Come sole e pioggia

di Dark Roku
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Forbici e coltelli ***
Capitolo 2: *** Incontri e scontri ***
Capitolo 3: *** Sogni e incubi ***
Capitolo 4: *** Compiti e giochi ***
Capitolo 5: *** Pomeriggio e sera ***
Capitolo 6: *** L'uno e l'altro (e la papera)~1 ***
Capitolo 7: *** L'uno e l'altro (e la papera)~2 ***
Capitolo 8: *** Adulti e adolescenti ***
Capitolo 9: *** Il Principe e il Povero ***



Capitolo 1
*** Forbici e coltelli ***


Note dell'autrice (stavolta prima): Allora posto e scappo (Ma puoi andartene anche senza postare, che fai un favore a tutti n.d.altra me). Un paio di raccomandazioni prima della lettura. Innanzitutto i personaggi non sono miei, ma sono di proprietà della Square Enix e questa storia non è scritta a scopo di lucro e bla bla bla.
Secondo: Rain Town è inventata. I personaggi di Final Fantasy sono messi a casaccio perchè non conosco la saga. I'm sorry.
Terzo: E' solo una sottospecie di introduzione. Tengo abbastanza a questa fic a più capitoli, per cui mi piacerebbe sapere cosa ne pensate (Te lo dico io: fa pena n.d.altra me) e se devo continuare.
Ok, ora potete leggere. Buona lettura.


Forbici e coltelli

Ecco, gli mancava pochissimo. Altri cinque secondi e l’opera d’arte a cui lavorava da mesi sarebbe finalmente stata completa.
Le forbici azzurre sfrigolavano tra le sue mani e la scritta V+K+N+S+R= FRIENDS 4 EVE incisa a lettere cubitali sul banco pareva dotata di una luce propria in quel momento. Mancava poco e avrebbe completato anche la R.
Vide Kairi al suo fianco, ansiosa quanto lui, trattenere il respiro.
- Cinque…- sussurrò Ven alla sua sinistra iniziando il conto alla rovescia. Sora tracciò la prima retta.
- Quattro…- Naminè continuò da davanti di lui. Ripassò la linea per scolpirla nel legno. La pancia della R fu finita di incidere dopo il Tre di Kairi.
-Due …- sussurrò. Un biglietto con scritto “Uno” arrivò da Riku.
 Si preparò alla fine: soffiò legno che era stato tolto, poggiò le forbici sul banco e…
- COSA STANNO FACENDO I SIGNORI, LI’ DIETRO?- L’urlo sovraumano della professoressa fece sobbalzare tutti. Le forbici volarono per aria e tutti si gettarono sul banco, stile Wrestling.
- Niente professoressa.- balbettarono Ven e Kairi all’unisono.
- Bene. Lo spero per voi.- il suo tono tornò calmo, ma continuò a guardarli – Signorino Leonhart…- disse rivolgendosi a Sora che cominciò a sudare. Lo sapeva! Quella professoressa ce l’aveva con lui! L’aveva scelto su quattro persone!
- Mi fa gentilmente la traduzione di “Pax insigna est”?-…che?????? Ma che lingua era?
Forse latino considerando che era l’ora di latino, ma non poteva essere! La professoressa doveva stargli facendo uno scherzo e si era messa a parlare in ostrogoto antico! Sì, doveva essere assolutamente così! Però, andando a senso poteva voler dire:
- L’insegnante è pazza! – affermò Sora convinto scatenando le risate della classe. La suddetta insegnante sospirò spazientita:
- Ven voglio parlare con i vostri genitori. Tuo fratello si distrae troppo spesso in classe. Non che tu sia da meno…- il biondino puntò i suoi occhi azzurri sulla scritta coperta da alcuni libri:
- Sì, professoressa. – disse meccanico.
- Per quanto riguarda lei, signorina Flames…- si rivolse a Kairi senza nessuna espressione nella voce. – Parlerò con suo fratello oggi stesso. –
- Va bene zia. Non la vedo una cosa difficile visto che abitiamo sotto lo stesso tetto. – fece Kairi divertita. Il fatto che suo fratello Reno si fosse sposato con la sua professoressa giocava a suo vantaggio, indubbiamente.
Prima che l’insegnante potesse replicare, un trillo annunciò la fine delle lezioni. La classe si svuotò in poco tempo:
- Non è giusto!!! - cantilenò Sora afferrando la borsa. – Perché richiama sempre me? Ka-chan tua zia mi odia, non è giusto! - Ven s’intromise guardando Riku:
- Fratellino il tuo ragazzo mi fissa in modo strano. –
- Riku non è il  mio ragazzo!- Sora arrossì di botto. L’argenteo si avvicinò sorridendo:
- Ah, sì? Davvero? – lo guardò negli occhi. Il moro li chiuse di scatto allontanandosi.
- Allora immagino di non poterti più invitare a casa mia…stanotte. – lo provocò Riku uscendo dalla classe.
- Rì aspettami. – Sora gli corse dietro lasciando Kairi e Ven tra le risate.
 
Pioveva fuori dalla scuola.
Ma tanto in quel posto pioveva sempre.
Eppure Roxas se ne accorse solo quando la macchina sfrecciò via, lasciandolo solo, bagnato.
Per un po’ si era dimenticato della pioggia: aveva trovato il suo sole, e questo era l’importante.
E adesso, dopo tanto tempo, la pioggia tornava a scrosciare su di lui rovinandogli i capelli e inzuppandogli i vestiti.
Ma tanto a lui la pioggia piaceva: era il punto e a capo del mondo.
Il sole era troppo stupido per poter far qualcosa: sapeva solo riscaldare, esteriormente.
Non capiva che quando erano le anime ad essere fredde lui, grossa palla infuocata, non poteva far nulla.
Mentre l’acqua rifletteva le persone, le capiva, in una certo senso le consolava.
Così, mentre gli scivolava addosso gli sussurrava “Io sono come te. Io sono come te.”
Trascinava via tutto: le impurità, le macchie, i dolori.
Cancellava ogni cosa.
Persino le sue lacrime…

Il clima non cambiava mai alle isole del Destino, pensava Ven, mentre, dal finestrino dell’autobus, vedeva il cielo azzurro riflettersi nel mare, e la luce del sole accecargli gli occhi.
Che fosse il quindici dicembre, o il diciassette luglio non aveva importanza, il sole era il re incontrastato del cielo delle isole. Questa monotonia lo aveva quasi stufato: faceva sempre troppo caldo. Forse, un po’ di pioggia lo avrebbe completato, avrebbe alleviato il senso di vuoto che lo accompagnava da una vita. Perché Ven si sentiva incompleto, era come se una parte di lui se ne fosse andata. Un po’ come il sole senza la pioggia.
Ah, basta! Non era da lui perdersi in discorsi profondi! C’era il sole, punto.
- Cioccolata! Panini! Pop-corn! - delle urla femminili, simili a quelle che si sarebbero sentite al mercato o in uno stadio lo raggiunsero. Una ragazza stava facendo su e giù per il corridoio spingendo un grosso carrello colmo di cibarie. Era alta, aveva degli strani capelli blu tagliati in un caschetto mal pettinato, una gonna azzurra e una maglia attillata che metteva in risalto il suo seno prosperoso, con su scritto a caratteri cubitali HOSTESS.
- Ven vuoi qualcosa?- gli chiese gentilmente passandogli accanto. Il biondo sorrise imbarazzato:
- Ehm…Aqua, non siamo su un aereo. – la ragazza parve delusa dalla risposta e confusamente chiese – Ma come? –
Ven indicò il finestrino – Guarda, quello è il terreno, siamo a terra. – spiegò lentamente. Aqua non era ritardata o cose del genere, era solo un po’ stupida, tutto qui. Quest’ultima, rendendosi conto della situazione mise su un’espressione infuriata e raggiunse di scatto il conducente. Lo afferrò per il colletto: - Terra, perché non mi hai detto che non siamo su un aereo?- urlò schiaffeggiandolo.
Fortunatamente il guidatore era abituato alle sfuriate della ragazza e riuscì a mantenere il controllo del mezzo.
Ven sospirò affranto: Terra era così dannatamente perfetto. Aveva degli spettinati capelli color cioccolato, dei profondi occhi azzurri ed era pieno di muscoli; riusciva ad essere calmo in ogni situazione e aveva sempre la battuta pronta.
A volte il biondo si ritrovava a pensare a lui, senza nemmeno volerlo, e si chiedeva se i suoi sentimenti sarebbero mai stati ricambiati…poi si rendeva conto che Terra aveva dieci anni in più ed era solo l’autista dell’autobus, quindi conosceva centinaia e centinaia di ragazzini, perché avrebbe dovuto scegliere proprio Ven?
- Smettila Ka-chan! Ti ho detto che siamo solo amici!- le urla di suo fratello lo riportarono alla realtà.
Sora era seduto in fondo, tra Kairi e Naminè, e stava tentando –senza riuscirci oltretutto- di spiegare alle ragazze che lui e Riku erano solo amici -cosa tecnicamente non vera, pensava Ven ricordando la sera di Natale- .
L’argenteo, del tutto ignaro della discussione era seduto un po’ più lontano, circondato da studentesse: lui, insieme con Ven e Sora erano i tre ragazzi più popolari della scuola…sì, ma tanto si sapeva che l’uomo perfetto o era gay o era occupato, o tutt’e due.
Ven si voltò verso il finestrino sospirando: era tutto davvero troppo monotono.

Cosa vedeva Roxas quando si guardava allo specchio?
Oh, tante cose, ma di certo non Roxas.
Vedeva un ragazzo pallido e smunto, ma di certo non Roxas.
Vedeva un corpo anoressico vestito di nero, ma di certo non il corpo di Roxas.
Vedeva due occhi azzurri con ancora il riflesso della pioggia, ma di certo non gli occhi di Roxas.
Vedeva dei capelli biondo cenere appesantiti dall’acqua, ma di certo non i capelli di Roxas.
Vedeva delle pareti bianche dietro di lui, ma di certo non le pareti della stanza di Roxas.
E poi…
Vedeva la figura nello specchio prendere un coltello argentato e abbassarsi la manica per mostrare una fitta ragnatela di cicatrici.
Di certo quello non era Roxas.
Il coltello poggiarsi sul polso sinistro e il sangue fuoriuscire lentamente, ma tanto neppure il sangue era di Roxas.
Poi il coltello si piazzava con forza nello specchio, spezzando la figura non-Roxas, e una risata isterica si faceva spazio nell’aria.
In fondo non esisteva neppure una figura chiamata Roxas …

- Maammmmaaa!!!!! Siamo a casa!!!- cantilenarono all’unisono Ven e Sora entrando.
Aerith arrivò dalla cucina sorridendo e tenendo fra le mani una brocca d’acqua:
- Bentornati cari. Andate a lavarvi le mani, il pranzo è quasi pronto. -
- Ma io ho fame adesso! – si lamentò Sora correndogli dietro.
- Suvvia Sora. Possibile che devi sempre far esasperare tua madre? Non sai aspettare cinque secondi? – una voce maschile li raggiunse, e subito dopo Squall, sbucò dal salotto.
- Papà! – Sora urlando si gettò tra le braccia dell’uomo. Ven era rimasto sull’uscio, del tutto assente, probabilmente era rimasto al “A domani Ventus!” che gli aveva detto Terra. L’aveva anche chiamato per nome! E il fatto che Aqua poi lo avesse corretto dicendo “Cretino, non sai che si chiama Ven? Se lo vuoi chiamare così, tanto vale che soffi per chiamarlo. Fiuuuuuu!” era irrilevante.
- E tu non mi saluti?- Squall gli si mise davanti a braccia conserte.
- Ah …sì…ciao papà. – gli diede una stretta di mano e corse in bagno.
Stava uscendo matto, ne era certo: si sentiva così strano.
Si sciacquò velocemente mani e faccia e si guardò nello specchio per vedere se aveva effettivamente qualcosa di diverso.
Qualcosa la notò: un’ombra in fondo ai suoi occhi. Si sporse in avanti per guardare meglio e…il Ven nello specchio gli lanciò un coltello argentato.
Urlando cadde all’indietro e sbatté la testa contro la vasca da bagno.
Rivolse uno sguardo allo specchio: non c’era niente. Aveva avuto un’allucinazione?
Aerith e Leon arrivarono immediatamente in suo soccorso e lo trovarono steso sul pavimento che tremando e piangendo si stringeva il braccio.
L’ultima cosa che notò prima di cadere nell’oblio fu che il polso sinistro cominciava a fargli male.

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Capitolo 2
*** Incontri e scontri ***


Incontri e scontri


Terra parcheggiò l’autobus come al solito, davanti alla scuola primaria. Aqua lo seguiva docilmente.
In fondo aveva accettato quel lavoro solo perché gliel’aveva detto la sua psicologa: quando si era accorta della sua perversione –la pedofilia, per la cronaca- aveva esclamato “Fai l’autista dell’autobus! Puoi guardare i bambini e contemporaneamente devi tenere le mani occupate!E io ti seguirò per accertarmi del tuo atteggiamento.”
Non che Aqua fosse il massimo come psicologa, però doveva ammettere che era stata la migliore idea che aveva avuto, aveva funzionato...fino a quando non era arrivato quel ragazzo.
Ventus Leonhart: lo aveva stregato fin da subito con i suoi occhi azzurri e il suo sguardo profondo. Forse era l’unica persona che gli piaceva da quando si era trasferito alle Isole del Destino.
Aveva bisogno di tutto l’autocontrollo per non fermare il pullman e saltargli addosso.
Però, dannazione, più passava il tempo, più Ven diventava bello, più la sua perversione peggiorava.
Chissà quanto avrebbe resistito…
- Vieni a pranzo con me, Aqua?-
- No, mi spiace. Devo vedermi con le ragazze.-
Già, chissà…

- Professoressa, mi passi il sale per favore.- erano state le uniche parole che Kairi e Elena si erano scambiate da quando erano arrivate a casa.
E considerando che erano a tavola da circa venti minuti erano poche.
Povero Reno, diviso tra sua moglie e sua sorella che si scambiavano sguardi di fuoco!
Kairi era fatta così: con il suo sorriso da angioletto e la sua anima indemoniata, chissà cosa aveva combinato!
Elena diceva sempre che non le portava di rispetto quando a scuola le dava del tu e la chiamava zia, ma Reno non poteva crederci visto che Kairi dava del lei anche quando era a casa.
Vide un’altra occhiataccia volare: lo scontro stava per iniziare.
- Vedi caro…- cominciò Elena facendo gli occhi dolci – oggi la tua sorellina…-
- Fratellone…- Kairi interruppe mettendo su un’aria da cucciolo bastonato. – la professoressa dice…-
- Signorina stavo parlando. Non sai che è maleducazione interrompere?- la sua voce assunse una sfumatura seria.
- Oh, ma professoressa, anche lei mi ha interrotto. Non sa che è maleducazione interrompere?- le fece il verso la rossa.
E cominciarono ad urlare. Reno si mise le mani fra i capelli rossi, una caratteristica di famiglia: se solo ci fosse stato lui, che sapeva sempre gestire la situazione!
Dlin Dlon.
Il campanello fu una manna dal cielo.
- Vado ad aprire.- annunciò alzandosi in piedi. Raggiunse velocemente il portone d’ingresso e lo spalancò, senza neppure osservare dall’occhiello della porta.
- Weilà Reno, da quanto tempo non ci si vede!- una voce allegra lo salutò: un ragazzo che gli somigliava molto era in piedi sulla porta. Aveva dei capelli rossi, a dir poco strani (“Pettinati con un petardo” sarebbe stato il modo migliore per definirli) occhi verde smeraldo, con due triangoli rovesciati disegnati sotto gli occhi e la bocca piegata in un sorriso allegro; indossava un jeans nero, una giacca nera e una maglia rossa.
Inoltre, era suo fratello, ragazzo che sarebbe dovuto essere in una qualsiasi parte del mondo, ma mai davanti a quella porta.
- Axel…che diavolo ci fai qui?-

Demyx lanciò un’occhiata alla cassa da sopra il libro che stava ‘leggendo’: era entrata una ragazzina bionda.
Sapeva i gesti del bibliotecario a memoria: muoveva il mouse del computer con indice e pollice, si scostava il ciuffo azzurro dagli occhi, inforcava gli occhiali, e poi scuoteva la testa nel caso il libro non c’era.
Se invece il libro c’era dava al cliente un bigliettino con scritto il reparto dove trovarlo.
In quel caso il libro era presente.
La ragazzina ringraziò e prendendo delicatamente il biglietto si avviò tra gli innumerevoli scaffali della biblioteca. Il libraio la seguì con lo sguardo e i suoi occhi incrociarono per un attimo quelli di Demyx che si nascose istantaneamente dietro il libro che aveva preso: era un mattone bello grosso, per darsi un’aria da intellettuale.
- Ancora a spiare Zexion, Dem?- una voce aspra lo sorprese. Il biondo sobbalzò ritrovandosi faccia a faccia con una ragazza dai capelli color limone e due ciuffi che le sbucavano a mo’ di antenne.
- Larxene…mi hai fatto prendere un colpo. Abbassa la voce. – sussurrò. L’altra rise.
- Non farai colpo su di lui stando rinchiuso tutto il giorno facendo finta di leggere e osservandolo.-
- Tu invece che ci fai in biblioteca?- domandò cercando di deviare l’argomento.
- Ho preso un libro per una mia amica.- disse guardandosi l’orologio – Oh,ma guarda come è tardi! Aqua mi starà già aspettando!- e si avviò. Dopo qualche passo si fermò e si voltò verso Demyx.
- Oh, a proposito…- fece con voce squillante – è da tanto che hai preso quel libro?-
- Circa due ore, perché?- Demyx rispose ignaro di tutto.
- Sappi che è un dizionario…e lo stai leggendo al contrario.- scoppiò a ridere. Il biondo rosso di vergogna si nascose sotto il tavolo: che figura! Chissà se anche Zexion se n’era accorto.
- Se vuoi due volete parlare, vi pregherei di accomodarvi fuori.- la voce di Zexion gli arrivò melodiosa, come sempre.
L’aveva anche fatto sgridare! E adesso come riconquistava la sua fiducia?
Dannata Larxene!
 
Riku non osava aprire la porta.
Se ne stava sull’uscio, con le chiavi infilate nella serratura, senza avere il coraggio di girarle.
Pochi secondi prima un pensiero orribile gli aveva attraversato la mente evitandogli di fare l’errore più grande della sua vita.
Aveva fatto un rapido calcolo: quel giorno era venerdì quindi i suoi genitori erano ancora in viaggio per lavoro. E i suoi zii, momentaneamente trasferitisi da lui, il venerdì lavoravano fino a tardi. E suo cugino Zexion era ancora di turno in biblioteca, perciò a casa c’era solo…no, non poteva essere. Tutti, ma non la maniaca.
Non era possibile che sua cugina Xion, che lo ossessionava ogni talvolta lo vedeva e che era fissata con lui da quando aveva cinque anni, era lì dentro, da sola, ad aspettarlo.
Era del tutto illogico! Per di più le urla stonate che provenivano da dentro non erano per niente rassicuranti:
- Sto preparando un bel pranzetto per il mio maritino! Il mio maritinooooo!!!!- canticchiava una voce allegra, paragonabile a una cornacchia con il mal di gola.
Riku si guardò intorno impaurito: che possibilità aveva?
Kairi abitava troppo lontano per andarci a piedi. Avrebbe potuto raggiungere Zexion in biblioteca, ma l’unica scusa che gli veniva in mente in quel momento era “Il dottore mi ha consigliato di leggere quindici paragrafi della Bibbia prima di pranzo” e risultava poco credibile persino a sè stesso.
Però, forse…
Lanciò un’occhiata alla casa poco distante dall’altro lato della strada, a pochi isolati da lì: Sora lo avrebbe sicuramente accolto a braccia aperte.
Ma cosa avrebbe detto ai suoi genitori?
“ Ciao mamma, ciao papà. Questo sapete che è Riku e sta sfuggendo a sua cugina che vuole stuprarlo. Può rimanere a pranzo? Oh, e un’altra cosa: ci siamo messi insieme.” Forse l’ultima frase andava rivista: lui e Sora, non stavano insieme, non del tutto e non ancora.
Cioè, lui amava Sora, di questo era certo. Era il castano che aveva chiesto del ‘tempo per pensare’ perché non era ancora del tutto sicuro dei suoi sentimenti.
Bah, sicuramente quella scusa gliel’aveva suggerita quel deficiente di Ven: solo lui era capace di inventarsi certe cose da telenovela spagnola.
- Ma quando arriva il mio tesoruccio?- urlava la voce da dentro.
Riku si rese conto di non avere scampo: aprì lentamente la porta e una ragazza dai capelli neri gli saltò addosso.
- Amore! Sei finalmente arrivato! Vieni, vieni, ti ho preparato tante cose buone!- lo trascinò in cucina e lo fece sedere.
Altra pecca che l’albino non aveva considerato: Xion non sapeva cucinare.
Se ne ricordò quando gli arrivò davanti una melma verde e puzzolente con dei pezzi di guscio d’uovo che galleggiavano sulla superficie. Riku inspirò a pieni polmoni:
- Posso avere del pane?-

Naminè si sentiva davvero felice quando disegnava.
Forse disegnare era l’unica cosa che la faceva sentire meglio.
Riusciva a sfogare su un foglio tutte le emozioni che provava che fossero belle o brutte.
Non era una bella vita la sua: era rimasta orfana di madre a due anni e suo padre era severo, nonostante le voleva un bene dell’anima.
La vedeva troppo fragile: aveva paura di perderla, come era successo con la moglie che, a causa di un tumore al cuore, era volata in paradiso.
Naminè raffigurava spesso sua madre nei suoi disegni; come un angelo che cantava, o un uccello che volava libero nel cielo azzurro. Poi arrivava un corvo e mangiava l’uccellino.
Naminè andava dallo psicologo a causa di un trauma: quando aveva dieci anni era stata stuprata ed era caduta in depressione.
Si era rialzata anche grazie all’aiuto dei suoi angeli custodi: suo padre, Kairi, Riku, Sora e Ven. che gli erano stati accanto nei momenti in cui stava peggio e l’avevano aiutata ad andare avanti.
Nonostante la sua non fosse una bella vita Naminè sognava ancora il principe azzurro.
La persona che l’avrebbe portata in un mondo in cui non esisteva la crudeltà e in cui non aveva bisogno di disegnare per sentirsi meglio.
Ma, una piccola parte di lei, sapeva già che il principe azzurro non sarebbe mai arrivato.

- Ha avuto un calo di zuccheri. – stava spiegando una voce che non conosceva. Fu la prima cosa che sentì quando si riprese.
La seconda fu il singhiozzare di Sora che gli stringeva la mano. E si concentrò unicamente su quella: come mai gli voleva così bene?
In fondo non erano neppure fratelli… fratellastri al massimo.
La loro era una storia lunga e complicata: Aerith abitava in un altro paese prima: Rain Town. In quello che era diventata la megalopoli più importante del pianeta, ma quello non c’entrava.
Nella città era fidanzata con un uomo, poi da quest’uomo era rimasta incinta. Prevedevano di sposarsi dopo il parto.
Solo che dopo la nascita di Ven, l’uomo si era improvvisamente reso conto di non amare Aerith e fine della loro storia.
Aerith si era trasferita alle Destiny Island dove aveva conosciuto Squall che aveva sposato e da cui aveva avuto Sora.
Sora aveva fatto la primina per trovarsi al passo con il fratello e adesso erano un’allegra e felice famigliola. Fine.
Ven non aveva mai conosciuto il suo vero padre, e Aerith si era rifiutata di dirgli anche solo il nome, anche se c’entrava qualcosa con il cielo e il sole.
Ma in fondo andava bene così: Squall voleva bene a Ven, quasi quanto ne voleva a Sora.
- Ven…per favore fratellone svegliati! – singhiozzò Sora asciugandosi gli occhi con la mano di Ven, che aprì delicatamente gli occhi.
- Come stai caro?- chiese Aerith mettendogli una mano sulla fronte. Era seduta accanto a lui, di fronte a Sora. Squall era in piedi e stava parlando con il medico.
- Meglio mamma. – rispose sorridendo. – Cosa è successo?- aggiunse. Non ricordava cos’era accaduto, ma i ricordi riaffiorarono poco a poco:
- Il coltello.- sussurrò spaventato. La vivida sensazione di essere accoltellato gli fece accelerare i battiti- Squall si mise improvvisamente in ascolto:
- Quale coltello?- chiese stupito.
- Quello argentato…è uscito dallo specchio. E poi è sparito. E il polso…- gli tornò il mal di testa.
- Probabilmente sta delirando. – disse il medico uscendo. – Deve solo stare a riposo. Arrivederci. – salutò.
- Ho fame…e sento puzza di bruciato. – si lamentò Sora ignorando l’accaduto.
- Il tacchino! – urlò Aerith correndo via.
Ven chiuse gli occhi, rivivendo quell’attimo, che in qualche modo, sentiva, non apparteneva a lui.

- Signorino le ho portato il pranzo.-
Era sempre la stessa scena, no?
La cameriera entrava con il vassoio in mano.
La cameriera si guardava attorno confusa.
La cameriera notava lo specchio rotto.
E Roxas, a terra, sanguinante.
Che rideva convulsivamente, tra i cocci dello specchio…e quelli del suo cuore.
La cameriera urlava.
Il vassoio cadeva facendo crack.
Roxas rideva più forte, chiedendosi perché i cuori quando si rompono fanno lo stesso suono dei vassoi che cadono.
La cameriera metteva Roxas sul letto e chiamava la servitù per aiutarla a pulire.
E Roxas continuava a ridere isterico mentre guardava la cameriera affannarsi nel raccogliere i pezzi dello specchio.
Avrebbe voluto saperlo fare anche lui.
Saper raccogliere i frammenti del suo cuore e buttarli nella spazzatura sospirando “Speriamo che il padrone non si accorga che l‘ho sostituito di nuovo”.
E poi comprare un cuore nuovo…che si sarebbero rotto di nuovo.
Rideva.
Solo perché gli erano finite le lacrime…



Note dell'autrice (Che purtroppo è tornata alle vecchie abitudini n.d.altra me):
Allora...questo capitolo è ancora un po' introduttivo alla storia (Quando comincerà la storia vera? n.d.altra me). Però comunque sono stata malata fino a ieri, e mi dispiace di non aver potuto aggiornare (Sempre scuse! n.d.altra me). Vi chiedo umilmente scusa.
Allora...velocissimamente rispondo alle gentilissime persone che hanno recensito:

SweeTDemly: Grazie mille per aver commentato!!! Riguardo alla tua domanda...beh, si vedrà. (Ma conoscendola e guardando il suo repertorio ci vuole poca fantasia ad immaginarlo n.d.altra me). E si, hai ragione ho messo tra gli avvertimenti OOC proprio per Aqua, ma l'idea di farla stupida mi allettava (E immagino che l'idea di far stupida te allettava molto tua madre, no Kim? n.d.altra me), perchè giocando a Birth by sleep l'ho trovata troppo seria.
Il rapporto di parentela tra Kairi e la prof. hai ragione tu, ma pensavo che "Zia" fosse più affettuoso e irrispettoso di cognata (E secondo te i lettori come dovrebbero arrivarci? Per telepatia? n.d.altra me) E grazie ancora per la recensione!!!

Agito: Grazie mille per la recensione! La storia del coltello lanciato la spiegherò più avanti...forse. (Che vuol dire forse? n.d.altra me). Beh, l'intento di Aqua è un po' quello. Nel gioco sono tutti e due troppo seri! Grazie.


Grazie anche a chi a solo letto, a Kiby chan che l'ha aggiunta alle preferite e a Color_by, Edo, RikaaKawaii e vul95 che l'hanno messa tra le seguite. Grazie mille ragazzi! Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate!
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Sogni e incubi ***


Sogni e incubi


Era già notte inoltrata quando Sora si coricò nel letto. Ven dormiva di fronte a lui, con un’espressione corrucciata sul volto, come se stesse sognando qualcosa che lo turbava.
Beh, meglio così, poteva riflettere senza dover far finta di dormire, al contrario delle altre sere.
Anche se non si sarebbe mai detto Sora –l’ingenuo, infantile, stupidissimo Sora – era una persona profonda, che pensava, e anche tanto.
Ogni sera si metteva nel suo letto e facendo finta di dormire rifletteva sul resoconto della sua vita.
Pensava a Ventus, il suo adorato fratellone, rinchiuso nella sua bolla di vetro che nessuno poteva scalfire. Sora non considerava il loro mezzo-legame di sangue un handicap, ma probabilmente Ven sì, visto che non riusciva mai ad aprirsi totalmente a lui. E questo gli dispiaceva perché quando vedeva il biondo immerso nei suoi pensieri con gli occhi vuoti lo sentiva lontano.
Aveva preso in considerazione anche l’ipotesi che Ven lo odiasse.
Dopotutto, aveva abbastanza motivi per farlo.
Poteva essere geloso di lui perché aveva entrambi i genitori, mentre lui non aveva mai conosciuto il suo vero padre, e la gelosia ci mette poco a trasformarsi in odio.
Poteva odiarlo per il suo carattere, perché lui era sempre allegro mentre Ven aveva quei giorni in cui neanche le sue versioni di latino riuscivano a strappargli un sorriso (E le sue versioni erano davvero assurde).
Poteva odiarlo perché si sentiva di troppo in una famiglia che non era del tutto la sua, su un’isola che non era il suo paese di nascita.
Però lui ce la metteva davvero tutta per piacere a Ven, per farlo sentire meglio.
Riku diceva sempre che si preoccupava troppo, per qualcuno che non era degno neanche di pulirgli le scarpe…
Ecco, Riku: pensava anche a lui  prima di addormentarsi. Alla loro non-relazione.
Porca miseria, l’albino lo amava davvero e lui l’aveva liquidato con un “Ci devo pensare” suggerito da suo fratello.
In parte la scusa era vera: Riku era il suo migliore amico dalla nascita e gli voleva un bene dell’anima, ma non era certo di amarlo, in quel senso.
Si erano pure baciati!
A Natale, sul portico di casa sotto il vischio quello gli aveva detto “Sora il mio regalo di Natale sono i miei sentimenti. Io ti amo.” e gli aveva infilato la lingua in gola.
E lui stupido aveva solo saputo dire un “Eh?” inebetito e correre da Ven urlando “Riku mi ha baciato! Riku mi ha baciato!”.
Poi pensava a Kairi che lo trattava come il classico ‘amico gay’ dei telefilm americani. Quando avrebbe capito che a lui non fregava un cavolo della minigonna rossa che era arrivata da Mode?
E a Naminè, che gli faceva così pena, quando la vedeva in un angolo da sola a disegnare. Aveva sofferto così tanto, poverina…
Voleva un bene dell’anima a entrambe.
Infine pensava un po’ a tutti: ai suoi genitori, ai suoi insegnanti e persino alle persone che non conosceva.
Tanto nessuno avrebbe sospettato che dietro quella maschera di innocenza e quel sorriso fisso si nascondeva una persona così.
Sora chiuse gli occhi stanco: era così difficile fingere di essere ciò che non si è.
Stava quasi per addormentarsi quando un forte ansimare lo riportò alla realtà: si voltò verso il letto accanto al suo e vide Ven boccheggiare, sudare e piangere allo stesso tempo.
- Smettila…ti prego. - sussurrò il biondo continuando a singhiozzare.
Sora si alzò di scatto:
- Mamma!- urlò correndo fuori dalla stanza.

Ven si trovava in uno spazio bianco, galleggiava. Poteva muovere dal busto in su, ma le sue gambe erano bloccate. E c’era uno specchio davanti a lui, solo che l’altro lui indossava un pigiama nero, al contrario del suo che era bianco.
Mosse la mano: lo specchio fece lo stesso. Bene, non c’era pericolo che potesse tirargli coltelli, o forchette, era solo uno specchio.
Alzò lentamente una mano e la avvicinò al vetro, prevedendo di toccare una superficie fredda.
Ma quello che le sue dita incontrarono furono dei polpastrelli umani.
- Ciao. – disse lo specchio sorridendo malvagiamente. Il cuore di Ven fece un balzo e lo sentì quasi staccarsi dal petto: lo specchio era vivo!
Cominciò ad avere paura. C’era qualcosa in quel sorriso di spettrale e in quell’espressione. Era spaventosa, inquietante e pazza allo stesso tempo.
- C…chi sei?- balbettò tremando. L’altro lui si mosse e cominciò a girargli attorno, spaventandolo ancora di più:
- Decisamente come mi aspettavo. Assolutamente.- disse con voce soddisfatta. Si fermò dietro di Ven e gli percorse la schiena con un dito: era un tocco freddo, avido, come quando ai funerali si bacia un morto. Lo specchio continuò a sorridere e annuire:
- Sì, sei esattamente come immaginavo Ven. –
- Chi sei? Come fai a conoscere il mio nome?- ripeté il biondo –quello vero- acquistando sicurezza.
Lo specchio, ancora dietro di lui, gli circondò la vita con un braccio e una lama fredda, il coltello argentato, si poggiò sul collo di Ven.
- Io…- sussurrò facendo una leggera pressione con il coltello. Gli alitò sul collo: anche il suo respiro era freddo e odorava vagamente di sangue. -…sono te. - gli girò nuovamente attorno fermandosi stavolta di fronte a lui e guardandolo negli occhi. – Inoltre…- aggiunse calmo.
- Smettila…ti prego.- disse Ven tappandosi le orecchie.
Lo specchio, tornando dietro di lui, gli prese le mani e gliele strinse, lasciandole ricadere sui fianchi.
- Sono il tuo peggiore incubo.- disse. Ven cominciò a piangere. Lo specchio avvicinò la bocca al suo orecchio:
- Buh!- bisbigliò.
Ven si svegliò di soprassalto urlando:sua madre, suo padre e suo fratello erano attorno a lui con un’espressione preoccupata e stanca sul volto. Le lacrime gli rotolavano giù per le guance senza che potesse fare niente per fermarle:
- Shh…va tutto bene. Hai solo avuto un incubo. - sua madre lo abbracciò asciugandogli il viso con il dorso della mana.
- Fratellone…mi spieghi che ti sta succedendo?- chiese Sora stringendogli la mano.
- N-non lo so. - balbettò il biondo ancora intontito. Ed era vero: non lo sapeva neppure lui.

Roxas sussultò nel suo letto, ma non si svegliò.
Dopo tanto tempo passato a imporsi di dormire quando si svegliava nel cuore della notte neppure il peggiore degli incubi avrebbe potuto distrarlo dal suo sonno.
Si era allenato per anni perché, troppo spesso, desiderava di chiudere gli occhi e non aprirli più.
O forse perché i suoi continui sogni lo stavano facendo diventare una specie di vegetale che faceva fatica a tenere gli occhi aperti in ogni momento della giornata.
Eppure quella notte si sarebbe voluto svegliare.
Giusto per vedere il sorriso soddisfatto che aveva.
Lo stesso sorriso –pensava- che avevano i cacciatori quando prendevano la loro preda.
O gli assassini quando uccidevano il loro obiettivo.

Axel si sdraiò nel letto di Kairi, poco convinto: avrebbe dovuto dormire con sua sorella fino a quando la sua camera –adibita a ripostiglio da quando era partito- non fosse stata liberata.
Beh, di certo aveva sorpreso tutti tornando visto che si era ufficialmente trasferito in un’altra città tre anni prima. Era tornato a casa solo nelle vacanze di Natale e in quelle estive.
Eppure a Kairi non dispiaceva dormire con suo fratello: aveva sempre ammirato Axel per tutto. Per la sua simpatia, la sua prontezza di spirito, il suo carattere e perché l’aveva sempre visto un po’ come “il fratello bravo”. Essendo i loro genitori morti quando Kairi aveva solo cinque anni a Reno era toccato prendere le redini della famiglia e quindi essere severo, mentre Axel aveva sempre fatto la parte del papà che la difendeva quando disubbidiva alla mamma.
Quindi non poteva che scoppiare di gioia al pensiero che sarebbe di nuovo stato con lei.
Però, da quando era arrivato, c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi: un velo di maturità. Come se quell’Axel burlone e simpatico che conosceva se ne fosse andato…rabbrividì solo al pensiero.
- Aku…- cominciò con voce seria – posso farti una domanda?-
L’altro la guardò annuendo.
- Perché sei tornato? Cioè, voglio dire, quando sei venuto a Natale mi hai detto che ti eri laureato in lingue e avevi anche trovato un lavoro come traduttore che era ben pagato. Perché tutt’a un tratto hai deciso di tornare qui?- c’era una nota d’incertezza nella sua voce, come se avesse paura di dire la cosa sbagliata. Axel la guardò sbalordito: non si aspettava quella domanda. Chiuse gli occhi forse per richiamare alla mente i ricordi:
- Vedi sorellina, per far chiarezza a volte bisogna ritornare sui propri passi. La vita è come un testo: dopo la prima stesura bisogna ricontrollarla, correggere gli errori e se ce n’è bisogno, anche riscrivere alcuni pezzi. Anche se non sempre questo si può fare, vale la pena di tentare, credimi. Ma questo lo capirai quando sarai più grande…- la abbracciò e le posò un bacio sulla fronte.
Una lacrima solcò la guancia di Kairi: quel discorso era troppo profondo per essere di Axel.
Quello non era più il suo Axel.
Era l’Axel di qualcun altro.

Riku si asciugò la bocca prima di avere un altro conato di vomito:erano più di venti minuti che rigurgitava e pensava di non avere più nello stomaco i pasti degli ultimi tre giorni.
- Quando hai finito di vomitare dimmelo, così mi lavo le mani e vado a letto. - disse suo cugino Zexion dal trespolo su cui era seduto a leggere una rivista.
- Ho vomitato l’anima e tu pensi alle tue mani?Non ti senti egoista?- Sbottò l’albino tra un conato e l’altro.
- Fatti tuoi, sei tu che hai voluto mangiare quello che ha cucinato Xion. – Zexion si scostò il ciuffo azzurro-grigiastro dietro l’orecchio e voltò la pagina.
- Aveva un coltellaccio da cucina in mano! E l’ha posato solo quando ho finito la sua “zuppa”! – protestò Riku lavandosi la faccia: il vomito sembrava finito.
- Non dubito che la mia sorellina abbia il coraggio e la forza di ammazzare qualcuno. – voltò nuovamente pagina.
- Che stai leggendo?- domandò Riku interessato. Zexion alzò il libro.
- “Come liberarsi degli spasimanti e/o conquistare qualcuno”…mmh immagino che sia per Demyx. Ma quale parte stai leggendo: la prima o la seconda?-
- E tu? Hai intenzione di far prendere prima una decisione a Sora o di portartelo prima a letto?- rispose l’azzurro per le rime.
- COOOSAAA???? Chi è Sora e perché il mio Rikuccio dovrebbe portarselo a letto?- una ragazza irruppe nella stanza urlando. Zexion sbuffò: quella tizia doveva avere un udito finissimo per le questioni che riguardavano lei. Era quando diceva “Xion per favore portami un  bicchiere d’acqua” che diventava del tutto sorda.
- Oh no. – sussurrò Riku cominciando a correre.

Quando Roxas si svegliò sudato e con la terribile sensazione di essere appena uscito da un’apnea durata un po’ troppo non accese la luce. Né si alzò dal letto.
Non era stupito del suo risveglio perché probabilmente era dovuto all’emicrania che gli era venuta.
Rimase ad osservare il soffitto bianco, da sotto le coperte color pece con la fievole luce che proveniva dal terrazzo. Quella sera la luna piena aveva deciso di piazzarsi davanti alla sua finestra, per cui aveva dovuto chiudere le tende per prendere sonno.
Con la coda dell’occhio fece un breve controllo della stanza: sui due comodini le lampade erano spente, l’orologio digitale segnava le 01:25, e sulla grande scrivania giacevano ancora i libri di quel pomeriggio; lo schermo al plasma da quaranta pollici era spento, lo specchio era già stato sostituito e l’armadio semiaperto non lasciava intravedere nulla, come se il mondo finisse lì dentro; la porta del bagno era stata chiusa con violenza qualche ora prima, quando Marluxia, il suo cameriere, dopo averlo trascinato con forza a lavarsi il polso insanguinato gli aveva infilato il pigiama e l’aveva ri -sbattuto nel letto ordinando di non alzarsi fino al mattino successivo.
Dal suo letto a due piazze Roxas aveva la panoramica completa della sua stanza e più la guardava, più si rendeva conto che era troppo grande.
Poteva permettersela: tanto era ricco.
Suo padre era ricco, forse un po’ troppo.
Dopotutto la Strife Company era la compagnia più ricca e importante della capitale.
Gestiva un sacco di cose: ristoranti, alberghi, il “Kingdom Hearts”, giornale più famoso e si stava preparando per aprire un’università.
Quindi Roxas essendo unico successore della sua famiglia era ereditariamente troppo ricco.
Era abituato al lusso: casa sua in generale era troppo grande: una villa da troppe stanze come ce n’erano poche –se non nessun’altra- in città. La facevano sempre vedere in televisione, per dare prestigio e splendore al paese…dopotutto Rain Town non si era guadagnata il titolo di megalopoli per nulla.
La parte che Roxas adorava di più di casa sua era l’immenso giardino che la circondava: stava seduto per ore a osservare le alte mura, interrotte solo da un grande cancello di ferro.
La sua casa, il suo carcere. Troppo lussuosa, troppo bella e troppo finta.
La sua esistenza lì dentro era tutto un film il cui copione andava seguito alla lettera.
Invece fuori…
Fuori la sua vita era un’immagine nera con in sottofondo il rumore della pioggia…

A Sora e Ven non pesava la situazione finanziaria della loro famiglia.
Non erano poveri in canna, ma nemmeno navigavano nell’oro.
Aerith faceva la donna delle pulizie per una ditta e Squall era un poliziotto con un normale stipendio.
Anche Sora e Ven lavoravano: di pomeriggio dal lunedì al venerdì facevano i camerieri nel “Coffe/Restaurant X”, ma per loro scelta, con lo stipendio dei genitori avrebbero potuto benissimo vivere.
In realtà nelle Isole del Destino non c’erano persone povere e persone ricche, erano tutti più o meno sullo stesso modesto piano finanziario, una persona molto agiata avrebbe stonato.
Anche le case erano tutte più o meno simili: unica eccezione la villa di Aqua –che era una ricca ereditiera- su una collina in periferia.
Neanche Kairi se la passava male, ma la sua villetta erano semplicemente un condominio unificato.
Ven e Sora amavano la loro abitazione: era una casa in una schiera, con due camere da letto, due bagni, un salotto e una cucina su un solo piano. Niente di eccezionale insomma, però gli piaceva comunque.
Eppure quando in televisione vedevano quelle grosse ville a Rain Town, grandi quanto l’isola su cui vivevano non potevano fare a meno di pensare che abitare lì sarebbe stato davvero bello.




Note dell'autrice (Ma non datele retta perchè ha appena mangiato un uovo al cioccolato...sì, tutto intero n.d.altra me):
E abbiamo finito anche questo! Visto che la storia pare andare per le lunghe d'ora in poi i capitoli saranno più lunghi...contenti? (Per niente n.d.altra me), a partire da questo.
Bah, mi chiedo chi avrà il coraggio e la forza di seguirmi fino alla fine (Nessuno, credo n.d.altra me). Anche se sono un po' depressa perchè ho sfogliato distrattamente il diario oggi, e ho visto i compiti per le vacanze e mi sono chiesta come farò a farli.( Se continui a perdere tempo non tanto facilmente n.d.altra me)
E ora rispondo alle vostre recensioni (Non me le spiego: perchè ti compatiscono così se non hai fatto niente per meritarlo? n.d.altra me)

Little white angel: 
Oh, che bello una nuova lettrice! Piacere, io sono la matta che scrive questa storia (Penso ti conosca, fin troppo bene n.d.altra me). Beh, te l'ho detto le mie crisi di doppia personalità mi confondono abbastanza. Xion in balia di Riku è...una piccola vendetta personale per Aku-san. Non so Sora di chi avrà bisogno nella mia fic...ti ho detto quanto l'incest e le sperimentazioni mi attirano. Potresti ritrovarti uno Xiora senza accorgertene (Sì, certo, come no n.d.altra me). Comunque grazie per aver recensito!

Edo: E un caloroso benvenuto anche a te nuova lettrice!!! Beh, sulla cornice narrativa hai ragione...ma non lo so neppure io qual'è l'evento principale! (Devi sempre farti conoscer per la tua pazzia, eh? n.d.altra me). La mia storia intrigante? Grazie mille!!! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto! E grazie per aver recensito.

SweeTDemly: 
Non credevo che avresti continuato a commentare! Grazie. Io mi sono divertita a far soffrire Riku tra le mani di Xion...sarò sadica? (No, sei solo un'idiota n.d.altra me). Per quanto riguarda gli aggiornamenti, anche io lo spero, ma come ho già detto ho visto il diario e la situazione non sembra promettente, sigh. Però ho un po' di continuazione già pronta per cui cercherò di mantenermi regolare. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, e grazie ancora.

Alla prossima, e grazie anche a tutti coloro che hanno solo letto ecc.ecc.
Baci&Abbracci da Kim.

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Capitolo 4
*** Compiti e giochi ***


Compiti e giochi


Riku sbadigliò mettendosi una mano davanti alla bocca.
Kairi sbadigliò sonoramente.
Ven e Sora li seguirono a ruota, senza ritegno.
Naminè lanciò uno sguardo perplesso ai suoi compagni di autobus: che cosa era successo quella notte di così speciale?
- Ehm, scusate… - cominciò senza essere ascoltata. Gli altri sembrava in stato di trance, l’uno appoggiato all’altro.
- Ehm…- continuò. Nessun segno di vita. Naminè, di solito bella e calma, perse la pazienza:
- MA INSOMMA MI VOLETE ASCOLTARE?- urlò. I quattro sobbalzarono:
- Sììì????- fecero in coro stropicciandosi gli occhi.
- Sembrate stanchi. Non avete dormito?- domandò tornando al suo stato di santità apparente.
- Ho passato la serata a vomitare e a scappare a causa di quella matta di mia cugina.- Riku si afflosciò contro il finestrino trascinandosi Sora che pareva dormire appoggiato a lui.
- Ieri sera è tornato il mio fratellone. Siamo rimasti a chiacchierare fino a tardi.- Kairi ricominciò a sbadigliare.
- Ho sognato una mia copia malvagia versione cadavere che voleva uccidermi e Sora mi ha assistito mentre urlavo. Non abbiamo riposato molto.- Ven crollò addosso a Kairi: pensava ancora a quello che gli avevano detto i suoi genitori quella mattina.
“Vedi tesoro, penso che una chiacchierata con Aqua potrebbe farti bene. Perché non ci parli un po’ oggi?” gli aveva detto sua madre accarezzandolo. Lo credevano pazzo! Volevano mandarlo dallo psicologo! Lui non era matto, era solo un po’ stressato in quei tempi, ecco.
- Beh, spero che ce la faccia.- Riku ebbe un momento di lucidità. Vedendo gli altri che lo guardavano con facce confuse (e assonnate) si affrettò a spiegare – la tua copia malvagia intendo. Ad ucciderti.- Ven si trattenne dal picchiarlo, solo perché era troppo stanco.
- Riku, non essere così cattivo!- esclamò Sora. L’altro gli sorrise divertito.
Naminè guardò quel quadretto perfetto con aria scettica: lei invece aveva dormito benissimo.

Roxas non voleva andare a scuola.
Un padre normale avrebbe detto “Beh, non c’è niente di strano. Nessun ragazzo vuole andare a scuola.”.
Ma quello di Roxas non era un padre normale.
Era il grande e ricco Cloud Strife, che si vedeva in televisione.
Cloud Strife che aveva tutto…
Cloud Strife, apparentemente freddo, ma in fondo buono e gentile con tutti…
Cloud Strife che passava i mesi a girare il mondo, o rinchiuso nel suo ufficio…
Cloud Strife che vedeva suo figlio sì e no una volta a settimana…
Cloud Strife che quando in un’intervista gli avevano chiesto “E Roxas come sta?” aveva guardato con aria confusa l’intervistatrice.
Come se non avesse saputo chi era Roxas…
E poi aveva deviato argomento sulla “Attuale borsa di Rain Town”.
La verità –pensava Roxas- era che se Cloud non avesse sentito gridare quando era a casa “Signorino! Entri dentro per favore! Non vede che sta diluviando?” non si sarebbe neppure ricordato di avere un figlio.
E magari dopo un anno di assoluta solitudine avrebbe chiamato Marluxia e se ne sarebbe uscito con un “Ma che fine ha fatto quel ragazzo che girava per casa ogni tanto?”.
Era anche per questo che Roxas si era convinto di non esistere.
Se neppure suo padre si ricordava di lui…
Che senso aveva continuare a vivere?

Axel non si era svegliato neppure quando Kairi era capitombolata giù per le scale urlando “Merda, come è tardi! Perderò l’autobus!”. Continuava a dormire placidamente nel letto della sorella, con le coperte tirate fin sopra la testa.
Casa Flames era già mezza vuota: Elena era stata la prima ad uscire, per evitare che gli assegnassero il trasporto di Kairi che aveva quindi preso l’autobus, e persino il gatto di nome NaVeSoRi (Acronimo degli amici della ragazza. Il nome lo aveva scelto lei) era già fuori per la sua caccia mattutina.
Reno invece era già pronto per andare al lavoro: faceva l’avvocato. Quando vide Axel in quello stato di catalessi pensò bene di avvicinarsi e affermare:
- Ascoltami bene Axel! Non sei tornato qui per oziare. Se ti aspetti che io ti dia da vivere senza il minimo impegno da parte tua, beh, ti sbagli di grosso! Qui tutti danno il proprio contributo, non vedo perché tu debba fare la differenza. Trovati un lavoro, uno qualsiasi, oppure…sarò costretto a sfrattarti.-
Un mugolio soffocato gli giunse in risposta da sotto le coperte.
Si avviò fuori pensando, o meglio sperando, che Axel facesse la scelta giusta, per una volta nella sua vita.
Sapeva perché era tornato. Ed era un motivo tutt’altro che valido…

Zexion si era svegliato con il libro aperto sulla sua faccia. Si era addormentato mentre leggeva, gli capitava spesso.
Lo definivano “emo”.
Lo definivano “secchione” e in un milione di altri modi.
Lui si sentiva solo un ventiduenne troppo basso e con un’intensa passione per la lettura.
Che poi era anche quello che era. La passione per la lettura gi era venuta sin da bambino: aveva pochi amici, per cui si rinchiudeva nel suo mondo di parole e mandava a quel paese il mondo che lo rifiutava.
Mentre l’altezza, beh, quella era una caratteristica di famiglia. Anche sua sorella Xion che aveva quindici anni era una nana pazzesca…
Quindi, molti si chiedevano con una famiglia così da dove fosse uscita quella venticinquenne alta un metro e novanta con una quinta di reggiseno, comunemente chiamata “Aqua”.
Sua sorella era imprevedibile. Da bambina era sadica e lo trattava come il suo schiavo e gli aveva fatto nascere l’assurda convinzione che “i centimetri che devi crescere tu ci cresco io, così io divento bella e alta e tu rimani un nanetto da quattro soldi”.
Poi, alcuni anni prima era arrivata la lettera: “Siamo spiacenti di comunicare che il signor. Ignazio Von Aio se n’è andato. La sua unica parente Aqua Aio è pregata di venire a ritirare l’eredità in data giovedì 15 marzo”…e così per uno stupidissimo errore di invio ( Ad Aqua Aoi invece che ad Aqua Aio) si era improvvisamente ritrovata ricchissima e taccagna, visto che non aveva voluto dare un centesimo a nessuno.
Eppure nonostante avesse due sorelle, una più strana dell’altra e il mondo contro a Zexion la sua vita andava bene, monotona com’era.
Fino a quando non era arrivata la cosa che aveva sconvolto il suo normale equilibrio, o meglio la persona.
Il punto bianco nel suo spazio nero.
Del tutto illogico.
Il ragazzo che tutti i giorni si sedeva nella biblioteca in cui lavorava e lo fissava.
Demyx si chiamava. Era allegro, solare e stracotto di lui.
No, sul serio, Demyx andava contro ogni legge fisica e chimica mai scoperta.
Però, forse una la rispettava:
Gli opposti si attraggono.
E loro due erano esattamente opposti.

Alla fine Roxas era andato a scuola comunque.
Marluxia l’aveva caricato in limousine dicendo “Suvvia è sabato, domani potrai deprimerti quanto vuoi.” e lo aveva accompagnato fino in classe.
Il rapporto che Roxas aveva con la scuola era di isolamento.
I suoi compagni avevano paura di lui e lo evitavano.
Perché chi aveva i soldi lì, nella scuola pubblica, veniva emarginato.
E Roxas di soldi ne aveva a palate.
Inoltre aveva la media del dieci ed era il migliore della classe, nonostante facesse il secondo liceo classico.
Ma in quel caso il denaro non c’entrava nulla. Sembrava strano a dirsi ma il figlio del signor. Strife “colui che tutto può e tutto ha” passava le sue giornate a guardare la pioggia e a studiare.
Dieci in ogni materia su ogni pagella.
Pagelle che venivano firmate da Marluxia in quanto “tutor dell’alunno” e venivano messe via nell’ultimo cassetto della scrivania.
Mai un “Bravo” o un “Sono fiero di te”, solo dei “Carini i tuoi voti. Quanto paghi a professore?”
Ma Roxas non studiava perché gli piaceva, o perché essendo erede di grandi società gli doveva. Figurarsi quanto se ne fregava lui delle "grandi società".
E non studiava neppure per compiacere qualcuno, perché non aveva nessuno da compiacere.
Roxas studiava per distrarsi.
Per distrarsi dalla sua vita.
Per distrarsi dal non esistere…

“Signora i suoi figli sono intelligenti, ma non si applicano”.
Era questo che Aerith si sentiva dire ogni volta che andava a un incontro scuola famiglia.
Ven e Sora potevano essere i migliori della classe, se solo avessero voluto.
Ma si accontentavano della media del sei e si giustificano con “Ma il classico è difficile! Soprattutto la seconda!”. Bazzecole, pensava Squall quando li rinchiudeva nella loro stanza per farli studiare.
Secondo gli insegnanti erano fattori psicologi: Ven era sempre tra le nuvole, come se gli mancasse qualcosa e Sora si distraeva giocando con Kairi.
Riku e Naminè erano i più bravi della classe e si erano anche offerti di aiutarli a recuperare, ma i fratelli li avevano liquidati con un “Naaa, non ci interessa.”
Eppure quel giorno gli ultimi banchi sembravano stranamente…addormentati.
Elena si chiedeva che cosa avesse la seconda declinazione di noioso visto che persino Riku aveva la testa sorretta da una mano e lottava contro le palpebre pesanti!
Ma la situazione più grave era il banco a tre: Sora al centro si era del tutto abbandonato al sonno e con il capo abbandonato sul banco oziava (e stava pure sbavando, che schifo!); Kairi rilassata sulla sedia sonnecchiava e ogni tanto annuiva; infine Ven con le braccia conserte sul banco e la testa appoggiata a esse dormiva placidamente con un’espressione rilassata.
- POTETE DIRMI CHE AVETE SIGNORINI LEONHART, SIGNORINA FLAMES E SIGNORINO AOI???- urlò interrompendo la spiegazione.
Prima che qualsiasi risposta potesse giungergli la campanella della ricreazione salvò i suoi alunni da una probabile nota sul registro. Dannate bidelle!

Axel si alzò verso le undici, solo dopo che fu certo che il suo sonno si fosse del tutto esaurito.
Poi, con molto calma, fece colazione svuotando il frigo della villa e, maledicendo Reno che rovinava sempre tutto, si vestì e uscì in cerca di lavoro.
Le isole del Destino non erano cambiate di una virgola da quando le aveva lasciate tre anni prima: le case in stile antico costeggiavano le strade ma pochissime erano asfaltate.
La civiltà lì si era fermata al Medioevo, e non voleva saperne di fare progressi.
Però un po’ gli era mancato il suo paese: nel posto in cui si era trasferito quel bel sole che si rifletteva nel mare azzurro non esisteva, e l’aria salmastra veniva sostituita dal fumo delle industrie e delle automobili.
Grigio era il miglior modo per definire il posto in cui era stato. Grigia l’aria, grigio il cielo, grigie le persone.
No, Axel, ti sbagli, io non sono grigio, io sono vuoto. Il vuoto non ha colore.
Ricordi.
Li ricacciò indietro. Non voleva averli, ma contemporaneamente non voleva lasciarli.
Si guardò intorno sbuffando: stupido Reno, e adesso dove lo trovava un lavoro?
Quello che sembrava un ristorante attirò la sua attenzione: forse loro…
Con passo felpato si avvicinò e si sedette al lungo bancone: c’era un ragazzo biondo di spalle, probabilmente intento a pulire dei bicchieri.
- Un caffè, grazie.- disse guardandolo. Il ragazzo si voltò e la sua espressione pensierosa si trasformò in un sorriso.
- Axel!!! Da quanto tempo! Che diavolo ci fai qui? – Demyx gli diede una pacca sulla spalla con la mano libera.
- Sono tornato Dem. Per sempre, credo. – gli rispose tranquillo. Loro due erano stati amici fin da piccoli. Ma visto che all’università delle Destiny Island c’erano solo le facoltà di medicina, giurisprudenza ed economia e commercio ed Axel voleva assolutamente fare lingue si erano dovuti separare.
- Come ti è andato lì?- il cameriere tornò alla sua occupazione.
- Bene, bene. Ho imparato fin da subito la lingua e mi sono laureato a pieni voti. – rispose vago.
- Ah. E perché sei tornato?- chiese il biondo senza pensare. Axel abbassò lo sguardo:
- A te invece come va?- cambiò argomento. Sapeva che se avesse detto una bugia Demyx se ne sarebbe accorto. Se ne accorgeva sempre.
- Purtroppo non ho finito gli studi. – mise a posto il bicchiere e cominciò a strofinare un piatto.
Ad Axel si illuminarono gli occhi smeraldini: aveva avuto un’idea. Demyx cominciò ad avere paura. Le idee di Axel si ritorcevano sempre contro di lui, in qualche modo.
- E con Zexion?- disse con tono a dir poco maligno. L’altro arrossì di botto: - Benissimo! – urlò convinto. – Ci siamo messi insieme! – aggiunse mordendosi la lingua.
- Perfetto. – una nota sadica brillava ancora nella sua voce – Vediamo se me lo confermerà, visto che sta arrivando. – Il piatto cadde per terra, Demyx sparì sotto il bancone.
Una risata malefica si fece spazio nell’aria: una ragazza bionda arrivò dalla porta dietro il bancone.
- Suvvia Dem, ancora ti fai prendere in giro da questo istrice!- Larxene si appoggiò alla cassa ridendo.
Axel la guardò con il sorriso stampato in volto: era rimasta uguale Larxene. La sua migliore amica. I loro fratelli erano sposati, quindi loro due si conoscevano benissimo. Prima che Axel si trasferisse passavano le giornate a stuzzicarsi a causa del lato sadico che avevano in comune. Ma era quando si mettevano insieme che cominciavano a far davvero paura. La loro vittima preferita era Demyx: era così ingenuo che cascava puntualmente nei loro scherzi –che erano davvero, davvero cattivi. –
- Ciao schizzata. -
- Bentornato sfigato. – i loro soprannomi amorevoli. Larxene diede un calcio a Demyx, ancora accucciato per terra –Raccogli i cocci demente! I piatti già sono pochi!- il ragazzo si mise all’opera.
- Oh, a proposito! – esclamò Axel ricordandosi il vero motivo per cui era uscito – Mio fratello vuole che lavori. Avete un posto libero? – Larxene sospirò:
- Non so, devi chiedere a Xemnas. E’ lui il capo adesso. –
- Allora state proprio messi male! – dichiarò il rosso alzandosi.
- Una vera merda Ax. Davvero. – poi Larxene alzò i tacchi e sparì in cucina.

Terra camminava quando non aveva niente da fare.
Quando non doveva parlare con Aqua, o non doveva guidare l’autobus si faceva tutta la spiaggia a piedi.
Sentire la sabbia tra le dita e gli spruzzi d’acqua fredda che ogni tanto gli arrivavano sui piedi lo aiutavano a pensare.
Lui era una persona strana per molti: non ricordava niente del suo passato e forse non aveva neppure un futuro.
Non aveva una casa: era ospite alla villa di Aqua da quando era arrivato.
Nessuno sapeva da dove veniva: un giorno sulle Isole era comparso un nuovo personaggio silenzioso e misterioso.
Inoltre non aveva amici. Solo Aqua e qualche ragazzino del pullman molto estroverso.
Se qualcuno lo avesse visto lì, sulla spiaggia, con il sole che gli accarezzava i capelli color cioccolato, forse qualcuno lo avrebbe trovato bellissimo, forse qualcuno avrebbe pensato che era un barbone solo come un cane.
Se solo quel qualcuno fosse stato Ven…

Bambolotto.
Alla fine a scuola c’era andato, ma non c’era andato.
Dopo la mensa non era tornato in classe.
Si era sdraiato sull’erba bagnata del cortile a riflettere.
Bambolotto.
Sembravano passati anni da quando lì, proprio in quel luogo gli aveva spezzato il cuore.
Bambolotto.
Quella parola gli rintoccava nella mente, come le lancette del suo orologio.
Tic Tac Tic Tac.
Le bambole erano sempre curate nei minimi particolari, no?
Era stato usato.
Aveva usato.
Manipolatore.
Tutte le persone con cui aveva giocato e che aveva buttato via.
Hayner, Olette, Seifer…
Manipolatore.
Non si pentiva di quello che aveva fatto.
Se aveva sofferto lui dovevano soffrire anche gli altri.
Bambolotto.
Roxas.
Un viso di ceramica scolpito.
Un corpo fragile e freddo.
Capelli color grano.
Occhi azzurro spento, dipinti.
Bambolotto.
Usato da un bambino viziato.
Che poi si era stancato di lui e lo aveva buttato.
Sull’erba, sotto la pioggia che cominciava a scendere.
Bambolotto.
Già, peccato che di solito le bambole non piangono…

La campanella del sabato aveva un suono diverso da quello degli altri giorni.
Non paragonabile a quello della campanella di fine anno, però comunque più liberatorio di quello degli altri giorni, che sembrava dire “Tzè, che cos’hai da ridere? Tanto ci vediamo domani.”.
Eppure quel giorno Ven non notò la minima differenza da quella degli altri giorni, anzi non notò proprio la campanella.
Rimase con la testa appoggiata sulle mani aperte a coppa, annuendo come un deficiente, come stava facendo durante la lezione.
Neppure il cancellino che gli aveva tirato in testa il professor Vexen lo aveva risvegliato dallo stato di totale incoscienza in cui era caduto da quella mattina.
- Ven…- sussurrò Kairi sbadigliando. – Dovremmo muoverci, o perderemo l’autobus. -
Ah sì, l’autobus…l’autobus!
Si alzò di scatto e corse fuori, non notando neppure che la classe era ancora mezza piena. Attraversò di fretta e furia e corridoio, sbattendo contro le persone che gli urlavano di fare più attenzione.
Arrivò in fuori: il cortile era grande e dava sulla strada. Ben curato, con alberi di ciliegio, costantemente in fiore, che lo contornavano.
Lo scenario perfetto per uno di quei film patetici che guardavano Kairi e Naminè.
- Oh no! – esclamò non vedendo nessun pullman giallo parcheggiato lì davanti.
- Ven, Terra non è ancora arrivato. – Naminè gli sorrise dolcemente. Stringeva il suo solito blocco da disegno in mano.
Si sentì un totale idiota. Arrossì di vergogna, accorgendosi che tutti lo fissavano. Doveva trovare una via di fuga.
- Nami, posso vedere i tuoi disegni? - domandò come un pesce fuor d’acqua. La ragazza bionda sorrise e si allontanò, lasciando Ven, da solo, al centro del parco, fissato da tutti.
Dopotutto dopo il trauma, le risposte di Naminè non erano sempre coerenti.
Per una volta, la dea della fortuna accontentò Ven e l’oggetto dei suoi desideri (Un grosso autobus giallo canarino, che doveva essere più vecchio del paese, per la cronaca) arrivò.
Terra aprì la porta ridendo ed esclamò – Tutti a bordo, ragazzi!-.
Il biondino sospirò incamminandosi: Ma come faceva a non amarlo?

Riku imprecò prendendo lo zaino. Lui di umiliazioni per colpa di Sora ne aveva subite tante, ma una così mai!
Ricapitolando: c’era stata quella volta al Luna Park in cui gli aveva vomitato addosso ed era stato costretto ad andare in giro con una macchia verde e puzzolente (Non aveva mai capito che cosa avesse mangiato Sora, forse qualcosa cucinato da Xion) per tutta la città.
E poi c’era stata quella volta in chiesa in cui nel bel mezzo del momento di silenzio Sora aveva urlato “Rì, non ce la faccio più, devo fare pipì!”.
La più recente risaliva a Natale quando aveva attraversato mezza città urlando “Riku mi ha baciato! Riku mi ha baciato!” Fortuna che erano tutti impegnati nei festeggiamenti.
E Riku aveva sempre sopportato tutto, per amore, perché l’amore per Sora era più forte di qualunque umiliazione.
Tranne di quella! Non poteva farlo! Prendere Sora e portarlo in braccio fino all’autobus. Ma che razza di figura ci faceva la sua reputazione???
Guardò con occhio critico il moro che dormiva placidamente sul banco: era l’unica possibilità che aveva se non voleva lasciarlo lì. Sapeva che non si sarebbe svegliato neanche con un trombone e che non c’era nessun altro nella scuola che si sarebbe offerto di aiutarlo.
Sentì il clacson del pullman arrivare in lontananza.
Sempre sbuffando e imprecando attirò Sora a sé.
Gli parve già di udire una risata.

Zexion stava già addentando uno dei cinque cracker che aveva portato per pranzo quando entrò un cliente.
Inizialmente pensò che fosse Demyx: solo lui era capace di saltare il pranzo per andare in una biblioteca aperta dalle sette di mattina alle nove di sera con orario continuato.
Ma quando alzò lo sguardo fu sorpreso di trovare un gruppo di persone di fronte a lui.
Erano tutti molto eleganti, in smoking e con occhiali da soli. Nessuna espressione sul volto, camminavano a passi regolari e tutti uguali, come robot.
Zexion fu inizialmente deciso se credere che erano dei mafiosi e chiamare la polizia, o un gruppo dell’alta finanza e quindi rimanere fermo.
Non gli diedero il tempo di decidere. L’uomo di fronte a tutti con una massa di capelli biondo cenere che gli si tenevano sulla testa con ciocche che penzolavano sulla fronte si avvicinò al bancone seguito da un uomo, pelato e con gli occhiali da sole, come ogni guardia del corpo che si rispetti.
L’uomo biondo tastò il bancone.
- Vorrei comprare. – disse con un’espressione seria. La sua voce era fredda, metallica.
- Che cosa? – Zexion diede un altro morso al cracker inespressivo. Era una domanda superflua la sua. Se erano entrati in una biblioteca volevano di certo un libro.
Eppure la reazione che l’uomo ebbe, per poco non lo fece strozzare.
Il biondo disegnò una circonferenza in aria con il dito e, con la stessa voce gelida disse:
- Questa. -
- Mi dispiace ma è una biblioteca pubblica, deve parlare con il sindaco. – provò a reggere il confronto.
- Ho già fatto tutto. Ero venuto qui solo per informarla che questa libreria ora appartiene a me. - infilò un paio di occhiali da sole che nascosero gli occhi color ghiaccio. – A Cloud Strife. Alla Strife Company. – quelle figure demoniache se ne andarono, veloci come erano arrivate.
Poco dopo entrò Demyx.

Mentre saliva sull’autobus, giustamente, non aveva sonno avendo dormito tutte e cinque le ore della lezione.
Eppure quando Terra gli chiese “Ven stai bene? Stamani era strano!” il suo cervello si rifiutò di fornire una risposta logica e coerente e non poté fare a meno di arrossire e correre a sedersi.
La situazione andava peggiorando di giorno in giorno, se ne accorgeva. Per di più adesso ci si mettevano pure quegli stupidi incubi!
Si morse il labbro incerto: almeno uno dei due problemi andava risolto.
Lanciò un’occhiata a Terra che stava ridendo mentre guardava Riku portare in braccio un Sora tutto addormentato e sbavante.
Confessargli i suoi sentimenti? No, non se ne parlava proprio.
In quel momento Aqua gli passò accanto. Quel giorno aveva un carrello pieno di hamburger e una maglia con scritto “McDrive”. Ven si chiese se fosse più matta dei suoi pazienti.
 Però forse una chiacchierata con lei non sarebbe costata nulla…
- Ehi, Aqua.- sussurrò come per paura di essere sentito. L’azzurra gli si sedette accanto porgendogli un panino.
- Vuoi anche una coca-cola? – chiese. Il biondo scosse la testa. –Volevo solo parlare un po’-
All’azzurra si illuminarono gli occhi. Estrasse degli occhiali da una lattina e cacciò un taccuino dal panino che aveva in mano.
- Ho capito. Mi dica signorino Leonhart. Qual è il suo problema? - In quel momento sembrava quasi una persona seria, pensò Ven cominciando a parlare della sua sensazione di vuoto, dei suoi sogni e di quella che gli sembrava la vita di qualcun altro.

- Fratellone sei venuto a prendermi!!!- Kairi saltò tra le braccia di Axel felicissima. Il rosso le sorrise allegro.
- Oggi la professoressa Elena mi ha quasi messo una nota perché non stavo attenta. Ma dico, chi si crede di essere quella per…- e cominciò il suo lungo resoconto della giornata.
Axel quasi rimpianse di essere andato lì: conosceva sua sorella, sapeva che quando attaccava a parlare nessuno era in grado di fermarla.
Però gli era mancata: aveva subito troppi silenzi in quegli anni.
Silenzi, che a volte duravano pochi secondi, a volte ore, ma che facevano sempre lo stesso insopportabile effetto doloroso.
E venivano interrotti da sue domande, solo per smorzare la tristezza che puntualmente si creava nell’aria.
Domande, che poi, rimpiangeva di aver fatto, puntualmente.
Il chiacchierio di Kairi nell’orecchio era piacevole, perché le sue parole erano leggere, quasi dette senza riflettere.
Mentre, le parole che riecheggiavano nella sua mente, tutte le frasi pesanti come macigni ma scelte e analizzate con molta cura dall’oratore che aveva sentito, diventavano insopportabili.
- Oh, a proposito…- Kairi interruppe il suo monologo – Oggi io, Nami e Riku andiamo a casa di Ven e Sora: non è che potresti accompagnarmi?-
- Ok. – confermò sorridendo.
Ma dentro di lui ci fu improvvisamente silenzio.


Terra lanciò un’occhiata allo specchietto. L’ennesima.
Vedere Aqua e Ven chiacchierare e ridere allegramente gli faceva venire una morsa allo stomaco: ma di che cosa dovevano parlare e ridere quei due? Di lui forse?
Forse Ven aveva capito che Terra si era innamorato di lui e lo stava prendendo in giro.
Forse Aqua aveva deciso di dichiararsi al biondo da parte sua o forse…un pensiero orrendo gli attraversò l’anticamera del cervello.
Forse Ven era innamorato di Aqua e aveva finalmente trovato il coraggio di dirglielo.
Ma che cosa ci trovava in quella?
Sì, Aqua era una bella ragazza, con due occhi profondi e sempre allegra (e con due tette molto grandi, gli ricordò una vocina nella sua testa). Ma che cosa aveva che a lui mancava?



Ok, quella era decisamente la domanda più stupida che si fosse mai posto.
Sbuffò, concentrandosi sulla strada. Aqua gli avrebbe sicuramente detto di cosa avevano parlato.

- Sì, la soluzione è facile.- Aqua guardò il taccuino con un’espressione assorta. Ven la fissava speranzoso. Forse stava davvero per avere la soluzione ai suoi problemi.
- Vedi caro, tu sei da sempre una persona buona e cara. Per essere così il tuo subconscio ha oppresso la tua parte malvagia, che adesso sta tentando di liberarsi e manifestarsi attraverso queste visioni. Dunque, per far finire ciò, quando senti l’impulso di fare qualcosa di crudele devi farla e basta. In questo modo le due parti si compatteranno e svanirà la sensazione di vuoto e gli incubi.- gli lanciò un’occhiata da sopra gli occhiali a mezzaluna.
- Oppure hai un gemello cattivo che sta cercando di ucciderti.- aggiunse ridendo.
Era chiaro che l’ultima frase era una battuta, pensò Ven mentre Aqua gli tendeva la mano.
- Sono cinquanta munny!- fece allegra. Il biondo la guardò stranita.
- Mica lavoro gratis, io!-
- Ma non ho tutti quei soldi!- guardò nel borsellino – Ho solo dieci munny!- Aqua gli strappò la banconota da mano.
- Sono perfetti. Gli altri me li porterai un’altra volta. – e sparì nel corridoio, lasciando Ven a riflettere sulle sue parole.
Dunque…la sua parte cattiva. Doveva lasciarla andare e compattarsi con lei. Certo che però aveva un bel caratterino!
E non era vero che lui era sempre stato buono e caro: rispondeva male a Riku, si picchiava con Sora quando litigavano e una volta aveva anche rubato una patatina dal piatto del fratello! Tutte cose che lo rendevano un cattivo ragazzo, anche se aiutava tutte le vecchiette ad attraversare la strada, portava loro le buste e le faceva sempre sedere sulla navetta.
- I fratelli Leonhart devono scendere. E Aqua deve venire qui un attimo. – urlò Terra con voce stranamente fredda.
Ven non salutò nessuno scendendo. Solo perché gli andava di fare così.

- Io ti ho mandato a scuola e tu giustamente hai pensato di intrattenere il tempo facendo un pisolino sotto l’acqua!- Marluxia rimboccò le coperte a Roxas, dopo averlo riportato in fretta e furia a casa trovandolo nel giardino scolastico con il diluvio universale a fargli compagnia. Gli tolse il termometro da bocca:
- No, ma dai! Ti è salita la febbre, e chi se lo aspettava!- esclamò ironico guardando il 38.02 comparso sull’apparecchio. Roxas gli scoccò un’occhiataccia:
- Fanculo Marl.- borbottò con voce roca. Aveva la testa che gli scoppiava e ne era quasi felice: era quasi rilassante non riuscire ad avere pensieri coerenti.
Si ammalava abbastanza spesso Roxas. La sua passione per la pioggia lo faceva sempre ritrovare fradicio con il vento che gli si abbatteva addosso e neanche il cappotto.
E quelle frequenti volte in cui i domestici non facevano in tempo a prenderlo e a metterlo davanti al camino con i piedi nell’acqua bollente si ammalava.
- Vado a prendere altra legna per il camino. Dirò a Cheryl di portarti del brodo di pollo stasera. Tu dormi. – disse il rosato uscendo e borbottando qualcosa sul fatto che il signore e la signora si sarebbero arrabbiati, sapendo che il ragazzo si era ammalato…di nuovo.
Roxas si voltò verso la finestra e chiuse gli occhi.
Fuori la pioggia continuava a scendere imperterrita.





Note dell'autrice (prima che venga uccisa a pedate n.d.altra me) (Per il ritardo? n.d.me) (No, per essere tornata n.d.altra me):
Wow...non posso credere che non aggiorno dal 5 Aprile (Io sì n.d.altra me): sono praticamente due mesi!!! (In cui hanno festeggiato la tua morte n.d.altra me)
Comunque l'ho scritto anche nell'account che non ci sono stata e non ci sarò per un po' di tempo. ("Un po'"? n.d.altra me). Perchè sapete...le verifiche di fine anno...la preparazione per le vacanze...e il fatto che la mia ultima interrogazione in scienze risale a novembre. (Ma quanto ti impegni nello studio, eh? n.d.altra me). Comunque, visto che dovrei andare, sarò breve (Menomale! n.d.altra me). Mi dispiace ma non succede ancora nulla. Però aggiornerò presto, spero (Tu, il resto del mondo spera di no n.d.altra me). Anche perchè il prossimo capitolo è abbastanza corto, e non succede niente neanche in quello. (-_-' n.d.altra me). Mi dispiace, ma non è colpa mia! Tendo sempre ad allungare il brodo (E alla fine non concludi mai nulla n.d.altra me). Ora rispondo ai miei gentilissimi recensori: un grazie di cuore.


Edo: Innanzitutto grazie mille, perchè continui a seguirmi (Nonostante tutto n.d.altra me). Grazie e...no, non succede ancora l'avvenimento che tutti aspettano pazientemente (Parli come se fosse la nascita di Cristo...ma poi "tutti" chi? n.d.altra me), non è che mi diverto a tenere le persone sulle spine...è che non sono capace di dire tutto in due parole (Diciamo pure che la tua capacità di sintesi è pari a - 100 n.d.altra me). E ancora grazie, e spero che continuerai a seguirmi.


Little white angel:E finalmente sono riuscita ad aggiustare questo benedetto rigo! A te che sei sopravvisuta al gas acceso, tutti i rubinetti aperti, la lavatrice accesa e tutto il bucato da stendere, solo per costringermi a postare dico un grazie grande quanto la mia follia (Ed è una cosa gigantesca n.d.altra me). Se Roku e Aku finiscono sotto uno scafo mi sta bene...purchè finiscano amandosi! Lo yaoi è eterno, no? (Mai quanto il tuo sclero n.d.altra me). Penso che Xion non se ne andrà tanto facilmente...perchè mi sta tanto antipatica (Sai di essere del tutto illogica vero? n.d.altra me). E no, la storia non si evolve. Però se vuoi puoi parlare con Riku e Sora e dirgli che secondo te loro si amano alla follia... in ogni caso, grazie per aver recensito.

E grazie anche a tutte le persone che hanno letto ecc.ecc. E scusate per il ritardo.
Alla prossima! (Ma anche no! n.d.altra me) Baci&Abbracci da Kim.

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Capitolo 5
*** Pomeriggio e sera ***


Pomeriggio e sera


- Ven, fratellone, sei strano oggi. Va tutto bene?- Sora gli si avvicinò con aria preoccupata. Erano seduti sul divano, a guardare i cartoni animati.
O meglio, Sora guardava i cartoni animanti e Ven sfogliava svogliatamente il libro di matematica –cosa a dir poco assurda per uno come lui- e lanciava ogni tanto un’occhiata alla Tv.
- Fatti miei. – borbottò annoiato. Sora si ritrasse:
- Chi sei tu e cosa ne hai fatto di mio fratello?- chiese spaventato. Ven rise:
- Sono sempre io Sò. Sono finalmente me stesso. – eppure i suoi occhi chiedevano scusa. Le parole che diceva gli pesavano sulla coscienza.
Aerith entrò spazzando il pavimento:
- Sto facendo i biscotti.- informò – Oggi vengono i vostri amici, giusto?- Sora sembrò illuminarsi:
- E’ vero, me n’ero proprio dimenticato!-
Il campanello interruppe la discussione. Il castano corse ad aprire buttò le braccia al collo della persona che era in piedi davanti alla porta, senza neanche guardare chi era.
- Ehm…ciao anche a te. - Riku salutò stranito. Sora si staccò imbarazzato:
- Oh, scusa Riku, non pensavo che fossi tu. – balbettò. Prima del bacio, quando Sora abbracciava Riku era una cosa normale per tutti. Solo che l’imbarazzo faceva da scudo al loro rapporto. Si erano allontanati.
- Come siete carini, posso farvi un ritratto?- Naminè entrò stringendo l’album tra le braccia. I due ragazzi avvamparono abbassando gli occhi al pavimento.
- Immagino che sia impossibile ritrarre Riku, Nami. E’ talmente brutto che il foglio si accartoccerebbe da solo nel caso ci provassi. – disse Ven dal divano. Riku lo guardò con occhio critico:
- Oddio Ven che studia! Si sta rivoltando il mondo! – esclamò sconvolto.  Il biondo sbottò un “Davvero divertente” e tornò alla lettura. Aerith intervenne nella discussione:
- Suvvia caro, sono arrivati i tuoi amici. Chiudi quel libro, riprenderai più tardi! –
Ven obbedì a sua madre (Ma solo per quanto riguardava il "Chiudi quel libro", il "riprenderai più tardi" non si fermò neppure per una frazione di secondo nel suo cervello) e raggiunse i ragazzi sull’uscio.
- Ma ciao!- un urlo allegro arrivò da fuori. Kairi si sbracciava verso di loro, accompagnata da un ragazzo che doveva avere vent’anni.
- Raga, questo è Axel, il mio fratellone, è tornato ieri. Ma voi l’avete conosciuto a Natale, giusto?- arrivò da loro con un sorriso sulle labbra e stringendo la mano al più grande.
Axel li scrutò uno ad uno:
- Allora, vediamo se mi ricordo i vostri nomi. - disse allegro. – La tizia con il blocco da disegno è Naminè. Questo qui davanti è Riku, quell’altro è Sora, mentre quello lì…- si soffermò sul biondo che aveva un’espressione gelida – che Sora, non aveva mai visto sul volto di suo fratello-.
- …tu sei Ventus, giusto?- chiese con voce flebile.
Ven roteò gli occhi – Chi altri dovrei essere.- sbottò.
Mentre la porta si chiudeva, a Kairi parve che Axel tirasse un sospiro di sollievo.

Quando Roxas si svegliò le sue condizioni erano migliorate abbastanza da permettergli di rifiutare il brodo con parole poco carine nei confronti della cameriera.
- Nossignore, non mangerò questa schifezza neanche se mi pagate Cheryl!-
- Ma signorino! La farà di certo sentire meglio!-
- Ho già preso l’antibiotico, grazie. Arrivederci. E dica a Marluxia di venire qua immediatamente. –
Si infilò sotto le coperte e ascoltò i sospiri spazientiti della cameriera mentre poggiava il brodo sul tavolo e chiedeva a Marluxia, entrato in quel momento, di convincerlo a mangiare.
- Roxas... - quest’ultimo si rivolse con tono calmo e severo alla coltre di coperte. – Tuo padre vuole parlarti.-
Roxas si alzò pigramente: perfetto, una volta al mese suo padre lo convocava nel suo studio e si metteva a disquisire sul suo comportamento e le solite cose. Ma Roxas sfruttava sempre quegli incontri per prendersi gioco di Cloud.
- Ma non ha bisogno di un’altra delle tue sceneggiate! Quindi, per una volta, potresti fare il bravo bambino?- disse mentre attraversavano il corridoio. Si fermarono davanti a una porta di cedro dall’aria imponente. Marluxia bussò e un “Avanti” autoritario li accolse.
L’ufficio di Cloud era più grande di quanto si potesse immaginare, anche se i tanti mobili e scaffali, potevano farlo sembrare piuttosto angusto. Il signor Strife era seduto alla grande scrivania, gli occhi chini su un paio di carte. Quando i due entrarono si alzò in piedi e raggiunse la donna dai capelli e gli occhi neri che era seduta davanti la scrivania.
Cloud fece un cenno a Marluxia che se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle.
Roxas prese ad analizzare la stanza con indifferenza: sapeva che in quel momento suo padre stava cercando di ricordarsi come si chiamava…
- Figlio.- …senza riuscirci. Il ragazzo sbuffò – Buon pomeriggio Cloud. – disse. Non lo aveva mai chiamato papà. Andava contro i suoi principi, perché, diceva “Non ha senso chiamare papà un estraneo. Nessuno mi ha insegnato a chiamarlo papà, quindi perché dovrei?”.
Guardò la donna: - Buon pomeriggio attuale puttanella di Cloud.- salutò sorridendo. Il non-rispetto per le donne di suo padre era un’altra delle sue caratteristiche. Di solito era lui a farle scappare tutte.
Rimase sorpreso dal ceffone che gli arrivò scaraventandolo contro la parete. Non era abituato alle donne dal carattere forte, di solito, tutte si limitavano ad andarsene piangendo, o a supplicare Cloud.
Roxas si rialzò, impassibile. Uh-uh, la situazione si scaldava, che bello!
- Vedi caro…- suo padre ricominciò a parlare – Sono molto deluso dal tuo comportamento degli ultimi giorni. Non mi piace come ti comporti nei confronti della servitù, nei miei e in quelli di Tifa. Lei è straniera…-
- Come la terza, o come la sua sesta fidanzata, signor Strife? Che strano, però mi pare che capisce la nostra lingua.- si rivolse alla donna. – Se ti chiamo stronza, capisci vero?- un altro schiaffo, più forte del primo gli arrivò e gli parve di udire un “Insolente”. Suo padre batté un pugno sul tavolo:
- E’ proprio a questo che mi riferisco! Tu non puoi continuare così! E poi cosa c’è di sbagliato nella parola “Papà”? E un “Mamma” è troppo complicato per te, stupido ragazzino viziato?-.
Roxas non si prese la briga di rispondere. Si alzò, stava per aprire la porta, ma poi gli venne il colpo di genio.
Si infilò due dita in gola e sentì la bile salirgli in bocca. In fondo una vomitata a causa della febbre non sarebbe sembrata così sospetta, no?
E avrebbe impedito a Cloud di dirgli quello che già sapeva.

- Per favore Aqua!!! Dimmelo! –
- Ma neanche per sogno Terra! Gli incontri con i miei pazienti sono una cosa privata!-.
- Ma Ven non è un tuo paziente!-
- Beh, oggi sì!-
Terra rimase stranito dalla risposta: Ven non sembrava essere pazzo…cioè, era troppo perfettamente perfetto per aver bisogno di uno psicologo!
- Ma riguardava me?- domandò curioso. Aqua ciondolò la testa:
- Forse… non saprei.- rispose evasiva.
Il moro sospirò: sapeva cosa voleva dire quell’atteggiamento. Sbuffando prese il portafoglio e ne cacciò la sua unica banconota da cinque munny. L’altra l’afferrò al volo.
- No. – disse convinta.
- Bene. E allora che cosa riguardava?- continuò.
- Boh! Magari qualcosa potrebbe aiutarmi a ricordare! – sorrise avida. Terra scattò in piedi lasciando cadere i pop-corn sul divano su cui erano seduti:
- Ma non ho più niente! Sei tu ad intascare i miei stipendi!- Aqua si voltò altezzosa:
- Questi non sono affari miei!-
Un Dlin Dlon attirò la loro attenzione. L’azzurra ignorando il “taccagna” di Terra, andò ad aprire saltellando. Fuori dalla porta c’erano gli emissari del diavolo.

 - Allora Axel…dove sei stato per tutto questo tempo?- domandò Aerith portando una teglia fumante. Erano seduti attorno al tavolo della cucina e l’attenzione era rivolta al più grande.
- Bah…da nessuna parte.- rispose Axel con aria di sufficienza. – Mi sono laureato in lingue e poi ho lavorato per una ditta di traduttori. Ho tradotto anche un libro. –
- Sì, certo, come no. – borbottò Ven ironico addentando un biscotto. Axel gli lanciò un’occhiataccia.
- Maddai Sora! Non ci credo! Ancora guardate Spongebob!- esclamò Riku guardando la televisione. Sora si ritrasse imbarazzato: - Non- Non so come sia finito su quel canale, davvero! Per me puoi anche cambiare! –
E Riku lo prese alla lettera mentre Aerith spariva in cucina a prendere il tea.
Sulla Tv apparve una ragazza giovane, dai capelli neri che stava intervistando un uomo biondo, dall’aspetto gelido vestito elegantemente. C’era una scritta che diceva il nome dell’intervistatrice –Una certa Yuffie Kisaragi. – e sotto di quella che diceva il nome dell’intervistato.
- Cloud Strife…- lesse Naminè stranita. Dalla cucina un rumore secco, come di un qualcosa che cadeva, la interruppe.
- Sto bene! – urlò Aerith. La bionda riprese – Chi è Ka? Un nuovo attore? Non l’ho mai sentito. –
- Ma no! – esclamò Axel dopo un breve momento di incertezza – E’ uno dei pilastri della nostra economia. Il presidente della Strife Company. Anche la ditta per cui lavoravo era la sua. Poi quell’intervista è vecchissima.  –
Kairi sbuffò:
- Però è carino. Potrebbe fare l’attore. – Naminè ridacchiò voltandosi verso la televisione, mentre Aerith versava del tea a Sora.

Bene, quindi si potrebbe quasi dire che i suoi affari vanno a meraviglia!
Certamente.
Ma passiamo al personale…
Ah, no, quello non vi riguarda!
La prego solo qualche domandina!

Alcuni paparazzi dichiarano di averla vista insieme a una nuova donna: avremo una futura regina del suo impero?
Forse, chissà.
Può dirci di più su di lei?
Beh, è alta, si chiama Tifa ed ha…

- Mamma?- La voce di Sora richiamò l’attenzione. Ven si voltò e vide che sua madre – del tutto catturata dalla televisione- aveva tenuto per tutto il tempo la teiera inclinata, rovesciandone il contenuto sul tavolo. Quando questa si risvegliò farneticò un “Uh, scusa, vado a prepararne altro” e si avviò verso la cucina.

E Roxas come sta?

Sebbene si fosse creata un po’ di confusione, quella domanda rimbombò nell’aria, come il ticchettio di una bomba a tempo che stava per scoppiare.
Calò il silenzio, o forse no. Quando la teiera vuota cadde forse qualcuno se ne accorse, ma nessuno parlò e nessuno si chinò a raccoglierla.
Ciò era del tutto illogico. Aerith che rimase paralizzata al centro della stanza, Ven che strinse -forse inconsapevolmente- la mano a Sora e che sussurrò un “Male” forse involontario, Axel che cadde in un superfluo stato di tranche e Naminè che fissò lo schermo come a volerlo rompere con lo sguardo, non avevano alcun senso!
In fondo erano solo quattro parole, no? Quattro misere stupidissime parole.

Uh, mi ero dimenticato di dire una cosa riguardo alla borsa di Rain Town…

Quando il timer del forno suonò, la bomba scoppiò in silenzio.

Qualche isolato più avanti. Tre ore dopo.
No, doveva assolutamente fermarsi un attimo a riflettere. Era del tutto impossibile che il mondo avesse deciso di voltargli le spalle tutt’a un tratto.
Zexion lanciò un’occhiata al divano: per quale razza di motivo Demyx, quel Demyx che lo perseguitava da anni era seduto nel salotto di casa sua?
E per quale motivo Xion stava spostando il cerchio sul calendario che segnava il ritorno dei suoi genitori al mese prossimo?
Doveva fare un attimo il punto della situazione:
- Demyx era lì, perché “No, è che è ritornato Axel e Xemnas l’ha assunto. E per una serie di eventi io non so dove andare. Non è che potrei dormire in biblioteca?” e lui, giustamente aveva risposto “La biblioteca ora è privata. Ma puoi venire a stare da me per un po’” pentendosi di quello che aveva detto, neanche cinque secondi dopo.
- Xion stava spostando la data di rientro, perché mamma e papà avevano perso i passaporti e ci voleva un mese per prendere gli altri. Quindi per un altro mese in quella casa sarebbero stati solo lui, Demyx, Riku, Xion e molestie a volontà!
- E il campanello stava suonando da due ore. Probabilmente qualcuno che annunciava la morte di Aqua vista la situazione.
Andò ad aprire. No, peggio. Era Aqua in carne, tette, lacrime e valigie.
- Fratellino. – implorò con tono triste. Oh, certo. Quando avevano bisogno diventava sempre “Fratellino” e “Fratellone”, poi per il resto era “Quel coglione di Zexion”.
- Per favore aiutami.- singhiozzò scostandosi i capelli azzurri dagli occhi – Non so dove andare. –
Quando aprì la porta facendole segno di entrare, seppe di aver firmato il contratto con la morte.

Ven capii quella sera stessa di non poter seguire il consiglio di Aqua e lasciare andare la sua parte malvagia, perché sennò avrebbe già sterminato tutti quelli che lo circondavano.
Avrebbe ucciso e torturato a morte suo padre, quando quella sera al ritorno dal lavoro si era presentato a casa con Terra al seguito dicendo “Salve famiglia. Questo è Terra, un mio amico che ha qualche problema, per cui dovrà stare da noi per un po’.”.
Avrebbe ammazzato Sora, quando si era gettato su Terra urlando “Benvenuto! Benvenuto!” e quando rivolgendosi alla madre aveva detto “Ma dove ce lo mettiamo?”. Si era anche trattenuto dal dare una risposta alquanto volgare.
Avrebbe ucciso addirittura Aerith, quando con il suo solito sorriso innocente aveva detto “Gli organizzeremo una stanzetta nel garage. Può stare qui quanto vuole”.
Avrebbe assassinato Terra per i suoi continui “Squall ma che bei figli che hai!” “Signora, ma come cucina bene!” “Ragazzi, ma sapete che avete proprio dei bei occhi?” “Sora, ha preso tutto dal padre, invece Ven somiglia alla madre!” “Oh, ma che bella casa!” e tutti gli gnè gnè gnè che non si era risparmiato.
E infine si sarebbe suicidato quando vedendo Terra le gambe gli erano diventate molli e la quindicina di volte che le sue guance si erano arroventate solo guardandolo.
Prese un lungo respiro cercando di concentrarsi solo e unicamente sul suo piatto.
Bisognava assolutamente trovare una soluzione. Come evitare Terra fino alla sua partenza…sempre che fosse partito prima o poi.
Rabbrividì al pensiero di doverlo tenere nel garage tutta la vita.
- Lo finisci quello?- la voce squillante di Sora indicò l’hamburger a metà nel suo piatto. Ven guardò quel pezzo di carne con odio. Aveva lo stesso colore dei capelli di Squall…e di Terra. Arrossì e lo porse a Sora non sbattendoglielo per poco in faccia. Alzò il volto verso i suoi compagni di tavola e si accorse che lo fissavano tutti. Trovò le sue mani, appoggiate alle gambe improvvisamente interessanti.
“Rifletti Ven” si disse “E’ solo Terra. Solo la tua famiglia. Puoi affrontarli e far finta di niente.”  Rialzò nuovamente la testa trovando tre paia di occhi azzurri a fissarlo. La abbassò nuovamente.
“No, mi sa di no”pensò.
- Ehm…- cominciò. – Sono stanco. Penso che andrò a letto. Scusate.- e si alzò.
- Non dai la buonanotte al nostro ospite?- lo richiamò Squall. In quel momento lo odiò profondamente. Si voltò.
- Ah, sì. Buonanotte Terra. Buonanotte a tutti. – sparì nella sua stanza tentando di far riprendere al suo cuore un battito regolare.
Come sopravvivere?

Axel ne era certo. Lui sarebbe morto. Probabilmente gli rimanevano poche settimane di vita, o pochi giorni. Bastava poco, pochissimo per far riaffiorare la valanga di ricordi.
Un attimo di distrazione, o la divagazione di un pensiero e puff…lui non ci sarebbe stato più.
Ci stava provando da giorni. Ogni tanto ci riusciva anche. Rinchiudeva quella parte della sua vita in un cofanetto nei meandri della sua mente e si lasciava andare, come se non fosse mai successo nulla.
Ma durava per poco, perché i ricordi, più ostinati di prima, tornavano, sempre e comunque.
Strascichi di frasi, odori, suoni, colori.
Sì, come no! Non saresti mai capace di dimenticarmi.
Axel si strinse la testa fra le mani, tentando di scacciare la voce, ma non gli riuscì.
Prese il mouse e trascinò la cartella di nome “Memories” nel cestino.
Se solo fosse servito a qualcosa…
Se solo...

- Sono a casa Naminè. - la porta che si apriva la scosse dai suoi pensieri facendola tornare alla bistecca che stava cucinando. Suo padre gli arrivò alle spalle poggiandole un piccolo bacio sulla testa.
- Ricordati che domani c’è l’incontro. Cos’hai fatto oggi?- lo osservò sedersi a tavola, poi tornò alla padella, senza rispondere. No, quella sera non si sarebbe fatta psicoanalizzare. Voleva che suo padre avesse più fiducia in lei.
- Naminè?- ripeté l’uomo. La bionda mise il sale sulla carne, ignorandolo completamente.
Poi sentì il rumore della sedia che si spostava e due mani che gli si appoggiarono sulle spalle la costrinsero a voltarsi.
- Tu devi parlarmi figliola. Devi dirmi cosa c’è che non va. Che diavolo vogliono dire quei tuoi stupidi quadri?- disse in tono serio. Naminè abbassò lo sguardo, muta. Suo padre si allontanò, demoralizzato:
- Butta quella roba. Stasera non mangio. – e poi si sentì il tonfo della porta della camera da letto che sbatteva.
Naminè prese un pastello e cominciò a disegnare. Perché quello gli avrebbe impedito di piangere.
 
- No, non pensarci nemmeno Zexion! Io non ci dormo con quella nana lì! Russa come un orso!- urlò Aqua indicando Xion e bocciando l’ennesima proposta di Zexion sulla sistemazione degli ospiti.
A Riku era quasi venuto un colpo quando, alcuni minuti prima, entrando aveva trovato casa sua molto più affollata di quanto ricordasse e con Zexion sull’orlo di una crisi isterica.
Quando poi la sua cuginetta –strusciandosi addosso a lui come una spogliarellista con il palo- gli aveva spiegato la situazione, il colpo gli era venuto davvero.
Sospirò: toccava a lui mettere a posto le cose.
- Non preoccuparti Zex. Se ci organizziamo bene, magari riusciamo a far avere a tutti una stanza.- disse. I presenti lo fissarono. – Beh, Aqua potrebbe dormire in camera tua e di Xion, io nel soggiorno, tu in camera mia…-.
- Sì, e magari Demyx lo mettiamo a testa in giù nello sgabuzzino delle scope.- ribatté ironico Zexion. -E’ una cosa del tutto impossibile Riku. Dobbiamo trovare una sistemazione diversa. –
Calò il silenzio.
- Zex, spero che la lampadina che si è appena accesa sulla tua testa sia un buon segno. - fece Demyx indicando il librario. Zexion gli sorrise, stranamente.
- Ovvio. Ho pensato che, Aqua, che vuole la camera singola può dormire in camera di Riku, io e Riku sui divani in soggiorno, e tu e Xion in camera nostra. –
- No, io voglio dormire sul divano!- protestò la più piccola.
- Perfetto, allora tu e Demyx dormirete nel soggiorno, e io e Zexion in camera vostra e va bene così. – rispose Riku schietto.
- Veramente io preferirei il letto.- sussurrò timidamente Demyx, probabilmente influenzato dallo sguardo agghiacciante che la nera gli aveva lanciato.
- Ho capito! – l’esclamazione di Aqua fece voltare tutti.
Ti prego Aqua, non dire quello che stai per dire. Per favore.
- Zexion e Demyx possono dormire nella cameretta, mentre Riku e Xion nel soggiorno. - Fanculo!
- Perfetto. – e con quelle parole Xion e Demyx si dileguarono.
Riku e Zexion si guardarono preoccupati: una cosa era certa. Non ne sarebbero usciti vivi.

- Ma che arbitro idiota! Quello era un fallo evidentissimo!-
- Giusto, è sicuramente corrotto!-
Ecco, ci mancava solo quello! Che Terra e suo padre scoprissero di avere in comune una grande passione per il calcio e si piazzassero davanti alla televisione a vedere delle stupidissime persone che rincorrevano una stupidissima palla: Santo Cielo, ma cosa c’era di divertente???
- Vai che è goal…vai…vai!-
La voce di Squall arrivò nitida alle sue orecchie. Si coprì la testa con il cuscino, mugolando leggermente.
- Tutto bene Ven? – gli chiese Sora dal letto di fronte al suo. La luce della lampada gli faceva brillare gli occhi azzurri.
Ven lo guardò a lungo, prima di scuotere la testa.
- Cosa c’è che non va?- domandò il moro alzandosi e sedendosi sul suo letto – I sogni?- Ven negò nuovamente. Sora non sapeva di Terra ma mica poteva dirglielo! Perché, per quanto potesse volergli bene, il suo fratellino era molto “espansivo”…nel senso che andava a raccontare ogni singolo fatto a tre quarti del paese.
- E allora che c’è?- ripeté curioso.
- Nulla Sora. Torna a letto. – borbottò alzandosi le coperte fin sopra la testa. Sora sospirando fece come gli era stato detto.

Non poteva dormire con tutto quel chiasso. Era impossibile.
Chi, con gemiti e urli che arrivavano da una stanza e passi che salivano e scendevano le scale – ogni due minuti e diciassette secondi- sarebbe riuscito a chiudere occhio???
Era più di un’ora e mezza che Kairi provava ad addormentarsi, ma per i fattori sopracitati le risultava appunto impossibile.
Con tutti quei “Oh, Reno!” e quei tac-tac il crick del gradino scricchiolante e altri tac-tac non c’era un momento di silenzio.
Accarezzò Navesori sdraiato sopra le coperte rosa e provò a chiudere gli occhi. Niente. Morfeo quella sera aveva deciso di non arrivare.
Sì alzò, facendo rotolare il gatto per terra, e infilò le ciabatte per uscire dalla stanza. Scese in cucina, dove trovò suo fratello che riempiva l’ennesimo bicchiere d’acqua e lo mandava giù tutto d’un fiato.
- Neanche tu riesci a dormire Ax?- domandò a bassa voce sedendosi su una sedia. L’altro sobbalzò lasciando cadere il bicchiere nel lavandino. La ragazza ridacchiò.
- Reno e la zia fanno molto rumore stanotte.- continuò mentre Axel era ancora di spalle. Era ancora vestito, notò Kairi, e questo significava che non si era mai messo a letto.
- Scusa Kà. – sussurrò il più grande riponendo il bicchiere. – E di cosa? – domandò la rossa alzando la voce. Axel scosse la testa – Niente.- Kairi sospirò.
- Immagino sia difficile per te, adesso.- cominciò – Riprendere la tua normale vita, la tua lingua e le tue vecchie abitudini. Ma ci riuscirai. –
Il fratello le sorrise flebilmente: - Grazie Kairi. Scusa, non ho voglia di parlare adesso. E’ già la terza notte che passo insonne, e devo riposare se domani non voglio addormentarmi al lavoro…-.
- Domani è domenica Axel. – lo interruppe la più piccola gelida. L’altro abbassò il capo:
- Ah, giusto scusami. Che sbadato.- cominciò a salire le scale silenziosamente.
- Chi ti ha fatto diventare così fratellone?- singhiozzò Kairi, ma non venne sentita.

- E invece tu perché sei sceso? – domandò Riku dopo lo “Xion facendo finta di essere sonnambula mi ha sbottonato il pigiama. E Aqua ha ragione: russa!”.
- Demyx. Si è infilato nel mio letto e mi ha abbracciato fino a strozzarmi. – rispose massaggiandosi il collo. Riku si sedé al tavolo, con un bicchiere di latte in mano.
- Quante ore mi dai? – chiese offrendo il cartone bianco all’altro.
- Di vita o di castità? – Zexion accettò prendendo una tazza.
– Tutte e due.- l’argenteo cominciò a sorseggiare avidamente.
- Dico che appena rifiuterai di fare sesso con Xion lei ti ammazzerà con la mazza da baseball di papà. Quindi mi dispiace Riku: morirai tra meno di un’ora, vergine. - L’azzurro gettò una manciata di cacao nella tazza. – Per quanto riguarda me, Demyx è abbastanza timido per concedermi altri sei giorni di purezza…anche se l’ho persa da un po’ di tempo -.
- Almeno a te è un maschio. E ha pure gli stessi occhi di Sora. - borbottò Riku.
- Almeno a te è una femmina. –
- Sì, ma io sono gay. –
- Sì, ma io sono etero.- Scoppiarono a ridere.
- Dov’è il mio maritino???- una voce lamentosa proveniente dal soggiorno gli fece rizzare i peli.
Riku si avvicinò a Zexion e con un filo di voce sussurrò - Dici che se scappo dalla finestra se ne accorge? –

- Li scegli tu i posti? – era stata la prima cosa che Ven aveva chiesto quando si era ritrovato, con il suo specchio seduto sotto un albero. Sì, ma che tipo di albero.
Un pino in mezza al nulla praticamente. Attorno a loro c’erano solo chilometri e chilometri – e chilometri- di verde e macchie rosse. E una casetta, poco distante.
Ma c’era qualcosa di strano in quelle piante: era come se fossero state…dipinte, ecco.
- Non sono mai stato in un posto del genere.- tagliò corto l’altro. – E’ un quadro che c’è in camera mia. Monet. I Papaveri. Del 1873. – recitò a memoria.
“Strano, non ricordo di avere questo quadro in camera.” pensò Ven mentre l’altro recitava il commento – Il poeta fa emergere dal verde del campo, vari schizzi rossi che vengono subito interpretati come papaveri in movimento…-.
- Niente giochetti questa volta? – chiese interrompendolo.
- Niente paura? Tremolio alle gambe, sudore eccetera? – gli rispose di rimando.
- So cosa sei. – affermò Ven convinto, guardandolo negli occhi. Quello gli lanciò un’occhiata scettica.
- Ah, davvero? E cosa? –
- Sei la mia parte cattiva che sta cercando di uscire, perché io ti ho rilegato dentro di me. – spiegò. Il ragazzo gli rise in faccia freddamente e si lasciò cadere per terra, continuando a sghignazzare istericamente.
- Questa è la cazzata più grossa che io abbia mai sentito! Ma chi te l’ha detto? Freud? – e ricominciò a ridere. Ven ci rimase malissimo: perché una parte di sé lo prendeva in giro in quel modo?
- E’ inutile, tanto non ci casco.- affermò sfiorando l’erba. Un lieve venticello gli accarezzava il viso.
L’altro diventò improvvisamente serio: - E come pensi di liberarti di me, grande psicanalista?-.
- Beh…mi hanno consigliato di essere più naturale, di comportarmi più da me stesso.- però, quella chiacchierata poco diventare quasi piacevole. Lo vide trattenere una risata e ricomporsi.
- Allora parlami di noi Ven. Com’è la nostra vita? – c’era ironia nella sua frase.
- Beh…abbiamo una mamma dolce e gentile. E un patrigno…e anche un fratello. Possibile che non lo sai? Cos’hai fatto per quindici anni?- Ven lo guardò, senza riuscire ad incontrare i suoi occhi.
- So tante cose. So di Aerith, di Squall, di Sora e anche di Terra. Io ti sento. Sono una parte di te, quindi vivo nel tuo riflesso, no? – eppure non sembrava tanto convinto. – E tu? Sensazioni strane? –
Il biondo abbassò lo sguardo, pensieroso: non sapeva se era il caso di parlarne. Dopotutto quella era la sua parte malvagia, avrebbe potuto usare quel discorso contro di lui?
- Beh…oggi abbiamo guardato un’intervista…- sussurrò – A un tizio strano biondo di cui non ricordo il nome, però il fratello di Kairi ha detto che è un pilastro della nostra economia…Strike, Straf mi pare. – lo specchio tremò.
- Strife.- mormorò abbassando il capo.
- Sì. – annuì Ven – e io mi sono sentito strano. – guardò l’altro che stava torturando un filo d’erba – E un'altra cosa…- aggiunse abbassando ancora di più la voce – Roxas. – disse in un soffio.
Il ragazzo accanto a lui ebbe un sussulto, e poi si riprese – E allora? Cosa c’entrano questi due individui con noi? Chi sono?- domandò, quasi istericamente.
- Non lo so. – bisbigliò – Però mi suonano strani. -
Calò il silenzio. Ven osservò il paesaggio attorno a sé sparire a poco a poco e capì che il tempo stava finendo.
- Sai. – disse mentre il bianco li raggiungeva – Alla fine credo di aver sbagliato con la storia della parte cattiva. In fondo non sei così cattivo…- la luce cominciò a risucchiarlo.
- Sono molto più cattivo di quanto tu creda Ven. – rise l’altro – Lo scoprirai molto presto. –
Quando aprì gli occhi era già mattina. .




Note dell'autrice:
Come promesso, ecco il capitolo (Noioso come gli altri n.d.altra me). Non sono così in ritardo, vero?
Tanto per informazione, Cheryl, la cameriera fa la comparsa nella fic. E' una tizia così, che ho messo perchè mi piaceva come nome...non è definita, lasciate tutto alla vostra immaginazione! (Sì, che bello, una fan fiction fai da te! n.d.altra me).
Vabbè, solo un piccolo avviso prima di passare alle recensioni: se riesco a postare (e a scrivere soprattutto n.d.altra me) il prossimo per il 15 luglio (cosa molto probabile, visto che manca un mese n.d.altra me) lo avrete, oppure dovrete aspettare ad Agosto (Evviva! n.d.altra me).
Ora, rispondo alle vostre meravigliose recensioni:

Little white angel:
Sai a volte mi fai paura (Lei?E tu? n.d.altra me), ma lei hai di scatto certe intuizioni o ci ragioni? (Niente di ciò, è che sei banale e prevedibile n.d.altra me) .
Comunque: Beh, almeno con questo capitolo che Riku non ama Xion, sebbene lei lo torturi. E qualcosa mi dice che non ti piacerà neppure Aqua, dopo la sua esclamazione, ma in compenso potrebbe starti simpatico Roku..mi fermo, ho già detto troppo (Se stai cercando di fare la misteriosa, sappi che non ci sei riuscita per niente. Somigli più al conduttore di SuperQuark n.d.altra me).
E se Ven arrivasse prima di quanto tu creda nella fossa? Andrebbe bene?
Riku e Sora ti ascolteranno, forse, dipende tutto da loro (Ma guarda che sei tu a scrivere il capitolo n.d.altra me). E un'ultima cosa: grazie per aver recensito. Alla prossima.

Lucifer:Che onore! Una nuova lettrice! (Persone serie, grazie n.d.altra me). Innanzitutto grazie per aver commentato: non me lo aspettavo. E per tutte le cose che mi hai detto. Non preoccuparti non mi sono offesa (figurati, non ti smuove neanche una gru n.d.altra me), anzi grazie mille per i consigli…vedrò di seguirli.
Grazie ancora per aver recensito, spero continuerai a seguirmi.

Edo:Ma che bello! Continui a seguirmi! *Stritola* (Kim, per favore n.d.altra me). Sono contenta che ti piaccia (Ma dai, non si era capito! N.d.altra me) (Vedi, ti ho messo pure la N maiuscola, trattami bene! n.d me) (Sì, come no. n.d.altra me), e davvero ti piace Roku??? Strano…molti lo considerano uno psicopatico, ma piace anche a me. Effettivamente Cloud va meglio come fratello di Roxas, ma come ho già detto non conosco affatto Final Fantasy, e poi in questa fic i personaggio sono talmente OOC che potresti ritrovarti Naminè come madre di Demyx (Ti rendi conto che quello che hai scritto è del tutto assurdo? n.d.altra me).
Se ti piace il terzetto, beh, non preoccuparti perché insieme ne passeranno tante.
Grazie ancora e alla prossima, spero.

Wow…non ci credo. E’ la prima volta in tutta la mia carriera che aggiorno in un orario normale (Miracolo n.d.altra me).
Che dire? Grazie a chi l’ha letta, a chi l’ha aggiunta tra seguite, preferite, ricordate ecc.ecc.
Prometto che nel prossimo capitolo arriva la svolta che tutti aspettate (Kim due cose: tutti chi? E poi sarebbe più corretto dire “La svolta che tutti prevedete dal primo capitolo, ma io sono troppo pigra per scriverla” n.d.altra me)
Baci&Abbracci da Kim.

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Capitolo 6
*** L'uno e l'altro (e la papera)~1 ***


Piccola nota dell'autrice (perchè non le basta rompere le scatole solo a fine capitolo n.d.altra me): Questo capitolo l'ho dovuto dividere in due parti perchè era troppo lungo (Con tre mesi hai avuto tempo di scrivere, eh? n.d.altra me). L'altra parte la posterò...boh...forse tra una settimana o due. (L'ultima che l'hai detto non è andata proprio così n.d.altra me).
Dedicato a tutti quelli che torneranno, nonostante il mio increscioso ritardo (Se qualcuno tornerà n.d.altra me).
Tanti saluti e buona lettura da Kim!

L'uno e l'altro (e la papera)~ Parte 1


Lo sentiva. Sentiva le sue unghie dure e affilate sulla schiena. Sentiva la sua lingua che gli leccava ritmicamente il collo. E i denti che ogni tanto lo sfioravano, lasciandogli segni rossi.
E no. Non ne poteva proprio più.
- NAVEQUALCOSA….CRISTO SANTO, STUPIDO GATTO, VUOI SMETTERLA DI TORTURARMI??? – urlò Axel scattando in piedi. L’animale cadde per terra, senza neanche atterrare sulle quattro zampe.
- Guardati…fai schifo. Sei talmente grasso e brutto che più che a un gatto somigli a un porco ricoperto di peluria! – lo rimproverò. Poi vide Elena guardarlo storto, dalla porta.
Oddio…aveva davvero parlato con il gatto? Ma era matto o cosa?
- Ehm…- provò a giustificarsi. L’altra se ne andò scuotendo la testa con disapprovazione.
- Senti…-disse rivolgendosi alla palla che intanto si era arrampicata sul letto – Giuro che se mi fai fare un’altra figura di questo genere ti strappò tutti i bei peli che hai, uno ad uno, con queste mie manine. – Quel gatto ostinato lo guardò sbadigliando, come se non gli fregasse di ogni singola parola che usciva dalla sua bocca. E Axel pensò che gli ricordava vagamente qualcuno. Lo gettò per terra nuovamente, poi entrò nel bagno per farsi una doccia.
Ce l’aveva fatta. Ce l’aveva quasi fatta. Stava riprendendo il controllo della sua vita.
La voce di Kairi – riconoscibile anche dal tono del “Merda, com’è tardi! Perderò l’autobus!” – gli arrivò nitida, nonostante il getto dell’acqua.
Quello era il suo secondo giorno di lavoro. Nel “Coffee/Restaurant XIII” dove era stato assunto come cameriere e lavapiatti. Che gran miglioramento: da traduttore di successo a donna delle pulizie. Lì l’unica cosa che avrebbe tradotto sarebbero state le istruzioni dei detersivi.
Ma in fondo non gli dispiaceva: lì c’erano tutti i suoi vecchi amici con cui aveva fatto elementari, medie e liceo, e poi la paga era abbastanza buona. Non paragonabile a quella di prima, però poteva viverci.
Unica pecca era che nel bar lavoravano anche i fratelli Leonhart, gli amici di Kairi. E, guarda caso, avevano i suoi stessi orari di turni.
Lo aveva detto. Ce l’aveva fatta…o quasi.

- Maestla…Sola piange un’altla volta. -
- Oh, grazie dell’informazione Riku. Ora vediamo che si può fare. –
Davvero, quella mattina gli pareva di essere tornato all’asilo nido.
- Riku, Xion piange un’altra volta. -
- Oh, grazie dell’informazione Aqua. – Tono evidentemente ironico – Ora vediamo che si può fare. – alzò lo sguardo – Zexion, Xion sta piangendo! – urlò nella tromba delle scale.
- Io e Demyx invece siamo rimasti chiusi in bagno, guarda caso! Si è rotta la porta, non è che puoi venire ad aprirci? – gli rispose una voce soffocata dalla distanza e forse da qualcun altro.
Riku sentì qualcosa attraccarsi - no, non attaccarsi, proprio attraccarsi come una nave in porto- alle sue gambe.
- Oh Riku! – pianse Xion stesa sul pavimento – Mi avevi promesso che avremmo passato la domenica insieme! – Ma quando mai??? – E allora dove sei stato ieri?-.
“ Nella grotta sulla spiaggia a morirmi di freddo e fame, per sfuggire alla maniaca sessuale che abita sotto il mio tetto” – Ehm…impegni. –
- Oh, Riku! – Strillò quella. L’argenteo guardò Aqua in cerca di aiuto: niente! Quella tirchia se ne stava comodamente seduta sul divano leggendo una rivista e sorseggiando coca-cola.
Coca-cola? Alle sette di mattina?! Ecco perché era sempre così schizzata!
- Riku, vieni ad aprirci?- la voce di Demyx era squillante quasi quanto quella di Sora.
Già Sora…chissà se era sveglio.
Xion gli strinse ancora di più le gambe e Demyx ricominciò ad urlare.
Ok…ora basta. L’asilo nido si conclude qui.
Si liberò dalla presa della nera, afferrò la borsa con la divisa e uscì dal manicomio.

Zexion era seduto comodamente sulla tavoletta del water quando sentì il portone d’ingresso sbattere. Fu allora che cominciò ad avere paura.
Demyx, che fino a quel momento stava urlando e dando colpi alla porta si fermò improvvisamente e si voltò verso di lui. Con sguardo poco rassicurante. Molto, poco rassicurante.
- Zexion…- disse – la porta si è appena aperta e richiusa. -
- Ho sentito Demyx. – rispose mentre una vena cominciava a pulsare sulla sua fronte.
- Questo vuol dire che…?- chiese, senza riuscire a trattenere una nota di speranza.
- Sì Demyx. Questo vuol dire che siamo rinchiusi qua dentro. – rabbrividì e scattò in piedi mentre il biondo si avvicinava a lui.
La sua previsione era sbagliata. Gli rimanevamo meno di sei giorni di purezza. Molto meno di sei giorni di purezza.

Era stato la domenica peggiore della sua vita. Mai passato giorno più brutto.
E qualcosa gli diceva che quella non era il primo week-end rovinato dai suoi coinquilini.
Lo avrebbe dovuto capire già dal risveglio, quando era caduto dal letto guardandosi attorno e notando che, no, non c’era nessun quadro di quel Monùt nella sua stanza.
Osservando bene aveva capito che non c’erano quadri raffiguranti papaveri. E, osservando ancora meglio, si era accorto che nella sua stanza non c’erano proprio quadri.
Era appena risalito sul letto, pensando di tornare a dormire quando Terra aveva spalancato la porta, facendolo ricadere e urlare “Oddio, cosa ci fai tu qui?”.
Poi l’autista gli aveva ricordato la geniale idea di suo padre e si era calmato un pochino.
Ma non era stata solo la mattina: tutta la giornata era diventata una partita da nascondino con Terra, che aveva la pessima abitudine di raggiungerli, ovunque si trovassero Ven e Sora e di cominciare con domande, curioso come un bambino.
Sì, voleva bene a entrambi, ma quando Terra e Sora si mettevano a fare quei loro intelligentissimi discorsi sul “Perché il tizio del film ha i baffi” diventavano insopportabili.
Tanto da farlo rimanere quasi deluso quando, la notte dopo la domenica, la parte malvagia (ma non tanto) non si era presentata, lasciandolo solo, con il suo sonno senza sogni.
- Buongiorno ragazzi! – Terra entrò trillante nella stanza, come il mattino prima, già vestito e pronto per il lavoro. Ven si tirò le coperte fin sopra la testa: no, non poteva farsi vedere con quel ridicolo pigiama azzurro con gli orsetti.
- Allora: oggi volete venire con me a prendere l’autobus, o faccio il solito giro? –
Sentì Sora sbadigliare:
- Siamo ancora in pigiama. Ci vediamo più tardi. -
- Oh, certo. Ma vedi di svegliare quel dormiglione di tuo fratello, che oggi non ho intenzione di aspettarlo! – risero entrambi. Ven avrebbe voluto impiccarsi. E cosa veniva dopo la domenica peggiore della sua vita? Facile: la settimana peggiore della sua vita.

Riku stava ancora cercando un posto dove cambiarsi quando Zexion si calò dalla finestra, appeso a una corda di asciugamani.
- Stronzo. – fu la prima cosa che l’azzurro disse, dopo essere atterrato. Riku lo guardò interrogativo:
- Com’è andata? – chiese serio. L’altro tirò un sospiro di sollievo:
- Demyx ha fortunatamente deciso di fare prima una doccia. –
- Prima di cosa? – due occhi di ghiaccio lo trafissero. Si guardarono per alcuni minuti. Era un giardino piccolo ma curato: Tra la siepe verde, coperta ancora dalla brina, facevano capolino alcune rose rosse; il prato era stato falciato da poco e nel retro c’era anche una piccola altalena. Uguale ai giardini delle altre case di quella strada.
“Oh, te la farò pagare Riku! Eccome se te la farò pagare!”
- E ora che facciamo? – domandò l’argenteo guardando la borsa – Io ho bisogno di una doccia e devo pure cambiarmi. - Zexion sorrise malvagiamente:
- …Dove hai detto che abita Sora? –

Se n’era già andato quando Naminè si svegliò. Lei non si sorprese: non gli aveva rivolto la parola per tutto il finesettimana. Ma suo padre era fatto così: Era capace di tenergli il muso per un mese solo perché si era dimenticata di dire ciao.
Prese a lavare la caffettiera, osservando fuori dalla finestra: il sole non era ancora uscito del tutto, sebbene fossero le sette e mezza, lasciando ben nitidi i suoi raggi nel cielo azzurro scuro e tingendolo così di rosa.
La biondina si pentì di non essersi svegliata per dipingere l’alba. Sebbene l’avesse vista già vista alcune volte, la sensazione di pace che provava osservandola era sempre piacevole.
Lanciò un’occhiata al suo album sul tavolo: il professore di arte e immagine le avrebbe sicuramente messo un nove per come aveva raffigurato la teiera, il giorno prima.
Lei era andata al classico solo per non abbandonare i suoi unici amici, ma la sua vera passione era l’arte.
Voleva fare l’artista: dipingere era la sua felicità ma era una passione di famiglia.
Anche sua madre faceva la pittrice: la ricordava, confinata nel suo letto d’ospedale con il pennello in mano, mentre si spegneva lentamente come una candela nell’oscurità.
Questo aveva dato uno scopo alla sua vita.
Lei avrebbe realizzato il sogno che sua madre non era mai riuscita a realizzare.

Era la prima del giro. Abitava vicino alla scuola primaria da cui partiva lo scuolabus, per cui era la prima a salire.
E questo le aveva creato sempre un sacco di problemi perché non trovava assolutamente giusto che lei, Kairi Flames, figlia di ex conti, sorella a un famoso avvocato e a un laureato prematuro, e nipote a una professoressa, doveva essere pronta alle 7.45 in punto, mentre Riku e Sora potevano dormire tranquillamente fino alle 8.05. E non trovava neanche giusto che la sua adorata zietta partisse alle 7.30 da casa – un’ora prima del suono della campanella – solo per lasciarla a piedi. Che cattiva!
Guardò la sveglia 7.40: ci aveva messo dieci minuti solo per lavare i denti ed era ancora in pigiama.
Il gatto entrò pigramente nella stanza seguitò da un Axel a torso nudo che inviperito urlava “Stupido gatto, vorresti ridarmi i miei calzini?”. La rossa ridacchiò: lo aveva fatto anche con lei e Reno all’inizio.
- Buongiorno fratellone! – esclamò aprendo le ante dell’armadio per prendere la divisa. Axel afferrò il gatto e gli strappò i calzini da bocca.
- Questo coso è un demonio Kairi. Buongiorno anche a te. – e uscì dalla stanza.
Kairi andò il bagno canticchiando tranquillamente. Poi guardò l’orologio: 7.43. Cominciò ad urlare.

Sora guardò la lista dei turni delle docce. C’era qualcosa che non quadrava. La riguardò. Assolutamente.
Perché in una famiglia di tre persone, quattro contando anche Terra, lui era sceso in sesta posizione?
E perché Ven che aveva sempre fatto la doccia dopo di lui ora era quinto?
Passò velocemente tutta la lista. E infatti eccolo lì Terra, aveva fatto la doccia per primo ed era uscito. Poi c’era suo padre, ovvio, poi sua madre, poi Riku e Zexion, successivamente Ven…No, un attimo. Si fermò e tornò sopra: Riku e Zexion?
Perché il suo migliore amico (quello che lo aveva baciato, ma pur sempre il suo migliore amico) e il bibliotecario schizzato del paese stavano facendo la doccia nel suo bagno?
Sentì delle voci e accostò l’orecchio alla porta.
- Zex questa è l’idea più stupida che tu abbia mai avuto. – disse Riku.
- Neanche lasciarmi chiuso in bagno con Demyx era una bella cosa…e poi la signora è stata così gentile. –
- Non è carino origliare la mamma mentre è in bagno. – gli sussurrò Ven avvicinandosi con le loro divise in mano. Sora scosse la testa.
- Non c’è la mamma. – mormorò indicando la lista dei turni. Il biondo la lesse poi sgranò gli occhi.
- Qui sta succedendo qualcosa di molto strano. – affermò. – Perché Riku sta facendo la doccia nel nostro bagno? –
- Ah, non chiederlo a me! – ribatté Sora. In quel momento la porta si aprì.

Non si stupì quando uscendo dalla doccia Zexion non c’era più. Principalmente si sentì confuso vedendo che la porta era ancora chiusa. Poi Demyx trovò la corda di asciugamani alla finestra e pensò che Zexion doveva essere davvero ansioso di andare al lavoro se non aveva neppure il tempo di aspettare che lui uscisse.
Sospirando si asciugò e si rivestì lentamente e un oggetto dal cesto dei panni sporchi attirò la sua attenzione: era un libro. Lo prese e ne lesse il titolo: “Come liberarsi degli spasimanti e/o conquistare qualcuno”. Sicuramente era di Riku.
Un pensiero terribile gli attraversò la mente: e se era di Zexion? Questo voleva dire che ricambiava i suoi sentimenti…o voleva liberarsi di lui.
Doveva saperlo. Voleva trovare il modo per scoprirlo. E chi meglio di un Satana in gonnella e un altro in camicia poteva aiutarlo?
Prese il cellulare e digitò velocemente un numero:
- Ehm…ciao Ax. Senti io avrei un favore da chiederti…e chiama anche Larxene! -

- Te lo giuro Nami, è stato imbarazzante. – sussurrò Riku a Naminè, l’unica a sapere della sua cotta, mentre l’autobus si fermava per prendere un altro passeggero – Aprire la porta del bagno e trovarmelo davanti mi ha fatto quasi svenire. -
- Beh, ma dopotutto il bagno era il suo, no? – mormorò l’altra.
- Sì, però non credevo di trovarlo ad aspettarmi davanti alla porta…ero mezzo nudo e lui è arrossito, mentre Ven cominciava a blaterare roba tipo “Il bagno è nostro, dici a quello…” eccetera eccetera. – La biondina rise: - Sei così adorabile Riku. Ti comporti come Kairi quando è innamorata. – la nominata arrivò.
- Ti prego Nami dimmi che hai un pettine. – mormorò in lacrime – Mi sono svegliata in ritardo e non ho avuto nemmeno il tempo di pettinarmi. –
- I tuoi capelli stanno benissimo Ka. – la rassicurò – Mi chiedo perché tu ti preoccupi così tanto. –
- Ho sentito la zia dire che c’è un nuovo alunno. Non voglio fare brutta figura. –
- Cosa? Un nuovo alunno? – Sora arrivò trafelato e sorridente. Poi i suoi occhi incontrarono quelli di Riku ed entrambi abbassarono lo sguardo.
- Sì, mi pare così. Spero di non aver capito male. Comunque io sono tutta spettinata. – si lamentò la rossa.
- I tuoi capelli stanno bene così Ka. – ripeté Naminè. - Comunque credo che Selphie dovrebbe avere una spazzola. – aggiunse. Kairi la stritolò: - Grazie Nami, sei una vera amica. – e se ne andò.
Anche Sora tornò da suo fratello, che guardava assorto fuori.
- Hai sentito Ven? Forse avremo un nuovo compagno! – esclamò entusiasta. L’altro non rispose. Sora lo scosse. – Ven? – Il ragazzo sembrò risvegliarsi dallo stato di tranche:
- Scusa Sora. – mormorò – E’ che non mi sento tanto bene. –
Era vero: da quando era uscito di casa una strana sensazione gli attorcigliava lo stomaco e dava la nausea. Un brutto presentimento. Orribile. Stava per succedere qualcosa.

- Allora Dem: qual è l’urgentissimo problema per cui ci hai convocato qui? – chiese Axel ironico.
Lui, Demyx e Larxene erano rintanati nel retro del ristorante in cui lavoravano, già con le divise addosso.
- Questo. – rispose Demyx cacciando un grosso libro dalla borsa.
Larxene, fino a quel momento rimasta in disparte a rimirarsi le unghie dipinte di nero, alzò lo sguardo:
- “Come liberarsi degli spasimanti e/o conquistare qualcuno”. – lesse – E allora? – chiese annoiata.
- L’ho preso a casa di Zexion. – spiegò – Devo capire se gli serve per il primo scopo o per il secondo. –
Larxene borbottò un “Che cavolata” tornando dentro e Axel la seguì con un “ Bah, e io pensavo che chissà cosa era successo”.
- Aspettate! – esclamò Demyx afferrandoli – Non potete abbandonarmi così! – fece in lacrime.
- Dammi solo un motivo valido per aiutarti. – borbottò Larxene apatica.
- In terza elementare ti ho ritrovato la penna. – affermò.
- Che tu avevi perso. – ribatté Axel liberandosi dalla sua presa. Demyx ci pensò su e aggiunse:
- E al matrimonio di Elena e Reno, quando avete fatto i testimoni, vi ho ritrovato le fedi! – continuò.
- Che tu avevi fatto cadere nel gabinetto. – rispose Larxene. Si voltarono, lasciando Demyx sull’orlo di una crisi isterica.
- Oh, e va bene! – esclamò – Non vi ho mai aiutato, ma sono vostro amico. –
I due lo guardarono sconsolati. – DemDem – sospirò Axel alzando gli occhi al cielo – Sei proprio un caso disperato! –
- Il solito coglione. Mi chiedo come faresti senza di noi. – sbuffò Larxene.
- Questo vuol dire che mi aiuterete? – chiese speranzoso. La bionda cacciò un bloc-notes dalla tasca:
- E con questo sono centocinquantatre favori che ci devi. – concluse.

La notizia del nuovo alunno si era sparsa velocemente. Un borbottio generale aleggiava nella classe.
- Ho sentito dire che è carino! -
- Chissà se è fidanzato…-
- Secondo te sa giocare a baseball? –
Ven stava con la testa appoggiata al banco, pallido. La nausea si era trasformata in un terribile mal di testa e il cuore gli stringeva nel petto. I suoi amici gli stavano attorno, preoccupati.
- Fratellone, vuoi tornare a casa? – Sora gli accarezzò la testa, amorevolmente.
- Secondo me ha la febbre. – propose Naminè. Kairi gli toccò la fronte:
- No, non ce l’ha. –
- Silenzio! – urlò la professoressa Elena entrando. Si mise davanti alla cattedra.
- Non so se avete saputo…- cominciò in tono serio - …che avrete un nuovo compagno. –
Vide l’eccitazione negli occhi dei suoi alunni.
- Si è appena trasferito qui, purtroppo non permanentemente, da Rain Town. – abbassò la voce – Ed è il figlio di una delle persone più importanti del pianeta per cui mi raccomando fateci fare bella figura. – Strizzò l’occhiolino alla classe e rialzò la voce, in modo da farsi sentire anche fuori:
- E quindi fate un bell’applauso, al vostro nuovo compagno: Roxas Strife. –
Tutti si alzarono in piedi e fecero come detto, ma l’applauso si smorzò di botto quando il ragazzo entrò.
Capelli biondo grano, occhi color cielo, ma spenti; la pelle pallida, quasi grigia e un fisico talmente smunto da farlo sembrare un cadavere; portava sì la divisa, ma al posto dei bottoni vi erano degli zaffiri, la cravatta azzurra era di seta probabilmente e persino il pantalone blu, su quelle scarpe da tremila euro l’una – abbinate al Rolex che portava al polso- sembrava elegante; le mani infilate svogliatamente nelle tasche e un’espressione che sembrava dire “Nessuno di voi è degno di pulirmi i piedi” non lo facevano certo sembrare simpatico.
La classe si sedette, lasciando solo Roxas, la professoressa e Ven in piedi.
“Ma questo tizio io già lo conosco!” fu il pensiero di tutti e si voltarono verso Ven.
Ma lui non vide mai le loro facce interrogative, no. Era troppo occupato a morire mentre i suoi occhi diventavano quelli dell’altro.

Era lì. La sua copia malvagia-cadavere. Il tizio che voleva ucciderlo. Il suo incubo personale e la sua metà. Davanti ai suoi occhi.
Si sentiva strano. No, strano era un eufemismo. Sentì le loro anime congiungersi, lottare nell’aria e il sangue pulsargli nelle vene.
Avrebbe voluto piangere. Avrebbe voluto abbracciarlo, accarezzarlo, sbattergli la testa contro il muro e ucciderlo, tutto insieme.
Per un attimo s’immerse in quegli occhi spenti e vide la pioggia. Sentì le urla e avvertì le lacrime.
Si rese conto di quanto era fottutamente assurda quella situazione.
Oppure hai un gemello cattivo che vuole ucciderti.
Si rese conto di quanto la teoria di Aqua, quella presa per uno scherzo, era fottutamente esatta.
Oh, ma dopo la tua nascita Ven lui non ci volle più. E noi ce ne andammo e lo lasciammo lì da solo.
Si rese conto di quanto il resoconto di sua madre era fottutamente falso.
E allora? Cosa c’entrano questi due individui con noi? Chi sono?
Si rese conto di quanto l’altro era fottutamente bugiardo.
Sono molto più cattivo di quanto tu creda. Lo scoprirai molto presto.
Si rese conto di essere fottutamente fottuto.
Lo sentiva. Se ne rendeva conto. Roxas, il figlio di Cloud Strife, di cui parlavano in TV era lì davanti ai suoi occhi. Ed era il suo gemello.
La sensazione di incompletezza che provava da quando era nato sparì, lasciando il posto al vuoto totale.
Guardò di nuovo Roxas e ritrovò i suoi occhi spenti e bui.
Come la pioggia.

Sora guardò Ven, preoccupato. Lo vide tremare e vide delle lacrime uscire dai suoi occhi. Probabilmente non se ne rendeva neanche conto.
Fu allora che Sora capì.
Quello che aveva desiderato in tutti quegli anni era scalfire la bolla di vetro di Ven ed essere considerato il suo vero fratello.
Non ci sarebbe mai riuscito. Non era lui il vero fratello di Ven. Non era quello da cui Ven sarebbe andato se fosse stato triste. Non era quello con cui avrebbe giocato a play-station.
Capì che Ven lo aveva sempre saputo inconsciamente e per questo non era mai riuscito ad aprirsi a lui. Non era una questione di carattere, era una questione di sangue.
Beh, almeno non era arrivato prima.
“Grazie” pensò rivolto al destino “per averlo fatto arrivare solo adesso. Grazie per questi quindici anni.”
Poi si arrese. Non ci sarebbe mai riuscito.

Se prima pensava che la giornata fosse cominciata in modo pazzesco, in confronto a quello che stava succedendo non era nulla.
Ricapitolando: era tornato a casa dalla finestra, dopo aver passato la notte in una grotta. Poi aveva ascoltato le lamentele di sua cugina ed era uscito di casa in pigiama.
Poi suo cugino si era calato dalla finestra con una corda di asciugamani ed erano andati a fare la doccia in casa del ragazzo di cui era innamorato.
E in quel momento stava osservando una copia sputata della persona che odiava, solo più ricca e più pallida.
Non lo avrebbe sopportato. Sarebbe morto. Già un solo Ven era intollerabile, figuriamoci due.
Quindi anche le attenzioni di Sora verso il fratello sarebbero raddoppiate. E non lo avrebbe mai avuto.
Ed erano solo le 8.35. Riku si chiese se sarebbe arrivato a fine giornata, continuando di quel passo.
Un gemito attirò la sua attenzione. Vide Sora trattenere le lacrime.
Si ritrovò a pensare che forse qualcosa di buono nella situazione c’era: qualcuno avrebbe dovuto consolare Sora, no?
Poi si sentì terribilmente egoista.

Era un’abilità innata. Una cosa che aveva fin da piccola. Forse perché aveva un fratello avvocato, o forse perché aveva perso entrambi i genitori, però ci riusciva.
Kairi sapeva vedere l’aura delle persone e leggere la loro vera entità.
Aveva visto aure di tutti i tipi nei suoi quindici anni di vita.
Quella di Axel, bella e spensierata prima di partire, nera e straziata al ritorno.
Entità come quella di Naminè, fragile e pura, o come quella di Riku, pura sì, ma tormentata.
Quella di Sora, infantile e scherzosa eppure pensierosa.
Oppure Ven, un caso eccezionale: un’entità flebile, eterea, incompleta che andava e veniva a seconda dei momenti.
La cosa più strana che avesse visto…fino a quel momento.
Perché quando entrò Roxas per poco non cadde dalla sedia, dallo spavento.
Si sentì ceca. Non vide nulla se non quel ragazzo di porcellana. Niente.
Roxas era completamente vuoto.
Non seppe perché ma gli venne da pensare ad Axel.

Era lo sguardo più brutto che avesse mai visto. Non avrebbe mai dipinto una cosa così.
Naminè era spaventata…anzi no, era terrorizzata dal ragazzo nuovo.
Sebbene fosse uguale a Ven, era completamente diverso.
Perché Ven non avrebbe mai avuto quello sguardo.
Quegli occhi bui, che sembravano aver sopportato mille ingiustizie.
E la bocca serrata, come per trattenere terribili segreti.
Pioggia. Fu la prima cosa che gli venne in mente. Si ricordò di non averla mai dipinta perché pioveva il giorno in cui sua madre aveva chiuso gli occhi per sempre. Era stata anche l’ultima che aveva piovuto sulle Isole del Destino.
Eppure in quel momento gli venne voglia di prendere un foglio e disegnare l’acqua cadere sulle vie e ricoprire tutto.
Perché sebbene Roxas la spaventasse a morte lo sentì maledettamente simile a lei e alla pioggia.

Eccolo lì. Quel figlio di puttana del suo gemello. Era lì, a qualche metro da lui che tremava e piangeva, scandalizzato.
Beh, di certo Roxas non si aspettava che urlasse “Fratello mio, ti ho ritrovato!” abbracciandolo, ma un po’ più di tatto non avrebbe guastato.
Quando era entrato, aveva creduto di scomparire: di riunirsi all’altro come un’ombra. Si era sentito libero per una frazione di secondo e poi i suoi problemi erano tornati a gravare su di lui, insieme con quelli dell’altro. Tsk, giustamente quelli che aveva di suo non bastavano.
Ma sì, aggiungiamo altro a Roxas tanto non basta tutto quello che ha passato!
Eppure Ven continuava a brillare, sebbene piangesse e tremasse. Continuava a essere luminoso e puro.
Come il sole.

“Professoressa, ma quello è uguale a Ven!” aveva urlato qualcuno che doveva avere un intelletto superiore.
“Ma che acuta osservazione!” aveva risposto ironico qualcun altro.
“Io ho visto suo padre in TV!”Selphie era saltata in piedi, convinta di riuscire a spezzare la tensione con la sua frase.
Elena aveva ignorato tutti, sebbene anche sul suo volto comparisse un’espressione scioccata dalla situazione.
- Allora Roxas: parli la nostra lingua? – chiese apprensiva. Il ragazzo accanto a lei non si voltò.
- Perfettamente. – si limitò a dire, non sforzandosi per nulla di celare l’accento sopraffino. La sua voce era di ghiaccio. Elena sorrise:
- Bene. Vuoi dirci qualcosa di te? – Roxas scosse la testa.
- Allora puoi andarti a sedere, lì al primo banco. – il biondo fece come gli era stato detto.
La professoressa stava per scrivere prendendo il registro quando si accorse di un ragazzo in piedi, all’ultimo banco, con un’espressione terrorizzata sul volto.
- Qualcosa non va Ven? – domandò. Quello sussultò.
- Professoressa, quel tizio vuole uccidermi. - affermò asciugandosi le lacrime.
- Suvvia signorino Leonhart, non dire sciocchezze! – lo rimproverò. Ecco, quando la professoressa li chiamava per cognome, voleva dire che era arrabbiata. – Ora cominciamo a fare l’appello che abbiamo già perso un sacco di tempo. Aoi Riku. –
- Presente. –

La biblioteca era un luogo polveroso, antico. Non molto grande, reduce da un progetto di ampliamento andato in rovina a causa di mancanza di fondi, gli mancava mezza parete sostituita da un grande finestrone in vetro colorato che la faceva somigliare più a una chiesa.
Non era molto famosa, e neppure molto frequentata, se non dal bibliotecario e dalla ditta di pulizie che una volta al mese toglieva le coperte di polvere. E dagli alunni quando i professori assegnavano le ricerche.
Vi erano quattro scaffali, con i libri –aggiornati mensilmente- disposti in ordine alfabetico, che occupavano quasi tutto il pian terreno e una grande gradinata che conduceva al piano superiore, con i tavoli.
- Allora, secondo voi gli piaccio? – sussurrò Demyx nascosto da dietro lo scaffale “A-F”.
- E sta calmo! Siamo qui da solo tre minuti! – lo rimproverò Axel da dietro “F-M ” spiando il bibliotecario. Zexion stava registrando i nuovi libri che erano arrivati alzando ogni tanto lo sguardo in cerca dei tre tizi che erano entrati correndo e senza neanche salutare.
- Ma poi posso chiedervi una cosa? – fece Larxene seduta comodamente a un tavolo sfogliando distrattamente la biografia del “Marchese De Sade” – Come pretendete di sapere quello che prova guardandolo battere al computer? –
Axel e Demyx si guardarono in faccia, senza proferire parola. Larxene ridacchiò.
- Dobbiamo adottare una strategia. - affermò il rosso sedendosi. L’altro annuì.
- Potremmo far cadere a terra il libro che ho preso dal suo bagno e magari lui raccogliendolo dirà “Ah, questo è quello che ho comprato per conquistare Demyx”. – propose.
- Oppure magari dirà “Perché il mio libro è arrivato qua tramite Demyx? Chi gli ha dato il permesso?” –
Il biondo abbassò lo sguardo, offeso.
- Invece potresti baciarlo e vedere la sua reazione. – continuò Axel.
- E se non gli piaccio? Mi considererà un maniaco! – ribatté.
- Oh, Dem, ma lui ti considera già un maniaco! – sghignazzò Larxene. – Perché invece non glielo chiedi e la fai finita? Se dice Sì bene, se dice no, pazienza! – suggerì.
Il biondo rimase allibito: perché Larxene la faceva sempre così semplice? Non pensava che se fosse stato possibile lui ci sarebbe già andato? Erano tanti i motivi per cui non poteva.
Per esempio…per esempio…
- O cacchio. – mormorò – Perché non ci ho pensato io? -
- Perché sei stupido. – rispose Axel alzandosi.
Il suono dello scacciapensieri appeso alla porta attirò la loro attenzione.
Un uomo entrò: era alto, abbronzato, vestito elegantemente e con i capelli grigi.
Appena lo videro un’espressione di puro terrore comparve sulle facce di Axel e Larxene che corsero dietro lo scaffale più largo, trascinandosi dietro Demyx.
- Perché vi nascondete? Non vedete che è Xemnas? -
- Appunto perché è Xemnas ci nascondiamo. – sussurrò il rosso accovacciato.
- Non capisco. – tagliò corto.
- Sai che novità. – borbottò Larxene ironica spiando Xemnas che intanto si era avvicinato a Zexion.
- Xemnas è il nostro capo. – spiegò Axel pazientemente – Noi in questo momento dovremmo essere al lavoro. –
- Ah…è allora?-
- Allora se ci vede ci licenzia in tronco. – Demyx si tappò la bocca per non urlare e sbarrò gli occhi.
- Appunto. –
Zexion uscì dalla postazione, e si diresse verso gli scaffali, seguito a ruota da Xemnas.
- Oddio, stanno venendo verso di noi! – esclamò il biondo.
- Questo lo vedo idiota. – Larxene cominciò a maneggiare con il tacco della scarpa nera, fino a spezzarlo.
- Larxy, che stai facendo? – chiese Axel.
- Ci salvo la vita e la carriera. Al mio via correte. – si guardò sospettosamente attorno.
Poi lanciò il tacco verso l’altro capo della sala. Zexion e Xemnas accorsero a vedere la causa del rumore, mentre, la bionda tirò uno scappellotto a Demyx – il segnale era quello- e sgattaiolarono, molto rumorosamente, fuori.
- Le scarpe me le dovete ripagare. – sentenziò con il fiatone.
- Quanto costeranno…50 munny? – domandò Axel appoggiandosi al muro. Lei lo fulminò con lo sguardo:
- Me le ha regalate Aqua. Diciamo pure che costano 1000. –
E Demyx pensò che forse, quasi sicuramente, essere licenziati sarebbe stato meglio.

Non era il primo alunno nuovo che arrivava. Tidus si era trasferito l’anno prima e già dal primo minuto tutti lo avevano trovato molto simpatico perché sorrideva sempre e, già dalla prima ora chiacchierava, faceva battute e non ascoltava. Un ragazzo normale, insomma.
Con Roxas era stato il contrario. Nessuno aveva osato avvicinarlo. Quel ragazzo metteva un timore reverenziale, quasi ossequioso. Se ne stava lì, con le gambe accavallate ed ascoltava la lezione prendendo ogni tanto appunti. Se non fosse stato per il movimento delle braccia e della testa ogni tanto, sarebbe potuto essere scambiato per un morto.
Eppure Ven non ci era riuscito. Anche se la sensazione di vuoto era sparita e lui si era sentito finalmente pieno, come aveva sempre desiderato, la cosa non gli piaceva. Sentiva suo stato di pienezza terribilmente ingiusto e per tutta la durata delle lezioni non era riuscito a staccare gli occhi da quella testolina bionda, così simile alla sua, seduta al primo banco.
Neppure quando la professoressa aveva fatto il fatale errore di chiedere “ Roxas, tu sai di cosa stiamo parlando?” e lui l’aveva ridotta quasi in lacrime con frasi del tipo “Ovvio, ho fatto queste cose l’anno scorso. Voi dei paesi piccoli siete tutti terribilmente indietro con i programmi perché vi dispiace bocciare il figlio della vicina, il nipote…”.
Neppure quando Kairi gli aveva passato un biglietto con scritto “Cioè, si sapeva che era ricco. C’era proprio bisogno di vestirsi da principe?” aveva risposto perché sentiva che, in un certo senso, non sarebbe stato giusto.
Roxas era un genio, questo lo aveva capito. Un genio e un bastardo, ma probabilmente se non fosse stato così intelligente, la sua malvagità sarebbe calata parecchio.
Quando la campanella della mensa suonò lui aveva appena finito di rimproverare il professore di matematica su non sapeva più che cosa, e Ven stava cercando un modo per districarsi dall’assurda situazione. Perciò gli girò la testa quando si ritrovò l’intera classe – ignara del fatto che lui e Sora erano solo fratellastri- a chiedergli “Cioè, ma tu lo sapevi?”, “Ma siete praticamente identici! Com’è potuto succedere?”, oppure “Quindi lui non è davvero figlio a Strife.”
Fortuna che ci pensarono Sora e Riku con la loro popolarità a risolvere la situazione:
- Suvvia, lasciate in pace Ven, un giorno vi spiegherà tutto! – urlò Sora mentre Riku faceva segno di andare. La folla si diradò e Ven si accorse che il banco di Roxas era vuoto.
- Ma dov’è finito? – chiese Naminè guardandosi attorno.
- Sarà in bagno. – fece Kairi guardando fuori dalla finestra. Non sapeva il perché di tutto quel casino. A lei non interessava minimante Roxas.
Ven si alzò in piedi intontito: - Io vado a parlarci. – sussurrò. Sora lo trattenne:
- No, ti prego Ven. Quel ragazzo mi fa paura. - il biondo si liberò e borbottando un “ Devo farlo, non metterti in mezzo” si avviò verso quello che probabilmente sarebbe stato il luogo della sua morte.

Non ce la faceva. Vederlo lì, con la testa appoggiata al banco, preoccupato per qualcuno che neanche lo considerava, gli faceva male.
Riku scosse lentamente Sora, che lo guardò con occhi lucidi.
- Io non sono suo fratello. Gli voglio tanto bene, ma non sono suo fratello. – mormorò senza spostarsi. Riku avrebbe voluto abbracciarlo, ma non lo fece perché sarebbe sembrato un gesto ambiguo…e lui ci teneva alla sua reputazione.
- Roxas me lo porterà via. So che non è mai stato mio, ma lui me lo porterà via definitivamente. – ora cominciava a divagare.
- Ehi…- gli sussurrò all’orecchio – tuo fratello è idiota, ma non tanto da non capire chi gli è stato vicino in tutti questi anni. Sono certo che anche lui ti vuole bene. – Sora alzò il capo, ma non sembrava ancora del tutto convinto. Riku si pentì di quello delle sue parole, ancor prima di averle dette:
- E poi noi che dobbiamo fare, se non proteggere tuo fratello da quello psicopatico? –

Il corridoio era stranamente silenzioso quel giorno. Di solito era pieno di ragazzi che cercavano riparo da quelle torture chiamate lezioni, ma quel giorno non c’era quasi nessuno.
Si aspettava di trovare i bagni pullulanti di adolescenti e si sorprese quando arrivò e solo una ragazza stava davanti alla porta.
Aveva i capelli neri a caschetto, la divisa in perfetto ordine e un cartellino con scritto I C appuntato al petto. La sua espressione era assente.
- Tutto bene Xion? – chiese cortesemente Ven. Lei sobbalzò e indietreggiò un pochino. Reazione normalissima. Sebbene avesse la stessa età di Sora – erano pure nati lo stesso giorno-, era molto timida (tranne quando si trattava di Riku, allora la sua timidezza spariva completamente) e ogni volta che qualcuno più grande le parlava lei scappava sussurrando “Oddio, un ragazzo più grande mi ha salutato”.
- Cosa c’è che non va?- continuò Ven. La ragazza si aggiustò il fermaglio a forma di fiore che portava tra i capelli:
- T-tu…- balbettò – sei entrato nel bagno poco fa. E mi hai chiesto di non far entrare nessuno! – esclamò confusa. Ven rimase dapprima stupito. Poi capì.
- Roxas. – disse entrando nel bagno maschile.

Sora lo aveva abbracciato.
Con uno slancio gli era saltato al collo, quasi piangendo. E Riku era rimasto lì, imbambolato e terribilmente imbarazzato, mentre i suoi compagni li guardavano borbottando.
Qualche ragazza, come Kairi o Naminè, aveva anche lanciato gridolini emozionati.
Fan girl. Sapeva cosa voleva dire quella situazione, le sue amiche glielo avevano spiegato.
Essere adocchiati dalle fan girls voleva dire persecuzione, tentativi di farli baciare, disegni sconci su di loro.
Presto la notizia si sarebbe sparsa e tutta la scuola avrebbe pensato che lui e Sora stavano insieme.
Xion lo avrebbe ucciso.
La squadra di basket lo avrebbe deriso a vita.
I professori lo avrebbero guardato schifati.
Sora non pareva essersene accorto e continuava a stritolarlo nella sua morsa adorabile, sussurrando “Grazie, grazie Riku.”
Essere adocchiati dalle fan girls voleva dire l’inizio dell’inferno.

Una nuvola di fumo lo accolse quando entrò. Ven cominciò a tossire e solo dopo qualche secondo vide il ragazzo che appoggiato al muro, vicino alla finestra tirava lunghe boccate a una sigaretta dai contorni dorati.
I bagni del secondo piano erano i peggiori di tutto l’istituto: le porte, un tempo verdi, erano ricoperte di scritte indecifrabili, stesso discorso per i muri; servizi e lavandini erano costantemente sporchi e figurarsi poi se funzionava qualcosa.
Roxas lo squadrò da capo a piedi prima di tirare un’altra boccata.
Ven deglutì:
- Non si fuma a scuola. - fu l’unica cosa che riuscì a dire. L’altro soffiò:
- Ho i soldi. Posso fare quello che voglio. – affermò deciso.
- Oh, no, qui non funziona così. Qui i tuoi soldi non comprano nulla. – ribatté con coraggio. Roxas rise freddamente. Ven deglutì di nuovo: come poteva quel tizio avere una qualsiasi parentela con lui?
- Cioè…- cominciò – Ehm, voglio dire, sai…-
- Vai dritto al sodo. – lo fissò con sguardo impenetrabile – il cannibalismo non è ancora diventato una delle mie attività preferite. – e se quella era una battuta Ven non la capì.
- Noi due siamo davvero gemelli? –chiese in un soffio. Roxas gli rise in faccia, di nuovo:
- Oh, ma certo che no! Quindici anni fa Cloud ha deciso di fare une chose à trois con Aerith e la sua gemella segreta mettendole casualmente entrambe incinte. –
Per qualche strano motivo Ven ebbe la sensazione di essere preso in giro.
– Quella ragazza è così idiota. Le avevo detto di non far entrare nessuno. – borbottò guardando fuori.
- Lascia in pace Xion. – ringhiò Ven. Roxas lo guardò stranito:
- Perché? E’ la tua ragazza? – chiese – No, pardon. A te piace Terra. – Ven arrossì visibilmente.
- Che ne sai? – domandò imbarazzato.
- Io so tutto di te. So come renderti felice e come distruggerti. So chi ami e chi odi, le materie in cui vai bene e quelle in cui vai male. So di ogni singola gara di corsa campestre che hai vinto e di tutte le competizioni a cui hai partecipato. Non ho perso un momento della tua vita. – si fermò e fece un altro tiro.
- E perché? – chiese l’altro. Lo odiava. Odiava quel suo accento elegante e quel tono di superiorità.
- I sogni. – mormorò – Sognavo Sora, Squall e gli altri ogni notte. E poi ho i miei informatori. Te l’ho detto: i soldi fanno tutto. Con la mia paghetta mantenevo un investigatore privato. –
Un brivido percorse la schiena di Ven: sapere che per tutti quegli anni era stato spiato e non si era accorto di niente, lo inquietava e non poco.
- Tu come l’hai saputo? – gli domandò Roxas.
- Sapere cosa? –
- Che non sei il figlio di Squall. Lo sapevi o l’hai scoperto oggi? –
Ven scosse la testa: - Non sapevo della tua esistenza e a chi ero figlio, ma sapevo che io e Sora eravamo solo fratellastri. – il tono di sufficienza con cui aveva detto ‘solo’ stupì anche lui. Roxas non poteva cambiare le cose in quel modo. Lui e Sora erano fratelli da una vita. – Avevo dieci anni quando una sera litigai con papà e lui me lo disse…-.

- Ma chi ti dà retta, che non sei neanche figlio mio! – Squall aveva urlato, lasciando Ven e Sora con gli occhi spalancati.
- Come scusa? – aveva chiesto il biondino scettico.
- Hai sentito bene, tu non sei mio figlio. Tu e tua madre arrivaste qui quando eri piccolo. Non sono io quell’idiota che ti ha fatto venire al mondo. –
- Bugiardo! – aveva urlato Ven tappandosi le orecchie – Non voglio ascoltarti, bugiardo!- e aveva cominciato a piangere, con Sora che cercava di consolarlo.
Quando Aerith era tornata e aveva trovato i suoi figli che piangevano (perché Sora imitava sempre il fratello) e suo marito le aveva detto “Scusa, mi ha fatto perdere la pazienza, mi è scappato.” il dolore della sera in cui era arrivata le era tornato negli occhi ed era stata costretta a spiegare tutto.
- Noi non abitavamo qui, tesoro. Abitavamo a Rain Town che spesso senti in televisione. La mamma stava con un bell’uomo che faceva una bella vita, e da cui rimase incinta di te. Prevedevamo di sposarci dopo la tua nascita ed eravamo felici.
Oh, ma dopo la tua nascita Ven lui non ci volle più. Voleva continuare ad avere molte donne e molti vizi e non poteva perché noi lo impegnavamo con dei patti. E noi ce ne andammo, tesoro, e lo lasciammo lì da solo con i suoi vizi.
Però lui non è tuo padre. Il tuo papà è Leon, quello che ti ha cresciuto e che ti vuole tanto bene, e il tuo unico fratellino è Sora. Noi siamo la tua famiglia. –

- Quante palle. – borbottò Roxas spegnendo la sigaretta ormai finita – Non c’è una parola vera in quel discorso. –
- E tu? – chiese Ven – Come l’hai scoperto? – L’altro sbuffò.
- Cloud. Mi chiamava un giorno Roxas e l’altro Ven. E poi la servitù canta come un uccellino sotto minaccia. – Ven non notò che per indicare suo padre usava il nome.
Se ne accorse solo qualche secondo dopo, quando la campanella che indicava la fine della mensa suonò e Roxas uscì mormorando “Ci vediamo in classe…fratellino.”

Posizionò le ultime cose sugli scaffali: quel garage non era tanto male e la convivenza con l’utilitaria era migliore di quella con Aqua. Era meno tirchia.
Menomale che Squall, il suo vecchio amico, lo aveva aiutato oppure sarebbe finito sul lastrico.
Perché Aqua, quando quei tizi avevano bussato alla porta dicendo “Siamo della compagnia Strife. Il capo vorrebbe affittare questa casa per mille munny a settimana, a tempo indeterminato” non aveva saputo dire di no, e aveva fatto le valigie e se n’era andata, pensando già a tutti quei soldi che avrebbe ricevuto.
E lui si era ritrovato a dormire in un garage…sì, era il garage di Ven, ma pur sempre un garage.
Sarebbe stato difficile…trattenersi vivendo sotto lo stesso tetto. Aveva bisogno del doppio dell’attenzione e del doppio dell’autocontrollo.
In fondo un lato positivo in quella storia c’era.
- Buongiorno Terra. – la voce di Aqua arrivò nitida alle sue orecchie. – Hai bisogno di consulenza? - Terra annuì porgendo all’altra una sedia. Sapeva che quella chiacchierata gli sarebbe costata una fortuna.

Che bel tipetto quel Ven.
Era così buono, gentile, amorevole ed educato con tutti.
Gli dava la nausea.
Tutto in quel posto gli dava la nausea: il cielo, il sole, il mare e le persone.
Tutto troppo luminoso per un’anima scura come la sua, che era cresciuta sotto la pioggia, dove l’unico amore che aveva ricevuto era quello delle ragazzine innamorate di lui.
Era un talento, sapeva di esserlo.
Quel giorno tutti e cinque i professori che conobbe rimasero esterrefatti dalla sua bravura, tranne il professore di motoria, giacché lui in educazione fisica era negato, anche se giocava a golf, cricket e polo (ma quelli li faceva perchè erano sport da ricchi) ma era così bravo a falsificare la firma di suo padre che le giustifiche erano un gioco da ragazzi per lui.
Invece Ven era il contrario: in classe completamente assente (forse perché c’era lui o forse perché era sempre così), ma in palestra era il migliore.
E il prof. lo adorava con tutti quei “Complimenti, agile come al solito”, “Sono certo che vincerai anche quest’anno ai campionati”.
Gli dava la nausea pure lui…fortuna che l’ora di motoria stava per finire.
Roxas continuò a fissare Ven fare l’ennesimo giro del campo, poi si accorse che due ragazze lo guardavano e bisbigliavano.
Le fulminò con lo sguardo, e una per poco non scoppiò a piangere.
Sorrise: con le sue capacità ci avrebbe messo pochissimo a vendicarsi.

- Ven, non vorrei allarmarti ma quel tizio ti ha fissato per tutta l’ora. – Riku gli passò un asciugamano mentre gli spogliatoi maschili si affollavano lentamente. Il biondo aveva ancora il fiatone: fortuna che era l’ultima ora.
- Forse lo stava solo ammirando per la sua bravura. – ipotizzò Sora.
- Non credo. – ribatté l’argenteo, mentre Ven entrava velocemente sotto la doccia – Aveva uno sguardo malvagio. – continuò.
- Ma da quello che ho capito, lui ha sempre quell’espressione. – intervenne mentre l’acqua gli scorreva addosso.
- Cioè, ma tu ci pensi! – la faccia di Tidus si insinuò nella sua doccia. Ven arrossì e gli tirò uno schiaffo – Esci subito da qui, Tid! – urlò. Quello ritirò la testa massaggiandosi la guancia. Riku e Sora ridacchiavano.
- Intendo…- cominciò Tidus – Ci pensi che se tu potevi essere straricco come quello? Non so cosa è successo, però se lui è ricco e tu sei uguale a lui…no? – Ormai erano abituati alle frasi sconnesse e illogiche di Tidus.
- Il tuo ragionamento non fa una piega. – borbottò Riku ironico.
- Tidus potresti lasciare in pace mio fratello? – chiese Sora cortesemente. Quello se ne andò offeso. Ven avrebbe voluto quasi affogare: l’acqua che gli scorreva addosso era una sensazione liberatoria, ma non abbastanza per distogliere i suoi pensieri dalla calamità chiamata Roxas.
- So, io ho riflettuto molto…- fece il biondino mentre il rumore dell’acqua si affievoliva –… e ho ricostruito un po’ la storia. – Ven uscì dalla doccia con un asciugamano legata in vita – Se è vero che mamma prima stava con Cloud…e che io e Roxas siamo gemelli…- cominciò ad infilare la divisa per il lavoro.
- Allora perché…- si bloccò e si asciugò i capelli.
- Perché? – incitò Sora. Ven scosse la testa: - Niente, lascia stare. E’ meglio che ne parli con lui. – e uscì lasciando Sora e Riku da soli.
- Lo vedi? – mormorò il moretto -…si sta già allontanando da me. –
- Non preoccuparti, lo riporteremo indietro. – lo rassicurò Riku dandogli una pacca sulla spalla.
- Non chiedo tanto. Voglio solo riavere mio fratello. – raggiunse Ven nel cortile.
- Ed io voglio solo che tu…ah, lasciamo stare. – sbuffò l’argenteo. Poi gli corse dietro, come faceva da una vita.

C’era tensione nell’aria. Tanta, tanta tensione palpabile.
I loro sospiri s’intrecciavano mentre sapevano che la loro vita era appesa a un filo molto sottile.
La persona seduta alla scrivania di fronte alla loro poggiò la penna che apriva e chiudeva da quando erano entrati, e appoggiò i gomiti alla scrivania unendo le mani in un mezzo pugno.
“Somiglia al tizio ricco dei Simpson” si ritrovò a pensare Demyx mentre lanciava uno sguardo preoccupato ad Axel.
L’avevano capito sin da quando Xaldin si era affacciato al bar urlando “Flames, Mizu e Sade, Xemnas vi vuole nel suo ufficio” che era per quello.
- Allora…- cominciò guardandoli severo – Per quale motivo ben tre persone mi hanno confermato che stamattina dalle 9.00 alle 11.00 eravate irreperibili? -
La tensione salì. Demyx cominciò a sudare freddo quando lo sguardo del capo si posò su di lui.
- Oh…Ehm…Beh…Ecco…Vede…- balbettò confuso. Poi si ricordò del film della sera prima: - Un robot gigante di nome Optimus Prime ci ha rapito per salvare la città! – affermò tutto d’un fiato. Vide Axel imprecare sottovoce e Larxene roteare gli occhi.
- Ah sì? E da chi? No, aspetta, fammi indovinare. Da un altro robot gigante ma malvagio chiamato Megatron? – chiese Xemnas.
- Esattamente! – esclamò Dem – Allora ci ha visto! –
- Dem, ti sta prendendo in giro. – informò Axel.
- Ah. – il biondo abbassò lo sguardo deluso. Xemnas sorrise.
- Ora dovrei licenziare tutti e tre in tronco ma visto che oggi mi sento particolarmente buono vi assegno solo un turno doppio…per una settimana. Tra poco arrivano i fratelli Leonhart, potete anche dirgli che hanno una settimana di permesso. E ora fuori! – indicò la porta.
- Beh, non è andata poi tanto male. – mormorò Demyx una volta fuori. Quattro occhi inviperiti si posarono su di lui.
- Ax ricordami di non aiutare mai più Demyx. – borbottò Larxene.
- Contaci. –

Roxas non aveva mai visto il mare. Di solito l’estate la passava tra i libri e la piscina di casa sua, oppure in uno dei parchi acquatici di suo padre.
Aveva vasche idromassaggio, scivoli d’acqua e tante, tante piscine, per cui non aveva mai sentito la mancanza di quella roba salata e sporca.
Eppure, vedendolo in quel momento, dal finestrino della limousine, scintillare sotto la luce del sole mentre le onde si perdevano sulla spiaggia non poteva fare a meno di pensare che cosa si era perso in tutti quegli anni.
Però il mare era bello solo da guardare, non si sarebbe mai sognato di fare il bagno in quell’acqua così volgare e plebea.
- Allora, com’è andata nella nuova scuola? Compagni simpatici? - chiese Marluxia dal volante.
Roxas abbassò lo sguardo:
- Oh, come no. Quanto quelli della vecchia, gli adolescenti sono tutti ugualmente stupidi. - rispose in tono superiore. Marluxia gli lanciò un’occhiataccia:
- Roxas non muori se ti fai qualche amico. Magari potrebbe far bene al tuo umore – “E al tuo carattere di merda” pensò.
- Il mio umore è sempre perfetto, Marluxia. Gli altri non sono alla mia altezza. – guardò fuori con disinteresse.
Sì, il mare era carino, ma niente era paragonabile alla pioggia.

- Nami cara, mi passi l’acqua per favore? - Naminè sorrise e passò la brocca a Elena, sotto gli occhi inorriditi di Kairi.
Guardare quelle due pranzare insieme era peggio che guardare suo fratello e la professoressa imboccarsi a vicenda.
Perché Elena era così orgogliosa di Naminè che metteva in pratica tutti i suoi insegnamenti, e Naminè era così in ammirazione per la sua professoressa preferita, che ai suoi occhi era senza alcun difetto.
- Zia, vorrei ricordarti che quella è la mia migliore amica, non la tua. - disse mettendosi in bocca un pezzo di frittata. Quel giorno i suoi fratelli non c’erano. E quella disgraziata della sua zietta, al contrario di Axel e Reno che in cucina erano dei maghi, non sapeva cuocere altro che uova. In ogni modo e in ogni forma. Sarebbe diventata una gallina a furia di mangiare quella roba.
- Suvvia Kairi, non essere gelosa. Dovresti prendere esempio da Naminè, invece che da quegli svogliati dei tuoi amici. – La bionda sorrise timidamente. Kairi strinse i denti e gliene avrebbe urlato di tutti i colori se il telefono non avesse squillato.
Elena si alzò e corse in cucina.
- Non capisco perché odi tanto la professoressa. – sussurrò Naminè – E’ così simpatica. -
Kairi la fulminò con lo sguardo. – Il fatto che tu hai dieci in tutte le sue materie influisce altamente sul tuo giudizio. –
- Non è vero. - ribatté l’altra – De gustibus non disputandum est. – affermò in tono solenne.
- Bravissima signorina Bird. – applaudì Elena arrivando dalla cucina – Reno farà tardi e Larxene mi ha detto che lei e Axel hanno il doppio turno. Per cui stasera sarà una serata tra donne! – rise accompagnata da Naminè.
Kairi si pentì di aver invitato Naminè a dormire.
Poi capì che quella sarebbe stata la serata più orribile della sua vita.

“Se l’inferno è davvero così…beh, non biasimo le persone che fanno di tutto per non andarci. Ma se è anche solo un po’ meno orribile di questo giorno, allora per favore, voglio morire”.
A questo pensava Riku mentre l’autobus imboccava una traversa, per accompagnare l’ennesimo alunno.
Tutto il tragitto era stato un inferno: ragazzine che lo guardavano e ridevano, bigliettini con scritto “Congratulazioni” oppure “Peccato…eri così carino. E’ proprio vero che l’uomo perfetto o è impegnato o è gay…tu sei tutt’e due.”.
E il capitano della sua squadra gli aveva detto “Mi spiace Riku. Noi pensavamo che fossi un duro, non una checchetta”.
Orribile. Quell’abbraccio gli aveva scavato la tomba.
- Tutto bene, cuginetto? – Aqua gli si avvicinò con sguardo premuroso.
- No. – rispose secco guardando fuori. L’altra gli si sedette accanto:
- Cosa c’è che non va? – chiese. Meglio non parlare con quella. Si sarebbe ritrovato del tutto scombussolato e senza un soldo in tasca.
Aqua, vedendo l’indifferenza dell’altro, sorrise sadicamente e prese il cellulare:
- Pronto sorellina? Sai chi ho qui? – Riku si girò terrorizzato. – E’ Xion. Dice di voler parlare con te. –
- Stronza. – borbottò, prima di prendere in mano lo strumento del diavolo. – Pronto? -
- OH RIKU! – l’urlo, rotto dal pianto, per poco non gli fracassò i timpani – Come hai potuto farmi questo? Come? Con quale cuore? Sto strappando tutte le nostre foto insieme! – Continuò a urlare. E Riku non si chiese come faceva ad arrivare sempre a casa prima di lui, anche se andavano nella stessa scuola e neppure quali foto, visto che lui non ne aveva memoria, e neppure provò a consolarla perché, sapeva, sarebbe stato tutto inutile.
Semplicemente chiuse il telefono e informò l’autista che non sarebbe sceso a casa.

Oh certo, a lui non mancava nulla.
NON gli bastava il gemello cattivo che voleva…ucciderlo forse?
E NON si accontentava di essere innamorato di un venticinquenne che viveva a casa sua, ma non lo guardava neanche di striscio.
NON lo soddisfaceva che il suo fratellastro lo assillasse e che il migliore amico del suo fratellastro lo odiava per il motivo citato.
Ovvio, Ven non si faceva mancare proprio nulla. Non si era risparmiato neanche pazzo che si prendeva gioco di lui ogni sacrosantissimo minuto in cui erano insieme.
Ma era la persona più sfortunata della terra, o solo una calamita per le disgrazie?
- Cenerentola, c’è ancora una macchia su quel piatto! - Ven strinse i denti. Doveva ignorarlo. Essere ignorato lo avrebbe fatto stancare, no?
- Guarda. E’ proprio lì. – un dito lungo e affusolato arrivò sul piatto che stava lavando. Lo lasciò andare nel lavandino e si voltò di scatto.
- Non hai nessun altro da torturare, Axel? – domandò spazientito.
- Demyx è al bar, con dei clienti. Tuo fratello sta servendo ai tavoli – cosa che dovrei fare anch’io, ma questo non conta – e non voglio morire giovane infastidendo Larxene. Ma torna al lavoro Cinderella! – lo girò verso il lavandino.
Ven sbuffò prendendo la spugna. Conosceva Kairi da una vita e di conseguenza il suo primo incontro con Axel era stato al sesto compleanno della bambina, quando, con Sora avevano fatto scoppiare un palloncino pieno di coca-cola in testa a Riku.
Il biondo sorrise a quel ricordo: quando Axel era normale – per quanto un tizio con dei capelli rossi che sfidano ogni legge fisica e con la mania di bruciare le cose possa essere definito ‘normale’- era quasi divertente.
Ma probabilmente la laurea (conseguita un anno prima del normale per ragioni che nessuno aveva capito) doveva avergli dato alla testa, perché da quando era tornato a Natale sembrava aver paura di tutto e tutti e si era fissato con lui: lo prendeva in giro per ogni singolo motivo, dall’altezza all’accento e non perdeva l’occasione per giocargli uno scherzo.
Mah, chi lo capiva quel piromane!

Quella giornata era stata strana. No, strana era un eufemismo. Quel giorno era stato del tutto astruso.
Per cominciare il bel dì era rimasto chiuso in un bagno con il suo futuro stupratore, poi con una corda di asciugamani si era calato dalla finestra e aveva fatto la doccia a casa di persone di cui non conosceva neppure il nome.
E, rispetto a tutto quello che gli era capitato dopo, quello poteva essere definito quasi normale.
Andando per ore: Alle 9.00 tre tizi erano entrati in fretta e furia nel suo negozio, senza neppure salutarlo.
“Demyx ha portato i rinforzi” si era ritrovato a pensare “Saranno le persone che mi terranno fermo, quando arriverà il fatidico momento”, ma il biondo, la bionda e il rosso erano rimasti a fissarlo per tutta l’ora, fino a quando non era entrato un vero cliente.
Alle 10.03 il vero cliente aveva richiesto un libro che trattava l’accoppiamento dei gatti, poi un tacco rotante e i tre ragazzi che correvano fuori facendo un chiasso pazzesco lo avevano distratto.
Finalmente, quando il paese delle meraviglie sembrava essersene andato, alle 12.00 una papera era entrata in biblioteca.
Sì, esattamente una papera. Una bella paperella, in piume e ossa, aveva raggiunto il bancone emettendo un allegro “Quack-quack”.
Non aveva avuto il tempo di chiedersi cosa ci facesse una papera in una biblioteca, in mezzo ad un’isoletta senza né zoo, né fiumi o laghi perché l’animaletto aveva cominciato a starnazzare correndo qua e la.
E per concludere in bellezza, mentre sfamava quella cosetta gialla aveva trovato per terra un libro che fino a cinque ore prima era nel bagno di casa sua.
Conoscendo Demyx, probabilmente si era convinto di essere ricambiato e lo avrebbe trovato nudo nel suo letto a dirgli “So che tu lo vuoi”.
Rabbrividì al pensiero e decise che avrebbe fatto, anche quel giorno, doppio turno.

Aveva atteso. Erano più di dieci minuti che attendeva pazientemente.
Xion si guardò attorno, sospettosa. Lanciò un’occhiata alla tavola completamente deserta.
C’era decisamente qualcosa che non quadrava.
Perché, quando sarebbero dovuti essere quattro c’era solo lei in quella casa?
Zexion non aveva orario continuato. Era lunedì.
E quel suo amico strambo faceva solo turni mattutini.
E Riku – oh, le doleva il cuore solo al suo nome- era uscito da scuola con lei e non doveva andare a pranzo da nessuno quel giorno.
Sempre che…
We Xion, fai i complimenti da parte mia a tuo cugino.
E perché?
Ma come non lo sai? Si è fidanzato…con una certa Sora, mi pare.
Sora. La sua acerrima nemica. Omonima al migliore amico di Riku, chissà che aspetto aveva.
Bah, sicuramente Naminè e Kairi – altre sue nemiche, perché troppo attaccate al suo tesoro – lo sapevano di certo. Quindi doveva chiedere a loro per sapere chi era questa Sora e dove abitava.
Bene, aveva deciso.
Prese la felpa e uscì di casa.

Se Roxas avesse sorriso più spesso, di certo avrebbe avuto più amici.
Ma Roxas sorrideva solo ogni volta che un sordo sentiva un muto dire urlare “Il ceco ha visto!” durante un’eclissi totale di sole, avvenuta nel giorno pari, di un mese dispari di un anno bisestile, ma la cui somma delle cifre fosse un numero compreso tra il ventisette e il trentacinque e la moltiplicazione di quest’ultimo per la radice quadrata di 1234 comparisse nella lista dei desideri di un bambino di 168 giorni, per cui gli“amici” che aveva si contavano sulla punta delle dita ed erano pure dei bastardi.
Se Roxas avesse avuto più amici, di certo sarebbe meno odioso.
Ma Roxas era solo, per cui trattava con disprezzo tutto e tutti.
Se Roxas fosse stato meno odioso, di certo tutti gli avrebbero voluto più bene.
Ma Roxas trattava tutti male, per cui tutte le persone che lo conoscevano, o che lo avevano conosciuto non potevano fare a meno di pensare che quel ragazzino biondo era proprio antipatico.
Se tutti gli avessero voluto più bene, di certo Roxas sarebbe meno egoista.
Ma Roxas era isolato in un mondo a parte, per cui non gliene fregava niente della vita delle persone attorno a lui.
Se Roxas fosse stato meno egoista, di certo sarebbe meno testardo.
Ma a Roxas importava solo di se stesso, per cui era davvero ostinato.
Se Roxas fosse stato meno testardo e più accondiscendente, di certo sarebbe meno viziato.
Ma Roxas aveva la testa dura quanto un muro, per cui pretendeva che ogni sua richiesta fosse esaudita.
Se Roxas fosse stato più amato, forse sarebbe meno scontroso, odioso, egoista, testardo e viziato.
Se Roxas fosse stato più amato, forse sarebbe più umano.
Se Roxas fosse stato più amato, forse sarebbe anche capace di voler bene, o di amare a sua volta.
Ma Roxas di amore non ha mai ricevuto neppure un briciolo.





Note dell'autrice (perchè non li lasci in pace e te ne vai, Kim? n.d..altra me):
Cosa posso dire per scusarmi del mio immenso ritardo? (Magari uno "Scusa" non sarebbe così inappropriato, che dici? n.d.altra me).
Comunque questo è il primo pezzo del capitolo. Finalmente è successo qualcosa! Contenti? (Per niente n.d.altra me).
Però che noia (Se ti riferisci al capitolo puoi dirlo forte n.d.altra me), ora ricominciano le torture cinesi effettuati da persone tanto sadiche che si fanno chiamare "Professori" (Il tuo concetto di scuola è altamente distorto. n.d.altra me). C'è chi già ha cominciato, chi comincerà...io ad esempio torno tra undici ore *piange disperata* (Non interessa a nessuno n.d.altra me)
Ma bando alle ciance e rispondo alle vostre recensioni.

Little white angel: Puoi infestarmi quanto vuoi, caVa, tanto sono abituata con casa mia che sembra uno zoo. Pensi ancora che Roxas sia sano di mente dopo questo capitolo? (Mi chiedo se modelli i personaggi a tua pazzia e somiglianza. Anche se tu pazza 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e non a capitoli n.d.altra me) Beh, aspetta la seconda parte. E grazie per il consiglio. Qui Aqua non appare molto: appare nella seconda parte (E qui la domanda sorge spontanea: che hai scritto per sedici pagine??? n.d.altra me). Se facessi fare a Ven un omicidio di massa probabilmente gli metterei un mitre in mano (-_-' n.d.altra me): perchè somiglia a Roxy...però probabilmente non starebbe bene quanto sta a lui (Il fatto che sono identici è completamente irrilivante n.d.altra me). Pure io cerchietti a forma di Roku! (Che poi, per informazione a entrambe i cerchi dovrebbero essere circolari, non a forma di qualcosa n.d.altra me) Quisquilie!
Comunque se ti interessa il burrascoso rapporto tra Tifa e Roxas aspetta la seconda parte! No che non mi dà fastidio, figurati. Tanto se non sproloqui tu sproloquio io e viceversa! (E il tasso d'intelligenza è sempre superiore alla media n.d.altra me). Grazie ancora per aver recensito.

Edo: Sei liberissima di frustarmi per il mio ritardo *consegna frusta* (Anche se qui ci starebbe meglio un bazooka n.d.altra me). Mi dispiace davvero tanto, giuro! Allora, ci avevi indovinato? (Probabilmente sì, non è che ci voleva poi tutta questo ingegno n.d.altra me). Spero ti sia piaciuto anche questo mezzo chap, e don't worry la lotta Tifa- Roxas continua. Spero che continuerai a seguirmi. E grazie mille per aver recensito.

SweeTDemly: A te che mi hai risvegliato dalle catacombe (Che tu non sai neanche che sono Kim n.d.altra me) un gigantesco GRAZIE! (Perchè se non lo scrivevi in stampatello non rendeva bene il concetto n.d.altra me). Aerith Cloud l'ha conosciuto...e anche abbastanza approfonditamente, pare (La tua battuta è squallidissima n.d.altra me) Xd. Yes, viva l'AkuRoku! Anche se per quello bisognerà aspettare un po'...ma non tanto (Seee n.d.altra me).
Non è vero che siamo simili! Tu scrivi meglio e più velocemente (Su questo nulla da ridire n.d.altra me). Sei liberissima di picchiarmi per il mio ritardo (chissà, magari impari anche qualcosa n.d.altra me). E grazie anche per aver recensito.

Shine Mitsuki: Ciao nuova lettrice! (Sembri quasi normale n.d.altra me). Grassie per aver letto e commentato *stritola* (Come non detto n.d.altra me). Lieta che la storia ti piaccia e grazie per i complimenti. Spero continuerai a seguirmi.

Colgo l'occasione anche per ringraziare tutti coloro che hanno letto, recensito, messo tra le preferite/da ricordare la mia shot. (Ecco, non citare il titolo per non fare pubblicità, occulta n.d.altra me).
E ovviamente tutti quelli che leggeranno e recensiranno questo mezzo capitolo. Mi scuso ancora per il ritardo.
Alla prossima!
Baci&Abbracci da Kim.

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Capitolo 7
*** L'uno e l'altro (e la papera)~2 ***


L'uno e l'altro (e la papera)~ Parte 2


L’aria era pesante lì dentro.
L’odore di cucinato stuzzicava il suo stomaco e i tavoli disposti a scacchiera imbanditi da tante pietanze, insieme con le luci che entrava dai grandi finestroni di vetro, conferivano un aspetto solenne, quasi regale alla stanza.
E lo avrebbe avuto, se non fosse stato per il chiacchierio allegro dei clienti che, sebbene fossero pochi, riuscivano comunque a creare confusione.
Il colore della settimana era il blu: questo voleva dire che tutti i tovaglioli, le tovaglie e le tende dovevano essere blu.
Sora glielo aveva spiegato, al “Coffe/Restaurant X” funzionava così. Ogni settimana era pescato un colore ed era quasi divertente vedere quel posto cambiare completamente (l’aspetto, le divise, e anche le pietanze) ogni sette giorni.
- Desidera signore? – un cameriere dai capelli rossi si avvicinò a Riku. Axel lo conosceva benissimo – dopo tutti gli scherzi che gli aveva combinato-, ma la regola diceva di trattare in modo uguale ogni cliente per cui dovevano essere assolutamente oggettivi.
- Ah, sì. Un tavolo per uno. – rispose calmo. Il cameriere lo fece accomodare, dopodiché gli porse il menù e sparì in cucina.
“Dannata Xion” pensò mentre con l’indice scorreva il menù “Ma ti pare possibile che io non posso tornare a casa perché sennò tu mi trucidi?” borbottò fra sé e sé. Dunque, aveva pochi soldi per cui qualcosa di poco costoso. Magari una zuppa? O era meglio una porzione di patatine?
- Ha scelto signore? – gli chiese dolcemente una voce molto familiare. Riku riemerse dal menù e guardò il cameriere accigliato:
- Per quanto io sembri maturo e ho i capelli bianchi, dubito fortemente di essere un “signore” Sora.  – Il moro arrossì:
- Riku! Cosa ci fai qui? –
“Mia cugina mi picchia perché crede che io sia fidanzato con te” – Ehm… a casa si mangiava pasta e ceci. A me non piace la pasta e ceci. –
Sora lo guardò accigliato:
- Allora, cosa ti porto?-
- Pasta e ceci, grazie. –

- Quack…quack. -
- Ma come hai ancora fame? Hai mangiato tutto il mio panino. – Era incredibile quanto potesse essere grande lo stomaco di paperella. Era incredibile come un ventitreenne riuscisse a comunicare in modo così esplicito con una paperella.
Quel ventitreenne, appunto, dopo che il grazioso animale gli ebbe lasciato solo mezza fetta di prosciutto tutta morsa per pranzo, cominciò ad avere fame.
Così, decise di staccare per un’oretta, il tempo di comprare qualcosa e tornare.
- Cosa me ne faccio di te? – chiese alla papera che trotterellava allegra sul bancone. – Chissà se i miei coinquilini accettano animali…- rifletté.
Loro non avevano mai avuto animali in casa. Tranne due pesciolini rossi di nome Lino e Lana che, sebbene Xion avesse pianto al loro funerale, non erano di grande compagnia.
E poi c’era stato Doggy. Quell’alano era un mito: di notte aveva la capacità di introdursi nelle case e rubare le scarpe di tutto il vicinato, da casa Aoi a casa Leonhart. E ogni mattina venivano svegliati da una processione che reclamava ciabatte e tacchi a spillo.
Poi avevano dovuto darlo via, quando aveva accidentalmente scambiato il bassotto della signora Ulley per un wurstel gigante.
Zexion si appoggiò nelle mani aperte a coppa guardando quel coso giallo.
- Innanzitutto bisognerà trovarti un nome. – ragionò. Quell’animale era testardo, ostinato e terribilmente stressante.
- Demyx è perfetto. –

Più avanti, Xion stretta nel suo bel maglioncino sebbene facesse caldo se ne strava sulla soglia di casa Flames, indecisa sul quale decisione prendere.
Bussare o tornare indietro? Scoprire la verità su Sora tramite Kairi o chiederla a Riku una volta tornato a casa –sempre che fosse tornato a casa, prima o poi-.
Se avesse visto la rossa, sarebbe arrossita e avrebbe cominciato a balbettare, come ogni volta che qualcuno più grande le parlava.
Ma doveva farsi coraggio. Doveva farlo per il suo amore. Con mano tremante suonò il campanello. Cominciò a sperare che in casa non ci fosse nessuno, che magari quel giorno erano andati a pranzo fuori o che magari non abitavano più lì.
Le sue speranze si spensero quando il grande portone di legno si aprì cigolando.
Ma davanti non si trovò i caratteristici capelli rossi dei Flames come immaginava, ma un viso adulto che aveva fatto un paio di volte supplenza nella sua classe: la professoressa Elena Turk…e cosa ci faceva lì?
La donna la guardò interrogativa:
- Aspetta… Tu sei quella ragazzina di I C che è un genio in matematica. Xion, vero? –
La mora annuì, completamente imbarazzata: - Sto ce-cercando Kairi. – balbettò. Elena sorrise:
- Ma certo, entra. –
La casa di Kairi era più bella di quanto immaginasse: in stile inglese, su due piani.
Appena entrò si trovò davanti ad una rampa di scale coperta da un tappeto bordeaux che, probabilmente, conduceva alla zona notte.
Sbirciò a destra e intravide un grande salotto, ma la professoressa la condusse a sinistra e dopo aver attraversato un corridoio con due porte chiuse arrivarono nella sala da pranzo con quadri appesi ai muri e un grande tavolo, a cui era seduta Kairi, con un’altra ragazza.
Xion la riconobbe subito: era Naminè Bird, il genio delle seconde. Metà dei ragazzi della sua classe avevano una cotta per lei.
- Prego Xion accomodati, Kairi, questa ragazza ti cercava. – sempre più a disagio prese posto tra Kairi ed Elena, guardandosi attorno.
E ora cosa diceva: mica poteva fare una figuraccia davanti a quei tre grandi personaggi urlando “Chi è Sora, la fidanzata di Riku?”?
Kairi la guardò con occhi curiosi: - Dimmi Xion. – Lei non conosceva le manie della ragazza nei confronti del cugino, e neanche la cotta che Riku aveva per Sora, no, quelle cose le sapevano solo Naminè e Riku e Sora stessi.
Xion esitò: cosa fare?

“Vacanza” pensò Roxas girando nella sua stanza.
- Vacanza. – borbottò gettando zaino e felpa sulla scrivania.
- Vacanza! – esclamò gettandosi sul letto. Poi si rialzò di scatto e si avvicinò alla libreria:
- Vacanza. – ripeté assaporando quella parola e scandendola in ogni singola sillaba. Prese il dizionario e lo sfogliò velocemente.
“vacànza [va'kantsa]: s.f.sospensione temporanea dell'attività negli uffici, nelle scuole, nelle assemblee per ragioni di riposo o per celebrare una ricorrenza.
Vacanze [va’kantse] sfpl: lungo periodo di riposo concesso a chi lavora o studia. Sinonimi: Villeggiatura, ferie, riposo, svago, licenza, congedo. Contrari: Lavoro, Presenza.”
Roxas inarcò un sopracciglio, poi chiuse di botto il vocabolario, furioso.
Ma che coraggio che aveva Cloud! Definire quel trasferimento con quel vocabolo barbaro che aveva poco a che fare con la sua situazione!
“Considerala una vacanza, Ven. (il fatto che aveva pure sbagliato nome non era mica una novità) Una vacanza dallo smog, lo stress e il caos cittadino…e poi siamo nel paese natale di Tifa.”
Oh, certo. Meglio rinchiudersi in quella topaia che era più o meno grande quanto le sue stanze a Rain Town, su un’isola sperduta in mezzo all’oceano che avere un colorito leggermente grigio, ma vivere con tutti i comfort.
Quel posto faceva schifo, davvero. A partire dalla casa che sarebbe stata larga nel giardino sul retro della sua villa. A Rain Town aveva tre camere da letto, due uffici, tre bagni, una cucina, un salotto, una sala da pranzo e una biblioteca personali. La sua “casetta” contava 127 stanze, senza includere i vari stanzini, i giardini e le camere esterne.
Lì di stanze ce n’erano al massimo venti e il suo sgabuz…cioè la sua cameretta era orrenda.
Ma non era solo la casa: tutta l’isola, anzi probabilmente tutto l’arcipelago si era perso gli ultimi quattro secoli di storia.
Guardò dalla finestra: verde, verde, case di mattoni, case di legno e ancora verde.
Dov’erano i grattacieli? E le persone che correvano in giacca e cravatta con il cellulare all’orecchio e la ventiquattrore in mano? Dov’erano finiti i palazzi pieni di uffici e il fumo delle industrie che oscurava il cielo?
Roxas sbuffò inorridito. Non c’era tecnologia in quel posto. Le televisioni non erano a schermo piatto e si prendevano solo tredici canali.
Sbuffò di nuovo: tredici! A Rain Town per scorrerli tutti ci volevano ore, se non giorni.
Per strada non c’erano Internet Point, aveva spiegato Tifa. Lì, chi aveva un computer era considerato l’elite del paese. Infatti i suoi nove portatili, di cui tre ancora non usciti sul mercato, lo avevano informato che non c’era linea nel raggio di chilometri ed era stato costretto a usare chiavette potentissime che erano ancora nella scatola.
Si gettò sul letto: - Vacanza. – disse semplicemente celando una nota isterica.
Niente televisione, niente computer, niente affari. Niente di niente.
Altro che vacanza, quello era l’inferno.
Cristo, ma come sopravvivevano gli abitanti?

Axel se n’era andato, ringraziando il cielo. Sora lo aveva chiamato perché c’era troppa gente e aveva bisogno di aiuto e lui, volente o nolente, era stato costretto ad andare salutandolo con un “Ci si becca in giro, Cinerina!”
Ven sbuffò prendendo l’ennesimo piatto: ma una lavastoviglie era chiedere troppo?
Menomale che Xemnas gli aveva dato il resto della settimana libero, così avrebbe potuto concentrarsi su cose più importanti.
“Come il fatto che tra una settimana circa hai un compito in classe di matematica di cui non sai una virgola”…no, quello era l’ultimo dei suoi pensieri, il suo problema aveva un nome.
Roxas.
Che cosa fare con quel ragazzo? Doveva scoprire che intenzioni aveva, ma prima…voleva conoscerlo.
Sapere qual era il suo colore preferito, se gli piacevano gli animali, qual era la sua materia in cui andava meglio (tutte da quello che aveva visto) e quella in cui andava peggio, se era allergico a qualcosa, se era mai stato fidanzato e cosa aveva fatto in tutti quegli anni.
Non aveva mai sentito un bisogno così forte di sapere qualcosa, ma con Roxas era diverso.
Roxas era la sua metà, il pezzo mancante del puzzle.
Ma per metterlo a posto doveva prima capire dove andava.

Zexion si fermò davanti al “Coffee/Restaurant X” indeciso sul cosa fare. Avrebbe potuto chiamare Xion per dirle che non sarebbe tornato, ma tanto c’erano Riku e Demyx con lei.
La papera starnazzò nella sua tasca
- Shh…sta zitta Demyx. – gli sussurrò accarezzandogli la testolina bionda.
Entrò nel ristorante e fu inghiottito dal blu. Demyx glielo aveva detto che era quello il colore della settimana.
Strano che fosse pieno, di solito il lunedì tutti i ristoranti erano vuoti.
Un cameriere basso e dai capelli castani gli si avvicinò:
- Mi dica. – fece.
- Un tavolo per uno. – disse mentre con una mano impediva a Demyx di uscire dalla tasca.
Il cameriere lo fece sedere. Prese in mano il menù, ma una voce fin troppo familiare lo richiamò:
- Zexion? -

Riku stava finendo la sua pasta e ceci quando sentì qualcuno sedersi al tavolo dietro il suo.
Era una presenza buia e intelligente che conosceva bene. Si voltò trovandosi davanti ai capelli blu-viola del suo cugino più grande. Ma non doveva essere a casa?
- Zexion? – chiese stranito. Il ragazzo si voltò facendo ondeggiare il grosso ciuffo che gli copriva parte della faccia. – Che diavolo ci fai qui? -
- Potrei farti la stessa domanda. – rispose facendo spallucce. Se Riku era lì, voleva dire che a casa c’erano solo Xion e Demyx.
- Ehi, Ax c’è tuo fratello al bar che ti cerca…sbrigati, ha detto che ha poco tempo. – un ragazzo biondo arrivò dal bar, fermandosi a pochi centimetri da loro.
- Demyx? – domandò Zexion. L’altro si girò e arrossì fino alla punta dei capelli.
- Tu oggi non avevi doppio turno. – accusò Riku. Poi si voltò – E neanche tu! –
Si guardarono in faccia: se erano tutti e tre là voleva dire che a casa…
- Xion! – esclamarono all’unisono, ma prima che potessero precipitarsi fuori l’azzurro sentì qualcosa saltare sul suo piede. Mise la mano in tasca, non trovandoci nulla:
- Oh, no, Demyx!- esclamò gettandosi sotto il tavolo. I suoi coinquilini lo guardarono straniti.
- Demyx torna qui…- chiamò gattonando tra i tavoli.
- Io sono qui Zexy. – lo informò Demyx chinandosi su di lui. Zexion lo fulminò con lo sguardo:
- Non tu, razza d’idiota, la papera! –
Ma né Demyx, né Riku ebbero il tempo di essere confusi perché un rumore di piatti infranti richiamò la loro attenzione. Sora, fino a quel momento rimasto a guardare divertito corse in cucina:
- Ven cosa è successo? – il biondino era chino per terra a raccogliere cocci bianchi.
- Questa cosa. – disse furioso indicando un animaletto giallo stretto nel suo pugno -… ha fatto cadere tutti i piatti che IO avevo pulito! – poi aprì di scatto la mano e la papera corse fuori.
- Mi ha morso! – disse Ven incredulo – La papera mi ha morso! – Sora scoppiò a ridere.
Ci furono altre urla.
- Oddio, che schifo un topo! -
- Ma no cara, non vedi che è una papera? –
E poi fu il caos totale.

Non era mai stata brava a raccontare balle. Lei era una persona aperta e semplice che diceva tutto in faccia per cui non aveva mai sentito il bisogno di mentire.
Eppure, in quella situazione con delle tizie molto popolari che la fissavano chiedendole cosa voleva da loro, persino Xion si rendeva conto che la verità era un lusso che non poteva permettersi.
- Ehm…- cominciò imbarazzata – Io volevo sapere se Riku…- poi il colpo di genio – se Riku va bene a scuola, ecco. Perché mia zia vuole saperlo, ma lui non parla. – una bugia semplice e neanche troppo originale.
Kairi inarcò un sopracciglio ma Elena scoppiò a ridere: - Che brava! Ti preoccupi per il tuo cuginetto, vero? – gli accarezzò la testa.
“Ma questa pensa che sono un cane?” si chiese Xion.
- Comunque, non angosciarti. Riku a scuola è davvero bravo e s’impegna, al contrario di qualcun altro. – lanciò un’occhiataccia a Kairi che aveva ripreso a mangiare.
- Ok, grazie di tutto. – fece per andarsene, decisa a uscire da quella situazione imbarazzante il prima possibile.
Naminè, invisibile fino a quel momento parlò:
- Perché non rimani un po’? – la sua voce non era calda, eppure Xion rabbrividì. Dalla sua posizione non poteva vedere la smorfia di Kairi, che di certo non gradiva la sua presenza e l’annuire della professoressa che prendeva tutte le idee di Naminè per oro colato.
La bionda, dal canto suo, non aveva fatto quell’invito tanto per cortesia, ma perché aveva capito che il vero motivo della visita di Xion era un altro ed era determinata a scoprire qual era.
La mora sospirò, sconfitta, in fondo a casa non c’era nessuno ad aspettarla.
- Va bene. – disse stampandosi in faccia un sorriso imbarazzato. Elena e Naminè le sorrisero, e Kairi…beh, era di spalle ma probabilmente anche se fosse stata girata verso di lei non avrebbe avuto una bella espressione.

Lo guardò uscire dalla vasca idromassaggio, indossare l’accappatoio e poi abbracciare Tifa sussurrando “Ci voleva proprio, con questo caldo” e vide la donna ridere, completamente presa da lui.
Ma Roxas non s’intenerì a quella simpatica scenetta, come avrebbe qualsiasi adolescente, no, ogni volta che vedeva quelle smancerie, le attenzioni che Cloud dedicava alle sue innumerevoli amanti il suo cuore si induriva di più.
Il motivo non avrebbe saputo spiegarlo. Forse perché in fondo quelle signore gli facevano pena, per quando suo padre le avrebbe ridotte in lacrime e, per un motivo o per l’altro, le avrebbe lasciate (anche se per la maggior parte delle volte era stata colpa sua che le faceva scappare).
Forse perché quelle donne non avevano niente a che fare con lui e, inconsciamente, desiderava una madre.
Le amanti di suo padre erano tutte giovani, alcune di solo pochi anni più grandi di lui (bastava pensare che Cloud aveva solo diciassette anni quando Aerith, di sedici, era rimasta incinta) inesperte, belle e maliziose ma, di certo, nessuna di loro voleva avere a che fare con un adolescente ribelle e viziato.
Qualcuna ci aveva anche provato quando era più piccolo. Sicuramente un bambino di sei anni dai grandi occhi azzurri doveva risultare tenero, anche quando con il volto serio diceva “chienne”, e le ragazze si limitavano a ridacchiare imbarazzate pensando dovevano sicuramente aver capito male, che quel bel bimbo non gli aveva davvero dato della zoccola.
Qualcun’altra aveva supplicato Cloud di fare qualcosa per “quello” e Cloud aveva provato dovendo arrendersi alla fine, perché tanto “quello” non avrebbe mai smesso.
Alla fine tutte si ritrovavano di fronte a una domanda: se per Cloud, così bello e ricco, valeva la pena sopportare le malefatte e i dispiaceri provocati da quel ragazzo. Quasi tutte rispondevano “no”, dopo aver trovato lo shampoo pieno di colla e vomito.
In fondo, pensava Roxas, a Cloud neanche dispiaceva tanto: ci metteva sempre meno di tre settimane a trovare un'altra “Quella giusta”.
E suo figlio ci avrebbe messo sempre meno di due mesi a farla scappare.
Perché a lui quelle donne davano solo fastidio.
Forse perché voleva una madre, forse perché voleva solo farla pagare a Cloud per l’indifferenza con cui lo trattava, o magari voleva solo attirare l’attenzione.
O forse, - ma quello non lo avrebbe ammesso neanche sotto la peggiore delle torture- era solo geloso.
Perché Cloud dava a quelle donne l’amore (finto o vero, non aveva importanza) che a lui non aveva dato mai.

Sembravano all’elementari. Tanti bambini messi in punizione dalla maestra perché avevano fatto i cattivi.
Erano lì, tutti in fila come soldatini di legno, davanti all’ufficio di Xemnas in attesa del verdetto finale.
- Demyx…- sibilò Larxene – Giuro che se ci licenzia, domattina userò le tue ceneri come cipria. –
Il biondo rabbrividì: - Ma non è stata colpa mia! E’ stata della papera! –
- Oh, certo!- sbottò Axel – Poi lo vieni a spiegare tu a mio fratello che sono stato licenziato il secondo giorno di lavoro, per colpa di una papera. –
Unici a cui non sembrava importare dell’accaduto era Ven e Sora che chiacchieravano allegramente sotto gli occhi attenti di Riku.
In fondo, stava dicendo Ven, a lui neanche importava tanto di quel lavoro.
In quel momento Zexion tornò con il cellulare in mano – Xion sta bene…- disse a nessuno in particolare (e nessuno in particolare lo ascoltò) -…ha detto di essere a casa di un’amica. –
La porta si spalancò e un uomo dai capelli argentei, Xemnas per l’appunto, comparve con un’espressione imbronciata. Per primi, guardò Demyx, Axel e Larxene.
- Siete consapevoli…- esordì – che sono passate solo due ore e cinque minuti da quando vi ho dato l’ultima punizione? – li guardò severamente – Che cosa dovrei fare con voi? –
- La prego non ci licenzi! – implorò Demyx sull’orlo di una crisi di lacrime – Non voglio fare la cipria! – L’altro lo squadrò e tirò un piccolo sospiro: - Ringraziate la mia immensa clemenza. Mi limiterò a detrarvi i danni dallo stipendio. – si voltò verso Sora e Roxas mentre Demyx cominciava a baciargli i piedi – La vostra settimana di ferire è rievocata. - Sora sbuffò mentre Ven si limitò a chinare la testa, mortificato.
- E per quanto riguarda gli esterni. – aggiunse Xemnas appoggiandosi allo stipite – Dovranno pagare il pranzo ai clienti che la loro papera ha disturbato. – fece una pausa talmente lunga che Riku pensò non volesse aggiungere più niente, ma poi chiese “A proposito dov’è?” e Zexion lo guardò inarcando un sopracciglio.
- Pensavo ce l’aveste voi. – disse. E poi, un rumore proveniente dal basso li costrinse a voltarsi.
Lei era lì, con le sue piume gialle macchiate di sugo e un’espressione che Axel classificò come pura superiorità.
Il grazioso animaletto, cacciò la linguetta rossa e fece loro una simpatica pernacchia, dopodiché ricominciò a saltellare starnazzando.
- Vi rendete conto…- disse Larxene a metà tra lo stizzito e il furioso - …che ci stiamo facendo prendere per culo da una papera? –
E si lanciarono all’inseguimento.

Non lo avrebbe mai ammesso, ma si stava divertendo. Già, divertendo come quando giocava a pallavolo con i suoi compagni o come quando faceva shopping.
Xion era felice. Con quella professoressa che fuori dalla scuola era completamente diversa, e con quelle due ragazze che, sebbene fossero più grandi, non erano poi così diverse da lei.
Dopo pranzo Elena (così si chiamava la professoressa) aveva sparecchiato e si erano ritirate in salotto a guardare le riviste di moda di Kairi.
- Questo potrebbe starti bene, Ka. – disse Naminè alzando la rivista che aveva in mano.
- Ma dai! – ribatté la rossa – Sembrerei un grosso pomodoro color banana…una “pomana”! –
E via dicendo e Xion si sentiva a suo agio.
Ma c’era qualcosa che non quadrava in quella situazione: Naminè, che all’inizio le era sembrata tanto calma e amichevole a volte le lanciava sguardi strani, come se si aspettasse qualcosa da lei, e quello non le piaceva.
- Qualcosa non va Xion? – chiese Elena aggiustando un cuscino del grande divano bordeaux su cui era seduta. La mora scosse la testa, sorridendo. Kairi gettò la rivista per terra, sbuffando:
- Non esistono più abiti decenti. – incrociò le mani dietro la nuca. – Penso che la cosa più alla moda che ho indossato nelle ultime tre settimane sia stata la divisa scolastica. – lanciò un’occhiata alla gonna a quadri azzurra che le ricadeva sulle gambe accavallate – Il ché è tutto dire. – Naminè le sorrise:
- Suvvia Kai. Tanto non avresti l’occasione di indossare qualcosa di elegante. – L’altra le lanciò un’occhiataccia: - Come se questo semplifichi le cose. –
- Parliamo d’altro. – s’intromise Elena – Di ragazzi, magari. –
Xion si pietrificò. “Parliamo di ragazzi”? Detto da una professoressa che doveva avere almeno il doppio dei suoi anni suonava così strano.
- Uffa, zia! – sbottò Kairi – Sei peggio di una pettegola. – L’adulta la fulminò con lo sguardo:
- Non rivolgerti a me in questo modo, ragazzina insolente! –
- Bla bla bla. –
- Ti abbasso i voti! – Kairi la guardò in  cagnesco:
- Questo è abuso di potere! – Naminè rise e Xion le guardò, sempre più preoccupata: era normale che facessero così?
Rivolse un’occhiata interrogativa a Naminè, ma quella non le rispose.
- Tu sei fidanzata, Xion? - la domanda la lasciò di stucco. Arrossì profondamente.
- Io…beh…diciamo. – Vide Naminè fissarla indispettita.
- E’ quel ragazzo dai capelli grigi con cui stai sempre? – Elena la guardò curiosa.
- No, signora. – ribatté imbarazzata – Quello è mio cugino. – La donna ridacchiò:
- Non Riku, quello in I C, eri seduta accanto a lui quando ho fatto supplenza. – Le ci volle qualche secondo per capire a chi si riferiva, visto che in classe sua ragazzi dai capelli grigi non ce n’erano. Ma aveva ragione, i capelli di Hope sembravano grigi quando si metteva in controluce.
- E’ biondo, professoressa. Ed è un mio amico. –
Kairi borbottò qualcosa sulla vecchiaia ed Elena fece finta di non sentirla e si rivolse a Naminè:
- Strife è carino, signorina Bird. – stavolta toccò a Naminè arrossire – Ed è anche davvero intelligente…ti assomiglia, in un certo senso. -
- Vede…è arrivato solo oggi. – si giustificò, le guance tinte di un rosso acceso.
- Ed è assolutamente terrificante. – aggiunse Kairi cambiando posizione – Sembra uno dei cadaveri di quei film che guarda Axel. –
- L’influenza che tuo fratello ha su di te mi lascia davvero perplessa, Kairi. – sospirò – Mi chiedo come possiate avere una qualsiasi parentela con Reno. – alzò gli occhi al cielo mentre Kairi cambiava posizione.
Xion si sentì improvvisamente di troppo: - Scusate, dov’è il bagno? – Naminè si alzò, esibendo il sorriso più falso che conosceva. Riku si confidava sempre con lei, per cui sentiva che era suo dovere indagare approfonditamente su “quella pazza di sua cugina”.
- Aspetta ti accompagno. -

Roxas si sedette sulla finestra con una tazza fumante di Earl Grey tra le mani. Faceva molto caldo ma l’abitudine del tea gli era stata data quando era piccolo e di certo non l’avrebbe persa tanto facilmente.
Sospirò guardando fuori: il tramonto era bellissimo lì. Quando era a casa, saliva quasi tutti i pomeriggi sul tetto a guardarlo, ma per colpa dello smog e della pioggia il cielo era sempre più bordeaux- color ruggine che rosso.
Invece lì era tramonto allo stato puro, come quello che si vedeva nelle foto su internet.
Il sole era grandissimo e tingeva di rosso e oro il cielo, dando un effetto simile a una pioggia di fuoco che spariva nel mare, anch’esso arancione; le case piccole sembravano inchinarsi, come vecchi stanchi che hanno visto tutto.
Roxas pensava che era bello perché era come se il cielo sanguinasse.
C’era qualcosa di terribilmente tragico nella fine di una giornata: non era come l’alba, quando le strade erano inondate di sapori e una nuova giornata stava arrivando per essere vissuta, no. Al tramonto, quando sembrava che tutto era stato provato e che ormai non c’era più niente l’aria era tranquilla e il tempo per un attimo si fermava.
Quell’attimo che bastava per far dire alle persone “E’ finita anche oggi” e che le illudeva che tutto sarebbe andato bene, da quel momento. Che non faceva pensare che poi, il giorno successivo sarebbe ricominciato tutto da capo e ci sarebbe stata una nuova alba e un nuovo tramonto, sempre monotoni e uguali.
In teoria Roxas avrebbe dovuto odiare il tramonto: era l’altro elemento ricorrente nel suo dolore. Il primo era la pioggia e il secondo era il tramonto. Tutte le perdite, tutti gli abbandoni erano avvenuti nel tardo pomeriggio, quando il sole non era troppo alto per mostrare la sua debolezza, né era troppo basso per nasconderla.
Anche sua madre se n’era andata al tramonto, gli avevano detto. Roxas aveva provato qualche volta a immaginare una ragazza bella con un bimbo tra le braccia, solitaria nel cielo rosso, ma proprio non ce la faceva. La ragazza che se ne andava era la sua felicità e se fosse riuscito a ricostruire la scena sarebbe stato come vedere la sua felicità tramontare, abbandonarlo per sempre.
E, anche se non voleva ammetterlo, questo gli avrebbe fatto davvero male.

Sora non riusciva a smettere di ridere. Mentre tornavano a casa gli veniva da pensare alla faccia inviperita di Xemnas e per poco non cadeva a terra dalle risate.
Ma che giornata era stata quella! Una vera commedia da teatro, meglio che guardare Spongebob o giocare a palla. L’avrebbe ricordata per tutta la vita.
Zexion che gattonava sotto i tavoli, Ven che raccoglieva i piatti, Demyx che fischiava e Axel che lo rimproverava “E’ una papera, mica un cane!” e Larxene che voleva picchiare entrambi e loro che scappavano, e Riku che guardava Zexion.
E in quel momento stavano tornando a casa tutti insieme, stanchi e distrutti da quelle che Xemnas aveva definito “Le due ore peggiori della mia vita”.
Si voltò dietro: il tramonto aveva tinto il cielo di sfumature rosse e dorate e riusciva quasi a vederlo riflesso nel mare. In quella luce rossastra loro erano solo ombre che si stagliavano contro l’orizzonte. C’era Ven che camminava pensieroso e con lo sguardo rivolto verso il basso; al suo fianco Riku che urlava contro la papera che dormiva placidamente tra le mani di Zexion, fregandosene altamente della ramanzina che i due ragazzi le stavano facendo: che mito!
Ovviamente Demyx e gli altri erano dovuti rimanere al locale.
Rise più di prima, richiamando alla realtà Ven. Questo si guardò attorno, come un pesce fuor d’acqua e Sora sbuffò: era tutto il giorno che faceva così.
- Allora noi siamo arrivati. – informò Zexion estraendo le chiavi dalla tasca. – Buona serata. – entrò. Riku indugiò un attimo sull’uscio, lanciò un’occhiata a Sora e poi sparì dentro il portone.
 Ven raggiunse Sora che sorrideva solare:
- Mi sono divertito da matti. – disse – Hai visto quando Zexion si è gettato sotto il tavolo? Che ridere! - cominciò a gesticolare – E poi quando Demyx si è rovesciato la padella addosso e ha preso il polipo del tavolo tre, credendo fosse la papera.- rise nuovamente.
Non ottenendo nessuna risposta si girò verso il fratello: era tornato nel suo stato di trance, completamente assente.
Sora sbuffò: - VEN! – urlò stringendo i pugni. – Si può sapere perché non mi ascolti mai? –
- Scusa. – mormorò – Sono solo un po’ stanco. – Sora incrociò le braccia al petto:
- Mi chiedo perché tu ti faccia tanti problemi. Tanto hai sentito la professoressa? Il trasferimento non è neanche definitivo. Forse se ne va la settimana prossima e tu avrai sprecato la settimana a pensare a un tizio che neanche ti saluta. – E a quel punto Ven sussultò:
- Per quanto riguarda questa cosa di Roxas. – disse, imboccando il vialetto di casa. – Non dire niente a papà…e neanche alla mamma. –

Xion si sentiva come in un film. Quando Naminè l’aveva accompagnata in bagno, entrando con lei e poi appoggiandosi contro la porta, si era quasi aspettata che tirasse fuori una pistola dalla gonna e la minacciasse dicendo qualcosa “Dov’è la roba?” in tono minaccioso. Ma Naminè non aveva fatto niente di ciò e semplicemente aveva sorriso e le aveva chiesto “Cosa fuori?”.
- Niente. – aveva risposto Xion confusa, non sapendo se quella domanda era una frase per dire “Ti serve carta igienica o assorbenti?” oppure se era riferita ad altro.
La bionda se n’era stata lì, si era aggiustata i capelli dietro le orecchie e poi l’aveva guardata.
- Avanti, cosa volevi chiedere a Kairi? - aveva chiesto e in quel momento nel bagno era calato il silenzio. Erano parecchi secondi che si guardavano.
Xion si morse il labbro, chiedendosi se dirglielo o no: in fondo anche lei era abbastanza amica di Riku. Però era spaventosa, molto più di Kairi.
- Riku è fidanzato? – chiese infine, senza citare Sora o altro. Naminè la guardò, una scintilla brillò nei suoi occhi ma sparì quasi subito. Aveva capito. Probabilmente Xion aveva sentito dell’abbraccio con Sora e quell’idiota si era fatta tutti i film mentali classici delle ragazzine. Lei non era stata così. Aveva sempre trovato le sue coetanee stupide quando si truccavano e facevano le smorfiose fino a crepare, solo per un ragazzo.
Lei non aveva mai sentito l’impellente bisogno di avere qualcuno al suo fianco, o di sentire il sapore di qualcun altro nella propria bocca, anzi a dire il vero le faceva anche un po’ schifo pensare alla saliva disgustosa, magari anche puzzolente, come le era capitato durante lo stupro, che arrivava tra i suoi denti. Guardò Xion che era imbarazzata più che mai…in fondo le faceva anche un po’ pena.
- No. – disse semplicemente. Quella era la cosa migliore da fare. Per lei, per Sora e soprattutto per Riku. E Xion tirò un sospiro di sollievo e guardò fuori, facendo riflettere il tramonto nei suoi occhi azzurri.
- Per favore non dire a Riku che te l’ho chiesto. – mormorò. Poi si voltò verso di lei e si stampò un grande sorriso in faccia: - Devo andare. Tra poco è buio e Zexion si preoccupa. –
E uscì dal bagno.
In fondo, pensò Naminè, con un po’ di sforzo, loro due sarebbero potute anche essere amiche.
Ma anche no.

- Sei un idiota. – disse Riku scendendo con ancora l’accappatoio addosso. Zexion, da sopra il divano, lo ignorò completamente, immerso nella lettura. Poco distante da lui Aqua guardava la televisione, totalmente persa, e ogni tanto urlava così tipo “Ma quanto è carino quel Pikachu!” che facevano intuire che stesse guardando l’ennesima replica dei Pokemon.
- Dico sul serio. – continuò Riku asciugandosi i capelli che da bagnati sembravano grigio scuro. Zexion se ne fregò altamente e invece lanciò un’occhiata alla paperella che dormiva in una gabbietta per criceti sul mobile vicino all’appendiabiti. Doveva compragli da mangiare, pensò.
Magari poteva chiamare Demyx e dirgli di fermarsi a un negozio di mangime mentre tornava ma dubitava che a quell’ora fossero ancora aperti. E poi avrebbe preferito evitare di chiamare Demyx per il resto dei suoi giorni. Riku gli rubò il libro di mano e lo guardò severo.
- E perché sono un idiota, Riku? – chiese Zexion annoiato.
- Per la papera. – rispose – Per il ristorante. E per Xion. – aggiunse sedendosi. Aqua si destò a quelle parole.
- Perché, cos’è successo?- chiese curiosa. – Io posso aiutarti a tracciare il tuo profilo psicologico, se vuoi. – Zexion scosse la testa: - Niente. Solo che Riku è terribilmente apprensivo. –
- Ah. – fece e tornò a guardare la tv. – Comunque la papera è simpatica. Prima mi ha raccontato che da piccola era una persona molto estroversa e aveva un sacco di amici, poi…-.
- Aqua, non ci interessa, grazie. – fece Riku non stupendosi per niente che Aqua riuscisse a parlare con la papera. Quella tizia riusciva a comunicare anche con i lampioni e ogni tanto la si trovava abbracciata a uno di quelli sussurrando “Mi dispiace tanto”, per cui che riuscisse a parlare con quell’essere era il minimo.
Eppure, pensò, la cosa strabiliante era che riusciva a comunicare con Xion senza farla scoppiare a piangere o arrabbiare a morte e probabilmente solo una psicologa era capace di questo.
- Zexion…- si rivolse al più grande – Io quella cosa qua non ce la voglio. – Zexin lo guardò con aria di sfida – Io sì, invece. – Un nervo pulsò sulla fronte di Riku:
- Mi spieghi cos’ha di speciale una stupida papera che combina solo guai? –
- E’ intelligente. – rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo – probabilmente più di te. Ed è furba. – aggiunse, forse solo per far irritare l’altro.
E Aqua intervenne prima che arrivassero alle mani: - Sta fermo Riku. Solo io posso picchiare Zexion. Risolviamo la cosa diplomaticamente. –
- E cioè? – chiesero i due ragazzi all’unisono.
- Stasera la mettiamo alle votazioni. –

Axel soffiò e vide il fumo della sigaretta disperdersi nell’aria come vento. Gli pareva di aver intravisto delle mani in quell’aria grigia, ma probabilmente era la sua immaginazione.
Fece un altro tiro: quei doppi turni non ci volevano proprio. Lui era tornato lì anche per riposarsi un po’ e invece si ritrovava a fare un lavoro che lo stancava il doppio che tradurre articoli e cose varie.
Negli ultimi tre anni la sua vita era stata più movimentata che nei diciotto precedenti.
Aveva trovato un’ottima università che, per merito, lo aveva fatto laureare un anno prima, quando doveva ancora compiere vent’anni. In fondo aveva la passione per le lingue da quando era piccolo.
Scoprire come le parole potevano avere tanti significati e forme diverse era davvero affascinante e sarebbe rimasto tutta la vita a studiarli.
Da piccolo non era un secchione, anzi era il classico tipo di bullo. Picchiavi i bambini, faceva scherzi alle insegnanti e aveva una baby banda di cui facevano parte solo Demyx e Larxene.
Loro tre erano inseparabili da sempre.
Ci erano rimasti davvero male, soprattutto Demyx, quando gli aveva detto che si sarebbe trasferito.
Ma come? Gli aveva chiesto E noi ora cosa facciamo?
E lui aveva risposto che non era affar suo che doveva decidere cosa fare della sua vita.
Ma tornerò aveva promesso E sarà di nuovo tutto come prima.
Ridacchiò e spense la sigaretta per terra.
Aprì la porta delle cucine.
“Tutto come prima”.
Che illuso.

Cloud guardò il grosso pacco azzurro, accigliato. Quel fattorino doveva aver sbagliato, lui non aveva chiesto niente. E da quando i fattorini consegnavano di sera?
- Ci dev’essere un errore. – disse al ragazzo che se ne stava sulla porta. – Io non ho ordinato nulla. – Quello gli poggiò il pacco davanti ai piedi: - Impossibile, qui c’è proprio scritto “Signor Cloud Strife”. – Cloud si chinò e guardò il pacco come se contenesse una gigantesca bomba atomica.
- Senta…- cominciò il commesso con tono scocciato – Mia moglie mi aspetta per la cena. Questo coso pesa un quintale e mi sono spaccato la schiena per portarlo fin qua. Per cui adesso mette una bella firma e se ne va a fare in culo. – Cloud lo guardò con aria superiore e gonfiò il petto:
- Come si permette?! Lei non sa chi sono! Io sono…-
- Non me ne frega niente. – sbottò porgendogli una penna – Mi dispiace, ok? Firmi e poi faccia di questo coso quello che vuole! – Per poco non gliela infilava in bocca quella penna. L’uomo gli rivolse un’ultima occhiataccia, poi scarabocchiò “C. Strife” sulla cartella e osservò il ragazzo andarsene sbuffando.
Prese il pacco e costatando che non era pesante come diceva quel tizio, lo portò nello studio. Lo analizzò attentamente, facendo scorrere le dita sulla carta blu in cui era avvolto. Non c’erano biglietti e neanche scritte, per cui era impossibile decifrarne il contenuto.
Poteva essere una bomba mandata dalle sue compagnie rivali, oppure un regalo per festeggiare una fusione o l’acquisizione di un’azienda. Effettivamente ne aveva comprate parecchie in quel periodo.
Con massima cautela sciolse il nastro dorato che lo abbelliva e lo lasciò cadere sul pavimento. Accarezzò il coperchio della scatola fino a dar entrare le dita nella fessura e allargandolo un po’.
- Sembra che ci devi fare sesso con quel coso. – osservò una voce ironica. Cloud alzò lo sguardo e vide Tifa, in piedi sulla porta, con una vestaglia di seta nera che nascondeva la pelle leggermente ambrata e il seno prosperoso, ma metteva in risalto gli occhi castani che brillavano sotto la luce gialla della stanza; i capelli, neri e lucidi ricadevano ordinatamente sulle spalle, dandole l’aspetto di una di quelle dee greche che gli artisti amavano tanto dipingere.
Diana pensò Cloud conoscendo il suo carattere per niente calmo. Somigliava incredibilmente a Diana. Tifa gli si avvicinò con le braccia incrociate al petto. Poi di scatto sollevò il coperchio della scatola.
Cloud chiuse di scatto gli occhi, poi li riaprì e…rimase del tutto interdetto. Nella scatola c’erano libri, la maggior parte dalla copertina rossa. In cima su tutti spuntava il Kamasutra, che nascondeva parzialmente “Il sesso: le posi…” e “Come avere un or…”. Guardò Tifa e trovò sul suo volto un’espressione per niente imbarazzata, solo stupita e confusa, forse.
Non ci fece caso. Solo una persona era capace di fare quello. Staccò un bigliettino da sotto il coperchio e lo analizzò. La calligrafia era ordinata elegante e c’era scritta una sola frase, se non si contava la bella firma in basso a destra.
Fottiti la puttana, stronzo. Baci e abbracci. Roxas.
Sentì la rabbia montargli dentro, come un toro che caricava. Strappò il biglietto stringendo i denti, gettò la scatola per terra e marciò fuori dalla porta, ben deciso a commettere un omicidio.
- ROXAS!!! -

- E poi è arrivato Demyx che ha urlato “Avete visto una papera?” e allora… -
Ven sbuffò, mangiando l’ultimo pezzo di pollo nel suo piatto. Era tutta la sera che Sora parlava di quanto fosse stata divertente quella giornata e ripeteva il racconto. Per quanto fosse noioso, almeno quello gli impediva di citare “Il nuovo alunno identico a Ven”. Punzecchiò l’osso nel suo piatto osservando distrattamente suo padre. Sbuffò di nuovo, a quel pensiero. “Suo padre”. Sarebbe ancora riuscito a vederlo così dopo aver scoperto che il suo papà biologico era un uomo giovane, ricco e soprattutto senza cicatrici e una divisa da poliziotto?
Certo si disse allarmandosi tuo padre è colui che ti ha cresciuto, non chi ti ha dato la vita per poi abbandonarti.
- Papà…- disse, tanto per assicurarsi di riuscire a farlo. Squall non gli rispose e continuò a guardare Sora. Ven si sentì un po’ escluso: - Papà…- ripeté lamentoso.
- Qualcosa non va, Ven? – non fu suo padre a rispondergli. Ven quasi trasalì, dimentico ancora una volta che Terra era seduto al loro tavolo e viveva nel loro garage.
- N-no, niente. – balbettò arrossendo. Era davvero bello con quei suoi occhi azzurri e profondi. Gli venne voglia di stringergli la mano e infilzò l’osso nel piatto con la forchetta.
Poi guardò Aerith e Squall ridere alla battuta di Sora. Si ritrovò a pensare che lui non faceva parte di quella bella famigliola felice. Che magari sarebbero stati più contenti se lui se ne fosse andato.
Magari in quel momento Roxas stava cenando circondato dall’affetto che suo padre e la sua matrigna gli davano.

- Roxas apri la porta! – disse Cloud bussando più forte. Era la terza volta che lo ripeteva.
- Oh, com’è signor Strife, adesso ricorda il mio nome? Ma che onore! Che privilegio! – rispose ironica e vagamente divertita, una voce da dentro la stanza. Cloud sbatté più forte e sentì il legno di ciliegio dipinto di bianco, ammaccarsi leggermente contro le sue nocche.
- ROXAS KEYS STRIFE! – urlò stupendosi lui stesso di essere riuscito a ricordare addirittura il secondo nome di quel ragazzino viziato – TI ORDINO DI APRIRE QUESTA PORTA! IMMEDIATAMENTE! – Tifa arrivò alle sue spalle, ridacchiando.
- Col cazzo. – la voce non era per niente preoccupata. Tifa gli mise la mano sul braccio, calma.
- Spostati, faccio io. – Cloud pensò volesse parlare, con quel tono comprensivo che solo le donne conoscono e rimase stupefatto quando, con una giravolta elegante, una bella gamba lunga abbatté la porta, mostrando un ragazzo biondo, già in pigiama, seduto a gambe incrociate sul letto e con un libro tra le mani. Questo osservò la donna e fece un fischio di apprezzamento.
- Dai Cloud, stavolta te la sei scelta proprio forte. – guardò suo padre – E’ così anche a letto? –
E Cloud fu accecato dalla rabbia, raggiunse rapidamente il letto e tirò un ceffone a quel ragazzo, meravigliandosi di come non cercasse di proteggersi e si piegasse sotto il suo tocco, come se fatto di vetro.
Roxas cadde dal letto, sbattendo il braccio contro il comodino e graffiandosi. Poi risalì, coprendosi l’occhio con la mano e guardando l’uomo con un’espressione di puro odio.
- Picchiami Cloud. – incitò gattonando verso di lui – Dai picchiami! Fai vedere al mondo come il grande padrone delle industrie Strife è solo un violento che picchia suo figlio. – e vedendo Cloud fare un’espressione stupita e arretrare capì di aver colto nel segno. Rovinare la sua immagine pubblica era una delle più grandi paure di suo padre. Roxas era gracile, aveva solo le parole per proteggersi ma sapeva sfruttarle davvero bene. Perciò rimase interdetto quando un forte scappellotto gli colpì la nuca. Vide Tifa, guardarlo soddisfatto:
- Di me possono pensare quello che vogliono. – disse e si lanciò contro di lui.

- Kairi, smettila di guardare fuori e vieni a cena. – richiamò Elena versando la frittata sul piatto. Naminè impugnò il coltello e cominciò ad affettarla. Kairi sbuffò e scese dal davanzale. Guardò le due ragazze concentrarsi sul disco giallo e sbuffò: - Uffa Nami! Non potevi cucinare tu? Sono stufa di mangiare uova! – si abbandonò sulla sedia stancamente. Elena le mise davanti un piatto con un pezzo di frittata.
– Ma perché Axel e Reno sono così in ritardo? – chiese Naminè, sedendole di fronte. Kairi scrollò le spalle, versandosi un bicchiere d’acqua: - Non so. Reno fa spesso tardi e Axel è strano da quando è tornato. – L’adulta la guardò severa:
- Magari è solo cresciuto, signorina. – Kairi infilzò il pezzo con la forchetta e lo morse senza neanche tagliarlo: - Imfoffibile. – rispose a bocca piena. Naminè rise, chiedendosi come facessero a non arrivare alle mani.
Poi suonarono al campanello: - E’ arrivato! – esclamò Kairi battendo le mani e precipitandosi ad aprire.
- Buona sera. – disse una voce seria. Naminè sentì Kairi sbuffare delusa:
- Ah, sei tu. – borbottò.
- Chi altri dovrei essere? – entrarono in salotto. Naminè notò che era davvero elegante, con quel vestito nero, la camicia bianca e la cravatta bordeaux. Reno si chinò a baciare Elena e poi le sorrise:
- Ciao Nemenè. – salutò poggiando la borsa gonfia di carte sulla sedia di Kairi.
- E’ Naminè, signore. – corresse imbarazzata. Conosceva il fratello di Kairi, ma quella figura adulta e seria le aveva messo sempre un po’ in soggezione, al contrario di Axel con cui sembrava sempre alla pari, tanto che era allegro e giocherellone. Kairi si sedette sul divano, incrociando le braccia al petto.
- Com’è andata? – chiese la professoressa offrendo anche a lui un pezzo di frittata.
- Vinto la causa. – le sorrise rifiutando. Elena batté le mani: - Lo sapevo! –
- Certo lei lo sapeva. Lei sa sempre tutto. – sbottò Kairi alzandosi in piedi. Reno la guardò seria:
- Qual è il tuo problema, Kairi? – La sorella sbuffò: - Nessuno. – raggiunse le scale:
- Ti aspetto di sopra Nami. Finisci in fretta. - e prima di sentire altre risposte, sparì al piano superiore.
- Non so proprio cosa le prende a volte. – sospirò Elena e Reno le accarezzò la mano, come per consolarla e Naminè penso che Kairi odiava la professoressa perché amava suo fratello. Per il suo bene aveva preferito tenersi tutto dentro e aveva lasciato che la gelosia diventasse odio.

Aqua era matta. Non che quella fosse una novità, però in quel momento Zexion ne aveva avuta la conferma della conferma.
Perché a lei non andava bene il tradizionale “Alzi la mano chi vuole che la papera resti qui”, no, lei aveva dovuto metter su tutta quella sceneggiata, sennò non sarebbe stata contenta.
Si guardò attorno, tra lo stranito e il furioso: il suo salotto era diventato l’aula di un tribunale.
Lui stava in un banco, di quelli che si usano nelle scuole, anche un po’ piccolo a dire il vero, e anche Riku nella sua stessa situazione alla sua destra.
Un po’ più lontani, su delle ridicole sedie color carota Demyx e Xion erano la giuria.
E, meraviglia delle meraviglie, di fronte a loro stava Aqua, in un grosso bancone di legno da giudice, con tanto di tonaca, martelletto e occhiali.
- Dove hai preso tutta questa roba? – domandò Riku confuso. Aqua batté il martelletto seria:
- Silenzio in aula! – urlò. Riku e Demyx sbuffarono. Lei intrecciò le mani sul banco e rivolse loro un sorriso inquietante: - Diamo inizio al processo. – guardò Riku – Parli l’accusa. –
Riku inarcò un sopracciglio, poi decise che era meglio stare al gioco se voleva l’animale fuori di lì:
- Allora…- cominciò alzandosi in piedi – Il mio cliente…-
- Vai! Vai così maritino bello! – interruppe Xion saltando sulla sedia e agitando le mani. Demyx si chiese se cercava di imitare una ragazza pon pon o una cagna in calore, poi concluse che tra le due non c’era nessuna differenza. Aqua li guardò severamente:
- Signorina Aoi…- richiamò aspra – Siamo in un tribunale, non in uno stadio di football. – Xion si sedette imbronciata e Zexion tossì:
- Veramente siamo nel salotto della palazzina n. 18 in via del Mare, situata nella cittadina di Destiny, la capitale delle Destiny Island che…-
Aqua batté di nuovo il martello- Potete parlare solo se interpellati. Continui Avvocato Aoi. – Riku la guardò confuso – Avvocato? E di chi? – Aqua non gli diede retta e rigirò il martelletto tra le dita: - Se continuate con queste domande insulse emetterò la sentenza a favore della difesa senza neanche ascoltare le vostre argomentazioni. – e Riku decise che era meglio lasciar perdere.
- Il mio cliente…- cominciò in tono solenne indicando la sedia da cui si era alzato – Accusa il cliente dell’avvocato Aoi…- solo in quel momento si rese conto che avevano lo stesso cognome – di mirare al disturbo della quiete pubblica e di essere fonte di grande perdita per le finanze della famiglia Aoi di cui il mio cliente è l’unico membro capace di intendere e di volere…-
- Ma Aqua! – Zexion scattò in piedi – Sta accusando tutti…- Aqua batté il martelletto e si aggiustò la tunica – Ponga la domanda in modo formale, avvocato Aoi. – Se li avesse chiamati per nome sarebbe stato tutto meno ambiguo. Zexion sbuffò:
- Obiezione, vostro onore. – Aqua lo guardò soddisfatta – Accolta. –
- Accuso l’accusa…- e lì i giri di parole raggiunsero il culmine – Di oltraggiare quasi tutti i presenti con parole poco garbate, facendo anch’io stesso, e anche voi vostro onore, e la signorina della giuria, parte della famiglia citata dal mio collega. –
Aqua, che aveva organizzato tutta la farsa, ma probabilmente non aveva ascoltato una parola di quello che avevano detto, troppo occupata a rimirare il martelletto di legno, si limitò a guardarlo con aria di sufficienza e a dire “ Va bene”, poi si era rivolta a Riku e lo aveva intimato a continuare:
- Per i motivi appena citati in questa sede, chiedo l’immediata espulsione del cliente della difesa dalla palazzina n.18 in Via del Mare. Ho terminato. – si sedette appoggiando i gomiti al banco.
- La difesa vuole ribattere? – guardò Zexion, che strinse i denti. – Certo. –
Si alzò in piedi: - Il mio cliente nega tutte le argomentazioni dell’accusa, giacché è ritenuto assolutamente incapace di oltraggiare, in qualsiasi modo, umanistico o finanziario, il cliente dell’Avvocato Aoi. – sorrise – Inoltre l’accusa non alcuna prova. – Riku si morse il labbro: se avesse conservato la fattura dei danni al ristorante la papera sarebbe stata fuori di lì entro la fine dell’ora. Zexion si sedette.
Aqua esaminò alcune carte, all’apparenza bianche, e poi guardò Xion e Demyx:
- La giuria cosa ne pensa? – Xion mise il piede sulla sedia e alzò il braccio in alto: - Io sono d’accordo con Rikuccio mio, qualunque cosa abbia detto! – La donna le sorrise:
- Bene, si sieda adesso. E voi, signor Mizu? – Demyx cominciò a balbettare imbarazzato:
- Beh…io…sono a favore dell’avvocato Aoi. – disse cercando di partecipare al gioco.
- Chi dei due? – chiese Riku speranzoso.
- Zexion. – E, per quanto Zexion avrebbe voluto fare la linguaccia a Riku, si trattenne per mantenere intatta quel poco di dignità che gli era rimasta dopo aver fatto l’avvocato difensore di una papera di nome Demyx.
- Benissimo. – Aqua cacciò un campanello da chissà dove e lo suonò – Mi ritiro per deliberare. - e quando uscì, il salotto scoppiò a ridere.

Ven era strano quella sera. Era evidente che c’era qualcosa che lo preoccupava. Se ne stava lì, seduto sul divano, con un’espressione assorta e gli occhi chiusi, come se i pensieri fossero talmente profondi da non poter essere immaginati a occhi aperti.
Eppure quello, nessuno della sua famiglia lo aveva notato. Sora era già andato a letto, Aerith era in cucina a lavare i piatti e Squall stava guardando una partita. Anche a Terra sarebbe piaciuto vederla ma con Ven in quelle condizioni proprio non riusciva a concentrarsi sullo schermo, così decise che, anche se il ragazzo non avrebbe ricambiato il suo amore, magari sarebbe potuto essere un suo amico perché, pur non ricordando niente, Terra capiva che confessarsi alla propria famiglia era più difficile che confessarsi agli altri.
Si sedette accanto a Ven, ma quello non sembrò accorgersene e sussultò solo quando gli chiese “Ti va di fare una passeggiata?”.
Poi lo scrutò con quei grandi occhi azzurri che Terra amava tanto e annuì timidamente.
Non erano neanche le dieci e mezzo, ma le vie delle Destiny Island erano completamente deserte. L’aria fresca spandeva un leggero odore salmastro e i lampioni gialli brillavano come lucciole nella notte, allungando le loro ombre contro la ghiaia.
Quando Terra e Ven uscirono, rimasero sorpresi dal silenzio che regnava. Fu Terra a spezzarlo:
- Allora? – chiese incamminandosi con le mani dietro la schiena.
- Allora cosa?- rispose Ven leggermente imbarazzato. O almeno così sembrava. La verità era che teneva lo sguardo basso per non mostrare a Terra il suo viso in fiamme e il cuore che batteva forte gli impediva quasi di parlare. Quando l’uomo gli si era avvicinato per poco non gli era venuto un infarto.
- Ven la prima volta che ti ho visto dovevi fare la prima elementare. – informò serio – Riesco a capire quando qualcosa ti preoccupa. – sospirò – Questo perché conosco tanti ragazzi. – si corresse subito.
E a Ven parve di svenire: non solo il tizio di cui erroneamente innamorato si era accorto della sua esistenza, ma aveva anche capito che era preoccupato! Cosa che i suoi genitori non avevano fatto! Per un attimo l’idea di baciarlo gli attraversò l’anticamera del cervello ma la respinse fin da subito.
- Io…- sussurrò. Se non lo sentiva, tanto meglio. – Sono solo stanco. – a quella scusa abboccavano sempre tutti. Tutti tranne Terra, come poté notare.
- Non ti credo. Quando sei stanco sbadigli e ti stropicci gli occhi. – gli aveva appena detto che lo osservava ogni santissimo giorno! – O almeno penso sia così. – tentò di riparare al danno ma Ven era così distratto da non accorgersene.
Chissà se avrebbe potuto dirglielo, pensava. Se Terra avrebbe capito la storia di Roxas e il suo stato d’animo. Chissà se sarebbe andato a raccontare tutto a suo padre, in nome della loro amicizia. Chissà se Squall era a conoscenza dell’esistenza dell’altro figlio di sua moglie. Perché Roxas era solo l’altro, no?
Eppure c’era qualcosa in Terra che lo induceva a fidarsi di lui. Forse era il suo amore o forse la sua figura adulta e rassicurante.
In ogni caso sarebbe stato bello dirglielo, raccontare alla persona che amava quello che gli succedeva, per avvicinarsi un po’ a lui. Lo avrebbe fatto sentire molto più leggero.
Ven si morse il labbro e prese un lungo respiro: - Terra, sai mantenere un segreto? –

- Roxas, Roxas, Roxas. – la voce rimproverante di Marluxia arrivò alle sue orecchie ovattata a causa del dolore. Roxas era steso sul letto e di certo non si poteva dire stesse messo bene: aveva vari lividi in tutto il corpo, un occhio viola e il labbro spaccato. L’espressione compiaciuta che quello stronzo di Cloud aveva mentre Tifa gliele dava di santa ragione gli girava nella mente, facendogli venir voglia di rompere qualcosa…non che fosse nelle condizioni di farlo, comunque.
- Ma come ti è saltato in mente di fare quell’orrido scherzo quando tuo padre è fidanzato con l’incrocio tra un King Kong e un Pitbull??? – se sperava di farlo sentire meglio in quel modo, non ci riusciva per niente.
- Domani esibirò le mie ferite dicendo che me le ha fatte mio padre e gliela farò pagare. – rispose semplicemente. Quella bastarda doveva imparare che nessuno poteva toccare Roxas Strife. Marluxia ridacchiò: - Oh, non penso potrai farlo. – si rivolse alla cameriera – Cheryl passami le bende. – Roxas lo guardò confuso: - E per quale motivo? –
Il maggiordomo gli alzò il braccio, provocandogli una fitta alla spalla: - Quella donna, immaginando i tuoi loschi piani ti ha ferito in posti tutti coperti dai vestiti, quindi, a parte l’occhio nero, non potrai esibire un bel niente…sempre che tu non vada in giro nudo, ma in quel caso risulteresti talmente pazzo da far credere che ti sei ferito da solo. E poi qui non siamo a Rain Town. – e con quelle parole la fitta gliela provocò al petto. Gran bel modo di consolarlo, ricordargli che era a chilometri da casa. Non che Roxas se ne fosse dimenticato, certo, con quel caldo e in quella misera stanza era impossibile.
- Per cui nessuno ti si avvicinerà per chiedere cosa ti sei fatto. Quando ti sono venuto a prendere l’ho visto, Roxas. Sono tutti terrorizzati da te. – gli mise una benda bianca, di quelle che si usano negli ospedali, sull’occhio.
E Roxas rise. Una risata fredda, acida, senza alcuna gioia o divertimento.
Rise perché aveva lui non poteva perdere e avrebbe di certo trovato un modo per avere vendetta. Rise perché Ven, l’altro figlio di Cloud, non si sarebbe mai comportato in quel modo, certo, lui era bello, buono, bravo e gentile. E soprattutto rise perché sebbene a causa della benda vedesse il mondo a metà, sapeva che nella parte nascosta c’era la felicità.
Ma quella, non l’avrebbe vista neanche quando sarebbe guarito.

Le luci erano tutte spente quando Axel rientrò. Non era andato direttamente a casa, aveva preferito vagare un po’ per la città per riprendere confidenza con il suo paese e per schiarirsi le idee.
Erano tre notti che non dormiva. Di notte i ricordi lo tormentavano e si addormentava all’alba quando arrivavano i primi raggi di sole. Avrebbe voluto dimenticare tutto, ma non ci riusciva. Credeva che, riprendendo in mano le redini della sua vita, i ricordi se ne sarebbero andati e lui sarebbe andato avanti, lasciando il passato. Ma, evidentemente, non era così.
A tentoni inserì le chiavi nella serratura ed entrò, fermandosi ad assaporare per qualche secondo il silenzio e la calma che regnavano.
 In questo paese non c’è mai silenzio. E’ come se stesse sotto un ponte ferroviario.
Axel accese di scatto la luce, come se quella avrebbe potuto illuminare anche nella sua testa e quasi non si accorse della figura sul divano.
Indossava un pigiama azzurro, il pantalone con dei cuori bianchi e la maglia con le maniche a sbuffo. Era leggermente abbronzata e i capelli rossi ricadevano sulle braccia conserte nascondendo parzialmente anche gli occhi azzurri spalancati.
- Kairi? – domandò Axel meravigliato – Che diavolo ci fai qui? Dovresti essere a letto! –
Kairi si alzò in piedi e lo guardò severamente: - Dove sei stato Axel? Perché hai fatto così tardi? – E Axel si chiese perché si stesse comportando come una moglie gelosa.
- Beh, il lavoro…-
- Ho chiamato. – la sua voce tremò – Sei uscito più di un’ora fa. – E Axel la guardò passando dal confuso all’arrabbiato.
- Non ti riguarda. – disse freddo – Di certo non devo dire a te dove vado. – Kairi lo guardò e le lacrime le bagnarono le ciglia:
- Perché sei così Axel? Perché sei cambiato? – era leggermente isterica.
- Sai Kairi, sono maturato. A volte le persone lo fanno. – non c’era alcun tipo di calore nella sua voce. Kairi cominciò a piangere:
- Rispondete tutti così. Non è giusto Axel! Non è…-
- SMETTILA DI FARE LA BAMBINA! – urlò guardandola. Se gli altri si fossero svegliati, tanto meglio. Kairi lo fissò piangendo – Hai sedici anni, ma ti comporti come se ne avessi sei, sei solo una bambina Kairi. Cresci un po’, una buona volta. La vita non è fatta solo di giochi e vestiti non sarai sempre una principessa. Tienilo bene a mente. Devi crescere, smetterla di comportarti come ti pare e piace, perché il mondo non sta ai tuoi piedi. – e, pur sapendo di averle spezzato il cuore con quelle parole, Axel la lasciò in salotto e andò a letto.
Naminè, che aveva ascoltato tutto, arrivò poco dopo, una lunga vestaglia azzurro chiaro la copriva fino alle caviglie, e abbracciò l’amica in lacrime:
- Non preoccuparti. – la rassicurò – Axel era solo nervoso. Domani gli sarà passato tutto. –
- Non voglio crescere Naminè. – disse tirando su col naso – Non voglio crescere. – ripeté.
Già, pensò Naminè. Peter Pan aveva ragione. Sarebbe stato bello rimanere per sempre bambine, ignare di quanto il mondo fosse crudele.

Quando Aqua era rientrata urlando “Silenzio in aula” tutti si erano seduti sul divano, dopo aver smontato il palcoscenico della recita che era avvenuta prima.
Poi Aqua aveva riassunto tutto quello che avevano detto e da ben tre minuti continuava una frase iniziata con “Secondo il codice civile, articolo 3245, paragrafo bis 343…”.
- Sta sparando numeri e parole a caso. – sussurrò Riku a Zexion. Eppure tutto quel trambusto qualcosa di buono l’aveva fatto: aveva fatto riappacificare tutti.
- Me ne sono accorto. – ribatté il più grande vagamente divertito. Aqua scoccò loro un’occhiataccia.
- Ed è per questo…- alzò la voce – che non posso accogliere la domanda del signor Aoi e quindi l’oggetto, o meglio l’animale del litigio deve rimanere nella sede attuale. – Riku strinse i pugni mentre Zexion sorrise tranquillo.
- Tuttavia…- continuò Aqua – Tutte le spese per il suo mantenimento e per la sua educazione scolastica…-
- Certo, ci manca solo che la mandiamo a scuola! – sbottò Riku esasperato. Aqua lo ignorò: - …saranno a carico del signor Aoi. – Batté il martelletto – Così è deciso. L’udienza è tolta. – e sparì in cucina.
- Ehi Riku…- sussurrò Zexion – Non avremmo dovuto farle vedere tutti i giorni Forum. –
Riku sospirò: - Lo penso anche io. – Demyx s’intromise nell’argomento mentre Xion, che non avendo capito niente, ballava urlando “Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!”:
- Ma adesso dov’è? – chiese il biondino guardandosi attorni.
- Chi? Aqua? – Zexion si alzò in piedi.
- No, la papera. –
- Nella sua gabbietta che dorme. – Riku, vicino al mobile con la gabbia li guardò impaurito:
- No, Zexion. La gabbietta è aperta e la papera non c’è. –
E il rumore di un armadio che cadeva proveniente dal piano superiore, fece odiare a tutti, anche alla difesa, quella stupida sentenza.

Dopo un primo momento di balbettio Ven si era lasciato andare e aveva raccontato a Terra proprio tutto. Di Roxas, di quello che aveva provato quando l’aveva visto, di come si sentisse dopo aver scoperto che la sua vita era fondata su bugie.
E Terra, con suo grande stupore, l’aveva ascoltato, capito, consolato e poi gli aveva promesso che non avrebbe mai detto niente a nessuno.
E così Ven stava tornando a casa più leggero, senza quel peso sul cuore, e con un’espressione ebete sul volto, ripetendosi che aveva fatto proprio bene a dirgli tutto e che Terra era fantastico.
- Ehi, Terra…- sussurrò quando arrivarono davanti al garage – Grazie di tutto. Ora sto molto meglio. – Eppure non era ancora riuscito a guardarlo negli occhi.
- Figurati. – rispose l’uomo – Era il minimo per farmi vivere nel vostro garage. Se vuoi parlare sai dove trovarmi. – Gli carezzò delicatamente la testa, Ven ebbe un brivido e Terra ritrasse la mano come se avesse preso la scossa.
- Allora a domani. – salutò cercando di tenere la voce ferma. Quel contatto era troppo. Era contentissimo che Ven aveva scelto di confidarsi con lui, senza dirlo a nessun altro ma in quel momento si stava spingendo troppo oltre. Aqua aveva spiegato che non doveva avvicinarsi troppo, perché avrebbe potuto perdere l’autocontrollo e lui, di certo, non voleva fare del male a Ven.
- Già. Buona- buonanotte Terra. – balbettò allontanandosi. Anche lui era rimasto stupito da come il cuore gli era scoppiato quando l’altro lo aveva accarezzato.
-’Notte. – chiuse il garage.
Ven entrò in casa, infilò lentamente il pigiama cercando di non svegliare Sora e andò a letto.
“Va bene” pensò “Domani sarà un altro giorno”.






Note dell'autrice (Inutile dire chi è n.d.altra me):
Salve! Suvvia non fate quella faccia (Perchè, tu riesci a vedere che faccia stanno facendo? No, probabilmente sei solo matta n.d.altra me) non sono così in ritardo. (Ma certo che no... in fondo cosa sono tre settimane e quattro giorni? n.d.altra me) Ma si sa: la scuola, la scuola, la scuola (E Aggiungici pure: la sbadataggine, il pc bruciato, i vuoti di memoria e la pigrizia assoluta n.d.altra me).
Comunque ecco un altro capitolo. Di cui dovrete accontentarvi per molto tempo (Sai che novità. n.d.altra me).
E' inutile che vi faccia illusioni: In queste settimane mi sono avvicinata al pc solo per fare ricerche astruse e non ho avuto il tempo neppure per cominciare una fic per Halloween, o per scrivere una parola del prossimo capitolo. Per cui, mi dispiace per le persone (matte n.d.altra me) che mi seguono, ma dovrete aspettare un bel po' per vedere un'altro mio lavoro (Lavoro? Addirittura? n.d.altra me).
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Ora rispondo, abbastanza sinteticamente alle vostra recensioni.

_Ella_: Ma figurati! Penso sia una cosa equivalente: io non aggiorno, voi non recensite! (A dire il vero non funziona esattamente così n.d.altra me). Già...poveVo Voxy, ma mica è colpa sua! Anche se penso che in questo chap si sia dato un po' da fare per avere vendetta...oddeu, non immagino Cloud, sopportarlo 24/24!
I perchè di Aerith si spiegheranno nei prossimi capitoli.
Per quanto riguarda Aku e Roku...boh! (Non è per dire, non lo sa davvero n.d.altra me). Zexion è il clown della situazione. (Perchè, tu non basti? n.d.altra me). Grazie per tutto. La statua la preferirei di cioccolata...e a forma di scritta "yaoi" *o*! (ma che idiota n.d.altra me). O ancor meglio, a forma di Aku e Roku yaoi.
Grazie per aver recensito.

Shine Mizuki: E pensare che pensavo di postarlo tutto intero! Davvero l'hai letto tutto? Pensavo che nessuno l'avrebbe fatto (E allora perchè l'hai postato? n.d.altra me) Riku per Sora farebbe tutto: anche rinunciare alla sua vita sociale (Ma anche no)! E vabbè, speriamo che le cose si aggiustino (Ma guarda che devi deciderlo tu, Kim n.d.altra me). Beh, spero che tu sia piaciuto anche questo capitolo.

shiro chan: Ed ecco qua la seconda parte, come volevi tu! Spero ti sia piaciuta (Da quando hai iniziato le note l'hai già scritto tre volte n.d.altra me). Xion pare proprio per niente disposta a lasciare Riku...e Sora lo tratta come uno-scoth-ripara-guai-di-Ven, per cui mi sa che bisognerà aspettare un po' perchè le cose si sistemino...sempre che si sistemeranno. (Ma tu lo dovresti sapere! n.d.altra me).
Marluxia maggiardomo...chissà come mi è venuto (Veramente non sapevi chi metterci e hai pescato un nome dalla scatola n.d.altra me). Naaa, Axel mi serve per altro.
Nuooo, resuscita *fa massaggio cardiaco con ferro da stiro*, tanto Roxy rimane cattivo. Grazie per aver recensito.

Edo: Che bello che continui a seguirmi!Già, povero Roxy, nessuno lo capisce, chissà se troverà mai pace. (tanto per ricordartelo Kim, tu sei l'autrice. Dovresti poter decidere del destino dei personaggi n.d.altra me) Ma lui è cattivo di suo: guarda che ha combinato a Cloud qua! E adesso pure Ven è più triste così bilanciamo le cose (Il chè è strano per te che sei tutta "E vissero felici e contenti" n.d.altra me). Grazie per tutto.

WhiteDream: Grazie per tutti i complimenti, sono commossa *soffia il naso con fazzolettino bianco* (Questa potevi risparmiartela n.d.altra me). Dannato raffreddore! (-_-' n.d.altra me). Beh, se ha un po' di gentilezza sta molto molto molto molto molto (hai reso il concetto, basta n.d.altra me) molto in fondo...forse nei prossimi capitoli viene a galla, dipende da come si comportano i personaggi (Veramente dipende da te n.d.altra me). Roxy-depresso è terribilmente figo ù_ù (quasi quanto Hitler con la sciatica n.d.altra me). I tuoi viaggi avevano previsto qualcosa?
Comunque grazie di tutto e spero che continuerai a seguirmi.

Little white angel: Ciao matta! (Senti chi parla n.d.altra me). Non si può dire che siamo due maniache del "arrivare in perfetto orario" (Magari se ti fermavi solo a "maniache", potevi cancellare anche il "non" n.d.altra me). Dici che ti è piaciuto questa parte? E' come te l'aspettavi?
Io pensavo che la parte dell'incontro non avesse senso (E difatti è così n.d.altra me). Strano, quella frase volevo eliminarla, l'ho buttata lì a casaccio perchè non sapevo che scrivere (In pratica hai scritto tutta la fic così n.d.altra me). Contenta che ti è piaciuto! Pure che Ven piange!
Ho fatto abbracciare Sora e Riku (Maddai, non ce n'eravamo accorti! n.d.altra me), così ora potremo perseguitarli *ride malefica* (Ma che idiota n.d.altra me).
Perchè Roxy non è puccho quanto Sora (Più che altro direi, quanto in tizio che uccide la gente con una motosega n.d.altra me)? E poi Sora Riku è sempre pronto a consolarlo, mentre Roxy non ha nessuno *piange* (Kim, guarda che l'hai deciso tu. n.d.altra me).
Ti aspettavi che Xion se ne andasse??? E invece no! Se ne andrà solo quando si avvicinerà ad Aku o Roku e a quel punto cadrà giù da una scogliera (sei sempre la solita. Sospetto che tu abbia ambientato la fic alle Destiny Island proprio per questo n.d.altra me) .
Gli psicologi servirebbero a me (Menomale che lo sai da sola n.d.altra me), Aku è solo molto stressato con un gatto molto cattivo. Grassie per tutti i complimenti *regala statuetta di Riku e Sora fatta di Riso soffiato ricoperto da cioccolato* (copiare le pubblicità è una cosa che supera l'idiozia pura n.d.altra me).
Ma scusa...un po' di reputazione ci vuole, ogni tanto. (Basta guardare tu che fine hai fatto n.da.altra me). E poi puoi perseguitarlo quanto vuoi, anche photoshoppando fan art.
La scusa di Demyx è....un'esperienza personale. E la risposta di Xemnas è quella del mio professore.( Certo, sempre molto realistica quando arrivi a scuola n.d.altra me).
I creatori fanno tutto a loro immagine e somiglianza (Per questo tutti i personaggi sono matti n.d.altra me)...ma a me Roxas e Ven sembrano assolutamente normali (Certo, tutti si tagliano le vene e piangono in classe n.d.altra me).
Ma quale noioso e ripetitivo (Quello si può dire solo del capitolo n.d.altra me)? Ho davvero riso <---da notare la parola.
Se Ven ti sta antipatico allora ti starà simpatico Roku per quello che farà, se farà qualcosa (E questo cosa dovrebbe significare? n.d.altra me).
Grazie di tutto. Alla prossima.

E grazie anche a tutti quelli che hanno letto, commentato, aggiunto a seguiti/preferiti/da ricordare.
Ci vediamo (Chissà quando n.d.altra me),
Baci&Abbracci da Kim.

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Capitolo 8
*** Adulti e adolescenti ***


Adulti e adolescenti


Quando Roxas si svegliò era ancora notte e per poco non gli venne un colpo. Niente tuoni, niente lampi, niente ticchettio sui vetri, niente freddo che si insinuava sotto le lenzuola.
Gli ci volle qualche secondo per riorganizzare le idee e capire il perché di tutto quel caldo, quell’oscurità davanti all’occhio sinistro e i dolori in tutto il corpo. Lui non era a casa. Era in quell’orribile posto sperduto in compagnia di servi impiccioni, un padre senza umorismo e una donna con un gancio destro da lottatore di Wrestling. Senza poi dimenticare la banda di svitati di cui faceva parte il suo gemello scemo.
Già, Roxas aveva adorato quel mondezzaio dal primo momento in cui l’aveva visto.
Con il braccio sano si tirò le coperte fin sopra la testa, cercando di rimettersi a dormire. Impossibile, concluse. Troppo caldo e poi degli uccellini troppo mattinieri gli stavano spaccando i timpani con il loro grazioso cip cip.
- MARLUXIA! – urlò istericamente. La sua voce rimbalzò in tutta la casa. Se suo padre si fosse svegliato, tanto meglio. Dopo alcuni secondi dei passi pesanti annunciarono l’arrivo del maggiordomo, che apparve sulla porta in un pigiama grigio e con sguardo assonnato.
Marluxia sbadigliò e lo guardò truce: - Che diavolo vuoi alle tre di mattina? – chiese inviperito. Roxas pensò che doveva aver bestemmiato per tutto il tragitto.
- Spara agli uccellini. – disse semplicemente, senza neanche alzare la testa dai cuscini – Non mi fanno dormire. – Il servo lo guardò, prima divertito, poi adirato e infine esasperato:
- Oh, mi dispiace tanto che quegli indegni animali abbiano turbato il vostro sonno ristoratore. – fece ironico – Adesso farò estinguere tutte le specie animali capaci di emetter suono, in modo che voi possiate riposare senza intralci. –
- Smettila. – ordinò Roxas chiudendo gli occhi. La sua servitù era davvero inutile. – Trova un modo per zittire quei cosi. E installa immediatamente un condizionatore.
- Roxas sono le tre di notte. – rispose serio.
- Poco fa erano le tre di mattina. Come vola il tempo. – Marluxia lo ignorò: - Dubito che qui troveremo un condizionatore anche in pieno di giorno, figurarsi a quest’ora. E poi non potete chiedermi di sparare a tutti gli uccelli di queste isole. Sarebbe più fattibile prosciugare l’oceano. –
- Allora prosciugalo, così almeno non arriverà questa puzza di acqua sporca. – e Marluxia maledì i sensi sopraffini del ragazzo che era capace di fiutare un odore a chilometri di distanza e di sentire una voce, anche se stava zitta.
Non che fosse una novità poi. Lui alle richieste assurde c’era abituato. Come quando da piccolo Roxas guardava i documentari e ogni tanto se ne usciva con cose tipo “Vollo una cacca di cammello” e per lui era irrilevante che non ci fossero cammelli, né zoo nel raggio di migliaia di miglia. No, lui pretendeva di averli e, una volta perso una giornata di viaggio per portare un sacchetto puzzolente, ci si sentiva rispondere “Che ‘chifo. Buttalo” e veniva voglia di strangolare quel bel bambino biondo.
Roxas provò ad alzarsi, ma una fitta al braccio gli fece sfuggire un gemito di dolore. Marluxia gli si avvicinò, le braccia che ricadevano lungo i fianchi.
- Dove vuoi andare? – gli chiese vedendo le sue smorfie di dolore.
- Da qualche parte in cui io possa dormire in pace. – il servo si avvicinò alla finestra. Fuori, a parte il canto degli uccelli, regnava la calma più totale.
- Abbiamo dei tappi e un ventilatore, se puoi accontentarti. – disse, sapendo che era inutile. Roxas, anche a costo di non dormire per tutta la notte, non si sarebbe mai abbassato ad accettare le proposte di un maggiordomo.
- Che oggetti barbari e plebei. – rispose infatti. – Domani compra dei muri insonorizzati e installa un condizionatore. Ora vai. – e quello era un congedo. Marluxia sospirando uscì dalla stanza.
Roxas sbuffò e chiuse gli occhi. Quel posto faceva schifo e la presenza di Ven, che aleggiava nell’aria con l’odore salmastro, di certo non migliorava le cose.

Reno era sempre il primo a svegliarsi. Nella sua routine quotidiana rientrava: lavarsi, vestirsi, preparare la colazione, svegliare Elena, Kairi e adesso anche Axel, e uscire di casa per andare al lavoro.
Per cui si stupì quando aprendo gli occhi, alle sei in punto come ogni mattina sentì dei rumori provenire dal basso e l’odore di caffè forte gli stuzzicò le narici.
Ma si sconvolse ancor di più quando scese lentamente e trovò Axel, il suo fratello incapace, dormiglione e nullafacente seduto al tavolo, già con la divisa da lavoro e con una tazza fumante di caffèlatte tra le mani.
- Non sapevo sapessi fare il caffè. – osservò stiracchiandosi e prendendo una tazzina.
- L’ho imparato a Rain Town. Ho lavorato in una caffetteria. – ma entrambi sapevano che quella era una bugia. Il tono di Axel era pacato e assolutamente calmo. Reno si sedette di fronte a lui e cercò di guardarlo negli occhi ma Axel continuava a tenere gli occhi fissi sulla tazza.
- Non avresti dovuto trattarla in quel modo. – lo richiamò senza neanche specificare cosa. Axel distolse per un attimo lo sguardo e poi rispose, senza scomporsi: - Se l’è cercato. -.
- Sai che non è così. – Reno sorseggiò il caffè e costatò che faceva davvero schifo.
- Invece lo è. Kairi non crescerà se continui a trattarla come un’idiota. Deve imparare a cavarsela da sola. – Reno sospirò, chiedendosi perché suo fratello fosse così stupido:
- Senti Axel…- cominciò serio – Non mi interessa quello che hai visto, fatto o imparato là. Non puoi spezzare il cuore a Kairi, solo perché…-.
- Buongiorno. – Elena interruppe la loro conversazione. Era già mezza pronta per andare al lavoro, notò Axel meravigliandosi di non essersi neanche accorto che si era svegliata. Eppure lei indossava ancora il pantalone del pigiama, ma già un golfino beige e un orologio. Li guardò rimproverante. – Non va bene parlare di queste cose di prima mattina, vediamo di far iniziare bene la giornata. –
Reno tentò di lanciare un’occhiata ad Axel, senza riuscirci di nuovo, e si alzò in piedi. Baciò Elena sulla fronte e salì le scale borbottando un “Vado a prepararmi”.
- Axel…- cominciò Elena aprendo il frigo e prendendo il latte. Axel si alzò spazientito:
- Che c’è? Vuoi anche tu farmi la predica per “Come ho trattato la povera Kairi”? – si infilò il cellulare in tasca. Elena scosse la testa:
- No. Solo buona giornata. –
- Buona giornata. – Axel uscì sbattendo la porta e la casa ripiombò nel silenzio.

Quando Riku si svegliò la prima cosa che avvertì furono dolori in tutto il corpo. La seconda fu un grande peso poggiato sul suo petto, che per poco non gli impediva di respirare.
Aprì lentamente gli occhi e non si sorprese di vedere Xion, avvinghiata a lui, che dormiva placidamente.
Erano entrambi sul pavimento della cucina, che era un vero disastro, e poco distanti da loro, abbandonato su una sedia Zexion sonnecchiava a braccia conserte. Demyx, invece, aveva optato una soluzione più pratica: sdraiato sul tavolo, con braccia, gambe e bocca spalancate, che ogni tanto muoveva, come se stesse facendo un angelo nella neve.
Riku tentò di ricostruire gli eventi della sera prima: c’era stato quel ridicolo spettacolino organizzato da Aqua, poi avevano deciso che la papera sarebbe rimasta e poi…
Avevano passato la notte a inseguire una papera e sembrava che nella loro casa fosse appena passato Sonic The Hedgehog inseguito dal Dottor Eggman.
O almeno quello era stato il paragone di Demyx per sdrammatizzare una situazione. Come se non fosse un dramma abbastanza ridicolo di suo.
Rinku, chiuse gli occhi assaporando quell’attimo di tranquillità e poi guardò Xion: i capelli neri le ricadevano sugli occhi chiusi e le mani erano poggiate a pugni sul suo petto. Quando dormiva poteva sembrare davvero carina…e innocente.
La poggiò sul pavimento sollevandola di peso e si alzò, sebbene fosse dolorante.
Si guardò attorno stropicciandosi gli occhi: davvero sembrava ci fosse appena stato un uragano nella loro cucina. Stoviglie per terra, piatti rotti, persone sul tavolo…e Aqua. Seduta sul pavimento, poco distante dalla sedia di Zexion lo guardava sorseggiando qualcosa che Riku non riuscì a capire cosa fosse.
- Buongiorno. – gli disse sorridendo. Riku si accigliò e la guardò stranito:
- Perché non ci hai svegliato? –
- Eravate carini. Quando mi sono svegliata stamattina dormivate così bene. – Riku girò un po’ per la stanza, poi una frase di Aqua lo colpì.
- Cosa vuol dire “Stamattina”? Che ore sono? – chiese impaurito.
- Il tuo scuolabus è passato dieci minuti fa. – e gli ci volle qualche secondo per assimilare la frase.
Poi il panico. Si gettò su Zexion urlando, che sbatté una decina di volte gli occhi prima di correre al piano superiore a lavarsi, lasciando lì Riku con due ragazze sul pavimento, uno sul tavolo e una giornata davanti che pareva essere più strana della precedente.

Oltre al solito odore di dentifricio, sapone e caffè quella mattina nello scuolabus di Destiny c’era anche aria di malumore. E uno strano mormorio che era silenzio tombale in confronto alle urla degli altri giorni.
Tra i primi sedili si vociferava di una verifica di storia a sorpresa che avrebbe messo l’insegnante della terza ora, cose che nessuno aveva studiato e qualcuno aveva anche tirato fuori il libro. Quello era il gruppo dei secchioni, pensava Terra. Il suo autobus era diviso in gruppi e ognuno aveva una posizione. Gruppi mai detti, posti segnati da scritte visibili solo nella mente di chi li frequentava.
Come se fosse uno strano film in cui ognuno rispettava il proprio copione. La solita routine, niente a spezzare la monotonia, gli strappi alle regole puniti severamente.
In gruppi erano quattro, in pratica: i secchioni, capitanati da un tizio di primo liceo, basso e con degli occhiali giganteschi, la classica “vittima preferita dai bulli”. C’erano anche loro sull’autobus, in gruppo con “gli atleti”. Sedevano agli ultimi posti, sgranocchiando rumorosamente merendine rubate e parlando in dialetto, ma fortunatamente almeno lì non picchiavano nessuno…non c’era da biasimarli se l’ultima volta che qualcuno lo aveva fatto, Terra, che era tutto tranne che debole, gli aveva spaccato il naso e lo aveva fatto scendere in mezzo alla strada.
Tra gli ultimi sedili, davanti ai bulli, guardandoli e ridacchiando ogni tanto – perché i ragazzi cattivi sono sexy- non ci si potevano trovare che le pupe. Bionde, rosse, more, non aveva importanza, per farne parte bisognava essere magre come stecchi, con un reggiseno imbottito e il doppio della quantità di trucco di un pagliaccio del circo. Ogni tanto anche Kairi vi andava, ma quel giorno era seduta tra i”neutrali”.
Ecco, i neutrali erano l’ultimo gruppo. Persone sedute nei posti centrali dell’autobus, a cui gli altri gruppi non facevano né caldo, né freddo, con voti mediocri a scuola e un’espressione assorta mentre guardavano fuori. Loro erano quasi sempre silenziosi, ma pareva che il loro silenzio si fosse esteso al resto dell’autobus: i secchioni sui libri, senza scambiarsi opinioni, i bulli mangiavano senza far troppo rumore e le pupe si truccavano silenziosamente.
I neutrali erano quelli che interessavano di più a Terra. Non solo perché Ven (che quel giorno gli aveva mormorato “buongiorno” imbarazzato e non gli aveva rivolto più la parola) ne faceva parte, ma anche perché li trovava interessanti, diversi dagli altri ragazzi. Fuori dagli schemi.
Quel giorno erano quattro: Ven, che guardava fuori e ogni tanto sospirava, Sora che lo guardava a sua volta e poi distoglieva tristemente lo sguardo, Kairi che singhiozzava e Naminè (solitamente tra i secchioni, con Riku, che quel giorno era assente) che, dopo aver provato per dieci minuti a consolarla si era arresa e se ne stava seduta al suo fianco, con l’album da disegno stretto tra le mani e gli occhi chiusi.
Già, erano davvero interessanti.

La mattina di Roxas era cominciata molte ore prima. Dopo aver appurato che non avrebbe più ripreso sonno alle quattro si era alzato dolorante e con molta fatica si era vestito - non che il non-dormire per lui fosse un problema, a Rain Town c’erano settimane in cui Morfeo lo scansava come se fosse peste e lui reggeva egregiamente fresco come una rosa, tenuto in vita da tazze di caffè e dosi di odio…e altro- . Poi era uscito di soppiatto, senza neanche sapere dove voleva andare.
Aveva vagato per quel dannatissimo paese, richiamando tutti i santi che conosceva e inventandone anche alcuni, per tutta quella dannata luce rosa (Da quando l’alba cominciava alle cinque meno un quarto???) e quella puzza. Era così diverso dal suo paese: lì, se uscivi a quell’ora non tornavi prima di essere stato stuprato, derubato e completamente drogato. Roxas a volte usciva, quando non riusciva a prender sonno e forse quella mattina aveva fatto lo stesso pensando di trovar le stesse cose. E invece la città era nel completo silenzio, già parzialmente illuminata e gli unici esseri in giro erano i cani e i gatti che dormivano nei parchi: pure quelli erano calmissimi!Rain Town non dormiva mai, e invece lì era come se il paese vivesse sotto sedativi: che noia! Non avrebbe vissuto lì, neanche in cambio di vedere suo padre finire nella merda più profonda con quella sgualdrina da quattro soldi…no, forse per quello il sacrificio lo avrebbe fatto.
Poi era sceso sulla spiaggia e lì il suo disgusto aveva raggiunto il limite: tutta quella sabbia che gli si infilava nelle sneakers con i decori in oro e rubini e i lacci di seta –aveva deciso di mettere delle scarpe “scadenti” per evitare che le altre si sporcassero -, gli solleticava i piedi ed era terribilmente fastidiosa. C’era rimasto solo perché il mare lo aveva affascinato: avanti e indietro, avanti e indietro con i primi raggi di sole che lo rendevano brillante, era calmante. Quando il primo bar aveva aperto ci si era fiondato dentro e la scena era stata più o meno questa:
- Un caffè. –
- Qual è la parolina magica? –
- Vaffanculo? –
- No. Sei troppo piccolo per prendere un caffè. Torna quando avrai imparato l’educazione. –
E Roxas l’aveva mandato a quel paese, senza neanche sforzarsi di tradurlo nella lingua del posto ed era uscito, irritato come non mai: che sfacciataggine!
Aveva vagato un po’ per la città tentando di sbollire la rabbia e, quando il campanile principale aveva rintoccato sette volte aveva chiamato Marluxia ordinando di non fare domande e di portargli un caffè e la cartella.
E solo quando Marluxia gli aveva chiesto “Come non sai dove sei? Dai Roxas, conosci come le tue tasche una città che è cento volte questa e non riesci ad orientarti in un pertugio?” si era davvero reso conto di quanto quel posto facesse schifo.

Kairi sapeva poco.
Sapeva poco della vita.  Spesso la definivano “superficiale” perché si fermava alle apparenze, senza approfondire troppo. Le persone non capivano. Non capivano che lei si fermava alle apparenze perché le poche volte che era andata in fondo era stato troppo doloroso. Allora preferiva vedere, Naminè per fare un esempio, come una ragazza bella, dolce e gentile, facendo finta di non sapere a cosa era dovuta la sua gentilezza.
 Sapeva poco dei suoi genitori. Erano morti quando aveva solo cinque anni, lasciandoli con una zia che abitava lontano fin quando Reno non era diventato maggiorenne e loro erano tornati sull’isola.
I ricordi che aveva di loro erano confusi, forse falsi. Non riusciva a ricordare il sorriso di sua madre, o le carezza di suo padre. Per lei c’erano sempre stati solo Reno che la sgridava e Axel che la difendeva. Quella era la sua vita. Nient’altro.
Sapeva poco della scuola. I suoi voti erano mediocri. Quando era piccola, alle elementari, era la più brava della classe. Era una bambina intelligente, costantemente educata e buona. Poi era arrivata Elena che le aveva portato via Reno, e visto che Elena rappresentava la scuola, la scuola andava odiata.
Sapeva poco di se stessa: non si sforzava neanche di conoscersi a fondo. Non si era mai fermata a riflettere su cosa le piaceva davvero e cosa odiava. Preferiva nascondersi dietro un lucidalabbra e del mascara ed essere sempre l’allegra, bella, falsa Kairi.
Sapeva poco di Axel. Da quando era tornato, era completamente diverso, come un’altra persone. Aveva passato tre anni, ogni volta che Elena e Reno la sgridavano, a consolarsi con il pensiero che se Axel fosse stato lì, l’avrebbe sicuramente protetta e invece quando era tornato l’aveva fatta sentire una stupida, perché aveva passato tre anni ad illudersi. E tutti quel “Sono cresciuto” e cose del genere Axel non li avrebbe mai detti. Non sapeva neanche perché era diventato così, chi o cosa l’aveva cambiato in modo così radicale (E questo era ancora peggio, che sapere chi o cosa era stato).
Kairi aveva solo tre certezze nella vita:
La prima era che Reno se n’era andato, adesso era di Elena.
La seconda era che Axel l’aveva abbandonata e non sapeva neanche perché.
E l’ultima era che ormai era sola e le cose non sarebbero mai tornate come prima.

Demyx era convinto che Xemnas l’avrebbe licenziato. Correva a perdifiato per le vie, cercando di diminuire il più possibile il ritardo che avrebbe fatto al lavoro.
Probabilmente il capo aveva già appeso il cartello “Cercasi Bar Man/Cameriere” e lui sarebbe finito sotto un  ponte a chiedere elemosina.
Zexion lo avrebbe cacciato, era solo questione di tempo. Non gli aveva ancora chiesto se lo amava o meno, ma continuava ad ignorarlo per cui la risposta era no.
Larxene e Axel la sera prima gli avevano aperto gli occhi.
Smettila di illuderti Demyx. Gli avevano detto E’ chiaro che quel tizio ti sopporta a malapena, figuriamo amarti. E lui aveva pensato che lo dicevano solo per farlo soffrire, perché per colpa sua avevano rischiato il lavoro, e se n’era andato senza rivolgergli la parola.
Dopotutto, quand’erano piccoli Larxene e Axel gli avevano fatto centinaia di scherzi. Ma adesso erano entrambi cambiati, si erano allontanati come se non gli importasse più niente l’uno dell’altro.
A Demyx sarebbe piaciuto davvero tanto tornare a quando avevano otto anni e le cose andavano bene.
Svoltò l’angolo e entrò dalla porta sul retro, sperando che i suoi colleghi non si fossero accorti della sua assenza.
Tirò un sospiro di sollievo, quando arrivò nel bar, dove Axel lo stava sostituendo.
- Sei in ritardo. – osservò atono il rosso, lavando una tazzina di caffè. Non lo aveva nemmeno salutato.
- Mi dispiace. – rispose Demyx annodando il grembiule. La loro divisa era la classica divisa da camerieri: pantalone nero, camicia bianca e gilet nero con i bottoni dorati.
- Io e Larxene ti abbiamo coperto, ma sappi che la prossima volta non lo faremo. – se ne andò con lo sguardo basso e Demyx notò che aveva un’espressione lugubre in faccia e gli occhi rossi, segno che probabilmente non aveva dormito.
Però sorrise mentre chiedeva a un cliente cosa prendeva.
In fondo le cose non erano cambiate così tanto.

Se Ven il giorno prima aveva quasi avuto un infarto quando aveva visto Roxas, quella mattina allora poteva essere decretato biologicamente morto.
 Forse suggestionato dai sogni di quella notte – che riguardavano in parte Terra, in parte Roxas -, forse perché Roxas era ancora più spaventoso, lanciò un gridolino quando entrando in classe lo vide.
Era seduto in prima fila con il mento poggiato nelle mani aperte a coppa, i gomiti appoggiati al banco; era pallido come un lenzuolo, una benda bianca gli copriva l’occhio sinistro, e sotto quello destro vi erano delle occhiaie rosse spaventose. L’espressione era a momenti assente, a momenti irritata e subito dopo pensierosa e non degnò Ven di un solo sguardo, quando entrò.
Tuttavia quello rimase ad osservarlo paralizzato per parecchi secondi, poi deglutendo gli si avvicinò.
- Che-che cosa ti è successo? – domandò indicando l’occhio sinistro.
Roxas sorrise interiormente: Marluxia si sbagliava, avrebbe avuto l’occasione per rovinare la reputazione di Cloud. Gli sarebbe bastato alzare un po’ di più la voce, spezzarla un pochino e fingere tristezza et voilà... suo padre sarebbe stato perduto.
Ma le parole gli morirono in gola. – Non vedo come possa interessarti. – Sora trascinò via Ven e Roxas si maledì. E che gli era preso in quel momento? Perché non lo aveva detto? Bah, sicuramente colpa della mancanza di riposo. Era come se si fosse fatto una mezza canna.
- Riku non c’è. – notò Sora tristemente, osservando il banco vuoto. Ven non gli rispose e continuò a guardare Roxas, pieno di qualcosa che Sora non avrebbe saputo riconoscere.
Poi l’illuminazione. Si coprì la bocca con le mani e spalancò gli occhi: possibile che fosse preoccupazione quella? Che Ven era preoccupato perché Roxas si era fatto male?
Impossibile, lo conosceva da meno di un giorno. Ven era quello che quando lui cadeva dalle palme della spiaggia si limitava a dire “Te l’avevo detto di non salire”, non si era mai preoccupato per lui. Anche se la maggior parte delle volte ci salivano insieme e loro madre sgridava entrambi.
Però Ven NON poteva preoccuparsi per Roxas. NON doveva farlo.
La professore di matematica entrò urlando “Buongiorno” per zittire il chiacchierio. Si si sedette e aprì il registro.
- Aoi Riku. – calò il silenzio. Tanti si guardarono in faccia e il professore alzò lo sguardo: - E’ assente? Perché Riku è assente? – Tutti si voltarono verso Sora e quello arrossì. Lui e Riku stavano sempre insieme, ovvio che pensassero che sapeva dov’era.
- Io…non lo so. – disse tenendo gli occhi fissi sul banco. Poi la porta si spalancò e Riku entrò tutto trafelato. Aveva i capelli argentei scompigliati e la camicia abbottonata storta, ma ciò, lo rendeva ancora più figo, pensò Naminè vedendo le sue compagne guardarlo sospirando.
Sora sembrò sollevato e Riku si inchinò, con il fiatone e rosso in viso:
- Professore…- sospirò – Mi scusi il ritardo. – Quello gli lanciò un’occhiataccia e borbottò “Va a sederti”.
Riku fece come gli era stato detto e Sora lo guardò come a dire “Dov’eri finito?”
- Un casino. – mormorò – Ti racconto dopo. –
E “un casino” era il modo migliore per descrivere quella giornata.

Naminè proprio non riusciva a concentrarsi. Lei odiava le materie scientifiche, le studiava solo per far contento suo padre e i professori. Ma quel giorno era particolarmente disattenta e la sua testa vagava da un pensiero all’altro carpendo ogni tanto qualche parola del professore, ma non riuscendo a cogliere una frase intera.
Pensava ad Axel, il fratello di Kairi, perché in lui c’era qualcosa che non quadrava. A come l’aveva trattata la sera prima e a come Kairi c’era rimasta male.
Pensava a Riku, che in quei giorni sembrava star impazzendo, diviso a metà tra Sora e la sua famiglia.
Pensava anche a Xion e un po’ le faceva pena, perché se rimaneva così attaccata al cugino non sarebbe mai riuscita ad uscire dal suo guscio.
Pensava a Sora, così apprensivo con il fratello, così dolce e ingenuo, così confuso.
A Ven, che era quello che compativa di più, perché Roxas doveva essere un duro colpo.
Roxas era quello su cui cadevano più volte i suoi pensieri: così affascinante, segreto, bugiardo, ricco e impossibile. Come il protagonista di uno di quei film che guardava con Kairi.
E poi pensava a quello che lei aveva definito “il quadrato impossibile”, che  non era un illusione ottica, ma un intreccio di relazioni: Riku-Sora-Ven-Roxas, i quali cambiavano parte, umore, carattere come ad un gigantesco ballo. Si chiedeva cosa sarebbe successo quando la musica si fosse fermata e lo immaginava come il dipinto di un grande pittore dell’impressionismo con un grande salone dorato con Kairi, a un lato, vestita di blu, come le sue lacrime, con Axel che guardava qualcosa che lei non poteva vedere, al suo fianco; al centro della stanza Riku, in grigio, accanto a Sora vestito di viola – il colore del tormento- che però guardava per terra e lontano da tutti e tutto Ven, di bianco, tendeva la mano a un Roxas completamente nero che tra le dita stringeva un cuore sanguinante.
Magari lo avrebbe dipinto, quando sarebbe stata più grande. Solo una cosa guastava in quel quadro: lei non c’era. Non avrebbe saputo proprio dove mettersi.

Axel stava impazzendo.  Non era una cosa proprio accertata, ma lui era convinto di star impazzendo.
Non sapeva neanche lui perché aveva trattato Kairi così, o perché si sentiva perseguitato.
Ad esempio quella mattina gli era parso di vedere qualcuno in riva al mare, e solo dopo essere scappato il suo cervello aveva dedotto che nessuno là era così scemo da andare al mare alle sei di mattina.
Sospirò, dando l’ultimo tiro alla sigaretta. Avrebbe dovuto chiedere scusa a sua sorella, non era mica colpa sua se era così teso.
- Il signor Flames ha forse cose più importanti a cui pensare che non gli permettono di svolgere bene il suo lavoro?- Xemnas lo fece sobbalzare.
- Neanche una pausa ci si può prendere! – sbottò schiacciando la sigaretta sotto il piede.
- Non nelle tue condizioni, Axel. – conosceva i suoi dipendenti, come figli. Li aveva avuti quasi tutti quando faceva l’insegnante al liceo e il paese era piccolo, per cui sapeva le loro storie – Ti tengo d’occhio, sei strano. – Axel lo guardò confuso: - Eh? –
Ma Xemnas si era già allontanato.
Bene, se lui stava impazzendo gli altri se n’erano accorti.

Zexion si annoiava, a dir poco. Se ne stava seduto al bancone, mentre con una mano reggeva un noiosissimo thriller e con l’altra tamburellava sul banco. L’uomo biondo, il nuovo padrone della libreria, era andato quella mattina per comunicargli i nuovi orari della biblioteca e tutti i cambiamenti che dovevano fare.
Inutile dire che Zexion non aveva ascoltato una parola di quello che aveva detto: di cambiamenti gliene avevano sempre proposti tanti e alla fine la biblioteca era ancora com’era quindici anni prima.
Chissà che fine aveva fatto Demyx. Quando Riku lo aveva svegliato quella mattina, la papera non c’era, era sparita nel nulla. Bah, forse era scappata, meglio così.
Sbuffando, gettò il libro sulla scrivania, incrociò le mani dietro la testa e fece fare un giro alla poltrona girevole. Che noia.
Zexion chiuse gli occhi pensando che se lui avesse potuto vivere, sarebbe diventato un caporedattore di un’editoria, o qualcosa del genere.
Perché lui non viveva. Lui sopravviveva. E sopravvivere era peggio che morire.

Roxas rispose all’ennesima domanda del professore, lasciando di stucco un’altra volta tutti. Aveva capito che quella sottospecie di insegnante doveva valutarlo, ma mica poteva interpellarlo ogni tre secondi. Specie dopo aver capito che era un genio e che sapeva già tutto.
Come si annoiava là. I professori erano certe pappe molli, certi fogli di carta che si scandalizzavano solo nel sentire tutto il programma riassunto in mezz’ora. Tipo quelli della scuola pubblica che aveva frequentato a Rain Town negli ultimi due mesi.
Il percorso scolastico di Roxas era stato strano: dai due ai sei anni era stato in un asilo nido, in cui la servitù lo accompagnava alle 08.00 e lo andava a prendere alle 21.00 ed era talmente pieno di attività che, una volta tornato a casa, non poteva fare altro che crollare sfinito.
In prima elementare aveva dato il meglio di sé, talmente da essere giudicato “Non idoneo alla scuola pubblica”. Un giorno aveva incendiato il banco e dato della zoccola alla maestra, solo perché l’aveva vista a casa sua e aveva pensato che era un’altra delle donne del padre.
E così, fino ad undici anni casa sua era stata invasa da una processione di psicologi e insegnanti privati molto severi – e maneschi, perché la politica di Cloud era che “Se ho un figlio storto c’è un solo modo per raddrizzarlo” e si riferiva proprio alle mani-.
Senza parlare di quelle discipline morte come galateo, buone maniere, pianoforte e tutte le arti possibili e immaginabili, che Roxas era costretto a imparare ogni giorno, perché “La signora, vorrebbe”.
Neanche una delle tante che avesse avuto pietà per lui….non che Roxas desiderasse la pietà di qualcuno.
Poi c’era stato il periodo che Roxas aveva considerato come il Boom della sua vita: La Scuola Privata Secondaria di I e II Grado di Boulevard de l'or, dov’era rimasto fino a quattordici anni, quando la scuola era “crollata” e lui era finito nella pubblica.
Una retta salatissima e professori e alunni – i più griffati e ricchi del pianeta – senza alcuna regola.
Lì, sì che Roxas si era divertito. Potevi litigare per giornate intere con i professori e quelli, magari ti avrebbero picchiato ma niente “Vado a chiamare i tuoi genitori”e note sul registro.
Persone sfrontate, frasi ricche di acido e superiorità.
- Tu Strife, che segno zodiacale sei? –
- Vergine, signore. –
- Davvero? Pensavo che la tua verginità fosse una leggenda del primo 1800. –
- Professore se lo volete, basta chiederlo. –
E tra una spiegazione e l’altra le giornate passavano così.
Roxas sospirò di nuovo lanciando un’occhiataccia al brillante cielo azzurro e al sole luminoso.
In quel posto tutto sapeva di allegria e felicità. Non poteva sopportarlo.

- Altro frappé alle fragole, Aqua? – chiese Terra cortese. Lo fece solo per educazione perché non aveva alcuna voglia di offrire altro a quella ingorda. Capiva che era ora della merenda, ma un pacco di patatine, un gelato alla vaniglia e un frappé alle fragole non erano un po’ troppo?
Avrebbe preferito una di quelle ragazze “O mio Dio, una patatina fritta! Mi rovinerà la linea!” che andava tutta tranquilla perché “tanto a me i chili si mettono davanti”.
Non che potesse darle torto con il fisico mingherlino e il davanzale che si ritrovava.
- Terra, mi stai guardando le tette? – chiese quella scettica con le nocche della mano già pronto a dargli uno di quei ceffoni che solo Aqua sapeva dare. In pratica non lo dava con il palmo, ma con la parte esterna e, avendo le nocche durissime e le unghia affilate, oltre allo schiaffo subivi un pugno e se ti andava proprio male pure qualche graffio.
Il ragazzo si riscosse prontamente mettendosi fuori portata: - Ero-ero sovrappensiero. – provò a giustificarsi.
- E allora va in sovrappensiero da qualche altra parte. – rimbeccò acida. Terra si pentì di averla invitata “ a prendere qualcosa al bar dei tredici”: pensava di ottenere una consulenza gratuita facendola passare per chiacchierata fra amici, invece fino a quel momento lei aveva mangiato a sbafo e lui aveva pensato a cosa dirle.
- Aqua…- chiamò distogliendola dallo giocherellare con il bordo del bicchiere. Delle goccioline rosa salivano e scendevano dalla cannuccia trasparente. – Mh? –
- In pratica c’è questo mio amico… - cominciò con fare misterioso. Se non sapeva che era per lui la consulenza non poteva farlo pagare. In fondo fregare una matta non doveva essere così difficile. – A cui piace un ragazzo…anzi no, una ragazza. – Aqua inarcò un sopracciglio scetticamente. Dannazione, non doveva improvvisare, non gli veniva mai bene.
- Però in pratica questa ragazza non lo sa. E lui l'ha accarezzata sulla testa. Così. – Gli mise una mano sui capelli color cielo. Lei la tolse prontamente: - Mi rovini l’acconciatura. –
Acconciatura? Come se non sapesse che per quanta lacca metteva neanche una tempesta di meteoriti le avrebbe spostato una ciocca.
- Comunque ora questo mio amico vorrebbe sapere cosa deve fare. Perché vede questa ragazza anche molto spesso e la desidera. – cercò di non mostrare il suo imbarazzo a quelle parole. Dopotutto era “un suo amico” innamorato di “una ragazza”.
Quella, più che una domanda per una psicologa, era una domanda per quelle rubriche amorose su quei giornali per donne – non che Terra ne avesse mai letto uno, gli era capitato per caso, sia chiaro – ma, in fondo, l’azzurra era anche la sua consulente in amore.
Aqua lasciò finalmente il bicchiere vuoto e incrociò le mani al petto (per quanto le fosse possibile). Era una delle posizioni che assumeva quando pensava.
- Vediamo: direi che dovrebbe prima cercare di scoprire, in qualche modo, se la ragazza è innamorata di lui e se lo è dovrebbe dirglielo, se non lo è…cambiare città potrebbe essere una buona soluzione. – continuò ad annuire anche dopo aver finito per sostenere il consiglio.
“Ma se non ha abbastanza soldi?” avrebbe voluto chiedere ma non lo fece per non farsi scoprire.
- Ok, grazie. Vado a dirglielo. – Stava per alzarsi ma Aqua gli tese il palmo. La guardò interrogativo.
- Dieci bigliettoni. O altrimenti la prossima volta che tocchi Ven il signor Leonhart lo saprà prima di quanto tu possa immaginare.-
Terra, per non perdere quel briciolo di dignità che gli era rimasta, pagò in silenzio.

Tifa si stava lamentando. Non era la prima volta che si lamentava però in quel momento lo stava facendo più forte. Da almeno cinque minuti.
Ormai stavano insieme da un mese e lui aveva subito sempre le stesse lamentele, e non solo da lei, ma da tutte le donne che aveva avuto.
“Non stai mai con me”, “Sei sempre in viaggio per lavoro”, “Sembra che ti importi più delle tue industrie che di me” e tutto il solito repertorio che le donne tiravano fuori quando si arrabbiavano, sempre così monotono che si stupiva di quanto i loro copioni fossero tutti uguali.
Non capivano. Per quanto poteva amarle (e non sempre lo faceva davvero) aveva quasi monopolizzato l’industria mondiale, un po’ di attenzione da parte dei suoi confronti ci voleva, no?
Aveva assunto un dirigente per ogni settore ma comunque doveva fare attenzione a quello che succedeva.
E, anche se si era fatto convincere da Tifa a fare quella “vacanza” lì, per staccarsi un po’ da tutto, doveva comunque lavorare.
La ramanzina del giorno era perché era stato al telefono per due ore. A Rain Town, non ricordava neanche in quale campo, avevano avuto un problema per un blocco di fondi e a lui era toccato risolverlo spendendo di bolletta quanto entrava nelle sue casse in un mese.
…No, quella era una grandissima cazzata.
Neanche nel secondo più misero della sua vita aveva guadagnato così poco.
E poi quella mattina aveva avuto un altro motivo per essere irritato. Aveva controllato le uscite e se lo sarebbe ricordato) spendeva a settimana quattro volte la sua paghetta settimanale.
Già, quell’essere inutile e piantagrane nato da un suo spermatozoo che aveva sfortunatamente fecondato con le ovaie di una tizia di cui non ricordava neanche il nome.
Ma quella era una bugia.
Quanti guai gli aveva procurato nei suoi diciassette (o erano sedici? O forse diciotto?)anni di vita?
Sembrava che facesse di tutto per minare alla sua reputazione.
Aveva speso milioni per coprire tutti i suoi casini: la droga, il suo nome accusato da boss della malavita (neanche riusciva a capacitarsi di come ci fosse arrivato), le foto scattate dai paparazzi davanti ai pub che lo ritraevano mezzo nudo a flirtare con qualcosa (perché ce n’erano con qualunque cosa dotata di vita, da una bambina di tredici anni a un trentenne tatuato), per non parlare di quanto gli era costata la clinica di disintossicazione dove aveva dovuto mandarlo dopo l’overdose!
Il resoconto delle spese fatte prima di partire era spaventoso: aveva svaligiato tutti i negozi (comprando anche roba inutile come una gonna a fiori anni 80) di “Rue de la mode”, la via dall’alta moda e la più cara di Rain Town, dove, come recitava il cartello all’inizio della strada “Se non hai almeno 320 munny nel portafoglio non ti compri nemmeno un fazzoletto”.
Sopprimerlo e coprire tutto sarebbe costato molto meno.
- Cloud, ma mi stai ascoltando? – Tifa irritata irruppe nei suoi pensieri.
La guardò: indossava un pantalone beige e una camicia nera e i capelli erano legati in una coda.
Cloud non si fece trovare impreparato: - No. La prossima volta nasconditi dietro qualcosa quando parli, così la tua bellezza non può distrarmi. –
Lei non tentenno: - Guarda che stavo parlando di una cosa seria. – Cloud annuì, le si avvicinò, le strinse le spalle e le infilò la lingua in bocca.
Tifa, ovviamente, perse il filo del discorso e forse non si sarebbe neanche ricordata di cosa stavano parlando.
Cloud sospirò dentro di sé. Quella tattica funzionava sempre con tutte.
Già, tutte tranne una.
Ma lei era diversa.

Fortuna che quel giorno era libera, così aveva potuto mettere a posto casa sua!
Da quando era arrivato Terra, tutto quello nel garage era stato spostato in quella casa e ora non si capiva più niente.
Per di più i suoi figli non l’aiutavano per niente, lasciando giocattoli, libri e mutande in giro per la casa.
Ma quante volte glielo aveva detto di mettere a posto quella dannata stanza?
Lei stessa, dopo aver aperto la porta e non essere riuscita ad entrare a causa del pavimento interamente occupato da cose, aveva rinunciato e si era limitata a spruzzarvi un po’ di deodorante per ambienti e richiuderla, per lasciarla per ultima, perché – era certa – dare un aspetto decente a quella stanza le avrebbe occupato tutto il pomeriggio.
Li avrebbe puniti quei due, era certa. Sora e Ven erano la cosa migliore che gli fosse capitata, ma Aerith ogni tanto si ritrovava a pensare che tutto quello che aveva fatto in sedici anni per educarli era stato tutto inutile. E persino Squall, il poliziotto che sarebbe dovuto essere più che severo, ogni volta che li vedeva veniva preso da improvvisi attacchi di bontà, e si scioglieva ai loro sorrisi.
Certo, di difetti quei tre (sì, tutti e tre) ne avevano a bizzeffe, ma Aerith li amava per quello che erano, mutande sparse comprese.
Facendosi coraggio aprì la porta della camera, facendo un piccolo resoconto.
Beh, aveva trentadue anni, due splendidi figli, una ditta di pulizie per tutto il piccolo meraviglioso paese in cui abitava, un marito che amava da morire e nessun rimpianto.
Si bloccò mentre alzava un libro di matematica, probabilmente lanciato a terra in un momento di rabbia (perché “Signora, i suoi figli sono intelligenti ma non si applicano”).
Nessun rimpianto. Suo marito era perfetto e i suoi due figli erano meravigliosi.
Scacciò dalla testa l’assurdo pensiero che per un attimo aveva formulato.
No. Il passato era passato. Ciò che si era lasciato non poteva tornare.
La sua vita doveva continuare. Lei non aveva nessun rimpianto.

Anche Marluxia stava mettendo a posto in un’altra stanza molto disordinata, solo che in quel caso per terra c’erano soprattutto vetri e alcune macchie di sangue.
Se ci fosse stato qualcuno di CSI probabilmente avrebbe giurato che c’era stato un omicidio e chi avrebbe pensato che era solo colpa di un ragazzino scemo – o fin troppo geniale, dipende dai punti di vista – che, tutto ammaccato alle tre di mattina avesse deciso di alzarsi, prendere una bottiglia (di...cos’era? Vodka?), tagliarsi nel tentativo di aprirla e fallito quello, gettarla per terra e uscire per andare chissà dove.
Ma ormai aveva imparato a non sorprendersi più per Roxas, lo conosceva da troppo tempo.
Suo padre era il cameriere personale di Cloud, sua madre era la cuoca di servizio e così lui negli alloggi della servitù di villa Strife ci era nato e cresciuto e, come per una maledizione, era rimasto lì tutta la vita – come tutti gli altri d’altronde - .
- Siete solo un mucchietto di galline e polli in gabbia- gli diceva Roxas, nei momenti in cui era più gentile – nascete e vivete solo per servirmi e procreate per darmi altri servitori.
E, per quanto crudeli, erano cose vere: fin da quando erano bambini lui e gli altri erano stati educati a lavare, stirare e servire, come in un ghetto di stranieri. Nessuna possibilità di andarsene. Nessuna possibilità di uscire. Solo pochi c’erano riusciti ma probabilmente erano morti prima di sistemarsi.
Lui aveva dieci anni quando Roxas era nato. A quel tempo le cose andavano bene.
C’era il vecchio signor Strife, il giovane Cloud e la sua amabile ragazza. Tutti volevano bene a loro e a quel pancione ogni giorno più grande, che riceveva più attenzioni della coppia messa insieme.
Neanche sapeva come si erano ritrovati in quella situazione. Il signor Strife era morto.
La “signora dal cognome impronunciabile e il nome che non si può scrivere” se n’era, portandosi via i cuori di Roxas e Cloud.
Aveva lasciato lì solo due corpi vuoti e freddi che non sarebbe stati più riempiti.

Le Isole del Destino erano quasi un’utopia, uno di quei posti ideali in cui non c’è criminalità e vivono tutti felici e contenti.
Ed era proprio per questo che le persone che andavano in vacanza lì si chiedevano a cosa servisse una stazione di polizia e cosa facessero i poliziotti tutto il tempo.
Anche Squall se l’era chiesto, quando era stato assunto.
Lui era nato e cresciuto a Rain Town dove il tasso di criminalità era pari a quello di smog, per cui era abituato a vedersi episodi di cronaca nera scorrere davanti agli occhi come scene di vita quotidiana e si era sentito quasi in paradiso arrivato lì.
Non succedeva mai niente, perché tutti conoscevano tutti e se succedeva qualcosa la vicina di casa lo sapeva. La situazione si movimentava un po’ solo quando c’erano i turisti.
E questo, soprattutto d’inverno, poteva essere noioso per loro che erano solo in tre: lui e due agenti.
Sorrise al pensiero del tema che Sora aveva fatto in terza elementare in cui aveva scritto “Mio papà fa il poliziotto. Ha anche una pistola, come nei giochi di Riku. Però non la usa mai perché dice che qua non ci sono uomini cattivi. Una volta mi piacerebbe vederlo sparare.”
Lui adorava la sua famiglia. Era tutto quello che aveva. Amava Aerith e voleva un mondo di bene a Sora. E Ven. Con lui era tutta un’altra storia: sapeva di doverlo considerare come suo figlio, ma proprio non ci riusciva. Sì, gli voleva bene, aveva cercato non fargli mancare mai niente, ma sapere che non era sangue del suo sangue, come Sora, in qualche modo aveva sempre ostacolato il bene nei suoi confronti.
In fondo Ven era la prova che Aerith una volta non apparteneva lui, ma ad un bastardo che l’aveva pure messa incinta di un figlio che non voleva. Non sapeva chi era, uno di Rain Town che Aerith non aveva mai voluto dirgli chi era.
Le faceva male e la capiva, per cui non aveva mai insistito. In fondo contava la sua vita attuale, il passato andava dimenticato.
A distoglierlo da quei pensieri fu lo squillo del telefono.
- Pronto, polizia delle Isole del Destino, chi parla?-
- Ciao Squall. – riconobbe immediatamente la voce di Jack, un suo amico e collega di Rain Town. Avevano frequentato l’accademia insieme e si erano tenuti in contatto anche dopo il trasferimento.
- Dimmi tutto. – fece cordiale.
- Niente. Sono rimasto in distretto e siccome mi annoiavo ho deciso di chiamarti.-
- Ah. -Se avesse dovuto chiamarlo lui ogni volta che si annoiava, probabilmente avrebbero passato le giornate a telefono. – E come va con le bande? –
Di problemi che assillavano la polizia di Rain Town ce n’erano tanti ma “le bande” ultimamente avevano cominciato a spiccare su tutti gli altri.
Gruppi di ragazzini (già, solo ragazzini. Si sapeva che il più vecchio aveva diciannove anni.), con una grande rabbia verso il mondo che sfogavano attraverso grandi e piccoli reati.
- Squall, te l’ho ripetuto. E’ Les noirs chats che controlla tutto. Devo dire che ultimamente si sono un po’ calmati. E’ come se avessero perso qualcosa.
Squall ridacchiò: - Gli sarà morto qualcuno. Mi chiedo perché non li avete ancora arrestati. –
Sentì un sospiro dall’altra parte del telefono: - Lo sai che dietro c’è tutto un giro di denaro sporco. Sono i figli delle persone più importanti del pianeta e sanno che non possiamo arrestarli. Insomma, la figlia del senatore Kellington, il nipote del presidente, i figli degli industriali che reggono la nostra economia sono praticamente intoccabili!  – La sua voce s’infiammo: - La settimana scorsa l’ho preso, sai??? Ho preso il burattinaio, Squall! Quello stronzo che manovra tutto e tutti, che crede di averci in pugno! E sai qual è la cosa bella? – Ora stava praticamente urlando e Squall dovette allontanare il telefono dall’orecchio per non rimanere stordito. – La cosa bella è che ha ragione! Ed è alto un metro e un sputo! Ti rendi conto che ci stiamo facendo tenere in scacco da un figlio di puttana alto un metro e uno sputo? E quando l’ho portato in centrale mi hanno detto che dovevo rilasciarlo!- si sentì lo squillo del telefono – Ora mi stanno chiamando. Ci sentiamo. – e poi la linea s’interruppe.
Squall chiuse gli occhi e lasciò cadere il telefono sulla scrivania. Pensò ai suoi figli, a quanto erano belle le Isole del Destino da quel punto di vista.  Né Ven, né Sora avrebbero mai incontrato gente del genere.

Ma cos’aveva quella donna al posto delle mani? Due incudini che si era divertita  a tirargli come fosse un pupazzo da punchboxing (Probabilmente questa parola non esiste…però suona bene n.d.A) e senza nemmeno preoccuparsi degli effetti che avrebbe potuto avere sul suo fragilissimo corpo. E di certo la passeggiata alle quattro di mattina non era stata un toccasana per i suoi muscoli, allenati quanto quelli di un bradipo nel tempo di letargo.
Risultato: Roxas non poteva muovere alcun arto senza lasciarsi sfuggire gemiti di dolore o che la fasciatura che aveva sulla gamba non si sporcasse ulteriormente di sangue e qualcosa gli diceva che andare in giro con una gamba sanguinante non avrebbe giovato alla sua immagine.
Ma gliel’avrebbe fatta pagare! Eccome, se gliel’avrebbe fatta pagare!
Stava seduto nel banco da quando era cominciata la ricreazione tamburellando nervosamente le dita sul legno e sbuffando ogni tanto.
Non che poi sarebbe dovuto andare da qualche parte. Era quasi un bene che rimanesse lì da solo, così non avrebbe dovuto subirsi tutte le domande a cui aveva già risposto quando era andato alla pubblica di Rain Town, sempre “per punizione”.
Tutti i cambiamenti e i traslochi, i camerieri, la nuova scuola, i nuovi professori gli avevano fatto perdere di vista il suo obiettivo.
Se ci fossero stati lì Les noirs chats…
Già, Les noirs chats. I gatti neri. Anche Roxas ci pensava di continuo. I suoi ragazzi. Li aveva conosciuti in Boulevard de l’or ed era stato amore a prima vista. Ragazzi annoiati, ricchi, intoccabili e non molto simpatici alla legge. Ovviamente il capo era lui: li aveva reclutati uno ad uno, li aveva ammaestrati e ora appartenevano a lui. La regola era una: niente bravi ragazzi o poveracci.
Dovevano far tremare il mondo, farlo cadere ai loro piedi, far capire a quei sempliciotti chi comandava.
Noi. Gli veniva ridere al solo pensiero. Nessuno di loro contava qualcosa. Né Olette, né Seifer, né tutti quei figli di papà che aveva conosciuto. Ma loro non capivano che erano solo succubi del suo potere, che era lui che li manovrava. Solo Roxas era il re e tutti gli altri le sue pedine.
Pensavano davvero che lo spaccio di droga, i furti, il sesso nei vicoli e i festini in compagnia bastassero a creare un noi? Razza d’illusi.
Per Roxas un noi non c’era mai stato. C’era solo un gigantesco Io. Da sempre e per sempre.
Ormai, nessuno poteva fare più niente per lui. Ormai andava bene così.

Il martedì era sempre il giorno migliore per la mensa degli alunni delle Destiny. Tale giorno e il venerdì facevano il tempo pieno, così gli era permesso, dalle 13.20 alle 14.20 di andare a mangiare in cortile oppure a casa.
Ven, Sora, Riku, Kairi e Naminè, invece di sedersi a una delle lunghe tavolate che occupavano il cortile sul retro, amavano sedersi sotto uno dei ciliegi che costeggiavano il cortile anteriore – il terzo della fila a destra, per la precisione- e fare un pic-nic con tanto di tovaglia a scacchi.
Era rilassante mangiare tutti insieme, sotto l’ombra dell’albero, senza il mondo a disturbarli.
Quel giorno però c’era qualcosa che non quadrava, che disturbava l’atmosfera.
Forse la faccia afflitta di Kairi, magari quelle preoccupate di Ven e Sora, o forse il tono con cui Naminè aveva detto “Devo farvi vedere una cosa”.
Nessuno aveva ancora toccato cibo e sulla tovaglia c’era solo un vecchio giornale che titolava “SYC” in azzurro.
Ovviamente tutti conoscevano quella testata (anche se nessuno aveva capito cosa volesse dire “SYC”), la più famosa e tradotta nel mondo, seguitissima da adolescenti e vecchie signore perché si divideva in succursali: c’era il SYC Sport, il SYC Gossip, il SYC attualità, il  SYC politica e via discorrendo fino a raggiungere i ventitré titoli, tutti mensili.
Quello che si presentava quel giorno davanti ai loro occhi era il “SYC Vip’s life” che raccontava i piccoli gesti quotidiani (enfatizzandoli fino a farli sembrare imprese straordinarie) compiuti dai personaggi più conosciuti.
- L’ho preso ieri a casa di Kairi. E’ di due anni fa. – spiegò Naminè inginocchiandosi accanto alla tovaglia. L’erba appena tagliata le pungeva le ginocchia.
Nel sentirsi nominare, Kairi sembrò risvegliarsi da una profonda trance:
- Ah, sì. Mio fratello lavorava per quello. –
- E allora? – chiese Ven ansioso. Voleva finire presto perché non aveva visto Roxas uscire e doveva controllare dove fosse finito...non che fosse preoccupato, certo, voleva solo assicurarsi che non desse fuoco alla scuola mentre lui non c’era. Naminè gli lanciò un’occhiataccia – Ci stavo arrivando -  e lui rabbrividì: a volte le donne potevano fare davvero paura. Come quando suo madre lo rincorreva per tutta la casa con la scopa in mano e l’espressione di chi sta per commettere un omicidio e lui era costretto a nascondersi sotto il letto o a scappare dalla finestra.
Chissà se Roxas era mai stato rincorso con la scopa in mano...forse la sua matrigna lo sgridava solamente, per paura di fargli male.
- Ven ci sei? – Sora gli agitò la mano davanti alla faccia e Ven scosse la testa – No. –
- “No” che cosa? Non ci sei? – stava facendo la figura del cretino.
Naminè tossì per richiamare l’attenzione: - Stavo parlando. -.
Prese il giornale: - Qua  c’è un articolo che potrebbe interessarci. – e lo sfogliò velocemente poggiandoselo sulle gambe.
Riku fu il primo a sporgersi: - La pagina dei “Baby’s Vip”? E perché dovrebbe interessarci del bambino di Kevin …? –
- Non quello. – lo corresse severa. Kairi pensò che da grande avrebbe potuto fare la professoressa. Tanto il carattere lo aveva già.
La bionda indicò un paragrafo della pagina accanto, racchiuso in un rettangolo blu dal titolo “Il principe di Rain Town”.
Si schiarì la voce e cominciò a leggere: - Probabilmente leggendo il titolo di questo paragrafo molti di voi avranno pensato a un V.I.P. appunto, magari il figlio di un cantante, oppure ad una baby star.
E invece no! Quello che vi proponiamo oggi è il principe per antonomasia, presentato da molte favole e sogno di molte.
Chioma bionda, occhi azzurri, terzo adolescente più ricco del mondo, ha solo tredici anni ma già frequenta un corso di galateo, studia musica e arte e fa polo, cricket e golf.
Se non avete capito di chi sto parlando, sappiate che è Roxas Strife, figlio delle famose industrie Strife che hanno ormai monopolizzato l’economia del paese.
I suoi genitori lo adorano e lo ritengono più prezioso e importante delle industrie stesse (e probabilmente il ministro dell’economia non la pensa allo stesso modo).
“Roxas è molto bello” lo ammettono tutti, dai suoi camerieri ai suoi professori “Ed è anche un ragazzo brillante ed educato”.
- Ma stiamo parlando della stessa persona? – interruppe Kairi, incredula – Di quel mezzo cadavere ammaccato che se gli dici “Ciao” ti risponde “Vaffanculo”? – Naminè ridacchiò: - Qua c’è scritto così. E termina con Purtroppo il ragazzo è così impegnato che non siamo riusciti ad intervistarlo ma una fonte sicura ci ha detto che da grande sogna di diventare “proprio come papà” e...udite, udite ragazze di tutto il mondo:si dice che il principe non abbia una principessa, per cui quando passate davanti a Villa Strife fate attenzione a quello che indossate!”.
- Ma se ne vadano…- Kairi venne interrotta Sora: - Secondo me è vero. Spiegherebbe perché è così presuntuoso e deviato. –
- No che non lo è. – intervenne Riku. Prese il giornale dalle gambe di Naminè e lo aprì all’ultima pagina, quella con i nomi della redazione: - Vedete, tutti i SYC appartengono alla Strife Company. E’ ovvio che hanno scritto quest’articolo solo per far piacere a Cloud Strife. –
- Tu cosa ne pensi, Ven? – Ma il biondo era completamente perso nei suoi pensieri: cosa era mancato a Roxas? Insomma, da quello articolo pareva avere una vita meravigliosa che non poteva essere migliore...e allora perché lo vedeva così? Qual’era la causa della tristezza infinita che poche persone riuscivano a scorgere nei suoi occhi azzurri? Perché sembrava sempre così arrabbiato con il mondo?
Sì, tutto questo ed altro ancora a Voyager.
Scosse la testa: non importava. Alla fine non doveva interessargli: anche se si sentiva incompleto senza sapere nulla di Roxas, in fondo Roxas e Ven erano due persone distinte e separate, cresciute in modo diverso e che non avevano niente da dividere l’una con l’altra.
Lui era Ven. Ven Leonhart, figlio di Aerith e Squall Leonhart e fratello maggiore di Sora.
Cloud e Roxas Strife non facevano affatto parte della sua vita.
- Non ci interessa. – disse ad alta voce. Si ritrovò quattro facce che lo guardavano confuse. – Non ci interessa se quell’articolo è vero o falso, è del tutto irrilevante. A noi non interessa di Roxas. Sì, è arrivato, ma perché dovremmo cambiare la nostra esistenza per un unico irrilevante individuo? –
Il silenzio avvolse il cortile.
Sora fu il primo a battere le mani: -Ha ragione! – esclamò felice come una Pasqua.
E poi seguirono sorrisi, strette di mano, bocconi troppo grossi e la monotona normalità.
Sembrava che la vita fosse ricominciata in quel momento e, sembrava, che andasse bene così.
Ven rise e scherzò, cercando di non dare a vedere che lui era il primo a non credere alle sue parole.
Se Roxas era irrilevante lui era nulla.

Prese lo shampoo e controllò che dentro non ci fosse né vomito, né ketchup o altre sostanza strane che impiastricciavano i capelli. Non ci si poteva mai fidare di Roxas e doveva stare sempre attenta a ogni singola cosa che faceva.
Tornare dov’era nata era sempre nostalgico e triste, in qualche modo. Tifa era molto affezionata alle sue isole, al mare azzurro nel qualche era cresciuta, alle strade di selciato e alle casette bianche e piccole che rendevano quel posto magico e familiare anche per chi ci andava per la prima volta.
Era stato difficile abbandonarle, alcuni anni prima, quando, piena di sogni e speranze, si era trasferita a Rain Town per frequentare l’università.
La sua famiglia non aveva i mezzi per permetterselo ma lei ci teneva davvero tanto, così aveva preso una borsa di studio ed era andata.
L’aveva abbandonata otto mesi dopo. I suoi voti avevano cominciato a calare vertiginosamente perché non riusciva a studiare in un paese che non conosceva affatto e quello era stato il più grande fallimento della sua vita.
Non aveva neanche avuto il coraggio di tornare a casa e così si era fatta assumere da un raffinato ristorante in cui doveva solo mettere in ordine i mobili.
Era stato proprio lì, dopo tre anni che ci lavorava, che aveva conosciuto Cloud: quell’industriale dallo sguardo freddo e magnetico che ogni ultima domenica del mese portava a cena una donna diversa e che ogni venerdì pranzava al tavolo trenta con altri personaggi dell’economia e della politica.
Una domenica, lo ricordava benissimo, erano le otto e fuori un acquazzone imperversava sulla città; il ristorante era semivuoto, lei stava mettendo a posto il mobile delle posate poco distante dal tavolo dove Cloud era seduto con una bionda ossigenata. Quella si stava lamentando ma l’uomo non sembrava farci caso e la fissava con aria annoiata.
- Cioè, no, ma ti rendi conto??? E’ la terza volta, Cloud, è la terza volta! – Claire, così si chiamava, agitava freneticamente una forchetta, torturando l’insalata che aveva nel piatto. Tifa osservò le foglie verdi afflosciarsi bucate sul piatto e pensò che era già la quarta “insalata di lattuga con poco sale e poco olio” che si faceva portare.
- Te l’ho già detto per telefono Cloud, ci hai pensato? – la mora lanciò un’occhiata al biondo in attesa di qualsiasi reazione e invece lo trovò a guardare le mani di lei con una totale indifferenza. Continuò a guardarlo e tutt’a un tratto i suoi gelidi occhi azzurri la fissarono.
Si girò di scatto dall’altro lato e fu un miracolo che il piatto non le cadde di mano. Perché l’aveva guardata?
- Io non ce la faccio più Cloud! – la voce stridula di Claire rimbalzò per tutto il ristorante. Alcuni clienti si voltarono a fissarla. Lei arrossì: - Scusate. – mormorò imbarazzata e Tifa trattenne una risata. L’alta società era davvero ridicola.
- Fa’ qualcosa, ti prego. – sussurrò prendendo la mano di Cloud. Quello rimase impassibile. – Senti…- cominciò la bionda con tono serio. Tifa continuò a guardare le spalle di lei, lasciate scoperte dal vestito rosso che lei non si sarebbe potuta permettere neanche con lo stipendio di una vita. -…conosco un’ottima clinica appena fuori città. Sono molto discreti e non fanno mai parola con nessuno sui loro clienti. –
 - Non è pazzo Clay. – era la prima volta che parlava. La sua voce era una lastra di ghiaccio e le parole erano così musicali che sembravano cantate ma il suo tono era pieno di apprensione e pazienza. Tifa ne rimase incantata. Vedeva la signora da dietro ma a giudicare da come lasciò cadere la forchetta, immaginò che la sua espressione fosse incredula.
- Ah no? – le sue parole grondavano di esasperazione. – E farmi trovare l’accappatoio pieno di escrementi di suino è normale secondo te? –
Tifa soffocò una risata in un colpo di tosse. Ben gli stava a quella là!
Sentì Claire prendere un profondo respiro: - Scegli: o lui o me. –
Cloud le lasciò la mano. Tifa osservò incantata i suoi gesti da dietro un piatto: persino incrociare le mani sul tavolo e tirare un sospiro sembravano eleganti se fatti da lui!
- E’ mio figlio, Claire. – e nessuna delle due donne notò quanto fosse falsa la compassione in quella frase.
Infatti la bionda si alzò e se andò ondeggiando sui suoi tacchi sedici. Cloud non la rincorse e si limitò ad alzarsi, spolverarsi la giacca e raggiungere Tifa che era tornata a mettere a posto le forchette.
- E’vostra abitudine osservare la gente o lo fate solo con le coppie che litigano? – il suo tono non era adirato. La mora continuò a mettere a posto le stoviglie, senza neanche degnarsi di guardarlo in faccia: - E’ vostra abitudine cercare di abbordare una ragazza quando la vostra ex non è ancora uscita dal ristorante o lo fate solo con le cameriere? – cercò di non dargli a vedere che era imbarazzatissima. Cloud sembrò colto in fallo, ma si riprese subito: - Solo con quelle particolarmente carine. – Tifa lasciò cadere una boccetta d’olio che le finì addosso macchiandolo tutto il grembiule e Cloud ridacchiò.
- Ma cosa ride? Non vede che per colpa vostra sarò licenziata? – urlò mentre il suo capo arrivava. Stava già cercando una scusa plausibile, ma Cloud intervenne:- E’ stato un incidente. Se mi permette vorrei ripagare il danno e accompagnare questa graziosa cameriera a cambiarsi. –
E a quel punto Tifa non aveva avuto scampo. Ed era successo già tutto.
Cloud era il suo riscatto sulla vita. Insomma, non tutte avevano la fortuna, quando le cose vanno male, che un uomo bello, ricco ed elegante come un principe dell’Ottocento s’innamori di loro e Tifa, se qualche mese prima gli avessero che sarebbe tornata nel suo paese ricca e innamorata, non ci avrebbe di certo creduto.
In fondo lo doveva anche a Roxas, quel “lui” di cui aveva tanto sentito parlare, prima di mettersi con Cloud. Molte di quelle donne avevano lasciato l’uomo – che stupide – per innocenti scherzi di un ragazzo troppo viziato.
Ma lei non avrebbe ceduto: ormai aveva imparato dove controllare e cosa fare per Roxas. Un paio di mesi e non avrebbero più avuto problemi.
Chiuse l’acqua, stiracchiandosi. La sua vita non poteva né peggiorare, né migliorare, era praticamente perfetta.
Aprì la porta della doccia e l’aria fredda l’avvolse. Con un scatto prese l’accappatoio e se lo infilò. Sentì della carta bolle strusciarle addosso e poi un liquido caldo e scivoloso coprirla e un odore nauseante si diffuse per il bagno bianco. Si appoggiò al muro per non svenire e guardò in basso: alcune buste di plastica pendevano dall’accappatoio e dei rivoli marroni scivolavano dalle sue gambe.
Escrementi di suino. L’accappatoio pieno di cacca di maiale.
Che stupida.

- Sono felice! Sono tanto felice! – Sora saltellava per il cortile, a sostegno della frase che ripeteva da…quanto? Da quando, tre ore prima, era suonata la fine della ricreazione?  Di certo, quasi tutte le Destiny sapevano che era felice o per le sue urla, o magari per il sorriso a trentadue denti che aveva stampato sul viso.
Ma, per quanto la felicità sia contagiosa, non si poteva dire lo stesso del ragazzo albino al suo fianco che camminava con le mani infilate nel giubbino e un’espressione cupa dipinta sul volto.
Ven, Kairi e Naminè erano rimasti indietro, immersi in una discussione che riguardava “l’inutilità delle poesie”, o qualcosa del genere.
- Riku, sai che sono felice? – ripeté per l’ennesima (?) volta Sora, guardando il sedicenne.
- Sì, lo so. – rispose Riku paziente. Sora batté le mani: - Bravo! E sai anche perché? –
- Perché a Ven non interessa nulla di Roxas. – cantilenò Riku. Sora lanciò un urlo e ricominciò a saltellare.
Se non gli avesse voluto così bene lo avrebbe già picchiato e non era del tutto escluso che lo facesse.
Insomma, non dubitava tutto l’amore fraterno e la preoccupazione che lo avevano scombussolato in quei giorni ma qualcuno avrebbe dovuto anche spiegare a Sora che nel mondo non esisteva solo Ven, ma c’erano altri sei miliardi di persone.
E tra queste anche quel cretino del tuo amico Riku che ti sopporta pazientemente da quando sei nato e che, per te, si è anche rovinato la reputazione e ha perso ogni singola briciola di dignità.
Il problema non era tanto il fatto che tutti credevano che lui fosse fidanzato con Sora, ma quanto il fatto che lui non era fidanzato con Sora. Non ancora, almeno.
Ma avrebbe trovato un rimedio alla situazione: gli avrebbe parlato e chiarito le cose.
- Ehi, So. – sussurrò e Sora quasi non lo sentì.
- Cosa c’è, Ri? – lo affiancò, felice come una Pasqua. L’argenteo prese un respiro: - Pensavo che è da tanto che non usciamo. Potremmo uscire uno di questi giorni…per fare una chiacchierata. – Quelle parole erano più per convincere sé stesso che non stava davvero chiedendo un appuntamento a Sora. No, era una semplice passeggiata dove avrebbero solo chiacchierato. Tra amici.
Sora titubò: - Non lo so, perché forse Ven ha da fare e… -
- Ma io l’ho chiesto a te, non a Ven. – ringraziò di non avere una spranga in mano perché la sua fedina penale non sarebbe stata macchiata di duplice omicidio.
Sora sembrò confuso: - Quindi non può venire? –
Riku si morse il labbro mentre una vena gli pulsava sulla fronte: - No, Sora. Ven non può venire. Né lui, né nessun altro. –
Sora sembrò pensarci su: - E’ ok. Quando? – l’innocenza di quella domanda gli fece capire che il pensiero dell’appuntamento a Sora non era passato neanche nell’anticamera del cervello.
- Allora. Oggi è martedì…giovedì prossimo? – Nove giorni. Aveva programmato un’uscita nove giorni prima. Neanche le gite scolastiche si preparavano con così tanto anticipo.
- Va bene. – ritornò a saltellare sorridendo.
Riku si chiese perché era così ansioso. Dopotutto era solo una chiacchierata tra amici, di quelle che facevano anche in classe o con gli altri. Solo una chiacchierata tra amici.
Come no.

- Ti converrebbe prendere un aereo e partire per un paesino sperduto dell’Himalaya, piuttosto che tornare a casa. – Roxas non aveva neanche finito di salire in macchina quando Marluxia esordì con quelle parole. Il ragazzo ridacchiò: - La signora non ha apprezzato il mio regalo? – era così divertito che sembrava stesse andando al Luna Park.
- No, Roxas. – invece Marluxia non aveva alcuna voglia di giocare – Ma se continui con i tuoi regali un giorno o l’altro ci resti secco. –
La limousine partì, lasciando alle spalle la scuola. Il biondo si appoggiò svogliatamente al finestrino.
- Lo sterco è fertilizzante. Tonifica la pelle. – sbuffò. Otto ore in quella scuola erano insopportabili.
- Beh, allora la prossima volta fallo scegliere a qualcun altro il regalo. Se muori rimango senza lavoro. – Ora, a qualunque ragazzino normale nel sentirsi dire che lui contava per “il posto di lavoro” si sarebbe spezzato il cuore. Ma Roxas non era un ragazzino normale. E un cuore neanche sapeva cosa fosse.
- Se invece crepi tu, io trovo un altro cameriere e magari anche migliore. – e per quanto Marluxia si fosse specializzato nel contrastare Roxas, la sua lingua biforcuta non trovava rivali.
Gli rivolse un’occhiata compassionevole: se ne stava assorto guardando fuori dal finestrino con l’occhio buono, la posizione era composta e diritta, come quando suonava il piano, e le mani ossute erano appoggiate sulle gambe, il volto era privo di qualunque espressione, l’occhio azzurro vacuo e le labbra pallide strette in una linea sottile.
La divisa scolastica gli scivolava addosso e sembrava così magro da poter essere spazzato via da un soffio di vento.
- So di essere irresistibile. – si vantò Roxas senza spostarsi di un millimetro – Ma se continui a guardarmi finiremo entrambi sull’asfalto. E, sinceramente, mi dispiacerebbe se tu fossi l’ultima cosa che vedo. – Marluxia sbuffò: era davvero insopportabile.
Anche suo padre da piccolo lo era e con Roxas era un continuo dejavù: bello, ricco, vanesio, sardonico, annoiato, odioso e assolutamente insopportabile.
Cloud e Roxas erano due specchi che riflettevano la stessa immagine.
Poveracci.
Chissà com’era l’altro…





Scuse dell'autrice:
Ecco un altro di quei capitoli inutile in cui non succede niente ma che sono solo “di passaggio” (Ma perché, gli altri servono a qualcosa? N.d. altra me) In questo ho “perso tempo” cercando di approfondire il punto di vista degli adulti, i personaggi marginali.
La verità è che l’ho pubblicato per disperazione. Mi sono resa conto che avevo messo troppi fronzoli alla storia, che c’erano troppe descrizioni e scene inutili messi nel capitolo solo per allungare il brodo e che facevano perdere la trama principale e allora ho postato (Ti rendi conto che è un’offesa a tutti quelli che ti seguono? N.d.altra me)
Per cui se non recensite non mi offendo (Bugiarda n.d.altra me).
Sì, lo so cosa starete dicendo “Ma come? Aspettiamo tre mesi per questa robaccia?” (Non che gli altri siano meglio. Diciamo che questo fa solo “più schifo del solito” n.d. Altra me).
La risposta è sì. (Brava. N.d.altra me) Perché non ho avuto tempo (Non ti crede più nessuno, Kim n.d.altra me), o meglio il tempo l’ho avuto ma sono stata vittima di un terribile calo di ispirazione (E quando mai non ce l’hai? N.d.altra me) e di una distorsione spaziotemporale che ha sballato completamente l’ordine cronologico della storia. In pratica io avevo già scelto tutto ma sono una persona prolissa e assolutamente disordinata, per cui mi sono incasinata le cose (Brava. N.d.altra -me) e ora devo cercare di rimetterle a posto. Sono arrivata a fare i capitoli con le scalette, cosa che non facevo dalla quarta elementare (Un continuo migliorare, insomma n.d.altra me). Devo rivedere una marea di roba.
Ok, alzi la mano chi in questo momento mi ha mandato a quel paese (*altra me alza la mano*).
Mi dispiace, so di avervi deluso (nessuno dovrebbe aspettarsi niente da te n.d.altra me) in questo capitolo (solo in questo? n.d.altra me), ma cercherò di rifarmi. Sono una persona che divaga spesso (e ve ne sarete accorti), d’ora in poi cercherò di tenere fisso un obiettivo senza perdermi per strada (parole al vento n.d.altra me).
Ah, nel prossimo capitolo ci sarà un salto temporale, per cui non vi racconterò per filo e per segno come respirano i personaggi (Alleluja n.d.altra me)… se mi metto in ginocchio continuate a seguirmi (Ma anche no n.d.altra me)?
E ora, prima di essere linciata, passo a rispondere alle vostre recensioni:

_Ella_: Già, Roxy fa tanta pena…anche dopo aver scoperto quello che ha combinato con i suoi amichetti a Rain Town (Forse in questo hai un po’ esagerato n.d.altra me)?
Sai che è pure uno dei miei personaggi preferiti? (Nuoo, l’articolo di giornale e il fatto che la maggior parte delle tue storie abbiano il suo POV non aveva gettato nessun dubbio! N.d.altra me) E non ci hai pensato che magari Cloud e Tifa hanno i loro motivi per comportarsi così? (Ma non li hanno, Kim! N.d.altra me)
Già l’AkuRoku e il TerraXVen (A proposito come si chiama? Venterra?), chissà quando riuscirò a tirarli fuori dal mio cilindro (Quando ci metterai la mano? N.d.altra me), bah, speriamo solo che questa cosa delle scalette funzioni!(Ma che irresponsabile! n.d.altra me)
Comunque, ti dico che sono così impaziente pure io che non dovrebbe metterci molto, xD. Perché ho un Aku esasperato, un Roku psicopatico, un Terra impaziente e un Ven che sta impazzendo (Chissà chi li ha fatti finire in questa situazione… n.d.altra me) e l’unico modo per risolvere la situazione è accopp(i)arli, no?
Però, insomma la situazione si sta districando no?
Grazie mille, alla prossima.

WhiteDream: Ma ciau! Davvero l’avevi predetto? Wow, complimenti. Io non l’ho predetto fino a quando non l’ho scritto. (-_-‘ n.d.altra me) E qualcosa mi dice che l’atto di Tifa avrà delle ripercussioni nei prossimi capitoli (L’hai appena pensato n.d.altra me). La “maturità” di Aku con Roxy??? Boh. (Non lo sa, davvero n.d.altra me) Certo, essendo sempre destinati a stare insieme, magari dovrebbero incontrarsi, o forse si sono visti di sfuggita, come in questo chap (Ecco come rivelare un dettaglio che dice tutto e che avevi cercato di far passare inosservato n.d.altra me).
Tutte impazienti su Terra e Ven, neh? Già, lo sono anche io (Ma tu sei l’autrice! n.d.altra me).
Yaoi? *cervello va in tilt* Sì, yaoi, yaoi! (*altra me dà una botta in testa*)Ah, la volontà dell’autrice? La volontà dell’autrice prevede che i prossimi capitoli saranno alquanto lunghi e che lo yaoi o un “bacetto serio” per cui nel prossimo, o forse in quello dopo (Quando ti deciderai a cominciarli n.d.altra me). Sì, sto esultando anche io…tranne per il fatto che sono io a doverli scriverli.
La papera Demyx fan club! Facciamo pupazzetti imbottiti di cioccolata su richiesta.
Nuoo, davvero l’hai fatta leggere? Che emozione, grazie! Non pensavo ti fosse piaciuta così tanto! *gongola*
Allora mi scuso per il capitolo e ti prego di attendere il prossimo. Grazie ancora.

Edo: Come lo dici tu, Roxy somiglia a Cenerentola xD.
E Ven, diciamo che con Roxy avrà tutto il tempo di chiacchierare, così come ci sarà tutto il tempo per tutto (Ti rendi conto che questa frase non ha senso? N.d.altra me)
Beh, spero che la tua curiosità venga soddisfatta nei prossimi capitoli. E grazie ancora per aver recensito. Spero continuerai a seguirmi.

Shiro-chan: Ma pecché tutti odiano Tifa (Perché picchia uno dei protagonisti? N.d.altra me)? Beh, grazie.

Shine Mizuki: Se Tifa ti sta antipatica allora potresti fare un patto con Roxy e potresti aiutarlo a sopprimerla e gettare i suoi resti nel camino (Ma cosa dici Kim? N.d.altra me). Terra fa un po’ pena e Axel avrà i suoi motivi per essere così. Grazie, alla prossima!

Selena Moon: Oddeu, mi fai arrossire. Quando ho letto il tuo commento mi sono messa a saltellare come una cretina ( Mai considerato l’ipotesi che lo sei davvero? N.d. altra me). Prava, sai che l’ho  fatto anche io dopo essermi chiesta se Aku era il fratello di Elena? (-_-‘ n.d.altra me). Paint è sempre il migliore, altro che Photoshop!
Esatto, Larxy è la sorella di Elena.
Roku-Roku lo amo pure io. Anche se fa un poco piangere. Beh, però forse una bella cavolata lo farà (Se decidi cosa scrivere nel prossimo capitolo n.d.altra me).
Già, Aqua. Solitamente le persone non apprezzano che sia così OOC, però lieta che ti sia piaciuta.
Per me Birth by sleep è finito dopo aver completato la saga di Ventus *piange disperata*. Con Aqua ho provato a giocarci però non vola e questo mi dà fastidio (Non può non piacerti un personaggio solo perché non vola! N.d.altra me).
(Già, queste doppie personalità di cui una è una matta e l’altra e intelligente sono dei dogmi della società contemporanea, parte ragionevole di Selena Moon. Buona fortuna con MeMe n.d.altra me) E grazie di tutto, spero continuerai a seguirmi.

Cosa dire di più? Continuo a ringraziare tutti quelli che aggiungono da qualche parte (Sempre molto precisa e dettagliata. n.d altra me) e anche quelli che leggono.
Grazie di tutto, alla prossima.
Baci&Abbracci da Kim.

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Capitolo 9
*** Il Principe e il Povero ***


Disclaimer: Tutto di Nomura e Mark Twain, sigh. Se avessi posseduto qualcosa non sarei stata qui a scrivere fan fiction...o forse sì. Ma comunque, purtroppo, non mi appartiene nulla. E non è a scopo di lucro, non ci guadagno niente...tranne se recensite. Se recensite ci guadagno una grande soddisfazione.
C'è anche da dire che se avessi posseduto Kingdom Hearts probabilmente sarebbe stato molto più yaoioso di quanto non lo sia già. E i tredici non sarebbero svaniti. E Xion sarebbe morta il giorno 1. Ma purtroppo non è mio quindi non c'è niente di questo (Kim, era un disclaimer, non un comizio, dovrebbe essere breve e conciso n.d.altra me). Buona lettura!

Il Principe e il Povero


Come passò il resto della settimana nessuno lo seppe: in quel giorno, un lunedì normale sul calendario, successero così tante cose, le vite di alcune persone furono cambiate così tanto che il resto della settimana passò in secondo piano, una strana scia del lunedì, giorni messi così solo per farli riprendere dallo shock.
Ven si dovette abituare alla presenza di Roxas che, pur non rivolgendogli né parola né sguardo, gravava continuamente sulla sua testa, come una grossa accetta pronta a decapitarlo.
E, pur essendo mangiato dalla curiosità di sapere una qualsiasi cosa di quel ragazzo, non chiese mai a nessuno di fare ricerche perché “Roxas era irrilevante e le loro vite dovevano continuare”.
Certo, e lui era Babbo Natale.
Dovette evitare Terra perché quel semplicissimo gesto, quella carezza sulla testa che molti gli facevano, lo turbò così tanto che spesso gli bastava toccarsi i capelli per arrossire miseramente.
Sì, insomma quella che prima era forse solo una leggera infatuazione divenne una cotta palese e spudorata, con tanto di sogni di baci e cuoricini disegnati distrattamente sul quaderno.
“ Allora, chi è la fortunata?” gli chiese Kairi quando lo vide con la testa  nelle nuvole e la pagina su cui avrebbe dovuto prendere appunti interamente ricoperta da cuoricini. E Ven balbettò “Nessuno” e strappò la pagina in pezzetti talmente piccoli che avrebbe potuto mangiarli (e se gli avessero chiesto il perché l’avesse sminuzzata, non avrebbe esitato a inghiottirli in un solo boccone).
Il ché non era del tutto falso perché non c’era nessuna “fortunata”, ma un ventitreenne che, almeno secondo Ven, se ne sarebbe infischiato altamente del sedicenne stracotto di lui.
Terra, al contrario, avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere se Ven lo amava (cosa che riteneva del tutto impossibile) e Aqua non si stupì quando il castano le chiese se poteva estorcere a Ven il suo parere sul “conducente dell’autobus”. Dopotutto era stato un suo consiglio.
Anche per lei e per la famiglia Aoi in generale le cose non andavano a meraviglia: combattevano con la papera quasi ogni sera, Zexion era praticamente esaurito dal sopportare Demyx 1, Demyx 2 (nomi per convenzione e, tanto per la cronaca, Demyx 1 era la papera), Aqua e Xion tutti insieme, così come lo era Riku.
Forse lui era quello messo peggio di tutti: c’era Xion che non lo lasciava un attimo, Zexion che si sfogava con lui (e lui con chi si sarebbe dovuto sfogare?), Sora felice comunque una Pasqua perché “a Ven non importa” Ven sempre più distratto, Kairi depressa, Naminè sospirante e tutta la tensione per quell’uscita tra amici, così simile, ma così diversa dalle altre.
La tensione a casa Flames invece era palpabile perché c’era Reno, diviso tra Axel e Kairi senza la minima idea di cosa fare; Axel “al lavoro”, com’era la risposta che otteneva chiunque chiedesse “Dov’è Axel?” e nessuno seppe se i doppi turni duravano davvero dalle sette a mezzanotte o se era solo una scusa per evitare lo sguardo ferito di Kairi, ogni volta che incontrava il suo; Elena, che quando aveva sposato Reno non si era di certo aspettata quella situazione, faceva buon viso a cattivo gioco e continuava a comportarsi come prima e Kairi che cercava conforto nei suoi amici.
E Roxas? Le sue ferite corporee erano completamente guarite (sono quelle dentro che non possono curarsi con bende e cerotti) e dopo l’accappatoio con la cacca, i lombrichi nel bicchiere, il fango sui vestiti e cose anche ben più complicate come il riempire il suo computer di virus, creati da lui stesso ovviamente, e bloccare il sistema di sicurezza della casa quando lei usciva fuori, aveva dato un piccola tregua a Tifa che, dal suo canto, si era arresa e sperava solo che prima o poi la smettesse.
Ma insomma, cosa voleva quel pazzo da lei?
Così, quando in quel soleggiato mattino di metà settimana, i sopracitati guardarono il calendario
dovettero sbattere più e più volte le palpebre per rendersi conto di quello che avevano appena scoperto. Perché no, era impossibile che fosse passato così tanto tempo. Che ne avevano fatto di quei giorni?

Tanto per prenderne uno in considerazione, Ven si fermò in mezzo al corridoio con la bocca piena di dentifricio e la mano ancora appoggiata al calendario della farmacia appeso al muro.
- Maffa? – chiese accigliato –Fe forfo è fofgi? – Aerith sbucò dalla cucina con una tazza di caffè in mano. – Come scusa? –
Ven andò velocemente a sputare il dentifricio in bagno: - Oggi che giorno è?- Lei sembrò pensarci su: - Giovedì. –
- Ma come? – la voce di Sora arrivò impastata di sonno. – Non è lunedì? –
Ven controllò per l’ennesima volta sul calendario: - No Sora. E’ proprio giovedì. –
Ma quant’è bello il sentirsi dei totali cretini quando si dice, con assoluta convinzione, che è lunedì, e poi si scopre che si sono persi tre giorni, magari anche importanti, a fare chissà cosa.
Peggio ancora se consideriamo che Ven era assolutamente certo che fosse sabato e difatti aveva preparato lo zaino con le materie che aveva il sabato, aveva messo le mutande del sabato (meglio non approfondire l’argomento) e quella mattina aveva pure detto a Sora “Che bello, domani è domenica!”, e lui l’aveva corretto “Veramente domani è martedì”, senza il minimo dubbio che potessero aver sbagliato entrambi.
Possibile che fossero passati già dieci giorni da quando Roxas era arrivato? Possibile che non parlasse a Terra da ben nove giorni?
Sì. Talmente possibile che era vero.
E, anche dopo aver scoperto che aveva perso duecentoquaranta ore della sua vita, l’unica cosa che riuscì a pensare fu era solo più tempo in cui non era riuscito a capire né Terra, né Roxas.

Riku invece che era giovedì lo sapeva benissimo. Aveva aspettato, atteso impazientemente, ogni singolo minuto di quei nove giorni, che arrivasse.
Più precisamente aspettava che arrivasse quella sera, quando avrebbe chiarito le cose con Sora.
Era emozionato come non lo era da anni.
Sembrava una ragazzina al suo primo appuntamento. Patetico.
Soprattutto se si considera che probabilmente Sora non ricordava neppure “lo straordinario evento”.
Certo. Era troppo occupato ad essere felice per Ven, a preoccuparsi per Ven, a proteggere Ven, e a far ruotare la sua vita a quell’inutile individuo che si chiamava Ven.
Invece, al contrario di quanto aveva pensato quando lo aveva visto, Roxas non gli stava dando tanti problemi.
Si faceva i cazzi suoi. Ora, guardandolo meglio, si era chiesto perché lo avesse immediatamente etichettato come “assassino”, “malvagio” e “pericolo per Ven e di conseguenza per Sora”.
Fino a prova contraria non aveva ancora elargito minacce, non aveva fatto a botte con nessuno e non aveva neanche parlato. Ora sembrava uno di quegli emo taciturni che vivono in un mondo tutto loro e tuttavia questo non aveva diminuito l’interesse verso di lui. Le ragazze continuavano a corteggiarlo e a tartassarlo di domande (pur ricevendo rifiuti come “Scusate, credo siano cose private, magari ve le spiegherò quando ci conosceremo meglio” perché solo Roxas riusciva a mandarle a fanculo le persone così elegantemente) e i ragazzi continuavano a cercare di farlo integrare nel gruppo “portante”, chiedendogli il parere su partite, compiti in classe e ragazze.
Sarebbe anche potuto piacergli dopo l’inconsapevole favore che gli aveva fatto: aveva attirato su di sé l’attenzione delle ragazze e non aveva permesso loro di elaborare strane teorie su”Riku e Sora”.
Fino a quel momento aveva solo trovato nel suo armadietto un disegno sconcio che li raffigurava, tanti bigliettini di auguri e una cravatta da matrimonio.
Ma, quando il “caso Roxas” sarebbe scomparso del tutto lui sarebbe finito in un mare di cacca.
Poteva solo sperare di mettersi davvero con Sora (e magari quella sera ne avrebbe avuta la possibilità) o che quella situazione durasse abbastanza per fare dimenticare alle fan girls tutto.
Ma, si sa, le fan girls non dimenticano così facilmente.

Come scoprire qualcosa di più su Roxas senza farlo sapere a nessuno?
Ven si rigirò la penna tra i denti e guardò il foglio bianco sul quale avrebbe dovuto scrivere la relazione di scienze sulla formazione delle stelle. Avrebbe dovuto, appunto. Ma proprio non ce la faceva.
Lanciò un’occhiata a Roxas che scribacchiava freneticamente sul foglio tutto concentrato.
Anche lui aveva il vizio di mordere le penne.
Ma sembrano proprio gemelli! Aveva ribattuto Selphie dopo la fantastica spiegazione di Naminè su “Molte persone nascono per coincidenza uguali” che aveva sostenuto con tanto di spiegazioni scientifiche e articoli di giornale.
Quella ragazza era un genio assoluto: lo aveva salvato da tutti i perché e per come che affollavano le sue giornate con un “piccolissimo stratagemma”, come lo aveva definito lei.
Le sarebbe stato debitore a vita.
Ma Roxas non aveva negato. Forse anche a lui faceva comodo che si credesse che Ven non fosse il suo gemello.
Gemello. Gemelli. Queste parole hanno ancora senso dopo essere cresciuti a migliaia di kilometri di distanza, in condizioni opposte, con famiglie diversissime?
No. Lui e Roxas non avevano nulla in comune.
Sì. La simbiosi gemellare non può essere annullata da nulla.
Dopotutto, fino ad una settimana prima si chiedeva il perché della sensazione di incompletezza che lo attanagliava (Beata ignoranza!) e sentiva che c’era qualcosa che non quadrava nella sua vita.
E Roxas?Per il perfetto principe di Rain Town era stato così? Aveva cominciato a perseguitarlo perché voleva sapere come viveva? Oppure la sua era semplice cattiveria?
Ven non lo sapeva, ma doveva scoprirlo a tutti i costi perché … perché doveva scoprirlo?
Perché era il suo gemello.
Perché era Roxas Strife e la sua vita sembrava perfetta ma lui – forse proprio a causa del fatto che erano gemelli- sentiva che nel suo sguardo c’era qualcosa che non andava e voleva sapere cos’era.
Perché si sentiva come se la sofferenza di Roxas fosse in parte la sua e doveva saperlo qual’era questa sofferenza.
Ecco perché.
Avrebbe potuto chiederlo a sua madre. Certo, già immaginava la scena: Ehi mamy, mica ti sei tenuta in contatto con Cloud? No, perché vorrei sapere qualcosa sul gemello di cui non mi hai parlato.
Già, non gliene aveva mai parlato. Però forse Roxas avrebbe potuto dirgli…
Un lampo di genio gli attraversò la mente  e la penna gli cadde dalla bocca facendo cadere alcuni schizzi sul foglio immacolato.
Che stupido che era stato. Sarebbe bastato chiedere a Roxas e ne avrebbe saputo di più.
Sempre che fosse sopravvissuto…

Ma che bello che finalmente le cose si erano aggiustate!
Sora avrebbe voluto urlarlo al mondo che era tornato tutto alla normalità.
Ven aveva detto che Roxas non importava, Kairi aveva smesso di piangere, Naminè continuava a disegnare (ma lei non era mai cambiata) e Riku si era abbastanza normalizzato.
Che doveva fare quella sera? Ah, sì, doveva andare a fare una passeggiata tra amici.
Bah, poi chissà perché. Non avrebbe potuto dirgli a scuola quello che doveva chiedergli?
A meno che… Sora guardò Riku con gli occhi sbarrati: possibile che volesse riprendere quella faccenda di Natale? Ma…ma lui non aveva una risposta!
Cioè, da quando era arrivato Roxas aveva avuto così tanto da fare con Ven che non aveva proprio avuto il tempo di riflettere! Era diventato l’ultimo dei suoi pensieri!
Riku poteva aspettare perché…perché insomma era Riku! Si conoscevano da quando portavano ancora il pannolino e cosa importava se rimanevano amici per un altro po’.
Perché dentro di sé Sora sapeva che anche qualunque cosa avesse risposto le cose non sarebbero mai tornate come prima.
Gli avrebbe detto “Dammi un altro po’ di tempo” e lui gli voleva così tanto bene (Perché anche il solo pensare che Riku lo amava gli faceva troppo male) che avrebbe aspettato.
Sbirciò il libro da cui stava copiando e aggiunse un’altra frase alla sua relazione.
Relazione. Solo scritta e solo di scienze.
Guardò Ven alla sua sinistra che fissava il vuoto con un’espressione indecifrabile mentre la penna giaceva sul foglio bianco. Era completamente assente.
Ma, se Roxas non importava davvero, a cosa diamine pensava tutto il giorno?

Gli ci volle un sacco di coraggio per alzarsi da quella sedia. Più coraggio di quando si tuffava nel mare gelido e più coraggio di quello che ci voleva per rispondere al telefono dopo aver visto “The Ring”.
Gli altri giorni al suono della campanella della ricreazione tutti gli alunni scattavano in piedi come se ci fossero delle molle sulle sedie e si cominciava a vagare per l’aula scambiandosi i panini oppure ad uscire in corridoio per incontrare clandestinamente gli amici delle altre classi. Tranne Roxas che solitamente rimaneva seduto a studiare, nonostante tutte le proposte o spariva da qualche parte (a fumare, probabilmente) senza toccare cibo.
Eppure quel giorno anche Ven rimase seduto per tre minuti buoni senza ascoltare minimamente la discussione che Kairi e Sora stavano facendo sul fatto che era sempre distratto.
Era troppo occupato a raccogliere con un cucchiaino il coraggio che gli era rimasto per andare a fare una chiacchierata con Roxas.
E poi, si giustificava, doveva aspettare il momento giusto in cui Sora e Kairi fossero distratti perché aveva detto che Roxas non interessava, quindi non doveva parlarci per loro.
Poi l’occasione arrivò: Tidus piombò in classe dicendo che uno della III C stava mangiando un millepiedi e l’aula si svuotò. Rimasero solo loro due e qualcuno di quei ragazzi inutili che stanno sempre sulle loro e ormai sono parte integrante della tappezzeria.
Roxas alzò la testa quando Ven si sedette nel banco accanto al suo. Lo guardò  con disinteresse e tornò a fare un esercizio sul libro di grammatica.
- Roxas…- comincio prendendo un grande respiro. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Roxas non aveva mai parlato con lui. – Siccome tu sai tutto di me per par condicio non dovresti dirmi qualcosa di te? – che frase stupida. Come minimo gli avrebbe riso in faccia. Ma Roxas  si limitò a rispondere, con la sua voce fredda e controllata – Non esiste la par condicio Ven. –
Era stato completamente spiazzato.
- Ti invidio – sentì la sua voce parlare. Non era stato lui a pronunciare quelle parole, erano uscite da sole – Tu sei intelligente e hai tutto. – stava cercando di adularlo con le parole. Ma Roxas si limitò a chiudere gli occhi e a mordersi il labbro.
- Mi piacerebbe sapere cosa si prova ad essere te. – e fu con quelle parole che Ven ribaltò il mondo.

Se qualcuno glielo avesse raccontato, Naminè non ci avrebbe mai creduto. Se chiunque – che fosse uno sconosciuto o lo stesso Ven – gli avesse detto che Roxas era passato in corridoio trascinandosi dietro Ven stringendolo per il polso (o forse era Ven a trascinare Roxas perché quando erano insieme era impossibile distinguerli) lei avrebbe risposto “Ma non prendermi in giro!” perché era totalmente impossibile.
Ven e Roxas non si parlavano. Se lo avessero fatto sarebbe scoppiata una polemica nella scuola e tutta la balla che si era inventata (perché lei, Kairi e Riku erano gli unici ragazzi – oltre a Sora, Ven e Roxas, - a sapere che quei due erano davvero fratelli) sarebbe crollata come un castello di carte.
Fu per quello che quando si girò per non guardare quell’orrido spettacolo del tizio che mangiava i vermi e vide uno spettacolo ancora peggiore (Due gemelli omozigote passare in corridoio) dovette trattenere un urlo.
Roxas e Ven non avrebbero dovuto avere nulla da dirsi. Assolutamente nulla. Se gli altri lo avessero scoperto, se avesse detto a Kairi o a Sora che Ven e Roxas erano appena passati si sarebbe scatenato l’inferno.
Fu per questo che decise di tenere la bocca chiusa. Se parlavano era normale, era roba da gemelli.
E nessuno, nemmeno lei, poteva capire.

Quando Roxas lo aveva afferrato per il polso e lo aveva trascinato fuori dalla classe, Ven aveva davvero pensato che volesse ucciderlo. La sua espressione era fortemente ironica (non sapeva come facesse un’espressione facciale ad essere ironica però Ven era certo che lo fosse) e camminava a passo svelto, probabilmente per non farsi vedere da nessuno.
Era assolutamente convinto che lo stesse portando da qualche parte per fucilarlo come facevano gli ufficiali nazisti con gli ebrei, ma comunque non riusciva a fare altro che seguirlo docilmente e in silenzio perché morire per mano del suo gemello era sì spaventoso, ma troppo allettante.
Immediatamente dopo aver formulato questo pensiero Ven si diede del pazzo e provò a liberarsi dalla sua stretta. Non ci riuscì e Roxas continuò a trascinarlo per vari corridoi.
Si fermò quando arrivarono all’ultimo piano dell’istituto: una vecchia aula abbandonata con dei banchi rotti ammassati in un angolo, una pila di compiti in classe nell’armadietto con un’anta rotta e vari mozziconi di sigaretta per terra.
Ven era stato lì i primi giorni con Sora, quando si perdevano e invece di arrivare in bagno si trovavano lì. Roxas gli lasciò il polso e lo guardò negli occhi e l’altro dovette abbassare lo sguardo: non riusciva a reggerlo. In quegli occhi, così simili ai suoi, c’erano così tante cose che gli faceva male la testa quando li guardava.
- Davvero vuoi sapere cosa si prova ad essere me? – il suo tono era vagamente divertito. Ven non rispose e continuò a tenere lo sguardo basso.
Roxas cominciò a slacciarsi le scarpe. – Che numero porti? –
- Quaranta. – (E so che avrei dovuto scrivere tipo cinquantaquattro ma sembrava brutto xD n.d.a)  rispose quasi senza pensarci. Voleva fargli sapere cosa si provava ad essere Roxas facendogli mettere le sue scarpe? Ven ne rimase un tantino deluso.
- Togliti le scarpe. – ordinò Roxas rialzandosi.
Con le scarpe di Roxas si sarebbe potuto comprare almeno nove centinaia delle sue.
- Conosci la storia del Principe e il Povero, Ven?

Il colore della settimana al XIII era l’azzurro. Azzurro del mare, azzurro del cielo, azzurro che rilassava e azzurro cobalto. Tutto era diventato di quell’insopportabile azzurro che Axel aveva imparato ad odiare così tanto. Aveva anche provato a convincere Xemnas che siccome la settimana prima erano stati Blu sarebbe stato meglio mettere un bel rosso vivace o un giallo del Sole, ma lui non aveva voluto sentire ragioni e così gli toccava immergersi ogni giorno tra quei dannati tavoli azzurri, indossando una divisa azzurra per servire piatti azzurri.
Almeno il suo lavoro lo distraeva dal pensare a Kairi e  ai suoi ricordi. E poi c’erano Demyx e Larxene che lo avrebbero fatto sentire a casa se si fossero comportati normalmente e se lui stesso si fosse comportato normalmente.
Demyx sospirava perché pensava a Zexion, Axel stava sempre con una faccia afflitta e Larxene – anche se non lo avrebbe mai ammesso- non sopportava di vedere i suoi amici così ed era costantemente nervosa, peggio di quando aveva il ciclo.
Per cui neanche l’aria lì dentro era particolarmente allegra o felice, ben che meno quando arrivavano Sora e Ven che stavano sempre in silenzio.
L’unico ristorante delle Destiny era piombato nella tensione, come una nuvola grigia gonfia di acqua.
Chissà cosa sarebbe successo quando avrebbe cominciato a piovere…

Ormai Demyx 1 avrebbe potuto lavorare lì dentro, per quanto tempo ci passava. Lo accompagnava al lavoro tutti i giorni, poi dalle nove alle dieci e mezza distruggeva gli scaffali, mangiava, dormiva fino alle due e fino alle quattro mangiava.
Almeno, pensava Zexion, ora non passava più tutto il tempo da solo. Anche se non sapeva fino a che punto una papera si sarebbe potuta definire un animale da compagnia.
Forse avrebbe dovuto riprendere un cane. O magari un gatto.
O forse avrebbe potuto fare un piccolo sforzo e cercare di trovare la “persona giusta” , come dicevano sempre in quei film romantici che Xion e Aqua guardavano.
Zexion si era fidanzato solo quattro volte nella sua vita: la prima volta alle medie perché i ragazzi avevano iniziato a sospettare che lui fosse gay e, siccome sapeva che in prima c’era questa tizia che aveva una cotta per lui (Come si chiamava? Giren? Garen?) per non finire nella merda aveva accettato uno dei centinaia di bigliettini che gli mandava.
Poi in quinto ginnasio si era messo con una del primo: Ally gli piaceva davvero. Amava i classici, come lui, era taciturna, studiosa e parlava solo in casi estremi. Ma alle ragazze piacciono i duri e lo aveva mollato per un motociclista di dieci anni più grande e lui era caduto nelle braccia di Emme – o almeno era così che la chiamavano tutti – e passavano il giorno a tagliarsi e roba del genere.
Emme ed Ally avevano avuto la capacità di fargli passare la fiducia nelle donne e forse proprio per colpa loro era diventato omosessuale.
C’era stato un solo ragazzo nella sua vita, un’avventura estiva, di quelle che quando arriva l’autunno finisce tutto nonostante i “Verrò a trovarti”, “Ti scriverò” e quelle parole inutili che si dicono i fidanzati.
Mah, forse era davvero ora di farsi una vita sociale ed avere una relazione stabile.
- Qua qua. – la papera gli tirò la manica.
- Sì, ho capito, è ora di pranzo. – lanciò un’occhiata all’orologio: mezzogiorno e mezza.
Demyx non era andato neppure quel giorno. Ormai era una settimana che non lo tormentava più in biblioteca e a casa a malapena gli rivolgeva la parola. Sarebbe dovuto essere soddisfatto.
E allora perché sentiva un nodo alla gola ogni volta che pensava a lui?

Bravo Ven. Complimenti, Ven. Ti sei fottuto con le tue mani, Ven.
Cielo, avrebbe voluto piangere. Seduto al banco della prima volta, osservato da tutti, Ven (che sarebbe dovuto essere Roxas) aveva voglia di mettersi ad urlare e correre fuori. Aveva paura. Tanta, tanta paura.
Gli era venuta quando il suo gemello aveva pronunciato quel libro, “Il principe e il povero” che – ne era certo – sarebbe stata la sua condanna a morte. Ven non lo conosceva molto, aveva visto solo la versione di Barbie (quella con le tizie che cantano), ma qualcosa gli diceva che quell’esperienza gliele avrebbe fatte ricordare per sempre Erica e Annalisa.
“Bene. Guarda cosa si prova ad essere me. Oggi sarai me, Ven. Così potrai trarre le tue squallide conclusioni e spifferarle alla tua banda di sfigati per farvi sentire i bimbi di Detective Conan”
Se l’era quasi fatta addosso. Roxas sapeva perfettamente il perché di quello scambio e – la cosa che aveva stupito di più Ven – guardava i cartoni animati. Quindi non era totalmente sovrannaturale. Già il fatto che non volava e non solleva i camion gli dava conforto.
“Solo un paio di raccomandazioni: non sorridere come un ebete, anzi, non sorridere e basta. Non parlare a Cloud e non essere gentile con la servitù. E non dare confidenza a Marluxia”.
Ma perché, avrebbe voluto chiedere, cosa sarebbe successo se avesse fatto così? Cosa avrebbe fatto Marluxia? E poi chi diavolo era questa Marluxia?
- Immagino che tu invece sappia già come comportanti – aveva detto invece. E Roxas aveva riso soddisfatto – Ovvio. –
E si era visto: era un Ven perfetto, quasi meglio dell’originale.
Sorrideva allegramente (ma si vedeva lontano da un miglio che quel sorriso era finto, come faceva Sora a non accorgersene?), sbuffava, si distraeva, chiedeva ogni cinque minuti “Che ore sono?” e quando la prof. lo aveva interrogato aveva titubato.
Gli metteva i brividi. Era un vero e proprio furto d’identità ben riuscito. Non si sarebbe stupito se il suo vero gemello fosse morto e quel tizio magari si chiamava tipo Blake Killer ed era un latitante ricercato dalla polizia mondiale. Già, doveva essere sicuramente così.
Comunque questo non lo toglieva dal guaio in cui si era cacciato: essere Roxas per tutto un giorno.
Un tizio muto, sordo e depresso. Beh, sarebbe dovuto essere abbastanza facile.
Ma anche no.

Che delusione sapere che lui aveva ereditato tutta l’intelligenza della famiglia. Avrebbe sperato che Ven fosse qualcosa di più di un cerebroleso talmente patetico da far invidia alla tizia di Beautiful e convinto di avere la famiglia del Mulino Bianco e invece era stato una delusione totale.
Ma davvero pensava che adulandolo Roxas gli avrebbe consegnato la sua biografia non autorizzata? Che illuso. Davvero stupido.
“Di certo” pensava Roxas “ ha ereditato l’intelletto di sua madre che poteva avere tutto e invece ha scelto di andare a fare l’eremita in mezzo all’oceano. Perché Cloud è un figlio di puttana ma almeno ha preso l’astuzia da me”. Che poi doveva essere lui a prendere l’astuzia da Cloud, per Roxas era una cosa assolutamente irrilevante.
Ven avrebbe dovuto soffrire per capire, anche solo in piccola parte, chi era Roxas Strife.
Doveva andare a casa, sentire le urla di suo padre, essere picchiato da Tifa e sgridato da Marluxia. Tanto anche se avesse scoperto tutta l’attività di Les noirs chats cosa avrebbe potuto farci? Dirlo al suo amato paparino poliziotto?
Comunque Roxas non faceva mai niente per niente. Anche lui aveva qualcosa da scoprire, come Ven. O meglio, qualcuno.
-Ehi…- Sora gli diede una gomitata. Quel tizio era così appiccicoso. Roxas lo avrebbe fatto arrestare se avesse potuto. Si voltò fingendosi sorridente: - Sì? –
- Sai che oggi la mamma ti conserva il tuo piatto preferito? –
Se Ven era cerebroleso, Sora l’encefalo l’aveva vomitato alla nascita. Mai avuta una discussione dal tasso intellettivo più basso. Neppure con quell’oca di Olette, la cui massima capacità di espressione era “E’ ingiusto che il cachemire costi più della lana. Sono entrambi tessuti”.
Ma Roxas avrebbe dovuto sopportare Sora per un sacco di tempo. Quindi meglio fare buon viso a cattivo gioco: - Come cucina lei non cucina nessuno. –
Lei.

- Devi dirgli addio, Demyx. Il mondo è pieno di pesci. –
- Ma io non voglio un pesce, Ax. A me il pesce neppure piace. Io voglio solo lui. –
Era questo che avrebbe dovuto rispondere ad Axel, quando vedendolo sospirare gli aveva letto nella mente. E invece, tanto per non sembrare patetico, si era limitato a dire “L’ho già fatto” ricevendo una pacca sulla spalla e un  “finalmente”.
Inutile dire che, forse per la prima volta, aveva mentito ad Axel. Lui non aveva affatto detto addio a Zexion, non l’aveva lasciato perdere.
Non lo perseguitava più solo perché i suoi impegni non glielo permettevano, ecco. Non perché ogni volta che Zexion lo vedeva sospirava. Non perché ogni volta che vedeva Zexion sospirare, Demyx avrebbe voluto piangere. Non perché magari cominciava a pensare che davvero a Zexion di lui non gliene fregava niente.
Solo perché era una persona molto occupata, ecco.
Che poi, si diceva tra sé e sé, Axel non era di certo la persona migliore per parlare, nelle condizioni in cui era.
Quando era arrivato al bar sembrava quasi normale e invece, man mano che passava il tempo, diventava sempre meno sorridente e più pensieroso. Come se la vita gli stesse scivolando tra le dita e lui, inerme, non faceva niente per fermarla.
L’ultima volta che l’aveva visto così era quando…mai. E neppure Larxene era tanto normale. Non lo picchiava neppure.
- Mio Dio…- mormorò – So di non essere stato un bravo bambino e magari ho fatto anche cose cattive… -
- E’ il Signore, Dem, non Babbo Natale. – Axel riapparì al suo fianco, guardandolo divertito – Ma continua, prego. –
Demyx s’imbronciò e strinse le labbra. Col cavolo che avrebbe detto a quella sottospecie di Axel cosa gli passava per la testa.
“…però se puoi, per favore, restituiscimi la mia vecchia vita”

Ven era strano. Assolutamente.
Anche se scherzava e rideva con Sora, Terra l’aveva capito subito che in lui c’era qualcosa che non andava.
In primis sembrava più magro e più pallido. Poi negli occhi non aveva quella strana luce che lui amava tanto e, ciliegina sulla torta, salendo sull’autobus gli aveva sorriso e gli aveva detto “Ciao”.
Non era stato tanto il “ciao” la cosa strana, quanto il sorriso: tutte le volte che Terra aveva visto Ven sorridere (mai con lui) aveva sentito il cuore riscaldarsi, mentre il sorriso di quel giorno era un brivido che gli aveva percorso la schiena.
Così, avrebbe voluto chiamare Aqua e dirle “Non chiedergli oggi se io gli piaccio. Oggi non è lui.” ma poi ci aveva pensato su e si era detto che magari era solo un’impressione e che era meglio non rimandare il verdetto finale. Avrebbe solo prolungato l’agonia.

- Devi smetterla di fare queste cose. – O Cielo, neanche era salito sulla limousine e già era stato richiamato. – Non puoi pretendere che le persone ci caschino ancora, dopo tanti anni. – Possibile che l’autista se ne fosse già accorto? Cos’aveva sbagliato? Era salito con il piede sbagliato?
Guardò il tizio cercando di capire a cosa si riferisse. Ma aveva i capelli rosa?
Il tizio si voltò a scrutarlo. Ven cercò di mantenere un’espressione fredda e reggere lo sguardo.
Sì, aveva proprio i capelli rosa. Represse una risata.
- Cos’hai da fissare? – chiese tentando di essere sprezzante. Fallì. Gli uscì una vocina strizzata e intimorita. Cavolo, se ne sarebbero accorti subito che non era Roxas. L’adulto sbuffò e tornò a guardare la strada: - Programmare i sistemi di sicurezza in modo da far spruzzare l’irrigatore ogni volta che la signora esce di casa non è una cosa carina, Roxas. –
Ven esultò dentro. Non se n’era accorto!
- Comunque l’ho controllato in tempo, quindi uno dei tuoi tanti piani malefici è andato a farsi friggere. – Ma di che stava parlando?
La macchina sobbalzò e Ven si accorse che stavano entrando in una strada sterrata tra alberi. Gli ci volle qualche secondo per capire dove stavano andando. Lui a casa di Aqua non c’era mai stato ma Terra aveva spiegato la strada a suo padre, mentre erano a tavola.
Già, Terra. Chissà se aveva capito che quel tizio era Roxas. Ven sperò vivamente di sì perché qualcosa gli diceva che il suo gemello sarebbe riuscito a rovinargli la vita, se gliene avesse dato la possibilità.
E lui gli aveva dato carta bianca per un intero giorno. Ancora complimenti vivissimi, signorino Leonhart.
- Sei strano. E’ successo qualcosa a scuola? – commentò il servo. Ven rabbrividì. Non dare confidenza a Marluxia. Probabilmente era quel tizio che si stava prendendo una familiarità che ai maggiordomi non spettava – o almeno secondo quanto dicevano i libri –.
- Marluxia? – mormorò per esserne sicuro. Il tizio gli scoccò un’occhiataccia: - Cosa c’è? –
Ven scosse la testa: - Niente. –
La macchina si fermò di botto. Erano di fronte ad un’imponente cancello verde e tra le inferriate s’intravedeva un prato all’inglese e una villetta color ocra. Rimase sbalordito: doveva essere almeno sei volte casa sua.
 - Wow. – si lasciò sfuggire. Mentre citofonava, Marluxia rise.
L’altro, eh?

- Insomma, dimmi tu, se quel professore non è una palla! –
- Mh. –
- Mettere una nota solo perché stavo mangiando nella sua ora… -
- Già. –
- … e poi pretendeva pure che gli dessimo il numero di mamma. –
- Eh. –
- Secondo te sbaglio? –
- Sì. – Sora rimase confuso dalla risposta: - Ma come sì? Dovevo far chiamare mamma solo per un kinder cereali? –
- Mh. – Roxas non degnò Sora neppure di uno sguardo. Era da quando erano usciti che non faceva che parlare di quella storia. Non che Roxas lo avesse ascoltato, solo che – si era ritrovato a pensare – se avesse avuto un fratello del genere, questi non sarebbe arrivato a meno di dieci anni.
- Insomma, quel professore è proprio una palla! – A molto meno di dieci anni. Diciamo pure neanche a tre.
- Ma insomma cos’ha Naminè d’interessante? – Quindi lo sapeva che non stava ascoltando!
Roxas scosse la testa senza smettere di fissarla. La ragazza lo sapeva. Sapeva che lui non era Ven. Glielo leggeva negli occhi. Era spaventata e intimorita, ma lo sapeva.
- Sora… - sentì la sua voce flebile. Roxas sfoderò il sorriso più intimidatorio che avesse. Si portò lentamente l’indice alle labbra e la fissò dritto negli occhi. Naminè trasalì e abbassò lo sguardo.
- Che c’è Nami? –
- Niente. Lascia perdere. –

Gli era bastata un’occhiata veloce per capire che quel tizio di Ven aveva  a malapena l’aspetto.
Gli occhi azzurri erano una coltre di ghiaccio, l’espressione una maschera impassibile e il sorriso, il sorriso lucente che Ven ogni tanto mostrava, era una smorfia di cattiveria.
Quando poi lo aveva guardato negli occhi, le era arrivata la conferma: si era sentita trafiggere da uno sbuffo ghiacciato, peggio di Harry Potter con i dissennatori.
Roxas era rimasto a guardarla per un po’ , sapendo che lei sapeva. Ma quello era molto più che uno scambio di sguardi.
Ma brava piccola Naminè. L’hai capito subito, no? Io e te siamo così simili.
Bugiardo. Non ci assomigliamo per niente.
E invece sì. Perché non vuoi ammetterlo?
Tu sei cattivo, io no. Non ti permetterò di fare del male a Sora e Ven.
Devi solo provarci.
- Sora… - aveva chiamato. Roxas non l’avrebbe passata liscia. Poi qualcosa le aveva fatto cambiare idea: Roxas le aveva fatto segno di stare zitta e l’aveva uccisa con lo sguardo.
Se parli, mostrerò al mondo quanto io e te siamo simili.
- Che c’è Nami? – Lei aveva paura.
- Niente. – Scosse la testa. – Lascia perdere. –
Non l’hai ancora capito, piccola Naminé? Voi perdete. Io vinco sempre.
E, Naminé lo sapeva, questo non poteva essere cambiato.

Riku sentì il cellulare squillare una, due, tre volte. Lo ignorò.
Sapeva già che era Xion che, molto probabilmente, gli avrebbe urlato contro perché “dovevamo tornare a casa insieme e tu hai preso l’autobus!”.
Era vero, glielo aveva promesso, ma da quanto in qua manteneva le promesse fatte a Xion? Lei pretendeva sempre cose assurde, del tipo “Mi accompagnerai ogni volta che andrò in bagno?” e anche di peggiori.
E poi doveva trovare il momento giusto per ricordare a Sora dell’appuntamento perché sennò era certo che – preso com’era dallo spiegare ad un Ven particolarmente pallido la nota del prof. di chimica – se ne sarebbe dimenticato, dandogli il più fragoroso due di picche nella storia delle Destiny Island.
“No, Riku fermati” si bloccò “Non è un appuntamento. E’ una chiacchierata tra amici. E se se ne dimentica, non fa nulla. Tu non te la prenderai a morte. E non è che non gli rivolgerai più la parola. Quindi puoi anche non ricordarglielo e se si ricorda va bene, se non si ricorda non fa nulla.”
Sì, certo. Si era proprio rotto dei “Non fa nulla”. Non fa nulla se Sora non si ricorda mai di te e non fa nulla se sta sempre dietro a quell’idiota di suo fratello. Non fa nulla se ti dice sempre di no e non fa nulla se tu sei dannatamente  e perdutamente innamorato di lui.
- Sora…-

Cavolo, se era bella quella casa. Era meravigliosa.
Ven l’aveva adorata dal primo momento in cui l’aveva vista. E aveva adorato anche il fatto che, appena entrato, due camerieri erano arrivati a togliergli la giacca e la cartella. Si sentiva così coccolato.
Poi l’avevano fatto accomodare in una sala da pranzo gigantesca e fatto sedere ad un tavolo di un kilometro, imbandito con ogni genere di manicaretti. C’era di tutto: carne, pesce, caviale, verdure, dolci, pasta di ogni tipo e qualsiasi cosa potesse desiderare.
Aveva un’acquolina in bocca che non lo faceva neppure parlare.
- Cosa desiderate, signorino Strife? – gli chiese un cameriere con aria intimorita. Ma cosa faceva Roxas a quelle persone? Le frustava e se non si comportavano bene le dava in pasto ai piranha?
- Tutto. – mormorò con occhi luccicanti. – Voglio tutto. –

- Cosa voleva Riku? – chiese Roxas quando Sora tornò. Lui fece spallucce: - Mi ha ricordato che stasera usciamo… però, mi dispiace, ha detto che tu non puoi venire. –
- Ma davvero? – Ven sembrò particolarmente interessato. Stava per fare una domanda scomoda e a Sora non piacevano le domande scomode.
- E tu? – si affrettò a dire – Ho visto Aqua avvicinarsi. Cosa ti ha chiesto? –
“Se mi piaceva Terra” – Niente. – Il moro sbuffò:
- Uffa Ven. Io devo sempre dirti tutto e tu non vuoi mai dirmi niente. Cavolo! – incrociò le braccia al petto. Vide Ven trattenere una risata divertita. Certo che era proprio strano quel giorno, era come se lo prendesse in giro: - E adesso cos’hai da ridere? –
- Non sentivo “cavolo” da quando facevo l’asilo. –
Ok, quella non era affatto una domanda da Ven. E neppure il colorito era da Ven, neanche le affermazioni e tanto meno il sorriso.
Se quel tizio era Ven allora lui era Naminé.
Ma chi poteva essere? Chi poteva essere così malvagio da tentare di emulare suo fratello?
Poi arrivò il colpo di genio: Ven e Roxas erano rimasti soli durante la mensa. Poi quando era tornato, Ven era strano
- O Giusto Cielo! – urlò – Tu sei… - l’altro gli coprì la mano con la bocca: - Zitto. – gli sussurrò all’orecchio: - Vuoi che ci scoprano tutti? –
Sora si liberò della sua presa: - Ovvio. Così tutti sapranno quanto sei cattivo, Roxas. Dove hai messo mio fratello? – stava per mettersi a piangere. Roxas rise: - Idiota, io sono tuo fratello. –
Cosa che non era poi così falsa, pensò Sora. Lui e Roxas erano fratelli almeno quanto lo erano lui e Ven. Solo che Ven era bravo, gentile ed educato. Quello era uno stronzo, doppiogiochista e probabilmente picchiava la gente.
Oh, no! E se aveva picchiato anche Ven?
- Dov’è? Dove l’hai messo? – chiese disperato. Il biondo continuava a sorridere, calmissimo.
- A casa mia. E’ stato lui a proporre lo scambio. –
- Bugiardo. Lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere. –
- Come lo conosci poco. Ah, giusto, dopotutto sei solo il suo fratellastro. Perché avrebbe dovuto dirti una cosa che ha fatto con me che sono suo fratello? – Quelle parole colpirono Sora come un proiettile nel cuore. Roxas aveva ragione. Lui e Ven erano fratelli al 101%, pure gemelli, mentre Sora e Ven raggiungevano a malapena il 50%. Perché avrebbe dovuto confidarsi con lui, invece che con Roxas?
Sentì le lacrime salirgli agli occhi: - Che cosa devo fare?  - Il biondo si voltò a guardare il finestrino: - Tu niente. Devi solo coprirmi. E domani riavrai il tuo finto fratellino tutto per te. –
Finto fratellino. Sora sentì una parte del suo cuore andare in frantumi.

- Sì. Un sacco. – Terra per poco non sbandò nel sentire la voce di Aqua, così all’improvviso.
- Un sacco di cosa? – chiese, tentando di rimanere concentrato sulla strada.
- Farina. – ma il tono ironico ad Aqua non riusciva proprio.
- E che dobbiamo fare con un sacco di farina? – domandò Terra stranito. Lui non aveva chiesto un bel niente ma, probabilmente, conoscendo Aqua avrebbe pure dovuto pagare.
Vuoi vedere che, pur di guadagnare soldi, voleva che si mettessero a fare i panettieri? No, no, no, lui non era affatto intenzionato a lasciare tutto perché quella tirchia aveva le voglie, peggio di una donna incinta.
- Non capisci proprio, Terra! – sbuffò – Ho chiesto a Ven quello che mi hai detto tu. E lui ha risposto “Sì, un sacco” –
“Ah” fu il primo pensiero del moro “Quindi niente panetteria”.
Poi quando qualche secondo dopo realizzò il concetto, cioè che lui a Ven piaceva un sacco (di farina), per poco – di nuovo – non sbandò.
Se gli uomini avessero avuto le ali, in quel momento lui avrebbe spiccato il volo. Ci pensò Aqua a riportarlo con i piedi per terra (ma anche molto, molto più in basso):
- Cinquanta munny, prego. Oppure la tua relazione clandestina verrà alla luce prima ancora di cominciare. –
E Terra pagò, quasi felicemente. Per Ven avrebbe dato anche tutti i soldi che aveva…che poi erano i cinquanta euro che aveva appena consegnato ad Aqua e qualche spicciolo nella tasca del suo unico pantalone.
Se avesse saputo che quel “Sì. Un sacco”, non era di Ven…

- Ma almeno sai lavare i piatti? Dovremmo andare al lavoro oggi. – Sora ormai si era rassegnato a sopportare quella specie di Ven sostitutivo, che di Ven non aveva proprio niente.
Roxas lo guardò disgustato: -Scherzi? Quello lo fanno i servi! –
Sora sospirò cacciando il cellulare: - Allora chiamo Axel e gli chiedo di coprirci. –
Quella frase sembrò attirare l’attenzione di Roxas: - Axel? –
- Oh, sì. – si affrettò a spiegare Sora – E’ un nostro collega, il fratello di Kairi. Infastidisce sempre Ven, ma penso che alla fine sia perché gli vuole molto bene. –
Roxas si fissò i piedi: - Ma non mi dire. – Axel, eh?
Sentì Sora farfugliare qualcosa del tipo che Ven non si sentiva bene, di spiegarlo a Xemnas e di dire che avrebbero fatto il doppio turno per essere perdonati.
- Grazie. Sei un vero… - Roxas gli rubò il cellulare da mano. – Ehi! – Cosa avrebbe dovuto chiedere a un tizio che neppure conosceva?
Eppure lui sorrideva come se sapesse già esattamente cosa dire. Si avvicinò il cellulare all’orecchio: - Ciao Axel. – salutò allegro, come se stesse parlando ad un vecchio amico. Poi un velo di qualcosa che Sora non riuscì a identificare passò nei suoi occhi e lui chiuse la telefonata.
- Ma che ha detto? – domandò confuso. Roxas sembrò soddisfatto: - Niente. Mi ha salutato. –
Lo sappiamo entrambi.

- Ciao Axel. –
Se la frase fosse stata “Crepa, Axel”, “Ti ucciderò, Axel” oppure “Tu morirai tra sette giorni, Axel” detto con la voce di Samara di The Ring, ecco, probabilmente Axel avrebbe avuto meno paura.
Ma non era la frase, una frase che aveva sentito ogni giorno, migliaia di volte nella sua vita, quanto il tono e la voce che lo aveva raggelato.
Non era affatto Ven, quello. E i fratelli Leonhart non potevano andare al lavoro non perché Ven aveva mal di stomaco come aveva detto Sora, ma bensì perché Ven non c’era.
Non era Ven, quello. Ven non sembrava un serial killer quando era allegro e non riusciva a far sembrare un “Ciao Axel” la peggiore minaccia di questo mondo.
La voce di Ven poteva essere paragonata di più all’abbattersi delle onde sulla spiaggia, oppure al frusciare del vento tra le foglie mentre quella era un ice-berg che si abbatteva su di lui o, ancora meglio, il ticchettio della pioggia che ti inzuppa fin nelle ossa.
Panico. Panico totale. Axel strinse il telefono, anche se avrebbe voluto lasciarlo andare.
Cazzo, avrebbe voluto lasciar andar tutto dei suoi ricordi. Avrebbe voluto dimenticare i tre anni a Rain Town, il suono della pioggia, la laurea, la lingua del posto.
Avrebbe voluto dimenticare tutte le persone che aveva conosciuto. Avrebbe voluto dimenticarlo.
Ma, glielo aveva detto tante volte, non si sfugge dal passato. “ E se ci provi” minacciava “quello ti cercherà e ti rincorrerà, fino a quando ti avrà trovato. E allora dovrai affrontarlo. E sarai fottuto, Axel”.
Affrontare il passato, eh? L’unica via da percorrere per arrivare chissà dove.
“E allora affrontiamo questo passato. Diamo inizio alle danze”
- Ciao Roxas. –

Ven pensava di non starsela cavando tanto male.
Sì, aveva avuto enormi problemi all’inizio perché non sapevo proprio dove infilarsele le sette forchette e gli altrettanti coltelli ma poi aveva optato per usarne uno per ogni portata e gli sembrava che i servi non sospettassero niente.
Mica l’aveva capito che stava usando la forchetta da dessert per tagliare il pesce e che i camerieri non parlavano perché sennò “Roxas” li avrebbe licenziati.
Anche se, a dire il vero, l’avevano capito tutti che nel signorino Strife c’era qualcosa che non andava quando aveva, incredibilmente, mangiato più di due forchettate di ogni cosa e aveva detto “grazie” quando gli avevano versato l’acqua.
Comunque dire che Ven stava da Dio sarebbe stato un eufemismo. Non mangiava così tante cose buone neppure a Natale e si chiedeva come facesse Roxas a rimanere così magro quando gli venivano servite tutte quelle prelibatezze.
Stava spolpando un’aragosta quando sentì il campanello. Non era il campanello della porta, ma una scampanellata come quella che sentiva quando passavano le capre davanti casa sua. Poi, in tono solenne, una voce annunciò: - Il signore e la signora Strife. –
Ven andò nel panico: era così occupato a mangiare che neppure si era curato che avrebbe rivisto suo padre. Si pulì in fretta la bocca e scattò in piedi.
Una donna dai capelli neri entrò a passo svelto. Lo guardò e non gli sorrise. Anzi, si sarebbe quasi potuto dire che lo stesse guardando con odio. Ven rimase un po’ deluso ma, si consolò, Cenerentola gli aveva insegnato che tutte le matrigne sono cattive.
- Tuo padre arriva tra poco. – disse freddamente.
Suo padre. Dopo sedici anni. Probabilmente se ne sarebbe accorto che non era Roxas perché…beh, perché un padre si accorge di certe cose. E magari avrebbe pianto abbracciandolo.
Come si vedeva che non conosceva Cloud Strife!

- O. Mio. Dio. Ma che schifo! – aveva commentato Roxas appena visto Casa Leonhart. Si era rivolto a Sora implorante: -Dimmi che questo è lo stanzino delle scope, ti prego. Dimmi che non abitate in questo pertugio. –
Sora rimase offeso dalle affermazioni: casa sua era bellissima! Ed era anche una delle più grandi delle Destiny…insomma, avevano pure il garage! Pochissime persone avevano il garage.
- Mi dispiace, regale sovrano d’America. Noi abitiamo qui. – rispose sprezzante. L’espressione che si dipinse sul volto di Roxas era di puro disgusto: - Ma che schifo! E tra l’altro, se fossi meno ottuso, sapresti che in America non c’è la monarchia. –
Sora non ebbe il tempo di ribattere perché la porta si aprì: ne uscì un uomo snello e castano, dagli occhi acquamarina e i lineamenti duri.
Sembrava burbero ma sorrise, vedendoli: - Non dovevate lavorare oggi? –. Quindi quello era un padre vero. Roxas si sentì quasi disgustato.
Sora era imbarazzato: - Sì, ma Ven non stava bene e… -
- Ho capito. – Squall sembrò divertito: - Venite dentro, dico ad Aerith di aggiungere più pasta. –
Aerith. La puttana che l’aveva messo al mondo. L’avrebbe rivista dopo sedici anni.
Sedici anni in cui l’aveva abbandonato all’inferno. Bene.

Cloud entrò e corse ad abbracciarlo. Poi gli sorrise e accomodandosi vicino a lui gli chiese: - Come è andata a scuola? –
O almeno, questo era quello che avrebbe voluto raccontare Ven. E poi, ai suoi amici, avrebbe aggiunto che era un padre eccezionale e che si era scusato e aveva detto che era stato un errore tenere solo Roxas.
Ma niente di tutto ciò successe.
Entrò un uomo sulla trentina, biondo e con gli occhi color ghiaccio. Senza neppure guardarlo si sedette vicino alla donna, le diede un bacio a stampo e cominciò a mangiare.
Ven rimase in piedi, impalato e con le lacrime agli occhi. Gli sembrava di essere a casa di sconosciuti, cosa che sarebbe stata vera se lui fosse stato lì in veste di Ven, ma lui doveva essere Roxas. Doveva essere il figlio di quelle persone che lo trattavano con disprezzo.
Impossibile che il suo gemello avesse questo tipo di rapporto con suo padre. Nessun padre può trattare in questo modo un proprio figlio perché… è impossibile. Era suo  padre.
Se fino a quel momento aveva pensato che Squall lo trattava con freddezza, questo cambiò completamente il suo parere.
Cloud lo guardò. Ecco, pensò Ven, ora si scusa per non avermi visto e viene ad abbracciarmi.
- Cosa vuoi? – chiese freddamente. Ven avrebbe voluto mettersi a piangere e urlare “Ehi, io sono tuo figlio! Dovresti baciarmi e preoccuparti per me, non chiedere cosa voglio!”.
Ma qualcosa gli diceva che Roxas non l’avrebbe mai fatto.
- Marluxia – si limitò a dire – accompagnami in camera. –

- Tesori! Che sorpresa vedervi! – se Roxas avesse dovuto sentire qualcosa, se qualcosa in lui doveva urlare “Sì, questa è mia madre”, non lo fece affatto.
Più che altro sentì quasi la mancanza di Tifa e ringraziò il cielo che quella donna se n’era andata quando lui era nato.
Sua madre era una nana. Una nana hippie. Una nana hippie che si era persa lo sviluppo degli ultimi decenni. Una nana hippie che si era persa lo sviluppo degli ultimi decenni e con lo stesso stile di una puzzola selvaggia. O di una delle begonie che piacevano tanto a Marluxia.
- Ma cosa ci fate qui? Non dovevate essere al lavoro? – Ma sai che i fazzoletti in testa non si usano più dagli anni Sessanta?
- Sì, ma Ven non sta bene. E così… - O Mio Dio, quei cosi marroni che hai ai piedi dovrebbero essere scarpe?
­- Ma cos’hai? Effettivamente sei un po’ palliduccio. – Aerith gli si avvicinò.
Sta lontana da me, grande ornamento da giardino parlante!
Roxas indietreggiò, finendo spalle a muro. Poi accadde l’irreparabile: Aerith lo abbracciò e gli diede un bacio sulla fronte.
Il biondo sentì l’odore di sua madre entrargli nei polmoni e gli girò la testa. Era la prima volta che qualcuno lo abbracciava. La prima volta che qualcuno si comportava da genitore con lui. La prima volta che qualcuno lo faceva sentire amato.
Gli venne da vomitare.

Ven piangeva.
Se ne stava sdraiato sul letto di Roxas, che era davvero comodissimo, stringendo un cuscino ad acqua e lasciava che le lacrime gli scivolasse via dalle gote.
Piangeva per Roxas, per tutto l’amore che non aveva mai avuto, per tutte le volte in cui aveva avuto bisogno di una famiglia e quella non c’era stata.
Piangeva anche perché si sentiva in colpa: non aveva capito il perché dell’espressione confusa di Cloud quando,  nell’intervista, gli avevano chiesto di Roxas e perché Roxas fosse sempre così freddo e schivo quando si parlava della sua famiglia. Eccolo il perché.
La famiglia che lui credeva bellissima non esisteva. Il suo gemello era da solo.
Chissà come era invidioso di lui adesso che stava scoprendo cosa significava essere amati.

- Ven, tesoro, tutto ok? –
Tesoro. Roxas vomitò di nuovo. Ma che cazzo ti vomiti se sono giorni che non mangi?
Proprio forte e indipendente il suo stomaco. Non riusciva a reggerle tutte quelle smancerie.
Dunque quella era un’allegra famigliola felice? Questo era quello che trovava Ven quando tornava tutti i giorni? Una madre che lo baciava e un padre che lo accoglieva a braccia aperte?
Ma che schifo!
Non avrebbe mai più dato dello stronzo a Cloud. E mai più scherzi a Tifa, promesso.
…No, questo era impossibile. I genitori di Sora erano troppo zuccherosi ma Tifa e Cloud erano dolci come lo yogurt magro scaduto e ammuffito.
- Ehi… - la voce di Aerith era seriamente preoccupata – cos’hai? – Roxas si fece coraggio e aprì la porta del bagno: - Sto bene… -
Mamma. La parola non riuscì ad attraversare l’epiglottide. Rimase bloccata lì, tra la gola e la bocca e Roxas dovette vomitare di nuovo per farla uscire.
Perché chiamare mamma una persona che ti ha abbandonato alla nascita?
- Davvero? A me non sembra. Dai vieni, ti ho preparato il tuo piatto preferito. –
Puttana. Sedici anni da solo e vuoi farti perdonare con un abbraccio e del caviale?
Ma, a quanto scoprì Roxas, il piatto preferito di Ven non era affatto il caviale. Probabilmente il suo gemello non sapeva neanche cosa fosse il caviale.
Pasta e piselli? Quale coglione ha come piatto preferito la pasta e piselli?
Sospettoso guardò accanto al piatto: - Una? – chiese scettico prendendo in mano la forchetta.
Squall lo guardò aspro: - Quante ne volevi? Tre? – Sarebbe già un inizio, grazie.
- Non ho fame. – si alzò da tavola. Squall lo fulminò con lo sguardo - … ma rimango, comunque. – si affrettò ad aggiungere, sedendosi.
Neanche al centro di disintossicazione lo trattavano così male.

Probabilmente Roxas pensava di dover rimanere a Destiny solo qualche settimana perché, a quanto stava scoprendo Ven, non si era portato molto.
Erano più di dieci minuti che frugava tra i cassetti e fino a quel momento aveva trovato solo: cinque telefoni, sei computer portatili, una scatola di cioccolatini finita, una riserva di alcol pop e superalcolici dietro il comodino, una bustina di zucchero sottilissimo (“Beata ignoranza” avrebbe detto Roxas se fosse stato lì) una play station, una guida sulle opere impressioniste della seconda metà del ‘900 (e in copertina c’era proprio quel quadro di Monùt in cui Roxas lo aveva portato), sei o sette libri dal titolo complicato e tanti, tantissimi vestiti.
Davvero, Ven non aveva mai visto tanti capi d’abbigliamento, che dall’aspetto sembravano davvero costosi, tutti insieme. Alcuni avevano ancora il cartellino, altri erano macchiati di quello che sembrava sangue.
E, da tutta la sua ricerca, l’unica cosa che aveva potuto dedurre del suo gemello era che era un alcolizzato appassionato di elettronica e maniaco di vestiti, peggio di sua madre quando parlava con le vicine.
Ora, non che si aspettasse di trovare chissà ché nella stanza di un tizio che a malapena parlava, però sarebbe stato più emozionante sapere con chi usciva, com’erano i suoi amici o quantomeno se aveva amici.
Ma,  pensò Ven lanciando un’occhiata sprezzante alla bottiglia di Tequila mezza vuota, non dovevano essere proprio dei bravi ragazzi. Diciamo pure che erano quel tipo di persone che Squall avrebbe voluto arrestare. Ma tanto Squall voleva “sbattere dentro” ogni forma di vita, da Platinette al tizio che non puliva la cacca del cane.
Quasi sconfortato, si rassegnò al fatto che non avrebbe scoperto niente e che se ne sarebbe andato di lì a mani vuote. Gli era passato anche per la mente di rubare qualcosa, tanto Roxas aveva tanti di quei soldi che mica se ne sarebbe accorto.
Poi aveva pensato che già aveva un incredibile peso sulla coscienza perché era gay e (innamorato di Terra) un altro lo avrebbe portato al suicidio. O all’omicidio se suo padre lo avesse scoperto. Quindi sarebbe morto in entrambi i casi.
Suo padre. Suo padre che si chiamava Squall Leonhart e faceva il poliziotto.
Non Cloud Strife. Cloud probabilmente neppure si ricordava di avere due figli.
Forse neanche uno. Quel pensiero gli fece di nuovo salire le lacrime agli occhi. Aprì un cassetto per cercare un pacchetto di fazzoletti e fu allora che la notò: una foto, incastrata tra lo spigolo e la scrivania. Ven la prese con mani tremanti e quello che vide lo lasciò shoccato e confuso.
C’era Roxas in quello scatto però aveva qualcosa di diverso dall’antipatico adolescente che era arrivato allo Destiny: lo sguardo era sempre spento però l’espressione era come più rilassata e negli occhi, comunque freddi, c’era un piccolo frammento di speranza.
Ma, se il suo gemello fosse stato da solo in quella foto, probabilmente non l’avrebbe neppure calcolata più di tanto. Era un altro il “piccolissimo” particolare che gli aveva contorto le budella.
Un particolare fin troppo conosciuto, di un metro e ottanta, con gli occhi verdi e i capelli rossi.
Un particolare che sorrideva e che, guarda caso, era tornato a Destiny poco prima dell’arrivo di Roxas.
Un particolare che…insomma, che diavolo ci faceva Axel in una foto con Roxas?

Riku si guardò allo specchio: aveva optato per il look casual, quella sera.
Indossava una camicia nera abbottonata fin sotto il collo, un jeans scuro e le scarpe da ginnastica nere. Niente di sofisticato insomma, se non fosse stato che ci aveva messo due ore per prepararsi.
Dio, sembrava una ragazzina al primo appuntamento. Eppure lui di appuntamenti ne aveva avuti tanti e non si era mai curato molto del suo aspetto. Aveva sempre afferrato le prime cose che gli capitavano sotto mano e via, a baciare tipe super truccate che gli rovinavano le maglie con macchie di rossetto.
“Forse” si ritrovò a pensare “è sempre così quando si è innamorati. Forse ogni piccolo particolare diventa di vitale importanza e ci si sente come se ogni passo possa cambiare il corso della vita.”
O forse, a furia di sentire Xion sbraitare e piangere, attaccata al suo collo, si stava davvero rincoglionendo.
- Non è giusto che non vuoi portarmi con te. Se è vero che non mi nascondi niente, sono autorizzata a seguirti, ovunque tu vada. – sbuffò, stringendo la presa. Riku le afferrò le braccia per non rimanere soffocato.
- Te l’ho detto: è un’uscita tra uomini, ti sentiresti in imbarazzo. – la guardò negli occhi. Lei si asciugò le lacrime – Allora non hai nessuna fidanzata segreta? –
- No, Xion. – Non ora, almeno. E probabilmente neppure stasera.
Chissà se Sora aveva intuito il motivo di quell’appuntamento. Chissà se ci aveva pensato e se aveva preso una decisione riguardo loro due. Riku sperava vivamente di sì perché l’aspettare lo stava logorando dentro.
Ma, conoscendo Sora, quando avrebbe fatto la fatidica domanda “Hai deciso?”, egli confuso avrebbe risposto “Che intendi? Qualcosa di Ven?”. L’avrebbe ucciso quel Ven, se avesse potuto.
Zexion entrò nella stanza, cacciando – con molta dolcezza- Xion (“Va’ fuori, oppure Teddy deciderà di fare un bagno nella candeggina”) e si sedette sul letto a braccia incrociate. Scrutò Riku con un certo interesse.
- Allora? – chiese il minore girandosi – come sto? –
L’azzurro annuì: - Passabile. – Riku inarcò un sopracciglio:
- Ci ho messo due ore a prepararmi e l’unico commento che ricevo è “passabile”? Cazzo, Zex, un po’ più d’impegno, magari! –
Zexion controllò il cellulare e una fitta di sconforto si fece largo nella sua mente: Demyx non l’aveva chiamato neanche quel giorno.
- Cosa vuoi che ti dica, Rì? “Oh, stai benissimo. Sora ti salterà addosso e vivrete felici e contenti”. Sai che non andrà così. Non ti noterà neanche se ti vesti da Drag Queen e vai in giro con un casco di banane in testa e un pitone nelle mutande. –
L’altro divenne di mille colori solo al pensiero.
Zexion- Riku 1-0
- Piuttosto… sai dov’è Demyx? – Riku si aggiustò una ciocca ribelle: - Non so. Al lavoro, probabilmente. Ultimamente sono sempre tutti lì. – Poi il colpo di genio. Si voltò a guardare Zexion, sbalordito: - Aspetta… ti stai innamorando di lui? –
Le guance dell’altro si tinsero di un rosso acceso: - Ma no… cosa vai a pensare…era tanto per chiedere. –
Riku sorrise beffardo: - Fai tanto il duro, dici di non sopportarlo e poi sei innamorato di lui. –
Zexion- Riku 1-1
La sveglia, impostata da Riku per non dimenticare l’appuntamento (“Come se potessi dimenticarlo, poi” aveva commentato Zexion quando gliel’aveva detto) fece segno che era ora di andare.
Zexion scattò in piedi, si avvicinò a Riku e gli sbottonò il primo bottone della camicia, lasciando così intravedere i pettorali scolpiti. Gli fece l’occhiolino: - Vai, cugino. La tua bella dama ti aspetta. –
Riku arrossì vistosamente.
Zexion- Riku 2-1

Sora guardò Roxas di traverso: era davvero patetico.
Se ne stava sdraiato sul letto con una mano sulla pancia e l’altra sulla bocca e un’espressione di sofferenza dipinta sul volto. Ogni tanto deglutiva a vuoto e gli sembrava anche che sudasse.
“Trattengo il vomito” gli aveva risposto quando Sora, temendo che potesse spirare sotto i suoi occhi, gli aveva chiesto “Devo chiamare un’ambulanza?”. Poco importava se a pranzo non aveva toccato cibo.
- Sei ridicolo. – Sospirò sdraiandosi. Incrociò le mani dietro la testa. Alla fine Roxas non era poi tanto fastidioso, quando non parlava.
- Non è colpa mia. – borbottò l’altro. La voce era soffocata dalla mano – E’ il mio stomaco che non riesce a trattenere la roba. Semplicemente arriva giù e poi risale su. –
- E’ una malattia questa. – Sora si voltò a guardarlo: nella penombra era assolutamente identico a suo fratello. – Si chiama anoressia. Tu sei malato, Roxas. – Il biondo scoppiò a ridere:
- L’unica malattia che ho è che non riesco a sopportare una finta famiglia felice, basata sull’ipocrisia e sulla menzogna. –
Sora si mise sulla difensiva: - Perché dici questo? –
- Andiamo, “fratellino” – lo canzonò – Davvero credi che tuo padre sappia di me? Pensi che tua madre abbia raccontato tutta la verità sulla sua storia? Povero illuso! –
Sora scattò in piedi: -Sei tu che menti, Roxas. Quale sarebbe la verità, allora? –
- E’ che… - Ma Sora non poté scoprire qual’era la verità perché l’orologio rintoccò e Roxas cambiò discorso: - Non avevi un appuntamento con Riku, stasera? –
Sora sembrò risvegliarsi da un sogno: - Io… me n’ero dimenticato. – disse più a sé stesso che all’altro – E non è un appuntamento! – aggiunse poi, come ripensandoci.
Roxas rise: - Proprio non capisci Sora. Manderai tutto all’aria, come fai sempre. –
Sora strinse i pugni con le lacrime agli occhi: - Tu non sai niente di me. Non sai niente della mia famiglia e non sai niente di Ven. Sei solo un ragazzo cattivo che è piombato qui per rovinare tutto. Non ci riuscirai, Roxas. Io non te lo permetterò. –
Il biondo si alzò dal letto e gli si avvicinò, sorridendo: - Tu provaci, Sora. Ma è contro Roxas Strife che ti stai mettendo. E quando si gioca con me finisce in un solo modo: io vinco, voi perdete. – Gli accarezzò la guancia con due dita: erano fredde e lunghe. – Ora vai fratellino. Vai a rovinare tutto. Rimarrai da solo alla fine. –
Aerith entrò nella stanza e Sora uscì, con le lacrime agli occhi. Non gliel’avrebbe data vinta. Non così facilmente.
Roxas guardò fuori dalla finestra: era ormai il crepuscolo e i raggi del sole allungavano ombre nella luce dorata. Da casa Leonhart, in uno scorcio tra le due case di fronte, si poteva ammirare anche il mare che a quell’ora brillava come non mai. Avrebbe rovinato i suoi delicatissimi occhi, pensò Roxas.
- Ven… - cominciò sua madre – stai meglio adesso?  -
- Sì, grazie. – rispose freddo, senza neppure guardarla. Non ce la faceva proprio a scrutare i suoi occhi verdi. Non riusciva proprio a dire “mamma” senza che il suo stomaco non facesse un triplo salto mortale. Era intollerante alla famiglia, ecco tutto. Anche ai pomodori a dire il vero, ma in quel momento non contava più di tanto.
- Vieni qui…- la nana da giardino gli si avvicinò pericolosamente – fatti abbracciare tesoro. –
Lo strinse tra le sue malefiche braccia e Roxas aspettò di sentire la testa che gli girava e la bile salire in gola, ma non successe. Ci fu solo il cuore che gli scoppiava nel petto e un calore mai provato che gli pervadeva la pelle. Non ricambiò l’abbraccio, ovvio, quella per lui era una sconosciuta, solo chiuse gli occhi e rimase lì, al centro della stanza, abbracciato da sua madre.
Alla fine, pensò, essere amati non era poi tanto male.





Dalla tana dell'autrice (Sì, tana, come quella dei topi n.d.altra me):
...Boh. (-_-' n.d.altra me) Ho postato un altro capitolo (Capitan Ovvio n.d.altra me) e se non ha molto senso è perché è solo metà. L'ho diviso perché il capitolo originale era di tipo trenta pagine...ventinove e mezzo per essere precisi. E quando stasera l'ho finito mi sono messa a ballare la ola, il tango, il chachacha e tutte quelle altre robe strane che si ballano quando uno è contento. E' stato un parto: l'ho cominciato a scrivere esattamente nove mesi fa e, neanche me ne sono accorta, ne ho scritti due (Quello che dici non ha senso n.d.altra me).
Alle recensioni risponderò tramite quella bella funzione di EFP, se imparerò ad usarla (Idiota n.d.altra me)
E niente, spero che il capitolo sia di vostro gradimento. E che, nonostante il mio...ritardo è un eufemismo, spero tornerete a seguirmi. Ci vediamo presto.
Baci&Abbracci da Kim.

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