Alien

di S a r e t t a
(/viewuser.php?uid=62919)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** - 1. Sarebbe? ***
Capitolo 3: *** - 2. Ed Ora? ***
Capitolo 4: *** - 3. Dannazione! ***
Capitolo 5: *** - 4. La Più Saggia Delle Follie, Un'Amarezza Capace Di Soffocare, Una Dolcezza Capace Di Guarire. ***
Capitolo 6: *** - 5. Un Passo Avanti. ***
Capitolo 7: *** - 6. Rum. ***
Capitolo 8: *** - 7. Non Importa Niente. ***
Capitolo 9: *** - 8. Non Sono Me Stesso Quando Tu Non Ci Sei. ***
Capitolo 10: *** - 9. Occasione. ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Alien
Introduzione

 

 

Mi alzai svogliatamente dal letto.
Un mal di testa lancinante m’impediva di pensare lucidamente, di tenermi in piedi.  Non riuscivo più a dormire il dolore era troppo forte.
Trovai un’aspirina e un bicchiere d’acqua sul comodino, doveva averla messa Tom. Lo ringraziai mentalmente e ingoiai quella roba per poi rimettermi sul letto.
Il giorno prima eravamo andati a suonare. Io, Tom, Georg e Gustav avevamo suonato ad Amburgo.
Avevo ricordi precisi fino a quel momento, ma il resto era tutto sfuocato.
Una ragazza vicino a Tom.
Una vicino a Georg.
La bottiglia di Vodka.
Cazzo!
Ancora una volta.
Andai in bagno e mi lavai la faccia.
Avevo bevuto ancora.
Fino allo sfinimento.
Doveva finire questa storia.
Lo facevo per non sentire, per non pensare.
Era sbagliato.
Se mia madre avesse saputo, sarebbe andata su tutte le furie, si sarebbe sentita incapace come madre.
Stavo male, davvero.
Non era colpa di uno stupido mal di testa, era qualcosa di più.
Non avevo niente.
Niente amici, niente amore, niente.
Solo mia madre, mio fratello.
Non ci potevo credere.
A soli sedici anni.
Avevo un vuoto incolmabile, facevo continuamente pensieri infelici, ero depresso. Tutto era contro di me, tutti erano contro di me, a partire dalla scuola.
Anche solo la salita sul pullman.
Appena le porte si fossero aperte gli insulti sarebbero arrivati da tutte le parti, come un’inondazione.
Non volevo mai andarci.
La scuola mi attendeva, era il mio compito.
Era un’agonia.
Mi prendevano a parole, mi picchiavano fuori o in bagno.
I professori non dicevano niente, solo due s’interessavano.
La preside non commentava mai. Non si esponeva. Non mi difendeva. Non faceva niente per far finire tutto quell’inferno.
Erano tutti totalmente indifferenti alla mia sofferenza, a parte mia madre e Tom, ma loro non potevano colmare tutto quel vuoto. Non potevano fare niente se non vedermi soffrire, ed io stesso facevo soffrire loro.
Facevo schifo.
Completamente.
Avevo schifo.
Ero indifferente ormai.
Tutto era monotono.
Alzati, vai a scuola, fatti picchiare, subisci, torna a casa, studia, scrivi, dormi. Solo il sabato e domenica si aggiungeva l’opzione, esibizione.
Mi faceva più che felice.
Cantare.
L’unica cosa che pensavo di saper fare.
Volevo arrivare in alto, ma avevo quel dannato masso da portarmi dietro.
Mi stavano facendo affondare.
Perfino il paese in cui vivevo.
Loitsche.
Solo campi, parchi, al massimo un pub.
E poi?
Andavo sempre ad Amburgo, anche se da solo.
Non importava.
Volevo confondermi con la massa, anche se non ci riuscivo visto il mio look.
Mi vestii in fretta.
Le solite cose.
Pantaloni neri, maglia rossa un filo di matita agli occhi, ombretto nero. Nulla di strano per me.
Mi truccavo.
Ero un maschio.
Allora?
Non me lo vietava nessuno. Non c’era scritto da nessuna parte che io non potessi farlo.
E a loro cosa importava?
Non si preoccupavano per le mie emozioni, erano totalmente indifferenti. Quando piangevo, nessuno si avvicinava a me. Nessuno veniva ad asciugarmi le lacrime, a chiedermi cosa ci fosse che non funzionava. Nessuno mi abbracciava. Non facevano niente.
Erano apatici, indifferenti ed io avevo imparato a esserlo, anche se dopo i sensi di colpa si ravvivavano nelle mie viscere.
Non facevano altro che peggiorare la mia situazione, ma non m’importava.
Non più.
Guardai l’orologio.
Le sette e trentacinque.
Presi la cartella e scesi in cucina. Trovai mia madre con Tom.
Il mio mal di testa si era quasi placato, ma mia madre mi guardava in modo torvo.
«Stai bene bambino mio?» mi domandò accarezzandomi una guancia.
Annuii.
Cosa dovevo fare?
Come l’avrei spiegato?
Tom mi guardò per rimproverarmi.
Non potevo dargli torto.
Stavo sbagliando, ma lui assecondava tutto quello che facevo.
Non mi ostacolava, e per questo lo ringraziavo. Sapevo che se io andavo a fondo, lui veniva con me. Eravamo una cosa sola.
Ci dirigemmo tutti verso la macchina di mia madre e salimmo.
Il silenzio regnava sovrano.
Avevo un sonno pazzesco, non sapevo per quanto avrei retto.
Tom accese la radio per darmi un qualcosa d’interessante d’ascoltare.
Iniziai a canticchiare e poggiai la testa contro il finestrino guardando fuori.
Tutto correva veloce.
Anch’io avrei voluto correre.
Lontano.
Sarei voluto non tornare mai più, mai. Desideravo un luogo dove tutto era semplice, dove avrei potuto ricominciare la mia vita senza essere preso in giro, senza dover subire la gente in modo passivo. Loro mi avevano fatto diventare così, loro mi avevano tolto tutte le mie speranze di vita.
Li odiavo.
Se fossi scomparso, non se ne sarebbe accorto nessuno. Forse solo quelli che mi picchiavano da mattina a sera.
Ero per metà invisibile, per metà visibile.
Mia madre frenò.
Mi ripresi solamente quando sentii la portiera di Tom sbattere.
Pensava le mie stesse cose, lo sapevo, ma lui le sue paure le affrontava.

 

 

I Bla Bla Dell’Autrice*
Buona Sera A Tutti! Questa E’ La Prima FanFiction Che Pubblico. E’ Ancora In Fase Di Scrittura, Per Cui Non So Come Andrà A Finire.
Ho Postato L’Introduzione In Modo Da Capire A Quante Persone Interessava.
Aspetto I Vostri Commenti, Le Vostre Impressioni E Tutto Ciò Che Vi Passa Per La Testa.
A Presto! Un Bacio!

Saretta <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** - 1. Sarebbe? ***


Alien
1. Sarebbe?

 

«Se stai male, fammi chiamare così ti faccio uscire.» mi disse prima che scendessi dalla macchina.
Tom mi accompagnò in classe, lo salutai e mi accomodai al mio banco.
Tolsi la giacca e poggiai la testa sul banco.
Dopo qualche minuto il buio s’impossessò di me, Morfeo mi accompagnò in uno dei suoi viaggi.
Mi svegliai solamente alle undici.
Era l’intervallo.
Sapevo cosa mi aspettava ancora una volta, le giornate erano tutte talmente uguali che perfino essere picchiato mi provocava noia.
Alzai la testa ancora mezzo intontito.
Nessuno mi aveva svegliato, nessuno si era preoccupato di me.
Vidi Leon picchiare Paul.
Spostai lo sguardo, non m’interessava.
Ero totalmente indifferente, in tutto e per tutto, tranne che per la musica.
Nessuno approvava i miei sogni, il mio look, ma non me ne fregava niente.
Ero sulla bocca di tutti, non importava se male o bene.  Tutti mi conoscevano, e ciò non poteva far altro che piacere.
Mi alzai dalla sedia e mi scaraventai fuori.
Non avevo voglia di mangiare, avrei provato a trovare Tom. Sarebbe stato sicuramente in giardino, come al solito, a fumare con i suoi amici e a commentare le ragazze dal sedere meraviglioso e dal balcone.
Erano rozzi.
Non mi piaceva affatto come si comportavano con le ragazze, non capivano che loro non volevano sentirsi dire “Sei figa”, volevano sentirsi dire “Sei bellissima”.
Non volevano essere giudicate per il sedere o per il seno, ma per il pacco completo.
Non capivano che non avevano bisogno di sesso, ma di amore.
Non tutte le ragazze erano così, questo è vero, però la maggior parte si, ma non nella nostra scuola.
Erano tutti uguali, tutti che pensavano allo stesso modo, nella stessa corrente.
Forse era per questo che non mi sopportavano.
Le mie idee.
Cercavo sempre di farmi valere, come pochi attimi prima in classe, ma nessuno aiutava me.
Nessuna persona voleva aiutare me.
Ero costantemente solo da quando Tom era stato spostato perché insieme facevamo troppo casino.
Era stato un trauma.
Lui era capace di reagire, io no. Mi difendeva sempre, si metteva in mezzo ogni volta che mi trovavo nei guai, o almeno, quando vedeva. Se non notava niente e io tornavo con i lividi si arrabbiava. Mi chiedeva chi mi aveva fatto male e il giorno dopo era rissa assicurata.
Infondo era lui il maggiore.
Camminavo velocemente nel corridoio, speravo non mi trovassero, dovevo raggiungere il mio gemello. Quando ci riuscivo, almeno in quel giorno, non mi facevano niente, ma il giorno dopo ... Erano il doppio.
«Kaulitz!» sentii urlare alle mie spalle.
Non mi voltai neanche, sapevo che era Daniel. Lui, e il suo gruppetto.
Erano sempre insieme, perfino in bagno.
Uno faceva i suoi porci comodi mentre gli altri aspettavano fuori.
A cosa era utile?
Pensavo avesse paura che qualcuno si prendesse la briga di aprire la porta del bagno e vedere quanto poco uomo fosse. Si, doveva essere per le sue dimensioni, come diceva anche Tom.
Velocizzai il passo fino alla porta, e non appena fui fuori iniziai a correre verso Tom.
Loro mi seguivano.
Li sentivo urlare a squarciagola.
Nessuno ci faceva caso, neanche i professori.
Mi mandavano dalla preside se canticchiavo un motivetto, e loro non ci finivano mai, neanche quando picchiavano la gente.
Tom si invece.
Quando picchiava uno di loro, il giorno dopo era dalla preside, in punizione.
La preside sapeva quello che succedeva, ma non ci poteva fare niente, così diceva. Non poteva fare niente perché il soggetto che le prendeva ero io.
Raggiunsi il tavolo di Tom ansimando, e mi piegai in due per lo sforzo. Lo vidi irrigidirsi in un secondo. Buttò per terra la sigaretta e fece due passi in avanti per farmi da scudo.
«Provateci!» affermò serio piegando la testa di lato.
Daniel lo guardò pieno di rancore e girò i tacchi insieme al suo gruppetto.
Mi aveva salvato ancora una volta nonostante ciò che avevo fatto la sera prima, nonostante i miei sbagli.
Sapevo che non mi avrebbe mai tradito. Sarebbe morto al mio posto se avesse potuto alleviare il mio dolore. Ed io avrei fatto la stessa cosa per lui.
«Grazie.» dissi ansimando.
«Figurati.»
Sentii una sensazione strana pervadermi il corpo.
Lo guardai negli occhi.
Mi voleva parlare.
Poggiai al testa sulla mia mano e aspettai che proferisse parola.
«Non puoi continuare così.» disse serio.
«Lo so, ma cosa posso fare?» domandai esasperato.
Sentii la tristezza salirmi fino in gola. Era concentrata tutta lì per metà. L’altra era andata dritta ai miei occhi. Volevo piangere.
Non c’era via d’uscita? 
Spostai lo sguardo annoiato sull’altro lato del cortile e di botto la mia testa si fermò.
Il cuore incominciò a pulsare in modo convulsivo.
Il respiro si faceva sempre più corto.
La mia testa diventò sede di mille e più pensieri.
La vedevo.

 

I Bla Bla Dell’Autrice*


Eccomi Di Nuovo Qui! Questo E’ Il Primo Capitolo. Ho Voluto Lasciare Un Po’ Di Suspense. Cosa Vedrà? Chi? Cosa Proverà?
Naturalmente Aspetto Tutte Le Vostre Impressioni E Tutto Ciò Che Volete Dirmi.
Scusate Se Lo Ripeto, Ma E’ La Mia Prima “Opera” Letteraria E Vorrei Capire Se Va Bene O Se Devo Cambiare Qualcosa Nel Mio Stile Di Scrittura.
Per Concludere, I Ringraziamenti.
Grazie Mille A Tutte Le Persone Che Hanno Commentato.
  MadameMoonLoveSunshine_483, tokia483 e  
Dragona.
Grazie Davvero! :)
A Presto!

Saretta

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** - 2. Ed Ora? ***


Alien
2. Ed Ora?

 

Era seduta su una panchina, a gambe incrociate.
Aveva la testa di lato e leggeva un libro.
La sua corporatura era normale, il suo viso rilassato.
I capelli castani erano lisci, raccolti in una coda abbastanza alta.
Mi alzai di colpo.
L’avevo trovata.
Tom mi guardò perplesso mentre boccheggiavo.
Non riuscivo a smettere di guardarla, era come una calamita per i miei occhi.
«Bill, hai visto un fantasma?» mi domandò inarcando il sopracciglio.
Non lo degnai di uno sguardo e continuai a guardare la ragazza.
Non l’avevo mai vista prima.
Non doveva essere in quella scuola da molto, mi sarei accorto prima di lei.
Era davvero concentrata, non come tutti quelli che mi circondavano. Loro volevano essere popolari, uscire, fare baldoria, fare in modo di essere superiori agli altri, lei no.
Non sembrava.
Da dove veniva?
Come si chiamava?
Perché era venuta in una scuola di idioti?
Perché non si era accorta che la stavo guardando?
E soprattutto, aveva già un ragazzo?
Il mio cuore non rallentava, i miei occhi non si scrollavano.
Mi sentii strattonare violentemente, e mi girai verso mio fratello.
Stava rovinando un momento quasi perfetto.
L’avevo vista, l’avevo trovata, potevo guardarla senza che lei si accorgesse, e lui cosa faceva?
Mi strattonava per fare in modo che lo guardassi!
Confronto a lei era brutto, più del solito. Inarcai il sopracciglio, mi fulminò con lo sguardo.
«Calmati.» mi disse serio incrociando le braccia al petto «Non hai sentito parlare di lei?» continuò spostando lo sguardo su colei che aveva catturato il mio sguardo.
Mi sedetti accanto a lui e iniziai nuovamente a guardarla.
La preoccupazione s’impossessò del mio corpo, la bocca divenne arida.
Perché dovevo conoscerla?
Era popolare?
Non ne sapevo niente.
Se era popolare io non avrei avuto speranze, non ne avrei avuta neanche una, mi sarei umiliato. Ci avrei provato lo stesso, era lei. Ne ero sicuro, ma non ne avevo mai sentito parlare.
«No.» risposi preoccupato.  
Tom mi diede una pacca sulla schiena e scosse la testa. Lo sapevo che pensava, ed aveva ragione.
Io ero davvero fuori dal mondo, e non volevo entrarci. Sarei diventato mediocre.
«E’ nuova, viene dall’Italia.» disse sistemandosi il cappello. «Tutti gli hanno messo gli occhi addosso, perfino Daniel.»
Daniel. Il mio cuore perse un battito. La preoccupazione salì. Se Daniel la voleva non mi avrebbe permesso di avvicinarmi, non mi avrebbe permesso di parlargli o di guardarla. Se in quel momento mi avesse visto, mi avrebbe indubbiamente spaccato la faccia. Ne avrei prese più di prima, avrebbe picchiato ancor più pesante. Cercai di ingoiare la saliva che era rimasta bloccata in bocca.
Come potevo fare?
Non ero nessuno, Daniel era qualcuno, anche se non meritava niente.
E’ vero, si parlava di me, ma non bene. Non avrebbe mai fatto colpo su di lei, non come Daniel.
Era sempre lui la causa dei miei problemi. Lui che aveva una reputazione più alta della mia solo perché alzava le mani, insieme al suo gruppetto, a persone che studiavano o a me. A me soprattutto. Ero il suo preferito.
Non aveva ancora capito che io non avevo certe tendenze, mi considerava un gay.
Ma no.
Ero totalmente normale, totalmente etero e quella ragazza ne era la dimostrazione.
«Si chiama Sara, ha quindici anni.» continuò alzandosi.
Se si alzava stava per suonare e mi avrebbe accompagnato.
Lo seguii a malavoglia togliendo lo sguardo da lei.
Dovevo chiedere a mia madre, lei era pratica. Dovevo correre a casa il prima possibile, incominciare a parlargli il prima possibile. Prima che Daniel gli si fosse avvicinato.
Io e Tom camminavamo fianco a fianco.
Nessuno diceva più niente, non mi raccontava neanche di quanti sederi stupendi e quante proposte di uscire aveva avuto.
Era strano.
Qualsiasi cosa succedeva doveva ricordarmi che la sua vita sentimentale, o meglio, sessuale era attiva, mentre la mia non era mai incominciata.
Avevo avuto solamente una ragazza, ma mi aveva lasciato perché mi laccavo le unghie. Un motivo stupido, per non dirmi che in realtà voleva mettersi con uno della sua classe.
Emma, si chiamava Emma.
Non mi salutava neanche più e non stava con quel ragazzo.
Con lui aveva perso la verginità, e poi l’aveva lasciato per scopare con Tom.
Mio fratello qualche volta si faceva la mia ex ragazza, poteva essere considerata una cosa meschina, invece lui non lo faceva con piacere. A me non faceva nessun effetto vederla con lui, a parte in qualche occasione, quando la mia depressione saliva alle stelle.
Emma era innamorata di Tom, mentre lui la odiava a morte per quello che mi aveva fatto.
Non erano andati a letto tante volte, solo tre. Tom continuava a ripetermi che lei non provava amore vero, voleva solo scopare e diceva di amarlo solamente perché lui ci sapeva fare, ma per me non era importante.
Avevo la sensazione che non avrei più pensato ad Emma.
Ormai la mia mente era posseduta da una persona sola, e non era neanche mio fratello.
Arrivammo davanti alla porta e sospirai.
Tom si guardò in giro per vedere se ci fosse qualcuno.
Ricominciava l’agonia.
Volevo finisse, volevo che il nostro gruppo decollasse per andare via. Con me avrei portato anche lei. Non appena fosse diventata mia.
«Non uscire finché non passo io.» disse lasciandomi entrare.
Mi sedetti all’ultimo banco, come al solito, da solo. Mi avevano messo lì dietro perché così non potevano vedermi. Erano felici se non vedevano la mia faccia truccata o le mie unghie.

I Bla Bla Dell’Autrice*

E Adesso Inizia Il Bello! Dico Da Adesso, Per Chi Non Lo Avesse Capito, Che Il Nostro Carissimo Bill E’ Molto Contraddittorio. Molto … Fulminato? Molto Confuso.
Vedremo Come Reagirà, Cosa Farà E Speriamo Che Prima O Poi Il Suo Cervello Inizi A Ragionare. xD


Cara Giulia, Non So Se Bill Realmente Fosse Trattato In Questo Modo A Scuola, Ma Me Lo Immagino Così, Anche Se In Modo Meno Violento. Marilisa Forse E’ Una Genia. U____U Forse. xD

Ringrazio Tutte Voi; Chi Ha Letto; Chi Ha Aggiunto Questa Storia Tra I Seguiti E I Preferiti E, Soprattutto, Chi Ha Commentato.


Volevo Ringraziarvi Singolarmente, Inserire Qui I Vostri Nomi, Ma Sono Ancora Impedita E Non So Come Si Fa. Non So Neanche Come Ho Fatto L'Altra Volta. :D
Grazie Mille A Tutte!
Un Bacione! :)

 

Saretta

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** - 3. Dannazione! ***


Alien
3. Dannazione!

 

C’era matematica.
Sperai che non mi chiamasse alla lavagna, avevo voglia di scrivere qualcosa. Quella di matematica era l’unica, con quella di educazione fisica, che mi lasciavano in pace. A loro non faceva né caldo né freddo il mio aspetto. Avevano tutto il mio rispetto, con loro infatti non facevo casino.
La professoressa Shulde entrò con la sua borsa nera, i capelli castani raccolti in una cipolla e un tailleur grigio. Ringraziai il cielo ancora una volta. Nessuno lo sapeva, ma lei e mia madre erano amiche di vecchia data, e si incontravano ancora per bere un caffè.
«Quando c’è l’intervallo si disperdono tutti.» commentò alzando gli occhi al cielo mentre incominciava a compilare il registro.
Sorrisi e aprii il mio quaderno.
Era esasperata anche lei.
Eravamo in due.
Afferrai una penna e incominciai a scarabocchiare sul foglio mentre i miei compagni di classe entravano senza neanche scusarsi per il ritardo.
Io chiedevo sempre scusa per il ritardo, anche se il professore che avevo davanti mi stava terribilmente antipatico.
«Bene,oggi interrogo.» disse alzandosi con il libro di matematica in mano.
Alzai gli occhi al cielo.
Non era possibile.
Questa era sfiga.
Lasciai cadere la penna sul banco e iniziai a guardarmi in giro totalmente svogliato.
Non era il giorno e il momento adatto.
«Nicholas, venga lei.» annunciò avvicinandosi a me.
Io me la cavavo, ero uno tra i più bravi in matematica.
Non avevo bisogno di ascoltare gli altri, e soprattutto non avevo voglia di ascoltare gli altri.
Loro, in certi momenti, ascoltavano le mie interrogazioni solo per ridermi in faccia. Naturalmente i momenti di cui parlo erano quelli in cui non sapevo niente. Però io avevo una media abbastanza alta rispetto alla loro. Erano degli idioti.
Totalmente.
Non mi piaceva la scuola, ma non volevo che mi considerassero uno scemo. Non per le mie doti intellettive. Si sedette vicino a me e mi guardò con sguardo complice.
Dettò l’espressione e si concentrò nuovamente su di me, sapeva che non avrei ascoltato.
«Com’è andata oggi?» chiese preoccupata.
«Bene, sono riuscito a scappare da Tom.» risposi prendendo la penna in mano.
Sapevo che lei non avrebbe letto niente. Non si poteva neanche trattenere lì dietro con me, infatti alla mia risposta andò alla cattedra, mentre Walter si girò dalla mia parte.
«Razza di checca isterica che non sei altro, fammi copiare i compiti di tedesco.» mi ordinò in modo alquanto spregevole.
Lo guardai, non risposi e continuai a scrivere la mia canzone.
No.
La sua canzone.
Era per lei, lo sapevo.
Pensavo a lei mentre la mia mano scorreva sul foglio.
Pensavo a lei mentre rileggevo ciò che avevo scritto.
Sapevo di essere esagerato, ma lo pensavo davvero.
Pensavo davvero di aver trovato il mio vero amore.
Suonò la campanella e corsi alla porta.
Vidi Tom dall’altro lato.
Osservava la gente che passava per i corridoi.
«Tutto bene?» domandò vedendomi assorto nei miei pensieri.
Scossi la testa.
Vidi Daniel passare nel corridoio con un ghigno sul viso.
Cosa stava tramando?
«Razza di bastardo.» sussurrò Tom guardandolo minaccioso.
Lo guardai anche io. Era davvero strano che non mi avesse insultato. Si appoggiò al muro giocando con il suo cellulare.
Cosa diamine stava facendo?
Si avvicinò a una porta, disse qualcosa e alla fine uscì una persona.
Non una qualsiasi.
Era lei.
Era sul suo stesso piano.
Sorrisi mentre il cuore accelerava la sua corsa.
Ma lentamente la corsa diminuiva.
Lo vidi che gli parlava, sorrideva.
Avrei voluto ucciderlo, attaccarlo al muro.
Non la meritava.
L’avrebbe usata.
No, non potevo permetterlo.
Dovevo fare qualcosa.
Il panico mi pervase e vidi Tom sospirare.
Andò verso Daniel e Sara.
Si mise in mezzo.
Mi stava salvando la vita.
Allungò la mano verso di lei.
Sorrise.
Mi mancò l’aria per un secondo o più.
Sembrava così gentile, così semplice.
Sorrisi anche io.
Ero felice di averla vista sorridere. 
Ero pazzo, completamente pazzo.
Mi poggiai allo stipite della porta.
Volevo tanto sapere di cosa parlassero, volevo sapere com’era la sua voce.
Non l’avevo mai sentita.
Erano solo un paio d’ore che l’avevo vista, e già non riuscivo a togliermela dalla testa.
Mi guardò, seguita a ruota da Daniel abbassai lo sguardo.
Non volevo guardarla negli occhi.
«Kaulitz, in classe!» mi disse la professoressa Walder scocciata. La guardai di sbieco e sospirai.
Mi stava togliendo l’unica occasione di vederla.
Di sfuggita cercai di vedere il suo viso senza riuscirci.
Dannazione!

I Bla Bla Dell’Autrice*

Ciao A Tutte!
Nuovo Capitolo, Nuovo Bill Ossessivo.
Potrà Fare Cose Intelligenti Oppure Stupide. Avrà Sempre Gli Stessi Pensieri O Cambieranno?
L'Unica Cosa Che Dico E' Che Rimarrà Contraddittorio, Indeciso Su Certi Aspetti, Convinto Su Altri.
Infondo E' Fulminato!
Grazie A Tutte Voi Che Avete Commentato! Scusate Per Il Ritardo, Ma Ero In Gita E Ho Avuto Un Paio Di Problemi Con Il Pc. :)
A Presto!

 

Saretta

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** - 4. La Più Saggia Delle Follie, Un'Amarezza Capace Di Soffocare, Una Dolcezza Capace Di Guarire. ***


Alien
4. La Più Saggia Delle Follie, Un'Amarezza Capace Di Soffocare, Una Dolcezza Capace Di Guarire.

 

Ritornai al mio posto mentre la Walder si sedeva.
«Oggi spiego Shakespeare, aprite il libro a pagina trecentoventi.»
Tirai fuori il libro di malavoglia.
Non avevo intenzione di ascoltare nulla.
Sussultai.
Il cellulare mi vibrò nella tasca, la professoressa mi vide in agitazione.
Cercai di essere il più tranquillo possibile.
Nessuno si doveva accorgere di niente, altrimenti mi avrebbero reso la vita difficile.
Daniel si era già accorto di tutto, come?
Avevo dato troppo … Nell’occhio?
«Kaulitz, cosa le prende?» mi domandò apatica.
«Niente.» risposi aprendo il libro.
A lei non interessava, non sarebbe mai interessato.
Dovevo leggere chi era, cosa aveva scritto.
Poteva essere Tom.
Non sapevo cosa fare, non potevo neanche andare subito in bagno, si sarebbe lamentata, e non avevo voglia di litigare.
Iniziai a leggere qualche cosa, e delle frasi mi rimasero impresse nella mente.

L'amore è la più saggia delle follie, un'amarezza capace di soffocare, una dolcezza capace di guarire.
L'amore non è amore che cambia quando incontra qualcosa che cambia.
È un'impronta incancellabile che combatte tempeste e non si agita mai.
L'amore non si trasforma in poche ore o in settimane … ma resiste... anche sull'orlo della morte.

Se io mi ero davvero innamorato, avrei continuato a pensarci?
Il sentimento non si sarebbe mai affievolito?
Avrebbe potuto salvarmi da tutta quella indifferenza, tutto quel dolore?
Mi avrebbe portato a compiere atti più dolci rispetto a quelli che avevo già compiuto?
Sarebbe cambiato?
Sarei morto amando?
Sarei riuscito a dimostrargli il mio amore?
Sarei riuscito ad averla?
Non riuscivo a fermare i miei pensieri le mie domande.
Il cellulare vibrò nuovamente.
Chi diamine era?! Mi innervosii di botto.
«Posso andare in bagno?» chiesi alzandomi dalla sedia in modo brusco.
La Walder mi guardò da dietro i suoi occhiali e annuì indifferente, come al solito.
Quanta considerazione di me.
Chi mi conosceva davvero?
Uscii sbattendo la porta e andai in bagno. Presi il cellulare e vidi il messaggio. Tom.

                   Ho sentito che Daniel gli chiedeva ripetizioni d’inglese. Gli ho chiesto se
              poteva darne anche a te. Appena è stato chiamato ho detto a Sara che lui aveva
                     una media alta, e che in realtà non ne aveva bisogno. Ho il suo numero.
                                                      Vi dovete mettere d’accordo.

Spalancai la bocca.
Cosa aveva fatto Tom?
Ripetizioni, con lei?
Non avrei ascoltato niente, avrei fatto la figura dell’idiota.
Avrei continuato a guardarla, non avrei spiaccicato parola.
Cazzo.
Iniziai a rispondere a Tom nel modo più velocemente possibile.
Era stato un genio, ma non aveva pensato alle conseguenze.
Non sarei riuscito a fargli una bella impressione, e se Daniel avesse scoperto che aiutava me al posto mio me l’avrebbe fatta pagare, ma non era un problema per me.
La mia paura più grande era che toccasse lei.
Se gli torceva anche solo un capello gli avrei spaccato la faccia in due in qualche modo.
 Non doveva succedere.

                   Grazie, ma ci sono piccolissimi problemi. Come prima cosa, pensi davvero che
                   io riesca ad ascoltare quello che mi dice senza rimanere impalato? Pensi che io  
                             possa piacere a una ragazza così? Daniel me la farà pagare, lo sai.
                                                                    E se toccasse lei?
                              Non posso permettere che gli succeda qualcosa per colpa mia. No.

Inviai il messaggio convinto delle mie parole e mi appoggiai al muro.
Che vita di merda.
Non sopportavo niente, niente.
Avevo bisogno di una svegliata che solo lei mi poteva dare.
I ripieghi che trovavo non erano sempre sani.
Mi era capitato più di una volta di ubriacarmi, Tom mi aveva salvato dal prendere droghe, ma sapevo che ci sarei arrivato.
Lo sapevo.
Non avevo niente.
Volevo amore, non ne ricevevo.
Non mi bastava Tom, mia madre.
Avevo bisogno di qualcosa di diverso, di qualcuno di diverso, e quel qualcuno l’avevo identificato in lei. Non sapevo se fosse positivo e negativo.
Non la conoscevo.
Magari avevo avuto un attacco di panico o qualcosa del genere, magari non era lei a farmi quell’effetto. Mi lasciai scivolare contro il muro.
Continuavo a mentire a me stesso, su tutto.
Mi serviva.
Mi avrebbe salvato.
Lo diceva anche William Shakespeare.
L'amore è la più saggia delle follie, un'amarezza capace di soffocare, una dolcezza capace di guarire.
Chiusi gli occhi esasperato.
Le lacrime cercavano di farsi spazio tra i miei occhi.
Non avrei lasciato che cadessero, non in quel momento.
Dovevo trovare una soluzione a tutto e … Lei.
Lei era la mia soluzione, ne ero più che convinto. Tutte le risposte alle mie domande mi portavano a lei. Ero fuori, completamente.
Il cellulare vibrò tra le mie mani.

                    Si che ci riuscirai. Ti lamentavi di inglese, e ti ho trovato una persona per le
             ripetizioni. E’ intelligente, ed è più avanti di noi in certe materie nonostante sia un
            anno più piccola. Daniel non ti farà niente, non gli farà niente. Ci deve solo provare.
           Gli piacerai Bill. Ne sono sicuro. Se hai sentito davvero ciò che ho intuito, è la risposta.
                                        E’ la risposta che cercavi. Dobbiamo afferrarla al volo.

Sospirai.
Daniel.
Mi dovevo liberare di lui.
Non riuscivo più a reggerlo, però non aveva mai toccato le ragazze.
Non si era mai avvicinato quando stavo con Emma.
Non si sarebbe avvicinato in quel caso?
Non si sarebbe avvicinato a me in sua presenza?
Dovevo tornarmene a casa.
Subito.
Non potevo stare chiuso in quelle quattro mura ancora per un secondo.
Misi il cellulare in tasca e mi lavai la faccia facendo in modo che il trucco si rovinasse un minimo,  andai in segreteria e dissi che stavo male.
Ci cascarono.
Mia madre mi autorizzò ad uscire.
Tornai in classe, presi la mia roba e uscii al suono della campanella.
Appena varcai la soglia la vidi uscire.
Stava andando via anche lei.
Corsi in bagno per sistemarmi il trucco, avrei potuto incontrarla fuori.
Dovevo fare bella figura.
In meno di due minuti sistemai il danno che avevo combinato e corsi per il corridoio.
Dovevo arrivare alla porta il prima possibile.

I Bla Bla Dell’Autrice*

Da Qui Non Anticipo Più Niente. xD
Spero Solamente Di Non Deludere Le Vostre Aspettative.
Qualcuna E' Andata A Qualche Loro Concerto? :)
Sono Grandiosi!

Ragazze, Vi Ringrazio Tantissimo, Davvero.

 tokia483 : Daniel Fa Davvero Schifo. Ma Ancora E' Niente. xD

 Roby_DamnImperfect : Grazie Mille Per I Complimenti :) Spero Di Non Deludere Le Tue Aspettative.

Dragona : Siamo In Due! xD Magari I Nostri Pc Escono Insieme U___U

E Aggiungo Anche Tutte Le Altre Che Hanno Commentato Il Capitolo Prima Visto Che L'Altra Volta Non Sono Riuscita :)

MadameMoonLoveSunshine_483 : Grazie Mille :)

Gemi_Black : Concordo Con Te, Anche A Me Piacciono Molto.

Layla : Forse. Ma Sai, Quando Vivi Il Momento Non Ti Rendi Conto Se Ci Tieni Realmente O Se Ti Possa Passare In Poco Tempo. :)

Grazie Mille A Tutte! A Presto!
Un Bacione!

Saretta <3

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** - 5. Un Passo Avanti. ***


Alien
5. Un Passo Avanti.

La vidi alla fermata del pullman.
Lo doveva prendere anche lei.
Il cuore mi si fermò in gola, dovevo prendere coraggio.
Iniziai a camminare lento osservando il suo viso. Aveva gli occhi castani, non li avevo notati. Sembravano fatti di cioccolata.
La sua pelle sembrava perfetta, marmorea.
Le labbra carnose, leggermente screpolate per il freddo che tirava.
L’unico filo di trucco che aveva era agli occhi. Li aveva contornati con la matita nera.
Stava benissimo, le risaltava gli occhi.
Era vestita abbastanza bene.
Il suo cappottino nero, i jeans scuri con ai piedi stivali neri.
Ogni minimo particolare era mio, cercavo di coglierne il più possibile avvicinandomi.
Aveva una sciarpa nera, una collana d’oro e un paio di orecchini, sempre neri.
Bassa. Era bassa.
Sorrisi e velocizzai il passo, l’analisi era terminata.
Raggiunsi la fermata e mi misi accanto a lei.
Presi un respiro profondo chiudendo gli occhi per poi riaprirli quasi immediatamente.
«Kaulitz!» sentii urlare da qualche parte.
Lei mi guardò per qualche secondo. Sapeva della mia esistenza, ne ero più che certo in quel momento. O meglio, sapeva com’ero fatto esteticamente.
Iniziò a cercare, come me, chi mi aveva chiamato. Piegò la testa di lato arricciando le labbra.
Sorrisi.
Era buffa.
La girò dall’altro lato.
Cosa stava facendo? Sorrise e mi guardò nuovamente.
«Guarda.» disse allungando il braccio verso la scuola e puntando con il dito una finestra.
Mi aveva parlato, non potevo pensarci in quel momento, mi sarei spaventato troppo.
Guardai verso il punto che indicava.
Era Daniel.
Piegai la testa di lato e sorrisi compiaciuto.
Era a scuola, non poteva uscire, era impotente.
Eravamo solo lei ed io.
«Uhm, tu devi essere l’altro Kaulitz!» affermò girandosi pimpante verso di me. Avevo un sorriso ebete stampato sulla faccia, dovevo stare calmo, dovevo parlare, subito.
Annuii.
Idiota che non ero altro.
«Bill,giusto?» chiese pensandoci su.
Era così carina.
Quando pensava arricciava le labbra e guardava o in aria, o in basso per poi tornare a guardare, ancora una volta, dritto nei tuoi occhi.
Aveva una bellissima voce, era bella, gentile, simpatica, sembrava dolce.
Annuii un’altra volta.
Doppio idiota.
«Allora piacere, io sono Sara.» disse allungando la mano verso di me.
Mi bloccai.
Toccarla?
Non ero pronto per toccarla, ma sarei sembrava maleducato, dovevo fare una buona impressione.
Non sapevo cosa avrei provato toccandola.
Se solo vedendola il cuore iniziava a impazzire, toccandola, non osavo immaginare, ma dovevo scoprirlo.
Allungai la mano verso la sua e appena le mie dita sfiorarono le sue un brivido mi percosse la schiena. Calma.
Era un altro sintomo, almeno dai racconti di mia madre.
Ne avevo solo due, aspettavo di vedere gli altri, ma sarebbe stata lunga.
Aveva le mani congelate ma la sua pelle era morbida.
Notai la sua espressione un po’ persa durante la stretta di mano.
Un dubbio venne a galla. Lo sapevo cos’era.
Era ovvio, non poteva essere altro.
Lasciai la sua mano e guardai le mie per poi strofinarle tra di loro.
«Scusa, ho le mani congelate.» dissi continuando a strofinarle.
L’espressione vuota fece spazio a una risata e ai suoi occhi felici.
Aveva una risata splendida.
Non era stridula, ti trasportava. Ti faceva venire voglia di ridere con lei, ma sorrisi e basta.
Non volevo fare la figura dello scemo, anche se probabilmente gli avevano già raccontato di me oppure avevo già fatto qualcosa per farmi considerare scemo.
«Figurati, le mie sono dei ghiaccioli. In Germania fa così freddo.» ribatté con il sorriso sulle labbra e muovendo un po’ la schiena.
Mi ero già dimenticato. Non era tedesca, parlava così bene. Arrivava dall’Italia, ma non ne ero sicuro. Ad ogni modo non potevo permettermi di interrompere la conversazione, non avrei saputo come iniziarne un’altra. Ero bravo a cambiare argomenti, ma non a iniziare la conversazione, quello no.
«Vieni dall’Italia giusto?» domandai cercando di guardarla in viso.
Annuì.
Notai le sue guancie rossastre per il freddo, non era abituata, un’altra cosa che notai ancora una volta era la sua altezza. Mi arrivava appena al mento.
Ridacchiai.
Forse in Italia erano tutte di quella statura.
Non volevo interferire, magari per lei era un punto sensibile, ma mi piaceva. Mi dava un senso di sicurezza sapere che lei era più bassa perché sapevo che da me, in quel modo, avrebbe trovato più sicurezza.
«Milano.» rispose sorridente.
Milano.
Non ero mai stato a Milano.
Mia madre ci aveva portato solo in posti marittimi come Capri o cose così.
Mi sarebbe piaciuto vederla, per sapere come aveva vissuto, cosa faceva, com’era il clima, le persone. Soprattutto le persone. Se erano tutte come lei allora mi sarei trasferito di corsa ai miei diciotto anni.
«Com’è?» domandai incuriosito.
Mi sorrise un’altra volta.
Il mio cuore perse un battito.
O aumentava o rallentava, non teneva un ritmo costante.
Se mai si sarebbe fermato, sarebbe bastata la sua presenza per farlo battere ancora, ne ero più che sicuro.
«Beh, qualcosa di migliore, in certi aspetti, rispetto a dove sono ora.» rispose convinta.
«Dove sei ora?» gli chiesi incuriosito.
Sapere dove abitava mi avrebbe fatto comodo.
Solo Tom ed io abitavamo in quel paesino del cavolo chiamato Loitsche, e se non l’avevo mai notata lì era grave, anche se effettivamente non ci uscivo molto.
 Amburgo era la mia meta preferita, ed era proprio lì che mi scolavo tutti gli alcolici che avevo sotto mano. Non era una cosa positiva, ne ero consapevole, e forse avrebbe dovuto saperlo, ma non in quel momento.
«Un paesino chiamato …» si bloccò di colpo. Non si ricordava come si chiamava. Risi.
«Che fermata è?» domandai per capire.
«L’ultima!» rispose ridendo. «E’ per questo che non mi perdo.»
Ridemmo insieme, per la prima volta forse.
Mi sentivo bene, sentivo che era in grado di farmi tornare il sorriso, come era appena successo.
Sapevo che in sua presenza avrei dimenticato quasi tutti i miei problemi, stava accadendo. Stavo socializzando, con lei.
«Non sono pratica in queste cose.» concluse scuotendo la testa.
Sorrisi.
Afferrai solo in quel momento che la sua era l’ultima fermata. Loitsche, la mia fermata.
Abitava dove abitavo io.
Daniel non avrebbe potuto interferire.
Lui prendeva un altro pullman, anche se tutti si aspettavano nello stesso piazzale.
«Anche io scendo all’ultima.» la informai annuendo.
Lei mi guardò piegando la testa, si sentì un rumore abbastanza forte.
Il pullman aveva beccato una buca, al solito. Ci girammo verso il pullman che stava arrivando e mi posizionai accanto a lei.
Era troppo bello per essere vero.
«Come si chiama il paese?» mi chiese perplessa.
«Loitsche.» risposi ridendo. «E se ti può consolare, non c’è proprio niente da fare in quel paese.» continuai facendo notare l’odio per quel maledettissimo posto in cui vivevo.
L’autista frenò e ci aprì le porte.
Era il solito pullman bianco e squallido.
Non vedevo l’ora della patente, non avrei più dovuto prendere treni o pullman. Al massimo aerei.
«A primo impatto l’avevo capito.» continuò sedendosi.
Non sapevo cosa fare, dove sedermi.
Rimasi scettico per un paio di secondi, non volevo sembrare invadente. Preferii sedermi nei sedili accanto ai suoi, mollai la cartella sul sedile vicino al finestrino e mi accomodai su quello del corridoio, sedendomi verso di lei, per cui tutto storto.
Lei fece esattamente lo stesso.
Lentamente il calore faceva il suo effetto, le mani diventarono meno fredde, potevo risentire la punta del naso.
Era un passo avanti.




I Bla Bla Dell’Autrice*

Eccomi Qui :)

La Scuola Assorbe Troppo, Ma Davvero Troppo Tempo.
Voi Tutto Bene?
Spero Che Questo Capitolo Vi Piaccia!
Piccolissima Anticipazione Dal Prossimo Capitolo Per La Vostra Gioia! :)


" Non c’era un cazzo di niente. Non c’era nessuno. Solo nel mondo. Entrai in casa, lanciai la cartella a terra e tolsi la giacca. Dovevo alleviare tutto. Tutto. Non dovevo pensare. Andai in camera e presi la mia bottiglia di rum. Tolsi il tappo in modo frenetico. Non vedevo l’ora di accarezzare la bottiglia con le mie labbra. Lei non mi poteva rifiutare. La poggiai sulle labbra e iniziai a bere. Lo sentii scivolare in bocca, accarezzarmi la lingua, bruciarmi la gola. Tra un paio di minuti sarebbe passato. "


Grazie Mille Per Aver Letto E Soprattutto Grazie Mille A Chi A Commentato!


Roby_DamnImperfect : Sono Contenta Che Ti Piaccia :) Spero Di Poter Postare Più Spesso! Grazie Mille Per La Recensione :)

Dragona : Per Te Ho Messo Questo Piccolissimo Pezzo Del Prossimo Capitolo! Spero Sia Tutto Di Tuo Gradimento! Grazie Anche A Te! :)

A Presto!
Un Bacione!

Saretta.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** - 6. Rum. ***


Alien
6. Rum.

«Cosa fai tu per passare il tempo?» mi domandò curiosa.
Mi faceva piacere.
S’interessava alla mia vita come io m’interessavo alla sua, ma non notavo niente.
Niente mi faceva pensare che lei provasse quello che io stesso stavo vivendo.
Non arrossiva.
O forse non potevo vedere le sue guancie arrossire perché erano già rosse per colpa del freddo, non lo so.
«Solitamente vado ad Amburgo con i miei amici e il mio gemello Tom.» dissi pensandoci.
Non potevo dirgli che andavo ad Amburgo, suonavo e mi ubriacavo perché avevo un vuoto che nessuno riusciva a colmare.
Non potevo dirgli che ogni volta tornavo sfinito, che piangevo come un bambino, perché non trovavo ciò che avevo davanti.
Non potevo dirgli che lei era la risposta a tutti i miei problemi.
«Abbiamo una band e suoniamo nei locali.» continuai sperando che s’interessasse alla mia passione.
Avevo bisogno che mi facesse qualche domanda su quell’aspetto di me, era l’unico che apprezzavo, l’unico che potevo esprimere con facilità e verità.
Sorrise perplessa.
«Una band?» mi domandò serrando la bocca.
Forse era stato un passo falso, non dovevo.
No.
Idiota.
«E cosa fai tu?» mi chiese giocando con la sua collana.
«Canto e scrivo.» risposi tranquillo.
Rimase sorpresa o forse solo perplessa.
Non ci credeva?
A cosa stava pensando?
Se mia madre mi avesse dotato di superpoteri, non sarei mai arrivato a quel punto.
Mai.
Mi guardò con un sorriso.
«E’ fantastico!» affermò mordendosi il labbro «A Milano non ho mai sentito di persone che facessero roba del genere, forse perché era anche più grande.»
Risi.
Era questo che la preoccupava?
Il morale che avevo sotto i piedi si era alzato, ma di tanto, ed era bastata solo una conversazione di cinque minuti con lei. Emma non riusciva neanche a capire perché avevo una band, non riusciva a capire che volevo scappare.
Ero davvero convinto di amare quella ragazza, ma mi ero illuso.
Non era niente di simile.
Provavo solo tenerezza verso di lei, niente di più.
«Allora ti piace la musica!» affermò contenta.
Annuii felice, ma gli squillò il cellulare.
Non capii una sola parola, parlava in italiano.
Abbassai la testa e presi il cellulare dalla tasca per inviare un messaggio a Tom.
Doveva sapere.

Ho fatto finta di stare male e sono uscito, non riuscivo a rimanere.
                  Ho incontrato Sara alla fermata e abbiamo iniziato a parlare. Daniel ci ha visto,
                ma era totalmente impotente, rinchiuso a scuola. Domani mi farà ingoiare la lingua.
                             Ora lei è al telefono. Sono felice Tom. Non completamente, ma quasi.

Alzai gli occhi e la vidi pensare. Mi venne la voglia di chiedergli a cosa pensava, a chi.
Volevo entrare nella sua testa, volevo che lei entrasse nella mia.
Era un passo verso quel traguardo.
Era un passo verso  quel qualcosa che speravo si realizzasse.
Non potevo chiedergli nulla di sfrontato, parlavamo da poco.
Mi guardò negli occhi e mi sembrò di morire, c’era qualcosa che non mi convinceva, nascondeva qualcosa.
Notò che la mia mente lavorava su qualcosa che riguardasse lei e abbassò la testa per poi infilare il cellulare nella cartella.
«Dov’è il municipio?» mi domandò tranquilla.
Guardai fuori. Non l’avevamo ancora passato, ma era vicino.
«La prossima.»
Si alzò prendendo la cartella e borbottò qualcosa di incomprensibile, poi si girò verso di me e mi tese la mano.
L’afferrai non potendo rinunciare a un contatto con lei, e la stretta di mano si ripeté.
«E’ stato un piacere parlare con te. Ci vediamo a scuola, o magari alla fermata. Grazie di tutto.» disse per poi incamminarsi verso l’uscita.
Non capivo cosa stava succedendo.
Dove andava?
Mi stava abbandonando?
Per la musica?
Ogni passo che faceva lontano da me mi apriva nuovamente il vuoto.
Vuoto che si faceva sempre più pesante.
Ad ogni passo l’oblio m’inghiottiva ancora più in profondità.
Si fermò e mi guardò.
«Poi ci mettiamo d’accordo per inglese.» disse sorridendo e scendendo dal pullman.
Una fitta mi prese lo stomaco.
La gola si fece secca.
Ne avevo bisogno, disperatamente.
Chiusi gli occhi e mi sdraiai sul sedile.
Gli avevo parlato, non mi sembrava vero.
Avevo sentito la sua voce, specchiato i miei occhi nei suoi, stretto la sua mano.
Avevo provato più emozioni in quel giorno che in qualsiasi altro.
Il cellulare vibrò nuovamente, mio fratello mi aveva risposto.
Lo tirai fuori velocemente e lessi.

 Chissà perché è uscita prima. Non gli hai chiesto niente?
             State ancora parlando? Sento qualcosa di strano. Non va bene? Non procede?
                 Non affrettare i tempi. Vai lento Bill. Tu provi cose che magari lei non sente.    
                     Dobbiamo essere sicuri di ciò che prova, non voglio che tu rimanga ferito.

Deglutii e mi leccai le labbra.
n volevo correre, no.
Anch’io volevo essere sicuro, ma se lei non avesse provato le stesse cose, io sarei rimasto ferito più delle altre volte, più in profondità.
Sarei rimasto ferito a morte.
La amavo.
Lo sapevo, ne ero convinto.
Mi ero innamorato con uno sguardo, avevo perso la testa con uno sguardo.
Era il colpo di fulmine, e se non fosse stato ricambiato … Beh.
L’amore resiste contro le tempeste.
E’ un’impronta incancellabile che rimane anche sull’orlo della morte.
Mi sarei distrutto.
Ma che cosa cambiava?
Lo stavo già facendo, ma non avevo esagerato, non ancora.

E’ andata via, non so perché. Scappano tutti da me, vedi?
                Nessuno mi amerà mai. Nessuno. Voglio lei Tom. Morirei sapendo che lei non ricambia.
         Rimarrei ferito lo stesso. Non ho niente da perdere.
        A parte un’altra delusione.

O la vita.
Presi la cartella e scesi, eravamo al capolinea.
Il verde che mi si presentava davanti mi faceva schifo, non c’era un cazzo di niente.
Non c’era nessuno.
Solo nel mondo. E
ntrai in casa, lanciai la cartella a terra e tolsi la giacca.
Dovevo alleviare tutto.
Non dovevo pensare.

Andai in camera e presi la mia bottiglia di rum, tolsi il tappo in modo frenetico.
Non vedevo l’ora di accarezzare la bottiglia con le mie labbra.
Lei non mi poteva rifiutare.
La poggiai sulle labbra e iniziai a bere, lo sentii scivolare in bocca, accarezzarmi la lingua, bruciarmi la gola.
Tra un paio di minuti sarebbe passato.
Sarebbe tutto passato.
Mi sedetti a terra bevendo ancora, non avrei smesso, non finché non avessi perso i sensi, non finché tutto sarebbe rimasto buio.
Avevo bisogno di qualcuno che mi facesse da luce.
Avevo bisogno di qualcuno che mi salvasse.
Volevo risplendere.
Volevo, ma il buio era troppo cupo.
Non ci sarei riuscito.
Mai.
Non senza di …
                                                                                      Lei.


 





I Bla Bla Dell’Autrice*

Eccomi Qui :)

Rieccomi. Ancora In Missione Zero Debiti, Mercoledì Interrogazione Di Matematica Per Il 5 O Il 6
Voi Tutto Bene? Soprattutto con la Scuola.
Spero Che Anche Questo Capitolo Vi Piaccia!
Piccolissima Anticipazione Dal Prossimo Capitolo Per La Vostra Gioia! :)


" La sua voce mi rimbombava in testa come una campana. Non riuscivo a non provare quella fastidiosa sensazione. Avevo bisogno di qualcosa per calmare il dolore, ma non era necessario. Mi bruciavano gli occhi, anche se chiusi. Sentii la mano di Tom accarezzarmi il viso, e grazie a quel tocco caddi ancora in catalessi. C’era lui a proteggermi, non avevo nessuna paura. Nessuna. Non potevo averne. Lui non avrebbe mai permesso che mi accadesse qualcosa. Mai. "


Grazie Mille Per Aver Letto E Soprattutto Grazie Mille A Chi A Commentato!


Roby_DamnImperfect : Sarebbe Troppo Facile. Il Nostro Bill E’ Complessato, Quasi Ossessivo E Contraddittorio Da Far Paura. Grazie Mille Per La Recensione E Per I Complimenti. :)

Dragona : Ahahahaha. Ti Aspetti Un Bill Assatanato? Xd Chissà Cosa Combineranno! Grazie Anche A Te! :)

Emmeleia : Sono Contenta Di Aver Attirato La Tua Attenzione. Quella Frase E’ Da Ricondurre Al Contesto, E’ Riferita Alla Bottiglia Come Si Può Ben Vedere. :) Grazie Mille Per Aver Aggiunto La Storia Nei Preferiti, Per I Complimenti E Per Aver Commentato! :)

A Presto!
Un Bacione!

Saretta.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** - 7. Non Importa Niente. ***


Alien

7. Non Importa Niente.

 

Riuscii a raggiungere il mio intento soltanto alla seconda bottiglia di rum.
Non m’importava il dopo, come mi sarei svegliato, cosa avrei provato.
No.
Non volevo pensare a niente, non volevo vedere niente. Ero consapevole che ci fosse gente che soffriva più di me, lo sapevo, ma non m’importava.
Solamente due parole mi si ripetevano in testa, solo due, nient’altro in quel momento.
Non importa Niente.
Cercai di alzarmi da terra, almeno per mettermi sul letto, ma non ci riuscii. Le gambe erano troppo pesanti, sembrava le avessero legate a un masso.
Provai ad aggrapparmi al lenzuolo, non riuscivo a stringerle, non avevo forza.
Mi sdraiai sul pavimento e con la mano spinsi le bottiglie sotto il letto, almeno mia madre non le avrebbe trovate.
Gli occhi incominciarono a chiudersi, la mente a rallentare la sua corsa.
Prima di addormentarmi definitivamente, solo un pensiero mi passò per la testa.
Lei.
Sentii sbattere la porta, qualcuno scuotermi le spalle.
Non avevo la forza di aprire gli occhi, non volevo vedere chi fosse.
Mi muoveva in modo frenetico mentre sentivo salire il vomito.
«Bill!» sentii urlare.
Non avevo la forza di parlare, di muovermi, lasciavo che mi scuotesse, che mi dicesse ciò che voleva. Tanto mi sarei dimenticato tutto, speravo di dimenticarmi tutto.
Tutto.
Sentii il respiro di qualcuno sul viso, delle mani afferrarmi di peso e mettermi sul letto. Non avevo dubbi, Era Tom.
Sospirò esasperato e si sedette sul mio letto. Sentii la pendenza da un lato, ma non riuscivo a capire dove.
«Sei un coglione. Un dannatissimo coglione.» mi disse togliendomi le scarpe.
Aveva ragione, ero un coglione.
«Ti stai rovinando, ora però ti devo fermare.» continuò coprendomi. «Questa è l’ultima volta che succede.»
La sua voce mi rimbombava in testa come una campana. Non riuscivo a non provare quella fastidiosa sensazione. Avevo bisogno di qualcosa per calmare il dolore, ma non era necessario. Mi bruciavano gli occhi, anche se chiusi. Sentii la mano di Tom accarezzarmi il viso, e grazie a quel tocco caddi ancora in catalessi. C’era lui a proteggermi, non avevo nessuna paura, nessuna. Non potevo averne, lui non avrebbe mai permesso che mi accadesse qualcosa.
Mai.
Non so per quanto tempo dormii esattamente.
Tom ritornò a controllare che stessi bene, ma la seconda volta mi svegliò sul serio, mi fece ingurgitare due aspirine e tornai ancora una volta a dormire, fino all’arrivo di mia madre.
Sapevo che Tom gli avrebbe detto che ero stato male, a quanto ne sapeva lei ero stato male anche a scuola. Non capiva il tipo di male che mi affliggeva, non ci sarebbe mai riuscita.
Il mal di testa non lo sentii grazie al sonno, grazie al sonno non sentii quasi niente.
Mia madre entrò in camera preoccupata, sul suo viso non si notava nessun’altra emozione.  
Se continuavo in quel modo, mi avrebbe mandato da un medico.
Dovevo proprio smetterla.
Per me, per Tom, per mia madre, per lei.
«Come stai?» mi domandò sedendosi sul  letto.
«Bene ora.» risposi abbozzando un sorriso.
«Domani vuoi andare a scuola?»
Avrei detto no, ne ero tentato, davvero, ma non potevo, no. Era l’unica occasione per vederla, l’unica occasione per parlargli.
Non sarei mancato, assolutamente.
Annuii e di corsa andai in bagno.
Volevo scappare da lei, i suoi occhi sembravano volermi trafiggere. Neanche il tempo di entrare che qualcuno bussò alla porta.
Chiusi gli occhi e aprii.
Loro non si meritavano la mia indifferenza.
«Ora dobbiamo parlarne.» disse Tom chiudendo la porta a chiave dietro di sé.
Mi poggiai sul bordo della vasca, e lui si sedette affianco a me, non riuscivo a reggere il suo sguardo.
«Non ti lascerò più fare tutto ciò che hai fatto fino adesso.» mi comunicò serio. «Non deve più succedere. L’Alcol sparirà da questa casa, non ne berrai neanche una goccia. Non finché non ti sarà passata.»
Era il mio intento infondo, però non sapevo come fare.
Dove sarebbe andata tutta la rabbia?
Tutta la solitudine?
Tutti i miei problemi?
Dove avrei riposto la mia infelicità?
Sospirai.
Sapevo cosa mi serviva, lo sapevo.
Tirò fuori un bigliettino dai suoi pantaloni extralarge e me lo porse.
Lo presi in modo scettico.
Non mi diceva di cosa si trattava?
Si alzò dal bordo della vasca, apri la porta e prima di varcare la soglia mi rivolse un ultimo sguardo.
«E’ il suo numero. Parlaci.»
Sbatté la porta mentre lo stupore s’impadroniva di me.
Il suo numero, avevo tra le mani il suo numero.
Lei aveva toccato quel foglio.
Lei aveva scritto quel foglio.
Lo aprii lentamente e vidi scritto il suo nome e sotto il numero, la sua scrittura era tutta curve, quasi come quella di un dottore.
Mi piaceva.
Corsi in camera e presi il cellulare.
Diamine!
Potevo parlare con lei.  
Salvai immediatamente il numero. Avevo intenzione di iniziare a parlarci in quel preciso istante.
Mi sdraiai sul letto e aprii la pagina di scrittura ma mi bloccai di colpo.
Che cosa potevo scrivere?
Mi scervellai per circa mezz’ora, e poi mi venne in mente cosa scrivere, non era di certo un granché. Era una cavolata assurda, una cosa semplice, tanto semplice, troppo.
Incominciai a scrivere.

Ciao, sono Bill. Tom mi ha dato il tuo numero.
Oggi mi hai fatto preoccupare sai? Ti sei dispersa per caso?

Inviai poco sicuro quelle due righe che avevo messo insieme, non avevo fantasia, era una cosa orribile. Continuai a maledirmi per circa dieci minuti, non arrivava risposta.
Ero in apprensione.
Incominciai a girare per la stanza, andavo avanti e indietro. Presi a fissare il soffitto e a contare le crepe.
Niente.
Scesi in salotto per lo sconforto, non mi aveva risposto. Mia madre si girò verso di me, era sola. Tom probabilmente era in camera, oppure era uscito.
Mi guardò in modo perplesso mentre prendevo il quaderno in cui avevo scritto la canzone del giorno.
«Bill, vieni qua.» mi disse spegnendo il televisore e accendendo la luce.
Alzai gli occhi al cielo. Non era il momento quello!
Che cosa voleva?
Ero quasi isterico e lei mi chiamava per … fare cosa?!
Andai verso di lei che mi fece segno di sedermi sul divano. Non fiatai, eseguii l’ordine, nonostante il mio corpo volesse correre sopra.

 

I Bla Bla Dell'Autrice*

Ciao Ragazze :)
Eccomi Qui Con Un Nuovo Capitolo!
Domani Finalmente Ci Sono I Quadri ... Vedremo Come Andrà A Finire *w*
Penso Che Aggiornerò Molto Più Spesso, Sempre Se Il Computer Me Lo Permetterà o.O
Vi Lascio La Mia Pagina Di Facebook :)
' Wιя Sιη∂ Tяäυmәя* - Passate Se Vi Fa Piacere :)
Spero Che A Voi La Scuola Sia Andata Bene E Che Le Vacanze Siano Iniziate In Modo Favoloso :)
Qui Da Me, Sfortunatamente, Piove E Sono Più Le Giornate In Cui Bisogna Trovare Qualcosa Da Fare Al Chiuso Che Quelle In Cui Si Possa Uscire :(
Spero Anche Che Non Vi Abbiano Dato Tanti Compiti Delle Vacanze, Sono Davvero Odiosi E Nel Caso In Cui Qualcuna Di Voi Abbia Gli Esami Gli Do Un In Bocca Al Lupo!
;)
E Per Ultima Cosa, Nel Caso In Cui Siate Rimaste Senza Qualcosa Da Leggere, Vi Consiglio "Il Ritratto Di Dorian Gray" di Oscar Wilde. E' Davvero Bellissimo!
Per Concludere ...
Oggi Grandi Ringraziamenti!

Dragona : Mi Fa Piacere Sapere Cosa Ne Pensi :)
E Lafee E' Molto Brava, Magari Prenderò Qualche Spunto Da Alcune Sue Canzoni.
Grazie Per Commentare Sempre :)
Furimmerjetzt : Grazie Mille Per I Complimenti! Penso Che Grazie Alle Vacanze Riuscirò A Postare Molto Più Spesso.
Roby_DamnImperfect : Mi E' Dispiaciuto Non Leggere La Tua Recensione, Spero Non Sia Perchè Il Capitolo Non Ti Sia Piaciuto. In Tal Caso Vorrei Capire Cosa Non Va. :)
Oggi Includo Anche Tutte Coloro Che Hanno Aggiunto La Storia Tra I Preferiti, Tra Le Storie Seguite O Da Ricordare! Per Cui:

- Dany696
- Emmeleia
- Jujy_ToKieTTa
- LiTtLe BaBy
- PrinzessinTH
- tokia483
- _cindygirl
- __BlueMoon
- _Engel
- Vittor_
- sihu
- LadyIceXD
- Jiada95
- Lady Kaulitz
- MadameMoonLoveSunshine_483
- JuJy_ToKieTTa_

Grazie Mille A TUTTE VOI, Davvero! Spero Che Sia Di Vostro Gradimento! :)

Ed Ecco Una Piccola Anticipazione Del Prossimo Capitolo :

" Tom entrò in cucina perplesso, ed io non gli diedi il tempo di fare domande. Lo afferrai per le mani e incominciai a saltare facendo in modo che lui lo facesse con me.
Non batté ciglio, era serio. Non sapevo cosa diamine gli prendeva.
Abbassai la testa e tornai in camera sotto lo sguardo allibito di tutti. Avrei parlato dopo con mio fratello, in quel momento dovevo fare una cosa importante. Una cosa che, forse, mi avrebbe cambiato la vita.
Rispondere a un semplice messaggio. "

Ragazze, Grazie Mille A Tutte Ancora Una Volta E Un Bacione!
<3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** - 8. Non Sono Me Stesso Quando Tu Non Ci Sei. ***


Alien

8. Non Sono Me Stesso Quando Tu Non Ci Sei.

«Cosa ti prende?» mi domandò amorevolmente.
Il mio cuore si sciolse di colpo.
Era la mamma migliore del mondo.
Mi avvicinai di più a lei posando il quaderno dietro di me. Attorcigliai le mie braccia intorno al suo collo e posai il viso sulla sua spalla.
Incominciò ad accarezzarmi i capelli.
Volevo piangere.
Lo sapeva quello che stava succedendo, faceva finta di niente, aspettava che fossi io a dirglielo. Mi scostai appena per riuscire a vedere il suo viso.
Avevo bisogno di sapere cosa fare.
Lei avrebbe saputo dirmelo, indubbiamente.
Ero imbarazzato.
Non gli avevo mai chiesto cose del genere, ma sapevo che lei aveva le risposte.
Era una donna, raccontava spesso cosa voleva che gli uomini facessero per lei.
Dovevo tentare.
Sospirai.
Se lo avessi detto tutto d’un fiato sarebbe stato meglio.
Via il dente, via il dolore.
«Come posso piacere a una ragazza?» domandai velocemente.
Mia madre sorrise. Forse non sapeva niente di ciò che stava accadendo. Si, era solo una mia illusione.
«Bill, tu sei perfetto esattamente così come sei. Devi solo essere te stesso.» rispose ovvia.
Essere me stesso? Potevo farcela. Il problema era solamente come. Se lei non rispondeva, io non potevo andare avanti. Mia madre si alzò e si diresse in cucina. No, non avevo fame. Corsi in camera e non guardai neanche il cellulare. Dovevo rileggere ciò che era uscito fuori. Non avevo ancora visto. Aprii il quaderno sedendomi a gambe incrociate sul letto. Trovai la pagina, avevo scritto più dritto del solito.

I miei occhi mi guardano stanco e non trovano conforto.
Non posso più guardami non sono me stesso
tutto quello che prima era dentro di me ora non lo posso trovare
tutto è scomparso come in un sogno
vedo me stesso mentre scompaio.

 Non sono me stesso quando tu non ci sei ,sono solo
e tutto quello che è rimasto in me ... non voglio essere cosi
fuori il cielo storto e sulla parete la tua lettera d'addio
Non sono me stesso quando tu non ci sei, sono solo.

Non so più chi sono e ciò che è importante
tutto quello è là proprio dove sei tu
Senza di te attraverso la notte non riesco a trovare niente di me
che cosa mi hai fatto? Vedo me stesso mentre scompaio.

 Non sono me stesso quando tu non ci sei ,sono solo
E tutto quello che è rimasto in me ... non voglio essere cosi
fuori il cielo storto e sulla parete la tua lettera d'addio
Non sono me stesso quando tu non ci sei, sono solo !

pian piano scompaio, non mi sopporto
non riesco a toglierti da me
non importa dove sei ... vieni e salvami.

 

Non sono me stesso quando tu non ci sei
 

Tu non sei ... vicino a me. Sono solo.
E tutto quello che è rimasto di me ... non voglio essere cosi

 

Non sono me stesso quando tu non ci sei.
Non voglio più vivere.

 
Non importa dove sei... vieni e salvami.
Non sono me stesso quando tu non ci sei.

 

Rilessi ancora una volta.
Rispecchiava totalmente ciò che avevo dentro, andava bene.
Presi la matita in mano per correggere qualche errore, ma il cellulare vibrò.
Mi bloccai di colpo.
Chi poteva essere? Non dovevo illudermi.
Magari era solo Tom.
Lasciai la matita sul letto e afferrai il cellulare.
Un nuovo messaggio.
Lo Aprii.
Spalancai la bocca.
Il cuore accelerò la corsa.
Era lei.

      Ciao Bill! No, non pensare negativo. Sono arrivata a casa!
         Strano, vero?
                     Mio padre mi veniva a prendere davanti al municipio, allora sono dovuta scendere.
           Mi dispiace. Mi avrebbe fatto piacere continuare a parlare con te.

 

Gli avrebbe fatto piacere parlare con me.
Gli dispiaceva.

Non dovevo pensare negativo.
No.
Non pensavo negativo.
Non in quel momento.
Saltai giù dal letto e corsi in cucina urlando, felice come una pasqua.
Era incredibile, mi aveva risposto!
«Mamma, mamma!» urlai correndo.
Mia madre si girò spaventata.
«Mi ha risposto! Mi ha risposto!» affermai salterellando e battendo le mani con il cellulare tra di esse.
Tom entrò in cucina perplesso, ed io non gli diedi il tempo di fare domande. Lo afferrai per le mani e incominciai a saltare facendo in modo che lui lo facesse con me.
Non batté ciglio, era serio.
Non sapevo cosa diamine gli prendeva.
Abbassai la testa e tornai in camera sotto lo sguardo allibito di tutti. Avrei parlato dopo con mio fratello, in quel momento dovevo fare una cosa importante.
Una cosa che, forse, mi avrebbe cambiato la vita.
Rispondere a un semplice messaggio.

 

I Bla Bla Dell'Autrice*

Ciao Ragazze :)
Eccomi Qui Con Un Nuovo Capitolo!
SCUSATEMI, SCUSATEMI, SCUSATEMI. Il Mio Pc E’ Andato Davvero A Farsi Benedire E Solamente Ora Ne Ho Un Altro.
Penso Che Aggiornerò Molto Più Spesso, Sempre Se Il Computer Me Lo Permetterà o.O
Spero Che La Scuola Stia Andando Bene Nonostante I Cambiamenti Fatti Dalla Gelmini.
Un’Ora Da 60 Minuti E’ Un Suicidio! E Quando C’è Matematica … Ancora Peggio!
Spero Che Le Vacanze Siano Andate Alla Grande!
;)
Ormai Il Tempo E’ Quello Che E’, Piove Quasi Sempre. L’Inverno E’ Alle Porte! :)

Dragona : Il Ragazzo A Giusto Un Paio Di Problemi. Insomma, Ha I Complessi D’Inferiorità! Ora Vedrai Come Si Evolve! :)
Grazie Per Commentare Sempre :)
Roby_DamnImperfect : Figurati! Sono Felice Che Ti Piaccia E Spero Di Aggiornare Presto :(

PrinzessinTH : Grazie Mille Per I Complimenti! :)

Layla : Come Vedi Sara Ha Risposto! E La Mamma Voleva Solamente Capire Cosa C’Era Che Non Andava, Tenera Lei, Me La Immagino Proprio Così. Grazie Mille Per La Recensione.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** - 9. Occasione. ***


Alien
9. Occasione

Dai, è un passo avanti! Comunque possiamo continuare la nostra discussione. Ti va?

 

Inviai sperando che la risposta fosse positiva.
Mi sdraiai sul letto aspettando.
Non poteva essere vero.

Rilessi il testo che avevo scritto e poi chiusi tutto per sigillare il quaderno all’interno del mio comodino, Tom l’avrebbe letta più tardi.
Il cellulare vibrò nuovamente e un sorriso si fece spazio tra le mie labbra.
L’ennesimo sorriso.

Certo! Allora, pensi di sfondare nel mondo della musica?

Sfondare nel mondo della musica? Era il mio obiettivo. Dovevo riuscirci a tutti i costi per scappare da quel paesino che mi opprimeva. Non c’era niente. Io non ero fatto per la monotonia, non riesco a sopportarla neanche un po’. Ovviamente per certe cose mi piace, ma per altre no. Cosa c’è di divertente a essere picchiati quasi tutti i giorni? Cosa c’è di divertente nel cercare di non cadere ancora di più in profondità?

Lo spero. Però è difficile. Nessun produttore musicale passerà mai per Loitsche.
E’ più probabile che passi per Amburgo, ma non ne sono così sicuro.
Però provo a fare del mio meglio.

Inviai. Non sapevo cos’altro dire. Ero troppo felice. Stava parlando con me e si stava interessando di una cosa, tra le più importanti, della mia vita. Non potevo non pensarci. Non mi veniva in mente nient’altro. Iniziai a immaginare il giorno dopo.
Tutto sarebbe iniziato alla fermata. Parlare, parlare, parlare e parlare fino a scuola. La scuola. Che cosa avrei fatto?

Non è impossibile che passi per Amburgo. Per Loitsche … La vedo dura.
Ti vorrei dire che sicuramente si avvererà tutto ciò che desideri,
ma non ti ho mai sentito. Anzi, non vi ho mai sentito.

Che amore. L’ennesimo sorriso mi spuntò sul volto. Cercava in qualche modo di rassicurarmi, ma voleva essere realista. Non mi aveva mai sentito. Allora ciò che mi venne spontaneo fu chiederle solamente una piccola, insignificante cosa.

Hai ragione. Allora facciamo una cosa, sabato siamo al Du Nord.
Iniziamo alle otto. Vuoi venire?

Deglutii prima di premere il tasto "Invia".
Speravo in un sì, in maledettissimo sì.
Dovevo ancora trovare una soluzione sul come avrei potuto parlare con lei a scuola; dovevo ancora risolvere l’enigma Daniel, però sapevo di non riuscirci, non se la risposta tardava ad arrivare.
Mi rigirai nel letto un paio di volte preoccupato. Dovevo anche parlare con Tom. Non sapevo come prendere il tutto, era una cosa oscena. Problemi su problemi e se ne aggiungevano sempre nuovi e questa consapevolezza mi arrivò tutta in insieme quando aprii il suo messaggio.
Come potevo spiegare che lei stesse con me?
Come potevo non essere massacrato ancora di più sotto i suoi occhi?
Gli avrebbero fatto capire che non sapevo reagire, che non valeva la pena stare con me.
Idiota.
Coglione.
Stronzo.
Scemo.
Dannatissimo bastardo.
Perché cazzo ero dovuto crescere in quel modo?
Rilessi nuovamente il messaggio.

D’accordo! Immagino che tu debba andare prima per
sistemare gli strumenti, per cui ci vediamo lì. Ma sai una cosa?
Forse ti posso aiutare nel tuo intento, ma non chiedermi come.

Spalancai gli occhi e risposi.
Parlammo fino alle undici di sera, io avrei continuato anche per una settimana intera se non di più, ma lei era stanca. Non riuscivo a capire come Dio avesse potuto privarsi di un angelo come lei.
Fino alle undici le mie domande erano ancora senza risposta. Non sapevo come fare, ma non ci pensai più di tanto, avevo un problema più grande.
Tom.
Mi alzai dal letto e corsi in camera sua, aprii senza bussare e, per questo, mi beccai una brutta occhiataccia.
Era seduto a terra con la sua chitarra, probabilmente l’aveva appena presa in mano perché io non avevo sentito niente. In casa c’era stato il silenzio più totale, o forse ero io che mi ero estraniato dal mondo. Era probabile, ma il suono di una chitarra avrei dovuto comunque sentirlo.
«Lo so.» mi disse non appena mi accomodai di fianco a lui.
Non c’era bisogno di comunicare, ero davvero consapevole che io e lui pensavamo le stesse cose, ci capivamo anche senza parlare. Solo poche volte chiedevamo conferma domandando qualcosa, ma per il resto era una cosa superflua.
Non volevo prolungare il tutto, era meglio andare dritti al punto.
«Prima mi dici cos’hai?» chiesi guardandolo.
Si girò verso di me inarcando il sopracciglio.
Okay, quella era una domanda cretina, avevo una mezza idea di quello che aveva.
Pensava.
Pensava a quello che pensavo io ovviamente, o così credevo.
«Ci sto pensando da prima di te a domani.» rispose poggiando la chitarra contro il muro.
Lo sapevo.
Lui aveva avuto più tempo, forse era arrivato a una conclusione logica.
Lo speravo davvero.
Potevo inventarmi qualcosa al momento, ma non avrebbe mai funzionato. Tutti gli insulti iniziavano sul pullman e lei non doveva sentire niente di tutto ciò, niente.
Ormai nulla poteva ferirmi, soprattutto se ci sarebbe stata lei accanto a me, ma qualcosa mi diceva che a lei avrebbe dato fastidio.
«Per il pullman passo prima io, poi lei e infine tu.» disse sedendosi nuovamente accanto a me.
Giusto.
Se Tom saliva prima avrebbe fatto stare zitti tutti, aveva picchiato quasi tutti i passeggeri che andavano diretti a scuola. Questi si divertivano ancora a prendermi in giro se lui non c’era.
Poi sarebbe passata lei perché così avrebbero capito che stava con noi ed io … Io per ultimo perché altrimenti si sarebbe potuto scatenare il pandemonio.
«Ha senso.» commentai pensandoci su.
«Ovviamente.» rispose ridendo per poi continuare il suo piano. «Ecco, poi scuola. Scendiamo e ci sediamo al solito tavolo. Naturalmente io sarò un po’ lontano da voi.»
Aveva già risposto al mio dubbio.
Non sapevo se lei volesse parlare di sé davanti a Tom, non sapevo se si vergognasse di lui, anche se, poiché ci aveva parlato, era un po’ improbabile ma non volevo correre il rischio. Non si poteva mai sapere.
«Poi l’accompagniamo in classe. All’uscita non ci dovrebbero essere problemi. E’ l’intervallo che mi preoccupa.»
Era un problema.
Tom prima dell’intervallo aveva chimica, scienze oppure laboratorio di ascolto. Era sempre ai laboratori in ogni caso, per questo ci incontravamo sempre fuori. Se tornava indietro per prendere me metà intervallo sarebbe andato in fumo, e non volevo che succedesse.
I miei prof erano sempre lenti, ci facevano uscire sempre qualche minuto dopo e solitamente tutti erano già usciti.
Daniel mi aspettava sempre, per questo non c’era via di scampo. C’erano le eccezioni in cui anche i suoi professori lo tenevano dentro, oppure io uscivo stranamente in orario e riuscivo a scappare. Lui era al piano di sopra, doveva fare le scale, io no.
«Troverò il modo.» dissi scettico.
«Lei esce sempre in orario e si siede sempre alla solita panchina.»
Entrambi cercavamo di trovare una soluzione, ma ci voleva solo un colpo di genio. Secondo me Daniel non si sarebbe fatto scrupoli pur di dimostrare che io ero il debole, mi avrebbe acchiappato, anche se lei era presente.
Dovevo cercare di reagire o dovevo cercare di parlare con ... lui? Sì, era la soluzione migliore, parlare.
Dovevo sembrare superiore a lui, anche se non avevo speranze, non mi potevo prendere in giro più di tanto.
Era impossibile.
«Tanto non mi vorrà mai, anche se sabato viene a sentirci suonare.»
Tom si alzò di colpo battendo le mani, lo guardai perplesso. Che diamine stava facendo?
«Sabato è la tua grande occasione! Devi lavorartela durante la settimana. Bill, se ha detto si qualcosa c’è.»
Chiusi gli occhi.
Perché ero così pessimista?
Tom aveva ragione, anche se in parte. Magari voleva solo fare amicizia con il primo che gli passava davanti, forse gli facevo pena o magari era solo gentile con tutti.
Le braccia di Tom mi avvolsero le spalle.
Ero un fallito.
Poggiai la testa sulla sua spalla e iniziai a piangere.
Stavo per rovinare la vita di un’altra persona, non bastava rovinare la mia, quella di mio fratello e di mia madre no, anche la sua vita sarebbe stata contaminata e lei non si meritava niente del genere.
Non combinavo mai niente di buono.
Perché dovevo essere così?
Se Tom fosse stato figlio unico quei problemi non sarebbero mai esistiti, io non sarei mai esistito e ciò avrebbe fatto in modo che la vita di tutti fosse stata più serena. Non servivo a niente, niente di niente. Non riuscivo a finire niente.
Che cosa avevo che non andava?
Tutti contro di me.
Perché dovevo andare così contro corrente?
Perché avevo fatto in modo che i loro insulti mi colpissero talmente tanto da cadere in un pozzo senza fondo?
Perché adesso che avevo trovato la mia salvezza tutto sembrava più difficile di prima?
Tom mi stringeva forte cercando di farmi capire quanto tenesse a me.
Lui., avevo lui.
Mi dimenticavo sempre, negli ultimi tempi, che lui non poteva essere niente senza di me.
Io non potevo essere niente senza di lui.
Il mio respiro era sempre più affannato, stavo bagnando tutta la maglia di Tom. Il mio viso era velato di un fine strato di acqua eppure mi sembrava così poco per descrivere il mio dolore.
«Non hai niente che non va. Sono gli altri sbagliati.» mi sussurrò accarezzandomi i capelli.
Cercai di convincermi grazie alla sua frase.
Quale uomo piangeva?
Perché non riuscivo a resistere quando le sue braccia mi avvolgevano?
Perché capiva sempre quando ne avevo bisogno?
Per chiunque quel pianto poteva essere improvviso, ma per lui no.
Lui era pronto, più forte di me, sapeva controllarsi, io no. Non capivo con quale forza andasse avanti.
La mia gola iniziò a inaridirsi, mandai giù un po’ di saliva.
Non dovevo deludere mio fratello, quella notte nessuna bottiglia sarebbe stata schiava delle mie paure.
«Ti voglio bene.» sussurrai non appena le lacrime cessarono di scendere dai miei occhi.
«Anch’io fratellino.» disse scostando le braccia «Avrai tutto ciò che desideri senza di loro.» continuò dandomi un leggero bacio sulla fronte.
Lo guardai negli occhi, era serio.
Mi morsi il labbro e andai in bagno, lavai la faccia e mi guardai allo specchio. Avevo gli occhi arrossati, stanchi; il trucco era andato via completamente, le occhiaie erano più marcate del solito.
Il mio viso era smagrito, lo toccai appena e uscii.
Infilai il pigiama e andai a letto.
Mi facevo schifo.
Tom aprì un po’ la porta della camera, notai il suo viso fare capolino dalla porta.
Stava andando a letto anche lui, era senza cappellino e fascia.
«Notte Bill.» mi disse per poi richiudere la porta.
«Notte.» sussurrai fissando il soffitto.
Ero sicuro che qualcosa sarebbe cambiato, non sapevo se in positivo o in negativo.
Avevo paura.
Presi il cellulare e rilessi i messaggi che mi aveva mandato e notai una cosa : Era tardi, ma dovevo augurarle comunque la buonanotte.
Avrei voluto essergli accanto per poter vegliare su di lei, ma non era possibile.
Volevo custodire i suoi sogni, entrare a farne parte come lei ormai era parte dei miei.
Spostai lo sguardo fuori dalla finestra. Avevamo esattamente tre cose in comune che mi rassicuravano.
Vivevamo nello stesso paese.
Vivevamo sotto lo stesso enorme e immenso cielo.
Guardavamo esattamente le stesse stelle, anche se probabilmente in modo diverso.
Io speravo che esse avverassero i miei desideri, speravo che portassero il mio messaggio direttamente a lei, che gli raccontassero ciò che mi aveva fatto provare in un giorno soltanto, che gli svelassero ciò che tutti gli altri avevano paura di sapere.
Sospirai e iniziai a scrivere il messaggio di buonanotte, non rilessi neanche una riga.
Ero sicuro che altrimenti non sarebbe mai stato inviato.

Oggi mi è stato concesso di conoscere una persona che già reputo speciale.
Mi è stato concesso di parlare sinceramente di me stesso come non ho mai fatto. Grazie.
Grazie per esserti interessata a me, per avermi ascoltato. Solo Grazie. Buonanotte.

Mi addormentai con la paura addosso.
Poteva non esistere.
Tutto poteva essere un sogno, poteva scomparire, ed io avevo paura di svegliarmi nuovamente in quell’incubo che temevo vivere ogni giorno.
La vita reale.

I Bla Bla Dell'Autrice*

Ciao Ragazze :)
Vorrei davvero scusarmi in una maniera allucinante!
Ho avuto molti problemi sia con la linea internet che con il computer, ma grazie alla scuola mi è stato concesso un pc nuovo e per cui conto di poter davvero continuare con questa storia.
Vorrei ringraziare tutti coloro che leggeranno e spero davvero vi piaccia. :)
Un bacione e, a presto!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=471941