Uomini maledetti di Fanny Jumping Sparrow (/viewuser.php?uid=60955)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Anime tormentate ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Eppure sentire ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Riflessioni ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: L'ammutinamento ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Diavoletto ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Fame cattiva ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Una buona stella ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Luna piena ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Immortalità ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: Avventato ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Potere ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: Il rimedio ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: Cambiare ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: Un colloquio da ricordare ***
Capitolo 15: *** Epilogo: Caccia grossa ***
Capitolo 1 *** Prologo: Anime tormentate ***
Uomini
maledetti
Prologo:
Anime tormentate
Era un porto di mare
come altri, con le sue taverne e le sue botteghe affioranti tra
stradelle affollate di gente cenciosa e losca, pronta a metterti la
mani addosso o anche a sgozzarti o ficcarti una coltellata nel fianco
se ti fossi rifiutato di sganciare la grana o l’avessi in
qualche modo urtata.
I delitti si
consumavano a qualunque ora del giorno e della notte, tra un boccale di
rum e l’altro, tra un incontro e l’altro con donne
sporche, calde e accoglienti, o con altri furfanti sempre in cerca di
nuovi affari che riempissero le loro tasche di monete da spendere in
quello stesso luogo di perdizione e imbrogli.
Loro non avevano
più avuto bisogno di rubare tanto meschinamente.
Quella scoperta,
quell’isola che nessuno credeva esistesse davvero,
l’avevano trovata e ora potevano concedersi tutti i capricci
e i divertimenti che i loro bassi istinti desideravano.
Oro purissimo.
Chiunque lo vedeva restava interdetto, e anche un solo doblone bastava
a pagare un mucchio di leccornie, neanche fossero principi o conti.
Sapevano che prima o
poi sarebbe finito, ma non riuscivano a trattenersi da uno sperpero
dissoluto e incontrollato.
In fondo erano pur
sempre rozzi pirati, per nulla previdenti, saggi o coscienziosi. E
perché avrebbero dovuto esserlo? Non potevano concedersi di
progettare i loro giorni. Tutto era instabile sotto i loro piedi: il
mare o una botola, un giorno che poteva essere vicino o lontanissimo,
si sarebbero aperti e li avrebbero portati via dal mondo. La loro vita
era sempre appesa ad una corda.
Tuttavia la
consapevolezza, irrazionale e informe, che qualcosa stava cambiando
cominciava ad insinuarsi, infida e inquietante, in ogni fibra del loro
corpo, come una scintilla crepitante lungo una scia di polvere da sparo
che una volta alla fine del suo percorso si sarebbe manifestata come
fuoco e devastazione.
Ed era questa
persistente sensazione di freddo disagio e cocente brama che li rendeva
ancora più vagabondi, aggressivi. Pericolosi.
Ehilà! Sono
tornata con un'altra storia piratesca! Questa volta ho deciso di
concentrarmi su dei personaggi poco esplorati, ovvero Barbossa e la
ciurma della Perla Nera. Proverò a descrivere le loro
sensazioni nel momento in cui scoprono di essersi beccati una
maledizione.
Come sempre mi farà piacere sapere cosa ne pensate. A presto!
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Capitolo 2 *** Capitolo 1: Eppure sentire ***
Capitolo
1: Eppure sentire
Quel porto di mare era
Maracaibo, città opulenta fondata e abitata per lo
più da spagnoli, ma divenuta meta di ritrovo per molti
bucanieri dei Caraibi. La legge non era applicata con eccessiva
severità e le attività illecite prosperavano
sotto l’indifferenza degli stessi governatori che anzi,
spesso ne traevano tacitamente vantaggio in prima persona.
Si trovavano
lì quella sera a gozzovigliare, spensierati e lascivi come
sempre. Non avevano nemici di cui preoccuparsi, anche se la nave su cui
lavoravano, la Perla Nera, era un veliero che destava la cupidigia di
molti filibustieri, data la sua fama di riuscire a raggiungere
velocità notevoli in mare aperto, sfuggendo a qualsiasi
arrembaggio.
In un angolo buio
della prima taverna che aveva ancora posti liberi stavano in sei
attorno ad un tavolo. Giocavano a carte, bevevano e mangiavano, pieni
di buonumore.
Ad un certo punto uno
del gruppetto, basso e tozzo con lunghi capelli sudici che gli
sfioravano le spalle, si alzò di scatto rimproverando
imbestialito un suo compare: - Porca miseria! Che schifo, Ragetti! Ti
sei pisciato addosso?!
Gli altri pirati
scoppiarono subito a ridere.
- Che dici?
– esclamò il diretto interessato, offeso e
stralunato, mentre le risate e le prese in giro dei compagni lo
attaccavano senza contegno. Uno di questi, che era seduto accanto al
pirata dall’occhio di legno, lo squadrò
annusandolo per poi dichiarare sarcastico: - Pintel! Non lo sai che
puzza di suo?
- Mi ha bagnato la
gamba, Grapple! – sbraitò quello mostrando a tutti
una chiazza scura nei pantaloni. Ragetti, imbarazzato e stranito,
controllò contemporaneamente i suoi calzoni restando seduto
e muto.
- Si è
scolato tre bottiglie di rum una dopo l’altra –
parlò più forte Sputafuoco per sovrastare le voci
degli altri che non smettevano di sghignazzare – Da qualche
parte gli doveva pur uscire … - disse serio, lasciandosi
scappare però subito dopo un sorrisetto ironico che
trascinò i compagni a ridere per la sua battuta.
Pintel
sbuffò e si sedette di nuovo nervoso, allontanando la sedia
dall’amico e guardandolo sghembo: - Neanche hai sentito lo
stimolo? – gli domandò dopo aver buttato una
carta, dandogli una forte gomitata sul braccio. Ma prima che quello
aprisse bocca si intromise Twigg: - Guardalo: è ubriaco
fradicio! Che doveva sentire?
Per qualche minuto gli
uomini ripresero a giocare senza risparmiare altre frecciatine nei
confronti di Ragetti che, seppure era abituato ad essere oggetto di
scherno per i compagni, si stufò di come lo trattavano,
perché quella volta sentiva che erano in torto: - Non
è vero che sono ubriaco! Sono lucidissimo! Voi lo sapete
come divento quando bevo troppo! – urlò spargendo
le carte sul tavolo.
- Un completo cretino,
come ora! – affermò Koheler, un nero con capelli
rasta e molteplici cicatrici sul volto. Ancora una volta gli altri si
abbandonarono ad uno scomposto e malevolo riso.
Ragetti, snervato, si
mise in piedi per andarsene, fulminandoli astioso.
- Lo vedi che te la
sei fatta nei pantaloni? – gli fece notare Pintel
indicandogli il basso ventre.
I pirati si sporsero
sul tavolo per osservare, schifati e divertiti, mentre lui si copriva
con le mani: - La vostra è tutta invidia! Vi rode che stavo
vincendo perché sono il più intelligente!
– cercò ragione balbettando però per la
collera e la vergogna, oscillando avanti e indietro per poi alzare le
braccia e svicolare via con un verso di rabbia.
- Ma vattene, idiota!
– lo apostrofò Koheler afferrando avidamente il
suo boccale e sorseggiandone con piacere il contenuto alcolico.
– Rifai le carte, Pintel – ordinò poi al
collega che obbedì iniziando a raccoglierle dalle mani degli
altri che ancora si sbellicavano per la reazione del magrolino.
- Oh, Sputafuoco, me
lo tiri un pezzo di arrosto? – chiese nel frattempo Grapple,
un omone alto e nerboruto con corti capelli scuri e due grossi baffi
che gli scendevano lungo gli angoli della bocca. – Allora?
– lo spronò impaziente non ricevendone risposta.
Sputafuoco fissava il
vassoio vuoto con solo qualche osso spolpato: - È
… è finito – attestò con un
filo di voce deglutendo incredulo.
- Te lo sei mangiato,
vorrai dire – si intromise Twigg guardandolo con acredine,
copiato dagli altri tre colleghi.
Turner non sapeva come
difendersi, non ricordando di essere stato lui: - Ma no io …
figurati! Era un tacchino intero! – sbottò
risentito, ma le parole gli tremavano e si spezzavano mentre una strana
angoscia si impossessava della sua mente.
Pintel
ghignò: - Hai lo stomaco di una balena, compare! Dove la
metti tutta quella roba? Ieri si è mangiato un pane grosso
così! – rivelò agli altri mimando con
le mani una lunghezza di quasi mezzo metro.
- Che vuoi, il vecchio
Bill lo sfoga così l’appetito …
– concluse Grapple malizioso, dandogli una pacca sul braccio.
Il volto di quello restò contratto in una smorfia
preoccupata.
- Ah! Che problema
c’è? – riprese a parlare Twigg
– Con tutti i soldi che abbiamo! Oh? Donna? Vieni qua!
– richiamò una cameriera che passava di
lì – Portaci un altro tacchino farcito.
- Oh, te gusta!
– ammiccò lei, non più molto giovane ma
con il viso pesantemente truccato e strizzata in un abito viola che
lasciava poco all’immaginazione.
- Chiedilo al nostro
amico: è stato l’unico a mangiarlo! –
ribatté Pintel un po’ alterato drizzando gli occhi
su Sputafuoco che teneva la fronte china e non aveva più
parlato.
- Como?! –
scosse la chioma rossa la donna sentendosi imbrogliata –
Bastava para seis hombres! – sostenne ritirando il vassoio di
legno e osservando Bill il quale la sbirciò un secondo ed
ebbe un singulto.
- Tu comunque ora ce
ne porti un altro. Insieme a qualcos’altro per sciacquarci la
bocca – le impose Koheler stringendole il polso e mettendole
in mano due monete d’oro che le fecero brillare di meraviglia
gli occhi castani. Il bucaniere si alzò in piedi
sovrastandola:
- Ah, e per quello che
ti sto dando ci aspettiamo pure un servizio aggiuntivo … -
le raccomandò lanciando occhiate libidinose alle altre
signorine che si trovavano nel locale – Ci siamo capiti,
vero? – le sussurrò bieco.
- See, arriva
– gli assicurò quella intascando il denaro e
ancheggiando verso il bancone per poi sparire nel retro dove
c’era la cucina.
Il pirata di colore
riprese posto ridacchiando con i compagni.
Soltanto Bill
conservava un’espressione mesta e meditabonda, pur
proseguendo a giocare a carte quasi meccanicamente.
Un saluto affettuoso a
tutte le mie lettrici e a tutti i miei lettori! Lo so, Barbossa ancora
non c'è ma arriverà nel prossimo capitolo, ve lo
prometto ^^!
Intanto qui ho cercato di inserire i primi sintomi della maledizione,
così come penso possano essere stati percepiti dai pirati,
che ancora chiaramente non capiscono bene cosa sta succedendo.
Spero di non deludervi e di divertirvi lo stesso, anche con un
tema così cupo: ho cercato di metterci un pò di
humor nero!
A presto!
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Capitolo 3 *** Capitolo 2: Riflessioni ***
Capitolo 2: Riflessioni
- Con me non si era mai lamentato nessuno! – proruppe
indignata un’avvenente donna dalle forme prosperose con
lunghi capelli ricci e corvini, tirandosi su le calze gialle e il
corsetto turchese ricamato dopo aver sbattuto furiosamente alle spalle
la porta di una stanza nel retro della locanda.
Subito le andò incontro l’ostessa cercando di
calmarla e di risolvere il possibile malinteso con
l’avventore, pur di non farlo scappare: - Che c’ha?
È uno difficile o non gli funziona? – si
informò con sarcasmo e schiettezza inspirando
un’ampia boccata da un avana.
- Fosse solo questo! – replicò la brunetta finendo
di riallacciarsi il bustino con gli occhi gonfi di lacrime –
Quel bastardo è pure violento! – asserì
correndo via precipitosamente e scontrandosi con Sputafuoco che,
alzatosi di scatto, era intento a farsi spazio tra i tavoli
per uscire.
- Stia attenta signorina – bisbigliò il pirata
scostandola con un lieve sorriso; nonostante il tono gentile alla
ragazza sembrò di essere andata a sbattere contro una statua
di bronzo. Quel tizio non emanava alcun calore umano, proprio come
l’altro con cui era stata a letto, e istintivamente
provò un senso di ribrezzo e di inquietudine, gettandosi
fuori ancora più sveltamente.
Bill si era sentito trafiggere dallo sguardo inorridito della
prostituta. Oltrepassò l’ingresso della taverna
con il cuore appesantito da oscuri dubbi, perdendosi tra la folla
brulicante del luogo per poi allontanarsene quanto più
possibile.
- Tu! – tuonò nel frattempo la padrona della
locanda ad un’altra delle sue dipendenti –
Va’ a risolvere la questione – ordinò
volgendo la testa in direzione della stessa camera da cui era scappata
la prima. La giovane, occhi e capelli color nocciola e corporatura
minuta ma ben proporzionata, assunse una faccia sfrontata ed
entrò.
Ragetti, che era rimasto nella bettola anche se non si era
più seduto con gli altri, spiava i compagni
rimasti attorno allo stesso tavolo che banchettavano felici ed erano
attorniati da altrettante signorine disinvolte e scollacciate. Facendo
ruotare gli occhi per tutto il locale si accorse che anche altri pirati
della Perla erano impegnati a far bisboccia. Solo lui si sentiva in
quel modo? Anche Sputafuoco Bill se ne era andato, ma non si
fermò a rifletterci troppo: era sempre stato il
più schivo tra la ciurma e spesso quando sbarcavano se ne
stava in disparte a passeggiare sul molo.
Di colpo al di sopra delle ciance dei presenti si distinse una voce
ruvida e sonora che gridava una serie di improperi e bestemmie. Poco
dopo capitan Barbossa comparve sulla soglia della porta di una delle
stanze sul retro, seguito a ruota dalla donna che era stata mandata
lì dalla locandiera e che gli urlava contro parole
altrettanto offensive, che lui trascurava incedendo e urlando come un
forsennato per andarsene, chiamando a raccolta tutti quanti:
- Smuovete le chiappe, signori! Si torna a bordo! – ripeteva
passando tra i tavoli e spingendoli ad alzarsi. I filibustieri si
infastidirono e opposero resistenza credendo che fosse uno scherzo, ma
l’intervento del pragmatico e manesco luogotenente
Bo’sun li convinse ad ubbidire e, malvolentieri, si avviarono
al pontile per poi imbarcarsi sulle scialuppe.
Le ancore furono salpate in tutta fretta, come se si trattasse di una
vera fuga, ma nessuno dei pirati comprese chi e se ci fossero degli
inseguitori. Così, frastornati e contrariati, pur eseguendo
le manovre ordinate dal capitano, iniziarono a parlottare fra di loro
formulando le ipotesi più fantasiose, senza riuscire a
venire a capo del mistero.
L’ambiguo comportamento avuto dal capitano quella sera si era
già verificato due giorni prima in un altro posto, in
maniera quasi identica: dopo un’oretta trascorsa tra fumi
dell’alcol, buona compagnia femminile e succulente porzioni
di carne e pesce, Barbossa aveva stabilito di far ritorno alla nave e
non aveva tollerato obiezioni.
Gli uomini avevano iniziato a pensare che nascondesse qualcosa di grave
e, per quanto non fossero soliti farlo, cominciavano a temere come non
mai per le loro vite. Si era forse inimicato qualche grosso personaggio
intenzionato ad annientarli? Dovevano guardarsi da un antico nemico che
reclamava vendetta e li aveva già trovati?
In fondo lo conoscevano solo molto superficialmente, ed era sempre
stato un tipo enigmatico, ma era bastata la sua capacità di
condurli a quel tesoro così misterioso, abbondante, unico e
intatto per accreditarlo a concedergli di mantenere il comando dopo
quel rapido ammutinamento. Si era dimostrato furbo, intelligente,
misurato, li aveva conquistati con la sua abilità di
arringatore, la sua concretezza e la sua lucida cattiveria.
Da chi stavano scappando, seguendolo?
Non potevano ancora sapere che stavano cercando di allontanarsi da loro
stessi, da quello che stavano diventando, o meglio da ciò
che stavano cessando di essere.
La Perla Nera si trovava a navigare nuovamente nelle acque tenebrose di
una notte senza luna, con il vento a favore e ben lontana da qualunque
approdo raggiungibile in poco tempo.
Il capitano Hector Barbossa era ancora sconvolto e si rigirava insonne
sul suo letto che gli sembrava una lastra di pietra. Non arrivava a
capacitarsi di quanto gli era successo: non provava più
niente. Si chiese se stava invecchiando, ma subito la ragione e
l’orgoglio rifiutarono di adagiarsi su quella
possibilità.
Si sentiva pieno di forze, di rabbia e di fame, in verità.
Cos’era che non andava in lui, allora? Perché non
gli bastava più niente?
Non aveva mai vissuto tanto intensamente come nelle ultime settimane,
eppure quello che era accaduto poche ore prima in quello squallido
bordello, con quelle donne tanto disinibite e procaci, lo aveva fatto
riflettere, dopo la inusitata vergogna.
Avevano speso quel tesoro concedendosi beni e piaceri di una
quantità e varietà impressionante, ma ora non
riusciva a goderseli pienamente.
Il troppo stroppia? Frase consolatoria per gli animi codardi e per i
timorati di Dio. Lui non era né l’uno
né l’altro.
Era un pirata senza regole e senza morale, gli andava bene
così. Viveva alla giornata. Non aveva mai cambiato le sue
abitudini: l’idea sola gli faceva contorcere le meningi.
Che altro posto avrebbe potuto occupare nel mondo se non quello di
filibustiere? Erano stati il mare, l’oro,
l’avventura e richiamarlo e lui, sebbene fosse poco incline a
farsi comandare, aveva obbedito con entusiasmo.
Non aveva esitato a scappare di casa, nonostante avesse solo tredici
anni e nessuna esperienza con navi, spade e pistole. Ma era ambizioso,
ed era stanco di quell’inferno quotidiano fatto di miseria e
stenti, inerzia e speranze di cambiamento mai realizzate. Di un padre
padrone che lo picchiava scaricando su di lui la sua frustrazione per
un avvenire senza certezze che nemmeno aveva il coraggio di cambiare.
Neanche la vita di marinaio aveva garanzie, ma almeno era libero di
scegliere da solo tra il bene e il male; questo aveva pensato la prima
volta che aveva calpestato il ponte di un mercantile. La gavetta sulle
navi militari era stata lunga e faticosa, per un ragazzino di umili
origini e senza protezioni; tuttavia ogni ostacolo lo aveva spronato a
dare il massimo di sé. Poi era cresciuto. Gli incontri, il
sole, le tempeste, il sangue versato avevano scolpito il suo carattere
deciso, realista, egoista.
Non era un tipo impressionabile e nemmeno spirituale, però
era aperto ad imparare ancora dalla vita. Voleva capire di
più: Jack Sparrow non poteva avere detto la
verità …
Salve a tutti! Premetto
che mi sarà parecchio difficile aggiornare spesso, causa
università e annessi, spero di poterci riuscire almeno una
volta alla settimana.
Ringrazio quanti hanno letto i primi capitoli, e quanti leggeranno
anche questo. Come sempre una recensione non costa nulla e mi fa
piacere avere commenti, critiche e consigli.
Piccola precisazione: Bill Turner è stato graziosamente legato ad un
cannone e gettato nell'oceano qualche tempo dopo la scoperta della
maledizione! Cito testualmente le parole di Pintel da potc 1:
"A Sputafuoco non
è mai andato giù quello che abbiamo fatto a Jack
Sparrow, l'ammutinamento. Diceva che non onorava il codice. E' per
questo che ti ha mandato un pezzo del tesoro. Diceva che meritavamo di
essere maledetti e di restarci anche." - ergo Sputafuoco
sapeva già di essere maledetto. Infatti in potc2 quando
incontra Jack nella stiva dice pure che quando si trovava sott'acqua
era incapace di morire: perchè era un non morto!Comunque se
avete altri dubbi potete rivedetere le scene citate. Io ho capito
così.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3: L'ammutinamento ***
Capitolo 3:
L’ammutinamento
Hector ricordava perfettamente l’ultimo discorso che aveva
avuto con il suo ex bislacco capitano prima
dell’ammutinamento.
Erano mesi che si faceva
accompagnare in luoghi che nessuno aveva mai sentito nominare in cerca
di informazioni, diceva lui, su un tesoro tanto bello quanto pericoloso.
E intanto non mostrava
più alcun interesse per i ripetuti e fortunati arrembaggi
che lui, primo ufficiale, riusciva a portare a termine senza il suo
intervento. Se ne stava chiuso in cabina a tracciare rotte su vecchie
carte, ossessionato da quella bussola, e li trattava con sufficienza,
nonostante l’impegno e la dedizione che manifestavano per lui
e per la Perla. A bottino concluso si degnava a malapena di affacciarsi
sul ponte e dire qualche parola di ringraziamento, chiaramente priva di
sentimento.
Quasi sembrava pensasse
che a lui fosse tutto dovuto, solo perché era capitano della
nave più imprendibile dei Caraibi e perché aveva
concesso loro di farne parte prendendoli come ciurma.
Ma erano giorni che
navigavano senza meta e non avvistavano neppure un misero brigantino.
Quella sera, dopo lungo
tempo di chiusura nei suoi confronti, gli aveva fatto l’onore
di invitarlo nel suo alloggio. Con grande fatica aveva trattenuto la
lingua per non insultarlo e le mani per non strozzarlo, ma poi lo aveva
ancora una volta irretito e non aveva potuto fare a meno di ascoltarlo.
- Mio caro Barbossa,
ammetto di essere stato alquanto irragionevolmente sfuggente negli
ultimi giorni ai tuoi occhi … e forse anche a quelli degli
altri miei farabutti. Ma c’è un motivo,
più sensato di quanto immagini – aveva esordito
tra il serio e il faceto mettendosi a camminare in tondo e muovendo le
dita ricoperte di anelli che tintinnavano insieme ai ciondoli dei suoi
bizzarri capelli.
- Quale? – gli
era uscito di chiedergli con palese perplessità stando
rigidamente in piedi con le mani ai fianchi.
Lo sguardo di quello si
era illuminato di soddisfazione e aveva appoggiato i palmi sul tavolo
con un sorrisetto di vittoria sporgendosi verso di lui: - Sono sulle
tracce di un tesoro leggendario! – aveva esclamato con un
tono improvvisamente infantile.
L’umore di
quell’uomo era più movimentato di una bandiera al
vento; quei continui e spesso inspiegabili sbalzi lo irritavano, ma si
era contenuto ancora e, continuando a squadrarlo con sospetto, aveva
incrociato le braccia facendogli cenno di continuare ad esporre.
E lui non si era
lasciato turbare: - Un forziere di pietra ricolmo di 882 pezzi
d’oro azteco, sepolto in un’isola per chiunque
introvabile, a parte per coloro che sanno già dove sia
– aveva sussurrato guizzando gli occhi bistrati intorno a
sé come cercasse spie in ascolto nella sua cabina.
– E io lo so dov’è! – aveva
aggiunto dopo una pausa con tono più acuto e tirando un
pugno per aria.
- E perché
non ci abbiamo ancora messo mano, se posso? – gli aveva
domandato mordace, rilassando un poco i tendini e facendo un passo in
avanti.
Il capitano Sparrow si
divertiva un mondo a giocare con gli altri quando era l’unico
a conoscere certe verità: - Dicono che sia un tesoro
maledetto … - aveva bisbigliato adombrandosi e, compiendo
una giravolta su se stesso, si era diretto verso la vetrata fermandosi
a fissare il mare scuro e piatto che rifletteva una luna calante.
Barbossa aveva gettato
un’occhiata rapida ma attenta alle carte spiegate sul tavolo
e lo aveva raggiunto con una nuova speranza di sbloccare quella
situazione di stallo che tanto innervosiva la ciurma: - Perdonatemi,
signore. Date adito a questa insulse superstizioni? – lo
aveva incalzato con fare impaziente e sarcastico dopo qualche secondo.
Jack lo aveva guardato
dal basso in alto corrugando le sopracciglia sotto la bandana rossa.
Quindi aveva ripreso a
parlare in un modo posato e tenebroso, distogliendo più
volte il viso, pur senza risparmiare i suoi soliti sorrisi che stavolta
ad Hector erano apparsi quanto mai intrisi di una consapevole amarezza:
- La mia lunga e variegata esperienza piratesca mi ha insegnato che
tutte le chiacchiere hanno un fondamento e che non bisogna
sottovalutare ciò che è invisibile. Non lo vedi,
non significa che non c’è.
A quel punto si era
girato completamente verso di lui e, appiccando gli occhi neri e
fiammeggianti nei suoi freddi e impassibili, aveva intinto la voce di
veleno: - Il male, ad esempio, spesso è nascosto. Dove meno
te lo aspetti …
Lui aveva interpretato quelle ultime parole come la conferma che
Sparrow avesse intuito l’aria di ribellione che si celava
sotto il suo comportamento affabile e irreprensibile, e quella notte
aveva deciso di spodestarlo e prendere il comando.
Se invece il male di cui parlava fosse stato davvero legato a quello
splendido tesoro?
- Secondo voi perché capitan Barbossa ci ha fatti tornare a
bordo? Così, d’improvviso? Con tanta premura? Da
chi scappava? – si azzardò a chiedere
l’indomani mattina Jacoby, sfregando lo straccio sul ponte.
- Forse quelle puttane pretendevano troppo denaro e lui non
c’è stato – bofonchiò
Grapple, vuotando un secchio fuori bordo.
- Ne abbiamo tanto di denaro – si intromise spontaneamente
Ragetti attirandosi occhiate sospettose e interrogative – O
no? …
Koheler gli si avvicinò con aria torva: - Tu ne hai ancora?
– sussurrò con un feroce alone di gelosia e
avidità. Il biondino guardò i compagni uno per
uno ritraendosi un po’ spaventato dalle loro facce ostili: -
Lo avete speso tutto, voi? – farfugliò voltando
loro le spalle per stringere una cima.
- Ragetti, quanto ti è rimasto? – lo
incalzò drastico Pintel, afferrandolo per un braccio e
girandolo verso di sé.
- Due, tre monete. Non di più – rispose a mezza
voce mordendosi il labbro inferiore.
- Ma sei un idiota o cosa? – lo rimproverò
aspramente Grapple alzandolo per la collottola della camicia, e
divertendosi del timore che subito riusciva a suscitargli con
l’appoggio degli altri.
- Il denaro serve a spenderlo! – lo ammonì Pintel
facendosi una grassa risata quando il collega lo rimise a terra ancora
tutto scombussolato. Ma Ragetti non sembrava altrettanto divertito e,
dopo essersi risistemato la casacca nei pantaloni, seguitò a
giustificarsi con accento saggio: - Bé, io invece ho pensato
di metterlo da parte per il futuro. Non si sa mai cosa ci riserva la
vita …
Le sue parole suscitarono come di consueto commenti beffardi e risa di
scherno.
- Il nostro amico ha ragione. Perché lo prendete in giro?
– intervenne Sputafuoco con la sua voce cupa e seriosa,
facendoli zittire e calamitando l’attenzione su di
sé.
- Oh, sì! Certo! Vuol dire che pure tu conservi i soldi come
lui? – gli domandò quasi come lo minacciasse
Koheler fermandosi a mezzo metro da lui.
Bill abbassò lo sguardo e si incamminò nella
direzione opposta, ma venne frenato dalla successiva frase di Grapple
che parlò con causticità: - Lui ha un marmocchio
che ancora lo aspetta a casina in Inghilterra. Dico bene?
- Non sai nemmeno se è vivo o morto – gli fece
notare crudelmente Pintel.
Quella constatazione lo irrigidì ulteriormente. Si
voltò appena per guardarli con la coda
dell’occhio: - Morto? – le sillabe gli bruciarono
sulla lingua mentre le pronunciava.
- Da quant’è che non torni? – lo
interrogò stavolta Jacoby, che non aveva più
fiatato continuando a scrostare il pavimento del ponte.
- Fatevi gli affaracci vostri! – esplose Turner,
più arrabbiato con se stesso che con i compagni.
I toni si erano fatti talmente accesi da richiamare il luogotenente,
così gli uomini si dispersero ritornando ognuno al proprio
lavoro.
Mi dispiace ma non sono
riuscita a trattenermi dalla voglia di mettere un pò di Jack
anche in questa ff! Spero vi sia stato gradito! Da pessimo pirata non
solo rispetto le promesse ma vi ho pure anticipato il nuovo capitolo!
Scherzi a parte, l'avevo scritto e non ho voluto aspettare a
pubblicarlo. Ho pure dato i titoli ai precedenti cap, me ne ero
dimenticata!
Saluto come sempre tutti i lettori anonimi e chi mi ha lasciato un commento. |
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Capitolo 5 *** Capitolo 4: Diavoletto ***
Capitolo
4: Diavoletto
La canicola rendeva
l’aria di mezzogiorno quasi incandescente ma la ciurma aveva
la pelle cotta dalle stagioni e dal sale e continuava a sgobbare
alacremente sul ponte sembrando non accorgersene. Le chiacchiere certo
non mancavano e l’argomento su cui si appuntavano era sempre
lo stesso: il Capitano e le sue bizze. Tuttavia bastava
un’occhiataccia eloquente del luogotenente a far vertere i
discorsi su temi molto più leggeri, come storielle di porto
e canzoni marinaresche.
Il piccolo cebo
cappuccino, che era diventato l’animale di compagnia del
capitano Barbossa da quando lo aveva attaccato in un bazar de L'Avana,
si aggirava tra di loro saltando agilmente da un albero
all’altro e divertendosi a dare pizzicotti, tirare i vestiti
o colpirli con piccoli schiaffi, sempre imprendibile.
Non tutti
però erano pazienti e tolleranti come Maximo, Sputafuoco o
Scratch. Ragetti si limitava a gridare contro la scimmietta che pareva
averlo scelto come vittima prediletta per scacciarla. Ma un bel momento
Koheler uscì fuori la pistola sparandole.
Uno schioppo secco, un
tonfo sul legno. Calò un silenzio tombale e tutti si
voltarono verso di lui. Poi, spaventati, alcuni si avvicinarono alla
creaturina che giaceva supina con gli arti divaricati. Il pirata dai
lunghi rasta che aveva esploso il colpo si arrestò
più lontano.
- Merda! Disgraziato!
L’hai uccisa! – lo accusò Twigg dopo
aver picchiettato con la punta delle dita il corpicino immobile e molle.
- Se
l’è cercata – biascicò il
colpevole con un sorriso maligno voltandosi.
- Era me che
disturbava! – si fece avanti Ragetti un po’
dispiaciuto.
- E a me dava noia
sentirti gridare! – si giustificò quello. Il
pirata non insistette e si spostò accanto a Bill che era
rimasto in disparte a labbra strette.
- Buttiamola a mare
– propose Grapple risoluto.
- E al capitano che
diciamo? – chiese impaurito Pintel.
- Che è
caduta dalla coffa – suggerì Jacoby sentendosi
astuto.
- No –
obiettarono alcuni sottovoce. Di nuovi tutti tacquero scrutandosi
furtivamente e fissando il cadaverino.
- Ah! Torniamocene al
lavoro! – borbottò indolente Koheler e i compagni,
terrorizzati dalla futura reazione di Barbossa né volendo
esporsi da soli, lo seguirono evitando accuratamente di passare o di
guardare là dove era rimasto l’esserino peloso.
I pirati dopo qualche
minuto avevano ripreso a canticchiare, quando il primo ufficiale
Bo’sun avanzò con fare energico e minaccioso verso
due di loro impegnati a ritoccare una parte danneggiata della balaustra
con martello e scalpello: - Jacoby! Pintel! Venite con me dal Capitano!
– ordinò loro l’energumeno con un ghigno
torvo tutt’altro che rassicurante.
I due deposero
lentamente gli attrezzi e annuirono raddrizzandosi e sbirciando un
punto preciso della tolda cercando di non darlo a vedere. Ma quello
più basso poi strepitò arrabbiato e spaurito: -
È colpa tua, Ragetti! Che stai sempre a strillare come una
donnetta!
L’accusato
sgranò gli occhi picchiandosi una mano sul petto risentito
per quel commento che gli pareva inopportuno e vigliacco.
- Seguitemi!
– ripeté duro Bo’sun ai due uomini
– E voi tornate al lavoro! Mano alle scotte! Rattoppate
quegli strappi nelle vele di mezzana e spiegate meglio il velaccio e la
maestra! – comandò agli altri per poi agganciare
Jacoby e Pintel per le spalle facendoli camminare davanti a
sé fino alla cabina di Barbossa dove li lasciò
soli.
Il capitano della
Perla Nera si fece trovare inquietamente seduto sulla sua poltrona e
incredibilmente teneva in grembo la fida scimmietta a cui aveva dato
nome Jack in segno di spregio per l’ex capitano Sparrow. Era
molto affezionato all’animaletto e soltanto carezzando il suo
soffice pelo bruno sembrava quietarsi un po’ dai mille
pensieri dovuti al suo ruolo a bordo.
Ma non quella volta.
La sua espressione era livida.
I due marinai non ce
la fecero a nascondere un sussulto e si stropicciarono le palpebre
più volte osservando la piccola scimmia in perfetta salute
che li fissava con quello che sembrava un sorrisetto rosicchiando
qualcosa.
- L’avete
capito perché vi ho fatto chiamare –
pronunciò con voce atona Barbossa portando una mano sul
tavolo e iniziando a ticchettare con le unghie mentre la scimmietta gli
si posizionò sulla spalla destra.
Pintel e Jacoby si
guardarono un secondo, lanciarono un’occhiata di scuse
all’animale e al suo padrone e poi abbassarono la testa.
- Per stavolta
lascerò correre – asserì il Capitano
con un filo di vivacità in più – Ma non
indugiate ancora …
Jacoby si
piegò sulle gambe unendo le mani in segno di gratitudine: -
Grazie, Capitano!
Pintel
pensò bene di copiarlo parlando con eccitazione: - Dopotutto
sta bene, la piccolina – affermò tentando di
lisciare la testolina del cebo cappuccino.
Il volto di Barbossa
si alterò per l’incomprensione: - Jack?
– domandò insicuro notando che i due continuavano
a blandire la scimmietta con versi sciocchi e grossi sorrisi.
- Sì,
è in gran forma! – esclamò Pintel con
evidente gioia. Il collega gli fece eco: - E pensare che poco fa
sembrava morto stecchito! Koheler gli aveva sparato!
Il Capitano non ci
capiva più niente, si alzò in piedi e li
ammonì con asprezza: - Non sono in vena di scherzi, babbei!
Vi ho fatti chiamare per il pranzo. Siete già in ritardo di
quasi un’ora e se non vi decidete a prepararmi qualcosa
mangerò le vostre budella dopo avervele strappate con le mie
stesse mani!
Gli uomini annuirono
in fretta e scapparono dalla cabina inseguiti da Jack che squittiva
furibondo aggrappandosi alle loro camicie.
I pirati rimasti sul
ponte sciorinavano svariate congetture sulla possibile sorte dei loro
compagni che non erano ritornati, e pensavano avessero pagato per lo
sgarro fatto al comandante al posto del vero colpevole. Invece i due
spuntarono di nuovo, senza apparenti segni di violenza ma pallidi come
lenzuoli. Li attorniarono ansiosi di sapere.
- Il Capitano aveva
fame – borbottò Jacoby cercando di evitarli e
tornare alla balaustra.
- Tutto qui?
– chiese Ragetti diffidente.
- Tutto qui!
– sputò Pintel copiando la sua voce e spingendolo
per sgusciare via anche dagli altri che facevano cerchio attorno a loro.
I colleghi non erano
per nulla soddisfatti dalla laconicità delle loro risposte e
già pensavano a come convincerli a sbottonarsi di
più; quando sul ponte ricomparve correndo il piccolo Jack
restarono senza parole e alcuni si sentirono accapponare la pelle.
- Per le mutande di
mia nonna! Che ci fa quella qui? – scappò di
urlare a Twigg.
- Fulmini! Non
può essere! – bisbigliò Sputafuoco
trovandosi la scimmietta accanto appesa ad una sartia. Altri si
avvicinarono a guardarla tra la meraviglia e un lieve indefinibile
timore.
- Era in braccio a
Capitan Barbossa, come niente fosse – li informò
Pintel ancora incredulo riprendendo a martellare sul legno del
parapetto.
- Non è
possibile! – sbraitò Koheler con rabbia e stupore
mentre la scimmietta mugolò e salì più
in alto.
- Avrà
fatto la finta morta – asserì Jacoby senza
crederci troppo.
Twigg scosse la testa
sconvolto: - È uno spiritello maligno, vi dico io!
- Già,
anche a me ha fatto sempre la stessa impressione … - lo
appoggiò Grapple.
Altri esposero pareri
simili:
- Magari la
reincarnazione del Capitano Sparrow, venuto a perseguitarci …
- Ma per favore!
– li zittì Koheler – Quella è
solo una stronza bastarda. E prima o poi gliela farò pagare
davvero – bofonchiò invasato prendendo la mira
– Me ne infischio del Capitano …
- È una
bestiaccia dispettosa, ma non dà poi così
fastidio – cercò di calmarlo Bill.
- Muto tu! Le tue
parole sono come spuma di mare – replicò
collericamente il nero.
E Turner
restò a pensare a quello che aveva voluto dire sentendosi
sempre più escluso dalla ciurma.
Rieccomi! Stavolta ho un po' di cose da dire.
Volevo fare alcune precisazioni sui pirati secondari che ritornano
nella ff: Twigg e Koheler sono i due tizi che fanno visita a Jack nella
prigione di Port Royal e il secondo è quello che gli fa
vedere il braccio scheletrico. Jacoby è quello fissato con
le bombe e Grapple quello che assale Will dicendogli "Prima dimmi
addio".
La scimmietta sembrava
morta perchè ho pensato che essendo la prima volta che
veniva sparata c'era rimasta, poi però si è
rialzata quando non l'hanno vista. Spero la spiegazione vi soddisfi,
altrimenti sotto con le critiche^^
Ringrazio quanti seguono la storia anche rimanendo silenziosi e mi
auguro vi continui a piacere. Un bacio a tutti/e!
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 5: Fame cattiva ***
Capitolo
5: Fame cattiva
Capitan Barbossa
contemplava l’orizzonte indaco attraverso la vetrata della
sua cabina immaginando quanti lidi inesplorati ancora attendevano il
suo arrivo per essere saccheggiati delle loro ricchezze. Aveva studiato
diversi portolani e diverse mappe, ma non riusciva a decidere su quale
terra puntare. La sua voglia di avventura e guadagno sembrava
frantumarsi miseramente ogni volta che provava la sensazione tagliente
e indecifrabile di stare perdendo qualcosa di sé.
Uscì fuori
all’aria aperta, sicuro che la brezza salmastra lo avrebbe
ritemprato. Piccole gocce bagnavano il ponte appena lavato evaporando e
avvertì una sete devastante. Anche la fame non era da meno,
sebbene si fosse fatto cucinare un pranzo luculliano. Ogni boccone che
finiva in fondo alla gola pareva perdersi, senza arrivare mai a
saziarlo del tutto.
Ora nemmeno il
piacevole tepore del sole pomeridiano, che si rifletteva sulle onde
colorandole di giallo, lo aiutava a distrarsi da quel solito pensiero.
L’oro. Quel
tesoro che aveva prosciugato, di cui conservava solo il ricodo. E che
era stato l’inizio di tutto. Era finalmente un capitano;
aveva una nave tutta sua che faceva invidia a qualunque fuorilegge del
mare.
Ma non era soddisfatto.
Dovevano lasciare i
Caraibi, spingersi più lontano possibile da quelle acque, in
un posto dove nessuno li avrebbe cercati; forse neanche quegli assurdi
pensieri di morte.
In Oriente, dove tutto
era ancora nuovo, da scoprire.
Si affacciò
alla balconata del timone con l’intenzione di comunicare la
nuova rotta, ma il luogotenente lo anticipò costringendolo a
rimandare l’ordine.
C’era un
problema da non sottovalutare per chi si apprestava ad una lunga
traversata in mare aperto.
- È
così, signore. Non c’è più
niente – quella frase rimbombò nel vuoto della
stanza dove ora si trovava con Bo’sun.
Era completamente
sottosopra: barili, casse, barattoli, bottiglie, occupavano il
pavimento ma erano tutti vuoti. Eppure non era passato molto tempo
dalla loro ultima razzia sulla terra. Controllò i
contenitori uno per uno per accorgersi che quello aveva ragione:
sembrava fossero passate le cavallette. L’indignazione gli si
riversò subito fuori, senza controllo, e rantolando si mise
a sferrare calci rompendo tutto. Una furia, un uragano: le schegge di
vetro e legno si sparsero ovunque e sicuramente tutti dovevano aver
sentito anche se si trovava nella parte più bassa della nave.
Senza alzare gli occhi
dai frantumi, si rivolse di nuovo al suo fidato primo ufficiale che non
aveva aperto bocca assistendo al suo sfogo irruento: -Raduna tutti
quanti sul ponte. E porta il gatto – sibilò con
voce bieca e ansante. Lui gli rispose digrignando i denti e si
allontanò con passi pesanti.
Una manciata di minuti
più tardi gli uomini bisbigliavano irrequieti in attesa che
il capitano, che si era erto di nuovo sul cassero di poppa, attaccasse
con l’ennesima sfuriata. Alcuni preferivano nascondersi
dietro le ombre degli altri, come avessero un presentimento.
Lo sguardo ceruleo di
Barbossa trapassò i loro volti con un misterioso velo di
severità e contrizione. Sopra di lui nuvole rossastre si
infittivano nel cielo azzurrognolo e l’aria che avvolgeva la
Perla Nera era offuscata da un sottile strato di nebbia ferrigna.
Il capitano fece
trascorrere ancora qualche secondo storcendo più volte le
labbra a vuoto, come non sapesse quali parole usare. Infine
parlò con misurato rancore: - Gradirei conoscere il nome, o
i nomi, di quegli sporchi vigliacchi traditori che hanno fatto fuori le
riserve della stiva – sillabò incentrando
continuamente gli occhi sui visi ansiosi dei suoi pirati. Ci fu un
mormorio lieve, nessuno lo guardava cercando piuttosto di scoprire
dall’espressione degli altri chi fosse il colpevole.
- Se nessuno parla
vuol dire che vi punirò tutti quanti –
tornò a spronarli Barbossa, affiancato subito da
Bo’sun che si batteva ritmicamente su un palmo la frusta
attorcigliata su un corto bastone di legno, quasi impaziente di usarla.
Alla vista dello
strumento di tortura i manigoldi iniziarono lentamente ad arretrare e
ad insultarsi l’un l’altro pur di trovare i
responsabili. Ma ancora una volta Barbossa li mise a tacere alzando la
voce e cambiando tono, facendosi di colpo perfido e compiacente: - Ora
ci toccherà scendere di nuovo a terra. Altro sangue
innocente da spargere per sfamarci. Siete degli ingordi –
concluse ghignando sardonico. Gli uomini, dopo il disorientamento, a
poco a poco si unirono alla sua risata e prepararono con prontezza la
nave a intraprendere la nuova rotta.
Approdarono
sulla prima terra avvistata; la notte rabbuiata da spesse nubi
favorì il loro arrivo inaspettato. Fu caos per le strade con
le prime bordate che infiammarono il molo.
- Animo, uomini!
È una città di schiappe! Non ci fermeranno!
– si facevano coraggio mentre preparavano le scialuppe per
scendere in acqua.
- Crolleranno sotto le
nostre spade come prugne secche! – affermò sicuro
Twigg caricando i colpi in canna e lanciandosi su una barcaccia.
- Arraffiamo quanto
più possibile così capitan Barbossa forse ci
concederà un po’ di riposo – lo
affiancò Grapple infervorato imbracciando i remi.
Il capitano della
Perla si sporse dal parapetto per gridare loro agitato: - Basta, con le
chiacchiere! Muovetevi, topi pidocchiosi! Ricordatevi che avete una
pessima figura da farvi perdonare! E spremete questi isolani senza
indugi! – spintonandoli sulle barche e prendendo posto a prua
da dove poteva osservare meglio il loro operato con il cannocchiale,
dirigendo al contempo le cannonate.
- Barbossa si riferiva
a te, Sputafuoco – lo derise Jacoby, con una gomitata nel
fianco quando furono sulla stessa scialuppa, vogando verso la costa.
- E uccidilo qualche
cristiano, una volta tanto! – lo sbeffeggiò ancora
Twigg che muoveva i remi assieme a lui. L’uomo si
limitò a mugugnare scontroso volgendo gli occhi vitrei alle
acque scure che ancora li distanziavano dall’isola.
- Se te la fai sotto
ti copriamo le spalle noi! – lo confortò beffardo
Pintel sporgendosi in avanti e poggiandogli una mano sul braccio.
- Non occorre
– si inalberò Turner investendolo con
un’occhiataccia gelida e convincente.
Intanto lo scafo
toccò la sabbia e i filibustieri saltarono fuori dalla barca
bagnandosi fino alla cintola e trascinandosi verso la banchina,
preceduti dalle bordate che continuavano a passare sopra le loro teste
facendo crollare il modesto fortino che cingeva il molo.
Si lanciarono con
furia inaudita, gli abitanti del posto smisero di difendersi per timore
di essere uccisi. Solo alcuni soldati mobilitati in fretta e furia si
armarono di coraggio e moschetti tentando di frenare il loro abbattersi
come un fiume in piena sulle loro case, i loro beni. Finalmente
trovarono un fabbricato pieno di provviste destinate ai cittadini.
- Non ci guadagni
niente a fare il pirata gentiluomo, sai – riprese Koheler,
rivolto ancora a Bill mentre affondava la lama nella gola di un
militare. – Non ti risparmierà la forca.
Sputafuoco
agguantò un vecchio che tentava di opporsi al loro ingresso
e lo scagliò contro una porta – Ma forse
l’inferno, sì - sussurrò a se stesso
con una vana speranza.
- Non credo, amico
– gli sfiorò la spalla Ragetti, superandolo,
seguito da altri colleghi.
Poi una pioggia di
proiettili schizzò sui loro corpi, annientando il vigore
selvaggio che li aveva animati ad aggredire tutto e tutti come mai in
passato.
Salute a tutti! Mi dispiace tantissimo di aver saltato di aggiornare
nelle ultime settimane ç_ç ma non ho avuto
proprio tempo! C'è un altro esame che incombe! Comunque mi
auguro che anche questo capitolo possa piacervi, e che tutti coloro che
leggono la ff continueranno a farlo nonostante gli intervalli tra un
capitolo e l'altro dovranno essere necessariamente più
lunghi che in passato.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 6: Una buona stella ***
Capitolo 6: Una buona
stella
Nella penombra le torce che reggevano caddero sul pavimento di legno e
paglia infiammandolo in un batter d’occhio e creando una
sorta di muro di fiamme tra loro e gli aggressori.
Una grandinata di piombo rovente aveva urtato la loro carne corrotta,
intirizzita dall’acqua salata asciugatasi al vento freddo
spirante in quella notte di imminente burrasca.
Si rialzarono, malconci ma vivi. Almeno erano ancora in grado di
respirare anche se l’aria pareva non avere alcun odore,
nonostante il fumo, la polvere e il sudore della trepidazione avrebbero
dovuto contaminarla.
- Non ci hanno preso?! – si interrogò con
inquietudine Pintel vagando con gli occhi nella mezza luce rossiccia in
cui emergevano le sagome dei compagni.
Cinque giovani soldati arretrarono a bocca aperta con i fucili al petto.
I pirati sfuggirono al fuoco che non li scalfì minimamente
con dei salti audaci.
Atterriti, esterrefatti, disperati, i militari ripresero a sparare fino
all’ultimo proiettile.
Tutti mancati, così sembrava. Perché quei sei
furfanti restavano in piedi e non accennavano alcuna smorfia di dolore,
piuttosto di stupore mentre rispondevano ad armi pari, sprezzanti e
spietati, con mira infallibile.
I soldati brancolarono sulle ginocchia in cerca dell’uscita,
gridando pietà nella loro lingua latina, ma Koheler, Twigg,
Grapple, Pintel, Ragetti e Sputafuoco li freddarono
all’unisono, accesi da un’inesorabile fermezza.
Non riuscivano più a distinguere i tuoni e i lampi del cielo
da quelli prodotti dalle esplosioni delle artiglierie che si
scontravano all’esterno e dal ronzio di tormenti, dubbi e
paure che gli confondeva la testa e frenava le gambe.
- Andiamo! – riscosse i compari Koheler, scassinando con la
punta del pugnale la serratura della porta che custodiva il magazzino
con il cibo. Lo seguirono a rilento; una muta palpitazione taceva nei
loro petti irrigiditi dalla tensione.
Bill ripose con lentezza la sua rivoltella palpandosi la pancia. Alla
debole luce che filtrava da un’alta feritoia nel muro le dita
gli apparvero striate di rosso. Tornò a premerle sulla
ferita insensibile non avvertendo la viscosità del sangue
che pure c’era, ma non usciva.
- Sputafuoco! Vieni qua! Siamo stati fortunati! –
tornò a chiamarlo Ragetti, alludendo a quanto avevano
trovato in quel posto.
- Ma … Ragetti … - cercò di opporsi
Turner al pirata che l’aveva preso per un braccio –
Non hai visto …? – si interruppe, non sapeva
nemmeno lui come spiegarlo.
- Sì, andiamo! È la nostra notte fortunata!
– replicò quello con una impazienza che mal celava
lo sgomento per quanto era successo.
Il corsaro si girò ancora una volta a guardare lo stanzone
ingoiato dalle fiamme e si lasciò trascinare pensando che,
in effetti, dovevano davvero avere una buona stella dalla loro parte,
per quanto non la meritassero, se erano scampati a quella fucilata
inaspettata nel buio.
Per le vie c’era una moltitudine di gente che scappava dalle
pallottole e dalle lame degli assalitori, oltre che dalla pioggia
battente che aveva iniziato a sferzare copiosa in quel fazzoletto
pacifico di mare e terra diventato un piccolo inferno risuonante di
urla e spari.
Le strade strette e non lastricate erano divenute fiumiciattoli viscidi
e insidiosi, e il ritorno alla Perla Nera si rivelò
più faticoso del previsto, tanto erano caricati del frutto
delle loro ruberie.
Capitan Barbossa attendeva ansioso che le sue canaglie si rimbarcassero
per mettere la prua dall’altra parte e prendere il largo
verso levante, là dove aveva sognato di veleggiare libero e
indisturbato, per sentirsi forse ancora vivo.
L’acqua scrosciava con maggiore violenza sul ponte e sulle
vele, le onde si stavano alzando e, per quanto ancorata, la nave
iniziava a beccheggiare vistosamente.
- Assettate quelle scotte prima che si sbroglino! E segnalate a quegli
incapaci scansafatiche di tornare! – andava urlando contro la
furiosa corrente barcollando da una parte all’altra della
tolda, reggendosi alla ringhiera di tribordo.
Alcuni schizzi gli colpirono la faccia e della schiuma gli
finì in bocca senza che ne soffrisse il penetrante sapore
salmastro. Gli scivolò giù per la gola e
desiderò quasi inconsciamente di poterne bere ancora.
Perché quella sete non lo abbandonava mai e si manifestava
nei momenti più impensati. La respinse, prima che le gambe
lo spingessero a tuffarsi tra i marosi, e tornò a gridare
con foga e arroganza i suoi ordini.
I cannoni vennero ricaricati a salve e nuove bordate si schiantarono
nel cielo violaceo e gonfio di nubi nere.
Finalmente le scialuppe fecero capolino tra i cavalloni impazziti e gli
uomini di bordo si affrettarono a issarle insieme ai compagni. Anche
per quella volta era andata.
- Capitano, non può immaginare quello che
c’è successo! – incominciarono a
raccontare con enfatico sbalordimento Twigg e Grapple, che erano appena
tornati dalla spedizione a terra insieme agli altri della ciurma.
Ma Barbossa non volle sentirli: - Non vi siete accorti che è
scoppiata una bufera? Datevi da fare! Dobbiamo andarcene! Le storielle
ce le raccontiamo dopo! – li redarguì severo e
sfuggente correndo al timone. Lampi, tuoni e diluvio fecero il resto,
costringendo gli uomini a rimandare lo scambio di considerazioni
sull’accaduto.
La furiosa e imprevista tempesta tropicale che li aveva sfiniti per
diverse ore dalla notte precedente si era progressivamente smorzata al
calare del sole. Avevano approfittato del ritorno del sereno per uscire
dalla stiva le scorte di rum, rallegrandosi dell’ennesimo
scampato naufragio. Tutto era tornato alla normalità e,
mentre la luna piena faceva ancora fatica a scacciare le ultime nuvole,
erano iniziate le ronde sul ponte, ormai deserto e silenzioso.
- Non capisco perché tocca sempre a noi due fare il turno
per primi – sbottò Pintel, sedendosi pesantemente
su una cassetta di legno accostata al parapetto di babordo. Il suo
amico Ragetti si limitò a fare spallucce sbadigliando
apertamente.
- C’è pure Bill, al timone –
farfugliò poi con la voce impastata di alcol e di sonno,
volgendo la testa verso il castello di poppa.
La brezza leggera ma costante era pregna di umidità e la
calura in quel periodo dell’anno restava insopportabile
nonostante il tramonto fosse passato da diverse ore. Tuttavia nessuno
dei tre pareva farci caso. I loro miseri vestiti erano perfettamente
asciutti, la loro pelle fresca.
Pintel contò i proiettili che gli restavano nella pistola,
la ripose nel cinto e iniziò a camminare lungo la murata, da
prua a poppa, seguito stancamente da Ragetti.
Il biondino dopo due giri piantò i piedi fermandosi a
studiare il movimento delle vele. Non avvertiva alcun soffio
sulla pelle, eppure la navigazione era quanto mai spedita.
Il compare, continuando a marciare macchinalmente avanti e indietro per
non cedere alla stanchezza e addormentarsi, non si accorse subito che
il pirata dall’occhio di legno aveva smesso di andargli
dietro, finché i due non si scontrarono.
- Che diavolo fai, Ragetti? Dormi all’in piedi? –
lo bacchettò vedendolo imbambolato nel bel mezzo del ponte.
Quello arretrò immediatamente soffocando un gridolino e
strabuzzando gli occhi.
Il pirata grassoccio emise una finta risata stizzita. Il collega
però non smetteva di fissarlo gemendo a bocca chiusa e si
allontanava ancora da lui.
Bentornati a tutti nella
mia ff! Finalmente l'ennesimo esame è andato e adesso
vedrò di essere un pò più rapida con
gli aggiornamenti. Dunque questo capitolo l'ho diviso a
metà, e l'altro arriverà fra breve. Ormai la
maledizione incombe!
Riguardo potc 4: è ormai certo che sarà girato in
3d ed è di oggi la news che hanno scelto una giovane attrice
francese per il ruolo di una sirena che ammalierà
Jack....basta! >.< Quante donne ci sono in questo nuovo
film?! Povero capitan Sparrow....povere noi! Rivoglio i Turner!
Meno male che almeno c'è Barbossa *_*
Chiusa parentesi, saluto con gioia tutti i mie lettori/lettrici e
ringrazio chi ha messo la storia tra le seguite.
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Capitolo 8 *** Capitolo 7: Luna piena ***
Capitolo
7: Luna piena
Bianchi raggi lunari
trapassavano le nubi che si muovevano nel cielo grigio rischiarando
alcuni punti della tolda. Uno era ritto proprio sulla testa di Pintel
mentre Ragetti, essendosi appoggiato con la schiena
all’albero di mezzana, se ne stava all’ombra della
corrispondente velatura.
- Ma che hai? Sembra
che hai visto un fantasma! – lo derise il collega.
Finalmente quello
riuscì a mormorare una risposta: - Piuttosto direi un uomo
morto … ma da molto tempo!
Pintel fece un altro
passo verso di lui e incrociò le braccia scrutandolo con
severità: - Tsk! Ne hai di sparate! –
esclamò mettendosi a ridere.
Ragetti era
attanagliato da un crescente e incredulo orrore: - Guardati le mani!
– gli urlò andandogli incontro e afferrandogli i
polsi.
Quando si sporse
finendo anche lui sotto la luce pallida della luna vide le sue stesse
mani assumerne la tinta: erano ceree ma anche prive di carne, come se
gliele avessero sbranate. La bocca gli si spalancò da sola.
Riusciva a scorgere ogni singolo ossicino delle dita, poi
aprì lentamente la camicia e puntò gli occhi sul
petto: anche lì nessuna traccia di pelle o muscoli, la
gabbia toracica era vuota: niente organi. Rialzò
lo sguardo verso Pintel che con una maschera di terrore aveva assistito
ai suoi gesti in silenzio ripetendoli e accorgendosi di trovarsi nella
stessa surreale e spaventosa condizione.
Le loro iridi opache
guizzavano in ogni punto dei loro corpi ossuti, poi si incrociarono e
un gemito di paura risalì dal profondo delle loro gole,
risuonando acutissimo nella quiete della notte.
- Per la barba di
Nettuno! – irruppe sul ponte Twigg – Che cavolo
avete da strillare? Le vostre urla si sentono fino a sotto!
Le nuvole si erano
spostate di nuovo, i raggi erano stati di nuovo coperti così
che le loro parole risultavano incomprensibili: - Siamo morti!
– asserì ansimante Ragetti a mezza voce
– Anche tu! – lo avvertì indicandolo e
correndo a poppa.
- Tutti! –
aggiunse Pintel gettando occhiate raggelate agli altri pirati che erano
giunti sopra coperta e che, ignari di come apparivano in quel momento
sotto i fasci di luce candida, li accerchiarono estraendo spade e
pistole dai foderi.
I due indietreggiarono
fino a toccare con la schiena la parete del cassero, restando al buio,
come lo erano prima a causa di una vasta nube sovrastante.
- Certo che ne dite di
boiate! Razza di imbecilli! – ringhiò Koheler
alzando la lama sulle loro teste pronto a vibrare un colpo.
- Guardatevi!
– ripeteva supplicante Ragetti coprendosi il viso con le
braccia.
Sputafuoco aveva
lasciato la balconata del timone e si avvicinò
silenziosamente al resto della ciurma. Non gli piaceva la piega assunta
dalla situazione, voleva andare a chiamare il luogotenente ma si
bloccò all’istante quando le sue pupille colsero
un’immagine spettrale: i suoi compagni, tutti, non erano
altro che ossa ambulanti sotto i vestiti a brandelli. Non
c’era alcun sembiante né colorito di carne.
La luna piena,
perfettamente rotonda, spiccava nella volta blu ora tersa e sembrava
posata in cima all’albero maestro, come un vessillo o un faro.
Un mormorio
serpeggiò tra gli uomini che cominciarono a guardarsi
davvero l’un l’altro, cercando una spiegazione
logica per non arrendersi a quanto vedevano.
Un rumore di passi
irruenti anticipò la comparsa del luogotenente
Bo’sun: - Che succede qui? – latrò con
la solita aggressività.
Quelli si voltarono
uno per uno verso di lui, tremando come fili d’erba. Una
marea di pensieri sconnessi li rimescolava senza uscire in frasi udibili
- Buon Dio
… - bisbigliò tra sé e sé
Bill Turner distogliendo lo sguardo dalle fattezze scheletriche dei
colleghi e contemplando le sue nella lama del pugnale.
- Ora che facciamo?
– si sforzò di domandare Twigg con gli occhi
chiusi per il disgusto. Perfino l’enorme e brutale primo
ufficiale era rimasto senza parole continuando a fissare i compagni e i
suoi omeri rinsecchiti che fino a poco prima aveva visto muscolosi e
possenti.
Altri passi veloci e
nervosi si fecero largo tra di loro risalendo da sotto coperta: - Spero
che abbiate avuto un buon motivo per avermi … - capitan
Barbossa strinse i denti e sbatté ripetutamente le palpebre
pensando fosse la poca luce ad ingannarlo.
Sagome esili e
luccicanti. Cercò di reprimere lo sgomento imprevisto che
gli aveva accelerato il respiro e con tutta la calma di cui era capace
chiese con freddezza, senza soffermarsi su nessuno in particolare: -
Volete spiegarmi?
Gli uomini non
accennavano a riprendersi dallo scioccamento, e neanche
l’inflessibilità e la sicurezza del suo accento li
riscosse dall’insistente brusio che si era impossessato della
loro mente dall’attimo in cui ogni segno di vita era
scomparso dalla loro coscienza.
Barbossa non
riformulò esplicitamente la sua domanda ma si decise a
camminare fra loro indagando direttamente nei loro volti una risposta
tanto evidente quanto impossibile da accettare.
- Io credo che ci sono
almeno tre spiegazioni possibili – iniziò a
parlare il solito saputello Ragetti. Il capitano si spostò
fino a lui che riprese, assottigliando il suono delle sillabe: - O
stiamo sognando, o siamo morti tutti e non ce ne siamo accorti, o
…
- È una
maledizione – sentenziò seccamente una voce colma
di rimorso e contrizione. Tutti si voltarono verso il punto da cui si
era alzata.
Barbossa dovette
coprire di nuovo il chiacchiericcio sommesso della ciurma agguantando
l’ultimo briciolo di rigore che gli restava:
- Prego, mastro
Turner? – lo interpellò con un filo di ironia,
nascondendo forzatamente una smorfia di stupore
nell’osservare così da vicino i suoi tratti
deturpati dalla morte.
Il pirata
alzò gli occhi spenti e li inchiodò per qualche
secondo nei suoi sussurrando a stento: - Credo che … siamo
stati maledetti.
Hector
avvertì come un colpo di frusta dritto sulle sue gambe ma
non voleva cedere e piegarsi: - Voi credete a queste stupidaggini?
– lo apostrofò tra la collera e la repulsione.
- Io … -
Bill pensò che non era da lui fare simili considerazioni,
tuttavia non trovava altri modi per spiegare quello che stava
succedendo. D’impulso afferrò il pugnale e lo
dispose all’altezza del viso del capitano in modo che vi si
potesse riflettere.
Gli altri pirati
osservavano senza fiatare, incantati dalla presa di posizione del loro
introverso collega.
Barbossa
restò a specchiarsi non ammettendo quello che vedeva,
perciò gli sembrò utile mentire ancora: - La
conosco la mia faccia. E voi spero conosciate il vostro posto
– lo ammonì tirando giù la lama con la
pressione di appena due dita, un ghigno che voleva essere feroce ma
risultò molto più dolente.
Turner
rinfoderò l’arma e fece un passo indietro chinando
la fronte e deglutendo a vuoto.
Il capitano si diresse
lentamente verso il castello di poppa accompagnato dagli sguardi
sbigottiti della ciurma che non seppe reagire al suo straordinario
autocontrollo e alla sua impertinente falsità: - Tornate
tutti al lavoro, brutti scarafaggi! – tuonò quando
ebbe raggiunto l’ultimo gradino della balconata
così da poter avere una prospettiva completa sui suoi
cadaverici sottoposti: - E se qualcuno si permette di disturbarmi di
nuovo farà cinque giri di chiglia all’istante
– stabilì con crudezza. Quindi si
barricò rapidamente nella sua cabina, diviso tra il
desiderio di dimenticare, capire, rassegnarsi.
Rieccomi! Finalmente il
capitolo tanto atteso ^^! Com'è venuto? Sono curiossisima di
leggere le vostre opinioni! Sappiate che non è finita qui,
ho intenzione di dilungarmi fino a quando i nostri cari pirati della
Perla si accorgeranno che manca solo una moneta a spezzare la
maledizione, sperando che l'ispirazione, anche a rilento, mi assista.
Intanto ringrazio come sempre tutti coloro che continuano a seguire
questa storia anche in silenzio.
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Capitolo 9 *** Capitolo 8: Immortalità ***
Capitolo
8: Immortalità
- Capitano, gli uomini
si aspettano che vi esprimiate chiaramente su questa … cosa.
Era Bo’sun a
sollecitarlo da dietro la porta del suo alloggio. Hector non rispose ma
quello entrò di prepotenza e si piazzò alle sue
spalle. L’ombra gigantesca dell’africano si
proiettava sulle assi di legno e aveva inghiottito la sua.
Barbossa si
voltò senza guardarlo ed esalò un sospiro di
rabbia e tristezza, sorpassandolo, sempre tenendo gli occhi sugli
stivali. La scimmietta gli si arrampicò sulla spalla e
spiccò un salto fino all’altalena metallica.
- Lasciami solo
– pronunciò piano con voce priva d'accento.
Quello
sembrò non sentirlo e non mosse un muscolo. –
Lasciami solo! – ripeté allora con asprezza
alzando il tono e mostrandogli i denti anneriti dal tabacco.
- Sì,
capitano – obbedì con riluttanza il luogotenente,
uscendo e chiudendo bruscamente la porta. Lui si precipitò a
inserirvi due giri di chiave; poi si guardò attorno,
raccolse una lampada che dondolava su un gancio del tetto e la
appoggiò sul tavolo.
- Vediamo cosa ne
sapevi tu – mugugnò tirando fuori un mucchio di
carte da più cassetti e poggiandole sulla scrivania.
Non era un uomo colto
e istruito, ma neppure del tutto ignorante: sapeva leggiucchiare e
scribacchiare quanto bastava per la sua professione. Ma la grafia di
quel matto era astrusa quanto il suo cervello, e la confusione
incombeva nelle cartacce sparse ovunque.
Impiegò una
buona mezzora a mettere ordine in quella caotica accozzaglia di fogli
ingialliti e ruvide pergamene ricoperte di inchiostro e macchie,
appunti, segni, nomi di luoghi e persone.
Le chiacchiere maligne
della ciurma lo incalzavano e turbavano. Si aspettava che abbattessero
la porta e lo attaccassero da un momento all’altro.
Ci stava rinunciando,
poi il suo sguardo cadde su una cartina delle Antille che riportava
alcune parole insolite mescolate ai toponimi.
“Hernán
Cortés. 1522. Aztechi. Massacro. Dei pagani. Oro. Sangue.
Non morti.”
Avvicinò il
lume alla scritta e si piegò cercando altri vocaboli
estranei al contesto, aggiunti da un’altra mano. Rilesse
più volte: non ne trovò alcuno.
“
Oro. Non morti.”
Gli uomini non
smettevano di litigare scambiandosi insulti pesanti e rivolgendone
altrettanti a lui.
Portò le
dita nella fondina, impugnò la sua pistola. Il caricatore
era pieno. Avvicinò la canna al petto, al centro; poi a
sinistra; infine a destra. Aumentò gradualmente la pressione
sul grilletto …
Jack
squittì balzando sulla spalliera della poltrona.
Per un attimo
trasalì e gli vennero in mente le strane frasi dette da due
dei suoi qualche giorno prima a proposito della scimmia.
“E pensare
che poco fa sembrava morto stecchito! Koheler gli aveva
sparato!”
In un secondo
indirizzò la pistola contro l’animaletto che,
distratto dagli oggetti disseminati sul tavolo, non fece in tempo a
scansarsi, e così lo prese in pieno.
Emise un gridolino e
corse a nascondersi. La inseguì con lo sguardo e, alzandosi,
cominciò a richiamarla. Un poco diffidente, la scimmietta si
riavvicinò mostrandosi incolume.
Barbossa
sbuffò contrariato e tornò a sedersi. Riprese la
pistola e se la appoggiò di nuovo sul torace, sul cuore.
Lo scoppio lo fece
sussultare, non la fitta o il bruciore. Si sfibbiò la
camicia e passò le dita sul foro lasciato dal proiettile che
era schizzato dietro la sua schiena colpendo una parete.
Boccheggiò.
Poi sentì le labbra allargarsi piano in un sorriso
allucinato e trionfante.
Sotto un brillante
plenilunio i pirati seguitavano a discutere con toni infiammati; la
ricomparsa del capitano con la pistola fumante ancora in mano li
smorzò.
- Capitano?
– si fece avanti Ragetti – Vi siete suicidato?
– domandò tentennante fissando il buco che aveva
nel petto scoperto dalla camicia.
Il filibustiere si
tolse dall’ombra e, ruotando le orbite al cielo, lo
scostò infastidito tendendo un braccio. Quindi
continuò a camminare illuminato dal chiarore argenteo,
catturando il loro interesse con un parlare svelto ed energico: -
Quante volte abbiamo dovuto rinunciare a combattere? Quante volte
abbiamo dovuto privarci di ciò che volevamo per paura di
perdere tutto? Ma, gente, ora siamo liberi da ciò che
opprime di più gli uomini. Nessuno potrà
più fermarci! Possiamo avere tutto! Non abbiamo
più nulla da temere, signori.
Fece una pausa ad
effetto per poi proclamare vittorioso: - Siamo immortali!
Gli uomini tacquero
sconcertati, poi iniziarono a parlottare sottovoce. Ma nessuno ebbe il
coraggio ad alzare la fronte verso di lui.
– Che vi
succede? – li riprese con rancore, ma anche preoccupato di
non essere creduto.
- Dovreste dircelo voi
– rispose cupo a nome di tutti il luogotenente.
- Immortali?
– esclamò Twigg compiendo un passo in avanti,
allibito e confuso.
- Come gli dei?
– azzardò Pintel affiancandosi a lui, emozionato e
incerto.
Il capitano
allargò le braccia e annuì. Alcuni sorrisero
turbati e contenti.
- È una
bestemmia! – gridò Bill furioso, oltrepassando i
compagni che stavano tra lui e il comandante – Non siamo dei,
siamo uomini maledetti! – rimproverò con
animosità i colleghi esaltati – E ce lo meritiamo,
dopo quello che abbiamo fatto al capitano Sparrow.
Barbossa
trovò scomodo l’improvviso ardimento di
quell’uomo solitamente tranquillo e passivo e lo
assalì con corrosiva irrisione: - Il vostro senso
dell’onore ha una maniera assai singolare di manifestarsi,
Sputafuoco Bill.
Quello non perse il
sangue freddo e gli rispose a tono: - Invece il vostro sembra del tutto
sepolto, capitano – lo accusò pronunciando con
disprezzo quel titolo.
- Già
– ammise lui spavaldo, quindi gli si appressò
– Sapete che c’è? Avete sbagliato
mestiere. E ora ne pagherete le conseguenze – disse
subdolamente puntandogli addosso due occhi furenti e malvagi
– Rinchiudetelo – ordinò dopo un
profondo respiro.
Nessuno si mosse fin
quando Bo’sun, un po’ più restio del
solito, non ghermì Turner, che non gli si oppose,
strattonandolo in disparte, senza però scendere di sotto
nella cella.
Il Capitano al momento
non se ne accorse e riprese a rivolgersi agli altri: - Bene, torniamo a
noi – sorrise ostentando serenità, poi
restò in silenzio come si fosse dimenticato di cosa stavano
parlando – La … maledizione? – gli
rammentò Ragetti, ancora titubante nel pronunciare quel
termine.
- Non lasciatavi
impressionare: è solo una parola come un’altra
– si affrettò a correggerlo con irriverenza Hector
– E in verità, che male ci viene
dall’essere come siamo adesso? Siamo invincibili,
nessun’ arma può ucciderci! – concluse
teatralmente.
- E come fate ad
esserne tanto sicuro? – fuoriuscì Koheler, adirato
e perplesso.
- Ma vale solo la
notte? – avanzò Grapple raccogliendo le incertezze
dei compagni.
- Tutte le notti, o
solo con la luna? – si aggiunse Twigg, incuriosito.
- E perché
siamo così? – domandò Jacoby, quasi
piagnucolando.
Barbossa aveva
già fatto i conti con quella massa di interrogativi che i
suoi gli avrebbero rovesciato non appena avesse esposto quel discorso;
ora il suo scopo era far accettare loro la nuova vita cui si erano
appena affacciati, e che poteva essere molto vantaggiosa.
Cercò di
essere breve e convincente, anche perché non ne sapeva molto
neanche lui: - Vi ricordate il tesoro di Isla de Muerta?
Ciao a tutti! Stavolta non ho molto da dire, se non grazie per
continuare a seguirmi!Aspetto come sempre i vostri commenti.
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Capitolo 10 *** Capitolo 9: Avventato ***
Capitolo
9: Avventato
Non aveva
più sensazioni fisiche ma penava lo stesso. Sapeva che la
prigione della Perla Nera era l’anticamera di un destino
peggiore, la cui decisione spettava al capitano.
E Bill Turner si
augurava che scegliesse in fretta, perché a stare da solo
lì sotto non ce la faceva più. Da diverse ore
rimuginava sui suoi sbagli, tormentato
dall’impossibilità di ripararli.
Non
poteva farci nulla, era sempre stato così di fronte a
qualcosa che non accettava: avventato.
La lingua sempre più veloce del pensiero.
Avrebbe dovuto
tagliarsela.
Era chiaro che
Barbossa stava cercando di sedare il malumore della ciurma
sventagliando tesi di onnipotenza a cui lui stesso credeva poco. Era
esperto nel nasconderlo, ma pure lui dentro soffriva.
Non erano
più né vivi né morti; esseri
incompleti; né terreni né sovrannaturali. Mostri,
assassini, orripilanti; come se già non lo fossero
abbastanza da uomini normali.
Ma il capitano aveva
ragione, probabilmente: non doveva mettersi a fare il pirata se aveva
simili scrupoli.
Avventato
lo era stato tutta la vita, anche quando aveva incontrato lei.
Così giovane, così semplice, così
fragile.
Era esile, quasi
diafana. Lunghi capelli neri e mossi le incorniciavano un viso rotondo
da bambina i cui occhi castani, dolci e intensi, lo avevano accolto con
lo stesso tepore di un sole primaverile. La sua voce timida e pacata lo
cullava con tenerezza, confortante come il canto dei gabbiani dopo la
tempesta.
Non gli aveva mai
domandato nulla; inspiegabilmente si era innamorata di lui. Gli diceva
che era diverso da tutti gli altri marinai che aveva conosciuto e che
di lui si fidava. Invece l’aveva tradita, principalmente
mentendole su chi era e cosa faceva, e lasciandola per tanti anni da
sola.
Non sapeva se
l’aveva mai davvero amata, eppure in quel breve tempo
trascorso insieme avevano avuto un figlio.
Doveva avere sette o
otto anni, ormai; era in grado di capire e in grado di odiarlo
perché non c’era mai stato. Le ultime due volte
che l’aveva visto aveva appena imparato a camminare; e poi
due anni prima. Con quella zazzera bruna e riccioluta e le iridi di un
caldo colore marrone scuro, già somigliava a lei, che gli
era apparsa ancora bella sebbene sciupata dalla miseria e dalla
malinconia.
Egoisticamente gli era
un po’ dispiaciuto non trovare alcun tratto di sé
in quel bambino tanto buono ed educato. Adesso sperava vivamente che si
fosse mantenuto tale.
Chissà se
quell’insignificante regalo gli era arrivato, cosa pensava il
piccolo William di quel padre schivo e assente, se lo ricordava ancora
con affetto o con ostilità.
In ogni caso non lo
avrebbe più rivisto, non avrebbe mai saputo che uomo sarebbe
diventato. Voleva che fosse come la madre, onesto e generoso, e meno
imprudente di lui che si era procurato una vita da disgraziato e ora
attendeva invano una morte rapida che cancellasse tutto.
- Allora,
vi siete ricreduto? Vi è sbollito l’insensato
infervoramento di prima?
L’improvviso
spiacevole arrivo di Barbossa lo fece saltare in aria e
sbatté la nuca sulle sbarre. Fu più il rumore che
il dolore; ormai doveva abituarsi a questo strano fatto.
Il capitano era
accompagnato dai suoi fedelissimi, Bo’sun, Twigg e Koheler.
Bill parlò
senza alzarsi dal pavimento, gli occhi rivolti alla finestrella da cui
entrava l’aria frizzante del mattino, la voce indurita e
sprezzante, come non gli importasse più di nulla:
- Io non ha mai
approvato il vostro ammutinamento, Barbossa. Non avevate alcuna ragione
di estromettere capitan Sparrow. E avete agito contro il Codice.
La risposta di quello,
come di consueto, non si fece attendere e fu traboccante di sdegno e
sarcasmo: - Eppure siete stato tanto vigliacco da non opporvi, quella
notte. D’altra parte, quale nobiltà
d’animo ci si può aspettare da un miserabile
marinaio della vostra sorta?
Sputafuoco
sentì schiumare nella gola la collera. Qualunque cosa
avrebbe ribattuto era certo che il suo destino fosse ormai segnato;
perciò osò più del dovuto. Si mise
lentamente in piedi per avvicinarsi alla porta metallica che lo
separava dagli altri quattro pirati.
Hector attese con
un’espressione serafica che l’uomo spiccicasse
un’ulteriore ingiuria nei suoi riguardi, incrociando le
braccia sul petto e inclinando la testa.
- Voi siete avido e
malvagio, e non vi resterà null’altro che la
dannazione – sussurrò con cattiveria Bill, notando
una lievissima ruga increspare lo sguardo del Capitano, che
sembrò tradire la sua algidità battendo la punta
del piede per terra.
Non appena si accorse
di essere guardato, Barbossa dissolse subito l’apparente
inquietudine con una grassa risata: - Avete appena sottoscritto la
vostra condanna, Sputafuoco Bill. Auguri!
I tre accompagnatori
si unirono alla sghignazzata e ad un cenno del comandante aprirono la
cella per tirare fuori il prigioniero. Gli strinsero i polsi dietro la
schiena e lo spintonarono sulle scalette.
C’era tutta
la ciurma riunita sul ponte colorato dai primi raggi arancioni
dell’alba che laceravano il blu della notte appena trascorsa.
Barbossa
inspirò a fondo rimirando le onde scintillanti nella
superficie liscia del mare.
-
Dov’è quel cannone scassato? – richiese
d’un tratto in un misto di noia e insofferenza.
- L’abbiamo
lasciato al suo posto, di sotto – gli risposero alcuni
straniti, iniziando a mormorare.
- Portatelo qui, ora
– tagliò corto lui lanciando un’occhiata
distratta a Turner – Due piccioni con una fava, si suole dire
– aggiunse con un ghigno beffardo.
Nella mente di Bill
stava materializzandosi un presentimento allarmante. Le gambe
cominciarono a vacillargli mentre un brivido gli attraversava la
schiena, e sapeva che non era dovuto alla brezza mattutina.
Il capitano gli dava
le spalle; Koheler e Twigg lo trattenevano stringendo le corde che
legavano i suoi polsi ogni volta che provava a muoversi.
Sputafuoco non
riusciva a guardare i suoi compagni negli occhi, o non voleva farlo per
paura di leggervi ciò che stava per accadere.
Abbassò le palpebre e serrò i denti.
Ma
quell’incubo era fin troppo realistico: il cannone mal
funzionante era arrivato sul ponte, scortato da risa e urla di scherno.
- Ovvero ci libereremo
di due pesi inutili in un sol colpo! – esclamò
Barbossa riprendendo il discorso di prima, quasi non ci fosse stata
alcuna pausa, anche se a Bill sembrava fosse trascorsa
un’eternità.
Più pirati
lo attorniarono e gli gettarono altre funi spingendolo a stendersi sul
cilindro di bronzo e legandovelo. L’asse di legno sporgeva
già dal parapetto di tribordo e i filibustieri vi spostarono
sopra l’archibugio annodato con il loro collega. A Bill parve
che tutto iniziasse a diventare scuro e privo di suono; convulsamente
si mise a gridare con disperazione, rabbia, dolore: - No! Vi prego!
Questo no! Abbandonatemi da qualche parte! Ma non fatemi questo!
La sua voce era
divenuta patetica, suscitando i commenti infamanti della ciurma, ma
Barbossa ammutolì di nuovo tutti, alzando il tono: -
Spiacente: non amo ripetermi.
- Siete dannati! E lo
resterete per sempre! – furono le conclusive amare parole di
Sputafuoco in equilibrio precario sull’asse.
- Andate
all’inferno, Sputafuoco Bill! E salutatemi il vostro
imbecille amico Jack Sparrow quando lo avrete rincontrato! –
replicò Hector sferrando un calcio al cannone che con
quest’ultima spinta precipitò velocemente in acqua.
Salute a tutti! Visto,
oggi ho lavorato per voi! U.U Scherzo, il capitolo era già
pronto, aspettava me che sono stata occupata in questi giorni.
Caspita, questo capitolo è stato parecchio difficile da
scrivere, è una scena tremenda e dubito di essere riuscita a
renderla al meglio. Ma certe volte credo che usare poche parole, forse,
possa contribuire a suggerire la crudezza della situazione. Ma,
comunque giudicherete voi!
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Capitolo 11 *** Capitolo 10: Potere ***
Capitolo 10: Potere
Il veliero nero come il carbone salpò le ancore e prese a
navigare spedito, sospinto da un vento afoso e secco.
Capitan Barbossa, dal cassero di poppa, troneggiava con sguardo superbo
e fermo la ciurma che si affaccendava, ricurva sul ponte, appollaiata
sui pennoni, arrampicata alle sartie. La loro efficienza era
evidentemente scaturita dalla preoccupazione di non deluderlo dopo
quello che era toccato al loro collega.
Quel Bill Turner era diventato uno strumento scordato, e su una nave,
anche se pirata, occorreva anzitutto armonia. Ogni uomo era come un
musicista appartenente ad un’orchestra: la riuscita di ogni
impresa piratesca dipendeva dalla loro compattezza, dal loro
affiatamento. Perciò aveva capito che non c’era
più posto per lui
- Capitano? Voi non lo avete ucciso. Lo sapete, vero?
Gli occhi di Hector lasciarono le onde ambrate per incrociare
l’unico che restava allo sventato marinaio che aveva esposto
quella spiacevole considerazione.
- Lo so. Nessuno di noi può più morire
– esalò con una calma molestamente infondata. Gli
uomini si erano fermati a guardarlo con espressioni variopinte. Si
accostò alla ringhiera:
- Perciò occhi aperti e armi pronte! Questa è una
rotta prediletta dai mercantili. Al lavoro!
In un baleno i pirati si eccitarono e ripresero le loro occupazioni,
predisponendo lame, pistole e vele, per non farsi trovare impreparati
in caso di un avvistamento.
Solo Ragetti era rimasto imbalsamato accanto al capitano, forse
ripensando alle parole che gli aveva rivolto poco prima.
- Mastro Ragetti, vi funziona bene quell’occhio? –
lo risvegliò Barbossa con un tono di minaccia.
Il filibustiere prese a balbettare: - Io … sì.
Non sono certo un’aquila, ma non mi posso neanche
lamentare … - si schermì arretrando con le mani
in tasca.
Hector gli picchiò un piccolo cannocchiale appena uscito da
un cofanetto di legno sul petto, offrendoglielo . – A voi.
Lo scarno marinaio annuì, impugnando l’oggetto con
cura e decisione, per poi salire sulle griselle e posizionarsi sulla
coffa di trinchetto.
Bill avvertì di aver toccato il fondo. Non c’era
più luce attorno a lui. Tutto era blu, sereno, privo di
suono.
Però non lo rincuorava affatto. Smise di trattenere il fiato
con un tremendo bisogno di annegare; ma non successe. Era ancora,
assurdamente, vivo, e chissà per quanto lo sarebbe rimasto.
- Vele a prua di babordo!
L’annuncio entusiastico della vedetta ruppe
l’atmosfera di attesa che stava cristallizzando le azioni
della ciurma da un paio d’ore, e passò di bocca in
bocca fino a raggiungere la cabina del capitano. Questi si
slanciò sul ponte, il volto illuminato dalla brama e
dall’impazienza.
- Fuori i remi! – urlò a squarciagola.
In pochi minuti il vascello fu perfettamente visibile ad occhio nudo,
grazie anche all’assenza di foschia sull’orizzonte
chiaro e limpido.
- Bracciate il pennone! Issate la bandiera! Munite i cannoni!
Le operazioni si susseguivano in modo frenetico e preciso, e in breve
il galeone e i suoi marinai non ebbero più scampo.
Un paio di bordate ben assestate e la pesante imbarcazione perse un
albero, rallentando considerevolmente la sua andatura. Rientrati i remi
la Perla virò in poppa e, con un’agile strambata,
abbordò il mercantile, su cui gli uomini, impauriti ed
esagitati, si preparavano come meglio potevano a difendesi.
I corvi della nave pirata si appigliarono alla murata destra della nave
spagnola, bloccandola, mentre i predoni del mare, scagliando i rampini,
si lanciarono sui malcapitati, con le spade sguainate e le pistole alla
mano.
Gli assaltati li respinsero con foga, ma le loro armi erano troppo
poche, e la loro esperienza nel maneggiarle troppo esigua di fronte a
quel compatto gruppo di ladri e assassini, che si batteva senza alcuna
incertezza o timore.
Oltretutto i marinai aggrediti iniziarono a notare la strabiliante
resistenza di quei furfanti a tagli e pallottole, che non riducevano le
loro forze …
- Estos son almas depravadas! Demonios del infierno!
Gridavano atterriti, vedendosi investiti da una simile furia e
brutalità e, nel giro di pochi minuti, i decimati
sopravvissuti si arresero agli assalitori.
La stiva traboccava di suppellettili preziose che avrebbero arricchito
le case di sovrani e principi, e stoffe pregiate destinate alla
sfarzosa nobiltà d’oltreoceano.
Barbossa, che aveva scrutato con estrema concentrazione il lavoro dei
suoi, limitandosi ad alzare e abbassare le sopracciglia e digrignare i
denti, ad ogni colpo da loro inferto o subito, ora aveva un sorriso
giocondo ad increspargli le guance: andando avanti così
sarebbero divenuti gli uomini più ricchi del mondo. I
padroni dei mari.
I suoi sensi stentavano ad abituarsi a quel luogo. Non aveva freddo,
né si sentiva fradicio o stanco di quelle corde che lo
avvolgevano insieme al vecchio cannone che l’aveva trascinato
sul fondale sabbioso. Era, alla prova dei fatti, morto ma cosciente,
sebbene cieco in quella oscurità imperscrutabile.
Ancora solo, con i suoi tormenti: fossero bastati quelli ad ucciderlo!
Sputafuoco non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso
dall’ultima boccata d’aria salmastra,
dall’ultimo istante di luce dorata e viva. Continuava ad
ingoiare acqua, perché la sua sete non si era spenta e mai
si sarebbe placata, insieme alla fame. Sarebbe rimasto così.
Per l’eternità. Ogni sorso era come se
fuoriuscisse, come se non avesse più il controllo del suo
corpo. Non era più suo. Non era più lui; era un
relitto di ciò che era stato, o quello che sempre aveva
meritato di essere.
Abbandonato da tutti; nessuno aveva mosso un dito per aiutarlo. Non era
certo mai stato un uomo perfetto e irreprensibile, eppure non si
ricordava di avere mai fatto gravi torti imperdonabili ai suoi compagni.
Per cosa si angariava ancora? Erano pirati. Punto.
- Io ti posso offrire uno scampo.
Una voce. Una voce? Lì sotto? Com’era possibile?
Una voce, flebile, aspra, apatica. Invitante. Ripeteva quella frase
sibillina, quasi divertita.
Gli sembrò che il buio fosse meno denso e meno vuoto.
L’acqua si muoveva intorno, frusciava piano, poi sempre
più forte.
- Io ti posso offrire uno scampo. Cento anni ancora sopra coperta. Vuoi
unirti alla mia ciurma?
Stava delirando. Decisamente. Doveva essere così. Ma due
occhi freddi come un lago congelato da innumerevoli inverni lo stavano
incatenando a dare una risposta.
E quella creatura, che pareva uscita da un incubo scaturito da troppa
suggestione concessa ad una favola marinaresca, prospettava una
possibilità di scelta.
Aveva davvero ancora potere sulla sua vita?
Vi chiedo umilmente
scusa per l'ENORME ritardo con cui posto questo nuovo capitolo! Non mi
era mai capitato prima di far passare tanto tempo tra un aggiornamento
e l'altro, ma questo mese è stato pieno di impegni e
l'ispirazione languiva di fronte ad altre preoccupazioni, in primis la
tesi che sto iniziando a scrivere. Comunque finalmente ci sono
riuscita, e adesso attendo come sempre di leggere i vostri pareri.
Ringrazio tutti i lettori che mi seguono. A presto! (spero^^)
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Capitolo 12 *** Capitolo 11: Il rimedio ***
Capitolo 11: Il rimedio
Ad ogni sua apparizione, tra le onde agitate del mare aperto o nelle
acque placide di un porto, la Perla Nera scoraggiava ormai ogni forma
di resistenza o reazione. Per tutti i marinai il galeone dalle vele
nere era un appariscente vascello fantasma con a bordo anime fosche,
scampate dagli inferi per portare morte e distruzione.
La leggenda aveva preso corpo in brevissimo tempo.
Barbossa andava fiero della storia e della rapidità con cui
si era diffusa. Era passato solo qualche mese dalla scoperta della
maledizione e lui e la sua ciurma avevano già saccheggiato e
accaparrato una quantità di tesori tale da umiliare la
più longeva e gloriosa nave pirata che avesse mai solcato
delinquentemente i sette mari.
Ma il vento che tanto aveva spirato a loro favore non aveva
più la capacità di gonfiare i loro animi,
così come non smuoveva affatto le vele squarciate che
pendevano inermi dai pennoni, quasi come monito della
vacuità della loro esistenza.
Tutto era tetro e desolato attorno alle loro vite, trasformate in un
incubo ad occhi aperti. Neanche la cara vecchia Tortuga con i suoi
mille passatempi bastava a cancellare quel senso di incompletezza dai
loro cuori. Non si stupivano più della loro natura, del
timore che incuteva la loro fama sinistra, degli straordinari bottini
che anche quella notte avevano riversato nelle cavità di
Isla de Muerta.
Quell’isola sperduta nel mar dei Caraibi che era divenuta il
loro covo, custode silenziosa dei loro criminosi guadagni, provenienti
da scontri sanguinosi unicamente per le vittime degli arrembaggi. Una
foschia impenetrabile la avvolgeva perennemente, la stessa che
accompagnava la navigazione della Perla e gli angosciati e ben taciuti
pensieri dei suoi uomini.
Bastava una scintilla.
- Hey! – urlò stizzito Ragetti voltandosi e
sondando il ponte rischiarato dalla luce lattiginosa della luna. Si
chinò a raccogliere un proiettile caduto ad un metro da lui.
- Scusa! Ti ho fatto male? – si fece avanti Pintel dondolando
la pistola e ridacchiando accompagnato da altri tre compagni.
- No! – rispose con fin troppa enfasi quello, tornando ad
occuparsi di rafforzare alcuni nodi. I colleghi continuarono a ghignare
e qualcuno premette di nuovo il grilletto facendogli scappare un
gridolino, se non altro per il fragore improvviso.
- Allora perché ti lamenti? – cantilenò
con un tono irritante Grapple, ma stavolta il biondino
afferrò d’impulso la sua rivoltella e li
colpì a sua volta.
Barbossa si svegliò di soprassalto. Erano spari quelli, ne
era sicuro. Ma a quell’ora, in pieno oceano era molto strano.
Continuavano e gli sembrava di sentire pure il rumore stridente di
spade che cozzavano e un intenso calpestio.
Jack gridava inquieto facendo la spola tra il suo letto e la porta,
grattandola.
Possibile che qualcuno fosse stato tanto temerario da attaccarli? E che
non fossero riusciti a fermarli prima che si lanciassero a bordo? Erano
troppo esperti, lo escluse. Ma un acuto e ancor più sgradito
sospetto catturò la sua mente. Uscì dalla cabina,
senza perdere neanche il tempo di indossare giacca, stivali e cappello.
Già gli sembrava di avere le catene ai piedi e la testa gli
fumava dal rancore e dal dispetto. La confusione era aumentata e non
incontrò nessuno per i corridoi. La scimmietta lo precedette
correndo su quattro zampe.
Quando sbucò sopra coperta impiegò qualche
secondo ad abituare le pupille alla scarsa luce bianchiccia mandata
dalla mezza luna sulle sagome in movimento.
Ossa, ossa, ossa ovunque guardava. Non c’era nessuno a parte
gli scheletrici componenti della ciurma. Era tutt’altro che
positivo constatare che stavano combattendo gli uno contro gli altri. E
con quale accanimento!
- Che diamine state facendo? – tuonò con un
frammisto di sdegnata esasperazione e inutile minaccia. Poco a poco si
fermarono abbassando le armi e Pintel si giustificò con un
mezzo sorriso: - Ci annoiavamo.
- E vi pare un buon motivo per sprecare le munizioni? Ma che avete nel
cervello?! Alghe morte? – si rammarico di non poterli
picchiare a sangue, sebbene era come se la sua voce infuriata lo stesse
facendo. Non sembravano avere poi così paura di lui. Persino
Ragetti replicò sfacciato: - Siamo stanchi di questa
situazione!
Poi prese la parola Twigg: - Abbiamo portato un mucchio di roba su
quell’isola.
- Già. E non ce ne faremo mai niente – lo
appoggiò ruvido Koheler.
Il capitano non sapeva come ribattere mentre tutti lo fissavano
facendolo sentire insopportabilmente colpevole.
- Vogliamo tornare come prima – biascicò Ragetti
con sincera tristezza.
- Volete morire! – esclamò astioso e incredulo
Barbossa. Nessuno fiatò riflettendo sui pro e i contro della
situazione. Il capitano provò a rafforzare quel
tentennamento per riportarli dalla sua parte: - È inutile
che vi lamentate per la fame: non ci serve il cibo.
- Perché lo desideriamo, allora? – lo contraddisse
subito Pintel. Ora anche i meno arditi osavano tenergli testa.
- Ci abitueremo – garantì sbrigativamente.
- No, capitano – lo rimbrottò altero
Bo’sun, scostandosi dalle sue spalle e piazzandoglisi davanti
– Vogliamo tornare a vivere – proferì
con accalorato abbattimento – E voi dovete trovare un rimedio
– puntualizzò prima di allontanarsi a lunghi
passi, con palese rincrescimento.
Gli altri cominciarono a mormorare mantenendo gli occhi sul capitano: -
Bè, allora lo farò – si
limitò ad annuire teso ad alta voce, e senza aggiungere
altro scelse di rientrare nella sua cabina.
Si adagiò sul letto restando supino e lanciando occhiatacce
al soffitto. Se non voleva perdere tutto non poteva continuare ad agire
egoisticamente. E in realtà anche lui stava male da tanto
tempo. Si sentiva la bocca ricolma di sabbia e polvere, nello stomaco
gli pareva di avere dei tarli che lo rosicchiavano senza tregua, e
più sotto un braciere sempre acceso. Per il resto era come
pietra, insensibile all’aria, al tepore, al freddo, alle
ferite.
Ebbe un piccolo sussulto quando Jack gli saltò in grembo.
Aveva qualcosa fra le dita che al buio non seppe distinguere ma
continuava a metterla sotto i denti, non capendo che non serviva ad
ingannare la morsa della fame. Si mise seduto e accese un lume vagando
per la stanza. L’animaletto non si fece distrarre e
seguitò a sgranocchiare. Aveva finito tutta la frutta fresca
che gli lasciava sul tavolo e fu curioso di capire cosa avesse preso.
- Piccolina, fammi vedere cos’hai – la
accarezzò; la scimmietta aprì riluttante la
piccola mano e lui restò interdetto: era una moneta del
tesoro azteco e Jack la riagguantò svelta, scappando in un
angolo e ricominciando ad addentarla.
Gli dava un senso di impotenza vederla comportarsi così. Era
un esserino innocente e non si capacitava di averle potuto fare del
male.
Quel maledetto tesoro! Pensò che probabilmente Sparrow lo
avesse voluto punire di proposito. Ma non doveva lasciarsi annebbiare
la mente dalla collera. Anche la sua spocchia aveva pagato, alla fine.
Adesso doveva davvero trovare un modo per riconquistare la fiducia
della ciurma e la sua vita. Non era semplice.
Doveva parlare con qualcuno che credesse alla loro storia, che capisse
qualcosa riguardo i sortilegi e che sapesse suggerirgli cosa fare.
Forse sapeva dove andare.
Hey! C'è qualcuno?! Spero di sì ^^, anche se
è passato tanto tempo! Comunque vi annuncio che finalmente
sono anch'io in vacanza e che gli utlimi capitoli compariranno a breve!
Stavolta ho messo da parte Sputafuoco per dare più spazio a
Barbino, ma tornerà nel prossimo capitolo, non temete!
Ringrazio come sempre
tutti coloro che mi seguono e chi continua a leggere anche le mie altre
ff sui pirati mettendole tra i preferiti, i seguiti o da ricordare.
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Capitolo 13 *** Capitolo 12: Cambiare ***
Capitolo
12: Cambiare
Il legno del ponte
tremava, le frasi si smarrivano nel frastuono dirompente e ognuno si
muoveva più spinto dall’istinto di sopravvivenza
che dall’obbedienza dovuta agli ordini, ululati, tra i tuoni
e le onde, dai superiori. Era un’altra, dannatissima, notte
di burrasca che avrebbe dissanguato qualunque ciurma mortale avesse
tentato di domarla.
Ma loro erano di
un’altra specie. E lui stava iniziando a tramutarsi in loro.
Sopravvivere. Questa,
dopotutto, gli era parsa la scelta.
Tuttavia Bill
riconobbe che era stato avventato, di nuovo.
-
Vuoi unirti alla mia ciurma?
Quell’ulteriore
replica del signore dei mari era parsa più una provocazione
che un invito.
Tutto
sommato non era sicuro che gli sarebbe riuscito di parlare; mosse le
labbra velocemente, sconsolatamente: - Sì …
Sì, accetto.
In
un baleno era in superficie, era libero dalle corde.
Tuttavia
la luce del sole, che aveva così
fortemente agognato durante quella prigionia sottomarina, non
riuscì a vederla. Si convinse che fosse colpa del tramonto
inoltrato.
-
Il tuo nome?
Il
leggendario capitano lo scrutava con sufficienza, ansioso di terminare
quegli odiosi convenevoli.
Gli
dava a dir poco i brividi l’aspetto suo, del suo veliero e
dei suoi ospiti, e la lingua continuava ad incepparsi mentre cercava di
cogliere i dettagli dell’ambiente. La nave era come ricoperta
di alghe e crostacei, e i marinai, erano più creature marine
che uomini ormai.
Davy
Jones ripeté la domanda irritato, muovendo un passo verso di
lui.
-
Sputafuoco … – farfugliò arretrando,
ancora confuso e un po’ impaurito - Bill … Turner
– aggiunse in un sussurro, distogliendo lo sguardo.
-
Sputafuoco! Nome bizzarro! – commentò il capitano
ridacchiando con gli altri – Trovatevi qualcosa da fare!
– lo spronò quindi burberamente, voltandogli le
spalle e zoppicando fino alla cabina.
- Sputafuoco Bill!
Stupido pelandrone che non siete altro! Ma dove ce l’avete la
testa oggi?
Solo con quello
sgraziato richiamo Turner si accorse di aver mollato una cima che aveva
allentato la vela di mezzana abbandonandola alla corrente.
Mortificato per
l’incauta svista, si affrettò a riparare correndo
a recuperare la corda, tirando con tutte le forze per sistemarla. La
pioggia rendeva ancora più difficoltosi i movimenti e il
cielo plumbeo confondeva le sagome dell’equipaggio con le
stravaganti decorazioni dell’Olandese Volante facendolo
inciampare e scontrare ripetutamente con gli altri.
- Rendete grazie che
non vi abbia notato il nostromo o vi sareste alleggerito di un bel
po’ di carne! – gli latrò
contrò uno di loro quando lo scorse agguantare ben fermo la
corda.
- Cosa? Io
…? – balbettò con i nervi scossi,
guardandosi attorno in cerca di chi gli avesse rivolto
quell’avvertimento.
Era lì da
tre mesi, ormai, ma gli era difficile imparare i nomi di quei
… non sapeva nemmeno come definirli; e molti avevano
cambiato volutamente nome per tacere la loro vera identità,
di cui probabilmente si vergognavano, per come si erano ridotti.
La tempesta si
quietò all’improvviso, nella volta violacea si
accendevano alcune timide stelle e Bill si fermò a
scrutarle, riposandosi mentre gli altri cominciavano a ritirarsi
sottocoperta.
L’umore di
quella ciurma era sempre pessimo, a meno che non incappassero in
qualche nave naufragata. Allora lui preferiva nascondersi, ma un paio
di volte avevano insistito a trascinarlo con loro.
Parte della nave,
parte della ciurma, seguitavano a ripetere. E se rifiutava di
sottomettersi a quell’unica, semplice, terribile regola
… non aveva idea di cosa gli sarebbe capitato.
Aveva giurato di
servire per cento anni, ma gli era ormai chiaro che non avrebbe mai
più lasciato quel vascello. Nessuno era mai andato via
dall’Olandese Volante. Da vivo.
- Sicuro di voler
andare da solo, signore?
- Sì,
Bo’sun. Tu pensa alla Perla. Mi basteranno due che sappiano
remare di buona lena, altrimenti sarà già buio
quando saremmo arrivati.
- Vi fidate di quella?
Dicono sia infida.
Barbossa non rispose
al suo scrupoloso primo ufficiale e, facendo cenno ai marinai di calare
la scialuppa, mantenne un’espressione altera e sicura
finché non riuscì più a distinguere le
facce degli uomini a bordo.
Twigg e Koheler
restarono in un nervoso e apprensivo silenzio mentre vogavano
in quelle acque verdastre, via via sempre più scure e
intralciate dalle mangrovie.
Il capitano non
osò intersecare i loro volti, ripercorrendo piuttosto con
calma i passi che lo avevano condotto sin lì. Negli ultimi
giorni ovunque avesse chiesto, senza specificare quale fosse il suo
dilemma, tutti avevano dato la medesima indicazione: in materia di
stregoneria nessuno era più esperto della sacerdotessa
voodoo che abitava una palafitta in fondo ad una baia, non lontano da
un’ isola di cannibali, i Pelegostos.
Il posto lo aveva
infine trovato, ma il problema era capire con quale nome chiamarla,
dato che gliene avevano forniti diversi. In quel momento ricordava solo
Alma … Dettaglio trascurabile, si disse. Invece era un
po’ preoccupato per l’eventuale pagamento. Non era
del tutto certo di riuscire a giostrarla.
Il cielo era vicino
all’imbrunire quando la barca si accostò alla
scaletta che pendeva da quella baracca, all’apparenza
abbandonata. Hector non fece in tempo a rivolgersi ai suoi che vide
venirgli incontro una donna dall’aspetto insolito e attraente
che con una sola rapida e intensa occhiata gli diede la sensazione di
aver letto i suoi pensieri, come parvero confermare le parole che
pronunciò con un largo e seducente sorriso: - Ah, ecco
perché è da stamani che la palude mormora.
L’immarcescibile capitan Barbossa è venuto a
chiedere il mio aiuto!
Twigg e Koheler si
scambiarono uno sguardo tra lo stupito e il sospettoso mentre il
comandante raggiunse la bruna fattucchiera la quale gli
domandò esigente: - Cosa mi avete portato di bello?
Barbossa si ricompose
dalla meraviglia, riappropriandosi della sua rinomata sagacia e
imperturbabilità: - Sono venuto a chiedervi un consulto e
può darsi anche che non sappiate soddisfarmi,
perciò non pago in anticipo.
- E io non parlo
– asserì la donna sorridendo tra sé,
quindi con un ridolino di scherno lo prese sottobraccio per condurlo
all’interno, ma subito si ritrasse con una smorfia: - Come
siete freddo! – sbottò squadrandolo con sdegno e
interesse.
Il filibustiere si
irrigidì e portò gli occhi altrove, serrando le
labbra.
- Entrate! –
la padrona di casa gli additò una sedia e dopo che lui la
accettò, piegandovisi con lentezza – Come ci siete
arrivati lì? Nessuna nave è mai stata in grado di
trovarla … e tornare … - affermò con
un’intonazione che il pirata non seppe se considerare
sorpresa o adirata. Era l’esemplare del gentil sesso
più singolare e oscuramente affascinante che avesse mai
incontrato. Senza chiarire il suo dubbio le posò sulle mani
la cartina con le parole abbozzate da Sparrow.
La donna
avvicinò a sé il foglietto: - Chi l’ha
scritto?
- Questo non importa
– borbottò l’uomo al che lei
replicò con disinvoltura: - Una maledizione azteca, legata
ad un tesoro che avete rubato, destinato a Cortez.
- Sì,
questo lo so già – ribatté il capitano,
iniziando a spazientirsi per il modo di fare della strega –
Vorrei sapere se c’è un rimedio – ammise
un po’ sconfortato.
La signora proruppe in
una inquietante risata: - Ovvio che c’è! Qualunque
maledizione può essere spezzata.
Hector
avvertì un tenue sollievo e si concentrò ad
ascoltare, ma rimase deluso quando quella dichiarò beffarda,
avvicinando il viso al suo e incatenandolo coi suoi occhi accesi eppure
languidi: - Il resto dopo il pagamento.
Eccomi! Stavolta sono
tornata prima col nuovo capitolo ed è tornato pure Bill che
vi piace tanto!
Bene, ammetto che ho azzardato ad inserire la cara Tia Dalma pure qui,
ma d'altronde ho avuto l'impressione che il buon Barbossa la conoscesse
da prima di quando ce li hanno fatti vedere nel film, pensiero mio su
cui non mi aspetto consenso assoluto, anzi sono curiosa del vostro
parere!
Mille grazie a tutti i lettori! Un bacio a tutti! A presto!
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Capitolo 14 *** Capitolo 13: Un colloquio da ricordare ***
Capitolo
13: Un colloquio da ricordare
Il maturo capitano
della Perla Nera era spaccato in due, indeciso su come comportarsi.
Smise si fissarsi il palmo appiccicaticcio della mano destra e
cominciò a gettare occhiate dubbiose
all’accozzaglia di barattoli e vasi di vetro ripieni di resti
di animali e piante, e alle esotiche chincaglierie che lo circondavano.
Dovevano essere
passati molti viaggiatori da quella baracca.
Comunque, quella
stramba fattucchiera dalle sentenze criptiche, lo aveva prima tenuto
sulle spine, sparendo per quasi un quarto d’ora nel retro
della sua abitazione senza dire nulla, poi, una volta tornata, gli
aveva chiesto di porgergli il braccio destro e aveva afferrato la sua
mano cospargendola di una imprecisata sostanza unticcia attinta da un
vasetto di creta. Quindi, trattenendolo con durezza, aveva osservato
con meticolosità le linee che percorrevano il suo palmo. E
in quel momento era un bene che avesse perduto la
sensibilità, tanto aveva esposto la sua pelle alla fiamma di
una candela.
Da qualche minuto,
mormorando sillabe che non aveva afferrato, si era defilata di nuovo
dietro le tende colorate.
Ora Barbossa era
seriamente solleticato dalla tentazione di alzarsi e andarsene,
tuttavia il suo proposito fu eclissato dalla subitanea, inconscia,
convinzione che non doveva. Si sentì un coniglio credulone,
ma l’assillante certezza che quella non fosse soltanto
un’atipica donna un po’ schizzata, gli teneva
schiena e sedere ben attaccati alla poltrona e i piedi incollati al
pavimento, sul quale, tra l’altro, strisciavano rettili e
insetti di ogni genere, come gli facessero la guardia.
L’attutito e
poi sempre più vicino rumore di passi gli fece alzare il
viso verso una rampa di scale dalle quali la sacerdotessa si
ripresentò: - Ah, siete ancora qui –
attestò con stupefacente candore.
- Non mi avevate
ancora congedato – rispose garbato lui, smorzando il malumore
che gli faceva conficcare le unghia nella carne delle mani.
- Ah, siete
più a modo di quanto immaginassi –
cinguettò allegramente la mora tornando vicino al tavolo per
poi enunciare di punto in bianco un’altra frase
incomprensibile: - Mai sentito parlare di pirati nobili?
Nonostante la
gravità con la quale la misteriosa donna gli avesse rivolto
quella domanda, il pirata non si trattenne dal replicare ironico: - Mi
sembra una contraddizione!
- E lo è
– mugugnò quella con una sfumatura tanto rancorosa
che procurò non pochi interrogativi al suo ospite
– Ma vi occorrerà diventare uno di loro
– concluse svelta chinandosi sul tavolo, fingendo di
rassettare la miriade di oggetti che lo ricoprivano.
Hector si mise in
piedi e incrociò le braccia al petto ponderando le parole
prima di esprimersi: - Alma …
La signora si
rizzò e acuminò i suoi grandi occhi di un nero
vellutato a quelli cerulei e pungenti dell’uomo di mare, che
parevano volerla sbriciolare: - Vi piace l’Oriente?
– mugolò sfoggiando un nuovo sorriso amorevole,
avviandosi verso di lui – Dove tutto è ancora
nuovo, da scoprire? – gli sussurrò, adagiando una
per volta le piccole dita sulle sue spalle e fissandolo con la testa
inclinata e un’espressione da adescatrice, affabile e
indecifrabile.
Il capitanò
incespicò scavando tra le sue scarse nozioni sulle terre del
sol levante, cercando di trovare un senso a quelle ermetiche frasi.
Proprio non capiva cosa potesse avere a che fare con la maledizione o
col pagamento.
Intanto lei, in attesa
che rispondesse, continuava ad accarezzargli lievemente le braccia e
risaliva provocante verso il suo collo, accostandovi le labbra. Ma non
gli procurava altro che irritazione. Si scansò seccamente,
arretrando verso la porta: - Siete una strega! –
inveì con bile, suscitandole un riso compiaciuto che
scoprì poco a poco i suoi denti macchiati e brillanti tra i
quali sospirò: - È tutto ciò che
voglio da voi, capitan Barbossa.
Il filibustiere
assottigliò lo sguardo, increspò la bocca e,
intrecciando le dita sulla cintura, incedette in direzione di lei: -
Voi siete una donna piacente …
- Ma che diavolo avete
capito? Razza di porco! – urlò quella indignata
respingendolo e sottraendosi alla sua vicinanza.
L’uomo si
sentiva frastornato e sbatté più volte le
palpebre: - Che accidenti vuoi da me?
- Umph! Credevi mi
accontentassi di così poco, come pagamento? –
sogghignò la veggente deridendolo. – Dovete
diventare un pirata nobile e questo è quanto –
chiarì perentoria – Mi porterete lo scalpo di
colui che sostituirete e il suo medaglione. È
l’ultimo discendente del primo Consiglio della Fratellanza e
infesta il Mar Caspio.
Barbossa
strabuzzò gli occhi restando a bocca aperta: - È
una cosa che … - scosse la testa, confuso e contrariato
– Chiedetelo a qualcun altro! Io ho una certa urgenza. Ho
fatto male a venire qui! Ho perso il mio tempo!
- Ah! Avete
l’eternità davanti a voi –
confutò Tia Dalma divertita; poi tornò di colpo
seria agguantandolo per il polso: - Siete voi a doverlo fare, vogliate
o no. E per quanto riguarda la maledizione: ogni singolo pezzo del
tesoro va restituito e il sangue ripagato.
I due pirati rimasti
sulla scialuppa fuori dalla palafitta sbadigliavano a turno e si
scambiavano pugni e gomitate per non cedere al richiamo persistente di
Morfeo.
Finalmente una sagoma
pallida e luccicante si stagliò nel buio quasi totale che
ammantava quel luogo.
- Capitano!
– esordì Koheler mettendosi in piedi –
Iniziavamo a preoccuparci. Stavamo per entrare e venirvi a prendere
– disse con un filo di irrisione.
- Pensavamo vi avesse
accoppato – ciancicò Twigg nello stesso istante in
cui il comandante prese posto sulla barca. Sia questo che il collega
gli rivolsero un’occhiata che valeva una stoccata: - Oh,
già. Non poteva farlo, in ogni caso –
balbettò sedendosi crucciato.
- Allora? Che vi ha
detto? C’è un modo? – domandò
con impazienza Koheler dato l’atteggiamento elusivo di
Barbossa.
Lui
tentennò, osservandosi pensieroso gli ossicini delle falangi
e il polso scoperto prima di replicare aspramente: - Cosa siete voi,
mosche bianche che dovete saperlo prima degli altri? Parlerò
davanti a tutti. Mano ai remi!
Era un manto spesso,
pesante e intricato la fibrillazione che sprizzava dalla ciurma della
Perla Nera, in ansia di conoscere la sospirata soluzione al crudele
maleficio che li aveva condotti in uno stadio di confine tra morte e
vita.
Il capitano era
tornato e tutti facevano capannello attorno a lui, ciondolando dalle
varie sporgenze e cime della nave
- Dobbiamo portare
indietro il tesoro che abbiamo preso. Ogni pezzo –
annunciò seccamente Barbossa.
Silenzio denso di
incomprensione e stupore.
- Ci vorranno anni!
– strepitò uscendo dall’ombra Ragetti.
Qualche altra voce si unì alla sua ripetendo la sua battuta.
- Allora è
meglio cominciare subito – ribatté, per nulla
scomposto il capitano, avviandosi rapido alla sua cabina, fra i
commenti infiammati e discordi dell’equipaggio che non si
arrestavano.
Rieccomi miei amatissimi lettori! Essendo in procinto di partire,
pubblico oggi il penultimo capitolo di questa mia terza longfic!
Già, è venuta più lunga di quanto
immaginassi! Durante il viaggio scriverò l'epilogo.
Ammetto che il pagamento forse l'ho complicato troppo: non mi veniva
altro in mente, ed ho un'ossessione maniacale nel voler collegare i
fatti dei tre film!
Invece il caro Bill l'ho
lasciato di nuovo da parte perchè credo di aver detto
abbastanza di lui e non vorrei ripetermi e annoiarvi.
Curiosissima come sempre di leggere le vostre opinioni, auguro a tutti
una buona estate!
Alla prossima!
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Capitolo 15 *** Epilogo: Caccia grossa ***
Salve a
tutti! Ecco a voi l'ultimo capitolo di questa fanfiction. Non
è molto fantasioso, l'ammetto, ma in fondo era
così che l'avevo pensato sin da quando ho iniziato a
sciverlo, dovendomi ricollegare all'inizio del primo film.
Ringrazio
tutti coloro che hanno seguito questa storia, chi l'ha messa tra le
preferite e chi mi ha lasciato un commento: Lione94, Summerbest,
stellysisley, duedicoppe, Roxar, Laura Sparrow, Nebbia4e, LadyKiki90,
xLostMemoryx.
Lione94,
Summerbest, stellysisley, duedicoppe: a voi, che siete state le mie
più assidue lettrici e commentatrici, va il mio
più sentito ringraziamento. Mi avete spinta a continuare
attraverso il vostro affetto e apprezzamento. Grazie anche a chi leggerà in futuro.
Buona lettura e a presto!
Epilogo:
Caccia grossa
L’aria era
ancora fresca e limpida e il cielo striato di blu e violetto si stava
spogliando delle ultime stelle della notte, mentre riecheggiavano i
canti degli uccelli mattutini.
Capitan Barbossa con
uno scatto deciso balzò sulla piattaforma della palafitta e
diede alcuni colpetti di nocche alla porta.
Tia Dalma si
affacciò appena con un grosso sbadiglio che
diventò poi un sorriso fioco:
- Bentornato, mio
dannato amico – lo accolse beffarda, stringendosi nello
scialle ricamato.
- Sono venuto a
portarti il mio pagamento – annunciò indispettito
lui spingendola per entrare. La donna gli voltò le spalle e
si affrettò ad accendere qualche candela per illuminare
l’interno.
Il pirata
gettò sul tavolo un borsellino di stoffa scura che
all’impatto con il legno emise un rumore sordo. La
sacerdotessa lo raccolse e, tirando via il cordino che lo chiudeva, ne
uscì fuori con cura il contenuto.
Prima si
soffermò ad analizzare il tessuto di pelle rotondeggiante
che recava alcuni ideogrammi: - Sì, è lui!
– esclamò inviando un’occhiata di
ringraziamento al capitano, quindi sollevò dalla catenella
una collana con un grande ciondolo argentato con inciso un volto a
forma di cuore. Strinse i denti corrugandosi.
Barbossa, preoccupato
di aver fallito, afferrò di nuovo il sacchettino tirando
fuori un altro medaglione, verde e a forma di rombo, mostrandolo alla
signora.
- No, quello puoi
tenerlo – gemette lei stringendo più forte
l’oggetto che teneva in mano e sospirando. – Su di
voi c’è ancora la maledizione, vedo –
asserì dopo qualche secondo, alzandosi e scagliandogli uno
sguardo derisorio.
- Il denaro viaggia
più in fretta della Perla Nera – ammise con stizza
il filibustiere mentre la fattucchiera gli affibbiava la collana con il
gioiello verde bottiglia.
- Dovreste
concentrarvi più alacremente sull’obiettivo.
L’oro vi chiamerà di nuovo, fino
all’ultima moneta – gli garantì lei
sfiorandogli vezzosa il mento – E non dimenticatevi del
sangue – gli rammentò più severa.
– Ora ho da fare – concluse spiccia sospingendolo
verso l’esterno.
- Le abbiamo contate e
ricontate, signore. Sono 882!
- Quella fottuta
sgualdrina vi ha ingannato! – lo accusò
Bo’sun calciando alcune suppellettili pregiate poggiate alla
rinfusa tra le rocce della caverna.
Hector manteneva gli
occhi irosi e delusi sulle splendenti monete racchiuse nel forziere di
pietra, rifiutandosi di ascoltare le imprecazioni della ciurma e
arrovellandosi sul possibile errore che ancora li rendeva schiavi di
quel maleficio.
- Ci vuole
più sangue! – sostenne Twigg, tagliandosi una vena
e invitando altri a copiarlo.
All’improvviso
qualcuno gridò trionfante: - Aspettate! Sono 881!
Il capitano in parte
si rianimò: - Ne siete sicuro, mastro Ragetti?
- Da quando sai
contare, tu? – confutò Pintel scettico.
- Da sempre, amico
– si scrollò altezzoso quello.
Grapple si frappose
drizzando due dita: - Vuol dire che ne manca una sola? –
domandò incerto, il collega annuì guardando
Barbossa che restava assorto e neutro.
- Ma è
impossibile! – riprese a sbraitare il luogotenente
– Sono più di due anni che mettiamo a ferro e
fuoco tutti i porti e le navi dei Caraibi! Come può esserci
sfuggita?
Altri uomini alzarono
la voce associandosi alla sua incredulità e frustrazione.
Il capitano ebbe
un'illuminazione, esplose in alto un colpo di pistola e quando tutti si
zittirono sillabò con acredine: - Sputafuoco!
- Il vecchio Bill!
– pigolò Ragetti deglutendo.
- L’ha
portata con sé?! – replicò afflitto
Pintel scatenando ulteriori lamentele e supposizioni fra i colleghi.
- Ci serve anche il
suo sangue! – gracchiò Barbossa – Quel
meschino furfante era con noi quando abbiamo scoperto il tesoro!
- E potrebbe averne
spedito un pezzo alla famiglia – dedusse il bucaniere con
l’occhio finto mentre altri annuirono.
- Diavolo! –
sputacchiò Koheler - È fastidioso anche da morto
quello lì!
- Ma come facciamo a
recuperarlo? – chiesero Jacoby e qualche altro.
- Non si
può più, ormai appartiene al mare –
ammise con amarezza Barbossa; quindi rialzò lo sguardo fiero
contagiando i suoi – Però se ha un erede ora
sappiamo dove cercare. Preparate la rotta per l’Inghilterra:
si va a caccia.
Piccolo appunto sul medaglione: ho pensato che Barbino, non avendo
avuto da Tia indicazioni precise, avesse preso sia quello con il
carillon che l'altro che alla fine indossa lui stesso. Lo intravediamo
spuntare dalla sua camicia in qualche sequenza, non è
proprio un rombo, ma ci assomiglia. Spero sorvolerete, oppure mi
indicherete come sostituire il termine, così lo correggo :p
In ogni caso a lei serviva come prova che il capitano avesse davvero
ucciso il tizio che, se avete capito, ho immaginato avesse pure dei
tatoo sulla testa! Per cui serviva lo scalpo!
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