Helter Skelter.

di Adrienne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo + Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciotto + Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo + Capitolo Uno ***


Helter Skelter

Helter Skelter

 

 

 

 

 

When I get to the bottom

I go back to the top of the slide

Where I stop and turn

and I go for a ride

‘Till I get to the bottom and I see you again

Yeah, yeah, yeah

Do you don't you want me to love you

I'm coming down fast but I'm miles above you

Tell me tell me come on tell me the answer

and you may be a lover but you ain't no dancer!

 

Go helter skelter

helter skelter

helter skelter

Yeah, hu, hu

I will you won't you want me to make you

I'm coming down fast but don't let me break you

Tell me tell me tell me the answer

You may be a lover but you ain't no dancer!

 

Look out

Helter skelter

helter skelter

helter skelter

Yeah, hu, hu

Look out cause here she comes

 

Helter Skelter

She's coming down fast,

Yes she is

Yes she is

coming down fast!

The Beatles - Helter Skelter

 

 

 

 

 

Prologo.



“Sei irriconoscibile.”
“Lo so. Tu non poi così tanto, alla fin fine.”
Non rispose, rimase a guardarmi. Eravamo pericolosamente vicini.
“Spegni quella sigaretta, maledizione.”
“Lo farò solo per un ottimo motivo.”
“Un bacio?”
Ci avvicinammo, come se fossimo due poli opposti che si attraevano, in maniera ormai indivisibile.



Capitolo uno.

Era una sera calda ed afosa. Non ricordo, che giorno era? E il mese? Non era quello l'importante.
Era estate, e tutto il resto era superfluo.
Era una di quelle sere abbastanza normali, tipicamente estive. L'aria odorava di Lucky Strike e pizzicava il naso, ma dopo tutto quel tempo, mi ero abituata all'odore delle sigarette. Qualche nota vagava nell'aria, uscendo da casse armoniche di chitarre perfettamente accordate. Risate spensierate, giovanili.
Le giovani bocche delle ragazze erano incorniciate in maniera minuziosa da lucidi trasparenti, fruttati, o colorati. Esse si alzavano e passeggiavano, lasciando dietro di loro una scia di profumo.
Vestiti leggeri che venivano indossati, magliette scollate, a maniche corte, fantasie simpatiche, colori sgargianti, infradito ai piedi.
Le lucciole notturne cantavano nell'aria, come se facessero parte di una piccola orchestra.
Mani che si rincorrevano, corpi stretti in abbracci, bocche che si cercavano.
Era tutto perfetto, di una perfezione inimmaginabile.
Era così, quella estate, ed io la stavo passando insieme a lui. Lui, il mio migliore amico, il mio ragazzo. Faceva un certo effetto pronunciare quella frase, per me, nonostante fosse già passato parecchio tempo, da quando c'eravamo messi assieme. Forse non avrei mai saputo abituarmi, nonostante tutto.
Eravamo ad una festa, in un grazioso villino di campagna. C'erano tanti nostri amici, e c'era odore di libertà, di divertimento; persino le risate sembravano avere un odore. Ero felice. Erano stati mesi di una felicità pura, intensa...
Eravamo fidanzati, e ci baciavamo. Bevevamo dallo stesso bicchiere, e ridevamo assieme per qualche battuta di un ragazzo lì vicino, un nostro amico. Lui teneva un braccio attorno alla mia vita, e io ero appoggiata alla sua spalla. Respiravo il profumo che proveniva dalla sua maglietta blu a maniche corte, e mi nascondevo fra l'incavo del suo collo e della sua spalla. Ridevo, gli facevo il solletico con i miei capelli, e rideva anche lui. Cercavo i suoi occhi e li trovavo sempre lì, a restituirmi lo sguardo, come avevano fatto ogni giorno in tutti quei mesi. Guardando quegli occhi, avevo la convinzione che tutto quello sarebbe durato per sempre.
Che stupida.
Era quasi mezzanotte, il che significava che presto sarebbe scattato il mio coprifuoco. Era incredibile come il tempo passasse velocemente quando ero con lui; era incredibile come mi sentissi bene con lui al mio fianco.
“Facciamo una passeggiata. Devo parlarti, ti va?” mi sussurrò lui all’improvviso all’orecchio.
“Okay.” Non era un buon inizio.
Ci alzammo. Allungai un braccio verso di lui, per indicargli di prendermi la mano, ma non lo fece. Ci rimasi male, mentre sentivo il cuore che tamburellava impazzito. Conoscevo quel modo di fare. Non poteva essere... No.
Ci allontanammo
dagli altri. Lui camminava davanti a me con le mani sprofondate nelle tasche, e io potevo vedergli solamente le spalle. Calciò sulla terra più volte, e poi parlò, non voltandosi.
“Dobbiamo lasciarci.”
Quella frase suonò come una fucilata dentro la mia testa. Rimasi in silenzio e me la ripetei più volte in testa, molto lentamente, come se volessi convincermene, per metabolizzare il significato di quelle due parole assieme. Come se volessi assicurarmi che non stavo sognando, ma che era tutto terribilmente vero.
Dobbiamo lasciarci, dobbiamo lasciarci...
“E' uno scherzo. mormorai.
Non rispose, soltanto abbassò lo sguardo.
Gli andai incontro, e mi misi di fronte a lui, cercando di guardarlo negli occhi. Almeno questo, me lo doveva; ma anch’io avevo paura di guardarlo negli occhi e non ritrovare più quella sicurezza, quella convinzione. Sarebbe stato sicuramente così, e allora avrebbe significato che era davvero la fine.
“Ti prego, dimmi che è uno scherzo!” esclamai.
Continuò a non rispondere. Si morse le labbra, i capelli gli coprivano gli occhi, quindi mi era impossibile intercettare il suo sguardo.
“Perché... perché? Perché vuoi farmi sempre così male? Non ti è già bastato? Dio, Alex...” cominciai a dire.
“Lo sai anche tu, Adrienne. Presto, e inevitabilmente, ci saremmo divisi comunque. Lo sai.. prenderemo strade diverse, fra un po' di tempo. Mi pareva che ne avessimo già parlato.”
“Ma... Come? Non dovevamo rimanere insieme? E anche se ci fosse stata della lontananza, questo non poteva tenerci ancora più uniti? Non avevi detto questo, o l'ho solamente immaginato?”
“L'ho detto credendoci, Adrienne, ma... Ho capito che... No, non è così. Per questo è meglio finirla qui.”
Io e Alex avevamo parlato del futuro, sempre. Lui voleva diventare un musicista, io scrittrice. Chiaramente, il luogo dove abitavamo non offriva alcun tipo di possibilità: dovevamo necessariamente cambiare e trasferirci. Ne avevamo sempre parlato, però, immaginandoci assieme. Rare volte avevamo pensato di dividerci alla ricerca di un futuro migliore; ma avevamo sempre scartato la possibilità, perché nessuno poteva vivere senza l'altro. E dicevamo che se mai il corso delle cose ci avrebbe costretti, saremmo stati più uniti che mai.
Adesso invece sembrava che Alex avesse scelto una strada diversa dalla mia.
“Io.. Io..”
Non sapevo cosa dire. Rimasi senza parole, fissandolo, con un groppo in gola.
“Non so se riuscirei a stare lontano da te, e a non vederti per molto tempo. Per questo è meglio separarci ora: forse... sarà meno doloroso. Sarai pur sempre la mia migliore amica. disse lentamente.
Feci una lunga pausa, e stringendo gli occhi, scossi lentamente la testa. “Ma che cosa dici? Ma che discorsi mi fai? Come se non lo sapessi... Io ti amo, Alex, ti amo da morire, cazzo, e... credi che la tua amicizia mi basti?”
“Lo so, maledizione, lo so!”
“E allora?”
“E allora, se mi ami quanto dici... ti supplico, credimi. Non mi fare sentire più in colpa di quanto non mi senta già. Perché non vuoi accettare quel che ti dico? Ti chiedo solo questo. Di accettarlo... Non di capire. ”
Ci fu una lunga pausa.
“Non finisce mai bene, con te. Cos'è, una maledizione?” dissi ancora, ignorandolo.
Rimase in silenzio.
”Eh, Alex? Guardami, accidenti!” esclamai a voce stridula, perdendo la pazienza.
Rialzò lo sguardo su di me, di scatto. La vista improvvisa dei suoi occhi mi spaventò. Non c'era più niente, lì dentro.
“Noi ci rivedremo
. E potremmo stare ancora assieme.” disse lui.
“Non ci credo. Non posso crederci. Come faccio a crederti ancora?”
“Vuoi dire che non ti fidi più di me, Adrienne?”
“Non è questo, ma... Mi fai troppo male... Ogni volta.”
Strinse gli occhi, e sospirò.
“Non mi vedrai per un po'. Ho bisogno di partire... Di staccare la spina. Sono stanco di stare qui, di tutto questo, di questa città, di vivere con i miei...”
“Sei stanco anche di me?” chiesi a bruciapelo.
Alex non rispose. “E’ tutto troppo confuso. Quando ci rivedremo, sarà diverso. Proverò... proverò a spiegarti. Quando ci rivedremo, sarà tutto come prima. Anzi, no... Sarà migliore.”
“Promettimelo.”
Non gli credevo, per niente. Aveva detto “quando” invece di “se”, ma ero troppo debole e delusa per credergli davvero. Non riuscivo neanche a sforzarmi.
Ma lo amavo, e questo bastava per annullare tutto.
Si avvicinò, e mi parlò all'orecchio. “Te lo prometto.”
Non era più mio. Era una pausa di riflessione? Una pausa-e-basta? Boh.
Lo abbracciai e lo baciai, stringendolo forte a me. Ricacciai indietro le lacrime. Non potevo crederci, non poteva essere, non avrei sopportato un altro addio.
Mi lasciò andare e scostandomi i capelli dal viso, mi sussurrò ancora all'orecchio. “Io ti amo, Adrienne. Ti amo. Fa qualsiasi cosa, odiami pure, pensa che io sia uno stronzo fallito – e forse è così. Ma ti prego, ti prego, aspettami.”
Ti aspetterò, lo prometto, non me ne andrò. Dai Alex, ti prego, ancora un abbraccio, ancora un bacio, prima che tu vada via.

 





Buonasera.
Due anni fa pubblicai "Ovunque", e non avrei mai pensato, due anni dopo, di pubblicare il tanto acclamato seguito.
Beh che dire gente... Enjoy it, spero di ritrovare le vecchie persone che hanno seguito la mia storia. Dovreste essere curiose.
Please, leggete anche le mie altre storie originali:
- "But I'll be with you 'til the end" con AllegraRagazzaMorta
- "Quello che non c'è" con Aika_chan
Grazie a tutti =)

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Buongiorno ragazzi/e! Sono finalmente iniziate le vacanze Pasquali, ma oggi mi sono alzata presto (sono le 8 del mattino) perché ho un mucchio di cose da fare, tra cui aggiornare questa storia. Probabilmente più avanti aggiornerò con meno frequenza, ma ci tenevo a farvi leggere il secondo capitolo adesso, anche perché domani pomeriggio partirò con la mia famiglia e ritornerò lunedì pomeriggio (quindi avrete tutto il tempo di scrivermi recensioni come si deve, capito?? XD).
Sono stata davvero soddisfatta di tutte le recensioni, i seguiti e i preferiti che ho avuto. Ho avvisato alcuni utenti che avevano seguito "Ovunque" con delle email, e in alcuni casi ha funzionato, in altri no. Spero che prima o poi tutti se ne accorgano =) Intanto ringrazio voi di tutto cuore (le risposte alle recensioni a fine capitolo). Per me questa storia è molto importante e spero sia lo stesso per voi.
Passiamo al CAPITOLO DUE.
Faccio una premessa; consiglio di leggere questo capitolo ascoltando una canzone (che potete benissimo trovare su YouTube), che è "We Three" di Patti Smith. Oltre ad essere praticamente PERFETTA per l'atmosfera di questo capitolo, è anche la canzone che viene riportata in corsivo durante la narrazione. Okay? Alzate il volume, e andate un po' più giù. Buona lettura!





Capitolo due

Capitolo due.







*


Vietato fumare.
Cominciai a vedere questa scritta dappertutto. Mi perseguitava, incombeva su di me come un'ombra.
Era ancora un'altra sera estiva, molto più calda, bevevo un Rossini e i jeans neri facevano terribilmente contrasto con le Converse giallo evidenziatore.

Every Sunday I will go down to the bar
and leave him the guitar.

I pensieri si accavallavano nella mia mente, dentro quel locale dall'aria viziata. Lo spazio mi sembrava troppo piccolo, anche dalla sedia di vimini su cui ero comodamente seduta. Le pareti mi opprimevano. Mi arricciavo i capelli fra le dita con una mano, mentre l'altra era appoggiata sulla mia gamba. Attorno a me erano sedute altre persone, coinvolte da discorsi che mi sembravano tanto stupidi. Quelle persone erano lontane mille miglia da me, o almeno così sembrava.

You said when you were with me that nothing made you high.
We drank all night together and you began to cry so recklessly.


Li osservai, attratta dai loro movimenti. Parlavano sottovoce come se si stessero rivelando un segreto, in una lingua che quasi mi sembrava sconosciuta; facevano dei gesti così affascinanti, tutti quanti, che sospettai appartenessero allo stesso gruppo, ad una stessa setta. O forse, era solo la luce violetta che proveniva dalla lampada appoggiata al tavolino, che faceva quest'effetto.

Baby, please, don't take my hope away from me.

Osservai un ragazzo con i capelli color corvino, fulminati da una striscia di tintura per capelli di un rosso sangue, proprio in mezzo alla testa. Si passava una mano fra i capelli, evidentemente orgoglioso di stesso. Lo guardai mentre usciva dalla tasca un accendino e un pacchetto di sigarette, delle Marlboro. Si mise una sigaretta fra le labbra, prese l'accendino e, riparando la fiammella con una mano, fece il primo tiro.

Oh, the way that I see him is the way I see myself.
So please stand back now and let time tell you.

Guardai come incantata le nuvolette di fumo che uscivano dalla sua bocca mentre parlava con gli altri. Quel gesto, così semplice, fatto in una maniera così fluida e perfetta, poteva ricordarmi solo una persona.
Lo sguardo del ragazzo incrociò il mio. Lo stavo fissando da cinque minuti buoni, del resto. Lo vidi sorridere, e prese la sigaretta fra l'indice e il medio, per poter parlare liberamente, guardandomi.
“Guarda che se volevi una sigaretta, bastava chiedere.” disse.
Scoppiai a ridere quasi automaticamente per quell'equivoco.
“Non fumo. Anzi, non ho mai fumato.”
Il ragazzo alzò un sopracciglio e fece una lunga pausa, sospirando profondamente dalla sigaretta, per poi rilasciare il fumo in aria.
“Non ti piacerebbe provare?”
Mi parve di cogliere una punta di disprezzo, in quella domanda. In ogni caso, mi colpì profondamente.
Il mio sguardo scivolò su quel cartello attaccato alla parete davanti a noi. Vietato fumare, lessi. Eppure quel ragazzo lo stava facendo. E poi, chi può dire cosa o cosa non è vietato fare? Dopo una specie di riflessione, tornare a guardare il ragazzo che ancora mi fissava, in attesa di una mia risposta. Così, dalla mia bocca ne uscì soltanto un unico monosillabo.
“Sì.”
L'espressione del ragazzo non mutò. Sospirò, dopo di che prese la sigaretta e me la porse.
“Attenta a non strozzarti. disse, con un sorrisetto che - oserei dire - era bastardo, e per niente incoraggiante.
Appoggiai il flute del mio cocktail sul tavolino di fronte a me, e presi la sigaretta fra due dita. La guardai non facendo nulla per qualche secondo, e un po' di cenere mi cadde sui jeans. La buttai immediatamente a terra spingendola con una mano, e deglutendo, avvicinai la sigaretta alle labbra.
Non appena me la trovai in bocca, feci un sospiro profondo, e sentii qualcosa di caldo ed amaro finirmi in gola... per poi andarmi immediatamente di traverso.
Tossii, mentre sentii gli occhi riempirsi di lacrime.

It was just another Saturday
and ev'rything was in the key of A.
And I lit a cigarette for your brother.

Il ragazzo si allungò verso di me e mi batté un palmo della mano sulle spalle, riprendendosi la sigaretta, come se niente fosse successo.
“La prima volta è sempre così.”
Ci misi un po' per riprendermi e non sapevo come togliermi quel saporaccio amaro dalla bocca. Sospirai, sentendomi la gola arsa, e l'odore di sigaretta addosso, specialmente sulla mano con cui l'avevo tenuta. Il ragazzo, finalmente, mi rivolse un vero sorriso, cercando di rassicurarmi, pensai. Mi offrì persino una gomma da masticare, che in parte mi tolse quel sapore dalla bocca.
Fu una serata che non dimenticai così facilmente.
Da allora cominciai ad amare le sigarette. No, forse, ancora prima di allora, prima di provare. Forse cominciai ad amarle quando lessi dappertutto quella scritta: vietato fumare. Era una provocazione, una sfida che mi veniva lanciata. Era vietato, e forse, proprio per questo, valeva la pena provare.
Non riuscii più a farne a meno. Mi servivano. Colmavo quel grande vuoto che avevo ancora dentro: era un vera e propria lacerazione, profonda, lasciata da qualcuno che se n'era andato, e non era ancora ritornato.
Ma lo aspettavo, glielo avevo promesso. E riuscivo finalmente a capire ciò che provava, quando si ritrovava una sigaretta fra le labbra. Riuscivo a capire perché gli piacesse.
E in questo modo mi sembrava di sentirlo così vicino a me...

Every night on sep'rate stars, before we go to sleep, we pray so breathlessly.
Baby, please, don't take my hope away from me.

 






Ecco! Un capitolo di "passaggio", ma che cavolo sta combinando Adrienne?! Beh, sapeste... Anche il capitolo tre sarà un capitolo di passaggio, ma dal capitolo quattro in poi le cose inizieranno parecchio a muoversi. Stay tuned!
Adesso passiamo alle recensioni (BEN DIECI! *_*).

giulietta_cullen: Ciao, rieccoci! Vi voglio ringraziare perché hai sempre recensito, e mi faceva molto piacere leggere tutti i tuoi commenti. Hai ragione, ho voluto subito dare una "scrollata" alla storia, per far traumatizzare il lettore già al primo capitolo XD Per Alex... Beh, sappiamo tutti com'è fatto, vedremo in seguito, nei prossimi capitoli, come dici tu (: A presto!
Kit L Hawthorn: La penso esattamente come te, che il lieto fine è più bello dopo tante sofferenze (basta guardare Ovunque XD). Le mie storie, infatti, finiscono sempre con un happy-ending (sono terribilmente romantica e non mi piacciono i finali tristi, sembrano lasciare le cose a metà. Però, chissà...). Grazie per aver commentato! *_*
Rori_XY: Sì, iniziamo male, e abbiamo continuato ancora peggio... XD Ne abbiamo parlato già un po' su msn, spero che continuerai a commentare man mano =)
Emily Doyle: MA GRAZIE A TE! Sei davvero gentilissima. Spero di non deluderti neanche con Helter Skelter.
Alebluerose91: Anche con te ne abbiamo già parlato abbastanza su msn... Non posso far altro che ringraziarti ancora una volta! :*
Aislinn_05: Grazie a te per essere venuta qui a commentare. Come ho già detto il secondo capitolo è un po' di passaggio, ma non posso rivelare nient'altro. Più tardi, si capirà dove siamo finiti, parlando di tempo, ovviamente (: Sorpresa!
AllegraRagazzaMorta: Uhauhauha Federica ti voglio bene, ma come ho già detto a te E COME DICO A TUTTI, un ipotetico ritorno di Eric non è assolutamente contemplato, nella mia storia. Né tantomento un ritorno di Melissa. Sballerebbe tutti i miei piani, giuro XD Alex è il tipico "bello stronzo", quindi piace a tutti, o quasi XD C'è chi lo odia! Vabbè mia cara, continua a recensire se no ti ammazzo <3
3things: Ciao! Non credo che tu abbia mai commentato Ovunque prima, ma ti giuro che eri la prima della lista dei seguiti, con il tuo nick =P Spero che riuscirai a metterti "a passo" e a seguirmi constantemente, ma ti avviso già da ora che fra qualche capitolo, le cose verranno spiegate per bene con una specie di "sunto". Non dico nient'altro!
Nana_vampiro: MACCIAO!! Mi ha fatto troppo ridere il tuo commento, in senso buono però XD Mi sembravi così felice di questa storia, perché sei affezionata ad Ovunque, e a me fa un piacere immenso, davvero *-* Quindi grazie! Alex è stato sicuramente gentile nei confronti di Adrienne per alcuni versi... Per altri, non è mai riuscito a comportarsi totalmente bene. In fondo l'ha fatta soffrire molto, non trovi? E l'amore non è amore se non fa soffrire un po'. Io la penso così =) Detto questo, ti ringrazio ancora, a presto!

Ok gente le recensioni sono finite :D Tra l'altro ho notato che molti mi hanno scritto che il mio stile è migliorato O_O Ma davvero? Io non me ne rendo conto... Boh! Vabbè dai ora me ne vado... Spero di trovare un bel numero di pareri, sia postivi MaCheBelloQuestoCapitoloooo!, sia negativi MaCheCavoloStaiFacendoFaiSchifooooo, ok? Ciaooooooooo :D

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Salve gente.
Mi ritrovo qui ad aggiornare. Purtroppo questa volta mi sentirete triste e depressa, poiché mi sono successe alcune cose che mi hanno reso di cattivo umore. Infatti non mi dilungherò molto nel commento o nelle recensioni, scusatemi davvero, ma non ne ho voglia. Mi farò perdonare prossimamente.
Anche questo è un capitolo di "passaggio", il testo in corsivo appartiene ad una splendida canzone, Time dei Pink Floyd. Spero che anche questo capitolo vi piaccia, e RINGRAZIO tutte/i. Continuate a seguirmi e a recensire (:




Capitolo tre

Capitolo tre.







I mesi passarono. Ecco, forse una delle tante cose che mi era sfuggita di mano era questa: il tempo. Tic toc tic toc. Le lancette sottili si muovevano e mi prendevano in giro, mi facevano la linguaccia; mi uccidevano in maniera molto lenta, ogni mattina. Mi alzavo dal letto e mi chiedevo che giorno fosse; e con un gesto ormai automatico, mi ostinavo a mettere una crocetta sul calendario, sul giorno appena trascorso.

Tired of lying in the sunshine, staying home to watch the rain
And you are young and life is long and there is time to kill today.


Era una specie di promessa, era un rito che avevo fatto a me stessa: Sbarravo con una crocetta d'inchiostro rosso quelle caselline con dentro un numero blu, come se fossi in attesa di qualche giorno importante, che aspettavo con ansia. In realtà quel giorno non c'era. No, forse c'era: il giorno in cui avrei smesso di sbarrare le caselline del calendario.
Quarantuno giorni senza Alex.
Quarantatré.
Quarantatré giorni e tre ore
.
Tre ore e cinquantasei minuti.
Sei secondi, sette, otto, nove...
Cinquanta giorni.
Quanto avrei dovuto aspettare ancora?
Mi sembrò di tornare indietro nel tempo. In fondo, cos'era cambiato? Lui non c'era, e non avevo tra le mani neanche un perché. No, la verità era che non c'era un motivo plausibile. Di nuovo. Perché il motivo per cui mi aveva lasciata, era del tutto incomprensibile, non riuscivo ad accettarlo.
Non potevo.
Eppure soffrivo.



Ticking away the moments that make up a dull day
Fritter and waste the hours in an offhand way
Kicking around on a piece of ground in your home town
Waiting for someone or something to show you the way



I primi mesi furono terribili.
Passavo i giorni a controllare il mio cellulare, nella speranza di trovare anche una sua sola presenza, un segno, un 'Adrienne, sono qui, per te, sono tornato.' Io non lo cercavo, perché non volevo risultare assillante: aveva detto che sarebbe ritornato, no? Volevo credergli, almeno un po'. Rimanevo a fissare il soffitto per gran parte dei miei sconsolati pomeriggi, e ricordavo. E poi, ritornavo a letto, la sera, molto spesso in lacrime. Tutti i giorni. Era straziante, e capii di starmi lasciando andare, proprio come la prima volta. Capii di star commettendo ancora lo stesso stupido errore, e infine – dopo un po' di tempo, dopo che stavo iniziando a stufarmi, io stessa - capii di dover reagire, volente o nolente.

And you run and you run to catch up with the sun, but it's sinking
Racing around to come up behind you again
The sun is the same in a relative way, but you're older
Shorter of breath and one day closer to death


I primi mesi senza di lui passarono, ed improvvisamente mi risvegliai dal mio lungo sonno e capii di dover cambiare.
Già, cambiare; e cambiai in una maniera così radicale che anche io, guardandomi allo specchio, stentai a riconoscermi. I miei capelli ricci, lunghi a metà schiena, subirono un taglio netto, arrivando quasi a sfiorare le spalle. Volevo dare un taglio al passato?Era così. I capelli che a lui piacevano tanto, non c’erano più. Lui non c'era più.
E, cosa più grave, diventarono lisci, lisci come l'olio. Quel taglio mi rendeva totalmente diversa, mi faceva risaltare gli occhi verdi e gli zigomi. Non mi piacevo, ma evidentemente piacevo agli altri.
Finii fra le braccia di tanti ragazzi. Ne conobbi tanti: ragazzi incontrati a delle feste, o cominciai a frequentarmi con i conoscenti di mio fratello. Attaccavo bottone con loro, uno alla volta, e dopo qualche tempo di conoscenza li abbracciavo e li baciavo, per poi scomparire poco dopo, affermando che non era la persona che stavo cercando.
Effettivamente, no, non lo era nessuno di loro.

The time is gone,

Non lo facevo solo perché volevo divertirmi, o perché volevo illudere la gente, o perché ero stanca di soffrire e volevo che qualcun'altro soffrisse per causa mia. No, il motivo era ben altro. Volevo trovare un po' di lui in qualcun altro.
Volevo trovare qualcosa che mi ricordasse il suo splendido modo di baciarmi, che ricordasse anche solo in minima parte quei brividi sulla schiena quando solo mi sorrideva, quando mi abbracciava.

The song is over,

Neanche a dirlo, ma mi sembrò di fallire miseramente ogni singola volta: non riuscii a trovare anche solo una pallida imitazione di lui nessun altro, e questo mi faceva impazzire. Avevo paura di scordarmi come fosse bello averlo solamente per me, e quanto fossero uniche le sensazioni che riusciva a regalarmi, anche con uno sguardo solo. Sì, temevo di dimenticarmi tutto quello che avevo passato in quel pezzettino di vita assieme a lui. E faceva male, eccome se lo faceva.
Baciando gli altri ragazzi mi sentivo colpevole, sporca, traditrice. Stavo male e desideravo abbracciare lui, anche solo per un attimo, piuttosto che tutti quei ragazzi che - alla fine - erano solo degli sconosciuti.

thought I'd something more to say.

Presi a fumare. Fumavo decine di sigarette, ormai regolarmente. Non riuscivo più a smettere. Era come un lento e consapevole suicidio: Sai che più lo fai e più ti fa del male, ma non vuoi e non puoi smettere perché ti fa del bene, o almeno così ti sembra. In effetti, mi rilassava. Riusciva a trasmettermi molta pace interiore, in un certo senso. Ma durava per una sola sigaretta: è squisita e lascia insoddisfatti, scriveva Oscar Wilde.
In realtà non so bene perché lo facessi. Dopo quella prima sigaretta, nel locale con il ragazzo striato di rosso, avevo preso il vizio. Forse, lo facevo perché avrei voluto tanto che lui ritornasse presto. Mi sarebbe piaciuto che mi avesse trovato quella sigaretta fra le labbra, e che finalmente avesse capito fino a che punto ero arrivata... Per la noia. Per... L'assenza. Il vuoto.

Far away across the field
The tolling of the iron bell


M'immaginavo già la scena, la gustavo, e ogni volta la vedevo nella mia testa con dettagli sempre più diversi. Lui che mi guardava con quegli occhi nocciola, con quello sguardo pieno di dispiacere e rimprovero che solo lui sapeva fare. Mi avrebbe tolto la sigaretta dalle labbra e mi avrebbe urlato contro, arrabbiandosi. Io avrei ribattuto che non poteva rimproverarmi per qualcosa che faceva anche lui, e avremmo finito col litigare, per poi fare pace poco dopo. Come sempre.
Mi mancava, e mi dannavo perché non riuscivo a capire il motivo per il quale se ne fosse andato così. Mi lasciava sempre in asso, senza spiegazioni, ed io ero sicuramente triste, ma anche arrabbiata con lui per questo.
Le lancette scorrevano e le croci aumentavano, e nella mia mente s'insinuavano domande che - lo sapevo - non avrei mai dovuto farmi.
E, se quando fosse ritornato, sarei stata io a volermene andare?
Oh, ma forse era impossibile.

Calls the faithful to their knees
To hear the softly spoken magic spells.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Salve gente! =D Scusate il ritardo, ma ho avuto parecchio da fare (la scuola uccide, lo sapete, no?) e, a dirla tutta, aspettavo altre recensioni che, però, non sono arrivate. Pazienza, io aggiorno lo stesso!
Se gli altri capitoli sono stati "di passaggio", in questo capitolo, invece, la storia entra completamente nel vivo. Le cose cominciano ad essere più chiare e, dai, sfido a trovare qualcuno che se lo aspettava...
A fine del capitolo, i commenti alla recensioni. Ah, dimenticavo! La canzone citata in questo capitolo (forse lo farò per tutti, non ne sono sicura!) è Message in a Bottle dei Police. Spero vi piaccia!
P.s.: ho cambiato la scrittua perché quella mi faceva diventare ORBA.



Capitolo quattro

Capitolo quattro.

Il rumore di un camion mi svegliò improvvisamente. Era una giornata soleggiata: nonostante fosse presto, la luce solare filtrava attraverso le tende. Si prospettava una giornata come le altre, una giornata da vivere tranquillamente. Nota a me stessa: ricordati di comprare una vaschetta d'uova per le omelette. Sono finite. Okay? L'ultima volta le hai scordate. Okay. Ah, e anche il pan carré. Con le omelette in mezzo, è ottimo. Adesso alzati.
Mi alzai dal letto. Mi grattai la testa, mi stiracchiai velocemente. Afferrai il cellulare sul comodino, e disattivai la sveglia, poiché mi ero svegliata prima che suonasse. Mancavano solo dieci minuti al suo suono: non aveva senso riaddormentarsi, avrei potuto fare le cose con più calma, approfittandone.
Mi avvicinai al calendario appeso sul muro e sbarrai un'altra casella con la penna rossa posata anch'essa sul comodino. Feci una smorfia.
Ciabattando piombai in cucina. Quella mattina avevo voglia di una bella tazza di latte e qualche biscotto. Alzai le tapparelle: la stanza si illuminò.
Ero rilassata, non avevo particolarmente sonno. Era di una quelle giornate positive, in cui ti alzi dal letto col piede giusto e vuoi fare tutto bene per il resto della giornata, vuoi che niente te la rovini.
Decisi di preparare il latte.

I'll send an S.O.S. to the world
I hope that someone gets my

Message in a bottle

Mentre il latte era sui fornelli, sgranocchiando qualche biscotto con gocce di cioccolato, accesi la televisione e ascoltai il telegiornale del mattino. Nella casa, come sempre, regnava un grande silenzio, che mi piaceva. La mattina non avevo mai avuto voglia di molte chiacchiere, e avevo preso piccoli vizi, come quello di guardare sempre un po' di telegiornale, per essere sempre informata, o quello di sgranocchiare i biscotti fregandomene altamente della dieta, che puntualmente infrangevo. Forse non ne avevo bisogno, ma cercavo almeno di mantenermi leggera, col cibo.
Certe volte però, era davvero impossibile. Almeno, era impossibile a colazione, per me.
Le briciole del biscotto mi finivano sul pigiama. Le allontanai con la mano: avrei pulito dopo, avrei perso troppo tempo, altrimenti.
Al terzo biscotto, il latte era pronto. Lo versai e lo bevvi, era caldo, ma avevo quasi sempre la gola secca dopo la notte, così non lo trovai tanto male.
Vidi il telegiornale fino alle notizie sportive, poi spensi la tv e andai in bagno.
Doccia, vestiti, trucco, fuori.

But I should have known this right from the start
Only hope can keep me together
Love can mend your life but
Love can break your heart

Sempre lui, il sole, protagonista di questa mia giornata, brillava sullo scenario Parigino.
Potevo vedere la Tour Eiffel splendere grazie ai raggi di sole che la colpivano trasversalmente, e i bulloni e le impalcature di acciaio massiccio - o almeno, credevo che fosse tale - scintillavano come se fossero piccolissimi diamanti esposti al sole. Era una fresca giornata pre-invernale di fine novembre; e nonostante facesse freddo avevo deciso di camminare, anziché prendere l'auto. Era piacevole godersi il delizioso paesaggio di Parigi, la città più romantica del mondo...
E ancora non riuscivo neanche a credere che io fossi veramente lì. Guardai la Tour Eiffel, simbolo della città, e forse dell'intera Francia. Era un sogno, e tutto attorno a me sembrava brillare di luce propria, talmente era meraviglioso.
Era davvero una giornata iniziata bene.
Decisi di accelerare il passo, altrimenti mi sarei ridotta a fare tardi.
Imboccai Rue Sant Dominique e camminai tranquillamente per la via, finché inchiodai davanti ad un palazzo dipinto di un giallo pallido. Entrai velocemente dal portone aperto, e arrivai al primo piano.
Lì, era il delirio.
Giovani donne in tailleur e vertiginosi tacchi a spillo gironzolavano di qua e di là, portando con loro numerosi fogli, cartellette di plastica colorata e quant'altro. Quello che, in realtà, avrebbe dovuto essere un appartamento, era divenuto un grande ufficio, diviso in reparti da separè, e con enormi stanze arredate elegantemente.
“Buongiorno, Adrienne. disse una voce femminile, sfrecciandomi accanto, e non dandomi neanche il tempo per ricambiare il saluto. Sospirai profondamente, e imboccai il corridoio, uccidendomi le orecchie con il rumore di tutti quei tacchi a spillo che battevano sul liscio parquet massello, costosissimo, e di quel continuo squillare di telefoni. Arrivata alla fine del corridoio, trovai una porta di legno scuro, al centro di una piccola stanza, la quale era vuota. Avanzai, e bussando rapidamente sulla porta con le nocche della mano sinistra, con la destra abbassai la maniglia d'ottone dorato, ed entrai nella stanza.
Le pareti di quest'ultima erano di un lilla delicato. Ai muri vari schizzi di abiti, poster di modelle ultra magrissime capaci di far dubitare alla donna più bella del mondo delle proprie qualità, e copertine di riviste appesi su di esse. Al centro della stanza c'era un enorme tappeto, di quelli persiani, con ghirigori scuri; attorno alla gigantesca scrivania di legno stavano schedari, morbide poltrone imbottite, piccoli tavoli e persino un piccolo frigorifero. Alle spalle della scrivania c'era una finestra con tende bianche di lino, la quale regalava una splendida visione di una frizzante Parigi. Accanto la finestra, infine, c'era un appendiabiti dello stesso legno della scrivania, e su di esso erano appoggiati una borsetta nera, lucida, e un cappotto, anch'esso nero, con una pelliccia candida sulle maniche e sul colletto.
C'era una persona seduta alla scrivania. Era una giovane donna, sulla ventina. Aveva dei capelli rossi, ondulati sulle punte, limpidi occhi azzurri con sfumature verdi, labbra carnose dipinte di rosso, così come le unghie perfettamente curate. Era tremendamente bella, elegante, sapeva il fatto il suo, era sicura di sé. Sì, forse era questo che si poteva affermare guardandola per la prima volta.
Era china su un foglio su cui stava scrivendo, ma non appena entrai alzò gli occhi e fece una specie di sorriso.
“Finalmente, alla buon'ora!”
“Dai, ho solo dieci minuti scarsi di ritardo!” mi lamentai.
Fece un vero sorriso.
“Tesoro, se non fossi la tua migliore amica ti avrei già licenziato.” Quella frase mi era fin troppo familiare, dato che me l'ero sentita ripetere all'incirca venti volte.
Lei, invece, era Eveliss. Nome piuttosto curioso, non le avevo mai chiesto il significato. Era la mia migliore amica: di quelle per cui faresti di tutto. L'avevo conosciuta per caso, ad una festa, e mi aveva “adottato”, poiché, diceva, mi riteneva geniale. Eveliss era la direttrice di una rivista di moda, a Parigi, ed io era una sua dipendente: ero una delle giornaliste della rivista, e mi occupavo della rubrica sulle attualità. Dopo esserci frequentate un po', eravamo diventate inseparabili. Come sorelle.
Il nome della rivista era Helter Skelter, come la celebre canzone dei Beatles, band leggendaria. In inglese il nome indica gli scivoli elicoidali – a spirale - dei luna parks; ma potrebbe essere interpretato anche come un “turbinio” inspiegabile e travolgente di sensazioni, che si provano per qualcuno. E' soggettivo, ed io la vedo così. Vorrei tanto riuscire a provare un Helter Skelter per qualcuno... E forse questo qualcuno ci sarebbe. C'è, ed io lo so, nascosto tra sei, sette miliardi di persone. E a me, ne servirebbe solo una, accidenti... Lui. L'Helter Skelter. Ma chissà dov'è, adesso. Di certo... Non è qui. E nessuno mi dice che potrà essere di nuovo con me, un giorno. Nessuno...
Non risposi, e lei riabbassò lo sguardo sul suo foglio, ritornando a scrivere.
“Beh, mettiti comoda.”
Mi feci più vicina ad una delle due sedie che stavano di fronte alla scrivania. Mi levai il giubbotto e non appena lo feci, Eveliss rialzò lo sguardo su di me. Mi squadrò, e fece una smorfia di disgusto.
“Per mille borsette di Prada!” esclamò, indignata, “Sei l'unica qui dentro che si presenta in pantaloni, maglioncino, e... Cristo, scarpe da ginnastica!”
Come potrebbe essere prevedibile, Eveliss aveva il chiodo fisso della moda. Dirigere una rivista di moda era stata l'incoronazione del suo più grande sogno. A me della moda non importava un fico secco: certo, ci tenevo ad avere un bell'aspetto, ma trovavo il resto un dispendio inutile di energie e, sopratutto, di soldi. Lavoravo in quella rivista perché la mia amica me l'aveva proposto, e perché la rubrica delle attualità era perfetta per me: scrivevo su quello che succedeva in quel momento in diversi campi, ma non dovevo mai parlare di moda, abiti, scarpe, borsette o cose del genere. In realtà il mio vero ed unico progetto - e il mio sogno - era quello di pubblicare un romanzo e di diventare scrittrice. Avevo cominciato a scrivere qualcosa, ma mi ero orrendamente bloccata a metà. Comunque, per me non era una tragedia, dato che avevo un buon lavoro e continuavo a tenermi in “esercizio” scrivendo articoli per la rivista.
Forse, però, se avessi trovato qualcosa di migliore, avrei abbandonato Helter Skelter. Ma questo la mia amica non doveva saperlo: mi avrebbe considerato una traditrice.
Quindi, Eveliss trovava orrendo il mio modo di vestire, il quale era molto spesso composto da colori scuri come il nero e il viola e il rosso – il mio colore preferito -, e non ammetteva l'uso di gonne, abiti troppo attillati e succinti, e sopra ogni cosa, scarpe col tacco. Non era il mio genere, e non vedevo perché avrei dovuto vestirmi in una maniera che non mi piaceva solo per piacere agli altri. E poi, credevo proprio che non sarei stata per niente capace di camminare su dei trampolini – cioè i tacchi. Eveliss continuava a lanciarmi frecciatine, ma oramai ci avevo fatto talmente l'abitudine che non ci badavo proprio più... e anzi, certe volte era perfino divertente.
Guardai Eveliss con aria scocciata, sbuffando.
Sono le Converse che, dai, vanno sempre di moda, come dici tu. E poi, oh, andiamo, Eve, non scocciarmi con la solita storia!”
“E' inutile, non sprecare fiato. Sai che continuerò a farlo finché non cederai.”
Sbuffai ancora e mi passai una mano fra i capelli. Mi spaventai quando li sentii lisci sotto le dita, ma fu per un attimo solo; dopodiché li ravvivai con le dita. Mi sedetti su una sedia, appoggiando il giubbotto sullo schienale, e mettendo entrambe le mani sulle mie ginocchia. Non riuscivo del tutto ad abituarmi a quei capelli troppo lisci e quasi sottili fra le dita, nonostante perdessi molto tempo al giorno per curarli.
“Allora, capo, quali sono le novità all'ordine del giorno?” chiesi.
Eveliss cessò di scrivere e mise il foglio dentro una cartelletta lì vicino, e posò la penna con la quale scriveva dentro un grosso porta matite, che conteneva alcune penne nere a china e matite colorate appuntite. Sembravano temperate di fresco.
“Domani abbiamo il servizio fotografico per la copertina del numero di dicembre.”
“Sì, mi ricordo quando lo dicesti alla riunione, la settimana scorsa.”
Annuì. “Bene. Quindi sarà necessario che tu domani controlli la situazione in ufficio, perché non ci sarò.”
“Non ci sono problemi.”
Eveliss mi sorrise come se volesse ringraziarmi. “Ah, hai già pensato su che cosa scrivere l'articolo per dicembre?” chiese.
Feci una pausa, e il mio sguardo si spostò alla finestra. Osservai la via su cui dava la finestra per qualche secondo, dopodiché ritornai a guardare Eveliss.
“Ehm... Veramente, no.”
“Lo immaginavo! Ti troverò qualcosa io, su cui scrivere.”
“Davvero?”
Annuì
di nuovo. “Sì, non preoccuparti. Ma questo solo perché sei la mia amica!”
Risi, e la guardai. “Non dovrebbero esserci favoritismi, lo sai?”
Eveliss fece una risatina. “Non mi deludere, piuttosto.”
“Io? Non lo farò. conclusi rapidamente, e con aria seria.
Io, non abbandonavo mai nessuno.

Walked out this morning, don't believe what I saw
Hundred billion bottles washed up on the shore
Seems I'm not alone in being alone.

 







BebiGreg: Non posso dare alcuna anticipazione sugli altri capitoli, mi dispiace! Ma questo, come colpo di scena, è bastato? =P
Nana_vampiro: Mi è piaciuta la tua recensione, ti ringrazio davvero. Credo che tu abbia ragione. Però, ti prego, non piangere più! xD
Alebluerose91: Grazie mille per i complimenti e per le costanti recensioni. Beh, che dire... Molti tifano per Alex, altri lo odiano. Il mio, personalmente, è proprio un rapporto come quello della protagonista... Lo amo/odio! XD
Beh che dire gente... Anche questa volta, dobbiamo salutarci. Ringrazio tutti quanti, e vi prego, RECENSITE! E se avete degli account facebook o twitter, potete aggiungermi. Mi farebbe molto piacere. Basta che mi dite chi siete, altrimenti non vi aggiungo! xD ATTENZIONE
Se la mia storia "Ovunque" vi è piaciuta tanto, perché non fate un pensierino a votarla nell'attuale concorso di EFP? Mi farebbe molto piacere. Se volete maggiori informazioni, basta leggere il bando nella HomePage. Ve ne sarei ENORMEMENTE GRATA!
A presto <3

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Salve gente! Come vi sta trattando la vita? Con me fa un po' la capricciosa, alternando momenti di felicità con altri di disperazione ASSOLUTA! La scuola sta finendo e ho ancora un sacco di compiti ed interrogazioni da fare. La cosa che mi risolleva, però, è che tra esattamente CINQUE giorni, diventerò maggiorenne! =) Fatemi gli auguri ò_ò Hurrà per me! Bando alle ciance, eccomi qui per aggiornare, ovviamente. Prima di tutto vorrei ringraziare TUTTE le persone che hanno SEGNALATO le mie STORIE per il concorso di EFP. E' stato bellissimo, non potete capire il piacere che mi ha fatto; ma purtroppo, i voti non sono stati abbastanza per farmi rientrare nelle storie finaliste. Beh, pazienza! Sarà per la prossima volta, grazie lo stesso a tutti ;)
Il capitolo cinque è un capitolo interessante, almeno per me, e spero che non vi deluda. Sorpresa sorpresa, questa volta non ci ho inserito nessuna canzone! xD Siete sollevati, eh?
Vi confesso, comunque, che tra tutti gli impegni e tra la mancanza d'ispirazione, è da un bel po' che sono ferma con la storia. Vorrei ricevere qualche commento in più, se non qualche seguito in più. Dai Dai Dai :(
Alla prossima!



Capitolo cinque

Capitolo cinque.



Mi stropicciai gli occhi con le dita, e allontanai un quaderno sopra il quale mi ero seduta per sbaglio. Lo mollai più in là sul divano, dov'ero comodamente accoccolata, al calduccio dopo un'estenuante giornata di lavoro. Il plaid blu mi lambiva dolcemente i piedi nudi, riscaldandoli. Schiacciai il resto della sigaretta appena fumata nel posacenere: non resistevo e quale volta fumavo dentro casa. C'era troppo freddo per fumare con la finestra spalancata.
Era già dicembre, e a Parigi si respirava un'aria tremendamente Natalizia, come suggerivano le decorazioni nei negozi e sugli alberi, illuminati con tantissime lucine.
Sarebbe stato il primo Natale che avrei passato lontano da casa, lontano da mia madre, lontano da mio fratello. Lontano da tutto...
Mi ero trasferita a Parigi pochi mesi prima, a settembre. Era stato difficile cambiare totalmente abitudini e stile di vita, nonché lasciare la mia famiglia, ma ne ero stata quasi... costretta. Volevo cambiare aria, ricominciare tutto daccapo, essere indipendente, lasciarmi alcune brutte cose alle spalle. E così, avevo fatto i bagagli, il passaporto, e avevo deciso di partire.
Ero andata via con Eveliss, e lei mi aveva offerto di andare a vivere in un appartamento che non usava. Io, naturalmente, avevo accettato. Con lo stipendio riuscivo a vivere in maniera dignitosa: pagavo la bolletta dell'acqua e della luce, e mi restava anche qualcosina per concedermi dei piccoli capricci. Non volevo assolutamente essere un peso per la mia amica, che si offriva sempre di pagarmi tutto, ma non glielo lasciavo mai fare.
Eveliss era più grande di me di un anno, aveva vent'anni, mentre io il ventotto dicembre – a fine mese - ne avrei compiuti diciannove. Lei viveva in un altro appartamento poco distante da quello mio, e apparteneva ad una famiglia piuttosto benestante, ma non troppo: suo padre faceva il costruttore edile e sua madre era una giornalista di cronaca. Era anche per questo che era riuscita a farsi spazio nel mondo della moda e a costruirsi una carriera: grazie a conoscenze comuni e a favoritismi; poteva essere triste, ma era vero.
Io le dovevo davvero molto, perché solo grazie a lei potevo rimanere a Parigi, ed avere un lavoro grazie al quale ero in grado di conoscere un mucchio di gente famosa ed interessante.
Mi allungai per prendere il portatile Toshiba dal tavolino di fronte il divano, e aprendolo l'accesi. Attesi che il desktop di Windows comparisse e poi mi collegai ad internet. Feci accesso alla mia casella di posta elettronica: 5 nuovi messaggi. Tutti di spam, ovviamente.
Sistemai meglio il computer sulle gambe e rilessi l'ultima mail che mi era arrivata tre giorni fa: avevo già dimenticato cosa dicesse, ed era meglio rileggerla prima di rispondere, non ricordavo bene alcuni punti. Il mio “amico di mouse” era Edoardo, con il quale ormai mi scambiavo lunghe e fitte mail sulle ultime novità e sulla sua vita lì, nella mia città natale. Ormai ci sentivamo da quando mi ero trasferita a Parigi, e non c'era stato bisogno di spendere soldi in lettere, anche se, forse, erano più belle. Però le email erano più immediate... Le magie della tecnologia.
Lui, e mia madre, mi mancavano entrambi da morire.
Aveva dato due materie all'università, diceva. E stava conoscendo una nuova ragazza. Volevo chiedergli se sarebbe piaciuto loro venire a trovarmi, per le vacanze Natalizie; naturalmente avrei pagato io il biglietto e tutte le spese extra. Sicuramente avrebbero insistito per farmi tornare lì, almeno per le vacanze, ma non l'avrei mai fatto; volevo tenermi lontana da quell'orribile posto il più possibile che potevo.
Cliccai su “Rispondi”, ma all'improvviso il mio cellulare squillò. Mi allungai nuovamente verso il tavolino per prenderlo, poi mi appoggiai allo schienale del divano levando il pc dalle gambe e risposi senza neanche guardare il display.
“Pronto?”
“Ciao, Adrienne. disse una voce maschile familiare.
Rimasi un attimo in silenzio. “Ah, sei tu.”
“Mamma mia, un po' d'allegria, su!” rise l'altra volta dall'altra parte del telefono.
Feci una smorfia divertita, anche se non poteva vedermi. Ero infastidita dell'interruzione, perché mi stava distogliendo dalla mia email di risposta. Era difficile, per me, trovarmi un angolino di tempo per stare al pc a scrivere. La sera, generalmente, ero distrutta e con una fame assurda, e non avevo voglia di stare appiccicata davanti allo schermo. Vabbè, poco male.
“Beh, ciao! Come mai mi hai chiamata a quest'ora?” chiesi, riprendendo il controllo della conversazione.
“Niente di che, volevo solo chiacchierare un po'.”
Abbassai lo sguardo, e giocherellai con un dito sui miei jeans, disegnandoci qualcosa d'immaginario sopra.
“Confessa, in realtà non avevi nulla da fare e scorrendo per caso la rubrica, hai pensato che io fossi l'unica che avresti potuto disturbare a quest'ora...”
Rise. “Mi dichiaro colpevole.”
Non dissi nient'altro, e lui continuò a parlare. “Ascolta, Adrienne. Verresti a cena con me domani sera?”
“Come?” chiesi, un po' sorpresa.
“Per parlare un po' di lavoro... disse con tono piatto lui, poi aggiunse in un tono più divertito: “E poi, per stare in compagnia di una ragazza splendida come te, no?”
“Già, come darti torto”, ridacchiai.
“Allora,” disse lui ridendo, “Accetterai?” con un tono che non sembrava ammettere repliche né rifiuti.
“D'accordo.” dissi poi dopo un attimo di esitazione.
Ero sicura che stesse sorridendo.
“Perfetto. Allora passo a prenderti alle otto.”
“Okay. Grazie dell'invito. A domani allora... Buonanotte.” dissi tutto d'un fiato.
“Sogni d'oro.”
Riattaccai.

***

Sorrise, versandomi dell'ottimo vino rosso dentro il lucidissimo bicchiere di vetro
. Un rosso intenso., un rosso sangue. Mi piaceva quel colore, e anche il ristorante.
“E' molto bello, qui. dissi infatti, continuando a guardarmi attorno.
Eravamo in un ristorante pieno di gente raffinata ed elegante; così era il posto in cui ci trovavamo, del resto. Alzai lo sguardo: dei bellissimi lampadari di cristallo a piramide luccicavano sopra le nostre teste. Quel luogo mi faceva sentire davvero una principessa. Peccato che non lo fossi minimamente, e non stavo consumando ostriche e champagne in un sontuoso abito ottocentesco.
“Ti piace?” chiese lui con un sorriso soddisfatto, come se avesse vinto alla lotteria.
“Sì, molto. risposi sorridendo e prendendo il bicchiere per bere. Chissà quanto diamine gli sarebbe costata quella cena, accidenti.
Osservai il ragazzo davanti a me. Possedeva dei capelli ricci, un po' lunghi, marroni con degli evidenti riflessi rossicci, e degli occhi azzurro-verdi.
“Sei bellissima.” mi sussurrò avvicinando il viso. La luce della candela, al centro del tavolo, lo illuminò in maniera sinistra.
Per poco il vino non mi andò di traverso. Ogni volta che sentivo questa frase, non potevo nascondere un certo senso di imbarazzo. Tra l'altro, non indossavo niente di particolare – pantaloni e giacca neri, una camicia bianca, grossi bracciali ai polsi, ed ero leggermente truccata. Non mi sentivo per niente bellissima.
“Andiamo, Andrea... dissi ridendo e scrollando le spalle, “Piantala con questi complimenti.”
Andrea era il fratello gemello di Eveliss. Era un fotografo professionista e spesso lavorava nella nostra rivista, facendo interi servizi fotografici per i vari articoli del giornale. Andrea era un ragazzo davvero bello e molto intelligente e, beh, da quando mi aveva conosciuto si era preso una bella cotta per me. C'eravamo persino baciati qualche volta – ed era un ottimo baciatore – ma non stavamo assieme. Io non l'amavo, anche se lui in cuor suo, forse, sperava di sì. Forse? Balle: lui lo sapeva. Sapeva che non lo amavo.
Ciò non toglieva che comunque stimavo moltissimo il suo lavoro. Era brillante, riusciva a sfornare delle idee davvero originali, e aveva anche fotografato personaggi famosi. Lo ammiravo, aveva fatto molta strada.
Lo ignorai quando disse qualcosa come “Ma è la verità”, e posai il bicchiere ormai vuoto davanti a me. Calò il silenzio fra noi due, mentre nella sala invece regnava un allegro chiacchiericcio fra gli altri clienti, misto a rumori vari di forchette e coltelli e risate. Un chiacchiericcio sempre molto elegante e raffinato, ovviamente.
“Allora,” disse, giocherellando con una forchetta e tenendo lo sguardo abbassato su essa, “Hai già scritto l'articolo per il numero di dicembre? Dovrebbe uscire fra pochissimi giorni.”
Sospirai e scossi la testa. “Purtroppo no, ed è questo il problema. Eveliss e le altre stanno già impostando tutti gli articoli, la grafica e il resto,” lo guardai, “manca solo il mio pezzo, e sto impazzendo. Eveliss mi aveva detto che in caso avrebbe trovato qualcosa lei per me, ma poi non mi ha detto più nulla.”
Annuì. “Sì, infatti mi pareva di averla sentita accennare questa cosa...”
S'interruppe poiché le due portate che avevamo ordinato ci furono servite da un cameriere.
“Grazie.” dissi a quest'ultimo, poi quando se ne andò, ripresi: “E a che cosa aveva pensato, se te l'ha detto?” chiesi allora con aria curiosa.
“Penso ad un'intervista.” rispose, iniziando a tagliare il suo entrecôte di carne con coltello e forchetta. Una patata al forno stava per spiccare il volo, sul bordo del piatto.
“Un'intervista?” chiesi
, con aria sempre più curiosa e un po' sorpresa.
Non avevo mai fatto interviste prima d'ora, ed era sicuramente una bella sfida. Mi piaceva cimentarmi in cose nuove. E poi, chissà chi avrei dovuto intervistare. Figo! Forse era quasi meglio che fotografare persone famose.
Annuì mentre masticava, poi deglutì. “Sì, a quanto pare. Dovresti chiederglielo, altrimenti per questo numero ti tagliano fuori.”
Annuii anch'io, con decisione. “Hai proprio ragione, speriamo che vada bene.”
“Ma
sì, sta tranquilla.” mi disse con aria rassicurante continuando a mangiare, “Sei brava, i tuoi articoli sono ottimi, è innegabile.”
Feci spallucce, non proprio convinta da quell'affermazione. Magari lo diceva solo per farmi piacere.
E' solo che il numero di dicembre è importante. E' il numero conclusivo dell'anno, e ci tengo a scrivere qualcosa di buono. Questo mi rende nervosa.”, spiegai, sinceramente.
Annuì di nuovo. “E ti capisco perfettamente. Ma da una parte devi stare tranquilla: nessuno può licenziarti.”
“Almeno che non litighi con Eveliss.”
Rise. “Impossibile, siete amiche per la pelle. No?”
“Già.” sorrisi. Sicuramente ero ripetitiva, ma avere incontrato e conosciuto Eveliss era stata la mia più grande fortuna.
Finimmo di mangiare i nostri piatti tranquillamente, parlando del più e del meno. Poi lui pagò il conto – salato? Chissà, non me lo disse - e uscimmo, camminando per le vie fredde ma luminose di Parigi. Mi accesi subito una sigaretta, già morivo dalla voglia, e la consumai in silenzio e con calma. Andrea sapeva che fumavo regolarmente e, cosa per cui gli ero molto grata, non mi rimproverava mai. Almeno non più dopo le trilioni di volte. Semplicemente, ormai, non diceva nulla: e io gli ero veramente riconoscente. Almeno non mi rompeva le scatole come quasi tutte le persone che conoscevo: lo sapevo già che faceva male, grazie!
Finii di fumare e schiacciai la cicca sotto la suola della scarpa.
”C’è freddo. osservai, giusto per dire qualcosa. Quei silenzi non mi piacevano, e ne cadevano di tanti, con Andrea. E di diversi. Il silenzio-dopo-sigaretta. I silenzio dopo-bacio. Il silenzio-dopo-commento-acido-da-parte-mia. Il silenzio-dopo-un-complimento-da-parte-sua. Il silenzio-dopo-un-no.
Ormai li avevo classificati tutti. Li riconoscevo.
”E’ vero. Ma io so come fare per riscaldarti..
Co..”
Ad un certo punto Andrea si fermò in mezzo al marciapiede, mi attirò a sé e mi baciò. Lasciai che mi baciasse, e lo baciai anch'io, lentamente, facendo scivolare lenta la mia lingua sulla sua. La mia mano andò automaticamente ai suoi capelli, che intrecciai attorno alle dita. Lui sospirò profondamente, per poi lasciarmi andare dopo parecchi secondi.
Calò il silenzio-dopo-bacio. Evitai il suo sguardo.
“Io non capisco,” disse poi Andrea, “Mi hai sempre ripetuto che io non ti piaccio in quel senso, che sono un amico, che non potresti mai stare col fratello della tua migliore amica... Eppure, quando ti bacio ogni volta, non esiti un istante a baciarmi anche tu. Ma ci provi gusto ad illudermi così?”
Lo guardai seriamente ascoltandolo, il suo sguardo mi scrutava a fondo. Era serio, e notai un po’ di amarezza nella sua voce. Ero rimasta spazzata dalle sue parole, perché non mi aveva mai detto quelle cose. Né parlato così.
“Io non ti sto illudendo. dissi lentamente, volevo convincermene anch'io. Mi sentivo un po' in colpa, adesso.
Annuì. “Sì, invece. Una persona normale m'avrebbe respinto, dopo aver detto tutto quelle cose... Ma tu no. Sei incoerente, e questo si chiama illudere.” Il suo tono adesso era quasi rassegnato.
Scrollai le spalle. “Mai detto di essere normale, io.” ceravo di giustificarmi, a costo di risultare insopportabile. E cattiva. Usavo spesso quelle frase, o altre come “Sono così, non posso farci niente”. Beh, forse ero solo vigliacca, dopotutto.
Andrea alzò gli occhi al cielo. “Non sono capace di baciare, forse? Mi propini un test ogni volta? Cosa, Adrienne?” mi chiese.
Quasi mi venne da ridere. “Non essere ridicolo, Andrea, sai perfettamente anche tu come baci.”
“E allora?” era impaziente.
“Credo... Credo sia troppo presto per impegnarmi seriamente. Possiamo uscire insieme qualche volta, però, ed infatti è quello che stiamo facendo.”
Troppo presto per impegnarmi seriamente? Ero ridicola io, adesso.
Avevo sempre pensato che Andrea fosse quello che la vita mi offrisse, e io l'avevo accettato. Era triste, perché in realtà Andrea non mi piaceva – anche se le prime volte mi ero quasi imposta di farmelo piacere, con quei baci. Avevo pensato che forse, avrebbe potuto piacermi. Ma col passare del tempo, mi rendevo sempre più conto che non avrei mai potuto vederlo davvero come un fidanzato. Non sentivo le scintille quando stavo con lui o lo baciavo. brividi, né farfalle nello stomaco, né nient'altro. Come tutti. Ma la cosa altrettanto triste era che lui si accontentava di me e mi prendeva così com'ero, anche se sapeva quel che non provavo per lui. Era come se ci stessimo mentendo e imbrogliando a vicenda. Ma nessuno faceva qualcosa per cambiare quella situazione, perché in qualche modo, faceva comodo ad entrambi. Non so esattamente quale fosse il mio, di comodo. Forse volevo solo distrarmi. Forse...
Andrea mi guardò intensamente per qualche secondo.
Silenzio-dopo-un-no. Poi annuì.
“Andiamo, ti accompagno a casa.
Non sembrava arrabbiato, non lo era mai. O almeno, non lo era mai con me.
Forse mi amava davvero. E io, gli facevo male.
Camminammo un altro po', rigorosamente in silenzio-fine-appuntamento, poi salimmo sull'auto di lui, diretti a casa mia.
Non era lui, che volevo. Ma non dicevo né facevo niente per fermarlo, per impedirlo. Per evitare di illuderlo così.
Ero vigliacca, sì.

 





Adesso passiamo ai commenti sulle recensioni del capitolo scorso:
mo duinne: oh, io ADORO le recensioni LUNGHE! sei già entrata nelle mie grazie. Non penso che tu sia una pazza logorroica, anzi... Beh, forse un po' pazza sì. Non voglio assolutamente farti perdere ore di sonno a causa delle mie storie, ci mancherebbe! o.o Però tutti i tuoi complimenti e questo commentone mi hanno fatto un piacere immenso, ci mancherebbe, è ovvio! Alcune delle cose che mi hai chiesto sul personaggio di Adrienne sono spiegate qua =) Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che io possa ricevere un altro tuo super commento. A presto!
3things: Ehi, tranquilla! Spero, anzi, che la tua casa sia a posto ora e che stia venendo bene *_* Anche per te, molti dei misteri si stanno risolvendo. Ma per altri, bisognerà aspettare ancora un bel po'... A presto, grazie!
Nanako: Grazie per il voto ad Ovunque e per la recensione, davvero. Non dimenticarti di recensire questo capitolo, ehe! xD Sì, come vedi si è fatto un salto temporale di circa due anni, più o meno. E sì, la questione del calendario è di un'immensa tristezza, lo ammetto :( Presto usciranno fuori anche altre cose! Baci!
Alebluerose91: Hai centrato il punto della questione, mia cara! =) Vi vedrà nei prossimi capitoli! Grazie sempre, a te!
Nana_vampiro: Grazie per la tua critica. Onestamente io l'ho ritenuto un capitolo di svolta perché c'è uno sbalzo temporale e spaziale, e perché rispetto ai primi tre capitoli iniziali, praticamente senza dialoghi e senza avvenimenti importanti o colpi di scena, questo mi sembrava nettamente diverso. Spero, invece, che questo capitolo sia stato di più di tuo gradimento. Fammi sapere!
Cos'altro dire gente... Aspetto altre recensioni! Un bacione grande grande!

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Care ragazze/i (nel caso ci sia qualche ragazzo che mi legga), come va? Scusate per l'immenso ritardo, ma ho avuto molto da fare, e ho ritagliato un po' di tempo libero per aggiornare la storia. Sono di fretta, quindi SCUSATE ma non ho tempo per commentare le vostre recensioni! Comunque ringrazio tutti, come al solito, anche per gli auguri di compleanno, passato benissimo =D GRAZIE, davvero! Ma un grazie speciale va a Nana_vampiro, Nanako, Alebluerose91, mo duinne e giuly_pattinson che hanno recensito lo scorso capitolo. <3
Passando alle cose serie. Questo è un capitolo CARDINE di tutta la storia, quindi mi raccomando, gustatevelo lentamente. Ho citato qua e là delle canzoni, segnate in corsivo con un asterisco, a fine pagina troverete il titolo e l'autore di quella canzone. Anche se dovreste conoscerle già, mi offendo ò_ò. Vabbè dai... Aspetto tante recensioni, non aggiornerò per un po' perché prima devo togliermi alcuni pesi riguardanti la scuola. A presto, grazie a tutti, vi abbraccio.



Capitolo sei

Capitolo sei.



La mattina seguente, aspettavo pazientemente l'arrivo di Eveliss, nel mio ufficio. Questo era in fondo al corridoio, molto vicino al suo, quindi se fosse arrivata l'avrei sicuramente incrociata.
Dovevo assolutamente parlarle del mio articolo: fra due giorni la rivista sarebbe andata in stampa e io dovevo avere qualcosa di pronto al più presto possibile.
Nel frattempo, era inevitabile ripensare alle parole di Andrea. Quello che era successo la sera precedente continuava a frullarmi in testa da tutta la mattina.
Perché tutto doveva essere sempre così complicato? Non mi aveva mai parlato in quel modo ed io, molto ingenuamente ed egoisticamente, non avevo mai pensato ai suoi sentimenti, né di come la pensasse a riguardo. Lui magari era davvero innamorato di me, ma io quando lo baciavo non pensavo: pensavo solo che sì, era bello baciarlo, ma non sentivo nient'altro. Il nocciolo della questione era questo.
Mi stavo comportando in una maniera a dir poco orribile.
Perché ero diventata così? Forse, fino a poco tempo prima non avrei mai agito in quel modo. Possibile che dipendesse tutto da lui...? No, non era possibile.
Ormai ero scettica nei confronti dell'amore. Tutto quello che mi era successo, mi aveva sicuramente segnato. Pensavo che non avrei potuto di nuovo innamorarmi facilmente, e anche se avessi potuto, avevo paura. Non mi andava di soffrire ancora, per un'altra persona. Quindi mi recludevo la possibilità di esserlo.
I miei pensieri furono interrotti dal passaggio di una raggiante Eveliss, proprio davanti alla porta spalancata del mio ufficio. Per fortuna.
Eveliss!” esclamai, alzandomi in piedi e raggiungendola vicino la porta. Lei si voltò e mi sorrise guardandomi, e facendo per entrare nel mio ufficio.
“Buongiorno, Adrienne. Qualcosa non va?” mi chiese.
Scossi la testa, mentre io riprendevo posto nella mia sedia e lei si sistemava di fronte a me.
“No, è solo che volevo parlare con te del mio articolo. Andrea ieri sera mi aveva detto che avevi in mente un'intervista, e...”
Eveliss mi guardò alzando un sopracciglio. “Ieri sera sei uscita con mio fratello?” mi interruppe. Eveliss era a conoscenza dei sentimenti che suo fratello provava nei miei riguardi: io stessa glielo avevo raccontato. Ma aveva un rapporto talmente stretto con Andrea, che temevo proprio che lui le raccontasse tutto. Tutto. In quel momento, infatti, sudai freddo.
“Sì, ma non è questo il punto, Eve. esclamai, fissandola, decisa a non parlare con Eveliss di Andrea. Mi vergognavo un po', in quel momento. Forse Eveliss avrebbe potuto pensare male di me...
Lei annuì
. “D'accordo, d'accordo, quanto sei scontrosa! Allora, sì, avevo pensato ad un'intervista, dovevo giusto parlartene oggi, scusa se ci ho messo tanto ma nel frattempo ho dovuto organizzarmi.”
“Un'intervista... E a chi?” chiesi subito.
Fece un'espressione pensierosa. “Beh, dato che ti occupi delle attualità... Ho contattato un emergente musicista straniero, di cui adesso mi sfugge il nome, appunto perché è emergente e non famoso, però sta spopolando molto su internet. Che ne pensi?”
Sorrisi
. “E' una splendida idea, mi piace molto.”
Anche lei sorrise, a trentadue denti. “Perfetto. Avevo anche pensato di prenotare in un ristorante... potresti intervistarlo mentre cenate, no? Magari stasera, così hai l'articolo pronto in tempo per la stampa.”
Annuii. Ero contenta, anche se sarebbe stato più difficile del solito. Mentre stavo per chiederle qualcosa, il suo piccolissimo e ultra-sottile I-Phone squillò, e lei si alzò di tutta fretta. Rispose.
“Devo scappare,” mi disse mentre poggiava l’orecchio al cellulare, e l'interlocutore dall'altra parte del telefono quasi strillava, “Stasera vieni qui in ufficio prima di cena, verso le sette e mezzo, ti passerò qualche informazione sull'intervistato e ti dirò dove andate.”
Continuai ad annuire, e lei si voltò per andarsene, poi ci ripensò e aggiunse: ”E mi raccomando, mettiti carina! Facci fare bella figura!”
Al mio sbuffo, sorrise e se ne andò, parlando al cellulare, bellissima e aggraziata come sempre.

***

La serata cominciò male. Dato che la sera precedente ero già uscita con Andrea, non mi ero ricordata di fare il pieno di benzina alla mia auto – la mattina avevo chiamato un taxi. E quindi ero a secco.
Mi ero rivolta ancora una volta ai taxi, ma quello che avevo chiamato stava portando quasi tre quarti d’ora di ritardo e, come se non bastasse, avevo lasciato il cellulare a casa, poiché non entrava nella micro-borsetta nera di raso che Eveliss aveva insistito tanto che usassi quella sera.
Molto probabilmente, se avessi visto un’altra persona in quella situazione, l’avrei trovata divertente. Ma non era proprio il caso di ridere.
Ero decisamente fuori orario. Eveliss se la sarebbe presa con me nonostante la colpa non fosse tutta mia, avrei perso l’intervista e non avrei avuto nessun articolo da scrivere. Magnifico. Fumai circa tre sigarette in poco tempo per il nervosismo, com'ero solita fare, ormai. Routine.
In un modo o nell’altro, arrivai in ufficio, con una bella oretta di ritardo. Però non avevo più tempo per prepararmi domande, o per informarmi sull’intervistato. Avrei improvvisato.
Alla buon’ora!” esclamò Eveliss non appena mi vide, con aria un tantino isterica.
”Scusami, Eve, ti spiegherò bene dopo,” dissi praticamente col fiatone, raggiungendola. “Devo scappare subito, dammi l’indirizzo del ristorante, anche il tassametro corre!”
Nonostante tutto, Eveliss rise, e per un attimo me ne sentii offesa. Rideva delle mie disgrazie? E poi stavo facendo tutto quello per lei, alla fin fine!
Mi passò un bigliettino con su scritto un indirizzo. “Ecco qua, è un ristorantino Italiano, molto carino... disse.
”Italiano? Beh, grazie,” dissi prendendolo e leggendolo rapidamente, “Non ho proprio tempo per informarmi sul tizio, ma inventerò qualcosa.”
”Sicura?” chiese lei, titubante.
La guardai, e velocemente annuii. Era o non era la buona volta per far vedere quanto valevo?
”Neanche un nome?” continuò Eveliss. “Non che io non mi fidi di te, ma...”
La interruppi. “Spara questo nome.”
”Mi pare che si chiami Alessandro...”
Automaticamente feci una smorfia. “Benissimo...” borbottai, con una nota non tanto velata di sarcasmo nella voce.
Possibile che il mio passato non mi lasciasse mai? Possibile che non potevo stare in pace cinque minuti senza pensarci? No, evidentemente non era possibile. Bella... punizione divina. Non sarebbe mai finita, così.
Il suono di quel nome risvegliò in me dei flash. Labbra, mani, capelli, voce...
Scossi la testa.
”Stai bene, Adrienne?” mi chiese Eveliss.
Mi risvegliai e la guardai qualche istante più del necessario per focalizzare. “Sto benissimo.” risposi.
”Oh beh, d’accordo, mi fido. Tra l’altro, mi piace anche come ti sei vestita, sei molto elegante! Anche se un poco di colore io glielo avrei infilato... continuò, squadrandomi solo come lei sapeva fare.
Indossavo dei pantaloni neri, una giacca nera, e sotto la giacca un corpetto dello stesso tessuto della micro-borsetta, ovvero raso. Avevo lasciato i capelli sciolti e non avevo addosso nient’altro, solo l'usuale filo di trucco e una collanina d'argento.
”Grazie.” bofonchiai, ed Eveliss si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia, poi mi guardò ancora.
“Oh, Adrienne, se solo mi lasciassi darti una passatina di eye liner in più, o di rossetto rosso, hai degli occhi così stupendi, ciglia già lunghe, ed io...”
”Vado!” esclamai prima che finisse, così ricambiai il bacio e mi precipitai giù per strada, schizzando via, lontano da Eveliss e dai suoi cosmetici.
In una decina di minuti il taxi – imprecai contro il traffico Parigino - mi portò al ristorante Italiano. Non appena entrai, un’aria quasi familiare mi accolse. Il posto era davvero molto carino e caratteristico. I colori predominanti erano naturalmente il verde, il rosso ed il bianco. C’erano grossi lampadari ai soffitti – non comparabili a quelli del ristorante di Andrea, chiaramente -, della piacevole musica in sottofondo e un calore tutt’attorno. Qualcuno – che evidentemente stava festeggiando - intonava “O' Sole mio”.
Guardai la sala piuttosto piena, dopo di ciò mi avvicinai ad un uomo in giacca e cravatta che stava lì vicino a me.
”Mi scusi, io avrei un tavolo prenotato per due, ma sono enormemente in ritardo... iniziai.
Certo, Adrienne, sottolinea la tua serietà anche con uno sconosciuto. Continua così. L’uomo non fece caso più di tanto alle mie parole e annuendo mi sorrise con aria cordiale.
”Ho capito tutto, signorina. Il suo accompagnatore è arrivato quasi un’ora fa, e la sta aspettando. E' fortunata, perché stava già pensando di andarsene. La prego, mi segua.”
Il signore si fece spaziò tra i tavoli, ed io cominciai a seguirlo, standogli dietro. Sguardi mi seguivano, ed io cominciavo ad essere nervosa. Avevo iniziato col piede sbagliato arrivando così tanto in ritardo; ma soprattutto continuavo a chiedermi chi fosse questa fantomatica persona, se fossi stata all’altezza del compito, e se lui avesse capito il mio francese o il mio inglese... Non sapevo assolutamente nulla di lui, né di quale nazionalità fosse. Avevo un po’ paura.
E se era un vecchio e pure maniaco?
E se avesse ordinato un brodo e avesse succhiato tutto il tempo mentre gli parlavo, non facendomi sentire niente?
E se era... brutto?
E se era di poche parole?
O santo cielo. Il panico stava prendendo il sopravvento.
Stavo pensando di fare dietro front e chiamare di nuovo il taxi e tornare a casa ed infilarmi al sicuro nel mio letto, ma i miei piedi erano incollati al pavimento lucido e ormai il signore davanti a me si era fermato proprio al centro della sala. C’era un ragazzo seduto ad un tavolo, da solo. Per un attimo mi tranquillizzai: era un ragazzo. Giovane. Saremmo stati sulla stessa lunghezza d'onda, forse.
”Signore, finalmente è arrivata. disse il signore in giacca e cravatta.
Il ragazzo si alzò in piedi e si voltò verso di me, mentre il cameriere se ne andava, facendomi spazio e permettendomi di vederlo in volta.
Così finalmente guardai il ragazzo davanti a me, e per poco temetti di svenire proprio lì, e in quel momento.
Era una delle solite visioni? Era un sosia? Cosa accidentaccio era?
Era lui, era Alessandro, Alex, il mio Alex.
”Tu?!” esclamai, incredula, con gli occhi spalancati fino al limite consentito. Mi guardò con le sopracciglia aggrottate, e per un attimo ebbi il timore di essermi sbagliata. In fondo, non era la prima volta che avevo quel tipo di allucinazioni. Mi capitava di vederlo – non nell'ultimo periodo, però -, ed ovunque fossi, con chiunque mi trovassi. Lo rivedevo dove non c'era, lo rivedevo in persone che gli somigliavano.
Ma era impossibile sbagliarsi.
Era impossibile che quegli occhi nocciola ambrati attorno all’iride fossero di qualcun altro, o che fossero immaginari. Quante volte li avevo fissati? Quante volte mi ci ero persa dentro? Li conoscevo meglio dei miei.
Erano i suoi capelli neri un po’ lunghi, le sue labbra, il suo viso, il suo corpo e le sue mani lì, davanti a me. Dopo tutto quel tempo... dopo il dolore, la lontananza, il mio rinnegare, dimenticare – no, il mio provare a dimenticare - lui era lì davanti a me. Non poteva essere. Ed il fatto che conoscessi ancora a memoria ogni particolare di lui e del suo viso, significava soltanto che non avevo mai dimenticato nulla di lui.
”Cristo,” disse all’improvviso anche la sua voce, più bassa e profonda di quanto me la ricordassi, “Non ci posso credere. Adrienne, sei tu.”
Quelle parole ebbero l’effetto di un’acqua gelida lanciata addosso in una giornata di gennaio con una nevicata in arrivo in mezzo all'Alaska.
Alex fece qualche passo avanti, e mi abbracciò.
Simultaneamente, proprio quando le sue braccia avvolsero il mio corpo, tutto venne annullato.
Chiusi gli occhi, e passando entrambe le mie braccia attorno al suo collo, nascosi il viso fra l’incavo del suo collo e della sua spalla. Lui mi strinse forte per la vita, affondando il viso fra i miei capelli.
In quegli attimi lottai ferocemente tra il dolore e la gioia. Dentro la mia mente visualizzai alcune immagini. Lui, il nostro primo bacio, Melissa, il dolore, il sangue, le lacrime, gioia e rivoluzione*, Eric, morte, amore. Avevo la pelle d'oca.
Mi trattenei a stento dalla scoppiare a piangere. Non poteva essere reale: era un sogno? Un sogno dal quale non avrei mai voluto svegliarmi?
No, sveglia Adrienne, questa è la realtà e tu sei fra le sue braccia.
Sospirai forte sul suo collo e mi accorsi del suo profumo, respirai a pieni polmoni. Ecco, quello, l’avevo dimenticato vagamente. Era sempre lo stesso. Alex mise una mano fra i miei capelli.
Adrienne...” lo sentii sussurrare, ma non risposi. Non volevo dire niente, per non rovinare quel momento.
Quaranta secondi di niente**.
Poi, così come era iniziato, l’abbracciò finì. Ci separammo. Il mio cuore andava a tremila, e aumentò ancora di più l’andatura quando lui mi guardò e mi sorrise.
”Accidenti, “ esclamò, “Queste sì che sono coincidenze!”
Sorrisi anch’io, come non avevo più sorriso da mesi, come se stessi scaricando tutto quello che avevo provato in quel lasso di tempo solo in quel momento. Due anni...
Non dissi nulla, paralizzata dall’emozione, così lui mi propose di sederci. Mi sedetti, e lo squadrai come incantata. Era cresciuto fisicamente: aveva dei tratti più adulti. Il viso era più squadrato, le mascelle più pronunciate, era più alto. E, uhm, più bello. I capelli mi sembravano un po' più corti, invece.
Sospirai. Mi sembrava di non avere più un briciolo di materia grigia nella scatola cranica.
”E’ veramente incredibile. Fu la prima cosa che dissi, senza pensarci, ed avevo anche ragione. Abbassai lo sguardo con aria improvvisamente timida, e la mia mente cominciò a vagare. C’eravamo lasciati in malo modo, quasi due anni prima, con una promessa. Lui sarebbe tornato. Ed ora era lì. Era ancora valida? Del resto, forse, io non l'avevo mantenuta. Non l'avevo aspettato come avrei dovuto. Ora sì che avevo paura.
Avevo immaginato quel momento in una maniera così diversa, che neanche i miei pensieri più sfrenati avrebbero mai potuto partorire una situazione del genere.
”Quando
si dice che il mondo è piccolo.” disse.
Rialzai lo sguardo e vidi che sorrideva. Ricambiai il sorriso e mi schiarii la voce. Era ora di piantarla con quelle formalità, altrimenti la situazione sarebbe diventata troppo imbarazzante.
”Quindi sei proprio tu il musicista emergente straniero?” chiesi, un po’ incredula. Mi faceva impressione considerare Alex così.
Fece una breve risata. “E davvero tu lavori per una rivista di moda? Cioè, tu? Non ti offendere, ma...” mi schernì, ed in effetti faceva proprio ridere.
Risi anch’io, e non avendo altro da dire, rimasi a guardarlo, mentre calò un silenzio – ancora - imbarazzante. Ma a me non importava più di tanto. Per molto tempo avevo sperato di incontrarlo di nuovo, per sbaglio, per caso. E invece proprio mentre non ci pensavo più, e avevo quasi smesso di pensarlo e di tormentarmi per lui, ed ero fuggita in un posto dove non avrebbe mai potuto trovarmi, eccolo che riappariva. Ma in fondo, anche se era scomparso dalla mia vita, lui c’era stato sempre, dentro di me. Dentro ogni pensiero, e ogni oggetto o sensazione o canzone che mi ricordasse lui.
L’ultima volta aveva detto di amarmi. Avrei anche venduto l’anima pur di sentirmi ripetere ancora una volta quelle parole – anche se fosse stata l’unica, l’ultima volta. E avrei venuto qualcos’altro pur di sapere di essere amata da qualcuno... No, anzi, non da qualcuno: pur di sapere di essere amata da lui, il resto delle persone non m’importava. Chissà se mi amava ancora, chissà se si ricordava di quella promessa che mi aveva fatto. E poi perché se ne era andato? E io? Ero ancora innamorata di lui? Non potevo affermarlo con certezza. Oppure sì?
Ad interrompere quel silenzio ed il mio flusso incontrollabile di pensieri, arrivò un cameriere, pronto per prendere le ordinazioni. Praticamente ordinai la prima cosa che vidi sul menù, non avevo neanche troppa fame, e un buon vino rosso. Anche Alex ordinò, e poi quando il cameriere se ne andò con le sue ordinazioni, rimase a guardarmi, con le mani intrecciate davanti a sé.
Adrienne, proprio tu hai ordinato una bottiglia di vino da venti euro?” chiese. Sorrideva.
Lo guardai. “Sì, perché?”
”Non eri tu quella che diceva non toccherò mai più in vita mia un goccio di alcol?” mi rinfacciò.
Alcol. Birra. Festa. Musica. Don’t cry. Bacio...
Scrollai le spalle. “Ma le cose cambiano...” dissi, convinta che quella frase ci stesse alla perfezione.
Alex mi rivolse uno sguardo compiaciuto. “Ed hai perfettamente ragione. Anche io sono un grande buongustaio di vino, specialmente il rosso.”
Non dissi nient’altro, mi limitai a sorridere. Abbassai lo sguardo sul tavolo, sul bicchiere c’era il riflesso della sala. Per prendere tempo, cominciai a giocherellare con la forchetta. Poi decisi di parlare, dato che lui non diceva nulla.
”Beh, allora in teoria dovrei intervistarti... mormorai, continuando a non guardarlo.
Invece lui continuava a guardarmi e con la coda dell’occhio notai che sorrideva. “E pensare che la cosa mi metteva paura, adesso direi che mi diverte.”
Rialzai lo sguardo. “Io sono quasi più sollevata invece, dato che non ho avuto il tempo di prepararmi già delle domande, o di informarmi sulla vita di questo famoso musicista...”
”Quindi suppongo che non sapessi chi fossi, no?” incalzò.
”Esattamente.”
Automaticamente mi chiesi se fosse stato diverso, se avessi saputo in anticipo che avrei dovuto intervistare lui. Avrei scommesso che anche lui stava pensando la stessa cosa, perché rimase in silenzio con aria pensierosa. Poi parlò.
”E non è più bello sapere tutto ma proprio tutto della persona che devi intervistare?”
Incrociai il suo sguardo.

Tu sai tutto di me e sei la mia migliore amica... Ma non solo... Sei la mia fidanzata, ed io ti amo... Sei la ragione per la quale apro gli occhi ogni giorno, Adrienne...”
Ricordi, parole dolorose. Basta.

Feci un sorriso stentato. “Già.” risposi.
”Comunque,” continuò lui dopo qualche minuto di silenzio, “sono felice di rivederti.”
Avrei voluto dire qualcosa di molto intelligente in quel momento, come un anch’io. Ma non lo feci, e feci la cosa più stupida che potessi fare: mi limitai a sorridere. Pensai rapidamente. Ma allora se non ci fossimo incontrati così per caso, lui non avrebbe voluto finalmente vedermi? Non avrei mai avuto il coraggio per chiedergli una cosa del genere, avevo paura. E poi sarebbe stato inutile rovinare quel momento con una domanda del genere. Non era quello il momento. Le domande, dopo. Se ci fosse stato, un dopo...
Ma
adesso l’unica cosa veramente importante era che lui era lì con me, ed io volevo godermela fino in fondo.
“Allora, come dovremmo fare quest’intervista?” chiese poi subito dopo.
Presi la mia borsetta di raso, che avevo lasciato sul tavolo accanto ai bicchieri per non perderla d’occhio, e rovistando dentro uscii fuori un registratore piccolissimo, portatile, ed un block-notes con una penna.
”Parlami un po’ di te, poi ti farò un paio di domande. dissi, avvicinando a me il block-notes e prendendo la penna fra le dita. Iniziai a giocarci, passandomela fra le dita.
Beh, come se non sapessi niente di lui, poi. Avrei potuto scrivere della sua vita da sola; ma ero curiosa di sapere il resto, la continuazione da quando io ero sparita. O meglio, da quando lui era sparito...
Lui annuì, poi si allungò verso di me e prese fra le mani il micro-registratore. Lo osservò minuziosamente, come se lo stesse studiando, in maniera cinica.
”Qualcosa non va?” chiesi allora, alzando lo sguardo dal block-notes e fermandolo su di lui.
”Mi mette un po’ in soggezione sapere che tutte le cose che dico verranno registrare qui... osservò con aria improvvisamente timida.
Feci spallucce, continuando a guardarlo. “Beh è semplice, se non ti va, non lo usiamo. “ allora mi allungai per riprenderlo, e poiché lui lo teneva ancora in mano, nel riprenderlo la mia sfiorò la sua per qualche attimo.
Arrossii immediatamente per l’emozione di quel minimo contatto, e quasi mi rimproverai per questo. Era ridicolo!
Posai il registratore dentro la borsetta, sentendo il calore sulle guance diminuire gradualmente.
”Grazie,” disse lui sorridendomi, “mi sento molto più a mio agio a parlare con te.” disse.
Annuii sentendomi, da una parte, lusingata. Ritornai a fissare il foglietto vuoto del block-notes che avevo accanto a me, dicendomi che non avrei neanche avuto bisogno di prendere appunti. Avrei davvero potuto dimenticare le cose che mi avrebbe detto quella sera? Naturalmente, no. Forse era patetico ammetterlo, ma era proprio così.
Nel frattempo, un cameriere si avvicinò al nostro tavolo e ci portò la bottiglia di vino che avevo ordinato prima. La stappò, e la pose in mezzo ai nostri bicchieri. Molto gentilmente, Alex mi riempì il bicchiere, continuando a sorridere per tutto il tempo.
Mi schiarii la voce, continuando a tenere lo sguardo basso, ma non molto. Poi lo sentii prendere fiato.
”Beh, è anche vero che, Adrienne, un paio di cose di me già le sai...”
”Fai come se io non ti conoscessi.” dissi accompagnando il tutto con un gesto della mano, non alzando lo sguardo su di lui ancora.
Prese di nuovo fiato. “Sono cresciuto in una modesta cittadina in Italia, e ho avuto un’infanzia e un’adolescenza assolutamente normale, come qualsiasi altro ragazzo. Finché, dopo la maturità ho iniziato ad interessarmi alla musica. Non so esattamente perché, forse per noia... Prima non mi era mai importato granché.”
Scrissi la parola musica al centro del foglietto e la cerchiai un paio di volte. Annuii, per far segno d’aver capito, attentissima.
”Ho imparato a suonare la chitarra classica completamente da autodidatta, e poi grazie a qualche amico ho imparato la chitarra elettrica e persino un po’ di basso. Suonando con altri quattro miei amici, abbiamo formato una specie di band, in cui io sono l’elettrica e canto un po’. All’inizio, la cosa era nata quasi per gioco. O meglio, era un passatempo, niente di più.”
Feci una specie di mappa concettuale, collegando la parola ‘musica’ a ‘chitarra elettrica' e ‘band’.
”Continua.” dissi, interessata.
”Un giorno io ed i miei amici abbiamo registrato qualche pezzo, e per farci un po’ conoscere li abbiamo messi su internet. Sai, MySpace. Come si può pensare, banalmente forse, quei pezzi hanno fatto il giro dell’Italia e sono arrivati anche un po’ più in là... Il potere di Internet è molto, molto forte. E poi noi siamo bravi.”
”I pezzi sono stati ascoltati da un pezzo grosso di un’etichetta discografica, abbiamo avuto una fortuna pazzesca. Con non poca fatica, questa persona è riuscita a contattare me ed il mio gruppo, ed adesso stiamo mettendo su un vero album in una vera sala di registrazione, e abbiamo già firmato un contratto con questa etichetta per i prossimi due anni.”
”Incredibile!” dissi, veramente sorpresa e felice per lui. Finalmente lo guardai e lui mi sorrise raggiante, annuendo. ”Qual è il nome del gruppo?” chiesi.
Lust.” rispose lui, sorridendo con aria adesso fiera.
”Lussuria...” commentai, scrivendolo su un altro foglietto.
”Più che lussuria, è il piacere carnale vero e proprio. E’ un peccato in cui incappiamo un po’ tutti, no? E poi difficilmente ce ne dispiaciamo, perché ne siamo attratti anche se siamo consapevoli che sia un peccato e che ne siamo in soggezione, dopotutto. Ma è un peccato che può diventare un bel piacere. Così dovrebbe essere il nostro gruppo, e le nostre canzoni, per chi ci ascolta.”
”Molto interessante... scrissi, prendendo a scrivere a raffica affinché non tralasciassi niente.
”Grazie,” disse Alex soddisfatto, e sospirando.
Lo guardai e sorrisi, rassicurandolo. Mi sembrava nervoso. “Vorresti diventare famoso?” gli chiesi.
Fece spallucce. “So che è una cosa banale da dire, ma a me interessa che alle persone arrivi un messaggio, o un’emozione. Diventare famoso, poi, è una cosa secondaria. Non dico che la notorietà o i soldi non siano interessanti o allettanti, ma è in secondo piano.”
Apprezzai molto quelle parole ed annuii per tutto il tempo. Era come se fossi davvero orgogliosa per lui. In quello stesso istante, il cameriere di prima ci portò quel che avevo ordinato, sorridendoci gentilmente.
Gli feci altre due o tre domande, poi decisi che era più che sufficiente.
”Bene, intervista finita. Credo di avere abbastanza materiale, e poi non posso dilungarmi troppo. dissi allegra, mettendo via il block-notes e la penna.
Lui fece un’espressione tra il sorpreso e il sollevato. “Wow, breve ed indolore!”
Ridacchiai. “Ho tutto quello che mi serve. Ne verrà fuori un bell’articolo, secondo me. Inseriremo anche il link del MySpace della band, così chi vuole potrà andare ad ascoltare le vostre canzoni liberamente.”
Annuì. “Lo spero proprio, sai. E’ davvero tutto strano per me, che qualcuno dedichi uno spazio a me in una rivista così importante, letta in tutta la Francia, e da un sacco di donne, poi.”
Feci una risata per il tono che aveva usato, e mi dedicai alla mia cena abbassando nuovamente lo sguardo.
”E’ la notorietà, no? Quando ti capiterà più spesso, ci farai l’abitudine, immagino. osservai.
Scrollò le spalle. “Se mi capiterà più spesso..mi corresse.
Scossi la testa, masticando, poi deglutii. Quella caprese era davvero buona.
”Andiamo, non essere pessimista, però. Magari ti capiterà davvero più spesso. O almeno, io spero per te che sia così.”
Io ed Alex continuammo a parlare per tutta la cena, tranquillamente. Ero terribilmente felice.
Mi raccontò un po’ degli altri ragazzi del gruppo, e che si trovava lì in Francia un po’ per vacanza, un po’ per quella intervista: per il resto del tempo, viveva sempre in Italia. Mi disse anche che non sapeva una sola parola di francese, che in quel ristorante il cameriere parlava a stento l’inglese e che prima che arrivassi aveva dovuto farsi capire praticamente a gesti.
”Anch’io avevo qualche difficoltà all’inizio, ma poi ho frequentato un corso... Mi ha anche aiutato la mia amica, Eveliss.”
”Chi è Eveliss?” chiese.
Gli raccontai di lei, di quanto fosse bello averla come amica, delle mie giornate alla redazione dei giornale, e della Francia: la mia seconda casa, ormai. Evitai accuratamente di spiegargli il motivo per il quale me ne ero andata dall’Italia. Ma fortunatamente, lui non lo chiese. Forse lo immaginò.
Fu davvero come se tutto quel tempo lontano da lui non ci fosse mai stato. Cosa importava quel che era stato? Era lì, e questo mi bastava. Sì, questo mi bastava soltanto per far svanire tutto il resto.
Finimmo di mangiare dopo un bel po’, e dopo aver pagato il conto, uscimmo insieme dal ristorante. Mi sentivo totalmente rilassata e felice, così tanto che non riuscivo proprio a cancellare il sorriso dalle mie labbra, per quanto volessi farlo. Mi sentivo ridicola. Ma dopotutto... chi se ne importava?
”Come ritorni a casa?” chiese lui all’improvviso, infilando le mani in tasca.
”Non sono venuta con la mia auto, ho detto al taxi che mi ha accompagnato di venirmi a riprendere proprio qui... Dovrebbe arrivare a momenti.” risposi, incrociando le braccia al petto. C’era freddo.
Lui annuì. “Io ho l’albergo qui vicino. Immagino che dovremmo salutarci.”
Lo guardai dritto negli occhi, con un’espressione improvvisamente serissima. “Già...”
Calò il silenzio, ed io mi persi nei suoi occhi, mentre anche lui mi fissava dritto nei miei. Salutarci? Non ci avevo pensato.
L’intervista era finita, tutto era finito. Ci saremmo rivisti ancora? Ora che l’avevo rincontrato non volevo che andasse di nuovo via. No, non potevo proprio permetterlo. Ero destinata a soffrire ancora?
Continuavo
a fissarlo, rimanendo di fronte a lui, con le braccia incrociate al petto per sentire meno freddo. All’improvviso, mi si accese una lampadina in testa. Che idea!
Alex,” esordii, parlando chiaramente, “domani potresti venire in redazione?”
Lui alzò un sopracciglio. “Hm... credo di sì. Perché?”
Abbassai lo sguardo
. “Beh, pensavo che potessimo accompagnare l’articolo con una bella foto, che ne dici? Certo, sarebbe bello se ci fosse tutta la band, ma dato che ci sei solo tu... Conosco un fotografo che è bravissimo, non avrà problemi a scattarti qualche foto... Ed Eveliss sarà sicuramente d'acco...”
Per il nervosismo avevo cominciato a parlare a raffica. Mi succedeva sempre, e l’odiavo, ma non riuscivo più a fermarmi: avevo proprio bisogno di colmare il silenzio con le parole, in momenti del genere.
Lui lo capì, e come per zittirmi, avanzò di qualche passo e poggiò entrambe le mani sulle mie spalle. “E’ una splendida idea, Adrienne. mormorò, guardandomi.
Non appena lui entrò il contatto con le mie spalle, alzai lo sguardo di scatto su di lui e ripresi a guardarlo negli occhi, completamente muta. Eravamo molto più vicini, potevo vedere il mio riflesso nei suoi bellissimi occhi nocciola. Avevo voglia di abbracciarlo, di baciarlo, di fargli capire che... che lo amavo, lo amavo ancora. Non avevo mai smesso di farlo.
Naturalmente, ricacciai tutto indietro – a malincuore – e rimasi là immobile a fissarlo, senza muovere un solo muscolo, solo a guardarlo negli occhi per un tempo che mi sembrò infinito. Ascoltai il suo respiro, dato che respirava a labbra leggermente socchiuse. Ecco, avevo voglia di perdermi lì, dentro quel respiro...
Alex mi diede un colpetto sulle spalle con entrambe le mani, e come se si risvegliasse, mi sorrise e si allontanò lentamente.
Il taxi era arrivato. Si fermò sul ciglio del marciapiede e mi illuminò con i fari. Feci un gesto con le mani per far capire al tassista che avevo capito.
”A che ora devo venire lì, Adrienne?” chiese Alex, mentre lo riguardavo.
”Eh?” chiesi, spaesata.
Rise, piano. “A che ora devo venire alla tua redazione, domani?”
Scossi leggermente la testa come per riprendermi. Ecco le scintille, le farfalle allo stomaco, i brividi. Accidenti a lui, accidenti a me.
Adrienne, fai la persona matura e smettila.
”Verso le dieci, va bene?” dissi.
Annuì. “Va benissimo. A domani, allora.”
Trovai quelle parole deliziose. Domani l’avrei rivisto, incredibile.
”Sì, certo... Buonanotte, Alex. gli dissi, avvicinandomi al taxi.
”Anche a te, Adrienne.”
Mi sorrise amabilmente.
Gli diedi le spalle, aprii la portiera del taxi e mi infilai dentro. Una volta seduta, guardai ancora una volta Alex, attraverso il finestrino, che era ancora lì ad aspettare che me ne andassi.
Lo guardai, con uno sguardo così pieno d’amore che mi chiesi se anche lui potesse sentirlo, se potesse capire solamente guardandomi, come accadeva un tempo. Lo amavo, e lui poteva leggerlo dal mio sguardo, come aveva sempre fatto. Ne ero sicura. Il taxi partì, Alex si allontanò, e mi ritrovai a sospirare, in quella notte così fredda, così bella.
You're the sun, you're the only one. My heart is blue, is blue for you***.






* Gioia e RivoluzioneAfterhours.
** Quaranta secondi di nienteVerdena.
*** Rock and Roll Queen – The Subways.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


Ma buongiorno! Come va, lettrici e lettori? A me bene! La scuola è finita... I quadri da me vengono appesi lunedì, speriamo in bene :S Vorrei augurare buona fortuna a tutti quelli che avranno gli esami di maturità! =D (nel caso qualcuno che li abbia mi stia leggendo!)
Cos'altro dire... Oggi sarò breve. Le cose procedono lisce e mi ritrovo ad aggiornare ancora. Ringrazio tutti per le recensioni, davvero! I commenti saranno a fine capitolo. Spero di non deludervi. Alla prossima! <3



Capitolo sette

Capitolo sette.

L’indomani mattina mi svegliai prestissimo, con la sensazione che la giornata precedente non fosse stata reale. Feci colazione, molto lentamente, assaporando il mio solito caffè-latte e biscotti, ripensando agli ultimi avvenimenti della serata precedenze.
Le cose stavano cambiando, me lo sentivo, e non avrebbero potuto cambiare che in maniera migliore, no? Non riuscivo a crederci, proprio no. Avevo rivisto Alex.
Avevo rivisto Alex. Oddìo.
Mi lavai, mi vestii e mi truccai con maggiore cura e lentezza, ed una volta pronta arrivai in redazione, come ogni mattina.
La sera prima, non appena varcata la soglia di casa, mi ero fiondata a scrivere l'articolo, rimanendo sveglia fino a tardi. Nonostante avessi dormito molto poco non avevo neanche una briciola di sonno ed ero sicura di aver fatto un buon lavoro con l’articolo, a mio parere almeno, e non vedevo l’ora che Eveliss lo leggesse, dicendomi cosa ne pensava. Insomma, avevo un'energia che usciva da tutti i miei pori. E, soprattutto, non vedevo l’ora di vedere Alex, accidenti.
Salii le scale del palazzo praticamente ballando per la felicità. Non appena entrai, tutte le persone lì presenti si voltarono a fissarmi. Io, accennando dei passi di danza, avanzai per tutto il corridoio fino all’ufficio di Eveliss, sotto gli sguardi a dir poco sbigottiti delle mie colleghe.
Entrai nell’ufficio di Eveliss nel silenzio più assoluto. Quest’ultima era in piedi, di spalle alla porta e guardava oltre la finestra, parlando al cellulare – tanto per cambiare. Spinsi indietro leggermente la porta, che non fece il minimo schiocco chiudendosi, e facendo il massimo silenzio mi avvicinai a lei, di soppiatto, per poi abbracciarla da dietro per la vita.
Eveliss lanciò un urlo di sorpresa. Sì, l’avevo spaventata.
”Chi sei?!” chiese con voce stridula, cercando di voltarsi. Io la tenevo stretta, e non ce la feci a trattenermi dal ridere. Appoggiai la testa sulla sua spalla ridendo, e lei fece un verso lamentoso.
”Accidenti, Adrienne, certe volte sei proprio un’idiota!” esclamò. Chiuse il cellulare con un solo gesto, dopo aver liquidato l'interlocutore com'era solita fare, e se lo mise in tasca, poi poggiò le mani sulle mie braccia, le quali erano ancora attorno alla sua vita.
“Cos’è, hai le carenze d’affetto a quest'ora del mattino?” mi chiese, con un tono tra il divertito e lo scocciato. Non me l’avrebbe mai data vinta molto facilmente.     avrebbe mai data vinta molto facilmente.
"o scocciato. asca, poi poggiò le mani sulle mie braccia, le quasi erano ancora attorno
No," risposi seria, guardando lei, poi rivolgendo lo sguardo oltre la finestra, "io volevo solo ringraziarti."
"Eh? E per che cosa?" chiese Eveliss con un tono fin troppo sorpreso.
La lasciai andare, e mi posizionai davanti a lei, per poi annuire vigorosamente.
"Per tutto." risposi, "Per avermi portato qui a Parigi, per farmi lavorare qui, e per avermi concesso di poter fare quell'intervista..."
Eveliss rimase ammutolita per un bel po'. Poi annuì con aria, la definirei, comprensiva.
"Ho capito. Quell'emergente musicista è un figo da paura, gli piaci, e magari te lo sei anche portata a letto. Confessa." disse.
Scoppiai a ridere sonoramente. Ecco, quello era proprio da Eveliss. Ed io l'adoravo per questo. Mi limitai a scuotere la testa, e lei continuò a fissarmi con un'aria furbetta, un sopracciglio alzato.
"Deve essere così," insisté lei, "Sembri felicissima. A proposito, carino questo cardigan rosso, ti dona."
"Sì, sono felice, ma..."
"E allora devo tirarti fuori le cose con le pinze? Ti prego!"
Continuai a ridere: non era da Eveliss pregarmi.
Poi, all'improvviso, mi venne in mente una cosa e la guardai con occhi sgranati per l'incredulità.
"Eve!" esclamai, "Non ho messo la crocetta sul calendario!"
La abbracciai, buttandole le braccia al collo, sempre con quell'aria da bambina che aveva appena scartato i regali a Natale.
"Okay. Facciamo finta che io sappia perfettamente di cosa tu stia parlando... Quindi: sono felice per te, Adrienne!" disse lei con aria divertita, ricambiando l'abbraccio. Risi per l'ennesima volta, lasciandola andare.
"Beh, devo assolutamente chiamare Andrea. Spero che sia libero stamattina, mi serve che faccia alcune fotografie per me." dissi, e feci per uscire dal suo ufficio.
"Ma a chi? O a cosa?" chiese Eveliss, parlandomi dietro, confusa.
Sorrisi e chiusi gli occhi, non vista da lei. "Vedrai. Ti piacerà." risposi, ed uscii.

***

Alex fece capolino dalle scale della redazione, alle dieci spaccate. Si guardò intorno spaesato, poi individuò il mio sguardo e cominciò a venirmi incontro, con un sorriso splendido.
In quel momento, ero in piedi con Eveliss di fronte alla porta del mio ufficio, con un caffè Starbucks in mano, e non appena lo vidi mi pietrificai. Alex era bellissimo. I capelli un po' spettinati, i jeans sbiaditi sulle cosce, la giacca nera sopra una semplicissima maglietta rossa. Il passo sicuro, lo sguardo fiero. Era irreale. Forse tutto quel tempo passato ad aspettare e a soffrire, era valso a qualcosa.
My sweet prince, you're the one.*
Oh, ero proprio una stupida.
"Oh buon dio." esclamai poi guardandolo. Eveliss si voltò ed intercettò con lo sguardo ciò che stavo fissando con tutta quella attenzione.
"Lo sapevo!" mi sussurrò. Ma non ebbe tempo di aggiungere altro, perché Alex era già davanti a noi. Nel frattempo, aveva attirato non pochi sguardi da parte delle mie colleghe. Non era una cosa di tutti i giorni, quella di vedere un ragazzo simile piombare all'improvviso in redazione. Ma lui era mio, brutte streghe! No, aspetta, cosa stavo pensando? Lui non era più mio. Ma almeno, era venuto per me. E non per voi. Improvvisamente non avevo più voglia di caffè e mollai il contenitore nel cestino vicino la porta. Mi schiarii la voce.
"Ciao, Adrienne..." esordì Alex, che ormai aveva preso l'abitudine di interrompere i miei pensieri parlando. Si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia. Mi sciolsi, come un ghiacciolo esposto al sole.
"Ciao." dissi, guardandolo. Ma che cavolo mi prendeva? Ma stiamo scherzando? Dov'era finita quell'Adrienne degli ultimi tempi, l'intrepida e sicura ragazza che baciava due o tre ragazzi diversi al giorno solo perché non aveva niente da fare?
Alex si rivolse cortesemente ad Eveliss. "Tu dovresti essere...?" chiese, incuriosito.
"Piacere, sono Eveliss Dumas, direttrice di Helter Skelter." disse lei con il suo tono sicuro ed autoritario, porgendogli la mano - perfettamente curata. Le avevo sentito pronunciare quella frase un milione di volte, ad innumerevoli persone, agli altrettanto innumerevoli cocktails party a cui avevamo partecipato.
Lui le strinse la mano che lei gli porgeva ed annuì.
"Sei la donna che mi ha contattato al telefono per l'intervista, giusto? Piacere, Alessandro. Adrienne mi ha parlato tanto di te."
Eveliss mi rivolse un'occhiatina quando Alex le lasciò una mano. Io feci un sorrisetto.
Dopo di ciò, Alex mise le mani dentro alle tasche dei jeans e mi guardò. "Avevi detto che dovevamo fare qualche foto, no?"
"Sì," risposi, "Al piano di sopra c'è una stanza che usiamo per le foto dei servizi fotografici, andiamo? Andrea, il fotografo, dovrebbe essere già arrivato."
Lui annuì. "Certo, come vuoi. E' stato un piacere Eveliss."
Lei sorrise. "Piacere tutto mio, Alessandro. Buone foto." disse dolce come uno zuccherino. Per poco non mi mettevo a vomitare, ma quando lui non guardò verso di noi, Eveliss mi fece un occhiolino esagerato. L'avrei uccisa, chissà che pensava in quel momento.
Io ed Alex uscimmo dalla redazione ed imboccammo le scale a destra, per poi salire di un piano. Aprii una porta con una chiave nascosta sotto ad un vaso lì accanto per comodità, ed io ed Alex entrammo nell'appartamento. Era vuoto, praticamente semibuio. Una volta entrati proseguimmo per un breve corridoio, e dopo una porta arrivammo in una stanza molto grande ed illuminata, grazie ad un enorme finestra sulla parete a lato. I muri erano completamente dipinti di bianco, perciò nella stanza si avvertiva una strana sensazione, quasi sterile, scientifica. Su una parete giacevano delle grandi luci con un piedistallo nero, al momento spente.
Non c'era ancora nessuno, così io e lui rimanemmo in silenzio, evitando in maniera accurata di guardarci negli occhi. Decisi di intavolare una conversazione.
"Dopo queste foto... Cosa farai? Ritornerai in Italia? O magari ti ho trattenuto un giorno più del previsto?" chiesi. Ero naturalmente curiosa e cercavo di non farglielo capire.
Lui scosse la testa, rimanendo con le mani dentro le tasche.
"No, assolutamente, rimarrò a Parigi per un altro po'. Dato che non ci sono mai stato prima d'ora, pensavo di visitarla." rispose lui.
Annuii. Posso farti da guida? pensai. Ma invece dissi, senza pensarci più di tanto: "Mi piacerebbe sentirti suonare, Alex."
Lui mi guardò negli occhi, e fece un passo verso di me. "Ed io voglio vederti ancora, Adrienne."
Lo disse con talmente tanta intensità che temetti di non riuscire a reggere il suo sguardo. Deglutii. "Anch'io voglio rivederti." ripetei, stupidamente.
Sorrise, continuando a guardarmi negli occhi.
Si avvicinò ancora, e fece per prendermi una mano. Non appena sentii la sua mano che sfiorava la mia, mi agitai imbarazzandomi e cercai di allontanarmi. Lui mi guardò con aria attenta, quasi studiandomi.
Ma cosa voleva lui, da me, adesso?
Quel silenzio fu interrotto da dei rumori di passi che provenivano dalle scale. Mi assicurai di essere abbastanza lontana da Alex e poi mi voltai, e vidi Andrea. Per la prima volta da quando lo conoscevo, provai davvero sollievo nel vederlo.
"Ciao, Andrea!" dissi, infatti. Lui si avvicinò sorridendomi, guardandomi me, poi Alex. Ed il suo sorriso scomparve di un poco. Leggevo la sua mente. Lo sapevo. Vedeva in quel ragazzo un rivale, o chissà che cosa... Lo faceva con tutti. Era troppo geloso, e questa era una delle tante cose che mi aveva impedito di provare qualcosa di profondo per lui.
Andrea portava con sé una valigetta grigia di uno strano materiale, che assomigliava molto a quella delle spie. Avvicinandosi, posò la valigetta per terra, poi allungò una mano verso Alex, e lui la strinse.
"Piacere. Sono Andrea, il fotografo della rivista."
Speravo che la stretta non fosse troppo forte. Li guardai, come se fossi in ansia.
"Alessandro, piacere."
"Andrea è il fratello gemello di Eveliss." aggiunsi.
"Ah, conosci già mia sorella?" chiese Andrea, lasciandogli la mano.
Alex annuì e sorrise, non scomponendosi affatto. "Sì, è lei che mi ha contattato per l'articolo. E si nota comunque, vi assomigliate parecchio."
Andrea fece un sorriso di circostanza, poi si accucciò accanto alla sua valigetta e l'aprì. Ne uscì una reflex digitale, una NikonD3000 con un obiettivo assurdo, un 70-300 mm, e poi un treppiedi. Aprì quest'ultimo un po' più lontano dalla valigetta, e poi ci posizionò la macchina fotografica sopra.
"Bene, per me possiamo cominciare." disse Andrea, assumendo il suo tono professionale. Quanto mi ricordava Eveliss, in momenti simili?
“Alessandro, puoi posizionarti di fronte quel muro lì?" Indicò il muro di fronte a noi. "Così viene un bel sfondo bianco e la luce naturalmente della finestra che ti colpisce trasversalmente. C'è abbastanza luce."
Alex annuì, e si posizionò dove gli era stato indicato, proprio davanti ad Andrea. Io nel frattempo mi ero spostata a fianco di quest'ultimo, lasciandogli molto spazio libero. Alex sembrava un po' imbarazzato, com'era prevedibile, ed io gli sorrisi come se volessi tranquillizzarlo. Lui incrociò il mio sguardo e sospirò profondamente, poi sorrise. Andrea sistemò il treppiedi alla sua altezza e poi si avvicinò alla macchina fotografica, guardando attraverso l'obiettivo e sistemando con una mano la grossa lente della macchina, per regolare lo zoom.
Impiegammo quasi tre quarti d'ora per tutte le foto, una ventina. Ne vennero fuori di belle. Il modello era quello che era, ed una volta presa un po' più di confidenza con lo strumento di lavoro, Alex poteva rivelarsi eccezionale. Andrea avrebbe passato le foto che riteneva migliori alla responsabile dell'impaginazione grafica, che le avrebbe messo nell'articolo da me scritto - che in quell'istante si trovava nelle mani di Eveliss, in attesa di giudizio.
Mentre Andrea aggiustava a rimetteva a posto le sue cose, mi avvicinai ad Alex per parlargli, senza che Andrea sentisse. Prima che potessi dire qualcosa, però, Alex parlò.
"Divertente. Magari la mia vera via era questa, essere un modello. Spero di essere venuto bene. Anzi! Che le foto rendino giustizia." disse ridendo.
Feci una smorfia scherzosa.
"Quando ci rivediamo?" dissi subito.
Alex sorrise a quella mia domanda. "Quando va in stampa, il giornale?"
"Domani," risposi io. Lui sembro riflettere.
"Tu sicuramente lo vedrai prima... Ma ti va se un pomeriggio mi accompagni a comprarne una copia?" mi chiese.
"Certo, ma potrei fartene avere quante ne vuoi senza pagare, però..."
"Figurati, non essere sciocca." Alex sorrise. "Mi basta... Mi basta che ci sia tu con me."
Mi sentii arrossire ancora una volta, allora abbassai lo sguardo per nascondermi. Lui continuò a parlare. "Beh allora mi rifarò vivo fra qualche giorno, per metterci d'accordo, okay? Grazie mille. Di tutto."
Rialzai lo sguardo. "Ma figurati. Non ho fatto proprio nulla..." mormorai.
Lui mi prese il viso dal mento con due dita, e mi baciò sulla guancia, rimanendo a contatto sulla mia pelle con le sue labbra per molto più tempo del dovuto. Chiusi gli occhi per tutto il tempo, sentendo quell'attimo e quel gesto amplificato, forse in maniera così esagerata. Era solo un saluto.
Mi lasciò andare, e riaprii gli occhi all'istante. Mi sorrise, e ricambiai il sorriso, felicissima. "Ci vediamo, Adrienne." disse lui.
Si allontanò da me, salutò e ringraziò Andrea, e se ne andò. Sospirai profondamente quando lo vidi sparire, raggiungendo Andrea, che mi fissò intensamente. Con un colpo secco, chiuse la valigetta e si rialzò in piedi, non smettendo di guardarmi.
Lo notai, e lo guardai anch'io.
"Cosa c'è?" gli chiesi.
"Sei innamorata di quel tipo." disse, con un tono piatto.
Non era una domanda, ma un'affermazione.
Rimasi spiazzata, e lo guardai con occhi spalancati. "Io?!" esclamai.
Lui annuì. "Non provare a fregarmi, Adrienne. Penso di conoscerti abbastanza bene, ormai."
Mi chiesi se fosse così evidente, e da che cosa l'avesse capito, poi. Ma la prima cosa che dovevo fare, era negare. Negare negare negare.
"No, ti sbagli. E di grosso. " risposi, secca.
Silenzio-dopo-un-no.
"Sarà." fece spallucce, e continuò a fissarmi. "Spero che lui sappia, almeno, come stanno le cose."
Alzai un sopracciglio con aria interrogativa. "Che intendi?"
Ci furono degli attimi di silenzio, molto tesi.
Andrea mi guardò intensamente, e fece spallucce ancora una volta.
“Andiamo Adrienne, l'hai capito...”
“Veramente no, altrimenti non te l'avrei chiesto.”
Sbuffò sonoramente.
“Tu sei... mia, no?”
Continuai a fissarlo con gli occhi spalancati, quasi inorridita da quelle parole. Cosa? Ma si era rimbecillito? Sua? Quando mai lo ero stata?
“Che cosa? Io non sono di nessuno, tanto meno tua!” ribattei a voce un po' più alta, veramente indignata.
“Ma noi due ci siamo baciati... Molte volte. E ci stiamo frequentando... In un certo senso.” Andrea capì di aver fatto un errore e ci andò più piano con le parole, ma io ero furiosa, ormai. Come poteva dire una cosa del genere? Avevo sempre messo tutto in chiaro, fra di noi, proprio per evitare equivoci del genere. Non gli avevo promesso niente, e non mi era mai passato per la testa di farlo.
“Ma non stiamo assieme, Andrea, te l'ho già detto un mucchio di volte, noi-non stiamo-insieme. E non sono affatto tua, levatelo dalla testa!”
Iniziò ad irritarsi anche lui.
“Ehi okay, okay, calmati. Non c'è bisogno di fare così. Solo... Io sono arrivato prima, prima di questo tipo.”
Adesso ero davvero arrabbiata. Sentii rabbia e calore salire dai piedi fino alla testa, e poi ritornare giù verso le guance. Dovevano essere color porpora. “Ah sì, hai proprio tagliato il traguardo! Ma che cosa sono per te, Andrea? Un trofeo? Una gara da vincere? Sei ridicolo!” urlai, con la voce stridula per il nervosismo, che risultò amplificata a causa della stanza vuota.
Lui non rispose e abbassò lo sguardo, come se avesse perso le parole.
Silenzio-dopo-commento-acido-da-parte-mia. Beh, molto più che acido.
Mi dava ancora di più sui nervi il fatto che stesse in silenzio, come se non cercasse neanche di giustificarsi o scusarsi; così mi avviai verso le scale: non volevo stare lì con lui neanche un minuto di più.
“E comunque,” conclusi, voltandomi per guardarlo, “Se vogliamo metterla su quel piano, lui è arrivato molto, molto prima di te.” dissi.
Ecco, era questa l'Adrienne schifosamente sicura di sé e senza cuore.
Avevo detto la pura verità. Avevo detto quello che pensavo, inoltre.
Non aspettando risposta, mi voltai di nuovo e sparii lungo le scale.






* Placebo – My Sweet Prince.




chiara84: Ehehe! Molte delle tue domande sono state soddisfatte grazie a questo capitolo! Forse avrei dovuto scrivere meglio sul loro incontro, ma pensandoci bene, Adrienne non avrebbe mai potuto saltargli addosso. Sarebbe stato fin troppo patetico, non trovi? XD Comunque, per altre risposte, dovrai aspettare.
mo duinne: complimenti per l'intuito, avevi azzeccato subito! mi dispiace che lo scorso capitolo ti abbia fatto innervosire... come sappiamo Alex è fatto così, e Adriene... beh, è troppo innamorata! Spero che l'incontro tra Alex e Andrea ti sia piaciuto =D
Alebluerose91: oh, mi commuovi veramente! sei troppo gentile, grazie! ho cercato di immedesimarmi il più possibile in Adrienne... Del resto, non era così difficile individuare quali sarebbero stati i suoi pensieri! spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo. *-*
giuly_pattinson: LOL... ti perdono sono se mi commenti anche questo capitolo, ovviamente ò.ò Per il resto... Non so dirti con esattezza cosa combinerà il nostro Alex :D E no, Eveliss non l'ha fatto apposta. Questo posso dirtelo. Anche lei era ignara di tutto! Grazie mille comunque, per tutto!
Nana_vampiro: Baci?? Hmm o.o Forse è un po' troppo rischioso! Meglio limitarsi ai baci sulla guancia! A presto, grazie =D
Vichy90: Oh, ciao! Una nuova lettrice, benvenuta! Sono contentissima del fatto che la mia storia ti piaccia, e ti consiglio di leggere anche Ovunque... Anche se, come scritto nell'introduzione, poi le cose si faranno più chiare, verrà spiegato tutto. Però per alcuni particolari, si deve conoscere per forza la storia iniziale, secondo me! ^^ Come ho detto ad un'altra lettrice... Adrienne è fatta così. E' innamorata. Forse è un po' stupida... Ma è innamorata. E ti ricordo che noi non possiamo conoscere i pensieri di Alex, comunque =P Ad ogni modo spero che continuerai a seguirmi e a commentare. Grazie!
Per oggi è tutto! Al prossimo aggiornamento. G R A Z I E!

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Salve gente! Come va? A me bene! L'estate è ormai arrivata. C'è caldo e ci si diverte ;) Per fortuna sono passata senza debiti quest'anno... E il prossimo anno, maturità o.o Fico o.o... Anzi, a proposito, auguri a chi si è appena diplomato ;)
Passiamo alla storia. Questo capitolo sarà molto importante, sotto un certo punto di vista, perché verranno riassunti tutti (quasi tutti) i fatti avvenuti in "Ovunque". E' anche un aiuto per rinfrescare la memoria, nel caso vi foste dimenticati qualcosa, e anche per fare un po' di chiarezza per chi non ha mai letto Ovunque... Ma come ho detto l'altra volta, vi consiglio di farlo ;)
Bene... Al prossimo aggiornamento, GRAZIE a tutti! Ma mi aspetto molte più recensioni, capito?! -.- xD


Capitolo otto

Capitolo otto.

Era già mattino.
In dormiveglia, sentivo lontani clacson suonare e un brusio di voci che parlavano.
Chi andava al lavoro, chi a scuola, chi semplicemente si godeva la giornata.
Sentivo proprio che avrei dovuto alzarmi: ma la solita forza di gravità che ci tiene incollati alle lenzuola calde, mi diceva che avrei potuto rimanere lì ancora cinque minuti. Sorrisi lievemente a quel pensiero e mi sollevai meglio il piumone addosso, dicendomi che quella voce aveva ragione e che si stava così bene, lì dentro...
La suoneria del cellulare spezzò il silenzio. No, non era la sveglia, ma era una chiamata. Maledissi mentalmente la mia abitudine di lasciare acceso il cellulare di notte per qualsiasi emergenza, e borbottando parole incomprensibili, mi alzai a sedere e afferrai il cellulare, rispondendo.
“Che c'è?” bofonchiai.
“Sì, tesoro, sono contenta anche io di sentirti! Ma cosa mangi, pane e acidità a colazione?” mi disse la squillante voce di Eveliss.
Mi stropicciai gli occhi con una mano libera, sospirando profondamente. “Ma che ore sono...?” le chiesi, del tutto disorientata.
“Sono quasi le otto, mia cara amica, e tu fra mezz'ora dovresti essere in ufficio! Invece dalle splendide note della tua voce noto che eri ancora a letto. Ma come si fa!” mi rimproverò Eveliss, come solo lei sapeva fare. Era anche peggio di mia madre, quando per trascinarmi giù dal letto per andare a scuola, doveva uscire le bombe, certe mattine.
“Non cominciare...” ribattei, riaprendo gli occhi e capendo che non era un sogno e che ero davvero nella mia camera da letto.
C'erano molte cose che odiavo al mondo, davvero.
Ad esempio, sbattere il piede nudo contro lo spigolo del letto.
Sbattere le palpebre nel momento sbagliato quando metto il mascara.
Fare la doccia e dimenticarmi l'accappatoio a portata di mano, quando esco.
E un mucchio di altre cose, più o meno futili.
Ma la più importante di tutti, era – ovviamente - essere svegliata dalla suoneria del cellulare. Secondo me, era il modo peggiore per cominciare una giornata, specialmente se te ne aspetta una più pesante del solito. E' traumatico.
In quel momento, quindi, diciamo che non ero esattamente di buon umore.
Sentii qualcuno dall'altra parte del telefono che sbuffava.
“Scusami, ma io pensavo che fossi già sveglia, dato l'orario.” disse.
“Ieri sera ho fatto tardi, ho dovuto rispondere a delle email importanti...” commentai.
A dire il vero, avevo risposto a solamente un'email, cioè quella di Edoardo. Non avevo più intenzione di rimandare una risposta, e avevo scritto quasi cinque pagine di un documento Word. Poi avevo guardato un po' di tv, mi ero fatta una cioccolata calda, fumato due sigarette, continuato a leggere il libro che avevo sul comodino, e infine avevo ripreso il pc e mi ero messa a giocare col solitario.
Mi ero lasciata prendere un po' la mano con questo solitario – dovevo vincere! - e avevo fatto tardi. E allora? Capita a tutti.
“Ho capito, vabbé dai, tranquilla. Ti avevo solo chiamato per dirti che il tuo articolo mi è piaciuto molto ed è andato già in stampa.” disse Eveliss, e dal tono della sua voce, capivo che stava sorridendo.
“Veramente? Andava bene?” chiesi, risvegliandomi all'improvviso. Allontanai il piumone e mi alzai dal letto.
Un'altra cosa che odiavo era non trovare subito le pantofole e sentire il pavimento ghiacciato sotto i piedi.
“Ma certo, dubiti delle tue capacità?” chiese lei, ridacchiando, “Veramente Adrienne, hai fatto un buon lavoro, scritto bene come sempre, lineare, preciso, ma non banale. Nell'articolo ci saranno inoltre due delle foto che Andrea gli ha fatto; anche questa è stata una bella idea. L'articolo si completa di più se c'è una bella foto ad accompagnarlo, ed attira l'attenzione di chi legge.”
“L'ho pensato anche io”, concordai, inforcando finalmente le pantofole – che erano finite sotto al letto – e avviandomi verso la cucina. Ero felice che ad Eveliss fosse piaciuto il mio articolo ed ero orgogliosa: in fondo, era anche merito di Alex...
“Beh, davvero brava.” disse ancora Eveliss, poi fece una pausa. Stava per dire qualcosa. “A proposito di Andrea...”
Non dissi nulla, immaginando dove volesse andare a parare.
“Ieri sera ho parlato con lui”, continuò Eveliss, “ed è distrutto.”
Automaticamente alzai gli occhi al cielo: per fortuna non poteva vedermi.
“Distrutto per cosa, Eveliss? Non è successo nulla.” dissi subito.
Misi il cellulare tra la spalla e l'orecchio e presi una tazza gialla dalla credenza, la riempii di acqua e la infilai dentro il forno a microonde, per farla riscaldare.
“Mi ha raccontato che avete litigato, e che, beh, diciamo che non gli hai proprio rivolto parole d'amore...” Eveliss aveva un tono contrariato. Effettivamente, Andrea era sempre suo fratello ed era chiaro che fosse dispiaciuta.
Ma io non potevo farci proprio niente.
Passai il telefono nell'altro orecchio mentre il microonde, con una serie di biiip, mi diceva che l'acqua era diventata calda. Uscii la tazza e presi dalla credenza una bustina di colore rosa, che immersi nell'acqua. Lentamente si colorò di arancione.
“Dice che sei innamorata di un altro.” continuò ancora, spietata. “Perché io non ci sto capendo più nulla? Perché la mia migliore amica non parla con me?”
Ebbi un sussulto alla parola “innamorata”, e poi mi sentii immediatamente in colpa e sospirai. L'acqua era diventata ormai color ambra, così levai la bustina di thé ormai inzuppata e la buttai nel cestino della spazzatura.
“Eveliss, mi dispiace veramente... Ma sono stata impegnata in questi giorni e non ho avuto proprio il tempo di fermarmi cinque minuti a parlare con te su quello che mi sta succedendo.” dissi sinceramente, prendendo la tazza e cercando di sorseggiare il thé senza bruciarmi.
No, troppo tardi: mi ero scottata le labbra. Maledizione.
“Anche io sono stata impegnata, e forse hai ragione... Però sono anche preoccupata per Andrea, è pur sempre mio fratello. Avresti proprio dovuto vederlo ieri sera, quando ho detto che era distrutto, non scherzavo.”
“Certo, ti credo... Ma...”
“Sì, lo so che non provi niente per lui. Ma Andrea è di un altro parere, sai...”
Mi morsi la lingua, pensando a tutti quei baci ricambiati, le carezze, i sorrisi dolci di Andrea, le serate a casa sua, i regali, le foto che mi aveva fatto e che aveva appeso sopra il suo letto, le sue parole sincere e colme... d'amore, ricambiate solo con qualche patetico sorriso. Che stupida!
“Ascolta, Eveliss,” dissi sospirando, “Che ne dici se ne discutiamo in ufficio, appena arrivo? Non mi va di parlarne al telefono.”
“D'accordo,” disse lei, “Allora sbrigati, ci vediamo tra un po'.”
“Ok, ciao, ciao.” la salutai, e riattaccai. Solo dopo averlo fatto, mi ricordai che il mio cellulare aveva l'opzione per il vivavoce, e avrei potuto guadagnare tempo, senza farmi venire anche un torcicollo. Doppiamente stupida!

***

Dopo una doccia veloce, mi vestii e mi precipitai a lavoro, impaziente. In realtà, non avevo poi così tanta voglia di affrontare quei discorsi con Eveliss; ma pensai che almeno a lei, dovevo qualche spiegazione. E volevo liberarmi di un peso.
Nel tragitto da casa fino al lavoro fumai una sigaretta, cercando di rilassarmi. E poi Eveliss non mi faceva mai fumare a lavoro: certe volte mi nascondeva pure i pacchetti di sigarette, scatenando la mia furia.
Entrai in un ufficio e le solite ragazze in tacchi a spillo mi sfrecciarono accanto, salutandomi. Ricambiai qualche saluto, dopodiché incrociai lo sguardo di Eveliss. Non era giusto essere così carine di prima mattina, accidenti.
“Adrienne,” mi salutò venendomi incontro. Teneva in entrambe le mani dei caffè in dei bicchieri di plastica, e me ne passò immediatamente uno, sorridendomi. “Andiamo nel mio ufficio, saremo più comode, dai.”
In silenzio, e col caffè che mi aveva dato in mano, la seguii lungo il corridoio.
“Diana, sposta tutti gli appuntamenti che ho stamattina,” ordinò Eveliss quando passammo accanto ad una giovane donna, sulla trentina, e dai capelli biondi – dall'evidente ricrescita scura: Diana, la segretaria personale di Eveliss.
“Certo, signorina Dumas.” rispose quella, guardando me. Pensava chissà quale ramanzina avrebbe dovuto farmi Eveliss: non era una cosa di tutti i giorni, per lei, spostare gli appuntamenti importanti che prendeva. I suoi appuntamenti erano sempre importanti; già il fatto che ne prendesse, di appuntamenti, significava qualcosa!
Entrammo nell'ufficio di Eveliss in fondo al corridoio. Si sedette sulla sua solita poltrona, e io mi sistemai davanti a lei, in quella a sinistra. Cominciò a bere il suo caffè e la imitai, questa volta facendo davvero attenzione a non scottarmi.
“Allora...” cominciò lei, con tono solenne, poggiando il suo bicchiere di plastica sulla scrivania. “Da dove cominciamo?”
“Beh, non lo so.” dissi sinceramente. “Prova a raccontarmi quello che ti ha detto Andrea, ieri sera.”
Questa volta non mi scottai, per fortuna.
Eveliss annuì. “Come ti ho già detto, era distrutto.” Mi guardava dritto negli occhi. “Lui è proprio innamorato di te, Adrienne, è fuori di testa, svalvolato! Non capisco perché tu abbia continuato ad illuderlo così per tutto questo tempo.”
“Veramente non lo so neanche io,” ammisi, girando meccanicamente il cucchiaino di plastica nel caffè. Cominciavo a sentirmi un magone all'altezza dello stomaco, a quelle parole. “So che è brutto dirlo... Ma il punto è che io non provo niente per lui se si parla di sentimenti, ma... Ma non mi dispiace baciarlo, o stare con lui, mi trovo bene in sua compagnia.”
“Ma non senti niente di... speciale, quando stai con lui, vero?” chiese la mia amica.
“Assolutamente no. Lo ritengo un... buon amico, tutto qui.”
“Gli amici non si baciano, Adrienne. Non si può essere amici e baciarsi senza alcuna complicazione al rapporto di base che già c'è.”
Non dissi niente per un attimo. “Hai ragione, Eveliss. Faccio proprio schifo.”
Con mia sorpresa, Eveliss rise. “Ma scherzi? C'è chi fa anche peggio di te. Almeno, ti sei limitata ai baci, no?”
Alzai lo sguardo su di lei ad occhi spalancati. “Non avrei mai potuto andare più in là di così. Non sono quel tipo di persona.”
“Appunto, mia cara,” concordò Eveliss annuendo. Prese una matita dal suo portapenne e cominciò a rigirarsela tra le dita. “Ti dico queste cose perché Andrea sembra esserci rimasto male soprattutto per una cosa. Dice che, secondo lui, a te piace quell'Alessandro... Giusto?”
Ecco: era questa la parte che più temevo.
Non dissi niente guardandola, cercando di trovare le parole per tutto quello che avrei voluto dirle.
“Dice che lo guardi in una maniera del tutto particolare... Come non hai mai guardato lui, ha detto. E in effetti, non ha tutti i torti...L'ho notato anche io. E l'altra mattina eri così felice... Perché?” continuò lei, che sembrava quasi divertirsi nel vedere la mia reazione muta.
“Mi sono arrabbiata con Andrea,” dissi infine, dopo una lunga riflessione, “perché lui dice che io sono sua. Come può affermare con assoluta sicurezza una cosa simile? Cioè, gli ho forse detto che provo qualcosa per lui? Non ha senso. Ho sempre messo tutto in chiaro, forse tuo fratello si è anche illuso da solo.” continuai, sulla difensiva, scaldandomi ancora se ripensavo alle parole che Andrea aveva usato quella mattina.
Eveliss annuì, pensierosa. “Sì, su questo hai ragione, gliel'ho detto anche io che ha sbagliato. E' pur sempre un ragazzo, e non capisce tutto subito.”
Calò nuovamente il silenzio. Ero nervosa e praticamente a disagio, e il fatto che Eveliss continuasse a girarsi quelle matita fra le dita, mi dava proprio sui nervi.
Però, lei era la mia migliore amica.
Sicuramente avrebbe capito... Lo faceva sempre.
E non dovevo avere paura di lei.
Avevo rimandato quel momento troppo a lungo... Adesso era giusto parlarne.
“Io sono innamorata di Alex.” annunciai infine.
Immediatamente sentii il magone allo stomaco sciogliersi, e un calore diffuso percorrermi tutta. Avevo le guance sicuramente in fiamme.
Eveliss sbarrò automaticamente gli occhi e finalmente poggiò la matita sulla scrivania, lasciando perdere quell'assurdo tic.
“Come puoi dire di essere innamorata di uno che non conosci nemmeno?” chiese lei, com'era prevedibile, con tono scettico. Eveliss Dumas: il cinismo in persona.
Risi. Non di lei, ma per quella frase, come mi suonava così assurda. “Eveliss, è la persona che conosco meglio al mondo, a parte mio fratello, mia madre e te. Io l'ho amato, e dopo tutto questo tempo continuo a farlo. Conosco Alessandro da quando avevo quindici anni.”
“Scherzi!” esclamò subito Eveliss, che evidentemente non si aspettava una spiegazione del genere, sorpresa.
“Magari scherzassi...”
Non ne avevo mai parlato con nessuno, nemmeno con lei.
Senza rendermene conto, mi ritrovai a parlarle di tutto quello che mi era successo qualche anno prima. Erano ricordi del tutto dolorosi: ma avevo sempre immaginato che parlarne avrebbe fatto ancora più male. Invece, no. Mi senti quasi... Sollevata. Forse avevo sbagliato, a tenermi tutto dentro. Eveliss era sempre stata la persona giusta con la quale avrei potuto parlarne. Invece... Avevo avuto paura. Mi diedi mentalmente della stupida, com'ero solita fare.
“Alex era il mio migliore amico, un amico perfetto, che ogni ragazza desiderava avere. Ero sempre stata innamorata di lui senza saperlo, finché proprio lui non aveva iniziato ad interessarsi ad una ragazza, Melissa – diventata single da poco, che aveva provato a diventare amica mia: un totalmente fallimento. Era talmente adorabile che non riuscivo ad odiarla, sai, Eveliss? Mi aveva persino comprato dei vestiti e truccata per la festa del mio liceo. Era bellissima, ricca, piena di fascino, assolutamente perfetta. Perché Alex non avrebbe dovuto interessarsi a lei? Qualche volta avevo persino pensato che gli atteggiamenti di lui fossero equivoci nei miei confronti, ma se pensavo alla differenza che c'era tra me e lei, mi convincevo che quasi sicuramente ero io ad equivocare. E soprattutto, pensavo solo che fosse un modo, per lui, per esprimere il suo affetto nei miei confronti, nulla di più. Però da quando Melissa era entrata in scena, avevo iniziato a vedere Alex sotto una luce nuova, diversa: insomma, mi ero accorta di avere un debole per lui. Prima di Natale, c'era stata una festa a scuola, io ed Alex ci eravamo leggermente ubriacati, e, allegri, baciati. Il mio primo bacio... Lo ricordo ancora, era stato bellissimo, e scoppiavo dalla felicità, mi sentivo così leggera e spensierata, in paradiso. Peccato che la mattina dopo io non ricordavo praticamente niente – non ero solita bere -, avevo un forte mal di testa e avevo solo vaghi flash, ma lui no, lui ricordava tutto. Alex decise che non potevamo più essere amici, il nostro rapporto si stava rovinando irrimediabilmente e c'era Melissa di mezzo, e lui non voleva farmi soffrire, ed era solo stato uno stupido bacio. Dovevamo allontanarci. Entrai in uno stato di apatia, a scuola vedevo loro due insieme e stavo male, non avevo amici, a casa mia era una disastro. Perché mio padre tradiva mia madre, ma nessuno lo sapeva: solo io ne ero a conoscenza, e non potevo dirlo a nessuno perché mio padre mi aveva minacciato di farmela pagare, se solo avessi osato dirlo a qualcuno. Cercai di rifugiarmi da Alex una volta, al colmo della tristezza, stavo sempre più male, lui sembrava divertirsi nell'illudermi in continuazione, con delle parole, del gesti, che il giorno dopo scomparivano. Mi sono persino tagliata. No Eveliss, non fare quella faccia, è così. Mi sono tagliata, se lo dico sento ancora il polso che mi fa male, giuro. Sono stata un'idiota... Per fortuna c'era mio fratello Edoardo a starmi vicino, almeno. Successivamente tagliai del tutto i ponti con Alex, e cercavo di stare bene, di farmi forza... Ma ogni singola volta che lo guardavo, la mia volontà veniva meno. Per distrarmi trovai lavoro in una pizzeria... E conobbi un ragazzo, che si chiamava Eric. Era molto carino, gentile, simpatico, alla mano... Inizò a piacermi. Pensavo che anche grazie a lui avrei potuto dimenticare definitivamente Alex, e il male che mi aveva fatto, ma continuava a tornarmi in testa, a tormentarmi qualsiasi cosa facessi, ovunque andassi... Era troppo difficile dimenticarlo. Era ed era stato troppo importante per me. Proprio quando Eric disse di amarmi, capii che non c'era niente da fare, che amavo solo Alex nonostante tutto, e che non aveva senso stare con uno che sì, mi piaceva, ma che continuava a farmi venire in mente un altro. Volevo spiegare tutto ad Eric, per non farlo soffrire e per non dirgli inutili bugie, ma scoprii che Eric era l'ex di Melissa e che sua madre era l'amante di mio padre. Sì, Eveliss, lo so cosa stai pensando... Peggio di una soap-opera di scarsa qualità. Assurdo, vero? Dissi a mia madre tutta la verità, e mio padre me la fece pagare. Mi picchiò. E poi se ne andò di casa. Terribile, lo so, furono degli attimi che mi sembrarono ore. Trovai, fortunatamente, l'appoggio di mia madre e di mio fratello, cosa che avevo avuto paura di non ottenere, una volta rivelata la verità. Qualche giorno più tardi, capii che Melissa e Alex si erano lasciati. E Alex tornò da me. Disse che mi aveva sempre amato, che non aveva mai voluto farmi soffrire ma che ormai lo aveva fatto, e che aveva avuto una paura matta di tutto, ma che adesso voleva stare solo con me. Disse che aveva finto, che era sempre stato innamorato di me, ed ora non voleva fingere più. E io, di nuovo in paradiso, lo perdonai di tutto senza pensarci due volte: era quello che volevo, tutto quello di cui avevo bisogno, per essere felice. Sarei stata una stupida a mandarlo via... E poi, dopo tutte quelle parole che mi aveva rivolto, quei mesi di sofferenza erano come spariti. Io ed Alex abbiamo passato insieme dei momenti bellissimi... Era l'apoteosi. Pensavo di non poter essere più felice di così. Cos'altro potevo chiedere alla vita? Poi, in estate, mi lasciò. Disse che non poteva più stare lì, che non ce la faceva, che mi avrebbe spiegato e che mi amava comunque, sarebbe tornato da me e saremmo stati ancora assieme. Ovviamente non fu affatto così... Quando l'ho visto, l'altra sera, erano due anni che non lo vedevo. Il destino ha voluto che ci rincontrassimo proprio qui, in Francia, dove io ero fuggita da lui, da tutto quello che poteva ricordarmi lui. Sono innamorata di lui come sempre, ma non ho ancora nessuna spiegazione da parte sua. Probabilmente ha dimenticato tutto quello che provava per me: io no. Non so se sarò mai capace di farlo.”
Eveliss ascoltò pazientemente. Non si intromise mai, solo mi ascoltava e comunicava con lo sguardo. Quando finii di raccontare, rimase in silenzio. Incredibile: ero riuscita a zittire Eveliss.
“Beh? Non dici niente?” incalzai, intrecciando le mani.
“Mamma mia, Adrienne,” disse infine, ancora con uno sguardo che era shockato al massimo, “ma perché non mi hai detto prima tutte queste cose? Lo sai che puoi benissimo fidarti di me.”
“Paura”, dissi subito con sincerità, senza pensarci. “Paura che avresti potuto giudicarmi male...”
“Ti giudico male per come ti vesti,” disse lei con un sorriso furbetto, “non per i tuoi problemi, o per la tua vita. Che amica sarei?”
La guardai provando gratitudine e sollievo a quelle parole. “Oh, Eveliss...”
Mi alzai e la raggiunsi sulla sua poltrona, abbracciandola.
“Mi dispiace per tutto quello che hai vissuto. Terribile. Mi sento una nullità, in confronto” disse lei vicino il mio orecchio, mentre ci abbracciavamo. “Avrei voluto conoscerti in quel periodo, sai? Ad ogni modo... Adesso le cose mi sono un po' più chiare. Ho capito perché guardi Alex in quel modo, sicuro. Ma... Hai pensato ad una cosa?”
“A cosa?” le chiesi.
“Alex mi sembra un tipo un po' furbo. E' come se fosse tornato da te quando gli faceva più comodo, la prima volta... E poi che ti abbia lasciato perché si era stufato, stancato di continuare in quel modo. Hai sbagliato a perdonarlo del tutto, io l'avrei fatto penare un po', prima di gettarmi tra le sue braccia.”
Sciolsi l'abbraccio e lentamente mi risedetti al mio posto, senza parole.
Quello che aveva detto Eveliss era orribile. Era come se Alex fosse un tipo a convenienza... Io ero stata sicura dei suoi sentimenti nei miei confronti. Non ne avevo mai dubitato, dai...
“Ma del resto io parlo con il cervello e non con il cuore,” disse ancora Eveliss, “e non sono mai stata innamorata di nessuno.”
Ancora non dissi nulla, la mia mente doveva elaborare tutte le informazioni.
“E adesso l'hai rivisto... O meglio, il destino lo ha voluto ancora. Ma l'avrebbe fatto lui di sua spontanea volontà?” chiese.
“Ne dubito,” dissi mormorando, “Io non l'avrei mai fatto. Era un capitolo quasi chiuso. Quasi...”
“Questa è una cosa da chiedere a lui... Ma soprattutto... Cosa vuoi fare ora?”
Ancora una volta rimasi in silenzio, pensierosa, e anche un po' confusa. Sentivo il cuore che mi batteva fortissimo. Cosa avrei dovuto fare? Dirgli tutto, e rischiare di ricevere ancora una volta una porta in faccia, oppure non dire nulla... e rimanere col rimorso per tutta la vita?
Ero certa che Eveliss avesse individuato i miei pensieri e li capisse.
“Non rimarrà a Parigi per sempre,” continuò lei, “Dovresti approfittare di questa occasione che ti è stata data, non credi? Corri il rischio. Fossi in te, lo farei.”
La guardai nei suoi begli occhi, e annuii.
Avrei corso il rischio.
Volevo essere felice?
La risposta era scontata. E allora dovevo rischiare.
Rimanemmo a parlarne ancora, e ancora, fino a quando i nostri bicchieri di plastica di caffè – ormai tiepido – furono svuotati del tutto.

 




Alebluerose91: Grazie, come sempre! <3 Ne esistono tanti uomini come Andrea... E molti di più come Alex, è scientificamente provato! E Adrienne... è semplicemente scema! =P
Lady Aika: Ti ringrazio veramente per avermi recensinto <3 *-* Ho apprezzato molto quello che hai scritto, per me è importantissimo! Sto cercando di impegnarmi in questa storia e sì, francamente sto iniziando a notare anche io che il mio stile è cambiato, spero in meglio! ;) Continua a leggermi mi raccomando, che vedremo come fare soffrire Alex... XD
mo duinne: Ehi ciao! Beh, posso dirti che Adrienne sta cominciando a cambiare... Credo che si noti, no? Alex è fatto così... è ambiguo e in tutto questo tempo non si è ancora capito cosa voglia realmente... eheh, semplici tattiche! E poi... come ho detto prima, uomini come Andrea, ma soprattutto come Alex, ne esistono a bizzeffe! Non per deluderti ma non credo proprio che Alex abbia ascoltato la litigata :D Mi dispiace! Comunque, ti ringrazio moltissimo!
Emily Doyle: ahahahah... immagino di sì.
g_i_u_l_y c_u_l_l_e_n: Hai cambiato nickname? xD Grazie mille per la tua recensione, spero che ce ne saranno ancora di simili! (: Comunque non correre un po' troppo con la fantasia... Credo sia un po' troppo presto per un bacio... E forse lo sarà definitivamente, non lo so! Andrea in questo capitolo si è dimostrato il tipico maschio stupido, ma del resto è anche innamorato, quindi gelosissimo. Ci sono tanti ragazzi così... ma cosa avresti fatto al suo posto? =P Pongo questa domanda anche a qualcun'altro, per chiunque voglia rispondere! Però il fatto che Adrienne abbia fatto bene ad infuiriarsi, è assolutamente giusto! :D Beh grazie, alla prossima recensione!
Per oggi è tutto! Un abbraccio da Adrienne!

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


Salve gente! Oggi purtroppo vado di fretta e sarò breve. Perdonatemi perché non potrò rispondere alle vostre recensioni (ma come al solito vi ringrazio MOLTISSIMO per tutti i complimenti e le cose che mi scrivete!), ma risponderò ad una domanda che mi ha fatto sassybaby riguardo la mia storia a quattro mani "Quello che non c'è"... Per ora il progetto è stato accantonato del tutto, e non so proprio se la continueremo! Mi dispiace :/
Ora vi saluto lasciandovi col nuovo capitolo, il nono... Scrivetemi tutto quello che volete e se avere domande da pormi, fatelo pure! Un bacione!



Capitolo nove

Capitolo nove.


Uscii da quell'ufficio con il cuore più leggero e la mente ingombra di nuovi pensieri. Più del solito, ovviamente.
Avevo voglia di una sigaretta: volevo schiarirmi un po' le idee.
“Ehi,” disse Eveliss, che stava al mio fianco, “oggi pomeriggio potremmo andare a fare un po' di shopping. Che ne dici? E' da tanto che non lo facciamo. Ti direi anche ora, ma ho degli appuntamenti che devo rispettare e che ho già rimandato. Sorrise in maniera amabile e affascinante.
“E' una bella idea!” dissi entusiasta. Un po' di spese con un'amica mi avrebbero fatto bene, e mi sarei distratta andando in giro per i negozi. E poi ero sicura che Eveliss non avrebbe più ripreso l'argomento; se avessi voluto parlare mi avrebbe ascoltato, ma non avrebbe più fatto domande indiscrete.
“Hai bisogno dei miei consigli, e ho detto tutto. disse sorridendo Eveliss, prendendomi in giro. Le feci una linguaccia.
Avanzammo lungo il corridoio. Regnava una strana pace, ma i rumori dei tacchi a spillo sul parquet non mancavano mai. Compresi quelli della mia amica.
“Signorina Dumas.”
La nostra camminata venne interrotta da Diana, la segretaria di Eveliss.
“Cosa c'è?” chiese quest'ultima. Rimasi in silenzio.
“C'è un fattorino che poco fa ha chiesto della signorina Adrienne, ma non volevo disturbarvi mentre eravate assieme nel suo ufficio.”
“Per me?” chiesi automaticamente, guardando verso l'entrata.
E in effetti, era vero: un uomo sulla quarantina - a vista d'occhio - con una tuta e un giubbotto pesante, stava aspettando. Sbuffava, evidentemente scocciato da quella perdita di tempo. Ma quello che attirò di più la mia attenzione fu quello che teneva tra le mani: un bellissimo, maestoso, strepitoso mazzo di rose bianche.
“Oh buon Dio,” disse Eveliss non appena intercettò con lo sguardo il fattorino. “Potevi mandarlo nel mio ufficio, Diana, non stava succedendo niente di clamoroso lì dentro. Comunque, Adrienne, credo che quello sia per te, no?”
Annuii e sorrisi, avanzando verso il fattorino a braccia aperte. Lui me le mise in mano. Aveva assistito a tutta la scena e sembrava realmente soddisfatto, ora.
“Sono rimasto qui solo perché il mittente mi ha assicurato che dovessero arrivare a destinazione a tutti i costi.” mi disse.
“Grazie,” dissi guardando quei bellissimi fiori, “Ma posso sapere chi me le manda?”
“C'è un biglietto.”
Eveliss avanzò e diede all'uomo cinquanta euro di mancia, ficcandoglieli in una mano. “Grazie mille, può andare.”
L'uomo la guardò con gli occhi luccicanti – chissà se aveva mai ricevuto una mancia così cospicua – e se ne andò via per le scale, pensando che forse tutta quella attesa era valsa a qualcosa. E io rimasi impalata lì davanti con quei fiori tra le braccia, senza parole.
“Forza, vedi di chi è il biglietto!” mi incitò Eveliss. Diana allungò il collo dietro di noi, evidentemente curiosa.
Cercai con attenzione tra le rose, e attaccato ad una di queste, c'era un nastrino di raso bianco, dal quale pendeva un bigliettino, bianco anch'esso. Con una mano lo spiegai e lessi:


Le rose bianche sono ancora i tuoi fiori preferiti, non è vero? Incontriamoci oggi pomeriggio, alle cinque, agli Champs-Élysées, a Place Marigny. Fai in modo di esserci.

Alex

Dire che mi trasformai in un brodo di giuggiole, era riduttivo.
“Che gesto meraviglioso,” commentai, guardando Eveliss per un attimo, per poi far ricadere il mio sguardo ancora sulle rose. Ero felicissima.
“Immagino che dovremmo rimandare il nostro shopping, giusto?” disse
lei con un sorriso a trentadue denti. “Aspetta, ora ti procuro un vaso con dell'acqua, così potrai metterci i tuoi bellissimi fiori.”
“Oh, Eveliss, mi dispiace,” le dissi, ricordandomi solo in quel momento che qualche minuto prima avevamo deciso di uscire a fare spese assieme.
“Ma chi se ne importa, esci con lui! Sei sicura che abbia dimenticato del tutto i suoi sentimenti? Questo è stato davvero un gesto adorabile. disse lei ancora sorridendo. Non aspettò che rispondessi e si allontanò da me, evidentemente alla ricerca di quel vaso. Rimasi lì, col sorriso sulle labbra ed estasiata: anche Claire sembrava esserlo. Forse era persino un po' invidiosa. Ero sicura che la notizia si sarebbe sparsa tra le mie colleghe in un batter d'occhio, come accadeva sempre, e avrei attirato altre invidie o commenti sgradevoli. Ma non m'importava affatto.
Poco dopo, il mazzo di fiori stava sulla mia scrivania: sembrava quasi rendere il resto attorno a sé più piccolo.
Decisi di catalogare quel giorno come uno dei più belli della mia vita.


***

Alle cinque e zero minuti era già in Place Marigny, gli spazi verdi degli Champs-Élysées. Quest'ultimi si estendevano per quelli che immaginavo fossero tanti chilometri, insieme a cinema, bar, centri commerciali e luoghi interessanti in cui passare la giornata. E durante il periodo Natalizio, si poteva intravedere la gigantesca e luminosa ruota panoramica, verso la fine dell'immensa via.
Mi sedetti su una panchina, alzandomi meglio il bavero del cappotto: c'era freddo, e non stavo più nella pelle. Volevo rivedere Alex. Questa volta non avrei sparato ridicolaggini e avrei cercato di mantenere un self-control adeguato, come quello che avevo avuto negli ultimi tempi... Ma davanti a lui tutti i miei sforzi d'essere forte sembravano crollare.
Ma non ero più quella patetica adolescente innamorata che Alex aveva sempre conosciuto. No, adesso ero una donna, bella e in carriera, che... Che moriva dalla voglia di gettarsi tra le sue braccia e si comportava proprio come un'adolescente, persino quando lui le sfiorava la mano.
Ridicolo, davvero.
Forse avrei dovuto cambiare un po' quell'aspetto del mio comportamento.
E forse avrei anche dovuto smetterla di farmi così tanti problemi in testa, e limitarmi a vivere minuto per minuto. In fondo, come diceva Eveliss, lui non sarebbe rimasto a Parigi per sempre, ad aspettare me...
All'improvviso, attraverso la mia borsa, sentii il mio cellulare squillare.
Un nuovo messaggio.
Aprii la borsa e ci rovistai dentro per recuperare il telefonino, e finalmente lo trovai. Feci scorrere lo slide con le dita, e vidi che il nuovo messaggio era da parte di Andrea.
Andrea? Oh, no, non lui, quel pomeriggio!
Non volevo avere problemi, non volevo innervosirmi per qualsiasi cosa avrebbe potuto scrivermi, e soprattutto non volevo proprio sentirlo.
Ma la curiosità ebbe la meglio e ammaccai il pulsante che diceva “Apri”.

Mi manchi.

Solo questo.
Mi sentii ancora una volta in colpa, e ancora di più se ripensavo a quel discorso su di lui che avevo affrontato con sua sorella.
Ero certa che mancassi ad Andrea, innamorato di me com'era, ma dopotutto a me non mancava affatto. Anzi, forse il fatto di non averlo a fiatare sul mio collo, era una cosa molto più che positiva per me. Inoltre, non mi pentivo affatto di quelle cose che gli avevo detto, l'ultima volta che ci eravamo visti e parlati.
Quindi immaginai che non rispondergli fosse la scelta più giusta. Del resto, ero ancora arrabbiata con lui. E poi, chissà come avrebbe reagito se avesse saputo che stavo per uscire con Alex... Non osai neanche immaginarlo. Non si era neanche scusato per le cose che mi aveva detto.
Per un microsecondo alzai lo sguardo dallo schermo dal cellulare, e vidi proprio Alex che camminava verso la mia direzione. Verso di me.
Sorridemmo entrambi non appena i nostri sguardi si incrociarono, ed in un tempo che definirei da record cancellai il messaggio di Andrea e ficcai nuovamente il cellulare dentro la mia borsa, come se nulla fosse successo, e sorridendo ancora per tutto il tempo. Nel frattempo, Alessandro mi aveva raggiunto ed era davanti a me.
“Ciao!” esclamò.
Mi alzai dalla panchina: eravamo uno di fronte all'altra. “Ciao, Alex.”
“Per fortuna il biglietto ti è arrivato... disse lui, con un sorriso sghembo. Portava un cappotto nero pesante e dei guanti, anch'essi neri, a mezze-dita.
Sorrisi di nuovo, annuendo. “Grazie per le rose, Alex, sono stupende...”
“E' stato un vero piacere. E poi, mi ricordavo bene, no?”
“Sì, le rose bianche sono sempre le mie preferite.”
Silenzio. Mi dispiace che tu non riesca a capirlo, ma ho tutto in testa e non riesco a dirlo*. Tutto, tutto nella mia testa...
“Beh, allora, cominciamo ad avviarci?” incalzò lui.
“Sì, certo.”
Cominciammo
a camminare. Per un attimo, cominciai a temere che forse non era stata una buona idea. Forse era passato talmente tanto tempo che non avremmo più trovato argomenti su cui discutere. Forse eravamo troppo cambiati.
Invece, mi rilassai quando cominciai a parlare di Parigi. Gli descrissi il luogo in cui ci trovavamo, e parlai anche di altro, dicendogli tutto quello che sapevo su quella splendida città, che ormai mi era entrata nel cuore. La consideravo la mia seconda casa. Mi fece anche alcune domande, mantenendo vivo il discorso. Adesso il ghiaccio si era rotto e potevo stare più tranquilla.
“Entriamo lì?” chiese poi lui, indicando uno dei centri commerciali.
Annuii ed entrammo. Non c'era molta confusione, ma anche lì si respirava un'aria già Natalizia e potevo scommettere che magari c'era anche chi si dedicava all'acquisto dei regali Natalizi, temendo di ridursi all'ultimo minuto, come ogni anno nonostante gli sforzi...
Non appena Alex individuò un'edicola, mi diede una leggera gomitata.
“Cercavo proprio questo negozio.”
Io, ovviamente, avevo già visto il giornale in stampa. E avevo visto l'articolo.
Due pagine, con una foto a figura intera di Alex a lato. Caratteri grandi, tutto sul bianco e sul nero. Mi ero emozionata nel vederlo: chi avrebbe mai detto che un giorno sarebbe andata così? Ne ero rimasta totalmente soddisfatta. Ed anche Eveliss, sembrava così fiera di me...
Alex chiese all'uomo l'ultimo numero di Helter Skelter, che era chiaramente fresco di stampa. Pagò ed uscimmo dal negozio.
“Allora, non vuoi vederlo ancora?” gli domandai, notando che non aveva ancora aperto il giornale.
“Solo davanti una cioccolata calda, ti va?”
“Ma
certo.”
Entrammo in un bar e ci sistemammo in dei divanetti imbottiti, in una parte meno affollata del locale. Lì dentro era molto caldo e ci levammo i cappotti, mettendoli in una sedia vicino a noi. Alex aveva un maglione viola. Io ordinai una cioccolata calda fondente e lui quella al cocco. Rimasti senza cameriere, Alex poggiò la rivista sul tavolino e l'aprì.
“Penso che ti piacerà, Alex. dissi sinceramente, guardandolo.
“Non ne ho il minimo dubbio, Adrienne. E sono curioso.”
Non dissi nient'altro, mentre vedevo sotto i miei occhi Alex che sfogliava pagina per pagina, non troppo lentamente. Colori, pubblicità, modelle, altri articoli. Un odore di giornale nuovo, tipico anche di quello dei libri, mi arrivò al naso.
E poi, eccolo: Alex inchiodò sul suo articolo, sulla sua foto che gli sorrideva in maniera amabile. Anche il vero Alex, adesso, sorrideva. Conoscendolo, doveva essere soddisfatto di stesso.
Senza dirmi nulla, cominciò a leggere l'articolo. Lo osservavo attentamente: i suoi occhi si muovevano mentre leggeva, seguendo le righe, e per due volte l'occhio destro fu ricoperto da un ciuffo di capelli, che sistemò con la mano. Una volta si passò la lingua sulle labbra. Una volta si grattò il collo con la mano sinistra.
Beh, guardarlo così non era male, ma poi decisi che era meglio non fare la figura della stupida e distolsi lo sguardo, fissandolo sulla parete bordeaux di fronte a me, mentre lui finiva di leggere.
“Bravissima,” disse all'improvviso, avendo evidentemente finito di leggere.
Il mio sguardo si posò di nuovo su di lui.
“E' anche merito tuo. dissi.
Alex scosse la testa. “Tu hai scritto l'articolo, e io trovo che sia davvero brillante. Brava, mi piace come scrivi.”
Arrossii leggermente. Arrossii, dopo chissà quanto tempo. “Grazie! Però è stato facile intervistarti, avevo il vantaggio di conoscerti già da prima, o no?”
“Questo è vero, però tutto si capisce da qua,” indicò il giornale, “mi piace davvero! Ora penso che quando ritornerò a casa, dopo averlo fatto vedere alla band – saranno gelosissimi -, lo staccherò e lo appiccicherò sopra il mio letto!”
“Se diventerai famoso, potrebbe valere tanto. La tua prima intervista!”
Ridacchiammo entrambi, ed Alex chiuse e mise via la rivista col sorriso sulle labbra. Sembrava davvero soddisfatto e contento, e io ero felice per lui. “A proposito, ringrazia anche Eveliss da parte mia, ancora una volta. Se non fosse stato per lei, non ci sarebbe mai stato nessun articolo.”
“Naturale, lo farò.”
Arrivò il cameriere con le nostre cioccolate. Mise sul tavolino anche numerose bustine di zucchero e dei biscottini al cioccolato.
Qualche minuto passò rigorosamente in silenzio mentre aggiungevamo lo zucchero alle nostre cioccolate e le mescolavamo.
Alex, ora che ci penso...” dissi con lo sguardo abbassato alla tazza, poggiando il cucchiaino sporco sul piattino con un tintinnio, “Per quanto tempo rimarrai ancora qui a Parigi?”
Alex finì di bere il suo sorso iniziale di cioccolato e mise giù la tazza.
“Quattro giorni, incluso oggi.” rispose.
Solo quattro giorni?! Cioè, quindi praticamente tre?
Mi morsi la lingua, cercando di non alterare in alcun modo il mio comportamento. Avevo sperato che Alex rimanesse più tempo, non solo perché volevo stare ancora con lui, ma perché volevo avere più tempo per me. Dovevo rivelargli i miei sentimenti, no? Tre giorni erano troppo pochi, per prepararmi psicologicamente. E forse anche fisicamente.
“Capisco...” dissi soltanto.
“Potremmo vederci ancora, Adrienne, prima che parta?”
Inizialmente, non dissi nulla. Pensai ad Eveliss, che diceva di farlo penare un po'. E pensai a prima, alle mie riflessioni sul cambiare atteggiamento, sul mostrarmi meno innamorata, meno adolescente.
Eveliss aveva ragione, e anche io.
Presi un biscotto e lo buttai nella cioccolata. Lo feci sprofondare con il cucchiaino, poi con esso lo ripescai e lo mangiai. Davvero buono.
Deglutii, guardando Alex.
“Non lo so, Alex... Forse in questi giorni sarò un po' impegnata col giornale. Devo scrivere un altro articolo prima delle vacanze di Natale, per il numero di gennaio.”
“Non avrai neanche dieci minuti liberi per poterci vedere?”
Sorrisi lievemente: dovevo trattenermi. Evidentemente fare la preziosa funzionava... E Alex, era lui quello che mi cercava. Forse significava che...
“Ti farò sapere... Questa volta sarò io a farmi viva. Anzi, forse mi servirebbe il tuo numero di cellulare.”
Cercai di trattenermi ancora: Eveliss sarebbe stata fiera di me, per quella abile mossa! Alex, invece, mi sorrise, come se fosse sollevato dal fatto che glielo avessi chiesto.
“Ma
certo!” disse.
Gli feci cenno di aspettare e dalla borsa estrassi il cellulare. Mi feci dettare il numero e gli feci uno squillo, affinché potesse memorizzarsi il mio sulla rubrica.
“E' solo un numero provvisorio, comunque,” disse, “Non funzionerebbe in Italia, ovviamente.”
Questo era prevedibile... Ma mi accontentavo, eccome.
“Certo, è ovvio, grazie” gli dissi.
Le cioccolate erano arrivate a metà e avevo apprezzato molto quei biscottini. Ero felice per essere lì con lui, ero felice che l'articolo gli fosse piaciuto, ed ero felice per il fatto che stessi credendo di più in me stessa, e senza cadere nel ruolo della patetica adolescente innamorata, come già detto.
Tra chiacchiere, sguardi e sorrisi, le cioccolate finirono. Pagò lui, nonostante le mie richieste di lasciarmi fare e gli spintoni alla cassa. Non avendo altro da fare al centro commerciale, uscimmo e ci ritrovammo in strada. Lui teneva la rivista sottobraccio.
Era ancora più buio di prima, e c'era persino più freddo. Mi alzai di nuovo il bavero del cappotto, pensando che era ancora una volta tempo di saluti.
Percorremmo la via in silenzio, finché Alex non si fermò. Lo imitai.
“Ti accompagno a casa,” disse, guardandomi.
“Ma no, è lontano da qui, e immagino che tu debba ritornare in albergo. Meglio prendere un taxi, come ho fatto all'andata. dissi.
Non avevo preso l'auto perché non avevo ancora fatto il pieno di benzina. Divertente: per la mia sbadataggine, avrei speso un capitale in taxi.
“L'altra volta, quando eravamo al ristorante, non ho fatto in tempo a dirti che ho noleggiato un auto per muovermi più autonomamente. Quindi non preoccuparti, non c'è alcun problema.”
Venni presa alla sprovvista. “Oh, okay allora. Va bene.”
Sorrise e ricominciammo a camminare. E a parlare.
Dopo una quindicina di minuti, già lontani dagli Champs, Alex si fermò accanto ad una Renault Clio di colore rosso. Si frugò in una tasca e ne estrasse il telecomando per l'antifurto: lo disattivò e poi mi guardò sorridendo.
“Prego, madamoiselle,” disse tentando un accento francese, e andando dall'altro lato dell'auto, aprì la portiera del passeggero, facendomi cenno di salire.
Risi e mi avvicinai, entrando il macchina. “Merçi, monsieur!” esclamai.
Anche Alex rise, e chiuse la portiera. Fece di nuovo il giro dell'auto, aprì lo portiera e si infilò dentro, al posto del conducente, chiaramente. Non appena si sedette, con un gesto gettò Helter Skelter sul sedile posteriore.
Infilò le chiavi, mettendo in moto, e uscì dal parcheggio.
“Dovrai indicarmi dove abiti,” disse, sorridendo.
“Certo... Svolta a destra!” dissi subito, prima che fosse troppo tardi per svoltare a destra, per l'appunto.
Tutto il viaggio andò avanti così svolta-a-destra-gira-vai-dritto-nono-la-seconda-più avanti- finché arrivammo di fronte il mio palazzo.
Alex parcheggiò proprio lì davanti e spense la macchina, voltandosi a guardarmi.
Gli sorrisi, leggermente.
“E così questa è casa tua,” commentò, voltandosi di nuovo, verso il finestrino.
“Proprio così.” risposi, chiedendomi dove volesse andare a parare. L'abitacolo di quella macchina cominciava a farsi sempre più stretto, per me.
Osservò il palazzo per alcuni minuti, e io rimasi in silenzio, poi si voltò di nuovo a guardarmi.
“Sei così diversa, Adrienne... disse con aria solenne.
Mi persi dentro i suoi occhi, bellissimi occhi, stranita da quella frase.
Cosa vuoi dire?”
Alex sospirò, e distolse lo sguardo da me.
“Voglio dire... Che sei diversa. Più... Non per offenderti, attenta... Ti trovo più matura. Più... ” rispose lui, ma non continuò la frase.
Non dissi nulla, rimanendo col fiato sospeso, e lui tornò a guardarmi.
You don't know what to do,
Nothing you confess, could make me love you less**.
E poi vorrei sapere che fine ha fatto quel cespuglio che ti ritrovavi in testa...”
Scoppiai a ridere, divertita. Ero sicura che avrebbe fatto una battuta del genere, prima o poi.
Hai ragione, Alex, ma volevo proprio cambiare. E sono cambiata, un po'. Nessuna offesa...” risposi, guardandolo, e sorridendogli.
Alex annuì e mi sorrise di rimando.
“Adesso è meglio che vada, scusami,” dissi. Volevo evitare discorsi imbarazzanti o che avrebbero potuto mettermi in difficoltà: non era quello il momento. Meglio evitare.
“Certo.” disse lui.
“Ci vediamo presto, spero.”
Gli sorrisi per un'ultima volta e mi voltai, in cerca della maniglia della portiera.
“Aspetta, Adrienne...”
“Cosa?” , dissi, voltandomi di nuovo.
Mi guardò per qualche secondo. “Niente, niente... Ciao.”
“Oh, ok, ciao.”
Finalmente trovai il modo per uscire, e scesi dall'auto. Attraversai la strada con le mani dentro la borsa, in cerca delle chiavi, che una volta arrivata davanti al portone, trovai. Alex aspettò che entrassi nel palazzo sana e salva – mi sentivo il suo sguardo addosso, nonostante gli dessi le spalle – e poi se ne andò.
I'll stand by you, won't let nobody hurt you**.








* AfterhoursSiete proprio dei pulcini.
* The PretendersI'll stand by you.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


Okay. Il capitolo dieci sarà piuttosto breve e non succederà niente di interessante, vi avverto. E' un capitolo di passaggio, mi serve per introdurre un avvenimento. Ma vi posso consolare dicendovi che dall'undicesimo capitolo in poi, le cose si smuoveranno parecchio! =P Probabilmente andrò più lenta con gli aggiornamenti, perché - non so se l'ho mai scritto - io non ho ancora finito di scrivere Helter Skelter nonostante abbia, diciamo, tutte le idee già in testa. Ma purtroppo è da un bel po' di tempo che mi sono bloccata - mancanza di ispirazione, forse... non saprei - e quindi ci vorrà un po' di tempo. Ho ancora qualche capitolo già pronto, ma il resto devo ancora scriverlo, e ci tengo a farlo per bene senza alcuna fretta. Scusatemi :(
Spero nel frattempo di ricevere più recensioni... Voglio seriamente sapere quello che pensate e se avete qualsiasi tipo di critica da farmi, sono bene accette. Adesso vi lascio alla lettura del capitolo :)


Capitolo dieci

Capitolo dieci.


Avevo voglia di fragole con panna e cioccolato caldo.
Non sapevo esattamente perché.
Mia madre le comprava perché era una frutta sfiziosa, ed era la sua preferita.
Mi ricordavano casa mia, e i pomeriggi di pioggia in cui le preparavo, mentre cercavo di farmi entrare in testa quegli stupidi paradigmi di latino del passo di Cicerone e la sua congiura di Catilina. Perché la professoressa li chiedeva, alle interrogazioni. E io, invece, mi chiedevo cosa mai mi sarebbe nella vita sapere che il paradigma di machinaris era machinor, aris, atus sum, ari... Tanto il latino mi faceva schifo ed era pure una stupida lingua morta.
La lingua morta che tormentava i vivi.
Mio fratello entrava in cucina, e puntualmente facendo il finto tonto, si fregava quasi tutte le mie fragole. Mi consolavo unicamente con i puntuali sms gli Alex, loro mi facevano compagnia. Così la ricarica telefonica del cellulare finiva, quasi sempre, ogni venerdì...
Scossi la testa risvegliandomi da quella cascata di ricordi, com'era usuale. Ovvio. A quello, non mi sarei mai abituata.
Quella mattina, pioveva. Una pioggia leggera, ma necessaria per farmi passare la voglia – che di per sé, già era poca – di alzarmi dal letto per andare a lavoro.
Ma per cause di forza maggiore ero stata costretta ad abbandonare il mio caldissimo letto, a fare colazione, a vestirmi e ad andare a lavoro. Dovevo andare a piedi, perché ancora non avevo la benzina nella mia auto. Così, insieme al mio ombrello turchese, mi ero diretta a lavoro, col naso che diventava rosso per il freddo pungente.
E fra due giorni, Alex sarebbe andato via da Parigi.
Immaginai che dovessi sbrigarmi. Dopotutto, Alex non sembrava poi così restìo nei miei confronti, e la tattica del lavoro e del cellulare aveva riscosso successo. L'unico motivo per cui avevo voglia di arrivare al lavoro, era quello di raccontare tutto ad Eveliss. Lei, forse, avrebbe potuto consigliarmi. Sembrava sempre sicura su quello che doveva fare...
Arrivai a lavoro, bagnando tutte le scale con i miei passi, e non appena dentro, al calduccio, mi tolsi il cappotto. Mi guardai intorno: Eveliss non c'era. Non era lì ad accogliermi col solito caffè. Solo tacchi a spillo e saluti frettolosi.
Delusa, mi avviai verso il mio ufficio.
Entrai chiudendomi la porta alle spalle. Avrei proprio dovuto lavorare al mio nuovo articolo, a che c'ero. E avrei anche potuto fumare qualche sigaretta, approfittando dell'assenza della mia amica...
Notai che in un angolo del monitor del pc, c'era attaccato un post-it giallo. Riconobbi subito la scrittura di Eveliss.


Mia dolce Adrienne,
spero proprio che tu non abbia preso impegni questo pomeriggio. Ricordi che dovevamo andare a fare shopping, vero? Beh, vediamoci alle quattro e mezzo a casa mia, e poi andiamo. Devi raccontarmi un mucchio di cose!
Eveliss.
P.s.: non chiamare Alex! Non farlo senza prima avermi raccontato, e poi devi farlo aspettare un po', ricordatelo!
P.p.s.: Ti voglio bene.




Scoppiai a ridere, divertita.
Eveliss, come sempre, aveva ragione.



***



“Sembrava
volesse dirmi qualcosa, ma mi ha detto 'niente, niente, ciao'. Così sono scesa dalla macchina, ha aspettato che entrassi a casa, ed è andato via. dissi, concludendo il mio racconto.
Ero a casa di Eveliss, come previsto.
Prima di uscire per fare spese selvagge, c'eravamo sedute nel suo salotto, davanti ad una tazza di caffè, a chiacchierare un po'. La mattina, Eveliss era stata troppo impegnata con altri dei suoi appuntamenti importanti, per questo non aveva avuto tempo per passare in ufficio. Quindi dovevamo proprio rifarci.
Adoravo il salotto di Eveliss: era sicuramente la parte che mi piaceva di più, del suo appartamento. Il divano e le due poltrone ai suoi lati erano zebrate, le pareti erano tinte di un rosso sangue, il tappeto era nero e gli scaffali pieni zeppi di tutti i numeri di Helter Skelter. Sul tavolino di vetro erano appoggiate numerose candele colorate, per cui Eveliss andava pazza. Ai muri, incorniciate, perfette foto di Eveliss in bianco e nero, scattate dal fratello.
Hmm.” commentò lei, finendo di bere il suo caffè e poggiando la tazza sul tavolino, accanto alla panciuta candela a forma di rosa. Il tavolino era davvero colmo di candele: avevo sempre paura di rovinarle o di farle cadere, così preferivo tenermi la tazzina in mano.
“Non hai nient'altro da dire?” chiesi, guardandola con un sopracciglio sollevato. “E poi ho fatto quello che mi hai scritto: non l'ho chiamato. Però, lui non ha neanche chiamato me.” continuai.
“Beh, è ovvio che non ti ha chiamato, gli hai detto che ti saresti fatta viva tu, no?” disse lei.
Ci pensai su ed annuii. “Sì, questo è vero.”
“Quindi adesso aspetta una tua mossa... Ora, io ti direi di non chiamarlo, per oggi.”
Sgranai gli occhi, stringendo automaticamente di più la tazza in mano.
Cosa?! Ma... Domani è l'ultimo giorno. Poi partirà.”
“Appunto. Secondo me, o la va o la spacca... Domani devi dirgli tutto. E poi, vedendo com'è andata ieri, non penso che sia una scelta tanto rischiosa...”
Cosa vorresti dire?”
“Voglio dire che, secondo me, anche lui ricambia i tuoi sentimenti.”
Bevvi un sorso di caffè, cercando di nascondere la felicità che mi esplodeva dentro. Non volevo che Eveliss mi vedesse così trionfante. E poi, poteva pur sempre sbagliarsi: alla fine non era mica una maga o una veggente...
“Però è solo un consiglio, alla fine puoi fare quello che vuoi. aggiunse.
Ci pensai ancora su, e nel frattempo bevvi tutto il caffè rimasto. Rimasi con la tazza in mano, e la guardai.
“No, penso che tu abbia ragione. In fondo gli ho proprio detto che forse ero impegnata, non gli ho dato la certezza che avremmo potuto rivederci.”
“Esatto, e domani... Potresti fargli una bella sorpresa.”
“Non so se rivelargli che i miei sentimenti non sono cambiati possa definirsi una sorpresa...”
“Non intendo solo quello.” disse.
La guardai disorientata. “Cioè?”
“Mi è venuta un'idea... Potresti invitarlo a casa tua. Preparargli una bella cenetta di 'addio', dato che l'indomani parte. Insomma, prenderlo un po' per la gola, e mostrarsi come sempre... E poi magari mentre siete sul divano che chiacchierate... BAM! Gli dici tutto quello che dovresti dirgli.”
La ascoltai, e per un attimo venni assalita da dubbi atroci.
Okay, dovevo dire ad Alex che provavo ancora qualcosa per lui.
Ma cosa accidenti avrei dovuto dirgli?
Sai, Alex, provo ancora qualcosa per te!
Alex, io ti amo!
Alex, non partire, perché sono ancora innamorata di te!

Venni sopraffatta da un senso di nausea, per l'ansia che provavo. Ridicolo. No, la dovevo smettere con queste seghe mentali da adolescente, come al mio solito. Dovevo prendere il coraggio a due mani e reagire. E parlargli, dirgli tutto.
Ero quasi sicura che non mi avrebbe respinta. Quasi... Con gli altri uomini, che mi erano capitati tra le mani dopo di lui, ne ero sempre sicura. Bastava guardare Andrea, e tutti i baci che non aveva mai, mai rifiutato...
“Sarebbe un piano perfetto,” risposi all'improvviso, “se solo io sapessi cucinare bene. Insomma, il massimo che so fare è un'omelette francese e cuocere in padella una fettina di carne di maiale...”
Eveliss rimase in silenzio come se stesse riflettendo. “Facile, facciamo cucinare tutto prima da una colf dei miei genitori. Non sarà un problema. E poi gli dici che hai cucinato tutto tu, o che ti ho aiutato io, chi se ne frega. E' una bugia a fin di bene, in fondo...”
“No, aspetta
Eveliss, non è il caso. Forse ce la posso fare da sola... E poi mio fratello è bravo a cucinare, sono certa che sa qualche ricetta facile ma sfiziosa. Sperando che mi risponda in tempo... dissi, sorridendo.
“Perfetto, allora!” disse raggiante la mia amica, con un sorriso a trentadue denti. “Adrienne, tu puoi farcela, ne sono sicura. Quello che ti manca adesso è un bel vestito per l'occasione! Del resto, devo farti un regalo di Natale, no?”
“Oh, Eveliss!”
Ero
quasi commossa dalla gentilezza della mia migliore amica.
Mi precipitai ad abbracciarla.
“E stai tranquilla, andrà bene!” mi sussurrò
lei ad un orecchio.

 



Finito :D
Come sempre ci tengo a ringraziare coloro che hanno recensito lo scorso capitolo e anche chi mi legge silenziosamente. Adesso vado di frettissima (sto uscendo con i miei genitori!) quindi non posso commentare le recensioni, lo farò la prossima volta, ma ci tenevo ad aggiornare oggi! Scusatemi >.< A presto!

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


Sono depressa perché aspettavo delle recensioni che non sono mai arrivate. Insomma, stiamo per arrivare al punto CRUCIALE di questa storia e ricevo solo tre recensioni. Ma dove sono finite/i tutte/i gli/le altre/i? Boh!
Spero proprio di ricevere qualche parere in più; non solo da questo capitolo, ma dai prossimi due, davvero importanti. Detto questo, comunque, ci terrei a ringraziare di cuore chi mi segue sempre, e cioè chiara84, g_i_u_l_y c_u_l_l_e_n e Alebluerose91! Ragazze grazie mille =) Per rispondere alla domanda di Chiara ("ma Andrea non se la prende con la sorella visto che sta aiutando Adrienne a conquistare un altro? non lo considera un tradimento?"): onestamente non mi sono soffermata più di tanto sui sentimenti di Andrea. Anche perché in questi capitoli non appare più! Ma forse chissà, più avanti....
L'altra cosa negativa è che sono ancora ferma con la storia. Spero di poter continuare presto. Beh, al prossimo aggiornamento, no? I capitoli dodici e tredici saranno davvero.... Beh. Mi aspetto RECENSIONI, okay? Altrimenti non aggiorno più u.u Vi abbraccio! P.s: La canzone di questo capitolo è Heroes, di David Bowie! :D





Capitolo undici

Capitolo undici.

 


A: ed_star_69@hotmail.it
Da: adri09@email.com

Oggetto: AIUTO!


Edoardo,
non ci crederai mai!
Non ho ancora avuto del tempo per rispondere alla tua ultima e-mail, ma questa volta devi davvero perdonarmi, anche perché ho assolutamente bisogno del tuo prezioso aiuto.
Come dicevo, non ci crederai mai!
A cosa, ti chiedi? Beh...
Alex è qui. L'ho rincontrato, proprio qui, a Parigi. L'ho intervistato per il giornale, perché a quanto pare in Italia si sta dando parecchio da fare con una band alternative-rock. Come ben sai, i miei sentimenti per lui sono rimasti immutati, dopo due anni circa...
E so anche come la pensi. So che odi Alex per come mi ha trattato... Ma ami la tua sorellina, giusto? E non vuoi che sia felice? Certo che lo vuoi. Io ti conosco. Quindi evita la solita ramanzina e non preoccuparti per il mio povero cuore, è stato straziato talmente tante volte che ormai è abituato...

Ti scrivo tutto questo per dirti che ho deciso di rivelargli i miei sentimenti, rischiando tutto per tutto. Cos'altro avrei da perdere, del resto?
Ma senti questa: ho deciso di invitarlo a casa mia, domani sera, per una cenetta sfiziosa. E dopo aver mangiato, gli dirò tutto, tutto quello che provo per lui (sempre se sarò capace di trovare le parole necessarie). Inoltre, domani sarà l'ultimo giorno che Alex rimarrà a Parigi, quindi non ho tempo da perdere. Il problema è che – sai anche questo – non sono esattamente una cuoca provetta... Tu invece sei bravo con i fornelli. Perché non mi passi una delle tue ricette? Ricordo che erano buone e non troppo impegnative. Ad esempio, qual è la ricetta di quella specie di pollo speziato che mi cucinavi? Hai un intero menù da propormi? Ti prego!
Se non risponderai abbastanza velocemente a questa e-mail, sarò costretta a farmi cucinare tutto da una delle colf dei genitori di Eveliss e a dire una bugia ad Alex. Aspetterò una risposta fino alle quattro del pomeriggio, poi ricorrerò... Al piano B. Vorrei proprio non arrivare a farlo.
Ti voglio bene, fratellino. Prometto che risponderò per bene alla tua e-mail in un secondo momento. Magari avrò buone notizie da darti, anche.


Adrienne.
P.s.: Un bacio anche alla mamma.”


Verso le venti e trenta di quella stessa sera, rientrai a casa.
Dopo essermi infilata il pigiama, essermi struccata e aver messo nel magico forno a microonde uno di quei risotti già pronti, rimasi a fissare il mio vestito nuovo, il quale era appoggiato delicatamente sopra il mio letto.
Era completamente nero, semplicissimo: arrivava un po' più sopra delle ginocchia, e aveva una scollatura a cuore. Quindi, le spalle rimanevano nude, ma forse era meglio mettersi addosso una stola o un copri-spalle; non volevo risultare troppo... Provocante. Sempre se ero capace di esserlo.
Eveliss mi aveva prestato una sua bellissima collana, d'argento con un ciondolo di cristallo rosso e forma di cuore. Era semplice, come il mio vestito. Ero felice ed orgogliosa... Sarei stata benissimo. Non avevo dubbi.
Lo riposi con cura dentro l'armadio e ritornai in cucina, a controllare se il mio risotto era già pronto.
Mentre mangiavo, accesi il portatile e mi occupai di scrivere l'e-mail di richiesta d'aiuto a mio fratello, pregando con tutte le mie forze che mi avesse risposto in tempo. Mi seccava dovermi rivolgere a questa fantomatica colf, e la bugia che avrei detto sarebbe stata troppo grossa: sarebbe stato troppo evidente il fatto che non avessi preparato io la cena. E poi magari avrei dovuto spiegargli perché...
Davvero troppo imbarazzante.
Andai a dormire piena di speranze.



***



Mi svegliai alle dieci spaccate. Eveliss mi aveva concesso un giorno di ferie: dovevo occuparmi della casa, della cena, e di me stessa.
Ma una delle prime cose da fare era telefonare ad Alex. Senza di lui, non ci sarebbe stata proprio nessuna cena!
Missione uno: telefonare ad Alex.
Dopo la colazione e la doccia, mi tuffai sul divano del salotto
. Presi il mio cellulare e scorsi la rubrica. Mi soffermai a lungo sul suo nome, fissandolo. Non avevo dubbi su quello che stavo per fare, ma... Un po' di paura, l'avevo. Forse era normale che l'avessi, giusto? C'era sempre la possibilità che mi rifiutasse, inorridito... E cosa ne sarebbe stato, di me?
Sospirai profondamente.
Ammaccai il testo verde, con la cornetta alzata, e avvicinai il cellulare all'orecchio. Attesi, sperando che non dormisse o qualcosa del genere, l'attesa mi avrebbe mangiato viva.
Invece il cellulare squillò.
Una.
Due volte.
E poi Alex rispose.
Adrienne!” esclamò.
Sentii qualcosa dentro di me sciogliersi. Sembrava... felice, di sentirmi.
“Buongiorno, Alex,” dissi, sorridendo a trentadue denti, anche se lui non poteva vedermi, ovviamente.
“Buongiorno a te. Come stai?”
“Non c'è male, e tu?”
“Bene. Sono al ristorante dell'albergo, sto facendo colazione con un ottimo croissant caldo.”
“Alla faccia!”
“La cucina francese è davvero ottima, ma mai quanto quella Italiana.”
“Ci credo...”
Quel riferimento alla cucina mi sembrò un'occasione inviata dal cielo. Così colsi immediatamente la palla al balzo.
“A proposito di cucina... continuai, quindi, “Ti piacerebbe venire a casa mia a cena, stasera? Posso farti assaggiare qualche mio piatto speciale! E' cucina Italiana al centouno percento.”
Alex rise
. “Certo, Adrienne, mi piacerebbe molto. Mi fa piacere, tra l'altro, che tu abbia trovato del tempo per me.”
“Eh, non puoi capire, sono molto impegnata... dissi, mentendo, “Però il tempo per te l'ho trovato. E poi, domani parti, no?”
“Sì. Domani mattina presto, verso le nove.”
Calò un silenzio dispiaciuto, e il mio stomaco fece un rumore strano. Ero nervosa.
“Va bene, allora da me alle otto e trenta, okay?”
“Okay, Adrienne. A più tardi, allora.”
“A più tardi, ciao.”
Chiusi la chiamata e poggiai il cellulare sul tavolino.
Missione uno: completata.
Missione due: pulire la casa.
Accesi lo stereo quasi a tutto volume e, armata di aspirapolvere, prodotto per i vetri, straccio per spolverare, e spugnetta, di buona volontà pulii a fondo il salotto e la cucina. Poi toccò al bagno, e infine alla mia camera da letto. Sapevo che non c'era alcun bisogno di spolverare così bene la mia stanza, ma una volta che c'ero... Con Alex, comunque, non mi sarebbe servita. Almeno credevo.
Un'ora e mezza dopo, la mia casa brillava da cima a fondo.
Missione due: completata.
Io però, ero stanchissima.
Mi buttai di nuovo sul divano, spegnendo lo stereo. Adesso era venuto il momento di una delle missioni più importanti.
Missione tre: controllare la casella di posta e-mail.
Una volta preso il pc portatile, lo accesi, e mi connettei ad internet. Il computer sembrava andava apposta in maniera più lenta, come succede sempre se abbiamo fretta o se siamo ansiosi di sbrigare qualcosa.
Così, messa l'email e la password, entrai.
La pagina si stava caricando... Ancora poco e avrei saputo.
Se entro le quattro del pomeriggio non mi arrivava nessun' email, avevo deciso di – purtroppo – chiamare quella stupida colf.
La pagina si caricò del tutto, e...
Sì! Eccola! C'era un'email, di Edoardo! Amato, amato fratello!


A: adri09@email.com

Da: ed_star_69@hotmail.it

Oggetto: RE: AIUTO!
Allegato: Ricette.doc


Adrienne,
effettivamente, non riesco a credere a quello che mi hai scritto. Vuoi davvero rischiare come le altre volte? Dopo
TUTTO il male che è riuscito a farti questo ragazzo? Davvero, in certe occasioni sei fin troppo ingenua. Ti farà del male ancora una volta, Adrienne: sai di che pasta è fatto. Il lupo perde il pelo ma non il vizio... O no?
Ma hai scritto anche delle cose giuste. Io voglio che tu sia felice e, chissà, magari questa volta sono io che mi sto sbagliando. Magari lui è cambiato – in meglio - in questo periodo, e prova per te le stesse cose che tu hai sempre provato per lui. E siccome voglio che tu sia felice, fai finta che io non abbia iniziato l'email in quel modo così spiacevole. Probabilmente neanche avrai badato troppo alle mie parole... Ma, se succederà qualcosa, ricordatene. Non per dire “Te l'avevo detto”, - “Edoardo mi aveva avvertito” e farti sentire una merda, ma perché sai benissimo quanti rischi stai correndo, okay?
Stai scommettendo. E sui tuoi sentimenti.
Credo che non debba più farti perdere tempo. Sarai emozionatissima per questa cena con Alex, e rispondendo alla tua disperata richiesta, ho creato un menù con portate facili da preparare e che non ti occupino troppo tempo.
Il primo piatto è un semplice riso Basmati con alcune verdurine, come carote, zucchine, funghi, e quello che piace a te. E' semplicissimo. Basta ricordarsi di aggiungere un po' di salsa di soia al riso quando lo fai cuocere.
Il secondo, invece, è il mio famoso Pollo Bombay. Ti ricordi quando lo preparavo, infatti! Il nome fantasioso in realtà indica un pollo cotto al forno speziato con del churry, come ben sai. E le patate, pure al forno, con lo zafferano. Se ti sembra già più difficile, perché non ti fai aiutare da Eveliss? Sempre che la tua amica non si faccia cucinare i pasti da altre colfs. Ma non mi pare che tu abbia detto che abita in una reggia come quella dei suoi genitori. Benedetta ragazza...
Come dolce invece... Non mi vengono in mente delle cose poco difficili per una come te (scusa). E se ti buttassi sulle torte che vendono al supermercato già pronte? Siccome mi avrai maledetto per questa mia ultima frase, ti ho inserito la ricetta della crostata di mele, che si possono trovare in questa stagione tranquillamente. Ovviamente tutte le altre ricette le trovi nell'allegato.
Buona fortuna, sorella. Ti voglio davvero bene.
E stai attenta! Attendo tue notizie.

Edoardo.
P.s.: La mamma ricambia il bacio, come sempre.”

Missione tre: completata.
Abbracciai il pc portatile per portarlo nella mia camera da letto, dove c'era la stampante. Ovviamente scaricai il documento e lo stampai.
Edoardo, ma quanto avrei dovuto ringraziarlo?
Fatto questo, spensi il pc – gli avrei risposto con più calma, un'altra volta – e infilai un paio di jeans, un maglione e afferrai il mio portafoglio. Dovevo andare a fare la spesa, giusto?


***
Mi stavo facendo cullare dal piacevole sfrigolio dei pezzetti di verdure nella padella, che stavano cuocendo insieme al riso. Avevo aggiunto la salsa di soia – a cosa mi sarebbe servita, poi? - e mescolai il tutto col mestolo di legno. Abbassai la fiamma del fornello, mentre lo sfrigolio continuava, anche se meno intenso, accompagnato da un delizioso profumino. Il pollo stava cuocendo dentro il forno, con le patate, e l'odore delle verdure si mischiava al suo.
Quello era fare l'amore con la cucina. In fondo, cucinare non era tanto male.
Mi allontanai dal piano cottura e decisi di accendere lo stereo. Misi su una bellissima canzone di David Bowie, Heroes.
Mi buttai sul divano, e tutti questi elementi messi assieme mi dissero che era arrivato il momento di una bella sigaretta, fumata in pace e tranquillità. Non fumavo quasi mai dentro casa, ma in quel momento non mi importava, e fuori c'era troppo freddo per aprire la finestra come se niente fosse. L'ambiente si sarebbe congelato in un attimo.
Afferrai il pacchetto – che era finito sotto un cuscino sul divano -, presi una sigaretta e l'accesi. Ficcai il pacchetto e l'accendino di nuovo sotto il cuscino del divano e chiusi gli occhi per godermi quella bella sigaretta, lo sfrigolio e la musica.
I can remember, standing by the wall...
Inspiravo. Espiravo.
and the guns shot above our heads...
Tiro. Sfrigolio.
“...and we kissed as though nothing could fall.
Il fumo fuori dalla bocca. Chitarra.
Fu una delle migliori sigarette della mia vita, giuro.
Pensavo a tutto, e a niente. Pensavo ad Alex, a quanto fosse meraviglioso, e a tutto quello che stavo facendo per lui. Per me.
Pensavo che c'erano alte possibilità che ricambiasse i miei sentimenti.
Pensavo che quel profumo era inebriante. Forse non ero poi così male, come cuoca. Mi ero sottovalutata.
Pensavo che c'erano altre possibilità; come quella che mi ritenesse solo un ricordo, un capitolo del passato, un'amica con cui passare una settimana di piacere in Francia.
Pensavo che quella canzone era meravigliosa, e mi veniva da piangere, talmente lo era. Solo io ero capace di piangere per la bellezza delle canzoni in un momento del genere.
Finita quella stupenda sigaretta, molto stupidamente mi accorsi che adesso dovevo aprire la finestra per forza. Non potevo di certo accogliere Alex con un salotto che odorava di fumo. Così mi alzai dal divano, e l'aprii. Come previsto, l'aria gelida mi travolse. Tremai leggermente mentre mi avvicinavo di nuovo al piano cottura, trovando un piacevole tepore.
Mescolai il riso, che secondo me era pronto. Spensi il fuoco e abbassai anche la temperatura del pollo: era praticamente quasi cotto. A puntino.
Guardai l'orologio blu appeso al muro. Non mancava molto.
Erano le otto e venti. Dieci minuti... Solo dieci. Cosa vuoi che siano?
Venni immediatamente presa dall'ansia. Sentii una morsa afferrarmi lo stomaco, una morsa d'acciaio rinforzato.
“Oh, accidenti... mi lamentai, mettendomi appunto una mano sulla pancia e chiudendo gli occhi. Gli avrei vomitato addosso.
La canzone era terminata già da qualche secondo, così andai verso lo stereo e lo spensi. Ormai la magia di quell'attimo era praticamente finita... Non avrei dovuto guardare l'orologio, che stupida.
Andai verso la mia camera, oltrepassando il tavolo dalla sala da pranzo, accuratamente apparecchiato. Dovevo guardarmi allo specchio.
Ero sicuramente troppo brutta, con delle occhiaie spaventose e ridicola, dentro quel vestito così elegante, così inadatto a me. Di pomeriggio, Eveliss era venuta da me per aiutarmi col trucco. E quando mi ero guardata allo specchio, con lei accanto a me, mi era piaciuto quel che avevo visto. Ma adesso era tutto diverso: ero sola, orribile, non avrei mai potuto sperare di essere sicura di me e decente con lui, era tutto inutile...
Mi fermai davanti allo specchio della mia camera con gli occhi chiusi, una mano ancora sullo stomaco.
Calmati Adrienne, calmati...
Mi stavo ancora facendo prendere dalle solite paranoie. Stupide paranoie da bambina... Ancora? Avevo deciso che dovevo cambiare. E così avrei fatto. O no, Adrienne?
Ero solo talmente preoccupata di non piacere più ad Alex, che pensavo quelle cose. Ma avevo anche passato di peggio. Edoardo, poi... Forse aveva ragione lui. O aveva ragione Eveliss?
Oh, basta!
Aprii gli occhi.
Il vestito mi donava. Forse donava addosso a qualsiasi donna, ma mi faceva sentire bellissima, più magra, e come aveva detto Eveliss, spaventosamente sexy. Le spalle nude erano state coperte da un copri-spalle dello stesso nero del vestito. Al collo, il bellissimo ciondolo di Eveliss, che mandava piccoli bagliori a seconda di come mi muovevo. Le gambe erano nude, ai piedi delle semplici ballerine nere di pelle, con un taglio elegante e un fiocchetto di raso sulla punta. L'idea di mettere dei tacchi non mi aveva neanche sfiorato l'anticamera del cervello, figuriamoci. Ai lobi, dei semplicissimi brillantini. I capelli erano lisci e ordinati, piastrati di fresco. E gli occhi... Beh, luccicavano quanto la collana. O forse di più. Eveliss aveva passato sopra le palpebre del leggero ombretto dorato, mischiato con del grigio scuro - quasi nero - verso la fine della palpebra; e mi sembrava che fossero più verdi del solito. Matita e rimmel neri, e un rossetto rosso, non troppo forte.
Forse non sei poi così male, vero, Adrienne?
Sorrisi al mio riflesso, e mi sentii piano piano meno nervosa. Levai la mano dalla pancia: la morsa si stava sciogliendo.
Basta, ora pensa a divertiti e a rilassarti.
E in quel preciso instante – caleidoscopio, attimo fuggente, brivido, sussurro spezzato, pelle d'oca – qualcuno suonò il campanello di casa mia.
“Arrivo!” dissi automaticamente. La voce non era stridula. Ed ero quasi calma.
Okay, ci sei quasi, avanti...
Velocemente uscii dalla mia camera
. Passai dalla cucina per spegnere il forno: il pollo rischiava di arrostire davvero troppo, altrimenti. Poi inchiodai davanti alla porta d'ingresso.
Respirai profondamente, in maniera silenziosa.
“Chi è?” chiesi.
Adrienne, sono io. rispose la voce di Alex. Oh, Alex...
Contai mentalmente fino a tre e aprii.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo Dodici ***


Eccoci arrivati a uno dei capitoli CRUCIALI della mia storia. Scusate il ritardo, ma sono stata fuori in vacanza per una settimana, e chiaramente non ho avuto tempo. Inoltre, ci terrei a precisare che ho già altri due capitoli pronti da postare, ma poi il... nulla. Non so bene quando potrò continuare a scrivere, un po' per mancanza di ispirazione riguardo questa storia; senza contare che fra poco inizia la scuola. Quindi cercherò di fare passare un po' di tempo tra un aggiornamento e l'altro, sperando che nel frattempo riesca ad andare avanti. Scusatemi :(
Spero che questo capitolo vi piaccia. A me è piaciuto tanto scriverlo, davvero. Se avete consigli, suggerimenti, correzioni o lamentele da scrivermi... Vi prego, non esitate a farlo! Io adesso vi saluto... Al prossimo aggiornamento, che non so quando sarà. Mi aspetto TANTE recensioni nel frattempo, almeno per QUESTO capitolo, okay?! Bacio :D
P.s.: Un ENORME GRAZIE a Lady Aika, XxX_GiuliaLoveless_XxX, chiara84 e Alebluerose91! Siete grandi u.u


Capitolo dodici

Capitolo dodici.




Alessandro era davanti a me.
Con un'unica rosa bianca in mano e un sorriso pieno di sincera felicità.
E la mia mente era una... Tabula rasa.
“Ciao, Alex! Entra!” esclamai sorridente.
“Buonasera, Adrienne. disse lui. Mi diede un bacio sulla guancia.
Sorrisi ancora di più mentre lui mi porgeva la rosa tra le mani.
“Ovviamente non poteva mancare.” disse.
Lo feci entrare e chiusi la porta. “Accomodati, io sistemo la rosa. A proposito, grazie.” dissi. Da qualche parte conservavo qualche vaso vuoto, ma non ne ero sicura.
“Ma figurati. Che buon profumino!” disse lui, sprofondando sul divano del salotto-cucina.
Mi allungai in punta di piedi verso gli sportelli dei mobili della cucina, aprendoli, ma non c'era traccia di alcun vaso.
“Ma dove l'ho messo?!
“Non preoccuparti, Adrienne, per qualche ora la rosa non appassirà. Forse è meglio se lo cerchi dopo...” disse. Mi stava ancora guardando dal divano, sentivo i suoi occhi puntati su di me, che gli davo le spalle.
Sospirai, richiudendo l'ultimo sportello.
“Forse hai ragione...”
Mi voltai
, dirigendomi verso il divano. Lasciai la rosa appoggiata sul tavolino, e mi sedetti accanto a lui. Il suo sguardo non mi aveva lasciata neanche un attimo.
“Cosa c'è?” chiesi ad Alex, cominciando a sentirmi in imbarazzo.
“Niente... Sei semplicemente stupenda, davvero, mi lasci senza fiato.” rispose.
Feci una risata. “La fame ti procura problemi alla vista.”
Alex sgranò gli occhi. “Ma sei scema? Dai, sei bellissima. Ti sei messa in tiro per me, poi...”
Lo guardai
, un po' più seria. “Mi sono messa in tiro perché mi andava. Oggi è la tua ultima serata qui... Spero che la mia cena ne sia all'altezza.” precisai.
“Il profumo promette bene...”
“Bene, allora iniziamo, che dici?”
“Certo! Ho fame.”
Ci alzammo e gli feci posto verso il tavolo della sala da pranzo. Presi una bottiglia di vino, la stessa che avevamo bevuto al ristorante Italiano, e la stappai, versandogliene un po' dentro al bicchiere, poi pensai al mio.
“E ora, il primo.”
Ritornai in cucina, misi in due piatti bianchi di ceramica semplicissimi il riso, e lo servii.
Voilà, ecco a lei!” esclamai, mettendogli davanti il piatto, per poi sedermi al mio posto.
“Sembra buonissimo.”
“Assaggiamolo e vediamo se lo è, anche.”
Cominciammo a mangiare. Superando ogni mia aspettativa, il riso era davvero buono. Forse qualche verdurina, però, aveva cotto più del necessario. Vabbè!
“Sei brava... disse dopo qualche minuto lui, deglutendo.
“Aspetta, è solo il primo.”
Rise. Com'era bello, quando rideva. Scopriva una fila di denti bianchi e dritti, e scuoteva appena indietro la testa, insieme ai suoi capelli.
Cominciammo a chiacchierare, come al solito. Alex mi raccontò ancora un sacco di aneddoti divertenti riguardanti la band, indicandomi chi erano i componenti. I suoi racconti erano maledettamente vivaci, che mi sembrava già di conoscere queste persone. Alex sembrava divertirsi a parlarne. Sembrava così vivo... Doveva voler loro davvero un sacco di bene. Doveva tener parecchio alla sua band.
“Poi Matteo, il batterista, è
esilarante. Fa dei rutti giganteschi, quando beviamo birra. E' assurdo.”
“Ma che schifo, Alex!” protestai, ridendo. “E' davvero ributtante!”
“No, dovresti esserci, Adrienne. Ti faresti delle risate allucinanti.”
Avrei davvero voluto esserci, lì con te...
Era meglio non pensare a tutto quello che mi ero persa, da quando lui mi aveva lasciato. Era solo colpa sua.
I primi finirono, così passai al Pollo Bombay con patate allo zafferano. Tutto buono, questa volta.
“A proposito, Luca mi ha telefonato e mi ha detto che dall'uscita dell'articolo su Helter Skelter, le visite su MySpace sono aumentate. E' fantastico...”
“Davvero? Alex, sono contentissima per te! Anzi, per voi...”
“Spero davvero che prima o poi il nostro progetto possa andare in porto... Quando sarò di nuovo in Italia, avrò la possibilità di parlarne parecchio con gli altri. Dobbiamo scrivere nuovi pezzi, ormai.”
Quando
sarai lontano da me...
Continuammo a parlare, a parlare, a parlare.
Non volevo che la serata finisse. Non volevo che se ne andasse via da me.
Avevo tanta paura.
Avevamo già finito i nostri secondi da un pezzo, ma eravamo troppo presi dalla conversazione. Era come se stessimo recuperando il tempo perduto... Dovevo ritornare al passo, dovevo cercare di colmare il vuoto che si era creato tra noi.
Ma perché era come se il vuoto si fosse colmato nel momento esatto in cui ci eravamo riabbracciati, per la prima volta dopo due anni?
“In tutto questo tempo hai sicuramente avuto qualche ragazzo, no?” disse all'improvviso Alex, cambiando totalmente il filo conduttore della chiacchierata, che fin'ora si era tenuta su argomenti tranquilli. Allarme rosso.
Mi bloccai, con il bicchiere di vino in mano.
Perché mi fai questa domanda?” chiesi.
“E tu perché mi rispondi ad una domanda con un'altra domanda?”
“Lo stai facendo anche tu.”
Bevvi. Mi sentivo le guance in fiamme, e non era solo per il vino.
“Colpevole.” disse Alex, alzando gli occhi in cielo e poggiandosi una mano sul petto. “Comunque... Così, per curiosità. Insomma... Sei così bella. Non posso crederci che sei stata sola, per tutto il tempo.”
Era davvero questa l'impressione che davo?
Eh no, Alex.
“Veramente, io ho avuto qualche ragazzo...” sottolineai il qualche, “Ma...”
“Ma?”
“Ma nessuno... è riuscito più a rubarmi il cuore.” confessai. Del resto, era la pura verità. Non mi ero innamorata mai più di nessuno... E con Andrea, l'unico ragazzo che avessi frequentato per più di due settimane, era stato un completo e totale disastro.
Calò il silenzio. Fissavo Alex, che fissava me.
“Come ti capisco, Adrienne. Non... Non c'è stato più nessuno, neanche per me, che mi abbia rubato il cuore... Così come hai fatto tu.”
Il mio, di cuore, accelerò i battiti. Continuavo a fissarlo, e sorrisi lievemente. Il suo sguardo era così leggero, così limpido... L'oscurità dei suoi occhi poteva anche essere così, così leggera, così sincera, così... perfetta.
Gli credevo.
Alex sfiorò leggermente con le dita la mano che tenevo appoggiata sul tavolo. Abbassai lo sguardo. Perché ogni volta faceva così? Anche qualche giorno prima, durante il servizio fotografico... Io di sicuro non mi sarei mossa.
Forse avrei dovuto e potuto approfittare del momento... Invece mi alzai di scatto.
“Manca ancora il dolce!” esclamai, allontanandomi dal tavolo.
Non ero ancora pronta, non volevo dirglielo in quel momento.
Alla fine non avevo avuto il tempo né la capacità di fare una torta di mele, così avevo comprato uno di quei preparati pronti per le torte, come mi aveva consigliato Edoardo. L'avevo scelta al cioccolato. Tanto, era la stessa cosa. E lui non l'avrebbe mai saputo! Mio fratello aveva sempre ragione.
Mangiammo anche quella, non riprendendo il discorso, anche se l'atmosfera era un po' cambiata. Ero tesa, e vedevo che mi guardava in continuazione, con la coda dell'occhio, quando pensava che non me ne accorgessi. Che scemo.
Finimmo le fette di torta e mi alzai di nuovo.
Ho voglia di un caffè. Ti va?” gli chiesi.
“Ma certo.”
Veramente, avevo anche voglia di una sigaretta. Il pacchetto nascosto nei meandri del divano mi attirava come una calamita, ma forse non era proprio il caso di fumare davanti a lui. O sì?
Del resto... La scenetta che avevo sempre immaginato nella mia testa, durante la sua assenza, si sarebbe potuta finalmente avverare, o quasi. Di certo, Alex sarebbe stato preso alla sprovvista. Decisi che avrei scelto cosa fare sul momento, anche se il bisogno e la voglia di nicotina mi facevano quasi ardere la gola.
Mentre mettevo su la caffettiera, Alex aveva gentilmente preso i piatti e le posate sporche e le aveva messe nel lavello.
“Non ti dispiace se mi verso dell'altro vino, vero? E' ottimo...” chiese.
Chissà se aveva notato che il fatto che il vino fosse uguale a quello del nostro incontro non era casuale.
“Ovvio che no. Fai come se fossi a casa tua...”
Alex sprofondò di nuovo sul divano, col bicchiere di vino rosso in mano, mentre si guardava attorno. Assomigliava ad un giovane aristocratico: gli mancava soltanto uno smoking, una bombetta in testa, un sigaro in bocca e sarebbe stato uguale. Dato che dovevo aspettare, mi avvicinai di nuovo a lui, sedendomi in bilico sul bracciolo del divano.
“E' bella casa tua. disse.
“Grazie... Per fortuna Eveliss mi ha reso possibile di venire a vivere qui, appartiene a lei questo appartamento. Altrimenti, sarei ancora in cerca di un posto dove vivere...”
“Immagino che i costi debbano essere elevatissimi...”
Elevatissimi è riduttivo.”
Alex beveva dal suo bicchiere. Poi, ormai vuoto, lo poggiò sul tavolino, accanto alla rosa bianca. Nel frattempo, cercavo di capire mentalmente dove potessero essere le mie sigarette. Che cretina, avrei potuto e dovuto semplicemente metterle nella mia camera da letto, al sicuro... Magari ci si era seduto sopra.
Quando l'odore del caffè ci invase le narici, capii che era ora di versarlo.
Adoravo in maniera viscerale l'odore del caffè appena fatto. Ne versai in due tazzine marroni, e poi gliene porsi una.
“Ah, grazie. Non c'è niente di meglio di una buona tazza di caffè dopo una altrettanto buona cena.”
Lo guardai, alzando un sopracciglio.
“E una altrettanto buona sigaretta. dissi.
“Cosa hai detto?” chiese sbigottito Alex, che cambiò totalmente espressione. Non riuscivo a capire se era più sorpreso o disgustato.
“Sigaretta, ho detto.”
Poggiai la tazzina sul tavolino e presi a rovistare sotto i cuscini del divano, e a cercare di individuare con il tatto qualcosa di rettangolare. Alex nel frattempo continuava a guardarmi, sempre con quell'espressione indecifrabile, immobile con la tazzina nella mano destra.
“Ah, trovato!” esclamai
.
Uscii fuori il pacchetto di sigarette e l'accendino.
“Cos.. Adrienne non posso crederci, tu fumi?!” esclamò Alex, del tutto sconvolto. Poggiò la tazzina sul tavolino, finito a metà. Come se gli avessi fatto perdere la voglia di caffè!
“Sì, lo so, è assurdo, ma ho preso il vizio.” risposi.
Estrassi una sigaretta dal pacchetto, e la misi fra le labbra.
“Ne vuoi una?” gli chiesi. La sigaretta traballava ad ogni mia parola.
“Veramente... Ho smesso di fumare circa un anno e mezzo fa.”
Lo guardai
sorridendo.
Tipico. Avrei dovuto aspettarmelo. Ecco perché era così sconvolto.
“Non posso crederci... Mi sta crollando un mito. disse ancora.
“Ma dai, smettila! Dovrei dirlo io piuttosto, tu non fumi più!” dissi, accendendo la sigaretta. Posai l'accendino e il pacchetto sul tavolino che ormai stava straripando, però riprendendomi la tazzina di caffè. Feci un tiro e poi bevvi un po' di caffè.
Ah. Sigaretta, caffè, e Alex. Cos'altro avrei potuto chiedere di meglio? Anzi, mancava solo una bella canzone in sottofondo, e poi sarebbe stata la perfezione.
“Ma
sì, Adrienne... Insomma, stavi sempre lì a rimproverarmi, a nascondermi le sigarette, a costringermi a buttarle... A dirmi che fa male! E ora com'è finita?”
Risi, a tutti quei ricordi
. Allora ricordava anche lui tutto...
“Non lo so, Alex. Ho scoperto che mi piace, che avevi ragione. In fondo... Tu perché hai smesso?”
“Perché... “
Alex esitò
. Immaginai perfettamente il perché. In fondo, era lo stesso mio motivo.
“Perché ti ricordava troppo me, non è vero, Alex?” chiesi
, finendo il caffè. La tazzina ritornò sul tavolino. Avevo colpito, perché la sua espressione mutò ancora. Io finsi indifferenza.
Abbassò un attimo lo sguardo, poi ritornò su di me. “E' così, Adrienne. Come al solito, mi capisci anche solo... guardandomi.”
“Non è solo questo... Io ho iniziato a fumare perché mi ricordava troppo te. Siamo sulla stessa barca, sai.”
Tu volevi
dimenticarmi, io solo ricordarti.
Calò il silenzio, mentre continuavo a fumare la mia sigaretta. Alex mi fissava, mi stava studiando. E io sapevo che ormai il mio rossetto rosso era andato a farsi friggere.
“Vuoi fare un tiro? Insomma, non penso che un solo, innocente tiro, possa rovinarti un anno e mezzo di sacrifici. gli chiesi.
Alex mi guardò, scettico. “Ah, ne sei sicura?”
“Se sei stato abbastanza forte per tutto questo tempo...”
Hmm. Okay.” rispose lui, annuendo.
Sorrisi.
Gli passai la sigaretta, e per la prima volta da quando lo conoscevo, vidi un Alex titubante nell'afferrarne una. La avvicinò alle labbra, e chiudendo gli occhi, fece un lungo, sentito tiro. Poi rilasciò il fumo in aria lentamente.
Sembrava in estasi, letteralmente.
Senza dirmi nulla, fece un altro tiro. E poi, riaprì gli occhi, e mi ripassò la sigaretta. Feci immediatamente un tiro anche io.
“Dio. Mi ero scordato quanto mi piacesse.” annunciò.
“Però promettimi che non ti prenderai di nuovo il vizio, dai.”
“Te lo prometto.”
Non sapevo quanto potevo fidarmi delle sue promesse. Fin'ora non era mai stato capace di mantenerne neanche una.
Gli sorrisi. Ci guardavamo, con sguardi intensi, complici. Quelli di una volta.
Ero già felice così.
“Sei irriconoscibile. gli dissi.
“Lo so. Tu non poi così tanto, alla fin fine. A parte questa storia delle sigarette, che mi ha sinceramente sconvolto. E, beh... Sei un po' più matura di quanto mi ricordassi, come ti ho detto l'altro giorno... In macchina.”
Feci una risata. Scivolai dal bracciolo del divano, perché stava iniziando a diventare scomodo, e mi sistemai al suo fianco. La sigaretta era arrivata a metà.
Alex approfittò della mia vicinanza per rubarmi la sigaretta dalle dita, prendendomi totalmente di sorpresa.
L'afferrò e fece un altro lungo tiro.
“Ehi!” esclamai, protestando.
“Non credo di riuscire a resistere alla nicotina, Adrienne. Mi ero davvero scordato quanto fosse bello...”
“No, Alex, piantala! Ridammi quella sigaretta!”
Cercai di riprendermela, ma Alex mi bloccò un braccio, stringendomelo forte.
“Ed è ancora più bello, dato che finalmente tu mi capisci. Anche in questo, finalmente... continuò, fissandomi intensamente.
Ricambiai lo sguardo, mordendomi il labbro inferiore.
“Non voglio essere colpevole di averti fatto riprendere a fumare di nuovo, Alex. dissi sinceramente, sentendomi in colpa.
“Non sta succedendo niente. Solo, stasera ho tanta voglia di fumarne una...”
“No, niente da fare.”
Mi liberai dalla sua stretta con uno strattone deciso e riafferrai la sigaretta, che nel frattempo si era consumata inutilmente. “Non lo fare più, okay? Non è divertente.”
Mi sentivo
davvero in colpa.
Non rispose, rimase a guardarmi. Eravamo pericolosamente vicini.
“Allora, ti prego... Dato che il solo profumo mi fa venire voglia... disse, lentamente, “Spegni quella sigaretta, maledizione.”
Gli sorrisi. Il suo calore veniva percepito dal mio corpo.
E in quel momento ebbi una voglia tremenda di sentirlo addosso a me, di stringerlo, di avere fra le dita i suoi sottili capelli...
“Lo farò solo per un ottimo motivo. dissi.
Mi allungai per l'ennesima volta verso il tavolino e schiacciai con decisione la sigaretta nel posacenere zebrato, un regalo di Eveliss. Ritornai a guardarlo.
“Un bacio?” chiese lui.
Aveva ricollegato.
Chiedevo sempre ad Alex di spegnere le sigarette per baciarmi, anche se le aveva accese da appena un minuto, perché odiavo l'odore di sigaretta accanto a me, e specialmente nella sua bocca, nella sua lingua.
Annuii.
Ci avvicinammo, come se fossimo due poli opposti che si attraevano, in maniera ormai indivisibile. Ci avvicinammo in maniera snervante, ci avvicinammo con i cuori che andavano veloci, veloci.
Let's these teen heart beating: faster, faster!*
E sì, lasciate che il mio cuore vada veloce, in cerca del suo...
Alex appoggiò una mano sulla mia spalla, e lentamente scivolò verso il laccio del mio copri-spalle. Le sue dita lo sciolsero velocemente, e quello abbandonò le mie spalle. Alex me lo tolse e lo poggiò sullo schienale del divano. Il dorso delle sue mani caldissime sfiorarono le mie spalle nude, lentamente, provocandomi brividi piacevoli lungo la linea della colonna vertebrale. Lo faceva apposta?
Non mi scollavo dai suo occhi, mentre lui seguiva le sue mani con lo sguardo.
“Alessandro,” dissi, “Aspetto questo momento da due lunghi anni. Ti prego, non farmi aspettare ancora... Baciami.”
Alex mi guardò finalmente negli occhi, e mi sorrise. Prese il mio viso tra le sue mani. I miei occhi verdi, i suoi occhi nocciola, neri, le sfumature d'oro, un abisso dentro cui sprofondare e non uscire più. Eroe del mio mio inferno privato...**
“Subito.” disse.
E mi baciò.

 





Per questo capitolo ho cambiato font, spero non vi dispiaccia :D
* Panic! At The Disco - Lying is The Most Fun a Girl Can Have Without Taking Her Clothes Off
** Afterhours - Ci sono molti modi


Alla prossima ;)

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Capitolo 13
*** Capitolo Tredici ***


Salve a tutti

Salve a tutti! Devo farmi perdonare. Non ho aggiornato per tantissimo tempo, ma purtroppo ho avuto molto da fare con la scuola e con altri impegni vari.
Mi farò perdonare con questo capitolo, il tredicesimo. Ho davvero messo tutta me stessa nella scrittura di questo capitolo, e spero di aver fatto un buon lavoro. Voglio pareri e critiche a volontà :)
Come sempre un grazie a Alebluerose91, Emily Doyle, 3things , XxX_GiuliaLoveless_XxX  e mo duinne! :D Siete fantastici, davvero! <3



Capitolo tredici.


Il sapore, la forma, la consistenza delle sue labbra era esattamente come la ricordavo. Riuscii a provare quello che in due anni mi era mancato, quello che avevo cercato in tante labbra e in tanti corpi simili al suo.
Provai Emozione, con la E maiuscola, sentii i brividi nel baciarlo. Mi persi, mi lasciai letteralmente andate in un paio di dolci, morbide labbra un po' sottili. Oh deliziosa delizia e incanto*.
Le mani di Alex percorsero le mie spalle nude. Le nostre lingue si incrociavano – e il mio corpo si avvicinava al suo – la sua testa si appoggiava sul bracciolo – il suo corpo si stendeva intrappolato dal mio sopra il suo – e il mio aderiva sul suo e sentivo i cuori di entrambi che andavano troppo forte, insieme, come insieme non eravamo stati per settecentotrenta virgola quattrocento ottantaquattromilatrecentonovantotto giorni – il vestito nero si alzava sulle gambe lasciandole scoperte e le sue mani si spostavano dalle spalle – dalle spalle sulle gambe, sulle cosce accarezzandole – volevo perdermi nella deliziosa consapevolezza del fatto che stessi baciando lui, proprio lui – e le ballerine abbandonavano i miei piedi e cadevano chissà dove sotto il divano, le avrei maledette più tardi – ed era tutto un miscuglio sul palato e sulle lingue di un po' di caffè appena fatto, con un retrogusto di vino, ma soprattutto di sigarette – rubate. Avrei solo dovuto parlare adesso, ma mi era impossibile, avevo perso l'uso della parola, c'era solo il mio corpo che parlava. Forse si spiegava meglio delle parole, anche se avessi usato le più belle, le migliori.
Lo amavo e glielo volevo dimostrare.
Forse era anche colpa di quel vino, accidenti; forse quello mi aveva dato il coraggio per farmi afferrare così e farmi baciare, e baciarlo, senza alcuna esitazione, senza qualche stupida sega mentale da adolescente cretina, finalmente. In vino veritas, no? E poi, era proprio quello che esattamente volevo... E quella era la verità di una vita; il mio amore.
Ci stavamo baciando a lungo e a fondo e mi sembrava di aver perso il controllo, di essere impazzita una volta che ero finalmente dove volevo, dove avevo sempre desiderato. Mi sembrava di non riuscire più a controllare il corpo e a mandare i segnali giusti al mio povero cervello.

Le sue mani dannatamente calde risalivano troppo sulle gambe e il mio bacino era ormai totalmente appoggiato al suo. Le mie mani tremanti e così fredde rispetto alle sue lo toccarono sul petto, e sulla pancia, per poi entrare sotto i vestiti dal basso verso l'alto. La sua pelle anche lì era calda, c'era un calore diffuso, e la lingua iniziava a farmi male.
“Hmm...” sembrò protestare quando mi staccai lentamente dalla sua bocca.
Rimanemmo immobili in quella posizione e poggiai la fronte alla sua, gli occhi ancora socchiusi, il respiro leggermente affannoso.
“Non posso credere che stia succedendo davvero.” mormorai, più a me stessa che a lui.
I cuori non accennavano a smetterla di fare gli assoli di batteria, che cazzo.
“Perché no? Mi sei mancata tanto...” mormorò in risposta lui.
Non volevo ancora aprire del tutto gli occhi, avevo paura.
“Anche tu mi sei mancato tanto...”
Le sue mani erano praticamente appoggiate sul mio sedere e le mie erano sul petto caldo.
“Vuoi... Vuoi che smetta?” disse in tono dolce Alex. Conoscevo così bene quel tono delizioso. Il mio cuore ebbe un altro balzo. Come poteva pensare cose simili?
“No! Voglio che rimani. E che continui a baciarmi...” gli dissi avvicinandomi al suo viso e parlandogli a fior di labbra. Alex mi diede un piccolo e tenero bacio, mentre sorrideva. Lo ricambiai. E lui ricambiò il mio. Passai la lingua sul suo labbro inferiore, e sorrise di nuovo. E mi baciò del tutto, in maniera più decisa.
Il mio bacino ritornò a strofinare sul suo mentre lo abbracciavo per le spalle, e Alex sospirò profondamente. Mentre lo baciavo gli mordicchiavo le labbra. Bacio, bacio, bacio, bacio.
“Adrienne...” sussurrò Alex al mio orecchio. Sembrava avesse la voce impastata.
Mani calde e tremanti occhi chiusi pelle e battito e voglia e amore. Solo-quello.
Ti prego ascoltami**
Non protestai.
Ascoltami bene almeno una volta,
Non protestai quando Alex mi prese in braccio, continuando a baciarmi, sollevandomi dal divano. La mia mano sulla sua nuca si godeva i sottili capelli scuri tra le dita, dalla consistenza fragile – si potevano spezzare? - e nonostante tutto così morbida. Le sue braccia sotto le mie gambe mi sorreggevano in maniera sicura e non protestai quando mi sentii trasportare lontano dal divano.
Solo poche parole... Sarebbe stato bello invecchiare assieme

Non avevo ancora aperto gli occhi e sentivo solo i fruscii dei nostri vestiti, solo i sospiri profondi miei e suoi, e ancora i battiti dei cuori.
Ma la vita,
Capii cosa stava succedendo, ma non protestai. Non ne avevo alcuna intenzione.
Alex aveva individuato la mia camera da letto e mi aveva condotto lì. Non aveva smesso di baciarmi un attimo e mi aveva depositato con leggerezza sul mio letto.
In quell'attimo, con una punta di orgoglio, pensai che avevo fatto bene a spolverare anche quella stanza, il mattino. Il piumone a fantasia colorata si schiacciò sotto il nostro peso e sentii anche il suo fruscio familiare. Non ci staccammo. Incrociai le braccia sul suo collo, lui che adesso era sopra di me, mentre le sue mani mi carezzavano il seno.
La vita ci spinge verso direzioni diverse.

Mi sollevai leggermente verso di lui, mentre la sua mano cercava sulla mia schiena – con una lentezza e leggerezza troppo assurda per appartenere alla mano di un uomo – la cerniera del mio vestito. La individuò, l'abbassò, ci furono altri fruscii meno familiari e mi ritrovai in biancheria intima con il suo corpo sopra il mio. E non sentivo neanche un po' di freddo.
Ti prego ascoltami, ascoltami bene almeno una volta. E' un mondo diverso quello che voglio, altro che storie
Il suo busto fu liberato da maglietta e camicia – ogni bottone abbandonava l'asola e udivo altri fruscii e la particolare sensazione di una delle sue mani sulle mie gambe completamente nude e lisce che si avvicinavano al resto del mio corpo – e poi la cintura si sciolse e i pantaloni scivolarono sulle sue gambe meno lisce e scomparirono.
Dove abbracciare il sole il mare la terra l'amore, quando ti manca l'amore?
Tremavo, fremevo, non capivo più niente.
Aprii gli occhi, e lo vedi con gli occhi chiusi. Sorridendo, chiusi nuovamente gli occhi. Mi baciò la fronte, i capelli, il collo. Mi tolse il reggiseno, e mi baciò il seno, i capezzoli, ancora con una dolcezza che mi lasciava senza fiato. Conosceva già bene il mio corpo, e io conoscevo il suo. Nessuna fretta: ci stavamo godendo quei momenti particolari, insieme. Tremavo ancora, non per il freddo, non per la paura. Per l'emozione. Ci sfilammo a vicenda la biancheria intima.
Sarebbe stato bello invecchiare insieme.
Il piumone colorato gridava per la gioia, lui aveva sempre tifato per me durante i tristi pomeriggi domenicali passati sotto di lui, a sciogliermi in lacrime.
Non te la prendere, almeno una volta.
E anche quella volta mi sciolsi dentro al suo bacio, mi sciolsi dentro al suo tocco, mi sciolsi dentro di lui, mi sciolsi abbandonando tutta me stessa, riversando la mia assenza dentro di lui. Lui, Alex... Il ragazzo delle mie prime volte. Lo era sempre stato, era destino?
Come piume di raro metallo spumato, o come vino d'argento versato in nave spaziale.* Mi aggrappai ai suoi capelli mentre tutto si stava amplificando e lui spingeva tutto, tutto l'universo dentro di me.
Adesso devo scappare
Mi aggrappai, sì, come se temessi di perderlo ancora, come se avessi paura che si allontanasse. No, adesso era finita. Adesso non sarebbe più andato via.
Adesso devo scappare, il lavoro mi rincorre,
Mi feci amare e lo amai. Era questa la perfezione, e l'avevo conosciuta con lui. Ero felice, avevo la pelle caldissima, i capelli lisci sulle spalle, le sue mani addosso e la sua assenza e l'universo dentro di me. Una vera e propria tempesta che lascia sabbia, amore, calore. Ero sua, era mio.
Mi sarebbe piaciuto, l'avevo sempre saputo.
Sarebbe stato con lui, l'avevo sempre saputo.
Sarebbe stato bello invecchiare assieme,
Stava arrivando il giorno, ti prego Alex chiudi la finestra, il mattino ci scoprirà, ci sorprenderà dentro questo letto a fare l'amore. E io non voglio che ci scoprino.
Il tempo ci remava contro e appoggiai la testa sul cuscino, per non sentire alcun rumore della città. Pezzi di conversazione nell'aria... E ancora voglia d'amore.
Il tempo ci stava proprio remando contro.***
Ti prego, ascoltami.
La luce dell'alba, da fuori, sembrò evaporare.
La vita ci spinge verso direzioni diverse.






*
Queste sono citazioni di un altro Alex, esattamente Alex De Large, protagonista di Arancia Meccanica, un romanzo eccezionale (:
** Da qui in poi i versi in corsivo appartengono ad una canzone stupenda, “Direzioni Diverse” de Il Teatro degli Orrori. Ascoltatela su YouTube!
*** Il pezzo finale è ispirato ad una canzone di Francesco De Gregori.

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Capitolo 14
*** Capitolo Quattordici ***


So di essere imperdonabile, davvero. So di avervi fatto aspettare tanto, so di essere una pessima autrice.
Ma considerate questo capitolo come il mio regalo di Natale. Come al solito vorrei ringraziare chi mi recensisce, mi segue o chi soltanto mi segue. Vi adoro tutti! <3
Non mi dilungerò troppo.
Buon Natale e felice anno nuovo, a tutti quanti.
Buona lettura!

Capitolo quattordici

Capitolo quattordici


Io e Alessandro, adolescenti inesperti quali eravamo stati, avevamo provato a fare l'amore. Tre volte.
Dovevamo sbrigarci perché nonostante mia madre fosse a lavoro e nonostante Edoardo fosse da studiare da un suo amico e aveva annunciato di non tornare se non a ora di cena, avevamo paura di essere scoperti. Mentre ci spogliavamo ogni minimo rumore ci faceva sobbalzare e dire: “Cos'è stato?”, con gli occhi sgranati, e ci faceva bloccare a metà, nell'atto di togliere all'altro qualche indumento.
Ma voglio che tu piano piano scivoli dentro me...*
Ridevamo quando non sapevamo come cavolo mettere bene quel preservativo, quando era difficile per lui farsi spazio dentro di me, e io piangevo quando tutte le volte mi facevo troppo male, e non ce la facevo a continuare. Lui mi rassicurava ogni volta, baciandomi i capelli e la fronte, come si fa per consolare i bambini piccoli, capricciosi di volere un giocattolo che non gli si può comprare.
Esperienze tipiche degli adolescenti. Abbastanza imbarazzante da ammettere, davvero. Poi, ci eravamo separati prima di provarci un'altra volta.
Quella volta, l'ansia di essere scoperti e la paura di farsi male non c'era stata. Ma le altre sensazioni, la voglia, le emozioni, i brividi erano uguali, forse addirittura più chiari, più decisi. Era stato semplicissimo per lui scivolare in me. Eravamo come due pezzi di un puzzle, fabbricati per incastrarsi. E quell'incastro era sublime.
Ma voglio che poi nell'insinuarti tu sia incantevole.*
Alessandro era davvero il ragazzo delle mie prime volte. Il mio primo bacio, la mia prima volta... C'era stato sempre lui, presente. Peccato che mi facesse soffrire un po' troppo. Peccato che fosse scostante, misterioso, bugiardo... Forse un po' egoista. Aveva lo strano, maledetto potere di far in modo che lo perdonassi sempre.
Siamo gli ostaggi di un amore che esplode fragile, di istinto e sudore.*
L'alba era evaporata e sudati ma felici ci eravamo abbracciati, tra lenzuola impregnate di odore di amore e di quello dolciastro del sesso, e tra parole altrettanto dolci, sussurrate piano. Le sue braccia mi cullavano. Mi sentivo bene, completa, ma pur sempre un tantino tra le nuvole.
Poi mi ero addormentata, senza accorgermene.
Ora sentivo che ero sveglia. Sentivo i rumori della città in sottofondo, quindi doveva già essere mattino. Non avevo idea di che ora fosse, ma non c'era alcuna fretta, e non avevo ancora aperto gli occhi. Volevo fare tutto con lentezza, perché ancora una volta, avevo la sensazione che la giornata precedente non fosse stata reale. Ero girata su un fianco, le lenzuola coprivano il mio corpo totalmente nudo. Sapevo che a pochi centimetri da me c'era Alex, che ancora doveva dormire beatamente. Mi aspettava un risveglio come quello dei film: l'avrei svegliato con un bacio, lui mi avrebbe ricambiato, avremmo fatto di nuovo l'amore e poi avremmo fatto colazione a letto...
Peccato che mi sentissi terribilmente stanca, come se avessi corso chilometri. Beh, forse era normale, del resto. Inoltre avevo una fame da lupi; pensai che fosse una bella idea portargli la colazione a letto, per un risveglio ancora più dolce.
Prima però volevo udire il suo respiro, volevo udire una certezza. Allungai le orecchie, in ascolto.
Respirava troppo debolmente, Alex. Perché non sentivo niente.
Solo i rumori della città.
Decisi che era il momento giusto per aprire gli occhi. Li aprii e fissai la parete di fronte a me. Sbattei le palpebre. C'erano alcune foto appese che, quando il mattino mi ritrovavo girata verso quel lato del letto, mi davano il buongiorno sorridendomi. Eveliss, mio fratello... Ovviamente non c'era alcuna traccia di Alex, in quelle foto. Avrebbe solo fatto troppo male, se l'avessi visto ogni mattino, no?
E poi il mio calendario, con le caselle dei giorni vuote ormai da un po'.
La luce del giorno sembrava già forte, quindi doveva essere più tardi di quanto pensassi. Cazzo, adesso avevo fretta.
E poi, beh, ero stata lontano dalle braccia di Alex già per troppo tempo. Meglio voltarsi ad abbracciarlo, al mio unico amore...
Mi voltai e non vidi nulla, però.
Non c'era nessuno.
Alex non c'era.
Di nuovo.
Lui-non-c'era.
Le lenzuola erano sempre rimaste lì, stropicciate, inermi, non avvolgevano nessun corpo. Erano fredde e senza senso. Il cuscino era schiacciato, ma non accoglieva nessuna testa.
I slowly realized there’s nothing on our side.**
Venni immediatamente invasa dall'angoscia, non appena la mia mente, i miei occhi, il mio corpo realizzarono cosa stava succedendo. Dio, ma perché non c'era? Non poteva... aspettarmi?
Perché il suo talento più grande era quello di fuggire sempre da me?
Mi alzai a sedere, portandomi una mano alla fronte.
Il piumone era finito ai piedi del letto, totalmente scombinato. Stava per cadere. Individuai il mio vestito per terra, chissà quando era volato via. Forse, quando Alex me l'aveva tolto di dosso, l'aveva gettato per terra.
Di lui però, non c'era più nessuna traccia. C'erano solo i miei, di vestiti.
Deglutii.
Scostai le lenzuola, e notai una piccola macchia rossa sul letto. Proprio lì, al centro. Davvero imbarazzante. Mi imbarazzai di me stessa, arrossendo.
Oh bene, fantastico. Il sangue sarebbe mai andato via dal lenzuolo beige?
Era
quella, l'unica prova reale di quella bellissima notte. I miei ricordi, le sensazioni, il letto sfatto, il vestito per terra. Ma non c'era nessuno a ricordarmelo, non c'era nessuno a darmi il buongiorno, non c'era nessuno a fare colazione con me, non c'era nessuno a dirmi quanto fosse stato fantastico fare finalmente l'amore con me.
Il mio umore crollò sotto sera, stabilendosi sotto i miei piedi.
Il mio stomaco fece un rumore strano. Avevo fame.
Tanto valeva alzarsi e mettere qualcosa sotto i denti, cercando di capirci qualcosa. Accanto al vestito trovai la mia biancheria intima: la presi, la indossai di nuovo, e poi mi alzai dal letto.
Ero davvero stanca, ed... indolenzita.
Almeno, se fossi stata felice, non avrei sentito nessun tipo di dolore, né la stanchezza. Ma io non potevo essere più felice, adesso. Lo sapevo già.
Arrivai in cucina. Il tavolo era ancora apparecchiato dalla sera precedente. Il divano era scombinato, il mio copri-spalle sulla spalliera, il tavolino carico di roba.
Ognuna di queste cose mi faceva stare sempre più male, come tantissime spine sulla pelle. E, a proposito di spine, avrei voluto prendere quella rosa bianca e bruciarla, interamente. Maledizione.
Mi avvicinai al tavolino. Riuscii a vedere accanto al divano una delle mie ballerine, l'altra chissà dov'era finita. Presi il bicchiere vuoto e la rosa in mano, per levarle di mezzo, quando mi accorsi di un biglietto, che era posizionato proprio sotto il bicchiere.
Un pezzo di carta strappata, con su scritto qualcosa.
Mollai immediatamente la rosa e il bicchiere di nuovo sul tavolino, afferrai il biglietto e mi sistemai seduta sul divano.


« Quando
tu dormirai, mia bella tenebrosa, al fondo d'un sepolcro in marmo nero e non avrai più per alcova e castello che una tomba stillante e una cava fossa;

quando la pietra, opprimendo il tuo petto impaurito e i tuoi fianchi che ammorbidisce una dolce pigrizia, impedirà al tuo cuore di battere e di volere, e ai tuoi piedi di correre l'avventura,

la tomba, confidente del mio sogno infinito (perché essa comprenderà sempre il poeta), durante quelle lunghe notti insonni,

ti dirà: "Che ti serve, cortigiana malriuscita, di non aver conosciuto quello che i morti piangono?". - E il verme roderà la tua pelle come un rimorso. »***


Nient'altro.
Girai il biglietto: non c'era scritto altro.
Cosa diavolo voleva dire quella dannata... poesia?
Perché era di certo una poesia, ma non sembrava una poesia d'amore. Anzi, era triste, ed angosciante. Cosa voleva dire?
La rilessi altre due volte, ma proprio non riuscivo a spremermi le meningi.
Comunque, ero davvero stanca.
Ero davvero stanca del comportamento di Alex.
Guardai l'orologio blu. Erano le undici e un quarto.
“E poi, domani parti, no?”
“Sì. Domani mattina presto, verso le nove.”

Era per questo motivo che Alex era andato via? Il suo volo era alle nove, e quindi avrebbe dovuto essere già pronto all'aeroporto almeno una, due ore prima. Questo era comprensibile, però se davvero ci teneva a me, mi avrebbe svegliato quando stava per andarsene. O avrebbe aspettato che mi svegliassi, per rimandare di un giorno la sua partenza. Cosa gli sarebbe cambiato, in fondo?!
Non potevo giustificarlo: quella poesia, poi, senza neanche una riga di accompagnamento, mi faceva innervosire, nonché vacillare. Non riuscivo a capirne il significato. E poi mi sembrava così familiare...
Non aveva senso, tutto questo. Non aveva un briciolo di senso.
Tra l'altro mi accorsi in quel momento che odoravo totalmente di Alex. Persino i capelli, erano pieni del suo profumo.
Maledizione, sentivo il sangue ribollirmi nelle vene.
Non poteva andare così. Non lo giustificavo, non l'accettavo, e stavo iniziando ad innervosirmi seriamente.
Questa volta non potevo fargliela passare liscia.
Questa volta, non se ne sarebbe andato via, senza nessuna spiegazione.
Questa volta non avrei fatto la parte della sedotta e abbandonata.
Questa volta non gli permettevo di trattarmi così.
Non poteva fare l'amore con me e poi sparire.
Mi alzai di scatto dal divano, con il biglietto ancora in mano.
Afferrai il computer portatile, aspettai quelle che mi parvero ore per collegarmi ad Internet, entrai nella casella email – ignorando le solite di spam – e ne scrissi una nuova ad Edoardo.


A: ed_star_69@hotmail.it
Da: adri09@email.com

Oggetto: A casa
“Edoardo,
ti conviene cambiare le lenzuola del letto della mia camera.
Sto tornando a casa, prendo il primo volo che trovo in aeroporto.
Avvisa la mamma, ovviamente.
Mi auguro che tu legga questa e-mail in tempo, altrimenti siamo tutti fritti.
Non ti preoccupare, sto bene - tutto sommato. Ti spiegherò.
Ciao.”



***

“Sono spiacente, signorina, ma tutti i posti della prima classe sono esauriti.”
Mi irritai, corrugando la fronte. “Mi scusi, ho detto che mi andava bene pure un posto nella cabina del pilota. Anche in sesta classe. Quindi, me ne vuole prenotare uno sì o no?”
Ma perché queste deficienti non capiscono mai che non è una cosa buona giocare con le persone incazzate? Come gli anziani che insistono per farli passare per primi in fila alla cassa del supermercato, quando tu sei già abbastanza di fretta e con le palle girate. E sei in fila solo per una confezione di uova. Da dodici.
Ero in aeroporto, con una fila lungo-media di persone dietro di me, cercando di prenotare un volo per quel pomeriggio all'una e trenta, da una signorina con degli occhi azzurrissimi, uno chignon, l'aria professionale, e con le orecchie piene di cerume. Trafficava con un computer, la fronte anche lei corrugata.
“D'accordo, le ho
trovato un posto nella classe economica a tariffa piena. Lo prende?” mi chiese.
“Certo.” dissi
, decisa. Del resto, non capivo quale parte di “mi va bene qualsiasi posto e qualsiasi ora” le fosse poco chiara.
Qualche secondo dopo la signorina mi diede un coupon, ovvero un biglietto aereo. Tutte le informazioni erano già scritte su di esso. E l'orario era quello: l'una e trenta del pomeriggio.
“Grazie.” dissi, pensando invece “finalmente”. Chissà perché la signorina pensasse che avessi bisogno per forza di un posto in prima classe. Sembrava quasi che non volesse farmi partire, giusto perché le cose non erano già abbastanza tragiche da sole.
“Grazie a lei e buon viaggio!” esclamò la signorina, mentre mi allontanavo dalla fila, trascinando il mio trolley.
L'aeroporto era pieno di persone che bazzicavano tra check-in e piste. Parenti che salutavano, fidanzati che si lasciavano, persone che lavoravano. Era un tripudio di colori, di pensieri, di individui totalmente diversi.
Mancava esattamente mezz'ora al mio volo ed avevo tempo per una sigaretta e una telefonata.
I wait and tell myself "life ain't chess,"
But no one comes in and yes, you're alone...**
Da sola andai in giro verso la sala fumatori, sempre con il trolley alle costole.
La trovai: lì dentro non c'era neanche bisogno di fumare. C'era una cortina fitta di fumo di sigarette, il fumo passivo era micidiale.
Comunque, avevo bisogno di fare qualcosa. Mi feci spazio tra alcune persone, rumorose, sfumacchianti e in comitiva, per arrivare all'angolo della stanza.
Mi avvicinai ad una piccolissima finestra aperta, afferrai le sigarette, ne presi una, e l'accesi. Dall'altra tasca estrassi il mio cellulare e composi il numero di Eveliss. La frescura che entrava dalla finestra faceva a pugni col calore della stanza in cui mi trovavo.
Aspettai qualche squillo, poi rispose.
Adrienne! Aspettavo impaziente la tua chiamata!” esclamò immediatamente, la voce allegra e squillante.
“Ciao, Eveliss. dissi, seria.
“Ciao. Ma... Dove sei?” chiese lei, evidentemente spiazzata dalla confusione attorno a me. Quel gruppo di persone proprio non voleva abbassare la voce.
“Sono all'aeroporto, Eveliss...”
“Cosa?! Ma... Sei da sola?”
Esitai qualche secondo in più, rilasciando una boccata di fumo. “Sì.”
Anche Eveliss rimase in silenzio per un po'. “Ma cosa diavolo sta succedendo?”
Lascia perdere, è tutto un tremendo casino... Non mi va di raccontarti qui al telefono.”
“Stai tornando a casa tua? Da Alex?”
“Beh, diciamo di sì. Per un po'. Non so per quanto, è tutto un casino, te l'ho detto. Non saprei da dove cominciare. O forse sì.” risposi.
Ci furono ancora dei minuti di silenzio.
“Non mi sembri molto felice. commentò lei.
Sospirai. “Non lo sono.”
“Gli spacco la faccia.”
Eveliss, lei riusciva sempre a farmi ridere. Infatti scoppiai a ridere. “Lascia perdere, permettimi di essere io stessa, a spaccargliela.”
Anche lei rise, ma non era una risata totalmente spensierata. “Quando hai il volo?” mi chiese.
“Tra venti minuti. Anzi, forse è meglio che stacco, devo lasciare il mio bagaglio.”
“Ah, d'accordo
. Ti farai sentire, vero?”
“Sì, ti chiamerò, non appena riesco a capirci qualcosa.”
Va bene, mi raccomando. Ti voglio bene.”
“Anche io, ciao.”
Chiusi il telefono e lo ficcai di nuovo in tasca. Feci qualche breve tiro, poi schiacciai la sigaretta nel davanzale della finestra, ormai annerito.
Uscii dalla stanza, sempre trascinandomi dietro la valigia. Ero triste, era vero, ma la maggior parte della tristezza aveva lasciato spazio alla rabbia.
Avevo giurato che quella volta sarebbe stato diverso, che non gli avrei permesso di trattarmi così. Ed era la verità.
Mi avviai al check-in, piena di speranze, un po' nervosa, un po' furente.
L'unica cosa positiva, era che avrei riabbracciato due delle persone che amavo di più al mondo: Mia madre ed Edoardo.
Il resto, l'avrei scoperto dopo.
You don't miss me, I know.**





* “Subsonica – Incantevole”. Una canzone stupenda, ascoltatela.

** “The StrokesWhat ever happened?”

*** Non dirò nulla di questa poesia. Solo che è una delle mie preferite e facendo una piccola ricerca su internet potete tranquillamente capire chi è l’autore ;)

 

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Capitolo 15
*** Capitolo Quindici ***


Buona domenica a tutti! Eccomi qui pronta con il quindicesimo capitolo. Che dire, aggiornare da ora in poi sarà sempre più difficile perché il quadrimestre si sta chiudendo e non si riesce a respirare tra compiti ed interrogazioni! Ma prometto che farò del mio meglio per continuare la stesura degli altri capitoli. Ma storia è già tutta dentro la mia testa... Basterà solo trovare tempo e voglia di scrivere.
Nel frattempo, voglio ringraziare - come sempre - tutti quelli che mi seguono, che mi leggono e che mi recensiscono; un GRAZIE speciale a mo duinne, Alebluerose91, BBV (grazie per tutti i complimenti che mi hai fatto, spero continuerai a leggermi d'ora in poi!) e XxX_GiuliaLoveless_XxX! Davvero, non so come ringraziarvi... Recensite praticamente sempre, e questo mi fa moltissimo piacere. Spero di trovare molte più recensioni a questo capitolo nuovo, che è un po' di "passaggio". Il bello arriverà tra un po' :)



Capitolo quindici

Capitolo quindici


Mi sistemai nel mio posto, quello accanto al finestrino. Che fortuna, pensai, il posto che adoro di più. Accanto a me non era seduto ancora nessuno, mentre tutti gli altri passeggeri iniziavano a prendere posto.
Il volo non sarebbe durato molto. Avevo deciso che avrei infilato le cuffie nelle orecchie e finto di essere in coma per tutto il viaggio. Ero ancora nervosa, temevo che avrei potuto sbranare qualcuno a morsi.
Certo che il mio primo giorno da non-vergine si era rovinato ormai del tutto.
Due hostess facevano avanti e indietro per il corridoio.
Prima di prendere l'ipod ed entrare in coma, estrassi dalla tasca il biglietto che mi aveva lasciato Alex, quello con la poesia. L'avevo tenuto in tasca per tutto il tempo, non avevo voluto buttarlo. Glielo avrei fatto mangiare, non appena l'avrei rivisto, davvero.
Lessi la poesia lentamente, sforzandomi. Perché mi sembrava così familiare?
Forse mi ricordavo l'autore, perché riconoscevo quel tipo di poesia.
Mentre riflettevo attentamente, un signore si avvicinò.
Era un signore già avanti con l'età, poteva avere una sessantina d'anni. Aveva degli occhiali rotondi, un panciotto piuttosto prominente, i capelli bianchi, un po' di barbetta, anch'essa bianca. Mi sapeva di un nonno. Mise una borsa nel porta bagagli in alto, poi si sedette accanto a me. Ecco chi sarebbe stato il mio compagno di viaggio, poco male. Sarebbe stato tranquillo e silenzioso come volevo. Mi fece un cenno con la testa come per salutarmi e io ricambiai. Mi guardò un attimo anche lui, poi distolse lo sguardo.
Appoggiai subito il mio gomito sul bracciolo, in modo che non se lo fregasse, e ritornai a leggere il dannato pezzo di carta. Fra un po' il fumo mi sarebbe uscito dalle orecchie.
Stavamo per partire: una voce metallica ci disse di allacciare le cinture.
L'allacciai, il signore ebbe un po' di difficoltà in più per via del suo panciotto.
Una delle due hostess cominciò a spiegarci come uscire dall'aereo in caso di emergenza, dove vomitare, dove prendere la mascherina d'ossigeno, con i soliti movimenti meccanici da farla sembrare un robot. E da costringermi a trattenermi dal ridere. Non prendevo un aereo da un po', ma ormai le sapevo bene, tutte queste cose.
L'hostess andò via e ci preparammo per il decollo.
Decisi che avrei riletto il biglietto per l'ultima volta, e poi l'avrei messo via.
Proprio mentre stavo per finire, il signore accanto a me parlò.
“Le piace leggere Baudelaire, eh?” mi chiese. In italiano, per fortuna.
“Come, scusi?”
Baudelaire, dico. Charles Baudelaire.”
Lo guardai stralunata, non capendo. Cosa c'entrava Baudelaire?
Il signore mi indicò il biglietto che tenevo il mano, con un movimento di sopracciglia, molto eloquente.
Oh, quello!
“A dire il vero, non sapevo neanche che fosse Baudelaire. commentai, facendo la figura della perfetta idiota.
Mi sembrava così familiare perché avevamo letto Baudelaire all'ultimo anno di liceo, a scuola. Mi era piaciuto abbastanza, ma non mi ero mai appassionata.
Forse avevamo letto persino questa poesia, in classe?
“Eppure mi sembrava molto attenta e concentrata nelle sue numerose letture.”
“Il fatto è che... esitai un attimo, prima di continuare. Ma in fondo chi se ne importava? Non l'avrei mai più rivisto questo strano signore, quindi tanto valeva dirgli la verità. “Il ragazzo che amo mi ha lasciato questo biglietto, per poi andarsene da me, e non capisco ancora il perché. Non ricordavo chi fosse l'autore della poesia. Per questo, mi stavo sforzando di capire.”
Il signore mi guardò un attimo negli occhi prima di rispondere, poi annuì.
“E' Baudelaire, il poeta maledetto Francese. La poesia s'intitola Rimorso Postumo.”
Rimorso Postumo.
Rimorso.
Rimorso.
Rimorso.
Rimorso...
La parola fece
una vera e propria eco dentro la mia testa.
Era questa la verità?
“Quando
tu dormirai, mia bella tenebrosa, in una tomba di marmo nero, non avrai più un letto e castello, solo una tomba gocciolante e un buco profondo,” cominciò a recitare il signore, leggendo di sfuggita il mio foglio, facendomi praticamente la parafrasi.
Io stavo dormendo, quando lui se n'era andato, e il mio letto era diventato una tomba, perché lui se ne stava andando via. Era vero.
“Quando
la pietra della tomba, cioè il marmo, opprimerà il tuo cuore impaurito e i tuoi fianchi ammorbiditi di una dolce pigrizia, impedirà anche al tuo cuore di battere e volare, e ai tuoi piedi di correre verso un'avventura, verso altro; la tomba conscia del mio sogno infinito (perché essa comprende sempre il poeta), durante quelle lunghe notti senza sonno, ti dirà: "A cosa ti serve, cortigiana malriuscita, di non aver conosciuto quello che i morti piangono?". Credo si riferisca alla vita, forse. Il verme roderà la tua pelle come un rimorso.”
Rimasi
senza parole.
Non era possibile, la nostra notte d'amore, per lui, si poteva riassumere in questi versi dolorosi, persino offensivi, per me?
Mi veniva da piangere. In quel momento, i miei occhi si riempirono di lacrime, e il signore davanti a me si appannò in maniera acquosa. Ma scossi leggermente la testa, e ritornarono indietro, perse chissà dove.
Ero sempre più arrabbiata, anzi. Allora era davvero solo uno stronzo.
Bene, forse io sarei stata più stronza di lui.
Non era accettabile il fatto che per lui quella notte non avesse significato, perché l'avevo sentito, c'era troppo anche da parte sua. Stava solo fingendo, aveva solo paura, lo conoscevo ormai. Credeva di risolvere i problemi fuggendo da essi, invece ne creava altri.
Ma quella poesia, davvero, poteva risparmiarsela. Mi doveva molte, molte spiegazioni. Non mi aveva neanche lasciato il tempo di parlare, di chiedere, di spiegare alcunché, in fondo, e un po' era anche colpa mia. Mia e della mia voglia di lui.
Ripiegai il biglietto e lo infilai in tasca, riprendendomi da quell'attimo di smarrimento.
“Grazie. Come fa a sapere tutte queste cose?” chiesi al signore.
“Ero un docente di lettere. E Baudelaire era già il mio poeta preferito, quand'ero un'adolescente. A diciotto anni, avevo già riletto più di venti volte Les Fleurs Du Mal. Per questo, non ho resistito, quando ho visto che stava leggendo una sua poesia, mi scusi.”
“Ma
si figuri, davvero, anzi, mi è stato molto d'aiuto.” Annuii, facendo un sorriso stiracchiato. Il signore sembrò capirmi.
“Signorina, non si preoccupi, questa poesia forse non vuole dire niente.”
“Non ne sono sicura, comunque sto andando proprio a trovare il diretto interessato.” commentai, con una smorfia.
“Fa bene. Comunque, piacere, io sono Roberto.”
“Piacere, Adrienne.”
Ci fu una stretta di mano.
Ad ogni modo, quelle rivelazioni mi avevano proprio scosso.
Ormai stavamo proprio per partire, l'aereo faceva i giri della la pista.
Roberto mi sorrise. “Quando saremo in aria, le offrirò un po' del mio panino con tonno, pomodoro e maionese. Forse dovrei mangiare più sano, ma non resisto. Le piace, Adrienne?”
Annuii, e mi venne di nuovo da piangere. Non per Alex, ma per la gentilezza che mi veniva offerta da un colto, strano, anziano signore con la pancia grossa per via dei suoi panini imbottiti. Il mio primo giorno da non-vergine si ristabilizzò di un po', ma non troppo.
L'aereo vibrò lanciandosi in aria, e il mio cuore rimase giù, lì, sul mio letto, sulla mia tomba stillante, a Parigi.

***

Eccola.
La casa della mia infanzia, della mia adolescenza.
La casa che mi aveva visto entrare felice, arrabbiata, triste. Mi aveva visto tornare a maniche corte, lunghe, con i capelli bagnati, con pacchi in mano, con lo zaino sulle spalle, da sola, con qualcuno.
Era tutto come l'avevo lasciato: la disposizione delle cose, il vaso nero rotto, il giardino, la porta bordeaux, i colori, gli odori, la strana calma. Ecco, calma. Ormai la mia casa non era più quella, avevo avuto una vita altrove, ma quel posto riusciva ad infondermi una sensazione di strana calma. Una sensazione... familiare. Proprio la sensazione che mi serviva, in quel momento.
E' solo una stupida villetta con uno sputo di giardino, ma sarà la prima cosa che comprerò, quando sarò ricco.*
Il trolley faceva un rumore strano lungo il vialetto, strideva.
Ma riuscii a trascinarlo fino alla porta d'ingresso. Sospirai, poi suonai il campanello.
Improvvisamente, sentii che dentro la mia casa, scoppiava una grande agitazione. Sicuramente, pensai, Edoardo aveva letto la mia email - per fortuna.
Aspettai una manciata di secondi e la porta d'ingresso si aprì.
Un raggiante Edoardo e un'altrettanto raggiante mia madre, apparvero davanti a me. Feci un balzo in avanti e diedi un bacio a mia madre, abbracciandola, poi feci lo stesso con mio fratello. Mi erano mancati, davvero. Il mio cuore si sciolse, mi sentivo più tranquilla. Mi sentivo... A casa. Già.
Adrienne, eccoti, finalmente!” disse mia madre.
“Mamma! Hai
tagliato i capelli, vero? Bel golf.” le dissi.
Trovavo mia madre più giovanile con i capelli a caschetto e aveva indosso davvero un bel golfino. Mi sembrava di riconoscerlo: forse gliel'avevamo regalato io ed Edoardo, il Natale scorso. Non ricordavo bene.
Poi, lui, Edo, era sempre lo stesso. Era il mio unico, prezioso, indispensabile fratello. Se pensavo a tutto quel tempo in cui ci eravamo detestati... Era stato solo tempo perso. Gli avevo sempre voluto bene, ovviamente, ma per me, ormai, era come se fosse un mio amico. A pari merito con Eveliss, nel mio cuore.
“Anche io ti trovo molto bene, tesoro. commentò mia madre.
Strano, dato che ero parecchio stressata e avevo dormito poche ore, in pratica. Il pensiero di quella notte, fatto davanti a mia madre, mi fece arrossire.
Edoardo prese il trolley e lo portò dentro casa, chiudendo la porta.
“Ho bisogno del bagno,” dissi, e ripresi il mio trolley in mano. “Ci rivediamo tra cinque minuti in salotto.”
“Certo, intanto prepariamo del caffè. Edoardo, dammi una mano!” disse la mamma, avviandosi verso la cucina. Edoardo sbuffò divertito e poi la seguì, sparendo oltre la cucina.
Nessuno aveva ancora detto niente, riguardo al mio ritorno. Beh, ero appena entrata in casa. Però, prima o poi mi avrebbero chiesto qualcosa; specialmente mia madre, che di tutto poteva aspettarsi, meno che un mio ritorno.
Immaginai che Edoardo avesse ricollegato gli avvenimenti, quindi speravo con tutto il cuore che non mi chiedesse niente, davanti a mia madre. Al massimo avrei raccontato a mio fratello, ma a lei? No, sarebbe stato troppo imbarazzante. Avrei dovuto inventarmi qualcosa, non sarei scesa per niente nei particolari.
Salii al piano di sopra trascinandomi ancora una volta il trolley, con qualche difficoltà. Lo mollai in camera mia. Era ancora come l'avevo lasciata, anche lì, la disposizione delle cose non era mutata. Però avevo davvero bisogno del bagno, quindi avrei rimandato il festival della nostalgia a dopo.
Dopo aver espletato i miei bisogni fisiologici, ritornai nella mia camera da letto.
Cominciai a frugare nei cassetti. Le poche cose rimaste erano tutte al loro posto, come le avevo lasciate il giorno della mia partenza. Penne, quaderni di scuola, i miei vecchi diari, qualche collanina, e altre cianfrusaglie. Dentro l'armadio c'era ancora qualche vestito appeso, una felpa ormai troppo vecchia, una maglietta che mi veniva stretta, delle Converse logore, bucate.
Le lenzuola erano state cambiate, come avevo chiesto ad Edoardo, e probabilmente la mamma aveva messo a lucido la stanza.
Mi faceva un certo effetto stare lì. Mi sentivo così diversa da quella che ero una volta, da quella adolescente che passava la maggior parte delle sue giornate dentro quelle quattro pareti, ascoltando musica, studiando, leggendo, stando al telefono con il suo fidanzatino; dall'adolescente tremante ed inesperta che provava a fare l'amore con lui, su quello stesso letto. Mi sentivo come se Adrienne, quella ragazzina, fosse fuggita via, e avesse lasciato il posto ad una giovane donna, che ero io.
Mi sentivo come se fossi stata via per anni, quando erano passati una manciata di mesi. Era tutto così strano, così irreale. Parigi mi aveva cambiata - in meglio, pensai. Chissà se era vero, però.
Decisi di tornare giù. Avrei sistemato la valigia dopo, con più calma.
Piombai il salotto, e capii che la mamma si era resa conto di un certo mio cambiamento. Il caffè era sul tavolino accanto al divano, servito nelle tazze del servizio buono, e sul vassoio che veniva usato per le occasioni importanti, quello con i piccoli gigli bianchi disegnati. Forse mia madre mi stava finalmente trattando come un'adulta? Non mi aveva mai degnato di tali attenzioni.
O forse era come se... fossi un'ospite in quella casa?
Era tutto così strano, non sapevo che pensare.
Era seduta sulla poltrona, e mi sistemai sul divano di fronte a lei, a gambe incrociate. Edoardo uscì dalla cucina con dei biscotti al burro in una scatola di latta, che gentilmente mi porse.
“Grazie,” gli dissi, prendendone uno e sgranocchiandolo. Lui si sedette al mio fianco. In quel momento calò il silenzio e mi sentii improvvisamente in soggezione.
“Allora sorella, cosa ci racconti di Parigi? Avrai un bel po' da raccontare, non è la stessa cosa che leggere delle e-mail. disse subito Edoardo.
Sorrisi. “Parigi è fantastica, davvero. Non potete immaginarvela. E' tutto... Nuovo, eccitante, scintillante. Così diverso da qui.”
Mia madre sorseggiò il caffè. “E' una grande metropoli, è ovvio.”
“Sì, la vita è totalmente diversa.”
“Questa casa non ti è mancata nemmeno un po'?”
“Certo che mi è mancata...”
Mi lanciai in un resoconto dettagliato del mio lavoro, della mia casa, delle mie giornate. Mi facevano delle domande, sembravano così curiosi, così... lontani.
Era come se loro due appartenessero ad una “vecchia” vita. Erano una delle poche cose che mi ricordava la “vecchia me”. Ancora una volta, provai una strana sensazione. Ma era anche vero che adoravo quella parte della “vecchia me”, se si trattava di loro due. Assolutamente.
“Perché hai deciso di tornare?” chiese all'improvviso mia madre, deviando la conversazione.
Mi strozzai con quel che rimaneva del caffè. Temevo questa domanda, e avevo fatto di tutto per evitarla, durante il mio racconto. Ma mia madre era diretta, si sapeva. Posai la tazza sul vassoio, con più lentezza del dovuto.
Adrienne, vuoi un altro biscotto?” intervenne
Edoardo.
Forse cercava di aiutarmi. Mi voltai verso di lui e anche se ne avevo abbastanza, ne presi un altro comunque. “Sì grazie, sono deliziosi. A Parigi ne vendono dei tipi simili, sai, la mattina io ne mangio alcuni che...”
Adrienne, perché non rispondi?” incalzò mia madre.
Mi stava mettendo con le spalle al muro. Addentai e masticai molto lentamente il biscotto. Edoardo era accanto a me, in bilico sul divano, come se attendesse qualcosa. Si schiarì la voce.
“La tua visita è stata del tutto una sorpresa... E' successo qualcosa? Pensavo non avessi più intenzione di mettere piede da queste parti.”
Deglutii. “Non è successo niente di particolare, mamma. Solo, mi sono resa conto di avere un conto in sospeso.”
“Posso sapere di cosa si tratta?”
Vidi Edoardo alzare gli occhi al cielo, come se stesse imprecando mentalmente. Mia madre se ne accorse e lo fulminò con lo sguardo.
“Niente di preoccupante, mamma... Sono... Cose... private.” mormorai.
“Ah. Cose private.” disse lei, colpita.
“Sì. Non mi va di parlarne, scusa. Non ti preoccupare... Tranquilla, insomma.”
“Ah... Okay.”
Dovevo averla offesa. Quand'ero adolescente, avevo sempre cercato di tenere mia madre lontana dalla mia vita e, beh, avevo una certa inclinazione per tenerle nascosti i fatti importanti. Non lo facevo apposta, la maggior parte delle volte. Dopo che mio padre se n'era andato di casa, ed era sparito dalle nostre vite, ci eravamo riavvicinate, e mi capitava spesso di confidarmi con lei; nei limiti del possibile, ovviamente. Comunque si era creato davvero un bel rapporto, e a lei questo piaceva molto, e io stessa mi molto rilassata nei suoi confronti. Eravamo state lontane, quasi estranee, per molto tempo. Tempo perso, così come era successo con Edoardo.
Ma proprio in quel momento, non avevo voglia di raccontarle tutto. A parte l'imbarazzo, io stessa dovevo trovare un modo per elaborare i fatti, per poi poterli raccontare. Insomma, la ferita era ancora troppo fresca per eccitarla.
E poi, neanche a dirlo, né Edoardo né mia madre vedevano di buon occhio Alex.
Il biscotto andò giù.
“Beh scusate, ma ho una valigia da disfare, altrimenti le spunteranno le zampe e comincerà a camminare per tutta la casa!” esclamai, alzandomi dal divano.
Volevo fuggire da quel pesante silenzio, in cui si sentiva solo il biscotto che veniva masticato dai miei denti.
Mia madre annuì. “Okay, io comincio a preparare la cena.”
“Ti aiuto io , si sa che sono il cuoco di casa!” intervenne Edoardo, strappandomi una risata.
“Edoardo ha ragione. Ci vediamo fra un po'!”
Mia madre fece
una faccia offesa. Ritornai al piano di sopra, sospirando di sollievo.






* Afterhours – Ritorno a Casa

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Capitolo 16
*** Capitolo Sedici ***


Lo so. Lo so.
Mi ci è voluto più di un anno per riprendere in mano questa storia, me ne rendo conto. Ma adesso è FINITA, e sono pronta a condividerla con voi.
Spero solo abbiate pazienza :)
Un bacio :*



Capitolo sedici

Capitolo sedici


Erano
le undici di sera. Avevo finito di disfare la valigia dopo cena. Non avevo portato tutte le mie cose, contando di rimanere solo qualche giorno. Il tempo di chiudere il mio “conto in sospeso”: poi sarei tornata a Parigi. Quel posto mi stava stretto, ormai.
Stavo per mettermi a letto, col pigiama e una rivista, ma qualcuno bussò alla mia porta. Sudai freddo, temendo che fosse mia madre. Non avevo più voglia di evitare le sue domandine: ero stanca dal viaggio e volevo solo dormire.
“Avanti.” dissi.
La testa di Edoardo sbucò da dietro la porta. “Posso entrare un attimo?” disse.
Mi sciolsi in un sorriso. “Certo, entra.”
Mio fratello entrò nella mia stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Mollai la rivista per terra, e mi sedetti sul letto a gambe incrociate. Lui mi imitò, sedendosi di fronte a me. Le sue pantofole giganti di Homer Simpson mi fecero ridere.
“A casa senza di te non è più lo stesso. Mi manchi tanto”. Disse lui.
Gli feci un sorriso triste, sentendomi in colpa. Lo guardai negli occhi, e lessi la tristezza in essi. Lo conoscevo. Appoggiai una mano sul suo ginocchio in un gesto d'affetto.
“Anche tu mi manchi tanto... Ma non ce la faccio più a rimanere qui. Vorrei tanto portarti con me a Parigi!”
“Sarei solo d'intralcio... E poi pensaci, la mamma rimarrebbe completamente sola... disse lui.
Corrugai la fronte. “Edoardo, non abbiamo più il cordone ombelicale. Pensaci.”
Edoardo sospirò
. “Lo so, Adrienne. Ma ad ogni modo, sarei davvero soltanto d'intralcio a te. Io qui ho la mia vita e... i bei ragazzi francesi mi prenderebbero per il tuo fidanzato, e non ci proverebbero con te. aggiunse, sorridendo.
Io risi. “Non dire scemenze. Non saresti assolutamente d'intralcio.”
Edoardo fece un ghigno, e calò il silenzio. Sapevo dove stava andando a parare.
“Vuoi dirmi cos'è successo o devo costringerti, Adrienne?”
Scrollai le spalle. Ero preoccupata.
“Niente di così rilevante. cercai di buttare lì.
“Non dirmi cazzate. Dai, parla.” incalzò mio fratello.
Sospirai, e mi buttai all'indietro sul letto, mettendomi le braccia dentro la testa. Non volevo guardarlo negli occhi. Provavo vergogna.
“Okay. Non ti piacerà
. Abbiamo fatto l'amore, e poi è scappato senza dirmi nulla la mattina dopo. Lasciandomi solo una poesia di Baudelaire, cosa alquanto insensata nonché degna di un vigliacco.” sussurrai, fissando il soffitto. Alcune stelle fosforescenti erano rimaste ancora attaccate, dopo tutti quegli anni. Le altre erano rovinosamente cadute giù. Mia madre doveva averle buttate, perché non le avevo trovate a terra. Tutto era stato pulito.
Io invece, mi sentivo schifosamente sporca.
Continuai a fissare il soffitto, in silenzio. Edoardo non disse niente per un po', e anche se potevo sentire il suo sguardo addosso, facevo l'indifferente.
“Tipico di Alex, eh?” disse, vagamente ironico.
Sospirai profondamente. Mi vergognavo sempre di più. “Sì, tipico di Alex.”
“Mi chiedo come tu faccia a cascarci ogni volta.”
“Non ne ho idea, Edoardo. Ha uno strano potere su di me...”
“Me ne frego del potere che ha su di te, deve smetterla. E devi smetterla anche tu. Com'è possibile, Adrienne? Com'è possibile che ogni volta tu debba stare male per lui, che tu debba ricorrerlo, che tu debba perdonarlo? E lui, cosa ha fatto per te? Ha mai fatto qualcosa?”
Ascoltai
mio fratello attentamente. Dire che aveva torto sarebbe stato da idioti.
“Hai ragione.” mormorai, abbassando lo sguardo.
“So che ho ragione. Ma poi non credo che tu a Parigi non abbia mai incontrato nessuno.”
“Non esattamente. Ma nessuno...”
“So già cosa stai per dire,” disse lui sbuffando. “Nessuno ti piace come lui.”
“Non parlarmi così... lo rimproverai, “Sembri la mamma. Per favore, non l'ho detto a lei proprio per evitare la sua solita ramanzina.”
Edoardo non disse nulla, soltanto mi guardò intensamente.
“E poi qui non si tratta di piacere e basta... Lo sai. Io lo amo, lo amo davvero.”
“Scusa se sono così cattivo con te, ma non penso che lui ti ami tanto quanto lo ami tu. O magari non ti ama affatto. Quale ragazzo si comporterebbe come lui si è comportato con te? Andiamo! E' ridicolo.”
Scrollai le spalle, pensando ancora una volta che avesse ragione, ma arrendendomi alla mia stupidità.
“Adesso cosa vorresti fare?” mi chiese ancora lui.
“Lo cercherò. gli risposi, decisa. “E voglio proprio vedere cosa ha da dirmi. Non pensare che io non mi sia stancata di essere trattata in questo modo. Sono venuta qui proprio per questo, Edo.”
Lui annuì. “Va bene, ti credo. E' tardi, che dici se andiamo a dormire?”
Gli sorrisi. “Sarebbe una bella idea.”
Mio fratello si alzò dal mio letto e mi diede un piccolo bacio sulla fronte. “Buonanotte, a domani.”
“A domani.”
Edoardo mi guardò ancora per qualche secondo. “E' bello averti a casa. disse, evidentemente felice. Gli occhi mi si riempirono automaticamente di lacrime.

 



*


Mi svegliai tardi, dopo una notte agitata – non ero più abituata a dormire nel mio vecchio letto – tempestata da numerosi incubi nonsense. Quando scesi le scale e feci il mio ingresso in cucina, mia madre era sicuramente già andata a lavoro e mio fratello era chissà dove; la casa era immersa nel silenzio e attaccato al frigorifero c'era un post-it di mia madre, il quale diceva che se volevo fare colazione il necessario era lì dentro.
Ma io non avevo molta fame. Il pensiero di dover affrontare Alex faccia a faccia, nonostante ne fossi più che convinta, mi rendeva veramente nervosa. Avevo paura di quello che lui avrebbe potuto dirmi, perché senza dubbio se era scappato via da me in quel modo, senza lasciare neanche una sua traccia, sicuramente doveva significare qualcosa. E non era qualcosa di buono.
Lui non mi voleva... Non mi amava. Era perfettamente inutile sperare il contrario. Mi chiesi seriamente se Alex mi avesse mai amata, in tutti quegli anni trascorsi insieme. Ma pensai che, quando finalmente avrei sentito la sua voce dirmi che non mi amava davvero, mi sarei rassegnata del tutto e sarei tornata a Parigi consapevole di aver chiuso un brutto conto in sospeso, per sempre.
Ripensai alla facilità con cui mi aveva sempre fatto del male, e soprattutto alla facilità con cui io l'avevo perdonato, la prima volta, e anche la seconda. Ero così felice che lui fosse tornato da me, che non avevo neanche sfiorato la possibilità di fare un passo indietro, analizzare la situazione e chiedermi: Ne vale davvero la pena? Avevo sempre pensato che la mia vita non fosse nulla senza di lui, ma era davvero così? Avevo sempre fatto girare la mia vita attorno alla sua figura, ma ormai avevo dimostrato agli altri e a me stessa che riuscivo comunque a condurre una vita più o meno normale, senza di lui.
Nella mia testa stavano cominciando a frullare dei nuovi, strani pensieri. Non ero più una ragazzina del resto, nonostante le mie onnipresenti insicurezze, e nonostante la mia onnipresente timidezza, a discapito della mia recente fama da mangiatrice di uomini.
Bevvi solo un bicchiere di succo all'ace, appoggiata al tavolo della cucina, mentre osservavo dalla finestra il nostro piccolo giardino. Un timido sole si affacciava tra le nuvole, ma non sembrava ancora pronto a spuntare del tutto. Dopo di ché, velocemente, mi feci una doccia calda, infilai un jeans e un maglioncino e uscii di casa, accendendomi una sigaretta. Ricordavo ancora perfettamente il tragitto che mi portava alla casa di Alex, e i piedi sembravano muoversi automaticamente. Quante volte avevo percorso quella strada?
Quando
arrivai davanti alla sua abitazione – anche quella sempre la stessa – schiacciai la sigaretta quasi finita sull'asfalto e feci un grande e profondo sospiro.
Arrivai davanti il portone blu e suonai il campanello. Aspettai all'incirca trentacinque secondi – li contai – e poi una donna di mezza età aprì la porta. La madre di Alex.
“Desidera?” mi disse. Non mi aveva riconosciuto.
Emh... So che non si ricorda di me, ma ecco, sono Adrienne... La... l'amica di Alex.” balbettai, improvvisamente in difficoltà. Ero davvero cambiata così tanto?
Lei strabuzzò gli occhi e mi guardò meglio. Poi sorrise radiosamente, perché doveva aver realizzato.
Adrienne?! Ma sì, sei davvero tu, riconoscerei i tuoi bellissimi occhi ovunque! Come stai cara?”
“Bene, davvero bene, e lei?”
“Si va avanti! Ma che maleducata, perché non entri? Prendi un caffè e parliamo un po', pensavo fossi a Parigi, Alex me l'ha detto un sacco di tempo fa!”
Oh, grandioso.
“La ringrazio veramente un sacco, e vorrei rimanere, ma vado piuttosto di fretta... Non è che potrebbe fare venire qui fuori Alex, un secondo? Dovrei dirgli una cosa.” dissi velocemente, sorvolando il discorso di Parigi. Non avevo assolutamente voglia di fare conversazione, né di mostrarmi comprensiva e gentile.
La madre di Alex ridacchiò, dandomi parecchio sui nervi, tra l'altro.
“Lui non abita più qui!” disse.
La guardai sorpresa. “Ah no?”
“No, no. Si è trasferito già quasi da un annetto, in un condominio al centro.”
Rimasi parecchio allibita da quella notizia. Si sentiva già grande e maturo abbastanza da poter andare a vivere da solo? Io non gliel'avrei mai permesso. Come si manteneva se non aveva neanche un vero lavoro? I suoi genitori dovevano essere impazziti.
“Oh, non lo sapevo
... D'accordo allora, per favore, potrebbe darmi l'indirizzo? Ho bisogno di...”
“E'
successo qualcosa?” chiese subito lei, iniziando ad insospettirsi da tanta insistenza.
Feci un sorriso veramente falso. “No, no, è tutto ok! Voglio solo fargli una bella sorpresa, non se l'aspetta di sicuro di rivedermi...”
A quell'affermazione convinsi del tutto la mamma di Alex, che mi diede l'indirizzo della sua nuova casa e anche un bacio e un abbraccio.
“Torna a trovarci quando vuoi, sei sempre la benvenuta!” mi disse.

Non sarei mai più tornata in quella casa, ovviamente. Ma nessuno lo sapeva, meno che lei.
L'appartamento dove si trovava Alex era al centro della città, lontano dalla sua vecchia abitazione che si trovava praticamente in periferia, come la mia. Al centro gli appartamenti e i palazzi erano molti, la vita era molto più animata, c'erano tanti negozi e auto.
Feci un'infinità di strada a piedi, dato che non possedevo alcun mezzo di locomozione personale e prendere quelli pubblici mi scocciava, e stanca, sudata e con i capelli in disordine arrivai davanti alla palazzina di Alex. Un edificio normale, piuttosto alto, di colore beige e con finestre ed imposte marrone scuro. Piuttosto anonimo, a dire il vero. L'appartamento di Alex si trovava al terzo piano, e per fortuna c'era l'ascensore. Non incontrai nessuno dentro il palazzo, per mio grande sollievo, così non avrei dovuto spiegare chi ero e cosa ci facevo là dentro.
Una volta arrivata al pianerottolo di Alex, per un secondo venni pervasa dal più puro panico. Mi chiesi se stessi facendo sul serio e che cosa avrei pensato di concludere... Assolutamente niente, risposi a me stessa, ma almeno avrei goduto dell'espressione di Alex una volta che mi avrebbe avuta di fronte.
Senza pensarci più, suonai il campanello ed attesi.
Aspettai più di un minuto.
Davvero, passai due minuti della mia vita a fissare quella porta chiusa e basta, senza pensare a niente. Poi si aprì.
Alex, in jeans e a petto nudo, era di fronte a me e sorrideva. Ma non appena mi vide, il suo sorriso si spense lentamente sul volto. Venne piuttosto sostituito da un'espressione a metà tra il sorpreso e il confuso.
Adrienne?” mormorò.
“No, tua sorella!” sbottai, sapendo che già non avrei potuto in alcun modo dimostrarmi una persona matura e razionale. Nonostante fosse davanti a me mezzo nudo, proprio come l'ultima volta che l'avevo visto e che ero stata con lui, e nonostante la sua visione mi confondesse sempre un po', avevo soltanto una grande voglia di prenderlo a pugni e rivolgergli i più brutti epiteti mai pronunciati prima.
“Piccola... Cosa ci fai qui?” disse lui, socchiudendo la porta dietro di sé e facendo un passo verso di me. Io automaticamente indietreggiai, sconvolta pure dal fatto che non mi facesse neanche entrare a casa sua.
“Non toccarmi e non chiamarmi piccola, Alex. Non attacca più, questa patetica tecnica... ringhiai.
“Sei arrabbiata.” osservò lui, come se avesse scoperto in quel momento l'acqua calda.
Lo guardai con gli occhi sbarrati. “Secondo te?! Avrei dovuto saltarti addosso e ringraziarti? Forse non ti sei ancora reso conto di quello che mi hai fatto!”
Sentivo che la mia voce si stava alzando di tono ma non m'importava che tutto il condominio ci sentisse. Se necessario, tutti dovevano sapere che razza di stronzo era stato con me. Infatti, lui con l'indice fece segno di fare silenzio. “Aspetta Adrienne, calmati. Se solo mi lasciassi...”
“Spiegare? No, sono stanca delle tue patetiche spiegazioni. La verità è questa: Hai voluto una bella notte di sesso con me, perché sei un essere schifoso, e poi te ne sei andato pensando che ti lasciassi andare e che stessi male come un cane, come sempre!” sbottai.
Lui sospirò e cercò di poggiare le sue mani sulle mie spalle, forse per calmarmi, ma lo allontanai. “Ho detto di non toccarmi!”
“Dai, Adrienne, prendo una maglietta e ne parliamo da qualche altra parte. disse, rassegnato.
“Perché, non possiamo entrare a casa tua? Non voglio farmi vedere in giro con...”
La porta del suo appartamento si aprì e ne sbucò fuori la testa di una bellissima, giovane ragazza. Una testa con dei capelli lisci e neri, piuttosto lunghi, e con un paio di disarmanti occhi marroni. Una testa che non rivelava il proprio corpo, nascosto dalla porta, perché evidentemente era nudo.
“Amore, cosa succede?” disse subito, guardando verso di lui. L'atmosfera diventò gelida e mi bloccai a metà, guardandola, e capii ogni cosa.
Avevo capito perché non potevo entrare. Avevo capito perché Alex aveva cambiato casa. Perché adesso lui viveva con quella ragazza che lo chiamava amore, e la casa doveva essere di lei. Avevo capito perché Alex era scappato da me... Perché lui era già fidanzato, e io ero stata la sua piccola ed eccitante avventura di una notte, un passionale ritorno al passato. Ma non c'era posto per me nel suo presente e nel suo futuro, e aveva pensato che tutto sarebbe passato inosservato, perché io non avevo mai avuto il coraggio di rincorrerlo. Ma per fortuna, l'avevo fatto, quella volta.
“Niente, amore, tranquilla... Torno subito” disse lui, ma la ragazza evidentemente non si convinse, perché rimase dov'era e lanciò delle occhiate fulminanti da me a lui. Quasi mi faceva pena, perché anche lei doveva essere assolutamente all'oscuro di essere stata tradita. E in un certo senso, mi sentivo anche io tradita... Non nel senso letterale del termine, ma mi sentivo tradita da quella persona con la quale avevo passato i momenti più belli e felici della mia esistenza, e che ora mi aveva trattata come se fossi un'estranea per lui, come se fossi una delle tante, come se non contassi nulla. Forse ero sempre stata accecata, e in realtà Alex era sempre stato quel tipo di ragazzo? Forse avevo semplicemente conosciuto ed imparato prima a volere bene, e poi ad amare una persona che semplicemente non c'era più, o che non c'era mai stata?
Alex aveva sempre amato la libertà, aveva sempre amato fare di testa sua, aveva sempre amato sparire e poi tornare a suo piacimento, perché riusciva sempre ad avere sotto controllo tutti gli avvenimenti e tutte le persone. Ma non me, non quella volta, non più.
Lo guardavo, per la prima volta piena di odio verso i suoi confronti. “Infatti non sta succedendo assolutamente niente. Tolgo il disturbo” dissi lentamente. Lanciai un'ultima occhiata a lui, scuotendo lievemente la testa in senso di disgusto, e feci dietro front, col passo accelerato.
Alex provò a fermarmi. “Adrienne, aspetta un secondo!”
“Vattene a fanculo, stronzo!” gli urlai con tutto il fiato che avevo, scendendo tre piani di scale con una velocità supersonica e con una furia che non pensavo di aver mai potuto provare in vita mia.
Non c'erano lacrime nei miei occhi, quando uscii dal palazzo.



*


Non versai una lacrima neanche quando tornai a casa mia, e cucinai qualcosa per i miei familiari, che erano ancora fuori. Neanche quando una volta tutti insieme, piluccai il cibo e non mangiai niente e risposi con un sorriso a tutte le domande di mia madre. Né quando mi sottraevo alle occhiate sospettose di mio fratello. Non piansi quando passai il pomeriggio davanti alla televisione, con lo sguardo vacuo, facendo zapping con aria poco interessata. Non piansi neanche quando dissi di essere molto stanca, verso le dieci di sera, e mi infilai a letto.
E lì, nel buio, realizzai di essere veramente sola.
Ma non piansi, non ancora.
Dopo qualche ora, ero riuscita a prendere lievemente sonno. Ero in uno stato di dormiveglia, e avevo finalmente spento il cervello da tutti i pensieri orrendi che mi avevano pervaso la mente in quella giornata da dimenticare. Volevo solo risvegliarmi magicamente a Parigi, chiamare Eveliss, prendere un caffè con lei, immergermi nel lavoro... Allontanarmi da tutto quello schifo, allontanarmi da quella stupida città che non faceva altro che ricordarmi della mia adolescenza, e di lui.
Ma mentre stavo definitivamente per crollare dalla sonno, sentii la porta della mia camera aprirsi.
Sobbalzai, mi alzai a sedere e vidi il profilo di mio fratello Edoardo. Lui accese la luce e venni immediatamente accecata.
Cosa vuoi?” sussurrai piano, per non svegliare la mamma, che sicuramente stava già dormendo e riparandomi gli occhi con una mano.
“Ho voglia di uno spuntino di mezzanotte... Ti va di farmi compagnia?” chiese speranzoso.
Ovviamente sapevo che non voleva solo la mia compagnia, ma voleva sapere cos'era successo; non mi avrebbe mai chiesto direttamente qualcosa, perché lui aspettava i miei tempi e mi rispettava.
“Sì.” risposi semplicemente, dopo un breve attimo di riflessione. Non ero obbligata a parlare per forza, con lui. Allontanai le coperte, mi alzai, e a piedi nudi seguii mio fratello al piano di sotto. Non ci scambiammo neanche una parola.
Una volta in cucina, mi sedetti appoggiando i gomiti sul tavolo e la testa sui pugni chiusi. Osservai mio fratello mentre trafficava con una padella e accendeva il gas.
“Hai visto se ci sono pomodori?” mi chiese.
“Finiti.” risposi.
Prese un pacco di uova dal frigorifero, ne spaccò quattro sul bordo della padella e le versò dentro, agitandole poi con la forchetta e aggiungendo dell'olio.
Prese due piatti, due forchette e due bicchieri e apparecchiò per me e per lui.
“Ehi, non ho detto di aver fame. protestai.
Lui mi scoccò un'occhiataccia. “Non hai mangiato niente per tutto il giorno, ti ho vista.”
Feci una risatina che voleva risultare sprezzante. “Cos'è, mi controlli adesso?”
“No. Semplicemente ho visto che sguardo hai avuto per tutta la giornata e sono preoccupato per te.”
Non risposi a questa affermazione, non sapendo che dire e sentendomi la bocca asciutta.
Mise in tavola il succo d'ace che avevo bevuto anche quella mattina e me ne versai un bicchiere, giusto per fare qualcosa. Edoardo tostò anche due fette di pane e poi mise nei piatti le uova già pronte.
Si sedette di fronte a me, e mi guardò con un sorriso sincero.
Mangiai un boccone delle uova.
“Sono buone. mormorai.
E davanti al suo sorriso, le mie difese crollarono. Sentii una lacrima sfuggire dai miei occhi. E poi un'altra, un'altra, un'altra ancora. Non sapevo più contarle.
Edoardo si alzò e venne verso di me.
“Ha un'altra ragazza.” dissi con la voce soffocata, prima che le sue braccia mi avvolgessero in un abbraccio silenzioso. Non disse che me l'aveva detto, né che non avrei dovuto piangere, né che mi meritavo di meglio, né che era uno stronzo. No: semplicemente rimase ad abbracciarmi, in silenzio, finché le uova diventarono praticamente immangiabili e finché esaurii tutte le lacrime che ero in grado di piangere.

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo Diciassette ***


Capitolo diciassette

Capitolo diciassette



Il giorno dopo quel pianto irrefrenabile tra le braccia di mio fratello non fu terribile come lo avevo immaginato. Avevo finito le lacrime, quindi non piansi più e mi sentii anche meglio. Ero come svuotata; ma non in senso negativo. Mi ero sfogata e adesso sentivo che potevo tirare un lungo sospiro di sollievo e andare avanti. Era andata così, e avevo giurato a me stessa che quel lungo, sofferente capitolo della mia vita si era definitivamente chiuso in quel momento.
Anche se tutte le notti, una volta sola nel mio letto, sentivo l'irrefrenabile voglia di tornare a casa mia, a Parigi, e di fuggire dal quel posto... Decisi che non ero ancora pronta e che avrei potuto rimanere ancora per qualche giorno a godermi la mia famiglia. Scrissi un lungo messaggio ad Eveliss in cui le dicevo che ero ancora viva e che sarei tornata entro una settimana, e che le avrei raccontato tutto al mio ritorno. Lei capì e mi scrisse che avrei potuto prendermi tutto il tempo di cui avevo bisogno. Ero veramente fortunata.
Qualche sera dopo, dopo cena, io Edoardo e mia madre eravamo seduti a guardare alla televisione uno stupidissimo quiz a premi, e nel frattempo sorseggiavamo tranquillamente una tazza di thè caldo.
“Secondo me è la A” disse Edoardo.
Io scoppiai a ridere. “Ma cosa ti viene in mente? Ovviamente è la C...”
“Che stupida! Scommettiamo?”
“Sì, scommettiamo, ho ragione io, razza di energumeno!”
“Ragazzi, calma...”
Il campanello squillò. Calò per un attimo il silenzio e tutti e tre ci guardammo con un'espressione che voleva esattamente dire: chi potrebbe essere a quest'ora?
“Vado io” dissi. Posai la tazza di thè sul tavolino, inforcai le pantofole e andai verso l'ingresso.
Mi sistemai leggermente i capelli e osservai dallo spioncino della porta.
Il mio stomaco si contorse poco piacevolmente.
No, non poteva essere, maledizione.
“Vai via” urlai attraverso la porta.
“Adrienne... Per favore.” disse la voce di Alex, che sembrava lontanissima.
“No, ti ho detto di andare via!” urlai ancora, battendo pure un pugno sulla porta. Come poteva essere così terribilmente sfacciato e irrispettoso nei miei confronti?
“Per favore, almeno parliamo...”
“Non ho niente da dirti...”
“Almeno senza una porta fra di noi.”
In un gesto rabbioso spalancai la porta d'ingresso e lo affrontai faccia a faccia. “Come ti permetti di presentarti a casa mia, e per giunta a quest'ora? Sei un maleducato!” esclamai, sputando veleno come una vipera.
“Adrienne, andiamo fuori cinque minuti, prometto che non ti ruberò più di tanto.” mi implorò.
“Non...” dissi inizialmente, ma poi chiusi la bocca, riflettendo un attimo. Mia madre aveva già sicuramente ascoltato quel pezzo di conversazione e non volevo che ascoltasse e capisse anche il resto, perché sicuramente sarebbero venuti fuori argomentazioni poco piacevoli sia da parte mia che sua. Anche se non volevo assolutamente stare accanto a lui, perché la sua presenza mi faceva ribrezzo, dovevo accettare.
“D'accordo.” mormorai. Mollai le pantofole lì e infilai un paio di stivali di mia madre, poi dall'appendiabiti dell'ingresso afferrai il mio cappotto e la sciarpa ed uscii insieme a lui, chiudendo delicatamente la porta alle spalle. Faceva abbastanza freddo ed incrociai le braccia al petto. Lui si allontanò da casa mia e io lo seguii, e sapevo già dove ci stavamo dirigendo. L'unico posto più tranquillo per parlare, e che non fosse troppo lontano da lì, era il piccolo parco in fondo alla strada. Quello in cui eravamo stati insieme un Natale di tantissimi anni fa. Quei ricordi mi fecero venire un'altra fitta dolorosa allo stomaco ma feci finta di nulla, concentrandomi sulla sensazione del freddo per non sentire altro.
Come previsto, arrivammo lì scavalcando come sempre il piccolo cancelletto di ferro e ci sedemmo sulle altalene, vuote e gelide. Lui non aveva detto più nulla, e aveva tenuto le mani nelle tasche dei jeans. Adesso guardava per terra, come se fosse in imbarazzo.
“Se pensi che questo sia un ritorno al passato... Intendo, noi due, qui, in questo luogo... Ti sbagli di grosso.” gli dissi, girandomi a guardarlo.
Lui alzò lo sguardo e ricambiò. “Non ti ricordavo così cattiva.”
Risi amaramente. “Tu non sai più nulla di me. Quella ragazzina che conoscevi, c'è ancora, ovviamente. Ma come mi hai detto tu a Parigi, è cambiata e maturata, com'è normale che accada nella vita di ogni individuo. Mentre tu invece, sei sempre il solito ragazzino di quindici, sedici anni che non sa cosa scegliere, lo stesso egoista che fa le cazzate e ferisce la gente, e soprattutto ferisce me. E io sono arrivata al punto ormai di essere stanca di tutto questo. Sono passati anni.”
“Quindi questo significa che non vuoi più rivedermi?”
Mi venne di nuovo voglia di dargli un pugno. La stretta della mano quasi in ipotermia attorno alla catenella d'acciaio dell'altalena si fece più serrata e sospirai profondamente. “Perché dovrei volerti rivedere? Il fatto che io ti abbia incontrato di nuovo a Parigi è stato un segno del destino, d'accordo. Ma il tuo comportamento nei miei confronti invece è stato il segno che mi ha fatto capire che io e te non staremo mai insieme, e che non sei e non sei mai stato quello giusto per me.”
Lui non disse nulla. Presi fiato.
“Dov'eri, Alex? Dove sei stato in questi anni? Dov'eri nei miei ultimi compleanni? Dov'eri quando avevo bisogno di te? Dov'eri quando piangevo per te? Dov'eri quando il mio sogno di andarmene da qui si è realizzato? Dov'eri quando ho preso il mio primo aereo per Parigi? Dov'eri quando baciavo altri ragazzi sperando di provare con loro quello che provavo con te? Dov'eri quando avevo paura di non farcela? Dov'eri quando mi svegliavo felice la mattina e avevo voglia di cantare qualche bella canzone con qualcuno? Dov'eri quando volevo fumare una sigaretta in compagnia? Dove sei stato tutto questo tempo? Te lo dico io: Tu non c'eri. Tu stavi vivendo la tua vita, e io la mia. E dato che non c'eri, e dato che tu non mi hai solo lasciata, ma mi hai abbandonata... Non una, ma due volte... Tu non puoi esserci più. Io non ti voglio più.” dissi tutto d'un fiato.
Improvvisamente il mio cuore era leggero come una nuvola.
Alex si alzò dall'altalena e mi venne di fronte.
“Stai scherzando?” chiese, palesemente preso in contropiede.
“Ti sembra che io abbia la faccia di qualcuno che scherza? E' finita, Alex. Torna alla tua vita.”
“Tu sei la mia vita.” sussurrò lui.
Io risi. “Per favore, non uscirtene con frasi banali e false come questa...”
“E' la verità, Adrienne. Quella ragazza... La ragazza che hai visto. Si chiama Julia, e okay, è la mia ragazza da un po'. Vivo da lei... Ma quello che ti ho detto a Parigi, non cambia. Nessuna mi ha più rubato il cuore come hai fatto tu, e infatti appartiene ancora a te. Io ho sbagliato, lo so... Ma ho avuto l'ennesima prova che non posso stare senza di te, ancora una volta. Io senza di te mi sento sempre con un pezzo mancante... E quando sto con te, non mi sento mai solo. Quando non ci sei, è come se non fossi me stesso. Io sono... Io sono Alex solo quando sto insieme a te.”
Lo guardai attentamente e poi scossi la testa. “E ti servivano tutte queste prove per capirlo? Doveva bastarti la prima volta, la prima volta che sei andato via e poi, dopo avermi fatto del male, sei tornato da me. Ti ho sempre perdonato... Ma ora devi farmi vivere la mia vita. Ora devi lasciarmi in pace, e non tormentarmi più, perché ho capito chi sei.”
“E chi sarei? Sentiamo.” disse lui, quasi in tono di sfida.
“Alex, andiamo... Mi hai usata. Come se fossi la prima ragazza che capita nel tuo letto, e mi hai offesa in maniera irreparabile. Volevi stare con il piede in due scarpe, come ti è sempre piaciuto. Se davvero quello che hai detto prima era vero, avresti dovuto dirmi che avevi una ragazza prima di scopare con me e poi scappare come un coniglio. Forse... Forse le cose sarebbero andate diversamente, in questo caso. Avrei capito e avrei apprezzato la sincerità e la maturità.”
“Vuoi dire che c'è una speranza?”
“Non c'è più. Non l'hai fatto. Hai agito d'istinto, e ti sei rivelato per quello che esattamente sei. Il tuo sbaglio non si può perdonare così, come se niente fosse. Nel profondo del mio essere, Alex, io...” sospirai profondamente, guardandolo negli occhi, “io ti amo ancora, credimi. Ma per quanto io possa tenere a quello che c'è tra noi, se davvero tra noi c'è qualcosa... E' ora di finirla. Smettila di farmi del male così.”
Alex continuò a guardarmi. Sembrava veramente triste, e sapevo come doveva sentirsi in quel momento, perché l'avevo provato anche io un sacco di volte. Ma lui non si era mai preoccupato di come mi sentivo in quelle occasioni orrende, quindi perché ora avrei dovuto farlo io adesso?
“Immagino che io non possa fare nient'altro.” disse.
“Torna dalla tua ragazza ed amala per come merita.” gli risposi.
“Ci lasceremo.”
“Perché mai dovreste?”
“Perché le racconterò tutto quello che è successo, e ovviamente non vorrà più vedermi.”
Scrollai le spalle. “Chi semina vento, raccoglie tempesta.”
Mi alzai dall'altalena. Eravamo uno di fronte all'altra. Non potevo credere che fossi veramente io a dire addio, abituata sempre a veder andare via le persone da me e non il contrario.
Alex fece qualche passo verso di me e mi abbracciò.
“Ti amerò per sempre.” mi sussurrò ad un orecchio, scostandomi delicatamente i capelli con una mano.
Rimasi di sasso, indecisa se ricambiare l'abbraccio o meno, ma alla fine decisi di sì. Non ero cattiva fino a quel punto.
“Non è vero, non dirlo. Non abusare di quella parola. ” sussurrai di rimando, chiudendo gli occhi.
“Tutto quello che è successo l'altra notte, tutto quello che ti ho detto... L'ho fatto con amore, e con la più pura sincerità. Non mi pento di niente.” disse ancora.
Lo strinsi forte per l'ultima volta e poi lo lasciai andare. “Non mi pento neanche io, di niente. Se tornassi indietro, rifarei tutto allo stesso modo.” dissi.
“Mi diresti anche addio come hai fatto adesso?” chiese lui.
Lo guardai con tristezza. “No, hai ragione. Lo farei prima di adesso.”
Decisi che era l'ora di andare, in caso avessi cominciato ad avere rimorsi o sensi di colpa. Ma era così che doveva andare, perché dovevo chiudere per sempre quello che era stato Alex per me, e soprattutto volevo troppo bene a me stessa per permettere di essere trattata ancora in quel modo come lui aveva fatto. Mi aveva già promesso infinite volte di cambiare, e mi aveva già detto diverse volte “per sempre”. Ma c'era davvero qualcosa tra di noi che fosse durato per sempre? No.
Avevo la mia dignità, e lui l'aveva calpestata ma io la volevo ancora tutta integra.
“Quando mi hai rivisto a Parigi, dovevi ricordarti che non avevo più sedici anni. Le persone cambiano.” mormorai.
“Ora lo so.”
Sospirai e dalla mia bocca uscì una nuvoletta di fumo. Iniziava a fare sempre più freddo. “Devo andare.”
“Ti accompagno?” chiese.
Feci un sorriso. “No, lascia perdere, fare quattro passi da sola mi farà bene.”
“Bene, allora... Ciao.” mi disse.
“Forse dovresti avere il coraggio di pronunciare la parola addio, Alex.”
Gli tesi la mano. Era il massimo di contatto che potevo concedergli, dopo quel rimprovero.
Lui la prese immediatamente e prima che potessi accorgermene e reagire, in un secondo mi attirò a sé con uno strattone e pressò le sue labbra contro le mie, mentre l'altra sua mano mi afferrava saldamente i capelli dietro la testa, per non lasciarmi scappare.
Non protestai, mentre mi baciava in maniera appassionata. Chiusi gli occhi, ripetendomi mentalmente che ero una stupida, ma ormai la frittata era stata fatta. Ascoltai attentamente il suo respiro e ricambiai il bacio con la stessa intensità. Alla fine, non mi costava nulla farlo. Era veramente il nostro ultimo bacio.
Poi lui si staccò per primo. La sua fronte era appoggiata sulla mia e aprii gli occhi, trovando i suoi.
“Adesso posso dirlo. Addio, Adrienne.” disse in un unico soffio, accompagnato da una nuvola di vapore.
Mi lasciò andare, mi dedicò un ultimo sguardo e si allontanò. Scavalcò il cancelletto e percorse la sua strada, con le mani in tasca, e senza voltarsi indietro a guardarmi, neanche una volta.
Io invece lo guardai andare via, consapevole che in quel momento era veramente finita, e che ero stata io a deciderlo.
Mi accesi una sigaretta e mi sedetti di nuovo sull'altalena, e per la prima volta in quei giorni veramente felice. Era come se avessi finalmente portato a termine un compito che dovevo fare da anni.
Forse avrei dovuto smettere di fumare una volta per tutte.




*


La sera prima della mia partenza, mia madre e mio fratello avevano deciso di portarmi fuori a cena.
Eravamo in macchina e giravamo in cerca di qualche pizzeria carina e non troppo costosa.
“Edoardo andiamo, muoviti, io muoio di fame...” mi lamentai, mentre lo stomaco faceva dei rumori poco gradevoli.
“Stai sempre a protestare, sei una seccatura!” mi fece eco Edoardo, scalando la marcia.
“Ti voglio bene” gli risposi ridendo e pizzicandogli il braccio che mi era più vicino.
“Ehi ragazzi, perché non ci fermiamo lì?” buttò lì mia madre, seduta nel sedile posteriore e indicando fuori dal finestrino con la mano.
Guardai fuori. Una pizzeria, The Guilt. Mi venne un'illuminazione.
“Mamma, ma quella è la pizzeria dove lavoravo io qualche anno fa!” esclamai, improvvisamente esaltata.
“Davvero? Non lo ricordavo mica...”
“Dai per favore, andiamoci! E' l'unico posto in cui non sono tornata da quando sono qui.”
“D'accordo” disse Edoardo e mise la freccia per posteggiare lì vicino.
Una volta scesi, avanzai per prima e spinsi la pesante porta di legno.
Il locale non era cambiato. Era carino come allora. Aveva mantenuto il suo aspetto vintage e i grandi poster alle pareti, ma avevano ridipinto tutto di verde chiaro. Venni invasa dal piacevole chiacchiericcio dei clienti e dal calore del posto chiuso e da un'ondata di diversi e numerosi ricordi. Come avevo potuto dimenticare quel luogo? Avevo passato dei giorni veramente felici, lì dentro.
Al solito bancone a destra individuai Rosa, la proprietaria, un po' più invecchiata di come mi ricordavo e con un colore di capelli sul rosso, chiaramente tinti. Non pensavo proprio che si sarebbe ricordata di me, perché di tempo ne era passato; io ero cambiata e chissà quante e altre cameriere erano passate di lì, nel frattempo.
Ci fecero sedere in un tavolo per tre, piuttosto lontano dal bancone e della porta d'ingresso, e mi tuffai immediatamente nel menù, dato che stavo morendo di fame. Dopo aver scelto una pizza con mozzarella e crudo, io e i miei familiari eravamo immersi in una conversazione animata quando arrivò il cameriere a prendere le ordinazioni.
“Siete pronti per ordinare?” chiese.
Lo guardai. Gli occhi azzurro-grigi, i capelli biondo scuro, quel neo vicino al labbro e quell'orecchino...
“Eric?” esclamai senza pensarci.
Tutti mi voltarono a guardarmi, compreso lui.
Mi guardò senza capire. “Sì, ci conosciamo?”
“Certo che ci conosciamo! Sono Adrienne!” dissi entusiasta.
Fece un sorriso curioso. Quel sorriso... Come avevo potuto scordarmi anche di lui?
“Cosa? Sei davvero tu? Sei irriconoscibile!” disse.
Ridacchiai. “Grazie, se è un complimento.” risposi e mi resi conto di essere leggermente arrossita.
Mi sorrise ancora.
“Adesso non ho tempo per chiacchierare perché ho un sacco di tavoli da fare, magari dopo scambiamo quattro parole, okay?” disse gentile.
“Certo.” Annuii, senza aggiungere nient'altro, e gli dissi la pizza che volevo.
Una volta che si allontanò, e seguii la sua schiena con lo sguardo, iniziai a sentirmi veramente strana.
Non l'avevo riconosciuto subito. Erano passati tre anni, e in tre anni i suoi tratti si erano fatti più maturi, più da uomo. Per il resto, era sempre lo stesso. E poi quegli occhi, quel sorriso... era impossibile non riconoscerli.
Eric Myers... L'unico ragazzo per cui, escludendo Alex, avessi mai provato qualcosa. Mi ero presa una cotta terribile, e lui più volte aveva ripetuto di amarmi. Ma io non lo amavo, almeno non ancora, ed ero troppo accecata da quello che provavo per Alex per ricambiarlo del tutto. Ricordai i momenti belli che avevo passato in sua compagnia, come fosse interessante e come mi piacesse parlare con lui, come mi facesse scordare del resto del mondo. Ricordai i diversi baci che non ci eravamo mai scambiati, per il mio timore e per i miei sentimenti contrastanti. Ricordai il suo tenermi per mano, come se fosse una cosa del tutto normale. Ricordai i battiti del cuore che però acceleravano in sua presenza, o quando semplicemente mi sfiorava. Le sue mani sotto la mia maglietta, sul divano di casa sua, la canzone cantata a squarciagola nella sua macchina... Era perfetto.
Perché me l'ero fatta scappare? E perché soprattutto l'avevo rimosso totalmente dalla mia testa? Quello che avevo provato per lui era speciale, tanto da sperare che si dichiarasse, tanto da sperare di averlo con me in un futuro. Poi tutto era cambiato. Avevo scoperto la verità su sua madre e su mio padre – quello non l'avevo mai dimenticato – e io, spaventata da tutta quella situazione ingarbugliata, dai ricordi e dai sentimenti per Alex, avevo cambiato idea e lui si era sentito usato e sfruttato da me. Ero stata crudele, e ricordavo ancora in quale modo orrendo gli avessi detto addio, dandogli del bambino e dicendogli che non lo amavo. Paradossalmente, avevo riservato un addio più dolce e meno tremendo ad Alex, che non se lo meritava assolutamente. Quello che avevo provato per Eric, in quel breve periodo, era persino diverso da quello che avevo sempre provato per Alex. Per Alex avevo provato qualcosa di viscerale, di ossessivo, di spaventoso. Mentre con Eric tutto sembrava facile e naturale, e non stavo male quando stavo con lui. Mi rendeva leggera e felice. Ed era stato davvero, in quel caso, un vero segno del destino esserci incontrati. Le nostre vite erano sempre state intrecciate, e ci eravamo sempre sfiorati ma mai incontrati.
“Chi era quello?” mi chiese mia madre, svegliandomi dai miei deliri mentali.
“Oh, nessuno... Era il ragazzo che lavorava qui con me, tre anni fa, si chiama Eric.”
La mia pizza arrivò dopo un quarto d'ora e ancora più velocemente la divorai.
Dopo che tre tutti e tre finimmo, con la pancia piena ci alzammo e andammo verso il bancone per pagare il conto. Mi guardai attorno: Eric stava ancora servendo un tavolo. Non ci avrebbe visto andare via, e io l'indomani sarei partita. Non avremmo mai scambiato quelle quattro parole. Sospirando, mia madre pagò e mi infilai il cappotto per andarmene.
“Adrienne,” mi sentii toccare la spalla. Era lui.
“Ehi” mormorai. Mio fratello e mia madre ci guardarono e si fermarono davanti alla porta di legno.
“Finisco tra mezz'ora... Ti andrebbe di aspettarmi?” mi chiese.
Lo guardai indecisa, non aspettandomi assolutamente quella richiesta. Voleva uscire con me?
“Emh... Veramente domani mattina avrei un aereo da prendere.” dissi.
“Dai, non torniamo tardi, beviamo qualcosa e ti lascio a casa. Però se non ti va... Ti capisco...” disse comprensivo, alzando le spalle.
Lanciai un'occhiata ai miei familiari ed Edoardo mi fece l'occhiolino. Quasi scoppiai a ridere.
“Va bene, ti aspetto.”
Le labbra di Eric si sciolsero in un sorriso radioso.

 




Un grazie a vampiredamon90, BloodyEmily e A_rwen! Un bacio :*
Il prossimo capitolo, il diciottesimo, sarà L'ULTIMO. Non vedo l'ora!

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciotto + Epilogo ***


Bene. Eccoci arrivati alla fine, alla vera fine.
"Ovunque" è stata la prima "cosa seria" che ho scritto, più di cinque anni fa. Da allora il mio stile è parecchio cambiato (in meglio, spero) e io stessa sono cambiata, perchè sono cresciuta, ma sono sempre stata affezionata alla mia storia e ai suoi relativi personaggi; anche se molte persone hanno pensato che io li odiassi e che amassi farli soffrire, in realtà non è così, anzi è l'esatto contrario. Per questo ho pensato che Adrienne meritasse un finale migliore, un futuro migliore... Ed è nato "Helter Skelter", e tutta la trama. Molti mi hanno sempre detto che il finale di "Ovunque" è parecchio scontato e deludente... E forse è semplicemente stato così perché doveva esserci un seguito, ecco. Lo sapevo già. Adrienne è il mio alter-ego e in lei c'è molto di me stessa. Ho cercato di renderla il più reale possibile, e spero di non avervi deluso in questo, nè in nient'altro, adesso.
Ho amato scrivere Ovunque e Helter Skelter (anche se per quest'ultimo ci ho messo parecchio, lo ammetto =P)... Ma ogni cosa deve arrivare alla propria fine. E dunque, eccoci qui.
Ovviamente un ringraziamento va alle persone che ANCORA mi leggono (non smetterò mai di provare gratitudine per voi, davvero) e chi mi commenta (BloodyEmily, A_rwen... grazie per l'ultimo capitolo) e che mi ha commentato in precedenza. E ringrazio tutte le persone che hanno inserito la storia nei preferiti, nei seguiti, o semplicemente in quelle da ricordare, perché anche se non hanno mai lasciato una traccia del loro passaggio... Significa che hanno visto qualcosa di buono nelle mie parole. Ringrazio anche chi mi ha letto e ha pensato "Mamma mia che schifo", perché almeno ha perso parte del suo tempo a leggere me. E' già qualcosa, no? ;)
Spero che questo capitolo vi piaccia, che vi piaccia la conclusione di tutto, e... Beh, prima o poi scriverò un'altra longfic, poco ma sicuro, e sicuramente con qualche one shot.
Mi aspetto tante recensioni, o almeno letture. Ne sarei molto felice, davvero.
Un abbraccio fortissimo

Adrienne


Capitolo diciotto

Capitolo diciotto


Dopo aver brevemente spiegato a Edoardo, e soprattutto a mia madre, la situazione e dopo averle promesso di non fare tardi, se ne andarono dal locale e io aspettai Eric fuori, fumando diverse sigarette. Avevo deciso di smettere, ma era difficile dato che ormai era un vizio del quale avevo assolutamente bisogno; quindi ci andavo piano diminuendo solo la razione giornaliera. Col passare dei giorni sarebbero state sempre di meno, ne ero sicura.
Poi Eric uscì dalla pizzeria, infagottato in un giubbotto pesante e in una sciarpa nera di lana.
“Ciao, bella” mi disse, acquistando immediatamente mille punti.
“Parli con me?” gli chiesi, girandomi indietro come per vedere se c'era qualcuno.
Lui rise. “Non posso crederci.”
“A cosa?”
“Eri una bella ragazzina, ma adesso sei una bella ragazza... una donna. Ma non posso credere a quello che hai fatto ai tuoi capelli!” esclamò, scioccato, venendomi vicino e prendendone qualche ciocca tra le dita.
“Tagliati e lisciati. Sono brutti?”
“No, ovviamente no. Ma non ti ho riconosciuta subito perché ti ricordavo ancora con quei capelli riccissimi...”
“Era il momento di cambiare, caro Eric. Beh, dove hai intenzione di portarmi?” gli chiesi cambiando discorso, ed infilando entrambe le mani nelle tasche del cappotto.
“Andiamo a bere qualcosa in un locale qui vicino. Tanto la signorina adesso è maggiorenne e può bere tutti gli alcolici che vuole!” ridacchiò.
“Non dirmelo, ti prego!”
Ancora una volta, era tutto così estremamente facile in sua compagnia. Erano passati tre anni, lui adesso era un giovane uomo di ventidue anni. L'avevo trattato malissimo, ma non era arrabbiato con me ed eravamo riusciti a scherzare come dei vecchi, ottimi amici. Pensai che anche con Alex avrebbe dovuto essere così, ma non era successo, se non con incertezze ed imbarazzo da parte mia. Nonché infinite paranoie.
Significava qualcosa? O forse stavo semplicemente pensando troppo?
Salii con lui in macchina – che era sempre la stessa, la solita Lancia Ypsilon nera sulla quale ero già salita diverse volte – e parlammo del più e del meno. Mi disse di essersi laureato, ma che la laurea non aveva portato grandi cambiamenti nella sua vita, se non quello di non dover più dividersi tra il lavoro e lo studio e fare i salti mortali per avere un minimo di vita sociale. Aveva cercato un lavoro, ma senza risultati; così era rimasto alla pizzeria, l'unica certezza lavorativa che aveva. Questo lo rendeva frustrato e pensava di aver buttato al vento anni di studio per nulla; ma con qualcosa doveva pur vivere e mantenersi.
“Non hai ancora una ragazza?” gli chiesi poi, estremamente curiosa.
“Ho avuto qualche ragazza in questo ultimo periodo, e specialmente per una avevo perso davvero la testa...”
“Sul serio?”
“Sì, ma forse non era lo stesso per lei, dato che mi ha mollato accusandomi di essere troppo ossessivo e appiccicoso. Non sono mai stato fortunato in queste cose, credo.”
“Non dirlo a me!” commentai amareggiata. Lui mi lanciò uno sguardo con la coda dell'occhio.
“Non dirmi che non stai più col tuo grande amore...” commentò acido. Ovviamente, non aveva dimenticato. Era per lui che l'avevo scaricato, tra le tante cose, e lo sapeva perfettamente.
Scoppiai a ridere. “No, veramente no. Lasciamo perdere, è una storia lunga.”
Non avevo voglia di sprecare il breve tempo in cui sarei stata con lui parlando di Alex. Lui annuì e per il resto della serata non toccammo più l'argomento amore/ex ragazzi o ragazze.
Mi portò in un nuovo pub molto carino, con luci soffuse, arredamento viola e un lungo bancone d'acciaio e un sacco di gente che beveva e scherzava. Lui prese una piña colada ed io una birra rossa.
Gli raccontai della mia nuova vita, di Parigi, del mio lavoro e di tutte le cose belle che mi erano successe da quando ero andata via da lì. Quando finii di parlare, lui era assolutamente entusiasta e sorpreso.
“Wow! Che posso dire... Da cameriera a giornalista a Parigi... Il passo non è per niente breve.”
Risi, bevendo un piccolo sorso della mia birra.
“Sono stata fortunata” ammisi, sapendo che non avrei mai smesso di ripetere quella frase.
Annuì. “Ti invidio davvero molto, perché è la vita che tutti si augurerebbero da fare. Io sono bloccato qui da sempre, come intrappolato. Non vedo l'ora di poter fuggire.” disse amareggiato.
Lo capivo perfettamente.
In quell'oretta stetti bene in sua compagnia. Eric era terribilmente bello, più di quanto mi ricordassi. Pendevo dalla sue labbra, e trovavo interessante qualsiasi cosa che dicesse, perché lui era davvero interessante. Dire che mi piaceva di nuovo sarebbe stato ridicolo, ma mi resi conto di essere terribilmente attratta da lui. E non solo perché era bello, ma perché mi faceva sentire leggera e... felice.
Parlammo ancora un po', ma stava iniziando a fare tardi e io mi sarei dovuta alzare alle sette per prendere il mio aereo per Parigi, così gli chiesi se potevamo andare via.
“Non ci sono problemi!” rispose.
Mi offrì la birra e ancora scherzando e chiacchierando, ritornammo verso la macchina. Prima di salire, gli offrii una sigaretta e la fumammo insieme appoggiati alla macchina, guardando il cielo, senza stelle perchè c'erano troppe luci. Poi salimmo e durante il tragitto ascoltammo un po' di musica dallo stereo, e individuata una che conoscevamo entrambi, iniziammo a canticchiare. Mi sembrava un meraviglioso dejà-vù. E solo dopo che la canzone finì, mi resi conto che era Helter Skelter dei Beatles, e che lui la sapeva; e cosa ancora più incredibile, ricordava ancora la strada che portava a casa mia. Ero piacevolmente sorpresa.
Eric posteggiò la sua auto di fronte la mia abitazione. Io scesi e lui mi imitò. Eravamo uno di fronte all'altra, e sospirai profondamente.
“Mi ha fatto davvero molto piacere incontrarti e stare un po' di tempo con te” gli dissi sincera.
Lui annuì. “Anche a me, è stata una bella sorpresa.”
Allargò le braccia per abbracciarmi e io mi ci tuffai. Mi strinse in un abbraccio e affondai il viso sulla sua sciarpa. Respirai il suo profumo, che non ricordavo più.
“Buon viaggio, Adrienne, e buon ritorno” mormorò. Sciolsi l'abbraccio e lo guardai sorridendo. “Grazie.”
Ma lui non mi lasciò andare del tutto. Le sue mani si posizionarono sul mio viso, incorniciandolo ai lati, e si chinò leggermente su di me, guardandomi. Ero sempre più bassa di lui.
“Ti ho riconosciuto non appena ho guardato i tuoi occhi. Gli occhi più belli, più sinceri, e più... Gli occhi più indimenticabili che abbia mai visto.”
Feci una smorfia imbarazzata, rimanendo impalata tra le sue mani.
Eric...”
“Cosa?”
“Devo andare, è tardi, mia madre...”
Ssssh.”
Eric non mi lasciò andare e mi spinse delicatamente indietro, facendo appoggiare la mia schiena sulla sua auto. Deglutii rumorosamente, e poi sorrisi. I suoi occhi mi divoravano, letteralmente.
“Questa scena mi ricorda qualcosa...” mormorai, spezzando il breve attimo di silenzio e tensione.
Lui rise. “La sfida che ho vinto stracciandoti e dimostrandoti che nessuna ragazza può resistermi?”
Annuii. “Crollerei come quella volta.” ammisi, sorridendogli benevola.
Lui mi rivolse un sorriso fantastico. “Speravo lo dicessi.”
Eric annullò la distanza tra i nostri visi e mi baciò.
Fu un bacio davvero molto tenero, che ricambiai senza pensarci e, con mia grande sorpresa, sentendomi scuotere da sensazioni nuove, bellissime, ed intense. Sentii la pelle d'oca sulle braccia, mentre mi baciava, mentre mi carezzava leggermente i capelli e io poggiavo le mani sulle sue spalle. Non era come quando baciavo un ragazzo e non sentivo assolutamente niente. Era tutto troppo strano.
Non avevo ancora cancellato del tutto quello che avevo provato per Alex, ovviamente. Ma in quel momento, lì, in quel bacio, con Eric... Avevo finalmente sentito qualcosa. E lui, Alex, non c'entrava niente: non avevo bisogno di lui per riuscire a provare qualcosa di vero, e nuovo. Quasi mi sarei messa ad urlare per la gioia, se solo avessi potuto.
Mi lasciò andare leggermente e ci scambiammo diversi baci a fior di labbra.
“Tre anni per rubarti finalmente un bacio...” mi disse, “Non è poi così vero che non sei brava nelle sfide.”
Scoppiai a ridere. “Hai visto? Te l'avevo detto.”
Lui annui, ridendo con me. “E' stato davvero bello, Adrienne. Era così che ho sempre immaginato che fosse, così che ho sempre immaginato di sentirmi.”
Gli sorrisi, emozionata. “Anche per me è stato molto bello, ma... Eric, non credo che tra di noi potrebbe mai...”
“Lo so, lo so. La distanza e tutto il resto. Ma in questo momento, mi è bastato sapere che nonostante i capelli, sei sempre quella speciale ragazzina di cui mi ero innamorato...”
Alzai le spalle, mordendomi le labbra.
“Mi dispiace,” gli dissi, “Mi dispiace per come ti ho trattato, mi dispiace per quello che è successo tra le nostre famiglie e mi dispiace di essere stata terribilmente stupida con te...”
“Ti ho perdonato nello stesso momento in cui hai attraversato la porta del Guilt andandotene. Mi ci è voluto un po' per dimenticarti del tutto, ma questa sera non appena ti ho visto tutto è tornato a galla, sai?”
Annuii, capendolo perfettamente. “Anche per me è stato così.”
“E, Adrienne, sai un'altra cosa?”
“Dimmi.”
Io non ti avrei mai lasciato. E non lo dico tanto per dire. Sono sempre stato sicuro, su di te.”
Come faceva a sapere? Lo guardai attentamente. Sembrava sincero. Mi carezzò leggermente la guancia col dorso della mano, e poi si allontanò da me.
“Adesso posso lasciarti andare. Ancora una volta” rise.
Non avevo scollato gli occhi da lui. “Eric... In realtà, mi piacerebbe molto rivederti.”
Forse si meritava una possibilità, pensai. E la meritavo anch'io.
Lui infilò le mani nelle tasche. “Anche a me piacerebbe rivederti, ma mi chiedo come sia possibile.”
“Magari potresti venire a trovarmi a Parigi, come mio ospite.”
“Non sono mai stato a Parigi...”
“O magari, potrei tornare più spesso.”
Mi sorrise. “Magari.”
Mi avvicinai e lo baciai di nuovo.
“Ciao, Eric” gli dissi, quando lo lasciai andare.
“Ciao, Adrienne.”
“Questo non è un addio, è solo un ciao.” precisai, guardandolo negli occhi.
Mi sorrideva ancora. “Forse ho sempre sperato che non fosse un addio, con te.”







Epilogo.





Era il giorno del mio ventitreesimo compleanno ed io ero all'aeroporto di Parigi con una fretta indiavolata in corpo.
Il volo di mio fratello, della sua fidanzata - nonché futura sposa, da quello che mi aveva recentemente comunicato – e mia madre era in ritardo di circa venti minuti. In effetti il tempo non era stato dei migliori: aveva nevicato, in perfetta armonia con il clima natalizio di quei giorni. Ma passare il giorno del mio compleanno bloccata all'aeroporto non era certo il massimo delle mie aspettative! Passeggiavo avanti e indietro vicino alla sala d'attesa degli arrivi, mentre i miei tacchi facevano sempre lo stesso rumore. Il signore accanto a me mi lanciò uno sguardo esasperato, evidentemente infastidito dalla mia marcia, ed io mortificata decisi di sedermi. Forse sarebbe stato più semplice aspettare, una volta seduta.
Venti minuti dopo, il grande tabellone degli arrivi mi comunicò che il volo era finalmente atterrato. E infatti parecchie persone, in compagnia di valigie, borsoni e trolley iniziarono ad arrivare, abbracciando amici e parenti, o semplicemente sicuri per la propria strada. Aguzzai la mia vista in cerca di mio fratello e della ragazza e di mia madre, quando vidi l'ultima persona che avrei pensato e sperato di incontrare.
Alex, in compagnia di altri ragazzi, camminava verso di me, e ognuno di loro trafficava con borse borsoni e quelli che parevano strumenti musicali.
“Alessandro” esclamai quando mi passò veramente vicino, quasi automaticamente, come se stessi parlando tra me e me. Vederlo non mi provocò alcuna sensazione, se non una grande sorpresa per le solite coincidenze e tiri meschini che mi rivolgeva la mia bizzarra vita.
Lui si voltò e i suoi amici fecero lo stesso. Questa volta non ebbe difficoltà a riconoscermi.
“Ehi... Adrienne!” disse. Non sapevo dire se era più imbarazzato o, anche lui, sorpreso.
Mi baciò sulla guancia. Sulle spalle aveva la custodia nera di una chitarra.
“Una vera coincidenza” esclamò ancora mentre mi soffermavo a guardarlo. Era cambiato, ma non di molto.
“Già, davvero, evidentemente è destino che dobbiamo incontrarci ad intervalli di anni” osservai.
“Sì, infatti.”
Calò un silenzio imbarazzante.
Emh, questa è la mia band” disse lui indicando gli altri ragazzi, che mi salutarono tutti con un cenno del capo o con un veloce “ciao”.
“Sì, lo so chi siete. Ho comprato il vostro album.” dissi sorridendo loro.
“Davvero?” chiese uno di loro, improvvisamente incuriosito. Doveva essere il bassista.
“Sì, ovviamente. Siete molto bravi, vi meritate il successo che state avendo.” osservai, sincera.
“E qual è la tua canzone preferita?” mi chiese il batterista, invece.
Alex si girò a guardarlo e gli rivolse un'occhiata tremenda, lanciandogli fulmini con gli occhi.
“Beh...” sospirai, “La prima preferita è sicuramente la traccia numero quattro...”
Adrienne”, commentò amaramente Alex. L'aveva ovviamente già capito, ancora prima che rispondessi.
“Sì, proprio quella.”
Il singolo era passato in tutte le radio. Avevo sentito la storia mia e di Alex ovunque, perseguitarmi, canticchiata da chiunque e in qualsiasi situazione. Avevo sentito le parole di Alex in bocca ad altre persone, avevo sentito le altre persone dire che non avrebbero mai scordato la dolce e bellissima Adrienne, che quella sarebbe stata per sempre la storia più dolorosa e bella della propria vita.
La prima volta che l'avevo sentita, mi ero intristita. Ma dopo la tristezza era stata sostituita dal – quasi – perverso piacere di non essere ancora sparita dai suoi pensieri, mentre lui era completamente sparito dai miei.
“Grazie,” continuai, “Davvero magica.”
Alex era veramente in imbarazzo. “Non c'è di...”
“Mamma, mamma! Lo zio Edoardo è arrivato!” disse una minuscola vocina ai miei piedi.
Una bambina di circa tre anni e mezzo, con dei riccioli biondo scuro e degli occhi verde-azzurro, aveva abbracciato le mie gambe. Con un sorriso, mi ero piegata per prenderla in braccio e Alex la stava fissando fin da quando era arrivata.
“Tesoro, tranquilla, adesso arriverà.” la rassicurai.
“Lei è...” mormorò Alex.
“E' mia figlia, Dèsirèe.” gli spiegai con un sorriso.
Mia figlia guardò Alex e gli fece un sorriso veramente sincero, come solo un bambino può fare. Quello che io non ero riuscita a rivolgergli, in quei minuti scarsi.
“Salve signore!” esclamò anche. Ridacchiai.
“Ciao piccola. E' bellissima, complimentoni...” mormorò lui. Scommettevo che si sentiva sempre più fuori luogo e avevo semplicemente detestato il suo “piccola”.
“Beh, dunque forse è meglio che voi andiate, vi ho rubato fin troppo tempo. E' stato un piacere.” dissi ad Alex.
“Sì, certo. Un bacio, allora...”
Adrienne, tutto bene?”
Eric fece il suo ingresso e mise un braccio attorno alle mie spalle mentre fissava Alex. Lo guardai per un attimo, e dal suo sguardo capii immediatamente che doveva averlo riconosciuto.
“Niente, amore, tranquillo...” gli dissi sorridente. “Alessandro, questo è Eric, il mio ragazzo.” Alex non riuscì a celare una certa smorfia sul volto. “Piacere, Alex” disse in un soffio, ma rivolgendogli un sorriso falso, e si strinsero la mano. Sperai che Eric non gliel'avesse stretta troppo forte.
Calò ancora una volta un breve, ma spiacevole, silenzio.
“E' stato bello, ma Alex, adesso dobbiamo scappare...” disse uno degli amici di Alex, venendogli in aiuto. Lui annuì.
“Sì, adesso andiamo. Ciao Adrienne, allora...”, non sapeva come concludere, “Stammi bene!”
“Anche tu.”
Mentre si allontanava, col resto della band, Dèsirèe agitava la mano per salutarlo.
Mio fratello, la sua ragazza e mia madre venivano verso me e Eric sorridendoci, felici di rivederci.
“Ti amo” mi sussurrò lui all'orecchio, mentre nostra figlia cercava di liberarsi dalla stretta delle mie braccia per correre a salutare e ad abbracciare il suo zietto preferito e la sua nonna preferita. La lasciai andare, mettendola giù, e corse verso di loro. Osservai la scena divertita e veramente felice, mentre Eric teneva ancora il suo braccio attorno alle mie spalle.
“Anch'io ti amo, Eric.”
“Non vedo l'ora di potertelo ripetere tra tre giorni, sull'altare.” mi sussurrò ancora all'orecchio. Sapevo che sorrideva e io scoppiai a ridere.
“Io vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la sposa.” dissi camuffandomi la voce.
Mi baciò, ed ero convinta che la vita non avrebbe potuto essere più perfetta di così.
E in effetti, era il massimo che avessi mai potuto sperare, ed immaginare.
“Ti amerò per sempre”, mi disse.
Ci credevo davvero. Ora potevo farlo.

 

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