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Capitolo 1 *** 01- La metà perfetta di una mela ***
BLU ANGELO
01-LA
META’ PERFETTA DI UNA MELA
“Ognuno di noi ha un’anima gemella, nascosta
da qualche parte del mondo. Sta a noi trovarla per unirsi a lei e creare un
insieme perfetto di due metà.
La mia la sto ancora cercando. Chissà, forse è
morta ed io, ignara di questo fatto terribile, me ne sto qui, a scrivere su
questo diario ed a continuare, invano, la mia ricerca.
Forse è giunto il momento di rinunciare
ai miei sogni e alle mie speranze, di dire addio a queste stupide
fantasie e rassegnarsi all’idea di non poter trovare una persona che mi
completi.
Ho davvero paura che la mia anima gemella sia
proprio morta…”
Rachel chiuse il diario e appoggiò la penna
sulla scrivania.
Era da qualche mese, ormai, che aveva iniziato
a scrivere tutto quello che le veniva in mente su quel quadernetto. Le
piaceva leggere e rileggere quelle parole all’infinito, senza mai
stancarsi, sia che indicassero momenti tristi o felici, che fossero
pensieri poetici o deprimenti... era indifferente, lei adorava scriverli e
ricordarli tutti, in questo modo, per tenerli sempre con sè e non dimenticare
nessun momento della sua vita, significativo o meno che fosse.
Questo, che aveva appena terminato di
scrivere, lo avrebbe classificato nei poetici, ne era certa...Le piaceva il modo
in cui l’aveva composto.
L’anima gemella. Una persona che riesca a
completarti, la metà perfetta di una mela, così la vedeva lei.
Subito un’altra idea le balenò in mente e,
afferrata la penna con l'inchiostro blu, riaprì il quadernetto e riprese a
scrivere, sotto la debole luce della lampada che rischiarava a malapena la sua
camera da letto.
“O, forse, è ancora là fuori che aspetta solo
di essere trovata da me.
Chissà com’è?… Come si chiama?… Dove vive?…”
Scarabocchiò delle linee orizzontali sulle
ultime 3 domande. Non andavano bene scritte così! Dovevano essere più
poetiche!
Appoggiò la punta della penna sulla carta
bianca, ma non sapeva come andare avanti: le era passata l’ispirazione.
“Accidenti!…” disse, seccata; allontanò
la mano dal foglio e si appoggiò pesantemente contro lo schienale
della sedia, guardando il soffitto con aria amareggiata. Le era sembrata
un’idea così bella! Come poteva continuare?
Ripose lo sguardo su quelle parole bluastre
che coloravano il foglio bianco e le rilesse.
“Forse è ancora là fuori, nascosta da qualche
parte ad aspettarmi…” in un secondo sentì di nuovo l’ispirazione e riprese a
scrivere, gli occhi scuri illuminati da quella luce di fantasia che le si
accendeva sempre in quei momenti.
“..Alla fine ci ritroviamo sempre allo stesso
punto. Tocca sempre a noi darci da fare per trovarla e, se ci arrendiamo,
perderemo per sempre la possibilità di ricongiungerci a lei. Non dobbiamo mai
perdere la speranza perché, anche se piccola ed invisibile, lei ci sarà sempre
e non ci abbandonerà mai. Dobbiamo continuare ad alimentare la nostra fantasia
ed i nostri sogni in tutti i modi e non permettere mai alla nostra anima
gemella di morire o di lasciarci, così, senza poter vivere insieme alla
nostra metà perfetta. Si, non ho più dubbi ormai: la mia è ancora là fuori che
mi aspetta, con pazienza, e, quando la guarderò fissa negli occhi, la saprò
riconoscere, perché in quel momento i suoi saranno felici come i miei e
brilleranno dalla gioia per avermi, finalmente, trovata.”
Si fermò e rilesse, soddisfatta di sé, ciò che
aveva appena finito di scrivere.
Chiuse il diario, appoggiò la penna sulla
scrivania e, spenta la luce della lampada, si buttò sul letto, sprofondando
nelle soffici coperte.
Lì, chiusi gli occhi, cercò di addormentarsi,
ma inutilmente, poiché subito un ricordo le sfiorò i pensieri e questo bastò
per farla tremare e piangere silenziosamente.
Purtroppo le frasi che scriveva non le
servivano a niente; era inutile continuare a sperare di ritrovare la sua anima
gemella, dato che, la sua, l’aveva già perduta da tempo, ormai.
La sua se n'era già andata e
niente avrebbe potuto riportarla indietro.
Non avrebbe più potuto rivedere il
suo dolce viso, i suoi occhi blu come il mare, il suo sorriso così bello e
perfetto da far saltare, ogni volta, un battito del suo cuore.
Si era sentita morire ogni istante che aveva
passato con lui, ma questo non le era mai dispiaciuto perché quei momenti le
erano sempre sembrati indolori e meravigliosi.
Ma quando lui era scomparso dalla sua vita, quando
tutte quelle sensazioni se n'erano andate, il dolore era sopraggiunto e, da
allora, l'aveva sempre dilaniata nel profondo.
Lo sentiva mancare, dentro di sé, come una
droga, come una parte importante del proprio corpo. E quella era proprio una
triste, dolorosa ed infinita fine.
Per quanto sarebbe riuscita a sopportarlo,
ancora non lo sapeva, ma doveva resistere.
A volte, si pentiva di avergli giurato che
qualunque cosa fosse successo all’altro, avrebbero continuato a vivere le loro
vite, senza rimpianti.
Perché aveva giurato? Che gesto stupido…
Ora era costretta a vivere nel dolore ed a
soffrire per una morte lenta ed insopportabile.
Il ricordo dei suoi capelli dorati
e della sua pelle morbida, le diedero una fitta terribile al petto, nel
punto dove il suo cuore, ormai da tempo, faticava a battere.
Si raggomitolò, stringendo le braccia intorno
al suo stesso corpo, mentre, con gli occhi chiusi, rivedeva ancora una volta il
suo viso, luminoso e sorridente, e, mentre le lacrime le rigavano il volto, si
rigettava nei suoi occhi azzurri come il cielo, immensi come il mare e
silenziosi come il battito d’ali di una farfalla.
Pronunciare anche solo il suo nome la faceva
morire, ma come rinunciare alla sensazione di poterlo sentire ancora lì,
accanto a lei?
“Samuel…”
Nessuna risposta la raggiunse, ma, in fondo,
era come se quel silenzio la cullasse tra le sue braccia, come faceva
sempre lui quando qualcosa la preoccupava.
In qualche modo lo sentiva ancora lì, sentiva
il suo respiro e le sue braccia che la stringevano forte a sé.
Si addormentò piano, subito dopo aver rivolto
un ultimo sguardo a quel quaderno che stava sulla scrivania. Non aveva mai
sentito il bisogno di scrivere le sensazioni che la tormentavano quando
ripensava a lui, forse semplicemente perché non voleva conservare dei ricordi
così dolorosi.
Quel diario era inutile. Quell’abitudine era
inutile. Era tutto inutile. Aveva deciso che, il giorno dopo,
l’avrebbe stracciato.
Ragazzi…Scusate!!
Davvero mi inginocchio a terra!!!
Non uccidetemi ma
con la storia de “IL CUORE DI HEAVEN PARK” mi sono completamente bloccata…cioè
so cosa scrivere, ma non so come!! (si, in effetti è un po’ complicato…) e
piuttosto che rovinare quella storia preferisco aspettare…
Intanto mi è
venuta in mente questa…penso sia abbastanza originale, forse no..(semmai
ditemelo…)…anche se adesso non voglio proprio svelare tutta la trama…preferisco
che si scopra man mano si vada avanti…=)
Vi prego di avere
un po’ di pazienza per chi segue l’altra (Grazie Laban per i tuoi commenti!! =P)…fatemi
sapere che ne pensate di questa storia!! A differenza dell’altra questa è meno
drammatica ed avrà un finale positivo!!
P.s: volevo
avvisarvi inoltre che il titolo di questo libro non è sicuro al 100%!!!
Era una
sensazione strana, quella che stava provando in quel momento.
Gli sembrava di
non averla mai provata prima.
Anzi,
ripensandoci, non ricordava di aver mai provato qualcosa prima d'allora.
Prima di aprire
gli occhi si sentiva vuoto, o meglio, svuotato; sì, era quella la sensazione,
come se qualcuno lo avesse ripulito di tutto ciò che aveva dentro di sè: si
sentiva leggero, come se fluttuasse in uno spazio infinito e pacifico. Poi
qualcosa lo aveva costretto ad aprire gli occhi: quel brivido, che lo aveva
percorso.
Si guardò
intorno, ma tutto ciò che lo circondava emetteva un'accecante luce bianca che,
stranamente, non feriva gli occhi: si rese conto di fluttuare veramente nel
vuoto, nel nulla infinito.
Non ricordava
niente: chi fosse, dove si trovasse o come ci fosse arrivato. Tuttavia,
conoscere le risposte, in quel momento, non gli importava.
L'unica cosa
che davvero lo preoccupava era quella sensazione: quella che lo faceva
rabbrividire e faceva nascere dentro di lui un dolore profondo che cresceva
sempre di più nel suo petto.
Non sapeva come
lo sapesse, ma era sicuro che qualcuno, o qualcosa, avesse bisogno di lui, da
qualche parte. Ma come arrivarci? Non sapeva dove si trovava né dove
andare!
"Chiudi gli
occhi"
Una voce dolce
riecheggiò nel nulla infinito che lo avvolgeva; la sentiva calda e
rassicurante, familiare.
Senza
rispondere fece quello che la voce gli diceva: chiuse piano gli occhi e,
istintivamente, si raggomitolò su se stesso, portandosi le braccia al
petto. Sentì che anche qualcos'altro lo avvolgeva, qualcosa di grande, ma con
gli occhi chiusi non sapeva dire bene cosa.
Aspettò che la
voce calda di prima riprendesse a parlare, ma il silenzio tornò a regnare
intorno a lui. Restò così, immobile e al buio delle sue palpebre, iniziando a
sentirsi perso, solo, con quel dolore che diventava sempre più forte e si
faceva largo nel suo cuore.
Uno strano
rumore iniziò a riempire, piano, il silenzio.
Sembravano dei
sussulti, dei piccoli lamenti e, incuriosito, aprì gli occhi.
Il bianco del
nulla di prima era stato completamente sostituito dal buio della
notte. Tuttavia, lui riusciva benissimo a distinguere tutti gli oggetti
che lo circondavano, anche i più piccoli.
Si trovava in
una stanza, una camera da letto per la precisione.
Vedeva una
scrivania piena di oggetti, degli scaffali, un armadio ed infine posò lo
sguardo sul letto, addossato ad una parete.
Vedeva qualcosa
che si muoveva sotto le lenzuola, ma non riusciva a capire cosa potesse essere.
Si avvicinò, cauto, ma allo stesso tempo preso da un'irrefrenabile curiosità e
si inginocchiò accanto al letto, trovandosi a pochi centimetri di distanza da
un essere bizzarro, con dei lunghi fili scuri che coprivano parte del volto e
cadevano disordinatamente sulle lenzuola e sul cuscino; guardandolo
meglio, si accorse che quello strano essere gli somigliava molto.
"Un
umano..." disse ancora quella voce calda e accogliente di poco prima.
Non ne
conosceva il motivo, ma gli era bastato udirla un attimo che subito si era
totalmente tranquillizzato. Appoggiò la testa sul materasso, ancora
inginocchiato a terra, e rimase immobile a studiare da vicino quel
misterioso essere. Si accorse, all'improvviso, che da due fessure chiuse
sul viso, scendeva un liquido strano, che percorreva le guance dell'umano. Lo
toccò incuriosito con le dita, per poi portarsele alla bocca per assaggiare
quella strana sostanza; era leggermente salata.
Provò
a toccare con le mani le proprie guance, ma niente, quel liquido
non c'era.
Di colpo si sentì
totalmente diverso da quell'umano! Perchè lui non ne aveva? Lo trovava così
ingiusto!!
Si allontanò,
infastidito dall'essere che giaceva nel letto. Basta, ne aveva abbastanza,
voleva andarsene subito da quel luogo!
"No, non
andartene."
Chi aveva parlato?
Non era la stessa voce di prima, questa era triste e debole.
Si guardò
intorno per vedere se ci fosse qualcun altro nella stanza, ma niente, non c'era
nessuno, solo lui e quell' umano.
"Resta ti
prego."
Solo allora
capì che era proprio quell'umano ad emettere quella voce.
Istintivamente
si portò di nuovo vicino al letto e, inginocchiatosi di nuovo, appoggiò la
testa e le braccia sulle lenzuola, fissando per qualche istante ancora
quell'umano. Poi, quando una terribile stanchezza lo colpì, chiuse piano gli
occhi e si addormentò silenziosamente, accanto a quell'essere che
invidiava, ma che, per qualche inspiegabile motivo, lo affascinava.
Ragazzi sono tornataaaa!!!!!!!!!!
Siete contenti??? ^^ Spero che vi piaccia il
capitolo e spero di andare avant un pò con sta storia. Con quella del Cuore di
Heaven Park sono ancora un pò bloccata.
Il solo averlo
lì, a pochi metri di distanza, lo faceva innervosire incredibilmente.
Come osava,
quel misero Terreno, avvicinarsi alla sua protetta??
Lo avrebbe volentieri
strangolato ed ucciso in quell'istante, se non fosse stato contro le regole.
Cercò di
calmarsi chiudendo gli occhi; prese un respiro profondo e distese le sue grandi
ali bianche di cui era molto orgoglioso. Nessun altro essere alato poteva vantare
delle piume lucenti e belle come le sue.
Quando si sentì
più calmo aprì lentamente le palpebre, puntando le sue iridi chiare e fredde su
quel misero Terreno che dormiva beatamente, inginocchiato accanto al letto
della sua protetta. Voleva tenerlo sotto stretto controllo: non l'avrebbe perso
di vista neanche un secondo.
Per quella
notte lo avrebbe lasciato lì, ma la mattina lo avrebbe cacciato subito, senza
tante storie: se fosse rimasto, ne avrebbe risentito anche la sua reputazione e
non poteva proprio accettarlo. Così, con le ali accuratamente ripiegate, le
braccia conserte e lo sguardo duro e severo, non aspettava altro che
l'intruso si svegliasse per cacciarlo via.
Ogni angelo
custode che si rispetti deve, fin dalla sua creazione, proteggere, anche a costo
della propria vita, quella dell'umano che devono sorvegliare. Lui, come tutti
gli altri, non conosceva altra ragione di vita che la salvezza di Rachel. Lui
era la sua guida, il suo tutore che, anche se invisibile, condivide con lei
ogni più singola gioia e dolore, senza potersi in alcun modo ribellare. Quando
la vide la prima volta restò un poco inorridito da quella ridicola creatura
indifesa; ma col tempo, perfino lui, con il suo carattere freddo e glaciale,
era riuscito ad affezionarsi a quell'ingenua ragazza, fragile e sognatrice. La
spiava ogni volta in cui scriveva su quel quadernetto, leggendo con interesse
tutto quello che scriveva; l'ha vista ridere, piangere, urlare... ha vissuto
con lei, creano un legame tra loro due indissolubile.
Per questo
motivo non poteva permettere a quel Terreno di entrare in quel legame e magari
di spezzarlo pure: ne era terribilmente geloso, sentiva nascere dentro al suo
cuore quello strano sentimento misto a odio e ira.
Il suono
improvviso di una sveglia lo riportò alla realtà; troppo immerso nei suoi
pensieri, non si era neanche accorto che il solo era già sorto da qualche ora.
"Meglio", pensò:
il Terreno si sarebbe svegliato da un momento all'altro.
Proprio come
pensava, lo sconosciuto non tardò molto ad alzare la testa di scatto e ad
allontanarsi dall'umana, spaventato dal rumore improvviso dello strano oggetto
riposto sul comodino accanto al lei.
Lo vide
guardarsi attorno, spaesato e confuso; poi la sua attenzione fu attirata dalla
sua protetta che, in quel momento, si stava svegliando.
Rachel si alzò
dal letto, ancora intontita dal sonno e, trascinando i piedi, si diresse
fuori dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle dopo un lungo sbadiglio.
L'angelo decise
di aspettare ancora un po' prima di rivelarsi all'intruso; preferiva
osservare le sue mosse, come un predatore osserva la sua preda prima di
attaccarla.
L'estraneo si
guardò intorno ed iniziò a curiosare nella stanza dell'umana, prendendo in mano
ogni più piccolo oggetto ed osservandolo da vicino con aria interessata.
Si avvicinò
alla scrivania e prese in mano delle matite agitandole forte per poi
avvicinarsele agli occhi per studiarle. Le lasciò cadere a terra quando un
altro oggetto lo incuriosì. Lo prese affascinato e se lo rigirò tra le mani
premendo tutti i tasti che trovava. Quando il flash della macchina
fotografica digitale gli ferì gli occhi, la lasciò cadere a terra,
terrorizzato ed accecato allo stesso tempo.
Quello sembrò
all'angelo il momento giusto per uscire allo scoperto. Si rivelò maestosamente e,
per affascinare ancora di più lo sconosciuto, dispiegò le sue bellissime e
curate ali, mostrandosi fiero e potente di fronte al misero Terreno.
L'estraneo,
tuttavia, non fu per niente affascinato dall'espressione o dal candido
piumaggio dell'angelo: vedeva solo una figura, sfocata a causa delle tante
macchioline bianche che gli ronzavano davanti agli occhi. L'angelo,
aspettandosi tutt'altra reazione, si infastidì ulteriormente dal
comportamento maleducato dell'individuo.
"Ehi, tu!
Terreno!", lo chiamò sprezzante, con voce profonda e fiera, mostrandosi
altezzoso.
Non udendo
risposta e tentando di mantenere intatto il suo orgoglio, continuò:
"Vattene subito da qui, mi hai sentito??".
Chiuse gli
occhi e gonfiò il petto, sempre con le braccia conserte e le ali dispiegate;
ancora nessuna risposta.
Quando
socchiuse un occhio per sbirciare il suo interlocutore, di fronte a lui non
c'era più nessuno. Che se ne fosse andato, spaventato dalla sua incredibile
potenza?
Tuttavia,
quando sentì qualcosa che toccava la sua ala destra, cambiò idea. Volse lo
sguardo per controllare e trovò il Terreno, le mani sulle sue
magnifiche piume.
Inorridito si
allontanò subito da lui e richiuse accuratamente le ali dietro la schiena,
mettendosi in posizione di difesa. Come si era permesso?
Sentiva la
rabbia che ribolliva nelle sue vene e il corpo tremare per la furia che
cresceva sempre di più in lui.
Il Terreno
davanti a lui lo guardava, confuso e sorpreso, non capendo la reazione dell'angelo,
le macchioline ormai scomparse dalla sua vista.
Restarono uno
di fronte all'altro per qualche secondo, immobili, guardandosi fisso negli
occhi per studiare le mosse l'uno dell'altro.
L'angelo si
rilassò e distese i muscoli solo quando la porta si aprì e Rachel rientrò
nella stanza, i capelli scuri raccolti in una coda e indosso una
camicetta bianca con un paio di jeans chiari.
Sia l'angelo
che il terreno la guardarono mentre, in piedi su una sedia, prendeva dei libri
da uno scaffale sopra la scrivania e li riponeva in uno zaino. Quando scese,
Rachel si bloccò, un attimo prima di andarsene, rimanendo ferma davanti alla
scrivania con lo sguardo fisso su qualcosa: il suo diario. Quello stupido
quadernetto che aveva deciso di buttare via. Lo prese tra le mani e,
stringendolo, cercò di convincersi che la decisione che aveva preso fosse
quella giusta.
Basta scrivere
sciocchezze, doveva vivere, andare avanti, senza più guardarsi dietro. Quel che
è passato, è passato.
Lo gettò con
forza nel cestino accanto alla scrivania.
L'angelo
custode la guardò contrariato, mentre il Terreno non riusciva a capire il
significato del suo gesto. Perchè aveva buttato via quel quaderno?
"Segui il
mio consiglio, Terreno. Vattene subito da qui o la prossima volta non sarò più
tanto gentile con te, chiaro?" lo minacciò l'angelo, scocciato.
L'estraneo non
capiva il motivo di tutta quella rabbia nei suoi confronti. Perchè quell'essere
ce l'aveva tanto con lui? Neanche lo conosceva!
Quando Rachel
uscì dalla stanza, l'angelo dispiegò le sue ali bianche e la seguì, sicuro che
l'estraneo se ne sarebbe immediatamente andato.
Tuttavia non fu
così. Appena il custode ebbe varcato la porta, lo sconosciuto si avvicinò alla
scrivania e, preso in mano il quadernetto, lo aprì ed iniziò a leggerlo con
un inspiegabile desiderio di conoscere tutto di quella ragazza che,
prima di quella notte, non conosceva nemmeno.
Salve ragazzi!!
Sono contenta
di vedere che non mi avete abbandonato in questa storia!! :) Spero vi piaccia
anche questo capitolo!! Allora...
forse ti
chiederai perché ho deciso di scrivere proprio a te in questo momento.
Forse perché mi
sento sola. Molto sola... e anche così abbandonata senza
di lui...se n'è andato sai?
Neanche mi ha detto
addio. E' semplicemente sparito.
Una volta mi
aveva raccontato di questo viaggio. Avrebbe voluto andarsene via, cambiare
aria. E io non sono riuscita a trattenerlo.
Chissà dov'è...
In Australia, magari... o forse in America... oppure in qualche isola sperduta
nell'oceano. Non mi ha mai detto la sua destinazione, è semplicemente partito.
Temo che non
torni più; se solo potessi vederlo ancora, per l'ultima volta, solo per
abbracciarlo forte ed avere il coraggio, finalmente, per dirgli: 'ti amo'...
Se solo glielo
avessi detto, se solo ne fossi stata capace...lui probabilmente sarebbe ancora
qui, con me, e non mi sentirei così sola e triste.
Ti prego,
torna. Torna da me. Ti aspetto."
Sfogliò un po'
il quadernetto che teneva tra le mani, tralasciando pensieri e parole, ma
soffermandosi su altri ricordi.
"...Mi
sono sempre chiesta se ci sia qualcuno lassù, qualcuno che stia lì a
vegliare su di noi da lontano. O magari no. Forse ci sbagliamo tutti e
questo qualcuno potrebbe non essere così distante come si crede... Magari c'è
davvero qualcosa, proprio qui, vicino a me. Qualcuno che
mi sorveglia, mi guarda... che mi sta spiando, proprio in questo
momento.
Non è
che creda molto all'esistenza di un 'Essere Superiore', agli angeli o
robe del genere... ma se ci fosse veramente qualcuno di invisibile che mi
protegge? Qualcuno che condivide con me ogni minima
sensazione? Ogni piccola gioia, ogni dolore?
Bè, non lo so.
Ma se esiste
veramente questo qualcuno, gli auguro con tutto il cuore di non
provare il dolore che mi assale da settimane, ormai. Spero che sia felice,
nonostante tutto..."
Lo sconosciuto
restò molto affascinato da quelle ultime parole. Se l'angelo che l'aveva
attaccato poco prima era il Custode di quella ragazza, era davvero
fortunato: quell'umana si preoccupava per lo stato d'animo di un essere
della cui esistenza non era nemmeno certa! Per questo, la trovava magnifica.
Si sdraiò sul
letto, appoggiando pesantemente la testa sul cuscino e continuando a sfogliare
quel diario.
"...Oggi
Alan è venuto da me. Mi ha chiesto cosa fosse l'amore.
All'inizio sono
stata un po' spiazzata dalla sua domanda, ma poi ho realizzato che non
era una curiosità del tutto strana. E' normale che, alla sua
età, ci si accorga di quello strano sentimento che resta nascosto alla nostra
vista per anni e che, poi, si rivela all'improvviso e ci sostiene per
il resto della vita.
Non so se abbia
capito appieno la mia risposta, ma chi può sapere con esattezza cosa sia
l'amore?
Comunque, ecco
cosa gli ho detto: "L'amore... l'amore è quando provi affetto
per una persona; quando faresti di tutto perché lei stia bene; quando senti che
qualcosa svolazza nel tuo stomaco appena incroci il suo sguardo; quando ti
senti debole e inerme di fronte a lei; quando ti vuoi mostrare forte e coraggioso
se ti guarda. Ami qualcuno quando riesci ad essere te stesso con quella persona
e, tuttavia, provi comunque ad essere qualcun altro per continuare a
sorprenderla; quando il cuore batte forte o perde un colpo; quando ti sembra di
svenire dall'emozione se la incontri per caso; l'amore è quando sorridi,
piangi, ridi o ti arrabbi senza motivo; quando smetti di eseguire gli
ordini della tua mente per ascoltare il tuo cuore..."
Forse ho un po'
esagerato, ma è quello che mi è venuto in mente in quel momento; ci sono
altre cose sull'amore. Troppe, a dir la verità, e io nemmeno credo di
conoscerle tutte.
Penso che ne
saprò di più solo vivendo..."
"Ehi,
ciao!"
L'estraneo
abbassò il quaderno di colpo e si ritrovò davanti due occhi celesti ed un
sorriso caloroso. Spaventato, sobbalzò e lasciò il diario che cadde a
terra con un tonfo.
Una ragazza
bionda, sui 14 anni, era sopra di lui e lo fissava incuriosita. Non era
una semplice umana: aveva due ali bianche dietro la schiena.
Era un angelo,
come quello che aveva visto poco prima.
"Che c'è,
non mi saluti? Ma chi ti ha insegnato l'educazione?"
La ragazzina
rimase sospesa in aria, chiudendo gli occhi; incrociò le braccia e mise il
broncio, ma non ottenne risposta.
Quando sbirciò l'espressione
del ragazzo, scoppiò in una risata cristallina e, sempre svolazzando in aria
sopra di lui, tornò a guardarlo sorridendo.
"Ti ho
sentito arrivare questa notte, ma Lehcar non mi aveva detto che fossi così
bello!"
"Le-lehcar?"
balbettò l'individuo confuso.
Per quello che
ricordava, era la prima volta che riusciva a parlare e si stupì della sua voce;
la trovava profonda ed un po' roca.
Inoltre, non
gli sembrava di conoscere nessun Lehcar! Che fosse qualcuno che magari potesse
spiegargli chi fosse e cosa ci facesse lì?
La ragazzina
sorrise divertita e poi ricominciò a parlare: "Lehcar è l'angelo custode
di Rachel, la ragazza che dorme in questo letto. L'hai conosciuto stamattina,
non è vero? A proposito, si può sapere che gli hai detto?! L'ho visto uscire
con una faccia!"
Lo sconosciuto
rimase un po' deluso nello scoprire che Lehcar non era altri che
l'angelo di poco prima.
La ragazzina,
notando la sua espressione, divenne triste a sua volta: che avesse fatto
qualcosa di sbagliato?
Poi, all'improvviso,
i suoi occhi si illuminarono e lei, ammirata, esclamò: "Wow, ma
sono splendide! Che colore meraviglioso! Sono come i tuoi occhi!"
Il ragazzo non
capì di cosa stesse parlando, poi si accorse che la ragazza stava guardando
qualcosa alle sue spalle.
Seguendo il suo
sguardo, notò, per la prima volta, qualcosa di strano, qualcosa che non pensava
dovesse essere lì.
Ali. Dietro la
schiena, aveva un paio di magnifiche ali blu. Si alzò dal letto di scatto e,
torcendo il busto, cercò di prenderle per osservarle meglio. Così cominciò
a girare su se stesso, come un cagnolino che cerca di mordersi la
coda, ma senza risultati soddisfacenti.
La ragazzina,
nell'assistere alla scena, scoppiò di nuovo nella risata cristallina di poco
prima: era così buffo!
L'estraneo si
lasciò cadere a terra quando la testa cominciò a girargli.
Quindi, era un
angelo anche lui? Eppure era diverso, sia dalla figura bionda che
dall'angelo custode di poco prima. Si ricordò che Lehcar lo aveva chiamato
'Terreno', ma lui non aveva la più pallida idea di cosa fosse!
Quando la
stanza smise di girargli intorno cercò di chiederlo alla ragazza che svolazzava
ancora sopra al letto di Rachel, continuando a ridacchiare.
"Cosa è un
Terreno?"
La sua voce,
questa volta, gli sembrò meno roca, più normale e quasi familiare alle sue
orecchie. Sentì che la gola, a poco a poco, si stava schiarendo.
La ragazzina lo
fissò negli occhi blu, curiosa di vedere la sua reazione.
"TU sei un
Terreno! Un umano che è diventato un angelo."
Notando la sua
espressione confusa, cercò di spiegarsi meglio: "Vedi, ci sono Umani che
vengono, per così dire, prescelti. Non si sa bene in base a cosa. Quello
che è certo è che qualcuno, lassù, ha deciso che tu saresti dovuto
diventare un angelo. Vedila come una specie di ricompensa... un premio per
qualcosa che hai fatto nella vita."
"Ma io non
ricordo nulla della mia vita! Cosa ho fatto di così speciale?" ribattè il
Terreno, sempre più confuso.
"Non
ricordi niente perché ti devi completamente separare dalla tua vita
precedente" continuò l'angelo, "non devi avere nulla che ti leghi al
passato!"
"Quindi,
sono un angelo custode come te e Lehcar?" domandò lui.
La ragazzina
chiuse gli occhi per un istante, scosse il capo e tornò a guardarlo negli
occhi.
"Tu non
hai nessun protetto da sorvegliare; è come se non fossi un angelo al cento per
cento. Noi, quando porteremo a termine il nostro compito, passeremo ad un
livello superiore, mentre tu continuerai a restare un Terreno, senza alcun
Umano da seguire."
L'angelo dalle
ali blu la guardò sconvolto : "Ma allora che senso ha la mia esistenza? Se
non ho un Umano da proteggere, cosa devo fare? Questo non è un premio,
è una condanna!"
abbassò lo
sguardo, affranto dal suo triste destino: era costretto a restare così per
l'eternità, senza nessuno, solo.
"Ti
sbagli." la voce della ragazzina cambiò; non era più gioiosa e limpida
come prima, ma seria e severa.
"Ti è
stato dato l'onore più grande di tutti! Sei un angelo libero: non devi stare
sempre attaccato ad un Umano..."
Lui la fissò
senza capire e lei, paziente, spiegò: " Se fossi come me, dovresti
condividere tutto con il tuo protetto. Tutto, senza alcuna eccezione. Dovresti
sentirti in modo diverso in base a quello che prova lui: triste, arrabbiato,
felice, preoccupato... tutto con lui. Un angelo custode non ha
un'esistenza propria, lo capisci? Tu invece puoi vivere una vita tua, senza
alcun legame!"
Il Terreno
sentì che il tono della ragazzina era diventato più ostile, quasi accusatorio
nei suoi confronti; capì che lei lo invidiava.
"Ma come
posso vivere una vita così? Con queste ali blu e senza che nessun Umano mi
possa vedere?"
"Come noi
angeli custodi abbiamo il potere di nasconderci alla vista degli altri esseri
alati quando vogliamo, tu puoi manifestarti agli umani, con o senza ali, come
preferisci tu! Tuttavia saresti troppo accecante se ti mostrassi come angelo:
perfino ora, anche se non si vede, io e te stiamo emanando una luce pura e
fortissima, che potrebbe accecare qualunque essere umano ci vedesse."
"Guarda..."
aggiunse la ragazzina, svolazzando in basso e afferrando qualcosa sul
pavimento.
Dopo aver
premuto qualche pulsante, l'angelo mostrò al Terreno la macchina digitale che
prima aveva preso e studiato.
"Osserva
lo schermo" disse.
Lui volse lo
sguardo curioso all'oggetto, ma tutto ciò che vide sullo schermo fu un'immagine
bianca.
"N-non
capisco" balbettò.
"Prima ti
sei fatto una fotografia. Ecco come appari da angelo. Sei troppo luminoso per
essere visto." gli spiegò lei.
Lui prese la
macchina digitale e se la rigirò tra le mani.
"Bene,
penso di averti spiegato quasi tutto. Se hai ancora qualche dubbio, basta che
mi chiami e farò del mio meglio per rispondere. Sappi solo che, purtroppo,
non sono in grado di spiegarti come apparire da umano; dovrai capirlo da solo.
Ora devo tornare dal mio protetto, sai, è nella stanza qui accanto e ha
l'influenza, poverino!"
La ragazzina
bionda, ritornò a svolazzare in aria e, volgendo le spalle al Terreno, si
diresse fuori dalla stanza.
"Aspetta!"
la chiamò lui, allungando una mano per fermarla.
Lei volse la
testa, aspettando una sua domanda.
"Non mi
hai detto come ti chiami" continuò lui.
Lei gli sorrise
affettuosamente: "Nala."
Lui ricambiò il
sorriso, felice finalmente di aver conosciuto qualcuno di gentile con cui poter
parlare.
Lei si voltò e
uscì dalla stanza per tornare al suo compito, all'unico scopo della sua vita:
badare al fratellino di Rachel, Alan.
Il Terreno si
alzò in piedi, lasciando la macchina fotografica sulla scrivania e, dopo aver
raccolto il quaderno, lo tenne stretto tra le mani.
Si girò
verso la finestra e, aprendola, chiuse gli occhi per non essere ferito dal
vento che entrò prepotente nella stanza.
Volse un ultimo
sguardo dietro di sé, nel punto dove l'angelo era uscito dalla stanza.
"Grazie,
Nala. Grazie di tutto."
Poi, spiegando
le sue grandi ali blu, volò via, fuori dalla stanza. Non aveva una meta
precisa, ma almeno un'idea su cosa fare, sul prossimo passo da compiere.
Tra le mani
aveva ancora quel diario e nel cuore il desiderio di andare avanti, proprio
come aveva scritto Rachel.
Buongiorno
ragazzi!!
Siete contenti che
sono già qui con un nuovo capitolo??
Fatemi sapere se
vi piace su!! ^^
Purtroppo il
prossimo non so ancora bene quando lo scriverò, anche perché adesso devo ricominciare
a darmi da fare con la scuola. Spero comunque di non farvi attendere troppo!!
:)
Rachel, come
svegliandosi da un sonno profondo, guardò con aria insonnolita la sua vicina di
banco che la stava chiamando.
Miriam, la sua
migliore amica, la osservava preoccupata, notando che non sembrava essersi svegliata
ancora del tutto.
"Ma hai
dormito stanotte?? Hai una faccia!!" le bisbigliò piano, per non farsi
sentire dal professore di matematica che, imperterrito, continuava a spiegare
alla classe.
Rachel, una
delle alunne migliori, seguiva sempre con attenzione tutte le lezioni, ma quel
giorno si sentiva proprio esausta e non ci riusciva.
Continuava a
ripensare al suo stupido diario, quello che aveva deciso di buttare via. In
fondo, era come se fosse diventato una parte di lei: erano mesi che ci scriveva
tutto quello che le veniva in mente!
Tuttavia, in
quel momento, era inutile pensarci: una volta a casa, se proprio avesse
cambiato idea, lo avrebbe recuperato.
Sbadigliando,
cercò di tornare a seguire la lezione. Si concentrò sul professore che, accanto
alla lavagna, continuava a parlare ai suoi alunni.
Che argomento
stava spiegando?
"Ah,
giusto, le parabole... che noia!" pensò Rachel.
Distolse lo
sguardo dal professore ed iniziò ad osservare i muri bianchi della sua aula,
dove, in qualche punto, lei e i suoi compagni avevano attaccato dei fogli con
delle scritte, dei disegni o qualche poster. A qualche centimetro della
lavagna avevano appeso una foto, la loro classe di quell'anno.
"Uffa"
pensò "sono uscita davvero male in quella foto! Stupido fotografo, ma
proprio quando ho chiuso gli occhi dovevi scattarla?! Che
ingiustizia!"
"Domenighini!!"
Rachel si alzò
in piedi di scatto, quando il professore chiamò il suo nome.
Era la prima
volta che si faceva cogliere impreparata durante una lezione: non era proprio
da lei!
"Si,
professore!"
Inconsciamente,
si mise sull'attenti, come avrebbe fatto un buon soldato: del resto, era
proprio necessario con quel professore di matematica. Era famoso in tutta la
scuola per la sua severità.
"Mi ripeta
quello che stavo dicendo!" ordinò lui, guardandola serio.
"S-si"
balbettò lei, non sapendo assolutamente di cosa si stesse parlando fino a
qualche secondo prima; cercò di guardarsi intorno, in cerca di una via di fuga,
quando la risposta le arrivò dalla sua adorata vicina di banco: "La
definizione di parabola!" sussurrò piano Miriam, cercando di non farsi
vedere dal professore.
Rachel sospirò,
sollevata: la definizione di parabola! Ghirardelli l'aveva già spiegata nella
lezione precedente; probabilmente, poco prima, l'aveva semplicemente rispiegata
per qualcuno che non l'aveva capita bene.
La ripetè nel
modo più completo possible, sapendo molto bene quanto fosse preciso e pignolo
il professore.
"La
parabola è il luogo geometrico in cui si trovano tutti i punti equidistanti dal
fuoco e dalla retta direttrice."
Come un
soldatino obbediente, Rachel rimase immobile e silenziosa, aspettando il
giudizio di Ghirardelli come un imputato attende il verdetto della giuria.
Quando lui
annuì silenziosamente e ritornò a spiegare la lezione alla classe, Rachel si
lasciò cadere sulla sedia, sospirando sollevata.
Sussurrò un
sincero grazie a Miriam, la quale ricambiò con un sorriso: si conoscevano solo
da pochi mesi, ma Rachel considerava Miriam come una sorella. Si era trasferita
nella sua cittadina da lontano, senza amici, senza conoscenze, ma Rachel
l'aveva aiutata ad ambientarsi velocemente. Ormai erano inseparabili.
Rachel,
tornando con la testa tra le nuvole, iniziò a scarabocchiare sul quaderno di
matematica, senza la benchè minima voglia di seguire le parole del professore
che, imperterrito ed indisturbato, continuava con le sue spiegazioni.
Un pensiero
ancora fisso nella mente della ragazza: quel diario, quello stupido diario! Si
sentì improvvisamente pentita di averlo buttato via: era stato il suo migliore
amico per molto tempo, il suo confidente, la sua valvola di sfogo... Non ce la
faceva a separarsene, era troppo importante per lei, troppo. Appena tornata a
casa, lo avrebbe recuperato.
Miriam, seduta vicino
a lei, la spiava con i suoi grandi occhi verde scuro. Era preoccupata per
l'amica: anche se a volte la vedeva triste o persa nei suoi pensieri,
non aveva mai voluto forzarla per sapere quello che le passava per
la testa; preferiva che fosse lei a confidarsi, quando ne avesse
sentito il bisogno.
Sistemandosi
i capelli castano scuro dietro le orecchie, Miriam spostò lo sguardo
su quel noioso professore che continuava a parlare. Sembrava che non prendesse
neanche fiato: parlava, parlava, parlava e parlava!
Lei non
riusciva mai a seguire quello che diceva, nonostante ci provasse: perdeva
sempre il filo del discorso osservando, disgustata, l'aspetto del professore,
con quegli orribili peli grigi... "Bleah!" esclamò tra sé e sé: al
solo pensarci, le venne un conato di vomito e si costrinse a distogliere lo
sguardo, portandolo fuori dalla finestra.
Che giornata
meravigliosa! Il cielo era limpidissimo quel giorno: non era mai stato
così blu!
Lehcar era
amareggiato.
La sua protetta
era irriconoscibile.
Come poteva
distrarsi in quel modo durante una lezione?
Si era messa
perfino a scarabocchiare qualcosa sul suo quaderno degli esercizi! Era
inaccettabile per lui.
Tutta colpa del
Terreno di quella mattina, ne era certo!
Se, al suo
ritorno, lo avesse ritrovato di nuovo nella stanza di Rachel lo avrebbe
conciato per le feste e al diavolo le regole!
"Lehcar,
hai una faccia stamattina! E' successo qualcosa?"
Un angelo dalle
ali bianche, simili a quelle di Lehcar, comparve al suo fianco dal nulla.
I capelli
castani gli cadevano disordinatamente sulla fronte e qualche ciuffetto copriva
i suoi occhi verde chiaro.
Lehcar, senza
degnarlo di uno sguardo e con le braccia incrociate sul petto, scosse il
capo: non voleva raccontare del suo incontro di quella mattina con quel Terreno.
Se ripensava che aveva osato addirittura mettere le mani sulle sue ali!
"Suvvia, a
me ne puoi parlare!" insistette l'angelo al suo fianco "Che c'è? La
tua sorellina ti ha fatto impazzire di nuovo, forse?"
I pensieri di
Lehcar si concentrarono per un attimo su Nala; con tutto quello che gli era
successo si era dimenticato perfino di controllare che stesse bene.
"No! E poi
quante volte devo ripeterti, Mairim, che Nala ed io non siamo fratelli?"
gli disse scocciato, chiudendo gli occhi innervosito.
Quel giorno si
sentiva proprio fuori di sè: bastava poco per farlo infuriare sul serio... e
sembrava che Mairim stesse facendo di tutto per farlo innervosire.
"E vabbè,
in fondo lei bada al fratello della tua protetta! Quindi in un certo senso
siete fratelli!"
Cosa? Lui,
il potente e rispettato Lehcar, fratello di quella fastidiosa mocciosa che
non stava ferma un attimo?! Mai!
Quello era
davvero troppo!
Scocciato,
rivolse un'occhiata raggelante a Mairim e poi si nascose alla sua vista.
"Lehcar, va
bene, scusa! Ma che ho detto di così sbagliato?" sbuffò Mairim, non
capendo il comportamento dell'amico.
Quel giorno era
davvero insopportabile. Conosceva molto bene il suo carattere freddo ed
insofferente, ma non l'aveva mai visto così infuriato! Chissà cosa gli era
successo...
Mairim fissò
per un istante la sua protetta, Miriam. Lui e quella ragazza ne avevano passate
tante insieme: con lei aveva condiviso ogni genere di sensazione, dalla
più piccola ed insignificante a quella più forte. Ma ciò non lo aveva mai
infastidito. Gli piaceva il carattere di quell'umana: sempre distratta, persa
in un mondo tutto suo, che viveva la vita attimo per attimo, senza
preoccuparsi del futuro. Perfino in quel momento, i suoi occhi verdi fissavano
il cielo blu fuori dalla finestra, ma Mairim sapeva bene che, in realtà, il suo
sguardo andava oltre e la sua mente viaggiava ai confini della fantasia. La
rispettava e l'amava profondamente, lo sapeva bene. E più viveva con
lei, più il suo amore aumentava.
Non si era
mai visto un angelo custode innamorato a tal punto della sua protetta. Era
immorale, sbagliato, imperdonabile... ma che cosa ci poteva fare? A Mairim
erano sempre piaciuti gli amori impossibili.
Driiinnnnn!!
Il suono dell'ultima
campanella liberò Rachel da quell'infinita tortura.
Infilò i suoi
libri nello zaino e, insieme a Miriam, uscì dalla scuola.
Rimasero entrambe
in silenzio per tutto il percorso che le conduceva a casa; Miriam abitava a
qualche isolato da Rachel, ma ogni giorno sceglievano la strada più lunga
per poter stare insieme il maggior tempo possibile, riempendo sempre il
loro cammino con sonore risate o con pettegolezzi.
Tuttavia, quel
giorno, Rachel non riusciva proprio a concentrarsi su un discorso e Miriam
non voleva disturbarla; così, quel giorno, erano entrambe immerse nei loro
pensieri.
"Ehm...
Rachel?" esordì d'un tratto Miriam.
Lei, come
svegliandosi di colpo da un sogno, la guardò stralunata.
"Co-cosa?"
"Conosci
per caso il ragazzo che ci sta seguendo?"
Rachel, che non
si era accorta di nulla, sbirciò da dietro la sua spalla, senza farsi
vedere dallo sconosciuto.
Effettivamente,
un ragazzo le stava seguendo. Aveva i capelli corvini
e spettinati, lo sguardo nascosto, ma chiaramente fisso su di loro, le
mani nelle tasche dei jeans.
Rachel scosse
la testa, senza distogliere lo sguardo dall'individuo, incuriosita e attratta
allo stesso tempo da qualcosa di strano.
Miriam, invece,
era terrorizzata. Chissà, forse era un maniaco! Era piuttosto giovane, ma
non si sa mai cosa passa nella testa degli uomini!
Accelerò il
passo, sicura che l'amica l'avrebbe seguita, ma Rachel, invece, rallentò.
Miriam voleva
prenderla per un braccio e trascinarla via, ma era troppo tardi: la sua amica
si era già fermata e, voltatasi verso lo sconosciuto, lo fissava seria.
Lui si bloccò
quando lei si fermò.
Restarono a
fissarsi per un pò, cercando di capire l'uno i pensieri dell'altro, mentre il
vento disordinava i capelli di Rachel, facendole cadere sulla fronte qualche
ciuffo, ribellatosi alla coda che si era fatta quella mattina.
Poi lei,
all'improvviso, fissò negli occhi l'individuo. Trasalì e il suo cuore
mancò un colpo.
"Chi
sei?" gli domandò, sfacciata e sospettosa.
Lui, per tutta
risposta, le sorrise.
FAN!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ok, sono sorpresa
anch'io di vedermi già qui con un nuovo capitolo, però non sono riuscita a
trattenermi dal scriverlo…quindi eccolo!!! ^^
Inoltre Ringrazio di
cuore LIYEN e ARANEL YUKINO per i vostri
commenti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! :) <3
Vi piace questo
capitolo??
Ma soprattutto
voglio sapere se vi piace il rapporto tra Mairim e Miriam…cioè che lui è
innamorato di lei!! :)
(x LIYEN: il
personaggio di Miriam l'ho dedicato a te, anche se non conosco minimamente il
tuo aspetto fisico o il tuo carattere!! Il tuo nome vero l'ho visto qui su EFP!
;) Spero davvero che ti faccia piacere!!)
Un bacione enorme
a tutti e anche a chi legge solamente!!!
Il vento sulla
faccia, le ali spiegate, il diario stretto tra le mani.
Stava volando.
Sbattè le ali
come se fosse la cosa più naturale al mondo.
Come se fosse
stato capace di volare da sempre.
Il cielo
intorno a lui era limpidissimo, senza neanche una nuvola e, davanti a lui,
all'orizzonte, il sole emanava raggi carichi di calore e luce.
Si
girò per osservare le sue ali.
Le trovava
stupende. Blu, come il cielo in quell'istante. Erano un vero spettacolo,
specialmente quando i raggi colpivano le sue piume e queste brillavano,
emanando a loro volta una luce fortissima che, stranamente, non
feriva affatto i suoi occhi.
Decise di
volare più basso, per osservare più da vicino quelle bizzarre creature chiamate
'Umani'.
Voleva controllare
se tutti assomigliavano a lui e Rachel.
Non ricordava
nulla della sua vita passata e questo lo faceva sentire un po’ svuotato
e solo; inoltre, sentiva ancora quella strana e fastidiosa
sensazione al petto, sempre nello stesso, identico punto. Quando vi
appoggiò sopra una mano, sentì qualcosa che batteva a ritmi regolari: che fosse
quello a procurargli dolore?
Scese a terra,
appoggiando i piedi e ripiegando le ali dietro la schiena: si trovava in mezzo
ad una folla di umani che correva, frettolosamente e senza fermarsi un secondo.
"Perché
tutta questa fretta? Dove vanno tutti?" si domandò il Terreno, osservando
sbigottito tutta quella gente.
All'improvviso
sentì qualcosa. Una sensazione orribile e dolorosa, come se qualcosa di
grosso e forte stesse entrando violentemente nel suo corpo dalla schiena.
Dopo qualche
secondo, una donna comparve davanti a lui uscendo dal suo petto: lo aveva
attraversato!
All'improvviso
fu colto da un senso di malessere e dovette inginocchiarsi a terra, portando
una mano al petto ed iniziando a respirare a fatica.
Il diario di
Rachel gli sfuggì dalle mani e cadde, mentre la mente dell'angelo fu
invasa da un vortice di pensieri e di preoccupazioni che non gli appartenevano.
"Maledizione,
sono di nuovo in ritardo. Questa volta il capo mi licenzierà. Bene, meglio,
sono stanca di andare a letto con lui alle spalle della moglie solo per tenermi
questo stupido lavoro."
Era una voce
femminile quella che gli ronzava in testa. Il Terreno intuì che
fossero i pensieri della donna che lo aveva attraversato qualche istante prima.
Così, per
evitare altri simili contatti, dispiegò velocemente le ali e restò sospeso in
aria, osservando curioso la folla sotto di lui.
Forse era
quello di cui gli aveva parlato Nala: il dover condividere ogni minimo
pensiero, dolore, sensazione con il proprio protetto. Probabilmente per lui,
che non aveva legami, era diverso: gli era sufficiente avere un
contatto simile a quello di poco prima, per provare la stessa cosa.
Cercò di
calmarsi, eliminando dalla testa i pensieri di quella donna. Prese un respiro
profondo e chiuse gli occhi per un attimo.
Quando li
riaprì e tornò a guardare la folla, qualcosa attirò il suo sguardo: il
diario di Rachel.
Doveva essergli
caduto quando si era inginocchiato per colpa della donna.
Non voleva
assolutamente tornare ancora là in mezzo e correre di nuovo il rischio di
condividere i pensieri di quelle persone, ma allora come fare a recuperare quel
quaderno?
Se qualcuno di
quegli umani lo avesse visto e raccolto?
Non poteva
permetterlo!
Alla fine
decise di scendere un'altra volta per recuperarlo, ma qualcuno lo
precedette.
Un uomo sulla
trentina, con i capelli dorati ed un paio di occhiali da sole, si chinò a
raccogliere quel quaderno che giaceva tristemente sul marciapiede.
Il Terreno
iniziò a preoccuparsi: doveva riprenderselo, ma come?
Cercò di
studiare un modo per riavere quel diario senza perdere di vista
quell'individuo.
Sgranò gli
occhi quando vide lo sconosciuto alzare la testa e guardare dritto verso di
lui.
Lo aveva visto.
Ne era certo:
lo stava guardando.
Ma com'era
possibile? Nala non aveva detto che gli Umani non potevano vederlo?
L'uomo gli
sorrise. Un sorriso sinistro, uno di quelli che sembrano nascondere
qualcosa. Infilò il diario di Rachel sotto il suo giaccone, abbassò lo sguardo
e riprese a camminare tranquillo.
Il Terreno,
senza pensarci due volte lo seguì dall'alto, senza perderlo di vista,
aspettando che lui gli rivolgesse un altro sguardo oppure che si fermasse da
qualche parte.
Quando lo
sconosciuto entrò in un vicolo, l'angelo lo imitò e scese a terra,
ripiegando le ali dietro la schiena.
Si guardò
attorno, ma l'uomo non c'era più.
Gettò
un'occhiata alle proprie spalle: la gente era ancora lì e continuava
indisturbata a correre e ad affrettarsi, ma i suoni sembravano lontani, confusi
e via via sempre più ovattati.
In quel vicolo
regnava il silenzio più completo, come se tutto il resto del mondo fosse
escluso, separato e distante da quel luogo.
Un rumore catturò la sua attenzione, facendolo voltare di scatto, lo
sguardo di nuovo attento al vicolo deserto in cui si trovava.
I suoi
occhi blu fissarono il diario di Rachel, immobile a terra a qualche
metro di distanza da lui.
"Era quello
che volevi?"
Una voce maschile,
roca e sinistra, lo costrinse ad alzare lo sguardo.
L'uomo di
prima, con i capelli biondi e gli occhiali scuri, era appoggiato
tranquillamente ad una parete, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni
e lo stesso sorriso sinistro ancora sul volto.
"Chi
sei?"
Il Terreno,
istintivamente, dispiegò le ali blu.
Cercò di rendersi
minaccioso, anche se non era sicuro dell'effetto che avrebbe avuto
sull'individuo.
L'uomo si
allontanò dall parete e si posizionò di fronte a lui, le mani sempre nelle
tasche e lo sguardo basso, nascosto dietro le lenti scure.
A separarli, solo
il diario di Rachel.
"Vuoi
veramente attaccarmi? Non essere sciocco, non avresti molte speranze con me.
Sei uno nuovo, l'ho capito da come hai reagito al
contatto che hai
avuto con quella donna."
Alzò lo sguardo
sul Terreno dalle ali blu: sembrava che gli fosse sufficiente solo quello
per leggergli nella mente.
Quando si tolse
gli occhiali da sole, l'angelo fu impressionato dal colore suoi
occhi. Le sue iridi erano di un verde strano, opaco ed acceso allo stesso
tempo.
"Non temere.
Sono un Terreno. Come te" riprese lo sconosciuto.
Il Terreno blu
richiuse le ali, tranquillizzato dalla notizia.
"Seguimi!"
continuò l'individuo e, senza aspettare una risposta, si
incamminò lungo
il vicolo buio e deserto.
L'angelo, rimase
immobile per qualche secondo, poi decise di fidarsi e, raccolto il diario
di Rachel, inseguì lo sconosciuto dagli occhi verdi.
Arrivarono in un
grande magazzino. Era buio pesto, ma il Terreno scoprì che non era un problema:
i suoi occhi blu vedevano alla perfezione, come alla luce del giorno.
"Wow, ne hai
trovato uno nuovo, Green?"
Una ragazza, con
un paio di ali rosse sulla schiena, scese per ammirare il nuovo arrivato.
Un'altro Terreno.
L'uomo chiamato
Green annuì, serio.
"Si, Red! E'
uno nuovo, quindi sii un pò gentile con lui, ok?"
"Come
sempre!" rispose lei, cristallina.
All'angelo blu
ricordò un pò Nala, se non fosse stato per i ricci neri che le
incorniciavano il viso e gli occhi castani, quasi rossi:
erano entrambe vivaci e sorridenti.
"Come ti chiami?"
gli domandò, guardandolo da vicino e ammirando le sue ali blu, prendendole tra
le mani, curiosa.
"N-non lo
so." ammise lui, rendendosi conto solo in quel momento di
non conoscere il proprio nome.
"Non importa.
Vorrà dire che ti chiameremo Blue!" sorrise lei, per nulla sorpresa.
"Le tue ali
blu sono davvero belle. Adoro il blu, è sempre stato il mio
colore preferito!" continuò la ragazza, allegramente.
Nel frattempo,
Green si era allontanato e, sempre fissando il nuovo arrivato, aveva acceso una
sigaretta.
"Non ricordi
proprio nulla della tua vita passata?" gli chiese dopo aver soffiato il
fumo lontano da sé, interrompendo la voce cristallina di Red che lo guardava
storto.
Blue si concentrò
un attimo, ma nemmeno lui sapeva come fare per ricordare qualcosa. Scosse il
capo tristemente.
"Neppure
noi" aggiunse Red, amareggiata.
Green soffiò il fumo un'altra volta.
"Quindi anche
voi due siete dei Terreni, come me?" chiese Blue, felice di aver
finalmente trovato qualcuno come lui. Non era più solo.
Red annuì,
sorridendo; Green, per tutta risposta, mise di nuovo in bocca la
sigaretta, facendone brillare di rosso l'estremità accesa.
"Come fai a
sapere dei Terreni?" gli domandò sospettoso.
"Nala mi ha
raccontato qualcosa..."
"Nala?"
La sigaretta restò
per un attimo tra le dita di Green, lontana dalla sua bocca, mentre il suo
sguardo indagatore scrutava nella iridi di Blue.
"Sì... Lei...
Lei è un angelo custode..." disse lui, messo in soggezione da
quegli strani
occhi.
Green gettò a
terra il mozzicone non del tutto consumato e, dopo essersi alzato in
piedi, lo schiacciò, sbuffando scocciato.
"Un angelo
custode, eh?"
"Devi sapere
che a Green non piacciono molto i Custodi. Non ha mai avuto buoni rapporti con
loro." bisbigliò piano Red, avvicinandosi all'angelo dalle ali blu per
fare in modo che solo lui sentisse le sue parole.
Blue non capiva.
Ricordava il comportamento tutt'altro che gentile di Lehcar nei suoi confronti,
ma era legittimo che lui lo detestasse, probabilmente invidioso della
libertà di cui godevano i Terreni, ma perchè uno come Green avrebbe dovuto
odiare gli angeli Custodi?
"Perché?"
gli chiese.
"Come?"
"Perchè
odiare un angelo?"
Red cercò di
zittirlo: forse era meglio evitare che Green si arrabbiasse.
Tuttavia la
curiosità di Blue non riusciva a placarsi e lui attendeva una risposta
dall'uomo che fissava con insistenza.
"Perchè?
Bè... perchè loro odiano noi... non ci capiscono" disse semplicemente
Green, avvicinandosi agli altri due Terreni.
"Che ti ha
raccontato questa... Nala?" gli chiese, cercando di mascherare il
disprezzo.
"Mi ha detto
che i Terreni non sono angeli al cento per cento; che possono vivere una
vita propria, senza dover dipendere da un Umano; che possono assumere le
sembianze degli uomini, nascondendo le ali; che se si mostrassero a loro come
sono, li abbaglierebbero con la luce delle loro ali." iniziò a raccontare
Blue, cercando ricordare le parole di Nala.
Quando
finì, Green scoppiò a ridere.
Blue diventò serio
e strinse i pugni, infastidito dall'offesa arrecata alla sua amica Nala.
Green, quando si
accorse della sua reazione, si sforzò di ritornare serio.
"Perdonami,
perdonami!" gli disse "è solo che l'angelo con cui hai parlato non sa
molto di noi!"
Quando Blue si
rilassò, cercò di spiegarsi meglio.
"Vedi, è vero
che noi non abbiamo legami con gli Umani e bla bla bla... Ma, come hai potuto
vedere poco fa, li possiamo creare, come è capitato a te con quella
donna... Ci basta toccarli perchè i loro pensieri diventino i nostri. Certo,
i legami dei Terreni non durano tutta la vita, come quelli dei Custodi:
se il contatto con l'Umano si interrompe, la nostra mente si svuota e le
sensazioni intruse svaniscono. Ma tu questo lo sai già."
Si sedette su una
sedia impolverata e, preso un accendino dalla tasca, accese un'altra
sigaretta.
Soffiò il fumo,
poi riprese, con calma.
"Noi,
quando diventiamo 'Umani' non nascondiamo semplicemente le nostre ali: cambiamo
totalmente aspetto! Possiamo diventare come vogliamo: giovani, vecchi,
biondi, mori, rossi...
Non possiamo
tenere l'aspetto che abbiamo ora, questo è certo... Ti spiego
meglio... Se un Terreno ha i capelli biondi, da Umano potrà
averli di tutti i colori possibili ed immaginabili, ma non biondi... Mi segui?
L'unica cosa che rimane invariata sono gli occhi."
"N-non
capisco..." lo interruppe, confuso, l'angelo blu "Come mai?"
"Perchè
l'aspetto che abbiamo da Terreni è quello che abbiamo avuto nella nostra vita
precedente, da Umani! Sai, non è che puoi andare in giro con il
corpo che avevi da vivo, quando tutti ti credono morto,
no?"
Blue annuì,
cominciando a capire.
"Ah, un'altra
cosa..." continuò Green "noi Terreni -sottolineò quelle due parole
con forza- non accechiamo gli Umani se ci mostriamo col nostro aspetto, chiaro?
Noi possiamo controllare la luce che emaniamo, a differenza dei tuoi amici
Custodi!"
Soffiò dell'altro
fumo.
"Come divento
un Umano?" chiese Blue, ansioso di diventare uno di quegli esseri.
"Basta che ti
concentri a fondo su quello che vuoi diventare" intervennne Red.
Green lasciò che
fosse lei a spiegare la parte pratica, continuando a fumare la sigaretta che
teneva stretta tra le dita.
"Chiudi gli
occhi e concentra tutti i tuoi pensieri su cosa vuoi diventare."
Blue fece quello
che la ragazza diceva: chiuse gli occhi e, mentalmente, iniziò a ripetere:
"Voglio diventare un umano. Voglio diventare un umano. Voglio diventare un
umano..."
Nella mente cercò
di figurarsi un ragazzo più o meno dell'età di Rachel con i capelli scuri.
Sentì che qualcosa
cominciava a cambiare. Lentamente si accorse che le ali stvano svanendo, come
si stessero staccando dal suo corpo: diventavano sempre più fredde, più
lontane, fino a scomparire completamente.
Aprì gli occhi
dopo qualche istante. Si sentiva diverso. Volse lo sguardo dietro di sè e le
piume non c'erano più.
Tuttavia,
nonostante la loro mancanza, si sentiva più pesante.
"Strano"
pensò: avrebbe dovuto sentirsi più leggero senza le due enormi ali blu.
Davanti a lui, Red
e Green lo guardavano.
"Wow, sei
bellissimo!" esclamò Red, ammirata.
Gli occhi erano
sempre uguali, ma, ora, dei capelli neri gli cadevano disordinatamente
sulla fronte e lo rendevano decisamente affascinante, con quell'aria di
mistero e bellezza.
"Dove andrai
adesso?" gli chiese Green.
Blue, sentendosi
più sicuro di sè, tenne stretto il diario di Rachel tra le mani e, volgendo le
spalle ai due Terreni, iniziò a correre, felice, verso l'uscita.
"Dove vado? A
vivere!" urlò, gridando di gioia.
---------
BUONASERA amati
lettori!!!!!!!!!!!
Spero che questo
capitolo sia abbastanza chiaro…ho fatto un po’ di fatica a scriverlo,
soprattutto per quel che riguarda gli occhi di Red (volevo che li avesse rossi
ma sarebbe stato un po’ strano visto che li avrebbe avuti rossi anche nella sua
vita precedente…) Cmq sappiate che i colori delle ali dei Terreni hanno un loro
significato, che verrà svelato più avanti.
Che ne pensate di
Red, ma soprattutto di Green?? E' abbastanza misterioso il Terreno dalle iridi
verdi che non ha ancora mostrato il suo aspetto da angelo?? Nasconde qualcosa,
qualcosa di molto, Mooolto importante… ma per ora non voglio dirvi
niente!!!u_u
Un
trilione di grazie a LIYEN e a SNAIL per i vostri stupendi commenti!!!
Liyen:
-Wow
non pensavo di azzeccare anche il tuo colore degli occhi, ne sono felice!!! :)
Ti piace il rapporto, che più avanti si evolverà, che ha Mairim con lei?? E si
adesso la storia diventerà più interessante!!!!!!!… Kiss!!-
Snail:
-Ciao!
Grazie per il complimento degli errori ortografici…e cerco di farne meno
possibili, anche se qualcuno a volte mi sfugge!! ;D Eh, so che in teoria è un
po’ strano che gli angeli provino invidia e non solo amore, però bo…mi è venuta
così l'idea che non tutti loro alla fine siano così felici di vivere sempre
appiccicati ad un umano!! Però non tutti, intanto solo Lehcar un pochino, e
forse anche Nala, ma per esempio Mairim non prova invidia per nessuno, ma solo
amore per la sua protetta…poi la cosa tra loro due comunque si evolverà!! Spero
che anche questo capitolo ti sia piaciuto!! Kiss!-
Alla
prossima lettori!!! Su recensite che mi fa piacere sapere quello che pensate!!!
;)
Miriam chiuse
la porta dietro di sé e, tolte le scarpe, si trascinò verso la sua camera.
Abbandonato lo
zaino, si lasciò cadere pesantemente sul letto, lasciandosi avvolgere
dalle soffici coperte.
"Che
giornata!" sbuffò, esausta.
Rachel, quel
giorno, aveva davvero la testa fra le nuvole, quasi non la riconosceva più: il
modo in cui aveva reagito con quel maniaco!
Gli occhi le si
chiusero pesantemente mentre, nella sua mente, le immagini dell'ultima ora
scorrevano velocemente.
Quel tipo era
un maniaco, ne era certa al cento per cento. Chi, alla domanda sfacciata di
Rachel, avrebbe semplicemente sorriso per poi scomparire nel nulla?
Letteralmente svanito, come per magia!
Era passata
un'auto che aveva nascosto il ragazzo alla loro vista e, subito dopo, lui non
c'era più.
Le ricordava
molto la scena di un film che aveva visto; solo che l'uomo che scompariva non
era un maniaco, ma un fantasma o qualcosa del genere.
Probabilmente
quel ragazzo era riuscito semplicemente a infilarsi in qualche vicolo,
ecco spiegata la sparizione improvvisa.
La sua mente fu
invasa da altri pensieri: chissà che era successo a Rachel per essere così
distratta... Da quando si erano conosciute, non erano mai state così in
silenzio durante il ritorno da scuola. Tranne le poche frasi dette
all'apparizione del maniaco, non si erano rivolte parola: almeno, lei ci aveva
provato, ma Rachel non aveva proprio aperto bocca...
"Uffa!"
pensò, preoccupata per la sua amica.
Come se non
bastasse, aveva preso un brutto voto nella verifica di inglese: aveva studiato
tanto, non pensava di essere andata poi così male... Ne era certa, la sua
professoressa la odiava, ecco perché le aveva messo quel voto ingiusto!
Piano piano, si
addormentò, cullata dalla marea di pensieri nella quale la sua mente
navigava.
Era sdraiata
prona sul letto, con un mano sul cuscino e la testa rivolta verso destra, il
corpo che si muoveva a ritmi regolari, seguendo il suo respiro. La sua
schiena si alzava e si abbassava, dolcemente.
Mairim la
guardò, gli occhi verdi illuminati da una luce viva. Era davvero stupenda...
Perfino quando
dormiva la trovava meravigliosa.
Era curioso di
vedere i suoi sogni: gli sarebbe bastato chiudere gli occhi per viverli con
lei, ma non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Solo una volta
si era intrufolato in un suo sogno e gli era sembrata una cosa sbagliata,
come se la stesse spiando senza il suo consenso.
"Che
pensiero stupido! Spiarla? Oh, andiamo, sono il suo angelo custode, il suo
protettore! La seguo sempre, giorno e notte, qualsiasi cosa
faccia!" pensò, come per giustificarsi.
Si stava
facendo influenzare troppo dai suoi sentimenti. Doveva cercare di controllarsi,
di placare il suo amore per quella ragazza, ma era
impossibile... Impossibile come impedire al suo cuore di battere, ai suoi
polmoni di respirare, ai suoi occhi di guardare, alle sue orecchie di sentire,
alle sue dita di toccare... era come morire...
E lui non
voleva essere il primo angelo custode a morire!
Tuttavia doveva
farsene una ragione. Mai e poi mai, in nessun caso, tempo o spazio, lui e
Miriam avrebbero potuto stare insieme.
Era fuori
discussione: lui non aveva la facoltà di farsi vedere da lei e, anche se
l'avesse avuta, non avrebbe comunque potuto obbligarla ad
amarlo... Così come non avrebbe nemmeno potuto impedirle di
innamorarsi di un umano, cosa che, presto o tardi, sarebbe sicuramente
successa. Stava male nel pensare che, un giorno, un altro uomo avrebbe
appoggiato le labbra su quelle di lei, l'avrebbe abbracciata e l'avrebbe protetta
al posto suo. Non avrebbe potuto evitarlo. Nonostante tutto, non
sarebbe mai riuscito ad essere invidioso di qualcuno che la sua
adorata Miriam avrebbe amato. Non sarebbe stato giusto.
Si avvicinò
alla sua protetta e le sdraiò al suo fianco sul letto, iniziando ad
accarezzarle i capelli dolcemente; Miriam, inconsciamente, si mise su un fianco
e si volse verso il suo angelo.
Erano così
vicini che lui arrossì; la testa della ragazza era un po’ rivolta verso l'alto,
in linea diretta col suo viso, con le sue labbra. Sarebbe bastato così poco!
Solo avvicinarsi di qualche piccolo, insignificante centimetro e poi....
Avrebbe tanto voluto strapparle il suo primo bacio.
Si sentì
arrossire violentemente per quei pensieri e si morse un labbro per
frenare i suoi desideri; con la mano continuò ad accarezzarle teneramente
i capelli scuri, mentre i suoi occhi verdi coglievano ogni più piccolo
particolare del suo stupendo viso. Come se non lo conoscesse abbastanza! Lo
aveva ammirato così tanto: la bocca sottile e leggermente socchiusa, il naso
piccolo, gli occhi chiusi, le gote rosate...era stupenda.
Si sentiva
colpevole, peccatore. Un angelo come lui era da punire immediatamente, da
allontanare, da esiliare per sempre.
Un angelo innamorato
della propria protetta, come lui, non si era mai visto.
Se lo avessero
scoperto cosa gli avrebbe fatto? Cosa ne sarebbe stato di Miriam?
Gliel'avrebbero portata via per sempre?
Avrebbe dovuto
fermarsi, ma si sentiva stanco di continuare a nascondere i suoi sentimenti.
Non sopportava più di non potersi mostrare, di avvicinarsi a lei, di placare il
battito impazzito del suo cuore innamorato. Non sapeva cosa sarebbe successo se
lo avesse fatto, ma sapeva che non sarebbe riuscito ad andare avanti così in
eterno.
In quel
momento, con la mano tra i capelli di Miriam e il suo corpo così vicino,
appoggiò una mano contro il proprio petto.
Tum. Tum. Tum.
Ecco, lo
sentiva. Il suo cuore batteva velocemente, in preda al vortice di
emozioni che lo assaliva prepotentemente.
Tum. Tum. Tum.
Chiuse gli
occhi per sentirlo meglio.
Tum. Tum. Tum.
Aprì gli occhi
e la vide di nuovo: così bella, così indifesa, così vicina...
Tum. Tum. Tum.
Scacciò ogni
pensiero, nella mente solo l'immagine del suo viso.
Tum. Tum. Tum.
Avvicinò le
labbra alle sue che, appena dischiuse, sembravano aspettare solo quel
contatto.
Tum.Tum.Tum.
Il ritmo del
suo cuore accelerava, come impazzito.
Tum.Tum.Tum.
Le loro labbra
si incontrarono.
Le tenne ferme
su quelle di lei, senza avere il coraggio di muoverle.
Probabilmente
lei non se ne sarebbe nemmeno accorta, dato che il tocco dell'angelo era
troppo leggero da percepire, ma lui no. Per lui, quello, era il momento
più bello della sua intera esistenza.
Si allontanò da
lei e il cuore dell'angelo tornò lentamente al suo ritmo regolare.
Miriam era
sempre immobile, come se non fosse successo nulla.
Mairim sapeva
di aver infranto le regole e aveva paura che, da un momento all'altro,
succedesse qualcosa di terribile e che arrivasse una punizione per
ciò che aveva appena fatto; tuttavia, non riusciva a pentirsene e si sentiva
felice, come non era mai stato in vita sua.
"Grazie,
Miriam! Grazie di esistere." Sussurrò piano, bisbigliando al suo orecchio.
In fondo, se
lei non fosse nata, lui non sarebbe esistito: viveva per merito suo e
non importava se non era un vita sua, libera e senza legami... Per
lui era sufficiente stare con lei per essere felice.
"E'
incredibile quanto la felicità di una persona possa dipendere da qualcun
altro... e quanto la sua semplice presenza possa condizionare la vita degli
altri... " si ritrovò a pensare l'angelo.
Mairim chiuse
gli occhi e si addormentò, sdraiato accanto alla sua protetta. Senza
accorgersene, entrò nei suoi sogni e li trovò meravigliosi: lì, finalmente, poteva
stare con lei, abbracciarla e baciarla quanto voleva, senza sciocche e stupide
regole da seguire.
Nel sonno,
Miriam sorrise per il sogno bellissimo che stava vivendo: il suo principe
azzurro era lì, insieme a lei, la abbracciava protettivo, continuava a
ripeterle che l'amava e che, senza di lei, non avrebbe potuto vivere...
come in una delle magnifiche favole che sua madre le leggeva sempre quando era
piccola.
Il suo principe
le era familiare, aveva dei lineamenti a lei noti, ma, per quanto si sforzasse,
non riusciva a collegarlo a nessuno dei ragazzi che conosceva.
Ora, nel sogno
lui la stava baciando... sembrava così reale! Era certa di aver
sentito qualcosa sul viso, proprio in quell'istante, come un lieve
respiro ed un tocco leggero sulle labbra. Tuttavia, non aveva avuto
il coraggio di aprire gli occhi: perché interrompere la magia di quel bacio per
cercare qualcuno che nella realtà non c'era?
Inconsciamente,
sorrise, mentre i suoi occhi incontravano quelli di Mairim, scintillanti
di gioia.
Rachel si
sentiva inquieta.
Il ragazzo di
quel pomeriggio le era terribilmente familiare, ma non ricordava proprio chi
potesse essere.
Quando aveva
visto i suoi occhi aveva sentito il cuore fermarsi per un attimo: erano blu
come il cielo e immensi come il mare. Erano esattamente come gli
occhi di Samuel.
"Ma che
sto dicendo? Al mondo ci sono sicuramente milioni di ragazzi con gli occhi
azzurri..."
Entrò in casa
pensierosa e, lasciate le scarpe all'ingresso, si incamminò verso la sala da
pranzo.
Abbandonò la
cartella accanto al tavolo e si sedette su una sedia, appoggiando le braccia
sul grande ripiano di vetro e affondandoci la testa.
Chiuse gli
occhi, prendendo un profondo respiro.
Nonostante
fosse passato già qualche mese, la lontananza da Samuel la faceva ancora
soffrire molto. Avrebbe dato tutto quello che possedeva e anche di
più, per sapere dove fosse andato...
Ricordava
ancora perfettamente il giorno del suo ultimo compleanno, quando
lui le aveva regalato un quaderno. Aveva una bella copertina ed
era vuoto, così avrebbe potuto scrivere tutto quello che voleva.
Sull'ultima
pagina la sua dedica, stupenda ed unica.
"Amore
mio,
ricordi la nostra canzone? Quando l'abbiamo sentita per la prima volta
eravamo insieme, sulla spiaggia: ci baciavamo ed io ti tenevo tra le
braccia, quando la radio la trasmise e le parole mi colpirono al cuore. Te
le ricordi? Diceva: "Come what may, Come what may, I will
love you until my dying day..."
Qualunque cosa
succeda, qualunque cosa succeda, ti amerò finché morirò....
Scrivi su
questo diario tutto ciò che pensi, tutto ciò che provi; condividi i tuoi
pensieri con lui quando io magari non ci sono, fingi di parlare con me.
Poi rileggi
quello scrivi, sempre, per ricordartelo; ogni cosa, ogni avvenimento, ogni pensiero...
tutto: le cose brutte, quelle belle, quelle uniche e così incredibili che non
potresti dimenticarle nemmeno se volessi. Tutto, senza tralasciare il minimo ed
insignificante particolare.
Dedica una
pagina alla nostra canzone; quella che ti fa pensare a me, che ti fa stare
bene; a quella che ti fa piangere o che ti fa sorridere; a quella che ti
fa sognare.
Non dimenticare
mai che, qualunque cosa succeda, ti amerò fino alla fine...
Ti amo e ti
amerò per sempre.
Samuel."
L'aveva letta
così tante volte che, ormai, la sapeva a memoria; le bastava chiudere gli occhi
per vederla lì, davanti a lei, scritta con l'inchiostro nero, con la sua
calligrafia leggermente storta.
Aprì gli occhi
di scatto, ricordandosi del suo diario: doveva andare a recuperarlo.
Si alzò
velocemente dalla sedia e corse in camera sua.
Frugò nel
cestino, rovesciando sul pavimento tutti i fogli che aveva strappato e buttato
via: ma il suo quaderno non c'era.
Provò a
cercarlo sulla scrivania o tra i suoi libri di scuola, forse sua madre l'aveva
messo lì per sbaglio: ma niente, del diario non c'era traccia.
"No,
non è possibile!" pensò Rachel, disperata.
Lo aveva perso
per sempre: lo aveva gettato via come una stupida... ed ora?
Una lacrima le
rigò una guancia al ricordo di Samuel che glielo regalava per il suo
compleanno. Che sciocca era stata.
Si asciugò gli
occhi con l'orlo della maglia ed uscì di casa, infilandosi le scarpe più
in fretta che poteva.
C'era solo un
posto dove andare per riuscire a calmarsi.
Il cielo era
ancora sereno, anche se qualche nuvola compariva ogni tanto.
Corse senza mai
fermarsi per le vie e le strade che, ormai, conosceva a memoria.
La sua
cittadina si affacciava su una stupenda spiaggia e lei amava andare là a
guardare le onde che si increspavano; le osservava sempre con Samuel,
prima che lui partisse.
Era il
luogo di cui le aveva scritto nella dedica. Si sedette nello stesso punto
di quel giorno, ma sentiva freddo. Ricordava il suo compleanno come uno dei
giorni più belli della sua vita: lo stereo acceso, lei accoccolata tra
le braccia di Samuel che le accarezzava i capelli dolcemente e la cullava,
bisbigliandole parole dolci o qualche battuta per farla ridere.
Strinse le
braccia intorno alle ginocchia, portandosele al petto, ma tremava lo
stesso: faceva molto caldo, ma lei aveva freddo dentro, in fondo al
cuore, dove i raggi del sole non riuscivano ad arrivare.
Affondò la
testa tra le ginocchia e le lacrime ripresero a scorrere, incontrollabili:
quanto sentiva la sua mancanza: i suoi abbracci, i suoi baci, le sue carezze, i
suoi occhi blu...
Iniziò a
singhiozzare, mentre la spiaggia deserta le teneva compagnia: lì non ci andava
mai nessuno, forse perché c'erano posti migliori sul lungomare o
forse perché, in quel punto, l'acqua diventava subito più alta e
quindi era piuttosto pericoloso. Ma a lei e Samuel quel posto piaceva: era
il loro, dove si erano conosciuti e dove avevano sentito la loro canzone.
"Bello
questo posto, non è vero?" disse una voce, interrompendo bruscamente il
filo dei suoi pensieri.
Rachel sussultò,
alzò la testa e, seduto accanto a lei, trovò il ragazzo misterioso di quel
pomeriggio: i capelli neri sempre spettinati e gli occhi chiusi, con la
testa rivolta verso l'alto per sentire il profumo del mare.
Quando aprì gli
occhi e incontrò quelli scuri di lei, il cuore di Rachel rimase un
po' deluso.
Nel vederli
così da vicino, si accorse che non sembravano i suoi occhi. Erano più
blu... o c'era comunque qualcosa di diverso che non riusciva a cogliere in
quel momento.
Gli occhi di
Samuel avevano delle sfumature azzurrine nel blu, mentre quelli di lui
erano di una sola tonalità.
Lui sembrò non
far caso ai suoi occhi arrossati per le lacrime e al suo viso triste. Le
sorrise amabilmente.
Rachel avrebbe
voluto sapere chi era, ma si sentiva troppo stanca. Sembrava gentile, in fondo,
e non un maniaco come aveva affermato Miriam.
Cercò di
soffocare le lacrime e di sorridere.
"Già…"
disse piano, volgendo lo sguardo alle onde di fronte a lei che si infrangevano
senza fermarsi mai.
Anche
il ragazzo portò lo sguardo verso quel blu infinito davanti a loro che,
all'orizzonte, si confondeva con il cielo.
"Già…"
ripeté lui meccanicamente, non volendo aggiungere nient'altro.
Il silenzio che
c'era tra loro non era fastidioso o imbarazzante, ma tranquillo, con
il suono del mare come sottofondo.
Lui chiuse di
nuovo gli occhi, respirando profondamente il profumo del mare.
"Finalmente
posso vivere." pensò immerso nei suoi pensieri, sorridendo per aver
trovato la prima Umana che lo aveva colpito.
Blue si sentiva
a casa accanto a Rachel: o, per lo meno, non si sentiva più solo.
Rieccomi qui amati
lettori con un nuovo capitolo!!!
Alla fine Rachel e
il nostro misterioso Blue si sono incontrati…che accadrà adesso??
E Miriam e
Mairim?? Arriverà qualcuno a separare l'angelo custode dalla sua amata
protetta??
…Questo non lo so
neanch'io…il prossimo capitolo devo ancora scriverlo ma non penso riguarderà
Miriam e Mairim…
LIYEN:
-Grazie per i complimenti alla one-shot "Solo una cara amica"…è una storia
che ho scritto così a getto per una mia adoratissima amica che ha sofferto
molto per il genere d'amore non ricambiato… grazie per il tuo commento in
quella storia!
A
dir la verità non so neanch'io come andrà avanti tra Miriam e Mairim…sto
aspettando pazientemente un'ispirazione che mi illumini!! ;)
Continua
a recensire che mi fa sempre un enorme piacere leggere i tuoi stupendi
commenti!!! ^^
Kissss!!!!
<3-
E
anche voi altri che leggete solamente mi raccomando: RECENSITE!!!!
Capitolo 8 *** 08- Lieto di conoscerti, Rachel ***
08- LIETO DI CONOSCERTI, RACHEL
08- LIETO DI CONOSCERTI, RACHEL
"Sai,
nella vita basta poco per innamorarsi: uno sguardo, un gesto, un sorriso.
Sembra assurdo
che un sentimento enorme come l'amore usi vie così nascoste per rivelarsi ai
nostri occhi.
L'amore è timido,
ha paura di farsi vedere: per questo non si mostra subito, per questo si
nasconde al sicuro nel nostro cuore.
Ma arriva
sempre un momento nella vita in cui prende coraggio ed esce e, quando questo
accade, per il mondo che conosciamo è la fine.
Tutto scompare,
diventa buio; o meglio, noi diventiamo ciechi. Tutto perde importanza, tutto
tranne lui o lei, che ha dato al nostro cuore un motivo per
farsi avanti e rischiare.
Ci chiediamo
come abbia fatto. Chi può essere che, solo esistendo, ci ha fatto provare
simili sentimenti.
Quando ci
avviciniamo per chiederglielo, però, ecco che i brividi ci assalgono, il
cuore trema, i polmoni non respirano più, le gambe si immobilizzano e la mente
si svuota, riempiendosi di una sola ed unica immagine: il suo volto, il suo
sguardo e il suo sorriso…"
"Ancora
con quello stupido diario?"
Blue abbassò il
quaderno di Rachel e osservò Green.
Il Terreno
dalle iridi verdi lo ospitava in una casa che aveva acquistato in centro, ma
Blue, a volte, lo trovava molto irritante e troppo misterioso.
Blue non era
ancora sicuro di fidarsi di lui, c'erano dei particolari che non quadravano.
Per esempio,
non gli aveva ancora mostrato le sue ali: per quel che ne sapeva, poteva
non essere vero che Green fosse un terreno. Magari era solo un Umano che
aveva la capacità di vedere gli esseri alati. Inoltre, diventava sempre
scontroso quando sentiva Blue raccontare a Red le proprie
esperienze, come i suoi incontri con Rachel, ed era insopportabile
quando venivano nominati, anche solo per sbaglio, gli angeli Custodi.
Ignorò
l'occhiataccia di Green che, a sua volta, se ne andò dal salotto, sbuffando
scocciato.
Blue era
sdraiato comodamente sul divano. Ormai era un Umano da una settimana e
mezza; non aveva più avuto il desiderio di tornare un Terreno: gli piaceva
essere come Rachel, poter andare in giro, respirare l'aria di quella cittadina
e sentirsi un ragazzo normale, un Umano, senza ali o
altre complicazioni.
Red, invece,
non si trasformava quasi mai; anche lei stava nello stesso appartamento, ma
sempre sotto forma di Terreno.
"Non mi
attira l'idea di essere un'Umana" spiegò a Blue quando lui le chiese
come mai ancora non si era voluta trasformare
"Troppi
sentimenti, emozioni, aspettative... No, non fa per me la vita da Umana.
Da Terrena è tutto più interessante: posso fare quello che voglio, quando
voglio e senza che qualcuno mi veda!"
Blue non capiva
appieno il punto di vista di Red, ma lo rispettava.
Voltò un'altra
pagina del diario di Rachel, continuando la sua lettura.
"La gente
di questo mondo pretende sempre un po’ troppo da me! Tutti mi ripetono in
continuazione "Rachel, fai questo; Rachel, fai quello!" Ma mai
nessuno, nemmeno una volta, ha provato a chiedermi "Ti va di fare
questo? Vuoi fare quell'altro?". Nessuno. Devo essere perfetta agli
occhi di tutti, per non deludere mai nessuno. Una brava sorella, una brava
figlia, una studentessa diligente, una ragazza responsabile: devo, devo, devo.
Mai voglio.
Quello no. Quello che voglio io sembra non interessare alla gente. Vorrei avere
la possibilità di sbagliare una volta, una sola, ma mi rendo conto di non
averne il diritto.
Il detto dice:
"Sbagliando s'impara..." ma a me sembra di aver dovuto imparare tutto
senza poter fare errori. Non credo che esista un detto più adatto
alla mia situazione: non ne conosco che dicano che chi sbaglia non viene
perdonato. O forse è il primo detto ad essere giusto,
ma allora significa che ancora non ho imparato niente. Chissà, magari
è davvero così: ancora non ho imparato niente dalla vita."
Blue sbirciò l'orologio
appeso al muro davanti a lui: le 16.35.
Chiuse il
diario, lasciandolo sul divano e, presa una giacca dal guardaroba, uscì
dall'appartamento.
"Ehi, Blue
dove vai?" gli chiese Red, quando lo incontrò fuori dalla porta.
"Ad un
appuntamento!" le gridò lui mentre scendeva di corsa le scale.
Tutti i giorni,
alle 16.45 precise, Blue e Rachel si incontravano sulla spiaggia, sempre nello
stesso posto.
Per Rachel era
diventata quasi un'abitudine. Trovava quel ragazzo gentile e simpatico e con
lui stava bene.
Ancora non
conosceva il suo nome, ma per il momento non le interessava: passavano una
mezz'ora insieme, ogni giorno, seduti a guardare le onde.
Spesso
restavano in silenzio e, qualche volta, parlavano tranquillamente, ma non della
loro vita, dei loro problemi o delle loro preoccupazioni. Parlavano di
quello che capitava al momento e basta. In un altro contesto, le
sarebbero risultati un argomenti ridicoli e noiosi, ma con lui era diverso: le
piaceva addirittura parlare del tempo.
"Assurdo!"
pensò tra sé e sé, sorridendo divertita, mentre, seduta sulla spiaggia,
aspettava il suo nuovo amico.
Il mare quel
giorno era più calmo, più piatto.
Strinse le
ginocchia al petto, e ci appoggiò sopra il mento.
Era passata una
settimana e mezza, ma il diario non lo aveva ancora ritrovato. All'inizio
era stata male, aveva messo a soqquadro la stanza per ritrovarlo; poi, man mano
che i giorni passavano, se ne era dimenticata; le bastava stare un po’ su
quella spiaggia e il bisogno di scrivere ancora sul quaderno diminuiva.
Non che non
volesse più scrivere tutto quanto, come le aveva chiesto Samuel nella dedica,
ma non ne sentiva più l'urgenza.
"Eccomi!
Scusa per il ritardo!" ansimò qualcuno alle sue spalle.
Il ragazzo dai
capelli corvini si sedette accanto a lei, le mani appoggiate sulla subbia per
sostenersi e la testa rivolta verso l'alto, per riprendere fiato.
Rachel gli
sorrise: "Sei in ritardo solo di qualche minuto."
Lui la guardò,
ricambiando il sorriso.
Lei si perse
per un attimo nei suoi occhi: erano così strani! Una settimana prima erano blu
cielo, di una sola tonalità; ma quel giorno delle sfumature azzurrine
comparivano, rendendoli più chiari.
"E'
davvero strano" pensò, sdraiandosi con la schiena sulla sabbia e guardando
il cielo sopra di lei.
Blue la imitò,
incrociando le braccia sotto la testa.
"Chi
sei?" gli chiese Rachel ad un certo punto.
Lui continuò a
tenere lo sguardo fisso sul cielo sopra di loro.
"Perché
vuoi saperlo?" chiese lui, evitando di rispondere alla domanda.
Lei alzò le
spalle: "Così..." spiegò, " è da più di una settimana che ci
vediamo e ancora non so niente di te..."
"Non ha
importanza..." disse lui, evasivo.
Lei si voltò
verso di lui e sollevò un sopracciglio.
"Sono solo
un ragazzo..." mentì lui, cercando di essere convincente.
Rachel non gli
credette: sentiva che c'era qualcosa di strano in lui, qualcosa di diverso. Un
ragazzo normale non si sarebbe mai comportato così con una ragazza che neanche
conosceva.
"Sul
serio...chi sei?" gli chiese di nuovo, tornando a fissare il cielo.
Lui non sapeva
che storia inventare per nascondere la sua identità. O forse non ci
riusciva e basta: non se la sentiva di mentire, non a lei.
Leggendo il suo
diario, le si era affezionato, la capiva e voleva essere sincero con Rachel,
come lo era lei nelle parole che scriveva.
Prese un
profondo respiro, si voltò per guardarla negli occhi e decise cosa
rispondere.
"Sono un
angelo." disse, infine.
Lei lo guardò,
sbigottita.
Pensava che si
stesse solo prendendo gioco di lei, ma poi notò il suo volto serio e turbato.
Non osò dire niente e si limitò a sollevare di nuovo lo sguardo.
"Come ti
chiami?"
Fu il turno di
Blue ad essere sbigottito.
La guardò:
aveva il volto sereno e lo sguardo perso nel blu infinito sopra di loro.
"Come sarebbe?
Io ti dico che sono un angelo, con le ali e tutto il resto, e tu vuoi solo
sapere il mio nome?" domandò incredulo.
“Bè, è la prima
domanda che mi è venuta in mente: mi sembrava una cosa carina da chiedere…”
rispose lei, cercando di giustificarsi, senza staccare gli occhi scuri da
quel cielo meraviglioso, dove le nuvole giocavano a rincorrersi tra di
loro.
In realtà,
avrebbe voluto chiedergli molte cose: la prima di tutte era "Sei
veramente un angelo?" ma si trattenne.
Lei non ci
aveva mai creduto molto, ma lui le era sembrato così serio quando glielo aveva
rivelato...
Tuttavia non
poteva scartare nemmeno l'ipotesi di una qualche malattia mentale.
"In fondo,
siamo tutti pazzi in questo mondo folle, chi più, chi meno." Pensò tra sé
e sé.
Una stretta al
cuore la colpì; era quello che le diceva sempre Samuel.
Un
giorno, Rachel gli aveva chiesto come poteva sopportare una ragazza
come lei, pazza e sognatrice, e lui, sorridendo, l'aveva baciata e le aveva
sussurrato che tutti erano pazzi.
"Quindi
anche tu?" gli aveva chiesto in quel momento, ridendo. "Si, è da un
po’ che sono pazzo: pazzo di te..." le aveva sussurrato all'orecchio.
"Samuel"
pensò, diventando improvvisamente triste al suo ricordo. Nonostante si
sforzasse in tutti i modi, non riusciva proprio a dimenticarlo.
A volte, le
sembrava di averlo lì, al suo fianco e di avere la possibilità di stringerlo
forte a sé per non lasciarlo fuggire più. Poi gli avrebbe sussurrato dolcemente
quel piccolo segreto che da tempo era rinchiuso nel suo cuore, che mai era
voluto uscirne, forse perché dentro di lei si sentiva più al sicuro. Forse, se
quelle due paroline avessero avuto il coraggio di uscire prima, lui non se ne
sarebbe andato.
L’angelo al suo
fianco si accorse che qualcosa la turbava e si sentiva male a sua volta,
come se qualcosa lo perforasse. Non ne capiva il motivo, ma era legato a quella
ragazza da qualcosa di troppo enorme da capire, qualcosa di intenso e
complicato. Avrebbe voluto toccarla per sentire i suoi pensieri, ma aveva paura
che, così facendo, il dolore di lei lo schiacciasse.
Anche lui
ricominciò a guardare il cielo sopra di loro e cercò di misurare le parole, di
non farle tremare sulle sue labbra e dirle con naturalezza, per non farle
capire ciò che sentiva.
“Non ce l’ho un
nome..” si bloccò per un secondo “O, perlomeno, non lo ricordo...
Probabilmente, noi angeli, non ne abbiamo bisogno..” aggiunse subito, come
se non avere un nome all’improvviso fosse diventato una cosa bizzarra. E lui,
lui non voleva più essere bizzarro, no, lui ora desiderava essere come tutti
gli altri, come quella ragazza sdraiata accanto a lui sulla spiaggia. Certo,
avrebbe potuto dirle che si chiamava Blue, ma non lo fece. Non lo
sentiva come il suo vero nome, quello era solo un soprannome che gli aveva
dato Red.
Lei restò in
silenzio.
Una leggera
brezza li accarezzò dolcemente, portando nelle loro narici un intenso profumo
di mare e di sale, di acqua e di libertà.
Samuel era
partito, era disperso in quel mare. Rachel tornava sempre lì, come per
mantenere una piccola promessa. Sapeva che, presto o tardi, le avrebbe fatto
male guardare quelle onde incresparsi tra loro per poi infrangersi sulle rocce,
ma, per il momento, non poteva fare a meno di tornare lì, in quel posto, il
loro posto, e di sedersi tra la sabbia, per sentirne i granelli sulla
pelle e udire il canto del mare, come se in quella voce ci fosse anche
quella di lui che, da lontano, la raggiungeva ancora una volta e le sussurrava
all’orecchio le parole più belle che esistano al mondo.
Ci pensò un
momento: era stupido quello che stava per dire, insensato, sbagliato, egoista e
che l'avrebbe fatta soffrire ancora di più. Ma non riuscì a trattenersi.
"Che ne
dici di Samuel? E' un bel nome, no?"
L'angelo si
voltò un secondo per guardarla: gli aveva dato un nome. Quell'umana gli aveva
dato un nome! Inspiegabilmente, si sentiva felice.
Annuì
silenziosamente: "Si, è un bel nome, mi piace!" concluse, gli occhi
blu illuminati dalla gioia.
Si sentiva come
se appartenesse a lei, ma non come un oggetto, come se tra loro due si fosse
creato un legame.
Temeva un po’
la reazione che avrebbe avuto Lehcar, ma lui non si era ancora
mostrato ai suoi occhi, quindi perché preoccuparsene?
Rachel si
sedette, tese la mano verso di lui e disse: "Allora piacere, Samuel. Il
mio nome è Rachel."
"Come se
non lo sapessi già!" pensò Samuel, divertito, mentre le stringeva la mano
sorridendo.
"Lieto di
conoscerti, Rachel."
-------------
Buongiorno
ragazzi!!
Allora come potete
vedere questo è il capitolo che c'è scritto anche nella 'prefazione'. Vi
piace??? :)
Allora il prossimo
capitolo l'ho già scritto, devo rivederlo un po’ perché è un po’ corto…Cmq vi
dico già che sarà dal punto di vista di Green…
Ma come sempre un
grazie enorme, gigantesco, super a LIYEN E SNAIL per i vostri commenti!!!
LIYEN:
-Sono contenta che ti sia piaciuta la scena tra Miriam e Mairim!! :)
Presto ci sarà un
altro capitolo dedicato a loro (mi è venuta l'ispirazione per andare avanti con
la loro storia!!! ^^) Solo che prima devo continuare ancora un po’ con Rachel e
Samuel (Blue)… Al prossimo capitolo…KISS!!!! ;)-
SNAIL:
-La dedica di Samuel e Rachel ho fatto un po’ fatica a scriverla a dir la
verità, per questo sono davvero molto felice che ti sia piaciuta (almeno non ho
fatto tanta fatica inutilmente…:) )
Spero che anche
questo capitolo ti piaccia!! Kiss!!-
E che ne dite
inoltre del fatto che Rachel ha dato il nome del suo ex a Blue?? Ha fatto bene o
ha fatto male secondo voi? (Mi piacerebbe sapere che ne pensate quindi
ditemelo, su!!!)
Al prossimo
capitolo, che molto probabilmente pubblicherò a breve!!
Non lo aveva
mai condiviso con nessuno, lui solo lo conosceva ed era un peso che gli
gravava sempre sul cuore.
Aveva osservato
di nascosto, dalla finestra, il nuovo Terreno che si affrettava al suo
solito incontro con quell'Umana.
"Illuso!"
Inseguire in
quel modo una donna? Lui non l'avrebbe fatto. O almeno, non più.
Si era
innamorato, una volta, ma era stato un amore difficile, uno che prendeva
più di quanto non desse e che lo faceva soffrire. Era riuscito a
liberarsene, per fortuna.
Lei era un
angelo. Un angelo Custode. Quanto era bella!
Ancora
rabbrividiva nel ripensare ai suoi occhi verde chiaro, ai suoi capelli
neri e lucenti.
Chiuse gli
occhi: per un attimo, gli era sembrato di vederla ancora lì,
vicino a lui, con un paio di meravigliose ali bianche.
Aprì gli occhi,
scuotendo la testa violentemente. Che stupido!
Gli angeli
Custodi sono egoisti, egocentrici e non sanno assolutamente nulla dei Terreni.
"Ho
bisogno di una doccia..."pensò Green.
Si allontanò
dalla finestra e, tolti i vestiti, si mise sotto il getto dell'acqua.
Detestava
quando tutti quei pensieri iniziavano a ronzargli per la testa.
Lo infastidivano.
L'acqua
scrosciante sembrò lavare via tutte le sue preoccupazioni.
Uscì dalla
doccia, si vestì e prese un asciugamano per i capelli.
Quando entrò
nel salotto, sentì del fracasso in cucina, seguito dalla voce di Red.
"Quella
ragazzina…" pensò infastidito, "Chissà che sta combinando..."
Curioso, si
affacciò all'ingresso della cucina.
L'angelo dalle
ali rosse, però, non c'era: al suo posto, un'impacciata ragazzina dai capelli
biondi a caschetto era ricoperta di farina. Quando Green entrò, lei restò in
silenzio, guardandolo immobile, con una scodella in mano e completamente bianca
in viso.
"Red?"
le chiese lui incredulo, non riconoscendo nelle sembianze umane la Terrena.
"S-stavo
cercando di preparare qualcosa da mangiare…" cercò di giustificarsi lei, pensando
che la domanda di Green fosse riferita a quello che stava facendo.
"Sei
Umana?" le domandò lui.
Lei, come
ricordandosi all'improvviso della sua trasformazione, sussultò un attimo e
sorrise.
"Ma non
dicevi che diventare Umana era orribile?" le chiese lui, confuso dal
comportamento insolito della giovane.
"Si... ma
vedi, volevo preparare qualcosa da mangiare e le ali erano scomode ed
ingombranti... e così…" provò a spiegare lei "... e poi, ho
notato che Blue è felice da Umano, quindi ho voluto provare!" concluse
sorridendo, sicura che Green fosse d'accordo.
"Si, ok,
fai come ti pare…" disse semplicemente lui, uscendo dalla cucina.
Quando sentì
cadere dei piatti, fu tentato di tornare indietro per fermare la catastrofe, ma
si trattenne: non voleva intromettersi in affari che non lo riguardavano.
Si lasciò
cadere sul divano, aprendo un giornale e sfogliando le pagine di cronaca.
Omicidi,
incidenti, tradimenti... quegli Umani non sapevano vivere senza farsi del male
l'un l'altro.
Qualcosa di
scomodo, su cui si era seduto, lo fece alzare in piedi.
Lo tolse e vide
di avere in mano un quaderno con una copertina colorata, un cuoricino
rosso disegnato in cima.
"Bleah,
disgustoso!" pensò. Non amava affatto le cose romantiche.
La sua mente
fece un collegamento semplice ed improvviso: quello era il diario di
quell'Umana di cui Blue si era invaghito!
Era lì, tra le
sue mani, indifeso: avrebbe potuto farne quello che voleva.
Lo avrebbe
volentieri buttato via, così quello sciocco avrebbe smesso di comportarsi da
folle innamorato; oppure avrebbe potuto lasciarlo lì dove l'aveva trovato.
"No,
meglio la prima" pensò divertito all'idea.
Anzi, ne aveva
una migliore: perché distruggerlo, quando avrebbe potuto semplicemente sfruttarlo
per poi nasconderlo? Una parte di lui era curiosa di leggere il contenuto
di quel misterioso diario di cui Blue era terribilmente geloso.
"Ehi,
Green! È quasi pronto!" Red comparve nel salone, con un sorriso a
trentadue denti rivolto a Green.
Lui, prontamente,
nascose il diario dentro l'asciugamano e lo mise sotto un braccio.
Cercò di
ricambiare il sorriso di Red.
"Ma...
Blue non è ancora tornato?" chiese lei, guardandosi intorno.
Green scosse la
testa.
"Dev'essere
ancora in giro, allora." suppose lei.
"Red,
scusa se mi permetto..." si azzardò lui, titubante.
Lei gli rivolse
un'occhiata interrogativa.
"Ma... si
cena alle 17.30?" chiese Green, sorridendo per le stranezze di Red.
Lei sorrise e,
evitando di rispondere, tornò in cucina.
L'asciugamano umido,
sempre avvolto intorno al diario di Rachel, era ancora sotto il suo braccio. Lo
avrebbe portato dove Blue non lo avrebbe mai trovato.
Green pensò
che, forse, anche lui avrebbe bisogno di un diario per chiuderci dentro il
suo segreto: così non sarebbe più stato tanto difficile da nascondere e
sopportare.
"Ma perché
rischiare, condividendolo con qualcuno o qualcosa?" pensò poi, ridendo di
sé stesso per la sua assurda idea.
Il suo di segreto
era troppo grande per essere racchiuso in un quaderno.
---------------
Lettori rieccomi
con un nuovo capitolo!!!
Lo so, è veramente
corto ma purtroppo non sono riuscita ad allungarlo…:(
Il prossimo
ritornerà a Rachel e Samuel (lo sto scrivendo adesso) e vi preannuncio che il
loro legame diventerà più forte…:)
Allora…ringrazio
tutti voi, come sempre, chi ha messo la mia storia tra le preferite (3), chi
tra le seguite (5) e chi tra le ricordate (3).
LIYEN:
-Ah, bene sono
contenta che almeno per te vada bene che lei lo abbia chiamato così…Vedrai nel
prossimo capitolo che faranno quei due!! ^^
Spero che questo
capitolo non ti abbia delusa troppo, perché in effetti è un po’ misero…Baci!!-
Capitolo 10 *** 10- Voglio solo vederti felice ***
10- VOGLIO SOLO VEDERTI FELICE
10- VOGLIO SOLO VEDERTI FELICE
"Adesso
dimmela tu una cosa..."
Rachel fissò
il suo nuovo amico interrogativamente, continuando a camminare accanto a lui e
aspettando una sua domanda.
L'angelo restò
con lo sguardo fisso davanti a sé, senza vedere veramente ciò che aveva
davanti.
"...tu chi
sei, Rachel?" le chiese.
Lei lo
guardò allibita per qualche secondo, poi abbassò lo sguardo davanti a lei,
amareggiata.
"Chi sono
io?" prese un profondo respiro, non sapendo come continuare
"Sinceramente non lo so neanch'io..." concluse, affranta.
Aveva freddo;
il sole ormai stava calando all'orizzonte e lei stava passeggiando per le vie
della città con il 'nuovo' Samuel.
Sentì qualcosa
toccare la sua mano, qualcosa di caldo e morbido: quando abbassò lo sguardo,
vide la mano di Samuel stretta intorno alla sua.
Quel tocco non
le dava fastidio, anzi la scaldava.
Neanche lei
sapeva chi era veramente, cosa aveva dentro di sè, nascosto sotto la polvere
causata dalla scomparsa del vero Samuel, sepolto sotto tutto quell'infinito
dolore.
Il ragazzo le
strinse la mano e venne invaso da tutti i problemi di quell'Umana.
Alla fine aveva
preso coraggio: si sarebbe sentito di nuovo male, lo sapeva, come era già
capitato con quella donna, ma il desiderio di alleggerire tutta quella sofferenza
chiusa nella ragazza era diventato più forte della paura.
Un senso di
dolore, sofferenza e frustrazione lo colpirono violentemente e, come previsto,
fu costretto a staccarsi immediatamente da quel contatto e ad appoggiarsi
contro il muro di un edificio per reggersi in piedi.
Rachel,
preoccupata, gli si avvicinò, cercando di capire cosa fosse successo; la
gente, intorno a loro, continuava tranquilla il proprio cammino, senza
interessarsi troppo ai due giovani.
Samuel prese un
profondo respiro e cercò di riprendersi dalla confusione di tutti
quei sentimenti che vorticavano nella sua testa.
"Tutto
bene?" gli chiese preoccupata Rachel, gli occhi scuri fissi nei blu
di lui.
"S-si...
Adesso va un po’ meglio..." sorrise lui, cercando di tranquillizzarla.
Si staccò dal
muro e riprese a camminare; Rachel, al suo fianco, rimaneva in
silenzio e, per qualche strano motivo, si sentiva in colpa: era certa che fosse
lei la causa di quell'improvviso malessere. Infatti, mentre lui stava male, lei
si era sentita meglio, più leggera e sollevata.
"Che hai
fatto?" gli chiese, con tono di rimprovero.
Lui sorrise,
continuando a guardare davanti per non incrociare lo sguardo di lei.
"Niente!"
rispose. Ormai il dolore se ne stava andando dalla sua testa.
"Assolutamente niente."
"Qualsiasi
cosa fosse, non farlo più!" sussurrò piano lei, con aria triste e
preoccupata, guardando il marciapiede.
Lui spostò lo
sguardo su di lei per un attimo, ma lei non ricambiò.
Samuel, per
tutta risposta, afferrò una seconda volta la sua mano.
Questa volta,
insieme al dolore, lo colpì una sensazione di sorpresa e smarrimento.
Rachel si
divincolò per liberarsi da quella stretta: non voleva che lui stesse male di
nuovo.
Quando la sua
mano si staccò da quella di lui, Samuel, prontamente, impedì a Rachel di
fuggire via e la strinse forte in un abbraccio.
Le fitte
cominciarono ad arrivare velocemente alla sua testa e lui affondò il viso tra
il collo e la spalla di Rachel.
La ragazza,
dopo l'attimo di sorpresa iniziale, cercò di liberarsi dall'abbraccio di
Samuel, ma inutilmente: era più forte di quanto sembrasse.
Poi, un
inspiegabile senso di benessere la colpì e lei non riuscì a fare a meno
di rilassarsi e chiudere gli occhi, trovandosi perfettamente a proprio
agio tra le braccia del ragazzo.
La folla di gente
indaffarata cercava di evitarli, come per impedire qualsiasi contatto con i due
giovani.
Samuel iniziò a
respirare affannosamente, ma non lasciò la stretta intorno alla ragazza. Era
stanco di vederla soffrire: voleva vederla sorridere.
Quando si riprese
dalla sensazione improvvisa di pace e tranquillità, Rachel ricominciò a
divincolarsi dalla stretta di lui, intuendo che Samuel, in quel momento, stava
soffrendo al suo posto, anche se non riusciva a capire come fosse possibile.
"Smettila,
ti prego."
Blue sentì i
singhiozzi di lei e si allontanò, fissandola negli occhi.
Stava
piangendo.
Piangeva per
colpa sua! Era sicuro che l'avrebbe vista sorridere, se le avesse cancellato
tutto il dolore, ma, invece, lei piangeva. Perchè? Perchè non c'era
neanche l'ombra di un sorriso sul suo volto? Dove aveva sbagliato?
"Scusa"
sussurrò piano e poi, evitando ogni contatto con lei, riprese a camminare.
Rachel lo seguì, asciugandosi le lacrime con la manica della giacca.
Continuarono il
loro percorso senza toccarsi, parlarsi, né guardarsi: come due sconosciuti
che, casualmente, percorrono la stessa strada.
Quando il
silenzio tra loro diventò imbarazzante e fastidioso, Rachel decise di romperlo.
"Non
voglio che tu soffra al posto mio. Non è giusto." disse semplicemente.
Lui non
rispose. La ragazza avrebbe voluto toccare la sua mano per fargli
capire che era tutto a posto, ma, così facendo, lui avrebbe sofferto di nuovo.
"Bè,
neanch'io voglio che tu stia male..." disse lui dopo qualche secondo
di silenzio.
"Allora,
se non vuoi che io stia male, resta qui con me, Samuel" sussurrò lei,
come se in realtà lo chiedesse al vero Samuel.
Lui la guardò
e, quando i suoi occhi incontrarono quelli di lei, annuì sorridendo.
"Se starti
vicino ti renderà felice, allora lo farò. Voglio solo vederti sorridere…"
pensò continuando a camminare insieme a Rachel.
"Che ore
sono?" chiese lui, non appena il silenzio divenne insostenibile.
Rachel guardò
il suo orologio da polso.
"Le
17.40" rispose.
"Ma,
Samuel, tu vivi da queste parti?" gli chiese poi, guardandosi
intorno.
Prima che
Samuel potesse rispondere, si sentì travolgere da qualcuno.
"Blue!"
Fece un passo
indietro per mantenere l'equilibrio, al collo le braccia di una ragazzina
bionda con i capelli a caschetto.
Rachel fu colta
da un'inspiegabile sensazione di gelosia nei confronti della
persona che era comparsa dal nulla e si era letteralmente gettata al collo
dell'angelo, chiamandolo Blue.
Quando un
confuso Samuel riuscì a districarsi dalla stretta, vide Rachel
sollevare interrogativamente un sopracciglio e la ragazzina donargli
un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
"E questa
chi diavolo è?" si chiese.
La bionda,
intuendo la sua confusione, iniziò a ridere divertita.
"Non mi
riconosci? Sono Red!" esclamò.
"Red?"
chiese lui, incredulo "Sei Umana?"
La ragazzina
non rispose; si limitò a guardarlo allarmata, gettando occhiate di
sottecchi a Rachel.
Blue,
all'inizio, non comprese il senso della sua reazione, poi guardò
l'amica e capì.
"Oh! Lei
sa tutto di noi, stai tranquilla... " si affrettò a spiegare a Red.
Lei si
rilassò, poi sbuffò.
" Ah, bè,
allora è un'altra cosa... Hai avuto la stessa reazione di Green, comunque...
Perché vi sembra così strano che io sia Umana, eh?" chiese lei,
mettendo il broncio.
"Forse
perché non è da te." Pensò lui, ma non lo disse per evitare di discutere
con l'angelo.
Rachel, che li
osservava sempre più confusa con le braccia conserte, guardò Samuel
interrogativamente, aspettando una spiegazione.
Quando lui
colse il suo sguardo, si affrettò a presentarle.
"Ehm, lei
si chiama Red ed è un angelo come me!" spiegò lui.
"Un
Terreno per l'esattezza!" ci tenne a precisare la ragazzina, poi tese la
mano verso Rachel.
Lei restò
immobile, non sapendo cosa pensare. Un altro angelo? Un'altra pazza,
magari....
Red la guardò,
la destra ancora tesa davanti a sè.
"Non è
così che ci si presenta? Con una stretta di mano?" chiese a Rachel,
temendo di aver sbagliato qualcosa.
Lei, scacciando
tutti i pensieri che le ronzavano per la testa, la strinse, sorridendo
amabilmente. Forse erano davvero dei pazzi, ma quella biondina sembrava
simpatica.
"Piacere
Red, io sono Rachel." Si presentò lei, educatamente.
"Rachel?"
Red sembrò pensarci un attimo "Quella Rachel?" esclamò poi, quando
capì che doveva essere la ragazza del diario, quella di cui si era
innamorato Blue.
Samuel la zittì
prontamente, mettendole una mano sulla bocca, mentre Rachel li guardava
confusa.
Red si ribellò
con un morso e Blue fu costretto a lasciare la presa sulla ragazzina e a
portarsi la mano dolorante alla bocca per soffiarci sopra.
"Che
ragazzina pestifera" pensò, mentre Red gli faceva la linguaccia.
Rachel rise: li
trovava buffi, sembravano fratello e sorella.
Blue cercò di
cambiare discorso, per evitare che la ragazza raccontasse all'Umana
tutto quello che sapeva di lei.
"Red,
allora, si può sapere che ci fai qui?" le chiese, cercando di sembrare
scontroso.
"Ah,
giusto, quasi me ne dimenticavo... " si ricordò lei "sono venuta a
cercarti per dirti che è pronta la cena!"
"Alle
17.40?" si intromise Rachel, sorpresa.
"Ma è
possibile?! Reagite tutti e due come Green! Si, alle 17.40! C'è qualche
problema, forse?" Urlò indignata ed offesa.
"Ehi, mi è
venuta un'idea!" disse Samuel "Rachel, ti va di venire a cena da
noi?" propose alla sua nuova amica.
La ragazza cercò
di rifiutare: non le sembrava il caso di andare a cena da dei pazzi che
credevano di essere degli angeli, ma Red era già talmente entusiasta all'idea
di avere un ospite che non riuscì a dire di no. Chiamò sua madre per chiedere
il permesso, sperando di nascosto che lei glielo negasse. Invece sua madre
fu d'accordo perché avrebbe fatto tardi e quindi non sarebbe riuscita a
prepararle da mangiare quella sera.
"Magnifico!"
pensò Rachel sarcastica; forse invece di dire "A cena con degli
amici" avrebbe dovuto dire "a cena con degli estranei" ma ormai
era troppo tardi e sua madre aveva già riattaccato. Quando diede la notizia a
Samuel e Red, la ragazzina quasi esplose dalla gioia.
Così si
incamminarono tutti e tre: Red, allegra, in testa al gruppo, Rachel dietro
di lei, amareggiata e Samuel al suo fianco che la guardava divertito.
"Scusami..."
sussurrò piano, intuendo che Rachel non avesse molta voglia di cenare da loro.
Lei si sforzò
di sorridere, cercando di nascondere il proprio disagio.
Lui stiracchiò
le braccia, incrociando le mani dietro la testa.
"Così
potrai conoscere Green..." aggiunse, per niente contento.
Samuel
alzò lo sguardo dietro a Rachel: un furioso Lehcar, in quel momento, lo
guardava truce.
"Scusa,
Lehcar..." pensò tra sè, tornando a guardare Red che, in preda alla gioia,
saltellava felice davanti a loro.
---------------
Lettori rieccomi
qua!!!!
Allora questo
capitolo a dir la verità doveva essere un po’ più lungo, prendendo dentro anche
la cena, poi invece all'ultimo ho deciso di dividerlo…quindi ecco qui quello
che mi è uscito!!!! Scusate per la confusione tra i nomi Blue e Samuel…
Oggi è l'ultimo
giorno di vacanza, domani inizia la scuola…;(….tutti pronti per il triste
evento di domani??? Io no… Ma perché l'estate non può durare per sempreee!!!!
X(
Vabbè…il prossimo
capitolo devo anko iniziare a scriverlo e purtroppo con l'inizio della scuola
non so bene quando riuscirò…spero il prima possibile…
Ed ora passiamo ai
ringraziamenti!!
A chi ha messo la
storia tra le preferite (3), chi tra le seguite (5) e chi tra le ricordate (4).
Ma soprattutto
grazie a te, Liyen per i tuoi stupendi commenti!!!!!!!! ^^
-Spero che il
capitolo ti sia piaciuto…nel prossimo penso succederà qualcosa tra Green e…. lo
vedrai…:) (sempre che all'ultimo non cambi idea…) Baci-
Inoltre ringrazio
anche Snail che ha letto la mia storia 'persa nella solitudine' commentandola
anche!!!!!!!!!!!!!!!!! ^^
-Era una storia
che mi era venuta in mente in un periodo in cui ero un po’ depressa per varie
cose che mi erano accadute sinceramente…ti ringrazio molto per i complimenti,
sono felice che ti sia piaciuta!!!! :))))) Kiss!-
Green si alzò
di scatto dal divano quando sentì la porta d'ingresso del suo appartamento
aprirsi. Ripiegò velocemente il giornale che stava leggendo e lo appoggiò sul
tavolino di vetro accanto a lui: si sentiva agitato e nervoso, come se fosse appena
stato sorpreso nel fare qualcosa di terribile.
E lui qualcosa
di terribile lo aveva fatto davvero: era riuscito a far sparire il diario di
quello stupido di Blue e lo aveva messo al sicuro, sotto il materasso
del suo letto.
Lì, non lo
avrebbe mai trovato.
Red e Blue
entrarono nella stanza e lui cercò di accoglierli con il suo sorriso migliore.
Si spense instantaneamente quando, dietro ai due Terreni, comparve qualcun
altro: una ragazza. Un'Umana.
"Cosa
diavolo stanno combinando?"
Cercò di
pensare positivo, ma dei sospetti cominciavano ad affollare la sua
mente: se le avessero raccontato qualcosa? Sentì montare la rabbia a
questa prospettiva, ma provò ad ignorare la cosa. Magari era soltanto un
altro Terreno.
Rachel varcò la
soglia e si ritrovò in un appartamento lussuoso, arredato con cura ed eleganza.
Quando Samuel
la invitò ad avanzare, restò davvero affascinata dal luogo dove i due pazzi
vivevano.
Ampio, i muri
pitturati di bianco con dei quadri di pittori famosi appesi alle pareti; mobili
in mogano, un grande tavolo al centro dell'enorme sala e il pavimento in
parquet.
Non c'erano
muri a dividere le stanze: in quel momento si trovava
nell'ingresso e poteva benissimo ammirare la sala da pranzo e il
salotto, il televisore al plasma, un divano (che, a prima vista, sembrava
essere il più comodo del mondo) e, davanti ad esso, un tavolino di vetro
con delle riviste.
L'unica nota
negativa di quel posto era la freddezza. Sembrava essere un appartamento
in vendita, uno di quelli vuoti, ordinati fino a diventare sterili che gli
agenti immobiliari amano mostrare ai possibili acquirenti. Nessun colore,
nessun segno di vita, niente fiori. Come se fosse nuovo.
Dal salotto
partiva una scalinata di legno affiancata da una ringhiera in ferro battuto che
portava al piano superiore: quella casa pareva immensa.
Il suo sguardo
si posò su un uomo, alto, biondo, il viso serio. I suoi occhi verdi la
colpirono particolarmente: erano strani e particolari, ma, per quanto si
sforzasse, non riusciva a capire cosa li rendesse così affascinanti e
misteriosi.
A Green fu
sufficiente un'occhiata: quella era chiaramente un'Umana.
Spostò lo
sguardo su Blue: quando notò la sua espressione persa, intuì che quella non era
una semplice Umana. Era quella di cui si era invaghito: la proprietaria
del diario che aveva nascosto.
"Ecco,
Rachel, questo è Green." Blue li presentò educatamente, nella
voce nessuna nota di felicità.
Rachel si
avvicinò timidamente, tendendogli la mano e sfoggiando un timido sorriso.
Lui la guardò
un istante, senza ricambiare il gesto.
L'attenzione di
Green fu catturata all'improvviso da qualcosa dietro la ragazza, qualcosa che
odiava con tutto se stesso: un angelo custode.
Le ali bianche
e splendenti erano spiegate in segno di ostilità e diffidenza.
Lehcar, fin da
quando era entrato nell'appartamento, non aveva staccato gli occhi da
quell'individuo: il solo guardarlo gli procurava un senso di profondo disgusto
e un'inspiegabile sensazione di disagio. Non si fidava di quell'essere: c'era
qualcosa di terribilmente sbagliato in lui ed in tutta la situazione:
soprattutto, c'erano troppi Terreni per i suoi gusti.
"Lei
sa?" esordì Green rivolto agli altri due. La mano di Rachel era ancora
tesa verso di lui, in attesa di una stretta amichevole.
Blue annuì
piano, timoroso.
L'angelo
verde sembrava non aspettare altro: tutta la sua furia esplose
all'improvviso.
"Ma siete
forse impazziti, voi due?" sbraitò "Raccontare tutto ad un'Umana? Non
avreste mai dovuto farlo! E' contro tutte le regole!"
Rachel restò
sconvolta per la sua reazione. L'aveva chiamata "Umana".
"E con
questo siamo a tre..." pensò afflitta.
Green sbuffò
scocciato e si allontanò dalla mano di Rachel.
Si lasciò
cadere pesantemente sul divano, riprendendo tra le mani il giornale che stava
sfogliando prima del loro arrivo.
"Sciocchi"
pensò "non sapete a cosa andate incontro. Mai fidarsi di un Umano."
Rachel restò
con la mano sospesa in aria, stupita per il comportamento maleducato dello
sconosciuto.
Blue, al
contrario, non era per niente sorpreso, ma non si aspettava di essere
rimproverato per aver raccontato alla ragazza la verità. Non gli era mai
stato detto di non farlo.
"Ragazzi,
che ne dite se ci mettiamo tutti a tavola?" si intromise Red,
interrompendo il silenzio che era calato nella casa.
Senza che i
presenti acconsentissero, la ragazzina si fiondò in cucina, aspettandosi di
essere raggiunta dagli altri.
Blue la seguì
svogliatamente, accompagnato da una preoccupata Rachel; Lehcar, sempre dietro
alla sua protetta, gettò un'ultima occhiata in direzione di Green che,
immobile, se ne stava sul divano a leggere il giornale, il volto corrucciato in
una smorfia infastidita e infuriata.
"Tu non
vieni, Terreno?" chiese il Custode con tutto il disprezzo di cui era
capace.
Green, per
tutta risposta, strinse le mani intorno alla carta del quotidiano,
stropicciandola e gli gettò un'occhiata carica d'odio. Quando l'angelo dalle
ali bianche si voltò sbuffando, il Terreno gettò in malo modo il giornale
sul tavolino e, alzatosi, seguì gli altri.
Questa
sala era più piccola di quella dove si trovavano prima, ma al centro c'era
un tavolo abbastanza grande per tutti.
Red preparò
velocemente le posate e il piatto per Rachel e tutti si sedettero in
attesa.
Blue si mise
accanto a Rachel, mentre Green si sistemò di fronte a lei.
La ragazza si
sentiva un po’ a disagio; tra i tre, quell'individuo sembrava il più
pazzo di tutti. Ogni minuto che passava, si pentiva sempre di più di essere
andata a cena da loro.
Quando Red
appoggiò i piatti con le pietanze davanti ad ognuno, tutti si ritrassero,
sbigottiti da ciò che si trovarono davanti. Specialmente Rachel, la cui teoria
della malattia mentale diventava sempre più convincente ed inquietante.
"Ehm,
scusa Red..." chiese titubante alla ragazzina che, con un sorriso a
trentadue denti, si era seduta al suo posto accanto a Green, ansiosa di sentire
i commenti dei tre.
"...Cosa
avresti preparato?" Rachel osservò ancora una volta il contenuto del suo
piatto, per verificare di aver visto giusto.
Si trattava di
un pesce con delle patatine. Crudi. O meglio, il pesce era crudo e fresco:
le patatine erano decisamente congelate.
"E' pesce con
patatine fritte! Una volta ho visto degli umani in un posto chiamato
ristorante, se non sbaglio, che mangiavano questa cosa. In effetti è un po’
diverso da come lo ricordavo, ma ho seguito la ricetta alla lettera e quindi
penso abbia lo stesso sapore! Sembrava molto buono...Spero che vi
piaccia!" concluse raggiante.
"Bè
ecco..." cercò di spiegare Rachel, cercando le parole giuste per non
ferire la ragazzina "...il fatto è che..."
"Che
quello che hai preparato è immangiabile!" interruppe brutalmente Green.
Red lo guardò,
confusa ed offesa, senza capire. Lui allontanò in malo modo il piatto
e si appoggiò allo schienale della sedia, chiudendo gli occhi innervosito ed incrociando
le braccia sul petto.
"Vedi Red,
non li hai cucinati..." intervenne prontamente Rachel, per fermare la
catastrofe che si stava creando.
"Cucinare?
Ma io ho seguito la ricetta... diceva di mettere il cibo nel forno..."
"Per
quanto tempo?" s'intromise Blue.
"Due ore
circa..." rispose una desolata Red.
"Strano...
Dovrebbero essere cotti... " commentò Rachel, tornando a fissare
il suo pesce che sembrava fissarla dal piatto. Distolse lo sguardo,
disgustata.
"Forse
avresti dovuto accenderlo, il forno..." continuò sprezzante Green, gli
occhi ancora chiusi.
"Dai Red,
non importa, capita!" cercò di sdrammatizzare Rachel, cercando in tutti i
modi di rimediare alle parole di Green.
"Si, dai
Red, non prendertela. Io avrei fatto di peggio, sul serio!" intervenne
Blue.
Green sorrise
dentro di sé: "Ci credo, stupido Terreno!"
Quando aprì gli
occhi, si sentì osservato. Lehcar.
Il Terreno
verde gli ricordava qualcuno: il modo di fare, il carattere scontroso... era
sicuro di averlo già incontrato prima, ma non ricordava dove.
"Ehi, tu,
ragazzina!" Green abbassò lo sguardo su Rachel.
"S-si?"
disse lei, messa in soggezione da quegli occhi.
"Dato che
il nostro geniale amico Blue ha provveduto a metterti al corrente di tutto,
potresti dire a quel rompiscatole del tuo Angelo Custode di smetterla di
guardarmi così? Mi infastidisce..."
Lehcar si
offese per le sue parole e fissò allarmato la sua protetta, ancora ignara della
sua esistenza.
"Il mio
A-angelo Custode, dici?" Rachel, confusa.
Il suo angelo
custode? Cominciava a sperare che, di qualunque cosa si trattasse la loro
malattia, non fosse contagiosa.
"Sì..."
Sbuffò Blue al suo fianco, per nulla felice che Green le avesse parlato di
Lehcar.
"E' dietro
di te" continuò, indicando un punto dietro le spalle di Rachel, dove l'angelo
era sospeso in aria, tranquillo, le magnifiche ali dispiegate.
"Cosa?"
la ragazza si voltò di scatto: dietro di lei non c'era nessuno, come del
resto si aspettava. Cominciava a preoccuparsi seriamente della questione:
possibile che fossero pazzi tutti e tre? Che stessero solo recitando? Magari
era tutto uno scherzo...
"Sentite,
se non se ne va lui, me ne vado io. Non mi piace stare nella stessa stanza con
un Custode, soprattutto uno fastidioso come quello."
Si alzò in
piedi e, scostando la sedia in malo modo, si avviò fuori dalla stanza,
sbuffando scocciato, le mani nelle tasche dei jeans.
"Ci
vediamo." Salutò, per poi scomparire oltre la soglia.
I tre lo
seguirono con lo sguardo finchè non fu uscito.
Rachel decise
di assecondarli nella loro follia, dato che non parevano pericolosi,
e tornò a parlare di quello che loro chiamavano 'Angelo Custode'. La
faccenda la incuriosiva e nella sua mente una domanda cominciava a farsi strada
tra i suoi pensieri: se fosse esistito sul serio?
" E' vero?
Davvero dietro di me, in questo momento, c'è un angelo? Un
angelo custode che mi sorveglia sempre? Con le ali vere?"
chiese, sospettosa ed incredula.
Blue si
offese per le sue parole. Era convinto che lei gli avesse
creduto subito quando le aveva raccontato di essere un angelo. O, per lo
meno, non aveva fatto una piega, sembrava non interessarle. Ora, invece, appena
aveva saputo di Lehcar, aveva visto accendersi nei suoi occhi una luce di
meraviglia e stupore. La cosa lo fece ingelosire.
Annuì, senza
parlare.
Red, ancora
offesa per il risultato della sua cena, decise di andarsene, cercando una scusa
qualunque.
"Penso che
andrò a vedere che ha Green..." esordì "E penso che anche tu, mio
caro, debba lasciarli un po’ soli..." Continuò, rivolgendosi
sfacciatamente a Lehcar e fissandolo con i suoi grandi occhi
castani e rossi.
"Ma come
osa darmi ordini? Neanche Nala è così sfrontata" pensò
Lehcar, scocciato.
Nonostante
questo, scomparve alla vista dei presenti.
Red corse fuori
dalla stanza, ansiosa di lasciare soli Blue e quell'Umana.
Un pesante
silenzio calò nella stanza.
Rachel non
sapeva cosa dire e Blue aveva ancora quel senso di gelosia che pesava gli
sul petto e sentiva, come se gli mancasse l'aria; nonostante fosse
scomparso, sentiva comunque la presenza di Lehcar.
"Se n'è
andato?" chiese timidamente Rachel.
Lui annuì,
evitando di incontrare il suo sguardo "Cioè, no... E' ancora qui, solo che
non posso più vederlo..." spiegò per essere più chiaro.
"Meglio"
sorrise lei "così possiamo restare un po’ soli." Arrossì, non
credendo alle sue stesse parole, e abbassò lo sguardo sul tavolo.
Lui alzò lo
sguardo, stupito.
"Sai, ho
un po’ di fame... Che ne dici di andare a mangiare qualcosa?" chiese,
desideroso di stare ancora un po’ con lei.
Lei annuì,
felice di uscire da quel freddo appartamento e di stare ancora un po’ con
Samuel.
"Volentieri!"
aggiunse.
Insieme uscirono.
Quando furono fuori, sulla strada ancora affollata di gente, respirarono a
pieni polmoni l'aria di quella cittadina e si sentirono decisamente
sollevati. Faceva più freddo e i lampioni sui marciapiedi erano accesi,
per illuminare meglio il cammino dei passanti.
Quando Rachel
sentì la sua tasca vibrare, estrasse il cellulare.
Un messaggio.
Da Miriam.
"Ehi, dove
sei finita? E' da un po’ che non ci vediamo! Ho un mucchio di cose da
raccontarti, non puoi immaginare cosa mi è successo!! Fammi sapere quando
possiamo vederci! Un bacio."
Avrebbe dovuto
risponderle, ma in quel momento non voleva fare altro che passare una bella
serata con Samuel.
Spense
il telefonino per non essere disturbata da nessuno e, dopo averlo
rimesso in tasca, si incamminò con il ragazzo.
Miriam e tutti
gli altri potevano aspettare, per il momento.
-----------------------
Grazie a Paola per le correzioni!!! <3
Lettori
rieccomi qua!!!
Ho scritto un
nuovo capitolo, spero vi piaccia…purtroppo con l'inizio della scuola avrò meno
tempo per scrivere, quindi vi avviso che a malapena riuscirò a mettere un
capitolo ogni settimana, però ci proverò con tutte le mie forze!!!!
Come sempre
ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite (4), chi tra le ricordate (4)
e chi tra le seguite (5)!!!
Liyen:
-Si Lehcar è
molto affezionato a Rachel e non vuole che le accada niente di male!! :) Forse
però sta iniziando a capire che non può fermare il rapporto che sta nascendo
tra lei e Blue! ;) Per quanto riguarda Miriam e Mairim ti preannuncio che il
prossimo capitolo parlerà di loro (non so ancora se in parte o tutto perché devo
ancora scriverlo), quindi aspetta ancora un poco che vedrai quali sono queste
novità di cui Miriam vuole parlare a Rachel! Un bacio!-
"Levo innanzi a te la candida stanchezza della mano;
"Levo innanzi a te
la candida stanchezza della mano;
ripiego la mia veste splendida,chiudo su di me le ali;
stanco del premere obliquo al cielo, mi piego innanzi
alla tua porta."
12-INCONTRO DEL DESTINO
Miriam si
sentiva stranamente felice.
Da un po' di
tempo, aveva un sogno ricorrente, in cui lei stava con il suo principe azzurro,
dai capelli castani e gli occhi dorati.
A volte,
le sembravano così reali che si svegliava pensando di trovare accanto a sé
quel ragazzo che l'abbracciava e la baciava.
"Dev'essere
un segno…" pensò mentre camminava per le vie della città, gli occhi
rivolti verso il cielo blu che si innalzava sopra i palazzi.
Chissà, forse
quei sogni significavano che stava per incontrare l'amore della sua vita, il
suo principe azzurro: forse lui era davvero lì vicino.
Si sentiva come
se pochi passi fossero stati sufficienti per raggiungerlo e per far si che il
suo sogno diventasse realtà.
Mairim, che in
quel momento condivideva i pensieri della sua protetta, si sentiva a sua volta
felice: lei stava pensando a lui e, anche se lei ancora non conosceva la
sua identità, a lui bastava. Sentiva che il suo amore era ricambiato e, anche
se non sarebbero mai potuti stare insieme, per lui era la cosa più bella al
mondo sapere che lei lo amava.
Avrebbe voluto
tanto avvicinarsi a lei e sussurrarle all'orecchio: "Sono qui" per
farle interrompere la ricerca. Ma era impossibile: lei avrebbe avvertito solo
una piccola sensazione e niente di più. Non avrebbe mai udito la sua voce
tremante per l'emozione.
Miriam, ancora
immersa nei suoi pensieri, continuava a tenere lo sguardo fisso sul blu
infinito sopra di lei, colorato solo da qualche nuvola bianca. Tra le mani
teneva un sacchetto con dentro della carne e qualche verdura,
il risultato della spesa al supermercato, dove sua madre l'aveva
mandata per fare delle commissioni.
Miriam non si
era mai innamorata nella sua vita; non davvero almeno.
Nella sua
vecchia cittadina era uscita con un paio di ragazzi, ma per loro non aveva
mai sentito niente di più di semplice affetto. Sentimento che non si era mai
evoluto: le sue storie d'amore erano solo delle cottarelle infantili.
Poi suo padre
si era dovuto trasferire per lavoro e lei e sua madre l'avevano dovuto seguire;
appena arrivata, era come se avesse sentito che quello era il posto giusto, lì
avrebbe potuto ricominciare, trovando finalmente qualcuno di cui innamorarsi
sul serio.
Un urto
violento la costrinse a spostare lo sguardo dal cielo ed
a distogliere la mente da quei pensieri.
Cercò
inutilmente di arrestare la caduta della sua spesa: tutto il cibo le cadde sul
marciapiede in pochi secondi, senza che lei potesse fare altro che guardarlo
sconsolata ed impotente.
Alzò gli
occhi infuriata per fulminare con lo sguardo il colpevole di quella
tragedia, anche se, in quel momento, era lei ad essere distratta...
"Oh,
scusami! Mi dispiace tantissimo!!"
Una ragazzina
bionda con gli occhi azzurri si chinò subito per raccogliere il
contenuto del sacchetto.
Miriam la
guardò truce, ma poi placò la sua rabbia, vedendo la ragazzina veramente
dispiaciuta.
Sbuffò e poi si
chinò a sua volta per aiutarla. In fin dei conti, era stata colpa sua...
"No, non
ti preoccupare, non importa. Ero un po'
distratta." la tranquillizzò Miriam, mostrandosi il più cordiale
e gentile possibile.
Mentre infilava
una melanzana nella borsina, notò qualcosa al polso della ragazza, una
specie di braccialetto.
Anzi, sembrava
più un orologio, solo che, invece dello schermo per leggere l'ora, questo aveva
la foto di un ragazzo biondo, con i capelli corti e gli occhi blu che fissavano
seri e severi l'obiettivo.
"Sarà il
suo fidanzato.." pensò Miriam "...Questi giovani! Io non avrei
mai voluto un braccialetto con la foto del mio..."
Quando si
rialzarono, il sacchetto di nuovo pieno tra le braccia della
proprietaria, le due restarono a guardarsi un po’, una di fronte all'altra.
"E' il tuo
ragazzo?" le chiese sfacciata Miriam, indicando il braccialetto della
ragazza.
Lei, alzò il
polso, fissandolo un attimo, come se non si fosse mai resa conto di quella
foto, poi sorrise timidamente.
"No..."
rispose, sempre fissandolo, gli occhi azzurro chiaro persi in qualche ricordo
"…è mio fratello."
Miriam
strabuzzò gli occhi, senza capire il senso di portare un braccialetto con
l'immagine del proprio fratello.
Notando però lo
sguardo perso della ragazza, cercò di cambiare discorso frenando la
curiosità che la stava assalendo.
"Piacere,
io mi chiamo Miriam".
Le tese una
mano, cercando di tenere il sacchetto con l'altra.
La ragazzina
alzò lo sguardo verso di lei e la strinse.
"Sara"
aggiunse.
Poi, ritraendo
la mano, continuò: "Scusa ancora per averti urtato in quel modo, ora devo
andare... Non voglio arrivare a casa in ritardo."
Detto questo,
si voltò ed iniziò a correre, mischiandosi tra la folla.
"Che tipo
strano…" pensò Miriam. Poi si ricordò che anche lei doveva tornare
indietro e si fiondò a sua volta tra la folla, il sacchetto
ben stretto tra le mani.
"Mamma,
sono tornata!" Miriam entrò esausta, chiudendosi la porta alle
spalle.
Entrò in
cucina, dove sua madre la aspettava impaziente.
"Era ora!
Ti ho mandato al supermercato dietro l'angolo, non a chilometri di distanza!
Perchè ci hai messo tanto?"
Miriam le diede
il sacchetto scusandosi per il ritardo, poi si lasciò cadere su una delle sedie
in legno del grande tavolo al centro della stanza.
Sua madre
estrasse il cibo dal sacchetto, mettendo la verdura nel lavandino.
"Stasera
abbiamo ospiti a cena" avvertì la madre di Miriam.
Lei la guardò
incuriosita.
"Tuo padre
ha invitato il suo capo e sua moglie a cenare da noi, quindi comportati bene:
per tuo padre è davvero molto importante questa cena e deve cercare di fare
colpo sul suo capo, ok?"
Miriam, per
tutta risposta, sbuffò e poi aggiunse un 'si' per nulla entusiasta. Si alzò
dalla sedia e si rifugiò in camera sua, sdraiandosi sul letto.
"Sempre la
solita, stupida e noiosissima cena di lavoro!" pensò, afflitta e
scocciata.
"Se
continua così, non conoscerò mai nessuno di cui innamorarmi...
forse solo qualche vecchio e rugoso dirigente..."
Non poteva
aspettare che il destino facesse il suo corso e che il suo sogno si avverasse,
avrebbe dovuto fare tutto da sola, se veramente voleva incontrare qualcuno di
interessante.
"Buonasera,
signori. Benvenuti."
Miriam sentì
suo padre accogliere l'ospite nell'ingresso della casa. Lei, vestita
elegante, era già seduta composta al tavolo, le braccia e le mani
giunte appoggiate sul ripiano in legno.
Osservò sua madre
che si strofinava le mani, visibilmente agitata per la cena, in ansia di veder
apparire i suoi ospiti.
"Questa
cena dev'essere davvero importante per papà" pensò Miriam.
Si immaginava
già le persone che stava per vedere: un vecchio rugoso, dai capelli bianchi,
tutto profumato e altezzoso, accompagnato da una donna acida e antipatica. Più
o meno, quello era sempre stato l'aspetto degli ospiti di lavoro di suo padre.
Si alzò in
piedi quando sentì il rumore dei passi avvicinarsi alla sala da pranzo.
"Ero
sicuro che avreste portato vostra moglie." Sentì la voce di suo padre più
vicina.
"Purtroppo
un impegno improvviso l'ha costretta a rinunciare alla serata.." una voce
profonda e austera gli rispose.
Quando
entrarono nella sala da pranzo, il cuore di Miriam perse un colpo.
I suoi occhi
castani rimasero a lungo fissi su un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi
verde chiaro.
Possibile che
fosse proprio lui? Gli somigliava così tanto... e se l'avesse finalmente
trovato?
Davanti a lei,
accanto ad un uomo alto, con i capelli bianchi, stava il principe azzurro che
aveva sognato di recente.
"Spero che
vada bene comunque se ho voluto portare mio figlio.." aggiunse il vecchio
dalla voce austera.
"Steve"
continuò, presentando il giovane accanto a lui.
In quel momento
la mente di Miriam si svuotò completamente. Solo un nome vi rimase, come
inciso nella pietra, incancellabile.
"Steve"
Mai, prima
d'allora, un nome le era sembrato così dolce e melodioso.
Mairim si sentì
attraversare da una scarica di punte affilate: avrebbe voluto morire.
Lo sentiva.
Sentiva il cuore di Miriam battere all'impazzata. Non per lui, però.
Fissò i due che
erano appena entrai nella stanza con il padre della sua protetta. Guardò
soprattutto lui, il giovane che gli aveva appena provocato quel dolore.
Quel ragazzo
gli somigliava tanto: i capelli castani e gli occhi verde chiaro.
Miriam non
poteva essersi innamorata di lui, non con un solo sguardo. Lei amava
lui.. e nessun altro...
Si sentì
improvvisamente debole: non riusciva più a stare lì, in quella stanza,
continuando a sentire nelle orecchie il rimbombo del cuore di Miriam. Il suo
avrebbe dovuto imitarlo, dato che erano legati in modo indissolubile, ma non ci
riusciva: invece soffriva. Soffriva da morire.
Doveva
andarsene.
Uscì dalla
stanza, rifugiandosi nella camera di Miriam: sapeva che non avrebbe dovuto
lasciare sola la sua protetta neanche un attimo o le sarebbe potuto accadere
qualcosa, ma non riusciva più a stare in quella stanza. Andava oltre le sue
capacità.
Aveva giurato,
era certo di riuscire ad accettare un altro nella vita della sua protetta, ma
non credeva sarebbe stato così difficile, così doloroso.
Lei
era già stata con qualcuno prima, ma mai aveva sentito il suo cuore
battere in quel modo ed i suoi bellissimi occhi illuminarsi così.
Lei era felice,
ma lui non riusciva a fare altrettanto.
Si lasciò
cadere sul letto di lei, affondando la testa nel cuscino. Riusciva a respirare
il suo dolce profumo di vaniglia.
Avrebbe dovuto accettarlo
ed essere felice per lei.
Si sentiva
egoista, sciocco ed egocentrico, ma non riusciva proprio a sopportarlo.
Si mise una
mano tra i capelli, fissando il soffitto triste e distrutto.
Nonostante
fosse lontano da lei sentiva ancora tutto, come se fosse ancora in quella
stanza. Sentiva il suo cuore battere ancora forte e i pensieri di lei fissi su
quel ragazzo.
Non era giusto.
Non era affatto giusto.
Lacrime di
dolore iniziarono a rigargli le guance. Si portò una mano al volto,
toccando quelle strane gocce.
Un angelo che
piangeva. Non sapeva fosse possibile. Era ridicolo. Era sbagliato.
Le lacrime non
si fermavano, non seguivano quello che lui sentiva dentro in quel momento:
vuoto e paura, ma soprattutto dolore.
Era finita,
l'aveva persa per sempre.
Chiuse gli
occhi e si tappò le orecchie con le mani, come per arrestare quel cuore
che continuava a battere veloce e felice, mentre il suo, invece, faticava
a continuare e rallentava sempre di più.
Ma era inutile:
continuava a rimbombargli nella mente.
"Basta…"
sussurrò, con le lacrime che continuavano a scorrere copiose.
Supplicava, pregava
affinchè quel cuore smettesse di battere per quel ragazzo.
Si raggomitolò
su se stesso, stringendo intorno al suo corpo le sue grandi ali bianche. Chiuse
gli occhi, le mani sempre sulle orecchie. Ma il suono non cessava.
Restò in quella
posizione, le ali strette come per proteggersi dalla sofferenza.
Una delle
candide piume si staccò e, fluttuando leggera nell'aria, cadde a terra
senza rumore, accanto al letto, sola, indifesa e senza vita.
Una piccola
piuma bianca e candida che, pochi secondi dopo, perse il suo colore lucente e
divenne grigia, triste e spenta.
Morta.
Miriam era
rimasta incantata da Steve.
Prima della
cena, lui le si era avvicinato e le aveva stretto cordialmente la mano.
Quando quel
contatto caldo e morbido le giunse dritto al cuore, si sentì invadere dalla
gioia.
Il suo cuore
batteva sempre più velocemente: ormai era fuori da ogni controllo.
Gli occhi verde
chiaro di lui si illuminarono quando incontrarono quelli più scuri di lei.
Intuì che lui
ricambiava. O forse lo sperava soltanto.
Non sapeva se
suo padre avrebbe fatto colpo sul suo capo, ma lei era certa di aver appena
fatto colpo su quel ragazzo.
Ne era felice:
quello era il ragazzo giusto, quello di cui innamorarsi sul serio. Lo sentiva.
Quello era il
suo principe azzurro.
Tuttavia,
nell'immensa felicità che provava in quel momento, c'era qualcosa
di inspiegabile: una punta di tristezza che la feriva nel profondo.
Non capiva
cos'era, ma in quel momento decise di non pensarci.
Non avrebbe mai
potuto nemmeno lontanamente immaginare che quel lontano dolore era causato dal
dolore di Mairim.
--------------------------------
Rieccomiiiii!!!!!
Questo capitolo è
davvero triste, povero Mairim!!!!! :,( sigh!!! T___T
Comunque…questa
settimana mi aspettano già un po’ di verifiche quindi non so bene quando avrò
tempo di scrivere il prossimo capitolo, che molto probabilmente tornerà a
Rachel e Blue…e sarà uno degli ultimi capitoli prima della tempesta che colpirà
i due protagonisti…Spoiler sul prossimo capitolo non ne ho…però vi dico che con
l'arrivo della tempesta ci sarà un nuovo personaggio, cattivo, che Green
conosce…ecco, vi ho già detto abbastanza…:)
Ma ringrazio
SOPRATTUTTO chi ha recensito la mia storia!!!!!!! GRAZIEEEEE!!!!!! ^^
LIYEN
Ecco
qua il capitolo tra Miriam e Mairim!!! Purtroppo il loro rapporto inizia a
rovinarsi a causa di questo nuovo personaggio…Povero Mairim!! Quasi non mi
mettevo a piangere mentre lo scrivevo!! Poi la loro storia andrà avanti, la
fine della loro storia ce l'ho già in mente, ma purtroppo ti avviso che non
sarà molto felice…:(
Spero
comunque che continuerai a seguirmi in questa storia…Un bacio!
WINGEDANGEL
Allora,
che dire: benvenuta e grazie per i tuoi stupendi commenti!! Non ti
preoccupare se inizi a blaterare nelle tue recensioni, non mi da fastidio,
davvero!! :) Sono felice che la storia che sto scrivendo ti sia piaciuta, che
la lettera di Samuel ti abbia fatto commuovere così tanto…Per il fatto del
libro ammetto di averci pensato, però non ne sono ancora sicura, per questo
prima lo sto scrivendo qui su efp per vedere se può andare come idea, infatti
questa è solo una 'bozza', poi quando lo finisco lo risistemo tutto bene e
vedo cosa farci…:) Però se mi dici che tu saresti la prima a comprarlo e che
addirittura sei disposta ad aprire un editoria per me, già mi mandi al
settimo cielo per la felicità, davvero!! Leggere quel tuo commento mi ha
commossa, non credevo ti sarebbe piaciuta così tanto questa storia!!!
Comunque ci hai azzeccato, Green è cattivo purtroppo, mi dispiace che ti
piaccia ma purtroppo non diventa buono…non sarà il solo dei cattivi però…Poi
ti dico subito che non ha avuto una storia con Nala, neanche la conosce…però
lui già conosceva Lehcar prima di incontrarlo alla cena…sono sicura che
comunque piano piano capirai come stanno le cose nel passato di Green…Spero
che questo capitolo ti sia piaciuto e che tu e Aras continuiate a
seguirmi!!!! :) Baci!!
P.S.:Ah, quasi dimenticavo, il nome della
ragazzina che incontra Miriam, Sara, a dir la verità non l'ho chiamata così
per te ma ci pensavo da un po’ di darle quel nome e a leggere i tuoi commenti
mi ha spinto a chiamarla così…avrà una parte abbastanza importante nella
storia, un po’ più avanti almeno…:)
Al prossimo
capitolo, lettori!!!!!!!! Un bacio a tutti!!
e ti sfioro con le dita
ti respiro e ti trattengo
per averti per sempre"
13- SOGNO
Una piuma
triste e sola. Morta. Spenta per sempre.
Miriam entrò
nella sua stanza, la mente ancora avvolta dal vortice di emozioni che l'aveva
assalita quella sera.
Qualcosa
attirò il suo sguardo: uno scintillio, come quando l'acqua viene
colpita dalla luce del sole. Sembrava lo stesso effetto.
Si avvicinò curiosa
e trovò una piccola piuma un po' ingrigita. La prese tra le mani
delicatamente. Tenne lo sguardo fisso su di lei, così piccola, innocente ed
indifesa.
Sentì la piuma
leggermente umida.
La sensazione
di tristezza di poco prima la colpì di nuovo, più forte questa volta.
Lasciò cadere
la piuma che, fluttuando leggera, tornò a giacere sul pavimento della sua
stanza, triste e di nuovo sola.
Miriam non si
chiese da dove venisse, non ne sentiva il bisogno: era come se una parte di lei
sapesse a chi apparteneva.
Ma perché fosse
lì, sola, quello non lo capiva.
Cosa era
successo al proprietario di quella piuma?
Si sedette sul
letto, sentendosi improvvisamente sconvolta. Possibile che quel piccolo oggetto
scatenasse in lei tutte quelle orribili sensazioni? Preoccupazione, dolore,
tristezza... ma soprattutto paura. Un profondo sentimento di paura che,
partendo dal cuore, si estendeva a tutto il suo corpo.
Perchè si
sentiva in quel modo?
Non sapeva
perchè, ma non riusciva più a tollerarne la vista. La raccolse una seconda
volta e, spalancata la finestra, la lasciò scivolare via, facendola fluttuare
nella notte.
La seguì con lo
sguardo finchè non scomparve nelle tenebre, diventando una parte
indistinguibile di tutto quel buio.
Ora avrebbe
dovuto sentirsi meglio e le sensazioni di poco prima sarebbero dovute
scomparire per lasciare il posto a quelle felici di poco prima, quando
aveva conosciuto Steve.
Ma allora
perché stava ancora male? Come se avesse appena commesso lo sbaglio più
terribile della sua vita?
Scosse la testa
per scacciare quei pensieri inquietanti che, per qualche motivo, la
tormentavano.
Si voltò verso
il suo letto: i raggi della luna piena filtravano dalla finestra aperta,
illuminando debolmente la sua stanza. Nonostante fosse sola, aveva la
sensazione che ci fosse qualcun altro in quella camera, insieme a lei. E
lo sentiva soffrire terribilmente, anche se non sapeva come né perché.
Prese il suo
i-pod dalla scrivania e, infilandosi le cuffie nelle orecchie, si
buttò sul letto, alzando il volume della musica per cancellare quelle
inspiegabili e spiacevoli sensazioni; chiuse gli occhi e cercò di
rilassarsi.
Fece
scorrere velocemente ogni canzone, senza ascoltarne nessuna fino alla
fine.
Un improvviso
senso di stanchezza la colpì: faticava a tenere gli occhi aperti. Si tolse il
suo vestito elegante e, infilatosi velocemente il pigiama,
si mise sotto le coperte, cercando di allontanare l'insolito freddo
che la gelava dentro.
Fissò il
soffitto bianco sopra di lei, la musica che suonava ancora nelle cuffie.
Le ombre si
muovevano sinistre e minacciose: le palpebre diventarono pesanti e si chiusero
piano, la mano lasciò libero l'i-pod. Una canzone, senza essere interrotta da
Miriam, continuò a cantare e una cuffia le uscì dall'orecchio,
cadendo sul cuscino accanto alla sua testa. Trattenendo il respiro,
si sarebbero potute sentire le note che si
rincorrevano, decorate da parole melodiose.
Mairim era
sdraiato su un fianco, accanto a Miriam, il gomito appoggiato sul cuscino per
sostenere la testa, gli occhi verde chiaro fissi sulla sua protetta.
Si sentiva a
pezzi: non solo non riusciva ad accettare quel nuovo ragazzo nel cuore di
Miriam, ma la faceva anche soffrire a causa dei suoi sentimenti. Era
imperdonabile, doveva sforzarsi con tutto se stesso di non coinvolgere la
sua protetta.
Chiuse gli
occhi, arrestando le ultime lacrime che ancora gli rigavano il volto.
Come la sera
del loro primo ed unico bacio, si avvicinò a Miriam.
Guardò i suoi
occhi chiusi, sperando che, da un momento all'altro, lei li aprisse e lo
vedesse, anche se sapeva bene quanto il suo desiderio fosse irreazlizzabile.
Quel pomeriggio
avrebbe tanto voluto sussurarle all'orecchio, ma non lo aveva
fatto: temeva una qualche punizione divina, ma in quel momento, dopo
quello che era avvenuto, non aveva più paura di rischiare.
Si avvicinò
all'orecchio di Miriam libero dalla cuffia e sussurrò dolcemente: "Sono
qui." Con la voce che tremava ad ogni lettera, ad ogni sillaba.
Rimase
immobile, in attesa di una reazione, anche se piccola, da parte di lei; ma niente,
Miriam continuò a tenere gli occhi chiusi, con la mente persa in qualche sogno.
Avrebbe potuto
incontrarla lì, in quella dimensione che era soltanto loro, senza nessuno Steve
o altri; ma aveva paura; paura di vedere che nei suoi sogni non c'era più lui,
ma un altro.
Appoggiò la
testa sul cuscino, accanto a quella di lei, sempre sdraiato su un fianco, con i
suoi occhi immersi a studiare il profilo di lei, del suo volto, bellissimo e
perfetto come sempre al suo sguardo.
La musica
continuava a trasmettere la sua melodia, senza mai fermarsi.
"Mentre
dormi ti proteggo
e ti sfioro con
le dita
ti respiro e ti
trattengo,
per averti per
sempre"
Mairim ripetè
le parole inconsciamente, sussurrandole meccanicamente, piano e
silenzioso.
Restò sveglio
tutta la notte, senza mai intromettersi nei sogni di Miriam. Continuò a
ripetere per un po’ quelle parole: gli sembravano così adatte...
"Mentre
dormi ti proteggo
e ti sfioro con
le dita
ti respiro e ti
trattengo
per averti per
sempre"
I sogni di
Miriam quella notte furono vuoti e tristi: il suo principe azzurro non c'era
più.
Era sola, come
Mairim: come quella piuma che il vento trasportava via, lontano da quel luogo.
Rachel e Blue
passarono tutta la sera insieme.
Andarono in un
locale, presero un panino ciascuno e poi si diressero in quello che
sembrava essere diventato il loro posto preferito. Lì potevano stare insieme
senza angeli custodi, ragazzine strane o silenzi imbarazzanti.
Sulla loro
spiaggia potevano essere se stessi, loro due senza nessun altro.
Si sedettero al
loro solito posto; Rachel addentò il suo panino e Blue si sdraiò sulla
spiaggia, il panino tra le mani e lo sguardo rivolto al cielo, dove le stelle
brillavano come tante lucciole che cercavano di illuminare il nero della notte.
La luna piena
rifletteva la sua luce sul mare calmo e pacifico che si infrangeva dolcemente
sugli scogli.
Il silenzio
scese su Rachel e Blue, il loro silenzio, non quello fastidioso che si era
sentito durante la cena.
Addentò a sua
volta il suo panino.
Rachel lo
sbirciava di nascosto mentre, seduta con le braccia intorno alle ginocchia,
continuava a mangiare.
Era attratta da
quel ragazzo. Ogni secondo che passava con lui si sentiva più felice, più viva.
Senza saperlo,
lui la stava aiutando a voltare pagina, sentiva il proprio cuore tremare
mentre lo guardava.
Anche in tutto
quel buio, riusciva a vedere i suoi occhi blu. Erano stupendi, con quelle
scagliette azzurre e quella luce viva e spensierata.
Sentì dei
brividi sulla pelle, quando una folata di vento soffiò su di loro, disordinando
i capelli di lui: c'era freddo quella sera e lei non aveva niente di pesante
addosso.
Tuttavia,
sentiva come se una sottospecie di calore fosse partita dal suo petto e si
stesse estendendo in tutto il suo corpo.
Che si stesse
innamorando di quel ragazzo?
Distolse lo
sguardo da lui e, terminato con un ultimo morso il suo panino, si sdraiò a sua
volta, la testa appoggiata sulla sabbia, fissando i miliardi di stelle che
coloravano il cielo.
Le sembravano
tanti puntini luminosi che qualcuno aveva disegnato su un foglio nero, con il
desiderio di interrompere tutta quella monotonia.
Sorrise,
pensando che lo immaginava solo perché sapeva bene quello che stava succedendo
a lei in quel momento. Stava ritornando a vivere, stava andando avanti, come
aveva scritto nel suo diario.
Blue, a sua
volta, sbirciò di nascosto Rachel: nei suoi occhi non lesse più nessuna
preoccupazione, nessuna tristezza. Sorrideva e ciò lo faceva sentire
immensamente bene. D'altronde tutto quello che voleva era che lei fosse
felice.
Sorrise a sua
volta, tornando ad immergere lo sguardo nel nero sopra di lui e addentando
un'altra volta il suo panino.
"Samuel…"
Esordì lei, dopo un po’.
Lui distolse lo
sguardo, per incontrare i suoi occhi, ma lei continuava a guardare il cielo.
"Sei
veramente un angelo?" gli chiese timidamente, quasi sussurrando.
"Non mi
credi?" le domandò lui a sua volta.
Lei
si voltò verso di lui. I loro volti erano a pochi centimetri di distanza.
Il cuore di Rachel iniziò ad accelerare e si sentì avvampare per l'imbarazzo.
Sarebbe bastato così poco...
Distolse lo
sguardo, cercando di calmare il proprio battito e di spazzare via la folla di
pensieri che la stavano assalendo.
"Non è che
non ti creda…" farfugliò, cercando di trovare le parole giuste per non
ferirlo "...è solo che non è che si incontrano angeli tutti i giorni
e bè... ecco, non è una cosa normale... per me neanche esistono gli
angeli!" disse tutto d'un fiato, mischiando le parole e cercando di
dare loro un senso, anche se non era sicura di cosa avesse appena detto.
Lui non sapeva
cosa dire: Rachel, in fin dei conti, aveva ragione, come poteva fidarsi di
qualcuno che raccontava di essere un angelo? Probabilmente lo aveva ritenuto
pazzo per tutto il tempo. Tuttavia non poteva mostrarsi a lei neanche con le
ali: non sapeva ancora controllare la propria luce e non avrebbe mai voluto
accecarla.
Restò in
silenzio, tornando a guardare il cielo, cercando una qualsiasi risposta.
Rachel, quando
riuscì a calmare le sue emozioni, continuò a parlare, senza aspettare che lui
replicasse.
"Per me
sei proprio pazzo."
Lui la guardò
offeso, ma quando notò un sorriso malizioso sul volto di lei, la imitò.
Movendosi
velocemente, si portò verso di lei e, prendendola per le braccia, la portò
sopra il proprio corpo.
Successe tutto
in un secondo: un attimo prima davanti a lei c'era il cielo e subito dopo si
stava immergendo nei suoi occhi blu. Rachel arrossì violentemente e
ringraziò in silenzio che fosse notte fonda, cosicché lui non potesse
accorgersene.
Ancora doveva
rendersi conto bene di come fosse accaduto. Aveva le mai appoggiate alla
sabbia, accanto ai capelli di lui, il suo volto era vicinissimo a lui e poi...
Poi la sua
mente si svuotò completamente, avvolta solo da un senso di totale benessere;
chiuse gli occhi, mentre Blue la abbracciava alla vita con le braccia,
incurante del fatto di aver perso il suo panino, caduto miseramente sulla
sabbia.
Il contatto con
Rachel non gli faceva male.
Sentiva che la
sofferenza di lei era diminuita e quindi nemmeno lui non sentiva dolore.
Era felice.
Le sorrise, ma
senza malizia. Lei, che lo guardava confusa e spensierata, notò che lui non
sembrava nemmeno accorgersi della posizione imbarazzante che avevano assunto.
Blue iniziò a
rotolare insieme a lei sulla sabbia, ridendo come un bambino.
Rachel si unì
alla sua risata, divertita da quel gioco.
Continuarono
per qualche metro, finchè non si ritrovarono scambiati di posto.
I capelli neri
di Rachel si sparsero sulla sabbia fredda, mischiandosi ai granelli e sopra di
lei, Blue la fissava negli occhi, i volti sempre distanziati dai quei pochi
centimetri.
La ragazza
smise di ridere, perdendosi un'altra volta negli occhi di lui. Anche l'angelo
si fermò, notando l'espressione persa di lei, ma senza capire cosa
significasse.
All'improvviso,
Rachel non riuscì più a sentire altro che il battito del suo cuore: sembrava
che le parlasse, invitandola a farsi avanti. La sua mente si svuotò
completamente.
Piano piano,
con dolcezza e un po' di timore, tremando leggermente, alzò la testa dalla
sabbia e, chiudendo gli occhi, appoggiò le labbra su quelle del suo nuovo
Samuel.
Il suo cuore le
aveva ordinato di annullare quei fastidiosi ed insignificanti centimetri che la
separavano da lui. Appoggiò le mani al suo petto e tenne le labbra appoggiate a
quelle chiuse di lui.
Blue non
capì subito quello che stava succedendo o cosa stesse facendo Rachel. Non
ricordava di aver mai provato nulla del genere.
Si chiese cosa
significasse e perchè stesse accadendo. Ma poi, smise di porsi domande.
Era come se la sua bocca sapesse cosa fare ed iniziò a danzare su quella di
lei.
Blue chiuse a
sua volta gli occhi, ascoltando il battito del suo cuore che accelerava e
impazziva. Gli piaceva quel nuovo genere di contatto con Rachel.
Si staccò da
lei e tenne la bocca a qualche centimetro di distanza dalla sua. Riaprì gli
occhi e vide che anche quelli di lei brillavano.
Attraverso il
suo corpo, sentì un'emozione forte arrivare da Rachel, nuova ed inaspettata. Un
misto di felicità e d'affetto al quale non sapeva dare un nome, un
sentimento caldo e dolce, che arrivava dritto al cuore e che non avrebbe saputo
spiegare.
Era amore.
Quel sentimento
che Rachel aveva descritto nel suo diario come qualcosa di timido e pauroso
che, ad un certo punto, diventa così forte da dover essere rivelato e
talmente potente da sostituire ogni altra cosa nella mente e nel cuore.
Rachel sorrise,
felice ed entusiasta. Si erano baciati ed era stato magnifico: si stava
proprio innamorando.
Quando Samuel
si spostò, sdraiandosi al suo fianco, davanti a Rachel riapparvero d'un tratto
tutte le stelle che, per qualche momento, erano scomparse alla sua vista.
Le sembrarono
più brillanti che mai, come se anche loro stessero partecipando alla gioia del
suo cuore.
Voltò la testa
per cercare Samuel, come per controllare che non fosse stato tutto un sogno.
Lui era ancora
lì, sdraiato accanto a lei, lo sguardo perso nel nero del cielo.
Rachel sorrise
di nuovo e prese la mano dell'angelo, tornando a guardare le stelle.
"Sono
contenta di averti ancora qui, Samuel" sussurrò silenziosa al cielo, senza
farsi sentire dal ragazzo sdraiato accanto a lei.
E quando le
sembrò di vedere una stella illuminarsi, gli occhi le
brillarono, interpretando quel segno come una risposta ai suoi pensieri.
"Sono
felice anch'io, Rachel"
Rachel entrò in
casa, cercando di essere il più silenziosa possibile e chiudendo piano la
porta alle sue spalle per non far rumore.
Sempre in punta
di piedi, percorse il corridoio, trattenendo quasi il respiro.
Sentì il
russare di suo padre provenire dalla stanza dei suoi genitori.
Quando entrò
nella sua stanza si gettò sul letto, sprofondando il volto nel cuscino per
soffocare dei gridolini di gioia.
" Ci siamo
baciati! Ci siamo baciati!"
I suoi pensieri
continuavano a ripetere quella frase all'infinito, come se l'unica informazione
che fosse rimasta nella sua testa fosse quella.
Si infilò
velocemente il pigiama per poi coprirsi fino al naso con il piumino.
Si sentiva
ancora arrossire se ripensava a quello che era successo soltanto mezz'ora
prima.
Chiuse gli
occhi, cercando di addormentarsi.
Passò qualche
minuto, in sottofondo il ticchettio dell'orologio appeso alla parete.
Rachel sentì un
rumore e si alzò di scatto, preoccupata.
Si guardò in
giro, sospettosa, indecisa se credere che fosse stata la sua immaginazione
oppure se fosse appena entrato un ladro.
Quando spostò
lo sguardo vicino alla sua finestra, quasi gridò per lo spavento. Lì, in piedi
tra le tende, c'era Samuel, gli occhi blu e i capelli corvini disordinati e
ancora un po' sporchi di sabbia.
"S-samuel?"
sussurrò, credendo di sognare, "sei tu?"
Samuel
si avvicinò a lei e si inginocchiò accanto al suo letto, appoggiando le
braccia e la testa sul materasso, come la prima volta che era stato lì.
La guardò fisso
negli occhi e le sorrise.
"No, sono
Babbo Natale in anticipo.... Certo che sono Samuel, chi vuoi che sia?" le
chiese ironico.
"Ma come
hai fatto ad entrare?" gli domandò lei. La sua stanza si trovava al terzo
piano e non c'erano alberi o altro per potersi arrampicare fino a lì.
"Sono un
angelo, ricordi?" le spiegò lui, continuando a sorriderle.
"Posso
restare qui con te?" le chiese poi, speranzoso.
Rachel si trovò
ad un bivio: da una parte la sua mente che, risvegliata di colpo dal senso di
torpore in cui era caduta fino a poco prima, le diceva assolutamente di non
acconsentire. Non che avesse paura che lui potesse approfittare della
situazione, ma se poi i suoi genitori li avessero trovati insieme? Sarebbe
stata una vera catastrofe.
Ma d'altra
parte, il suo cuore non riusciva a mandarlo via.
Annuì.
Lui sì alzò in
piedi, salì sul letto e, scavalcandola, si sdraiò al suo fianco e,
abbracciandola da dietro, appoggiò la testa sul cuscino, dietro a quella di
lei.
Era bellissimo
stare lì, stretta a lui.
Rachel si sentì
arrossire di nuovo.
Si addormentò
beatamente, accoccolata tra le sue braccia, scaldata dal suo corpo e al ritmo
del suo respiro.
Poco dopo,
anche Blue chiuse piano gli occhi, sprofondando in un sonno profondo.
Lehcar, quando
fu sicuro che nessuno potesse vederlo, uscì allo scoperto.
Non riusciva a
credere che la sua protetta si fosse innamorata di quel Terreno...
Si sentiva
responsabile: avrebbe dovuto interrompere il loro rapporto fin dall'inizio, per
evitare quello che era successo quella sera.
Tuttavia una
parte di lui, anche se piccola e ben nascosta, si sentiva sollevata:
per la prima volta, dopo tanti mesi, la sua protetta era tornata a sorridere.
Questo lo
rendeva felice. Forse ora avrebbe smesso di soffrire e sarebbe tornata a
vivere, anche se Lehcar avrebbe preferito che non fosse proprio quel Terreno la
causa di quel benessere.
Infine chiuse
gli occhi, entrando nei sogni Rachel senza rendersene conto.
Blue si trovava
nel nulla infinito, immerso nel bianco. Come quando si era svegliato per la
prima volta da Terreno. Solo che il dolore al petto non c'era più.
Si guardò
intorno, cercando di capire dove si trovasse, ma intorno a lui c'era solo quel
colore immacolato. Nient'altro.
"Non
temere."
Blue riconobbe
immediatamente quella voce: era quella calda e accogliente che l'aveva portato
da Rachel.
Una luce forte
e dorata illuminò un punto nel bianco. Da quella luce, uscì una figura
femminile, i capelli corvini, ricci e lunghi e gli occhi chiari, tendenti al verde,
una tonalità strana, rassicurante.
La figura era a
qualche metro da lui e fluttuava nel nulla.
Blue si accorse
che, dalla schiena della donna, spuntavano un paio di enormi ali bianche:
era un angelo, un Custode.
"Tu chi
sei?" gli chiese diffidente.
"Un'amica…"
disse semplicemente lei.
Blue riconobbe
la sua voce in quella calda e accogliente di poco prima. Continuò:
"E' giusto
che tu sappia molte cose."
Blue, confuso,
la guardava senza capire.
Quando lei
distese le sue grandi ali bianche, notò qualcosa di strano, qualcosa che
non avrebbe dovuto rovinare quel colore così candido e puro.
Delle macchie
rosse ricoprivano parte delle ali. Era sangue.
La donna portò
le mani al ventre e solo allora Blue si accorse che anche lì una macchia rossa
si estendeva sulla sua tunica lucente.
"N-non
capisco…"
Lei lo guardò
comprensiva: "non ti preoccupare: capirai. Col tempo capirai"
Subito dopo
volse lo sguardo alla sua destra.
Blue la imitò e
sussultò quando vide Lehcar, lo sguardo turbato fisso sulla donna.
"Col tempo
capirete entrambi" aggiunse la misteriosa figura, per poi sorridere a
Lehcar.
Il custode di
Rachel non ricambiò, tenendo le braccia incrociate al petto, le ali ripiegate
con cura dietro la schiena e lo sguardo serio e severo.
La donna
scomparve nel nulla e prima che Blue e Lehcar potessero fare qualcosa, il
bianco intorno a loro venne sostituito.
Si trovavano su
un marciapiede, in mezzo alla città. La gente passava come sempre frettolosa ed
indaffarata, ognuno rincorrendo la propria sfuggente vita.
Blue iniziò a
guardarsi intorno leggermente spaesato; accanto a lui, Lehcar studiava la
situazione, lo sguardo ancora più serio, le braccia conserte e gli occhi
chiari fissi su qualcosa.
Il Terreno
seguì il suo sguardo e vide Rachel.
La ragazza
stava appoggiata al muro di un edificio, i capelli scuri tenuti da un
cerchietto rosso, lo sguardo triste e fisso a terra.
Lehcar si voltò
e venne imitato subito da un curioso Blue.
Il custode di
Rachel stava fissando un ragazzo un po’ distante da lei, in piedi in mezzo al
marciapiede, le mani nelle tasche, lo sguardo affranto e fisso sulla ragazza.
Aveva
i capelli biondi, corti e gli occhi azzurri.
Lo sguardo che
Lehcar gli rivolse era di puro e semplice odio.
Sopra il
ragazzo c'era lei, l'angelo misterioso di poco prima. Blue notò che né le
ali né il ventre erano macchiati di sangue.
La donna si
allontanò dal ragazzo per avvicinarsi a Rachel. In un secondo apparve un altro
Lehcar che fissava la donna dai capelli lunghi e corvini.
Blue, sempre più
confuso, voleva chiedere spiegazioni all'angelo accanto a lui, ma appena notò
la sua espressione carica d'odio e disprezzo, cambiò idea, preferendo restare
in silenzio ad assistere alla scena.
"Cosa
vuoi?" Il Lehcar accanto a Rachel si rivolse scontroso alla donna, il tono
della voce accusatorio.
"Solo
spiegarti come stanno le cose, Lehcar; spiegarti cos'è successo tra me e quel
Terreno."
"Non ne
voglio parlare." La interruppe bruscamente Lehcar.
La donna restò
in silenzio, distogliendo lo sguardo dal custode dai capelli e gli occhi
chiari.
"Non
voglio più sapere niente di quello stupido Terreno dalle ali gialle!"
aggiunse lui, sprezzante.
"Sai
benissimo che non c'è stato niente tra noi" ricominciò lei" conosco
bene le regole: noi Custodi non dobbiamo avvicinarci troppo ai Terreni,
soprattutto a quelli con le ali gialle, visto che il colore delle ali dei
Terreni dipende dal tipo della loro morte."
Vedendo che il
Custode di Rachel non fiatava, continuò: "E tu mi conosci bene, Lehcar,
sai benissimo che non mi sarei mai voluta avvicinare ad un suicida."
Concluse, aspettando che Lehcar rispondesse.
"Bè, non è
quello che ho visto…" disse semplicemente lui, la voce meno accusatoria e
lo sguardo triste.
"Quello
che hai visto non era niente, tu non hai visto tutto! Fidati, Lehcar! Io
non ti tradirei mai!" la voce della donna si era fatta disperata,
era sul punto di scoppiare in lacrime.
"Mi
dispiace, ma ancora non riesco a perdonarti…Per il momento, addio,
Leumas." Lehcar voltò le spalle alla donna.
In
quell'istante, Rachel si staccò dalla parete dell'edificio e si incamminò
tristemente dalla parte opposta al luogo in cui si trovava il
ragazzo dagli occhi azzurri.
Lehcar seguì la
sua protetta, lasciando l'angelo dai capelli corvini immobile, con lo
sguardo sofferente e sul punto di crollare.
Si voltò a sua
volta, tornando dal ragazzo ed insieme si incamminarono nela direzione opposta.
Dopo aver
percorso qualche metro, Blue la vide voltarsi per cercare Lehcar: una lacrima
correva sulla sua guancia. Poi continuò il suo percorso accanto al suo
protetto.
Blue volse uno
sguardo interrogativo al Lehcar al suo fianco.
Restò
sorpreso nel vederlo: aveva gli occhi chiusi come per voler arrestare il
pianto incontrollabile che la visione aveva scatenato, mentre sussultava in
preda ai singhiozzi.
Blue non lo
aveva mai visto in quello stato.
"Addio,
Leumas. Perdonami." Sussurrò tra le lacrime Lechar.
Un secondo
dopo, Blue si ritrovò nella stanza da letto di Rachel, le braccia strette
intorno a lei. Si guardò intorno, senza capire e cercando l'angelo della
ragazza.
Ma Lehcar non
c'era.
Blue si accorse
di essere tornato nella forma di Terreno: le sue ali blu gli spuntavano dalla
schiena.
Senza volerlo,
doveva essere entrato nei sogni di Rachel.
I caldi raggi
dell'alba entrarono dalla finestra, illuminando parte della stanza.
Ormai era
giorno: meglio andarsene prima che i genitori di Rachel lo trovassero lì.
Restò nella
forma di Terreno e, chinando la testa su quella di Rachel, le diede un bacio
sulla guancia. Poi si alzò ed uscì dalla finestra, distendendo
le sue ali blu.
Mentre volava
nel cielo rosso dell'alba, ripensò al suo sogno.
Era ancora
molto confuso al riguardo e voleva saperne di più. L'unico in grado di
chiarirgli un po’ le idee era Lehcar.
Allo stesso
tempo capiva come si sentisse in quel momento l'angelo di Rachel, per ciò
decise di lasciargli un po' di tempo prima di affrontare la questione.
Nella sua mente
restò fissa l'immagine di quell'angelo femminile, le ali e il ventre sporco di
sangue.
E poi quel
ragazzo con i capelli biondi e gli occhi azzurri.
Chi era? E
perchè era nel sogno di Rachel?
L'angelo dalle
ali blu continuò il suo volo, la mente affollata di dubbi.
Un improvviso
sospetto lo assalì d'un tratto, qualcosa a cui fino a quel momento non aveva
fatto caso: come mai Rachel lo aveva voluto chiamare proprio Samuel?
Blue cercò in
tutti i modi di convincersi che forse era semplicemente perché le piaceva quel
nome.
Ma il suo cuore
non si rassegnava e un dolore cominciò a gravargli sul petto: gelosia.
"Se non
fosse solo un nome qualsiasi?" pensò turbato, continuando a volare nel
cielo blu che, lentamente, lasciava il posto ad azzurro più chiaro.
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Lettori rieccomi
prima del previsto con un nuovo e lunghissimo capitolo!!!
Sono successe un
mucchio di cose e la trama si sta infittendo. Il rapporto tra Blue e Rachel si
è decisamente rafforzato, e la presenza del nuovo Custode scatenerà un po’ i
futuri eventi…ma non sarà la sola nuova comparsa…dal prossimo capitolo entrerà
un nuovo personaggio, un altro Terreno per l'esattezza, una vecchia conoscenza
di Green.
Allora, il fatto
dei colori delle ali dei Terreni…l'idea è che le possibilità dei colori sono 7,
(i colori dell'arcobaleno) e come avete letto ad ogni colore è un tipo di
morte…per ora è stato spiegato il giallo (l'unico negativo) poi in seguito si
spiegheranno gli altri, come quello di Blue, Green e Red.
Gli Umani
diventano Terreni per qualcosa che hanno fatto nella loro vita (che devo ancora
decidere cosa, anzi se avete qualche idea ditemi pure…:P) e vengono 'premiati'
con una nuova vita…tutti tranne quelli morti per suicidio che avendo una nuova
vita, immortale per di più, la prendono come una condanna perché sono costretti
a vivere un'altra volta.
I Custodi, quando
muore il protetto, non muoiono ma passano ad uno stadio superiore, tipo
diventano Troni, Dominazioni, Virtù o Potestà (che sono alcune delle gerarchie
degli angeli…mi sono informata in vari siti..:P)…
Ecco, spero di
aver spiegato almeno queste cose, ora passiamo ai ringraziamenti!!!!!!!
Grazie a chi ha
messo la storia tra le seguite (9), tra le preferite (5) e tra le ricordate
(5), ma come sempre un MILIONE, un MILIARDO, anzi un TRILIARDO di grazie a chi
ha commentatoooooo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! ^^
WINGEDANGEL
Si, hai ragione,
alla fine tra Mairim e Miriam sarebbe dovuto succedere per forza questa cosa…
Mi sa che
comunque non basteranno i tuoi 7 euro e 20 centesimi per aprire un casa editrice
però dai, possiamo fare una colletta se proprio!! xD
Per quanto
riguarda Green non ti preoccupare se ancora non capisci bene tutto di lui, il
prossimo capitolo parlerà di lui e dell'arrivo del nuovo personaggio, un suo
vecchio amico...:)
Al prossimo
capitolo! Baci! <3
HAKIGO
Benvenutaaaa!!!!
E grazie per i complimenti!!! :) Sono contenta che la storia ti sia piaciuta
tanto da averla messa tra i preferiti!!! Fammi sapere che ne pensi di questo
capitolo!! :)
Baci! <3
LIYEN
Mi dispiace ma
ancora non puoi uccidere Steve!!! Anch'io vorrei strangolarlo per quello che
sta facendo a Miriam e Mairim ma purtroppo il suo personaggio mi servirà
ancora…Mairim sta coinvolgendo con i suoi sentimenti la sua amata e questo lo
fa soffrire ancora di più perché così non solo lui sta male ma anche
lei…purtroppo loro due soffriranno ancora…:( al prossimo capitolo, un bacio!!
<3
ELFA SOGNATRICE
Benvenuta nella
mia storiaaaa!!!!!!!!!!!!! Allora mi dispiace dirti che chi si innamora di un
Terreno non può diventare uno di loro o un angelo…restano umani e se nella
loro vita fanno qualcosa di particolare (a dir la verità devo ancora vedere
bene cosa) quando muoiono gli viene data la possibilità di vivere un'altra
volta…Questo è quello che è successo a Blue, Green, Red e nel prossimo
capitolo anche ad un nuovo personaggio!! Al prossimo capitolo, che sarà dal
punto di vista di Green!! Baci!!! <3
Green uscì di
casa, le mani nelle tasche della giacca scura, lo sguardo annoiato fisso
davanti a lui.
Sbadigliò,
ancora intontito dal sonno.
Estrasse da una
tasca un foglietto stropicciato e, svogliatamente, rilesse ciò che c'era
scritto: pomodori, mozzarella, insalata, spaghetti, pesce...
Red era rimasta
sveglia tutta la notte a sfogliare libri di cucina e gli aveva dato quella
lista mandandolo a fare compere di mattina presto, dopo averlo svegliato di
soprassalto.
Green sbuffò
scocciato e, rimettendo il biglietto in tasca, continuò a camminare per le vie
della città.
Odiava i
supermercati. Tutta quella gente affollata che osservava con attenzione
ogni genere di prodotto per cercare quello più conveniente o di qualità.
Sbirciando ogni
tanto la sua lista, prese qualche oggetto dai vari scaffali e li
gettò incurante nel carrello.
Si diresse nel
reparto verdure e cominciò a cercare i pomodori.
Ne
prese alcuni distrattamente, senza guardare cosa gli stesse
capitando per le mani, ed iniziò ad infilarli in un sacchetto di plastica.
"Odiosa
ragazzina!" pensò tra sé, sempre più scocciato.
All'improvviso,
qualcosa lo colpì ed uno dei pomodori cadde sul pavimento.
Green guardò
l'ortaggio a terra, senza fare niente, come se lo shock l'avesse immobilizzato.
Dopo qualche
attimo si chinò lentamente e lo prese tra le mani; rimase accovacciato lì,
le gambe piegate e il pomodoro davanti agli occhi, chiedendosi, stupidamente,
come fosse finito a terra.
Alzò le spalle
annoiato e infilò il fuggitivo nel sacchetto con gli altri; quindi lo richiuse
e si incamminò, in cerca degli altri elementi della lista.
"Scusa,
non era mia intenzione!"
Green voltò la
testa lentamente, fissando una ragazza dai capelli rossi più bassa di lui,
con un paio di occhiali da vista che nascondevano gli occhi blu scuro.
La ragazza, che
Green giudicò sui 25 anni, lo fissava sorridendo e visibilmente rossa in volto,
cercando di nascondersi allo sguardo indagatore dell'angelo.
"Scusa per
cosa?" gli chiese lui, continuando a darle le spalle e voltando solo
la testa.
Lei lo fissò
per un attimo sbalordita, poi tornò a sorridere timidamente: "Per averti
urtato in quel modo" spiegò lei.
Lui, in quel
momento, realizzò che il pomodoro gli era caduto a causa di quella
ragazza.
La studiò
ancora per qualche istante, poi, sbuffando per l'ennesima volta, continuò a
camminare, allontanandosi senza rivolgerle parola.
"Gli Umani
sono davvero strani" pensò Green afflitto.
La ragazza
restò immobile a guardare il giovane dai capelli biondi allontanarsi, fino a
che scomparve dietro ad uno scaffale.
Green giunse
alla cassa e svuotò svogliato il contenuto del suo carrello.
Appena ebbe
finito di riempire una borsa di plastica, estrasse il suo portafogli dalla
tasca dei pantaloni e diede i soldi alla commessa.
La donna,
grassoccia e con un neo sopra il labbro, gli sorrise, aprì la cassa e contò il
resto da dargli.
Green la guardò
per un istante: i capelli neri e sporchi raccolti in una coda, gli occhi blu
scuro ed un paio di occhiali che le cadevano sul naso, donandole un'aria da
vecchia professoressa.
La donna lo
fissò negli occhi, interrompendo i suoi pensieri e porgendogli le monetine
del resto.
Le fece cadere
nella mano aperta di Green che, rimesso il portafogli in tasca, si avviò con la
borsa, pensieroso.
Sentiva lo
sguardo della cassiera ancora fisso su di lui.
Si voltò a
controllare, mentre la porta scorrevole si apriva: la donna grassoccia non
c'era più.
Sbuffando
un'altra volta e mettendosi una mano tra i capelli confuso, uscì dal
supermercato e si incamminò lungo il marciapiede, una mano che teneva la
borsina e l'altra infilata di nuovo nella tasca del giaccone.
Si confuse
tra la folla, camminando lentamente tra le persone che si affrettavano
disperate, evitando di scontrarsi con qualcuna di queste.
Quando sentì
una mano afferrare con forza il suo giaccone, si fermò e si voltò di colpo.
Un
vecchio vagabondo, sporco, con una folta barba, il volto coperto da
un cappuccio e le labbra screpolate per il freddo, stringeva le sue dita ossute
intorno alla stoffa della giacca di Green, interrompendogli il cammino.
"Aiutami,
ti prego!! Ho fame, ho freddo!! Non ho niente, dammi qualcosa!!" gli urlò
disperato, tendendo la mano libera verso di lui per ricevere qualcosa.
Quando un
fetore orribile arrivò alle narici di Green, il Terreno ne restò disgustato e
cercò di staccarsi dalla presa del vecchio.
"Lasciami
andare, vecchio!! Non ho niente da darti, lasciami!!" urlò con rabbia, scuotendo
la giacca per liberarsi della presa dell'uomo; tuttavia, per quanto le sue dita
fossero ossute e fragili, continuavano a trattenerlo.
"Ti prego,
mi basta poco!" insistette il vecchio.
"Ti ho
detto che non ho niente!!" ribattè Green.
La gente
intorno a loro fingeva di non vederli, continuando per la loro strada come se
quella scena non stesse avvenendo.
Le labbra del
vecchio si chiusero e gli angoli della bocca si piegarono leggermente verso
l'alto, tesi in un ghigno sinistro.
"Stai
mentendo." Sussurrò l'anziano barbuto, facendo fermare Green che lo fissò
confuso e sconvolto per le sue parole.
Il vecchio alzò
lo sguardo, scoprendo il volto, fino ad allora nascosto dal cappuccio,
e fissò con i suoi occhi blu scuro quelli verdi dell'angelo.
Il Terreno
sussultò.
Diede un ultimo
scossone e riuscì a liberarsi dalla morsa del vecchio, ma, invece di andarsene,
restò a fissarlo immobile.
"Potresti
darmi le monete che hai avuto di resto poco fa, oppure uno di quei pomodori...
Andrebbe bene anche quello che ti è caduto a terra." sussurrò il vecchio,
le labbra sempre tese in quel ghigno e gli occhi sul Terreno.
Green non capì
le parole del vecchio. Come faceva a sapere quelle cose?
Rivide nella
mente la ragazza dai capelli rossi e la cassiera grassoccia.
Quel
vecchio…che fosse..?
Green scosse la
testa, scacciando quei pensieri. Raggelò il vecchio con un'occhiata e si
incamminò di nuovo per la sua strada, lo sguardo fisso a terra e la testa
affollata da pensieri e ricordi lontani.
Gli sembrava
impossibile, eppure quegli occhi... era sicuro di averli già visti in passato,
ma erano trascorsi così tanti anni...
Aprì il portone
dell'edificio in cui abitava e salì lentamente le scale, sempre pensieroso.
Girò la chiave
nella serratura ed aprì la porta.
Con la mano
libera e senza voltarsi, la spinse per chiuderla, ma qualcosa interruppe
il movimento della porta in legno.
Green gettò
un'occhiata alle sue spalle.
Un paio di
occhi blu scuro lo fissavano attraverso lo spiraglio rimasto aperto. Green
lasciò la maniglia, permettendo all'individuo di entrare.
"Scusami
tanto, mi sono appena trasferito in questo palazzo e sono venuto a
conoscere i miei nuovi vicini."
Un giovane, i
capelli neri raccolti dietro la testa, gli sorrideva amabilmente, tendendo una
mano verso di lui.
Green continuò
ad ignorarlo, scrutandolo ancora per qualche istante.
"Basta con
questi giochetti, puoi finirla." Allontanò gli occhi verdi dai quelli
di lui e appoggiò il sacchetto sul tavolo del salotto.
Un sorriso
apparve sul volto dell'individuo che, abbassando la mano, si appoggiò allo
stipite della porta, incrociando le braccia e chiudendo gli occhi.
"Ce ne hai
messo di tempo, Alex." disse lo sconosciuto, una
nota soddisfatta nella voce sinistra.
Green lo
fulminò con lo sguardo per poi sedersi pesantemente su una sedie.
"Non
chiamarmi più così, ora ho un altro nome…" spiegò lui allo sconosciuto, il
quale aprì un occhio in attesa del seguito.
"...Green."
Continuò il Terreno dalle iridi verdi.
L'uomo dagli
occhi blu scuro iniziò a ridere, staccandosi dallo stipite e appoggiando una
mano sul ventre, scosso dall'ilarità.
Quando riuscì a
controllarsi, si avvicinò a Green, fermandosi a metà strada tra lui e la porta,
le braccia sempre conserte.
"Che nome
ridicolo…" commentò, alzando un sopracciglio.
"E tu
invece come ti fai chiamare, ora? Andrea, Bryan, Jacques... o Simona
magari?" chiese Green guardandolo storto, un ghigno sul volto.
"No,
ultimamente mi piacciono molto i nomi tipo Jack, Sara... la ragazza al
supermercato era Lea..." Continuò a fissarlo negli occhi, sicuro di sé.
"Che ci
fai qui?" gli chiese Green bruscamente, cambiando discorso e diventando
serio.
Il ragazzo dai
capelli neri gli sorrise, sfacciato: "Sono qui solo per divertirmi un
po', in memoria dei vecchi tempi, Alex!"
"Ti ho
detto di non chiamarmi più così, Jack o qualunque sia il tuo
attuale nome!" l'angelo iniziò ad innervosirsi, inarcando le
sopracciglia.
"Come
vuoi." Acconsentì lo sconosciuto alzando le spalle.
"Green!!
Sei tornato finalmente, sei stato fuori un mucchio di tempo, sai?" Red
scese le scale di corsa, si avvicinò a Green e, bruscamente, afferrò il
sacchetto appoggiato sul tavolo.
Quando si
accorse del giovane dai capelli scuri e lo sguardo penetrante, arrossì e si
avvicinò allo sconosciuto tendendo la mano per presentarsi. L'angelo verde
sbuffò contrariato.
"Piacere,
mi chiamo Red, tu sei..?" gli chiese gentile e con la voce allegra,
dimenticandosi completamente che pochi secondi prima stava urlando contro il
suo coinquilino.
Lo sconosciuto
rise tra sé e poi ricambiò la stretta: "Red, dici? Che nome buffo, mi
piace! Io mi chiamo Alex e sono il vostro nuovo vicino di appartamento."
Sorrise amabilmente alla ragazzina dai capelli biondi a caschetto.
Red rise a sua
volta, restando per un attimo estasiata nel vedere gli occhi
blu come la notte del giovane.
Alex lanciò
un'occhiata provocatoria a Green, cercando di cogliere la sua reazione.
Il Terreno lo
fissava contrariato ed infastidito per aver usato quel nome, ma cercò di
mostrarsi il più indifferente possibile. Alzatosi dalla sedia, si portò nel
salottino, lasciandosi cadere pesantemente sul divano e iniziando a sfogliare
il quotidiano.
Red staccò la
sua mano da quella del giovane: "ti va di restare a pranzo da noi?"
gli chiese, speranzosa.
"Volentieri!"
rispose lui, fissando di sottecchi Green: conosceva bene il suo vecchio amico e
sapeva che aveva in mente qualcosa. Ma sapeva anche che non gli avrebbe mai
detto di cosa si trattasse e quindi doveva pensare ad un modo per scoprirlo da
solo. In quell'istante, gli venne un'idea e pensò di approfittare
della situazione.
Sorrise alla
ragazzina che ancora lo fissava ammirata.
"Scusa la
mia... curiosità..." si fermò un instante, sicuro di avere su di sé
l'attenzione non solo della ragazzina, ma anche di Green.
Red aspettò che
lui continuasse, mentre l'angelo tese l'orecchio curioso.
"Mi
piacerebbe vedere la vostra casa, se non vi dispiace, sembra così bella!"
continuò, sbirciando di nascosto la reazione del suo amico.
Il Terreno
tenne lo sguardo fisso sul quotidiano e strinse i pugni attorno alla carta che
si stropicciò tra le sue mani; cercò di rilassare i nervi, sperando
che l'intruso non lo avesse notato.
Si sbagliava;
l'ipotesi di Alex fu confermata.
Red acconsentì
entusiasta ed accompagnò il loro nuovo vicino al piano superiore,
dimenticandosi completamente della spesa, abbandonata al suo destino.
Green sbuffò,
scocciato: aveva passato una mattinata a fare compere per quella sciocca
ragazzina ed ecco come veniva premiato! Sarebbe dovuto rimanere a casa a
dormire. Inoltre la giornata non sembrava avere intenzione di migliorare.
"Perfetto!"
pensò tra sé ironico, continuando a sfogliare il giornale.
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Lettori rieccomi
con un nuovo capitolo!!!!!
Spero vi piaccia!!!
:) Il prossimo ho quasi terminato di scriverlo, quindi penso di non metterci troppo
a pubblicarlo!!!
Allora ringrazio
chi ha messo la storia tra le preferite (6), chi tra le ricordate (5) e chi tra
le seguite (10) e grazie anche a chi legge solamente, ma soprattutto grazie a Liyen
e Wingedangel che mi commentano sempre e continuano a sostenermi in questa storia!!!
;)
LIYEN
Ecco il nuovo
Terreno, vecchio conoscente di Green. È un tipo assai misterioso e che complicherà
un po’ la vita a Blue e Rachel. Continua a seguirmi con i tuoi bellissimi commenti,
mi raccomando! ;) Un bacio! <3
WINGEDANGEL
Blue è Samuel
dici? Bo non saprei, l'unica cosa che puoi fare per avere la certezza è continuare
a leggere!! xD Cmq grazie come sempre per i tuoi stupendi commenti, mi rendono
davvero felice!! ^^ Il prossimo capitolo sarà su Rachel\Lehcar e poi tornerà ancora
questo nuovo personaggio misterioso…devo scrivere l'ultimo pezzo…:) al prossimo
capitolo! Un bacio! <3
Capitolo 15 *** 15- Vecchi incubi e nuove scoperte ***
15-
15- VECCHI INCUBI E NUOVE SCOPERTE
"Samuel
non lasciarmi! Ti prego, torna da me. Io ti aspetto..."
Rachel aprì gli
occhi di colpo, svegliandosi da un incubo; si mise seduta sul letto e si
guardò intorno spaesata.
Accanto a
lei, il ragazzo non c'era più; era sola. Che avesse solo sognato?
Eppure era
certa di aver sentito l'abbraccio caldo del suo nuovo Samuel e il suo dolce
respiro su di lei.
Si lasciò
cadere di nuovo sul letto, coprendosi il volto con le coperte.
Ora, avvolta
dal buio, si sentiva al sicuro.
Si scoprì il
viso quando iniziò a sentirsi soffocare dalle coperte.
Si appoggiò un
braccio sulla fronte e fissò tristemente il soffitto, soprappensiero.
Aveva fatto un
sogno strano quella notte; o meglio, un incubo, un triste ricordo.
Ecco, forse
l'ultima definizione era quella più adatta.
Aveva rivissuto
i suoi ultimi attimi con Samuel, quello vero.
Tuttavia, li
aveva rivissuti in un modo bizzarro, non come la prima volta: aveva sentito la
presenza di qualcun altro nei suoi sogni, un intruso che aveva partecipato con
lei alle sue vicende.
Si ricordava il
volto di una donna che non aveva mai visto prima, dai capelli lunghi e corvini
che le ricadevano dolcemente lungo la schiena, e anche di un uomo, dai capelli
chiari, il volto serio e turbato e dal carattere scontroso.
Ma ciò che le
aveva fatto più male era stato rivedere lui: Samuel, i capelli biondi e gli
immensi occhi blu come il mare.
Strinse una
mano sul proprio petto, sul cuore, come se le facesse male sentirlo battere ed
iniziò ad ansimare faticosamente.
Samuel se n'era
andato, senza darle una spiegazione, senza dirle addio.
Chiuse gli
occhi per allontanare quel pensiero, ma inutilmente: l'immagine del
volto di Samuel appariva sempre davanti a lei.
Stava
succedendo di nuovo. Invece di dimenticarlo come sperava, il pensiero di lui
stava diventando più forte; aveva bisogno del suo nuovo Samuel, quello
con i capelli neri e spettinati e lo sguardo spensierato e felice.
Dov'era? Perché
non era lì con lei in quel momento?
Si sentiva
sola, abbandonata.
Il suono della
sveglia la fece sussultare, riportandola per un istante alla realtà.
Restò immobile,
in sottofondo il suono fastidioso e ripetitivo, i pensieri persi nel suo
passato.
"Samuel,
perdonami ti prego." Sussurrò inconsciamente, ignorando lei stessa per
cosa dovesse essere perdonata.
Portò il
braccio sopra agli occhi, per impedire alle palpebre di aprirsi di nuovo. In
quel momento, aveva solo bisogno di non sentirsi più sola; le sarebbe
bastato rivedere il suo Samuel, anche se sapeva bene che questo l'avrebbe
portata a soffrire di più in seguito.
Non le
interessava, non in quel momento. Voleva solo rivederlo.
Si rifugiò di
nuovo nei suoi sogni, nei suoi incubi, nei suoi tristi ricordi, in sottofondo
ancora il fastidioso rumore della sveglia che, imperterrita, non cessava di
ricordare a Rachel che doveva tornare alla realtà, anche se invano.
Lehcar non
riusciva più a controllare le sue emozioni; rivedere Leumas aveva scatenato in
lui sensazioni che credeva di aver dimenticato. Stava coinvolgendo la sua protetta,
lo sentiva, ma non riusciva a interrompere il flusso di quei vecchi e dolorosi
ricordi.
Si battè una
mano sulla fronte, per cercare di cacciarli via ma non servì a niente. Le ali
rigide, immobili dietro di lui, candide come sempre e i suoi occhi chiari
chiusi, con forza.
"Leumas,
Leumas." Le sue labbra ripetevano quel nome senza sosta, tremando,
singhiozzando, riportando alla sua mente la bellissima immagine della Custode
che aveva tanto amato.
"Samuel,
perdonami, ti prego." La voce di Rachel gli giunse al cuore. Lei sentiva
ciò che provava lui e ripeteva i suoi pensieri meccanicamente.
Aprì gli occhi,
fissandola per qualche istante.
IL suo orgoglio
era troppo forte per farlo avvicinare a quell'umana e consolarla per il suo
dolore.
Preferì
lasciarla sola, sperando che un po’ di distanza tra loro l'avrebbe fatta stare
meglio.
Uscì dalla
stanza, sforzandosi di assumere il solito suo portamento austero e fiero.
Si nascose in un angolo della sala da pranzo, sedendosi contro la parete e
affondando il viso nella ginocchia.
Prese un
profondo respiro, cercando di calmare le proprie emozioni.
Lentamente, le
sue idee tornarono al loro posto: non doveva chiedere perdono a nessuno, non
era lui la causa della scomparsa di Leumas, ma quel misero Umano e forse
anche quel Terreno dalle ali gialle. Non lo aveva più rivisto dopo tutto quello
che era successo, era scomparso, come Leumas, nel nulla.
Meglio così: se
lo avesse rivisto, lo avrebbe fatto a pezzi con le proprie mani. Letteralmente.
Era anche colpa
sua se Leumas lo aveva abbandonato e avrebbe pagato per questo.
Ripensò alla
visione che aveva avuto quella notte con il Terreno dalle ali blu del quale
Rachel si era tanto invaghita.
Tornò con la
mente all'immagine della sua amata, i capelli corvini, il dolce profumo che lo
faceva impazzire, gli occhi chiari, così luminosi e spensierati che lo avevano
fatto innamorare e avevano scaldato il gelo che c'era nel suo cuore.
L'avrebbe
rivista. Era quello il destino degli angeli custodi: alla morte del proprio
protetto, si sarebbero ritrovati tutti ad uno stadio superiore, come Troni,
Dominazioni, Virtù o Potestà. Allora, l'avrebbe rivista e avrebbe potuto stare
con lei per l'eternità.
Tuttavia, un
dubbio si fece largo tra i suoi pensieri: non credeva che gli angeli custodi potessero
sanguinare.
"Lehcar.
Qualcosa non va?" Il custode alzò lo sguardo.
Nala svolazzava
davanti a lui e lo fissava preoccupata.
"Lasciami
in pace!" disse bruscamente lui per allontanarla.
Nala, invece di
andarsene, scese a terra e si inginocchiò, portandosi allo stesso livello di
Lehcar; i suoi occhi azzurro cielo si riflettevano in quelli chiari di lui.
"Senti,
Lehcar" Iniziò, la voce calma e compassionevole, "non tenerti tutto
dentro. Anche se non siamo veramente fratelli, sai che io ci sono sempre per
te."
Lehcar abbassò
lo sguardo, scocciato ed infastidito dalla pietà che leggeva nel suo sguardo.
Nala sembrò
spazientirsi a causa del comportamento infantile dell'angelo e, scaldandosi,
riprese:
"Metti da
parte il tuo orgoglio per una volta! Non sei solo. Non lo sei mai
stato. Non devi sopportare tutto questo da solo. Permetti agli altri di
aiutarti."
Continuò lei,
seria in volto e gli occhi sempre puntati su di lui.
Lehcar alzò lo
sguardo, meravigliato per la saggezza di quella ragazzina.
Non era solo.
C'era lei. C'era Mairim. Ce n'erano molti altri. E c'era Rachel; anche lei non
era sola.
Per la prima
volta, dopo tanti mesi di sofferenza e solitudine, si sentiva sollevato, come
se qualcuno avesse alleggerito il carico di dolore che si portava appresso.
Nella sua
mente, le parole di Nala si ripetevano, migliorando sempre di più il suo stato
d'animo: "Non sono solo."
Per la prima
volta dopo tanto tempo, Lehcar sorrise.
"Certe
volte la nostra coscienza ci trascina, ci costringe a seguire la strada che ha
tracciato per noi, assicurandoci che quella è la via più sicura e tranquilla
per arrivare al traguardo. Mi ha sempre infastidito essere obbligata a seguire
quella via, non poter esplorare il paesaggio intorno, non poterne assaggiare un
pezzo, anche piccolo. Ebbene, quando la mia coscienza si è distratta per un
istante, ne ho approfittato e sono uscita, mi sono creata una strada mia, fatta
con le mie mani.
Non è stata una
buona scelta; fortunatamente la mia vocina interiore è venuta a cercarmi e mi
ha riportato sulla retta via. Se solo l'avesse fatto qualche metro prima! Se
solo non si fosse distratta per darmi la possibilità di fuggire e di
intraprendere dei passi da sola; se solo non avessi commesso quell'errore; se
solo non avesse pagato anche lui per il mio sbaglio.
Certe volte
potrebbe bastare una scusa, un 'mi dispiace' per far tornare tutto come prima,
per fare pace e dimenticarsi di quei passi sbagliati.
Ma non questa
volta.
Questa volta un
'mi dipiace' non è stato sufficiente, non ha cancellato le orme che ho
lasciato fuori dalla via sicura.
Quelle impronte
sono sempre lì, impresse nel terreno, indelebili, incancellabili.
Mi basta
voltarmi per vederle, nonostante da quella deviazione siano passati
chilometri e chilometri. Quelle impronte sono ancora laggiù per
ricordarmi il mio sbaglio.
Ricordo ancora
molto bene le sue parole: "Sono stanco. Stanco." Mi avevano lasciato
così confusa, così incapace di reagire.
Le aveva
pronunciate con forza, esausto, gli occhi umidi, stanchi e tristi per
la mia disobbedienza, per la mia curiosità.
Non è riuscito
a fermarmi, sono andata avanti per la mia nuova strada, tracciando nuove,
indelebili, dolorose impronte.
Mi sono fermata
solo quando lui se n'è andato o forse quando io mi sono allontanata troppo
per riuscire a vederlo ancora.
La mia
coscienza è venuta a cercarmi e mi ha riportato sui miei passi, ma ormai era
troppo tardi: mi ero allontanata troppo da lui.
Ora continuo da
sola sulla mia strada, quella già tracciata, ma con passo lento, incerto e
sempre volgendo indietro lo sguardo, sperando che quelle impronte scompaiono.
Ma invano.
Mi servirebbe
una gomma per cancellarle, o una cancellina per coprirle e dimenticarle. Ma
qualcosa capace di cancellare i passi sbagliati fatti lungo la vita, ancora non
esiste. O, per lo meno, io non ne conosco.
"Sono
stanco, Rachel. Stanco." Mi sarei dovuta fermare a quelle parole, tornare
indietro, interrompere la pazzia che stavo intraprendendo.
Era quella la
mia gomma, la mia possibilità di dimenticare tutto; ma l'ho sprecata, ho
rinunciato a tutto e sono andata avanti.
A volte mi
chiedo che sarebbe successo se invece di uscire avessi continuato tranquilla
per la mia strada; sarebbe tutto come prima? Non sarebbe cambiato niente,
forse. Saremmo ancora insieme, vicini, felici, a percorrere la stessa strada
mano nella mano.
Saremmo ancora
innamorati l'uno dell'altro."
Alex gettò il
quaderno sul letto sfatto di Green. Era riuscito ad intrufolarsi nella sua
stanza e aveva notato quello sdolcinato diario nascosto sotto il
materasso. L'aveva aperto incuriosito, iniziando a sfogliarlo.
Ma la sola
lettura di quelle poche righe lo aveva disgustato. Aveva vissuto per molti
anni, ma non aveva mai letto cose del genere sugli Umani, cose così intime e
segrete.
Cosa diavolo
aveva in mente Green? Immerso nei dubbi, fissò il quadernetto dalla copertina
colorata con un cuoricino rosso nell'angolo. Disgustoso!
Perchè il
suo vecchio amico sembrava tanto interessato a quel diario?
Lo riprese tra
le mani e lo fece scorrere velocemente.
Qualcosa uscì
da una pagina, cadendo a terra, sul tappeto grigio accanto al letto di Green.
Alex abbassò lo
sguardo e, incuriosito, raccolse una foto.
Due figure
sorridevano all'obiettivo: una ragazza dai capelli neri, legati
disordinatamente in un coda dalla quale ciuffi di capelli uscivano liberamente
e, accanto a lei, un ragazzo dagli occhi blu e i capelli biondi.
Sembravano
felici insieme, con la spensieratezza che illuminava i loro occhi di una
luce viva.
Alex si alzò in
piedi, la foto infilata in una tasca dei pantaloni, il diario sul letto di
Green. Non gli interessava nascondere le sue tracce, anzi, se il suo
vecchio amico avesse saputo che lui era stato lì, magari si sarebbe unito a
lui.
Si incamminò
fuori dalla stanza, una mano stretta intorno a quella foto. Quando giunse sulla
soglia guardò sopra la sua spalla, verso quel quaderno dalla copertina
colorata.
I suoi occhi
furono illuminati da una luce sinistra: perchè tutto andasse secondo i suoi
piani, avrebbe dovuto fare tutto alla perfezione.
Sorrise,
piegando un angolo della bocca verso l'alto in una smorfia perfida e chiudendo
gli occhi, soprappensiero.
Aveva davvero
voglia di divertirsi: quale modo migliore di intromettersi nella vita del
suo vecchio amico?
"Eccoti!"
Aprì gli occhi
e si ritrovò a fissare la ragazzina bionda che lo guardava sorridendo
amabilmente. Ricambiò, gentile.
"Si,
scusa! Mi aveva incuriosito questa stanza e non sono riuscito a trattenermi dal
curiosare." Disse, fingendosi ingenuo.
Poi, senza
voltarsi, varcò la soglia e si chiuse la porta alle spalle, gettando un'ultima
occhiata a quel quaderno che, lentamente, scomparve nell'ombra.
Blue si
ritrasformò in Umano, tenendo lo stesso aspetto che aveva sempre usato.
Aprì la porta
d'ingresso dell'appartamento di Green e se la richiuse subito alle spalle,
piano e tristemente, lo sguardo basso, ancora immerso nei suoi pensieri.
L'immagine di
quella donna continuava a ritornargli in mente e mille dubbi lo
assalivano.
Inoltre doveva
assolutamente chiedere a Rachel l'identità di quel misterioso ragazzo.
"Ehi, sei
tornato, finalmente!" Green, sdraiato comodamente sul divano, le gambe
accavallate e il giornale tra le mani, gli gettò uno sguardo neutro.
"Non per
fare il ruolo del padre apprensivo e soffocante, ma dove diavolo sei
stato stanotte?" gli domandò, incuriosito dall'espressione depressa del
Terreno.
Blue sbuffò:
"Non sono affari tuoi…papà!" aggiunse scherzoso, prendendo in giro
Green.
Lui sorrise a
sua volta, tornando ad immergersi nel suo quotidiano.
Blue si diresse
verso le scale, con l'intenzione di andare a dormire per rinfrescarsi un po’ le
idee.
"Ah, quasi
dimenticavo: abbiamo un ospite a pranzo!" gli riferì Green, alzando gli
occhi su di lui, per vederne la reazione.
Blue si fermò,
guardandolo accigliato.
"Un
Terreno…" aggiunse Green, per nulla entusiasta.
"Blue, sei
tornato!" in quell'istante Red scese di corsa le scale e si fiondò ad
abbracciare Blue. Dietro di lei, l'angelo scorse un uomo alto e snello, i
capelli neri, gli occhi blu scuro e uno strano sorriso dipinto in volto.
Red si spostò
quando il misterioso ragazzo si avvicinò a Blue e gli tese la mano.
Il giovane la
strinse, cordiale.
"Piacere.
Io mi chiamo Alex." La presa dello sconosciuto era forte e sicura.
"Blue."
Si presentò lui, la voce incerta nel pronunciare quel nome. Forse avrebbe
dovuto usare Samuel...
Alex staccò la
mano.
Blue notò lo
sguardo che il nuovo individuo lanciò a Green, il quale rivolgeva loro le
spalle: uno sguardo strano e provocatorio in un certo senso.
"Io vado a
preparare il pranzo!" Red, dopo aver preso la borsa della spesa
abbandonata sul pavimento, corse in cucina, pronta a mettere di
nuovo alla prova le sue capacità culinarie.
Green sbuffò
preoccupato, scotendo la testa amareggiato e voltando una pagina del
quotidiano.
"Quindi tu
saresti il Terreno a cui mi ha accennato Green?" chiese diffidente Blue.
Alex portò
una mano dietro la testa e sorrise, arrossendo: "Ah, Green ti ha già detto
chi sono! Che peccato, avrei tanto voluto farvi una sorpresa, più tardi!"
Green rise,
divertito per le parole del suo vecchio amico.
"Posso
farti una domanda?" chiese Blue, ignorando la risata di Green.
Alex abbassò lo
sguardo su di lui, aspettando che continuasse.
Blue, i
pensieri che ancora ripercorrevano il suo sogno, continuò, incerto: "Di
che colore sono le tue ali?"
Green sussultò,
nascosto dietro al quotidiano, attento alla discussione dei due.
"E perché
vorresti saperlo?" gli domandò di rimando Alex.
"Curiosità…"
disse semplicemente Blue, "ho saputo che il colore delle ali
dipende dal tipo di morte. Mi chiedevo se tu, per caso, conoscessi la
tua e magari anche quella degli altri colori…"
Alex sorrise e
poi iniziò a spiegare: "Vedi, è vero che la nostra morte corrisponde al
colore delle nostre piume e in parte a quello dei nostri occhi. Ma solo i
Custodi ne conoscono il significato..."
Blue abbassò lo
sguardo, amareggiato. Insomma, non avrebbe saputo dirgli niente di
nuovo...
"Si da il
caso, tuttavia, che anni fa io abbia conosciuto un Custode che mi ha spiegato
il significato di ogni colore." Aggiunse Alex.
Blue rialzò lo sguardo
su di lui, speranzoso.
Green strinse i
pugni attorno alla carta, nervoso.
"Quindi le
tue come sono? Come sei morto?" incalzò Blue.
Alex ridacchiò,
malizioso.
"Le mie
sono top secret. Ma, per esempio, il nostro pigro amico sul divano ha
le ali verdi perché è morto per salvare la vita di qualcun altro. Che gesto
eroico." Commentò, sorridendo al Terreno dalle iridi verdi che cercava,
con tutto se stesso, di evitare quella discussione.
"Quelli
con le ali blu?" chiese ancora Blue.
Alex lo guardò
negli occhi.
"Ali blu,
dici? Sono piuttosto rare.." si portò una mano al mento,
facendosi pensieroso.
"Mi
dispiace, ma non lo so. Forse neanche il Custode che ho conosciuto lo sapeva.
Sono davvero rare!" spiegò a Blue, deluso da quella notizia.
"Invece,
per quanto riguarda la vostra amica di là.." indicò con uno sguardo la
cucina, "lei ha le ali rosse giusto?"
"Come fai
a saperlo?" gli chiese Blue.
"Bè, non è
che avete molta fantasia con i nomi! Blue, Red, Green…" spiegò lui,
ridendo tra sé per quei nomi ridicoli, "comunque, le ali rosse significano
che quella ragazzina è stata uccisa da qualcuno…" concluse, serio.
Proprio in quel
momento, Red uscì dalla cucina, sorridendo gioiosa: "è quasi pronto!"
urlò entusiasta.
Blue si
incamminò verso la cucina, seguito da Alex.
Quando il
Terreno blu scomparve oltre la soglia, il nuovo arrivato si fermò, voltandosi
verso Green che, dopo aver appoggiato il giornale sul tavolino di
vetro, si era alzato e ricambiava lo sguardo dell'amico.
"Per
questa volta ti ho coperto, vecchio mio. Ricorda che mi devi già anche un
altro favore. Con questo siamo a due."
Alzò due dita
della mano per rendere più chiara l'idea al Terreno dagli occhi verdi.
Poi, ridendo
tra sé, entrò in cucina, seguito da Green.
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Nuovo capitolo!!!
Purtroppo mi è
uscito un po’ così…poi quando finirò tutta la storia sistemerò bene questo
capitolo perché è un po’ 'frettoloso', soprattutto nella parte della
spiegazione delle ali, inoltre anche il titolo non me gusta assai…:\
Quindi,
riassumendo ora si sanno le ali gialle (suicidio), verdi (morte per salvare la
vita degli altri) e rosse (omicidio)…quelle del misterioso Alex ancora non si
sanno e lui pare non ricordarsi il significato di quelle di Blue…ma sarà vero,
poi?? Questo lo lascerò scoprire a voi nei prossimi capitoli…xD
Un ringraziamento alle
6 persone che hanno messo la storia tra le preferite, alle 6 che l'hanno messa
tra le ricordate e alle 10 che l'hanno messa tra le seguite!!! :)
SNAIL
Bene, bene,
bene!! Sono felice che tu sia ritornata alla mia storia e che hai recensito!! Fammi sapere che ne pensi di questo!! Baci! <3
LIYEN
Vedrai nei
prossimi capitoli cosa avrà in mente questo Alex, già sta macchinando
qualcosa!! Comunque non sarà troppo cattivo, dai…:)
Al prossimo
capitolo!! Baci! <3
WINGEDANGEL
Ancora il colore
delle sue ali non lo ha rivelato, si scoprirà un po’ più avanti…:) Grazie per
la colletta, speriamo frutti qualcosa allora!!! Se sei riuscita a convincere
Green comunque allora dovremmo farcela! Lui è un tipo molto persuasivo e
convincerebbe sicuramente molte persone a partecipare a questa colletta!! Al
prossimo capitolo! Baci a te e a Aras!! <3
P.S.: Alex e Green
sono molto vecchi, nel senso che sono morti molti anni fa (il più vecchio è
Alex). Per questo naturalmente lui ha potuto scoprire molte cose, tra cui la
storia del colore delle ali (insieme ad altre…)
Ci vediamo al
prossimo capitolo, lettori! Mi raccomando: RECENSITE!!
Miriam aprì gli
occhi quando sentì il suo cellulare vibrare.
Senza voltarsi,
lo cercò con la mano sul comodino.
Lo prese e se
lo portò davanti agli occhi, frapponendolo tra lei e il soffitto.
Il sole, già alto
nel cielo, aveva fatto scomparire le sinistre ombre della sera prima, ma il
dolore nel suo cuore c'era ancora.
Schiacciò i
tasti del suo cellulare, finché non riuscì ad aprire il messaggio che le era
appena arrivato.
Lo mandava
Rachel.
"Ciao,
Miriam! Sono davvero curiosa di sapere di cosa mi devi parlare! Che ne dici se
andiamo a fare colazione nel bar vicino a casa mia? ;) Fammi sapere!"
Miriam premette
col pollice il tasto per la risposta, tenendo sempre il telefonino davanti a
lei, sospeso in aria a qualche centimetro di distanza dal viso.
Si sforzò di
cacciare quelle orribili sensazioni e rispose al messaggio di Rachel.
"Ok, va
bene se ci vediamo tra mezz'ora? Dammi il tempo di prepararmi e venire lì
da te."
Senza aspettare
una risposta dall'amica, si alzò dal letto e, sistemando l'i-pod e il
telefonino sul comodino, si diresse svogliatamente verso il bagno.
Le avrebbe
fatto bene uscire e parlare un po’ con Rachel: lei l'avrebbe aiutata a farla
stare meglio. Come sempre.
"Allora,
Miriam." Rachel cercò di richiamare l'attenzione dell'amica, seduta di
fronte a lei, lo sguardo fisso sul suo cappuccino.
Miriam alzò lo
sguardo verso di lei, ancora insonnolita.
Il bar dove si
trovavano era abbastanza carino e silenzioso. Lì potevano stare tranquille e
parlare tra di loro senza che qualcuno le disturbasse.
Ma, come
accadeva spesso ultimamente, quel giorno erano rimaste in silenzio, tranne
qualche frase di saluto.
Il tavolino
dove erano sedute si affacciava direttamente sul marciapiede, gremito, come al
solito, di gente indaffarata e frettolosa.
"Cosa
avranno da correre sempre così tanto?" si chiese Miriam
mentre fissava tristemente la gente che correva aldilà della vetrata, la
testa appoggiata su una mano.
"Ehi!
Pronto? Ci sei?" quando una mano iniziò a sventolare davanti ai suoi
occhi, tornò a concentrarsi sulla sua amica che ora la fissava preoccupata, un
sopracciglio sollevato ed i gomiti appoggiati sul tavolino.
"Sicura di
stare bene?" le chiese Rachel.
Miriam rispose
con un cenno, la testa sempre sostenuta dalla mano.
Rachel, non
tanto convinta, cercò di farla parlare: "Nel tuo messaggio avevi detto che
dovevi raccontarmi qualcosa, no? Allora?"
La
guardò curiosa.
Miriam
all'improvviso sollevò la testa e sembrò ricordarsi solo in quel momento lo
scopo del suo incontro con Rachel.
"Ah, sì,
scusami. Hai ragione." Si sforzò di sorridere, imbarazzata, per poi
raccontare alla sua amica quello che era successo.
"Ho
conosciuto un ragazzo." Una sola frase. Poi si bloccò. Le parole le
morirono in gola e riconobbe la causa del dolore che la affliggeva dalla sera
prima: qualcosa le impediva di parlare di Steve.
Si sforzò di
continuare, ma tutto quello che le uscì fu solo un'altra parola:
"Steve." Poi diventò muta; come se avesse un groppo in gola che bloccava
ogni altro suono.
Che le stava
succedendo?
Rachel la
guardava accigliata: "Hai conosciuto un ragazzo? E com'è? Quanti anni ha?
Dove l'hai incontrato? Che bel nome Steve!"
Miriam fu
colpita dalla raffica di domande della sua euforica amica.
Cercò di
radunare le forze, ingoiò il groppo che sentiva nella gola e, stringendo i
pugni sul tavolo, cercò di continuare la sua storia, rispondendo alle domande
di Rachel.
"E' il
figlio del capo di mio padre." Le parole le uscivano ancora a fatica, ma
cercò comunque di continuare: "L'ho conosciuto ieri sera ad una cena di
lavoro."
Terminate le
due misere frasi prese un profondo respiro, come per recuperare tutta l'aria
che aveva perso nel pronunciarle.
Rachel,
accorgendosi dello strano comportamento di Miriam, placò momentaneamente la sua
euforia e tornò a fissarla preoccupata, il sopracciglio ancora sollevato.
"Scusa
Rachel, ma, io... ecco... non so cosa mi succede..." iniziò a farfugliare
Miriam, le lacrime che iniziavano a voler uscire dai suoi occhi.
Rachel appoggiò
una sua mano su quella di lei e le donò un sorriso confortante.
"Tranquilla,
Miri." Le disse semplicemente.
Erano due
parole semplici che Rachel le diceva sempre quando la vedeva preoccupata per
qualcosa... Per un'interrogazione o per un appuntamento... La sua amica era
sempre lì, che la confortava.
Ricambiò il
sorriso, le lacrime bloccate prima ancora di nascere.
"Dimmi
cosa ti fa soffrire." Le propose Rachel, il sorriso sempre sul volto e la
mano sempre sulla sua.
Miriam distolse
lo sguardo, fissando le persone che, fuori dal bar, continuavano ad
affrettarsi.
A volte le
invidiava. Sembravano felici, da dietro quella vetrata, senza problemi,
come se il loro unico scopo fosse solo quello di correre, nient'altro. Niente
problemi, niente dolori insiegabili; solo correre. Anche se probabilmente erano
sommersi dai loro problemi tanto da annegarci, lì, su quella strada, su quel
marciapiede, mentre correvano, sembravano felici.
Almeno, così la
vedeva lei.
"E' da
quando ho incontrato Steve che sto male." Iniziò a confidare alla sua
amica, gli occhi sempre intenti ad osservare la gente che correva.
"E' come
se una parte di me non fosse felice per quello che è successo; è una
sensazione strana, non riesco neanch'io a spiegarla."
Sentì le
lacrime che tentavano di ritornare.
Rachel strinse
la sua mano su quella di lei; quando Miriam volse lo sguardo per vedere la sua
reazione, tutto ciò che lesse nei suoi occhi erano comprensione e affetto.
La ragazza, in
quel caso, non aveva le parole giuste per cancellare il suo inspiegabile
dolore, ma quel sorriso di certo la faceva sentire meglio, non la faceva
sentire sola e abbandonata a sé stessa.
"Grazie
Rachel." Sorrise alla sua amica dai capelli corvini, riconoscente.
Accanto a
Rachel, il suo angelo fissava Mairim davanti a lui.
Il Custode
dagli occhi chiari osservava amareggiato Miriam.
Lehcar, le
braccia conserte e lo sguardo fiero ed austero, cercava di leggere negli
atteggiamenti e nello sguardo dell'amico la risposta alle sue domande, anche se
invano.
Nala gli aveva
consigliato di fidarsi degli altri e tra questi c'era anche lui.
Mise da parte
il suo carattere gelido ed orgoglioso e, prendendo un profondo respiro, si
rivolse a Mairim.
"Cos'hai?"
Mairim lo guardò
per un istante, sorpreso dell'improvviso interesse di Lehcar nei suoi
confronti.
Tuttavia si
vergognava dei suoi sentimenti e preferì non condividerli con l'angelo di
Rachel.
"Niente."
disse semplicemente, riportando la sua attenzione sulla sua protetta.
Tuttavia,
Lehcar non si arrese: "Che è successo alle tue ali, Mairim?"
L'angelo si
guardò alle spalle, dispiegando le piume che erano ingrigite e sembravano
malcurate.
Sbirciò Lehcar,
pregando perchè non intuisse che le sue ali erano in quello stato per ciò che
gli stava succedendo.
"Niente."
ripetè, lo stesso tono neutro di prima, tornando di nuovo sulla sua protetta.
"Perché
non vuoi che parli di questo…Steve?" domandò di nuovo Lehcar, troppo
testardo ed orgoglioso per lasciare la sua presa su Mairim.
Lui lo guardò
serio e preoccupato.
"Come io
sento quello che prova Rachel, anche tu devi sapere cosa succede a
Miriam. Perchè non riesce a raccontare di questo suo incontro? Credevo lo
sognasse da tutta la vita..."
Lehcar tenne i
suoi occhi chiari sull'amico, paziente e pronto a cogliere anche il
minimo segno di cedimento.
"Non lo
so" rispose Mairim, cercando, invano, di sembrare convincente.
Scusa poco
credibile: era impossibile che non sapesse cosa turbava la sua protetta. In
realtà era a causa sua, lo sapeva bene, ma non voleva che Lehcar ne venisse a
conoscenza: di certo gli avrebbe fatto una predica sul fatto che i Custodi
non devono innamorarsi dei loro protetti eccetera, eccetera, eccetera…
Quando Lehcar
alzò un sopracciglio incredulo, Mairim capì che non aveva creduto alle sue
parole. Ma come dargli torto?
"Senti,
lasciami stare, va bene??" urlò scontroso, cercando di interrompere quel
discorso con Lehcar.
Sarebbe potuto
scomparire alla sua vista, evitando in quel modo le domande curiose del custode,
ma qualcosa lo costringeva a rimanere lì.
Lehcar non
parlò più, ma questo non tranquillizzò affatto Mairim.
Le iridi chiare
del custode di Rachel continuavano a fissarlo, pazienti ed ansiose: studiavano
ogni sua mossa.
Di certo,
Lehcar non si sarebbe dato per vinto e questo Mairim lo sapeva bene.
Rachel lasciò
la mano di Miriam e riprese a bere il suo cappuccino, mentre quello
dell'amica rimase al suo posto, intatto.
La ragazza
dagli occhi verdi, tornò per l'ennesima volta, a perdersi con lo sguardo sulla
gente che correva sul marciapiede, immersa nei suoi pensieri.
Una figura
catturò la sua attenzione.
Un ragazzo
dall'altra parte della strada, sembrava distinguersi dal resto della gente,
almeno agli occhi di Miriam.
I capelli
castani, gli occhi verde chiaro, le mani in tasca, il passo lento e
tranquillo, il sorriso sulle labbra.
La mente di
Miriam si svuotò: il dolore scomparve e il suo cuore, ribellandosi a tutta
quella sofferenza, iniziò a battere velocemente.
Ogni suo
pensiero si spense, lasciando il suo corpo libero di muoversi a suo
piacimento.
"Steve!"
sussurrò, entusiasta.
Rachel abbassò
la tazza, guardando l'amica, ora in preda all'euforia.
Miriam si alzò
e si precipitò fuori dal bar.
"Miriam!!!"
Rachel la chiamò, invano.
Buttò delle monete
sul tavolino e poi partì all'inseguimento di Miriam, Lehcar dietro di lei.
Mairim restò
immobile dov'era, paralizzato, inerme ed impotente.
La sua protetta
preferiva quell'umano a lui.
"Miriam!!!!"
La voce disperata di Rachel le giungeva lontana, ovattata.
Tutta la folla
di gente sembrava scomparsa nel nulla, c'erano solo lei e Steve, al di là della
strada, a pochi metri da lei.
Pochi passi,
pochi passi e sarebbe arrivata a lui.
"Miriam!!!!"
le urla di Rachel tentavano, invano, di fermarla. Poi un altro rumore, sempre
più vicino, come una strana tromba leggermente stonata e fastidiosa.
Cos'era?
Il rumore si
fece più potente, la assordava.
Qualcosa la
afferrò per il polso e la trascinò indietro, lontano da Steve.
Volse lo
sguardo. Rachel, con le lacrime agli occhi ed in preda alla
disperazione, la guardava preoccupata.
Di colpo, tutte
le persone riapparvero agli occhi di Miriam.
Si guardò
attorno, spaesata.
Lei e Rachel
erano inginocchiate sul marciapiede, mentre la gente, come al solito, le evitava
e continuava sulla loro strada. Come erano arrivate lì?
Tornò a
concentrarsi sull'amica che continuava a guardarla, le lacrime che iniziavano a
rigarle le guance.
Perché
piangeva? Cosa era successo?
Provò a
chiederglielo, iniziando a muovere le labbra, ma non riuscì a dire niente.
Rachel la
abbracciò, premendo il volto contro la sua spalla, lasciando che
le lacrime continuassero a scorrere copiose.
Istintivamente
Miriam ricambiò l'abbraccio, cercando di tranquillizzare l'amica.
"Tutto
bene, Miriam?" disse un'altra voce.
Rachel si
staccò dall'abbraccio ed entrambe fissarono il ragazzo dai capelli castani
e gli occhi verdi che le aveva appena raggiunte: Steve.
Una marea di
sensazioni iniziò ad agitarsi nel corpo di Miriam.
Steve,
inginocchiato al suo fianco, la fissava, preoccupato.
Si ricordava il
suo nome? L'aveva riconosciuta? Miriam si sentì, per un istante, al settimo
cielo.
Ma, subito,
tornò anche il dolore, come se l'avesse raggiunta dopo un lungo inseguimento.
Le lacrime iniziarono
a pungerle gli occhi.
Ormai non
riusciva più a trattenerle. Si slanciò verso Steve, cingendogli il collo
con le braccia e affondando il volto nella sua maglietta.
Il corpo di
lui, inizialmente spiazzato dal quel gesto, accolse poi Miriam, abbracciandola
a sua volta e lasciando che sfogasse il suo dolore su di lui.
Lehcar fulminò
Mairim con uno sguardo: li aveva appena raggiunti ed, ansimando, guardava
sconvolto e preoccupato la sua protetta.
Il
custode, notando la sua espressione furiosa e truce, abbassò gli
occhi a terra, sentendosi colpevole per quello che sarebbe
potuto succedere a Miriam.
Se non fosse
stato per Rachel e Lehcar, la sua amata protetta sarebbe stata investita da una
macchina. Per colpa sua e del suo stupido amore.
Aveva voglia di
piangere.
Quando sentì un
tocco caldo e morbido sulla spalla, si voltò.
Una ragazza dai
capelli castani, legati in una lunga treccia che le ricadeva dolcemente sulla
spalla, e gli occhi verde scuro, lo guardava sorridendo.
Alle sue
spalle, sbucava un paio di grandi ali bianche, maestose e fiere.
"Piacere,
io sono Eve."
Si presentò
gentilmente ai due Custodi.
Le 17.00 di
pomeriggio.
Blue abbassò il
suo orologio da polso, tornando a sostenersi con entrambe le braccia.
Era sulla
spiaggia, nel solito punto, ma Rachel non c'era.
I
suoi occhi tristi, tornarono ad ammirare il blu del mare, le onde che,
calme, raggiungevano gli scogli, scontrandosi contro le rocce.
Una folata di
vento colpì il suo volto, costringendolo a socchiudere gli occhi e a
ripararsi con un braccio.
Si lasciò
spingere dal vento sulla sabbia, sdraiandosi con la schiena sui granelli sotto
di lui.
Incrociò le
braccia dietro la testa e fissò il cielo, malinconico.
Appena Rachel
sarebbe arrivata, le avrebbe rivelato i suoi dubbi e le sue domande. Nella sua
mente c'era ancora l'immagine di quel ragazzo dai capelli biondi che lo
tormentava; che fosse lui Samuel? Non riusciva a togliersi il dubbio su quel
nome, il perchè Rachel avesse voluto darglielo.
Chiuse gli
occhi, inquieto.
Rachel era in
ritardo quel giorno. Che fosse successo qualcosa? Se n'era andato senza
salutarla, senza aspettare che lei si svegliasse.
"Ciao!"
aprì gli occhi.
Rachel, il
volto di fronte al suo, lo guardava sorridendo, i lunghi capelli corvini che le
cadevano ai lati del viso.
Blue sorrise e
si mise seduto. Rachel si sedette al suo fianco, cingendo le gambe con le
braccia, sorridendo.
"Finalmente
sei arrivata, Rachel. Sei un po’ in ritardo oggi…" le disse lui, la voce
tremante e preoccupata.
Strinse la
sabbia tra le mani per calmarsi.
"Scusa il
ritardo, Blue. È solo che ho avuto un contrattempo improvviso, così…"
cominciò lei, sporgendosi verso l'angelo.
"Non
impor... Come mi hai chiamato?" Blue guardò Rachel, sbigottito.
Lei non lo
chiamava mai Blue.
Rachel lo fissò
per un istante confusa, incontrando i suoi occhi blu scuro con
quelli chiari di lui.
"Un
attimo…occhi blu?" si domandò tra sé e sé Blue.
Rachel, notando
la sua espressione, non riuscì a trattenersi e scoppiò in una fragorosa risata.
Si buttò sulla sabbia con la schiena, appoggiando un braccio sul ventre per
calmare la sua ilarità.
Poi, tornando
seria, si rivolse ad un confuso Blue: "Dovresti vedere la tua faccia, sei
troppo buffo con quell'espressione!" Rachel provò a imitarlo e poi
ricominciò a ridere.
Blue la guardò
irritato.
"Alex?!" esclamò
in un misto di rabbia ed incredulità.
Rachel smise
un'altra volta di ridere e riprese a fissare Blue, un sorriso soddisfatto sul
volto.
"In
persona, mio caro Blue. Ma forse, con queste sembianze, preferisci chiamarmi
Rachel..."
Blue, scocciato
si alzò in piedi e sbattendo via la sabbia dei vestiti, iniziò ad
incamminarsi lontano dalla spiaggia, sbuffando innervosito.
Quel nuovo
Terreno iniziava ad infastidirlo. Come aveva potuto prenderlo in giro in quel
modo?
"Scusa,
Blue! Aspetta!!" la finta Rachel lo richiamò indietro.
Blue si fermò e
strinse i pugni furioso.
"Ritrasformati!"
ordinò.
Dopo un attimo
di titubanza, la finta Rachel acconsentì di malavoglia.
Chiuse gli
occhi e una luce bianca avvolse il corpo della ragazza.
Blue si voltò,
lo sguardo serio e irritato.
Quando la luce
bianca scomparve, Alex era seduto sulla spiaggia, con le sue solite sembianze.
Blue, sbuffando
tornò a sedersi sulla sabbia, tornando a fissare tristemente l'oceano.
"Cosa
vuoi, Alex?" domandò scontroso, desideroso di liberarsi il più velocemente
possibile di quel Terreno. Non sapeva come mai, ma qualcosa dentro di lui gli
suggeriva di stare lontano da quell'individuo. Che fosse ancora la Custode
del suo sogno a metterlo in guardia da lui?
"Sai,
Blue." Iniziò Alex, prendendo un profondo respiro, "Green mi ha
parlato di cosa vieni a fare qui, tutti i giorni, a quest'ora. Mi ha
raccontato anche di questa ragazza…come l'hai chiamata? Rachel?"
Blue restò con
lo sguardo fisso sulle onde che si increspavano regolarmente, annuendo
semplicemente.
"Voglio
darti un consiglio, amico…" Blue lo guardò di sbieco. Da quando erano
amici?
Tuttavia lo
lasciò continuare.
"Non
innamorarti di questa Umana…" Alex estrasse un pacchetto di sigarette
dalla tasca e, dopo averne infilata una in bocca, l'accese
e, soffiando il fumo, rimise il pacchetto in tasca.
Blue lo fissò
interrogativo: "Come sarebbe 'non innamorarti di questa Umana'?"
ripetè le parole del misterioso terreno, incredulo per le sue parole.
"Quello
che ho detto, Blue. Evita di innamorarti di quella ragazza. È contro le regole,
è sbagliato." L'estremità della sigaretta si accese e dell'altro fumo uscì
dalle labbra di Alex, "E soprattutto perché tu, poi, ne soffriresti."
Blue continuò a
guardarlo interrogativo e incuriosito.
Alex lo fissò
con i suoi occhi blu scuro, per vedere la reazione alle sue parole: "Sarò
schietto. Tu sei immortale, lei no. Credi di poter sopportare di vederla
morire?"
Blue sussultò.
Prima d'allora non ci aveva mai pensato. Lui era immortale nella sua nuova
vita; nessuno gliel'aveva detto, ma non poteva dire di non averci mai pensato a
quella possibilità.
Rachel sarebbe
morta, mentre lui sarebbe vissuto in eterno.
"Fidati
quando ti dico queste cose, Blue, perché io le ho provate sulla mia pelle e so
bene come ci si sente. All'inizio tutto ti sembra bello, hai una nuova vita,
immortale per di più, puoi fare quello che vuoi. Poi, però, inizi a
ricordare…"
"Ricordare
cosa?" chiese Blue, mentre lo sguardo di Alex si perdeva in ricordi
lontani, seppelliti nei meandri della sua mente.
Si sdraiò sulla
sabbia, le mani dietro la testa, la sigaretta sempre in bocca.
"La tua
vita passata…" continuò lui dopo un attimo di pausa. "La tua vita
umana. Allora, arrivano il dolore, la sofferenza, la tristezza per aver
perso tutti i tuoi legami con quella vita. Provi a ricrearli, cerchi le persone
a te care, quelle che hai amato. Quando riesci a trovarle, sei felice e pensi
di poterlo essere per sempre. Ma ecco che, una ad una, queste scompaiono,
invecchiano e muoiono, mentre tu continui ad esistere e resti solo…";
dell'altro fumo uscì dalle labbra di Alex, poi continuò: "Sai, a volte
penso davvero che questa nostra condizione, questa nostra seconda vita,
sia una sorta di punizione. All'inizio non ricordiamo nulla e per questo
soffriamo. Poi i ricordi ritornano, ma sono spaventosi e potenti e ci fanno
solo soffrire più di quanto pensassimo. All'inizio sembra tutto rose e fiori,
ma poi inizi a desiderare solo di farla finita con questa assurda esistenza a
metà tra il mondo degli Umani e quello dei Custodi." Si interruppe
e portò lo sguardo su Blue, la sigaretta quasi completamente consumata.
"Secondo
te, qual è il nostro scopo? Perché siamo rinati in questa forma? Cosa dobbiamo
fare?" attese una risposta da Blue, paziente, riemergendo dai suoi
ricordi.
Blue scosse il
capo tristemente: "Non lo so. So solo che, appena ho aperto gli occhi, il
mio primo desiderio è stato quello di trovare qualcuno simile a me
per non sentirmi solo e placare un dolore terribile che sentivo qui,
in questo punto." Si portò una mano al petto, nel punto dove il suo cuore
batteva, regolare; "Così ho conosciuto lei, Rachel. E, non so come
mai, ma mi ci sono affezionato. Lei mi sembrava così triste ed indifesa,
sentivo che aveva bisogno di qualcuno per colmare quel vuoto che aveva dentro,
proprio come me e così ho provato a riempirlo io." Guardò Alex che lo
osservava sbigottito per le sue parole.
"Forse la
ragione per cui sono tornato a vivere è colmare il vuoto di Rachel e quando
morirà e non avrò più uno scopo, sarò triste, sì, mi sentirò solo ed
abbandonato, ma almeno saprò di averla resa felice durante la sua vita."
Alex prese la
sigaretta tra le dita e, rimettendosi seduto, la gettò nella sabbia, pestandola
poi con una suola della scarpa per spegnerla.
"Io, credo
di amarla." Terminò Blue, alzando il volto al cielo azzurro, colorato da
nuvole bianche.
Gli occhi blu
scuro di Alex restarono immobili su Blue.
"Credi di
amarla?" Blue annuì sicuro alla sua domanda.
"Amore…
cosa pensi che sia l'amore, Blue?"
"Rachel lo
definisce come un sentimento incredibile che hai fin dalla nascita, anche se
non lo vedi, non lo riconosci. Poi, ecco che, all'improvviso, decide di
rivelarsi ed è tanto forte da cancellare tutti gli altri sentimenti. Questo è
l'amore. Credo che, per me, amare Rachel significhi volerla vedere sorridere,
anche solo per un attimo, perché quando lei è contenta, il mio cuore inizia ad
accelerare il battito e, quando vedo i suoi occhi scuri illuminarsi, mi sento
felice. Amore, per me, è trovare una persona con cui si è felici e con cui si
vorrebbe restare per sempre."
Alex trattenne
a stento un sorriso ironico.
"Ti
sbagli…" chiuse gli occhi, un sorriso triste dipinto in volto.
"Amore è
voler desiderare un persona, è volerla, bramarla, desiderarla con tutto te
stesso; inizi ad amare quando inizi a vedere le persone come degli oggetti,
come qualcosa di assolutamente necessario ed indispensabile per la tua vita.
Sei geloso di chiunque si avvicini al tuo e vuoi farlo tuo ad ogni costo, vuoi
scrivere il tuo nome su di esso per far capire agli altri che quell'oggetto
appartiene a te e a te soltanto." La voce si era fatta aspra, severa.
"Abbiamo
punti di vista diversi." Commentò Blue, troncando il loro discorso.
Alzò il braccio
ed osservò tristemente il suo orologio: le 17.30. Rachel non era ancora
arrivata.
Alex si alzò in
piedi e, senza rivolgere la parola all'altro Terreno, si allontanò,
le mani nelle tasche dei jeans.
"Ci
vediamo, Blue." Disse, alzando lo sguardo sopra la sua spalla.
L'altro restò
immobile, in silenzio, senza voltarsi.
Alex continuò a
camminare, estrasse di nuovo il pacchetto di sigarette e, dopo
averne messa un'altra in bocca, l'accese, soffiando il fumo dalle labbra.
Rachel stava
correndo per le vie della città, cercando di non colpire la gente che
incontrava lungo il suo cammino.
Era in ritardo,
terribilmente in ritardo.
Un orologio
sopra l'insegna di un negozio indicava le 17.40.
Com' era successo?
Era stata a casa di Miriam tutto il pomeriggio ed aveva perso la cognizione del
tempo, ecco come.
Sperò
ardentemente che Samuel fosse ancora là, sulla spiaggia, ad aspettarla e che
non se ne fosse andato.
"Ehi, sta
attenta!" le urlava la gente con cui si scontrava.
"Mi
scusi!" continuava a ripetere Rachel, cercando di accelerare il passo e di
contrastare, inutilmente, la marea di gente che ostacolava il suo percorso.
Si bloccò
all'improvviso, in mezzo alla folla, mentre l'ennesima persona che aveva urtato
inveiva contro di lei.
Un ragazzo
stava camminando verso di lei, i capelli biondi, il passo sicuro e deciso, lo
sguardo basso, le mani lungo i fianchi.
Rachel
sussultò.
Lo sconosciuto
le passò accanto, ignorandola, tenendo sempre gli occhi a terra. Rachel,
istintivamente, lo afferrò per un braccio e lo costrinse a voltarsi verso di
lei.
L'individuo la
guardò confuso e lei ricambiava, incredula, le labbra tremanti, le gambe
improvvisamente deboli ed il cuore a mille.
"Samuel?"
domandò Rachel, con voce flebile.
Blue guardò per
l'ennesima volta il suo orologio da polso.
Le 18.30.
Si alzò in
piedi e, tristemente, si allontanò dalla spiaggia, lo sguardo basso e
l'aria sconfitta e delusa: Rachel non era venuta.
Hola,
Lettori!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Scusate il ritardo
di una settimana per questo capitolo ma internet non mi andava più e così non
riuscivo a mettere su il capitolo…
Il prossimo devo
ancora scriverlo anche se ce l'ho in mente…non so ancora quando lo scriverò,
forse ora, forse tra qualche giorno, perché ho un po’ di cose da studiare per
la settimana e quindi devo vedere quando ho tempo.
Allora, vi è
piaciuto il capitolo? I rapporti tra Miriam e Mairim si fanno sempre più
difficili e lui non riesce a placare la sua gelosia, povero..;( Però adesso è
comparsa questa Eve, che come avrete capito è la custode di Steve (in realtà si
chiama Evets (l'esatto contrario di Steve) però lei preferisce farsi chiamare
Eve..^^) e chissà se riuscirà a far placare la gelosia del povero Mairim…
E non è l'unico
nuovo personaggio del capitolo…Samuel è tornato, il vero Samuel e vedremo come
si comporterà Rachel con Blue ora che il suo ex sembra essere tornato…
SPOILER sul
prossimo capitolo: vi preannuncio che parlerà di Red e Green e dei loro passati
da umani, in particolar modo quello di Red.
Ed ora passiamo ai
ringraziamenti!!! :)
Grazie a chi ha
messo la storia tra le preferite (6), chi tra le ricordate (8) e chi tra le
seguite (12), ma un grazie enorme a chi ha recensito!!!!!!!!!!!!!!
LIYEN:
Ecco qua il nuovo
capitolo, come vedi i rapporti tra Mairim e la sua protetta si fanno difficili
ma chissà se Eve riuscirà a mettere a posto le cose, bo..Continua a seguirmi,
mi raccomando!! Alla prossima, un bacio!!!! :) :) <3
SNAIL:
Allora, il significato
di tutte le ali non so ancora bene quando e se verrà spiegato, comunque quelle
di Blue e del misterioso Alex verranno presto rivelate!! :) Si la cosa dei
punti a capo purtroppo mi viene da farla, è un vizio che ho…per ora preferisco
scrivere come mi viene poi lo correggerò tutto bene, anche quei punti a capo.
Grazie comunque per il tuo consiglio almeno così vedo bene dove sbaglio! Alla
prossima, un bacio! <3
WINGEDANGEL:
Eh, vedrai cosa
farà Alex con quella foto! I suoi discorsi in questo capitolo con Blue mi sono
serviti per far vedere che tipo di persona è Alex, almeno in parte, poi più
avanti si scoprirà molto altro su di lui, anche il suo passato trascorso con
Green ad esempio, che svelerà molti punti interrogativi di questa storia.
Si è difficile
immaginare Green che salva la vita di qualcun altro però alla fine è bravo
anche lui dai, nel profondo…e questo si vedrà nei prossimi capitoli quando
aiuterà Blue a….lo vedrai! ;)
Wow, ho già un fan
club tra i Custodi e uno tra i Terreni, che bello!! Green non me l'ha detto, me
l'ha tenuto nascosto, che crudele!! ;D
Un bacio al
prossimo capitolo!!! <3 <3
------
Ci vediamo al
prossimo capitolo, lettori! Mi raccomando, recensite!!! :)
scaraventato nel
tuo presente distruggendo il tuo futuro"
Jim Morrison
17- PASSATI RICORDATI
Green salì in
camera sua: si annoiava.
Non si
aspettava di veder ricomparire il suo vecchio amico. Da quanto tempo non lo
vedeva? 50 anni, ormai...
Appena aprì la porta
della sua stanza, si bloccò. La sua camera era sottosopra: il letto era sfatto
da quella mattina, ma ora anche gli scaffali erano stati svuotati, i libri
e gli altri oggetti di Green si trovavano per terra o sul materasso.
"Alex."
Mormorò a denti stretti, infuriato.
Entrò nella
stanza e si guardò in giro, valutando i danni di tutta quella confusione.
Impallidì
quando un quaderno dalla copertina colorata attirò il suo sguardo.
Lo prese,
osservando sconvolto il diario della ragazzina di cui Blue si era invaghito.
Le mani
iniziarono a tremare mentre, nella sua mente, si creava un'immagine che
diventava sempre più credibile e reale: che diavolo aveva intenzione di fare
Alex?
Cercò di
tranquillizzarsi, pensando che, in fondo, non erano affari suoi. Non doveva
farsi coinvolgere di nuovo nelle avventure del suo amico.
Rimise il
diario sotto il materasso, cercando di nasconderlo meglio; poi si alzò in piedi
e si diresse verso il suo armadio.Era
aperto e qualche vestito era stato buttato sul pavimento.
Green scostò
l'anta semichiusa ed iniziò a spostare i vestiti ancora appesi.
Non gli
interessava se Alex stesse macchinando qualche piano contro Blue e quella
ragazzina, l'importante era che non si fosse ripreso Talia.
Tirò un sospiro
di sollievo quando la trovò ancora al suo posto, appoggiata contro la parete
di legno, al sicuro.
"Green!"
il Terreno dalle iridi verdi si voltò di scatto, chiuse velocemente l'armadio e
guardò Blue.
L'angelo dagli
occhi blu era appoggiato allo stipite della porta e fissava Green, ansioso.
"Cosa
c'è?" gli domandò lui scocciato e con aria di sufficienza, cercando di
nascondere la sua agitazione: per poco Blue non scopriva il suo segreto.
"Devo
chiederti un favore." Esordì lui sommesso, lo sguardo turbato.
"Dimmi
pure..." Green gli lanciò un'occhiata stupita, fermandosi mentre
camminava per la stanza, raccogliendo le cose sparse in giro.
Blue sembrava
non essersi accorto di tutta quella confusione, concentrato com'era su
quell'unica richiesta.
"Voglio
ricordarmi della mia vita umana." Green a quelle parole sussultò,
lasciando cadere un libro che aveva appena raccolto.
"E si può
sapere come mai?" gli chiese, le mani scosse da tremiti incontrollabili,
mentre lo sbirciava di nascosto, dandogli le spalle.
Blue era ancora
sulla soglia, come se non avesse il coraggio di entrare nella camera.
Abbassò lo
sguardo, malinconico: "Niente di particolare, voglio solo sapere chi
sono" biascicò lui.
Green chiuse
gli occhi, cercando di pensare a cosa dirgli, il libro ancora ai suoi piedi.
Si chinò una seconda
volta e lo riprese tra le mani.
"Mi
dispiace…" disse dopo un attimo di silenzio, "non posso
aiutarti."
Blue,
amareggiato, alzò lo sguardo sul Terreno che ancora gli dava le spalle.
Quella notizia lo
deluse, forse avrebbe dovuto chiederlo ad Alex quando erano sulla spiaggia.
"Senti,
Blue…" continuò Green, voltatosi verso di lui, con il libro in mano e lo
sguardo serio, "Non credo sia un bene che tu ricordi la tua vita umana.
Rischieresti solo di soffrire."
"Tu
ricordi la tua?" domandò incerto Blue, timoroso di scatenare tristi
ricordi nel Terreno.
Green ignorò la
sua domanda; si voltò ed appoggiò il libro su uno scaffale vuoto.
Restò con la
mano stretta sul volume, mentre la mente viaggiava nel passato.
"Si…"
sussurrò piano.
Blue lo fissava
curioso, sperando che Green gli raccontasse la sua storia.
Dopo un attimo
di silenzio in cui il Terreno sembrò riordinare i suoi ricordi, iniziò a
raccontare: "Abitavo in Inghilterra, alla fine del 1800. Avevo 33 anni
quando sono morto."
"1800?"
esclamò Blue stupito: non pensava che fosse così vecchio. "Chi hai
salvato?" chiese, ricordandosi il significato delle ali verdi.
Green si voltò,
inizialmente confuso dalla sua domanda, poi continuò a raccontare: "Mio
figlio." Disse semplicemente, prima di abbassare lo sguardo affranto.
"Andrew…
quando sono morto aveva 9 anni." Sospirò malinconico, ripensando a suo
figlio.
Blue rimase in
silenzio, in parte pentito di avergli fatto quella richiesta.
"Abitavamo
in un paesino che si affacciava su una spiaggia meravigliosa, come questa
città." Raccontò lui, gli occhi illuminati da una luce malinconica, mentre
ripercorreva il suo passato.
"Andrew
amava il mare, come sua madre del resto. Mia moglie è morta 5 anni prima
di me, dando alla luce la mia secondogenita, Hayle" sussurrò amaramente,
al ricordo di sua figlia e della sua amata.
"Mio
figlio amava quella spiaggia, ci andava tutti i giorni, appena poteva, a
volte con Hayle e le raccontava delle storie. Aveva una grande
fantasia, riusciva ad inventarsi storie incredibili." Si rivolse a Blue,
intento ad ascoltare la sua storia.
"Io non
riuscivo a stare molto con loro, dovevo lavorare tutto il giorno e a volte
capitava che dovessi farlo anche durante la notte." Continuò, con aria
colpevole.
Dopo aver preso
un profondo respiro, continuò, sforzandosi di ricordare: "Era una tiepida
giornata di primavera. Ero riuscito a finire prima il lavoro, così ero tornato
a casa prima, ma i miei figli non c'erano. Mentre li cercavo per il paese,
chiamandoli e domandando alla gente per strada se li avesse visti, Hayle mi
corse incontro.
La presi in
braccio mentre piangeva e singhiozzava. Mi raccontò che Andrew l'aveva portata
sulla spiaggia, ma che poi era entrato in mare e non ne era ancora uscito.
Lasciai mia
figlia alla vicina di casa e corsi sul lungomare.
L'acqua era
alta in quei posti. Appena scorsi mio figlio annaspare tra i flutti, mi tuffai
e cercai di salvarlo. Il mare era gelido e le onde sembravano volermi
tenere lontano da lui. Non sapevo nuotare. Mi ero buttato come uno
stupido! L'idea che mio figlio potesse morire, mi aveva dato
coraggio, certo, ma di sicuro non mi aveva insegnato a nuotare.Vedevo Andrew che cercava di
raggiungermi, mentre annaspavo tra le onde e lo chiamavo. L'acqua mi entrava
nei polmoni e non mi lasciava respirare…" si fermò un attimo, chinandosi a
raccogliere altri oggetti sul pavimento.
Blue,
colpito, attese con calma la fine del racconto, anche se già la intuiva:
"Sono morto annegato, mentre cercavo di salvare mio figlio, ecco cosa mi è
successo." Concluse Green, tenendo lo sguardo basso e volgendo le spalle
all'altro angelo.
"E lui,
tuo figlio? Sai che fine ha fatto? Si è salvato?" chiese Blue, cercando
di nascondere il suo turbamento per quella storia.
Quando vide
Green negare con un gesto del capo, chiuse gli occhi, commosso e
dispiaciuto dal triste racconto.
Quando il
Terreno dagli occhi verdi si alzò, gettò uno sguardo sul giovane e,
dopo qualche secondo, gli disse: "Vuoi riacquistare la tua memoria,
Blue?"
Lui riaprì gli
occhi e annuì sicuro.
"Ci sono
due modi" Iniziò a spiegare Green, ancora non del tutto convinto della sua
decisione: "O scopri il significato delle tue ali e speri che ti aiutino a
ricordare oppure cerchi qualcuno capace di raccontarti parte della tua
vita o come sei morto."
L'angelo verde
fissò il suo interlocutore che sembrava preoccupato e deluso. "Non puoi
fare altro..."
Blue sospirò e decise
il da farsi: visto che nessuno sembrava in grado di spiegargli il colore delle
sue ali, avrebbe cercato una persona che potesse dirgli come fosse morto.
"Già, come
se fosse facile; ma da dove inizio?"
Non sapeva
ancora mostrarsi nel suo vero aspetto, quindi non era riconoscibile nella sua
vera forma umana, quella che aveva avuto prima di morire. Però se avesse
incontrato qualche Custode o Terreno che l'aveva conosciuto in vita, forse…
Si appoggiò una
mano sul mento, cercando di trovare una soluzione alla sua condizione.
Staccandosi dallo stipite della porta, si voltò per andarsene.
Si fermò subito
e, volgendo un'occhiata a Green che era ancora tornato a riordinare la stanza,
gli fece un'ultima domanda: "Red conosce la sua vita passata?"
Green sussultò
e senza voltarsi rispose: "No. Quando l'ho incontrata, un anno fa, era
appena diventata un Terreno. Non sa nulla."
Blue fece per
andarsene, quando la voce di Green lo richiamò: "Non forzare la sua
memoria, Blue." Ordinò all'amico, protettivo nei confronti
dell'angelo dalle ali rosse.
L'altro
tranquillizzò l'amico con un cenno del capo.
"Tranquillo.
E... grazie!" Sorrise al terreno verde che gli volgeva ancora le spalle.
"…La
polizia è ancora sulle tracce dell'uomo che è scomparso da quasi 4
giorni…" Red, seduta a gambe incrociate sul divano, osservava incuriosita
il telegiornale.
Non riusciva a
capire come mai la gente si facesse tutto quel male, che senso aveva?
"Blue!"
esclamò entusiasta, notando il Terreno blu scendere le scale e distogliendo lo
sguardo dallo schermo.
Lui le
sorrise istintivamente e le sedette accanto sul divano, sospirando esausto e
amareggiato, mentre Red gli faceva posto.
"Cosa stai
guardando?" chiese lui, cercando di distogliere la sua mente da Rachel e
da quello che Green gli aveva appena consigliato.
"Un
telegiornale..." rispose lei, sorridente come al solito.
Blue la sbirciò
di nascosto, mentre la ragazzina affondava un cucchiaino in una confezione di
gelato alla fragola: Green gli aveva detto che Red non ricordava nulla e gli aveva
ordinato di non svelarle niente, neanche il significato delle sue ali.
"Rosse per
omicidio", pensò tristemente: l'idea che una persona esuberante e
giovane come lei venisse uccisa brutalmente lo faceva stare male.
"Non
capisco perché c'è gente che deve far per forza del male agli altri.."
confidò la ragazzina dal caschetto biondo, distogliendo Blue dai suoi pensieri.
Lui la fissò
interrogativo.
"Perché
uccidere una persona? Cosa può aver fatto di così terribile da meritare la
morte?" aveva lasciato il cucchiaino nella confezione di gelato, mentre
osservava tristemente le immagini sullo schermo.
Blue restò
turbato da quelle affermazioni: lei stessa era stata uccisa da qualcuno: provò
istintivamente compassione nei confronti della ragazzina.
Volse lo sguardo
alla televisione, fissando a sua volta le tristi immagini di violenza che si
susseguivano al tg.
"…è
passato un anno dalla sua scomparsa e ancora non ci sono notizie su di lei. La
madre ha lanciato ancora un appello, chiedendo ai rapitori di restituirle la
figlia. Ascoltiamo il nostro inviato che è andato a trovare la famiglia Minelli
per sentire come si sentono in questo triste momento…" la conduttrice del
tg passò la parola ad un uomo con un paio di spessi occhiali da vista che, con
un microfono in mano, fissava l'obiettivo della telecamera. Dietro di lui,
una casetta semplice, con i muri bianchi ed un cancello nero all'ingresso,
faceva da sfondo alla scena.
"Si, sono
qui davanti alla casa della famiglia Minelli, un anno dopo la scomparsa della
tredicenne Rosa. La ragazzina è scomparsa un anno fa ed ancora non si sa nulla;
gli investigatori non scartano l'ipotesi di un omicidio, ma i genitori sembrano
non arrendersi e sperano ancora nel ritorno della figlia. Ma vediamo
il servizio, in cui c'è la lettera che la madre ha scritto a Rosa..."
Un altro cambio
di scena. Lo schermo restò nero e delle lettere bianche iniziarono a comparire
sullo sfondo, mentre la voce di una donna le leggeva.
"Piccola
mia, ormai è da un anno che non ci sei più.
Ancora spero di
vederti entrare dalla porta d'ingresso un giorno, sorridente, con lo zaino
sulle spalle, stanca per un'altra giornata di scuola.
Vederti
bisticciare con tua sorella per aver messo la camera in disordine e
poi vedere lei che ti chiede di far pace perché non riesce a
resistere al tuo broncio.
Vederti
abbracciare papà quando torna la sera dal lavoro.
Vederti
infuriata perché Mattia sembra crescere troppo in fretta e pretende troppo da
te, da te che ti senti ancora una bambina.
È passato un anno,
tesoro mio, e forse in questo anno sei cresciuta, sei diventata più forte e
matura... o forse sei sempre rimasta la stessa, esuberante, spensierata…"
La lettera
continuava con la stessa voce fredda, mentre delle immagini iniziavano a
scorrere, mostrando una ragazzina che sorrideva all'obbiettivo o che
abbracciava un'amica, sempre felice e spensierata, come c'era scritto nella
lettera.
Blue sussultò
nel vedere le fotografie e si voltò sconvolto verso Red che guardava
incredula le immagini, gli occhi sgranati e le labbra tremanti.
La ragazzina
alla televisione aveva occhi castani e capelli neri, ricci. Come Red. Anzi, si
trattava proprio di lei.
"Red…"
la chiamò titubante lui, vedendo la giovane improvvisamente pallida.
Il gelato
scivolò dalle mani di Red e cadde a terra, mentre la ragazzina si
portava entrambe le mani alle tempie ed iniziava ad urlare terrorizzata,
chiudendo con forza gli occhi.
Blue, dopo un
attimo di sorpresa, le si avvicinò e, afferrandole i polsi, cercò di
tranquillizzarla.
"Red! Red!"
la chiamò insistentemente. Non riusciva a credere che la ragazzina riscoprisse
il suo passato proprio quel giorno, esattamente qualche minuto dopo che Green
gli aveva ordinato di non forzare i suoi ricordi.
"Lasciami!
Lasciami!" iniziò ad gridare lei e Blue lasciò la presa.
Red venne
avvolta da una luce bianca e, qualche istante dopo, era nelle sue sembianze da
Terreno, le ali rosse spiegate e i ricci neri che le ricadevano sulle spalle:
qualche ciuffo le rimase attaccato al volto, ora bagnato di lacrime.
"Red!"
insistette lui, appoggiando le mani sulle spalle di lei.
"Cosa
succede?" Green era al secondo piano e guardava preoccupato i
due Terreni, allarmato dalle urla della ragazza.
Scese di corsa le
scale e si precipitò verso di loro, restando in piedi davanti a Red, con i
pugni chiusi e il corpo rigido.
"Lasciala
andare!" ordinò infuriato a Blue che subito eseguì, non sapendo
cos'altro fare, sicuro che Green fosse più esperto di lui.
"Ti avevo
detto di non dirle niente!" gridò contro il ragazzo dai capelli neri che
lo guardava sotto shock.
"Io non ho
fatto niente" si difese Blue, "c'era un servizio al tg con una
ragazzina uguale a lei!" Spiegò al Terreno dalle iridi verdi.
Green lo ignorò
e si inginocchiò davanti a Red, guardandola comprensivo e avvicinando una
mano a lei.
"Red."
Chiamò dolcemente, mentre lei si muoveva agitata, gli occhi chiusi e
continuando a urlare.
"Basta
Red!" insistette lui, "è finita, sei salva!"
Appoggiò una
sua mano su una di quelle della ragazzina appoggiata ad una tempia.
La ragazzina
aprì gli occhi di scatto, fissando le iridi di Green e smettendo
improvvisamente di gridare.
"Sei
salva." Ripetè il Terreno verde, guardandola con compassione.
Red, a quelle
parole, venne scossa dai singhiozzi e calde lacrime ricominciarono a scorrere
sulle sue gote rosee mentre abbassava le braccia e si mordeva un labbro.
"G-green"
balbettò lei prima di lanciarsi al collo dell'uomo dai capelli biondi che
l'accolse amorevole tra le sue braccia.
Blue restò
immobile, fissandoli sorpreso.
Quando si fu un
po’ tranquillizzata, Red alzò lo sguardo dalla spalla di Green e fissò lo
schermo.
"Sono
io…" disse tremando, "Quella ragazzina scomparsa sono io!!",
continuò a singhiozzare, sconvolta da ciò che le era appena successo.
"Ricordi
tutto?" chiese titubante Blue, ricevendo un'occhiata fulminante da Green.
Red si staccò
dall'abbraccio del Terreno e si girò verso di lui, tenendo lo sguardo fisso a
terra dove il suo gelato era caduto miseramente.
Annuì piano,
per poi raccontare quello che le era tornato alla memoria: "Mi ricordo che
ero una ragazza normale. Vivevo la mia vita come tutte le ragazzine della mia
età che conoscevo; mi divertivo, studiavo, maledicevo la scuola, uscivo con gli
amici, conoscevo l'amore." Disse tristemente, con una punta di malinconia.
Nel frattempo
alla tv un uomo sui 25 anni veniva intervistato dai giornalisti; sotto, una
didascalia diceva che era il fidanzato della sorella della ragazzina scomparsa.
Red, ignorando
le immagini continuò: "Ero felice, avevo due genitori affettuosi ed
una sorella sempre pronta a consigliarmi ed aiutarmi. Le volevo così
bene…" cercò a forza di trattenere le lacrime che tentavano di nuovo di
uscire dai suoi occhi castani.
"Si vede
che la mia felicità non poteva avere buon fine." Commentò amaramente,
"i miei amici, la mia famiglia, la mia vita, i miei sogni…tutti distrutti,
tutti morti insieme a me."
Iniziò a
singhiozzare, mentre sollevava di nuovo lo sguardo sullo schermo, dove il
ragazzo continuava ad essere intervistato.
Red scattò in
piedi, un nuovo sentimento nel cuore.
Si avvicinò
allo schermo e puntò rabbiosamente il dito contro di esso.
"E lui,
lui mi ha strappato a tutto ciò!!" urlò contro l'uomo che, con il volto
serio, rispondeva alle domande del giornalista.
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Eccomi!!!
Allora questo
capitolo è un po’ misero…si è distaccato un po’ dalla trama principale di
Rachel e Blue perché avevo bisogno di spiegare a grandi linee i passati di
Green e Red.
Inoltre il
segreto di Green sta piano, piano uscendo allo scoperto…è stata nominata una
certa Talia, secondo voi chi o cosa è?? :) (Verrà spiegato nel capitolo dopo il
prossimo che sto scrivendo in questi giorni…)
Spoiler sul
prossimo capitolo:
L'ho già
scritto e riguarderà Blue. Capitolo MOLTO importante per la storia, visto che
il Terreno dalle ali blu scoprirà cose molto interessanti…:)
Ormai il libro
è giunto quasi alla fine, mi mancano pochi capitoli. Quindi preparatevi perché
i prossimi saranno abbastanza 'sconvolgenti' e chiariranno tutti i vostri
dubbi, almeno spero! xD
Ed ora passiamo ai
ringraziamenti!!!!!
-Preferite (6)
-Ricordate (9)
-Seguite (11)
Ma grazie come
sempre a WINGEDANGEL e LIYEN per il vostro continuo supporto con le vostre
recensioni.
LIYEN:
Mi dispiace che
non ti piaccia Steve, nel capitolo che sto scrivendo farà ingelosire ancora un
po’ Mairim ma qualcuno offrirà una soluzione al Custode…Al prossimo capitolo,
un bacio!! <3
WINGEDANGEL:
Vedrai nei
prossimi capitoli se Samuel è tornato, a dir la verità si vede subito dal
prossimo visto che Blue lo incontrerà…Mairim troverà una soluzione al suo
problema ma purtroppo non sarà molto bella, soprattutto per lui…purtroppo il
suo finale con Miriam è tragico…:\
Eh-eh..alla fine è
Alex il vero 'cattivo' della storia e nei prossimi capitoli darà abbastanza
fastidio a Blue.
Aspetta a creare
l'associazione a delinquere perché mi serve ancora per i prossimi capitoli, poi
te lo lascio pure dai, così puoi fargli quello che vuoi e torturarlo!! :D
Il suo passato lo
racconterà lui stesso a Blue in un capitolo che devo ancora scrivere e svelerà
molti dubbi sulla sua misteriosa identità.
Purtroppo questo
capitolo è abbastanza staccato dalla trama quindi non avrà chiarito molto le
tue idee ma presto pubblicherò il prossimo che tornerà ai due protagonisti…al
prossimo capitolo! Un bacio!!! <3
"È così dolce essere amati, che ci
contentiamo anche dell’apparenza."
Adolphe d’Houdetot
18- SAMUEL
Blue stava
correndo per le vie della città, evitando la gente che incontrava.
Red si era
ricordata tutto, il suo passato, la sua vita umana. Si chiese se, anche lui, si
sarebbe sentito male come la ragazzina.
Eppure Green
era riuscito a calmarla con poche parole. Ritornò con la mente a quando il
Terreno gli aveva raccontato il suo incontro con Red, mentre la ragazzina era
andata in camera sua a sdraiarsi per riposare un po’.
"Come
hai fatto a calmarla in questo modo?" gli aveva domandato Blue
incuriosito, sicuro che Red non potesse sentire le sue parole, ora che si
trovava al piano superiore.
Green
aveva chiuso gli occhi, sedendosi sul divano: "Un anno fa,
mi trovavo in una città un po’ distante da qui; stavo camminando
tranquillo, quando una voce mi costrinse a fermarmi. Svoltai in un
vicolo e la trovai lì; aveva le ali rosso sangue e anche i vestiti che
indossava ne erano macchiati; implorava aiuto. Feci per andarmene, ma lei mi si
aggrappò ai pantaloni, stringendoli tra le dita.
In
quell'istante mi sembrò di vedere mia figlia: inerme ed indifesa, ancora
impreparata ad un mondo come il nostro. Guardandola più attentamente, mi
accorsi che il sangue sul corpo veniva dalla sua schiena: le ali le avevano
strappato la pelle per uscire, macchiandosi in quel modo del suo stesso
sangue."
"Le ali
le erano uscite in quel modo dalla schiena? Sul serio? Perchè? Io non ricordo
che a me sia successo..." lo aveva interrotto Blue.
"Per
ognuno di noi è diverso. Probabilmente, chi è morto per omicidio deve
avere le ali macchiate del proprio sangue, non so perché; a vederla così
giovane, non credevo neanch'io che avrebbe avuto le ali rosse, pensavo ad una
morte infantile, ma avrebbe dovuto avere le ali viola." Aveva
spiegato Green, calmo, continuando il racconto.
"Mi avvicinai
a lei e presi le sue ali tra le mani per studiarne il colore. Lei iniziò a
tremare, terrorizzata e sconvolta; era sdraiata sul terreno freddo e lo sguardo
era perso nel vuoto. Istintivamente volli tranquillizzarla, così le dissi:
"sei salva" . A quelle parole, si calmò, guardandomi con
gli occhi lucidi e chiedendomi aiuto con lo sguardo. La presi tra le
braccia e la portai a casa mia. Da quel giorno è sempre stata con me e io
mi sono sempre occupato di lei come un padre."
I pensieri di
Blue tornarono al presente, mentre continuava a correre per le vie della città:
per il momento voleva lasciare da parte il desiderio di ricordare il suo
passato. Prima doveva sapere che era successo a Rachel e, per questo, si stava
dirigendo verso casa sua.
"Aras?
Ancora triste per la tua protetta?" Aras volse lo sguardo al suo
interlocutore, soprappensiero.
Stava
volteggiando con altri tre Custodi per le vie della città, insieme
alle loro protette.
" No,
Akire. Lei si sta riprendendo, piano piano." Rispose ad un angelo dai
capelli rossi e gli occhi blu chiaro.
Aras sentì
l'attenzione degli altri due Custodi su di sé.
"Allora
cosa c'è, amico?" insistette l'angelo chiamato Akire.
Aras
spostò gli occhi grigi sulla sua protetta: Sara stava camminando
tranquilla con le sue amiche, lo zaino sulle spalle, il passo tranquillo,
leggero e sicuro.
Accanto a lei,
tre ragazze parlavano insieme, spettegolando come al solito.
Una era un po’
bassa, con i capelli rossi, un paio di occhiali sul naso, il naso piccolo e
schiacciato, un po’ grassoccia; alla destra di Sara c'era invece una ragazza
dai capelli biondo ramato, con gli occhi castano scuro: la protetta di
Akire; infine, accanto alla prima, si trovava una ragazza alta, dai capelli
neri come la pece, corti e gli occhi dello stesso colore, che seguiva le
amiche, ridendo e chiacchierando con loro.
"Niente…"
rispose semplicemente l'angelo alla domanda dell'amico.
"E' per
Leumas, vero?" questa volta fu il Custode dai capelli biondo rame, lunghi
fino alle spalle, e gli occhi castani a parlare.
A quel nome,
Aras sussultò e poi si fece cupo.
"Si"
rispose. Anomis aveva visto giusto, come sempre del resto: possedeva una grande
perspicacia e riusciva sempre a capire cosa passasse nella testa dei compagni.
"Mi manca,
sapete." Confessò Aras tristemente, passandosi una mano tra i capelli neri
e alzando lo sguardo al cielo.
"Ti
capiamo, amico. Manca anche a noi tua sorella." Il Quarto angelo
abbassò lo sguardo a terra, chiudendo gli occhi chiari, come se volesse
trattenere le lacrime.
"Del resto
era una grande Custode." Intervenne Akire tristemente, mentre, nella sua
mente, compariva l'immagine dell'angelo dai capelli corvini e gli occhi verdi.
Quando l'aveva
conosciuta, era rimasto subito colpito dalla fierezza e della maestosità
che emanava.
"Già"
annuì Aras, tornando a guardare la sua protetta.
Sara, i lunghi capelli
biondi raccolti in una treccia che le ricadeva sulla schiena, sorrideva con le
amiche; ma Aras sentiva che sotto la superficie, il dolore c'era ancora: anche
la sua protetta soffriva, solo che era più brava di lui a nascondere le sue
emozioni.
L'angelo
osservò la ragazza alla sua destra e restò stupito: Erika, i capelli
biondo ramato tenuti indietro da un cerchietto nero, fissava seria l'amica al
suo fianco, intuendo i suoi veri sentimenti.
Aras alzò lo
sguardo su Akire che ora ricambiava sorridendo.
"Anche lei
sta male ancora, non è vero?" sussurrò piano per non farsi sentire dagli
altri due Custodi, riferendosi a Sara.
Aras annuì tristemente.
Il quarto
angelo, con gli occhi chiari, i capelli ricci, biondi e lunghi fino alle
spalle, ripensò a sua volta a Leumas.
Ne era rimasto
affascinato appena l'aveva vista, quando Aras gliel'aveva presentata quel
giorno che era stato invitato a casa sua; si era infatuato di lei e aveva
preteso di sapere dall'amico tutto quello che faceva la sorella.
Si era innamorato di lei, anche se al pensiero del Custode che vedeva sempre
con lei, quasi rabbrividiva: gli occhi e i capelli chiari, lo sguardo freddo e
gelido, geloso della Custode dai capelli corvini e la pelle diafana. All'inizio
ne era stato geloso e non capiva come mai la Custode fosse tanto legata a lui;
ma poi aveva visto come lui la guardava ogni volta, come il suo sguardo gelido
si sciogliesse quando incontrava gli occhi verdi di lei, aveva capito quanto il
loro amore fosse grande.
"Ael,
tutto bene? Ti vedo un po’ con la testa tra le nuvole." Lo richiamò
Anomis.
"Si, si,
tutto bene." Rispose lui per tranquillizzare l'amico, mentre l'ultimo
pensiero andava al Custode dallo sguardo freddo. "Chissà come si sarà
sentito quando Leumas è scomparsa, senza lasciare traccia..." pensò.
Blue continuava
a correre, i pensieri fissi su Rachel, studiando le parole che le avrebbe detto
per risolvere i suoi dubbi.
Quattro ragazzine
gli stavano camminando incontro.
Quando il
Terreno passò accanto a loro, si bloccò, i pensieri sostituiti da
un'immagine.
Tornò indietro
e si fermò davanti a loro, ansimando e bloccando il loro cammino.
Tenne lo
sguardo fisso su quella con i capelli biondi e gli occhi azzurri che,
come le altre tre, lo guardava in un misto di confusione e terrore.
Blue le prese
il polso e lo alzò, fissando l'immagine che aveva attirato la sua attenzione.
La ragazzina
restò immobile, lasciando che lui prendesse la sua mano, paralizzata dalla
paura.
Blue smise di ansimare:
non aveva più dubbi, ormai, sull'identità del ragazzo nella foto.
"Chi
è?" chiese sfacciatamente alla ragazzina, indicando il giovane biondo
ritratto sul bracciale; lo stesso del sogno di Rachel.
Lei restò in
silenzio, spaventata.
"Scusi, ma
come si permette? Chi è lei?" ora una ragazzina dai capelli ramati, tenuti
indietro da un cerchietto nero, si era messa tra Blue e la compagna, facendolo
allontanare di qualche passo.
"Devo
sapere assolutamente chi è!" ripetè Blue, preso da una curiosità irrefrenabile.
"Per
favore... Devo capire che legame ha con Rachel." Continuò serio, quasi
parlando più a se stesso che con loro.
"Hai detto
Rachel?" sussultò la ragazzina bionda dietro l'amica.
Blue annuì:
"Ho visto quel ragazzo in una fotografia insieme a lei." mentì,
puntando un dito verso l'immagine sul braccialetto al polso di Sara.
"Rachel...
è da tanto che non la vedo..." sussurrò a bassa voce lei, abbassando lo
sguardo a terra.
Una ragazza
bassa dai capelli rossi appoggiò una mano sulla spalla dell'amica, per
consolarla.
Sara alzò gli
occhi sullo sconosciuto: i capelli neri erano disordinati e qualche ciuffo gli
cadeva sulla fronte, coprendogli un po’ gli occhi blu.
"Occhi
blu, come i miei, come quelli di Samuel" pensò tristemente la giovane. Non
sapeva perchè, ma le ispirava fiducia.
"Va bene,
mi hai convinto. Risponderò alle tue domande" Acconsentì sicura dopo aver
riflettuto un attimo, ricevendo un'occhiata incredula dalle sue compagne.
Blue, a quella
notizia, si rilassò e sospirò sollevato: finalmente una parte dei suoi dubbi
stava per essere svelata.
"Non qui,
però. Che ne dici se andiamo in un bar? Ce n'é uno qui vicino." Proseguì
la ragazzina, tenendo i suoi occhi blu fissi su quelli dello sconosciuto.
Erika si voltò
verso di lei, guardandola contrariata e, appoggiando entrambe le mani
sulle sue spalle, cercò di portarla alla normalità: "Sara, ma
sei impazzita? Questo tizio neanche lo conosci, chissà che intenzioni può
avere!" sussurrò all'amica, cercando di non farsi sentire dal ragazzo dai
capelli corvini e gli occhi blu.
"Non ti
preoccupare. So quello che faccio. Vuoi andate pure a casa; voglio parlare con
lui da sola." Spiegò seria, fissandola negli occhi.
Erika, dopo un
attimo di titubanza, acconsentì e, dopo aver salutato la loro amica, le tre
ragazze si incamminarono incerte; Lea, la ragazza alta dai capelli scuri,
rivolse un'ultima occhiata incerta all'amica e allo sconosciuto, per poi
continuare il suo cammino con le compagne.
"Allora,
andiamo?" domandò seria la ragazzina.
Blue annuì
e la seguì in un piccolo bar.
Appena si
sedettero ad un tavolino la ragazzina tolse il braccialetto dal polso
sinistro e lo appoggiò sul tavolino, sostenendo poi la testa con le braccia e
fissandolo malinconica, un triste sorriso sul volto.
"Chi
è?" chiese un'altra volta Blue, indicando con un cenno la foto del
bracciale.
"Mio
fratello." Sussurrò piano la ragazzina.
Blue, sorpreso
da quell'affermazione, sgranò gli occhi e la fissò, curioso di sapere il
motivo per cui portasse l'immagine del fratello al polso.
"Lui…"
iniziò la ragazzina, iniziando a tremare, il volto contratto in una smorfia,
mentre le lacrime tentavano di uscirle dagli occhi, "lui è morto qualche
mese fa." Spiegò, per poi iniziare a piangere come una bambina, non
riuscendo più a trattenersi.
Blue restò
immobile, non sapendo che fare, come paralizzato.
Il ragazzo
della foto, quello del sogno di Rachel, era morto.
"Cosa
volete?" Blue alzò lo sguardo sconvolto su una cameriera che,
con un block notes in mano, aspettava che ordinassero; quando la ragazza notò
la situazione, gettò delle occhiate prima a lei e poi a lui, cercando di
intuire cosa fosse successo.
"Vi lascio
un po’ di tempo per decidere?" chiese più a sé stessa che a loro;
dopodichè, si allontanò senza aspettare una risposta.
Blue tornò a
guardare la ragazzina che cercava invano di trattenere i singhiozzi.
Restò sorpreso
di vedere due mani sulle sue spalle ed un ragazzo dai capelli corvini e gli
occhi grigi chino su di lei che le sussurrava qualcosa all'orecchio; due grandi
ali bianchi uscivano dalla sua schiena e restavano dispiegate in aria.
Quando l'angelo
notò lo sguardo dello sconosciuto fisso su di lui, sussultò, allontanandosi
spaventato dalla sua protetta.
"T-tu mi
v-vedi?" balbettò disperato al ragazzo dai capelli scuri; lui annuì in
risposta.
"Sei un
Terreno, non è vero?" chiese il Custode, cercando di tranquillizzarsi.
Blue rispose
con un secondo cenno affermativo; poi, ignorando l'angelo, tornò a
guardare la ragazzina che piano, piano, sembrava si stesse riprendendo.
"Riesci a dirmi
che è successo?" chiese titubante, non volendo scatenare altri pianti da
parte sua, ma invaso allo stesso tempo da un grande senso di curiosità.
Lei annuì,
piano: "Prima però voglio sapere chi sei e come fai a conoscere
Rachel." Affermò seria.
"Lei è una
persona molto importante per me ed io…io sono un ragazzo come tanti. Vorrei
solo saperne di più su tuo fratello. Lui era davvero importante per
Rachel, non è vero?" chiese, sentendo al cuore un dolore acuto e
fastidioso.
La ragazzina
annuì: "Si, lui e Rachel erano molto innamorati." Aggiunse con voce
sommessa.
"Come si
chiamava tuo fratello?" domandò Blue, incerto, mentre il dolore al cuore
cresceva.
"Samuel"
sospirò lei.
Blue abbassò lo
sguardo, sconfitto. Proprio come temeva: lei gli aveva dato il nome del suo
ragazzo.
"Mio
fratello aveva 19 anni quand'è morto."
"Com'è
successo?" chiese lui, incerto.
"E' caduto
da una scogliera. Amava andare in quel posto, ci andava sempre con Rachel. Quel
giorno lui…lui era da solo… è andato su quegli scogli e poi…poi ha
perso l'equilibrio e…" le lacrime tornarono a scendere copiose e la
ragazzina interruppe il suo racconto, coprendosi la bocca con una mano e
ricominciando a singhiozzare.
L'angelo dietro
di lei fulminò Blue con uno sguardo.
Ma il
Terreno era troppo sconvolto per accorgersene; una marea di immagini
iniziarono a scorrergli nella mente, veloci, una dopo l'altra, senza sosta.
Appoggiò una
mano su una tempia e chiuse gli occhi, sentendo la testa pulsare
dolorosamente, come se fosse stata sul punto di scoppiare.
Stava
ricordando tutto. Il suo passato, la sua vita. Tutto stava ritornando, con
forza, mentre nella sua mente le immagini continuavano a scorrere.
"R-rachel.."
sussurrò debolmente, iniziando a piangere e singhiozzare, mentre, davanti a
lui, si materializzava l'immagine di un ragazzo sugli scogli, il
vento che soffiava sul suo volto turbato, triste e sofferente.
In un attimo,
capì tutto: Samuel era lui.
Quando vide sé stesso
scivolare sulle rocce e scomparire tra le onde del mare, aprì gli occhi di
scatto, per non rivivere quel momento.
Alzò lo
sguardo: la ragazzina stava ancora singhiozzando e l'angelo dietro di lei lo
guardava minaccioso.
Istintivamente,
Blue si alzò dalla sedia e si inginocchiò accanto a quella della sorella,
appoggiando una mano su quella di lei, stretta a pugno e appoggiata sulla sua
gamba.
"Sara…"
la chiamò dolcemente.
Lei lo guardò
sorpresa, fissandolo confusa. Come sapeva il suo nome?
"Sono
io…sono Samuel" le disse lui, mentre si asciugava con una mano le gocce
che gli erano scese dagli occhi.
"S-samuel?"
chiese lei, incerta e incredula. "Non è possibile..."
Lui continuò,
"Si, brutta peste, sono io. Ora ricordo tutto. Sono tornato." Le
disse lui, sorridendo.
Sara,
piangendo, si buttò tra le braccia del fratello, affondando il viso nel suo
collo e lasciando che le lacrime che le rimanevano bagnassero la maglia di
lui.
Solo Samuel la
chiamava con quel nomigliolo orribile che aveva sempre odiato.
"Samuel!!"
iniziò a chiamarlo disperata, il volto sepolto nei suoi vestiti, mentre lui,
sempre sorridendo, la stringeva forte a sé.
Non sopportava
la sua sorellina pestifera, ma le era mancata così tanto!
Ma non era
l'unica...
Samuel aprì gli
occhi, fissando per un istante il vuoto.
"Rachel…"
sussurrò tristemente, ripensando ai suoi ultimi istanti di vita umana che aveva
passato con lei. Ora ricordava tutto, anche il giorno in cui l'aveva guardata
appoggiata a quell'edificio, quello che aveva rivissuto con Lehcar nel sogno.
E poi era
andato su quegli scogli, non sapeva neanche lui come mai.
E poi…
Preferì non
pensare a quel momento.
Sara si staccò
dal suo abbraccio, tenendo le braccia intorno al collo del fratello e si immerse
con lo sguardo nei suoi occhi blu come il mare.
"Ancora
non ci credo, sei proprio tu." Gli sussurrò piano.
"E' una
cosa lunga da spiegare... Per farla breve, ho avuto una seconda
possibilità di vita e sono tornato." Le sorrise lui.
"Incredibile..."
commentò lei. Poi aggiunse "Rachel ha bisogno di te…"
Lui annuì,
diventando serio.
"Sai cos'è
successo, quando me ne sono andato?"
Sara scosse
la testa, tristemente: "Non l'abbiamo più vista; non è venuta neanche al
tuo…funerale." Disse a fatica, pronunciando l'ultima parola con dolore.
Samuel si alzò
in piedi, imitato dalla sorella.
"Mi
aspetta." Disse semplicemente.
Si chinò sulla
sorella e le stampò un bacio in fronte, poi si precipitò fuori dal locale,
correndo verso la casa di Rachel, lasciando Sara e Aras ancora sconvolti per la
notizia.
"Samuel,
promettimelo…"
"Cosa?"
"Promettimi
che staremo sempre insieme, qualunque cosa accada. Promettimi che mi amerai per
sempre"
"Ma
certo; ti amerò per sempre, Rachel. Qualunque cosa succeda. Qualunque cosa
accada, io ti amerò fino a quando morirò. Così dice la nostra canzone"
"Amo
quella canzone." Rachel si accoccolò tra le sua braccia, chiudendo gli
occhi felice, mentre il profumo del mare arrivava alle loro narici.
"Ti
amerò per sempre." Aggiunse lui in un soffio.
"Rachel.."
Samuel continuava a correre per le vie della città, il cuore che iniziava a
battere all'impazzata, mentre riviveva il suo passato.
"E'
finita? Cosa significa?" la sua voce tremava; non voleva credere a quelle
parole, non poteva crederci.
"Significa
questo, Rachel. Significa questo, niente di più" rispose lui, volgendole
le spalle.
"Sono
stanco." Alzò gli occhi al cielo, ricoperto da nuvole grigie.
Sentì una
lacrima, solitaria e silenziosa, rigargli una guancia.
"Stanco."
"Di
cosa?" chiese lei, incredula per ciò che stava succedendo. Era finita.
"Di
tutto. Mi sento stanco, distrutto. Sento che tu non mi vuoi più" le
confidò triste.
Si incamminò
sulla spiaggia, con le mani nelle tasche della giacca e la testa bassa.
"Me lo avevi
promesso!! Me lo avevi promesso!!" la voce sconvolta di lei gli arrivò al
cuore, ferendolo e facendolo a pezzi.
Appena svoltato
l'angolo, Samuel si bloccò, ansimando per la corsa.
Il suo cuore smise
di battere quando i suoi occhi blu mare scorsero Rachel insieme ad un ragazzo
che non riusciva a riconoscere e gli dava le spalle.
"Rachel!"
la chiamò lui, mentre lei chiudeva il portone di casa sua e salutava lo
sconosciuto.
Appena lei si
sentì chiamare, volse lo sguardo e sussultò quando vide Samuel, i capelli neri
spettinati e gli occhi blu mare, turbati e fissi su di lei.
Lo sconosciuto
alzò lo sguardo sopra la spalla per squadrare il nuovo arrivato.
I capelli
biondi, corti e gli occhi blu; alto, snello, con indosso un paio di jeans ed un
cappotto nero.
Samuel rimase
colpito dalla somiglianza che aveva con le sue vere sembianze da Umano.
"E lui chi
è?" domandò sfacciato a Rachel, paralizzata per via della situazione.
Lei distolse lo
sguardo dal ragazzo dai capelli corvini, puntandolo a terra e Samuel si sentì
morire di nuovo quando le parole di lei, sussurrate, gli arrivarono al
cuore: "è solo un amico."
Non era
possibile! Lei non poteva riconoscerlo in quelle sembianze, ma tuttavia lei era
innamorata di Blue, altrimenti perché lo avrebbe baciato, quella sera,
sulla spiaggia?
Il ragazzo
biondo sorrise sprezzante a quella notizia, fissando di nuovo Samuel che si
avvicinò, stringendo i pugni e cercando di avere un passo sicuro, nonostante le
gambe gli tremassero per il colpo appena ricevuto da Rachel e per l'emozione
che provava, avendo recuperato la memoria.
Si fermò a
pochi metri dai due, le mani lungo i fianchi e gli occhi puntati sulla giovane,
ignorando il ragazzo biondo.
"Rachel,
sono io: Samuel." Le disse lui dolcemente, il cuore che tornava a battere
veloce.
Rachel ricambiò
il suo sguardo, le lacrime che stavano salendo agli occhi.
"Il vero
Samuel." Aggiunse lui, per essere più chiaro.
Sussultò a
quelle parole, sconcertata. Cosa stava dicendo?
"Smettila,
Blue." Disse lei, ricordandosi come lo aveva chiamato Red qualche sera
prima.
Samuel non
sentì più l'aria nei polmoni e le mani iniziarono a tremargli, mentre le
lacrime pungevano i suoi occhi.
"Non
chiamarmi così!!" ordinò lui, con la voce tremante.
Non lo aveva
mai chiamato Blue e non doveva iniziare ora, ora che ricordava tutto, ora che
aveva capito di essere Samuel.
Si sentiva uno
stupido se pensava di essere stato geloso di sé stesso.
"Ehi,
ragazzino. Lasciala stare, va bene?" Lo sconosciuto si mise tra lui e
Rachel, guardandolo serio ed orgoglioso.
"Manuel,
ti prego, andiamo via." Chiese Rachel, la voce ridotta ad un sussurro.
Lui si voltò
verso di lei annuendo e, appoggiandole una mano sulla spalla, si incamminò con
lei, allontanandosi da Samuel, ancora paralizzato da quello che era appena
successo.
"Rachel!!
Rachel, ti prego, fermati!!" urlò disperato, le lacrime che
iniziavano a rigargli le guance, incontrollabili; riprendendosi corse incontro
ai due.
Non poteva
finire così, non dopo tutti gli sforzi fatti per ricordare!
Rachel e Manuel
si voltarono; ma non accadde quello che sperava.
Il ragazzo si
allontanò dall'amica e prese Samuel per il colletto, facendo scontrare poi il
suo pugno con lo zigomo di lui.
Samuel rovinò a
terra, sconvolto, il viso pulsante per il dolore.
"Non vuole
vederti, chiaro??" gli sputò addosso il biondo; Rachel, dietro di lui, era
paralizzata a sua volta.
Da una parte
avrebbe voluto correre dal suo nuovo Samuel, da Blue, per
abbracciarlo e chiedergli scusa per il suo stupido atteggiamento, ma dall'altra
sapeva di non poterlo fare; appena aveva incontrato Manuel, il vero Samuel era
ritornato nei suoi pensieri e il ragazzo biondo che gli somigliava tanto
riusciva a placare un po’ il suo dolore, almeno per il momento. Temeva di far
soffrire Blue, ecco qual era la verità. Non poteva farci niente, non riusciva a
dimenticare Samuel.
"Perdonami.."
sussurrò, senza che il ragazzo dai capelli corvini la sentisse, mentre le
lacrime cominciarono a scendere sulle sue guance e Manuel la portava via da
lui.
"Samuel!!"
Samuel si guardò attorno spaesato, distogliendo lo sguardo dal punto dove
Rachel era scomparsa con quell'individuo.
Sara era
accanto a lui e lo guardava preoccupata.
Il Terreno ci
mise un po' a riordinare le idee: Manuel lo aveva colpito e lui era finito a
terra, mentre Rachel non aveva fatto niente per fermarlo.
Non riuscendo a
sostenere lo sguardo della sorella, abbassò gli occhi sul terreno freddo sotto
di lui.
Era ancora
seduto sul marciapiede, lo zigomo pulsante e gli occhi brucianti per via delle
lacrime.
Ma ciò che gli
faceva più male, in quel momento, era il cuore che faticava a battere: lo
sentiva a pezzi, distrutto, stanco;
"Lei non
mi riconosce…" sussurrò debolmente a sé stesso.
Sara si
inginocchiò al suo fianco e lo abbracciò, come aveva fatto prima, appena lo
aveva riconosciuto, cingendogli il collo con le braccia.
Samuel ricambiò
l'abbraccio della sorellina, bisognoso, quel momento più che mai,
di sentirsi amato da qualcuno, di non sentirsi solo, di colmare il vuoto
che era ritornato nel suo cuore.
Ma non bastava
quell'abbraccio, non bastava per colmare l'enorme abisso che si era creato
dentro di lui.
"Rachel…"
Sussurrò per l'ennesima volta, guardando di nuovo il punto dove era scomparsa
con quel ragazzo, sperando, dentro di sé, di vederla riapparire, anche se
invano.
Era finita.
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Eccomi di già
col nuovo capitolo!!!
Finalmente Blue
ha ricordato il suo passato ed è Samuel (anche se la maggior parte di voi
sicuramente l'aveva già intuito), e Sara l'ha riconosciuto subito a differenza
di Rachel che non ha creduto alle sue parole.
Per di più c'è
la presenza di questo nuovo personaggio, Manuel, tipo alquanto sospetto. Cosa
accadrà?? Non vi resta che continuare a leggere i prossimi capitoli per saperlo!!
SPOILER:
Il prossimo
capitolo riguarderà Mairim ed Eve, con Miriam e Steve.
Al Custode
verrà offerta una soluzione al suo problema e toccherà a lui decidere se
accettarla oppure no.
Vi avviso che
il capitolo sarà un po’ complicato, soprattutto alla fine, dove ci sarà una
parte delle 'origini' di 7 angeli particolari.
Ed ora i
ringraziamenti!!!
-Preferite: 8
-Seguite: 11
-Ricordate: 10
Sono contenta
che a molti di voi piacciaquesta storia,
anche se mi piacerebbe che lasciaste un piccolo commentino!! Vabbè, comunque
grazie a LIYEN e WINGEDANGEL che mi seguono sempre con i loro commenti.
Grazie
davvero!!! :)
LIYEN:
Grazie per i
tuoi continui commenti, mi fa davvero piacere sapere che ti piacciono i
capitoli!!! Vedrai nel prossimo cosa succederà a Miriam e Mairim, anche se
purtroppo non ti piace Steve!!! ;D Al prossimo ciao!! Un bacio!! <3
WINGEDANGEL:
Come avevi già
intuito Blue è Samuel e finalmente l'ha scoperto anche lui!! Solo che adesso
Rachel non gli crede e preferisce questo nuovo personaggio, Manuel, che ci sarà
anche nel prossimo capitolo con Miriam.Di capitoli penso che me ne manchino più
o meno 3 o 4 più l'epilogo (che sarà un po’ triste ma vabbè…). Grazie per il
tuo continuo supporto con le tue recensioni, davvero, mi fa venire voglia di
andare avanti a scrivere!! ;) Grazie e al prossimo!! Un bacio!! <3
Al prossimo
capitolo, che ancora non so quando pubblicherò!! ^^''
"Gli angeli sono sempre
rilucenti, anche se il più rilucente fra loro è caduto"
19- TALIA
"Tu mi
stai giudicando." La accusò lui.
Lei scosse
la testa, fissandolo dolcemente: "Perché dovrei? Quello che provi per
la tua protetta è una cosa magnifica. Se ti sei innamorato di
lei, non è colpa tua, Mairim." Lo consolò l'angelo accanto a lui,
appoggiando una mano sulla sua spalla e soffiando quelle parole al suo
orecchio, facendolo rabbrividire.
Mairim si
allontanò da lei, cercando di evitare ogni contatto con la Custode dalla lunga
treccia castana.
"Allora
perché mi sembra tutto così sbagliato? Lei sta male a causa mia,
ma io voglio solo che sia felice! Non voglio vederla in questo
stato." Portò lo sguardo sulla sua protetta, seduta su una panchina del
parco accanto a Steve.
Quando lo
vide passare un braccio dietro di lei e abbracciarla, facendola appoggiare al
suo petto, si sentì gelare e strinse i pugni per controllarsi.
Eve gli si
avvicinò di nuovo, calma, cercando di convincerlo: "Mairim, amare non è
sbagliato. Mai. In nessun caso; anch'io amo il mio protetto ed è per questo che
voglio che lui sia felice; per questo mi faccio da parte e lascio che si
innamori di chi voglia."
"Non è lo
stesso genere d'amore che provo io per Miriam!" esclamò lui, chiudendo gli
occhi per non vedere i due ragazzi; ma era inutile: anche chiudendo gli
occhi, le immagini scorrevano comunque davanti a lui, davanti al suo cuore,
facendolo soffrire.
"Devi
mettere da parte i tuoi sentimenti, se veramente la ami." Continuò Eve
dolcemente.
"E quindi
vuoi che mi innamori di te?" domandò lui.
"No, non
posso obbligarti ad amarmi. L'amore è un sentimento che nasce dal cuore, non
dalla testa." Spiegò lei, "Ti chiedo solo di alleviare le sofferenze
di Miriam in qualche modo; lasciala libera di amare chi vuole."
"Ti
accompagno a casa? Inizia a fare un po’ freddo." Miriam restò abbracciata
a Steve: stava bene accoccolata tra le sue braccia, il dolore sembrava
placarsi, farsi lontano.
Fece cenno di
no con la testa; accanto a lui non aveva freddo .
"Devo
passare da Rachel." Spiegò lei in un sussurro, chiudendo gli occhi e
respirando il fresco profumo di lavanda che veniva da Steve.
"Ti va
se vengo con te?" insistette lui.
Lei alzò la
testa, guardandolo un istante negli occhi verdi.
Era ancora preoccupato
per lei? Dopo quello che era successo il giorno prima con quella macchina, lui
le era stato più vicino, come se volesse proteggerla.
Annuì quando
nei suoi occhi vide accendersi la stessa luce che sapeva di avere anche lei
ogni volta che lo guardava.
Si alzarono in
piedi ed uscirono dal parco, restando abbracciati, mentre, dietro di loro,
Mairim e Eve li seguivano.
"Perché ti
fai chiamare Eve? Non è Evets il tuo nome?" cercò di cambiare discorso il
custode di Miriam.
Lei sorrise,
aspettandosi quella domanda.
"Si, in
realtà è quello il mio vero nome, ma Eve mi piace di più, tutto qui."
Spiegò.
Lui annuì, poco
convinto, ma appena vide che lei continuava a sorridergli tranquilla non riuscì
a trattenere a sua volta un piccolo sorriso; del resto, non era poi così male
quell'angelo. Assomigliava un po' a Miriam.
"Ehi,
Rachel!" Miriam sventolò il braccio per farsi vedere dall'amica,
sentendosi sempre meglio abbracciata a Steve; che stesse finalmente guarendo
dal suo malessere?
"Miriam!"
Rachel si staccò da Manuel e corse incontro all'amica, che a sua volta si
allontanò da Steve per andarle incontro; si abbracciarono di slancio.
"Ciao
Rachel!" la salutò Steve, quando lei si staccò dall'abbraccio soffocante
di Miriam, ricambiando il sorriso.
Manuel si
avvicinò lentamente ai tre, con passo tranquillo e sicuro.
"Non ci
presenti, Rachel?" domandò, vedendo che lei si era scordata di presentarlo
ai due amici.
"Ah, si,
certo." Arrossì Rachel, imbarazzata per essersi dimenticata di lui.
"Lui è
Manuel, il mio…mio…ecco, lui è…" balbettò confusamente, non sapendo come
definirlo.
"Sono il
suo ragazzo" concluse lui per lei, mentre stringeva cordialmente la mano a
Steve; Rachel si sentì male a quelle parole, ripensando a Blue.
"Samuel.."
pensò tristemente, non sapendo neanche lei a quale dei due si riferisse. Solo
un'ora prima lui le aveva detto di essere Samuel, quello vero. Ma com'era
possibile? Forse era davvero pazzo. Iniziò a pensare che, come sospettava da
sempre, la storia degli angeli custodi e dei Terreni fosse tutta una bugia,
frutto della fantasia di tre poveri matti.
"Ehi,
Rachel, tutto bene?" Miriam la fissava perplessa e preoccupata, notando la
sua espressione persa.
"S-si"
mentì lei, cercando di essere convincente per tranquillizzare l'amica.
I pensieri di
Miriam cambiarono subito soggetto quando Steve le afferrò una mano e, sicuro di
sé, esclamò: "Anche io e Miriam stiamo insieme!", facendola arrossire
violentemente.
Rachel sorrise,
notando l'espressione dell'amica.
Dopo quelle
parole, Manuel alzò lo sguardo sopra i due giovani, fissando qualcosa dietro di
loro e facendosi pensieroso.
Steve seguì il
suo sguardo, cercando di capire cosa stesse guardando.
"Cosa
c'è?" domandò perplesso.
"Niente,
niente. Mi era sembrato di vedere qualcosa." Si affrettò a dire Manuel.
"Rachel,
scusa, ma devo andare a casa. Sono stato bene oggi con te. Ci vediamo domani,
va bene? Ti chiamo io stasera!" stampò un bacio sull'angolo delle labbra
della ragazza, senza lasciarle il tempo di sottrarsi.
Poi corse via,
di fretta, svoltando ad un angolo. Rachel era basita, una mano appoggiata
sul punto dove lui l'aveva baciata, e Miriam fissava l'amica, vedendola
soprappensiero.
"Non è
sembrato anche a voi…?" iniziò Mairim, preoccupato.
"Cosa?"
domandò Lehcar, alzando un sopracciglio, vedendo che l'amico non finiva la
frase.
"Non so,
mi è sembrato che mi stesse guardando…" disse titubante Mairim, incredulo
per le sue stesse parole.
"Non credo
sia possibile che un umano ci possa vedere." commentò Eve.
"Un Umano
no. Ma un Terreno si." Pensò a voce alta Lehcar, facendosi improvvisamente
serio e, incrociando le braccia sul petto, volse lo sguardo nel punto dove
l'individuo aveva svoltato.
Era felice che
Rachel non stesse più con quello stupido Terreno dalle ali blu, ma neanche quel
ragazzo lo convinceva.
Assomigliava a
Samuel, ma non era lui. Il Custode aveva riconosciuto il vero Samuel
quando lo aveva visto addormentato accanto al letto della sua protetta:
era quello stupido Terreno blu, la causa di tutti i suoi problemi, la
causa della prematura scomparsa di Leumas che era tornato ed aveva iniziato ad
infastidirlo con la sua presenza.
Ed ora quel
tizio, che fosse un altro Terreno? Iniziava ad averne abbastanza di tutti quei
mezzi angeli che gli ronzavano intorno.
"Allora
voi due? State insieme quindi?" disse Lehcar per cambiare discorso,
riferendosi alle parole di Steve e facendo arrossire violentemente Mairim.
"C-cosa??
N-no!!" Balbettò lui, abbassando lo sguardo.
Eve sorrise, divertita
dall'espressione dell'angelo dai capelli castani, mentre Lehcar li guardava
confuso, non capendo affatto quello che stava succedendo.
"E' un po’
complicato." Riassunse Eve continuando a sorridere.
Lehcar sbuffò:
"Certo che sei davvero strano, Mairim." commentò scherzosamente,
intuendo i sentimenti che stavano nascendo nell'amico.
Mairim, di
rimando, diventò ancora più rosso di prima.
"Ci
vediamo ragazzi." disse Lehcar, mentre Rachel salutava Miriam con un
abbraccio e si incamminava verso casa sua.
"A presto
Lehcar!" salutò Eve, mentre Mairim alzava lo sguardo sull'amico, ancora
rosso in volto.
Steve e Miriam
si incamminarono insieme, la mano di lei stretta in quella di lui e le sue
guance rosse per quel caldo contatto.
Mairim li
seguiva con Eve, cercando di evitare ogni contatto con la Custode, non ancora
del tutto convinto di cosa significasse il calore che sentiva dentro di sé, nel
suo cuore.
"Ehi, tu.
Custode." I due angeli si fermarono quando una voce li chiamò. Si
voltarono e si ritrovarono a fissare uno strano individuo appoggiato ad un
edificio, lo sguardo basso ed un sorriso sinistro dipinto in volto.
Quando si portò
alle labbra una sigaretta, i due Custodi notarono alle spalle dello sconosciuto
un paio di bizzarre ali colorate.
Sussultarono
nel constatare che si trattava di un Terreno. Ogni contatto con loro era
sconsigliato e i due Custodi lo sapevano bene.
Eve afferrò la
mano di Mairim, facendolo arrossire di nuovo, e lo trascinò via da lì,
ritornando a seguire i loro protetti, ignorando il Terreno.
Tuttavia, lui
non si diede per vinto e, dispiegando le sue ali colorate, seguì i due custodi:
"Ehi, aspetta! Non sei neanche curioso di sapere cosa ho da dirti?"
li richiamò indietro lui.
"No"
rispose secca Eve, lasciando Mairim senza parole per il suo improvviso cambio
d'umore di fronte al Terreno.
"Non mi
riferivo a te, Evets." Ribattè lui scocciato, facendola fermare, sorpresa.
"Conosco
il tuo nome perché conosco quello del tuo protetto." Spiegò lui,
intuendo i pensieri della Custode.
"Comunque,
io voglio parlare con te." Disse, rivolgendosi a Mairim.
"Sei
innamorato della tua protetta, non è vero?" chiese, sicuro di sé, il
Terreno.
"Se vuoi
ti posso aiutare." Prese la sigaretta tra le dita, allontanandola dalla
bocca, soffiando il fumo dalle labbra e aspettando una reazione del suo
interlocutore.
Mairim sussultò
alle parole dell'angelo e riflettè sul da farsi.
Forse lui
poteva aiutarlo davvero e Miriam sarebbe stata meglio. Magari aveva
una soluzione per far finire tutto il suo dolore.
"Parla."
Disse sicuro, sentendo lo sguardo contrariato di Eve su di lui.
Il terreno
sorrise, fissando il Custode negli occhi e riportandosi la sigaretta alla
bocca.
"Allora
seguimi."
"No,
Mairim, non farlo. Non possiamo fidarci dei Terreni, lo sai bene! È contro le
regole!" si affrettò a dirgli Eve, cercando, inutilmente, di fargli
cambiare idea.
"Al
diavolo le regole. Sono stanco di vedere Miriam soffrire a causa mia. Voglio
farla finita e se costui dice di avere una soluzione, io gli credo."
Rispose Mairim, sicuro della sua decisione.
"Andiamo."
Si rivolse poi al Terreno.
Dispiegò le sue
ali bianche leggermente ingrigite, pronto a seguire il Terreno che iniziò a
volare sopra la folla di gente che correva per le vie.
"Bada a
Miriam per me durante la mia assenza." Chiese Mairim ad Eve.
"Tornerò
presto." Continuò, vedendola preoccupata. Le si avvicinò e le schioccò un
bacio sulla guancia, arrossendo poi violentemente, pentendosi del suo gesto
non appena sentì il suo cuore accelerare la corsa.
Le voltò le
spalle per seguire il Terreno, mentre Eve, leggermente rossa per quel contatto
col custode, raggiungeva i due Umani, per nulla convinta delle intenzioni
dell'angelo misterioso.
Lehcar aveva
ragione: il ragazzo di Rachel non era un Umano.
"Dove
siamo?" chiese diffidente Mairim al Terreno sconosciuto.
"A casa di
un amico." Spiegò lui, "Peccato che non ci sia, avrebbe
potuto aiutarci." Aggiunse poi tra sé.
Si trovavano in
una stanza avvolta nella semi-oscurità; Mairim notò un letto sfatto e
degli oggetti sparsi disordinatamente per tutta la camera; chi viveva lì non
era molto ordinato.
Il misterioso
Terreno si avvicinò ad un armadio e, aprendo un'anta, iniziò a frugare tra i
vestiti.
"Eccola…"
sussurrò, mentre un sorriso sinistro compariva sul suo volto. Guardò per un istante
Mairim e, facendosi improvvisamente serio, lo fissò con i suoi occhi blu scuro:
"Prima devo sapere se sei disposto a tutto, Custode."
Mairim lo
guardò titubante, non sapendo cosa rispondere: temeva quello che aveva in mente
lo sconosciuto, ma ormai non poteva più tirarsi indietro, non poteva più
sopportare quella sofferenza.
Annuì sicuro,
il cuore che batteva velocemente.
"Bene…"
commentò il Terreno. Prese dall'armadio un involto scuro, lungo e pesante:
una spada. Con una mano impugnò l'arma, estraendola dal fodero.
La lama, appena
fu esposta, illuminò la stanza, delineando i contorni di ogni cosa, eliminando
ogni ombra.
Gli occhi di
Mairim non furono infastiditi dalla luce, ma di certo, se un Umano l'avesse vista,
ne sarebbe rimasto accecato all'istante.
Ciò che
colpì il Custode fu il materiale con cui era stata forgiata l'arma:
la lama era di cristallo, con i contorni in acciaio ed una scritta su di esso;
l'impugnatura era di un bianco candido e purissimo, con le sembianze di un
paio d'ali.
Mairim restò
incantato dalla bellezza della spada e si avvicinò al Terreno che gliela porse;
avvicinò la mano per prenderla, fermandosi un istante, notando la lettera
incisa sull'impugnatura: una 'U' dorata emergeva dal bianco candido.
Il Custode si
fece forza e afferrò la spada con una mano, alzandola in aria per ammirarla.
Incastonata nel
cristallo, notò una piuma, candidissima, con delle sfumature grigie e dorate:
era quella che emanava quell'incredibile luce.
"La piuma di
un Arcangelo?" domandò al Terreno che lo fissava sorridendo, orgoglioso.
L'angelo dagli
occhi blu scuro annuì, "Per l'esattezza di Uriel."
Mairim sussultò
a quel nome, rendendosi conto solo in quel momento dell'incredibile arma che
stava impugnando.
"Moltissimi
anni fa, 7 Arcangeli scesero sulla terra" iniziò a raccontare il Terreno,
"un compito molto importante era stato affidato loro: avrebbero dovuto
creare 7 creature fuori dal comune, che avrebbero regolato la vita degli Umani
e dei Custodi…"
"La conosco
molto bene questa storia", lo interruppe Mairim, diffidente nei confronti
del Terreno; perché gli aveva dato quella spada?
"7 Umani
erano stati scelti per loro; alla fine portarono a termine il loro incarico,
dando alla luce 7 creature maestose; i 7 arcangeli abbandonarono poi le loro
famiglie per tornare alle loro normali mansioni, ma si narra che uno di loro,
dalle ali più luminose, non ha mai smesso di osservare la sua famiglia
dall'alto."
"Allora
saprai anche che fine fece questo Arcangelo…" commentò il Terreno,
incrociando le braccia al petto e sorridendo, sicuro di sé.
"Quando la
sua amata morì si dice che lui patì per molto tempo la sua morte e che le sue
ali persero il loro magnifico colore, spegnendosi."
Continuò
Mairim.
"Un po’ come
è successo a te." Commentò il Terreno, indicando le piume ingrigite del
Custode.
Lui lo fulminò
con lo sguardo, ripiegando poi le ali dietro la schiena per non farle vedere
allo sconosciuto.
"Solo non
capisco la presenza di questa piuma dentro questa spada…" commentò Mairim,
tornando all'argomento dell'arma.
"Strano
che voi custodi non sappiate tutto di questa storia, del resto, l'arcangelo
Uriel dev'essere diventato un po’ la vergogna della vostra stirpe dopo questa
vicenda…" commentò ridendo il Terreno, irritando maggiormente Mairim.
Come si
permetteva quell'essere inferiore di giudicare un Arcangelo in quel modo?
Tuttavia non poteva dargli tutti i torti; erano molti i custodi che
disprezzavano il comportamento di Uriel, ma in fondo lui lo aveva sempre
capito: sapeva cosa significava essere intrappolati da un amore impossibile.
Dopo un secondo
di pausa, durante il quale il misterioso Terreno si era acceso un'altra
sigaretta e si era seduto su una sedia, rovesciata a terra, continuò con la
storia.
"Uriel non
solo perse la sua lucentezza, ma una delle sue piume si staccò dalle sue ali e
cadde sulla Terra. Suo figlio, da lui chiamato Manakel, 'Dio che asseconda
e sostiene ogni cosa', la trovò e decise di incastonarla in una spada di
cristallo, la spada che tieni in mano tu." Disse indicando l'arma
impugnata da Mairim. "Alla spada diede il nome della madre, Talia. La
piuma del padre, insieme alla scritta incisa sull'acciaio gli sarebbero serviti
come monito per il suo compito, per il suo dovere." Soffiò il fumo dalle
narici, mentre, guardando fisso il Custode, domandò, "Sai quale compito
gli era stato affidato?"
Mairim
sussultò, iniziando ad intuire le intenzioni dello sconosciuto.
"Punire i
Custodi che non eseguono il loro compito." Sussurrò debolmente, "Punire
i custodi che si innamorano dei propri protetti." Aggiunse, la voce
ridotta ormai ad un filo.
"Esatto!"
commentò il Terreno, appoggiandosi allo schienale della sedia e muovendo in
aria la sigaretta.
"Come mai
ce l'hai tu questa spada? I figli degli Arcangeli sono immortali, non dovresti
possedere tu quest'arma." urlò contro il Terreno, divorato dalla
curiosità, mentre la mano che impugnava la spada iniziava a tremare.
"Me l'ha
data Manakel in persona!" rispose orgoglioso lo sconosciuto, "L'ho
incontrato più o meno 50 anni fa e mi ha raccontato tutta la sua storia,
pregandomi poi di portare lontano dalla sua vista quell'arma." Raccontò,
indicando con la sigaretta la spada.
"Lo faceva
star male dover compiere il suo dovere, doversi macchiare del sangue dei
Custodi la cui unica colpa era quella di essersi innamorati della persona
sbagliata, era quella di essere caduti nella tela di un amore impossibile. Come
suo padre." Si portò la sigaretta alla bocca, facendone illuminare
l'estremità.
"Ha
rinunciato alla sua arma. L'ha data a me." Scandì l'ultima frase per
sottolineare il valore di ciò che aveva ricevuto in dono dal figlio di Uriel.
"Impossibile.."
commentò il Custode, rigirandosi la spada nella mano, mentre con gli
occhi leggeva la scritta incisa nell'acciaio.
Il terreno alzò
le spalle: "Sei libero di non crederci, Custode."
"Cosa vuoi
che me ne faccia di questa spada?" domandò diffidente Mairim.
"Pensavo
fosse chiaro: la spada ora è tua, puoi farne quello che vuoi, anche se io,
un'idea, ce l'avrei." Rise tra sé, incredulo per l'ingenuità del custode
dai capelli castani.
Mairim, a
quelle parole, venne scosso da tremiti di puro terrore ed il cuore iniziò a
battere forte per l'agitazione: sapeva molto bene cosa intendeva il
Terreno, ma non poteva crederci, non voleva crederci. Doveva esserci un'altra
soluzione.
"Non la
voglio." Provò a ribellarsi, tendendo la spada verso il Terreno per
restituirla. Ma sentiva che la sua mano non voleva staccarsi da quella prima
possibilità di soluzione per il suo problema; possibilità che, forse, sarebbe
rimasta la sola.
"Ne sei
sicuro?" chiese il Terreno, guardandolo di sbieco e intuendo i suoi
pensieri.
Il Custode
titubò un po’ sulla sua decisione e ciò bastò per dare fondamento ai pensieri
del Terreno, il quale, ridendo tra sé, chiuse gli occhi.
"Tienila."
Gli disse semplicemente, con un tono che non sembrava un ordine, ma un
consiglio.
"M-ma…non
posso andare in giro con una spada…" tentò di convincerlo Mairim; o forse
stava solo cercando di convincere se stesso?
"La puoi
nascondere." Spiegò il Terreno, mentre schiacciava la sigaretta dentro ad
un posacenere sulla scrivania, sempre più divertito dall'ingenuità del Custode.
Mairim si morse
un labbro, non sapendo più quali scuse inventare. Alla fine decise.
Rimise con cura
la spada luminosa nel fodero, facendo riapparire tutte le ombre che erano state
eliminate dalla luce; poi, passandosi il cinturino intorno ad
un braccio, la fece appoggiare sulla sua schiena, tra le due ali
ingrigite.
Pochi secondi e
la spada scomparve; ma Mairim la sentiva ancora lì, come un peso che gli
gravava sulla schiena e sul cuore.
Spettava a lui
decidere cosa farne.
Nella sua mente
ripetè le parole incise sull'acciaio, scritte in una lingua antichissima,
conosciuta solo dagli angeli.
"Gli angeli
sono sempre rilucenti, anche se il più rilucente fra loro è caduto."
"Trattala
bene, mi raccomando." Ordinò amichevolmente il Terreno, seduto ancora
sulla sedia, mentre fissava l'ingenuo custode uscire dalla stanza, sempre con
il solito sorriso sinistro dipinto in volto e gli occhi blu scuro illuminati da
una luce di follia e divertimento.
"Come ai
vecchi tempi." Pensò tra sé, chiudendo gli occhi, quando l'angelo scomparì
alla sua vista, "Se solo ci fosse stato anche il mio vecchio amico."
Sospirò tra sé, ripensando a Green.
"Eve!!"
Mairim si avvicinò alla Custode che lo fulminò con uno sguardo severo appena
lui si portò al suo fianco, dietro a Miriam che stava a braccetto con Steve.
Abbassò lo
sguardo sul suo protetto, il volto sempre serio, diffidente del Terreno che
avevano incontrato e che Mairim aveva deciso di seguire.
Spiò il Custode
al suo fianco, preoccupata.
Non gli avrebbe
chiesto cosa aveva fatto con lo sconosciuto, sapeva benissimo che non glielo
avrebbe mai detto.
Ma i suoi sensi
le dicevano di stare attenta e vigile, di tenere sotto controllo l'angelo dagli
occhi verdi e i capelli castani.
Era
preoccupata. Molto preoccupata. Ci teneva molto a Mairim e non avrebbe mai permesso
che succedesse qualcosa a lui o alla sua protetta.
"Non fare
nulla di avventato, Mairim." Lo pregò nei suoi pensieri, senza che lui la
sentisse, tenendo lo sguardo su di lui.
"Ti prego,
non fare nulla di avventato." Ripetè chiudendo gli occhi e continuando il
suo cammino col Custode in silenzio, entrambi immersi nelle loro
preoccupazioni.
-----------
Nuovo
capitolo!!!!!!!
Sono successe un
po’ di cose a Mairim e finalmente ha trovato una soluzione al suo problema; in
realtà lui sa bene che potrebbe anche innamorarsi di Eve e farla finita ma sa
giò che non ci riuscirebbe quindi quell'idea la scarta già in principio.
Manuel, che si è
rivelato essere un Terreno, anzi (come molti di voi avranno capito) si è
scoperto essere Alex, gli ha dato una spada molto particolare, capace di
uccidere i Custodi. Cosa farà questa spada?? Contro chi la userà Mairim??
Eh-eh, lo vedrete
nei prossimi capitoli naturalmente!!
SPOILER:
Il capitolo 20 parla di Sara e Samuel che vanno a casa loro e…. lo vedrete!!
:P
ma il cuore, che ci rende padri e figli.»
J. Schiller
20- LETTERA
"Eccoci.
Siamo arrivati." Samuel alzò lo sguardo per osservare un enorme
palazzo che si innalzava verso il cielo.
"Abitiamo
in un appartamento al 6° piano." Disse titubante Sara, spiando il fratello
che continuava a fissare l'edificio con aria stanca e affranta.
"Si, me lo
ricordo." Sussurrò debolmente lui, notando lo sguardo della sorella che
non sembrava ancora convinta della sua identità.
"Andiamo?"
si sforzò di sorriderle per tranquillizzarla: capiva che non era facile credere
alla sua storia, credere che lui fosse Samuel; del resto, neanche Rachel ci
aveva creduto.
Al pensiero
della ragazza lo zigomo, colpito dal pugno del suo nuovo ragazzo, tornò a
pulsare, come per ricordargli quello che era successo, quello che Rachel aveva
permesso accadesse.
Sara ricambiò
il sorriso ed, insieme, entrarono nell'enorme palazzo.
"E' tutto
come ricordavo." Commentò ad alta voce Samuel, appena entrarono
nell'appartamento.
"A mamma
piace cambiare sempre tutto." Rise tra sé, notando che non era proprio
tutto al suo posto: vari mobili erano stati spostati.
"Già. A
lei piace sempre cambiare." confermò Sara, mentre si toglieva la
giacca e la appoggiava su un divano posto nella salotto, di fronte ad un grande
televisore.
"Solo una
cosa è rimasta com'era." Abbassò lo sguardo a terra, facendosi
improvvisamente malinconica.
"La mia
stanza" intuì Samuel.
Sara rispose
con un cenno affermativo.
"Vuoi
vederla?" aggiunse poi, alzando lo sguardo su di lui e tornando a
sorridere debolmente.
"Si, mi
piacerebbe. Ma cosa dirai se mamma e papà tornano e mi trovano qui? Loro non mi
riconosceranno."
"Potremmo
raccontare tutta la storia. Sarebbero al settimo cielo se scoprissero che sei
ancora qui, fratellone." Distolse lo sguardo da lui per non fargli vedere
gli occhi umidi. Le faceva male chiamarlo in quel modo, quando ai suoi occhi,
lui, non appariva come il Samuel che ricordava, ma come uno sconosciuto dai
capelli corvini; dentro di sé, comunque, sentiva che lui era davvero suo
fratello e sapeva di potersi fidare di lui.
"Non ne
dubito." Sorrise lui, mentre lei si asciugava prontamente gli occhi con il
dorso della mano, mantenendo il controllo sulle sue lacrime, "ma non credo
sia una buona idea, sorellina." Aggiunse poi, mentre il sorriso scompariva
dal suo volto.
Sara tornò a fissarlo, intuendo
le ragioni della sua scelta. Già si immaginava la scena: sua madre che sveniva
ed il padre che chiamava a polizia e lo cacciava fuori di casa; non gli
avrebbero mai creduto. E se anche fosse successo, avrebbero solamente
sofferto nel rivedere il figlio morto da mesi.
Annuì al
fratello, "Hai ragione. Però abbiamo ancora un po’ di tempo prima che
tornino. Se vuoi vedere la tua stanza, puoi."
Samuel
acconsentì ed, insieme a Sara, percorse un corridoio, fino a fermarsi di fronte
ad una porta, in fondo a destra.
Il
ragazzo, istintivamente, appoggiò una mano sulla maniglia e l'abbassò, ma
la porta non si aprì.
"E'
chiusa!" constatò stupito.
"E cosa ti
aspettavi? È stata mamma a volerla chiudere a chiave." Spiegò Sara, mentre
apriva il cassetto di un mobile accanto alla porta.
Ne estrasse una
chiave e, infilandola nella serratura, la fece girare.
Lasciò che
fosse Samuel ad aprire la porta.
L'angelo accese
la luce con facilità, ricordandosi alla perfezione tutto di quella stanza.
Tutto sembrava essergli chiaro e facile da ricordare.
Restò sulla
soglia della stanza, fermandosi per studiarla in ogni particolare,
lasciando alla mente il tempo di ricordarla.
Sara aveva
ragione: tutto era come allora, sua madre aveva rifatto solo il letto, per poi
spegnere la luce e lasciarla chiusa a chiave per tutti quei mesi.
Le ante erano
chiuse, vietando alla luce l'ingresso nella stanza.
Samuel mosse
qualche passo, portandosi più o meno al centro, mentre si guardava intorno,
serio. Sara restò immobile sulla soglia, senza avere il coraggio di entrare in
quella stanza dopo tutto quel tempo.
Prima della
sua scomparsa, non si era mai preoccupata di intrufolarsi nella
stanza del fratello maggiore per curiosare tra le sue cose. Ma ora era
tutto così diverso; era da mesi che non ci entrava ed era come se non la
conoscesse più, nonostante fosse rimasta com'era.
Samuel si
inginocchiò sul letto, iniziando ad osservare le foto che erano state appese
alla parete azzurra.
Vide se stesso
con i suoi amici e con i suoi compagni di scuola. Un'altra raffigurava lui
con i suoi genitori e la sua sorellina; ricordava il giorno in cui avevano
scattato quella foto di famiglia. Sua madre aveva voluto chiamare un fotografo
professionista, ma i suoi tentativi di scattare una foto normale venivano
sempre rovinati da lui e da quella peste di Sara; in quella che stava
guardando, ad esempio, si facevano la linguaccia a vicenda mentre i genitori si
sforzavano di sorridere all'obbiettivo. Rise tra sé al pensiero del fotografo
che, esausto, era riuscito finalmente a scattare una foto decente che
avevano incorniciato e messo nel salotto su un mobile in mogano; si ricordò di
aver chiesto di sviluppare anche qualcuna delle altre foto, quelle venute
male; lui preferiva quelle in cui lui e la sua sorellina bisticciavano.
"Loro come
stanno?" chiese alla sorella senza guardarla, continuando a fissare le
altre immagini e facendosi improvvisamente malinconico all'idea di aver
perso tutte le persone che conosceva.
Sara sussultò,
immersa nei suoi pensieri, e abbassò lo sguardo, triste: "Se la cavano,
come me. All'inizio era difficile, poi, col tempo, le cose si sono un po’
risistemate. Anche se manchi tu, fratellone." Le lacrime tentarono di
nuovo di tornarle agli occhi. Le fermò con la manica della maglietta, mentre le
prime le rigavano le guance.
Samuel distolse
lo sguardo dalle foto, fissando per un istante il vuoto e pensando ai suoi
genitori e come si erano dovuti sentire dopo la sua scomparsa. Litigava
spesso con suo padre, anche per futili motivi; era sempre stato un uomo rigido
e severo nei confronti dei figli e non si era mai mostrato debole davanti ai
loro occhi; ma, anche se a Samuel sembrava strano, sapeva che il suo carattere
si doveva essere sciolto alla sua morte e tremò ad immaginare lui e la
madre al suo funerale. Sua madre, maniaca dell'ordine, mai soddisfatta di ogni
cosa, ma, soprattutto, sensibile; si sentì morire a pensare a cosa
avesse provato alla notizia di aver perso suo figlio.
E Rachel…
Sara gli aveva
detto di non averla più vista, non era neanche andata al suo funerale.
Si sentiva in
colpa, pensando di aver causato tutto quel dolore alla persone che amava.
E Rachel...
Sorrise
tristemente al ricordo di quando l'aveva portata a casa per farle conoscere i
genitori. Suo padre si era dimostrato più accogliente di quello che si
aspettava e la madre era stata molto entusiasta e aveva passato tutto il tempo
a lanciare occhiatine eloquenti prima a lui e poi a lei. Che imbarazzo aveva
provato in quel momento! Per non parlare della sorella: aveva fatto immediatamente
amicizia con Rachel ed aveva approfittato della sua presenza per ricordare
momenti imbarazzanti della vita del fratello.
In quel
momento, non sapeva cosa avrebbe potuto farle: quella peste!
Spostò lo
sguardo sul suo comodino e prese tra le mani la foto che preferiva in assoluto,
conservata in una cornice.
Nella foto
c'era lui insieme a Rachel: fissavano sorridendo l'obiettivo della macchina
fotografica, felici ed innamorati.
Si ricordò di
averne fatto una copia e di averla messa in un quaderno che le aveva regalato
per il suo ultimo compleanno.
Gli tornò alla
mente il diario che aveva trovato nella stanza di Rachel quando era appena
diventato Terreno: era da un po’ che non lo vedeva più...
Comunque,
quando glielo aveva regalato, non credeva che lei ci avrebbe veramente
scritto ogni cosa come le aveva suggerito lui; ma invece lo aveva fatto, come
gli aveva promesso quel giorno sulla spiaggia.
Lui era
riuscito a farla solo soffrire. A ripensarci, non capiva come mai l'aveva
lasciata, così all'improvviso, senza una ragione logica.
"Sono
stanco" le aveva detto, si ricordò che in quel periodo provava qualcosa di
strano dentro di sé, come se qualcuno lo influenzasse con le sue paure e
preoccupazioni.
"Questa
volevi darla a Rachel." Sara si era spostata davanti a lui, senza che lui
se ne accorgesse, troppo immerso nei suoi pensieri, ed ora gli porgeva una
lettera.
Samuel la prese
tra le mani, rimettendo la cornice al suo posto e l'aprì, non ricordandosi di
averla mai vista.
Mentre la
leggeva iniziò a tornargli in mente quel giorno; era lo stesso del sogno di
Rachel. Le aveva scritto quella parole ed era andato a cercarla per darle la
lettera, ma, quando l'aveva vista appoggiata a quel muro, con l'aria distrutta
ed afflitta, non c'era riuscito, non aveva avuto il coraggio di
consegnargliela. Forse sarebbe stato tutto diverso, se gliela avesse data quel
giorno.
"Perdonami"
lesse l'ultima parola ad alta voce, le lacrime che iniziavano a pungergli gli
occhi. Come aveva potuto essere così stupido?
"Lei ti
ama ancora. È solo che non vuole soffrire più. Per questo che si rifiuta di
crederti." Disse Sara, fissando tristemente il fratello e intuendo il suo
dolore.
Lui annuì,
"Forse hai ragione; ma se non crede alle mie parole come posso farle
capire che sono io?" abbassò lo sguardo affranto sulla lettera, ancora tra
le sue mani.
"Però…"
all'improvviso gli tornò in mente una possibilità che, con la velocità degli
ultimi eventi, si era completamente scordato. Lui aveva la possibilità di
mostrarsi a Rachel nel suo vero aspetto; in quel modo lei non avrebbe più
potuto dubitare delle sue parole.
Ma ancora non
aveva imparato a controllare la sua luce.
La sorella lo
guardava confusa, la frase ancora in sospeso. Samuel le sorrise, comprensivo.
"Forse ho
trovato una soluzione." Disse semplicemente, facendo sorridere anche Sara.
Sembrava di
essere tornati a mesi prima, quando le loro vite non erano ancora state
travolte da eventi tristi e distruttivi.
Si avvertiva
un'atmosfera di tranquillità e di pace in quella stanza.
"Sara! Sei
in casa?" Sara sussultò, tornando improvvisamente alla realtà. I suoi
genitori erano tornati.
"Oh,
no." Sussurrò la ragazzina in preda al panico. Come avrebbe spiegato la
presenza di un ragazzo sconosciuto in quella casa, addirittura nella stanza di
Samuel?
"S-si!!"
rispose balbettando.
"Ma dove
sei?" Samuel si immobilizzò, sentendo la voce della madre avvicinarsi alla
porta. Pochi attimi e sarebbe entrata, li avrebbe visti, e poi? Cosa avrebbero
detto per salvarsi?
Mentre la
situazione peggiorava, un'idea gli arrivò alla mente, la quale sembrava
conservare ancora un minimo di lucidità.
"Sara,
perdonami, prima avrei dovuto spiegarti tutto con calma, ma, vista la
situazione, non posso fare altro." Sussurrò velocemente, afferrando per un
braccio la sorella per attirare la sua attenzione, "Ti prego, non
spaventarti troppo ed inventati una scusa credibile per essere entrata nella
mia stanza. Ti spiegherò meglio quando ci vedremo la prossima volta."
"Tornerai?
Quando?" Sara sembrava aver ricevuto solo l'ultima parte del discorso.
"Presto…"
rispose semplicemente lui.
Ormai mancava
veramente poco prima che la madre facesse capolino nella stanza.
Quando notò
l'espressione triste della sorella alle sue vaghe parole, cercò di rimediare:
le alzò il polso sinistro, "Ricordati il significato di questo bracciale.
Dovunque sarai io ti terrò d'occhio!!" disse, imitando l'espressione
severa che aveva nella foto.
"A presto
sorellina." Concluse, vedendo lei annuire sorridendo, le lacrime
che le rigavano le guance.
"Cosa stai
facendo qui dentro?" Sara si voltò a fissare sua madre, che la guardava in
un misto di incredulità e sgomento.
Sara tornò a
fissare il fratello, pronta ad una ramanzina da parte dei suoi genitori per
aver fatto entrare uno sconosciuto in casa. Ma lui non c'era più. Era svanito
nel nulla.
"Allora?
Vuoi darmi una spiegazione?" Sara guardò la madre, ancora confusa.
Quando la vide
appoggiarsi allo stipite della porta e tremare, portandosi una mano alla bocca
per trattenere i singhiozzi, tentò di rimediare alla situazione.
"Scusa
mamma. Io... avevo solo bisogno di entrare di nuovo qui." Cercò di
spiegare, abbassando lo sguardo.
Senza che se ne
fosse resa conto, le lacrime le stavano rigando le guance, fuori controllo.
Pochi
istanti dopo, si ritrovò avvolta da un caldo abbraccio; la madre, china su
di lei, la teneva stretta a sé e piangeva sulla spalla della figlia.
Dopo un attimo
di titubanza, Sara ricambiò, iniziando, senza volerlo, a singhiozzare
incontrollabilmente.
Il padre le
fissava sconvolto sulla soglia della stanza; fu l'ultima cosa che vide, prima
di chiudere gli occhi annebbiati dalle lacrime per lasciare uscire tutte
quelle che le rimanevano.
"Mamma."
Samuel si chinò sulla madre e sulla sorella che, abbracciate, stavano
piangendo.
Provò a toccare
la donna con una mano, ma il breve contatto gli provocò un senso di dolore
acuto ed insopportabile che lo costrinse a staccarsi da lei.
Le ali blu
dietro di lui erano accuratamente ripiegate e sentiva il viso bagnato di
lacrime.
Alzò lo sguardo
sul padre: era cambiato molto. Era invecchiato: il volto ricoperto dalle rughe
e lo sguardo spento, svuotato; ma il carattere ferreo c'era ancora, troppo
orgoglioso per mostrare, come la figlia e la moglie, quanto stava soffrendo.
Chiuse gli
occhi ed uscì dalla stanza, appoggiandosi alla parete fredda accanto alla porta
ed alzando poi la testa.
Rivedere la
stanza del figlio, rivivere i momenti della sua vita, lo aveva fatto stare
male, ma non poteva permettere ai suoi sentimenti di fuoriuscire in quel modo:
doveva essere forte, per se stesso, ma soprattutto per la sua famiglia.
Si asciugò una
lacrima solitaria e, staccandosi dal muro, si allontanò dalla camera.
Samuel lo seguì
con lo sguardo.
Poi, non
riuscendo più a sopportare tutta quella sofferenza di cui era la causa, decise
di andarsene.
Ripiegò la
lettera con cura ed uscì dalla casa volando, pronto a riprendersi Rachel.
Niente lo
avrebbe fermato.
----------------
Eccomi qui!!!! :)
Vi è piaciuto
questo nuovo capitolo?? Spero tanto di si!! Ormai manca veramente poco alla
fine, solo che sono un po’ indietro col nuovo capitolo… (Non l'ho neanche
iniziato per intenderci…-.-'') Spero comunque di trovare il tempo per scriverlo
il prima possibile!!!
Nel prossimo si
sveleranno molte cose su Manuel\Alex. :)
Grazie a chi ha
messo la storia tra le preferite (7), tra le seguite (11) e tra le ricordate
(12)!!!
E grazie
soprattutto a Liyen e Wingedangel per i vostri meravigliosi
commenti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! (Wingedangel: nel prossimo capitolo avrai la
risposta alla tua domanda!!! ^^ )
Samuel entrò
nell'appartamento con furia, le ali dispiegate dietro di sè.
Doveva fare in
fretta, non avrebbe dovuto perdere neanche un secondo, non ora che era così
vicino a Rachel.
Green, come al
solito, era sdraiato sul divano nel salotto, immerso nella lettura di un
quotidiano.
Alzò lo sguardo
annoiato sul Terreno dalle ali blu che lo fissava ansioso, sospeso in aria.
"Che
c'è?" chiese scocciato, lasciando intuire al suo interlocutore di non
essere affatto entusiasta di quell'interruzione.
Samuel ignorò
il suo tono di voce, "Insegnami a mostrarmi nella mia vera forma agli
umani!" disse tutto d'un fiato.
Green sorrise
divertito, tornando con lo sguardo sul suo quotidiano, "E potrei saperne
il motivo?"
"Lo
sai." Rispose semplicemente Samuel, continuando a fissare l'uomo che se ne
stava tranquillo sul divano.
Green tornò a
guardarlo, sapendo bene a cosa si riferisse l'angelo blu.
Era per quella
ragazzina, quell'umana.
Sospirò
amareggiato, chiudendo il quotidiano ed alzandosi in piedi.
Samuel restò in
silenzio, quasi trattenendo il fiato, in attesa di un segno affermativo
dell'amico.
"E va
bene." Acconsentì lui, mettendosi le mani nelle tasche e portandosi di
fronte al Terreno.
Prese un
pacchetto di sigarette dalla tasca destra dei pantaloni e ne estrasse una
tranquillamente.
La mise in
bocca e, dopo averla accesa, la prese con le mani togliendola dalle labbra e
soffiando il fumo.
Samuel cercò di
placare la sua agitazione e il suo nervosismo davanti alla tranquillità
dell'altro.
"Allora?"
domandò infastidito, appoggiando i piedi a terra e tenendo le ali dispiegate.
Green si
avvicinò a Samuel e si fermò ad un metro di distanza da lui, la sigaretta
tenuta in bocca dalle dita.
Lo guardò,
sicuro di sé, fissandolo nelle sue iridi blu mare.
"E' più
semplice di quello che credi…" chiuse gli occhi, soffiando il fumo dalle
labbra.
La mano con la
sigaretta scese lungo il fianco, mentre l'altra si alzava ed il corpo di Green
si piegava per prendere una spinta.
Samuel restò
paralizzato.
Quello che seguì
avvenne in pochi secondi, senza lasciargli il tempo di reagire.
Green scomparve
da davanti ai suoi occhi, mentre un piccola fitta partiva dalla sua ala
sinistra.
Piegò
istintivamente l'arto piumato verso il suo corpo, afferrandolo con una
mano per capire da dove provenisse quel dolore.
Con la coda
dell'occhio scorse Green dietro di lui: gli volgeva le spalle, il fumo della
sigaretta che aleggiava nell'aria intorno a lui.
Quando il
Terreno verde si voltò verso di lui, Samuel sussultò in un misto di confusione
e sorpresa.
Green teneva
tra le sue dita una piuma blu dell'angelo.
Si avvicinò a
Samuel e gliela porse, silenzioso.
Il Terreno blu
la lasciò volteggiare delicatamente tra le sue mani.
"Cosa
significa?"
Green alzò un
sopracciglio, sorpreso dalla domanda dell'angelo blu.
Si mise le mani
sui fianchi, la sigaretta tra le labbra.
"Non ci
arrivi, ragazzino? La tua luce viene emanata dalle tue ali. Se la tua amichetta
tocca una delle tue piume, non verrà accecata. Chiaro?"
Samuel annuì,
poco convinto, la piuma sempre tra le dita.
"Visto? Te
lo dicevo che era semplice!!" sorrise orgoglioso Green per la sua lezione.
Tolse la
sigaretta ormai consumata dalle labbra e, riportandosi vicino al divano, la
spense nel posacenere sul tavolino di vetro.
Sospirando come
se avesse fatto un'enorme fatica, si lasciò poi cadere sul divano ed, estraendo
di nuovo il pacchetto dalla tasca, ne mise una seconda in bocca,
accendendola.
Prese il
quotidiano tra le mani e lo aprì, tornando ad immergersi nella sua lettura,
come se niente fosse successo.
"Mi
sembrava avessi fretta!" sbirciò il terreno blu che era ancora immobile
nella sua posizione, lo sguardo fisso sulla piuma, incredulo che bastasse così
poco per risolvere i suoi problemi. Una piuma. Era sufficiente una piuma.
Le parole di
Green lo scossero dal suo torpore: alzò lo sguardo e sorrise, grato al terreno
verde.
Dispiegò le ali
ed uscì volando dall'appartamento, la piuma tra le mani e la lettera
ripiegata con cura in una tasca.
Lo sguardo del
Terreno verde restò sul punto dove Samuel era uscito, immerso nei suoi
pensieri.
Chiuse il
giornale, buttandolo accanto a lui sul divano e, presa la sigaretta in mano, la
schiacciò nervoso nel posacenere, nonostante fosse stata appena accesa.
Fumava sempre
quando era nervoso, quando qualcosa lo preoccupava.
Restò per
qualche secondo a fissarla mentre si spegneva e
lasciava scappare le ultime volute di fumo grigio.
Poi si alzò in
piedi deciso ed uscì dall'appartamento.
Le onde si
increspavano davanti a lei, scosse dal vento impetuoso che le scompigliava i
capelli.
Era seduta
sulla spiaggia, nello stesso, identico punto.
Ma si sentiva
sola. Terribilmente sola.
Piegò la testa
da una lato, appoggiandola sulle ginocchia strette tra le sue braccia.
Accanto a lei
non c'era nessuno.
Nessun ragazzo
moro dagli occhi color del mare; nessun ragazzo biondo che aveva giurato di
amare per sempre.
Accanto a lei
non c'era niente.
Nessuno stereo
acceso che lanciava nell'aria le sue note, mischiandole a quelle del vento.
Era sola,
terribilmente sola.
Iniziò a
piangere disperata, affondando il viso nelle ginocchia per non vedere tutta
quella solitudine che la circondava e l'avvolgeva come un manto
impossibile da togliere.
"Samuel"
urlò tra i singhiozzi, il vento che nascondeva la sua voce distrutta.
Cosa aveva
fatto?
L'aveva
allontanato. E per cosa?
Miliardi di
domande iniziarono a vorticare nella sua testa, ma si accorse che non
si riferivano a Samuel, ma a quello che lei piaceva definire il Suo Samuel per
distinguerlo dall'altro; perché, a volte, quando stava con il ragazzo dai
capelli neri, le sembrava di stare davvero con quello vero.
E lo aveva
allontanato senza un valido motivo. Solo perché aveva incontrato
qualcuno che le riportava alla mente il suo ragazzo, solo con uno sguardo:
non doveva conoscerlo fino in fondo per stare meglio. Si era accontentata
dell'apparenza.
"Ehi!"
un tocco improvviso su una spalla le fece alzare il viso bagnato dalle lacrime.
Seduto alla sua
destra c'era lui, il sorriso dipinto sul volto.
Strano, non lo
aveva sentito arrivare.
Cosa aveva
dietro la schiena?
Rachel sbirciò
dietro le spalle del ragazzo, curiosa, mentre l'espressione di lui continuava a
splendere per lei, tranquilla e immobile.
E la
ragazza ci cascò una seconda volta in quel meraviglioso sorriso e in
quegli strani occhi blu.
L'avrebbe
cercata.
L'avrebbe
cercata e si sarebbe mostrato a lei nelle sembianze di Blue.
L'avrebbe
convinta ad ascoltarlo e le avrebbe spiegato tutto una seconda volta, dandole
la lettera e la piuma blu.
Immaginava
già la sua espressione sorpresa; avrebbe sorriso divertito e le
avrebbe sussurrato 'fidati'; poi sarebbe scomparso e, dopo qualche attimo,
sarebbe apparso nelle sue sembianze di angelo; lei avrebbe urlato spaventata,
ma poi, riconoscendolo, si sarebbe messa a piangere incredula e al colmo della
felicità, gettandosi poi tra le sue braccia, pronte ad accoglierla.
Tutto era
perfetto, studiato nei minimi particolari.
Sorrise felice,
immaginandosi la scena in ogni attimo, in ogni sequenza. Sarebbe stato
meraviglioso.
Volò fino alla
spiaggia, una sensazione dentro di lui gli suggeriva di andare lì. Sapeva
che ci sarebbe stata anche lei.
Appoggiò i
piedi a terra, in preda all'emozione, il cuore a mille.
Il sole stava
calando sull'acqua ed il cielo iniziava a farsi buio.
Seduta sulla
spiaggia scorse una figura e il cuore iniziò a battere ancora più velocemente,
anche se gli sembrava impossibile che potesse andare più veloce di così.
Era lei.
Chiuse gli
occhi e si trasformò in Blue, tenendo la piuma delicatamente tra le mani.
Nella sua mente rivide
tutte le scene che aveva immaginato e le studiò per ripeterle esattamente così,
mentre, con le gambe che tremavano, si avvicinava a lei a passi lenti.
Si bloccò
sconvolto quando una seconda figura apparve davanti ai suoi occhi; aveva un
paio d'ali dietro la schiena che sembravano colorate, ma il tramonto influiva
sul colore delle piume dello sconosciuto.
L'individuo
restò dietro a Rachel, a pochi centimetri da lei, mentre Samuel fissava la
scena, paralizzato ed incapace di reagire.
Lo sconosciuto
chiuse gli occhi ed, al suo posto, apparve Manuel.
Samuel sussultò
e la piuma gli scivolò via dalle dita, posandosi sulla sabbia delicatamente.
Manuel si
sedette accanto a Rachel e le appoggiò una mano sulla spalla.
L'angelo si
sentì invadere da un profondo senso di gelosia e di rabbia e, furioso per il
comportamento di quel Terreno, chiuse di nuovo gli occhi, tornando alle sue
sembianze invisibili.
Lasciando la
sua piuma a terra nella sabbia, si avvicinò ai due e si fermò di fronte a loro,
incrociando le braccia al petto e fissando furioso il ragazzo biondo.
Manuel alzò gli
occhi sul Terreno blu, per nulla sorpreso dalla sua presenza. Sul suo viso di
dipinse un sorriso di scherno e, mettendo un braccio intorno alla vita di
Rachel, l'avvicinò a sé, baciandola sulle labbra.
Samuel iniziò a
tremare, in preda alla furia, "Allontanati da lei!!!" urlò contro il
ragazzo biondo, il quale, distaccandosi dalla bocca sorpresa della ragazza, lo
fissò per un istante, sicuro di sé.
Il Terreno
blu strinse i pugni, cercando di controllarsi.
Sempre tenendo
il braccio intorno alla vita di Rachel, Manuel estrasse l'altra mano da dietro
la schiena, mostrando un pacchetto regalo alla ragazza.
"Per
te…" le sussurrò all'orecchio, tenendo lo sguardo fisso su Samuel.
Rachel,
titubante, lo prese tra le mani e lo scartò, impacciata.
Lo lasciò
cadere a terra, facendolo scivolare tra le sue dita tremanti, quando ne scoprì
il contenuto.
Il quaderno
dalla copertina colorata cadde sulla sabbia, restando sotto gli sguardi
sconvolti di Samuel e Rachel.
Dopo pochi
secondi, lei lo raccolse, tenendolo tra le mani e accennando un sorriso al
ragazzo biondo.
"G-grazie"
balbettò, mentre la vista del quaderno le scatenava un'ondata di
intense emozioni che faticava a controllare.
"Ti
amo." Sussurrò lui, facendola tremare.
"A-anch'io…"rispose
lei, incerta, mentre lui le prendeva il viso tra le dita e faceva scontrare le
labbra di Rachel su quelle fredde di lui.
Samuel non
credeva che bastasse così poco per ucciderlo.
Furono
sufficienti due parole, due terribili parole.
"Ti
amo." Le aveva detto lui. E lei aveva risposto ricambiando.
Lei lo amava.
Furono
sufficienti cinque insignificanti lettere per mandare il suo cuore in
frantumi.
Si allontanò
immediatamente.
Non aveva
neanche voglia di litigare con quel Terreno, non in quel momento: si sentiva
troppo debole e terribilmente a pezzi.
Inoltre non
avrebbe potuto fare niente: lei aveva scelto lui. Certo, non aveva ancora
idea di quale fosse il vero Samuel, ma valeva ancora la pena farglielo
sapere?
Vagò per le vie
della città, trasformandosi in Blue; si scontrò con varie persone che non
vedeva camminargli incontro, assorbendo le loro sconfortevoli e tristi
sensazioni; tuttavia, nessuna di quelle che sentiva, superava quello che
provava lui. Il cuore faticava a battere e, anche quando ci riusciva, gli
procurava un dolore immenso che gli mozzava il respiro.
Stava morendo.
Ucciso da due semplici parole che non hanno più importanza delle altre.
O forse si?
"Già,
forse si…per quello fanno così male." Pensò tra sé, alzando la testa verso
il cielo quando si ritrovò sotto un edificio. La casa di Rachel.
Se ne sarebbe
andato.
Sarebbe andato
via, lontano, in un'altra città, forse addirittura in un altro stato.
Abbastanza
lontano per dimenticare tutto. Forse, però, non esiste neanche un posto così
lontano.
Voleva solo
fuggire; anche se sapeva che sarebbe stato un vigliacco, lui voleva
solo scappare da tutto quel dolore.
Prima però
avrebbe lasciato la sua ultima lettera a Rachel.
Era nella sua
stanza, in sembianze di Terreno.
Tenne la
lettera tra le mani, esausto.
La aprì per
rileggerla per l'ennesima volta.
Le parole
vennero sussurrate dalle sue tremanti labbra alla stanza vuota e buia che lo
ascoltava in silenzio.
Rachel, perdonami.
Ho sbagliato. Abbiamo sbagliato.
È normale, ma non bisogna aver paura di
sbagliare.
Bisogna sbagliare.
Perciò sbaglia, sbaglia più che puoi.
Gli errori ti aiuteranno a crescere.
Sbagliare non è tanto difficile in fondo;
quello che ti costa fatica è chiedere
scusa; rimediare all'errore, allo sbaglio commesso.
Quello è difficile.
Quello è ciò che non riesco a fare.
"Perdonami"
se solo bastasse questo per chiederti
scusa, per cancellare tutti i miei sbagli e i miei errori;
mi servirebbe una gomma, tornare indietro e
cancellare dallo spartito della mia vita quella nota sbagliata, quel 'do'.
Perché suona davvero male: lui, da solo,
rovina tutta la melodia;
Ma una gomma io non ce l'ho, non posso
tornare indietro, non posso costringerti ad ignorare tutto quello che è
successo.
Forse questa lettera non avrò mai il
coraggio di dartela; quando terminerò di scriverla, probabilmente, la
cancellerò, la strapperò;
anche se, in fondo, mi dispiace non
potertela far leggere, perché, in effetti, voglio scriverci tutto.
Tutto.
Anche se non so da dove cominciare; ho così
tante cose da dirti e così poco tempo per farlo.
La radio sta trasmettendo la nostra
canzone; alzo il volume al massimo quando quel pezzo arriva;
forse, avendo solo questa melodia in testa,
le idee mi si riordineranno e saprò cosa dirti.
"Come
what may, come what may,
i will
love you until my dying day"
Eccola. Quest'ultimo verso è come il 'do'
messo male sul mio spartito.
Stona, rovina tutto il resto.
Ma questo, a differenza del mio 'do' posso
cambiarlo, questo si.
"I
will love you forever!"
Ora suona decisamente meglio, ora mi piace
davvero.
Almeno così potrò amarti per sempre, non
solo fino alla mia fine;
Almeno così potrò amarti ancora un po’.
"I
will love you forever!"
...
"Perdonami"
"Perdonami!!"
Ripetè tra le lacrime Samuel.
Richiuse la lettera
e la appoggiò sul comodino.
Poi, piegando
un'ala, si strappò una piuma, generando di nuovo una fitta di dolore.
La
appoggiò sul foglio di carta.
Non che
sperasse di rivedere ancora Rachel per rivelarle tutto, ma voleva lasciarle un
ricordo, una parte di sé.
Dispiegando le
ali blu fece per andarsene, quando una voce lo chiamò.
"Aspetta."
Samuel si
voltò, riconoscendo nella figura che stava davanti a lui la Custode dai capelli
corvini che lo aveva guidato per tutto quel tempo.
Gli occhi verdi
lo supplicavano di restare, di non andarsene.
Samuel si voltò
verso di lei, aspettando spiegazioni.
"Non te ne
devi andare, Samuel." Lo pregò lei.
"Chi
sei?" chiese lui di rimando, deciso a conoscere l'identità della
misteriosa Custode.
Lei sorrise,
confortante, "Mi chiamo Leumas. Ed ero il tuo angelo Custode." Spiegò
tranquilla lei.
"Il mio
angelo Custode?" chiese lui sorpreso, "Seguite i vostri protetti
anche dopo la morte?"
"Non
esattamente" spiegò lei, "Tra pochi secondi ti spiegherò tutto,
dobbiamo solo aspettare qualcun altro."
Samuel inarcò
un sopracciglio, restando in silenzio.
Pochi secondi
dopo, la porta della stanza si aprì.
Rachel accese
la luce e si gettò sul letto, lasciando sprofondare il viso nelle soffici
coperte.
Samuel distolse
lo sguardo da lei, il cuore ancora sanguinante.
"Leumas?"
Un incredulo
Lehcar era apparso nella stanza alle spalle della Custode dai lunghi capelli
neri.
Lei volse la
testa verso di lui e gli donò il suo solito sorriso rassicurante.
"Ora che
ci siamo tutti, posso spiegarvi." Disse, rivolgendosi ai due angeli.
"Spiegare
cosa? Non devi spiegare niente, Leumas! È solo colpa di quel ragazzino se tu
non ci sei più!" esplose Lehcar, puntando un dito accusatorio verso Samuel
che li guardava allibito.
"No,
Lehcar." Lo calmò lei, "lui non ha colpa di niente. Ma io e
te sì. Noi e il Terreno dalle ali gialle."
Al ricordo di
quell'individuo, il corpo di Lehcar si irrigidì.
"Mio amato
protetto" disse la donna, rivolgendosi dolcemente al Terreno blu. "Ti
prego di perdonarmi. Tu sei morto a causa mia." Iniziò a spiegare
tranquillamente.
"Tu, quel
giorno, hai litigato con Rachel a causa mia e di Lehcar. Noi avevamo discusso e
vi abbiamo influenzato, essendo legati a voi."
Lehcar abbassò
lo sguardo a terra, colpevole, mentre Samuel ascoltava la Custode con
attenzione.
"E perché
avevate litigato?" domandò curioso, mentre Rachel restava sdraiata sul
letto, raggomitolata su un fianco.
"Per colpa
di un Terreno." Rispose lei per poi aggiungere, "Sai cosa significano
le ali gialle, Samuel?"
"Suicidio."
Aggiunse subito, senza aspettare una risposta dal giovane.
"Devi
sapere che noi Custodi disprezziamo i Terreni per principio, difficilmente
riusciamo a superare questo sentimento, soprattutto quando il Terreno in
questione ha le ali gialle."
Samuel annuì.
"Quando
incontrai quel Terreno, all'inizio, ne ebbi compassione per la sua triste
situazione. Era morto centinaia di anni prima ed aveva iniziato a
girovagare con un altro Terreno, suo amico, divertendosi insieme a lui e
cercando di placare il dolore per la propria morte. I suicidi sono
gli unici, tra voi Terreni, che vedono la loro nuova situazione come una
condanna."
"Ma poi
che successe?" domandò Samuel, impaziente di arrivare al punto del
discorso.
"Quando mi
accorsi che lui iniziava a nutrire sentimenti nei miei confronti cercai di
allontanarlo e lo rifiutai con tutta me stessa."
"Ma
io ne ero geloso e ogni volta che quel sudicio Terreno si avvicinava a
lei, mi infastidiva terribilmente." Continuò Lehcar, "Temevo che lei
potesse innamorarsi di lui ed abbandonarmi. Alla fine mi convinsi per davvero
che lei mi stesse tradendo. Per questo abbiamo litigato." Lehcar fissò la
sua amata Custode.
Era sempre così
bella! I capelli corvini, mossi, le ricadevano lungo la schiena e il modo in
cui lei lo fissava, con i suoi occhi verde smeraldo, lo faceva impazzire.
L'amava, eccome se l'amava.
Evitò con tutto
se stesso di abbassare lo sguardo sulla sua tunica bianca, troppo
spaventato per scoprire da cosa fosse stata provocata quella ferita al
torace che le aveva macchiato le ali.
"Non
riuscimmo a chiarirci l'un l'altro. Così, un giorno, mentre tu, Samuel, eri su
degli scogli in quella spiaggia dove a te e Rachel piaceva tanto andare,"
continuò Leumas tornando al suo protetto, "Il terreno dalle ali gialle
venne per l'ennesima volta a confessarmi il suo amore; ed io ero pronta ad
allontanarlo di nuovo.
Ma quel giorno
fu diverso.
Lui era stanco
di ricevere quelle delusioni, quei rifiuti da parte mia. Aveva una spada con
sè." Si interruppe, rivolgendosi a Lehcar, "La spada di Manakel"
spiegò, lasciandolo basito.
"Impossibile!!"
disse il Custode dai capelli chiari, rifiutandosi di credere alle sue parole.
"Invece è
così, Lehcar. Non so come ce l'avesse, ma era proprio la spada di
Manakel." Ripetè lei.
"Mi volete
spiegare?" chiese Samuel, confuso.
"La spada
di Manakel è l'unica arma capace di uccidere un Custode." Spiegò
tranquilla Leumas.
"Quindi…"
esordì sconvolto Samuel, non riuscendo a finire la frase, ma lasciando comunque
intuire cosa volesse dire.
Leumas annuì
pacata: "Si, mi ha uccisa." Dette quelle parole, si portò entrambe le
mani al ventre insanguinato.
Lehcar era
sconvolto. Aveva sempre creduto che la sua Leumas fosse scomparsa per
la morte di Samuel, non il contrario. Non che fosse morta lei.
"Così, tu
sei rimasto indifeso. Pochi secondi dopo, sei scivolato dalla roccia e
sei stato inghiottito dal mare, mentre io esalavo i miei ultimi
respiri e ti guardavo scomparire, incapace di aiutarti, incapace di svolgere il
compito assegnatomi. Perdonami." Concluse, abbassando lo sguardo
tristemente ai quei ricordi.
"E com'è
possibile che io sia diventato un Terreno?" domandò incredulo Samuel.
"Lo
scoprii poco dopo la mia morte. Manakel, che aveva il compito di punire i
Custodi inetti con la sua spada," spiegò brevemente al suo protetto,
"volle che i protetti si salvassero in qualche modo, non avendo colpa per
i crimini del proprio Custode. Fu così che nacquero i Terreni dalle ali blu,
morte dovuta a causa del Custode."
"Non
conoscevo il significato di quel colore." Commentò Lehcar.
"Pochi di
noi lo conoscono a causa della sua rarità." Spiegò Leumas.
"Ho avuto
la possibilità di starti vicino anche dopo la mia morte per aiutarti e
consigliarti, Samuel. Fa parte della punizione iniziata dalla spada di Manakel:
il Custode inetto è costretto a stare accanto al proprio protetto anche dopo la
morte di questi, escludendo in questo modo il passaggio ad uno stadio
superiore. " Disse, rispondendo alla prima domanda del suo protetto.
"Questo è
tutto quello che è successo; dovevo dirlo ad entrambi. Lehcar, non è colpa di
Samuel se io sono morta, non devi odiarlo, lascialo libero di stare con Rachel,
di avere una seconda possibilità."
"Ormai è
troppo tardi." Interruppe il Terreno, portando lo sguardo
affranto su Rachel, ancora raggomitolata sul letto.
"Samuel."
Fu Lehcar a chiamarlo per nome, per la prima volta senza disprezzo.
"Rachel
non ama quel Terreno." Spiegò all'angelo dalle ali blu che lo fissò, per
un istante, stupito.
"Non fa
niente. Sono stanco di lottare. Io…io ho bisogno di una pausa da tutto
questo." Abbassò lo sguardo a terra, sconfitto.
Leumas si
avvicinò a lui e, appoggiando entrambe le mani sulle sue spalle, lo costrinse a
fissarla negli occhi.
"Abbi
fede, mio protetto. Lei ti ama davvero. Abbi solo un altro poco di coraggio. Puoi
farcela. Ce la devi fare. Lo sai, perché, se ti arrendi, non soffrirai solo tu,
ma anche lei."
Lehcar sorrise
nell'ascoltare la parole della sua amata; la sua saggezza lo aveva sempre
affascinato.
Leumas si
staccò dal suo protetto e si volse verso il Custode.
Si avvicinò a
lui, guardandolo fisso nei suoi occhi chiari, a pochi centimetri di distanza.
"Devo
andare." Disse debolmente, sfiorando con una mano la guancia del Custode,
i cui occhi si fecero umidi.
"Ti
amo." Aggiunse dolcemente, sorridendogli.
Lui, restando a
braccia conserte, l'avvolse con le sue candide e preziose ali di cui andava
fiero, stringendola a sé, come per proteggerla.
Le bianche e
curate piume di lui si macchiarono del sangue di lei, rovinando quel purissimo
colore che il Custode aveva sempre vantato.
"Ti
amo." Disse a sua volta, mentre calde lacrime gli rigavano le guance e le
ali restavano avvolte intorno a lei.
Quando, pochi
secondi dopo, le riaprì, Leumas non c'era più.
Samuel, nelle
sembianze di angelo, volava per le vie della città diretto verso casa sua, la
mente colma di dubbi e preoccupazioni.
Cosa avrebbe
dovuto fare?
Avrebbe voluto
cercare di convincere ancora Rachel, ma la presenza di quel misterioso Terreno
lo innervosiva e gli impediva di avvicinarsi alla ragazza.
E se fosse lo
stesso che aveva causato la sua morte e quella di Leumas?
Poteva essere
lui, anche se chissà quanti Terreni esistevano al mondo!
No, era
improbabile che fosse proprio lui.
"Blue!"
si bloccò a mezz'aria, guardando sotto di lui spaventato.
Qualcuno lo
aveva chiamato, gli sembrava una voce familiare, sinistra.
Sotto di lui,
la gente continuava a correre per le strade, più rara rispetto al giorno.
Uomini che rientravano stanchi dal lavoro e donne esauste che si trascinavano
per le vie.
Ma qualcuno era
fermo in mezzo al caotico movimento.
Una persona era
immobile e con la testa alzata guardava Blue, sorridendo in modo sinistro.
I capelli
biondi, inconfondibili per Blue, e gli occhi blu scuro: Manuel.
Il giovane a
terra sembrava non interessarsi alle due persone che avevano fermato il loro
cammino per lanciargli occhiate preoccupate.
Samuel lo fissò
con odio. Come faceva a conoscere il suo nome da Terreno?
"Seguimi,
ragazzino!"
Manuel abbassò
lo sguardo e si incamminò sul marciapiede, svoltando poi in un vicolo scuro.
Samuel si
decise; voleva mettere le cose a posto.
Preso un
profondo respiro, seguì Manuel dentro al vicolo, pronto ad affrontarlo e a
riprendersi Rachel.
Appena scese a
terra iniziò a guardarsi in giro, cercando di trovare nel buio il ragazzo.
Una figura si
mosse nelle tenebre. Samuel si mise in posizione di difesa, dispiegando le ali
blu.
Abbassò le
braccia, colto di sorpresa, quando dall'ombra uscì Rachel che gli corse
incontro, gettandosi tra le sue braccia.
"Blue!"
lo chiamò lei, affondando il viso nella sua maglia.
Samuel restò
paralizzato, rendendosi conto dell'identità del misterioso Terreno che tanto
odiava.
"Alex!!!"
urlò infuriato, allontanando violentemente Rachel che, perdendo l'equilibrio,
cadde a terra.
"No, mi
hai scoperto." Si finse sorpresa e triste la ragazza per la fine del suo
gioco.
Si rialzò in
piedi, tenendo le mani lungo i fianchi e restando di fronte all'angelo blu
che lo guardava con odio.
"Come hai
osato?!" urlò Samuel con collera.
In risposta, la
finta Rachel gli sorrise malignamente.
"Ho solo
cercato di aiutarti, amico! Te lo dicevo che non ti saresti dovuto innamorare
di quell'umana!!" alzò le spalle, divertito.
"Non
avresti dovuto…" riuscì a dire semplicemente Samuel, faticando a
controllare la sua rabbia.
"Andiamo, ragazzino!
Vuoi combattere contro di me? Sai di non essere alla mia altezza!" gli
consigliò la finta Rachel.
"Quindi
sei stato tu?" domandò Samuel, cercando di verificare appieno la sua
identità; del resto, Alex non aveva mai rivelato il colore delle sue ali.
"A cosa ti
riferisci?" domandò confuso lui.
"Sei tu il
Terreno dalle ali gialle che ha causato la mia morte?" riformulò Samuel,
urlando infuriato.
Rachel restò
per qualche istante in silenzio, poi iniziò a ridere, portandosi un
braccio al ventre per calmare la sua ilarità.
Samuel si
infastidì ancora di più.
"Credi
davvero che la tua Custode fosse tanto importante da farmi perdere il controllo
ed ucciderla?" chiese, asciugandosi con un dito le lacrime.
"Quindi tu
sapevi il significato delle mie ali!" constatò Samuel, sempre più
furibondo.
"Certo! E
ho conosciuto anche la tua Custode, cioè…l'ho vista più che conosciuta. Ma non
l'ho uccisa io, mi dispiace."
"Come
vuoi." Rachel alzò le spalle, acconsentendo, e, chiudendo gli occhi, si
trasformò.
Un ragazzo sui
25 anni, con i capelli castano scuro, comparve al posto della ragazza.
Gli occhi blu
scuro avevano delle sfumature dello stesso colore delle ali, che, maestose,
erano dispiegate dietro al Terreno.
Erano color
indaco.
"Visto?"
indicò le ali alle sue spalle, "Morte per malattia. Sai, forse sono
daltonico, ma a me non sembrano affatto gialle!" disse divertito,
rivolgendosi al Terreno blu che lo fissava deluso e sorpreso.
"Questo
non cambia ciò che hai fatto a me e a Rachel." disse Samuel, cercando di
riprendere il controllo della situazione.
"E allora
cosa vuoi fare?" il Terreno dalle ali indaco si fece improvvisamente
serio.
"Fartela
pagare." Sussurrò aspro Samuel che, appena pronunciate quelle parole, si scagliò
con violenza sull'angelo.
Alex lo vide
arrivare e, sorridendo con superiorità, bloccò velocemente l'attacco. Samuel si
divincolò e tentò di colpirlo nuovamente con un pugno, ma questi lo evitò
ancora con facilità. Arretrò di un passo e incrociò le braccia, senza
smettere di sorridere.
"E' tutto
qui?" lo derise Alex.
"E'
davvero forte" si ritrovò a pensare Samuel, suo malgrado.
Il Terreno
blu lo fissò, aspettando che l'altro si muovesse per primo. Aveva bisogno
di tempo per elaborare una strategia.
Probabilmente
anche Alex lo capì e decise di non concedergli nessun vantaggio. Prese la
rincorsa e, con un salto, si alzò in volo, atterrando alle spalle di Samuel. Il
ragazzo si voltò e si abbassò in tempo per evitare il pugno diretto al suo
volto, ma, così facendo, si ritrovò in una posizione di svantaggio: era
inginocchiato a terra e l'altro angelo dominava su di lui. Tentò di far cadere
il suo avversario colpendolo alle caviglie, ma Alex fu più veloce e, in un
attimo, gli fu di nuovo addosso. Samuel riuscì ad evitare un altro colpo
rotolando sulla schiena e rialzandosi.
"Adesso
basta giocare. Sono stanco." Alex lo fissò con cattiveria.
Poi colpì
Samuel ad un fianco con un pugno così veloce che il ragazzo non lo vide
nemmeno; il giovane rovinò a terra tenendosi il ventre e non si mosse
più.
Gli era bastato
un colpo: un misero pugno era stato sufficiente per metterlo ko.
Non voleva
rialzarsi. Li, sul suolo sudicio e freddo, provava quasi una sensazione di
sollievo, senza sentire le fitte al fianco.
"Ho usato
la mia forza angelica. Sono molto più esperto di te sui poteri degli angeli,
ragazzino." La voce di quell'altro Terreno gli arrivava lontana ed
ovattata. Sperò che fosse tutto un sogno. Forse, tra pochi attimi, si sarebbe
svegliato nel suo letto e avrebbe dimenticato quest'incubo.
Poi, alle 16.45
precise, sarebbe andato sulla spiaggia dove avrebbe incontrato Rachel e lì,
sarebbero rimasti insieme a parlare o ad ascoltare la musica del mare.
Ma, purtroppo,
non era affatto un sogno.
"Sai, mi
sono sempre chiesto cosa accade ad un Terreno se perde le sue ali."
Alex era ancora
lì, sentiva i suoi passi avvicinarsi sicuri e lenti.
Benchè la sua
mente avesse capito perfettamente le sue parole, Samuel non riusciva a
muoversi.
Sentì le sue
ali afferrate da qualcosa di forte e freddo che iniziò a stringerle.
Alex si mise
sopra di lui ed, appoggiando un piede sulla sua schiena, afferrò con entrambe
le mani le due ali blu ed iniziò a tirare.
Samuel iniziò
ad urlare per il dolore. Il Terreno indaco continuò con forza tanto che il
ragazzo ai suoi piedi urlò ancora più forte, senza sapere cosa aspettarsi,
pregando solo perchè tutto ciò terminasse.
All'improvviso
sentì l'osso nell'ala sinistra spezzarsi, come se si fosse staccata dal resto
del corpo, quasi non la sentiva più.
Stava perdendo,
si stava lasciando sconfiggere. Ma, ormai, era troppo tardi per fare qualcosa,
non poteva liberarsi da quella tortura.
Alex era
incredibilmente forte e Samuel era completamente alla sua mercè, non poteva
reagire.
Cosa gli sarebbe
successo, non lo sapeva.
Poi, accadde
qualcosa.
La presa sulle
sue ali si allentò.
Forse gli aveva
staccato entrambe le ali; eppure sentiva ancora delle fitte dalla parte destra,
come se, almeno quella, ce l'avesse ancora.
Aprì debolmente
gli occhi.
Accanto a lui,
c'erano due Terreni.
Alex, dalle ali
indaco, era stato scaraventato contro una parete da un altro uomo.
Samuel notò che
aveva le ali gialle. Era lui! Ne era sicuro, era stato lui ad ucciderlo!
La scoperta lo
lasciò senza fiato. O forse era il dolore? In ogni caso, non riuscì a fare
nulla.
"Finalmente
sei arrivato, vecchio mio." Alex non sembrava per niente preoccupato per
la comparsa di quel Terreno.
Per tutta
risposta lo sconosciuto si scaraventò su di lui mentre Samuel perdeva i
sensi.
-------------------------
Wella!!!
Eccovi il
penultimo capitolo!!! Scusate il ritardo ma avevo da fare con la scuola e
quindi non sono riuscita a finire il capitolo entro domenica. Ma ora eccolo
qui!! È un capitolo lunghissimo, lo so, e sono successe un mucchio di cose…
Ma ora, chi è
questo terreno dalle ali gialle che ha salvato Samuel?? Sono sicurissima che
molti di voi l'avranno già capito, comunque nel prossimo capitolo ne avrete la
conferma.
Allora che dire,
ormai siamo giunti davvero alla fine!!! ;(
Il prossimo capitolo
sarà l'ultimo…un po’ mi dispiace, mi sono affezionata a questa storia ed ora è
quasi conclusa!!! T^T
Spoiler sul
prossimo capitolo: allora che dire…naturalmente ci sarà lo scontro tra i due
terreni, al quale interverrà anche un altro personaggio (forse, devo ancora
decidere), e poi…..vedrete!! Non posso dirvi tutto, mi dispiace, dovrete
aspettare!! XD (Ancora non so quanto tempo visto che devo ancora scrivere il
capitolo…-.-'')
Quindi ringrazio
tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite (7), seguite (11) e
ricordate (12), ringrazio tantissimissimo WINGEDANGEL che continua a sostenermi
con le sue recensioni e che ancora non si è stufata di questa storia (Grazie!
;) ) e vi do appuntamento al prossimo (ed ultimo…T___T) capitolo!!!
Nala fissò il
suo interlocutore per un istante, sorpresa dalla sua improvvisa richiesta
d'aiuto. Poi il suo sguardo cadde sulle sue ali, di solito così candide e
perfette: erano così diverse ora!
"Dimmi
pure, Lehcar." Attese con calma che l'angelo dai capelli chiari
continuasse, mentre gli occhi continuavano a scrutare silenziosi le piume
macchiate di rosso.
"Bada a
Rachel durante la mia assenza. Non starò via molto." Disse lui, in tono di
pretesa.
Doveva
aspettarselo: Lehcar non era di certo il tipo di Custode che chiede le
cose; le ordina e basta.
Acconsentì con
un cenno, poi non riuscì a trattenere la sua curiosità: "Che è
successo alle tue piume?" le indicò con un dito, restando poi in attesa di
una risposta.
Il Custode
sussultò a quella domanda e strinse le due enormi ali dietro la schiena, per
nasconderle allo sguardo della ragazzina.
"Niente."
si affrettò a dire lui, chiudendo l'argomento.
Il dito della
ragazzina bionda restò sospeso in aria, per nulla convinta dalla risposta
dell'angelo.
Meglio lasciar
stare, comunque. Non sarebbe riuscita a strappargli la verità neanche se lo
avesse supplicato in ginocchio né se l'avesse costretto.
Abbassò il
dito, tenendo comunque lo sguardo sulle piume macchiate di sangue.
"Bene,
allora io vado." Disse Lehcar rompendo il silenzio che era sceso
nella stanza: Rachel stava dormendo sul letto e Nala stava seduta a gambe
incrociate ai piedi della ragazza.
Lehcar volse lo
sguardo altrove e dispiegò le ali.
"Dove
vai?" chiese sfacciata Nala.
Lui la fissò
per un istante, il solito sguardo serio e severo.
Poi, senza
rispondere, volò fuori dalla stanza di Rachel.
Nala non si
stupì nemmeno di quel lato del suo carattere.
Sbuffò
infastidita dall'atteggiamento gelido del Custode e poi si
lasciò cadere sulle soffici coperte, fissando il bianco e neutro soffitto
della camera.
Ormai si era
abituata al suo carattere scostante e freddo e, in un certo senso, quasi le
piaceva. L'angelo che le piaceva considerare suo fratello era unico e,
nonostante tutto, gli voleva molto bene.
"Chissà
dov'è finito quel Terreno dalle ali blu." Pensò ad un tratto la giovane,
tornando con la mente a quell'angelo che aveva visto in quella stessa stanza e
che le era subito stato simpatico. Non lo aveva più visto, ma l'irritazione che
aveva notato in Lehcar le aveva fatto intuire che fosse ancora nei paraggi.
Le sarebbe
piaciuto rivederlo ancora una volta.
Samuel sollevò
faticosamente le palpebre, cercando di orientarsi.
Il contatto con
il suolo freddo e sporco gli fece capire che era ancora nel vicolo e le
due figure sfocate che si scontravano e si allontanavano quasi a ritmi regolari
gli fecero intuire che la battaglia non era ancora terminata. A parte questo,
non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse stato svenuto.
Provò a rendere
più nitide le immagini che gli passavano davanti agli occhi, cercando
di tenere ogni fibra del suo corpo perfettamente immobile, per non essere
colpito di nuovo dal dolore di prima.
Aveva paura.
Dannatamente paura. Paura di sapere cosa fosse successo alle sue ali.
Gliele aveva
strappate? Oppure erano ancora attaccate alla sua schiena? Da quella
posizione gli era impossibile saperlo senza soffrire.
Anche se
restava immobile sentiva delle piccole fitte alla parte destra; ma a sinistra
non sentiva niente. Assolutamente nulla.
Avrebbe voluto
controllare, ma non se la sentiva di provare ancora dolore. Basta dolore.
In quel momento voleva solo riposare e svegliarsi da quel terribile incubo.
Le immagini
divennero più nitide ai suoi occhi e i contorni delle due figure si
delinearono.
Alex e lo
sconosciuto dalle ali gialle si fronteggiavano senza esclusione di colpi, ma,
da quello che Samuel riusciva a constatare, erano più o meno alla pari: nessuno
dei due riusciva ad atterrare completamente l'altro, si rialzavano subito
e l'esito dello scontro continuava a cambiare.
L'unica cosa
che non cambiava mai era la posizione che mantenevano.
Il misterioso
angelo giallo stava sempre tra lui ed Alex, volgendo le spalle a Samuel, come
se volesse proteggerlo dal Terreno dalle ali indaco.
Ad un tratto, i
due combattenti si fermarono, restando, ansimanti, uno di fronte all'altro,
distanziati da qualche metro, l'angelo giallo sempre nella sua posizione tra
gli altri due Terreni.
Fu allora che
Alex si accorse che Samuel era sveglio e decise di approfittarne per portare la
situazione a suo vantaggio.
Puntò un dito
verso lo sconosciuto e, con il respiro affannoso per via dello scontro, si
rivolse al Terreno a terra: "Visto, ragazzino? Ecco il tuo assassino,
quello che cercavi!"
Lo sconosciuto
sussultò a quelle accuse e sbirciò il Terreno blu di nascosto, temendo la sua
reazione.
Samuel restò
immobile, respirando a fatica. Quelle parole non gli avevano fatto alcun
effetto: l'aveva sospettato non appena il Terreno giallo era apparso. Aveva
sentito subito che era lui.
Alex sembrò
intuire i pensieri del Terreno blu, ma questo non lo fermò affatto, anzi era
proprio quello che sperava, così ne approfittò per rincarare la dose: "Non
l'hai riconosciuto, vero?"
Un sorriso
sinistro si dipinse sul volto del Terreno indaco e gli occhi blu
scuro si illuminarono di una luce: una luce sadica e cattiva. La luce
della vittoria.
"E' il tuo
amico Green." Rivelò in un soffio, tranquillo e sicuro di sé.
"Zitto!!"
lo sconosciuto cercò di fermare Alex, ma ormai era troppo tardi.
I polmoni di
Samuel smisero di lavorare e di procurare aria al loro proprietario.
Le parole di
Alex lo lasciarono per un istante confuso e spaesato.
Stava mentendo,
stava sicuramente mentendo!
Green aveva le
ali verdi e poi lui stesso gli aveva raccontato la sua triste storia,
di suo figlio, l'acqua…
Ma per quanto
si sforzasse, si rese conto di non avere prove a favore della sua tesi: Green
poteva avergli mentito, ma, soprattutto, Samuel realizzò di non averlo mai
visto trasformato in angelo.
Non aveva mai
visto le sue ali verdi, la prova che fosse morto per salvare gli altri.
Non poteva
essere, non Green, non quello che lui considerava un amico. Un po' scorbutico e
misterioso, ma di certo un amico.
"G-green…"
biascicò confuso, usando tutto il fiato che gli restava. Pronunciare anche solo
quella parola lo fece soffrire, il corpo si mosse involontariamente e gli
causò, così, una scarica di dolore che si sforzò di sopportare.
Il silenzio
dell'estraneo fu sufficiente a fondare tutti i suoi terribili dubbi.
Green lo aveva
ucciso.
Il Terreno
giallo si volse verso il suo avversario e, stringendo i pugni, si lanciò per
l'ennesima volta su di lui.
Sapeva che
prima o poi quel momento sarebbe arrivato, ma se l'era immaginato diversamente.
Avrebbe voluto prendere Blue in disparte e raccontargli tutto con calma,
cercando di fargli capire le sue ragioni, cercando il suo perdono per ciò che
aveva fatto.
Non l'avrebbe
perdonato comunque, lo sapeva: non aveva scuse per aver ucciso la sua
bella Custode dalla pelle diafana e gli occhi verdi.
Ancora rivedeva
il suo volto quando dormiva, quando chiudeva gli occhi, quando tentava, invano,
di dimenticarla.
E ogni volta le
stesse domande lo tormentavano. Cosa aveva fatto? Come aveva potuto macchiarsi
del sangue di una Custode?
Alex lo evitò
lanciandosi di lato.
Green,
aspettandosi quella mossa, lo inseguì a sua volta e caricò un altro pugno
verso di lui.
Sentì tutta la
forza angelica fluire nella sua mano, in attesa di essere scaricata su qualcuno
o qualcosa.
Quando ebbe
raggiunto il suo avversario, abbassò il colpo su di lui, tenendo i denti
stretti e le ali dispiegate.
Alex riuscì a
bloccare il colpo con una mano, salvandosi così dal potente attacco dell'amico.
Restarono
immobili a fissarsi l'un l'altro, mentre Green cercava di aumentare la potenza
del suo pugno per sfondare le difese di Alex.
"Ah,
James, sei sempre il solito impulsivo." L'avversario sorrise, chiudendo
gli occhi per un istante, divertito.
Era da tanto
che qualcuno non lo chiamava più con il suo nome vero, quello da Umano, e ciò
gli riportò alla mente quei ricordi che credeva, e sperava, di aver cancellato
e seppellito da tempo. Forse, però, non proprio alla perfezione.
"Dove
sei stato?"
l'uomo dai
capelli castani, legati in un codino dietro la testa, ignorò la domanda del
giovane biondo che lo fissava a braccia conserte, in attesa di una risposta.
"Da
Manakel." Rispose secco, dopo qualche attimo di pesante silenzio.
"Mi ha
rivelato molte cose." Aggiunse poi, sedendosi su una sedia ed appoggiando
i gomiti sul tavolo di legno, lo sguardo turbato e serio.
"Tipo?"
chiese il giovane biondo, restando in piedi con le braccia incrociate sul
petto.
"Il
significato delle ali, per esempio."
Il giovane
biondo lasciò scivolare entrambe le mani lungo i fianchi, in attesa di un
seguito.
"Sono
morto per malattia." Continuò, grave, l'uomo dai capelli castani; gli
occhi blu scuro si alzarono per un istante dal ripiano in legno, per incontrare
quelli verdi del suo interlocutore; pochi secondi dopo li fece ricadere
affranto sul tavolo, l'aria stanca ed afflitta.
"Ho
ricordato tutto: la mia vita, il mio passato." Si appoggiò una mano sulla
fronte, chiudendo gli occhi, ancora visibilmente sconvolto per ciò che aveva
scoperto.
"Mi
chiamavo Jacques Violaine. Ero un giovane parigino rivoluzionario del 1800. Ho
vissuto una vita dissoluta, passata tra donne ed alcool. Sono morto quando
avevo 27 anni. Ero malato di fegato." Riassunse la sua vita in poche,
brevi frasi.
"Che
significato hanno le mie ali?" chiese il giovane biondo, ignorando il
breve racconto dell'amico.
Jacques alzò
lo sguardo su di lui, restando in silenzio.
Poi si alzò
in piedi e, presa la sua giacca, aprì la porta della vecchia casa nella quale
vivevano.
Passò la
soglia; il giovane lo guardava in un misto di confusione e curiosità, in attesa
che rispondesse alla sua domanda.
Jacques si
fermò e, alzando lo sguardo sopra la sua spalla, fissò con le sue iridi blu
scuro quelle verdi dell'amico.
"Ti sei
suicidato." Rispose brevemente, per poi uscire e chiudersi la porta alle
spalle.
Il giovane
cadde in ginocchio: le parole dell'amico iniziarono a vorticargli in testa, lo
tormentavano. Si era suicidato.
Le immagini
della sua vita iniziarono a passargli davanti agli occhi in sequenza.
Sbattè le
palpebre quando vide se stesso buttarsi nel vuoto da un ponte.
Si guardò
intorno, in cerca dell'amico. Ma non c'era più nessuno, era solo, abbandonato,
come lo era stato durante la sua triste vita umana.
Solo ed
abbandonato a sé stesso, nel suo dolore.
"E' stato
bello uccidere quella Custode, non è vero?" Alex continuò a provocarlo,
cercando di farsi sentire anche da Blue, ancora inerme a terra.
"Zitto!!"
gli ordinò Green, ma ormai era troppo tardi: l'immagine dell'angelo dai lunghi
capelli scuri e ricci e dagli occhi smeraldo riapparve nella sua mente,
seppellita sotto pile di ricordi dolorosi che ora stavano ritornando tutti
insieme.
"Alex,
devi capirmi, ti prego." La donna lasciò la mano del giovane e lo fissò
compassionevole.
Odiava
quello sguardo. Era lo stesso che gli rivolgeva ogni essere alato che
incontrava, ogni essere al quale raccontava la sua storia.
Lei non era
diversa dagli altri, lei non era migliore, non era meno impietosita nei
suoi confronti; ma allora, perché lo faceva sentire bene? Perché voleva stare
con lei e con nessun'altro?
Era bella,
si, ma bastava la bellezza per farlo innamorare in quel modo?
"Io non
ti amo." Aggiunse lei, sfiorandosi la mano che era entrata in contatto con
quella di lui, visibilmente nervosa.
Lui restò
indifferente a quelle parole. Ormai aveva perso il conto di quanti gli avevano
risposto così. Non sarebbe stato l'ennesimo rifiuto a farlo star male.
Tuttavia,
sentì qualcosa, una piccola fitta di un sentimento oscuro, dimenticato, quasi
umano.
Era frustrazione,
sconforto; era il non esser riuscito a trovare qualcuno che gli volesse bene
davvero. E tutto per colpa di quelle stupide ali gialle!
Che colpa
aveva lui? L'unica cosa che aveva fatto era stato cedere a quel mondo così
distruttivo e lacerante com'era quello in cui viveva; si era arreso, aveva
ceduto...
Ma che colpa
ne aveva? Non tutti erano in grado di resistere, era solo più debole degli
altri.
"Peccato…"
fu l'unica parola che gli uscì dalle labbra.
Già,
peccato. Per un attimo aveva creduto che lei sarebbe stata diversa dagli altri,
sarebbe stata meno umana. Che illuso.
"Sei stato
tu, Jacques! Ricordatelo! Tu mi hai dato la spada di Manakel!" urlò a
denti stretti Green, gli occhi furiosi rivolti verso l'amico dalle ali indaco
che lo guardava con aria di superiorità.
Fino a quel
giorno, James non aveva mai capito il significato del dono di Jacques.
Si era
rifatto vivo dopo anni, quasi un secolo e gli aveva donato una spada. Talia.
L'unica arma
che poteva porre fine alla vita di un Custode.
A che gli
sarebbe servita un'arma del genere?
Piuttosto
che un dono sembrò una liberazione; come se quella lama di cristallo dal bordo
d'acciaio fosse stato un peso per il vecchio amico dalle ali indaco.
Fino a quel
giorno, non aveva mai capito il perché sembrasse un peso; quando la prese tra
le mani, estraendola dal fodero, tutto fu più chiaro. Era come se la luce
emanata dall'arma e dalla scritta su di essa gli avessero schiarito le idee e
riordinato la mente.
La spada
puniva i Custodi.
E gli occhi
folli di James, quel giorno, erano accecati da una sola immagine: una, sola e
terribile.
E nei
suoi occhi, piangenti per l'ennesimo rifiuto, quel giorno, si disegnò
all'improvviso una figura angelica, dalle iridi verde smeraldo e dalla
pelle diafana e delicata; un'immagine che fu subito trafitta da quella spada.
Gli sembrava
tutto così semplice! Quell'arma sembrava fargli dimenticare le conseguenze
del suo gesto, ripetendo la sola parola che ossessionava il suo cuore:
fallo! Fallo! FALLO!
Una parola
sempre più attraente nella sua mente.
"Mi
ami, Leumas?"
Un'ultima
possibilità. Una sola. Una domanda diretta. Sono meglio le domande dirette,
abbreviano la durata del dolore che seguirà la risposta.
"No,
Alex. Io amo solo Lehcar."
Si faceva
chiamare Alex in quel periodo. Aveva cambiato molti nomi negli anni ed, ormai,
uno valeva l'altro.
Ma lui lo
sapeva il suo nome, quello vero, quello da Umano. L'aveva ricordato il giorno
in cui Jacques gli aveva rivelato il significato delle sue ali e poi,
disgustato anche lui dal colore giallo delle sue piume, lo aveva abbandonato.
Morte per
suicidio.
Si chiamava
James e abitava nel nord dell'Inghilterra negli ultimi anni del 1800, quando
imperversava il periodo della seconda rivoluzione industriale. Lavorava in una
fabbrica dove si lavorava il ferro per creare pentole o posate. Lui doveva
ripetere un solo ed un unico gesto: infilare la lama di metallo tra due presse
che la schiacciavano, creando così la forma che avrebbe dovuto avere l'oggetto
finale.
Doveva
mantenere due figli: Andrew, di 9 anni e Hayle, di 5. Il solo riportare alla
mente i loro nomi gli provocava una stretta al cuore.
Non ce la
faceva più a sopportare quella vita di miseria e quel mondo ingrato.
Si gettò da
un ponte, una notte: nevicava e i suoi figli lo aspettavano a casa,
impazienti ed entusiasti per la vicinanza del Natale.
Un Natale
che lui sapeva bene di non poter festeggiare come si deve; non poteva
permetterselo con quello che guadagnava.
Pensò di
avere un'unica scelta. Era meglio liberarsi di tutto, di ogni preoccupazione,
di ogni problema. Essere egoisti per un attimo. Già, ma solo se si sceglie il
momento giusto per esserlo. E lui aveva scelto quello sbagliato per pensare
solo a sé stesso. Ora, avrebbe pagato le conseguenze del suo egoismo per
sempre.
Il suo ultimo
ricordo era il rumore delle sue ossa che si frantumavano come vetri spezzati;
come un bicchiere che cade a terra e si sbriciola in mille pezzi, spargendosi
sul pavimento.
Così sembrò
accadere al suo corpo: era come quel bicchiere vuoto che cade e che si sparge
sul terreno bianco e candido per la neve, macchiandolo e rovinandolo.
Strinse la
spada tra le mani tremanti e la spinse verso la Custode che non ebbe il tempo
di reagire.
Fu facile,
più di quello che credeva. Gli sembrò che la lama non avesse incontrato alcuna
resistenza nell'attraversare il fragile ventre della donna.
Gli sembrò
semplice. Come compiere per l'ennesima volta il gesto che svolgeva nella
sua fabbrica, come se gli fosse tornato alla mente dopo tutti quegli anni:
infilava la lama di metallo tra due presse. Ora, infilava la lama d'acciaio e
cristallo tra le costole della donna.
Estrasse la
lama e l'angelo cadde ai suoi piedi, senza vita.
Era stato
semplice. Forse, anche troppo semplice. Ora bisognava pensare alle conseguenze
del suo gesto. Ora bisognava pensare alla sua coscienza.
"Green!"
Blue ripetè per l'ennesima volta il nome che gli aveva voluto dare Red quando
l'aveva incontrata.
Ma non poteva
preoccuparsi del Terreno blu in quel momento. Jacques aveva la
precedenza. Le spiegazioni sarebbero arrivate dopo.
"Alex?"
aprì gli
occhi spaventato e terrorizzato. Si guardò intorno, ma la stanza era vuota e
buia.
Era solo un
incubo. Già, l'ennesimo incubo.
Come si
aspettava, i sensi di colpa erano stati puntuali e distruttivi.
Spostò le coperte
e si mise seduto sul bordo del letto, lasciando cadere il volto bagnato di
sudore tra le mani, appoggiate sulle ginocchia.
"Alex?"
alzò lo
sguardo, temendo di essere ricaduto nel suo incubo.
Ma, questa
volta, non era un sogno; c'era qualcun altro nella sua stanza, l'ultima persona
che avrebbe voluto vedere.
Era lei, la
Custode che aveva brutalmente ucciso.
Stava in
piedi di fronte a lui, le ali bianche nascoste dietro la schiena, le braccia
aperte che mostravano la tunica macchiata di sangue.
Rabbrividì a
quella vista e sentì il corpo irrigidirsi.
Scosse la
testa per scacciare quell'immagine, ma invano. Non era un incubo, lei era
davvero davanti a lui. Era tornata per punirlo, era tornata a vendicarsi.
"Avanti,
fa' ciò che devi!" si gettò a terra, in ginocchio, arreso e colpevole per
il suo gesto. Appoggiò entrambe le mani sul pavimento, abbassando la testa,
pronto per ricevere la sua punizione.
"Io non
devo fare nulla." La voce della donna era calma e tranquilla, senza odio
né vendetta.
Il Terreno
alzò lo sguardo, sorpreso e poco convinto, sulla Custode. Lei gli sorrideva,
come se non fosse successo niente, come se fossero vecchi amici.
Come poteva
essere così indifferente a ciò che era accaduto?
Lui non ci
riusciva, non poteva dimenticare tutto.
Le lacrime
glielo ricordarono, iniziando a bagnargli il volto; pianse come un bambino
davanti alla Custode e chiuse a forza gli occhi per arrestare quelle
gocce, ma fu inutile.
I singhiozzi
lo scuotevano, incontrollabili.
Vinto dalle
sue emozioni, si trascinò verso di lei e, con entrambe le mani, le
afferrò la tunica, stringendola tra le dita tremanti e bagnandola con le sue
lacrime.
"Farò
tutto ciò che vuoi, tutto!!" esclamò tra i singhiozzi.
Si sarebbe
riscattato. Avrebbe pagato per ciò che aveva fatto.
Lei si
inginocchiò su di lui e si portò al livello del suo sguardo, guardandolo
dolcemente.
"Allora,
salva il mio protetto." Gli ordinò lei.
Green spostò la
testa di lato per evitare il colpo dell'angelo dalle ali indaco.
Quello scontro
si stava prolungando troppo e presto sarebbero stati esausti entrambi.
Doveva
inventarsi qualcosa, qualsiasi cosa per sconfiggerlo! E subito...
Aveva giurato
alla Custode di aiutare il suo protetto. Lui era morto a causa sua, perché lui
aveva ucciso la sua Custode, lasciandolo indifeso.
L'aveva cercato
per tutta la città quando lo aveva visto volare sopra la gente, tra le
vie. Non aveva avuto alcun dubbio che fosse lui: era l'esatto contrario
della sua Custode, i capelli biondi, gli occhi azzurro cielo.
Lo avrebbe
aiutato, si. Così si sarebbe riscattato dai suoi peccati.
Samuel era
sconvolto.
La sua mente
era annebbiata da un solo, unico desiderio. Vendicarsi.
Era come se
Alex non ci fosse più; nei suoi occhi c'era solo quell'angelo dalle ali
gialle che gli dava le spalle. Il suo assassino. Green.
Non gli
interessava se era in fin di vita, se aveva le ali spezzate, se anche solo
alzarsi in piedi l'avrebbe fatto soffrire, ma gliel'avrebbe fatta pagare!
Appoggiò le
mani a terra e, cercando di racimolare tutte le sue forze, si alzò.
Strinse i denti
quando le fitte di dolore arrivarono prontamente.
Riuscì a
mettersi in piedi, mentre i due angeli continuavano a combattere tra di loro,
senza accorgersi di nulla.
Trattenne a
stento un lamento di dolore, quando sentì le ali pesanti che toccavano a terra.
Le sbirciò per
controllare che entrambe fossero ancora lì.
Per fortuna, le
aveva ancora tutte e due. Erano piene di sangue e non riusciva più a muovere la
sinistra.
Zoppicò verso i
due angeli, tenendo lo sguardo furioso e vendicativo su quello dalle ali
gialle.
Gliel'avrebbe
fatta pagare.
Alex era
esausto. Era più esperto nell'usare i poteri angelici, senza dubbio, ma il suo
vecchio amico si stava dimostrando più forte del previsto. Se solo avesse avuto
con sé la spada di Manakel... li avrebbe già uccisi entrambi senza troppa
fatica...
Evitò un calcio
di Green diretto al suo viso saltando all'indietro.
Restarono
immobili a studiarsi l'un l'altro, silenziosi e tesi.
Erano
passati almeno 100 anni da quando se n'era andato da quella casa, lasciando il
suo vecchio amico ad assorbire la notizia della sua morte.
100 anni.
Talia era a
dir poco un'arma straordinaria e poteva usarla a suo piacere.
Ma, col
tempo, iniziò a capire il peso che aveva provato Manakel e che l'aveva
costretto a cederla.
Era una
sensazione, un peso interiore, che cresceva ogni giorno dentro Jacques e lo
appesantiva.
Proprio
quando aveva deciso di liberarsene gettandola in un fiume, lo rivide.
Era lui, il
suo vecchio amico.
In piedi su
una ringhiera dall'altra parte del fiume, fissava le acque impetuose sotto di
lui, lo sguardo perso nel vuoto.
Poi, allargò
le braccia e si lasciò cadere in avanti. Cadde nel vuoto, le ali gialle
dispiegate.
Restò in
silenzio a cercare di capire le intenzioni dell'amico.
Poi capì:
stava provando a suicidarsi, un'altra volta.
Il Terreno
giallo scomparì nell'acqua che lo ingoiò dentro di sé.
Inutile.
Pochi secondi e la sua testa fuoriuscì e, muovendo le braccia, si portò sulla
riva, dalla parte di Jacques.
Non poteva
morire in quel modo. L'acqua non poteva fare niente ai suoi polmoni.
Quando uscì
completamente, alzò lo sguardo e sussultò nel riconoscere Jacques.
E l'angelo
dalle ali indaco capì cosa avrebbe dovuto fare. Perché gettare un'arma
così unica e particolare quando avrebbe potuto prestarla a qualcuno?
"Cosa
vuoi in cambio?" era diffidente, come al solito.
"Niente!"
rispose lui, tranquillo.
Voleva solo
liberarsi di quel peso, nient'altro.
James,
titubante, prese la spada avvolta nel fodero, ancora dubbioso sulle intenzioni
dell'amico.
"Ti
aiuterà, fidati." Aggiunse Jacques per essere più convincente.
Samuel aveva la
vista annebbiata e i sensi stavano per abbandonarlo; si stava avvicinando
all'ignaro Green che ancora gli dava le spalle.
Era colpa sua.
Era tutta colpa sua.
Era colpa sua se
i suoi genitori e sua sorella soffrivano.
Era colpa sua
se aveva perduto per sempre Rachel.
Era colpa sua
se era morto ed ora non poteva più vivere una vita normale.
Era colpa sua.
Era tutta colpa sua.
Quando fu a
pochi metri da lui si fermò, riprendendo fiato.
"Bastardo!"
urlò, stringendo a forza i denti mentre si lanciava contro di lui.
Green si
accorse in tempo dell'attacco di Blue e riuscì ad evitarlo, spostandosi di
lato; Blue scivolò, perse l'equilibrio e cadde in avanti, ai suoi piedi.
Il Terreno
verde restò paralizzato a fissare il giovane, i sensi di colpa che
iniziavano a tormentarlo: lo aveva ucciso, era colpa sua.
Si chinò verso
di lui, per aiutarlo. Le sue mani tremavano e le gambe erano deboli; sfiorò con
una mano le ali insanguinate del giovane.
A quel contatto
Blue si irrigidì e, raccogliendo tutte le sue energie, riuscì a colpirlo con un
piede alle caviglie, facendolo cadere a terra.
Green appoggiò
prontamente le mani per attutire la caduta e si mise in ginocchio, gli
occhi tristi ed addolorati sempre fissi sul giovane che, ansimando, ricambiava
lo sguardo con odio.
"Come hai
potuto?" sussultò a quella breve domanda del giovane, sputata fuori dalle
labbra con dolore e rabbia.
Non vi lesse
solo vendetta, ma anche frustrazione e delusione.
Lo aveva
tradito, gli aveva mentito, si era finto suo amico, mentre non era altro che il
suo assassino.
Avrebbe dovuto
mostrarsi subito con le ali gialle, raccontargli tutto fin dall'inizio e
chiedere immediatamente il suo perdono.
Sarebbe stato
diverso, forse.
Decise di
non mostrare più le sue ali a nessuno. Sarebbe rimasto sempre in sembianze
umane, mai più avrebbe fatto vedere a qualcuno quelle piume gialle.
Era immerso
in questi pensieri, mentre camminava tranquillo per le vie della città, quando
un lamento attirò la sua attenzione.
Camminò incuriosito
verso il punto da dove provenivano i lamenti e le richieste d'aiuto soffocate.
Si ritrovò davanti ad un vicolo e sgranò gli occhi per la sorpresa.
Una
ragazzina, un angelo, era a terra, tremante, e invocava aiuto con la voce
spezzata, ricoperta di sangue.
Si chinò su
di lei e prese in mano le piume rosse, cercando di capire se fosse un Custode o
un Terreno.
Le ali erano
sicuramente sporche di sangue, ma il rosso sembrava essere anche il loro colore
naturale.
Doveva
trattarsi di un Terreno. Se non ricordava male, il rosso era il colore
dell'omicidio.
Cercò di
capire da dove venisse il sangue e scoprì che era stato causato proprio da
quelle ali che, uscite con violenza dalla schiena, le avevano strappato la
pelle.
Ma non erano
affari suoi. Si alzò per andarsene, nascondendo la mano sporca di sangue in una
tasca.
Qualcosa gli
afferrò la stoffa dei pantaloni, trattenendolo. Quando abbassò lo sguardo, vide
la ragazzina aggrappata a lui con forza: ansimava per il dolore e invocava
aiuto.
Già. Aiuto.
In quel
mondo, pochi conoscevano il significato di quella parola.
Il ricordo
dei suoi figli si fece largo nella sua mente, all'improvviso.
Erano più
giovani di lei, ma, in qualche modo, l'immagine di lei aggrappata a lui
glieli ricordò.
Il suo
istinto paterno, da tempo sopito, lo fece chinare su di lei; le accarezzò
dolcemente i capelli, cercando di tranquillizzarla.
"Sei
salva." Le parole gli uscirono dalle labbra da sole.
La ragazzina
si tranquillizzò e i respiri si fecero più regolari e meno agitati.
La prese
delicatamente tra le braccia e lei si aggrappò con una mano alla sua maglia,
chiudendo gli occhi ed appoggiando la testa sul suo petto, esausta e sconvolta.
Quella fu
l'ultima volta in cui si trasformò in Terreno, lasciando comparire
quelle ali gialle che odiava tanto.
Volò con la
ragazzina svenuta stretta tra le braccia, mentre il vento gli colpiva il viso e
lo obbligava a socchiudere gli occhi.
Stranamente,
gli piacque quel suo ultimo volo. Ma fu l'ultima volta.
"Blue, ti
prego, calmati. Dopo ti spiegherò tutto!" non poteva preoccuparsi di lui
ora, doveva prima occuparsi di Alex.
"No!"
urlò con forza il Terreno blu a terra, mentre le lacrime scendevano
copiose lungo le sue guance, scivolando e frantumandosi sul suolo freddo.
"E' tutta
colpa tua!" i singhiozzi lo scossero, mentre stringeva i pugni per cercare
di controllarsi.
Green abbassò
lo sguardo a terra, sconfitto.
Era vero. Era
tutta colpa sua.
All'improvviso
alzò lo sguardo, attratto e spaventato da qualcosa e, afferrato il Terreno blu
con entrambe la mani, lo spostò di peso.
Il calcio di
Alex arrivò puntuale, dritto nel suo stomaco.
Si accasciò a
terra, le fitte che percorrevano tutto il suo ventre. Alex aveva messo
tutte le sue energie in quel colpo e Green sentiva che qualche costola si
era rotta al contatto col piede dell'avversario.
"Non ti
preoccupare. Quando avrò finito con te, sistemerò anche quel
patetico ragazzino." La voce divertita dell'angelo dalle ali indaco
lo colpì come una scarica, facendolo rabbrividire.
"Salva
il mio protetto!"
L'immagine
della bellissima Custode riapparve nella sua mente.
Non poteva
permetterlo.
Tenendosi il
ventre con una mano, si alzò in piedi, pronto a continuare il combattimento.
"Ormai è
finita" questa volta Alex era serio, le braccia lungo i fianchi e le mani
chiuse a pugno.
Si lanciò
velocemente contro Green e lo colpì con un pugno sul volto, rompendogli il
naso che cominciò a sanguinare all'istante.
Poi con un
altro calcio al ventre lo fece sbattere contro una parete.
Il Terreno
giallo cadde a terra senza forze, il viso che pulsava dolorosamente e il
respiro mozzato dal dolore alle costole.
Stava perdendo.
Piegò la testa
e i suoi occhi incontrarono la figura di Blue, ancora a terra, immobile.
Vide Alex
avvicinarsi al giovane e guardarlo divertito.
Non poteva fare
più nulla. Aveva fallito anche questa volta. Non era riuscito a riscattarsi.
"Perdonami,
Leumas" pensò tra sé, chiudendo a forza gli occhi per non assistere alla
scena, le lacrime che iniziavano a scendere copiose sul suo volto insanguinato.
E, ancora una
volta, la voce della Custode rimbombò nella sua testa, ripetendo sempre quella
frase, quella richiesta.
"Salva
il mio protetto!"
Ma, ormai, era
troppo tardi.
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Scusate tutti per
l'enorme ritardo!!!!!!!!!! ^^'''
Cmq rieccomi qui
con il nuovo capitolo, il penultimo e non l'ultimo come avevo detto in
precedenza…infatti la verità è che mi è venuto lungo e quindi alla fine ho
diviso l'ultimo in due parti…eccovi la prima!! Come vi è sembrata??? Bella???
^^
Invece per la
seconda dovrete aspettare ancora un po’…:)
Ne approfitto per
augurare a tutti voi un felice Natale ed anticipo gli auguri per uno splendido
anno nuovo!!! (anche perché in questo periodo sono stra incasinata quindi mi sa
che il prossimo ed ultimo capitolo non arriverà presto…)
Ecco, ed ora
passiamo ai ringraziamenti!!!! ^^
-Preferite: 7
-Seguite: 11
-Ricordate: 12
e
grazie-grazie-grazie-grazie-grazie-grazie e ancora grazie a Liyen e Wingedeangel
per le vostre uniche, stupende, magnifiche recensioni!!!!!!!!!! Mi fate troppo
felice, grazieeeeee!!!!!!!!! >.< !!!!!!! ^^
"Rachel?"
una donna sulla quarantina, con i capelli raccolti dietro la testa da un mollettone, aprì la porta della stanza di Rachel e la cercò con lo sguardo.
La ragazza, seduta alla scrivania e con un foglio tra le mani, si volse verso la donna che ora stava di fronte a lei.
"Che c'è, mamma?"
"Qualcuno al citofono vuole parlare con te. È un ragazzo." Rispose la donna, scrutando nel frattempo la figlia per cogliere ogni sua singola reazione e per conoscere, così, l'identità dello sconosciuto che voleva parlare con lei.
Rachel, senza proferire parola, si alzò in piedi, lasciando il foglio che stava leggendo sulla scrivania e tenendo in una mano qualcosa di colorato; camminò tranquilla verso il citofono, per non far arrivare alla madre nessun segnale preoccupante, anche se la curiosità la stava divorando.
Prese la cornetta con la mano libera e se la portò all'orecchio, restando per un istante in silenzio, quasi trattenendo il fiato.
"Si? Sono Rachel." Prese il coraggio di dire dopo un attimo di silenzio.
"Samuel ha bisogno di te." La voce che le giunse all'orecchio era fredda e familiare per la ragazza, ma in quel momento, la sua testa non vi dedicava molta attenzione, troppo impegnata a decifrare il messaggio dello sconosciuto.
Samuel aveva bisogno di lei.
Samuel.
"Arrivo!" esclamò subito.
Abbassò la cornetta, rimettendola al suo posto.
"Mamma, io esco!" si affrettò a dire la ragazza.
La donna non fece in tempo a dire niente che Rachel si era già fiondata giù per le scale, scendendone due o tre alla volta, con fretta, ansia e con il cuore che batteva forte, stretta in mano una strana piuma blu.
"Lo sai che dovresti morire per quello che hai fatto, vero?"
Green sollevò faticosamente le palpebre ed alzò lo sguardo per identificare la voce minacciosa che lo aveva riportato alla realtà.
Non sembrava appartenere a Jacques, questa era profonda, grave e fredda, minacciosa nei suoi confronti.
Davanti ai suoi occhi si disegnò solo una figura sfocata, troppo difficile da schiarire.
Per quanto tempo era rimasto svenuto?
Provò a guardarsi intorno con lo sguardo, la testa sollevata di poco da terra solo per permettere i minimi movimenti, il naso che ancora gli pulsava.
Sospirò sollevato quando notò la figura di Blue ancora a terra, inerme, ma ancora tutto intero.
Pochi metri più in là, una seconda figura giaceva a terra. Il volto era sfigurato e dalla schiena gli uscivano solo due ossa spezzate e senza piume, che ora giacevano nella pozza di sangue che avvolgeva il corpo di Jacques.
Green tornò alla figura sfocata che imponeva su di lui e riappoggiò la testa a terra, provando sollievo al contatto col terreno gelido.
"Lo so. Dovrei morire." Rispose alla figura, che rimase impassibile alle parole del Terreno.
"Eppure, in qualche modo e per qualche strano motivo, lei mi ha salvato." Continuò, l'aria che gli arrivava a fatica e lo costringeva a respirare con la bocca.
Leumas lo aveva salvato, lo aveva perdonato.
"Lo ha fatto solo perché tu proteggessi il suo protetto." La voce dura e fredda rimbombò nelle orecchie del terreno.
Intuì che il suo interlocutore cercava un motivo per farlo fuori, un motivo per punirlo. Pensandoci, era quello che aveva sempre voluto, no? Abbandonare quel mondo che non lo voleva neanche con le sembianze angeliche.
Eppure, quando aveva conosciuto Red, e poi lui, Blue…loro lo avevano accettato!
"Non credo." Rispose alla voce, "credo volesse insegnarmi qualcosa."
Alzò la testa e fissò la figura sfocata davanti a lui, sforzando la vista per schiarirla, "lei voleva che io imparassi a vivere; voleva che fossi accettato in questo mondo che non mi ha mai voluto. Per questo mi ha salvato." Disse con convinzione, rendendosi conto solo in quel momento a sua volta di quello che aveva fatto Leumas per lui. Gli aveva insegnato a far parte di quel mondo che non lo aveva mai voluto.
Lo sguardo gli cadde a terra, come se non avesse abbastanza forza per sostenere la testa. Appoggiò la fronte a terra e chiuse gli occhi, stringendo i pugni.
"Ma questo mondo ti ha accettato solo quando tu non eri più te stesso. Solo quando tu hai nascosto quella parte di te che ti rendeva diverso, sbagliato, lontano dagli altri, perfino dai tuoi simili."
Il Terreno alzò la testa quando sentì qualcosa che toccava le sue ali.
La figura sfocata, che ora sembrava quasi diventare più nitida, era china su di lui, e toccate le sue piume gialle, le guardava serio.
In effetti, aveva ragione. Red e Blue lo avevano accettato solo perché credevano avesse le ali verdi, solo perché erano certi che si fosse sacrificato per qualcun altro.
Tuttavia, lo stesso Blue, appena scoperta la sua vera identità lo aveva rifiutato e lo aveva attaccato.
Possibile che quel mondo non lo avesse ancora accettato??
Cercò di controllare le sue emozioni e di apparire calmo allo sconosciuto: "Hai ragione. Sono stato accettato solo perché ho rinnegato me stesso. Ho sbagliato. Ho sprecato l'opportunità che Leumas mi ha concesso."
"In conclusione, sei solo un assassino." Pronunciate quelle parole, la figura si alzò in piedi, tenendo le mani lungo i fianchi.
Green lo guardò infastidito dalla sua accusa: "A quello che vedo, anche tu non sei da meno!" ribattè a sua volta.
L'individuo si portò entrambe davanti al volto le proprie mani, insanguinate.
"Parli di questo? Sono stato costretto ad uccidere il tuo amico. Io ho salvato il protetto di Leumas, non tu." Riportò le mani lungo i fianchi, per poi dare le spalle al Terreno.
"Sarai macchiato per sempre, Custode. Il sangue che hai sulle mani non ti andrà mai via!" gli ricordò Green, cercando di fermarlo, di fargli capire le sue ragioni.
"Lo so molto bene." Rispose il Custode, senza voltarsi e camminando verso Samuel, "ma ricorda, terreno: anche tu dovrai vivere per sempre con il tuo peccato. Non ti basta salvare il protetto della tua vittima per cancellare tutto, per non avere più sensi di colpa. Ciò che hai fatto ti inseguirà per sempre, qualunque cosa tu faccia per rimediare al tuo sbaglio, lui sarà lì a ricordartelo."
Fece passare un braccio di Samuel intorno al suo collo e lo sollevò da terra, cingendolo con un braccio su un fianco.
"Se credi davvero che Leumas ti abbia dato una possibilità per adattarti a questo mondo," riprese, sempre volgendo le spalle a Green, "Io te ne do una seconda. La prima volta hai fallito, ti sei fatto accettare per quello che non sei. Ora, obbliga il mondo ad accettarti per quello che sei."
Green raccolse tutte le energie e si tirò su con le braccia, e piano, con fatica, riuscì a mettersi in piedi.
Si appoggiò ad una parete, le gambe deboli e tremanti, le ali pesanti, il naso che pulsava e le costole che sembravano soffocarlo; tenendosi un braccio su quest'ultime, alzò la testa sul Custode.
"Prima ho ancora qualcosa da fare." Spiegò al Custode.
"E allora fallo." Ordinò lui al Terreno.
Il Custode dispiegò le sue grandi ali bianche, macchiate di rosso in alcuni punti, "Ti aspetterò." Aggiunse, prima di volar via con Samuel.
Green restò per qualche istante a fissare il cielo, sempre appoggiato alla parete che lo sosteneva; poi, chiusi gli occhi, prese un profondo respiro e fu avvolto da una luce bianca.
Un attimo dopo era in sembianze umane, quelle del Green di sempre, biondo, con gli occhi verdi ora con qualche scaglietta di giallo e con il carattere scorbutico e scostante.
Le sue sembianze da umano nascondevano il sangue sul volto e il naso rotto, anche se il dolore lo sentiva comunque.
Uscì dal vicolo tenendo un braccio sul ventre, l'altro ancora appoggiato alla parete.
Alzò un'ultima volta lo sguardo al cielo e sorrise riconoscente al custode che era appena volato via e che gli aveva dato una seconda possibilità, "Grazie, Lehcar." Sussurrò piano, per poi staccarsi dal muro ed incamminarsi tranquillo per le vie.
Rachel cercò di frenare il passo per non allontanarsi troppo del suo accompagnatore. Si fermò e si volse a guardarlo, una mano nella tasca della giacca stretta intorno a quella bizzarra piuma blu che aveva trovato sul comodino.
Tornò indietro quando vide l'uomo biondo appoggiarsi ad una parete e stringendo un braccio sul ventre respirava a fatica.
"Tutto bene?" chiese preoccupata, avvicinandosi a lui.
Green abbassò lo sguardo su di lei e stringendo i denti si staccò dalla parete e riprese a camminare lentamente, sforzandosi di sopportare il dolore alle costole e al naso che gli mozzava il respiro ad ogni passo.
Rachel camminò al suo fianco, infastidita dal comportamento scostante dell'uomo biondo. Del resto, non poteva farci niente. Doveva avere solo pazienza: presto avrebbe rivisto Samuel.
Restarono in silenzio per tutto il cammino, uno di fianco all'altro, come se fossero due estranei che casualmente si trovano a compiere la stessa strada.
Green sbirciò per un istante la ragazza che ora lo ignorava volutamente e continuava a tenere lo sguardo fisso davanti a sé.
Gli sembrava fosse passato così poco tempo da quando la gelosia che lo aveva dilaniato nei confronti del suo angelo custode lo avesse portato a quel gesto estremo. Eppure Lehcar lo aveva perdonato, come già aveva fatto Leumas.
Aveva una seconda possibilità, forse l'ultima e non poteva permettersi di sprecarla.
Finalmente arrivarono all'appartamento nel quale Green si era stabilito da un po’ di tempo con Red e Blue.
Estrasse la chiave da un tasca della giacca e tenendo sempre un braccio sulle costole per cercare di placare, anche se invano, le fitte di dolore, la infilò nella toppa facendo girare la serratura ed aprendo la porta.
Ciò che apparve agli occhi di Rachel era lo stesso appartamento che ricordava dalla sua ultima visita, freddo ed impersonale.
Anzi, se era possibile, le sembrava quasi più vuoto!
Avanzò di qualche passo, il cuore che accelerava ad ogni secondo, l'aria che si faceva via, via sempre più rara nei suoi polmoni.
Si fermò, voltandosi verso il giovane biondo che, con sempre un braccio appoggiato sulle costole, chiudeva la porta d'ingresso e rimetteva le chiavi in una tasca dei pantaloni.
"Cosa aspetti?"
Green gettò uno sguardo colmo di neutralità alla ragazza scura, la quale rispose abbassando lo sguardo a terra e chiudendo i pugni lungo i fianchi.
Già, che stava aspettando? Se lo chiedeva anche lei, dal momento in cui i suoi piedi si erano paralizzati nel punto dov'era adesso.
Le tornò alla mente le parole della lettera che aveva trovato sulla sua scrivania.
"Perdonami!" diceva, anzi supplicava. E poi, quella strana piuma blu che aveva trovato accanto alla lettera. La sentiva nella tasca della sua giacca, come un peso, un richiamo che le urlava delle parole, ma che la sua testa non riusciva a cogliere ed interpretare.
Era stato in quel momento che qualcosa, dentro di lei, le aveva sussurrato un piccolo pensiero ed un recente ricordo: Blue che le diceva di essere Samuel, il vero Samuel. Non gli aveva creduto, l'aveva considerato un folle, un bugiardo, ma per qualche motivo a lei sconosciuto, nel momento in cui aveva afferrato la piuma tra le mani le era arrivata l'immagine di Blue che cercava di convincerla e la possibilità di una verità di quelle parole le si era intrufolato nella testa, o meglio, nel cuore.
La conferma gliela aveva dato quel giovane biondo e scorbutico che era venuto a cercarla a casa sua e le aveva detto semplicemente: "Samuel ha bisogno di te!".
Era come se non avesse aspettato altro: in quel momento ne fu certa: Samuel era vivo, lo era sempre stato, non se n'era mai andato, l'aveva sempre avuto vicino, solo sotto altre sembianze, che ad un primo sguardo ti posso tradire, ti posso ingannare.
"E' di sopra" continuò il giovane biondo, restando a fissarla.
Rachel lo guardò per un istante negli occhi, come se là dentro potesse trovarvi tutte le risposte che cercava: era veramente Samuel o si stava sbagliando? E in che senso 'aveva bisogno di lei'? Era ferito, forse? È stato male dopo il suo rifiuto o ha preso qualche strana malattia angelica?
Ma tutto ciò che lesse in quei occhi verdi e dorati era un 'mi dispiace'.
Ma per cosa? Si domandò di nuovo.
Scosse la testa, stufa di tutte quelle domande astratte e senza senso che si stava facendo; quello non era davvero il momento per avere dei dubbi.
Finalmente riuscì a staccare i piedi da quel pavimento pallido e freddo come il resto della casa e con le gambe tremanti e i pugni chiusi andò da Samuel. Il suo Samuel. Il vero Samuel.
Se non fosse stato per un leggero fastidio stava anche bene.
Quando aprì gli occhi si ritrovò immerso nel bianco, come quando si era svegliato per la prima volta.
Si guardò intorno ma non c'era niente se non quel colore innaturale.
Provò a pensare a ciò che era successo ma non lo ricordava. O, forse, non lo voleva ricordare?
Basta soffrire, non ce la faceva più. Ora, voleva solo restare immerso in quel colore che lo scaldava con la sua freddezza e lo proteggeva da tutte le sofferenze che aveva conosciuto negli ultimi tempi.
Distese le ali dietro la sua schiena, allungando le piume nel vuoto e fissandole con la coda dell'occhio, sorridendo orgoglioso per la loro bellezza: il blu delle piume riluceva rendendole splendide e maestose.
"Cosa fai?" una voce risuonò nel nulla.
La conosceva fin troppo bene, ormai: era la stessa che l'aveva portato da Rachel e che lo aveva guidato per tutti quei mesi.
La figura di Leumas apparve dal bianco e quando distese le sue ali, una luce dorata colorò quel colore freddo.
Samuel non rispose, restando a fissare il suo angelo custode in silenzio.
Leumas si avvicinò a lui lentamente e quando si ritrovò a poco più di un metro dal giovane gli sorrise calorosamente e continuò a parlare con voce calma e gentile: "Questo non è il tuo posto e lo sai bene, Samuel. Hai avuto una seconda possibilità e non è giusto che tu la sprechi in questo modo. Sai che lei ha ancora bisogno di te."
A quelle parole Samuel sussultò, qualche frammento degli ultimi ricordi che gli tornò alla memoria: il ritardo di Rachel all'appuntamento, il suo tradimento, la sua mancanza di fiducia nelle sue parole.
Una fitta lo colpì al petto e lo costrinse ad appoggiarvi sopra una mano.
"Non capisco," si rivolse poi all'angelo con un sussurro, "perché ha bisogno di me?"
Leumas restò in silenzio, tenendo i suoi occhi chiari su di lui.
Samuel continuò, il dolore che diventava poco a poco più sopportabile e si stava attenuando: "Non ha più bisogno di me. Mi ha dimenticato."
"Ne sei sicuro?"
Samuel alzò gli occhi sulla sua interlocutrice che ora lo guardava sorridendo.
Pochi attimi e il bianco e l'oro che coloravano lo spazio intorno a lui scomparvero, sostituiti da un nero assoluto e terrificante.
L'angelo sbatté istintivamente le palpebre, disorientato da quell'improvviso cambiamento di colore.
"Leumas! Leumas!" chiamò disperato e sentendosi improvvisamente solo.
Che stava succedendo? E perché Leumas non rispondeva?
Sentendosi sconfitto e solo si rannicchiò su se stesso, cercando un minimo di conforto nel calore delle sue ali.
Proprio quando stava arrendendosi a quel buio e a quella solitudine una voce sembrò ridargli quel minimo di fiducia che lo stava via, via abbandonando.
"Samuel. Svegliati!" un ordine che riempì lo spazio scuro che lo circondava.
Tuttavia, la voce non sembrava appartenere al suo angelo custode ma era più grave e severa, ma comunque familiare.
Chi era? Chi lo chiamava?
Samuel sbatté di nuovo le palpebre, cercando di mettere a fuoco le immagini che andavano piano, piano sostituendo quel colore tetro.
Quando, finalmente, il terreno dalle ali blu aprì faticosamente la palpebre, Lehcar si tranquillizzò, tirando un sospiro di sollievo.
Ce l'aveva fatta. Era riuscito a salvarlo.
Un piccolo sorriso invisibile si disegnò sul suo volto, mentre, dando le spalle al giovane, prendeva una sedia dalla scrivania e si sedeva con tranquillità, tenendo gli occhi chiari sulla figura di Samuel.
Le lenzuola e le ali blu erano ricoperte dal sangue delle sue ferite.
Il giovane provò a muoverle ma tutto quello che provocò furono delle scariche di dolore che lo obbligarono a restare sdraiato sul suo letto, respirando affannosamente.
"Ti riprenderai." Lo rassicurò il Custode fissandolo ora con la sua solita aria seria e severa, il sorriso di sollievo ormai solo un ricordo sul suo volto.
"Lehcar…" lo chiamò il giovane terreno, mentre le fitte non gli lasciavano un attimo di respiro, "dov'è Rachel?"
Il custode si alzò dalla sedia e restò in piedi a braccia conserte a fissare Samuel con severità.
"L'ho lasciata per venire da te." Rispose grave, "tuttavia, sento la sua presenza. Sarà qui a breve."
Pronunziate quelle parole, distese le braccia lungo i fianchi e si avvicinò alla porta della stanza.
"Non mi vedrà"
Il custode si voltò verso il giovane che, con lo sguardo puntato sul soffitto, sembrava parlare ad un interlocutore invisibile.
"Voglio che mi veda. Voglio tornare nelle mie sembianze da Umano." Volse lo sguardo sul Custode, il quale lo guardava in un misto di confusione e gelosia.
"Non puoi in quelle condizioni. Prima devi recuperare un po’ di forze e non puoi trasformarti in umano. È impossibile", continuò poi a camminare verso l'uscita della stanza.
"Voglio che mi veda. Voglio che mi veda!" Samuel continuava a ripetere quella frase, mentre calde lacrime iniziarono a rigargli le guance.
Lehcar si fermò un istante, "mi dispiace", sussurrò debolmente, mentre usciva dalla camera.
"È lì dentro"
Green indicò debolmente l'uscio bianco di una stanza, restando appoggiato ad un muro.
Rachel si avvicinò con timore verso quella porta che era identica a tutte le altre e fredda come il resto dell'appartamento.
Prese un profondo respiro, lasciò libera la piuma blu nella tasca e appoggiata la mano sulla maniglia, aprì la porta.
Green si lasciò scivolare sulla parete finchè non fu seduto, una mano stretta sulle costole. Non ce la faceva più. Aveva perso ogni briciolo di energia.
Se fosse rimasto nelle sue sembianze angeliche forse, a quest'ora, si sarebbe già ripreso un po’ dalle sue ferite, ma così, in quello stato…
Era stanco. In quel momento voleva solo dormire.
Si, ecco cosa avrebbe fatto, avrebbe dormito e poi, una volta sveglio, avrebbe cercato un modo per riprendersi.
Nella parete di fronte alla quale stava appoggiato, c'era appeso un quadro. Una foto che la piccola Red aveva voluto a tutti i costi. Un foto di famiglia, diceva lei.
Erano seduti sul divano del soggiorno, lui con la faccia tesa in una smorfia contrariata, mentre lei, invece, sorrideva all'obbiettivo, aggrappandosi al suo braccio.
Lei ne avrebbe voluta fare una anche con Blue.
Chissà, forse un giorno, quando tutto sarà finito, quando mi sarò ripreso, la faremo. E si promise che avrebbe sorriso in quella nuova foto.
"Bene…" disse a sé stesso, mentre abbassava esausto le palpebre e cadeva in un sonno profondo e buio, mentre si immaginava il giorno in cui tutti e tre si sarebbero messi in posa per quella foto, una foto che non avrebbero mai fatto.
Rachel accese la luce della stanza e rimase immobile al centro.
Era vuota. Non c'era nessuno.
Guardò il letto: era sfatto ma non vi giaceva nessuno; e nemmeno sulla sedia della scrivania.
Assolutamente niente.
"Che significa?" pensò tra sé spaesata e confusa.
Che quell'individuo le avesse solo fatto uno scherzo?
Non sapendo più cosa fare, restò in piedi a fissare quella stanza vuota, sentendosi sola e persa. Non aveva più speranze, ormai. Non l'avrebbe ritrovato più. Si era illusa ancora una volta.
Portò una mano nella tasca della giacca e estrasse la piuma blu con cautela.
La fece appoggiare sopra i palmi delle sue mani e la fissò tristemente.
"Dimmelo tu. Dimmi tu cosa devo fare" le chiese con voce fioca, sperando stupidamente che almeno quel piccolo oggetto misterioso le desse una risposta a tutti i suoi dubbi.
E, come per magia, la piccola piuma sembrò rispondere alla sua richiesta: si mosse leggermente tra le sue mani, come spina da un vento invisibile.
Un secondo dopo, Rachel alzò lo sguardo sul letto sfatto davanti a lei.
Non era più vuoto.
Da quando era entrata nella stanza l’aveva chiamata, la voce rotta dalla disperazione.
Non lo sentiva. Era tutto inutile. Era fiato sprecato.
Cercò di alzarsi dal letto me, come prevedibile, le ali bloccavano ogni suo movimento; la sinistra, in particolare, sembrava lacerargli la schiena.
Tese la mano destra verso la ragazza, cercando di raggiungerla, continuando a chiamarla con insistenza.
Lei se ne stava in mezzo alla stanza in silenzio, immobile.
Mise una mano nella tasca della giacca e ne estrasse qualcosa che appoggiò sui palmi e la tenne davanti agli occhi, sussurrandole qualcosa.
“Sono qui, Rachel! Sono qui!” tentò lui per l’ennesima volta.
Il respiro gli mancò d’un colpo, i polmoni completamente senza ossigeno.
Esausto, lasciò cadere il braccio a terra, lasciandolo scivolare accanto al letto, mentre lui ansimava per lo sforzo di restare cosciente.
Fu allora che accadde qualcosa di nuovo: un brivido lo percorse nelle ali spezzate ed insanguinate, svegliandolo improvvisamente dal torpore che stava prendendo il controllo del suo corpo.
Vide Rachel alzare lo sguardo su di lui.
Nell’incontrare gli occhi scuri della ragazza si sentì morire.
Scorse la piuma blu tra le sue mani.
Lo vedeva.
“Svegliati, Terreno!”
Green aprì faticosamente gli occhi. Chi lo stava chiamando? Si sentiva così bene mentre dormiva!
Davanti a lui si disegnò lentamente la figura del custode con le mani insanguinate, chino su di lui.
Lehcar lo fissava senza troppo interesse, mentre con una mano cercava di scuotere piano il terreno e di farlo tornare cosciente.
“Per un attimo credevo non ti saresti svegliato più!” confessò il Custode con una punta d’ironia, mentre si spostava a fianco dell’anghelo ferito e si sedeva appoggiato alla parete.
Si portò le mani davanti agli occhi e se le guardò tristemente, sbirciando poi le sue ali dietro la schiena, anch’esse sporche di sangue.
Le sue bellissime e candide ali macchiate e rovinate per sempre!
Il sangue di Terreno era impossibile da lavare via, doveva tenerselo addosso per il resto della sua vita.
Aveva violato una regola molto importante per salvare quei due stupidi terreni. Ma al diavolo le regole!
Lui l’aveva fatto solo per Leumas, non gli interessava se avesse ricevuto da un momento all’altro una severa punizione per il suo gesto!
“Non sapevo che un Terreno potesse morire. Credevo fossimo immortali.” Green aveva richiuso gli occhi ed appoggiata la testa contro il muro, rifletteva ad alta voce.
“Se perdete le ali per voi è finita.” Spiegò brevemente il Custode, mentre lasciava scivolare le mani lungo i fianchi ed imitava il Terreno, appoggiando a sua volta la testa contro la parete dietro di loro.
“Capisco...” concluse Green, sorridendo stupidamente, ricordando a tutte le volte che aveva cercato di farla finita con la sua nuova esistenza angelica, anche se invano.
Ora, però, non aveva più voglia di morire.
“Red se n’andata...”
Lehcar volse lo sguardo verso il suo interlocutore, che era tornato immerso nei suoi pensieri, gli occhi chiusi e la testa ricolta leggermente verso l’alto.
“La vostra amica che non sa cucinare, intendi?”
Come mai si stava interessando alle preoccupazioni di quel terreno assassino?
Green rispose con un leggero cenno del capo, sorridendo tristemente.
“Ha fatto le valigie e se n’è andata.”
“E dove?” insistette il Custode; non che gli interessasse molto di quella giovane Terrena, comunque.
“A ricordare la sua vita Umana, credo.”
Lehcar annuì silenzioso e tornò a guardare davanti a sè.
“Mi sembra così vuoto qui senza di lei, così silenzioso.” Continuò Green, aprendo di un poco le palpebre.
“Le eri affezionato?” domandò Lehcar.
Il Terreno restò in silenzio e mentre fissava la foto di lui e Red appesa alla parete di fronte, sorrise.
“Rachel...” Samuel era icredulo. Rachel era inginocchiata accanto al suo letto e lo fissava preoccupata, mentre calde lacrime le rigavano le guance.
“Samuel...scusami!” scoppiò a singhiozzare ed affondò il viso tra le braccia, sulle lenzuola. Era veramente lui. Il suo Samuel era lì, steso davanti a lei.
Era vivo.
Rachel non riusciva a pensare ad altro; sentiva il cuore colmo di gioia e il corpo le tremva per l’emozione.
Non gli aveva creduto! Lui gliel’aveva detto, le aveva rivelato di essere il vero Samuel, di essere sempre stato lì con lei!
Samuel stava meglio. Sorrise debolmente, anche lui al colmo della felicità. Solo fino a pochi attimi prima era terrorizzato all’idea di non poter farsi vedere da lei e di sprecare, così, l’unica occasione che aveva di poter stare con lei.
Ma ora lei era lì, al suo fianco, e a lui sembrò di vivere in un sogno.
Ora respirava meno affannosamente e il dolore alle ali sembrava essersi placato un pò, giusto il necessario per permettergli qualche movimento.
“Rachel...” la chiamò dolcemente, mentre cercava di farsi forza con le braccia per alzarsi.
Lei alzò la testa verso di lui, giusto in tempo per vederlo col corpo piegato verso di lei e con le labbra che sfioravano delicatamente le sue umide a causa delle lacrime.
Era il bacio più bello della sua vita.
Samuel si staccò da lei e tenendosi a pochi centimetri di distanza dal suo volto ancora inebetito per quel gesto, immerse i suoi occhi blu mare in quelli scuri di lei.
“Ti amo” le sussurrò piano, come se fosse un segreto, una cosa solo di loro due, che nessuno deve sapere.
“Ti amo” rispose per la prima volta lei. Finalmente era riuscita a dire quelle due parole. Ora, ne era certa, lui non se ne sarebbe più andato.
Samuel sorrise, “Come diceva la nostra canzone?...’Qualunque cosa accada, qualunque cosa accada, ti amerò finchè morirò’...”
“No”, lo interruppe lei, sorridendo a sua volta, “ ‘Ti amerò per sempre’ ”.
E, dette quelle parole, si spinse verso di lui e gli restituì il suo bacio.
Le ferite guarirono dopo solo una settimana. Green spiegò che i Terreni guariscono molto più velocemente degli Umani se restano nella loro forma di angeli.
Tutto sembrò tornare alla normalità, o quasi. Red se n’era andata: appena aveva ricordato parte del suo passato era partita senza salutare nessuno, troppo presa dal succedersi degli eventi, intenzionata a ritornare nella sua vecchia città e a riprendersi la vita che le era stata tolta ingiustamente.
Green passava le sue giornate come al solito: seduto sul suo divano a sfogliare i fatti di cronaca sul giornale.
Samuel era tornato nelle sue sembianze di Blue ed era rimasto a vivere da Green, nonostante, tra i due, i rapporti fossero ancora piuttosto freddi. Ma presto, tutto si sarebbe sistemato, tornando alla normalità: Samuel non poteva negare il fatto che Green gli avesse salvato la vita.
Passeggiava per le vie della città con Rachel, mentre pensava ad un modo per allentare i freddi rapporti con il suo coinquilino.
Rachel camminava al suo fianco in silenzio, senza disturbarlo nei suoi pensieri, sbirciandolo di nascosto di tanto in tanto per poi sorridere. Era felice.
Dopo qualche attimo di indecisione, afferrò titubante con le dita la mano di Samuel, il quale in risposta le sorrise e strinse la mano della ragazza nella sua.
Tutto sembrò tornare alla normalità, o forse no.
A poca distanza da Rachel e Samuel, Miriam era ferma sul marciapiede, intenta a fissare l’altro lato della strada. Mairim, dietro di lei, era preda delle sue preoccupazioni: Talia, nascosta dietro alla sua schiena sembrava diventare sempre più pesante; cosa avrebbe dovuto fare?
Alzò tristemente lo sguardo sul giovane che camminava tranquillo sull’altro lato della strada, ma soprattutto, il suo sguardo cadde sulla Custode dietro di lui, Eve.
Chiuse gli occhi, ripensando, per l’ennesima volta, alla gravità del suo gesto.
Infine, decise.
Con la mano destra, estrasse Talia da dietro la schiena e distese la lama davanti a lui. La luce emanata dalla spada era diminuita talmente che nessuno degli angeli nascosti in ciascuna persona su quel marciapiede si accorse immediatamente dell’arma.
Mairim puntò Eve, la quale continuava a seguire indisturbata il suo protetto.
Ormai, aveva deciso.
Miriam, all’improvviso, si sentì male.
Si portò una mano al petto e cercò di calmarsi, ma niente, il dolore sembrava addirittura aumentare.
Alzò lo sguardo su Steve.
Era in pericolo, lo sentiva. Qualcosa dentro di lei gli urlava di correre da lui, di salvarlo.
Cedette a quella sensazione e senza pensarci si gettò verso Steve, dall’altra parte della strada.
Mairim non si accorse neanche del gesto avventato della sua protetta. Tutto ciò che vedeva era Eve che svolazzava tranquilla dietro al suo protetto.
Chiuse gli occhi, mentre le lacrime iniziarono a bagliargli il volto stanco.
Poi, volse la lama di Talia verso di sè ed abbassò le braccia.
La spada lo trafisse senza difficoltà, come se non avesse incontrato ostacoli sul suo percorso.
Il dolore non fu neanche troppo forte, solo un piccolo fastidio nella zona del torace.
Il corpo dell’angelo si piegò sulla lama e si inginocchiò a terra, iniziando a sputare sangue.
Mairim aprì gli occhi e rimase sconvolto da ciò che vide. Miriam aveva attraversato la strada senza che lui se ne accorgesse. Com’era possibile?
Non era quello che voleva!
Certo, non era stupido: sapeva bene che la sua protetta non sarebbe vissuta a lungo senza di lui.
Ma, egoisticamente, aveva sperato che Eve li vedesse e che avesse cercato di prendersi cura di lei.
Ma ora era troppo tardi.
Mairim allungò una mano verso la strada, verso Miriam che gli dava le spalle mentre correva verso il suo prinicpe azzurro all’altro lato della strada.
“Miriam!!!” la chiamò disperato, ma tutto ciò che ottenne fu l’attenzione di Eve, la quale, assistendo alla scena del Custode morente, restò inorridita.
“Miriam!!!” la chiamò una seconda volta, più forte, mentre il sangue gli riempiva i polmoni e lo soffocava.
La ragazza rallentò la sua corsa e si voltò verso il suo angelo.
Mairim restò basito da quell’avvenimento. Una mano sul torace attraversato dalla spada angelica, ancora inginocchiato a terra, fissava incredulo la sua protetta, che sembrava guardarlo.
Si, lo stava proprio guardando.
L’ultima cosa che gli occhi di Mairim videro prima di chiudersi per sempre, fu Miriam venir travolta da un camion e scomparire dalla strada.
Poi cadde a terra senza vita, gli occhi spenti, le ali grige macchiate dal suo sangue a ricoprirlo ed un’ultima lacrima che a rigargli la guancia, mentre dalle sue labbra venne esalato l’ultimo respiro.
“Perdonami!”
Fine.
Sono passati mesi, anzi che dico...secoli dall’ultima volta che sono stata su Efp!!!! Dire che sono imperdonabile è poco!!! -.- vi ho abbandonato con questa storia, con l’ultimo capitolo!!! Finalmente sono riuscita a finirlo dopo tutto questo tempo e sinceramente non so come mi è uscito perchè non ho tempo di leggerlo e se aspetto di rileggerlo chissà quanto tempo passa ancora dalla sua pubblicazione!!
Siamo giunti alla fine miei cari lettori...T___T che tristezza!!!! Per di più la storia ha avuto anche un triste finale per Miriam e Mairim!! Poverini!!! :( :( :(
Comunque sia, visto che sono colpevole e sperando che non mi abbiate abbandonato nonostante il mio enorme, anzi gigantesco ritardo, vi lascio con un enorme ringraziamento a voi che mi avete letto, a voi che mi avete scritto e che avete apprezzato questa storia, a voi, che nonostante la mia assenza leggeranno comunque quest’ultimo capitolo e naturalmente al fantastico EFP che mi ha permesso di pubblicarlo!!! :)
In particolar modo grazie a:
1 - black horse
2 - dany94
3 - Kalstar
4 - Kratos the Pokemaster
5 - liyen
6 - wingedangel
Per aver messo la storia tra le preferite...
Grazie a:
1 - Arasi
2 - Auri
3 - bersa
4 - black horse
5 - cassandra4ever
6 - dany94
7 - dolcepiccolina
8 - ellie_
9 - Hakigo
10 - wingedangel
Per averla messa tra le ricordate...
E grazie a:
1 - black horse
2 - Carocimi
3 - Cristie
4 - emmettina 1990
5 - Kicks
6 - Kratos the Pokemaster
7 - lety91
8 - Luna_Nuova
9 - mau07
10 - meryj
11 - queenbee
12 - wingedangel
13 - _Grumpy
Per averla messa tra le seguite!!
Quindi grazie a tutti voi e alla prossima!!!!!!!!!!!!!!!! ;)
Un bacione a tutti! :*
=Sony=