Confessioni Notturne VI
Sorprese
Tonks
non riusciva a stare ferma, mentre si trovava nel salotto di casa Black in
attesa del ritorno di Silphie, la quale si era offerta di preparare del tea. Tornata
anche lei nella stanza, trovò che l’amica non si era ancora calmata, anzi le
sembrò che la situazione stesse degenerando perchè mentre passeggiava si
rigirava in continuazione la fede che aveva all’anulare borbottando tra sé
parole incomprensibili.
«Se
non la smetti finirai per staccarti il dito». La rimproverò dopo aver
appoggiato il vassoio che teneva in mano sul tavolino e facendola sedere sul
divano.
«Lo so, ma devo
pur far qualcosa mentre aspettiamo, e questa cosa mi calma parecchio». Ripose,
continuando a giocherellare con l’anello. «A proposito, quando manca?» Chiese
ansiosa.
«Ancora un
minuto, ma non mi sembra che ti stia calmando molto. Questa agitazione non ti
fa bene…» Ma Tonks non sembrò prestarle molta attenzione, troppo presa a
fissare, secondo dopo secondo, l’orologio appeso alla parete. Scoccato il
fatidico minuto scattò in piedi e corse di nuovo in bagno, seguita a ruota
dall’amica, salvo poi immobilizzarsi davanti al lavandino intenta a stringere
tra le mani un’asticella di plastica blu e bianca.
«Una o due?»
Chiese bisbigliando.
«Due per il sì,
una per il no». Bisbigliò a sua volta Silphie leggendo un foglietto, senza
sapere il perché stessero bisbigliando.
«Oh Morgana…»
Esclamò con voce strozzata Tonks, prima di lasciarsi scivolare sul pavimento e
lasciando cadere nel lavandino l’asticella.
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Tonks si
aggirava per il reparto di maternità del San Mungo in cerca della camera in cui
era stata ricoverata Fleur dopo la nascita della primogenita sua e di Bill.
Quando l’ebbe finalmente trovata bussò prima di entrare, al suo interno trovò
Fleur seduta sul letto intenta a tenere tra le braccia un fagottino avvolto in
una copertina rosa e vedendola entrare, le sorrise. «Ciao Tonks, che piacere
vederti», sussurrò probabilmente per non svegliare la bimba che teneva in
braccio..
«Ciao Fleur,
scusa se non sono venuta ieri, ma mi hanno incastrata al lavoro con un turno
extra».
«Non ti
preoccupare, almeno riuscirai a conoscere Victoire in pace. Ieri c’era il
delirio».
«Posso
immaginarlo. E così l’avete chiamata Victoire alla fine», mormorò sporgendosi
per vedere meglio la bambina.
«Sì, ci è
sembrato il nome più adatto». Sorrise con evidente orgoglio.
Sporgendosi
per osservare meglio la banbina, Tonks, si chiese come facesse la gente a dire
che i neonati fossero bellissimi. Tutto quello che vedeva lei era un visetto
rosso e rugoso, qualche raro capello sulla nuca, per non parlare delle manine
grinzose e, Come se non bastasse, molti non facevano altro che strillare dalla
mattina alla sera e persino di notte.
«Allora,
cosa te ne pare del mio piccolo capolavoro?» Chiese Fleur, raggiante.
«E’… E’
davvero bellissima…» Rispose Tonks. Non le sembrava il caso di dar voce ai suoi
pensieri in particolare conoscendo il carattere della neo mamma.
«Già, lo
credo anche io. Guarda che nasino, è uguale al mio, mentre gli occhi sono come
quelli di Bill. E’ così perfetta». Commentò Fleur, completamente rapita dalla
sua bambina.
«Proprio
come la sua mamma», intervenne Bill, entrando anche lui nella stanza tenendo in
mano un vassoio con due bicchieri e due panini imbottiti, «Ciao Tonks, è bello
vederti». La salutò, poi andò a baciare la moglie dopo aver appoggiato il
vassoio sul tavolino vicino alla moglie.
«Ciao Bill!
Sai tutti parlano talmente tanto della
nuova arrivata in famiglia, che dovevo vederla a tutti i costi anche io».
Ripose, ridendo « ora però devo proprio andare. Questa sera torna Remus e
vorrei farmi trovare a casa», continuò.
«Allora è
meglio che vai. Avete una settimana intera da recuperare», la prese in giro
Bill.
«Puoi
dirlo forte, non vedo l’ora che questa faccenda del matrimonio finisca, così
potrò partire anche io con lui. Invece, ora mi tocca seguire da vicino tutti i
preparativi, altrimenti chissà cosa sarebbero in grado di combinare mia madre
in combutta con la tua», rabbrividirono entrambi al solo pensiero delle due
donne alle prese con tulle e chiffon.
«Ti
capisco…» Commentò Bill ma, in quel momento la bambina si mise a piangere,
cogliendo tutti e tre alla sprovvista.
«Credo abbia
fame», mormorò Fleur cominciando a cullarla per calmarla.
«Ok, allora
vi lascio tranquilli. Ci vediamo appena ti faranno tornare a casa, così anche
Remus potrà conoscere la piccola Victoire». Così dicendo si congedò dagli
amici.
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Tonks alzò lo
sguardo verso l’amica, «Sil, non posso…» Mormorò scuotendo la testa e
rannicchiandosi ancora di più su se stessa.
«“Non puoi”
cosa?» Chiese preoccupata lei sedendole accanto, e per tutta risposta, Tonks si
posò le mani sul ventre fissandola con occhi impauriti. «Tonks non dire
sciocchezze!» Esclamò Silphie, con voce quasi arrabbiata. «Non dirlo nemmeno
per scherzo», la riproverò fissandola con sguardo severo.
«Silphie
dico davvero. Io… Io non ci so fare con i bambini. Ma mi ci vedi con un
esserino rosso e rugoso in braccio? Lo farei cadere ogni cinque miniti. Per non
parlare di quando urlano e si agitano! E poi siamo sposati da così poco tempo,
volevo stare un po’ da sola con lui… No, non lo posso fare! » Cominciò a
blaterare in preda al panico, alzandosi in piedi e correndo in salotto.
«Tonks
calmati!». Urlò Silphie tenendola ferma per le spalle. «Inspira, espira. Brava,
così. Ancora una volta», l’aiutò a respirare fino a quando non fu abbastanza
calma per sedersi di nuovo sul divano, «va meglio?» Le chiese. Tonks annuì,
lasciandosi cadere contro lo schienale. «Dimmi cosa ti preoccupa». La
incoraggiò.
«Cosa mi spaventa
vorrai dire», sospirò affondando la testa in un cuscino e nascondendosi alla
vista dell’amica.
«Ok, cosa ti
spaventa?» Le chiese di nuovo alzando gli occhi al cielo.
«I bambini. In
generale». Mugugnò senza togliersi il cuscino dalla faccia.
Silphie era
sconcertata. «E cosa mai ti avranno mai fatto di male i bambini? Sono così
piccoli e indifesi…» Cercò di sdrammatizzare.
«Certo.
Piccoli, indifesi, fragili, per non dire urlanti, produttori costante di roba
viscida… E altro ancora».
«Ora cominci ad
esagerare…»
«No che non
esagero. Ho visto Victoire, non fa altro dalla mattina alla sera».
«Sai, i bambini
appena nati non sanno fare molto a parte quello. Ma poi crescono», la rassicurò
divertita.
«Spiritosa, lo
so anche io che crescono. Ma poi, sono certa che le cose diventeranno ancora
più complicate. Cresceranno, cominceranno a camminare, a correre, a parlare…»
«Va bene, ho
capito. Proviamo a prenderla da un altro verso». Sbottò esasperata. Tonks alzò
lo sguardo verso di lei incuriosita, «Remus», Tonks spalancò gli occhi e
Silphie sorrise compiaciuta per aver colpito nel segno. «Sai quanto ci terrebbe
lui. Lo hai visto quando gioca con Victoire, gli si illuminano gli occhi ogni
volta che la vede sorridere con quella bocca sdentata», continuò osservando la
reazione dell’amica.
«Sì…» Mugugnò
in risposta lei.
«E pensa come
sarebbe con un figlio vostro», e Tonks non riusci ad impedirsi d’immaginare la
scena: Remus, sorridente, intento a stringere tra le braccia il loro bambino. Un
mezzo sorriso le affiorò sulle labbra, «Vedi com’è facile?» Chiese Silphie.
«Cosa?» Chiese
a sua volta.
«Vedere le cose
da un altro punto di vista», rispose semplicemente.
«Si certo, ma…»
«Non c’è nessun
ma. Hai ragione, spesso i bambini piangono e a volte sbavano, e fanno molte
altre cose disgustose. Ma sono sicura che quando avrai il tuo bambino tra le
braccia anche queste cose ti sembreranno belle».
«Sarà…» Mormorò
poco convinta.
«Fidati. E se
quello che ti ho detto non è stato convincente a sufficienza, aspetta di vedere
la reazione di Remus quando glielo dirai», le strizzò l’occhio,Tonks però si
paralizzò di nuovo. Silphie aveva ragione, doveva dirlo a Remus. Ma come?
Casa Lupin
probabilmente non era mai stata più in ordine di così. Tonks era talmente agiata
che si era messa a riordinare il salotto e la cucina senza nemmeno rendersene
conto, il tutto senza magia. Per quale motivo? Semplice, quella sera Remus
sarebbe tornato a casa dopo una settimana passata a Hogwarts. Aggirandosi senza
meta per la casa, Tonks sistemava e risistemava gli stessi cuscini o
riallineava i quadri già perfettamente allineati, fino a quando uno schioppo la
fece sobbalzare.
«Ciao amore.
Non sai quanto mi sei mancata in questi giorni». Esclamò Remus andandole in
contro e abbracciandola, ma Tonks s’irrigidì per qualche istante, poi capendo
che anche lui se ne era accorto, ricambiò l’abbraccio e in più lo baciò.
«Scusa per la
fredda accoglienza, ero soprapensiero e mi hai colto alla sprovvista», mormorò
allontanandosi leggermente da lui tenendolo però per mano. «Allora, com’è
andata al lavoro? Racconta, voglio tutti i dettagli!» Sorrise sedendosi sul
divano ed invitandolo a fare altrettanto.
«Ma come, ti ho
sempre raccontato di tutto in questi giorni, tra conversazioni via metropolvere
e anche via gufo».
«Lo so. Ma
raccontati da te qui in carne e ossa scommetto che saranno ancora meglio», e
così dicendo gli si accoccolò tra le braccia dopo che entrambi si furono seduti
sul divano, aveva bisogno di sentirlo vicino, di sentire il calore del suo
corpo. Così Remus, avvolgendola con le braccia, cominciò a raccontarle la sua
settimana, mentre Tonks cercava di escogitare un modo per parlargli.
«… Così alla
fine sono stato costretto a dargli una punizione, non mi è piaciuto, lo ammetto,
però è stato necessario», concluse guardandola, «una pulizia generale di tutte
le finestre della scuola, appeso a testa in giù mentre Gazza ballava il tip tap
in giardino agitando un forcone», aggiunse continuando a guardala.
«Mmm». Mormorò
Tonks.
«Amore, ti sto
annoiando?» Chiese preoccupato, non avendola vista reagire alla battuta sulla
punizione.
«Cosa? Oh
scusa, mi sono distratta un attimo. Stavi dicendo?»
«Niente
d’importante. Cosa ne dici di andare a letto? Si è fatto tardi e sono stanco di
parlare. Sai, la settimana è stata lunga senza di te…» Mormorò alzandole il
viso con un dito per poi baciarla.
«Hem, scusa ma
oggi non mi sento molto bene…»
«Cos’hai? Sei
andata dal medico? Cosa ti ha detto?» Chiese preoccupato visto che raramente
l’aveva sentita dire di non sentirsi bene.
«Niente di grave.
Solo… Ecco io…» Balbettò, ma alla fine decise di non confessare la verità.
«Credo di aver preso freddo. Ieri sono stata a trovare Fleur», mentì.
«Capisco. E
come stanno lei e la bambina?» Chiese, mentre insieme salivano le scale verso
la loro camera da letto.
«Bene, Victoire
cresce a vista d’occhio. Non la vedevo da due settimane e quasi non la
riconoscevo», rispose, cominciando a cambiarsi.
«Domani
potremmo andare insieme, sono davvero curioso di rivederla. Ha un visino così
dolce», commentò Remus infilandosi sotto alle coperte ed invitandola a
raggiungerlo
«Quindi, tu non
credi che abbiano fatto tutto di fretta? Voglio dire, mettere su famiglia dopo
nemmeno un anno di matrimonio?»
«Credo che
ognuno sia libero di scegliere quello che è meglio per sé e per la propria
famiglia. Certo, credo anche che sia piuttosto piacevole passare un po’ di
tempo da soli prima di mettere al mondo dei bambini, ma…». Tonks non lo fece
finire di parlare. Si alzò di scatto e corse in bagno, piangendo. Remus,
stupito dalla reazione della moglie le andò dietro ma quando tentò di entrare
la trovò chiusa a chiave. «Amore, ma cosa ti è preso?» Chiese, bussando
ripetutamente, ma non ottenne nessuna risposta. «Aprimi. Se ho detto qualcosa
di male ne possiamo parlare…» Continuò ma senza ricevere risposta. Stava per
andare a prendere la bacchetta quando uno schioppo proveniente dal bagno lo
mise in allarme, aprì la porta con un colpo di bacchetta ed entrò, trovandolo
però vuoto.
Silphie e
Sirius, quest’ultimo tornato anche lui da Hogwarts poche ore prima, si
ritrovarono all’improvviso Tonks in pigiama e in lacrime, nel loro salotto.
«Ciao cugina, che… Piacere vederti a quest’ora tarda, molto tarda, della
notte». Biascicò soffocando uno sbadiglio entrando nella stanza, seguito dalla
moglie, intenta ad allacciarsi la vestaglia. Appena però vide l’amica in quelle
condizioni, corse da lei.
«Tonks, cos’è
successo?» Le chiese abbracciandola, ma Tonks non riuscì a rispondere a causa
dei troppi singhiozzi. «Riguarda quello che sappiamo noi due?». Ritentò e
questa volta Tonks annuì.
Sirius le
guardò sconcertato. «Cosa sapete voi due che io non so?» Chiese, ma venne
prontamente ignorato da entrambe.
«Glielo hai
detto?» Chiese di nuovo ma Tonks scosse la testa. «Allora perché sei
sconvolta…» Continuò sconcertata.
«Perché… Perché
lui ha detto che… Che è bello starsene un po’ da soli… Prima di…». Mormorò
asciugandosi gli occhi.
«Beh non gli do
torto. In particolare di notte…». Commentò Sirius.
«Sirius zitto!»
Lo ammonì Silphie, e l’uomo alzò gli occhi al cielo. «Ok, vieni in cucina così
parleremo con più calma», la rassicurò, scoccando un’occhiataccia la marito che
si era spostato dalla porta per farle passare. Finalmente sole, le due donne
poterono parlare in santa pace. «Bene, ora raccontami per filo e per segno
tutto quello che è successo». Così Tonks le raccontò della sua domanda riguardo
alla situazione di Bill e Fleur, e della risposta di Remus. «Capisco. Ma forse
non intendeva dire che lui non ne vuole ora, magari era un discorso astratto».
«Ne dubito
fortemente…» Sospirò soffiandosi il naso in un fazzoletto che l’amica le aveva
appena passato.
Nel frattempo
Sirius si era accomodato sul divano, in attesa del ritorno delle due donne, e
sperando che la cugina non si trattenesse ancora a lungo, in fondo una
settimana da solo a Hogwarts era stata più che sufficiente. Si stava quasi per
appisolare contro lo schienale quando venne svegliato di soprassalto
dall’arrivo di Remus, anche lui in tenuta notturna. «Non si usa più far visita
alla gente quando splende il sole? Non siamo tutti animali notturni…» Bofonchiò
irritato per quell’ennesima visita nel cuore della notte.
«Scusami
Sirius, sto cercando Tonks. L’hai vista?» Chiese guardandosi in torno.
«Sì, la tua
adorabile mogliettina si è materializzata qui circa un quarto d’ora fa. Ora è
in cucina con Silphie. Ma si può sapere cosa le hai fatto?» Chiese a sua volta
Sirius.
«Perché?»
«Perché era in
lacrime, e non sono riuscito a capirne il motivo».
«Sinceramente
nemmeno io. Eravamo a letto e stavamo parlando, ad un tratto si è alzata ed è
corsa in bagno piangendo».
«Bah, le
donne…» Commentò sbadigliando.
«Meglio che
vada a vedere cosa sta succedendo di là». E s’incamminò verso la cucina, salvo
poi bloccarsi per l’arrivo di Silphie.
«Mi sembrava di
aver sentito la tua voce», esclamò la donna.
«Come sta
Tonks? Non sono riuscito a capire cosa le sia preso poco fa a casa».
«Ecco… Non sono
la persona più adatta per parlarne. Voi due dovreste tornare a casa e parlarne
con calma tra di voi». Ripose bonaria.
«Sì, ecco bravi
andate a casa vostra…» S’intromise Sirius mezzo addormentato.
«Vieni amore,
torniamo in camera. Remus va da Tonks, lasciala parlare, e non fiatare fino a
quando non avrà finito». Gli suggerì prima di cominciare a salire le scale
tenendo Sirius per mano.
Rimasto solo,
Remus andò in cucina trovando Tonks seduta davanti al camino acceso intenta a
scaldarsi, nella fretta di scappare aveva dimenticato di coprirsi meglio e ora
stava letteralmente battendo i denti per il freddo. Si tolse la vestaglia e
gliel’appoggiò sulle spalle, Tonks però non reagì. «Amore vieni, torniamo a
casa», mormorò, prendendola per mano. Senza dire una parola Tonks si alzò e si
smaterializzò con lui.
Ricomparsi a
casa loro, Remus l’aiutò a mettersi a letto per poi sdraiarsi accanto a lei
abbracciandola per scaldarla. Visto però che Tonks non si decideva ad aprire
bocca per chiarire la situazione, fece lui la prima mossa. «Scusa amore», le
sussurrò.
Sentendogli
dire quelle parole Tonks si voltò versò di lui, «perché ti scusi?» Chiese
sospettosa.
«Sinceramente
non lo so. Ma, vista la tua reazione, ho dedotto di aver detto o fatto qualcosa
di sbagliato. Quindi, mi scuso», rispose.
Tonks non
sapeva cosa dire, probabilmente con il suo comportamento insensato lo aveva
preoccupato e di nuovo gli occhi le si inumidirono, «dannati ormoni…» Mugugnò,
asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.
«Cos’hai
detto?» Chiese sconcertato.
Tonks prese un
grosso respiro, ormai doveva dirglielo, continuando a tacere non avrebbe
risolto niente, «scusami tu per come mi sono comportata prima. Non dovevo
scappare in quel modo, nell’ultimo periodo, non sono molto in me», sospirò, «dovevo
restare qui e parlarne con calma», disse ancora.
«Parlare di
cosa?» Chiese lui sempre più curioso.
«Ecco… Ti
ricordi quando ti ho chiesto cosa ne pensavi della situazione di Bill e Fleur?»
Chiese a sua volta, Remus annuì, «c’era un motivo se li ho usati come esempio…»
Mormorò.
Remus si
paralizzò, cominciando a intuire dove voleva andare a parare. «Amore, se vuoi
avere subito un bambino, bastava dirlo, non c’era bisogno di fare tutti questi
giri di parole. Sai bene che niente mi renderebbe più felice che avere un
bambino tutto nostro», esclamò.
«Davvero?»
Chiese guardandolo negli occhi.
«Ma certo», la
rassicurò attirandola nuovamente a sé, «anzi, se vuoi possiamo metterci subito
al lavoro», aggiunse baciandola.
«Hem…Non ce ne
sarà bisogno…» Sussurrò lei scostandosi controvoglia da lui.
«Ma come, io
pensavo che…» Mormorò confuso non capendo cosa volesse dire.
«Voglio dire
che non c’è più bisogno di mettersi al
lavoro», rispose appoggiandosi le mani sul ventre.
Remus la fissò
incredulo, poi, appoggiò una mano sopra le sue. «Un bambino. Avremo un
bambino», sussurrò Remus incredulo.
«Proprio così.
Decisamente prima di quello che avevamo previsto ma sì, avremo un bambino», confermò
Tonks, stringendosi nelle spalle e abbozzando un sorriso.
«E’ una cosa
stupenda, dico davvero. E sai già quando…?»
Tonks scosse la
testa, «devo ancora andare dal medico, ma ho un ritardo di circa tre mesi.
Prima pensavo fosse a causa dello stress, sai, il matrimonio e tutto il resto.
Poi però ho cominciato a preoccuparmi e ho fatto il test, cinque volte, e tutti
positivi». Rispose imbarazzata.
«Cinque? Direi
che di dubbi, a questo punto, ce ne sono pochi. Ma lunedì andremo dal medico».
«Ma come farai
con il lavoro?».
«Aspetterà. Se
davvero qui dentro sta crescendo il nostro bambino, voglio esserci». Rispose
baciandole la pancia e poi il viso stringendola a sé.
Quasi un’ora
dopo Tonks, dormiva tra le sue braccia mentre lui, invece, l’accarezzava osservandola
sorridere nel sonno, vederla così serena lo rassicurò, le sfiorò delicatamente
il ventre «Buonanotte piccolo mio o piccola mia». Sussurrò sorridendo pensando
che di lì a qualche mese avrebbero cominciato una nuova vita in tre.
vorrei ringraziare le persone che hanno letto questa mia storia ed in particolare chi ha commentato. volevo scusarmi se in certe parti ho scritto David al posto di Remus, credo che dipenda dall'abitudine visto che ormai è più di un anno che mi sto dedicando ad un altro genere di scrittura. Però ora ho rimediato, chiedo ancora scusa :p
ps: non so quando pubblicherò la mia prossima storia quindi non mi resta che dirvi: arrivederci!!