Black feathers [and] Crimson eyes

di Fiamma Drakon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io dico San... tu rispondi...? ***
Capitolo 2: *** A little joke ***
Capitolo 3: *** Malattia... ***



Capitolo 1
*** Io dico San... tu rispondi...? ***


1_Io dico San... tu rispondi..._
~ Io dico San... tu rispondi...? ~


Mi svegliai di soprassalto, la fronte madida di sudore, i capelli scompostamente sparsi sul viso e sugli occhi, ad indicare chiaramente che non ero rimasto poi tanto fermo durante il sonno.

Mi ritrovai a fissare l’oscurità che mi circondava, appena rischiarata da una grigia e tenue luce proveniente dall’altra parte delle tende a lato del letto.
Socchiusi gli occhi, mettendomi supino: mi sentivo uno schifo.
Presente la sensazione che provi dopo aver ingerito alcolici per tutta la sera e sei sul punto di vomitare?
Ecco, stessa cosa, solo che nel mio caso quella sensazione non era data da una sbronza serale, ma era indotta dal sonno inquieto dal quale mi ero appena ridestato.
Oltre a quel senso di nausea, la testa mi pulsava dolorosamente: segno inequivocabile che avevo dormito troppo poco e troppo male per essere in condizioni quantomeno accettabili.
Mi passai una mano sugli occhi e sulla fronte, allontanando da essi i capelli e tergendomi il sudore; contemporaneamente, allungai l’altra mano a cercare un corpo accanto a me.
- Break...? - chiamai stancamente.
Sentii la mia mano uscire dal rifugio che formavano le coperte e toccare il materasso vuoto e freddo di fianco a me.
Volsi appena la testa a controllare: sì, il posto era vuoto, la coperta divelta come se l’occupante dovesse ritornarci a breve.
Sospirai, mettendomi seduto, lasciando che la coperta si afflosciasse sul mio grembo, lasciando scoperto il mio torso completamente nudo.
Rassegnato, lanciai un’occhiata alla sveglia sul comodino: le lancette segnavano appena le sei e mezza.
Sollevai gli occhi al soffitto: quando mai Break aveva avuto orari ipoteticamente normali?
Mai.
Nonostante fossimo rimasti svegli fino a notte fonda a “giocare” sotto le coperte, lui non aveva comunque problemi a svegliarsi al canto del gallo.
Tutto il contrario di me: se non dormivo minimo sette ore non riuscivo a mettere in moto il cervello neppure volendo.
Ignorando il mal di testa, mi costrinsi a scivolare fin sul bordo del letto e alzarmi, sfuggendo al caldo rifugio che erano state le coperte.
Mi diressi verso la porta, lasciata socchiusa.
Quando l’aprii, impiegai qualche istante ad adattare la vista alla luce del soggiorno, decisamente troppo intensa rispetto a quella della mia camera.
Nell’aria carpii immediatamente l’odore tipico del thé misto a quello dei dolci, così andai verso la cucina, affacciandomi alla soglia: all’interno notai immediatamente la figura, già vestita di tutto punto, che stava almanaccando ai fornelli.
Mi appoggiai qualche istante allo stipite: la nausea mi era passata, forse perché ora ero un po’ più lucido e il mal di testa si era attenuato di molto, ma adesso mi sentivo estremamente stanco.
Rimpiansi di essermi alzato, perché già volevo tornarmene a letto.
- Gil-kun! Sei sveglio ♥! -.
L’esclamazione sorpresa e contenta al tempo stesso di Break attirò la mia attenzione su di lui: l’albino stava fermo vicino ai fornelli, ora spenti, con la teiera in mano, l’unico occhio visibile fisso su di me, accompagnato da un sorrisetto furbo che, nonostante il tempo trascorso insieme, trovavo ancora inquietante.
- Thé? - mi chiese, avvicinandosi al tavolo, che solo in quel momento notai essere occupato da un piccolo servizio da thé per due persone, completo anche di pasticcini.
Non annuii, per paura che il mal di testa ritornasse all’improvviso, ma mi diressi verso il tavolo e presi posto, mentre Xerxes mi versava un po’ di thé.
- Dormito male? - mi chiese poi, a bruciapelo, senza girarci tanto intorno: era fatto così, semplice e conciso.
Alzai gli occhi su di lui, cogliendone un movimento aggraziato ed elegante nel prender posto davanti a me, iniziando a sorseggiare il suo thé.
Il suo modo di bere mi ricordava molto quello delle signore aristocratiche che avevano consuetudine di prendere il thé alle cinque del pomeriggio insieme alle amiche per spettegolare.
Be’, lui non era una femmina e non spettegolava, ma l’atteggiamento, più o meno, era molto simile.
- Già... - mi limitai a rispondere a mezza voce, bevendo un sorso di thé.
Lo vidi allungare una mano a prendere un pasticcino, che osservò con finto interesse per qualche istante, prima di mangiarlo.
- Hai la classica brutta cera di chi ha dormito male, Gil-kun - esclamò, afferrando un altro pasticcino.
Poteva passare il fatto che avesse azzeccato alla prima che non avevo dormito bene, ma addirittura mettersi a fare osservazioni sul mio aspetto dopo una notte inquieta no: sapevo benissimo che avevo una cera orribile, non importava che me lo dicesse lui!
- E quelle occhiaie marcano in modo molto accentuato il tuo sguardo... - aggiunse ancora, come se fosse un complimento.
Dov’erano le pistole quando ne avevi bisogno?
In fondo all’armadio, ovvio.
- ... e sei molto, molto pallido... quasi quanto me ~! - ironizzò ancora, accompagnando l’appunto con una sincera risatina.
- Puoi smetterla di commentare? Ho dormito male e non sono in vena... -.
Mi decisi ad interromperlo con le buone, prima che quel poco di pazienza che avevo mi scappasse di mano.
Appoggiò un gomito sul tavolo, sorreggendosi con la mano il mento.
Lo vidi socchiudere gli occhi e stirare le labbra in quell’espressione che avevo imparato ad interpretare come maliziosa, e non volli neppure provare ad immaginare cosa gli stesse frullando per la testa.
Iniziò a dondolare impercettibilmente il capo sul suo supporto con fare infantile, continuando a fissarmi.
Era snervante oltremodo.
Nonostante non mi dispiacessero più di tanto le sue attenzioni, distolsi gli occhi dal suo e mi decisi a interrompere lo strano silenzio che era calato tra noi: - Break... si può sapere che diamine hai da fissare? -.
- Sai che giorno è oggi? - mi domandò invece, continuando a far dondolare il capo, portandosi alla bocca un altro pasticcino.
Lo guardai alcuni istanti, perplesso: era una data particolarmente importante?
Ripassai mentalmente tutte le date di compleanni e festività varie importanti per Break, ma nessuna corrispondeva alla data odierna.
L’albino sorrise al mio indirizzo nello stesso modo in cui si sorride ad un bambino confuso e spaesato, e ciò non mi piacque affatto: quel sorriso mi dava sempre la sensazione che per lui fossi solo un emerito idiota, e forse era proprio ciò che stava pensando di me in quel preciso momento.
O forse no.
Infine, Break si decise a parlare di nuovo: - Se io dico San... tu rispondi...? -.
Lo guardai ancora alcuni istanti, con tutta calma: era impazzito all’improvviso?
No, impossibile: era già abbastanza svitato da rientrare perfettamente nella categoria “pazzi”.
- ... Valentino? - conclusi poi, quasi d’istinto.
Il suo sorriso si allargò ulteriormente, l’occhio cremisi ancora fisso su di me.
Sguardo ambiguo: impossibile da decifrare.
Nel dubbio, meglio chiedere, ed è ciò che feci: - Ho azzeccato? -.
Per tutta risposta, Break prese la sua tazzina e la vuotò con un lungo e raffinato sorso.
Dondolò quindi la chicchera per il piccolo manico, osservandola con fanciullesco divertimento, quasi fosse un giocattolo.
Dire che in quello stato mi pareva un cretino era un eufemismo.
- Break...? - lo chiamai, incerto: iniziavo a temere seriamente per la sua sanità mentale, non che non sapessi che oramai era già da tempo compromessa.
- Andiamo fuori, Gil-kun? - chiese all’improvviso, senza distogliere l’attenzione dalla tazzina.
Possibile che non riuscisse ad intrattenere un discorso coerente?
Evidentemente no.
Ci riflettei su con calma: era San Valentino e Break mi aveva appena invitato ad uscire.
Che avesse in mente qualcosa?
Probabile.
Be’, uscire con lui non mi sembrava un’idea tanto sbagliata, in fin dei conti: se non ci fossimo tenuti per mano in mezzo alla strada, avremmo potuto passare per dei semplici amici, quindi... che male c’era?
Bastava non dare a vedere che eravamo in qualche modo legati profondamente e ne saremmo entrambi usciti indenni.
Mi strinsi nelle spalle.
- Va bene... ma niente manifestazioni di omosessualità in pubblico, chiaro?! Non voglio essere trattato come un lebbroso! - lo avvisai, serio.
Per un istante, il sorriso di Break vacillò.
- Perché pensi a loro, Gil-kun? Non bastiamo noi? Di che ti preoccupi? - chiese.
Era nella sua classica ottica del mondo, di che dovevo stupirmi?
Per lui esisteva solo l’utile e il necessario.
Il resto era inesistente.
E con “il resto”, intendeva tutto quello che non comprendeva me e lui.
- Perché fuori di qui, nel resto del mondo, io e te siamo sbagliati insieme -
- E allora? Importa qualcosa? -.
Abbassai lo sguardo su ciò che rimaneva del mio thé, a disagio: perché non capiva?
- Non possiamo confinarci qui dentro, dobbiamo uscire e affrontare il mondo. Ma il mondo può diventare cattivo, se non sei come dovresti... e non voglio complicazioni... -.
Mi sembrò d’essermi espresso male, tuttavia era così che stavano le cose: nel mondo di fuori, o sei etero o sei un discriminato.
Il mondo andava avanti su quella regola basilare.
Terminai silenziosamente il mio thé, gli occhi bassi.
Mi sentivo il suo sguardo addosso, ma avevo timore di incrociarlo: non volevo vedere cosa c’era.
Uffa, ma perché i discorsi cattivi toccavano sempre a me?!
Mi facevano sembrare noioso e paranoico.
Appena ebbi finito, mi alzai e finalmente portai lo sguardo su Break: questo stava studiando con finto interesse un pasticcino.
- Break? - lo chiamai.
Mi lanciò un’occhiata dal basso, a metà tra l’inquieto e l’offeso.
- Dai, andiamo... - continuai.
Lo vidi illuminarsi un poco, intuendo probabilmente a cosa alludevo.
- Sì...? -
- Sì. Ma prima sistemiamo in cucina -.
Lui saltò su, sorridendo in modo inquietante, quasi maniacale, quindi prese la teiera e i piattini che, lo notai solo in quel momento, aveva svuotato del contenuto, e se li mise in bilico sulla testa, mentre raccoglieva il resto.
Era il suo modo di sparecchiare: strano, molto strano, ma estremamente utile e rapido, difatti dopo appena dieci minuti avevamo già finito.
Lui andò a prendere il bastone in camera, quindi uscì e si sedette sul divano ad aspettare, mentre io mi vestivo: nonostante fossimo amanti e dormissimo nello stesso letto, il più delle volte seminudi, un briciolo di privacy c’era ancora, almeno quando si trattava di vestirsi.
Aprii l’armadio, presi il mio solito completo, mi sbrigai ad indossarlo e completai il tutto col mio solito cappello nero, quindi uscii.
Mi volsi verso il divano e lo trovai vuoto: Break era già alla porta, ancora quel sorriso inquietante stampato in faccia.
Gli andai affianco e lui mi aprì galantemente la porta per farmi uscire.
- Niente smancerie in strada... ricordalo - gli ripetei un’ultima volta.
Lui assentì vigorosamente col capo, quindi mi posò un bacio sulla guancia.
Lo osservai, perplesso, e lui si limitò a dire: - In strada non posso, ma qui sì -.
Lo interpretai come una sorta di “ultimo bacio”, perciò gli sorrisi appena di rimando, precedendolo fuori.

In città faceva caldo e il sole batteva senza tregua, illuminando tutto quanto di una luce allegra che trasformava tutto in qualcosa di felice.
Almeno era una bella giornata: sotto la pioggia non sarei uscito neppure se obbligato.
Break mi camminava al fianco, lanciandomi di tanto in tanto occhiate e sorrisini.
Con “niente smancerie” includevo anche “niente sorrisini allusivi”, ma forse avrei dovuto esplicitare il divieto in modo più diretto, invece di lasciarlo sottinteso, perché evidentemente lui non l’aveva colto.
In molte vetrine erano esposti cuori rossi e rosa, le pasticcerie, che non mancarono d’attirare l’allegra attenzione di Break, esponevano scatole di cioccolatini delle più varie dimensioni, ma tutte quante rigorosamente a forma di cuore; i fioristi erano ben felici di esporre meravigliose composizioni dei fiori di San Valentino per eccellenza, primi tra tutte le rose rosse.
Per le strade, inoltre, non potei fare a meno di notare che c’erano tante coppie, tutte rigorosamente etero.
Mi sentivo a disagio, pensando di essere in “territorio nemico”, dove un’azione sbagliata poteva essere male interpretata con facilità impressionante.
- Gil-kun, andiamo in quella pasticceria? - mi chiese Break, distraendomi dai miei pensieri.
Lo vidi indicare una pasticceria poco lontana e sospirai.
- Non ti sei ancora stufato? - chiesi, esasperato: se avessi saputo prima che aveva intenzione di girare tutte le pasticcerie della città me ne sarei rimasto a casa.
Quella era già la terza.
Sospirai, quindi decisi di accontentarlo, di nuovo: non sapevo dove altro andare, dato che di solito, se uscivo da casa, era per fare commissioni e non per bighellonare.
Quando uscimmo, pochi minuti dopo, Break si stava gustando l’ennesima confezione di pasticcini.
- Vorrei sapere come fai a mangiare tanti dolci... sei impressionante... - mormorai, lanciandogli un’occhiata, tuttavia notai che la sua attenzione era rivolta da tutt’altra parte.
Mi sporsi appena e notai che stava fissando un vicolo.
Che cosa ci fosse di così interessante, davvero non lo sapevo.
- Ehi, Break, che hai? - chiesi.
Lui tacque, mandò giù un altro pasticcino, quindi si rivolse a me: - Niente... -.
Mi pareva turbato, o più che altro pensoso.
- Sicuro? -
- Ehi, Gil-kun, è tardi, sono quasi le due! Perché non andiamo a cercare un posto dove pranzare? - domandò in risposta.
Non mi lambiccai più di tanto sul suo atteggiamento strano di poco prima, attirato dalla sua affermazione: possibile che fossero già quasi le due?
Guardai l’orologio: evidentemente era possibile, dato che le lancette segnavano le due meno un quarto.
Incredibile come vola il tempo quando ci si diverte, o quando si gira per la città senza una meta effettiva.
- Dai, andiamo ~! - esclamò l’albino, trascinandomi per la manica per qualche metro.
Mi trascinò quindi in un locale in centro, ben illuminato, areato e, soprattutto, pieno di gente.
Mangiammo in silenzio e, almeno per quanto riguardava me, senza guardarlo.
Quando uscimmo dal locale, Break insistette per andare ancora in giro.
Così girammo altre pasticcerie e stavolta pure i fiorai e negozi di vario genere: peggio di un pomeriggio a fare shopping.
Non seppi perché, ma Break, quando oramai era quasi il tramonto, insistette per andare da solo in un negozio di fiori.
Non obiettai: mi limitai ad osservarlo con perplessità mentre entrava.
Quando uscì, notai che non aveva comperato niente, ma sembrava stranamente troppo contento, e ciò mi fece pensare subito che la sua mente non precisamente sana stesse macchinando qualcosa.
- Be’, adesso? Torniamo a casa? - domandai, guardandolo.
Lui mi sorrise in quel suo particolarissimo modo inquietante, quindi mi venne incontro e mi afferrò di nuovo per la giacca.
- A casa no! Non ancora! Ceniamo fuori? -.
Già mi stava trascinando lungo la strada, senza che io neppure avessi risposto: era evidente che ci teneva in modo particolare.
Stranamente, mi riportò fino al vicolo scuro che aveva osservato quella stessa mattina, uscendo da una pasticceria che, notai, a quell’ora era ormai chiusa.
- Qui? - domandai, perplesso, guardandomi attorno - Ma qui non ci sono ristoranti... -.
Lui si limitò a mandarmi un’occhiata di sbieco e ridacchiare, quindi continuò a condurmi verso il vicolo.
Solo quando fui dinanzi all’imboccatura notai che non era un vicolo buio: un lampione, posto vicino alla parete di fondo, gettava luce sul terreno all’intorno e ombra sull’angolo formato dalla parete e un lato dell’edificio destro, nel quale mi parve di scorgere la sagoma di un uscio chiuso.
Intuii la destinazione verso cui l’albino mi aveva trascinato e lo seguii senza oppormi, tuttavia era lecito domandare, e fu quel che feci: - Break, che posto è quello? -.
- Gil-kun, non farmi rovinare la sorpresa...! - mi ammonì bonariamente, un sorrisetto stampato in faccia.
Mi introdusse nel locale ed io rimasi sull’uscio, impalato, sbattendo ripetutamente le palpebre, come abbagliato: all’interno c’erano solo tavoli per due persone e tutti quelli già occupati erano occupati da coppie di maschi.
Le uniche donne del posto erano le cameriere, che giravano tra i tavoli in succinte uniformi nere con il grembiulino e la tiarina bianchi.
- Non dici niente, ne ~? - cantilenò Break, soddisfatto, probabilmente dell’aria ebete e stupefatta che avevo assunto.
Fissai e rifissai il locale, cercando di capire se quello che vedevo era effettivamente reale o no.
Alla fine, mi convinsi.
- Sono... è quello che penso? - domandai, in cerca di ulteriori conferme.
Un sorriso da orecchio a orecchio si aprì sul viso di Xerxes.
- Questo è l’unico locale omo di tutta la città... - replicò, allegro.
Ero certo che si sarebbe messo a ballare per la felicità.
- E... come fai a conoscerlo? - chiesi: non mi pareva proprio il tipo da “bassi fondi”.
Si strinse innocentemente nelle spalle.
- Ho le mie conoscenze... - mormorò, e lo notai lanciare un’occhiata ad una cameriera che si era voltata a guardarlo, rossa in viso.
Decisi di non chiedere altro in quel senso: qualsiasi risposta sapevo che non mi sarebbe piaciuta.
- Oh, Mr. Break! - esclamò una donna in smoking, avvicinandosi all’albino, che le rivolse un sorriso.
- Cassidy, è sempre un piacere vederti - la salutò cordialmente, chinando brevemente il capo.
Non le fece il baciamano, e gliene fui grato: mi avrebbe dato fastidio.
- Avevo prenotato un tavolo per stasera - continuò l’albino.
- Oh, certo! Da questa parte -
- Gil-kun, vieni! -.
Mi ero dimenticato di essere fisicamente lì, con un corpo proprio al quale dovevo impartire ordini affinché potessi seguire Break.
Mi mossi, in silenzio, gli occhi incollati alle caviglie di lui, che mi precedeva, poco distante.
Cassidy ci portò in una saletta appartata, stranamente non ancora riempita di coppie: l’unico tavolo occupato era il nostro, e di ciò ringraziai sentitamente la misericordia celeste.
La confusione non mi aggradava particolarmente.
Ci sedemmo e Cassidy sparì di nuovo oltre la soglia.
Break, come suo solito, appoggiò i gomiti sul tavolo, reggendosi il capo con le mani, fissandomi intensamente.
- Allora, Gil-kun, ti piace? - mi chiese, il tono stranamente cadenzato, come se fosse brillo.
Ero a disagio, dato che il posto era nuovo per me, comunque annuii.
- Carino... - aggiunsi, senza dargli altre soddisfazioni.
Cassidy tornò con un menù ed ordinammo, quindi rimanemmo di nuovo soli.
Notai che Break si agitava sulla sedia, irrequieto.
Evidentemente incrociò il mio sguardo interrogativo, perché ridusse le labbra ad una linea piatta e assunse un’aria falsamente innocente.
Lo vidi infilare una mano sotto il tavolo, quindi, a sorpresa, mi porse una rosa rossa.
Ne dedussi che quello doveva senza dubbio essere l’acquisto fatto in gran segreto prima di portarmi lì.
La presi, attento a non graffiarmi con le spine, quindi la fissai: i petali erano lievemente sgualciti, colorati d’un rosso intenso che ero solito associare alla passione.
La stessa che univa me a lui: mi sorpresi di un pensiero tanto intenso e profondo.
- Niente da dire? - mi domandò in tono quasi offeso, il viso atteggiato a broncio tipicamente infantile.
Che c’era da dire?
- Grazie... - mi limitai a replicare.
Mi parve di capire dalla sua espressione che non fosse sufficiente, così mi accostai a lui, gli spostai alcuni ciuffi dalla fronte e gli posai un bacetto sulla pelle candida.
Lui mi prese delicatamente il mento e mi abbassò il viso, catturando le mie labbra con le sue, in un bacio profondo ma stranamente casto.
Quando mi allontanò di nuovo, mi sussurrò all’orecchio: - Buon San Valentino -.
In risposta, io gli sorrisi timidamente.

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Capitolo 2
*** A little joke ***


3_A little joke
~ A little joke ~


Avevo appena finito di apparecchiare e mi stavo dedicando alla cena, quando Break irruppe in cucina, allegro come al solito.
- Gil-kun! - mi chiamò, come se non mi fossi ancora accorto che lui era lì, cosa pressoché impossibile, dato che ogni volta che arrivava non riusciva a far passare inosservata la sua presenza.
- Sì? - chiesi, senza staccare gli occhi dai fornelli: per prestargli attenzione non era necessario doverlo guardare.
Lo sentii procedere a passi irregolari, figurandomelo mentalmente saltellare per la cucina, cosa che non mi riuscì affatto difficile.
Ad un tratto avvertii una sua mano posarsi sul mio fianco destro e mancò poco che urtassi la pentola, bruciandomi di conseguenza.
- Ah, Break! Smettila di arrivarmi dietro all’improvviso! - esclamai, mantenendo tuttavia la sua mano sul mio fianco.
Mi volse all’improvviso e mi ritrovai a fissare l’unica pupilla rimastagli, sfavillante di qualcosa che non riuscii a cogliere.
- Che c’è? - domandai, senza riuscire a nascondere una nota di incertezza nella voce.
Lui mi baciò inaspettatamente e io non mi opposi.
Non capivo tuttavia il motivo di quel bacio: avrebbe potuto scegliere un momento migliore e non mentre stavo cucinando, quando c’era il rischio che tutta la cucina prendesse fuoco per un istante di distrazione.
Certe cose erano destinate a rimanere un mistero.
Mi premette contro di sé, quindi mi lasciò andare.
- E... il motivo? - chiesi, perplesso.
Lui fece spallucce.
- Niente ~! - si limitò a replicare, sorridendomi, prima di uscire di nuovo dalla cucina.
Fissai la soglia vuota per alcuni attimi, scioccato: ma che gli era preso?
Scossi il capo: andare a perdermi cercando di capire cosa gli passasse effettivamente per la testa era come tentare il suicidio, perciò era meglio desistere.
Ritornai ad occuparmi della cena, mentre un pensiero fugace mi attraversava la mente: che stesse macchinando qualche cosa...?

- Breeeeak! La cenaaa! - chiamai, sistemando i bicchieri in tavola e andando a prendere i piatti che avevo lasciato sul piano di lavoro.
Lo sentii arrivare con la solita cadenza irregolare che sottolineava il fatto che era piuttosto allegro anche quella sera.
Fece il suo ingresso in cucina con quel suo solito sorrisetto inquietante stampato in faccia, quindi andò a sedersi a tavola con teatralità molto più accentuata rispetto al normale.
Quando era proprio di buonumore si vedeva lontano un miglio.
Portai in tavola e mi sedetti accanto a lui, concentrandomi sulla cena, piuttosto che sui suoi modi plateali.
Dopo un po’, mi sentii al centro della sua attenzione: era come se nel convivere con Xerxes avessi sviluppato un “sesto senso” che mi permetteva di percepire quando la sua attenzione era rivolta a me.
A dir poco inquietante.
Alzai così gli occhi, incrociando il suo, effettivamente fisso su di me.
- Sì...? - chiesi.
Lui si limitò a porgermi un bicchiere per metà riempito di liquido trasparente.
Acqua.
Inarcai un sopracciglio con fare perplesso, afferrando il bicchiere.
- Sete ~? - mi chiese.
Lo fissai.
- Che stai tramando? - domandai a mia volta: era troppo candido e innocente perché non ci fosse dietro qualche cosa.
- Niente ~ - esclamò, riprendendo a mangiare.
Buttai un’occhiata al bicchiere: in fondo, era solo acqua... che male poteva esserci?
Bevvi e ripresi a mangiare a mia volta.
Nei minuti a seguire, iniziai a bere con più frequenza: avevo decisamente esagerato con il sale, ma con uno che ti arriva alle spalle e quasi ti fa prendere un infarto come si fa a concentrarsi?
Cucinare è un’arte e richiede un minimo di applicazione, esattamente ciò che non si può ottenere con Xerxes Break in giro.
Tuttavia, arrivato alla fine del pasto, iniziarono a pulsarmi dolorosamente le tempie e iniziai a sentire caldo, nonostante non ci fosse poi quella grande afa in casa.
Scansai il piatto vuoto che avevo davanti e mi limitai ad abbandonare la testa sulle braccia che avevo appoggiato sul piano: mi sentivo uno schifo.
- Gil-kun? -.
Quel richiamò mi rimbombò nella testa amplificato migliaia di volte, rintronandomi.
Mugolai in risposta, senza articolare parole per il semplice fatto che non ci riuscivo.
- Ci penso io ai piatti stasera ♥! - esclamò l’albino pochi istanti dopo.
La frase mi riecheggiò con innaturale forza nella testa, che per un istante temetti esplodesse.
- Sta’ zitto... - riuscii a biascicare, alzandomi.
Mi trascinai fino al bagno, dove andai a guardarmi allo specchio: avevo le guance arrossate e lo sguardo un po’ lucido, tuttavia non potevo avere la febbre, perché altrimenti avrei avuto freddo e non caldo.
Mi sbottonai la camicia e mi sciacquai il viso, quindi andai in soggiorno, dove mi lasciai cadere disteso sul divano.
E mentre mi portavo un braccio a coprirmi gli occhi, sentii un peso occupare un angolo ai miei piedi.
- Come ti senti? - chiese la familiare voce di Break.
Sospirai.
- Un schifo... - mormorai con un fil di voce, ma poi mi interruppi - Come fai... a sapere... che sto male? - chiesi invece, con uno sforzo immenso per riuscire ad articolare una frase tanto lunga.
Lo vidi stringersi nelle spalle, quindi lo sentii strisciarmi addosso, fino a che non sentii le sue labbra venire a contatto con le mie.
Mi baciò, tuttavia carpii un qualcosa di diverso in quel bacio che non riuscii ad identificare per il dolore che mi provocava fare ragionamenti troppo complessi.
Tuttavia, quando si allontanò e il suo fiato mi investì, lo riconobbi: era un odore strano che gli aleggiava intorno, e che sul momento non ero riuscito ad identificare per il semplice fatto che non ero abituato a sentirlo.
Ma ora che l’avevo percepito in modo tanto forte, non avevo dubbi: quello era odore di alcool.
Alcool...
All’improvviso mi fu tutto chiaro e mi maledissi per la mia idiozia.
- Cristo, Break! Hai messo dell’alcool nel mio bicchiere?! - gridai quasi, arrabbiato, tirandomi di scatto a sedere, ma ripiombai di botto giù in seguito ad una vertigine da paura e un attacco di nausea.
Vidi l’albino rivolgermi un sorriso innocente che equivaleva ad una confessione di colpevolezza.
- Io ti ammaz... - non terminai: non ne avevo le forze - Perché l’hai fatto...? - mi limitai ad esalare, respirando forte, cercando di non vomitare, nonostante la nausea intensa che mi stringeva lo stomaco.
Io non riuscivo a reggere l’alcool, era un dato di fatto.
Sentii delle lacrime pungermi ai lati degli occhi socchiusi e cercai di reprimerle: nonostante probabilmente mi avesse propinato l’alcool dall’inizio della cena, per il momento ancora un briciolo di lucidità mi rimaneva.
Ero ubriaco e me ne rendevo conto: un passo avanti rispetto all’essere ubriaco e basta.
- Quando non sei propriamente te sei più... lascivo... - sussurrò Break, risalendomi con una mano la gamba.
A quel punto non riuscii più a trattenere le lacrime, che iniziarono a scendere spontaneamente: stavo perdendo il controllo.
Che razza di scusa era?!
- Non importa ubriacarmi per fare...! - lasciai volutamente la frase a mezzo, vinto da una nuova ondata di mal di testa e da uno sprazzo di senso del pudore, probabilmente l’ultimo prima di cedere al potere dell’alcool.
- Ma così è più divertente ♪ -.
Ignorai quell’ultima affermazione, troppo impegnato a preoccuparmi del dolore alla testa che si acuiva di minuto in minuto.
Infine, mi abbandonai sul divano, esanime: non avevo più le forze per oppormi all’alcool.
- Per favore... non farlo... - sussurrai, chiudendo gli occhi.

Quando li riaprii, mi ritrovai a fissare il soffitto della mia camera.
Sbattei più volte le palpebre: la testa ancora mi faceva male e mi sentivo ancora abbondantemente spossato, ma almeno ero lucido.
Più lucido di quanto fossi stato la sera prima.
Sentii un respiro regolare nelle semitenebre della stanza e solo in quel momento realizzai che Break stava dormendo con il capo appoggiato sul mio petto.
E che dormiva nudo, come me.
Chiusi gli occhi, cercando di fare mente locale, cosa assai difficoltosa, tuttavia riuscii a ricordare confusamente l’inizio di quella che doveva essere stata, per l’albino, una “notte di fuoco”.
Per me, stretto com’ero nella morsa della sbornia, non doveva essere stata altrettanto interessante, ma non volevo pensarci: far finta di essere un bravo bambino pieno di buon senso faceva molto meno male.
Tuttavia, non riuscii a trattenermi dall’affibbiare al mio compagno uno scappellotto abbastanza forte da svegliarlo.
- Gil-kun? Sei già sveglio...? - mormorò.
Evidentemente era ancora assonnato, perché altrimenti avrebbe chiesto cose tipo “perché mi hai picchiato?!”, anziché assicurarsi che fossi già sveglio.
- Se ti riazzardi a farmi un tiro come quello di ieri sera giuro che ti sbatto fuori di casa! - lo minacciai, ma nel profondo sapevo che non ne sarei stato capace.
E, giusto per rincarare la dose e sfogarmi anche un po’, gli assestai un secondo colpo.
- Gil-kun, non c’è bisogno di prendersela così! Era solo un piccolo scherzo! -.





Angolino autrice
Eccomi con il nuovo capitolo! *-*
Well... era un'idea che mi frullava nella testolina da un sacco di tempo e che ho aspettato e ragionato fino all'ultimo prima di decidermi a scriverla ^^'''
Spero di essere riuscita a scrivere qualcosa di quantomeno guardabile e, spero, anche gradevole, ma non pretendo troppo.
Ci tengo a ringraziare Lalli_L che ha recensito lo scorso capitolo, augurandomi che anche questo ti sia piaciuto ^^', e tutti coloro che, ovviamente, leggono.
Oki, al prossimo capitolo! ^^'
F.D.

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Capitolo 3
*** Malattia... ***


4_Malattia...
~ Malattia... ~


Avevamo appena litigato, niente di nuovo, una cosa abituale, sotto certi punti di vista, almeno da parte mia: non ero ben sicuro che quelle che io reputavo discussioni lui le considerasse alla stessa maniera.
Fatto stava che me ne ero andato, infuriato: ho un limite di sopportazione anche io, come tutti gli esseri umani eccetto lui.
Sfortuna aveva voluto, però, che nel mentre girovagavo per la città, cercando di sbollire la rabbia, avesse iniziato a piovere.
Fosse stata, poi, una pioggerella, avrei anche capito, ma quella che era scoppiata era stata ben più di una pioggerella: un vero e proprio nubifragio.
Nel giro di pochi, brevissimi minuti mi ero ritrovato zuppo fino al midollo e talmente infreddolito che a stento riuscivo a camminare, tanto mi tremavano le gambe.
Poi, mentre ero seduto sul bordo della fontana centrale, ecco che torna lui, sotto il suo solito ombrello nero, chee con il suo solito sorriso inquietante e al tempo stesso gentile stampato in faccia mi porgeva un mantello asciutto.
E ora, grazie a lui, o forse sarebbe stato più corretto dire per colpa sua, me ne stavo accoccolato sul divano, ravvolto in tre coperte invernali, i capelli che ancora mi gocciolavano sul viso.
Eppure, nonostante ciò, tremavo ancora: evidentemente non mi ero ancora scaldato a sufficienza.
Starnutii, per l’ennesima volta, e tirai su col naso.
- Gil-kun, ti porto un’altra coperta ~? -.
A quella domanda a sorpresa nell’altrimenti silenzioso soggiorno saltai su, spaventato, e mi girai verso l’albino alle mie spalle, il quale mi stava porgendo una tazza di quello che innegabilmente doveva essere thé, e anche molto caldo, a giudicare dalla voluta di vapore che vi usciva.
- Break, non arrivarmi alle spalle così di soppiatto! - esclamai, stizzito, ma con il naso chiuso il tono perdeva qualsivoglia nota minacciosa, difatti Xerxes rise, cosa che mi urtò parecchio.
- Mi sembrava che tu dormissi - si giustificò.
- E verresti a svegliarmi solo per chiedermi se voglio un’altra coperta?! -
- No, ma avvicinandomi ho notato che eri sveglio e che tremavi ♪ -.
Lasciai cadere il discorso: era inutile continuare a discuterne, perché tanto non saremmo arrivati da nessuna parte.
Schiusi il confortevole, multiplo guscio di coperte e presi la tazza che Break mi porgeva, soffiandovi sopra e sorseggiando con calma: in fondo, avevo fretta di andare da qualche parte?
Starnutii di nuovo, rischiando di rovesciarmi addosso il thé.
Break scosse il capo, contrariato.
- Quando hai visto che stava piovendo saresti dovuto tornare a casa -.
Abbassai lo sguardo e lo puntai da un’altra parte, a disagio.
- Non volevo vederti - replicai a mezza voce.
Xerxes tacque alcuni istanti, poi sentii il suo peso sulla mia schiena e una sua mano posarsi sulla mia fronte.
- Uhm... non sei caldo - osservò.
Gli scansai il braccio in malo modo.
- Non ho la febbre, altrimenti sarei moribondo! - ribattei, irritato e imbarazzato da tutte quelle attenzioni: ricordavo bene ciò che mi provocava la febbre ed ero decisamente in salute, almeno in parte.
- Però tremi ancora... ~ - osservò allegramente l’albino, suscitandomi una vampata di calore in tutto il viso.
Affogai il mio imbarazzo in un lungo, lunghissimo sorso di thé.
Ad un tratto sentii la mano di Break arrivarmi ai capelli, iniziando a giocherellare con alcuni ciuffi ancora bagnati.
Sollevai il viso dalla tazza e starnutii; poi terminai il thé.
Restituii la tazza all’albino, che sparì di nuovo oltre la soglia della cucina.
Starnutii altre volte, infine mi abbandonai sdraiato sul divano: mi sentivo improvvisamente stanchissimo e le palpebre si erano fatte pesanti.
Stavo per cedere al sonno, quando sentii un’altra coperta venirmi gettata addosso, azione che riuscì a non farmi cadere addormentato.
Sbattei più volte le palpebre, cercando di chiarire la confusa visione che avevo di ciò che mi circondava.
- Gil-kun, hai sonno? - mi chiese Break.
Mi misi seduto e scossi la testa: no, non volevo andare a dormire.
Era ancora presto e io dovevo preparare la cena.
Feci per alzarmi, ma ricaddi pesantemente giù: le gambe non mi reggevano più.
- Gil-kun? -.
Sentii la mano di Xerxes posarsi di nuovo sulla mia fronte, ma stavolta la avvertii molto più fredda di quanto l’avevo percepita prima.
- Gil-kun, stai bruciando - constatò l’albino con un tono infantilmente sorpreso.
Tolsi la sua mano dalla mia fronte e tentai di nuovo di alzarmi: stavolta le gambe ebbero un tremito e cedettero, ma lui portò una mano attorno ai miei fianchi, sorreggendomi.
- Coraggio, Gil-kun, a nanna ♥! - esclamò.
Scossi debolmente il capo.
- Insisto - replicò più duramente l’albino.
Starnutii e mi scoppiò un mal di testa tremendo.
Ecco, ora forse mi stava venendo la febbre.
A sorpresa, e prima che potessi rendermene conto, Xerxes mi aveva preso da sotto le ginocchia e sollevato da terra, ancora mezzo avvolto nelle coperte.
- E-ehi, che cosa stai...?! -
- E ora, a letto ~! Non sei in condizioni di fare niente! - mi rimproverò allegramente Break, trasportandomi verso la camera.
Quando Xerxes si mosse ebbi un moto di paura quasi istantaneo e mi allacciai istintivamente al suo collo, azione che fu seguita da un risolino divertito da parte di lui.
Mi trasportò fino a letto e qui mi depose, con il mio fagotto di coperte.
- E adesso dormi ♥! - esclamò, sorridendomi, per poi girarsi, facendo per andarsene.
Io, senza che neppure l’avessi fatto coscientemente, allungai una mano a trattenerlo e lui si volse di nuovo a fissarmi.
Mi sentii a disagio sotto il suo sguardo: dovevo sembrargli come un bambino che aveva paura di dormire da solo e al buio.
- Sì, Gil-kun? - mi chiese.
Tacqui alcuni istanti, imbarazzato dal momento che io avevo creato.
L’essere malato mi rendeva sempre debole, e quella ne era solo un’ulteriore prova.
Infine, dopo sconclusionate riflessioni, decisi di dirglielo: - Non... lasciarmi solo -.
Nella sua pupilla, che a fatica distinguevo nelle semitenebre della stanza, scorsi debolmente una scintilla di autentica sorpresa, una cosa rara da trovare nel suo sguardo.
Ero rassegnato ad un no, oppure ad un semplice “buonanotte” e ad essere lasciato solo con il mio malessere, ma inaspettatamente lui mi sorrise e si sedette sul bordo del letto, protendendo una mano a carezzarmi il viso.
- Dormi... - mi ripeté in un labile sussurro.
Non servì ricordarmelo, perché ormai ero senza più forze.
Ero già sulla soglia del sonno, quando sentii le sue labbra appena umide sfiorarmi dolcemente la fronte, in un piccolo e casto “bacio della buonanotte”.
Sorrisi appena, mentre le palpebre calavano e finalmente mi lasciavo andare ad un sano “sonno ristoratore”.
- Notte... - sussurrai in ultimo, prima che il sonno mi avvolgesse del tutto.





Angolino autrice
Ed ecco il terzo capitolo! -^^-
Mi sono fatta aspettare un po', ma alla fine la dea Ispirazione mi ha graziata *-* e infatti eccomi di nuovo qui!
Ringrazio xXxNekoChanxXx per la recensione dello scorso capitolo e chi, come sempre, segue silenziosamente.
Quindi, al prossimo chappy! ^^
F.D.

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