Bloody Empire

di StockholmSyndrome
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo 3/3 ***
Capitolo 2: *** Parte Prima 1-3/15 ***
Capitolo 3: *** Parte Prima 4-5/15 ***
Capitolo 4: *** Parte Prima 6-8/15 ***
Capitolo 5: *** Parte Prima 9-12/15 ***
Capitolo 6: *** Parte Prima 13-15/15 ***



Capitolo 1
*** Prologo 3/3 ***


Bloody Empire

 

Prologo

 

1

Soraya seguì con lo sguardo sua figlia fino a quando non la vide sparire dietro lo scivolo, nascosta dalla grande struttura e dagli atri bambini. Suo marito allungò il collo, apprensivo come sempre quando si trattava di Emma.

-Logan...- sussurrò prendendogli la mano, -... sta solo giocando-.

Lui annuì, senza però staccare gli occhi dalla massa dei piccoli che continuava ad agitarsi cercando invanamente di prendere posto nel gioco più ambito di tutti: l'altalena.

-Lo so, lo so. Ma...non la vedo, dov'è? Magari si è fatta male, andiamo a vedere-.

Soraya scosse la testa e gettò una veloce occhiata verso le scalette dello scivolo. Un vestitino azzurro con un fiocchetto dietro spuntò dalla massa distinguendosi per la gran quantità di terra accumulata sulla stoffa che solo quella mattina era candida. -Eccola, è lì, la vedi?-. Puntò il dito verso la macchia azzurro sporco e poi guardò il marito che aveva finalmente assunto un'espressione tranquilla e sembrava essersi rilassato.

Evitò di dirgli "Te l'avevo detto" e tornò a guardare Emma. Era una bambina normalissima per i suoi sette anni, ma stranamente precoce ed estremamente riflessiva. Anche ora, in piedi davanti alla fila per fare lo scivolo, sembrava in realtà estranea alla realtà dei suoi coetanei. Si guardava le scarpe, ogni tanto alzava lo sguardo e lo puntava verso l'alto per ammirare le prime foglie gialle di Ottobre e poi ritornava a guardare in terra. Intorno a lei tutti sembravano divertirsi, erano tutti dei timidi ma socievoli bambini e quei pochi che non lo erano se ne stavano nascosti fra le pieghe della gonna della mamma.

Ma Emma no, lei faceva tutto quello che anche gli altri bambini facevano, solo che se ne restava da sola, senza badare agli altri e intelligentemente senza dare troppo nell'occhio lei stessa.

-Guardala-, disse Logan sorridendo orgoglioso, -sembra un'adulta con quelle sue espressioni pensierose-.

Ed era proprio vero, dava l'impressione di stare pensando a come risolvere una grave problematica del genere umano.

Soraya scoppiò a ridere pensando che, nonostante tutte le mamme delle amiche di Emma le dicessere che sua figlia sembrava troppo chiusa, a lei non pareva proprio che la sua bambina avesse qualcosa di strano. Eccezzione fatta per i suoi meravigliosi occhi, il destro verde maculato di macchie nere e il sinistro nero, maculato di macchie verdi: due perfette gemme meravigliose, superficialmente ereditate da entrambi i genitori.

-Secondo te a cosa starà pensando?-.

Suo marito arricciò il labbro superiore, gesto che faceva quando stava pensando. -Non saprei, forse alla cosa che dice di aver visto ieri sera in macchina mentre andavamo a casa dei tuoi. Sembra che sia convinta di aver scorto una specie di ombra scivolarle accanto, ma con buone probabilità sarà stato semplicemente un gioco di luce provocata dalla luna-

-Sicuramente-.

2

Emma salì in macchina con un balzo aggrappandosi al seggiolino. La Jeap di papà le piaceva da morire, era grande e comoda come un'astronave, ma diventava decisamente impegnativa quando aveva da salirci, specialmente perchè voleva farlo da sola.

Sua madre le allacciò la cintura baciandola sulla fronte e sorvolando su tutta la terra che aveva accumulato giocando nell'erba.

Una volta che la macchina fu in moto puntò gli occhi verso il finestino e iniziò a Vedere. Vedeva cose che gli adulti non potevano capire e che neanche i bambini come lei immaginavano. Dentro di se, una lieve voce nascosta chissà dove nella sua testa le parlava e allora lei iniziava a scorgere delle figure, creature senza ancora un volto definito e magari un pò sfumate quà e là, ma poteva quasi toccarle e capirle. Se si concentrava abbastanza poteva anche scoprire più su di loro, quale fosse il loro nome, la città da dove venivano, quale gusto di gelato gli piacesse, e le cose le venivano dette dalla voce che era quasi sempre con lei. Ultimamente la sentiva anche di notte, fra la veglia e il sonno, quando non capisci bene se sei nella tua camera o nel regno dei sogni.

Sorrise. Ormai aveva sette anni e credeva di sapere cosa fossero quelle figure, ma non voleva pronunciare quella parola ad alta voce perchè temeva che se l'avesse fatto la magia si sarebbe rotta, così continuava a vedere senza però spingersi a dire che quella non era altro che la sua fantasia. Tutte quelle figure, i loro nomi, le loro città e i loro gusti erano semplicemente una sua invenzione, la sua immaginazione dettava e lei vedeva con gli occhi del cuore. Aveva creato una serie di personaggi, alcuni con il tempo non si erano più fatti vedere, altri invece erano sempre li con lei a guardarla pronti a proteggierla, come gli Angeli Custodi.

-Emma tutto bene?-

-Si-, rispose lei senza staccare gli occhi dal vuoto.

Sua madre la guardò perplessa, ma poi si disse che non aveva niente di cui preoccuparsi. Emma era ancora una bambina e di tempo per capire la realtà ne aveva ancora.

Di fatto lei non sapeva che sua figlia si stava già costruendo un proprio mondo e che sarebbe stato quello ad aiutarla ad affrontare la sua vita futura.

3

L'orologio sul cruscotto segnava le 22.10 e ancora di strada prima di raggiungere casa ne avevano da fare. Ora che però il danno è combinato, Logan pensò che la prossima volta sarebbe stato meglio partire prima dai genitori di Soraya ed evitare così qulla vecchia strada al buio senza neanche un lampione ad illuminare uno straccio di metro oscuro. Per giunta Emma era troppo piccola per farle fare tutte quelle ore in macchina senza neppure una breve sosta.

Lanciò una dolce occhiata alla moglie seduta nel posto del passeggiero con la fronte appoggiata sul finestrino e gli occhi chiusi nel disperato tentativo di riposare un pò: sembrava così serena quando dormiva che non gli sembrava vero che una tale creatura fosse semplicemente umana, con quei tratti così decisi, ma maledettamente belli.

Tornò a guardare la strada. Davanti a lui l'oscurità totale, se esclusi i fari che davano la possibiltà di vedere a massimo quattro-cinque mentri più in la. Dietro la jeap stessa cosa, ma senza fari.

Si chiese come diamine facessero gli abitanti di li a fare quel cavolo di tragitto per raggiungere la prima vera città nel raggio di chilometri: lui non sarebbe durato più di qualche mese.

Accese la radio tenendola alta quanto bastava per sentire lievemente la musica, ma quando rialzò lo sguardò gli venne istintivo urlare. Davanti a lui, appena ragginto dalla luce dei fari, steso a terra vi era il corpo di una donna apparentemente inerte.

Soraya vicino a lui sobbalzò, ma non fece in tempo a chiedere spiegazioni perchè non potè far finta di non vedere quello che anche suo marito aveva visto.

Fermarono la macchina, lentamente, ma prima di muoversi guardarono Emma. Dormiva beata e sembrava non aver sentito alcun chè. Meglio così. Logan aprì lo sportello titubante, incerto sul da farsi, ma poi pensò che non ci fosse niente di male ad avvicinarsi, perlomeno per controllare se fosse viva o morta. Sua moglie lo seguì e una volta fermatasi al suo fianco si accovacciò e allungò una mano verso il corpo.

Un attimo dopo accadde quello che Logan aveva immaginato succedesse solo nei film: vennero accerchiati da uomini e donne nascosti dai mantelli sgualciti e consumati che però sembravano non dare segno di muoversi. Soraya si rialzò e afferrò il braccio del marito, poi sbiancò: Emma era sola in macchina, stesa sui sedili posteriori addomentata e all'oscuro di tutto.

Le figure intorno a loro non davano segno di volersi muovere così Logan provò a fare un passo indietro, ma qualcosa l'afferro al polaccio strattonandolo e facendolo cadere a terra.

-Logan!-, Soraya si abbassò, ma qualcosa la fermò. Guardò bene: qualcuno, o meglio, qualcosa la stava costringendo all'immobilità.

-Soraya scappa! SCAPPA!-.

Ma nè Soraya nè Logan riuscirono a scappare quella sera e oramai era troppo tardi quando l'altro uomo, quello che sembrava improtante, giunse attirato dalle loro grida: le loro carcasse purtroppo giacevano già a terra, consumate dai denti di quelle inutili bestiacce.

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Capitolo 2
*** Parte Prima 1-3/15 ***


Bloody Empire

 

Parte Prima

(1-3/15)

 

1

La nonna si sedette lentamente sulla sedia, stando ben attenta a non scivolare e rischiare così di farsi del male serio: a quel'età una volta che ti rompi qualcosa poi è difficile rimetterla apposto. Afferrò il telecomando, accese la televisione sul canale delle telenovela e aspettò che la sigla del suo telefilm preferito squarciasse l'aria e i suoi orecchi un pò sordi. Erano le 16.28 e di lì alle 18.15 il suo pomeriggio sarebbe stato costellato da numerose storie d'amore impossibile, tutte al culmine dell'idiozia, ma molto apprezzato dalle pensionate di tutto il mondo.

Emma fece capolino dalla porta stringendo in mano delle carote. Aveva ai piedi degli stivali di gomma verde e indossava indumenti evidentemente consumati e di tre taglie più grandi della sua.

-Nonna vado da Khaled-, annunciò, -porto anche York con me-.

La ragazza vide sua nonna annuire continuando a tenere lo sguardo fisso sullo schermo della televisione. Scosse la testa e aprì il portone di casa facendo prima passare il cane, poi lo richiuse senza aspettare un secondo di più. Voleva bene a sua nonna, ma quando si metteva a guardare le soap opera rinunciava a capirla.

Uscì dal cancellino praticamente correndo, con York che le stava dietro e ogni tanto puntava i suoi occhi castani verso le carote sperando invano di averne qualcuna. Emma pensò che quel cane fosse come lo scarico di un water: qualsiasi cosa buttavi nella sua bocca lui inghiottiva, ma non poteva fare a meno di averlo sempre fra i piedi. Era il suo miglior amico e sospettava che se continuava a starsene sempre sola e per i fatti suoi avrebbe continuato a essere l'unico.

Imboccò la strada a sterro che poteva vedere anche dalla finestra di camera sua e poi svoltò ancora una volta a sinistra. Anche da quella distanza poteva notare l'orto di suo nonno e la stalla di Khaled, un purosangue arabo finito nelle mani del nonno tre anni prima per puro caso, comprato per pochi soldi dai precedenti proprietari che volevano sbarazzarsene il più in fretta possibile perchè dovevano partire e non sapevano a chi darlo; era diventato anche lui un amico prezioso per Emma e un fedele compagno di giochi per un pastore tedesco come York.

-Tanto non te le do le carote, sai che non sono per te-.

York la guardò con aria di sufficienza e si allontanò da lei per annusare un ciuffo d'erba sul quale poi liberò la sua vescica.

Continuarono a camminare per quasi un chilometro, poi finalmente si trovarono davanti al piccolo cancellino rimediato con una rete per materassi ed Emma lo aprì aiutandosi con un gran calcio. York le passò davanti senza aspettare un invito, oltrepassò l'orto senza degnarlo di uno sguardo come gli era stato insegnato e corse davanti alla stalla sedendocisi davanti in attesa della liberazione del suo amico cavallo.

La ragazza nel frattempo si dedicò al chiavistello della stalla che le risultava sempre molto difficile da spostare. Lo afferrò con entrambe le mani, puntò un piedi sulla porta e tirò con tutte le sue forze rischiando di scivolare all'indietro.

Subito dopo la porta si aprì.

-Che soddisfazione...-, ironizzò spalancando la porta e salutando contemporaneamente Khaled che puntò un suo enorme occhio nero verso di lei. -Ciao vecchio mio, ti ho portato compagnia-.

York, come se avesse capito di essere stato nominato, entrò nella stalla e si infilò fra le lunghe gambe del cavallo che più per una questione di abitudine che per tolleranza, evitò accuratamente di scalciare.

Emma entrò a sua volta e fece uscire Khaled nello spiazzo di terra laterale sia all'orto che alla stalla, dove il cavallo poteva tranquillamente correre senza rischiare niente. Suo nonno aveva lavorato la terra e ne aveva fatto un ottimo spiazzo per fare correre un pò il cavallo.

-Vai Khaled, su, corri!-, disse dando una pacca sul fondoschiena dell'animale che iniziò ad andare al trotto seguito subito dietro da York che sembrava come impazzito dalla felicità. -Stai attento York, il tuo amico non è leggero e se ti viene addosso...- Sorrise ancora.

Aveva diciassette anni e come unici amici un cavallo e un cane, ma se glielo aveste chiesto vi avrebbe risposto che le andava bene così.

2

Il buio fresco e lieve di Ottobre aveva riempito l'aria non appena il sole aveva lasciato il palcoscenico.

Emma, affacciata alla finestra di camera sua, guardava in lontananza la vecchia stalla conscia del fatto che in quel momento sicuramente Khaled stesse dormendo profondamente. Si voltò leggermente verso il suo letto e vide che il cavallo non era l'unico a dormire: York se ne stava comodamente sdraiato sul suo letto e russava addirittura come una persona. Ormai però non ci faceva più caso e, nonostante sua nonna la rimproverasse di fare dormire quella bestia sul letto, lei non poteva fare il contrario. L'unica precauzione che prendeva era lo stendere una coperta in più per lui, in modo da non fargli sporcare le altre. Quando però, come in quel momento, lo vedeva steso come una persona gli si riempiva il cuore di sentimento e non lo vedeva più come un semplice cane, ma come il suo amico cane.

Tornò a guardare fuori dalla finestra. La luna faceva capolino all'orizzonte, timida sul da fasi, paziente si faceva strada per arrivare ad essere padrona assolita del cielo spalleggiata dalle sorelle stelle. Fuori tutto sembrava piuttosto tranquillo, non vi era vento a muovere l'aria nè voci a interromepere la bellezza di quel silenzio, ma questo faceva parte della comodità di essere in un piccolo paesino e perlopiù all'estremo di quest'ultimo. Erano, come le diceva suo nonno, ai confini del loro piccolo mondo.

Nella sua vita Emma non aveva girato molto, ma conosceva perfettamente il mondo e quello che vi accadeva, per questo non le sembrava così essenziale girare in lungo e in largo. Aveva tutto quello che le serviva nella sua testa e questo le sembrava un tesoro irripetibile ed inestimabile.

Si scostò dalla finestra e si sedette alla scivania aprendo uno dei tanti quaderni ammucchiati li sopra. L'ordine non era prorpio il suo campo, ma vi era arrivata a patti: un disordine ordinato. Afferrò una penna dall'astuccio e, aperto il quaderno, iniziò a scrivere quello che la luna le aveva ispirato. Creature notturne che passavano fra i sogni e gli incubi della gente iniziarono a prendere forma in quel pezzo di carta che costituiva anche un piccolissimo pezzattino del mondo che Emma si era accuratamente creata con il passare degli anni. Quel mondo che per tanti anni era stata la sua casa e al quale doveva i suoi ringraziamenti per averla custodida finchè non era stata abbastanza forte e grande da uscirne.

La sua mano viaggiò spedita sul foglio, costruendo e dando un senso alla voce che le sussurrava armoniosamente immagini che in realtà non aveva mai visto. Scrisse cose, mondi, persone. Scrisse con il cuore che sussultava e suggeriva cooperando con la testa su fatti e pensieri piuttosto intrigati e a volte intriganti. Scrisse scavando negli angoli bui della sua testa, riesumando odori e suoni che credeva ormai morti e sepolti. Scrisse per capire lei stessa cosa pensava e cosa provava, per comprendere se quello che voleva era nascosto fra quelle pagine o semplicemente l'aspettava nel mondo l'à fuori. Scrisse per il semplice gusto di vedere la penna nera portare alla bocca cose che potevano essere solo alla portata della mente. Scrisse per quella parte di se che aveva un disperato tentativo di far accadere cose che in realtà non potevano succedere.

Quando, un paio di ore d'opo, chiuse il quaderno soddisfatta e esultante, si alzò per stiracchiarsi e concedersi un attimo alla realtà. Lo specchio che aveva davanti riflettè l'immagine pallida e stanca di una ragazza che forse per varie ragioni aveva dovuto superare troppo infretta l'essere bambina. Si portò una mano sui mori capelli e si incantò a guardare i suoi occhi strani, ma che considerava l'unica parte esteriore di se che in realtà parlava realmente di lei. Chiunque avesse detto che gli occhi sono lo specchio dell'anima aveva ragione e i suoi erano una conferma.

Decise che doveva farsi una doccia o quella notte non sarebbe riuscita a dormire. Si spogliò lentamente, stando ben attenta a quello che rifletteva lo specchio e a quello che in realtà era frutto della sua immaginazione. Una volta nuda pensò che in realtà la sua femminilità era più accentauata di quanto volesse con un abbondante seno a testimonianza delle morbide curve del resto del corpo. Non aveva mai chiesto di essere bella perchè non le importava niente, era sempre stata troppo occupata a pensare ad altro e infatti si era ritrovata con un bel corpo, ma niente di più. Non era certo una di quelle per la quale si perdeva la testa o che in mezzo ad una folla si ricordava: era una fra tante.Aveva purtroppo capito presto che non basta essere belli per capire qualcosa, ma è necessario possedere un gran bel cervello.

E a lei quello non mancava di certo.

Portò le mani sui fianchi e chiuse gli occhi, profondamente immersa nel suo mondo per un attimo sognò di essere sfiorata dall'alito di uno dei suoi personaggi. Quano li riaprì entrò direttamente nel suo bagno e aprì l'acqua, godendo dello scrocio caldo che le massaggiava la testa fu nuovamente rapita dai suoi pensieri.

 

3

Erano ormai dodici anni che lavorava in quella pasticceria, ma molti di più erano quelli nella quale aveva sviluppato un'intolleranza contro la gente. Era nata e resciuta a Blamery Fall e conosceva abbastanza bene la sua storia da poter affermare con certezza che quel posto era dannato. Non avevano leggende particolari, nè spettri o streghe a disturbare le notti dei loro bambini, ma l'aria che si aggirava dentro la città e sovratsava le vecchie case di campagna al confine pesava quanto l'alito dei defunti: qualcosa si aggirava da sempre li fuori, ed era qualcosa che se avesse passato il confine avrebbe fatto rimpiangere a tutti il mondo attuale.

Miriam Bensay gestiva l'unica pasticcieria della città, viveva da sola e aveva due sorelle che vivevano a Londra, città nella quale non aveva mai messo piede. Fanny per più di una volta le aveva chiesto di andarla a trovare ma lei, nonostante odiasse Blamery, aveva sempre rifiutato. Se c'èra qualcosa che odiava più della città era l'uscirne fuori: fino a quando se ne stava tranquilla dentro la sua pasticceria aveva una speranza, ma se fosse uscita sarebbe andata a sbattere proprio dentro a quella forza che tanto temeva.

No, meglio restare cauti e quieti li seduti a servire pensionati e bambini con il mocciolo al naso. Rischiava molto meno.

 


Angolo Autrice:

miusic_dreamer grazie mille..come vedi ho aggiornato infretta! Bè, aggiornare non sarà difficile, visto che questo romanzo, il primo di una trilogia, lo ho già concluso. Aspetto il tuo parere, come quello di chiunque voglia commentare, poichè i vostri pareri sono preziosi per sapere cosa non va nella trama e nei personaggi così che sia possibile modificare questa prima stesura del romanzo ^^

Anticipazioni: nel prossimo capitolo, spero per vostra somma gioia, comparirà il bel vampiro che spero nel corso della storia risulterà di vostro gusto.


Un bacio, a presto, St.Sy.


 

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Capitolo 3
*** Parte Prima 4-5/15 ***


Bloody Empire

Parte Prima

(4-5/15)


4

La mattina dopo, quando si alzò grazie all'odore pungente dell'orzo di sua nonna, la prima cosa di cui si rese vagamente conto fu di essere mezza nuda.

Possibile che avesse dimenticato di mettersi il pigiama la notte prima dopo essersi fatta la doccia? Possibile, visto che se ne stava sempre con la testa ra le nuvole. Probabilmente si era addormentata non appena aveva toccato il letto.

Sbadigliò pigramente pensando che in fondo era bello starsene a letto nuda, il contatto della pelle con le lenzuola pulite era piacevole e aveva un effetto totalmente rilassante. Gettò uno sguardo assonnato vero i piedi del letto: York era sveglio e la guardava ansioso come se aspettasse qualcosa.

-Ora mi alzo rompiscatole, sta tranquillo. Mi vesto e ti porto a fare una passeggiata-. Lui non si mosse, ma capì perfettamente che si parlava di lui e che anche la sua vescica ne avrebbe avuto giovo.

Emma si alzò spostando le coperte con ben poca gentilezza e si precipitò davati all'armadio. Afferrò un paio di jeans scoloriti e una maglietta a mezze maniche anonima, poi infilò in bagno e si sciacquò la faccia e lavò i denti.

Cinque minuti dopo aveva finito ed era pronta a portare fuori il cane.

Entrò in cucina e salutò i suoi nonni. Lei piegata sul tavolo intenta a inzuppare le fette biscottate nell'orzo, lui fisso a osservare la sua tazza di latte tiepido con dentro i residui di qualche biscotto precedentemente tuffato.

-Ciao Emma, ti preparo la colazione?-. Sua nonna aveva lo sguardo perso nei suoi occhi e le sorrideva come una bambola.

-No, non importa, prendo qualcosa in città mentre porto a fare un giro York-, si avvicinò e le dette un bacio sulla fronte. Profumava di colonia del nonno. - Ci vediamo dopo-.

Sua nonna la salutò con un sorriso ancora più grande poi tornò alla sua tazza. Emma uscì chiedendosi quanto tempo ci avrebbe messo prima di capire che il biscotto che evidentemente aspettava era infondo alla tazza e che se non si aiutava con il cucchiaino non lo avrebbe mai più rivisto intero.

Passò dall'ingresso principale e camminò sul marciapiede controllando che York facesse i suoi bisogni, poi lo chiamò e solo quando vide che gli stava attaccato alla gamba si sincamminò verso il centro della città.

Camminò a passo lento, non aveva troppa fretta di arrivare per poi tornare a casa. Davanti e intorno a lei vecchi casupole la osservavano severamente. Da piccola quel posto le faceva paura, ma non lo temeva veramente. Adeso invece, più cresceva e più aumentava quella strana sensazione alla bocca dello stomaco. Ancora non poteva saperlo, ma la sua era insoddisfazione.

Una coppia di anziani le dette il buongiono commentando quanto fosse bello quel cane e un bambino sul triciclo si fermò a guardarlo a bocca aperta restando attaccato ossessivamente alla madre, la quale sorrideva assicurandolo che non gli avrebbe fatto niente. Emma non ne fu del tutto sicura, non perchè York fosse cattivo, ma perchè il suo concetto di gioco proponeva di usare una certa dose di forza visto che solitamente era abituato a fare a botte con lei.

Dopo una quindicina di minuti entrò finalmente in città. Blamery Fall non era certo famosa per la sua grandezza, ma vantava una certa fama nel numero più alto di ultrapensionati pettegoli. Uomini e donne a cui la lingua non si sarebbe seccata fino a quando non fossero stati freddi come marmo e sotto tre metri di terra. Oltrepassò la gelateria ancora chiusa, (nonostante amasse i dolci preferiva lo yougurt o le granite al gelato) e si fermò davanti alla pasticceria: un paio di brioche con la confettura all'albicocca sarebbero state sufficentemente adatte per iniziare la giornata.

-Tu non ti muovere, va bene?-. York mugolò rassegnato e si sdraiò li davanti. Oramai era abituato a eseguire alcuni ordini e non poter entrare in quel paradiso del colesterolo era uno di quelli. Emma si inginocchiò, gli dette una grattatina dietro le orecchie e lo baciò sul naso, poi entrò.

-Ciao Miriam-, salutò la pasticciera, una donna esile quanto alta che da bambina le somigliava molto a un palo della luce altissimo. E che adesso le sembrava solo un palo.

Lei le fece l'occhiolino e afferrò un sacchetto di carta come se lo avesse preparato li apposta per lei. -Ti do il solito?-

-Volentieri e già che ci sei...- saettò con lo sguardo da una parte all'altra del bancone, -... mi ci metti anche qualche biscotto dietetico per i nonni?-.

Miriam prese una piccola spatola di metallo, alzò una manciatina di biscotti informi e li infilò dentro il sacchetto, poi ne prese un'altro e ci mise dentro due belle brioche ancora fumanti con lo zucchero che ricopriva l'intera parte superiore poi, sorridendo ad Emma, vi mise un dolcetto alla frutta candita.

-Quello è perchè sei una delle mie migliori clienti fisse-, disse porgendole i sacchettini. Questo è perchè sei una gran ruffiana, la corresse mentalmente Emma prendendo i soldi nella tasca anteriore. Afferrò una manciata di spicci e li porse a Miriam. -Grazie mille, ci vediamo-. Uscì con la vaga sensazione di essere fissata dalla donna senza un apparente motivo e si chiese perchè mai Miriam le avesse dato un dolcetto alla frutta quando sapeva perfettamente che a lei i canditi non piacevano assolutamente. In realtà ne aveva una vaga idea, ma non voleva sprecare tempo a pensarci.

-Tieni-, disse al cane una volta giunti al parco, -questo te lo offre la casa-. Tirò in aria il dolcetto e York lo afferrò con un balzo. Si sedette su una panchina nascosta da un enorme salice piangente, l'unico albero di tutta la città che fosse da considerarsi tale ed estrasse una delle sue brioche dalla busta. -Buon appetito-, addentò la pasta sotto gli occhi speranzosi di York che in cuor suo sapeva che non avrebbe mai e poi mai avuto una sola briciola.

Il parco, l'unico della città, si poteva considerrae diviso in tre parti ben distinte: vi era la parte dei giochi, dove le mamme e i papà portavanoi loro bambini a giocare nelle belle giornate estive, mentre in inverno era quasi sempre occupata da un gruppo di ragazzi capitanati da un certo Gryo; poi vi era la parte del salice che era quella dove era Emma, dove si portavano i cani e si facevano delle paseggiate tranquille ed infine vi era la parte del mausoleo, confinante con quella del salice e piena di vecchi alberi che non filtravano la luce, dove non andava mai nessuno data la sua aria spettrale. Emma era dell'idea che invece fosse la più romantica di tutte e l'unica dove si potesse stare veramente tranquilli, perlomeno di sera. Adesso, anche se inquietante, non faceva realmente paura a nessuno visto il sole alto e la moltissima luce che emanava.

-Che hai?-, chiese Emma. Improvvisamente il cane aveva alzato le orecchie e assunto un'aria minacciosa. -Non c'è niente York-. Ma lui non sembrava pensarla uguale e iniziò a correre verso il mausoleo senza badare alla voce di Emma che cercava disperatamente di richiamarlo.

Iniziò a correre anche lei, per quel che poteva, stando dietro al grosso cane lupo. Lo seguiva con lo sguardo, ma non riusciva a capire con cosa ce l'avesse e iniziava a dubitare che avesse davvero sentito o visto qualcosa dal punto in cui erano loro.

-York! PORCAMISERIA SE TI PRENDO SEI UN CANE MORTO!-. Non lo vedeva più. Si guardò in torno presa da un leggero attacco di panico, ma non riusciva comunque a vederlo.Iniziò a girare su se stessa freneticamente e con impaziensa. -Oh su scherzavo dai! Non ti faccio niente...-

-Non credo che ti possa capire, ma è bello che tu ci provi-.

Si voltò di scatto con l'intenzione di congedare la voce la più presto, non le piaceva che la gente si facesse i fattacci suoi, ma l'unico effetto prodotto dalla brusca frenata è che si ritrovò a sbattere contro la voce con le brioche a dividerli. Abbassò lo sguardo inorridita: la confettura era esplosa andando a impiastricciare i suoi abiti e quelli del suo nuovo amico. Vicino a lui, come un babbeo traditore, vi era York che la guardava con le orecchie schiacciate dal basso verso l'alto. Il ragazzo sorrise prima al cane, poi guardò lei negli occhi che per un istante infinito le sembrarono avere qualcosa...

-Mi spiace- Alzò gli occhi preoccupata. Era comparso dal niente, cavolo!

-York giusto? E' un bellissimo cane-

-Non so cosa gli sia preso, non aveva mai fatto una cosa simile. Mi spiace che le abbia dato fastidio-. Riabassò lo sguardo. -Non volevo-. Alludè alla camicia sporca.

-Per l'amor del cielo! Non mi dare del lei, ho solo ventisei anni-, disse allargando il sorriso di poco prima, poi le tese la mano, -il mio nome è Naveen e non preoccuparti. Niente che non si possa mandare via con una bella lavata-.

Emma afferrò la mano e la strette piuttosto forte. Voleva fargli capire che non era nè una ragazzina, nè tantomeno stupida. -Io mi chiamo Emma, piacere di conoscerti-.

-Piacere mio-.

Un silenzio imbarazzante cadde come un telo nero su di loro. Emma continuava a guardare York per evitare di fissare il ragazzo. Non lo aveva mai visto in città ed evidentemente neppure le altre ragazze, evidentemente...

-Qualcosa non va?-, chiese lui scrutando il volto di lei.

Emma si sentì a disagio e scosse la testa. Era la prima volta in vita sua che le accadeva una cosa del genere, solitamente non aveva problemi a parlare, ma quel tizio le metteva una suggestione incredibile addosso. Il fatto che avesse avuto quella espressione così aggiacciante e quel fascino da tenebroso di fumetti giapponesi era relativo in fin dei conti, ma quell'aria strana e totalmente magnetica la spiazzava al quanto.

-Hai dei bellissimi occhi, lo sai vero?-. Non glielo stava chiedendo davvero, suonava più come una domanda retorica.

-In realtà no, dicono che sono strani, non belli. Ma credo che sia normale visto che non desto molta simpatia nè fra i miei compagni di scuola, nè fra la maggior parte dei cittadini-. Aveva già detto che non aveva problemi a parlare?

Lui non disse niente, continuò a sorridere, poi fece qualcosa del tutto inaspettato: avvicinò le sue labbra all'orecchio di lei e le sussurrò : - lasciali perdere, molti di loro non noterebbero la vera bellezza neppure se ci andassero a sbattere contro, credimi-.

Emma si ritrasse stupita specchiandosi nei verdi occhi di lui, poi deglutì a fatica e cercò di ricomporsi. Iniziava a sentirsi improvvisamente debole e la testa farsi sempre più pesante.

-Non ti senti bene?-, le chiese il ragazzo avvicinandosi. -Vuoi che ti accompagni a casa?-.

No... Ma fece a malapena in tempo a pensarlo. Un secondo dopo le forze l'abbandonarono del tutto e se non fosse stato per Naveen che la sorrese con il proprio corpo avrebbe sbattutto la testa a terra.

5

-Vuoi una tazza di te?-.

Naveen guardò l'anziana signora e sorridendo rifiutò cordialmente l'offerta. Si passò una mano fra i lunghi e mori capelli slegandosi il codino e infilando l'elastico nel polso come un bracciale. Si sentiva stranamente tranquillo nonostante si costringesse a mantenere un certo autocontrollo.

-Sta bene-, disse l'uomo scendendo dalle scale con l'andatura fiacca di chi ormai fa fatica anche a respirare, -era solo stanca. Dio solo sa a che ore è andata a letto questa notte, se ne passa tutto il tempo in camera a scrivere e si trascura-

-Domani mattina non la mando a scuola-, lo interruppe la donna ansiosamente. Sembrava aver assorbito improvvisamente tanta ansia da poterla trafiggere con il coltello.

Il marito annui accondiscendente e a Naveen venne in mente quello che gli diceva sempre un suo vecchio amico: mai contraddire una donna a meno che non cerchi un metodo efficace per suicidarti.

-Non so come ringraziarla, se non ci fosse stato lei chissà cosa sarebbe successo-.

Naveen scosse la testa fiducioso. Quelle persone iniziavano a stargli simpatiche, forse perchè prima aveva conosciuto la nipote, o semplicemente perchè una volta ogni tanto poteva permettersi di riporre una qualche fiducia in qualcuno. -Non mi deve ringraziare, era il minimo che potessi fare. Fortuna che sua nipote è conosciuta in città e non è stato difficile scoprire dove abitavate-.

L'aniziano annuì ancora una volta. Sapeva perfettamente che sua nipote non passava inosservata e per la prima volta dopo anni questo le era stato utile.

-Perchè non rimane a pranzo con noi? Ci farebbe davvero piacere-.

Naveen asunse un'aria davvero dispiaciuta, -mi spiace davvero, ma purtroppo non posso restare. Vedete, io e mio fratello ci siamo trasferiti da poco nella casa vicino al cinema e fra mezz'ora dovrebbe arrivare con il camion dei traslochi per finire di scaricare la nostra roba. Magari un'altra volta volentieri-.

La donna sorrise grossolanamente prendendo le ultime parole di quel giovane come una solenne promessa, poi gli si avvicinò e gli porse dei biscotti fatti in casa. -Li porti a suo fratello e gli dica che l'invito vale anche per lui-.

 Naveen annuì. Non avrebbe trovato difficile convincere Ike ad andare a cena da qualcuno, specialmente se erano assicurate tante orecchie disposte ad ascoltarlo.
 

 

 
       

Angolo Autrice:

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto... ma ditemi, cosa ne pensate di Naveen? E avete già idee per Ike? ^^ Hehehe, son curiosa. Al prossimo, spero. Baci.

St.Sy.

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Capitolo 4
*** Parte Prima 6-8/15 ***


Bloody Empire

Parte Prima

(6-8/15)

 

 

 

 


6
 

La sveglia che solitamente suonava precisa alle 7.45 quella mattina tacque.
Quando Emma si svegliò non ricordava di preciso quello che era successo e non sapeva per quante ore di fila avesse dormito, l'unica immagine, anche se sfuocata, che le era rimasta impressa nella mente era il volto sorridente e vagamente inquietante del ragazzo che aveva conosciuto ieri, o il giorno prima. O quello prima ancora. E qui la sua conoscenza delle ultime ore finiva.
   Si guardò intorno leggermente stordita, doveva avere dormito molto e nella stessa posizione. Sentiva tutte le ossa informicolate e leggermente appesantite. La stanza era vagamente illuminata grazie a qualche buco della persiana lasciato libero di fare da cambio d'aria, ma per il resto si trovava immersa nella più totale penombra. Guardò distrattamente la sveglia a forma di pecora posata sul comodino che aveva da quando era bambina e vide che erano da poco passate le quattro pomeridiane.
   Sospirò e si ributtò giù nel letto, esausta dal troppo riposo. Puntò gli occhi sul soffitto e pensò a quello che le era successo la mattina prima. Infondo, adesso che ci pensava a mente fredda, non era accaduto niente di speciale: succede che nel mondo due persone si incontrino e istaurino un dialogo anche se non si conoscono. E' la vita e come tale va accettata. La cosa su cui però non si dava pace era il comportamento tenuto dal suo cane che non le aveva mai disubbidito, neppure quando era un cucciolo.
   Magari aveva sentito l'odore di qualche cagnolina in calore, pensò cercando di rammentare nel modo più fedele possibile il corpo della sua nuova conoscenza. Doveva ammettere che Naveen non era esattamente il ritratto di un cane, Era anche costretta ad ammettere che quel ragazzo era davvero bello in tutto ciò che si poteva vedere. Aveva un volto inquietante e magnetico, di quelli che non ti sai spiegare perchè ma ti piacciono, con due gemme verdi al posto di due occhi qualsiasi e lunghi capelli neri, come i demoni della sua fantasia. In più aveva un corpo longilineo, forse era un pò troppo alto cosa che se unita alla sua magrezza lo faceva sembrare troppo slanciato, ma dal modo in cui si muoveva trasudava anche una notevole forza fisica.
   Quello che ora si chiedeva Emma era se possedesse anche un certo acume intellettivo o se fosse solo "tanto fumo e niente arrosto".
   Sorrise. Dentro di se sperava che finalmente fosse arrivato qualcuno in città che somigliasse, se pur vagamente, ad un suo ideale di uomo.
   Frenò il flusso dei pensieri che a suo dire producevano più rumore di un esercito di carri armati e ascoltò i passi che lentamente e con fatica salivano dal secondo piano per giungere in mansarda da lei. Dopo poco sentì il respiro affannato di suo nonno e vide inizialmente socchiudersi la porta, poi notato che era sveglia, la figura dell'uomo si fece avanti.
   -Tutto bene?-. Le chiese sedendosi ai piedi del letto e guardandola preoccupato. Nella sua domanda vi era tutta l'apprensione del mondo per quella che per lui era la sua unica ragione di vita.
   Emma annuì e gli regalò un sorriso, uno di quelli che generalmente si sfoggiano quando si ascolta una barzelletta divertente, ma non abbastanza. Ed in quel momento suo nonno aveva bisogno di vederglielo stampato in faccia.
   -Ma si che va tutto bene... sarà stato un calo i zuccheri-.
   Ma Emma capì che l'uomo non si riferiva allo svenimento, ma alla sua situazione generale. Mancava una settimana all'anniversario della morte dei suoi genitori e lei, come tutti gli anni, aveva intenzione di andare sulle loro tombe per raccontargli le ultime nuove. Non era mai stato un problema per ricordarsi che erano morti, forse per via degli anni che aveva passato in silenzio rinchiusa nella sua testa a rimuginare sull'accaduto, o forse solo perchè lo aveva semplicemente accettato, ma da quando aveva perso mamma e papà pensarli non le faceva male. Anzi, la confortava.
   Gli psicologi che l'avevano seguita da piccola dicevano che il suo mutismo era un meccanismo di difesa e per quanto la riguardava poteva anche darsi che in ambito medico lo chiamassero così, ma per quello umano lei preferiva descriverlo semplicemente come il proprio mondo. Era li che aveva passato i tre anni consecutivi all'incidente dei suoi ed era li che andava ogni volta che voleva, solo che adesso aveva imparato ad interagire con entrambi i mondi senza bisogno di nascondersi in uno dei due.
   -Nonno perchè pensi che ci sia qualcosa che non vada? Sto bene, davvero-.
   Lui la guardò poco convinto, ma decise di lasciare perdere. Sapeva bene che se avesse avuto bisogno di qualcosa Emma avrebbe risolto da sola senza chiedere niente a nessuno e ormai era abituato a vederla chiusa in se stessa, ma dalla vita aveva imparato ad avere pazienza. Prima o poi anche lei avrebbe trovato il giusto ruolo nella vita.
   -Niente, così per dire...-, sorrise educatamente, -La sai una cosa? York, quell'approfittatore, se ne è stato tutto il tempo qui fuori dalla tua porta senza mai staccarsi. Mi è toccato anche portargli da bere e da mangiare quassù, altrimenti sarebbe stato digiuno-.
   Emma sorrise, -Dov’è ora?-
   -Fuori, tua nonna sta passando lo straccio e non lo voleva fra i piedi, come dice lei-.
   Si guardarono un istante poi scoppiarono a ridere. Immaginavano già l'abituale scena dove la vecchia nonnina con lo spazzolone in mano urlava dietro al cane per cacciarlo, e York, assonnato e confuso, la guardava pacatamente come a pensare: "Ma cosa diamine vuole questa?".
 

 

7
 

Ike gettò il cerino con il quale si era divertito stupidamente fino a quel momento a terra schiacciandolo con la punta del piede e uccidendo così il fumo rimasto. Anche quello aveva esalato il suo ultimo respiro.
   Non era proprio la mattinata adatta per correre, il cielo era nuvoloso e l'aria trasportava un vento nemico, ma non aveva voglia di starsene solo in quella nuova casa, così decise semplicemente di mandare tutti a quel paese e fare qualche passo. Svoltò l'angolo entrando nel piccolo parco cittadino. Le giostre dei bambini erano vuote delle loro acerbe vite, ma in compenso vi erano un paio di ragazzotti con un seguito di quattro, cinque ragazzine che ridevano come delle iene. Una di loro indossava abiti troppo corti per la stagione e da quanto poteva vedere non si sentiva a suo agio, ma il ragazzo che le teneva la mano sul sedere non doveva pensarla uguale.
   Pensò a quanto fossero maledettamente porci gli uomini e sorrise. In quel senso il destino gli aveva giocato un tiro ironico. Passò davanti al gruppetto tenendo i verdi occhi puntati sulle ragazze, così maledettamente tutte uguali. Il ragazzo che era sprovvisto di sedere da toccare lo guardò storto e sembrò volergli dire qualcosa, ma rinunciò, tenne la bocca chiusa e abbassò lo sguardo.
   Meglio così, si disse Ike passando oltre, evita di fare una stronzata. Sei troppo giovane per sfidare la natura.
   Il cielo gorgogliò un tuono, ma non alzò la testa. Nel corso della vita, di quella vita, aveva imparato anche a capire il tempo ballerino e quello aveva intensione di mettere in atto un bell'acquazzone. Nonostante tutto non tornò indietro, anche se si fosse bagnato non avrebbe rischiato certo di prendere un raffreddore.
   -Ike!-.
   Si fermò di scatto, ma non si voltò. Sapeva perfettamente chi l'aveva chiamato e che faccia avesse.
   -Ike dove vai? Cerchi di scappare al trasloco?-, lo canzonò ironicamente suo fratello posandogli una mano sulla spalla. -Questa volta non me la fai però, la tua roba te la metti tutta in ordine da solo...-.
   Ike sorrise. Amava quando suo fratello lo trattava come un bambino, forse perchè gli ricordava di essere vivo, nonostante tutto. -Sta per piovere,- disse semplicemente cambiando discorso.
   Naveen annuì guardando il celo. Le nuvole si stavano lentamente riempiendo di acqua e una volta sature avrebbero iniziato a scaricare l'eccesso su di loro.
   -Andiamo a casa? Ti va?-, chiese cercando lo sguardo del fratello e quando lo trovò lesse nei suoi occhi un accenno di malinconia. Si stava sicuramente chiedendo a quale casa avesse in realtà fatto riferimento perchè erano ormai secoli che non ne avevano davvero più una.
   -Secondo te è qui?-, chiese incantandosi a fissare il vuoto.
   Naveen trattene l'istinto di urlare, poi strinse nelle spalle. -Forse. Se non c'è ora arriverà presto. Sono passati i dieci anni di esilio e verrà a finire l'opera da dove la ha interrotta-
   -Papà avrebbe fatto come noi?-. Non lo sapeva, proprio non ne aveva idea e sapeva che Ike non si aspettava una reale risposta, ma solo una frase che lo facesse ancora andare avanti. Ancora un pò, perlomeno.
   -Immagino di si, per il bene nostro e per quello degli uomini. Infondo anche noi un tempo lo eravamo, non dobbiamo scordarcelo mai-.
   Ike pensò che fosse giusto non scordarlo, perchè se lo avessero fatto si sarebbero abbassati al livello degli altri e questo Lord Edwin non lo avrebbe voluto. E come lui neppure la loro madre.
   Iniziarono a ritornare verso casa senza troppa fretta, l'uno accanto all'altro come una coppia di giovani innamorati. L'aria iniziava a farsi fredda, ma dopo tutto a loro importava relativamente: era tanto che non sentivano più la differenza fra il gelo più crudele e il calore più intenso.
   -Come è?-, chiese improvvisamente Ike. Naveen sapeva perfettamente a chi si riferisse.
   -Sembra simpatica, ma di più non posso dirti-. Sorrise cupamente. Di pensieri ne aveva avuto tante, di supposizioni fatte a bizzeffe, ma realmente non sapeva niente.
   -Almeno se è carina-
   -Si, molto, aggiungere bella anzi, ma a te che importa?-, lo punzecchiò. Suo fratello aveva il grande pregio di saper accettare le battute, anche se gli riusciva sicuramente meglio somministrale.
   Ike si strinse innocentemente nelle spalle e guardò il fratello. Nonostante fossero due goccie d'acqua, suo fratello era sempre stato quello grande. Il fatto che fossero gemelli certo implicava che non ci fosse una distanza di età, ma ammetteva senza troppa paura che Naveen fosse protettivo e paterno nei suo confronti almeno quanto lui era bambino e vulnerabile.
   E a lui andava di lusso così. Gli piaceva essere coccolato e ogni volta che sentiva il bisogno di parlare o semplicemente poggiare la testa sulla sua spalla, suo fratello c'èra sempre. Nel bene e nel male.
   -A cosa pensi?-.
   Naveen scosse la testa. -Guardavo il parco. Papà ce lo aveva descritto esattamente così, solo che adesso le piante sono un pò più alte e le persone più vecchie. Però c'è sempre quell'aria pacata e ossessivamente statica-.
   Ike rise sonoramente, così forte che per un attimo Naveen fu costretto a spostarsi. Ci sentivano entrambi troppo bene.
   -Meno male che allora ci siamo noi. Vedrai che d'ora in avanti questa gente si scorderà cosa è la noia...- purtroppo per loro. Ed era verissimo, ma Ike non seppe rispondersi se questo avrebbe fatto piacere o meno a quella gente così semplice e in qualche senso troppo abituale. Poi a Naveen venne in mente Emma e sorrise.
   Sicuramente lei sarebbe stata una di quelle persone che avrebbe trovato il tutto divertente.
 

 

8


Il cortile adiacente alla scuola raccoglieva in massa gli studenti che contrariamente al loro volere aspettavano l'apertura del portone per poter posare le cartelle e iniziare cinque ore noiosissime fatte di compiti ed interrogazioni a tavoletta, come ogni anno scolastico esige.
   La scuola, pensava Emma, non era poi così male. Diciamo che se fossero stati lei, un paio di compagne e i professori si sarebbe addirittura divertita, ma purtroppo non era così. I suoi compagni di classe, quei dodici stupidi e rozzi individui convinti che cantare Britney Spears fosse il massimo dell'emozione non si potevano proprio considerare degni di parola da parte sua e per quello che immaginava benissimo loro la pensavano come lei. Non la calcolavano un minimo se non per sfotterla qualche volta e lei in quei casi si tappava le orecchie e pensava a tutt'altro; non perchè avesse paura di farsi valere, non aveva mai avuto problemi in quel senso, ma perchè era una perdita di tempo cercare di comunicare con quelle bestie umane rimaste indietro nella catena evolutiva.
   Si sistemò la borsa a tracolla per bene così da evitare di farsi male al collo e iniziò a farsi strada fra ragazzi e ragazze. Notò che un paio di teste si voltarono annoiate a guardarla, ma non riconobbe nessuno di sua conoscenza. Arrivata alle scale che portavano al portone si sedette sul terzo scalino e aspettò di vedere Frency, una della segreteria, sbucare con le chiavi per aprirlo.
   Intorno a lei tutti sembravano, chi più, chi meno, abbastanza felici nonostante le lamentele di routine sul compito di matematica andato male e quello di latino andato peggio, ma Emma non provò nostalgia nè amarezza nel vederli tutti insieme, amici e nemici, socializzare come persone normali.  Lei non era mai stata una persona particolarmente sociale, preferiva la solitudine alla moltitudine di gente e amava il silenzio alle chiacchiere inutili.
   Le bastavano una penna e un foglio per dipingere il suo mondo e, con un pò di fantasia in più, per interagirci.
   -Buon giorno-.
   Emma alzò la testa dagli ormai vecchi scalini e vide la figura paffuta di Frency passare fra gli studenti, salutando più o meno tutti e nessuno in particolare.
   Si alzò con un balzo e aspettò che la donna aprisse la porta, poi entrò sgattaiolando velocemente aal'interno e iniziò a camminare verso la propria classe aumentando il passo. Quella mattina avevano il compito di psicologia e nessuno voleva restarsene fra i primi banchi, compresa lei. Salì le  scale a due a due, svoltò a sinistra, fece un'altra rampa e poi di nuovo a sinistra. Sette passi e arrivò di fronte alla classe III.
   Spalancò la porta, accese le grandi luci al neon appiccicate al soffitto come cozze a uno scoglio e si sedette in penultima fila, primo posto vicino alla finestra.
   Il cielo era incerto sul da farsi, aveva le nuvole al suo cospetto, ma sembrava che stesse contrattando con il sole una giornata di luce e calore per contrastare quella particolarmente brutta di ieri. Sperò che il sole la avesse vinta perchè voleva andare da Khaled quel pomeriggio e non aveva voglia di farlo sotto l'acqua.
   -Nye già qui?-.
   Distolse lo sguardo dal cielo e lo puntò svogliatamente verso la porta. Finnegan se ne stava in piedi dritto come un palo a fissarla con sguardo vuoto.
   Emma non disse niente, non sapeva come spiegargli che era li perchè era lì.
   -Non hai sentito? Niente compito di psicologia, la Barkley è malata, però in compenso ci mandano un supplente, è nuovo e insegna storia alle classi quarte-.
   Sospirò. E lei che si era preoccupata tanto di essersi persa l'ultima lezione perchè era leggermente svenuta e inferma a letto. -Bene-, sussurrò più a se stessa che a lui, poi tornò a guardare fuori.
   Un vento improvviso iniziava ad alzarsi. Le venne il dubbio che il sole si fosse dovuto sottomettere al volere del cielo e lei era anche senza ombrello, tanto per cambiare.  

 

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Capitolo 5
*** Parte Prima 9-12/15 ***


Bloody Empire


 

Parte Prima

(9-12/15)

9
 


Quando entrò in classe non lo riconobbe subito e se non avesse sentito gli schiamazzi della sua compagna di banco non si sarebbe neppure degnata di alzare lo sguardo per guardare chi fosse.
   -Quanto è carino...-.
   Emma lasciò perdere il commento così fantasioso di Jemima, (per lei carino era anche l'ultimo modello di portachiave di Winnie Phoo) e si concentrò sul fatto che avesse difronte Naveen. Il professor Naveen. Quando lo aveva incontrato l'idea che insegnasse per vivere non gli era passata neppure nell'anticamera del cervello, ma a quanto pare dalla vita ci si poteva aspettare tutto. E, nonostante ancora non potesse saperlo, l'idea che tutto potesse accadere avrebbe caratterizzato la propria vita.
   Indossava i soliti anfibi dell'altra volta, ma sopra aveva una camicia bianca e un paio di jeans scuri che tutto sommato non lo facevano così diverso da come lo aveva visto la prima volta, ma neppure così gotico come sospettava che in vece fosse.
   -Buoni ragazzi, sedetevi. Devo fare l'appello per segnare gli assenti-.
   Stranamente cadde il silenzio e questo per la prima volta nella storia della loro classe. Si guardò in torno e non si stupì quando vide che tutti guardavano Naveen come se fosse sceso da un altro mondo, con occhi spalancati e troppe supposizioni diverse in testa.
   -Cerly, Dorse, Dennly, Fare...-, teneva il registro con una grazia così evidente che i suoi compagni già lo sfottevano stupidamente. -... Mongomery, Nasster... -, muoveva le labbra con una sensualità prorompente, -... Nerkly,Nye...-, alzò la mano cercando il suo sguardo e contrariamente ad ogni aspettativa lo trovò piuttosto facilmente. Ebbe la vaga sensazione che gli stesse sorridendo, poi l'appello continuò e i suoi verdi occhi ricaddero desolati sul registro di classe.
   Quando ebbe finito di chiamarli uno per uno chiuse il quaderno e puntò il dito contro Frawell, in prima fila.
   -Tu, tu e tu- Veies e Plaster sobbalzarono vicino al capobanda, - vi consiglio di smettere di passarvi quel giornalino o altrimenti vi assicuro che il prossimo che sfoglierete sarà per fare una ricerca su l'Impero Romano, le origini e i fatti importanti che lo hanno caratterizzato e distinto dagli altri popoli. Voi invece...-, guardò le ragazze davanti a me, -evitate certi commenti così bassi e cercare di avere un comportamento un pò meno eccesivo, specialmente verso un vostro professore-.
   Emma sobbalzò. A mala pena le sentivo lei a quella distanza, non poteva pensare che lui avesse veramente udito le frasi anche troppo esplicite di Sammy e Flora, che sicuramente erano di cattivo gusto e non rendevano un onore reale a Naveen, ma solo una certa rozzezza.
   -Dunque-. Si alzò dalla cattedra e si posizionò davanti alla classe mostrandosi per quello che era: un uomo con un certo fascino, dalla bellezza inquietante, ma non sicuramente evidente per quella che realmente era.
   Emma era sicura che le sue compagne vedevano solo gli occhi verdi e i capelli lunghi e mori, mentre a lei era chiaro che ci fosse molto altro da ammirare di quell'uomo così particolare.
   -Dato che non sono un vostro insegnante non vi farò lezione e vi lascerò in pace, l'unica cosa che vi chiedo è di non fare troppa confusione o vi assicuro, e non scherzo affatto,che vi faccio fare un compito su l'evoluzione della chiesa in tutto il Medioevo. Se non mi credete siete liberi di chiedere ai vostri compagni di IV che mi conoscono solo da un giorno come pensano che sia andato il loro-, sorrise, ma non lo fece come quando aveva incontrato Emma. Questa volta sembrava serio, deciso, e non era affatto dolce. -Tutto chiaro?-.
   Ci fu qualche si sussurrato, poi ognuno abbassò la testa sul proprio banco. Nessuno voleva rogne, specialmente con la storia.
   Naveen tornò a sedersi alla cattedra a leggere. Emma aguzzò la vista, si sporse anche in avanti sul banco rischiando di spostarlo, ma proprio non riuscì a leggere il titolo del volume che teneva in mano. Comunque doveva essere un testo vecchio e a giudicare dalle condizioni e anche molto lungo vista la grandezza. Jemima, non appena vide che tutti iniziavano a rilassarsi, puntellò con la matita la spalla di Sammy, la quale si voltò sgargiante in viso. -Che c'è?-. Lo chiese anche se sapeva perfettamente quello che voleva.
   -Che cosa aveva detto a Flora per farlo arrabbiare così?-.
   Lei si strinse nelle spalle aspettando che Jemima la supplicasse, cosa che infatti fece puntualmente. Erano così prevedibili da rendersi inutili agli occhi del creato.
   Emma sbuffò e cercò di distrarsi pensando ad altro, ma la curiosità di sapere cosa leggesse Naveen la assalì profondamente e le si insinuò nella testa come un tarlo. Allora decise, si sarebbe alzata e si sarebbe avvicinata alla cattedra con una scusa qualunque. Afferrò un fogliaccio che aveva sotto il banco, probabilmente una poesia scritta durante un compito di matematica che però non le piaceva e si alzò lentamente e si avvicinandosi verso il cestino che per pura combinazione se ne stava di fianco alla cattedra a ridere beffardo della figuraccia che, se lo sentiva, stava per fare.
   Lui non si mosse, continuò a leggere e quando fu abbastanza vicina vide. Vide e restò stupita. Stava leggendo il De Bello Gallico di Cesare e in latino per lo più! Emma rigirò su se stessa e tornò al proprio posto sotto gli sguardi infuocati di Sammy e Flora, ma non ci fece molto caso, in quel momento era troppo sorpresa per pensare a quelle due. Non che in fondo fosse una cosa così straordinaria, ma certamente non era da tutti leggersi uno dei testi più importanti della letteratura latina e inoltre in lingua originale. Evidentemente Naveen doveva essere un latinista vero e piuttosto bravo per avere una così grande dimestichezza con la grammatica degli antichi latini.
   Sorrise come una scema e guardò ancora fuori dalla finestra. La pioggia stava iniziando a bagnare ancora per una volta le loro piccole e insignificanti vite.
 

10

Non si mosse. Non ne aveva la minima intensione, avrebbe preferito aspettare tutto il pomeriggio se fosse servito che smettesse di piovere in quel modo prima di farsi sei chilometri a piedi sotto tutta quell'acqua e tutto quel vento. Intorno a lei ormai regnava il silenzio, la campanella era suonata da circa dieci minuti e tutti i suoi compagni a quell'ora erano  a casa a mangiare, grazie al tempismo dei genitori nel venirli a prendere davanti all'ingresso di scuola o più semplicemente se ne erano andati via in autobus. Ma Emma non aveva dei genitori, i nonni erano troppo vecchi e rincoglioniti per notare che il tempo non le permetteva di tornare a casa. Anche con l'ombrello sarebbe stata una bella lotta, ma senza era decisamente una guerra persa.
   Posò la cartella sotto la tettoia dell'ingresso della scuola e ci si sedette sopra senza troppi complimenti. La pioggia continuava a scendere fregandosene delle persone che travolgeva e il vento amico a quanto pare faceva il suo gioco trasportando l'acqua anche dove non avrebbe dovuto arrivare, come per esempio sotto quella stramaledetta tettoia.
   Starnutì. Non era un buon segno, lo sapeva.
   -Ti serve un passaggio?-.
   Alzò lo sguardo e , quasi come se lo aspettasse, incrociò quello di Naveen.
   -Se non è chiedere troppo, accetto volentieri-.
   Lui annuì e le fece segno di alzarsi, poi prese l'ombrello e lo aprì riparando entrambi fino alla macchina parcheggiata una decina di metri fuori dalla scuola. Emma restò in silenzio pensando che in fondo non c'èra niente di male nell'accettare un passaggio da un professore, se questo ti evitava di prendere tutta l'acqua che il cielo in quel momento trovava di troppo per se stesso.
   Una volta montata in macchina poggiò la borsa sopra le ginocchia e aspettò che anche Naveen si sistemasse, poi si rilassò. Non le sembrava che ci fosse da temere di quell'uomo e voleva fidarsi di quella prima impressione avuta al parco quando aveva letto, nonostante una certa inquietudine, anche un maldestro senso di pace nei suoi occhi.
   -Grazie-, disse guardandolo mentre si agganciava la cintura di sicurezza, -sia per oggi che per l'altra volta. Non so cosa mi è preso, ma se non ci fossi stato tu...-. Erano state anche le parole di suo nonno.
   Naveen alzò la mano destra e scosse la testa convinto. -Lascia stare, non mi sembra di aver fatto niente di speciale. Piuttosto, dimmi una cosa, che ci facevi tutta sola a pendere l'acqua?-.
   Emma alzò le spalle, ma resse i suoi verdi occhi. -Aspettavo che finisse di piovere-.
   Quella risposta gli piacque molto. Non aggiunse altro, le sembrava che quella semplice frase fosse una spiegazione sufficiente. Partì lentamente, facendo attenzione a non slittare sull'asfalto bagnato e una volta giunti in prossimità del parco aumentò l'andatura e sfrecciò verso la vecchia casa dei Blawed. Dieci minuti e la ragazza seduta al suo fianco sarebbe tornata a casa.
   -York come sta?-, chiese tenendo lo sguardo fisso sulla strada.
   Emma si meravigliò di quella domanda ed ebbe la strana sensazone di conoscerlo da tutta una vita e li, seduta a suo agio nella sua macchina, pensò che in fondo le sarebbe piaciuto davvero saperne qualcosa di più sul conto di quell'uomo.
   -Meglio di me sicuramente-
   -Beh, credo che sia una priorità dei cani stare meglio dei loro padroni e infondo mi sembra anche giusto visto che vivono un quarto di quanto in realtà non facciamo noi-
   -Ti piacciono i cani?-
   -Si e ti dirò di più: una volta io e mio fratello avevamo un bellissimo lupo, completamente bianco e con profondi occhi azzurri. Un giorno nostro padre si presentò con quel batuffolo di pelo e ci disse "Vediamo se siete capaci di badare a un vostro simile..."-. Si interruppe di colpo e lasciò cadere la frase. Ormai stavano salendo su per il breve pendio e una volta in cima insieme alla casa darebbero stati i padroni assoluti della città.
   Naveen parcheggiò la macchina nello spiazzo davanti al portone d'ingresso, ma non scese. Preferiva non entrare o sarebbe tornato a casa troppo tardi. -Buona giornata. Salutami i tuoi nonni-, disse mentre Emma si preparava a scendere di corsa e entrare sotto il portico. Lei lo salutò con un sorriso, poi iniziò a correre. Salì i piccoli e stretti sei scalini, poi una volta al riparò alzò la mano e salutò il suo nuovo amico.
   Lui rise e, ricambiando il saluto, ingranò la retromarcia.
 

11

-Hai sentito cara? Che brutta cosa...-.
   Guardò la nonna non troppo convinta e le si avvicinò sospetta, aspettandosi qualche nuovo colpo di gossip ultrasettantenne. Poggiò la cartella non troppo bagnata sopra le scale interne, si tolse la giacca e sedette al tavolino. Non aveva fame e ignorò la zuppa di cavolo, o meglio, ignorò la zuppa convincendosi di non avere fame.
   -Cosa è successo?-.
   Lei scosse la testa, poi la guardò vagamente cercando di ricordarsi quello che le voleva dire. - Leky oggi è venuto a parlare con tuo nonno della caccia la cinghiale e per caso li ho sentiti mentre gli raccontava di aver trovato la carcassa di un cervo lungo la strada per venire qui, ma la cosa davvero strana, diceva, era che dell'animale rimanevano solo le ossa, completamente intatte e pulite, splendenti, come se fossero state lucidate-.
   Emma sorrise agghiacciata. Sua nonna doveva smetterla di guardarsi i film di Dario Argento quando la notte non riusciva a dormire, o altrimenti una di queste notte piovose l'avrebbe trovata con in mano una mannaia e nell'altra la testa di qualcuno. Immaginò comunque che avesse stravolto le parole del loro vicino, le capitava spesso povera donna e pensò dunque di cambiare completamente discorso.
   -Nonna che cosa hai fatto oggi? Noi... -
   -E in più la Limi, l'altro giorno, mi raccontava che suo marito mentre tornava dall'orto si è trovato davanti a un cinghiale morto dissanguato...Secondo lei c'è in giro qualche setta satanica...-.
   Emma la guardò esterrefatta. Da quando in qua sua nonna era diventata una patita dell'occultismo? Fare la Signora in Giallo con storie che sembravano più appartenere a Stephen King non le faceva bene alla salute e meno che mai alla testa.
   -Nonna ascoltami: non c'è nessunissima setta qui, figurati se quelli sanno anche solo lontanamente cosa sia e in più non devi ascoltare queste storie, poi la notte non dormi e ti metti a dare l'aspirapolvere alle quattro del mattino e il nonno si arrabbia, lo sai-.
   Le annuì assente, come sempre. Con buone probabilità si era già scordata delle carcasse e dei cadaveri di animali, ma Emma credeva che fosse meglio tenerla sott'occhio per un pò di tempo o temeva che potesse mettersi a dare la caccia ai lupi nel cuore della notte.
  

12

Khaled sembrava irrequieto e Emma era sicurissima che non fosse per colpa di York. Non era possibile, lo conosceva troppo bene e da troppo tempo. Gli posò una mano sul dorso e lo accarezzò un paio di volte, lentamente, ma come previsto non servì a niente. I cavalli erano animali testardi e non bastava certo una piccola attenzione per farli tornare quieti e docili.
   -Ma che cosa hai? Su buono...-, gli sussurrò. La voce, quella avrebbe aiutato, doveva farsi sentire e fargli capire che era li. -Ehi bello, tranquillo, va bene? Non c'è niente, niente e nessuno, solo io e York. Si, York, tu e lui andate d’accordo, è lui che ti protegge da tante altre bestiacce, è il tuo migliore amico...-. Continuò ad accarezzargli il dorso, lievemente e lentamente. Non capiva proprio come mai fosse così nervoso, eppure non c'èra nessun'altro... E onestamente parlare da sola non le faceva bene.
   -Ma allora il tuo è un vizio-.
   Non era possibile, le sembrava di stare dentro la trama di un patetico film per adolescenti. Trattenne il respiro, ma dentro di se era scoppiata la tempesta.
   -Parlo del fatto che ami parlare con gli animali-.
   Continuò a stare in silenzio, ma in compenso ci pensò York a dare il ben tornato a Naveen avvicinandosi a cercare qualche gratta. Cane traditore, pensò mentre cercava di far stare tranquillo Khaled,  ma si accorse che non ce ne era più bisogno. Il cavallo sembrava essere tornato quello di sempre e addirittura si era messo a mangiare il fieno e l'avena che aveva nella mangiatoia come se gli ultimi quindici minuti non fossero mai esistiti.
   Alzò le spalle e si allontanò da lui puntando gli occhi su Naveen.
   -Ciao-, sussurrò. Onestamente per la prima volta in vita sua poteva dichiararsi imbarazzata.
   -Oh ma allora parli! Credevo che tu fossi arrabbiata, visto che mi hai a malapena degnato di uno sguardo-, lo disse sorridendo, dunque non doveva essere davvero offeso. O almeno fu quello che sembrò a Emma.
   -No, scusami, è che il cavallo era nervoso ed ero preoccupata-.
   Lui guardò Khaled come se lo vedesse per la prima volta e fece tre passi verso di lui, accarezzandolo sulla pancia. Il cavallo continuò a mangiare come se non si accorgesse di niente. Emma si stupì, ma badò bene dal farlo capire incantata com'era nel guardare le dita lunghe e bianche di Naveen sfiorare il pelo dell'animale.
   -Un purosangue arabo, giusto?-
   -Si, si chiama Khaled ed è un maschio da sella-
   -Lo monti?-
   -Nelle belle giornate spesso, ma oggi non è una di quelle-.
   Sorrise ancora. Sembrava che in quel gesto mettesse, anche se per un attimo, tutto se stesso per poi tornare quello di sempre.
   -Chiedimi pure-, disse improvvisamente tornando verso di lei.
   -Cosa?-
   -Quello che vuoi. So che hai delle domande, fammele e basta almeno ci togliamo il pensiero-.
   Lo guardò storto, poi si convinse che quel ragazzo doveva avere davvero molto acume perché altrimenti non spiegava il suo comportamento. Si schiarì la voce. perche sei qui?-.
   Lui alzò le spalle e aprì le braccia. -Mi piace il posto... -, disse alludendo alla foresta li vicino, -... e ti cercavo-
   Emma non si stupì. perché?-
   -Ti trovo una creatura piuttosto interessante. Sei buffa, ma hai anche un certo spirito di osservazione. Con molta probabilità, correggimi se sbaglio, hai una grande immaginazione e il fatto che tu non abbia amici mi conferma il che questo ti basta. Molto probabilmente leggi tanto e so che scrivi ancora di più e, fortunatamente per me, ti rimane facile credere a tante cose che la gente pensa impossibili proprio perché vivi in un tuo mondo con delle filosofie tutte particolari e valori altrettanto singolari-.
   Emma restò impassibile e si stupì di se stessa. Quello che Naveen le aveva detto era tutto quanto vero, ma lui la conosceva da due giorni e non poteva averle sapute da nessuno.
   Lo guardò meglio. Era un uomo con dalle linee lunghe e vagamente scheletriche. Pallido come un cadavere. I capelli erano lunghi e neri, folti e lucenti. Gli occhi erano verdi come smeraldi e lo sguardo sempre acuto e attento come se da un momento all'altro si aspettasse la fine del mondo. Un tipo bello nella sua particolarità, che amava comparire all'improvviso e che magicamente spuntava sempre quando uno dei suoi animali sembrava dare di matto.
   -Cosa sei?-, chiese secca, seria, senza ombra di ironia negli occhi. Per un istante si aspettò di vederlo scoppiare a ridere per poi sentirsi dire di andare da uno psicologo, cosa che fra l'altro aveva già fatto, ma niente di tutto questo avvenne. Lui non sembrava scomposto, o irritato da quella domanda. Semplicemente alzò gli occhi al cielo e lo guardò speranzoso come se fossero amici di vecchia data.
   -Mio fratello mi deve una vincita. Era convinto che non lo avresti capito prima della fine del mese, io invece sapevo che ci saresti riuscita prima-. Tornò a guardarla. -Hai paura?-.
   -Devo?-
   -Forse, dipende da come interpreterai le mie parole-.
   -Va bene-, cercò di rendere il proprio respiro il più regolare possibile. - Non mi spaventano le cose strane, diffido da quelle normali piuttosto-.
   -Come vuoi. Dunque...partiamo dal principio-. Sedette a terra con la schiena appoggiata allo steccato in legno. Ormai era vecchio, ma sembrava avere ancora molto da offrire. Emma lo imitò accomodandosi a gambe incrociate.
   Adesso erano uno di fronte all'altro e potevano guardarsi meglio negli occhi.

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Capitolo 6
*** Parte Prima 13-15/15 ***


Bloody Empire


Parte Prima

(13-15/15)

13


L'aria era evidentemente fredda, ma per lui significava ben poca cosa. Per i suoi uomini invece, creature come lui, il tempo rappresentava uno stato d'animo costante e vedere il cielo così grigio in un periodo delle loro vite così buio deprimeva anche gli spiriti più ottimisti. La foresta li stava nascondendo bene per ora, ma non poteva essere una casa per sempre. Non dovevaesserlo. Camminarono veloci, non rapidi come sempre, ma ad un passo ben sostenuto e arrivati alla strada fecero quello che tutti avrebbero fatto: osservarono. Via libera, li avevano sentiti arrivare e se l'erano data a gambe quei maledetti.
   Quando arrivò ad aprire lo sportello si stupì di vedere quel piccolo cucciolo di donna ancora vivo, ma il suo cuore in compenso ne fu sollevato. I Dannati avevano perso il loro infallibile fiuto e avevano risparmiato una vita. O più semplicemente non avevano avuto tempo.
   La bambina, perchè di questo si trattava, se ne stava stesa con la bocchina aperta e gli occhi chiusi. Il piccolo corpicino si alzava e abbassava ad un ritmo regolare e il fiato le usciva dalla bocca in sospiri docili, ma chiari. Dormiva beata come una bambola di porcellana.
   -Lord Edwin, cosa ne facciamo di lei?-.
   Si voltò a guardare Mosheed e notò l'apprensione nei suoi occhi. Anche lui era padre e sapeva che quella piccola creatura non ne avrebbe mai più avuto uno.
   -Portiamola con noi e fino a quando non starà meglio la accudiremo-, le accarezzò i capelli. -Poi la restituiremo al suo mondo-.
   Mosheed assentì e informò gli altri uomini di tornare immediatamente indietro una volta seppelliti i resti dei due corpi umani. Lo avrebbero fatto al cimitero li vicino convincendo il guardiano che si trattavano di becchini. A mettere le lapidi ci avrebbero pensato gli umano in seguito e per le bare non c'èra problema... conoscevano gente meno meritevole che non avrebbe avuto alcun bisogno.
   Lord Edwuin prese delicatamente la bambina e la tenne stretta al suo petto per infonderle un pò di calore: la notte era buia e gelida e nonostante il corpo di un vampiro non fosse esattamente un tizzone ardente era sempre meglio dell'aria gelida di quelle ore.
   Camminò lentamente seguito a breve distanza solo da Mosheed che aveva il compito di difenderlo, gli altri invece una volta svolti i loro compiti si mossero velocemente verso l'interno della foresta. Una volta arrivati ai confini della loro terra un gruppo di donne gli venne incontro, prima fra tutte la sua mortale moglie.
   -Edwin-, esultò apprensiva, - chi è questa?-
   -I Dannati la hanno risparmiata per caso, ma hanno mangiato i suoi genitori. Quando sono arrivato purtroppo avevano già finito il pasto-
   -Maledetti-, disse lei stringendo i denti, -povera piccolina, adesso come farà?-. Non farà, penò lui.
   Il Vampiro baciò la moglie sulla fronte. -La terremo con noi solo il tempo occorrente, poi deve tornare fra i suoi simili. Con questa guerra in corso non è saggio tenerla qui, sarebbe solo cibo, sia per i Dannati, che per molti altri di noi-.
   Katia annuì prendendola in collo e portandola verso la loro botola. Sotto era stato scavato un pezzo di terra e creato un appartamento provvisorio. Da quando la lotta contro i Dannati si era fatta aspra avevano sempre cercato di stare lontani dai grandi centri abitati da umani o la loro, la suaspecie, sarebbe andata in contro ad un'estinzione certa.
   -Ike aiutami-, disse a uno dei figli mentre posava la bambina sul grande letto matrimoniale. -Prendimi una coperta pulita, dobbiamo coprire questa piccola o altrimenti si congelerà-.
   L'uomo corse verso quella che poteva definirsi un'altra camera e tornò con una grande e prosperosa stoffa calda. La donna la prese e solo dopo che la ebbe sistemata in modo tale da scaldare bene la bambina si rese conto di cosa stringesse fra le mani.
   -E' l'unico ricordo di vostra madre-.
   Ike scosse la testa, -è solo una coperta e sta facendo quello per cui è stata creata, tutto qui-.
   Katia gli scompigliò i capelli, poi lo abbracciò come se fosse un bambino e insieme si misero a osservare quella piccola figura come se non ne avessero mai vista una.
 

 

14


Emma alzò la mano come a scuola, per frasi notare. Naveen sembrava essere piombato in uno stato di coma mentre raccontava con tanta enfasi. -Ero io, immagino- chiese lei tranquilla. Qualcosa le suggeriva di non agitarsi troppo e forse era meglio così. Fare il contrario non sarebbe servito davvero a niente, se non a spaventare York e Khaled e rendersi ridicola agli occhi di Naveen.
   Lui annuì, sinceramente sorpreso dalla lucidità e fermezza della ragazza. -Si, eri tu. Ike è mio fratello e Katia era la moglie di Edwin, l'Imperatore dei Vampiri. Era molto vecchio, aveva quasi quattro secoli, ma il suo aspetto ne dimostrava soli trentadue. Io e mio fratello lo incontrammo quasi trecento anni dopo essere stati ridotti alla semi-immortalità e da allora ci prese sotto la sua ala protettiva come figli, nonostante non lo fossimo affatto. Gli volevamo davvero bene, in particolare Ike vi era molto affezionato-.
   -Che gli è successo?-.
   Naveen sospirò. Sarebbe stato davvero bello saperlo.
 

 

15
 


Subito dal primo giorno capirono che la bambina non avrebbe dato troppo nell'occhio. Era tranquilla, stava in silenzio e sembrava avere poca voglia di mettersi nei guai. La prima notte aveva dormito e così era stato per il giorno seguente e la notte successiva. Il secondo giorno poi, quando aveva aperto i piccoli occhi, Katia era restata a fissarla affascinata da tanta bellezza. Quella bambina aveva degli occhi complessi, occhi che avrebbero caratterizzato perfettamente la sua personalità quando fosse stata in grado di capire.
   Le aveva parlato cercando di dirle nel migliore dei modi che non aveva più genitori, ma la bambina non aveva risposto. Sembrava, pur rendendosi conto di quello che le stava dicendo, essere attratta da altro. Forse, aveva pensato Katia, non è il momento. O forse era tanto sensibile da capire anche lei, pur non riuscendo a dare una forma precisa a quello che percepiva, che li vivevano creature al di là della ragione e della normalità umana.
   A di là del confine della vita, ma con solo un piede nella fossa.
   Katia l'aveva accudita per quasi tutto il pomeriggio mentre Edwin e i gemelli guidavano le legioni verso il confine. Il terreno di gioco era diventato ormai familiare, ma i Dannati non erano creature da sottovalutare o rischiavano di fare una fine pessima.
   Non era riuscita a sapere il nome della bambina e in fin dei conti meglio così. Sarebbe satato più facile dirle addio quando fosse arrivato il momento. Edwin glielo aveva ripetuto appena vista, ma non c'èra stato niente da fare: si attaccava alle persone con tale facilità da soffrire il doppio in seguito. Sostenevano tutto che reagisse così perchè le mancava la sua vita umana, (e forse un fondo di verità c'èra), ma non avrebbe mai accettato comunque un'esistenza senza Ed.
   Aveva fatto la sua scelta molto tempo fa e non l'avrebbe rinnegata, nè ora nè mai.
   Quando Naveen entrò le trovò entrambe stese sul grande letto di paglia intente a guardarsi negli occhi. Sospettava che in realtà fosse Katia a guardare la bambina e che quest'ultima fosse in un certo modo costretta a fare altrettanto.
   -Papà e Ike sono di sopra. Preparano il cinghiale-.
 
 
Prendendola in collo ebbe un attacco di malinconia acuta. Gli spiaceva davvero averla drogata con dei sonniferi, in una occasione normale non lo avrebbe mai fatto, ma non poteva rischiare che si svegliasse e vedesse tutto quello. Troppo sangue era stato versato e una bambina piccola non doveva vederlo, specialmente se fragile e delicata come poteva essere una creatura umana.
   Una volta fuori si guardò in torno. Era buio pesto e non un filo di vento si alzava nell'aria. Iniziò a camminare verso quella piccola cittadina dove una volta era già stato, anche se per arrivarci era passato da tutt'altra parte. Aveva svolto delle ricerche e aveva fortunatamente scoperto che li abitavano i nonni della piccola.
   Almeno, si era detto Lord Edwin cercando di convincersi, non avrebbe dovuto passare la vita in un orfanotrofio come avevano fatto in passato Ike e Naveen.
   La luna luceva, non era piena, ma mezza e dava l'impressione di essere una grande falce venuta a riscuotere il proprio tributo di sangue e non avrebbe fatto male a farlo. Le mele marce, quelle davvero grandi e maleodoranti, si trovavano da tutte le parti, anche fra il suo popolo di Vampiri. Come imperatore aveva cercato in tutti i modi di convincere i suoi simili a uccidere quanto bastava per nutrirsi, ma soprattutto prendere sangue umano solo da persone che non meritavano di vivere risparmiando madri, padri e figli e condannando assassini e stupratori senza alcuna pietà. Molti, la maggior parte addirittura, lo aveva seguito volentieri, tanto a loro non faceva differenza, l'importante era trovare del sangue; ma altri non lo avevano ascoltato continuando a uccidere senza giustizia e nel momento in cui erano stati condannati per questo erano scappati come maledettissimi vermi dai Dannati, alleandosi con loro e aiutandoli sempre a cercare del nuovo cibo.
   I Vampiri succhiavano il sangue e i Dannati riscuotevano il resto.
   -Ed!-.
   Si voltò, non si era minimamente reso conto che sua moglie lo stava seguendo da quando aveva lasciato la foresta e questo era un evidente segno che il suo Impero non poteva più essere guidato da lui.
   -Katia che ci fai qui! Torna immediatamente da Naveen e Ike e resta con loro fino a quando non sono tornato-.
   Lei scosse la testa dolcemente e gli strinse un braccio. Edward capì allora che non se ne sarebbe andata per nessuna ragione al mondo, ma sarebbe rimasta li con lui a costo di farsi il giro del mondo a piedi.
   Camminarono, in silenzio, per quasi un'ora e mezzo, poi intravidero finalmente qualche casa e Lord Edwin individuò quella che interessava a loro.
   -Laggiù, andiamo-.
Emma si sedette a terra, poggiando la testa sulla spalla di Naveen che si era seduto sull'erba bagnata a metà del racconto. Lui la guardò preoccupatoper la prima volta da quando aveva iniziato a parlare, temeva che potesse cedere e svenire. Le mise un braccio sulle spalle e gli tenne la mano in modo tale che se allungava un pò le dita poteva accarezzarle la guancia.
   Ormai fra di loro, come per magia, si era creato una specie di rapporto infrangibile. Era come se si fossero sempre conosciuti, come due amici che non si vedono da tantissimo tempo e per caso si ritrovano al bar a guardare la partita, solo che ormai quella è passata in secondo piano perchè ora hanno da raccontarsi cosa è successo loro durante tutti quegli anni che non si sono visti.
   -Se vuoi finiamo un'altro giorno, non sei costretta ad ascoltare tutto e subito-.
   Emma lo guardò con i suoi occhi così strani e scosse la testa decisa. Voleva sapere, voleva conoscere e capire che cosa sera successo. In fondo i suoi genitori erano morti per colpa di quei cosi no? E poi era tutta la vita che aspettava qualcosa del genere, una specie di incontro del terzo tipo.
   A Naveen venne voglia di sussurrarle all'orecchio di non preoccuparsi di niente, ma tutto sommato sarebbe stata una bella bugia. Doveva preoccuparsi, lei e tutti gli abitanti della cittadina se non addirittura tutto il mondo.
Lasciarono la bambina davanti alla casa e suonarono, poi scapparono come ladri e solo quando videro che il nonno l'aveva presa e portata dentro casa tornarono su i propri passi entrambi contenti di averla restituita alla propria famiglia, ma scontenti di non poterla più rivedere.
   Per ritornare all'accampamento ci misero molto meno, non avevano il cucciolo di donna da sorvegliare e conoscevano la strada. Katia tenne la mano del marito stretta fra le sue dita, forte come se avesse paura che gli scappasse e solo quando arrivarono davanti a tutto quel disastro la lasciò per mancanza di forze.
   L'Imperatore dei Vampiri guardò quello che fino a poche ore prima era la sua casa essere ridotta a un cumolo di macerie. Less e i suoi uomini dovevano aver approfittato della sua assenza per saccheggiare quelli della loro stessa specie e adesso a lui non restava altro che guardare i suoi simili perire.
   Molti, almeno quelli che non erano stati travolti dalle loro rudimentali e improvvisate costruzioni, erano stesi a terra in un lago di sangue con un buco enorme al posto del cuore e gli occhi spalancati in segno di supplica. Persino i pochi bambini, quelli che avevano trovato lungo il loro percorso trasformati in non morti da qualcuno con un gusto perverso, erano stati uccisi e addirittura decapitati. I loro amici, le loro amiche, i loro figli, tutti uccisi.
   Katia urlò di disperazione e si precipitò dentro quella che era la loro casa. Quando tornò su aveva la disperazione negli occhi. Tremava come una bambina e si voltava in continuazione, ma ovunque guardasse non vedeva altro che morte, sangue e carne in via di decomposizione.
   -Dove sono? DOVE SONO?!-, urlò agitandosi come un malato di epilessia.
   Lord Edwin la afferrò per le spalle e la strinse al suo petto, cercando di tenerla ferma e tranquillizzarla con qualche carezza.
   -Dove sono Ed, non possono essere morti, loro no, loro non possono, vero Ed, vero?-.
   Il Vampiro non disse niente. Potevano, in realtà. Ike e Naveen erano dei Vampiri eccellenti, in gamba e molto astuti, ma non erano invincibili. Conoscendoli sapeva che avevano sicuramente cercato di aiutare i loro amici e questo implicava che si trovassero li al momento dell'attacco.
   La triste. La malefica realtà era che potevano essere morti ovunque.
   Questa volta però fu lui a interrompersi. In realtà lo fece perchè non sapeva più cosa raccontare.
   -Noi siamo vivi, loro non li abbiamo più rivisti-, lo disse semplicemente senza badare troppo al filo logico della storia, forse perchè in tutta quella non ve ne era propriamente una. Si, insomma, erano gli essere umani a volere sempre una spiegazione plausibili per tutto, non loro; loro sapevano perfettamente che di cose strane al mondo ve ne erano diverse, come i Vampiri. Quello che davvero era difficile trovare perciò era un essere umano che non si facesse troppe domande, non perchè gli fosse chiesto, ma perchè prendesse tutta quella storia per buona, la routine di tanti e tante creature che si affacciavano al mondo solo di notte.
   -E i Dannati? Sono tornati vero?-.
   Naveen la guardò con un'espressione interrogativa. Era felice che quella ragazza fosse così acuta, gli risparmiava diversi discorsi inutili, ma questo proprio non lo immaginava.
   -Come fai a saperlo?-, le chiese cercando il suo sguardo e quando lo trovò sentì qualcosa di indefinito farsi strada fra le sue budella.
   -Mia nonna oggi mi ha raccontato che una sua amica le ha detto della carcassa di un cervo, completamente ripulita come se so fossero impegnati a lucidarla...-, sospirò,-e io che credevo che la nonna fosse rincoglionita. Qui quella che non ci aveva capito niente ero io!-.
   Lui le sorrise, accarezzandola. Era felice che Emma non gli avesse ancora chiesto se tutta quella storia fosse vera o no, altrimenti avrebbe dovuto ricominciare da capo e spiegare tutto per filo e per segno.
   Non aveva messo in dubbio la sua parola e questo dal canto suo le faceva onore.
   -Less, il vampiro che guidava il gruppo ribellatosi a mio padre, si alleò con Horker, il capo dei Dannati al tempo in cui venne condannato da Edwin e fu lui a sferrare l'attacco al campo. Io e Ike eravamo stati portati via come ostaggi, ma quando Less venne a dirci che non vi era più bisogno di noi capimmo che Lord Edwin e Katia dovevano essere morti. Scappammo da li dopo aver ucciso una dozzina di uomini e solo un paio di mesi dopo scoprimmo che Horker era stato sigillato, cioè rinchiuso nella sua dimensione, da papà appena prima di morire. Ne fummo felici perchè sapevamo che i Dannati senza comandante non riescono ad uccidere e solo Horker poteva eleggere un successore, solo che era fuori combattimento e così la sua specie era condannata a sopperire-
   -E Less? Lui è un vampiro-
   -Lui si autoproclamò Imperatore dei Vampiri-. La corresse Naveen guardando all'orizzonte con gli occhi che risplendevano nel tramonto e allo stesso tempo lo rispecchiavano. -Quel bastardo è un vero e proprio dittatore e da quando abbiamo scoperto che Horker fu sigillato per un tempo finito pari a dieci anni le cose sono peggiorate. Anche Less ne era a conoscenza e ieri, quando lo scadere degli anni è finito, ha liberato il capo dei Dannati facendo si che quei pochi rimasti in vita per suo merito riavessero un comandante. Adesso ricominceranno da dove hanno lasciato, questo vuol dire che la tua cittadina è in pericolo e che, anche se mi costa ammetterlo, abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile-.
   Staccò la testa dalla sua spalla e la fece scendere sul suo petto. Per un momento si aspettò anche di sentire il battito del cuore, ma poi capì che questo non sarebbe successo. Naveen la lasciò fare, stranamente gli faceva piacere sentire il suo corpo riscaldato dal calore umano e ne approfittò per accarezzargli anche i capelli. Quella ragazza profumava di quell'odore che impari a riconoscere solo se vivi a stretto contatto con la natura, se passi le ore a cacciare nella foresta e dormi su un letto di foglie. Emma odorava di selvatico, era come se anche lei avesse passato la sua vita alla ricerca di qualcosa nelle foreste.
   -Una guerra-, sussurrò improvvisamente lasciando che l'uomo le continuasse ad accarezzare i capelli. -Una guerra fra noi e loro-.
   Chi tace acconsente, pensò lui chiudendo gli occhi e lasciando che il silenzio facesse la sua parte. In quel momento gli stava succedendo qualcosa e non voleva che quelle sensazioni lo lasciassero come avevano già fatto in passato.
   Adesso Naveen si sentiva vivo.
 
 
Tornando a casa Emma sentì l'impulso di pregare Naveen di portarla con se e non lasciarla andare in quella vecchia e fin troppo conosciuta stanza, dove avrebbe passato tutta la notte a pensare alle parole sentite e a quelle che avrebbe voluto dire, ma che aveva rinunciato a dividere con quel Vampiro che tanto l'aveva colpita.
   -A cosa pensi?-, le chiese prendendole la mano.
   Emma ebbe una fugace vertigine, poi pensò che non sarebbe stato molto bello svenirgli un'altra volta davanti. Lasciò che quelle dita e fredde le infondessero un calore misterioso, non era un caldo evidente, ma lo sentiva scendere in profondità fino a colpirle il basso ventre.
   Lo guardò stupita e gli lasciò la mano, correndo verso casa come una pazza con York che non sapeva se seguirla o aspettare che tornasse in dietro.
   Naveen si fermò e senza sapere come si trovò a guardare il cane come se lui potesse dargli una spiegazione. Non capiva cosa avesse fatto di male o se avesse realmente fatto qualcosa di sbagliato. Era perchè le aveva preso la mano? Non credeva che tutto sommato fosse per quello che era fuggita. Fino a dieci minuti prima era lei che se ne stava con la testa poggiata sul suo petto o si sbagliava? In tutti quei secoli ammetteva di non essere mai riuscito a capire le donne, ma Emma era proprio strana.
   York abbaiò guardandolo, poi si buttò a terra come a protestare.
   -E adesso che fai, mi abbandoni anche tu?-, gli disse passando lo sguardo da lui alla figura ormai lontana di Emma che era arrivata quasi i fondo alla strada. Si era fermata e sembrava aspettarlo.
   Naveen alzò le spalle e iniziò a camminare. York dopo poco lo seguì passandogli davanti e guardando anche lui la sua padrona che sembrava essere intenta a guardare verso casa mostrando loro la schiena.
   Emma non disse niente e solo quando il vampiro e il cane furono fermi vicino a lei realizzò che quella sensazione opprimente era tornata schiacciandole il petto. Comprese di essere attratta da Naveen e capì che non era nè il momento, nè il luogo adatto per farglielo presente. Anzi, con buone probabilità aveva ancora da nascere il tempo giusto per confessargli una cosa del genere.
   -Emma che ti è preso?-. Naveen l'afferrò dolcemente per le spalle e la voltò verso di se. -Se è per la mano sta tranquilla, non ti tocco più-.
   Emma sorrise e a malincuore doveva ammettere che era proprio la mano la causa di tutto, ma non per il motivo che pensava lui. Però voleva ancora essere toccata da quelle dita lunghe e fredde.
   -Cosa si fa quando si è attratti da una persona? Si scappa? Glielo si dice? Si fa finta di niente?-. Si era tradita, non riusciva a non dirglielo. Si, insomma, che c'èra di male a farlo?
   Naveen la guardò e poi scoppiò a ridere. E lui che credeva di avergli fatto paura con quel gesto così innocente! La trafisse con i verdi occhi e scosse la testa, poi con il dito indice le alzò il mento e la baciò a fior di labbra. Un istante, ecco quanto durò quel piccolo bacio, ma a Emma sembrò che fosse infinito.
   -Questo è per ricordarti chi sono, Emma. Tu non sei invaghita di me, ma della mia natura maledetta, credimi. Sono il primo vampiro che vedi, sei confusa e magari hai scambiato l'ammirazione per dei sentimenti che in realtà non ci sono...-.
   Emma gli tirò uno schiaffo. Come si era permesso di baciarla e poi venirle a dire che in realtà lei...ma lei cosa? Cosa ne sapeva lui di quello che provava? Cosa ne sapeva delle notti insonni che aveva passato a guardare la finestra sperando di trovare qualcuno come lui? Cosa capiva della bocca secca che le era venuta quando aveva visto che era lui il supplente?
   Niente, non poteva capirlo perchè non lo aveva chiesto.
   Certo, lui era un vampiro e questo spiegava quel suo fascino così magnetico e quella bellezza inquietante. Magari da umano non era neppure molto piacente, ma con quel pallore e l'aria da nobile che la natura da creatura della notte gli aveva donato era tutta un'altra cosa. Però Emma non era stata affascinata solo dai suoi occhi verdi con quella luce vampiresca: il fatto che leggesse testi in latino non faceva parte dell'essere un vampiro, ma proveniva dalla sua parte umana. Il suo modo di gesticolare, alzando e abbassando le mani erano una caratteristica che la faceva sorridere. Il modo in cui diceva le cose, forse il tono era dovuto a un abbassamento di voce che da vivo non aveva, ma come scandiva le parole e come accentuava le vocali non le aveva ereditate dall'essere un non-morto.
   Emma era invaghita di tutto Naveen, non da quello vampiro o da quello umano. Per lei ce ne era solo uno e quello apprezzava.
   -Va all'inferno Naveen. Non hai capito proprio niente di me-, disse più a se stessa che a lui, poi chiamò York e insieme tornarono a casa. Il vento aveva re iniziato ad battere forte sulle persiane di casa e fra un momento anche la pioggia lo avrebbe seguito.
   Lui la guardò andare via senza rendersi conto di quello che era veramente successo, però sentì il cuore che credeva morto da tempo dolere quando la figura di Emma scomparve dentro casa.
   Forse quella volta si era sbagliato, forse lei non era uguale a Desirè.
 
 
Le gocce d'acqua battevano violentemente sul vetro della finestra, priva della protezione della persiana che Emma aveva subito tolto. Le piaceva il rumore dell'acqua che picchiava sul vetro, la rilassava e in quel momento aveva davvero un disperato bisogno di conciliare il sonno.
   Pensare alla giornata era ovviamente all'ordine della notte e ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva Naveen e l'espressione sicura mentre le diceva che in realtà non era cotta di lui, ma della sua natura.
   -Che rabbia! Gli uomini restano uomini sempre, anche da vampiri non muovono di una virgola il loro egocentrismo!-.
   Si rigirò nel letto dalla parte del muro e fissò l'intonaco bianco sporco che teoricamente avrebbe dovuto ridipingere l'estate passata. Non era giusto, proprio non sopportava l'idea che lui non l'avesse capita. Eppure sembrava così perfetto nella sua imperfezione, aveva creduto che l'avesse capita davvero mentre elencava quelle parti di se prima quel pomeriggio alla stalla.
   Rigirò un'altra volta e finì con la faccia sul cuscino. Pensò che se si fosse uccisa magari l'avrebbe fatto sentire in colpa, ma poi non avrebbe potuto godere della sua espressione pentita. Ora che ci pensava non credeva davvero di essere così vendicativa, specialmente nei confronti di uno che aveva appena conosciuto, anche se l'aveva davvero ferita con quelle parole.
   Si alzò dal letto e andò alla scrivania. Sopra, sulla mensola, vi erano alcuno fra i testi che preferiva e se esclusi quelli di Conan Doyle rimanevano solo quelli che parlavano di Vampiri, Licantropi, Stregoni, ma niente Dannati. Dannati...non gli aveva chiesto cosa fossero perchè in realtà l'aveva visti, il giorno prima che i suoi genitori morissero aveva detto a suo padre di aver visto un'ombra strana entrare in macchina, ma lui non le aveva creduto. Però sapeva in cuor suo che quello era un Dannato, non se lo spiegava, ma ne era convinta.
   E poi ora che aveva davanti agli occhi tutti quei libri le venne anche in mente che per essere un vampiro Naveen era molto strano. Usciva alla luce del giorno tranquillamente come se quello non gli procurasse alcun danno, eppure i vampiri non temevano la luce?
   Si sedette sulla sedia sconfortata. Che Naveen l'avesse presa in giro? Non era possibile, era veramente freddo come il marmo e pallido come un cadavere e per di più aveva un udito finissimo e gli animali quando lo vedevano per la prima volta ne erano spaventati. Allora cosa aveva di diverso dai suoi simili? Perchè non temeva il sole? Non che in quei giorni ve ne fosse stato molto, ma c'èra comunque anche se nascosto dalle nuvole e in ogni caso la sua luce era forte.
   Guardò ancora i suoi testi. Per quello che aveva letto lei non c'èrano leggende che parlassero di vampiri immuni alla luce del sole, a meno che... a meno che non fossero i testi a sbagliarsi. Infondo quanti di quelli che hanno scritto sui vampiri ne hanno veramente visto uno? Chi di loro ne ha incontrato uno al parco per colpa del cane che ne ha sentito il non-odore?
   Si alzò di scatto dalla sedia, era irrequieta e arrabbiata, non riusciva a darsi delle risposte e questo la faceva imbestialire. Aprì la finestra e guardò giù, nel cortile. Le ombre delle piante sembravano diramarsi in mani e teste, per un momento ebbe il flash dell'ombra che entrava in macchina e si portava via il suo prezioso topo peloso, un peluche che le aveva regalato sua madre quando era nata.
   Pensò che in fondo c'èra qualcosa di fortemente sensato in tutto quello. Le cose accadono, nel bene e nel male, e a lei erano toccate delle brutte esperienze però le aveva esorcizzate perchè le piacevano. Amava le creature della notte, da piccola quando le sue amiche guardavano Pochaontas e Cenerentola lei si guardava X-File, loro si facevano leggere ancora le Favole e lei invece si leggeva anche capitoli interi dei libri di Stephen King. I suoi nonni si erano anche preoccupati, ma non avevano potuto farci niente. Le potevano anche togliere i libri, ma non la sua testa ed era grazie a quella se era sopravvissuta agli anni del Silenzio.
   Lei stessa scriveva di Vampiri, senza presunzione ma solo per divertimento, però lo faceva; e poi di Licantropi, Demoni, lotte sanguinolente e amori che finivano in un lago si sangue. Infondo era anche la realtà no? Mariti che uccidono le mogli perchè vogliono il divorzio, figli che massacrano i genitori, madri che infilano i loro bambini in lavatrice...solo che la gente continua a spaventarsi per i film dell'orrore e non di quello che veramente gli accade intorno semplicemente perchè gli zombie, una volta spento il televisore non li vedi più, con gli stupratori che invece violentano e uccidono i figli bisogna fare i conti sul serio.
   -Ehi scusa!-.
   Emma lasciò perdere quei pensieri così reali per seguire la voce che l'aveva chiamata e puntò gli occhi verso il cancello dell'ingresso principale. Un ragazzo alto e magro le stava sventolando una mano e le faceva segno di seguirlo.
   -Chi diamine sei?-.
   Per un attimo vide i denti bianchi guizzare nel buio; doveva aver sorriso.
   -Isaac, ma sicuramente mi conoscerai come Ike-.
   Emma alzò gli occhi al cielo e sperò solo che anche lui non avesse la cattivissima tendenza a credere di sapere tutto.
 
 
Naveen si doveva essere dimenticato di dirgli che lui e Ike erano fratelli gemelli, e per gemelli intendeva il fatto che fossero l'uno la fotocopia dell'altro e non che avessere i tratti del viso in comune. Stessa altezza, stesso fisico slanciato, stesso volto acquilino, stesso naso dritto, stesse mani lunghe e affusolate, stessi occhi, stessi capelli. L'unica differenza stava nel taglio: Ike li portava corti.
   -Non te lo aveva detto eh?-
   -Cosa?-, chiese innocentemente facendo finta di niente.
   -Che siamo gemelli. Non lo fa di proposito è che dopo due secoli inizi a smettere di dire a tutti che tu hai un gemello, sai com'è...-.
   No, in realtà non poteva saperlo per due ovvie ragioni, ma immaginò che fosse una richiesta retorica.
   -Come mai sei qui, è successo qualcosa a Naveen?-.
   Ike scosse la testa. -No, almeno è quello che mi ha detto lui quando glielo ho chiesto, ma so che mentiva. Senti...-, si sedette sul muretto che circondava la casa con le gambe incrociate, -...lo so che ti sembrerò invadente, ma devo chiedertelo: mio fratello ti piace? Cioè, almeno un pò, non parlo di amore, ma...si, insomma, hai capito...-
   -Ma non ti si secca mai la lingua?-, chiese retoricamente sorridendo nel modo più diplomatico possibile. Si appoggiò anche lei al muretto e guardò lontano, in un punto non ben definito. -Si, mi piace e glielo ho detto. Lui mi ha risposto...-
   -...che ti sbagliavi. Vero?-.
   Annuì pensando che in famiglia dovevano essere tutti dei preveggenti. -Si, esatto. Immagino che tu lo sappia perchè non è la prima volta che lo dice a una ragazza-
   -No, è la prima. Solitamente non gliene frega un fico secco delle donne, figurati se si mette a spiegarli che bla bla bla bla bla. E' solo che l'ultima volta che si è vagamente invaghito di qualcuna era un vampiro e ha avuto una spiacevole sorpresa, più il tempo passava e più lui voleva bene a lei, solo che l'amore vero andava solo in quel senso. Lei in realtà era affascinata dalla natura di Vampiro di Naveen e all'inizio era anche divertente, ma a lungo andare le cose si fecero sempre più complicare fino a quando lei non gli chiese di essere mutata; voleva diventare un vampiro e anche mio fratello si rifiutò di darle una mano per varie ragioni, allora tutta la magia finì e Naveen si trovò con un cuore morto e dolente. Quindi non prendere le parole che ti ha detto come un fatto personale, lui ha solo paura di ricadere nella solita trappola-
   -Non siamo tutte uguali a questo mondo-
   -Ne sono convinto e lo sa anche Naveen, altrimenti stasera a casa non avrebbe avuto quell'aria così desolata-.
   Emma guardò la figura del vampiro brillare alla luce del sole...-Mi togli una curiosità?-. Le era tornata in mente la questione di poco prima.
   -Sono tutto padiglioni uditivi-
   -Perchè non temete la luce del sole?-.
   Ike la guardò con l'espressione più buffa che riuscì a trovare e Emma pensò che quell'espressione doveva essere tipica di lui e che a Naveen non l'avrebbe mai vista fare. -Non abbiamo paura della luce emanata dal sole, ma di quella diretta. Finchè si tratta di starsene fuori a fare una passeggiata va bene, ma se ci esponiamo al contatto diretto del fascio solare diventiamo gelatina...Immagini la scena?-.
   Si, quello poteva farlo pensando ai film fantascentifici che parlano di alieni fatti di robaccia verde. In effetti, facendo mente locale, in quei giorni il cielo era sempre stato coperto e la luce diretta si era vista poco e in ogni caso sarebbe stata facile da evitare.
   -Adesso mi è tutto più chiaro, mi manca solo di avere la conferma su una cosa-.
   Lui annuì aspettando la domanda osservandola bene e pensando che suo fratello gliela avesse descritta piuttosto fedelmente. Era bella certo, ma a lui come gli aveva fatto notare Naveen l'ultima volta, importava davvero poco; sembrava davvero trovarsi a suo agio a parlare di vampiri e creature strane come se nella sua vita lo avesse sempre fatto e inoltre non aveva paura di loro, cosa che facilitava il tutto.
   -I Dannati sono delle specie di ombre?-.
   Assentì debolmente. -In un certo senso. Vediamo...tu hai un'ombra giusto? Immagina che succedesse se i vostri compiti si scambiassero e fosse l'ombra a guidare e il tuo corpo divenisse una semplice conseguenza delle sue azioni. Lei si muoverebbe senza intoppi perchè non è solida e in più avrebbe un corpo umano a difenderla e ad agire sotto i suoi ordini-
   -E loro fanno questo-
   -Esatto. Si muovono in branco e attaccano chiunque senza distinzioni, mangiano corpi umani lasciandone solo le ossa e possono anche uccidere noi vampiri, solo che non ci possono mangiare dato che il nostro corpo è saporito come quello di un cadavere-.
   Emma fece una smorfia, ma poi vedendo l'espressione aparentemente seria di Ike scoppiò a ridere. Lui la seguì a ruota con una risata piuttosto stridula e sicuramente inconfondibile, probabilmente nata nel momento in cui era diventato un vampiro.
   -Ike, come si chiamava?-.
   Lui la guardò un'attimo confuso, poi capì e abbassò lo sguardo. Pronunciare quel nome gli faceva ricordare uno dei periodi più brutti della vita di suo fratello, ma faceva parte del gioco delle cose. -Desirè-
   -Ed è ancora viva?-
   -Intendi dire se poi diventò o no un vampiro?-.
   Emma annuì, intendeva proprio quello.
   -Si, ma non grazie a mio fratello. Lo chiese ad un nostro collega...che venga maledetto...e da quel giorno ce la troviamo puntualmente fra i piedi un paio di volte all'anno. E' una specie di incubo dentro l'incubo...-.
   Risero di nuovo e questa volta per poco Ike non cadde dal muretto per essersi sporto troppo.
   Emma dovette ammettere che non se l'era immaginata così la sua più grande avventura e che la realtà in quel caso era molto meglio. Aveva avuto l'impressione di conoscere da sempre anche Ike, solo che con lui si sentiva meno tesa, forse perchè non lo vedeva affascinante come Naveen. In compenso però a lui non mancava il senso dell'umorismo e in quanto a quello lei era un'esperta: finalmente aveva trovato qualcuno che capisse le sua battute amare e che ne sapesse fare di altrettanto agghiaccianti.
   Ike guardò il cielo e sospirò profondamente. La luna splendeva fiera con tutte le stelle che l'ammiravano e persino il tempo sembrava fermarsi se si incantava a guardarla. Il telo nero della notte era familiare a un vampiro, ma era da tanto tempo che non condivideva la bellezza della notte con qualcuno che non fosse un suo simile. L'ultima volta era stato quando Katia era ancora in vita e l'aveva accompagnato a prendere l'acqua al fiume per abbeverare le poche bestie che avevano per nutrirsi nei tempi di magra. Non ricordava le sue parole precise, ma era sicuro che avevano a che vedere con Edwin e con il fatto che amasse la notte perchè era stata lei a donarglielo.
   Belle parole per un destino così crudele.
   -Devo andare-, disse improvvisamente rendendosi conto che l'alba stava per tramontare e lui ancora non aveva mangiato assolutamente niente. -C'è qualche animale particolarmente fastidioso che ti piacerebbe fare fuori?-.
   Emma guardò impassibile quel volto così fintamente angelico e scosse la testa. -No, se escludiamo i miei compagni di scuola-
   -Posso sempre fare un salutino da loro, non ci sono problemi-
   -Magari un giorno volentieri, per ora lasciali riposare con i loro sogni erotici-.
   Ike trattenne una risata serpentina. Emma non aveva peli sulla lingua e decisamente non si faceva scrupoli a dire la verità. Questo gli piaceva molto, così non avrebbe rischiato di incombere in malintesi.
   -Allora ci vediamo-, disse lei mentre Ike iniziava a camminare verso la parte incolta delle giardino che confinava con l'inizio della foresta.
   -Molto prima di quanto pensi Emma-, rispose lui facendole l'occhiolino per poi tornare a guardare i grandi e immensi alberi che davano riparo alla sua colazione.
 

 

Angolo Autrice:
 

Grazie dei commenti! Con questo finisce la prima parte, ma ce e sono altre due! Ditemi che ve ne pare... e se per adesso ci sono elementi che non tornano, o qualcosa che voi avreste modificato... ^^
 

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