FACETS OF THE SAME DIAMOND

di MollY_gIaDa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** London Bridge is Falling Down ***
Capitolo 2: *** 狂気 ***



Capitolo 1
*** London Bridge is Falling Down ***


London Bridge is Falling Down

# Salve!

Allora, ho solo una premessa da fare: i personaggi principali, essendo due, saranno separati da questo simbolo *§*. Per rendere più chiara la scrittura!

Bene, beh, direi di poter iniziare! Il titolo è scritto sotto forma di banner: London Bridge is Falling Down!

 

MollY_gIaDa

- Diversivo……- irruppe lei incrociando le braccia al petto.

- Cosa?-

- È uno stratagemma per depredare la stanza dei gioielli reali!-

- Impossibile signorina Greengrass! Non dica assurdità!- urlò il signor Rachof battendo il pugno sulla scrivania di vetro opaco. Fogli erano sparsi qua e là, come se un ciclone fosse appena passato. Astoria aggrottò le sopracciglia e si appoggiò di peso su una gamba.

I lunghi capelli biondi erano sciolti tranne qualche ciuffo trattenuto dietro alla nuca.

Gli occhi di color verde chiaro, evidenziati dal mascara nero, rivolti al cielo rivelavano la sua impazienza. L’agilità della sua figura era sottolineata da una divisa di pelle nera, che metteva in risalto il corpo minuto ma atletico.

Nell’ufficio di Rachof, capo del gruppo Fenix, sezione del Dipartimento di Protezione Magica della Corona Inglese, in quel momento si respirava un’aria inquieta e densa d’attesa.

Ok, mi considerano sempre una cretina…. Pensò tra sé Astoria appoggiandosi al muro grigio dello studio e osservando annoiata le foto appese alle pareti.

- Bene, direi di far evacuare immediatamente tutti gli edifici all’interno delle mura! Soprattutto questo! Sbrighiamoci! Chi vuoi che riesca a penetrare le difese, Greengrass, visto che il museo è blindato???- ordinò Rachof, uomo sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e occhi neri che infondevano sempre una certa sicurezza.

Mentre tutti gli altri agenti presenti alla riunione annuirono convinti e impazienti di andarsene velocemente la Tower of London Astoria replicò a denti stretti – Nessuno….- rivolgendo al capo un’ironica espressione.

Aveva imparato che nella vita era necessario adattarsi alle situazioni ma concedere ai propri pensieri di vagare liberi per il cervello.

Schiva con il genere umano e amorevole solo con Scorpius, suo figlio di un anno e la quantità smisurata di rettili che possedeva a casa, viveva in un piccolo appartamento del centro, ma passava quasi tutto il suo tempo in ufficio, dove aveva la possibilità di tenere con se il bimbo, non rinunciando così al suo ruolo di mamma.

Non si lasciava intimorire da nulla e per questo a volte si sentiva in qualche modo al di fuori del mondo, come se per lei essere sulla terra fosse una semplice casualità.

- Perfetto! Dunque, usciamo immediatamente!- confermò il vicedirettore, tipo biondo e con un’aria da saputello, come chi conosce troppo bene le regole.

I membri della Fenix in divisa nera, come Astoria, si dileguarono immediatamente e iniziarono rumori convulsi di porte degli uffici che sbattevano nella corsa frenetica per raccattare le ultime cose.

La Fenix, associazione di maghi era nata dopo la guerra contro Lord Voldemort con il compito di proteggere i luoghi del paese di maggior interesse e affluenza.

Uno di questi era la Tower of London, soprattutto la stanza dei gioielli reali.

Astoria però uscì per ultima e lentamente chiuse la porta dell’ufficio alle sue spalle.

Tutto era iniziato quella mattina, quando un messaggio anonimo indicava la presenza di una bomba sul London Bridge, perciò, senza indugio l’intera zona era stata evacuata, tranne il loro dipartimento che doveva mettere prima in sicurezza l’intero museo.

Che babbei! Sbuffò Astoria scuotendo la testa e avviandosi verso l’esterno degli uffici.

Camminò lentamente attraversando i lunghi corridoi di un bianco algido.

Il luogo solitario era impregnato solo dall’odore acre di prodotti per la pulizia dei pavimenti, che indicavano l’ora dell’alba, quando gli edifici sono appena aperti.

Scese velocemente le scale di marmo e serrò la porta.

L’aria fredda e gelida la investì come uno tsunami e si ricordò di aver dimenticato il cappotto in ufficio.

Estrasse la bacchetta e cominciò a correre verso l’edificio dei gioielli reali.

Era nel cortile interno della Tower of London che di solito è visitato da persone di ogni nazionalità attratte dalla fascino dei vari edifici storici.

Diede uno sguardo fugace alla White Tower, dove erano contenute le armi di Enrico VIII; infatti sin da piccola le storie babbane e i racconti che parlavano di epoche lontane la affascinavano.

Mentre correva, piccoli sbuffi di vapore, che s’inseguivano rapidamente fino a scomparire nel cielo plumbeo, le uscivano dalle labbra dischiuse.

Il pavimento lastricato era cosparso da pozzanghere tipiche delle precipitazioni piovose di Londra.

Le grandi querce, rinsecchite per la bassa temperatura, erano radicate sul manto verde del tipico prato inglese in netto contrasto con il grigio paesaggio e ciò creava un violento effetto cromatico.

Astoria continuò la sua corsa fino a fermarsi di colpo davanti al lungo edificio, al cui interno, dentro ad una camera blindata e protetta da incantesimi, erano conservati i gioielli della corona.

Alzò la bacchetta fino a puntarla dritta davanti a sè in un gesto difensivo mentre il respiro, diventato più calmo faceva muovere piano il torace della giovane donna.

Si guardò intorno prudente anche se un po’ preoccupata, come solo lei alla Fenix faceva; era, infatti, la responsabile delle investigazioni contro i ladri e i vandali del territorio, oltre che dell’elevato livello di difesa dei gioielli.

Aprì il grosso portone calciandolo con lo stivale ed entrò sigillando l’entrata con lunghi e complicati incanti.

 

Si sarebbe fatta esplodere con i gioielli piuttosto che lasciare il posto incustodito.

 

I lunghi corridoi aperti al pubblico erano tappezzati d’immagini, scritte colorate e in qualche sala veniva proiettato il filmato dell’incoronazione della regina.

La stanza in cui doveva entrare Astoria si trovava dietro ad un pesante portone d’acciaio blindato, protetto da una combinazione che pochi conoscevano; sulla parete accanto spiccava un congegno a raggiera simile a un timone per barche.

Si guardò intorno furtivamente prima di digitare la combinazione nel touch screen a lato della porta.

 

Bip

 

La stanza, protetta all’ingresso da una spirale d’energia magica, conteneva una ventina di teche che racchiudevano i gioielli più preziosi del mondo.

- Finite Incantatem…....- pronunciò alzando la bacchetta con noncuranza.

Con passo marziale sfiorò i vetri di protezione grossi quanto il suo pollice.

Corone, collane e mantelli regali erano contenuti lì dentro.

In quel momento si sentì fiera e le venne naturale gonfiare il petto pensando che proteggeva con la sua vita tutto quel tesoro. Quella che ora provava non era certo la sensazione di quando attraversava distrattamente quelle sale piene di turisti che mormoravano parole di stupore.

 

Cavolo, uno di questi oggetti vale quasi come il Pil di tre stati! Pensò ingenuamente, come a convincersi che lei non valeva quanto quei gioielli.

 

Un oggetto la riportò alla realtà facendola bloccare all’istante: lo scettro con incastonato il diamante più grande del mondo. Il brillante dalle mille sfaccettature luccicava quasi di luce propria, irradiato solamente da una piccola lampada. Il bastone dello scettro era in oro puro, intarsiato e decorato con motivi vegetali.

Astoria sospirò e, in attesa del suo paventato avvenimento, si sedette sul pavimento e dalla tasca estrasse l’accendino per accendersi una lunga sigaretta nera.

Un piccolo vizio, che non osava smettere. Non ne era dipendente e sapeva che non ne aveva bisogno per vivere. Solo nei momenti di stress o di rilassamento riaccarezzava quest’abitudine.  

Il fumo grigio cominciò a vorticare verso l’alto, quasi a imitare il movimento sinuoso dei suoi pensieri che ora sgusciavano via, lasciando posto a una solitudine asfissiante, che la opprimeva e che ogni sera la invadeva più intensamente.

 

Una donna bionda, questo le passava per la testa, giovane, identica a lei, ma più matura.

Poi si rivedeva all’età di diciassette anni con i suoi capelli lunghi ma il viso da adolescente.

La donna aveva un’espressione preoccupata sul volto e iniziò a correre: scappava dalle sue urla, simili al gracidare di una rana nella palude.

Era Astoria che la cacciava, minacciandola con una vanga agitata a mezz’aria.

 

Poi, come un ruggito nella desolata savana, irruppe nella sua mente un altro ricordo, più vivido anche se più remoto.

Un uomo.

Capelli biondi, quasi bianchi, pettinati alla perfezione, un ghigno sul volto, il mento squadrato e rigido in contrapposizione alla simmetria di linee curve della sua faccia. Occhi grigi come il fumo che ora aleggiava nella stanza del tesoro.

Le sorrideva e abbracciandola l’amava e lei respirava di felicità come se, fino ad allora, fosse stata in apnea.

 

Infine un bimbo, il suo: ciuffi biondi su una testolina tonda, occhi grigi e malinconici persino per un bambino. Lei lo aveva cresciuto da sola, soffrendo ogni volta che ne incontrava lo sguardo, troppo simile al padre, l’unico uomo che aveva amato.

 

Poi più nulla……

 

Solo buio nella sua testa, che però pareva parlarle più di mille silenzi e la confortava pur nella sua staticità, come se ora Astoria sapesse bene che quell’oscurità per lei ci sarebbe sempre stata.

 

Tumt

 

Un rumore sordo poco dopo risuonò per le stanze dell’edificio giungendo alle sue orecchie come il più forte degli allarmi.

Balzò in piedi e senza indugiare oltre, si nascose velocemente dietro ad una colonna, nell’angolo più buio della sala.

- Nox….- sussurrò facendo un piccolo movimento con la bacchetta e le luci si spensero.

Astoria cominciò ad ansimare al ritmo del suo cuore impazzito che sembrava ubriaco dell’adrenalina che iniziava a scorrerle nelle vene e che le arrivava fino al cervello. Provava sempre un certo brivido ad agire e si sentì come la ragazzina che scorrazzava per i corridoi durante la notte e non la ventiduenne di adesso.

- Dai scemo! Non facciamo idiozie….- una voce di donna, come il più grande dei terremoti, scosse il silenzio.

 

Quella voce……così familiare per lei……risuonava nella sua mente come un tornado……

Sentì dei passi: due tipi di rumore differente, uno felpato come di scarpe da ginnastica e uno dal suono ticchettante scandito da tacchi.

Uomo e donna…… le venne spontaneo catalogare così i due ritmi.

Prese respiro e si sporse dalla colonna e nella penombra distinse le due figure.

Le mancò il fiato e si trovò catapultata nel passato.

 

 

 

 

 

 

*§*

 

 

 

 

 

 

 

- Perché no, scusa?- chiese con fare sbruffone Draco Malfoy.

 

Capelli biondi ormai un po’ spettinati e vissuti che mantenevano comunque la loro lucentezza; i suoi occhi, alla luce delle loro bacchette accese, fissavano ogni minimo dettaglio. Il suo corpo, irrobustitosi negli anni, ora era all'altezza per compiere il colpo del secolo: rapinare i gioielli della corona.

Rimise la bacchetta nella tasca della giacca da viaggio nera e sistemò i jeans con un movimento rapido delle mani.

Poi si volse verso la donna che era con lui, la sua complice da anni: Daphne Greengrass.

Capelli biondo chiaro e occhi azzurri grigi sempre felici di incontrare il suo sguardo.

Sbuffò quasi d’impazienza, squadrando la donna.

Aveva una relazione con lei, ma non era così importante per lui.

 

- Perché rischiamo di fare tardi!- replicò lei con voce stridula, avvicinandosi.

Draco però la strinse improvvisamente tra le braccia e la baciò con passione, quella che si sforzava di dimostrare perchè aveva solo voglia di dimenticare tutto.

Nonostante ciò, si sentì ancora invaso dalle emozioni, che lo riportavano a quelle suscitate dal suo amore passato, quando gli sussurrava appena qualcosa.

 

Cavolo, mi manca! La rivoglio!  Pensò aggrappandosi ancor di più a Daphne, come fosse il suo salvagente per non annegare in quella marea di dannatissimi bei ricordi.

 

Si staccò da lei e s’immaginò un altro volto, un’altra persona che avrebbe voluto lì, ma Daphne sembrava assomigliarle talmente tanto che si sentì svuotato, come se gli avessero preso il cuore.

Gli rimase la solitudine e l’amarezza di aver gettato la spugna.

- Ehm…. Ci conviene metterci al lavoro……- bisbigliò Daphne, riscuotendo Draco dai suoi amari pensieri.

Lui annuì lentamente ed estrasse la bacchetta avvicinandosi alle teche.

 

- Che diamine credete di fare?- domandò una voce dura e ferma.

Un respiro alle loro spalle si fece più pesante.

Capelli biondi, quasi bianchi alla luce delle bacchette e occhi verdi spiccavano più minacciosi che mai.

Draco smise per un attimo di respirare vedendo il volto di colei che tormentava ogni suo singolo istante, come un fantasma malvagio.

Il suo sguardo la percorse in ogni dettaglio captando, come un radar, i cambiamenti che ora la facevano più matura.

Daphne al suo fianco era impietrita, nel rivedere quella persona dopo quasi sette anni.

- Fuori di qui!- ordinò Astoria a denti stretti, fissando sua sorella con disprezzo.

- Astoria……- sussurrò Draco nel timore di ferirla, come fosse una bambola di porcellana per lui.

- Che cosa volete? Io lavoro qui e non vi permetterò di distruggere questo posto!- urlò Astoria minacciandoli con la bacchetta.

Draco non sapeva cosa dire, la fissava a bocca aperta. Rivederla gli aveva provocato una valanga di emozioni che scorrevano nella sua testa come un fiume in piena.

Tristezza, nostalgia, rabbia, colpevolezza, amore……

- Mi dispiace…… Perdonami……- sussurrò Daphne guardando la sorella con gli occhi pieni di lacrime.

Astoria aveva la bocca piegata in un’espressione di disgusto.

- Non perdonerò mai chi ha ammazzato i MIEI genitori….- confessò, stringendo i pugni.

Daphne si gettò a terra….

- Non sono stata io! Credimi! Non avrei mai potuto ammazzarli!- urlò Daphne aggrappandosi ai pantaloni della sorella minore.

Astoria rise beffarda.

- Allora mi puoi spiegare che diamine ci facevi in giro per la casa, quella notte?- chiese Astoria con un’espressione scettica dipinta sul volto.

Draco intanto stava zitto e immobile; avvertiva benissimo l’odio che trasudava da tutti i pori della sua Astoria.

Daphne non rispose.

- Parleremo più tardi…… Ora, per favore, uscite di qui! Immediatamente!- scandì le lettere e indicò loro l’uscita.

Draco fissò l’orologio al polso.

- Daphne, andiamo via da qui…… Dobbiamo sbrigarci, altrimenti esplode tutto!- esclamò trascinandola per le spalle.

- Coosa? Avete davvero minato il ponte?- domandò Astoria sgranando gli occhi.

Daphne si avvicinò alla sorella, notando che manteneva le distanze.

- Si….- confermò uscendo dalla porta. I tacchi neri battevano ritmicamente sul pavimento.

Astoria fissò con tristezza Draco e si voltò per seguire la sorella.

 

No, non ti posso lasciar scappare ancora….pensò Draco afferrandola per un polso.

 

La fissò negli occhi e lei smise di divincolarsi.

- Ti prego….- le sussurrò all’orecchio, abbracciandola.

Draco si sentiva finalmente completo, come se avesse finalmente ritrovato l’ultimo pezzo del suo puzzle. Le sensazioni negative erano magicamente sparite, al loro posto soltanto sentimenti positivi: primo fra tutti l’amore.

Astoria dapprima indifferente, si abbandonò a quell’affetto stringendolo di più a sè.

Sapevano entrambi di non riuscire bene a manifestare il loro legame iniziato il primo anno a Hogwarts, durante il quale erano già amici e confidenti. Il rapporto si era intensificato alla fine della scuola e avevano capito di amarsi. Dopo due anni però Astoria decise di lasciare Draco perché lui era ancora troppo legato alle arti oscure e si sorprendeva ad aver paura di lui.

Ora gli anni erano passati e finalmente il giovane Malfoy si era reso conto di dover cambiare.

Draco alzò il viso dalla spalla di Astoria e le diede un bacio in fronte.

- Meglio se andiamo….- disse afferrandola per mano e guidandola verso l’uscita.

Daphne li attendeva davanti al portone e sorrise timidamente alla sorella.

Astoria rimase impassibile, forse non era ancora pronta a perdonare Daphne, pensò Draco lasciandole la mano.

Cominciarono a correre.

- Certo è che non sei cambiato……- disse improvvisamente Astoria fissando l’uomo.

Lui ridacchiò, ritrovando quel suo fare sbruffone e superiore che lo aveva sempre contraddistinto.

- Ovvio! Sono unico, sai com’è!- replicò con voce sicura.

- Sempre il solito pallone gonfiato……- sbuffò Astoria con gli occhi diretti alla sorella che correndo li precedeva.

- Già! E tu sei sempre la solita cinica!- confermò Draco sorridendo e inarcando un sopracciglio.

Astoria scosse la testa.

 

Percorsero tutto il giardino interno e attraversarono una stradina che conduceva al grande cancello nero con l’emblema d’oro della regina.

- Dove andiamo?- chiese Daphne sbirciando fuori dal portone delle mura.

- Perché? Dobbiamo raggiungere la bomba e disinnescarla!-gridò Astoria, come fosse la cosa più ovvia del mondo.

- Ehm…. Direi che non possiamo per il momento….- e indicò con l’indice il ponte dove una trentina di auto della polizia attendevano con i motori spenti.

Cavolo….pensò Draco grattandosi la nuca.

Astoria sospirò.

- Venite a casa mia…. È qui vicino… Lì penseremo a come farvi scappare dopo aver disattivato la bomba!- e senza aspettare risposta li afferrò per mano e si smaterializzò.

 

Piombarono, con un tonfo sordo, su una larga strada trafficata e seguirono Astoria in un vicolo laterale. Casette a schiera dai mattoni rossi e neri si affacciavano sul marciapiede.

Astoria estrasse un mazzo di chiavi luccicanti tra cui ne spiccava una nera e arrugginita con la quale aprì un portone verde scuro, dopo aver salito dei piccoli gradini di marmo bianco e controllato con una rapida occhiata, la cassetta della posta.

La porta si aprì, cigolando sui grossi cardini e rivelò una scala di granito nero che portava al piano superiore. Accanto all’ingresso si notavano uno sgabuzzino e un mobile d’ebano con sopra una scatola di caramelle. Le tende alle finestre erano chiuse e le imposte semi aperte.

- Aspettate qui……- sussurrò Astoria e li fece accomodare nel piccolo ingresso che aveva il pavimento coperto da un tappeto arabescato.

Salì di corsa i gradini, si tolse gli stivali e li appoggiò su uno scalino.

Draco e Daphne intanto si fissarono con aria interrogativa e si appoggiarono allo stipite.

Avvertirono un gran trambusto.

- Salite pure!- urlò Astoria dal piano superiore.

I due ospiti salirono in fretta e si ritrovarono in un soggiorno arredato sobriamente: pavimento nero, mobili d’ebano, un grande divano di pelle bianca, dell’edera verde ricopriva un’intera parete. L’unico tocco allegro della sala era rappresentato da alcuni disegni, fatti da un bambino, appesi alle pareti; raffiguravano personaggi strani dai colori vivaci e talvolta spruzzati da qualche schizzo di tempere. Accanto al salotto stava una cucina comunicante, di tonalità verde scuro con un tavolo rotondo in noce nel mezzo. Un frigo color argento era addossato a una parete ed emetteva uno strano ronzio.

Dall’altro lato della stanza una grande vetrata si apriva su una lunga terrazza che dava sulla strada trafficata.

Una porta di vetro opaco divideva il corridoio che Draco suppose portasse alle camere e al bagno.

- Accomodatevi – disse Astoria facendo loro cenno di sedersi sul divano.

Sprofondarono sul grande sofà e Daphne agguantò un cuscino verde scuro.

Il silenzio aleggiava nella stanza. L’aroma avvolgente del caffè si diffondeva mischiato al rumore che emetteva la caffettiera.

- Ehm… Io vado a prendere il caffè……- fece Astoria un po’ imbarazzata e si diresse in cucina.

Draco fissò a lungo, sorridendo, il corpo della sua sola amata e pensò che forse avrebbe avuto ancora una possibilità: anche se remota, questo lo rese più raggiante.

Un improvviso rumore arrivò dal corridoio che conduceva alle stanze.

Astoria si girò di scatto e agitata lasciò cadere il caffè sul pavimento.

La porta si aprì lentamente. La maniglia esitò un paio di volte prima di abbassarsi e Draco pensò che chi la stesse impugnando non doveva essere molto alto.

Infatti, fece capolino nella stanza un bambino, di circa due anni, dai capelli biondi. L’occhio destro era di color grigio scuro, l’altro di un nuvoloso chiarissimo. La bocca era piegata in un sorriso e rivelava due unici dentini bianchi.

Draco era esterrefatto: i lineamenti erano così simili ad Astoria che la verità rivelatasi fu più dura di un pugno nello stomaco.

 

Suo figlio……

 

Eppure qualcosa lo turbava, alcuni particolari di quel volto li aveva già visti. Soprattutto il mento, la forma e il colore degli occhi.

Indossava una felpa azzurra sopra a un paio di pantaloncini scuri. I piedini scalzi si appiccicavano un po’ sul pavimento liscio.

Gli trasmetteva una sorta di tenerezza e affetto che non riusciva a spiegarsi.

Solo in quell’istante capì che i disegni dovevano suoi.

Sorrise, un po’ imbambolato davanti alle facce buffe del piccolo.

 

 

 

 

*§*

 

 

 

 

 

- Mama! Chi tono?- chiese con una vocina acuta e vellutata. Corse e si buttò a capofitto sul divano.

Astoria lo raggiunse rapidamente e lo prese in braccio.

- Persone che conosco, Scorpius… Ora però torna subito in camera! Me lo avevi promesso!- disse sfoderando il tono da madre persuasiva.

Scorpius mise il broncio e cominciò a scalciare per scendere a terra.

Lo appoggiò sul pavimento e lui sta volta corse a sedersi accanto a Draco.

Oddio… pensò sconvolta vedendo per la prima volta quanto si somigliassero Scorpius e suo padre.

Per un secondo si maledisse per non aver mai detto nulla in quegli anni e il rimorso di non aver mai fatto conoscere il padre a suo figlio la investì come una bufera gelata.

Fissò a lungo i tre identici occhi grigi, infatti, quello di sinistra di Scorpius era più chiaro, quasi color artico.

- Non voio! Io to qui! Vicino a queto signore!- ribatté lui incrociando le braccia al petto.

- Di là!- gridò Astoria indicando la porta. Voleva evitare di soffrire doppiamente e si era accorta che Draco guardava Scorpius un po’ troppo spesso.

- No!-

- Astoria, lascia pure che stia qui… Non m’infastidisce…- disse Draco pacato ma continuando a guardare il bambino.

Astoria sbuffò e non appena si accomodò sul divano, Scorpius corse tra le sue braccia. Lei lo prese e lo pose in mezzo alle sue gambe.

- Bene…. Che facciamo?- chiese Daphne insofferente, stringendo il cuscino.

- Dobbiamo trovare il modo di farvi disattivare la bomba sul London Bridge e fuggire contemporaneamente….- spiegò Astoria accarezzando i capelli di Scorpius.

- Perché ci vuoi far scappare?- domandò Draco staccando gli occhi dal bambino.

Astoria fissò Daphne duramente.

- Vi voglio lontani da qui… Inoltre se vi consegnassi alla giustizia ci sarebbero continui processi e….- non completò la frase e guardò il vuoto, quasi per trovare forza.

Tutto quello che le stava capitando, le costava un grande sforzo, avrebbe voluto sbatterli fuori di casa e mettersi a suonare il piano insieme a suo figlio. Ma non ci riusciva, era inevitabilmente legata a quei due.

Draco si grattò la nuca.

- MAMMA! Sai che ho impaato una nuova cansone? Fa così… London Bridge is falling down, falling down, falling down. London Bridge is falling down, my fair lady…- canticchiò allegramente battendo le manine.  

- Bravo Scorp! Sei bravissimo!- sussurrò Astoria dandogli un piccolo bacio sulla guancia.

- Mamma a me mi piace di più il ponte con le due torri grandi grandi!!!- strillò alzando le braccia al cielo.

Ma certo! Pensò Astoria colpendosi con una pacca la fronte e rendendosi conto di quanto fosse stata stupida a non pensarci prima.

- IL TOWER BRIDGE!- urlò Astoria sorridendo sorniona.

- Scusa… Non ho afferrato…- si mortificò Daphne grattandosi la nuca.

- Andremo sul Tower Bridge che per il momento non è presidiato, lì, ci smaterializzeremo sul London Bridge, disattiveremo la bomba e ritorneremo indietro per farvi scappare!- spiegò Astoria fissate dalle facce stupite di Draco e Daphne.

- Geniale!- dissero all’unisono.

- Tutto merito di Scorpius!- rispose fiera di essere madre.

Il clima nel frattempo si era alleggerito e ora persino per Astoria si apriva un piccolo varco in quella specie di buio che l’aveva sempre confortata.

Il cielo plumbeo fuori dalla finestra si era leggermente rischiarato poiché era quasi mezzogiorno.

Astoria prese Scorpius in braccio.

- Vado a cambiarmi….- disse prima di aprire la porta del corridoio.

Se la chiuse alle spalle ed entrò con suo figlio nella camera.

Un letto matrimoniale con lenzuola verde acqua stava su di un piccolo soppalco all’angolo della stanza, la testiera d’ebano scuro era intarsiata; una moquette beige ricopriva il pavimento. Le pareti, dipinte a righe verticali, in un’alternanza di verde acqua (lo stesso del letto) e marroncino, alleggerivano l’atmosfera. Una piccola finestra incorniciata da tende blu scuro, illuminava debolmente la stanza. Un enorme ritratto di lei e Scorpius, era appeso alla parete, accanto ad uno specchio. Addossato al muro, c’era un armadio d’ebano con un’anta aperta: alcuni vestiti erano caduti a terra.

Astoria accese la lampada e una luce giallina colorò la stanza definendone meglio i dettagli. Scorpius cominciò a saltellare sul letto della madre.

- Scorp! Stai attento!- lo richiamò mentre s’infilava un maglioncino bianco dalla scollatura a V. Scelse un paio di pantaloni neri aderenti e finchè chiudeva la lampo sorrise vedendo Scorpius che succhiava tranquillamente il pollice. Le faceva sempre tenerezza quando sfoderava i suoi occhioni dolci.

Astoria chiuse l’armadio e rincorsa da Scorpius entrarono nella sua cameretta.

Le vetrate strombate coloravano la stanza di mille tonalità, le pareti bianche erano ravvivate da piccole mani impresse con le tempere, una moquette verde scuro ricopriva l’intera stanza e una miriade di giocattoli riempiva un’enorme scatola di plastica color prato. Il lettino era attaccato con dei ganci al soffitto e vi si poteva cullare il bambino per farlo addormentare. Di fronte alla finestra stava una cassapanca per la lettura ricoperta da cuscini.

- Dai! Ora vai a fare un riposino!- ordinò Astoria adagiandolo nel lettino.

Lui non protestò, anzi guardò la madre con meraviglia mentre lo cambiava e gli infilava una comoda tutina. Poi con cautela lo sollevò leggermente e lo infilò sotto le coperte. Gli occhi grigi di Scorpius guizzarono su quelli verdi di Astoria un’ultima volta, come per catturarne i più importanti particolari, e con la manina dischiusa la salutò silenziosamente.

- Buona nanna, piccolo mio….- gli sussurrò dolcemente cullandolo per un po’.

Prima di stampargli un piccolo bacio sulla fronte, Astoria lo percorse con gli occhi e vide che le palpebre si chiudevano lentamente.

Uscì dalla stanza rasserenata e si chiuse la porta alle spalle cercando di non far rumore.

Percorse il piccolo corridoio e osservò con curiosità la botola che dal soffitto portava ad una piccola mansarda dove conservava oggetti inutili.

Si ricordò di aver gettato e rinchiuso lì dentro tutti i regali e le foto di quando stava con Draco. Per un attimo avvertì uno strano tremolio che tentava di convincerla a riguardarseli. L’unica cosa che rimpiangeva di non avere con sé ora, era una collana, dono di Draco, con un pendaglio d’argento a forma di piccola farfalla; lui sosteneva sempre che era l’animale più adatto a descriverla.

Sospirò, scrollò le spalle e tornò in salotto.

Si sorprese ad arrossire lievemente notando che Draco era lì da solo seduto sul divano e con le braccia comodamente appoggiate sui braccioli.

- Ehm…… Daphne?- chiese Astoria quasi timidamente sedendosi di fronte a lui.

- L’hanno chiamata al telefono… è uscita sulla terrazza….- rispose Draco con un sorrisetto malizioso.

Astoria s’irrigidì non poco… Non era più abituata alle sue occhiate impertinenti.

- Non fare quella faccia! Sto scherzando! Sai bene che sono sempre stato corretto……- fece ridacchiando, coprendosi però la bocca con la mano.

- Sicuro? Tu corretto? Ma se sei sempre stato l’impulsivo più matto che conoscessi!- disse Astoria aggrottando le sopracciglia in un’espressione di scetticismo.

Draco non ribatté, anzi, si bloccò per un istante; il torace fermo e gli occhi persi nel vuoto, come se volesse riflettere bene su quelle parole.

- Già…. Hai ragione…- e si alzò di scatto.

Attraversò il piccolo spazio che li divideva e s’inginocchiò di fronte a lei.

- Che diamine fai?- urlò preoccupata Astoria sorpresa dall’improvviso comportamento di Draco.

Lui si slanciò in un sorrisetto.

- Io sono un impulsivo.- era un’affermazione, non una domanda.

- Si…… Te l’ho appena detto……- rispose Astoria, per la prima volta insicura sul da farsi.

- Quindi continuerò a essere così……- e il sorriso si allargò ancora di più, senza nascondere il suo fare sbruffone che Astoria stranamente adorava.

Poi si alzò di fronte a lei, la prese per le braccia e la alzò in piedi.

Astoria cominciò a respirare affannosamente e il cuore sembrava ballare una sorta di danza. Tutto questo le era mancato e per un attimo si sentì egoisticamente bella e più donna. Non volle però incrociare il suo sguardo per paura di cadere in una trappola.

Draco le prese il mento e la obbligò a guardarlo. I loro occhi, verdi e grigi, s’incontrarono nuovamente, come quando l’asfalto e l’erba si affiancano in una strada: si accompagnano armonicamente, uno accanto all’altro.

Astoria si sentì quasi soffocare, le mancava l’ossigeno; fissandolo si era dimenticata persino di respirare, tanto era felice ed impaurita allo stesso tempo.

Istintivamente Draco, senza darle il tempo per riflettere, la baciò. Le labbra dapprima si sfiorarono lievemente, poi scacciando un’iniziale timore, le bocche si dischiusero senza indugi.

Astoria assaporò quel momento e capì che forse doveva voltare pagina per essere finalmente felice.

 

Il buio che prima la penetrava sparì, per lasciare il posto a un fuoco che ora ardeva anche nei suoi pensieri.

 

 

 

 

 

 

 

*§*

 

 

 

 

 

 

Draco si staccò dalle sue labbra e riprese il fiato.

Lo scorrere del tempo, per un interminabile attimo, si era come velocizzato al ritmo dei suoi battiti che ora lo facevano quasi tremare.

Avrebbe preferito non dover parlare o fare qualcosa, ma rimanere semplicemente così, fermo e immobile a fissare la sua amata che forse aveva riconquistato. Capì in quell’istante che era stato uno stupido a non lottare per non farsi portar via Astoria dalle conseguenze delle sue azioni.

- Ti amo…. Promettimi che non fuggirai un’altra volta…- bisbigliò Astoria.

- Te lo prometto! Ora però posso confermarti che sono un VERO impulsivo?- chiese Draco sorridendo. Prese infatti una solenne decisione con se stesso: era ora di mettere da parte l’orgoglio. Una fitta al cuore colpì il giovane Malfoy: ora aveva un po’ di timore.

Astoria annuì debolmente ma lo sguardo lasciava trapelare una certa curiosità.

- Non ho nulla con me… Ma ti giuro che sarò bravo a recuperare! Astoria Greengrass, non ti voglio perdere, perciò … Mi vuoi sposare? …- e s’inginocchiò nuovamente prendendo dal tavolino un cerchietto di plastica blu dal tappo di una bottiglia. Lo strinse tra il pollice e l’indice e finse di farlo luccicare.

Astoria aprì la bocca. La voce non le usciva.

Poi fissò il buffo anello e cominciò a ridere.

- Sciocco! Certo che ti sposo! Era ora che tu ti facessi avanti!!- e gli buttò le braccia al collo stringendolo a sè.

Un cigolio colpì con violenza quell’atmosfera felice.

- Che state facendo?- chiese Daphne, entrando in quel momento.

Draco si alzò in piedi e mise il suo braccio attorno alle spalle di Astoria. Per la prima volta dopo anni, si fiancheggiavano nuovamente.

Avvertirono entrambi la tristezza di Daphne che aveva intuito benissimo ciò che era successo.

- Noi ci sposeremo…- rispose Astoria, consapevole di ferire la sorella ma ciò non le importava, voleva solo vendicarsi.

- Bene… Sono contenta per voi…- disse Daphne a denti stretti. Fissò eloquentemente Draco e poi s’infilò la giacca.

Astoria corse in cucina e staccò un postit giallo dal frigo. Prese il telefono e compose il numero che c’era scritto.

- Ciao Ginny! Potresti fare la babysitter a Scorpius? ... Ora… Ok, ok! Grazie, ti lascio le chiavi sotto lo zerbino… Sì, si dorme! Ciao!- e chiuse la chiamata.

- Ginny Weasley?- chiese Draco con perplessità, quel nome gli era risuonato nella testa con fastidio.  

Astoria s’infilò una giacchetta nera di pelle e chiudendosela riattaccò il postit sul frigo.

- Si… Mi ha aiutato a partorire, in ospedale… Lei sa bene cosa vuole Scorpius! È la migliore babysitter di Londra…- spiegò indossando gli stivali.

- Fa la Medimaga?-

- Sì, nel reparto natalità del San Mungo… Andiamo?- domandò chiudendo le tende scure alle vetrate.

Draco annuì debolmente, non voleva che il suo dissenso fosse avvertito troppo da Astoria.

Daphne non rispose e scese velocemente i gradini. Quando giunsero tutti e tre nel piccolo ingresso si smaterializzarono accordandosi sul punto preciso in cui arrivare.

Si ritrovarono sulla cima del Tower Bridge, in un lungo camminamento, protetto da una ringhiera azzurra, riservato ai soldati della regina, i cosiddetti Beefeaters. In giro non c’era anima viva, tranne qualche macchina che passava sporadicamente sul ponte sottostante.

Si sporsero leggermente dal parapetto e osservarono a lungo le macchine della polizia ferme accanto al London Bridge, il lungo ponte di fronte al Palazzo del Parlamento. Vigili e agenti in divise scure, correvano impazziti alla ricerca del luogo minato.

- Guardate… Lì c’è un piccolo bus accanto a quelle macchine incustodite…- segnalò Draco, puntando il dito dritto davanti a sè. Lungo il ponte, infatti, le auto abbandonate dai civili erano incolonnate; un tipico bus rosso a due piani stava, ignaro, sul lato del ponte accanto alla bomba.

- Ok, smaterializziamoci lì, la disattiviamo e poi torniamo!- disse Daphne guardando il cielo che ora si stava aprendo in un ampio spiraglio al sole.

- Aspettaci qui e non muoverti!- intimò Draco ad Astoria che sbuffò annuendo.

Daphne si smaterializzò in un attimo, senza proferire alcunché.

Draco prima di sparire diede ad Astoria un piccolo bacio sulle labbra e si lasciandosi alle spalle l’ombra del suo sorriso.

 

 

 

 

 

*§*

 

 

 

 

 

 

Astoria sospirò e si appoggiò al parapetto. Il sole, con fare prepotente, ore stava uscendo completamente dalla coltre di nubi uggiose.

- Sorella…- sentì alle sue spalle.

Daphne le si parò davanti e le bloccò le gambe con un incantesimo.

- Daphne! Sei impazzita?- gridò nuovamente impaurita Astoria chiedendosi perché non fosse con Draco.

La sua mente vagò a quella terribile notte.

 

 

Si era svegliata di soprassalto a causa di alcuni rumori provenienti dalla stanza dei genitori.

Era corsa di fronte alla porta e aveva notato Daphne che, in pigiama, usciva dalla stanza e, come magnetizzata, ritornava nella sua camera.

- DAPH! Che succede?- gridò rivolta alla sorella ma non ebbe risposta.

Si fece coraggio e aprì con cautela la porta.

Sul grande letto a baldacchino con le tende blu, stavano i coniugi Greengrass. I corpi immobili e accoccolati insieme tra i cuscini. Nella stanza regnava il silenzio più assoluto.

Astoria tirò un sospiro di sollievo. Poi si fermò: nessun respiro si udiva nella camera.

- Mamma? Papà?- chiese in preda al panico. Si avvicinò al letto e appoggiò la mano sui corpi inermi dei genitori.

Morti.

Cominciò a urlare ma sentiva le gambe che cedevano e si accasciò sul pavimento. Lacrime salate rigavano il suo giovane volto. La cosa più incredibile era che non c’erano segni evidenti del loro assassinio e che potessero, da un momento all’altro, ancora svegliarsi… Solo una maledizione senza perdono poteva provocare questo dolore…

Poi un colpo più grande; una sola cosa poteva per lei, essere più forte della morte: il tradimento.

- DAPHNEEEEE!- gridò sconvolta e corse nella stanza della sorella maggiore. La vestaglia svolazzava leggermente.

Non c’era.

La distruzione regnava sovrana nella camera: i poster, che di solito erano attaccati sulle pareti color giallo canarino, ora erano a terra tagliati e dilaniati.

Astoria corse attraversando i lunghi corridoi e le aree della villa di famiglia e vide che l’ingresso principale era aperto. Si precipitò nel grande giardino coperto dalle fronde di altissime querce. Al centro, vicino alla fontana, stava Daphne con i lunghi capelli biondi sciolti al vento. Lo sguardo impietrito e sconvolto. Astoria le si avvicinò e rapidamente la fece voltare.

- Tu? SEI STATA TU?- urlò scrollando le spalle di Daphne.

Non ottenne risposta.

- RISPONDI! Li hai uccisi tu?- le intimò guardandola con odio profondo, per la prima volta.

- Non lo so…- fu la banale risposta che fece montare in Astoria una rabbia disumana che le avrebbe lacerato l’anima per molti anni.

Prese la vanga che stava lì, accanto al piccolo capanno degli attrezzi. La impugnò come fosse una spada e la puntò verso Daphne, più minacciosa che mai. Gli occhi rossi dalle lacrime ora sembravano emanare un fuoco ardente.

- Da oggi non ti voglio rivedere mai più… estranea….- le disse e in un attimo riuscì a cancellare l’affetto che provava per la sorella, lasciando che odio e rancore prendessero il suo posto.

Daphne cominciò a piangere e non si mosse.

- VATTENE DA CASA MIAA!- le urlò brandendo la vanga e scagliandola nella sua direzione.

Lei la schivò e scappò, voltando la schiena alla sua famiglia. Le grida di disperazione di Astoria si mischiarono con l’atmosfera cupa di quella notte, soffocando il suono del pianto solitario di Daphne.

 

Astoria si risvegliò dai brutti ricordi e cercò di fissare la sorella, anche se ogni tanto qualche vecchio pensiero tornava a fargli visita ed il rancore la inondava.

- No, non sono impazzita… devo solo spiegarti… Draco puoi averlo riconquistato, ma non puoi continuare ad ignorarmi!- disse ansimando e puntò il dito contro Astoria.

Astoria muta, si limitò a guardarla con severità.

- Ascolta… Non li ho uccisi io! Mi devi credere!- disse aprendo le braccia come per implorarla.

- E allora che ci facevi nella loro stanza?-

- Io… io non lo so…-

- Non lo sai? Vedi, è questo che odio! Almeno potresti dire la verità!-

- Non lo so…io… io…. –

- Tu?-

- Oh, insomma…. SONO SONNAMBULA!- sbottò, non riuscendo più a stare zitta.

Astoria si bloccò. Il cervello era momentaneamente in off, non sapeva cosa pensare.

- Liberami…- riuscì solo a dire, facendo un grande respiro.

- Io sono sonnambula… non mi ricordo di averli uccisi… mi sono risvegliata in giardino e tu  urlavi contro di me…-

- Ripeto, liberami…-

Daphne agitò la bacchetta e l’incanto svanì, lasciando ad Astoria la possibilità di rilassare i muscoli indolenziti.

Astoria continuò a fare grandi respiri, cercando di riflettere. Ora per lei era anche peggio, i genitori potevano essere morti solo per uno strano caso che il destino aveva riservato alla sorella.

- Ti rendi conto? Tu li hai uccisi senza motivo, senza odiarli. Chi è sonnambulo, normalmente non uccide!- disse pacata, senza un filo d’emozione. Avrebbe voluto Draco accanto a sè, l’unico che dopo questa tragedia, l’aveva sorretta e aiutata.

-… Mi dispiace…- rispose Daphne, una lacrima le solcò la guancia, lasciando in Astoria un maggiore senso d’indifferenza. Come se più lei soffriva, più Astoria era soddisfatta.

- Ti odio…- disse Astoria a denti stretti, esprimendo tutto il suo stato d’animo.

Poi senza, lasciarle il tempo di aggiungere altro, afferrò Daphne per un polso e si smaterializzò.

 

Si ritrovarono sul London Bridge accanto al parapetto.

Draco le aspettava nascosto dietro al bus poco distante; le salutò con la mano ma un’espressione di terrore comparve sul suo volto non appena intercettò lo sguardo di Astoria: feroce e determinato.

Astoria prese la sorella per le spalle e la spinse contro un lampione arrugginito.

- Incarceramus Maxima!- enunciò puntando la bacchetta contro la sorella. Funi indistruttibili comparvero e imprigionarono la sorella al palo del lampione.

- Tu morirai…- le sussurrò all’orecchio.

Si allontanò e raggiunse Draco

- Che hai fatto Astoria? Liberala! Mancano due minuti!- le urlò scuotendola.

Lei non rispose, si limitò a fissare l’acqua scura del Tamigi.

- Astoria!-

- Deve morire… Ha ucciso i miei genitori… è sonnambula!- gli rivelò buttandosi al collo e iniziò a piangere debolmente.

Draco rimase dapprima in silenzio ma poi guardandola negli occhi le rivolse un’espressione risoluta.

- Guardiamole i ricordi, Astoria!-

- Eh?- chiese Astoria imbambolata; non riusciva a collegare da quanto era stressata per la valanga di emozioni che la pervadevano.

- I ricordi!!! Li guardiamo, così sapremo la verità! Possibile che tu non ci abbia mai pensato?-

Astoria sorrise debolmente. – Sei un genio amore!- e gli scoccò un bacio sulle labbra.

- Amore?-

- Sì, amore! Perché?- fece Astoria, chiedendosi dove avesse sbagliato.

- Così… Mi era tremendamente mancato sentirlo…- e sorrise spingendola verso la sorella.

Astoria corse verso Daphne e appellò il piccolo pensatoio che teneva a casa. In poco tempo il bacile dorato arrivò nelle sue mani da pianista.  

- SBRIGATI!- le urlò da distante Draco che teneva sotto controllo l’orologio.

Astoria annuì ed estrasse la bacchetta.

- Che cosa fai Astoria?- chiese con timore Daphne, il volto lucido dalle lacrime.

- Ti guardo i ricordi…- le spiegò appoggiando la bacchetta sulla sua tempia. Poco dopo un leggero filamento biancastro uscì dalla testa di Daphne.

Astoria appoggiò il ricordo nell’acqua e senza indugio si gettò all’interno per poter conoscere finalmente la verità.

 

 

 

 

 

 

*§*

 

 

 

 

 

Draco fissò l’orologio: 12.59

Ormai mancava circa un minuto allo scoppio. Guardò Daphne e con preoccupazione vide che Astoria non era ancora riemersa.

Con ostinazione si maledisse di non aver posto lui stesso l’incanto per la bomba; poteva scioglierlo solo Daphne.

Astoria uscì dal pensatoio cadendo con un tonfo sordo sul pavimento. Era sconvolta ma appagata. Riusciva a leggerlo dal suo sguardo, avrebbe saputo farlo anche a chilometri di distanza, si erano sempre capiti alla perfezione. Lei era l’unica che lo aveva veramente capito quando suo padre lo costrinse a passare tra le schiere di Voldemort.

Draco fece segno loro di sbrigarsi agitando le braccia.

Astoria sorrise e impugnò la bacchetta sciogliendo l’incanto alla sorella.

- È STATO ZIO ARCIBALD! Ha fatto L’Imperius a Daphne! – urlò a Draco per renderlo partecipe della verità.

Astoria raggiante si girò verso la sorella e la abbracciò piangendo.

Draco capiva bene che ora entrambe si sentivano sollevate, avevano scoperto la verità e dove stava il “marcio” della famiglia.

Per fortuna che Arcibald Greengrass è morto anni altrimenti non avrebbe trovato scampo alla loro vendetta! Pensò sorridendo; finalmente poteva riavere il suo amore tutto per sè, senza complicazioni o rancori.

- Ti voglio bene!- le sentì dirsi finchè si abbracciavano.

Ora tutto era tornato alla normalità, ma non la banale quotidianità ma quella in cui avrebbero vissuto finalmente come una vera famiglia.

Astoria e Daphne lo guardarono sorridendo, una con amore, l’altra con gratitudine.

Draco si figurò Astoria in abito da sposa, ora gli veniva naturale e pensò di non averlo mai immaginato prima di averla persa.

Ora potrò recuperare! E ridacchiò vedendo che ora si stavano stuzzicando amichevolmente come ai vecchi tempi.

 

 

Silenzio… Aleggiava come un presagio sopra di loro…

 

 

BOOM

 

 

 

Un rumore assordante fece tremare il ponte fin nelle viscere.

Pietra e lampioni schizzarono in aria, tra il fuoco e le fiamme provocate dalla bomba, lasciando solo un enorme cratere.

Crollò come un debole castello di sabbia, massi caddero pesantemente nel fiume e furono portati lontano dalla veloce corrente. Le macchine scivolarono dalla strada e finirono nelle acque torbide.

Draco s’impietrì, il punto dove era lui non era crollato perché era il più vicino all’altra sponda.

Astoria… pensò meccanicamente e corse verso l’esplosione.

- ASTORIAA!- urlò disperato con tutto il fiato che aveva in gola.

Non c’era traccia delle due Greengrass.

Si stese a terra e con lo sguardo si sporse sul grande spacco del ponte.

Astoria era aggrappata a una piccola sporgenza di ferro. Le mani arrossate e contratte in uno sforzo. Le unghie ora raschiavano la parete.

- Amore! Resisti! Ora ti aiuto!- e accavallando il ponte si sporse con il busto. Le mani allungate per raggiungerla.

- Dra… Draco… Non ce la faccio! Non sono riuscita a salvare Daphne…- disse tra i singhiozzi.

- Si che ce la farai! Afferra la mia mano!- e si sporse maggiormente. Le vene sul collo spiccavano ancor di più per la fatica.

- Ascoltami! Draco ascoltami! Ti prego!- supplicò lei a fatica.

Draco non la sentì e ritornò sul ponte – SOCCORSI! C’È BISOGNO D’AIUTO!- urlò agitando le braccia.

- Ascoltami!- e non appena vide che Draco la fissava proseguì -… Scorpius… Scorp è tuo figlio, Draco!-

Mio figlio? Pensò sconvolto da quella rivelazione che ora gli sembrava così verosimile e si diede dello sciocco per non averci pensato prima.

- Perdonami se non ti ho detto nulla…. Ora voglio solo che tu ti prenda cura di lui e gli dica che lo amo tantissimo da sempre!- e sorrise con tenerezza.

- Glielo dirai tu! Perché ora ti salverò! Vedrai che andrà tutto bene, amore…-

- Ti amo e ti ho sempre amato! Non mi sono mai scordata di te e davvero volevo diventare tua moglie…Promettimi che andrai avanti con Scorp e che mi ricorderete serenamente! Lasciati aiutare da Ginny!-

Draco la fissò e molte lacrime gli rigarono il volto. Non voleva credere di non riuscire a salvarla. Gli sembrava una cosa impossibile da concepire. Voleva ancora abbracciarla, baciarla e vedere il colore dei suoi occhi.

- Lo amerai per me?- gli chiese quasi sussurrando, tanta era la stanchezza.

- L’ho amato dal primo momento che l’ho visto! Ha così tanto di te e ora capisco, anche di me! Come potrei non volergli bene? Ma vedrai che ti aiuterò Astoria!- le rispose e si guardò intorno e vide in lontananza l’auto della polizia.

- HO CHIESTO I SOCCORSI! NON LA POLIZIA!- urlò fuori di sè, mentre gocce di disperazione gli scendevano dagli occhi, simili a pioggia. Sentiva che non avrebbe più potuto vivere senza l’amore della sua vita, gli sarebbe rimasto solo un tremendo vuoto.

 

Il sole sgusciò fuori e illuminò i loro visi.

 

 

 

 

 

 

*§*

 

 

 

 

 

 

Astoria si tranquillizzò quando sentì il calore del sole scaldarle le gote. Era una bella sensazione.

Ora aveva la consapevolezza di riuscire a guardare in faccia la morte.

Fissò Draco ma vide che lui stava sollecitando i soccorsi.

- Draco!- lui si girò di scatto verso di lei e un’espressione di smarrimento cominciò a stamparsi sul suo volto.

- Amore! Ti prego…. re… resisti….- balbettò tra i singhiozzi Draco.

- Ti amo sbruffone mio, devi dire al mio Scorpius che mi mancherà…- e sorrise accarezzata nuovamente dai raggi caldi del sole.

- Ce…Certo….glielo dirò! Non lasciarmi, ti prego!- disse, non riusciva a staccarsi da lei.

Astoria fissò l’acqua con espressione afflitta. Poi si rivolse ancora a Draco.

- Guardami!- gli intimò.

Lui si girò, una lacrima gli cadde dalle guancie e arrivò sulla fronte di Astoria.

I loro occhi si fissarono un’ultima volta.

Quel grigio che aveva tanto amato forse non lo avrebbe più rivisto ma ora era un po’ felice di sapere di lasciare Scorpius nelle mani giuste. Il terrore di cadere ormai era passato e le mani erano quasi insensibili. Il sangue cominciò a rigarle le dita e iniziò a scivolarle lungo le braccia stanche.

Si rese conto di cominciare a morire lentamente.

Lasciò andare le mani che inesorabilmente volteggiarono nel vuoto.

Per un attimo interminabile le parve di volare nell’azzurro e che gli occhi di Draco la sostenessero. La mente si svuotò magicamente e tutti i pensieri sgusciarono via.

Sorrise beata guardando il sole e socchiuse gli occhi.

L’acqua la inghiottì in un attimo.

Mille spilli ghiacciati la percorsero dall’alto al basso, come a scoccarle l’ultimo terribile fendente.

Si sentì trascinata dalla corrente, ma non oppose resistenza anzi, si lasciò cullare dalle avvolgenti onde violente.

Le auto erano mosse anch’esse lungo il fiume.

Il fondale bluastro l’accompagnò per un bel po’.

Improvvisamente sentì che il corpo cominciava a irrigidirsi e avvertiva un dolore al petto.

Un ultimo spiraglio di sole penetrò le acque e la raggiunse fino farle chiuderle dolcemente le palpebre.

 

Vide solo un unico colore.

Colore che le rese più facile abbandonarsi alla morte.

Colore che era prevalso in tutta la sua vita.

Colore che era la sua esistenza.

Colore che simboleggiava Draco e Scorpius.

 

Grigio.

 

 

 

 

 

 

 

*§*

 

 

 

 

 

 

Draco Malfoy s’incamminò lungo il New London Bridge.

La neve ricopriva l’asfalto.

Si tirò su il bavero per proteggersi dal forte vento ghiacciato e strinse più forte la manina che teneva nella sua.

Scorpius camminava tranquillo al suo fianco e lasciando le sue piccole impronte sulla neve.

Un senso di smarrimento lo riprese non appena rivide quel luogo.

Da quel giorno non era più passato di lì.

Vivevano nella casa di Astoria, ma lui si era sempre rifiutato di tornare sul ponte.

Ora suo figlio aveva sei anni e capiva bene che il padre soffriva perciò aveva deciso di obbligarlo ad andare con lui. Draco lo aveva cresciuto amorevolmente fingendo di stare bene per non turbarlo, ma Scorpius sentiva quando Draco si addormentava piangendo.

Il marciapiede era stato ingrandito e centinaia di turisti camminavano verso il centro di Londra. Il periodo natalizio era già iniziato.

Arrivarono silenziosamente al luogo dello scoppio. Lì, il ponte era stato ingrandito e una targa d’ottone era stata affissa sul muro di pietra scura.

 

Due piccole foto di Daphne e Astoria stavano sopra ad un’incisione.

 

 

“Qui i verdi prati hanno trovato un sole migliore.”

 

“ Daphne Greengrass (1981-2002) ”   “Astoria Greengrass (1983-2002)”

 

 

 

Una lacrima solitaria scese sulle guancie di Draco.

Scorpius si sedette con le gambe incrociate davanti alla foto della madre.

- Era tanto bella la mamma… Vero?- chiese sussurrando al padre, in modo che lo sentisse solo lui.

- Si… Bellissima… Aveva due occhi stupendi e i capelli biondi come i tuoi…- gli rispose accennando un amaro sorriso.

Scorpius rise e si tirò una sonora pacca sulla testa.

- Papà! Mi sono scordato di portare qualcosa alla mamma! E adesso? Mi metterà in punizione!- e sbuffando incrociò le braccia al petto.

- In punizione? Chi?- chiese Draco guardandolo stralunato.

- Tutte le sfortune che mi capitano quando non faccio il bravo le fa la mamma! È il suo modo per dirmi di stare attento e non farti arrabbiare!- disse come fosse la cosa più ovvia del mondo.

Draco sorrise, era felice che almeno per il figlio ci fosse la possibilità di vivere felice.

- Mmh… Allora ti dico che ho portato qualcosa io, così la mamma non si arrabbia! Ok?-

I suoi occhi di un grigio diverso s’illuminarono a quelle parole e le labbra si aprirono in un sorriso.

- Che le hai portato?- chiese, eccitato e si avvicinò al padre che intanto si era chinato all’altezza del figlio.

Draco sorrise e tirò fuori dalla tasca la sagoma plastificata di una farfalla nera e arancione.

Appiccicò l’immagine accanto alla foto di Astoria e poi sfiorò la targa, quasi come fosse una tomba.

- Che bello papà! È il simbolo della mamma vero?-

- Bravo Scorp! Vedo che ti ricordi! Ora però andiamo, che dobbiamo cercare i regali per la famiglia di Ginny!- e diede un leggero scappellotto sulla nuca di Scorpius. Il piccolo si alzò e dopo aver mandato un bacino alla foto della mamma, cominciò a correre lungo il marciapiede.

Draco sospirò fissando la farfalla.  

 

Come te, non potrà più volare qui…. E dentro di me… pensò riassumendo la solita espressione di malinconia e tristezza.

Ora era consapevole che non avrebbe più vissuto.

Era solo un morto che camminava.

Nulla gli avrebbe ridato la vera felicità, solo Scorpius riusciva a rendere meno penosa la sua sofferenza.

Il vuoto che lo invadeva ogni notte non sarebbe più fuggito.

Ogni singolo istante si sentiva smarrito perché l’equilibrio non l’avrebbe mai più riconquistato.

 

 

Solo Draco sapeva del vero difetto della farfalla.

Difetto che rispecchiava il suo animo.

 

 

 

La farfalla aveva le ali spezzate.

 

 

 

 

 

# Ecco finita la One-Shot, si, è un po’ triste… Ma lo scopo era proprio quello. Vi dico che finendola stavo quasi piangendo… Mi sento un’assassina…XD… Va beh, spero vi sia piaciuta.

Ahn, una cosa, se no mi dimentico. La bomba l’ho fatta esplodere alle ore 13 perché questo numero è il simbolo della morte e dell’inesorabile fine di un amore. Mi sembrava il più adatto.

Mi sono ispirata alla canzoncina London Bridge is Falling Down perché leggendo il testo ci ho ritrovato molta simbologia.

 

Costruiscilo con legna e argilla,
Legna e argilla, legna e argilla.
Costruiscila con legna e argilla,
Mia signora.
Legna e argilla verranno spazzati via,
Spazzati via, spazzati via.
Legna e argilla verranno spazzati via
Mia signora.


Questa mi sembrava un chiaro riferimento al ponte in sgretolamento, come tutte le certezze che in uno scoppio di bomba vengono portate via.

 

 

Costruiscilo con aghi e spilli,
Aghi e spilli, aghi e spilli.
Costruiscilo con aghi e spilli,
Mia signora.
Spilli ed aghi si piegano e si rompono
Si piegano e si rompono, si piegano e si rompono.
Spilli ed aghi si piegano e si rompono,
Mia signora.


Questa invece alla morte di Astoria. Gli spilli ghiacciati dell’acqua si sono rotti grazie al sole che l’ha accompagnata verso la morte.

 

 

Costruiscilo con pietra robusta
Pietra robusta, pietra robusta.
Costruiscilo con pietra robusta,
Mia signora.
La pietra robusta durerà molto a lungo
Molto a lungo, molto a lungo.
La pietra robusta durerà molto a lungo,

Mia signora.

Questo della definitiva fine, dove lei vede solo il grigio (pietra robusta) e che durerà molto a lungo… All’infinito.

 

 

 

Beh, ora che vi ho fatto capire meglio spero che potrete o apprezzare o odiare meglio la mia storia!!! Grazie a voi Evanescence e Linkin Park, mi avete aiutata!

Baci!

 

 

MollY_gIaDa

 


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Capitolo 2
*** 狂気 ***


Madness

# Ed ecco il secondo capitolo della raccolta!

Questa volta i protagonisti saranno Luna, Rolf e un certo Adam!
Il titolo 狂気 significa madness, cioè pazzia!

Beh, buona lettura!

MollY_gIaDa






 








- Salve… Lei deve essere la signorina Lovegood, giusto?- chiese l’uomo dall’altro lato della scrivania.
I capelli di un biondo sporco erano corti e leggermente spettinati sopra al viso largo e maturo. Il mento largo gli conferiva una certa importanza.

Luna sorrise sorniona e gli allungò lentamente il suo curriculum. I capelli biondi erano sciolti sulle spalle e una ciocca azzurra maldestramente nascosta spiccava dando vivacità all’insieme. I grandi occhi azzurri fissavano ogni singolo dettaglio del signor Scamander, il proprietario di un’enorme villa.

- Si…- rispose tranquilla. Con la mano prese il cestino e lo rovesciò sul pavimento per sedersi sopra.  
Il signor Rolf la guardò allibito, poi, sospirando si concentrò sulle carte che aveva di fronte per sistemarle in due pile ordinate davanti a sé. La cravatta elegante appoggiava sulla scrivania di vetro e la giacca aperta lasciava intravvedere una camicia bianca.
Luna lo osservò curiosa e sbuffò vedendo che era troppo ordinato per i suoi gusti: aveva sempre odiato le cose monotone e tutto in quell’ambiente non la faceva sentire a suo agio; mobili bianchi e neri, muri grigi e una quantità infinita di cartelle divise in ordine alfabetico infilate in un cassetto aperto.

- Bene… Beh, direi che lei è stata l’unica assistente decente che ho incontrato questa mattina… perciò è assunta…- disse senza nascondere una nota di dispiacere.
Rolf si alzò facendo scivolare la sedia accanto alla finestra dalle persiane abbassate, poi agguantò un mazzo di chiavi da un cassetto e lo porse a lei che lo afferrò velocemente.

- Si presenti domattina qui in ufficio… Alloggerà nella dependance nel giardino della villa, lì potrà sistemarsi come crede. Arrivederci…- e le strinse la mano.

- Grazie…- sussurrò Luna accennando un breve inchino. Uscì silenziosamente e si chiuse la porta alle spalle.
S’incamminò per i corridoi dell’edificio, dove stavano gli uffici amministrativi della Kawasaki. Rolf, infatti, era il proprietario del reparto design delle moto.
Luna sospirò, non era molto contenta di quel lavoro ma, siccome aveva ventitré anni, era necessario se non voleva trovarsi al verde. Rimpiangeva il suo lavoro precedente che l’aveva fatta felice per molto tempo. Fino a qualche settimana prima era la proprietaria di una linea di abiti strani venduti in tutto il mondo, soprattutto a Shangai dove viveva prima di essere sfrattata. La società era colata a picco per colpa di un suo azionista che aveva fatto appalti e si era appropriato di molto denaro. Si era trasferita in Giappone dove, nei sobborghi di Tokio, aveva trovato lavoro come assistente del signor Scamander, mago noto anche in Inghilterra, che in cambio le avrebbe pagato vitto e alloggio.
Arrivò presto all’entrata, dove si aprivano vari viottoli che attraversavano il grande giardino. L’erba verde assomigliava molto a quella di un campo da golf e centinaia di alberi di pesco appena fioriti, abbellivano l’atmosfera.
L’aria fresca dell’inizio della primavera la colpì forte, facendole danzare i capelli davanti al volto. Con le mani prese i lembi del suo corto poncho blu scuro e si coprì meglio, scoprendo così le calze azzurro e blu elettrico che le coprivano le gambe, dove i pantaloncini non arrivavano. Corse velocemente lungo il giardino e con le Converse consunte saltò incurante dentro qualche pozzanghera schizzando i passanti.

- Scusate…- disse con voce flebile a un’anziana che aveva sporcato di fango.

- Screanzata!- urlò quest’ultima brandendo il bastone da passeggio.
Luna non si girò ma continuò imperterrita nella sua corsa cercando di evitare gli ostacoli con qualche leggero balzo. Era sempre stata così: spensierata e capace di essere allegra anche nei momenti più tristi. Ricordava ancora bene quando c’era stata la guerra contro Voldemort e lei aveva aiutato i suoi amici Grifondoro nella battaglia.
Finalmente giunse a un piccolo chalet grazioso adagiato su di una collinetta. Un mulino sul lato della casa girava incessante e l’acqua scendeva in un piccolo fiumiciattolo che sfociava poi in un immenso lago, barricato dietro fitti cespugli. Il tetto rosso a pagoda era sovrastato da salici altissimi e due draghi in pietra erano a guardia della porta, come voleva la tradizione.
Luna aprì la porta di legno ed entrò cautamente all’interno, l’esterno sicuramente era un paradiso in confronto all’interno.
La luce era poca perciò si vide costretta a prendere la bacchetta. La cucina e il salotto erano un’unica stanza ed erano arredate all’antica: mobilio di legno bianco e divano piccolo coperto da alcuni vecchi copri sedili per auto. Alcuni quadri impressionisti erano appesi alle pareti tappezzate maldestramente da carta da parati giallina.
Si addentrò tossicchiando nella stanza, tutto era coperto da un grosso strato di polvere e ragnatele.
Le finestre ampie erano chiuse da imposte scure in legno e le tende rosse erano simili a coperte di plaid. Un piccolo corridoio si apriva sulla destra della cucina e portava al reparto notte. Il bagno dalle piastrelle verdi era abbastanza pulito ma un odore forte di feci face quasi rimettere la povera Luna che incauta si era avvicinata alla turca sul pavimento. Una grande doccia su di un angolo era racchiusa tra pareti di vetro opaco.
Luna rabbrividì e tenendo tappato il naso con una mano chiuse violentemente la porta si avvicinò alla camera. Al centro della stanza si trovava un letto rotondo dalle lenzuola blu elettrico. Accanto alla testiera di ferro c’erano alcuni piccoli cuscini rossi. Una scrivania piccola in legno era appoggiata al muro sotto a una mensola e al suo fianco un grande armadio vuoto era tappezzato da alcuni poster di gruppi punk. Una maglia nera dalla scritta “FUCK THE SISTEM” in bianco. Era di sicuro la migliore stanza della casa, però era così maschile…
Luna sbuffò e prese la bacchetta. Con un rapido incantesimo cancellò ogni traccia di polvere e poi rinnovò alcune cose rovinate dal tempo.
Danzava agilmente tra le stanze agitando la bacchetta, assomigliava molto a Biancaneve mentre puliva la casa dei sette nani; con la stessa allegria e pari meraviglia per ogni singolo dettaglio. Ora la casa era pulita, un po’ disordinata ma nell’insieme era un esuberante tripudio di colori.  

- Perfetta!- strillò battendo le mani e accendendo il fuoco per scaldare un buon piatto di salutare minestra. Era sempre stata vegetariana e odiava ogni singolo maltrattamento sugli animali.
Mangiò sola canticchiando vecchie canzoncine che le aveva insegnato il padre, lesse alcune pagine di un libro e fissò a lungo il foglio bianco che aveva davanti a sé.
Era stata presa di mira da una maledizione: il blocco della creatività.
Disegnare i vestiti più assurdi del mondo, ad esempio quelli fatti con materiali riciclabili, la rendeva felice e appagata. Dopo quello che le era successo faceva un po’ fatica…
Aveva sempre voluto far qualcosa per l’umanità e creare abiti che facessero gioire e divertire le persone la rendeva completa… Ora le sembrava tutto così inutile e di poco conto.
Bah… Non serve a nulla… Devo trovare qualche ispirazione nuova! Si propose sorridendo. Senza aspettare altro si diresse in camera e s’infilò una lunga maglia gialla con un elfo domestico disegnato sopra, aveva infatti partecipato alla raccolta firme di Hermione Granger contro l’utilizzo barbaro degli elfi domestici.
Si coricò presto sapendo bene che l’indomani avrebbe sgobbato come un mulo per il signor Rolf.
Le palpebre si chiusero immediatamente e si ritrovò nel suo mondo più amato, il mondo caotico e allegro, dove poteva ancora rivedere sua madre…
Il mondo dei sogni.




*§*






- Controlla il Carter!- urlò Adam alzando gli occhi al cielo.
I capelli di un biondo scuro erano corti e un po’ sudati dal duro lavoro. Gli occhi verdi indugiavano sui dipendenti sporchi di grasso e la tuta da meccanico era aperta fino alla vita per lasciar respirare la pelle accaldata dai motori. La canotta bianca era unta di benzina e alcune ditate spiccavano sul tessuto.
Odiava profondamente quando i suoi collaboratori si dimostravano incompetenti perché lui voleva che tutto fosse perfetto.
Lavorava alla Yamaha da quando aveva litigato con suo padre Rolf e aveva deciso di collaborare con il nemico. Le moto erano la sua più grande passione e nella sua casa, nel lato ovest del giardino di famiglia, possedeva uno studio grafico, dove lavorava sempre a nuovi progetti che poi doveva chiudere accuratamente in cassaforte se non voleva che il padre glieli bruciasse. Un giorno alla settimana, però, dava un contributo alla sistemazione di alcune parti dei motori più critici, su questo era abbastanza famoso e ogni anno aiutava il team sportivo della Yamaha per il set-up.
Adam sbuffò e si avvicinò al computer per controllare il motore: avevano inserito una sonda nella moto per l’imminente gara del Moto Gp che si sarebbe disputata nel circuito di Motegi.

- Muovete quelle chiappe! O ve le rassodo con un calcio!- esclamò per incoraggiare i presenti a rimettersi al lavoro.
Con una mano un po’ sporca di grasso prese il piccolo palmare dalla tasca e digitò il numero di casa, più tardi avrebbe avuto un colloquio con suo padre.
Maledetto bastardo… pensò vedendo che l’incontro era fissato per le quattro in punto e lui non avrebbe neanche avuto il tempo di mangiare.

- Cazzo ragazzi! Devo scappare, buon lavoro e ci vediamo domani per gli ultimi controlli!!- disse prima di fiondarsi verso l’uscita dell’enorme capannone della società.
Si pulì le mani su di un vecchio panno e si cambiò velocemente nel piccolo spogliatoio antistante all’edificio. S’infilò una semplice maglia bianca sopra a un paio di jeans e correndo verso la sua moto si chiuse la lampo del giubbotto di pelle nera.
Impugnò un mazzo di chiavi e accese la sua Yamaha Concept U-Max che aveva creato lui stesso: nera e grigia con luci e rifiniture in verde fluorescente. Si mise il casco nero, accese il motore e vi salì sopra facendola scattare in avanti.

Il paesaggio cambiava velocemente al suo fianco, ma per lui era solo come un pallido sfondo di una scenografia… Sono i personaggi che cambiano il destino, non il luogo…

La sua vita era un po’ così: amava agire, combattere le sue battaglie e non stare di certo nelle retrovie. Troppe persone avevano distrutto e cambiato la sua vita e lui non lo aveva permesso a lungo. Primi fra tutti i genitori: la madre alcolizzata che ora era in un istituto per la disintossicazione e il padre possessivo che come unico desiderio aveva quello di guadagnare e calpestare la gente sotto le sue sporche scarpe. Sin da piccolo non era capace di tacere i soprusi del padre e si ribellava sortendogli delle vendette micidiali.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata però quell’inverno per il suo diciottesimo compleanno e lui aveva deciso così di lavorare per il nemico separandosi finalmente da ogni legame familiare.

Adam parcheggiò la moto davanti all’enorme edificio grigio con piccole finestre della Kawasaki.
Si tolse il casco e se lo infilò sul braccio entrando nella tenuta della famiglia Scamander. Attraversò il grosso cancello di ferro battuto e si fece aprire la grande porta scorrevole di vetro dell’ingresso.

- Buon giorno signorino Adam!- salutò la segretaria al primo piano, una donnona sulla cinquantina dai capelli biondi e con un neo enorme sulla guancia.
Adam rispose con un breve cenno del capo e si dileguò nell’ascensore. Il respiro era leggermente più ritmato tipico di quando doveva incontrare il genitore. Avanzò per i corridoi semideserti e raggiunse l’ufficio del padre.
Esitò prima di afferrare la maniglia e aprirla.
- Entra - gli fu ordinato dal padre che con un gesto imperioso della mano lo invitò a sedersi.

- Beh…Come stai?- gli chiese Rolf accennando un breve sorriso.

- Senti… Arriva subito al sodo! Che cosa vuoi?- rispose Adam, leggermente seccato da quella chiamata: non voleva perdere altro tempo. Doveva ancora preparare molte cose per l’imminente gara.
Rolf si sistemò meglio sulla sua sedia e aggrottò le sopracciglia, serio.
- Bene… Allora saprai bene che ora ho bisogno di te qui nell’azienda… Immagino che tu non voglia occuparti delle cose di famiglia perciò avrei solo bisogno di un piccolo aiuto per progettare una nuova moto… Mi serve un parere e…-

- A quanto?-

- Beh… A dir la verità non avevo pensato ai soldi ma…-

- Niente ma… Con te non voglio più avere nulla a che fare, quindi o mi paghi o me ne vado!- spiegò Adam digrignando i denti. Odiava essere trattato come un bambino.
- Ok… Allora… Un milione ti basta?- chiese il padre estraendo un assegno dal cassetto. Con la penna scrisse la cifra e firmò rapidamente.

- Perfetto… Inizierò oggi stesso… Prima finisco prima ti levo dalle palle!- esclamò intascandosi l’assegno per paura che il padre ci ripensasse.

- Bene… Ora che gli affari sono ok, che ne dici se parliamo un po’ della cena di famiglia d’autunno? Questa volta ci devi essere… Ricorda che si deciderà la divisione degli ettari che abbiamo in America…- disse prima che il figlio lo potesse fermare o rifiutare l’invito da subito.

- Ci sarò… Ma sarà l’ultima cena cui prenderò parte…- decretò sorridendo malignamente. Amava quando dava dimostrazione di avere il pieno potere sulla sua vita.
Rolf sbuffò poi piano schiacciò un pulsante. Era il citofono.

- Signorina Lovegood!? Mi porti due caffè immediatamente…- ordinò; un sonoro crocchio si propagò per la stanza.
La porta si aprì velocemente.
Adam si girò per vedere l’ennesima segretaria che stava sotto la tirannia del padre.
Sarà la solita vecchina…pensò tra sé ridacchiando.

- Salve…- salutò timidamente una ragazza giovane dai lunghi capelli biondi con in mano un piccolo vassoio. Un ciuffo azzurro spiccava tra i boccoli morbidi e gli occhi azzurri erano decorati da strani sbuffi color cenere. Il fumo del caffè saliva verso le sue labbra rosee.
 
Ci rimase male. Quella ragazza era bella. Una bellezza semplice senza bisogno di trucco e senza troppi sfarzi. Indossava una gonna corta a pieghe e una camicia lunga a quadri viola e azzurro, simile a quelle dei boscaioli. Ai piedi aveva un paio di Converse consunte e sporche di fango.

- Sa…salve…- biascicò tentando di sorridere. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che era rimasto ammaliato da una ragazza.

- Lei è la signorina Lovegood… Lovegood lui è mio figlio Adam… Perché non lo accompagni nella stanza dove dovrà lavorare?- le chiese e ovviamente era un ordine implicito.

- Certamente signor Scamander…. Piacere mio, comunque… andiamo? - aggiunse sottovoce sorridendo al ragazzo. Piegò la testa di lato in una strana espressione felice.

Adam non se lo fece ripetere due volte e uscì dalla stanza seguendo la strana ragazza.
Lo portò lungo i corridoi e dopo un’interminabile camminata arrivarono a una piccola scaletta che usciva da una soffitta. Un odore orribile di muffa raggiunse i loro nasi.

- Lì?-

- Ehm… Si…. Tuo padre non ha un’alta considerazione di te…. E neanche tu di lui…- disse iniziando ad arrampicarsi. Non era una domanda bensì un’affermazione e aveva centrato in pieno.
Adam rimase interdetto prima di seguirla.
Come diamine aveva fatto a capirlo? Si chiese mentre arrivava nell’angusta soffitta.

- Sinceramente avrebbe bisogno di essere riarredata…- disse la ragazza sottovoce. I muri spogli non erano di certo il peggio lì dentro.
Il pavimento era coperto di polvere e grandi fogli ammuffiti stavano su di un tavolo di legno dalle gambe bucherellate dai tarli.

- Riarredata? Questa stanza andrebbe bruciata!- esclamò Adam facendola ridacchiare.

Adam sorrise beato: la sua risata era cristallina e pura. Gli sembrava quasi paragonabile a una sorgente di montagna che scivola tra la neve.

- Beh… Come ti chiami?- le chiese e si sentì stupido. Forse non era il metodo migliore per iniziare una conversazione. Eppure erano anni che non ci provava con le ragazze, aveva smesso di corteggiare. Se era adulato, ci stava, altrimenti amen. Questa era la sua filosofia.

- Luna!-

- Bel nome… Luna Lovegood… Mmh… suona bene…- disse ad alta voce, anche se stava più pensando per i fatti suoi.


- Grazie… Comunque i tuoi fogli sono questi… Devi progettare il nuovo volante per questa moto…- spiegò Luna sorridendo mentre gli avvicinava dei fogli.
Adam allungò la mano e studiò con attenzione i particolari.
Lavoro da ragazzi… pensò prendendo una sedia e sedendosi rumorosamente.

La sedia però… beh…. Era come il resto della soffitta… Quindi potrete immaginare quanto sgangherata fosse.
Fatto sta che Adam si ritrovò sul pavimento.

- Oddio! Ti sei fatto male?- strillò Luna preoccupata e si avvicinò al ragazzo che ora rideva come un cretino.
Si alzò lentamente e prese uno sgabello di ferro; almeno quello avrebbe resistito.

- Tutto ok! Non potrò mai uccidermi… infondo, se con quel coglione che ho per padre, non mi sono mai suicidato mi andrà sempre tutto bene!!- disse sospirando e prendendo una matita.

Luna rise e si sedette al suo fianco appoggiando il mento nella mano aperta.

- Ti dispiace se sto qui?- chiese arrossendo un poco.

- No, no! Accomodati! Beh… Non è che tu abbia grandi possibilità di relax ma nella vita bisogna accontentarsi!!- replicò sorridendo.

Adam si concentrò nel suo lavoro e per ore lavorò al progetto. Luna era rimasta lì dall’inizio alla fine e non pareva stancarsi, anzi, gli dava consigli sul design e ogni tanto ridacchiava alle sue battute.
Il ragazzo si scoprì felice, come non lo era da tempo e per un po’ sperò che la sera non arrivasse mai.

- Secondo me dovresti ampliare questa! Così risulterà molto più dolce…- disse Luna squadrando con attenzione il disegno.

- Mmh… Hai ragione… Ma allora devo abbassare anche questo….- aggiunse Adam pensieroso. Si trovava bene con lei e le idee fluivano con maggiore facilità.

- Senti… Io ora devo scappare, sai mi ci vuole un’eternità per arrivare allo chalet…- fece improvvisamente la ragazza, alzandosi dalla sedia.


Adam sorrise tristemente. Non voleva lasciarla andare via ma infondo non poteva pretendere chissà che.  
Accompagnala! Una voce dentro di sé lo invitò a reagire e Luna sorrise, come per dargli l’opportunità su di un piatto d’argento.
E lui la sapeva cogliere da sempre.

- Ti va bene se ti accompagno? Infondo ci dormivo io lì, pochi anni fa…- le rispose seguendola giù per la scaletta.
 
- Ok! Per me va benissimo!- acconsentì lei, mentre saltellava per il corridoio deserto.

Camminarono per i viottoli del giardino e quando arrivarono allo chalet, si salutarono velocemente. Adam rimase a guardare la porta della casa chiudersi e fissò al lungo il susseguirsi di luci accese e spente.
Dopo attimi di riflessione si voltò e piano corse nella sua casa.
Stava dopo una piccola collinetta del giardino e s’innalzava su di un laghetto ampio adornato da alti salici e peschi giapponesi. La pagoda rossa dal tetto scuro era stata costruita da poco e alcune tavole di legno dovevano essere finite di dipingere.
Entrò nella piccola porta bianca e si tolse le scarpe, com’era di usanza lì. Piano si diresse verso il soggiorno e appoggiò la borsa sul divanetto bianco. Davanti, un tavolino di legno scuro ospitava un servizio da tè in porcellana rossa; ma l’aspetto più bello era di sicuro il grande bonsai che cresceva al centro della stanza e, da un buco sul soffitto, proseguiva al piano superiore.
Adam si gettò sul divano con un sorriso da ebete stampato in faccia.
Prese l’agenda e impulsivamente cancellò tutti gli impegni pomeridiani. A grandi lettere scrisse la sua nuova occupazione e poi gettò il quadernetto sul tavolino.




Domani la rivedrò!






*§*





Passarono le settimane.
Luna ormai era legata ad Adam e stare un giorno senza vederlo le pareva impossibile. Lui l’aveva aiutata, confortata e le aveva dato un appiglio per i momenti difficili. Negli ultimi tempi, infatti, la povera Luna si sentiva sempre peggio; il signor Rolf la faceva sgobbare e inoltre pareva animato da un desiderio perverso di avere il controllo sulla sua vita. Luna dapprima sconcertata si era fatta dare una mano da Adam che le aveva consigliato i modi migliori per sfuggire alle calunnie del padre. Ogni pomeriggio lui la andava a trovare e parlavano di tutto mentre lui continuava a lavorare ai suoi progetti. Gli raccontava tutto, persino i momenti difficili della guerra e lui le aveva raccontato di quando studiava a Rijon, la scuola magica asiatica. Luna non ne aveva mai sentito parlare e a quanto pare era nascosta molto bene, a detta di Adam.
Erano amici e questo li rendeva completamente felici.
Eppure per la giovane Luna tutto sembrava così troppo semplice. Lei provava un sentimento più forte per Adam e con il tempo si era convinta di essersi innamorata. Dannatamente innamorata dei suoi occhi verdi, del suo viso dolce, del suo essere così sprizzante e pieno di nuove speranze, del suo essere cinico fino all’attaccatura dei capelli e soprattutto di essere per lei l’appiglio di cui aveva sempre avuto bisogno.

- Hey, Luna!!! Ciao!- la salutò Adam quel pomeriggio prendendola per il braccio. Senza ammettere repliche la distolse dal suo lavoro e la trascinò sulla sua moto.
- Ehi! Io non ci salgo su quel coso!! Dai Adam!!! Devo lavorare….- ribattè cercando di divincolarsi dalla sua dolce presa.
- Ti preeegooo! Per oggi puoi anche marinare il lavoro! Ti voglio mostrare una cosa….- le disse sapendo bene di aumentare la sua curiosità. Ormai si conoscevano benissimo e spesso Luna si apriva a enormi sorrisi quando se ne accorgeva.
La issò sulla moto e dopo forti schioppi del motore partì nella fredda nebbia post pioggia.
Faceva dannatamente freddo eppure Luna sembrava essere soddisfatta del calore offerto dalla sua giacchetta nera. Indossava un paio di Jeans blu notte, Converse gialle e una maglia a quadri colorati che risaltava sotto la giacca.
Arrivarono velocemente al circuito di Motegi.
L’aria che si respirava lì era elettrica e piena di tensione. Team di persone che correvano da una parte all’altra, gomme che rotolavano sull’asfalto e vecchi catorci che andavano portati a rottamare.
- Perché mi hai portata qui?- chiese Luna, alquanto perplessa.
Adam sorrise.
- Vieni…- e la condusse, facendole chiudere gli occhi, lungo stretti corridoi e scale a chiocciola.
 
Luna si sentì pervadere da una strana aria fredda.
Aprì gli occhi.

- ODDIO!- esclamò guardandosi attorno.

Si trovava in cima alla torre di controllo della pista. Fuori. Sul tetto per la precisione. Sembrava che neanche gli elicotteri potessero arrivare a quell’altezza.
Tutto però era stupendo.
La pista da lassù sembrava un piccolo intestino attorcigliato. L’erba dei prati era come uno spruzzo leggero su quel mare di colori. Alberi di pesco in via di fioritura adornavano i giardini circostanti e numerosi laghetti erano percorsi da ponti sospesi e dai colori sgargianti. Case dai tetti a pagoda erano rosse, gialle e persino poteva scorgerne qualcuna di blu. Il mare in lontananza pareva muoversi in un lontano richiamo, come se volesse ridestarsi sulla terra giapponese. Le nuvole coprivano a spiazzi l’azzurro feroce del cielo, rendendolo dolce e vellutato, come una sorta di lenzuolo delicato.

- È bell…bellissimo…- sussurrò lei, coprendosi la bocca per l’emozione.
- Ti va di sederti? Così parliamo noi due…- disse Adam porgendole la mano per farla accomodare su di un cornicione.
- Vengo spesso qui… Mi piace osservare il paesaggio e mi rende calmo… Poi se chiudi gli occhi si sentono i rumori delle moto, delle urla di gioia, dei giochi dei bambini… tutto sembra tuo… Mi sono chiesto più volte se è così che si sente Dio…- disse malinconico osservando il paesaggio.
Luna era senza parole.
Poi una domanda le venne spontanea.
- Ma tu credi in Dio?- chiese curiosa.
Adam esitò a rispondere.
- Mi piacerebbe… Ho smesso di credere in Dio molto tempo fa…- disse quasi sussurrando – Tu Luna?-
- Mmh… Non lo so… Con il cervello non ci credo… Io sono una maga infondo quindi mi sembra un po’ strano… Ma nessuno mi assicura che non possa esistere qualcuno lassù… Però se ha prescelto la nostra razza non è un Dio giusto…- spiegò Luna portando le mani sotto alle gambe per scaldarsele un po’.
- Già… Ma prova a pensare… Secondo me ha privilegiato i babbani… I poteri non ci rendono migliori e i babbani hanno sviluppato molto di più la loro intelligenza… Guarda che cose fantastiche che sono riusciti a fare senza la magia!- disse spalancando le braccia, indicandogli ciò che avevano attorno.
- Strutture, cellulari, computer, raggi X, medicine e persino i robot! Noi maghi non riusciremo mai ad eguagliargli… eppure anche se siamo più indietro rispetto a loro noi siamo dei bastardi…-
- In che senso?-
- Noi uccidiamo con la parola…- rispose Adam con lo sguardo velato dalla nostalgia.
Rimasero zitti qualche istante.
Non c’era bisogno di parlare ed entrambi si capivano. Troppo.
Adam le prese la mano e gliela strinse.
- Perché non hai lavorato tra i maghi?- chiese infine Luna, troppo curiosa per riuscire a tacere.
- Perché il mondo dei maghi mi ha distrutto la vita… e perché credo fermamente in quello che ho detto poco fa…-
- Oh, capisco… Io invece non riesco a staccarmene… La magia è la mia vita… Nulla potrà mai eguagliare l’energia che sento scorrere nel mio braccio quando faccio anche un semplice incantesimo di Appello…-
- Ne sei sicura?- chiese Adam sorridendo appena. Era più giovane di lei eppure sembrava più maturo e più consapevole.
Lei annuì lentamente, sempre meno convinta.
Adam la fissò negli occhi e senza pensarci due volte le si avvicinò.
Luna potè sentire il suo fiato caldo sul volto, il tocco delle sue mani sulle gote e lo sguardo incatenarsi con il suo.
Una corrente fluì in tutto il suo essere.
Una corrente inaspettata e troppo grande da sopportare silenziosamente. Avrebbe voluto urlare.
Lui sorrise e nell’attimo in cui si aspettò quel gesto…
Quello non arrivò mai.
Il bacio sulle labbra è una pratica arcana, sin dall’inizio dei tempi… Forse anche l’inizio del mondo è stato siglato con un bacio.
Ma quello che le arrivò era più dolce e più profondo.

Sentì le labbra calde di lui posarsi sulla sua fronte.

Rimasero a guardarsi per un lasso di tempo infinito. Lui teneva il suo volto tra le mani e attendeva.
Attendeva l’amore.
Presto quella sensazione sarebbe arrivata e loro non avrebbero potuto farci niente… Se non arrendersi al destino.
Presto i loro occhi sarebbero diventati ciechi e avrebbero annullato tutte le barriere. Non sarebbero esistite iridi, pupille o ciglia. Solo un sentimento inesorabile che sarebbe sgusciato fuori e avrebbe riempito tutto.

Adam le chiuse le palpebre e le prese le mani.
Si sistemò davanti a lei e la fissò. Lui era già stato preso dalla morsa dell’amore e anche lei stava iniziando a percorrerne le tracce. Ne era sicuro.  

- Guardami- le disse.

Luna aprì gli occhi e lo fissò.






*§*





Un rombo lacerante investì l’aria.
L’ennesima moto passava davanti al traguardo.
- Evvai!- esclamò Adam abbracciando quelli del suo team. Avevano ottenuto il secondo posto.
Erano mesi che si preparavano e infine il loro lavoro era stato premiato.
Adam uscì dalla cabina di comando e raggiunse colei che lo stava aspettando.
Rise.
Era buffa con quel cappellino della Yamaha sulla fronte e la bandierina in mano. Indossava un vestito lungo e di un azzurro cielo brillante. Ai piedi le solite scarpe consunte.
Sorrise immaginandosi quel pomeriggio sul tetto. Era passata una settimana. Eppure quel giorno non si erano baciati.
Lei non era pronta e lui l’aveva capito subito.
Ora però la vide.
Era felice e sventolava quella bandiera con così tanto fervore che quasi si commosse: infondo lo stava facendo per lui.
- Hey splendore! Se continui così farai partire una bufera!- le disse ridacchiando.
Luna si girò e sorrise.
Si guardarono come si erano visti sul tetto.
L’amore ormai era guizzato tra i loro sguardi.
Adam si avvicinò e con una rapidità sorprendente la tirò a sé.
La baciò.
Un bacio improvviso. Senza nessuna aspettativa o ripensamento. Non c’era stata coscienza nell’atto era un’azione che era maturata da sé.
Le lingue s’incontrarono, in un gioco senza fine e le loro bocche erano ormai preda di un circolo vizioso. Erano brucianti di consapevolezza.

Non si erano accorti che qualcuno li fissava.
 




*§*

 



Non poteva più sopportare quella situazione.
Lei era una sua proprietà.
L’aveva comprata, presa e messa al suo servizio. Non poteva tradirlo così e lui non lo avrebbe permesso.
Sentiva l’odio scrosciare su di lui come un temporale perpetuo e invaderlo di un rancore troppo profondo per essere anche solo spiegato.
Nessuno poteva prendersi le sue cose.
Lui si era liberato di lui tempo prima ed ora arrivava e si prendeva colei che ora bramava?
Non lo avrebbe permesso.





*§*





- Dai! Ma dove mi hai portata?- chiese Luna ridendo.
Erano scappati dai festeggiamenti perché volevano avere finalmente il loro momento tanto atteso.
Si trovavano nell’officina della Yamaha e Adam, con addosso la sua tuta da meccanico macchiata di grasso era rimasto in canottiera.
- Uh! Sempre a lamentarti tu… Ti mostro una cosa…- e la tirò fino in un piccolo stanzino.
Lì c’erano alcuni vecchi pezzi di motori arrugginiti e un grosso sidecar.
Non era un posto affatto romantico.
- Aspetta…aspetta… Guarda!- e accese un interruttore. Minuscole luci bianche e colorate illuminarono la stanza che sembrava un po’ un albero di natale.
Luna scoppiò a ridere.
- Beh? Che hai da ridere? Dove pensi che abbia passato gli ultimi Natale?-
- Qui??- ridacchiò ancora Luna sedendosi nell’enorme sidecar.
- Ero talmente assorbito dal lavoro che non potevo concedermi un Natale decente e quindi rimanevo qui….-
- Capito…- fece Luna bloccando la sua risata.
Dopo pochi istanti scoppiò a ridere di nuovo.
- Guarda la stronza! Adesso ti faccio vedere io!!!- e saltò all’interno del sidecar dove Luna aveva preso posto.
- NO! Il solletico noooo!!!- gridò lei tra le risa.

- Vieni qui, stupida….- e la baciò intensamente.

Si volevano.
I loro baci divennero caldi e appassionati.
Adam la distese nel sidecar e si mise sopra di lei.
Le scostò il vestito e dolcemente le percorse il ventre caldo fino a giungere al sottile reggiseno di pizzo. La sentì ansimare dolcemente sotto il suo tocco e piano glielo sfilò fino a poter toccare il piccolo seno sodo. Con le labbra percorse il suo collo fino a scendere sui capezzoli rosei e li torturò dolcemente con la lingua.
Luna intanto gli aveva sfilato la canottiera e con le mani esili percorreva i suoi addominali e il suo petto allenato. Con una dolcezza infinita gli slacciò la cintura e in breve tempo si ritrovò in slip.
- Hey… Sei così veloce?- chiese soffiando sulle sue labbra.
Lei ridacchiò e con fare delicato gli strofinò le cosce, facendo quasi tremare la sua erezione.
Adam cercò di non distrarsi troppo e le sfilò il vestito gettandolo sul pavimento.
Rimase a guardarla.
Era dannatamente bella.
Dalla carnagione chiara che sapeva della vaniglia più dolce.
Con le labbra percorse tutto il suo ventre e con sensualità le lasciò una miriade di baci attorno agli slip e solo quando la sentì gemere piano decise di porre fine a quella lenta tortura.
Le sfilò le mutandine e con dita esperte le accarezzò dolcemente la sua intimità.
Luna nel frattempo gli aveva levato gli slip e si era bloccata.
Il piacere ormai la stava raggiungendo.
Adam le prese una mano ed entrò in lei. Piano e senza essere brutale.
Ondeggiarono a lungo e solo quando i loro sospiri si fecero più lunghi si lasciarono andare completamente.

Avevano finalmente rotto tutte le barriere ed erano una cosa sola.


Un rumore li fece sussultare e si fermarono.






*§*





- Salve Adam… Vestiti…- ordinò Rolf al figlio e provò uno strano piacere nell’interrompere il loro momento.
- Che cazzo vuoi? Vattene padre… Non sei autorizzato a stare qui….- replicò al padre alzandosi e solo per pudore si era infilato gli slip e i pantaloni. Luna aveva fatto lo stesso.
- Lei è una mia proprietà!- urlò il padre, ridendo.
- Che cavolo dici?- chiese Adam senza capire.
- Quella ragazza ha siglato un patto con me… Quando ha firmato il contratto sapeva bene che sarebbe dovuta rimanere con me! Non potrà mai essere tua… Dovrà vivere a casa nostra…-
- E allora? Io me ne starò qui!-
Rolf rise.
- No mio caro… Ti ho sfrattato mio caro….- disse con una perfidia disumana.
Luna cominciò a piangere silenziosamente.
Adam era allibito.
- Coosa?-
- Non potrai più mettere piede in città… Sei stato da me denunciato per aver trattato male una mia dipendente… Sai, io conto molto in questa società…-
- BASTARDO!!- gridò Adam fuori di se e con una ferocia mai vista si buttò sul padre.
Due uomini vestiti di nero comparvero all’improvviso e presero Adam per le spalle.
- Da questo momento tu sei ufficialmente fuori dal paese e verrai portato in America…- spiegò il padre prima di vedere il figlio venire portato via dalla stanza.

Adam fissò un’ultima volta Luna.  
Credevano di avere una speranza e i loro sguardi pieni di amore si contraccambiavano.

Ma come due palloncini si sarebbero dispersi nell’aria e sarebbero volati via.





*§*




A distanza di anni Luna soffriva.
Aveva due piccoli bimbi biondi.
Due gemelli.


Lorcan e Lysander erano la sua unica salvezza e la sua possibilità di amare.

Avevano troppo del padre e della madre: capelli biondi e ricci e il fisico asciutto. Gli occhi erano la cosa più bella. Lorcan li aveva azzurri come la madre. Lysander verdi come il padre.

Luna non aveva più rivisto Adam da quel pomeriggio.

Era riuscita ad avere una sua lettera tempo dopo quando aveva scoperto dei loro figli.


Ora viveva con Rolf e lo aveva sposato.
Ci credereste mai?
Eppure Luna aveva pronunciato quel sì, condannandosi a morte.


Non voleva vivere.
Era stanca di soffrire per la lontananza.
Erano passati tre lunghi anni ed Adam non aveva più fatto ritorno.

Luna era rimasta con Rolf solo per un motivo: sperava un giorno di poter rivedere Adam. Le sarebbero bastati cinque minuti o solo due secondi; voleva cibarsi ancora del suo sguardo amorevole e carico di passione.
In Rolf vedeva solo uno sporco assassino.
Lui l’aveva uccisa con le parole.

Era uno sporco mago.


Avrebbe preferito di gran lunga l’Avada Kedavra.
Tutto era durato troppo poco, troppo velocemente ed era tutto finito.
Eppure sapeva che c’era un filo invisibile che li congiungeva.
Poteva sentirlo, a distanza di anni ma ancora non sapeva percorrerlo.

Di Adam le era rimasta solo una lettera. Una dannatissima lettera. Sciupata dalle lacrime, gettata in una cassaforte e protetta da incantesimi.


A me non è concesso sapere ciò che c’era in quella lettera. Tutto è sempre rimasto segreto, nascosto al sicuro nel cuore di Luna che orma ne sapeva le parole a memoria, come un Mantra.

Era tutto così buffo ora ai suoi occhi.

L'avevano sempre presa in giro per essere Lunatica e pazza... e ora lo era sul serio.
Si era portata nel cuore solo una forte pazzia e Rolf lo sapeva bene ma si nascondeva dall'ammetterlo.

Luna era pazza ma a nessuno interessava.


In quegli anni aveva sempre creduto che forse una speranza c'era e vedendo i figli sempre così allegri, aveva tenute incrociate le dita.

Ora però per lei era tempo di crescere e di rinunciare per la prima volta nella sua vita ad un qualcosa di gioioso.
Stava annicchilendo la sua vita.


Forse non lo avrebbe più rivisto.

Però di una cosa era certa.


Dio per lei non esisteva.




Non potrebbe essere così crudele
                                                                     Adam












# Ecco! Finito!
Vi è piaciuto??
Spero di si... Beh, è sempre una storia triste ma prometto solennemente che la prossima One-Shot sarà a (quasi) lieto fine!!! XD
Ci tengo a fare solo un appunto... L'ultima frase del racconto è l'ultima frase della famosa lettera di Adam. Sapete bene perchè è importante.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito la precedente storia.
lolly puwerpuff girl, sbrodolina e samara 89.
Ma sopprattutto mando un bacione immenso a Tie... Colei che con la sua recensione stupenda mi ha convinta ad intraprendere questa raccolta! Beh, thanks!

Grazie a tutti ragazzi!!!
Invito chi legge questa ff a fare un salto alla mia ff Eyes Of Truth che oltre ad avere un successo decente è mooolto più divertente di questa! Fateci un giro!

Beh, baci a tutti!

MollY_gIaDa



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