Edward&Bella: you and me, forever

di Soul Sister
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** cap 1 Lei ***
Capitolo 3: *** Cap 2 Lui ***
Capitolo 4: *** cap III - magica notte stellata a forks ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V: pessima attrice ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Edward & Bella: you and me, forever

Prologo.

Forks, 3000 abitanti circa, umida, piovosa e fredda cittadina dello stato di Washington.
Di questi cittadini, la metà tifavano per una casata del posto, l’altra metà per l’altra importante famiglia.
I Cullen e i Black.
Vampiri e licantropi: nemici naturali, per cui sembrava impossibile vivere in armonia. Bastava davvero poco, e sarebbe potuta scoppiare una guerra.
La piccola città era come divisa in due: ognuna delle due famiglie aveva un territorio. E le persone ovviamente abitavano nel lato in cui risiedeva la famiglia per cui parteggiavano.
A destra, la famiglia Cullen, l’anziana casata di vampiri vegetariani, e quindi buoni, che rispettavano la vita umana.
Ed il capoclan di questi freddi era Carlisle Cullen.
A sinistra , invece, risiedevano i Black, antica famiglia di mutaforma, capaci di trasformarsi in lupi enormi, e quindi chiamati erroneamente licantropi.
Ed il capotribù era Billy Black.
La natura magica di queste due stirpi era, ovviamente, sconosciuta agli abitanti di Forks. Per gli umani, loro erano solo due famiglie in lotta da generazioni, per motivi ancora sconosciuti.
In realtà, era questa rivalità naturale, in quanto i licantropi erano nati per uccidere vampiri, che scatenava tutto.
Ma in quel intreccio di fantasia, soprannaturalità e mistero, una parte ‘normale’ vi era. Infatti, una famiglia sapeva bene dell’esistenza di questi esseri leggendari e mitologici: la famiglia Swan, composta da umani, migliori amici della tribù Quileute dei Black.
Ma in questa storia, due figure saranno protagoniste, due amanti, il cui amore sarà ostacolato fino all’ultimo.
E loro sono Isabella Swan e Edward Cullen, una parteggiante dei lupi, l’altro discendente diretto dei vampiri.
Ma il loro amore sarà forte, indistruttibile, inarrestabile. E la loro storia d’amore sarà vera, passionale, dolce e irresistibile.

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Capitolo 2
*** cap 1 Lei ***


Capitolo I
Lei
Viveva nella piccola cittadina di Forks, una ragazza.
Lei, dai folti e boccolosi capelli mogano, che aveva gli occhi di un marrone caldo come il cioccolato, era considerata la più bella ragazza del posto.
Era la figlia del migliore amico del capostipite della famiglia Black, Charlie Swan.
Il suo nome era Isabella Marie, ed aveva già diciassette anni.
Suo padre desiderava che si fidanzasse con qualcuno, era sempre stata sola, non era una ragazza molto estroversa ed espansiva.
Ma a lei piaceva la solitudine, faceva parte di lei, pensava sempre.
E non aveva intenzione di legarsi a qualcuno per due validi motivi:
- per prima cosa, era troppo giovane;
- secondo, non aveva simpatie per nessun ragazzo.
Ad essere sincera, lei detestava proprio il genere maschile. Certo, anche i suoi occhi gioivano davanti ad un bel fusto, ma non desiderava conoscerlo.
E poi, conoscere cosa? Tutti i ragazzi del ventunesimo secolo erano profondi come delle pozzanghere, pensavano solo a divertirsi con le ragazze, e le facevano solo soffrire. Non si poteva instaurare un rapporto vero, con loro non si poteva fare un discorso importante, o parlare di un futuro, perché prima di formulare il pensiero, ti avevano già fatto le corna.
Ovviamente, sapeva che c’erano anche dei soggetti del genere femminile che si comportavano da calzature, ma non importava, si stava parlando dei maschi.
Perché chiamarli uomini era come una barzelletta: al massimo si potevano definire bambini, i suoi conoscenti del sesso opposto.
Ma non era che lei volesse rimanere zitella per sempre, perché Isabella desiderava sposarsi, comprare una casa, avere dei figli… insomma, il suo sogno era di creare una famiglia.
Però desiderava troppo dalla vita, il suo uomo ideale si era estinto secoli fa.
Isabella Marie voleva un uomo vero, romantico, dolce, sensibile.
Che sapesse ascoltarla, e che sapesse capirla.
Che l’amasse veramente, che non desiderasse nessuna se non lei.
Desiderava una specie di principe azzurro.
Lo sognava bello, possibilmente, ma si sarebbe accontentata anche di un rospo, pur che avesse tutte le altre caratteristiche.
In realtà desiderava una specie di Romeo, che desse anche la vita per lei.
Con cui bastasse uno sguardo per trasmettersi tutto l’amore.
Eh già, desiderava forse un po’ troppo dal genere maschile.
Ma era nata col mito dei principi azzurri delle favole, ed era sempre stato il suo sogno incontrare l’uomo giusto.
E sognava di avere delle avventure come i protagonisti delle sue letture preferite.
E come la loro, appunto, immaginava di avere una storia d’amore che avrebbe sconfitto l’impossibile, di cui leggenda si sarebbe tramandata ai posteri.
Lei era una donna molto romantica, anche se poteva apparire il contrario.
Ed era una sognatrice incallita: fortunatamente però, non si perdeva nelle sue fantasie quando c’erano altri nei paraggi.
********
Scese giù, nella piccola cucina di casa sua.
Suo padre era seduto al tavolo, che sorseggiava il suo caffè contenuto nella tazza gialla, e leggeva un giornale.
- buongiorno - salutò la ragazza, iniziando ad armeggiare con i fornelli per prepararsi qualcosa da mangiare.
- ‘Giorno, tesoro – fece il padre, alzando lo sguardo dalla rivista e posandolo
sulla figura di sua figlia. – oggi vado a pesca con Billy, torneremo domani mattina. – la informò il padre.
Isabella si diede della stupida: come aveva fatto a dimenticarsene? Quel giorno era un sabato, e avrebbe potuto dormire! Invece aveva puntato la sveglia, e si era alzata presto. Sbuffò, per poi sbottare un ‘okay’ al padre. Be’, ormai era sveglia e… e stava bruciando le frittelle!
Fortunatamente, una se ne salvò. Fece colazione con essa ed un bicchiere di succo d’arancia.
- vado, ci vediamo domani Bells. – salutò Charlie, dandole un bacio veloce sulla fronte.
- si, ciao… - rispose, per poi incominciare a sistemare il disordine nella
stanzetta. Poi passò alle altre camere, la sua e quella di suo padre, il bagno, ed infine sistemò il salotto. Be’, aveva migliorato il perfetto, si poteva dire.
Casa Swan era quasi sempre in ordine. Isabella era una tipa piuttosto disordinata, ma si trovava male nello sporco, per cui s’impegnava a sistemare i macelli che combinava.
Ed ora che faccio? Si chiese, sbuffando. Il sabato pomeriggio, quando il padre se ne andava, per lei era sempre una noia mortale. Non aveva molti amici, se si potevano considerare tali.
Per questo, si trovava meglio sola. Di sé stessa poteva fidarsi, degli altri non troppo. E poi gli esempi che aveva davanti a sé le dimostravano quanto avesse ragione.
Sua madre aveva tradito suo padre con un altro più giovane, quando lei aveva solo cinque anni. All’ora non aveva capito.
Povero Charlie, lui si era fidato incondizionatamente di Renèe, eppure lei gli aveva fatto le corna, e poi era scappata.
Isabella non odiava sua madre, benché sapesse quanto fosse stato ripugnante il trattamento di Renèe verso Charlie.
Però… benché il loro amore fosse stato un cattivo esempio, Isabella Marie ci credeva.
Aveva speranza nel vero amore. E s’augurava di trovarlo presto.
Salì in camera per prendere la sua vecchia copia di ‘Cime tempestose’ ed una coperta , e poi andò nel giardino sul retro della piccola casa.
Stese il plaid a terra, in pieno sole.
Sorrise: era strano che ci fosse sereno a Forks.
Ma in quei pochi giorni, Isabella era felicissima. Si sdraiò a pancia in giù, e cominciò a rileggere il libro da dove l’aveva interrotto l’ultima volta, accarezzata dal leggero venticello che soffiava.
Finalmente la primavera sembrava arrivare. Erano già a maggio, ed erano rari i giorni come quelli.
Ben presto si annoiò di leggere.
Si rotolò supina, e incrociò le braccia dietro alla testa.
Guardava il cielo, stranamente azzurro, incantata. In quelle nuvole bianche, all’apparenza soffici, vi vedeva tante immagini.
Si ritrovò a pensare a come sarebbe stato toccarle, ma si ricordò che era solo aria, e che non avrebbe mai potuto tastarle.
Allungò un braccio verso l’alto, come per accarezzare una nuvola che aveva preso le sembianze di un bellissimo viso, quasi angelico. E immaginò fosse il suo principe.
Lo riabbassò, dandosi della stupida.
Stanca di star lì, si rialzò raccogliendo le sue cose, e riportò tutto in casa.
Poi prese il giubbetto di jeans: non si sapeva mai che scendesse il freddo.
Dopo aver chiuso tutto, s’incamminò verso il centro, che distava poco da lì.
Forks era davvero molto piccola.
Arrivò dopo qualche minuto alla sua meta. Ma come sempre, era arrivata nel momento meno opportuno.
Ovviamente, le due famiglie avevano ricominciato a litigare.
La piazza centrale era spesso e volentieri palcoscenico delle risse tra Cullen e Black. Bella sbuffò.
I componenti di entrambe le famiglie avevano una certa età, ma si comportavano peggio dei poppanti.
- succhiasangue, muori! – esclamò quello che le parve Quil, un ragazzo della riserva, parteggiante dei Black, ovviamente. Era un ragazzo molto alto e muscoloso, dalla pelle ambrata, e dagli occhi e dai capelli scuri.
Mi raccomando, fatevi sentire dal resto della piazza! Pensò la ragazza, che assisteva alla scena con occhio critico.
Il ragazzo Quileute diede uno spintone ad un ragazzo nerboruto, e molto muscoloso, dalla pelle diafana. Aveva dei fitti ricci scuri, e da quel che la sua vista da umana le permetteva di vedere da quella distanza, il ragazzo aveva un viso bellissimo e tenero da bambino, che era una contraddizione alla sua stazza.
Era un vampiro, sicuramente.
Ma aveva la grossezza di un licantropo.
Il Cullen non la prese molto bene, come nemmeno il resto della sua banda. Un altro pallido ed alto ragazzo, dai folti ricci biondi, si fece avanti con una faccia non troppo amichevole.
- ma va' a farti una doccia, cane, che puzzi! – esclamò una fantastica voce femminile. Apparteneva ad una splendida ragazza bionda, alta e con un fisico assolutamente mozzafiato. Anche lei bianca come il latte. Appoggiò una mano sulla spalla del vampiro moro.
- Rose, stanne fuori! – le intimò lui, ringhiando.
Isabella, a differenza di suo padre, non parteggiava per nessuno delle due famiglie. Secondo lei, non erano fatti che le riguardavano. Gli affari tra esseri mitologici non dovevano interessargli,gli umani non dovevano immischiarsi in situazioni come queste. Se avevano problemi, se li sarebbero risolti da soli, senza il bisogno di suo padre.
Anche se ormai c’erano dentro fino al collo.
- perché tu profumi vero, sanguisuga? – le fece beffa Embry, un altro ragazzo della riserva.
Qui la cosa si faceva pericolosa.
La ragazza bionda fece per saltargli al collo, ma il ragazzo biondo la bloccò, mentre fu l’altro ad attaccare il ragazzo-lupo.
Fortuna che i licantropi erano forti anche se non si fossero trasformati… infatti la loro natura impediva di essere feriti da un vampiro anche in sembianze umane. Quindi Embry non era tanto in pericolo.
I due clan iniziarono a far rissa, e ben presto i ragazzi umani parteggianti dell’ una e dell’altra famiglia si unirono a loro.
C’era il caos totale.
Isabella era davvero stufa.
- basta! – urlò con tutto il fiato che aveva in gola, con il magone. Odiava vedere le persone che si facevano del male.
Le veniva da piangere per la rabbia, si sentiva infuriata con tutti.
Lei non andava mai al cinema per vedere film di guerra, li seguiva sempre in diretta nella piazza di Forks!
E come se non bastasse, il cielo s’era oscurato e stava per piovere.
A quel punto, l’umore di Isabella era proprio sotto le scarpe.
Mandò poco gentilmente a quel paese vampiri e licantropi, con tutti i loro patemi mentali, e stringendosi nel suo giubbottino, s’incamminò verso casa.
Erano le sette di sera quasi, e si mise a preparare la pastasciutta per sé, sempre imbronciata.
Mangiò poco e niente, poi sbattendo i piedi a terra salì in camera sua, senza nemmeno pulire le stoviglie. Prese il suo beauty e andò in bagno, arrabbiata al massimo.
Lei era incavolata per due motivi:
1) perché era arrabbiata;
2) non ne capiva il perché!
E questo la innervosiva ancora di più.
Accese lo stereo, e fece lo stesso con l’acqua della doccia. Si spogliò, e entrò nel box. Cercò di rilassarsi sotto il getto dell’acqua, accompagnata dalle note di ‘Claire de Lune’ di Debussy. Ma nulla: uscita dalla doccia si sentiva ancora più nervosa, poichè non le era passato nulla.
Si rivestì, e tornò nella sua stanza con la leggiadria di un elefante.
Si buttò sul letto, facendo più rumore possibile.
Già, tipico di lei farsi paranoie che non esistevano né in cielo né in terra.
Prese il suo telefono, e guardò l’ora.
Le nove e mezza, del 12 maggio. Si ricordò solo in quel momento che l’indomani Charlie avrebbe dato, insieme a Billy, una festa per il compleanno di quest’ultimo.
E ci sarebbe dovuta andare… per forza.
E avrebbe dovuto sopportare tutte le avances dei ragazzi di La Push.
Quei testoni non si mettevano in testa che lei non li voleva.
Ma a quanto pareva, i ragazzi erano piuttosto cocciuti, e più lei diceva che non voleva nessuno, più loro la importunavano.
E con questi orribili pensieri finì per addormentarsi.

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Capitolo 3
*** Cap 2 Lui ***


Capitolo II
Lui
Abitava nella microscopica ed umida Forks, un giovane.
Lui, dai ramati e spettinati capelli e dai particolarissimi occhi dorati, era sicuramente il diciassettenne più affascinante e desiderato della cittadina dello stato di Washington e dintorni.
Si chiamava Edward Anthony, ed era il figlio adottivo del capoclan di vampiri, Carlisle Cullen.
Edward era un ragazzo dal doppio volto: con la sua famiglia era sé stesso, con gli umani indossava una maschera per proteggere sé e le altre persone.
Non che lo volesse, ma era costretto.
Egli, infatti, era un ragazzo dolce, romantico e generoso, ma si dimostrava il contrario.
Tutto questo per non mettere alla luce la loro vera natura; dovevano stare alla larga dagli umani…
Il loro essere un mostro, un vampiro, un essere ripugnante e vile era pericoloso per loro.
Edward odiava sé stesso, odiava non poter essere come quegli insulsi umani che odiava tanto. Anzi, non li detestava, li invidiava solo.
Oh si, era terribilmente geloso della loro vita precaria.
Il desiderio, purtroppo impossibile, di Edward era quello di tornare indietro alla sua trasformazione e far cambiare idea a quello che era diventato poi suo padre.
Così non l’avrebbe mai tramutato in un vampiro.
E sarebbe morto, di dolori atroci certo, ma nulla in confronto ai sentimenti che lo distruggevano in quel momento.
Mentre fuori, Edward diventava il ragazzo superficiale, per gli altri irraggiungibile, che doveva dimostrar di essere. Per tenere alla larga tutto e tutti; anche se, più i Cullen si comportavano male, più le persone li stimavano, li veneravano…
A scuola, per esempio, stavano sempre per i fatti loro, non si mischiavano con gli altri studenti.
I compagni, per questo, molte volte li detestavano: ma non sapevano che in realtà li stavano solo tutelando. Ma oltre a questo sentimento, provavano una certa invidia, e comunque li stimavano.
Anzi, molte persone amavano addirittura questi comportamenti, se non si fossero comportati così, probabilmente non gli sarebbero girati così intorno.
Purtroppo, a minare il loro segreto, scoppiavano le risse con quel branco di cani bastardi* ; li punzecchiavano talmente tanto che era piuttosto difficile trattenersi.
Fortunatamente, nessuno di quei botoli pulciosi si era mai trasformato in un lupo.
Avrebbero destato un certo scalpore…
Dopotutto, erano una specie di cani-lupo alti più di un cavallo!
Ed anche la mente bacata del più stupido degli umani avrebbe intuito che c’era che non andava.
*****

- Edward, tesoro, esco io – gli aveva detto sua madre Esme, prima di andarsene.
- va bene – aveva sospirato Edward, senza troppo entusiasmo. Non che ne avesse tanto, abitualmente.
Quel giorno, Edward non voleva uscire con i suoi fratelli.
Aveva deciso di stare a casa da solo, con i suoi patemi mentali, a piangersi addosso.
Almeno avesse potuto piangere!
Perché non bastava averlo tramutato in un essere senza anima, cuore e sentimenti, no!
Quel Dio gli aveva anche tolto la possibilità di piangere, di sfogarsi.
E non poteva nemmeno estraniarsi dal mondo, nascondendosi sotto le coperte, e lasciarsi cullare tra le braccia di Morfeo, perché i freddi non potevano dormire.
Per cui, se ne stava sdraiato sul suo divano di pelle a meditare, con le braccia sotto la testa.
- Edward, allora non ti sei ancora preparato?! – trillò quella che era la sua pestifera sorella preferita. Il rosso si mise seduto.
- Alice, non ho voglia di uscire oggi… andate voi.. – disse Edward, scocciato dal fatto che sua sorella non avesse bussato prima di irrompere in camera sua.
Non che non l’avesse sentita, comunque; con il suo super udito sentiva i più impercettibili suoni, anche a chilometri.
- uffa, tu non hai mai voglia di uscire! – si lamentò sua sorella. Lei aveva la sua stessa età, sia umana che vampiresca. Era molto bella, caratteristica comune degli immortali - ma anche da umana era sicuramente stata bellissima - , benché fosse minuta e piuttosto bassina. Aveva dei capelli corvini corti e sbarazzini, e gli occhi grandi e dorati, come tutti nella sua famiglia: il colore erano dovuto alla loro nutrizione basata solo su sangue animale.
Alice era una tipa molto esuberante, aveva un’energia e una voglia di vivere impareggiabile. Un po’ l’opposto del suo fidanzato ,e fratello, Jasper. Infatti lui era un tipo tranquillo, pacato e sensibile. Se non era in complotto con Emmett, poteva essere considerato quasi silenzioso e riservato. E riusciva a sopportare Alice a meraviglia. Erano davvero molto innamorati.
- dai, non tormentarmi nana… non ho voglia di uscire. – rincarò Edward.
- andiamo, forse dopo andremo anche a caccia… - e fece gli occhioni da cucciola bastonata, a cui pochi resistevano.
- ho detto no! – sbottò Edward, con una certa fatica a sopportare quello sguardo.
- asociale! – esclamò l’altra, arrabbiata.
Poi si voltò, e sbattendo i piedi uscì dalla porta, senza riaccostarla.
- chiudila. – disse Edward, rimettendosi le braccia dietro la testa, e abbassando le palpebre. Sua sorella, infuriata, tornò indietro e chiuse la porta sbattendola.
Edward sorrise tra sé: benché molte volte erano di opinioni diverse, si volevano molto bene. Il loro rapporto si equivaleva a quello di due fratelli consanguinei.
- ciao ottantenne! – lo salutarono Rosalie, Emmett, Jasper e Alice.
“quella folletta è incredibile!” commentò col pensiero Emmett.
“ Edward, fratello mio, sei proprio strano…” sbottò Rosalie, la sorella con cui andava meno d’accordo.
“ah, povero…” Jasper forse era quello che capiva meglio ciò che provava Edward, essendo un empatico.
Alice, dal canto suo, oscurava i pensieri al fratello, cantando in più lingue l’inno americano.
Questo, non fece altro che incuriosire ed innervosire il rosso: doveva ammetterlo, leggere nel pensiero era molto fastidioso, ma quando qualcuno glielo bloccava, diventava molto più invadente e molto meno indiscreto.
E la nana lo sapeva.
- peste! – esclamò Edward, e la risata di Alice riempì tutta la casa.
Quando sentì le auto sgommare via ad una velocità pazzesca, si rilassò. Aveva tutta la casa per sé, anche suo padre era andato al lavoro.
Quanto avrebbe desiderato essere umano, essere normale… e non dannato per l’eternità.
Dov’eravamo arrivati? Ah si, a tutte le cose che Edward invidiava agli umani…
Un’altra opzione che agli immortali era negata, era il suicidio.
Quante volte Edward avrebbe voluto darsi una stilettata al cuore, ingerire un po’ di veleno… così, tanto per mettere fine alla sua inutile ed insulsa vita, priva di significato. Sempre se così si poteva definire…
Tra gli umani era così frequente questo modo di morire… molti erano i protagonisti di celeberrime storie, che si ammazzavano… basti pensare a Romeo, dell’opera di Shakespeare. Però, forse le situazioni erano un po’ diverse da quella del vampiro vegetariano che si poneva questi quesiti…
Il giovane rampollo dei Montecchi era innamorato, ed aveva perso l’unica sua ragione di vita, Giulietta…
Edward non era innamorato, non aveva una ragione per cui esistere, e in realtà , non aveva mai vissuto.
Semplicemente, c’era.
Romeo, lui quello stolto ed incapace, si era suicidato inutilmente, la sua Giulietta era viva.
Edward aveva un motivo valido per cui morire. Anche se non aveva una fantomatica Giulietta per cui continuare a essere tra i ‘viventi’.
I vampiri avevano solo un modo per mettere fine alla loro esistenza; ovvero, non rispettare la legge dettata dai Volturi, il clan più grande e potente di tutti, coloro che si erano autoproclamati famiglia reale.
In sintesi, bastava rivelare la propria identità agli umani.
Oppure, un altro metodo era far innervosire all’inverosimile un vampiro qualsiasi, che allo stremo della pazienza, l’avrebbe fatto a pezzettini e gli avrebbe dato fuoco.
Purtroppo per Edward, non era così semplice…
Sospirò. Evidentemente era il suo destino..
Si rialzò dal divanetto di pelle nera, e si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli di più.
- ed ora che faccio…? – si disse, annoiato.
Scese in salotto, diretto al suo piano forte.
Si mise a suonare una delle sue canzoni preferite, Claire de lune di Debussy. La musica classica riusciva, stranamente, a placare i suoi tormenti interiori.
Le dita scorrevano agili sui tasti d’avorio, e le note si diffondevano per tutta la casa.
E suonò per quasi due ore, di continuo, passando da una canzone all’altra, sfogandosi così.
Suonò anche le sue canzoni, ispirate da ogni componente della sua famiglia, e rispecchianti il carattere di ognuno di loro.
Dalla melodia dolce e mielosa di Esme, rispecchiante il suo essere una madre eccezionale e il suo amore incondizionato donato agli altri, a quella grandiosa ma allo stesso tempo semplice, come Carlisle e per lui.
Da quella magnifica, elegante e raffinata dedicata a Rosalie, a quella giocosa, allegra e , in certi punti, irosa di Emmett.
Da quella tranquilla, pacata e, in parte tormentata, di Jasper, a quella allegra, movimentata, e sprizzante di gioia della folletta, o anche chiamata Alice.
Era il modo di Edward per esprimere la gratitudine e l’affetto per i propri famigliari. Perché non sempre riusciva ad esternare ciò che pensava e provava, ma come biasimarlo?
A lui la gente non poteva mentire, sapeva in primis se qualcuno pensasse male o bene di lui, come lo giudicasse. Ed aveva paura, lui non poteva avere il beneficio del dubbio, riguardo ai pensieri della gente.
Era così preso dalla musica, che non s’accorse che Esme era tornata a casa, e lo osservava, commossa e felice come non mai di risentire il figlio al pianoforte.
Lei lo elogiava sempre, ovviamente a ragione.
Non era di certo di parte!
La tua musica è un sollievo per l’anima, gli aveva detto molte volte. E sempre gliel’avrebbe ricordato, perché il talento di Edward era davvero fantastico.
-bentornata - mormorò Edward, senza aprire gli occhi, e senza smettere di suonare. La canzone di Carlisle, fluì in quella di Esme, e rese così felice sua madre.
- grazie tesoro… - disse sorridente. Dopo aver ascoltato più di metà canzone, incantata, lì imbambolata, si riscosse, e canticchiando a ritmo della melodia di Edward, cominciò a fare i suoi mestieri.
Edward, da parte sua, era felice di rallegrare l’esistenza degli altri, facendo ciò che più amava e lo gratificava.
- stupidi cani randagi! Pezzi di… - Emmett entrò in casa sbraitando.
- Emmett! – lo rimproverò Esme, scioccata. Non tollerava certi termini, nemmeno rivolti al loro nemico naturale. La vampira dai capelli morbidi del color del caramello e dal sorriso dolcissimo, infatti, amava tutti incondizionatamente. Era rispettosa con tutti e tutto.
- l’avevo detto io che era meglio stare in casa… - fece Edward, fastidiosamente saccente.
- Edward. – riprese bonariamente Esme, che non voleva litigassero – ragazzi, cos’è successo? – chiese poi, preoccupata.
- quegli esseri schifosi mi hanno sporcato i pantaloni! – esclamò una furente Rosalie, come a dimostrare quanto fosse superficiale e morbosamente superba.
Era bellissima, certo, e ne faceva sfoggio senza ritegno. E godeva nel far sentire inferiori le persone.
Ed Edward si chiedeva come Emmett potesse esserne così innamorato.
L’unica cosa buona che aveva trovato nella sorella, Edward, era il fatto che almeno l’amore per l’orso fosse sincero. Ed anche l’affetto per loro, ovviamente.
Ma era comunque molto, troppo altezzosa.
Ma le volevano bene comunque.
- qualcosa per cui valga la pena? – chiese la madre dei ragazzi.
- ci hanno augurato la morte, come se fosse semplice… - sbottò Jasper, cupamente. Alice lo guardò molto, ma molto male.
Ad Edward faceva paura il modo in cui, molte volte, i loro pensieri fossero vicini. Forse era troppo influenzato dalle sue emozioni.
Ma comunque, il tormento di Edward e quello di Jasper erano fondamentalmente molto diversi. Le storie erano differenti, il loro modo di vivere l’immortalità pure.
Jasper aveva l’amore della sua vita accanto a sé. Edward molte volte si sentiva solo, in mezzo a tutto quell’affetto fra le tre coppie.
- mi hanno detto che puzzo… e ci hanno punzecchiato ben bene… - disse poi la bionda, mettendo da parte il fatto che i suoi indumenti fossero da buttare. Tanto non usavano più di due volte gli stessi capi…
- e dagli insulti siamo passati alle mani – finì Emmett, tirandosi un po’. Movimenti automatici, finti, per dar l’impressione d’essere umani. Erano diventati quasi normali per loro, come se ne ricavassero qualche beneficio, che concretamente non c’era.
- ragazzi, non è sicuro! Quante volte ve lo devo ripetere?! Basta che un ragazzo si trasformi in un licantropo, e le nostre e le loro vite sono finite! – rimproverò Esme, con tutte le ragioni del mondo.
- a me i Volturi non fanno paura. – disse Emmett, solenne, gonfiando i muscoli.
Tutti scossero la testa.
- Emmett, non possiamo metterci contro di loro, lo sai bene. Nemmeno il tempo di formulare un pensiero concreto, e saremmo già morti… - disse Jasper.
- si, vabbè, sei sempre molto ottimista tu! – sbottò Rose.
però ha ragione… sarebbe troppo rischioso per tutti. Ma se dovesse succedere, darei la vita… Magari per i cani, non mi sprecherei tanto a battermi, ma per la mia famiglia, questo ed altro. E tutto per proteggere Emmett… e poi mi scompiglierei i capelli. ” concluse il pensiero. Un esempio di ciò che Rose pensava: lei era molto buona, sotto sotto, ma poi rovinava tutta la bella figura che faceva, aggiungendo una cosa del genere!
Ma forse lo faceva solo perché c’era il leggipensieri lì nella stanza.
- okay, quello che è fatto è fatto, tanto vale farla finita con questa storia … anche stavolta c’è andata bene… - sospirò Esme – ma vorrei tanto sapere cosa vi passa per la testa in quei momenti!-
- a proposito di pensieri… - fece Edward, lanciando un’occhiata alla folletta che non aveva ancora parlato. Lei gli sorrise innocentemente, ed incominciò a pensare a più vestiti con accessori coordinati. Il massimo per far venire un ipotetico mal di testa a Edward, con tanto di fantomatica nausea da shopping.
Il rosso scosse la testa, e ricominciò a suonare, per distrarsi da quel maledetto segreto, che sapeva, l’avrebbe tormentato ora che non lo sapeva, ma anche dopo averlo scoperto.

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Capitolo 4
*** cap III - magica notte stellata a forks ***


Cap 3 Magica notte stellata a Forks
Isabella si svegliò in tarda mattinata.
Aveva dormito tanto, ma non era per niente riposata. Decise quindi di abbandonarsi ad una rigenerante doccia calda.
Accese l’acqua, e poi cominciò a spogliarsi. Si guardò allo specchio: mio Dio, che mostro!
I suoi capelli castani erano tutti annodati e disordinati, talmente tanto che avrebbero potuto esser presi per una balla di fieno.
S’armò di pettine, mise una salvietta sotto i denti, e cominciò a sistemare quel disastro.
Quando ebbe finito, notò che la metà della sua chioma era rimasta impigliata tra le setole del pettine.
Fissò male l’arnese, e poi lo scaraventò nel lavandino con la delicatezza di Hulk.
Si fiondò nel box, e immediatamente nervi e muscoli si rilassarono.
- ah, niente di meglio di una doccia calda di mattina… - disse tra sé e sé.
Uscì dalla doccia e indossò l’accappatoio, nel mentre sceglieva i vestiti da mettersi. Pensò che la sera avrebbe dovuto vestirsi bene per la festa di Billy. E con questa considerazione, l’effetto tranquillante della doccia andò a farsi friggere.
Indossò distrattamente dei jeans chiari, e allo stesso modo una maglietta a mezze maniche bianca. Talmente era persa nei suoi tormentati pensieri, che si accorse solo dopo, di aver messo la t-shirt al contrario. L’umidità nel bagno aveva appiccicato ben bene i capi addosso al corpo di Isabella. Mentre cercava di sfilarsi l’indumento, scivolò a causa dell’acqua sul pavimento, e finì rovinosamente a terra.
Fece un urlo isterico, per sfogarsi.
- non è possibile, però! Uffa! – si lagnò, pensando che quella fosse una giornata, decisamente, ‘no’.
Dannati lupi, e le loro stupide avances! Era colpa loro se Isabella Marie quel giorno era così tremendamente nervosa.
Finì di prepararsi, poi scese in cucina, per cominciare a preparare il pranzo. Ma quando entrò, le si gelò il sangue. La stanzina era impregnata di un gradevole quanto odioso profumo di muschio, che purtroppo Isabella conosceva bene…
- ciao Bell! Ho pensato ti avrebbe fatto piacere che cucinassi per te! e poi, ho voluto invitare da noi Billy e Jacob. Non è fantastico? – disse su di giri Charlie.
Okay, Isabella stava per avere una crisi di nervi.
Uno: suo padre si era messo ai fornelli, e questo voleva dire solo sventura e distruzione;
due: aveva due lupi in casa sua, e rischiava che si trasformassero in cani/cavalli di due metri, distruggendole la sua amata casina;
tre: ultima, ma decisamente quella più disastrosa, aveva il re dei suoi spasimanti di fronte a lei. In più era il preferito di suo padre, che più volte aveva organizzato una cena galante tra i due. Isabella, prontamente, si era finta malata ed aveva dato buca al ‘povero’ ragazzo.
- Isabellina! – disse l’ uomo sulla sedia a rotelle – che piacere vederti! –
Isabella fece un sorriso tirato: - anche per me, Billy! –
- ehy, bambolina! Come va? – Jacob partì alla carica fin troppo presto, per i gusti di Isabella Marie.
- benissimo, Jacob. – disse sorridendo falsamente – ora, papà, andate in salotto: non vorrei che ci uccidessi tutti, con i tuoi intrugli. È un mio lavoro questo – e li scacciò via.
Marie sospirò, appoggiandosi al piano cottura.
Ora si, che la giornata va meglio,pensò ironicamente.
Qualsiasi cosa Charlie stesse cucinando, finì nella spazzatura.
Preparò una veloce pastasciutta con il ragù, poi apparecchiò il tavolo del cucinino non tanto grande. Si chiese se ci fossero stati, o se lei fosse dovuta andare in salotto a mangiare, data la stazza di entrambi i Black.
- è pronto! – esclamò, e subito dopo comparvero i tre uomini nella stanzetta. Charlie aiutò Billy a sistemarsi.
- allora, Billy, per la festa? – chiese il padre, entusiasta come un bambino il giorno di natale.
- oh, la farò in un locale vicino al centro, è per tutti! – spiegò l’uomo. Il padre di Isabella parve stupito.
- non a La Push? –
- no, è meglio così – e sorrise – qualcosa mi dice che è giusta questa decisione! – disse, facendo un gesto teatrale.
Isabella pranzò in silenzio, cercando di non far caso ai discorsi di Charlie e Billy, e soprattutto alle occhiate e ai sorrisini maliziosi di Jacob. Finito il pasto, li scacciò nuovamente fuori, e cominciò a ripulire.
- ehi, Isa… - la chiamò Jacob, facendola sussultare. Credeva fosse uscito…
Fece finta di ignorarlo, e continuò la sua missione di pulizia.
Lui sospirò: - andiamo! Non dirmi che non ti piaccio nemmeno un po’! non è umanamente possibile! – esclamò.
- Jacob, gira al largo… ma come ve lo devo dire?! – si voltò verso il gigante – a me non interessano i ragazzi, punto. È inutile che continuiate! – era davvero scocciata.
- oh, come sei! Ciao! Io vado – e finalmente se ne uscì.
Isabella sospirò di sollievo.
****
La ragazza si diede un’ultima occhiata allo specchio: non faceva poi così schifo…
Indossava un vestito senza spalline rosso, che le arrivava appena sopra al ginocchio. Sotto al seno aveva una fascia alta e nera, e poi la gonna scendeva abbastanza larga con balze. Ai piedi aveva dei diabolici tacchi 10. Jessica le aveva detto che erano d’obbligo, perciò le aveva dovute mettere.
Si pettinò, ma lasciò sciolti i suoi boccoli castani.
Scese in salotto, dove Charlie l’aspettava già pronto.
- sei bellissima, Bells! – commentò il padre, facendola arrossire. Isabella dopo un – si, come no – prese il suo giacchetto, fregandosene di vedere se stesse bene o no, e con Charlie al seguitò, andarono al locale che aveva prenotato l’indiano.
Era un locale abbastanza largo, dove in un angolo si trovava una lunga tavolata dove erano disposte le bevande, ed eventuali stuzzichini.
Per i ragazzi, c’era una stanzetta a parte, una specie di disco improvvisata.
La luce lì era spenta. Distingueva le figure grazie alle luci colorate, che illuminavamo a scatti come i flash. La musica era a palla, e a Isabella già stava venendo il mal di testa.
- Isa! – esclamò Jessica, comparsa all’improvviso davanti alla ragazza.
- Ciao Jess… - sospirò, era già stufa di star lì. Era sicura che si sarebbe annoiata a morte.
La sua amica cominciò un monologo infinito, che Isabella fingeva di ascoltare.
Benché si trovasse in mezzo a centinaia di ragazzi, che urlavano e ridevano; benché si trovasse Jessica davanti, che parlava a macchinetta, Isabella si sentiva terribilmente distante da quella massa. Era brutalmente incompresa. Sola.
Le urla dei suoi compari le arrivavano ovattate, confuse; erano lontane da lei, come dall’altra parte di un vetro. Anche Jessica.
Isabella aveva un mondo tutto suo, una bolla privata inviolabile. Nessuno riusciva a trapassarla.
Nemmeno le urla, nemmeno l’amica.
D’un tratto, l’atmosfera cambiò. I ragazzi si erano ammutoliti, stranamente.
Isabella non capiva il perché, dava le spalle alla porta, probabilmente il fenomeno scatenante del silenzio arrivava da lì.
Lo ringraziò di cuore.
Si voltò, incuriosita.
E rimase a bocca aperta, stupefatta. Cinque perfetti ragazzi fecero il loro ingresso, con una grazia inumana, con un portamento regale.
C’erano due ragazze e tre ragazzi.
Una ragazza era mora, minuta, ma d’una bellezza mozzafiato.
L’altra era alta, bionda, bella come le modelle delle copertine.
Un ragazzo era grosso, nerboruto, e moro. Un altro era biondo,invece, sempre muscoloso, alto e bellissimo.
Ma quello che aveva attirato l’attenzione di Isabella, era il terzo…
In confronto agli altri due, appariva quasi smilzo, ma non lo era affatto. I muscoli c’erano, e ben scolpiti. I capelli erano una zazzera disordinata castano-ramata, ma pareva fatta apposta. Il viso era assolutamente… celestiale. Il mento squadrato, le labbra carnose e rosate, la pelle pallida quasi come un cadavere, il naso dritto e gli occhi… wow… le iridi erano di un’ ambra spettacolare.
Assolutamente divino…
Isabella ebbe un’illuminazione: dovevano essere dei vampiri… stando alle descrizioni di suo padre, le caratteristiche erano proprio quelle dei dannati.
Certo che quando aveva detto che erano molto belli, non credeva che lo fossero così tanto.
S’accorse che anche lui la fissava con insistenza, ed arrossì vistosamente. Era la prima volta che le capitava. Jessica, accanto a lei, boccheggiava.
- ma li hai visti? Oh mio Dio, che schianti… mi sa che sono i Cullen… - sussurrò con occhi scintillanti di meraviglia.
Cullen.
Era proprio impazzita, allora… era rimasta affascinata dal nemico di suo padre. Male, molto, molto male.
Ma non si poteva negare che fosse un piacere per gli occhi…
Desiderò andare a scuola a Forks, e non più alla riserva.
- davvero? Bene – si finse indifferente, benché dentro di sé morisse di curiosità.
Pian piano la situazione tornò come quella iniziale, i ragazzi ricominciarono a scatenarsi sulla pista, a schiamazzare, a far aumentare il mal di testa a Isabella. Jessica andò a ballare con Mike, e Marie decise di uscire da quella gabbia di matti.
Andò nel giardino sul retro di quel locale, dove c’era quasi pace e silenzio. Il cortile era deserto.
Si sentiva solo il leggero eco della musica all’interno.
Alzò gli occhi al cielo: c’era una stellata magnifica, difficile vederne una a Forks…
Ne rimase incantata.
Infondo, lei era come una di quei minuscoli puntini luminosi. Una delle tante stelle nel cielo. Eppure, secondo lei, ognuno, nel suo piccolo, era unico, diverso dagli altri.
- Bello… vero? – una voce meravigliosa giunse alle orecchie della ragazza, e la fece sussultare.
Si voltò lentamente, e il fiato le si mozzò quando incontrò due occhi color topazio, meravigliosi.
- si… davvero – ammise, arrossendo.
- è difficile vedere un cielo così, qui a Forks… - mormorò lui, con gli occhi rivolti verso le stelle. Sorrise, ma era un sorriso malinconico.
- cosa… cosa ci fa un Cullen, alla festa di un Quileute? – chiese Isabella poi.
- non lo so, sinceramente…- sorrise amaramente - i miei fratelli mi hanno trascinato… il fatto è che io odio questo genere di feste. I ragazzi, la musica a palla, mi fanno scoppiare la testa… -
- siamo in due, allora – Isabella sorrise al ragazzo, che rimase interdetto di fronte a tanta semplicità.
- ehm, io sono Edward. – le porse la mano fredda, che lei strinse. Purtroppo per entrambi, il contatto durò davvero poco.
- Isabella. –
- bel nome. –
- io non direi, è così… altisonante… - borbottò, non troppo concorde con il ragazzo.
- be’, Edward? è un nome da nonno… - commentò lui, ridacchiando, e contagiando la ragazza.
- non è vero, ha un non so ché di speciale… di magico – ammise Isabella, arrossendo un po’.
- come no… - poi, la musica, all’interno del locale, si fece calma e dolce: un lento.
- mi concede l’onore di questo ballo, madame? – chiese lui, con un inchino. Isabella diventò color pomodoro maturo, e si mordicchiò il labbro inferiore.
- io… non so ballare.. – mormorò, chinando il capo.
- non importa, tutto dipende dal partner… - prese una sua mano, e l’altra la appoggiò al fianco. Delicatamente, la spinse verso di sé.
Pian piano, cominciarono a volteggiare a ritmo di musica, guardandosi intensamente negli occhi.
Isabella si stupì di quanto fosse facile, con lui affianco.
Entrambi, non avevano mai creduto nell’amore a prima vista, nel colpo di fulmine. Ma dovettero ricredersi.
Certo, non potevano saltarsene fuori con frasi del tipo: ‘oh mio amore, mi sono appena innamorato di te, mi vuoi sposare?’ .
Assolutamente no.
Comunque, era davvero una serata magica…
******
Erano seduti su un muretto, lì vicino. E chiacchieravano da un’oretta buona.
Entrambi adoravano la compagnia dell’altro, ma purtroppo si stava facendo davvero tardi…
- se vuoi, ti posso accompagnare a casa io… - disse lui, speranzoso.
- non saprei, Edward… - disse Bella, mordendosi il labbro inferiore – se mio padre sapesse che ho passato la serata con te… -
- tuo padre parteggia per i Black? – chiese lui, stupito.
- si, anche se sono fermamente convinta che dovrebbe starsene fuori da affari così grossi.. dopotutto, lui non c’entra nulla. Noi siamo insignificanti, in confronto a esseri leggendari come voi… - disse Isabella, stupendo molto il ragazzo.
- tu.. tu sai la verità? – esalò a bassa voce, non voleva farsi sentire troppo.
- si, e so anche che non dovrei… conoscere i vostri segreti. –
- in effetti, non dovresti… ma per lo meno, mi hai aiutato. Con te non sono obbligato a controllare ogni mia mossa, dato che sai… nel senso che, cioè… -
Bella pensò che allora quella non sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe visto.
E Edward non voleva assolutamente che quella fosse la prima e l’ultima volta che si sarebbero visti. Entrambi volevano approfondire la conoscenza dell’altro, volevano aprirsi, volevano mantenere almeno un misero contatto.
- ma… è vero che te e la tua famiglia non siete… ehm… come gli altri? –
- si, be’… io e la mia famiglia ci definiamo vegetariani… ci nutriamo di animali… -
- oh, quindi noi umani non corriamo rischi… -
- assolutamente. almeno… non spaventarti, ma hai l’odore più sublime che io abbia mai sentito… e all’inizio è stato uno sforzo tremendo, trattenermi dall’… - Bella rabbrividì, capendo il resto della frase. Deglutì a vuoto.
Ma, benché Edward le avesse detto espressamente che aveva sfiorato l’idea di papparsela per cena, non aveva paura di lui.
Sentiva di potersi fidare.
- scusa, ehm… -
- no, nulla, tranquillo. –
- non hai paura? Non sei disgustata? –
- perché dovrei esserlo? – chiese Bella, non capiva proprio.
- perché sono un mostro, disumano… raccapricciante, senz’anima e morto… - disse il vampiro, con un dolore antico e profondo. Bella rimase assolutamente colpita dalle sue parole intrise di sofferenza.
- Edward, non è vero che non hai un’anima … - mormorò Bella, sfiorando esitante il braccio dai muscoli scolpiti di Edward. Lui chiuse gli occhi, memorizzando ogni sensazione che quel leggero tocco gli aveva fatto sentire.
- tu non sei un mostro. – disse in disaccordo con lui, Bella. – e.. guardami. – cominciò. Edward si voltò ad ammirarla, come lei gli aveva chiesto.
La voce della ragazza era calda, accorata. - guardami… non trovo differenza tra te e me. Due mani, due braccia, due gambe… due occhi… io un mostro lo vedo come qualcosa di brutto, strano, cattivo… ma tu non sei cattivo. E non basta avere la pelle pallida e fredda, per ritenersi un mostro. Non sei strano. – non era brutto!
Gli sorrise dolcemente, per confermare la sua teoria.
- ma tu non capisci… io uccido… - disse, la voce distorta dal disprezzo e dalla rabbia verso sé stesso.
- anche noi mortali uccidiamo… - disse lei, con ovvietà.
Lui la guardò dritto negli occhi: - io ho ucciso... persone, in passato
Bella non capiva quale fosse il problema. – il passato è passato, Edward. Non puoi andare avanti a vivere, continuando a guardarti indietro, e a tormentarti con errori ormai fatti. Devi guardare avanti, smettila di farti condizionare dai tuoi sbagli… -
Edward fu colpito dalla profondità di quelle parole, e pensò quasi che avesse ragione Isabella. Ma lui era tremendamente masochista, orgoglioso e testardo. Doveva darsi la colpa di tutto, o non era felice. O meglio, non si sentiva in pace con sé stesso. Perché tormentandosi così non è che fosse tanto contento.
Ma lui si odiava profondamente.
- ho ragione, lo sai. Semplicemente, sei troppo orgoglioso per ammetterlo. -
- ma come fai…? Come? Io sarei già scappato via, se le situazioni fossero ribaltate… non hai paura di uno come me, ed è… inconcepibile! Tu dovresti andartene via, il più lontano possibile… invece, sei qui accanto a me, cercando di farmi cambiare idea su quel che penso della mia dannata natura… - Isabella non parlò, si limitò a scrutarlo intensamente. Era davvero crudele con sé stesso.
- sei così buona, innocente… ingenua
- non è vero. Capisco i rischi che potrei correre, non sono una sprovveduta. Ma non ho paura di te. – disse sicura.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Salve a tutti, scusate per il ritardo, ma ce l'ho fatta: ho finito il nuovo capitolo. Nonsi può definire 'bello', e sinceramente non credo nemmeno che sia troppo... be' è tipo di passaggio, non sapevo bene come e cosa scrivere. Ecco tutto. Spero vi piaccia almeno un po'.
Un bacio; aLiCe__CuLlEn
Capitolo IV
-buongiorno papà – disse Isabella, tirandosi, mentre entrava nella cucina, ancora in pigiama.
- ‘giorno tesoro. Com’è andata ieri la festa? Ti sei divertita? – chiese suo padre, distogliendo l’attenzione dal quotidiano per rivolgerla alla figlia. Lei, dal canto suo, arrossì di botto.
- molto.. mi sono… divertita molto – borbottò, togliendosi un ciuffo ribelle dalla fronte.
La verità era che Isabella non riusciva proprio a togliersi dalla testa quegli occhi pieni di tristezza, ma al contempo così meravigliosi.
Diede le spalle al padre, prese il latte dal frigo, un bicchiere dalla credenza, e fece colazione.
- io vado, tesoro. Buona giornata. – Charlie le baciò una guancia, poi scappò al lavoro.
In quanto ad Isabella… le aspettava una lunghissima giornata di scuola.
Si preparò, poi con zainetto in spalla, si diresse verso La Push, dove c’era la sua scuola. La strada non le pesava più ormai: era così abituata a farla, che ne conosceva ogni minimo sassolino, ogni tombino, ogni buca…
E lei odiava quella strada, era come andare al patibolo.
Raggiunse la sua ‘amatissima’ scuola, e Angela si sbracciò per salutarla. Isabella le fece un cenno, mentre la raggiungeva.
- ehi, Isa! Angie! – comparve anche Jessica, che era gongolante.
- ieri è stata una festa… STRATOSFERICA!! No, non ci crederete mai cos’è successo! Mi sembra ancora di sognare… - Isabella era già stufa di stare a sentire il ciarlare della sua amica, sapeva che sarebbe stato un pettegolezzo, quello che aveva da dire.
Sospirò silenziosamente, senza farsi sentire. Vagò con lo sguardo per il cortiletto, ma vedeva solo i soliti ragazzi Quileute, qualche ragazzo di Forks come Mike, Erik e Ben… insomma, la solita tiritera di tutte le mattine.
- poi i Cullen… – Isabella magicamente tornò ad interessarsi di quello che aveva da dire Jessica.
- i Cullen? intendi i cinque ragazzi che abbiamo visto ieri? – Isabella finse di non conoscerli, anche se in realtà sapeva bene a chi l’amica si riferisse.
- si, proprio loro. Cioè, ci credete che uno di loro mi ha rivolto la parola? –
- cosa? Ma Jessica, come puoi? I tuoi se lo scoprissero ti farebbero fuori! Ma com’è successo? – Angela era stupita ma, allo stesso tempo, curiosa.
- stavo versando il punch nel bicchiere e quello biondino mi ha urtato. È stato gentile, mi ha chiesto scusa e mi ha pure domandato se mi avesse fatto male! – Jessica era su di giri.
- ah, io pensavo ci avessi parlato tanto… - fece Angela.
Isabella non accennò al fatto che lei, invece, con uno dei cinque ( e proprio quello più bello ) c’avesse conversato. Conoscendo Jessica, l’avrebbe detto in giro, e oltre ad ottenere l’odio da tutta la sua scuola, sarebbe pure stata diseredata da suo padre. Per cui, meglio fare silenzio.
- certo, però, che sono proprio belli… - commentò poi Jess.
- oh, non lo mettiamo in dubbio, però io sono con i Black, o non mi troverei qui. – disse Angela, solenne. Marie rimase muta, non occorreva il suo parere, anche perché non sarebbe andato a genio a tutti i lupi della riserva. Ma cosa ci poteva fare, se era imparziale? Che poi, forse, era la scelta migliore.
Vagò nuovamente con lo sguardo, fino a che la sua visuale non venne coperta da un energumeno in mezze maniche.
- ma ciao, Isabella! – Jacob Black.
Lei grugnì in risposta.
- anche io sono felice di vederti, piccola. Ma dimmi, perché ieri non ti ho adocchiato alla festa? -
- perché hai problemi alla vista, io c’ero – fece la spocchiosa.
- che hai fatto tutta la sera senza di me? – chiese il lupo, arrogante e presuntuoso.
- come se mi servissi tu, per passare la serata… Black, il mondo non gira intorno a te. – disse Isabella pungente. Le sue amiche, accanto a lei, erano basite: loro non si sarebbero mai sognate di rispondere così ad un Black; senza contare che nessuno, a parte Isabella, avrebbe rifiutato le attenzioni di Jacob.
- più mi tratti male, più mi piaci piccola Swan… -
- e più tu insisti, più ti detesto… -
- meglio di niente! – fece un sorrisone – l’odio è un sentimento forte, quasi al passo dell’amore. – poi le girò la schiena e se ne andò. Isabella sospirò, frustrata: avrebbe dovuto starsene zitta, almeno una volta.
Al suono della campanella entrarono nell’edificio, pronte ad affrontare l’ennesima giornata di scuola.
Durante la mattinata, Isabella incrociò più volte Jacob, ma non la importunò, con grande sollievo di quest’ultima.
*******
- sono a casa…- mormorò, entrando nell’abitazione. Suo padre non c’era, perciò andò spedita in camera sua, di sopra. Preparò dei vestiti comodi, poi andò a farsi una rigenerante e rilassante doccia calda. Con indosso l’accappatoio, tornò nella stanza.
E urlò, urlò come una forsennata, quando vide una persona appollaiata sul suo davanzale. Era in controluce, e Isabella non riusciva a vedere i tratti di quell’individuo.
- sh, sh, non urlare, Isabella… - mormorò lui, avvicinandosi a lei. La voce le morì in gola, quando riconobbe il tono dolce e sofferente di Edward. Il vampiro avanzò nella penombra, e Isabella poté finalmente vederlo nella sua totale bellezza.
- Edward! mi hai fatto prendere un colpo! – lo sgridò, portandosi una mano al petto, dove l suo cuore stava facendo capriole, sia per lo spavento sia per la presenza del rosso.
- scusa – lui ridacchiò – non volevo metterti terrore…-
- ma che terrore e terrore… solo, non farlo più… - disse lei a fatica, con il respiro ancora accelerato.
- cosa ci fai qui? - chiese poi lei, ripresasi un po’.
- volevo… volevo stare con te. – disse lui, passandosi una mano tra la zazzera rossa – anche se ti sembrerò un pervertito maniaco spione. – e si voltò, dandole la schiena. Isabella si ricordò di essere in accappatoio, perciò prese i suoi vestiti e intimando un – non muoverti di lì – corse in bagno a vestirsi. Si guardò allo specchio: aveva una faccia sconvolta, le sue gote erano rosse e gli occhi lucidi. Non poteva davvero essere che un vampiro le facesse quell’effetto. Poi si rese conto che Edward non era un vampiro, ma il vampiro, e pure un Cullen.
Si vestì velocemente, impaziente di tornare nella sua stanza: non aveva mai così ardentemente desiderato la compagnia di qualcuno. Anzi, lei non aveva mai desiderato la compagnia di nessuno!
Cos’è che s’era detta una volta?
“Non aveva intenzione di legarsi a qualcuno per due validi motivi:
- per prima cosa, era troppo giovane;
- secondo, non aveva simpatie per nessun ragazzo.
Ad essere sincera, lei detestava proprio il genere maschile.”
E ora? Adesso non era più così convinta.
Tornò in camera sua, dove Edward se ne stava immobile come una statua, in piedi, nella posizione in cui l’aveva lasciato.
- che cavolo stai facendo? -
Lui sciolse i muscoli, e le sorrise : - hai detto di non muovermi… -
- ah, giusto. - ridacchio. – comunque – esordì – non ho pensato che fossi un maniaco pervertito. Piuttosto un ladro, ma per il resto… - Edward rise, ma senza che l’allegria illuminasse i suoi occhi.
- e anche a me piace la tua compagnia. – si strine nelle spalle – forse se fossi anche un po’ più allegro e non sempre così giù di morale, sarebbe ancora meglio. – lui chinò il capo, amareggiato.
- fa parte della mia natura essere così –
- no, fa parte delle tue assurde convinzioni, mannaggia! – protestò la ragazza, sdegnata.
- sei convinto di essere sbagliato, di essere un mostro, di essere un assassino… ma cavolo, te l’ho già detto! ormai sono convinta che ti piaccia essere così masochista! Ma a me dà fastidio! Quindi- prese un respiro, cercando di stare calma e di non prenderlo a crapate – se vuoi ancora che ti sia amica e che non dica ai Black che mi hai importunata… VEDI DI DARTI UNA REGOLATA. – intimò seria e convinta, guardandolo dritta dritta negli occhi. Edward era in difficoltà; non poteva di certo dimenticare le sue idee con uno schiocco di dita, ma non voleva perdere Isabella. Avrebbe tentato.
- e così, ti sto importunando? – le si avvicinò minaccioso, con un ghigno in faccia. – e vuoi dire ai licantropi della mia incursione? – era ora di farla spaventare un po’. Isabella indietreggiò, intimorita. Non le faceva paura la sua espressione, ma di certo non la rassicurava.
- sai, so essere davvero crudele con i ricattatori… - e le sorrise furbescamente, poi schizzò in avanti, l’afferrò e volò al davanzale della finestra, sporgendola verso il vuoto.
- no!! Edward, mettimi giù, ho paura ti prego! – nonostante le suppliche, rideva.
Edward fece cenno di lasciarla andare, e lei si aggrappò stile koala a lui.
- hai detto tu di metterti giù. – fece saccente.
- sai cosa intendevo, dai! – ridendo, Edward la posò terra. Era davvero allegro, in quel momento. Sentì che non era così difficile con lei lasciarsi andare. E pertanto era anche facile farle del male. Ed era l’ultima cosa che avrebbe voluto.
- sai, così va molto meglio – commentò Isabella, vedendo il sorrisino spuntato sulle labbra del bel vampiro.
- che cosa? – la sua espressione confusa la divertì.
- mi sembri più sereno. – constatò lei. – è un bene, almeno non mi sembri un nonno depresso. –
- nonno depresso?! – Edward si sentì ferito nel suo orgoglio da eterno diciassettenne.
- ehi! Non per dire, ma sono molto più giovanile io di te. –
- cosa? Io non credo proprio. – e rise. Edward era stordito, talmente melodiosa era la risata di Isabella.
- tu quando sei nata avevi già trentacinque anni, come minimo! – la sfotté. Isabella gli fece una boccaccia, indignata. Poi scoppiarono a ridere, sereni.
*********
- ‘orgoglio e pregiudizio’? – alzò un sopracciglio, scettico. Quel libro l’aveva letto, ma non gli era piaciuto particolarmente, benché fosse un amante dei classici.
- si, è il mio libro preferito. Problemi? – Isabella gli lanciò un’occhiata eloquente.
- no, no…nessuno. Solo che è bizzarro trovare un’adolescente a cui piacciono ancora i classici. Almeno, in questi anni. –
- sarò bizzarra io, ma trovo che la Austen sia una maga della scrittura. –
Edward si strinse nelle spalle, e continuò a guardare la libreria di Isabella.
- anche Shakespeare? – chiese.
- soprattutto Shakespeare. – rispose lei – amo la storia di Romeo e Giulietta: è l’esempio di quanto l’amore possa essere potente. –
- credi che in amore si possa dare realmente la vita per l’altro? –
- non lo so, non mi sono mai innamorata davvero. Ma immagino di sì, perché se sei legato davvero tanto a qualcuno, credo che daresti tutto, purché non gli facciano del male… anche dare la tua vita. – e si voltò a guardare il suo viso.
- con questa spiegazione, quasi c’ho creduto davvero… -
*********
Stavano chiacchierando, quando arrivò Charlie a casa. Ma non era solo.
Edward schizzò subito in piedi, e storse il naso. – cani…- sputò.
- merda, merda, merda! – continuava a ripetere Isabella tra sé, con le mani tra i capelli.
- devo andare, - disse lui, sfiorandole una guancia – ma sarò abbastanza vicino da spaccare la testa a Jacob Black se dovesse importunarti. –
- mi faresti un favore immenso, se lo facessi sul serio…-
- ma sarebbe guerra aperta, - commentò lui, avvicinandosi alla finestra – gira un po’ per la casa correndo, prova a coprire il mio odore, cambia vestiti o finirai nei guai. – e sparì.
Isabella cominciò a correre per la stanza, spruzzando qua e là il profumo che le aveva regalato Jess. Poi corse in bagno a cambiarsi, consapevole che il vampiro non era ancora lontano. Corse di nuovo in camera sua, chiuse la finestra, e andò via.
Edward, fuori dalla finestra, la osservava rapito e divertito al contempo. Che creatura straordinaria era, quella piccola umana.
Lei corse giù in salotto, trovandosi già suo padre e gli sgraditi ospiti.
I due Black la guardavano in modo strano, con un cipiglio sui volti scuri.
- ciao papà, Jacob, Billy – cercò di sorridere loro. Non riusciva a capire se avessero sentito o meno l’odore di Edward addosso a lei. Ma sperava vivamente che i due in quel momento avessero il raffreddore. n riusciva a capire se avessero sentito o meno l’odore di Edward addosso a lei. Ma sperava vivamente che i due in quel momento avessero il raffreddore.

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Capitolo 6
*** Capitolo V: pessima attrice ***


Come annunciato, eccomi qui con il capitolo di questa storia. ^^
Chiedo di nuovo scusa, ho fatto un ritardo imperdonabile. Ma l'ispirazione è più presente, ora U.U
Spero che questo capitolo vi piaccia un po' almeno. E' venuto così, spero sia decente. Vi mando un bacio.
Buona lettura.
...
Capitolo V- Pessima attrice.
-Ciao papà, Jacob, Billy –
I due Black continuavano ad osservare Isabella con insistenza. Per una volta, Jacob non aveva quel sorrisino odioso stampato su quella faccia da schiaffi. Ma, in compenso, il padre del lupo alfa la guardava come schifato.
- Billy e Jake rimangono qui per cena. – annunciò Charlie, gongolante.
-proprio così. Ovviamente, se non avete altri ospiti attesi...- fece il vecchio in sedia a rotelle, scrutando Isabella, che arrossì. Lei non riuscì a spiccicare parola, attonita; era terrorizzata all’idea che scoprissero di Edward.
- ma che dici, amico mio! – fece il padre di Isabella, con una grossa risata- siete sempre i benvenuti, da me, comunque -
- allora mi metto al lavoro... – mormorò appena Isabella, scomparendo nel cucinino. Si appoggiò al piano cottura e sospirò. Il suo vampiro complessato aveva rischiato grosso; se gli fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe perdonata. Mai. Edward stava diventando importante per lei. Era un processo molto rapido, quello che faceva aumentare il sentimento che la legava a lui, e non sapeva come contrastarlo, ben conscia dei casini in cui sarebbe andata in contro. Ma ormai era in ballo, e avrebbe ballato. Sarebbe stato un dolore fisico, per di più, troncare l’amicizia con Edward, proprio ora che era sbocciata.
Prese dalla credenza una pentola, e cominciò a fare il soffritto per il sugo. Era troppo tesa perché facesse qualcosa di complicato, e poi, non era da lei sprecarsi per i Black. Non aveva mai ostentato il suo odio per Jacob, consapevole di dare un dispiacere al padre- anche se il lupo lo sapeva bene, di non essere ben accetto da Isabella.
-piccola Swan, tu nascondi qualcosa. Sei strana, oggi. – Isabella sussultò, quando alle sue spalle, le giunse la voce tonante di Jacob.
- sto benissimo. – rispose secca, senza sbilanciarsi troppo. Anche perché era negata a mentire, e non sarebbe servito a nulla il suo sforzo. – grazie per l’interessamento- aggiunse, sperando che il discorso finisse lì. Ma credeva male.
- sbaglio, o sei più tesa del solito? – lui si avvicinò ancora, Isabella cominciava a percepire il calore emanato dalla pelle del licantropo. Meglio il freddo, pensò. Il lupo si fermò, per poi storcere il naso.
- c’è uno strano odore... – e a quelle parole, Isabella si irrigidì di più. La ragazza annusò l’aria, poi portò una ciocca dei suoi capelli al naso. Mascherò la sua espressione nervosa con un sorriso: - è il mio shampoo nuovo: profumi freddi – .Cercò di non ridere per l’allusione, e accompagnò i capelli in alto, vicino al viso di Jacob. Il Quileute storse il naso, indietreggiando. – Non mi piace molto, cambialo.. – consigliò il lupastro, con una smorfia. Isabella sorrise tra sé; non era possibile. E poi, a lei, il profumo di Edward piaceva molto.
Edward, lontano da casa Swan, ma sempre abbastanza vicino per la sua Isabella, ascoltava e vedeva la scena dal punto di vista del licantropo. Lo infastidivano tutte quelle insistenze sulla sua umana, e soprattutto, i pensieri che Black faceva su di lei. Era la terza volta, quella, che aveva avuto la tentazione di sfondare la parete e rapire Isabella. L’avrebbe riportata, certo, ma solo quando Black sarebbe sparito dalla faccia della terra.
S’irrigidì d’improvviso, quando Jacob fece notare alla ragazza l’odore. Era certo l’avrebbero scoperto, e non l’avrebbe più vista, se non da lontano. Ma, ancora una volta, Isabella lo stupì.
Il vampiro scoppiò a ridere, sollevato, quando usò la scusa dello shampoo. Black era così tonto, da non arrivarci. Eppure, Isabella aveva dato pure un indizio. Fortunatamente, Jacob non aveva più il sospetto di un’intromissione da parte di un vampiro in casa Swan. La scenetta di Isabella, quasi credibile, l’aveva convinto.
Edward s’appuntò mentalmente di avvertire la ragazza delle sue scarse abilità d’attrice; l’avrebbe istruita lui, cosicché in altre situazioni come quella – perché di incursioni ce ne sarebbero state altre, di certo-, non sarebbe stata presa dal panico.
Era più furba di quanto apparisse, constatò Edward, continuando a osservare- con gli occhi di Black- Isabella che cucinava. Non aveva mai trovato così interessante un’umana.
Un tempo, li trovava noiosi e fastidiosi. Ora, era totalmente incantato da quel mucchietto di pelle e ossa, così fragile e tenero. Se la sera della festa di Black, non avesse notato il mutismo della sua mente, non l’avrebbe mai seguita all’esterno. E non l’avrebbe mai conosciuta, né apprezzata.
Era felice che Isabella volesse essergli amico. Non gli piaceva però, l’idea che aveva di loro; come poteva non considerarli mostri? Erano vampiri, ladri di vita altrui. Rubavano la linfa vitale altrui, per preservare la propria: come, come poteva, quella ragazza, credere che avesse, lui, un’anima? Isabella vedeva il bene in tutti, era così pura, così altruista e generosa, che non coglieva quanto lui fosse ributtante. Diventava quasi ingenua, cieca.
Per questo, Edward non si lasciava convincere dalle sue parole; non riusciva, anche sforzandosi, a crederle. Lui non era buono. Lui non era una persona. E, perciò, non era nemmeno degno di essere suo amico.
Pensò di essere stato felice fin troppo, quel giorno, ed era arrivato il momento di tornare a casa. Di tornare a pagare la sua dannazione, senza piaceri. Gli sarebbe mancata Isabella. Lo sapeva, lo sentiva dentro. Ma non voleva metterla in pericolo.
- Addio, Isabella – mormorò, saltando giù dal ramo su cui era appollaiato. Cominciò a correre verso casa Cullen, senza voltarsi indietro. Non doveva farlo, perché sarebbe tornato da Lei. Isabella doveva stare al sicuro, lontano dal suo fiuto letale, dai suoi denti affilati, dal suo freddo mortale.
In pochi istanti, raggiunse la villa di Carlisle, e varcò la soglia con una fretta non sua. I genitori e i tre fratelli lo guardarono storto, confusi. Alice lo seguì nella sua stanza, più eccitata del solito.
- Allora, fratellino.. – esclamò, pronta a lanciargli uno sguardo malizioso. Il suo sorriso morì, lasciando il posto ad un tenero cruccio da folletto. – Edward, che hai? – domandò, avvicinandosi al divanetto su cui lui si era accasciato. Il rosso sospirò, mentre il tormento gli sfigurava il viso perfetto. La sorella, preoccupata, gli sfiorò il braccio, tentennante.
- Pensavo..mi aspettavo di trovarti sorridente. Cos’hai, Edward?- insistette.
- Non voglio più vederla. –
- COME?! Deve ancora diventare la mia migliore amica, Edward. Ti rendi conto di questo?-
- Non lo sarà. –
- Ma perché?!- domandò, infuriata, lei.
- perché?! Perché noi siamo dei mostri, Alice! Potremmo metterla in pericolo, senza contare quei fetidi botoli pulciosi! Io... Non me lo perdonerei mai. Mai. – Il vampiro, tornato seduto, si prese la testa tra le mani, frustrato. Alice l’abbracciò teneramente, trasmettendogli quell’affetto di cui aveva bisogno, e dandogli un po’ di speranza.
- Non gli faremo del male, Edward. –
- lo spero. –
- Billy, allora, per sabato è tutto pronto?- L’uomo in sedia a rotelle sorrise appena a Charlie. – Annullato-
L’ispettore Swan strabuzzò gli occhi, incredulo: - E perché mai? –
- Perché sì. Ora, scusa, ma devo andare. – Jacob si alzò, e allontanò il padre dal tavolo.
- BILLY!- tuonò Charlie, infastidito dal tono assunto dal suo amico. Gli aveva parlato come se fosse un traditore o un bugiardo.
- Arrivederci!- rispose l’altro, mentre lo scricchiolio sempre più tenue faceva intuire l’avvicinarsi dei due Quileute alla porta d’ingresso. Il padre di Isabella li seguì, infuriato, mentre lei se ne stette buona buona seduta, pregando che Billy non parlasse. L’avrebbe disconosciuta, se avesse scoperto che aveva parlato con un Cullen. La discussione tra i due fu molto accesa; il lupo anziano dava del traditore allo Swan, che non capiva le parole del Black. Solo alla fine, Jacob intervenne per allontanarli; poi portò sull’auto il padre e partì per la riserva di La Push.
Charlie rientrò nel cucinino sospirando, passandosi una mano tra i capelli. Pareva diventato incredibilmente stanco, invecchiato. Isabella si sentì uno schifo, nel ridurre così la persona che le voleva più bene. Era una pessima figlia. Era colpa sua se quei due, amici da una vita, avevano discusso. Lei, a differenza di Charlie, sapeva. Billy aveva riconosciuto l’odore di Edward, non era uno sprovveduto. Non per niente, era l’anziano più importante, nella tribù di indiani.
- Bells, da domani andrai a scuola a Forks. – annunciò, poi, l’espressione diventata seria e orgogliosa. Lei annuì, poi si alzò e cominciò a disfare la tavola, mentre Charlie si sedeva in salotto di fronte alla TV. Isabella lavò i piatti, spazzò i pavimenti, con un’attenzione quasi maniacale; cercava di distrarsi dal senso di colpa che l’aveva attanagliata, ma anche di cancellare quel sollievo dovuto alla liberazione di un peso. Via i Black, via le restrizioni con Edward.
Finì di sistemare la cucina, poi salutò il padre. Salì al piano superiore, facendo i gradini a due a due. Arrivata in camera sua, indossò il pigiama. Guardò la sua finestra, ancora aperta, e sospirò. Poche ore prima, Lui era lì. Si avvicinò al davanzale, e guardò il cielo stranamente stellato. Come nel loro primo incontro.
Una leggera brezza le accarezzò il viso, fresca come il respiro di Edward. Socchiuse gli occhi, e sorrise appena.
Nonostante lo conoscesse da così poco, si trovava in sintonia con lui. Più che con qualsiasi altra persona. Sapeva che la sua amicizia era sincera e disinteressata – non che quella di Jess e Angela non lo fosse. Comunque, il vampiro ramato aveva bisogno di lei.
Tornò al suo letto e si nascose sotto le coperte, attendendo che il sonno la sopraffacesse.
Isabella si svegliò verso le sette, quella mattina, con il trillo acuto della sveglia. Si stiracchiò tutta, si alzò e scese a far colazione. Charlie le sorrise forzatamente;
- Ho già chiamato la scuola, hanno preparato tutto per il tuo arrivo. – Isabella annuì, e recuperò dalla credenza una tazza. Si trascinò fino al frigo, ne estrasse il latte, e da un altro mobile prese i cereali. Mangiò con calma, mentre Charlie finiva di leggere il suo giornale. Con un bacio e un saluto, il padre si congedò per andare al lavoro.
Isabella risalì, dopo aver lavato la scodella e aver riposto tutto al suo posto. Si preparò accuratamente, scegliendo perfino cosa mettere con attenzione. Il tempo, come sempre, non era dei migliori. Almeno, pensò, non pioveva. Mise le sue Converse, immancabili, e marciò fino al liceo della città.
La Forks High School non era gigantesca; si trattava di vari locali, adibiti a laboratori e classi, più una palestra e un edificio poi grande come mensa. Comunque, era sempre più grande e popolata di quella della riserva di La Push.
Isabella attraversò lo spiazzo in cui vi erano parcheggiate alcune auto, e si diresse verso il fabbricato indicato dalla scritta ‘segreteria’.
La signora Cope, l’addetta, alzò lo sguardo e incontrò il timido sorriso di Isabella.
- Oh, tu devi essere la figlia di Charlie... – le sorrise cordiale, e le porse varie carte da far controfirmare ai professori, la mappa della scuola, e l’orario.
- Buona giornata – augurò la ragazza, gentile.
- In bocca al lupo. – ribatté la donna dai capelli tinti di un rosso acceso. Sono meglio quelli di Edward. Pensò Isabella, ridacchiando del suo stesso paragone. Sorpassò la soglia, e notò che il parcheggio si stava riempiendo di ragazzi. Il chiacchiericcio che c’era s’interruppe bruscamente, e Isabella si voltò a curiosare. Una Volvo metallizzata entrò nello spiazzo, e parcheggiò dall’altro lato, rispetto a dove stava Isabella. Ne uscirono dei ragazzi che aveva già visto: il resto dei Cullen, i fratelli di Edward. E lui, come chiamato, fu l’ultimo a scendere, apparendo dalla parte del conducente. Alcune ragazze, non lontane da lei, sospirarono, trasognate. E non solo loro; l’intero corpo studentesco femminile sbavava dietro a quei tre ragazzi stupendi. Ma, come notava Isabella, se ne stavano a debita distanza.
Effetto vampiresco.
Edward osservò con aria annoiata il cortile, incrociando due occhi meravigliosamente cioccolato. Si stupì molto, ma ne fu immensamente felice. Al suo fianco, Alice ghignava.
Il vampiro rosso reagì d’istinto: attraversò a grandi falcate l’intero cortile, causando stupore generale. Che s’animò ancor più, quando il saluto di Edward rimbombò nel silenzio.
- Ciao- Sorrise entusiastico. Isabella rispose al gesto, con altrettanta allegria.
- Ciao-
- Che ci fai qui? Mica – Edward abbassò il tono, mentre le persone cominciavano a mormorare, - mica frequentavi il corso alla riserva? –
- Black e mio padre hanno litigato, ieri sera... Billy ha sentito il tuo odore, ma non è idiota come Jacob. –
- Sì, il tuo nuovo shampoo- commentò Edward, ridacchiando con Isabella.
- Ma quindi, hai visto la scena: com’è che non sai il finale? – inquisì la ragazza, sospettosa.
Edward tentennò. - Ho..pensato di lasciarti perdere; ti stavo incasinando troppo la vita... Volevo ignorarti... – ammise, chinando il capo. Isabella sbuffò.
- Edward Cullen, sei davvero impossibile. Perché non vuoi capire che.. – Lui la interruppe.
- Lo so, scusa. Ma come vedi, ti sto parlando. E sono felice che tu sia qui. – disse sincero. Isabella sospirò: - sei comunque impossibile. –
Alle spalle del rosso, ecco spuntare una specie di folletto, sorridente da un orecchio all’altro, - ciao, io sono Alice! – trillò. Aveva una voce briosa, il visetto simpatico, l’aria furbetta. Sembrava simpatica.
- Io sono Isabella – fece lei, un po’ imbarazzata.
La campanella suonò, e Alice trotterellò dal suo fidanzato, mentre i due, Edward e Isabella, rimasero lì a sorridersi imbarazzati.
- Andiamo...- mormorò lei, e lui la scortò alla prima lezione, le sorrise e poi si defilò. Isabella entrò nell’aula, e tutti si voltarono a guardarla, manco fosse un alieno. Porse il foglio al professore, che lo firmò e le indicò un posto in ultima fila. L’unico libero. Incespicò varie volte, mentre andava al banco, e si bloccò appena prima di scostare la sedia. Il suo compagno, era il fratello gigante di Edward. Lo sguardo dorato di lui la osservò bene, poi gli angoli della bocca si sollevarono appena verso l’alto.
Edward era tutto matto, pensò Emmett. Però, quello scricciolo gli stava già simpatico. Appena fossero diventati dei bravi compagni di banco, le battutine non gliele avrebbe risparmiate nessuno; tantomeno lui. Immaginò Edward ringhiare, sicuramente leggeva il suo pensiero, in quel momento.
Isabella, goffamente, si sedette sulla sedia, richiudendosi sopra di essa come a guscio. I capelli le nascondevano il viso, rosso pomodoro, mentre fingeva attenzione verso il professore. Il vampiro moro represse un ghigno; era una pessima attrice.
Intanto che la lezione di spagnolo continuava, Emmett cercava un nomignolo da affibbiarle in futuro; Isabellina, Isuccia, Uccia ( come Uccio, il diminutivo di Edwarduccio), Isagoffina, Isagoffetta, Isapessimattrice... Non lo convincevano, ne avrebbe pensati più avanti di migliori.
La campanella suonò, e mentre tutti si sbrigavano ad uscire, il Cullen prendeva tempo. Isabella raccolse il libro velocemente, ma inciampò più volte nei suoi stessi piedi, rischiando di volar a terra.
- Ehi – la ragazza si voltò con un sussulto, sentendo la voce tonante del ragazzo, - comunque, io sono Emmett. – Lei annuì, e purpurea, camminò velocemente all’uscita. Peccato che il suo equilibrio facesse davvero schifo, e riuscì ad inciampare ancora. Si scontrò contro qualcosa di freddo, marmoreo; una risata cristallina partì da lì, vibrante e splendida. Era un suono che a Isabella piaceva particolarmente, mentre che a Emmett fece venire un infarto. In senso figurato. Non era mai riuscito a sentire suo fratello ridere così di gusto, così allegro. Lei aprì gli occhi, ritrovandosi avvinghiata al collo di Edward, mentre le sue braccia muscolose le cingevano i fianchi. I loro visi a poco più di un centimetro l’uno dall’altro. Trattennero il fiato entrambi, mentre lei diventava di un color prugna intenso. Isabella ebbe la geniale idea di sciogliere la presa da koala, e Edward la lasciò andare a sua volta. Emmett rideva sguaiato, e i ragazzi intorno a loro erano come congelati sul posto, attoniti per la scena appena avvenuta.
- Sono un disastro – affermò Isabella, - ho un equilibrio che fa schifo –
- Solo un pochino – rincarò Emmett, che cercava di placare i singhiozzi. Edward lo trucidò con lo sguardo, e per il gigante fu impossibile trattenersi ancora. Riscoppiò in una risata che faceva vibrate il terreno. Le sue urla avevano richiamato anche l’attenzione del resto del clan dei fratelli Cullen. Alice ridacchiava, ben conscia di ciò che fosse successo, mentre Jasper e Rosalie si chiedevano se l’unico neurone di Emmett non fosse morto di solitudine.
- Che succede qua?- domandò il biondo leonino. Emmett in risposta continuò a ghignare, Alice gli faceva eco, Isabella arrossì più del dovuto. Edward cercava una forza interiore per trattenersi dallo sbraitare contro i fratelli.
- Succede che le vostre rispettive metà hanno qualche problema mentale- ringhiò Edward,- la trasformazione deve avergli fatto perdere la ragione, da molto tempo ormai- Emmett si zittì d’improvviso, Rosalie spalancò la bocca, Jasper s’irrigidì. Alice rimase solo con un sorrisetto compiaciuto sul visino da folletto. La bionda cominciò ad imprecare mentalmente contro Edward, per essere stato così sventato da dire quella parola.
Isabella abbassò il capo, arrossendo di più, e mormorò a Edward di dover andare in classe. Detto ciò, sgusciò via.

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