the madcap laughs◊

di RiceGrain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** first ***
Capitolo 2: *** second ***



Capitolo 1
*** first ***





Sapevo che quella sarebbe stata una giornata no da come la birra mi si era simpaticamente rovesciata addosso di prima mattina

1.

 

Sapevo che quella sarebbe stata una giornata diversa da come la birra mi si era rovesciata addosso di prima mattina.

A me non succedeva mai.

Chiamarla prima mattina poi era azzardato, visto e considerato che l’orologio appoggiato alla mensola e che per puro miracolo ancora non rotolava giù, segnava le 03.45 p.m.

-Mallory, mi spieghi che cazzo fai?-

Sbuffai infastidita.

Perché d’accordo essere una rockstar, d’accordo devastarsi ogni sera con alcohol, fumo e chi più ne ha più ne metta, ma dormire fino alle 04.00 del fottuto pomeriggio e incazzarsi perché sei stato accidentalmente svegliato dalla tua ragazza che si rovescia la birra addosso, è davvero troppo.

-Passami una lattina- continuò con voce assonnata, passandosi una mano fra i capelli e scompigliandoli all’inverosimile.

Johnny River Peabody era quanto di più simile all’idea di rock ‘n roll avessi nella mia testa.

Bello come un Dio, libero come il vento e pazzo all’inverosimile.

Inutile dire che mi ero innamorata di lui l’istante successivo a che l’avevo visto sul palco della House of Blues a L.A.

Con quel basso fra le mani e i capelli neri e sudati sulla fronte.

River era semplicemente da infarto e nel corso di quegli anni me ne aveva procurati tanti e nei più svariati modi per giunta.

Quando la mattina me lo ritrovavo nel mezzo del tour bus con solo le mutande addosso, tanto per citare qualche esempio.

O quando così improvvisamente nel cuore della notte si alzava prendendo la sua vecchia Fender Strat verde acqua e si metteva a comporre ed io mi svegliavo con quel suono nelle orecchie, aprivo gli occhi e me lo vedevo lì nella penombra del bus con la musica nello sguardo e nient’altro.

O quando nel corso di un concerto si voltava verso il backstage e mi strizzava l’occhio, facendomi sentire la donna più felice del sistema solare.

Beh, River era la mia eclissi, nel vero senso della parola. Da quando era arrivato lui nella mia vita, non c’era stato più posto per altro. Niente, spazzato tutto via nella frazione di secondo in cui i nostri occhi si erano incrociati.

-Ho voglia di andarmene- alzai gli occhi su di lui e lo vidi guardarmi con il suo solito sguardo sprezzante, di quelli che sai che potrebbero fare a botte con il mondo in qualunque momento.

-Fanculo il tour. Fanculo la band. Fanculo tutto. Andiamocene, Mallory. Io e te-

Lo amavo.

Dio se lo amavo.

-Non puoi mandare affanculo il tour, River.-

ero l’unica a chiamarlo con il suo secondo nome, ed ero fiera di esserlo. In quel modo era come se fosse solo ed esclusivamente mio. E lui lo adorava. Lo sentivo che era così.

-Ma sì che posso. A chi vuoi che freghi?-

-A Luke, per esempio- il suo migliore amico Luke. Quello che lo raccattava tutte le volte che andava in pezzi. Quello che lo riportava a casa dopo le sbronze e che lo allontanava dalle risse.

Sbuffò e roteò gli occhi al cielo. Un gesto che faceva quando sapeva che erano gli altri ad avere ragione, e a lui dava sui nervi. Il fatto di non avere ragione.

River era una di quelle persone che hanno capito che le cose la maggiorparte delle volte vanno proprio come pensi tu, e gli altri non ci hanno capito un cazzo.

-Devo restare per Luke? È questo che mi stai dicendo?-

Stavolta fui io a sbuffare.

-Dovrebbe mandarti a fare in culo, lo sai? Sei uno stronzo.-

Non rispose, si alzò dalla cuccetta e si diresse in bagno, sbattendo la porta.

Avevo un’improvvisa voglia di vomitare.

Non perché mi sentissi veramente male, fisicamente intendo.

Era tutta quella situazione a darmi la nausea.

Eppure non avrei saputo vivere altrimenti.

Chiusi gli occhi e aspettai che quella sensazione passasse, come sempre succedeva.

E quando lo fece, mi accesi una sigaretta.

Detestavo l’odore del fumo, per assurdo che fosse.

Lo detestavo e per quello non riuscivo a farne a meno.

Fumavo quando ero arrabbiata, felice, depressa, fumavo per darmi un contegno o semplicemente per smettere di pensare.

-Hey Mal. In piedi a quest’ora?- mi voltai al suono della voce di Skye, la tipa di Luke, che entrava nel tour bus sbattendosi la porta alle spalle.

Le feci un semplice cenno col capo, e tornai a concentrarmi sulle spirali di fumo della mia sigaretta, che si disperdevano nell’aria in effimeri cerchi di bianco.

-Dovresti smetterla di avvelenarti. Non arriverai ai 30 anni se continui così-

Skye era la classica ragazza salutista. Filosofa new age, vegana fino al midollo, e un fisico da schianto dovuto alle interminabili ore che dedicava alla corsa ogni santissimo giorno.

Non avevo voglia di risponderle e lasciai correre, tanto c’era abituata.

-Domani ce ne andiamo- continuò a chiacchierare lei imperterrita.

-Luke è eccitato all’idea del Tennessee…sinceramente non so come farò a resistere senza l’aria della California.-

Sistemò la spesa nel piccolo frigo, addossato alla parete e sospirò quando constatò per l’ennesima volta lo stato pietoso nel quale riversava il nostro piccolo ed unico elettrodomestico.

-Nessuno pulisce come al solito, eh?- scosse la testa e poi richiuse lo sportello, facendo finta di non aver visto niente.

Era brava a fare finta.

River lo diceva sempre che Skye era una che fingeva parecchio.

Soprattutto a letto.

Erano andati insieme qualche volta prima che io entrassi nella sua vita e che lui smettesse di scoparsi qualsiasi essere vivente per concentrarsi solo su me.

-E’ un grande cambiamento- mi aveva detto una volta Luke, guardandomi fisso negli occhi e sorridendo come se chissà quale miracolo fosse successo.

-Johnny è fottuto-

-Più che altro sono io quella che si è fottuta qui- avevo puntualizzato io, guardandolo con sarcasmo.

-Lui può scaricarmi sul ciglio della strada senza tanti complimenti e cavarsela comunque, io morirei se dovessi lasciarlo.-

Che schifo, quel pensiero mi acuiva la nausea a livelli insopportabili. Però per qualche strana ragione mi faceva sentire bene, anche.

Il mio cervello era davvero scombinato, perché non c’era niente al mondo che fosse semplice e lineare per me. No, ogni cosa doveva sempre avere due lati, esattamente opposti.

Come diceva Ejzenštejn riferendosi al colore giallo che per una popolazione di cui non ricordo mai il nome significa sia tenerezza che gelosia.

-Noi non veniamo- mi accorsi di avere parlato solo quando l’occhiata stupita di Skye mi colpì per la forza della sua sorpresa.

-Sì, in Tennessee intendo. Io e River non veniamo.-

Solo dopo averlo detto mi resi conto di come in fondo l’avessi sempre saputo, forse da ancora prima che lo dicesse River.

Io e lui avremmo preso un’altra direzione e chi lo sa dove ci avrebbe condotto. Chi lo sa se alla fine di quella deviazione saremmo stati sempre insieme o se qualche inevitabile ostacolo ci avrebbe resi due completi estranei.

In qualche modo, sapevo che era giusto scoprirlo.

-Che vuol dire che non venite?- Skye si morse il labbro involontariamente e si mise a sedere accanto a me.

-Non veniamo.- continuai, spegnendo la sigaretta e voltandomi a fissarla, quasi infastidita dalla sua reticenza a capire.

-Ma…Johnny…il tour.- era praticamente sconvolta.

Sospirai e poi sbuffai e mi alzai, incapace di sostenere quella conversazione un momento di più.

-Cosa vuoi che ti dica? Mi dispiace.-

-E’ un’idea di quella testa di cazzo, non è così?- ecco che cominciava ad alterarsi. Il pensiero di River la inquietava sempre e la rendeva nervosa.

Glielo leggevo negli occhi che la sua presenza non l’avrebbe mai lasciata indifferente, d’altra parte River era una di quelle persone che ti segnano a fondo.

Dentro l’anima. E non te la lasciano mai più intatta come prima del loro passaggio.

I suoi occhi erano un chiaro ammonimento di quello che sarebbe avvenuto poi, e tu potevi decidere se farti stravolgere la vita da lui e da tutto quello che si celava dietro quelle lastre di ghiaccio bollenti, o andartene via.

Ma chi volevo prendere in giro?

Andarsene era impossibile. Nessuno l’avrebbe mai potuto fare.

Perché lui era semplicemente irresistibile.

Perché lui ti incatenava a sé senza neanche rendersene conto.

 

 

 

La pioggia sferzava il cappuccio nero sulla mia testa e la punta delle Converse nere di River.

Il marciapiede sul quale ci trovavamo poteva essere un qualsiasi marciapiede di una qualsiasi cittadina dimenticata da Dio degli States, ma per qualche strana ragione non era affatto così.

Io lo sentivo e lui lo sentiva. Le mani in tasca lo dicevano chiaramente che da qualche parte dentro di sé temeva quel momento che così tanto aveva voluto far arrivare.

Partire, dire addio e lasciare indietro posti, persone e abitudini.

Non che River avesse mai avuto un’abitudine in vita sua, ma anche il semplice fatto di mangiare al The Grill per tre giorni di fila, bastava a renderlo insofferente.

Ed ora ci trovavamo su quello sputo di cemento ad aspettare un greyhound per la prima destinazione possibile.

Madison, il caso aveva voluto che fosse proprio quella la prima destinazione possibile e c’eravamo semplicemente affidati ad esso.

Io non c’ero mai stata, River sì e aveva detto che era un posto come un altro per cominciare.

-Ma cominciare cosa?- avevo chiesto io, buttando tre stracci nello zaino.

-Cominciare-

Poteva significare tutto e niente.

Con River ogni cosa era sempre anche il suo esatto contrario e almeno in quello eravamo dannatamente simili.

Per quello mi ero limitata a scuotere la testa e a domandarmi se davvero invece non fosse il caso di tornare a casa, dai miei genitori.

-Non c’è più tempo- mi aveva chiuso la zip dello zaino con un movimento repentino, quasi aggressivo e la risposta alla mia domanda silenziosa era apparsa chiara davanti ai miei occhi.

Ma quale casa?

Io non ce l’avevo più una casa.

Non da quando la mia essenza si era mescolata a quella di River.

Poi lo stridio dei freni del Greyhound allo sporgersi del braccio di River, caldo, condizionatore rotto, sorrisi finti, musica dalle cuffie di qualcuno, un ciccione con la camicia hawaiiana addormentato con la fronte contro il finestrino, sapore di America e di strada mescolato a quello della pioggia, sapore di addio, tristezza e gioia insieme, sapore di una California che rimaneva lì con il sole e le giornate allegre, con Venice Beach e Laurel Canyon.

Voglia di buttarsi sulla strada.

 

 

 

 

Non so onestamente cosa verrà fuori da questa storia ma è tutto ciò che risiede nel mio cervello, senza filtro. Ho deciso di sedermi e lasciare che le parole fluiscano liberamente, facendo il loro corso.

Non so chi sia Mallory, né tantomeno River, ma in qualche modo dovevano essere presenti dentro di me.

Beh adesso che li ho conosciuti devo dire che mi piacciono e spero di tirare fuori qualcosa di decente che possa magari interessare qualcuno.

Ultima cosa, il titolo della fanfiction è un omaggio al grande Syd Barrett e al suo primo album solista.

Ringrazio anticipatamente tutti quelli che mi seguiranno in questa follia.

 

Keep rockin’

 

 

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Capitolo 2
*** second ***


the madcap laughs
2.



Addormentarsi e svegliarsi in un posto nuovo che sa di destino.

Rivedere negli occhi dei tuoi compagni di viaggio metà del sentiero percorso e sentire dentro di te che va bene, che stiamo crescendo e le cose cambiano.

Risi di me stessa e di quei pensieri così banali. Dio, ma quante volte sono state dette frasi del genere dall’inizio dei tempi?

Che schifo. E nessuno ha mai trovato la soluzione, nessuno è mai riuscito a stare meglio.

Bella fregatura davvero.

Spostai lo sguardo sulla figura addormentata di River accanto a me e un po’ mi venne da sorridere.

Il cappuccio della felpa calato sulla testa lo faceva assomigliare al protagonista di qualche canzone punk, una di quelle che sono in grado di incendiare i cuori di miliardi di teenagers arrabbiati col mondo.

River, River, River. Dovunque andassi, qualsiasi cosa facessi c’era sempre e solo lui nei miei pensieri e quella cosa mi dava fastidio, perché io odiavo dover dipendere da qualcuno, dover focalizzare il centro delle mie giornate su un altro essere umano.

Ma con lui non poteva essere diversamente.

Chissà se un giorno mi avrebbe raccontato la sua storia?

Io l’avevo fatto con lui.

Una sera d’estate, sulla sabbia di Venice Beach fra le bottiglie di vodka e i mozziconi di sigaretta, non avevo potuto fare altro che riversare tutta me stessa nel blu elettrico dei suoi occhi.

Non mi aveva chiesto niente, ma semplicemente mi era sembrata l’unica cosa possibile da fare, l’unica cosa giusta. Avevo desiderato che quell’anima grande conoscesse tutto ciò che c’era da sapere su quella squallida ragazzina di Fresno dalle gambe sottili e i sentimenti perduti.

Nessuna famiglia disastrata, nessuna storia melodrammatica o da film in seconda serata, nessun fratello morto o padre alcolizzato o madre sgualdrina.

Una famiglia più che normale la mia.

Una normalità che mi aveva lentamente resa priva di qualsiasi voglia di vivere.

Alzarsi la mattina e non riconoscere la figura di fronte a me sullo specchio del bagno, scendere a fare colazione e scoprirmi nauseata al pensiero di conversare con i miei familiari.

Non c’era mai stato un qualcosa di veramente tangibile per giustificare i miei stati d’animo da sociopatica, ma soltanto lunghi pomeriggi dove la musica e i soliti pochissimi libri mi avevano convinta che per me ci doveva per forza essere qualcosa di meglio nel mondo.

Qualcosa di più.

O semplicemente qualcosa.

River mi aveva capita.

Forse era il suono delle onde sul bagnasciuga, o forse era stata la vodka o la sabbia fredda appiccicata alle mie gambe nude, ma in quell’esatto momento mi ero sentita bene.

Lo avevo guardato e il suo mezzo sorriso mi era sembrato la cosa più meravigliosa che avessi mai visto.

E mi ero sentita bene perché mi ero resa conto che finalmente ciò che provavo adesso lo provava anche qualcun altro, e questo qualcun altro mi capiva.

Questo qualcun altro aveva letto il mio dolore non sulle mie labbra, mentre stavo parlando, l’aveva letto dalla curva delle mie spalle, dalla frangia troppo lunga che mi ricadeva sugli occhi, l’aveva letto da come prima di parlare pensassi sempre 2 volte alla cosa da dire.

Il greyhound frenò dolcemente e si fermò ad una stazione di servizio.

River socchiuse gli occhi e si drizzò a sedere sul sedile.

-Dove siamo?- chiese ed io mi chiesi se davvero volesse saperlo o se lo chiedesse giusto per farmi sentire partecipe di quel viaggio.

-Phoenix-

Annuì e si guardò intorno nel pullman quasi completamente pieno.

-Voglio una birra e un pacchetto di Twizzlers-

Senza aggiungere altro si alzò e si chiuse la zip della felpa. Qualcuno spostò lo sguardo su di lui mentre si faceva strada nel piccolo corridoio del greyhound e una ragazza si passò nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Già, come se frivolezze del genere avrebbero mai potuto catturare l’attenzione di River.

Continuai a guardarla e mi accorsi che non doveva avere più di 15 anni.

Beh a quell’età un tipo come River doveva sicuramente apparire come il principe azzurro uscito direttamente dal libro di fiabe e piombato nella realtà di tutti i giorni.

Era proprio un peccato che invece River di azzurro avesse solamente gli occhi e di regale giusto il modo di accarezzare le corde del basso.

Ed io non avrei voluto che fosse diversamente.

Perché quando suonava si trasformava. Diventava l’incarnazione di qualcosa di infinitamente superiore, come il tramite fra Dio e i comuni mortali.

Ecco perché l’avevo aspettato accanto all’uscita quella notte di 6 mesi prima, con il cuore in gola e il respiro corto.

Fregandomene della mia amica Judy che doveva avermi dato per dispersa, fregandomene del freddo e del trucco che doveva essermi colato sul viso in una maschera di eyeliner e rossetto rosso sbavato.

Perché lì sopra a quel palco io avevo visto il mio futuro riflesso nel suo sguardo elettrizzato.

Mi ero immaginata stretta contro di lui e mi ero immaginata l’esatta piega che avrebbe assunto il suo sorriso quando si fosse reso conto che era proprio me quella persona che neanche sapeva di stare aspettando.

E così ero rimasta ferma fuori della porta del backstage, facendomi largo tra la folla e gli addetti alla sicurezza, e come se da qualche parte fosse sempre stato scritto, ad un certo punto lui uscì e si fermò esattamente ad un centimetro da me.

-Ci vieni al Molly Malone con me?- mi aveva detto.

Una frase ed ero stata sua.

Quella sera non ero tornata a casa.

Quella sera Mallory Knox si era presa in mano la sua vita.

E se fossi scesa lì a Phoenix?

Improvvisamente quel pensiero mi colpì così forte che quasi mi ritrovai a girovagare per le vie assolate della città con la forza dell’immaginazione.

Non sarebbe stato certo male e mi chiesi a chi poi sarei mancata.

Dubitavo fortemente che River sarebbe venuto a cercarmi.

Avrebbe sentito la mia mancanza solo di notte forse, quando non avrebbe più trovato la certezza del mio corpo avvolto nelle lenzuola accanto a sé.

Ma anche di quello avrebbe imparato presto a farne a meno.

Ne avrebbe trovate a bizzeffe di ragazze desiderose di trascorrere le proprie nottate con lui.

Battei una mano sullo zaino posato ai miei piedi e tentai di cercare almeno una motivazione valida per restare.

Forse avrei davvero fatto meglio a tornare a casa dai miei genitori.

Non mi avevano più cercata da quando gli avevo chiuso il telefono in faccia e gli avevo urlato di dimenticarsi di avere una figlia, ma dubitavo che l'avessero fatto sul serio.

Anche se ce l'avevano con me, mi avrebbero sempre perdonata.

Ma non era questo ciò che volevo perchè mi conoscevo troppo bene da sapere che sarebbe bastato solo un mese per tornare a ripiombare nel baratro dell'apatia da cui tanto faticosamente ero riuscita a tirarmi fuori.

Un ticchettio sul finestrino e mi riscossi dai pensieri, spostando lo sguardo verso il rumore.

C'era River lì fuori, con un pacchetto di Oreo in mano e un sorriso da infarto.

Dimenticai più in fretta di un battito di ciglia tutte le pazze teorie e piani di fuga che in quei pochi minuti mi avevano affollato il cervello e mi sentii sciogliere dentro da un improvviso calore.

Era bastato quell'insignificante pacchettino di biscotti e tutto era tornato in prospettiva.

River mi conosceva e nel suo strano, pazzo modo, comprarmi un pacchetto dei miei biscotti preferiti equivaleva a un "ti amo e grazie per essere con me in questo viaggio senza meta", una cosa che a voce non sarebbe mai stato capace di dirmi.

Perciò gli sorrisi e lui si voltò, diretto a tornare sul pullman.

Il suo basso, chiuso da qualche parte insieme agli altri bagagli dei passeggeri, mi dava sicurezza, perchè sapevo che finchè River avesse avuto la sua musica niente avrebbe potuto scalfire la perfezione di quei momenti rubati al tempo.

La musica gli scorreva nelle vene e di riflesso scorreva anche nelle mie. La musica era il filo che ci aveva fatti incontrare e che reggeva in mano il nostro destino.

-Alla prossima fermata scendiamo- disse, quando raggiunto il suo posto accanto a me si lasciò cadere sul sedile.

-E Madison?- gli chiesi, anche se in fondo non c'era nemmeno bisogno di farla una domanda del genere.

Che si fotta Madison e tutti i suoi abitanti, mi avrebbe probabilmente risposto.

-Ti interessa davvero un'inutile cittadina della Georgia?- difatti rispose.

Scossi la testa e lui mi porse il pacchetto degli Oreo.

-La prossima fermata è ad Albuquerque.-

Si tolse il cappuccio della felpa e addossandosi al sedile chiuse gli occhi.

-Hai 7 ore di tempo per convincermi che Madison è un posto migliore-

Sorrise un po' ed io lo imitai. -Non voglio affatto convincerti, River. Scendiamo ad Albuquerque. Il New Mexico mi sembra un ottimo posto per cominciare.-

-Cominciare cosa?- mi guardò, cercando forse di leggere chissà quale risposta a chissà quale domanda.

Io scrollai le spalle però, perchè di risposte non ne avevo neanche se le avessi cercate.

-Cominciare, River.-

Rise con la sua solita risatina sommessa, quella che mi faceva scorrere i brividi lungo la spina dorsale e mi mandava il cuore in fibrillazione, perchè si era accorto del mio tentativo di scimmiottare ciò che lui aveva detto il giorno prima.

-Cominci a piacermi, Mallory- e spostò impercettibilmente il ginocchio destro a sfiorare il mio.



Alloraaaaa non ho scuse...cominciamo col dire questo intanto!

Non ho idea di quanti mesi siano passati dal primo capitolo di questa storia, ma so che sono troppi!

Purtroppo l'ispirazione se n'era andata e non è più tornata fino a oggi pomeriggio..per cui scusatemi!

A questa storia tengo tantissimo e ci tengo a precisare che verrà portata avanti, non verrà lasciata a metà..perchè anche se per ora mi è sempre un tantino oscura è tutta scritta da qualche parte nel mio cervello XD e anche se a rilento prima o poi verrà fuori tutta :)

Nel frattempo ringrazio dal profondo del mio cuore le mie amorine DADI e ALE che l'hanno messa fra i preferiti <3 e ELAINTARINA che l'ha messa fra le seguite!

E ovviamente:

Elaintarina: Grazie mille *-* sono stata felicissima di leggere la tua recensione e con te mi voglio scusare particolarmente perchè alla fine ho lasciato passare quasi 3 mesi prima di aggiornare ç__ç Ti ringrazio per tutto ciò che mi hai detto, soprattutto sui miei personaggi :) Spero che anche questo ti sia piaciuto e ti prometto che non lascerò passare tutto questo tempo per il prossimo capitolo! Un bacione

winnie poohina: Aleeeeee oggi mi do alle ff, hai visto? XD ahahahhaha mi è presa l'ispirazione e mi sono messa a scrivere! Spero ti sia piaciuto questo, a me non tanto perchè mi sembra un po' campato per aria ma insomma..staremo a vedere!

Ti amo aleeeeeeeeeeeee (mi devi ancora raccontare di paul!! ç__ç) <3

doddie: Tesoroooooo ç___ç sono da fucilare lo so da me, ahimè. 3 mesi sono 3 mesi..mi perdoni??  Non sai quanto mi abbia fatto venire gli occhi a forma di stelline il tuo commentino *___* cioè tesorooo io t'amo <3 e mi manchi anche. Tanto. Voglio sentirtiiiii

Piccola Ketty: Tesoro! Che dire di te che mi segui anche qui in questa follia alla quale non so trovare neanche nome XD Eh si loro azzardano, rischiano e io con loro dato che sto scoprendo insieme a loro quello che succede ahahahha

Ti amo tesoro e grazie per tutto <3

Beh al prossimo aggiornamento e giuro che sarà prima stavolta :D

 

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