autobiografia di un'emozione di Alice Joy (/viewuser.php?uid=85790)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** THE BEGINNING ***
Capitolo 2: *** J - JITTERY ***
Capitolo 3: *** A - ANXIETY ***
Capitolo 4: *** S - SUFFERING ***
Capitolo 5: *** P - PLEASURABLE ***
Capitolo 6: *** E - ENCHANTING ***
Capitolo 7: *** R - READY TO LOVE ***
Capitolo 8: *** W - WELCOMED ***
Capitolo 9: *** I - INFLEXIBLE ***
Capitolo 10: *** T - TORMENTED ***
Capitolo 11: *** H- HOPELESS/HOPEFUL ***
Capitolo 12: *** L - LOVE ***
Capitolo 1 *** THE BEGINNING ***
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AUTOBIOGRAFIA DI UN'EMOZIONE
-THE BEGINNING -
“In tutte le pagine più buie del soprannaturale malvagio, non c'è tradizione più terribile di quella del Vampiro, un reietto anche tra i demoni.”
Montague Summers
Forks, 2009
Ad Alice Cullen,
poiché Lei è tutta la mia vita.
chi sei?
Domanda semplice, scontata, banale, probabilmente la prima che si pone quando incontri qualcuno che non conosci.
Risposta: Jasper Withlock
nome e cognome. Automatico, tremendamente facile.
Non per me.
Per la popolazione femminile di Forks , area metropolitana di Port Angeles, stato di Washington, città dove attualmente vivo, rappresento l'incarnazione dell'uomo perfetto: alto, biondo, occhi scuri, capelli ricci e scompigliati, gambe muscolose, spalle larghe, fisico marmoreo, naso perfettamente dritto e proporzionato, dentatura perfetta e bianchissima. Intelligente e dannatamente sexy. E' la mia natura che me lo impone.
Ridicolo, proprio io che un uomo non sono.
Non più almeno. Tutto quello che rimane della mia umanità non è che un nome, tra l'altro, insignificante.
L'unica verità gira tutta intorno a quel “dannatamente”. Io Jasper Withlock sono un essere dannato. Per l'eternità.
Leggende metropolitane mi definiscono vampiro. Ebbene sì, contro ogni scetticismo questo è ciò che sono ora. L'emblema di un mostro, immortale, un non-morto per così dire che tormenta e uccide i vivi succhiando il loro sangue.
Vero. La mia natura m'impone di essere così. Chiamalo istinto di sopravvivenza. Tuttavia grazie a Lei ho imparato a placare la sete e a confondermi nel mondo reale. Certo questo mi costa un certo sforzo ma mi fa sentire un po' meno il mostro che sono.
Ovviamente non è sempre stato tutto così semplice. Rubando una frase a mio fratello, posso dire con certezza che la mia vita prima di Lei era una notte senza luna, molto buia e senza stelle, poi ha attraversato il cielo come una meteora, d'improvviso tutto ha preso fuoco. C'era luce, c'era bellezza, c'era Lei, Alice, il centro di tutta la mia esistenza.
Amor mio, forse sono pazzo ma il mio cuore è come un libro aperto di fronte a te, lascio tutta la mia vita nelle tue mani. Voglio farti capire quanto tu, per me, abbia fatto la differenza.
Jasper W.H.C.
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Capitolo 2 *** J - JITTERY ***
J - JITTERY
“E' la verità! Sono nervoso sono stato e sono molto, molto, terribilmente nervoso;[...]
Il male ha affinato i miei sensi, non distrutti, non annientati. Più di chiunque altro avevo avuto acuto il senso dell'udito. Ho ascoltato tutte le voci del cielo e della terra. Molte ne ho intese dall'inferno. […] Uditemi! e osservate con che precisione, con che calma io posso narrarvi tutta la storia.”
Edgar Allan Poe
1 gennaio 1863
Da quasi due anni avevo lasciato Houston sud-est, contea di Montgomery in Texas.
Allora ero un ragazzino di quasi diciasette anni, pieno di sé e con una sfacciata voglia di mostrarsi al mondo.
L'occasione si presentò subito con la guerra civile. Era il 23 febbraio 1861, i cittadini del Texas, tra cui mio padre, avevano approvato la secessione.
Mi arruolai Nell'Esercito Confederato dichiarando all'ufficio reclute di avere vent'anni. Non fu difficile mentire, avevo sempre avuto carisma e, la mia altezza fu un ottimo elemento per farglielo credere.
Il 12 aprile eravamo ufficialmente entrati in guerra. Ero nervoso poiché ero stato messo alla prova.
Mi trovavo a capo di un piccolo gruppo di commilitoni, compito radere al suolo Fort Sumter.
Dovevo dimostrare quanto valessi, quanto potessi essere promettente. Il suono delle bombe mi riecheggia ancora nelle orecchie, anche se il ricordo è ormai lontano. Fu quasi un gioco da ragazzi, in poco meno di un giorno la città si arrese alle forze del Sud.
Erano le 3.20 del mattino, avevo informato il maggiore Anderson che avremmo aperto il fuoco entro un ora. Alle 4.30 sparammo una singola bordata di mortai in direzione del forte. Rapido ed indolore.
L'operazione mi fece raggiungere la fama tanto ambita. Feci carriera molto in fretta scavalcando anche gente più anziana ed esperta.
Il primo gennaio 1863, in occasione della prima battaglia di Galveston, fui soprannominato Maggiore. Ero il maggiore più giovane di tutto il Texas, malgrado avessi ritoccato la mia età.
Ero stato incaricato di evaquare le donne e i bambini dalla città non appena le navi da guerra delle Forze Unioniste avessero raggiunto il porto.
Ricordo esattamente quella notte, la notte del primo gennaio 1863, la mia ultima notte da umano.
Ero riuscito a mettere in salvo tutto il gruppo, ciò nonostante qualcosa mi spinse a tornare indietro, a ritornare in città. Ero quasi arrivato quando, sul mio cammino incontrai tre donne. Pensai che molto probbabilmente erano rimaste indietro, volevo aiutarle.
Non appena vidi i loro volti alla luce fioca della luna, mi si bloccò la voce in gola. Erano le donne più belle che avessi mai visto. Rimasi incantato dalla loro pelle chiarissima, dalla voce dolcissima e delicata, dai visi d'angelo. E mi bloccai ancora di più quando una di loro avvicinandosi a me mi soffiò nell'orecchio un: “sei delizioso...irresistibile”.
Si presentarono come Maria, Nettie e Lucy, capì subito, dal modo di fare, che la prima stava un gradino più su delle altre due.
“voglio tenerlo!” sentenziò infine, “mi piace troppo”.
“E' meglio se ci pensi tu Maria, io ne uccido il doppio di quelli che riesco a tenere in vita” - la voce di Lucy era chiara.
Non capivo il senso di un simile discorso, ma, solo allora, mi resi conto che ero in pericolo.
Da non credere, io, un ufficiale armato, rabbrividire di fronte a tre ragazzine.
Strinsi la presa sulla mia Spencer, carabina ad altissima precisione. L'istinto mi diceva che quell'angelo faceva sul serio quando parlava di uccidere. Sarei davvero stato capace di uccidere quelle ragazze? In tutta la mia vita mi avevano insegnato a proteggere le donne.
“chi sei?” mi chiese Maria, incredibile, sempre la stessa domanda ma allora sapevo bene qual'era la risposta. Sapevo chi ero.
“Maggiore Jasper Withlock, signorina”
Mi si avvicinò, di nuovo, inclinò la testa di lato, come per baciarmi. Aveva annientato completamente la distanza tra di noi. Sentivo il suo respiro fresco sul mio collo. Se non fossi stato pietrificato dal terrore scaturito dai suoi discorsi di poco prima, sarei andato in estasi di fronte ad un contatto simile.
“spero che tu sopravviva, ho l'impressione che ne valga la pena” mi disse con voce gentile.
L'ultima frase percepita dal mio orecchio umano. Immediatamente dopo mi sentii trafiggere. Qualcosa di incredibilmente caldo e denso sgorgava dal mio collo imbrattando il colletto della mia giubba grigia.
Non vidi più niente, mi abbandonai tra le braccia della mia aguzzina, potevo ancora sentirla, era soddisfatta. D'improvviso un dolore lancinante attraversò il mio corpo, il respiro venne meno, così come il battito del mio cuore. Un unico pensiero mi accompagnò nella mia dolorosa incoscienza: la consapevolezza che Jasper Withlock era morto.
maggiore Jasper Withlock! ti prego, non ridere.
Jasper W.H.C.
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Capitolo 3 *** A - ANXIETY ***
A – ANXIETY
“Non c'è nulla di più comune del desiderio di essere importanti”
William Shakespeare
4 gennaio 1863 – fine 1864
dolore, dolore e ancora dolore. Era sconvolgente.
costante fissa di questa non-vita. Non trovavo un senso a ciò che stava accadendo.
Non mi ero mai chiesto se i morti provassero dolore. Non me l'ero mai chiesto perchè prima di quel momento ero sicurissimo che così non fosse. Dovevo ricredermi. Ero morto ed ero agonizzante. Mi chiesi in quale girone dell'inferno fossi finito. Probabilmente nel primo girone del settimo cerchio, il mio posto in fin dei conti. Avevo ucciso senza scrupolo in guerra, che cosa mi aspettavo?
Ero troppo preso dal filo dei miei ragionamenti per accorgermi che in realtà il dolore era cessato. All'improvviso, così com'era arrivato.
Poi aprii gli occhi e mi osservai attorno, sorpreso.
Tutto era limpido, nitido, definito. Riuscivo a distinguere le scie luminose lasciate nell'aria dalla luce del sole che filtrava attraverso le fessure delle aste di legno alle pareti. Vedevo i colori dell'arcobaleno nel suo bianco, percepivo ogni singola venatura del legno, ogni granello di polvere nell'aria. Respirai e non ne trassi alcun sollievo. Rimasi terrorizzato quando mi resi conto che non avevo più bisogno d'aria, i miei polmoni non la richidevano eppure io ero vivo.
Sentivo ogni singolo odore presente nell'aria, ogni suono, anche se lontano. Com'era possibile?
Arrivò all'improvviso, la sfumatura di qualcosa di caldo e desiderabile, mi fece bruciare la gola secca. Mi sentivo ardere.
Fu solo allora che le vidi, mi trovavo in una specie di catapecchia, loro erano ancora lì, loro, Maria, Nettie e Lucy. Le bocche insanguinate. Rabbrividii e per un momento desiderai di ritornare in quell'inferno nel quale credevo di essere finito.
L'aria mi sibilò dalla gola e uscì fra i denti serrati con il suono basso e minacciso di uno sciame d'api. I miei muscoli s'inarcarono e scattai in piedi rendendomi conto di quanto fossi diventato veloce. Mi portai di fianco alla finestra che dava sul campo e rabbrividii difronte all'immagine riflessa. La mia immagine. Ero io ma non ero io. A parte i capelli, non era rimasto più niente di Jasper Withlock in quel corpo. I miei occhi color smeraldo erano stati sostituiti da due occhi color rubino assetati di sangue.
Mio malgrado, esse, mi introdussero alla mia nuova vita, mi dissero che ero diventato un vampiro.
Appresi che il loro era un rapporto di convenienza, Maria cercava vendetta e voleva ampliare i suoi territori, le altre volevano allargare le loro zone di...”caccia”.
Per realiazzare il suo desiderio, Maria necessitava di un' armata fortissima, per questo, sceglieva personalmente reclute con un potenziale preciso. Lei mi insegnò a combattere, a rendermi invisibile agli umani, a placare la sete. Aveva già cinque vampiri con sé, io ero il sesto, ci dedicava tutto il suo tempo e la sua attenzione. A modo suo ci ricompensava...noi d'altro canto sapevamo essere soddisfacenti.
Appresi tutto molto in fretta, avevo sempre avuto un certo talento per questo genere di cose.
Nel giro di due settimane formavamo un piccolo esercito di dieci vampiri. Potevo dire di esserne il capo, sicuramente ne ero il più abile. Lei era contenta di me e questo mi bastava. Avrei avuto il rispetto di tutti. Ero di nuovo in bella vista, dopotutto era quello che avevo sempre cercato. Era ciò di cui avevo bisogno.
Prima dell'inizio di febbraio raggiungemmo addirittura la ventina. Era un numero considerevole visto il periodo ma daltronde il paese era ancora sopraffatto dalla guerra civile e per Maria, la cui bellezza era indiscutibile, non era affatto difficile catturare nuove reclute.
Col passare del tempo mi resi conto che ero molto abile a controllare l'emotività di chi mi stava intorno. Tutti dipendevano da me. Maria dipendeva da me e anch'io cominciai ad esserle devoto. Vivevo della sua passione per me. Una passione intesa nel senso più vero del termine. Lei mi faceva soffrire, mi faceva “provare”, mi faceva patire. Subivo, nella mia condizione passiva, le sue emozioni. Mi era impossibile sfuggirvi e d'altro canto credevo anche che non si potesse vivere diversamente. Inoltre la sua “politica militarista” e l'esercito avevano abbracciato praticamente tutta la mia vita. Sempre.
A capo di questi “commilitoni” intrapresi nuove battaglie, eravamo estremamente forti. Lei era al settimo cielo. Ma il potere si sa, è un cattivo compagno, più ne hai, più ne vuoi.
Divenne avida, la sua sete di successo la spinse ad estendersi in gran parte del Texas finchè altri vampiri venuti dal sud non la respinsero.
Alla fine del 1864 il nostro esercito non esisteva più. Erano tutti morti, tutti, tranne io. Perfino Nettie e Lucy avevano voltato le spalle a Maria ed in un certo senso anche a me.
Cominciai a rendermi conto di ciò che ero diventato, un essere senza scrupoli, nessuno aveva importanza per me. I miei commilitoni? Pedoni nelle mie mani. Usa e getta.
Col passare del tempo l'ansia scaturita dal mio conflitto interiore divenne sempre più pressante.
Ando' avanti per anni, ero stanco di tutto questo ma ci volle un bel po' prima che le cose cambiassero...
Jasper W.H.C.
° ° ° ° ° ° °
Cara Ele, volevo ringraziarti del tempo che mi hai dedicato :) questa è la prima volta che decido di condividere qualcosa di mio, diciamo che ho voluto provare, visto l'interesse di molti al personaggio. Jasper è stato molto felice di sapere che hai un debole per lui anche se la storia di Marcus gli è ancora difficile da digerire. :PP
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Capitolo 4 *** S - SUFFERING ***
S – SUFFERING
“Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.”
Kahlil Gibran
giorno indefinito del 1904 – 1911
Scendevo in campo, per sconfiggere i vampiri avversari, secondo il comando di Maria, davanti al mio esercito, come una vampa di fuoco.
Mi abbattevo su di loro, come un falco e, quando giungeva l'ora di profumarsi la bocca, li uccidevo, come un leone sulle sue prede.
Le notti passavano così, i giorni, i mesi, gl'anni...
Erano passati quarant'anni eppure la mia vita non era cambiata di una virgola, stessa violenza, stesso inferno.
Finchè non conobbi lui. Peter.
Era stato abbindolato da Maria, proprio come me, facevamo lo stesso lavoro, per così dire.
Cio' nonostante Peter era diverso da tutti noi...più “umano”, l'unico che non provasse piacere nel combattere.
Una notte, durante uno dei nostri “turni di lavoro” provò a convincermi di alcune sue teorie su quanto questa vita fosse sbagliata, sul fatto che dopotutto noi potevamo essere diversi, migliori. Tutto sarebbe stato meglio di questo, ma, non è facile crederci se “questo” è quello che ti hanno insegnato per tutta la vita. Inoltre gli ordini di Maria erano sempre chiari e, per quanto sentissi che per lui era un sacrificio, scossi la testa e gli intimai di continuare il suo lavoro.
La mia prossima vittima sarebbe stata una vampira neonata, il suo nome era Charlotte, aveva appena superato l'anno.
Fu allora che lui si tradì.
Con mia grande sorpresa, ando' improvvisamente, su tutte le furie.
Le intimò di scappare e lui corse via con lei. Li lasciai fare, non volevo distruggerlo.
Rimasi interdetto, non avevo mai sentito nulla di simile. Era bastata la vista di quella giovane vampira a far andare in subbuglio le emozioni di Peter ed io, ovviamente, ne avevo goduto di riflesso. Era stato qualcosa di unico, inaspettato, mai provato. Altamente gratificante.
Mi chiesi cosa potesse essere se amicizia o amore. Ne dedussi, dall'espressione beata, sul viso di Peter, a tale visione, che quello doveva essere per forza amore.
Rimasi schifato da me stesso, dall'essere apatico nel quale mi ero trasformato ed invidiai Peter quando la consapevolezza che, nemmeno l'umano Jasper Withlock avesse mai provato nulla di tutto questo, mi colpì come un fiume in piena.
Sarei mai riuscito a vivere diversamente od ero condannato a questa eternità?
Col passare del tempo mi sentivo sempre peggio, questi pensieri mi logoravano l'anima, sempre ammesso che io ne avessi ancora una.
Mi ero stancato perfino di Maria, sarei stato disposto a distruggerla, ad eliminare il mio punto di riferimento. Erano passati altri cinque anni ed io avevo raggiunto il limite massimo consentito dalla mia tollerabilità.
Quando meno te lo aspetti le cose cambiano. Prima o poi la fortuna gira dalla tua. Dicono. Non ho mai dato tanto peso alle dicerie, ma, probabilmente, alcune sono vere.
Un giorno come tanti, Peter tornò a trovarmi. Non c'era niente nell'aria che potesse farmi pensare ad un cambiamento, eppure lui era là. Mi piace pensare che da buon amico sia venuto a “salvarmi”, forse anche lui era rimasto colpito da me, così come io lo ero stato da lui.
Mi parlò di alternative che nemmeno mi sognavo, lui viveva con Charlotte, non combattevano più da anni, anzi, avevano incontrato altri di noi ed avevano trovato il modo di coesistere in tutta tranquillità. Mi convinse all'istante, ero pronto ad andarmene.
Lasciai Maria, senza rimpianti.
Finalmente avrei avuto anch'io la possibilità di cambiare, di essere, per quanto possibile, un essere migliore.
Viaggiai con Peter e Charlotte per due anni godendo di questa nuova vita e di questa nuova tranquillità ma, nonostante tutto il tono negativo del mio umore continuava ad esistere. Mi sentivo sempre peggio e non capivo quale fosse il problema.
Vivevo la mia vita meccanicamente, il senso d'insoddisfazione era diventato una costante di tutti i giorni.
Nemmeno io sapevo cos'avrebbe potuto rendermi felice. Non riuscivo a capirmi.
Le emozioni che captavo dagli altri si ripercuotevano su di me così come l'orrore e la paura delle mie prede mentre le uccidevo.
La situazione ridivenne insostenibile ed insopportabile. E quando la depressione divenne tale da farmi desiderare perfino di morire, abbandonai anche Peter e Charlotte.
Ero davvero stanco di uccidere. Avevo ucciso per tutta la vita. Da più di un secolo l'odio era mio fedele compagno. Eppure non avevo scelta. Il mio era diventato istinto di soppravvivenza. Come avrei potuto placare la sete quando anche il mio autocontrollo vacillava? Semplice non potevo. Ero destinato ad essere un mostro, uno di quelli della peggior specie.
Ero di nuovo solo, solo come la notte in cui avevo perso la mia prima vita.
Solo, in un mondo tanto buio da confondermi.
La sofferenza della mia esistenza così profonda, così intensa da rompermi i timpani e spezzarmi il cuore, così gelida da devastarmi l'anima.
Non avrei potuto combatterla, non avrei potuto reagire: mi accorsi che non ci sarebbero state porte per scappare, ma solo muri, barriere invalicabili davanti a me...
il mio cuore non c'era più: continuava ad esistere ma era come metallo vuoto senz'anima, senza vita.
Jasper W.H.C.
“La nostra qualità più autentica è la capacità di creare, di superare, di sopportare, di trasformare, di amare e di essere più grandi della nostra sofferenza.”...
Ben Okri
° ° ° ° ° ° °
ah ah, LadyEl mi scuso per lo strafalcione grammaticale, non posso fare a meno di darti ragione, senz'apostrofo non esiste! (penso di aver fatto un macello, ho avuto la bellissima idea di mettermi a scrivere a mano il codice html sicchè poi rileggere è diventato un'impresa! Sono convinta che non sia l'unico errore! XP)
Io adoro i capitoli lunghi. Alcuni, tipo i tuoi, desidererei che non finissero mai. Capisco cosa intendi.
Introspettivo, è il genere e Jasper il personaggio che ho scelto. Analizzare la propria interiorità attraverso i sentimenti, capire il perchè si è agito così in un particolare momento, limitando l'osservazione a ciò che è esterno. La vita di Jasper, di quel periodo, è assai meccanica, dileguarsi tanto diventerebbe assai prolisso. Poi, stiamo parlando di Jazz, ed è Jazz che sta scrivendo in questa storia. Quando parla del suo passato gli si riempie il cuore di tristezza, lui non ama raccontarsi agl'altri per cui riassume conciso e...largo spazio all'interpretazione. ;P
Non posso fare a meno di ringraziarti comunque. Sono certa che tu non sia il tipo di persona che si arruffiana la gente, :) se posso, non permettere agl'altri di condizionarti con il loro giudizio.
Sai che mi sono davvero innamorata del piccolo Chris! Non vedo l'ora di vedere quel che combinerà! Sono sicura di vederne ancora delle belle!!
alla prossima! ;))
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Capitolo 5 *** P - PLEASURABLE ***
P – PLEASURABLE
“Per quanto oscuro sia il presente, l'amore e la speranza sono sempre possibili.”
George Chakiris
1948, la svolta nella mia vita
Ero solo.
Annaspavo nel buio in cerca di appigli, inutilmente. Sentivo un baratro senza fine aprirsi davanti a me ed io caderci dentro.
Erano passati quasi trent'anni da quando avevo lasciato anche Peter e Charlotte e da allora avevo girovagato per l'America del nord senza una meta precisa.
Mi trovavo nel Keystone State ovvero in Pennsylvania, il clima freddo delle medie latitudini era favorevole alla mia condizione e mi consentiva di spostarmi senza dare troppo nell'occhio.
Ero a Philadelphia, la città dov'erano state redatte la dichiarazione d'indipendenza e la costituzione americana. Essere in quel luogo mi rendeva dopotutto un po' fiero di me, in fondo, anche se in minima parte, anch'io avevo contribuito a quest'indipendenza.
Sorrisi per un momento.
Era un giorno come tanti. Nevicava incessantemente, come al solito.
Camminavo solo per le vie, lo sguardo rivolto all'orizzonte, in cerca di non so cosa.
Erano passate da poco le quattro del pomeriggio, a passo moderato mi allontanavo dall'Indipence Hall. Ritrovarsi nel bel mezzo di un blizzard, all'aperto e di giorno era una situazione in cui non mi sentivo affatto a mio agio.
Sapevo che se fossi rimasto in strada, nel bel mezzo di una tormenta, avrei attirato l'attenzione ed io non potevo permettermelo.
Svoltai a sinistra, verso Walnut Street, mi infilai in una bettola apparentemente deserta, tra la 4° e la 5° St. “The city Tavern” recitava l'insegna appesa.
Il locale era piccolissimo, i tavoli si contavano nel palmo della mano, così come gli sgabelli presenti al bancone. La clientela era formata per lo più da lavoratori, probabilmente abituali, riuniti a bere un drink dopo il turno di lavoro. Gente di basso rango, proveniente da quartieri poveri. La puzza d'alcol era insostenibile.
Appena entrato, ordinai un drink, uno a caso. Comunque non lo avrei bevuto.
Non ero tranquillo. Non mi piaceva stare in un posto così stretto e per giunta pieno di umani. I miei occhi erano abbastanza scuri, per mia fortuna nessuno li avrebbe notati. Ma ciò voleva anche dire che avevo voglia di sangue e che stavo mettendo a dura prova il mio autocontrollo. Non avrei saputo resistere neanche di fronte ad una feccia simile.
Non potevo immaginare che di lì a poco tutta la mia vita sarebbe cambiata e finalmente in maniera positiva. Quando si dice essere nel posto giusto al momento giusto...
Eri là...ad aspettarmi ovviamente.
Stavo ancora ripensando alla mia vita, al mio essere, alla mia condanna eterna. Sadico e masochista. Mi ero allontanato di poco dalla soglia quando, uno spostamento d'aria improvviso, mi fece ridestare.
Una ragazzina era saltata giù da uno sgabello vicino al bancone e si stava dirigendo verso di me.
Fui sorpreso. Mi chiesi cosa ci facesse una ragazzina come lei, apparentemente sola, in un posto come quello. Ma, rabbrividii all'istante quando lei mosse un altro passo accorciando la distanza tra di noi. Il suo odore mi colpì violento quanto il vento che soffiava fuori. Fu sufficiente a farmi capire che lei era come me.
Cercai di mettermi sulla difensiva, a quel punto, sembrava che volesse attaccarmi. Era l'unica interpretazione possibile, visto il mio passato.
Avanzava verso di me, ma sorrideva e le emozioni che stava provando erano simili a quelle che solo una volta avevo sentito in maniera speculare nella mia vita, quando lo sguardo di Peter aveva incontrato quello di Charlotte, la prima volta.
“Mi hai fatto aspettare parecchio”, disse.
Chinai la testa, da bravo gentiluomo del Sud. Mi avevano insegnato che si doveva sempre essere gentili con le donne e le risposi che ne ero dispiaciuto.
Il suo sguardo si allargò in un sorriso ancora più bello del precedente. Il gesto che compì subito dopo non me lo sarei mai aspettato. Nessuno si era mai comportato così con me. Mai. In nessuna delle mie vite.
Mi offrì la mano, quasi ad invitarmi a seguirla. Voleva che andassi con lei.
Cosa dovevo fare? Non la conoscevo minimamente.
Il mio ragionamento durò non più di qualche secondo. Decisi di fidarmi del mio istinto e della piacevole sensazione che la vista di quella ragazzina mi stava dando.
Ero stanco di sentirmi solo, lei mi stava offrendo un'occasione, la possibilità di cambiare.
Quasi come un automa presi la sua mano, senza chiedermi il senso di ciò che stavo facendo e
per la prima volta in almeno un secolo sentii nascere la speranza.
Allora pensai che forse sarebbe bastato il suo sorriso a far rinascere questo cuore, ad annientare l'invisibile confine che separa l'odio dall'amore.
“il passato è quello che ci definisce. Possiamo cercare a torto o a ragione di sfuggirgli o di sfuggire alle brutture che contiene, ma ci riusciremo solo se gli aggiungeremo qualcosa di migliore.”
Wendell Berry
Grazie per non esserti stancata di aspettare,
per aver creduto in me e per avermi reso migliore
Jasper W.H.C.
° ° ° ° ° ° °
Wow cara Ele, non immaginavo che parlassi anche lo scozzese gaelico! ;D
chiedo perdono per le virgole, come dire, sono la mia passione! ;PP ho la tendenza ad usarle spesso, probabilmente troppo! :))
Mi dispiace molto per il fatto della lunghezza, è un fattore che trascuro. Sento che nascono e finiscono così...mi è difficile da spiegare...
Volevo anche farti i complimenti per la nuova storia! mi sembra impossibile che tu ne abbia postata un'altra! mi stupisci sempre! ;D mi domando come fai? ma te le pensi di notte?? ;PPPP
PS: salutami il piccolo Chris!! ;DDD
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Capitolo 6 *** E - ENCHANTING ***
E – ENCHANTING
“La scelta ultima di un uomo quando è portato a trascendere se stesso è creare o distruggere, amare o odiare”
Erich Fromm
Philadelphia, 1948
Uscimmo da quella specie di locale ancora mano nella mano. Per la prima volta in tutta la mia vita mi sentivo bene. Le emozioni che quella ragazzina m'infondeva erano qualcosa di unico nel loro genere.
Arrivò all'improvviso, un tono a metà tra l'esasperato ed il sollevato. Una strana melodia per il mio orecchio.
“Jasper, temevo che non arrivassi mai”, aveva parlato, per la seconda volta.
Rimasi basito. Come faceva a conoscere il mio nome? Ero certo di non averla mai vista poiché, se così fosse stato, me ne sarei ricordato sicuramente.
Fu l'espressione d'incredulità che, probabilmente aveva assunto la mia faccia in quel momento, a spingerla a continuare il suo discorso.
Mi disse di chiamarsi Alice. Non sapeva altro di lei. Non ricordava nulla del suo passato, né della sua vita umana o della sua trasformazione. Si era risvegliata da sola, a Biloxi, era il 1920.
Mi confidò di avere un potere, lo definì un dono speciale, aveva la capacità di vedere il futuro, o meglio, la capacità di vedere le conseguenze delle decisioni prese dalle persone. Io, a parere suo, ero stato la sua prima visione e, mossa dalla volontà di chissà quale forza, mi stava cercando da quasi trent'anni! Riteneva che fossimo destinati a stare insieme.
Rimasi senza parole. Provai ad immaginare quante cose potesse aver visto su di me senza ch'io me ne rendessi mai conto e rabbrividii al solo pensiero. Per quanto il tempo per noi non avesse più alcun senso mi meravigliai di tutti gli anni che lei aveva inutilmente sprecato per me. Mentre io non avevo nulla da offrirle, lei sembrava desiderosa di qualcosa.
“Jasper, lasciati andare, ti prego”, una supplica. Capii che aveva già visto questa situazione.
Guardavo quella strana ragazzina davanti a me, eravamo uguali ma eravamo diversi. Solo la nostra natura ci accomunava.
Alice, stranamente mi ritrovai a pensare che non ci potesse essere nome più adatto a lei. Era bellissima, ma di una bellezza rara, vera, oltre all'aspetto, lei, era bella dentro e, nessuno meglio di me avrebbe mai potuto capirlo.
Era così magra, cosi' delicata ed aggraziata nei movimenti che sembrava avere le fattezze di una ballerina. Sarebbe passata per una bambina, era così piccola che a stento mi arrivava alle spalle. I suoi capelli erano cortissimi ed orientati in tutte le direzioni. Il loro colore, nero corvino, contrastava con il colore diafano tipico della nostra pelle così come i vestiti che portava. La sua esile figura era avvolta in un lungo cappotto nero ed in testa portava un berretto di lana grigio scuro che, aveva messo appena usciti dal locale e che ora, dei capelli, lasciava intravedere solo un ciuffo. Ero incantato di fronte a tanta bellezza.
Quello che però mi colpì davvero furono i suoi occhi. Mentre i miei erano neri, quasi quanto i suoi capelli, per la sete, i suoi erano ambrati, con una strana sfumatura dorata. Ma i vampiri non avevano gli occhi rossi? Che razza di creatura era?
Mosso da chissà quale istinto avvicinai la mia mano al suo viso, sfiorandole uno zigomo con il dito. Mi disse che il colore dei suoi occhi era dato dal sangue animale. Per sopravvivere andava a caccia di animali anziché di esseri umani. Ero sempre più sorpreso, mi ritrovai, senza accorgermene, a chiederle, il perchè, di una scelta così inpropria.
“non voglio essere un mostro” disse in un sussurro.
“ma il sangue animale ti basta?” stentavo ancora a crederci.
“ovviamente non ho verificato, ma immagino che sia come una dieta a base di soli vegetali per gli umani”. “Per scherzare mi definisco vegetariana! Gli animali non placano del tutto la sete ma riesco a mantenermi in forze. A volte è difficile mantenere il controllo ma ci sono sempre riuscita infatti, non ho mai bevuto sangue umano”.
Mi sentii morire, come se mi avessero ucciso un'altra volta. Ancora.
Sentivo il bisogno di allontanarmi da lei, andare via, scappare. Non potevo permettermi di trascinarla nella mia oscurità.
“nel buio si può brillare meglio che al sole” incredibile ma, senza che le dicessi niente, mi aveva capito. “resta con me, ti prego”, un'altra supplica.
“ma non capisci? Ch'io renda infelice me stesso è una cosa, ma che io coinvolga anche te, è un'altra!”
“credi davvero di rendermi felice andandotene via? Ho trovato la mia felicità solamente nel momento in cui hai varcato la soglia di quel locale!” sono sicuro che se avesse potuto piangere lo avrebbe fatto. Mi sentì ancora peggio. Avevo distrutto la speranza. Mi sentivo in dovere di rimediare.
Allora fui io a prendere la sua mano, ad intrecciare le mie dita alle sue. La sentii rinascere. Era come se qualcuno avesse premuto l'interruttore delle sue emozioni.
Mi spiegò di aver incontrato il dottor Carlisle Cullen e la sua famiglia e che il loro stile di vita era lo stesso adottato da Alice. Stentavo a credere che si potesse vivere così ma lei mi fece ben sperare.
E, andammo a cercarli...
Capitano nella vita quegli eventi per cui la tua vita cambia.
Quelle situazioni che ti si presentano una volta e pian piano ti aggiustano, ti portano ad un determinato comportamento, fanno tendere, inevitabilmente, la tua vita verso una determinata direzione.
Una scossa di assestamento. Fa crollare proprio tutto.
La vita migliora, prendendo una piega che non mi sarei mai aspettato sul momento.
La voglia di vivere e, non di sopravvivere.
Mi accorgo finalmente che il terremoto è solo lei.
Lei, che mi massacra il cuore, con tutto l'amore che trasmette.
la prima immagine che io ho di te
”L’immagine mentale che hai di te esercita un effetto potente sul comportamento. Visualizza l’immagine di ciò che aspiri a diventare; il modo in cui ti vedi influenzerà notevolmente il tuo modo di essere e agire.[...] la persona che vedi è la persona che sarai’.”
(Brian Tracy)
ti amo, Alice Jasper W.H.C.
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Capitolo 7 *** R - READY TO LOVE ***
R – READY TO LOVE
“non esistono formule per il successo, a parte forse un accettazione incondizionata della vita e di quello che ci porta”
Arthur Rubinstein
1948, vagando...
Ci eravamo spostati verso ovest, erano giorni ormai che vagavamo in lungo ed in largo alla ricerca di questo Carlisle. Alice ancora non riusciva ad avere una visione precisa di dove si trovasse per cui era come cercare un ago in un pagliaio.
Per lei era quasi di “vitale” importanza. Mi aveva confidato che era stanca di sentirsi sola, voleva una famiglia. Dal mio canto, invece, la cosa non era così importante.
Stentavo ancora a credere che questi vampiri potessero coesistere in pace tra loro. C'erano clan di vampiri, come quello in cui avevo lasciato Peter e Charlotte o, peggio ancora quello di Maria, ma non famiglie. Ed anche ammesso che così fosse stato, chi mi assicurava che questi vampiri ci accettassero? Alice era fermamente convinta della cosa.
“io l'ho visto!” tutto quello che riusciva a dire quando i dubbi mi assalivano.
Io avevo paura. Paura per lei.
Se non fossero stati cordiali e si fossero rivelati pericolosi sarei stato solo. Io, solo, contro altri cinque vampiri. Non potevo garantirle una protezione totale.
Il pensiero che anche solo uno di loro potesse nuocerle mi torturava dall'istante in cui avevo accettato la cosa. Più volte avevo tentato di dissuaderla ma era sempre stato tutto inutile. Lei era irremovibile.
“io l'ho visto! ci accetteranno”. Sbuffai per l'ennesima volta.
Lei mi si avvicinò ed appoggiò la testa contro il mio petto.
“Jasper, ti prego, sono così stanca di essere sola!” incredibile come riuscisse a prendersi tanta confidenza con altrettanta naturalezza.
“Adesso siamo in due!” cercai di fare dell'ironia. Non ero mai stato un granchè in materia ma lei sorrise.
Avevamo raggiunto il Minnesota. Ci spostavamo a piedi, per vie traverse, senza dare mai troppo nell'occhio. La nostra velocità ci permetteva di coprire lunghe distanze in brevissimo tempo ed ovviamente senza che accusassimo mai la benchè minima stanchezza.
Eravamo nei pressi delle Boundary Waters, un ambiente unico e, soprattutto, lontano dalla gente.
Alice voleva, no anzi pretendeva, ch'io m'apprestassi al suo stile di vita. M'insegnava ad andare a caccia nel bosco.
“Immagino sia semplice come per gli esseri umani, istintivo. Non preoccuparti, ti faccio vedere io!” Sorrise, io ancora non mi muovevo, non ero ancora del tutto convinto dell'idea di Alice ma stavo morendo di sete. Sentivo la gola in fiamme. Era sempre peggio.
Posò delicatamente le sue mani sulle mie spalle, per lei, che era così bassa, non fu affatto semplice. Sorrisi sardonico, era così buffa, a volte.
Mi intimò di chiudere gli occhi ed ascoltare. Non fu difficile per me individuare il classico tonfo del cuore che pompava il flusso delicato di sangue. Il mio sostentamento. Mai come in quel momento ne avevo sentito così tanto il bisogno.
Un odore disgustoso arrivò violento fin dentro le mie narici. Arricciai il naso. Lei si mise a ridere divertita.
“cervi” disse in un sussurro, “l'odore non è dei migliori ma ti ci abituerai, ora guarda!”.
Aprii gli occhi, la vidi tendersi in avanti e scattare. Puntò dritta al collo dell'animale senza che questi avesse il tempo di accorgersene, dissanguandolo in pochi secondi.
A vederla non sembrava poi così male.
“mi raccomando, dev'essere rapido ed indolore, non devi farli soffrire troppo!” incredibile, si preoccupava di non far soffrire le sue prede. Come poteva formulare simili pensieri? Non rientravano nella nostra natura. In tanti anni non mi ero mai posto un simile problema.
Con un movimento fulmineo mi lanciai su un altro cervo di cui avevo avvertito la presenza lì vicino. Puntai nel punto preciso in cui sentivo concentrarsi il flusso del sangue. Semplice, come respirare.
In un attimo sentii il sangue caldo e umido inondarmi la bocca e scendermi giù fino alla gola placandomi un po' l'arsura che sentivo. L'odore ed il sapore non erano quelli giusti ma ciò nonostante riuscii a placare un po' la mia smania.
Lei sembrava soddisfatta dei suoi insegnamenti. Io l'osservavo; era magnifica.
Prese il mio viso tra le sue mani, “lo sapevo che con gli occhi dorati saresti stato ancora più bello!” trillò. Mi sentivo invadere dalla sua felicità, era come una bambina davanti ad un pacco regalo. Ed il regalo in quel momento ero proprio io.
La guardai negl'occhi, il suo viso ancora a pochi centimetri dal mio. Lentamente cominciai a perdere il controllo di me stesso, quello che sentivo era indescrivibile.
Ero attratto da lei così come le api sono attratte dai fiori.
Mi irrigidii, per la prima volta in tutta la mia vita ero io a provare e non a subire. La sensazione era unica. Ciò nonostante, non riuscire a controllare le mie emozioni, esserne totalmente in balia, non mi piaceva, mi faceva sentire troppo vulnerabile.
L'unica cosa che riuscivo a vedere era il sorriso luminoso dei suoi occhi di fronte a me. Eravamo solo io e lei, tutto il resto si era dissolto. Non capivo più nulla.
Mi chiesi allora se l'amore fosse quello, un vortice di emozioni così grandi, autentiche, incontenibili perfino per me. Non ne avevo mai provate così tante tutte insieme.
Mi allontanai di un passo da lei, per riacquistare lucidità e, nel momento in cui lo feci, il suo sorriso si spense.
Rabbrividii ripensando alle mie cicatrici. Quante ne avevo? Centinaia? Migliaia? lo stesso numero di vampiri ch'io avevo ucciso mentre me le infliggevano.
“Tu sei così bella mentre io sono così brutto!” e non era solo una questione di estetica.
“Perchè non chiudi gli occhi e provi a farti coccolare?” sentii la sua mano sfiorarmi la guancia e, sebbene non avessi mai amato il contatto fisico con un altro della nostra specie, istintivamente, portai la mia mano sulla sua prolungando quel tocco.
Le sue emozioni mi travolsero come un fiume in piena, aggiungendosi alle mie. A quel punto non fui più padrone del mio corpo. Quando le sue labbra sfiorarono le mie credetti di aver raggiunto il paradiso. Era come se ogni singola terminazione nervosa del mio corpo avesse ripreso vita, mi sentivo vivo, tremante. La strinsi a me con forza ed iniziai ad approfondire quel bacio, da lei appena accennato.
Sentivo il calore del suo corpo sul mio, il suo respiro ed il suo profumo sulla mia pelle. Le sue labbra incollate alle mie, gli occhi chiusi.
Il bacio divenne sempre più profondo; l'amore è l'illusione del possesso, la volevo, soltanto mia.
Sentivo il mio desiderio crescere e premere contro di lei, le nostre mani intraprendere carezze sempre più audaci. I nostri corpi fremevano.
Dalle sue mani una carezza che sfiora l'anima, nei suoi occhi la luce del sole che illumina il mio cuore rinato.
Volevo che fosse mia, volevo sentire il contatto tra i nostri corpi, io su di lei, volevo farla tremare, volevo farla vivere, vivere di me, di quello che aveva chiesto.
Mi stringo a lei e l'amo.
Amo per la prima volta in tutta la mia vita. In silenzio.
Ma, un silenzio che parla, che mi fa capire, che mi ha capito.
Jasper W.H.C.
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Capitolo 8 *** W - WELCOMED ***
W
– WELCOMED
“Senza
una famiglia, l'uomo, solo nel mondo, trema di freddo”
Andrè
Maurois
1950,
i Cullen
Erano
già trascorsi
due anni da quando avevo incontrato la mia ancora di salvezza, il mio
pass personale per la felicità.
Avevo
raggiunto lo
stato di Washington, ancora alla ricerca di questo fenomeno,
Carlisle. Cominciavo a credere che probabilmente non l'avremmo
trovato mai, sinceramente non m'importava poi così tanto. La
cosa
non mi dispiaceva per niente.
Non
avevo bisogno di
questa famiglia, né della loro casa, né di tutte
le cose che
secondo Alice avrebbero potuto darci. Avevo già con me tutto
quello
di cui avevo veramente bisogno. Avrei potuto essere ovunque, quando
stavo insieme a lei mi sentivo a casa.
Il
nostro rapporto era diventato così intimo da non aver
nemmeno
bisogno di parole, ci bastava uno sguardo per capirci, vedere
il suo sorriso, udire la sua voce per dimenticare la tristezza che mi
aveva inseguito per anni.
Quando
c'era lei tutto il resto perdeva senso, io mi perdevo, nei suoi
splendidi occhi color dell'oro e, quando succedeva, sentivo, che
avrei potuto toccare il cielo con un dito.
Arrivò
all'improvviso, una strana sensazione di vuoto, inaspettata.
Svanì
quasi subito, con la stessa facilità di come era arrivata.
Mi voltai
all'istante, Alice era dietro di me, piegata in avanti. Stringeva
convulsamente il tronco di un abete, gli'occhi sgranati, immobile,
colta dall'ennesima visione. In un attimo le fui accanto. La strinsi
a me sciogliendo la sua presa dal tronco dell'albero; non mi piaceva
il senso di smarrimento che lasciavano le sue visioni.
“Forks
community hospital” rantolò con un filo di voce
ritornando alla
realtà. “Ci lavora Carlisle, l'ho
visto!”. Capii che allora era
vero, volenti o dolenti le visioni di Alice ci avevano lentamente
condotto verso il posto giusto. Eravamo a Seatlle, ancora 135 miglia
a nord e avremmo incontrato il mitico dottore vampiro. Mi sentii
soffocare. Mi chiesi se fossi stato veramente capace di vivere con
loro. Sebbene Alice mi avesse avvicinato al suo stile di vita,
resistere al richiamo del sangue umano era ancora difficilissimo per
me. Per la prima volta in tutta la mia vita mi resi conto di cosa
fosse la paura. Non ne avevo mai avuta così tanta come in
quel
momento.
La
consapevolezza che potesse preferire uno di quei vampiri a me;
l'incubo di perderla, mi attanagliarono lo stomaco. Il pensiero di
non poterla più stringere tra le mie braccia s'instaurava
con
prepotenza in me dandomi il tormento.
Sentivo
il mio respiro irregolare, mai come in quel mometo l'aria m'era
sembrata indispensabile. Era come se ogni respiro fosse l'ultimo,
vedere concretizzarsi la possibilità di non averla
più vicino a me
mi spezzava il cuore e mi faceva morire. Ancora.
Mi
abbracciò, con quanta più forza possibile. Di
rimando io affondai
il viso tra i suoi capelli inspirando il suo profumo. L'aria intorno
a noi era sempre più pesante.
Mi
stampò un bacio in fronte, illuminandomi ancora del suo
sorriso, un
codice tutto suo.
Voleva
farmi capire che lei era mia, ch'era innamorata di me così
come io
lo ero di lei.
M'imposi
di non prenderle ancora tempo, di non essere egoista, di non
chiederle niente ma di regalarle tutto. Dovevo porre fine a quel,
seppur piacevole, errare. Strinsi la sua mano sorridendole,
voltandoci verso nord, puntando dritti su Forks.
Oltrepassamo
il fiume Calawah e proseguimmo ancora verso nord. Alice aveva chiesto
in giro, la casa di Carlisle, o meglio, del dottor Cullen, come lo
conoscevano in città, sembrava trovarsi nei pressi della
foresta.
Deviammo
su una stradina sterrata, appena visibile in mezzo ai cespugli.
Serpeggiava in mezzo agl'alberi e s'addentrava nella foresta. Non ero
sicuro che fosse la direzione giusta ma Alice, come sempre,
“la
vedeva”.
Dopo
qualche chilometro il bosco iniziò a diradarsi e ci
ritrovammo in
una piccola radura. La casa svettava al centro. Un'ampia veranda
circondava il primo piano offrendo, probabilmente, una vista
mozzafiato.
Rimasi
sorpreso, la casa era decorosa, senza tempo, sicuramente vecchia di
almeno un secolo.
Era
enorme, i muri d'un bianco candido leggero, articolati in tre piani
ben proporzionati.
Attraversammo
la radura, fino alla veranda, percepivo la tensione di Alice e
cercavo d'infonderle un po' di pace.
Bussai
alla porta, un uomo giovane, sfacciatamente perfetto, come del resto
tutti quelli di noi, venne ad aprire. Era sorpreso di vederci, di
vedere due vampiri. Il colore dei nostri occhi, lo stesso dei suoi,
lo convinse a farci entrare.
L'interno
della casa era ancora più sorprendente dell'esterno, lo
spazio era
molto ampio e sopratutto luminoso. Non era da vampiri stare in
ambienti tanto ariosi ed illuminati! sul retro si apriva addirittura
una vetrata enorme che dava sulla foresta.
Alice
salutò tutti chiamandoli per nome e chiese subito che le
fosse
mostrata la sua stanza!
Io,
avrei voluto sprofondare. Si poteva essere più irruenti di
così?
Carlisle
ci fece accomodare ed Alice cominciò in un racconto, fin
troppo
dettagliato, della nostra storia.
Per
tutta la durata del suo monologo avevo analizzato le emozioni di
tutti i presenti, con mio grande sollievo erano tutti a posto.
Nessuno di loro le avrebbe fatto del male.
La
tensione si alleviò pian piano; sentivo i muscoli
cominciare, seppur
lentamente, a rilassarsi.
...
Alice,
quanto invidio. T'invidio tanta sicurezza.
Come
si fa nella vita, davanti a due strade, a scegliere qual'è
la strada
giusta? E anche sapendo qual'è, avendola individuata, quanta
fatica
bisogna fare? Capire chi sei e cosa vuoi. E' la cosa più
difficile.
Alice,
mi sono lanciato in avanti, ho scelto la mia strada.
La
nostra bravura sta nel sentirci e non nell'interpretare ed io sento.
Ti sento, quando mi completi davvero, ogni giorno, insostituibile.
Se
questi vampiri sono davvero il mio lasciapassare a te, allora sappi
che ne vale la pena e che lotterò per averti.
Ti
amo, più di ogni altra cosa al mondo
Jasper
W.H.C.
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Capitolo 9 *** I - INFLEXIBLE ***
I
- INFLEXIBLE
“Non
sempre le cose sono quelle che sembrano. La prima impressione inganna
molti. L'intelligenza di pochi, percepisce quello che è
stato
accuratamente nascosto.”
Fedro
195.....
I
Cullen, erano davvero strani.
Chi
erano? Adesso lo so bene, ma allora? Che impressione m'ero fatto di
loro? Ma sopratutto mi piacevano?
Carlisle
Cullen, il vampiro dottore. Nessuno meglio di lui sarebbe mai
riuscito a confondersi così bene nel mondo reale. Capelli
color del
grano, occhi d'un marrone profondo, segno inequivocabile del suo
disgusto per la violenza. Espressione meditativa, pacato, gentile.
Talmente altrista da svolgere un lavoro impensabile per ciò
che
siamo. L'emblema del capo, il capofamiglia, l'esempio, per coloro che
ci riescono, da seguire.
Quanto
ancora avrei potuto resistere a quello stile di vita? Sarei
diventato, prima o poi, uno di loro? o, avrei sofferto la sete per
tutta l'eternità soltanto per non deludere Alice?
Quanto
ancora avrei dovuto subire lo sguardo compassionevole, che odiavo,
di Esme Anne Platt Evenson Cullen?
Lei
in breve Mrs Cullen, la moglie del dottore. Stessi tratti pallidi e
bellissimi di ognuno di noi. Viso a cuore incorniciato da soffici
capelli color del caramello. Esile e minuta anche se non quanto
Alice, la mia Alice.
Il
volto sempre accompagnato dal sorriso, la madre modello, quella che
tutti avrebbero voluto avere. Sentivo chiaramente che quella donna
avrebbe dato tutta sé stessa per quei pochi vampiri che le
stavano
accanto. Ero sbalordito nel sentire il suo amore per loro, li
considerava veramente come figli suoi. Per me era a dir poco
pazzesco.
Per
non parlare poi di Edward Anthony Masen Cullen l'animo
più complesso, devo dire. Il primogenito della famiglia!
rido mentre
lo scrivo. Eccezionalmente attraente, naturale. Lineamenti dritti e
regolari, capelli mossi, color del bronzo.
L'unico
tra i Cullen ad evere un “dono” come li definisce
Alice. Io lo
chiamerei piuttosto, un potere supplementare, tra l'altro, assai
fastidioso: la lettura del pensiero. Edward era in grado di sentire
tutti i segreti della mente, umana e vampira.
Non
chiedevo altro che uno come lui!
L'eccezione,
in mezzo a tanta perfezione, per fortuna c'era! Lei,
Rosalie Lillian Hale lo
spirito
più forte di tutti i Cullen, indifferente, ostinata. Mi
rispecchio
in molte sfacettature del carattere di Rosalie, soprattutto con la
sua parte anti-Edward.
Slanciata,
raffinata, capelli lunghi e biondissimi. Semplicemente bellissima.
Tutti noi lo siamo, per natura, ciò nonostante Rosalie
possedeva
quel qualcosa in più. La classica ragazza che s'invidia,
quella che
tutti definiscono come “la più bella del
mondo” e, Rose, a modo
suo lo era davvero.
Infine,
l'emergumeno di Emmett Mc Carty Cullen il
compagno di Rosalie, avrebbe dato la sua vita, o meglio non-vita per
lei ma per come lo vedevo io, rimaneva lo scemo del gruppo. Non avevo
mai conosciuto uno come lui. Emmett era sempre allegro, oserei dire
anche simpatico a volte. Le sue emozioni erano davvero piacevoli se
assaporate un po' alla volta.
Ciò
nonostante detestavo Emmett. Detestavo il suo amore per la
competizione, soprattutto il voler sempre, ogni volta, combattere
persone più forti di lui. Sebbene fisicamente i muscoli non
gli
mancassero; infatti, avrebbe potuto passare per un orso, la sua
inesperienza in questo campo era evidente ed il fatto che lui non lo
capisse mi dava letteralmente sui nervi.
…
Il
tempo passava. Le cose andavano. Il rapporto che si era instaurato
con i Cullen non era male. Non per Alice, almeno. Lei era felice di
aver finalmente trovato la famiglia che tanto desiderava, ed io,
ovviamente, godevo della sua felicità, un'altra volta
riflessa.
Esme
e Carlisle avevano, da subito, visto in noi gl'altri due figli che
mancavano al completamento della loro famiglia e ci avevano accolto
nel migliore dei modi.
Avrebbe
anche potuto sembrare un bene, ma per me, non lo era affatto.
Alice,
a differenza mia, aveva già instaurato buoni rapporti con
tutti. Non
era difficile visto il suo carattere anche troppo espansivo.
Io,
invece, preferivo starmene sulle mie. Tempo addietro, avevo scoperto
a mie spese cosa volesse dire essere al centro dell'attenzione; avere
gl'occhi di tutti costantemente puntati addosso. Era un'esperienza
che non avevo intenzione di ripetere.
Era
impossibile.
Le
mie cicatrici erano, per i Cullen, come un'insegna luminosa che,
inevitabilmente catturava la loro attenzione. Sentivo che avrebbero
voluto sapere la mia storia ma io non ero ancora pronto. Pensavo che
non lo sarei stato mai. Solo Alice sapeva. In parte. Solo quello che,
in un momento di debolezza, mi ero concesso di dirle.
Loro
mi compativano, soprattutto Esme. Per me era insopportabile. Non
avevo mai tollerato la compassione. A differenza loro, io, non amavo
parlare così apertamente della mia vita, ancora meno con
“persone”
che sentivo di non conoscere affatto e di cui ancora non mi fidavo
pienamente.
I
Cullen non avevano il senso della privacy, non sapevano neanche cosa
fosse. Erano tutti lì, sembrava che non aspettassero altro
che il
mio racconto. Tutti pronti a darmi un aiuto, di cui non avevo,
né
sentivo il bisogno.
Ancora
una volta mi sentivo fuori posto, un lupo in mezzo a tanti agnellini.
Non
riuscivo a capirli e non riuscivo ad accettarli.
Lo
facevo per Alice, la mia forza. Volevo che lei continuasse a tener
acceso il fuoco della speranza. Volevo sentirlo ardere dentro di me e
realizzare i sogni che avevo racchiusi. Il suo riflesso nella mia
anima.
Tutto
quello che chiedevo era vivere di lei, il resto era inutile.
Jasper
W.H.C.
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Capitolo 10 *** T - TORMENTED ***
T
- TORMENTED
“I
difetti e le tare dell'anima sono come le ferite del corpo:
nonostante gli sforzi inimmaginabili fatti per guarirle, rimane
sempre una cicatrice.”
Francois
La Rochefoucauld
...non
voglio ricordare che giorno fosse...
Alice
continuava a ripetere che dovevo sforzarmi ad aprirmi di
più, diceva
che sarei stato meglio.
Non
le credevo.
Instaurare
un rapporto con i Cullen voleva dire aprirsi a loro.
Aprirsi
a loro equivaleva dire condividere.
Sì
perchè questo è quello che erano. Tutti
condividevano le gioie e i
dolori di tutti.
Io
non volevo esternare il mio dolore, non l'avevo mai fatto.
Perchè
raccontargli di un passato dal quale stavo fuggendo? Perchè
riportare a galla ricordi che Alice era riuscita a seppellire in
chissà quale parte della mia anima contorta?
Non
avevo niente da condividere, niente per cui ne andasse la pena.
Avevo
solo Alice e,
lei,
era solo mia.
Fu
Emmett a stravolgere tutto, in uno dei suoi tanti momenti
d'ilarità.
Troppa per i miei gusti.
Mi
scherniva sempre, con le sue battute da idiota.
Credeva
che tutto fosse un gioco, “scomettiamo su
questo...” e
“scomettiamo su quello...”
prendeva
sempre tutto troppo alla leggera e, cosa ancor più
fastidiosa,
Alice. Lo assecondava facilitando l'esito delle sue scommesse con le
visioni.
“E
dai Jasperuccio, giochiamo a fare la lotta? Ci scommetti che vinco
io?”
lo
ignoravo. Sempre. Le ragioni erano semplici.
Primo,
odiavo la confidenza che osava prendersi anche senza che gliela
concedessi, secondo, “fare la lotta”, come diceva
lui, non era
mai stato un gioco. Non per me.
Avevo
sempre cercato di evitarlo, ma quel giorno, quel giorno fu diverso.
Passeggiavo
di fronte alla casa, assorto, come sempre, nei miei pensieri. Troppo
assorto per accorgermi di Emmett , che stava appollaiato sul ramo
dell'albero proprio sopra la mia testa.
All'improviso
sentii qualcosa piombarmi addosso violentemente ed istintivamente
scattai come una molla, in un movimento talmente rapido da non essere
nemmeno esistito.
Lo
costrinsi ad inginocchiarsi sull'erba. Un mio piede premeva sulla sua
schiena, spingendolo in avanti. Entrambe le mie mani tiravano
indietro le sue braccia con forza bruta.
Potevo
sentire le ossa scricchiolare sotto le mie mani, i gemiti di dolore
uscire sempre più forti dalla sua bocca.
L'avrei
fatta finita. Un'altra volta.
Avrei
vinto per lei. Ancora.
Poi
lei, mi avrebbe ricompensato.
Era
successo tutto talmente in fretta che, non avevo avuto il tempo di
mettere a fuoco.
Mi
avevano attaccato ed io, mi stavo difendendo, come sempre, come
sapevo meglio fare.
Non
mi ero reso conto che si trattasse di Emmett, non mi ero reso conto
che si trattasse di un gioco. D'un tratto i miei occhi s'erano fatti
neri come la pece. Sentivo la presa delle mie mani sulle braccia di
Emmett ma, la mia mente era come se fosse entrata in un'altra
dimensione. Non vedevo più niente, ero accecato, dalla
rabbia.
Il
suono della sua voce riecheggiava nella mia testa, incessantemente.
M'intimava
di ucciderli, tutti. Di non fermarmi. Dovevo assecondarla. Era lei a
dettare le regole. Le regole andavano rispettate. Sempre. Se non lo
avessi fatto, sarei stato punito.
Mi
prendeva con sé, diceva di voler farmi provare alcune
“gioie” di
questo mondo.
Sapevo
di riuscire ad eccitarla fino all'inverosimile. Diceva che scatenavo
in lei qualcosa di unico. Ogni volta era un fiato gelido sul collo,
accompagnato da una voce altrettanto gelida. S'impossessava delle mie
labbra con ardore ed iniziava a sbottonarmi la giubba mordendomi il
collo, lasciandolo pieno di segni rossi ad ogni suo passaggio. Io
gemevo.
Non
sapevo cosa volesse dire ma sentivo che non era il modo giusto di
fare. Lei non mi piaceva.
Sentivo
il mio respiro accellerare, lei godere del piacere che,
involontariamente ero costretto ad offrire. Le sue labbra scendevano
sempre più in basso. Quando tentavo di resisterle si aiutava
con i
denti.
“Stenditi...ti
voglio...” il suo corpo aderiva al mio, mi mordeva, mi
succhiava,
si abbandonava su di me bloccando le mie mani, trattanendo ogni mio
movimento.
Fingevo
di non cogliere il sussulto, la sentivo fremere e assecondavo quel
movimento senza che diventasse mai frenetico. Sapevo che non le
bastava.
“non
torturarmi più!” la supplicavo tutte le volte,
come un bambino.
“tu
devi darmi quello che desidero!” io non resistevo
più. Ogni volta
sentivo il suo corpo inghiottrimi nel buio. I suoi gemiti di piacere
si univano ai miei di dolore.
“non
torturarmi più, Maria, non resisto più”
...PER
– ...SPER – ...ASPER – ...ASPER
– JASPER...
L'
eco di un altro suono si aggiungeva alla sua voce nella mia testa.
Era distante, percepibile a tratti.
Sentii
sfiorarmi il viso, un profumo incantevole penetrarmi dentro.
“Jasper,
calmati non c'è nessuna Maria” quel profumo,
quella voce, quelle
parole mi riportarono alla realtà. Era Alice.
“Jasper,
lasciami, mi stai facendo male” inconsapevolmente avevo
lasciato la
presa su Emmett e avevo stretto le mie mani sui suoi polsi quando lei
mi si era avvicinata. Non ero ancora pronto al contatto fisico.
Sebbene avessi riacquistato un po' di lucidità, non ero
ancora del
tutto responsabile delle mie azioni.
Continuavo
ad aumentare la presa sui suoi polsi, ancora poco e li avrei
sicuramente rotti.
Fu
Carlisle a placarmi, mi appoggiò una mano al petto e mi
ordinò di
lasciarla andare. Obbedii.
Lasciai
la presa e, nel momento in cui lo feci il dolore causato dalla
consapevolezza di ciò che avevo fatto divenne insostenibile.
Non
riuscivo a reggere lo sguardo di nessuno di loro.
Avrei
tanto voluto fare il duro, l'indifferente. Fregarmene, ma invece,
faceva male. Troppo male.
Avevo
creduto, avevo pensato che potesse essere la volta buona ma, come
sempre, non lo era stata. Come sempre avevo rovinato tutto.
Ero
stato sconfitto, sconfitto da un passato che cercavo di dimenticare
ma che invece era parte integrante di me. Il buio mi aveva riavvolto,
non avevo più sogni, non avevo più speranze.
Un
groppo mi serrava la gola, la rabbia pervadeva la mia anima.
Sentivo
il dolore di Alice crescere a dismisura ed il bisogno impellente di
andarmene. Ero io la causa di tutto quel dolore, non potevo
permettermi di trascinarla nella mia oscurità. Avevo goduto
di quel
paradiso, era ora di tornare all'inferno.
Jasper
W.H.C.
“Non
c'è rifugio dai ricordi e dai rimorsi in questo mondo. Gli
spettri
delle nostre passate follie ci perseguitano con o senza
pentimento.”
Gilbert
Parker
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Capitolo 11 *** H- HOPELESS/HOPEFUL ***
H
– HOPELESS / HOPEFUL
“Alcuni
dicono che il tempo sana tutte le ferite. Io non sono d'accordo. Le
ferite rimangono. Col tempo, la mente, per proteggere se stessa, le
cicatrizza, e il dolore diminuisce, ma non se ne vanno mai.”
Rose
Kennedy
Forks....Hoh
Rain
forest
Mi
ero allontanato da
loro, Carlisle aveva trattenuto Alice ed io me n'ero andato. Non
avevo più la forza, per restare.
Mi
fermai nella
foresta, su di un grosso masso, vicino al fiume. Avrei voluto morire.
Appoggiai
i gomiti alle
ginocchia e nascosi il viso nelle mie stesse mani.
Il
buio era di nuovo in
me, non potevo fermarlo, mi apparteneva. Ci convivevo ogni giorno.
Lui
mi abbracciava
rubandomi la poca luce che Lei aveva saputo donare al mio cuore.
Era
una notte piena di
parole nella mia testa, rabbia e dolore insieme, dentro di me.
Ero
di nuovo solo,
nella lotta con la mia anima. Sarebbe stato qualcosa più
grande di
me, non mi avrebbe mai permesso di essere felice.
Dolore,tristezza,
rabbia, sconforto, paura, smarrimento. Non c'era via d'uscita. Non ci
sarebbe mai stata.
Avevo
perso tempo,
avevo provato sentimenti inutili. Non meritavo quello che
incondizionatamente i Cullen volevano darmi, non meritavo Lei. Alice,
la luce dell'amore oltre l'oscurità che mi avvolgeva...
Due
esili braccia mi
cinsero da dietro, un abbraccio delicato.
Rabbrividii.
Avrei
potuto riconoscere quel tocco fra mille.
Era
lei, era Alice.
Non
mi ero accorto
della sua presenza, eppure il suo dolore era incontenibile.
Non
c'erano parole per
esprimerle quello che sentivo. Avrei voluto dire tante cose ma tutto
mi si fermava in gola in un groppo assurdamente doloroso per uno come
me.
Lei
era il mio faro nel
buio, l'unica che senza mai giudicarmi aveva saputo ascoltare e mi
aveva dato la forza, ogni giorno, di guardare avanti.
Io
uscivo di scena,
allontanavo il diavolo che involontariamente distruggeva i suoi sogni
e le sue speranze, che la uccideva. Forse avrei trovato un po' di
pace.
Sentire
che soffriva
per me era la più atroce di tutte le condanne.
Perchè
solo lei era in
grado di rendermi felice? Perchè lei era l'unica capace di
farmi
sentire ancora vivo?
Il
mio legame con lei
era la sola ed unica forza che mi aveva permesso di non affondare.
Il
suo volto all'incavo
del mio collo, il suo respiro fresco su di me. Un bacio dolce che
cattura tutti i brividi del mio corpo.
“Jasper
fa l'amore con me, desidero baciarti ovunque. Permettimi di
dimostrarti che io non sono come lei”
un sussurro.
Quelle
parole mi
ferirono. Lei, non doveva dimostrarmi niente. Non avevo mai
paragonato Alice a Maria, farlo sarebbe stato un terribile oltraggio.
Erano significati diametralmente opposti.
Quello
che pensavo non
aveva parole. Le sue labbra ancora sul mio collo. Dovevo respingerla,
andarmene, vivere di una vita che non volevo, tornare dove non sarei
mai più voluto tornare.
Tuttavia,
ogni singola
parte del mio corpo necessitava di Lei, di tutto quello che, senza
nemmeno rendersene conto, mi concedeva in ogni istante che passavo in
sua presenza.
Continuavo
a ripetermi
di andarmene, di non essere egoista, finchè la ragione non
entrò in
conflitto con il sentimento.
Che
cosa dovevo fare?
Dovevo seguire quel sentimento assurdo e folle o dovevo dare ascolto
alla mia ragione?
Avrei
dovuto tentare di
non cedere ma, era davvero difficile non farlo.
Stavo
cedendo senza
accorgermene. Lasciavo che si avvicinasse e che mi abbracciasse.
La
parte ancora conscia
di me mi diceva che sarebbe stato un terribile errore. Non avrei
potuto amarla, sarebbe stato folle e tremendamente sbagliato ma, non
appena lei mi strinse forte a sé, mi ritrovai a volare,
perdendo,
definitivamente, la ragione.
Sentivo
il silenzio
intorno a me, pensavo al suo amore, respiravo il suo profumo.
Ricordo
che aveva
gl'occhi socchiusi e che mi sussurrava dolci parole.
Io
volevo gustare
ancora una volta il sapore della sua pelle sulla mia.
Ancora
un bacio e mi
ritrovai a sorriderle. Ascoltavo e godevo del rumore dei suoi
sospiri. Avrei voluto offrirle tutto l'affetto, la dolcezza e l'amore
di cui ero capace, regalarle un'emozione per cui valeva la pena di
vivere.
I
suoi occhi intensi e
profondi incontrarono i miei e fu proprio in quell'esatto momento che
mi resi conto di quanto l'amassi e di quanto ormai non riuscissi
più
a fare a meno di lei.
Sentivo
crescere il mio
desiderio folle di lei, la voglia di amarla e, fu ancora una volta,
pelle su pelle.
Mi
lasciai andare al
suo amore, senza porvi alcun freno. Avevo voglia delle sue mani,
della sua lingua dentro ai miei respiri. Il suo fiato affaticato dal
piacere, io dentro di lei. Univo la mia anima alla sua. Il legame
sarebbe stato indissolubile.
“non
posso fare a meno di amarti”
glielo sussurrai all'orecchio. Era vero. Non avevo mai amato tanto.
Il
suo volto si allargò
in un sorriso, le avevo aperto il cuore.
Passammo
la notte così,
uno tra le braccia dell'altro.
Non
poteva esserci
felicità più grande, lei, era tutta la mia vita.
“Due
cuori
amanti sono
come due orologi magnetici;
ciò che si muove in uno non
può non far muovere anche
l'altro perché in entrambi agisce la medesima cosa,
perché li attraversa una
sola forza”.
J.
Wolfang Goethe
Alice,
non so fare altro che amarti
Jasper
W.H.C.
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Capitolo 12 *** L - LOVE ***
L
– “LOVE”
“Perdere
un figlio è perdere una parte di sé
stessi”
Dott.
Burton Grabin
Forks...Hoh
Rain forest
Mi
staccai da Lei che
ormai era l'alba. Ero stato obbligato da qualcosa di umido ed
incredibilmente fastidioso. Aveva iniziato a piovere.
Alice
mi prese per
mano. Disse che era ora di ritornare a casa.
Mi
bloccai, come
paralizzato e, lei con me.
Solo
allora ripensai a
quanto era successo, a quello che avevo fatto. Non avrei potuto
ritornare in quella casa, con quei vampiri. Non ne avevo il coraggio.
Istintivamente
lasciai
la mano di Alice, lei mi guardò sorpresa ed affranta al
tempo
stesso.
Inchiodai
il mio
sguardo al suo. Non c'era bisogno di parole. Volevo farle capire
ch'era libera di restare, non volevo portarla via dal suo mondo.
Per
i pochi istanti che
seguirono i suoi occhi si fecero vacui. Quando tornò alla
realtà mi
disse di aspettare. Avrebbe preso le nostre cose e li avrebbe
salutati.
Non
ebbi il tempo di
risponderle che già se n'era andata, a velocità
disumana, la
nostra.
Avrei
potuto andarmene,
raggirarla ma non lo feci. Aspettavo che tornasse. Era più
forte di
me.
Sentii
qualcuno
avvicinarsi, con passo felpato, sorrisi all'idea di poter finalmente
tornare al mio paradiso personale, fatto solo di me e di lei, privo
di tutte quelle occhiate indiscrete.
Quando
alzai lo
sguardo, pronto ad incontrare il suo sorriso, la mia
felicità morì
all'istante.
Non
era Alice, bensì
lui, il capo. Carlisle.
Alice
mi aveva tirato
un brutto scherzo. Adesso ero solo davanti a lui, il mio sguardo
fisso sul terreno, incapace di reggere il suo. Avrei dovuto
affrontarlo ma non ne ero in grado.
Saggiavo
le sue
emozioni alla ricerca di un qualsiasi elemento che mi facesse capire
quello che aveva intenzione di fare. Immaginavo che volesse punirmi.
Ero pronto. Dopotutto avevo disobbedito ai suoi voleri, avevo
attaccato Emmett. Non sarebbe stata la prima volta, soltanto una in
più. Tuttavia non riuscivo a sentire la rabbia crescere
dentro di
lui.
Carlisle
era sempre
molto pacato, a modo. Non lasciava trasparire la benché
minima
violenza, mai.
La
pioggia batteva
sempre più forte ma entrambi la ignoravamo, concentrati su
ben
altro.
Arrivò
tutta
all'improvviso, leggera come la brezza del mattino e, mi fece schifo.
La sua compassione. Strinsi i pugni, cercando d'intrappolarvi tutto
il dolore. Sentivo gl'occhi bruciare ed il suo bisogno impellente di
sapere.
“Ti va di parlare?”
diretto, dritto al punto, senza bisogno di mezzi termini.
“Signore, credo non
ci sia proprio niente da dire! Ed anche ammesso che ci fosse
qualcosa, che gliene importa? Lei non è il mio creatore ed
io non
sono niente per lei.” freddo, gelido, pungente.
Lo
sentii avvicinarsi.
Ero pronto a ricevere il colpo.
Non
arrivò mai.
Si
avvicinò e mi
abbracciò costringendomi a poggiare la testa sulla sua
spalla.
Fu
allora che lo
sentii. Stava soffrendo, fino all'inverosimile. Avrei tanto voluto
modificare le sue emozioni con il mio potere ma temevo la sua
reazione. Il suo dolore era incontenibile perfino per me. Fui
costretto ad aggrapparmi a lui per non cadere a terra ed iniziai ad
annaspare.
Era
quella la sua
punizione? Torturarmi del mio stesso potere?
Ricordo
esattamente
ogni singolo istante di quei momenti, di quel giorno che
ricambiò la
mia vita.
“Quando accetterai
l'idea di essere mio figlio?” me lo sussurrò
all'orecchio.
Sentii
un brivido
corrermi lungo la schiena. Era quella la cosa che dovevo cambiare
affinché le cose migliorassero?
Continuava
a ripetermi
che non ero un mostro, che l'immagine che davo di me era falsa, un
errore.
Mi
disse di voler
conoscermi, di voler sapere tutto di me, voleva che gli concedessi la
possibilità di conoscermi a fondo.
Continuava
a scusarsi
del fatto che non aveva saputo ancora capirmi. Mi pregava di
perdonarlo se mi aveva, in qualche modo, fatto sentire distante. Io
ancora non me ne capacitavo. Non riuscivo a parlare.
“Desidero soltanto
offrirti tutto il mio affetto, farti capire che ti
voglio bene
così come lo voglio ad Alice ed agl'altri miei figli. Voglio
semplicemente che tu sia mio figlio ed io, voglio essere tuo
padre.”
sentivo
che quello che
diceva era vero, autentico. Voleva davvero offrirmi tutto. Tutto
quello di cui avevo bisogno, se non di più.
“Jasper, ti prego,
andiamo a casa, non voglio perdere mio figlio!”
ero
io a rendermi
infelice giorno dopo giorno. Lui mi stava offrendo quel qualcosa che
mancava per colmare, definitivamente, il mio vuoto.
Un
brivido, una
frazione di secondo, una scossa che mi spinse a muovermi. La forza
della speranza che le cose potessero cambiare in meglio.
Finalmente
riuscii ad
incrociare il mio sguardo con il suo, gli mimai un
“grazie” a
fior di labbra.
Avevo
bisogno di lui,
del padre che non avevo mai avuto. Di quello che c'era e ci sarebbe
stato nel momento in cui ne avessi avuto o sentito il bisogno.
Ci
voltammo verso casa,
mi sentivo pronto a ricominciare, a condividere i miei giorni con
loro.
Avevo
un conto in
sospeso con Alice, per avermi “abbandonato” ed il
fatto che
ancora non si facesse vedere, mi faceva pensare che la sapesse lunga
e, dovevo ad Emmett un sacco di scuse.
Li
trovai in salotto
che se la ridevano. Appena mi videro ammutolirono ed io
istintivamente voltai la vista in un'altra direzione. Non sapevo
ancora da dove iniziare.
Ci
pensò Emmett a
risolvere la cosa, così come l'aveva iniziata.
“Ehi Jasper, mi devi
la rivincita!” mi voltai. Non c'era bisogno di ulteriori,
inutili
parole.
Mi
consideravano ancora
“della famiglia”.
Mi
sentii davvero
sollevato, ed iniziai a ridere con loro...
cara
Alice, so per certo che l'avevi già visto.
Solo
che, non me n'ero reso conto, al momento.
Non
smetterò mai di ringraziarti di tutto quello che fai per me.
Con
amore,
Jasper
W.H.C.
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