Uomini maledetti

di Fanny Jumping Sparrow
(/viewuser.php?uid=60955)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Anime tormentate ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Eppure sentire ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Riflessioni ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: L'ammutinamento ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Diavoletto ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Fame cattiva ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Una buona stella ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Luna piena ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Immortalità ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: Avventato ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Potere ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: Il rimedio ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: Cambiare ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: Un colloquio da ricordare ***
Capitolo 15: *** Epilogo: Caccia grossa ***



Capitolo 1
*** Prologo: Anime tormentate ***


Uomini maledetti


Prologo: Anime tormentate

Era un porto di mare come altri, con le sue taverne e le sue botteghe affioranti tra stradelle affollate di gente cenciosa e losca, pronta a metterti la mani addosso o anche a sgozzarti o ficcarti una coltellata nel fianco se ti fossi rifiutato di sganciare la grana o l’avessi in qualche modo urtata.

I delitti si consumavano a qualunque ora del giorno e della notte, tra un boccale di rum e l’altro, tra un incontro e l’altro con donne sporche, calde e accoglienti, o con altri furfanti sempre in cerca di nuovi affari che riempissero le loro tasche di monete da spendere in quello stesso luogo di perdizione e imbrogli.

Loro non avevano più avuto bisogno di rubare tanto meschinamente.

Quella scoperta, quell’isola che nessuno credeva esistesse davvero, l’avevano trovata e ora potevano concedersi tutti i capricci e i divertimenti che i loro bassi istinti desideravano.

Oro purissimo. Chiunque lo vedeva restava interdetto, e anche un solo doblone bastava a pagare un mucchio di leccornie, neanche fossero principi o conti.

Sapevano che prima o poi sarebbe finito, ma non riuscivano a trattenersi da uno sperpero dissoluto e incontrollato.

In fondo erano pur sempre rozzi pirati, per nulla previdenti, saggi o coscienziosi. E perché avrebbero dovuto esserlo? Non potevano concedersi di progettare i loro giorni. Tutto era instabile sotto i loro piedi: il mare o una botola, un giorno che poteva essere vicino o lontanissimo, si sarebbero aperti e li avrebbero portati via dal mondo. La loro vita era sempre appesa ad una corda.

Tuttavia la consapevolezza, irrazionale e informe, che qualcosa stava cambiando cominciava ad insinuarsi, infida e inquietante, in ogni fibra del loro corpo, come una scintilla crepitante lungo una scia di polvere da sparo che una volta alla fine del suo percorso si sarebbe manifestata come fuoco e devastazione.

Ed era questa persistente sensazione di freddo disagio e cocente brama che li rendeva ancora più vagabondi, aggressivi.  Pericolosi.



Ehilà! Sono tornata con un'altra storia piratesca! Questa volta ho deciso di concentrarmi su dei personaggi poco esplorati, ovvero Barbossa e la ciurma della Perla Nera. Proverò a descrivere le loro sensazioni nel momento in cui scoprono di essersi beccati una maledizione.

Come sempre mi farà piacere sapere cosa ne pensate. A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1: Eppure sentire ***


Capitolo 1: Eppure sentire

Quel porto di mare era Maracaibo, città opulenta fondata e abitata per lo più da spagnoli, ma divenuta meta di ritrovo per molti bucanieri dei Caraibi. La legge non era applicata con eccessiva severità e le attività illecite prosperavano sotto l’indifferenza degli stessi governatori che anzi, spesso ne traevano tacitamente vantaggio in prima persona.

Si trovavano lì quella sera a gozzovigliare, spensierati e lascivi come sempre. Non avevano nemici di cui preoccuparsi, anche se la nave su cui lavoravano, la Perla Nera, era un veliero che destava la cupidigia di molti filibustieri, data la sua fama di riuscire a raggiungere velocità notevoli in mare aperto, sfuggendo a qualsiasi arrembaggio.

In un angolo buio della prima taverna che aveva ancora posti liberi stavano in sei attorno ad un tavolo. Giocavano a carte, bevevano e mangiavano, pieni di buonumore.
Ad un certo punto uno del gruppetto, basso e tozzo con lunghi capelli sudici che gli sfioravano le spalle, si alzò di scatto rimproverando imbestialito un suo compare: - Porca miseria! Che schifo, Ragetti! Ti sei pisciato addosso?!
Gli altri pirati scoppiarono subito a ridere.
- Che dici? – esclamò il diretto interessato, offeso e stralunato, mentre le risate e le prese in giro dei compagni lo attaccavano senza contegno. Uno di questi, che era seduto accanto al pirata dall’occhio di legno, lo squadrò annusandolo per poi dichiarare sarcastico: - Pintel! Non lo sai che puzza di suo?
- Mi ha bagnato la gamba, Grapple! – sbraitò quello mostrando a tutti una chiazza scura nei pantaloni. Ragetti, imbarazzato e stranito, controllò contemporaneamente i suoi calzoni restando seduto e muto.
- Si è scolato tre bottiglie di rum una dopo l’altra – parlò più forte Sputafuoco per sovrastare le voci degli altri che non smettevano di sghignazzare – Da qualche parte gli doveva pur uscire … - disse serio, lasciandosi scappare però subito dopo un sorrisetto ironico che trascinò i compagni a ridere per la sua battuta.
Pintel sbuffò e si sedette di nuovo nervoso, allontanando la sedia dall’amico e guardandolo sghembo: - Neanche hai sentito lo stimolo? – gli domandò dopo aver buttato una carta, dandogli una forte gomitata sul braccio. Ma prima che quello aprisse bocca si intromise Twigg: - Guardalo: è ubriaco fradicio! Che doveva sentire?
Per qualche minuto gli uomini ripresero a giocare senza risparmiare altre frecciatine nei confronti di Ragetti che, seppure era abituato ad essere oggetto di scherno per i compagni, si stufò di come lo trattavano, perché quella volta sentiva che erano in torto: - Non è vero che sono ubriaco! Sono lucidissimo! Voi lo sapete come divento quando bevo troppo! – urlò spargendo le carte sul tavolo.
- Un completo cretino, come ora! – affermò Koheler, un nero con capelli rasta e molteplici cicatrici sul volto. Ancora una volta gli altri si abbandonarono ad uno scomposto e malevolo riso.
Ragetti, snervato, si mise in piedi per andarsene, fulminandoli astioso.
- Lo vedi che te la sei fatta nei pantaloni? – gli fece notare Pintel indicandogli il basso ventre.
I pirati si sporsero sul tavolo per osservare, schifati e divertiti, mentre lui si copriva con le mani: - La vostra è tutta invidia! Vi rode che stavo vincendo perché sono il più intelligente! – cercò ragione balbettando però per la collera e la vergogna, oscillando avanti e indietro per poi alzare le braccia e svicolare via con un verso di rabbia.
- Ma vattene, idiota! – lo apostrofò Koheler afferrando avidamente il suo boccale e sorseggiandone con piacere il contenuto alcolico. – Rifai le carte, Pintel – ordinò poi al collega che obbedì iniziando a raccoglierle dalle mani degli altri che ancora si sbellicavano per la reazione del magrolino.
- Oh, Sputafuoco, me lo tiri un pezzo di arrosto? – chiese nel frattempo Grapple, un omone alto e nerboruto con corti capelli scuri e due grossi baffi che gli scendevano lungo gli angoli della bocca. – Allora? – lo spronò impaziente non ricevendone risposta.
Sputafuoco fissava il vassoio vuoto con solo qualche osso spolpato: - È … è finito – attestò con un filo di voce deglutendo incredulo.
- Te lo sei mangiato, vorrai dire – si intromise Twigg guardandolo con acredine, copiato dagli altri tre colleghi.
Turner non sapeva come difendersi, non ricordando di essere stato lui: - Ma no io … figurati! Era un tacchino intero! – sbottò risentito, ma le parole gli tremavano e si spezzavano mentre una strana angoscia si impossessava della sua mente.
Pintel ghignò: - Hai lo stomaco di una balena, compare! Dove la metti tutta quella roba? Ieri si è mangiato un pane grosso così! – rivelò agli altri mimando con le mani una lunghezza di quasi mezzo metro.
- Che vuoi, il vecchio Bill lo sfoga così l’appetito … – concluse Grapple malizioso, dandogli una pacca sul braccio. Il volto di quello restò contratto in una smorfia preoccupata.
- Ah! Che problema c’è? – riprese a parlare Twigg – Con tutti i soldi che abbiamo! Oh? Donna? Vieni qua! – richiamò una cameriera che passava di lì – Portaci un altro tacchino farcito.
- Oh, te gusta! – ammiccò lei, non più molto giovane ma con il viso pesantemente truccato e strizzata in un abito viola che lasciava poco all’immaginazione.
- Chiedilo al nostro amico: è stato l’unico a mangiarlo! – ribatté Pintel un po’ alterato drizzando gli occhi su Sputafuoco che teneva la fronte china e non aveva più parlato.
- Como?! – scosse la chioma rossa la donna sentendosi imbrogliata – Bastava para seis hombres! – sostenne ritirando il vassoio di legno e osservando Bill il quale la sbirciò un secondo ed ebbe un singulto.
- Tu comunque ora ce ne porti un altro. Insieme a qualcos’altro per sciacquarci la bocca – le impose Koheler stringendole il polso e mettendole in mano due monete d’oro che le fecero brillare di meraviglia gli occhi castani. Il bucaniere si alzò in piedi sovrastandola:
- Ah, e per quello che ti sto dando ci aspettiamo pure un servizio aggiuntivo … - le raccomandò lanciando occhiate libidinose alle altre signorine che si trovavano nel locale – Ci siamo capiti, vero? – le sussurrò bieco.
- See, arriva – gli assicurò quella intascando il denaro e ancheggiando verso il bancone per poi sparire nel retro dove c’era la cucina.
Il pirata di colore riprese posto ridacchiando con i compagni.
Soltanto Bill conservava un’espressione mesta e meditabonda, pur proseguendo a giocare a carte quasi meccanicamente.


Un saluto affettuoso a tutte le mie lettrici e a tutti i miei lettori! Lo so, Barbossa ancora non c'è ma arriverà nel prossimo capitolo, ve lo prometto ^^!
Intanto qui ho cercato di inserire i primi sintomi della maledizione, così come penso possano essere stati percepiti dai pirati, che ancora chiaramente non capiscono bene cosa sta succedendo.
Spero di non deludervi e di divertirvi lo stesso, anche con un tema così cupo: ho cercato di metterci un pò di humor nero!
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2: Riflessioni ***


Capitolo 2: Riflessioni

- Con me non si era mai lamentato nessuno! – proruppe indignata un’avvenente donna dalle forme prosperose con lunghi capelli ricci e corvini, tirandosi su le calze gialle e il corsetto turchese ricamato dopo aver sbattuto furiosamente alle spalle la porta di una stanza nel retro della locanda.
Subito le andò incontro l’ostessa cercando di calmarla e di risolvere il possibile malinteso con l’avventore, pur di non farlo scappare: - Che c’ha? È uno difficile o non gli funziona? – si informò con sarcasmo e schiettezza inspirando un’ampia boccata da un avana.
- Fosse solo questo! – replicò la brunetta finendo di riallacciarsi il bustino con gli occhi gonfi di lacrime – Quel bastardo è pure violento! – asserì correndo via precipitosamente e scontrandosi con Sputafuoco che, alzatosi di scatto, era intento a  farsi spazio tra i tavoli per uscire.
- Stia attenta signorina – bisbigliò il pirata scostandola con un lieve sorriso; nonostante il tono gentile alla ragazza sembrò di essere andata a sbattere contro una statua di bronzo. Quel tizio non emanava alcun calore umano, proprio come l’altro con cui era stata a letto, e istintivamente provò un senso di ribrezzo e di inquietudine, gettandosi fuori ancora più sveltamente.
Bill si era sentito trafiggere dallo sguardo inorridito della prostituta. Oltrepassò l’ingresso della taverna con il cuore appesantito da oscuri dubbi, perdendosi tra la folla brulicante del luogo per poi allontanarsene quanto più possibile.
- Tu! – tuonò nel frattempo la padrona della locanda ad un’altra delle sue dipendenti – Va’ a risolvere la questione – ordinò volgendo la testa in direzione della stessa camera da cui era scappata la prima. La giovane, occhi e capelli color nocciola e corporatura minuta ma ben proporzionata, assunse una faccia sfrontata ed entrò.
Ragetti, che era rimasto nella bettola anche se non si era più seduto con gli altri, spiava  i compagni rimasti attorno allo stesso tavolo che banchettavano felici ed erano attorniati da altrettante signorine disinvolte e scollacciate. Facendo ruotare gli occhi per tutto il locale si accorse che anche altri pirati della Perla erano impegnati a far bisboccia. Solo lui si sentiva in quel modo? Anche Sputafuoco Bill se ne era andato, ma non si fermò a rifletterci troppo: era sempre stato il più schivo tra la ciurma e spesso quando sbarcavano se ne stava in disparte a passeggiare sul molo.
Di colpo al di sopra delle ciance dei presenti si distinse una voce ruvida e sonora che gridava una serie di improperi e bestemmie. Poco dopo capitan Barbossa comparve sulla soglia della porta di una delle stanze sul retro, seguito a ruota dalla donna che era stata mandata lì dalla locandiera e che gli urlava contro parole altrettanto offensive, che lui trascurava incedendo e urlando come un forsennato per andarsene, chiamando a raccolta tutti quanti:
- Smuovete le chiappe, signori! Si torna a bordo! – ripeteva passando tra i tavoli e spingendoli ad alzarsi. I filibustieri si infastidirono e opposero resistenza credendo che fosse uno scherzo, ma l’intervento del pragmatico e manesco luogotenente Bo’sun li convinse ad ubbidire e, malvolentieri, si avviarono al pontile per poi imbarcarsi sulle scialuppe.
Le ancore furono salpate in tutta fretta, come se si trattasse di una vera fuga, ma nessuno dei pirati comprese chi e se ci fossero degli inseguitori. Così, frastornati e contrariati, pur eseguendo le manovre ordinate dal capitano, iniziarono a parlottare fra di loro formulando le ipotesi più fantasiose, senza riuscire a venire a capo del mistero.
L’ambiguo comportamento avuto dal capitano quella sera si era già verificato due giorni prima in un altro posto, in maniera quasi identica: dopo un’oretta trascorsa tra fumi dell’alcol, buona compagnia femminile e succulente porzioni di carne e pesce, Barbossa aveva stabilito di far ritorno alla nave e non aveva tollerato obiezioni.
Gli uomini avevano iniziato a pensare che nascondesse qualcosa di grave e, per quanto non fossero soliti farlo, cominciavano a temere come non mai per le loro vite. Si era forse inimicato qualche grosso personaggio intenzionato ad annientarli? Dovevano guardarsi da un antico nemico che reclamava vendetta e li aveva già trovati?
In fondo lo conoscevano solo molto superficialmente, ed era sempre stato un tipo enigmatico, ma era bastata la sua capacità di condurli a quel tesoro così misterioso, abbondante, unico e intatto per accreditarlo a concedergli di mantenere il comando dopo quel rapido ammutinamento. Si era dimostrato furbo, intelligente, misurato, li aveva conquistati con la sua abilità di arringatore, la sua concretezza e la sua lucida cattiveria.
Da chi stavano scappando, seguendolo?
Non potevano ancora sapere che stavano cercando di allontanarsi da loro stessi, da quello che stavano diventando, o meglio da ciò che stavano cessando di essere.

La Perla Nera si trovava a navigare nuovamente nelle acque tenebrose di una notte senza luna, con il vento a favore e ben lontana da qualunque approdo raggiungibile in poco tempo.
Il capitano Hector Barbossa era ancora sconvolto e si rigirava insonne sul suo letto che gli sembrava una lastra di pietra. Non arrivava a capacitarsi di quanto gli era successo: non provava più niente. Si chiese se stava invecchiando, ma subito la ragione e l’orgoglio rifiutarono di adagiarsi su quella possibilità.
Si sentiva pieno di forze, di rabbia e di fame, in verità. Cos’era che non andava in lui, allora? Perché non gli bastava più niente?
Non aveva mai vissuto tanto intensamente come nelle ultime settimane, eppure quello che era accaduto poche ore prima in quello squallido bordello, con quelle donne tanto disinibite e procaci, lo aveva fatto riflettere, dopo la inusitata vergogna.
Avevano speso quel tesoro concedendosi beni e piaceri di una quantità e varietà impressionante, ma ora non riusciva a goderseli pienamente.
Il troppo stroppia? Frase consolatoria per gli animi codardi e per i timorati di Dio. Lui non era né l’uno né l’altro.
Era un pirata senza regole e senza morale, gli andava bene così. Viveva alla giornata. Non aveva mai cambiato le sue abitudini: l’idea sola gli faceva contorcere le meningi.
Che altro posto avrebbe potuto occupare nel mondo se non quello di filibustiere? Erano stati il mare, l’oro, l’avventura e richiamarlo e lui, sebbene fosse poco incline a farsi comandare, aveva obbedito con entusiasmo.
Non aveva esitato a scappare di casa, nonostante avesse solo tredici anni e nessuna esperienza con navi, spade e pistole. Ma era ambizioso, ed era stanco di quell’inferno quotidiano fatto di miseria e stenti, inerzia e speranze di cambiamento mai realizzate. Di un padre padrone che lo picchiava scaricando su di lui la sua frustrazione per un avvenire senza certezze che nemmeno aveva il coraggio di cambiare.
Neanche la vita di marinaio aveva garanzie, ma almeno era libero di scegliere da solo tra il bene e il male; questo aveva pensato la prima volta che aveva calpestato il ponte di un mercantile. La gavetta sulle navi militari era stata lunga e faticosa, per un ragazzino di umili origini e senza protezioni; tuttavia ogni ostacolo lo aveva spronato a dare il massimo di sé. Poi era cresciuto. Gli incontri, il sole, le tempeste, il sangue versato avevano scolpito il suo carattere deciso, realista, egoista.
Non era un tipo impressionabile e nemmeno spirituale, però era aperto ad imparare ancora dalla vita.  Voleva capire di più: Jack Sparrow non poteva avere detto la verità …


Salve a tutti! Premetto che mi sarà parecchio difficile aggiornare spesso, causa università e annessi, spero di poterci riuscire almeno una volta alla settimana.
Ringrazio quanti hanno letto i primi capitoli, e quanti leggeranno anche questo. Come sempre una recensione non costa nulla e mi fa piacere avere commenti, critiche e consigli.
Piccola precisazione: Bill Turner è stato graziosamente legato ad un cannone e gettato nell'oceano qualche tempo dopo la scoperta della maledizione! Cito testualmente le parole di Pintel da potc 1:  "A Sputafuoco non è mai andato giù quello che abbiamo fatto a Jack Sparrow, l'ammutinamento. Diceva che non onorava il codice. E' per questo che ti ha mandato un pezzo del tesoro. Diceva che meritavamo di essere maledetti e di restarci anche." - ergo Sputafuoco sapeva già di essere maledetto. Infatti in potc2 quando incontra Jack nella stiva dice pure che quando si trovava sott'acqua era incapace di morire: perchè era un non morto!Comunque se avete altri dubbi potete rivedetere le scene citate. Io ho capito così.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3: L'ammutinamento ***


Capitolo 3: L’ammutinamento

Hector ricordava perfettamente l’ultimo discorso che aveva avuto con il suo ex bislacco capitano prima dell’ammutinamento.

Erano mesi che si faceva accompagnare in luoghi che nessuno aveva mai sentito nominare in cerca di informazioni, diceva lui, su un tesoro tanto bello quanto pericoloso.
E intanto non mostrava più alcun interesse per i ripetuti e fortunati arrembaggi che lui, primo ufficiale, riusciva a portare a termine senza il suo intervento. Se ne stava chiuso in cabina a tracciare rotte su vecchie carte, ossessionato da quella bussola, e li trattava con sufficienza, nonostante l’impegno e la dedizione che manifestavano per lui e per la Perla. A bottino concluso si degnava a malapena di affacciarsi sul ponte e dire qualche parola di ringraziamento, chiaramente priva di sentimento.
Quasi sembrava pensasse che a lui fosse tutto dovuto, solo perché era capitano della nave più imprendibile dei Caraibi e perché aveva concesso loro di farne parte prendendoli come ciurma.
Ma erano giorni che navigavano senza meta e non avvistavano neppure un misero brigantino.
Quella sera, dopo lungo tempo di chiusura nei suoi confronti, gli aveva fatto l’onore di invitarlo nel suo alloggio. Con grande fatica aveva trattenuto la lingua per non insultarlo e le mani per non strozzarlo, ma poi lo aveva ancora una volta irretito e non aveva potuto fare a meno di ascoltarlo.

- Mio caro Barbossa, ammetto di essere stato alquanto irragionevolmente sfuggente negli ultimi giorni ai tuoi occhi … e forse anche a quelli degli altri miei farabutti. Ma c’è un motivo, più sensato di quanto immagini – aveva esordito tra il serio e il faceto mettendosi a camminare in tondo e muovendo le dita ricoperte di anelli che tintinnavano insieme ai ciondoli dei suoi bizzarri capelli.
- Quale? – gli era uscito di chiedergli con palese perplessità stando rigidamente in piedi con le mani ai fianchi.
Lo sguardo di quello si era illuminato di soddisfazione e aveva appoggiato i palmi sul tavolo con un sorrisetto di vittoria sporgendosi verso di lui: - Sono sulle tracce di un tesoro leggendario! – aveva esclamato con un tono improvvisamente infantile.
L’umore di quell’uomo era più movimentato di una bandiera al vento; quei continui e spesso inspiegabili sbalzi lo irritavano, ma si era contenuto ancora e, continuando a squadrarlo con sospetto, aveva incrociato le braccia facendogli cenno di continuare ad esporre.
E lui non si era lasciato turbare: - Un forziere di pietra ricolmo di 882 pezzi d’oro azteco, sepolto in un’isola per chiunque introvabile, a parte per coloro che sanno già dove sia – aveva sussurrato guizzando gli occhi bistrati intorno a sé come cercasse spie in ascolto nella sua cabina. – E io lo so dov’è! – aveva aggiunto dopo una pausa con tono più acuto e tirando un pugno per aria.
- E perché non ci abbiamo ancora messo mano, se posso? – gli aveva domandato mordace, rilassando un poco i tendini e facendo un passo in avanti.
Il capitano Sparrow si divertiva un mondo a giocare con gli altri quando era l’unico a conoscere certe verità: - Dicono che sia un tesoro maledetto … - aveva bisbigliato adombrandosi e, compiendo una giravolta su se stesso, si era diretto verso la vetrata fermandosi a fissare il mare scuro e piatto che rifletteva una luna calante.
Barbossa aveva gettato un’occhiata rapida ma attenta alle carte spiegate sul tavolo e lo aveva raggiunto con una nuova speranza di sbloccare quella situazione di stallo che tanto innervosiva la ciurma: - Perdonatemi, signore. Date adito a questa insulse superstizioni? – lo aveva incalzato con fare impaziente e sarcastico dopo qualche secondo.
Jack lo aveva guardato dal basso in alto corrugando le sopracciglia sotto la bandana rossa.
Quindi aveva ripreso a parlare in un modo posato e tenebroso, distogliendo più volte il viso, pur senza risparmiare i suoi soliti sorrisi che stavolta ad Hector erano apparsi quanto mai intrisi di una consapevole amarezza: - La mia lunga e variegata esperienza piratesca mi ha insegnato che tutte le chiacchiere hanno un fondamento e che non bisogna sottovalutare ciò che è invisibile. Non lo vedi, non significa che non c’è.
A quel punto si era girato completamente verso di lui e, appiccando gli occhi neri e fiammeggianti nei suoi freddi e impassibili, aveva intinto la voce di veleno: - Il male, ad esempio, spesso è nascosto. Dove meno te lo aspetti …

Lui aveva interpretato quelle ultime parole come la conferma che Sparrow avesse intuito l’aria di ribellione che si celava sotto il suo comportamento affabile e irreprensibile, e quella notte aveva deciso di spodestarlo e prendere il comando.
Se invece il male di cui parlava fosse stato davvero legato a quello splendido tesoro?

- Secondo voi perché capitan Barbossa ci ha fatti tornare a bordo? Così, d’improvviso? Con tanta premura? Da chi scappava? – si azzardò a chiedere l’indomani mattina Jacoby, sfregando lo straccio sul ponte.
- Forse quelle puttane pretendevano troppo denaro e lui non c’è stato – bofonchiò Grapple, vuotando un secchio fuori bordo.
- Ne abbiamo tanto di denaro – si intromise spontaneamente Ragetti attirandosi occhiate sospettose e interrogative – O no? …
Koheler gli si avvicinò con aria torva: - Tu ne hai ancora? – sussurrò con un feroce alone di gelosia e avidità. Il biondino guardò i compagni uno per uno ritraendosi un po’ spaventato dalle loro facce ostili: - Lo avete speso tutto, voi? – farfugliò voltando loro le spalle per stringere una cima.
- Ragetti, quanto ti è rimasto? – lo incalzò drastico Pintel, afferrandolo per un braccio e girandolo verso di sé.
- Due, tre monete. Non di più – rispose a mezza voce mordendosi il labbro inferiore.
- Ma sei un idiota o cosa? – lo rimproverò aspramente Grapple alzandolo per la collottola della camicia, e divertendosi del timore che subito riusciva a suscitargli con l’appoggio degli altri.
- Il denaro serve a spenderlo! – lo ammonì Pintel facendosi una grassa risata quando il collega lo rimise a terra ancora tutto scombussolato. Ma Ragetti non sembrava altrettanto divertito e, dopo essersi risistemato la casacca nei pantaloni, seguitò a giustificarsi con accento saggio: - Bé, io invece ho pensato di metterlo da parte per il futuro. Non si sa mai cosa ci riserva la vita …
Le sue parole suscitarono come di consueto commenti beffardi e risa di scherno.
- Il nostro amico ha ragione. Perché lo prendete in giro? – intervenne Sputafuoco con la sua voce cupa e seriosa, facendoli zittire e calamitando l’attenzione su di sé.
- Oh, sì! Certo! Vuol dire che pure tu conservi i soldi come lui? – gli domandò quasi come lo minacciasse Koheler fermandosi a mezzo metro da lui.
Bill abbassò lo sguardo e si incamminò nella direzione opposta, ma venne frenato dalla successiva frase di Grapple che parlò con causticità: - Lui ha un marmocchio che ancora lo aspetta a casina in Inghilterra. Dico bene?
- Non sai nemmeno se è vivo o morto – gli fece notare crudelmente Pintel.
Quella constatazione lo irrigidì ulteriormente. Si voltò appena per guardarli con la coda dell’occhio: - Morto? – le sillabe gli bruciarono sulla lingua mentre le pronunciava.
- Da quant’è che non torni? – lo interrogò stavolta Jacoby, che non aveva più fiatato continuando a scrostare il pavimento del ponte.
- Fatevi gli affaracci vostri! – esplose Turner, più arrabbiato con se stesso che con i compagni.
I toni si erano fatti talmente accesi da richiamare il luogotenente, così gli uomini si dispersero ritornando ognuno al proprio lavoro.


Mi dispiace ma non sono riuscita a trattenermi dalla voglia di mettere un pò di Jack anche in questa ff! Spero vi sia stato gradito! Da pessimo pirata non solo rispetto le promesse ma vi ho pure anticipato il nuovo capitolo! Scherzi a parte, l'avevo scritto e non ho voluto aspettare a pubblicarlo. Ho pure dato i titoli ai precedenti cap, me ne ero dimenticata!

Saluto come sempre tutti i lettori anonimi e chi mi ha lasciato un commento.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4: Diavoletto ***


Capitolo 4: Diavoletto

La canicola rendeva l’aria di mezzogiorno quasi incandescente ma la ciurma aveva la pelle cotta dalle stagioni e dal sale e continuava a sgobbare alacremente sul ponte sembrando non accorgersene. Le chiacchiere certo non mancavano e l’argomento su cui si appuntavano era sempre lo stesso: il Capitano e le sue bizze. Tuttavia bastava un’occhiataccia eloquente del luogotenente a far vertere i discorsi su temi molto più leggeri, come storielle di porto e canzoni marinaresche.
Il piccolo cebo cappuccino, che era diventato l’animale di compagnia del capitano Barbossa da quando lo aveva attaccato in un bazar de L'Avana, si aggirava tra di loro saltando agilmente da un albero all’altro e divertendosi a dare pizzicotti, tirare i vestiti o colpirli con piccoli schiaffi, sempre imprendibile.
Non tutti però erano pazienti e tolleranti come Maximo, Sputafuoco o Scratch. Ragetti si limitava a gridare contro la scimmietta che pareva averlo scelto come vittima prediletta per scacciarla. Ma un bel momento Koheler uscì fuori la pistola sparandole.
Uno schioppo secco, un tonfo sul legno. Calò un silenzio tombale e tutti si voltarono verso di lui. Poi, spaventati, alcuni si avvicinarono alla creaturina che giaceva supina con gli arti divaricati. Il pirata dai lunghi rasta che aveva esploso il colpo si arrestò più lontano.
- Merda! Disgraziato! L’hai uccisa! – lo accusò Twigg dopo aver picchiettato con la punta delle dita il corpicino immobile e molle.
- Se l’è cercata – biascicò il colpevole con un sorriso maligno voltandosi.
- Era me che disturbava! – si fece avanti Ragetti un po’ dispiaciuto.
- E a me dava noia sentirti gridare! – si giustificò quello. Il pirata non insistette e si spostò accanto a Bill che era rimasto in disparte a labbra strette.
- Buttiamola a mare – propose Grapple risoluto.
- E al capitano che diciamo? – chiese impaurito Pintel.
- Che è caduta dalla coffa – suggerì Jacoby sentendosi astuto.
- No – obiettarono alcuni sottovoce. Di nuovi tutti tacquero scrutandosi furtivamente e fissando il cadaverino.
- Ah! Torniamocene al lavoro! – borbottò indolente Koheler e i compagni, terrorizzati dalla futura reazione di Barbossa né volendo esporsi da soli, lo seguirono evitando accuratamente di passare o di guardare là dove era rimasto l’esserino peloso.

I pirati dopo qualche minuto avevano ripreso a canticchiare, quando il primo ufficiale Bo’sun avanzò con fare energico e minaccioso verso due di loro impegnati a ritoccare una parte danneggiata della balaustra con martello e scalpello: - Jacoby! Pintel! Venite con me dal Capitano! – ordinò loro l’energumeno con un ghigno torvo tutt’altro che rassicurante.
I due deposero lentamente gli attrezzi e annuirono raddrizzandosi e sbirciando un punto preciso della tolda cercando di non darlo a vedere. Ma quello più basso poi strepitò arrabbiato e spaurito: - È colpa tua, Ragetti! Che stai sempre a strillare come una donnetta!
L’accusato sgranò gli occhi picchiandosi una mano sul petto risentito per quel commento che gli pareva inopportuno e vigliacco.
- Seguitemi! – ripeté duro Bo’sun ai due uomini – E voi tornate al lavoro! Mano alle scotte! Rattoppate quegli strappi nelle vele di mezzana e spiegate meglio il velaccio e la maestra! – comandò agli altri per poi agganciare Jacoby e Pintel per le spalle facendoli camminare davanti a sé fino alla cabina di Barbossa dove li lasciò soli.
Il capitano della Perla Nera si fece trovare inquietamente seduto sulla sua poltrona e incredibilmente teneva in grembo la fida scimmietta a cui aveva dato nome Jack in segno di spregio per l’ex capitano Sparrow. Era molto affezionato all’animaletto e soltanto carezzando il suo soffice pelo bruno sembrava quietarsi un po’ dai mille pensieri dovuti al suo ruolo a bordo.
Ma non quella volta. La sua espressione era livida.
I due marinai non ce la fecero a nascondere un sussulto e si stropicciarono le palpebre più volte osservando la piccola scimmia in perfetta salute che li fissava con quello che sembrava un sorrisetto rosicchiando qualcosa.
- L’avete capito perché vi ho fatto chiamare – pronunciò con voce atona Barbossa portando una mano sul tavolo e iniziando a ticchettare con le unghie mentre la scimmietta gli si posizionò sulla spalla destra.
Pintel e Jacoby si guardarono un secondo, lanciarono un’occhiata di scuse all’animale e al suo padrone e poi abbassarono la testa.
- Per stavolta lascerò correre – asserì il Capitano con un filo di vivacità in più – Ma non indugiate ancora …
Jacoby si piegò sulle gambe unendo le mani in segno di gratitudine: - Grazie, Capitano!
Pintel pensò bene di copiarlo parlando con eccitazione: - Dopotutto sta bene, la piccolina – affermò tentando di lisciare la testolina del cebo cappuccino.
Il volto di Barbossa si alterò per l’incomprensione: - Jack? – domandò insicuro notando che i due continuavano a blandire la scimmietta con versi sciocchi e grossi sorrisi.
- Sì, è in gran forma! – esclamò Pintel con evidente gioia. Il collega gli fece eco: - E pensare che poco fa sembrava morto stecchito! Koheler gli aveva sparato!
Il Capitano non ci capiva più niente, si alzò in piedi e li ammonì con asprezza: - Non sono in vena di scherzi, babbei! Vi ho fatti chiamare per il pranzo. Siete già in ritardo di quasi un’ora e se non vi decidete a prepararmi qualcosa mangerò le vostre budella dopo avervele strappate con le mie stesse mani!
Gli uomini annuirono in fretta e scapparono dalla cabina inseguiti da Jack che squittiva furibondo aggrappandosi alle loro camicie.

I pirati rimasti sul ponte sciorinavano svariate congetture sulla possibile sorte dei loro compagni che non erano ritornati, e pensavano avessero pagato per lo sgarro fatto al comandante al posto del vero colpevole. Invece i due spuntarono di nuovo, senza apparenti segni di violenza ma pallidi come lenzuoli. Li attorniarono ansiosi di sapere.
- Il Capitano aveva fame – borbottò Jacoby cercando di evitarli e tornare alla balaustra.
- Tutto qui? – chiese Ragetti diffidente.
- Tutto qui! – sputò Pintel copiando la sua voce e spingendolo per sgusciare via anche dagli altri che facevano cerchio attorno a loro.
I colleghi non erano per nulla soddisfatti dalla laconicità delle loro risposte e già pensavano a come convincerli a sbottonarsi di più; quando sul ponte ricomparve correndo il piccolo Jack restarono senza parole e alcuni si sentirono accapponare la pelle.
- Per le mutande di mia nonna! Che ci fa quella qui? – scappò di urlare a Twigg.
- Fulmini! Non può essere! – bisbigliò Sputafuoco trovandosi la scimmietta accanto appesa ad una sartia. Altri si avvicinarono a guardarla tra la meraviglia e un lieve indefinibile timore.
- Era in braccio a Capitan Barbossa, come niente fosse – li informò Pintel ancora incredulo riprendendo a martellare sul legno del parapetto.
- Non è possibile! – sbraitò Koheler con rabbia e stupore mentre la scimmietta mugolò e salì più in alto.
- Avrà fatto la finta morta – asserì Jacoby senza crederci troppo.
Twigg scosse la testa sconvolto: - È uno spiritello maligno, vi dico io!
- Già, anche a me ha fatto sempre la stessa impressione … - lo appoggiò Grapple.
Altri esposero pareri simili:
- Magari la reincarnazione del Capitano Sparrow, venuto a perseguitarci …
- Ma per favore! – li zittì Koheler – Quella è solo una stronza bastarda. E prima o poi gliela farò pagare davvero – bofonchiò invasato prendendo la mira – Me ne infischio del Capitano …
- È una bestiaccia dispettosa, ma non dà poi così fastidio – cercò di calmarlo Bill.
- Muto tu! Le tue parole sono come spuma di mare – replicò collericamente il nero.
E Turner restò a pensare a quello che aveva voluto dire sentendosi sempre più escluso dalla ciurma.



Rieccomi! Stavolta ho un po' di cose da dire.
Volevo fare alcune precisazioni sui pirati secondari che ritornano nella ff: Twigg e Koheler sono i due tizi che fanno visita a Jack nella prigione di Port Royal e il secondo è quello che gli fa vedere il braccio scheletrico. Jacoby è quello fissato con le bombe e Grapple quello che assale Will dicendogli "Prima dimmi addio".
La scimmietta sembrava morta perchè ho pensato che essendo la prima volta che veniva sparata c'era rimasta, poi però si è rialzata quando non l'hanno vista. Spero la spiegazione vi soddisfi, altrimenti sotto con le critiche^^

Ringrazio quanti seguono la storia anche rimanendo silenziosi e mi auguro vi continui a piacere. Un bacio a tutti/e!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5: Fame cattiva ***


Capitolo 5: Fame cattiva

Capitan Barbossa contemplava l’orizzonte indaco attraverso la vetrata della sua cabina immaginando quanti lidi inesplorati ancora attendevano il suo arrivo per essere saccheggiati delle loro ricchezze. Aveva studiato diversi portolani e diverse mappe, ma non riusciva a decidere su quale terra puntare. La sua voglia di avventura e guadagno sembrava frantumarsi miseramente ogni volta che provava la sensazione tagliente e indecifrabile di stare perdendo qualcosa di sé.
Uscì fuori all’aria aperta, sicuro che la brezza salmastra lo avrebbe ritemprato. Piccole gocce bagnavano il ponte appena lavato evaporando e avvertì una sete devastante. Anche la fame non era da meno, sebbene si fosse fatto cucinare un pranzo luculliano. Ogni boccone che finiva in fondo alla gola pareva perdersi, senza arrivare mai a saziarlo del tutto.
Ora nemmeno il piacevole tepore del sole pomeridiano, che si rifletteva sulle onde colorandole di giallo, lo aiutava a distrarsi da quel solito pensiero.
L’oro. Quel tesoro che aveva prosciugato, di cui conservava solo il ricodo. E che era stato l’inizio di tutto. Era finalmente un capitano; aveva una nave tutta sua che faceva invidia a qualunque fuorilegge del mare.
Ma non era soddisfatto.
Dovevano lasciare i Caraibi, spingersi più lontano possibile da quelle acque, in un posto dove nessuno li avrebbe cercati; forse neanche quegli assurdi pensieri di morte.
In Oriente, dove tutto era ancora nuovo, da scoprire.
Si affacciò alla balconata del timone con l’intenzione di comunicare la nuova rotta, ma il luogotenente lo anticipò costringendolo a rimandare l’ordine.
C’era un problema da non sottovalutare per chi si apprestava ad una lunga traversata in mare aperto.

- È così, signore. Non c’è più niente – quella frase rimbombò nel vuoto della stanza dove ora si trovava con Bo’sun.
Era completamente sottosopra: barili, casse, barattoli, bottiglie, occupavano il pavimento ma erano tutti vuoti. Eppure non era passato molto tempo dalla loro ultima razzia sulla terra. Controllò i contenitori uno per uno per accorgersi che quello aveva ragione: sembrava fossero passate le cavallette. L’indignazione gli si riversò subito fuori, senza controllo, e rantolando si mise a sferrare calci rompendo tutto. Una furia, un uragano: le schegge di vetro e legno si sparsero ovunque e sicuramente tutti dovevano aver sentito anche se si trovava nella parte più bassa della nave.
Senza alzare gli occhi dai frantumi, si rivolse di nuovo al suo fidato primo ufficiale che non aveva aperto bocca assistendo al suo sfogo irruento: -Raduna tutti quanti sul ponte. E porta il gatto – sibilò con voce bieca e ansante. Lui gli rispose digrignando i denti e si allontanò con passi pesanti.
Una manciata di minuti più tardi gli uomini bisbigliavano irrequieti in attesa che il capitano, che si era erto di nuovo sul cassero di poppa, attaccasse con l’ennesima sfuriata. Alcuni preferivano nascondersi dietro le ombre degli altri, come avessero un presentimento.
Lo sguardo ceruleo di Barbossa trapassò i loro volti con un misterioso velo di severità e contrizione. Sopra di lui nuvole rossastre si infittivano nel cielo azzurrognolo e l’aria che avvolgeva la Perla Nera era offuscata da un sottile strato di nebbia ferrigna.
Il capitano fece trascorrere ancora qualche secondo storcendo più volte le labbra a vuoto, come non sapesse quali parole usare. Infine parlò con misurato rancore: - Gradirei conoscere il nome, o i nomi, di quegli sporchi vigliacchi traditori che hanno fatto fuori le riserve della stiva – sillabò incentrando continuamente gli occhi sui visi ansiosi dei suoi pirati. Ci fu un mormorio lieve, nessuno lo guardava cercando piuttosto di scoprire dall’espressione degli altri chi fosse il colpevole.
- Se nessuno parla vuol dire che vi punirò tutti quanti – tornò a spronarli Barbossa, affiancato subito da Bo’sun che si batteva ritmicamente su un palmo la frusta attorcigliata su un corto bastone di legno, quasi impaziente di usarla.
Alla vista dello strumento di tortura i manigoldi iniziarono lentamente ad arretrare e ad insultarsi l’un l’altro pur di trovare i responsabili. Ma ancora una volta Barbossa li mise a tacere alzando la voce e cambiando tono, facendosi di colpo perfido e compiacente: - Ora ci toccherà scendere di nuovo a terra. Altro sangue innocente da spargere per sfamarci. Siete degli ingordi – concluse ghignando sardonico. Gli uomini, dopo il disorientamento, a poco a poco si unirono alla sua risata e prepararono con prontezza la nave a intraprendere la nuova rotta.

Approdarono sulla prima terra avvistata; la notte rabbuiata da spesse nubi favorì il loro arrivo inaspettato. Fu caos per le strade con le prime bordate che infiammarono il molo.
- Animo, uomini! È una città di schiappe! Non ci fermeranno! – si facevano coraggio mentre preparavano le scialuppe per scendere in acqua.
- Crolleranno sotto le nostre spade come prugne secche! – affermò sicuro Twigg caricando i colpi in canna e lanciandosi su una barcaccia.
- Arraffiamo quanto più possibile così capitan Barbossa forse ci concederà un po’ di riposo – lo affiancò Grapple infervorato imbracciando i remi.
Il capitano della Perla si sporse dal parapetto per gridare loro agitato: - Basta, con le chiacchiere! Muovetevi, topi pidocchiosi! Ricordatevi che avete una pessima figura da farvi perdonare! E spremete questi isolani senza indugi! – spintonandoli sulle barche e prendendo posto a prua da dove poteva osservare meglio il loro operato con il cannocchiale, dirigendo al contempo le cannonate.
- Barbossa si riferiva a te, Sputafuoco – lo derise Jacoby, con una gomitata nel fianco quando furono sulla stessa scialuppa, vogando verso la costa.
- E uccidilo qualche cristiano, una volta tanto! – lo sbeffeggiò ancora Twigg che muoveva i remi assieme a lui. L’uomo si limitò a mugugnare scontroso volgendo gli occhi vitrei alle acque scure che ancora li distanziavano dall’isola.
- Se te la fai sotto ti copriamo le spalle noi! – lo confortò beffardo Pintel sporgendosi in avanti e poggiandogli una mano sul braccio.
- Non occorre – si inalberò Turner investendolo con un’occhiataccia gelida e convincente.
Intanto lo scafo toccò la sabbia e i filibustieri saltarono fuori dalla barca bagnandosi fino alla cintola e trascinandosi verso la banchina, preceduti dalle bordate che continuavano a passare sopra le loro teste facendo crollare il modesto fortino che cingeva il molo.
Si lanciarono con furia inaudita, gli abitanti del posto smisero di difendersi per timore di essere uccisi. Solo alcuni soldati mobilitati in fretta e furia si armarono di coraggio e moschetti tentando di frenare il loro abbattersi come un fiume in piena sulle loro case, i loro beni. Finalmente trovarono un fabbricato pieno di provviste destinate ai cittadini.
- Non ci guadagni niente a fare il pirata gentiluomo, sai – riprese Koheler, rivolto ancora a Bill mentre affondava la lama nella gola di un militare. – Non ti risparmierà la forca.
Sputafuoco agguantò un vecchio che tentava di opporsi al loro ingresso e lo scagliò contro una porta – Ma forse l’inferno, sì - sussurrò a se stesso con una vana speranza.
- Non credo, amico – gli sfiorò la spalla Ragetti, superandolo, seguito da altri colleghi.
Poi una pioggia di proiettili schizzò sui loro corpi, annientando il vigore selvaggio che li aveva animati ad aggredire tutto e tutti come mai in passato.



Salute a tutti! Mi dispiace tantissimo di aver saltato di aggiornare nelle ultime settimane ç_ç ma non ho avuto proprio tempo! C'è un altro esame che incombe! Comunque mi auguro che anche questo capitolo possa piacervi, e che tutti coloro che leggono la ff continueranno a farlo nonostante gli intervalli tra un capitolo e l'altro dovranno essere necessariamente più lunghi che in passato.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6: Una buona stella ***


Capitolo 6: Una buona stella

Nella penombra le torce che reggevano caddero sul pavimento di legno e paglia infiammandolo in un batter d’occhio e creando una sorta di muro di fiamme tra loro e gli aggressori.
Una grandinata di piombo rovente aveva urtato la loro carne corrotta, intirizzita dall’acqua salata asciugatasi al vento freddo spirante in quella notte di imminente burrasca.
Si rialzarono, malconci ma vivi. Almeno erano ancora in grado di respirare anche se l’aria pareva non avere alcun odore, nonostante il fumo, la polvere e il sudore della trepidazione avrebbero dovuto contaminarla.
- Non ci hanno preso?! – si interrogò con inquietudine Pintel vagando con gli occhi nella mezza luce rossiccia in cui emergevano le sagome dei compagni.
Cinque giovani soldati arretrarono a bocca aperta con i fucili al petto.
I pirati sfuggirono al fuoco che non li scalfì minimamente con dei salti audaci.
Atterriti, esterrefatti, disperati, i militari ripresero a sparare fino all’ultimo proiettile.
Tutti mancati, così sembrava. Perché quei sei furfanti restavano in piedi e non accennavano alcuna smorfia di dolore, piuttosto di stupore mentre rispondevano ad armi pari, sprezzanti e spietati, con mira infallibile.
I soldati brancolarono sulle ginocchia in cerca dell’uscita, gridando pietà nella loro lingua latina, ma Koheler, Twigg, Grapple, Pintel, Ragetti e Sputafuoco li freddarono all’unisono, accesi da un’inesorabile fermezza.
Non riuscivano più a distinguere i tuoni e i lampi del cielo da quelli prodotti dalle esplosioni delle artiglierie che si scontravano all’esterno e dal ronzio di tormenti, dubbi e paure che gli confondeva la testa e frenava le gambe.
- Andiamo! – riscosse i compari Koheler, scassinando con la punta del pugnale la serratura della porta che custodiva il magazzino con il cibo. Lo seguirono a rilento; una muta palpitazione taceva nei loro petti irrigiditi dalla tensione.
Bill ripose con lentezza la sua rivoltella palpandosi la pancia. Alla debole luce che filtrava da un’alta feritoia nel muro le dita gli apparvero striate di rosso. Tornò a premerle sulla ferita insensibile non avvertendo la viscosità del sangue che pure c’era, ma non usciva.
- Sputafuoco! Vieni qua! Siamo stati fortunati! – tornò a chiamarlo Ragetti, alludendo a quanto avevano trovato in quel posto.
- Ma … Ragetti … - cercò di opporsi Turner al pirata che l’aveva preso per un braccio – Non hai visto …? – si interruppe, non sapeva nemmeno lui come spiegarlo.
- Sì, andiamo! È la nostra notte fortunata! – replicò quello con una impazienza che mal celava lo sgomento per quanto era successo.
Il corsaro si girò ancora una volta a guardare lo stanzone ingoiato dalle fiamme e si lasciò trascinare pensando che, in effetti, dovevano davvero avere una buona stella dalla loro parte, per quanto non la meritassero, se erano scampati a quella fucilata inaspettata nel buio.
Per le vie c’era una moltitudine di gente che scappava dalle pallottole e dalle lame degli assalitori, oltre che dalla pioggia battente che aveva iniziato a sferzare copiosa in quel fazzoletto pacifico di mare e terra diventato un piccolo inferno risuonante di urla e spari.
Le strade strette e non lastricate erano divenute fiumiciattoli viscidi e insidiosi, e il ritorno alla Perla Nera si rivelò più faticoso del previsto, tanto erano caricati del frutto delle loro ruberie.

Capitan Barbossa attendeva ansioso che le sue canaglie si rimbarcassero per mettere la prua dall’altra parte e prendere il largo verso levante, là dove aveva sognato di veleggiare libero e indisturbato, per sentirsi forse ancora vivo.
L’acqua scrosciava con maggiore violenza sul ponte e sulle vele, le onde si stavano alzando e, per quanto ancorata, la nave iniziava a beccheggiare vistosamente.
- Assettate quelle scotte prima che si sbroglino! E segnalate a quegli incapaci scansafatiche di tornare! – andava urlando contro la furiosa corrente barcollando da una parte all’altra della tolda, reggendosi alla ringhiera di tribordo.
Alcuni schizzi gli colpirono la faccia e della schiuma gli finì in bocca senza che ne soffrisse il penetrante sapore salmastro. Gli scivolò giù per la gola e desiderò quasi inconsciamente di poterne bere ancora. Perché quella sete non lo abbandonava mai e si manifestava nei momenti più impensati. La respinse, prima che le gambe lo spingessero a tuffarsi tra i marosi, e tornò a gridare con foga e arroganza i suoi ordini.
I cannoni vennero ricaricati a salve e nuove bordate si schiantarono nel cielo violaceo e gonfio di nubi nere.
Finalmente le scialuppe fecero capolino tra i cavalloni impazziti e gli uomini di bordo si affrettarono a issarle insieme ai compagni. Anche per quella volta era andata.
- Capitano, non può immaginare quello che c’è successo! – incominciarono a raccontare con enfatico sbalordimento Twigg e Grapple, che erano appena tornati dalla spedizione a terra insieme agli altri della ciurma.
Ma Barbossa non volle sentirli: - Non vi siete accorti che è scoppiata una bufera? Datevi da fare! Dobbiamo andarcene! Le storielle ce le raccontiamo dopo! – li redarguì severo e sfuggente correndo al timone. Lampi, tuoni e diluvio fecero il resto, costringendo gli uomini a rimandare lo scambio di considerazioni sull’accaduto.

La furiosa e imprevista tempesta tropicale che li aveva sfiniti per diverse ore dalla notte precedente si era progressivamente smorzata al calare del sole. Avevano approfittato del ritorno del sereno per uscire dalla stiva le scorte di rum, rallegrandosi dell’ennesimo scampato naufragio. Tutto era tornato alla normalità e, mentre la luna piena faceva ancora fatica a scacciare le ultime nuvole, erano iniziate le ronde sul ponte, ormai deserto e silenzioso.
- Non capisco perché tocca sempre a noi due fare il turno per primi – sbottò Pintel, sedendosi pesantemente su una cassetta di legno accostata al parapetto di babordo. Il suo amico Ragetti si limitò a fare spallucce sbadigliando apertamente.
- C’è pure Bill, al timone – farfugliò poi con la voce impastata di alcol e di sonno, volgendo la testa verso il castello di poppa.
La brezza leggera ma costante era pregna di umidità e la calura in quel periodo dell’anno restava insopportabile nonostante il tramonto fosse passato da diverse ore. Tuttavia nessuno dei tre pareva farci caso. I loro miseri vestiti erano perfettamente asciutti, la loro pelle fresca.
Pintel contò i proiettili che gli restavano nella pistola, la ripose nel cinto e iniziò a camminare lungo la murata, da prua a poppa, seguito stancamente da Ragetti.
Il biondino dopo due giri piantò i piedi fermandosi a studiare il  movimento delle vele. Non avvertiva alcun soffio sulla pelle, eppure la navigazione era quanto mai spedita.
Il compare, continuando a marciare macchinalmente avanti e indietro per non cedere alla stanchezza e addormentarsi, non si accorse subito che il pirata dall’occhio di legno aveva smesso di andargli dietro, finché i due non si scontrarono.
- Che diavolo fai, Ragetti? Dormi all’in piedi? – lo bacchettò vedendolo imbambolato nel bel mezzo del ponte. Quello arretrò immediatamente soffocando un gridolino e strabuzzando gli occhi.
Il pirata grassoccio emise una finta risata stizzita. Il collega però non smetteva di fissarlo gemendo a bocca chiusa e si allontanava ancora da lui.



Bentornati a tutti nella mia ff! Finalmente l'ennesimo esame è andato e adesso vedrò di essere un pò più rapida con gli aggiornamenti. Dunque questo capitolo l'ho diviso a metà, e l'altro arriverà fra breve. Ormai la maledizione incombe!
Riguardo potc 4: è ormai certo che sarà girato in 3d ed è di oggi la news che hanno scelto una giovane attrice francese per il ruolo di una sirena che ammalierà Jack....basta! >.< Quante donne ci sono in questo nuovo film?! Povero capitan Sparrow....povere noi! Rivoglio i Turner!
Meno male che almeno c'è Barbossa *_*
Chiusa parentesi, saluto con gioia tutti i mie lettori/lettrici e ringrazio chi ha messo la storia tra le seguite.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7: Luna piena ***


Capitolo 7: Luna piena

Bianchi raggi lunari trapassavano le nubi che si muovevano nel cielo grigio rischiarando alcuni punti della tolda. Uno era ritto proprio sulla testa di Pintel mentre Ragetti, essendosi appoggiato con la schiena all’albero di mezzana, se ne stava all’ombra della corrispondente velatura.
- Ma che hai? Sembra che hai visto un fantasma! – lo derise il collega.
Finalmente quello riuscì a mormorare una risposta: - Piuttosto direi un uomo morto … ma da molto tempo!
Pintel fece un altro passo verso di lui e incrociò le braccia scrutandolo con severità: - Tsk! Ne hai di sparate! – esclamò mettendosi a ridere.
Ragetti era attanagliato da un crescente e incredulo orrore: - Guardati le mani! – gli urlò andandogli incontro e afferrandogli i polsi.
Quando si sporse finendo anche lui sotto la luce pallida della luna vide le sue stesse mani assumerne la tinta: erano ceree ma anche prive di carne, come se gliele avessero sbranate. La bocca gli si spalancò da sola. Riusciva a scorgere ogni singolo ossicino delle dita, poi aprì lentamente la camicia e puntò gli occhi sul petto: anche lì nessuna traccia di pelle o muscoli, la gabbia toracica era vuota: niente  organi. Rialzò lo sguardo verso Pintel che con una maschera di terrore aveva assistito ai suoi gesti in silenzio ripetendoli e accorgendosi di trovarsi nella stessa surreale e spaventosa condizione.
Le loro iridi opache guizzavano in ogni punto dei loro corpi ossuti, poi si incrociarono e un gemito di paura risalì dal profondo delle loro gole, risuonando acutissimo nella quiete della notte.
- Per la barba di Nettuno! – irruppe sul ponte Twigg – Che cavolo avete da strillare? Le vostre urla si sentono fino a sotto!
Le nuvole si erano spostate di nuovo, i raggi erano stati di nuovo coperti così che le loro parole risultavano incomprensibili: - Siamo morti! – asserì ansimante Ragetti a mezza voce – Anche tu! – lo avvertì indicandolo e correndo a poppa.
- Tutti! – aggiunse Pintel gettando occhiate raggelate agli altri pirati che erano giunti sopra coperta e che, ignari di come apparivano in quel momento sotto i fasci di luce candida, li accerchiarono estraendo spade e pistole dai foderi.
I due indietreggiarono fino a toccare con la schiena la parete del cassero, restando al buio, come lo erano prima a causa di una vasta nube sovrastante.
- Certo che ne dite di boiate! Razza di imbecilli! – ringhiò Koheler alzando la lama sulle loro teste pronto a vibrare un colpo.
- Guardatevi! – ripeteva supplicante Ragetti coprendosi il viso con le braccia.
Sputafuoco aveva lasciato la balconata del timone e si avvicinò silenziosamente al resto della ciurma. Non gli piaceva la piega assunta dalla situazione, voleva andare a chiamare il luogotenente ma si bloccò all’istante quando le sue pupille colsero un’immagine spettrale: i suoi compagni, tutti, non erano altro che ossa ambulanti sotto i vestiti a brandelli. Non c’era alcun sembiante né colorito di carne.
La luna piena, perfettamente rotonda, spiccava nella volta blu ora tersa e sembrava posata in cima all’albero maestro, come un vessillo o un faro.
Un mormorio serpeggiò tra gli uomini che cominciarono a guardarsi davvero l’un l’altro, cercando una spiegazione logica per non arrendersi a quanto vedevano.
Un rumore di passi irruenti anticipò la comparsa del luogotenente Bo’sun: - Che succede qui? – latrò con la solita aggressività.
Quelli si voltarono uno per uno verso di lui, tremando come fili d’erba. Una marea di pensieri sconnessi li rimescolava senza uscire in frasi udibili
- Buon Dio … - bisbigliò tra sé e sé Bill Turner distogliendo lo sguardo dalle fattezze scheletriche dei colleghi e contemplando le sue nella lama del pugnale.
- Ora che facciamo? – si sforzò di domandare Twigg con gli occhi chiusi per il disgusto. Perfino l’enorme e brutale primo ufficiale era rimasto senza parole continuando a fissare i compagni e i suoi omeri rinsecchiti che fino a poco prima aveva visto muscolosi e possenti.
Altri passi veloci e nervosi si fecero largo tra di loro risalendo da sotto coperta: - Spero che abbiate avuto un buon motivo per avermi … - capitan Barbossa strinse i denti e sbatté ripetutamente le palpebre pensando fosse la poca luce ad ingannarlo.
Sagome esili e luccicanti. Cercò di reprimere lo sgomento imprevisto che gli aveva accelerato il respiro e con tutta la calma di cui era capace chiese con freddezza, senza soffermarsi su nessuno in particolare: - Volete spiegarmi?
Gli uomini non accennavano a riprendersi dallo scioccamento, e neanche l’inflessibilità e la sicurezza del suo accento li riscosse dall’insistente brusio che si era impossessato della loro mente dall’attimo in cui ogni segno di vita era scomparso dalla loro coscienza.
Barbossa non riformulò esplicitamente la sua domanda ma si decise a camminare fra loro indagando direttamente nei loro volti una risposta tanto evidente quanto impossibile da accettare.
- Io credo che ci sono almeno tre spiegazioni possibili – iniziò a parlare il solito saputello Ragetti. Il capitano si spostò fino a lui che riprese, assottigliando il suono delle sillabe: - O stiamo sognando, o siamo morti tutti e non ce ne siamo accorti, o …
- È una maledizione – sentenziò seccamente una voce colma di rimorso e contrizione. Tutti si voltarono verso il punto da cui si era alzata.
Barbossa dovette coprire di nuovo il chiacchiericcio sommesso della ciurma agguantando l’ultimo briciolo di rigore che gli restava:
- Prego, mastro Turner? – lo interpellò con un filo di ironia, nascondendo forzatamente una smorfia di stupore nell’osservare così da vicino i suoi tratti deturpati dalla morte.
Il pirata alzò gli occhi spenti e li inchiodò per qualche secondo nei suoi sussurrando a stento: - Credo che … siamo stati maledetti.
Hector avvertì come un colpo di frusta dritto sulle sue gambe ma non voleva cedere e piegarsi: - Voi credete a queste stupidaggini? – lo apostrofò tra la collera e la repulsione.
- Io … - Bill pensò che non era da lui fare simili considerazioni, tuttavia non trovava altri modi per spiegare quello che stava succedendo. D’impulso afferrò il pugnale e lo dispose all’altezza del viso del capitano in modo che vi si potesse riflettere.
Gli altri pirati osservavano senza fiatare, incantati dalla presa di posizione del loro introverso collega.
Barbossa restò a specchiarsi non ammettendo quello che vedeva, perciò gli sembrò utile mentire ancora: - La conosco la mia faccia. E voi spero conosciate il vostro posto – lo ammonì tirando giù la lama con la pressione di appena due dita, un ghigno che voleva essere feroce ma risultò molto più dolente.
Turner rinfoderò l’arma e fece un passo indietro chinando la fronte e deglutendo a vuoto.
Il capitano si diresse lentamente verso il castello di poppa accompagnato dagli sguardi sbigottiti della ciurma che non seppe reagire al suo straordinario autocontrollo e alla sua impertinente falsità: - Tornate tutti al lavoro, brutti scarafaggi! – tuonò quando ebbe raggiunto l’ultimo gradino della balconata così da poter avere una prospettiva completa sui suoi cadaverici sottoposti: - E se qualcuno si permette di disturbarmi di nuovo farà cinque giri di chiglia all’istante – stabilì con crudezza. Quindi si barricò rapidamente nella sua cabina, diviso tra il desiderio di dimenticare, capire, rassegnarsi.



Rieccomi! Finalmente il capitolo tanto atteso ^^! Com'è venuto? Sono curiossisima di leggere le vostre opinioni! Sappiate che non è finita qui, ho intenzione di dilungarmi fino a quando i nostri cari pirati della Perla si accorgeranno che manca solo una moneta a spezzare la maledizione, sperando che l'ispirazione, anche a rilento, mi assista.
Intanto ringrazio come sempre tutti coloro che continuano a seguire questa storia anche in silenzio.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8: Immortalità ***


Capitolo 8: Immortalità

- Capitano, gli uomini si aspettano che vi esprimiate chiaramente su questa … cosa.
Era Bo’sun a sollecitarlo da dietro la porta del suo alloggio. Hector non rispose ma quello entrò di prepotenza e si piazzò alle sue spalle. L’ombra gigantesca dell’africano si proiettava sulle assi di legno e aveva inghiottito la sua.
Barbossa si voltò senza guardarlo ed esalò un sospiro di rabbia e tristezza, sorpassandolo, sempre tenendo gli occhi sugli stivali. La scimmietta gli si arrampicò sulla spalla e spiccò un salto fino all’altalena metallica.
- Lasciami solo – pronunciò piano con voce priva d'accento.
Quello sembrò non sentirlo e non mosse un muscolo. – Lasciami solo! – ripeté allora con asprezza alzando il tono e mostrandogli i denti anneriti dal tabacco.
- Sì, capitano – obbedì con riluttanza il luogotenente, uscendo e chiudendo bruscamente la porta. Lui si precipitò a inserirvi due giri di chiave; poi si guardò attorno, raccolse una lampada che dondolava su un gancio del tetto e la appoggiò sul tavolo.
- Vediamo cosa ne sapevi tu – mugugnò tirando fuori un mucchio di carte da più cassetti e poggiandole sulla scrivania.
Non era un uomo colto e istruito, ma neppure del tutto ignorante: sapeva leggiucchiare e scribacchiare quanto bastava per la sua professione. Ma la grafia di quel matto era astrusa quanto il suo cervello, e la confusione incombeva nelle cartacce sparse ovunque.
Impiegò una buona mezzora a mettere ordine in quella caotica accozzaglia di fogli ingialliti e ruvide pergamene ricoperte di inchiostro e macchie, appunti, segni, nomi di luoghi e persone.
Le chiacchiere maligne della ciurma lo incalzavano e turbavano. Si aspettava che abbattessero la porta e lo attaccassero da un momento all’altro.
Ci stava rinunciando, poi il suo sguardo cadde su una cartina delle Antille che riportava alcune parole insolite mescolate ai toponimi.
Hernán Cortés. 1522. Aztechi. Massacro. Dei pagani. Oro. Sangue. Non morti.
Avvicinò il lume alla scritta e si piegò cercando altri vocaboli estranei al contesto, aggiunti da un’altra mano. Rilesse più volte: non ne trovò alcuno.
“ Oro. Non morti.”
Gli uomini non smettevano di litigare scambiandosi insulti pesanti e rivolgendone altrettanti a lui.
Portò le dita nella fondina, impugnò la sua pistola. Il caricatore era pieno. Avvicinò la canna al petto, al centro; poi a sinistra; infine a destra. Aumentò gradualmente la pressione sul grilletto …
Jack squittì balzando sulla spalliera della poltrona.
Per un attimo trasalì e gli vennero in mente le strane frasi dette da due dei suoi qualche giorno prima a proposito della scimmia.
“E pensare che poco fa sembrava morto stecchito! Koheler gli aveva sparato!”
In un secondo indirizzò la pistola contro l’animaletto che, distratto dagli oggetti disseminati sul tavolo, non fece in tempo a scansarsi, e così lo prese in pieno.
Emise un gridolino e corse a nascondersi. La inseguì con lo sguardo e, alzandosi, cominciò a richiamarla. Un poco diffidente, la scimmietta si riavvicinò mostrandosi incolume.
Barbossa sbuffò contrariato e tornò a sedersi. Riprese la pistola e se la appoggiò di nuovo sul torace, sul cuore.
Lo scoppio lo fece sussultare, non la fitta o il bruciore. Si sfibbiò la camicia e passò le dita sul foro lasciato dal proiettile che era schizzato dietro la sua schiena colpendo una parete.
Boccheggiò. Poi sentì le labbra allargarsi piano in un sorriso allucinato e trionfante.

Sotto un brillante plenilunio i pirati seguitavano a discutere con toni infiammati; la ricomparsa del capitano con la pistola fumante ancora in mano li smorzò.
- Capitano? – si fece avanti Ragetti – Vi siete suicidato? – domandò tentennante fissando il buco che aveva nel petto scoperto dalla camicia.
Il filibustiere si tolse dall’ombra e, ruotando le orbite al cielo, lo scostò infastidito tendendo un braccio. Quindi continuò a camminare illuminato dal chiarore argenteo, catturando il loro interesse con un parlare svelto ed energico: - Quante volte abbiamo dovuto rinunciare a combattere? Quante volte abbiamo dovuto privarci di ciò che volevamo per paura di perdere tutto? Ma, gente, ora siamo liberi da ciò che opprime di più gli uomini. Nessuno potrà più fermarci! Possiamo avere tutto! Non abbiamo più nulla da temere, signori.
Fece una pausa ad effetto per poi proclamare vittorioso: -  Siamo immortali!
Gli uomini tacquero sconcertati, poi iniziarono a parlottare sottovoce. Ma nessuno ebbe il coraggio ad alzare la fronte verso di lui.
– Che vi succede? – li riprese con rancore, ma anche preoccupato di non essere creduto.
- Dovreste dircelo voi – rispose cupo a nome di tutti il luogotenente.
- Immortali? – esclamò Twigg compiendo un passo in avanti, allibito e confuso.
- Come gli dei? – azzardò Pintel affiancandosi a lui, emozionato e incerto.
Il capitano allargò le braccia e annuì. Alcuni sorrisero turbati e contenti.
- È una bestemmia! – gridò Bill furioso, oltrepassando i compagni che stavano tra lui e il comandante – Non siamo dei, siamo uomini maledetti! – rimproverò con animosità i colleghi esaltati – E ce lo meritiamo, dopo quello che abbiamo fatto al capitano Sparrow.
Barbossa trovò scomodo l’improvviso ardimento di quell’uomo solitamente tranquillo e passivo e lo assalì con corrosiva irrisione: - Il vostro senso dell’onore ha una maniera assai singolare di manifestarsi, Sputafuoco Bill.
Quello non perse il sangue freddo e gli rispose a tono: - Invece il vostro sembra del tutto sepolto, capitano – lo accusò pronunciando con disprezzo quel titolo.
- Già – ammise lui spavaldo, quindi gli si appressò – Sapete che c’è? Avete sbagliato mestiere. E ora ne pagherete le conseguenze – disse subdolamente puntandogli addosso due occhi furenti e malvagi – Rinchiudetelo – ordinò dopo un profondo respiro.
Nessuno si mosse fin quando Bo’sun, un po’ più restio del solito, non ghermì Turner, che non gli si oppose, strattonandolo in disparte, senza però scendere di sotto nella cella.
Il Capitano al momento non se ne accorse e riprese a rivolgersi agli altri: - Bene, torniamo a noi – sorrise ostentando serenità, poi restò in silenzio come si fosse dimenticato di cosa stavano parlando – La … maledizione? – gli rammentò Ragetti, ancora titubante nel pronunciare quel termine.
- Non lasciatavi impressionare: è solo una parola come un’altra – si affrettò a correggerlo con irriverenza Hector – E in verità, che male ci viene dall’essere come siamo adesso? Siamo invincibili, nessun’ arma può ucciderci! – concluse teatralmente.
- E come fate ad esserne tanto sicuro? – fuoriuscì Koheler, adirato e perplesso.
- Ma vale solo la notte? – avanzò Grapple raccogliendo le incertezze dei compagni.
- Tutte le notti, o solo con la luna? – si aggiunse Twigg, incuriosito.
- E perché siamo così? – domandò Jacoby, quasi piagnucolando.
Barbossa aveva già fatto i conti con quella massa di interrogativi che i suoi gli avrebbero rovesciato non appena avesse esposto quel discorso; ora il suo scopo era far accettare loro la nuova vita cui si erano appena affacciati, e che poteva essere molto vantaggiosa.
Cercò di essere breve e convincente, anche perché non ne sapeva molto neanche lui: - Vi ricordate il tesoro di Isla de Muerta?



Ciao a tutti! Stavolta non ho molto da dire, se non grazie per continuare a seguirmi!Aspetto come sempre i vostri commenti.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9: Avventato ***


Capitolo 9: Avventato

Non aveva più sensazioni fisiche ma penava lo stesso. Sapeva che la prigione della Perla Nera era l’anticamera di un destino peggiore, la cui decisione spettava al capitano.
E Bill Turner si augurava che scegliesse in fretta, perché a stare da solo lì sotto non ce la faceva più. Da diverse ore rimuginava sui suoi sbagli, tormentato dall’impossibilità di ripararli.

Non poteva farci nulla, era sempre stato così di fronte a qualcosa che non accettava: avventato.
La lingua sempre più veloce del pensiero.

Avrebbe dovuto tagliarsela.
Era chiaro che Barbossa stava cercando di sedare il malumore della ciurma sventagliando tesi di onnipotenza a cui lui stesso credeva poco. Era esperto nel nasconderlo, ma pure lui dentro soffriva.
Non erano più né vivi né morti; esseri incompleti; né terreni né sovrannaturali. Mostri, assassini, orripilanti; come se già non lo fossero abbastanza da uomini normali.
Ma il capitano aveva ragione, probabilmente: non doveva mettersi a fare il pirata se aveva simili scrupoli.

Avventato lo era stato tutta la vita, anche quando aveva incontrato lei. Così giovane, così semplice, così fragile.
Era esile, quasi diafana. Lunghi capelli neri e mossi le incorniciavano un viso rotondo da bambina i cui occhi castani, dolci e intensi, lo avevano accolto con lo stesso tepore di un sole primaverile. La sua voce timida e pacata lo cullava con tenerezza, confortante come il canto dei gabbiani dopo la tempesta.
Non gli aveva mai domandato nulla; inspiegabilmente si era innamorata di lui. Gli diceva che era diverso da tutti gli altri marinai che aveva conosciuto e che di lui si fidava. Invece l’aveva tradita, principalmente mentendole su chi era e cosa faceva, e lasciandola per tanti anni da sola.
Non sapeva se l’aveva mai davvero amata, eppure in quel breve tempo trascorso insieme avevano avuto un figlio.
Doveva avere sette o otto anni, ormai; era in grado di capire e in grado di odiarlo perché non c’era mai stato. Le ultime due volte che l’aveva visto aveva appena imparato a camminare; e poi due anni prima. Con quella zazzera bruna e riccioluta e le iridi di un caldo colore marrone scuro, già somigliava a lei, che gli era apparsa ancora bella sebbene sciupata dalla miseria e dalla malinconia.
Egoisticamente gli era un po’ dispiaciuto non trovare alcun tratto di sé in quel bambino tanto buono ed educato. Adesso sperava vivamente che si fosse mantenuto tale.
Chissà se quell’insignificante regalo gli era arrivato, cosa pensava il piccolo William di quel padre schivo e assente, se lo ricordava ancora con affetto o con ostilità.
In ogni caso non lo avrebbe più rivisto, non avrebbe mai saputo che uomo sarebbe diventato. Voleva che fosse come la madre, onesto e generoso, e meno imprudente di lui che si era procurato una vita da disgraziato e ora attendeva invano una morte rapida che cancellasse tutto.

- Allora, vi siete ricreduto? Vi è sbollito l’insensato infervoramento di prima?
L’improvviso spiacevole arrivo di Barbossa lo fece saltare in aria e sbatté la nuca sulle sbarre. Fu più il rumore che il dolore; ormai doveva abituarsi a questo strano fatto.
Il capitano era accompagnato dai suoi fedelissimi, Bo’sun, Twigg e Koheler.
Bill parlò senza alzarsi dal pavimento, gli occhi rivolti alla finestrella da cui entrava l’aria frizzante del mattino, la voce indurita e sprezzante, come non gli importasse più di nulla:
- Io non ha mai approvato il vostro ammutinamento, Barbossa. Non avevate alcuna ragione di estromettere capitan Sparrow. E avete agito contro il Codice.
La risposta di quello, come di consueto, non si fece attendere e fu traboccante di sdegno e sarcasmo: - Eppure siete stato tanto vigliacco da non opporvi, quella notte. D’altra parte, quale nobiltà d’animo ci si può aspettare da un miserabile marinaio della vostra sorta?
Sputafuoco sentì schiumare nella gola la collera. Qualunque cosa avrebbe ribattuto era certo che il suo destino fosse ormai segnato; perciò osò più del dovuto. Si mise lentamente in piedi per avvicinarsi alla porta metallica che lo separava dagli altri quattro pirati.
Hector attese con un’espressione serafica che l’uomo spiccicasse un’ulteriore ingiuria nei suoi riguardi, incrociando le braccia sul petto e inclinando la testa.
- Voi siete avido e malvagio, e non vi resterà null’altro che la dannazione – sussurrò con cattiveria Bill, notando una lievissima ruga increspare lo sguardo del Capitano, che sembrò tradire la sua algidità battendo la punta del piede per terra.
Non appena si accorse di essere guardato, Barbossa dissolse subito l’apparente inquietudine con una grassa risata: - Avete appena sottoscritto la vostra condanna, Sputafuoco Bill. Auguri!
I tre accompagnatori si unirono alla sghignazzata e ad un cenno del comandante aprirono la cella per tirare fuori il prigioniero. Gli strinsero i polsi dietro la schiena e lo spintonarono sulle scalette.
C’era tutta la ciurma riunita sul ponte colorato dai primi raggi arancioni dell’alba che laceravano il blu della notte appena trascorsa.
Barbossa inspirò a fondo rimirando le onde scintillanti nella superficie liscia del mare.
- Dov’è quel cannone scassato? – richiese d’un tratto in un misto di noia e insofferenza.
- L’abbiamo lasciato al suo posto, di sotto – gli risposero alcuni straniti, iniziando a mormorare.
- Portatelo qui, ora – tagliò corto lui lanciando un’occhiata distratta a Turner – Due piccioni con una fava, si suole dire – aggiunse con un ghigno beffardo.
Nella mente di Bill stava materializzandosi un presentimento allarmante. Le gambe cominciarono a vacillargli mentre un brivido gli attraversava la schiena, e sapeva che non era dovuto alla brezza mattutina.
Il capitano gli dava le spalle; Koheler e Twigg lo trattenevano stringendo le corde che legavano i suoi polsi ogni volta che provava a muoversi.
Sputafuoco non riusciva a guardare i suoi compagni negli occhi, o non voleva farlo per paura di leggervi ciò che stava per accadere. Abbassò le palpebre e serrò i denti.
Ma quell’incubo era fin troppo realistico: il cannone mal funzionante era arrivato sul ponte, scortato da risa e urla di scherno.
- Ovvero ci libereremo di due pesi inutili in un sol colpo! – esclamò Barbossa riprendendo il discorso di prima, quasi non ci fosse stata alcuna pausa, anche se a Bill sembrava fosse trascorsa un’eternità.
Più pirati lo attorniarono e gli gettarono altre funi spingendolo a stendersi sul cilindro di bronzo e legandovelo. L’asse di legno sporgeva già dal parapetto di tribordo e i filibustieri vi spostarono sopra l’archibugio annodato con il loro collega. A Bill parve che tutto iniziasse a diventare scuro e privo di suono; convulsamente si mise a gridare con disperazione, rabbia, dolore: - No! Vi prego! Questo no! Abbandonatemi da qualche parte! Ma non fatemi questo!
La sua voce era divenuta patetica, suscitando i commenti infamanti della ciurma, ma Barbossa ammutolì di nuovo tutti, alzando il tono: - Spiacente: non amo ripetermi.
- Siete dannati! E lo resterete per sempre! – furono le conclusive amare parole di Sputafuoco in equilibrio precario sull’asse.
- Andate all’inferno, Sputafuoco Bill! E salutatemi il vostro imbecille amico Jack Sparrow quando lo avrete rincontrato! – replicò Hector sferrando un calcio al cannone che con quest’ultima spinta precipitò velocemente in acqua.


Salute a tutti! Visto, oggi ho lavorato per voi! U.U Scherzo, il capitolo era già pronto, aspettava me che sono stata occupata in questi giorni.
Caspita, questo capitolo è stato parecchio difficile da scrivere, è una scena tremenda e dubito di essere riuscita a renderla al meglio. Ma certe volte credo che usare poche parole, forse, possa contribuire a suggerire la crudezza della situazione. Ma, comunque giudicherete voi!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10: Potere ***


Capitolo 10: Potere

Il veliero nero come il carbone salpò le ancore e prese a navigare spedito, sospinto da un vento afoso e secco.
Capitan Barbossa, dal cassero di poppa, troneggiava con sguardo superbo e fermo la ciurma che si affaccendava, ricurva sul ponte, appollaiata sui pennoni, arrampicata alle sartie. La loro efficienza era evidentemente scaturita dalla preoccupazione di non deluderlo dopo quello che era toccato al loro collega.
Quel Bill Turner era diventato uno strumento scordato, e su una nave, anche se pirata, occorreva anzitutto armonia. Ogni uomo era come un musicista appartenente ad un’orchestra: la riuscita di ogni impresa piratesca dipendeva dalla loro compattezza, dal loro affiatamento. Perciò aveva capito che non c’era più posto per lui
- Capitano? Voi non lo avete ucciso. Lo sapete, vero?
Gli occhi di Hector lasciarono le onde ambrate per incrociare l’unico che restava allo sventato marinaio che aveva esposto quella spiacevole considerazione.
- Lo so. Nessuno di noi può più morire – esalò con una calma molestamente infondata. Gli uomini si erano fermati a guardarlo con espressioni variopinte. Si accostò alla ringhiera:
- Perciò occhi aperti e armi pronte! Questa è una rotta prediletta dai mercantili. Al lavoro!
In un baleno i pirati si eccitarono e ripresero le loro occupazioni, predisponendo lame, pistole e vele, per non farsi trovare impreparati in caso di un avvistamento.
Solo Ragetti era rimasto imbalsamato accanto al capitano, forse ripensando alle parole che gli aveva rivolto poco prima.
- Mastro Ragetti, vi funziona bene quell’occhio? – lo risvegliò Barbossa con un tono di minaccia.
Il filibustiere prese a balbettare: - Io … sì. Non sono certo un’aquila, ma non mi posso neanche  lamentare … - si schermì arretrando con le mani in tasca.
Hector gli picchiò un piccolo cannocchiale appena uscito da un cofanetto di legno sul petto, offrendoglielo . – A voi.
Lo scarno marinaio annuì, impugnando l’oggetto con cura e decisione, per poi salire sulle griselle e posizionarsi sulla coffa di trinchetto.

Bill avvertì di aver toccato il fondo. Non c’era più luce attorno a lui. Tutto era blu, sereno, privo di suono.
Però non lo rincuorava affatto. Smise di trattenere il fiato con un tremendo bisogno di annegare; ma non successe. Era ancora, assurdamente, vivo, e chissà per quanto lo sarebbe rimasto.

- Vele a prua di babordo!
L’annuncio entusiastico della vedetta ruppe l’atmosfera di attesa che stava cristallizzando le azioni della ciurma da un paio d’ore, e passò di bocca in bocca fino a raggiungere la cabina del capitano. Questi si slanciò sul ponte, il volto illuminato dalla brama e dall’impazienza.
- Fuori i remi! – urlò a squarciagola.
In pochi minuti il vascello fu perfettamente visibile ad occhio nudo, grazie anche all’assenza di foschia sull’orizzonte chiaro e limpido.
- Bracciate il pennone! Issate la bandiera! Munite i cannoni!
Le operazioni si susseguivano in modo frenetico e preciso, e in breve il galeone e i suoi marinai non ebbero più scampo.
Un paio di bordate ben assestate e la pesante imbarcazione perse un albero, rallentando considerevolmente la sua andatura. Rientrati i remi la Perla virò in poppa e, con un’agile strambata, abbordò il mercantile, su cui gli uomini, impauriti ed esagitati, si preparavano come meglio potevano a difendesi.
I corvi della nave pirata si appigliarono alla murata destra della nave spagnola, bloccandola, mentre i predoni del mare, scagliando i rampini, si lanciarono sui malcapitati, con le spade sguainate e le pistole alla mano.
Gli assaltati li respinsero con foga, ma le loro armi erano troppo poche, e la loro esperienza nel maneggiarle troppo esigua di fronte a quel compatto gruppo di ladri e assassini, che si batteva senza alcuna incertezza o timore.
Oltretutto i marinai aggrediti iniziarono a notare la strabiliante resistenza di quei furfanti a tagli e pallottole, che non riducevano le loro forze …
- Estos son almas depravadas! Demonios del infierno!
Gridavano atterriti, vedendosi investiti da una simile furia e brutalità e, nel giro di pochi minuti, i decimati sopravvissuti si arresero agli assalitori.
La stiva traboccava di suppellettili preziose che avrebbero arricchito le case di sovrani e principi, e stoffe pregiate destinate alla sfarzosa nobiltà d’oltreoceano.
Barbossa, che aveva scrutato con estrema concentrazione il lavoro dei suoi, limitandosi ad alzare e abbassare le sopracciglia e digrignare i denti, ad ogni colpo da loro inferto o subito, ora aveva un sorriso giocondo ad increspargli le guance: andando avanti così sarebbero divenuti gli uomini più ricchi del mondo. I padroni dei mari.

I suoi sensi stentavano ad abituarsi a quel luogo. Non aveva freddo, né si sentiva fradicio o stanco di quelle corde che lo avvolgevano insieme al vecchio cannone che l’aveva trascinato sul fondale sabbioso. Era, alla prova dei fatti, morto ma cosciente, sebbene cieco in quella oscurità imperscrutabile.
Ancora solo, con i suoi tormenti: fossero bastati quelli ad ucciderlo!
Sputafuoco non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso dall’ultima boccata d’aria salmastra, dall’ultimo istante di luce dorata e viva. Continuava ad ingoiare acqua, perché la sua sete non si era spenta e mai si sarebbe placata, insieme alla fame. Sarebbe rimasto così. Per l’eternità. Ogni sorso era come se fuoriuscisse, come se non avesse più il controllo del suo corpo. Non era più suo. Non era più lui; era un relitto di ciò che era stato, o quello che sempre aveva meritato di essere.
Abbandonato da tutti; nessuno aveva mosso un dito per aiutarlo. Non era certo mai stato un uomo perfetto e irreprensibile, eppure non si ricordava di avere mai fatto gravi torti imperdonabili ai suoi compagni.
Per cosa si angariava ancora? Erano pirati. Punto.
- Io ti posso offrire uno scampo.
Una voce. Una voce? Lì sotto? Com’era possibile? Una voce, flebile, aspra, apatica. Invitante. Ripeteva quella frase sibillina, quasi divertita.
Gli sembrò che il buio fosse meno denso e meno vuoto. L’acqua si muoveva intorno, frusciava piano, poi sempre più forte.
- Io ti posso offrire uno scampo. Cento anni ancora sopra coperta. Vuoi unirti alla mia ciurma?
Stava delirando. Decisamente. Doveva essere così. Ma due occhi freddi come un lago congelato da innumerevoli inverni lo stavano incatenando a dare una risposta.
E quella creatura, che pareva uscita da un incubo scaturito da troppa suggestione concessa ad una favola marinaresca, prospettava una possibilità di scelta.
Aveva davvero ancora potere sulla sua vita?



Vi chiedo umilmente scusa per l'ENORME ritardo con cui posto questo nuovo capitolo! Non mi era mai capitato prima di far passare tanto tempo tra un aggiornamento e l'altro, ma questo mese è stato pieno di impegni e l'ispirazione languiva di fronte ad altre preoccupazioni, in primis la tesi che sto iniziando a scrivere. Comunque finalmente ci sono riuscita, e adesso attendo come sempre di leggere i vostri pareri.
Ringrazio tutti i lettori che mi seguono. A presto! (spero^^)

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11: Il rimedio ***


Capitolo 11: Il rimedio

Ad ogni sua apparizione, tra le onde agitate del mare aperto o nelle acque placide di un porto, la Perla Nera scoraggiava ormai ogni forma di resistenza o reazione. Per tutti i marinai il galeone dalle vele nere era un appariscente vascello fantasma con a bordo anime fosche, scampate dagli inferi per portare morte e distruzione.
La leggenda aveva preso corpo in brevissimo tempo.
Barbossa andava fiero della storia e della rapidità con cui si era diffusa. Era passato solo qualche mese dalla scoperta della maledizione e lui e la sua ciurma avevano già saccheggiato e accaparrato una quantità di tesori tale da umiliare la più longeva e gloriosa nave pirata che avesse mai solcato delinquentemente i sette mari.
Ma il vento che tanto aveva spirato a loro favore non aveva più la capacità di gonfiare i loro animi, così come non smuoveva affatto le vele squarciate che pendevano inermi dai pennoni, quasi come monito della vacuità della loro esistenza.
Tutto era tetro e desolato attorno alle loro vite, trasformate in un incubo ad occhi aperti. Neanche la cara vecchia Tortuga con i suoi mille passatempi bastava a cancellare quel senso di incompletezza dai loro cuori. Non si stupivano più della loro natura, del timore che incuteva la loro fama sinistra, degli straordinari bottini che anche quella notte avevano riversato nelle cavità di Isla de Muerta.
Quell’isola sperduta nel mar dei Caraibi che era divenuta il loro covo, custode silenziosa dei loro criminosi guadagni, provenienti da scontri sanguinosi unicamente per le vittime degli arrembaggi. Una foschia impenetrabile la avvolgeva perennemente, la stessa che accompagnava la navigazione della Perla e gli angosciati e ben taciuti pensieri dei suoi uomini.
Bastava una scintilla.
- Hey! – urlò stizzito Ragetti voltandosi e sondando il ponte rischiarato dalla luce lattiginosa della luna. Si chinò a raccogliere un proiettile caduto ad un metro da lui.
- Scusa! Ti ho fatto male? – si fece avanti Pintel dondolando la pistola e ridacchiando accompagnato da altri tre compagni.
- No! – rispose con fin troppa enfasi quello, tornando ad occuparsi di rafforzare alcuni nodi. I colleghi continuarono a ghignare e qualcuno premette di nuovo il grilletto facendogli scappare un gridolino, se non altro per il fragore improvviso.
- Allora perché ti lamenti? – cantilenò con un tono irritante Grapple, ma stavolta il biondino afferrò d’impulso la sua rivoltella e li colpì a sua volta.

Barbossa si svegliò di soprassalto. Erano spari quelli, ne era sicuro. Ma a quell’ora, in pieno oceano era molto strano. Continuavano e gli sembrava di sentire pure il rumore stridente di spade che cozzavano e un intenso calpestio.
Jack gridava inquieto facendo la spola tra il suo letto e la porta, grattandola.
Possibile che qualcuno fosse stato tanto temerario da attaccarli? E che non fossero riusciti a fermarli prima che si lanciassero a bordo? Erano troppo esperti, lo escluse. Ma un acuto e ancor più sgradito sospetto catturò la sua mente. Uscì dalla cabina, senza perdere neanche il tempo di indossare giacca, stivali e cappello. Già gli sembrava di avere le catene ai piedi e la testa gli fumava dal rancore e dal dispetto. La confusione era aumentata e non incontrò nessuno per i corridoi. La scimmietta lo precedette correndo su quattro zampe.
Quando sbucò sopra coperta impiegò qualche secondo ad abituare le pupille alla scarsa luce bianchiccia mandata dalla mezza luna sulle sagome in movimento.
Ossa, ossa, ossa ovunque guardava. Non c’era nessuno a parte gli scheletrici componenti della ciurma. Era tutt’altro che positivo constatare che stavano combattendo gli uno contro gli altri. E con quale accanimento!
- Che diamine state facendo? – tuonò con un frammisto di sdegnata esasperazione e inutile minaccia. Poco a poco si fermarono abbassando le armi e Pintel si giustificò con un mezzo sorriso: - Ci annoiavamo.
- E vi pare un buon motivo per sprecare le munizioni? Ma che avete nel cervello?! Alghe morte? – si rammarico di non poterli picchiare a sangue, sebbene era come se la sua voce infuriata lo stesse facendo. Non sembravano avere poi così paura di lui. Persino Ragetti replicò sfacciato: - Siamo stanchi di questa situazione!
Poi prese la parola Twigg: - Abbiamo portato un mucchio di roba su quell’isola.
- Già. E non ce ne faremo mai niente – lo appoggiò ruvido Koheler.
Il capitano non sapeva come ribattere mentre tutti lo fissavano facendolo sentire insopportabilmente colpevole.
- Vogliamo tornare come prima – biascicò Ragetti con sincera tristezza.
- Volete morire! – esclamò astioso e incredulo Barbossa. Nessuno fiatò riflettendo sui pro e i contro della situazione. Il capitano provò a rafforzare quel tentennamento per riportarli dalla sua parte: - È inutile che vi lamentate per la fame: non ci serve il cibo.
- Perché lo desideriamo, allora? – lo contraddisse subito Pintel. Ora anche i meno arditi osavano tenergli testa.
- Ci abitueremo – garantì sbrigativamente.
- No, capitano – lo rimbrottò altero Bo’sun, scostandosi dalle sue spalle e piazzandoglisi davanti – Vogliamo tornare a vivere – proferì con accalorato abbattimento – E voi dovete trovare un rimedio – puntualizzò prima di allontanarsi a lunghi passi, con palese rincrescimento.
Gli altri cominciarono a mormorare mantenendo gli occhi sul capitano: - Bè, allora lo farò – si limitò ad annuire teso ad alta voce, e senza aggiungere altro scelse di rientrare nella sua cabina.
Si adagiò sul letto restando supino e lanciando occhiatacce al soffitto. Se non voleva perdere tutto non poteva continuare ad agire egoisticamente. E in realtà anche lui stava male da tanto tempo. Si sentiva la bocca ricolma di sabbia e polvere, nello stomaco gli pareva di avere dei tarli che lo rosicchiavano senza tregua, e più sotto un braciere sempre acceso. Per il resto era come pietra, insensibile all’aria, al tepore, al freddo, alle ferite.
Ebbe un piccolo sussulto quando Jack gli saltò in grembo. Aveva qualcosa fra le dita che al buio non seppe distinguere ma continuava a metterla sotto i denti, non capendo che non serviva ad ingannare la morsa della fame. Si mise seduto e accese un lume vagando per la stanza. L’animaletto non si fece distrarre e seguitò a sgranocchiare. Aveva finito tutta la frutta fresca che gli lasciava sul tavolo e fu curioso di capire cosa avesse preso.
- Piccolina, fammi vedere cos’hai – la accarezzò; la scimmietta aprì riluttante la piccola mano e lui restò interdetto: era una moneta del tesoro azteco e Jack la riagguantò svelta, scappando in un angolo e ricominciando ad addentarla.
Gli dava un senso di impotenza vederla comportarsi così. Era un esserino innocente e non si capacitava di averle potuto fare del male.
Quel maledetto tesoro! Pensò che probabilmente Sparrow lo avesse voluto punire di proposito. Ma non doveva lasciarsi annebbiare la mente dalla collera. Anche la sua spocchia aveva pagato, alla fine.
Adesso doveva davvero trovare un modo per riconquistare la fiducia della ciurma e la sua vita. Non era semplice.
Doveva parlare con qualcuno che credesse alla loro storia, che capisse qualcosa riguardo i sortilegi e che sapesse suggerirgli cosa fare.
Forse sapeva dove andare.



Hey! C'è qualcuno?! Spero di sì ^^, anche se è passato tanto tempo! Comunque vi annuncio che finalmente sono anch'io in vacanza e che gli utlimi capitoli compariranno a breve! Stavolta ho messo da parte Sputafuoco per dare più spazio a Barbino, ma tornerà nel prossimo capitolo, non temete!
Ringrazio come sempre tutti coloro che mi seguono e chi continua a leggere anche le mie altre ff sui pirati mettendole tra i preferiti, i seguiti o da ricordare.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12: Cambiare ***


Capitolo 12: Cambiare

Il legno del ponte tremava, le frasi si smarrivano nel frastuono dirompente e ognuno si muoveva più spinto dall’istinto di sopravvivenza che dall’obbedienza dovuta agli ordini, ululati, tra i tuoni e le onde, dai superiori. Era un’altra, dannatissima, notte di burrasca che avrebbe dissanguato qualunque ciurma mortale avesse tentato di domarla.
Ma loro erano di un’altra specie. E lui stava iniziando a tramutarsi in loro.
Sopravvivere. Questa, dopotutto, gli era parsa la scelta.
Tuttavia Bill riconobbe che era stato avventato, di nuovo.

- Vuoi unirti alla mia ciurma?
Quell’ulteriore replica del signore dei mari era parsa più una provocazione che un invito.
Tutto sommato non era sicuro che gli sarebbe riuscito di parlare; mosse le labbra velocemente, sconsolatamente: - Sì … Sì, accetto.
In un baleno era in superficie, era libero dalle corde.
Tuttavia la luce del sole, che aveva così fortemente agognato durante quella prigionia sottomarina, non riuscì a vederla. Si convinse che fosse colpa del tramonto inoltrato.
- Il tuo nome?
Il leggendario capitano lo scrutava con sufficienza, ansioso di terminare quegli odiosi convenevoli.
Gli dava a dir poco i brividi l’aspetto suo, del suo veliero e dei suoi ospiti, e la lingua continuava ad incepparsi mentre cercava di cogliere i dettagli dell’ambiente. La nave era come ricoperta di alghe e crostacei, e i marinai, erano più creature marine che uomini ormai.
Davy Jones ripeté la domanda irritato, muovendo un passo verso di lui.
- Sputafuoco … – farfugliò arretrando, ancora confuso e un po’ impaurito - Bill … Turner – aggiunse in un sussurro, distogliendo lo sguardo.
- Sputafuoco! Nome bizzarro! – commentò il capitano ridacchiando con gli altri – Trovatevi qualcosa da fare! – lo spronò quindi burberamente, voltandogli le spalle e zoppicando fino alla cabina.

- Sputafuoco Bill! Stupido pelandrone che non siete altro! Ma dove ce l’avete la testa oggi?
Solo con quello sgraziato richiamo Turner si accorse di aver mollato una cima che aveva allentato la vela di mezzana abbandonandola alla corrente.
Mortificato per l’incauta svista, si affrettò a riparare correndo a recuperare la corda, tirando con tutte le forze per sistemarla. La pioggia rendeva ancora più difficoltosi i movimenti e il cielo plumbeo confondeva le sagome dell’equipaggio con le stravaganti decorazioni dell’Olandese Volante facendolo inciampare e scontrare ripetutamente con gli altri.
- Rendete grazie che non vi abbia notato il nostromo o vi sareste alleggerito di un bel po’ di carne! – gli latrò contrò uno di loro quando lo scorse agguantare ben fermo la corda.
- Cosa? Io …? – balbettò con i nervi scossi, guardandosi attorno in cerca di chi gli avesse rivolto quell’avvertimento.
Era lì da tre mesi, ormai, ma gli era difficile imparare i nomi di quei … non sapeva nemmeno come definirli; e molti avevano cambiato volutamente nome per tacere la loro vera identità, di cui probabilmente si vergognavano, per come si erano ridotti.
La tempesta si quietò all’improvviso, nella volta violacea si accendevano alcune timide stelle e Bill si fermò a scrutarle, riposandosi mentre gli altri cominciavano a ritirarsi sottocoperta.
L’umore di quella ciurma era sempre pessimo, a meno che non incappassero in qualche nave naufragata. Allora lui preferiva nascondersi, ma un paio di volte avevano insistito a trascinarlo con loro.
Parte della nave, parte della ciurma, seguitavano a ripetere. E se rifiutava di sottomettersi a quell’unica, semplice, terribile regola … non aveva idea di cosa gli sarebbe capitato.
Aveva giurato di servire per cento anni, ma gli era ormai chiaro che non avrebbe mai più lasciato quel vascello. Nessuno era mai andato via dall’Olandese Volante. Da vivo.

- Sicuro di voler andare da solo, signore?
- Sì, Bo’sun. Tu pensa alla Perla. Mi basteranno due che sappiano remare di buona lena, altrimenti sarà già buio quando saremmo arrivati.
- Vi fidate di quella? Dicono sia infida.
Barbossa non rispose al suo scrupoloso primo ufficiale e, facendo cenno ai marinai di calare la scialuppa, mantenne un’espressione altera e sicura finché non riuscì più a distinguere le facce degli uomini a bordo.
Twigg e Koheler restarono in un nervoso e apprensivo silenzio  mentre vogavano in quelle acque verdastre, via via sempre più scure e intralciate dalle mangrovie.
Il capitano non osò intersecare i loro volti, ripercorrendo piuttosto con calma i passi che lo avevano condotto sin lì. Negli ultimi giorni ovunque avesse chiesto, senza specificare quale fosse il suo dilemma, tutti avevano dato la medesima indicazione: in materia di stregoneria nessuno era più esperto della sacerdotessa voodoo che abitava una palafitta in fondo ad una baia, non lontano da un’ isola di cannibali, i Pelegostos.
Il posto lo aveva infine trovato, ma il problema era capire con quale nome chiamarla, dato che gliene avevano forniti diversi. In quel momento ricordava solo Alma … Dettaglio trascurabile, si disse. Invece era un po’ preoccupato per l’eventuale pagamento. Non era del tutto certo di riuscire a giostrarla.
Il cielo era vicino all’imbrunire quando la barca si accostò alla scaletta che pendeva da quella baracca, all’apparenza abbandonata. Hector non fece in tempo a rivolgersi ai suoi che vide venirgli incontro una donna dall’aspetto insolito e attraente che con una sola rapida e intensa occhiata gli diede la sensazione di aver letto i suoi pensieri, come parvero confermare le parole che pronunciò con un largo e seducente sorriso: - Ah, ecco perché è da stamani che la palude mormora. L’immarcescibile capitan Barbossa è venuto a chiedere il mio aiuto!
Twigg e Koheler si scambiarono uno sguardo tra lo stupito e il sospettoso mentre il comandante raggiunse la bruna fattucchiera la quale gli domandò esigente: - Cosa mi avete portato di bello?
Barbossa si ricompose dalla meraviglia, riappropriandosi della sua rinomata sagacia e imperturbabilità: - Sono venuto a chiedervi un consulto e può darsi anche che non sappiate soddisfarmi, perciò non pago in anticipo.
- E io non parlo – asserì la donna sorridendo tra sé, quindi con un ridolino di scherno lo prese sottobraccio per condurlo all’interno, ma subito si ritrasse con una smorfia: - Come siete freddo! – sbottò squadrandolo con sdegno e interesse.
Il filibustiere si irrigidì e portò gli occhi altrove, serrando le labbra.
- Entrate! – la padrona di casa gli additò una sedia e dopo che lui la accettò, piegandovisi con lentezza – Come ci siete arrivati lì? Nessuna nave è mai stata in grado di trovarla … e tornare … - affermò con un’intonazione che il pirata non seppe se considerare sorpresa o adirata. Era l’esemplare del gentil sesso più singolare e oscuramente affascinante che avesse mai incontrato. Senza chiarire il suo dubbio le posò sulle mani la cartina con le parole abbozzate da Sparrow.
La donna avvicinò a sé il foglietto: - Chi l’ha scritto?
- Questo non importa – borbottò l’uomo al che lei replicò con disinvoltura: - Una maledizione azteca, legata ad un tesoro che avete rubato, destinato a Cortez.
- Sì, questo lo so già – ribatté il capitano, iniziando a spazientirsi per il modo di fare della strega – Vorrei sapere se c’è un rimedio – ammise un po’ sconfortato.
La signora proruppe in una inquietante risata: - Ovvio che c’è! Qualunque maledizione può essere spezzata.
Hector avvertì un tenue sollievo e si concentrò ad ascoltare, ma rimase deluso quando quella dichiarò beffarda, avvicinando il viso al suo e incatenandolo coi suoi occhi accesi eppure languidi: - Il resto dopo il pagamento.



Eccomi! Stavolta sono tornata prima col nuovo capitolo ed è tornato pure Bill che vi piace tanto!
Bene, ammetto che ho azzardato ad inserire la cara Tia Dalma pure qui, ma d'altronde ho avuto l'impressione che il buon Barbossa la conoscesse da prima di quando ce li hanno fatti vedere nel film, pensiero mio su cui non mi aspetto consenso assoluto, anzi sono curiosa del vostro parere!

Mille grazie a tutti i lettori! Un bacio a tutti! A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13: Un colloquio da ricordare ***


Capitolo 13: Un colloquio da ricordare

Il maturo capitano della Perla Nera era spaccato in due, indeciso su come comportarsi. Smise si fissarsi il palmo appiccicaticcio della mano destra e cominciò a gettare occhiate dubbiose all’accozzaglia di barattoli e vasi di vetro ripieni di resti di animali e piante, e alle esotiche chincaglierie che lo circondavano.
Dovevano essere passati molti viaggiatori da quella baracca.
Comunque, quella stramba fattucchiera dalle sentenze criptiche, lo aveva prima tenuto sulle spine, sparendo per quasi un quarto d’ora nel retro della sua abitazione senza dire nulla, poi, una volta tornata, gli aveva chiesto di porgergli il braccio destro e aveva afferrato la sua mano cospargendola di una imprecisata sostanza unticcia attinta da un vasetto di creta. Quindi, trattenendolo con durezza, aveva osservato con meticolosità le linee che percorrevano il suo palmo. E in quel momento era un bene che avesse perduto la sensibilità, tanto aveva esposto la sua pelle alla fiamma di una candela.
Da qualche minuto, mormorando sillabe che non aveva afferrato, si era defilata di nuovo dietro le tende colorate.
Ora Barbossa era seriamente solleticato dalla tentazione di alzarsi e andarsene, tuttavia il suo proposito fu eclissato dalla subitanea, inconscia, convinzione che non doveva. Si sentì un coniglio credulone, ma l’assillante certezza che quella non fosse soltanto un’atipica donna un po’ schizzata, gli teneva schiena e sedere ben attaccati alla poltrona e i piedi incollati al pavimento, sul quale, tra l’altro, strisciavano rettili e insetti di ogni genere, come gli facessero la guardia.
L’attutito e poi sempre più vicino rumore di passi gli fece alzare il viso verso una rampa di scale dalle quali la sacerdotessa si ripresentò: - Ah, siete ancora qui – attestò con stupefacente candore.
- Non mi avevate ancora congedato – rispose garbato lui, smorzando il malumore che gli faceva conficcare le unghia nella carne delle mani.
- Ah, siete più a modo di quanto immaginassi – cinguettò allegramente la mora tornando vicino al tavolo per poi enunciare di punto in bianco un’altra frase incomprensibile: - Mai sentito parlare di pirati nobili?
Nonostante la gravità con la quale la misteriosa donna gli avesse rivolto quella domanda, il pirata non si trattenne dal replicare ironico: - Mi sembra una contraddizione!
- E lo è – mugugnò quella con una sfumatura tanto rancorosa che procurò non pochi interrogativi al suo ospite – Ma vi occorrerà diventare uno di loro – concluse svelta chinandosi sul tavolo, fingendo di rassettare la miriade di oggetti che lo ricoprivano.
Hector si mise in piedi e incrociò le braccia al petto ponderando le parole prima di esprimersi: - Alma …
La signora si rizzò e acuminò i suoi grandi occhi di un nero vellutato a quelli cerulei e pungenti dell’uomo di mare, che parevano volerla sbriciolare: - Vi piace l’Oriente? – mugolò sfoggiando un nuovo sorriso amorevole, avviandosi verso di lui – Dove tutto è ancora nuovo, da scoprire? – gli sussurrò, adagiando una per volta le piccole dita sulle sue spalle e fissandolo con la testa inclinata e un’espressione da adescatrice, affabile e indecifrabile.
Il capitanò incespicò scavando tra le sue scarse nozioni sulle terre del sol levante, cercando di trovare un senso a quelle ermetiche frasi. Proprio non capiva cosa potesse avere a che fare con la maledizione o col pagamento.
Intanto lei, in attesa che rispondesse, continuava ad accarezzargli lievemente le braccia e risaliva provocante verso il suo collo, accostandovi le labbra. Ma non gli procurava altro che irritazione. Si scansò seccamente, arretrando verso la porta: -  Siete una strega! – inveì con bile, suscitandole un riso compiaciuto che scoprì poco a poco i suoi denti macchiati e brillanti tra i quali sospirò: - È tutto ciò che voglio da voi, capitan Barbossa.
Il filibustiere assottigliò lo sguardo, increspò la bocca e, intrecciando le dita sulla cintura, incedette in direzione di lei: - Voi siete una donna piacente …
- Ma che diavolo avete capito? Razza di porco! – urlò quella indignata respingendolo e sottraendosi alla sua vicinanza.
L’uomo si sentiva frastornato e sbatté più volte le palpebre: - Che accidenti vuoi da me?
- Umph! Credevi mi accontentassi di così poco, come pagamento? – sogghignò la veggente deridendolo. – Dovete diventare un pirata nobile e questo è quanto – chiarì perentoria – Mi porterete lo scalpo di colui che sostituirete e il suo medaglione. È l’ultimo discendente del primo Consiglio della Fratellanza e infesta il Mar Caspio.
Barbossa strabuzzò gli occhi restando a bocca aperta: - È una cosa che … - scosse la testa, confuso e contrariato – Chiedetelo a qualcun altro! Io ho una certa urgenza. Ho fatto male a venire qui! Ho perso il mio tempo!
- Ah! Avete l’eternità davanti a voi – confutò Tia Dalma divertita; poi tornò di colpo seria agguantandolo per il polso: - Siete voi a doverlo fare, vogliate o no. E per quanto riguarda la maledizione: ogni singolo pezzo del tesoro va restituito e il sangue ripagato.

I due pirati rimasti sulla scialuppa fuori dalla palafitta sbadigliavano a turno e si scambiavano pugni e gomitate per non cedere al richiamo persistente di Morfeo.
Finalmente una sagoma pallida e luccicante si stagliò nel buio quasi totale che ammantava quel luogo.
- Capitano! – esordì Koheler mettendosi in piedi – Iniziavamo a preoccuparci. Stavamo per entrare e venirvi a prendere – disse con un filo di irrisione.
- Pensavamo vi avesse accoppato – ciancicò Twigg nello stesso istante in cui il comandante prese posto sulla barca. Sia questo che il collega gli rivolsero un’occhiata che valeva una stoccata: - Oh, già. Non poteva farlo, in ogni caso – balbettò sedendosi crucciato.
- Allora? Che vi ha detto? C’è un modo? – domandò con impazienza Koheler dato l’atteggiamento elusivo di Barbossa.
Lui tentennò, osservandosi pensieroso gli ossicini delle falangi e il polso scoperto prima di replicare aspramente: - Cosa siete voi, mosche bianche che dovete saperlo prima degli altri? Parlerò davanti a tutti. Mano ai remi!

Era un manto spesso, pesante e intricato la fibrillazione che sprizzava dalla ciurma della Perla Nera, in ansia di conoscere la sospirata soluzione al crudele maleficio che li aveva condotti in uno stadio di confine tra morte e vita.
Il capitano era tornato e tutti facevano capannello attorno a lui, ciondolando dalle varie sporgenze e cime della nave
- Dobbiamo portare indietro il tesoro che abbiamo preso. Ogni pezzo – annunciò seccamente Barbossa.
Silenzio denso di incomprensione e stupore.
- Ci vorranno anni! – strepitò uscendo dall’ombra Ragetti. Qualche altra voce si unì alla sua ripetendo la sua battuta.
- Allora è meglio cominciare subito – ribatté, per nulla scomposto il capitano, avviandosi rapido alla sua cabina, fra i commenti infiammati e discordi dell’equipaggio che non si arrestavano.



Rieccomi miei amatissimi lettori! Essendo in procinto di partire, pubblico oggi il penultimo capitolo di questa mia terza longfic!
Già, è venuta più lunga di quanto immaginassi! Durante il viaggio scriverò l'epilogo.
Ammetto che il pagamento forse l'ho complicato troppo: non mi veniva altro in mente, ed ho un'ossessione maniacale nel voler collegare i fatti dei tre film!
Invece il caro Bill l'ho lasciato di nuovo da parte perchè credo di aver detto abbastanza di lui e non vorrei ripetermi e annoiarvi.

Curiosissima come sempre di leggere le vostre opinioni, auguro a tutti una buona estate!
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Epilogo: Caccia grossa ***


Salve a tutti! Ecco a voi l'ultimo capitolo di questa fanfiction. Non è molto fantasioso, l'ammetto, ma in fondo era così che l'avevo pensato sin da quando ho iniziato a sciverlo, dovendomi ricollegare all'inizio del primo film.
Ringrazio tutti coloro che hanno seguito questa storia, chi l'ha messa tra le preferite e chi mi ha lasciato un commento: Lione94, Summerbest, stellysisley, duedicoppe, Roxar, Laura Sparrow, Nebbia4e, LadyKiki90, xLostMemoryx.

Lione94, Summerbest, stellysisley, duedicoppe: a voi, che siete state le mie più assidue lettrici e commentatrici, va il mio più sentito ringraziamento. Mi avete spinta a continuare attraverso il vostro affetto e apprezzamento. Grazie anche a chi leggerà in futuro.

Buona lettura e a presto!


Epilogo: Caccia grossa

L’aria era ancora fresca e limpida e il cielo striato di blu e violetto si stava spogliando delle ultime stelle della notte, mentre riecheggiavano i canti degli uccelli mattutini.
Capitan Barbossa con uno scatto deciso balzò sulla piattaforma della palafitta e diede alcuni colpetti di nocche alla porta.
Tia Dalma si affacciò appena con un grosso sbadiglio che diventò poi un sorriso fioco:
- Bentornato, mio dannato amico – lo accolse beffarda, stringendosi nello scialle ricamato.
- Sono venuto a portarti il mio pagamento – annunciò indispettito lui spingendola per entrare. La donna gli voltò le spalle e si affrettò ad accendere qualche candela per illuminare l’interno.
Il pirata gettò sul tavolo un borsellino di stoffa scura che all’impatto con il legno emise un rumore sordo. La sacerdotessa lo raccolse e, tirando via il cordino che lo chiudeva, ne uscì fuori con cura il contenuto.
Prima si soffermò ad analizzare il tessuto di pelle rotondeggiante che recava alcuni ideogrammi: - Sì, è lui! – esclamò inviando un’occhiata di ringraziamento al capitano, quindi sollevò dalla catenella una collana con un grande ciondolo argentato con inciso un volto a forma di cuore. Strinse i denti corrugandosi.
Barbossa, preoccupato di aver fallito, afferrò di nuovo il sacchettino tirando fuori un altro medaglione, verde e a forma di rombo, mostrandolo alla signora.
- No, quello puoi tenerlo – gemette lei stringendo più forte l’oggetto che teneva in mano e sospirando. – Su di voi c’è ancora la maledizione, vedo – asserì dopo qualche secondo, alzandosi e scagliandogli uno sguardo derisorio.
- Il denaro viaggia più in fretta della Perla Nera – ammise con stizza il filibustiere mentre la fattucchiera gli affibbiava la collana con il gioiello verde bottiglia.
- Dovreste concentrarvi più alacremente sull’obiettivo. L’oro vi chiamerà di nuovo, fino all’ultima moneta – gli garantì lei sfiorandogli vezzosa il mento – E non dimenticatevi del sangue – gli rammentò più severa. – Ora ho da fare – concluse spiccia sospingendolo verso l’esterno.

- Le abbiamo contate e ricontate, signore. Sono 882!
- Quella fottuta sgualdrina vi ha ingannato! – lo accusò Bo’sun calciando alcune suppellettili pregiate poggiate alla rinfusa tra le rocce della caverna.
Hector manteneva gli occhi irosi e delusi sulle splendenti monete racchiuse nel forziere di pietra, rifiutandosi di ascoltare le imprecazioni della ciurma e arrovellandosi sul possibile errore che ancora li rendeva schiavi di quel maleficio.
- Ci vuole più sangue! – sostenne Twigg, tagliandosi una vena e invitando altri a copiarlo.
All’improvviso qualcuno gridò trionfante: - Aspettate! Sono 881!
Il capitano in parte si rianimò: - Ne siete sicuro, mastro Ragetti?
- Da quando sai contare, tu? – confutò Pintel scettico.
- Da sempre, amico – si scrollò altezzoso quello.
Grapple si frappose drizzando due dita: - Vuol dire che ne manca una sola? – domandò incerto, il collega annuì guardando Barbossa che restava assorto e neutro.
- Ma è impossibile! – riprese a sbraitare il luogotenente – Sono più di due anni che mettiamo a ferro e fuoco tutti i porti e le navi dei Caraibi! Come può esserci sfuggita?
Altri uomini alzarono la voce associandosi alla sua incredulità e frustrazione.
Il capitano ebbe un'illuminazione, esplose in alto un colpo di pistola e quando tutti si zittirono sillabò con acredine: - Sputafuoco!
- Il vecchio Bill! – pigolò Ragetti deglutendo.
- L’ha portata con sé?! – replicò afflitto Pintel scatenando ulteriori lamentele e supposizioni fra i colleghi.
- Ci serve anche il suo sangue! – gracchiò Barbossa – Quel meschino furfante era con noi quando abbiamo scoperto il tesoro!
- E potrebbe averne spedito un pezzo alla famiglia – dedusse il bucaniere con l’occhio finto mentre altri annuirono.
- Diavolo! – sputacchiò Koheler - È fastidioso anche da morto quello lì!
- Ma come facciamo a recuperarlo? – chiesero Jacoby e qualche altro.
- Non si può più, ormai appartiene al mare – ammise con amarezza Barbossa; quindi rialzò lo sguardo fiero contagiando i suoi – Però se ha un erede ora sappiamo dove cercare. Preparate la rotta per l’Inghilterra: si va a caccia.



Piccolo appunto sul medaglione: ho pensato che Barbino, non avendo avuto da Tia indicazioni precise, avesse preso sia quello con il carillon che l'altro che alla fine indossa lui stesso. Lo intravediamo spuntare dalla sua camicia in qualche sequenza, non è proprio un rombo, ma ci assomiglia. Spero sorvolerete, oppure mi indicherete come sostituire il termine, così lo correggo :p

In ogni caso a lei serviva come prova che il capitano avesse davvero ucciso il tizio che, se avete capito, ho immaginato avesse pure dei tatoo sulla testa! Per cui serviva lo scalpo!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=470593