All i wanted was you…

di candidalametta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** sotto la pioggia ***
Capitolo 2: *** appena prima di capire ***
Capitolo 3: *** prima della neve ***
Capitolo 4: *** febbre ***
Capitolo 5: *** peccato ***
Capitolo 6: *** odiami ***
Capitolo 7: *** proprietà di gioco ***
Capitolo 8: *** rabbia elettrica ***
Capitolo 9: *** fili colorati e nuove note ***
Capitolo 10: *** perdono nella notte ***
Capitolo 11: *** ho finito con te ***
Capitolo 12: *** cercando le parole, trovando te. ***



Capitolo 1
*** sotto la pioggia ***




All i wanted was you….



“Ciao Tomislav”

Gli occhi azzurri lo fissarono per un attimo e lui sentì un unico doloroso battito nel petto.
Era come se il tempo non fosse mai trascorso.


Il croato aprì gli occhi, la penombra della stanza avvolgeva tutto rendendo morbidi gli spigoli dei mobili nell'ombra. Gli scuri delle finestre erano appena inclinati invece di essere chiusi. Gli piaceva svegliarsi con il sole nella stanza, gli dava la forza per alzarsi, nel buio completo avrebbe potuto continuare a dormire per giorni. Alzò di poco la testa e il rumore dell'acqua contro i vetri lo spinse a tornare sotto le coperte, anche spalancando le finestre quel giorno poco probabilmente un raggio di sole sarebbe entrato in camera.

Si coprì la testa con il piumone e nel dormiveglia cominciò a pensare…

Tomo ricordava ancora benissimo la prima volta che aveva messo piede nella sua prima casa americana. Quel paese, così nuovo per lui prometteva bene, era grande, pieno di vita, pronto ad accoglierlo in un abbraccio protettivo. Sentiva sempre con se le radici di una terra che aveva dovuto abbandonare, ma sapeva anche, che il lungo viaggio era servito solo per salvarlo da un destino crudele e una vita ad un passo dalla morte. Per questo si era impegnato nell'adottare usi e costumi dell'America, diventare un figlio di quel paese che generosamente lo aveva accolto ricambiandola con il suo dono migliore, la musica.

Tomo si era arreso all'inevitabilità di contribuire in qualche modo sostentamento della famiglia passando qualche pomeriggio al ristorante dove lavoravano i genitori appartenuto ad un amico di famiglia ed ora passato ad un connazionale. Nonostante il sogno dei genitori fosse di avere un ristorante di loro proprietà per ora si adattavano a gestire il piccolo ritrovo sperando un giorno di realizzare la loro ambizione. Tomo si era abituato presto a dare una mano quando il locale era pieno ma nonostante questo passava tutto il tempo possibile ad esercitarsi per diventare il miglior virtuoso di violino dell'intero stato.

Ma questo non poteva cerco farlo a letto.

Scostò con un solo gesto le coperte serrate intorno al corpo e si alzò vagamente tremante, i riscaldamenti non erano ancora accesi a quell'ora del mattino e la casa anche se ermeticamente chiusa aveva perso calore durante la notte. Cominciò a camminare su e giù per la piccola stanza spiando il mondo oltre le tapparelle socchiuse e ignorando il suo riflesso in uno specchio lungo e stretto poggiato in un angolo. La lastra argentata nella penombra della stanza rifletteva l'alta figura magra dalla pelle chiara di un diciottenne con i capelli corvini che poteva anche dormire con troppe coperte nel letto ma sicuramente sotto di esse non sopportava quasi nulla. Si aggirò ancora per la stanza frizionandosi le braccia nude e inciampando nei pantaloni troppo lunghi del pigiama. Si lavò e si vestì pensando come sempre agli ultimi esercizi della sera prima; erano andati bene ma poteva fare di meglio, doveva trovare qualcosa di più armonioso, di indimenticabile, altrimenti Roxanne non sarebbe rimasta impressionata e il lavoro degli ultimi mesi sarebbe stato vano.

Rimase a soppesare l'ultimo pentagramma con aria confusa quando il campanello risuonò nella casa silenziosa. I genitori già al lavoro non erano presenti e le scuole di Ivana e Filip erano più vicine della sua, solo per lui la sveglia suonava così presto. Scese di corsa le scale con le scarpe in una mano e lo zaino nell'altra, aprì la porta e l'ombra di poco più bassa della sua si stagliò contro il cielo carico di nubi e la pioggia scrosciante. “grazie per avermi dato il tempo di inzupparmi fino alle ossa Tomo”, ilo croato sorrise “di nulla Leo” .

L'amico entrò lasciando una grossa pozzanghera dove fece cadere zaino, ombrello e giubbotto impregnati d'acqua. Come sempre mentre Tomo finiva di allacciarsi le scarpe Leonid si intrufolò in cucina a mangiare la colazione che la madre lasciava per il figlio di mezzo sul tavolo prima di andare a lavoro. “fua madre difenta sempfe più brafa a fare le crosfate Fomislav?” affermò con la bocca piena, l'altro si limitò a sorridere lisciandosi una piega dei jeans, “glielo farò presente anche se lei gradirebbe che la mangiassi io ogni tanto”. Leonid lo guardò con un sopracciglio alzato e poi gli offrì la fetta di dolce con la forma inequivocabile di un morso vorace,Tomo si limitò a scuotere piano la testa mentre indossava il cappotto.

Uscirono entrambi sotto la pioggia incessante ma non spettacolare come quella che aveva accolto Leonid dalla casa sua a quella dell'amico, “sembra che il temporale si prenda gioco di me Tomo, quando sono uscito mi sembrava di aver intravisto un’arca piena di animali ormeggiata dall’altra parte della strada”, il croato sorrise nascosto dalla sciarpa nera che portava raccolta intorno alla metà bassa del volto. Il cappuccio alzato del cappotto nascondeva i capelli tranne un ciuffo prepotente sul suo viso da adolescente cresciuto, Leonid camminava spavaldo con un grosso ombrello viola sopra la testa cercando di coprire l'amico più alto senza successo.
“certo che tu li odi proprio gli ombrelli vero?”, Tomo scosse il capo, non sarebbe servito a nulla parlare, e poi non l'avrebbe capito, lottare contro quei cosi di plastica richiedevano troppa pazienza. E poi a Tomo piaceva sentire la pioggia cadergli addosso, con le gocce più grosse che ticchettavano richiamandolo sulle spalle, ma questo Leonid no lo avrebbe mai capito. A lui piaceva di più sentirsi protetto da un grande scudo e arrivare a scuola perfettamente asciutto, anche se quel giorno sarebbe stato impossibile.

Si ripararono sotto la grande balconata della scuola in attesa che aprissero i portoni dell'edificio mentre tutti gli studenti si riparavano dall'acqua e dal freddo, ammassati come un gregge nel poco spazio coperto disponibile. Presto i due amici furono circondati da alunni di altre classi, inquieti e insonnoliti verso il muro di calce bianca.

“e non spingere!” Leonid si scostò velocemente da un ragazzino con pochi anni meno di lui che gli aveva pestato malamente il piede, “dovrebbero fare un riparo solo per quelli dell'ultimo anno”, scosse la testa evitando di ricordargli che fino a pochi mesi prima era stato alto quanto il bambino in questione. Un'alta figura incappucciata si fece largo fino ai due ragazzi, sovrastava di poco la testa biondastra di Leonid e arrivava quasi a guardare negli occhi Tomo.
Una volta davanti ai due i suoi occhi di una azzurro ghiacciato sottolineati di nero si fermarono per un attimo a fissare gli occhi scuri del croato poi abbassò il cappuccio del giubbotto scuro e la sciarpa nera che teneva anche lei stretta sotto metà del volto. “ciao ragazzi”, Leonid si avvicinò a lei per rubargli un bacio ma la ragazza ritrasse la guancia chiara prima che potesse poggiarvi le labbra, si avvicinò al bruno e gli abbasso la sciarpa sopra la bocca.
“tu non mi saluti Tomislav?”, il cuore del ragazzo batté un po' più forte mentre le dita guantate di lei gli sfioravano il volto, “ciao Roxanne”. La campana suonò prima che potesse avvicinarsi a lei e furono travolti dal fiume di studenti, spinti più dal riparo della pioggia che dalla voglia di apprendere.


Carissime
con Shannimal ancora sullo stomaco decido di provinarvi una mia vecchia storia. Scritta in momenti di delirio quando ancora non ero che una fragile e piccola Echelon che non sognava neanche di andare ad assistere ad un concerto dei 30 (parlo così solo perchè ho il biglietto aereo e quello del palasharp in mano, quindi facendo corna.... ;)
è uno dei miei primi esperimenti, quindi la sintassi non è il massimo, ma sapete com'è, certe storie ti aiutano a crescere ;P
Date le avvertenze per l'uso (che avrei dovuto propinarvi PRIMA del cap ma voi mi scusate no?) ,vi lascio a questa storia, assolutamente sconclusionata, senza arte ne parte e con dei personaggi così scomodi che vorrete ucciderli... ma con un Tomo che ho amato alla follia, e che, spero, riuscirete ad apprezzare ;)
un bacio a tutte voi ;)

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Capitolo 2
*** appena prima di capire ***



nota iniziale, ringrazio tutte quelle persone che leggono e scrivono ff, mi preme ricordare che nella mia vita tutto questo conta moltissimo, anche se non riesco a leggere tutto ciò che scrivete o commentare come si deve splendide storie che meritano tutta l'attenzione di questo mondo io vi sono davvero grata di esistere...
detto ciò...




2

l'interno della palestra era così caldo che non fu difficile abbandonare i maglioni e indossare le uniformi delle squadre. Se c'era una cosa di cui la scuola andava orgogliosa era che i suoi ragazzi avessero una preparazione completa, anche nello sport. I ragazzi basket le ragazze ginnastica ritmica. Il campo era completamente invaso dalla parte maschile di due classi, e come sempre era una sfida all'ultimo canestro.
“Oslo muoviti dannazione non vedi che il resto della squadra sta dormendo? Almeno tu cerca di fare qualche punto!”, Leonid si muoveva con velocità sul campo, in effetti sembrava sempre l'unico a sapersi districare tra gli altissimi compagni e servire la palla, per quelli come lui, a cui la natura non aveva donato una grande altezza, era quasi una fortuna riuscire a muoversi con velocità da una parte all'altra, in più aveva anche altre doti che la canotta rossa e i corti calzoncini non nascondevano affatto.
La pelle dorata si tendeva in continuazione sui muscoli definiti mentre quasi raso terra palleggiava velocemente verso il canestro avversario, alzò solo un attimo la palla al petto e la passò velocemente a Tomo già sotto il tabellone, lui la prese al volo e la mise nel cesto, saltarono insieme per darsi il cinque mentre il resto dei ragazzi li guardava imbronciati.
Fuori dalle linee del campo gli occhi azzurri di Roxane non si perdevano un passaggio della partita, “guarda com'è bravo il tuo Tomo, Rox, segna sempre lui”, “è Leo a passargli la palla” sussurrò distrattamente, “e allora? È pur sempre lui che la mette nel cesto” Annette scrollò le spalle e tornò ai suoi esercizi mentre l'amica continuava a fissare i due amici che ricevevano le feste dal resto della squadra, Leonid si stacco dall'abbraccio di un compagno e si girò per controllare se Roxanne li stesse guardando.
Appena incontrò gli occhi freddi della ragazza sorrise, rimasero a osservarsi a diversi metri di distanza. Lo sguardo di Leonid seguiva il profilo sottile della ragazza, gli occhi appena coperti dal ciuffo di capelli lisci, le spalle sfiorate dai lunghi codini imposti dall'allenamento, Roxane notò un rivolo di sudore dalla tempia alla guancia del ragazzo, gli occhi verdi molto chiari per la concentrazione.

Il braccio di Tomo si abbatté sulla spalla dell'amico e il contatto visivo cessò.

Leonid si girò a sorridergli ma quando tornò a voltarsi dalla ragazza lei stava già indicando Tomo e con una serie precisa di movimenti vece roteare la bacchetta con il nastro a formare un elegante cerchio nell'aria, la prese al volo, si inchinò e tornò saltellando dalle altre ragazze. Tomislav rimase a guardare lo spazio ora vuoto che aveva occupato con il suo spettacolo per lui, sospirò e si girò, “andiamo a cambiarci” suggerì all'amico.
Le lezioni erano concluse, i due ragazzi stavano tornando a casa, la strada dritta e solitaria si estendeva davanti a loro. Aveva smesso di piovere ma il freddo non era meno pungente, camminavano fianco a fianco troppo stanchi e infreddoliti per prendere un qualsiasi argomento.
La sciarpa di Tomo stretta come sempre sulle labbra, cose se mettesse un freno alle sue parole, ma Leonid non era il tipo di ragazzo che potesse stare zitto per molto tempo.
“come vanno i tuoi esercizi Tomo”, il moro si tirò giù il bavaglio per parlare chiaramente, “miglioro, insomma, non sono sicuro di aver fatto bene a lasciare perdere le lezioni e lavorare un po' da autodidatta però non è male, tutto sommato ho le basi necessarie per andare avanti da solo”, Leonid lo sfiorò appena con il gomito. “io credo che tu abbia fatto bene, è arrivato il momento di lasciare perdere quello che chiedono gli altri e ti metta a fare quello che vuoi realmente”,Tomislav sorrise, “hai ragione devo seguire i miei desideri”.
Arrivati davanti casa del croato, si salutarono con una pacca sulle spalle e mentre Tomo si avviava sul vialetto di casa la porta si aprì all'improvviso, la sorella stava uscendo per uno dei numerosi incontri di lavoro che aveva durante la giornata, si intuiva perché era vestita con troppa cura, e sicuramente a quell'ora non c'erano lezioni da seguire al corso che stava frequentando.
“attenta Ivana”, la sorella sorrise fiduciosa all'ammonimento del ragazzo, “tranquillo fratellino”.
Tomo entrò nella casa, silenziosa com'era Filip non era ancora ancora ritornato da scuola, il ragazzo si sfregò le mani contento, casa libera significava non essere interrotto continuamente e decise di approfittarne.

Prese il violino poggiato in un angolo della scrivania e dei fogli sparsi sul fondo di un cassetto, sistemò lo strumento sotto il mento e l'archetto tra le dita, tirò un grosso respiro e iniziò a suonare. Le note si perdevano per la casa vuota,spinto dall'eccitazione del momento improvvisò un virtuosismo e vide quasi con sorpresa che si fondeva perfettamente con il resto dell'opera in costruzione.

Si fermò immediatamente per scriverlo ma appena la penna si poggiò sul rigo del pentagramma una voce dietro di lui lo fece sobbalzare dallo spavento, “perché ti sei fermato? Stavi andando benissimo”.
Roxanne davanti la porta lo stava fissando con accurata attenzione, “io.. tu.. Roxanne cosa ci fai qui?”, la ragazza fece scivolare indietro i capelli lisci e lucidi,” la porta era aperta … gli appunti per la lezione di biologia di giovedì ricordi? Avevi detto di averli già studiati e che quindi per oggi potevo prenderli io”. “si certo, aspetta solo un attimo..”, mentre Tomo cercava in preda alla confusione qualcosa sopra la scrivania Roxanne si mise ad ispezionare la camera, era piccola certo, molto più della sua, ma aveva qualcosa di rassicurante, con i grandi mobili di legno e la finestra stretta ma alta che illuminava bene il piccolo ambiente, qualche locandina degli spettacoli più famosi di violino a cui aveva potuto assistere e l’effige della scuola un po' maltrattata in tutti quegli anni.
Il bruno stava ancora controllando tra i suoi quaderni quando Roxanne vide dei fogli cadere dal piano, li raccolse pensierosa, in cima scritto con la scrittura spigolosa di Tomo c'era il suo nome, più in basso accordi e note, un'opera, per lei ... Il ragazzo si girò con un quaderno ad anelli in mano, “ecco ..” le strappò i fogli dalle mani e li nascondendoli dietro la schiena, la ragazza scoppiò a ridere prendendo il quaderno e stringendolo a se, si avvicinò al viso del ragazzo.
Tomo si irrigidì quando il respiro caldo di Roxane gli sfiorò la guancia, “non credere che non abbia capito Tomislav” gli sussurrò all'orecchio, spostò il viso davanti al suo e in fondo agli occhi del ragazzo lesse tutto quello che inutilmente cercava di nascondere, sfiorò appena le labbra di lui e scappò via leggera mentre la sua risata si perdeva nella casa ancora vuota.

SPAZIO PUBBLICITà!dlindlon! si informano i signori passeggeri della presenza di una nuova divertente esilarante storia sul sito di efp! si intitola 'la dove non batte il sole' (evocativo non trovate?) è un racconto adorabile di leggero divertimento creato dalla mia amica Roby che ha un talento per far ridere senza preoccupazioni... io vi consiglio di dargli un'occhiata! ;) la dove non batte il sole

buona domenica a tutte voi! oggi ero in vena di aggiornamenti... chissà perchè!
mi preme farvi una piccolissima nota, il Tomo adolescente della mia storia si basa sulle scarse notizie che ho della sua vita, che suonasse il violino prima di reggersi in piedi, e che verso di diciassette-diciotto anni (il tempo della mia storia) per qualche inspiegabile motivo lasciò la musica classica per darsi al metal...
questa piccola storia è solo la mia versione dei fatti, ovviamente totalmente inventata (lo spero sopratutto per il vero Tomo!) di perchè si diede la pena di allietare la musica di marte con una chitarra elettrica ;)

passando alle mie amate recensioni...
Talita
certo che cè un continuo, non potevo mica lasciare il piccolo Tomo sotto la pioggia a fissare come un pesce lesso Roxanne! aggiornerò presto non proccuparti ;)
Shanna
mio amor, come potevo non mettere l'insicuro, fragile, adolescente croato sotto la pioggia? è prorpio un'immagine patetica ma lo rende così dolce! e io lo amo anche se in fondo è solo un ragazzino impacciato ;)

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Capitolo 3
*** prima della neve ***


A Lupo; che mi sedusse come l’unico della sua specie, in un bosco di città, nel buio della mia incoscienza

3


Leonid stava ancora cercando di far entrare la coperta dentro lo zaino consunto dall’uso, quando dei sassolini colpirono la sua finestra. Aprì il vetro ma dovette ritirare subito indietro a testa prima che un'altra manciata di ghiaia lo colpisse in volto, “ho capito! Buoni laggiù!”, sentì delle risate ma era davvero troppo buio nell'angolo interno della casa perché potesse scorgere qualcosa oltre due sagome incappucciate. Chiuse la porta con delicatezza, per non svegliare nessuno e si ritrovò davanti due figure gemelle, se non fosse stato per gli occhi quasi argentei di uno dei due; di quasi identica altezza con i capelli corvini che sbucavano dai cappucci coprendo la fronte, la bocca e il naso nascosti dalla stoffa nera. “andiamo Leo”, camminarono uno a fianco all'altro.
Leonid notò con una stretta al cuore che Roxanne cercava in ogni modo di avvicinarsi a Tomislav mentre camminavano e il ragazzo non sembrava volerla allontanare di un centimetro. Poteva leggere un sorriso nei suoi occhi neri.

“credo sia stata una buona idea organizzare una gita notturna, insomma era ora di dare un'occhiata alla città da un altra prospettiva”, Tomo sorrise tirandosi giù la sciarpa, “come se non l'avessimo vista milioni di volte! La verità e che ci andava di fare ancora qualche stupidagine prima di diventare irrimediabilmente adulti”. Roxanne si strinse le braccia intorno al corpo pensierosa, non credeva di riuscire condurre i due ragazzi in giro, a quell'ora così tarda, con tanta facilità, prese nota dell'enorme potere che aveva sui due. “quello che mi sfugge piuttosto”, cominciò titubante il moro, “è dove stiamo andando”. La ragazza non rispose, anche se la domanda era stata inevitabilmente rivolta a lei, allungò il passo per guadagnare qualche metro dai due e assumersi il compito di giuda. Ben presto abbandonarono il quartiere e le villette a schiera e si inerpicarono su una breve collina, dietro di lei i ragazzi non poterono notare che le sue lunghe gambe ormai quasi correvano sulla corta erba bagnata e i capelli mossi dal poco vento gelido. Il cappuccio caduto dalla foga con cui stava salendo la collina. Si lanciarono un'unica occhiata di totale ignoranza cercando di tenere il passo e non perderla di vista nel buio che progrediva.
Una volta in cima la ragazza si fermò di colpo, le luci della città in lontananza e quelle del quartiere proprio sotto i loro piedi creavano una sensazione di dominio sopra la terra abitata. Una strana calma li avvolse, fin quando Roxanne non corse ridendo dentro un boschetto che coronava la cima della piccola collina. I due amici si guardarono titubanti un attimo per poi lanciarsi nell'inseguimento, ma tra le prime ombre degli alberi, la poca luce lunare e quella ancora più fioca dei lampioni lontani smetteva di esistere. “Roxanne?” chiamò con voce fioca Tomislav, la risata di lei sembrava provenire da ogni tronco di salice argentato, “Roxanne dove sei?” insistette Leonid.
La voce cristallina si fece attendere qualche secondo, “cercami…”.
Gli occhi verdi cercarono quelli scuri, “cosa facciamo?”,Tomo si strinse nelle spalle ed entrambi entrarono cauti nella macchia. Camminarono vicini, sicuri che se si fossero allontanati si sarebbero persi nel buio, dopo pochi metri capirono che per trovarla in fretta dovevano dividersi. Leonid gli fece un cenno con il capo e si avviò verso un rumore in lontananza mentre la risata della ragazza si frammentava tra i rami.

La pochissima luce che riusciva a filtrare tra le foglie lasciava piccole monete di luna sulla strato di rametti ed erba gelata sotto i piedi di Leonid, camminava cauto cercando di non coprire con il rumore dei suoi passi un respiro inesistente. Si girò velocemente e su uno dei rami più bassi del salice davanti a lui notò un lieve luccicare d'argento, uno dei braccialetti di Roxanne. Riuscì ad intrappolare il polso sottile prima che la ragazza scappasse via, la avvicinò a se e in un raggio di luce soffusa poté osservarla. Con la mano libera si reggeva ancora al ramo basso mentre si teneva in equilibrio sulla biforcazione dal tronco, si chinò pericolosamente in avanti , ma la gravità sembrava non spaventarla. Leonid non poté far altro che alzare il viso verso di lei tenendola ben ferma nel suo pugno, il volto di Roxanne si fermò a guardarlo, i lunghi capelli cadevano leggeri nel vuoto mentre gli occhi sembravano diventare di un impenetrabile blu.
A Leonid ricordò un piccolo spirito della foresta, un’entità misteriosa di cui non poteva afferrare la natura. Non lo avrebbe sconvolto sa pere che quel viso di luna si nutriva di sangue come di vederla volteggiare tra i fiori come una delicata farfalla.
Era un’incognita di cui non c’era soluzione certa.
Ma a lui andava bene così, sapeva che l’avrebbe accettata in qualsiasi modo, e perfino farsi uccidere era preferibile a lasciarla scappare.
Roxanne inclinò il capo abbassandosi ancora di più e Leonid fece un passo in avanti pronto a prenderla se fosse caduta, si avvicinarono fin quando i loro visi non arrivarono quasi a toccarsi. “bravo Leo mi hai trovata” sussurrò, il ragazzo non lasciò la presa, gli occhi di lei brillarono per un attimo di una strana luce. Avvicinò la mano catturata al suo stesso volto e baciò il dorso di quella di lui, lo stupore invase il volto del ragazzo, lei gli sorrise ancora, poi gli morse un dito e nella confusione che leggeva nei suoi occhi scappò su un altro albero perdendosi nel buio delle fronde.

Tomo stava girando da una decina di minuti intorno agli stessi quattro alberi, da subito non era riuscito ad addentrarsi molto, al buio non avrebbe comunque visto nulla mentre dagli ultimi tronchi sul bordo filtrava quel po di luce che serviva a distinguere le sagome. Poi si era inoltrato senza dare ascolto al suo buon senso e gli era successo quello che più temeva, si era perso.
Si fermò al centro della piccola radura, chiuse gli occhi e respirò profondamente chiamando la ragazza con il pensiero, non gli importava di non sapere più come uscire, trovarla, era tutto quello che gli riempiva la testa, poi aprì gli occhi al lieve rumore di un rametto spezzato.
Roxanne apparve dall'ombra, tra la frangia dei capelli scuri rimase ad osservare il ragazzo ancora incerto, gli occhi caldi di Tomo ricordavano quelli di un cerbiatto perso nella foresta. Roxane si lecco le labbra … era indiscutibilmente lui la sua preda.
Avanzò stagliandosi poco a poco dal paesaggio scuro.
Tomo la vide avanzare con inspiegabile lentezza, poggiare piano la sua mano contro il collo e attirare i loro volti vicini, “ti ho trovata” bisbigliò lui confuso, “no, io ho trovato te Tomo”. Lo prese per mano e lo condusse verso la radura sopra le luci della città, seduto sulla coperta Leonid li stava già aspettando.

Si distesero facendo combaciare le teste al centro della coperta, i cappotti li riparavano dal freddo quel tanto che bastava per non congelare del tutto. Il biondo riformulò la domanda, “perché siamo qui?”, Roxanne fece un sibilo, per ordinare il silenzio, lanciò un occhiata all'orologio al polso e sorrise tra se.
Dalle nubi che ricoprivanoa tratti il cielo, grigie e minacciose, cominciarono a cadere piccoli puntini bianchi che i soffi di vento gelido, che ancora accarezzavano la notte, spostavano lentamente. Uno dei primi fiocchi di neve si posò sulla bocca di Roxanne e lei non poté fare a meno di assaporarlo. Cadevano lenti, così in armonia con il freddo intorno a loro che non si scioglievano nemmeno, rimasero a fissarli mentre ricoprivano la terra.


carissime! bentornate a tutte voi, a chi segue, a chi commenta, e a chi come me conta le ore prima della partenza per Milano.
come colei che lo scorso appello non è potuta partire vi GIURO solennemente che farò casino per le Echelon che non ci saranno.
cercherò di vedere il concerto con i vostri occhi per raccontarvelo quanto prima in una ff che sto già progettando ;)

Talita
parlo a nome di una che è più imbranata di un bradipo in letargo, se sei alta (come lo sono io e come lo è il povero Tomo) anche se non ti reggi in piedi, e ti mettono sotto un canestro servendoti la palla che c'è un'alta percentuale di fare canestro. è solo per questo che ho infilato a Tomislav una divisa è l'ho mandato in campo ;) se non si fosse capito in questo cap Leo è davvero interessato a Rox.. mentre lei.. beh, capirai prestissimo cosa ha in mente!

Princes
è sempre un onore avere la tua attenzione, davvero ti era piaciuta? io sono affezionata a questa storia, mi ha iautato a vedere nuove prospettive di realtà... anche se nella vita ho continuato a perseverare nei miei errori -.-
ci vediamo prestissimo al concerto! un bacio!!!

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Capitolo 4
*** febbre ***


4


“sei sicuro che ne sia valsa la pena?”, Ivana si fermò un attimo davanti la porta aperta della camera del fratello con una serie di vecchi numeri di Mode tra le braccia.
Tomo si soffiò penosamente il naso un’altra volta prima di rispondere con la classica intonazione di chi non riesce a respirare, “a fare cosa sorellina?”.
Ivana avanzò al centro della piccola stanza scavalcando gli innumerevoli fogli, libri e felpe arrotolate che affollavano il pavimento, “Tomislav Milicevic, sai bene a cosa mi riferisco” esclamò con rimprovero, il fratello tornò ad immergere il naso rosso nel fazzolettino stropicciato. La ragazza spostò con un gesto del capo i capelli dagli occhi e lo guardò intensamente, “mi chiedevo solo se passeggiare alle quattro di notte in pieno inverno sia valso in raffreddore degli ultimi due giorni”.
Tomo cercò di nascondere la sorpresa per il suo mancato segreto pensando velocemente ad una qualsiasi scusa per coprire ulteriori domande e sospetti, ma la sorella non attese tanto, l'espressione stupefatta del ragazzo bastava a confermare i suoi sospetti “era solo per prepararsi ad eventuali fughe d'amore ” concluse chiudendo la porta dietro di se.
Tomo rimase a fissare la stanza ormai vuota, un'immagine gli balzò alla mente, i profilo di Roxanne sfumato dolcemente dal chiarore delle stelle lontane e il riflesso dei fiocchi di neve nei suoi occhi incantati, “si ne è valsa la pena” mormorò alla porta chiusa.

Tomo non riusciva a tenere gli occhi aperti, l'influenza lo stava lentamente uccidendo, di questo ne era sicuro. Con le braccia poggiate sull'alto piano piastrellato e il capo sonnacchioso tra le mani, non poteva assumere posizione più sofferente, forse per questo Leonid si divertiva a tormentarlo anche se da lontano.
Ogni due minuti si girava per fargli una faccia buffa con il rischio di farsi richiamare più volte dal professore di biologia.
Roxanne accanto al biondo gli lanciava occhiate preoccupate, lei e Leonid avevano preso solo un leggero raffreddore che se n'era andato quasi subito, ma Tomo quasi non si reggeva in piedi e conoscendolo, sapeva che non sarebbe andato dal medico se non in casi estremi. La campanella suonò con violenza pochi metri sopra la testa del moro portandolo a nascondere il capo sotto il cappuccio della felpa con un mormorio di dolore. Roxanne gli si avvicinò preoccupata, seguita dall'amico, sfiorò con la punta delle dita la mano di Tomo che sbucava fuori dalla manica, la pelle era calda, quasi umida, innaturale. Sospirando per l’infantilità del ragazzo lo prese per un braccio conducendolo di peso per il corridoio fino all'infermeria aiutata dal biondo.
“ da qui in poi faccio da sola Leo”, il ragazzo lasciò l'altro braccio e la guardò interrogativo, “ma..”, lo sguardo della ragazza fu abbastanza eloquente e l'altro si affrettò a sparire per i corridoi affollati mentre Roxanne spingeva la porta bianca trascinando un Tomo talmente febbricitante da accorgersi solo vagamente dove si trovasse.

L'infermiera, una donna pratica sulla quarantina, fece cenno verso un lettino vuoto mentre si occupava di un atterrito ragazzino del primo anno alle prese con il fiume di sangue che gli usciva dal naso.
“oddio” mormoròTomo si girandosi dall'altro lato quando se ne accorse ma la testa confusa non resistette al bisogno di poggiarsi contro il cuscino sottile.
Per una volta in piedi davanti a lui Roxanne era la più alta, teneva ancora nella sua mano le dita del ragazzo, adesso gelate.
Si sporse su di lui e Tomo chiuse istintivamente gli occhi, le labbra di Roxanne gli sfiorarono delicatamente la fronte, scottava.
“allora, vediamo un po' cosa mi ha portato questa bella ragazza … Micilevic, ragazzo mio, ci siamo raffreddati per bene, vero?”, Tomo non rispose troppo confuso ma vide Roxanne sorridere complice.
“io..”, “lascia perdere mi spiegherai dopo, quando sarai in grado di farlo, pero ora saluta la tua giovane amica, non vorremmo rubarle del tempo nelle tue condizioni vero?”, il ragazzo fece per ribattere ma l'infermiera approfittò della bocca aperta per cacciarvi dentro un termometro.
La donna batté energicamente una mano sulla spalla della ragazza e le indicò alla porta, ma a Tomo uscì involontariamente un lamento mentre la mano tiepida abbandonava la sua, l'infermiera avrebbe probabilmente protestato per il gesto infantile ma un urlo quasi isterico del ragazzino con il naso colante la fece accorrere dall'altra parte della stanza mentre Roxanne si avvicinava nuovamente al capezzale. Tomo con gli occhi chiusi mormorò qualcosa con il vetro del termometro che sbatteva tra le labbra, Roxanne glielo tolse dalla bocca e si chinò su di lui, “resta con me”, la ragazza sorrise, “devo andare Tomo, quella donna non mi vuole qua intorno, credo di stargli antipatica sai?”, la stretta alla mano si fece più dolce mentre la voce diventava sempre più flebile, “non ... lasciarmi …”. Roxanne si alzò guardandolo addormentarsi, aveva un'aria così indifesa e dolce che per un attimo pensò che forse le cose sarebbero potute andare diversamente, che per lui, per una volta, avrebbe potuto … scosse la testa e sorrise, cacciando indietro il pensiero nella sua testa, avrebbe avuto quello che voleva, come sempre.
Poggiò una mano sulla sua guancia accaldata, il resto del viso era pallido, due ombre violacee si nascondevano sotto le ciglia chiuse, il ciuffo che di solito nascondeva una parte del viso era spostato indietro, Tomo respirava pesantemente in evidente stato di incoscienza. La ragazza avvicinò il viso al suo, indugiò un attimo sulle labbra immobili poi gli baciò una guancia, “non ora” pensò alzandosi.
Dietro di lei due occhi verdi osservavano la scena, la testa bionda si scosse piano e tirò indietro il pomello della porta maledicendosi.


Buon pomeriggio carissime.
Intanto vorrei fare un grosso applauso a chi ha deciso che questa storia sia degna di essere letta.
Io sinceramente non mi fido molto di lei, mi ha tradito tante di quelle volte.. e poi ha una voce quasi fastidiosa ormai, terribilmente infantile, quasi quanto i suoi personaggi, degli adolescenti senza arte ne parte… tranne il piccolo Tomo ovviamente.
Io amo quell’adolescente sgraziato che sono riuscita ad immaginare, me lo ricorda ancora un po’ nonostante sia “un barbone trasandato” come adora ripetere il mio adorato Colwin (pazienza, echelon, pazienza!).
Per farvi forza posso dirvi che la parte più interessante deve ancora arrivare, quindi queste frignacce sono solo di contorno, cercherò anche di velocizzare i tempi della pubblicazione … se voi mi fate qualche commento in più ;P

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Capitolo 5
*** peccato ***


5

Tomo si era ripreso, grazie anche alla telefonata dell'infermiera a casa Micilevic, qualche precauzione in più sulla salute del ragazzo aveva messo fine all'influenza mal gestita. Così il croato aveva passato buona parte dell'ultima settimana a bere brodo caldo e ingannare il tempo concentrandosi sull'opera incompiuta che intendeva dedicare a Roxane.
Ne era innamorato, riconosceva il suo cuore battere un più forte quando lei si avvicinava, le giornate sembravano troppo brevi da passare insieme quando era in sua compagnia, eppure c'era qualcosa che lo bloccava. La sua inesperienza lo portava a pensare di essere troppo goffo e precipitoso per trattenerla a se, ma sapeva che se non si fosse sbrigato qualcun altro più sveglio gli avrebbe fregato la ragazza da sotto il naso. Era terrorizzato tra i due poli, per questo cercava disperatamente un consiglio dalla sua migliore amica, tra le sue note riceveva sempre un conforto anche se forse non la soluzione.

Tomislav spinse con precauzione la porta dell'aula di scienze, era disabitata tranne per il professore che, di spalle, costruiva sulla cattedra un pezzo di DNA con sfere e viti intercambiabili. “professore..” la sua voce nell'aula deserta fece sussultare l'uomo mentre i pezzi colorati si spargevano per il pavimento dell'aula, “mi scusi!”, il professor Focus si girò vagamente contrariato per osservare il suo studente, “non si preoccupi, avevo solo impiegato venti minuti della mia vita a montare la catena genetica di un mammifero” sospirò a labbra strette, “comunque Micilevic, se cercava i suoi compagni avrà sicuramente notato che non sono qui, l'orario delle lezioni è stato spostato in onore delle ultime nevicate, se non sbaglio questa è l'ora dell'attività libera, quindi dovrebbero essere tutti sparsi per l'edificio” aggiunse chinandosi per raccogliere i pezzi più vicini, “vuole che..”, disse Tomo accingendosi ad aiutarlo, “no, no, vada pure”. Il ragazzo indietreggiò chiudendo la porta davanti a se e tirò un sospiro di sollievo.

Se conosceva bene Leonid sapeva che il ragazzo era nella palestra della scuola a giocare con i compagni o provare qualche nuovo attrezzo. Nonostante la passione per l'atletica e lo sport Leonid odiava il culturismo, gli piaceva semplicemente essere in forma e sfidarsi continuamente, ma più di tutto muoversi e divertirsi.
Non era la vista dell'amico però a premere nella mente di Tomo, il biondo era passato diverse volte a trovarlo nella convalescenza, sicuramente la mancanza più significativa era di due allungati occhi chiari. Avrebbe voluto vedere anche solo per un attimo Roxanne prima della lezione successiva, si sistemò meglio lo zaino sulla spalla destra e si avviò verso l'aula d'arte.
Attraverso la grande vetrata il ragazzo poté osservare a suo piacimento un buon numero dei suoi compagni di corso davanti ai rispettivi cavalletti, erano impegnati con uno dei soggetti preferiti della professoressa, una natura morta di frutta fresca. Un cavalletto nel cerchio era inutilizzato, sapeva essere quello della ragazza perché la sua sacca nera e viola giaceva ai piedi di legno, probabilmente di era allontanata un attimo. Tomo scosse la testa lievemente dispiaciuto e si avviò in palestra alla ricerca dell'amico.

Leonid si sfilò la maglia bagnata dall'allenamento passandola sulla fronte sudata, mentre si avviava distrattamente agli spogliatoi. Una sagoma sottile poggiata contro lo stipite della porta lo incuriosì; era uscito da campo prima degli altri giocatori, dopo era stato in campo per più di un ora sentiva che le ultime forze rimaste dovevano servirgli per fare una lunga doccia calda prima di riprendere fiato per la prossima lezione.
“ciao”, gli occhi di Roxanne gli sorrisero nell'ombra, lei aprì la porta e lo invitò ad entrare seguendolo con passo deciso.
“ Rox tu non dovresti stare qui, è uno spogliatoio maschile” disse il ragazzo fingendo un tono sornione mentre lottava contro il nodo in gola che gli impediva di parlare. La ragazza sorrise lievemente guardandosi intorno mentre si accomodava su una panca, ignorando le parole del ragazzo. “Leo non fare il pignolo, chi vuoi che mi veda?” chiese lei accavallando le game guardandosi intorno.
“ che ne dici dei miei compagni di squadra?” borbottò lui recuperando un borsone da dentro l’armadietto, Roxanne sorrise, “siamo soli” bisbigliò guardandolo negli occhi. Leon inghiottì penosamente la risposta che avrebbe voluto dargli e finse di concentrarsi sui vestiti spiegazzati che aveva tra le mani. “si ma arriveranno presto, cosa c'è di tanto urgente da dirmi per non farti aspettare altri dieci minuti?”, lei gli sorrise per nulla imbarazzata, mentre percepiva il nervosismo del ragazzo dalla frequenza con cui si alzava il suo petto, “volevo solo chiederti di Tomo”, Leonid sentì la vaga speranza che lei fosse entrata per lui sparire nel nulla. “Tomo tornerà a giorni Roxanne, lo sono andato a trovare ieri e credo stia veramente meglio, quindi aspettati la sua visita al più presto” rispose con tono piatto, alla ragazza non sfuggì la delusione nella voce.
“peccato” sussurrò alzandosi dalla panca e avvicinandosi alla porta, Leonid la fermò sulla soglia ancora chiusa intrappolando il polso sottile nella mano.
In un brivido ricordò lo stesso giorno appena qualche notte prima, “peccato?” ripeté confuso .
La ragazza gli si avvinò piano e il biondo indietreggiò fino a urtare gli armadietti di metallo, la pelle rabbrividì al freddo contatto sulla schiena, Roxanne poggiò un palmo sulla pelle del petto ansimante, sentì sotto le sue dita il cuore di Leonid battere velocemente, i suoi occhi chiari erano dilatati nel guardarla sorpreso. “perché anche a te dispiace Leo, perché avresti voluto avere più tempo senza Tomo vicino nella speranza di… “ guardò la mano di lui stretta ancora intorno al suo polso, “catturarmi ancora”, il ragazzo si preparò alla risposta pur sapendo di stare per balbettare ma lei gli pose un dito sulle labbra, “non inventare bugie per me, non ne vale la pena”, passò con dolcezza la punta sul labbro inferiore per poi scendere verso il mento e la gola di lui, prima di voltarsi e uscire dallo spogliatoio in tempo perché una mandria di ragazzi sudati non la travolgesse nella loro corsa alle docce.

Leonid girò in senso orario il piccolo pomello bordato di rosso. Il getto dapprima tiepido gli sfiorò la schiena, possibile che Roxanne avesse capito? Da mesi mascherava i suoi sentimenti dietro quella impacciata amicizia. Tomo ci era cascato in pieno, ne era la prova che quando il tema riguardava le ragazze l'amico chiedeva spiegazioni su Annette, come se la sua ex fosse ancora in cima ai pensieri del biondo. Da mesi Leonid si dibatteva sul prendere seriamente in considerazione la sua propensione verso quegli occhi azzurri che si insinuavano dei suoi pensieri, nei suoi sogni, in ogni singolo momento di ogni singolo giorno. Si voltò verso la parete piastrellata e poggiò i palmi sulla superficie liscia inarcando la schiena mentre le vertebre attutivano il cadere floscio dell'acqua.
Tomislav era innamorato di Roxane.
Su questo non potevano esserci dubbi, lo sguardo adorante degli occhi scuri dell'amico non ammettevano repliche e la sua opera, quella che portava il nome della ragazza, era capitata casualmente sotto gli occhi di Leonid troppe volte per essere ignorata. Ma lei? Cosa provava lei? Con Tomo ricorreva a quell’espressione dolce che si riserva ad un cucciolo indifeso, i loro discorsi non sembravano avere finalità alcuna se non quella di ascoltare reciprocamente la voce dell'altro. Riempire di parole i loro momenti incatenandoli in una fitta maglia.
Con il croato Roxanne era la più tenera creatura dell'universo, dimentica persino del tono sprezzante con cui si caratterizzava dal resto delle compagne mentre con lui la lame sottili della sua crudeltà erano sempre affilate.
Ma sapeva che in quei momenti, con quel tono e gli occhi di ghiaccio Roxanne era veramente se stessa.
Leonid alzò il viso verso il getto ormai bollente, piccole gocce gli colpirono il viso e istintivamente chiuse gli occhi. Fulgida arrivò la scena di poche notti prima nel boschetto, la pressione delle labbra di Roxane sul suo palmo, il bacio di un gatto, strinse le palpebre, forse pantera avrebbe reso maggiormente, considerando il modo in cui era poi scappata.
Eppure era l'istinto del felino che prevaleva nel loro rapporto, più Leonid cercava di avvicinarsi all'aggraziato essere più esso scappava, mostrando a tratti gli artigli che lungi dallo spaventarlo lo attiravano verso di lei. Il biondo girò in senso contrario il rubinetto e scosse i capelli staccandoli dalla testa in ciocche scomposte che gli caddero sul viso. Piccoli rivoli d'acqua cominciarono a scorrergli ai lati del viso e lungo la schiena, ebbe un brivido mentre usciva dal box doccia avvolgendosi un telo intorno alle anche, incrociandosi tra i suoi compagni di squadra. Ricevette qualche pacca affettuosa sulla schiena per qualche punto ben segnato e si andò a sedere davanti all'armadietto ancora aperto su una panca di legno chiaro. Distratto nei suoi pensieri non si accorse della presenza accanto a lui fin quando non alzò il viso oltre le sue spalle curve.
Tomislav osservava distratto l'anta di metallo davanti a lui, Leonid aprì la bocca stupito, “Tomo”, il bruno si girò verso l'amico sorridente, “però ce ne hai messo di tempo, davvero assorto oggi Leo, cosa c'è? non hai fatto abbastanza punti in campo?”. Una spanna sotto la sua altezza Leonid scosse la testa schizzando un po' di goccioline intorno a lui, Tomo gli lanciò un asciugamano, “ti aspetto fuori campione, mi sa che qua dentro rischio un'altra polmonite, una sauna non mi sembra appropriata”, rise allontanandosi dai vapori delle docce calde.

Uscendo Leonid notò subito, oltre la prima balconata, due teste nere molto vicine scorgerlo tra i compagni, la loro aria interessata per lui si perse quando si guardarono sorridendosi. Il biondo si staccò dal gruppo fissando i due profili troppo vicini.
Come una tragedia non scritta in cui lui era l'unico perso nel vuoto della sua desolazione, le persone più importanti della sua vita così unite e già in procinto di fondersi, escludendolo da quel rapporto che non avrebbe mai avuto.
E tra loro due mai voluto.
Lui era un Romeo senza speranza, e la sua Giulietta non era mai stata così irraggiungibile.
Anche da quella distanza ed inclinazione poteva scorgere la mano sottile e liscia di Roxane sfiorare la spalla del croato in una casualità voluta che a lui non era stata mai concessa.
Si passò una mano sul viso per nascondere l'espressione di rassegnata sconfitta rifiutando l'avvicinarsi degli amici. La voce di Tomislav lo colse di sorpresa, “andiamo a mensa Leo?”, il biondo sorrise stancamente oltre le dita aperte guardando gli occhi glaciali di Roxanne.


Ringrazio sempre chi ha un momentino per me, per commentare. Come io cerco disperatamente di tenere un dialogo tra quello che leggo e l’autore che ha scritto.

Luxu2,
se sei sopravvissuta a Shannimal questa storia ti sembrerà leggera ;) anche se è molto vecchia ha tutte le inclinazioni angs che mi hanno portato a scrivere quel mattone sopracitato. Io Tomo Adolescente non posso che vederlo come un lucido imbranato. Di quelli che ancora non hanno capito molto dalla vita ma già sanno riconoscere il buono delle persone e apprezzarne la follia (altrimenti come potrebbe lavorare con i Leto???). è vero, durante le interviste sembra sempre che si imponga di rimanere normale, almeno lui, visto che i fratelli si comportano come buffoni, ma noi lo adoriamo anche per questo. ;)

Talita;
Shannimal è li che ti aspetta. Appena troverai un momento (e anche un po’ di coraggio visto che ci vuole fegato per leggere quella storia) mi dirai cosa te ne sembra ;) Tomino è un amore lo so, forse l’ho fatto troppo fragile, così indifeso e romantico, ma non ne ho potuto fare a meno, in fondo ci sarà pur stato qualcosa che lo ha reso più maturo nella sua vita no? in compenso è silenzioso già da ora, che dramma questo ragazzo!

Shanna
cara, mi sa che Tomo adolescente l’ho inzuppato di cioccolato, mette coccolosità in ugniuna di noi, e ti viene voglia di proteggerlo e curarlo anche se rischi di prenderti una broncopolmonite (proprio come certi amici che sprezzanti del pericolo ti accompagnano al concerto della TUA vita senza fare una piega). Diciamo che fare le piccole infermiere è una dote naturale di ogni donna… basta che l’uomo sia collaborativo! ;)
Roxanne… beh, io non voglio anticiparvi nulla, capirete tutto dai suoi atteggiamenti o dai sensi di colpa di Leo! A voi la storia!

Vorrei ringraziare di nuovo Talita, Luxu2 Shanna Giuliechelon90 per aver commentato “pisolino di bellezza”, adoro farvi ridere ragazze ;)
Saluti a tutti voi!

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Capitolo 6
*** odiami ***





questa storia nasce daquesto video la domanda che è nata spontanea la prima volta è stata “perché Tomo, che sa suonare violino si accontenta di un’acustica?”, e da qui il polpettone che vi sto proponendo. Mi sembra inutile specificare adesso (ma è sempre meglio tardi che mai) che la canzone di Roxanne è la parte ad arco di the kill versione acustica. Ci vediamo alla fine…


Ad iride, che si lasciò conquistare dalla caccia quando ancora non sapeva di essere la preda

.

Durante il pranzo Roxanne non faceva che imboccare Tomo con la scusa che fosse troppo debole; il pallore del ragazzo parlava chiaro come la sua inappetenza, eppure ogni boccone pesava a Leonid come un macigno. Il pasto era privo di sapore se non quello amaro della gelosia. Arrivati al dolce mentre Roxane portava alla bocca di Tomo un pezzetto di crostata un po' di panna rimase all'angolo delle labbra del bruno, la ragazza la raccolse con l'indice e la mangiò guardando Leonid fisso negli occhi.
Per il biondo fu veramente troppo da sopportare, tirò indietro la sedia strisciando i piedi di metallo sul pavimento provocando un rumore stridulo che fece girare diverse persone, raccolse lo zaino da terra e si girò senza salutare nessuno.
Tomislav fece per alzarsi ma la ragazza lo fermò, “lascialo andare non è il caso”.
Roxanne fissò le spalle larghe di Leonid allontanarsi velocemente, le venne voglia di sorridere ma si trattenne, come avrebbe potuto spiegare al ragazzo al suo fianco perché il suo migliore amico si fosse allontanato in maniera così brusca?

Leonid non si fece vivo per il resto delle lezioni. Tomo quel giorno non riusciva a concentrarsi su nulla, la mano dolcemente tiepida di Roxanne nella sua distoglieva la sua attenzione su qualsiasi altra cosa. Persino il suo profumo lo lasciava così inebetito da non riuscire a rispondere alle domande dei professori.
Solo nell'ora di componimento quando si rese conto di doversi adattare all'aiuto di Roxanne si accorse che Leonid era scomparso da diverse ore. All'apparente mancanza dell'amico il croato pensò alle tante volte nella loro amicizia in cui lui stesso, arrabbiato, frustrato o semplicemente triste si era nascosto per non farsi commiserare. Il suo unico desiderio in quei momenti era che nessuno lo disturbasse, la prese per la volontà dell'amico e tornò da Roxanne con il sorriso sollevato di chi ha trovato una soluzione ai suoi problemi.

Quando la campana suonò il termine delle lezioni i ragazzi erano ancora uno accanto all'altro, le dita di Roxanne saldamente ancorate a quelle di Tomislav.
“vuoi venire a casa mia?” chiese in il bruno senza alzare lo sguardo da terra, la stretta di lei si fece più forte e mosse i primi passi verso una casa che non gli era sconosciuta. Tomo aprì la porta spiando l'interno buio e silenzioso, ‘via libera’ pensò nella sua testa invitando la ragazza rimasta sulla soglia ad entrare. La portò al piano di sopra mentre lei si fermava ogni due gradini per guardare le foto di famiglia appese alla parete, la statura di Tomo che cresceva con il passare del tempo, gli occhi che prendevano la forma di quelli della madre, i fratelli sempre vicini, una foto buffa di lui a tredici anni con una delle sue torte in mano, forse un po' sformata ma sicuramente buonissima.
Sorrise mentre la mano del ragazzo la conduceva nella sua camera. Una volta li percorse con la punta delle dita il perimetro della stanza, fermandosi quando si scontrò con le corde di un violino. Tomislav rosso in viso si era seduto sul letto, incapace di intavolare il discorso che più gli premeva nel petto. La ragazza accarezzò distrattamente il dorso dello strumento prima di porgerlo al bruno, “vuoi sentire qualcosa?” chiese dubbioso, lei gli si accomodò accanto, “solo quello che è mio”.
Tomo si alzò respirando a fondo, sarebbe stato inutile negare, sistemò la parte bassa tra la spalla e il mento e senza gettare più di un'occhiata fugace alla spartitura su una sedia si mise a suonare.

Suonava, arrendendosi dolcemente ed ogni nota, lasciando che l'archetto strappasse i giusti gemiti allo strumento. La melodia partì lentamente, alzandosi via via di tono, perdendosi in un giro quasi infinito.
Raccontava.
Ogni singolo accordo narrava un’emozione e Roxane non poteva non capirlo. Parlava di lei, degli occhi scuri di Tomo che non potevano smettere di guardarla, della grazia innaturale che vi scorgeva. Tomo le aveva donato la sua immagine, riflessa negli occhi languidi di se stesso, abbellendola e sconfinando in quel sottile limite che portava all'amore.
Le stava facendo dono di se stessa, ed era più di quanto lei avesse ricevuto in vita sua. Voleva piangere ma non poteva, voleva urlargli di smetterla, di non continuare a guardarla mentre ondeggiava l'archetto tra le corde tese. Chiuse un attimo gli occhi, come poteva essere così cieco? Scambiarla per qualcosa che non sarebbe stata mai? Tomo la guardava estasiato, gli occhi di lei si facevano sempre più dolci perdendo il riflesso di duro cristallo e diventando infine accoglienti come un mare quieto, come un cielo senza vento. Poi chiuse le palpebre e lui pensò per ascoltare meglio la melodia e le chiuse anche lui, per suonare non ne aveva bisogno, bastava la sua presenza nella piccola stanza.
Ma quando entrambi riaprirono gli occhi Tomo si accorse di qualcosa di fondamentale era cambiato, il suo sguardo era ancora più trasparente, come ghiaccio artico intrappolato nei suoi pensieri. Abbassò lo strumento per chiedere spiegazioni ma la ragazza non glielo permise, gli prese il volto e lo baciò. Il violino gli cadde dalle mani atterrando con un tonfo morbido sul tappeto, lasciando le braccia immobili in uno stupore tangibile. Lui aspettò qualche secondo prima di rispondere, la sorpresa per un momento che aveva tanto atteso era talmente inaspettata che reagire sembrò impossibile. La strinse a se per un attimo che gli sembrò troppo breve.
Roxanne si sciolse dalla presa delicata di Tomo, lo guardò ancora negli occhi di cucciolo smarrito che si chiede il perché di troppe cose, anche di quello che non dovrebbe sapere. Lo allontanò dolcemente fissandolo ancora un attimo, “mio dio quanto mi piaci Tomo” sussurrò.
Il ragazzo sorrise sorpreso ma prima che potesse rispondere qualcosa Roxanne si girò e andò via lasciandolo solo e confuso al centro della stanza.

Quello che Tomislav non poteva sapere era che nelle ultime parole di Roxanne non c'era dolcezza. Per la ragazza il sentimento che lui le ispirava dove non poteva esistere, perché nel cuore di tenebra di lei ogni barlume di luce era soffocato con violenza, facendo male, uccidendo chiunque gli stesse vicino. Nessuno avrebbe capito perché, nessuno ci avrebbe mai provato perché una volta accorti di cosa erano realmente capaci quegli occhi di ghiaccio nessuno sopportava più la loro vista.
Neanche la ragazza stessa avrebbe saputo spiegare perché fosse così, un’amante dell’odio sconfinato che creava. Perché non riuscisse ad amare, perché si fosse incapricciata di Tomo e allo stesso tempo non riuscisse ad aprirsi a lui, a mostrargli quella che era in realtà, a non ripagare neanche un soffio quell’affetto sconfinato che lui gli offriva. Perché non fosse leale, perché non potesse amare.

Camminò veloce fino a raggiungere una villetta poco vicina. Suonò il campanello quasi con violenza sapendo esattamente chi avrebbe incontrato.

Leonid aprì con i soli pantaloni della tuta attorno al bacino asciutto, la guardò combattuto prima di chiudere nuovamente la porta, ma lei aspettandoselo si intrufolò dentro sfruttando la sua sagoma sottile, “va via” chiese il biondo con voce bassa guardando il tappeto sotto i suoi piedi. La ragazza lo avvicinò sfiorando la pelle nuda con le mani ancora gelate dalla temperatura esterna alla casa, Leonid fu costretto ad alzare la testa per guardarla negli occhi, il gelo del suo tocco era trasmesso dal suo sguardo incredibilmente duro, “tu mi odi vero Leo?”.
Il ragazzo cercò dentro di se il sentimento più potente che aveva in corpo e nonostante si aspettasse il rancore l'unica cosa che arrivò prepotentemente al suo cervello fu solo la fame che aveva di quella ragazza che rappresentava tutto il proibito e tutto il desiderabile della sua vita.
Strinse i pugni per costringersi a non sbatterla contro il muro li vicino e dare sfogo alle sue volontà.
Lei lo guardò negli occhi, il colore cambiò rapidamente in un modo così evidente da lasciarlo stordito.
Fece un altro passo verso di lui così che adesso i loro corpi combaciassero, “dimmi che mi odi!”. Leonid tremò, non poteva fargli questo, “odiami!” ringhio Roxanne alla tempia del ragazzo mentre il suo respiro gli accarezzava la pelle, lui la spinse sul divano vicino all'ingresso dove cadde senza grazia sopra di lei.
Provò a baciarla mentre si spogliavano, lambì il suo corpo sempre gelido ma ogni volta che si avvicinava alle labbra lei si voltava rendendo impossibile il contatto. Il biondo dimenticò tutto, accantonò in un angolo ogni pensiero giusto, ogni proibizione, entrò in lei velocemente, piangendo dentro per quell'amore non consumato, per quel vuoto che avrebbe dovuto essere riempito della felicità di entrambi.
Si protese per togliergli i capelli dal viso un po' arrossato, sfiorò appena le labbra leggermente aperte e si chinò per poggiarvi sopra le sue ma lei girò la testa un attimo prima coprendosi di nuovo con il manto nero della chioma, la bocca di Leonid si ritrovò accanto al suo orecchio, “si, ti odio” bisbigliò appena, ma lei lo sentì lo stesso mentre a pochi isolati di distanza in una camera le ultime note della composizione di Tomo svanivano nell'aria.

è un brutto periodo, un bruttissimo periodaccio nero. So che non dovrei riversare sui miei poveri scritti tutto questo rancore ma non posso davvero. Se vi può consolare questo capitolo faceva schifo anche alla prima stesura, volevo alzare un po’ il colore ma poi ho rinunciato, perché queste storie nascono per far un po’ di spazio nel mio povero cuore e invece mi lasciano più triste. Come fottersene della catarsi…
Bon, credo che non ci sia nulla da aggiungere oltre al fatto che ringrazio davvero chi legge e chi commenta.
sospratutto a Talita, che fa parte delle irriducibili e spero che sia stata abbastanza chiara su ciò che prova quella belva di Roxanne...

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Capitolo 7
*** proprietà di gioco ***


Giorni, settimane, forse mesi. Tre ragazzi perduti in una danza contorta e difficile. Uno di loro non conosceva i passi e gli altri due dovevano fare di tutto per indirizzarlo verso il posto giusto del palco, per non fargli perdere l'equilibrio, per mantenere una certa armonia.
Roxanne ci pensava spesso, la sua visione della vicenda era questa. Passava le giornate tra un Tomo sempre più confuso ma bene accetto per le attenzioni che lei gli donava e un Leonid nervoso, scattante. Si era rifiutato di accettare con naturalezza quell'astuto gioco. Ma non poteva rivelare tutto al migliore amico, sapeva quanto avrebbe sofferto. Cercava nei limiti del possibile di allontanarsi da Roxanne, anche se ogni barriera che metteva tra loro crollava miseramente ogni volta che lei lo guardava. Perduto nel rimorso Leonid viveva a metà, intrappolato in quello che gli sembrava un brutto sogno dal quale non aveva la forza di risvegliarsi. Era costretto ad inventare bugie, una dietro l'altra, sempre, per sfuggire all'ombra scura dagli occhi di cristallo che non lo lasciava mai.

Stavano giocando come sempre in quell'ora, le divise dei ragazzi grazie al caldo di quelle prime giornate si attaccavano loro corpi rendendo difficili i movimenti. Leonid aveva già segnato a cinque minuti dall'inizio della partita, un passo dietro di lui Tomo si trovava sempre in posizione disponibile per il passaggio, ma stavolta il biondo aveva un progetto diverso.
Era stufo, stufo di dover sempre passare la palla, stufo di quegli occhi glaciali che non lasciavano un attimo la sagoma di Tomo che correva per il campo lanciando inviti impossibili da ignorare, stufo di questo assurdo gioco che gli rovinava la vita rendendogli impossibile divertirsi o semplicemente pensare ad altro.
Gli avversari posti a semi cerchio dietro il biondo, un paio ai lati di Tomo; dopo anni di partite sapevano che Leonid non avrebbe mai tirato, avrebbe passato la palla all'amico lasciando che fosse lui a segnare.
Ma per una volta decise che le cose sarebbero andate diversamente, che il gioco adesso fosse in mano sua, Tomo non poteva saperlo e come sempre in quegli anni scattò lateralmente per portarsi alle spalle di Leonid proprio sotto il canestro. I loro personali passaggi prevedevano che Leonid lasciasse la palla scivolare sotto le sue gambe per finire in mano a Tomo che ormai solo avrebbe segnato.
Ma Leonid non lasciò la palla e il moro seguendo uno schema sbagliato gli finì addosso senza volerlo.
“Leo! Ti prego scusami, ti sei fatto male?” il corpo di Tomo restò un attimo disteso sulla schiena di Leonid prima di spostarsi e controllare l'amico. Il biondo scosse la testa, si girò cercando di alzarsi ma il suo sguardo cadde sul polso piegato in modo innaturale sotto di lui nella caduta. L'arbitro-professore si avvicinò per constatare il danno, “direi che si è proprio rotto signor Oslo, è meglio che si vada in infermeria, li troveranno qualcuno che la accompagni in ospedale”.
Leonid osservò ancora la strana angolazione e annuendo silenziosamente si alzò senza aiuto rientrando nell'edificio, “aspettami Leo ...” Tomislav lo stava già raggiungendo ma Roxanne gli si avvicinò prendendo Leonid per il braccio sano e sorridendo al bruno che, in colpa e confuso, rimase dov'era.

L'infermiera sbattè un pacco di ghiaccio sintetico sul bordo della sua scrivania e lo poggiò delicatamente sul poso tumefatto di Leonid, “ora aspettami qui mentre trovo qualcuno che ti porti via ok?”, il biondo accennò ad un si, “tu ragazza mia, puoi restare se vuoi”. Roxanne ringraziò sorridente e poggiò una mano sull'avambraccio di Leonid, aspettò che la donna chiudesse la porta alle sue spalle prima di scrutare il ragazzo con gli occhi gelidi alla ricerca di una risposta. “perché non gli hai passato la palla?”, Leonid si ritrasse al suo contatto guardandola truce, “era tra le mie mani, potevo farci quello che volevo, nessuno può obbligarmi a darla a qualcun altro”, la sua espressione era inequivocabile, non era della palla che stavano discutendo.
“dovevi lasciarla andare Leo, tu non sei capace di fare canestro, puoi portarla fino ad un certo punto ma poi devi lasciarla a Tomo”bisbigliò lei mentre compiacente gli sistemava una ciocca dei capelli chiari, “perché! Perché deve avere lui quello che può essere mio? Ho lavorato tanto per questo , mi sono impegnato fino a dare tutto me stesso, io ci metto tutto quello che posso ma alla fine …”, stava urlando adesso. “voglio solo quello che mi spetta Roxanne! solo quello, non sono più disposto a restare in ombra”, la ragazza lo osservò gelida, “anche a costo di vederlo soffrire?”.
Le sue parole lo colpirono come una secchiata di acqua gelida e continuò imperturbabile, “tu lo adori, non vorresti mai vederlo infelice perché è la persona a cui tieni di più al mondo, sai che puoi perderlo in un momento… se solo lui lo venisse a sapere… vuoi davvero questo?”.
Leonid rabbrividì, sentiva il dolore crescere al polso e il viso di Roxanne farsi più vicino fino a sfiorargli il collo con le labbra.
“puoi avere solo quello che io sono disposta a concederti Leo, nei modi e nei tempi che io ti dirò, facendo ciò che dico io… come voglio io …”, “non potrai vincere per sempre Roxanne” sussurrò il ragazzo sconfitto per l'ennesima volta.
Lei non si diede la pena di rispondergli mentre gli aderiva sempre di più.
Il biondo cercò di pensare con lucidità mentre il mondo sembrava cadergli addosso, poggio il palmo della mano buona contro la spalla di lei e la spinse via. “ho accettato per troppo tempo questo accordo, non puoi continuare a farmi vivere così”, gli occhi del ragazzo diventarono più chiari con le lacrime che chiedevano solo di cadere, “perché lui può averti e io no? Cos'ho fatto per meritarmi questo, che cos'ha lui di così speciale?”, la sua voce già roca per il pianto sembrava un singhiozzo.
“perché lui mi ama incondizionatamente Leo, lui non sa cosa sono realmente, ha un cuore tenero privo di crudeltà e infamia, deve essere protetto, deve rimanere intatto nella sua purezza”, disse lei con la testa alta fissandolo negli occhi, “e per questo io dovrei vivere come un dannato? Portando un segreto che potrebbe ucciderlo? Anche io ti amo Roxanne ma di me... no, di me non hai nessuna pietà!”.
Un rumore inaspettato gli fece girare, una vaschetta di metallo giaceva a terra ancora vibrante per il contatto con il pavimento. In piedi semi nascosto da una scaffalatura di alluminio e vetro Tomo ascoltava la conversazione.

Lo so è ridicolo, sa così tanto di telenovelas messicana che sento ero tentata di inserire un personaggio che urlava “non amarme!” … ma questo è un altro delirio. Rileggendo sta roba mi viene da piangere, come ho potuto inventare una storia così patetica?. Va bene non pensiamoci, ringrazio piuttosto chi ha ancora l’ardire di leggere e ancora di più il fegato di recensire.

Luxu2,
se ti piacesse Roxanne allora si che sarebbero problemi! La verità è che è un personaggio da odiare. E anche tanto. Grazie per la tua presenza ;)

Talita;
esseri come Rox sono davvero senza redenzione, nascono malvagi e forse vanno a vanti così per problemi che anime candide come Tomo non capiranno mai. Tranquillizzati il seguito c’è e Tomo capirà anche troppo .. grazie infinite per restare qui a commentare, è davvero molto importante per me. un bacio.

voglio ringraziare di cuore Shanna e Princes ... ho provato più volte a scrivervi una mail di ringraziamento per i commenti della mia debole poesia, ma non c'è l'ho fatta. so solo che sono vostre le mie lacrime di gratitudine.

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Capitolo 8
*** rabbia elettrica ***


è tardi tardi sai! ;P
per farmi anche solo vagamente perdonare ho unito 2 capitoli.
così mentre siette impegnati a leggere io scappo lontana ;)
( ci vediamo alla fine)
ps, come prevedibile adesso è la volta di concederci la versione "ufficiale" di the kill...capirete presto il perchè


era entrato in infermeria cercando l'amico, si sentiva particolarmente in colpa per non aver saputo prevedere il passaggio, distratto dallo sguardo di Roxane e dalla prevedibilità delle loro mosse gli era inevitabilmente finito addosso, schiacciandolo.
Tomo poteva anche essersi sbagliato ma al contatto con quel corpo così familiare aveva sentito una strana ostilità. Preoccupato aveva inventato una scusa per lasciare il campo e rientrare a controllare le condizioni del polso ferito. Si era intrufolato cercando di non dare nell'occhio ma poi era rimasto cauto nell'ombra per sentire la discussione. Tremò convulsamente quando riuscì a comprendere tutto, quando il disegno dei due divenne così chiaro da poter essere analizzato nel dettaglio, la fuga di Leonid dalla mensa, il bacio strappato di Roxanne, il comportamento degli ultimi tempi.
Rimase nascosto sperando di essersi sbagliato ma quando sentì dire all'amico di amare la ragazza il suo cuore non resse e indietreggiò alla cieca verso la porta facendo cadere la ciotola. Roxane si girò a guardarlo con quell'espressione stupita che ad un tratto diventò l'unico tratto sincero mai esistito sul volto della ragazza. I suoi misteriosi occhi azzurri per una volta esprimevano ciò che provavano.
Sorpresa.
Tomo uscì velocemente dalla stanza, percorse il corridoio cercando dentro di se lacrime che non esistevano, solo rabbia, tanta rabbia. Alla cieca si chiuse un un'aula senza illuminazione, poca luce filtrava attraverso le finestre, abituandosi alla penombra si accorse di essere nella stanza della musica. Tutti gli strumenti della scuola stavano li, in attesa dell'ora giusta in cui dita impacciate cercassero un suono accettabile.
Le mani di Tomislav tremavano, si sentiva solo, abbandonato come il più sperduto degli uomini in un deserto di dolore. Doveva sfogarsi, voleva trovare qualcosa in cui buttarsi a capofitto e dimenticare quella presenza pesante nel petto, si avvicinò al tavolo degli strumenti a corda, arraffò alla cieca il violino e cominciò con qualche accordo. Lo getto subito in un angolo, quasi con violenza, dimenticando l'amore e la compagnia che quello strumento aveva saputo dargli nella sua vita. Il suoi suono era consolatore, avvolgente, allego a volte, ma non era ciò che Tomo sentiva di provare. Confuso cominciò a girare convulsamente intorno al tavolo, la rabbia come un velo nero davanti agli occhi stringeva tutti i suoi pensieri. Con un fianco fece cadere uno strumento dal tavolo e lo prese poco prima che il legno si scontrasse con il pavimento, tra le sue mani c'era una chitarra elettrica.
Tomislav non ne aveva mai toccata una, suo fratello a volte suonava un'acustica per accompagnarlo e gli aveva insegnato vagamente qualche accordo, ma la sua conoscenza era davvero scarsa di quello strumento. Eppure in quel momento seppe esattamente cosa fare.
Prese lo spinotto e lo inserì mentre imbracciava la chitarra. Attacco con la stessa canzone che aveva provato per mesi, il suo suono uscì contrito e greve, il dolore la rabbia trovarono sfogo.

Tomo suonava nella stanza semi buia, pochi raggi filtravano attraverso le persiane, si lasciò andare completamente per accompagnare lo strumento tra le sue dita, lasciando che i capelli gli coprissero il viso guidato dall'immaginazione quando sopperiva la tecnica. A gambe larghe nel vuoto nero di una stanza pena di strumenti muti.Non una lacrima, ma una valvola sicura per il suo odio, per il rancore, per l'inevitabile realtà di essere stati uccisi da chi credeva gli volesse bene.


Arrivò trafelato al ristorante dove lavoravano i genitori e come sempre lo raggiunse in cucina. “bravo Tomislav ti sei ricordato che oggi tocca a te darmi una mano, pensavo non ne volessi più sapere del tuo vecchio considerando da quanto tempo non ti fai vivo”. Tomo non sorrise come sempre cercando una mezza scusa, ma si mise il grembiule da cameriere e cominciò a portare le ordinazioni ai tavoli. Lavorando cercava il modo migliore per formulare una richiesta che gli sarebbe servita per cambiare la sua vita. Passò la sera e la prima parte della notte portando vivande calde consigliando e aiutando i clienti. Il suo viso era totalmente privo di espressione.
Solo quando verso le undici e mezza il locale cominciò a svuotarsi e il padre gli chiese di restare in cucina. “lo so che di solito li fa tua madre la mattina ma stasera è particolarmente stanca, vorresti rimanere con me a preparare i muffin per la colazione? Così lei può andare a casa a dormire e domani potrebbe svegliarsi tardi” il ragazzo annuì gravemente mentre cambiava il grembiule con uno più ampio e prendeva le uova.
I due lavorarono in silenzio per un po' “sembra ieri quando ti feci fare la tua prima torta Tomislav, eri un soldo di cacio ai tempi con quegli occhioni enormi”, sorrise tra se amalgamando il burro fuso. “avevi da poco ricevuto il tuo violino dallo zio, non lo lasciavi un attimo quell'aggeggio, nonostante non sapessi ancora suonarlo”, spiò il figlio concentrato a dividere il tuorlo dall'albume e lo vide incredibilmente teso. “Tomo?”, il bruno si girò immediatamente, il padre non usava questo tipo di abbreviativo, amava chiamarlo con il suo nome completo. “si papà?”, “cos'hai figliolo?”
Tomo sospirò pesantemente pesando lo zucchero in una bilancia, “volevo chiederti una cosa...”, il padre non disse nulla ma lo guardò in modo incoraggiante, “vorrei una chitarra elettrica”.
L'uomo si concesse un paio di mescolate all'impasto prima di rispondere, “è un desiderio vero?”. Tomo sorrise per la prima volta dal pomeriggio, suo padre aveva sempre ascoltato i suoi desideri con la massima serietà, amava i suoi figli con tutto l'impegno che un padre potrebbe metterci. Ma le scarse possibilità economiche della famiglia decretavano cosa era possibile avere e cosa no. I regali dei bambini ed ora ragazzi erano stati sempre accuratamente scelti affinché i pochi soldi disponibili servissero davvero per realizzare dei desideri voluti.
“si papà la desidero davvero”.
L'uomo soppesò la sua espressione per un momento leggendo la verità negli occhi scuri, “ascolta Tomislav, non ho abbastanza soldi per un regalo del genere, la paga è quella che è, tua madre ed io vorremo farti finire gli studi del liceo e trasferirci per aprire un locale tutto nostro, vorrei accontentarti ma..”. Il viso del figlio esprimeva una rassegnazione rabbiosa che gli stringeva il cuore ma non poteva davvero spendere così i pochi soldi del momento. “quanto hai vinto all'ultima gara di composizione che hai fatto Tomislav?”. Il ragazzo ripensò alla cifra, “io e tua madre non ti abbiamo ancora regalato nulla per il tuo ultimo compleanno, possiamo fare una cosa se te la senti”
Tomo guardò fiducioso il padre alla ricerca di una soluzione, “quando ero giovane ho studiato elettrotecnica e devo dire che la passione mi è rimasta, secondo te con un buon manuale e un po' di pazienza riusciamo a costruire qualcosa di decente?”

Luwu
sarà perchè l'ho fatto nascere ma anche io vedo Leonid come una vittima insieme a Tomo.. Nei prossimi cap spero di di farti capire meglio la situazione! a prestissimo!

Talita
si il nostro futiro chitarrista ha sentito tutto e adesso è davvero sconvolto. Troverà il modo di riprendersi o rimarrà per sempre depresso? ;P ma che faccio' do domante di cui si conosce già la risposta???? bene, sto impazzendo!

blue_moon
e lo sapevo che c'eri anche tu nascosta in qualche angolo!!! tranquilla cara tu segui me come io seguo te lo sai ;)
era questo che cercavo di dare al piccolo Tomo, un minomo di autenticità! insomma, la vita è abbastanza complicata di suo se poi nelle ff ci lasciamo andare al paradossale non ne usiciamo più! ;P
un bacio! e a prestissimo!

Shanna
e IO per colpa di qualcun ALTRO mi perdo le tue recensioni???? ISHTAR ASSASSINA ALL'ATTACCO!
:P
in realtà il circolo amore-odio-simpatia-rabbia è il classico coktail adolescenziale.
senza arte ne parte.
Roxanne la vedo come la classica ragazzina che è stata tradita e adesso cerca riscatto nel non amore, Leonid è solo confuso, e magari un pò invidioso, del talento di Tomo e della dolcezza che esprime, dell'affetto che si tira addosso anche da un essere acido come Rox.
Tomo stesso è un mix di ingenuità e dolcezza, purtroppo (o per fortuna) con la mia storia si sta facendo le ossa.
e ora lo voglio vedere come affronterà il mondo! ;)

un abbraccio (e una tortillas) a tutte voi! a prestissimo!

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Capitolo 9
*** fili colorati e nuove note ***


La sua vita si fermava in quella stanza stracolma di fili colorati, saldatori, appunti sparsi e polvere. Vedeva crescere tra le sue mani uno strano oggetto difficile da identificare. Eppure sapeva che da quella contrita gestazione sarebbe nato il suo futuro.
Seguiva le lezioni senza guardare realmente chi gli era attorno, anche se percepiva distintamente due paia di occhi sempre su di lui, e la rabbia aumentava e scemava in continuazione a seconda della vicinanza o lontananza dei presenti. I pochi minuti senza la voce monotona dei professori con le cuffie alle orecchie, alla perenne scoperta dell’ l'heavy metal.

Tornava dalla classica spesa del mercoledì, preferiva occuparsene da solo, anche se poi trasportare quella mole di sacchetti di carta da solo era sempre un’impresa, scorgeva appena i mattoncini sopra l’erba rada del vialetto davanti casa quando due mani presero le buste davanti il viso.
“grazie Fil..” i suoi occhi non incontrarono lo sguardo scuro del fratello, stringendo a se le buste cercò di riprendere le altre dalle mani del biondo. Un rumore di carta strappata e un insieme di lattine e pacchetti si sparpagliò sul vialetto, si chinarono insieme per raccoglierle in fretta.
“vattene” mormorò il coato abbastanza vicino perché lo potesse sentire, Leonid scosse il capo, “Tomo dobbiamo parlare”, “non abbiamo nulla da dirci” ringhiò a denti stretti mentre afferrava il barattolo più vicino e lo infilava in una busta già stracolma.
Leonid si alzò deciso, “si invece, io ho sbagliato e ti devo almeno le mie scuse, una spiegazione..”, anche il bruno si alzò, “non so che farmene delle tue scuse” disse voltandosi verso la porta di casa. Il biondo si strinse nelle spalle sconsolato, “ti prego io ho bisogno di parlarne, dobbiamo chiarire”, l’altro si fermò un attimo prima di girarsi guardandolo negli occhi. “tu? Tu devi chiarire? E cosa? Di avermi mentito? Aver tradito la mia fiducia? Quali di queste cose devi chiarire? Che tu sia un bastardo bugiardo l'ho capito da solo, anche se troppo tardi, che mi hai mentito e ingannato solo per portare avanti il tuo sporco gioco? Mi è chiaro anche questo non ”.
Fece un passo verso di lui con gli occhi stretti in una fessura ostile, “ti ho sempre considerato come un fratello, il mio migliore amico,che povero ingenuo sono stato vero? Sperare che anche tu mi volessi bene, che non tradissi la nostra amicizia”.
Si girò di nuovo per rientrare in casa con un peso ben maggiore delle buste della spesa contro il petto.
Quando chiuse la porta alle sue spalle sentì dei passi vicino a lui, schiude gli occhi aspettandosi il suono delle nocche contro il legno invece sentì il fruscio scricchiolante della carta appena sotto i suoi piedi. Posò le buste sul tavolo vicino e si chinò, sotto la fessura della porta c’era una lettera con il suo nome sopra.
Abbandonò l'atrio sendendo i gradini per lo scantinato lentamente, poggiandosi al corrimano guardando confuso la busta tra le sue dita, solo laggiù, in mezzo agli attezzi ebbe il coraggio di aprirla, con un sospiro.

“Tomo,”

non riuscì ad andare avanti, i singhiozzi repressi degli ultimi giorni uscirono accompagnati da lacrime pesanti, le sentiva scorrere sul collo, calde di dolore, di affetto represso che ancora sentiva per l’amico.
Chinò il capo come a nascondere a se stesso che l’amore fraterno rimaneva, ferito e insanguinato, ma vivo nel suo cuore, dargli il colpo di grazia sarebbe stato come uccidere se stesso. Era presto, troppo presto perché il dolore svanisse, perché trovasse pace, ma il fondo sapeva che lo avrebbe perdonato, quando si sarebbe sentito meglio e avrebbe potuto respirare ancora liberamente, accarezzò lo scheletro di quella che sarebbe diventata la sua chitarra, quando avrebbe potuto cominciare a suonare di nuovo.
Cercò di prendere fiato mentre le dita rigide stringevano la lettera, la infilò nella tasca posteriore dei jeans dentro il portafogli e tornò di sopra a sistemare la spesa ancora davanti la porta.

Tomo ebbe la sua chitarra elettrica in tempi record.
I soldi bastarono appena per materiali e un paio di manuali scelti, ma il ragazzo era già immerso nella musica e non si lasciò intimorire alla mancanza di un insegnante. Passò il resto dell'anno ignorando due membri della classe scegliendo dove possibili corsi diversi e ascoltando nuovi stili di musica e concentrandosi per concludere al meglio l'anno scolastico e ottenere un buon diploma, ogni sera suonando la sua chitarra sapeva cosa avrebbe fatto una volta finito l'anno scolastico.
Rassicurati i genitori e con un solo sogno nel cuore cominciò a viaggiare unendosi alle band più diverse, lasciandosi trascinare dal rock cercando il gruppo con cui sentirsi realmente se stesso.
E poi, un giorno alla radio sentì “capricorn”, e il suo mondo cambiò.

Si unì ai primi fans di quella band nuova su cui nessuno voleva scommettere, perché priva di un genere a cui associarsi, come un rampicante capriccioso i 30 seconds to mars volevano il loro spazio nel mondo musicale. Tomo si appassionò fin quando seguendoli in tour non ebbe modo di conoscere il batterista, all'amicizia con Shannon susseguirono tante cose.
Si ritrovò sempre più spesso a dare consigli a parlare con i membri della band.
Rideva della loro indecisione per i chitarristi, passavano più tempo a cercarli che a tenerli nel gruppo.
Così un giorno dopo una lunga predica di Tomo sulla qualità di un chitarrista, Shannon, Matt e Jared andarono a sentirlo durante un suo concerto.
Lo chiamarono dopo lo spettacolo nel loro tour bus e per una volta Shanny non cercò immediatamente di soffocarlo in un brusco saluto.

Erano tutti seduti da una parte del basso tavolino e gli fecero cenno di sedersi difronte a loro.
Matt sorrideva compiaciuto mentre il batterista rigirava le aste tra le dita con espressione quasi impaurita.
“Tomo”, esordi Jared, “ti abbiamo chiamato non come amico, non come fan e neanche come domatore di quella bestia di mio fratello”, “hey” si azzardò a ribattere Shannon ma Matt lo bloccò con un gesto della mano. Jared continuò, “ti abbiamo chiamato come chitarrista, crediamo che tu abbia un grande potenziale e vorremo che lo mettessi a disposizione della nostra causa”, “come sei cerimonioso Jay” lo interruppe Matt che si chinò quasi a metà del tavolo, “allora Tomo ti andrebbe di entrare nella band?”.
Tomo li guardò sconvolto, non credeva di arrivare a tanto, guardò Shannon leggendo nel volto la paura di un rifiuto, per gioco avevano già suonato insieme e sapeva di volerlo accanto nei concerti più di ogni altra cosa.
Il sorriso rassicurante di Matt si fece più deciso, anche lui era probabilmente interessato ad una sua partecipazione. I suoi occhi incontrarono quelli di Jared, lo fissò profondamente e per un attimo il suo cuore congelò.
La fredda determinazione negli occhi del cantante per avere quel chitarrista unico nel suo genere era identica a quella letta tanti anni prima in un altro paio di occhi azzurri.
Il respiro di Tomo si fece inesistente e probabilmente spaventato dalla sua espressione Jared lo fisso con più dolcezza, allora Tomo riconobbe lo sguardo del cantante.
Quegli occhi che non erano quelli della sua giovinezza, un blu carico di promesse non irto di insidie.
Sorrise appena, “proviamoci”.

Tlita;
è vero che tutti vorremo per lo meno prendere a male parole la nostra 'cara' Roxanne... il problema è quanti di noi hanno davvero il coraggio di affrontare chi ci ha fatto del male? la vendetta non è una cosa semplice e richede crudeltà ... e io non credo che Tomo sia davvero capece di questo. Sarà che lo amo troppo, come adolescente pasticcione, sarà che sadico non ce lo vedo... Sarà che con 'the kill' spero abbia buttato fuori tutto il marcio .... saranno troppe cose ma ... ecco io... non ce lo vedo!
poi ovviamente può essere tutto il contrario! chi mai conoscerà Tomo veramente? ;P

Luxu2
Tomo che ci mette tutto il suo risentimento su una chitarra elettrica... non so te ma mi fa venire i brividi! credo sia una scena strana carica di "elettricità" intesa nel senso quasi distruttivo del termine! ;)
cmq vedi, non tutto il male viene per nuovere, Tomo ha perso una z********* e noi abbiamo acquistato un chitarrista. cosa si può volere di più? ;P

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Capitolo 10
*** perdono nella notte ***


ok, oggi ho bisogno d'affetto, quindi posto senza pensarci troppo. perchè in fondo le mie storie sono il mezzo più eficare che ho di farmi notare e le recensioni sono coccole! -.- (ma tu guarda che mi tocca dire) va bene la pianto... buon capitolo!


“Tomo..”, “mm..”, il viso del croato si alzò pesantemente dal cuscino per guardare il volto ansioso vicino al suo. “ho pensato ad una cosa..” Jared restò un attimo in silenzio ad osservare gli occhi assonnati dell’amico, il chitarrista sprofondò di nuovo sulla federa, “perché pensi alle 4 del mattino Jay?” borbottò il moro soffocando nel cuscino.
“Tomo!”, il croato ringhiò una maledizione tra i denti prima di girarsi verso il cantante senza il minimo interesse.
Jared non gli lasciò il tempo di riaddormentarsi di nuovo e parlò velocemente, “voglio fare una versione acustica di the kill, voglio trasformarla in qualcosa di così struggente da fare venire le lacrime agli occhi a chiunque la ascolti”. Tomo sbuffando si tirò su un gomito, capì perché Jared fosse venuto a svegliarlo a quell’ora, era stato lui anni prima a dargli gli accordi di quella canzone. Per una volta Jared aveva anche accettato la sua partecipazione al testo, cosa non usuale visto l’indiscussa autorità del cantante in quel campo.
Sbadigliò silenziosamente tra le lenzuola, “ok Jay parla, ti ascolto”. “ecco pensavo di cambiare il ritmo, allungare le battute sai, poi eliminare i nostri strumenti ed utilizzare solo un’acustica e..”, “e..” concesse Tomo. Jared sospirò nella notte, “inserire dei violini”, il cuore del croato si fermò per qualche secondo guardando gli occhi chiari fissi su di lui e per un attimo la stretta allo stomaco diventò così forte da fargli perdere il senso delle altre parole del cantante, “potrei aggiungere anche una viola e un violoncello, tu che ne dici?”.
Soffriva già nell’immaginare la stessa melodia di tanti anni prima, quella stessa composizione che gli era servita da cura con un altro strumento che aveva esorcizzato le sue paure. E ora quegli occhi di ghiaccio gli stavano chiedendo qualcosa che non avrebbe mai potuto fare.
“Tomo me lo hai detto tu che da giovane suonavi il violino, secondo te come verrebbe?” il croato respirò pesantemente, “così bella da fare male Jared”.
Il cantante sorrise battendo una mano sulla spalla dell’amico, “lo speravo davvero, ok dormi pure domani parleremo dei dettagli”.
Tomislav si girò sull’altro fianco cercando di dormire ma quando si accorse che Morfeo non aveva nessuna intenzione di venirlo a prendere scivolò da sotto le coperte camminando a tentoni nel buio nel corridoio del tourbus. Silenziosamente si accostò al guanciale di Jared. “Jay?”, il cantante spalancò gli occhi nel buio, aveva da sempre il sonno leggero, le iridi trasparenti diedero il coraggio di continuare al chitarrista. “non posso suonarla io”, l’altro annuì lentamente, “lo avevo immaginato”.

Il chitarrista tornò nella cuccetta cercando qualcosa nei vestiti appallottolati sul fondo dello stretto lettino, trovò il portafogli in una tasca interna e ne estrasse una busta, macchiata e stropicciata dopo anni di viaggi. Accese il cellulare leggendo alla piccola luce dello schermola il foglio ingiallito.

“Tomo
; chissà quando leggerai questa lettera, forse quando di tutto questo non sarà rimasto che polvere e sbiaditi ricordi nelle nostre memorie, forse quando la rabbia che ti circonda non sarà andata ancora andata via e il dolore ti impedirà di farti vedere le cose come sono realmente.
O forse questa lettera giace già a pezzi in un angolo, e queste parole saranno solo lo sfogo di chi non vorrai mai più vedere, è una paura che mi toglie il respiro questa.
Non cercherò di addossare a lei tutte le colpe, una tentatrice non è nessuno senza qualcuno che sia abbastanza stupido da cadere nella sua rete, qualcuno che sia abbastanza cieco da non fermarsi in tempo per non finire tra le sue trappole mortali.
Tu lo sai Tomo, sono sempre stato cieco.
Ho ignorato la verità che da troppo tempo mi inseguiva, la gelosia nei tuoi confronti.
ti invidio Tomo tanto quanto ti voglio bene, perchè nessuno al mondo è come te, e nessuno ha mai significato tanto nella mia vita quanto la tua presenza. tu mi hai isegnato cosa significa volere bene, trovare una famiglia negli amici, esserci sempre, nel bene o nel male.
ed inseguire sempre i propri sogni.
il mio unico sogno Tomo è sempre stato essere come te, degno del tuo affetto.
ma ho ceduto, distruggendo tutto.
Speravo solo di avere più forza, di non lasciarmi ingannare, di rimanerti fedele, ma ho sopravvalutato le mie forze, e sottovalutato le sue trappole.Il richiamo delle sirene è troppo forte per quelli che non sono astuti come Ulisse.
Ti ho tradito, ingannato mettendo a rischio la nostra amicizia, che è l’unica cosa che conta per me.
Non ti chiedo di dimenticare, non avrebbe senso e non sarebbe giusto, ma ti prego, per quello che provi ancora, perdonami, perché non voglio rinunciare a te, a mio fratello. Ti voglio bene,
Leonid”

Il bruno fissò ancora per qualche secondo la firma scolorita in fondo alla lettera, un’unica lacrima furtiva scese lungo una guancia, con il cellulare ancora in mano cercò un numero in rubrica e inviò un messaggio, poco dopo un ‘bip’ nella notte annunciò la risposta, “speravo mi avresti perdonato un giorno Tomo”.

Luxu
probabilmente è stato scrivendo questo pezzo che mi sono accorta di essere dedita all'angst (il che è una mezza tragedia se ci pensi) in ogni caso penso che far vedere quanto siano profondi i sentimenti dei personaggi sia la mia missione di vita! ;) un bacio e grazie infinite per esserci!

Talita
intanto GRAZIE per aver avuto il coraggio di leggere Shannimal. è indubbio che sia la mia storia preferita tra le menate che scrivo di solito (lasciamo perdere -.-) e si, almeno una parte di Leonid è tornata, attravero una lettera conservata per anni! nel prossimo capitolo cercherò di sistemare anche il resto e 'liberare' Tomo dai suoi fantasmi ;)

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Capitolo 11
*** ho finito con te ***


Jared era seduto al centro del palcoscenico, una luce soffusa lo visualizzava come l’unica presenza sul pavimento di legno chiaro. Su una sedia imbracciava amorevolmente una delle sue chitarre acustiche, dopo pochi accordi una luce tenue alle sue spalle illuminò vagamente i violinisti in un angolo. La canzone non impedì a Tomo di sorridere. Tipico di Jay volere il palco tutto per se costringendo gli altri a restare nascosti, era lui la star dopotutto.
Tomo cercò di concentrarsi sulla bravura tecnica dei violinisti, di ricordarsi gli accordi, qualsiasi cosa pur di non perdersi nella melodia, le parole che continuavano a scorrere anche nella sua mente. Ma sarebbe stato come chiedere al suo cuore di smettere di battere come in una corsa per la salvezza.


Chiuse gli occhi ripensando a cosa lo avesse portato fino a li, alla sera prima quando Jared aveva detto al fratello di considerarsi libero per l’indomani, che allo show sarebbe andato da solo. “grandioso!” aveva esclamato il batterista, poi aveva battuto una mano sulla spalla di Tomo facendolo ondeggiare, “mi dispiace per te Tomo, si vede che ti divertirai con Matt a fare da spalla al capo”, Tomislav sorrise mestamente, “in realtà non andrò neanche io Shan”. Un attimo di silenzio imbarazzato avvolse tutti per pochi secondi mentre il batterista guardava il biondo che si stringeva nelle spalle facendo intuire il distacco, “voglio andare da solo, fine del discorso” concluse Jared calmo prima che il fratello potesse ribattere in qualche modo.
Shannon si era stretto nelle spalle senza aggiungere nulla, aveva approfittato di quelle ore rubate allo spettacolo per godersi il meritato riposo e la compagnia di qualche amico fidato insieme a Matt. Tomo gli aveva assicurato altrettanto ma all’orario della performance era uscito dalla stanza senza accorgersene cercando per le vie stracolme di New York una distrazione lontana dalla voce che continuavano a rombargli in testa. Confuso si ritrovo alle porte degli sudi televisivi senza neanche accorgersene, uno dello staff riconoscendolo, lo fece passare con lui attraverso la porta stretta.

Fu così che si ritrovò ad ammirare da una strana angolazione il profilo di Jared mentre cantava accompagnato da quello strumento che ormai non sentiva più suo da molto tempo. Osservava la scena irreale in cui ‘the kill’ prendeva vita come il grido di rassegnazione che solo chi soffre veramente può intonare.
Era la dolcezza nel canto della fenice, quella che vuole morire per risorgere fiera e bellissima. Così perdeva tutto l’odio che la chitarra elettrica e la batteria trasmettevano lasciando un unico lungo lamento.
Tomo si poggiò a una delle sottili pareti delle quinte, chiuse gli occhi sentendosi fragile come non lo era ma stato, la voce di Jared sembrava accarezzarlo.

You're killing me, killing me
All I wanted was you
Come, break me down
Break me down

Rimase con gli occhi chiusi lasciandosi cullare dalla melodia, perdendo la cognizione del tempo senza sentire il “tank you” appena bisbigliato di Jay, gli applausi della platea, la sigla della pubblicità.
Solo la lieve carezza sul braccio scoperto gli fece spalancare gli occhi abituati al buio.

“Ciao Tomislav”, gli occhi azzurri lo fissarono per un attimo e lui sentì un unico doloroso battito nel petto. Era come se il tempo non fosse mai trascorso.

Jared lo guardò intensamente, con una espressione di dolcezza che cancellò tutto dalla testa di Tomo. Si ritrovò a stringere forte il compagno di viaggio, di lavoro, il capo, il fratello, la sua guida nei momenti di sconforto e il buffone delle serate tristi. Il cantante lo cingeva dolcemente con le braccia. “non potevo farlo Jay! Lei insegue i miei sogni, cerco di eliminarla ogni volta che suoniamo the kill, ma è lei ad uccidermi, il suo ricordo, una parte di me che è morta per sempre.
Ora, con quei violini, i miei stessi accordi...”. L’altro lo stringeva dolcemente, “è finita Tomo, hai avuto il coraggio di venirla ad ascoltare, hai chiuso con lei”, sorrise, il tono dell’ultima frase era identico a quello della canzone cantata da poco. Si staccò per guardarlo negli occhi, ora non gli facevano più paura, riconosceva perché quelli di Jay erano incredibilmente diversi da quelli della ragazza. Erano umani, caldi, come quelli non erano mai stati.
Osservò l’espressione familiare, così dolce, gli voleva bene, riusciva a sentirlo ora, anche attraverso quegli occhi blu che aveva sempre evitato, per non ricordare, per evitare quel brivido di paura e rassegnazione. Jared sentì una voce chiamarlo pochi metri da lui, fece l’occhiolino al chitarrista e si allontanò molleggiante.

Tomo si guardò intorno, lo studio era vuoto, il pubblico ormai fuori, i riflettori spenti.
Presentatore, cameraman e tecnici vari erano andati già via. Solo i violinisti al riparo dalle quinte aspettavano chissà chi. Il croato sospirò pesantemente e si avvicinò al più giovane. Un ragazzo sui venticinque anni molto magro. “ciao, puoi prestarmelo un attimo?” chiese Tomo indicando il violino che questi teneva ancora in mano, il giovane glielo porse stupito. Tomo lo prese tra le mani soppesandolo,si portò al centro del palco accomodandolo con naturalezza tra il mento e la spalla e intonò gli ultimi accordi.

Fighting for a chance
I know now, this is who I really am

Tomo alzò il viso verso un angolo buio del palco, la vide solo nella sua fantasia ma fu più che sufficiente, gli occhi chiari nelle ombre scure dei suoi capelli.

Come
Break me down
Bury me, bury me
I am finished with you..

Abbassò lo strumento sospirando.

Allora, teoricamente doveva finire qui, ma grazie alla prima persona che ha apprezzato questa storia, la mia amata Debe ha un piccolo seguito, intanto GRAZIE infinite a

Talita;che non ringrazierò mai abbastanza e

Luxu , si, volevo disperatamente che lo perdonasse!

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Capitolo 12
*** cercando le parole, trovando te. ***


Lo faccio per il “mio” Tomo, quello che ho inventato nella ff e che mi sta a cuore come un altro figlio della mia mente.
Lo faccio per voi, perché vi meritate qualcosa di più del mio solito inno al dolore, perché l’uomo è fatto per essere felice, in fondo.
Lo faccio per me. Perché voglio sperare davvero che le cose belle esistano. Voglio che i miei personaggi abbiano il loro lieto fine. Vivano felici e contenti nell’universo parallelo che ho creato solo per loro.
Mentre io continuerò a vivere, morire e sanguinare, per la fantasia.
Perché la realtà è un mondo che non mi appartiene.


… Tomo alzò il viso verso un angolo buio del palco, la vide solo nella sua fantasia ma fu più che sufficiente, gli occhi chiari nelle ombre scure dei suoi capelli.

Come
Break me down
Bury me, bury me
I am finished with you...

Abbassò lo strumento sospirando …

Ritornò dietro le quinte con il manico dello strumento ancora stretto nel pugno porgendolo alla sagoma accanto alle scenografie senza la gentilezza di guardarlo nemmeno. Una mano incerta accarezzò le sue dita per privarlo dello strumento, era piacevolmente tiepida. Tomo alzò gli occhi ma al suo fianco non restava il giovane deperito che gli aveva gentilmente prestato lo strumento ma una donna, lo sguardo incuriosito del suo gesto istintivo.
Il chitarrista sentì il calore salire alle guance mentre porgeva la mano per riavere lo strumento, ma ne ottenne una smorfia divertita, “allora cosa dobbiamo farne di questo violino? Prima sembra che vuoi disfartene senza neanche curarti di chi sia a prenderlo e ora lo vuoi indietro?” chiese con voce bassa.
Tomo arrossì ancora in preda all’imbarazzo, “e che … pensavo che tu … scusami … io …”, la donna lo fermò con un gesto, “mmm, sei sempre così loquace?” sorrise divertita, “mi sa che è pericoloso lasciarti da solo, andiamo ti riporto dal tuo proprietario”, Tomo provò ad dire qualcosa ma lei non gli lasciò il tempo di pronunciare una parola, “lascia perdere ho la sensazione che ti impappineresti di nuovo e io sarei anche un po’ di fretta sai com’è, questo studio non chiude da solo” borbottò indaffarata.
Il croato alzò un dito per richiamare l’attenzione ma lei, chissà perché, lo interpretò come un gesto di affidamento e strettogli l’indice nel pugno lo trascinò per i cunicoli del retroscena. “per prima cosa riportiamo il violino al suo legittimo proprietario che ne dici?” Tomo sorpreso si limitò ad annuire. La donna lo trascinò velocemente verso uno spazio chiuso da quattro muri di cartongesso, all’interno, seduti al tavolo, tutti i musicisti prendevano un caffè e parlavano di chissà cosa.
“William c’è qualcuno che deve restituirti qualcosa” disse la donna sospingendolo per il suo stesso dito, il ragazzo sorrise alla vista del suo violino, dimenticando completamente Tomo, “emm, si ecco …” cincischiò Tomo riconsegnando lo strumento al proprietario, “fai finta che ti abbia gentilmente ringraziato del prestito William, non credo che ci si possa aspettare altro al momento” lo interruppe velocemente la donna trascinandosi uno stupefatto Tomo per un lungo e strettissimo corridoio. Il chitarrista si lasciava guidare confuso, ma chi si credeva d’essere quella tipa?

La osservò meglio, i corti capelli biondo cenere le cadevano in un caschetto liscio come il folto ciuffo che gli copriva gli occhi di un verde cupo, impenetrabile, si muoveva con una certa determinazione per gli stretti cunicoli e Tomo si chiese se era per scoraggiare chiunque avesse avuto l’ardire di tagliarle la strada o solo per uscire il più presto possibile da quel labirinto.
Non aveva la statura adatta per stare la dentro, probabilmente era più adatta agli spazi aperti eppure s’intuiva che era quello il suo mondo, tra le pareti di carta e i fili scoperti di mille cavi colorati.

Non si fermò neanche davanti all’ultima porta con il grosso maniglione antipanico e Tomo credette veramente che l’avesse sfondata dalla velocità con cui era stata aperta. Una volta fuori la luce del giorno gli fece stringere istintivamente gli occhi mentre lei cercava già qualcuno, finalmente parve scorgere la persona giusta perché si avvicinò impetuosa ad un piccolo capannello di fan agguerrite intorno a qualcuno d’invisibile.
“muoversi! Evaporate prima che chiami la sicurezza!”, le ragazzine la guardarono poco convinte prima che la donna picchettasse decisa la mano sul wolcki tolki che portava alla cintura, “la chiamo sul serio, non costringetemi a dimostralo, e ora sciò!” la banda si dileguò come uno stormo di colombe e al centro del tumulto riapparve la figura stropicciata di Jared.
“Tomo!” esclamò il cantante buttandosi tra le sue braccia visibilmente arruffato, “ti ho aspettato qui fuori perché dovevano smontare tutto ma, ho indugiato e … mi avevano intrappolato!” riprese fiato guardando per la prima volta la donna “e tu chi sei?”.
La donna scosse il capo infastidita, “non importa, senti l’ho trovato solo sul palco e siccome pare incapace di esprimersi ho pensato potesse essere tuo, quindi te l’ho riportato, ora smammate, ho del lavoro più importante per le mani” lasciò libero il dito di Tomo e ritornò velocemente dentro.
“aspetta!”, la porta si era già chiusa alle sue spalle, “grazie …” mormorò ancora stordito.

I due amici si guardarono per un attimo. “ma chi era quella?” domandò Jared, “non ne ho idea! Mi ha trascinato praticamente ovunque prima di portarmi fuori, suppongo sia una che lavora li dentro”. Il cantante aveva già cominciato a camminare, ascoltando a metà le parole dell’amico, già perso nei suoi pensieri. “chissà come si chiama…” Tomo lo raggiunse in due falcate, “non mi sembra di fondamentale importanza” bisbigliò contrariato da tanta attenzione, Jared si fermò immediatamente per guardarlo scettico, “si certo come no!”. allungò una carezza sulla testa visibilmente più alta del chitarrista e ricominciò a confabulare tra se, “deve essere una che lavora li da parecchio, mi sembrava di averla già vista … potrei chiedere a Emma, magari lei la conosce, e poi…”, “Jay che cosa stai macchiando nella tua testolina contorta?”, “io?” parve ricordarsi di Tomo solo in quell’istante, “nulla! Assolutamente nulla!”.


Tomo sbuffò per nulla convinto mentre la classica intervistatrice fissava impotente Jared lasciandogli la possibilità di parlare e straparlare sugli argomenti che piacevano di più ignorando la scaletta che giaceva inutilizzata sulle sue ginocchia.
Tomo inspirò fin troppo rumorosamente trattenendo l’aria nelle guance gonfiandole in maniera infantile.
Era stufo della situazione, e non stava parlando solo delle interviste tutte uguali ma anche e soprattutto del luogo. Il frontman aveva deciso che le interviste di qualsiasi genere dell’ultima settimana si facessero in quella parte degli studi, possibilmente in quella sala.
La noia era venuta a tutti e solo Tomo si lasciava convincere a tornare su quel palco per interviste miste a performance, si ritrovò a pensare distrattamente che, se Jared si ostinava ancora portarlo li si sarebbe portato un videogame, cercò un altro soggetto su cui puntare lo sguardo e tornare ad annoiarsi.
I suoi occhi scelsero una nicchia buia poco prima del pubblico, un angolo della scenografia, il posto perfetto per tornare nel vuoto mentale. Fin quando si accorse di stare fissando qualcosa, qualcuno, due occhi di un verde carico con un sorriso lievemente beffardo.
Lei.
Si girò verso Jared cercando di intuire quanto mancasse alla fine dell’eterno monologo ma lo vide preso nelle tematiche ambientali e sconsolato si accorse che di tempo ne sarebbe passato troppo, cercò di intercettare di nuovo la donna ma questa era già sparita chissà dove.
Molti minuti dopo finalmente liberi il croato si permise di abbandonare il sorriso forzato e scese nel mutismo più imbronciato. “che cos’hai?” chiese il cantante vagamente interessato, l’amico si limitò a guardarlo contrariato. “suvvia Tomino non ti abbattere!” esclamò Jared sorridente, “guarda che la vita non è poi così terribile sai?, perché non vai a prendermi un caffè mentre corro in camerino per la chitarra? Prendo anche la tua, tranquillo”.
Il chitarrista lo guardò per un attimo a bocca aperta per poi allontanarsi con lo sguardo truce ostinatamente inchiodato a terra, “mi tocca fargli anche da cameriera tu guarda ...” borbottò sconsolato.
Nella saletta che ormai conosceva bene si costrinse a guardare dove fosse finito uno dei thermos prima di vederlo in mano a lei. Sembrava cercasse di riempire il bicchiere di carta fin quasi all’orlo, gli si avvicinò stupefatto, “tu!”. Lei si spaventò concentrata com’era e lasciò scivolare un po’ della bevanda scura sul polso, “merd!” borbottò, poi il suo sguardo incrociò quello stupito di Tomo. “a ciao”, posò il bicchiere stracolmo con prudenza sul bordo del tavolo pesando un fazzoletto li vicino, “che c’è?”. Il chitarrista sbatte le palpebre confuso, “come che c’è?”, “si dimmi, ti serve qualcosa?”, “no è che … insomma io … è che tu …”, “caspita, allora non era solo un momento, mi sa hai davvero qualche problema di eloquio, mai pensato ad un corso di dizione?”. Prese il bicchiere e si girò verso la porta senza esitazione, dileguandosi oltre la soglia.
Sconsolato il chitarrista raccattò il thermos lasciato sul tavolo stritolando il bicchiere di carta nell’altra mano quando si accorse che il contenitore era irrimediabilmente vuoto.


Jared cantava dolcemente strappando accordi delicati alla sua chitarra osservando magnetico il pubblico con il classico sguardo sofferente mentre Tomo piegato in due sulla sua chitarra sembrava non interessarsi a nulla se non ai suoni che riusciva ad ottenere ostinatamente, incurante persino dei violini dietro di lui. Almeno stavolta aveva ben altro a cui pensare nonostante la piccola stretta allo stomaco che gli dava sempre suonare the kill.
Quella donna, quell’assurda presenza, perché non riusciva mai a parlare quando gli era accanto? E poi non e che dovesse dirle nulla, solo un grazie per averlo condotto fuori, o forse neanche quello.
Tomo si piegò ancora di più sullo strumento poggiato sulle ginocchia.
Basta, non le doveva niente, che rimanesse pure incastrata tra i cavi e il retroscena di quel dannato studio, aveva chiuso, non gli uscivano le parole? Significava che non c’era altro da aggiungere.
La canzone finì in sordina, perso com’era nei suoi pensieri. Ringraziò il pubblico con Jared, si alzò e sparì dietro il cantante fino al camerino. Presero le loro cose e si prepararono ad abbandonare il posto.
“Tomo!” urlò il cantante sulla soglia, l’altro si limitò ad alzare un sopracciglio, “ho perso un braccialetto, sarà caduto dentro! Io lo cerco in camerino tu torna sul palco!”, “ma Jay …”, “dai che stanno per chiudere!”.
Tornò indietro trascinando la chitarra in custodia come se pesasse una tonnellata, la poggiò in un angolo e cominciò a cercare stancamente a quattro zampe sotto gli sgabelli. “ ti sei perso di nuovo?” chiese una voce femminile piuttosto cantilenante, il croato con il viso in fiamme cercò di riconquistare una posizione dignitosa sedendosi sul palco, prese fiato e la guardò china su di lui, “no, il mio amico ha perso una cosa e io …”, la donna si sedette accanto a lui uscendo dalla tasca una catenina di acciaio e quelli che sembravano anelli di pietra nera, “onice e acciaio, credo appartenga a Jared Leto”, Tomo lo prese poco convinto, “come mai c’e l’avevi tu?”, si spostò un ciuffo dietro l’orecchio, “mio caro, sono la responsabile qui dentro, è meglio che ritrovi tutto o qualcuno potrebbe lamentarsi” disse sorridendo.
Il croato si rigirò il bracciale tra le dita, “conosci Jared?”, lei guardò altrove, “in questo posto si conoscono un po’ tutti, diciamo che Leto non è uno di quelli che passa inosservati, forse perché ha uno stile tutto suo”, “già ..” si limitò ad annuire Tomo poco convinto, lei continuò sovrappensiero“quindi anche le cose che gli appartengono solo particolarmente distinguibili, oggetti …” si prese un minuto per esaminare Tomo, “persone …”.

Il croato la fissò accigliato, “quindi mi hai portato da lui l’altra volta perché ho un aspetto strano?”.
Rise spontaneamente e Tomo notò che il suo viso cambiava completamente e dalla fisionomia quasi arrogante i suoi tratti diventavano incredibilmente infantili e simpatici.
Come se un’altra persona si nascondesse oltre la serietà del luogo, il retroscena di quella tipa doveva essere assolutamente diverso da ciò che aveva mostrato fin ora. Smise di ridere con un’espressione canzonaria in volto, “ovvio che hai un aspetto strano, e poi, credo che un violinista in anfibi non è una cosa che si veda tutti i giorni!”.
Tomo la guardò sbalordito “sono davvero così strano come violinista?”, lei sogghignò, “abbastanza, però non sei niente male … solo una domanda … perché seguivi il tuo cantante con la chitarra? Avresti fatto più scena con un violino in mano”.
Tomo si riparò gli occhi con una mano, sospirò pesantemente prima di trovare la forza per rispondere , “non posso suonare quella canzone con il violino”. Lei lo guardò in profondità, cercando una spiegazione nel volto teso. Attese qualche secondo, “capisco, è un vero peccato sai? Hai talento, questo è certo”, il chitarrista si riprese velocemente, “ si beh … grazie dell’aiuto” aggiunse alzandosi, la donna rimase dov’era, “di nulla … certo è strano …” Tomo la guardò preoccupato, “cosa?”, “che appena tu sia in grado di comunicare con me non perda tempo per correre via” sorrise lei.
Il croato rimase vagamente imbarazzato accanto al caschetto chiaro, respirò a fondo e si fermò a guardarla dall’alto mentre seguiva le venature del legno con la punta delle dita.
“sai” disse quasi a se stesso, “potrei sempre cambiare idea, ma è triste suonare senza pubblico” la donna alzò il viso verso di lui sorridente, “sai dove trovarmi”, il croato fece qualche passo verso l’uscita, “allora ci vediamo …” lei sorrise ancora seduta, “Vicky”, “a presto Vicky”.
Tomo sparì nel retroscena, “a presto Tomo …”.

Talita;
(arrossisco fino all’inverosimile) non sono mai così orgogliosa come quando qualcuno mi dice che ha imparato ad amare i personaggi di una mia storia … e quando sono i mars mi sciolgo ancora di più!
Questa ff è nata del mio disperato bisogno di comunicare in un periodo della mia vita in cui non riuscivo a confessare a nessuno cosa mi stesse succedendo. Ho preso sembianze diverse diventando Roxanne, Leonid e, soprattutto Tomo per fare un po’ di ordine e risorgere, perché sono stata davvero uccisa da chi mi voleva bene.
Sono entrata nel mondo del chitarrista e ho imparato ad amarlo (Shannimal è successiva a questa storia, e si vede) e se prima per me era solo un bravo chitarrista con i capelli lunghi … adesso è un compagno di vita, attraverso cui, spessissimo vedo i Leto e il loro mondo. Non so come ringraziarti per i complimenti. Davvero ;)
Luxu:
amare Tomo fa bene, si respira aria più pulita quando c’è lui da queste parti ;)
Shanna:
(Lori gongola come ogni volta che la sua sorellona si dilunga in complimenti) tessoro! Le mie storie partono sempre da una profonda sensazione, e se il più delle volte è brutta quando finisco di raccontare mi sento quasi sempre meglio. A questa storia devo moltissimo (come a tutte mi sa) e anche se in un modo o nell’altro Tomo nelle mie mani soffre sempre, almeno questa volta ho cercato di dargli un minimo di felicità, scovandogli la sua amata Vicky ;) (ovviamente non so nulla di lei).
Tomo trova la sua anima in quello strumento meraviglioso che è la chitarra elettrica, una nuova vita e forse (lo spero) anche l’amore ;)


Nda: vi affibbio un capitolone del genere perché non ho idea se mi sarà possibile connettermi ad internet nei prossimi due mesi. Io spero di si anche perché sono impaziente di mettere altre storie più o meno pronte in cantiere. (spoiler, la prossima sarà una total Jared quindi guardate nella sezione attori)
Quindi se non mi faccio viva, se non rispondo alle recensioni o semplicemente non commento non è perché non segua le vostre storie o ci tenga poco a voi. Tutt’altro.
Ma perché cause di forza maggiore (in cui dovreste includere gli esami di fine sessione) mi attendono a braccia aperte.
Un bacio affettuoso a tutti voi ;)
Lori

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