurde regole.
   Fu la voce di Alistair, dopo un po’, a rompere il silenzio che regnava in quel posto assai suggestivo. «Perché La raffigurano sempre così bella?» domandò, mentre passavamo davanti ad una delle tante statue di Andraste che incrociammo lungo il nostro cammino. «E se invece avesse avuto i denti da coniglio?»
   «Siete blasfemo», lo rimproverò Leliana, fervida credente a dispetto delle sue abilità di spia e assassina. Poteva sembrare una meravigliosa contraddizione, forse, ma di certo ormai aveva deciso di abbandonare la vecchia vita per abbracciarne una di gran lunga migliore per se stessa e per gli altri.
   «Perché?» volle sapere Alistair, senza cattiveria. «I denti da coniglio La renderebbero meno santa? Se Nimue avesse le corna, l’adorerei comunque.»
   «Se le avessi, sarei io a non adorare te», puntualizzai, piccata.
   Lui strinse le labbra con fare pensieroso. Poi mormorò: «Perché ho l’impressione di essermi dato la zappa sui piedi?»
   «Sei un idiota, di che ti stupisci?» gli ricordò soavemente Morrigan. «E ora piantala con tutti questi perché o ti tramuto in una statua di ghiaccio», lo minacciò, facendolo sbuffare.
   «Sarò anche un idiota, ma ci scommetto che su tutta questa storia sono molto più ferrato di voi», si vantò Alistair, contento, almeno per una volta, di poter far sfoggio della sua cultura di ragazzo cresciuto in chiesa pur di farle dispetto. «Per esempio, come si chiamava il marito di Andraste?»
   «Che domande stupide…» brontolò lei, manifestando indirettamente la propria ignoranza al riguardo. «Non è forse il vostro Creatore?»
   «Quello spirituale, certo. Ma io parlo di quello mortale.»
   «Se la passava bene…» commentò con sarcasmo, facendo ridere Oghren, che le diede manforte con una battuta assai blasfema per davvero, e che mortificò le orecchie mie, di Alistair e di Leliana.
   La quale subito borbottò tra i denti: «Spero che quando troveremo l’Urna voi due possiate essere i prossimi Heressian.» E poiché sia Morrigan che Oghren la fissarono dando prova di non avere idea di chi fosse costui, fu costretta ad aggiungere: «Fu Heressian a condannare Andraste al rogo. E, paradossalmente, egli fu anche la prima persona che si convertì al Canto della Luce durante la Sua esecuzione. Spero che sappiate almeno cos’è, il Canto della Luce.»
   «Ormai lo so a memoria, per tutte le volte che sei stata a recitarlo all’accampamento…» sbuffò la figlia di Flemeth, mostrando tutto il proprio disappunto al riguardo. Per quanto noiose potessero essere per lei certe questioni, per lo meno avevano il potere di farmi rilassare un po’.
   Continuammo a parlare fino a che non fummo costretti a tacere per colpa del freddo che ci congelava i polmoni e per la strada che si inerpicava sempre più verso l’alto, fra scale e salite che evidentemente continuavano a portarci verso la cima della montagna. A ben guardare, solo un fervido credente avrebbe potuto percorrere tutto quel cammino, e in quelle condizioni, per raggiungere l’Urna – ammesso che ci fosse davvero. Non eravamo neanche liberi di accendere un fuoco magico per riscaldarci un po’ per paura che esso potesse far sciogliere il ghiaccio che si trovava all’interno di quell’immensa costruzione, magari arrecandovi dei danni imperdonabili ed irrecuperabili. Senza contare il rischio che dei lastroni potessero crollarci addosso.
   Ci eravamo ormai rassegnati alla sola compagnia dei nostri respiri affannati e dello scalpiccio dei nostri piedi sul pavimento, scivoloso e pericolante, specie quando il tempio terminò in un lungo tunnel che di tanto in tanto si apriva in ampie caverne ancora più gelide. Poi, di colpo, un verso sconosciuto risuonò nella profondità di un antro appena imboccato facendoci sussultare così tanto che io e Oghren slittammo sul ghiaccio e per poco non ci rompemmo l’osso del collo. Se io fui sorretta al volo da Leliana, il nostro compagno nano non ebbe la stessa fortuna, ma per lo meno la sua armatura ne attutì la caduta, provocando un bel frastuono che ebbe come accompagnamento diverse imprecazioni nello stretto, quanto incomprensibile, dialetto di Orzammar.
   «Draghi!» esclamò Alistair, incredulo di trovarne all’interno della montagna e mettendo già mano all’elsa della spada. La sola idea di dover affrontare un altro drago, com’era stato nelle antiche rovine di Brecilian, mi prosciugava ogni energia. Certo non sarebbe stato nulla se confrontato all’implacabile Arcidemone che avevamo scorto nelle Vie Profonde, e però…
   «Sono solo dei cuccioli», constatò Wynne, vedendoli zampettare nella nostra direzione, seppur con intenzioni non propriamente amichevoli. Non erano loro, in effetti, a preoccuparmi, quanto il pensiero che se c’erano dei draghetti e delle uova in quella caverna, di certo anche la loro mamma doveva essere nei dintorni. Guaii in preda alla rassegnazione e alla commiserazione di me stessa e della fine che avrei potuto fare lì. Per lo meno, mi consolai, il ghiaccio avrebbe conservato il mio corpo all’usura del tempo.
   «Fermi!» tuonò poco dopo una voce che ci colse impreparati quando riuscimmo a sfuggire alle grinfie di quelle bestiole. «Non proseguirete oltre!»
   Guardandoci attorno con fare allarmato, scorgemmo delle figure più in fondo che si stagliavano contro la luce che proveniva da un’apertura che conduceva finalmente all’aria aperta – e il vento gelido che ci sferzava i volti stanchi ce ne dava la conferma.
   «Chi siete?» chiese Wynne. Era sempre stata una donna coraggiosa e intraprendente, ma in quell’istante ebbi la sensazione che era anche grazie allo spirito che la possedeva che riusciva ad essere tanto forte.
   «Non avete alcun diritto di chiedere il mio nome», ribatté quello che doveva essere il capo del gruppo riunito lì. Che ci stessero aspettando o meno, li reputavo dei pazzi a rimanere in quel luogo inquietante, per certi versi, e soprattutto esposto così tanto al freddo. «Siete voi, piuttosto, a doverci dire chi siete e perché avete profanato questo tempio!» continuò con impeto l’uomo in armatura, dirigendosi a grandi e sicure falcate verso di noi.
   Wynne non si scompose e anzi ebbe la lucidità necessaria per replicare con garbo: «Diteci il vostro nome e noi vi diremo perché siamo qui.»
   Lui si lasciò subito persuadere. «Sono Padre Kolgrim, capo e guida dei Discepoli di Andraste.» Un altro reverendo padre. Armato, per di più. «Uccideteci, e affronterete Andraste. Fiuterà il sangue che avrete addosso, il nostro e quello dei Suoi bambini, e sarà la vostra fine.»
   Fiutare? Sangue? Bambini? Che andava farneticando, quell’invasato?
   Fu Morrigan ad analizzare la cosa meglio di quanto avremmo potuto fare noialtri credenti. «Per bambini intendi i draghi? Andraste è un drago?»
   In un’altra circostanza l’avrei senza dubbio catalogata come un’assurdità, ma la serietà con cui l’altro reagì, infervorato, non lasciavano adito a dubbi. «Lei è molto di più! È assai più gloriosa di tutti gli Antichi Dei messi insieme!» Era pazzo, non c’era altra spiegazione. E dicevano che la follia collettiva era quella di noi poveri, infelici maghi, reietti in una Torre dove, per un verso o per l’altro, non potevamo uscirne propriamente sani di mente. «Dopo la Sua morte è tornata in una nuova forma che non potete neanche sperare di immaginare! Nessuno più potrà condannarla a morte, ora!» Fissò i suoi occhi spiritati in quelli di Morrigan. «Cosa sperate di fare?»
   Leliana anticipò la sua risposta. «E che ne è stato delle Sue Ceneri?»
   «Sono qui, in questo tempio», ci spiegò l’uomo. Per essere uno che ci aveva ammoniti di non avere alcun diritto di porre domande ci stava dando fin troppe informazioni. D’altra parte, però, se non ci stava con la testa c’era ben poca logica da ricercare nei suoi comportamenti. «Ma che bisogno abbiamo delle Ceneri quando possiamo servire Andraste in tutta la Sua gloria?»
   «Parlate delle Ceneri con un certo sdegno…»
   «Che altro sono, se non i resti di una donna mortale?»
   «Quindi non vi farete alcuno scrupolo a consegnarle a noi?» Checché ne dicessero gli altri riguardo alle mie capacità di persuasione, anche Leliana aveva una lingua assai astuta.
   L’uomo ci scrutò con fare pensieroso. «E così siete qui sulle tracce delle Ceneri… Forse potremmo perdonarvi per quest’intrusione… Chiunque ha diritto a una seconda opportunità. Forse la grazia di Andraste ha deciso di tramutare il Suo nemico nel Suo campione…»
   «Potrebbe essere», gli diede corda la mia amica, inducendolo a proseguire con il suo ragionamento.
   «Le Ceneri si trovano sulla cima di questa montagna, protette da un guardiano immortale che si rifiuta di accettare la verità sulla nostra Signora.» E se la loro Signora aveva le ali e sputava fuoco non c’era da meravigliarsene. «Esse rappresentano la Sua passata incarnazione, e non Le permettono di muoversi da qui. Sono come legate, e finché Esse esisteranno…»
   «Volete distruggere le Ceneri?!» s’intromise Alistair, quasi con violenza. Che fosse credente o meno quanto Leliana aveva poca importanza: l’Urna era l’unico modo che ci era rimasto per tentare di salvare Arle Eamon, per radunare i nobili del Ferelden e per contrastare Loghain. «Piuttosto vi vedrò morto, prima!»
   Si venne perciò allo scontro, ma nessuno di noi se la sentì di dar torto al nostro compagno, foss’anche solo per non dover arrivare a pensare di aver fatto tutta quella strada, attraversando tutto il regno da Denerim alle Montagne Gelide, senza ricavarci neanche un pugnetto di quelle Ceneri miracolose. Stanchi e con le membra intirizzite dal freddo, trovammo delle evidenti difficoltà di movimento, che tuttavia non ci impedirono di riportare una vittoria senza poi gravi conseguenze. La magia guaritrice mia e di Wynne fu accolta persino con gioia perché capace di irradiare un lieve tepore che a quelle temperature parve non poco rinfrancante.
   Abituata com’era a perquisire da sempre le proprie vittime, Leliana non si fece scrupoli a mettere le mani addosso al corpo di Kolgrim, trovando un corno. Che servisse per annunciare battaglia o semplicemente come richiamo non ci era dato saperlo né in quel momento ci premeva scoprirlo; suonarlo avrebbe potuto risultare pericoloso se non addirittura fatale – per via della neve che entrava dal fondo della caverna e per l’eventuale presenza di altre creature, qualunque tipo di forma avessero avuto.
   Quindi, dopo una breve sosta che ci servì non solo per riprendere le forze ma anche per rinfrancare lo spirito, imboccammo quella che doveva essere la via d’uscita per raggiungere la cima dell’altura che avevamo salito in quelle ultime ore. La luce del giorno ci ferì gli occhi quasi come aveva fatto quando avevamo lasciato Orzammar, e la neve delle Montagne Gelide ci fece rivivere in modo quasi completo quel déjà-vu di alcune settimane prima. C’era, tuttavia, una sostanziale differenza: ad attenderci lì fuori non trovammo una folla di mercanti nani e di clienti d’ogni tipo, bensì un grande drago che planò sulle nostre teste, allarmandoci non poco, e finendo poi per appollaiarsi su una sporgenza rocciosa non lontana dal punto in cui ci trovavamo. Quella creatura, che incrociò le zampe anteriori per poggiarvi sopra il muso come volesse riposare, doveva essere la famosa Andraste venerata dagli abitanti di Haven. Il corno di Kolgrim serviva per richiamare quel bestione? Per prudenza, non ci azzardammo a suonarlo, e lui non diede modo di farci credere che volesse attaccarci ma, anzi, rimase fermo lì dov’era. Eravamo un curioso gruppetto eterogeneo formato da umani, elfi, nani, maghi, guerrieri, spie, templari e apostati, eppure la strada che ci separava dalla piccola costruzione che scorgemmo tra noi e il drago era spianata. Forse la vera Andraste ci invitava a proseguire verso la nostra meta senza più ostacolarci.
   Con grande cautela mettemmo un piede davanti all’altro e ci affrettammo a raggiungere l’uscio del vero tempio, addossato alla parete rocciosa della montagna e vegliato da quel drago che si ostinava a scrutarci dall’alto. Una volta attraversato il grande portone d’ingresso, fummo investiti da una sensazione molto più forte di quella che ci aveva colti quando avevamo lasciato Fratello Genitivi. Non so dire cosa avvertirono gli altri, ma per quanto riguarda me, allo stesso tempo sentii inquietudine e pace nel mio cuore, come se volessero darsi battaglia senza che io potessi fare nulla per impedirlo. Era disarmante e mi lasciava intontita e sperduta.
   «Questo posto è molto diverso dalle altre rovine…» Fu questa osservazione di Alistair che mi convinse che non ero l’unica a trovarmi in quelle condizioni.
   In fondo alla prima sala in cui entrammo se ne stava una figura solitaria: un semplice uomo o lo spirito immortale di cui ci aveva parlato Kolgrim? Chiunque egli fosse, non mostrò alcuna intenzione ostile nei nostri confronti, anzi. Ci sorrise, nonostante fossimo coperti di sangue. «Vi do il benvenuto, pellegrini.» Se fosse stato un altro di quei fanatici avrebbe dovuto insospettirsi per l’aspetto con cui ci stavamo presentando, accusandoci di aver dissacrato quel luogo e di aver levato la spada – e non solo quella – contro i Discepoli di Andraste. Ma, dopotutto, lo stesso Kolgrim ci aveva detto che il Guardiano si rifiutava di accettare il loro credo. Dunque era davvero lo spirito immortale messo a guardia delle Sacre Ceneri? Se lo era, non c’era ragione perché gli mentissimo.
   «Siamo qui per l’Urna delle Sacre Ceneri.»
   «Siete qui per onorare Andraste», ci corresse lui, con la presunzione di poter leggere nelle nostre menti. Non che avesse torto, in effetti: se ritenevamo sacra quell’Urna un motivo doveva esserci. «Potrete farlo, se vi dimostrerete degni. Se lo sarete, potrete prendere un po’ delle Ceneri per voi. Altrimenti…» Si fermò, ma nessuno di noi volle sapere cosa ci aspettava se avessimo fallito; non erano contemplati errori, nel nostro percorso.
   «Chi sei?» non riuscì a trattenersi dal domandare Morrigan che, come sempre, tendeva a diffidare del prossimo.
   L’altro non si mostrò infastidito da quella curiosità e, anzi, rispose in tono gentile. «Sono il Guardiano che protegge l’Urna delle Sacre Ceneri. È il mio compito, la mia vita.»
   «Cosa potete dirci del culto di Andraste che si è diffuso in questo posto?» si azzardò a chiedere Leliana, cercando di capirne di più. La sua voce aveva ripreso lo stesso tono mistico con cui si era presentata a noi a Lothering e che le avevo sentito usare nell’Oblio, quando era raccolta in preghiera all’interno del suo incubo.
   «Il culto del drago», rettificò di nuovo il Guardiano, «nacque quando uno degli antenati di Kolgrim si convinse di essere un nuovo profeta.»
   «Dunque il drago non è Andraste.»
   «No. La nostra Andraste si trova accanto al Creatore. Non ritornerà.»
   Quindi il grosso lucertolone alato fuori da quel tempio era autentico, e se non ci aveva attaccati era stato per puro caso. O magari davvero il Creatore ci stava benedicendo e lo teneva alla larga di proposito. Qualunque fosse la verità, sperai che le cose fossero rimaste invariate fino a che non fossimo tornati a Redcliffe con le Ceneri.
   «Prima che procediate oltre questa porta e affrontiate delle prove che stabiliranno se il vostro animo merita o meno quelle Ceneri, c’è qualcosa che dovrei chiedervi. C’è molta sofferenza nel vostro passato… vostra e degli altri che avete amato…» Gli occhi del Guardiano si soffermarono anzitutto su di me, ed io mi chiesi perché dovevo sempre essere la prima ad affrontare prove come quella. «Hai aiutato Jowan a fuggire dal Circolo», mi disse, lasciandomi non poco spiazzata. Conosceva Jowan? No, impossibile. Jowan aveva passato quasi tutta la vita rinchiuso alla Torre con me, Wynne e gli altri maghi, e subito dopo era stato a Redcliffe per conto di Loghain; inoltre, adesso si trovava ancora nei sotterranei del castello dell’Arle. Semmai avevo dubitato delle parole che il Guardiano ci aveva rivolto, ormai non aveva più senso che io lo facessi. «Credi di aver fatto il possibile per lui?»
   No. No, e benché tante, troppe volte mi ero convinta di odiarlo, la verità era soltanto una: se Jowan era caduto in tentazione la colpa doveva per forza essere anche mia, perché non mi ero accorta dei suoi problemi, non mi ero resa conto di quanto stesse male. Benché mi fossi persuasa di essermene lavata la coscienza tornando nell’Oblio per salvare Connor dal demone, non potevo continuare a mentire ancora a lungo a me stessa: Jowan era stato una delusione, ma io dovevo esserlo stata per lui.
   Tutto ciò, però, non cambiava il fatto che quel ragazzo avesse scelto la via più sbagliata per risolvere ciò che lo faceva soffrire, e se solo fosse stato più avveduto, avrebbe potuto confidarsi. Lo avrei capito, probabilmente, perché in fin dei conti, se lui viveva un amore infelice per Lily, io vivevo una situazione simile con Cullen.
   Presi un grosso respiro. «No», ammisi, cercando di farmi coraggio. «Ma Jowan ha avuto comunque ciò che si meritava.» Purtroppo.
   «Vedo che non rimugini troppo sugli errori del passato… né su quelli degli altri», osservò lo spirito. Mi sembrava un’assurda contraddizione, la sua, vista la mia risposta, ma non questionai. Non ne avevo la forza. Non ero neanche degna di essere lì, a dirla tutta.
   «È facile giudicare ciò che hanno fatto gli altri, col senno di poi», venne prontamente in mio aiuto Alistair, ben sapendo quanto la questione Jowan mi avesse fatto stare male – e mi facesse ancora stare male, a quanto pareva.
   «Non è semplice vedere l’esito delle nostre azioni», gli fece notare gentilmente Wynne, più diplomatica, «ma ciò non significa che esse non causino degli effetti su coloro che ci circondano.»
   «Il passato è passato», intervenne Leliana. «Perché riportarlo a galla e riaprire le vecchie ferite?»
   Il Guardiano questa volta parve non ascoltarla, poiché la sua attenzione era già tutta rivolta al nostro Principe. «Alistair, cavaliere e Custode Grigio…» lo richiamò con calma. «Ti stai chiedendo se le cose sarebbero andate in modo differente se tu fossi stato con Duncan sul campo di battaglia.» La sua non era una domanda, leggeva davvero nei nostri cuori intrisi di dolore, sfiorandoli e facendoli sanguinare. «Avresti potuto fargli da scudo per quel colpo mortale. Ti stai chiedendo se saresti dovuto morire tu al posto suo, non è così?»
   Davvero se lo stava chiedendo? Ancora, dopo tutto quel tempo?
   «Io…» balbettò Alistair con qualche esitazione. E quando lo vidi chinare il capo in segno di resa, compresi che eravamo tutti sulla stessa barca, pieni di rimorsi per quella dannata vita che di lì a poco forse ci sarebbe stata stroncata a causa del Flagello. Potevamo sul serio lasciare le cose come stavano, senza porre rimedio a niente? «Sì», confessò infine il mio compagno, con chiara mortificazione nel tono della voce. «Se fosse stato Duncan a salvarsi, anziché io, probabilmente tutto sarebbe andato meglio. Se solo ne avessi la possibilità, forse io…»
   «Fatemi la vostra domanda, Guardiano», lo interruppe Wynne, sollevandolo da quella rivelazione che avrebbe fatto del male sia ad Alistair che a me – e a quanti gli volevano bene. La mia buona maestra era venuta ancora una volta in aiuto dei suoi ragazzi. «Sono pronta.»
   Lui non si lasciò pregare. «Sei sempre stata un’ottima dispensatrice di consigli con la tua saggezza. Forse sei stata soltanto uno strumento per diffondere la legge del Circolo e della Chiesa. Non c’è qualche dubbio su queste tue verità?»
   «Vi ostinate a formulare sotto forma di domanda ciò che già sapete», gli fece notare l’Incantatrice, senza mostrare la minima esitazione. «Non c’è alcun motivo per nasconderlo. Sì, ho dubitato di ciò che dicevo, a volte. Solo un folle sarebbe completamente sicuro di se stesso.»
   «Tutti noi commettiamo degli errori», borbottò Oghren, dimostrando a suo modo la propria solidarietà.
   «Ah, il nano», prese a dirgli lo spirito. «Hai lasciato la tua casa e sei venuto qui in superficie, pur sapendo che…»
   L’altro lo interruppe con un gesto delle mani, come a voler frenare il suo fiume di parole. «Sì, mi piacerebbe aver potuto salvare la mia famiglia da Branka», lo anticipò allora, prendendo Wynne ad esempio e raccontando lui per primo ciò che lo affliggeva. «Mi sarebbe piaciuto essere un compagno migliore, così che forse lei sarebbe rimasta a casa con un piccolo Oghren anziché partire sulle tracce dell’Incudine. Forse ho fallito, con lei. E sì, sono salito in superficie perché posso definirmi a malapena un nano. La mia famiglia è morta, il mio onore di guerriero è andato perduto molto tempo fa, insieme alla mia casta e alla mia casa. Non è rimasto niente che mi tenesse legato laggiù, niente ancora da perdere.»
   Piccolo, grande Oghren. Dietro quel nano rozzo e impertinente continuava a battere con impeto e passione un cuore sensibile, lo stesso che ci aveva commossi per quel suo amore incondizionato per sua moglie e che ci aveva fatti affezionare a lui in barba a tutti quei difetti piuttosto marcati che non si curava di correggere o anche solo di smussare.
   Lo sentimmo tirare rumorosamente su col naso, ma se fosse per il dolore di un pianto soffocato o se per il freddo di quel luogo non avremmo saputo dirlo. Frattanto, il Guardiano aveva già rivolto la sua attenzione a Leliana, che forse più di noialtri sentiva tutta la grandezza di quella missione. «E tu… Perché dici che il Creatore ti ha parlato, quanto tutti noi sappiamo che non è possibile? Lui parlò soltanto con Andraste. Credi di poterti paragonare a Lei?»
   Lo sguardo afflitto e corrucciato della nostra compagna rivelò tutto il suo disappunto. «Non ho mai detto questo!» protestò, scuotendo il capo con forza. «Io…»
   «Ad Orlais eri qualcuno», la interruppe lo spirito. «A Lothering avevi paura di perdere te stessa, diventando una di quelle tristi sorelle. Quando al chiostro criticarono le tue parole, ne fosti ferita, ma allo stesso tempo felice. Ti rendeva speciale, tu amavi quell’attenzione, anche se negativa.»
   Fu allora che, per la prima volta, uno di noi si trovò in totale disaccordo con lui. «State dicendo che l’ho fatto per… per avere attenzioni?» ribatté allibita Leliana. «Non è vero! Io so ciò in cui credo!» E dal modo in cui pronunciava quelle parole, senza neanche alzare il tono della voce, sembrava stesse dicendo il vero. Forse avremmo potuto dubitare davvero di lei e di ciò di cui si era convinta a Lothering, tuttavia Leliana si era sempre dimostrata un valido aiuto, e tanto bastava.
   Morrigan sbuffò, incrociando le braccia al petto e attirando lo sguardo dello spirito, che subito le parlò. «E tu, Morrigan, figlia di Flemeth… Cosa…»
   «Sparisci, spirito», gli intimò lei, con coraggio e incoscienza. Se pure Oghren, che non credeva nel Creatore e in Andraste, aveva accettato di interloquire con il Guardiano, lei pareva non voler scendere ad alcun compromesso. «Non starò al tuo gioco.»
   L’altro non reagì come avevamo temuto, ma, anzi, annuì. «Rispetterò i tuoi desideri», rispose soltanto prima di tornare a parlare a noi tutti. «La strada è aperta. Possiate trovare ciò che cercate.» Detto questo, svanì in una luce abbagliante che ci lasciò pieni di meraviglia, paure e dubbi. Non era davvero quello il modo migliore per intraprendere la nostra avventura lì dentro, soprattutto se dovevamo dimostrare di essere degni dell’Urna. Non era da escludere, però, che lo spirito avesse risvegliato di proposito in noi quello stato d’animo.
   Ciò che trovammo al di là della porta avrebbe forse dovuto meravigliarmi e confondermi ulteriormente, tuttavia non lo fece: mi aspettavo di tutto, ormai. Non so cosa videro i miei compagni, ma a me apparve Jowan. Lo riconobbi persino di spalle, tanto ero stata abituata a farlo negli anni trascorsi con lui al Circolo. Probabilmente era una visione, una qualche prova che ognuno di noi doveva vivere per conto proprio; forse Alistair vedeva Duncan, forse c’era Branka davanti ad Oghren, e chissà chi altri si era manifestato a Wynne, Leliana e Morrigan.
   Jowan si voltò nella mia direzione e mi guardò con benevolenza, accogliendomi con una delle sue solite battute di spirito. Mi venne spontaneo sorridergli, illudendomi quasi che fosse libero e non più in attesa di una condanna. «Tu non sei Jowan…» fui comunque costretta a mormorare, mio malgrado. Avrei voluto che lo fosse. Se lo fosse stato, probabilmente lo avrei abbracciato.
   «Non pensavo di imbrogliarti», mi rispose lui. «Ma sono davvero uno spirito? O forse è tutto frutto della tua mente? Sei forse nell’Oblio?» Se fossi stata nell’Oblio non era da escludere che uno dei demoni avrebbe potuto trovare in me una facile preda, in quel momento di debolezza. «A dire il vero, non lo so», fu onesto Jowan – o ciò che era. «Sono parte di questo posto. Sono Jowan. Sono te. Tutte queste affermazioni sono vere.»
   Esausta com’ero, mi rifiutai di soffermarmi su un ragionamento tanto contorto che mi avrebbe portato ad ammattire del tutto. Preferii porgli una domanda molto più semplice, senza girare attorno a niente com’ero invece solita fare. «Qual è il tuo scopo, qui?»
   «Parlare con te. Offrirti un consiglio.» Non ero certa che lo avrei accettato dal vero Jowan. «Le ultime catene che ti tenevano legata al Circolo si sono rotte.» Questo era vero. Me n’ero resa conto anch’io, in un modo o nell’altro. Non mi sentivo più parte di quel posto, e tuttavia non mi sentivo parte di nessun altro posto. Non c’era più niente che dentro di me riuscivo a chiamare casa. «Sei libera dal tuo passato e niente ti riporterà indietro.» Purtroppo no. Perché nonostante il mio grande amore per Alistair e l’affetto per gli altri miei compagni, non potevo nascondere a me stessa che l’esistenza a Kinloch Hold fosse di gran lunga migliore di quella che mi toccava vivere adesso. Maledissi il Flagello una volta più, seppur soltanto per un egoistico capriccio tutt’altro che encomiabile. «Sii forte, amica mia. Non tentennare. Mi rende felice sapere che sarai tu quel mago che io non avrei mai potuto essere.»
   Avrei voluto dire qualcosa, ma non ci riuscii. Lui sollevò una mano nella mia direzione e la posò sul mio capo, quasi volesse accarezzarmi e benedirmi al contempo. Mi venne da piangere, tanto per cambiare, e alla fine dalle mie labbra fuoriuscì un solo bisbiglio. «Perdonami.» Lo vidi sorridere attraverso il velo delle lacrime e poi, così come aveva fatto il Guardiano, sparì. Decisi allora che, prima che fosse troppo tardi, quando saremmo tornati di nuovo a Redcliffe avrei cercato Jowan, quello vero, e gli avrei parlato. Non sapevo ancora cosa gli avrei detto, ma dovevo farlo.
   Quando cercai con lo sguardo gli altri miei compagni, mi diedero l’impressione di essere smarriti proprio come lo ero io. Mi affrettai ad asciugarmi gli occhi, e non appena fummo nelle condizioni psicologiche per farlo, avanzammo nella sala adiacente.
   Ad accoglierci trovammo dei nemici. Né demoni né altri fanatici religiosi, soltanto spiriti o forse nuove proiezioni della nostra mente. Quel che è certo è che erano delle copie esatte di noi stessi. In altre parole, fummo attaccati da Alistair, Morrigan, Wynne, Leliana, Oghren e Nimue. Sei contro sei. Fu più spiazzante della visione avuta poco prima, per certi versi, perché metteva in dubbio l’identità nostra e dei nostri compagni; tuttavia esitare ci avrebbe fatti crollare prima di raggiungere l’Urna. Non potevamo permettercelo. Avanzammo mettendo mano alle armi, decisi a non farci fermare da niente e da nessuno. Tuttavia, quando ci rendemmo conto che se avessimo continuato a batterci in un duello uno contro uno non saremmo arrivati da nessuna parte perché Wynne e Nimue – quelle false – continuavano a prodigarsi per la cura dei membri del loro gruppo, mi venne voglia di urlare per l’esasperazione. Non ne potevo più di quel luogo, benedetto o meno che fosse.
   «Uccidete quelle dannate maghe!» mi sgolai, scagliandomi contro il doppio della mia maestra, la più esperta di noi. Tutto ormai appariva un colossale paradosso che non ci lasciava neanche il tempo di porci una singola domanda. Vidi però Alistair accanirsi con gusto contro la falsa Morrigan, avvalendosi anche dei suoi poteri di templare, ma quando lei riuscì ad attuare una trasformazione grazie alla propria capacità di mutare forma e si manifestò a noi con l’aspetto di un grosso orso peloso, il giovane titubò un attimo. Un roco ruggito si levò alle sue spalle e Oghren si scagliò contro la bestia armato della sua pesante e infallibile ascia da guerra. Per venirgli incontro, allora, approfittando di un istante di pace, paralizzai il suo avversario per mezzo di uno dei miei incantesimi.
    Concentrata com’ero su di loro, non mi avvidi di una delle frecce della falsa Leliana che per puro miracolo non mi colpì al viso, passando come una saetta oltre la mia testa e sibilando forte vicino al mio orecchio. Fu Wynne a venire in mio soccorso, avvertendomi del pericolo in cui si trovava ora Alistair. Forte della sua protezione, mi volsi immediatamente nella direzione del mio amante e lo trovai cocciutamente impegnato a difendersi da degli incantesimi senza osare attaccare; tutto per paura di fare del male al mio doppio. Avrei dovuto essere furiosa con lui, ma non me la sentii di rimproverargli il suo buon cuore e la solita sensibilità che mostrava nei miei confronti, seppur indirettamente; tanto più che io cercavo in tutti i modi di non rivolgere il mio sguardo al suo gemello fasullo per la stessa ragione. Concentrai una certa quantità di energia magica sulla cima del mio bastone e, senza esitare, lasciai che una folata di fuoco investisse in pieno l’altra Nimue. Alistair urlò, ma quando si rese conto che ero stata io stessa ad attaccarla non obiettò più e anzi, mortificato, lasciò che mi mettessi fra di loro, limitandosi a coprirmi le spalle.
   Infine, quando l’esclamazione trionfante della nostra Morrigan annunciò la sua vittoria su un certo templare che, crollando al suolo, svanì in un’esplosione di scintille, ci prendemmo qualche attimo per guardarci gli uni con gli altri e renderci conto che quelli rimasti in piedi eravamo noi, quelli veri e non i nostri doppi.
   «Sei scarso», non si risparmiò di commentare la Strega delle Selve, poggiando la punta del proprio bastone per terra per appoggiarvisi.
   Passandosi stancamente una mano sulla nuca attraverso le fessure dell’armatura, Alistair la fissò in tralice. «Talmente scarso che sono stato l’ultimo a cadere», le fece notare senza vantarsene troppo.
   «Solo perché sei abituato a prendere bastonate, questo non significa che tu valga qualcosa», infierì l’altra.
   Lui la lasciò perdere con un gesto infastidito del braccio e si sporse ad aiutare Leliana, rimasta intontita per una spallata che il falso Oghren le aveva assestato allo sterno. «Va meglio?»
   «Sì, grazie…» annaspò lei, mentre Wynne le prestava soccorso. Quanto a me, ero alle prese con una ferita vistosa, ma per fortuna superficiale, che l’orso-Morrigan aveva inflitto al nostro compagno nano con una zampata in volto.
   «Mi chiedo se abbiamo già dimostrato di essere degni dell’Urna», ponderò a mezza voce Alistair, evidentemente stanco anche lui di tutte quelle prove più mentali che fisiche.
   «L’unico modo che abbiamo per scoprirlo è procedere oltre», commentai con indolenza, mentre Oghren tentava di sottrarsi alle mie cure con la convinzione che una cicatrice in più – e di quella portata, soprattutto – lo avrebbe reso senza dubbio più affascinante.
   Recuperato il fiato e accertatici che Leliana si fosse ripresa almeno in parte, tornammo sulla via che si apriva davanti a noi, e dopo aver attraversato un ponte di pietra pericolante sospeso nel vuoto, ai nostri occhi arrivò la viva luce del fuoco. Si trovava fra noi e un’alta scalinata che conduceva ad un altare sul quale potevamo scorgere qualcosa. Provai ad aguzzare la mia vista di elfo, ma il bagliore delle fiamme mi impediva di capire di cosa si trattava.
   Saltare quella barriera era impensabile, e poiché sembrava essere opera di un prodigio, prima Morrigan e poi Alistair provarono inutilmente a vincerla con un incantesimo del ghiaccio e le abilità dei templari. Non era una magia, quella, ma nemmeno un fenomeno naturale. Se provavamo ad avvicinarci troppo finivamo per subirne le conseguenze a causa del calore troppo forte.
   «L’umiltà», mormorò di colpo Leliana, benché sembrasse assorta in un pensiero tutto suo. «Noi ci siamo presentati qui armati e ricoperti di sangue.» Scosse il caschetto rosso. «Non va bene. Andraste non ci farà mai passare.»
   «Cosa proponete di fare?» domandò Wynne, cercando di seguire il filo dei suoi ragionamenti.
   «Se vogliamo arrivare dall’altra parte, dovremo farlo nudi. Così come il Creatore ci ha fatti, dimostrando di essere tutti uguali», le spiegò l’altra, volgendo i suoi occhi azzurri su di noi.
   «Sembra divertente, ci sto», l’appoggiò in pieno Oghren, battendo le mani tra loro. Mi chiesi segretamente se uno come lui fosse davvero degno di trovarsi in quel posto, ma poiché io ero l’ultima a poter parlare vista la gelosia che già mi stava montando dentro, scacciai con forza la questione nei meandri della mia coscienza e cercai di non pensare al fatto che Leliana e Morrigan erano fatte meglio di me.
   Una luce accecò lui e Alistair, che subito esclamarono per la sofferenza di quella crudeltà voluta da Morrigan. «C’era bisogno di accecare anche me?!» volle sapere il più giovane che, poveretto, in effetti non aveva neanche fiatato.
   «Finché mi è possibile evitare di farti godere in qualche modo», fu ciò che ribatté la Strega delle Selve, senza scomporsi troppo. Leliana non si curò di loro, già impegnata com’era a liberarsi dell’arco, della faretra, dei pugnali e dei primi indumenti. Wynne la fissò perplessa per qualche attimo, ma poi iniziò a fare la medesima cosa, e presto anche io e persino Morrigan la imitammo.
   «Che state combinando?» volle sapere Oghren, non accettando di essere stato gabbato in quel modo e, soprattutto, privato di quel passatempo non proprio onorevole.
   «Non fate scherzi», fu invece la preoccupazione di Alistair, sicuramente rivolta alla sua acerrima nemica. «Ma poi… come pretendete che vi seguiamo se non riusciamo a vedere un accidenti?»
   «Oh!» esclamò il nano, tutto eccitato. «Ho capito. Dev’essere uno di quei giochetti perversi dove noi fingiamo di essere bendati e loro pensano a tutto.»
   «Volete piantarla di essere così blasfemo?!» lo rimbrottò aspramente il Custode Grigio, inorridito a quel pensiero.
   «Spero che Wynne tocchi a me», lo ignorò Oghren, ormai perso nelle proprie fantasie.
   Leliana ci precedette verso il fuoco e, recitando forse una muta preghiera a fior di labbra, avanzò dentro di esso e lo superò incolume. A quel punto anche noi maghe la seguimmo senza più alcun indugio, ma prima ancora che potessimo avanzare verso la scalinata, una voce si levò alle nostre spalle e il Guardiano comparve accanto ad Alistair e Oghren, rimasti più indietro, loro malgrado.
   «Siete riusciti a passare le prove che vi hanno concesso di purificare il vostro animo», esordì lo spirito, facendo sobbalzare i due guerrieri che non potevano vederlo. Cercai di capire esattamente quali fossero i metri di giudizio del Guardiano, dal momento che anche quando avevo risposto alla sua domanda riguardo Jowan mi era sembrato che ci fosse qualcosa di illogico nelle sue parole. «Avete dimostrato di essere degni. Potete avvicinarvi liberamente alle Sacre Ceneri, ora.»
   A un suo cenno, il fuoco scomparve e lui con esso. Infreddolite, ci precipitammo ad indossare anzitutto tuniche e mantelli e poi, con più calma, anche tutto il resto. Nel frattempo, poco alla volta, la vista dei nostri compagni parve tornare a funzionare a dovere, e mentre Morrigan sbeffeggiava Alistair per essersi fatto imbrogliare dalla magia ancora una volta ed io prendevo le difese del giovane facendole notare che quella di lui era semplice ingenuità e non incapacità, Leliana era già tornata ad avanzare verso la scalinata che, a quanto pareva, portava davvero all’Urna.
   «Pensavo fosse una leggenda…» si lasciò andare a quella confessione Wynne, affannandosi dietro di lei. «Non credevo…» Il suo farfugliare si perse lungo i gradini e quando fummo davanti alle Ceneri, restammo in silenzio senza osare toccare nulla per alcuni attimi.
   L’Urna giaceva ai piedi di una statua di Andraste nel cui palmo della mano ardeva una fiamma, del tutto simile a quelle che ci avevano ostacolato il cammino fino a poco prima. «Non… Non avrei mai creduto che i miei occhi potessero posarsi sull’Urna delle Sacre Ceneri… Non… Non ho parole per esprimere…» Anche la voce di Leliana si spense in un bisbiglio incerto.
   Ormai eravamo lì, però, e avevamo ricevuto anche la benedizione del Guardiano. Non aveva più senso esitare, e fui io stessa, con mano tremante, a sfiorare per prima quella sacra reliquia. Mi fermai un istante dopo e mi volsi verso la mia amica di Orlais. Non sapevo se il suo sogno, la visione avuta a Lothering fosse autentica, ma la rosa che lei aveva visto esisteva per davvero e io la conservavo come pegno di un amore che adesso non mi sembrava più limitato al solo Alistair.
   «A voi l’onore», dissi. Leliana sorrise, commossa.













Questa è la ragione per cui mi sono rifiutata di definire "incompiuta" questa storia. Ho sempre avuto intenzione di continuarla, dovevo soltanto ritrovare l'antico stimolo e sono felice di essere riuscita in quest'impresa. Forse ormai molti lettori si saranno persi lungo la via, e a loro e a quanti hanno aspettato fino ad ora, è d'obbligo che io porga le mie più sentite scuse.
Tuttavia, sapete, questo lungo periodo di pausa credo mi abbia fatto bene. Ho avuto modo di rendermi conto di alcune cose, di migliorarmi (spero) e di ragionare su quanto scritto sin qui a mente fredda e con maggiore lucidità. Rileggendo i vecchi capitoli (operazione che a dire il vero sto ancora finendo di fare) mi sono accorta che dovrò editare un paio di dialoghi, senza però stravolgere niente: colpa mia che, all'epoca, scrissi andando a memoria e dimenticandomi di alcuni dettagli importanti. Si tratterà quindi solo di piccole (grandi) cose, niente di troppo vistoso che implichi delle correzioni macroscopiche (e il primo dialogo che dovrò rivedere è quello in cui Alistair afferma di essere stato cresciuto a Redcliffe per via di Rowan, che però era già morta quando lui venne alla luce).
Questa revisione sommaria e in qualche modo superficiale (se mi mettessi a fare ora quella puntigliosa non la finirei più), come dicevo prima, mi ha anche fatto capire che per mantenere IC la protagonista di questa storia mi toccherà, almeno nel prossimo capitolo, raccontare di una cosa che in realtà nella mia partita è andata diversamente. Esigenze di copione, sorry. Ne parlerò meglio la prossima volta, visto che tanto aggiornerò di nuovo in tempi brevi. Non più una volta a settimana come facevo prima, chiaramente, ma cercherò comunque di tenere dei ritmi più o meno regolari. Ci tengo a concludere questa storia, anche perché ormai mancano davvero una manciata di capitoli e sarebbe un peccato mollarla così.
Detto questo, mi scuso ancora con chi ha atteso tanto a lungo e ringrazio chiunque sia arrivato sin qui, vecchi e nuovi lettori, e tutti coloro che hanno inserito questa fanfiction tra le preferite, le ricordate e/o le seguite.
In ultimo, un grazie ad Atlantislux per il betaggio di questo capitolo, a Ike_ e Shadow Eyes per i preziosi consigli, alla fedelissima Milly Miu Miu per l'incessante incoraggiamento, a Mikoru per le minacce col bazooka (era un bazooka, sì? XD) e a sese87 per la bella, divertente chiacchierata di alcuni giorni fa.
Buon fine settimana e a presto!
Shainareth





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Capitolo 33
*** Jowan ***







CAPITOLO TRENTATREESIMO - JOWAN




Lasciammo Fratello Genitivi poco lontano da Haven, in un posto in cui avrebbe potuto ricevere cure adeguate senza doverlo obbligare ad un lungo ed estenuante – per lui e per noi – viaggio verso Redcliffe. Oltretutto, egli stesso espresse il desiderio di rimanere nei pressi del tempio per poter continuare i suoi studi con solerzia non appena fosse stato in grado di farlo. Nel periodo di inattività dovuto al suo infortunio, ci disse, avrebbe per lo meno analizzato tutti gli appunti presi per conto suo durante le ore che avevamo impiegato per raggiungere l’Urna, quando lo avevamo lasciato solo all’entrata del santuario in rovina in cui lui stesso ci aveva condotti.
   Leliana aveva appena finito di allietarci con la sua voce melodiosa, rinfrancando i nostri cuori stanchi e afflitti, quando Bodhan Feddic e Sandal ci salutarono per la notte, mentre Levy Dryden cominciò a discutere con Pether degli strani eventi che si diceva accadessero intorno a Picco del Soldato. Quanto agli altri due emissari che ci stavano seguendo, Caron dei Dalish pareva ancora intenzionato a parlare con gli altri solo se interpellato e Fellhammer di Orzammar non si sforzava certo di fare di più.
   «Ehi…» Quel suono fievole e roco proveniva da Oghren. Se ne stava un po’ in disparte, come se stesse riflettendo su qualcosa di personale – o smaltendo l’ennesima sbornia.
   Lasciando il tepore del fuoco, diedi voce ad Alistair di seguirmi, poiché a quanto pareva ero stata la sola a udire la voce del nostro compagno nano. Ci sedemmo insieme a lui a gambe incrociate, aspettando che dicesse qualcosa.
   «Devo parlarvi», cominciò.
   Oh, dunque si trattava di un discorso serio? Fatto da lui? Magari era davvero ubriaco. O meglio, Oghren era sempre ubriaco, ma forse questa volta lo era più delle altre. Lo fissammo per un istante con diffidenza, indecisi se dargli corda o meno, viste tutte le allusioni che continuava a fare sulla povera Wynne.
   Lui dovette indispettirsi lievemente per quell’esitazione, perché subito commentò: «Oh, aye, non ditemi che avete tutto il tempo che volete per trascinarci dietro la Prole Oscura ma neanche un po’ per il vostro amico Oghren…»
   E il solo fatto che si considerasse già nostro amico mi riempì il cuore di gioia ed eccitazione, per cui, tutta contenta, mi umettai le labbra pronta a parlare. Alistair però mi anticipò, un sorriso sulle labbra. «Di che si tratta, Oghren?»
   «Ecco, il fatto è che…» Ci fissò con i suoi occhi azzurri e lucidi – se per l’alcol, il sonno o qualche altro tipo di sentimento non avrei saputo dirlo – e, con aria appena impacciata, cominciò il suo discorso: «Voi e io… siamo…» Si fermò, cercando le parole migliori per continuare. «Come si dice quando passi il tempo con… delle persone e delle cose…?»
   Non avevo idea di ciò che voleva dirci, ma mi fece una tenerezza enorme. Non glielo dissi, chiaramente, sarebbe stato troppo per il suo orgoglio virile. «Ti voglio bene anch’io, Oghren», fu la sincera osservazione che mi permisi comunque di fare, inducendo Alistair a inarcare un sopracciglio e a passarsi una mano davanti alla bocca con fare divertito.
   Sulle labbra di Oghren affiorò un sorriso sciocco e lui si lasciò andare ad una breve risata appena accennata. «Ah! Bene, mi raderò, mi laverò e mi appenderò ad asciugare!» esclamò poi, facendo ridere me e indispettire il mio amante. «È ancora troppo presto, però, mia giovane fanciulla. Troppo presto.» In realtà non era quello l’unico motivo che mi avrebbe fatto desistere dal dormire con lui, ma apprezzai comunque la sua delicatezza al riguardo. Sospirò. «Volevo solo chiedervi un favore.»
   «Se possiamo aiutarti…»
   «Conosco alcune persone, qui in superficie… Una persona, in verità. Una ragazza.» Io e Alistair ci scambiammo uno sguardo, ma lui non vi badò. «La conobbi tempo fa, ad Orzammar. Prima che noi ci incontrassimo, chiaramente.»
   Benché io non ci trovai nulla di male in quella sua affermazione, il verso che sfuggì dalla bocca del mio compagno Custode mi lasciò il dubbio che in realtà sotto la storia di Oghren ci fosse qualcosa di più che io, tanto per cambiare, non avevo afferrato. «Una ragazza che voi avete conosciuto… o una ragazza che voi avete… conosciuto.» E nel dirlo, Alistair, si curò di dare una sfumatura eloquente all’ultima parola. Arrossii, sentendomi una sciocca per non aver compreso prima.
   «Eh?» parve non capire il nano, sulle prime. «Intendi quando avevamo la fregola? Oh, aye», ammise il guerriero di Orzammar con un certo orgoglio, infischiandosene come sempre del fatto che ci fosse una signora con loro. «Dopo che Branka se ne andò nelle Vie Profonde. Il suo nome era Felsi, ed era una veramente passionale.»
   E lo confessava così candidamente? Ricordo che per qualche istante rimasi senza parole, ma poi ragionai sul fatto che, in effetti, la prima ad averlo lasciato e tradito era stata proprio Branka – con una donna, per di più. Non potevo davvero rimproverarlo per aver cercato consolazione altrove.
   «Oh, ce la siamo spassata, eh?» lo prese in giro Alistair con fare cameratesco.
   «Aye, puoi dirlo forte, ragazzo», gli rispose lui, tutto contento. «Sono certo che ormai mi abbia perdonato.»
   «Perché, che le avete fatto?»
   Oghren glissò la domanda, fingendo di non aver sentito. «Pensavo perciò di mettermi sulle sue tracce… vedere il posto in cui vive. Lasciò Orzammar circa un anno fa e da allora non l’ho più vista.»
   Mi stropicciai le palpebre, cercando di riordinare le idee. Probabilmente, pensai, anche Oghren voleva regolare i conti lasciati in sospeso prima del Flagello, così come già Alistair aveva fatto a Denerim quando aveva incontrato sua sorella. Non era stata una bella esperienza, quella, ma per lo meno adesso lui non aveva alcun rimpianto.
   «Avete un’idea di come trovarla?» domandò al nostro amico.
   «L’ultima volta che ho avuto sue notizie, mi dissero che era andata a vivere con sua madre vicino al lago… Cleanbad? Boh, non mi ricordo…»
   «Calenhad», lo corressi, tornando a guardarlo. Non era un grande indizio, visto quanto era grande il lago, ma di certo non ricordavo di aver visto dei nani a Redcliffe. Che Felsi e sua madre avessero deciso di andare più a nord per sfuggire alla Prole Oscura?
   «Potremmo chiedere a Redcliffe se qualcuno la conosce», propose Alistair, accarezzandosi la barba con fare pensoso. «Lì dobbiamo andarci comunque.»
   Il viso di Oghren si rallegrò ulteriormente e lui si lasciò andare ad una nuova risata divertita. «Bene. Siete dei buoni amici. Penserò a voi, nel qual caso io e Felsi… No, in realtà è meglio di no, sarebbe troppo disgustoso per tutti.»
   «Sì, è meglio», lo pregai, non sapendo se ridere o piangere mentre Alistair si lasciava scappare un verso non proprio di gratitudine e agitava un braccio a mezz’aria per scacciare dalla testa chissà quale idea. «Ci accontenteremo della tua amicizia.»
   «Ora che vi ho raccontato tutto, scusatemi», riprese Oghren, rimettendosi faticosamente in piedi sulle gambe forti e tozze. «Vado a pisciare.»
   «E lavatevi le mani, stavolta», gli raccomandò il mio compagno Custode, vedendolo allontanarsi.
   Non posi domande al riguardo, poiché ritengo che a volte sia meglio rimanere ignoranti su certe questioni. Avevo tuttavia qualcosa da discutere con lui prima di arrivare a Redcliffe, e sperai che Alistair non la prendesse troppo a male.
   «Ho visto Jowan», iniziai allora, pur con una certa titubanza. Non potevo nasconderglielo, non avrebbe avuto senso, e non solo perché avevo promesso che non gli avrei più taciuto nulla – benché un segreto lo avessi ancora tutto per me.
   Lui mi fissò con fare incerto, lasciandomi intuire di aver bisogno di altre spiegazioni, visto che mancavamo da Redcliffe da diverse settimane. «Lassù, al tempio», aggiunsi allora.
   Il suo viso si rischiarò in parte ed io lo vidi annuire, mentre i suoi occhi si spostavano altrove. «Lo immaginavo, dato quello che ti ha detto il Guardiano.» Avrei potuto chiedergli se lui aveva visto Duncan, ma non volli riaprire la sua ferita, a meno che Alistair per primo non avesse sentito il bisogno di confidarsi con me.
   Non lo fece, non in quel momento, per lo meno, ed io mi sentii in diritto di proseguire. «Gli voglio bene, molto.»
   «Lo so.»
   «Come a un fratello.»
   Quella mia precisazione lo fece sorridere e lui tornò a guardarmi. Mi passò una carezza dietro alla nuca e mi baciò la fronte, attirandomi a sé per abbracciarmi. «Non vuoi che venga condannato, è così?»
   Mi strinsi a lui, nascondendo il viso contro il suo petto. «Non… Non sei arrabbiato, per questo?»
   «Non potrei mai esserlo», rispose senza esitazione. Alzai lo sguardo per cercare il suo e lui mi sorrise di nuovo. «Credo inoltre che il suo pentimento sia sincero, altrimenti non si sarebbe lasciato catturare e torturare dalle guardie del castello.»
   Mi scostai di scatto da lui, allibita e terrorizzata. «Torturare…» ripetei con un filo di voce. «Come… Come sarebbe…?»
   L’espressione di Alistair si fece confusa. «Credevo lo sapessi…» farfugliò, mortificato per quel fraintendimento. «Me lo ha detto Bann Teagan mentre aspettavamo che ti svegliassi, subito dopo che hai salvato Connor dal demone…»
   «A me non l’ha detto…» biascicai, infastidita dall’essere stata tenuta all’oscuro della cosa.
   «Pare che sia stata Lady Isolde a ordinarlo», iniziò a spiegarmi lui a onor del vero, prendendomi le mani nella speranza che servisse a farmi calmare almeno in parte. «Credeva che la colpa di quanto stava accadendo al castello fosse di Jowan e non di Connor…»
   Anche quella donna aveva le sue ragioni, certo. Ma non potei fare a meno di provare risentimento nei suoi confronti. «Se avesse detto la verità sui poteri di suo figlio fin dall’inizio, tutto questo non sarebbe successo», ribattei, stizzita.
   «Jowan era comunque stato incaricato di avvelenare Arle Eamon», mi ricordò Alistair con voce meno morbida di prima. Abbassai lo sguardo, ben sapendo che aveva ragione. Lo sentii sospirare con pazienza e mi diede un altro bacio fra i capelli. «È un Maleficar e, al momento, anche un eretico», prese a dire, poggiando la guancia sul mio capo e abbracciandomi di nuovo. «Sarebbe da incoscienti lasciarlo in libertà», considerò. «Tuttavia… prima ancora che Leliana cominci uno dei suoi sermoni, penso che tutti abbiano diritto a una seconda possibilità. Almeno chi è sinceramente pentito degli errori commessi.» E questo escludeva categoricamente Loghain dal suo ragionamento. «Tu lo conosci meglio di me.»
   Stirai le labbra in una smorfia, cercando di non analizzare la questione in balia dei miei sentimenti per Jowan, e mi resi conto che mi era impossibile farlo. «Quella volta… al Circolo… quando Uldred stava distruggendo tutto… ho lasciato fuggire una ragazza che si era schierata con lui…» rammentai a tutti e due.
   «E nessuno di noi ti ha fermata, nemmeno Wynne», osservò Alistair, dando prova di ricordare bene l’episodio che avevo preso in esame. Però quella volta c’era una schiera di templari ad attendere quella maga all’uscita della Torre, e a tutt’oggi non ho idea di che fine ella abbia fatto. «Vuoi lasciar fuggire anche Jowan?» mi domandò il mio compagno. Non c’era alcun tono accusatorio nella sua voce e, sebbene in quel momento avrei voluto chiedergliene la ragione, non riuscii a farlo.
   Soffocai un singhiozzo e lui mi strinse più di prima. «A che servirebbe?» risposi invece con voce tremula. Di certo i templari gli avrebbero dato la caccia. Ormai la sua vita era segnata.

Quando le guardie poste all’ingresso del castello lo avvisarono del nostro arrivo, Bann Teagan ci venne incontro a passo veloce, accogliendoci nella sala delle udienze senza alcuna vera cerimonia. Non ce n’era alcun bisogno tra noi, e per di più al momento era l’ultimo dei nostri pensieri, quello. Dall’espressione del suo volto, in ogni caso, non era difficile capire che si aspettava da noi buone notizie.
   «Come sta vostro fratello?»
   «Stabile, come sempre», ci spiegò, divorandoci con lo sguardo per sapere se avevamo novità da portargli. «E voi…?»
   Leliana estrasse un sacchetto di pelle dalla scarsella e glielo mostrò. «Esiste davvero. L’Urna, intendo.»
   Gli occhi di Bann Teagan si illuminarono di commozione. «Che il Creatore vi benedica», ci disse, mentre la nostra compagna gli consegnava le Sacre Ceneri. «C’è un Guaritore, di sopra», riprese l’uomo, rigirandosi la reliquia tra le dita con una certa cautela. «Lo avevamo già mandato a chiamare da tempo, in realtà… Vorrei portargliele subito, col vostro permesso.»
   «Non avete neanche bisogno di chiederlo», gli fece notare Alistair, pronto a seguirlo.
   Benché conoscessimo la strada, Bann Teagan ci guidò al piano superiore del castello, dove si trovavano le stanze dell’Arle. Quando entrò, rimasi ferma sulla soglia insieme ai miei compagni, e, capendo quant’era accaduto, Lady Isolde subito ci venne incontro in lacrime di gratitudine. Non aveva parole, disse, per esprimere quanto fosse debitrice nei nostri confronti: avevamo salvato il suo bambino, le loro terre, e adesso anche suo marito. A dire il vero non era detto che quest’ultimo si sarebbe ripreso sul serio, ma la fiducia che quella donna mostrava in Andraste e nelle proprietà miracolose delle Sue Ceneri era incrollabile.
   Il Guaritore, aiutato anche dalla solerte Wynne, preparò quanto occorreva per utilizzare al meglio la santa panacea che avevamo recuperato sulle Montagne Gelide, e io, Alistair e Leliana – Oghren e Morrigan avevano preferito rimanere di sotto con Merlino, i mercanti e gli emissari dei nostri alleati – ingannammo l’attesa andando a parlare con Connor, spiegandogli che c’erano buone speranze che di lì a poco avrebbe potuto riabbracciare suo padre.
   «Quando lui sarà guarito… dovrò andare al Circolo?»
   Sebbene il bambino non stesse guardando nessuno in particolare quando parlò, sapevo che quella domanda era rivolta principalmente a me. «No», risposi allora, invitandolo a sedermi accanto, visto che per l’entusiasmo non era capace di stare fermo. «Lì ci andrai quando anche il Flagello sarà finito.» Ammesso che fossimo riusciti a debellarlo prima che il Ferelden fosse stato annientato. Inoltre, Irving sapeva dove trovare il ragazzino e poteva mandare i templari a prenderlo in qualunque momento; se non lo aveva fatto, probabilmente significava che, allo stato attuale delle cose, il Circolo poteva non essere ancora preparato ad accogliere nuovi apprendisti.
   Connor alzò gli occhi su di me, ciondolando le gambe a mezz’aria. Sembrava indeciso riguardo a qualcosa, ma poi scelse di parlare. «Vi ricordate quando vi feci vedere che ero in grado di creare il fuoco sul palmo della mano?»
   «Sì, certo», risposi, circondandogli le spalle con un braccio e passandogli una carezza fra i capelli castani. «Spero non abbiate incendiato nulla, dall’ultima volta.»
   Lui rise, scuotendo il capo. «È che… io sapevo già farlo», confessò poi, tornando serio.
   Aggrottai la fronte. «Avevate imparato da solo?»
   «No. Mi aveva insegnato quel mago…» mormorò, abbassando le ciglia sul viso. Non ero certa che Connor sapesse chi era il responsabile delle condizioni critiche di suo padre, ma vista quella reazione non era da escludere che glielo avessero detto o che lo avesse capito da solo.
   Nessuno mi aveva tradita con i Guerrin, raccontando loro che Jowan era stato un mio buon amico, anche perché i miei compagni non volevano che mi tormentassi ancora a causa di questo. Gli eventi recenti mi avevano comunque dimostrato quanto fosse impossibile, per me, dimenticare ogni cosa. La stessa Wynne, quando aveva saputo, aveva stretto le labbra come ogni volta che c’era qualcosa che incontrava il suo disappunto; ma, pur guardandomi con un’espressione grave, era stata indulgente a farmi notare che, nonostante tutto, Jowan avrebbe comunque potuto fuggire da solo, dal Circolo, senza bisogno del mio aiuto – e che dunque le cose sarebbero andate ugualmente allo stesso modo, anche se io non mi fossi resa sua inconsapevole complice.
   «Che altro vi ha insegnato?»
   Connor si strinse nelle spalle. «Non molto», spiegò, prendendo a rimirare uno dei ricami della mia modesta tunica da incantatrice. «Mi sarebbe piaciuto imparare incantesimi più… potenti», ammise con una smorfia, rendendosi ormai conto che non si trattava di un gioco e che, anzi, la magia poteva avere dei risvolti assai pericolosi. «Ma lui non ha voluto spiegarmeli. Diceva che dovevo procedere un passo alla volta e che, come prima cosa, avrei dovuto imparare a… gestire…»
   «Gestire la magia che c’è nel vostro corpo», conclusi per lui, vedendolo in difficoltà nel trovare parole che probabilmente non usava di frequente nel quotidiano, vista la sua età. Quindi Jowan non ci aveva raccontato bugie. Sorrisi mestamente, passando un’altra carezza sul capo del bambino.
   «È stato gentile, con voi?» volle sapere Alistair, esprimendo a voce alta lo stesso dubbio che avevo sempre avuto anch’io.
   «Era divertente, soprattutto», annuì lui, incurvando le labbra verso l’alto con un certo entusiasmo. «Una volta mi ha raccontato di aver dato fuoco per sbaglio ai capelli di una sua amica.» Ai miei, certo. Ed era stata quella la ragione per cui avevo dovuto dire addio alla mia lunga chioma, prodotto di anni e anni di cure e di orgoglio per la mia sciocca femminilità. Ormai stava ricrescendo, tanto da arrivarmi sulle spalle, e mi ero ripromessa già da tempo di non tagliarla mai più.
   «Allora aveva ragione a dire che dovevate prima imparare a gestire la magia», osservò Leliana, mordicchiandosi le labbra e portandosi istintivamente una mano al caschetto rosso che le incorniciava il viso.
   «Specie considerato ciò che è successo dopo», sospirò Alistair, chinando la testa e passandovi su una mano. Ancora mi chiedevo perché mai, nonostante tutto, non fosse arrabbiato con me per via dei miei sentimenti per Jowan. O meglio, perché mai non reputasse così grave l’idea che io potessi cercare di intercedere in suo favore.
   E mentre dall’altra parte del corridoio arrivavano le prime esclamazioni di gioia per il risveglio del signore del castello, ancora una volta mi convinsi che, a prescindere da tutto e da tutti, avrei dovuto parlare con Jowan. Solo allora avrei preso la mia decisione.

«Non sei fuggito.»
   La mia ovvia constatazione lo indusse ad alzare lo sguardo su di me. Se ne stava seduto in fondo alla cella, le spalle curve, gli occhi infossati, la barba e i capelli lunghi a incorniciargli il volto emaciato che gli conferivano un aspetto quasi lugubre. E adesso che sapevo che lo avevano anche torturato, sarebbe stato ulteriormente insensibile lasciarlo chiuso lì dentro: dal mio punto di vista, amici o meno che fossimo stati, quel ragazzo aveva già pagato il fio. Tuttavia, ormai non potevo agire alla luce del sole senza consultare almeno Bann Teagan, e sicuramente lui avrebbe voluto aspettare che suo fratello Eamon si fosse ripreso del tutto per poter prendere una decisione sulla sorte del detenuto.
   «Dove credevi che andassi?» fu la risposta che pronunciò quest’ultimo attraverso un fievole sorriso, simile eppure assai diverso da quello dello spirito che avevo visto al tempio in cima alla montagna in cui erano custodite le Sacre Ceneri di Andraste.
   Quando Morrigan mi aveva chiesto del perché Jowan, pur essendo mago, non si fosse liberato dalla prigionia, le avevo detto che il mio amico non aveva mai brillato per intelletto. Non era vero, e anche Alistair lo aveva capito. Forse lo avevamo capito tutti. Se Jowan non aveva usato la magia quando era stato scoperto ad avvelenare l’Arle era perché non voleva fuggire. Ed io gli volevo tanto di quel bene che il mio risentimento, adesso che Arle Eamon era salvo, non aveva davvero più ragione di esistere. L’unica ad averci rimesso, in tutto quello, era stata Lily, e per Jowan questa era già di per sé una punizione più che sufficiente. Certo c’era anche il mio reclutamento tra i Custodi Grigi, ma non era da escludere che, con una minaccia così vicina e reale come purtroppo lo era il Flagello, Duncan avrebbe potuto obbligarmi comunque a seguirlo per mezzo del Diritto di Coscrizione. E ormai, dopo tutto quello che avevo passato in quei lunghi mesi di viaggio e di sangue, ero riuscita a perdonare Jowan anche in nome dell’affetto che avevo sempre provato nei suoi confronti. Ma, come Maleficar, avrebbe avuto vita breve se fosse caduto nelle grinfie dei templari. Non era capace di essere malvagio, Jowan, perché se così fosse stato non si sarebbe lasciato facilmente catturare dalle guardie del castello di Redcliffe una volta compiuto il suo misfatto.
   «Come mai sei da sola, stavolta?» mi chiese, senza muoversi dal punto in cui era. Potevo davvero confidarmi con lui come un tempo? Forse sì, ma non ne avevo modo, perché chiunque avrebbe potuto scoprire che ero scesa nei sotterranei e interrompere la nostra conversazione. Poteva apparire sospetto, quel nostro incontro – e lo era. Per questo avevo voluto la fida Leliana con me, intenta ora a distrarre la guardia posta all’entrata dei sotterranei con una delle sue storie e i suoi modi civettuoli, gli stessi che avevano incantato quasi tutte le sue vittime, in passato. Non potevo correre il rischio di essere accusata di aver voluto parlare di nascosto con uno degli improvvisati sicari di Loghain, benché una volta fosse colui che consideravo mio fratello.
   «Arle Eamon si riprenderà», gli feci sapere, glissando la sua domanda. «Siamo riusciti a recuperare l’Urna delle Sacre Ceneri.»
   Jowan appuntò mentalmente quell’informazione annuendo e abbassando il capo. «Meglio così», mormorò. Si passò entrambe le mani fra i capelli, che poi afferrò tra le dita strette a pugno. «Sono contento che anche lui, dopo Connor e Redcliffe, riuscirà a salvarsi.»
   Non stava chiedendo perdono ancora una volta, e nemmeno pietà. «Non appena ne sarà in grado, sicuramente prenderà provvedimenti sul tuo conto», gli feci notare.
   Scosse le spalle. «È giusto, avrò quello che mi merito», rispose, atono.
   Per un terribile attimo ebbi la sensazione di avere già a che fare con l’Adepto della Calma che probabilmente sarebbe diventato nel qual caso non lo avessero direttamente condannato a morte. Mi pianse il cuore al solo pensiero. Potevo fare qualcosa, per lui? Qualcosa che non compromettesse i miei buoni rapporti con il resto dei maghi? Perché, paure personali a parte, ormai ero costretta anche a pensare e ad agire come un Custode Grigio. Presi un profondo respiro quando nella mia mente tornò imperioso il ricordo di un’informazione di cui, pur con riluttanza, Alistair era stato costretto a rendermi partecipe qualche tempo dopo aver lasciato la Torre del Circolo di nuovo in mano ai templari: anche se agli occhi della gente comune non sono visti per nulla di buon occhio, ci sono stati – e ci sono ancora – diversi Maleficar nel nostro ordine, perché i Custodi Grigi non sono soggetti alle leggi di nessuno, nemmeno a quelle della Chiesa. Ma io davvero potevo fare una cosa del genere proprio a Jowan? Forse nessuno di noi due aveva più nulla da perdere, forse nemmeno il Ferelden ce l’aveva, non davanti al Flagello.
   «Mi riporteranno al Circolo o mi uccideranno?»
   «Non lo so», bisbigliai, la voce instabile. Ero stanca di stare male, e ancora più stanca di vedere gli altri soffrire, di vedere le persone che amavo allontanarsi da me. Prima la mia famiglia a causa dei miei poteri, poi Winifred per via del suo Tormento, Wynne per la guerra, Jowan per la Magia del Sangue… e ancora Wynne a Ostagar. Non era nemmeno da escludere che dovessi dire addio ad Alistair per il futuro del Ferelden. E adesso toccava di nuovo a Jowan. Se me lo avessero portato via per sempre, se mi avesse abbandonato anche lui, come avrei potuto fare? Il Flagello, poi, rischiava di annientare ogni cosa, me compresa. Avremmo dovuto lasciarlo fare, così che nessuno di noi fosse più costretto a soffrire?
   «Sai… I templari mi avevano trovato e mi avevano portato a Denerim per la pena capitale.» Il solo sentirlo mi fece stringere lo stomaco. Ma capivo che, adesso che potevamo parlare con più calma e a mente fredda, Jowan volesse confidarsi fino in fondo in vista della condanna che gli sarebbe toccata di lì a poco. «Teyrn Loghain mi salvò dicendo che avrei potuto fare qualcosa per il regno. E che se lo avessi aiutato, oltretutto, avrebbe trovato un modo per accomodare le cose con il Circolo. Sono stato davvero un cretino a credergli.»
   «Eri spaventato…»
   «Sempre pronta a giustificarmi, tu…»
   «Non sempre, te l’assicuro.»
   «Avrei voluto innamorarmi di te.» Quella frase mi fece scoppiare a ridere e piangere al contempo e Jowan alzò di nuovo lo sguardo su di me, rischiando di cedere lui stesso alle lacrime nonostante il sorriso che gli incurvava il volto magro. Era ancora capace di scherzare, era ancora capace di provare dei sentimenti, era ancora vivo. Non lo avrei condannato. Non potevo farlo. «Non sto scherzando», infierì.
   «Mi odieresti se sapessi a cosa ho pensato poco fa.» Reclutarlo fra i Custodi Grigi. Avrei potuto farlo, perché poco dopo il rito dell’Unione, quando ancora mi sentivo poco lucida e frastornata per quello che era appena accaduto, Duncan mi aveva dato un ciondolo da portare sempre con me. Solo il giorno dopo, mentre eravamo stati impegnati nel riordino del magazzino, prima della battaglia di Ostagar, avevo avuto il coraggio di confessare ad Alistair che non avevo capito cosa fosse quel gingillo, e lui, dopo avermi presa affettuosamente in giro, mi aveva spiegato che al suo interno era sigillato il sangue del quarto Arcidemone, Andoral, ucciso durante il Flagello che si era abbattuto sul Thedas quattro secoli prima. Ogni Custode avrebbe dovuto portarlo sempre con sé nel qual caso avesse avuto bisogno di reclutare qualcuno tra le fila dell’ordine.
   «Mi odi per ciò che ti ho fatto?» mi sentii domandare in tono debole e contrito. Jowan si ostinava a fissarmi con quegli occhi scuri e lucidi, che per tanti, troppi anni avevo amato. «Perché, per quanto possa sembrare inumano nei confronti di tutti quelli a cui ho fatto del male, è questo il dubbio che non riesco a togliermi dalla testa, il più crudele di tutti. Tu e Lily mi odiate?»
   Mi presi qualche attimo, ma poi dovetti convenire con me stessa che, giunti a quel punto, la sincerità era d’obbligo. Come d’altra parte lo era sempre stata, fra noi. «Non posso parlare per conto di Lily, non l’ho più vista», gli spiegai a malincuore. Quando Jowan aveva rivelato di essere un Mago del Sangue, Lily lo aveva rinnegato esattamente come avevo fatto io, e nonostante questo era stata immediatamente condotta ad Aeonar, la prigione dei maghi, la cui posizione è nota solo a pochissimi. «Ma io…» Sospirai, scuotendo il capo e passandomi la punta delle dita sul viso bagnato. «Forse l’ho fatto, all’inizio. Soprattutto perché temevo che fosse stato a causa tua se ero stata portata via dal Capo dei Custodi Grigi», gli confessai. «Adesso, però, mi sono resa conto che, per quanti errori tu possa aver commesso, non potrei mai arrivare a odiarti per davvero.»
   «Grazie», mormorò Jowan, guardandomi con affetto sempre crescente. Ma doveva esserci dell’altro nei suoi occhi, come lui stesso ammise. «Amo Lily», ribadì, come se lo ritenesse necessario per chissà quale ragione. «Però sarei un bugiardo se dicessi che è stato solo questo amore insoddisfatto a farmi cadere in tentazione.» Esitò un attimo prima di aggiungere: «Tu.»
   Aggrottai le sopracciglia, non capendo cosa c’entrassi io in tutta quella storia. «Di che parli?»
   Lo vidi tirarsi le ginocchia al petto e nascondervi contro il volto per qualche istante, forse per prendere coraggio. Poi lo rialzò e ammise una verità che mai mi sarei aspettata da lui. «Ero invidioso.» La sua voce vibrava per un rancore che, dal modo in cui ancora mi guardava, era impensabile fosse destinato a me. Forse era arrabbiato con se stesso, e a ragione. «Avrei voluto essere bravo come te. E come Winifred, anche.»
   «E tu…» boccheggiai, incredula e frastornata. «E tu sei ricorso alla Magia del Sangue per questo?» Annuì più volte, apparendo mortificato proprio come ci si sarebbe dovuti aspettare per quell’enorme idiozia. «Sei uno sciocco…»
   «Lo sono sempre stato.»
   «Lo so.»
   Sorrise mestamente, facendo spallucce. «Eppure sei sempre stata con me.»
   «Perché sono una sciocca anch’io», risposi, sentendo ancora una volta la mia voce tremare e le lacrime averla vinta. «Ti voglio bene…»
   «E io ne voglio a te», affermò con determinazione e tenerezza verso quel lato troppo emotivo del mio carattere. «Non sai quanto.»
   Che fosse vero o meno, non mi importava. Volevo credergli, se lo meritava. In più, avevo bisogno di tutto l’affetto possibile adesso che, me lo sentivo, la minaccia di vedermi portato via per sempre quello di Alistair si faceva sempre più vicina.
   Alistair. Jowan non sapeva chi era. Oltre che il probabile futuro re del Ferelden, Alistair era anche quell’apprendista templare che avevamo visto entrare con irruenza nella cappella del Circolo subito dopo il Tormento di Winifred, uno di quelli che l’avevano uccisa quando ormai lei aveva ceduto al potere di uno dei demoni dell’Oblio senza possibilità di recupero e col rischio di liberarne altri. Forse Jowan avrebbe dovuto saperlo, ma doveva essere Alistair a dirglielo, non io.
   Mi inginocchiai davanti alla sua cella e gli feci cenno di avvicinarsi. Lui obbedì solerte, portandosi a poca distanza da me, così esigua che potevamo ormai sentire l’uno il respiro dell’altra. E quando le sue mani si chiusero attorno alle sbarre della grata che ci separava, le mie dita scivolarono su di esse. Jowan mi scrutò con imbarazzato stupore; l’ultima volta che ci eravamo parlati, avevo accuratamente evitato quel contatto.
   «Non lascerò che ti uccidano», gli giurai in un soffio. I suoi occhi indugiarono nei miei con timore e speranza a un tempo. «Ti fidi di me, vero?»
   Jowan si liberò gentilmente di una delle mie mani per allungare la sua oltre le sbarre e accarezzarmi il viso, le labbra incurvate verso l’alto. «Sei la sola persona al mondo a cui affiderei la mia vita.» E me lo aveva dimostrato al Circolo, subito dopo il mio Tormento, quando mi aveva messo al corrente dei suoi piani per fuggire da lì con Lily.
   Ingoiai altre lacrime per timore di non riuscire più a fermarle. «Anch’io… Anch’io avrei voluto innamorarmi di te…» Se lo avessi fatto, forse sarei riuscita a dissuaderlo da quella follia della Magia del Sangue. Ed io non avrei sofferto all’idea di vedermi portato via il mio Alistair, come se mi stessero strappando il cuore dal petto.
   Per un attimo, mi parve di scorgere una certa confusione nello sguardo di Jowan e la sua mano tremò. Preferii non indagare, preferii dimenticare quella sua esitazione. Avevo troppi problemi da risolvere senza sapere da che parte cominciare, e pertanto non potevo permettermi il lusso di accollarmene un altro di quell’entità.
   «Ti porto via di qui.» Sgranò gli occhi e schiuse la bocca, ma gli feci cenno di tacere. «Se non posso lasciare che ti uccidano, non posso neanche sopportare l’idea che tu perda te stesso a causa del rito della Calma», gli spiegai in un bisbiglio. Sorrisi. «Allontanati dalle sbarre», gli raccomandai, alzandomi in piedi. E poiché non gli riusciva di spiccicare parola, di nuovo eseguì i miei ordini senza protestare.
   Leliana, quella notte, non fu la mia unica complice. Ne avevo un’altra, che per la prima volta si dimostrò d’accordo con lei, e con me, nel salvare quell’anima infelice.
   Poco prima che scendessimo nei sotterranei, dopo essere riuscito a recuperare indisturbato uno degli anelli con lo stemma dei Guerrin dagli effetti personali dei proprietari del castello, un grazioso topolino si era introdotto nelle segrete per rubare anche una delle copie delle chiavi delle celle. Quindi, non visto, era fuggito via per riprendere le sembianze di Morrigan solo una volta arrivato nei pressi del mulino del villaggio, dove stavo aspettando. Lì c’era il passaggio segreto che Bann Teagan ci aveva rivelato mesi prima, lo stesso che io e i miei compagni avevamo percorso per capire cosa stesse accadendo a Redcliffe, quando ancora il demone che si era impossessato di Connor spadroneggiava su tutta la zona. Era stato a quel punto che Morrigan mi aveva passato chiavi e anello, assicurandomi che di lì a poco, grazie al mio udito fine, avrei potuto sentire le chiacchiere che Leliana avrebbe iniziato a scambiare con la guardia di turno. E quando questo era accaduto, avevo varcato il portone che mi garantiva l’ingresso nei sotterranei e mi ero presentata a Jowan.
   Non appena la serratura scattò, allungai una mano verso di lui. «Andiamo, non abbiamo tempo da perdere», lo rimbrottai vedendolo esitare.
   «Sei… Sei sicura di quello che stai facendo?» mi domandò, ancora perplesso.
   «Se non lo facessi, non potrei mai perdonarmelo.»
   Accettò il mio invito e, tenendo le sue dita strette fra le mie, richiusi la cella come se non fosse mai stata aperta e portai via le chiavi insieme a noi. Attraversammo il più in fretta possibile il tunnel segreto, benché mi rendessi conto che le gambe di Jowan, ferme da troppo tempo, non erano più abituate a tutto quel movimento. La scala a pioli che si era rotta sotto al peso di Alistair non era stata riparata, perciò, aiutati anche da Morrigan, fummo costretti ad uno sforzo extra.
   «Seguitemi», ci disse la figlia di Flemeth, assumendo le sembianze di un corvo sotto ai nostri occhi non appena fummo inghiottiti dal buio della notte. Per i miei sensi di elfo non era difficile distinguere la sua piccola figura volare sopra le nostre teste, per questo non lasciai andare la mano di Jowan neanche per un attimo. Era tutto un grande imbroglio, quello, ma la vita ci aveva forse lasciato scelta?
   «Da qui in poi potrai accendere una luce magica per rischiarare il sentiero», mormorai quando, vedendo Morrigan appollaiata sul ramo di un albero, compresi che dovevamo essere sufficientemente distanti dal villaggio, ormai in salvo. Gli passai una sacca piena di provviste che avevo portato con me fino al mulino prima di introdurmi nelle segrete del castello. «Va’ a nord. Lì la Prole Oscura pare non sia ancora arrivata.»
   Jowan mi fissò con amore e gratitudine. «Io non… non so cosa dire…»
   «Sta’ zitto, allora», replicai, lisciandogli la tunica d’apprendista, ormai sgualcita e sdrucita, all’altezza del petto. «Lì dentro troverai anche un cambio d’abiti.»
   Sorrise, stringendo le dita che ancora teneva allacciate alle mie. «Cosa diranno gli altri, per questo? Passerai dei guai?»
   «Sono un Custode Grigio», mi vantai, ostentando un orgoglio che ero ben lungi dal possedere. «Cosa vuoi che mi facciano? Sono invincibile, ormai.»
   «Oh, vorrei tanto che lo fossi… Vorrei… Vorrei che le cose fossero andate diversamente», mormorò con un sospiro, abbassando lo sguardo. «Perdonami per tutto il dispiacere che ti ho procurato. E grazie. Di nuovo.»
   Al tempio di Andraste non avevo potuto farlo, ma quello che adesso si trovava davanti a me era proprio Jowan, quello vero. Lo abbracciai con tutto l’affetto che provavo nel profondo dell’anima, scoppiando per l’ennesima volta in singhiozzi, e lui non tardò a imitarmi, affondando la bocca fra i miei capelli. Probabilmente, quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro.
   «Non farti prendere», lo supplicai quando fui di nuovo in grado di parlare.
   «Neanche tu. Dalla Prole Oscura», mi rispose, allontanandosi da me. Mi prese il capo fra le mani per guardarmi meglio negli occhi e mi sorrise. «Farò tesoro di questa seconda opportunità», disse. E sigillò quella sua promessa baciandomi in viso con tenerezza.

Avevo tradito la fiducia dei Guerrin, quella di Wynne e probabilmente anche quella di Alistair. Ne avrei pagato le conseguenze e le avrei accettate senza alcuna lamentela: mio fratello Jowan era una delle ultime sicurezze che mi erano rimaste al mondo, e sapere di dover proteggere anche lui dal Flagello e di avere forse la possibilità e la fortuna di rivederlo, un giorno, mi dava forza sufficiente per continuare per la mia strada.
   Tuttavia, troppi erano i sentimenti contrastanti che si rincorrevano nel mio animo, sensi di colpa verso Redcliffe e l’anziana maestra che mi era cara quanto una madre. Silenziosa, avanzai lungo il corridoio alle prime luci dell’alba, pronta almeno a costituirmi ad Alistair, al quale proprio non potevo nascondere quanto avevo appena fatto. Quando fui davanti alla porta della sua camera, però, mi venne il dubbio che fosse quella sbagliata. Non ricordavo più quale fosse. La confusione che albergava nella mia mente e nel mio cuore mi fece tentennare e alla fine, per paura che altri mi sentissero o che io entrassi nella stanza di qualcun altro, accostai le spalle contro la parete e mi lasciai scivolare a sedere sul freddo pavimento di pietra. Raccolsi le ginocchia al petto con le braccia e vi poggiai la fronte. Aspettando.
   Non so quanto tempo passò prima che alcune voci mi destassero dal dormiveglia in cui ero crollata a causa della notte insonne. Avevo persino paura di alzare il capo.
   «Sapete… è sonnambula», stava dicendo qualcuno, accanto a me. «Una volta l’abbiamo trovata addormentata sul ramo di un albero a testa in giù, abbracciata a una forma di formaggio.» Dall’idiozia, nonostante il mio stato mentale poco lucido, supposi fosse Alistair.
   Sbirciai nella sua direzione e due paia d’occhi mi sorpresero. Il sorriso gentile di una delle donne della servitù mi diede il buongiorno. «Tutto bene?» mi domandò.
   Non risposi, non sapevo che dire. Alistair mi passò un braccio dietro la schiena e uno sotto le gambe. «La riporto nella sua camera», si offrì. E senza aspettare una qualunque reazione da parte nostra, mi sollevò da terra apparentemente senza sforzo. Trovai rifugio nell’incavo del suo collo riempendomi le narici del suo odore, meraviglioso conforto in quel momento di totale annebbiamento.
   «Ma sta bene?» si preoccupò di sapere la donna.
   «Noi Custodi non ci ammaliamo mai», le garantì il mio compagno, come se fosse stato quello il problema. «In ogni caso, dopo andrò a chiamare Wynne. Grazie per l’interessamento.»
   «C’è qualcosa che posso fare? Volete che chiami Lady Isolde?»
   «È tutto a posto, vi dico.» E prima che lei potesse continuare con le sue domande, Alistair si avviò lungo il corridoio.
   Una volta che la porta fu richiusa alle nostre spalle, mi adagiò dolcemente sul letto ed io non persi tempo a rannicchiarmi contro il materasso. Lo sentii sospirare mentre si sedeva accanto a me e mi accarezzava la schiena. «Amore… che è successo?» volle sapere, sinceramente preoccupato. «Non posso credere che tu sia sonnambula per davvero, me ne sarei accorto da tempo, ormai.»
   «Sarebbe un’ottima scappatoia, però…» supposi, cominciando a riordinare le idee e i ricordi. Sapevo di aver commesso un crimine, forse, ma non riuscivo a pentirmene.
   «Per cosa? Per le tue losche malefatte?» mi prese in giro lui, chinandosi per sbaciucchiarmi la nuca.
   «Ti fidi troppo di me…» biascicai, non osando ancora voltarmi a guardarlo.
   «Non dovrei?»
   «Come fai ad essere certo che io non ti tradisca?»
   «Sei troppo onesta. Non lo faresti mai.» La sua voce era calma e sicura, e questo fece sentire anche peggio.
   Mi venne voglia di mordere la coperta sgualcita che si trovava sotto di me, ma mi limitai a stringerla tra le mani. Mi sottrassi alle sue coccole e mi tirai goffamente su a sedere, trovando finalmente il coraggio per incrociare lo sguardo di Alistair. «L’ho fatto, invece», confessai infine. E poiché non volevo creare alcun tipo di malinteso, mi affrettai ad aggiungere. «Non nel senso carnale del termine, certo. Ma resta il fatto che stanotte ho tradito la tua fiducia.»
   Lessi confusione, nel suo volto, ma volevo che mi dicesse qualcosa prima che io continuassi col mio discorso. Puntellò i gomiti sulle ginocchia e si osservò le mani, come se non le avesse mai viste prima di quel momento. «L’hai lasciato fuggire?» mi chiese dopo qualche attimo.
   «Sei arrabbiato con me?»
   Stese le labbra verso l’alto, ma non in un’espressione felice. «Sono l’ultima persona che avrebbe il diritto di arrabbiarsi per quello che hai fatto.»
   Ancora non mi rimproverava? Nonostante tutto? «Ha avvelenato l’Arle… E quello che è successo a Redcliffe…»
   «L’Arle è vivo», mi corresse, tornando a guardarmi con benevolenza. «Si sta riprendendo. E il demone è stato richiamato da Connor per colpa dell’ottusità di sua madre. Jowan non c’entra, non in questo. Ed è persino stato un bravo insegnante, pare.» Tuttavia la sua colpa rimaneva, Alistair non poteva negarlo. Sospirò. «Ho… Io gli ho portato via un’amica. A Jowan, dico. Come l’ho portata via a te», mormorò, abbassando di nuovo il capo con aria mesta. «Adesso che lo so, non posso fare finta di niente. Va bene così. Se il suo pentimento è sincero, va bene così.»
   Pensava ancora a Winifred e al dolore che tutti noi portavamo nel cuore a causa della sua morte.
   Mi feci più vicina a lui e poggiai la fronte contro la sua spalla. «Hai già pensato a una scusa plausibile?» mi domandò. «Oppure vuoi che ti aiuti a giustificare la sua fuga?»
   «Non ce n’è bisogno», risposi. «Morrigan e Leliana mi hanno aiutata in modo che sembri che Jowan si sia volatilizzato dalla cella, magari tramite la Magia del Sangue.»
   «Femmine…» sospirò Alistair con ostentata mal sopportazione. «Ne sanno sempre una più dei demoni dell’Oblio…» Sorrise, allungandosi per abbracciarmi. «Non dire niente nemmeno a Wynne», mi pregò, ben sapendo quanto lei avrebbe disapprovato quella decisione.
   «Potrebbe sospettare comunque… e io non sono brava a mentire alle persone che amo…»
   «Dovresti prendere lezioni dalle tue complici.»
   «Forse», gli concessi, lasciandomi andare ad un sorriso senza allegria.
   Le sue labbra si posarono ancora fra i miei capelli, poi scesero sulla mia fronte e sul mio zigomo. «La prossima volta che sei in difficoltà, vieni a chiedere il mio aiuto», mi pregò, facendo scorrere una mano dietro la mia nuca.
   «Non volevo coinvolgerti in questa storia…» farfugliai, sentendomi sull’orlo delle lacrime, commossa come sempre dal suo buon cuore.
   «Promettimi che d’ora in poi condivideremo ogni cosa», mi fece giurare, baciandomi e spingendomi all’indietro per schiacciarmi sotto al peso del suo corpo.













Stranamente, questo capitolo mi piace. Sarà perché, a parte la scena iniziale con Oghren, tutto il resto è farina del mio sacco. O forse perché mi ha preso tanto da un punto di vista emotivo. In ogni caso, sono contenta.
La fuga di Jowan, in realtà, è la prima cosa che, in questa fanfiction, si discosta dalla partita che ho giocato con Nimue. Ho dovuto apportare questa modifica alla storia perché, per come ho descritto ed evoluto il suo personaggio, non potevo davvero permettere che lei rispedisse al Circolo il suo amico fraterno. A farmi prendere questa decisione hanno influito anche le shot della raccolta Frammenti, dove i due sono molto uniti. Confesso che il problema di Jowan mi ha tenuta in sospeso per un paio di giorni, perché non avevo idea di come affrontarlo ed ero persino tentata di farlo reclutare davvero fra i Custodi; certo questo avrebbe costituito una gran bella novità, però avrebbe anche sconvolto il resto della trama in alcuni particolari non certo irrilevanti.
Spendo due parole per alcune precisazioni. Anzitutto riguardo alla tortura di Jowan: quando scrissi della quest di Redcliffe non ricordavo nel dettaglio il dialogo avuto con lui, ma alla mia seconda partita e ricercando anche dei video online, mi sono resa conto che avevo dimenticato questa faccenda (che ho inserito solo adesso, nel dialogo iniziale tra Nimue e Alistair). In secondo luogo, l'esitazione che Jowan ha avuto davanti alle parole di Nimue riguardo all'innamorarsi di lui: nella Mage Origin questo accade davvero; se con il vostro personaggio femminile fate allusioni al riguardo, lui rimane come spiazzato (chiaramente qui Nimue e Jowan non hanno davvero interessi amorosi l'una per l'altro). Ancora, l'impassibilità di Alistair riguardo alla fuga di Jowan: nel videogioco sulle prime si dimostra contrario, ma se riuscite a persuaderlo che sia la cosa migliore da fare, non si opporrà alla vostra decisione (e allora mi sono avvalsa della questione Winifred, che potete leggere nella quarta shot della raccolta Frammenti, quella intitolata Tormento).
E credo di aver detto tutto. Spero.
Ringrazio come sempre tutti i lettori (e non credevo ce ne fossero ancora tanti! Sono davvero commossa!), chi commenta (a cui ormai rispondo direttamente, senza dilungarmi qui) e tutti coloro che hanno aggiunto questa long e la raccolta tra le storie preferite/seguite/da ricordare. In ultimo, un grazie speciale alle mie due beta: Ike_ e Atlantislux.
Shainareth





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Capitolo 34
*** Pianificare ***







CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO - PIANIFICARE




Poiché ci avevano spiegato che affinché l’Arle si riprendesse del tutto ci sarebbe voluto del tempo, quando Oghren ci disse che alla taverna del villaggio aveva scoperto che alla Principessa Viziata avevano da poco assunto una nana, io e Alistair ci offrimmo di accompagnarlo fin lì. Kinloch Hold, dopotutto, distava appena a una giornata di cammino e io dovevo ancora comunicare a Irving del desiderio di Dagna – la ragazza con la fissa per i maghi incontrata a Orzammar – di essere accolta al Circolo. Andammo fin lì solo noi tre e Merlino, mentre gli altri rimasero al sicuro a Redcliffe, dove avrebbero potuto riposare, finalmente.
   Felsi se ne stava in fondo alla taverna a pulire uno dei tavoli. Nell’insieme era tutt’altro che brutta e la prima cosa che pensai fu che sicuramente dava l’idea di essere di gran lunga migliore di quella pazza di Branka.
   «Eccola lì», balbettò Oghren, divorandola con lo sguardo.
   E siccome pareva non volersi muovere dall’entrata, Alistair lo sospinse in avanti. «Andate a parlarle, su.» L’altro tuttavia esitò ancora. «Che c’è? Non è mica un genlock.»
   «Dici così perché non hai mai avuto a che fare con lei.»
   Inarcai le sopracciglia, chiedendomi perché mai Oghren non riuscisse a trovarsi una donna tranquilla. «Quanto può essere pericolosa?» volle sapere a quel punto il mio amante.
   Il nano tentennò. «Ecco… ci lasciammo in termini non proprio amichevoli…»
   «Cioè?»
   «Mi sbatté fuori di casa sua e lanciò i miei abiti in un canale di lava. Minacciò anche di prendere un paio di pinze da fabbro per… beh, il resto te lo lascio immaginare.» Sospirò con un sorriso sulle labbra. «È sempre così carina, quando si arrabbia…»
   Alistair e io ci scambiammo uno sguardo eloquente. «Forse è meglio se andiamo a sondare il terreno, eh?»
   «Ci penso io», mi proposi, sperando che fra donne ci si potesse intendere meglio. Mi avvicinai perciò alla ragazza e, schiarendomi la voce, feci per parlare, ma il padrone della locanda la chiamò per pulire un tavolo che si era appena liberato. La seguii e le domandai: «Ehm… Vi chiamate Felsi?»
   «Aye», rispose lei, alzando lo sguardo per un attimo dalle sue faccende. «Chi vuole saperlo?»
   «Sono un’amica di Oghren.»
   «E lo ammetti pure?» commentò quasi scandalizzata, drizzando la schiena e portandosi le nocche delle dita di una mano sul fianco paffuto. «Eppure non puzzi di birra. Ti ha colpita un bronto in testa?»
   Tirai poco educatamente su col naso, certa che comunque lei, come tutti i nani, non ci avrebbe fatto caso. «Ehm… non mi sembrate entusiasta di lui…»
   «Puoi dirgli che preferirei baciare un cacciatore oscuro sulla bocca piuttosto che vederlo di nuovo.»
   Rabbrividii a quell’immagine, visto quanto facevano senso quelle bestie – e quanto poco fossero invitanti i loro denti aguzzi. «Cosa… Cos’è successo, tra voi?»
   «Cos’è successo?» ripeté Felsi, corrucciando lo sguardo. «È una questione seria, allora? L’hai incontrato?» Prese un grosso respiro prima di proseguire. «Era ubriaco. Più del solito, intendo. Si tolse i pantaloni e sfidò un nug arrosto in un incontro di lotta. Al funerale di mio padre.»
   «Oh…» bofonchiai con una certa impressione, non sentendomela affatto di darle torto per aver rotto con lui.
   «Ad ogni modo, perse», riprese la ragazza come se fosse stata una cosa normale. «L’arrosto gli bloccò le braccia con una chiave articolare.» Confesso che ancora oggi fatico non poco a immaginare la scena. «Così lui si sedette a terra e cominciò a piangere per mezz’ora prima che qualcuno lo buttasse fuori.»
   Mi umettai le labbra, troppo curiosa per tacere al riguardo. «Come fece a perdere contro un arrosto?»
   «Era un dannatissimo arrosto, quello!» prese inaspettatamente le sue difese la nana. Il padrone la richiamò di nuovo, questa volta con più impazienza. «Devo tornare al lavoro», si scusò lei, riprendendo a pulire.
   Tornai verso i miei compagni con aria piuttosto turbata e Alistair quasi ebbe timore di porgermi qualche domanda, a differenza di Oghren. «Che ha detto?»
   «Sai… non credo ti abbia esattamente perdonato… Per la faccenda del nug, dico.»
   «Ah, fu un incontro truccato, quello!»
   «Senti, va’ da lei», gli suggerii, non volendone più sapere niente di quella stramba faccenda.
   «Restate dietro di me», rispose lui, pur non dando l’intonazione di una domanda a quella richiesta. Lo accontentammo, benché ci paresse fuori luogo ascoltare i loro discorsi – e, invero, io li avrei sentiti comunque, pur non volendo, a causa delle mie orecchie a punta. Oghren ci sorrise, dando prova della sua gratitudine e, fattosi coraggio, si avviò nella direzione di Felsi non appena lei ebbe finito le faccende più urgenti.
   Quando la ragazza si voltò verso il nostro amico, dapprima sgranò gli occhi e schiuse le labbra, ma poi corrucciò lo sguardo e prese in mano una scopa di saggina più alta di lei. Per un attimo temetti che l’avrebbe usata come arma impropria. «Forse è davvero il caso che ci avviciniamo a loro», mi suggerì Alistair, che ancora ricordava bene che Oghren aveva qualcosa da farsi perdonare dalla sua donna – e sospetto che fosse rimasto incuriosito anche dalla storia del nug a cui avevo accennato.
   «Sicura di non essere un fornaio? Vedo che hai proprio un gran bel paio di pagnotte.» Furono queste le parole che il guerriero di Orzammar usò per salutare la sua bella. Parole che, chiaramente, ci lasciarono assai straniti.
   Sentii Alistair trattenere a stento una risata e io gli diedi un colpetto con il mio bastone. «Se tu provassi a rivolgerti a me in questo modo dopo mesi di lontananza, ti avrei già mandato al Creatore», gli assicurai. Lui non rispose, ma i suoi occhi scesero istintivamente a fissarmi il petto e il suo viso assunse un’espressione fortemente perplessa, visti i miei seni minuti. Lo picchiai più forte.
   «Guarda un po’ chi c’è», cominciò Felsi, guardando Oghren con circospezione. «Avrei dovuto immaginare che ti trovavi nei paraggi… dalla puzza.»
   Oh, la puzza di uomo. Quella aveva fregato anche me, tanto che occhieggiai verso Alistair, al cui odore mi ero totalmente assuefatta – e del quale, oltretutto, non potevo neanche più fare a meno.
   «Che ci fai qui?»
   «Sono venuto solo per qualche boccale di birra», rispose Oghren con indifferenza, guardandosi attorno. «Sai, combattere la Prole Oscura è un dannato lavoraccio…»
   I tratti del volto della ragazza si contrassero più di prima, ma la stizza sembrava essere scemata. «Stai… combattendo la Prole Oscura?»
   «Quest’uomo ha messo al tappeto un’intera armata di golem tutto da solo», le assicurò Alistair, intromettendosi nel loro discorso. Mi domandai chi diamine potesse essere così stupido da crederci.
   «È stato un po’ faticoso…» gli diede corda Oghren, cogliendo la palla al balzo. «Ma era un favore personale del Re di Orzammar, capisci?» Pensavano sul serio che Felsi se la bevesse?
   Forse non lo fece, perché li ignorò a piè pari e ribatté: «Con tutti i posti tra cui scegliere qui sulla superficie, tu sei capitato giusto nella mia taverna?»
   Quella domanda lo mise visibilmente in difficoltà, tant’è che Alistair fu costretto a fingere di tossire per suggerirgli: «Ditele che è opera del destino.» Ruotai gli occhi al soffitto.
   «Che?» balbettò Oghren, non avendo capito. L’altro glielo ripeté. «Oh, giusto.» Si schiarì la voce e tornò a rivolgersi alla nana. «È destino, Felsi, cosa vuoi che ti dica?»
   «Destino, eh?» ripeté lei, scettica, facendo scorrere lo sguardo su tutti noi e intrecciando le braccia al petto. «Beh, allora gli Antenati devono avere uno spiccato senso dell’umorismo.»
   «Certo che ce l’hanno!» concordò Oghren con forza. «L’hai pur vista Lady Helmi, no? Se la sua faccia non è uno scherzo degli Antenati, io sono il sedere di un bronto.»
   «Un Campione di bellezza», commentò Felsi, non ancora convinta della sua sincerità.
   «Ditele che vi è mancata», continuò a suggerire Alistair, che evidentemente aveva preso tutta quella faccenda più a cuore di quanto non avessi fatto io. Mi convinsi che doveva trattarsi di semplice solidarietà maschile.
   Oghren si fece più serio, allora, e guardando l’amata con sguardo languido le garantì: «Ti ho pensato molto, Felsi.»
   Parve funzionare, perché lei cominciò a mostrare i primi segni di cedimento. «Cosa vuoi da me, Oghren?»
   «Nulla. Ho solo pensato di venire a vedere come stavi», le assicurò, facendomi sciogliere il cuore per quella sincerità inaspettata. «Beh, speravo anche che potessi lucidarmi un po’ il bronto, se capisci cosa intendo.»
   Arrossii e mi allontanai di qualche passo, decidendo di non ascoltare la risposta di Felsi. Invano. «Beh, mi hai vista», replicò lei, di nuovo stizzita. «E per il bronto, puoi anche tornartene a Orzammar.»
   «Oh, andiamo», tornò ad intromettersi Alistair, meno sensibile di me riguardo a certe questioni. «Dovete ammettere che Oghren è molto più spassoso di molti altri uomini», azzardò, non potendo giustamente fare altro tipo di complimento al suo amico.
   Felsi lo fissò con disappunto. «Intendi proprio spassoso o piuttosto brillante come una scoreggia sul fuoco
   Probabilmente era stata davvero fatica sprecata arrivare fin laggiù e lo stesso Oghren dovette capirlo, perché decise di mettere fine a quell’incontro. «D’accordo, è stato divertente, Felsi, ma è meglio che io vada.»
   Lei dimostrò di essere stata colta alla sprovvista da quelle parole, perché subito si affrettò a balbettare: «Aspetta! Te ne vai? Sei appena arrivato… E non ti ho ancora chiamato coda di topo…»
   «Non puoi far aspettare l’Arcidemone. Potresti urtare i suoi sentimenti e indurlo a cambiare idea riguardo al Flagello e farlo tornare a casa.» Magari fosse successo. «Nessuno di noi lo vuole realmente.» Su questo c’era da discuterne.
   «Beh… ma tu non devi combattere in questo momento…» cercò ancora di dissuaderlo Felsi, abbandonando la scopa di saggina in un angolo e torturando un lembo del grembiule sporco tra le tozze dita. «Potresti bere della birra, prima. Potresti chiamarmi bronto scontroso e io potrei dirti che puzzi come un escremento di nug…»
   «Non posso, ho delle cose da fare», fu costretto ad ammettere Oghren a malincuore. «Ma tornerò quando tutto si sarà sistemato, mia frigida cacciatrice oscura.» In quel momento pensai che non sarei mai riuscita a capire il romanticismo dei nani – e a tutt’oggi mi è del tutto incomprensibile, benché ci abbia fatto almeno l’abitudine.
   Alistair sorrise, abbassando il capo per osservarsi la punta dei piedi. «Perché non vi fermate un po’, Oghren?» lo incoraggiò. «Io e Nimue tanto dobbiamo andare al Circolo, qui di fronte. Possiamo vederci dopo.»
   Il nano si lisciò una delle trecce in cui erano sempre acconciati i suoi lunghi baffi rossi. «Ma questo Circolo è quell’alta torre in mezzo al lago?»
   «Esatto. Preferisci venire con noi?»
   Arricciò il naso. «È già abbastanza traumatizzante avere un cielo sulla testa», prese a rispondere. «Se dovessi anche non avere più la terra sotto ai piedi, credo che crollerebbero tutte le mie certezze.» In effetti per un nano non doveva essere un’esperienza da poco, quella di attraversare uno specchio d’acqua a bordo di una barca senza avere almeno un soffitto di pietra a dargli sicurezza. «Ci vediamo dopo.»
   «D’accordo.» Alistair gli batté una pacca amichevole sulla spalla. «Sfruttate al meglio il tempo che avete», gli suggerì con fare goliardico.
   «Oh, puoi giurarci», gli garantì l’altro. «Quando sarete di nuovo qui, il mio sarà un bronto felice.»

«Quindi… è andata bene?» domandai al mio compagno Custode non appena fummo fuori dalla taverna. Merlino si alzò dal punto in cui era rimasto accucciato ad aspettarci e, scodinzolando, mi venne dietro.
   Alistair scrollò le spalle. «Così pare.» Ma poi, vedendomi turbata, chiese retoricamente: «Cosa te lo lascia dubitare?» Gli scoccai un’occhiata eloquente che lo fece ridere. Mi passò un braccio attorno al corpo, attirandomi a sé per baciarmi una tempia. «Credo che i nani abbiano dei metri di giudizio differenti da noi… testa-fra-le-nuvole. Com’è che ci chiamano?»
   «Non voglio saperlo», replicai, benché dovetti riconoscere che quel soprannome era molto meglio dei vezzeggiativi che si erano scambiati Oghren e Felsi.
   Quando arrivammo vicini al molo, mentre Merlino si attardava a fare pipì vicino a un ceppo, Kester ci scorse e ci riconobbe subito, salutandoci con un cenno della mano. Gli spiegammo che avevamo bisogno di attraversare il lago e lui non perse tempo a preparare la sua imbarcazione.
   «Ho sentito dire che quando c’era il templare, qui, gli avete detto che sareste stati disposti ad attraversare il lago a nuoto. Ci vuole un bel coraggio anche solo a pensarlo, viste tutte le pozioni che voi maghi ci versate dentro.»
   «Evidentemente Carroll s’è spaventato proprio per quello», ipotizzai, mentre Alistair mi aiutava a salire a bordo e Merlino mi seguiva con un balzo, facendo ondeggiare il fondo della barca. Rischiai di perdere l’equilibrio, ma il mio cavaliere mi sostenne e mi fece accomodare al sicuro accanto a lui.
   «Che genere di pozioni ci versate?» mi domandò, incuriosito.
   «Un po’ di tutto», risolsi di rispondere con fare vago.
   Si fece pensieroso per un istante, poi riprese. «C’è quindi il rischio che si sia venuta a creare qualche strana forma di vita con tre occhi, pinne, zampe e tentacoli?» Lo fissai con aria corrucciata, ignorando le risate di Kester che aveva iniziato a spingere il traghetto al largo. «No, perché se ci fosse sarebbe grandioso. Potremmo sfruttarla contro la Prole Oscura, non ci hai pensato? Un’intera orda di esseri del genere, capaci di immobilizzarti con i tentacoli e di succhiarti il sangue con la proboscide.»
   «La proboscide?»
   «Sì, beh, magari quella ce l’hanno solo i maschi.» Decisi di ignorare il resto delle strambe e infantili fantasie di Alistair, che pure riuscirono a strapparmi un sorriso, durante il resto della traversata.
   Come avevo supposto, sebbene fosse passato già diverso tempo da quando i problemi al Circolo erano stati risolti, non tutto lì era ancora in ordine. Scendemmo al porticciolo situato sotto la Torre e, ringraziato Kester che ci garantì di attenderci, ci avviammo su per le scale che portavano al primo piano. Fu lì che i primi templari ci scorsero e, spesati per la nostra presenza, andarono a chiamare il loro superiore. Greagoir ci raggiunse poco dopo, incuriosito. Gli spiegammo che eravamo venuti a parlare di una certa questione col Primo Incantatore e fu lui stesso a scortarci fino alle sue stanze. L’interno della costruzione non era affatto in buone condizioni, ma bisognava riconoscere che sia i maghi che i templari si stavano dando un gran daffare per rimettere ogni cosa al proprio posto. Per lo meno, mi ritrovai a pensare, i pavimenti e le pareti, benché ancora macchiati di sangue, non fossero più ricoperti di vesciche rigonfie e pulsanti.
   Irving ci venne incontro con un sorriso stanco ma gentile, ringraziandoci per quella visita che onorava tutti loro. Dopo essersi informato su come andava avanti la nostra missione, ci chiese notizie di Wynne e Pether e noi gli assicurammo che si trovavano al sicuro al castello di Redcliffe, dove l’Arle si stava finalmente riprendendo.
   «Ottimo, ottimo», commentò con aria contenta. «Non appena tutto sarà pronto e il Flagello sarà debellato, manderemo a chiamare il piccolo Connolly per l’apprendistato.»
   «Ehm… Connor», si permise di correggerlo Alistair. Irving però parve non sentirlo, perché subito cominciò a parlarci delle condizioni del Circolo e poi, d’un tratto, si ricordò che forse, se eravamo lì, c’era una ragione ben precisa.
   «Si tratta di un caso singolare», iniziai a spiegargli, mentre ci venivano serviti del vino e qualcosa da mangiare. «Abbiamo incontrato una ragazza, a Orzammar, che desidererebbe essere accolta qui per i suoi studi.»
   Greagoir corrucciò le sopracciglia canute. «Una maga a Orzammar? Come ci è finita lì? Non è un’eretica, vero?»
   «Oh, no, no», gli garantii, cercando di ignorare il suo sguardo sospettoso. Fu in quel momento che il pensiero di aver lasciato Jowan in libertà mi affiorò con prepotenza alla mente: avevo dato aiuto a un Maleficar e a un eretico. Senza contare che, sin dall’inizio di quella maledetta guerra, stavo viaggiando in compagnia della giovane Strega delle Selve. In effetti non ero propriamente in una buona posizione. Alla peggio, meditai, avrei potuto mentire e dire che avevo assoldato sia Jowan che Morrigan tra le file dei Custodi Grigi, affidando al primo il compito di raggiungere Orlais per chiedere aiuti. Sospirai un attimo dopo aver studiato questo mio malefico piano: Alistair avrebbe potuto indignarsi non poco, se lo avessi fatto, perché per lui essere Custodi era una cosa seria.
   Interpretando a modo suo il mio sospiro, il Primo Incantatore mi guardò con apprensione. «Siete stanca, figliola? Preferite discuterne con calma, dopo aver riposato?»
   Scossi il capo, ringraziandolo con un sorriso. «Non occorre, ci stanno aspettando alla taverna.» O forse anche no. Mi chiesi se Oghren… No, mi dissi, meglio non porsi domande. «La ragazza di cui vi stavo parlando è una nana.»
   «Una nana?» ripeté Greagoir sbalordito. «E vuole studiare qui? Che assurdità è mai questa?»
   «Non essere impaziente, mio buon amico, lasciamole il tempo di spiegarsi», lo rabbonì Irving, indulgente come sempre. Improvvisamente mi dispiacque imbrogliarlo riguardo a Jowan, ma avrei dovuto farci lo stomaco visto che avrei dovuto ingannare anche Wynne – e la cosa era ben peggiore, per me.
   «Vi assicuro che è molto ferrata sulla storia della magia, ha dato prova di grandi capacità e… beh, propone uno scambio interessante: parte delle nostre conoscenze per un accesso diretto a quelle sulla produzione del lyrium.»
   «Ah, sì?» commentò l’anziano Incantatore, inarcando le folte sopracciglia. Si volse a fissare il templare. «Greagoir, che ne pensate? Non vi pare una buona idea? Potremmo farla alloggiare tra gli adepti della calma. O magari anche fra gli apprendisti.»
   L’altro sembrò pensarci su, passandosi una mano tra la barba grigia. «Forse sì», rispose dopo qualche istante. «Dove possiamo trovarla?»
   «A Orzammar, chiaramente», risposi. «Si chiama Dagna, figlia di Janar della Casta dei Fabbri. Sono certa che se manderete qualcuno a chiedere di lei, la troverete facilmente.»
   «Greagoir, converrebbe cominciare a pensare a chi spedire fin lì, non trovate?» propose Irving. E poiché lui parve titubante nel prendere immediatamente una decisione al riguardo, il mago cominciò a fargli un lungo discorso riguardo a tutti i vantaggi che avrebbe portato questa opportunità.
   Alla fine il burbero ma buon templare cedette e ci lasciò soli. Quando richiuse la porta alle sue spalle, il Primo Incantatore si portò un dito davanti al naso con fare complice per invitarci a fare silenzio. Quindi, alzandosi da dov’era seduto pur con una certa fatica, andò a recuperare qualcosa in fondo al suo baule e tornò da noi, porgendoci un involucro.
   «Non apritelo qui», ci pregò come prima cosa. «L’ho avuto da un uomo di nome Felix, uno dei mercanti che ultimamente è venuto a rifornire il Circolo. Ne faccio dono a voi con la speranza che esso possa esservi utile nella vostra missione. Anzi», si corresse, «nella missione di tutti noi.»
   «Cos’è?»
   «Una verga di controllo.» Credemmo di aver capito male, tanto che né io né Alistair aprimmo bocca. «Non so come egli ne sia venuto in possesso, ma ha accennato a un villaggio di nome Honnleath, non lontano da Redcliffe, in cui pare ci sia un golem addormentato.»
   «Un golem in superficie?» si stupì il mio compagno. «Cosa ci fa quassù?»
   Il Primo Incantatore sorrise benevolo. «Vi basti sapere che in quel villaggio viveva la famiglia di Wilhelm, mago di Redcliffe che intratteneva una fitta corrispondenza con il Primo Incantatore Arlen, ai tempi in cui Re Maric era ancora un ragazzo e l’Arle di Redcliffe era Rendorn Guerrin. Fu di grande aiuto durante la guerra contro Orlais. E lo fu anche il suo golem. Sono certo che si tratta della stessa creatura di pietra.»
   Il che stava a significare che Loghain doveva conoscere quella storia e, se così era, poteva benissimo cercare la verga che adesso era nelle mani del Circolo. Anzi, nelle nostre, visto che ci era appena stata affidata. Di certo schierare un golem nelle nostre fila poteva essere una mossa vincente, visto quanto erano forti; tuttavia quanto avevamo vissuto nelle Vie Profonde a causa di Branka, di Caridin e di quella maledetta Incudine del Vuoto non mi faceva guardare a quella proposta con reale entusiasmo. Forgiare un golem significava imprigionarvi dentro l’anima di qualcuno.
   «Temo che Honnleath sia troppo a sud per essere del tutto sfuggito alla Prole Oscura», riprese Irving. «Ma il golem dovrebbe essere ancora lì. Dubito che qualcuno possa spostarlo senza di questa.» Batté la punta di due dita sull’involucro. «Nelle vostre mani questa verga sarà al sicuro», aggiunse. «E se vorrete farne uso, vi basterà recitare una certa formula: Dulef gar

«Tutto questo mistero non mi piace», mi confidò Alistair quando fummo di nuovo sull’imbarcazione di Kester. «A voler essere onesto, non mi piace neanche l’idea di avere un golem con noi. Proporrei di gettare la verga in mezzo al lago, così che nessuno possa più trovarla.»
   Mi rigirai l’involucro di stoffa che ci aveva affidato Irving fra le mani, riflettendo seriamente sulla questione. «Perché abbiamo distrutto l’Incudine del Vuoto?» gli domandai con fare retorico.
   «Per impedire che cose come queste si ripetessero», rispose prontamente lui, additando la verga. «È inumano relegare l’anima di qualcuno dentro una montagna di pietra.»
   «Lo pensiamo tutti», gli ricordai.
   «Eccetto la strega.»
   «Alla fine anche Morrigan si è convinta che quella è stata la scelta migliore.»
   «Dovremmo minacciarla più spesso per farle abbassare la cresta.»
   Sorrisi, tentata di dargli ragione. «Però», ripresi tornando al discorso di prima, «se è vero che è inumano creare dei golem, lo è anche lasciarne uno lì. Non potrà muoversi, ma forse la sua anima è ancora vigile.»
   Gli occhi di Alistair si restrinsero in due fessure e lui mi guardò circospetto. «Vuoi… andare a risvegliare quel golem?»
   Mi strinsi nelle spalle. «Il Primo Incantatore ha detto che potrebbe esserci d’aiuto.»
   «Non sono molto d’accordo», ribatté subito lui.
   «Quel golem ha anche aiutato tuo padre a riconquistare il Ferelden.»
   «E quindi? Dovrei fargli una statua per questo?»
   «È una battuta?»
   Agitò un braccio a mezz’aria con fare contrariato. «In ogni caso, non abbiamo tempo per fare una deviazione del genere, tanto più che a sud pullula di prole oscura.» Su questo non aveva torto, ma c’era una cosa su cui ormai dovevo riflettere seriamente insieme a lui, benché ancora non gliene avessi parlato. E dopo quanto mi aveva fatto promettere dopo la fuga di Jowan non potevo più tacere.
    Strinsi le labbra, temendo che prima o poi Alistair mi avrebbe mandata a quel paese perché continuavo a nascondergli alcune faccende piuttosto importanti. «In realtà…» cominciai con voce incerta. No, non andava bene. Forse era meglio darsi un tono deciso. Mi schiarii la gola. «In realtà credo che lì dovremmo andarci comunque.»
   «A sud? Sei matta?»
   «Per via di Flemeth», continuai, cercando di ignorare le sue proteste. «Sai… penso che sia meglio ucciderla.»
   Alistair rimase in silenzio per qualche istante. Poi, convinto che io scherzassi vista l’assurdità di quella vicenda, iniziò a ridere. «Per un attimo ho temuto dicessi davvero.» Alzai gli occhi per incrociare i suoi e il sorriso in cui aveva incurvato le labbra si spense. «Hai battuto la testa? O forse sei entrata in confusione perché hai visto Cullen.»
   «Cos…? Cullen?» balbettai, interdetta. Non lo avevamo neanche incontrato, al Circolo. Che storia era mai quella? Anzi, a dirla tutta, a lui non avevo proprio pensato durante tutta la nostra visita a Kinloch Hold.
   Vidi Alistair sospirare e portasi una mano davanti al viso con fare sconfortato, forse già pentito per ciò che aveva detto. «Scusa», mormorò difatti con voce contrita. «È solo che fino all’ultimo ho avuto il timore che tu lo vedessi.»
   Era per questo che mi aveva accompagnata fin lì? Odiavo avere dei dubbi su di lui, ma odiavo anche che lui ne avesse su di me. «Non ti fidi di me?»
   «Certo che sì», mi giurò, tornando a guardarmi negli occhi. «Dopotutto è con me che fai l’amore, non con lui o con chicchessia.»
   «Fare l’amore è bello», commentò Kester, evidentemente ritenendo opportuno intromettersi nei nostri affari privati. «Soprattutto in tempi come questi. Ti fa sentire più vivo.»
   Alistair mi prese una mano fra le sue con gentilezza. «Sono uno stupido.»
   «Anch’io sono spesso gelosa di te», ammisi a onor del vero. Lo ero stata parecchie volte da che avevo capito di essere innamorata di lui, e sarebbe stato ingiusto e ipocrita arrabbiarsi per quella sua confessione. «Quindi siamo due stupidi.»
   Curvò la bocca in un mezzo sorriso. «Questo lo avevamo già stabilito un po’ di tempo fa, se ben ricordi.» Annuii e lui mi sistemò meglio il cappuccio del mantello sulla testa così che non fossi troppo soggetta all’umidità del luogo. «Che mi dicevi di Flemeth?»
   «Morrigan mi ha raccontato che è solita nutrirsi delle proprie figlie per rafforzarsi», gli spiegai a bassa voce, senza più voler omettere nulla. «E per lei non farà un’eccezione, se non agiamo prima noi.»
   L’espressione che Alistair inalberò mi fece temere che preferisse lasciare le cose come stavano, ma sapendo che io e Morrigan eravamo ormai legate da un rapporto molto simile a quello dell’amicizia, ebbe il buon cuore di tacere.
   «Flemeth non è un avversario molto semplice da togliere di mezzo», preferì farmi notare, invece.
   «Pare sia un Abominio, se non peggio. Credo sia un motivo più che sufficiente per intervenire.»
   «Dovrebbe essere competenza dei templari.»
   «Loro non riescono a trovarla e Morrigan ci è indispensabile, lo sai.» Neanche Alistair poteva negare che la nostra compagna, eretica o meno che fosse, era una maga assai potente e che ci aveva salvato la vita in svariate occasioni.
   «E dovremmo dimostrarle la nostra riconoscenza facendola a pezzi?»
   «Tira fuori il tuo spirito da templare», lo incitai, stufa di dover discutere riguardo la vita di Morrigan. «Se davvero avesse voluto fare qualcosa per noi, potente com’è, ci avrebbe seguiti insieme a sua figlia, non pensi?»
   «Non riusciremo mai a sconfiggerla», fu la scettica risposta che ricevetti.
   «Per questo potremmo reclutare il golem tra le nostre fila.» Ecco che si ritornava al punto e Alistair mi fissò incredulo, la fronte corrucciata e le labbra schiuse, forse incapace di commentare quel mio piano al limite del rischio. «Non sto dicendo che dobbiamo farlo per forza, sia chiaro», cercai di calmarlo, stringendo le sue dita fra le mie. «Ma possiamo per lo meno andare a dare un’occhiata. No? Senza contare che se non riusciamo a sbarazzarci di Flemeth, difficilmente riusciremo a farlo dell’Arcidemone, non credi?»
   All’epoca non ci pensai, ma adesso che posso ricordare quei momenti con mente fredda, non posso che sorprendermi di come un incitamento del genere fosse venuto proprio da una codarda come me. Quel lungo viaggio stava segnando tutti, nel bene e nel male, e io forse stavo diventando davvero più forte. O forse nel mio subconscio, nonostante tutto, volevo solo un ulteriore alleato che ci aiutasse nella nostra missione affinché nessuno di noi ci lasciasse le penne. Ero davvero così pura e onesta come apparivo agli occhi degli altri? Dopo la fuga di Jowan non ne ero più tanto sicura.
   «A proposito delle Selve Korcari e di tutta quella zona a sud», ci interruppe di nuovo Kester. «Il proprietario della Principessa Viziata mi ha raccontato che pochi giorni fa qui vicino hanno avvistato qualcuno con i colori del Re. Di Re Cailan, intendo, non dell’attuale reggente, il Teyrn di Gwaren.» Ci voltammo a guardarlo, questa volta, e lui si strinse nelle spalle. «Non so molto al riguardo, ma qualcuno pensa che possa essere un fuggiasco di Ostagar. Potrete chiedere maggiori dettagli non appena saremo approdati dall’altra parte.»
   Lo avremmo fatto, poco ma sicuro. E non appena toccammo terra, ringraziato e salutato il fedele Kester, ci dirigemmo a grandi falcate verso la taverna, sperando che Oghren avesse ormai finito i suoi affari con Felsi.

Dall’oste venimmo a sapere che l’ultima volta che l’uomo era stato avvistato si trovava nelle terre di Bann Loren, a nord-est del Circolo. Sicuramente a Redcliffe aspettavano il nostro ritorno in tempi brevi, ma avevamo bisogno di andare a fondo a quella vicenda, e subito. Lasciammo perciò un messaggio al primo mercante diretto al villaggio in cui ci imbattemmo e, trascinato Oghren fuori dalla stanza di Felsi per le orecchie, ci mettemmo di nuovo in viaggio.
   Fu poco prima dell’alba che ci giunse il rumore di una cascata che quasi riusciva a coprire quello di alcune voci concitate. Attirati da quelle e raggiungendo in poco tempo il punto da cui provenivano, scorgemmo dall’alto un nugolo di soldati. «Uomini di Bann Loren», mormorai ai miei compagni, incapaci di distinguere i dettagli in quella penombra. Bann Loren era un lord minore che, poco amato per l’instabilità della propria fedeltà, una volta morto Re Cailan non aveva perso tempo a schierarsi con Loghain. Bann Teagan ci aveva detto che non lontano da lì, oltretutto, era in atto una vera e propria guerra civile tra i sostenitori dell’attuale reggente e i fedelissimi della dinastia Theirin.
   I soldati di Bann Loren stavano puntando le proprie spade contro un uomo che, schiacciato a terra dalla suola dello stivale di uno di loro, era già ricoperto di sangue e palesemente spacciato. Decidemmo di intervenire, ma mentre Alistair, Oghren e Merlino si lanciavano contro quei prepotenti nonostante la – per loro – scarsa visibilità, io dovevo stare ben attenta che la mia magia non colpisse i miei alleati. La prima cosa che feci, allora, fu di creare una sfera di luce a mezz’aria col proposito di aiutare i miei compagni – che mi davano le spalle – e di accecare almeno qualcuno dei nostri avversari. E quando essi furono messi fuori gioco e costretti alla fuga, ci avvicinammo al poveretto ancora disteso a terra.
   Le voci che giravano in quella zona erano vere: quell’uomo era Elric Maraigne, una delle guardie d’onore di Re Cailan e suo amico, come lo stesso Alistair, più fisionomista di me, ci garantì. Era ancora vivo e, mentre mi affrettavo a prestargli soccorso con la magia guaritrice, i suoi occhi vitrei si posarono sul mio compagno Custode a cui rivolse un sorriso stentato. Non avevo idea se Elric fosse a conoscenza del legame di sangue tra Alistair e Cailan, ma non era neanche da escludere che la somiglianza fisica che c’era fra loro potesse in qualche modo giocare brutti scherzi sulla sua mente poco lucida.
   «Grazie…» biascicò in un rantolo che faceva male al cuore.
   «Non parlate», lo pregò Alistair, prendendogli una mano per fargli forza.
   «Sto morendo…» gli assicurò lui, stranamente rassegnato. «Non mi aspettavo altra fine… Morire per mano della Prole Oscura o perché accusato di essere un disertore… Ci hanno messo fin troppo tempo a trovarmi… Ho vissuto di espedienti finora… ma non sapevo di chi potermi fidare…» Chiuse gli occhi, ma continuò a parlare. «Voi… Voi eravate a Ostagar… Mi ricordo i vostri volti… Eravate le reclute di Duncan…» Un singulto scosse il suo corpo martoriato dalle gravi ferite e le prime lacrime scesero a rigargli le guance magre ed esangui. «Non… Non ho fatto altro che ripensare a quella maledetta notte… Io… Io volevo proteggere il Re… Era mio amico… Ma anche se Loghain non ci avesse voltato le spalle… i Prole Oscura erano troppi… Anche Cailan, nonostante le sue spacconerie, sapeva bene che non ci sarebbe stata alcuna vittoria a Ostagar…»
   Apprendere quella notizia ci lasciò quasi spiazzati. Quindi persino Cailan si era reso conto della gravità della situazione, ma aveva fatto finta di nulla, cercando invece di incoraggiare i suoi uomini alla battaglia come ci si poteva aspettare soltanto da un bravo condottiero che tenta l’impossibile per il bene della propria gente. Forse Cailan era pronto da tempo a quel sacrificio supremo. Duncan doveva saperlo, per questo ci aveva mandati in cima alla Torre di Ishal, nel posto più sicuro della fortezza di Ostagar nel disperato tentativo di salvarci la vita.
   Alzai per un istante gli occhi su Alistair e, come c’era da aspettarsi, scorsi turbamento e commozione sul suo viso.
   «Il Re…» riprese Elric con voce sempre più strascicata. Benché cercassi di alleviargli almeno le sofferenze, mi rendevo conto che quella era una situazione disperata e che solo un miracolo o più di un Guaritore esperto avrebbero potuto salvarlo. «Il Re mi aveva affidato la chiave dello scrigno reale… Mi aveva detto che… nel caso gli fosse successo qualcosa… avrei dovuto darla ai Custodi Grigi… Ma io avevo paura di portarla con me in battaglia, temevo di perderla…»
   «Non l’avete con voi?» domandò Alistair, cercando di dominare le emozioni che premevano per uscirgli dal petto.
   «Se l’avessi avuta… gli uomini di Bann Loren me l’avrebbero sottratta…» gli fece notare l’uomo, annaspando in cerca di aria.
   «Non parlate più, cercate di riposare…»
   Lui scosse il capo, seppur a fatica. «Sto morendo…» ripeté. E a un uomo che ha deciso che questo è il suo fato è assai difficile far cambiare idea. «La chiave è nascosta all’accampamento…»
   «A Ostagar?»
   «Dietro a una pietra allentata… alla base di una delle statue di Andraste…» Tacque per un attimo, e io temetti che fosse già morto; ma poi riaprì gli occhi e li fissò su Alistair. «Nello scrigno… ci sono i documenti personali del Re… Stava intrattenendo una corrispondenza segreta con Orlais ed era quasi riuscito a convincere l’Imperatrice a mandarci dei rinforzi… A Loghain non aveva detto nulla, sapeva che si sarebbe opposto per via del suo odio per gli orlesiani… Quelle lettere non devono cadere nelle mani sbagliate… E la spada… la spada di Maric… Cailan l’aveva portata con sé, era un ricordo di suo padre ed è un’arma troppo potente per essere lasciata alla Prole Oscura…»
   Alistair contrasse le mascelle per la frustrazione e la rabbia. «Andremo a Ostagar», stabilì senza consultarmi. Non gli avrei mai mosso proteste per quella decisione, non avrebbe avuto senso che lo facessi – né avrei avuto cuore di vietarglielo.
   Elric stese le labbra pallide in una smorfia che doveva essere il suo ultimo sorriso. «Se… Se ci riuscite… portate via da lì anche le armi e l’armatura di Cailan…» Le sue palpebre livide tornarono ad abbassarsi e il suo respiro si fece ancora più debole. «… Il suo corpo… non lasciate che marcisca in mezzo alla corruzione… della Prole Oscura… Dategli un degno addio… Era il nostro Re…»
   La sua voce si spense e mentre Alistair continuava a tenergli la mano, io non potei fare altro che accompagnare il suo trapasso con il gentile sollievo della mia magia. Quando il suo cuore smise di battere, alcuni minuti più tardi, in silenzio, ci demmo da fare affinché anche lui avesse un degno congedo da questo mondo.

«Ostagar è caduta da diverso tempo nelle mani della Prole Oscura», iniziò Alistair con il suo discorso, quando fummo tornati a Redcliffe per riferire quanto era accaduto al resto dei nostri compagni. Ancora una volta ebbi la sensazione che non avesse nulla da invidiare a un condottiero e che, se solo avesse avuto più fiducia in se stesso, sarebbe stato un ottimo re. Ce l’aveva nel sangue, dopotutto. «Nessuno vi biasimerà se deciderete di non seguirci in quest’impresa.»
   «Oh, credetemi», rispose solerte la mia anziana maestra, lo sguardo serio a dispetto del sorriso in cui aveva incurvato le labbra. «Ho visto con i miei stessi occhi cos’è accaduto quella maledetta notte, perciò sarò la prima a seguirvi.»
   Alistair le rivolse uno sguardo affettuoso e riconoscente. «Siete una vecchia pazza, oltre che arzilla.» Wynne rise. «Spero che quell’utilissimo spirito che vi tiene in vita non vi abbandoni proprio adesso.»
   «Posso venire con voi a Honnleath, ma non da Flemeth», ci fece sapere invece Morrigan, che se ne stava più in disparte, le spalle contro la parete e le braccia conserte. «Vi aspetterò alle porte di Ostagar, però. Sicuramente avrete bisogno di una mano.»
   «A dire il vero ne avremmo bisogno anche contro quell’Abominio di vostra madre», le fece notare Alistair con una smorfia.
   «Rischierei di farmi divorare all’istante, se venissi con voi.»
   «Meglio ancora.»
   Morrigan rispose con un insulto.
   «Non crucciatevi», interruppe il diverbio Leliana. Adoravo quella sua capacità innata di riuscire a sedare le loro risse verbali con la sua voce dolce e pacata. «Anche se Morrigan non sarà con voi, avrete il mio sostegno.»
   «Vi ringrazio, Leliana», le sorrise Alistair, che ormai da tempo non la reputava più una fanatica visionaria – specie dopo che avevamo avuto a che fare con la setta di Haven, nelle cui fila c’erano dei pazzi veri e propri. «Oghren, voi cosa volete fare?»
   Lui aprì la bocca per ruttare. Ma poi aggiunse: «E vuoi privarmi del divertimento di spaccare qualche testa? Di fare a pezzi quelle putride creature che pullulano nelle Vie Profonde? Non scherziamo.»
   L’altro si volse verso l’uomo che, seduto più in là, aveva assistito a quella riunione in devoto silenzio. «Bann Teagan, cercheremo di tornare al più presto», gli garantì battendosi una mano sul petto a mo’ di giuramento.
   Il nobiluomo assentì con un cenno del capo. «Vista la guerra civile che si sta espandendo a macchia d’olio, non vedo altra soluzione. Quei documenti sono fondamentali, ci permetteranno di dimostrare che Loghain sbaglia a sottovalutare la minaccia del Flagello. Frattanto, spero che mio fratello si rimetta del tutto e possa tornare presto attivo insieme a tutti noi, coinvolgendo anche i Bann ancora fedeli alla corona.»
   «Sapete niente del golem di Wilhelm?»
   «Aiutò l’esercito dei ribelli capeggiato da Maric all’epoca della guerra contro Orlais. Eamon e io eravamo soltanto dei bambini e fummo mandati lontano, mentre nostro padre e nostra sorella Rowan sposarono la causa dei Theirin, seguendo prima la Regina Moira e poi il suo giovane figlio Maric. Wilhelm fu mago di Redcliffe anche dopo la morte di mio padre, ma nell’ultimo periodo della sua vita si rintanò a Honnleath per qualche ragione a me sconosciuta. Fu lì che morì.»
   «Pare intrattenesse una corrispondenza con Arlen, il Primo Incantatore del tempo.»
   «Non so nulla al riguardo, mi spiace. Forse potrete trovare qualche informazione in più laggiù. O nella sua casa qui a Redcliffe; è nei pressi del mulino, sulla destra, non appena si entra nel villaggio. Ormai è disabitata da parecchi anni. Posso accompagnarvi, se volete.»
   «Potremmo trovare informazioni preziose, secondo voi?»
   Bann Teagan scosse le spalle. «Non ne ho idea. Tutto quello che so è che il golem di Wilhelm era inarrestabile, costituiva un’ottima forza d’attacco. Gli orlesiani lo temevano non poco. Forse potrebbe davvero esservi d’aiuto contro la Prole Oscura.»
   Abbassai lo sguardo sulla verga di controllo che stringevo fra le mani e che non volevo abbandonare per chissà quale paura. Con quella saremmo riusciti a dare ordini al golem e di nuovo lo reputai inumano: i nostri attuali compagni potevano scegliere se schierarsi con noi in battaglia o meno, mentre a quella creatura di pietra non sarebbe stata data la stessa possibilità. Ma se fossimo stati tutti uccisi a causa del Flagello non sarebbe stato forse peggio? Cailan e Duncan, pur essendo morti ormai da circa un anno, non ci avevano dimostrato che un sacrificio è spesso necessario per il bene della comunità?
   Ancora una volta avrei dovuto ingoiare il rospo e andare avanti. E chissà in quante altre occasioni mi sarebbe toccato farlo durante quella maledetta guerra.












Anzitutto devo ringraziare crow heart, perché se non mi avesse ricordato che oggi è domenica e che è la domenica in cui avrei dovuto aggiornare la fanfiction (spero infatti di riuscire a mantenere un ritmo di un capitolo ogni due settimane), avrei bellamente continuato a ignorare la faccenda. Chiedo venia a tutti, sono un caso disperato! D: La cosa comica è che ci pensavo da una settimana al fatto che dovessi aggiornare, e quando è arrivato il momento l'ho dimenticato. *Sospira e scuote il capo*
Parlando di cose più interessanti, chi ha giocato i vari DLC di Orgins avrà senz'altro notato che ho dovuto cambiare un po' le carte in tavola. Questo perché mi sembrava assai poco probabile che due Custodi Grigi potessero dar credito a un mercante di strada riguardo alla verga di controllo. Sentirne parlare dal Primo Incantatore, invece, che per di più fornisce ulteriori dettagli al riguardo, confermando così la storia di Felix... beh, a mio avviso è più credibile. Insomma, esigenze di copione. Per un giochino va bene, ma per una storia narrata (più o meno) come un romanzo, va molto meno bene.
Altra precisazione per chi non ha avuto la fortuna di leggere i romanzi (in questo caso il primo, Il trono usurpato): tutto ciò che ho scritto riguardo a Shale, Wilhelm e la guerra contro Orlais è vero, non ho inventato nulla. Mi sono perciò limitata a raccogliere i pezzi e a cercare di rimetterli insieme, cosa che nel gioco non può essere fatta per tanti ovvi motivi. Altrettanto vero è che l'abitazione di Wilhelm, a Redcliffe, è la prima che si trova entrando al villaggio. L'ho letto per caso sulla Wikia di Dragon Age, lo confesso, ma almeno mi è tornata utile, come informazione. XD
Quanto al resto, spero di non aver dimenticato nulla. Probabilmente lo avrò fatto, vista la mia memoria a breve termine assai labile, quindi metto già le mani avanti e chiedo scusa. DX Mi riserverò di rimediare in qualche modo! D:
Ringrazio come sempre tutti i lettori, chi recensisce e chi aggiunge (o l'ha già fatto) la storia tra le ff preferite/seguite/da ricordare. E, come sempre, un saluto speciale alle mie beta, Ike_ e Atlantislux.
Buona domenica a tutti!
Shainareth



EDIT delle 21:20 circa: Oh, Creatore! Certo che sono proprio un tipo coerente, io! Ho letto solo ora che, tot capitoli fa, avevo premesso che non avrei trattato del DLC di Shale... Va beh, fate finta che non l'abbia mai scritto, quell'appunto al riguardo! X°D





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Capitolo 35
*** Il prigioniero di pietra ***







CAPITOLO TRENTACINQUESIMO - IL PRIGIONIERO DI PIETRA




Raggiungere il sud del regno, da dove mancavamo ormai da diversi mesi, non fu semplice. La Prole Oscura stava avanzando e spadroneggiando un po’ dappertutto, perciò non ci fu modo di evitare di scontrarci con essa in più di un’occasione. Dopo aver affrontato le Vie Profonde, però, dove quella maledetta piaga brulicava come formiche in un formicaio, mi resi conto che in me non c’era più l’antica paura che mi aveva assalita la prima volta che ci avevo avuto a che fare nelle Selve Korcari, non troppo distanti da dove ci trovavamo ora. All’epoca, in effetti, ero solo una maga appena reduce dal Tormento, costretta ad arruolarsi fra i Custodi Grigi per sfuggire all’ira dei templari. Una maga che, dall’età di cinque anni, non aveva mai messo piede fuori dalla Torre del Circolo e che tutto ciò che conosceva del mondo oltre quelle mura lo aveva visto da una delle finestre: la distesa d’acqua del Lago Calenhad, le luci della Principessa Viziata, le sponde di Redcliffe e il profilo ancor più lontano delle Montagne Gelide perennemente innevate. Non c’era da stupirsi, dunque, se quando Duncan mi aveva accompagnata oltre la soglia di Kinloch Hold ero stata presa da un subitaneo smarrimento e da un vago senso di panico che mi aveva indotto a guardarmi sempre alle spalle e ad aver paura della mia stessa ombra – e non era da escludere che Duncan avesse avuto dei ripensamenti riguardo alla recluta scelta nel Circolo. Ma prima di allora, l’ultima volta che ero stata all’aria aperta, dopotutto, avevo assistito al dramma di mia sorella, avevo quasi ammazzato i suoi assalitori e due energumeni in armatura mi avevano portata via dall’enclave per sempre. Tutto quello che era venuto dopo, da Ostagar in poi, mi aveva fortificata non poco, facendomi rendere conto di quali fossero davvero le mie capacità. E, tuttavia, non ero troppo sicura che mi piacesse quello che stavo diventando.
   Honnleath non distava troppo da Redcliffe, in realtà, pertanto supponemmo che le terre dell’Arle sarebbero state prese di mira in tempi più o meno brevi. Dovevamo affrettarci nel sistemare le cose una volta per tutte, mettendo fine per lo meno alla guerra civile che impediva al Ferelden di riorganizzare le forze e fare fronte comune contro il vero problema del nostro regno.
   Ad accoglierci trovammo alcune colonne di fumo scuro che si levavano turbinosamente verso il cielo e dei corpi sventrati appesi per la gola alle porte del villaggio. Tutt’intorno, sangue. Il ronzio fastidioso e prepotente che Alistair e io avvertivamo nella testa ci avvisava che quel posto pullulava di prole oscura, e Morrigan si offrì di andare in esplorazione al posto nostro sotto le solite sembianze di corvo. Tornò poco dopo, riferendoci che tutti gli edifici che circondavano la piazza principale erano stati dati alle fiamme da un gruppo piuttosto consistente di nemici e che il golem c’era per davvero.
   «Si trova al centro del villaggio», ci spiegò. «Se non avessimo già visto l’esercito di Caridin lo avrei scambiato per una statua.»
   «Non è attivo?»
   «No, non pare reagire a nessuno stimolo, anche se quando mi ci sono poggiata sopra con le zampe, ho avvertito una certa aura maligna provenire da esso.»
   Quella notizia mise di malumore Alistair, che subito si volse a guardarmi. «Potrebbe essere pericoloso.»
   «Potrebbe», non potei fare a meno di negare. «Vuoi tornare indietro? Senza nemmeno accertarci che ci siano superstiti tra gli abitanti?»
   Tornò a prestare attenzione alla strada davanti a noi con uno sbuffo. «Combattere la Prole Oscura è nostro compito», replicò soltanto, senza più questionare sull’argomento.
   Bisognava escogitare un piano e fu Leliana a farlo per conto nostro: poiché lei era abituata ad arrampicarsi anche nei posti più impensati grazie al suo vecchio lavoro di spia, si propose di costituire, insieme a Morrigan, la forza d’attacco che avrebbe fatto fuoco dall’alto, abbattendo i primi nemici e coprendoci le spalle. «Dai tetti degli edifici ci sarà anche più facile tenere la situazione sotto controllo, e se saremo abbastanza in gamba da non farci scoprire subito, potremmo riuscire a farne fuori diversi prima che voi siate costretti a intervenire.»
   E mentre lei spariva cautamente tra i vicoli più vicini e la figlia di Flemeth tornava ad assumere le sembianze di un uccello per planare poi tra le cime degli edifici, noialtri avanzammo lentamente e senza abbassare le armi verso il punto che Morrigan ci aveva indicato, lo stesso dal quale proveniva il ronzio più forte.
   La prima cosa che vedemmo fu in effetti il golem, circondato da un drappello numeroso di prole oscura. Se ne stava immobile al centro di un’aiuola recintata che ancora rimaneva miracolosamente intatta. Era enorme e identico a quelli che Branka ci aveva scagliato contro e allo stesso Caridin. Di colpo mi ricordai che anch’io, quando ero stata nell’Oblio a causa del Demone della Pigrizia incontrato durante la nostra spiacevole avventura alla Torre del Circolo, mi ero trasformata in uno di quei giganti di pietra. A differenza loro, però, avevo mantenuto la mia autonomia di movimento e di pensiero, mentre quello che avevamo davanti ai nostri occhi, adesso, doveva essere stato prigioniero della volontà degli altri – e lo era ancora, probabilmente.
   Un sibilo annunciò l’inizio dello scontro e la prima freccia di Leliana trafisse un genlock alla base del collo, facendolo crollare al suolo con un rantolo strozzato. I suoi compagni si affrettarono a mettere mani alle armi, guardandosi tutt’intorno per capire cos’era accaduto. Un secondo di loro fece la medesima fine e poi un altro ancora. A quel punto, individuato il nostro arciere sulla cima di una casa, furono pronti ad assalirlo in qualche modo; lanciarono un grido di guerra, ma durò un attimo, perché tutti loro furono sbalzati a terra dalla potenza di una palla di fuoco che, dall’alto, si abbatté spietata sui loro corpi. Le urla agghiaccianti di quegli esseri immondi ci ferirono le orecchie e l’odore acre e pungente della loro carne bruciata ci diede il voltastomaco. Tuttavia non potevamo esitare: quello era il nostro momento. In un attimo la nostra prima linea, costituita da Alistair, da Oghren e da Merlino, fu addosso ai nemici e grazie alle altre frecce di Leliana e agli incantesimi circoscritti che io, Wynne e Morrigan riuscimmo a lanciare senza ferire i nostri compagni riuscimmo a concludere quello scontro senza gravi conseguenze, a dispetto del numero degli avversari.
   «Quindi… è questo», mormorò il nostro Principe quando, non trovando nessuno nei dintorni tra prole oscura e abitanti, ci avvicinammo indisturbati all’aiuola. Si passò il dorso di una mano sul volto, sporcandosi di sangue scuro senza neanche accorgersene, preso com’era da quella grossa figura di pietra. A guardarla attentamente, aveva qualcosa di diverso dagli altri golem in cui ci eravamo imbattuti nelle Vie Profonde: era ricoperto di escrementi di uccello. Oh, e poi aveva dei bellissimi cristalli luminosi incastonati sulle spalle, sugli avambracci e sui polpacci. «Tira fuori quell’affare e attivalo, prima ch’io cambi idea», mi disse Alistair con un sospiro.
   Misi mano alla scarsella e presi l’involucro di stoffa che mi aveva affidato il Primo Incantatore. Mi ritrovai fra le mani una verga di controllo molto simile a quella che avevamo visto utilizzare a Branka durante lo scontro davanti all’Incudine del Vuoto, e la sola idea di dovermi comportare nello stesso modo di quella pazza mi fece venire la nausea.
   «Che c’è?» domandò Morrigan, inarcando le sopracciglia come tutte le volte che era sul punto di prendermi in giro. «Ci hai ripensato?»
   «No», risposi, più per orgoglio che per altro. «Mi stavo solo immaginando come potesse essere quella che avrei usato su di te nel qual caso ti avessimo dato ascolto, quella volta.»
   «Te l’ho mai detto che ti amo?» mi fece sapere Alistair in tono appassionato, mentre la nostra compagna ringhiava qualcosa fra i denti e andava a spegnere il fuoco appiccato alle case con la magia, tanto per potersi sfogare in qualche modo.
   Sentimmo Leliana richiamare Merlino con una certa ansia e ci girammo appena in tempo per vedere il mio cane annusare una delle gambe del golem con fare interessato. Ci avrebbe fatto su la pipì, ne ero certa. «Merlino!» vociai. Lui, che aveva già sollevato la zampa da terra, mi guardò con quei suoi occhi intelligenti. «Non farlo! Vieni qua!» Uggiolò per il modo perentorio e brusco con cui mi ero rivolta a lui, ma obbedì prima che fosse troppo tardi. Mi venne vicino con le orecchie basse e la corta coda all’ingiù, e subito lo afferrai per il collare, dandolo in consegna a Oghren, molto più forte di me – non che ci volesse molto ad esserlo.
   «Qual era la formula?» chiese Wynne, scrutando anche lei con un certo interesse la verga di controllo. «Irving ve l’ha detta, suppongo.»
   Annuii. Tornai a rivolgere la mia attenzione al golem e, infine, pronunciai: «Dulef gar
   Per qualche lungo attimo rimanemmo in silenzio, udendo solo il respiro affannato di Merlino e lo scoppiettio delle ultime fiamme che ancora ci circondavano. Ma non accadde nulla.
   «Sicura che fosse quella giusta?» volle sapere Leliana.
   «Ho una buona memoria per le formule», le spiegai. Tutti i maghi dovevano necessariamente averla per non rischiare di combinare guai con la magia che regolavamo per mezzo delle parole.
   «Forse è quella del Primo Incantatore che comincia a fare cilecca», ipotizzò allora Alistair, guadagnandosi uno sguardo scettico da parte mia e di Wynne. «Andiamo», riprese facendo cenno verso di me. «L’hai sentito anche tu che s’è scordato il nome Connor. Com’è che l’ha chiamato? Connolly?»
   Fummo distratti di nuovo da Merlino. O meglio, da ciò che Oghren stava tentando di fargli. «Sta’ fermo, stupido cane!» La bestia scrollò il capo. «Ecco, da bravo… Oghren è tuo amico», le garantì il nano, facendole alcune carezze sul manto bruno. «Stai fermo, ora…» Sollevò una delle corte gambe e fece per passarla oltre il dorso di Merlino, ma lui guaì e si sottrasse alla sua presa, scappando e facendolo capitombolare a terra. «Torna indietro!» gridò il guerriero, cercando di riguadagnare goffamente una posizione comoda. «Non ti ho ancora messo la sella!»
   Mi passai stancamente una mano sul volto, ripromettendomi di non affidare mai più il mio cane a Oghren. «Ci rinunciamo, allora?» mi sentii domandare da Alistair.
   Scrollai le spalle e mi rigirai la verga di controllo tra le dita. «Suppongo di sì, visto che non abbiamo idea di come far funzionare questo affare.»
   «In tal caso», riprese l’altro Custode Grigio con un sospiro, «proporrei di girare ancora qui intorno in cerca di superstiti.»
   Così facemmo e solo dopo aver girovagato a vuoto per alcune abitazioni in parte distrutte Leliana trovò un passaggio che portava a una cantina. Scendemmo di sotto e subito Alistair, grazie ai suoi sensi di templare, ci informò di avvertire della magia nell’aria; ma né io né Wynne né Morrigan ne stavamo facendo uso. Procedemmo gradualmente in quegli spazi bui e angusti e, quando fummo all’altezza di alcune grossi botti di birra a cui Oghren si abbeverò senza tanti complimenti, trovammo gli abitanti del villaggio. Si erano rintanati lì sotto, almeno quelli che erano riusciti a sfuggire alla Prole Oscura, forti anche della barriera magica che li proteggeva e che uno di loro disattivò solo quando si resero conto che il pericolo era finito e che eravamo lì per aiutarli.
   L’uomo che aveva fatto svanire la barriera non sembrava un mago, però. «Siete… Siete stati mandati qui dal Bann, vero? Per salvarci?»
   «No, a dire il vero siamo Custodi Grigi…»
   «Sia lodato il Creatore per la nostra fortuna, allora!» esclamò, sgranando gli occhi per la sorpresa. «E cosa ci fate qui?»
   «Un mercante ci ha parlato di questo villaggio», risolse di rispondere Wynne, non volendo mettere di mezzo il Primo Incantatore a cui era devota.
   Sulle prime l’altro ci fissò con aria smarrita, ma poi sospirò. «Oh, credo di capire. Riguarda Shale, vero?»
   «Shale?»
   «Quel dannato golem non ha fatto altro che portarci guai», ci spiegò con un certo fastidio. «Mia madre vendette la verga di controllo anni fa, dopo che esso uccise mio padre. Fu una liberazione.»
   «Uccise vostro padre?» lo interruppe Alistair, non capendo. «Che volete dire?»
   «Mi chiamo Matthias. Mio padre Wilhelm era il mago dell’Arle di Redcliffe ed era anche uno degli eroi della guerra contro Orlais.»
   Se ancora avessi avuto dei sospetti sulla nostra fortuna, di certo in quel momento essi furono del tutto dissipati: imbattersi giusto nel figlio di Wilhelm non era forse la cosa migliore che potessimo aspettarci?
   «E cosa ci guadagnò?» continuava a parlare lui in tono sempre più indignato. «Un giorno mia madre lo trovò con le ossa talmente rotte da riconoscerlo a stento. E Shale era lì, come lo è tuttora.» Alistair schioccò la lingua e mi lanciò un’occhiata eloquente. «Mio padre meritava certamente di meglio. Ma se volete Shale, prendetevela. Almeno mi libererete della sua presenza.»
   «A dire il vero…» stava per dire, ma Morrigan si intromise, coprendo la sua voce.
   «Questo luogo è curioso. Dove siamo?» domandò, guardandosi attorno. Non aveva torto, in effetti, poiché l’aria era ancora impregnata di magia, eppure Matthias continuava a non dare segni di usarla.
   «Nel laboratorio di mio padre», c’informò. Esitò e proseguì con espressione preoccupata. «Sentite… Lo so che mi avete già salvato la vita e che forse, anzi sicuramente, avete cose più importanti a cui pensare… però… Mia figlia. Si è spaventata a causa dell’attacco ed è scappata in fondo al laboratorio, oltre quei cunicoli laggiù», ci spiegò, mostrandoci che in realtà quel luogo era molto più vasto di quello che poteva sembrare sulle prime. «Non so come abbia fatto a passare oltre le difese di mio padre.» Non lo sapevamo neanche noi, ma questo spiegava la presenza di quella barriera magica, forse. «Un uomo ha provato a cercarla, ma… non è più tornato. Temo possa essere stato ucciso.»
   «Da cosa?»
   Matthias si strinse nelle spalle. «Io sapevo della barriera e avevo la chiave del laboratorio, però… del resto non so nulla. Non mi sono mai spinto così in profondità.» Tornò a balbettare, spostando il peso del corpo da un piede all’altro. «Amalia… Mia figlia… potrebbe essere rimasta ferita. Per favore… potreste aiutarmi a cercarla?»
   «Nessun problema», garantì Alistair per tutti, pronto come sempre a prendere le difese dei più deboli. E si avviò mentre l’uomo stava ancora finendo di ringraziarci.
   Gli fui subito dietro insieme agli altri, spaventata che potesse accadergli qualcosa. «Non sappiamo cosa si celi oltre questo punto», gli feci notare, cominciando ad avvertire quel lato assai poco onorevole del mio carattere prendere il sopravvento.
   «Vuoi lasciare quella bambina sperduta e in pericolo di vita?»
   «No, certo che no!»
   Mi sorrise con tenerezza. «Se sono magie, posso passarci oltre senza correre rischi, l’hai dimenticato?»
   No, non avevo dimenticato che ero una maga masochista con la tendenza a invaghirsi dei templari, ma andare incontro all’ignoto continuava a terrorizzarmi. La Torre del Circolo era stata una prigione così accogliente per troppi anni, era ovvio che, nonostante tutto quello che avevamo passato fino a quel momento, di tanto in tanto io mi facessi ancora prendere dall’ansia al pensiero di non avere certezze riguardo a quello che avrei trovato lungo la mia strada. Tuttavia avevo proposto io di andare a Honnleath e ora che c’ero non aveva senso tirarsi indietro.
   «Forse quel tizio potrà dirci qualcosa di più sul golem», suppose Morrigan. «Magari sa qual è la formula esatta per attivarlo.»
   «Non posso crederci… Volete ancora farlo dopo quello che ci ha raccontato Matthias?» non se ne capacitò Alistair, continuando ad avanzare e a prestare attenzione a dove metteva i piedi, visto che quel sotterraneo cominciava a farsi sempre più simile a un tunnel scavato alla buona, con passerelle di legno pericolanti sopra cui penzolavano le radici di alcuni alberi.
   «Per essere precisi, Matthias ha detto che il golem era lì dov’è ancora adesso, quando fu trovato il corpo di suo padre», lo corresse Leliana, abituata da sempre a fare maggiore attenzione ai dettagli e alle informazioni di cui veniva in possesso. «Non ci ha detto che è stata proprio quella creatura a ucciderlo, né credo ne abbia le prove.» Alistair fece per ribattere ma ci ripensò quasi subito, limitandosi a sbuffare e a borbottare qualcosa che persino io non fui in grado di afferrare.
   Alla fine, comunque, riuscimmo ad arrivare fino in fondo al laboratorio senza grossi intoppi visto il valido addestramento che lui aveva ricevuto quand’era stato costretto a studiare all’abbazia dei templari. Trovammo anche il corpo dell’uomo che era andato in cerca della bambina e ci ripromettemmo di riportarlo indietro quando fossimo riusciti a trovare anche lei.
   Scoprimmo però che Amalia si era spinta nell’ultimo antro di quel posto e che adesso, ridendo spensierata, se ne stava acquattata a terra a coccolare un gatto dal manto rosso. Merlino ringhiò, ma non si avvicinò né l’altra bestia parve scomporsi per la nostra visita. La ragazzina alzò lo sguardo, invece, ed esclamò: «Oh, guarda! È arrivato qualcuno per giocare con noi!»
   «Sei Amalia, vero?» le domandò Leliana. «Tuo padre è preoccupato per te. Seguici, ti porteremo da lui.»
   «Non voglio andarci ora», rispose la bambina, imbronciandosi e abbracciando il gatto. «Non posso lasciare Micia da sola.»
   «Puoi portarla con te.»
   Scosse le treccine bionde e mormorò: «Micia dice che non può uscire da questo posto.»
   Sicuramente non fui l’unica ad essere sul punto di domandarle il perché, eppure a parlare non fu nessuno di noi. «Sei così gentile, Amalia… Se tu te ne andassi, mi mancheresti molto.» Quella voce, spettrale e profonda, ci fece sobbalzare tutti. Proveniva da qualcuno o piuttosto da qualcosa.
   La prima idea che mi venne in mente fu che doveva trattarsi di un qualche marchingegno di Wilhelm. La seconda, che a parlare era stato il gatto. Merlino me lo confermò abbaiando e rimanendo fermo davanti a me, come volesse farmi da scudo. Sospirai.
   «Quello non è realmente un gatto.» Quella di Morrigan non era una domanda.
   Amalia parve scandalizzata. «Certo che è un gatto! È solo che parla», ci spiegò come se fosse stata una cosa normalissima.
   «Parlare è semplice, se sai come fare», aggiunse Micia. Se non fossi stata una maga e non avessi già avuto una buona istruzione teorica e pratica riguardo a certe faccende, di certo avrei pensato di essere impazzita.
   «Non sapevo che qui sulla superficie quelle cose di pelo potessero parlare», constatò Oghren, studiando il presunto gatto con aria curiosa. «Avete delle bestie intelligenti, quassù.»
   «Cosa sei realmente?» domandò Wynne a Micia, ignorando le convinzioni del guerriero di Orzammar – anche perché non c’era tempo per spiegargli come stavano le cose.
   «Sono un gatto, davvero», si sentì rispondere. La voce proveniente dalla bestiola cominciò a ridere. «Niente di tutto ciò che direte convincerà Amalia… Lei ora ama solo me.»
   «Cos’è, esattamente?» chiese Alistair sottovoce, avendo ormai intuito di cosa si trattava. «Un Demone del Desiderio?» Annuii silenziosamente e lui fece una smorfia sconsolata. «Perché proprio quello?» si lagnò, ricordando bene l’infelice esperienza passata alla Torre del Circolo, prima che venissimo catapultati tutti nell’Oblio.
   «Sono stata legata a questo posto per troppo tempo da quel dannato mago», riprese a parlare Micia, rivelandoci così che Wilhelm la stava trattenendo nel suo laboratorio. Ma a che scopo? Forse la sua corrispondenza con il Primo Incantatore Arlen avrebbe potuto svelare l’arcano, tuttavia difficilmente saremmo venuti a capo della faccenda. «Liberatemi, mortali, e lasciatemi la bambina. Con essa tornerò da suo padre e vedrò il mondo con occhi diversi.»
   Non c’era neanche da pensarci, a una cosa simile. Però il demone era troppo vicino ad Amalia e rischiava di possederla alla nostra prima mossa falsa. Ci occorreva del tempo o comunque un espediente per far sì che si allontanasse da lei.
   «In che modo dovremmo liberarti?» s’interessò di sapere Morrigan. Vista la frequenza con cui differivano i nostri metri di giudizio sul bene e sul male, ebbi come la sensazione che quella domanda nascondesse un sincero interesse e la cosa mi mise i brividi.
   Grazie al Creatore, Micia balzò dal grembo della bambina e, dopo essersi stiracchiata, zampettò al centro dell’antro, illuminato da un fuoco che pareva perenne. «Questa stanza è disseminata di sigilli magici. Solo una creatura mortale può avvicinarsi a essi.»
   «Quindi se li distruggessimo, tu saresti libera di riprendere le tue sembianze?» chiesi con circospezione.
   «Esattamente.» Se lo avesse fatto forse sarebbe stato più pericoloso per noi, ma almeno Amalia non si sarebbe messa di mezzo.
   Avanzai con cautela verso di loro, e subito Alistair e Wynne mi furono dietro, mentre Merlino si ostinava a camminarmi accanto e a fermarsi davanti a me. «D’accordo. Ti libereremo.» Era talmente folle, come risposta, che pronunciata dalla bocca di un’esorcista ormai collaudata come lo ero io non lasciava adito al dubbio che stessi bluffando. Nessuno dei miei compagni difatti si scompose e, anzi, mi lasciarono agire, dandomi persino una mano a distruggere i sigilli di Wilhelm.
   Quando anche l’ultimo fu rimosso, il fuoco al centro dello spiazzo ebbe un guizzo più forte e dal gatto si sprigionò una luce ancora più accecante che fece spaventare Amalia, già fatta da noi indietreggiare subdolamente con la scusa di cercare i sigilli. «Che succede?!»
   «Corri da tuo padre se non vuoi vedere un demone», l’avvisai io stessa, pronta a metterle ancora più paura pur di allontanarla da lì. La bambina non se lo fece ripetere due volte e subito scappò via.
   La luce svanì e al posto di Micia comparve un corpo sinuoso che stava ancora finendo di contorcersi nel tentativo di riprendere le proprie sembianze di bellissima, invitante fanciulla, identica in tutto e per tutto a quelle che avevamo visto a Kinloch Hold e nell’Oblio.
   «Palle di bronto!» fu la curiosa esclamazione che si lasciò scappare Oghren, affascinato da quello spettacolo che probabilmente vedeva per la prima volta in vita sua.
   «Non lasciatevi ingannare», lo mise in guardia Alistair, comprendendo benissimo quale effetto doveva fare su di lui quel dannato demone. «Se dovesse farvi delle proposte, non pensate neanche lontanamente di accettarle!»
   Il nano fu sul punto di protestare, ma non fece in tempo ad aprire bocca perché Micia – se così ancora potevamo chiamarla – si guardò attorno in cerca di Amalia. «Dov’è la bambina?» domandò, senza ottenere risposta. I suoi occhi scuri si restrinsero in due fessure maligne. «Voi… mi avete tradita», ringhiò con voce cavernosa.
   «Avevamo detto che ti avremmo liberato, non che ti avremmo lasciato la bambina», le fece notare Wynne, già pronta a dare inizio alla battaglia. «Ora!» esclamò, lanciando il primo di una serie di attacchi che, tra ghiaccio, fuoco, terra e lame affilate, quasi non diede modo al demone di rendersi conto che ormai la sua fine era giunta.
   Quando Micia si accasciò su se stessa e poi sparì, provai un grosso sollievo. «L’ho già detto che odio i Demoni del Desiderio?» C’era da capirmi, visti quello che aveva provato a sedurre Alistair alla Torre del Circolo, quello che si era impossessato di Connor e quello che avevo affrontato nell’Oblio prima di arrivare al Demone della Pigrizia che teneva prigionieri me e i miei compagni e che aveva ucciso il povero Niall.
   «Perché sono più sinuosi di te?» infierì Morrigan, infastidita da quanto appena accaduto. Per noi che ormai la conoscevamo piuttosto bene era facile intuire che l’aver ingannato quella creatura non le era andato giù; probabilmente, come sua madre, anche lei aveva una predisposizione a parlare con spiriti e demoni senza temere nulla. All’epoca nutrivo una fiducia talmente ben radicata nei suoi confronti che mi rifiutavo anche solo di ipotizzare che, magari, anche Morrigan era un Abominio come Flemeth. Forse la mia non era altro che paura di ritrovarmi ancora una volta tradita da una persona amica. O, peggio, avevo soltanto bisogno di aggrapparmi a delle certezze, giuste o sbagliate che fossero, salde al punto da consentirmi di continuare a voler vivere nonostante quella situazione disperata.
   «Sono molto contenta di quello che sono, sai?» ribattei, decidendo di non darle soddisfazioni. Non era propriamente la verità, ma per fortuna non ho mai avuto evidenti complessi sul piano fisico, preferendo accettarmi per quella che sono piuttosto che perdermi dietro ulteriori fisime; ne avevo – e ne ho – già tante a livello psicologico, dopotutto.
   Una volta tornati sui nostri passi, portandoci dietro anche il corpo dell’uomo che si era sacrificato nel vano tentativo di salvare Amalia, trovammo quest’ultima, ancora in lacrime, aggrappata al collo di suo padre. Matthias ci aveva aspettati all’uscita del laboratorio e non appena ci vide si profuse immediatamente in ringraziamenti, mentre altra gente ci veniva incontro per alleviarci del peso del defunto e piangere la sua scomparsa. Parlammo del demone, ma Matthias giurò di non sapere nulla degli esperimenti condotti negli anni passati da suo padre né sapeva altro riguardo a Shale a parte la formula corretta che ci avrebbe consentito di liberarlo. Ce la rivelò purché portassimo via dal villaggio quel gigante di pietra.

Scrutai Shale con attenzione. «Oghren… dentro questo golem c’è l’anima di un nano, vero?»
   «Aye», rispose lui. «Caridin li forgiava così. Fu lui a creare i primi golem con quel maledetto aggeggio che ho distrutto. Non dirmi che l’hai dimenticato?»
   «Affatto», gli assicurai, accigliata. Non era un gradevole ricordo, quello. «Il che significa che questa povera creatura, pur rimanendo immobile, è viva.» Ciononostante, se l’avessimo liberata, avrebbe comunque vissuto una vita in schiavitù per colpa della verga di controllo che stringevo nel pugno. Cos’avrei dovuto fare? Nessuno dei miei compagni, a parte Alistair, aveva espresso un’opinione in merito. Mi ritenevano forse capace di prendere quella decisione da sola? Certo avrei potuto dare ascolto al mio compare, però…
   «Sei… sicura di voler portare questa… cosa con noi?» mi sentii domandare ancora una volta proprio da lui. Quindi il suo non era proprio un no, giusto? Non mi stava vietando di attivare il golem? «Potrebbe essere pericolosa, grossa com’è.»
   Reputando poco gentile dirlo davanti a Shale, benché in quel momento fosse del tutto simile a una scultura, lo presi per un braccio e lo invitai a seguirmi poco lontano da lì sotto gli occhi perplessi degli altri membri del nostro gruppo. «Potremmo considerarla un ariete portatile», bisbigliai, in modo che potesse sentirmi soltanto lui.
   Alistair inarcò le sopracciglia chiare, mostrando finalmente cenni di cedimento. «Un valido punto. Meglio lei che me, a ogni modo.»
   «A Orzammar hanno stimato che un golem possiede la forza di una dozzina di nani. Pensa, avremmo un piccolo esercito di Oghren a portata di mano.»
   Stirò le labbra in un’espressione dubbiosa. «Non oso immaginarne l’odore. E il rumore, anche.»
   «E magari potrebbe aiutarci a combattere Flemeth», aggiunsi allora io, dando voce al mio animo pavido.
   Alistair sospirò pesantemente. «Va bene», mi accontentò infine, come al solito. «Ma lo attivi tu. E te ne assumi tutta la responsabilità, visto che sei il nostro capo.»
   Da quanto tempo non glielo sentivo dire? Parecchio, tanto che speravo se ne fosse dimenticato. E invece quel disgraziato riportò a galla la questione proprio adesso che avevo bisogno di un po’ di sostegno morale. Bofonchiai di malavoglia qualcosa che avrebbe dovuto suonare come un assenso e tornammo insieme dai nostri compagni, davanti a Shale.
   «Che avete deciso?» s’incuriosì Leliana.
   «Lo attivo. State indietro.» Quindi, tenendo la verga davanti a me con entrambe le mani, scandii bene le parole: «Dulen harn
   Trattenemmo il fiato. Quella che fino a un attimo prima era parsa una statua cominciò a tremare: la sua testa si mosse, le sue spalle ebbero un fremito e infine, con uno scatto secco, sferrò un pugno e poi anche l’altro a mezz’aria, facendoci esclamare per la sorpresa. Per la paura, indietreggiai al punto da inciampare su Merlino che si trovava alle mie spalle e caddi a terra senza che gli altri, troppo presi da quel prodigio, potessero afferrarmi in tempo. Quando riuscii a rivolgere di nuovo la mia attenzione a quello che stava accadendo, non prima di essermi avvinghiata al collo del mio cane presso cui cercai protezione, scoprii che Shale mi stava fissando con i suoi occhi non più spenti. Si trattava di due fessure scavate nella roccia del volto, luminose come lo erano anche le rune e i cristalli presenti sul resto del suo corpo.
   Mi sentii improvvisamente a disagio. E rimasi ancor più sbigottita quando il golem schiuse quelle che dovevano essere le sue labbra e disse con voce chiara e ambigua: «E naturalmente è toccato a un altro mago.» Indietreggiammo ancora di qualche passo. Io lo feci strisciando sulle ginocchia, ma Shale continuava a indirizzare il suo sguardo proprio nella mia direzione. «Essa è una maga, vero? La mia solita fortuna.»
   Di colpo avvertii tutti gli occhi dei presenti fissi su di me. Vigliacchi, pensai ipocritamente con un moto di stizza, benché fossi stata proprio io ad assumermi ogni responsabilità riguardo a quella faccenda.
   «La… La mia solita fortuna?» balbettai, chiedendo indirettamente spiegazioni e rimettendomi in piedi con fare maldestro.
   «Oh, immagino che mi coccolerà come ha fatto l’ultimo mago. Sempre ad agitare la sua lingua.» Shale sospirò. Era incredibile il modo in cui, a dispetto delle apparenze, essa – o ella? – apparisse simile a noi in certi atteggiamenti. «Me ne sono rimasta qui in questo punto a osservare questi dannati paesani girarmi intorno per… non so nemmeno per quanto tempo. Molti, molti anni.»
   «E gli abitanti del villaggio non avevano idea di essere osservati?» si permise di intervenire Alistair, ritrovando anche lui il dono della parola. «Inquietante.» A me lo sembrava anche l’aver lasciato imprigionata quella povera creatura così a lungo.
   «Oh, povero caro!» si lasciò sfuggire difatti Leliana in un atto di commiserazione. «Dev’essere stato davvero, davvero noioso.»
   «In tal caso», cominciò Morrigan, intrecciando le braccia al petto, «ci si potrebbe chiedere se non dovresti essere grato a chi ti ha permesso di sgranchirti le gambe, golem.»
   «Un’altra maga, vedo. E un’altra ancora. Affascinante», osservò Shale, facendo scorrere lo sguardo anche su lei e Wynne. «Iniziavo ad abituarmi alla quiete. Ditemi, i paesani sono tutti morti?»
   «Perché sembra che la cosa non ti preoccupi?»
   «Come si dice, confidenza toglie riverenza, e dopo tanti anni passati come pubblico obbligato avevo una confidenza assoluta con quei paesani. Non che auguri loro del male, no, ma sarebbe stata una deliziosa novità.»
   L’unico golem con cui avevo avuto a che fare in modo realmente pacifico, nonostante tutto, era stato Caridin. Anche lui parlava, e questa particolarità che Shale aveva in comune con lui iniziava a darmi un po’ di coraggio: per lo meno potevo provare a ragionarci. «Hai… assistito all’attacco?»
   La creatura di pietra tornò a concentrarsi su di me. «Non quanto essa penserebbe. Ci sono state urla e gente in fuga… e poi giorni e giorni passati a osservare i prole oscura che si aggiravano per il villaggio. Non avrei mai pensato che potesse esserci qualcosa di meno interessante dei paesani, ma così è stato.» Il fatto che non temesse coloro che costituivano la piaga che si stava abbattendo sul Ferelden mi rincuorò ulteriormente. «Beh, continuate, dunque. Sentiamo, qual è il comando di essa?»
   Corrucciai la fronte. «Perché ti rivolgi a me in terza persona?»
   Shale scrollò rumorosamente le spalle. «Un radicato senso di ostinazione. L’ultima persona che stringeva quella dannata verga di controllo mi chiamava golem. “Golem, prendimi la sedia.” “Golem, da bravo, schiaccia quel bandito.” E non dimentichiamoci di “Golem, tirami su, sono stanco di camminare.”» Che vita orrenda doveva aver passato quella poveretta… Mi convinsi che avevo fatto bene a insistere per attivarla. «Essa… deve avere la verga di controllo, vero? Sono sveglia, quindi… deve…» Esitò e poi non disse altro.
   «Qualcosa non va?»
   «Sì», mi rispose con una certa confusione. «Io vedo la verga di controllo, eppure sento…» Tentennò di nuovo. «Avanti, ordinatemi di fare qualcosa.»
   «Cosa?» mormorai scioccamente. «Perché?» Suppongo che dovesse essere la domanda più stupida che il possessore di un golem potesse rivolgere a quest’ultimo.
   «Oh, andiamo. Sarà divertente», mi garantì Shale.
   Avevo le mie perplessità, ma poiché ella insisteva preferii non questionare. «Ehm… D’accordo. Vai laggiù.» E allungai un braccio verso un punto qualunque.
   Lei rimase ferma e in silenzio per alcuni istanti. Poi considerò quasi fra sé: «E… niente? Non sento niente. Non provo l’impulso di eseguire l’ordine.» Oh. E questo era un male? Una delle sue grosse dita di pietra si mosse verso ciò che tenevo fra le mani ed io m’irrigidii tutta. «Forse la verga è… rotta?»
   «Non… Non dovresti esserne felice?» Io lo ero, perché in questo modo avrei potuto lavarmene le mani riguardo alla sua prigionia. Non sarei mai stata la sua burattinaia e tanto mi bastava. Rimaneva però una spinosa questione: che avrebbe fatto, Shale? Ci avrebbe seguiti di sua spontanea volontà, se ne sarebbe andata per la sua strada o avrebbe sfogato su di noi tutta la sua frustrazione di quei lunghi anni d’attesa?
   «Immagino che se non posso essere comandata…» prese a ragionare fra sé a mezza voce. «Significa che ho libero arbitrio? È semplicemente…» S’interruppe e alzò di nuovo lo sguardo su di me, come se avessi potuto rispondere alle sue perplessità. «Cosa dovrei fare? Non ho ricordi, a parte l’aver fissato questo villaggio così a lungo. Non ho uno scopo… Mi ritrovo un po’ smarrita», ammise. E sebbene quello non fosse il momento adatto per farlo, mi chiesi perché mai Shale continuasse a rivolgersi a se stessa al femminile. «Essa cosa può dirmi? Sicuramente mi ha svegliato per un motivo, no? Cosa intendi fare di me?»
   Che brutta domanda. Se prima avevo accarezzato l’idea di portarmela appresso come ariete portatile e come schiaccia-Flemeth, adesso che avevo sentito quello che le era capitato non avevo davvero più cuore di avanzare una simile, crudele richiesta.
   «Non intendo fare nulla con te», risposi. Alistair si voltò a guardarmi di scatto ed io mi sentii miserevolmente in colpa nei suoi confronti. Sperai di essere in grado di farmi perdonare anche questo, da lui.
   «Ah», esclamò Shale, riportandomi con i piedi per terra. «Questa sì che è una sorpresa. Ma gradita. Immagino di avere due opzioni, no? Proseguire con essa o… andare altrove?» Ringraziai il Creatore che non avesse preso in considerazione quella di frantumarci le ossa. «Io… non so nemmeno cosa ci sia oltre questo villaggio…»
   Fu un nuovo colpo basso, quello. Si poteva davvero arrivare a provare dei sentimenti verso un ammasso roccioso? Sì, perché al suo interno albergava l’anima di una creatura vivente. E per di più aveva vissuto ciò che era successo a me alla Torre del Circolo: la prigionia. Mi illusi di provare una certa empatia nei suoi confronti.
   «Tu cosa vuoi fare?» le chiesi, avvicinandomi finalmente di qualche passo e fissandola dalla mia bassa statura. Come tutti i golem, anche lei mi metteva in soggezione, tuttavia cercai di ignorare la paura, per una volta.
   «Ho osservato questo villaggio così a lungo senza potermi muovere o reagire. I miei ricordi precedenti sono… vaghi, nel migliore dei casi. Quindi non ho idea di che cosa voglio fare. Sono felice di potermi muovere, questo non basta?»
   Certamente sì. Ora che ci pensavo, però, avevo una domanda ben legittima da porle, benché non sapessi in che modo farlo. Mi schiarii la gola. «Ehm… Ci hanno detto che… hai ucciso il tuo precedente padrone…» farfugliai, pronta ad avvalermi della mia velocità da elfo per sfuggire ai suoi movimenti lenti e pesanti.
   «L’ho fatto?» volle sapere da me Shale, forse non capendo bene come prendere quella notizia. O almeno così credetti ingenuamente. «Ricordo di aver avuto un padrone. Il mago con le sopracciglia folte che mi pungeva, mi punzecchiava e sbraitava ordini. L’ho ucciso io? Spero di sì. Forse l’ultimo comando che mi ha dato è stato: “Golem! Smettila di schiacciarmi la testa!” Ah!» Mi si ghiacciò il sangue nelle vene, tanto che temetti di non avere i riflessi abbastanza pronti per scattare lontano nel qual caso le fosse venuto in mente di fare lo stesso con me. «Fortunatamente», riprese Shale come se nulla fosse, «immagino che il possedere una verga di controllo inutilizzabile renderà essa meno incline a trattarmi nello stesso modo.»
   Strinsi convulsamente quell’aggeggio tra le dita delle mani, ora sudate, usandolo come amuleto sacro a cui rivolgere le mie mute preghiere. «E… E come… come faccio a sapere che posso fidarmi di te?» Udii la mia stessa voce tremare, ma sperai che nessuno degli altri me lo rimproverasse, vista la gravità della situazione.
   «Non ne ho idea», mi rispose il golem, sereno. «Come fa essa a fidarsi di loro senza una verga di controllo?» E nel dirlo fece cenno ai miei compagni di viaggio.
   Non mi voltai nella loro direzione, temevo che darle le spalle, abbassando la guardia, potesse essermi fatale. «Gli… Gli altri miei amici non sono fatti di pietra…»
   «Giusto», mi concesse lei, annuendo per darmi ragione. «Allora prometto di non sedermi su essa se non verrò sufficientemente provocata. Che ne dice?»
   Non sapevo quanto potesse essere affidabile la parola di un ominide di roccia, ma che altro mi rimaneva da fare? Tanto, se non mi avesse ammazzata Shale, senza il suo aiuto ci avrebbero presumibilmente pensato Flemeth o l’Arcidemone a farlo.
   «Continuerai a chiamarmi essa?» volli sapere, giusto per avere un’idea di cosa dovevo aspettarmi.
   «Sì. Molto probabilmente», mi sentii rispondere. «Dunque?»
   Dovevo darle io una risposta? Ma a quale domanda? «Se… Se vuoi… puoi venire con noi», mi azzardai a proporle, sperando che, in un modo o nell’altro, riuscissi comunque a convincerla a fare ciò per cui l’avevo risvegliata – un po’ come facevo subdolamente con Alistair e gli altri. Se era vero che avevo forti capacità persuasive, tanto valeva provare a sfruttarle fino in fondo.
   Shale annuì. «Allora seguirò essa… per ora.»

Sentire la terra tremare a ogni passo non era propriamente una sensazione gradevole, senza contare che, con tutto il frastuono che facevano i grossi piedi di pietra della nostra nuova compagna di viaggio, non potevamo più contare sull’elemento sorpresa. Ma, ehi!, avevamo un golem nelle nostre fila! Era questo il pensiero su cui cercavo di concentrarmi per rafforzare in me la convinzione di aver fatto la scelta più giusta. Dovevo indagare meglio.
   «Quindi… hai ucciso il tuo vecchio padrone…»
   Shale ruotò il collo nella mia direzione. Non era inquietante come potrebbe sembrare, non dopo aver avuto a che fare con molti altri golem pericolosi – ed esserlo stata a mia volta, seppur per un breve periodo di tempo. «Non ho già detto a essa che non ricordo di averlo fatto? Rammento di aver avuto un padrone. Le mie memorie su cosa gli sia successo sono… vaghe.»
   «Vaghe ma non inesistenti», insistetti. Se lo feci fu solo perché sapevo che Shale mi era grata per averle scrostato di dosso – con l’aiuto di Leliana e di Wynne – tutti gli escrementi di uccello.
   La sentii sospirare. «Osservazione acuta e vera», rispose quasi controvoglia. Sperai di non averla indispettita, per questo. «Oh, d’accordo, vediamo cosa riesco a ricordare. Al mio vecchio padrone piaceva compiere esperimenti su tutto.» E visto quello che avevamo trovato nel suo laboratorio, la cosa era assai credibile. «Lui… armeggiava con gli incantesimi, poi con i cristalli.» Additò quelli che aveva addosso. «Era ansioso di alterare la loro funzione, credo.»
   «Cosa sono esattamente?» domandò Morrigan, intromettendosi nella nostra conversazione.
   «A me piace considerarli accessori», spiegò l’altra con voce seria.
   «Ma a che servono?»
   «Sospetto si trattasse di un’arte praticata quando i golem erano più… diffusi.» In effetti, se Shale era stata creata ai tempi di Caridin, doveva essere centenaria. «Il mio precedente padrone collezionava ogni forma di sapere che trovava sul soggetto. Ha cercato in lungo e in largo  per raccogliere quanti più cristalli possibili, poi… li ha aggiunti. Non è una sensazione sgradevole.»
   «Quindi sono semplici decorazioni?» volle sapere Leliana, rimasta affascinata da tutto quel luccichio.
   «Per come la vedo io», riprese Shale con pazienza, «i cristalli mi permettono di… alterare il flusso di magia intorno a me.» Non ero molto sicura di voler scoprire in che modo, ma confesso che la faccenda era talmente nuova e affascinante che per un attimo persino la mia proverbiale codardia cedette il passo alla curiosità. «Wilhelm sperava di trasformarmi in una batteria di mana, qualcosa a cui attingere liberamente.»
   «Ci è riuscito?»
   «Non proprio, anche se, ora che ci penso, forse sono stati quei tentativi a provocare il mio… disturbo.» A quale si riferiva? A quello di potersi muovere e parlare liberamente o a quello di aver perso il controllo e spappolato il suo padrone? «In ogni caso, mi piacciono. Se doveste trovare qualcuno di questi cristalli, probabilmente sarei in grado di dire qual è la sua funzione e che effetto avrebbe… se aggiunto su di me.»
   «Saresti disposta a fartene aggiungere altri?» chiesi quasi tradendo una certa speranza nel tono della voce. Una speranza derivata dall’aver appena appreso che Shale sembrava essere davvero intenzionata a collaborare o per lo meno ragionare insieme a noi prima di decidere di farci a pezzi.
   «Perché no? Non posso indossare vestiti e ornamenti come voi, dopotutto.» Quella risposta mi lasciò quasi convincere che forse il fatto che continuasse a rivolgersi a se stessa in quel modo era perché un tempo Shale era stata una nana. Una femmina, quindi.
   «Oh!» squittì Leliana, tutta contenta. «Anche a voi dunque piacciono queste cose?»
   Prima ancora del golem, ci pensò Morrigan a ribattere. E lo fece con fare seccato. «Non ricominciare con questa storia, Leliana.» Mi stupii non poco di sentirle usare il nome proprio della nostra compagna, piuttosto che un qualche aggettivo non proprio simpatico.
   L’altra inarcò le labbra carnose in un sorriso divertito e i suoi occhi azzurri scivolarono sulla scollatura dell’abito della Strega delle Selve. «Peccato», si limitò a commentare con un sospiro.
   «Te l’ho già detto una volta», s’inalberò a quel punto Morrigan, coprendosi meglio col mantello. «Smettila di guardarmi in quel modo lascivo!»
   «Oh, scusa», ridacchiò Oghren con finto rammarico, credendo che quella frase fosse rivolta a lui. «Ma sai… sono all’altezza giusta, per me.» La figlia di Flemeth sbuffò e accelerò il passo per sfuggire a entrambi.
   «Che genere di esperimenti conduceva Wilhelm?» s’interessò di sapere Wynne, presa molto più da quel tipo di argomenti che dagli sciocchi screzi fra gli altri nostri compagni.
   «Beh», cercò di fare mente locale Shale, «non sono una maga, e lui non mi ha mai dato spiegazioni. Non più di quante voi ne dareste alle vostre armi. Lui possedeva già la mia verga di controllo e al tempo avrebbe potuto impedirmi di fare qualunque cosa io volessi, indipendentemente dalla mia forza di volontà.» Più si tornava su quel punto, più mi si contorceva lo stomaco al pensiero di quanto dovesse aver sofferto quella creatura. E con lei anche tutti gli altri golem creati da Caridin. «Poi cos’è successo?» continuava a riflettere Shale fra sé. «Non ne sono sicura. Lui stava conducendo quei suoi esperimenti e poi… nulla. Ci fu… del dolore?» Sospirò ancora. «Non lo sento come succede alle creature morbide come voi, quindi ho uno strano ricordo. Lui non c’era più. Mi trovavo al villaggio, e non riuscivo più a muovermi. Vennero gli abitanti e mi punzecchiarono e pungolarono in preda alla paura, ma poi capirono che non avrebbero potuto né spostarmi né distruggermi… quindi mi lasciarono dov’ero. Col tempo si dimenticarono che non ero sempre stata lì.»
   Forse per consolare me stessa, mi convinsi sempre più che forse Shale non c’entrava davvero con la morte di Wilhelm. Tuttavia non mi parve il caso di insistere sull’argomento. «Mi dispiace. Dev’essere stato terribile», commentai mortificata.
   «In realtà all’inizio fu più un sollievo», mi contraddisse lei. «Per anni e anni ho dovuto obbedire a ogni ordine di quel fungo velenoso! “Prendi questo!” “Solleva quello!” “Mettilo giù!” “Tiralo su ancora!” Che fastidio!» Fui tentata di chiederle se Wilhelm sapesse che dentro quello che credeva un soldato pronto a scattare sull’attenti a ogni sua necessità – o capriccio – si nascondesse un’anima. Sperai di no, altrimenti quell’uomo sarebbe stato imperdonabile. «Inizialmente avevo sperato che avesse deciso di lasciarmi lì, paralizzata. Uno scambio accettabile», proseguì Shale. Probabilmente adesso che era di nuovo tornata libera aveva bisogno di parlare e sfogarsi con qualcuno. «Dopo che furono passati alcuni anni, non me ne importò più nulla.»
   «Forse c’entrano i tuoi cristalli», ipotizzai.
   «Può darsi. Ma in quel periodo non stava facendo esperimenti su di essi, credo… Non ho una buona memoria. Forse essa ha ragione. Qualunque cosa il mago abbia fatto, sembra che abbia reso inutilizzabile la vecchia verga di controllo. Cosa per cui dovrei essergli grata, no?»
   «Direi proprio di sì», sorrisi, mostrando di simpatizzare per lei e le sue ragioni.
   Shale dovette apprezzarlo, perché aggiunse: «Premesso che essa e gli altri non ripetano i suoi esperimenti… cosa che comunque non permetterei», ci tenne a sottolineare, «non hanno nulla da temere da me. Non molto.»
   «Mi sta bene.»
   Quella notizia mi fece sentire meglio, al punto che fui di nuovo capace di rivolgere il mio sguardo verso Alistair senza sentirmi troppo in colpa. Se n’era rimasto silenzioso e imbronciato, prestando attenzione alla strada davanti a noi. Sicuramente era ancora indispettito con me, tuttavia non aveva lasciato il mio fianco neanche per un attimo, forse timoroso che, goffa e minuta come sono, potessi inciampare e finire per sbaglio sotto ai piedi del golem. Che la ragione fosse sul serio quella o meno, mi fece comunque tenerezza. Allungai una mano per sfiorare la sua e lui subito l’afferrò in una presa salda, consolando il mio cuore e alleviandolo in parte dalla pena di avergli fatto l’ennesimo torto.












Eccomi di nuovo qui, seppur con una settimana di ritardo rispetto a quanto preannunciato. Chiedo scusa, non è stata una dimenticanza da parte mia, stavolta; semplicemente ho avuto degli impegni improrogabili e non ho potuto mettermi dietro alla fanfiction. Adesso che sono più libera, però, riprenderò a scrivere e recupererò le letture in arretrato.
Ugh! Al momento sono ancora talmente intontita dallo studio che non riesco a ragionare con lucidità, abbiate pazienza! XD Quindi almeno per questa volta sarò breve, ma se avete domande, curiosità o altro, non esitate a chiedere ed io risponderò senza alcun problema. :D
Grazie a tutti voi che avete letto e buona domenica!
Shainareth





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