Everything is -not- okay

di PattyOnTheRollercoaster
(/viewuser.php?uid=63689)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scared to remain alone ***
Capitolo 2: *** Rejected comic ***
Capitolo 3: *** Confused musician ***
Capitolo 4: *** I lost my keys ***
Capitolo 5: *** Too Anxious ***
Capitolo 6: *** The wrong movie ***
Capitolo 7: *** Wronged for the thief ***
Capitolo 8: *** Unclean soul ***
Capitolo 9: *** Angry kisses ***
Capitolo 10: *** Ashamed by myself ***
Capitolo 11: *** A curious cat ***
Capitolo 12: *** Brutally used ***
Capitolo 13: *** The revenge of the pillows ***
Capitolo 14: *** Romance ***
Capitolo 15: *** A brutal accident ***
Capitolo 16: *** My Beautiful creature is gone ***
Capitolo 17: *** A miserable goodbye ***
Capitolo 18: *** X-rated room ***
Capitolo 19: *** The Harlequin girl ***
Capitolo 20: *** An innocent idea ***
Capitolo 21: *** My Chemical Romance ***



Capitolo 1
*** Scared to remain alone ***


Everything is -not- okay


1.Scared to remain alone

Quello di cui ho paura non è la morte, ma la solitudine.
August Strindberg

MJ.
Esistono diverse persone che vorrei essere. Vorrei essere Marylin Monroe, Bill Gates, la bambina che ho visto un giorno nel parco giochi con sua madre, Harry Potter, Patti Smith, Edgar Degàs, Platone, e potrei continuare. Ma la maggior parte di queste persone, purtroppo, sono morte o sono vecchie o non esistono.
Sono sicura che comunque erano tutte persone molto felici. A parte forse Marylin. Ma la felicità è molto imprevedibile e, come la tua vicina di casa, non ti avvisa quando arriva.
Quando la felicità arrivò imprevista nella mia vita, io proprio non la riconobbi. Anzi la scambiai per sfiga, addirittura.
Ero pazzescamente in ritardo, e con la borsa a tracolla e il tubo di plastica in mano nel quale mettere i disegni, sfilavo velocemente per la strada sullo skate. Penso che urtai una vecchietta, ma non le chiesi scusa (mi scusi). Quando arrivai di fronte all’Accademia le porte erano chiuse. Restai di fronte all’entrata e battei le mani sopra il vetro.
“Barty! E dai Barty, apri!” gridai cercando di aprire la maniglia. Da dentro quel mostro di custode mi guardò con un mezzo ghigno sul volto e indicò l’orologio che portava al polso. Con un sorriso ironico alzai il dito medio.
Mi voltai, gettai lo skate a terra e ci saltai sopra, ma caddi quasi subito. Infatti, non appena ebbi girato l’angolo, mi scontrai con qualcuno. Sia io che il misterioso uomo finimmo col culo a terra, un male che non vi dico! La borsa si aprì e tutto il suo contenuto si sparse sulle pietre fredde.
“Scusa” disse l’uomo di fronte a me .
“No scusa tu. Dovevo controllare prima di girare” dissi. In fondo, era davvero colpa mia. Tesi una mano e dissi: “Piacere, io sono MJ”.
“Io sono Gerard. Per cosa sta MJ?”.
“Sta per Mary Jo. Mary come mia nonna materna, e Jo come mio padre. Però, davvero, non capirò mai perché le persone chiamino le loro figlie con nomi da uomo, o con nomi di stati”.
“Giusto, come Dakota o Michigan. E poi perché sono tutti nomi da donna?” chiese lui alzando le spalle e guardandomi sospettoso, come se quella regola l’avessi inventata io.
“Non lo so” risposi facendo sporgere il labbro inferiore e alzando le sopracciglia.
L’uomo di fronte a me aveva un’età del tutto indefinita, stimai che poteva avere circa venticinque anni, ma se ne aveva di più li portava molto bene. Aveva i capelli nerissimi, corti, gli occhi color nocciola-verde e un piccolo naso all’insù. Era alquanto pallido.
Presi la mia borsa e cominciai a rimetterci tutto dentro: libri, astucci vari, libri, documenti, chiavi, libri. Era pesante quella borsa, tutta colpa dei libri. Gerard raccattò un paio di cose e me le porse. Eravamo ancora seduti a terra a gambe larghe, proprio come eravamo atterrati, uno di fronte all’altro. Ci alzammo entrambi e Gerard mi passò il tubo dove tenevo i fogli dei disegni arrotolati, stavano lì così non si rovinavano durante i viaggi.
“Grazie” dissi prendendolo. “Lieta di averti atterrato Gerard” dissi tendendo ancora la mano.
“Lieto anche io” rispose lui con un sorriso stringendola. “A proposito, perché sei qui?” chiese indicando l’edificio.
“Ci studio” risposi con naturalezza. Anche se molti non lo crederanno all’Accademia di Belle Arti si studia, e anche parecchio, non è che si disegna soltanto. Chi lo pensa, andrò a casa sua a picchiarlo.
“E perché te ne vai?” mi chiese allora divertito. In effetti era una domanda lecita.
“Perché sono in ritardo e il custode non mi lascia entrare. Non so che gli ho fatto: mi odia” dissi stringendomi nelle spalle.
Gerard fece un risolino e poi mi diede un tocco al braccio facendomi cenno con la testa di seguirlo. “Io avevo un appuntamento con il preside, mi farà entrare di certo. E se entro io entri pure tu”.
“Ah grazie!” esclamai seguendolo. “Perché hai un appuntamento con il preside?”.
“Volevo presentare un lavoro, e forse l’Accademia mi farà da sponsor. Ma in pratica ci sponsorizziamo a vicenda” disse lui.
“Sei per caso un artista emergente? No, perché in quel caso sai, anche tu faccia schifezze, ti ammiro”.
“No, non sono un’artista emergente. Ho fatto un fumetto e cerco sponsor” disse con una risatina.
“Ah. Be’ stai comunque emergendo dalla massa. Hai tutto il mio rispetto, anche se non me ne intendo molto di fumetti. Li leggo e basta, e nemmeno troppo a dir la verità”.
“Capito”.
Una volta davanti alla porta Gerard suonò il campanello. Vidi che Barty alzava lo sguardo dal suo giornale e trottava verso di noi per aprire. Mi scoccò un’occhiata furente, poi guardò Gerard con un’aria di gentile attesa. “Devo vedere il direttore” disse lui.
“Prego” disse Barty spostandosi. Entrammo nella spaziosa hall. Di fronte a noi c’era la scrivania di Barty, a destra c’erano le scale che curvavano e a sinistra un corridoio. “L’ufficio del preside è di là. Deve girare a sinistra nel corridoio, è una delle ultime porte sulla destra. C’è la targhetta sopra, non può sbagliare” disse Barty.
“Grazie” disse Gerard con un cenno del capo, e si avviò.
Io e Barty restammo soli, ringhiandoci addosso. Poi, con un sorrisino soddisfatto, mi disse: “Sei in ritardo, va’ in segreteria a firmare”.
“Ma quando ci vai in pensione?” chiesi con un sibilo.
“Dopo che tu te ne andrai di qui. Non preoccuparti di quando sarai là fuori da sola, anche se so che sentirai la mia mancanza!” mi urlò dietro mentre mi avviavo a passi pesanti alla segreteria, trascinandomi dietro lo skate.
Eh già, pensai. Ancora un mese, e poi fuori da sola. Senza l’aiuto di nessuno. Sapevo bene che cosa volevo fare, mi mancava solo il capitale. Forse avrei potuto fare da assistente a qualche artista. Poi magari, con i contatti giusti, avrei potuto realizzare quello che volevo. Però mi atterriva il fatto di avere un futuro così … molle. Non incerto, incerto è già una parola scontata di questi tempi, troppo usata da essere ormai diventata una sicurezza; una finta incertezza. Il mio futuro era decisamente molle. Molle è una parola che rende l’idea: molle è qualcosa che ti si disfa fra le mani.
“Ci rivediamo. Il mio amico Barty mi ha mandato in segreteria a confermare il ritardo” dissi a Gerard quando lo vidi seduto su una scomoda sedia. Sospirando mi sedetti accanto a lui.
“E che fai? Non vai?”.
“Tanto ormai sono in ritardo, ti faccio compagnia” dissi alzando le spalle e facendole ricascare di nuovo. “A proposito, stavo pensando a quel che mi hai detto … capisco che la scuola ti sponsorizzi, ma come farai tu a sponsorizzare lei?” chiesi incuriosita. Proprio non riuscivo a capire. Se uno ha bisogno di sponsor vuol dire che ha bisogno di soldi. Ma se uno sponsorizza la scuola, come aveva detto lui, significa che i soldi li aveva già.
“B’è … se pubblicano questo mio fumetto io avrò uno sponsor abbastanza serio, da prendere in considerazione per lavori futuri e compagnie future. Insomma, la scuola di Belle Arti è un porto sicuro, se qualcuno mi cerca sa che questa scuola ha già lavorato con me. In più faccio parte di una band, perciò se dico in giro che il mio fumetto è sponsorizzato dalla tua scuola lei ci guadagna, molta più gente la conoscerà”.
“Capito. Hai una band? Dev’essere una band famosa, altrimenti a chi lo dici che fai un fumetto? Non vale dire gli amici, devono essere fan della tua band” precisai alla fine.
Gerard sorrise. “Mai sentito i My chemical romance?”.
Ci pensai un po’ su. “Ah si, si mi pare di si. Qualche anno fa passavano sempre un video che mi piaceva molto … aspetta”. Mi scervellai un po’ ma proprio non ricordavo come si chiamasse. “C’erano … c’erano dei ragazzi in una scuola, un po’ sfigati, un po’ nerd. Che prima venivano presi in giro da tutti, poi però si picchiavano con la squadra di football” dissi ridacchiando. “E non ho ancora capito perché, ma giocavano a cricket”.
“Si, è giusto siamo noi. Il video si chiama I’m not okay” disse Gerard ridacchiando.
“Hm, bello. Mi piaceva. Perché non mi fai vedere il tuo fumetto?” gli chiesi all’improvviso.
“Va bene. Ecco … qui” disse estraendo da una borsa di pelle un pacco di fogli e passandomeli. “Non è proprio la stesura finale, per quanto riguarda la storia. In verità non volevo impegnarmi troppo per paura che mi dicessero di no”.
Tolsi dalla cartellina di plastica i fogli e cominciai a guardare. I disegni, a mio parere, erano molto buoni. I personaggi interessanti, dal punto di vista stilistico. Non mi misi a leggere, ma nel campo del disegno, l’unico nel quale potevo dare la mia opinione, era molto bravo.
“Non è proprio niente male …” mormorai mentre sfogliavo veloce le pagine.
“Grazie. Adesso tocca a te farmi vedere dei disegni” disse indicando il tubo.
“Okay, hai ragione”. Presi il tubo e lo stappai. “Vorrei fartene vedere uno in particolare. Non uno di quelli dell’accademia, perché ultimamente stiamo facendo solo il modello, che non è interessante, è un tipo nudo che se ne sta lì fermo, non lascia spazio all’immaginazione: il professore vuole che lo copiamo perfettamente. Ne ho fatto uno per conto mio e, chiamami arrogante, ma mi piace un sacco!” dissi cercando fra i fogli. “Hai presente quando fai un disegno che ti piace tanto?”.
“Ah sì! Ora sono curioso” disse Gerard. Trovai il rotolo giusto e sfilai il disegno. Lui lo srotolò e rimase a guardarlo.
Era un’acquarello. Ritraeva una donna seduta che osservava una città dall’alto. Era una città devastata, era grigia, verde cupo e nera, con qualche macchia di un arancione triste. La donna era quasi del tutto di spalle, e osservava lo sfacelo che c’era attorno a lei. Era seduta su un tetto e si teneva le ginocchia, sulle quali poggiava il mento, strette al petto. Era un disegno cupo, forse un po’ pessimista. Aveva qualcosa dello stile del fumetto: spesse linee di contorno, a tutto. Mi piace fare le linee di contorno, soprattutto quando devo disegnare qualcosa di irreale. Mi faceva venire in mente La toilette di Tolouse Lautrec, forse per quella visione della schiena della donna.
“Wow” sussurrò infine Gerard. “A cosa pensavi d’interessante quando l’hai fatto?”.
“Non lo so” dissi scrollando le spalle. “L’ho fatto di getto, è stato folgorante. Quando succede così sono sicura che non si tratti di una mia idea”.
“E di chi è allora?” chiese Gerard sorridendo e voltandosi verso di me.
“E’ un’idea e basta. Un idea che … viaggiava, e mi ha trovata”.
“Hm! Secondo te a che pensa?” mi chiese indicando la donna.
“Pensa … che adesso non c’è più nessuno che andrà a farle compagnia quando ha voglia di fare una passeggiata. Perciò si stringe le ginocchia: perché vorrebbe abbracciare qualcuno. Quella in realtà non è una città, quella è lei. E’ il suo stato d’animo” dissi convinta.
“Pazzesco” commentò lui.
In quel momento la porta della segreteria si aprì e apparve il preside. Mi ripresi in fretta il disegno e riconsegnai a Gerard i suoi fogli. Ci alzammo e lui disse: “Ciao allora. Magari un giorno ci rivediamo”.
“Magari. Buona fortuna per il fumetto” gli dissi.
“Grazie. Grazie mille”.





Salve a tutti! :)
E' la prima volta che scrivo una fan fiction su un gruppo musicale. Io non me ne intendo di musica, e più avanti, se continuerete a leggere la storia, potrete notare ifnatti che tratto la musica più come una questione emozionale e tralascio i discorsi tecnici.
Comunque sia... vi ricordate tutti le frasi che compaiono nel mezzo del video I'm not okay, giusto? Quelle che dicono If you ever felt [...] Ecco, prendendo la parola che ogni volta cambia fra le parentesi, ho dato i titoli ai capitoli, quindi in tutto ce ne sono ventuno se non ricordo male (questa fic è vecchia, l'ho scritta l'anno scorso XD). Sono abbastanza affezionata a questa fiction, l'ho scritta in un momento di ispirazione assurda. In pochissimi giorni era già finita, e sono abbastanza soddisfatta del rislutato.
Be', non so più che dire. Spero vi piacciano gli aforismi che ho messo all'inizio di ogni capitolo. Ovviamente sono correlati ad un discorso o ad un tema che si tratterà. Personalmente adoro gli aforismi, e spero che li leggiate :) Altro? ...vediamo. Ah ecco, nella fic non ci sono scene di sesso, o simili, ma ho messo rating giallo perchè più avanti tratta di temi un po' pesanti. Vi avviso, per non farvi trovare dopo la sorpresa, nel caso ci fosse qualcuno di particolarmente sensibile.
Per qualsiasi domanda o commento (negativo o positivo che sia) lasciate pure una recensione, risponderò con piacere :) Al prossimo capitolo e grazie in anticipo.
Patty

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Rejected comic ***


2.Rejected comic

Basta poco a consolarci, perché basta poco ad affliggerci.
Blaise Pascal

Gerard.
Era da un bel po’ che ci pensavo ormai. Purtroppo il fumetto non era stato accettato, perché secondo il preside il pubblico non poteva essere troppo vasto. Avevo capito fin dall’inizio che non voleva sponsorizzarmi, e cercava una scusa. Ma io avevo già parlato con la rivista che mi avrebbe pubblicato la storia, e mi aveva detto che andava bene, che dovevo solo trovare lo sponsor e poi era fatta. Che ne sapeva il preside di fumetti? Bah!
Devo ammettere che mi dispiaceva più di quanto non dessi a vedere. Mi avevano rifiutato. Era come una formula, un mantra che non cessavo di ripetermi ma che non faceva bene al mio corpo. Mi sentivo un po’ un fallito. Avevano rifiutato il mio lavoro, una mia idea. Non so se vi sia mai capitata una cosa del genere, ma quando qualcosa di così personale viene considerato poco più di uno scarabocchio, allora ci si sente davvero dei falliti. Mi veniva da chiedermi come mai ci avevo perso così tanto tempo, cominciavo a dubitare dei disegni che avevo fatto, delle inquadrature particolari che avevo dato alle scene, dei colori; e ancora dei dialoghi che avevo inventato, di alcuni personaggi, della trama in generale del fumetto.
Fu terribile.
Comunque sia, era da un bel po’ che avevo una gran voglia di rivedere quel disegno, quello che mi aveva mostrato la ragazza dell’Accademia, Mary Jo. MJ. Più veloce, più pratico, non come il mio nome. I diminutivi per il mio nome sono inutili e fanno tutti schifo. Non se ne salva uno.
Comunque sia, avevo voglia di rivedere quel disegno. Mi era capitato poche volte di fissarmi così tanto con una cosa. Ne parlai agli altri, dicendo che per il prossimo album magari potevamo vedere un po’ di lavori di MJ e, se ci piacevano, potevamo chiederle di occuparsi della grafica di copertina e delle presentazioni in generale. Gli altri dissero di si, che si fidavano del mio giudizio artistico.
Andai all’accademia e, grazie al disponibile e un po’ puzzolente custode di cui non sapevo il nome, mi fu dato in fretta il numero di cellulare di MJ.
Pensai di aspettare l’inizio delle vacanze per chiamarla, così non avrebbe avuto impegni scolastici. Quando le telefonai fu molto sorpresa di sentirmi e mi chiese subito chi mi aveva dato il suo numero.
“Non preoccuparti, non ti sto seguendo, non sono un maniaco. Me lo ha dato la scuola” la rassicurai.
“Di solito quelli che dicono di non essere maniaci lo sono. Come quando uno è ubriaco e dice di non esserlo … lo è” rispose MJ. “Comunque, che c’è?”.
“Volevo farti una proposta di lavoro” dissi. Silenzio dall’altra parte.
“Come?”.
“Abbiamo bisogno di qualcuno che si occupi del nuovo album. Ci servono disegni”.
“Oh, tipo le copertine, le cose che vanno a finire sulle magliette e così?” chiese lei.
“Esatto”.
“Davvero? E perché hai chiamato me?”.
“Mi era piaciuto molto il disegno che mi hai fatto vedere” dissi sinceramente. “E sono curioso di vederne degli altri”.
“Davvero? Grazie” disse, sorpresa e sincera. “Ma scusa, tu disegni, no?” mi chiese poi.
“Si”.
“E, non è che non accetti il lavoro, ma mi chiedevo: perché allora le cose non te le disegni da solo? Puoi fare quello che ti piace e non hai bisogno di pagare nessuno”.
“Hai ragione, ma poi ho paura di cadere nel ripetitivo” risposi. Era vero. Il mio stile si riconosceva subito, ma io volevo degli album tutti diversi, e gli altri erano d’accordo con me. Contattare artisti diversi era un modo semplice per avere una grafica sempre nuova e originale.
“Capito. Allora che devo fare?” mi chiese MJ.
“Devi portarci un po’ di disegni da farci vedere. Vorrei decidere assieme agli altri se non ti dispiace. Se non sono d’accordo non si può fare”.
“Ho capito, siete una band affiatata”.
“Spero di sì”. Le diedi l’indirizzo dello studio di registrazione e ci demmo appuntamento per qualche giorno dopo.
Gli altri erano molto curiosi di conoscere quella che chiamavano la mia prima scoperta da mecenate. Credo di avergli rotto parecchio le palle continunando a parlare di MJ. Quando ci riunimmo tutti per incontrarla stavo guardando fuori dalla finestra. La vidi arrivare sullo skate a tutta velocità e fermarsi sulle porte, i capelli neri sparati in tutte le direzioni che svolazzavano al vento, nonostante avesse tentato di legarli alla bell’e meglio. Portava una semplice maglietta bianca senza maniche e dei pantaloni rossi e verdi a quadretti stretti, un po’ come quelli che porto sempre io ai concerti. In mano portava l’immancabile tubo per i disegni.
“Eccola” dissi agli altri.
“Ah, puntuale. Menomale” disse Ray con evidente piacere. Gli piacciono le persone puntuali, forse perché non gli piace aspettare. In effetti l’unico che ancora non c’era era Frank, ma ci eravamo abituati ormai. Scesi di sotto per portare MJ nella stanza giusta, ma prima che potessi scendere le scale me la trovai di fronte.
“Ciao” dissi vedendola poco più sotto di me.
Lei alzò lo sguardo, poi sorrise. “Ciao. Quando ho visto tutta quella gente di sotto pensavo che non ti avrei trovato mai”.
“Si, è un po’ confuso, ma noi siamo sempre qui. Vieni” dissi, aspettando che mi raggiungesse. Andammo lungo il corridoio, svoltammo a destra e, dopo una piccola sala d’aspetto che non usava mai nessuno, c’era quella nostra specie di studio. In realtà non era uno studio, non componevamo certo lì le canzoni, ma era dove c’erano tutte le nostre cose. Dove Frank e Ray portavano le chitarre nei periodi di registrazione, le tenevano lì al posto di fare sempre avanti e indietro con gli strumenti ovviamente.
Entrai, e Mikey, Ray e Bob si voltarono tutti a guardarmi. Notai che c’era un grande assortimento di cose lì, a cui forse prima non avevo fatto caso, ma adesso che c’era anche qualcun altro era un po’ come presentare casa mia, solo che era disordinata e sporca. Bob e Ray stavano giocando ad un videogioco, Mikey invece leggeva un libro, poi c’erano una montagna di cd, alcuni libri e persino qualche abito, per non parlare poi delle cose da mangiare. In un angolo c’erano alcuni cartoni di pizza abbandonata e una bottiglia di coca-cola quasi vuota, il tutto in realtà faceva un po’ schifo gettato a terra com’era. Ma che volete, erano appena passate le tredici: ora di pranzo.
MJ entrò cauta, guardandosi attorno e sorridendo leggermente a tutti. “Ciao” disse alzando una mano in segno di saluto. “Io mi chiamo MJ”.
Ray si alzò e andò a stringerle la mano. “Io sono Ray” disse.
“Bob” disse lui dopo aver messo pausa nel gioco ed essersi alzato.
Anche Mikey si alzò e si presentò con uno dei suoi soliti sorrisi gentili. Ecco, mancava solo Frank, ovviamente. MJ si guardò un po’ attorno, poi disse: “Allora, vi faccio vedere i disegni?” chiese mostrando il tubo.
“A dir la verità ne manca uno” dissi leggermente contrariato. “Aspetta, lo chiamo”. Uscii nel corridoio e Frank mi assicurò per telefono che sarebbe arrivato in meno di cinque minuti. Era difficile credergli, dopo tutte le volte che lo aveva detto e ci aveva messo delle mezz’ore, però non dissi niente.
Quando rientrai gli altri erano seduti sul divano, e arrivai in tempo per sentir dire a MJ: “In realtà è il primo lavoro che faccio in tutta la mia vita, anche se forse non avrei dovuto dirvelo”.
“Quanti anni hai?” chiese Mikey.
“Ventitre” disse MJ. “Prima di venire ero talmente nervosa che ho bevuto un caffè e due Red Bull. Credo che per questo pomeriggio sarò abbastanza iperattiva”.
Sorrisi, e mi sedetti vicino agli altri. “Frank arriva fra cinque minuti ha detto”.
“E cioè?” chiese Ray.
“Cioè arriva fra venti minuti” disse Bob.
“E intanto che facciamo?” chiese MJ.
“Gli effetti della Red Bull?” chiesi.
“Forse” disse lei annuendo.
“Ah! Visto che Frank non c’è, allora credo che dovremmo sentirci autorizzati ad usare le sue cose” disse Bob alzandosi e andando a prendere una scatola in un angolo.
Corrucciai le sopracciglia mentre tornava indietro e cominciava ad aprire la scatola. “Che cos’è?” chiesi.
“E’ la wii, lui ancora non ci ha giocato. Inauguriamola” propose Bob.
Ray approvò: “Hm … si, okay”.
“E a cosa giochiamo?”.
“Box?” propose Bob mentre staccava la spina della Playstation e armeggiava con dei fili.
“A me va bene” disse MJ sorridendo eccitata.





Salve a tutti! ^^ Ecco una cosa che mi sono scordata di dire la scorsa volta: ogni capitolo avrà dei diversi punti di vista e, oltre a quello di MJ e dei membri della band, ci sono due personaggi in particolare di cui mi è molto piaciuto scrivere il PoV. Per ora non vi anticipo nulla, ma più avanti capirete subito chi sono questi personaggi, solo abbiate un po' di pazienza perchè i capitoli che riguardano loro sono un po' più avanti.
Questi primi capitoli forse sono un po' una sorta di introduzione, in cui MJ e gli altri si conscono meglio. Non mi piacciono le fic in cui i personaggi, non appena s'incontrano, diventano amici per la pelle, perchè non è così che va di solito nella vita reale, e a me sta molto a cuore rendere una fic il più veritiera possibile.
Vi anticipo che il prossimo capitolo sarà dal punto di vista di Frank. In realtà mi volevo subito 'sbarazzare' di lui e Gerard! XD Perchè la maggior parte delle storie li hanno come protagonisti, mentre io volevo concentrarmi un po' su tutti i My Chemical Romance. In realtà colui che avrà un ruolo un po' più importante in questa storia non è nè Gerard nè Frank, lo scoprirete più avanti, se avrete la pazienza di leggere XD
Grazie a chi ha messo la storia fra le seguite, anche se fin'ora non ha avuto molto successo, non importa, a me basta postarla! XD

_sory_: prima di tutto grazie mille per la recensione! ^^ Già al primo capitolo c'è qualcuno che mi dice che cosa ne pensa, wow! XD Sono felice che ti piaccia il mio stile :) Per i primi capitoli tratto più i membri della band, ma poi la storia si amplia un po'. Io di solito leggo pochissime slash, diciamo che in quel campo sono molto esigente XD Però penso che andrò a vedere qualche tua storia, ho già dato un'occhiata ai titoli e sembrano belle! ^^ Spero che questo capitolo ti piaccia, alla prossima!

Un ciao a tutti, by
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Confused musician ***


3.Confused musician

Non confondere mai il movimento con l’azione.
Ernest Hemingway

Frank.
Scesi dalla macchina a razzo e mi precipitai verso lo studio. Urtai un povero assistente che aveva in mano due caffè e glieli versai addosso. Ma che fortuna: nemmeno un po’ addosso me!
“Scusa!” gli urlai voltandomi appena e continuando a correre. Salii le scale due gradini alla volta e corsi lungo il corridoio (perché si chiama corridoio se dicono sempre di non correrci?!).
Spalancai la porta dello studio e quasi urlai: “Ciao!”, con una faccia sconvolta.
Tutti si voltarono verso di me, compresa una ragazza che stava in piedi e mi dava le spalle, di fronte a lei c’era Ray. “Ciao” mi disse lui agitando la mano, che teneva chiusa su qualcosa di bianco, una specie di rettangolo di plastica.
“Scusate per il ritardo”. Mi avviai verso la ragazza e le tesi una mano. “Io sono Frank”.
“Piacere, MJ”.
“Quella è la mia wii?” chiesi indicando l’apparecchio accanto alla tv.
“Si” rispose Bob senza farsi troppi problemi. Sbuffai e gli altri sghignazzarono silenziosamente, tranne MJ, che mi osservava incuriosita.
“Allora cominciamo” disse Gerard alzandosi dal divano. Lo sapevo che non vedeva l’ora di farci vedere quei dannati disegni, era da quesi un mese che ne parlava!
Ci riunimmo tutti attorno al tavolo e MJ prese un tubo di plastica dal quale estrasse una marea di fogli. “Ho pensato di portarne tanti, così vi fate un’idea più precisa” sussurrò quando vide la mia alzata di sopracciglia.
“Si, si perfetto” disse Gerard più soddisfatto che mai.
Non sono mai stato un grande appassionato di arte, non ne capisco una mazza, ma dovevo ammettere di essere curioso. Gerard non diventa scemo per poco, doveva essere brava sul serio.
MJ distese i disegni e li sparse un po’ sul tavolo. E si, erano molto belli. Anche per uno che non se ne intendeva potevo proprio dire che aveva tecnica. C’erano disegni realistici e non, alcuni che rappresentavano persone normali, altri che rappresentavano mostri e alcuni ritratti un po’ inquietanti.
Presi in mano il primo disegno che mi fu abbastanza vicino e lo osservai bene. Mi piaceva. “Bello” dissi sorridendo ad MJ. Lei sembrò talmente felice che le dicessi che un suo lavoro era buono che si aprì in un sorriso a trentadue denti, al quale tra l’altro risposi.
Non capita spesso di trovare persone così semplici. No, semplici non è la parola giusta, la parola che cercavo è … spontanee. MJ era così aperta e così fiduciosa negli altri che si lasciava andare ad atti naturali che me la rendevano molto simpatica.
Pensai che in un certo senso era un po’ ingenua. Forse sono cinico, ma non abbasso mai tutte le difese. Sono sempre protetto in qualche modo, e la gente che mi conosce davvero bene è poca. Ho sempre avuto paura che mostrarsi troppo vuol dire che la gente vede i tuoi punti deboli. Ma quell’incontro mi lasciò confuso. Tutti credono che io sia un tipo allegro e solare, infatti è così, ma solo con certe persone selezionate. Agli altri appaio solo un ragazzo simpatico a cui piace fare lo stupido, ma non sanno veramente come sono dentro.
“B’è per me va più che bene” disse Ray alzando lo sguardo su di noi, per sapere cosa ne pensavamo.
“Si, anche a me piacciono” concordò Bob. “Sono interessanti”.
“Sono d’accordo” dissi. “Mike?” chiesi poi voltandomi verso di lui. Mikey annuì.
“Perfetto” esclamò Gerard battendo le mani. “Dovresti parlare con il nostro manager, ti dirà lui tutte le cose … burocratiche” disse poi a MJ. Si avvicinò a lei e le posò una mano sul braccio chiededole in tono confidenziale: “Senti, non è che ne posso prendere uno?”, e indicò i disegni sparsi.
MJ sorrise e disse annuendo: “Si, certo. Certo, prendi pure quello che vuoi. Dove posso trovare il vostro manager?”.
“Ah …” Gerard si guardò attorno in cerca di aiuto, evidentemente non lo sapeva.
“Dovrebbe essere giù” dissi. “Ti posso accompagnare, devo scusarmi meglio con un assistente” borbottai poi.
“Ah grazie” esclamò MJ seguendomi.
Andammo giù dove di solito c’era sempre Brian, a bere caffè, a fumare o a sgridare qualcuno. Nonostante il clicè dei manager antipatici Brian era molto gentile, s’incazza solo quando deve ripetere le cose e quando qualcuno sbaglia nonostante lui le ripeta più e più volte. Non gli piace dover ripetere le cose, a meno che non riguardino la sua tartaruga d’acqua dolce.
“Perché devi scusarti con un assistente?” mi chiese MJ mentre cercavo Brian con lo sguardo.
“Gli ho rovesciato del caffè addosso”.
“E perché?”.
“Non l’ho fatto apposta” dissi accigliato voltandomi verso di lei. “Ero in ritardo e correvo, e l’ho urtato”.
“Era caffè freddo o caldo?”.
“Non lo so veramente”. Me lo stavo chiedendo sul serio, quello era un problema. “Qual è la differenza?”.
“Nessuna, sono tutti e due appiccosi. Ma il caffè caldo credo sia peggiore da ricevere addosso” disse lei come se stesse parlando di qualcosa d’estremamente importante.
“Probabile”. Tornai a cercare Brian.
“Vuoi una caramella?” mi chiese all’improvviso MJ. Mi voltai verso di lei e vidi che masticava in modo convulso una gomma.
“Ti senti bene?” le chiesi.
“Tu non c’eri. Ti sei perso la storia del caffè. E delle Red Bull. Sono iperattiva” concluse.
“Capito. E perché hai bevuto del caffè e delle Red Bull tutti assieme?”.
“Ero nervosa. Non ho mai fatto un colloquio in vita mia”.
“Capito” dissi con un mezzo sorriso. “Ti serviverebbe scaricare la tensione”.
“Di brutto” disse lei dondolandosi sui piedi.
“Facciamo così. Ormai sei assunta, quindi non dovresti tenerti tutta questa Red Bull in corpo. Andiamo a fare un giro, ti va? Brian lo cerchiamo domani” dissi. Ero molto preoccupato di come stava, sembrava che avresse dovuto ad un tratto saltar su e rompere ogni cosa.
“Si andiamo” disse, e fece per incamminarsi fuori.
“Aspetta. Gli altri?”.
“Li chiamiamo poi” disse tornando indietro, prendendomi una mano e trascinandomi fuori. Nel momento preciso in cui lasciai lo studio scorsi Brian, e gli feci segno di andare di sopra.
“Poi ti racconto!” gli gridai appena prima di sparire, trascinato dalla forza da Red Bull di MJ.
Fuori faceva caldo, si soffocava. Il sole era a picco sulle nostre teste. “Allora che facciamo?” mi chiese MJ continuando a masticare a bocca chiusa e saltellando sul posto.
“Non lo so. Fa caldo”.
“Hai ragione. Andiamo in piscina!” esclamò.
“Non sapevo che ce ne fosse una qua vicino. Comunque non ho il costume”.
“Nessuno se ne fa nulla di un costume. Vieni!”. Di nuovo, il mio braccio fu prigioniero. Andammo fino ai quartieri residenziali e lì, senza alcun preavviso, MJ cominciò ad arrampicarsi sopra un muretto.
“MJ che fai? E’ proprietà privata” sibilai. “E dai vieni giù” la pregai, cercando di staccarla dal muretto per fermarla. La Red Bull è la bibita del Diavolo!
“Frank” mi guardò con aria decisa, “è vuota. Non ci sono cani. Non ci sono sistemi di allarme. Mica entreremo in casa” disse come se fosse ovvio.
“Ma …” tentai di protestare ma lei si voltò e scavalcò il muro. “MJ! Oh, cazzo …”. Mi guardai attorno furtivo poi, velocemente, mi arrampicai anche io.
“Frank! Il tuo nome vero è Franklin?” mi chiese MJ dal bordo di una grossa piscina piena, mentre posava a terra delle chiavi, il portafoglio e il celleulare.
“Si. E il tuo qual è?”.
“Mary Jo” rispose sorridendo. Si tolse le scarpe e si tuffò. Spuntò di nuovo sul pelo dall’acqua, mentre io ridevo come un deficente. “Non ti butti?” mi chiese.
“Vorrei” dissi sincero.
“E perché allora non lo fai?”.
“Forse perché non mi sembra il caso. Tu perché l’hai fatto?”.
“Avevo voglia. Non mi denuncerai, vero?” chiese scherzosamente.
“E come fai a dirlo?” le chiesi con un sorriso.
“Mi fido. Forse mi fido troppo, tu che dici?”.
Per i miei gusti era troppo. Io non mi fidavo troppo. Io non mi ero mai fidato troppo. Ma di fronte a delle persone così libere e genuine, come MJ, credo che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di farle del male. Non si fa del male ad una cosa così pura, così ricca di vita. Si fa del male a chi si nasconde dietro una maschera, perché è inevitabile non fidarsi di chi è nascosto, come me. Chi si mostra invece è protetto dalla sua stessa essenza.
Ma come? Proprio io che pensavo di essere perfetto con il mio cinismo e le mie barriere alzate, adesso mi ritrovavo a considerare giusto abbassarle.
Ero confuso.
Mi levai anche io scarpe e calze, poi, con tutti i vestiti, mi tuffai.
Grandi spruzzi d’acqua si levarono in aria, e io li osservavo dal basso, da dentro l’acqua.





Eccomi! ^^
Allora, so che molti pensano che Frank sia uno dei membri più babbei (in senso buono XD) dei My Chemical Romance, quello che fa sempre lo stupido e che fa ridere tutti con le sue battute. In effetti è così, ma ho interpretato questo comportamento come una specie di copertura. Spesso le persone che sembrano più allegre, diciamo i pagliacci della situazione, sono in realtà persone totalmente diverse, che quando si aprono a qualcuno rivelano di avere dentro molto più di quanto non si sospetti.
Ovviamente (questo è un annuncio ufficiale, mi raccomando) non conosco Frank Iero e lui non sa dell'esistenza di questa storia, quindi la sua personalità è stata completamente inventata.
Comunque... il prossimo capitolo vedrà come protagonista Mikey, e la parola prescelta per questo capitolo è: lost. Aspettate di vedere che cosa succederà. Povero Mikey, un po' mi dispiace, ma in fondo alla fine si diverte! XD
Al prossimo capitolo,
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** I lost my keys ***


4.I lost my keys

Bisogna perdere per vincere.
Gabriele Martufi

Mikey.
“Che cosa vi è successo?” chiesi a Frank e MJ quando li vidi tornare. Erano bagnati fradici, ma parevano estremamente soddisfatti di qualcosa. Di cosa, precisamente non so. Forse di somigliare al mostro della laguna nera appena uscito dall’acqua.
Sembrerà strano ma nessuno di noi si arrabbiò con MJ perché era sparita invece di parlare con il nostro manager; era stata rapita da Frank, e tanto bastava per perdonarla.
“Abbiamo scaricato i nervi” mi rispose Frank.
“Dovrei provare anch’io” disse Ray. “Fa caldo”. Al che MJ e Frank scoppiarono a ridere, di qualcosa che solo loro due sapevano, mentre io scambiavo un’occhiata con mio fratello.
“B’è non importa, con Brian ci parli domani” disse Gerard. “Io devo andare, mi vedo con Lyn” disse tirando fuori il cellulare per guardare l’ora. Poi ci salutò e sparì, tirando fuori un pacchetto di sigarette e tastandosi le chiappe per trovare l’accendino.
“Io credo che andrò a casa a cambiarmi” disse Frank prendendo le sue cose e uscendo. Ray e Bob si alzarono dicendo che dovevano andare non ricordo dove.
Oh cazzo. In quell’istante realizzai che il mio passaggio se n’era andato. Mio fratello … inutile sangue del mio sangue che non sei altro!
MJ prese il suo tubo porta-disegni e lo skate. “Dove abiti?” chiesi.
“Fra Ceden Park e la settantaduesima” disse lei.
“E’ lontano” osservai. “Quanto ci metti in skate?”.
“Oh no, sono venuta in macchina. Lo skate lo porto sempre, più per abitudine che per altro. Ma è utile perché nei posti come questo i parcheggi non si trovano mai. La macchina è un po’ lontana, ma con lo skate sono nemmeno cinque minuti da qua fino a dove l’ho lasciata”. Mentre parlava aveva preso un sacco di Clinex e si stava asciugando i capelli. “Tu che fai ora?”.
“Io? Io chiamo un taxi” borobottai sbuffando e prendendo il telefono dalla tasca.
“Se vuoi ti accompagno” propose MJ guardadomi di sottecchi.
“Sul serio?” chiesi.
“Già. Mi pare il minimo per il mio datore di lavoro”. Pronunciò la frase con enorme soddisfazione. “Tu sei il mio primo datore di lavoro”.
“Che fortuna che ho” dissi aprendole la porta del nostro studio.
“Poi potrai vantartene, hai visto?” disse lei sorridendo ironica.
Per arrivare fino al parcheggio camminammo dieci minuti buoni a passo sotenuto. Faceva un caldo da morire, non uno di quei caldi secchi, uno di quelli umidi e afosi. Io odio l’afa.
“Ecco qui” disse MJ indicando una piccola macchina rossa. “Non è un granché, soprattutto per te che sei abituato alle macchina di super … lusso” disse vagamente imbarazzata.
“Nah, le macchine di lusso sono costose” dissi io mentre salivo davanti. MJ mi raggiunse e gettò lo skate sul sedile posteriore. I disegni li aveva lasciati allo studio.
“Dove ti porto?” mi chiese.
“A Brenville. Sai dov’è?”.
“Si, più o meno, mi dovrai dare indicazioni però, per essere più sicuri” disse. Mise in moto e partimmo. Sul cruscotto c’erano un accendino e un pacchetto di Marlboro rosse. “Ti spiace se fumo?” mi chiese ad un tratto MJ.
“No fa pure. E’ da una vita che attorno a me la gente fuma. Morirò di cancro per fumo passivo” dissi passandole pacchetto e accendino.
“Allora apriamo i finestrini” biascicò lei con la sigaretta fra le labbra schicciando due dei pulsanti sotto la radio. Dopo un po’ di silenzio mi chiese: “Non è che mi fareste vedere i lavori che hanno fatto per i vostri vecchi cd? Tanto per farmi un’idea”.
“Certo. A casa non li ho, ma allo studio abbiamo un sacco di poster vecchi e cose del genere” dissi.
“Dovrei anche … ascoltare le canzoni credo. Forse mi ispirerà” mormorò.
“Può darsi. Non so bene cosa si aspetti la gente dal prossimo album ma l’ultimo è quello andato meglio credo, quindi tutti si aspetteranno molto. Si chiamava The black parade, e tutte le canzoni ruotavano attorno ad una storia, era un concept album. La grafica di scena era incentrata sulla canzone che dava il titolo al cd, e in  minima parte anche su altre, specifiche canzoni. Quindi, si, dovresti ascoltare il cd”.
“E’ già pronto?”.
“In realtà no, dobbiamo ancora inizare la registrazione” ammisi grattandomi il naso.
“Okay. Magari posso venire a sentire, così mi faccio un’idea. Poi quando è fatto me ne faccio dare una copia”.
“Buona idea. Sai, mio fratello è molto contento che lavorerai assieme a noi. Si è fissato con i tuoi disegni”. Era proprio vero. Purtroppo quando Gerard si fissa con qualcosa tutti noi dobbiamo pagarne le conseguenze. E’ stato così quando ha letto un libro di un’autore praticamente sconosciuto, quando voleva un pappagallo e quando ha fatto amicizia con il bassista dei Distillers e ha comprato tutti i loro cd. Non la finisce mai di parlare delle cose che gli piacciono. Non so come ho fatto a sopportarlo per tutti questi anni.
“Tuo fratello?”.
“Si, mio fratello Gerard” dissi io.
“Siete fratelli?” chiese stupita.
“Si”.
“Cavolo! In effetti vi somigliate vagamente in qualcosa, ma se non me lo avessi detto non ci avrei mai pensato” disse lanciandomi un’occhiata di sbieco.
“Si … non siamo proprio una miscela esatta dei nostri genitori, io somiglio più a mio padre. Invece lui a mia madre, secondo me”.
“Forte. Io avrei sempre voluto una gemella. Ma invece mi è capitato solo un fratello più grande, che sfiga” disse sorridendo. “Da piccola avrei fatto volentieri a cambio con un cane”.
“Si, anche io a volte con Gerard” dissi, poi scoppiammo a ridere.
“Io e te formeremo un club: Fratelli Minori al Potere” disse MJ convinta, alzando un pugno in segno di vittoria.
“F.M.P. Mi piace” dissi.
Dopo quasi un’ora, in cui organizammo il nostro club e l’incontro di quest’ultimo con il presidente Obama (chiedendoci se per caso avesse fratelli minori), dovetti fare da navigatore. “Alla prossima vai a destra, poi passi il parco …” stavo dando indicazioni a MJ per arrivare a casa, “ecco, adesso la prossima a sinistra”.
“Qui?” mi chiese lei svoltando.
“Si. E’ … quella!” esclamai indicando casa. MJ si fermò.
“Arrivati” disse. “Allora, quand’è che devo tornare per sentire la registrazione?”.
“Iniziamo la prossima settimana. Lunedì” le dissi slacciandomi la cintura. Scesi dall’auto e la salutai. Ero davanti al cancelletto e cercavo le chiavi, quando la vidi sporgersi dal finestrino.
“Senti, per caso qui vicino c’è un supermercato?” mi chiese.
“C’è un centro commerciale. Vai verso la statale e appena prima dell’uscita lo vedi” dissi. Nel frattempo continuavo a cercare le chiavi, ma non le trovavo. Mi chinai bene sulla borsa e l’aprii. Cominciai a tirare fuori tutto quello che c’era dentro ma le chiavi, proprio, erano sparite. Intanto MJ mi guardava.
“Hai perso qualcosa?”.
“ … le chiavi” sibilai. “Ma che bella giornata è oggi” dissi sospirando. “Il mio fratello-passaggio mi ha abbandonato e ho perso le chiavi di casa. Devo anche andare in bagno”.
MJ ridacchiò e poi mi fece cenno di salire sull’auto. “Dai, intanto che non hai nulla da fare vieni a farmi compagnia al centro commerciale. Ti va? Se non hai nessun’altro posto dove andare puoi anche venire a casa mia”.
Ci pensai su un secondo. Avrei chiamato Gerard e poi … squillò il telefono. “Pronto?”.
“Mikey sono io”. Gerard. “Hai lasciato le chiavi di casa nella mia macchina”.
Merda. E adesso se ne rendeva conto? “Ehm … d’accordo, e ora? Dove sei?”.
“Troppo lontano”.
“Ah … b’è non importa, ho trovato chi mi ospita” dissi scoccando un’occhiata ad MJ. Lei mi fece segno con il pollice alzato. “Si, ci vediamo domani, vengo a casa tua …”, aspettai la risposta, poi: “Bho, facciamo presto comunque”.
“Ci vediamo domani”.
“A domani” dissi, e riattaccai.
“Allora? Se stasera andassimo a fare un giro? Tanto siamo tutti e due senza impegni a quanto ho sentito”.
“Appunto” dissi io facendo il giro e salendo nuovamente sull’auto. “Potremmo andare a trovare il nostro amico Obama” proposi mentre chiudevo la portiera con un rumore sordo.
Quel pomeriggio andammo al centro commerciale, e ne approffittai per comprare una maglietta, mentre MJ fece una piccola spesa. Volle a tutti i costi andare al negozio di musica, dove esaminò tutti i nostri cd che c’erano in vendita. Comprò Tree cheers for sweet revenge, perché diceva che il titolo era bello, e che c’era una canzone che le piaceva.
Mi portò nel suo appartemento. Era un bilocale, grande abbastanza per una persona sola. “Ma se mi ospiti, dove dormo?”.
“In camera” disse lei. “Io userò il divano”.
“Oh, non potrei mai levarti il tuo letto” dissi scuotendo la testa.
“Troppo gentile. Non mi dispiace dormire sul divano. A parte il fatto che avevamo detto che saremmo usciti. Che ne sai che non restermo svegli tutta la notte?”.
“Hai ragione …”. Mi guardai un’attimo attorno, poi scambiai un’occhiata con MJ e annuendo dissi: “Andiamo”.
Fu una delle serate più frenetiche di tutta la mia vita. Dico sul serio.
Prima andammo in un bar a bere qualcosa, poi a fare un giro, di nuovo in un bar nel quale suonavano dal vivo. Di nuovo fuori, e una ragazza mi fermò per fare una foto assieme, dicendo che era venuta ad uno dei concerti del gruppo due anni fa, e che era stato bellissimo. Le dissi grazie e poi continuammo per la nostra strada.
In un locale MJ cercò di convicere un buttafuori di essere la figlia illegittima di Brad Pitt, e che quindi dovevano lasciarla entrare. Mi unii a lei dicendo a Ted, il buttafuori ormai considerato un amico, che era vero e che io, come figlio adottivo di Madonna, certe cose le sapevo. Ted era troppo astuto per lasciarsi ingannare, ma ci fece entrare lo stesso. Poi quando uscimmo di lì eravamo un po’ ubriachi, e andammo lanciare sassi in una fontana.
“A Roma” cominciò MJ, “nella Fontana di Trevi, si dice che se butti una monetina nell’acqua ed esprimi un desiderio quello si avvera”. Prese da terra un sassolino e lo lanciò pigramente nella fontana.
“Si, l’ho fatto anche io quando sono andato, credo che lo facciano tutti”. Presi un sasso e lo lanciai con tutte le mie forze nell’acqua.
“Può darsi, tutti i turisti fanno certe cose. Com’è Roma?”.
“Molto bella. Per fortuna c’era mia madre. Lei è italiana, conosce la lingua, perciò è stato facile. Io faccio schifo con tutte le lingue tranne la mia, quando sono in un posto dove parlano una lingua diversa divento scemo”.
“I miei genitori mi hanno fatto fare un corso di spagnolo un sacco di tempo fa, perché dicevano che è la seconda lingua più parlata nel mondo dopo l’inglese. Ma io non ricordo assolutamente nulla. A parte le cose che sanno tutti: Hola, me llamo MJ. Gracias, tengo hambre … e poi basta credo”.
Sorrisi. Guardai in alto, nel cielo. Quella notte era troppo buia per i miei gusti, e le stelle non si vedevano. Non si vedevano mai in realtà, oppure si vedevano degli aerei che, spesso, qualche persona ottimista scambiava per stelle. Non era stata una giornata speciale, non era successo nulla di che, anzi forse era stata una giornata un po’ sfigata, considerato che avevo perso le chiavi e mendicato un passaggio e un posto dove dormire. Il giorno dopo sarebbe stato come tutti gli altri: nonostante una carriera musicale avevo sviluppato una certa routine. Non si sarebbe certo interrotta o spezzata. Il mondo girava come al solito, e non c’erano motivi particolari per essere di buon uomore.
Ma ero abbastanza felice di aver perso le chiavi di casa …





Eccomi! ^^ Allora, non ho molto da dire su questo capitolo, spero solo che vi piaccia, e vi annuncio che dal capitolo che vedrà come protagonista Ray la trama comincierà a farsi un po' pesantina. Grazie a ioamolacocacola per la recensione, e complimenti per il nick! XD
Al prossimo capitolo, quello di Bob :)
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Too Anxious ***


5.Too Anxious

Che gli uccelli dell’ansia e della preoccupazione volino sulla nostra testa non possiamo impedirlo, ma possiamo evitare che vi costruiscano un nido.
Proverbio cinese

Bob.
Era lunedì. Chissà perché, ma mi sembra che un sacco di cose inizino di lunedì. Comunque quel lunedì avremmo iniziato a registare.
Questa volta eravamo tutti puntuali. Non so bene perché, ma Frank era un po’ strano, ultimamente sembrava perennemente di buon umore. Be’ buon per lui. C’era anche quella ragazza che avrebbe fatto la grafica per l’album. MJ, si chiamava. Però mi era stato difficile imparare il suo nome, sapevo che erano due lettere, ma non ricordavo mai quali fossero. Avevo tirato ad indovinare e Frank si era messo a ridere quando avevo ipotizzato un LK e un JV.
Comunque sia, ero proprio impaziente di cominciare. Alle prove mi era piaciuto molto suonare le nuove canzoni. Erano … forti. Emanavano energia a grandi ondate.
“Ci siamo?” chiese Gerard entrando nello studio di registrazione.
“Si, è perfetto” disse Frank ruotando qualche manopola per alzare un po’ il volume della sua chitarra. Suonò qualcosina e Mikey fece una smorfia.
“E’ troppo alto. Poi non mi si sente il basso” disse.
“Hm …”. Frank abbassò il volume di un po’, poi riprovò. A lui si unì Mikey e fece segno di sì con la testa. “Va bene così?” chiese Frank smettendo di suonare.
“Meglio”.
Anche Ray sistemò il volume della chitarra, mentre io giocherellavo con le bacchette e ogni tanto con il pedale. Con il doppio pedale. Mi piaceva usarlo, ma non ce n’erano molte occasioni. Mi passai una mano fra i capelli e guardai gli altri.
“Comiciamo?” chiesi.
“Si” disse Gerard. “Abbiamo scritto la scaletta ieri, siamo d’accordo? Si?”.
“Secondo me dobbiamo spostare l’ultima” borobottò Ray.
“Va bene poi ne riparliamo” disse Frank. “Cominciamo? Dai!”.
“Ok” dissi. E, come nelle prove, battei le bacchette tre volte prima di inziare.
Fu come se una fiammata mi investisse. Le canzoni erano perfette e non le avrei cambiate nemmeno di una nota. Come ho detto prima: pura energia. Forza. Elettricità. Calore. Ogni cosa che potete immaginare concentrata in quattro minuti circa di musica.
Ci sono delle canzoni fatte solo per vendere, senza sonorità e senza cuore. Invece ci sono canzoni studiate, suoni che colpiscono nel profondo, che sono fatti apposta per lasciarti lì senza parole. Sono molto rare queste canzoni, sono delle perle, e purtroppo non sono apprezzate come dovrebbero. Ma nelle mani di certi artisti gli strumenti riescono quasi a parlare, riescono a far capire a chi ascolta cosa vuole dire quella canzone senza bisogno di parole. Le parole non possono esprimere tutto. La musica si.
Suonammo tutta la mattina, e all’ora di pranzo non ero ancora abbastanza stanco. Sapevo che lo sarei stato quella sera. Quella mattina riuscimmo a registare solo due canzoni in tutto, avevamo iniziato abbastanza tardi in effetti, ma se mi svegliavo presto non rendevo abbastanza. Uscimmo dallo studio, eravamo un po’ sudati comunque.
“Ho sete” disse Gerard.
Ad un tratto entrò una delle nostre assistenti con diversi pacchetti di carta in mano. “Vi ho portato da mangiare!” affermò con un sorriso alzandoli per aria.
“Evviva!” esclamò Frank prendendo una busta e aprendola. C’era dentro un hamburgher e Frank lo aprì. “Ma c’è la carne”.
“E’ un hamburgher” disse Gerard.
“Ma io sono vegetariano” disse Frank.
“Ma piantala, che l’altro giorno hai mangiato una bistecca al sangue” disse Ray aprendo una bottiglietta d’acqua frizzante.
“E’ vero” dissi. “E’ da anni che vai avanti così, non sei vegetariano”.
“Ho una crisi di coscienza” disse Frank dando un grosso morso al panino. “Buono” esclamò poi con faccia meravigliata. Gerard nascose il sorriso dietro una bottiglietta di coca cola e ne bevve un sorso. Presi il mio panino e cominciai a mangiare. Vidi MJ seduta in un angolo, che si mordicchiava le unghie e aveva gli occhi spalancati fissi nel vuoto. Quando mi fisso lo sguardo con qualcosa mi piace un sacco, e mi dà fastidio se mi disturbano. Frank lo fa sempre, mi muove la mano davanti alla faccia. Quanto lo detesto quando lo fa!
“Hey ciao. A che pensi?” chiesi a MJ sedendomi al suo fianco.
“Niente” disse lei velocemente riscuotendosi dai suoi pensieri. “Le vostre canzoni sono molto belle. Sarà difficile fare un disegno per l’album”.
“Mi hanno detto che metteranno i disegni anche in mezzo al libretto delle parole, no?” chiesi. Secondo me così era meglio, altrimenti restava vuoto.
“Già, l’idea è di farne uno per ogni canzone … ma quelli dovrebbero essere facili da fare, se ne faccio uno, anche piccolino, ma incentrato su un solo testo, non dovrebbe essere complicato. Quello che mi preoccupa di più è la copertina”.
“E perché?” chiesi.
“Non saprei … ho paura di non riuscire a rendere abbastanza. Le canzoni sono molto belle, non vorrei che il disegno fosse da meno” disse facendo una smorfia preoccupata.
Rimasi un attimo in silenzio. “Non so se per te è la stessa cosa, ma quando non so esattamente come suonare una canzone non mi sforzo. Più che altro aspetto che arrivi … l’ispirazione forse”. Presi un pacchetto di caramelle gommose che stava vicino a me e lo tesi a MJ. “Orsetto?”.
Lei sorrise. “Grazie” disse prendendone uno. Lo tenne fra le dita e lo guardò: “Non è sempre un dispiacere mangiarli?” mi chiese poi.
“Il loro sapore compensa il fatto che tu stia uccidendo un orso” risposi. MJ rise e mise in bocca la caramella. “Comunque sia tu aspetta di sentire tutto l’album, poi se non ti viene in mente ancora nulla comincia a preoccuparti. Ma adesso tranquilla”.
“Va bene” disse MJ stendendosi più comodamente sul divano. “E’ una storia per caso?” chiese poi. “Parla di una storia il nuovo album?”.
“Più o meno, nel senso che diverse canzoni sono collegate fra di loro” dissi prendendo un po’ d’acqua e sorseggiando, mentre poggiavo la schiena al divano. “Penso sia curioso in effetti, è stata un’idea di Ray” dissi indicandolo con un dito.
“A si?” chiese MJ seguendo la direzione che le indicavo e osservando Ray.
“Si, lui ha sempre queste idee strane. Molto buone però …”.
“Ingenioso. Più che a una storia mi fa pensare a una raccolta di racconti” disse lei annuendo.
Gli altri finrono di mangiare, così mi alzai. Prima che potessi andare via MJ mi chiamò: “Hey!”. Mi voltai. “Grazie per il consiglio”.
Sorrisi. “E’ stato un piacere”.
Continuammo a suonare per diverso tempo, quasi tutto il pomeriggio. Eravamo spossati. Non ce la facevamo davvero più. Verso le cinque qualcuno propose di fare una pausa, ma restammo dentro lo studio. Guardai attraverso il vetro, che mi era sempre sembrato una cosa molto da prigione: avete presenti nelle sale da interrogatorio, quei vetri dove ti possono guardare ma tu non vedi loro? Ecco, quelli. Però noi vedevamo dietro, per fortuna.
Infatti MJ parlava con uno dei ragazzi adetti alla registrazione. Sembra che gli chiese di fargli ascoltare un pezzo, perché il ragazzo dopo un po’ gli passò delle grosse cuffie e premette un paio di pulsanti. MJ era concentrata e ascoltava la canzone. Poggiò la testa sul tavolo e rimase lì, credo fino alla fine della canzone. Poi si tirò su, lasciò il macchinista senza dire una parola e se ne andò.
Incuriosito mi avviai alla porta. “Dove vai?” mi chiese Gerard.
“A vedere una cosa” risposi con tono vago.
“Che?”, chiese di nuovo, ma io lo ignorai. Povero Gerard, ora che ci ripenso.
Uscii dallo studio e andai dove avevo visto sparire MJ. La trovai seduta sul divano bordeaux con un grosso blocco poggiato sulle ginocchia. Sparsi attorno a lei c’erano diversi gessetti di tutti i colori. Fui così silenzioso che non mi sentì arrivare, e io mi appoggiai sullo stipite della porta, le braccia conserte e la testa inclinata. MJ disegnava con foga, cancellava con decisione qualsiasi linea, poi ricominciava. Ad un tratto vidi che cercava qualcosa e alzò lo sguardo.
“Oh” esclamò. “Ciao” mi disse con una punta di nervosismo.
“Va meglio?” chiesi avvicinandomi.
“Si, grazie. Ho ascoltato Stay” disse.
“Ah … capito. Sai, il direttore ti ucciderà se macchi il divano con i colori” dissi indicando i cuscini. Alcuni si erano macchiati di giallo e rosa chiaro, mentre le macchie con i colori più scuri passavano inosservate.
“Oh, merda!” sibilò lei. Cominciò a togliere tutti i colori e a metterli alla rinfusa dentro ad una scatola. Mi avvicinai per aiutarla e, mio malgrado, mi sporcai pure le dita. “Fatto” disse MJ dopo che ebbe tirato fuori in fazzoletto e pulito le macchie sui cuscini. Si voltò a guardarmi e notai che, toccandosi il viso, si era fatta un grosso segno nerarstro sul volto, su tutto il lato destro del naso e anche un po’ accanto all’occhio.
“Hm, hai un po’ di …” le dissi indicandomi il naso nel punto dove lei era sporca.
“Oh uffa” sospirò alzandosi. “Lo faccio sempre. Mi dimentico di avere le mani sporche. Dov’è il bagno?”.
“Tutto in fondo, sulla destra” le dissi.
“Grazie”. Lei uscì, e io rimasi da solo con il disegno ancora incompiuto. Gli gettai un’occhiata veloce e abbozzai un sorriso. Non era ancora finito, ma … era perfetto per la canzone. Prima che potessi esaminarlo più attentamente sentii che qualcuno veniva a cercarmi.
“Booob?” mi chiamò la voce di Gerard.
“Eccomi!” esclamai rimettendo a posto il blocco di fogli. “Davo un’occhiata” dissi soltanto.
Gerard sorrise. “Che facciamo per oggi, andiamo a casa?” chiese.
“Ah … d’accordo. Sono stanco” dissi poi facendo una smorfia.
“Anche io. Ma se andiamo avanti così per mercoledì, al massimo giovedì, abbiamo finito” disse. Lanciò anche lui un’occhiata al disegno e chiese: “Dov’è andata?”.
“A pulirsi la faccia. Se l’era sporcata coi colori” spiegai.
“Ah … lo sai? Credo che abbiamo scelto bene”. Era molto serio. Anche io lo pensavo, nonostante la discussione che avevo avuto quella mattina con MJ.
Era solo un po’ ansiosa dopotutto, capita. Ma la cosa più strana di tutta quella faccenda è che io, di solito, non mi metto a consolare la gente. Almeno, la gente che non conosco. Era molto strano, perché decisamente MJ rientrava fra la gente sconosciuta. E di solito ci metto un po’ per fare amicizia come si deve. Chiamatemi scemo, chiamatemi asociale, chiamatemi come volete. Ma quella volta fu diverso, sentivo di potermi fidare. Il fatto era che MJ era spontanea, lo si capiva al primo sguardo. Era speciale.
“Si. Sono d’accordo” dissi incamminandomi verso porta e chiudendomela alle spalle.





Ecco qui il quinto capitolo. Spero abbiate apprezzato la mia piccola parentesi musicale vista dal punto di vista di Ray :) I veri musicisti, chi capisce davvero di musica (quindi non io XD), sentono nelle note molto più di quanto noi altri 'normali ascoltatori' possiamo sentire, a parer mio. Non dico che la musica non ci dà emozioni, ma chi ha un orecchio un po' più tecnico riesce a percepire molte cose in più, proprio a livello di emozione, grazie alla sua capacità (secondo me).
Allora, mi rendo conto di essere stata un po' lenta in tutti questi capitoli (infatti non sono molto lunghi), ma dalla prosisma settimana posterò il capitolo su Ray (questa volta la parola per il capitolo è wrong), e comincieranno i guai seri u_u XD No, scherzo! Non comincieranno i guai, diciamo che introdurrò un argomento delicato, e la storia entrerà proprio nel vivo della vicenda.
B'è... alla prossima settimana allora! ^^
Patty

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** The wrong movie ***


6.The Wrong movie

E’ sbagliato giudicare qualcuno dalle persone che frequenta. Giuda, ad esempio, aveva amici irreprensibili.
Marcello Marchesi

Ray.

“Oggi usciamo!” esclamò Brian. “Per festeggiare la fine della registrazione!”.
“Mi pare giusto” approvai, picchiando una mano sul tavolo. “Dove andiamo?”.
“Andiamo a mangiare fuori” propose Mikey. “Cinese?”.
“Non ho voglia di cinese … perché non messicano?” propose Bob.
“Si, messicano mi piace” disse Frank. “Stasera ci troviamo davanti al … a dove?”.
“Io conosco un posto molto bello. Messicano. Si chiama Guadalajara, lo conoscete?” chiese MJ.
“Si, io ci sono andato una volta” disse Gerard. “E’ buono. Sta fra la Lincoln e St.Richard”.
“D’accordo, allora ci troviamo lì alle otto” disse Frank. Dopo esserci messi d’accordo ci preparammo e uscimmo. Io e Gerard ci incamminammo alla macchina assieme a MJ.
“Farete un tour immagino” disse lei ad un tratto.
“Si … però prima faremo uscire almeno un singolo, no Ray? Se non promuoviamo nessuno verrà ai concerti, credo” disse Gerard.
“Ti sembro uno dei Rolling Stones?” chiesi a MJ. “La gente non viene a vederci se non abbiamo nuove canzoni”.
“Oh, io dico che verrebbero. Sai, i fan accaniti …” rispose vagamente guardando a terra. “E comunque io sarei felice di non assomigliare a nessuno dei Rolling” disse guardandomi eloquentemente.
“Perché? Hanno più di cinquant’anni e non hanno mai fatto niente in vita loro” risposi sognante.
“Si, ma vuoi davvero finire a cinquant’anni su un palcoscenico? Nei concerti in diretta diranno: Hey guarda! E’ quello dei My chemical Romance! Cavolo, riesce ancora a reggersi in piedi! Quanti anni avrà? Sessantacinque?”.
“B’è … cazzo hai ragione. Ora che ci penso è abbastanza degradante vedere i vecchietti che si agitano sul palco. Un po’ come i Sex Pistols, non fanno un po’ pena adesso? E poi gli manca la punta di diamante, Sid Vicious … anche se poi non era questo granché a suonare”.
“Io ho già detto che smetterò di fare questo lavoro quando avrò cinquant’anni” disse Gerard alzando le mani.
“Si, cinquanta è bello. Sembra una garanzia, l’età perfetta. Non riesco nemmeno ad immaginarti a quell’età” disse MJ con un sorriso.
Poi io e Gerard incominciammo a parlare dei musicisti vecchi ma che sul palco conservavano ancora tutta la loro dignità. Dopo un po’ MJ non ci ascoltò più e gettò a terra lo skate. Cominciò a girellare attorno a noi. Andava avanti e poi tornava indietro, e poi ricominciava. Stavamo per arrivare alla nostra macchina, quando all’improvviso vidi MJ partire a tutta velocità verso una piccola rampa di legno messa in mezzo alla strada per dei lavori. Vi si arrampicò con velocità con lo skate e poi saltò giù girando non so quante volte su se stessa.
“Non te la tirare adesso!” esclamò Gerard ghignando accanto a me.
MJ stava attraversando la strada a tutta velocità, veniva verso di noi sorridendo sarcastica alla battuta di Gerard, ma vidi distintamente dei detriti dei lavori, sui quali andò a finire. Le grosse pietruzze nere urtarono le ruote, e lo skate sbandò. MJ perse l’equilibrio e volò all’indietro, diede una culata pazzesca a terra e urlò: “Porca troia!”. Poi si voltò con la schiena al cielo e alzò un braccio. Ci fece segno con il pollice alzato per dire che stava bene, poi fece ricadere il braccio pesantemente a terra.
“MJ!” esclamai non appena fu per terra, incurante del pollice alzato. “Stai bene?” le chiesi quando la raggiunsi. Alle mie calcagna c’era Gerard e si chinò su MJ affianco a me.
“Ti sei fatta male?” le chiese.
“Tu che dici?” chiese lei sollevandosi e guardandolo con una smorfia.
“Hai ragione, te lo richiedo: ti sei fatta molto male?”.
“Un po’, ma nulla di grave”. La aiutai ad alzarsi, si pulì i pantaloni sporchi, recuperò lo skate, che era scivolato un po’ più in là, e ricominciammo a camminare.
“Non è che per caso hai qualche ferita sanguinante da qualche parte?” chiesi guardandola di sottecchi.
“No, mi capita di continuo. Ho un sacco di piccole cicatrici dovute alle cadute. Una qui …” disse voltando il braccio e indicando una piccola macchia bianca un po’ sopra il gomito, “un’altra qui da qualche parte”, e ti diede una pacca su un’anca. “Oh, e questa è nuova” disse alzando i pantaloni poco più in su del ginocchio.
“Ahi!” esclamò Gerard. “Io credo di non essermi mai fatto così tanto male. Nemmeno da piccolo”. Infatti sulla gamba di MJ c’era un graffio che spariva su per la coscia, era rosso e largo.
“Ma come hai fatto?” le chiesi.
“Ho cercato di imitare uno di un film. Lo so, è una cosa da scemi. Sono saltata con lo skate da un posto abbastanza alto e quando sono, ovviamente, rotolata giù (perché non sono così brava come vorrei) sono scivolta accanto a dei mattoni. Avete presente quelli grigi, bucati?”.
“Si” disse Gerard.
“Ecco, quelli”.
“Io una volta mi sono rotto un braccio cadendo dalla bici. Ho fatto l’impennata sulla bici, ma ero in cima ad una salita. La bici è scivolata e io sono caduto dulla discesa … seguito dalla bici, che mi è caduta addosso”. Mi sono rotto il braccio e fatto un sacco di lividi quella volta.
“Che male!” esclamò Gerard. “Solo per curiosità, che film imitavi?” chiese poi a MJ.
Lords of Dogtown” rispose lei prontamente.
“Ma va? Io lo volevo vedere!” esclamai.
“Se vuoi te lo presto. Te lo porto stasera” disse MJ.
“Grazie” dissi. “Allora ci vediamo fra un po’, ciao” dissi salutandola con la mano e andando verso la macchina.
“Ok ciao!” rispose lei. Anche Gerard salutò, poi andammo a casa.
Quella sera eravamo noi, Brian, Lyn, Jamia, Alicia e MJ. Lyn aveva ordinato dei nachos con salsa piccante, ma nessuno a parte lei e Brian osarono toccarli. Ad un tratto MJ e Lyn sparirono, e quando tornarono erano un po’ strane, ma credo che nessuno ci fece caso, a parte me e Gerard che eravamo sedute affianco a loro.
“Ah, ti ho portato il film” disse ad un tratto MJ. “Meglio che te lo dia subito, altrimenti poi mi dimentico” disse, e mi tese un cd bianco. “L’ho scaricato” spiegò in risposta al mio sguardo alzando le spalle.
“Grazie”. Lo presi e, quando uscimmo dal ristorante lo misi in macchina. Ero pieno come un’uovo. Dopo un giro in città tornammo a casa. Era presto, non riuscivo proprio a prendere sonno. Mi sentivo ancora del tutto sveglio, forse anche per colpa del piattone di carne supercondita che avevo ancora da digerire del tutto.
I miei occhi si posarono sul cd. Lo presi e lo misi nel lettore. Troppo tardi notai che sul retro della custodia c’era scritto: La mia festa dei 13 anni.
“No” mormorai. Alzai lo sguardo sullo schermo, e vidi una ragazzina che posizionava la telecamera di fronte a sé, dietro di lei una libreria molto fornita. Era MJ. MJ a tredici anni.
“Oggi è il mio compleanno, e ho intenzione di filmare tutto quello che succederà. A cominciare da ora”. La telecamera is mosse in modo confuso e si aggirò fra delle stanze. Ad un tratto nella cucina vidi una donna alta, dai capelli rossi, che cucinava qualcosa.
“Questa è mia madre Tess. Il suo colore preferito è il blu e le piacciono le rose rampicanti. Dì qualcosa mamma …”.
“Ah, vediamo … oggi è il compleanno della mia Mary Jo, che ovviamente mi aiuterà a lavare i piatti adesso che è diventata grande, vero?”.
“Magari dopo”, sentii dire la voce di MJ, e la telecamera si perse per altri percorsi. Sorrisi leggermente e mi inginocchiai di fronte al dvd. Stavo per togliere il cd, non mi sembrava giusto guardare, quando sentii di nuovo la voce della piccola MJ.
“E adesso … mio papà. Il suo nome è Jonathan, per gli amici solo Jo e …”, una porta bianca si aprì e inquadrò un’uomo sulla quarantina accovacciato sul lavandino, mentre si tappava con un dito una narice e con l’altra respirava fortemente una polvere bianchiccia. Mi bloccai, come se quello che succedeva fosse davvero di fronte a me.
“Papà che fai?”. L’uomo si voltò verso la telelcamera. Si raddrizzò e s’incamminò verso la porta a passi veloci.
“Non stare qui MJ! Sono in bagno! Fuori”.
“Ma devo fare …”.
“Vattene fuori!”. La porta bianca si chiuse e si sentì il chiudersi del chiavistello. La telecamera si mosse un po’, poi si spense.
Si riaccese nemmeno due secondi dopo e comparve MJ seduta sul letto, il viso triste e lo sguardo basso. Nel frattempo una voce maschile diceva: “Dai Mary! Sto facendo il film! Dì qualcosa. Oggi è il tuo compleanno”. La telecamera si voltò e inquadrò il volto di un ragazzo di circa diciassette o diciotto anni. “Mia sorella Mary Jo è una bambina lagnosa, e non capisco proprio perché abbia compiuto tredici anni, dato che ne dimostra tre”, si sentirono delle urla soffocate di due persone che litigavano provenire dalle altre stanze e il ragazzo chiuse la porta della camera.  “Sapete, è davvero una scassa … ahi!”. La telelcamera si mosse di nuovo e inquadrò una furibonda ma sorridente MJ con un cuscino in mano. “Ecco, la vedete? Mi picchia!”.
L’immagine si mosse un po’, poi comparvero MJ e suo fratello seduti davanti ad una torta al cioccolato. “Esprimi un desiderio Mary Jo, devi…”.
A quel punto spensi la tv.
Rimasi in silenzio per un po’, ancora inginocchiato di fronte allo schermo. Mi mordicchiavo l’unghia del pollice e muovevo il tallone velocemente. Avevo gli occhi spalancati e guardavo il vuoto.
Era quella l’infanzia di MJ? Dei genitori urlanti, un padre tossicodipendente e tanti libri ben allinati su una libreria? MJ? Siamo sicuri che fosse la stessa persona? Come faceva ad essere così allegra adesso? Sembrava spensierata. Sembrava felice. Ma lo era sul serio?
Di scatto tolsi il cd dal lettore e lo rimisi nella custodia, che gettai malamente sul divano. Era come se fosse una cosa macchiata, con la quale mi potevo sporcare.
Me ne scappai di sopra in camera. Se prima era una possibilità, adesso ero sicuro che non avrei dormito.
Rimasi tutta la notte a rigirarmi nel letto. Quanto avrei voluto non aver mai visto quelle immagini! Il viso arrabbiato del padre di MJ non mi lasciava, la sua espressione dura e la sua voce roca. Ancor meno i suoi gesti, il modo disinvolto con il quale respirava la droga. Anche l’espressione preoccupata di suo fratello non mi mollava un minuto, la risata contagiosa ma forzata, la fronte corrugata dall’apprensione.
Ma la cosa più triste, senza dubbio, erano le parole fiduciose dell’MJ bambina. Come presentava la sua famiglia, come era palese che volesse bene a tutti in maniera incontrollata, indipendentemente da qualsiasi cosa.
Non so quanto tempo rimasi sveglio. Dormii poco e male. Credo che mi addormentai verso le cinque o le sei di mattina. Quando la sveglia suonò mi accorsi che mi ero addormentato con su i pantaloni della sera prima, perché la maglietta l’avevo tolta di notte per il caldo. Mi feci una doccia e mi preparai. Quel giorno dovevamo metterci d’accordo per il singolo da fare uscire prima dell’album. Ma mi sarei preso con piacere un giorno libero.
Avremmo deciso e sarei tornato a casa. Non avevo voglia di niente, ero ancora sconbussolato. Speravo anche che Brian non trovasse presto un regista per fare il video. Non avevo proprio voglia di fare niente. Anche se, a pensarci ora, forse immergermi nel lavoro sarebbe stata la cosa migliore. Mi avrebbe aiutato a non pensare.
Come se tutte quelle cose fossero successe a me! Ero arrabbiato cone me stesso perché ci stavo così di merda. In fondo, non erano fatti miei, no? In fondo a me che cosa cambiava se l’infanzia di una che conoscevo da due giorni o poco più, era stata così devastante?
Andai allo studio, dove trovai Mikey, Frank e Bob. Brian ovviamente era già lì, non credo dorma, non ne ha bisogno lui; è una specie di androide. Poco dopo arrivarono MJ e Gerard.
Non riuscivamo proprio a metterci d’accordo, ma alla fine, non so, forse il destino o forse il caso, decise per noi. Ad un tratto, nell’altra stanza, una delle canzoni partì così forte che credo che il povero assistente fosse diventato sordo.
“Scusate” disse poi affacciandosi alla porta. “Non so cosa sia successo” e sparì di nuovo, leggermente nervoso.
“Okay, questa” disse Gerard.
“Questa?” chiese Mikey.
“Si … sono d’accordo” disse Frank.
“Io per forza sono d’accordo, volevo questa” disse Bob. Tutti si voltarono a guardarmi.
“Hm … okay”.
“MJ hai già fatto qualcosa per questa canzone?” chiese ad un tratto Brian.
“Si … ecco qui” disse lei tirando fuori dal blocco quattro diversi disegni. Non potéi fare a meno di guardarla. Sorrideva si … ma come diavolo faceva?
Non ci riuscivo più. Non riuscivo a stare lì, nella stessa stanza con lei. Mi alzai e mi passai una mano sul viso. Porca puttana!, pensai solo. Gli altri mi lasciarono stare, poi sentii Brian dire a MJ di andare a scegliere il carattere che sarebbe stato usato per i testi del libretto.
Sentii che qualcuno mi poggiava una mano sulla spalla e mi vidi affianco Gerard. “Hey che c’è?” mi chiese con in bocca un sigaretta.
“Eh? Niente” dissi io. In quel momento mi passò affianco MJ e io mi staccai da Gerard, dicendogli: “Scusa un attimo”, e cominciando a seguirla. “MJ!” la chiamai, mentre tiravo fuori dalla tasca il cd.
“L’hai già visto?” mi chiese con un sorriso.
“No, questo … mi hai dato il filmino del tuo compleanno” dissi.
“Cosa?! Oddio che vergogna! Chissà cos’hai visto!” disse prendendo il cd che le porgevo.
Sorrisi in modo tirato. “Fa niente …” dissi con la gola secca. Mi voltai e cominciai a tornare indietro a grandi passi.
“Ray!” mi chiamò ad un tratto MJ. Mi voltai e scoprii sul suo volto un’espressione ansiosa e preoccupata, era come se avesse paura. “Fin … fin dove hai guardato?” mi chiese con voce piccola.
Mi avvicinai di nuovo e sorrisi, questa volta per davvero. “Non tutto …” dissi prendendole il mento fra le mani. “Stai tranquilla, eh?”. E le diedi un bacio sulla guancia.
Lei mi osservava con sguardo disperato. Sembrava che volesse dire qualcosa ma io mi voltai e la lasciai lì nel corridoio. Non appena varcai la porta presi le mie cose e uscii.
“Dove vai?!” mi gridò dietro Frank.
Neanche gli risposi.





Dunque... capitolo pesantuccio, lo so. Spero di non aver offeso anime sensibili, ma credo che anche se esiste qualcosa che non ci piace, non per questo dovremmo voltare gli occhi per non vederlo. Se qualcuno è rimasto particolarmente urtato ovviamente potete prendervela con me, mandatemi pure una mail, o che so io, mi prendo tutte le responsabilità. Ma vi avevo avvisato, ricordate!
Grazie della recensioni a jessromance <3 e a ioamolacocacola <3 (si in effetti avrei dovuto fare che uno di loro la odiava! XD Sarebbe stato più divertente XD). Vi sono infinitamente grata, e grazie anche a chi segue e a chi ha letto! ^^
Al prossimo capitolo! :) Ciao a tutti,
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Wronged for the thief ***


7.Wronged for the thief

La vera conoscenza deriva soltanto dal sospetto, o da una rivelazione.
Herman Melville

Gerard.
Era il compleanno di Ray. Stavamo nascosti dietro il suo divano, o nel sottoscala, sotto il tavolo, un po’ dappertutto. L’idea di fare una festa a sorpresa era stata magnifica. Nessuno ha mai fatto una festa a sorpresa per me, ma suppongo che sia piacevole.
Ray sarebbe rientrato fra poco. Avevamo portato da mangiare e da bere, avevamo messo un paio di decorazioni e invitato parecchie persone. Ora che ci penso non sono sicuro se a Ray sia piaciuto come abbiamo usato il suo appartamento senza permesso, ma era per un buono scopo in fondo.
Sentimmo la macchina rientrare e fu tutto un cercare un nascondiglio e dire: “Shh! Zitti!”. Mi misi accanto alla porta per accendere la luce quando lui fosse entrato e, si lo ammetto, per fargli venire una paura del diavolo.
La chiave girò e Ray aprì la porta. Allungò la mano verso l’interruttore ma io, stupidamente, gridai: “Ray!”. In quel momento non capii esattamente che cosa era successo, ma sentii un dolore forte al naso, poi mi ritrovai per terra e qualcuno accese la luce.
“Che cazzo …?”. Ray stava con le chiavi ancora in mano e guardava a bocca aperta le venti, venticinque persone che gli gridavano Auguri! con tutta la loro forza.
Poi una voce si levò sopra le altre: “Gerard che hai?”.
Mi misi una mano sul naso e mi rialzai. Ray mi guardò, a metà fra il sorpreso e il dispiaciuto. “Gerard! Scusa, credevo che qualcuno fosse entrato in casa!”.
“Si, certo … dillo che mi volevi solo picchiare. Ah!” esclamai con ancora la mano sul naso. Mi faceva un male cane, e quando tolsi la mano vidi un po’ di sangue. “Hai del ghiaccio?”.
“Si” disse lui avviandosi velocemente verso la cucina.
Nel frattempo gli altri capirono lentamente che cosa era successo e stavano ridendo come pazzi. Vidi Mikey con in mano un bicchiere di qualcosa che rideva portandosi una mano agli occhi. Più in là MJ ridacchiava.
Lyn, anche lei sorridendo leggermente, mi raggiunse e ci accompagnò fino in cucina, dove Ray mi prese del ghiaccio, mentre io mi asciugavo il sangue con diversi tovaglioli verdi, che in realtà erano destinati alla festa.
“Hai i riflessi pronti” gli dissi con gli occhi chiusi premendomi il fazzoletto sotto al naso ad arginare il flusso di sangue.
“Scusa” ripeté lui passandomi una busta di plastica trasparente con dentro del ghiaccio.
“Fa niente … auguri” dissi, dando un’occhiata al mio sangue sul tovagliolo. Era parecchio. “Ma che cazzo di mira da cecchino che hai!”.
“Poteva essere un’emergenza!” esclamò Ray stringendosi nelle spalle con un sorrisetto. “Comunque grazie” disse tornando serio.
Quando finii di pulirmi e il sangue si fu fermato un po’ tornai in salotto, accompagnato da Lyn. “Devi ammettere che è stato veloce” disse lei sopprimendo un sorrisino.
“Ma va” replicai cupo. “E’ un assassino mancato”. Lyn rise e si portò una mano alle labbra. “Non ti coprire quando ridi” le dissi levandole la mano dalla faccia. Scostai il ghiaccio e le diedi un bacio sulle labbra.
“Sei gelato” mi disse lei con sguardo contrariato ma divertito.
“Dillo a Ray, non a me”.
Quando tornammo in salotto e gli altri mi videro risero forte, e qualcuno mi diede anche una pacca sulla spalla. Odiosi! Vabbe’ fa niente. Credo che restammo in piedi fino a poco prima dell’alba. Quella sera Ray aveva anche invitato qualcuno a dormire a casa sua, si vede che si sentiva di buon umore. Io e Lyn decidemmo di tornare a dormire a casa nostra, e così anche altre persone. Alla fine credo che restarono solo Bob, MJ e una ragazza di nome Hanna, un’amica di Ray.
“Ancora! Un altro brindisi! Gli anni si devono festeggiare per bene!” esclamò verso metà serata MJ.
“Si!” disse Bob versando a tutti un po’ di champagne.
Quando tutti furono serviti a dovere Brian alzò il calice. “Lo cantiamo Perché è un bravo ragazzo?” chiese guardandosi attorno.
“Quello si fa per i bravi ragazzi!” dissi.
“Cosa?!” esclamò Ray.
“Mi hai spaccato il naso, e ti ho pure fatto il regalo” replicai.
“Ah già … l’anno prossimo ti spacco una gamba, cosa mi regalerai?” chiese, fra l’ilarità generale. “Un viaggio, una macchina?”.
“Ma sta’ zitto!” lo rimproverai ridendo.
Poco prima che il sole calasse buona parte delle persone se n’era andata. Io, Lyn, Mickey e Alicia fummo gli ultimi, salutammo gli altri che sarebbero rimasti e ci avviammo, in un torpore di sonno e birra, alle nostre macchine. Salii al posto del guidatore e Lyn mi affiancò. Partimmo alla volta di casa e dopo un po’ lei si addormentò sul sedile.
Quando fummo a casa la svegliai, lei si riscosse, mi sorrise e scese dalla macchina. La porta del garage sbucava direttamente dentro casa, così entrammo e ci infilammo subito in camera, quasi come moribondi. In effetti quella mattina ci eravamo svegliati presto, era da quasi ventoquattro ore che nessuno di noi dormiva.
Da quella sera non mi ero nemmeno guardato allo specchio per vedere come ero conciato dopo il micidiale pugno di Ray, ma non doveva essere qualcosa di grave, altrimenti mi avrebbe fatto molto più male. Probabilmente si era solo rotto qualche capillare. Mentre Lyn era in bagno io mi controllai allo specchio che avevamo in camera. Non ero messo troppo male, certo se schiacciavo sentivo dolore, ma alla vista quasi non si notava. Solo se osservavo bene si poteva notare un certo gonfiore.
Sospirai e cominciai a spogliarmi. Fuori stava sorgendo il sole, che invadeva la stanza di colori aranciati davvero suggestivi. Quando Lyn tornò dal bagno si stese al mio fianco e io la cinsi con il braccio.
“Gerard, come hai conosciuto Mary Jo?” mi chiese all’improvviso.
“Mary Jo?” chiesi senza capire. Poi compresi: il fatto è che ero talmente abituato a chiamarla con le iniziali che quasi credevo fossero il suo vero nome. “Ah, MJ dici?”. Lyn annuì, guardandomi. “Ci siamo scontrati all’entrata dell’Accademia di Belle Arti, e l’ho aiutata ad entrare siccome il custode non la lasciava”.
“Ah, e perché le hai chiesto di lavorare con voi?”.
“Mi ha fatto vedere uno dei suoi disegni. Ho continuato a pensarci fino a che non ho deciso di chiamarla” dissi accennando un sorriso. Era vero, era allucinante quanto avevo pensato a quel disegno. E, detto fra noi, ero molto orgoglioso di averla chiamata perché l’album stava venendo davvero bene, mi sentivo molto mecenate.
“Capito” disse Lyn distraendomi dai miei pensieri. Si staccò da me e si voltò dall’altra parte.
Con leggero stupore, ma anche un po’ compiaciuto, mi avvicinai a lei e chiesi in un sussurro: “Sei gelosa?”.
“Io? Macché” mi rispose con falso tono noncurante.
“E allora perché tutte queste domande?” chiesi dandole un bacio su una spalla e accarezzandole il braccio.
“B’è …” si voltò verso di me, seria, “sai qualcosa su di lei?”.
In effetti … “Ci devo lavorare, non è che devo sapere troppe cose. Professionalmente parlando, so quanto basta”.
“E personalmente parlando?” mi chiese con un’alzata di sopracciglia.
“Er …”.
La verità era che non sapevo nulla di MJ. Nonostante lavorassi con lei e stessimo tutti assieme quasi dodici ore al giorno, perché volevamo avere un certo peso sulla grafica d’insieme dell’album nuovo, non sapevo nulla di lei. Ero totalmente all’oscuro di tutto, perfino del suo cognome. Anche se quello in realtà potevo saperlo se lo avessi chiesto a Brian, ma non è questo il punto. Restava comunque il fatto che, se lei non voleva far trapelare qualcosa, nessuno sapeva nulla. Le uniche cose che tutti sapevamo erano, praticamente, solo quello che lei ci permetteva di sapere.
In quel momento realizzai che MJ non era come credevamo. Un sacco di gente che la conosceva diceva che era una ragazza aperta, in un certo senso pura, allegra, ma non era vero. Lei si nascondeva: non ci raccontava mai nulla. Forse era semplicemente riservata, ma mi chiesi come mai Lyn avesse quell’aria così preoccupata.
“Perché me lo chiedi?” domandai allora.
“No, è che …” strinse le labbra, “non volevo dirtelo, ma quando siamo andati a cena fuori, quando avete finito di registrare, l’ho vista in bagno che parlava al telefono con qualcuno e, insomma, sembrava che litigassero, ma non sembrava una cosa molto …” s’interruppe e guardò altrove. “Parlavano di droga” concluse, voltandosi decisa verso di me.
“Cosa?” esclamai esterrefatto.
“Hai sentito. Non farmelo ripetere, non sono affari nostri e mi sento già abbastanza impicciona così. Però non vorrei che succeda qualcosa” disse mordendosi un labbro.
Rimasi basito. Okay, devo proprio dirlo: ho visto molte (troppe) persone sotto i sintomi della droga, io stesso ne ero stato vittima, ma non riscontravo nulla di simile in MJ. Per niente! Non riuscivo a capacitarmi di quello che Lyn mi aveva appena detto. Non sapevo nemmeno che dire …
“Comunque … non è detto che si tratti di lei” mormorò Lyn. “Insomma, magari un suo amico”.
“Forse” provai, poco convinto.
Lyn fece schioccare le labbra e disse: “Non fare caso a quello che ti ho detto. Probabilmente mi sono sbagliata”. Mi diede un bacio, si sporse oltre il comodino e spense la luce.
Restai al buio, in silenzio. Avevo molto sonno, ma nei pochi attimi di lucidità che ancora mi rimanevano, decisi che avrei chiesto a MJ se c’era qualcosa che non andava.
E’ vero, poteva anche non fregarmene un cazzo, ma io non sono così. Ormai mi ero affezionato ad MJ, e non volevo che si mettesse in faccende strane. Era mia amica. Mi girai su un fianco e abbraccia Lyn, automenticamente. Si, pensai, è la cosa migliore da fare.





Eccomi! Scusate per il ritardo, ma in questi giorni non sono stata a casa ^^
Questo capitolo è un po' corto, mi è uscito così, comunque è molto importante per i prossimi sviluppi della storia.
Gerard si è reso conto della vera personalità di MJ, e credo che sia l'unico per ora. Non credo che si noti molto il suo vero carattere, riservato e chiuso in realtà, anche perchè ci sono così tanti punti di vista, e ogni personaggio pensa cose diverse, quindi è difficile far emergere la personalità di qualcuno in questo modo, tutti la vedono in maniera diversa.
E ancora, c'è questo interrogativo: in cosa diavolo è immischiata MJ? Nel prossimo capitolo verrà svelato! La parola per la prossima volta sarà unclean (sporco).
Grazie mille a jessromance per la recensione! ^^ Fra un po' la descrizione dei disegni arriverà, abbia fiducia XD Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, anche se è un po' cortino. Alla prossima :)
Patty
P.S. Immaginare Gerard picchiato da Ray per sbaglio mi fa morire dal ridere! XDDD

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Unclean soul ***


8.Unclean soul

I ricordi non si cancellano! Non sono come il mio stipendio.
Eikichi Onizuka (Tohru Fujisawa)

MJ.
A casa di Ray eravamo rimasti solo io, una ragazza di nome Hanna, e Bob. Dopo che tutti se ne furono andati restammo un po’ a parlare, poi ci addormentammo. Io e Bob su uno dei due divani letto, mentre Ray e Hanna sull’altro.
Mi svegliai tardissimo, però in effetti avevo dormito poco, comunque sia ci svegliammo alle due di pomeriggio. La prima ad alzarsi fu Hanna, che si alzò e andò in bagno, poi fu il mio turno, quello di Ray e alla fine Bob. Ad un tratto, quando fummo tutti abbastanza svegli e qualcuno ebbe preparato il caffè, Bob disse che aveva fame, e che andava a comprare qualcosa per la colazione. Hanna si offrì di accompagnarlo e dopo essersi ripresi un po’ dal sonno leggermente alcolico, uscirono.
Restai sola assieme a Ray, e proposi: “Sistemiamo un po’?”.
Lui si guardò attorno. La casa era fatta un disastro. A terra e attaccati alle pareti c’erano alcuni palloncini colorati (uno dei quali a forma di giraffa, non so perché), su tutte le superfici piane c’era almeno un bicchiere, se non di più. Diverse bottiglie vuote stavano posate sul tavolo, così come i piatti di plastica e i tovaglioli sporchi, verdi. Ray sospirò, si batté le mani sulle cosce, e si alzò dicendo: “Buona idea”.
“Per il mio compleanno so che organiezzerò io la festa, e chiederò come regalo che tutti si fermino a pulirmi casa” dissi seguendolo in cucina. Anche lì casino, ovviamente. C’erano diverse cose da mangiare affettate e poi lasciate a metà. Come una torta con fragole, un soufflé al cioccolato, una pizza quadrata enorme tagliata in tanti quadrotti irregolari. “E con tutta questa roba che facciamo? La buttiamo? E’ un peccato”.
“Non è un peccato, è solo un grande spreco” disse Ray. “Non mi va di buttare tutto, ma forse possiamo separare qualcosa”.
“Si, qualcosina. Ad esempio quello no, dato che sembra che sopra qualcuno ci abbia versato sopra … del succo?” finii la frase un po’ incerta. Una delle torte aveva sopra e intorno della roba giallina che sembrava succo d’arancia, ma non ne ero sicura del tutto. “Hai qualcosa per mettere via il salvabile?”.
“Si certo”. E si allungò su una mensola per tirare fuori diversi contenitori di plastica vuoti con relativo coperchio azzurro.
“Mia madre aveva un sacco di barattoli enormi e cosi come questi. Ci riordinava tutta la cucina”. Mi bloccai, ripensando a ciò che avevo detto. Mi ricordai che Ray aveva visto per sbaglio il filmino incriminato. Probabilmente se lo ricordò anche lui perché al menzionare mia madre si zittì all’improvviso ed evitò il mio sguardo.
Non so nemmeno perché avevo ancora quel filmino: è deprimente, per Dio! Quando lo misi su cd però avevo ancora quattordici anni, e  anche se ero un po’ più grande non avevo il sentore di quello che succedeva in casa, oppure non volevo ammetterlo. Quando mi ero trasferita per studiare avevo preso tutte le mie cose, quindi avrò preso anche quello senza farci caso. Se lo avessi saputo ancora in vita probabilmente lo avrei bruciato.
“Hem … si” disse Ray distrattamente senza guardarmi. Poi, all’improvviso, si voltò verso di me. “Non lo direi a nessuno, lo sai. Sono affari tuoi”.
“Mi … mi dispiace che tu abbia visto tutto quello. E’ strano, adesso … parlare” finii con vocina piccola.
“No, cioè, non è strano. Solo …” non finì la frase. Alzai lo sguardo su di lui e vidi che mi stava guardando. Restammo così ad osservarci per un po’ di tempo, finchè qualcuno non bussò alla porta.
Ray andò ad aprire, e quando tornò assieme a lui c’era Gerard. “Ciao” lo salutai con naturalezza, almeno spero. “Che ci fai ancora qui? Spero che tu sia venuto a pulire il casino che abbiamo fatto. Sai che …”.
Gerard m’interruppe: “Ti devo parlare di una cosa urgente. In privato”. Sembrava agitato e nervoso, si guardava attorno di continuo e cercava di evitare lo sguardo di Ray.
Un po’ stranita gli dissi di sì, e lo seguii fino in bagno. Lì chiesi: “Che c’è? Mi stai facendo preoccupare …” dissi con un leggero sorriso ed un’alzata di sopracciglia.
Gerard prese un grosso respiro e, torcendosi le mani, precisò: “Non è assolutamente per farmi gli affari tuoi. Solo per farti sapere che, se lo vuoi, io ti posso aiutare. Posso davvero, credimi. Ho passato dei momenti simili ai tuoi e, io … uff”.
“Gerard che c’è? Che cosa devi dirmi?” chiesi, questa volta seriamente preoccupata. C’era qualcosa che mi metteva soggezione nel suo tono.
“Tu … tu hai problemi di droga?” mi chiese all’improvviso.
Rimasi paralizzata, e con me quelle improbabili parole nell’aria. Mi si seccò la gola. In quel momento il mio pensiero andò direttamente a mio padre, dal quale forse si poteva pensare che avevo ereditato qualcosa di più del colore dei capelli, sapete, abitudini casalinghe. Poi pensai a Ray, che mi aveva appena detto che non avrebbe mai detto nulla a nessuno di quello che aveva visto.
Deglutii più volte per riuscire a ritrovare la voce e sbattei le palpebre. Gli occhi cominciavano a darmi fastidio. “Te .. te l’ha detto Ray?” chiesi con voce tremante.
“Ray? No” disse scuotendo la testa e stringendo gli occhi. “E’ stata Lyn, mi ha detto che ti ha sentita parlare al telefono in bagno la sera del messicano. Pensavo che magari potresti raccontarmi se ti va. Sul serio, ti prometto che …”.
Smisi di ascoltarlo. Feci un respiro profondo. Aveva frainteso tutto! Non volevo, non volevo che nessuno sapesse nulla del mio passato. Avrei tanto voluto non conoscerlo nemmeno io, ma purtroppo direi che era inevitabile saperlo. Quando mi ero trasferita e avevo lasciato la città dove abitavo speravo che mi sarei lasciata tutto alle spalle. Giurai di bruciare quel cd del compleanno non appena fossi tornata a casa.
Però adesso dovevo chiarire con Gerard. Purtroppo questo significava rendere pubblico tutto ciò che avrei voluto tenere nascosto.
“Ascolta” dissi con gli occhi chiusi aprendo i palmi delle mani davanti a lui. Aprii gli occhi. “… no. Non ho problemi di droga se è questo che ti preoccupa. Non ho problemi di alcun genere, okay? Io sto bene” precisai prima di tutto.
Qualcuno bussò alla porta. “Va tutto bene lì dentro?”. La voce di Ray giunse ovattata dal corridoio.
“Alla grande, cioè voglio dire … merda!” esclamai. Andai ad prire la porta e feci entrare Ray. Indicando Gerard con secchi movimenti della mano dissi: “Per favore, ho bisogno che gli racconti cosa hai visto nel cd che ti ho prestato”.
Ray ci guardò tutti e due, confuso. “Ma …”.
“Per favore” ripetei spazientita. Rimasi con le spalle al muro e le braccia incrociate sul petto, ad ascoltare un’esitante e dettagliato resoconto dei festeggiamenti per il mio tredicesimo compleanno. Ad un tratto Ray si fermò. Agitando una mano dissi: “Va’ pure avanti”.
“Ma poi ho spento” disse debolmente Ray.
“Ah” dissi io cupamente. “Bene … non c’è bisogno di sapere altro.” presi un respiro. “Da qualche anno mio padre è ricoverato, ma io volevo portargli degli antidolorifici. Non è droga” precisai con lo sguardo basso. “E’ solo … che forse così non gli verrà più voglia di … quella roba, tutto qui. Stavo parlando con qualcuno che avrebbe potuto procurarmi una … quantità sufficiente di Valium, o qualcosa del genere” borobottai senza guardare nessuno.
Scese un silenzio ghiacciato. Eravamo a Luglio, ma non avevo mai sentito tanto freddo in vita mia. Era proprio tutto gelato. Per di più, forse era una sensazione stupida, dato che nulla di quello che era successo era colpa mia, ma mi sentivo stronza lo stesso. Insomma, volevo procurare a mio padre del Valium perché potesse distrarsi della disintossicazione, che razza di figlia lo farebbe?
In quel momento pensai che ero proprio la peggiore figlia che ci fosse sulla terra. Se gli avessi davvero voluto bene lo avrei lasciato alle cure dei medici senza intromettermi. Loro sapevano cosa fare. Ma l’ultima volta che l’avevo visto (nonché la prima da quando mi ero trasferita) stava così male che non ero riuscita nemmeno a parlare con lui.
Bene, ora tutti sapevano. Sapevano bene da che razza di famiglia provenissi. Tutto quello da cui ero fuggita alla fine mi aveva raggiunta. Mi aveva cercata, trovata e poi acchiappata, proprio nel momento in cui pensavo che tutto stesse andando liscio. Avevo un lavoro, una casa, avevo dei buoni amici …
Ma ora che la verità era venuta a galla mi sentivo esposta. Si, ero esposta a qualunque cosa, a tutti i pensieri della gente, a quello che avrebbero detto alle mie spalle. E poco importava che fossero sprezzanti, o provassero compassione per me. Io non li sopportavo comunque.
Ero sporca. Sporca del mio passato. Sporcata dalla mia stessa vita. E per quanto cercassi di lavare via quello che ero continuavo a ricadere nel fango.
“MJ” disse debolmente Gerard. Alzai lo sguardo, torva, e notai il rimorso nel suo viso. “Volevo solo darti una mano. Non pensavo che … non volevo costringerti a raccontare. E’ stato uno sbaglio”.
“Non fa niente”.
“Mi dispiace”. Gerard si mordeva il labbro nervosamente. Era realmente pentito, si vedeva. “Ma credo che tu stia facendo la cosa giusta” disse affrettatamente.
“Tu dici? Forse non lo farà smettere del tutto” sbottai.
“Ma è un’inizio” disse Gerard scambiando una fugace occhiata con Ray che non mi sfuggì. Si conoscevano da anni, tra loro scorreva un filo invisibile, qualcosa che li teneva uniti e faceva sì che ognuno di loro capisse quello che l’altro pensava. A loro bastava un’occhiata, un gesto, per capire che qualcosa non andava.
Posso affermare che non erano altrettanto loquaci con le altre persone, ma non importa, in fondo si tratta di esperienza. Più conosci una persona più il vostro legame sarà saldo. Non so se ho mai avuto un legame così forte con qualcuno … mi dispiace.
Mi venne un debole pizzicore al naso, che in nemmeno un secondo si trasformò in un forte fastidio. Anche gli occhi pizzicavano, e non riuscii a trattenermi. Senza dire una parola mi voltai e me andai.
“Aspetta! MJ!” mi gridò dietro Ray. Mi raggiunse e mi prese per un braccio, ma io mi liberai con rabbia e, con uno sbuffo di frustrazione e cattiveria uscii.
Non avevo voglia di rivederli. A nessuno di loro.
Ma io facevo sempre così, no? Quando la faccenda si complicava io me ne andavo.
Come quando la mamma era morta: avevo messo mio padre in un istituto e poi ero scappata. Anche lui era scappato, ed erano riusciti a riprenderselo solo qualche mese fa. Ma devo ammettere che era molto astuto per riuscire a far entrare anche lì la sua amata polvere. Per forza non riusciva a smettere. Se avessero fatto dei controlli un po’ più frequenti si sarebbero resi conto che qualcosa non andava.
Chissà, forse il Valium lo avrebbe aiutato … o avrebbe aiutato me, magari.






Ecco fatto. Tutto è chiaro adesso. Spero di essere riuscita a far capire lo stato d'animo di MJ. Pensa che gli altri la giudicheranno per l'ambiente in cui è cresciuta, pensa quasi di essere una cattiva persona. Non riesce a dimenticare il passato, che tornerà sempre a cercarla finchè non deciderà di affrontarlo, e risolvere la situazione; finchè non accetterà la situazione. Di fronte a tutto quello che ha passato, di fronte al potere e all'influenza che la droga ha avuto sulla sua famiglia, si sente del tutto impotente. L'impotenza è frustrante, è una delle cose peggiori che si possono rpovare, a mio parere.
Ma non vi preoccupate, stanno per arrivare giorni felici! ^^ I seguenti capitoli saranno un po' più allegri, e poi vedremo come tutto si stravolgerà di nuovo. Oddio non vedo l'ora di postare! XD

jessromance: detective Conan non ha fallito nemmeno questa volta! XD Spero che questo capitolo sia scritto bene, grazie mille per la recensione! :)

Un saluto a tutti quelli che leggono, i Preferiti e le Seguite :D Il prossimo capitolo ha come parola chiave angry! Mi raccomando, recensite :)
Patty

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Angry kisses ***


9.Angry kisses

Baciare è un modo per mettere due persone così vicine da non vedere che cosa c’è di sbagliato nell’altro.
Anonimo
Ray.
Guardai MJ voltarsi e andarsene sbattendo la porta. Non era difficile capire perché non volesse parlarne: certe cose è meglio seppellirle. Ma nulla di tutto quello sarebbe successo se …
Tornai indietro, incazzato come una belva, diretto al bagno. Non appena fui entrato mi chiusi la porta alle spalle e iniziai ad urlare come un ossesso. “Ma che cazzo fai, si può sapere?” chiesi a Gerard.
“Ma io, davvero, credevo di aiutarla” si giustificò lui con un’alzata di spalle. Sapevo che era sinceramente dispiaciuto. Lo potevo leggere bene sul suo viso, e poi conosco Gerard da tanto di quel tempo che posso dire con sicurezza che fosse dispiaciuto di quella situazione almeno quanto me, e che si sentiva una merda per quello che era successo. “Senti, non l’ho costretta io a spiegare”.
“Forse pensava che non le avresti creduto. Perché? Che … diavolo le hai detto?”. Ero più arrabbiato di quanto non mi sembrasse normale esserlo. Mi importava così tanto?
“Le ho chiesto se si drogava, poi le ho offerto aiuto, tutto qui. Non le ho chiesto io quella storia assurda!” disse Gerard esasperato.
Ma in fondo io che ne sapevo che cosa passava per la testa di MJ? Perché aveva voluto raccontare ogni cosa? Voglio dire, non che ci fosse nulla di male, ma era palese che volesse tenere nascosta la faccenda.
Poi capii, ricordando una frase che mi aveva detto appena prima che Gerard arrivasse: Adesso sarà difficile parlare. “Credo pensasse che, se questa faccenda fosse rimasta irrisolta, non avremmo più avuto un rapporto … di amicizia. Forse voleva solo che sapessimo perché così non saremmo stati sospettosi nei suoi confronti”. La mia voce si affievoliva lentamente.
“Può darsi. E adesso?”.
All’improvviso vidi Gerard come unico colpevole di tutta quella situazione. Se non fosse stato così maledettamente curioso, così gentile! A quest’ora non sarebbe successo nulla!
“Ma sta’ zitto!” gli urlai contro alzando seccamente una mano verso il soffitto, in un fantasioso gesto che lo mandava a quel paese. Sapevo che il mio volto esprimeva solo rabbia, e non è facile che la esprima; non per vantarmi ma sono una delle persona più calme del mondo.
“Ma … scusa Ray, che ne sapevo io? In più che volevo aiutarla” mi disse Gerard corrucciato.
“Se non lo avessi già fatto te lo romperei di nuovo quel naso!”.
“E non gridare! Possiamo risolvere! Non capisco quale sia il problema, domani chiamo MJ e le parlo, le chiederò scusa”.
Si, in effetti sarebbe bastato quello. Ma qual’era il vero problema? Il vero problema, mi resi conto, era che m’importava troppo di MJ per lasciare che stesse male a tal punto da piangere. Non volevo che fosse triste.
“E’ colpa tua” accusai Gerard puntandogli addosso un dito.
“Senti non t’incazzare okay? Ho detto che mi dispiace! Adesso uno non può neanche sbagliare? Sistemerò tutto, vedrai” disse posandomi una mano sulla spalla. Me la scrollai di dosso e uscii dal bagno con uno sbuffo.
Mi venne il vago presentimento che mi piacesse MJ già da un po’ di tempo, più di una volta mi ero sorpreso ad osservarla come un ebete, ma in quel momento ero troppo arrabbiato per pensarci. Ero arrabbiato con Gerard. Era da anni che non mi capitava di arrabbiarmi così tanto, e soprattutto se mi arrabbiavo era per qualcosa che avevano combinato a me, non a qualcun altro. In quel momento mi venne da rassegnarmi: ero proprio partito. MJ aveva uno strano e pericoloso ascendente su di me.
“Ray?” mi chiamò Gerard.
“Che vuoi?” gli chiesi sgarbato.
“Mi dispiace di aver fatto tutto ‘sto casino” disse con voce piatta.
“Sono ancora arrabbiato con te” grugnii.
Stava male. Lei stava male per colpa sua.
“Oh, insomma! Ti ho detto che domani le parlo, qual è il problema?” chiese. Poi: “Oh-oh!” fece ghignando come se avesse capito qualcosa all’improvviso. “Ray… lei ti piace!” disse puntandomi addosso un dito, come se mi avesse scoperto mentre commettevo un reato e mi stesse sgridando, con soddisfazione nello sguardo.
“Eh?” chiesi voltandomi e facendo una smorfia.
Gerard ridacchiò e si sedette al tavolo, di fronte a me. “Dai, dico sul serio. Ti piace?”.
Distolsi lo sguardo e mi fissai sul tavolo di legno. “Non lo so” borbottai infine. “Boh …”.
“Che scemo! Sembri un quindicenne!” disse Gerard ridendo. Credo che lo guardai talmente male che lui smise di ridere e si schiarì la voce, tornando serio.
“Dai, dico davvero, non lo so. Ti schiaccio il naso se non stai zitto” gli dissi sconfortato.
“No ti prego” disse lui ridacchiando leggermente. “Mi fa ancora male. Comunque … non ce la faccio a vederti così, per favore, va’ a dirglielo, così la pianti di fare quella faccia”.
“Quale faccia?” chiesi indignato.
“La faccia da Bambi triste” disse Gerard. “Mi fai un po’ pena in effetti, sarà meglio che vai”.
“Ma … io non voglio. Cioè, e se … io non posso, cioè lei … è che …” borbottai.
“Sssi. Me lo dici domani” disse Gerard alzandosi. “Ah, non ti preoccupare per il resto. Ci penso io, adesso che torno a casa”.
“Ok” dissi assente.
Gerard se ne andò, e quando Bob e Hanna tornarono dissi loro di andare a casa, che ci pensavo io. In realtà non pensai proprio a niente. La casa era e restò un porcile. Mi stesi sul divano, anche se era l’ultima cosa che avrei dovuto fare, e presi fare zapping in modo assente. Chi lo sa, forse c’era qualcosa di bello in tv, ma se c’era io lo mancai, non stavo realmente guardando.
Ad un tratto, verso le sei del pomeriggio, qualcuno bussò alla porta. Andai ad aprire e vi trovai MJ. “Ciao” disse salutandomi con la mano. Non piangeva più, e il suo viso era fresco come al solito, punteggiato da qualche rara e quasi invisibile lentiggine.
“Entra” le dissi scostandomi dalla porta.
“Grazie. Gerard mi ha chiamato e mi ha chiesto scusa … non ce n’era bisogno, davvero. Non era colpa di nessuno, se non della sottoscritta e della mia emotività troppo … evidente”. Si guardò un po’ attorno, poi disse: “Gerard mi ha detto di venire, che probabilmente non avevi messo a posto nulla e che dovevi dirmi una cosa”.
“Ah si?” chiesi nervoso. Quel ragazzo sarebbe morto, sul serio. Voleva suicidarsi? Aveva scelto il metodo più sicuro per farlo perché l’avrei ucciso di certo.
“Già. Però hey, aveva ragione” disse guardandosi attorno. “Qui non è cambiato nulla” disse con un sorriso che le illuminò il volto.
“Infatti” dissi abbassando la testa imbarazzato e passandomi una mano fra i capelli. “Dovremmo riordinare”.
“Giusto” approvò MJ. “Eravamo alla cucina” e si avviò allegramente verso la cucina.
Mettemmo via il salvabile in contenitori di plastica, che finalmente avevano trovato un utilizzo, e buttammo le cose schifose e quelle non meglio identificate in una grossa busta per la spazzatura nera, di quelle grandi che qualche persona intelligente ha costruito proprio per queste occasioni.
“E adesso dove lo mettiamo?” domandò quando chiusi la busta.
“Accanto alla porta, poi quando finiamo porto fuori tutto” dissi. MJ prese la busta e la trascinò fino alla porta principale. Avevamo buttato tutto quello che c’era da buttare, ma il pavimento e molte altre altre superfici della casa facevano ancora schifo. Sospirando, presi un paio di detersivi e li poggiai sul tavolo.
“Tu te ne intendi di pulizie?” chiesi a MJ quando fu di ritorno. “No, perché io per niente”.
“Ah, parli con una persona che vive da sola, se non sapessi fare le pulizie sarei nella merda fino al collo” disse.
“Che c’entra? Anche io abito da solo”.
“E pulisci tu?” mi chiese scettica.
“No, la donna delle pulizie …” dissi come se fosse ovvio.
“Ah ecco, ma la donna delle pulizie costa caro. Mica posso pagare una che viene a farmi le pulizie a casa, me le faccio da sola”.
“Giusto … un giorno giuro che imparerò a farle anch’io” promisi.
“E farai bene! La fortunata donna che ti sposerà mica starà tutto il tempo a pulire ed aspettarti tornare dai concerti” disse con un sorriso. Si avvicinò e prese in mano i detersivi, esaminandoli.
“Tu credi che sarà una donna fortunata?” chiesi sorridendo con un pizzico di compiacimento.
MJ ci pensò su un attimo. “Si” disse alla fine annuendo convinta. “Io direi di si. Mi riterrei fortunata se …”.
Senza nemmeno pensarci mi avvicinai a lei e la baciai. Fu un bacio veloce, semplice, ma durò abbastanza a lungo perché capissi che non le dispiaceva. Ci separammo e MJ sorrise, lo sguardo rivolto al pavimento.
“Sarà meglio pulire adesso” disse a voce bassa, con le guancie imporporate.
“Si” dissi con esagerata convinzione.
MJ mi sorrise, poi si avvicinò, leggermente titubante, e mi diede un rapido bacio sulle labbra. Tornò veloce com’era venuta ai detersivi, che stringeva ancora in mano. “Allora che ne dici? Vuoi che la tua casa profumi di limone o di menta?” mi chiese alzandoli entrambi.
“A me piace il limone, ma credo che una casa al limone non sarebbe l’ideale, quindi dico la menta”.
“Perfetto”. E così MJ cominciò ad affaccendarsi ad una velocità incredibile. Quando le chiesi che cosa potevo fare lei mi disse solo di starmene seduto e imparare come si fa. Nel giro di un’ora aveva ripulito tutta la casa, e aleggiava davvero un vago odore di menta fresca. Bene, allora l’azienda produttrice manteneva le promesse (non fateci caso, al momento pensavo cose stupide come quella, ero troppo stordito dagli avvenimenti). Quando MJ finì mise tutto a posto e mi raggiunse.
“Sto morendo di caldo” mi disse.
“Anche io” concordai. “Che ne dici se adesso ci facciamo una doccia? E stasera, magari, possiamo andare …”.
“Si” disse lei prima che finissi la frase. Poi se ne rese conto e strizzò gli occhi, mordendosi il labbro inferiore con un sorriso. “Scusa, non ti ho nemmeno lasciato finire. Va’ avanti”.
“Ormai hai detto di sì, non ti dico dove andiamo”.
“Ah, no! Mi sono rovinata. E che ne so io che non vuoi portarmi in un posto orribile?”.
Ci pensai su un attimino. “No, credo che ti piacerà”.
“Ne sei così sicuro?” mi chiese MJ con espressione sospettosa e ironica.
“Se ti conosco almeno un po’ direi di sì. Ci vediamo stasera allora? Ti posso passare a prendere alle nove?” chiesi speranzoso.
“Si, il mio indirizzo lo sai. Devi solo trovare la casa giusta, numero 47. Nel caso Mikey lo sa … hai presente, quella storia delle chiavi” disse alzando gli occhi al cielo con un sorriso.
“Allora a stasera” dissi accompagnandola alla porta.
E la baciai ancora, prima di guardarla incamminarsi sul vialetto.






Di ritorno... ok, prometto che d'ora in poi posterò più spesso :)
Comunque, mi è davvero piaciuto mettere Ray come protagonista della storia d'amore fra lui ed MJ, soprattutto perchè di solito quelli che vengono presi più in considerazione sono sempre Gerard e Frank. Personalmente, adoro Ray e la sua folta chioma, i chemical non sarebbero i chemical se lui si tagliasse i capelli XD Mi farebbe piacere se mi diceste che cosa ne pensate, anche perchè ci ho riflettuto molto prima di inserire Ray nella storia in questo senso, però... era l'unico libero a parte Bob! XD E Bob... bah, è un uomo single per la vita. Se non sbaglio anche Ray ha una ragazza, ma qui è stata bellamente eliminata (povera, chiedo venia).
Vabè, avrei pptuto introdurre meglio i sentimenti di Ray verso MJ e viceversa, ma questo è un rischio che ho corso utilizzando tanti diversi punti di vista di molti personaggi (fra i quali vedremo, nel capitolo 11 se non vado errato, un curiosissimo punto di vista).
B'è, grazie a jessromance per la recensione, si il Gerardo fa sempre danni ma lo si perdona facilmente XD, e grazie ancora a tutit i lettori (uuna recensioncina ci starebbe, su, ma mi sta bene anche le leggiate e basta in fondo XD). Al prosismo capitolo,
Patty.
P.S. Chissà come sarà sbaciucchiare Ray e immergere le mani in quella massa riccioluta!? XD Ahahahahah!!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Ashamed by myself ***


10.Ashamed by myself

Quando uno stupido fa qualcosa per cui prova vergogna dice sempre che è suo dovere.
George Bernard Shaw

Frank.
Il concerto era pazzesco, bellissimo. Sapevo che anche Ray doveva andarci, ma non lo vidi fra la folla. Logico, dato che eravamo in tanti. Non era una band famosissima, e suonava solo a livello locale. Non avevano ancora nemmeno fatto un cd, ma mettevano le canzoni su My Space per farle scaricare. Secondo me meritavano di incidere un album. Sarebbe stato pazzesco, ne ero sicuro.
Scavalcai qualcuno che stava davanti a me per andare più avanti. Nel frattempo saltavo come un invasato e, imitando la gente che mi stava intorno, saltavo e spingevo tutti. Il pogo non mente mai: se il pogo è soddisfacente allora vuol dire che il concerto è bello. E quel pogo fracassava le ossa, davvero.
In un modo o nell’altro comunque me ne tirai fuori: volevo ascoltare bene la band. A gomitate, e ricevendo qualche spintone, riuscii a raggiungere le prime file e quando un ragazzo si spostò per miracolo, mi ritrovai davanti alle transenne. Mi ci aggrappai con tutte le mie forze, per rimanere ancorato lì davanti, e iniziai a cantare a squarciagola, alzando le braccia. Sentivo la maglietta appiccicata addosso dal sudore, così, velocemente, la tolsi e la lasciai cadere.
Era tutto stranamente surreale, come in ogni concerto a cui mi capita di andare. I secondi passavano lenti e trascinati, ma ad un tratto sapevo che potevano essere passati molti minuti. Per quel che ne sapevo potevo essere lì da giorni, non sentivo la stanchezza. Il suono degli strumenti arrivava forte alle mie orecchie e mi confondeva tutto. Le luci sul palco si accendevano e spegnevano all’improvviso, creando giochi di luce colorata che facevano apparire e sparire la gente al mio fianco.
Ad un tratto sentii che qualcuno mi pestava forte un piede e, mio malgrado, mi voltai. Affianco a me vidi MJ, che saltava con una mano alzata e urlava fortissimo, tanto che anche nella calca e nel rumore riuscii a distinguere la sua voce, stranamente deformata dallo sforzo di urlare. Con una mano si teneva alle transenne e saltava. Ecco, era stata lei a pestarmi il piede, saltando in quel modo ritmico.
Gli misi un braccio attorno alle spalle e, quando si voltò infastidita a guardarmi, la salutai. Quando mi riconobbe mi salutò con un sorriso. Mi fece segno di guardare al suo fianco, e vi scorsi Ray. Lo salutai e lui rispose.
Non so quanto durò il concerto, un bel po’ comunque. Rimanevo sempre molto soddisfatto quando andavo ad un concerto e si pogava bene e durava tanto.
Avevo perso la mia maglietta, e non sapevo bene che cosa fare adesso, ma tanto faceva caldo. Riuscimmo a uscire dalla folla di gente e chiesi a Ray: “Che ci fate voi qui? Cioè, voi due”.
“Siamo venuti assieme” disse lui. “Ti abbiamo anche cercato all’inizio, ma non c’eri”.
“Siete stati davanti?”. Nel frattempo che camminavamo ci allontanavamo dal palco e dalle persone. Il concerto era all’aperto, anche perché non si può umanamente stare in un luogo chiuso in estate per un concerto. Al limitare del parco c’era una banco che vendeva birra, credo si fossero messi lì apposta perché sapevano ci sarebbe stato un concerto. Approfittatori ma utili.
“Si, siamo arrivati un’oretta prima del concerto, e davanti c’era ancora pochissima gente” disse MJ con voce gracchiante, sicuramente per lo sforzo di urlare. “Io li adoro, li ho sentiti per la prima volta qualche mese fa. E’ incredibile che non abbiano ancora fatto un album!”.
“Lo so” dissi spalancando gli occhi.
“A quanto ne so io ne faranno uno presto. Ormai hanno abbastanza fan. Hanno già registrato, ma si sono pagati tutto da soli” intervenne Ray. Lui sa sempre un sacco di cose.
“Vado a prendere qualcosa da bere” dissi, infilandomi nella folla di gente che si era formata, questa volta, davanti al banco. “Volete qualcosa?” chiesi poi.
“Credo che ci sia solo birra qui” disse Ray. “Ne vuoi una?” chiese a MJ.
“Si grazie! Sto morendo di sete”.
“Aspetta qui” disse Ray.
E assieme ci infiltrammo dentro la folla. Ci volle un po’ per prendere quella maledetta birra. Però erano tre bicchieri enormi. Di quelli di plastica alti. Quando tornammo indietro MJ, ubbidiente, ci aspettava proprio dove l’avevamo lasciata. Stava dando le indicazioni ad un ragazza per raggiungere l’autostrada. Quando la ragazza ci vide arrivare fece una strana espressione poi, incerta, si avvicinò e chiese: “Voi per caso siete dei My chemical romance?”.
“Hem … si!” disse Ray dopo esserci scambiati un veloce sguardo. Passò una birra a MJ, che sollevò il bicchiere come a dire grazie e bevve, poi rivolse di nuovo l’attenzione alla ragazza, che sorrideva beata.
“Piacere. Sono una vostra grandissima fan. Purtroppo non sono ancora riuscita a venire ad un concerto, ma per il prossimo ci sarò di sicuro. Quand’è che uscirà il nuovo album?” chiese.
“Ah …” guardai Ray, “non lo sappiamo nemmeno noi di preciso. Ci restano ancora un po’ di cose da sistemare, ma verso fine Ottobre penso, no?”.
“Si, credo di si. Ottobre” disse Ray annuendo.
La ragazza sorrise ancora. “Wow … b’è allora vi rivedrò quest’autunno spero”.
“Certo” disse Ray tendendo una mano. Lei la strinse, a Ray e poi a me, e se ne andò soddisfatta.
“Ma fa piacere incontrare i fan?” chiese ad un tratto MJ.
“Abbastanza” risposi scrollando le spalle. “Dipende, basta che non siano in tanti e non ti saltino addosso, ma di solito sono tutti molto carini e gentili”.
“Si, a volte ci fanno dei regali” disse Ray.
“Sul serio? Tipo?”.
“Una volta a Frank hanno regalato una maglietta, a me invece … non so perché, non chiedermelo, delle calze un po’ da nonna” disse Ray leggermente contrariato. MJ scoppiò a ridere convulsamente, mentre reggeva la birra con due mani.
“Ah si, mi ricordo!” esclamai. Nel frattempo avevamo ricominciato a camminare, verso dove esattamente non saprei, ma andavamo. “Però ci regalano anche un sacco di disegni, e una volta una ragazza a dato a Gerard il suo numero di cellulare”.
“Sul serio?” chiese MJ con una bizzarra espressione sul viso. “Un disegno direi che ci sta, ma non darei mai il mio numero ad uno sconosciuto”. La guardai in modo strano. “E’ vero! Quelle ragazze non vi conoscono neanche, è come dare un numero ad uno sconosciuto” continuò, stringendosi nelle spalle.
“Forse” acconsentì Ray alzando un sopracciglio. “Ma in teoria siamo persone … famose, quindi la gente crede di conoscerci”.
Capitammo davanti ad un bar ed entrammo. Proprio davanti all’entrata c’era il bancone, quindi, anche se ero senza maglietta, chiesi alla signora che ci osservava: “Posso entrare anche così? Per favore, ho sete …”.
Si, lo so, faccio pena.
La signora mi guardò con disapprovazione, ma fece cenno di sì con la testa. “Grazie” sussurrò MJ rivolta alla signora mentre ci avviavamo ad un tavolo. Ordinammo da bere e aspettammo.
“Ma sono l’unico alcolista qui? Perché nessuno prende qualcosa?” chiesi.
“Ho già bevuto la birra, e poi ho preso qualcosa” protestò MJ.
“Una coca non è valida” obbiettai.
“Non è valida perché sei un alcolista! Fai come Gerard, ubriacati di coca-cola” mi rimproverò Ray.
“Ma io ho voglia di bere” mi lamentai, somigliando in modo inquietante ad un bambino capriccioso di cinque anni. “Dai, dai! Fatemi compagnia!”.
Ray sbuffò. “Forse … se la pianti di fare il coglione”.
“Okay” dissi congiungendo le mani sopra il tavolo. “Chi viene in bagno con me a sciacquarsi? Io vado, sto morendo di caldo”.
“Si, vengo io” disse MJ alzandosi. Scendemmo le scale e andammo al bagno. C’era un piccolo lavandino. Lo aprii e mi bagnai la faccia bollente.
“Prego” dissi a MJ spostandomi e indicandogli il getto d’acqua.
“Grazie” disse lei chinandosi. Si bagnò il viso, mise la testa sotto l’acqua e poi si passò la mano bagnata lungo il collo. “Ah, dovresti farlo” mi disse. Seguii il suo consiglio e misi la testa sotto il getto d’acqua. Solo chi l’ha fatto può capire quanto è rinfrescante! Ad un tratto goccioline d’acqua gelata mi raggiunsero la schiena.
“Hey che fai?” chiesi a MJ divertito.
“Mi asciugo i capelli” disse lei scuotendosi i corti capelli neri accanto alla mia schiena. “Pensavo che ti avrebbe fatto piacere”.
“Si, in effetti è piacevole. E’ fresco” ammisi.
Quando tornammo su erano arrivate le ordinazioni, e non appena mi sedetti buttai la cannuccia dal mio drink e cominciai a berlo senza.
“Non hai caldo?” chiese MJ a Ray  posandogli una mano sul braccio e guardandolo.
“Non tanto” disse lui scuotendo le spalle.
“Ma cosa sei l’uomo-cammello? Ti rinfreschi con l’acqua della gobba?” gli chiesi.
“Quando mai i cammelli si rinfrescano in quel modo?” protestò MJ.
“Quando mai io somiglierei ad un cammello?” chiese Ray piccato.
“Non lo so, però suppongo che avere dell’acqua fresca in corpo serva anche a quello” dissi stringendomi nelle spalle. “E tu … somigli sempre ad un cammello”.
“Ah! Sta’ zitto!” mi disse Ray lanciandomi addosso la cannuccia abbandonata sul tavolo. Io mi coprii con una mano  e voltai la testa dall’altra parte, facendo una risatina.
Quando ebbi finito il drink notai che era davvero buono. “Ma che bello, ne voglio un altro” dissi. Mi guardai attorno, e non mi sembrò per nulla strano quello che feci: e cioè alzarmi, andare ad un tavolo vicino dove una coppia stava guardando dallo stesso menù, e prendere l’altro che c’era sul loro tavolo. Credo che dissi: “Se voi non lo usate lo prendo io”. Poi tornai indietro.
“Frank! Ma sei scemo? Basta chiederlo alla cameriera!” mi rimproverò MJ una volta tornato al tavolo, ma il suo rimprovero non era da prendere sul serio, siccome aveva un largo sorriso stampato in faccia.
“Ah, tanto a loro non serve” dissi storcendo il naso. “Allora, voglio … questo!” dissi indicando il nome di una bevanda.
“Cos’è?” chiese Ray guardando dove avevo posato il dito.
“Non lo so però ha un bel nome: Guya-peng!”.
“Sembra qualcosa di orientale” disse MJ.
“Infatti, non mi dispiace l’oriente, per cui lo proverò”.
Non so esattamente che cosa successe dopo, ho un vuoto di memoria completo fino al giorno dopo.
Quando mi svegliai avevo la bocca impastata di amaro, conseguenza dell’alcol, e dovetti strofinarmi gli occhi parecchie volte prima di riuscire a vedere qualcosa.
La prima cosa che notai fu che non sapevo dov’ero. Stavo steso in un letto matrimoniale, in una stanza che non era la mia. Era abbastanza disordinata per essere la mia, intendiamoci, ma non altrettanto … come dire, maschile. C’erano diversi vestiti femminili ammontacchiati in un angolo, sul comodino un sacco di libri impilati l’uno sull’altro (fra parentesi -perché non c’entra niente- c’era anche l’ultimo Harry Potter perciò pensai che non potevo essere finito in un posto tanto orribile), vidi a terra alcuni fogli pasticciati e, in un angolo, un computer portatile. Ma la cosa più bella della stanza era che ogni singolo centimetro delle pareti erano coperte di disegni. Di ogni tipo, ma per lo più cose allegre, che si addicevano ad una stanza da letto e conciliavano il sonno, se non fosse stato che probabilmente dovevo aver praticamente perso conoscenza appena arrivato.
Con il vago presentimento di aver fatto qualcosa di sbagliato mi alzai e mi accorsi di essere in mutande. L’orrendo presentimento si fece più vivo. Mica avevo fatto qualcosa di cui mi sarei pentito? Uscii dalla stanza e mi trovai in un salotto con una grande finestra che portava ad un balcone. Nell’angolo c’era una porta, e  da lì provenivano due voci allegre. Due?! Come due?, pensai in quel momento, terrorizzato. Che cosa cazzo avevo fatto ieri sera da coinvolgere due persone? Mica cose strane, eh? Che vergogna, nemmeno mi ricordavo!
Varcai la porta di quella che era una minuscola cucina, con appena il posto per un minuscolo tavolo quadrato e i minuscoli fornelli, e tirai un sospiro di sollievo. Erano Ray ed MJ, e lei stava trafficando con pentole e padelle. Quando mi vide sorrise. “Frank! Finalmente, pensavamo saresti rimasto in coma per sempre”.
“Ciao” mi disse Ray, che stava seduto al tavolo.
“Che ore sono?” chiesi con gli occhi che ancora mi pizzicavano dal sonno.
“Quasi le due” mi rispose pronta MJ. “Abbiamo pensato che fosse meglio lasciarti dormire”.
“Ah, grazie” dissi, e mi lasciai cadere pesantemente su una sedia. Era da mesi ormai che non prendevo una sbronza del genere, ero quasi diventato astemio.
“Hai fame? Noi stiamo per mangiare. Anche noi ci siamo svegliati tardi questa è una specie di … colazione trattino pranzo” disse con un sorrisino di scuse.
“Grazie. Questa è casa tua?”.
“Si”.
“Ah … bella la stanza” dissi indicando vagamente la porta della camera. In quel momento a Ray squillò il cellulare, e lui rispose. Quando Ray parla al cellulare si sente sempre tutto, sarà che ha un volume alto. Comunque era Gerard.
Disse che avremmo dovuto organizzare le tappe per il tour, e di incontrarci quel pomeriggio a casa sua. “Dove sei?” chiese poi.
“A casa di MJ” borbottò Ray.
“Ah!” sentii Gerard esclamare. “Allora ce l’hai fatta!”.
“Ma sta’ zitto, che qui c’è anche Frank!”.
“Pure Frank? Allora siete proprio dei maiali! Vergognatevi!” sghignazzò Gerard. In quel momento MJ si voltò e strappò il telefono dalle mani di Ray.
“Si Gerard! E non sai cosa vi siete persi tu e Lyn!” esclamò con voce profonda. “Abbiamo anche chiamato quelli che piacciono a te”.
“Chi?” chiese Gerard, leggermente incuriosito e divertito al tempo stesso.
“I travestiti!” esclamò MJ, e scoppiò a ridere. Io e Ray ci unimmo a lei, contorcendoci attorno al tavolo come anguille fuori dall’acqua. Dopo esserci messi d’accordo per il pomeriggio ci sedemmo tutti a mangiare. Notai che Ray e MJ mi guardavano un po’ nervosi.
“Frank” disse finalmente MJ, “ti ricordi qualcosa di cos’è successo ieri sera?”.
“Assolutamente nulla” dissi dopo aver inghiottito un boccone particolarmente buono di arrosto.
“Hm … ci sono brutte notizie” disse.
“Mi fai preoccupare”.
“Dovresti scemo!” mi rimproverò Ray.
Posai forchetta e coltello e chiesi: “Che ho fatto?”.
“Tu … insomma …” cominciò MJ, “d-devi pagare una multa per atti osceni in luogo pubblico” balbettò.
Sgranai gli occhi. “Che cosa?!”.
Ray strinse le labbra. “E mi devi dei soldi: volevano tenerti dentro per una notte, ma ho pagato per farti uscire. Non voglio dire che hai fatto … ma l’hai fatto davanti a un autobus della scuola media che portava gli alunni in gita al Centro di Astronomia”.
“E davanti a due vecchiette” completò MJ. Mi alzai da tavola, abbattuto e stupito, e mi avviai verso il divano. “Se ti può consolare una di loro ti ha apprezzato molto. Ha detto che puoi tornare quando vuoi!” mi disse MJ dalla cucina.
“Ma che schifo …” dissi debolmente. Ray e MJ mi raggiunsero sul divano. In quel momento mi venne una folgorazione, lo avrei notato prima se non fossi stato così confuso. “Ma voi due state insieme?”.
MJ e Ray si guardarono, poi lei disse: “Direi di si”.
“E da quanto?”
“Due settimane.”
“Eh, almeno una buona notizia” dissi guardando nel vuoto.





Allora, il prossimo capitolo non vedo l'ora di postarlo, è uno di quelli dal punto di vista interessante! Non vi anticipo niente tranne che il punto di vista sarà di una certa: Milly. Chi è? Non ve lo dico, sennò poi rovino le prime righe di capitolo XD Spero che questo nel frattempo vi sia piaciuto, dedicato a Frank, che ancora una volta ci mostra il suo lato selvaggio XD

EllieROMANCER: wow grazie dei complimenti! <3 Avevo già deciso in principio che nè Frank nè Gerard sarebbero stati protagonisti della storia d'amore, forse MJ in alcune cose è un po' scontato come personaggio, però sono contenta che ti piaccia, ho cercato di renderla una ragazza semplice, anche perchè quante possibilità ci sono di innamorarsi (nel vero senso della parola) di una persona dal primo incontro? Volevo essere veritiera... Al prossimo capitolo, lo posterò in settimana ^^

jessromance: eh si, sapevo che Ray è impegnato, ma la sua ragazza non è 'famosa' come Lyn, Jamia o Alicia (le secolari ragazze dei chemical XD), quindi ho scelto lui perchè lo preferisco a Bob, eh si, sono sincera, Bob è stato sempre un po' snobbato da me, però, anche se ora non c'è, resterà parte integrante dei mychem per sempre (forse perchè al concerto dove sono andata io mi è mancato dato che non c'era)! XD

Grazie a tutti i lettori e chi segue! Al prossimo capitolo,
Patty

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** A curious cat ***


11.A Curious cat

I gatti sono gli animali che più rispetto. I gatti ed i conformisti mi sembrano davvero i soli esseri in questo mondo che abbiano una coscienza pratica e attiva.
Jerome K. Jerome

Milly.
Il luogo dove Bob mi portò mi piaceva molto. Era ampio, era soleggiato, lo sentii dire che era la casa del suo amico Gerard. Mi ricordavo vagamente di lui, una volta era venuto a casa nostra per parlare con Bob di qualcosa, ma conoscevo meglio gli altri: Frank, Mikey e Ray.
Io odio viaggiare in macchina, si sta stretti e non ci si può muovere liberamente. Quando finalmente arrivammo Bob mi fece scendere di fronte all’enorme casa. Era molto bella.
Mi prese in braccio e mi portò fino alla porta, poi suonò. Venne ad aprire una ragazza dai capelli neri, alta e con le braccia tutte tatuate. Non appena mi vide sorrise. “Ciao Bob! Hai portato il tuo gatto? Che carino” disse passandomi una mano sulla testa. Che piacevole sensazione!
“Ciao Lyn. Si, dovevo lasciarla dal veterinario, ma l’ho trovato chiuso” disse Bob. “Posso?” chiese poi facendomi penzolare scomodamente dal suo braccio.
“Si, certo” disse la ragazza di nome Lyn. Bob mi mise giù sul pavimento freddo, e io cominciai a guardarmi attorno. C’erano un sacco di angoli in cui potermi rintanare e vidi anche un dondolo di vimini perfetto per farmi le unghie. Seguii Bob e Lyn nella spaziosa cucina, dalla quale proveniva un buon odore. Erano tutti seduti attorno al tavolo, assieme ad una ragazza nuova di cui non sapevo il nome. Proprio lei mi additò e disse: “Che carino! E’ tuo Bob?”.
A volte vorrei che la gente capisse al volo che sono una gatta femmina, chissà perché tutti si riferiscono alla mia specie solo al maschile. Che società sessista!
“Si” disse Bob sedendosi.
“Come si chiama?” chiese la ragazza.
“Milly”.
“Ah, è femmina?”. Approfittando del successo che riscuotevo mi avvicinai e mi feci coccolare un po’. Si vede che quella ragazza, che poi appresi chiamarsi MJ, era proprio come Bob: non mi resisteva. Non appena le fui abbastanza vicina cominciò ad accarezzarmi sulla testa e, dopo un po’, mi prese in braccio. Restai incastrata fra le sue braccia, ma ero comoda. Per ringraziarla feci un po’ di fusa e lei non mancò di notarlo.
Anche Bob era sempre così. Anche senza accorgesene, come un tic, mi accarezzava. Esaudiva ogni mio desiderio, qualunque cosa io chiedessi era lecita e giusta. Per di più io piacevo a tutti i suoi amici! Per ringraziarlo mi facevo viva ai suoi appuntamenti galanti e poi sparivo al momento giusto, a volte andavo a consolarlo se era triste e giuro che ricevere un bacio sulla guancia dal proprio gatto tira su di morale le persone. Comunque … abitavamo assieme in una meravigliosa armonia, odiavo solo quando mi scaricava a qualcuno perché doveva viaggiare, mi mancava.
Rimasi in braccio a MJ, ad ascoltare pigramente il discorso. “Perché non cambiamo un po’ città per questo tour?” chiese Frank.
“E cioè?”.
“B’è, facciamo in modo che tutti possano arrivare ad un nostro concerto. Ad esempio non facciamo come l’anno scorso in Cina, non solo le capitali, le città più importanti”.
“Sai che se non ci sono abbastanza vendite non possiamo” replicò Mikey.
“B’è allora non nella stessa città e in luoghi più piccoli. In altri posti … a Kyoto ad esempio”.
“Kyoto è in Giappone” disse Bob.
“Eh, vabbè hai capito”. Frank fece una smorfia nella sua direzione. “Così molta più gente potrà venire ai concerti, vedere una band dal vivo è sempre meglio. Forse ci faremo conoscere di più”.
“B’è non è una cattiva idea comunque” osservò Gerard. “Spesso molte persone non posso venire a vederci perché siamo sempre nelle città più facili da raggiungere per noi. Ad esempio in Italia, potremmo dire a Brian che vogliamo andare anche a Roma, oltre che a Milano. Andiamo sempre a Milano o comunque al nord”.
“In fondo Roma è la capitale, glielo dovete” disse MJ.
“Giusto” osservò Frank con entusiasmo. “Ah, e per la band di apertura?”.
“Noi dobbiamo già partire per il tour il mese prossimo. Torneremo solo per Natale” disse Lyn.
“Peccato” osservò Ray. “I Mindless self indulgence so che erano piaciuti a diverse persone la volta scorsa. Le vostre canzoni sono originali, il pubblico anche se è stufo di aver aspettato tutto il giorno, non si annoia ad ascoltare”.
“E’ vero … ci serve una buona band di apertura” disse Mikey. “Io ad esempio ai concerti mi rompo ad ascoltare l’apertura, serve qualcosa che attiri l’attenzione”.
“Però qualcosa che sia completamente diverso dal nostro genere” disse Frank. “Non so, qualcosa di più … di diverso, non vorrei che i generi dei due gruppi si somigliassero troppo, poi il nostro concerto sarebbe quasi una continuazione dell’apertura, non sarebbe meglio spezzare fra due generi?”.
“Hai ragione. Qualcosa che dia energia” concordò Gerard.
Continuarono così per un bel po’. Mi stufai di starli a sentire e decisi di andare in esplorazione della casa. Per avvisare MJ  che doveva mettermi giù mi rigirai fra le sue braccia e attirai la sua attenzione tirando fuori le unghie e spingendo leggermente le zampe sul suo vestito. Lei fece una smorfia e mi staccò prima una zampa e poi l’altra. La cosa negativa di questo modo di avvisare la gente è che le unghie mi si impigliano sempre nei loro vestiti. MJ mi mise giù, e io partii per l’esplorazione.
La casa era grande e mi occupò del tempo guardare con minuzia in ogni anfratto. Credo che a Gerard non dispiacerà se gli ho graffiato il dondolo di vimini. La mia spedizione si allargò al piano di sopra. Feci una visitina al bagno, alla camera degli ospiti e, quando arrivai a quella che probabilmente era la camera di Gerard, salii sul letto con un balzo soffice e mi guardai attorno. L’armadio che stava di fronte al letto era aperto, era un’attrattiva troppo grande per ignorarla. Mi preparai sulla punta delle zampe e saltai dentro l’armadio.
Dentro c’era l’odore forte delle saponette per profumare gli abiti, ne trovai una sopra una pila di vestiti e cercai di romperla con le unghie. Alla fine la buttai a terra, ma l’odore troppo pungente e dolciastro non sparì.
Stavo per uscire dall’armadio, anche se era un posto molto comodo per sdraiarsi a fare un pisolino, quando sentii che due persone entravano e la porta sbatteva. Mi nascosi in fondo all’armadio e rimasi a guardare dallo spiraglio aperto.
Erano MJ e Lyn, che si erano chiuse nella stanza e si fronteggiavano.
MJ stava dicendo con voce accalorata: “Comunque non mi va quello che hai detto. Quand’anche il problema fosse stato mio questo non ti da l’autorizzazione di dire a tutti i fatti miei!”.
“Senti, tu lavori assieme a Gerard, e anche se mi fido di lui so che ha un passato troppo segnato da quelle schifezze per stare a contatto con loro per troppo tempo! Volevo metterlo in guardia tutto qui!”sbraitò Lyn.
“Prima che tu lo dicessi in giro a tutto il mondo non lo sapeva nessuno, perciò anche se fosse stato così nessuno sarebbe stato … in pericolo”. MJ fece una brutta smorfia  di scherno.
“Ah scusami se mi preoccupo! Io …”. Lyn s’interruppe e si portò una mano alla bocca. Corse verso la porta del bagno della camera, dando uno spintone ad MJ. Lei rimase lì, incerta sul da farsi, poi raggiunse il bagno. Curiosa, uscii anche io dall’armadio e raggiunsi la porta, restando sulla soglia. Lyn stava chinata sul lavandino e vomitava, MJ, spaventata, le reggeva la fronte.
Quando Lyn si tirò su MJ le chiese nervosamente: “Tutto bene?”.
“No … anche ieri e l’altroieri” sussurrò Lyn aprendo il rubinetto. Si sciacquò la bocca più volte.
“E, hm … cosa credi che sia?”.
“Non lo so. Ho un’appuntamento dal dottore giovedì”.
“Gerard cosa dice?”.
“Non lo sa. E’ troppo ansioso, si agiterebbe più del dovuto. Sono abbastanza sicura che non sia una cosa così grave, magari solo un qualcosa allo stomaco che posso far passare con delle pastiglie” gracchiò Lyn.
“Hem … non per metterti la pulce nell’orecchio ma, insomma … quando ti deve venire il ciclo?” chiese MJ.
Lyn spalancò gli occhi e si voltò verso MJ, le mani poggiate ancora sul lavandino. “Tu dici che sono incinta?” chiese, quasi spavantata. “No, il ciclo deve ancora venirmi fra … una settimana o giù di lì. O forse doveva venirmi la scorsa settimana” disse con tono dubbioso. “E’ che in questi giorni sono stata impegnata” disse a mo’ di scusa.
“Solo per sicurezza, perché non fai un test di gravidanza? Sicuro, veloce …” cominciò MJ.
“Devo andare a comprarlo” disse duramente Lyn.
“E andiamo” disse MJ con un’alzata di spalle.
“No, se usciamo così poi Gerard si preoccuperà, non immagini quanto sia paranoico. Forse pensa che usciremo per picchiarci”. Lyn si morse un labbro, pensierosa.
“B’è ci vado io allora. Esco … da qui” disse sorpassandomi senza nemmeno guardarmi e avviandosi alla finestra.
“Sei pazza? Vuoi buttarti?” chiese Lyn.
“Non è troppo alto. Passerò da lì. Fossi in voi toglierei quella roba per i rampicanti, tutti ci si sanno arrampicare. E’ una specie di invito per un ladro”. Aprì la finestra e mise un piede sul davanzale. Tenendosi forte si alzò e si videro solo le sue gambe e parte del busto.
“Aspetta Mary, in fondo non succede niente se usciamo dalla porta” disse Lyn sporgendosi e guardandola.
“Non ti preoccupare non c’è pericolo” disse la voce di MJ. La vidi spostarsi al bordo del davanzale e attaccarsi alla rete per i fiori. Non vedo cosa ci sia di così complicato, dopotutto è un davanzale molto ampio. Gli umani hanno un bizzarro senso dell’altezza e nemmeno un briciolo di equilibrio.
Saltai sul davanzale e vidi MJ che si destreggiava fra le rose per scendere senza graffiarsi. Quando fu giù salutò Lyn con un mezzo sorriso e uscì dal giardino. Lyn rimase assieme a me e mi prese in braccio.
Chissà se davvero aspettava un cucciolo, spero per lei di no, quando Bob credeva che la sua ex fidanzata ne aspettasse uno è diventato quasi pazzo: non faceva che correre per casa e aveva uno sguardo disperato. Anche sotto questo aspetto gli umani sono bizzarri, per qualche strambo motivo hanno quasi sempre solo un cucciolo alla volta. Non hanno il senso della praticità.
MJ non ci mise molto per tornare, e quando rispuntò dal davanzale aveva con sé una busta di plastica di quelle della farmacia ed era graffiata in faccia e sulle braccia.
“Ecco qui” disse tirando fuori una scatola e aprendola. “Tu va’, io ti leggo le istruzioni”.
Lyn era pallida, mi posò senza tanti complimenti sul letto e prese il bastoncino bianco che MJ le porgeva. Si chiuse in bagno e MJ cominciò a camminare per la stanza leggendo il retro della scatola.
“Allora: uno” recitò, “b’è questa parte la sai, basta fare pipì, cosa più semplice non esiste”.
“Ah, fare pipì su un bastoncino ti assicuro sarebbe più facile per un’uomo!” esclamò Lyn dal bagno.
“Lo so, è il nostro crudele destino. Due: aspettare 60 o 70 secondi, dopodiché apparirà nel cerchio il risultato del test. Tre: il segno … bla, bla, bla …”.
“Che cazzo vuol dire bla?!” chiese Lyn con un urlo. Quel malumore non migliorava, poteva essere dovuto sia alla sindrome premestruale che alla gravidanza. Insomma, Lyn non faceva che complicare le cose!
“Se c’è il meno allora non sei incinta, se il segno è più allora lo sei”.
Lyn uscì dal bagno, con in mano il bastoncino bianco. “E mi fanno aspettare un minuto intero? Ma è una tortura!”.
MJ alzò le spalle. “Durante questo minuto possono succedere un sacco di cose”.
“Infatti”. Lyn prese a passeggiare per la stanza nervosamente. “E se si cosa dirà Gerard? Sarà maschio o femmina? Io credo che sia meglio avere la sorpresa, non sei d’accordo?”.
“Si, lo penso anche io. Anche se in fondo le possibilità sono solo due”.
“Ma che dici? Cambia un sacco”. Lyn si fermò in mezzo alla stanza e le due si guardarono. Era come assistere ad una soap, e me ne stavo pure comoda sul letto. “Grazie per stare qui”.
“Di nulla” disse MJ dall’altra parte della stanza.
“Sai, Gerard si è molto preoccupato quando gli ho detto della tua … conversazione telelfonica. Ti vuole bene, vorrebbe che tutto per te sia … a posto”.
“Oh … grazie” disse MJ con un sorriso storto e la testa reclinata. “Veramente va tutto bene. Dillo a Gerard, anche se c’è la possibilità che nei prossimi giorni sia impegnato altrove”.
“Per questo eh? Ancora non si aggiusta” disse Lyn lanciando un’occhiata al bastoncino che aveva in mano.
“Manca ancora qualche secondo. Sono davvero crudeli”.
“Già … lo dirò a Gerard comunque, sarà felice che tu sei felice”. MJ sorrise e si avvicinò a Lyn, buttandole le braccia al collo. Lei era del tutto impreparata e il bastoncino del test che reggeva cadde a terra.
Curiosa, andai sotto al letto e sbirciai il risultato.
Interessante.






Non ci sono assolutamente parole per spiegarvi quanto mi è piaciuto scrivere questo capitolo! :D Spero che sia piaciuto anche a voi leggerlo, personalmente non  ho più un gatto dall'età di undici anni, ma spero di aver fatto comunque un buon lavoro. Ovviamente, il gatto non poteva essere che di Bob XD
Il prossimo capitolo s'intitola Brutally used, e sarà del punto di vista di Mikey (verrà usato nelle maniere più sconcertanti XD).
Patty...

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Brutally used ***


12.Brutally Used

Quando sei stato usato come uno strumento non ti aspettare che finisca la canzone.
Stanislaw Lec

Mikey.
Ero sorpreso e felice quasi quanto Gerard alla notizia del bambino in arrivo. Quando si rese conto che doveva assentarsi proprio durante la gravidanza diede quasi di matto, ma non potevamo di certo annullare il tour proprio adesso. E poi, gli dissi, così era perfetto, perché quando il tour sarebbe finito il bambino sarebbe stato … pronto. Sembra di parlare di una torta.
Qualche settimana dopo aver deciso le tappe del tour il lavoro di MJ fu finito e, grazie a tutti i grafici, potemmo vedere l’album completo. Spaccava davvero! La copertina riportava un paesaggio cupo e solitario, sui toni del blu scuro e del grigio, con un paio di alberi spelacchiati e una via sterrata che si perdeva in fondo. Poi ci avevano fatto una foto, in bianco e nero, e l’avevano inserita nel disegno di MJ. Mi piaceva il fatto che fossimo sulla strada,perché l’album nuovo era stato il risultato di una sorta di percorso, che non so ancora quando sarebbe finito. Forse quando avremmo chiuso con questo album, ma con il tour e tutto il resto, sentivo che eravamo ancora a metà strada.
“Bene, mi pare che dovremmo festeggiare” disse Brian fregandosi le mani. A volte mi sembrava che il mio lavoro consistesse solo in quello. “Stasera andiamo da qualche parte”.
“Sushi!” proposi io.
“Il pesce crudo non è proprio il massimo della sicurezza. E se Lyn prendesse una malattia?” chiese Gerard.
Okay. Io voglio davvero bene a mio fratello, ma in quei giorni esagerava. E’ sempre stato un po’ paranoico, però lo capivo, e gliela diedi vinta. “D’accordo, allora qualcos’altro”.
“Cinese?” propose Bob.
“Troppo pesante” osservò MJ.
“Ci sono: greco!” esclamò Brian.
“Ma una bella e semplice pizza?” chiese Frank a mezza voce.
“Si! Io sono con Frank” disse Ray.
“Va bene, pizza. Andiamo Da Franco” disse Gerard. Com’è che conosceva la metà dei ristoranti del paese? Comunque era un pizzeria ristorante molto rinomata, ci trovammo quella sera lì davanti ed eravamo tantissimi. C’eravamo io e Alicia, Lyn e Gerard, Bob, Brian, Frank e Jamia, Ester e cioè l’assistente di Brian, MJ e Ray e poi anche qualcun altro, ma non ricordo bene chi.
Non appena entrammo prendemmo uno dei tavoli lontani dall’entrata e, siccome c’era una lista delle pizze stampate sulle tovagliette di plastica (ingegnoso) cominciammo a guardare.
Scelsi una normale pizza margherita, io in genere non mangio molto. Affianco a me Alica cominciò ad un tratto a cercare qualcosa nella borsa.
“Che cerchi?” le chiesi.
“I fazzoletti. Mi reggi questo?” mi disse porgendomi il portafoglio. Lo presi. “E questo?” e mi porse le chiavi di casa. Presi anche quelle. Poi cominciò a passarmi con metodo la borsa dei trucchi, una piccola spazzola, l’i-pod, un pelouce vecchissimo che le avevo regalato che diceva essere il suo portafortuna e il cellulare. In pochi secondi mi ritrovai le braccia piene di cose inutili e ingombranti. Chissà per quale strana ragione in quel momento non mi passò nemmeno per la testa di posare qualcosa sul tavolo.
“Trovati?” chiesi quando ebbi le braccia piene.
“Devo averli scordati” disse Alicia sbuffando sonoramente e liberandomi dalle sue cose, rimettendole spazientita nella borsa.
Di fronte a noi Lyn si riebbe in quel momento e disse: “Oh ma ce li ho io”. Dalla tasca prese una pacchetto e diede un fazzoletto ad Alicia. Mi piacciono le tasche, sono pratiche, e da quel momento cominciai ad apprezzarle ancora di più, chiedendomi perché mai Alicia non mettesse le sue cose in tasca.
“Grazie” disse lei. Lo prese e ci mise dentro la gomma da masticare. Ma non poteva fare come tutti i cristiani e appiccicarla sotto al tavolo invece di caricarmi?!
Quando arrivarono le pizze, tuttavia, la faccenda era già dimenticata, e io tagliavo la mia pizza con energia. “Questo coltello non taglia un cazzo” mi lamentai.
“Giralo dall’altra parte” mi disse MJ. “Taglia meglio, sul serio”.
“Ma dai?” girai il coltello dalla parte opposta, quella senza i dentini, e davvero tagliava meglio! “Wow … non è che per caso hanno fatto la presa sbagliata, e noi crediamo che la parte che taglia sia quella che non taglia? Mentre invece la verità è che la parte che taglia è quella che sembra che non …”.
“Alicia fallo stare zitto”, m’interruppe Gerard.
“Era quasi una tesi universitaria” protestai.
“Ma se non l’hai neanche mai fatta una tesi!” disse Bob ridendo.
“Ma so un sacco di cose” rimbeccai.
Non l’avessi mai detto! Che coglione! Per il resto della serata un bel po’ di persone cominciarono a farmi domande che sarebbero andate bene in un test di cultura generale. Però devo dire che ne azzeccai almeno la metà, se non di più. Avrei potuto davvero fare l’università.
Quando eravamo in fila per pagare io ero il primo. Mi piacciono i ristoranti dove ti fanno pagare alla cassa, almeno c’è il conto separato. E mi piace anche essere il primo, perché così poi posso aspettare gli altri fuori. Davanti a me c’era una coppia con un bambino piccolo, e vedendoli non potei fare a meno di pensare a Gerard e Lyn di lì a qualche mese. Sarebbero sembrati proprio come loro? Spero di sì: parevano felici.
Erano talmente felici che, quando la loro pargola mi vomitò addosso la cena, non si arrabbiarono neanche con lei (in effetti non è che lo avesse fatto apposta, era solo una bambina!).
“Oh, mio Dio mi scusi!” esclamò la donna.
Faticai a dirlo, ma lo feci: “Non importa” biscicai. Importava eccome, brutta madre da quattro soldi! La mia maglietta degli Anthrax!
“Sono pronta a pagare la maglietta”.
“No, fa niente davvero. Non è costata poi molto”.
“Ah, d’accordo. Mi scusi ancora signore, arrivederci!” disse la donna seguendo il marito, che le faceva segno di muoversi. Come se io avessi voluto mai rivederla, tzé! Ah, perfetto. Puzzavo di ricotta andata a male. Ma che cavolo aveva mangiato quella bambina?!
“Vado in bagno” dissi rassegnato. Ne approffittai almeno un po’ e diedi ad Alicia, subito dietro di me, il mio portafoglio, dicendo: “Paghi per me? Una birra media e una margherita”.
“Okay … ma tu va’ a lavarti” disse con una smorfia di disgusto.
Mi avviai al bagno degli uomini, e attiravo diversi sguardi schifati. Non è giusto, mica era colpa mia se una bambina aveva deciso di sentirsi male proprio davanti a me!
Al bagno mi tolsi la maglietta e la misi sotto il getto d’acqua. Non c’era altro modo, e pur di lavare via quell’orrenda cosa sarei andato in giro con la maglia bagnata. Ero chino sul lavandino, quando all’improvviso sentii due mani delicate poggiarsi ai miei fianchi e stringermi. Pensai che fosse Alicia, così mi voltai sorridendo.
“Chi cazzo sei?!” urlai divincolandomi dalla presa di un ragazzo che non avevo mai visto in vita mia.
“Non importa chi sono” disse lui con un sorriso avvicinandosi ancora. “Dai, mica ti faccio niente”.
Ben lungi dal pensare che non mi avrebbe fatto niente mi scostai di nuovo, terrorizzato, ponendo fra di noi la mia maglietta fradicia, che ora che ci penso non era un grande riparo. “Non ho certi gusti, mi dispiace. La mia fidanzata mi aspetta”.
“E tu falla aspettare” disse il ragazzo scostandosi una ciocca di capelli da davanti agli occhi.
“No scusa … io devo … andare in bagno”. La scusa era debole, anche perché c’ero già in bagno, ma riuscii comunque a fuggire. Dopo aver attraversato di nuovo la sala del ristorante a torso nudo raggiunsi gli altri al bancone.
“Andiamo!” sibilai guardandomi dietro, nel caso il ragazzo maniaco fosse uscito dal bagno.
“Mikey!” esclamò Alicia. “Che cosa fai mezzo nudo? Metteti subito la maglietta!”.
“Si, scusa” dissi, e m’infilai subito la maglietta vecchia e strausata. “E’ che c’era un maniaco nel bagno, sono dovuto scappare”.
“C’era un maniaco? Che cosa stai …”. Gerard venne interrotto da un uomo grasso e corpulento che era arrivato in quell’istante. Recava una targhetta appuntata al petto, sulla quale c’era scritto: Willard Jensin-Direttore.
“Mi scusi signore” mi disse con voce gentile. “E’ pregato di uscire dal ristorante”.
“Ah io?”. A quel punto davvero era troppo, sentii montarmi la rabbia. “Una bambina mi ha vomitato addosso una della vostre schifose pizze! Un maniaco gay ha cercato di stuprarmi in bagno! E adesso mi venite a dire che io devo uscire?”.
Il direttore parve confuso. “Qualcuno l’ha aggredita nel nostro bagno signore?”.
“Si! Si! Un tipo, un ragazzino che doveva avere nemmeno vent’anni! E’ in bagno, vada a vedere!” e così dicendo indicai l’altro lato della sala. Nel frattempo avevamo inziato ad attirare l’attenzione, e molte persone erano girate verso di noi, mentre altre cercavano di ignorarci, come se quello ci avesse fatto sparire.
Vidi il direttore del ristorante andare verso i bagni. In quel preciso istante uscì dalla porta il ragazzo di prima. Scambiò qualche parola con il direttore, scosse forte la testa, facendo un’espressione confusa, poi gli sorrise, con quel suo sguardo totalmente disarmente.
“Ah, porca puttana!” esclamai. Era pure un’ottimo attore il bimbo maniaco!
Il direttore tornò subito indietro e prima di tutto disse: “Signore la prego di moderare i termini, siamo in un luogo pubblico”.
“Ah, si. Che le ha detto?” chiesi indicando il ragazzo con un movimento della testa e le braccia incrociate sul petto. Cominciavo ad avere freddo, c’era l’aria condizionata e la maglietta umida mi si appicava addosso.
“Ah, signore vede, io credo che lei debba uscire. Il ragazzino è figlio di un importante dip-”.
“Uno non può avere un figlio gay anche se è importante?!” esclamai. Un figlio gay maniaco, precisiamo.
“Signore la prego di …”.
Il caro Willard fu ancora una volta interrotto da due ragazzi che si alzavano e venivano verso di noi. Uno di loro, muscoloso e dai capelli lunghi, venne dritto da me e, con le lacrime agli occhi, mi strinse la mano in una morsa letale, dicendo: “Hai detto una cosa giusta amico! Hai detto davvero una cosa giusta!”.
Il suo compagno, un ragazzo un po’ basso e dai capelli corvini, si voltò verso le persone sedute e disse ad alta voce: “Avete sentito tutti quello che questo ragazzo ha detto?! Bene perché ha ragione! Ormai dovete accettare che noi siamo qui! I gay sono sempre esistiti, esistevano fra i greci e i romani! Esistono anche in natura, fra diverse speci di animali! E’ naturale! Aprite gli occhi e non date ulteriore dolore ai vostri figli, ai vostri amici, alle coppia che vedete passare per strada! Non importa chi siamo, che lavoro facciamo, o a quale ceto apparteniamo: noi ci amiamo davvero!”. Si voltò verso di me e mi chiese a voce bassa: “Come ti chiami?”.
“Mikey, ma io non …”.
“Mikey! Grazie mille! E ora, spero che il mio fidanzato non se la prenda, ma devo proprio fare una cosa!”. Mi prese il viso fra le mani e mi diede un forte bacio a stampo proprio sulle labbra.
Atterrito, non osai fiatare. Non mi resi nemmeno conto che due camerieri ci stavano spingendo fuori dal locale assieme alla coppia di ragazzi. Rimasi paralizzato. Mi accorsi di cosa era successo solo quando un fresco vento mi fece venire i brividi alla schiena.
Il ragazzo del bacio mi si avvicinò ancora e mi strinse la mano sorridendo. “Hai fatto una cosa di cui andar fieri, ti ringrazio”. Poi si voltò, prese per mano il suo compagno, e si allontarono assieme.
Ci volle qualche secondo perché tutti capissero quello che era successo. Ma ben presto scoppiò una risata generale attorno a me. Alicia mi abbracciò, ancora ridendo a crepapelle, e dopo un po’ anche io fui preso dal riso. Non so quanto tempo restammo lì a sbellicarci, ma dopo un po’ mi facevano male i muscoli dello stomaco dal ridere!
Con fatica ci voltammo e andammo, automaticamente, verso un parcheggio lì vicino. Ognuno si separò e io e Alicia tornammo a casa.
“E quindi lui ti ha preso da dietro?” mi chiese lei ancora sorridendo.
“Non dirlo così, suona male” dissi contrariato. Alicia rise di nuovo. “E pensavo anche che fossi tu”.
“Non è una buona cosa” disse lei.
“Era un ragazzo molto femminile” osservai.
“Ah, allora okay” disse lei.
Una volta in casa mi feci una doccia, perché avevo ancora paura di avere addosso un vago odore di vomito di bambino. Quando tornai in camera Alicia si voltò verso di me e mi scaravantò sul letto, baciandomi con foga. Pensai che, in fondo, la serata non era andata poi così male.
Dopo appena pochi secondi Alicia si alzò e mi disse: “Aspettami qui”.
“Non vado da nessuna parte”. Lei uscì e io mi accomodai un po’ di più sul letto. Dopo circa dieci minuti tornò, ma aveva addosso un grande pigiama, bianco e largo. Con un sorriso innocente si tuffò sul letto e spense la luce.
Restai un secondo interdetto poi, nel buio, mi avvicinai a lei e la strinsi. “No, scusa amore oggi no. Sono così stanca”. E mi spostò le braccia.
Leggermente contrariato e anche un bel po’ confuso rimasi a letto, pancia in su e braccia incrociate sul petto. Un po’ come doveva essere Ramses nella sua tomba.
Ricapitolando: Alicia al ristorante mi aveva usato come un tavolino; gli altri come un dizionario; una bambina come un cesso o un lavandino nel quale vomitare (ma al momento mi sentivo più cesso che altro); un ragazzo per scaricare gli ormoni; una coppia omosessuale per dichiarare le loro tendenze ad un ristorante; e poi Alicia per scaldare il letto, ma senza di lei.
Una serata di merda, davvero.






Allora, spero di non avervi deluso. Sinceramente questo capitolo non mi pare un granchè, forse in qualche punto fa sorridere, ma, sinceramente, ditemi un po' cosa ne pensate, perchè io ne penso davvero male XD

jessromance: grazie per i complimenti! ^^ Veramente non ho molto pensato al colore della gatta, io ne avevo una tutta nera con delle strisce bianche sulla pancia, quindi me lo figuro più o meno così :) Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, al prossimo! ^^

EllieROMANCER: grazie mille :D Si, ovviamente è di Bob il gatto XD Spero che questo capitolo ti sia piaciuto come gli altri, a me non sembra molto convincente, ma è uscito così... Vabè, al prossimo capitolo, grazie ancora :)

La parola per il prossimo capitolo è Revenge (la parola chiave dei My chemical romance XD), e vedrà come protagonista... Bob. Si sente molto lusingato di aver avuto la parte, e di averla fatta ottenere anche al suo gatto nel capitolo prima XD Ok, basta scemenze! Al prossimo capitolo,
by Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** The revenge of the pillows ***


13. The Revenge of the pillows

La vendetta è una sorta di giustizia selvaggia.
Francesco Bacone

Bob.
Qualche settimana dopo che Mikey si fu ripreso dallo shock per la serata della pizza, ormai rinominata La notte di Mikey la regina, dovevamo girare il primo video.
Assieme a Brian scegliemmo dunque il regista e lui, dopo aver ascoltato la canzone prediletta, cominciò a buttare giù parecchio materiale su cui lavorare. Dopo che vide la grafica di copertina volle conoscere MJ e gli chiese se non poteva fare alcuni disegni da inserire nel video, disegni che sarebbero apparsi, secondo lui, in mezzo alle scene, come dei flash. Non so se l’idea era buona, ma aspettavo di vedere il risultato finale.
L’unico problema era che il regista voleva girare alcune scene in una grande città a caso, e altre in studio. Così saremmo dovuti andare fino a New York per girare, e lì ci sarebbero stati gli studi. B’è comunque non ci sarebbero voluti più di tre giorni per girare. Anzi forse ne sarebbero bastati due.
“Ma ci siamo tutti?” chiese Brian prendendo in mano una piccola valigia e guardandosi attorno.
“Presente prof.”, disse MJ alzando leggermente la mano.
“Perfetto, andiamo”. E salimmo sull’aereo. Il viaggio non durò molto, e fu piacevole. Mi capitò addirittura la fortuna di non sedermi dietro o davanti a Ray ed MJ, perché erano seduti vicini in posti da due e sembrava che il loro unico scopo nella vita fosse limonare. Non so se ripresero fiato almeno una volta, era da Guinness dei Primati.
Arrivati a New York ci sistemammo assieme ad assistenti vari in un Hotel di semi lusso. Ray aveva accennato ad una camera separata per lui ed MJ, ma Brian aveva detto che anche se c’era la sua fidanzata questo non voleva dire che avrebbero speso dei soldi in più. Così eravamo tutti e cinque, più MJ, in una grande suite.
“Ma non rimarrai traumatizzata dalla nostra vita così maschia e virile?” chiesi ad MJ, al che Gerard fece un risolino che mi fece riconsiderare l’espressione.
“Non ti preoccupare, chiuderò gli occhi. E tu riuscirai a non restare traumatizzato da me e Ray quando …”.
“Alt! Ho capito, niente vita virile” dissi. Andai alla finestra e osservai sotto. Non eravamo tanto in altro, anche se di solito capitavamo in camere al trentesimo piano.
Quel pomeriggio ci limitammo a fare un giro della città fino a sera tardi, e filmarono parecchio. Il regista aveva cambiato idea nei confronti del ruolo di MJ, e disse che avrebbe fatto i dei disegni e noi, grazie alla magica invenzione del computer, saremmo andati in giro nei paesaggi che la sua mente malata ci offriva, interagendo con creature orripilanti di cui solo lei poteva conoscere l’esistenza. Non era male comunque come idea, sempre meglio dell’altra.
La prima sera ci riunimmo tutti nel bar dell’hotel e, dopo un paio di bicchieri, inziammo a fare brindisi un po’ a tutto. Ricordo che brindammo prima a cose ovvie, come l’album, Gerard che diventava papà, la band e cose così. Ma poi inziammo a brindare ai capelli di Frank, agli occhiali invisbili di Mikey, alla cameriera che ci portava da bere e ad un tizio che ci disse di essere un’insegnante di filosofia in vacanza con la sua fidanzata.
“Tantissimi auguri anche a voi!” esclamò Gerard alzando il bicchiere, mentre il professore (che aveva più un’aria da studente che non da insegnante) usciva dalla hall con la sua ragazza.
“Aspettate!” esclamò Frank alzandosi ad un tratto dal tavolo. “Abbiamo dimenticato di fare un brindisi alla persona più importante”.
Sono abbastanza sicuro che metà di noi erano talmente fuori da chiedersi seriamente a chi si riferisse, mentre l’altra metà lo era talmente tanto da ingorarlo, sapendo che stava per dire una cavolata.
“Un brindisi a me!” esclamò Frank con un’espressione seria in viso e un pugno poggiato sul petto, in un’atteggiamento che poteva essere adatto se si stava cantando l’inno nazionale.
Scoppiarono una serie di proteste e qualcuno lanciò a Frank una patatina. Quando fummo nelle nostre stanze io crollai sul divano e rimasi lì. Dopo un po’ mi raggiunsero Frank e Mikey, che accese la tv. Gerard stava già dormendo, così come Ray. MJ ci raggiunse e si sedette al nostro fianco. Dopo un po’ di silenzio borbottò, quasi addormentata: “Facciamo uno scherzo a Gerard?”.
“Quale?” chiese Frank con voce annoiata.
“Non so, magari possiamo … mettiamogli della panna sulla mano e vediamo se si sporca la faccia mentre dorme”.
“No, è troppo complesso. E se si tocca con l’altra mano?” obbiettai.
“Allora quando domani si sveglia mettiamo un secchio con l’acqua in bilico sopra la porta del bagno. E quando lui la apre gli cade in testa” disse Mikey.
“Chi va a prendere il secchio?” chiese Frank.
Il fatto che stessimo organizzando uno scherzo a Gerard era ridicolo, anche perché eravamo mezzi ubriachi e ci stavamo per addormentare.
“Io no” disse subito MJ.
“Io neanche” dissi.
“Ho capito, niente secchio” disse Mikey prima che lo dicesse qualcun altro. E’ un ragazzo empatico.
Restammo un po’ in silenzio, poi Frank disse: “E’ ubriaco … è praticamente svenuto. Perché non gli pitturiamo la faccia con un pennarello?”.
“Indelebile?” chiese MJ.
“Si”.
“… va bene” dissi io. Mi alzai e mi stiracchiai, mentre MJ prendeva un pennarello e si avvicinava a Gerard, che era disteso a pancia in su sopra un letto.
Tutti ci sistemammo attorno a lui, e lo guardammo. “Anche Ray?” chiese Frank dopo un po’ che si era munito di un altro pennarello rosso, mentre quello destinato a Gerard era nero.
“Si, anche lui” dissi convinto.
MJ si avvicinò cauta e disegnò dei baffi a Gerard. Lui non si mosse, era completamente svenuto. Mi ricordo che pensai che il giorno successivo avrebbe vomitato, come minimo, come faceva a tenere tutto quell’alcol in corpo? Anche se in effetti non beveva assolutamente nulla da mesi, solo un bicchiere di vino ogni tanto, era quindi normale che fosse in coma dopo una bevuta del genere.
“Ah, dammi il pennarello!” disse Mikey. Disegnò un curioso allungamento delle sopracciglia di Gerard, che andavano fino alla fronte e si fermavano con un ricciolino.
Nel frattempo io e Frank ci occupavamo di Ray. Disegnammo un cerchio tutto intorno alla sua bocca, una stella sulla guancia e una luna sull’altra, poi sulla fronte … qualcosa … uno scarabocchio.
Ancora soddisfatti, come se avessimo appena realizzato una grande opera d’arte moderna, ci addormentammo tutti sparsi per la suite.
Il giorno dopo fui svegliato da delle sonore risate. Mi alzai e andai a vedere che cosa succedeva. Frank, Mikey ed MJ si stavano spaccando dal ridere, mentre Gerard si esaminava in uno specchio. Quando lo vidi risi anche io, additandolo, mentre lui si toccava la faccia e aveva un’espressione incredula.
“Ma fate proprio schifo” esclamò quando si fu rimirato. In quel momento anche Ray si alzò, stiracchiandosi.
Il suo sguardo cadde su Gerard. “Che hai fatto alla faccia?” chiese sorridendo.
“Lo stesso che hai fatto tu” gli disse Gerard passandogli lo specchio.
Ray lo prese e si guardò. La sua espressione era un misto di divertimento e rabbia. “Ma dai!”.
“La cosa più incredibile è che non avete sentito nulla!” esclamò Frank mentre ci scambiavamo un’occhiata. MJ corse verso Ray e lo baciò.
“Se ti può consolare non sono stata io, e così sei molto fascinoso”.
“Almeno questo” disse Ray guardandoci male tenendo MJ per la vita. “Vado a lavarmi”.
“Ma dai? Vengo con te” disse Gerard. Io e gli altri ridevamo come scemi.
Per quella giornata il regista decise con MJ quello che avrebbe dovuto disegnare, mentre noi camminavamo senza sosta nello studio, su uno di quei tappeti mobili. Poi suonammo davanti ad un enorme schermo blu, che sarebbe poi servito per gli effetti speciali.
Occupammo così tutta la giornata. Alla fine dai disegni di partenza di MJ i ragazzi adetti agli effetti avrebbero passato i soggetti a computer e li avrebbero messi nel video. Dovevo ammettere che era molto interessante.
Quella sera avevo idea di andare a dormire presto. Sarà strano ma ero stanco. Si, lo so: per tutto il giorno avevo solo camminato e poi suonato, ma ci si stanca davvero.
Era presto per me, di solito non vado a dormire prima delle undici e mezza. Erano le dieci, quindi era presto. Prestissimo. Avevamo cenato tutti assieme al ristorante dell’hotel, poi Ray era andato in bagno, Gerard aveva detto che era stanco e, dopo qualche minuto, lo seguimmo.
Aprii la suite con la carta che ci avevano dato alla reception ma, non appena fui entrato, mi arrivò sulla faccia qualcosa. Improvvisamente mi sentii martellare da qualcosa di soffice, dappertutto, mentre sentivo distintamente Gerard e Ray ridere. Si buttarono anche addosso agli altri.
“Questa si chiama: la vendetta di Gerard!” esclamò lui prendendo a cuscinate anche suo fratello e Frank, che cercava in tutti modi di fuggire.
Presi un cuscino, e gli altri mi imitarono. Cominciò così una scatenata lotta con i cuscini. Ad un tratto io e Mikey ci nascondemmo dietro un divanetto, in ginocchio.
“Shh” gli dissi. Ci sporgemmo dal divano per vedere dov’erano gli altri, e individuammo MJ e Ray voltati di spalle, contro Gerard e Frank. Ci alzammo all’improvviso e li attaccamo.
“Traditore!” mi gridò Ray.
“No Mik …!” gridò MJ prima che gli arrivasse una cuscinata addosso.
Continuammo così per un bel po’. All’improvviso, come se qualcuno ce lo avesse ordinato, ci stancammo tutti assieme.
Avere MJ con noi aveva un vantaggio: eravamo pari di numero adesso, e fra tutti noi c’era un senso comune di tranquillità che di rado c’era stato. Credo che tutti stessimo passando un periodo d’oro, come quando vai a scuola e hai finito tutte le interrogazioni e le verifiche, fra poco inizia l’estate, e la tua fidanzata ti ha appena detto di aver vinto un viaggio di una settimana tutto compreso per due.





Bene! Eccomi di ritorno! :D
Questo capitolo è un po' corto, lo so, però immaginate la scena... che ridere! XD La vendetta è un piatto che va servito freddo, e questo Gerard lo sa bene u_u XD

jessromance: viva Alicia! XD Mi è sembrato di esagerare con il comportamento di Alicia, però ho deciso di calcare la mano, per rendere la serata di Mikey davvero esasperante XD Sono felice che ti sia piaciuta, e di averti fatta ridere! Al prossimo capitolo ^^

Anche il prossimo capitolo è corto, anzi è molto corto, è più corto di questo a dirla tutta, però è uno di quelli con il punto di vista sperimentale, capirete poi perchè è breve, e perchè il punto di vista è quanto di più sperimentale abbia mai fatto (persino più del gatto del Bob). Non vi anticipo nulla se non il titolo che sarà semplicemente: Romance.
B'è, spero di avervi fatto venire almeno un po' di curiosità, al prossimo capitolo :)
Patty

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Romance ***


14. Romance

I genitori che ci mettono solamente al mondo possono essere dimenticati, coloro che invece ci crescono sono da venerarsi come i cieli.
Proverbio cinese

The kid.
“Secondo te mi si vede già la pancia?” disse la prima voce.
“Poco, ma va bene così no?”. Ecco la seconda.
“Il dottore dice di si, ma io voglio che venga subito”.
Non so esattamente da quando avevo inziato a percepirle così bene. Però erano molto rassicuranti. Mi piacevano. Avevano una curiosa inclinazione, un suono morbido e dolce. Ascoltarle era di sicuro quello che preferivo. Però ero leggermente in difficoltà, perché ancora non avevo dato un nome alle due voci misteriose e belle. Le chiamavo solo prima e seconda voce.
C’era molta differenza fra una e l’altra. La prima era era liscia come seta e quando l’ascoltavo provavo verso di lei un forte moto d’affetto. Sentivo di essere attaccata a quella voce più che ad ogni altra cosa del mondo. Molto spesso la sentivo parlarmi. Non riuscivo a capire quello che mi diceva, ma mi piaceva ascoltarne il suono. Sapeva di buono.
La seconda invece era diversa, ma non per questo peggiore o cattiva. Mi dava la sensazione di essere curiosa e buona. Riusciva ad essere imprevedibile e divertente, e mi diceva sempre cose molto belle. Ovviamente, non è che capissi tutto, ma intuivo che la seconda voce era gentile e piena di affetto tanto da scoppiare, nei miei confronti.
Stavo ancora abbastanza larga in casa, ma quando mi muovevo sfioravo le pareti di quel luogo caldo e profumato. Sentii che casa mia si muoveva.
“Tu credi che se gli parliamo sentirà?” chiese la prima voce.
“Secondo me si” disse la seconda. “Hey”, qualcosa si posò sulla mia casa, qualcosa che scaldava la pelle e accarezzava l’animo. “Ciao bambino … o bambina. Io sono tuo papà, sono … sono il papà”.
Quindi era così che si chiamava in realtà. Sentivo di aver fatto una grande conquista.
Ma il cosiddetto Papà non si fermò lì, e continuò a parlare, con la sua voce così simpatica: “E questa qui è la tua mamma”.
Un’altra grande conquista: Mamma. Ero raggiante come non mai.
“Ti stiamo aspettando sai?” disse Papà. “Non vediamo l’ora che tu nasca”.
“Dovremmo fargli ascoltare un po’ di musica. E dovremmo anche andare a fare delle passeggiate, si abituerebbe da subito all’aria fresca e alle cose belle” disse Mamma.
“Aspetta”.
Restò solo il silenzio. E qualcosa che accarezzava le pareti della mia casa. Poi una musica dolce e molto bella inziò a fluttuare nell’aria, arrivava alle mie orecchie in modo ovattato.
“E’ David Bowie, piccolino” disse la voce di Papà, ancora vicino a me. “Ti piace?”.
Mi piaceva. Mi piaceva moltissimo.
In mezzo ai sussurri di Mamma e di Papà ricapitolai nel limbo dal quale ogni tanto risalivo. Era un luogo neutro, dove il tempo non esisteva, dove nulla esisteva in realtà. Non c’ero nemmeno io, c’erano solo il buio e il calore che mi avvolgeva in spire delicate e setose.
E all’improvviso, negli ultmi attimi prima di venire avvolta dal limbo, pensai intensamente a Papà e Mamma. Anche io non vedevo l’ora di vederli. Volevo dare un corpo a quelle due voci. Non potevano essere meno di meravigliosi, perché l’unica cosa che sognavo e sentivo nei miei ricordi nebulosi erano loro. Solo loro.
Volevo vederli, e dire loro quanto erano importanti per me.






Salve a tutti, eccomi qua! :) Ovviamente non so cosa pensi un bambino nella pancia della madre, non so nemmeno se pensi per davvero (se lo sapessimo si potrebbero risolvere molti problemi al mondo), ma ci ho provato lo stesso. Ora, sappiamo già che la figlia di Gerard è nata, è femmina, e sappiamo pure come si chiama -anche se in questo momento sinceramente non me lo ricordo- però come potete notare ho voluto mantenere l'anonimato sul sesso e sul nome. Quando si è un feto credo che t'importi poco del nome XD
Vi avviso che dal prossimo capitolo la storia diventerà triste, molto triste. In effetti, prenderà una piega tragica, ma è proprio con questo che, come scrittrice in erba (proprio erbaccia intendiamoci XD), mi sono voluta misurare. Quindi, i più sensibili di voi preparino i fazzoletti (anche se le mie capacità narrative sono ben lontane da causare lacrime), oppure i forconi, nel caso mi vogliate pungere le chiappe per aver scritto certe cose! XD Al prossimo capitolo a tutti,
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** A brutal accident ***


15.A Brutal  accident

Fra tutte le promesse avventate, fra tutti i giuramenti notturni fatti in nome dell’amore, nessuno più di “Non ti lascerò mai” è destinato a non essere mantenuto.
Clive Barker

MJ.
Ecco fatto. Non era nulla di speciale quello che stessi facendo in realtà, ma mi dava la sensazione che, una volta che l’avessi fatto, tutti i miei problemi sarebbero stati risolti una volta per tutte. Quella notte ero stata a casa di Ray. Mi alzai dal letto e mi vestii, e anche Ray si svegliò.
“Buongiorno” mi disse con voce roca.
“Giorno” dissi io.
“Allora, hai deciso di andare?” mi chiese guardandomi mentre mi muovevo febbrilmente per la stanza.
“Si” dissi io mettendomi le scarpe.
Avevo deciso che quel giorno sarei andata a trovare mio papà, anche se non lo vedevo da moltissimo tempo. Più che altro si trattava di affrontarlo, non di incontrarlo. Si trattava di combatterlo e di vincerlo. In realtà, ad essere sinceri del tutto, non si trattava nemmeno di lui. Si trattava di quello che rappresentava, del mio passato e del mio rifiuto di esso. Si stattava di guardare in volto il mio passato e accettarlo per come era.
Quando fui pronta scesi di sotto e iniziai a fare la colazione. Poco dopo scese Ray, che mi diede un bacio e si sedette a tavola. “Mi piacerebbe conoscere tuo padre” disse mettendo lo zucchero nel caffè.
“Ah! Meglio tu che io”risposi.
“No, sul serio. Vorrei conoscerlo quando starà meglio”.
“D’accordo” dissi un po’ cupa.
La verità era che avevo paura di rivederlo. E se ne avevo paura io figuriamoci se volevo che lo incontrasse Ray. Pensavo ancora che se avesse saputo più sul mio conto, su di me e la mia famiglia, sarebbe rimasto scandalizzato e orripilato, e mi avrebbe vista per quello che davvero ero. Non so nemmeno io che cosa ero, ma sicuramente nulla di positivo.
Una volta finito di mangiare guardai l’orologio e presi a camminare qua e là per la stanza. Ero indecisa e molto nervosa. Andai alla finestra, nella speranza che succedesse qualcosa di irreparabile e che non potessi più uscire di casa, ma non accadde nulla.
Due braccia mi strinsero ai fianchi e io posai le mie mani su quelle Ray. Lui mi baciò una guancia e cominciò a dondolarsi piano, poi mi sussurrò delle parole che non mi dimenticherò mai. Lo disse con dolcezza e convinzione, e mi fece tranquillizzare, mi fece sentire decisa e forte. Felice.
“E’ tutto okay. Ti amo”.
Sorrisi leggermente e mi voltai, ancora avvolta fra le sue braccia. “Anche io ti amo” gli dissi guardandolo negli occhi, perché capisse quanto era grande il mio amore, e lo baciai. Con tutta la dolcezza e la sincerità che riuscivo a dare, e che non sarebbe mai stata abbastanza.
Mi misi il giubbotto. Eravamo già ad Ottobre, e l’album sarebbe uscito entro pochi giorni, in concomitanza con il primo video, per il quale potevo vantarmi di essere stata una delle realizzatrici. Salutai Ray sulla soglia di casa e salii in macchina. Ero tranquilla, ma soprattutto ero decisa a fare quello che stavo per fare.
In un’ora circa arrivai al Centro di Riabilitazione. Per entrare mi controllarono tremila volte, la borsa, le tasche, che sotto la maglietta non avessi nulla, alla fine passai.
Sembrava una casa di cura, ma tutto era molto più strano e in qualche modo inquietante. Le persone che incontrai sembravano distrutte e tristi, sull’orlo di un collasso nervoso. Alcuni mi guardarono con curiosità. I più giovani erano estremamente magri, facevano quasi impressione; ma c’erano anche alcune persone più grandi di me, che sembravano invece comuni persone che avrei potuto trovare al supermercato o in giro per strada.
Davanti a me c’era l’infermiere, che mi guidava alla stanza di mio padre. Mi lasciò lì davanti, con un sorriso, e sparì. La porta era di legno, di un verde acqua pastello, e recava un numero in ottone: 177.
Presi fiato e bussai. Un uomo qusi irriconoscibile mi venne ad aprire. Era molto diverso da come l’avevo visto l’ultima volta. Più ordinato, in un certo senso più inquietante. I capelli si erano fatti un po’ più chiari e cominciava a stempiarsi, tuttavia erano pettinati ordinatamente e lisci. Non c’era traccia della barba incolta che ricordavo così bene, al suo posto c’era solo un fresco profumo di dopobarba.
Quando mi vide rimase a bocca aperta. In mano aveva un biro, e la lasciò cadere a terra. Con gesto automatico la raccolsi e gliela porsi. La sua mano tremante la riprese, mentre i suoi occhi non si staccavano da me un secondo, poi con voce flebile chiese: “Mary, sei tu?”.
“Sono io” risposi altrettanto piano. Solo allora mi resi conto quanto mi era davvero mancato. Mi era mancato! Mi era mancato tantissimo! Il suo viso, i suoi occhi, il suo sorriso storto e ironico che rivolgeva sempre a me e alla mamma, il suono della sua voce, il suo odore. E che dolore rivederlo!
Un groppo si incastrò nella mia gola, così forte da farmi male. Le lacrime mi salirono agli occhi e scoppiai in un pianto silenzioso e scosso dai tumulti. Mio padre mi abbracciò forte e mi strinse a sé, quasi volesse schiacciarmi. Restammo così per un bel po’, finchè non mi fui calmata, poi mio padre si sciolse.
“Vuoi entrare?” mi chiese indicando la camera.
“Si” dissi io annuendo con troppa energia e tirando su con il naso.
Dentro era una stanza piccola. C’era un letto, un’armadio, un comodino, una finestra, una piccola scrivania e un mobile sopra il quale c’era una minuscola tv. Sulla scrivania c’erano alcuni libri e un quaderno scritto molto fitto con quella che riconobbi come la calligrafia di mio padre.
Scorse il mio sguardo incuriosito e prese il quderno. Porgendomelo disse: “Sto scrivendo una cosa”.
“Davvero?” chiesi, sinceramente incuriosita. Mio padre non aveva mai espresso il desiderio di scrivere, che io sapessi, ma mi chiesi quali e quante fossero le cose che sapevo di lui.
“Si. Ho letto molto … ho un sacco di tempo libero!” esclamò con una leggera risata.
“Ah già, come ho fatto a scordarmene?” chiesi ironicamente unendomi alla sua risatina. Ci sedemmo, io sul letto e lui sulla sedia. Iniziai ad asciugarmi gli occhi, e mio padre mi passò un kleenex.
“Grazie” dissi io prendendolo.
“Figurati. Allora … perché non mi racconti qualcosa di te? Cosa fai adesso? Cos’hai fatto da quando … dall’ultima volta che ci siamo visti?”.
“Ho finito la scuola” dissi subito, sapevo quanto ci tenesse. “E ho lavorato per una band, ho fatto i disegni per il loro cd”.
“Davvero? Lo comprerò” disse lui convinto.
“Non credo che sia il genere di musica che ti potrebbe piacere” dissi io agitando una mano.
“Non importa” e scrollò le spalle. “Stai con qualcuno?” chiese con un sorrisetto furbo.
“Hm … si, con qualcuno” rimasi sul vago.
“E come si chiama? Dai, dimmi chi è” chiese lui. Si, faceva sempre queste domande imbarazzanti, era proprio da lui.
“Si chiama Raymond. E’ il chitarrista della band in realtà. E’ … alto, ha i capelli ricci, molto ricci e molto lunghi”.
“Non sarà mica uno di quei capelloni che crede di essere ancora negli anni settanta? Magari indossa i pantaloni tutti colorati e gli stivali con la zeppa, come si faceva ai concerti una volta”.
“No!” protestai indignata, ma un po’ divertita. “No, lui si veste normale”. Mio padre rideva di gusto e si batté una mano sulla pancia.
“Vuoi andare a fare un giro?” mi chiese.
“Si”.
Uscimmo dalla stanza e papà mi fece vedere il giardino, la mensa, la sala principale dove tutti si riunivano, e mi fece girare per i corridoi. Incontrammo una ragazza forse poco più grande di me e un ragazzo sulla trentina. Entrambi conoscevano mio padre, e lo salutarono. Lui mi presentò e ci fermammo a scambiare qualche parola. La ragazza, che si chiamava Jane, quando mio padre non stava ascoltando mi disse: “Sei fortunata ad avere lui come padre. A volte vorrei che fosse il mio!”.
Quando fu ora di andare papà mi accompagnò fino alla porta e ci salutammo. Improvvisamente mi ricordai il regalo che gli avevo portato. Quando l’avevo comprato mi era sembrato azzardato, ma ora mi sembrava più che adatto.
“Ti ho portato una cosa” dissi estraendo dalla borsa il pacchetto.
“Oh, un regalo. Non me lo aspettavo, che cosa ho fatto di così buono da meritare un regalo?” chiese lui staccando il fiocco. Strappò la carta e scoprì una cornice di legno lavorata a mano, e dentro c’era una delle poche foto di famiglia che avevamo. Ne era passato di tempo da quando l’avevamo fatta, ma non importava. “Grazie” disse mio padre sorridendo. Mi abbracciò ancora, poi disse: “Mi farebbe piacere se tornassi, puoi dirlo anche a Gabriel, sarebbe bello. Quand’è l’ultima volta che l’hai sentito?”.
“Un mesetto fa. Sta bene, è con Rita in vacanza adesso”. Gabriel era mio fratello, e Rita era la sua fidanzata secolare. Secolare la chiamavo io, perché stavano insieme da tempo immemore ormai.
“B’è allora quando torna” disse papà.
“Si, bene. Allora ci vediamo presto”. Lo salutai con la mano e mi avviai alla macchina.
Con il cuore leggero ed esultante mi avviai verso casa. Mi accorsi che ero fortunata. Che ero una persona felice. La mia vita era perfetta. Ecco, questa è la felicità di cui parlavo all’inizio di tutta questa storia. Ed era cominciato tutto grazie ad un semplice scontro davanti all’Accademia di Belle Arti, in un giorno come gli altri, perché ero in ritardo.
E poi, dopo quello scontro, avevo trovato prima un lavoro, degli amici che mi volevano bene, un fidanzato che mi amava e che amavo, avevo trovato la forza di rivedere il mio papà. Potevo essere più felice? Tutto andava nel verso giusto.
Ray aveva ragione: Era tutto okay.
Davanti alla mia vista comparve all’improvviso un bambino che correva lungo la strada. Mi balzò il cuore in gola dallo spavento, girai di scatto il volante verso lo spartitraffico e contemporaneamente cercai di frenare. Dal finestrino sentii solo un urlo disperato e poi saltai con violenza sul sedile perché la macchina era salita troppo veocemente sul marciapiede. Vidi di fronte a me il palo della luce e cercai di girare il volante, ma non riuscii.
Mi passarono diversi pensieri per la mente, come flash, velocissimi. Più che pensieri veri e propri erano avvisaglie di pensiero. Mi vennero in mente i miei amici.
Frank. Bob. Gerard. Mikey. Alicia. Brian.
Pensai a Lyn e al suo bambino.
Pensai a Gabriel e Rita.
Ai miei compagni di scuola che non vedevo ormai da mesi, ma che continuavo a chiamare.
La città. Le luci. La musica. Una risata che aleggiava nell’aria.
Papà.
Pensai alla mamma, mi chiesi dov’era.
Poi pensai a Ray, e il mio cuore fece un’ultimo sobbalzo innamorato prima di fermarsi del tutto.
Ma sono felice. Ho vissuto una bella vita. E che sia finita ormai poco importa, non ha alcun senso arrabbiarsi, o essere tristi; ora devo andare.
Ma Ray, quanto aveva ragione: E’ tutto okay.






Prendete il numerino per gli insulti, prego. In fila per favore. Eh, lo so che è lunga, ma si deve rispettare la fila... Hey! Hey tu! Non soprassare sai!?
Oook, ho finito di stronzzeggiare. Ora, ditemi un po' voi... Sono in vena di filosofia, quindi: alla persona che muore, cosa gliene importa ormai? Si, va bene, è morta, in questo caso aveva una lunga vita davanti a sé, ma se davvero si va in un posto migliore sarà felice, si o no? E se non c'è nulla dopo la morte, allora non gliene importa davvero più niente. Insomma, in un caso o nell'altro, MJ sta bene, in qualunque posto sia.
Mancano ancora un po' di capitoli, nei quali mi sprecherò in pensieri profondi e vedrò un po' di spiegare come se la passano i membri del gruppo adesso. Ognuno reagisce a suo modo, vi dico solo questo, forse non è la fic che ci si aspetta: non è a lieto fine. Ma chi lo ha detto che debba essere per forza così? Il lieto fine non esiste, perchè una fine non esiste, i personaggi di un libro continuano a vivere anche se noi non lo sappiamo ^^ Mi sono dilungata troppo in un discorso che con la fic c'entra poco (e con la letteratura in generale tanto -anche se la mia non è proprio letteratura, piuttosto un suo surrogato XD-), il fulcro della situazione è: me la sentivo che doveva andare così, è l'unica cosa che posso dirvi.

jessromance: ah! Bandit Lee Way, si è proprio un bel nome :) l'avranno scovato in qualche strana leggenda XD Mamma mia se sono prevedibile O.O B'è, anche se è triste, spero che tu non stia piangendo, perchè se piangi per questo, chissà il prossimo! XD Grazie per aver recensito, e grazie per avermi detto il nome della piccola Bandit. ricordavo che fosse qualcosa di particolare :)

ioamolacocacola: O.O ...non mi uccidere, posso pagarti se vuoi.     XD

Al prossimo capitolo a tutti, ditemi un po' cosa ne pensate di questo avvenimento voluto dal destino (no, ok, voluto da me, ma vi giuro è come se me lo avessero suggerito). Ciao a tutti ^^
Patty

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** My Beautiful creature is gone ***


16.My Beautiful creature is gone

Ci sono cose ben peggiori della morte. Se hai passato una serata con un assicuratore, sai esattamente di che cosa parlo.
Woody Allen

Ray.
Eravamo tutti a casa di Frank e c’era anche Jamia, però lei, in modo molto diplomatico, ci aveva lasciati da soli a chiacchierare. Stavamo ancora discutendo del tour, perché ancora non avevamo scelto una band che ci facesse da supporto. Qualcuno aveva proposto di scegliere una piccola band, quelle che suonano solo a livello locale. Avremmo potuto dare un’opportunità a qualche musicista, e questo non mi dispiaceva per niente.
“Sarebbe una buonissima idea. Sentite … potremmo fare una specie di … provino. Ci sono tante persone che meritano di essere ascoltate” disse Frank.
“Si, sarebbe buono” dissi io.
Mikey scosse la testa. “Secondo me Brian ci ucciderà se lo facciamo. Per fare dei provini ci vuole organizzazione, ci vogliono pubblicità e soldi”.
“D’accordo niente provini, andiamo ai concerti. Vediamo i gruppi direttamente dal vivo, così sappiamo già se sono bravi a suonare live, e se sono dei buoni intrattenitori per il pubblico”.
“E’ una buona idea. Da queste parti ci sono sempre tantissimi concerti di piccole band” osservò Gerard.
“E poi così andiamo ai concerti” disse Bob alzando le spalle.
“No, aspettate. Non dobbiamo mica andare a divertirci” disse Mikey.
“Ma si, mica facciamo casino” disse Frank. Al che io lo guardai scettico. “Che c’è?” mi chiese lui allargando le braccia.
“L’ultima volta che che sei andato ad un concerto hai …”.
“Va bene ho capito. Non finire la frase! Non vado più in prigione … adesso” borbottò.
Squillò il telefono di casa e sentimmo Jamia dalla cucina urlare: “Vado io!”.
“E se, ipoteticamente, non trovassimo nessuna band adatta?” chiese Mikey.
“Oh ma va! Ce ne sarà una, no?” disse Bob.
“Però ha ragione. Questo è un tour mondiale, non possiamo scegliere così a caso. Dobbiamo anche dirlo a Brian, se la casa discografica non è d’accordo non se ne farà nulla. Per non contare che dovranno anche sponsorizzare almeno un po’ la band, come fanno di solito” disse Gerard.
“Ma se scelgono loro sarà solo una questione commerciale allora” osservò Bob.
“Tutto è una questione commerciale” dissi. “In fondo è la casa discografica che finanzia, ci dovranno pur guadagnare qualcosa”.
Eravamo in salotto e stavamo dando fondo ad una bottiglia di coca cola da due litri. Frank alzò la testa all’improvviso, perché Jamia era ferma alla porta d’entrata, pallida come un cadavere e con il viso sconvolto.
Frank si alzò di scatto e la raggiunse. “Che cosa è successo?” chiese in un sussurro preoccupato, che nel silenzio generale si udì benissimo. Jamia sussurrò qualcosa all’orecchio di Frank che non riuscimmo a sentire. Cominciammo a scambiarci sguardi preoccupati. Frank guardò Jamia con un misto di incertezza e incredulità. Scambiarono ancora qualche parola e poi tornarono da noi.
“Cos’è successo?” chiese Gerard.
Il labbro di Jamia tremò, e disse con voce flebile e acuta: “MJ ha fatto un’incidente in macchina”.
Quelle improbabili parole rimasero sospese nell’aria, e nessuno parlò, né emise un fiato. L’unica cosa che avvertivo con forza era un vento insistente e freddo che era entrato dalla finestra. Mi gelava le vene, e ghiacciava il sangue che vi scorreva dentro. Il mio cuore batteva sempre più forte, sempre più rumoroso e caldo.
Jamia continuò. “Hanno chiamato prima suo padre, che gli ha detto di avvisarti Ray, ma siccme a casa non c’eri hanno lasciato detto che eri qui”.
Scese ancora il silenzio. Poi mi arrabbiai: che cazzo voleva dire?! Mi alzai e mi avviai verso la cucina, prendendo il cellulare. Doveva esserci qualche grossa incomprensione. Non era possibile, tutto qui. Telefonai al cellulare di MJ ma era non raggiungibile. Riprovai, sempre più svelto e impaziente. Camminavo avanti e indietro per la cucina di Frank, e intravidi che gli altri si erano ammassati sulla porta per guardarmi.
Provai. Provai e riprovai. Ma era sempre spento.
Senza nemmeno capire che cosa facevo buttai il telefono a terra, in un moto di rabbia. Rabbia incontrollata! La sentivo bruciare, nel petto e nella pancia. Scioglieva il ghiaccio che si era formato nelle vene, e mi faceva scottare la testa e gli occhi.
Mi sedetti su una sedia e presi a respirare forte. Era come se avessi corso. Non riuscivo a capire neanche quello che era successo: era come una consapevolezza vaga ma insita in me, nel fondo dell’anima.
Era successo per davvero? Sembrava incredibile. Queste cose di solito accadono agli sconosciuti. A gente che vedi al telegiornale, ma anche volendo non riesci a provare più di un blando dispiacere, perché in fondo non conosci quelle persone. Sembra che queste cose accadano solo agli altri, per questo quando capita a uno di noi, o a noi stessi, tutto quanto è sempre surreale. E la realtà prende contorni imprecisi, e vaghi.
Solo un cosa mi era chiara in quel momento: stavo per scoppiare, e se non avessi fatto qualcosa sarei di sicuro morto o sarei impazzito.
Sentii che qualcuno si sedeva al mio fianco e mi abbracciava. Non so chi, non so se l’abbraccio fu lungo, fu caloroso, fu sincero. So solo che non risposi all’abbraccio, e quella persona si staccò da me. Gli riservai la stessa importanza che avrei potuto riservare ad una formica.
Ecco, quello era l’esempio lampante che Jamia diceva la verità: la gente tentava di consolarmi. MJ era morta. In un incidente d’auto. Non l’avrei mai più rivista, né il suo viso, né avrei respirato il suo odore, né avrei toccato la sua pelle liscia e morbida. Non avrei più potuto baciare la sua labbra dolci. Sentire la sua mano nella mia. Guardarla negli occhi. Non avremmo mai più parlato o riso, o guardato assieme a la tv la sera tardi. Non avrei più potuto ascoltare il suo respiro ritmico e rassicurante al mio fianco la notte, il respiro che mi cullava e mi faceva sentire bene.
Quello fu il momento in cui me ne convinsi.
E feci un respiro più profondo degli altri. Non riuscivo nemmeno a piangere.
Il resto della giornata è solo un ricordo nebuloso. Nei miei pensieri parlavo con MJ, le chiedevo com’era andata con suo padre e lei rispondeva sorridendo bene!, le chiedevo se si era ricordata del regalo che voleva fargli, perché lei si dimentica sempre tutto. Le proponevo di andare in vacanza assieme per le feste di Natale prima che iniziasse il tour, a Gennaio. Lei diceva di sì, e quindi c’eravamo noi, in macchina, che viaggiavamo senza méta. Quello era il suo tipo di vacanza ideale che desiderava fare da una vita, mi aveva detto una volta.
Mi resi conto solo molto tardi che non c’era nessuno con cui avevo parlato. Avevo parlato solo con me stesso per tutto quel tempo.
Senza sapere come ci ero arrivato mi ritrovai steso nel mio letto. Mi addormentai fra pensieri confusi e ricordi ancora più foschi. Ma non volevo dimenticare! Già il suo viso aveva dei contorni troppo vaghi, non ricordavo nemmeno con precisione quel curioso arricciamento del naso che faceva quando sorrideva di sbieco. La sua voce era sfuggevole, il suo profumo ancora di più. Mi dissi che non potevo assolutamente dimenticare.
I seguenti giorni furono come quello. Mi chiesero di andare ad identificare il corpo e, non so per quale sadico desiderio, ci andai. Ma quella che vidi non era MJ, era solo una sua brutta copia senz’anima e senza sguardo.
Sospetto che in quei giorni tutti cercassero di farmi fare il meno possibile. Tutti venivano a casa mia e probabilmente cercavamo di tirarci su il morale a vicenda, in un modo che poteva essere come minimo patetico, ma che pian piano funzionò.
Di lì a poco ricominciammo ad uscire tutti assieme. Però ogni posto dove andavamo mi faceva venire in mente MJ in una maniera impressionante. O forse non era il posto, forse ero io che che pensavo di continuo a lei e soltanto a lei.
Era passato quasi un mese ormai, e un pomeriggio Fank venne a farmi visita. Bussò alla porta e io gli aprii, senza nemmeno chiedere chi era.
“Ciao” mi disse con un vago sorriso sul volto.
“Ciao” dissi io, e mi ritrassi per farlo passare. Ci sedemmo sul divano e Frank cominciò a parlare di quella faccenda dei concerti, che dovevamo andare a cercare un gruppo spalla, che ci eravamo messi d’accordo con la casa discografica, eccetera. Io non lo stavo ascoltando nemmeno di striscio. Di tutto quello che diceva sentivo solo un ronzio insistente e fastidioso, come una zanzare che vola vicino alle tue orecchie di notte, mentre tu invece hai sonno e vuoi dormire.
“… io credo che dovremmo inziare a cercare, dovranno anche loro fare delle prove, no? Prima li troviamo meglio è, no?”.
“Eh? Si”.
“E poi anche …” altro ronzio. Ronzio, ronzio. “… a te che te ne pare?”.
“Cosa? Ah, certo” dissi io.
Attimo di pausa. “Ray?”.
“Si?” mi voltai verso Frank e un pugno formidabile mi arrivò dritto sul naso.
“Ahia! Ma che cazzo fai?” dissi con una mano premuta sul naso.
“Smettila di essere così …. così! Ti ho dato un pugno, si! E allora?! Te ne posso dare anche un altro!” gridò Frank mentre lo guardavo allibito. Mi si gettò addosso all’improvviso e cominciammo una lotta furiosa. Caddi sul pavimento, e fui presto seguito da Frank. Ci rotolammo utrando il tavolino di legno basso, facendo cadere dei libri e un posacenere. Annaspavamo in cerca d’aria, perché nessuno di noi era veramente convinto di quel che stava facendo.
Alla fine rimasi con un labbro spaccato, e Frank con un’occhio pesto. Restammo sfiniti distesi sul pavimento freddo, io con lo sguardo al soffitto, Frank a pancia in giù, con la faccia appiccicata alle piastrelle e deformata dal dolore.
Alla fine disse debolmente: “Allora? Ci vieni a sentirli con me?”.
“Quando?” chiesi quasi senza fiato.
“Stasera” biascicò.
“Si … si, va bene” dissi annuendo, con gli occhi spalancati e stravolti.




Si, si lo so, fustigatemi. Me lo merito (in parte). E' che è stato un periodo un po' sfigato XD
Prima internet è scomparso misteriosamente, e quando ha dato traccie di sé... mi spiace ragazze, u_u ma dovevo studiare per gli esami XD Allora, anche adesso in realtà dovrei ripassare (chi ha inventato questa storia delle tesine lo impiccherei, ci hanno fatto un testa così tutto l'anno!).
Domani ho l'orale.
Sono agitata. O.O
Spero che, in qualche modo, postare questo capitolo possa essere catartico. Insomma, non è uno dei capitoli più belli che si sono mai visti da queste parti (EFP è pieno di autori molto bravi ^^), però, insomma, magari potrà esorcizzare la mia agitazione :S
Spero che comunque vi abbia fatto piacere leggerlo, anche se, diamine!, siamo in estate, magari vorresti leggere qualcosa di divertente e carino, e io vi propino questa tristezza infinita. Povero Ray... Almeno, con gli amici, è sulla buona strada per riprendersi.
Grazie alle mie due recensitrici XD Eh, poche ma buone... Mi scuso infinitamente soprattutto con voi, che avete recensito con tanta pazienza XD
Un saluto a tutti! Ciao ciao! :)

P.S. Adesso che ho finito gli esami posterò più spesso, lo prometto ;) Ci vediamo al prossimo capitolo! Ciao ciao (di nuovo)!

P.P.S. Alle due recensitrici: mi sembra da idioti rispondere alle recensioni con tutto questo ritardo, quindi non lo farò, anche perchè probabilmente nemmeno ve le ricordate -.- Mi sento un po' babbea XD Però le ho lette e le ho apprezzate molto, grazie infinite ragazze! ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** A miserable goodbye ***


17. A Miserable goodbye

Di solito gli uomini, quando sono tristi, non fanno niente: si limitano a piangere della propria situazione. Ma quando si arrabbiano, allora sì che si danno da fare per cambiare le cose!
Malcom X

Gerard.
Non avevo avuto la forza di organizzare nulla, avevo lasciato fare tutto ad Alicia, che aveva molto più sangue freddo di noi tutti messi assieme.
Il funerale, era quello che temevo di più. Non avevo la forza di andarci: sembrava la prova inconfutabile che MJ non ci fosse più. Se ci fosse stata la cerimonia avrebbero messo il suo corpo in una una bara, sotto la terra fredda, e non sarebbe ritornata nemmeno se non ci avessi creduto per tutta la vita.
Ma Lyn continuava a ripetermelo: dovevo accettare questo fatto. Era morta, e nessuna delle mie suppliche, lamentele e lacrime l’avrebbero riportata in vita. Mi avrebbero reso solo ancor più triste e depresso. Pensavo che MJ, probabilmente, se fosse morto qualcuno avrebbe fatto qualcosa di degno per dirgli addio, come aveva fatto una volta con il suo pesce rosso di nome Hugo. Quel pesce riposa in pace.
Il giorno della funzione c’erano poche persone, proprio come speravo. Non erano in molti ad aver conosciuto MJ per come era davvero. Le uniche persone nuove che vidi erano il padre, il fratello con la fidanzata, un paio di amici dell’Accademia di Belle Arti e una ragazza che diceva di essere un’amica d’infanzia.
Come da programma il prete disse un sacco di cose inutili quando dovette parlare di MJ. Tanto per cominciare continuava a chiamarla Mary Jo, e poi diceva cose noiose, che sono sicuro ad MJ annoiavano. Forse ci guardava da qualche angolo remoto, ed era molto delusa da noi, perchè pensava che il suo funerale era una palla mortale. Però era necessario, almeno per suo padre e i suoi amici più conservatori. Fosse stato per me l’avrei cremata e avrei sparso le sue ceneri lungo il fiume, così che andassero al mare. Non sapevo se le piaceva il mare, in realtà. Forse le avrei sparse un po’ dappertutto, perché sono certo che a lei piaceva ogni cosa del mondo. A lei piaceva il mare, la montagna, la città, il lago, il deserto, le case, i quartieri tranquilli e i palchi dei concerti. Le piaceva il profumo dei fiori, una volta mi aveva detto che il suo preferito era il giglio. Le piaceva quando riusciva a vedere il tramonto, e quando poteva gridare senza che nessuno le dicesse nulla, senza essere sentita, come nei concerti o negli spazi sconfinati.
Venne il momento anche per noi di parlare, e Ray si alzò. Avevamo fatto un discorso tutti assieme che Ray  avrebbe dovuto leggere.
Faceva così:
Gerard conobbe MJ per primo, grazie ad una dolorosa caduta sul cemento davanti all’Accademia di Belle Arti. Ma gli sembrò subito un’incontro fortutito nonostante il livido che gli procurò, perché ebbe la possibilità di conoscere ed apprezzare i disegni di una talentuosa artista. E dopo poté anche conoscerla come persona, e scoprì che era una ragazza fantastica.
Anche Mikey la conobbe in modi non proprio eleganti, infatti perse le chiavi dell’appartamento, e restò tutta la notte assieme a lei perché non poteva rientrare a casa sua. Però giura che quella è stata una delle migliori notti della sua vita.
Frank e May Jo si sono lanciati in una piscina privata dopo essere entrati di soppiatto nella proprietà di un ricco signore. Da allora Frank vuole far costruire una piscina nella sua casa, e ogni volta che avrà voglia farà un tuffo, ha detto. Lo farà vestito, proprio come aveva fatto con MJ. Con lei si era schiarito le idee, ed era riuscito a liberarsi di tutto ciò che lo opprimeva. Dice che MJ riusciva  capirti e aveva una mente così libera che ogni altra cosa al confronto è conservatrice e di estrema destra. Ray sorrise e intravidi qualcun altro fare un sorrisino triste.
Secondo Bob, MJ è la migliore compagna che si può avere per fare uno scherzo a qualcuno, ed è una grande combattente con i cuscini. Dice che parlare con lei è facile anche se la conosci da poco, perché è una persona semplice e aperta. Inoltre hanno in comune una grande passione per gli orsetti gommosi.
Lyn la vorrebbe ringraziare per essersi … calata giù dalla finestra e aver comprato il test di gravidanza che le ha fatto scoprire il suo bellissimo bambino.
A quel punto Ray fece una pausa e deglutì. Era da settimane ormai, da quando era successo, che non era più lo stesso. Non aveva più voglia di fare nulla, anche se pareva che il momento peggiore fosse passato. Per ben due settimane si era chiuso in un semi silenzio, rispondeva solo a monosillabi, e non so in quale modo Frank lo aveva fatto svegliare dal torpore.
Non stava bene, certo che no. Come avrebbe potuto? Nessuno di noi stava bene. Però, forse potevamo uscire dal buco nero in cui eravamo finiti.
Ray alzò gli occhi dal foglio, e li fece scorrere lungo tutta la chiesa. Io … volevo solo dire che sono stato fortunato. MJ era una ragazza forte e decisa, non si tirava indietro di fronte  alle difficoltà ma cercava di affrontarle, a volte con qualche esitazione, ma ci provava sempre. Ed era davvero bellissima. Averla al mio fianco è stato … è stata una delle esperienze più belle e mi ha fatto sentire vivo.
MJ diceva sempre che sentirsi vivi è la cosa più importante, perché, Ray trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi un secondo, la vita, diceva, potrebbe finire da un momento all’altro. E siccome a noi non è dato sapere quando, allora dobbiamo approfittare di ogni secondo.
Conoscerla è stata una delle cose più belle che mi siano mai successe, e io non la dimenticherò mai. La sua voce si incrinò e Ray tornò a sedersi, la testa fra le mani.
Al mio fianco Lyn si asciugò una lacrima che le era scesa lungo la guancia e io le strinsi la mano più forte.
Il padre di Lyn e la sua amica d’infanzia, che si chiamava Christa, fecero un breve discorso. Ascoltai solo in modo molto vago, dopodiché la mia attenzione si soffermò sulla bara.
Era una veglia a bara aperta, ed MJ stava stesa sui cuscini morbidi con le mani incrociate sul petto. Le avevano messo un vestito nero, ma non credo che lei lo avrebbe mai indossato se fosse stata viva. Era troppo elegante per i suoi gusti. Però aveva sul viso un sorrisino vago, come se stesse ridendo intimamente di qualcosa di estremamente buffo. Forse rideva di noi, di come celebravamo la scomparsa. Piangevamo e ci vestivamo a lutto, mentre invece avremmo dovuto  ricordarla con allegria, perché lei non era moscia e triste come noi in quel momento.
Dopo la funzione seguimmo l’auto del funerale e arrivammo al cimitero, dove assistemmo all’ultima cerimonia. Seppellirono la bara e poi tutti se ne andarono. Ray scambiò qualche parola con il padre di MJ e con la sua amica Christa.
Io e Lyn ce ne tornammo a casa. Mentre eravamo fermi al semaforo nessuno di noi parlava, e mi venne da pensare: Che miserabile addio per una persona così formidabile!
Era stato miserabile per davvero. Una miseria rispetto a quel che lei ci aveva dato.
Ci pensai per ore intere dopo che fui tornato a casa. Era una cosa stupida, ma ero arrabbiato! Ero sul serio arrabbiato con tutti quanti! Quello non era per niente l’addio che MJ si meritava, era solo una squallida cerimonia! Non sapevamo fare niente altro per la persona più bella che avevamo mai conosciuto. Sapevamo solo disperarci e vestirci di nero, e scrivere un discorso, e stare il silenzio! Nulla di ciò che lei faceva di solito, nulla che le piacesse.
All’improvviso, senza sapere nemmeno dove stavo andando, dissi a Lyn: “Esco un attimo”.
Uscii, presi la macchina e, quasi automaticamente, mi diressi allo studio di registrazione. Una volta lì andai nella nostra stanza, e vidi che sparsi per il pavimento c’erano ancora tanti disegni di MJ. Prove, bozzetti, alcuni che avevamo anche utlizzato. Si erano amalgamati bene nel nostro disordine.
Li raccolsi uno a uno e, ancora senza una meta, risalii in macchina con i disegni. Mi fermai una volta fuori città, entrai in un bosco a piedi, con i disegni sotto mano, e camminai fino a non so dove. La paura di perdermi non mi sfiorò per un solo secondo. Nemmeno io sapevo cosa volevo fare.
All’improvviso scostai qualche ramo e mi trovai di fronte al fiume. Allora fu tutto chiaro.
Feci dei disegni un bel mucchio, poi presi un’accendino e quelli inziarono a fumare. Con un calcio li mandai dritti nel fiume, che scorreva placido. Era un fiume molto largo, e probabilmente il fuoco si sarebbe spento prima che i fogli toccassero una riva. Non avevo paura di appiccare un incendio.
E finiva così. Quello era il mio addio per MJ. I suoi disegni bruciati, le sue memorie svanite. Improvvisamente ebbi voglia di vedere Lyn. Mi precipitai in macchina qusi correndo e tornai a casa ad un velocità folle. Se anche io non ho fatto un incidente quel giorno è stato solo per un miracolo.
Non appena rientrai in casa andai di corsa verso Lyn e l’abbracciai. “Gerard! Ma cosa …?”. Non la feci neanche finire di parlare, la bloccai con un bacio e la tenni disperatamente stretta a me. Se anche lei se ne fosse andata non avevo più nulla per cui vivere. Quando mi fermai le sorrisi debolmente e, senza preavviso, la presi in braccio e la portai a letto.
Mi chinai sulla sua pancia, solo leggermente più tonda del normale. “Ciao piccolino, sono papà” dissi. Ormai parlavo abitualmene a mio figlio, o mia figlia: aspettavamo la sorpresa.
Lyn posò la sua mano sulla mia e la carezzò. “Adesso che siamo tornati fila in camera tua” disse scherzosamente.
“Siamo tornati”, dissi pensieroso, “Spero che tu non ti sia annoiato oggi. Il … il posto dove siamo stati era triste, lo so. Io credo … che tu saresti piaciuto molto ad MJ, e anche lei ti sarebbe piaciuta, sai?”.
“E’ stato grazie a lei che ci siamo conosciuti, ricordi?” disse Lyn.
“Infatti, questa mi è nuova” dissi alzando lo sguardo. “Perché mai si è calata giù da una finestra?”.
“Ah, tu sei sempre così ansioso! Era da un po’ che stavo male ma non ci avevo pensato neanche di striscio che ero incinta. E’ stata lei a farmici pensare”.
“Credevo che per queste cose ci fosse l’intuito femminile” osservai.
“Si vede che il mio era vacanza” disse Lyn alzando le spalle e facendo una smorfia. “Oh! Adesso potremmo avere l’intuito genitoriale. Ci hai pensato?”.
“E’ vero! A volte mia madre capiva quando avevo fatto qualocsa, ma io non dicevo mai nulla. Non ho idea di come facesse. Però alla fine la colpa se la prendeva sempre Mikey, almeno fin quando era piccolo” ricordai.
“Perché da piccolo?”.
“Perché quando ha imparato a parlare ha cominciato a difendersi verbalmente. E quando ha preso coscienza delle sue braccia ha cominciato a difendersi anche fisicamente”. Lyn rise e io la imitai.
Immagino sia così. La vita va sempre avanti.
Gli amici e i parenti ci abbandonano a volte, volenti o nolenti, ma abbiamo sempre qualcun altro su cui contare.
La mattina dopo avevo voglia di scrivere una canzone.
Probabilmente, e senza molta fantasia, la intitolerò Mary Jo. Ma che ci volete fare? Se è dedicata a lei …






Questo era un capitolo doveroso: il funerale. Non so, però, non mi pare che siano poi così tristi questi capitoli, però mi piacciono perchè ci sono diverse riflessioni da parte dei personaggi. Nei prossimi capitoli vedremo riflettere tutti quanti. Toccherà a Bob, poi a Mikey, poi a Frank, e infine l'ultimo capitolo (non vi dico dal punto di vista di chi uhuhhuhuh!)
Comunque, un grazie infinito a tutti quelli che hanno messo la fic tra preferiti o seguite, o storie da ricordare (mamma mia quante opzioni che ha adesso efp! XD), oltre che alle anime pie che recensiscono. Siete fantastiche *_*

jessromance: grazie mille per la recensione, e anche perchè sei stata tanto magnanima XD Spero che siano andati bene gli esami! :) Solo per curiosità, che cosa pensi di fare adesso? Io volevo iscrivermi all'università, facoltà di lettere moderne. E tu (ovviamente se hai voglia di dirmelo)? Comunque grazie ancora, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, e sono felice di non averti depressa con la morte di MJ, ho preferito che anche Gerard non fosse troppo depresso, ma piuttosto che liberasse anche lui i suoi sentimenti in un modo personale (come per Ray la scazzottata! XD). Al prossimo capitolo, ciao!

Un saluto a tutti quanti, ci vediamo al prossimo capitolo!
Patty

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** X-rated room ***


18. X-rated room

Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere.
Gandhi

Bob.
Era finalmente giunto il mio compleanno. Era il 31 Dicembre. Se non fosse stato per un piccolo particolare tutto andava alla perfezione: l’album vendeva, il tour sarebbe iniziato il 7 di Gennaio del prossimo anno, e io avevo invitato tutti a casa mia per una festa che, avevo preannunciato, sarebbe durata fino al mattino, per festeggiare degnamente il nuovo anno che veniva.
L’unico problema, l’unica cosa che mi dispiaceva veramente, era che MJ non avrebbe potuto partecipare alla mia festa. In verità non avrebbe potuto partecipare alla festa di nessuno. Già quella piccola amarezza si era presentata alla festa di Frank, che per di più era stata appena qualche tempo dopo. Il ricordo era ancora fresco.
Ma più di tanto cercai di non pensarci. Avevamo tutti, chi prima chi dopo, accettato la cosa. Solo ogni tanto avevo una fitta di rammarico che mi premeva il petto.
Alle dieci di sera cominciarono ad arrivare tutti gli invitati. Avevo ordinato un sacco di cibo take away e molto da bere, compresi tè, coca cola e acqua naturale, perché se Gerard sapeva che Lyn non poteva bere o mangiare quel che voleva quando lo voleva, sarebbe stato capace di andare a cercare un negozio aperto alle undici di sera l’ultimo dell’anno. Avevo festeggiato con i parenti tutto il giorno, ero andato a pranzo da mia madre e le avevo permesso di strapazzarmi bene, come piaceva a lei. Ma la sera era destinata agli amici, e nulla avrebbe potuto togliermi la soddisfazione di vedere Frank che ballava sul tavolo come l’anno prima.
Arrivarono diversi amici, fra cui anche Bert e Quinn, che avevo conosciuto quando facevo il tecnico del suono dei The Used, e dai quali non mi ero mai separato. Sapevo che Bert e Gerard avevano avuto qualche disaccordo, ma sperai che per quella sera avrebbero lasciato stare. A parte loro venne qualcuno della casa discografica e poi … i soliti, le coppie: Gerard e Lyn, Mikey e Alicia, e Frank e Jamia. Stranamente da solo, arrivò anche Ray. Era strano vederlo senza di lei, anche se non erano stati insieme poi molto. Però era diventato subito naturale vederli assieme, erano la coppia del secolo, la coppia perfetta, la coppia dell’anno; insomma tutto quello che vi viene in mente con le parole la coppia.
Quando tutti furono arrivati diverse persone mi consegnarono i regali, e pian piano si formò una piccola montagnola di carte sgargianti sul divano. Mi intimarono di aprirli e io eseguii. Erano regali molto belli e, devo credere, costosissimi. Io odiavo i regali costosi, mi sentivo quasi in colpa quando mi piacevano, e ancora di più quando non mi piacevano.
“Qualcuno sa che ore sono?” chiese Mikey improvvisamente. Si sentirono risuonare parecchie voci.
“E’ vero, che ore sono?”.
“Già? Hai l’ora?”.
Abbassai il volume dello stereo e, poggiando un bicchiere di vino, cercai il telecomando. Era appiattito sotto la schiena di Jamia, che nemmeno si era accorta di averlo fra le scapole. Accesi la tv e, in diretta, dal centro di New York, stavano mandando in onda lo speciale di Capodanno, come tutti gli anni. Per la strada c’era un sacco di gente, tutti avevano in mano il consueto bicchiere e guardavano all’orologio gigante che segnava le 11:41.
“Per un pelo!” esclamò Frank.
“Va bene, quando è mezzanotte il tuo compleanno finirà,” mi disse Ray, “quindi se vuoi un ultimo regalo devi dircelo adesso”.
“Un altro ancora?” chiesi ridendo.
“Dai, ci sarà qualcosa che vorrai o di cui hai bisogno?” mi stuzzicò Gerard.
Ci pensai su un secondo. “Voi mi avete già comprato qualcosa, non è vero?” domandai, sospettoso.
“Ah! Ma come cazzo hai fatto? Sei un fottuto indovino!” mi accusò Frank.
“Non è stato molto difficile!” esclamai ridendo.
“E’ giù in cantina” disse Gerard. E così ci avviammo alla cantina. Nascosta in un angolo, che probabilmente cercava di nascondersi dal casino, intravidi Milly, e le diedi una carezzina.
“Credo che questo regalo ti piacerà” disse Mikey guardandomi di sbieco e sorridendo. Una volta raggiunta la cantina Frank mise la mano sulla porta, poi si voltò a guardarmi.
“Chiudi gli occhi” disse Ray.
“Okay” dissi. E strizzai forte gli occhi. “Vai, non posso vedere nulla”.
Aprirono la porta e qualcuno, prendendomi per le spalle, mi guidò alla cantina. “Attento al gradino”.
“Conosco casa mia!” protestai.
“Scusa” disse qualcuno che riconobbi come Frank. “Ecco qua! Apri!”.
Aprii gli occhi e, davanti a me, c’era una bellissima batteria. Ma non era una batteria normale, sopra il tamburo c’era scritto: La batteria dei Gatti di Bob. E il suo nome se l’era davvero guadagnato. Dappertutto, sparsi fra i vari pezzi della batteria, c’erano disegni di gatti stilizzati o molto realistici. C’erano diverse scritte recanti la parola miao e le bacchette avevano una fodera di pelo.
“Non sarà un gatto?!” esclamai terrorizzato prendendo in mano le bacchette.
“No, però sembra” disse Ray. “E’ sintetico”.
Mi misi a ridere nel vedere quella bizzarra batteria! Era in un certo senso ridicola e faceva davvero impressione per quanto era brutta, ma era un bel pensiero e, soprattutto, aveva il doppio pedale. Io adoro suonare con il doppio pedale.
“Grazie!” esclamai rivolto a tutti. Feci un giro di prova con le nuove bacchette, e mi esibii in un assolo di batteria.
Frank alzò le braccia ed esultò ed alzò le braccia. “Bob Bryar solo!”
Una voce ci raggiunse dalla porta, e scorgemmo Quinn che ci avvisava di salire perché fra poco iniziava il conto alla rovescia.
“Hey che batteria assurda!” disse poi quando ebbe visto il mio regalo.
“Hai visto?” gli dissi sorridendo soddisfatto. “E’ il mio regalo-sorpresa”.
“Ah si?” disse lui guardandola accigliato.
Quando fummo di sopra aspettammo un pochino, poi cominciò il conto alla rovescia dal dieci.
10! In fondo era la tradizione, ma davvero non so perché mai facessimo tutto qual baccano. 9! Tanto più che la mezzanotte era solo una formalità e per il vero nuovo anno ci volevano altre quattro ore. 8! Chissà, forse l’orologio gigante era pure in anticipo. 7! E chissà perché tutti pensavano che con il nuovo anno le cose sarebbero cambiate. 6! Le cose cambiano quando lo decidi tu. 5! Anche se è bello pensare che si così facile far cambiare qualcosa nella propria vita.
4! Chissà se Milly festeggia il Capodanno. 3! Potrei cambiare giusto qualcosina, tanto per attenermi alla tradizione, anche se non so cosa. 2! Cambiamento, cambiamento, cambiamento. 1! Argh! I buoni propositi per l’anno nuovo! Non farò mai in tempo a farli!
Zero!
No!
“Auguri!” un ruggito colossale e unanime esplose nel mio salotto. Più di trenta persone cominciarono a saltare e abbracciarsi. Qualcuno stappò lo champagne e cominciò a versarlo nei bicchieri e un po’ sulle mani della gente.
Qualcuno disse: “Usciamo!” e tutti seguimmo la voce. Fuori per le strade era tutto uno scoppiare di petardi e un correre di qua e di là. Riconobbi alcuni vicini che mi fecero gli auguri, non so se per gli anni o per il capodanno. Eravamo fuori da un po’ a bere e a far scoppiare petardi giganteschi che potevano benissimo essere fuochi d’artificio.
All’improvviso Frank gridò: “Devo andare in bagno!” quasi piangendo.
“Frank! Sei ancora ubriaco!” lo rimproverò Ray.
“Non preoccupatevi, so io come fargliela passare” disse Jamia. Lo prese per il colletto e lo attirò a sé, baciandolo con passione.
Quando si staccò Frank pareva più calmo, però sibilò ancora: “Però io devo davvero andare in bagno amore!”
“Dai Frank, ti ci accompagno”. Lo presi per un braccio e lo portai su per la scale. Anche io ero un po’ brillo, ma non ancora del tutto fuori. Lo buttai dentro al bagno e mi misi ad aspettare. Decisi che stare in piedi non era salutare per me,  con tutta la birra che avevo già bevuto, così accesi la luce del corridoio e feci per andare in camera a sedermi sul letto.
Stavo cercando a tentoni l’interruttore della stanza quando vidi qualcosa muoversi nell’ombra. Me la feci quasi nei pantaloni dallo spavento, pensai subito che avevamo lasciato la porta di casa aperta quando eravamo usciti in massa, e accesi subito la luce. Mi guardai bene attorno ma non c’era nessuno. Il mio sguardo si posò sul letto, e scoprii che sopra c’era un foglio arrotolato e legato con un nastrino nero. Lo presi e lo slegai.
Era un disegno. Un disegno molto bello che, per esperienza, riconobbi come un lavoro di MJ. Rimasi basito a fissarlo per un secondo. In basso a destra c’era anche la firma. A quel punto mi arrabbiai, pensando che forse era un brutto scherzo di qualcuno.
Ma fu allora che la sentii, come a dirmi di non arrabbiarmi con nessuno. Sentii la sua voce. “Buon compleanno Bob”. Alzai lo sguardo e, in piedi in un angolo, vidi MJ. Mi sorrideva serena e quando la guardai lei scoprì i denti candidi in un sorriso. Ebbi un sobbalzo, e chiusi gli occhi per un centesimo di secondo. Quando li riaprii lei non c’era più.
La mia prima reazione fu di spaventarmi a morte, e uscii di corsa dalla stanza, chiudendomi forte la porta alle spalle. Ansimavo dalla paura e tremavo d’incredulità. Quella stanza era vietata ai minori da quella sera! No, ma che dico? Io sono maggiorenne, per la miseria! Sarà l’abitudine. Quella stanza è vietata e basta!
Mi voltai e poggiai la schiena sulla porta, come a voler tenerla chiusa. Osservai il disegno. Mi resi conto solo allora che quello ero io. Era una mia fedele riproduzione, e cazzo se mi somigliava! Sembrava quasi una foto. Sorrisi, quasi senza volerlo, e intimamente pensai: grazie.
“Bob!” in quel momento Frank uscì dal bagno. “Che cos’è quello?” mi chiese indicando il foglio che avevo in mano.
“Nulla” dissi io. Aprii velocemente la porta della mia stanza e vi lanciai dentro il disegno, sperando che cadesse sul letto. Non potei fare a meno di dare una sbirciatina dentro, da una parte sperando di rivedere MJ, dall’altra con il terrore di scorgere il suo viso. Ma non vidi nulla. “Dai andiamo giù” dissi avvicinandomi a Frank.
“Giusto!” esclamò lui confuso. “Altrimenti il Capodanno passa e noi non lo vediamo più fino all’anno … prossimo”.
“Infatti” dissi ridacchiando.
Non raccontai mai a nessuno quel che era successo, ma da quel giorno smisero di venirmi quelle fitte di dolore al petto ogni volta che pensavo ad MJ. Perché probabilmente stava molto meglio di noi, in un posto che le piaceva, e non avrebbe mai voluto che noi fossimo tristi per lei.







Eccomi qui! Puntuale, come promesso ^^
Allora, ci tengo a precisare che, sinceramente, faccio fatica a credere nei fantasmi. Oddio, si, credo che ci sia qualcosa, ma anche se ci fosse credo che gli angeli, i diavoli o gli spiriti non verrebbero a trovare proprio noi. Insomma, avranno di meglio da fare, credo, o no? Comunque, è solo un punto di vista.
Però anche se non ci credo mi è piciuto inserire questo capitolo, tanto per dare qualcosa di sovrannaturale alla storia. Attenzione, vorrei anche dire che non per forza deve essere interpretato come un'apparizione divina o qualcosa del genere. E' qualcosa di strano, ma ognuno la può vedere come vuole. Insomma, Bob era ubriaco! XD C'è il disegno, questo si, ma si fa in fretta a trovare una spiegazione. Ad esempio MJ l'aveva fatto tanto tempo fa in un raptus di ispirazione, e Ray, che lo aveva trovato, aveva deciso di lasciarlo da Bob. Non, so, cose del genere. Insomma, interpretatelo come volete, i lettori siete voi :)

jessromance: ciao! sono felice che il capitolo ti sia piaciuto, così come spero che questo non sia troppo strano per i tuoi gusti XD
Gli esami sono andati bene (78, non me lo aspettavo O.O), e proprio ieri sono andata a sentire per l'università. Oddeo mi sembra così strano adesso lasciare tutti i miei compagni e la scuola dell'obbligo che, in fondo, diciamo che ti protegge e ti aiuta molto rispetto all'università, dove hai più libertà ma anche responsabilità. B'è spero che tu riesca a trovare presto lavoro, ma spero anche che ti goda l'estate! :) Dopo ben cinque anni di scuola direi che te lo meriti! XD
Per quanto riguarda il capitolo sarei curiosa di sapere la tua interpretazione sugli angeli, gli spiriti e cose del genere. E' un argomento su cui si potrebbe parlare per delle ore! XD
Comunque, grazie mille per la recensione, al prossimo capitolo! ^^

Vi annuncio che il nel prossimo capitolo la parola chiave sarà Harlequin. Non sapete quanto tempo mi sono scervellata per trovare qualcosa legato alla parola da inserire nella storia, quindi, vi prego, leggete! XD
Al prossimo capitolo, un bacio e un grazie a tutti i lettori!
Patty

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** The Harlequin girl ***


19. The Harlequin girl

Ci vuole più coraggio per dimenticare che per ricordare.
SØren Kierkegaard

Mikey.
E’ sempre appagante sentire la gente che ti acclama. Si, lo so, faccio un po’ pena se mi appago a sentirli urlare il mio nome in cinquecento o più, ma sul serio: ti fa sentire felice di quello che fai. Ti fa sentire come se stessi dando felicità a quelle persone. E in effetti è così. Non lo dico per un esagerato senso di egocentrismo, ma perché mi ricordo di quand’ero anch’io adolescente. Dico sul serio, quando vedevo un gruppo sul palco ero, ovviamente, felicissimo di vederli. Quasi in estasi. E non importava aver fatto la fila dal mattino presto, non riuscivo ad essere stanco, ero pieno fino ai capelli di adrenalina.
Quindi, come dicevo, sentirli gridare in coro My chemical romance è bellissimo ogni volta. E’ sempre un po’ pauroso, io ho paura ogni volta che dobbiamo far un concerto, penso sempre di non essere alla loro altezza. Sento di dovergli qualcosa. E non solo perché grazie a loro guadagno tanto o posso girare il mondo. Ma perché loro ascoltano la nostra musica, sentono fin nella pelle quello che abbiamo da dire. Loro ci ascoltano davvero.
Sarà un pensiero stupido e anche un pelo egocentrico, ma penso che i nostri fan siano i migliori del mondo. Non ci sono fan come i nostri. Sono fantastici.
La band di apertura era stata magnifica. L’avevamo scoperta circa un mese e mezzo prima di partire, si chiamavano Where’s Fluffy?, e facevano il rock più puro che avessi mai sentito. Frank dice sempre che la nostra band ha preso gli stereotipi del rock e, musicalmente parlando, li ha stravolti. Ma i Fluffy dimostrano che anche il rock tradizionale può essere in qualche modo nuovo. Fanno rock pesante a modo loro, in questo sono totalmente diversi da noi. Noi abbiamo gli screamer, loro hanno un cantante da spavento. Somigliano ai Guns’n’roses, però più moderni.
B’è, comunque sia. Il concerto durò un bel po’. Quando entrammo la gente aveva iniziato a saltare e a gridare. Subito, non appena fummo entrati, Ray attaccò con la prima canzone. Avevamo deciso così. Dopo di quella Gerard salutò tutti e, non appena ebbe finito di fare i complimenti al pubblico, intonammo un’altra canzone.
Alla decima canzone uscimmo senza preavviso. La verità era che eravamo stanchi morti e sudati come lottatori di sumo. Inizialmente tutti protestarono, ma prendemmo un sorso d’acqua, ci demmo una sciacquata e poi rientrammo correndo.
Appena prima di uscire Ray mi rivolse un’occhiata e alzò le sopracciglia con un sorriso. “Hai sentito che roba?” mi chiese facendomi segno con il pollice verso il palco.
“Si. E’ pienissimo” dissi quasi incredulo.
“Eh? Visto?” disse Frank posando una bottiglietta d’acqua che aveva finito in due secondi e tornando sul palco. Lui e Gerard furono accolti da grida quasi disperate, poi entrò Bob e alla fine Ray ed io.
Ricominciammo con la seconda parte del concerto. Di solito non guardo molto il pubblico, perché mi viene un po’ d’ansia, e guardarlo non può che farla peggiorare. Ma quella sera lo feci molte volte, feci passare lo sguardo su tutto lo stadio che avevamo riempito.
E così diedi un’occhiata alle prime file. Quella era la nostra prima tappa, e tempo fa MJ ci aveva detto che, siccome era abbastanza vicino a casa sua, sarebbe venuta. Le avevamo detto che poteva stare davanti assieme agli addetti della sicurezza, ma lei ci aveva risposto che voleva fare la fila come tutti fin dal mattino, che sarebbe stato più emozionante.
Ed eccomi lì, ecco cosa stavo realmente facendo, senza nemmeno rendermene conto. La cercavo con lo sguardo. La cercavo, e lo facevo quasi disperatamente.
Quando il concerto finì rientrammo e ci demmo una pulita, una rinfrescata. Suonare era stancante in una maniera assurda. Sapevo che dopo il concerto dovevamo vedere tre o quattro ragazzi che avevano vinto un concorso per incontrarci.
Dopo circa un venti minuti vennero al camerino. Erano due ragazze e un ragazzo. Di solito erano solo ragazze, mi sembra strano ma attiriamo il pubblico femminile più disparato, di tutte le età e di tutti i tipi. Non credo che siamo una bellezza, insomma, esistono sicuramente ragazzi più belli. A volte mi chiedo che cosa direbbero di me le stesse ragazze se, al posto di un basso, lavorassi con in mano un computer o qualcosa del genere. Non mi guarderebbero neanche. Comunque, non era il ragazzo che mi colpiva, era una delle ragazze. Era bionda e i suoi capelli ricadevano flosci, probabilmente a causa della giornata stancante, ma la cosa più insolita era il suo abito. Portava un completo da pagliaccio, più precisamente da arlecchino. Si avvicinarono a noi raggianti e le ragazze ci abbracciarono a turno, il ragazzo ci strinse la mano con un sorriso caloroso.
Ad un tratto non resistetti, e dovetti chiederglielo: “Perché sei vestita così?”.
“Ah! E’ una lunga storia” disse alzando gli occhi al cielo.
“Le hanno buttato addosso un secchio di vernice” sputò la sua amica.
“Ah!” esclamammo tutti. “E chi è stato?” chiese Frank.
“Non lo so. Se lo sapessi gli strapperei le palle” disse lei con fare minaccioso. “Stavo venendo qua ed è passato questo tipo in macchina che mi ha lanciato quella schifezza dal finestrino. Quindi sono andata in un bagno pubblico a cambiarmi. Questo” strattonò il suo vestito da arlecchino “ce l’avevo perché ieri ho fatto da intrattenitrice ad una festa per bambini. Un compleanno. E per fortuna c’e l’avevo ancora nella borsa oggi”.
“Di che colore era la vernice?” chiese Ray.
“Verde acido” disse il ragazzo. “Dovresti averne ancora un alone qui” disse spostando il colletto della ragazza.
“Si?” chiese lei. In effetti aveva un vago colorito verde. “Non importa” disse poi.
“Giusto, ci sono cose peggiori nella vita” disse Gerard.
“Infatti” disse l’amica. “B’è … comunque sia siete stati fantastici, davvero. Non mi aspettavo che il concerto durasse così tanto, è stato lunghissimo”.
“E’ vero” convenne il ragazzo spalancando gli occhi. “Quant’è stato? tre ore? E la band di apertura?”.
“In effetti credo che sia uno dei più lunghi che abbiamo mai fatto” disse Bob guardandomi interrogativo.
“Si, credo di si. Di solito durano un ora e quaranta … più o meno. Adesso sono già le undici e mezza”.
La ragazza arlecchino cominciò a frugare nella borsa. “Ho portato … una cosa da farvi firmare. Non crediate che v’incontro e vi lascio andare così”. Dalla borsa prese il libretto tutto stropicciato di Three cheers for sweet revenge. “E’ il mio preferito” disse passandocelo.
Lo firmammo tutti, e poi autografammo anche altre cose per l’amica e il ragazzo. Quando finimmo tutti e tre rimisero a posto le loro cose quasi con venerazione. “Sapete … se non fosse che probabilmente ci fermerebbero cercherei di portarmi via da qui praticamente tutto. Anche voi” disse l’amica del clown, al che noi ridemmo.
“Ci appenderesti come poster?” chiese Ray.
“Credo di si” disse annuendo solennemente.
“B’è ad esempio qui ci sono” cominciò l’arlecchino, “le vostre bottiglie vuote dalla quali avete bevuto. E anche” si guardò attorno, “l’ x-box con la quale avete giocato” disse con fare reverenziale, poi si mise a ridere.
“Io quella me la prenderei” disse il ragazzo. Ancora più risate.
Erano simpatici. Diversi da altri fan, gli altri di solito ci saltavano addosso e ci facevano regali a volte. Volevano autografi e foto. Questi ragazzi chiesero un’unica foto che scattò il macchinista di noi tutti assieme, e poi ci salutarono gentilmente e se ne andarono.
“Chissà chi è che lancia addosso alla gente robe di colore verde acido” disse Frank quando furono usciti.
“Qualche stronzo immagino” disse Ray.
“Si, però che stronzata. Non è tossica quella roba?” chiese Bob.
“Credo di si” risposi. “Ma dipende, ci sono anche i colori non tossici”.
“Tossico o non tossico resta comunque da bastardi” disse Gerard mentre ci avviavamo fuori dall’uscita secondaria, dove c’erano due macchine ad aspettarci.
Fuori c’erano alcuni fan che avevano scoperto la macchina e che ci inseguirono, ma siccome Ted scoraggiava quei comportamenti non ci fermavamo mai a parlare con loro. Stavamo andando per le stradine più buie, quando ad un tratto la macchina davanti, con su Frank e Ray, ci suonò il clacson e si fermò. La imitammo, e poco più la c’erano la ragazza arlecchino e il suo amico dai capelli rasta che facevano l’autostop svogliatamente.
Vidi Frank sporgersi e lo sentii chiedere: “Che ci fate qui?”.
“Hey ciao. Hm … niente di che. Torniamo a casa” disse la ragazza con un’alzata di spalle.
“Stavate facendo l’autostop?” chiese Gerard aprendo la portiera e uscendo dall’auto.
“Si, ma tanto non ci prende su mai nessuno”.
“Volete un passaggio? Dove abitate?” chiese Frank.
“Ah, non lontano. Vicino al centro” disse la ragazza.
“E tu?” chiese Frank al ragazzo.
“Io stasera vado a casa sua” disse indicando l’amica.
Frank sparì nell’auto e poi rispuntò fuori. “Entrate” disse ai due.
Noi eravamo già al completo, ma seguivamo la macchina davanti a noi. “Non ti sembra strano che due ragazzi facciano l’autostop a mezzanotte così tanto per?” chiese all’improvviso Gerard.
“Perché?” chiese Bob, che era con noi. In effetti fare l’autostop con la sicurezza che non servirà a nulla è un’emerita stronzata, ma mi fece ricordare qualcuno, purtroppo non era un ricordo preciso, più che altro una consapevolezza che qualcuno che conoscevo lo avrebbe fatto senza problemi.
“Non lo so, mi sembra strano” disse Gerard. Restammo un po’ in silenzio. “Credo che si ufficiale: sto diventando vecchio”, disse con tono diplomatico. Poi, abbandonando tutta la diplomazia: “Cazzo!”. E io e Bob scoppiammo a ridere.
Guardai fuori dal finestrino. Nel cielo non c’erano stelle. Forse, qualche tempo prima, mi sarei rammaricato a quel pensiero, ricordando la memorabile serata passata assieme ad MJ, ma allora non mi venne in mente.
Con il senno di poi posso dire che furono quelli gli attimi … in cui cominciai a farmene una ragione. Anche se non la ricordavamo con la nostra mente, che pian piano cominciava a dimenticarla, nella nostra anima lei avrebbe sempre avuto un posto privilegiato. Anche volendo, la sua memoria non sarebbe mai svanita, sarebbe sempre rimasta nel profondo di noi.
Lei non era morta.





Allora, il nome del gruppo spalla Where's Fluffy?, non è di mia invenzione, precisiamo. L'ho preso da un libro dei due autori americani Rachel Cohn e David Levithan, Tutto accadde in una notte. Non è un gruppo vero, è stato inventato da i due scrittori, ma la trama del libro ruota attorno alla ricerca di questa band da parte di due ragazzi, che passano tutta la notte in giro per la città alla ricerca dei Where's Fluffy? E' un libro molto carino, ve lo consiglio, gli ho voluto rendere omaggio.
Il prossimo capitolo, dal punto di vista di Frank, sarà il penultimo, poi, noterete che i membri della band sono finiti, quindi cercate di indovinare di chi sarà il prossimo point of view! :)

jessromance: hai lasciato una recensione lunghissima! O.O Non è insensata, o almeno non del tutto XD Il titolo del capitolo è dedicato a te (anche se in realtà era già programmato da prima, comunque, vedi che coincidenza! :D ), mia fedele recensititrice! La batteria-gatto è stata un idea che mi è venuta dopo aver visto una foto di Bob con un quaderno in mano che si chiamava Bob's cat book o una cosa del genere XD Immaginarla dev'essere terrificante! Mi è piaciuto inserire Quinn *.* a quattordici anni avevo una cotta per lui! XD Comunque, basta con queste affermazioni compromettenti! Spero che gli esami siano andati bene :) Nel caso tu parta prima che posti il prossimo capitolo e non riesca a leggere, non ti preoccupare, ti auguro buone vacanze! ^^ Ciao!

Un grazie alle persone che leggono, immagino che, anche se non date un parere, dato che avete la storia fra Preferiti e cose varie, non sia poi così malaccio! XD Al prossimo capitolo, ciao ciao a tutti!

Patty

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** An innocent idea ***


20.An Innocent idea

C’è una cosa più forte di tutti gli eserciti del mondo, questa è un’idea il cui momento è ormai giunto.
Victor Hugo

Frank.
Chiusi la chiamata. Avevo parlato per quasi un’ora credo, ma dopotutto ero giustificato: era Jamia. Come diverse altre volte stava gestendo praticamente da sola la Skeletron crew, ma era comunque una bravissima amministratrice.
Quel giorno avremmo fatto un altro concerto, erano passati circa quattro mesi dal primo, e avevamo già fatto tutto il nord e il sud America. Eravamo in Europa. Avevamo suonato in Inghilterra, Italia, Germania, Belgio, Russia, Svizzera, Paesi Bassi e Grecia, e avremmo fatto due tappe in Francia. Il giorno prima a Parigi e quella sera nella zona della Provenza. Era un bel posto, davvero. Pensai che avrei voluto portarci Jamia, magari in vacanza.
Il concerto fu bellissimo. Mi stancai a morte, ma i ragazzi francesi erano davvero dei grandi. Avrei dato un bacio a tutti se non fossero stati così tanti. Era bello essere lì in quel momento.
Dopo il concerto andammo a mangiare, perché avevamo mangiato poco a cena e avevamo una fame cane. Andammo in una pizzeria piccola, ma piena di persone. La mia teoria è che se c’è tanta gente allora il posto è buono, per forza! E’ una questione di logica, anche se Gerard non mi crede.
Avevamo appena ordinato che mi alzai. “Devo andare in bagno” dissi.  Una volta lì mi fermai davanti al lavandino e mi guardai un po’, facevo spavento: era l’effetto del tour. Stanco morto ogni sera, energie zero se non per le due concerto. Ad un tratto vidi una ragazzina che infilava la testa dentro al bagno.
Le sorrisi e dissi in Inglese: “Questo è il bagno degli uomini”.
Lei, diventando rossa all’improvviso, entrò e disse con uno strano accento e con la erre moscia: “Scusami, è che volevo chiederti una cosa”. Doveva avere si e no quattordici anni.
“Si?”.
“Tu sei uno dei My chemical romance?”.
“Si, sono Frank” dissi tendendole la mano.
“Piacere, io sono Sophie” disse stringendola mollemente. “So che avete fatto un concerto questa sera, ma i miei genitori non mi hanno fatta venire”.
“Ne faremo altri, non preoccuparti” le dissi.
“Lo spero. Mi piace molto il vostro nuovo album, è bello. Anche la copertina è bella e i disegni che ci sono dentro sono fatti benissimo” disse lei con un sorriso a trentadue denti e due fossette sulle guancie.
“Li ha fatti un’artista di grande talento” dissi io con nostalgia.
“B’è … è stato un piacere averti incontrato Frank” disse. E, veloce com’era apparsa, scomparve.
Io tornai dagli altri, rimuginando per i fatti miei. Ci pensai molto nei giorni che seguirono, soprattutto quando fummo sul volo che ci avrebbe riportato a casa: moltissime persone ci avevano detto che i disegni di quell’album erano molto belli. Più belli di The black parade, migliori di molti album di altri artisti che erano usciti nello stesso anno. Alcuni avevano anche notato che i disegni che avevamo utilizzato per il primo video promozionale erano dello stesso tipo di quelli dell’album, e molti avevano ipotizzato che si trattasse dello stesso autore.
Mi venne però da pensare che l’unica cosa che c’era scritta sull’album era il nome di MJ. Tutto qui. Ma la verità era che lei aveva fatto molto di più per quell’album.
Non ne parlavamo mai, soprattutto con Ray, ma tutti sapevamo che conoscere MJ ci aveva segnato. Lei era una persona così speciale che non potevi conoscerla senza essere affascinato da lei, senza essere contagiato da quel suo perenne ottimismo, dal suo modo di essere. Tutti avevamo tratto qualcosa di speciale da lei, nonostante lei stessa fosse piena zeppa di difetti e di problemi, come tutti del resto.
Ma non le avevamo dato nulla in cambio.
Non appena fummo tornati a casa la prima cosa che feci fu di andare da Jamia, e insieme passamo una serata memorabile. Il giorno dopo mi svegliai tardi, da solo nel letto. Quando Jamia mi vide sveglio, dopo aver messo la testa dentro alla camera da letto, mi disse di scendere per la colazione.
“Ti ho preparato la cioccalata” disse.
“Davvero?” e mi catapultai giù dal letto.
“Anche se è davvero un po’ tardi per berla” disse, ma prima che potesse dire altro io ero già in cucina. Credo di esserne dipendente: la cioccolata è la mia droga.
Bevvi un lungo sorso di cioccolata calda. “Ah! Buonissima!” esclamai.
“Oggi devo andare alla Skeletron per incontrare George Westings, ti ricordi di lui?” mi disse Jamia versando dello zucchero nel tè.
“Lo scrittore?” chiesi.
Da un paio di mesi avevamo deciso di pubblicare libri con il marchio della Skeletron crew, e l’idea stava facendo successo, considerato che avevamo già tre possibili autori e che il progetto era nato un mese fa. L’idea era stata di Jamia, diceva che durante il tour lei si annoiava quando era a casa da sola e leggeva un sacco, così aveva proposto l’idea agli altri.
“Vuoi venire anche tu?”.
“No, devo parlare con Brian di una cosa” dissi. E infatti uscii e chiamai gli altri mentre ero in macchina. Diedi loro appuntamento allo studio e chiamai anche Brian.
Non appena fummo tutti lì dissi loro la mia idea. Ne furono entusiasti, ma Brian ci sbatté in faccia la realtà, come sempre era lui che vedeva il lato pratico delle cose. Era un ottimo manager.
“Io sono d’accordo ragazzi però, lo sapete, non sono io a decidere. Per fare una cosa così ci vuole del tempo e dei soldi anche”.
“Sarà un’edizione limitata!” esclamò Gerard. “E se servono dei soldi ce li posso mettere io”.
“Si, io pure!” disse Ray con enfasi. “Credo che a nessuno di noi dia fastidio dare un po’ di soldi per questo, no?”.
Ci guardammo tutti e annuimmo. Brian ci pensò su un’attimo, lo sguardo perso nel vuoto. “Vado a parlarne con quelli che decidono. Sapete che è tutto grazie a loro”.
“Seh” disse Bob. “Buona fortuna”.
Brian si alzò, e noi rimanemmo a rimuginare. Ad un tratto chiesi: “Ma vi pare sul serio una buona idea?”.
“Certo!” disse Mikey sicurissimo. “E’ forse l’unica cosa su cui non ho obiezioni” disse ridendo.
“Si, infatti. Se è d’accordo lui vuol dire che è un’idea fantastica”.
“Quando l’ho detto a Brian ho pensato che mi avrebbe ucciso. Avete visto la faccia che ha fatto? In fondo è un’idea innocente. Non è proprio detto che si realizzi” dissi.
“Se il problema sono i soldi, comunque, io ce li metto volentieri. Se lo merita” disse Bob. “Dovremmo fare un’altra copertina”.
“Abbiamo ancora tantissimi dei disegni di MJ nel computer, nonostantene ne manchino alcuni” disse Mikey rivolgendo uno sguardo acido verso suo fratello. “Non ci vorrà niente a sceglierne altri, ce ne sono talmente tanti”.
“So già cosa sarà la copertina” disse Gerard. Tutti lo guardammo. “Sarà il disegno che mi ha regalato, quello della donna solitaria”.
“Non l’ho mai visto” disse Ray.
“Io sì” disse Mikey. “E’ bello. Mi piace come copertina”.
“Potremmo anche mettere una foto alla fine” proposi.
“Sarebbe più bello un’autoritratto, ma non saprei se ne ha” fece Gerard.
Intervenne Ray: “Credo di avere ancora qualche disegno in casa. Posso controllare quando torno”.
“Va bene. Allora … nuova coperina ce l’abbiamo,” ricapitolò Mikey, “abbiamo probabilmente un disegno o una foto da mettere alla fine, abbiamo un sacco di disegni per le altre pagine del libretto … manca qualcosa?”.
“Dovremmo scrivere qualcosa” disse Bob.
“Giusto” dissi io. “Faremo come al solito una pagina con i ringraziamenti e poi un’altra dopo la foto”.
In quel momento arrivò Brian, che ci guardò con un gran sorriso. “Perfetto!” esclamò Ray saltando in piedi. “Vado in casa a vedere se trovo il ritratto, o al limite una foto”.
“Ti aspettiamo. Non ci mettere tanto!” gli gridai dietro.
Ero contento che la mia idea fosse stata accolta. Sarebbe stato magnifico.





Salve a tutti! ^^
Questo capitolo è molto corto, lo so, e a dirla tutta nemmeno troppo bello :S Spero solo di avervi messo un po' di curiosità addosso per il prossimo e ultimo capitolo :)
Un grazie a tutti coloro che leggono la storia, sapere che siete lì anche se non lasciate una recensione mi fa molto felice :)

jessromance: ciao! Oddio anche io vorrei trovare uno uguale a Quinn! XD Mi spiace ma hai sbagliato, il punto di vista del prossimo capitolo non è di Ray, perchè il suo è già venuto (subito dopo la morte di MJ, il capitolo che s'intitolava My beautiful creature is gone). Spero che tu stia passando buone vacanze! Un bacio ^^
P.S. Complimenti per gli esami :)

ioamolacocacola: ciao! :D Spero che questo capitolo da parte di Frank ti sia piaciuto, anche se è un po' corto :S Oddio adesso che so che lo aspettavi sono curiosa di sapere cosa ne pensi! O.O Sono contenta che gli aforismi ti piacciano, cercarli è stato divertente, e in alcuni casi faticoso! XD Eh, ho già spiegato perchè non ho postato per un po'. Si, probabilmente nemmno io guardaerei più gli aggiornamenti se qualcuno si fermasse così tanto! XD B'è, grazie mille della recensione, ciao :)

Patty

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** My Chemical Romance ***


21.My chemical romance

La musica è un genere di arte perfetto, perché non può mai rivelare il suo segreto più nascosto.
Oscar Wilde

Roma, ore 15:27
“Che fortuna però: adesso puoi comprare l’edizione limitata”, mi disse Giulia. “Se chiedo a mia madre altri soldi per quella mi da un calcio in culo”.
“Immagino” risposi ridendo. La mamma di Giulia era donna molto severa, e non vedeva di buon occhio il genere musicale che ascoltava sua figlia.
Comunque, avevo ordinato circa una settimana prima l’edizione limitata del nuovo album dei My chemical romance, e stavo andando a ritirarla assieme a Giulia. Era il nostro gruppo preferito, passavamo un sacco di pomeriggi assieme e mettevamo i loro cd, che continuavano ad andare mentre noi facevamo… b’è veramente non facevamo mai nulla!
Le canzoni del nuovo album le avevo già sentite perché Giulia lo aveva comprato quand’era uscito, ma i miei genitori non mi avevano dato i soldi per comprarlo: mi avevano detto che me l’avrebbero regalato per il mio compleanno. E che fortuna! Perché il mio compleanno quasi coincideva con l’uscita dell’edizione limitata. Costava un po’ di più, ma ero molto curiosa di vederla.
Entrammo da Metal life e salutammo Gio, Giovanni, che ormai conoscevamo bene. Era da anni che frequentavamo il suo negozio. Vendeva dischi di ogni genere, tranne quelli pop che si spacciavano per rock come ad esempio i Finley e tutto il genere commerciale in generale, che in quel negozio praticamente non esisteva.
“E’ arrivato il mio cd?” chiesi a Gio quasi saltando.
“Si, è di là” mi disse lui mettendo a posto alcune carte sotto al bancone. Io e Giulia ci guardammo estasiate. Non stavamo quasi nella pelle. Mi ero chiesta perché mai avessero fatto un’altra versione dell’album appena uscito, e Giulia, che era sempre molto realistica, mi aveva detto che probabilmente era perché stava vendendo bene e fare una seconda edizione ma a tiratura limitata avrebbe incrementato le vendite.
Gio tornò indietro con il cd e mi disse: “Ecco qua. Fa 27 euro e ti faccio pure lo sconto dei 7 centesimi”.
“Grazie!” esclamai. Gli diedi i soldi e mi presi il cd.
In preda ad una frenesia pazzesca io e Giulia andammo a casa sua e, salutando sua madre velocemente (che ci gridò dietro: “Giu! Non tenere la musica troppo alta!), ci fiondammo in camera. Giulia prese lo stereo, tirò fuori un cd di Patti Smith e io strappai la plastica di quello nuovo dei Chemical.
Era come quello di The black parade, non di plastica ma di cartone (dentro di plastica, si). “Ecco” dissi, passando a Giulia il cd, che lo mise su.
“Credo che le canzoni siano le stesse” disse lei mettendo play.
“Si, credo di si” dissi scorrendo l’indice sul retro, dove c’era l’elenco. “Ah no! C’è n’è una nuova. Si chiama Mary Jo”.
“Ah si? Fa vedere” mi disse Giulia avvicinandosi.
Presi il libretto delle parole. La copertina era il disegno di una ragazza che guardava una città in rovina, completamente sola, quasi impaurita. Girai le pagine del libretto e, come nella versione prima del cd, c’erano tanti disegni fra le pagine, ma non erano gli stessi. Alla fine mi misi a leggere il testo della canzone inedita: Mary Jo.
“Di cosa parla?” mi chiese Giulia.
“Mi servirebbe un dizionario, però dice: ... per un tuffo in piscina e i vestiti fradici …. mentre la carta si ripempiva di disegni, ogni notte crollavo affranto. Qui non capisco … quando dimentichi le chiavi e la notte non ha più stelle. Nah, mi servirebbe un dizionario!” esclamai.
Continuai a scorrere le pagine con Giulia al mio fianco, alla fine del libretto c’era la piccola foto di una ragazza dai capelli neri assieme a tutti i chemical.
“Guarda!” dissi a Giulia. “Secondo te è Mary Jo?”.
“Secondo me sì. Sotto c’è scritto MJ e noi” disse indicando delle parole quasi miscroscopiche.
“C’è una scritta guarda. In loving memory of Mary Jo. You’ll be always with us”.
“Hm, che brutta storia. Secondo te vuol dire che la ragazza è morta?”.
“Poverina” dissi io. “Quindi questo album è stato fatto per lei, secondo te? C’è anche una canzone col suo nome”.
“Forse sì” disse Giulia sedendosi sul letto. “E’ stato un bel pensiero. Chissà cosa dice la canzone”.
“Cerchiamo di tradurla bene” proposi.
E così passammo quasi mezz’ora a sfogliare e cercare nel grosso dizionario di Giulia. Riuscimmo a tradurre tutta la canzone.
A dir la verità non so a che cosa si riferisca, o di che cosa parli in realtà a parte un tuffo in piscina, qualcuno che perde le chiavi di casa e tanti, tanti disegni.
Però se gli hanno dedicato una canzone, Mary Jo doveva essere stata una persona speciale.

 



The end.





Nessuno dei memebri della band My chemical romance è a conoscenza di questa storia, che è stata scritta per puro divertimento. I personaggi che non fanno parte della band a parte Brian, Lyn, Jamia e Alicia, sono personaggi fittizi. Questa storia non è stata scritta a fini di lucro. Coincidenze di persone o fatti relamente accaduti sono puramente casuali.





._. è finita.
Mi sembra incredibile. Ho scritto questa fic l'anno scorso, pensate, ma non l'ho postata perchè ne avevo altre e, sinceramente, non credevo che sarebbe piaciuta a qualcuno. Pensavo avesse delle tematiche troppo forti, e che il mio stile non le avrebbe potute reggere, e non avrebbe reso al massimo le particolarità e la profondità di certi temi. B'è, anche se non c'è molta gente che lascia recensioni, c'è diversa gente che legge, e sono contenta lo stesso :) Sono felice che, alla fine, abbiate apprezzato la fanfiction.
Come avevo già detto all'inizio questa è una storia a cui tengo molto, prima di tutto perchè è la prima che scrivo con questo fandom, secondo perchè ci ho messo molto di me stessa, delle mie esperienze e quindi parecchio dei miei pensieri.
Due cose devo dire: una, che io (purtroppo) non sono di Roma, però amo quella città, ci ho trascorso praticamente almeno una settimana tutte le estati fin da quando ero piccola, per questo ho scelto Roma come città. Un'altra, è che le due ragazze della storia sono in parte ispirate a me e alla mia migliore amica, con la quale condivido diverse passioni (una delle quali è la musica dei MCR), e in parte volevo che fossero due delle tante fan che si possono trovare in giro per il mondo, così che ci si potesse in qualche modo immedesimare in loro. Non so se sono riuscita a farlo notare, ma hanno caratteri diversi e storie diverse, ma sono amiche nel profondo, nonostante le loro diversità. Credo che la musica unisca molto le persone.
Devo ringraziare moltissimo jessromance e ioamolacocacola, perchè mi hanno recensito, consigliato, e hanno dato delle osservazioni sincere sulla fic. Ringrazio tanto anche coloro che hanno letto e inserito la fanfiction tra i Preferiti, le Seguite, o le Storie da ricordare.

ioamolacocacola: ciao! Eh, lo so, l'altro capitolo non era il massimo XD comunque spero di aver rimediato con questo. Sai, anche io inizialmente avevo pensato di farlo dal punto di vista di Christa, qualche anno dopo, e far vedere che gli altri, in fattispece Ray, erano felici, ma poi ho ripiegato sulle due ragazze. Sono d'accordo, poche persone lascinao un segno così nel mondo, però credo che ognungo di noi lascia qualcosa a quelli che conosciamo, che vogliamo bene e che ci vogliono bene :) Grazie mille per tutte le recensioni che hai (pazientemente) lasciato! <3

jessromance: wow sono contentissima che hai la linea! XD Veramente sono molto ansiosa di sapere che cosa ne pensi della fine della storia *-* Povero Frank, adesso che sa che l'hai dimenticato si è messo a piangere in un angolo XD Non ho pronte altre fic sui Chemical, mi spiace :S Veramente questo era un esperimento. Comunque sono fleice che ti sia piaciuta e che tu l'abbia seguita fino alla fine. Scambiare recensioni con te è stato bello, spero che ci ritroveremo in qualche altre fan fic XD Ciao! <3

Auguro a tutti buone vacanze, ciao gente e molte, moltissime grazie! :)
Patty

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=478223