Accidentally in love

di shining leviathan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** problemi di coppia ***
Capitolo 2: *** Una piccola soluzione ***
Capitolo 3: *** Dritta al mio cuore ***
Capitolo 4: *** Non posso farlo ***
Capitolo 5: *** Tutto come prima? ***
Capitolo 6: *** Segreti e incontri ***
Capitolo 7: *** Ci incontreremo di nuovo, non importa quando ***
Capitolo 8: *** Chinta ***
Capitolo 9: *** Turbamenti interiori ***
Capitolo 10: *** Vita,scelte, ricordi ***
Capitolo 11: *** Espiazione ***
Capitolo 12: *** Cambiamento ***



Capitolo 1
*** problemi di coppia ***


 

Casa Fair ore 22.45

 

Non le piaceva per niente essere rovesciata sul letto in malo modo, e lui lo sapeva.

Lo sapeva eppure tutte le volte fingeva di dimenticarsene, travolgendola come un ciclone.

“ Zack” disse lei mettendogli le mani sul petto “ Sai che non mi piace”

L’altro la fissò un istante, come se cercasse in tutti i modi di superare questo divieto, e sorrise di sbieco abbassando il volto, in modo da avere quello della fioraia vicinissimo.

“ Me n’ero dimenticato” sussurrò prima di far incontrare le labbra con quelle di lei e scioglierle un secondo dopo.

Aeris sospirò esasperata, alzando gli occhi smeraldini al soffitto.

“ La solita scusa da più di un anno..”

“ Però è efficace”

“ Sì, certo. Efficace” la ragazza scosse la testa ,sorridendo

A novembre sarebbero stati due anni esatti dall’inizio del loro matrimonio, uno dei periodi più belli della sua vita.

Ricordava alla perfezione il giorno in cui lui le aveva chiesto di sposarla. Fu due mesi dopo la disfatta di Sephirot, quando nel mondo tornò, finalmente, la pace.

Il suo sorriso si ampliò ricordando la scena.

Zack, impacciato e rosso fino alle orecchie, si inginocchiò davanti a lei e le porse la domanda fatale, accompagnandola con un piccolo anello dorato. C’erano tutti quel giorno: Cid, Barett, Cloud, Tifa, Yuffie, Nanaki, Caith Sith, Vincent….. e aveva scambiato uno sguardo con ciascuno di loro, come se aspettasse un’approvazione.

Un’approvazione che arrivò sotto forma di sorrisi e gesti benevoli, un’approvazione che esplose in esclamazioni di gioia quando accettò.

Ricordò il bacio che le diede quel giorno sull’altare, ricordò i colori, l’allegria e anche il riso che si posò sui suoi capelli e su quelli dello sposo.

Il vestito lungo e vaporoso e la tiara argentata che le cingeva la fronte. L’eleganza di Zack per la prima ed ultima volta in smoking.

Un po’ le dispiaceva, stava così bene.

“ Perché ridi?” chiese il moro inclinando la testa.

Lei scosse il capo, chiudendo le palpebre e appoggiando la testa sul cuscino.

“ Pensavo”

“ Uh?”

“ Pensavo al nostro matrimonio”

“ Ne parli come se fosse una cosa finita da tempo” commentò Zack salendole sopra “ Pensa all’oggi. A questa notte per esempio”

La ragazza si irrigidì impercettibilmente sentendo il corpo caldo del ragazzo premere ancora più contro di lei .

“ Cos’ha questa notte di tanto speciale?” mormorò Aeris, immobile, mentre Zack sogghignava maliziosamente.

“ Di per se niente. Ma basta poco per renderla tale”

Non le lasciò il tempo di rispondere. Calò lesto sulle labbra della ragazza, dischiudendo le sue per approfondire quel bacio, e portò la mano ai pantaloni cominciando a slacciarseli. Era già a torso nudo, così rimase con solo indosso i boxer.

Aeris rispose poco convinta, accarezzando gli addominali perfetti e statuari con le dita tremanti.

Tutte le volte sembrava una scolaretta alla sua prima volta, ma il punto era che ,davvero, sembrava sempre la sua prima volta.

Non riusciva a rilassarsi, lasciarsi andare…

Provava più dolore che piacere, così il sesso le risultava piuttosto antipatico.

Sembrava una barzelletta.

Sarà stata l’unica donna del mondo a non apprezzare queste cose, ma per lei l’amore poteva benissimo andare al di la di un rapporto carnale.

Affetto e fiducia, per esempio. Peccato che Zack non fosse dello stesso avviso, ma infondo lo capiva.

Un uomo non ragiona come una donna, e la fisicità è la prima cosa che un uomo cerca in un rapporto.

Se n’era accorta la prima notte di nozze, quando l’aveva quasi “aggredita” strappandole il vestito da sposa di dosso. Quando l’aveva rimproverato per la sua impazienza, non l’aveva quasi ascoltata.

Il matrimonio si consumò con un impeto quasi selvaggio, e lei si accorse che non era tutta questa meraviglia. Dopo la confusione iniziale pensò che fosse una cosa come tutte le altre.

Per lei, per lui no.

Zack sapeva che Aeris preferiva di gran lunga un bacio un po’ spinto che un’intera nottata passata a rotolarsi nel letto.

Cercava di controllarsi, ma non sempre riusciva nel suo intento, e soffriva nel constatare che ciò che provava lui non lo sentiva anche lei.

Dopo, tra le lenzuola sfatte, si sentiva peggio di prima. Deluso, amareggiato.

E lei non sentiva assolutamente nulla.

 

 

 

Seventh Heaven

 

 

 

Si era stretta vicino a lui, affondando il naso nelle stoffa del suo pigiama, proprio all’altezza della spalla. Respirava il suo odore, forte, deciso e intanto gli accarezzava dolcemente i fianchi.

Anche se era voltato, potè udire distintamente un leggero sbuffo.

“ Tifa” la voce era impastata, assorbita in parte dalle lenzuola che si era tirato fino al volto “Sono stanco, per favore”

“ Non fare la mummia” sussurrò la mora, baciandogli la nuca e Cloud si irrigidì, spostandosi un po’ da lei.

“ Sono stanco” ripetè seccamente e Tifa aggrottò le sopracciglia, delusa ancora una volta.

Stavano insieme da due anni, eppure c’erano state poche volte in cui il Soldier si era lasciato andare alle sua tenerezze.

Pensare che era ancora vergine!

“ Buonanotte, signor Strife!” e le diede la schiena, chiudendo gli occhi furiosa come non mai.

Un ragazzo più insensibile di così  non poteva capitarle!

 

 

 

 

 

 

Rieccomi! Questo inizio non è un granchè ma non ci vorrà molto per far scattare le scintille *_*

Come avete Tifa e Zack hanno un piccolo problema ma……. Vedrete ^.^

Ditemi cosa ne pensate, e grazie per eventuali commenti!

Inizialmente pensavo di farla su KH ma poi ho deciso che stava meglio qui!

Ciaoooo! A presto

Se fa schifo non esitate a dirmelo eh? ( fa schifo, ne sono sicura)

 

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Capitolo 2
*** Una piccola soluzione ***


 

Fu svegliato dal rumore delle macchine che passavano sotto casa sua.

La tenue luce del sole entrava attraverso le sottili fessure delle tapparelle, illuminando il muro di fianco al letto con lunghe strisce biancastre, che scomparivano al passaggio del treno per tornare subito dopo.

Lo sferragliare delle ruote sulle rotaie raggiunse il suo udito un secondo dopo aver aperto gli occhi.

Rimase immobile, ascoltando il rumore di ferro su ferro mentre la stanza cominciava a vibrare in maniera percettibile e fastidiosa.

Le foto appese alle pareti dondolarono come se ci fosse stato un terremoto e una cadde a terra, sul tappeto.

Zack sospirò, rassegnato all’idea di doversi alzare, e tirò via il lenzuolo mettendosi seduto sul materasso. Poggiò i gomiti sulle gambe, passandosi le mani sul viso, nell’inutile tentativo di scacciare quel torpore che lo invitava a tornare tra le coperte calde con la propria donna.

Si voltò verso Aeris, accoccolata su se stessa al centro del letto. Sembrava così serena e infantile con quel sorriso appena accennato sulle labbra e i capelli che si spandevano sul bianco del materasso, coprendola con la loro leggera freschezza.

Sorrise a sua volta, intenerito dall’innocenza che la ragazza riusciva ad emanare anche quando era addormentata. Nonostante tutto, era fortunato ad avere una donna dolce come Aeris accanto a se.

Lo spronava sempre a dare il massimo, donandogli dei bellissimi sorrisi d’incoraggiamento. Probabilmente i migliori di tutto il Pianeta.

Si allungò verso di lei e le posò un casto bacio sulla fronte, coprendola per non farle prendere freddo.  Le dedicò un ultimo sguardo d’affetto, poi cominciò a cercare i vestiti sparsi per terra, raccattandoli il più velocemente possibile. Voleva evitare l’ennesimo rimprovero da parte di Vincent sulla sua poca puntualità.

Il treno delle sette e mezza passò all’improvviso, rumoroso e pieno zeppo di impiegati che andavano al lavoro. Un altro quadretto cadde per terra.

“ Merda!” pensò Zack che si agitava nel tentativo di trovare il foro della testa nella maglietta “ Possibile che quel maledetto treno non sia mai in ritardo!”

Come misura di tempo usava le volte in cui il mezzo passava davanti a casa. Ed era sempre, maledettamente, puntuale. E lui costantemente in ritardo.

“ Accidenti” imprecò a denti stretti saltellando per la stanza mentre si infilava i pantaloni.

L’appuntamento con Vincent era alle sette e quaratacinque minuti, ma conoscendolo non si sarebbe sorpreso a trovarlo lì con mezz’ora di anticipo. Non ricordava volta in cui era lui quello in anticipo.

  Il clacson di una macchina, seguito in coro da molti altri, gli fece capire che prendere la sua sarebbe stato un errore. Ci mancava solamente che rimanesse imbottigliato nel traffico.

Purtroppo quella casa non era un granchè: si trovava all’angolo di due vie trafficatissime sia il mattino che la sera, e la sopraelevata del treno passava a pochi metri dalla loro stanza da letto.

Ricordò che ci erano volute settimane e molte notti insonni per abituarsi a quel fracasso.

Ma col suo budget e quello di Aeris, che adesso aveva aperto un piccolo ma grazioso negozio di fiori, non potevano permettersi di meglio. Stavano risparmiando molto, questo era vero, però ci sarebbe voluto del tempo per trovare una nuova e più conveniente sistemazione. L’unica cosa che gli piaceva era il giardino. Minuscolo e stretto tra la staccionata e la facciata della casa. La prima volta che lo videro rimasero inorriditi. Era secco e i due alberelli che affiancavano il vialetto di ingresso somigliavano e due spinaci rinsecchiti e neri. Le erbacce infestavano ogni cosa, soffocando le altre piante e impedendo la crescita di qualunque vegetale che non fosse un parassita.

Inutile dire che Aeris, indispettita, si era rimboccata le maniche fin da subito per rendere quel posto un minimo accogliente. Ora sembrava un altro posto.

I fiori variopinti spuntavano dai vasi appesi alle finestre e nel praticello erano già spuntate le margherite e i gigli che la ragazza aveva portato dalla chiesa in cui si erano conosciuti tanti anni prima.

Un altro posto, appunto.

Uscì, venendo investito dai rumori della strada e dallo di smog, che gli riempì i polmoni soffocandolo col suo odore fumiginoso.

Tossì e attraversò il vialetto, correndo per le strade affollate di Edge. Schivò un paio di passanti, urtandone uno e facendogli cadere dei volantini.

“ Ehi amico!” sbraitò quello furente “ Sta attento!!”

“ Oh, mi scusi” e si piegò per aiutarlo a raccogliere i fogli, fermandosi quando lesse il contenuto.

Portò il volantino all’altezza degli occhi, notando che c’era disegnata una meteora rossa, poi lesse:

“ Per celebrare i due anni dalla sconfitta dello spadaccino dai capelli d’argento, il  Blue Tomberry Bar, invita ad accorrere numerosi per la festa che si terrà mercoledì sera alle nove. Ci sarà un buffet, balli e tanto divertimento. Non mancate, vi aspettiamo!” sotto c’era scritto l’indirizzo del bar e una minuscola cartina per raggiungerlo.

“ Amico, io devo andare”

Alzò gli occhi, notando che il tizio di prima lo stava guardando impaziente con le braccia incrociate al petto. Alcuni passanti si fermarono, incuriositi da quel ragazzo che se ne stava inginocchiato sul marciapiede a leggere.

“ Oh” disse alzandosi, imbarazzato “ Ecco” e restituì il volantino all’uomo che glielo strappò letteralmente di mano, grugnendo irritato. Zack sorrise di sbieco e si grattò la nuca, fissando poi l’orologio che aveva al polso. Sobbalzò.

“ SantaShivaetuttiglidei!!!” le sette e quaranta. Schizzò via più veloce di un fulmine, lasciando la gente lì intorno spiazzata dalla sua velocità. Evidentemente non si erano accorti che era un ex Soldier.

Meglio così. Con le difficoltà che aveva avuto per trovarsi un lavoro con quel simbolo che gli attribuiva legami con la Shinra, doveva ringraziare il cielo che non l’avessero ancora linciato.

Due anni non erano sufficienti per calmare l’odio di una popolazione oppressa da quasi un decennio.

Per fortuna la WRO aveva bisogno di elementi come lui e Vincent per garantire l’ordine.

Un bip fece arrestare la sua corsa. Gli era arrivato un messaggio.

Tirò fuori il cellulare dalla tasca e controllò chi fosse.

Vincent.

“ Oh,Oh” lo aprì.

“ L’appuntamento è stato spostato alle otto e quarantacinque. Vedi di essere puntuale”

Zack lo rilesse due volte, con gli occhi sgranati e boccheggiò un attimo, non sapendo se arrabbiarsi o tirare un sospiro di sollievo.

“ Cosa??!” esclamò infine “ Tutta questa corsa e alla fine l’appuntamento è stato spostato??! Vincent Valentine! Potavi avvertirmi almeno un po’ prima!!” sbraitare contro il cellulare non serviva a niente, a parte ad attirare l’attenzione dei bambini che giocavano a pallone lì vicino.

Quello più grande si voltò verso l’amichetta, facendo girare il dito vicino alla tempia. Lei soffocò una risatina.

“OOOk” si guardò intorno “ E ora cosa faccio fino alle otto e quarantacinque?” un gorgoglio alla pancia fu sufficiente a fargli capire che saltare la colazione non era stata una buona idea.

Si portò una mano al ventre, imprecando contro quel vampiro di Vincent che per vivere poteva benissimo succhiare il sangue a qualche povero malcapitato, e ritirò il cellulare.

“ Vediamo” mormorò aguzzando la vista “ Ci dovrebbe essere un bar qui nei dintorni”

Lo vide.

“ Ah” disse allegro “ Il Seventh Heaven è sempre stato la mia salvezza”

 

 

 

 

 

 

 

Quando si svegliò, Cloud non era più accanto a lei. Unica testimonianza della sua esistenza, le lenzuola sradicate e il pigiama buttato a terra vicino alla porta.

Tifa sospirò, affondando il viso nel cuscino.

Un'altra notte, un'altra storia. Stroncata ancora prima di cominciare.

Possibile che il biondo non sentisse quella minuscola scintilla di desiderio che lei coltivava da anni? Non la coglieva nel suo sguardo innamorato? Forse no, ma d’altronde Cloud non era mai stato particolarmente coinvolgente in queste cose.

L’unica volta che l’aveva visto un po’ attivo era stato alla festa di Barett.

La prima e l’unica volta che le aveva palpato il sedere con brio, baciandola come un marinaio in crisi d’astinenza.

Peccato che fosse ubriaco, perché quando tornò lucido si impegnò a non dare mai più simili dimostrazioni. E la parola che diede la mantenne, mandandola completamente in crisi.

Certe volte non sembravano neppure fidanzati. Mancava del tutto il fattore P (passione) fondamentale nelle prime fasi di un rapporto. Senza di esso la coppia si sfasciava.

Amaramente, si era ritrovata a pensare che stessero insieme per il semplice fatto che si conoscessero da tanto tempo, abituati l’uno dalla presenza dell’altro. Un legame forte sin da quando erano bambini, per cui era impossibile pensare una vita senza l’altro.

La loro carta vincente per tenere insieme questo rapporto era l’abitudine, nulla di più.

Ma lei lo voleva qualcosa in più. E lui poteva darglielo, bastava poco.

Si preparò con calma, acconciandosi i capelli nella solita coda lenta, e scegliendo i vestiti da mettere.

Una volta pronta scese di sotto e aprì le imposte, mettendo giù le sedie dai tavoli e passando lo straccio sul bancone già lucido. I pendolari sarebbero arrivati a momenti, esigendo i loro caffè e assillandola con innumerevoli richieste.

Almeno non avrebbe avuto tempo di pensare ai suoi sentimenti repressi.

Stava lavando i bicchieri quando la porta si spalancò, facendo entrare un’aria gelida che le scompigliò i capelli. Infastidita, alzò lo sguardo. Sul suo volto, scuro di frustrazione, apparve un sorriso stanco.

“ Ciao, Zack”

“ Ehi, Tifa” il moro le fece un cenno con la testa e si avvicinò al bancone “ Che faccia scura. Tutto ok?”

La ragazza si asciugò le mani sullo strofinaccio, scuotendo la testa.

“ Potrebbe andare meglio” rispose vaga, ansiosa di cambiare discorso “ Tu invece? Come sta Aeris?”

“ Sarà ancora a casa che dorme come un ghiro. E io… non mi lamento” anche se potrebbe andare meglio. Ma non lo disse.

Tifa annuì, voltandosi un attimo per buttare una bottiglia vuota nel cestino. “ Vuoi qualcosa?”

“ Sì grazie, un caffè e una brioche. Oggi sono uscito di casa senza neanche fare colazione, pensavo di essere in ritardo, ma Vincent ha preferito avvertirmi all’ultimo momento che la cosa era saltata.”

Tifa rise, poggiando un piatto con dentro un croissant davanti al ragazzo “ Anche Vincent avrà qualche dimenticanza ogni tanto”

“ Sì” e si avventò sul dolce, addentandolo avidamente “ Ma propro nei mmenti meno opportuni mi deve avvertire? Sctamattina potevo dormire un po’ di più”

“ Non mugugnare con la bocca piena” lo rimproverò scherzosamente Tifa mettendo il filtro nella caffettiera e Zack ingoiò, lamentandosi del fatto che lei era uguale a sua moglie quando faceva così.

“ Facciamo bene. Almeno non diventi più selvaggio di come sei già”

“ Ah,ah. Spiritosa. Dovrei ridere?”

“ Voi uomini sareste persi senza noi donne”

“ Oh certo” ringraziò Tifa per il cafè che gli stava porgendo e ne bevve un sorso veloce, ustionandosi la gola.

Si fece aria con la mano, mentre una lacrima gli uscì dall’occhio. Tifa premette le dita contro la bocca, giusto per non riderle in faccia.

“ Stavi dicendo?”

“ Dicevo” bevve ancora, ma stavolta più piano “ Oh certo. Potremo poggiare i piedi sul tavolino senza essere rimproverati tutto il tempo, parlare con la bocca piena e non subire le lamentele quando lasciamo i calzini in giro per casa”

“ Vi estinguereste prima di quanto pensassi” constatò Tifa sospirando tristemente e Zack alzò gli occhi al cielo.

“ Femminista”

“ No, realista” rispose la mora sventolandogli un tovagliolo davanti la naso “ Sei sporco di marmellata proprio qui”

Il ragazzo si pulì, leggermente imbarazzato.

Non l’avrebbe mai ammesso, ma senza donne gli uomini erano davvero persi. Triste, ma era così.

“ Non ho più visto Cloud” disse all’improvviso “ Ho provato a chiamarlo ma…”

“ Non provarci neanche” lo interruppe Tifa, improvvisamente più nervosa “ Non risponde mai neanche a me.”

Zack notò questo cambiamento e inclinò la testa di lato “ Tra voi due va tutto bene” il silenzio che seguì fu troppo lungo per confermare la veridicità della risposta.

“ Certo” mormorò Tifa.

Non le credette, ma non potè farle altre domande perché dalla porta entrò un cliente.

La osservò con la coda nell’occhio mentre prendeva l’ordinazione. I capelli lunghi e neri gli occhi rossi e sfavillanti come due rubini. La sua spontaneità e dolcezza che in quegli ultimi tempi la stava abbandonando. Era una ragazza eccezionale, e Cloud la stava lentamente perdendo.

Di questo passo la rottura definitiva sarebbe stata inevitabile e le sarebbe spiaciuto vedere una ragazza come Tifa in preda la dolore.

Conosceva Cloud da tanto tempo per dire che non lo stava facendo di proposito, semplicemente era fatto così. Ma lei lo sapeva meglio di lui, poco ma sicuro.

Eppure le cose non funzionavano. Mancava ancora qualcosa.

Il viso di Tifa era così scuro che gli venne male.

“ Che posso fare per tirarla su” pensò provando un po’ di rabbia verso l’amico “ Forse dovrei invitarli con me e Aeris da qualche parte. Ma dove..” un pensiero lo colpì e sorrise.

“ Ehi Tifa!” esclamò salendo quasi sul bancone per impeto dell’eccitazione e la mora sobbalzò, colta alla sprovvista.

“ Zack!” strillò arrabbiata “ Scendi subito dal..”

“ Metti in pausa l’animo donna- rompiballe per un attimo. Ti va di venire con me e Aeris al Blue Tomberry Bar mercoledì?”

Tifa battè un paio di volte le ciglia, stupefatta.

“ Quello vicino all’autostrada?”

“ Sì” Zack annuì stendendosi ancora di più per avvicinarsi a lei “ È una festa. Puoi portare anche Cloud, è da un secolo che non si fa vedere!”

“ Non so.. a Cloud non piacciono molto le feste”

“ Eddai” sbuffò il moro “ Ci divertiremo”

Tifa ci pensò su un attimo e Zack trattenne il respiro. Era carina quando adottava quell’aria riflessiva, sembrava così misteriosa…

“ Che diavolo penso!” si impose di darsi una calmata, ci mancava solo che facesse pensieri sulla donna del suo migliore amico.

“ Va bene” accettò infine lei “ Verremo”

Zack sorrise e con un balzo scese dal bancone “ Perfetto!” e Tifa lo ammonì di non fare rumore.

Alcuni operai seduti ad un tavolo lo fissarono come se fosse matto.

“ Questi quando sono entrati?” pensò a disagio “ Che razza di figura”

“ Zack?”

“ Sì Tifa?”

“ A che ora dovevi essere là?”

Guardò l’orologio. Era tardissimo.

“ ARGH!!” e corse verso la porta, lasciando alcune banconote sul piano di granito.

“ Tieni pure il resto. A mercoledì”

“ Quando?” esclamò Tifa seguendolo fuori in strada, lui si voltò.

“ Alle nove” sparì dietro l’angolo lasciando Tifa con una strana sensazione addosso.

Scosse la testa “ Che buffone” e tornò dentro per servire altri clienti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rieccomi qui! Uff, sono appena tornata da una gita e sono distrutta -__________- “  oh bhè…

Aggiornamento rapido ( finchè ho voglia e idee tanto vale) perché voglio arrivare al punto ( pervertita che sono…) clou. Nel prox chappy succederà qualcosa alla festa, facendo scattare la scintilla in una maniera che….. vedrete ma sarà molto sensual ^_^

Ringrazio davvero tutti. Non mi aspettavo di riscuotere un simile successo.

 

Tifa_Heart

 

La prima che ha commentato. Grazie ^_^ sono contenta che ti interessi! Questo purtroppo è un capitolo di transizione ( non li sopporto) però serviva. Dal prossimo in poi, vedrai..

 

 

Fflower89

 

Sì una lemon su KH  non è molto credibile e poi una Zack X Tifa mi ispira sempre pensieri poco puliti *_* Oh sì, vedrai… mettere Cloud con Aeris 0.O no, no! Scusa ma io non sopporto il Clerith e sono per il Cloti anche se Tifa mi piace un casino sia con Zack che con Rufus. Aeris riesco a vederla solo con Tseng ( secondo me sono perfetti ^.^) continua a seguirmi mi raccomando! E grazie per averla messa tra i seguiti!

 

 

Xikhy_Chan

 

Ehilà! Tutto bene? In effetti ho pensato a te quando l’ho pubblicata, so che adori il Cloti ( come me del resto) spero di riuscire a farti piacere questa coppia perché ,secondo me, Zack e Tifa insieme sono eccezionali quasi quanto il Cloti. Anyway sono contenta che ti incuriosisca la storia. E non ti preoccupare, presto aggiornerò anche Lycanthropy. Alla prossima e grazie ancora.^___^

 

 

 

Lady Loire

 

Evviva! Ciò cozzato! Nel senso, sono contenta che ti piaccia! Grazie per averla messa tra i seguiti

 

 

 

Grazie anche a Lilian_Edwards per averla messa tra i seguiti e ad Angeal per averla inserita tra i preferiti!

 

 

 

Ciaoooooo alla prossima!!!!

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Capitolo 3
*** Dritta al mio cuore ***


 

Straight through my heart
A single bullet got me
I can’t stop the bleeding
Ohhhh
Straight through my heart
She aimed and she shot me
I just can’t believe it
Ohhhh
No I can’t resist
And I can’t be hit
I just can’t escape this love
Straight through my heart
Soldier down(my heart)
Soldier down(my heart)

 

(Backstreet Boys- Straight through my heart)

 

 

 

 

 

Più ci pensava più si diceva “ Perché no?”

D’altronde uscire per una sera con gli amici più cari che avevano era una buona occasione per passare un po’ di tempo assieme, lontani dal lavoro e dallo stress di un’esistenza sempre uguale.

Da quanto tempo era che lei e Cloud non andavano più a fare vita notturna? Forse non c’erano mai state occasioni simili anzi, a pensarci bene l’unica notte che avevano passato assieme era stata quella sull’aereonave di Cid.

E avevano solo dormito, nulla di che, ma per lei era il regalo più grande.

Passare un solo minuto con l’uomo che amava era una vittoria che si gustava fino in fondo, fino a consumarla.

Ricordava bene gli sguardi che gli lanciava mentre procedevano in marcia verso qualche meta remota, le cure amorevoli durante la convalescenza all’ospedale di Meedel.

Anche se era ridotto peggio di un vegetale per quell’intossicazione di mako lei non si era tirata indietro. Avrebbe passato volentieri  la sua vita accanto a Cloud, cosciente o meno. Lo amava più della libertà, della vita e poco importava se fosse rimasto in quello stato comatoso per sempre. Pur di stargli vicino si sarebbe annullata la volontà, una voglia da parte del biondo suonava come un ordine nelle sue orecchie da innamorata. Sapeva che non andava bene, questo suo desiderio bruciante di apparire come  lui voleva, ma non poteva farne a meno.

In tutti i modi si sforzava di compiacerlo, ma i suoi tentativi dovevano apparire vani davanti alle iridi glaciali  di Cloud. Ogni gesto veniva ripagato con freddezza, quasi fosse costretto, e allora la frustrazione raggiungeva livelli insopportabili.

Le prime volte non aveva battuto ciglio, convinta che le cose potessero andare in un modo diverso, ma dopo la millesima aveva cominciato a spazientirsi, arrivando persino a mandarlo al diavolo.

Ma neanche in questo caso lui l’aveva accontentata con una discussione.

L’inerzia psichica di Cloud era un qualcosa di portentoso, se si voleva litigare con lui bisognava rassegnarsi al fatto che dopo dieci minuti liquidasse il tutto con “ Non voglio discuterne ancora” detto col tono più pacato e bradipesco possibile.

Naturale che i nervi cominciassero a scoppiare come una scatola di pop-corn sul fuoco.

Madre natura aveva conferito a Tifa Lockhart una pazienza invidiabile, ma non eterna. Per cui a Cloud sarebbe convenuto darsi un po’ una smossa se non voleva perderla.

Stava già succedendo, ma la ragazza ancora non lo sapeva. Da quella sera in poi la sua vita sarebbe cambiata così velocemente che non avrebbe avuto modo di fermarsi.

Ma andiamo per ordine.

 

 

(XXX)

 

 

 

Aveva deciso di andare, non le importava se Cloud non era d’accordo.

Mise giù la cornetta del telefono, dissolvendo le patetiche scuse che si era inventata per non presentarsi, e respirò sollevata. Poi, con un rinnovato buon umore, si mise a pulire il bar, aspettando il ritorno del Soldier.

Sentiva il chiacchiericcio delle persone in strada, che tornavano a casa dopo un’intensa giornata di lavoro, e casualmente si ritrovò a pensare a Zack.

Chissà se era arrivato in tempo.

Sorrise tra se. La cosa era molto improbabile, data la proverbiale tendenza del moro ad arrivare in ritardo in ogni occasione.

Le bastava pensare al giorno del suo matrimonio.

Era arrivato con mezz’ora di ritardo alle sue nozze! Da non crederci.

Eppure era successo e Cid e Barett per poco non l’avevano pestato. Cloud, invece, si era limitato a far finta di non conoscerlo, intimorito dall’aggressività degli invitati in giacca e cravatta.

Si ritrovò a scuotere al testa, incredula come allora, e gettò lo strofinaccio oltre il bancone. Si sedette ad una delle sedie, fissando la luce arancione filtrare attraverso il vetro e scaldarle il volto.

Sorrise, avvertendo il rombo di una moto che si avvicinava, e scattò in piedi per dare il benvenuto al suo fidanzato. Percorse la breve distanza fra lei e l’entrata e aprì la porta, trovandosi faccia a faccia col biondo.

Si arrestò di botto, sorpreso, e per poco non le cadde addosso.

“ Tifa” disse stringendola a se per evitare che finisse a terra “ Che succede?”

Tifa passò istintivamente le braccia lungo i suoi fianchi, premendo il formoso seno contro il suo petto.

“ Niente” mormorò “ Perché?”

Cloud l’allontanò delicatamente da se, fissandola negli occhi.

“ Sei strana” concluse lapidario, e questa affermazione ferì un po’ la ragazza. Cosa si aspettava? Che lei facesse la sottomessa e non agisse mai per istinto delle volte?

L’aveva proprio giudicata male ,allora.

“ Anche tu” rispose, forse troppo piccata, e il biondo deviò lo sguardo in un’altra direzione.

Cavoli…

 

Davvero un’ottima partenza per proporgli un’uscita a quattro.

“ Come è andato il lavoro?” chiese in modo dolce per distrarlo.

Il ragazzo mugugnò un “bene” e andò verso le scale per salire al piano di sopra, ma lei ,velocemente, lo abbracciò da dietro impedendogli qualsiasi movimento. I muscoli della schiena si contrassero, donandogli la stessa consistenza di una statua di sale. Tifa sbuffò in maniera appena percettibile, scaldando la stoffa della maglia col suo fiato.

La irritava parecchio quando faceva così, sembrava che le facesse schifo. Ma era il suo ragazzo, aveva voluto vivere insieme a lei? Adesso si sopportava anche questi slanci di tenerezza.

“ Ti sei offeso?”

“ No”

Strinse la presa.

“ E allora perché fai così?”

“ Così, come?”

Ecco, quando cominciava a fare il bambino faticava a sopportarlo.

“ Come stai facendo adesso” rispose con una sfumatura di irritazione “ Sei proprio permaloso!”

Cloud rimase in silenzio, immobile, e alla fine Tifa lo liberò dall’abbraccio.

La mora abbassò lo sguardo, mentre lui saliva per andare a farsi una doccia.

Sospirò sconsolata.

Forse non era una buona idea, forse era meglio starsene in casa come al solito. Immersi dalla sua freddezza a passare l’ennesima notte senza sentirsi minimamente appagata. Strinse i pugni.

No, non questa volta.

“ Cloud” il biondo si fermò “ Che ne dici di andare ad una festa mercoledì sera? Ci saranno anche Zack ed Aeris, può essere un’occasione per passare un po’ di tempo tutti assieme”

Tacque, non sapendo quali altre parole utilizzare per convincerlo. Delle volte era del tutto inutile, ma che altro poteva fare. Scalfire la dura scorza del Soldier era una cosa difficile persino per lei, che da sempre lo conosceva. O che aveva sempre fatto finta si sapere tutto di lui.

Ma che razza di pensieri mi vengono?

Ricacciò quelle considerazioni in un angolo della sua mente e alzò gli occhi sul ragazzo, perso in qualche recondito abisso di riflessione. Ricordi vaghi di altre feste a cui aveva partecipato affioravano nella sua espressione corrucciata: vergogna, figuracce, balli stupidi….

Sicuramente stava valutando se era matta a proporgli una cosa del genere. Lo capiva, ormai, era come un libro aperto. Con su scritto a caratteri cubitali “NO”.

Ma forse quella volta doveva aver letto male. Perché la risposta fu un’altra.

“ Va bene” accettò esitante, passandosi la mano nei capelli “ A che ora?”

Ripresasi dalla sorpresa, che l’aveva lasciata a bocca aperta, fece un sorriso così luminoso che Cloud temette di esserne accecato.

“È alle nove” esclamò giuliva “ Davvero ci andiamo?”

“ No, per scherzo” Cloud non potè che sogghignare dell’infantile eccitazione di Tifa “ Certo che ci andiamo” si voltò e sparì al piano superiore, lasciando Tifa in preda alla felicità. Battè le mani, con gli occhi luccicanti, e ringraziò gli dei per quel piccolo miracolo.

Forse la strada del cambiamento non era poi così dura da trovare. Un piccolo sforzo.

Per la più grande gioia che potesse donarle.

Quella di essere una coppia normale.

 

 

(XXX)

 

 

 

L’insegna del locale brillava come un faro nella notte, attirando gente di ogni età come una lampada al cherosene fa con le zanzare. L’enorme Tomberry costruito con le luminare al neon, si accendeva e spegneva a intermittenza, agitando il coltello verso un nemico immaginario.

La strada era bloccata da moltissime macchine, che giravano lì intorno nel tentativo di trovare un parcheggio, e la folla, che non sembrava diminuire, veniva fatte spostare dal clacson degli automobilisti con la pazienza all’osso, stufi del caos che impediva loro di circolare.

Aeris salì sul marciapiede, per evitare di essere stirata da uno di quei pazzi. Zack sbuffò.

“ Sono tutti un po’ nervosetti” notò Aeris stringendosi nel lungo cappotto bianco e il moro scrollò le spalle.

“ Fatti loro” disse “ Potevano venire un po’ prima. Trovavano parcheggio in abbondanza” e si piegò sulle ginocchia, facendo mulinare le braccia.

“ Zack!” escalmò la fioraia, dandogli uno scappellotto sulla testa “ Ma ti pare il momento di fare piegamenti??” lui la fissò dal basso, con occhioni da cucciolo impaurito.

“ Ho freddo!” piagnucolò.

Ma la castana non si lasciò intenerire.

Incrociò le braccia al petto, incenerendolo con un’occhiata, e Zack si raddrizzò, preferendo non irritarla oltre.

“ Tiranna” si lamentò e lei sorrise.

“ È per il tuo bene”

“ See. Ma quanto ci impiegano quei due? Per una volta che siamo puntuali”

“ Magari avranno trovato coda” si scostarono dalla porta per far passare una famigliola.

“ Uff, quando avrò Cloud a tiro lo sistemerò per bene”

Aeris scosse la testa, e i riccioli color cioccolato si mossero leggeri sulle sua spalle minute. “ Sei impaziente come un bambino”

Il vestitino rosa pallido che si era messa quella sera, arrivava poco al di sopra delle ginocchia e le scendeva leggero sui fianchi, stretti in un delicato fiocco bianco. I capelli raccolti in una treccia morbida erano intrecciati con qualche fiore che lei aveva colto dal giardino. Il tutto le conferiva un’aria da ninfa, accentuata dalla pelle pallida e quasi trasparente.

Qualche ragazzo si era girato a guardarla, bisbigliando qualcosa all’amico lì accanto e dando spiritose gomitate come a volerlo incitare a prendere l’iniziativa. Un’iniziativa che perdevano non appena scorgevano Zack. L’altezza e lo sguardo spaventoso di quel moro faceva desistere qualsiasi pretendente troppo audace.

“ Bhè, in un certo senso lo sono. O no?”

“ Mi sa che di cervello tu non sia mai maturato abbastanza”

“ Ironia femminista? Non l’ho capita”

Un rombo squarciò l’aria notturna, e la coppia si voltò vedendo arrivare la possente Fenrir di Cloud.

“ Eccoli” esclamò Zack gaio e si avvicinò alla moto, seguito di corsa da un’Aeris festante.

“ Ehy, Spiky!”

Cloud si bloccò, sorpreso, e alzò un sopracciglio.

“ Non mi avevi più chiamato Sp..” Zack avvolse un braccio attorno al collo di Cloud e le scompigliò i capelli con le nocche dell’altra mano.

“ Ti pare questa l’ora di arrivare?” disse ridendo “ Abbiamo aspettato un sacco di tempo”

Il biondo annaspò, sentendo il cuoio cappelluto bruciare come un tizzone ardente, e cercò inutilmente di liberarsi, divincolandosi dalla presa ferrea dell’ex Soldier.

Tra le risate generali, la traballante figura di Tifa scese dal sellino, poggiandosi sul fianco.

“ Tiffy!” esclamò la fioraia spalancando le iridi smeraldine e soffocando l’altra in un abbraccio da Boa Constrictor “ Come stai??”

Tifa sorrise, stringendo l’amica “ Bene grazie”

Era bello trovarsi di nuovo tutti assieme. Anche Cloud sembrava felice mentre scherzava con Zack.

Sentiva di aver fatto la cosa migliore per entrambi.

“ Su andiamo” esclamò Zack dopo lo scambio di convenevoli “ Buttiamoci nella festa!!”

 

 

 

 

 

 

 

Il locale era molto più spazioso di come apparisse all’esterno. I tavoli erano stati addossati contro le pareti, per far posto alla moltitudine di gente che ballava al ritmo di musica. Le luci da discoteca illuminavano la rudimentale pista con bagliori che dal blu passavano all’arancio e  Il barista al bancone chiacchierava amabilmente con un biondina mentre shakerava un drink analcolico dell’uomo accanto che ,presumibilmente, era il marito. Lo sguardo irritato ne fu la conferma.

Tifa si guardò intorno, confusa dall’assordante melodia che usciva dalle casse ai lati della sala.

Strinse maggiormente il braccio di Cloud, come se avesse paura di rimanere sola, ma il biondo non ci fece caso, troppo frastornato per pensare a qualcosa che non prevedesse il come andarsene da li il più in fretta possibile.

Seguirono Aeris e Zack ed appesero le giacche ad uno degli attaccapanni dell’entrata.

Il moro se la sfilò con un gesto veloce, appendendola vicino a quella della moglie.

Tifa notò che stava piuttosto bene con quella camicia, un po’ aderente sulle braccia, che mostrava il profilo dei muscoli perfetti. I primi bottoni erano sbottonati, lasciando una breve visione del suo petto marmoreo.

Il suo sguardo si soffermò sulle sue mani. Sembravano così calde, chissà come doveva essere sentirle sulla pelle. Avvertire le carezze che scendevano lungo il suo corpo fino…

È Zack! Che diamine penso??

Deglutì, e posò la giacchetta cercando di non pensare a lui che le aveva sfiorato erroneamente un braccio.

“ Wow”

Si girò di scatto, trovando il moro che la fissava a bocca aperta.

“ Tifa, sei stupenda” Tifa arrossì, mormorando un flebile “grazie”

Non amava sentirsi al centro dell’attenzione di qualcuno, soprattutto di uomini, e quello sguardo a metà tra l’allucinato e l’estasiato le stava letteralmente facendo andare in fiamme il volto.

Fortunatamente Aeris si intromise, appendendosi al braccio del moro. Non pareva essersi accorta del turbamento dei due, e da una parte questo la rassicurava. Non era una tipa gelosa, men che meno della sua migliore amica, ma non l’avrebbe di sicuro gradito se andava per le lunghe. Cosa che ,Zack ,sembrava intenzionato a fare.

“ Tiffy, ma sei bellissima stasera!” cinguettò felice, e Zack annuì, spostando il suo sguardo a terra.

“ Grazie, Ae” sorrise la mora spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio “ Anche il tuo vestito è molto grazioso. La fioraia si portò una mano alla bocca, sogghignando lusingata.

“ Ehi, Zack” disse sporgendosi verso il moro “ Strano che tu non abbia spiccicato parola!” Zack si voltò a guardarla, esitante, poi sorrise a sua volta.

“ Stavo giusto per dire quanto fosse carina stasera” strano. Sembrava si sforzasse di apparire allegro come al solito, ma qualcosa non andava.

“ Davvero?” Aeris si imbronciò, fingendosi offesa “ Guarda cosa hai fatto, Tifa, me lo stai portando via!”

Stava scherzando?

“Ma certo” pensò la mora “ Aeris non farebbe mai così sul serio”

“ Eh sì, è veramente molto carina. Un pensierino ce lo farei.”

“ Vergogna” lo rimproverò Aeris puntandogli contro un dito e lui scoppiò a ridere.

“ Se non fossi sposato te la darei io una scaldatina in queste notti di gelo”

La fioraia le diede una schiaffetto (sempre per gioco) e le ricordò che sua moglie, lei, stava a pochi centimetri e che aveva sentito tutto. Zack congiunse le mani e ripetè “ Sono un uomo sposato, sono un uomo sposato, sono un uomo sposato…”

“ E allora largo agli scapoli!” un ragazzo con una lunga coda rossa si spinse Zack di lato, sorridendo strafottente.

“ Tifa, sei una vera bomba!” si complimentò Reno con un occhiolino e la mora sussultò.

“ Reno dei Turks?” escalmò sorpresa, avvertendo la presenza di Cloud ( dove diavolo era finito??) che si era avvicinato con fare minaccioso.

“ Cosa vuoi?” mormorò freddamente il Soldier, e il rosso alzò una mano, come a volersi difendere. Ogni cosa nel suo portamento suggeriva una certa tranquillità.

“ Whoa, calmi” disse mentre Zack nascondeva Aeris dietro di se, fissandolo di traverso “ Sono qui solo per divertirmi! Io e il mio socio abbiamo la serata libera” e indicò Rude seduto in fondo alla pista. Il gruppo si rilassò, ma solo di poco.

“ Non vi siete più fatti vedere dopo il crollo della Shinra” disse Zack con una certa diffidenza e Reno sospirò, coprendosi la fronte con una mano.

“ La gente oggi è davvero così sospettosa” esalò teatralmente “ Siamo rimasti nascosti per evitare che ci facessero la pelle, Fair, non perché ci divertiamo a giocare a nascondino per due anni. Oh, a proposito, ho saputo di te ed Aeris. I miei complimenti davvero, sei fortunato” La ragazza arrossì e scivolò al fianco del marito, un po’ meno impaurita.

“ Con voi..” chiese esitante “ C’è anche Tseng?”

Reno sorrise, in maniera maliziosa e sinistra “ Come mai ti interessa tanto?”

Lei arrossì, e cercò di simulare l’imbarazzo per quell’insinuazione velata mettendo le mani sui fianchi e piegandosi leggermente in avanti con aria minacciosa.

“ Non è di certo quello che pensi” disse “ L’ultima volta che l’ho visto era morente. Vorrei solo sapere se sta bene”

“ Sta bene” confermò Reno “ Ma non poteva di certo avvertirti”

La ragazza scattò come una molla, felice “ Meno male. Sono così contenta” Zack e Cloud si scambiarono un’occhiata, perplessi. Ma ,infondo, il moro era contento che Tseng stesse bene. Era una brava persona nonostante fosse un Turk.

“ Zack, non ti spiace se io Reno andiamo a scambiare due chiacchiere. Vero?”

“ Certo che no, va pure”

“ Tranquillo” lo rassicurò Reno seguendo Aeris in mezzo alla calca “ Te la riporto tutta intera”

“ Lo spero per te” rispose il moro tra il serio e il faceto, un po’ preoccupato da quella situazione. Quando c’erano i Turks di mezzo era sempre meglio tenere gli occhi bene aperti.

Tifa poggiò una mano sulla spalla di Cloud “ Balliamo?”

Cloud chiuse gli occhi “ Vado e bere qualcosa” e si diresse verso il bancone, lasciando Tifa con il braccio a mezz’aria. Sul volto un’espressione sconcertata e delusa.

A Zack sembrò addirittura che stesse per piangere.

Si accigliò, irritato dal comportamento dell’amico e afferrò il polso della ragazza trascinandola verso la pista.

“ Zack, cosa..?” lui non badò alle sue resistenze, e passarono in mezzo ad le altre coppie fino ad arrivare al centro.

“ Volevi ballare, no?” la musica dance si interruppe bruscamente, e al suo posto mandarono una canzone lenta dai toni latino americani.

Le prese una mano e se la portò fino alla spalla, mentre la giovane stringeva l’altra sul suo fianco. Le luci verdine illuminarono i due nella loro danza, che cominciò in maniera timida, imbarazzata. All’inizio Tifa si limitò a seguirlo, lasciandosi condurre dai suoi movimenti. I toni bassi e sensuali della canzone le accarezzarono l’udito mentre intrecciava lo sguardo con quello di Zack, perdendosi in quell’immensità blu cobalto. Si fissarono per un lungo momento, dimenticando che erano in mezzo ad altre persone a ballare.

I capelli corvini di Tifa scivolavano morbidamente sulla schiena scoperta, creando un meraviglioso contrasto con il candore del corto vestito bianco. Gli occhi, grandi ed espressivi, sembravano volergli scandagliare l’animo, in cerca di risposte che lei sembrava non essere in grado di trovare.

Perché accade?

“ Non lo so piccola” si ritrovò a sussurrare e lei abbassò lo sguardo, fingendosi interessata alla cinturina di brillanti che le pendeva lungo un fianco.

Non ci riesce. È impossibile.

Non riesce a fissare quei meravigliosi zaffiri, non regge al loro stupore.

“ So che non posso, so che non dovrei. Eppure sento qualcosa… perché?”

Non puoi trovare una consolazione da lui. Non puoi, ed è sbagliato pensarlo

Le dita di Zack si strinsero maggiormente sulla stoffa del vestito e lei rialzò lo sguardo. Trovò il volto di uno sconosciuto, acceso da qualcosa che lei non seppe o non voleva definire. Si voltò di scatto, poggiando la schiena sul petto di Zack. Prense l’iniziativa ancheggiando contro il bacino del compagno e lo sentì sussultare, sorpreso e deluso al tempo stesso. Ma non si perse d’animo.

Le fece scivolare la mano sul fianco, e lei ancheggiò leggermente. Lui le passò la mano fra i capelli, toccandole il viso in un’incerta carezza, mentre la danza, celata da altri ballerini intorno a loro, diveniva man mano uno scambio di tenerezze inconsapevoli.

Tifa aveva il viso arrossato e le palpebre socchiuse, in profonda connessione con i movimenti fluidi del piede. La gonna fluttuò attorno alle sue gambe quando fece una mezza piroetta, consentendo a Zack una rapida occhiata alle cosce che gli fece sentire ancora più caldo.

Caldo? Sì faceva caldo lì dentro.

Ma solo quando Tifa riavvicinava la schiena contro di lui. Era così morbida e femminile in quei passi di danza, che una voglia pazzesca ed eccitante lo travolse come un fiume in piena. Voleva sentirla ancora più vicino, voleva sentire il suo respiro, il suo odore.

Allungò il viso e affondò il naso nel collo pallido di Tifa, aspirando il profumo dolce e delicato con avidità. Lei incassò la testa sulle spalle, come una bambina a cui avevano fatto il solletico. Ma non si ritrasse, anzi. Sorrise in maniera quasi intima, chiudendo gli occhi, assaporando quelle mani che vagavano sul suo ventre e sulle sue spalle. Passando fugacemente sui suoi seni.

Sospirò beata. Era quello sentirsi amate da un uomo? Avvertire il desiderio che suscitava trasformarsi in una passione travolgente?

Si sentì appagata, annullata in un mare di piacere che arrivava a scariche dai punti in cui Zack l’aveva toccata. Inarcò un po’ la schiena per permettere alla sue mani di accarezzarla . Alzò le braccia, avvertendo un fuoco che le ardeva a fior di pelle, inibendo ogni sua capacità razionale.

Le labbra semiaperte e la delicata estasi amorosa che la invadeva tutta la facevano sentire bella, invincibile, spregiudicata. Incitò Zack con un colpo di reni e lui la strinse maggiormente a se.

“ Vedo che ti piace”

Annuì,ma la sensazione di star facendo qualcosa di sbagliato la fece riprendere. Aprì di scatto gli occhi, tornando con la mente alla pista e vide le altre persone cimentarsi in un valzer veloce. La loro canzone si era dissolta, così come quel fugace attimo di gioia folle.

Si guardò intorno, spaesata, e ad un tavolo vide Cloud e Rude.

Rude sembrava sconfitto e beveva tristemente una birra. L’espressione di Cloud era indecifrabile.

Guardava lei poi Zack, chiedendosi cosa diavolo fosse successo, ma il fastidio era ben evidente nei suoi gesti. Tuttavia non si mosse.

“ Tifa” si voltò verso Zack, che aveva abbandonato le braccia lungo i fianchi. La camicia era fradicia di sudore e si poteva vedere il corpo sotto “ Io…. Ecco” sembrava pentito, e lei realizzò cosa aveva fatto.

Spalancò gli occhi, indietreggiando e andando quasi a sbattere contro un ballerino.

“ Tifa”

Oddio  no….

Scosse la testa, profondamente turbata dai propri sentimenti.

“ Scusa” e scappò, schivando la gente ferma a gruppi.

Zack sospirò, rimanendo ben fermo in mezzo alla pista. Che casino.

E adesso?

“ Devo raggiungerla”

 

 

 

 

 

 

Si sentiva malissimo, le girava la testa.

Barcollò fino ad una porta e vi si poggiò sopra, convinta che fosse quella del bagno, ed entrò.

Era scuro, umido. Pieno di scaffali e scatoloni contenente bibite e vivande con cui servire l’esigente clientela. Una minuscola finestra era collocata quasi sul soffitto.

Si appoggiò ad un armadietto, dimenticando di accendere la luce, e riprese fiato. Mise una mano sul petto, ascoltando il battito frenetico del suo cuore, e un gemito di impotenza le salì su per la gola.

Stava lentamente prendendo coscienza della cazzata che aveva fatto, disperandosi anche per il fatto che Cloud avesse visto tutto.

“ Sono una troia” disse a se stessa sul punto si scoppiare in lacrime.

Come poteva pensare di appropriarsi così del marito di una sua cara amica? Aeris sarebbe morta….

Una bella esibizione Tifa Lockheart.

Davvero.

I suoi pensieri non furono interrotti nemmeno dall’ombra che, dal corridoio illuminato, era entrata chiudendosi la porta alle spalle. Non sentì i passi, ne il suo respiro.

Sentì solo che l’afferravano per un fianco per tirarla contro qualcuno. Qualcuno che conosceva troppo bene. Saggiò la morbidezza della stoffa e vi si aggrappò disperatamente, con un gemito. Due labbra morbide affondarono nel suo collo, baciandolo ,torturandolo, mordendolo. Leccando ogni lembo di pelle fino all’orecchio.

Tifa ansimò, eccitata dalla voglia del compagno, e le sue mani andarono ad accarezzargli i capelli, affondando in quelle ciocche irte e corvine. Lo baciò sulla tempia, sul mento percorrendo il collo con la lingua e il ragazzo la sollevò da terra, sbattendola contro il muro. Le accarezzò le cosce, in modo rude, e lei sospirò lasciandosi andare contro di lui.

Sentiva l’eccitazione del ragazzo premerle contro la gamba e gemette di nuovo.

“ Z-Zack”

Un nome che avrebbe segnato i loro destini per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono qui!! Vi avevo detto che sarebbe successo qualcosa *_* ( yuppi!!”) ( Zack! L’onore coniugale!!nda Angeal) ( Oh, ma sta zitto Angiru!! Nda io perversa come pochi)

Ok. Ringraziamenti!

 

Fflover89

 

Eh sì, una Cloti fan ^_^ grazie del tuo supporto. La tua fic era davvero bella *_* alla prossima.

 

Tifa_Heart

 

Meno male che ti è piaciuto l’altro chappy! Sì anch’io userò quell’imprecazione d’ora in poi ^___^

Spero che anche questo sia di tuo gradimento! All prossima!

 

 

 

 

PS provate ad ascoltare Obsession di Frankie J n durante il ballo di Zack e Tifa, secondo me è perfetta!! *_*

 

Ciaoooooooo!!!

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Capitolo 4
*** Non posso farlo ***


 

They don’t know how long it takes
Waiting for a love like this
Every time we say goodbye
I wish we had one more kiss
I’ll wait for you I promise you, I will



 

Gli altri non sanno quanto tempo ci vuole
ad aspettare un amore così
Ogni volta che ci salutiamo
Vorrei che ci fossimo dati un bacio in più
Ti aspetterò, prometto che lo farò.

 

 

Lucky Colbie Caillat

 

 

 

 

 

La sua schiena nuda premeva contro la parete, mentre le mani bollenti di Zack vagavano sulle sue gambe in carezze lente e sensuali che le incendiavano la pelle in un fuoco di passione che cresceva di secondo in secondo.

Il petto del moro la schiacciava in maniera quasi soffocante, ma per niente al mondo l’avrebbe scostato.

Chiuse gli occhi e rovesciò la testa all’indietro sentendo Zack percorrerle la giugulare in piccoli baci che talvolta si trasformavano in morsi.

Scese fino all’incavo degli opulenti seni di Tifa, affondandoci  il naso e leccando quella pelle di seta che gli si offriva invitante.

La musica e il caos al di fuori di quella stanza giungevano indistinti alle orecchie della ragazza, assorbiti in quella nebbia di gioia istintiva che la portava a fare cose che normalmente non si sarebbe sognata di fare nemmeno con Cloud.

Infilava la lingua in posti che non credeva possibili, provocando mugugni deliziati da parte del compagno, che la premiava con la stessa foga.

Sentiva l’umida saliva scenderle giù per il collo, provocandole tremiti incontrollati che sfociavano in soffocati gemiti di vergogna.

Quello stanzino buio non era più così freddo e neppure tanto cupo. Tutto possedeva lo stesso colore della lussuria, che accecava con la sua innegabile presenza.

Ne era impregnata e ne voleva ancora.

Voleva che la violasse lì, contro un muro, mentre il mondo là fuori continuava a girare anche senza di loro, voleva che la prendesse come un animale, subito e tutta, voleva sentire il sapore delle sue labbra. Dolci di miele o amare di bile non aveva alcuna importanza.

Voleva solo appartenergli, come la sua donna.

Peccato che non fosse sua.

Ad un centimetro dalle sue labbra si fermò.

Lei non apparteneva a Zack. Apparteneva a Cloud.

Possibile che il mondo girasse in modo opposto delle volte?

Lei non doveva neanche permettersi di toccarlo, quello era un privilegio esclusivo della donna che l’aveva sposato. Aeris, la sua migliore amica, quella che si fidava di lei in maniera cieca. E quella che se ne stava bellamente abbarbicata col suo uomo in un ripostiglio era lei. Quella di cui si fidava.

Tifa Lockheart, la puttana. Esattamente così si sentì prima di tirarsi indietro.

L’immagine degli occhi di Cloud la fecero atterrare bruscamente in una realtà che stava per buttare al vento, mettendola di fronte ad una scelta.

Rovinare un’amicizia e un matrimonio per togliersi uno sfizio? Non poteva né doveva succedere.

Anche se la sua vita era ben lungi dall’essere perfetta, le andava bene così. Per un paio di ormoni fuori controllo non poteva mandare al diavolo tutto ciò che si era costruita per anni.

E poi, di Zack si stava parlando.

Il fatto che ci provasse con ogni donna nel raggio di due chilometri avrebbe dovuto intimidirla, ma stranamente c’era qualcosa in lui che l’attraeva parecchio, già da prima di quella serata.

Ma aveva scambiato il suo debole per lui con la stima. Amava troppo un unico uomo per voltarsi a guardarne un altro. Ma Cloud Strife si era dimostrato non poco deludente rispetto alle sue aspettative.

Comunque era ridicolo che si fosse invaghita di lui solo per aver ballato un lento guancia contro guancia. Dovevano essere per forza gli ormoni, impazziti per l’eccessivo carico di eccitazione.

Non giustificava assolutamente nulla, però quella spiegazione la soddisfaceva.

Si era avvinghiata a Zack solo perché avere un uomo così vicino a se l’aveva fatta andare fuori controllo. Fine della spiegazione convincente.

Ora doveva smetterla, prima di precipitare del tutto.

Zack, intanto, aveva scambiato la passività della ragazza per pudore così, sorridendo un poco, si era avvicinato al suo viso per unire le labbra alle sue.

Sentì le mani della ragazza che premevano contro il suo petto, ma non si fermò.

“ Zack, no” mormorò soffocata ma Zack non la stette a sentire. Era troppo vicina per non notarla, troppo invitante per non cercare di assaggiarla.

Tifa si trovò ancora più stretta tra il muro e il petto del moro ,schiacciata dalla sua imponente presenza.

“ Zack” il fiato dolce si infranse sul volto di Zack, provocandole un piacevole tremito “Basta”.

La voce le usciva arrocchiata, soffocata dall’insistenza aggressiva del ragazzo, che intanto faceva avanzare una mano oltre l’orlo del vestito. Una sensazione così maledettamente piacevole che quando arrivò agli slip non riuscì a trattenere un piccolo gemito.

“ Ah”

Alle orecchie di Zack equivalse come un invito, e fece scivolare lentamente l’elastico verso il basso.

Era talmente preso dalla sua insaziabile voglia che non si accorse dello schiaffone che lo colpì in pieno viso.

Lasciò andare Tifa gemendo di sorpresa più che per dolore e lei ne approfittò per sgattaiolare via dalla sua presa.

Andò verso la porta con passo barcollante e non si voltò a guardarlo quando la luce del locale la inondò accecante. La musica delle casse vibrava nel suo petto, squassato dal battito frenetico del cuore.

Il respiro di Zack dietro di lei le fece venire la tentazione di buttarsi nuovamente tra le sue braccia, per colmare la perdita che sentiva nell’animo, ma tuttavia ricacciò subito questo sentimento.

Non poteva sperare di udirlo di nuovo, ne di rimpiangerlo.

I loro mondi dovevano restare separati, uniti solo dall’essenziale come era successo fino a quella dannata sera.

Per il loro bene, per il bene di tutti.

“ Non posso”

Di tutto quello che si era ripromessa di dire quel “non posso” le sembrava ridicolo, privo di senso dato che poteva essere interpretato in vari modi.

Ma di tutto quello fu l’unica cosa in grado di quietare il suo turbamento.

Un monito che aveva rivolto principalmente a se stessa.

“ Non posso farlo, Zack”

Senza ulteriori indugi uscì, abbandonando il moro col cuore pieno di paure e desideri.

lo sguardo di Zack che le perforava le spalle, la seguì finchè non la vide sparire tra la folla danzante.

 

 

 

 

 

 

Ma che diavolo gli era preso???

Doveva scusarsi con Tifa e per poco non le saltava addosso.

Era turbato nel profondo per questo insano desiderio che gli nasceva dentro e che sembrava non voler diminuire, ma il calore di Tifa ancora lo pervadeva. In un torpore dolce quanto il sapore della sua pelle.

“ Idiota” pensò frenando la mano che si era inconsciamente allungata fino alle labbra.

Sospirò, dandosi del cretino mille volte, sopprimendo ogni pensiero che gli affiorava nella mente. Che disastro che aveva combinato….

Tifa non gli avrebbe rivolto mai più la parola, già era fortunato che non lo massacrasse di botte. Quella ragazza aveva la mano pesante, giudicarla solo per il suo aspetto era da idioti. Eppure era esattamente ciò che aveva fatto.

Scosse la testa, mormorando un mezzo insulto, e uscì dallo stanzino, suscitando delle risatine nervose da parte di un gruppo di adolescenti che l’aveva notato poco prima all’entrata.

Non se ne curò, d’altronde era abituato ad avance decisamente aggressive di alcune segretarie della WRO. Ma nessuna era mai riuscita a scalfire la sua fedeltà per Aeris, fino a quella sera.

E con la persona sbagliata.

Di tutte le ragazze che c’erano sul pianeta proprio quella del suo migliore amico?  Proprio a due centimetri da lui aveva fatto il figo.

Una figura di merda colossale, con l’emerito coglione che sosteneva di essere cambiato dopo il matrimonio. Balle, tutte balle.

Attraversò la pista, cercando di individuare Aeris tra i tavoli, ma sia accorse, con un po’ di disappunto, che si trovava seduta al bancone in compagnia di Reno. Ma forse era più corretto dire che era mezza sdraiata sul piano in metallo, con le gambe incrociate che lasciavano intravedere una buona porzione di coscia. Il barista non buttava l’occhio lì per caso e Zack si avvicinò a grandi falcate verso quei due chiassosi.

Uno dei difetti del suo carattere che mai avrebbe potuto modificare era la gelosia. Non si sarebbe mai detto, ma lui era molto geloso. Soprattutto  se qualcuno spogliava Aeris con lo sguardo.

“ Reno!” sbottò furente, provocando un sussulto intimorito nell’uomo dietro il bancone “ Così intendevi riportarmela??” la fioraia sollevò gli occhi allucinati dalle mani e si mise seduta, ondeggiando pericolosamente da un lato. Rise.

“ Ehi friend, calm down!”  rispose Reno tracannando un lungo sorso di vodka “ Lei voleva solo provare un alcolico, ma mi sa che non li regge bene” e la indicò con la testa mentre lei era intenta a seguire con lo sguardo una luce che veniva proiettata contro i muri “ E poi dovresti essermi riconoscente. Questa notte si preannuncerà di fuoco”

Zack avvampò fino alla punta delle orecchie, desiderando far ingoiare tutti i denti a quel pirla di Turk, ma con Aeris ubriaca non era una buona idea scatenare una rissa.

“ Non ho bisogno di sbronzarla per questo” borbottò prendendola per un braccio e lei si accasciò a corpo morto su di lui aggrappandosi alla sua camicia.

“ Dai, amore” biascicò con voce impastata “ Era solo un goccetto eh? Don’t worry, zo to!”

“ Ehi, non fregarmi le parole!”

Zack sbuffò, sorreggendola per la vita, e fece per andarsene ma la moglie scattò su come una molla.

“ Aspetta! Dove sono Cloud e Tifa? Voglio salutarli…”

Il moro si guardò intorno ma, com’era prevedibile, di loro nessuna traccia. I suoi occhi azzurri si offuscarono.

“ Penso siano già andati via..”

“ Nooooooo…” mugugnò Aeris affondando il naso nella stoffa della camicia di Zack. Avvertendo il respiro fresco di Aeris solleticargli la pelle, sobbalzò.

“ Che stai facendo??”

“ Ti annuso, perché?” Reno si voltò verso il bancone, e abbassò la testa scosso dai tremiti delle risa. Cosa lo trattenne dal dargli un pugno proprio non lo seppe.

“ Hai un odore diverso” mormorò perplessa e alzò lo sguardo verso il marito che lo evitò.

“ Ehm… andiamo” e la trascinò via, non prima che avesse urlato a Reno l’indirizzo del negozio e fatto promettere che sarebbe venuto anche Tseng.

“ Mi raccomando, vi aspetto!!”

“ Non mancherò” sorrise Reno alzando il bicchiere.

Zack sbuffò.

Che razza di serata…

 

 

 

 

Si stava svestendo lentamente, spogliandosi di quegli indumenti che non sarebbe più riuscita a mettere dopo quella serata, e si guardò allo specchio.

I capelli, nonostante gli avesse sistemati un po’, sembravano un campo di battaglia, ma quello poteva anche attribuirlo al fatto che la moto non è la migliore alleata delle acconciature.

Quei segnetti rossi sul collo però spiccavano terribilmente, meno male che aveva lasciato le ciocche a coprirli. Ma la gioia folle che le deformava i lineamenti ancora persisteva.

Piegò l’angolo della bocca, togliendosi il trucco ormai liquefatto con una salvietta bagnata.

Si considerava fortunata. Cloud non gli aveva fatto domande, si era limitato a seguirla fuori dal locale, senza chiedere il perché. Forse non aveva intuito proprio tutto, ma qualcosa sì, anche se non immaginava la portata di ciò che il suo amico stava per fare.

Si fidava di lui, non avrebbe mai osato mettere in dubbio la sua onestà.

E già qui faceva male. Perché, prima o poi, anche le persone di cui ti fidi di più commettono un passo falso.

Questo distingue un umano da un automa. La capacità di sbagliare, commettere le peggiori cazzate possibili.

E nel suo caso poco c’era mancato.

Spense la luce, cacciando i ricordi di quel lento attira- tentazioni, e raggiunse Cloud nel letto che condividevano.

 

 

 

 

 

“ Tifa! Il caffè lo voglio prima di domani!”

Ok, si era svegliata male quel mattino.

Cloud era partito presto senza avvertirla, aveva sognato di fare sesso sfrenato con Zack e quando si era tirata su a sedere si era ricordata cosa era successo al Blue Tomberry Bar, ed era andata completamente in crisi.

Galeotto il bar e chi lo costriuì, o forse era meglio dire galeotta la canzone e chi la scrisse.

“ Ma sì mandiamo tutto all’inferno!”

“ Un attimo solo, Albert” e schizzò verso la caffettiera con una tazzina in mano, prendendo mentalmente le ordinazioni che i clienti le sporgevano dal bancone.

“ Tifa, un te”

“ Tifa, un cappuccino con doppia schiuma”

“ Tifa, voglio una cioccolata calda, mi raccomando che sia bollente”

“ Sì, sì” esclamava senza sosta, lottando contro quella maledetta vena pervertita che le era salita nella pancia alla parola “ calda” e “ bollente”.

“ Sigh, non pronunciare quella parola” sospirò mestamente quando il ragazzo gliela ripetè di nuovo. Aggrottò le sopracciglia, non capendo l’allusione, e scrollò le spalle “ Come vuoi”

Qualche minuto dopo, quando i pendolari se ne furono andati, si concesse un breve strilletto di frustrazione.

“ Merda!” esclamò afferrando il cellulare.

Nessun messaggio, ne telefonata. Grazie Cloud.

“ Merda!” e lo sollevò per buttarlo a terra, ma un timido “Bip” la fece retrocedere. Controllò che messaggio le era arrivato.

“Da:Aeris

Ehi! Se non hai nulla da fare perché non usciamo un po’ questo pomeriggio? Ti aspetto in piazza, e non provare a sfuggirmi! So dove trovarti! Un bacio”

Tifa sorrise, curandosi poco del fatto che per poco non si faceva suo marito, e raccogliendo tutto il suo coraggio, inviò la risposta affermativa. Voleva fare due chiacchiere in pace, come due amiche, cosa c’era di male? Comunque decise che gli uomini erano un argomento tabù.

Meglio per la sua salute psichica almeno.

 

 

 

 

 

 

Passeggiavano sulla via principale, ridendo e scherzando come due amiche di vecchie data, tenendosi a braccetto con espressione birichina.

Aeris le parlava di tutto, sempre con un sorriso a deformarle le labbra, descrivendo nei dettagli tutta la produzione floreale che intendeva mettere in vetrina e Tifa l’ascoltava beata, godendosi quel pomeriggio che si negavano da molto tempo. Certo, in due anni molte cose erano cambiate, ma la loro amicizia restava inossidabile. E questo la rendeva felice.

Sghignazzando come due pettegole, la fioraia la tirò davanti alla vetrina di una negozio, strattonandola come una bambina piccola.

“ Oh” esclamò intenerita “ Guarda Tifa”

La mora osservò sorridendo il completino da marinaio che c’era esposto, ma notando la taglia piuttosto minuta il sorriso le morì inspiegabilmente sulle labbra.

C’erano altri vestitini, molto graziosi anche se un po’ retrò, colmi di trini e fiocchi e dall’insegna con quell’orsetto dal muso simpatico, capì che era un negozio di abiti per la prima infanzia. Anzi, per neonati.

Il suo viso fu percorso da un’espressione incredula, che si riflettè sul vetro lucido. Che Aeris… no, che scema, gliel’avrebbe di sicuro detto o forse…

La cosa era già più probabile, ma non si sentì affatto meglio.

Una fitta le prese lo stomaco, attorcigliandoglielo mille volte su se stesso, e si voltò lentamente verso Aeris.

“ Ae..”

“ Ti ricordi Barett com’era carino con quel completo? Mi ricorda quando ci siamo imbarcati su quella nave travestiti da fanti. Faceva tenerezza vestito da marinaio” il sollievo fu così illuminante che gli scappò un’esclamazione di sollievo, prontamente mascherata da risata a cui si unì anche l’antica.

Pericolo scampato, si era presa un bello spavento.

No, un attimo, ma che diavolo….

“ Eh, eh sì era decisamente comico”

“ Anche Zack. Non ero abituata a vederlo vestito da fante”

“ Mmm, tra te e lui tutto bene?”

Ma allora era proprio masochista. Gli uomini non erano un argomento tabù?

“ Tutto bene” rispose con un sorriso “ Diciamo che è sempre il solito ragazzo spaccone travolgente che è caduto nella mia chiesa un po’ d’anni fa. Sai, in confidenza, delle volte non sa tenere a freno le mani”

“ Oh sì…”

“ Come?”

“ Ehm, oh sì immagino”

Tornò a fissare la vetrina sperando che non si accorgesse del rossore che si era diffuso sulle gote.

Immagini frammentarie di realtà e sogno si mescolavano nella sua mente, creando un collage di cui si vergognava da morire.

“ Tifa” la richiamò Aeris dandole un buffetto sulle spalle “ Tutto ok?”

“ No, sto immaginando tuo marito nudo, non è tutto ok”

Si voltò, sfoggiando un sorriso a trentadue denti “ Certo”

“ E allora vieni con me. Ti mostro una cosa” fece con aria misteriosa e la prese per mano “ Poi mi devi anche spiegare perché ieri sera vi siete dileguati così! Voglio sapere tutti i dettagli!”

Tutti, tutti?

“ No, Ae” pensò la mora “ Non credo”

 

 

 

 

 

 

“ Cos’è successo??”

Il negoziante si chinò sul ragazzo, che stava a terra, svenuto, e lo girò per valutare la gravità.

Una grossa macchia di sangue si allargava sulla maglia, e agrottò le sopracciglia sotto lo sgomento della piccola folla che si era radunata lì attorno.

“ Presto!” urlò alla gente “ Chiamate un’ambulanza”

Il giovane si mosse e riportò la sua attenzione verso di lui.

“ Come ti senti, ragazzo?” chiese quando questo aprì un poco gli occhi.

“ Bhè” gracchiò “potrei stare meglio”

“ Resisti, sta arrivando l’ambulanza, tra poco starai meglio”

“ Lo spero. Non ho visto l’altro, è scappato?”

“ No, ti ringrazio per questo, qual è il tuo nome?”

“ Zack Fair” sorrise “ Per servirla” tossì, spruzzando minuscole gocce di sangue, e avvertì un peso terribile al corpo, mentre l’oscurità lo trascinava verso il fondo.

“ Zack!! Resisti ragazzo!! Non chiudere gli occhi!!”

Il nero dell’obilo inghiottì tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ta-dan!! Suspence!! Forse avrete già capito cosa è successo, ma non anticipo niente. povero il mio Zackettino T_T sono proprio crudele. Ma intanto Tifa si fa dei bei pensieri pervertiti, che diventeranno realtà molto presto. Tutto nelle prossime puntate!!

 

 

Tifa_Heart

 

Sono contenta che ti piaccia!! La scena del ballo mi premeva molto, e ora ho tirato sto tiro mancino a Zack O_O povero…. Spero che sia di tuo gradimento, sto cercando di non correre troppo, do a tutto il giusto tempo. Continua a seguirmi mi raccomando!!

 

Fflover89

 

La tua fic era veramente carina ^_^ mi ha fatto piacere leggerla. Come vedi Tifa non ha ceduto subito e Cloud non potrebbe mai sospettare delle persone di cui si fida di più ( tongolo un po’ mi dispiace) e per le coppie… non anticipo niente! spero di non diventare noiosa.

 

Lady_Loire

 

Sono felicissima che ti piaccia. Zack ha ingranato la quinta ma Tifa non c’è stata, per ora ( Grrr Tifaaa è_é) continua a seguirmi, mi raccomando.

 

 

Grazie anche a :

 

arisa_14

_tifaa_

Per aver inserito la storia tra le preferite.

 

E:

Black_Thunder

The one winged angel

Per averla inserita tra le seguite.

Commentate anche voi, mi farebbe molto piacere sentire il parere di più persone.

Grazie, alla prossima!!!!!

 

 

 

 



 

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Capitolo 5
*** Tutto come prima? ***


 

 

Ti stai muovendo troppo velocemente, non ti capisco
Non sono ancora pronta, non posso fingere
No non posso
La cosa migliore che posso dirti e di parlarmi
E' possibile, futuro
L'amore troverà una via
L'amore troverà una via

Non dire che mi ami
Neanche mi conosci
Se davvero mi vuoi
Poi dammi del tempo
Non andare lì ragazzo
Non prima che sia pronta
Non dire che il tuo cuore è in agitazione
Non è come se stessimo per sposarci
Dammi, dammi del tempo

 

Don’t say you love me

 

 

 

 

 

 

“ Mia cara,chiudi gli occhi”

Tifa fece come le era stato ordinato, non capendo cosa ci potesse essere di tanto segreto nella chiesa. Aveva capito che la stava portando lì da subito, e non le venivano altre spiegazioni in mente se non una: voleva mostrarle i fiori che aveva coltivato.

L’orgoglio principale di Aeris erano quelle delicate gemme che crescevano rigogliose, nonostante la luce filtrasse appena dalle travi crollate sul tetto.

Dopo la distruzione del settore 7, le macerie erano volate fino a lì, riducendo l’edificio ad uno stato di fatiscenza ancora più accentuato.  Ma non per questo Aeris aveva smesso di andarci, anzi, la utilizzava come serra per far crescere le piante che poi vendeva nel negozio. Una volta le aveva confidato che non lo faceva tanto per soldi quanto per rendere felici le persone.

“ Anche se è solo una piccola felicità io voglio condividerla con gli altri”

In effetti aveva ragione. I mazzi di girasoli che aveva appeso all’ingresso del Seventh Heaven la mettevano di buon umore. L’unica nota di colore in un mondo ormai grigio e cupo.

Il cigolio dei cardini arrugginiti la riporto alla realtà.

“ Ecco” disse la voce di Aeris “ Dammi la mano”

Tifa si sentì stringere le dita da quelle piccole e fresche della fioraia, e la seguì a tentoni dentro la chiesa, mentre i loro passi risuonavano gravemente per l’ambiente austero in penombra.

“ Non aprire gli occhi, eh?”

Tifa sorrise, annuendo appena.

Non era freddo come si sarebbe normalmente aspettata da un luogo come quello, ma tiepido, piacevole, come la stretta fraterna della sua amica. Il suo sorriso che scaldava anche il più gelido dei cuori.

Anche quello di Cloud.

Mille volte meglio di come aveva fatto lei.

Strinse maggiormente le dita dell’Antica.

“ Ok” disse dopo un po’, fermandosi “ ora puoi aprire gli occhi”

Tifa li riaprì, sgranandoli appena davanti a quel singolare spettacolo.

Il praticello di fiori era solo una parte di ciò che si aspettava di vedere, circondato da colori ben più ridondanti e vivaci.

Vasi di fiori violetti pendevano appesi alle colonne di marmo, avvinghiate in tutta la loro larghezza da rampicanti profumati. C’erano fiori anche sulle panche, sull’altare, un’esplosione di colori e di allegria. Le ghirlande rosate sotto la finestra conferivano un’atmosfera tipica da matrimonio.

“È…” disse cercando di sillabare due parole coerenti “ Magnifico”

La fioraia sorrise, intrecciando le mani dietro la schiena.

“ Sono felice che ti piaccia. Ci ho impiegato quasi un anno a sistemare tutto, e devo dire che il risultato mi piace ma…” si avvicinò a lei, con gli occhi verdi luccicanti di gioia “ Più di tutto speravo che piacesse anche a voi”

Tifa annuì, sinceramente colpita dalla sistemazione graziosa che aveva dato a ciascuna pianta. Si chinò, sfiorando i petali gialli e bianchi con delicatezza.

“ Sono bellissimi, Aeris, davvero” solitamente i fiori non la mandavano fuori di testa, ma questi meritavano davvero dei complimenti.

Aeris si mosse verso un vaso di violette, sistemando con amorevole cura le foglioline piccole, rigogliose. Lo posò nuovamente sulla panca di legno.

“ Sono felice” ripetè battendo le mani, piroettando su se stessa “ Come può essere possibile?”

Davanti allo sguardo perplesso dell’amica, Tifa, si alzò.

“ Com’è possibile?” non capiva.

“ Sì, sì” Aeris fissò il soffitto, laddove il tetto faceva entrare un timido raggio di sole.

“ Secondo te è possibile essere felici per sempre, con ciò che si ha?”

La mora incrociò le braccia al petto, mordicchiandosi il labbro inferiore “ Teoricamente no. Almeno, io lo penso”

E lo penso in virtù del fatto che il mio ragazzo ha lo stesso calore di un cubetto di ghiaccio.

La castana parve sorpresa della risposta.

“ Ma come? Tu non sei felice con Cloud?”

“ Io? Certo che lo sono!” rispose secca ed Aeris scosse la testa.

“ Non penso”

“ Senti Ae’, io…”

Lo squillo del cellulare di Aeris lasciò la frase a metà, spenta in gola prima che potesse finire.

Tifa abbandonò le braccia lungo i fianchi, accorgendosi solo in quel momento che le aveva sollevate  in un gesto di rabbia.

“ Pronto?”

“ La signora Fair?”

“ Sì ma… chi parla?”

“ Il primario del reparto di prognosi riservata dell’ospedale di Edge. Suo marito è rimasto ferito in una sparatoria”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’asfalto sotto le sue suole era bagnato.

Camminava sotto la pioggia, imprecando per non aver preso l’ombrello quando le previsioni avevano pronosticato questo temporale da chissà quante settimane.

Passò una mano fra i capelli fradici, scostando il ciuffo corvino dalla fronte.

Le strade erano silenziose, cupe, e solo qualche raro passante osava percorrerle. L’umidità nell’aria riempiva i suoi polmoni di una bruma spessa e soffocante, costringendolo a respirare profondamente ogni volta che si sentiva mancare il fiato.

Sbuffò, immaginando per un attimo l’espressione di Vincent quando avrebbe saputo che aveva bigiato, e aumentò il passo quasi inconsciamente.

Non aveva alcuna voglia di lavorare quel giorno, tanto non sarebbe riuscito a rimanere concentrato dopo ciò che era successo la sera prima.

Si sentiva uno schifo. Chissà cosa avrà pensato Tifa in quei momenti. E Cloud, dannazione.

Era il suo migliore amico e non voleva perderlo per una sciocchezza.

Passò davanti ad un negozio, la testa bassa, quando unì delle voci conciate al suo interno.

“ Non provare a fare resistenza e riempi il sacco” rimase con un piede a mezz’aria, voltandosi verso la porta a vetri tappezzata di pubblicità.

Il cassiere si affrettava a riempire una sacca di iuta, mentre un ragazzo con un gilet strappato gli puntava una pistola addosso. Buttando un occhio, notò un altro tenere a bada dei clienti terrorizzati, che si stringevano fra loro.

Scosse la testa, alzando gli occhi al cielo.

“ Datti una mossa, vecchio” sbraitò il rapinatore sventolando la pistola e Zack fece il suo ingresso nel negozio. Appena la porta si aprì con uno scampanellio, il ladro si voltò.

“ Salve. È aperto?”

“ Che cazzo vuoi, figlio di puttana?” grugnì l’altro puntandogli l’arma al petto. L’anziano dietro il bancone deglutì.

Il moro incrociò le braccia al petto.

“ Oh no, mia madre è una persona rispettabilissima. Ma non potrei dire lo stesso della tua… non ti ha mai insegnato che rubare è sbagliato?”

“ Cos’è ,hai voglia di fare l’eroe, coglioncello?”

“ Effettivamente era il mio sogno nel cassetto, non mi vuoi dire il tuo?”

Il ladro grugnì, spazientito, e con un gesto secco gli indicò i clienti stipati nel fondo.

“ Vai la e non farmi perdere la pazienza! Ed!”

L’altro si avvicinò, battendosi la mazza di ferro sulle mani. Sorrise mostrando una dentatura nera di tabacco.

“ Scorta questo ragazzino nei suoi nuovi alloggi, e fa in modo che ci resti insieme agli altri”

Ed sghignazzò “ Agli ordini capo”

Zack fece un sorrisetto, andando verso il resto degli ostaggi “ Spero che ci sia anche un angolo relax. Se devo fare l’ostaggio voglio essere trattato bene”

“ Sentito Phil? Il ragazzino ha il senso dell’umorismo”

“ Ma del tutto fuori luogo” rispose osservando i guil che il negoziante tirava fuori dal registratore “ Se fa ancora lo spiritoso ti autorizzo a dargli qualche botta, giusto per ricordargli con chi ha a che fare”

“ Allora io sono autorizzato a difendermi”

Phil fece una smorfia “ Hai solo da provare ragazzino”

Un tonfo ed un gemito lo fecero voltare di scatto. Ed stava a terra e il ragazzo correva verso di lui.

Impugnò meglio la pistola, sollevandola contro il moro “ Figlio di…” ma prima che potesse sparare, Zack aveva dato un calcio all’arma facendola volare lontano.

Disarmato, il rapinatore indietreggiò “ Calma, amico, cerca di calmarti”

Zack piegò la testa di lato “ Ma come? Non sono più un figlio di puttana?” e non lo fece rispondere, perché lo stordì con un poderoso pugno.

Fissò il rapinatore a terra, portandosi le mani sui fianchi “ Facile come bere un bicchiere d’acqua”

Ebbe solo il tempo di un respiro.

BAM!

 

 

 

 

 

 

 

“ Dannazione” pensò mentre il sangue cominciava a sgorgare dal petto “ Ce n’era un altro” il terzo rapinatore lo fissava compiaciuto, con la canna ancora fumante.

Con un enorme sforzo, con la vista appannata, si gettò su di lui.

Vide solo il suo pugno infrangersi sul volto dell’uomo. Poi il nero oblio l’accolse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“ Zack” sentiva il suo nome rimbalzargli nella mente, come un’eco lontano. Distorto e fievole.

Aprì lentamente un occhio, e ciò che vide fu solo una sfera lucente che lo costrinse a serrarlo.

“ Sono morto?” chiese roco e la risata cristallina che ne seguì lo fece sobbalzare.

“ Non direi”

Questa voce… Aeris!

Schiuse le palpebre, voltando un po’ la testa   per vederla. I contorni sfocati del suo viso lo raggiunsero con immediata chiarezza.

“ Aeris?” dopo che ebbe pronunciato il suo nome tutto divenne più nitido. Come per incanto, il sorriso della donna amata lo abbagliò in tutto il suo splendore.

“ Sì” mormorò lei abbracciandolo, affondando il viso nel suo petto.

Zack la strinse debolmente a se, accarezzandole i capelli con dolcezza.

“ Ehi, non piangere. Guarda che sono qui”

La fioraia scosse la testa contro la stoffa della maglia, singhiozzando.

“ Ho avuto tanta paura”

Zack si guardò attorno.

Le pareti bianche, asettiche e tutto quell’odore di disinfettante gli fecero venire la nausea. Una sedia ed un tavolo erano state sistemate in un angolo, vicino all’ampia finestra.

“ Anch’io” sospirò infine “ Anch’io”

In quel momento la porta si aprì, ed entrò una persona che conosceva troppo bene.

Si irrigidì.

“ Tifa?”

La mora annuì, sorridendo lieve. Si portò di fianco al letto, poggiando una mano sulla spalla di Aeris.

“ Sono felice che tu stia bene, Zack”

Il ragazzo si morse il labbro, alzando leggermente l’angolo destro.

“ Ti ringrazio”

“ Yeeeeeee!!!”

Un fulmine di piccole dimensioni si slanciò contro di lui, atterrandogli addosso.

Yuffie lo stritolò in un abbraccio, strillando felice.

“ Zack!!!! Sei sveglio, meno male ho avuto tanta paura!!!!”

Il giovane credette di soffocare tra le braccia sottili ma forti della ninja.

La prese per le spalle, imponendole di separarsi da lui.

“ Yuffie, anch’io sono felice di rivederti, ma non mi pare il caso di  soffocarmi!”

Yuffie, ridacchiò.

“ Scusa”

“ Zack” Cid e Barett entrarono seguiti da Vincent e Cloud, e cominciarono a parlare animatamente.

“ Non fanno altro che parlare di te” ruggì Barett gaio “ L’eroe del giorno, eh?”

Zack si voltò verso Cloud che gli fece un piccolo cenno con il capo. Sorrise.

“ Bhè sì, modestamente”

“ Già che te la tiri?” Cid fece per accendersi una sigaretta, ma Yuffie gliela strappò dalle mani, con espressione torva. Zack osservò uno a uno i suoi amici.

Vederli insieme gli dava un senso di unità, di appartenere a un solo essere. Rimpianse un po’ l’avventura che aveva vissuto due anni prima, ma ora aveva qualcuno. Abbassò gli occhi su Aeris e le mise una mano sotto il mento.

Lei alzò gli occhi colmi di lacrime. Zack sorrise e istintivamente posò le labbra sulle sue. Una risatina nervosa partì dalla sua sinistra, unico rumore nella stanza.

Quando si separò, dopo poco,  notò i suoi amici con un ghigno furbetto sul volto.

Si grattò la nuca, imbarazzato, e Aeris gli accarezzò una guancia.

Si accorse dello sguardo di Tifa solo quando Vincent si spostò verso di lui.

Se ne accorse perché a dispetto degli altri sembrava spiazzata, ferita quasi. Non seppe perché, ma quegli occhi cremisi lo fecero sentire un verme.

“ ….Dato che ci vorrà un po’ di tempo perché tu riprenda il tuo posto” riuscì a sentire solo la parte finale del discorso di Vincent, troppo impegnato a fissare la ragazza “ Reeve ti ha assegnato un posto d’ufficio. Dovrai occuparti di strategie e partecipare alle riunioni sindacali”

“ S… No! Come un posto d’ufficio??” si risvegliò dal suo torpore, scattando seduto. “ Non”

Una fitta lo costrinse a sdraiarsi.

Fece una smorfia “ Non sono adatto a fare queste cose! Sono un uomo d’azione io!”

Aeris lo ammonì “ Zack, non fare tante storie. Il dottore ha detto che ci vorranno almeno due mesi prima che tu ti riprenda del tutto, per ora cerca di accontentarti”

Il moro gemette, portandosi le mani al viso.

“ Immagino che tu mi terrai d’occhio come al solito o sbaglio, Vincent?”

Il vampiro scrollò le spalle “ Quando sarai in ritardo me ne accorgerò”

Ok. Che gli avessero sparato non poteva reggere come giustifica per coprire i suoi ritardi.

Maledizione.

Due mesi senza far niente… peggio di così non poteva andare.

“ Non fare quella faccia, Zack” Aeris scosse la testa “ Non sei mai contento”

“ Con questo stai cercando di farmi capire che mi sta bene perché mi sono andato a cacciare in una brutta situazione? Oh, ma allora non sei mai stata al night dove abbiamo fatto la  mia festa di addio al celibato. Era mille volte più pericoloso” aggiunse scoppiando a ridere.

Cloud si irrigidì al ricordo, e arrossì.

Aeris sbuffò, mettendosi le mani ai fianchi.

“ Ok ,donnaiolo. È ora di riposare un po’”

Gli altri uscirono.

“ Tifa” Aeris la prese per un braccio “ Potresti tenerlo d’occhio un attimo? Vado a prendergli un po’ d’acqua”

Tifa la fissò come se fosse pazza, poi dopo un secondo di titubanza annuì.

Zack guardò sua moglie sparire dietro la porta.

Tifa iniziò a passeggiare su e giù per la stanza, evitando in tutti i modi di guardarlo. I capelli le scivolarono sulle guancie, creando una cortina tra lei e il ragazzo.

Zack seguì ogni suo movimento, aspettando parole che forse doveva essere lui a pronunciare. Eppure non  proferì verbo, fissandola affascinato.

Possibile che quella ragazza risultasse desiderabile anche senza un vestito succinto addosso? Era davvero bella, ma troppo distante. E lui non doveva avvicinarsi.

“ Mi stai guardando” disse secca e Zack si riscosse.

“ Scusa, mi ero incantato”

Tifa si fermò, visibilmente a disagio da quella risposta.

Lo fissò di sottecchi.

“ Che intendi?”

“ Nulla io..”

“  Allora ascoltami …” l’aveva interrotto bruscamente, avvicinandosi alla sponda del letto.

Gli occhi erano accesi di un sentimento molto vicino al’ira.

“ Ci hai fatto preoccupare, l’hai fatta preoccupare” riprese fiato, stringendo una sbarra “ E non deve succedere. Non deve succedere che tu ti metta in situazioni in cui non c’è via d’uscita, è per il bene di tutti. Io non voglio che la nostra vita vada a rotoli” e capì che ,implicitamente, stava parlando anche della serata al bar.

“ Ho capito” rispose fissandola diritta negli occhi “ Non succederà più”

Le labbra della giovane tremarono un secondo. Ma annuì vigorosamente.

“ Bene” mormorò “ Ti ringrazio, Zack”

Ma niente sarebbe tornato come prima. E non ci avrebbero impiegato molto tempo a capirlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo capitolo fa veramente schifo. Perdono ma non mi venivano idee. (però di idee per il dopo sì! Ih, ih) bene dopo un bel po’ di tempo rieccomi! Chiedo scusa per questo obrobrio…

 

 

Scusate se non rispondo alle recensioni. Ma ringrazio davvero tutti : arisa_14, the one winged angel, lady_loire, Tifa_Heart.

Come vedete Zack se l’è cavata, anche se ci vorrà ancora un po’ perché cominci la relazione con Tifa.

Cercherò di essere più veloce ad aggiornare, scusate ancora per questo schifosissimo capitolo.

Ciaooooo!!!!

 

 

 

 

 

 

 

 



 

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Capitolo 6
*** Segreti e incontri ***


 

Ho bisogno di un’altra storia
Qualcosa che si toglie dal mio petto
La mia vita diventa un po’ noiosa
Ho bisogno di qualcosa da confessare Finché tutte le mie maniche saranno macchiate di rosso
Da tutta le verità che ho detto
L’ho passato onestamente, lo giuro
Anche se mi hai visto ammiccare, no
Sono stato sul punto di farlo, perciò

Dimmi cosa vuoi sentire

Secret One Republic

 

 

 

 

 

Cloud aspettava seduto sul seggiolino della sua moto, con le braccia abbandonate sulle cosce e un piede a terra  per mantenere l’equilibrio dell’enorme Fenrir.

Fissò l’edificio bianco punteggiato da ampie finestre. Le luminarie al neon che facevano capolino dalle tendine rigorosamente candide, illuminavano l’interno delle stanza con una luce vibrante e fastidiosa.

Da quanto ricordava, aveva sempre odiato gli ospedali. Ma tra una storia e l’altra ci era finito molto spesso negli ultimi due anni. Contando la permanenza come cavia di Hojo.

Scosse la testa. I suoi capelli vennero smossi dallo spostamento d’aria di un’ambulanza che si fermò lì vicino. Ne discesero due uomini che scaricarono in tutta fretta la barella.

Cloud osservò la scena con un vago senso di malessere, mentre la ragazza ferita veniva portata dentro.

Nonostante tutto, c’era sempre qualcuno nei guai, qualcuno che stava male.

Si sorprese a pensare quante famiglie fossero riunite al capezzale di un malato, quante speranze e lacrime. Quanta paura.

Fece scorrere gli occhi  dove pensava avrebbe trovato la finestra della camera di Zack, ma si arrese poco dopo. Impossibilitato dalla sequenza di vetri rettangolari tutti assolutamente identici.

Sospirò. Ma quanto ci stava mettendo Tifa?

Possibile che tutte le volte dovesse aspettarla per mezz’ora con un piede a terra e l’altro sulla moto? Di questo passo gli sarebbero venuti i crampi alle gambe.

Si passò una mano sul viso, trattenendosi dallo sbuffare. Le prime stelle si accesero poco oltre la linea dell’orizzonte, sospese tra il blu del cielo e l’ultimo residuo di giorno che se ne moriva dietro la brulla landa al di fuori di Edge.

Una vibrazione lieve nella tasca lo scosse, riportandolo alla realtà. Afferrò il cellulare e il formicolio si propagò fino al polso, accompagnato da una musichetta metallica ma gradevole.

Diede un’occhiata di sbieco allo schermo, senza rispondere alla chiamata. La combinazione di cifre che si accavallavano sullo sfondo blu non era in memoria, tuttavia la conosceva molto bene. Agrottò le sopracciglia, fissando il cellulare finchè questo non smise di protestare, tornando muto e inanimato.

Cloud continuava a studiare il numero coi suoi occhi zaffiro, tinti di un’irritazione che li faceva sembrare più scuri. Era bastata quella chiamata a farlo innervosire.

Come aveva avuto il suo numero? Non ricordava di averglielo dato.

O sì?

Soffio l’aria fuori dai denti, in un sibilo basso, e rispose il cellulare nei pantaloni.

Tornò alla posizione precedente, rilassando la schiena e facendo picchiettare le dita sulla sua gamba, cercando di ignorare quella sensazione di panico che gli attanagliava la gola.

Non poteva continuare così.

Schioccò la lingua, stufo dell’attesa resa più snervante dalla preoccupazione che potesse essere successo qualcosa, e si impose di calmarsi. Ma quel sottile brivido non se ne andava, rimaneva ad indugiare nelle corde più profonde del suo animo.

Sospirò nuovamente, fissandosi le mani coperte dai guanti neri.

“ Che le sia successo qualcosa?” alzò la testa al cielo cobalto.

“ Chinta?”

Si morse l’interno della guancia.

“ Devo andare a controllare”

“ Cloud, eccomi. Scusa il ritardo”

Tifa arrivò quasi correndo, con le gote colorate di rosso. Si fermò a fianco della moto, piegandosi sulle ginocchia per recuperare fiato.

“ Ho dovuto correre” disse spostandosi i capelli dietro l’orecchio e sospirando “ Altrimenti mi avrebbero chiuso dentro!” ridacchiò ma Cloud non l’ascoltava, perso nei suoi pensieri.

Tifa se ne accorse, e il suo sorriso si trasformò in preoccupazione. Gli posò una mano sulla spalla, allungandosi verso di lui per vederne il viso e l’ex Soldier voltò il capo.

“ Cloud? Va tutto bene?” gli chiese accarezzandogli un braccio e il ragazzo si scostò, afferrando il manubrio della moto.

“ Mi hanno chiamato a Kalm per un lavoretto” disse atono “ Parto adesso”

“ Adesso?!” Tifa poggiò le mani sui fianchi, per non mostrarsi ferita della sua ritrosia “ Non puoi andare domani? Le strade sono pericolose di sera”

Cloud scosse la testa.

“È urgente” disse con una voce che somigliava più ad un monito per se stesso che per la ragazza, e Tifa inclinò il capo.

“ Urgente? Quanto urgente?”

“ Ci vediamo domani” e con una sgommata partì, scomparendo con un rombo per le strade buie di Edge City.

La mora rimase interdetta, bloccata in una sorpresa piuttosto perplessa. Dischiuse un po’ le labbra, aprendole, poi, in un’esclamazione indignata.

“ Maledetto stronzo!” imprecò pestando un piede a terra e cominciò ad avviarsi da sola verso il Seventh Heaven, coi pugni stretti e il passo pesante. La gente la fissava stranita mentre ringhiava degli improperi contro il suo fidanzato.

“ Stronzo, stronzissimo, piantagrane!! Un lavoretto, eh? Un lavoretto glielo farei io, ma alla testa!! “Tifa, amore, mi hanno chiamato per un lavoretto. Ora vado, ma prima, INNANZITUTTO, ti do un passaggio fino a casa. Non sia mai che io ti pianti con sette isolati da fare a piedi no,no”” borbottò immaginandosi una situazione un po’ diversa con un fidanzato un po’ più normale. Scosse la testa, come una vipera arrabbiata.

“ Se pensa di dormire ancora insieme a me si sbaglia di grosso! Lo spedisco sul pavimento del salotto, altrochè!”

Ma queste minacce non sarebbe mai riuscita a metterle in atto. Sapeva bene quali erano le sue debolezze.

Improvvisamente più mesta, abbassò lo sguardo e procedette verso il Seventh Heaven con calma.

 

 

 

Aeris accarezzò la fronte sudata del marito, e poggiò con affetto una pezza bagnata sulla pelle. Sorrise quando questo mugugnò nel sonno, e si voltò per andare alla finestra. Vide Tifa uscire dalla struttura e seguì la sua chioma finchè non ebbe raggiunto la moto del biondo. Indietreggiò, portando una mano al laccetto che aveva legato al collo. Si attorcigliò un’estremità sull’indice, dando fugaci occhiate alla figura  stesa sul letto.

Sospirò.

Non aveva per niente sonno, e l’idea di passare un’altra notte sulla scomoda sedia a sdraio che le aveva dato l’infermiera non l’allettava per niente. L’orribile fantasia di rombi rossi e gialli le dava un senso di ordine troppo pedante per definirlo grazioso. E in più la parte sinistra dello schienale si era sfondata, e aveva ancora mal di schiena a forza di stare raggomitolata solo da un lato.

“ Andrò a prendermi un te” pensò dirigendosi verso la porta.

Si fermò un attimo, rivolgendo i suoi occhi verdi al ragazzo che si lamentava rumorosamente ogni volta che si voltava su un fianco, gemendo per le fitte che gli procurava la ferita. Aeris portò un dito alle labbra, poggiandolo delicatamente su di esse. Certo, Zack non poteva vederla ma ogni volta che faceva così, i sonni di suo marito diventavano più tranquilli.

“ Non fare troppo baccano” sussurrò dolcemente, e Zack  parve calmarsi sistemandosi meglio sul materasso.  La penombra filtrata dalla luce accecante del corridoio lo fece somigliare tanto ad un bambino spaesato e l’Antica sorrise intenerita.

“ Torno subito”

Aprì la porta e se la richiuse subito alle spalle, per evitare di abbagliarlo, e si voltò.

La lunga treccia frustò l’aria intorno a lei, e poco ci mancò che colpisse il petto di una persona che conosceva troppo bene. Aeris alzò gli occhi, spalancando la bocca quando riconobbe l’uomo davanti a lei.

“ T-Tseng?”

Tseng annuì, con l’ombra di un sorriso a piegargli le labbra.

Era esattamente come se lo ricordava: capelli fluenti nero notte, fronte ampia, pelle chiara e quell’immancabile divisa blu che lo contraddistingueva come Turk. Lo stesso Turk che l’aveva sostenuta da quand’era bambina.

Una felicità esitante apparve sul volto di Aeris.

Aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse subito. Non sapeva proprio cosa dirgli.

Dove sei stato? Banale oltre che stupido.

Mi sei mancato? No, pensò arrossendo un poco. Anche se sì, le era mancato, non voleva che fraintendesse le sue parole.

Tseng la fissava, assumendo un cipiglio piuttosto divertito dall’indecisione che leggeva negli occhi della fioraia e lei si morse un labbro, per non ridere di nervosismo.

Alla fine decise.

Allungò dapprima un braccio, poi anche l’altro e la pelle lattea venne sfiorata dalle dita di Tseng. In una muta richiesta di fare in fretta prima che le circondasse la vita e l’attirasse a se.

Aeris si ritrovò premuta contro il suo petto, e strinse le spalle del Turk con forza, aspirando l’odore di cardamomo della sua camicia. Tseng teneva il viso premuto sui capelli di Aeris, godendosi ancora una volta tutta la sua dolcezza.

“ Mi sei mancata” “ Mi sei mancato” nessuno dei due lo disse, ma il loro abbraccio fu una dimostrazione più che sufficiente. Sufficiente anche da far sorgere delle domande a Miss Isabel, l’infermiera, che vedendola abbracciata a quell’uomo che non era suo marito scosse la testa riccioluta, ciabattando verso l’ascensore col suo tipico passo da elefantessa.

“ Ma tu guarda te” borbottò massaggiandosi la fronte “ E io che pensavo che la signorina Gainsbourough fosse una brava figliola. Invece deve far  venire i suoi morosi  anche nell’ospedale a due passi dal marito? Bof”

Quello sarebbe stato il nuovo pettegolezzo per sopportare la notte insieme a quella comari di Sanjana.

 

 

 

 

 

 

 

Venia! Lo so che è corto ma proprio qui volevo arrivare! Molto probabilmente i miei aggiornamenti saranno un pochino più lenti (vabbè che lo sono già) per cui in questi mesi estivi dovrete portare un po’ di pazienza. Bene ecco le nuove domande:

 

-Chi è Chinta? Perché Cloud sembra tenerci molto? È forse per questo che il suo rapporto con Tifa non decolla?

- Tseng è tornato. Cosa farà Aeris?

 

 

 

 

Lady_Loire

 

Whoa! Che Beatifull! Ma mi sa che non rimarrai delusa dai colpi di scena, perché ho intenzione di metterne un bel po’, giusto per non far cadere la storia nel banale del tipo: ma sì Zack starà con Tifa e Cloud con Aeris. Eh, no! Non sarà così ! meno male che ti è piaciuto l’altro, questo è un po’ corto, mi dispiace. Spero che sia di tuo gradimento.

 

 

 

Tifa_Heart

 

Sì, tipico di Zack fare dell’ironia in momenti difficili. E Tifa, bhè non ha tutti i torti, ma si doverà ricredere. Grazie, un bacio!!

 

 

Fflover89

 

*_* io e te ci capiamo, che bello! Anche questo è un po’ di transito, però ci tenevo ad arrivarci. Nuove domande, e Cloud sì dovrà fare una scelta e in fretta!! Grazie del tuo sostegno, lo apprezzo molto!! Ah e grazie per il commento all’altra fic, lieta che ti sia piaciuta ^_^ e per l’imprecazione….. usala pure, non c’è problema!!

 

 

The one winged angel

 

 

 

Hello! Grazie per il commento sia a questa che per la Zack x Cissnei!! Sono un po’ lenta lo so, ma non l’abbandonerò mai!! Zackettino alla fine se le è cavata, ma a fare il figo così finirà ammazzato un giorno o l’altro (guarda la fine di Crisis Core e ricorda: NUOOOOOO!!) vabbè basta cavolate, spero di averti soddisfatta il tuo parere mi fa sempre molto piacere, cava (inteso come cara XD)

Ciao, un bacio!!

 

 

Shadow madness

 

Un nuovo arrivo! Sono davvero felice che la fic ti piaccia e grazie per averla messa nei preferiti. In effetti quando ho letto il tuo commento sono rimasta più o meno così  O-o “ sicura che ha letto la mia fic e non l’ha scambiata per un’altra?” no, a parte gli scherzi sono davvero contenta che ti interessi e poi ti ho convinto su Zack e Tifa??? Evvai, ^_^ una nuova adepta di una delle mie coppia preferite! Ci vorrà ancora un po’ prima che scoppi qualcosa, non voglio mettere fretta a niente, o non sarebbe credibile.

Per Aeris: sì ma è voluto, nel senso che in alcune situazioni( che possono essere di disagio e non) il carattere di una persona cambia radicalmente: nel senso che nella vita normale è la solita Aeris, mentre nel talamo si trova in una situazione che sente di non poter gestire, anche perché Zack la vede differentemente da lei, perciò si trova male.

Bho, la penso così. Grazie mille del commento e scusa per la lunghezza ridotta, ma è un capitolo molto importante!

 

 

Ciaooooooo!!! A presto (sin spera)

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Capitolo 7
*** Ci incontreremo di nuovo, non importa quando ***


 

 

Non sarò mai più la stessa
Se ci incontreremo di nuovo
Non te ne andrai
Se ci incontreremo di nuovo
Questa caduta libera, mi ha coinvolto
Baciami tutta la notte, non lasciarmi andare
Non sarò mai più la stessa
Se ci incontreremo di nuovo,
Se ci incontreremo di nuovo

 

If we ever meet again

 

 

 

 

 

 

“ Sono felice che tu sia qui, Tseng, davvero”

L’uomo sorrise, seguendo i sottili fili di vapore che si levavano dalla tazza di te di fronte a lui.

Il bar era piccolo e poco affollato, avvolto nella stessa abbacinante luce bianca. L’ambiente era lindo e pulito, le luminarie al neon si riflettevano sul pavimento lucido in piccoli sprazzi lucenti.

Aeris strizzò per un attimo gli occhi.

Forse era per tutto questo che si sentiva a disagio.

Non tanto per gli avventori seduti agli altri tavoli quanto per la sensazione che la stanza  sembrasse sul punto di richiudersi su se stessa e inghiottirla.

Deglutì.

Che stupidaggine …

“ Lo sono anch’io” ammise placidamente Tseng, prendendo il bordo della tazza col pollice e il medio per non scottarsi “ Mi spiace solo vederci in queste circostanze. Sta meglio?”

Aeris alzò per la prima volta gli occhi e inclinò leggermente la testa.

“ Uh?”

“ Zack, Aeris. Sta meglio?”

L’Antica arrossì, annuendo vigorosamente sotto lo sguardo divertito del Turk.

Ma perché si sentiva così maledettamente a disagio?

Eppure lo conosceva da quando era una bambina.

“ Sì, sta meglio” disse, visto che lui la esortava a parlare con un cenno del mento “ Sta meglio”

Mi sento deficiente …

Sospirò, osando lanciare solo sporadiche occhiate alla persona di fronte a lei, per deviarle immediatamente verso il suo bicchiere d’orzata.

Studiò le gocce fredde scendere lungo il vetro, notando con una certa goffagine che Tseng non si faceva problemi a fissarla; bevendo sorsi di te ad un intervallo di dieci secondi circa l’uno dall’altro.

Un brivido si propagò dalla nuca fino all’incavo del ginocchio, e minuscole goccioline di sudore si formarono sulla schiena, appiccicandosi al vestito violetto che indossava quella sera. A forza di torcersi le dita si era fatta anche male.

Non le era mai successo, ed ebbe un po’ di timore.

Tseng gli sembrava così distante dall’uomo che era due anni prima.

Stettero in silenzio fino a quando non arrivò un cameriere a domandare se desideravano altro. Tseng rifiutò gentilmente e questo tornò al bancone.

“ Sei silenziosa” notò finalmente il Turk “ C’è qualcosa che ti turba?”

Aeris scosse la testa, non sapendo in che modo dare voce ai suoi timori senza apparire ridicola.

L’alone bagnato intorno al suo bicchiere sembrava interessarle più del viso dell’uomo.

“ Non è nulla, davvero. Sono felice di rivederti”

“ Ma?”

“ Ma… mi pare tutto così irreale. Sì, insomma, ti ho visto moribondo e ora sei qui, vivo e vegeto, ma ancora non riesco a capacitarmi! Tu sei tu.. però mi sembri un altro, non fraintendermi non penso che tu.. oh uff!! Che casino!” si portò i pugni alle tempie, scuotendo velocemente il capo.

“ Ecco, ora penserai che sia una sciocca. Non riesco nemmeno a esprimermi decentemente e …”

“ Aeris”

L’Antica si chetò di colpo.

“ Non sei veramente cambiata in due anni. Parli a vanvera adesso come allora” avvicinò la tazza alle labbra, nascondendo il piccolo sorriso di scherno che gli era affiorato spontaneo “ Ormai mi sono rassegnato al fatto che non maturerai mai abbastanza”

“ Ehi!” sbottò la fioraia, risentita  dall’osservazione poco delicata. Il Turk fece spallucce, sorseggiando con calma il suo te.

La ragazza incrociò le braccia al petto, corrugando le sopracciglia in un atteggiamento minaccioso.

“ Mi stai offendendo”

“ Ma davvero?”

Aeris tirò fuori la lingua, facendo alzare al cielo gli occhi dell’uomo.

“ Quando fai così non posso che ribadire le mie opinioni. Sei infantile.”

“ E tu cafone”

Si fissarono per un lungo momento, seri. Una giovane donna si sporse dalla sedia per vedere meglio l’inizio di un furioso litigio. Ma avvenne tutto il contrario.

Una risata, che partì da Aeris come sommesse fusa fino a raggiungere un livello di decibel elevato, costrinse i due a coprirsi la bocca con le mani, piegandosi in avanti per salvaguardare le loro milze.

Tseng smise per primo, godendosi le risa piene e sfacciate di Aeris. Sentire la sua voce dopo tanto tempo fu come versare dell’acqua sul fuoco, un sollievo immenso che credeva di non poter più provare.

Dopo qualche minuto, la ragazza si calmò. Asciugandosi le lacrime che rotolavano sulle sue guancie rosate.

“ Non fare più quella faccia, per favore!” esclamò sul punto di rimettersi a ridere “ Sono quasi morta dalle risate!”

“ Non l’ho fatta per ucciderti” rispose “ Non ora che possiamo di nuovo stare insieme”

Aeris smise immediatamente di sghignazzare, colpita dall’affermazione un tantino ambigua del Turk.

“ Che intendi per “stare insieme”?” indagò sospettosa.

Tseng imprecò talmente a bassa voce che nemmeno lui sentì la velata bestemmia a Ifrit.

“ Niente che ti debba turbare” rispose scegliendo con cura le parole “ Ora che ci siamo ritrovati pensavo..”

“ Pesavi male, Tseng” lo interruppe Aeris, piccata “ Non sono una sempliciotta. Credi forse che solo perché non lavori più per la vecchia corporazione mi fidi così ciecamente da abbassare tutte le difese? Non dimentico le cose buone che hai fatto per me e gli altri, ma non dimentico nemmeno quelle malvagie. Sono abbastanza informata da sapere che Rufus sta cercando di ricostruire le Shinra”

“ Ricostruire è una parola grossa. Il presidente cerca di rimediare agli errori del passato, niente di più”

“ Sarà. Ma non mi fido. Ti ha incaricato di sorvegliarmi?”

“ No”

Aeris distese i muscoli della schiena, un poco rinfrancata da quella risposta. Forse non voleva stare insieme a lei come Turk, come nel passato. Forse potevano scrivere un nuovo capitolo in cui entrambi sarebbero stati sullo stesso piano, come amici.

Si fidava di lui. Non di ciò che rappresentava. Ma forse l’uomo non l’aveva capito.

“ Sei venuto qui di tua spontanea volontà?” domandò con leggera apprensione e Tseng annuì senza esitazioni.

L’ombra di un sorriso si disegnò sulle labbra di Aeris.

“ Davvero? Non stai mentendo?”

“ No”

I cubetti di ghiaccio, nell’orzata intatta di Aeris, avevano ormai annacquato la bibita.

Fuori dal bar dell’ospedale passò una donna con una bambina in braccio, e l’Antica si fermò ad osservarle attentamente. La bimba rideva allegra quando la mano della madre andava ad afferrarle il naso come a volerlo rubare, e la donna le faceva eco.

I pochi capelli che aveva in testa la facevano somigliare ad un germoglio spelacchiato, e Aeris intuì che quella madre stava molto male. Nonostante tutto aveva ancora voglia di stare con la figlioletta a giocare, dimenticando per un attimo la malattia che la corrompeva come una verdura marcia.

Le tremò un po’ il labbro.

“ Aeris” la voce di Tseng la fece sussultare.

Si voltò.

“ C-come?”

“ Stai.. piangendo?”

Aeris portò la mano al viso, asciugandosi sorpresa la guancia. Tseng tirò fuori dalla tasca un fazzoletto, ma lei non lo guardò, persa in riflessioni rese più amare da quella passeggera vista.

Si alzò di scatto, poggiando i palmi sul tavolo.

“ Vieni con me”

Tseng sollevò un sopracciglio, confuso, ma poi si levò ed estrasse delle banconote dal portafoglio.

“ Aspetta! Non..”

“ Invece sì” rispose lasciandole sul centrino di stoffa “ Per una volta offro io”

La giovane sorrise e le afferrò una mano, conducendolo verso gli ascensori dalle porte di metallo.

 

 

 

Le porte metalliche si aprirono, e Tseng si lasciò condurre docilmente dalla ragazza.

Doveva ammettere che un po’ era incuriosito del suo comportamento. A che pro portarlo nel reparto di un ospedale? Voleva forse curiosare?

Trattandosi di Aeris non si stupì, ma non credeva che fosse morbosa al punto di frugare nella miriade di corridoi bianche e asettici.

Un enorme tabellone blu appeso a degli anelli di ferro sul soffitto attirò la sua attenzione.

“ Reparto Maternità?” pensò socchiudendo gli occhi “ Perché mi ha portato qui?”

Il disegnino stilizzato di una donna con in braccio un neonato lo fece rinsavire.

Arrivarono davanti ad una stanza rettangolare, protetta da un ampio vetro trasparente. Altre persone si accalcavano lì davanti, sollevandosi in punta di piedi o poggiando le mani sulle spalle del vicino per darsi un appoggio nella loro vedetta. I gridolini e le esclamazioni felici riempivano il reparto con una gioia che gli altri non avrebbero mai sentito.

Aeris si fermò, dondolando su un piede e poi l’altro nella speranza di vedere qualcosa. Evitò di cadere per un soffio, perché Tseng la sorresse per le braccia, poi tornò alla carica. Trovato un buco in cui infilarsi sparì dalla vista del Turk in un intrico di corpi ondeggianti.

Tseng aguzzò la vista, allungando il collo nella speranza di scorgere una traccia marrone nella calca, ma data l’inutilità si immerse anche lui in quel caos. Chiese permesso un paio di volte, trovando difficoltà a respirare quando due robusti omaccioni per poco non lo schiacciarono come tenaglie di ferro. Scivolò con grazie fino al vetro, sbuffando per quell’impresa quasi mortale.

Spintonarsi per vedere due neonati rugosi gli pareva proprio un’esagerazione, ma il viso intenerito di Aeris gli fece perfino dimenticare che una signora gli aveva schiacciato il piede coi suoi tacchetti a spillo.

L’antica teneva le mani premute sul vetro, facendo scorrere lo sguardo fra le culle occupate dai piccini, squadrando con evidente letizia i loro braccini paffuti e le gambette tornite e scalcianti, coperte da nient’altro che un pannolino di stoffa.

Tseng osservò il tutto, affiancandosi alla compagna, non riuscendo a trovare quel briciolo di esaltazione che animava invece il resto della gente. Gli sembravano tutti uguali, maschi e femmine, ed erano persino un po’ brutti con le loro faccette da vermiciattoli.

“ Sono così carini” sospirò la ragazza e Tseng non rispose. Carini non erano, meglio essere sinceri e discreti e stare zitti. Magari uno di loro era il figlio del armadio umano dietro di lui.

“ Quello però non riesco a vederlo” e indicò con disappunto una culla girata verso un’infermiera che disponeva i biberon vuoti su un carrellino. Aeris picchiettò un pugno contro il verto.

Il viso coperto da una mascherina si girò verso di lei. Aeris  indicò la culla.

Infermiera indicò Aeris a sua volta, che annuì con un sorriso. Tseng scosse la testa sconsolato.

Pur di vedere un bambino si fingeva una parente, per cosa? Tanto sarà stato brutto come gli altri.

La culla venne girata e Aeris saltellò allegra, sgranando gli occhi verde smeraldo.

“ Oh, Tseng!” esclamò felice “ Guardala! È davvero bellissima!”

Tseng gettò uno sguardo, e in parte dovette concordare con Aeris.

Rispetto agli altri era molto più bella. La pelle chiara del volto non aveva piaghe, e l’espressione assorta del sonno non possedeva quell’agonia che vedeva sui lineamenti degli altri.

“ Warda” si ritrovò a sussurrare leggendo il braccialetto al polso della piccola, ed Aeris si sporse verso di lui.

“ Uh?”

“ Warda. Significa “rosa””

“ Che bel nome!” sorrise in direzione della neonata, immaginando che anche sua figlia si sarebbe chiamata Warda. A Zack sarebbe piaciuto, ne era sicura.

“ Sai, Tseng” disse all’improvviso “ Io non desidero altro che questo. Una vita normale. Per questo prima me la sono un po’ presa con te. Non voglio averti come nemico, ma non voglio nemmeno che tu mi consideri come un oggetto”

“ Non l’ho mai fatto”

“ Lo so. Ma il tuo lavoro lo richiedeva”

Tseng tacque, non potendo difendersi da questa verità.

“ Io un giorno vorrò avere una famiglia” continuò imperterrita, con gli occhi puntati su Warda “ Dei figli. Non voglio che vivano braccati come è successo con me”

“ Non succederà mai più, Aeris” Tseng fissò il suo riflesso e quello dell’Antica sul vetro. Erano così vicini ma al tempo stesso così lontani, e quella lontananza era stata creata principalmente da lui, da ciò che era stato. Non voleva ricadere nello stesso errore.

Per quanto l’amasse in un silenzio lacerante non poteva rischiare di perderla un’altra volta. Con lei si sentiva libero dalle catene che l’avevano costretto sin dalla nascita, una sensazione quanto più vicino a una famiglia di quanto no lo fosse stata la Shinra e i suoi sottoposti.

Guardando la piccola Warda desiderò per un attimo folle di esserne il padre, marito della donna che ora gli stava accanto con uno splendido sorriso.

Impossibile. Ma esitavano altri sbocchi per guadagnarsi il suo affetto.

“ Non succederà più” ripetè fissandola intensamente nel riflesso dei suoi occhi.

Aeris non rispose, ma abbassò lo sguardo e gli strinse la mano, come una muta accettazione della sua promessa.

Tseng pensò che da qual momento in poi nessuna folla urlante o mostri dallo spazio li avrebbero divisi.

Ora che si erano incontrati, niente avrebbe impedito loro di trovarsi di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tifa sospirò, e mise il telefono sul comodino.

Cloud non rispondeva, ed era preoccupata. Forse aveva incontrato qualche mostro particolarmente forte sulla strada, forse era caduto dalla moto.

Scosse la testa, non doveva pensarci.

 Si stese, buttandosi il lenzuolo fino alla gola. Sospirò, guardando il soffitto costituito da tubi arrugginiti, e ipotizzò per quale motivo Cloud la evitava come la peste.

Il fatto che avrebbe preferito saltare addosso ad un lupo mannaro, piuttosto che stare una notte insieme a lei, nella morale contorta di Tifa poteva essere un chiaro segno di rifiuto. O di timidezza?

Allungò una mano per spegnere l’abat-jour, ma si bloccò dando un’occhiata al dorso della copertina del libro. Fece una smorfia e ritrasse il braccio.

Perché diavolo l’aveva comprato? Lei non era tipa da queste cose.

Si grattò la nuca, sconcertata al ricordo di se stessa che porgeva il libro ad una cassiera decisamente ammiccante.

“ Problemi col ragazzo,tesoro?”

Che razza di figura. Non le aveva neppure risposto.

Sfiorò la copertina con un dito, facendo scorrere gli occhi sulle lettere argentate.

Respirò bruscamente e si mise a sedere, strattonando le lenzuola con forza.

Prese il libro e se lo poggiò sulle ginocchia.

La visione di Zack e Aeris che si baciavano così dolcemente tornò con una staffilata di gelosia. Lei non aveva mai assaporato niente di tutto questo con Cloud, e dovette ammettere che un po’ invidiava la fioraia per quella fortuna.

Sventolò la mano per scacciare pensieri funesti.

“ Vediamo… capitolo 1:…”

Più in basso di così.

 

 

 

 

 

 

 

“ Ehi,Rude! Arriva il capo, e sembra di buon umore. Presto nascondi il rum!” aggiunse vedendo che la bottiglia capeggiava ancora sul tavolo e il socio fu lesto a farla sparire fra le sue ginocchia.

“ Ben fatto” borbottò Reno ironico “ Non alzarti e forse non si accorgerà di niente… Tseng carissimo! Allora, passato una bella serata?”

Tseng si richiuse la porta alle spalle, fissando Reno con sufficienza “ Hai di nuovo alzato il gomito, Reno?”

“ Ma nooo” rispose l’altro con la voce troppo squillante per provare il contrario “ Cosa te lo fa pensare?”

“ Il fatto che puzzi di rum. Abbastanza scadente fra l’altro”

“ Così mi offendi…”

Superò il rosso.

“ Per domani vi voglio reattivi. Dobbiamo affrontare un sopraluogo a Corel”

“ Prima che me ne dimentichi!” esclamò Reno precipitandosi verso Tseng “È arrivato un tizio che chiedeva di te. Ha detto di essere un giudice legale, ma non ha aggiunto altro. Voleva parlare solo con te”

“ Cosa voleva?”

“ Bho! Ha detto che era per un affidamento, o qualcosa del genere” e mise in mano a Tseng una busta stropicciata tirata fuori dalla tasca.

Il Turk strappò la carta e lesse attentamente le righe in belle calligrafia.

Corrugò le sopracciglia.

“ Ci deve essere un errore” e sotto  lo sguardo sconcertato di Reno e Rude la fece a pezzi, facendoli cadere in coriandoli per terra.

“ Vado a dormire” proclamò scuro e, senza una parola si accinse a ritirarsi nelle sue stanze.

 

 

 

 

 

 

 

“ Chinta?”

“ Entra, Cloud”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo del tè (ovvero l’angolo in cui l’autrice si ingrazia i lettori con le sue scemenze per non essere linciata)

 

Eccomi! So che qualcuno mi ammazzerà. Volevate tutti sapere chi era Chinta e invece lo svelerò nel prossimo capitolo (scappa via)

Bene, Tseng ha un piccolo problemino. Perché ha stracciato la lettera?

Ma io invece di rispondere continuo a fare domande -_- ma ce l’avevo in mente da un pezzo questa parte. E per la Zack x Tifa ribadisco che ci vuole ancora un po’, sorry…

The one winged angel

 

Tseng sarà molto importante di qui in poi, ma deduco che tu lo guardi con sospetto vicino ad Aeris. In effetti staranno molto insieme, come Zack starà molto insieme a Tifa quando inizierà la relazione.

Eh sì, si sfalderanno un po’ di coppie.

Chinta sorella di Cloud? Avete optato in molti per questa soluzione. E io dico: chissà!

Grazie della recensione, come tutte le altre, apprezzo davvero molto il parere della mia affezionata lettrice!

 

Shadow madness

 

Grazie della recensione! Allora: Chinta e Cloud verranno alla luce solo nel prossimo capitolo, qui ho voluto soffermarmi un po’ su Aeris e Tseng e il problema che il Turk si farà recapitare molto presto.

Sono felice di averti convertito, ripeto, anche se questo verrà un po’ più avanti spero che la storia non cada nel banale, o annoi. Anche se mi sa che Chinta la odierete in molti.

Sono felice anche che ti piaccia il mio stile, anche se delle volte non soddisfa appieno me.

Ripeto. Grazie,grazie,grazie.

 

Fflover89

 

Hai detto bene, da qui cambierà tutto XD  Aeris con Tseng la vedremo spesso, quindi sarai accontentato. Per Chinta… vedrai…

Grazie mille della recensione!!!

 

 

 

Lady_loire

 

 

Non era brutto? Meno male (era corto,idiota di un’autrice) e Chinta XD si vedrà nel prossimo capitolo. Sono felice che ti piaccia questa storia XD

 

 

Grazie a Kuromi e a neff di aver messo la fic fra i preferiti!!

 

 

Ciaooo, e grazie!!!

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Chinta ***


Alura, per evitare l’infarto a voi anime savie, vi avverto: Cloud va un pochino in la dei suoi stereotipi, ma io penso che sia solo dovuto alla confusione di un uomo che non sa scegliere fra un amore “recente” ed un altro che, nel suo egoismo angosciante, non vuole lasciare andare nonostante sappia che è finita. Penso che voglia bene a Tifa al punto di non volerla lasciare ad un altro che non sia lui. Perché lui crede che nessuno è degno della sua compagnia, nessuno può capirla come lui. Ma è una mia opinione. Ci vediamo a fondo pagina !! ^__^

 

 

 

Era arrivato più in fretta che poteva, spronando la moto lungo la distesa arida della landa.

Di tutti gli intoppi che temeva di incontrare non se ne era presentato nessuno, se non quello del carburante. Ma per fortuna la Fenrir sin era fermata a qualche metro dall’unica stazione di servizio ancora funzionante in quel luogo inospitale.

Ora che era arrivato,però, avrebbe voluto scappare di fronte alla facciata fatiscente di quella casa.

 Il quartiere in cui si trovava era nella stesso medesimo stato.

La strada stretta e dissestata era coperta di rifiuti, smossi in un fruscio continuo dallo zampettare dei topi. I fili del bucato si intersecavano come sottili ragnatele sotto i davanzali di legno scheggiato, dove lo raggiunse il pianto disperato di un neonato. Tutto era avvolto da una pesante coltre di oscurità, satura di oli mal fritti e spazzatura rancida. Storse il naso, disgustato dalla decadenza di quel luogo.

Perché lei si ostinava a voler stare in un posto così malfamato? I soldi che le aveva dato erano sufficienti per trasferirsi altrove, in un posto dignitoso. Eppure era ancora lì. Perché?

Anche al buio Cloud riusciva a distinguere quell’abitazione  che pareva poggiarsi pesantemente ad un’altra, come se il vento troppo forte l’avesse storta nel suo scheletro decisamente malandato.

Diede un’occhiata dietro le sue spalle, guardingo nel sentire rumori estranei, poi si avvicinò all’ingresso. Davanti alla porta screpolata fece un respiro profondo, riempiendosi le narici dell’odore nauseante di rifiuti, e allungò una mano, vincendo l’esitazione che lo incitava ad andarsene subito.

Serrò le nocche e battè due colpetti sull’anta con un timore quasi reverenziale. Il silenzio della strada assorbì il suono secco, facendolo dilagare fra i vicoli stretti e immondi.

Si ritrasse, come ad essersi scottato, e si guardò nervosamente attorno. Non voleva che qualcuno lo vedesse lì, anche se ormai tutti lo conoscevano per le sue sporadiche e silenziose visite.

 Diventava nervoso quando incrociava uno dei vegliardi seduti all’ombra dei balconi, odiava i loro sorrisetti sdentati, i mille sottointesi che leggeva fra le pieghe delle rughe. E odiava sentirsi uno di “quelli”.

Lui non era uno di “quelli”, era semplicemente un uomo preoccupato per una donna. Ed era una cosa normale.

Sentì qualcosa di caldo salirgli sulle scarpe e sussultò, calciando il topo di fogna  contro mucchietto di rifiuti accatastati lì a fianco. Il fruscio della carta quando questo scappò freneticamente lo mise ancora più in soggezione.

Bussò di nuovo, con più foga.

“ Chinta?”

“ Entra, Cloud”

L’anta si scostò dallo stitipe, fendendo l’oscurità della via con una lama di luce soffusa. Cloud la fissò un attimo, indeciso, poi adottò nuovamente la sua naturale freddezza e spinse ulteriormente la porta, entrando in casa.

Non doveva mostrarsi debole, non con lei. Soprattutto con lei.

Sapeva che in quel gioco lui sarebbe sempre stato il perdente, ma un minimo di tono avrebbe potuto fargli guadagnare delle posizioni. E lui non voleva perdere senza lottare.

Appena varcò la soglia, l’immagine del piccolo salotto gli si aprì davanti agli occhi. L’aria era polverosa, soffocante e la lampada collocata nell’angolo non faceva che aumentare la sensazione di essere in una bisca di porto, con una luce così soffusa e ambrata da far male alla vista. La poltrona in cuoio sotto ad essa era decisamente consunta, percorsa da sottili graffi che ne deturpavano la pregiata fattura. L’unico punto della piccola abitazione che spiccava come una rivelazione dall’oscurità che l’avvolgeva, insieme alla strana sensazione che il pavimento di legno cigolante stesse per frantumarsi ad un passo falso.

“ Sei venuto”

Il biondo si voltò di scatto dove sapeva che c’erano delle scale, e richiuse lentamente la porta, facendo girare la chiave senza staccare gli occhi dalla sagoma scura.

“ Come hai avuto il mio numero?” chiese laconico e si avvicinò lentamente alla ragazza.

Chinta incrociò le braccia sul corrimano, poggiandoci sopra il mento “ Tu che dici?” replicò con una nota di divertimento “ Come potrei averlo avuto? Dai, prova ad indovinare”

“ Non mi piacciono gli indovinelli” la interruppe duro “ Ma immagino che sia stata una mia negligenza”

“ Già, ma non ne sei particolarmente pentito, vero? Se sei qui…” si raddrizzò, scendendo gli ultimi scalini dissestati “ Significa che ti importa veramente” allungò una mano e Cloud gliela strinse delicatamente, tirandola leggermente a se. I braccialetti d’argento al suo polso tintinnarono melodiosi.  Il fruscio dell’abito estivo sulla pelle della giovane gli scatenò una serie di sentimenti contrastanti, che passarono veloci come ombre sul suo volto.

“ Per mia sfortuna mi importa. So che non dovrei..” passò un dito sul braccio pallido di Chinta, risalendo fino all’incavo del collo. La sentiva fremere al suo tocco, i muscoli che guizzavano eccitati, e si fermò, allontanandola con gentilezza. Il fastidio di Chinta per quella mancata tenerezza avvelenò ulteriormente l’aria di tempesta che indugiava sui due.

Chinta si voltò, procedendo a passo marziale fino alla lampada polverosa. La spense, poi in un attimo tornò di fronte a Cloud, così vicina che lui potè percepirne il respiro dolce sul viso.

“ Allora,Cloud” il suo nome venne esalato quasi in un sospiro quando lui le circondò la vita con le braccia “ Vuoi parlare o preferisci….  Disporre di me in altro modo?” A quelle parole il biondo si pietrificò.

“ Non sono venuto per quello, e tu lo sai” voltò la testa perché, nonostante fosse buio, non voleva sentire lo sguardo malizioso della ragazza su di se. Non sapeva mentire agli altri e neppure a se stesso.

La voleva quasi quanto lei voleva lui, e Chinta lo sapeva. Sapeva anche che l’unico ostacolo fra loro alleggiava invisibile nella mente di Cloud, lontano ma sempre presente nel cuore del ragazzo.

“ Oh” gli mise le mani sul petto, fissando le irte punte bionde che le sfioravano la guancia “ Fammi indovinare: è per la tua pseudo-fidanzatina,vero? Quella che molli sempre in mezzo alla strada. Tif.. sì, Tifa!” sorrise, minacciosa, pronta a far del male.

“ E come sta la cara Tifa?”

Cloud si voltò di nuovo, innervosito dalla piega acida con cui Chinta sferrò il primo dei suoi attacchi. Una nuova disputa, solo perché si trovava nell’incapacità di scegliere. E lei sapeva bene quali tasti toccare per farlo andare in bestia.

Imprecò a mezza voce,scostando il corpo della ragazza da se. I suoi occhi incupiti parevano dei pozzi senza fondo.

“ Non sono affari tuoi” sibilò arrabbiato, e affondò la dita nell’avambraccio della giovane, facendole emettere uno strilletto dolorante.

“ La mia vita non è affar tuo!”

“ Non lo è? NON LO è?” esclamò Chinta, divincolandosi “ E cosa sono allora,Cloud?? Dimmelo? Io cosa sono? Una cosa di cui vergognarsi? Un giocattolo? Che diavolo vuoi ancora? Perché sei tornato da me?”

Non rispose, ma allentò la stretta, lasciando impronte rossastre sull’incarnato niveo. Chinta si massaggiò le braccia quasi con furia, e Cloud si pentì di essere stato così violento. Ma non gli passò neanche in mente di chiederle scusa.

“ Sei tu che mi hai chiamato” rispose con la solita neutralità “ Pensavo che avessi bisogno di qualcosa”

“ Ho già tutto quello di cui ho bisogno” disse sgarbata “ E non mi serve l’aiuto di nessuno”

“ E allora perché mi hai chiamato?”

Gli occhi di Chinta si fecero sfavillanti, animati da una passionalità repressa “ Per vederti. Temevo che ti fossi stufato di me”

“ Non mi stuferei mai di te, ma io non ti voglio in quel senso. Non pretendo niente, ne servizi, ne devozione, ero solo preoccupato per la tua salute”

“ Certo” sputò ironica “ Quando mi baci è per controllare la mia salute? Oh, grazie. Le mie labbra sono a posto. Ma se vuoi controllare altro io sono disponibile” concluse circondandogli il collo con le braccia esili e Cloud abbassò lo sguardo a disagio.

“ Non-n…. è successo solo una volta”

“ Cinque” lo corresse lei con tenerezza  “ Cinque volte”

“ Bhè, non accadrà più” il rossore si diffuse velocemente sulle sue guancie, e Chinta sorrise.

“ Perché ti reprimi, Cloud? So che cosa c’è dietro quella maschera, molto meglio della tua Tifa”

Lui non rispose.

“ Ciò che desideri veramente, quello che vuoi..” la sua voce divenne poco più di un sussurro sensuale quando fece combaciare la fronte con quella del ragazzo “ Tutto. Anche le cose al di fuori del convenzionale” e detto questo fece scivolare le mani nei pantaloni di Cloud, carezzandolo con voluta lentezza.

Una scarica intensa di adrenalina incendiò il biondo, propagandosi violentemente in tutto il sistema nervoso.

 Gemette soffocato mentre minuscole gocce di sudore si formavano sulla schiena. La mani di Chinta stimolavano i punti più sensibili, procedendo dolci, eppure decise, e le sue dita esperte aprirono la porta di un piacere così intenso da lasciarlo senza fiato. Il desiderio che aveva di lei, di quella criniera profumata in cui aveva affondato il naso, crebbe in maniera esponenziale. La sua infallibile lucidità venne soppiantata da fantasie sempre più rincorrenti della pelle calda e liscia che poteva baciare, mordere, succhiare, di un’euforia nuova ma nota al tempo stesso che lo faceva precipitare in un estasi talmente abbagliante da essere quasi insopportabile.

Con uno sforzo immenso afferrò i gomiti della ragazza e le fece uscire le mani, ansimando come reduce di una lunga corsa. La stessa che il suo cuore apatico stava conducendo nella cassa toracica, rimbombando talmente forte da non essere più percepibile all’udito.

Pensò di aver vinto, quella volta, ma vedendo l’espressione così vulnerabile di Chinta attraverso il velo di appagamento non potè resistere. Dopo averla fissata per un lungo attimo la baciò. Si impossessò delle sue labbra con un impeto feroce,risvegliato dall’audacia di quella piccola tentatrice, assaporando fino all’ultimo centimetro quella bocca accogliente che faceva combaciare la lingua ruvida con la propria, mischiando sapori e saliva.

Non esistevano luce od ombra, bene e male, solo lei e il suo calore, le sue mani che sfioravano i capelli ispidi da chocobo, che lo attirava a se. E lui che la sovrastava, non riuscendo a ricordare come fosse finita sotto di lui, sulla poltrona, che la tastava con una rudezza decisamente stonante con le attenzioni delicate di Chinta.

Cloud fece scivolare una mano nella scollatura a V, cercando con insistenza un seno, palpandolo voglioso quando lo strinse fra le mani tremanti. Chinta gemette piano,soddisfatta di aver  finalmente abbattuto le inibizioni a cui era incatenato il ragazzo, e condusse la sua mano fino a sfiorare quella di Cloud, sfidandolo, attirando la sua attenzione predatrice. Il giovane Soldier capì che aveva il permesso e slacciò frettolosamente il nastro che assicurava al collo l’abito. Chinta socchiuse gli occhi quando la stoffa scoprì il petto florido, e la bocca di Cloud che dalla nuca si spostava sempre più in basso le donò istanti di pura goduria. Si sentiva morire al passaggio della lingua sul capezzolo, della scia umida che si asciugava con un lieve solletico nell’aria calda e rarefatta.

Era tutto ciò che desiderava dal primo istante in cui l’aveva guardata, spazzando via le ceneri di un amore passato che non le era mai stato riconosciuto. Cloud per molti versi glielo ricordava, ma quel ragazzo era diverso da tutti gli altri. Anche lui aveva sperimentato la sottile sofferenza dell’essere sbeffeggiati ed emarginati solo per ciò che gli altri non volevano vedere. Una similitudine che rievocò nella memoria  quando lui si accasciò esausto sul suo petto.

 La guancia sudata di Cloud premeva nell’incavo dei suoi seni, suscitando un senso di appartenenza nel cuore di entrambi,anche se nel disordine mentale dopo quella follia Cloud riuscì ad avvertire una piccola stilla di pentimento. L’orologio ticchettava impassibile sulla parete della cucina, conciliando l’intima tranquillità a cui si erano abbandonati. Ansanti e sudati, innegabilmente eccitati e felici, e per un attimo il biondo mandò a benedire tutto ciò che non appartenesse a quell’effimera bolla di gioia. D’altronde cosa poteva importargli se la vita la fuori andava avanti? Lui si trovava bene lì, in quel mondo che pareva costruito solo per contenere  un affetto innocente, una cosa sua. Da curare e amare.

Amare….

Si staccò piano, a malincuore, pensando a Tifa che lo aspettava a casa.

D’improvviso si sentì travolgere da un’ondata gelida, che nemmeno il calore di pochi minuti prima era in grado di scaldare. Tutti i sensi di colpa si riversarono in un unico blocco, facendogli percepire il peso di eventi che per troppo tempo aveva trascurato. Si sentì un verme, viscido nelle sue bugie raccontate sempre con più maestria per goderne di un piacere ancora maggiore quando si buttava tra le braccia di un’altra, spaventandosi e eccitandosi nel fare una cosa tanto proibita quanto distruttiva.

Pensò ai capelli corvini di Tifa, delle pochissime volte in cui li aveva sfiorati non desiderando altro che quello. Perché la pace per cui aveva duramente lottato gli aveva concesso un angelo; l’angelo che per le notti insonni di adolescente l’aveva tormentato ,costringendolo  ad ammirarla sempre da lontano.  Immerso nella melma insieme a tutto ciò che era impuro, indegno  dall’alto del piedistallo su cui l’aveva collocata. Sapeva che quei tempi erano finiti, tutto il dolore cancellato in un unico sguardo, ma dopo ciò la sua vita aveva di nuovo preso una piega inaspettata.

Lei era entrata con prepotenza in un rapporto già destinato a crollare.

D’altronde, Cloud aveva già cominciato a sospettare che la sua infatuazione per Tifa si stesse esaurendo sotto il punto di vista della coppia. L’amicizia che provavano l’uno per l’altra era una cattiva compagna, insieme all’abitudine di trattarsi come vecchi amici anche nelle faccende più intime, mantenendo un tono scherzoso e distaccato su ogni cosa. E con questo, l’inizio di un rapporto amoroso tracollò inesorabilmente.

Svanita l’euforia iniziale, Cloud aveva cominciato a stancarsi.

Non riusciva a lasciarsi andare come Tifa, non riusciva ad andare più in la di cosa c’era stato fino a quel momento. Semplicemente, odiava l’idea di considerare Tifa come donna, come se dove dipendere strettamente da lui in  una maniera profonda. E non conosceva altro metodo per sfuggirle se non quello di scappare il più lontano possibile, in quella città in rovina. Con una donna che aveva segnato il suo destino nello stesso istante in cui l’aveva salvata.

Certo, inizialmente non se ne era fatto una buona opinione. Quando le aveva teso la mano, lei, gli aveva sputato in un occhio, e fu solo l’inizio: oltre alle minacce verbali a promettergli ogni agonia, dovette pure fare un salto all’ospedale. Caricandola sulla moto, nolente,  gli aveva morso una mano, con la stessa stizza di un cane preso a bastonate. Nonostante i guanti, cinque punti di sutura dovettero metterglieli e a Tifa raccontò la prima delle tante menzogne che da lì in poi sarebbero diventate il suo pane quotidiano.

Disse, con il solito gelo, che era stato un mostro particolarmente feroce. E infondo questa versione non era distante dalla realtà.

La ragazza si dibatteva come un gatto selvatico, rifiutando l’aiuto con lo stesso orgoglio di un guerriero, spaventata, in realtà, da quegli occhi blu cobalto che riemergevano dallo stesso oscuro passato da cui proveniva anche lui. Fu l’inizio della fine e la fine di un inizio che aveva atteso tutta la vita.

“ Sei pensieroso” mugugnò Chinta carezzandogli i capelli, e Cloud sospirò.

“ Cloud”

Il biondo alzò la testa, sostenuto in parte dalle dita di Chinta che tiravano con leggera irritazione le sue ciocche dorate.

“ Solo con me sei ciò che ti ostini a tenere nascosto al resto del mondo…”

I suoi occhi fiammeggianti si piantarono con decisione in quelli del Soldier.

“ Lasciala” ordinò secca “ Lasciala e torna da me, per sempre”

Silenzio. Afflitto, gravido di tensione.

Cloud sentì la bile ribollirgli nello stomaco, innervosito dalle parole di Chinta.

 Non poteva lasciarla. Tifa, in un modo o nell’altro, era sua. Sarebbe impazzito a vederla con un altro uomo, un uomo che non sarebbe mai stato alla sua altezza. Nessuno gliel’avrebbe portata via, non avrebbe permesso a nessuno di rubare quell’angelo riservato solo a lui. Fin da quando aveva coscienza aveva capito che lui e Tifa erano destinati a stare insieme, legati dal filo del Fato. Separarsi da lei voleva dire rinunciare alla propria luce. Avrebbe sacrificato la felicità di entrambi se necessario, ma cederla a qualcuno mai.

“ Non posso” rispose dopo un po’ “ Lei soffrirebbe. E anch’io”

La risata beffarda di Chinta lo lasciò di sale.

“ Soffrire per lei? Tu? Non farmi ridere, Cloud” socchiuse le palpebre, facendo balenare il suo sorriso nel buio del salotto.

“ La verità la leggo nei tuoi occhi, non nelle tue parole” la luce tornò improvvisamente, accecando Cloud, che strizzò gli occhi. Il braccio di Chinta rimase sospeso a mezz’aria, il cordino della lampada dondolò come se fosse stato smosso dalla brezza serale.

“ Non sopporteresti la vista di lei con un altro,vero?” il suo ghigno si ampliò “ Ma succederà, prima o poi. La perderai lentamente, fino all’inesorabile. E allora cosa farai?”

“ Sta zitta!” ruggì il biondo, abbandonando di scatto la sua posizione, ergendosi minaccioso in tutta la sua altezza. Chinta si sistemò il vestito sulle gambe, ignorando l’ira di Cloud. Scosse la testa.

“ Che c’è?” proseguì “ Ti brucia l’idea che lei possa godere della compagnia di un altro? Magari nel posto che lasci vuoto a letto quando vieni da me”

“ Ti ho detto di stare zitta!”

Cloud si avvicinò, afferrandole i polsi con inusitata violenza.

Possibile che dovesse sempre andare a finire così? Lui risvegliato nella sua violenza, lei così maligna?

Dannazione..

Cloud la inchiodò alla poltrona, impossessandosi delle sue labbra ancora una volta. Rude,  intenzionato a farle del male con la forza della sua rabbia nascosta, della disperazione mascherata da sentimenti  che,sapeva, lui non era in grado di provare veramente. Non con Chinta, ma nemmeno con altri.

Si sentiva solo, come se premesse le labbra sulla superficie di uno specchio. Fomentando l’immenso egoismo che un giorno l’avrebbe lasciato solo, a guardarsi con disgusto sulle rovine delle cose che aveva perso per la sua vanità.

Non avrebbe mai ammesso che lei avesse ragione. Nel fondo del suo cuore lo sapeva già da tempo, ed era rimasto a guardare. Presto o tardi ne avrebbe pagato le conseguenze.

Si staccarono con uno schiocco, e si scostò. Non voleva prendere uno schiaffo, non voleva nemmeno vedere la soddisfazione negli occhi di Chinta, e fece due passi indietro, fissando il pavimento come un bimbo consapevole dei propri misfatti. L’odore del cuoio e del sudore mischiato al profumo di viola della ragazza gli indugiava nelle narici, riempiendo i suoi pensieri di una vergogna insopportabile. Aggredirla in quel modo era stato poco saggio, ora l’avrebbe stuzzicato spesso con quella scusa, minando l’autocontrollo che si era costruito negli anni con la forza di un ciclone.

Strinse i denti. Se Sephiroth fosse stato ancora vivo l’avrebbe sbeffeggiato senza pietà.

“ Sei un vero codardo” avrebbe riso con quella sua voce sibillina “ Ti fai mettere i piedi in testa da una misera donna?”

Si voltò, come a volersene andare, ma la voce di Chinta lo trattenne.

“ Vuoi dormire qui?” la sua voce era colma di un’ansia così straziante che gli fu difficile paragonarla alla sogghignate ragazza di poco prima.  E poi non era una domanda.

Era una supplica.

Chi sei? Possibile che tu sia la stessa che si diverte a mettermi in difficoltà ogni volta? Quante maschere hai indossato nella tua vita per avere un cambiamento così drastico?

Chinta…

Fece scrocchiare il collo, sbuffando rumorosamente.

“ Non lo so. Tifa…”

“ Per una notte non soffrirà” rispose decisa “ E la strada è pericolosa a notte fonda. Non voglio leggere sui giornali del tuo cadavere smembrato dai mostri”

“ Mai stati un problema”

Si alzò dalla poltrona e scivolò verso di lui, circondandolo in un abbraccio languido. La testa posata sulla schiena ampia e allenata, in una sorta di muta preghiera. Lo baciò sulla nuca, provocando una sorta di mugugno deliziato da parte del Soldier.

“ Rimani” sussurrò tracciando un sentiero di baci sul collo teso, avvertendo il sussulto del pomo d’Adamo sulla pelle sudata. Morse con delicatezza il lembo di pelle sotto l’orecchio, e la silenziosa resa di lui fu palpabile anche prima che lui pronunciasse:

“ Va bene. Per questa volta resto”

Chinta sorrise, posandogli un veloce bacio sul lobo dell’orecchio.

“ Fantastico!” esclamò separandosi da lui e dirigendosi verso il piano di sopra “ Allora vado a cambiare le lenzuola”

“ No”

Chinta alzò un sopracciglio, sorpresa.

“ No?”

“ Preferisco dormire sulla poltrona” spiegò Cloud e si andò a sedere su essa. Chinta si strinse nelle spalle, borbottando un “contento tu”, e cominciò a salire le scale mandandogli un bacio quando arrivò in cima, poi sparì.

 

Cloud si sistemò meglio sull’arredo di cuoio, pentendosi un po’ della sua scelta. Era scivolosa, ancora impregnata dell’odore di loro e fece una smorfia, sentendosi uno schifo. Allungò una mano e tirò la cordicella, immergendosi  nel buio della notte.

Per un attimo desiderò sparire.

Il BIP! Del cellulare lo riscosse da strani pensieri e lo estrasse dalla tasca. Il display, unica fonte di luce che conferiva al suo volto un colorito bluastro, si accese con un unico nome.

TIFA

Non era mai stato particolarmente romantico, e non aveva mai usato appellativi smielati per designare la mora, anche perché si vergognava a chiamarla in altri modi. E per lei era lo stesso.

Siamo uguali…

 Portò il telefono all’orecchio e ascoltò il messaggio di segreteria telefonica con un groppo in gola.

“ Ciao, Cloud. Tutto bene? No, era solo per sapere se stavi  bene. Mi sembravi così strano. Sai.. io… oh, niente, mi faccio sempre un sacco di paranoie! Non ascoltarmi. Però mi fa piacere quando ci sentiamo, mi fa stare meglio. Lo sai che ti voglio bene…è una cosa sciocca da dire adesso, lo so, eppure lo dico comunque. Fa niente. Ci..ci vediamo domattina, ok? Fa attenzione, ciao”

Cloud staccò la chiamata. Gli pareva di soffocare dalla vergogna.

Portò una mano alla fronte, sorreggendola mentre stringeva i denti per non imprecare contro se stesso. Era un’idiota, c’era cascato di nuovo.

Uno dei molari scricchiolò fastidiosamente.

Lo schermo si spense, gettandolo in balia delle sue colpe. E in tutte vi era lei, il suo sguardo di rubino tinto di dolore e sconcerto.

Tifa…

La notte non gli era mai parsa così buia.

 

 

 

 

“ Ohi, Elena porca puttana!”

La giovane Turk fulminò con lo sguardo il suo collega. Gli aveva pestato un piede, certo ,  ma non era un buon motivo per imprecare così poco elegantemente.

“ Reno” sibilò puntandogli un dito contro “ Vedi di moderare i termini quando sei in servizio!”

“ Ehi,ehi calma. Non alzare la voce, o sveglierai Tseng. E poi” il suo sguardo si fece incredibilmente serio “ Ricordati che stai parlando col tuo vice-capo”

“ O-oh, sì signore,scusi”

Reno fece uno sforzo di volontà enorme per non scoppiare a riderle in faccia. Che razza di credulona, proprio non c’era gusto a scherzare con lei. Ma ritenne più probabile che si fosse zittita per non turbare ulteriormente il sonno del suo senpai.

Eh, le donne innamorate!

“ Per stavolta passa, Elena” sbadigliò rumorosamente, congedandosi da lei con uno sventolio di mano.

“ ‘Notte”

Il fetore di alcol fece arricciare il naso alla bionda.

 Intuendo che la scia provenisse da Reno alzò gli occhi, amareggiata dal comportamento dissoluto del ragazzo. Girò i tacchi, sistemandosi il caschetto con un gesto della mano, e avanzò di qualche passo, finchè le sue scarpe mandarono il noto fruscio di carta calpestata.

Incuriosita, abbassò lo sguardo, e vide minuscoli coriandoli bianchi macchiati di nero. Pareva una filigrana piuttosto pregiata, molto somigliante a quella dei documenti degli studi legali, se non la stessa. Si mise in equilibrio sui talloni e ne raccolse un pezzo, quello più integro anche se stropicciato. Agrottò le sopracciglia.

 

…. Come unico parente in vita,per l’affido di Eliza Sommers

 

 

 

 

Angolo del te

Bene, eccomi qua.

Chinta è finalmente venuta alla luce, anche se non l’ho descritta  a fondo.

 Lo capirete più avanti.

La sua importanza nella storia è, diciamo, marginale nei fatti narrati, ma importante nel cambiamento e nelle scelte di Cloud. Appariranno ancora questi incontri, ma pochi anche perchè mi concentrerò sulla coppia principale (Zack x Tifa). Comunque: detestabile donna semina zizzania.

Lo so che qui Cloud sembra un po’ OOC ma, come ho già detto, è molto confuso. Pardon.

Ora ho il piacere din presentarvi i miei due assistenti ^__^

Vincent Valentine e Vanitas detti anche “ Squadra V”.

Vincent: Ero in spiaggia, spero per te che sia importante.

Io: Come va, Vanitas?

Vanitas: Qui sono io che faccio le domande!

SCIAFF!!

Io: invece io dirigo il tutto, anche la tua esistenza! Vedi di avere un po’ di rispetto è_é

Vanitas: Sc-scusi signora..

Vincent: Non dobbiamo essere di più per formare una squadra?

IO: Oh, di questo non preoccuparti. Rispondiamo alle recensioni!

 

Kuromi_

Ma glassie! Sono contenta che ti piaccia la mia fic! Mi fa sempre piacere ricevere pareri nuovi ^__^

Per immedesimarmi in alcuni personaggi non faccio fatica, ma dipende. Cloud è complesso, difficile da rendere con fedeltà (tu mi hai detto che li impersono bene, spero che non cambi idea con questo Cloud un po’ OOC, povera me >_<) mi sa che abbiamo gli stessi gusti! Anch’io adoro Cloud, ma preferisco Zack certe volte ( *___*) e Reno è un grande! Però amo Tseng allo stesso modo, è così affascinante!

Ciao, e grazie della recensione!

 

Tifa_Heart

Ah, non preoccuparti per i ritardi. Ultimamente ho poco tempo per stare su efp, e mi sa che non aggiornerò più questa fic fino a settembre. Anyway, comunque le coppie saranno quelle,sì.

Ma non renderò le cose così facili, e non è nemmeno detto che cambi idea XD

Grazie della recensione!!

 

Fflover89

Evvai, allora siamo dello stesso parere! Anche io preferisco lo Tseris piuttosto che lo Zerith, li trovo così carini insieme! Lui austero, lei allegra e spensierata XD

Tifa è arrivata al limite, perché il libro non è il kamasutra (XDDDDDDDDDDDDD ma ci avrà pensato) ma un manuale per apparire più seducenti e desiderabili. Inutile dire che non le servirà perché attirerà l’unico uomo che non doveva avvicinare. Tutto nelle prossime puntate!!

Grazie per la recensione!!!

 

Lady_Loire

Tseng che ride è una rarità,  ma vederlo nei panni di padre O_O  OMG

È stata dura anche per me, ma sarà dolcinoso (Tseng mi spara un colpo in testa e uso prontamente Vanitas come scudo) bene invece Reno farà la zia X…D (esperimenti Shinra, povero rosso) e per quanto riguarda Aeris, l’idea di avere un figlio la sfiorerà molto presto, ma Zack non sarà molto d’accordo..

Una squadra di calcio in figli? Oh, io due invece:

una con Zack e l’altra con Cloud (le rispettive consorti vendicano il loro onore offeso picchiando l’autrice)

bene, alla prossima e grazie!!!

Shadow Madness

Felice che ti piaccia sempre più ^^

Lo Tseris è una coppia che mi piace molto, anche perché riesco a vederceli bene assieme, più di Zack. Muhahhahahaha! Conversione completa.

A parte gli scherzi, sono felice del tuo sostegno.

Questo capitolo è stato una faticaccia, e Cloud… traditore è_é poi vedi che Tifa ti rende la pariglia!!

Basta va, ci sentiamo alla prossima!! Ciao e grazie ancora!!

 

The one winged angel

Come detto sopra, sì,le coppie per il momento sono quelle. Tranne che per Cloud….tutto a suo tempo!

Chinta alla fine non è la sorella (purtroppo) è la pseudo amante di Cloud. Scemo di un chocobo e non vuole nemmeno lasciare Tifa! Egoista!!

Bof..

Come al solito, ti ringrazio molto del commento ^_^

Ciao, alla prossima!!!

 

Ringrazio zack_fair per aver inserito la storia nei preferiti! Spero di sentire il tuo parere anche su questa come per l’altra fic!!

Ciaooooo, buone vacanze a tutti!!!

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Turbamenti interiori ***


Lei è tutta stesa sul a letto con il cuore spezzato
[…]
e non sappiamo come
come siamo arrivati a questa situazione assurda
facendo cose a causa della frustrazione

cerchiamo di far funzionare le cose,
ma ragazzi questa volta è dura

 

Adorava il suo profumo.

Non pensava che lui potesse avere un aroma così indecentemente eccitante, una droga che scivolava sulla sua pelle fremente, in un muto desiderio di essere toccata ancora e ancora. All’infinito tra le sue braccia possenti, che la stringevano con lascivia ma abbastanza forti per risvegliare in lei ogni desiderio insano assopito per anni.

La sua bocca si appropriava avidamente del suo corpo, lo divorava pezzo per pezzo, assaggiando con calma la pelle che Tifa gli offriva con crescente lussuria, bramando più di qualunque altra cosa che lui continuasse quella tortura che la stava lentamente portando alla pazzia. Una pazzia così dolce, a lungo aspettata.

Avrebbe aspettato in eterno per vivere quei momenti, avrebbe portato pazienza anche per cent’anni. Tutto pur di subire quella pigra passione amorosa, tutto per avere pienamente lui.

Cloud Strife era metodico, dolce, ma sapeva infiammarla con improvvise audacie che la lasciavano senza fiato. Ansimava, Tifa, presa dall’intimità che i baci del biondo le trasmettevano, aumentando l’impressione che si trovassero in un mondo a parte, rinchiusi in una bolla intangibile. Inviolabile per chiunque, uno spazio dove potevano vivere il loro amore appassionato e timido. La mano di Cloud esitava tra le sue cosce, la toccava con timore, quasi si trattasse di una cosa sacra, provocando il fastidio di Tifa che si protendeva  verso le sue dita per un contatto ancora più proibito. Ancora più bello.

Strusciava il seno contro il suo petto, sentendo il corpo del suo uomo reagire immediatamente. Con lo sguardo appannato, Tifa sorrise allungandosi a baciare i capelli scompigliati di Cloud. Respirò il suo profumo a pieni polmoni, solleticando le narici con quei fili sottili e morbidi. Cloud mugugnò, mordicchiandole il lobo dell’orecchio. I denti che le stuzzicavano quel  pendulo pezzo di pelle la incendiarono fino all’inverosimile, e portò una mano alla nuca del compagno, costringendolo ad alzare la testa per coinvolgerlo in un bacio dettato dall’urgenza di percepirlo suo in tutto e per tutto.

Assottigliò le palpebre, accarezzando lentamente i capelli di Cloud, ma alla luce della luna potè chiaramente vedere un bagliore lucido. Un colore estraneo intrappolato tra le sue dita, improvvisamente più rigide.

Non l’oro di Cloud.

Ciò che sfiorava era la notte, una chioma corvina e appuntita. Un riflesso dell’oscurità che albergava fra le sue mani.

Zack.

Fu un attimo. Bastò un attimo per perdersi nella profondità dei suoi occhi, un pezzo di cielo più azzurro dell’acqua delle sorgenti. Fu un attimo perché rimanesse ammaliata dal sentimento oscuro che gli albergava nelle iridi. Sapeva che era sbagliato, ma capì che non poteva fare a meno dei suoi occhi per sentirsi amata. Tutto ciò che desiderava era solo questo, nonostante una parte di se si fosse messa in allerta, congelando il sorriso che aveva sulle labbra in una smorfia sorpresa. I muscoli delle gambe, bloccate dal peso di Zack, guizzarono a vuoto, irrigidendosi in maniera repentina.  La sua carne si trasformò in pietra, schiacciata da un senso crescente di paura.

“ Tifa?”

No, ti prego, non parlare. Rimani così, non muoverti.

“ Stai bene?”

Tifa lo fissò, gli occhi di rubino sgranati. E la potenza di quella domanda si infranse nelle sue orecchie come un urlo, risvegliandola dal torpore in cui era caduta. Boccheggiò come una balena incagliata, incapace di trovare le parole. Cosa doveva dirgli? Che era contenta?

Lo era.

Ed era anche arrabbiata. Con se stessa, con lui.

Con tutto.

E quello fu il colpo di grazia.

“ Come faccio a stare bene?? Non è con te che dovevo finire a letto!”

Scattò a sedere, mulinando le mani per liberarsi di lui. Ma da come era sparito si accorse, pur con un po’ di disappunto, che era un sogno. Il sorriso di Zack svanì come fumo nella realtà mattutina e lei tirò un sospiro di sollievo.  La luce filtrata dalle tapparelle proiettava deboli striscioline bianche sul piumone, e Tifa ci impiegò una ventina di secondi per mettere a fuoco l’intera stanza.

I vestiti abbandonati sulla sedia le parevano dei fantasmi appoggiati mollemente sullo schienale, privi dello stesso vigore della proprietaria, e il fastidio che avvertiva dietro agli occhi le ricordò le lacrime amare versate nelle ore critiche della notte. Il sale incrostava le guancie, intrappolando le ciocche di capelli sulla pelle esangue.

Si  sfregò il viso più volte, con un principio di mal di testa che premeva appuntito sulla parte destra del cranio, nelle tempie stremate dallo sforzo di contenere le lacrime. Capì che non era decisamente giornata: quando si svegliava stanca lo era sempre. Di sicuro non avrebbe dato il massimo in niente e avrebbe passato ogni minuto libero a biasimarsi per il suo dare troppo peso alle cose inutili.

Niente era inutile nella sua vita. Da quando si era ritrovata per strada aveva dovuto valutare attentamente  aspetti crudi di una realtà che non l’avrebbe favorita in alcun modo. Eppure ora le pareva anche peggio. Prese il telefonino dal comò, controllando i messaggi in arrivo.

Niente. La sua casella di posta era vuota.

Non mi ha nemmeno richiamato.

Il peso della solitudine tornò a colpirla, e rabbrividì di indignazione. Faceva più freddo, tutte le volte, congelava quando sentiva il vuoto nel posto letto accanto al suo. Le ricordava gli anni difficili dopo Nibelheim, quando nessuno si era dato la pena di consolarla. L’avevano spinta lontano da tutto ciò che amava, e allora Cloud non aveva potuto impedirlo. Ora che ne aveva la concreta possibilità la mandava al diavolo con tutto il resto, con la vita sognata da anni, con la speranza di avere una famiglia.

Ma come poteva avere un figlio se il padre fuggiva non appena la vedeva? E, ammesso di riuscirci, non se la sentiva di crescere da sola il bambino di un fantasma di transito. Lo odiava. Perché la respingeva dopo averla illusa? Perché non rimaneva con lei dopo la morte e la sofferenza delle loro vite?

Singhiozzò, portandosi una mano al volto. Le lacrime ripresero a scorrere con maggior intensità, cadendo sul display blu in piccole gocce salate. E la casella rimaneva muta di fronte al suo dolore, di fronte ad una verità che lei non aveva il coraggio di affrontare. Non ci credeva, lui era solo freddo.

Di sicuro non aveva un’altra. Non Cloud.

Non il Cloud che conosceva.

Quel sogno era stato bellissimo, ma la caducità della figura di Cloud si rifletteva anche nella psiche inconsapevole della sua mente, ed ogni volta la evitava, scappava come nel mondo reale. L’uomo che non era scappato davanti a lei era l’unico che non avrebbe dovuto farlo. Lui era distante quanto la luna, le stelle, ed al contempo troppo vicino; parte integrante della sua vita tanto quanto potevano esserlo Cloud o Barett. E non era disponibile.

Non doveva toccarlo.

Invece aveva accarezzato il suo petto. Aveva sentito i muscoli duri sotto le sue dita.

Non doveva avvicinarsi.

Aveva ballato con lui nell’illusione che fosse per sempre. Si era stretta al suo corpo sudato.

Non doveva desiderarlo in alcun modo.

Era stata sul punto di donarsi a lui contro il muro di un bar.

Voleva le sue mani sulle gambe.

La sua bocca.

L’illusione di amarlo.

 

Ma non doveva, si disse. Aveva  fatto la cosa giusta quel giorno all’ospedale. Troncare sul nascere qualcosa di dannoso che avrebbe nociuto tutti.

Eppure ci pensava, dapprima solo ogni tanto poi spesso. Aveva come l’impressione di aver rimandato l’inevitabile. Sentiva di aver superato un limite da cui non era possibile tornare indietro, e l’unica difesa contro di esso si avvolgeva in un duro bozzolo di stoicità pura. Dogmi su dogmi inculcati nella sua mente sin da bambina: non desiderare ciò che è fuori dalla nostra portata, soprattutto col rischio di ferire persone a noi care. E in ogni caso ciò che pensava aveva un nome ben preciso.

“ Adulterio…” bisbigliò fra se.

Si alzò lentamente, procedendo verso la finestra tappata dalla veneziana grigiastra. Spiò la vita per strada da uno dei listelli, chiedendosi quante delle persone lì fuori avessero un desiderio inconfessabile. Un segreto che avrebbe distrutto un’infinità di legami e affetti. Lei, perlomeno, ce l’aveva. Con Zack cosa sarebbe stata? Cosa sarebbe stata che con Cloud non era? Un’adultera, certo… e poi? Dopo i primi tempi cosa poteva rivendicare? Non l’amore, non l’affetto deformato dalla lussuria di una scintilla scoccata per caso. Alla fine non le sarebbe rimasto nulla.

“… e poi le adultere fanno sempre una brutta fine” borbottò ironicamente “ Per Zack non ne vale proprio la pena” annuì poco convinta, indietreggiando fino al letto. Si lasciò cadere sul materasso e si stese, tirandosi le coperte fin sopra la testa come una bimba piccola. Chiuse lentamente gli occhi, decidendo che per un giorno il Seventh Heaven sarebbe rimasto chiuso. Peggio per tutti a quel punto… lei voleva solo dormire un po’ senza fantasie erotiche a turbarla.

 

 

 

 

 

 

Zack si stiracchiò ben bene, attento a non farsi vedere dalla moglie. Il dolore andava man mano diminuendo,  ma voleva evitarsi l’ennesima lavata di capo per la poca considerazione che aveva di se stesso. Ultimamente Aeris dimostrava l’inflessibilità tipica di un generale e Zack, ridendo, le ricordava che era stato lui a lavorare per un po’ di tempo nell’esercito non lei. Già che si era fatto la bella figura con l’infermiera di turno qualche sera prima.  Tirare Aeris sul letto e soffocare le sue proteste con un bacio troppo spinto non era stata una buona idea. Nemmeno infilarle una mano nel vestito mentre Miss Isabel passava nelle camere per portare il pranzo.

“ Impaziente, eh signor Fair?”

Erano arrossiti entrambi, come due scolaretti scoperti dai genitori. Dopo che i passi pesanti dell’ infermiera si erano spenti, Zack aveva scosso la testa commentando in maniera poco carina la curiosità della donna e Aeris aveva annuito, d’accordo sul fatto che fosse una pettegola di prima categoria. Quando Tseng se ne era andato, la sera prima, l’aveva fermata in corridoi con espressione furbesca, dicendole:

“ Il suo amante è davvero un bell’uomo, signora Fair. Però mi sembra un po’ troppo serioso per una ragazza allegra come voi”

Per come lo disse, quell’allegra le parve un insulto. Infatti si era affrettata a risponderle che era un amico, e per di più un Turk, sottolineando con attenzione il significato che quel lavoro comportava.

Non le aveva più chiesto niente, per il sollievo della giovane fioraia. Non voleva che raccontasse a Zack cose non vere, che lo istigasse per una faccenda fraintesa. E lei non accennò in alcun modo la visita di Tseng, non gli raccontò che era venuto in ospedale. Intuiva che certe cose era meglio tenersele per se data la poca simpatia di Zack per i Turk.

“ I dottori dicono che la ferita si sta rimarginando in fretta. Fra due settimane, se tutto va bene, dovrebbero dimetterti” gli disse aiutandolo ad alzarsi.

Zack sbuffò, un po’ per il dolore un po’ per la noia, e accennò qualche passo per sciogliere la tensione nelle gambe.

“ Due settimane?” ripetè incredulo “ Accidenti, ma io sto benissimo. Perché non dimettermi fra qualche giorno?”

“ Zack non fare tante storie, sai che quel proiettile ha rischiato di bucarti un polmone, devi riposare per evitare ricadute”

“ Aeris, quando ero in Soldier mi dimettevano dopo qualche ora. E me la passavo decisamente peggio di adesso”

“ Ma ora non lavori più per Soldier” ribattè seccamente Aeris “ E non voglio che ti ammali per la tua sconsideratezza”

Zack corrugò le sopracciglia.

“ Non sono un bambino , penso di essere maturo a sufficienza per saper valutare il mio stato”

“ Hai rischiato di farti ammazzare. Ti sei buttato a capofitto senza prendere in considerazione questo fatto!” Aeris si sedette sul letto, scoccando un’occhiata di rimprovero al marito.

“ Ti sembra maturo?”

“ Volevo solo aiutare quelle persone!” rispose, alzando un po’ la voce. Era nervoso, frustrato con se stesso, e soprattutto irritato da quell’immobilità coatta. Non sopportava l’accusa velata nel tono di Aeris, cercava di piegarlo verso un ramo della colpa che lui non identificava come suo. In ogni caso non sarebbe riuscita a fargli cambiare idea su quella spinosa questione. Se avesse potuto tornare indietro lo avrebbe rifatto altre mille volte.

“ Aiutare?” esclamò lei scattando in piedi, gli occhi verdi gonfi di lacrime.

“ E per aiutare una persona devi comportarti come un suicida?” la voce si spezzò e portò una mano al volto, nascondendo la propria angoscia.

“ Non voglio perderti, Zack.” Singhiozzò “ Ti amo, lo capisci?” non riuscì ad aggiungere altro,perché scoppiò in un silenzioso pianto. Zack la fissò pentito, e si avvicinò per stringerla in un abbraccio.

“ Mi dispiace” sussurrò, posando il mento sui suoi capelli. Il profumo di fiori salì leggero nelle sue narci ed inspirò piano. Alzò una mano, carezzandola con dolcezza sulla nuca.

“ Non volevo essere così brusco, solo che questa inattività mi uccide. Sai come sono fatto”

“ Lo so, lo so” rispose Aeris con una risatina strozzata dal pianto.

“ Ecco”  la strinse con più forza “ Allora capirai che delle volte mi pento delle mie azioni, ma non posso lamentarmi più di tanto. Con una ragazza come te non devo” la baciò delicatamente sulla testa.

“ Ti amo”

Aeris sospirò, abbandonandosi nella presa forte delle braccia di Zack. Odiava discutere con lui, ma era così difficile…

Certi comportamenti la terrorizzavano, temeva di vederselo recapitare in una bara un giorno o l’altro. Sua madre l’aveva avvertita, lei l’aveva sempre saputo e l’aveva accettato come parte integrante del suo destino con Zack. Vita e morte a pari passo.

“ Quando guarirò” disse all’improvviso “ Andremo a Gongaga dai miei, così per un po’ starò lontano dai pericoli, va bene?”

La ragazza alzò lo sguardo, fissando il volto di Zack con espressione da cucciolo.

“ Davvero?”

“ Davvero” confermò lui, sorridendo leggermente prima di baciarla.

Forse gli avrebbe fatto bene allontanarsi un po’ dalla sua realtà. Desiderava tornare a casa, sentire l’aria fresca dei boschi, vedere sua madre. Era abbastanza lontano da tutto e da tutti.

Ne aveva bisogno.

Almeno per chiarire con calma cosa diavolo gli stesse succedendo.

Per spegnere l’indicibile sentimento che Tifa aveva acceso dentro di lui. E se possibile prima di impazzire completamente.

 

 

 

 

 

 

Mi spiace di non aver aggiornato per tempo. la scuola non mi da tregua, e questo capitolo non è un granchè ma spero vi piaccia comunque.

 

The one winged angel

 

Chinta è proprio una donnaccia, e comunque hai proprio ragione: è abbastanza egoista ma anche Cloud non è da meno. Dell’amore non capisce un tubo, sì , ma poi vedi come Tifa gli rende la pariglia XD

Grazie del tuo sostegno, e scusami se non aggiorno puntualmente. Ma sono sommersa dai compiti -_-

Ciao!!

Tifa_Heart

Partecipo anch’io al complotto contro Cloud! Voglio vederlo soffrire Muahahahahahahah!!!

E Zack la consolerà più che bene. XD

Scusa per il ritardo, ma sono stata molto impegnata! Grazie del tuo sostegno!!

Lady_Loire

Cloud è cretino, sarà un rimasuglio ormonale della sua mancata adolescenza. E Zack per il momento non si sente pronto per dei bambini ed è dovuto al suo turbamento interiore nei confronti di Tifa. Va a Gongaga più per quello che per altro, e Aeris gli crede. Povera ingenua!

Ciao e grazie!!

Fflover89

In effetti ci sono rimasta anche io O_O

Non pensavo di poterlo caratterizzare così, ma questo è solo l’inizio! E per Elena quel “ le donne innamorate” era inteso a Tseng, ed era una costatazione sconsolata di Reno. Spero di averti illuminato!

Ciao e grazie della recensione!

Zack_fair

*_*  sono veramente contenta, grazie! Mi fa piacere il tuo parere, sul serio! Spero di non averti deluso!

Grazie della recensione, ciao!!!

Kuromi_

Meno male! Evviva Cloud un po’ più reattivo del normale!!

Chinta si scoprirà più avanti chi è , ma farà tribolare Cloud come pochi. Grazie della recensione!!

Arisa_14

Gliela staccherei anche io la testa. A lei e a Cloud. E se ti sta antipatica adesso dopo… ehm affronterò la tua rabbia 0.0”

Grazie della recensione, ciao!!

Shadow Madness

Eccomi, scusa il ritardo e questo capitolo un po’ sgualfo. Ma non ho testa di scrivere ultimamente.

Ho notato che Chinta ti sta particolarmente simpatica, non male eh? (donnaccia lascia stare Cloudino!!)

Non ti preoccupare che Tifa gliela farà pagare ben bene.

Grazie della recensione!!

E grazie a:

Kasdeya per aver messo la storia fra le preferite!

 

 

Seguite:

Aranel Yukino

Aurora95

Nyuu Evans

Shi Onitsuki

 Spero di sentire anche il vostro parere!

Ciao!!!

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Capitolo 10
*** Vita,scelte, ricordi ***


"Piacerebbe anche a me saperlo, Yuffie. Ma è da tre giorni che non si fa sentire”

La giovane ninja sbuffò nel ricevitore e a Tifa parve una tempesta tropicale nel pieno della sua potenza. Se si parlava di Yuffie, poi, paragonarla ad una tempesta era un eufemismo bello e buono.

“ Se chiama te lo faccio sapere,ok? Mh?... Sì, lo so, non dirmelo è seccate anche per me”

Poco dopo, mentre puliva il bancone del bar, ricevette un’altra telefonata.

“ Strife Delivery Service, in cosa… Oh, Jonny”

Tacque un attimo, ascoltando lo sproloquio dall’inizio alla fine, senza prestare attenzione a nessuna parola in particolare. La sua mente vagava per altri lidi, si tormentava nel chiedersi perché Cloud avesse rimandato il ritorno a casa più del dovuto. Non ce la faceva a stare da sola, gestire la marea di chiamate che ogni giorno intasavano il vecchio telefono del bar, e intimamente cominciava ad irritarsi. I messaggi laconici del biondo sfidavano ogni buona educazione, ma soprattutto sfidavano la sua pazienza.

Un paio di volte aveva guardato il testo in grassetto, ben povero, con la tentazione di rispondergli per le rime come meritava. Avrebbe voluto schiaffargli in faccia quanto fosse patetica la sua difesa, la sua codardia quando non le rispondeva sia al telefono che durante i loro sporadici litigi. Ci aveva provato seriamente così tante volte che non aveva tenuto il conto, ed ogni insulto o minaccia era stato ingoiato nel dimenticatoio dell’eliminazione. Era terrorizzata che lui potesse leggerli ed andare via per sempre, preferiva vivere nell’incertezza, consapevole di far male a se stessa, solo ed unicamente se stessa. Eppure le andava bene così, nei limiti, nel suo calvario giornaliero.

Era arrivata a chiedersi se esistesse effettivamente, se Cloud Strife non fosse solo cenere e nulla più. Anche quello l’aveva dimenticato, forse era una cosa senza importanza, forse no, ma a quel punto non gli importava. Le persone si rassegnano a vivere con quello che hanno, lei per prima ne aveva fatto tesoro. Ma questo non voleva dire che le andasse tutto bene, proprio per niente.

“… Quindi pensavo di uccidere i vicini e di mangiarmeli per cena, tu cosa ne dici?”

Tifa si riscosse dai suoi pensieri, piantando un “Eh??” acuto diritto nel padiglione auricolare di Jonny.

“ Aw! Ehi!”

“ Scusa. Si può sapere che razza di discorsi fai?” aggiunse irritata. Dall’altra parte della linea sentì il ragazzo ridacchiare.

“ Ehi, calma ragazza! Era per vedere se mi stavi ascoltando. Ma a quanto pare la tua fantasia galoppava dietro a biondi palestrati,eh?”

Tifa arrossì di botto.

“ Non è divertente” esclamò “ E soprattutto non è giornata”

“ Problemi in vista?”

“ Diciamo di sì”

“ Allora ho fatto bene a chiamare. Jonny ti aiuterà a risolvere tutti i tuoi turbamenti interiori!”

“ No,grazie” rispose Tifa arricciando il filo del telefono al dito indice “ Preferirei evitare consigli di qualunque tipo” storse il naso.“ E poi, Jonny, non ho nulla contro di te, ma preferirei che meno persone si immischino nei miei affari.”

“ Non sono una “persona”, Tifa.  Sono l’uomo delle risposte, colui che ti aiuterà a superare i tuoi incubi e le tue paure.”

Tifa si lasciò sfuggire una risatina, che tentò di mascherare con un colpo di tosse. Quando Jonny si metteva ad usare quel tono solenne proprio non ce la faceva a rimanere impassibile. Ringraziò Shiva che non ce l’avesse davanti, o si sarebbe offeso dell’ilarità inopportuna della ragazza.

“ Non ho bisogno del cavaliere” lo interruppe “ Già quello prima è scappato per motivi a me ignoti, non vorrei ricadere nello stesso errore.”

Le canzonature di Tifa ebbero l’effetto di spronarlo ancora di più.

“ Cheeee???” chiocciò stridulo “ Cloud è un imbecille patentato! Come si fa a lasciarti sola in una città come questa? Cioè, dai, potrebbero aggredirti, derubarti o violentarti. O tutto insieme! Questo…”

“ L’imbecille patentato è il mio ragazzo” puntualizzò Tifa un po’ irritata “ Secondo: ti avrò ripetuto mille volte che so cavarmela da sola. Se credessi ancora nelle favole e aspettassi il principe azzurro sarei morta da tempo, quindi… grazie per l’interessamento ma non ho bisogno di nulla. Ciao, Jonny.”

“ Ehi, aspett…!”

La ragazza mise giù la cornetta.

Fissò torva il telefono mentre le parole di Jonny ancora alleggiavano nella sua mente, e afferrò con troppa foga il bicchiere che aveva posato sul bancone. Poco ci mancò che le scivolasse via, e lo riprese al volo esclamando un soffocato “porcaccia”. Lo strinse al petto, come un tesoro prezioso, e si impose di calmarsi prima di frantumare tutte le stoviglie. Sospirò, e girò le manopole del rubinetto; lo schizzo d’acqua gelida precipitò sulla tazza e da lì alla sua maglia, e Tifa si scostò bruscamente battendo la testa sulla mensola dei liquori posizionata lì dietro. Un sottile urlo di dolore e frustrazione abbandonò la sua bocca, serpeggiando per il locale vuoto e spettrale nella luce grigia del mattino. Ringhiò leggermente, massaggiandosi la nuca dolorante. Aveva già capito che quella non era giornata.

Quando gli avventori iniziarono ad animare il locale, Tifa non ebbe più tempo di pensare impegnata com’era nel servire caffè o altre bevande. La preoccupazione, l’irritazione per la prolungata assenza di Cloud e la telefonata di Jonny scomparvero per magia nel vortice frenetico della sua quotidianità, e nella sua mente schiarita e oberata fino al sovraccarico era ingannevolmente soddisfatta. Lavorò di buona lena tutto il giorno, spazzò per terra con più forza del necessario e quando venne l’ora di chiusura era quasi dispiaciuta. Avrebbe voluto trattenere tutti come un bimbo alla fine della sua festa di compleanno, offrendo un giro di birre; ma per un motivo o per l’altro, una scusa mezza balbettata o secca, tutti scomparivano nelle strade mal illuminate pervase da una leggera nebbiolina. E a quel punto iniziò a sentirsi sola, di nuovo.

Andò a dormire presto, leggendo una o due pagine del libro che aveva preso e abbandonandolo subito dopo in preda all’imbarazzo. Dispensava consigli così stupidi che nemmeno l’ultima delle oche avrebbe preso sul serio quei vaneggiamenti, e prese in considerazione l’idea di buttarlo nel cestino della carta straccia. Spense la luce, rigirandosi nervosamente nel letto. Un altro giorno era passato, apatico, freddo, e sbuffò. Chiuse gli occhi, e per una volta sperò di non buttarsi a capofitto nel regno dei sogni. Gemette.

Quello della notte prima era stato decisamente troppo reale. Chissà cosa stava facendo Zack in quel momento. Forse era con Aeris.

 Strinse inconsciamente le coperte.

Certo, che stupida, era naturale che stesse con lei. Era sua moglie! Solo lei aveva il diritto di godere della sua compagnia.

“ E poi non deve importarmene” pensò convinta “ Ciò che fanno non è affar mio.”

L’oblio l’avvolse per portarla nell’universo del riposo, e quella notte l’unica cosa che vide con l’occhio della mente fu il nero pece di un sonno senza sogni. Un sorriso inconsapevole spuntò pallido sulle sue labbra.

 

 

 

Aeris sbadigliò. Era così stanca che gli occhi le si chiudevano da soli, e tirò amorevolmente la coperta sul petto di Zack. Sorrise un poco nel vederlo così sereno, e poggiò il mento sulla mano, osservandolo trasognata mentre russava beatamente avvolto nelle coltri bianche e asettiche dell’ospedale. Rimase in quella posizione per un po’, illuminata dalla fioca luce dei lampioni della strada che penetrava dall’enorme finestra laterale. Il tavolo e le sedie sembravano brillare di una leggera aura bluastra, come piccoli neon fantasma e il cigolio delle porte sul corridoio conciliava un sonno tormentato. La ragazza si alzò, avvolgendosi intorno alle spalle il vecchio scialle di sua madre, massaggiandosi le braccia con fare delicato nel tentativo di combattere il gelo che la notte aveva portato nonostante il riscaldamento centralizzato. Camminò avanti e indietro per la stanza, con la testa che cadeva cerimoniosamente in avanti per la stanchezza, ma nonostante tutto i suoi sensi erano vigili, come una lupa che protegge il proprio piccolo addormentato, rifiutandosi di cedere alle tenebre che avrebbero potuto portarlo via. Ormai doveva esserci abituata, ma non lo era, proprio per niente. Zack grugnì, le sopracciglia corrugate e brillanti di sudore che scivolava lento sulla fronte. Aeris si riscosse e si avvicinò al letto, tamponando delicatamente il volto del giovane con un fazzoletto usurato ma lindo. Zack sembrò rilassarsi, lasciando andare un lungo sospiro che fece sogghignare Aeris. Posò due dita sotto il mento, facendole scorrere lungo la giugulare, sentendola scossa dal respiro regolare di Zack. Chiuse gli occhi, premendo le dita nella carne per sentire il battito cardiaco uscire dai pori, per auto-convincersi che andasse tutto bene. Al momento, poteva stare tranquilla.

“ Quando sarò fuori da qui andremo via per un po’. Dai miei genitori, che ne dici?”

Forse era la cosa migliore. Zack non andava a cercarsi guai, ma i guai sapevano sempre come trovarlo, e l’idea di far visita ai suoi suoceri a Gongaga la metteva di buon umore: aveva voglia di rivedere Bryce e Martha, di passare un po’ di tempo all’aria aperta nei boschi rigogliosi della città natale del marito. Staccare dalla caotica vita dei loro ultimi due anni.  Sì, le piaceva, ed era tranquilla.

Accarezzò pensosa il volto di Zack, percorrendo cautamente la cicatrice a forma di croce come faceva nei loro momenti di intimità. Si fissavano persi in un dolce abbandono, sorridendo alla fortuna che li aveva fatti incontrare, baciandosi furiosamente e in continuazione come adolescenti. E pensare che quando erano loro, dei ragazzi, non c’era stato nessun segno che li legasse come fidanzati. Il primo bacio che avesse mai ricevuto da lui, Aeris, l’aveva avuto l’ultima notte, quella che credevano sarebbe stata la loro ultima notte, prima della grande battaglia. Quante cose non si erano detti… principalmente per colpa sua. Durante le lunghe settimane di pellegrinazione da un angolo all’altro del Pianeta apparivano del tutto estranei, troppo distanti per poter capire cosa li legava veramente, quel sentimento forte sbocciato da un colpo di fulmine nella primavera dei suoi quindici anni. Dopo cinque anni di vana attesa il suo cuore si era come inaridito, ferito dalla mancanza di notizie e dalla gelosia morbosa verso una donna sconosciuta che gli impediva di tornare. ( Non c’è stata nessuna oltre a te, la rassicurava, ma lei era stata troppo male per perdonarlo anche solo con “ Va bene”)

Quando l’aveva rivisto era stata felice, ma distaccata. Anche se le valide scuse del giovane avrebbero convinto chiunque, Aeris, non si era scomposta più di tanto nel suo dolore dal sapore di lacrime eterne sul cuscino della sua stanza. A distanza di due anni, ancora si vergognava a parlarne, ammetteva a se stessa che era stata una bella egoista, dimentica di quello che aveva dovuto sopportare Zack per mano di Hojo, ma la naturalezza con cui il ragazzo l’aveva baciata sull’Highwind, bastava a perdonare un demonio. Toccò piano il labbro inferiore di Zack, e il ricordo tornò vivido nella sua memoria.

 

Si appoggiò alla ringhiera del ponte, ed era così fredda che un brivido la percorse dalla schiena fino alla punta dei piedi. La notte serena, turbata solo dall’enorme meteora rossa che squarciava le nubi e distruggeva in piccoli frammenti il cielo, portava al suo volto il profumo fresco dell’aria salmastra, di bruciato e di angoscia, la sua come quella degli altri. Non era riuscita a seguire il consiglio di Cid su una buona dormita che scaccia via ogni incertezza ( E poi, che cazzo, se dobbiamo morire tanto vale rassegnarsi) ( Cordiale come al solito, era  stata la piccata risposta di Yuffie, interessata come tutti a godersi qualche anno in più dei sedici che aveva raggiunto così a fatica) ed aveva deciso di prendere una boccata d’aria, forse l’ultima, di vedere le stelle che si spegnevano una dietro l’altra per seguire la madre di tutte le comete, come figlie devote ai desideri del genitore. Alzò lo sguardo. Il cielo non era mai stato così buio.

La treccia le frustava ininterrottamente la schiena, i capelli sfuggiti ad essa finivano sul suo volto leggeri come ragnatele. Faceva freddo, le lacrimavano gli occhi, e scacciò subito l’idea di rientrare. In effetti Cid aveva ragione. Preoccuparsi della salute se sarebbero morti era da idioti, ma nel suo cuore non smetteva di ardere quella piccola speranza che l’aveva sostenuta in ogni istante della sua vita, credeva davvero che un miracolo potesse accadere ancora.

Se alla capitale degli antichi non fosse intervenuto Cloud…

Rabbrividì, non di freddo. Era stata vicinissima, troppo, ma che senso aveva avuto se adesso la loro esistenza era appesa ad un filo?Si morse l’interno della guancia, distratta dai pensieri fuggenti di ciò che non aveva fatto, di quello che avrebbe voluto fare. Sospirò.

Non si era accorta che qualcuno la osservava da un po’, talmente distratta da non sentire nemmeno i passi leggeri e la coperta poggiata dolcemente sulle spalle. Alzò una mano a stringere un lembo ruvido della lana grezza, rinfrancata dal calore che essa trasmetteva sulla pelle gelata.

“ Grazie” mormorò senza alzare lo sguardo.

La ringhiera tremolò un poco quando Zack posò irruentemente le braccia incrociate.

“ Prego” rispose, vicino abbastanza da farla sussultare “ Ma forse  sarebbe meglio che tu entri dentro”

“ Mh” grugnì distrattamente Aeris. Si strinse nelle spalle, cominciando lentamente a scaldarsi col vento che tentava in tutti i modi di superare la barriera tra lui e il corpo longilineo. Zack sembrava aspettare qualcosa, forse la stava guardando, e fu a quel punto, a ricambiarlo, che si accorse di quanto poco lo conoscesse. Il ragazzino, il cucciolo, non poteva essere paragonato dallo Zack di adesso: i lineamenti affilati, l’espressione matura, stranamente matura, gli occhi scuri, quasi neri quella sera. Fu sorpresa di quel cambiamento, non si era mai soffermata a studiarlo da quando avevano cominciato l’allucinante viaggio alla salvezza del mondo, a malapena si erano parlati se non per necessità.

“È una bellissima serata, non trovi?”

Aeris annuì. “ Tranne per quella” indicò l’enorme globo fiammeggiante. E Zack la sorprese con una risata bassa, graffiante, ironica o amara o forse entrambe.

“ Nha!” rispose “ Invece trovo che abbia un suo fascino… se non fosse che potrebbe spedirci all’altro mondo.”

Aeris sorrise. “ Già” il solito sarcasmo fuori luogo. Però, per fortuna, aveva il potere di tirare su le persone. Invogliava a prenderlo a schiaffi, ma come si faceva a non ricambiare i suoi sforzi?

“ Vorrà dire che morirò con un buon ricordo.”

“ Buon ricordo?” chiese incuriosita.

“ Uno splendido panorama da ammirare con la ragazza più bella di questo universo” fece birichino e si voltò a guardarla, a vedere le guancie dell’Antica colorarsi di rosso.

“ Zack” rispose irrigidendosi “ Ecco, io…”

“ Non è il caso di imbarazzarsi” la tranquillizzò prontamente “ Sai che quando mi metto a straparlare….”

“ Spari un sacco di cazzate” completò Aeris allungandosi per tirargli un pugno, ma lui fu lesto a bloccarle il polso.

“ Su una cosa, però, ho detto il vero.” rivelò seriamente, al che la ragazza inclinò curiosamente il capo.

“ E quale?”

Zack sorrise nuovamente.

“ Morirò col ricordo di una ragazza speciale” la tirò a sé, e Aeris, colta alla sprovvista, si aggrappò alla sua maglia per non cadere. Passarono due secondi intensi in cui i loro occhi, le loro anime si scontarono, e poi l’unica cosa esistente erano le loro labbra. Si toccarono con indecisione, in un crescendo di amore e disperazione, si sfiorarono, lottarono in un groviglio di lingue, di saliva, di denti che cozzavano fra loro. Sparì la paura, l’indifferenza, si accorciarono distanze che prima parevano insormontabili, e quando si staccarono la rabbia che Aeris si era ripromessa di provare nei suoi confronti era sparita sotto la sguardo dolce di lui, nel suo sorriso. Impossibile non rispondere all’amore quando questo preme per uscire.

Gli accarezzò la guancia offesa, dalla cicatrice, dallo schiaffo che gli aveva dato a Junon per la sua linguaccia, senza pensare minimamente che dopo sarebbe diventato il gesto d’affetto con cui poteva dirgli tutto, dirgli quanto amava lui e la sua ironia pungente. Stavolta fu lei a iniziare, alzandosi sulle punte dei piedi per arrivare alla sua bocca, a continuare quello che avevano lasciato in sospeso dopo tanto tempo.

“ Bhè” ansimò Zack tra un bacio e l’altro “ Pensavo di beccarmi di nuovo uno schiaffo” Zitto “… o un pugno” sorrise, le labbra sovrapposte a quelle di lei “ Ma devo dire che così è molto meglio”

“ Non farci l’abitudine” disse Aeris allontana dosi un poco “ Se…” tacque, abbassò gli occhi. Le pareva insopportabile ora, morire. Perché a loro?

Zack le mise un dito sotto il mento, la costrinse a guardarlo.

“ Ehi” sussurrò asciugandole una lacrima col pollice. Aeris singhiozzò, abbracciando forte la coperta.

“ Mi dispiace per tutto, Zack” ora o mai più, doveva farglielo sapere “ Non avrei dovuto trattarti così, sono stata…” singulto “Sono stata così egoista. Avrei… avrei dovuto capirti e…”

“ Non fa niente”

La giovane sgranò gli occhi “ Cosa?”

Zack l’abbracciò, carezzando i contorni del suo volto congestionato.

“ Non fa niente” ripeté “ Non ce l’ho mai avuta con te per questo. Hai avuto tutte le ragioni del mondo per odiarmi. Non farmi sentire per cinque anni è stata una bastardata enorme”

La paralizzò il modo in cui lo disse.

“ Ma..” cercò di obiettare debolmente “ Ma Hojo, tu non…”

“ Non permetterò più a nessuno di tenermi lontano da te” proclamò severo, severo come non era mai stato il ragazzino che era caduto nella sua chiesa. “ Quando questa storia finirà, staremo insieme. Lo vuoi?” domandò speranzoso, e Aeris annuì vigorosamente, gettandogli le braccia al collo.

Poggiò la fronte sulla  sua “ Sì” disse “ Sì, lo voglio”.

E mentre un nuovo bacio svaniva nelle tenebre, l’unica coperta di lana dell’Highwind prendeva il volo per non tornare mai più.

 

“ Sì, lo voglio”

Improvvisamente il mondo tornò al suo posto, relegando i ricordi riflessi sul vetro della nursery in un angolo della sua mente. La sua mano premuta decisa sulla finestrella, inconsapevole  di quando avesse iniziato a camminare per venire fino a lì, sul piano deserto illuminato a  intermittenza da una luminare rotta.

Bzz,Bzz.

Scosse confusa la testa, guardandosi in giro spaesata. Si chiese seriamente  se avesse raggiunto uno stato di sonnambulismo tale da doversi preoccupare per se stessa, ma probabilmente l’intenzione di fare due passi con mille distrazione ad affollarle la testa l’aveva condotta fino a lì. Passò in rassegna le culle, neonati nuovi o che aveva già visto dormivano privi di preoccupazione, ignari del crudo gioco che la vita metteva in tavola per il divertimento di qualche dio maligno. Sorrise teneramente.

Le braccine piegate sotto la testa conferivano ai piccoli un atteggiamento naturale e dolcissimo, i visini corrucciati senza volerlo, le rughe e l’ittero di alcuni che somigliavano a piccoli limoni vecchi dalla buccia granulosa. Cercò Warda, la trovò nella prima culla a destra del bancone dei pasti, e rise della posizione strana che teneva nel dormire, piegata da un lato col mento teso al massimo e la bocca aperta, un contrasto così grottesco rispetto agli altri che scosse involontariamente la testa, come un rimprovero scherzoso.

“ Sei tutta speciale” i suoi occhi si velarono di tristezza. La bimba non sapeva cosa l’aspettava.

“ Essere speciali talvolta è una maledizione”  si disse fra sé e sé “ Prego perché tu abbia un infanzia e una vita più serena della mia.”

A Tseng aveva detto di volere solo pace, per lei e i suoi figli. Si allontanò per tornare in stanza, i sentimenti dolci –amari che quella visione le avevano dato frullavano alla velocità delle ali di un colibrì, sprazzi di flashback che non aveva mai vissuto le apparirono davanti agli occhi. Si immaginò di stringere Warda fra le braccia, proteggerla ad ogni costo , e Zack al suo fianco che toccava piano la testolina della bambina, sorridendo intenerito dal miracolo di quella vita che lui stesso aveva donato, una figlia loro da crescere ed amare. Fu talmente forte che dovette fermarsi a riprendere fiato. La mantellina sulla spalle ora era troppo pesante per l’eccitazione che saliva come una follia nel suo corpo, e scostò i capelli che le erano finiti sul viso. Voltò il capo a quel presentimento, fissò senza vedere  le culle che emergevano come montagnole di neve dalla nursery, e l’idea balzana di poco prima si aggrappò tenacemente ai suoi desideri.

Forse… non era troppo presto. Forse l’idea di avere una sua Warda da stringere al petto la infervorava di ardore materno, quello che, prima o poi, prende tutte le donne del mondo. E adesso anche lei.

Anche lei si sentiva pronta a compiere il passo più grande della sua vita.

 

 

 

 

“ Dunque.” Esordì ad un certo punto, fermandosi per godersi il peso di quell’unica parola detta tra i capelli del ragazzo. Rimase zitta ancora per un attimo, passando le dita fra i filamenti biondi, e Cloud si mosse a disagio sotto la sua carezza.

“ Dunque?” la esortò Cloud  stringendosi a lei “ Cosa c’è?”

Chinta indugiò sulla sua fronte, spinse la testa del Soldier contro il suo fianco, guadagnandosi un lamento indolente soffocato contro la maglia del pigiama. Sogghignò, scendendo fino alla nuca e al collo nudo.

“ Dunque, pensavo ad una cosa…” continuò per fermarsi a metà frase. Cloud rinunciò ad incoraggiarla, aspettò che terminasse con il naso affondato nella morbida ciniglia verde ad aspirare il profumo di quella ragazza come un ubriaco che finalmente si disseta col suo vino preferito. Le dita fredde disegnavano cerchi e linee che bruciavano di piacevole tortura, un tocco che voleva essere leggero per farlo impazzire.

“ Pensavo che forse avresti potuto delucidarmi su un dubbio che mi è sorto.”

Cloud non rispose.

“ Pensavo…” Chinta ignorò l’indifferenza del biondo e diede un pizzicotto che lo fece scattare.

“ Ehi!” sbottò tirandosi su un fianco.

“ Pensavo” sottolineò decisa, irritata dell’interruzione “ Che i Soldier avessero un colore più tenue di occhi, o sbaglio? I tuoi sono così blu!” allungò una mano per accarezzargli una guancia. Cloud si ritrasse.

“ Bhè?” lasciò cadere la mano sulla trapunta, aspettando una risposta. Cloud sbuffò, massaggiando il punto in cui Chinta l’aveva pizzicato. Non gli aveva fatto male, ma era irritante. Quando era ragazzo aveva ricevuto tanti di quei pizzicotti da farne quasi una fobia. Li trovava irritanti se a farlo era una persona irritante come quella distesa al suo fianco, in attesa.

Decise svogliatamente di accontentarla.

“ Il mako, in realtà, li fa diventare più scuri. Non si fonde del tutto col colore dell’iride, se guardi bene ci sono dei riflessi verdastri” si ritrovò con la schiena sul materasso, la ragazza a cavalcioni su di lui lo fissava intensamente in volto, concentrata come non l’aveva mai vista. Deglutì, deviando lo sguardo verso destra. Doveva essere arrossito parecchio a giudicare dal sorrisino che percorse le sue labbra.

“ Scusa, ma…” tornò seria, voltandogli grossolanamente la faccia. Cloud grugnì infastidito. “ Io non li vedo. Sono cieca per non vederli? Sei sicuro che ci siano?”

“ Penso di conoscermi abbastanza da sapere che ce li ho.” Rispose Cloud. Chinta non ne era convinta.

“ Ma davvero, ce li hai? Non è che mi stai prendendo in giro?”

“ Perché ti interessa tanto?”

“ Perché mi piacciono, ecco perché.”

“ Allora la risposta è sì. Dipende molto dalla luce, quindi per stasera mettiti l’anima in pace.”

“ Ma nooo, uffa!” gemette “ Volevo vederli adesso.”

Cloud, per quanto possibile, fece spallucce.

“ E vabbé”

Chinta sbuffò, sinceramente contrita dal fatto, poi decise di non pensarci e stampò un bacio sulle labbra del ragazzo, rotolando al suo fianco.

“ Sai, volevo ringraziarti.” Disse ad un tratto, e Cloud voltò la testa verso di lei.

“ Per cosa?” chiese sospettoso.

La giovane inarcò un sopracciglio “ Per le pulizie, è ovvio. Senza al tuo aiuto non sarei mai riuscita a spostare quel mobile” sorrise “ E non avrei nemmeno ritrovato Sarah.”

Cloud emise un gemito strozzato, portando entrambe le mani a coprirsi il viso.

“ Ti prego, non parlarmi del tuo gatto.” Sibilò contro le dita “ Ho impiegato mezz’ora a convincerlo a scendere da quel condotto, e alla fine non ci guadagno una graffiata? Bel caratterino che si ritrova.”

“ Non ti è uscita nemmeno una goccia di sangue” contestò Chinta sfiorando la garza sul braccio del Soldier “ Per cui non fare tante storie. E poi gli animali rispecchiano il carattere dei padroni, stai cercando di dirmi che ho un caratteraccio?” chiese minacciosa. Cloud sospirò.

“ Tu che dici?”

“ Razza di deficiente!”

Seguì un lungo silenzio, nel quale si sfiorarono come due innamorati al primo appuntamento, seguendo i percorsi naturali delle linee del corpo come se fosse tutto nuovo e luccicante. La quiete prima della tempesta.

“ Lei non te l’ha mai detto vero?”

“ Lei chi?”

“ Tifa”

Quel nome sputato duramente ebbe l’effetto di uno schiaffone in pieno volto. Smise di arricciare i capelli di Chinta, e la fissò di sottecchi, improvvisamente nervoso.

“ Non ti ha mai fatto i complimenti per questo,vero?”

“ Veramente” biascicò Cloud punto sul vivo “ Non ho mai… fatto le pulizie… a casa.” Tacque mortificato.

“ Davvero?” era sorpresa “ Allora sono onorata” aggiunse divertita. Cloud avvertì la tensione salire, e si scostò per sedersi sulla sponda del letto.

“ E ora cosa c’è?” sospirò lei sconsolata. Il giovane scosse la testa.

“ Nulla”

“ Bugiardo.”

“ Domattina me ne vado.” Disse come se valesse la pena di dirlo, e la risposta di Chinta non si fece attendere.

“ Di già?”

“ Di già”

“ Però torni,vero?”

“ Non lo so.”

“ Come sarebbe a dire “non lo so”?” piccata dalla vaghezza con cui arginava la sua voglia di indagare.

“ Significa che non lo so.”

“ Mai una risposta coerente,vero?”

“ Smettila di mettere “vero” alla fine di ogni domanda.”

“ E perché mai??”

“È irritante.”

“ Sei tu irritante!”

Lei si alzò, prese una vestaglia e se l’avvolse intorno al corpo. Mise una mano su un fianco, trattenendo con l’altra i lembi sul petto. Somigliava ad una moglie bisbetica con quell’espressione arcigna e gli occhi castani pieni di odio, e Cloud non poté fare a meno di sorridere fra sé per l’assurdità della situazione.

“ Cazzo ti ridi?” rimbrottò acida, e Cloud scosse la testa.

“ Sei fuso, mi hai sentito? Fuso. E ora dimmi se hai intenzione di tornare.”

“ Avevo intenzione di rimanere qui fino a domani” replicò lui scocciato “ Ma la tua insistenza mi sta guastando lo stomaco. Vado.” si alzò, superandola per scendere al piano di sotto. Lei lo seguì a breve distanza.

“ Non voglio promesse d’amore, Cloud.” Attaccò imperterrita “ Voglio solo sapere se tornerai. Se così non fosse puoi anche levarti dai piedi subito, non mi interessa, ma almeno parlami.”

“ Ho già parlato a che troppo.”

Scavalcò Sarah acciambellata sull’ultimo scalino. La gatta, avvertendo il trambusto tirò su la testa foderata di pelliccia, scannerizzando Cloud con occhio critico. Quando perse interesse spalancò la bocca mostrando dentini acuminati e sbadigliò di sonno, rimettendosi giù per recuperare quei secondi di sopore che le erano stati negati.

“ Davvero?” esclamò Chinta, e Sarah, se avesse potuto, le avrebbe intimato silenzio, ma si rassegnò a stare un occhio aperto e uno chiuso. Il sonnellino rimandato a data da definirsi.

“ Sì.”

“ Bene!”

Si allontanò da lui, chinandosi sul mobiletto bar vicino alla televisione, e ne tirò fuori un bicchiere impolverato e una bottiglia modesta di vodka, versando il contenuto metà fuori per la rabbia, la stessa con cui buttò giù in un sol sorso il liquore come se fosse acqua fresca. Sospirò dissetata, e a quel punto si accorse dello sguardo di disapprovo del ragazzo. Sollevò il mento, sprezzante.

“ Mbhè?” fece volgarmente “ Che vuoi ancora?” si pulì la bocca con la manica, cercando di non far capire quanto risentisse dell’audace vuotata di vodka. La gola ardeva vivacemente, solo per dimostrare una spavalderia che non possedeva. Tirò i capelli all’indietro, un gesto troppo studiato per ingannarlo.

“ Non dovresti bere quella roba.” La rimproverò sottotono, abbastanza da intimorirla. Le ricordava il suo tutore, un uomo meschino che godeva nel farle del male, e ogni ramanzina iniziava così. Con un rimprovero o consiglio che somigliava ad una minaccia velata.

“ Non puoi darmi ordini, non in casa mia” sbottò una volta ripresasi “ E ora dimmi: hai intenzione di tornare?”

Cloud si passò una mano sul volto, gettandola poi nell’aria infastidito. “ Non lo so! Forse, non ne ho idea.”

Rabbia: “ Stronzo!”

Il giovane evitò per un pelo il bicchiere, che passò sibilando vicino al suo orecchio per infrangersi sul muro in un milione di pezzi. Le schegge spaventarono Sarah, che corse soffiando al piano di sopra, sperando in un po’ di pace per dormire. Cloud osservò spaesato le tracce di liquore sull’intonaco scivolare lentamente fino al pavimento, e comprese che non era più aria. Si voltò verso di lei, lei coi pugni stretti e tremanti, fiammeggiante d’ira da tutti i pori, e strinse le labbra.

“ Buonanotte” con questo gelido commiato uscì nel gelo della notte, lasciando la ragazza per sempre. O così credeva. Alla fine tornava.

Tornava sempre.

Ma ora c’era qualcun altro che aveva bisogno di lui.

Aspettami, Tifa.

 

 

 

 

 

Bella gente! ( la guardano tutti male)

Ehm, è da un po’ che non aggiorno,vero? Come passa veloce il tempo. No, sul serio, non mi ero accorta che l’ultimo aggiornamento risaliva a novembre, ma immagino di essermi rifatta,no? Mi sono divertita a descrivere la diatriba di Cloud e Chinta, anche se sembrano marito e moglie. Spero di avervi soddisfatto questa volta. Il flashback l’avrò riscritto un milione di volte, e nemmeno la versione finale mi ha soddisfatto particolarmente. Ow, che casino!

Bene, ringrazio tutti quelli che hanno messo la mia storia fra le preferite,  le seguite, chi mi segue o da solo una lettura! Grazie a tutti!

Al prossimo, spero presto, capitolo!

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Capitolo 11
*** Espiazione ***


A forza di stare con la schiena poggiata sulla porta si era gelata fino alle punte degli alluci. I capelli scivolarono dal collo, carezzandole freddamente il profilo del seno, coperto a malapena da un asciugamano, umidi, aggrovigliati così tremendamente opachi da farli assomigliare ad una manciata mal cardata di lana.

Mosse le gambe per saggiare ancora la resistenza della barriera fra lei e Cloud: non un sussulto né un respiro, assenti i segni di una forzatura. Non ci aveva nemmeno provato, e si rilassò, cercando di non far trapelare la delusione per quel mancato gesto.

Non aveva motivo per piantonare l’ingresso alla camera, eppure un folle desiderio che lui facesse irruzione e pretendesse di dormire nel suo stesso letto superava di gran lunga la rabbia per l’ennesima negligenza dell’ex Soldier.

 Se si fosse mostrato perlomeno all’altezza di un aspettativa scontata il pensiero di perdono sarebbe sfilato veloce nelle priorità di Tifa, e compromettersi sin dagli arbori come presentarsi a testa bassa apparentemente pentito per qualcosa ingigantiva un fatto che non le avrebbe raccontato mai, uscendosene con scuse improbabili o peggio, il silenzio.

Evitando i suoi sguardi, Tifa era scoppiata.

“ Sai cosa serve un cellulare, Cloud? Immagino di no, dato che lo usi con  la stessa frequenza delle buone maniere. Non fare quella faccia. Io mi sono stancata di aspettarti e temere costantemente per la tua vita. Se la strada di casa ti appare così ignota comprati una cartina.”

Non gli diede tempo di ribattere.

“ Risparmia le energie per salire le scale. Stasera starai comodo anche sul divano.” Si voltò risolutamente, marciando al piano di sopra con tutta l’intenzione di sfasciargli la faccia se avesse osato seguirla. Purtroppo quella soddisfazione non gliela diede mai.

“ Stronzo.” Mormorò raccogliendo il pettine da terra.

Agguantò il libro poggiato sul comodino, sfogliando le pagine con rabbia. Cominciò a snodarsi lentamente i capelli, trovando più nodi che altro, intanto gli occhi vagavano su e giù per le righe: consigli idioti, paragrafi di aneddoti forse poco adatti alla sua situazione.

Tirò, e le fece un male cane. Strinse una ciocca alla radice e passò i denti del pettine per domare la massa ingarbugliata, ma si rivelò più ostica del previsto.

“ A-ahi!” sibilò. Sbuffò, gettando via il pettine. Incrociò le braccia al petto, gettando occhiate distratte alla frase in grassetto.

La depressione si fece largo nel suo animo.

Se lui non è interessato, vedila come un’opportunità per fare un salto dal parrucchiere.

Toccò piano la sommità della testa. Lo specchio restituiva un’immagine smessa, sciupata. I suoi capelli erano più corti di due anni prima, forse riusciva a curarli meglio, ma alla luce di quel consiglio notava di colpo le doppie punte e l’opacità del colore.

Era ingrassata? Oddio,no, forse solo i capelli facevano pena.

Corrugò le sopracciglia “… Magari una spuntatina non farebbe male.”

“ Tifa.”

Schizzò in piedi, rovesciando lo sgabello. Il riflesso di Cloud nello specchio la fissava cautamente e lo spavento si diradò in un attimo. Gli occhi spalancati si ridussero a due fessure, e chiuse il libro perché lui non vedesse quanto in basso poteva cadere per lui.

Si voltò, decisa ad affrontarlo a viso aperto, ma una volta che i suoi occhi ebbero incontrato quelli chiari di Cloud avvertì come una voragine pronta ad inghiottirla sotto i piedi. Il suo dolore traspariva autentico, e glielo trasmetteva nel modo più semplice possibile, un monumento fatto a immagine e somiglianza del rimorso.

Se non gli avesse nascosto qualcosa, Tifa non avrebbe esitato a saltargli al collo e baciarlo per spazzare via le nubi addensate nell’anima ma con grande sforzo rimase dov’era, atteggiata in un broncio indispettito.

Cloud aprì bocca una volta. Tifa continuava a fissarlo ostile. Richiuse di scatto la mascella pensando che forse non era stata una grande idea pensare di trovare un equilibrio con la rabbia di Tifa ancora florida, in procinto di esplodere.

“ Parla.” Ordinò, dato che il ragazzo non accennava una parola che fosse una “ Sono disposta ad ascoltarti. Ti avverto…” alzò un po’ la voce proprio quando Cloud tentava di cominciare il discorso “ Scegli con cura le parole, o puoi anche togliere il disturbo.”

Il giovane percepì un bivio pericoloso. La fatidica goccia stava per cadere, e non poteva permettere che Tifa rimuginasse su una possibile rottura. Una lieve stilla di panico guizzò dentro di lui, ad ogni battito immaginava il suo cuore urlare di non permetterlo, di fermarla, e dall’altra dirle chiaramente come stavano le cose, smettere di mentire e togliersi un peso ormai insostenibile.

C’è un’altra ragazza.

Ma non la amo.

Io amo te, Tifa, nessun’altra.

Eppure continuerò a tornare da lei.

Non possiamo andare avanti così.

Mi dispiace.

 

Strinse le labbra, trattenendo quella confessione. Premeva sulla lingua, smaniosa di farsi sentire, fu sul punto di morderla, di assaggiare il sangue per placare il tumulto interiore. Non lo fece.

“ Mi dispiace.” Mormorò prima di poterselo impedire. “ Avevo bisogno di stare da solo.”

La menzogna provocò l’insoddisfazione di Tifa, ma almeno non sospettava niente di peggio. Forse.

“ Capisco. Comunque una telefonata per avvertirmi mi avrebbe fatto piacere.” Si voltò rapida, e i suoi capelli schiaffeggiarono Cloud sul viso. Profumavano di fresco, ancora umidi. “ Se non hai altro da dire esci subito. Devo vestirmi, e dato che ti faccio ribrezzo non credo che tu voglia vedermi nuda.”

Fece per prendere dei vestiti nell’armadio, ma il braccio di Cloud la tirò all’indietro. Inciampando gli finì addosso, con la testa affondata nel petto di lui. Le braccia muscolose la serravano possessivamente, senza scampo e la sorpresa superò di gran lunga l’irritazione.

C’era un che di strano, a dire la verità. L’abbracciava come se dovessero strapparla via da un momento all’altro. Ma per non rompere quel momento rimase zitta non svelando i suoi dubbi. Si era rassegnata ad essere la ragazza di un mistero vivente.

“ Cosa?”

Tifa si scostò per vederlo in viso, e ripeté “ Perché ti comporti così?”

“ Così come?”

Eccolo di nuovo sulla difensiva. Possibile che ogni volta cominciassero un discorso lui si intestardiva nel pensare di non essere nel torto?

“ Cloud, sto parlando sul serio. Siamo persone adulte e se hai un problema lo affronteremo di conseguenza.” Gli carezzò una guancia, e lui si ritrasse, sciogliendola dalla stretta “ Ecco, vedi? Non stavo scherzando sul fatto che mi metti alla stregua di una lebbrosa.”

“ Non è vero.” Fece per uscire, poi ci ripensò e poggiò il gomito allo stipe. Sospirò “ Ascoltami, Tifa, qualunque cosa tu possa pensare non c’è niente di vero.”

Bel coraggio a dirle di non preoccuparsi mentre le dava le spalle. Codardo e pure idiota.

Mistero vivente o no a Tifa non piaceva essere presa per il culo, e se l’altro non si accorgeva delle risposte sballate che dava, alla ragazza non importava niente. Giustificarlo cominciava a scocciarla così come il dover rimanere sola dopo avergli strappato la promessa di una vita assieme.

Era dannatamente stufa di doverlo rincorrere come un cagnolino. Non si sarebbe annullata, era indipendente abbastanza da poter tirare avanti senza di lui. Semplicemente voleva sembrare abbandonata e vulnerabile, convincerlo a rimanere e proteggerla.

La gratificava sapersi così forte.

Odiava la sua forza, perché impersonava al contempo la sua debolezza.

No…

 

Lo fissò: la polvere depositata sui vestiti e i capelli, gli stivali infangati. Scosse la testa, accettando il fatto che la patina di sporco si fosse depositata sulla loro relazione sin dagli inizi. Come il sangue sulle sua mani, più cercava di lavarlo via, più si distribuiva per insozzare il futuro, cancellando prospettive, nascoste da segreti e vizi. La strada maestra sbiadiva troppo presto, alternando momenti di fiducia ad altri di lucidità: vita o non vita, se era coerente con se stessa avrebbe dovuto lasciarlo, perché era evidente la frattura creatasi fra loro.

Si malediva in ogni lingua per la permissività con cui accettava la realtà, ma ora, ora, doveva agire. Fatica inutile e la tentazione di sedersi e riprendere a pettinarsi come se nulla fosse appariva fin troppo allettante.

La sua mano strinse il lembo dell’asciugamano, tirandolo affinché il nodo si sciogliesse, scivolando con un piccolo tonfo a terra. Fu naturale abbandonare qualsiasi reticenza pudibonda, convincendosi di soggiornare sola nella stanza, e Cloud fuori a scappare come nei giorni seguenti.

Immobile, aspettava uno sguardo, un guizzo. Cloud non accennò un movimento, poggiato alla porta e dandole le spalle per rispettare la sua privacy, un copione ben congeniato dalla stessa convinzione ributtante di avere delle tare o un braccio in più.

Faccio schifo? Bene, non me ne frega nulla.

Passò un dito sul seno, raccogliendo le gocce d’acqua che cadevano dai capelli, seguendo il profilo con delicatezza, aggiungendo le altre dita per carezzarsi, arrivando fino all’ombelico. Lo esplorò facendoci girare l’indice attorno, uscendo ad assaporare il punto dove le gambe si congiungevano. Affascinata dalla contemplazione del suo corpo, registrò una stretta ferrea sul polso. Il profumo del dopobarba di Cloud, vicinissimo al punto che la maglia del ragazzo sfiorava la pelle sensibile e umida. Le dita racchiusero le sue, portandole fino alle labbra, baciandole una ad una.

Tifa sorrise, sentendo la sua mentre prendere distanze vertiginose per liberare una primordiale sensualità. Allungò il viso, passando il naso sulla guancia di Cloud, sfregando poi la punta sulle labbra sottili. Gli occhi di lui si allargarono, assumendo un’espressione vagamente stordita.

In due anni non l’aveva mai vista nuda. Tifa ci teneva alla sua intimità, e quell’improvvisa audacia lo confuse: eppure, non gli dispiacque quando, poggiando la fronte sulla sua, gli baciò languidamente il mento, sbriciolando quel poco di autocontrollo residuo.

Non poteva, non voleva cadere più in basso di così.

Doveva allontanarla, ricordarle che era arrabbiata con lui perché la ignorava.

Il fiato dolce della barista gli piaceva, forse ne poteva godere ancora per un po’. Bastava solo ricordarsi di fermarsi in tempo.

Quando lei fece per baciarlo, Cloud indietreggiò.

“ Ti lascio rivestire.”

Tifa aprì di scatto gli occhi, risvegliandosi dalla fantasia ideata in quel breve lasso di tempo. L’unica cosa che notò fu lo scomparire di Cloud giù per le scale. Freddo, insensibile.

Lei poteva solo accontentarsi di un sogno per vivere.

Come sempre.

 

 

Due settimane a letto parevano compensare, se non superare, il periodo di prigionia a Nibelheim. Una minima differenza stava nel fatto che quattro anni erano passati raccogliendolo nella corrente del tempo e trasportandolo fino al presente senza coscienza, solo con i propri incubi e il bruciore acuto del bisturi sulla pelle – di quello si ricordava, però. Dopo Angeal scomparve dai suoi sogni per sempre, una volta che il dovere di mantenerlo in vita non si era prolungato alla libertà, il suo mentore contava sul fatto che se la sarebbe cavata egregiamente in solitudine.-

I medici si erano sorpresi  della quantità di cicatrici sul torace: il foro di proiettile fresco si univa a piccoli semicerchi rozzamente medicati, due o tre ci avevano messo del tempo a guarire, un quarto non aveva suppurato a dovere, rendendolo facile bersaglio di un’infezione fastidiosa un mese prima del matrimonio. Non indossava maglie pesanti o di materiale sintetico, sopratutto bianche: lo imbarazzava, nelle prime settimane, trovarsi con una grossa macchia si siero viscoso alla portata di sguardo. Vivo per un miracolo, comunque, e ne avrebbe avuto da dire molto, raccontare la storia di tutte le ferite – quelle recenti- che di notte si ritrovava a combattere. Prima le fiamme del piccolo villaggio sulle montagne, dopo il terrore secco di una canna di fucile puntata addosso, sicuro che negli occhi di ciascun fante la pietà spariva nell’ordine impartito di sparare a vista.

“ Tutti hanno incubi da dover combattere, Zack.” Gli diceva Aeris, le rare volte in cui si confidava. C’erano territori del suo passato che anche una ragazza come lei ci si avventurava cauta, sperando di non sbagliare “ Si tratta solo di avere la forza di guardare avanti, rimestare il passato e sperare di cambiarlo non renderà giustizia a nessuno. Io sono qui, okay? Ci sarò sempre, anche quando farai delle sciocchezze.”

Chiuse gli occhi, aspettando che il medico arrivasse. Povera Aeris, avrebbe tanto voluto che si fosse tenuta per se una promessa del genere, che maturasse un po’ di sano egoismo invece di anteporre gli altri a se stessa. Meno male che non leggeva nel pensiero, rifletté il giovane, gli avrebbe fatto una lavata di testa colossale, altrimenti.

Le piaceva aiutare, tutto qui. Voleva che la gente intorno a lei fosse felice, che non conoscesse le durezze di un mondo che era sempre stato pronto a darle la caccia sin da quando era nata. I guai li trovavano ovunque, ed entrambi. Zack non temeva nulla, poteva frasi largo in un muro di cemento, tuttavia sua moglie si arrangiava con altri mezzi, essendo cresciuta negli slums. I fiori, la dolcezza, l’empatia, cose che in quei luoghi oscuri e malfamati Aeris coltivava ogni giorno, rendendoli suoi, incarnando ideali di cui lui non era mai riuscito a farsi portavoce nonostante l’adolescenza sprecata – perché per come era finita si era proprio consumato inutilmente- nei Soldier. Ancora adesso, temprato dal sangue e dalle tante morti, con le mani callose per l’utilizzo prolungato della spada, il bambino ingenuo di tanti anni fa si faceva spazio per mendicare una carezza, un conforto che solo Aeris era capace di donare pur non figurando ipocrita come molti nel Pianeta. La pazienza per stargli dietro non le mancava, ne lesinava abbracci e slanci improvvisi d’affetto. Si vergognava di averle urlato dietro qualche settimana prima, il nervosismo della convalescenza scandiva ore lunghissime che non passavano mai e la mezza ramanzina era servita a rinverdire ancora di più l’irritazione. Grazie a Dio la ragazza sembrava aver rimosso l’accaduto.

Toccò la garza, attendendo timoroso la solita fitta – di questo passo quando lo avrebbero dimesso?- e si accorse che non faceva male. Sorrise.

 “ Ehi, tesoro?”

Immediatamente realizzò che Aeris non era lì. Gli aveva detto che sarebbe andata a prendere qualcosa per il viaggio a Gongaga.

All’appello mancava il medico.

Un controllo, gli diceva ad ogni visita nelle stanze, per assicurarsi che la ferita non si infettasse. Zack comprendeva la miriade di impegni e pazienti per un primario di fama, però cominciava ad essere stufo: aspettava la diagnosi da una settimana, l’altro ieri era riuscito a farsi strappare la promessa di un check-up veloce e ancora nessuna traccia all’orizzonte di chicchessia.  Passò una mano nei capelli, sentendosi a disagio per tutto quel silenzio. Solitamente a quell’ora la sua vicina di letto si metteva a chiacchierare sulla sua famiglia: sei figli – con tredici nipoti annessi al pacchetto- condendo la comune adorazione per loro con coloriti particolari della sua vita intima quando era adolescente.

A quel punto si facevano entrambi due sane risate alle disavventure del marito di lei nell’atto di scavalcare il muro di cinta per vederla ed atterrare in un cespuglio di ortiche credendole innocue.

“ Eravamo ragazzi e ci godevamo la vita.” Diceva, facendo scintillare un lampo di malizia negli occhi “ Mio padre non approvava  che io frequentassi un figlio di artigiani ma, come dico sempre, l’amore trova il modo di anteporsi a tutto il resto, e ci siamo sposati in una bella giornata di sole.” Sospirava, rendendosi improvvisamente conto che la primavera era passata altre due volte senza di lui “ Avremmo fatto quarantaquattro anni di matrimonio lo scorso venticinque aprile.”

“ Cosa gli è successo?”

“ Si trovava nel Settore 7 al momento sbagliato.”

Questo gliel’aveva confidato il giorno prima di essere dimessa, e Zack sentiva rimbombare quell’assortimento di parole amare come se lei stessa glielo sussurrasse durante il sonno, instillando veleno, promettendogli vendetta a causa di tutto ciò che continuava a rappresentare nonostante la Shinra fosse ormai nella polvere. L’ennesimo incubo da aggiungere agli altri, ancora troppo vivido per poterlo accettare e chiudere in un cassetto.

Il silenzio lo torturava, spezzando la mancanza di suoni con ticchettii lievi dell’orologio da parete, alla sue orecchie insopportabili per l’assenza palpabile di qualcosa oltre il nulla della stanza bianca.

Una volta non si sarebbe preoccupato della solitudine – la vedeva più come una condizione momentanea in una camerata numerosa come la sua- ora faticava a sopportarla per più di qualche minuto, in luce degli eventi recenti, pensare alla morte gli rendeva difficile accettarla. Forse perché l’aveva provata sulla pelle troppe volte per non innervosire qualche autorità superiore, per averla fatta franca quando le persone a lui più care scomparivano per tornare nel Lifestream.

Scosse la testa.

Non faceva alcuna differenza. I morti meglio lasciarli riposare in pace, si disse, per loro non c’era nulla da fare se non ricordarli con moderazione. Eppure, anche per una persona ottimista come lui era complicato. Se non ci fosse stata Aeris, l’ancora del suo presente si sarebbe spezzata per mandarlo alla deriva nei ricordi.

Aveva tutto ciò che si potesse desiderare.

Lei.

Una vita.

“ Non chiedo altro.”

Bugiardo.

Quel monito volto a se stesso venne spazzato via quando la porta si aprì per rivelare un uomo dal camice bianco, seguito a ruota da una giovane castana con le braccia cariche di borse. Per non rivelare il sollievo nel vedere il medico, atteggiò il volto ad una sofferenza studiata.

“ La mia carta di credito…” gemette, in maniera a dir poco teatrale. Aeris posò le buste sulla sedia, ridacchiando, consapevole di aver esagerato giusto un pochino.

“ Ho preso qualcosa anche per te, tranquillo.”

Appunto. “Qualcosa”

Zack spostò lo sguardo verso il dottore, ansioso e senza prestare attenzione alle domande, chiese semplicemente “ Posso andarmene?”

“ Signor Fair.” Disse fermamente il dottore, nascondendo l’irritazione per esserlo sentito domandare per la duecentesima volta  “ Le ho già detto che prima dobbiamo fare un controllo.” Estrasse uno stetoscopio dell’ampia tasca del camice “ Si apra la camicia, per favore.”

Aeris frugò nella sporta, fingendosi indaffarata a sistemare dei vestiti e la sua attenzione gravitò in particolare su una scatoletta rettangolare. La prese, facendo attenzione a tenerla nascosta contro il petto e la fece scivolare nella borsetta.

Si morse il labbro, vergognandosi di quell’inutile segretezza. Zack rispondeva vivacemente ai quesiti, seguito dalla pacata inflessione dialettale del medico, e respirò normalmente scacciando il fremito che le aveva invaso il corpo. Abbassò un poco le palpebre, seguendo con l’indice i bordi cartacei della confezione. Titubante, ritrasse la mano, sorridendo lievemente.

“ Tutto a posto, Aeris?”

Si voltò, distendendo ancora di più le labbra.

“ Certo.”

Con la coda dell’occhio sembrò indicare qualcosa dietro di lei.

“ Certo che sì.”

 

 

 

“ Il signor Tseng?”

“ Come ha avuto il mio numero?”

“ Ci è stato fornito da un suo parente stretto. Qui è l’ufficio di tutela dei minori.”

“ Deve esserci un errore: non ho parenti in vita…”

“ Si tratta di sua sorella.”

“ …”

“ Signor Tseng, è ancora in linea?”

“ …”

“ Pronto?”

“ Ditemi l’ubicazione della vostra sede, sarò lì domattina.”

 

 

Premette dolcemente il piede sul freno, osservando l’edificio che gli era stato indicato il giorno precedente. Di poco dissimile a tutte le altre strutture permanenti e alla buona di Edge, differiva solamente per il frontone riciclato da un vecchio tribunale di Midgar, ormai con le parole semicancellate, deteriorate dalle piogge acide. Parcheggiò qualche metro più in là, infilando le chiavi nella tasca dei pantaloni. Un piede dietro l’altro, con calma, sentendosi in qualche modo costretto da catene che rendevano i suoi passi più pesanti, quasi da scalfire il cemento del marciapiede.

Non avrebbe dovuto trovarsi lì, in ogni caso un errore ci doveva essere. Avrebbe dovuto negare fino all’ultimo, minacciare quell’uomo con parole ben calibrate e costringerlo a fornire le generalità dell’individuo che aveva osato scucire un dettaglio lavorativo importante come il suo numero aziendale. Reno? No, conosceva la procedura nonostante le molte trasgressioni. Degli altri due non doveva neanche chiederselo.

Un Turk nei pressi di un tribunale non era in ogni caso un bene. Due anni prima avevano trovato rifugio a Kalm proprio per questa eventualità – considerando la rabbia della gente, forse era il meno- e adesso trovava strano che volessero riprendere in mano il caso di membri della Compagnia sopravvissuti e impuniti. Rufus finanziava il WRO, e loro davano una mano dove c’era bisogno, una sorta di espiazione, consci che non sarebbe mai stato abbastanza. Certo, avevano anche i loro interessi – la filantropia del giovane Shinra non arrivava di sicuro ai livelli di una conversione completa- ma si stavano impegnando tutti quanti per dare una speranza al nuovo mondo in ascesa, nonostante la crisi.

Si chiese se stava perdendo colpi a forza di comportasi diversamente dal killer freddo quale era da dieci anni a quella parte, se qualcuno potesse approfittare di quella debolezza e far collassare il piccolo business istituito dopo il crollo. Minacciarlo, mettere in atto le minacce, perdere tutto ciò per cui avevano lavorato faticosamente. Come leader era esposto ad ogni genere di rischi, non si era mai tirato indietro – Veld era stato un ottimo mentore in quanto temprare il carattere- e non l’avrebbe fatto in quel momento, in quella situazione. Circondò la maniglia con le dita affusolate, stringendola per spronarsi a entrare e risolvere la questione  con la massima cautela possibile.

L’interno si presentava piuttosto spartano: i muri macchiati d’umidità, due sedie accatastate alla rinfusa come sala d’aspetto, strettamente collegate a una scrivania con un fiore di plastica posto in una tazza di Costa del Sol. La lampadina a risparmio energetico illuminava a malapena la stanza verniciata con tinte scure. Diverse lauree incorniciate, uno striscione con dettami della giustizia che lui aveva sempre infranto. La segretaria alzò gli occhi da un plico di fogli coi bordi accartocciati, raddrizzando la schiena con fare sostenuto.

“ Posso aiutarla?” domandò gentilmente. L’attenzione di Tseng venne catturata dalla bacheca sulla sinistra con troppe foto da contenere per un spazio ridotto. Sorrisi di bambini e disegni mostruosi come unico colore allegro in quel cupo antro.

Sbatté le palpebre, riprendendo lucidità “ Sì, sto cercando il signor Colleridge. Il suo assistente mi ha chiamato ieri per una… questione riguardante la mia famiglia.”

Ripeté mentalmente le poche righe scritte per ricordarsi la via e il nome, pregando che finisse presto. Detestava aspettare, specialmente per una cosa di cui non aveva niente a che fare. La donna si alzò in piedi, lisciando una piega del golf. Il sorrisetto di circostanza mise Tseng di cattivo umore, e corrugò leggermente le sopracciglia.

“ Lei deve essere il signor Tseng.” Proferì con voce sorprendentemente limpida e secca. Si avvicinò a lui tendendo una mano sottile “ Anna Colleridge, associazione per la tutela dei minori.”

Tseng non mostrò alcun imbarazzo per l’errore commesso e ricambiò il saluto. Strinse giusto quel poco per dimostrare di non essere il primo sempliciotto passato di lì.

“ Onorato.” Non lo era, proprio per niente. Persone come lei non procuravano che grane, non era una corrotta o una raccomandata. Le pareva uno squalo pronto a divorare l’incauta foca con l’astuzia di tanti anni nell’oceano di menzogne di casi comuni.

“ Mi pare di ricordare che lei abbia negato in un primo momento di avere una famiglia.”

Non addentrarti in trucchi che io conosco come le mia tasche.

Il Turk scrollò le spalle “ Diciamo che l’avere parenti non significa strettamente avere una famiglia”

“ Capisco.”

Gli diede le spalle, tornando a sedersi con un sospiro.

Frugò nei cassetti fino a trovare un fascicolo fresco di stampa, e piantò gli occhi minuscoli e inquisitori nei suoi, cercando qualche segno di agitazione. Il suo sguardo scivolò poi sul corpo, e Tseng si rese conto che poteva ottenere dei vantaggi immediati grazie al timore suscitato dalla divisa.

“ Il caso è complicato, signor Tseng.” Il timbro serio, da maestra elementare non aveva più nulla dell’ironia pungente di prima “ Quindi ho fatto venire qui l’ambasciatore di Wutai addetto alla questione. È stato lui a insistere affinché io vi chiamassi.”

Tseng incrociò le braccia al petto, attendendo il vero motivo per cui l’avevano convocato.

“ La sta aspettando nella stanzetta dei colloqui.” Indicò con la testa una porta, replicando il gesto per sollecitarlo ad entrare “ Prego. Parleremo dopo dei dettagli.”

Avanzò velocemente – nervoso e irritato- ed entrò senza chiedere il permesso. Chiuse l’anta, percependo subito il suo interlocutore seduto a capotavola. L’ombra che la luce della finestrella non rischiarava non impedì a Tseng di coglierne il sorriso paterno.

Aprì bocca, emettendo poche parole che fermarono il cuore al Turk “ Mi fa piacere rivederti, Tseng.” Premette le mani sulle ginocchia, facendo leva per alzarsi “ Spero di non averti distolto dai tuoi doveri.”

Di fronte a quell’uomo tornò bambino. Rivide la sua terra, le montagne aspre e il villaggio ai piedi del Da-Chao, gli tornarono alla mente le mattine in cui si svegliava e andava a giocare al ruscello, tornando a casa con lo yucata fradicio e schizzato di fango. Il freddo della sera che combatteva avvolto in una trapunta quando guardava il sole sparire rimanendo a gambe incrociate nel giardino, bloccandosi i legamenti che scricchiolavano cercando una stabilità dopo ore immobile.

La Wutai di un tempo, colorata e in pace, la terra della sua infanzia che una volta adulto non aveva riconosciuto più. L’unico colore stava nel sangue, l’ odore soffocava i ricordi felici, facendolo concentrare solo sulla missione e uccidere coloro che un tempo erano stati suoi conterranei.

A guerra finita, le uniche parole per descriverlo venivano da se, marchiate sulla pelle per l’eternità.

Traditore della patria.

Assassino.

Turk.

Etichette guadagnate uccisione dopo uccisione, dannandolo il doppio per le urla agonizzanti nella lingua di sua madre, dei suoi antenati, che si spegnevano in un’eco di rombi e polvere da sparo fra quelle montagne mute e altere.

Sedici anni dopo il nome affiorò spontaneo.

“ Hiroya-sama.”

“ Ragazzo mio.” Mormorò sinceramente commosso l’ambasciatore. Venendo a meno alle regole di galateo, abbracciò per un attimo il Turk, accorgendosi di quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che l’aveva visto, decisamente più immaturo e ingenuo. Si sorprese della sua altezza, ricordando poi a se stesso che forse era lui quello che si era abbassato con l’età.

Diciassette anni comportano naturali cambiamenti.

Tempo tiranno.

Tseng rimase immobile, tre secondi, battendogli una leggera pacca amichevole sulla spalla. Trovava incredibile che Hiroya fosse qui, in abiti diversi da quelli tradizionali del villaggio natio, e che lui lo superasse di una buona testa. Lui che da bambino lo ammirava dal basso, adesso si ritrovava a dover abbassare gli occhi per mantenere un contatto.

Hiroya sciolse l’abbraccio, incrociando le mani dietro la schiena. La contentezza non accennava a voler lasciare il reticolato di rughe e rise di cuore: “ Ti ho scambiato per tuo padre, lo ammetto. Per un attimo mi sei sembrato in tutto e per tutto Saito, pace all’anima sua, sei identico!”

Tseng incassò quello che per lui era un insulto. Hiroya e papà gestivano le contrade del villaggio, tutelando gli abitanti dai soprusi esterni. L’altruismo di Saito non compensava la scarsa considerazione che aveva avuto per i suoi figli.

E poi…

Nascose il pugno, i tendini sbiancavano pericolosamente sulle nocche appuntite.

 Si schiarì la gola“ Sono… sorpreso. Fra tutte le persone non mi aspettavo certo lei.” Si ravviò i capelli “ A quanto pare gli dei mi sono favorevoli, oggi.”

“ Confido che Miss Colleridge ti abbia messo a disagio. Rispetto a lei molti preferirebbero avere a che fare con un Behemoth.” Ridacchiò ancora, suscitando un sorrisetto di scherno sul volto di Tseng.

“ Il disagio è la prima sensazione che si deve bandire, nel mio lavoro.”

In ogni caso lo stava provando a frequenze sempre più ravvicinate. L’apparizione di un personaggio del suo passato lo portava a ricordare, ed era un’azione che non compiva da secoli, un misto fra malinconia e voglia di andarsene senza domandare altro. Nell’innocenza, si sarebbe lanciato diritto fra le braccia di Hiroya, tempestandolo di domande, supplicandolo di raccontare le leggende del suo popolo. Trovare consolazione, quando tutto il mondo pareva contro di lui. La cortesia, blando gradimento, rigettava un comportamento ai limiti della freddezza per celare un imbarazzo costernato.

Ormai uomo, non poteva lasciarsi andare e sorridere. Poteva solo guardare la felicità altrui e prenderci parte con scarso entusiasmo. Accennare l’incarico da Turk indicava una voglia di rispetto, o paura, dimostrare di non essere inerme come il fu ragazzo di Saito.

“ Oh, allora ne sei immune fino a tal punto?”

“ Ovviamente.”

Hiroya sospirò. Tseng avvertì la stanchezza nel corpo raggrinzito del funzionario, i capelli grigi che traevano in inganno per mascherare un’indole da ragazzino, pronto ad argomentare per difendere il suo paese e tutto ciò che era caro, una scintilla che mai si sarebbe spenta.

Intuì che gli avrebbe causato un grattacapo bestiale, e rinunciò all’idea di tornare in ufficio in tempo per sbrigare le ultime scartoffie sulla missione a Corel. Stava per parlare ma Hiroya lo anticipò.

“ Vuoi sapere perché ti ho convocato qui?”

Tseng ammutolì, stranito nel vedere le guance afflosciarsi in un espressione addolorata. Fu un lampo, tristezza piombata sulle vecchie spalle a ricordargli che l’ilarità concessa era giunta al termine, e zoppicò fino alla sedia, svuotato dell’energia vitale.

Tseng si accomodò al suo fianco, paziente. Un’aspettativa quasi feroce gli squassava il cuore, percuotendolo col rumore ritmico fino nel cervello, e la stanzetta silenziosa si riempiva di suoni assordanti.

Il vecchio non abbassò gli occhi, fece guizzare la pupilla solo per controllare il piccolo usignolo atterrato dolcemente sul davanzale, e al secondo cinguettio di quest’ultimo iniziò: “ Temo di doverti dare una brutta notizia, Tseng.”

“ Ci sono abituato.” Replicò, incrociando le braccia, fissando la punta delle scarpe con disinteresse. E sono anche abituato a provocarle, suggerì la mimica facciale, contratta per un attimo in un flashback di innumerevoli vite finite sotto la canna della Lugar.

“ Purtroppo riguarda te, stavolta.” Precisò Hiroya, ignorando l’affermazione ambigua . Massaggiò la radice del naso, sistemando gli occhialetti pieni di ditate “ E’ Hana.”

“ Come è successo?” si interessò Tseng, intuendo dove Hiroya volesse andare a parare. Si rifiutò di guardarlo, preferendo il pavimento a rombi neri per concentrare la vista. I battiti cardiaci si erano fermati, congelando il sudore che faceva capolino dalle maniche della camicia.

“ Ammetto.” Un suono di gola, imbarazzo “ Ammetto di non conoscere tutti i particolari. Chi è arrivato per primo nella casa dove è…” esitò “ … morta afferma di aver visto come… non saprei, melma nera. Usciva dalla bocca, e le braccia erano coperte della medesima sostanza. In tutta la mia vita non ho mai sentito di una malattia del genere.”

Il Turk non disse nulla.

“ Tseng.”

Niente.

“ Posso capire che… ma era tua sorella. Non mi vuoi chiedere nient’altro?”

“ Solo il motivo per cui mi ha fatto chiamare.” Mormorò atono.

Hiroya non aveva dato conto alle voci che circolavano a Wutai. Durante un conflitto era normale che si creasse una leggenda della morte come monito per chiunque avesse fatto l’errore di sottovalutare i propri nemici e Sephiroth ne era stato l’esempio lampante, un mostro venuto fuori dall’inferno stesso, ma pure allora Hiroya non si era arreso al fatto che Tseng fosse diventato l’ennesimo cane al servizio di quei parassiti, ripetendosi sciocchezze troppo infantili per un uomo adulto, incredulità che sarebbe dovuta appartenere a Saito, dato che di suo figlio si parlava. Adesso quel ragazzino vivace si era nascosto sotto quegli indumenti rigidi per sfuggirgli ancora una volta, cosa che non gli avrebbe permesso di fare. Non questa volta.

“ Sì, giusto.” Incrociò le dita sotto il mento, le lenti scivolarono poco per volta sul naso sottile creando un buffo contrasto con l’alterigia del funzionario. Chiunque altro avrebbe trovato delle difficoltà a prenderlo sul serio. “ Ma prima voglio fartela io, una domanda.”

L’usignolo fece frullare le ali, procedendo a balzelloni sul davanzale.

L’uomo strinse gli occhi “ Esiste ancora il ragazzino che ho visto crescere? O la Shinra si è portata via anche lui?”

“ La risposta può vederla da sè.” Un completo scuro come la notte ad offuscare tutto quello che era stato. Lui non era più un bambino.

“ Invece no.” Lo contraddisse flemmatico, insinuando una vena di dubbio nel cuore del Turk. “ Rispondi. Hai ucciso molte persone a Wutai?”

“ Sì.”

“ Consapevolmente?”

“ La mia fama mi precede, Hiroya-sama.” Lentamente alzò la testa, permettendo di vedere la sua facciata gelida, impenetrabile, e Hiroya, che pure aveva buon intuito nell’indovinare gli stati d’animo, trovò difficile capire se il suo interrogatorio l’avesse irritato o semplicemente annoiato.

Quel piccolo esame gli aveva confuso le idee ancora di più. Decise di lasciare perdere l’atroce perplessità sulla spietatezza di Tseng, pregando che dopo aver sentito tutta la storia accettasse di cooperare. Invocò Leviathan e tutti gli spiriti degli antenati, implorando la loro benevolenza, e disse:

“ Forse è meglio partire dall’inizio.”

Tseng non si mosse, ascoltando attentamente per soppesare informazioni utili da un racconto assurdamente lungo.

“ Capirai che durante la guerra molti paesi sono stati distrutti dai bombardamenti. Nara non esiste più, Tseng. O meglio, alla fine del conflitto è stato ricostruita sulla sponda est del fiume inglobandosi a ciò che restava di Mino. Ora viene chiamata Tsuano.”

“ Scelta nostalgica.” Fece notare ironicamente.

“ L’ho pensato anche io, ma non stiamo parlando di questo, in ogni caso.”

“ Si sta contraddicendo.”

“ Per me il tempo passa con meno indulgenza.” Ammise quieto, scostando una ciocca grigia dalla fronte, e continuò “ Tutto parte da un singolo evento che ne influenza molti altri, e la caduta della nostra città natale ne è stato il primo esempio.”

“ Sono tutto orecchi.”

“ La guerra ci stava portando via ogni cosa, ogni affetto. Vedevamo i bambini morire senza poter fare nulla. Il cibo scarseggiava, ed eravamo vittima di continui sciacallaggii, sia da parte di SOLDIER che da disertori dell’esercito di Wutai. Vivevamo nel terrore costante e intanto dopo il coprifuoco chi veniva sorpreso fuori casa veniva ammazzato senza tante cerimonie e le spie incontravano un destino addirittura peggiore.” Riprese fiato “ Il vecchio Sai, il guaritore, mi raccontò che un giorno dei fanti fecero irruzione nella sua bottega, esortandolo a venire con loro per visitare un prigioniero. Quando lo fecero entrare nel bunker sotterraneo vide un uomo legato ad una sedia, afflosciato in avanti, col sangue che dalla faccia colava sul pavimento. Gli diedero un posacenere, imbrattato di rosso, e si accorse che a quel povero diavolo avevano cavato gli occhi e adesso si aspettavano che lui lo “guarisse” e glieli rimettesse nelle orbite. Cercò di spiegare che non era possibile e loro lo minacciarono, dovettero chiamare un medico direttamente da Midgar per provare che Sai aveva ragione. Lo rilasciarono dopo quattro giorni.”

Nella stanza adiacente sentirono una sedia strisciare sul pavimento. I piccoli passi scattosi della Colleridge si spensero in un fruscio di carta e dal suono della fotocopiatrice. Hiroya si voltò per vedere meglio l’usignolo alla finestra, ma si accorse che era volato via.

“ La situazione era insostenibile, piccoli focolai di rivolta divampavano ovunque, lasciando vittime civili in quantità spaventose. Per ogni SOLDIER ucciso venivano prelevate dieci persone e fucilate nelle vie principali, l’ossessione dei gruppi partigiani portò i soldati della Shinra a gesti terribili, seguiti da una controreplica altrettanto crudele, e così via in una spirale continua. Io e tuo padre non eravamo dei guerrieri, lo sai, il nostro lavoro era diventato gravoso, e l’essere funzionari equivaleva a portare indegnamente tale nome, dato che gli aiuti che davamo erano insufficienti per far fronte alle necessità primarie dei nostri concittadini. Non avemmo altra scelta, e combattemmo fino a spingere il plotone alla ritirata. Li inseguimmo fino alla palude, scoprendo troppo tardi che i rinforzi si erano stanziati lì. Ci spararono addosso e chi si trovava in prima fila non ebbe scampo. Pioveva forte quel giorno,  il sangue e il fango mi accecavano e corsi a zigzag fino a ripararmi in una tana sufficientemente grande. Tuo padre, che gli dei lo abbiano in gloria, rimase tre giorni immobile e incosciente, facendo credere a quei maledetti invasori di essere morto. Lo venni a sapere solo quando un gruppetto di resistenza mi trovò rannicchiato nel terreno e mi riportarono in città. Le mie ferite non erano gravi, e anche Saito si riprese in fretta. Sfortunatamente, la permanenza nella palude gli lasciò in eredità la malaria. I tagli guarivano, ma lui si dibatteva in un delirio orrendo, chiamando sua moglie e anche te Tseng. Ha fatto il tuo nome molte volte.”

Sì, nelle sue maledizioni.

“ Tua madre è morta nel primo bombardamento.” Proferì cautamente “ E da allora Saito non è stato più lo stesso. Junko, mia moglie, si è occupata di Hana affinché non crescesse priva di educazione, e si è sempre mostrata una ragazza giudiziosa e obbediente, questo fino…” scosse la testa “ Andiamo per ordine.”

“ Una volta ripresosi Saito mi lasciò il compito di dirigere le difese. La malaria lo aveva distrutto, e i frequenti attacchi di febbre lo costringevano a letto più spesso di quanto mi piacesse. Hana gli stava accanto, curandolo come poteva, arrischiandosi fino alla radura per cercare erbe medicinali. Non so come facesse ad illudere la sorveglianza dei fanti. Immagino astuzia o fortuna sfacciata. Questo per anni. Siamo andati avanti anni in una situazione di stallo, non per questo meno cruenta. Tuttavia, qualcosa si sbloccò in autunno, nelle ultime fasi della guerra.”

Tseng intuì una svolta importante e acuì l’udito.

“ Da Midgar inviarono dei SOLDIER di seconda classe per sostituire quelli morti nell’ultima epidemia di colera, la stessa che uccise la maggior parte degli abitanti di Nara, la mia piccola Ai compresa.” Tseng non aveva mai sentito la voce di Hiroya spezzarsi in quel modo. D’altronde, perdere la sua unica figlia doveva essere stato un durissimo colpo sia per lui che per Junko. “ Io e mia moglie eravamo distrutti, e questo ci portò a fare meno attenzione ai movimenti di Hana. Ciò che sto per raccontarti ora viene tutto dalla bocca di tua sorella, che me lo narrò qualche tempo dopo. Non so quanto ci sia di vero o di falso sul suo primo incontro con lui.”

“ Lui?”

Hiroya sollevò una mano, come per zittirlo “ Era passata una settimana dalle esequie funebri di mia figlia. Hana si accorse che suo padre stava peggiorando e si avventurò nella boscaglia nonostante il coprifuoco fosse ancora in vigore, e fu allora che vide un ragazzo sprofondato fino alla vita in una pozza di sabbie mobili. Era molto buio e non lo riconobbe, o sono dell’idea che l’avrebbe lasciato al suo destino. Raccogliendo la richiesta disperata di aiuto porse il bastone da passeggio perché lui si trascinasse fuori e lo salvò. Il ragazzo la ringraziò, e solo in quel momento notò che non possedeva le fattezze di Wutai. Per quanto riguarda la divisa non ci furono dubbi: Soldier di Seconda Classe Jesse Sommers.”

Il vecchio fu lieto del guizzo incuriosito e al contempo atterrito di Tseng. Riprese con veemenza.

“ Già. Uno straniero, un soldato.” Chiuse gli occhi “ Un assassino. Immagino che Hana ci abbia pensato per un breve, terribile, attimo, terrorizzata dall’uomo che aveva incautamente salvato. Ma fu un attimo, appunto.”

“ Cosa intende dire?”

“ Non le ha fatto del male, se temevi questa evenienza. Era “pulito”, per modo di dire. Il tipico ragazzino attirato dalle lusinghe di gloria per essere poi buttato in pasto ad un orrore che l’avrebbe cambiato per sempre. In quel momento, però, una bestia peggiore si risvegliò nel cuore di entrambi.”

Il Turk non si curò di mascherare la sua incredulità, questa volta “ Si sono innamorati?” esclamò stupito. Hiroya sorrise, come a prenderlo in giro, o forse per malizia, ed annuì.

“ Esatto. Stando al racconto di Hana deve essere stato un colpo di fulmine spaventoso.”

“ Sì, spaventoso è l’aggettivo adatto” sibilò flebilmente Tseng. Lo spiazzò questa somiglianza con Aeris, l’incontro/scontro con un membro dei SOLDIER ed un amore fanciullesco sbocciato in mezzo all’odio. Ma il tono di Hiroya lasciava presagire che la favola di sua sorella non avesse avuto un lieto fine. Gli pareva di avvertire uno spillo piantarsi nel petto, seguito da molti altri.

“ Jesse e Hana provenivano da due mondi differenti, due mondi in perenne contrasto. Eppure, Tseng, l’amore è stato più forte… purtroppo.”

Lo so. Odiavo papà, ma lei non si meritava niente di male.

“ Da quella notte cominciarono a frequentarsi di nascosto. Non so cosa facessero o cosa si raccontassero, Hana non me lo disse mai. Il ragazzo era dolce e l’aiutava come poteva, dandogli metà delle sue razioni e rubando dei rifornimenti che lei donava agli orfani del paese. Jesse era fiducioso, ripeteva che la guerra era ormai finita, e che dopo non sarebbero più stati costretti a nascondersi. Amava tua sorella come nessuno e questa “debolezza” influiva sulle missioni, quando rifiutava di uccidere donne e bambini. Gli costò caro, la sua insubordinazione poteva rispedirlo diritto a Midgar per essere rieducato, e Hana si straziava al solo pensiero di saperlo lontano.”

Si interruppe bruscamente, tastandosi le tasche per cercare qualcosa. “ Ti dispiace se fumo?”

“ Affatto. Anzi…” Tseng sfilò una sigaretta dal taschino, facendo poi scattare l’accendino in contemporanea con quello di Hiroya. L’odore del fumo lo rinfrancò, ispirò la nicotina con sollievo per buttarla fuori in una nuvola di fumo biancastro.  Si chiese se la megera nell’altra stanza gradisse che qualcuno fumasse nel suo ufficio, ma poi pensò che non erano affari suoi. Fece cadere della cenere sul pavimento.

“ Dicevo…” Hiroya tossì “ Dicevo che quel ragazzo metteva a repentaglio la sua vita e anche quella di Hana. Una ragazza nubile se compromessa, non ha altri tesori se non la propria virtù, o così mi ostinavo a pensare allora, e in guerra quello era il male minore. Ciò che quei due non avevano calcolato era il naturale corso degli eventi.”

Tseng portò ancora una volta la sigaretta alle labbra, ma lentamente, per non perdere il filo del discorso, inalando fumo talmente piano che non se ne godeva neanche la metà. La tenne fra indice e medio, facendola ondeggiare un poco. Un fiocco grigiastro si posò sul tavolo, vicino alla manica della giacca di Hiroya.

“ Tre mesi dopo Hana scoprì di essere incinta.” Disse senza preamboli.

La sigaretta fra le dita di Tseng smise di oscillare, e la stanza colloqui divenne gelida, morta, i rumori amplificati da un baratro aperto dopo quella confessione brutale. Hana? La bambina timidissima che si aggrappava a lui quando non sapeva che pesci pigliare? Lei che rappresentava la figlia ideale per un qualunque nobile di Wutai?

Aveva concepito con un SOLDIER, un nemico. Aveva tradito il suo onore per uno straniero.

Quelle coincidenze terribili che si deformavano in una beffa a distanza di tempo. Anche lei aveva ceduto.

“ Tu non mi porterai via l’amore, Tseng!”

“ Tseng?” il suo nome gli rimbombò in mente, ed ebbe un sobbalzo. Lasciò cadere la sigaretta, e quella rotolò a terra. La guardò finché non rimase immobile, con un sottile pennecchio di fumo a vivacizzarla.

“ Stai bene?” Hiroya si piegò in avanti, studiandolo preoccupato. Aspetta, aveva già finito la sua sigaretta?

Tseng restituì lo sguardo, dandosi un rapido contegno “ Sì” rispose lapidario “ Stavo solo pensando.”

“ A lei?”

Annuì. “ Continui.”

“ La scoperta della sua gravidanza la gettò nel panico. Non voleva perdere suo padre ne essere cacciata da casa. Jesse la confortò come poté, ma non volle assolutamente che lei si provocasse un aborto date le condizioni igieniche precarie, e fu a quel punto che Hana decise di confidarsi con me.”

“ Mi raccontò tutto, spiegandomi la sua situazione. Rimasi spiazzato. Come aveva potuto? Ero furioso, ma cercai di pensare lucidamente sul da farsi. Le consigliai di non parlarne con nessun altro, ma la sera dopo portò Jesse da suo padre, mentre progettavamo delle difese da schierare nelle piantagioni. Era debilitato dall’ennesimo attacco malarico, e si vide arrivare sua figlia mano nella mano con un invasore. Fu a modo, lo ammetto, si presentò e gli disse chiaro e tondo di voler sposare Hana. Non l’avesse mai fatto, Tseng.”

Sospirò.

“ Saito andò fuori dalla grazia degli dei. Si mise ad urlare spergiuri che io non avrei mai pensato di sentirgli usare, le vene del collo parevano esplodere, gli occhi uscire dalle orbite, gridò che avrebbe preferito vedere sua figlia morta piuttosto che accanto ad uno sporco parassita. Cercai di calmarlo, ma Hana ebbe l’infelice idea di dirgli della gravidanza, che erano uniti davanti al tribunale divino, che era cosa fatta. La follia prese il sopravvento e si gettò contro di lei, con tutta l’intenzione di ammazzarla di botte. Jesse reagì, riuscendo a sbattere via Saito prima che potesse causare danni gravi. Tuo padre sputò una serie di maledizioni, dicendo che non aveva più una figlia, che non riconosceva la puttana davanti a lui. Hana gli rispose che non le interessava, perché si era comportato da bestia, che sarebbe morto solo. Lei e Jesse si sarebbero sposati comunque, senza il suo beneplacito. Fuggirono dalla casa e due ore dopo Saito ebbe un attacco apoplettico. La malaria lo aveva consumato, e la notizia del bastardo gli aveva definitivamente fatto perdere la salute.”

“ E Hana?”

“ Furono due ragazzi molto sfortunati. Poco tempo dopo venni a sapere che Jesse era stato fatto a pezzi da una mina anti-uomo.”

Hiroya sistemò tristemente gli occhiali.

“ Provai a parlare con tuo padre, persuadendolo a riaccogliere Hana. Lui affermò di non sapere di chi stessi parlando.”

“ Tipico di lui.” Tseng ricordava come Saito avesse poca pietà nel suo cuore. Nonostante le sue buone azioni come funzionario, lui e Hana avevano infranto le sue sacre,fottutissime, tradizioni. Il perdono di suo padre non sarebbe stata un’opzione sicura alla delicata situazione della sorella.

“ Era diventato il fantasma dell’uomo forte che era un tempo. La sua terra beveva il sangue di migliaia di vite spezzate, la Shinra estendeva i suoi luridi tentacoli e deturpava il mondo in cui era nato, tutti coloro che aveva amato erano defunti.”

Tseng lo contraddisse “ Se solo fosse stato meno bigotto di quello che era, qualcuno accanto l’avrebbe avuto. Spero che dall’inferno mi abbia sentito perché non si merita niente di meno.” Fece per alzarsi, uscire e dimenticare quella stupida storia che risvegliava in lui ricordi dolorosi, ma la voce stentorea di Hiroya lo inchiodò in un attimo.

“ Seduto, Tseng.” Ordinò secco, come se fosse un cane. Il wutaiano si arrese e gli fece cenno di continuare. Sapeva di averlo irritato parlando di suo padre in maniera del tutto irrispettosa.

Aggrottò le sopracciglia,  e quasi urlò“ Non accetterò queste scenate da adolescente frustrato. Tuo padre ha difeso Wutai quando tu trucidavi innocenti su innocenti senza chiederti il perché!” esclamò irato. Mosse un braccio, come per scacciare via la rabbia. Schioccò la lingua “ Ma cosa te lo ricordo a fare?” domandò meditabondo, massaggiandosi la fronte. Lo fissò penetrante “ Quanti anni hai?”

“ Trentacinque.” Rispose automaticamente, evitando qualunque inflessione vocale.

“ Sei sposato?”

“ No.”

“ Sei.. com’è che dite da queste parti, impegnato?”

“ No.”

“ Questo potrebbe essere un problema.”

Tseng decise si dare un taglio alle futili chiacchiere “ Il punto è il bambino? Il figlio di Hana?”

“È una bambina. Il suo nome è Eliza, Eliza Sommers. Era il nome della nonna materna di Jesse.”

“ Parliamoci chiaro, allora. Io non posso occuparmene, non con il lavoro che faccio.”

“ Sai cosa mi disse Hana, quando andai a trovarla poco prima del parto?”

Hiroya si mise in piedi, osservando la finestrella nella speranza di vedere un altro usignolo posarsi per ammirare un piccolo miracolo di natura nella grigia Edge.

“ Disse che tu avevi fatto bene ad andartene da Wutai, che erano state le tradizioni a rovinarvi entrambi. Lei non ti ha mai dato la colpa per ciò che è successo a Mariko.”

Tseng distolse lo sguardo, alzandosi a sua volta per andarsene “ Si sbagliava.”

“ Si tratterrebbe di una soluzione temporanea. Jesse aveva una sorella e sto cercando di rintracciarla.” Lo seguì, molto vicino a supplicarlo “ Ascolta il tuo cuore per una volta! La bambina ha cinque anni, se non l’aiuterai finirà in un orfanotrofio e allora non basterà la mia influenza per portarla fuori da Wutai!”

“ Mi dispiace ma non posso aiutarvi.”

“ Sei l’unico parente in vita! Sei suo zio, per la miseria!”

Tseng afferrò la maniglia e raddrizzò la postura. Voleva dire qualcosa, qualsiasi cosa.

Prima che potesse farlo, Hiroya pronunciò stancamente poche parole.

“ C’è sempre una possibilità di redimersi dalle proprie colpe, Tseng.”

Tseng non si mosse.

“ Perché la stai buttando via?”

Per una buona ragione.

 

“ Tu non mi porterai via l’amore, Tseng!”

 

 

 

 

 

 

 

“ Fra poco saremo a Gongaga!” le dita rosee di Aeris si strinsero sul volante, eccitata dalla prospettiva di rivedere i suoi suoceri.

Zack sorrise, correggendo la traiettoria della macchina spostando il voltante un po’ più a sinistra “ Occhio a non finire nel fosso, Miss Formula 1.”

Aeris rise “ Ops!”

“ Mi fa piacere vederti così serena.”

“ Già.”

Stasera.

Stasera glielo dirò, devo.

Quanto può essere difficile?

“ Zack, voglio un figlio.”

Sì.

Sì, ce la posso fare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo molto tempo, ehm…

Salve! ^^”

So che molti di voi hanno aspettato questo aggiornamento da, bhè, parecchio…

In realtà doveva essere molto più lungo ( Anche adesso non scherza,eh?) solo che era davvero TROPPO lungo, e non lo avevo ancora finito. Allora mi sono detta: “ Comincio ad aggiornare con questo, sennò dovranno aspettare molto più a lungo.”

Allora, la parte con Tseng mi sono quasi emozionata a scriverla. Essendo un personaggio tenebroso ( anche nel senso che non ci sono praticamente informazione su di lui) ho dovuto inventargli un background in tema con la sua situazione. Non so se possa essere verosimile, ma lui mi ha dato l’idea di un uomo visto come traditore della sua patria, d’altronde ha ucciso moltissime persone a sangue freddo. Vabbè, ha anche una parte umana messa in risalto in Crisis Core, ma nel VII era molto più cinico e spietato. Spero vi sia piaciuta,anche perché ho notato che ultimamente molti preferiscono questa storia per lui e Aeris piuttosto che Zack e Tifa. Scusate se vado lentamente, ma voglio creare una fic accurata senza buttare niente al caso.

Adesso c’è la faccenda della bambina. Andando avanti ho cambiato un po’ questa storia, anche perché all’inizio avevo in mente un’idea unitaria e non uno svolgimento complesso.

Tutte cose che approfondirò più avanti.

Aeris vuole un figlio, ma Zack è davvero sicuro di aver risolto la sua confusione? Per adesso posso dirvi che è dettata molto da una frustrazione molto fisica, e dopo… chissà.

Questo capitolo è più pesante per le tematiche ma spero che vi sia piaciuto lo stesso. Entro in periodo esami, quindi non so quando sarà il prossimo aggiornamento.

Grazie a chi mi segue e sostiene!

Ciao, bacioni!!!

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Capitolo 12
*** Cambiamento ***


 

 

La guida di Aeris era poco fluida.

Zack ormai si era rassegnato a tenersi saldamente alla maniglia e prevedere frenate brusche all’intervallo di due minuti circa, vigilando sull’andamento della macchina per evitare di finire in un fosso prima del tempo.

Avevano parlato poco per quasi tutto il viaggio, cosa strana dato che la ragazza si occupava di riempire i silenzi anche con giochi e indovinelli in grado di redigere un ipotetico libro “ Come divertirsi raccontando barzellette del Giurassico”, tuttavia non aveva aperto bocca, se non per rispondergli che andava tutto bene e, no, non soffriva il mal d’auto. In realtà, era stata silenziosa sin dalla sua uscita dall’ospedale, distratta da riflessioni che Zack non riusciva a decifrare a dovere.

Preparava le valige con una calma assoluta, la fronte leggermente corrucciata e gli occhi vitrei. Fissava a lungo un abito, il kit del primo soccorso, soppesava tutto quanto come se non avesse fra le mani un involto di stoffa inanimato ma un essere vivo, desideroso delle sue attenzioni e più pesante di una confezione di analgesici. Dopo un’eternità sorrideva, riponendolo con la massima cura.

Zack non aveva dato peso alla questione, attribuiva l’alienazione improvvisa alla felicità di partire e lasciarsi alle spalle la vita caotica della città almeno per qualche settimana. Elmyra stessa era stata favorevole, perché da quando erano sposati le emozioni continue non erano mancate, cadendo anche su di lei per conseguenza diretta. Vivendo a Kalm i suoi contatti con la figlia non si erano affievoliti come temeva, anzi, una volta a settimana Aeris si recava da lei. Allora parlavano di tutto come di niente, mantenendo quel rapporto di complicità e fiducia.

“ Tieni d’occhio il tuo uomo, non voglio perdere un genero beneducato come lui.”

Alcune volte sembrava che Elmyra tentasse di preservarli dallo stesso destino che aveva subito in passato,  irrompendo con battute che non si premuravano di celare avvertimenti accorati.

“ Non voglio che tu rimanga vedova così giovane, Aeris.” Le disse un giorno, posando una tazza di tè davanti alla figlia “Tu sai meglio di chiunque altro quanto sono stata male. So che la vita delle volte ti mette alla prova, ma per quanto sia possibile non smettete di sostenervi a vicenda.”

“ Lo farò, mamma.”

Zack non era incluso a queste conversazioni. Semplicemente le intuiva dai silenzi improvvisi rientrando nel salotto dopo essere andato in bagno. Certe macchinazioni sulla sua sicurezza non gli andavano a genio per il puro e maschilistico motivo che doveva essere lui a vegliare su sua moglie, rimediare la lunga assenza con ogni premura possibile.

Motivazione stupida, a detta della fioraia stessa. “ Allora cosa ci sto a fare nel nostro matrimonio?”

“ La donna di casa.” Zack sapeva toccare tutti i tasti giusti per punzecchiarla, e lei stava al gioco, desiderosa di prendersi la rivincita.

“ Quindi sono una semplice bestia da riproduzione!”  le sopracciglia formavano un arco corrucciato, e i suoi occhi smentivano l’irritazione riversando una genuina ilarità. Zack rideva, finché alla sua risata non rispondeva anche Aeris.

Schiaffetto sulla spalla “ Sei un pagliaccio sessista!”

Non proprio, avrebbe voluto ribattere, solo con te.

Sposarsi era stata una delle cose migliori che Zack avrebbe potuto fare nella sua vita. La carriera come Soldier l’aveva ricompensato così malamente da renderlo  immune al prestigio delle cariche, solo il poco che basta per intascare uno stipendio e mantenere lui ed Aeris in condizioni adeguate. Comunque i suoi sogni giovanili non si erano spenti del tutto. Quella fiamma brillava ancora, la debole luce che gli aveva permesso di mettere al tappeto quei teppisti e di tirare avanti, di vivere dopo l’orrore che avevano passato. Un eroe nel suo piccolo, un sogno spogliato delle velleità di sedicenne, finalmente libero dall’obbligo di mostrarsi grande quando in realtà era l’ultimo verme in un covo di sanguisughe.

Guardò fuori dal finestrino: lo sterrato alzava spesse nubi di polvere brunastra e gli arbusti immobili per l’assenza di vento cominciavano a farsi più fitti mano a mano che si avvicinavano a Gongaga. Si mangiucchiò il labbro, ripensando alla conversazione di Elmyra. Non si sarebbe fatto uccidere facilmente, ne era sicuro, lui ed Aeris sarebbero invecchiati insieme, con le mani consumate dal tempo e dal lavoro. Un orto, ecco cosa ci vorrebbe, si disse, e se mio nipote un giorno mi chiederà come abbia conosciuto la nonna io gli risponderò: “ Le sono caduto in testa.”

Sì, gli piaceva quel programma di vita.

Un sonoro rutto segnalò che aveva digerito l’involtino alla cannella della colazione. Aeris si voltò un attimo verso di lui, trattenendo a stento un ghigno: “ Salute, tesoro.”

“ Grazie.” Si stiracchiò, terminando con uno sbadiglio colossale che lo portò vicino a slogarsi la mascella. Perlomeno sua moglie si sarebbe degnata a spiccicare parola.

“ Stai cercando di farti notare?” chiese, scalando la marcia. Un rumore improvviso, brusco, fece stringere i denti ad Aeris. Aveva grattato di nuovo.

 Sbuffò.

 Possibile che questa macchina non mi renda le cose più semplici?

“ Nha!” esclamò Zack, ignorando l’inquietante stridio. “ Stavo pensando che sei particolarmente silenziosa, oggi.” Le note di una vecchia canzone aleggiarono nell’abitacolo, frusciando per la scarsa ricezione, alternando il ritmo con le conversazione di due speaker su un altro canale. Zack alzò il volume, storcendo il naso. Non gli piaceva, sembrava che stessero strozzando uno scoiattolo, e partì subito alla ricerca di una melodia decente.

All’improvviso Aeris squittì. “ Aspetta, aspetta! Questa l’adoro!”

“ Ah!” ridacchiò, poi appena prese il tempo iniziò a cantare anche lui, formando un grottesco  duetto con il cantante dalla voce roca.

“ Ma Zack, dai, rovini la canzone!” lo reguardì non troppo seriamente, ma poi scosse la testa. “ Sei cattivo!”

Eravamo giovani, ma non avevamo la libertà che abbiamo adesso.

Ho superato ogni ostacolo per te, ma non era mai abbastanza, mi spingevano sempre via, ed io lasciavo alle spalle tutto, anche il tuo amore.

Se lo avessi capito sarei rimasto.

Gli anni sono passati, non ti ho visto diventare donna. La gente che ti stava attorno delle serpi con la maschera di amici, mi aspettavi fiduciosa, nel domani in cui ti avrei fatta mia sposa.

Siamo qui, il tempo cambia, ci ha cambiati.

Lei non è te. Lei è sola come tu lo eri allora.

Siamo cambiati .

Adesso siamo due estranei che giocano a conoscersi.

Poco prima dell’ultima sillaba, Zack si bloccò. Non gli andava giù, ed era bugiardo a non sapere il perché. Si accasciò sul sedile, chiudendo gli occhi. Un profumo speziato nel buio, due labbra morbide sul collo, sulle guancie, le mani minute aggrappate alla camicia. Quella notte non avrebbe desiderato altro, un’illusione che preferiva non essere etichettata. Lei, sola e senza amore, Lui, lui…

Di amore ne aveva anche troppo, ma non sopportava le carezze di Aeris come per metterlo alla stregua di un bambino da raddrizzare. Non si era chiesto il perché, e nemmeno Tifa l’aveva fatto – bhè, fino ad un certo punto- ma la sua presenza gli aveva tolto Aeris dalla mente, una sconosciuta insieme a tutti gli altri nel rosso limbo creatosi nella cupa dispensa del Blue Tomberry Bar.

Era spaventato dall’effetto che la ragazza aveva esercitato inconsapevolmente. Il suo corpo curvilineo fremeva ai suoi tocchi, donandosi innocentemente per ottenerne ancora.

“ Non canti più?”

“ No.” Sulla lingua ricordava il sapore salato del suo petto, del rigonfiamento dei seni. La stoffa del vestito odorava di sudore e bergamotto. Assaporò il ricordo per un attimo, aprì gli occhi. “ Non dovrebbe mancare molto ormai.”

Adesso siamo due estranei che giocano a conoscersi

“ Chiudi il becco.”

Aeris inarcò un sopracciglio.

“ E’una lagna!”

“ Questo è perché hai la sensibilità di un gufo impagliato.” Rispose saputa, picchiettando l’indice sul volante “ D’altronde l’amore è come un colpo al cuore.”

Un ramo sporgente sbatté in maniera violentissima sul parabrezza. Aeris urlò, affondando il piede sul freno e Zack venne quasi soffocato dalla cintura. Ricadde all’indietro, una fitta al costato che lo lasciò ansimante per qualche secondo. Il vetro trasparente era ricoperto da more selvatiche spiaccicate che scivolavano pigramente ai tergicristalli, disegnando linee viola e appiccicose.

Zack sospirò, passandosi una mano fra i capelli “ Il colpo c’è stato. Più che altro mi ha quasi fatto venire un infarto.”

“ Dillo a me.” Replicò leggermente scossa. Allungò un dito e spense la radio, poggiando la fronte sul volante per calmarsi. I riflessi dorati fra i riccioli rallegravano la sua figura, facendo risaltare il fiocco legato in cima alla treccia.

Stettero in silenzio, ascoltando il battito dei propri cuori, respirando silenziosi come per evitare di disturbarsi a vicenda, e Zack non trovò alcuna comunanza in grado di riavvicinarli. Aeris sembrava prendere seriamente le questioni esterne a tutto ciò che riguardava il loro matrimonio, lo aiutava sempre, ma mai in quel senso, mai come una moglie. Zack si malediva: dobbiamo parlare, Aeris, non girare attorno alle cose e far finta di niente. Perché non c’è più quella complicità? Perché non parli, non scherzi, ultimamente?

Perché mi stai tenendo nascosto qualcosa?

Si riprese di botto.

Non era felicità, non era preoccupazione.

“Ma certo, un segreto.”

 Rovinava la gente, faceva sorgere sospetti, li allontanava dalle persone a cui si vuole bene. Lei non ne aveva mai avuti, ed ora, dopo che era finito in ospedale, qualcosa stava cambiando. Aveva scoperto la serata con Tifa? Si irrigidì.

No, non è possibile, nessuno lo sa.

“ Dopo.” Cercò di ricordare “ E’ successo quando mi hanno ricoverato.”

Aeris sollevò la testa, portando una ciocca dietro l’orecchio. Girò la chiave, ma Zack la fermò.

“ Senti, Aeris…”

 Aeris si mostrò sorpresa“ Mh?”

Zack immaginava l’immenso casino della sua mente: tutti gli avvenimenti giravano a intermittenza, mescolandosi fino a perdere i contorni. Poteva essere una sua suggestione, un’idea che si era fatto a partire dalle sue pensate cretine di passare un quarto d’ora con la ragazza del suo amico, ed ora cauterizzando la colpa cercava il male dove non c’era. Esitò, esitò ancora. Questo era anche un suo problema, in due l’avevano fatto diventare semplicemente più complicato, un nodo impossibile da sciogliere, un coraggio inesistente.

“ Guido io.” Si decise infine.

E dire che dovevo chiarirmi qui.

“ Casa dolce casa.” Si ripeté amaramente, vedendo la sagoma del reattore svettare dagli alberi.

 

 

 

“ Non hai consegne, oggi?”

“ No.”

Tifa smise di lavare un bicchiere, distratta dal flusso d’acqua che correva in rivoli sul cristallo. Una bolla di sapone galleggiò a mezz’aria, e il ritmo ipnotico dei colori sulla superficie assorbì la luce del primo mattino, distogliendola del tutto dai piatti sporchi. Visto attraverso, il mondo appariva esattamente come se lo immaginava lei: distorto, ingannevole, pronto a spostarsi per evitare di farle posto. Sedie e tavoli, il ventilatore, e un breve scorcio di lui. Con la testa più grossa e ridicola, intento – o almeno ci provava- ad ammassare gli avanzi lasciati dai clienti insieme a tazzine e bottiglie vuote. Metteva una metodica cura nel riordinare come nel combattere, un valzer di tartaruga che tempo addietro la affascinava ed ora la portava pigramente a domandarsi se i chocobo prendessero lezione di salsa data questa grandissima macedonia animale di balli assortiti.

Cloud sfuggiva ad ogni logica, saltava da uno stereotipo all’altro in modo da non poterlo classificare, ed in effetti, non avevano più toccato la questione che infiammava la barista. Stentava ad associarlo al ragazzo solitario sparito senza notizie per settimane, allo sconosciuto che aveva preso le ordinazioni per aiutarla con gli avventori, tanto sollecito da insinuare il sospetto che si sentisse in colpa.

In ogni caso, una mano più non fa mai male.

Scrollò le spalle, ripetendo la stessa azione di quando Cloud le aveva detto che avrebbe lavorato al bar, per quel giorno. Non le piaceva tenere il broncio, ma quando poteva permetterselo per le giuste ragioni, un pizzico di sdegno guastava ben poco. Ripose il bicchiere sulla rastrelliera e alzò lo sguardo su Cloud.

Fu in quel momento che la bolla esplose, sparando gocce di sapone diritte negli occhi.

Tifa strillò, portando istintivamente le mani al volto e Cloud si voltò di scatto.

 Corse immediatamente da lei “ Cosa succede?” domandò ansioso “ Ti sei tagliata?”

Aveva bisogno di piangere. Non sapeva il perché. Aveva un sacco di buone ragioni per farlo, e questa era da prendere al volo. L’irritazione delle sostanze chimiche cominciava a palpitare nell’occhio destro, se lo immaginava arrossato e gonfio. Forse versare qualche lacrima non era una cattiva idea.

Afferrò lo strofinaccio, posandolo delicatamente sulla parte bagnata, asciugando con rabbia una goccia che indugiava sulle ciglia. Fece un cenno a Cloud, e tornò alle sue occupazioni, desiderando buttare nella spazzatura tutti i piatti del locale.

Chiuso per mancanza di stoviglie e di buon senso.

Il ronzio dello stereo sul ripiano delle conserve gracchiava notizie del telegiornale, seguito da una maratona di vecchie canzoni ormai dimenticate. Titoli polverosi di anni in cui lei lottava per la vita fra le strade di Midagr, carpendo parole rauche vagamente confortanti.

Questa la ricordo bene, pensò, parlava di una ragazza in fuga da se stessa e dall’amore.

Alla fine l’ha trovata.

“ Ed era il marito della sorella.” Completò inacidita.  C’era stato un periodo di malinconie e amori finiti male o mai iniziati nella musica di qualche tempo fa. Dopo Meteor la moda tornava in auge. Purtroppo.

Cos’è che diceva il manuale, a proposito?

“ La seduzione è un’arma che non permette bronci. Le donne sono brutte quando sono immusonite, e non attirano uomini  che cercano compagne vibranti e piene di vita.”

Certo, perché devo essere io a fare tutto. E lui sbattersene altamente fino a che non mi incollo un sorriso a trentadue denti anche quando vorrei mandarlo a fanculo e spedircelo a calci nel didietro!

Stritolò il canovaccio, fulminando le bottiglie di liquori che la guardavano dalle mensole.

E voi cosa avete da fissare?

“ Non ci arrivi?”

Tifa sbandò un attimo nel notare Cloud al suo fianco. Tolse la pezza dall’occhio, inarcò un sopracciglio. “ Ero… sovrappensiero. Scusa?”

“ Devi prendere qualcosa dalla mensola in alto?” domandò indicano in su, senza staccare gli occhi da lei “ Pensavo che…”

“ Ah!” Stavo solo litigando col vino rosso “ No,no. Dovevo, ehm…”

Cloud cercò di carezzarle la palpebra, ma Tifa si ritrasse “ Forse dovresti sciacquarlo.” Disse, leggermente incupito. Uscì dal bancone, tornando a pulire, e Tifa si sentì male ad averlo trattato con sufficienza, eppure durò il tempo di rievocare la freddezza dell’ex Soldier nel lasciarla a piedi con sette isolati da fare, nel scansare spiegazioni e telefonate ingrigite dalla paura di un incidente sulla strada di casa.

Se lui era una tartaruga che scivolava sulle note di un valzer, Tifa si adeguava a volteggiargli attorno desiderando un suo contatto, e con una piroetta la scansava continuando a danzare, ipnotico e ripetitivo. Non parlavano, parlavano così poco, e Tifa aveva la tentazione di abbandonare la pista, guardare i suoi volteggi da lontano. La musica, però, la routine, la soggiogava, comprendeva di non potersene andare senza soffrire per l’ultimo ballo mai concesso.

Finì di lavare con la tristezza cucita addosso come un abito bagnato e liso. L’occhio lacrimava, bruciava flebilmente e lo strizzava. Tirò indietro i capelli e ci passò un foglio di carta assorbente inumidito, sentendosi un po’ meglio.

Anche Cloud aveva finito. Si schiarì la voce perché attirasse la sua attenzione, e lei si voltò distrattamente. Sospirò, ringraziandolo per il disturbo.

 Aggrottò le sopracciglia, confuso dall’insolito comportamento formale della sua fidanzata.

Poggiò le braccia sul bancone “ Mi tratti come un estraneo.” Tamburellò le dita, deviando lo sguardo. Già avrebbe preferito tacere come al solito. Odiava i confronti diretti, e uno imminente alleggiava nel bar.

“ Ultimamente è come se lo fossi.” Rimbeccò Tifa senza pensarci, e gettò la palla di carta nel cestino. Cloud si offese per la terza volta, contraendo la mascella. No, non doveva fare così. Si rilassò, cominciando a giochicchiare con un posacenere, spingendolo da una parte all’altra, rovesciando un mozzicone sul legno di ciliegio tirato a lucido.

“ La vuoi piantare?” esclamò Tifa, strappandoglielo di mano. Lo posò sulla caffettiera, incrociando le braccia con occhi sfavillanti di irritazione, e quello destro più del solito, ancora gonfio per il sapone malefico della bolla. “ Vai a fare un giro, Cloud, per il momento non ho bisogno di niente.”

Cloud fece leva suoi gomiti e raddrizzò la schiena. L’azzurro delle iridi tradiva quella rabbia celata dalla solita apatia.

“ Tanto dovevo comunque andare a Kalm.”

“ Non avevi detto che oggi non c’erano consegne?” rispose, imitando apposta il tono d’acredine del ragazzo.

“ Qualcuno che ha bisogno del servizio si trova sempre.”

“ Bene.” Grugnì “ Torni per pranzo?”

“Non so… Fai come se non tornassi.”

Tifa cominciò ad avvertire la sensazione familiare della bile solleticare lo stomaco “ Perché non me lo dici subito, allora!”

Cloud prese gli occhiali dalla tasca, dirigendosi di gran carriera verso la porta. Fenrir in quel momento era l’unica cosa che potesse calmarlo. Stava per dire un ultima cosa, ma la reazione di Tifa, quel pugno sbattuto violentemente sul bancone, tanto da far vibrare gli scaffali e tintinnare le bottiglie, lo zittirono stupefatto.

Una ciocca scura era caduta sulla fronte sudata.

 Cloud strinse le labbra, scuotendo impercettibilmente la testa. Richiuse piano l’anta.

Il rumore sordo la gettò improvvisamente nella realtà, e allora si mise a piangere. Aggrappata al bordo, pianse, finalmente, la schiena scossa dai singhiozzi, la bocca piegata in un ansito rotto. Scivolò sulle ginocchia,aggrappata al bancone.

 

 

 

 “ C’è sempre una possibilità di redimersi dalle proprie colpe, Tseng.”

Tseng non si mosse.

“ Perché la stai buttando via?”

Per una buona ragione.

Tseng raddrizzò la testa, resistendo all’infantile tentazione di comprimersi le tempie con le dita, cercare di far sparire magicamente ciò che aveva sentito quella mattina. Tutto il suo passato, quel passato che aveva pensato di poter dimenticare era calato come un avvoltoio su di lui, riportando alla luce dettagli e scene seppellite da ormai troppo tempo. La sua vita dopo Wutai era diventata la sua unica fonte di sostegno – Io non sono mai stato lì, io sono un Turk senza radici, senza un onore a cui tenere conto.

Sono solo un oggetto in una guerra di menzogne.

“ Per me non c’è stata possibilità sin dall’inizio.” Rispose infine, facendo un passo indietro.

Si voltò, Hiroya stringeva i pugni, ma la sua espressione impassibile non tradiva la tensione.

 Fece una smorfia “ Lo pensi tu.” Proferì con tagliente sincerità “ E non hai mai provato a dimostrare il contrario.”

“ E perché mai? Una questione di volontà non sentita non merita di essere presa in considerazione.”

L’uomo ebbe un tic all’occhio, poi ghignò trovando l’ironia di quella situazione “ Tu non lo ammetterai mai, nemmeno morto, ma sei il ritratto di tuo padre. Se non sapessi che ha reso l’anima alla casa degli antenati continuerei a chiamarti Saito. Hai lo stesso modo di pensare, ed è questo…” una pausa “… questo il motivo per cui farai i suoi stessi errori.”

Tseng sostenne lo sguardo, una stilla di risentimento rendeva la sua rabbia ancora più ardente.

“ Siete convinti di non poterne nulla, di avere un destino segnato e non fate niente per cambiare una rotta. Possibile che tu non capisca?”

“ Ci sono tante cose che io non capisco.” Proferì saggiamente Tseng, lasciando scivolare pigramente le parole dalle sue labbra. “ L’ignoranza è un bene prezioso che non voglio sprecare.”

“ Peccato che tu non sia un ignorante!” sbottò il vecchio funzionario, alzando le mani al cielo, esasperato. Schioccò la lingua, sibilando in wutaiano sulla presunzione della gioventù.

“ Eppure…” lo interruppe Tseng, “ Ho superato da un pezzo quella fase ingrata. La mia presunzione è, a maggior ragione, consolidata.”

Ammutolì, spalancando un poco gli occhi. Per istinto, senza pensarci, aveva risposto fluidamente nella sua lingua natia, sopita da diciassette anni.

“ Anche un vecchio saggio può imparare dal bambino.” Hiroya incrociò le dita dietro la schiena, le sopracciglia piegate all’ingiù “ Solo uno sciocco pensa di aver capito tutto della vita. E tu sei uno sciocco pericoloso, Tseng.”

La smetta…

Hiroya sospirò. Era stanco, e convincere quel ragazzo stava diventando un gioco troppo complicato per resistere a lungo in partita. Forse aveva fatto una cattiva scelta, nessuno poteva assicuragli che Eliza sarebbe stata felice con uno zio come lui. Assottigliò le palpebre, studiando i lineamenti adulti di Tseng, cercando una qualsiasi traccia di umanità, ma lo sporco della Shinra lo aveva deformato, ridotto al silenzio il ragazzino vivace che sognava diventare un pittore per farne una bambola omologata per uccidere.

Sperava di trovarlo integro.

Aveva scoperto un uomo a pezzi, ossessionato dal suo lavoro – se così poteva definirlo-  e tormentato dai fantasmi del suo passato. Ripensò ad Hana, sicura che suo fratello fosse rimasto lo stesso di un tempo, un bambino perseguitato per un errore, per una questione d’onore.

Doveva insistere. Trovare il vecchio Tseng nascosto in quella gara di nascondino eterna.

“ Ricordo che volevi eguagliare i gran maestri pittori dei templi di Leviathan.” Ricordò. Aveva smesso apposta di parlare nella lingua di Wutai, si era accorto di averlo turbato più del previsto.

Tseng fece un sorriso gelido, vuoto, privo di qualsiasi calore “ La vita mi ha riservato altro.”

“ Eri bravo. Hai continuato a dipingere?”

“ Non tocco un pennello da anni. Da quel giorno, ad essere precisi.”

“ Peccato.”

Bussarono, e il viso da squalo dell’avvocato Colleridge comparve.

“ Chiedo scusa per l’interruzione, signor Hakanabe. Ma il tempo per il colloquio è quasi finito.” Rivolse uno sguardo omicida a Tseng, scandagliando il pavimento con criticità. Probabilmente aveva sentito l’odore di fumo. Non poteva nemmeno concepire che un uomo distinto come mister Hiroya si fosse messo a fumare nel suo ufficio! È stato quell’orribile Turk.

“ Abbiamo quasi finito, Anna. Solo qualche minuto.” Rispose dolcemente Hiroya. La donna arrossì, balbettando una risposta affermativa e richiuse.

Naturalmente non era sfuggito a Tseng “ Penso che lei abbia un’ammiratrice.” Commentò fra il serio e il faceto. Hiroya scrollò le spalle.

“ Non sono il mio genere di donna, gli avvocati.” Rispose, mettendo un accento di malizia sull’ultima parola “ Non lascerei la mia Junko nemmeno per la ragazza più bella del Pianeta.”

“ Bella risposta.”

“ Dopo una vita passata a prendere schiaffi dalle donne, qualcosa lo impari. In ogni caso, Tseng…”Non riuscì a trattenere un suono esasperato vedendo che Tseng si trincerava nuovamente dietro una maschera di gelo. “ Non è per me, lo avrai già capito!”

“ Non vorrà farmi credere che è per me, invece.”

“ Sì. Sì, lo è. Forse non ti rendi conto: tuo padre è morto.” Aggiunse, alzando un po’ la voce “ Tua madre è morta, Hana e Mariko sono morte. Potrà non interessarti, ma la tua famiglia non c’è più ,Tseng. Quando sarai solo un giorno pensi che i tuoi colleghi saranno lì? La tua amata Corporazione? Quando diventerai inutile ti butteranno via. Eliza ha bisogno di te.” Si calmò, andò verso di lui “ E tu hai bisogno di lei. Non voglio che tu rimanga solo come è successo con Saito. Si è pentito, Tseng, l’ho visto piangere per un qualcosa che non aveva saputo apprezzare. Gli mancavi, gli mancavate tutti.” Poggiò una mano sulla spalla di Tseng, sentì la stoffa della giacca di un assassino.

“ Non posso tenerla.” Rispose Tseng, mettendoci una dose di decisione “ La vita che faccio non è adatta ad una bambina. Che esistenza può condurre con me?” scostò la mano del vecchio.

“ Ripeto che si tratterebbe di una condizione temporanea. Cerco la sorella di Jesse perché possa occuparsene, ma vorrei che dopo…” esitò “ vorrei che dopo non sparissi dalla sua vita.”

Cercò gli occhi di Tseng, che aveva abbassato il capo.

“ Lei è la sola famiglia che ti è rimasta. E tu sei la sua.”

Un clacson per strada riscosse Tseng, ma non volle incontrare gli occhi di Hiroya.

“ Allora?” chiese il vecchio magistrato “ Cosa hai deciso?”

 

 

 

 

Aeris era scesa dal posto del guidatore con una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco. Aveva intuito che Zack voleva parlarle di una cosa importante, e non c’era riuscito, forse non voleva disturbarla, rispettare il silenzio in cui si era crogiolata immaginando il piccolo progetto. Quel bambino se lo vedeva davanti agli occhi come se fosse reale: le piccole dita, i piedi paffuti, la pelle all’odore di latte liscia ed elastica, i pianti.

Desiderava che somigliasse a Zack, ma che avesse le iridi verdi dei suoi antenati. Maschio o femmina non faceva nessuna differenza, sarebbe stato bellissimo comunque.

Non ne avevano mai parlato, dato  che essendo così giovani vivevano alla giornata, all’esistenza spensierata conquistata a suon di battaglie, ma ora lei bramava ben altro.

Aveva curato i fiori per anni, ora si sentiva pronta ad attraversare quel bivio, non facile, certo, ma con soddisfazioni oltre a tutto ciò che aveva provato sino ad ora. Non era sicura che per Zack fosse lo stesso, ma lo conosceva abbastanza bene da non esserne intimorito o disgustato. Abbandonò le mani al grembo, roteando gli occhi da una parte all’altra: il profilo di Zack, la strada, i residui di more selvatiche sul parabrezza, le ginocchia coperte dal vestito rosa antico comprato al mercato. Si accorse di torcersi le dita sudate quando una fitta all’indice la costrinse a smettere.

Non devo fare così. Non c’è niente di male.

All’ospedale, stringendo al petto la scatoletta con i test per la gravidanza, si era sentita una ladra. E poi una stupida, terrorizzata dal fatto che Zack capisse per tempo e tergiversasse per uscire da quella scomoda situazione. Stupidaggini, non era quel genere di persona.

Deglutì, mettendo in relazione i repentini cambiamenti di umore del marito con il suo nuovo sogno, e dovette tenersi occupata, tirando fuori dalla borsetta il cellulare.

Affondò il pollice nel tasto per accedere alla casella dei messaggi e scrisse, con la lentezza di poca pratica, alla persona in cima alla rubrica. Doveva dirlo, doveva fugare i suoi dubbi, anche se per un mezzo così impersonale.

 

Destinatario: Tifa

Titolo: Ciaooo!

Ciao, Tiffy!

Come stai?

Io e Zack siamo quasi arrivati a Gongaga. Il viaggio è andato bene.

Come sta Cloud?

E invio.

Messaggiare con Tifa la distendeva.  Sperò con tutto il cuore che la perdonasse per la notizia in anteprima senza un resoconto a voce, ma era stata una cosa improvvisa, e doveva sentire il suo parere. Sapeva sempre la risposta giusta, e attese con lo sguardo fisso sullo schermo.

“ A chi mandi messaggi?” Zack la distolse dal telefonino, e sorrise imbarazzata.

“ Tifa. Voleva che l’avvertissi una volta arrivata a Gongaga.” Mentì.

“ Ah!” mise un’attenzione eccessiva nella strada “ Bhè,venti minuti e ci siamo.”

Aeris annuì energica, la treccia ondeggiò sul poggiatesta, e tornò alla casella.

Vuota.

Venti minuti furono sufficienti per raggiungere il paese, ma Zack parcheggiò in uno spiazzo dove alcuni operai lasciavano le loro vetture, e fecero il resto del tragitto a piedi, carichi di bagagli. Gongaga non era affatto cambiata, unico punto fisso in un mondo in crescita e mutevole, e la semplicità di quella gente la mondava da ogni pensiero e paura, rinfrancata dalla brezza sui boschi e le case con le mezzelune intagliate nelle porte di legno grezzo. Zack inciampò in una giara blu sul patio della casa dei genitori, attribuendo la colpa al fatto che fosse carico come un mulo.

“ Viaggiare per il Pianeta non doveva insegnarci cosa è utile portarsi dietro e cosa no?” domandò meditabondo, nel solito borbottio di quando rifletteva su un obbligo ingrato

“ Evidentemente siamo stati due pessimi allievi. Eh, eh…”

Rivedere i suoi suoceri era stato fantastico, la commuoveva il fatto che Martha avesse pulito la capanna da cima a fondo, affermando che le loro visite le regalavano la voglia di gioire e ballare. Le sue mani coperte di macchie segnavano un’età in cui anche alzarsi diventava difficile, la stupiva la giovinezza di Zack contrapposta alla tirannia della carne dei genitori. D’altronde sapeva che Zack era arrivato quando non lo speravano più, superato abbondantemente l’autunno delle loro vite.

Bryce, suo suocero, un uomo con profonde rughe ma con occhi che avevano vent’anni come il figlio, le aveva confidato che sua moglie aveva avuto tre aborti, una difficoltà a concepire mai vista in un posto con famiglie i cui figli sovrannumero si trasformavano in un problema. Quella era stata l’unica volta in cui il velo di tristezza aveva circonfuso le iridi azzurre della sua vera età, ed Aeris, col groppo in gola, aveva pensato con sgomento che Zack apparisse più come loro nipote che figlio. Tutto conduceva ad un ragionamento del genere, e adesso, abbracciando Martha, colse una fitta al ventre che coprì protettiva con una mano. Mentre si sistemavano nella stanza di Zack, piegando con cura i vestiti, Aeris si ricordò di Tifa. Afferrò il cellulare, ma non gli era arrivata nessuna chiamata e nessun messaggio.

Un guizzo di delusione attraversò il suo volto.

Sarà impegnata.

Consumarono la cena in un crescendo di risate e pettegolezzi: Aeris assaporò lo stufato senza fretta, indecisa se fare il bis della zuppa di funghi o servirsi la terza porzione di verdura grigliata piccante. Trattenne un gemito realizzando che sua suocera sapeva cucinare magnificamente, contrariamente a lei Zack non faceva troppi complimenti nel riempirsi il piatto, ridacchiando ai rimproveri di Martha sulla sua ingordigia.

“ Non ti ho cresciuto come un selvaggio, Zack.” Agitava il mestolo, e il ragazzo faceva finta di proteggersi con le braccia dalla sua furia.

“ Argh, pietà!”

“ Allora, Aeris.” Iniziò Bryce, posando la forchetta sul piatto ripulito “ Come ti vanno le cose al negozio?”

“ Vanno bene.” Rispose allegra “ Non lo credevo possibile, ma i fiori si vendono che è una meraviglia. Matrimoni, feste di fidanzamento, compleanni. Devo tutto a Zack, è stato lui a incoraggiarmi.”

Sentendo il suo nome, Zack smise di avventarsi sulla zuppa e lasciò scivolare il cucchiaio nella ciotola, schizzandosi la maglia. “ Cosa?”

“ Ho detto che è grazie a te se ho intrapreso la mia attività.”

“ Lascia stare, mia cara.” Martha si sedette, spezzando un pezzo di pane al sesamo “ Quando si perde fra le nuvole non c’è verso di farlo scendere.”

“ Gli regalerò una cartina.”

Scoppiarono in una fragorosa risata, tranne Zack che finse di offendersi e incrociò le braccia al petto.

“ Ah, ah…” sussurrò sarcasticamente, alla volta di sua moglie.

“ E tu, figliolo? Adesso che sei convalescente…”

Martha lo interruppe “ Non farci mai più prendere uno spavento del genere, ok?”

“ Sì, mamma, scusa.”

“… Adesso che sei convalescente di cosa ti occuperai alla WRO? Immagino un incarico di tutto risposo.”

Già, il peggiore che potesse capitarmi.

Fece leva sullo stelo del cucchiaio in bilico, giocando a farlo dondolare. “ Sindacato, riunioni fra strateghi, penso. Non ne sono ancora sicuro, Vincent mi ha detto che avrebbe spedito le istruzioni una volta che fossi tornato.”

Una lieve vibrazione alle cosce distolse Aeris dall’atmosfera familiare, e tastò la tasca per prendere il telefono, nascondendolo alla vista. Con la coda dell’occhio esaminò il contenuto.

Hai 1 nuovo messaggio.

Da: Tifa

Titolo: Ehi.

Ciao, Ae’

Scusa, non ho risposto subito per… problemi interni.

Sì, sto bene. Siete arrivati?

 

Da: Aeris

A: Tifa

Titolo: Yup!

Tranquilla, lo immaginavo.

Dovresti costringere Cloud ad aiutarti ogni tanto. A te non negherebbe nulla.

Oh, Tifa, non vedevo l’ora di rivedere i miei suoceri. Penso che Zack sia più tranquillo, qui.

 

“ … Il dottore non voleva più lasciarmi andare! Vero, tesoro?”

“ Già.” Aeris rialzò un poco la testa, essendosi persa tutta la conversazione, ma nessuno pareva averla notata.

Intanto, la risposta di Tifa era arrivata puntuale.

 

Titolo: Ti capisco

Sono delle persone eccezionali. Sono felice per voi.

Cloud è impegnato anche lui, ultimamente.

 

Aeris sbocconcellò un grissino fatto in casa, sorpresa dell’asciutta consistenza delle risposte. Che Tifa non stesse bene? Oh, ma ecco!

Il giorno del ferimento di Zack stavano chiacchierando proprio su questo. Aeris aveva capito che con Cloud le cose non andassero rosa e fiori, con il trambusto di quelle settimane se ne era completamente dimenticata. Premette lentamente i tasti.

Titolo: Problemi

Non penso vada molto bene, vero?

Ricordati che se vuoi confidarti io ci sono sempre. E se non funziona prendo la testaccia di Cloud e la scuoto fino a fargli tornare le rotelle a posto. ;)

Sei la mia migliore amica, non voglio vederti triste.

 

 

Grazie, ti voglio un mondo di bene anche io. J

Ma non è niente, davvero, penso sia una fase o… qualcosa del genere.

 

Cloud è Cloud, Tiffy.

Ma il troppo stroppia.

 

Già.

Novità?

 

IN EFFETT…

 

Diamine! Aveva messo il blocco maiuscole…

 

In effetti, qualcosa c’è.

E non… non ne ho parlato ancora con Zack. Mi vergogno!

 

Perché dovresti vergognarti?

Dai, sputa il rospo! XD

 

Non credevo usassi questa emotion. :D

 

Occasioni speciali. Avanti, Ae’, bisogna vergognarsi solo quando si fa qualcosa di male, e non è il tuo caso.

 

Ti offenderai se te lo dico, così, per messaggio.

 

Eh, no! Non puoi lasciarmi con questa curiosità adesso che hai gettato il primo sasso…

 

Ok, vuoto il sacco J

 

Sono tutta… occhi.

 

Aeris rifletté un istante eterno per sistemare le parole, per decidersi a dirlo, finalmente. Rilesse, sentendosi liberata di un gran peso.

 

Vorrei un figlio.

Siamo sposati da due anni, e penso che siamo pronti a compiere questo passo.

Ho sempre desiderato una famiglia, ed ora ne avrò una con l’uomo che amo.

 

“ E i nipotini?”

La giovane fioraia saltò dalla sedia. Intercettò l’occhiata intrigata fra Bryce e Martha, prima che si rivolgessero a lei con un cipiglio dolce.

“ Quando pensate di farcene uno?” aggiunse ancora suo suocero, mentre Martha annuiva febbrile.

Arrossì, e stava per balbettare una mezza risposta quando l’esclamazione di Zack la zittì di colpo.

“ Cosa???” fissava a turno i componenti della famiglia, ruotando la testa come una giostra, gli occhi spalancati. “ Who, who, buoni.” Si riprese, mettendo le mani in avanti “ Non penso sia una cosa che si possa decidere dall’oggi al domani.”

Aeris trattenne il respiro. Il telefonino aveva appena inviato il messaggio, e lo stringeva così forte da far crepitare la copertura di plastica. Permise alle morbide onde sfuggite al fiocco di coprirle una buona parte del volto, evitando la vista delle sue gote sbiancate all’improvviso.

“ Ecco…” gracchiò lei. Non riusciva ad andare avanti e domandò un muto soccorso a Zack.

“ Il punto è che siamo ancora giovani.”

No, non era quella la risposta che volevo.

Nella sua ciotola galleggiava una fogliolina di basilico, e la allontanò. La fame le era passata del tutto, lo stufato si mescolava al peperone e alla paprika fino alla nausea, e provò una tentazione irrefrenabile di scoppiare in un pianto a dirotto.

“ Aeris?”

Sobbalzò “ C-cosa?”

Gli occhi di tutti si erano soffermati su di lei, e si sentì un’estranea, forse per la prima volta in due anni. Voleva che se ne andassero, la lasciassero sola a cullare quell’illusione, pestare i piedi per terra e schiacciare le parole superficiali di Zack, urlare fino a scorticarsi la gola. Quello non era un capriccio, ma il futuro, un futuro sereno e soprattutto normale, non voleva che Zack ci sputasse sopra senza averci riflettuto. Ovvio che lo sapeva, quando aveva accettato di sposarlo, sperava di cambiarlo almeno un po’ ma a quel punto, seduta al tavolo con la famiglia Fair, prese atto del suo errore. Se voleva qualcuno di coscienzioso avrebbe sposato un altro.

Turbata, non si accinse a smentire quei pensieri. L’unica scelta era conviverci.

Sorridi, Aeris. Se lo ripeteva sempre.

Non meritavano lacrime, non voleva essere debole. Sarebbe andata avanti mentendo ancora una volta a se stessa.

Zack è quello giusto, Zack è quello giusto.

Io non mi sono sbagliata, io sono felice.

Io lo amo, non voglio un altro.

Io sono felice.

Represse un singhiozzo, forzando un’allegria meccanica e poco convincente.

“ Cosa c’è per dolce?”

 

 

 

C’erano dei giorni in cui Jhonny avrebbe voluto che le donne fossero automobili.

Inserire la chiave, mettere in moto, scegliere la marcia e via! Tutto prevedibile, l’asfalto che scivolava liscio sotto le ruote, il sospiro della marmitta. Un viaggetto senza tante storie o complicazioni, e se un’auto era davvero buona problemi non ne causava. Per qualche strano motivo una femmina sfuggiva a logiche preimpostate, oscillando fra sommessi intrallazzi con il loro fare delicato e trasformandosi  un minuto dopo in un prototipo per uccidere e sfiancare.

Assolutamente delizioso.

Parlava sul serio, a lui le donne provocavano un miscuglio di protezione e voglia di contemplarle, ma i limiti umani, se travalicati, difficilmente riprendono il nerbo precedente, e se osservava di sbieco un bel sedere ondeggiante o una scollatura nemmeno troppo vertiginosa, la giornata appariva ricca, e lui ringraziava grato ogni divinità esistente. All’apertura del suo bar aveva ponderato a lungo se riservare il luogo unicamente a signore – signorine, matusa, ragazzine del liceo- ma aveva desistito quando Jersey, il suo vicino di casa, aveva ammesso che sembrava una cosa da ricchioni.

“ Con le camicie che porti, poi.” E indicava la nuovissima blusa a fantasie floreali “ Sembreresti un ricchione fatto e finito.”

Jhonny non capiva la mania di Jersey del commentare con la parola “ricchione” ogni cosa che non concernesse con la sua officina e le gare di bevuta libera. Però leggeva, gli ripeteva sempre, ma preferiva ignorare che genere di letture.

“ Come posso essere, ehm, gay se nel mio locale voglio solo donne?”

“ Bha, che ne so. Ti dico che sembra da ricchioni e basta. E un po’ da pedofili, se intendi molestare anche studentesse.”

Jhonny non aveva messo in pratica l’idea, specialmente per il fatto che Jersey conoscesse il significato di “ pedofilo.” E, cavolo, lui non lo era.  Gli piaceva la gente, o una parte nel suo caso, gli piaceva l’imprevedibilità e i profumi dolci, guardarle nel loro stato più alto e anche basso, consolando qualche derelitta colpita da delusioni d’amore. Una sorta di psicologo e angelo custode. Non sopportava vederle in lacrime.

 In particolar modo una donna che conosceva non faceva altro che attendere e sperare il principe azzurro, nonostante gli avesse riattaccato in faccia il telefono affermando il contrario. La prima regola di Jhonny era: “ Tutte le donne sono bugiarde perché non vogliono pesare su qualcuno”

La seconda: “ Bambina, con Jhonny non dovrai più mentire. Sarò sempre qui.” Anche se la frase l’aveva presa in prestito dall’ultimo film di Loveless, suonava figo, ed aveva instituito la sua personale immagine di salvatore del gentil sesso.

Erano a malapena le cinque del pomeriggio, e faceva già buio. Per supplire la deprimente mancanza di luce aveva indossato addirittura una cravatta sulla camicia viola, e con passi baldanzosi si accingeva a risolvere il problema “Lockhart”. Per un lucchetto chiuso ci voleva la chiave adatta, ed era sicuro al centoventi per cento di sbloccare il cuore della ragazza e bearsi del suo sguardo grato e confuso.

Bussò alla porta, notando il cartello di chiusura. Un movimento proiettato dalla luce della lampada alogena lo avvertì dell’arrivo di Tifa.

Sistemò i capelli, raddrizzando la cravatta con un sorriso accattivante. Funzionava sempre.

Spero solo che non sia Cloud.

Sì, ecco, sarebbe stato imbarazzante spingere il mazzetto di rose proprio sotto il naso dell’ex Soldier. Una simile premura l’avrebbe fatto rientrare nel vocabolario di quell’idiota di Jersey. Se sarebbe sopravvissuto al fatto, beninteso.

La porta si aprì, e rinnovò il sorriso, optando di nascondere i fiori dietro la schiena. Il labbro si contrasse, e fece inavvertitamente spalancare gli occhi al massimo, un’espressione di comico orrore che però non fece ridere Tifa. Lo sapeva, ovvio, di avere un aspetto terribile: i capelli raccolti in una coda disordinata, le ciocche appiccicate  alla fronte, le occhiaie profonde che la invecchiavano di dodici anni. E la tuta sformata che usava per le pulizie, troppo piccola sul seno ma che le cadeva spropositata sul fianco. E dire che aveva preso anche due chili.

“ Errr…” Jhonny le mise praticamente in faccia un fascio di boccioli rossi e d’istinto li prese. Lo fissò, apatica.

“ Ciao, Tifa…” Da quell’approccio la ragazza capì che non si trattava di un’affermazione, ma di una domanda.

“ Sì.” Confermò, acida “ Come ti va la vita, Jhonny?”

Shiva, cos’è successo alla sua avvenenza?

Jhonny cercò di rimediare all’imbarazzante balletto grattandosi la nuca. L’atteggiamento di finto pentimento addolcì un po’ Tifa, e accarezzò un petalo con cautela.

“ Sono splendide. A cosa devo questo onore?”

Se fosse stata veramente contenta, le sue rose sarebbero parse un dono in terra – perché è ovvio, i fiori piacciono a tutti- e avrebbe piroettato sul posto affondando il naso fra le foglie. Li stuzzicava appena, come se fossero di poca importanza. Jhonny non si era offeso per quello, intuiva la sua insincerità nel modo in cui guardava la sua cravatta: cosa aveva appeso al collo? Una nuova reincarnazione di Sephiroth?

“ Oh, nulla in particolare, mia cara. Anzi, sono sceso quaggiù per tirarti su il morale.” La voce gli morì in gola squadrando di nascosto la barista, prima di aggiungere un po’ mortificato “ Sembri averne bisogno.”

“ E’ nuova quella cravatta?”

“ Non cambiare discorso!” gli sventolò l’indice davanti agli occhi “ Sappi che sono ancora arrabbiato per l’altro giorno.”

Tifa aggrottò la fronte, chiedendosi a cosa si stesse riferendo. Avevano parlato al telefono, e lei era arrabbiata perché Cloud non si faceva vivo. Basta.

Lo invitò ad entrare, rievocando poco alla volta dove aveva sbagliato, sommando la mezza scenata di quella mattina a tutte le volte in cui la pazienza abbandonava il suo corpo. Cloud non era di nuovo tornato, il pranzo si era raffreddato, e lei aveva pianto senza mangiare nulla. Una maledetta fontana ambulante, e nemmeno questo poteva dirsi nuovo.

“ L’altro giorno, l’altro giorno.” Mormorò fra se, distratta “ Mi spiace, non ricordo.” Mentì infine, posando l’omaggio di Jhonny sul tavolo più vicino. Si grattò il naso con la manica della felpa.

“ Cos…? Ah!” aggiustò il tiro, bloccandosi prima di dire qualcosa di spiacevole. Sventolò la mano “ Ma non importa. Cioè, tranquilla, era solo per dire.”

Cloud non era nei dintorni, glielo diceva il suo settimo senso, e si arrischiò a posare le mani sulle spalle della ragazza. Due iridi color vinaccia fecero risalire lo sguardo lungo il braccio fino a indugiare perplesse nelle sue.

“ Ti capisco, sai?” proseguì mettendoci la dose perfetta di empatia e superficialità “ Seppellita qui. Sola, incatenata alla tristezza, abbandonata.”

Tifa dovette divincolarsi perché la lasciasse andare. Ad ogni parola bellamente drammatizzata l’aveva avvicinata a se, una vaga interpretazione del cliché cinematografico. Peccato che lei avesse poco della femme fatale aborrita dall’amore, soprattutto coi capelli da strega di quella sera.

“ Jhonny, grazie, ma…” Perché non vai a casa e lasci agli attori questa battuta? “ Ho avuto una giornataccia come capita a tutti. Niente di grave. Comunque grazie per i fiori.” Il tono di congedo venne ignorato.

La ghermì di nuovo – tempo sei secondi e lo sfascio- scuotendola “ No, Tifa, è questo il punto. Non va bene: io non posso vederti in questo stato a causa di Mister Incubo Del Pettine, eh!” la interruppe subito “ Non provare a difenderlo! Insomma, guardati! Pensavo fossi la nonna brutta di Dracula…”

“ Stai passando il limite, Jhonny!” Se solo non avesse avuto le sue cose, oltre al mal di testa per la parlantina sciolta dell’amico,  un pugno o due sarebbero partiti immediatamente. Contrasse le braccia, mettendo Jhonny sull’avviso di non stuzzicarla troppo.

Per maggior precauzione il ragazzo mise due passi di distanza, sbattendo il fianco su una sedia.

“ O-ok, calma…”

“ IO sono calma.”

“ Certo, come vuoi tu, mia cara!” aggiunse freneticamente. Compiacerla, almeno per salvarsi la pellaccia.

“ Ho da fare. Perché sei venuto?”

“ Perinvitartiaduscireconeme!”

Un attimo di silenzio “ Eh?” replicò alzando un sopracciglio.

Jhonny contò mentalmente fino a tre, imponendosi di rallentare l’invito “ Vorrei, ehu… Uscire con te?”

La barista non lo aggredì. Non partirono insulti, ne minacce ai gioielli di famiglia. Non lo guardò neppure, limitandosi a far passare sul viso un’ombra di stizza, seguita a ruota libera da indecisione, turbamento, imbarazzo, poi consapevolezza.

E Jhonny era sicuro non si trattasse solo della proposta, ma di un qualcosa che era affiorato fra i ricordi e la copriva di disagio, speranze infrante, tristezza. Decisamente una giornata da dieci e lode, felice che le donne non fossero prevedibili come un’automobile, quando lei accettò sicura.

Occasione d’oro, gongolava il suo ego.

Vendetta, suggerì la ragione.

Shhhh! Zitti tutti!

“ Davvero?” faticava un po’ a crederlo, ma lei abbozzò un sorriso.

“ Davvero. Credo mi farà bene uscire un po’ e Cloud non potrà ribattere. D’altronde io e te siamo solo amici.”

Ahi, faceva male quella mazzata.

Vendetta, sì.

“ Uhm, bene. Conosco un localino niente male, si balla pure. Il Blue Tomb…”

“ Andiamo alla fiera di mercoledì.” Tifa incrociò le braccia, rivolgendogli un’occhiata di truce leggerezza assassina “ Odio le discoteche.” Starnutì, nascondendo il volto nella manica.

Sì, le donne sono decisamente incomprensibili.

 

 

 

 

Quando ricevette il messaggio di Aeris, quella sera, le ci volle un minuto eterno per recepire il senso. Quale, poi? Cosa aveva un senso, adesso? Lei usciva con un altro ragazzo nonostante fosse fidanzata, il suo mondo andava a rotoli, Cloud scappava, i suoi migliori amici prendevano strade difficili.

Nonostante tutto era così sola che non avvertì felicità nel messaggio spedito più per dovere che per altro. Se non una cosa:  Vorrei non aver mai accettato quell’invito.

In cuor suo sapeva bene a cosa si stesse riferendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

“ Ma potrebbero sentirci.”

“ Non mi interessa.”

Aveva abbassato la voce fino a farla somigliare ad un ringhio, ed Aeris avvertì una scossa al basso ventre, finalmente risvegliata dal torpore delle lacrime, in un aperto contrasto fra le inibizioni e la voglia di fare l’amore con lui. Zack si chinò, posando le labbra sulle sue, ed Aeris indietreggiò a tentoni, con il ragazzo che la sovrastava fino a coricarla sotto di se. Il bacio plasmava un’atmosfera carica di sottointesi, decisioni che dovevano essere chiarite, ma la mente di Aeris non poté registrare niente di tutto questo. Esigente, lento, con una nota di dolcezza nella pace della notte, consapevole di avere molte ore per approfondire quel contatto, Zack non le permise titubanze e le sfilò il vestito, riprendendo possesso delle sue labbra subito dopo. La tirò gelosamente contro di se, i muscoli formati dall’allenamento Soldier guizzavano eccitati, e spinse repentinamente il bacino contro quello di Aeris, come se volesse prenderla in quell’istante, sibilando un gemito strozzato. Aeris conficcò le unghie sulle lenzuola, gettando la testa all’indietro. Con le pupille dilatate, fissò cauta la camicia di Zack finire sul pavimento, e una serie di baci leggeri sul collo e le spalle, il solletico dei capelli corvini sulla fronte, si convinse di abitare nel corpo di un’estranea che osservava se stessa privare Zack degli indumenti, mordendosi la lingua per non urlare quando lui entrò in lei, muovendosi a scatti, pretendendo ogni ansito, gemito, sensazione.

Quell’errore si prosciugava fino ad annullarsi in un torbido mare di niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pfiù, che fatica…

Salve gente, rieccomi di ritorno dopo mesi di letargo (estivo) ma pur sempre letargo.

Ho deciso di postare prima dei dieci giorni stabiliti, adesso con le lezioni non so quanto tempo ci vorrà, ma volevo arrivare a questo punto focale di Accidentally in love.

Vi starete chiedendo come mai dello stacco brusco tra la penultima e ultima scena.

E’ voluto.

 Nel prossimo capitolo spiegherò cosa ha portato Zack a cambiare idea e il dialogo fra lui e Aeris poco prima del fatto. Perché le ragioni sono abbastanza egoistiche in entrambi i casi, e durante la cena Zack sembrava non volerne sentire parlare di eredi.

Bhè, siamo qui:

 Il rapporto fra Zack e Aeris inizia a rivelare le crepe che si avvertivano impercettibilmente nei primi capitoli. Nonostante si vogliano bene e si amino c’è sempre un “ma” ed hanno paura di aver fatto scelte sbagliate, tentando di convincersi del contrario. Forse volere un figlio è la soluzione, o forse no.

Tifa e Cloud sono alla deriva. Lui in colpa ma deciso a non lasciarla, lei che soffre e decide di attuare una ripicca con risultati… comici ( D’altronde non è una Jhonny x Tifa, ma sarà divertente vederli assieme come amici e con Jhonny che cerca di sedurla) XD

Tseng deve fare i conti col passato. Ma ve lo dico subito, lascerò perdere il Turk per qualche capitolo così da concentrarmi sulla coppia originale, perché nel prossimo i due coniugi ritornano ad Edge. E lì partirà la relazione fra Zack e Tifa.

Non a caso ho inserito Jhonny per alleggerire le situazione, anche perché mi sta simpatico quel ragazzo. E ho idea che ragioni in maniera a dir poco delirante. XD

La parola “ricchioni” non è rivolta a nessuno. Io non la penso assolutamente come Jersey, grazie al cielo, e lui è il genere di homo idiotis con i suoi schemini da gorilla dettati dall’ignoranza e dai pregiudizi.

Grazie a tutti quelli che seguono. Mi rendete felice, davvero, cercherò di rispondere a tutti.

Ah, e recupererò tutte le recensioni alla storie che seguivo!

Penso di aver detto tutto!

See,ya!

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