The Red String

di itsmemarss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 01. Sophie ***
Capitolo 3: *** 2. Chloe ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Stringimi la mano e non lasciarla mai.
Anche se queste mie dita tremanti non
recano né il filo rosso del destino né
anelli che promettono amore eterno”.

Secondo un’antica leggenda cinese, durante la dinastia Tang c’era un uomo di nome Wei che voleva a tutti i costi trovare una moglie e avere una famiglia con lei, ma per quanto la cercasse, non riusciva a sposarsi. Mentre era in viaggio, incontrò nella città di Song uno sconosciuto che leggeva un libro dalle parole incomprensibili: si trattava del libro dell’Aldilà. Wei chiese allora che cosa ci facesse un uomo venuto dall’Aldilà nel mondo dei vivi e lui rispose che era lì per unire mariti e mogli con un filo rosso, il filo del destino. Una volta unite due persone, esso era impossibile da tagliare. Il ragazzo chiese così chi fosse la moglie e l’uomo gli disse che stava al mercato. Il giorno dopo scoprì che si trattava di una bambina di tre anni, figlia di una povera donna cieca. Decise così di ucciderla e chiese a un servo di farlo. Il servo disse di non essere riuscito a colpirla al cuore, ma di averla ferita in mezzo agli occhi. Wei se ne andò soddisfatto, libero di poter scegliere chi sposare. Tuttavia trascorsero quattordici anni e non riuscì a trovare moglie. Arrivato nella città di Shiangzhou però, il governatore locale gli diede in moglie la sua figlia più giovane e il ragazzo, ormai diventato un uomo, accettò volentieri. La ragazza però aveva sempre con sé una pezza in fronte, che non toglieva mai nemmeno per lavarsi, così un giorno Wei le chiese a che cosa fosse dovuta e la ragazza gli raccontò la sua storia. In realtà il governatore non era suo padre, ma suo zio. La sua famiglia era morta e da piccola la governante Chen decise di prenderla sotto la sua protezione. Un giorno arrivò un pazzo al mercato e l’accoltellò, sfregiandola proprio in mezzo agli occhi. Qualche anno dopo suo zio tornò dal Sud e l’adottò come figlia. Allora Wei, sentendosi colpevole, le raccontò la verità e da allora si amarono ancora di più.

Per quanto questa leggenda potesse sembrare romantica, perché mai una donna che aveva appena scoperto che in passato il marito aveva tentato di ucciderla, avrebbe dovuto amarlo di più? Quando avevo dieci anni e avevo letto la storia su un libro preso in biblioteca, era questo che mi ero chiesta. La risposta che mi diedi era che, volente o nolente, quella donna ormai era legata a quell’uomo – per quanto crudele potesse essere una persona che andava in giro ad ammazzare qualcuno solo perché non gli andava bene – perciò si era arresa e si era costretta ad amarlo. Fu allora che, forse, smisi di credere a principi azzurri e cavalli bianchi. Perché se c’era già un destino che ti pianificava la vita, allora bisognava rassegnarsi e smettere di sognare. Quel che era stato deciso prima della nostra nascita, sarebbe accaduto. Volenti o nolenti. Perché complicarsi la vita e sperare?
I racconti che però seguiranno questo piccolo prologo, non sono altri che diverse storie raccontate dai punti di vista di cinque ragazze normalissime. La cosa che però le accomunerà, sarà il sottile filo rosso che sembra legarle a coloro che amano, che il loro amore sia giusto o sbagliato. Perché in fondo, quando decidi di amare qualcuno, è come se il destino decidesse di legarti a lui e il destino non può essere cambiato. Si può solo accettarlo.

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Capitolo 2
*** 01. Sophie ***


1. Sophie

Avevo appena scoperto che il mio ragazzo mi tradiva e pensavo di non credere più nell’amore. Lo avevo scoperto insieme a un’altra, a braccetto per le vie trafficate di New York. Per un attimo mi ero sentita contenta, vedendo la sorpresa sul suo viso dopo che lo avevo schiaffeggiato all’improvviso. Poi la sensazione di qualcosa di rotto, all’altezza del cuore, mi aveva tolto il respiro ed ero fuggita. Lontano da lui. Lontano da lei.
Mentre correvo fra la folla, cercando di nascondere le mie lacrime a sconosciuti curiosi, mi chiesi perché lo avesse fatto. Eppure aveva detto di amarmi, di volermi sposare un giorno e poi mi aveva tradito. Ora si spiegavano le mille scuse che inventava ogni volta che lo beccavo a tornare tardi, con il segno di rossetto nascosto sotto il colletto e il profumo di donna. Forse avevo sempre fatto finta di niente, avevo distolto lo sguardo dal problema, pensando ‘occhio non vede, cuore non duole’. Invece, alla fine, avevo sofferto lo stesso.
Dopo aver percorso almeno quattro o cinque isolati, mi fermai e appoggiai il peso sulle ginocchia. Avevo il fiatone e notai che molta gente mi fissava. Notai con la coda dell’occhio il mio riflesso in una vetrina e mi accorsi che ero in un pessimo stato. Il mascara e la matita erano colati e mi facevano sembrare un panda. Gli occhi erano gonfi e rossi. I capelli sembravano appena usciti da un film dell’orrore, svolazzanti e spettinati intorno al mio volto da bambina. Cercai di passare una manica a cancellare tutto, ma non vi riuscii molto. Disperata, mi guardai intorno in cerca di una qualche profumeria, e fu allora che li notai.
C’erano due ragazzi a qualche metro da me. La ragazza stava piangendo e aveva appena abbassato la mano di scatto. Il ragazzo sembrava confuso, sorpreso quasi di aver ricevuto uno schiaffo, e stava cercando di consolare lei. Poi la ragazza corse via, proprio come avevo fatto io qualche minuto fa.
Senza accorgermene, mi avvicinai al ragazzo e gli chiesi: << Perché gli uomini tradiscono sempre noi ragazze? >>
Lui si voltò a guardarmi. Aveva dei bellissimi occhi grigi e i capelli spettinati erano coperti da un cappello da skater, grigio scuro. Sembrava sorpreso e abbassò lo sguardo. Mi accorsi solo allora di quello che avevo realmente detto.
<< Oh… scusa… io… non… avevo… intenzione… di origliare… >> cercai di dire, ma la mia voce fu rotta da altri singhiozzi e cercai di nascondere il viso fra le mani per calmarmi. Il ragazzo si portò una mano alla testa, non sapendo bene cosa fare. Finché non mi chiese se volevo andare a fare quattro passi con lui. Fui incapace di oppormi e annuii, facendomi trascinare per una mano verso l’ignoto. Perché i ragazzi tradivano le ragazze? E con che coraggio cercavano subito di rimorchiare la preda successiva?
Mi portò in un bar. Non era molto affollato e c’erano solo due ragazze a servire ai tavoli, mentre un’altra faceva la cassiera. Sembrava un posto abbastanza tranquillo, frequentato solo dagli affezionati. La carta da parati alle pareti era di un giallo tenue, mentre il pavimento di grosse assi di legno scuro. I tavolini erano abbastanza piccoli e potevano starci solo due persone alla volta. Presi posto a uno vicino alla finestra, seguendo lui, e subito il ragazzo ordinò due cioccolate calde. Sorrise alla ragazza, che annuì prontamente e andò verso il bancone per riferire l’ordine a un ragazzo che doveva ancora andare al liceo. Ormai erano passati quasi due anni da quando ci andavo anch’io e al momento frequentavo il college.
<< Scusa se ti ho fatto una cattiva impressione, ma quella non era la mia fidanzata. >> disse, cercando di sorridere. Si vedeva che era abbastanza imbarazzato a parlare della cosa a una sconosciuta col trucco sbavato e che aveva appena pianto. Rimasi sorpresa, allora come mai lo aveva preso a schiaffi?
<< Era solo un’amica e, visto che tra lei e il suo ragazzo le cose si stavano mettendo male, aveva cercato di baciarmi. Non mi è sembrata una cosa giusta e gliel’ho detto. Credo sia per quello che mi ha preso a schiaffi. >> continua, massaggiandosi la guancia, sebbene non sia più arrossata come prima. Per un momento mi sento gelosa. Gelosa di quella ragazza, che aveva appena perso l’occasione di avere un ragazzo onesto e gentile come lui. Perché si vedeva dal suo sguardo che quel ragazzo provava qualcosa di più per la sua amica e aveva evitato di farle commettere qualcosa per cui poi si sarebbe pentita.
<< Dovrebbe essere contenta di avere un amico come te. >> mormoro, cercando di esprimere quel concetto a parole. Sì, perché nessun ragazzo avrebbe mai fatto una cosa del genere. Piuttosto sarebbe andato a letto con lei, facendole credere di avere una speranza, e poi abbandonarla la mattina dopo.
<< Sono felice che la pensi così. >> dice, sorridendomi. Intanto le nostre cioccolate sono arrivate. Un leggero sbuffo di fumo si alza da entrambe le tazze e si fonde insieme, a pochi centimetri dai nostri visi. << Ora tocca a te rispondere, sempre che te la senta. Come mai prima stavi piangendo? >> chiede, facendosi attento.
Mi mordo un labbro e per un attimo sono tentata di raccontare una bugia. Poi mi chiedo perché dovrei farlo e opto per l’amara verità. << Avevo appena beccato il mio ragazzo con un’altra. >> mormoro, prendendo la mia tazza blu fra le mani. Me la rigiro fra i palmi e ci soffio un po’ sopra, aspettando una sua reazione.
<< Mi dispiace. Per lui però, perché penso che sia stato uno stupido ad aver tradito una ragazza carina come te con un’altra. In un certo senso sei stata fortunata. Hai scoperto subito che ti tradiva e hai potuto liberarti di quel verme in fretta. >> dice, bevendo dalla sua tazza rossa, dopo avermi sorriso.
Sento allargarsi un sorriso anche sul mio viso. Con poche e semplici parole, questo ragazzo dal nome sconosciuto è riuscito a tirarmi su di morale. Incredibile. Forse c’è ancora speranza che i ragazzi gentili e romantici esistano a questo mondo così freddo. << Grazie. >> mormoro, bevendo anch’io.
<< E di che? Ho solo detto la verità. >> risponde, sorridendomi. Poi appoggia la tazza sul tavolo e mi porge una mano. << Comunque sono Max. >>
<< Sophie. >> gli stringo la mano, lasciandogliela poco dopo. Ha una stretta energica e amichevole, proprio come lui.
<< E’ un bel nome. Sei francese? >> mi chiede, appoggiandosi allo schienale della sedia e prendendo a dondolare.
<< No, però mia madre era fissata con la Francia, in particolare Parigi, e quindi ha deciso di chiamarmi con un nome francese. >> spiego, sorridendo. << E’ da tanto che vieni qua? Prima, sembravi quasi conoscere la cameriera che ci ha serviti. >> aggiungo, curiosa.
<< Certo che la conosco, è mia sorella. >> ridacchia lui. << Questo posto è di proprietà dei miei genitori. >>
Rimango a bocca aperta. Non mi aspettavo una risposta del genere. Pensavo piuttosto che la ragazza coi capelli biondi – ora che ci penso anche Max è biondo – con delle simpatiche lentiggini sul naso all’insù fosse solo un altro dei suoi flirt, delle sue conquiste. E invece è sua sorella. Quasi non casco dalla sedia, dandomi della stupida.
<< Se vuoi ti faccio conoscere anche gli altri membri della famiglia. >> mi propone, alzandosi dalla sedia. Perché no, ormai le nostre tazze sono entrambe vuote.
Scopro così che oltre a Clary – la ragazza bionda – anche Becky e Tom – due gemelli di appena diciassette anni dai capelli biondo scuro e gli stessi occhi di Max – sono sua sorella e suo fratello. La cassiera invece è solo una vecchia amica di famiglia che aiuta qualche volta part-time.
Dopo aver pagato e aver salutato tutti, usciamo nel freddo di una notte di fine ottobre. Tra poche ore dovrebbe essere il mio compleanno. Compirò vent’anni e sarò sola come un cane, che bello. Faccio comunque di tutto per non pensarci, ora che sono in compagnia di Max. Oltre ad essere davvero carino, gentile e onesto, è anche molto simpatico. Sembra quasi perfetto.
Camminando per le strade, senza una meta e parlando dei nostri interessi e del più e del meno, mi accorgo che è pieno di coppie. Ragazzi e ragazze che si tengono per mano o che si baciano. Sento ancora la sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco e qualcosa che mi punge agli occhi. Poi scorgo una coppia che mi sembra più familiare delle altre. Sono il mio ragazzo e l’altra.
Mi fermo, ricevendo qualche imprecazione da alcuni passanti, e rimango lì a fissarli. Si sorridono a vicenda, indicando le vetrine. Max se ne deve essere accorto, perché segue il mio sguardo e fa una smorfia. E’ allora che mi abbraccia davanti a tutti, compresi quei due, e mi sussurra all’orecchio: << Non farci caso. >>
Per un attimo mi sembra di sentire il mio cuore battere più forte sotto la maglietta. I nostri visi sono così vicini che potrebbe persino baciarmi. Basterebbe che si avvicinasse di poco… eppure non lo fa. Il mio ragazzo e l’altra si allontanano senza fare caso a noi due e scompaiono, risucchiati nella folla.
Max si stacca e mi sorride, prendendomi per mano. Camminiamo così, vicini ma non abbastanza. Tengo lo sguardo basso, incapace di guardarlo senza arrossire. Non vorrei che se ne accorgesse… ma ecco che lui mi guarda. Mi osserva e cerca di capire che cosa mi frulli nella testa, sotto questi capelli così scuri.
<< Se prima non ho fatto niente, è perché pensavo non fosse giusto. >> dice, a bassa voce. Oh, allora stava pensando ancora alla sua amica. Era per lei che non mi aveva sfiorato più di così. Sento ancora la gelosia e mi mordo un labbro. << Per te. >> aggiunge, facendomi alzare di scatto gli occhi verso di lui. Incontro così il suo sguardo e non riesco a distogliere il mio. Lentamente un sorriso prende il posto del broncio.
<< Sei stato davvero… carino. >> dico, arrossendo leggermente. Lui sorride e per un po’ continuo a farlo anche io.
<< Sai, esattamente a mezzanotte di questa sera, compirò gli anni. >> mormoro, senza nemmeno sapere il perché. In fondo che vuoi che gli importi di questo.
Invece lui si ferma e mi mette le mani sulle spalle, guardandomi come fossi pazza. << Allora perché non me lo hai detto prima? Avrei organizzato qualcosa. Magari avrei fatto portare una torta dalla pasticceria vicino al negozio dei miei. >> esclama, facendomi spalancare gli occhi per la sorpresa.
<< Pensavo non fosse importante. >>
<< E invece lo è eccome. In fondo è il giorno in cui festeggi la tua nascita. >> continua. Poi sorride. << Sono felice che tu ora possa essere qui con me, e io sono contento di averti conosciuto. Ora però, dobbiamo andare a festeggiare! >> urla, trascinandomi nella folla. Quasi corre, spintonando le coppiette per passare. Ripenso alle sue parole. Al fatto che è felice che io sia nata. Ora che lo ha detto, sono contenta anch’io.
Quella sera Max mi portò in giro per New York, la città che può offrire grandi cose anche alle dieci di sera. Riuscimmo a vedere l’ultimo spettacolo di Brodway, a mangiare zucchero filato sotto le stelle e a correre lungo i sentieri di Central Park.
Alla fine crollammo sull’erba, accanto al laghetto artificiale del parco. Max mi stringeva ancora la mano e con l’altra m’indicava le stelle sopra di noi. Vidi così, per la prima volta, la stella polare e il grande carro. Fino ad ora non mi ero mai soffermata a guardare il cielo di notte.
Poi si alzò una manica e guardò lo Swatch che teneva al polso. << Okay, mancano solo pochi minuti a mezzanotte. >> disse, sorridendomi. Quando mancavano solo dieci secondi, cominciò a fare il conto alla rovescia ad alta voce. Sembrava quasi di essere a Capodanno, nel bel mezzo di Times Square. E invece eravamo solo due stupidi, eccitati all’idea di festeggiare un compleanno.
<< … tre… due… uno… buon compleanno, Sophie! >> urlò nel silenzio del parco, prendendo la bottiglia di champagne che avevamo comprato da un negozio di alimentari lì vicino e due bicchieri di plastica che avevamo raccattato nel caffè dei suoi genitori. Li riempì entrambi e me ne porse uno, sorridendo. Lo presi e poi Max fece scontrare il suo con il mio. Bevvi tutto d’un sorso e poi me ne feci riempire un altro, e un altro, e un altro. Alla fine fui completamente brilla. Non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi o a smettere di ridere.
Forse fu per quello che non riuscii a dire di no a quello che Max fece poco dopo. Mi prese il viso fra le mani e mi baciò. Dapprima rimasi lì, sorpresa e inerme, poi ricambiai. Non fu un bacio gentile, ma travolgente. Di quelli che non riesci più a pensare, ma solo a muovere le labbra in sincronia con l’altro. Sentii la testa farsi più leggera e le farfalle nello stomaco.  Nessuno mi aveva mai fatto sentire così, nemmeno il mio ex ragazzo.
Quando Max si staccò, rimanemmo entrambi senza fiato. << Ecco il mio regalo per te, Sophie. >> disse a bassa voce, riprendendo a respirare normalmente. Sorrisi e questa volta fui io a baciarlo. Ne sentii il bisogno, la voglia di tornare a non avere pensieri.
Quella notte, la passammo nel parco, sdraiati l’uno accanto all’altro. Dopo quei due baci non ce ne furono più. Max mi prese solo per mano. Dormimmo sotto la giacca di jeans che si era portato dietro, a mo di coperta, e ci risvegliammo all’alba del giorno dopo.
Dopo aver fatto colazione al Caffè, ci scambiammo i numeri di telefono e mi chiamò un taxi. Salii e mentre la vettura gialla partiva nel traffico, continuai a sventolare la mano dal finestrino posteriore.
L’ultima cosa che vidi di Max, di quel ragazzo speciale che mi aveva fatto dimenticare il tradimento del mio ex ragazzo, fu il suo bellissimo sorriso. Nel tragitto verso la casa che condividevo con alcune mie amiche, ripensai a quelle ore che avevo trascorso in sua compagnia. Anche se non era il mio ragazzo, anche se aveva un’altra nel cuore, aveva deciso di donarmi pochi attimi di felicità.
C’eravamo lasciati da amici, e certamente non mi sarei mai scordata di lui, ma chissà che qualcosa non sarebbe cambiato in futuro. Questa però… è tutta un’altra storia.

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Capitolo 3
*** 2. Chloe ***


Avevo sempre adorato i ragazzi più grandi di me di qualche anno. Matt, Lucas, Alec… e potrei continuare la lista ancora per molto. Molte mie amiche avevano cercato di psicanalizzarmi nel corso degli anni, cercando di trovare un motivo a questa mia mania: bisogno di sicurezza, complesso di Edipo o forse semplice opportunismo. Nessuna di queste. Semplicemente li trovavo più affascinanti di altri. Eppure non mi sarei mai immaginata d’innamorarmi di lui, Paul Sanders. Aveva venticinque anni ed era il mio professore di matematica. In più era anche un adulto e non mi era mai capitato. Solo con diciottenni o al massimo ventenni. In fondo avevo solo sedici anni.

Tutto cominciò quando lo vidi insieme a una donna, mentre facevo shopping con alcune amiche. Nulla di strano visto, che c’erano coppie molto più… particolari. Ad esempio una vecchia signora sulla cinquantina era in compagnia di un giovane di appena vent'anni. Decisamente, una passione insolita. Allora perché avrei dovuto trovare strano che il prof avesse una fidanzata? Senza motivo, presi il cellulare dalla tasca e scattai una foto. Non dissi niente alle ragazze e, il giorno dopo, a scuola, feci l’errore di essere beccata a scrivere dell’accaduto alla mia amica, seduta due banchi prima di me. Avrei potuto usare un bigliettino, ma era rintracciabile e volevo che solo pochi fossero a conoscenza della cosa. Così optai per gli sms, ma fu un disastro totale.

Dopo le lezioni, andai in sala professori per farmelo ridare e, per paura che potesse leggere i messaggi, mi ritrovai a supplicare quel vecchiaccio di Sanders.

<< La prego, professore, me lo ridia. Abbia pietà di una come me. >> dissi, sbattendo le ciglia più volte e unendo le mani a mo di preghiera.

<< Okay, per questa volta la passi liscia, ma solo perché non posso resistere alle preghiere di una bella ragazza. Non scriverò niente sul registro, niente note, ma per il momento il cellulare lo terrò io. >> disse, sorridendo sotto i baffi.

<< Non può fare così, professore! >> dissi, afferrando il cellulare e togliendoglielo dalle mani. Bastarono un paio di click e sullo schermo apparve la foto che avevo scattato il giorno prima. Gliela mostrai. << Ecco, guardi qua. Ieri se l’è spassata proprio bene ed ecco la prova. >>

<< Quando l’hai scattata? >> sembrava sorpreso.

<< Non ha importanza. Potrei farla vedere in giro, a meno che- >> cercai di minacciarlo, sperando di riavere il cellulare senza troppi problemi.

<< Fa pure. >> per poco non mi venne un colpo. Aveva appena ammesso che non gliene fregava nulla, se quella foto faceva il giro di tutti gli studenti della scuola. Avevo i miei mezzi e anche i numeri di tutti i miei compagni di classe, che a loro volta lo avrebbero inoltrato ai loro amici, eccetera. Ma se la metteva così, la cosa era inutile.

<< Come? >>

<< Mostrala pure a chi vuoi. Non ho fatto niente di male. >> rimasi sorpresa dalle sue parole. Non ci potevo credere. << Certo, se giungesse alla commissione genitori-insegnanti avrei dei problemi, quindi per questa volta ti rendo il cellulare. >> fu l’ultima cosa che disse, prima di lasciarmi andare con il mio cellulare in mano. Era stato troppo facile.

Fuori dalla scuola, c’erano Emy e Kristal che aspettavano impazienti. Le conoscevo dall’inizio della scuola ed era con loro che passavo la maggior parte del tempo. Non si assomigliavano per niente tra di loro. Emy era bassina e bionda, mentre Kristal era una stangona e mora.

<< Allora, te l’ha ridato? >> mi chiese Kristal.

<< Vittoria! >> esclamai, sorridendo e mostrando il bottino.

<< Allora cos’era quella cosa incredibile che avevi visto? >> mi chiese Emy. Era con lei, che avevo massaggiato durante matematica.

<< Non ci crederete mai, ma il prof- >> cominciai a dire, ma poi qualcuno chiamò il mio nome e mi costrinsi a voltare. Si trattava di Mark, il mio attuale ragazzo. Aveva due anni più di me ed era all’ultimo anno di liceo. Mi accompagnava a casa tutti giorni sulla sua bicicletta, per lo meno quando nessuno dei due aveva allenamenti. Lui faceva parte della squadra di Football ed io delle Cheerleader. Non sapevo perché mi fossi iscritta. Forse perché così avrei potuto conoscere più ragazzi. O forse no. Era stata una cosa impulsiva. << Scusate, ragazze, ma devo andare! Ci sentiamo domani. >> urlai già dando loro la schiena e correndo incontro a Mark. Ci frequentavamo da poco, ma sapevo che aveva un incredibile fondoschiena e i capelli più belli del mondo. Ogni volta che ci baciavamo e vi ficcavo le dita, era come se toccassi della seta.

Ecco, non parlavamo mai molto, ma in compenso passavamo la maggior parte del nostro tempo a baciarci. Camminavamo tenendoci per mano fino al parco e, una volta arrivati lì, ci nascondevamo dietro un paio di cespugli. Facevamo cose leggermente spinte, ma lo fermavo non appena tentava di abbassarmi la gonna della divisa. Povero ragazzo. Lo facevo penare troppo, però almeno su questo ero stata chiara con lui: niente sesso, solo baci. Non mi andava di perdere la verginità con il primo che mi capitava a tiro, nemmeno se aveva un bel culo.

Tornando a casa, mi chiesi se anche il professore baciasse con la lingua. Mi sembrava una domanda naturale, ma quando m’immaginai il prof fare certe cose, be… arrossii di colpo e cercai di nascondere la mia espressione a Mark.

La mattina dopo, a scuola, ci stavo ancora pensando e fu così anche per molte altre mattine. Ogni volta che avevo matematica, osservavo Sanders e mi chiedevo che tipo fosse, cosa nascondesse sotto la camicia e la giacca da prof. Non sembrava un tipo troppo muscoloso, ma nemmeno magrolino. Ora che mi ero interessata a lui, mi facevo spesso domande del genere. Avrei tanto voluto slacciare quei bottoni, che mi prudevano le mani.

Purtroppo non ero l’unica a pensarla così. Metà della classe e dell’istituto la pensava allo stesso modo. In fondo era un bell’uomo, sui venticinque anni, dai tratti marcati e la mascella larga. Aveva gli occhi azzurri e i capelli castani, tenuti in ordine. Eppure, per quante ci provasse, alcune ciocche gli ricadevano sulla fronte dandogli un’aria sbarazzina e quasi infantile.

Ero talmente persa nei miei pensieri, che non mi accorsi che il prof stava dietro di me. Doveva aver notato il mio sguardo assente, così pensò bene di svegliarmi dandomi il registro sulla testa.

<< Hale, alla lavagna. Risolvi l’esercizio 26. >> mi ordinò, alzando la voce. Restia, mi avvicinai alla lavagna e cominciai a svolgere l’esercizio. Era un’ingiustizia bella e buona. Pensava di potermi comandare a bacchetta, solo perché era nato prima di me. Questo però significava anche che sarebbe schiattato prima di me. “Ben gli sta a quel vecchio porco!”, pensai.

Quando il prof vide che ero abbastanza preparata da non potermi dare una nota, decise di mandarmi a posto. Ma lo ferma prima, chiamandolo e indicandogli un punto sulla lavagna. << Scusi, professore, c’è una cosa che non capisco qua. >> dissi, indicando la scritta ‘vecchio porco’ che avevo tracciato col gessetto. In fretta si mise a cancellarla e ridacchiai senza farmi vedere. Prima che però potessi tornarmene al mio banco, Sanders mi ordinò di farne altri cinque di esercizi. Maledetto!

Iniziarono così tante piccole vendette personali ai danni del mio professore. Una di queste fu mettere tanti piccoli pezzi di carta con scritto a caratteri cubitali ‘vecchio porco, maiale’ eccetera nel suo armadietto. Purtroppo un giorno mi chiamò dopo le lezioni e mi disse che mi stavo trasformando in una piccola bulletta, mostrandomi i bigliettini che avevo scritto io.

<< Può forse dimostrare che sono stata io? >> dissi, annoiata.

<< Be… avresti potuto evitare di usare il retro del tuo compito, no? >> mi disse, voltando il foglio. Dietro c’era scritto il mio nome e una parte di una mia verifica, con relativo voto nella media. Sentendomi una stupida, chiesi di restituirmelo e lo infilai nella borsa. Quando però rialzai lo sguardo, notai che Sanders era seduto davanti a me, così vicino che le nostre ginocchia si toccavano. Mi sentivo strana, come se tanti piccoli brividi attraversassero il mio corpo.

<< Ora basta con la guerra, d’accordo? >> mi disse, sorridendo. << Ricorda che però le lettere d’amore sono ben accette. >> ecco che spuntava la sua perversione.

<< Ma lei ce l’ha già una ragazza, o sbaglio? Quella con la quale si stava sbaciucchiando quella volta. >>

<< Ti dispiacerebbe così tanto il ruolo di amante? >> mi chiese, mostrando un sorriso sghembo.

Credo fu allora che iniziai a provare qualcosa di davvero reale per lui. Se prima non lo sopportavo, ora sentivo il bisogno di baciarlo. Incredibile come la situazione si fosse capovolta, vero? Mi alzai di scatto, facendo cadere la sedia all’indietro, e sbattei forte le mani sul banco. << Certo che sì! >> quasi urlai, prima di prendere la borsa e uscire dalla classe.

Forse Sanders non riusciva a capire quanto fosse utile nella mia vita. Facendogli scherzi o parlando male di lui, rendevo ogni giornata meno monotona e più divertente. Un po’ una frase da ragazzina viziata, se ci penso.

Per colpa sua, iniziò a cambiare in peggio anche la mia vita sentimentale. Perché un giorno Mark mi chiese di fare sesso. Eravamo a casa sua e ci stavamo baciando come sempre. Poi dal nulla me lo chiese.

<< Non resisto più, perché non lo facciamo? >> nemmeno gli risposi e me ne tornai a casa a piedi. Non potevo farlo con lui. Nella mia mente avevo come deciso che se mai lo avessi fatto, sarebbe stato con il signor Sanders. Per questo sarei morta vergine, molto probabilmente, e forse anche zitella. In fondo non può un uomo vivere senza sesso quando è sposato. La regola del ‘vergine fino al matrimonio’ decade.

Sulla strada di casa, decisi che sarei andata a trovare il prof. Sapevo dove abitava e avevo voglia di sfogarmi con qualcuno. Così scelsi lui, piuttosto che infastidire mio fratello. Lo trovai, che stava innaffiando alcune piante del suo giardino. Aveva una grande casa, anche se sembrava occuparla tutto da solo.

Appoggiai un piede sul tubo della pompa e mi nascosi dietro alcuni alberi. Il prof allora guardò ne buco di uscita con espressione sorpresa e tolsi il mio peso. L’acqua ripartì e naturalmente finì per bagnare Sanders. Risi così forte che mi sentì persino lui.

<< Non c’è niente da ridere, Hale! Mi si è bagnato persino il portafogli. >> disse, quasi urlando da dietro una finestra della casa. Si stava asciugando con un asciugamano ed era a torso nudo. Vidi così che non era affatto magrolino, anzi tutto il contrario. Era decisamente… in forma.

<< Imbroglione. Non è per niente pelle e ossa. >> pensai ad alta voce, arrossendo un po’.

Il prof non doveva aspettarselo, perché si affacciò dalla finestra e mi guardò come se fossi pazza.

Fu verso il weekend che decisi di mollare Mark. Non gli diedi troppe spiegazioni. Fu semplicemente lui a capire la cosa. Mi piaceva un altro. Tentai anche di scusarmi, ma non voleva scuse. Così mi ritrovai single e con una cotta per una persona che non avrebbe mai ricambiato. In fondo ero solo una ragazzina, mentre lui ormai era un uomo. Appunto però… un uomo.

Dopo le lezioni, venerdì pomeriggio, andai in sala professori a cercare Sanders e lo trovai alla sua scrivania. Stava sfogliando alcune circolari, muovendo ritmicamente il piede sul pavimento. Come potevo fargli capire che ero innamorata di lui?

<< Oh, ciao Hale. Potresti portare questi compiti in classe e metterli dentro al cassetto della scrivania. Ho finito di correggerli. >> mi disse, porgendomi dei fogli e tornando a guardare le circolari.

<< Preferirei di no, è una tale seccatura. >> biascicai, abbassando lo sguardo sulle mie scarpe e incrociando le mani dietro la schiena. Cercai di mostrare un po’ più di scollatura o di gambe, ma a parte qualche piccola occhiatina, sembrò poco interessato a me. << Va bene, glieli porto io. >> dissi alla fine, tendendogli la mano.

<< Non fa niente, tanto ho ancora un’ora da passare a scuola. Ci penso io. >> disse, leggermente scocciato. Si era forse arrabbiato? Cavolo, non era mia intenzione farlo incazzare. Ora non sapevo più che fare.

Mi ritrovai così, mezza disperata davanti alla persona che amavo, a piangere come una fontana senza riuscire a smettere. Il prof si preoccupò visibilmente. << Hale! Che ti prende? >> cercò di farmi rialzare da terra, ma ormai mi ero acquattata carponi e mi tenevo il viso fra le mani. Cercavo di nascondere il pianto, ma ormai era fin troppo evidentemente. Non riuscivo più a parlare e mi faceva male anche la gola.

Fu allora che Sanders mi prese tra le braccia. << Ti porto in infermeria. >> disse, camminando veloce fuori dalla porta. Cercai inutilmente di coprirmi le mutande, ma la gonna era troppo corta. Mi agitavo talmente tanto che sarei potuta benissimo passare per un pesce.

<< No, mi metta giù. Mi si vedono le mutande. >> iniziai a urlare, ormai persa per sempre.

Quando poi mi fui sdraiata su uno dei letti dell’infermeria, ripensai a quello che era accaduto. Se mai avessi avuto la possibilità di sposarlo, cosa avrei detto ai miei figli? “Sai, le prime parole che mamma a rivolto a papà sono state ‘mi si vedono le mutande’.” Dio che situazione ridicola e soprattutto impossibile. Il prof non mi avrebbe mai sposato.

Dovevo ammetterlo, però, mi era piaciuto essere tenuta fra le sue braccia. Forse per questo che, quando venne a chiedere come stessi, mi arrischiai a chiedere se mi avrebbe permesso di farlo per la ‘prima volta’ con lui. Per tutta risposta, al prof per poco non venne un colpo. Ne andarono però le tende dell’infermeria, che si ruppero sotto il suo peso.

<< M-ma cosa stai dicendo, Hale. Sono un tuo insegnante. >> cercò di dire lui, sedendosi su una sedia accanto al letto e passandosi una mano fra i capelli. Sembrava visibilmente in imbarazzo.

<< Appunto, dovrebbe essere pagato per insegnarmi. E poi sono innamorata di lei. >> cercai di dire.

<< Anche se fosse, io ho già una fidanzata, e sicuramente non t’insegnerei come fare sesso. >>

<< Non potrebbe lasciarla? >>

<< Non ne ho nessuna intenzione. >>

<< Vuole sposarla allora? >> chiesi, abbassando lo sguardo a terra.

<< Forse sì. >>

<< Allora la tradisca con me! >> continuai, ormai impazzita del tutto. Dovevo tentare l’impossibile per far sì che quell’uomo fosse mio.

<< Non avevi forse detto che non te la sentivi di essere la mia amante? >>

Mi accorsi solo allora di aver detto delle grandi cavolate. << La prego, professore, non mi permetta di fare cose simili. >>

<< Certo che non te lo permetto. Tranquilla. >>

<< D’accordo. Questo vorrà dire che andrò in giro per la città di notte, vestita solo con una minigonna e un look provocante. Sarebbe una cosa pericolosa, no? Quindi lei, come mio docente, sarebbe tenuto a salvarmi. >>

<< Mi stai facendo una dichiarazione d’amore oppure mi stai ricattando? Non riesco a capire. >> disse, mettendo le mani sui fianchi e guardandomi male.

<< E’ la dichiarazione del secolo, professore. >> tentai di dire.

Mi mise una mano sulla spalla e cercò di dirmi, con più calma possibile: << Io penso che tu sia semplicemente impaziente di diventare grande. Ma non per questo vale la pena precipitare le cose. >>

<< Non sono impaziente di diventare adulta o che. Sicuramente sono molto più matura di tante altre mie coetanee ed è per questo, che le sto chiedendo di farlo con lei. Perché la amo e voglio che la mia prima volta sia con qualcuno di speciale. >> mi alzai dal letto e gli andai incontro, arrivando a pochi centimetri da lui. Ora ero io quella arrabbiata. << Mi dica cosa c’è di sbagliato in questo, nell’amore. In fondo è attraverso l’amore che si diventa grandi, no? Si desidera diventare una determinata cosa, solo se ne siamo inebriati. Quindi, professore, la prego. Lasci che la ami! >>

Fu così, con queste parole, che riuscii ad avere un appuntamento con il prof. Fino a quel momento, non avevo pensato che potesse essere possibile, ma ora ero lì con lui. Stavo passeggiando per le vie della città con la persona che amavo. Ed ero agitatissima. Arrivai in anticipo e mi sedetti sotto la statua cui c’eravamo dati appuntamento. Pochi minuti dopo, arrivò in orario. Era vestito molto più casual rispetto al solito. Indossava un paio di jeans chiari, una maglietta bianca e una giacca di pelle nera. Non sembrava nemmeno il prof di matematica che avevo visto fino ad ora. Era davvero… bellissimo.

Quando però mi si avvicinò, notò le mie occhiaie – sebbene le avessi nascoste accuratamente con del correttore. Ero rimasta, infatti, sveglia tutta la notte. Non ero riuscita a dormire per i troppi pensieri riguardo al giorno dopo e avevo finito per rimanere insonne.

<< Vedo che sei stanca, Hale. Torniamo a casa? >> mi chiese, sorridendo. Lo guardai sorpresa. No, non sarei per niente tornata a casa adesso. Non ora che avevo realizzato i miei sogni. O almeno quasi.

<< Manco per sogno! Cosa sta dicendo? Non abbiamo ancora fatto niente. >>

<< Ma che dici? Sono venuto per riportarti sulla retta via, quindi il discorso finisce qua. >>

<< Non è vero. Il nostro deve essere un vero appuntamento. >> continuai, per niente decisa ad arrendermi.

Per tutta risposta il prof mi prese a braccetto e mi portò verso il parcheggio. Lì premette un pulsante su un piccolo telecomando e mi fece salire in macchina. Fu allora che vidi la stessa donna che avevo beccato insieme al professore la prima volta. Solo che era in compagnia di un altro uomo. Anche il prof sembrò accorgersene.

<< P-professore. Presto le vada dietro! Deve essere esserci sicuramente un equivoco. >> dissi, cercando di spingerlo fuori dalla macchina, ma lui era troppo forte.

<< Non fa niente, Hale. Non è più un mio problema. Ci siamo separati. >>

Per un attimo mi sento felice, al settimo cielo. Ora che il prof è libero, potrà essere tutto per me. Poi torno a terra e mi sento cattiva per aver pensato di essere felice, calpestando i sentimenti del prof. Perché vedo come la guarda e lui non deve sorridere come niente fosse.

<< Torniamo a casa. >> dice a bassa voce, inserendo le chiavi e cambiando le marce. La macchina parte e ci allontaniamo dalla città, tornando – attraverso l’autostrada – verso la zona residenziale dove abita Sanders. Quando scendo con lui dalla macchina e – piuttosto che tornarmene a casa a piedi – entro con lui in casa, non fa una piega. Si limita semplicemente a sorridere e chiudere la porta dietro di se. Vederlo così, fragile e vulnerabile per colpa di una come quella, mi fa venire voglia di abbracciarlo e poi correre dalla rispettiva colpevole e rasarla a zero. Mi immagino la scena e per poco non scoppio a ridere.

Se ne va in camera e si siede sul letto, tenendosi la testa fra le mani e guardando a terra. Si vede che sta pensando alla sua ex. Non a me. A lei. E la cosa mi fa male. Mi sento come tradita. Così mi avvicino e salgo sul letto. Lo abbraccio e cadiamo entrambi sul materasso. Lui sotto, io sopra. Sento il cuore battermi forte, ma non posso fermarmi. Devo andare avanti e, anche se lui non mi fermasse, devo continuare su questa strada. Poi lo bacio, ma lui è rigido. È come se fosse una marionetta nelle mie mani. No, non deve andare così. Non dovrebbe.

Mi stacco e lo guardo negli occhi. Per un po’ sembra non vedermi, poi qualcosa si accende nel suo sguardo. Si abbassa la zip dei pantaloni e mi prende la testa fra le mani, abbassandomela e facendomi capire che… dovrei fare quello che facevo anche con Mark e gli altri, quando mi rifiutavo di fare sesso, ma loro erano troppo pazzi di me. Così, mordendomi il labbro, mi accingo a farlo quando una mano mi tira indietro e scoppio a piangere.

Il prof mi guarda come se fossi pazza. Come se fossimo entrambi pazzi allo stesso modo.

<< Chloe! Ti prego, perdonami. Ti prego, perdonami! >> dice, abbracciandomi. È la prima volta che mi chiama per nome. Un po’ mi sento felice. Continuo a piangere, però, e tra le braccia del prof mi sento così al sicuro. Vorrei rimanere così per sempre. << Ti prego, perdonami. Cosa diavolo stavo facendo? Ero talmente sconvolto, che per poco non facevo del male anche a te. >> 

Forse, però, il prof è impazzito. Ho ricevuto così tante ferite come questa, che ormai non farebbe più differenza. Una più, una meno.

Rimango abbracciata al prof per tutto il pomeriggio, fino a quando il suono del mio telefono non mi avvisa che qualcuno mi sta chiamando. Mi alzo a fatica e rispondo. È mia madre, vuole che torni a casa subito. Okay, dico, che altro posso fare?
Così mi sistemo e do un ultimo bacio al prof. Sta dormendo così serenamente che non voglio svegliarlo. Lo guardo un’ultima volta, prima di uscire dalla stanza e mi accorgo che ha pianto. Insieme con me. Sorrido, uscendo dalla porta e fuggendo verso casa. Di colpo ricomincio a piangere. Piango perché lui ha versato delle lacrime per me. E’ stato abbastanza triste da piangere anche per me. Ora, professore, non mi dica che questo non è amore!

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