Stuck On You

di Sweet_Revenge
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Something Unexpected My Way Comes ***
Capitolo 2: *** Hello Again ***
Capitolo 3: *** Silence Is Easy ***
Capitolo 4: *** Romeo & Juliet ***
Capitolo 5: *** Breaking The Habit ***
Capitolo 6: *** Thank You For The Venom ***
Capitolo 7: *** Black Heavy Weight ***
Capitolo 8: *** Touch The Sky ***



Capitolo 1
*** Something Unexpected My Way Comes ***


 

 

1. Something Unexpected My Way Comes

 

 

 

 

L'uomo è un essere genuinamente, incondizionatamente abitudinario.

Io potrei esserne la prova tangibile: fino a un mese fa ero letteralmente spaventata a morte al solo pensiero di vivere lontano dalla mia famiglia. Credevo, anzi ero sicura, di non potercela fare.

Fino all'ultimo momento avevo pensato di mandare tutto all’aria e continuare la mia vita ordinaria. Ma così avrei compromesso il mio futuro.

D'altronde se mi sono spostata qui è stato per andare all'università. Per fare il mio dovere.

Così eccomi qui, per le strade di Newark, New Jersey. Non proprio un posto che la maggior parte della gente considera esattamente  raccomandabile, ma io ci sto bene.

E mi sono abituata. Sì, mi sono abituata a non vedere i miei genitori, con l'eccezione di qualche fine settimana ogni tanto, mi sono abituata ad entrare ogni giorno in quell'edificio grigio che è la sede della mia l'università e mi sono abituata alle mie due coinquiline.

Ripensandoci, se qualcuno un mese fa mi avesse detto che avrei anche solo pensato queste parole gli avrei riso in faccia. Ma sapete come si dice, tutto cambia per non cambiare nulla, è tutta questione di abitudine. Giusto il tempo di adattarsi, ingranare la marcia e ripartire. Nel mio caso poi, non c'è nient'altro da fare. La strada davanti a me sarà sempre dritta. Niente curve, niente deviazioni improvvise. È  già tutto programmato. È  sempre stato così nella mia vita. Tutto è già deciso, e non c'è spazio per sorprese o pazzie. È sempre stato così, e lo sarà sempre.

 

 

«Sono tornata!» Apro la porta di casa mentre le note di una sdolcinata canzone strappalacrime mi vengono incontro, a testimonianza del fatto che Ellen è in casa.

Ellen è una delle mie due coinquiline. Ha deciso di spostarsi in città dopo aver trovato lavoro al bar dell'ospedale, e quando è in casa si diverte a mettere le canzoni di Britney Spears o quel genere lì a tutto volume. Non esattamente il mio genere, ma ormai ho fatto l'abitudine anche a questo.

Mi sporgo dalla porta della sua camera: la vedo intenta a smaltarsi le unghie di un accesissimo viola mormorando quelle che - secondo lei -  sono le parole della canzone.

«Ehy! Ciaaaooo!» devo aumentare il mio tono di voce di almeno un’ottava per farmi sentire, ma finalmente alza lo sguardo.

«Jules, ciao! Non ti ho sentita entrare...» Sfido io.

«Sì, me ne sono accorta!» ridacchio «Tutto ok al lavoro?»

«Uhm...  Direi di sì... Tranne per uno che pretendeva che capissi che 'pasta di gomma' significasse 'chewingum' nel suo vocabolario... ah, questi vecchi di oggi...» dice scuotendo la testa.

Sorrido mentre spingo la maniglia della mia camera in affitto ed entro. Ecco, questa camera è un'altra di quelle cose a cui mi sono dovuta abituare.  È maledettamente e disgustosamente rosa. Le pareti sono rosa, le tende sono rosa. Non che odi eccessivamente il rosa, ma sicuramente non è un colore per me, e qui ce n'è decisamente troppo. Colpa della signora Guilles, la padrona di casa, convinta che il sogno di ogni ragazza rispettabile sia di avere un'intera stanza rosa. Fortuna che ho cercato di rimediare alla situazione tempestando letteralmente quelle pareti degne della casa di Barbie con il rosso, nero, bianco e blu dei poster dei miei artisti preferiti, e con foto, scritte, e locandine di film. Di sicuro la signora Guilles non si scandalizzerà per un po’ di scotch attaccato al muro. E sono pronta a scommettere che ha già pronta una latta di quell’odioso colore nell’evenienza di dover ridipingere la stanza.

Sospiro mentre butto distrattamente la borsa sul letto e infilo le cuffie del lettore CD per il sacro momento della mia musica. Sicuramente il miglior momento della mia giornata. Le note di "Stairway To Heaven" finalmente coprono la litania che giunge dalla stanza accanto e mi trasportano in un'altra dimensione. La musica mi ha da sempre fatto quest'effetto ed è la cosa che amo di più al mondo proprio per quel suo misterioso potere di portarmi lontano da tutto e tutti, di farmi stare bene, di mettermi a mio agio. Nonostante il dolore, nonostante i ricordi che fanno male, lei è sempre stata il mio appiglio e la mia speranza, il mio unico conforto quando tutto intorno a me andava a rotoli. Atteggiamento che si potrebbe definire masochista il mio: la musica era la causa dei miei mali, ma anche l’unico antidoto ad essi.

Fin da bambina però mi ha sempre affascinato. L’ho anche studiata per un po’.  Lezioni di pianoforte. E poi... poi ho abbandonato. Se me ne pentirò? Chi può dirlo... forse non era la mia strada. O forse me ne sono già pentita.

 

Con dolore mi accorgo che è già ora di cena. Mi alzo svogliatamente dal divano e mi avvio verso la cucina come un automa, trascinando i piedi. Sono ancora intenta a decidere quale tipo di schifezza surgelata cucinare oggi, quando sento suonare il campanello. Ovviamente Ellen non ha sentito niente, è ancora troppo intenta a ballare e cantare “Hit Me Baby One More Time”, così tocca a me aprire alla porta. Chi è che rompe a quest’ora? Se è la signora Guilles, io... Ma quando apro non mi trovo davanti la signora Guilles. Mi trovo davanti un ragazzo mai visto prima. Non troppo alto, i capelli rossi ai lati e color dell’ebano al centro, piercing al naso e sul labbro, e degli occhi grandi, di un colore tra il verde e il nocciola, limpidi. Due occhi che quasi mi accecano, tanta è la luce che sembrano emanare.

Mi sorride imbarazzato, prima di dire:

«Ehm, ciao! Ero passato per dare questi a Ethan» mi mostra dei block-notes  che evidentemente appartengono a Ethan, il nostro vicino di casa   «...ho suonato, ma non apre nessuno... ma lui aveva detto  che li voleva indietro oggi, così ho pensato di lasciarli a voi, nel caso in cui...»

Accidenti, com’è logorroico, il ragazzo!

«Oh, Ethan sarà uscito. Non ti preoccupare, dalli pure a me, ehm...»

«Frank», mi dice sempre con quel sorriso stampato in faccia «Frank Iero. Sono un collega di Ethan.»

«Così sei all’università anche tu?  Strano, non ti ho mai visto... Beh, non che sia una così attenta osservatrice...» dico più a me stessa che a lui. Lui infatti mi guarda divertito. Accidenti. Sto pensando ad alta voce. Che figura! Cerco di ricompormi. «Ehm, comunque, io sono Julia. Julia Stevens. Ma gli amici mi chiamano Jules. O Jul. Piacere di conoscerti!»  Dico, stringendo la sua mano. È calda, grande, e la sua stretta è decisa. Mi colpiscono le sue dita, lunghe e affusolate.

«Non è che io frequenti così tanto...  Sarà per questo che non mi hai mai visto!» mi regala ancora una volta un sorriso come pochi se ne vedono: spensierati, sinceri. Poi fa un cenno verso l’interno della casa, e facendo l’occhiolino, aggiunge sottovoce: «La migliore delle canzoni di Britney.»

Oh, cavolo. Quella stupida canzone. Sono abbastanza sicura di essere diventata color pomodoro maturo, quando farfuglio con tono sconcertato «Oh, scusala, è la mia coinquilina, lei la adora...»

Lui ride nuovamente. «Effettivamente, anche io preferisco di gran lunga loro» esclama poi, indicando la tshirt dei Misfits che ho addosso, senza smettere di sorridere. «Beh, comunque... ti ho disturbato abbastanza per oggi, ora è meglio che vada. È stato un vero piacere conoscerti, Jules... E grazie!» mi guarda ancora una volta con quei suoi occhioni luminosi, prima di voltarsi lentamente per andarsene. Proprio in quel momento noto un tatuaggio sul suo collo. Uno scorpione. Inusuale, ma veramente bello.

«Figurati... Il piacere è tutto mio... Ciao!»

Per non so quale motivo, resto ancora una manciata di secondi ferma sul pianerottolo, guardandolo andarsene e  non rendendomi conto di fissare esattamente il punto in cui è sparito per le scale. Sono così immersa nei miei pensieri che quasi non mi accorgo di Violet, che rientrata anche lei dall’università, mi agita una mano davanti al viso, cantilenando: «Oh no, persa nei suoi sogni, di nuovo... Pianeta Terra chiama Juliaaa! Jules? Mi farai passare prima o poi?»

Solo allora riemergo dai miei pensieri, spostandomi per far passare la mia coinquilina.

«Che ti è successo?... È per quel ragazzo con i capelli rossi, vero? Sì . L’ho incontrato per le scale. E te lo concedo, era veramente carino...  Ma che voleva?» mi scruta con sguardo malizioso.

«Era passato per dare delle cose a Ethan, che non è in casa. Va all’università con lui.»

«Ah... Mai visto. E perché non l’hai invitato per un caffè?»

Ecco, ci risiamo. Violet e le sue tecniche per adescare un ragazzo. E dire che è già fidanzata da più di due anni.

«Perché ha detto che doveva andare. Ed è ora di cena. E... e non potevo invitarlo a casa dopo un minuto che ci conoscevamo!»

«Certo, certo...» dice, ficcandosi una manciata di patatine alla paprika in bocca. «Però ti piace. Ammettilo.»

«Ma no che non mi piace! Se neanche lo conosco!»

«Mai sentito parlare di amore a prima vista?»

No, la storiella del colpo di fulmine proprio no.

«Vee, sai che non esiste nessun amore a prima vista. Come fai a crederci ancora alla tua età?»

Mi guarda offesa, smettendo improvvisamente di masticare.

«Beh, tra me e Mark è stato vero colpo di fulmine» dice, seria.

«Ok, va bene. Per te è stato colpo di fulmine. Ma... il mio è stato un semplice incontro con un ragazzo che cercava Ethan  e che probabilmente non vedrò mai più. Punto. Ora possiamo preparare la cena?»

«Uffa, quanto sei cinica tu.» sbuffa «Va beh, come vuoi... Cosa si mangia stasera?»

 

 

Magari era veramente cinismo. Ma in quel momento pensavo veramente che non l’avrei rivisto mai più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Finalmente mi sono presa di coraggio e ho pubblicato questa mia prima “cosa”...  

Beh, che dire? Ringrazio coloro che si sono avventurati nella lettura di questa [mi ostino a chiamarla così, perché non sono sicura della sua giusta definizione...] “cosa”,  sempre se qualcuno l’ha fatto... certo, non ha niente a che vedere con le bellissime storie che ci sono qui [giuro, ho letto delle storie meravigliose su questo sito], ma non so, magari a qualcuno piace...

Il titolo non è proprio il massimo, ma sappiate che io sono completamente negata per i titoli.... Figuratevi che la storia l’ho incominciata a scrivere più di un mese fa, ma non l’ho pubblicata prima di tutto perché non mi sembrava un granché, poi perché non avevo idea di come continuare, e infine perché non riuscivo a trovare uno straccio di titolo decente... Ma oggi, pervasa da non so quale mistico coraggio, mi sono detta “Fuck, let’s do it  [come direbbe Gerard xD], quindi eccomi qua... 

Ovviamente siete liberi di farmi sapere cosa ne pensate, se volete!

 

xo,

G

 

Ps: dimenticavo! “Non conosco nessuno dei personaggi della storia (purtroppo), la storia è frutto della mia mente contorta e non scrivo a scopo di lucro (direi che dovrei essere io a pagarvi per leggere! xD)”

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Capitolo 2
*** Hello Again ***


 

2. Hello Again

 

 

 

 

«...dici, ci andiamo? Jules? Ehy, Jul! Ma mi senti?»

Ok, lo ammetto, ultimamente sono piuttosto distratta, e il fatto che Greg, il mio migliore amico, stia cercando di attirare la mia attenzione da un minuto buono ne è la prova lampante. Che poi la mia improvvisa distrazione sia incominciata proprio una settimana fa, dopo il fatidico incontro con Frank, questa è un’altra storia.

«Sì, ci sono, sì, dimmi... Stavi parlando a proposito di un concerto?»

Lui alza gli occhi al cielo, sbuffando.

«Sì, parlavo proprio di un concerto. Stasera. Al  Murphy’s. Dicono che la band che suonerà stasera è piuttosto brava. Allora?»

Prima regola: non rinunciare mai a una bella serata con della buona musica.

«Ma me lo chiedi? Certo che sì. A che ora ci vediamo?»

«Forse è meglio che ti passo a prendere io, eh? Non mi fido a lasciarti venire da sola con la testa fra le nuvole che ti ritrovi in quest’ultimo periodo...»

«Senti chi parla! Chi ha perso il cellulare mille volte senza rendersene conto?» scherzo.

«Ah, ma che c’entra? Questo ragazzo misterioso ti ha proprio fatto rincretinire!»

Gli faccio una linguaccia, prendendo la direzione opposta alla sua per tornare a casa.

«A dopo! E cerca di essere puntuale!»

«Ci mancherebbe!»      

 

«Ci mancherebbe! , dice lui!» tre ore dopo sono già pronta da un pezzo, ma di Greg neanche l’ombra. «Aveva detto alle 8.30, ecchecavolo!»

Batto impazientemente un piede per terra, sbuffando. Questo ragazzo non imparerà mai ad essere puntuale! Dieci anni che lo conosco, e dieci anni che conferma giorno dopo giorno la sua inaffidabilità. Il punto è che ho sempre avuto il pallino della puntualità. E dire che non sono un tipo così tanto “precisino”. L’affascinante contraddizione della psiche umana.

Ma finalmente sento un clacson familiare echeggiare giù in strada.

«Alla buon’ora!... Stavolta lo uccido però... Io vado, ciaaaoo!»  saluto le mie amiche mentre mi infilo il cappotto e un “Ciao, divertiti!” mi arriva di rimando.

 

Com’era prevedibile, essendo in ritardo, fuori dal locale c’è una fila enorme.

«Ecco, lo sapevo io. Quando entreremo la band sarà già a farsi le groupies.» Sbotto scocciata.

«Sempre la solita ottimista, eh? Beh, comunque non credo ci siano molte groupies per loro. Hanno più o meno la nostra età e sono relativamente nuovi sulla scena...» replica Greg avanzando lentamente.

«Non te l’ho ancora chiesto, come si chiamano?»

«Pencey  Prep»

«Nome interessante...»

«Mmm. A quanto pare l’hanno preso da un libro... » si spinge sulle punte per vedere la situazione-fila. «Cavolo. La fila non si muove di un millimetro. Non entreremo mai.»

«Ah! E di chi è la colpa?!»

«Andiamo, Jules, di quanto ero in ritardo?! Tipo...10 minuti?!»

Sto per rispondere a tono che no, decisamente non erano “tipo 10 minuti”, ma qualcuno passando mi urta facendomi traballare.

«Ehy, ma che c...»  mi giro pronta a dirne quattro a chi non riesce neanche a stare in piedi, ma mi blocco improvvisamente alla vista di due occhi. Due occhi color nocciola limpidissimi.

Quegli occhi.

«Scusa, mi dispiace! Sono inciamp... Julia? Jules! Ti ricordi di me? Sono Frank!» dice con quel suo tono vivace.

Io, da parte mia, sono piuttosto shockata. Tra tutta quella gente, in mezzo a tutte quelle persone, chi l’avrebbe mai detto che l’avrei rivisto di nuovo?

«C- Certo che mi ricordo... Ciao!»

Lui sposta lo sguardo verso Greg, e mi sembra di scorgere una sfumatura di delusione sul viso ...o forse è solo un effetto della luce...

Vedendosi osservato, Greg esclama prontamente, tendendo la mano: «Ciao, io sono Greg!»

«Frank» dice lui, stringendola. E poi, tornando al suo solito sorriso: «Siete qui per il concerto? Beh, considerato che il locale è già pieno di gente, dubito che riuscirete ad entrare in tempo... Ma niente paura! Seguitemi!»

Mi fido. Meglio di restare impalati fuori al freddo aspettando di diventare degli iceberg. Lo seguiamo mentre si allontana dall’entrata principale per imboccare una stradina semibuia ed entrare da una porta secondaria, facendo un cenno a un ragazzo che dall’aspetto sembra un buttafuori, e dicendo: «Ehy amico, loro sono con me»

L’ “amico” gli risponde a sua volta con un cenno lasciandoci passare senza fare storie. Probabilmente Frank lavorerà qui...

«Ehm, Frank, ma lavori qui?» chiedo imbarazzata.

Lui mi guarda divertito, sghignazzando. «In un certo senso...»

Bene, è anche criptico, lui.

Non rispondo neanche quando Greg, tutto gongolante, con assai poca discrezione sussurra al mio orecchio: «E così è lui il famoso ragazzo del pianerottolo, eh...? Ahi!».

No, non rispondo, ma nulla gli toglie una gomitata non proprio delicata nelle costole.

Continuiamo a seguirlo, ma mi accorgo solo dopo un po’ che non stiamo andando verso il bar, ma verso il palco. Dio, c’è una marea di gente qui.

Proprio quando stiamo per entrare nel backstage, Frank si gira, sorridendo come un bambino. Sì, ha proprio la faccia di un bambino un po’ troppo cresciuto. Sorridergli mi viene spontaneo.

«Spero ti piaccia seguire il concerto dal backstage. Consideralo un regalo di ringraziamento per aver dato quegli appunti a Ethan da parte mia!»

Greg mi guarda shockato. Non avevamo mai seguito un concerto dal backstage. «Cavolo! Dal backstage! Sarà Fantastico!» bisbiglia.

«Wow!... Grazie Frank! Ormai avevo perso le speranze di vedere questa band stasera!»

Magari lavora come tecnico...

«Beh, allora spero che saremo alla tua altezza!» esclama, con la sua risata chiassosa sulle labbra.

Credo di non aver capito bene. Ha veramente detto saremo? Cioè con saremo... intende... non sarà mica...

«Frankie, finalmente! Ma dove eri finito? Dai, che il pubblico chiama!» sento urlare un ragazzo occhialuto, che si avvicina a Frank.

Cioè lui... non è un tecnico. No.

«Eccomiii!»

Lo vedo imbracciare una chitarra, avviarsi verso il centro del palco e salutare il pubblico, pizzicando le corde della sua chitarra.  

Cazzo. Suona nei Pencey Prep!

«Ah, bene! Jul, direi che il misterioso ragazzo del pianerottolo è il cantante dei Pencey Prep.» Sento Greg ridacchiare dietro le mie spalle.

 

 

Sono letteralmente affascinata. Davvero. Questa band mi piace. Le musiche sono fantastiche, e la voce di Frank... beh, più che altro le sue urla, esprimono perfettamente i sentimenti dei testi. Wow. Vedere questi ragazzi dare il meglio di loro stessi e suonare con tanta passione è adrenalina allo stato puro.

«Greg, avevi ragione, sono veramente... Greg?» mi giro intorno in cerca del mio migliore amico e lo scorgo qualche metro più in là, alla prese con una ragazza bionda. Appena nota che lo sto guardando mi fa un occhiolino malizioso. Io gli faccio una smorfia, rassegnata. Le ragazze prima di tutto per lui. Sospiro e rivolgo il mio sguardo di nuovo verso il palco: Frank sembra veramente a suo agio. Ed è incredibile quanta passione riesca ad esprimere durante l’esibizione. Sembra metterci ogni parte di lui, testa, corpo e anima. E in qualche modo riesce a coinvolgere anche tutto il pubblico in questo vortice di emozioni. Me compresa. Ricordi sbiaditi di un passato lontano in cui la musica  - la nostra musica -  era fatta di questa stessa passione si fanno strada nella mia mente... ma questo non è il momento per pensare.

Mi concentro nuovamente su Frank, che si dimena sul palco con la sua chitarra, mandando in delirio il pubblico.

Cavolo, avrei dovuto capirlo subito che era un musicista... voglio dire, tatuaggi, piercing, e capelli bicolore tutti insieme non possono che appartenere ad un artista.

La solita imbranata.

Le ultime note della canzone “Don Quixote” echeggiano nel piccolo locale, mentre Frank ringrazia e saluta il pubblico, avviandosi dietro le quinte.

Me lo ritrovo davanti, sudato e felice, mentre ripone con cura  la chitarra nella sua custodia. Mi accorgo solo ora della scritta argentata che luccica sulla chitarra: “Pansy”.

«Allora, come ti siamo sembrati?» mi chiede, quasi ci tenesse davvero a sapere cosa ne penso.

«Fantastici! Mi siete piaciuti un casino!» esclamo ridendo insieme a lui.

«Beh, sono contento!...» improvvisamente si guarda intorno, come se cercasse qualcuno  «...e il tuo... ragazzo... dov’è?»

«Il mio...? Parli di Greg? Oh, lui non è il mio ragazzo, è solo un amico... e l’ultima volta che l’ho visto era avvinghiato a una ragazza...» vedo uno strano luccichio accendersi nei suoi occhi a quelle parole... O forse è solo la mia immaginazione che mi fa brutti scherzi... «...anzi, credo che mi toccherà prendere un taxi per tornare a casa!»

Ora mi sembra di nuovo deluso. Ma che mi succede oggi?

«Ma come, vuoi già tornare a casa? Volevo presentarti il resto della band, sono al bancone a bere qualcosa... e poi posso sempre darti un passaggio io per tornare a casa! Tanto so dove abiti!» si affretta a dire. Sì, la mia immaginazione è decisamente troppo fervida.

Stranamente sento  il mio cuore aumentare i battiti. Smettila Jules, sembri una bambina. È  solo uno stupido passaggio a casa.

Mi guarda con quei suoi occhi così luminosi, che per me è impossibile dirgli di no. Questo ragazzo ha qualcosa... qualcosa che riesce ad attirare la gente, anche quella che conosce appena. Ho sempre invidiato questa capacità innata di mettere a proprio agio la gente, soprattutto perché io non sono mai stata brava in questo genere di cose. 

Solo un drink e un passaggio a casa.

«Ok!»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco il secondo capitolo, dove la nostra protagonista incontra di nuovo  e inaspettatamente il nostro Frankie con i Pencey Prep...

Il titolo del capitolo è spudoratamente “ispirato” all’omonima canzone dei Lostprophets [un gruppo che io ADORO, e che è secondo solamente ai Chem, (ovviamente!) ... e che spero di riuscire a vedere il 23 Aprile  in concerto a Milano... X3]

Grazie veramente tanto a dizzyreads che ha commentato, [spero che questo chap ti piaccia... =) ...sono anche io una grandissima fan di Frankie, lo adoro (Non si era capito, eh?)! xD ...e grazie per i complimenti! *__*] e a MissBlackParade che l’ha messa tra le preferite... *__*

Thanx & See ya next time!

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Capitolo 3
*** Silence Is Easy ***


 

3. Silence Is Easy

 

 

 

 

 

Frank si fa strada tra i tavoli, conducendomi direttamente verso il bancone, dove una manciata di ragazzi sta chiacchierando e bevendo. Seppur con qualche difficoltà riesco a scorgere gli altri ragazzi della band, che festeggiano il meritato successo con delle birre.

«Ah eccolo qui! Frank, ma dove sparisci sempre? Gerard e Ray ti cercavano per farti i complimenti!...» un ragazzo piuttosto alto con i capelli scuri che riconosco subito come il batterista della band si rivolge a Frank, che sempre col suo sorriso a 32 denti, mi indica ai suoi amici.

«Ragazzi, questa è Julia. È un’amica di Ethan. Jules, loro sono Shaun, John,  Neil e Tim.»  dice indicando ad uno ad uno i ragazzi che fino a poco prima dividevano il palco con lui.

Io agito una mano in segno di saluto. «Ciao!»

Loro ricambiano educatamente, chiedendomi cosa me ne è sembrato dello show.

«Siete stati magnifici, ragazzi, veramente!» esclamo sincera.

Passiamo un bel po’ di tempo a parlare dello show e di musica: scopro che è Frank a scrivere la maggior parte dei testi e delle musiche delle canzoni, e la cosa, chissà perché, non mi sorprende affatto. Sono nuovamente così presa dai miei pensieri che quasi non mi accorgo di quattro ragazzi che si uniscono a noi, complimentandosi e dando pacche sulla schiena a Frank.

Sono piuttosto... beh, l’unica definizione che mi viene in mente, è... bizzarri. Uno è vestito completamente di nero, con una giacca di pelle e una maglietta dei Motörhead, i capelli sono neri anch’essi e piuttosto lunghi, la pelle chiara, chiarissima, ma gli occhi sono di un verde brillante. Segue il ragazzo accanto, che mi colpisce per i suoi capelli afro, riccissimi e castano chiaro, e la faccia simpatica; vicino a lui uno spilungone dall’aria timida, con i capelli castano chiaro e liscissimi, e gli occhiali; infine, un ragazzone alto, con i capelli chiari, e l’espressione rilassata.

«Jules, questi sono Gerard, Ray, Mikey e Matt. Suonano anche loro in una band. Dimmi se non hanno un nome fantastico: My Chemical Romance. Fico, no?»

My Chemical Romance. Che nome insolito per una band. Ma mi piace. Lo ripeto più volte nella mia testa: My Chemical Romance, My Chemical Romance...

«Sì, veramente un bel nome!» esclamo infine.

«Ringraziate il mio fratellino!» esclama Gerard, indicando Mikey  - in effetti avevo notato una certa somiglianza -  «è lui il “band-namer” ufficiale!»

«Ora si tratta solo di usarlo, questo nome...» interviene Matt, sghignazzando.

«Dobbiamo usarlo! È troppo bello per essere sprecato!» aggiunge Mikey

«Massì! Voi andrete lontano, ho sentito i vostri demo, e le vostre canzoni sono fantastiche!» conclude infine Frank, sorridendo raggiante ai ragazzi. Sembra davvero convinto di ciò che dice, e sembra proprio adorare questa band. Questa cosa mi incuriosisce. Mi farebbe piacere sentire le loro canzoni.

 

Stiamo ancora un altro po’ a chiacchierare, ma a poco a poco i ragazzi, chi perché domani lavora, chi perché  è veramente esausto, si dileguano nel nulla. Solo quando anche Gerard e Mikey - che, per la cronaca, si è mostrato tutt’altro che timido - ci salutano, mi rendo conto di essere rimasta sola con Frank. Improvvisamente non riesco più a trovare un argomento di conversazione. Perlustro disperatamente la mia mente in cerca di qualcosa da dire, ma niente, zero, il più assoluto e totale vuoto. Così, come da copione, cala uno dei famosissimi silenzi imbarazzanti. Dio, ma che mi prende? E dire che a prima vista sembriamo tutt’e due tipi logorroici.

Solo dopo un minuto buono sento Frank bisbigliare con un mezzo sorriso sulle labbra: «Pulp Fiction.»

«Cosa?»

«Questa situazione... mi ha fatto venire in mente Pulp Fiction... Sai, quando Vincent e Mia sono al  Jack Rabbit Slim’s e non sanno cosa dire...»

Non posso trattenermi dal ridere, data la comicità della situazione. «E’ vero!» Mi viene in mente quella scena, e di colpo mi ritrovo a sussurrare le battute: «“Non odi tutto questo?... I silenzi che mettono a disagio... Perché sentiamo la necessità di chiacchierare di puttanate per sentirci più a nostro agio?”»

Ridiamo come due bambini.

«Non ci posso credere, ho trovato una ragazza che cita le battute di Pulp Fiction a memoria! Uhm, vediamo, se non sbaglio la battuta dopo dovrebbe dire qualcosa come “E’ solo allora che sai di aver trovato qualcuno davvero speciale, quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento ”...»

«...“e condividere il silenzio in santa pace”»  concludo io. «Però, anche tu te la cavi, in fatto di battute dei film!»

«Nah, è che questa mi è rimasta particolarmente impressa, perché effettivamente Mia ha ragione... sono troppo poche le persone che sanno apprezzare il silenzio... »

Restiamo in silenzio di nuovo, ma stavolta di proposito, e ci guardiamo sorridendo. Ma stranamente non è imbarazzante come prima... È vero, Mia ha maledettamente ragione. Ora che il locale è praticamente vuoto, l’unico suono appena udibile è il cristallino sbattere dei bicchieri mentre il barista li posa. Tutto il resto è silenzio. Silenzio che può essere gustato solamente con una persona speciale. Io e lui sembriamo non aver bisogno di parole, ma solo dei nostri sguardi. Ed è fantastico. Come si può apprezzare la musica assordante e il silenzio, direte voi? Beh, si può... in fondo, anche il silenzio è un po’ una musica. Una musica personale, che conosciamo solo noi, è la musica della nostra anima, che cantiamo segretamente nei nostri cuori.

Purtroppo per noi, però, questa musica è destinata e durare poco, soprattutto quando si ci trova ancora a ciondolare in un locale all’orario di chiusura.

«Ehm, ehm... Frank, noi stiamo per chiudere...» il proprietario un po’ scocciato, un po’ incuriosito, ci desta dalla nostra conversazione muta.

Frank aspetta ancora un momento prima di voltarsi verso il barman. «Ok Charlie, togliamo il disturbo subito... Ci vediamo la prossima settimana!» prende la chitarra e si avvia verso l’uscita, tastandosi le tasche della giacca per trovare le chiavi della macchina.

«Eccole!» mi annuncia trionfante, dirigendosi verso una macchina posteggiata sul lato della strada.

Mi avvicino alla sagoma scura dell’auto.

«Wow, una Mustang nera, la adoro! Ne ho sempre voluta una..» piagnucolo, facendo uno giro attorno alla vettura.

Lui batte dei colpetti affettuosi sul tetto dell’auto. «Ford Mustang del ’77. Era da quando avevo 12 anni che mettevo da parte i soldi per comprarla!» dice, orgoglioso. Proprio come un bambino che mostra il suo giocattolo preferito. Inutile dire che ormai il sorriso è una costante della mia faccia.

«Ehy, perché ridi? Guarda che ho faticato come un mulo per potermela permettere!» fa il finto offeso, mentre io rido ancora di più. Ci conosciamo solo da poche ore, ma mi accorgo di quanto sia così semplice scherzare con lui.

Mette il broncio mentre sale in macchina, e accende il motore. Mi ritrovo ad osservare incuriosita e affascinata l’abitacolo dell’auto, letteralmente sovrastato da cd, riviste, e lattine di Coca Cola.

Tipico di Frank, mi viene da pensare, come se lo conoscessi da una vita.

Mi sembra strano rendermi conto che effettivamente lo conosco solo da qualche ora, se non contiamo il nostro primo, breve incontro.

«Ehm, sì, lo so, dovrei dare una ripulita, prima o poi...» dice a mo’ di scusa, cercando si rassettare il cruscotto alla meno peggio.

Mi fa una tenerezza indescrivibile e le mie labbra non possono fare a meno di curvarsi in un sorriso. Di nuovo.

«Ah, ma figurati, lascia stare! Dovresti vedere la mia camera: è una fortuna che vivo da sola, altrimenti a mia madre prenderebbe un collasso...»

Lui ride di gusto, mentre ingrana la marcia. Prima di partire però, allunga una mano verso l’autoradio, dalla quale escono le graffianti note di “Anarchy In The UK”.

Lo osservo affascinata mentre picchietta sul volante a ritmo e sussurra le parole della canzone, sentendosi perfettamente a proprio agio. Lui è così... spontaneo. Esattamente quello che io non sono mai stata e che avrei sempre voluto essere. Io sono sempre stata... controllata, e così... maledettamente prevedibile.

«Qualcosa non va?» ha smesso di tamburellare sul volante e mi guarda preoccupato. Mi correggo: controllata, prevedibile e decisamente troppo pensierosa. Chissà che faccia devo avere. Dio, quanto sono stupida. Perché devo sempre pensare così tanto?!

«No no, tutto ok, stavo solo pensando...» ecco, momento imbarazzo di nuovo alla riscossa.

«Allora, vediamo...» dice riprendendo a guardare la strada e cercando evidentemente di distogliermi dai miei stupidi pensieri. «Una ragazza che va all’università, a cui piace Pulp Fiction, la musica punk, e le Mustang. Cos’altro c’è da sapere su di te?»

«Nient’altro di interessante, credo... Comunque potrei farti la stessa domanda! Cos’altro c’è da sapere su Frank Iero?»

«Uhm, vediamo... che sono nei Pencey Prep lo sai già.. che vado all’università pure... beh, credo che non ci sia altro!»

«Da quanto tempo suoni?»

Lui sembra pensarci su, come se lo avesse fatto da sempre. In  effetti, vedendolo sul palco, sembra proprio che suonare la chitarra sia la cosa più naturale al mondo per lui.

«Da quando avevo 11 anni. Quindi sono ormai 10 anni. Tu? Suoni?»

Leggera fitta al cuore. Facilmente ignorabile ormai. «Nah, tempo fa suonavo il pianoforte. E strimpellavo la chitarra. Ma poi ho lasciato.»

«E perché?»

Faccio spallucce. «Non ero poi così brava. E gli insegnanti erano terribili.» Vero. Più o meno.

«Non ci credo che non eri brava... credo alla storia degli insegnanti però! Anche io non appena ho assimilato i concetti fondamentali ho lasciato perdere le lezioni. È per questo che considero come unico mio maestro Billie Joe Amstrong!»

«Il frontman dei Green Day? È assolutamente un grande.»

Annuisce, entusiasta. «Se suono in una band lo devo solo a lui. Avevo 11 anni la prima volta che lo vidi suonare, e... in quel momento realizzai, e mi sono detto: “Frank, ecco, quella è la tua strada”» dice con un tono buffissimo. Poi aggiunge: «Comunque non è mai troppo tardi per ricominciare a suonare, sai.»

Io annuisco con un’espressione non troppo convinta, ma lui fortunatamente non può vederlo.

 

 

Stranamente a malincuore mi accorgo di quanto poco tempo abbiamo impiegato per arrivare davanti al palazzo di casa mia.

Ok, Jul. Ora devi solo dire che sei stata bene, ringraziare e rientrare, magari senza inciampare per le scale. Basta.

Ma il mio cuore non la pensa esattamente allo stesso modo: batte così forte che sono sorpresa che non si sentano i suoi rimbombi nell’auto. Non avevo mai creduto che potesse accadere davvero, ma sento una vocina farsi prepotentemente largo dentro di me, e sussurrare solo sue parole. Non scendere.

Ma la parte razionale di me è ancora abbastanza lucida da controbattere. Calma. Respira. Calma.

«Eccoci... Sono stata bene stasera, davvero. È... è stato veramente un bel concerto. E grazie per il passaggio!» apro la portiera dell’auto, ma i miei muscoli sembrano non volerne sapere di muoversi.  

Non scendere. Non ancora.

Vorrei costringermi a muovermi, ma non ci riesco.

Andiamo, Julia, non ti illudere...

Ma la vocina si fa sempre più insistente, fino ad assumere un tono imperativo. Non scendere. Guardalo. Cos’hai da perdere?

Rassegnata, ma allo stesso tempo mossa da un misterioso sentimento mai provato prima, mi volto verso Frank, e incrocio per l’ennesima volta il suo sguardo, senza parlare. E non mi accorgo nemmeno di quanto mi stia impercettibilmente avvicinando al suo viso. E sento la sua mano sfiorarmi una guancia. E vedo i suoi occhi grandi, nocciola, luminosi, limpidi, avvicinarsi sempre di più ai miei. E sento il profumo del suo respiro invadermi le narici. E sento le sue labbra sulle mie, e il freddo del suo piercing farmi rabbrividire di piacere, e la sua lingua cercare la mia.

Tutto il resto è silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

Iniziamo col dire che dopo la notizia dell’abbandono di Bob, mi sento piuttosto triste... Chi tirerà le bacchette ai concerti?? Chi schiaffeggerà la telecamera?? Chi sarà il costante bersaglio degli scherzi di Frank?? ç__ç   D’altronde però “everything happens for a reason” (alla Limp Bizkit)... se se n’è andato ci sarà pur sempre un motivo... sì, è da due giorni che cerco di auto-convincermi di questa cosa, però sono triste lo stesso...  

Beh, tornando alla storia... non so quante di voi saranno d’accordo sul fatto che li ho fatti baciare praticamente subito, ma non so,  per me ci stava bene... cioè, vorrei mettere in evidenza il fatto che Frank sconvolge la vita di Jules fin da subito... Non so se ho reso l’idea, ma spero di potermi spiegare meglio nei prossimi capitoli...

Poi, cos’altro... ah, avete visto l’entrata in scena dei chimici nella fase pre-Bullets ... Gerard con l’immancabile “leather Jacket” e la maglietta dei Motörhead che è praticamente onnipresente nelle prime foto della band, Mikey il finto-timidone, Ray e i suoi afro e Matt e la sua faccia... beh, come ho detto, rilassata... =)

 

Per quanto riguarda la Mustang di Frank, dubito che ne abbia davvero avuta una [e non so neanche se ne abbiano davvero prodotte nel ’77, anche se wikipedia dice che la seconda serie va dal 1974 al ’78,  quindi ci dovrebbe stare], ma quella macchina mi piaceva troppo! =)

 

La canzone del titolo è per l’appunto “Silence Is Easy” degli Starsailor.

 

Per chi non abbia mai visto Pulp Fiction, ecco il dialogo che ho citato sopra.

Vicent Vega e Mia Wallace sono in un ristorante [il Jack Rabbit Slim’s... favoloso ‘sto posto, voglio dire, al posto dei tavoli ci sono delle macchine, e vieni servito da una cameriera vestita come Marilyn Monroe!] e tra di loro cala uno dei famosi silenzi imbarazzanti [o uncomfortable silences, che suona mooolto meglio]:

 

MIA: Non odi tutto questo?
VINCENT: Odio cosa?
MIA: I silenzi che mettono a disagio. Perché sentiamo la necessità di chiacchierare di puttanate per sentirci più a nostro agio?
VINCENT: Non lo so. E’ un’ottima domanda.
MIA: E’ solo allora che sai di aver trovato qualcuno davvero speciale, quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace.

 

 

@ dizzyreads:  oddio, “Fat and Alone”… la prima volta che l’ho sentita non sapevo se piangere per il tizio grasso e solo che non si fila nessuno, o ridere perché neanche loro riescono a stare seri mentre cantano! xD

Poi... hai ragione, “Yesterday” piace anche a me, direi che questa e “Trying To Escape The Inevitable” sono le mie preferite... Beh, comunque, grazie ancora per aver recensito e spero che questo capitolo ti sia piaciuto! *__ *

 

@ Lady Numb: grazie per il commento!  E spero davvero  che il seguito ti piaccia! ^^

 

Uhm, ho fatto il commento praticamente più lungo del capitolo... xD ok, la finisco qui allora, davvero...

Bye & Thanx to all of you! ^^

xo,

G

 

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Capitolo 4
*** Romeo & Juliet ***


 

 

4. Romeo & Juliet

 

 

 

 

 

 

Ammettilo, Frank. Da quanto desideravi baciarla? Da tutta la sera. Anzi no, da un’intera settimana. Non eri riuscito a fartela uscire dalla testa, dopo averla incontrata su quel pianerottolo.

E ammettilo, quanto ti ha dato fastidio credere che quel ragazzo di stasera fosse il suo ragazzo? Ti ha dato un enorme fastidio.

Ma adesso lei è con te. E ti sta baciando. Quanto ti è costato darle quel bacio, eh? Da quanto tempo un bacio non ti faceva battere il cuore così forte? Esattamente da 9 mesi... Dopo 9 mesi il tuo cuore ha ripreso a battere...

 

Ci stacchiamo, e lei sorride imbarazzata. Ha le guance in fiamme, ma i suoi occhi azzurri ora sembrano più luminosi, più vivi. Cavolo, potrei passare anni a fissare quegli occhi.

«Beh, io... ora... forse... forse è meglio che vada...»

Le scosto un boccolo ramato che prepotente le nasconde il viso, e la sento rabbrividire.

«Ok... Domani vai all’università?»

Annuisce, sopirando. «Sì, purtroppo.»

«Ok, allora ci vediamo lì.»

Lei mi guarda sospettosa, sorridendo. «Ma se avevi detto che non frequentavi!»

«Beh, ora ho un buon motivo per farlo!» dico, senza neanche rifletterci. La cosa buffa è che anche riflettendoci, quello che ho detto è vero.

«Ok, allora... a domani...» L’ho fatta arrossire di nuovo. Diamine, quant’è carina quando arrossisce.

Non resisto. Mi sporgo per darle un altro bacio in punta di labbra. «A domani.»

La vedo scendere dall’auto e dirigersi verso il portone di casa sua. Solo quando sono sicuro che è rientrata riavvio il motore e parto.

Scuoto la testa, incredulo. Da quando sono così premuroso con le ragazze?

Dalla radio si diffondono le note di “Romeo and Juliet” dei Dire Straits. Beh, sì, lo so, la canzone parla di un amore finito, ma ehi, è una canzone dannatamente bella... e così mi ritrovo come uno stupido ragazzino innamorato ad alzare il volume e cantare il ritornello a squarciagola.

E sento il mio cuore battere di nuovo.

 

 

***

 

Non sono sicura di come ho fatto ad arrivare nella mia camera, ma stranamente ce l’ho fatta. Magari è la forza dell’abitudine. Sono talmente abituata a quelle scale che ormai le faccio senza rendermene conto.  Sì, sicuramente è così. Perché tutto ciò che riesco a ricordare dal momento in cui io e Frank ci siamo baciati è solo il martellare impazzito del mio cuore e la sensazione che le mie ginocchia stessero per cedere da un momento all’altro. Poi, niente. Non ho la più pallida idea di come sia riuscita a scendere dalla macchina, a salire le scale e ad arrivare qui.

Mi appoggio al tiepido legno della porta della mia stanza, cercando di non andare in iperventilazione. Cavolo. Ci siamo baciati davvero. E rabbrividisco ancora al pensiero, e arrossisco ancora ripensando al suo sguardo, e posso ancora sentire il suo profumo sulle labbra.

E mi sento una stupida quando mi do un pizzicotto per essere sicura di non stare sognando.

Dio, sembro proprio una stupida bambina innamorata.

Calma, Jul. Torna in te. Essere così in balìa delle emozioni non è mai stato da te. Che ti succede? Non eri tu quella sempre controllata? Non eri tu quella restia a lasciarsi andare?

E mi prende quasi un attacco di panico, quando la verità delle mie stesse parole mi colpisce come una mazzata nello stomaco. E non so se gioire o dispiacermi del fatto che sì, per la prima volta nella mia vita, mi sono lasciata andare. Ho lasciato che il cuore avesse la meglio sulla ragione, che le emozioni spazzassero via i pensieri.

E ho paura, e allo stesso tempo sono felice del fatto che per una volta nella mia vita ho agito spontaneamente. La me prevedibile non avrebbe permesso a quella forza misteriosa di tenermi inchiodata al sedile dell’auto. Avrebbe messo a tacere quella vocina. Sarebbe scappata. La me prevedibile e razionale non avrebbe rischiato.

Posso essere cambiata così in fretta, dopo solo qualche ora passata con Frank? Può la sua spontaneità avermi contagiato in così poco tempo?

La verità è che non ho risposte a queste domande... so solo che grazie a lui mi sono sentita per la prima volta... viva.

 

Sento dei passi strascicati avvicinarsi e mi volto in tempo per vedere un’insonnolita Violet fare capolino dalla porta della sua camera. «Ehy, come mai sei rientrata così tardi? È successo qualcosa?» devo avere proprio una faccia da ebete perché vedo la sua espressione farsi preoccupata «Jul? Tutto ok?»

Sorrido. «Sììì, tutto ok... perché, noti qualcosa di strano?»

Lei mi scruta con sguardo indagatore. «Non so. Non è da te sorridere così a quest’ora di notte. Sei strana. Ti vedo... non so... felice? Non sarai mica ubriaca?...» Poi vedo ancora una volta la sua espressione cambiare, la vedo mettere da parte il sonno e la preoccupazione per lasciare il posto alla sorpresa. «Oh, mio Dio... Non ci posso credere! Tu... tu... tu sei innamorata!» annuncia, puntandomi l’indice contro, quasi incredula.

«Naaah... almeno, non lo so... non ancora...» È essere innamorata questo?

«O mio Dio! Allora c’entra veramente un ragazzo! Non sarà mica quel Greg...»

«No. Anzi, se proprio lo vuoi sapere quel Greg se l’è svignata non appena è riuscito a rimorchiare... Se non fosse stato per Frank...» Ops. Mi sono lasciata sfuggire troppo. Sì, decisamente troppo. Vedo la sua bocca spalancarsi letteralmente, proprio in stile cartoon.

«Non ci posso credere... Il ragazzo del pianerottolo! L’hai rivisto?! Ah!» tira un pugno in aria, trionfante «L’avevo detto io che ti piaceva! Lo sapevo che il colpo di fulmine esisteva! Lo sapevo! E dove l’hai visto? Cosa è successo? E vi siete baciati?»

Il mio silenzio imbarazzato a quella raffica di domande è per Violet una più che sufficiente ammissione.

«Oddio! Vi siete baciati! Oddio! Elleeen  corre verso la stanza di Ellen che evidentemente dorme, scuotendola. «Quello che ti racconterò sarà sicuramente migliore di quello che starai sognando!»

Ok, ora è anche troppo. Mi avvio verso il mio letto, mentre mi giungono anche le urla di gioia dell’altra mia coinquilina.

Sorrido tra me e me mentre mi avvolgo nel soffice piumone e sento ancora il loro giubilo nella stanza accanto.

Sembrano sinceramente felici per me.

E la cosa più bella è che lo sono anche io.

 

 

 

 

 

 

 

Scusate il ritardo,  ma la ho avuto problemi con internet... in più sono ricominciati i corsi universitari [grrrr] e quindi avrò meno tempo per scrivere e aggiornare...

Uhm... questo chap è piuttosto cortino e a mio avviso non è neanche un granché, ma come ho già detto precedentemente, avevo bisogno di questa introspezione del personaggio di Jules per spiegare i suoi sentimenti e l’effetto che le fa Frank...

A proposito di Mr. Iero, [xD] da questo capitolo in poi la storia sarà narrata anche dal suo punto di vista, anche se comunque tutto ruoterà sempre attorno al personaggio di Jules...

 

Uscendo per un attimo dal mio mondo fantasioso e tornando alla realtà, stamattina ho letto della notizia dell’arrivo dei/delle due piccoli/e Iero!!! Wow, ma vi immaginate due piccole versioni di Frank che scorrazzano da tutte le parti come il padre?? X3 xD btw, sono davvero contenta per loro, e sono contenta che nonostante tutto i nostri MyChem stanno continuando a lavorare sul nuovo album...

 

@ Lady Numb : sono contenta che ti sia piaciuto! ^^ Beh, sì, in effetti per la storia del silenzio non ci vedevo per niente Frank uscirsene con una banalità, quindi mentre scrivevo mi è venuto questo lampo di genio, ho pensato proprio a quella scena che mi è sembrata perfetta per la situazione! Sono contenta che l’hai apprezzata anche se non avevi mai visto il film!

 

@ dizzyreads

 : xD è sempre così nelle storie, si cerca di non affrettare le cose, ma è impossibile, soprattutto in situazioni come questa! xD comunque sono contentissima che la storia ti piaccia, davvero, ti sopporto volentieri fino alla fine! Anche se ora come ora non ho ben chiaro l’esatto evolversi della storia... o meglio, ce l’ho, ma solo a grandi linee, quindi spero che la mia fantasia non mi abbandoni del tutto e mi auguro di poter arrivare alla fine! xD

 

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Capitolo 5
*** Breaking The Habit ***


 

5. Breaking The Habit

 

 

 

 

 

Mi avvio verso il muretto proprio davanti all’università, osservando la marea di studenti sparpagliati tra il prato verde e la scalinata dell’edificio. Mi ritrovo come una stupida a ridurre gli occhi a due fessure pur di individuare qualcosa di lui, magari il rosso dei suoi capelli, ma tutto quello che vedo sono solo una serie di volti semisconosciuti, che si salutano, scherzano, e parlano allegramente.

Mi siedo senza togliermi gli auricolari dalle orecchie.

Chissà se era serio. Chissà se verrà. Magari sta ancora dormendo.

Magari se l’è dimenticato.

Magari aveva solo bevuto troppo.

Delle note graffianti mi destano dai miei “chissà” e “magari”.

Le stesse note graffianti che ho sentito la notte scorsa.

Anarchy In The UK”.

Ed è impossibile per me non ripensare al modo in cui picchiettava sul volante e canticchiava le parole. E al profumo del suo bacio.

Istintivamente il mio piede scandisce il ritmo insieme alla batteria, mentre la mia mente cede al potere della musica.

E all’improvviso realizzo che fin ora sono state solo due le cose a farmi piacevolmente perdere il controllo e a farmi sentire viva: la musica e Frank.

 

 

 

***

 

 

 

La osservo mentre, cuffie nelle orecchie, batte un piede per terra a ritmo ed ha lo sguardo assente, rapito probabilmente dalla musica che sta ascoltando. È davvero bella.

È incredibile, questa ragazza ha qualcosa di speciale... in fondo ho solo scambiato due parole con lei su un pianerottolo, ma questo, solo questo è bastato a farmi perdere la testa. O saranno stati i suoi occhi, così azzurri, così profondi... o forse il modo in cui stava lì, davanti alla porta, pensierosa, e poi imbarazzata, e con quella maglietta dei Misfits...

Mi avvio verso di lei, e il mio cuore quasi manca un battito quando il vento le scompiglia i boccoli ramati e lei d’improvviso alza lo sguardo e mi sorride sorpresa.

«Non posso credere che tu sia venuto veramente!»

«Beh, te l’avevo detto, ora che ho una buona ragione per venire qui...» sinceramente  - e la cosa mi sorprende non poco -  non mi importa niente di dove sono, finché sono con lei. Voglio stare con lei, voglio conoscerla, non mi importa di nient’altro. Neanche di una noiosissima lezione di storia contemporanea.

Lei sembra imbarazzata e incredula allo stesso tempo.

Poi dopo qualche secondo, d’un tratto cambia espressione, fissandomi. I suoi occhi adesso sono azzurro cielo, e brillano di qualcosa che non riesco a definire.

«E se... se tu continuassi a non frequentare... e... io andassi con te?»

Le sue parole mi colgono di sorpresa.

«Co... Cosa? Dove vorresti andare?»

«Non so...» ci pensa su «Cosa avresti fatto se non fossi venuto qui?»

«Mah, non so, sarei andato a provare in studio, credo...»

Si alza sempre senza smettere di guardarmi. «Beh, allora... portami con te.»

«Jul, sei... sei sicura? Non che ti conosca poi così tanto da poterci mettere la mano sul fuoco, ma tu non sembri il tipo che salta una lezione...» dico confuso. Non vorrei essere la sua personale strada della perdizione!

«No, infatti. Ma voglio venire con te. Per una volta voglio fare quello che mi va. Ti preeego!» mette il broncio, un’espressione da bambina, e io non riesco a resisterle, pur restando leggermente sorpreso dalle sue parole: Per una volta voglio fare quello che mi va.

«Beh, se la metti così... Ok, ma giurami che non è solo una scusa per salire sulla mia Mustang!», scherzo, passandole un braccio sulle spalle.

 

 

 

***

 

 

Non so perché l’ho fatto.

Fino ad un momento fa ero sicura che oggi sarebbe stato un giorno come gli altri: sarei andata a lezione e avrei fatto passo dopo passo quello che faccio come un automa da due mesi.

Ma poi ho visto quegli occhi... E adesso mi ritrovo qui, sull’auto di Frank, stringendo la sua mano, per andare non so bene dove. Diamine, sto cambiando sul serio. Ma mi sto accorgendo che la sua vicinanza a quest’effetto su di me. Quando sono con lui... ho la sensazione che niente sia impossibile. Che tutto sia giusto. E che io sia finalmente me stessa. E Dio, è meraviglioso.

«Come mai hai detto in quel modo?» mi chiede lui all’improvviso.

«Quale modo?»

«Hai detto... “per una volta voglio fare quello che mi va”»

Colpita e affondata. Come fa a leggermi anche nel pensiero?

«Sai com’è, sono stanca di fare sempre le solite cose.» il che è anche una mezza verità. Non è tutto però. Ma non voglio deprimerlo con i miei pensieri.

Non ora, almeno.

 

«Eccoci arrivati.»

Poco dopo arriviamo davanti quella che sembra un’abitazione, ma che a detta di Frank è uno studio di registrazione in piena regola.

Mentre percorriamo il vialetto curato, non riesco a trattenermi: «Sicuro che sia questo? Voglio dire, non stiamo violando la proprietà di nessuno, vero?»

«Non hai detto che ti eri stancata di fare le solite cose?» sghignazza enigmatico lui.

Ma quello che è vedo una volta scesi al livello del garage è sbalorditivo: quello che a prima vista sembra davvero uno studio di registrazione in piena regola, con tanto di sala di controllo attrezzata di varie apparecchiature per la registrazione e la live-room, la stanza dove i musicisti suonano. E una serie di microfoni di varie dimensioni e forme, dei monitor e accanto un mixer. Poi un pianoforte, una batteria, e una chitarra elettrica appoggiata al muro.

«Ta-dah!» annuncia Frank «Questo è lo studio che ci ha visto suonare per la prima volta... E che ha visto suonare anche i My Chem

«Wow!» esclamo sinceramente colpita. «Chi ha... costruito questo posto?»

«Io, in persona!» un ragazzo alto e dall’aria simpatica si avvicina a noi «Ehy, Frankie!»

«John, questa è Julia.» dice indicandomi «L’ho portata a vedere il tuo bellissimo studio.»

«Onorato di averti qui, Julia. Sei una musicista anche tu?»

«No» mi affretto a dire. Noto con la coda dell’occhio lo sguardo interrogativo di Frank, prima di aggiungere «Sono venuta solo per vedere Frank.»

«Beh, allora lo lascio fare! Lui praticamente ci vive, in questo studio!» dice John, sparendo dietro una porta alla nostra destra. «E, Frank, ti prego, fai piano mentre suoni, ok?»

Frank lo ignora, scuotendo la testa. Poi rivolge a me, sghignazzando. «La mia, ehm, esuberanza gli mette paura. Teme che un giorno gli demolirò lo studio suonando.»

«Non ha tutti i torti... » dico lanciandogli uno sguardo divertito e ripensando alla sua performance di ieri sera.

Poi mi siedo davanti ad un monitor e metto le cuffie con aria professionale. «Allora, cosa mi fai sentire?»

Lui non se lo fa ripetere due volte: sparisce da una porticina per poi riapparire davanti a me, dietro il vetro, con una chitarra a tracolla.

«Pronta?» sento la sua voce attraverso le cuffie.

Annuisco. «Vai!»

Inizia a far scorrere velocemente le dita sulle corde della chitarra, e quel che ne esce... beh, quel che esce è una cascata di suoni, un’ondata di note che mi fanno rabbrividire. Attraverso le cuffie il suono della chitarra arriva puro, pulito, limpido. Ed è un suono a tratti graffiante, a tratti melodioso... un suono che riesce ad essere ribelle e dolce allo stesso tempo.

Un suono che io adoro. Il tipico timbro della chitarra elettrica.

Sposto l’attenzione verso Frank, senza che lui se ne accorga: ha un’espressione concentrata e beata contemporaneamente, mentre le sue dita accarezzano esperte le corde.

I ricordi si intrufolano nuovamente nella mia mente. Ma stavolta il dolore che mi aspetto di provare non arriva. Non sento le lacrime pungermi gli occhi, non vedo le immagini nitide di un passato che sembra lontano e vicino allo stesso tempo proiettarsi nella mia testa. Anzi, sento la mente alleggerita, e una dolce nostalgia invadermi.

Che Frank abbia potuto cambiarmi anche in questo?

Poi chiudo gli occhi per assaporare meglio quella musica celestiale, e li riapro solo quando anche l’ultima nota ha smesso di echeggiare nelle mie orecchie.

 

 

***

 

 

Jules aspetta che anche l’ultima nota sia sfumata per riaprire gli occhi. Non dice niente, ma riesco solo a vedere il suo viso sorridente dal vetro.

«Wow, sei... incredibile. Cos’era?»

«Uhm, una melodia che ho scritto da un po’... » le dico. «Perché non entri anche tu?» aggiungo.

Lei sembra esitare, ma poco dopo mi raggiunge nella live-room.

«Allora, ti va di cantare? ...uhm, vediamo...  Black Hole Sun” dei Soundgarden, la conosci?»

«Certo che la conosco, che credi?» mi risponde lei, dandomi una gomitata e sorridendo.

«Vediamo un po’...» le mie dita della mano sinistra si posizionano sulla tastiera, mentre con la mano destra stringo il plettro e inizio a pizzicare le corde.

I primi accordi vengono fuori, e lei d’un tratto chiude gli occhi e comincia  a cantare, mentre io mi limito ad accompagnarla con la chitarra.

 

In my eyes, indisposed
In disguise as no one knows
Hides the face, lies the snake
in The sun in my disgrace
Boiling heat, summer stench
'Neath the black the sky looks dead
Call my name through the cream
And I'll hear you scream again

Black hole sun
Won't you come
And wash away the rain
Black hole sun
Won't you come
Won't you come…

 

Per poco non smetto di suonare. Ha una voce fantastica. Non estremamente acuta, per quello che posso capire. Nella norma. Ma con un non so che di particolare: è graffiante e anche rauca in certi punti. Ma di un rauco dannatamente sexy.

E il modo in cui canta, il modo il cui sembra dipendere totalmente dalla melodia e dalle parole, il modo in cui sembra estraniarsi dal mondo e raggiungere una dimensione in cui esiste solo la sua voce e la musica...

Alla fine della canzone la guardo stupito.

«Ehy, ma dove la tenevi nascosta questa voce?»

«Mi stai dicendo che era meglio tenerla nascosta?» mi chiede lei, ridendo.

«Ti sto dicendo che sei bravissima!» la guardo sinceramente ammirato, mentre un lieve rossore le si dipinge sulle guance. «Cavolo, Jules, dovresti fare la cantante di mestiere!»

A quelle parole la vedo irrigidirsi. Ho detto qualcosa di sbagliato?

Lei si allontana dal microfono, avviandosi verso l’uscita. «Beh, abbiamo cantato abbastanza per oggi... Che ne dici di andare a mangiare qualcosa?» dice, sorridendomi ancora.

Mi ha sorriso molte volte da quando ci siamo conosciuti ad ora, e non posso negarlo, il suo sorriso è semplicemente meraviglioso. Uno dei sorrisi più belli che abbia mai visto. Ma non ci vuole un attento osservatore per rendersi conto che i suoi sorrisi, seppur sinceri, sono quel tipo di sorrisi che molto, troppo spesso, si fermano alle labbra, e non riescono a contagiare gli occhi. Non sono mai stati falsi, ma neanche spensierati.

Stavolta, in questo preciso istante, posso rendermi conto di quanto quel suo sorriso sia palesemente forzato.

 

 

 

 

 

 

 

Scuuuusate l’immenso ritardo, ma tra università, pasque e pasquette non ho avuto il tempo di fare niente [a proposito,  spero che abbiate passato una buona pasqua!]...

Cooomunque, alla fine il quinto capitolo è arrivato... xD

 

@Lady Numb: xD sì, è vero, devo ammettere che mi sono ispirata alle mie coinquiline, ce le vedo proprio a fare una cosa del genere xD comunque, grazie per la comprensione, quest’università è proprio una scocciatura! 

 

@dizzyreads: vero, hai ragione, solo che a volte la mia ispirazione va in vacanza alle Bahamas e poi non vuole tornare più! xD comunque, adesso voglio leggere la tua storia!!! xD quando la posterai su efp?? Sono curioooosa! ^^

 

@Hey There Delilah: grazie mille per la tua recensione, mi sento onorata ad essere la prima che hai commentato! *__*  mi fa davvero piacere che la storia ti sia piaciuta, spero di non deluderti! Grazie ancora! ^^

 

...Scusate ancora per il ritardo e questi ringraziamenti formato mini, ma devo scappare!

Ci vediamo prestooooo! =*

Xo,

G

 

 

PS: dimenticavo, per chi non lo sapesse, il titolo del capitolo è ovviamente il titolo di una canzone, per l’esattezza dei Linkin Park; ho messo anche “Black Hole Sun” solo perché ultimamente mi sono fissata con questa canzone [che, se non sbaglio, dovrebbe essere del ‘94] e con quel suo stranissimo video che mette un’ansia assurda! xD

 

 

 

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Capitolo 6
*** Thank You For The Venom ***


 

 

 

6. Thank You For The Venom

 

 

 

 

 

«Adoro questa band» esclama Frank seduto al mio fianco, la sua mano stretta alla mia.

Stasera si esibisce una nuova band al Murphy’s.

I suoi componenti sono Gerard, Mikey, Ray e Matt.  I My Chemical Romance.

I ragazzi sono sul palco e sembrano apparentemente tranquilli mentre suonano. E dico apparentemente perché solo chi come me fino a poco fa tentava di strappar loro i drink dalle mani, sa quanto in realtà fossero nervosi. O meglio, terrorizzati.

Gerard continuava a dire che non ce l’avrebbe mai fatta, e solo alla terza birra ha ammesso che sì, magari non ce l’avrebbe fatta, ma Chissene frega, cazzo, facciamolo.”

Mikey si era calmato già al secondo drink, o almeno aveva smesso di ripetere che “Non aveva idea di come si suonasse un basso”.

Ray sembrava l’unico che riuscisse a mantenersi piuttosto sobrio e tranquillo allo stesso tempo, e stava rannicchiato in un angolo a strimpellare la sua chitarra.

Quanto a Matt... beh, Matt sembrava come sempre: non si poteva mai dire per certo se fosse ubriaco o semplicemente molto rilassato. Fatto sta che per calmare Mikey continuava a dire che “Neanche il buon vecchio Sid sapeva suonare quel fottuto basso, ma guarda cos’è diventato: è sulle tshirt di mezzo mondo.”

Non ci si aspetterebbe un grande show da una band che parte da questi presupposti, eh?

Lo ammetto, fino a due minuti fa lo credevo anche io. Ma ora sono costretta a ricredermi. Sono grandiosi.

E la voce di Gerard... è stupenda. Non ci sono parole per descrivere la carica emotiva che quel ragazzo trasmette solo cantando. L’anima che mette sembra quasi tangibile: riesce a trasmettere tutte le emozioni di questo mondo, rabbia, paura, amore, frustrazione. Un momento prima sei lì con la voglia di urlare, e il momento dopo ti ritrovi con le lacrime agli occhi, incapace di fare qualsiasi cosa, tranne ascoltare, letteralmente ipnotizzato da ogni singola sfumatura della sua voce.

Proprio come ora.

Forse è perché questa canzone è così... personale.

È “Skylines and Turnstyles”.

Durante le due settimane trascorse quasi sempre allo studio con Frank e i ragazzi, Gerard mi aveva raccontato di cosa parlava la canzone, di quando l’aveva scritta.

L’ 11 settembre. Quell’11 settembre. Era a New York. Aveva visto tutto. Aveva pianto. Aveva cercato un modo per levarsi quelle immagini dalla testa, e solo quando si era trovato con un foglio e una penna tra le mani era riuscito a placare il suo dolore. Aveva scritto. Aveva scritto la sua angoscia, il suo terrore, la sua paura.

E aveva deciso. Aveva deciso di non tenere tutto per sé, aveva avuto il coraggio di rischiare e condividere i suoi sentimenti attraverso la musica, e lo ammiro per questo.

Così eccolo qui, con la sua maglietta con la scritta “Thank You For The Venom”, a sgolarsi per la prima volta davanti a dei ragazzi, pur di dir loro che no, non sono soli quando hanno paura.

Mi ci vuole poco per condividere il pensiero di Frank.

Adoro questa band.

 

 

 

***

 

 

 

«Allora, cosa ne pensi? Non sono fantastici?» le chiedo, finito lo show. Data l’euforia del pubblico, direi che sono piaciuti non poco.

Lei annuisce, entusiasta. «Assolutamente fenomenali. Avevi ragione.»

«Certo che ce l’avevo! Ho un fiuto impeccabile in fatto di musica, sai?»

Mi guarda scettica. «Hai un fiuto impeccabile, eh?» sorride «Comunque  è superfluo dire che anche la tua band è fantastica, dico davvero.»

Un brivido mi percorre lungo la schiena alle parole “tua band”.

«Beh, non so ancora per quanto i Pencey Prep saranno una band...»

A quelle parole mi guarda, sorpresa. «Perché? Che succede?»

Ovviamente non può sapere che nelle ultime riunioni della band, anche quelle dove provavamo e tutto sembrava andare per il meglio, c’erano delle tensioni.

Non può sapere che negli ultimi tempi Shaun e Tim avevano fatto velate allusioni alla loro imminente uscita dalla band per dedicarsi più seriamente agli studi.

Credevano ancora che fosse stata un’esperienza unica, che fosse stato fantastico registrare un album, che avevano realizzato un sogno, ma che fosse destinato a finire presto.

Non se la sentivano di trascorrere un’intera vita nel mondo della musica. Non era per loro.

«Shaun e Tim probabilmente lasceranno la band.» dico, con un tono incolore, ma stringendo i pugni.

Lei sembra seriamente preoccupata. «E per quale motivo?»

«Dicono che vogliono continuare gli studi. Che è stata una bella esperienza e tutto, ma che non fa per loro.» ora non riesco a nascondere una punta di amarezza nelle mie parole.

Sta in silenzio per un attimo, poi mi guarda decisa, cercando la mia mano.

«Tu sei un chitarrista eccezionale, Frankie. E anche se i Pencey Prep si scioglieranno, tu troverai un modo per suonare comunque. Fa parte di te. Hai troppo talento per lasciar perdere.»

Istintivamente mi verrebbe da dirle che anche lei ha troppo talento per stare rinchiusa in un’università, che anche lei e la musica sono una cosa sola.

Ma non lo faccio. Mi sono reso conto di quanto i suoi occhi si velino di tristezza quando si parla del suo rapporto con la musica. E non voglio costringerla a dirmi quello che sente. Lo farà se e quando ne sentirà il bisogno.

Però cazzo, è tremendamente brava a cantare.

«Lo spero... » dico «Ora che questo capitolo della mia vita sta per chiudersi, vorrei solo che qualcosa cambiasse, e in meglio.»

Lei punta i suoi occhi nei miei. Sono seri e sinceri. «Frank, tu farai grandi cose. E non lo dico tanto per dire... Lo penso veramente. E sicuramente qualcosa cambierà, ed in meglio. Ne sono sicura.» Poi sorride «Ma non è che quando parli cambiamenti... » dice, incrociando le braccia dietro le mie spalle e avvicinando pericolosamente il suo viso al mio. «...intendi anche la ragazza?» L’azzurro dei suoi occhi è ora così vicino, che non riuscirei a staccarmene neanche se volessi. Non posso resisterle. Che voglia di baciarla.

«No, non ti libererai così facilmente di me.» sussurro sulle sue labbra, prima di unirle alle mie.

 

 

 

***

 

 

 

 

...Someone get me to the doctor, and someone call the nurse
And someone buy me roses, and someone burn the church

We're hanging out with corpses, we're driving in this hearse
Someone save my soul tonight, please save my soul


And as these days watch over time,

and as these days watch over time
And as these days watch over us tonight
I'll never let them, I'll never let them
I'll never let them hurt you now tonight

I'll never let them, I can't forget them
I'll never let them hurt you, I promise

Struck down, before our prime
Before, you got off the floor
Can you stake my heart? Can you stake my heart?
Can you stake me before the sun goes down?...

 

 

Eh, sì. Frank ha ragione. Ha proprio fiuto in fatto di musica. E non sono solo io a testimoniarlo. Sono le ondate di ragazzi che ormai da una settimana si riuniscono in questo locale ogni volta che accanto alla voce “Tonight Live:” appare il nome “My Chemical Romance”.

E ovviamente i My Chem non deludono mai le aspettative di chi è qui solo per loro.

Anzi, sembrano migliorare di show in show. Come questo, ad esempio: è stato fantastico.

Gerard è entusiasta e ringrazia in pubblico mentre le note di “Vampires Will Never Hurt You” sfumano via.

Non appena si spengono i riflettori i ragazzi scendono e ci raggiungono al bancone, ordinando subito delle birre.

«Ehy, già iniziate a bere così presto?» dico ridendo non appena vedo Matt buttarsi metà del suo boccale di birra addosso nel disperato tentativo di mandar giù tutto in una sola volta.

«Ehy, bisogna festeggiare un successo del genere!» si giustifica lui.

Unica pecca della band: festeggiano un po’ troppo, a volte.

Ma li vedo più... felici. Da quando si esibisce, Gerard sembra molto più sereno, sembra aver trovato il modo giusto per combattere la sua frustrazione nei confronti del mondo.

Scrivere testi e cantarli è diventata la sua personale terapia, ormai. La giusta cura per il suo male. È strano come la sua situazione sia simile alla mia, con la differenza che io non rischio, che io la musica la guardo  - anzi, sarebbe meglio dire l’ascolto -   da lontano, mentre lui c’è dentro, senza vergognarsi di mettere la sua anima a nudo ogni sera sul quel palco.

Dopo qualche minuto di meritati festeggiamenti, vedo Gerard e Ray confabulare tra loro, per poi voltarsi verso Frank, leggermente imbarazzati, come se dovessero dirgli qualcosa,

ma non trovassero le parole.

«Ehm, Frank...» esordisce finalmente Gerard, scostando nervosamente uno ciocca corvina dalla fronte «...io, Ray...e la band, insomma, siamo piuttosto soddisfatti di come stanno andando le cose, ma abbiamo notato che... beh, abbiamo notato che al nostro sound manca qualcosa. Così il nostro mastermind» indica Ray, il quale lo fulmina con lo sguardo, «ha capito cosa ci mancava: un’altra chitarra. E... noi sappiamo che sei nei Pencey Prep, e che siete affermati e tutto, e quello che stiamo per chiederti è da pazzi, ma... Mikey ti aveva visto suonare, e... abbiamo parlato e abbiamo deciso che... sei il chitarrista che cerchiamo, Frank, e ci farebbe molto piacere se tu volessi far parte My Chemical Romance.»

 

 

 

***

 

 

 

Mi ci vuole una manciata di secondi per rendermi conto di quello che mi è stato appena chiesto. E altrettanti secondi mi ci vogliono per formulare una risposta coerente e di senso compiuto.

Nonostante questo me ne esco con un incredulo: «S-Sul serio? Beh, io... sì! Accidenti, sì! Certo che sì!»

Non credo di essere in grado di esprimere quello che sto provando a parole. È un misto di stupore e felicità.

La band che stimo più di ogni altra... che mi recluta. Sì, perché in effetti mi sento come una specie di soldato reclutato in una qualche missione speciale.

Loro... non sono una band qualunque. Questa band ha qualcosa di speciale, farà qualcosa di speciale, è speciale.

L’ho capito dal primo momento che li ho ascoltati.

È vero, ti ci vuole un po’ per innamorarti della loro musica. Ma lentamente, ti accorgi che quelle parole e quella musica ti sono inesorabilmente penetrati nelle ossa.

E a quel punto è ormai troppo tardi.

Ti prendono anche il cuore e l’anima. Ed è allora che ti rendi conto di non poterne più fare a meno.

E adesso ho l’occasione di farne parte.

Gerard e Ray sembrano increduli almeno quanto me.

Poi le labbra di Gerard si curvano un sorriso.

«Davvero? Wow, pensavo dovessimo faticare di più!» sghignazza infine Ray.

Poi sento Matt darmi delle pacche sulla schiena, dicendo «Benvenuto, amico.»

Lo stesso fa Mikey, esclamando tutto gongolante «Sai che è tutto merito mio, vero? Mi devi un favore!».

Dire che sono al settimo cielo sarebbe un eufemismo.

Dio, non ci posso credere.

Mi giro verso Jul. Mi guarda dapprima sorpresa, poi sul suo viso si apre un sorriso mozzafiato.

Ho voluto lasciare apposta i suoi occhi e le sue braccia per ultimi.

Lei, che non ha mai smesso di credere in me.

Lei, che ha saputo starmi vicino.

Lei che solo una settimana fa, mi diceva che sarebbe andato tutto bene. E che, cazzo, aveva ragione.

«Congratulazioni, nuovo chitarrista dei My Chemical Romance!» ride, posandomi un bacio sulle labbra. «Non ci posso credere, il mio ragazzo che suona in una delle migliori band in circolazione!»

Vorrei solo fare altrettanto per lei.

 

 

 

 

 

Allooooora, sesto capitolo... I My Chem, il loro primo show... il fatto che [cito testualmente da LOTMS] we were terrified” e “we were drunk. Mikey was really drunk.”... xD non lo so, l’ho sempre immaginato così il loro primo show... quattro ragazzi ubriachi e spauriti che cantavano di vampiri “che non ti faranno mai del male”... e guardateli adesso, cosa sono diventati...  *__*

xD Btw, tutto quello che ho scritto a proposito di Gerard e della sua voce, è esattamente quello che provo ogni volta che ascolto una loro canzone [cioè, mediamente... uhm... un centinaio di volte al giorno... xD].

Poi... Frankie è entrato nella band! xD ...Molto probabilmente non è andata proprio così, dato che nel mondo reale le band normali fanno prima un provino come si deve al chitarrista, ma fortunatamente il bello delle storie inventate è che in quanto tali puoi fare accadere quello che vuoi, no? xD

 

Passiamo all’angolo dedicato alle mie due fedeli commentatrici <3 :

 

@dizzyreads: daaaaai ma mi fai arrossire!!! Graaaazieeee! X3 Cooomunque, certo, tutte vorremmo essere al posto suo “solo per sentirlo suonare”, no? xDxD è ovvio! ù.ù  ...ma ci credi che quasi quasi mentre scrivo provo un’inspiegabile  invidia mista ad odio nei confronti di questa ragazza che si può spupazzare Frankie come e quando vuole??? [per non parlare di Jamia... che lucky woman... ç__ç] xD  , lo so, sono un caso disperato... xD btw, queste ispirazioni che vanno in vacanza così, senza preavviso, sono odiose, lo so, ma io resto curiosissima lo stesso, quindi aspetto il momento in cui deciderai di postare la tua storia! xD

Graaaazie ancoraaaaa! =*

 

 

@Lady Numb: dato che spiegarlo a parole mi è  impossibile, e le faccine in questi casi rendono meglio, ecco la mia faccia quando ho letto la tua recensione --> *ç*

xD sono stracontenta che ti piaccia, davvero, non mi sarei mai aspettata che avrei fatto provare delle emozioni a qualcuno con questa storia... in effetti l’idea che ho del rapporto fra Frank & Jules è proprio quella di un rapporto sereno, puro, ed è sorprendente che tu sia riuscita a provare la stessa sensazione [a proposito, certo che puoi permetterti di dirmi cosa pensi della mia scrittura, anzi, devi! xD]... Comunque, sappi che ti invidio da morire... l’ultima lezione! Aaaaah io ci arriverò almeno tra una decina d’anni, se mai ci arriverò! xD

Grazieee!!! =*

 

 

Ne approfitto anche per ringraziare chi legge solamente, grazie anche a voi!

See u soon! =*

xo,

G

 

 

PS: questa volta credo non ci sia proprio bisogno di fare le dovute precisazioni sul titolo del chap, vero??? ;)

PPS: anche se in ritardo, colgo l’occasione per augurare un HAPPY F-ING BIRTHDAY a l’ uomo-straordinario-e-straordinariamente-sexy-nonchè-mio-eroe-e-talentuosissimo-artista-alias-GERAAAAARD!!! xD

 

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Capitolo 7
*** Black Heavy Weight ***


 

 

7. Black Heavy Weight

 

 

 

 

 

Sono quasi con le lacrime agli occhi mentre le note della chitarra di Frank riempiono la piccola stanza. Sono malinconiche, dolci, tristi.

«Wow, Frank questa melodia è meravigliosa...» esclama Ray, sinceramente colpito.

«Sì, è proprio perfetta per “Early Sunsets Over Monroeville”... » dice Gerard in un sussurro. «Direi che il demo va bene così.»

Ha ragione Gerard: la melodia di Frank è perfetta. Rende questa canzone ancor più stupenda. Ed è solo un demo: gli strumenti non sono accordati tra loro, e a volte sembrano completamente scoordinati. Nonostante questo, non ci vuole un genio musicale per immaginare cosa potrebbe venir fuori da una registrazione fatta in uno studio come dio comanda.

Restiamo tutt’e sei in silenzio finché il nastro non finisce. Poi Ray e Gerard annuiscono soddisfatti.

Quest’ultimo preme il tasto “Stop” e estrae la piccola cassetta dal registratore.

«Ragazzi, ora devo proprio andare. Devo finire il mio ultimo disegno, finalmente.» dice poi con un sospiro.

Gerard lavora come fumettista a New York. Beh, sarebbe meglio dire lavorava, dato che ha deciso di lasciare questo lavoro a detta sua “di merda”, per dedicarsi alla band.

E ancora una volta non posso che ammirarlo: è un grande fumettista, e cavolo, disegnava per vivere, e quando gli ho chiesto perché avesse abbandonato, lui ha risposto semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia al mondo: “Perché disegnando non aiutavo nessuno”.

Ecco un altro motivo per amare questa band: quanti musicisti fanno musica per aiutare la gente?

Quanti credono e amano a tal punto la musica da considerarla una medicina migliore di qualsiasi antidepressivo? Loro lo fanno. Loro ci credono seriamente, nella musica.

«Oh cavolo, io devo andare, o il capo mi butta fuori!» Matt si affretta ad indossare il giubbotto, biascicando un “Ciao, a domani” quando è già praticamente quasi fuori dalla porta.

«Ok, allora se le prove sono finite, io vado a casa con Gerard.» dice Mikey riponendo il basso nella custodia. «Devo esercitarmi di più!»

«Oddio, Mike, ti eserciti ogni stramaledetta notte da tre mesi, puoi anche finirla ora!» bofonchia Gerard, visibilmente esasperato.

«Certo, e poi il basso lo suoni tu, vero?» ribatte Mikey, stizzito.

«Ricordi cosa dice Matt?» replica Gerard, sghignazzando «“Neanche il buon vecchio Sid...”»

«Fanculo, Gerard!»

«Per l’amor del cielo, Gee, lascia stare quel tuo povero fratello in pace!» dice Frank scoppiando a ridere.

«Non lo diresti se fossi stato costretto a conviverci da 22 anni!» sbuffa lui.

«Beh, meglio che vada anche io con loro, o questi due finiscono per ammazzarsi per strada.» Ray si mette in mezzo ai due fratelli, trascinandoli verso l’uscita. «Va bene, ora andiamo, ok? Ciaaao, a domani Frankie! Ciao Jul!»

«Ciao, e attento a quei due!» gli rispondo di rimando, ridendo.

Da quanto tempo Frank è entrato nei MyChem? Due settimane. E in due settimane non ho perso neanche una prova e nemmeno un concerto. È strano... l’ultima volta che sono stata così a stretto contatto con la musica è stato tanto tempo fa, e non credevo che immergermi di nuovo in questo mondo sarebbe stato così facile. Così... indolore. Non dopo... la mia promessa.

Forse è ancora una volta la vicinanza di Frank: mi sto rendendo conto a poco a poco di quanto troppe cose stiano cambiando da quando c’è Frank.

È diventato una specie di droga personale: quando sono con lui non penso, vivo.

Mi volto verso di lui: è seduto sullo sgabello davanti al pianoforte, chino sulla sua chitarra, e strimpella qualche accordo, fermandosi di tanto in tanto per scribacchiare le note su un foglio. Mi accorgo che la melodia che sta suonando è la stessa che mi ha fatto sentire la prima volta che siamo andati nello studio di Jack.

«Questa è la melodia dell’altro giorno, vero? Mi piace. Hai già le parole?»

Lui alza lo sguardo dalla chitarra, sorridendomi. «Beh, avevo scritto qualche parola... solo che... beh, ecco, questa canzone l’avevo scritta per i Pencey Prep.» abbassa lo sguardo «Pensavo che l’avrei suonata con loro.»

Mi siedo accanto a lui. «Puoi sempre suonarla con loro, no? Hai già un titolo?»

Annuisce. «Pensavo a “Attention Reader”...» poi mi porge un foglio con su scritte le parole. «Questo è il testo che avevo scritto.»

 

 

 

 

***

 

 

 

Lei legge attentamente il testo. «Caspita, è un testo piuttosto… incazzato, ma bello.» conclude, sorridendomi.

Già. Incazzato. Mi ricordo quando decisi di scrivere queste parole. Esattamente 9 mesi fa. Esattamente nel momento in cui il mio cuore ha cessato di battere. Ed ero incazzato, sì, ero incazzato perché credevo che non avrebbe battuto più.

Fortunatamente mi sbagliavo.

Continuo a graffiare distratto le corde della chitarra, mentre lei osserva attenta.

Poi d’un tratto la sento girarsi verso la tastiera del pianoforte. La sento trattenere il respiro mentre alza lentamente il legno nero lucido e scopre la tastiera bianca e nera. Esita prima di allungare la mano destra e premere delicatamente un tasto bianco. Ne esce una nota, un la, puro e limpido.

Quel suono sembra ridarle coraggio: poggia anche la mano sinistra, pigiando una serie di tasti. Solo dopo qualche secondo mi accorgo che gli accordi che suona sono del tutto simili a quelli che stavo suonando prima. La guardo per un breve istante rapito poi, quasi automaticamente, comincio a suonare con lei.

Ne esce una melodia a dir poco perfetta: il suono della chitarra e quello del piano si intrecciano, si ricorrono e si uniscono, dando vita ad una musica stupenda.

Volevo qualcosa di speciale per quella canzone, e questo è proprio quello che cercavo. Il timbro della mia chitarra col suono limpido del piano. Straordinario.

E lei... lei è bravissima.

Sapevo di non doverle credere quando diceva che non era brava.

Sapevo che l’amore per la musica le scorreva nelle vene.

Quello che non so è cosa è successo. Cosa le fa nascondere quest’amore con tutte le sue forze.

Mi volto verso di lei e mi accorgo con sorpresa che ha il volto rigato di lacrime. Non posso sopportare di vederla così.

«Ehy... » le dico, mettendole l’indice sotto il mento e costringendola a guardarmi. I suoi occhi pieni di lacrime mi fanno mancare un battito. «Jul... se hai bisogno di parlare, io... io sono qui.» so che è una cosa stupida da dire, ma non riesco a dire nient’altro. Vederla in questo stato è insopportabile per me. Se almeno sapessi cosa la fa soffrire...

 

 

 

 

***

 

 

 

Non riesco a fermare la lacrime. Eppure potevo fermarmi, potevo evitare di toccare quei tasti bianchi e neri. Ma è stato più forte di me. Dopo tanto tempo, volevo suonare. Ed è bastato questo per rievocare  ancora una volta quei ricordi. E credevo di poterli sopraffare, ma stavolta è stato troppo difficile ignorarli: sono troppo nitidi, fanno troppo male. Ricambio lo sguardo interrogativo e preoccupato di Frank.

Lui merita di sapere, e ormai questa storia è diventata un peso troppo grande anche per me. Prendo un lungo respiro. Poi le parole incominciano ad uscire, quasi da sole, e quel peso nero che avevo nel cuore comincia a poco a poco ad alleggerirsi: «Frank, io... Avevo 8 anni la prima volta che toccai la tastiera del piano. Mi ricordo il giorno che mio padre portò quel piano a casa. Mio fratello Simon aveva iniziato da poco a suonarlo. Era straordinario. In pochissimo tempo aveva già imparato quello che la maggior parte dei ragazzini della sua età imparava dopo almeno un anno. Era quello che si potrebbe definire un piccolo genio, un vero talento. Poco dopo andai anch’io a lezione con lui. L’insegnante stravedeva per Simon, mentre io... beh, io non ero certo al livello di Simon, ma riuscivo a cavarmela abbastanza bene... E poi era fantastico quando mi sedevo al piano con lui: tutto sembrava così semplice... Più tardi mi fece scoprire il canto e la chitarra: me ne regalò una per i miei 13 anni, mi insegnò come ricavarne semplici accordi... io e Greg passavamo ore a scrivere testi di canzoni e poi a cercare di trovare una melodia. Intanto Simon era diventato un professionista: aveva dato un sacco di esami, studiava duro per poter realizzare il suo sogno, tanto che decise di trasferirsi a New York. E finalmente ci riuscì: a 19 anni riuscì ad entrare alla Juilliard. Io e i miei genitori eravamo così dannatamente orgogliosi di lui. Da lì fu un’ascesa rapidissima, in poco tempo divenne il pianista più apprezzato di tutta New York. I concerti si susseguivano, e si esercitava notte e giorno per cercare la perfezione... Non si rese conto di quanto la sua ossessione maniacale per la perfezione gli stesse facendo perdere se stesso... Sembrava che non ci fosse altro, si esercitava di continuo, si lamentava perché il tempo non gli bastava, perché non riusciva a concentrarsi... » sento una fitta al cuore, mentre quelle immagini mi assalgono. Le lacrime si fanno ancora spazio prepotentemente. «Iniziò con roba leggera, Hashish, Marijuana. Poi però passò alla Cocaina e all’Ecstasy. Così accadde. Durante il suo concerto più importante lo vidimo accasciarsi sulla tastiera. È stata la notte più lunga della mia vita. I medici ci dissero che avevano fatto il possibile. Ci... ci dissero che ne aveva assunta troppa.»

«Da quel giorno il pianoforte sparì da casa mia. Mio padre e mia madre erano disperati: dicevano che era tutta colpa loro, che se non avessero mai comprato quel piano, non sarebbe mai successo. Poi dissero che non avrebbero mai permesso che anche la loro unica figlia avesse fatto la fine di Simon. Ricordo la sera in cui, seduti accanto a me con le lacrime agli occhi, mi fecero promettere che non avrei mai più suonato, che sarei stata lontana dal mondo della musica. Mi fecero promettere che sarei andata all’università e avrei trovato un lavoro come tutti gli altri. Mi fecero promettere che non sarei mai finita come Simon. Io dissi di sì. Glielo promisi. E finii per convincermi che la musica non faceva per me, che il mio destino era vivere una vita come tutte le altre, studiare, trovare un lavoro. Avrei continuato ad ascoltarla, perché non avrei potuto evitarlo, ma non avrei mai più pensato a una carriera musicale. Solo che non mi accorgevo che quello che facevo non era vivere. Io cercavo di sopravvivere. E Simon mi mancava così tanto...»

Per tutto il tempo in cui ho parlato ho tenuto lo sguardo puntato a terra. Ora lo alzo verso Frank: «Poi ho incontrato te. E tutte le mie convinzioni sono crollate come un castello di carte. Ho visto la gioia e la passione che metti quando suoni. Ho riscoperto la stessa passione che Simon aveva i primi tempi. E quando sono con te... è tutto così dannatamente semplice. Non sento il senso di colpa assalirmi. Anzi, sembra che stia facendo la cosa più giusta del mondo. Quando sono con te io non mi lascio vivere. Io vivo.»

Le lacrime continuano a scendere senza sosta mentre lui cerca di asciugarle con la mano, posando delicatamente le sue dita sulla mia guancia. «Oddio Jul, deve essere stato terribile. Mi dispiace tanto...» dice stringendomi a sé, e accarezzandomi i capelli. «Ma Jules... ti ricordi cosa mi hai detto? La musica fa parte di te. E anche tu hai troppo talento per tirati indietro. Non lo capisci? ...Non puoi andare contro qualcosa che hai nel sangue. Credevi veramente di poter passare una vita intera così? Non... non puoi sentirti in colpa per questo. Non puoi sacrificare la tua felicità. Perderesti una parte di te... E sono sicuro che i tuoi la penserebbero come me se vedessero la passione che metti quando canti e suoni. Tu sei nata per fare questo, si vede che è il tuo sogno. E quando si parla di sogni, non puoi permettere a nulla di fermarti. È vero, devi combattere, devi soffrire. Ma non devi mai voltare le spalle al tuo sogno. Mai.»

Mi guarda serio, quelle sue bellissime iridi luminose dal colore mozzafiato puntate nelle mie.

È incredibile l’effetto che ha su di me.  

Le sue parole sono dolci, rassicuranti. Sì, quando c’è lui mi sento al sicuro.

«Grazie» è tutto quello che riesco a dire tra i singhiozzi mentre mi stringo a lui. Ma non l’ho mai detto con tanta sincerità.

«Io sono qui.» mi ripete lui, cullandomi tra le sue braccia.

 

 

 

 

 

 

Eeeeehm... Chiedo perdono e mi cospargo il capo di cenere per il ritardo... Ma sapete com’è, tra genitori che se ne vanno tutti felici a fare crociere in Egitto e coinquiline che ti trascinano di qua e di là a mangiare crêpes, ti resta poco tempo per scrivere.. ;)

Allora... Vediamo, di questo capitolo non sono pienamente soddisfatta, ma purtroppo credo che questo sia il massimo a cui la mia fantasia e la mia capacità di scrittura possono arrivare... xD                                                                                                    

Finalmente abbiamo scoperto il mistero di Jules, il suo passato doloroso e la sua decisione di stare lontano dalla musica... e chissà se deciderà di ascoltare le parole di Frankie [ragazzo saggio quel Frankieboy u.u]...

Per quanto riguarda la canzone, è vero che la parte di pianoforte in “Attention Reader” è non esattamente predominante, ma è stato proprio ascoltando quella canzone che mi è venuta in mente tutta l’idea per il passato di Jules [anche se con il testo della canzone non c’entra niente, eh...] Non so se vi piaccia, non so se è troppo melodrammatico o troppo esagerato, ma [ripeto] questo è il massimo a cui le mia facoltà mentali possono arrivare... xD

A proposito di canzoni, il titolo del chap stavolta non è il titolo di una canzone, ma è parte del testo di “Battle For The Sun” dei Placebo.

E passiamo alle mie commentatrici [che (*ç*) sono aumentate!]

 

 

@Lady Numb: woooow ma sono coooosì contenta che ti continui a piacere... [te l’avevo già detto da qualche parte, eh?? xD]! Cooomuque, intanto hai visto che Jul finalmente è riuscita ad aprirsi e a raccontare il suo passato a Frank, che (ovviamente) si è mostrato un gran gentiluomo... Ed è anche riuscito a liberarla almeno in parte da quella malinconia che la pervadeva... E poi, chi resisterebbe davanti ad un Frank Iero che ti fa gli occhi dolci e ti sussurra certe parole??? *ç*  ...Grazie ancora per la recensione! =*

 

@dizzyreads: xDxD me lo immagino proprio Frank che porta un cero in chiesa... Solo che dopo l’avventura del video di Helena quando ha tentato disperatamente di saltare nella ‘coffin’, dubito che lo facciano entrare più in una chiesa [in quella scena ho riso per mezz’ora di seguito... ma come fa mr. Iero ad essere cooosì fantasticamente fantastico e meravigliosamente meraviglioso???? ;)]! Ciemmeccù, ho visto che hai postato la storia!!! *__* Purtroppo non ho avuto il tempo di leggerla come si deve ç__ç, ma rimedierò il più presto possibile! =*

 

@Hey There Delilah: *prostrandosi con occhi luccicosi davanti alla Lils* aaaaaawww ma davvero, tutti questi complimenti mi fanno rincretinire!!! xDxD Mi fa piacere che ti piaccia la storia, e i personaggi, e la dolcezza, e... te l’ho già detto che mi fai troppi compliments??? *ç* La sottoscritta non se li merita! xD Cooomunque, sììì anche io adoro capelli rossi-occhi azzurri... sugli occhi ci siamo più o meno [anche se i miei sono un azzurro-grigio-blu-verde-giallo (sìsì, hai letto bene, attorno alla pupilla sono tipo GIALLI, stile vampiro o.O)], quanto ai capelli... ci sto lavorando [con scarsi risultati però! xD]... bah, comunque nel mio caso c’è poco da fare, la natura è stata davvero pessima con me T__T... aaah ma perché devo divagare sempre??? Allora, tornando seria [sempre se lo sono mai stata]... dicevamo... spero che anche questo chap un po’... come dire... malinconico, ti sia piaciuto... e graaaaaazie ancora per le recensioni e per i complimenti! =*

 

@jessromance: nuova lettriceeeee *__* xDxD dispiace anche a me che devi aspettare tanto, so cosa significa, ma [grrrrr] purtroppo la vita di una studentessa fuori sede è dura! xDxD Sono contenta comunque che tu abbia trovato il tempo di recensire, e spero che il seguito ti piaccia! =*

 

A prestoooo :*

xo,

G

 

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Capitolo 8
*** Touch The Sky ***


 

8. Touch The Sky

 

 

Non avevo mai raccontato a nessuno la storia di mio fratello. Avevo provato ad ignorarla, avevo provato a continuare a vivere, come si dice in questi casi. Così facile a dirsi. Ma dio, se era difficile a farsi. Come avrei potuto continuare a vivere senza l’ossigeno di cui i miei polmoni avevano bisogno? Mi sarei dovuta accontentare di un surrogato, di un’aria sporca e malsana, ma tuttavia respirabile, per mantenermi in vita e sopravvivere. E così avevo fatto. E Greg era l’unico che lo sapeva.

Greg mi aveva vista distrutta, mi aveva vista mettere la chitarra che Simon mi aveva regalato in uno scatolone a marcire in soffitta, mi aveva vista piangere, mi aveva anche visto nel mio disperato tentativo di buttare via tutti i dischi e tutti i libri di musica che avevamo... e poi aveva cercato pazientemente di aiutarmi. Aveva ripreso i dischi, li aveva ascoltati insieme a me. Aveva cercato di rendere la mia aria un po’ più respirabile.

«Puoi anche smettere di suonare se vuoi», mi ripeteva imperativamente «ma non permetterò mai che tu smetta di ascoltare musica.»

Aveva anche cercato di farmi suonare ad un certo punto, ma quello per me era troppo doloroso, e lui l’aveva capito, così, seppur a malincuore, aveva lasciato perdere.

Chissà, forse credeva che prima o poi, quando avrei superato del tutto il mio dolore, avrei ricominciato a suonare di mia spontanea volontà. O forse sperava proprio che prima o poi avrei incontrato qualcuno che mi avrebbe fatto scoprire che la mia passione non era finita, ma era solo ben nascosta sotto strati e strati di senso di colpa, paura, e ricordi.

Ed è stato proprio così. Se ora volevo ricominciare a suonare e cantare, lo dovevo sì a Frank, ma in parte anche a Greg.

E forse è stato proprio per questo che subito dopo aver raccontato tutto a Frank, e aver deciso di ricominciare a vivere della mia passione, la prima persona a cui l’ho detto è stato proprio lui, Greg, il mio migliore amico, che subito dopo è spuntato davanti casa mia trascinando uno scatolone, lo stesso scatolone in cui quello che mi sembrava un secolo fa avevo abbandonato la mia chitarra.

«Lo sapevo che prima o poi avresti ricominciato a suonare, così l’ho portata a casa mia. Non potevo lasciarla ad impolverarsi in quella vecchia soffitta!» aveva esclamato.

E io gli ero saltata addosso, abbracciandolo e ringraziandolo per non aver smesso di credere in me.

E così eccomi qua, strimpellando accordi che credevo di aver per sempre dimenticato sotto gli occhi stupiti di Ellen.

«Non sapevo sapessi suonare!» dice, colpita. Poi il suono del citofono la fa sobbalzare. «Uhm, aspetta qui il tuo principe azzurro, vado io ‘che tanto devo uscire. Ciaao

Pochi secondi dopo sento la porta di casa aprirsi e lo scambio di battute tra Frank e Ellen, e mi affaccio nel corridoio giusto in tempo per vedere la faccia ancor più da bambino del solito che ha Frank.

«L’abbiamo trovato!»

Mi corre incontro, e io lo guardo stupita e divertita mentre mi cinge i fianchi e mi solleva da terra, stringendomi in un abbraccio stritolatore.

«Frank, cosa... non... respiro così...» tossicchio.

«Oh! Scusa!» esclama lui, sciogliendo l’abbraccio senza smettere di ridacchiare. «E’ che... l’abbiamo trovato, abbiamo il produttore  e la casa discografica!»

Ora è il mio turno di stritolarlo.

«Cosa?! Oddio, Frank, è meraviglioso! Cosa...? Chi...?» 

«Non ci crederai, è Geoff Rickly, dei Thursday, e la casa discografica è la Eyeball Records! Proprio come volevamo!» dice prima di abbracciarmi di nuovo.

Eh sì, sembra veramente un bambino, un bambino esuberante e vivace. Ma è per questo che lo adoro. Mi fa ridere, mi fa stare bene. Dio, se sto bene quando c’è lui. E vederlo così felice, così entusiasta, non può che farmi stare bene. Ormai ho smesso di chiedermelo, e ho accettato l’evidenza: Frank è contagioso. O almeno, su di me ha questo effetto.

Guardo quei suoi occhi luminosi mentre posa la chitarra accanto alla mia scrivania, e finalmente sembra che tutto abbia un senso, che io sia al posto giusto, che abbia trovato il mio posto nel mondo. Credo di essere irrimediabilmente e incondizionatamente innamorata di lui.

«Sul serio?! È... è.... incredibile, e... Sono così contenta per voi!»

Sull’argomento casa discografica e contratto i MyChem erano stati categorici fin dall’inizio: nessuna grande casa discografica pronta a sacrificare la loro musica a favore della loro immagine e di denaro a palate. Gerard - ma non solo -  non transigeva su questo. Ecco perché, nonostante avessero ricevuto richieste anche da importanti major, avevano educatamente rinunciato. La Eyeball Records era  invece quello che fa per loro: un’etichetta indipendente che li avrebbe lasciati liberi di esprimersi ed apparire a modo loro, soprattutto con Geoff Rickly come produttore.

«Ho già detto che sono contentissima? Voglio dire, avete tanto sperato in una casa discografica come questa, e ora finalmente l’avete trovata, e sarà un album magnifico, me lo sento, davvero, e...»

«Ehy, shhh...» mi dice, con quella sua espressione divertita, poggiandomi un dito sulle labbra e avvicinandosi al mio viso. E, ok, ho i brividi. «Sbaglio o ero io il logorroico, qui?» sussurra poi, sfiorando le mie labbra con le sue.

«Beh, dipende dai punti di vista... » dico, cercando di ricompormi. Poi noto qualcosa luccicare dietro la sua spalla. La sua chitarra. Pansy. Ma non sono le lettere argentate viste già altre mille volte che attirano la mia attenzione. È una lettera, una “J” contornata da un cuore che risalta nera sul grigio della tracolla. Potrei giurare che fino a poco tempo fa non c’era. «E quella?...» dico avvicinandomi alla chitarra.

 

 

 

***

 

 

 

Beccato. Ok, va bene, è una cosa stupida, lo so. È da stupido ragazzino innamorato, esattamente come il cantare a squarciagola “Romeo & Juliet” in macchina. Ma è stato più forte di me. Mi sono ritrovato con un pennarello nelle mani, e poi ho visto Pansy, e tutt’un tratto la sua iniziale mi parsa la cosa più ovvia da scrivere. Ecco, ora mi crederà un cretino ritardato. Oppure un maniaco.

«Ehm... beh, è la “J” di Jersey, no? Sai quanto adoro questo posto...» ma non suono molto convincente. Decisamente no.

«Mmm mmm...» ok, non è convinta, e mi guarda divertita. Meglio optare per la verità.

«Ok, è la “J” di Julia. Mi arrendo.» dico poi alzando le mani in segno di resa. Lei si avvicina di nuovo a me. «E’ che... » ma non riesco a concludere la frase, perché mi ritrovo le labbra impegnate a baciare le sue.

E poi di nuovo i suoi occhi puntati nei miei, in una delle nostre mute conversazioni che ci hanno accomunato sin dall’inizio.

Questa ragazza... questa ragazza mi farà perdere la testa. Non so cos’è stato, non so perché, ma dal momento in cui l’ho vista, ho capito che aveva qualcosa di speciale. Una ragazza così semplice e come tutte le altre in apparenza, ma basta soffermarsi a guardare i suoi occhi per capire che ha un mondo dentro di sé. Un mondo nuovo, tutto suo, di cui ho scoperto di voler far parte a tutti i costi. Un  mondo in cui c’è stata sofferenza, sì, ma in cui arde anche una passione e una voglia di credere nei propri sogni che, anche se ben nascoste, non possono sfuggire a chi le sta accanto.

E ora mi ritrovo qui, sentendomi felice quando lei è accanto a me, e non vedendo l’ora di riabbracciarla e sentire il suo profumo quando non è con me. Non mi è mai capitato prima, con nessuno.  Potrei quasi definirla una... dipendenza. Se c’è lei, tutto è giusto; quando lei sorride, il mio cuore sembra fermarsi per poi riprendere più veloce di prima. E ho cercato così tanto queste sensazioni, le ho desiderate con tutto il cuore, e adesso, finalmente, grazie a lei le ho ritrovate. Non so nemmeno cosa sia esattamente, non so se l’ho mai provato prima, o se mi ero solo illuso. Non trovo le parole per esprimerlo. Ma loro evidentemente trovano me, perché mi ritrovo a sussurrare due parole, cinque lettere, che la fanno sorridere e rabbrividire allo stesso tempo dalla sorpresa.

 «...ti amo.»

E la bacio. La bacio come se non l’avessi mai baciata prima, la bacio con la consapevolezza che quelle non sono state solo due parole buttate lì, per riempire il silenzio. Quelle cinque lettere le ho sentite, sono partite dal cuore, che in questo momento batte impazzito nel mio petto. E non c’è tempo per pensare, non c’è tempo per meravigliarsi di quanto facile sia stato.

La bacio sentendo i brividi lungo la spina dorsale quando lei mi passa una mano tra i capelli e io le accarezzo delicatamente il collo. E il cuore continua la sua forsennata corsa mentre i nostri corpi si avvicinano sempre più, mentre le mani scorrono veloci sulle nostre pelli, mentre ci avviciniamo al letto, come spinti da una mano invisibile.

Poi mi sorride. E non posso fare a meno di fermarmi qualche istante a contemplare quel suo sorriso bello come non lo è stato mai, che mi fa scoppiare il cuore. Solo dopo pochi istanti mi rendo conto del perché questo suo sorriso mi appare più bello e luminoso del solito: finalmente ha contagiato anche i suoi occhi.

Sento le sue dita posarsi sul mio collo e tracciare delicate il contorno del mio scorpione. E scopre a poco a poco tutti i miei tatuaggi, segnandone i contorni, restandone incuriosita, mentre io accarezzo la sua pelle liscia, bianca, soffermandomi sul suo ombelico, ma senza mai perdere di vista i suoi occhi, quegli occhi azzurri che adesso, anche al buio, sembrano brillare di tutta la luce del mondo. I nostri cuori corrono impazziti, ma la nostra non è una corsa: è una lenta scoperta dei nostri corpi, di ogni neo, di ogni centimetro di pelle.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Qualcuno mi aveva mai detto “Ti amo” così? Me l’aveva mai sussurrato dolcemente, quasi come se temesse di rompere un incantesimo? No. Non era mai successo, ed è per questo che sono senza parole, ma con una voglia matta di continuare a baciarlo per sempre. Ancora una volta in preda alle emozioni. In così poco tempo Frank mi ha insegnato a mettere da parte la razionalità, e a godermi la vita così come viene, senza rimuginarci su, senza pensare ai “se” e ai “ma”. Spensierata. Proprio come lui. Un attimo prima eravamo a ridere e scherzare, e ora ci ritroviamo sul mio letto, a baciarci come se questa fosse l’ultima volta. E la cosa più sorprendente è che non mi chiedo neanche insistentemente il perchè, non analizzo ogni particolare, perché finalmente ho imparato ad apprezzare la spontaneità degli eventi. Frank mi sta insegnando a vivere.

Incontrarlo è stato come... come aver vissuto per anni sotto terra respirando quell’aria malsana ed essermi ritrovata di colpo sulla terra a respirare l’ossigeno che di cui i miei polmoni avevano disperatamente bisogno. Lui è stata la mia prima, vera boccata di aria fresca, pulita, sana. E adesso non voglio e non posso farne a meno, voglio averne sempre di più, voglio respirare quell’aria fresca fino a farmi scoppiare i polmoni.

Ed è per questo che lo bacio con più foga, con più passione, cercando di fargli capire che per me lui è tutto, che senza di lui sarei ancora nel mio mondo quadrato e senza curve, freddo, piatto e senza emozioni vere, sarei sulla mia strada dritta e senza deviazioni improvvise. Lui è stata la mia deviazione improvvisa. Una deviazione che mi ha fatto scoprire che il mondo vero, la vera realtà, non è quella che mi sono prepotentemente costruita intorno a me, nella vana e ingenua speranza di proteggermi; la realtà sta fuori dalla mia strada dritta e a senso unico; sta nelle frenate brusche, nelle accelerazioni improvvise, nell’adrenalina di affrontare una curva senza vedere né sapere ciò che ci sarà dopo. La realtà sta nell’emozione di baciare la persona che ami, nel sentire la sua pelle scottare contro la tua, nella voglia di sentirsi un unico corpo, un’unica anima.

Esattamente ciò che sento in questo momento.

Mi ritrovo ad osservare affascinata ogni centimetro della sua pelle, sulla quale spiccano quegli strani disegni che sembrano raccontare una storia misteriosa, una vita intera.

Lui mi scosta un ricciolo davanti agli occhi, fissando il suo sguardo nel mio, e sembra leggermi dentro, sembra capire perfettamente le mie mute parole d’amore sussurrate con lo sguardo. E mi sento per la prima volta nuda, di un nudità non tanto fisica, quanto dell’anima.

Potremmo restare così per ore, solo a guardarci, ad intrecciare i nostri sguardi e a dialogare tramite essi.

Le sue mani esplorano la pelle della mia pancia, mentre i nostri indumenti finiscono uno dopo l’altro a terra. Ed è strano, ma il tocco delle sue dita, la delicatezza con cui mi sfiora la pelle attorno all’ombelico, mi ricorda la sua chitarra. Esattamente come la sua chitarra mi tratta con cura, come se fossi la cosa più preziosa e fragile. Esattamente come il vibrare delle corde della sua chitarra, io rabbrividisco ad ogni suo tocco. E la musica che ne viene fuori è anch’essa una musica fatta di sospiri e di sorrisi, di respiri mozzati fra un bacio e l’altro.

E tutto quello che mi viene in mente nel momento in cui ci uniamo è il cielo stellato, e la sensazione di esserci così vicina da poterlo toccare con un dito.

«Frank... ti amo anch’io.»

 

 

 

 

 

Ooook, io lo so, so di fare schifo, uno schifo di quelli megagalattici, ma sono stata letteralmente sommersa di esami, e ancora me ne aspetta uno il 15 Luglio (già già, TorosaurusB-Day!)...

Comunque, tornando alla storia, vi annuncio che in questa ff sto dando il peggio di me! xD Solo quando finisco mi rendo conto delle mielosità che scrivo... e vi assicuro che non è proprio da me! xD Oh beh, sarà l’effetto Iero... o il caldo... o forse un eccesso di mielosità repressa! xD

Su questo chap non c’è molto da dire in effetti... ho detto praticamente tutto riducendolo ad una semplice parola: MIELOSO... xDxD se quelli di prima vi sembravano dolci, questo è proprio un inno al diabete... xDxD E poi la “J” su Pansy re-interpretata come l’iniziale di Jules, beh... non ci sono parole, lo so -.- ...Tutta colpa dell’ EFFETTO IERO! xDxD Anche se la nostra Jules è la prova lampante che all’effetto Iero non si può resistere, no no, sfido io! ;)

Mettendo da parte i miei vaneggiamenti, passiamo alle recensioni e alle mie commentatrici che non smetterò mai di ringraziare <3:

 

@dizzyreads: io spero che tu mi perdonerai, perché dopo aver detto che non vedevo l’ora di leggere la tua storia, non sono riuscita a leggerne neanche un capitolo! :( Tutta colpa di questi fuckin esami! T.T ...Tornando alla tua recensione dello scorso capitolo, mi ha fatto molto piacere che ti sia piaciuto, soprattutto perché credo che tu abbia capito esattamente i sentimenti di Jules dato che suoni la chitarra... Quanto ti invidiooo! xD Mi piacerebbe da morire imparare a suonare la chitarra come si deve e di smetterla di strimpellarla!... xD Comunque, ti chiedo ancora perdono, e ti ringrazio ancora!

 

@Lady Numb: xD come avrai potuto notare, avevi ragione, gli esami hanno letteralmente rubato ogni secondo a mia disposizione, ma confido nella tua comprensione, perché tu sicuramente ne saprai qualcosa! ;) Btw, grazie per la recensione, grazie per apprezzare capitolo dopo capitolo la storia (te l’avevo già detto?? xD), ma davvero, lo dico sul serio, anzi, come direbbe Gerard “I mean it” ...E spero che sia riuscita a farmi perdonare almeno un po’ con questo capitolo zuccheroso e mieloso e dolcioso! :*

 

@jessromance: mi dispiace davvero per aver dovuto farti aspettare così tanto, ma spero che il chap ti piaccia anyWay xD. Grazie anche a te per la recensioneeee! :*

 

@MemiRock: nuova commentatrice! xD, hai lasciato due recensioni e non ho ancora risposto neanche a una... xD Perdonami! Comunque, cosa dire?? Mi fa un immenso piacere che la questa ff ti piaccia, è sempre bello trovare nuove recensioni di nuove lettrici che come me amano la musica, e in particolare la musica dei My Chem... Quindi ti ringrazio, e spero che il seguito non ti abbia deluso! :*

 

@Hey There Delilah: xD direi che stavolta in madornale ritardo c’è la sottoscritta! xD Ah, comunque non ti preoccupare del ritardo, l’importante è che la storia ti piaccia! :) Cosa dire, le tue recensioni mi lasciano sempre con la faccia tipo *ç* e mi fanno veramente piacere of course! Mi fa piacere anche il fatto che ti sia affezionata ad un personaggio come Simon, e soprattutto che il passato di Jules non ti sia sembrato troppo esagerato...  Btw, se devo essere sincera, anche io quando ho scritto “Juilliard” ho avuto una specie di brivido sinistro... Mette ansia, vero?! xD Grazie per i complimenti, per la recensione, e per il supporto! :***

 

Titolo chap: anche se molto generico, mi è venuto in mente ascoltando “I Like It”, dei Lacuna Coil [ma ovviamente il contenuto della canzone non c’entra col contenuto del capitolo... Tranne il chorus! ;)].

 

Grazie anche a chi legge solamente! ;)

 

xo,

G

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