Sangue

di pizia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Parte Prima ***
Capitolo 3: *** Parte Seconda ***
Capitolo 4: *** Parte Terza ***
Capitolo 5: *** Parte Quarta ***
Capitolo 6: *** Parte Quinta ***
Capitolo 7: *** Parte Sesta ***
Capitolo 8: *** Parte Settima ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Introduzione

 

Uther Pendragon ascoltava distrattamente i sudditi che, uno dopo l’altro, si presentavano in udienza.

Il più delle volte lasciava quel compito ad Artù che sembrava comprendere meglio e più a fondo le richieste della sua gente, ma quel giorno suo figlio era fuori a fare una cavalcata insieme a Ginevra.

Glielo aveva ordinato lui, senza dargli la possibilità di rifiutare.

La ragazza era giunta a Camelot solo una luna prima, ufficialmente come ospite per l’estate, ma in realtà sia Uther che Leodegranz, il padre della giovane, discutevano da tempo sui dettagli del matrimonio tra lei ed Artù.

Non comprendeva perché suo figlio non si dimostrasse interessato: Ginevra era bella; un po’ troppo devota per i suoi gusti, ma bella. Era forse un po’ ingenua, ma non stupida, era ben educata e colta;  e soprattutto sapeva quando parlare e quando invece tenere chiusa la bocca.

Artù avrebbe imparato ad amarla, e se non lo avesse fatto… peccato: non sarebbe certo stato il primo uomo, né l’ultimo, a prendere in sposa una donna senza amarla.

Uther si scosse dai suoi pensieri: non aveva sentito una sola parola di ciò che aveva chiesto l’uomo, un contadino o un allevatore, che aveva di fronte.

“Al momento non possiamo aiutarti, ma terremo conto della tua richiesta e appena ci sarà possibile esaudirla lo faremo con piacere” rispose senza avere idea di quello che l’uomo avesse chiesto.

Era una risposta valida: chi chiedeva udienza aveva sempre richieste da fare, e quella risposta non impegnava in nulla, ma non scontentava del tutto gli interlocutori.

Artù avrebbe dovuto impararla ed usarla un po’ più spesso, invece che accettare ogni richiesta, anche quelle che, sebbene fosse possibile esaudire, era meglio ignorare almeno per il momento.

L’uomo infatti rimase un po’ deluso, ma la speranza che un giorno sarebbe stato ascoltato fece sì che se ne andasse senza troppo risentimento.

I pensieri del re tornarono a Ginevra e allo scarso interesse che Artù sembrava nutrire nei suoi confronti.

Anche se non capiva cosa ci fosse in lei che non piacesse a suo figlio, poteva comprenderlo: anche lui aveva sposato una donna che non aveva amato. Aveva smosso mari e monti per averla, aveva fatto guerra ad un suo leale alleato, era ricorso alla magia sia per poterla sposare sia per far sì che lei gli desse un figlio. Ma non l’aveva mai amata.

Igraine era stata sua moglie solo per permettere ad Artù di venire al mondo, ma non era mai stata la donna che, allora come oggi e nonostante tutto, regnava nei suoi sogni .

Sarebbe stato bello se Artù si fosse innamorato di Ginevra, ma, anche se non fosse successo, si sarebbero sposati ugualmente come stabilito da tempo, quindi tanto valeva che se la facesse piacere come lui si era fatto piacere sua madre.

 

“Sono giunta da poco a Camelot, ho una piccola casa appena al di fuori della prima cerchia delle mura, ma non potrò tenermela se non trovo un lavoro…”.

Questa volta qualcosa attrasse l’attenzione di Uther distogliendolo dalle sue riflessioni. Il re non avrebbe saputo dire cosa fosse, ma la donna, la ragazza che gli stava di fronte e che gli chiedeva un lavoro aveva qualcosa che gli solleticava la base della testa.

Con i capelli neri e gli occhi scuri ed enormi, l’avvenenza di certo non le mancava, anche se era molto minuta. Proprio come lei…

“Come vi chiamate e da dove venite?” chiese  prima ancora di rendersene conto.

“Il mio nome è Morgana, Maestà, e vengo dal Nord, da Lothian” rispose la ragazza; il formicolio alla nuca del re crebbe.

Probabilmente aveva sì e no l’età di Artù, ma non ne era assolutamente certo: aveva come l’impressione che in realtà lei potesse essere più vecchia di Camelot stessa e al contempo essere nata solo pochi giorni prima.

Il suo nome e la sua provenienza non gli dicevano assolutamente nulla, ma avrebbe scommesso che non era a Lothian che era nata.

“Che cosa sapete fare Morgana?” le chiese di nuovo.

“Mi è stato detto che a palazzo i servitori non sono mai abbastanza, e, dato che un poco sono stata istruita riguardo alle arti mediche, mi piacerebbe poter aiutare il medico di corte e imparare il più possibile da lui,se Gaius  fosse d’accordo…”.

“Gaius ha già Merlino come aiutante” rifletté Uther a voce alta. “Tuttavia la serva personale di Ginevra è dovuta andare  a casa a causa della morte improvvisa  di suo padre, e non so se e quando tornerà. Se Ginevra non avrà nulla in contrario, non vedo altri ostacoli, e quanto a Gaius, se anche lui sarà d’accordo, potrai sempre aiutarlo una volta che avrai finito di lavorare, se lo desideri. Tuttavia sappi che sarai pagata solo come serva di Ginevra… come ti ho detto, Gaius ha già un aiutante”.

“Sarebbe magnifico, Sire!” esclamò Morgana con un sorriso che le illuminò il viso, facendola sembrare decisamente più giovane di un istante prima.

Quella ragazza aveva un che di pericoloso, eppure…

“Fate chiamare Merlino!” ordinò alle guardie immobili ai lati della porta della sala del trono. “Lui vi spiegherà tutto quello che avrete bisogno di sapere” concluse, tornando a rivolgersi a Morgana che, a sua volta, rispose con un lieve ed aggraziato inchino.

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Capitolo 2
*** Parte Prima ***


Parte Prima

“Queste sono le stanze del principe Artù” indicò Merlino, passando di fronte a quella che a Morgana sembrò solo l’ennesima porta chiusa di un ennesimo corridoio, “e infine là in fondo ci sono gli appartamenti di re Uther…”

Merlino sorrise di fronte alla confusione riflessa sul volto di Morgana: “Dove ti sei persa?”

“Alle stanze di Sir Lancillotto, un piano o due più sotto… credo…”.

“Chissà perché si perdono tutte alle stanze di Lancillotto…” la prese in giro il ragazzo.

“Beh… mi sa che allora lo dovrò proprio conoscere questo Lancillotto… la sua fama lo precede…” rise Morgana.

“Non credo che dovrai attendere troppo per conoscerlo… intanto però ti mostro anche le camere di Lady Ginevra: se davvero sarai messa al suo servizio è meglio che almeno queste ricordi dove sono…”.

Morgana gli rispose con una linguaccia.

“Mi hanno riferito anche che vorresti aiutare Gaius” continuò Merlino mentre l’accompagnava verso le stanze della futura regina di Camelot.

“Mi sarebbe piaciuto, ma mi hanno detto che a quello già ci pensi tu”

“Guarda che non sono geloso della vasca delle sanguisughe: se vuoi pulirla tu io certo non mi offendo. Fai pure…”

“Ma la vuoi smettere di prendermi in giro!” protestò ridendo la ragazza. “E’ solo che ho una discreta conoscenza di erbe e piante, o per lo meno di quelle che crescono su al Nord, dato che la donna che mi ha cresciuta a fatto da madre era una specie di guaritrice. Diceva che secondo lei ero portata per questo genere di cose, ma è morta prima di potermi insegnare tutto quello che è necessario sapere. Ho solo pensato che se lei aveva ragione, se possiedo davvero un dono per la guarigione, qui con Gaius avrei forse potuto imparare quello che lei non ha fatto in tempo ad insegnarmi”

“Credo proprio che Gaius sarà ben lieto di insegnarti tutto quello che vorrai sapere. E quanto a me, non scherzavo quando dicevo di non essere  certo geloso: io ho già la mia sanguisuga a cui badare. Si chiama Artù!”

“Non urlerei così tanto quando parli male di Artù, Merlino” disse un giovane uomo, decisamente di bell’aspetto, che era comparso proprio in quel momento all’imboccatura del corridoio. Non indossava né armatura né cotta di maglia, ma al suo fianco era ben assicurata una spada, e il giovane dava nettamente l’impressione di sapere come usarla in caso di necessità.

“Morgana, ti presento Sir Lancillotto. Lancillotto, lei è Morgana e da domani sarà molto probabilmente la dama di compagnia di Ginevra” li presentò Merlino.

“Semplicemente la sua serva” lo corresse subito Morgana.

“Vedi Merlino perché adoro Camelot? Qui anche le serve sembrano regine. Peccato che non si possa dire lo stesso dei servitori…” disse Lancillotto rifilando una leggera gomitata nel costato dell’altro ragazzo.

“Già… devo riconoscere che non sarei granché come regina…” ammise Merlino, e tutti e tre scoppiarono a ridere.

“Comunque credo che Artù ti adorerebbe…” lo stuzzicò di nuovo Lancillotto. “A proposito, sai dirmi che fine ha fatto il nostro principe? Ho bisogno di parlargli di alcune cose, ma non lo vedo da questa mattina”

“Ha accompagnato Lady Ginevra a fare una cavalcata per i boschi di Camelot: dovrebbero ormai essere di ritorno, ma non so dirti esattamente quando sarà qui”.

A Morgana parve che un velo passasse nello sguardo di Lancillotto e ne velasse per un istante l’allegria di poco prima. Fu solo un attimo, talmente fulmineo che la ragazza si chiese se per caso non si fosse sognata tutto.

“Potresti per favore dirgli che ho bisogno di parlargli non appena torna?”

“Certo, glielo riferirò non appena lo vedrò” rispose il ragazzo.

“E’ stato un piacere conoscervi, Lady Morgana” disse Lancillotto.

Morgana non poté fare a meno di arrossire quando il cavaliere si inchinò di fronte a lei come se fosse davvero la regina del castello e le baciò rispettosamente la mano. L’inchino con cui gli rispose fu tuttavia solo un pochino più rigido e meno aggraziato di quello con cui si era congedata da Uther solo poche ore prima.

Merlino fissò la scena con aria divertita, e non appena Lancillotto fu lontano non riuscì a trattenersi.

“Allora che ne dite, Lady Morgana” disse, calcando in particolar modo sul titolo nobiliare, con l’intenzione di scimmiottare i modi e i toni del cavaliere, “il nostro Sir Lancillotto è davvero all’altezza della fama che lo precede?” concluse, fallendo miseramente nel tentativo di restare serio.

Questa volta fu Morgana a rifilargli una gomitata nel costato, tuttavia con molta meno delicatezza di quella che aveva usato Lancillotto. 

*** 

“Beltane è una festa dell’Antica Religione, Artù. Ho fatto un solenne giuramento, anche se costretto, ed è l’unico motivo per cui non ho fatto sterminare le Sacerdotesse di Avalon come ho invece fatto con Stregoni e Druidi, ma questo non significa che permetterò al mio popolo di praticare i loro riti magici” affermò Uther.

“Sacri padre, non magici” intervenne il principe.

“Non essere sciocco! Sai benissimo che l’Antica Religione è intrisa di magia. Anzi, probabilmente è magia essa stessa e i suoi riti sono magici, anche se non hanno bisogno di incantesimi, formule e ingredienti stravaganti”.

“Che male può nascere dal fatto che la gente festeggi il ritorno della primavera, il risveglio della natura e la gioia di vivere?” chiese ostinatamente Artù.

“Beltane non è nulla di tutto questo” si intromise Ginevra. “E’ solo una scusa per abbandonarsi alla baldoria e alla lussuria più indecente. A Glastonbury questi sono giorni di penitenza e di riflessione che ci avvicinano a Dio, l’unico Dio, e alla salvezza delle nostre anime”.

Uther si trattenne dallo sbuffare rumorosamente: non amava la Nuova Religione, il Cristianesimo come lo chiamavano i suoi seguaci, più di quanto amasse l’Antica, ma Ginevra in fondo lo stava sostenendo e quindi avrebbe sopportato con pazienza le sue noiose manie religiose.

“Nessuno ti obbliga a recarti ai fuochi invece che chiuderti nelle tue stanze a pregare fino a consumarti le ginocchia, Ginevra” rispose Artù, seccato. “Ma proprio come nessuno ti obbliga a farlo, nessuno può nemmeno obbligare chi desidera festeggiare secondo le antiche tradizioni a non andarci”.

“Un re deve preoccuparsi della salvezza del suo popolo: ci sono leggi che proibiscono l’omicidio per assicurare la salvezza del corpo. Perché non dovrebbero essercene altre per assicurare quella delle anime?” affermò Ginevra, fissando Artù con aria trionfante.

Uther quasi comprese perché Artù non provasse particolare affetto per la ragazza, e quasi si dispiacque per lui.

“Le leggi sull’omicidio servono a preservare la salvezza del nostro corpo da quello che qualcun altro potrebbe fargli. Non ci sono leggi che impediscano di togliersi la vita” rispose Artù. Era un discorso che non gli piaceva, ma non voleva darla vinta a Ginevra.

“Dovrebbero esserci!” ribatté la ragazza.

“Adesso basta!” intervenne Uther. “Non mi importa nulla della Nuova Religione, ma non tollero l’Antica. Ho dichiarato fuorilegge i Fuochi di Beltane, e chiunque vi parteciperà sarà punito. Questo è tutto, ho già emanato il proclama reale. Tu stesso, Artù, pattuglierai i campi immediatamente fuori dalle mura e arresterai per tradimento chiunque disobbedisca alle mie leggi, oppure finirai tu stesso nelle nostre prigioni a riflettere sul fatto che tu potrai anche essere destinato a diventare il re di Camelot, ma che fintanto che sono in vita quel re sono io e la mia parola è legge! Non voglio sentire altre discussioni e soprattutto non voglio mai più sentirvi blaterare di religioni e dei: tutto quello che accade a Camelot, accade per mio volere, non per quello di qualche divinità!”.

“Maestà” sussurrò Ginevra, inchinandosi rigidamente e lasciando subito dopo la sala del trono.

“Smettila di guardarmi storto Artù: almeno non potrà costringerti a consumarti le ginocchia in preghiera insieme a lei” disse Uther al figlio, non appena la ragazza ebbe lasciato la stanza.

Artù faceva fatica a trattenersi: detestava suo padre quando da re e uomo sensato e giusto si trasformava in un despota autoritario ed irragionevole. Succedeva per fortuna solo quando, in qualche modo, c’era di mezzo la magia, ma quando succedeva non c’era maniera di farlo ragionare. In quelle situazioni poteva solo far buon viso a cattivo gioco, cercando di limitare al massimo i danni che l’intransigenza di suo padre poteva causare.

“Come ordini, padre” fu tutto quello che rispose. 

*** 

“Non puoi andare ai Fuochi Morgana! Uther l’ha proibito e Artù stesso sarà di pattuglia” disse Merlino esasperato.

“Uther ha anche proibito di fare uso della magia, Merlino, ma non mi pare che tu gli dia grande ascolto…” replico la ragazza a bassa voce.

Il giovane sospirò rumorosamente: anche Morgana, proprio come Lancillotto poco tempo prima di lei, aveva messo meno di un paio di giorni a scoprirlo in flagranza di reato mentre utilizzava la magia per rassettare lo studio di Gaius. “Un modo stupido di utilizzare la magia”, aveva commentato senza scomporsi troppo, ma anche lei, come il cavaliere, aveva mantenuto il suo segreto e  Merlino non dubitava che avrebbe continuato a farlo. Tuttavia Merlino sapeva di dover stare decisamente più attento o la terza volta avrebbe potuto non essere altrettanto fortunato. La terza volta  avrebbe potuto essere Artù a scoprirlo…

“Non c’è modo in cui io possa dissuaderti, vero?” chiese rassegnato.

“Merlino, non so come spiegartelo. Non so spiegarlo nemmeno a me stessa. Io non so nulla dell’Antica Religione, ho sentito nominare Avalon solo nei racconti fantastici e, sebbene io creda che qualcosa di più grande dell’uomo esista, non sono del tutto certa che si occupi di quello che facciamo o non facciamo noi piccoli e miseri mortali. Quello che so è che quando arriva Beltane, quando la natura si risveglia dopo il lungo inverno, io la sento. Avverto il suo rinascere nel sangue, nella carne, nello spirito. E sento il suo richiamo”.

Merlino la ascoltava attentamente, quasi convinto dal calore con cui lei ne parlava, ma un sottile scetticismo continuava ad aleggiargli nello sguardo.

“Non prendermi per matta” rise Morgana, accorgendosi della perplessità del ragazzo, “e nemmeno per una viziosa” aggiunse maliziosamente. “Non è la lussuria a spingermi ai Fuochi. Da che io ricordi vi ho sempre partecipato, ma non ho mai… beh… hai capito no? La donna che mi ha allevato diceva che io appartengo al Piccolo Popolo e che quindi non posso fare altro che avvertire il richiamo della Madre, e assecondarlo. Io non sono sicura di cosa questo significhi, ma qualcosa di vero ci deve essere per spiegare quello che sento”.

Morgana tacque un attimo, immersa in riflessioni che non sarebbe riuscita a esprimere a voce, poi riprese: “Ho già avvertito Gaius che domani non passerò di qui una volta terminato i miei doveri con Ginevra. Lui non ha fatto domande, ma credo che abbia capito”.

“Ma dove andrai? Nessun fuoco verrà acceso a Camelot” chiese Merlino.

“Oh, non essere sciocco Merlino! Nessun fuoco che sia visibile dalle mura verrà acceso, ma pensi davvero che gente che come crede si lascerà scoraggiare da un capriccio del re? Credimi amico mio, i Fuochi verranno accesi, che Uther lo permetta oppure no”.

“Sta’ attenta” disse il giovane.

“Perché non vieni con me?” gli domandò Morgana.

“Oh, sarò anche io la fuori, Morgana, ma insieme ad Artù… E a questo punto, se dovessi notare qualcosa farò in modo che lui e gli altri cavalieri non facciano altrettanto…”

“Allora sei tu che dovrai stare attento”.

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Capitolo 3
*** Parte Seconda ***


PARTE SECONDA

 

Erano ormai quasi due ore che pattugliavano i campi attorno alle mura di Camelot.

Era ovvio che chi avesse deciso di disubbidire alla nuova legge del re non lo avrebbe certo fatto là dove chiunque avrebbe potuto vederlo senza nemmeno fare fatica, ma suo padre gli aveva ordinato controllare che nessuno trasgredisse e Artù non aveva certo potuto rifiutarsi, anche se gli sembrava una cosa ingiusta e insensata. Suo padre, tuttavia, non aveva specificato quanto in là dalle mura avrebbe dovuto spingersi nella sua perlustrazione e lui non aveva davvero nessuna intenzione di mettere alla gogna qualcuno solo perché, per una notte, aveva deciso di festeggiare senza fare del male a nessuno.

L’Antica Religione poteva anche essere intrisa di magia, ma Artù non riusciva proprio a capire cosa potesse esserci di magico o pericoloso nell’accendere grandi falò e festeggiarvi intorno.

“L’unico pericolo che corriamo è che a Camelot nasca qualche decina  di bambini il prossimo inverno” borbottò Merlino.

Artù si soffermò per un attimo a guardarlo quasi con sospetto oltre che con una certa meraviglia: il suo servo, come al solito, aveva blaterato incessantemente per tutta la durata della pattuglia e, sempre come al solito, lui aveva ascoltato meno di un decimo di tutte le sue stupidaggini, ma ora se ne veniva fuori con quell’affermazione che non sembrava essere altro che la conclusione delle sue stesse riflessioni, nello stesso preciso istante in cui le stava pensando, proprio come se il ragazzo gli avesse letto nella mente.

Qualche volta, e quella era una di quelle volte, aveva il sospetto che Merlino fosse più di quello per cui si faceva passare, ma poi il ragazzo faceva o diceva qualcosa di talmente stupido o goffo che Artù si ritrovava a darsi dell’idiota per aver anche solo potuto pensare che potesse essere più di un maldestro servitore. Però doveva ammettere che era divertente, non nel modo in cui lo sarebbe stato un giullare di corte, ma come amico. Quando non esagerava con la sua parlantina, il che accadeva di rado, era meglio di tanti altri ragazzi. Un buon amico, in fondo, e il fatto che, pur non essendo che il suo servitore, non lo trattasse come se lui fosse davvero il principe ereditario, lo indispettiva da morire, ma lo apprezzava al tempo stesso.

“Sentì Artù, io sto congelando. Sarà anche la festa del ritorno della Primavera, ma quest’anno fa ancora un maledetto freddo e, passi per accendere i fuochi, ma dubito che coglieremo qualcuno in flagranza di reato di accoppiamento sotto le stelle questa notte!” disse Merlino concludendo un lungo discorso che Artù non aveva praticamente ascoltato.

“Merlino ha ragione: e poi che razza di reato è l’accoppiamento sotto le stelle!” convenne, ridendo, Lancillotto.

“Attento amico mio: Ginevra avrebbe da ridire sulla tua ultima affermazione…” lo punzecchiò Artù.

Lancillotto smise di ridacchiare all’istante, e Artù quasi non riuscì a non cominciare , dandogli una vigorosa pacca sulla spalla.

Ginevra era ufficialmente a Camelot solo come ospite per qualche mese, ma se suo padre si era illuso di essere riuscito a nascondere le sue vere intenzioni si sbagliava di grosso.

Artù sapeva benissimo che suo padre e il padre di lei si erano già praticamente accordati sull’entità della dote che lui avrebbe portato a Camelot e che al massimo in un paio di anni lei sarebbe diventata prima sua moglie e poi regna del regno. La cosa non lo entusiasmava granché perché per quanto bella potesse essere, Ginevra era decisamente noiosa e persino pesante a volte.Tuttavia era certo che suo padre non si fosse fatto incantare dai suoi occhi azzurri e dai suoi lunghi capelli biondi, e che quindi se suo padre davvero si era già accordato con Leodegranz, la dote pattuita doveva essere particolarmente vantaggiosa per Camelot. Il resto importava poco: una donna valeva l’altra; l’amore non era che una bella fiaba per femmine. Se in un matrimonio c’era anche quello, tanto meglio, ma finché la dote era buona, i figli sani e il pasto caldo, sposare una donna piuttosto che un’altra non faceva poi grande differenza. Quindi se era destino che lui sposasse Ginevra, lo avrebbe fatto, innamorato o meno che fosse.

Tuttavia non era uno sciocco: si era ben reso conto che Lancillotto non la pensava allo stesso modo, e sapeva bene che era stata Ginevra a ragli cambiare idea. Era solo per l’amicizia che li legava, per la lealtà nei suoi confronti  e per il fatto che la sua discendenza nobile non fosse ancora del tutto chiara che non aveva mai nemmeno provato ad avvicinarla, ma quello che provavano l’uno per l’altra era evidente. Fosse stato per lui, le avrebbe messo un bel fiocco rosso in testa e gliel’avrebbe donata di cuore; anzi, si sarebbe assicurato di persona che il matrimonio tra i due fosse celebrato, e consumato, al più presto da quanto poco la desiderava per sé, ma in quella vicenda non aveva voce in capitolo e quindi non poteva fare alcunché per l’amico, salvo sperare che gli passasse e cercare, nel frattempo, di sdrammatizzare la situazione ogni volta che ne capitava l’occasione, come in quel momento.

Lancillotto stette allo scherzo, ma era evidente una certa forzatura nel suo comportamento.

“Voi tornate al castello. Io farò ancora un altro giro, giusto per evitare che mio padre possa accusarmi di tradimento per non essermi impegnato abbastanza, ma alla fine me ne andrò a dormire anche io, con buona pace di tutti coloro che passeranno in altro modo la nottata” disse ridendo.

Lancillotto fece finta di protestare un po’, ma alla fine accettò di rientrare a palazzo: Artù non dubitava certo che lui, pur essendo stato riconosciuto infine come figlio di colei che era conosciuta come la Dama del Lago di Avalon,  si facesse alcuna illusione riguardo a quella notte e a Ginevra, ma sembrava che anche solo respirare la stessa aria che respirava lei lo facesse stare un po’ meno peggio.

Decisamente lo compativa.

 

***

 

Morgana si trattenne dal sospirare rumorosamente quando finalmente Ginevra si rassegnò a congedarla.

La sua padrona aveva cercato in tutti i modi di convincerla a passare con lei in preghiera la notte di Beltane e si era quasi arrabbiata quando lei le aveva risposto che sarebbe stata solo un’ipocrisia se lo avesse fatto dato che, pur non avendo nulla contro di lui o i suoi fedeli, non credeva nel Dio morto in croce e risorto.

Per ripicca, Ginevra aveva trovato da affidarle almeno una decina di inutili compiti che, tutto d’un tratto, erano diventati di vitale importanza, come se il sole non avesse potuto sorgere l’indomani se l’argenteria non fosse stata lucidata a specchio prima di sera.

Alla fine però si era dovuta rassegnare e l’aveva lasciata libera dopo essersi fatta accompagnare nella piccola cappella appena fuori dalla prima cerchia di mura della città. Ormai era quasi buio, ma se avesse allungato il passo sarebbe forse riuscita ad arrivare in tempo per l’accensione dei primi falò.

L’unico modo per descrivere come si sentiva era “viva”. Viva e consapevole di esserlo fin nei minimi dettagli. Non si trattava solo di essere coscienti del battito del proprio cuore o del brontolio del proprio stomaco vuoto ormai da troppe ore. Le sembrava di poter percepire i propri capelli allungarsi, le proprie unghie crescere, le piccole ferite rimarginarsi. E soprattutto poteva avvertire il suo sangue scorrerle nelle vene, accelerato dal passo spedito che si era imposta e dall’eccitazione. Faceva tutt’altro che caldo quella sera per essere una notte di fine aprile, eppure il sangue circolava in lei talmente impetuosamente che le sue mani e i suoi piedi erano comunque caldi, quando invece di solito sarebbero stati gelati.

Era sempre stato così per lei, sin da quando riusciva a ricordare. Era sempre stato così e non aveva dubbi che sempre lo sarebbe stato.

Quella sera poi, oltre ad essere la notte di Beltane, era anche notte di luna piena, e l’influsso che da sempre l’astro esercitava sul mondo e gli esseri umani, le donne in particolare, amplificava come una marea crescente lo stato ormai quasi febbrile in cui si trovava.

Come aveva detto a Merlino, fino ad allora non aveva mai partecipato ai riti più sacri di quella notte, perché sino a quel momento il timore e la sensazione che qualcuno o qualcosa la trattenesse non l’avevano mai fatta giungere a giacere sotto le stelle con un qualsiasi sconosciuto per il piacere proprio e della Madre. Non avrebbe saputo dire se quell’anno sarebbe stato diverso; non lo avrebbe saputo finché i Fuochi non fossero stati accesi e le tenebre dell’inverno scacciate, ma questa volta dubitava di poter resistere contemporaneamente a Beltane e alla luna.

E, per la prima volta da che era diventata donna, quell’idea non la intimoriva più.

 

***

 

Artù si godette per lunghi istanti il silenzio. Solo, di tanto in tanto, il richiamo di qualche uccello notturno o il fruscio di qualche animaletto che si muoveva veloce nel sottobosco. Era una sensazione quasi strana. Non era abituato al silenzio e non era certo che gli sarebbe piaciuto se fosse durato troppo a lungo. Ma per un po’ era piacevole.

Chiuse gli occhi e lo ascoltò con attenzione, lasciando che gli entrasse nell’anima e cancellasse ogni altro pensiero. Suo padre, la magia, i cavalieri, Merlino, Ginevra e Lancillotto,i Fuochi di Beltane, Avalon e Camelot; tutto sperito per un breve, lunghissimo istante.

C’erano solo lui, Artù Pendragon, e il silenzio.

Poi riaprì gli occhi, tornò alla realtà, e decise che per quella notte aveva fatto ronda più che a sufficienza. Fece voltare il suo cavallo e si avviò verso le mura della città.

Non poca fu la sua sorpresa quando, raggiungendo l’incrocio tra il sentiero che satava percorrendo, che correva concentrico alla cinta più esterna di mura, e quello che usciva da una delle porte secondarie della città, vive poco più avanti a sé la giovane serva di Ginevra.

“Morgana!” esclamò meravigliato.

La ragazza sobbalzò, lasciandosi sfuggire un piccolo grido.

“Scusami, non volevo spaventarti, ma proprio non immaginavo di trovarti qui. Cosa fai da sola?”.

“Una commissione, Maestà” rispose lei.

“A quest’ora?” chiese Artù, scettico.

“Oggi Lady Ginevra ha avuto molti compiti da affidarmi, e così ho terminato più tardi del solito. Tuttavia Gaius mi aveva chiesto di raccogliere per lui alcune erbe dato che, dopo l’inverno, le sue scorte si sono ridotte, e quindi eccomi qui che andavo nel bosco a cercarle”.

“Ma non sarebbe meglio aspettare la luce del sole per cercare erbe?” chiese di nuovo il principe.

“La luna è piena, e, se si sa dove cercare, non c’è bisogno degli occhi per riconoscere le piante. Basta il naso. Inoltre alcune di queste piante fioriscono di notte, quindi non esiste altro momento per poterle raccogliere” rispose Morgana.

“Merlino non mi ha detto nulla… Stano…”.

“Oh Artù, sapete bene quanto sia sbadato a volte: se ne sarà dimenticato, oppure avrà semplicemente pensato che la cosa non potesse interessarvi”.

“Vuoi che ti accompagni?”

“No grazie. Potrebbe volerci un’ora come anche tutta la notte, anche se è improbabile. Non è la prima volta che lo faccio, e vi assicuro che non corro alcun pericolo. Vi auguro una buona notte” concluse, e prese ad allontanarsi prima di dargli il tempo di insistere.

Artù la guardò andarsene per alcuni attimi, perplesso. Fece per montare di nuovo a cavallo, ma poi cambiò idea e ternò a guardarla.

“Vai a raccogliere erbe, ma non hai con te  nemmeno un cesto in cui riporle. Cosa mi stai nascondendo, Morgana?” chiese parlando tra sé e sé.

Legò il suo cavallo ad un albero e prese a seguire la ragazzo, stando ben attento a non farsi scoprire.

 

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Capitolo 4
*** Parte Terza ***


PARTE TERZA

 

Artù aprì gli occhi pigramente.

Il sole non era ancora sorto, ma il cielo ad est cominciava già a schiarire. L’aria era fredda, lui si sentiva intirizzito e stancamente rilassato. Accanto a lui, rannicchiata contro il suo corpo e con la testa poggiata nell’incavo della sua spalla, c’era Morgana. Era ancora profondamente addormentata.

Artù sorrise.

Cercò a tastoni i propri vestiti, sparsi chissà dove nel prato intorno a lui, ma quando si rese conto che non avrebbe potuto raggiungerli senza svegliare la ragazza, ci rinunciò, limitandosi a stringerla un po’ più a sé con la scusa di godere di un po’ del calore del suo corpo per scaldarsi. Cercò una posizione un po’ più comoda e, quando la trovò, tornò a guardare la giovane attentamente.

Non poteva affermare di averla notata subito non appena era arrivata a palazzo: era una serva e quasi non si era nemmeno accorto del suo arrivo, fino a quando lei non aveva fatto amicizia con Merlino. Solo allora qualcosa in lei lo aveva colpito, anche se non avrebbe saputo dire esattamente cosa.

La sera prima, quando l’aveva raggiunta presso il falò, gli era sembrata veramente una creatura magica, una di quelle da cui suo padre l’aveva messo in guardia sin da quando era molto piccolo.

Ora i riflessi argentati non le brillavano più fra i capelli neri, dandogli quasi l’impressione che lei indossasse una corona di luce, né quelli caldi del fuoco sottolineavano generosamente ogni curva del suo corpo non ancora del tutto adulto. Ora quella che gli dormiva accanto e che gli solleticava la pelle sensibile del petto con i capelli e il respiro regolare e delicato era solo Morgana, la serva di colei che un giorno sarebbe probabilmente diventata la sua sposa. Eppure per Artù, anche in quel momento, lei era bellissima, forse persino di più di quanto le fosse sembrata durante quella notte incredibile che sarebbe rimasta marchiata a fuoco per sempre nel suo cuore e nella sua anima.

 

“Non aver paura” gli aveva detto la sera prima, quando lo aveva visto apparire al limitare della piccola radura nascosta tra i boschi di Camelot, dove uno dei falò di Beltane era stato acceso nonostante il divieto del re.

Per un attimo gli era quasi venuto da ridere: aveva appena scoperto almeno una cinquantina di sudditi “traditori” che avrebbero dovuto essere messi alla gogna per il semplice fatto di trovarsi lì in quel momento, eppure era stata lei a rassicurarlo e a dirgli di non temere nulla.

“Vieni Artù” aveva continuato Morgana. “Se un giorno vorrai essere un re migliore di quanto non lo sia oggi tuo padre, dovrai imparare a conoscere e a rispettare tutta la tua gente, oltre che a pretendere il loro rispetto e la loro obbedienza”.

Lui, improvvisamente dimentico del motivo per cui aveva seguito Morgana fin là, aveva provato un profondo brivido lungo la schiena: la figura che aveva di fronte, e che lo invitava con fare rassicurante, era quella della giovane serva di Ginevra, e sua la voce che lo aveva rapito, eppure era certo che ci fosse dell’altro in lei in quel momento, qualcosa di molto più grande: questo lo spaventava a morte, lo esaltava, lo confondeva, lo irritava e lo attirava in egual misura.

“Non aver paura, mio giovane principe” aveva ripetuto Morgana, o chiunque parlasse attraverso la sua bocca. “Un tempo sono stata per te, come per chiunque altro, la Madre, dispensatrice di vita; un giorno ancora lontano sarò per te, come per chiunque altro, la Vecchia, dispensatrice di pace eterna; ora sono solamente la Vergine Sposa che attende di nuovo di poter tornare ad essere Madre. Puoi chiamarmi Dea, puoi chiamarmi Vita, puoi chiamarmi Maria, anche se i cristiani vedono in me solo l’aspetto di Vergine e Madre. Oppure puoi non chiamarmi affatto. A me non importa. A me importa solo che tu sappia chi sono, e che non lo dimentichi mai…”.

Allora lei aveva steso le braccia verso di lui, ed Artù l’aveva raggiunta. Non come qualcuno la cui volontà fosse costretta da un qualche incantesimo (quella era una cosa che aveva già sperimentato, e sapeva che non si trattava di quello, anche se suo padre probabilmente lo avrebbe pensato), ma come un assetato si avvicina ad una fonte di acqua fresca. Con bramosia, desiderio, ma anche col timore che questa possa sotto gli occhi da un momento all’altro, frutto solo di un miraggio o della propria immaginazione.

Artù non si era mai particolarmente curato di nessuna religione, Nuova o Antica che fosse, e, anche se non aveva mai escluso che potessero esistere, non si era mai fermato a riflettere su quali e quanti potessero essere gli dei, o su come desiderassero essere chiamati. Non si era mai posto il problema di ciò che non fosse tangibile ai suoi sensi, eppure in quel momento era certo di “conoscere” colei che gli stava parlando. Era certo di conoscerla e di potersi fidare. Era certo di conoscerla e di poterla amare incondizionatamente.

 

Artù chiuse di nuovo gli occhi per poter rivivere ogni istante di quella notte, ma sapeva che se avesse provato ad esprimere quelle sensazioni con parole razionali non ci sarebbe riuscito.

Ricordò il sapore della pelle di Morgana, quello delle sue labbra morbide. Ricordò il tremore delle sua mani mentre gli sfilava la tunica e la fatica che invece aveva fatto lui per essere altrettanto delicato nello slacciare i lacci della sua semplice veste, quando invece avrebbe solo voluto stracciarli per poter fare più in fretta. Ricordò il momento in cui l’aveva trascinata a terra sotto di sé, e lei lo aveva benedetto chiamandolo “Consorte” ed accolto dentro di sé. Ricordò la debole resistenza del corpo di lei, quell’attimo di paura e di esitazione superato tuttavia in fretta.

In quei momenti il bagliore che circondava Morgana si era fatto ancora più intenso ai suoi occhi e, da come lei lo aveva guardato con stupore e riverenza, Artù sospettava che una luce molto simile avvolgesse anche lui.

Ora tutto quello era passato, anche se il solo ripensarci gli aveva imporporato il volto, e non solo: ora lei era di nuovo solo Morgana, e lui era di nuovo solo Artù. Tuttavia le emozioni, le sensazioni e i sentimenti provati quella notte erano ancora lì: non erano cambiati e non lo avrebbero mai fatto. Artù sapeva che ormai avrebbe sempre visto la Dea nel volto di Morgana, e Morgana sarebbe per sempre stata la Dea ai suoi occhi. L’avrebbe amata per sempre, e, all’improvviso, tutte le sue convinzioni sul fatto che sposare una donna piuttosto che un’altra sarebbe stato indifferente, crollarono miseramente. Tutto d’un tratto, l’idea di dover sposare Ginevra tra qualche anno gli risultava ancora più insopportabile di quanto già non lo fosse prima. Non avrebbe detto nulla a suo padre, perché lui non avrebbe capito e probabilmente avrebbe condannato a morte Morgana con l’accusa di averlo stregato, ma sapeva che, da quel momento, non sarebbe più stato felice se non avesse potuto averla al suo fianco.

Tuttavia quella non era una cosa a cui fosse in grado di pensare in quel momento.

Tornò a guardare Morgana e le posò un leggero bacio sulla fronte: lei mugolò debolmente nel sonno e sprofondò ancora di più nel suo abbraccio e sotto il mantello che faceva loro da coperta. Di nuovo, Artù sorrise senza poterlo evitare.

Intorno a sé  cominciava a sentire i rumori di altre coppie che si risvegliavano e si apprestavano a tornarsene a casa e alla vita di tutti i giorni. Si chiese se la Dea e il Consorte si fossero uniti anche tramite loro o se era stato un privilegio riservato solo a lui e a Morgana. Poi sogghignò dandosi dello sciocco e scartando la seconda ipotesi. La Dea era stata chiara: ciò che era stata per lui, lo era e lo sarebbe stata anche per chiunque altro. Per un attimo si chiese se non dovesse sentirsi “tradito” per questo, ma l’immagine di Merlino che gli dava dello sciocco presuntuoso gli si parò immediatamente alla mente e, per una volta, non solo non se la prese, ma riconobbe anche che il suo amico avrebbe avuto ragione.

Sapeva che doveva alzarsi e ritornare a palazzo, e di corsa anche, prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza, ma si sentiva talmente bene lì, con Morgana tra le sue braccia e il silenzio ovattato dell’alba intorno, che non riusciva a decidersi a farlo. Se avesse potuto fermare il tempo in quell’attimo per sempre, lo avrebbe fatto. “Beh… magari potrei fermarlo ad un paio di attimi durante questa notte…” pensò maliziosamente, ridacchiando soddisfatto.

Il filo dei suoi pensieri e dei suoi ricordi venne bruscamente spezzato dal movimento repentino di Morgana che, un attimo dopo essersi svegliata, era scattata in piedi tirandosi dietro il mantello e lasciandolo disteso a terra, completamente nudo: solo il freddo improvviso impedì al principe di preoccuparsi della sua nudità.

Morgana, dal canto suo, stava cercando di recuperare le sue vesti il più in fretta possibile, ma non sembrava intenzionata a perdere il tempo necessario per indossarle. Voleva solo scappare da lì al più presto.

“Morgana” la chiamò Artù appena ripresosi dalla sorpresa, ma la ragazza non lo ascoltò.

Era spaventata.

“Morgana” disse di nuovo il figlio di Uther, in maniera un po’ più insistente, ma quando fu chiaro che la ragazza non intendeva ascoltarlo, fece per alzarsi.

A quel movimento Morgana lo fissò per un attimo e poi prese ad allontanarsi correndo, anche se non aveva ancora finito di recuperare i suoi abiti: un sandalo e il fermaglio che di solito le teneva legati i capelli erano ancora nell’erba, abbandonati.

Artù si sentì vagamente ferito da quella fuga improvvisa, ma decise di ignorare quella sensazione e con uno scatto si tirò finalmente in piedi e prese a rincorrere la giovane. “Morgana, aspetta!” disse quando infine riuscì ad afferrare la ragazza. “Perché stai scappando?”. Morgana si dimenava per liberarsi dalla presa del ragazzo. “Smettila…!” ridacchiò Artù quando lei prese a colpirlo nel tentativo di scappare. All’improvviso comprese: “Non ti denuncerò di certo, Morgana, non aver paura” disse con tono rassicurante, allentando di poco la stretta sul suo polso per non farla sentire in trappola.

Morgana, poco a poco, cessò di lottare, più per l’inutilità di quel gesto che perché fosse convinta delle parole di Artù. Lo fissò negli occhi, sfidandolo e chiedendosi se si potesse fidare di lui allo stesso tempo.

Artù allora le lasciò il braccio, e lei, istintivamente, prese a massaggiarsi il polso dove la pelle si era arrossata leggermente.

“Sei libera Morgana, se vuoi scappare non ti fermerò di nuovo, ma almeno finisci di vestirti.

Un guizzo di malizioso divertimento passò negli occhi della ragazza: “Quella completamente nuda non sono io, mio signore…” rispose, trattenendosi a stento dall’abbassare lo sguardo dagli occhi di Artù. Il ragazzo sentì l’imbarazzo montargli dentro, ma non voleva darle la soddisfazione di vederlo arrossire come una ragazzina.

“Davvero non mi farete mettere alla gogna?” chiese lei tornando seria. “Sarebbe tuo dovere…”.

“E’ vero, ma se lo facessi poi dovrei finirci anche io… Non ne ho molta voglia…” rispose scherzosamente. Poi tuttavia si fece serio e aggiunse: “Non condividevo la decisione di mio padre di proibire i Fuochi e, dopo questa notte, la condivido ancora di meno. Non mi illudo di poter spiegare esattamente quello che è accaduto qui, ma so per certo che non è stato nulla di malvagio. Non ti denuncerò, Morgana, come non denuncerò nessun altro che era qui ieri sera, per il semplice motivo che, nonostante quello che dice mio padre, nulla di male è stato fatto. E poi…”

“Poi…” chiese Morgana, avvicinandosi a lui di un passo.

“E poi non potrei mai denunciarti Morgana... Non dopo questa notte…” ammise Artù con una semplicità che sorprese prima di tutti lui stesso.

Morgana abbassò lo sguardo, imbarazzata, ma non fece nulla per allontanarsi quando Artù la costrinse delicatamente con una mano ad alzare il volto per tornare a guardarla negli occhi.

La baciò teneramente, come se temesse che lei sarebbe fuggita di nuovo: non c’era la passione che era scoppiata quella notte, solo una dolcezza e un’intimità che né Artù né Morgana avevano mai conosciuto prima.

“Ora faremo meglio a rientrare a Camelot” disse il ragazzo mentre ancora la teneva tra le braccia.

“Forse è meglio però che voi prima vi rivestiate…” rispose Morgana sorridendo imbarazzata.

“Perché? Così non ti piaccio?” stette al gioco Artù.

“Credo di avervi dimostrato questa notte quanto io apprezzi come Lady Igraine vi ha fatto, ma non mi sembra il caso che rientriate a palazzo così” rispose lei, non facendosi più alcuno scrupolo a squadrare ogni singolo centimetro della sua pelle nuda.

Artù decise che era meglio rivestirsi prima che quello sguardo provocasse altri danni difficilmente nascondibili: l’idea di ricominciare da capo con lei, in quel preciso momento, tutto quello che avevano vissuto durante la notte cominciava a frullargli per la testa con fin troppa insistenza. Decise quindi che era davvero meglio che si rivestisse e si rimettessero in cammino, altrimenti la sua assenza sarebbe stata notata senza dubbio e lui non aveva intenzione di essere costretto a fornire spiegazioni che avrebbero potuto rivelarsi pericolose per Morgana.. Tirò un profondo sospiro per calmare gli spiriti che avevano ricominciato a farsi bollenti e tornò a recuperare i propri abiti.

Mentre rientravano, Morgana si fermò per davvero a raccogliere qua e là alcune erbe che sarebbero servite a Gaius: “Alle porte della città, se qualcuno mi chiederà cosa faccio in giro a quest’ora, risponderò che sono andata a cercare erbe la sera prima e che mi sono addormentata nel bosco” aveva detto lei, quando si era accorta dello sguardo interrogativo di Artù. “E poi le scorte di Gaius stanno veramente esaurendosi, quindi se non volete che la prossima volta vi curi con dell’ortica al posta della valeriana, lasciatemi fare”.

Quando giunsero al bivio in cui Artù aveva lasciato il proprio cavallo si separarono: grazie al suo alibi vegetale, Morgana sarebbe rientrata in città dalla porta, mentre il principe avrebbe usato un tunnel che lo avrebbe portato direttamente al castello. Camelot stava cominciando a svegliarsi, ed entrambi sapevano di doversi affrettare. Tuttavia Artù trovava insopportabile l’idea di separarsi, anche se per poco, da lei. Si diede dello sciocco per quel comportamento che fino ad allora gli era stato del tutto estraneo, ma non riuscì ugualmente a non rincorrere la ragazza per darle un ultimo bacio e per strapparle la promessa che quella appena passata non sarebbe stata la loro unica notte insieme, e poi non riuscì a non seguirla con lo sguardo, mentre si allontanava, finché lei non svanì dietro la curva delle strada che l’avrebbe portata in città.

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Capitolo 5
*** Parte Quarta ***


 PARTE QUARTA

 “Hai corso un bel rischio, lo sai, vero?” Disse Merlino, agitato.

“È andato tutto bene Merlino, calmati” gli rispose Morgana.

“Artù è rimasto in pattuglia tutta la notte: quando io e Lancillotto lo abbiamo lasciato aveva detto che sarebbe presto rientrato anche lui. Se non lo ha fatto significa che qualcosa gli ha fatto cambiare idea. Probabilmente ha scoperto qualcosa, e avresti potuto essere tu!”

“Punto primo, tu sei l’ultima persona che possa farmi la predica riguardo al correre dei rischi.” Merlino fece per protestare, ma Morgana non gliene diede il tempo. “Punto secondo, non mi pare che ci sia nessuno alla gogna questa mattina. E punto terzo, come fai a sapere che Artù non è rientrato questa notte?”: Morgana si sentiva in realtà leggermente agitata ed era decisa a scoprire cosa Merlino sospettasse di quella faccenda. Se il giovane mago avesse scoperto la verità, non sarebbe certo stato un problema: li avrebbe presi un po’ in giro, forse, ma di sicuro non li avrebbe traditi. Eppure Morgana si sentiva imbarazzata all’idea e preferiva che ciò che era accaduto fra lei e il principe rimanesse un segreto.

In realtà si era sempre sentita più attratta da Lancillotto che non dà Artù e l’evidenza dell’amore del giovane cavaliere per Ginevra non era bastata a toglierglielo dalla mente. Ma quella mattina aveva scoperto un lato di Artù che non conosceva: aveva conosciuto ragazzo che si celava dietro il principe. Un ragazzo bello sì, come lo era il principe, ma anche tenero e romantico. Ogni tanto anche l’Artù principe si era dimostrato attento e premuroso, verso la sua gente se non altro, ma dopo quanto era successo, ora Morgana faticava a vedere prima l’erede al trono e poi il giovane e semplice uomo che era. Si era capovolto tutto quanto e questo lo preoccupava: di certo non era innamorata del principe Artù, ma era sicura di potersi innamorare, se già non stava succedendo, del ragazzo che l’aveva rincorsa e tranquillizzata quella mattina. Questo non doveva accadere però, perché quel ragazzo era anche il principe, e per loro non c’era alcuna speranza. Avrebbe al massimo potuto essere la sua amante, ma quel pensiero la feriva. Meglio tornare concentrarsi su Lancillotto: non aveva migliori possibilità con lui, ma almeno, dopo quella notte, era minore il rischio di innamorarsi veramente di lui, facendosi così del male.

“Quando questa mattina sono andato a svegliarlo, lui non c’era” affermò Merlino, strappandola alle sue riflessioni.

“Magari si è solo alzato presto” provò a dire Morgana.

Merlino la guardò come se avesse detto la più grande stupidaggine del secolo e poi disse: “Che Artù si svegli presto al mattino senza un valido motivo è già cosa sufficientemente incredibile, ma che si rifaccia anche il letto da solo è assolutamente impossibile. Il letto era posto e lui non avrebbe nemmeno saputo da dove cominciare per risistemarlo, quindi... Artù non ha dormito nel suo letto questa notte!”.

“Sì, forse ragione...” convenne Morgana, che decise poi di rischiare aggiungendo: “Chissà Merlino, magari alla fine Artù ha scoperto uno dei Fuochi e si è unito ai festeggiamenti...”

Merlino la fissò un attimo a bocca aperta, fermandosi a metà del corridoio verso le lavanderie alle quali erano diretti. Morgana quasi poté vedere le immagini di Artù avvinghiato ad una qualche sconosciuta in mezzo ad un prato che si stavano formando nella mente di Merlino, e sorrise di fronte al rossore che subito si diffuse sulle guance del giovane mago. “Naaaa... impossibile!” sentenziò alla fine un ragazzo, scrollando testa e spalle come a volersi liberare dalle immagini che gli ronzavano in testa.

“Stavo solo scherzando Merlino!” disse Morgana riavviandosi verso le lavanderie con il carico di abiti della sua padrona da far lavare.

Merlino la seguì dopo qualche istante, ricominciando immediatamente parlare di tutt’altro: la questione, per quanto lo riguardava, era archiviata. 

***

 “Dunque nessuno dei miei sudditi ha disubbidito” affermò Uther e Artù non seppe dire se il suo tono fosse compiaciuto o dubbioso.

“Nessuno che io o le guardie abbiamo scoperto, padre: ho fatto la ronda sino a tardi, ma non ho scorto nessun falò.”

“Ottimo!” rispose il re. “Non mi piace vedere la mia gente alla gogna. Credo che, come premio, dovremo indire una giornata di festa: un bel torneo, un buon banchetto, musica e balli. Potrei far venire a Camelot qualche menestrello che si esibisca in piazza. Che ne dice Artù?”

“Mi sembra una buona idea” rispose il giovane cercando di mascherare al meglio l’imbarazzo per la menzogna che stava raccontando a suo padre e al suo re.

“Mio signore” intervenne Ginevra, “posso chiedervi di dedicare la festa che avete in mente alla celebrazione del giorno di Pentecoste?”

Uther fece una smorfia: le feste dei cristiani erano sempre troppo legate a penitenze e riflessioni per i suoi gusti, e lui aveva in mente una vera festa, dove la gente potesse bere, mangiare e divertirsi quanto voleva, senza aver timore per questo di finire all’inferno. Lo disse chiaro e tondo a Ginevra, ma la ragazza non si rassegnò: “Mio sire, voi fate torto al Signore e alla sua Chiesa: per noi cristiani esistono giorni di penitenza e giorni di festa. E così come peccato far festa nei giorni di penitenza, lo stesso vale per il fare penitenza nei giorni di festa. Certo, sono sempre necessari la moderazione il buon senso, ma Dio non ci ha concesso le feste per poi impedirci di godere pienamente. E Pentecoste è senza dubbio un giorno di festa, il giorno in cui lo Spirito Santo è sceso sui discepoli, liberandoli dalla paura. Da allora Dio è giunto in ogni casa, in ogni nazione, dalla Terra Santa sin qui in Britannia. È un giorno che merita di essere celebrato, e dato che già avete intenzione di festeggiare, tante vale che i vostri festeggiamenti spianino ai vostri sudditi la strada verso il Regno di Dio.”

Uther si era perso a metà del discorso di Ginevra, ma se la sua richiesta si esauriva nel far celebrare una messa anche se non era domenica, non aveva nulla da ridire. Se Ginevra voleva la sua festa cristiana, l’avrebbe avuta, per lui cambiava poco: “E sia” concesse, venendo ricompensato da un radioso sorriso della sua futura nuora.

Artù si limitò a sospirare, per nulla colpito dal sorriso di Ginevra: lui apparteneva alla Dea ormai, ma lei stessa aveva detto di essere la stessa che i cristiani chiamavano Maria, e non era sembrata seccata per questo.

“Io e le mie dame ci metteremo subito all’opera per preparare dei nuovi paramenti di festa per la chiesa” affermò Ginevra chiedendo il permesso di potersi ritirare per cominciare da subito ad organizzare preparativi.

Artù si chiese cosa avrebbe pensato Morgana quando, inevitabilmente, si sarebbe ritrovata coinvolta in quelle attività. E, altrettanto inevitabilmente, il solo pensare alla giovane illanguidì il suo corpo al punto che fu costretto lui stesso a chiedere congedo dal padre. 

***

 La festa venne pertanto fissata in coincidenza con il giorno di Pentecoste, poco più di una settimana più tardi. Quella settimana sarebbe stata molto impegnativa per Ginevra e per chiunque fosse stato intorno. Una volta stabilito ufficialmente che quelli sarebbero stati festeggiamenti di Pentecoste, infatti, la ragazza aveva deciso che si sarebbe dovuto trattare di una festa splendida, in qui la gente che ancora non credeva in Cristo potesse rendersi conto di quanto grande potesse essere la benevolenza del Signore e comprendere che, per quanto rinunce e penitenze facessero indiscutibilmente parte della sua fede, non erano richieste invano.

“Eleine, tu mi aiuterai a richiamare la tovaglia per l’altare maggiore. Celine, tu e Isabelle vi occuperete delle decorazioni per il palazzo e la piazza principale: coinvolgete anche le vostre amiche e le vostre serve per farvi dare una mano. Voglio che tutto sia perfetto” ordinò alle sue dame, riunitesi quel pomeriggio stesso in uno dei giardini interni del castello. “Tu Morgana ti occuperai del filato e delle tovaglie: nessuna di noi tesse un filo fine e regolare, ma resistente, come il tuo. Sei dispensata da tutti i tuoi altri incarichi, compresi quelli che ti assegna di tanto in tanto Gaius. Ho già parlato con lui e mi ha detto che non ci sono problemi.”

Morgana avrebbe voluto storcere il naso: era vero che era molto brava a tessere e filare, ma detestava farlo. Era un lavoro meccanico è noioso, ripetitivo, e spesso, mentre filava, cadeva come in trance, senza più essere in grado di rendersi conto di che cosa le accadeva intorno, ma continuando filare fino a quando qualcuno non la interrompeva. Avrebbe preferito che Ginevra l’avesse incaricata di correre da una parte all’altra del palazzo, trasportando magari secchi d’acqua o altri carichi pesanti per tutto il giorno. Tuttavia era inutile pensarci: la sua padrona aveva ordinato di tessere filare e lei avrebbe tessuto e filato. Almeno la stagione era già sufficientemente bella da poterlo fare nei giardini, all’aperto, dove l’aria fresca l’avrebbe forse aiutata a non sentirsi male troppo presto.

Rassegnata, si sedette all’arcolaio e cominciò a lavorare tra il chiacchiericcio eccitato delle altre dame.

“Lord Galvano è così valoroso…” diceva una, “Si è vero, ma Sir Tristan non è certo da meno... ed è anche così bello...” rispondeva un’altra. “Beh, se è solo di bellezza che vogliamo parlare, allora Sir Lancillotto non ha paragoni!” concluse una terza.

Nessun commento su Artù, notò Morgana, ma si disse che non era poi così strano: che Ginevra l’avrebbe sposato non era ancora ufficiale, ma per quelle donne il matrimonio era già stato praticamente celebrato e nessuna di loro voleva rischiare di inimicarsi la futura regina con commenti lascivi sul suo sposo. Se solo avessero saputo che Ginevra si risentiva molto di più per i commenti su Lancillotto piuttosto che per quelli su Artù, probabilmente non avrebbero mai nominato nemmeno lui nei loro sogni ad occhi aperti.

E infatti Ginevra, che fino a quel momento aveva sopportato di buon grado i sospiri delle sue dame, non appena sentì nominare il figlio della Dama del Lago decise di intervenire: “Signore, io devo andare alle cucine per stabilire il menù per il giorno della festa ora, ma conto per quando tornerò, dei ritrovarvi impegnate nella recita del rosario invece che in simili, sconvenienti, discorsi.”

Le dame si zittirono all’istante, mostrandosi dispiaciute e imbarazzate, ma poco dopo che Ginevra si fu allontanata i sospiri su questo o quell’altro cavaliere ripresero come se non fossero mai stati interrotti. 

***

 Gaius venne fatto chiamare con una certa urgenza verso metà del pomeriggio: Morgana aveva accusato un malore mentre si trovava a filare nel giardino del palazzo insieme alle dame di corte e le donne, vedendola pallida e quasi delirante, si erano molto allarmate. La ragazza era stata portata nelle stanze di Ginevra dove la sua padrona l’aveva raggiunta non appena aveva saputo e ora le teneva la mano e le rinfrescava la fronte con una pezzuola intrisa di acqua fresca. Quando  il medico di corte era arrivato Morgana si stava già riprendendo, anche se era evidente che era ancora parecchio scossa.

“Sto bene” mormorò rivolta a Ginevra, sorridendo stancamente. “Mi capita a volte, ma nel giro di qualche ora passa tutto”.

“Mi sentirò tranquilla solo quando sarà Gaius a dirmelo” ribatté la giovane.

“Morgana ha ragione” intervenne il medico di corte. “Questi episodi sono senza dubbio da indagare, soprattutto se, come dici, sono ricorrenti. Ma ora sta abbastanza: il battito e il respiro sono regolari e anche la temperatura si è normalizzata. Passare tutto il pomeriggio al sole non ha certo aiutato, e probabilmente il malore è stato dovuto proprio ad un colpo di calore, ma non è nulla che non si possa risolvere con un po’ di riposo e una buona dormita.”

Ginevra, finalmente, sembrò tranquillizzarsi: “Per oggi, ovviamente, non hai altri compiti: riposa pure qui, se vuoi o altrimenti chiederò a qualcuno dei servi di corte di portarti a casa”.

“Non ce n’è bisogno, mia signora. Ancora qualche minuto e potrò andarci da sola sulle mie gambe” ringraziò Morgana.

Ginevra la guardò con aria un po’ scettica, indecisa se insistere oppure lasciar correre: “Come vuoi Morgana, ma comunque vadano le cose, riposati che domani mi servi in piena forma” concluse con aria complice. “Ora devo lasciarti perché ho davvero ancora mille cose da fare, ma se hai bisogno di qualsiasi cosa non esitare a farmelo sapere, chiaro?”.

Morgana annuì in silenzio: sapeva che di qualsiasi cosa avrebbe potuto aver bisogno, non l’avrebbe chiesta a Ginevra, ma l’offerta dell’altra donna era stata genuina e quindi non c’era motivo di essere scortese con lei.

“So che non resterai qui e che dirti di farlo sarebbe solo una perdita di tempo e di fiato, ma almeno promettimi che aspetterai di essere di nuovo salda sulle tue gambe prima di andartene a casa” disse Gaius dopo che Ginevra ebbe lasciato la stanza.

“Aspettate!” esclamò Morgana vedendo che anche l’anziano medico di corte stava per andarsene per lasciarla riposare un po’.

Gaius si fece attento di fronte al tono attento con cui la ragazza lo aveva fermato: ora sembrava già pentita di aver pronunciato quell’unica parola, e questo lo incuriosì ancora di più. “Dimmi Morgana” rispose gentilmente, sperando così di incoraggiarla a continuare.

La giovane sembrò prima sul punto di scusarsi e di lasciarlo andare, ma poi si fece coraggio e parlò: “Gaius, io so di Merlino, e so che voi sapete”.

“Come fai a…” balbettò l’anziano uomo, allarmato.

“L’ho scoperto mentre usava la magia per rassettare il vostro studio”.

Gaius si lasciò sfuggire un’imprecazione che fece sorridere Morgana.

“Non dovete temere nulla da me, questo ve lo assicuro” si affrettò ad aggiungere Morgana. “Merlino è un amico e non dirò ne farò mai nulla che possa tradirlo. E lo stesso vale anche per voi ovviamente”.

“Ti ringrazio bambina, ma questo non salverà quel mascalzone dall’essere scorticato vivo questa volta! E’ già abbastanza grave che usi la magia, ma che la usi per evitarsi la fatica di rimettere a posto è troppo!” sbottò il medico. “Comunque dubito che mi abbiate detto tutto questo solo per metterlo nei guai: che succede Morgana?”

Morgana si fece di nuovo reticente, divisa tra il bisogno di parlare con qualcuno e la paura di confidarsi.

“Si tratta di quello che è accaduto questo pomeriggio” disse infine, dopo aver tratto un profondo respiro. “Come vi ho detto, non è la prima volta che mi capita una cosa del genere, e credo che il sole e il caldo non c’entrino nulla”.

Gaius si assicurò che la porta della stanza fosse ben chiusa e poi tornò ad avvicinarsi al letto di Ginevra, invitando Morgana a continuare.

“Mi capita ogni volta che faccio qualcosa di ripetitivo, come filare, o qualcosa che mi tenga occupate le mani, ma non la mente. In quei momenti cado come in trance, come se non fossi più nel mio corpo. Mi ritrovo in altri luoghi e in altri tempi, a volte lontani, altre vicini. Certe volte non so distinguere se quello che vedo sia già accaduto o se debba ancora succedere; in altre occasioni invece sono assolutamente certa. Vedo persone che non ho mai visto prima, ma delle quali conosco nomi e storie, e altre che invece so che dovrei conoscere ma non so chi siano; oppure, come questa volta, vedo persone conosciute. A volte vedo persino me stessa. In passato, alcune delle cose che ho visto si sono realmente avverate, mentre di altre ho scoperto poi essersi verificate centinaia di anni fa, prima ancora che i Romani occupassero le nostre terre.

“E cosa hai visto questo pomeriggio?” chiese Gaius non riuscendo a trattenere la propria curiosità.

Il volto di Morgana si rabbuiò leggermente: “ Ho visto la Camelot che forse sarà tra venti o trent’anni, e ho visto Artù…”

“Ed era tanto terribile?” chiese di nuovo Gaius, a cui non era sfuggito il turbamento della giovane.

“Al contrario!” rispose lei senza esitare. “Ho visto un grande regno, più vasto ed importante di quanto non lo sia ora. E giusto. Ho visto una Britannia finalmente unita e libera dall’incubo dei Sassoni. Ho visto cavalieri prodi e valorosi e un popolo libero, prospero, felice e fiero del proprio re. La gloria di Uther impallidirà di fronte a quella di Artù…”

“Morgana…” la scosse Gaius. “Morgana!”

La ragazza sbatté finalmente le palpebre e scrollò la testa e le spalle mentre lentamente tornava al presente. Era di nuovo visibilmente impallidita.

“L’ho visto di nuovo Gaius, proprio ora…”

“Ho visto bambina…” rispose il vecchio sedendosi accanto a lei e abbracciandola fino a quando il suo lieve tremore non si calmò.

“Sono forse pazza?” chiese Morgana con appena un filo di voce.

“No, non sei pazza” la rassicurò Gaius. “Credo solo che in te scorra la magia del Popolo Antico: non sono ormai molti i prescelti, coloro che hanno il dono, ma quella che tu temi essere pazzia non  altro che parti della magia che ancora scorre in questa terra. E’ la stessa magia che scorre dentro Merlino, o dentro i Druidi, solo manifestata in modo molto diverso. Uther crede di averla estirpata, ma è solo un’illusione: non importa quanto maghi, druidi, stregoni o sacerdotesse metterà al rogo. Ne nasceranno comunque altri, perché questa magia è il cuore stesso di questa terra, con buona pace dei cristiani che, ancora più del re, desiderano cancellarla, negarla, nasconderla”.

“Ma io non so nulla della magia!” esclamò Morgana spaventata.

“Credo che il tuo dono sia quello che sull’isola di Avalon è conosciuto come Vista” spiegò il medico.

“Avalon…” ripeté Morgana quasi senza accorgersene.

“Anche Lady Igraine, la madre di Artù, possedeva la Vista, ma per sua fortuna il principe non sembra averla ereditata. Io non so dirti molto di più a riguardo: in virtù di un patto vincolante, Uther non perseguita le sacerdotesse della Dea come fa con gli Stregoni, ma esse sono ugualmente bandite da Camelot. Posso cercare un contatto con loro, in mod da poter scoprire se realmente la magia dell’Isola Sacra scorra in te come credo. Nel frattempo tuttavia devi stare attenta Morgana: non parlare a nessun altro di quanto mi hai detto, nemmeno a quel pasticcione di Merlino. Sono certo che nemmeno lui ti tradirebbe mai, ma è comunque meglio che non sappia”.

Morgana si limitò ad annuire, spaventata e stanca.

Gaius le sorrise bonariamente, cercando di rassicurarla un po’: “Ora cerca davvero di riposare: manderò Merlino tra circa un’ora per riaccompagnarti a casa. Nel frattempo prova a dormire un po’ e non angustiarti troppo: in fondo ciò che hai visto è ciò che ognuno di noi si augura che possa accadere. Mi fa piacere sapere che Artù diventerà davvero un grande re”.

“Potrà contare su ottimi amici, come Merlino: i loro destini sono indistricabilmente legati” disse Morgana.

Gaius sorrise orgoglioso, poi le diede un leggero bacio sulla fronte e se ne andò, raccomandandole nuovamente di riposare.

Quando la porta si chiuse alle spalle dell'uomo, Morgana rimase a fissarla a lungo senza in realtà vederla: stava ripensando a ciò che aveva visto e a ciò che aveva detto all'anziano medico. Non aveva detto nulla che non avesse veramente visto, ma non gli aveva raccontato tutto. Aveva davvero visto lo splendore di Camelot, dei suoi cavalieri e della sua gente, ma non gli aveva parlato della profonda infelicità del suo re. Artù sarebbe diventato un grande sovrano, forse il migliore della storia della Britannia, ma sarebbe anche stato un uomo destinato al dolore e all'infelicità.

Chiuse gli occhi ripensando al ragazzo che solo la notte prima l’aveva tenuta fra le braccia, a quella dolcezza che tanto contrastava con l'immagine sbruffona e piena di sé che invece offriva agli altri. Ripensò al timore quasi reverenziale e alla devozione con cui l'aveva baciata poco prima che lei lo accogliesse come Consorte. Ripensò all'Artù che aveva scoperto accanto ai fuochi di Beltane e non riuscì a non piangere ricordando invece la tristezza che aveva visto in quegli stessi occhi in quello stesso cuore nella sua visione.

Non poté fare a meno di chiedersi cosa avrebbe potuto causare tutto quel dolore, ma prima che potesse darsi una risposta si addormentò, esausta, nel letto della sua padrona.

 ***

 Merlino informò distrattamente Artù che quel pomeriggio Morgana non si era sentita bene.

“Gaius l’ha visitata e ha detto che non è niente di grave: è stata tutto il pomeriggio a filare in giardino e il sole le ha procurato un leggero malore”

“Ora sta bene?” chiese Artù, cercando di dissimulare almeno in parte l’interesse.

“È ancora un po’ scossa, ma sta bene. L’ho accompagnata io stesso casa. Un po’ di riposo e domani sarà di nuovo al suo posto, per il sollievo di Ginevra” rispose il servo.

Artù avrebbe voluto scattare in quello stesso momento verso casa di Morgana, ma si trattenne per non insospettire Merlino.

“Parteciperai al torneo?” chiese il ragazzo moro.

“Ovvio...” rispose Artù distrattamente.

“Suppongo che questo significhi che dovrò lucidare la tua armatura da torneo, fa preparare le lance e riparare i finimenti danneggiati...” borbottò Merlino.

Artù gli puntò immediatamente addosso uno sguardo torvo: “Perché Merlino? Mi stai forse dicendo che se volessi indossarla ora, la mia armatura sarebbe meno che brillante e il mio cavallo meno che pronto ed impeccabile?” chiese con aria  minacciosa.

“Certo che no!” si affrettò a rispondere Merlino nervosamente. “È solo che... è solo che assicurarsi che tutto sia in perfetto ordine come l’ho lasciato dopo l’ultimo torneo sarebbe prudente... e la prudenza non è mai troppa...” improvvisò sul momento.

“Ottimo Merlino, quindi quando domani mattina darò un’occhiatina anch’io non avrò brutte sorprese, vero?”

Se non fosse stato che aveva già deciso per quella sera di andare a casa di Morgana per assicurarsi che stesse bene e per stare di nuovo insieme a lei, quel controllino lo avrebbe fatto quel giorno stesso, con il forte sospetto che di sorprese, brutte, ne avrebbe avute più di una: avrebbe potuto scommetterci! Sarebbe stato curioso di scoprire cosa il suo servitore si sarebbe inventato questa volta per levarsi dai guai. Merlino era sempre molto fantasioso nell’accampare le scuse più assurde e strampalate. Così invece gli avrebbe concesso un po’ di tempo, ma lo avrebbe costretto a lavorare tutta la notte per limitare i danni, impedendogli di ficcare il naso dove non doveva e di notare cose che era meglio che non notasse.

Merlino, dal canto suo, inghiottì a vuoto un paio di volte prima di rassicurare Artù e di prendere congedo da lui per mettersi subito al lavoro: meno male che conosceva la magia o una bella giornata alla gogna per inefficienza non gliela avrebbe tolta nessuno l’indomani.

Artù si trattenne dal ridere mentre guardava l’amico, preoccupatissimo, allontanarsi di fretta borbottando.

Poi decise che era il momento di andare ad assicurarsi che Morgana stesse bene, e qualsiasi pensiero relativo a Merlino, o a chiunque altro, svanì dalla sua mente.

 ***

 Il sole era calato da quasi un'ora quando Morgana sentì bussare alla porta della sua piccola casa.

Merlino l'aveva accompagnata un paio di ore prima e non se ne è andato fino a quando non è stato assolutamente certo che non avesse bisogno di altro. Aveva avuto il suo bel da fare per convincerlo che quella sera preferiva non cenare: il senso di spossatezza i giramenti di testa erano passati grazie al sonno profondo in cui era piombata negli appartamenti di Ginevra, ma il suo stomaco era ancora serrato e nonostante non potesse dire di essere completamente senza appetito, l'idea di mangiare le dava ancora un leggero senso nausea. Alla fine Merlino si è rassegnato e dopo essere andato a riempire almeno cinque secchi d'acqua al pozzo (aveva dovuto chiedergli se intendesse affogarla con tutta quell'acqua per farlo smettere) se n'è andato. 

Morgana non si aspettava altre visite per quella sera eppure, nel momento stesso in cui sentì bussare, credette di sapere chi si trova oltre la sua porta, e, per quanto l'idea sembra sua assurda, non riuscì ad impedire al suo cuore di accelerare i battiti mentre andava ad aprire.

“Merlino mi ha detto che questo pomeriggio non sei stata bene: ho pensato che potessi avere fame, ma dubitavo che avessi voglia di preparare la cena è così che ho portato qualcosa” disse Artù porgendole un involto da cui proveniva un buon profumo di pane da poco sfornato per la cena e ad arrosto in salsa di more.

Morgana aveva immaginato che potesse trattarsi di Artù, ci aveva sperato, ma non si era certo aspettata che si presentasse con la cena.

Rimase fissando stupita e il ragazzo fraintese il suo silenzio: “Tranquilla, viene dalle cucine del castello: non l'ha cucinato Merlino, né tantomeno io...”

Morgana sorrise ripensando ad una scena di qualche giorno prima quando, durante una delle solite scampagnate a cui Uther obbligava sia Artù che Ginevra, il principe si era lamentato della pessima cottura che Merlino aveva dato ad uno dei conigli che avevano catturato. In tutta risposta il giovane mago lo aveva sfidato a cucinare lui l'altro coniglio: se il coniglio cotto da Merlino non era effettivamente eccezionale, quello preparato da Artù era stato semplicemente immangiabile, e così avevano dovuto in parte ripiegare su ciò che, previdentemente, Ginevra le aveva ordinato di portare da palazzo. Artù si era finto offeso per tutto il resto della giornata, e forse lo era davvero, mentre Merlino gongolava senza ritegno, e tuttavia, grazie quel ridicolo incidente, quella era stata, tra tutte le gite a cui Uther obbligava i due ragazzi, la più divertente.

Il profumo che proveniva dal pacco che Artù le porgeva la riportò al presente: si disse che avrebbe provato a mangiare qualche boccone e così si scansò per lasciar entrare il ragazzo.

 

“Prima Merlino tenta di affogarmi, ora voi mi volete ingozzare” commentò ridendo Morgana di fronte alla grande quantità di arrosto che Artù aveva portato. “Cominciò ad aver paura di voi due!”

“Veramente anch'io sono ancora digiuno... Ho pensato che avremmo potuto mangiare qualcosa insieme...” rispose Artù, leggermente imbarazzato. “Se non sei troppo stanca...” aggiunse poi, fa intendendo di nuovo suo silenzio.

“Mi sembra una splendida idea” lo tranquillizzò Morgana che non poté fare a meno di notare il leggero sospiro di sollievo del principe. “In realtà non avevo pensato di cenare questa sera, ma il profumino di quest'arrosto mi sta facendo cambiare idea!”

Artù le sorrise apertamente e l'aiutò persino ad apparecchiare la tavola: Morgana in realtà non mangiò che qualche boccone, invidiando il sano appetito del suo ospite, ma la cena fu ugualmente molto piacevole.

“Ora come ti senti?” le chiese infine, dopo aver fatto sparire anche l'ultima fetta di carne nel piatto e aver esaurito ogni altro argomento di conversazione.

“Ora sto meglio, grazie. Sono solo un po' stanca: nulla che una buona notte di sonno non posso sistemare” rispose.

Un istante dopo si ritrovò chiedersi se quella che aveva visto per un breve istante nello sguardo di Artù fosse stata delusione. Si chiese se quella visita e quella cena non avessero avuto in realtà un secondo scopo: non ché in fondo la cosa le sarebbe dispiaciuta del tutto, però non le sembrava corretto lo stesso.

“Mi dispiace” disse Artù. “Tolgo immediatamente il disturbo in modo che tu possa riposare”

Morgana si vergognò dei dubbi che aveva avuto: “Nessun disturbo, mio signore...”

“Artù” la interruppe. “Mi chiamo Artù...”

“Nessun disturbo... Artù” ripeté Morgana imbarazzata. “È anzi stato molto gentile da parte vostra...”

“Tua” la corresse di nuovo. “Morgana, ti prego, non siamo palazzo. Non ci siamo che io e te, e io desidererei sopra ogni cosa che tu vedessi in me solo Artù, non il principe di Camelot. Fa’ come fa Merlino: lui certe licenze se le è prese dal solo e, per quanto me ne lamenti, questo in realtà mi fa sentire bene... Ehi, non dirglielo però!”

Morgana rise: era incredibile come quel ragazzo riuscisse ad avere due facce tanto diverse. Si chiese quale fosse la faccia del vero Artù, ma in cuor suo, era quasi certa di conoscere già la risposta.

“È stata una bella serata, Artù. Grazie mille, per la cena e per la compagnia” disse reprimendo l'istinto di fargli la riverenza.

“Buona notte allora” rispose il ragazzo, senza tuttavia accennare a muoversi verso la porta.

Di nuovo, il cuore di Morgana accelerò sensibilmente i battiti mentre gli archi azzurri di Artù erano fissi su di lei. Sapeva che sarebbe bastato un minimo accenno da parte sua e lui avrebbe baciata: glielo leggeva negli occhi, e non sapeva cosa fare. Stanca o no, desiderava anche lei che la baciasse di nuovo, ma al tempo stesso non voleva alimentare un fuoco che non sarebbe mai potuto divampare. Era una storia senza futuro quella, non si illudeva: doveva solo stabilire se avesse senso che ci fosse almeno un presente. La sua testa le diceva di no, ma il suo cuore suo corpo non sembravano essere del tutto d'accordo.

Le sue riflessioni durarono evidentemente qualche attimo di troppo e Artù, sconfitto, si arrese a distogliere lo sguardo da lei e ad avviarsi finalmente verso la porta. Poi, un attimo prima di uscire, cambiò idea: in due falcate tornò indietro e la baciò. Non fu violento, solo deciso. Le diede il modo di respingerlo, ma Morgana sapeva che non l'avrebbe fatto, che non l'avrebbe lasciato andar via quella sera, qualsiasi cosa gli dicesse la sua testa.

Nella sua mente il volto del ragazzo e quello più maturo dell'uomo che sarebbe diventato si sovrapposero: se davvero non ci sarebbe stata felicità nel suo futuro, non c'era motivo che non ce ne fosse nemmeno nel presente. E non c'era motivo per cui anche lei non potesse godersi quei momenti.

Rispose al suo bacio, aggrappandoglisi al collo quando le gambe le cedettero come era accaduto quel pomeriggio, ma per tutt'altro motivo. Artù prima la sostenne, poi la prese in braccio e la portò nella piccola stanza da letto. La adagiò sul pagliericcio e si stese accanto a lei: il letto era troppo piccolo per due persone, ma lui la strinse a sé e ricominciò a baciarla. Un bacio più tenero questa volta, quasi casto.

“Ora riposa Morgana” le sussurrò ad un tratto mentre con una mano le carezzava il volto.

Morgana lo guardò per un attimo sorpresa, e Artù si limitò a sorridere. Lei sorrise a sua volta e, come la notte prima, si strinse più a lui affondando il volto nell'incavo della sua spalla: pochi minuti dopo si addormentò, cullata dalle mani di Artù che si muovevano tra i suoi capelli scuri.

 

Quando il mattino dopo la luce del sole la svegliò, Artù era ancora lì con lei, esattamente nella stessa posizione non comodissima della sera prima. Era ancora addormentato, ma presto avrebbe aperto gli occhi.

Merlino si sarebbe fatto altre mille domande trovando intatto il letto del suo padrone per la seconda notte consecutiva: Morgana era pronta a scommettere che avrebbe tratto le conclusioni più assurde e strampalate, tranne quella più ovvia. Per un attimo si sentì un po' in colpa, anche per aver rivelato a Gaius la maniera in cui l'amico si serviva della magia di tanto in tanto, ma quando sentì Artù muoversi contro il suo corpo e, guardandolo, incontrò i suoi occhi azzurri ora aperti, decise che si sarebbe sentita in colpa nei confronti di Merlino in un’altra occasione.

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Capitolo 6
*** Parte Quinta ***


PARTE QUINTA 

Come previsto, il duello finale del Torneo di Pentecoste sarebbe stato tra Artù e Lancillotto: a Camelot non mancavano di certo audaci cavalieri che avevano dato vita a sfide memorabili, ma i due giovani amici erano senza dubbio quanto di meglio gli eserciti di Uther potessero sfoggiare.

Giostranti erano giunti da ogni parte della Britannia dopo che Ginevra aveva preteso che qualsiasi guerra venisse almeno temporaneamente sospesa durante quei giorni di festa, come accadeva, nei gloriosi tempi antichi, in occasione dei Giochi Olimpici. Uther era stato tutt’altro che entusiasta di quel proclama, ma nascondeva bene la sua irritazione per il fatto di avere tanti nemici sotto il suo stesso tetto.

Le gare comunque andavano avanti da due giorni, senza che si fossero verificati particolari incidenti: Uther aveva tuttavia fatto in modo che Artù non dovesse incontrare nessuno dei suoi dichiarati nemici. Conosceva la lealtà di suo figlio, e sapeva che non avrebbe mai disonorato quella tregua, per assurda che fosse, ma non era pronto a scommettere sull’altrettanta buona fede degli altri cavalieri, e quindi aveva preferito evitare che si affrontassero: “Per non indurre i nostri onorabili ospiti in tormentose tentazioni…” aveva detto al ciambellano incaricato di stilare il tabellone del torneo. Pertanto Artù, che ovviamente era stato tenuto all’oscuro di tutto, si era ritrovato ad affrontare solo cavalieri amici, o, al massimo, neutrali. Diverso il discorso per Lancillotto: confidando nel valore del giovane, Uther lo aveva fatto inserire nella parte opposta del tabellone rispetto ad Artù. Il re si augurava così di evitare al figlio di affrontare, anche in finale, un avversario poco fidato, e Lancillotto non aveva deluso le aspettative del suo re. In definitiva, il cammino di Lancillotto era stato decisamente meno agevole di quello del principe, e questo non era certo passato inosservato: la maggioranza delle scommesse che, clandestinamente, venivano fatte in tutto il regno davano il figlio della Dama del Lago per favorito. Ma quello che faceva arrabbiare maggiormente Artù era che c’era anche chi scommetteva sul fatto che Lancillotto avrebbe lasciato vincere l’erede di Camelot.

 

“Promettimi, giurami che non lo farai!” disse Artù quella sera, mentre cenavano nelle sue stanze private. “Promettimi che sarà un duello vero: leale e corretto, ma vero!”

“Ma certo che lo sarà!” disse Ginevra, nella speranza di evitare a Lancillotto una promessa che forse non avrebbe mantenuto: nemmeno lei ne era del tutto certa.

Artù tuttavia non le badò minimamente e non smise di fissare l’amico con sguardo penetrante.

Anche Merlino e Morgana erano stati invitati a quella cena privata, ed era chiaro che il giovane aveva tentato per tutta la serata di sviare il discorso dal duello dell’indomani. Tuttavia Morgana aveva imparato che era difficile smuovere Artù dalle sue idee, e se per di più era irritato, come quella sera, diventava assolutamente impossibile: non avrebbe dato tregua a Lancillotto finché lui non avesse promesso, e forse anche dopo.

Lancillotto, dal canto suo, era prima parso divertito, ma quando si era reso conto che Artù non scherzava si era fatto via via più serio: ora ricambiava lo sguardo fisso del principe senza alcun timore.

Morgana non poté fare a meno di notare quanto fossero belli entrambi: completamente diversi, ma belli da togliere il fiato tutti e due. Si chiese se anche Ginevra la pensasse alle stessa maniera, ma quando cercò con lo sguardo quello della sua signora vide che, mentre si torceva quasi dolorosamente le mani, era solo Lancillotto che fissava, senza riuscire a distogliere gli occhi da lui. Per un attimo si sentì irrazionalmente sollevata, ma poi provò solo una gran pena per quei tre giovani: sperò ardentemente che qualcosa potesse andare storto all’ultimo momento tra Uther e Leodegranz e che Artù e Ginevra non fossero davvero costretti a sposarsi, ma a corte si diceva che gli accordi erano stati ormai siglati e che il fidanzamento sarebbe stato presto ufficializzato, forse addirittura l’indomani, durante il banchetto, quando anche il padre della futura sposa sarebbe infine giunto a Camelot.

Involontariamente  Morgana ripensò alle mani di Artù sul suo corpo e una fitta contemporanea di piacere e di gelosia le strappò un flebile gemito: solo Merlino diede segno di accorgersene e, con lo sguardo, le chiese se tutto andasse bene.

“In nome del mio onore di cavaliere, della mia lealtà verso Camelot, del mio rispetto verso questa festa e in nome soprattutto della nostra amicizia, Artù, ti prometto che se domani vorrai vincere dovrai essere capace di battermi e che io farò tutto quello che mi sarà consentito dal regolamento per impedirtelo” affermò infine Lancillotto.

Artù lo fissò ancora per un lungo istante senza dire nulla, come a volersi assicurare che l’amico fosse sincero.

“Ti chiedo un favore Ginevra” disse infine. La ragazza distolse finalmente gli occhi da Lancillotto e fissò Artù con sguardo interrogativo. “Vorrei che tu promettessi un bacio al vincitore del torneo”.

Ginevra prima impallidì visibilmente, poi arrossì in maniera violenta. Sapeva che Artù non stava scherzando e se da una parte si sentiva offesa, dall’altra la possibilità di poter baciare almeno una volta il suo grande amore la tentava più di quanto fosse disposta ad ammettere. Anche Lancillotto, che aveva ben compreso come quello fosse, da parte di Artù, solo un modo per costringerlo per davvero a dar battaglia, era combattuto tra sentimenti contrastanti.

“Artù, io non credo che ci sia bisogno di tutto ciò…” cercò di farlo ragionare Merlino.

“Taci Merlino!” rispose secco il principe.

Il volto di Ginevra si indurì e, guardando Artù con aria di sfida, disse: “E va bene! Annuncerò io stessa il mio personalissimo premio prima che il duello abbia inizio, ma visto il motivo per cui mi fai questa richiesta, non ti stupirai se è a Lancillotto che chiedo di portare il mio nastro…” e così dicendo estrasse dalla scollatura del suo abito un candido nastro di raso che legò saldamente al braccio del cavaliere. Artù non diede segno di essere infastidito dalla cosa, mentre Lancillotto ne fu parecchio turbato: “Ginevra, questo non è onore a cui io possa ambire…”

“Non puoi ambirvi, Lancillotto, solo se non hai intenzione di batterti al meglio delle tue possibilità. Diversamente, io posso donare il mio pegno a chiunque voglio, quindi accettalo e fammi onore” rispose lei, fiera.

“Perfetto!” dichiarò Artù, finalmente soddisfatto e sorridente. “Ora possiamo passare a quel cinghiale che ci aspetta da troppo tempo: speriamo che non si sia raffreddato troppo”. Addentò con gusto i primi bocconi, tranquillo come se nulla fosse successo. Tutti gli altri rimasero interdetti per qualche istante, poi Merlino cominciò a distribuire abbondanti porzioni di cinghiale a tutti e, poco a poco, l’imbarazzo venne dimenticato e la cena continuò senza altri intoppi.

 

“Torna qui quando Ginevra ti congederà” le sussurrò Artù ad un orecchio. “Ho un favore da chiedere anche a te”.

Morgana si sentì avvampare al solo sentirlo accanto a sé: non le era piaciuto come aveva giocato con i sentimenti di Lancillotto e Ginevra quella sera, ma sapeva che sarebbe tornata da lui comunque, e quindi si limitò ad annuire discretamente, senza che gli altri si accorgessero della loro breve conversazione.

“Buona notte Artù, e grazie per la cena: va’ a dormire ora, o domani non avrai speranze” lo canzonò Lancillotto. Se per un attimo anche lui era stato arrabbiato con il principe, ora era già passata: i due erano veramente amici, e Morgana ebbe la certezza che quella loro amicizia avrebbe reso tutto ancora più difficile e doloroso in futuro.

“Buona notte a te, Lancillotto del Lago” rispose cerimoniosamente Artù, porgendo poi il braccio all’avversario e stringendo vigorosamente quello di Lancillotto quando il giovane fece altrettanto.

“Merlino, tu dai una ricontrollatina alla mia armatura: la giuntura della spalla sinistra non era oliata bene oggi. Se dovesse ricapitare domani, mentre Lancillotto bacerà Ginevra tu bac…”

“Vado a controllare” si affrettò ad interromperlo il mago che non era particolarmente curioso di conoscere quella che sarebbe stata la sua sorte se tutto non fosse stato perfetto.

“Buona notte a tutti e due, e che domani vinca il migliore” disse Ginevra, guardando provocatoriamente verso a Lancillotto mentre augurava al migliore la vittoria.

“Così mi spezzi il cuore, mia adorata” protestò Artù, fingendosi mortalmente ferito.

Ginevra gli rispose con una smorfia, ma a Morgana non sfuggì che mentre usciva dalla stanza stava sorridendo anche lei , come Lancillotto e lo stesso Artù.

“Mi dispiace di aver forzato la mano” disse Artù quando rimase solo nella stanza con l’amico. “Probabilmente ho esagerato, e ti chiedo perdono, ma per me è davvero importante che tu domani faccia di tutto per vincere. Vinco praticamente tutti i tornei, ma non ho mai modo di sapere se i miei avversari si battono veramente. E come non lo so io, non ne è certa nemmeno la gente: non voglio che il mio popolo pensi che vinco solo perché gli altri mi lasciano vincere”.

“Capisco il tuo pensiero e trovo che il voler dimostrare il tuo reale valore in un vero duello ti faccia onore. Non credo però che a Camelot qualcuno dubiti per davvero delle tue doti…”

“Scommettono addirittura sul fatto che anche tu mi lascerai vincere!” protestò Artù.

“Sì, ma sono scommesse talmente alte che dimostrano quanto nemmeno chi le propone le creda veramente possibili. E comunque, io ti ho visto combattere, in duello e in battaglia vera, e non ho dubbi sul tuo valore. Domani darò tutto quello che ho da dare, ma anche questo potrebbe non essere sufficiente. Avrei solo voluto che ti accontentassi della mia parola, che ti bastasse, senza bisogno di mettere in mezzo Ginevra. E’ stato scorretto, e lo sai”. Artù abbassò lo sguardo, colpevole. “Comunque non è a me che devi chiedere scusa, ma a lei. Io non ho molto da doverti perdonare. Stai attento però…” concluse abbandonando il tono serio e sostituendolo con un sorriso malizioso. “Ora, pur di ottenere quel bacio, potrei persino pensare di ricorrere a qualche sporco trucchetto: te lo meriteresti!”

Anche Artù sorrise alla minaccia dell’amico e gli diede una vigorosa pacca sulla spalla mentre questi lasciava le sue stanze. Ora non aspettava altro che Morgana tornasse da lui: se solo avesse potuto, avrebbe chiesto a lei di baciare il vincitore  del torneo e a quel punto avrebbe battuto persino un’intera orda di Sassoni pur di guadagnarsi il premio.

 

***

 

Quasi un’ora dopo, Artù cominciava a credere che Morgana avesse dimenticato la promessa fatta e a dubitare che sarebbe tornata: quella prospettiva gli faceva più male di quanto avesse creduto.

Immerso nelle sue riflessioni, si accorse quasi per sbaglio del leggero bussare alla porta.

“Ma perché ci hai messo così tanto?” chiese più bruscamente di quanto avrebbe voluto una volta richiusa la porta alle spalle di Morgana.

“E’ tutta colpa tua” rispose serafica la ragazza. “Hai messo Ginevra in tale agitazione con quella storia del bacio, che non voleva proprio saperne di andarsene a dormire. Ho dovuto spazzolarle i capelli a lungo per calmarla un po’ ed è stato solo con la scusa che domani sarà una giornata lunga e faticosa che l’ho convinta che il mondo non sarebbe crollato se per una sera non avesse recitato l’intero rosario. Per fortuna che l’ho convinta o sono quasi certa che mi avrebbe costretto a recitarlo con lei: hai idea di quanto tempo ci voglia per recitare tutto il rosario? E poi c’erano le guardie che fanno la ronda anche all’interno del palazzo visto che tuo padre non si fida dei vostri ospiti: sarei potuta venire da te con una tisana qualsiasi, ma si sarebbero insospettite se non fossi presto uscita dalle tue stanze e così ho dovuto attendere che la ronda passasse per poter…”

Artù la interruppe con un bacio: Morgana di solito non era una gran chiacchierona, ma ultimamente aveva evidentemente passato troppo tempo con Merlino e di tanto in tanto se ne veniva fuori con degli sproloqui che avrebbero fatto impallidire il suo maldestro servitore.

“C’era proprio bisogno di quella messa in scena?” chiese Morgana quando infine Artù si staccò da lei. C’era qualcosa nel suo tono che fece pensare ad Artù che disapprovasse la sua trovata non solo per quanto era stata ingiusta verso Ginevra e Lancillotto: si chiese se per caso Morgana fosse gelosa e, perversamente, l’idea non gli dispiacque affatto.

“Se avessi potuto, avrei chiesto a te di baciare il vincitore, e allora nulla avrebbe potuto impedirmi di vincere” disse sinceramente, sperando di riuscire a fugare qualsiasi dubbio in lei.

Morgana sorrise, arrossendo leggermente. Artù pensò che era ancora più bella quando era imbarazzata.

“Io non avrei baciato Lancillotto se anche avesse vinto” sussurrò Morgana: non sapeva perché lo avesse detto, e non credeva nemmeno che fosse vero dato che non era mai rimasta immune alla bellezza dell’altro cavaliere, ma quelle parole le erano venute talmente spontanee che non aveva nemmeno provato a trattenerle. Si disse che in fondo, forse, erano persino vere. Di certo Artù ne rimase molto colpito e Morgana comprese dal suo sguardo di averlo reso felice. Non sapeva se fosse giusto avere un tale potere su di lui, ma non le importava in quel momento.

Questa volta fu lei a baciarlo: non capitava spesso che fosse lei a prendere l’iniziativa, ma la cosa non sembrava dispiacere affatto ad Artù che tuttavia riprese presto il comando stringendosela addosso e approfondendo decisamente il loro bacio. E questa volta fu Morgana a non essere per nulla dispiaciuta: adorava abbandonarsi a lui.

“Hai detto che avevi un favore da chiedermi…” gli ricordò Morgana tra un bacio e l’atro.

“Vero” ammise Artù, allentando solo un po’ la stretta intorno alla sua vita. “Dato che, a quanto pare, Ginevra non mi donerà il suo nastro da indossare durante il torneo, per superare questo tremendo choc, non che tradimento, volevo chiederti di poterne indossare uno tuo” disse con tono melodrammatico.

Morgana rise e lo colpì un paio di volte sul petto.

“Non rifiutatemi anche voi questo favore, mia signora, o il mio cuore non reggerà al dolore” continuò Artù nella sua tragica recita.

Sempre ridendo, Morgana rispose: “Smettila di fare lo sciocco… E comunque non ho un nastro tanto prezioso da poter essere portato in pegno dal principe di Camelot!”

“Nemmeno il raso immacolato di Ginevra potrà mai essere tanto prezioso quanto un nastro che la Dea stessa cingerà al mio braccio” rispose Artù, e questa volta la recita era finita. “Dico sul serio Morgana: vorrei poter indossare un tuo pegno al torneo”.

“Te lo porterò domani mattina al tuo padiglione” promise Morgana. “Ora però è meglio che ti lasci risposare: non vorrei avere sulla coscienza una tua sconfitta”.

“beh, non mi pare che fino a questo momento io mi sia mai presentato stanco ad una giostra, eppure noi due…” le fece notare maliziosamente Artù, tornando a stringere la sua presa intorno a lei.

“Già, ma fino ad oggi non avevi mai provocato il tuo avversario fino a questo punto…”

“L’importante è che domani sia un bel duello: chi sarà il vincitore non ha molta importanza. Lancillotto è in gamba quanto me: a decretare la vittoria sarà un dettaglio. Un riflesso abbagliante, un granello di sabbia in un occhio. Io voglio solo che se sarò io a vincere non si possa dubitare del fatto che lui abbia fatto di tutto per battermi, mentre se sarà lui a guadagnarsi il bacio di Ginevra, voglio almeno che non si possa dire che ho perso persino contro qualcuno che voleva farmi vincere”.

Morgana lo guardò stupita, cercando di capire se la stesse prendendo in giro o se fosse serio. Tutto si sarebbe aspettata da Artù, tranne che sentirgli fare certi discorsi: era bello scoprire che non era solo un pazzo invasato che non poteva nemmeno concepire di perdere anche un solo torneo. Suo padre non l’avrebbe probabilmente pensata allo stesso modo, ma era contenta anche del fatto che, per molti versi, Artù fosse molto diverso da Uther Pendragon.

“Penso che dovrei andarmene lo stesso” lo stuzzicò.

“Testona!” protestò lui. “Lo sai che non ti tratterrò di certo se vuoi andartene, ma preferirei che tu restassi”.

Morgana ci pensò un attimo, poi decise che, per quello che la riguardava, il torneo poteva pure andarsene al diavolo: “Prova a convincermi, principe di Camelot…”

Artù non se lo fece certo ripetere due volte e quando finalmente si addormentarono non mancavano ormai che poche ore all’alba. Per fortuna il torneo non si sarebbe tenuto che nel primo pomeriggio: la mattina sarebbe stata occupata dalla Messa di Pentecoste e Artù non aveva bisogno di aver sonno per addormentarsi durante una di quelle lunghe e noiose funzioni.

 

***

 

“Ginevra ha appena annunciato il suo personale premio al vincitore: suo padre non è sembrato molto entusiasta, ma non ha protestato” disse Morgana entrando nella tenda in cui Merlino stava aiutando Artù ad indossare l’armatura. Il metallo era lucidato a specchio, non c’erano scricchiolii di sorta e le ammaccature dei combattimenti precedenti sembravano letteralmente sparite: Morgana si chiese se Merlino avesse usato la magia per ottenere quell’impeccabile risultato, e infine decise che senza dubbio lo aveva fatto.

“Si vede che Leodegranz è convinto che sarai tu a vincere il torneo” osservò il giovane mago mentre stringeva l’ennesima cinghia.

“Farò finta di non aver letto tra le righe che tu non la pensi allo stesso modo Merlino” disse Artù minacciosamente.

“Credo solo che Lancillotto preferirebbe morire piuttosto che rinunciare a quel premio…”

“Ora va’ a controllare il mio cavallo: l’armatura può passare, ma anche lui dovrà essere impeccabile per la giostra”.

Merlino uscì borbottando parole incomprensibili.

“Può passare?” chiese Morgana divertita quando l’amico fu uscito. “Mi ci posso specchiare in quell’armatura, Artù!”

“Sì…” concesse controvoglia il principe. “Questa volta ha fatto un buon lavoro…”

“Buono?” chiese Morgana.

“Oh, e va bene, ottimo, lo ammetto!” si arrese Artù. “Ma meglio non dirglielo, altrimenti si monterebbe la testa e diventerebbe ancora più insopportabile di quanto già non sia!”

Morgana scoppiò a ridere: “Siete davvero una strana coppia voi due!”

Artù la guardò in cagnesco per un attimo, ma alla fine sorrise anche lui.

“Tu piuttosto: non hai nulla da darmi?” chiese avvicinandosi a lei.

“Ecco…” disse Morgana mostrandogli un nastro di lino color lilla: era lo stesso nastro che aveva indossato tra i capelli la notte dei Fuochi di Beltane, Artù ne era certo. “Ti avevo detto che non ne avevo uno prezioso come quello di Ginevra” disse lei per scusarsi della semplicità del tessuto con cui il nastro era fatto.

Artù non disse una parola: si limitò a porgerle il braccio in modo che lui potesse allacciargli il fiocco tra il gomito e il copri spalla.

“Voglio solo che tu sappia una cosa, Morgana” disse quando la ragazza ebbe terminato. “Voglio che tu sappia che se dovessi vincere, non potrò certo rifiutare il bacio di Ginevra…”

“Certo che non potresti!” fece per dire Morgana, allarmata, ma Artù non le diede il tempo di dire altro.

“Voglio però che tu sappia che non conterà nulla per me! Pare ormai inevitabile che io debba sposarla, e quando ho provato a dire a mio padre che non desideravo farlo per poco non mi ha condannato a morte per alto tradimento. Ma io voglio che tu sappia, che tu abbia la certezza, che qualunque cosa succederà, tu sarai sempre la sola donna che avrà un posto nel mio cuore. Ti amerò, ti benedirò e ti desidererò per sempre. Una volta ti ho detto che avrei per sempre visto la Dea col tuo volto, ma, credimi, amerò per sempre te oltre che lei, e solo perché sei tu, non perché mi ricordi Lei”.

Mentre parlava le aveva preso le mani e ora gliele stringeva forte, senza forse accorgersene nemmeno.

La ragazza si sentiva tremare le gambe: era felice e spaventata al tempo stesso.

L’immagine triste del re che Artù sarebbe diventato le ritornò prepotentemente alla memoria, e Morgana seppe ora che parte dell’infelicità che aveva visto sarebbe nata proprio da quella promessa che Artù le aveva fatto tanto avventatamente in quel momento e dal loro amore impossibile. Si sentiva paurosamente in colpa, eppure le parole del ragazzo continuavano a rimbalzarle nel cuore, facendolo battere all’impazzata. Sapeva che Artù si aspettava che lei dicesse qualcosa , ma, di nuovo, lei non sapeva che cosa fare, combattuta tra ciò che riteneva di dover dire e ciò che voleva dire realmente.

“Ti amo anche io Artù, ma quella che mi hai appena fatto è una promessa che io non posso accettare. Non siamo mai stati destinati a stare insieme, e lo sapevamo fin dall’inizio. Io desidero che tu sia felice accanto a Ginevra, o a qualunque altra donna ti legherai. Sapere che mi ricordi con affetto è già più che sufficiente per me , e ti posso assicurare che anche tu avrei per sempre un posto speciale nel mio cuore. Ma non voglio rinunciare alla possibilità di una vita felice a causa di un amore che sapevamo senza futuro, e vorrei che anche tu facessi altrettanto. Questo non significa che ciò che c’è stato tra noi non sia stato importante, ma una vita senza amore disonora la Dea e rende infelici e pieni solo di rimpianti e amarezze. Non voglio questo per te, Artù, e non lo voglio nemmeno per me”: questo era tutto quello che Morgana avrebbe voluto dirgli.

“Ti amo anch’io, Artù…” fu invece tutto quello che riuscì a dirgli prima di liberare le sue mani e di scappare via dalla tenda.

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Capitolo 7
*** Parte Sesta ***


PARTE SESTA

 Il torneo si svolse nel primo pomeriggio, e se Morgana si sentiva agitata non c’era modo di definire lo stato d’animo di Ginevra: seduta in mezzo a suo padre e Uther, sembrava un animale in gabbia. Leodegranz e il re di erano sorpresi non poco a vedere Lancillotto, e non Artù, con il bianco nastro della futura regina stretto attorno al braccio. Nessuno dei due aveva particolarmente gradito, ma per non aggravare l’incidente avevano deciso di bollarlo come uno scherzo, non particolarmente divertente, dei tre giovani. Uther non poté tuttavia fare a meno di chiedersi a chi appartenesse il nastro lilla indossato da Artù, ma quando chiese a Merlino se ne sapesse qualcosa, il ragazzo negò candidamente, salvo poi rivolgere uno sguardo complice e divertito a Morgana quando tutti erano troppo concentrati sul duello per prestar loro attenzione: Merlino aveva riconosciuto il suo nastro, e probabilmente lo aveva fatto anche Gaius che sedeva silenzioso accanto al re guardandola, di tanto in tanto, con un’espressione indecifrabile sul volto.

Se davvero nel regno qualcuno aveva scommesso dei soldi sul fatto che Lancillotto avrebbe lasciato vincere Artù, li avrebbe miseramente persi. Morgana non era certo un’esperta di battaglie e combattimenti, ma poteva sentire il respiro affannato dei due ragazzi e aveva potuto vedere i rivoli di sudore che colavano dalle loro tempie appiccicando i capelli ai visi dopo che, entrambi, avevano rinunciato all’elmo per poter respirare meglio.

In teoria non era previsto che i due si affrontassero in un duello con la spada, ma dopo che ripetuti assalti di giostra non erano stati sufficienti a decretare il vincitore, e visto che presto Lancillotto non avrebbe avuto più lance con cui gareggiare, Artù aveva proposto quella soluzione. Qualcuno aveva protestato, persino Ginevra, ma alla fine erano state estratte le spade da addestramento e il duello era ricominciato: sarebbe stato interrotto al primo sangue, e questo poteva significare che i due avrebbero combattuto in eterno dato che le armi avevano lame smussate che procuravano dei grandi lividi ma difficilmente più danni.

Morgana vedeva la fatica sui volti dei due ragazzi, ma vedeva anche i loro sorrisi: lei trovava assurdo che quei due si stessero divertendo a sfiancarsi come muli  e a darsele di santa ragione, e, da alcuni suoi commenti, sapeva che anche Ginevra la pensava grosso modo alla stessa maniera. Ma quello che era ancora più ridicolo era vedere l’esaltazione e il divertimento degli spettatori, a partire proprio da Uther che, dimenticata l’etichetta di corte, incitava il figlio a gran voce. Morgana non poté fare a meno di ridere tra sé per la stupidità degli uomini.

Lancillotto ed Artù stavano ora girando in tondo, fissandosi attentamente e cercando si cogliere il momento più adatto per sferrare il prossimo attacco. Oppure, pensò Morgana, stavano solo tirando il fiato prima di ricominciare.

“Sei un osso duro, vero…?” disse Artù.

“Ho fatto una promessa e sono ben motivato” gli rispose Lancillotto tra un profondo respiro e l’altro. “Dovrai riuscire a ferirmi per battermi perché io, dovessi anche morire sfinito in questa arena, non mi arrenderò mai!”

“Ottimo!” sghignazzò Artù, decidendo che il tempo del girotondo era finito e ricominciando a menar fendenti in un nuovo assalto. Lancillotto non si fece certo pregare e, dopo una miracolosa parata che fece sussultare il pubblico, passò al contrattacco.

“La fine del duello non può essere lontana” commentò Merlino accanto a Morgana. “Entrambi cominciano ad essere stanchi e prima o poi uno dei due commetterà un piccolo errore: nulla di serio, ma che gli procurerà quel graffio sanguinante che decreterà la sua sconfitta. Tu per chi fai il tifo, Morgana?” chiese maliziosamente.

La ragazza sopportò con buona grazia le altre allusioni del giovane mago, ma alla fine sbottò: “Oh insomma Merlino, gli ho solo dato un nastro dato che Ginevra aveva dato il suo a Lancillotto! Smettila di immaginare altre cose che non esistono!”

Non lo aveva convinto, e lo sapeva bene: non tanto perché Merlino avesse motivo di sospettare che ci fosse dell’altro, ma semplicemente perché era Merlino che se intravedeva una possibilità di prendere in giro Artù, non se la lasciava scappare per nulla al mondo.

E comunque aveva ragione: entrambi i duellanti si erano fatti meno cauti. Restava solo da vedere chi dei due avrebbe commesso il primo errore.

Fu Artù ad abbassare la guardia per un istante e, quasi più per caso che per precisa intenzione, l’elsa della spada di Lancillotto colpì a volto l’avversario durante un imprevisto corpo a corpo. Fu solo un graffio, ma sanguinò.

I due ragazzi si guardarono stupiti e Lancillotto provò a continuare il duello, come se nulla fosse accaduto, ma Artù gettò a terra la sua spada dichiarandosi sconfitto.

Un grande boato si levò dal pubblico mentre il principe rendeva onore al vincitore: l’applauso era per entrambi, vincitore e vinto, che avevano dato vita ad un duello memorabile che sarebbe entrato nelle leggende di Camelot. Ginevra era in lacrime, mentre Artù e Lancillotto, sfiniti, sorridevano felici sostenendosi l’un l’altro al centro del campo di battaglia. Uther sembrava un po’ meno entusiasta, ma riconosceva il valore del duello e della vittoria di Lancillotto.

“C’è qualcuno che deve ritirare un premio ora…” disse Artù, strizzando l’occhio all’amico.

“hai ottenuto quello che volevi Artù, ora basta con questa storia: né Leodegranz né tuo padre gradirebbero”.

“Gradirebbero ancor meno se ti rifiutassi pubblicamente: sarebbe una grave offesa per Ginevra. Senza contare quanto male ci rimarrebbe lei…” lo ammonì seriamente Artù.

“Ma oggi stesso annunceranno il vostro fidanzamento ufficiale a quanto dicono!”

“Appunto per questo: baciala finché è ancora libera: dopo non potrò fare più nulla che non sia completamente disonorevole per aiutarvi” rispose il principe.

Lancillotto lo fissò con aria sospetta e Artù comprese a cosa stesse pensando: “Non essere idiota Lancillotto! Non mi sono certo lasciato battere per permetterti di baciarla, ma dato che è successo, non vedo nemmeno un solo valido motivo per cui tu ora non debba goderti il tuo premio. Non sono un uomo geloso io!” concluse ridendo. Tuttavia, nel momento stesso in cui pronunciava quelle ultime parole, seppe che non erano vere: solo l’idea che qualcun altro potesse baciare Morgana gli mandava il sangue alla testa, ma dato che non era un bacio della giovane serva ad essere in gioco, era inutile pensarci in quel momento.

Sul palco d’onore tutto era stato preparato per la premiazione del vincitore: uno splendido stallone che Artù stesso aveva parzialmente addestrato era il premio ufficiale previsto sin dal momento in cui il torneo era stato indetto, e poi c’era il premio di Ginevra. Mentre lo splendido animale veniva condotto all’interno dell’arena, Artù si maledisse per la distrazione che gli era costata la vittoria. Lancillotto montò subito in sella: il cavallo, non del tutto domato, scartò vigorosamente un paio di volte, ma il cavaliere non si lasciò disarcionare e usando le redini e le gambe fece ben presto capire all’animale chi dei due comandasse. Quindi lasciò che la bestia si sfogasse in diversi, forsennati, giri dell’arena  e infine lo condusse di fronte al palco dove Ginevra attendeva con impazienza.

L’etichetta avrebbe previsto un casto bacio a fior di labbra e, ad onor del vero, quello fu il tipo di bacio che inizialmente Ginevra e Lancillotto si scambiarono. Ma non bastò loro: quello era il primo e presumibilmente anche l’ultimo bacio che si sarebbero mai scambiati e i due ragazzi non riuscirono a trattenersi dall’approfondirlo per godersi appieno quel loro unico momento. Un silenzio prima riverente e poi via via sempre più imbarazzato scese sull’arena e Morgana poté notare Uther che fissava alternativamente i due giovani e suo figlio, mentre il dubbio si faceva strada nella sua mente e nel suo sguardo. Probabilmente incominciava a comprendere che il matrimonio che stava organizzando da mesi non avrebbe mai funzionato: aveva sempre ritenuto che Artù e Ginevra avrebbero imparato a vivere insieme se non proprio ad amarsi , ma non aveva mai preso in considerazione che un terzo elemento potesse inserirsi nei suoi progetti per mandarli rovinosamente all’aria. E Artù non sembrava nemmeno minimamente seccato! Ormai era troppo tardi per mandare all’aria gli accordi presi con Leodegranz, ma non lo era per allontanare Lancillotto da corte: si sarebbe dovuto inventare qualcosa , ma non avrebbe mandato all’aria il futuro di Camelot per i capricci amorosi di tre ragazzi.

Fu Artù ad intervenire prima che l’imbarazzo generale prendesse il sopravvento su qualsiasi altro sentimento: “Guardate che così divento geloso!” esclamò quando fu chiaro che, di loro iniziativa, Ginevra e Lancillotto non avrebbero mai smesso di baciarsi.

L’affermazione del principe suscitò una gran risata da parte del pubblico e fece tornare alla realtà i due giovani, facendo comprendere loro che avevano esagerato. Ginevra arrossì più di quanto già non lo fosse e Lancillotto, pur senza smettere di sorridere, abbassò lo sguardo colpevolmente: anche le sue guance erano leggermente arrossate.

“Onore a Sir Lancillotto del Lago, vincitore del primo Torneo di Pentecoste” esclamò Artù a gran voce e l’acclamazione che si levò dal pubblico fu fragorosa, ogni imbarazzo di poco prima già dimenticato.

Morgana si fece vicina a Ginevra che non sembrava del tutto salda sulle sue gambe: ripensando ai baci di Artù, poteva capire fin troppo bene il suo stato d’animo, e la ragazza bionda sembrò apprezzare la sua silenziosa presenza.

“Andiamo a controllare che tutto sia pronto sia per il banchetto a palazzo che per quello in piazza” disse dopo qualche minuto, quando si fu ripresa, mentre tutti i partecipanti al torneo che ancora non avevano lasciato Camelot si congratulavano sia con Lancillotto che con Artù per lo splendido duello cui avevano dato vita.

Si allontanò così prima di dar tempo a suo padre di esprimere il proprio giudizio su quanto era accaduto: non avrebbe potuto evitarlo in eterno, ma quello era stato un momento troppo magico per lasciarselo rovinare.

***

Il banchetto a corte sembrava non dovesse terminare mai; le portate arrivavano a getto continuo da almeno due ore ormai e Artù non ricordava un solo istante in cui il suo calice fosse stato vuoto. Si trattava di vino annacquato ovviamente, ma gli effetti cominciavano ad essere comunque evidenti su più di un ospite. Anche lui non si sentiva completamente lucido, ma lo era ancora fin troppo per i suoi gusti visto quello che lo attendeva: suo padre gli aveva infatti confermato che durante il banchetto sarebbe stato ufficializzato il suo fidanzamento con Ginevra. Inoltre né Merlino né Morgana erano stati invitati alla festa a palazzo, nonostante le proteste della sua futura moglie, dato che suo padre aveva ritenuto che la loro presenza non sarebbe stata conveniente quando comunque nelle piazze di Camelot avrebbero potuto festeggiare alla stessa maniera. Così Artù si sentiva insopportabilmente solo: avrebbe forse potuto trovare compagnia in Lancillotto, ma quella sera l’amico era probabilmente l’unica persona che desiderava ubriacarsi sino a perdere i sensi più di quanto non desiderasse farlo lui stesso. Gli era stato riservato un posto al tavolo d’onore in quanto vincitore del torneo, ma sia Leodegranz che suo padre avevano fatto ben attenzione a tenerlo il più lontano possibile da Ginevra.

In realtà non ancora tutti i dettagli del fidanzamento erano stati chiariti e, contrariamente a quanto si fosse vociferato a corte in quei giorni, nessun annuncio era stato inizialmente previsto per quella sera; tuttavia la scena verificatasi durante la premiazione del pomeriggio aveva allarmato non poco i genitori dei futuri sposi che avevano così deciso di affrettare i tempi nonostante mancassero ancora alcuni dettagli.

Artù avrebbe voluto urlare: Ginevra certo era molto bella e, quando non esagerava con le sue fissazioni religiose, era anche una compagnia abbastanza gradevole. Ma lei non amava lui e lui non amava lei: avevano entrambi donato il cuore a qualcun altro. Era semplice da capire, ed era certo che anche suo padre lo avesse compreso, ma semplicemente non gli importava. Ginevra avrebbe portato in dote un buon numero di ottimi cavalli, qualche decina di cavalieri ben addestrati e una cospicua somma di monete d’oro, e questo a suo padre bastava, il resto erano solo dettagli irrilevanti.

Gli capitava di rado, ma Artù si chiese cosa avrebbe detto o fatto sua madre in quella situazione se fosse stata ancora viva: avrebbe appoggiato le scelte del marito come moglie devota o avrebbe tentato di aiutare il figlio come donna e madre? Non aveva mai conosciuto Igraine, né suo padre, o chiunque altro a palazzo, aveva mai risposto alle sue domande su di lei se non in maniera frettolosa ed evasiva, tanto che alla fine lui aveva smesso di porle. Non aveva idea di come sua madre si sarebbe comportata, ma gli piaceva credere che si sarebbe opposta a quel matrimonio.

“Amici miei, miei leali sudditi e miei onorati ospiti…” prese a dire suo padre alzandosi in piedi e attirando su di sé l’attenzione di tutti i commensali.

Era giunto il momento: Artù cerco con lo sguardo Ginevra e cercò di farle comprendere che capiva quello che provava. La ragazza gli sorrise dolcemente, senza riuscire a nascondere un velo di tristezza. Artù si rese conto che lei stava facendo di tutto per non incontrare lo sguardo di Lancillotto.

“Perdonatemi se interrompo per qualche istante lo splendido banchetto che la nostra Ginevra ha organizzato con tanto impegno. Lo faccio solo per annunciarvi che in questo giorno di per sé già tanto festoso, il mio cuore ha un ulteriore motivo per gioire. E’ con immenso piacere che vi informo che il mio fidato alleato Leodegranz ed io”, il padre di Ginevra si alzò a sua volta, “abbiamo raggiunto l’accordo che mi permette ora di annunciarvi ufficialmente il fidanzamento fra mio figlio Artù Pendragon, erede del trono di Camelot, e la dolce Ginevra: tra un anno a partire da oggi verrà celebrato il loro matrimonio, che riempirà di gioia tutto il regno!”

Mentre Uther parlava, Leodegranz aveva preso con sé Artù e sua figlia e, nel momento esatto in cui il re aveva annunciato il fidanzamento, aveva preso la mano Ginevra e l’aveva messa in quella del principe. Le acclamazioni avevano immediatamente riempito la sala e non si fece certo economia di brindisi in onore della nuova coppia reale. In realtà un tempo tanto lungo tra l’ufficializzazione del fidanzamento e la celebrazione del matrimonio era inusuale, ma, forse complice il vino, nessuno quella sera sembrò farci troppo caso. La musica, i balli, le portate e gli spettacoli di acrobati, giocolieri e cantastorie ripresero da dove si erano interrotti, con rinnovato vigore.

“Mio padre aveva ragione: hai organizzato davvero uno splendido banchetto” si complimentò Artù, più per cercare qualcosa di cui parlare che per testimoniare un effettivo gradimento.

“Grazie” rispose Ginevra. “Sono abbastanza soddisfatta di tutti questi giorni di festa: le mie dame e i cuochi hanno fatto un ottimo lavoro. Spero che in città stia andando tutto bene come qui a palazzo”.

Era chiaro che la ragazza stava cercando di essere il più naturale e spontanea possibile, ma il suo disagio era evidente e Artù provò quasi pena per lei, sentendosi in colpa al tempo stesso. Senza pensarci le diede un delicato bacio su una tempia, giusto per farle capire che non era da sola. Lei lo guardò stupita, e quando lesse negli occhi di Artù lo stesso stupore per quel gesto spontaneo ed istintivo scoppiarono a ridere insieme.

Il clima disteso e festoso della serata mutò però radicalmente circa una mezz’ora dopo, quando un nervoso araldo di corte si presentò alla porta della sala del banchetto annunciando con voce stentorea che Lady Viviana del lago, Signora dell’isola Sacra di Avalon, era giunta a Camelot e desiderava parlare con re Uther.

I flauti e le cetre smisero di suonare e le grida e le risate sguaiate che riempivano la sala si trasformarono prima in sommessi mormorii e poi cessarono del tutto.

La madre di Lancillotto avanzò lentamente nella sala, senza attendere che il re concedesse di darle udienza, seguita da tre sacerdotesse. Il vescovo che aveva celebrato la Messa di quella mattina cominciò a recitare frenetiche preghiere, come se volesse tenere degli spiriti maligni lontani da sé, mentre anche Ginevra si faceva il segno della croce. La Dama del Lago, come la chiamavano tutti coloro che la chiamavano Strega, non badò loro.

“Mi hanno detto che mio figlio oggi si è guadagnato un grande onore vincendo il torneo” disse non appena si trovò faccia a faccia con Uther.

Artù quasi non riusciva a staccarle gli occhi di dosso: sapeva che era sua zia, la maggiore sorella di sua madre, e si chiese se anche Igraine avesse avuto lo stesso carisma e lo stesso alone di mistero attorno a sé.

Uther era rimasto immobile, senza emettere un solo suono, da che la donna era comparsa nella sala.

“Che cosa fate qui, Lady Viviana?” chiese infine, senza nemmeno tentare di celare l’ostilità del suo tono di voce.

“E’ mai questo, Uther, il modo di accogliere tua cognata?” chiese la sacerdotessa senza scomporsi più di tanto.

“Sai bene che tu e le tue streghe non siete le benvenute qui a Camelot” ringhiò il re.

“Sacerdotesse, Uther. Sacerdotesse della stessa Dea che ti ha messo sul trono vent’anni fa: non streghe” lo corresse Viviana, e quelle parole parvero ad Artù molto più minacciose di quelle di suo padre. E poco importava che la donna le avesse pronunciate senza perdere nemmeno per un attimo il sorriso enigmatico che aveva sulle labbra.

“Badate a quello che dite” disse di nuovo il re.

“Non sono qui a rischio della mia vita e di quella delle mie sacerdotesse per litigare con te Uther Pendragon. Motivi precisi mi hanno portato a sfidare la tua assurda tregua, e prima mi concederai il tempo di parlarti, prima risolveremo questa faccenda e prima potrò tornarmene alla mia adorata Avalon!”

“Ti ascolto” le concesse Uther a denti stretti.

Viviana proruppe in una leggera risata: “Oh no, mio caro. Dubito che gradiresti che altri sentissero quello che ho da dirti”.

Di nuovo Artù sentì la bocca dello stomaco serrarsi a quella minaccia mascherata da convenevole, mentre suo padre si faceva, invece, sempre più fremente di rabbia.

“Domani mattina” disse il re.

“Ora” ribatté lei.

Uther stava per esplodere: nessuno lo aveva mai offeso così palesemente di fronte a tanti testimoni e a così tanti stranieri per di più. Artù sapeva che, per qualche motivo a lui sconosciuto, suo padre aveva graziato le Sacerdotesse dell’Isola Sacra dalle sue persecuzioni contro la magia, ma ora sembrava pronto a rimangiarsi la parola data e ad ordinare di arrestare la donna che, di fronte a lui, non mostrava alcun segno di timore. Nonostnte tutt, Artù ammirava il suo coraggio.

“Avete fatto un lungo viaggio zia: perché ora non vi sedete con noi per mangiare qualcosa e per festeggiare la vittoria di Lancillotto e il mio fidanzamento con Ginevra?” propose per evitare a suo padre il disonore di venir meno ad un impegno preso.

Viviana gli sorrise dolcemente, ma quando tornò a fissare suo padre il suo sguardo divenne furente: “Non ti permetterò di gettarlo nelle mani dei Cristiani! Tuo figlio si dimostra molto più saggio di me e, guardandolo, capisco che forse tutto quello che è successo non è accaduto invano. E non ti permetterò di distruggere tutto ciò per cui ho tanto lavorato e per cui tanto ho patito e pagato!”

“Nel mio studio! Ora!” ordinò Uther, non meno furioso della donna. “ Vieni anche tu Gaius, potrei aver bisogno di un testimone” disse ancora il re che però, non appena vide il figlio muoversi per seguirli, si affrettò a fermarlo: “No, tu no Artù!”.

“Non credi che sia grande abbastanza per conoscere la verità, Uther?” chiese Viviana con aria di sfida. “Parte di quello che ho da dirti riguarda da vicino anche lui, quindi seguici Artù, per favore”.

“Taci maledetta!” urlò suo padre.

“Io potrò anche essere maledetta, ma questo non cambia il fatto che Artù debba conoscere sia quello che sono venuta a dirti, sia tutto il resto”.

Artù era combattuto tra l’obbedienza a suo padre e il desiderio di poter finalmente scoprire quello che gli era sempre stato tenuto nascosto. Si chiese se sua zia gli avrebbe rivelato almeno qualcosa riguardo a sua madre, e quella speranza fu più forte di qualsiasi altra cosa: mentre suo padre, Gaius e la Signora di Avalon lasciavano la sala , lui li seguì, determinato questa volta a scoprire almeno qualcosa di tutto quello che suo padre gli aveva sempre voluto tenere nascosto.

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Capitolo 8
*** Parte Settima ***


PARTE SETTIMA

 “Viviana, stai mettendo a dura prova la mia pazienza” la aggredì Uther non appena le porte dello studio reale si chiusero alle loro spalle. “Cosa vuoi?”

“Per prima cosa, ricordati a chi devi la tua lealtà: il tuo regno è ormai in mano ai preti e mi hanno riferito che hai addirittura proibito i Fuochi di Beltane, ma è grazie ad Avalon che siedi sul trono di Camelot ed è ancora grazie ad Avalon se hai un…”

“Taci!” esclamò il re.

“Perché Uther? Artù non è più un bambino e tu non l’hai cresciuto come mi aspettavo che avresti fatto: è già sufficientemente incredibile che non sia addirittura un cristiano! Deve sapere che deve la sua vita ad Avalon e deve essere consapevole di ciò che dovrà affrontare prima di poter portare sul capo la corona di Camelot! E’ venuto al mondo con un compito troppo grande e a troppo caro prezzo perché tu ora mandi tutto all’aria, Non erano questi i patti Uther!”

“Padre, ma di cosa sta parlando?” chiese Artù. “Quali patti?”

“Prima di conoscere tua madre” cominciò a spiegare Viviana dato che il re non sembrava intenzionato a rispondere al figlio, “tuo padre aveva avuto altre due mogli, morte entrambe prima di riuscire a dargli un figlio”.

“Viviana, no! Basta!” ringhiò Uther, ma la sacerdotessa era di tutt’altro avviso.

“Fu allora che chiese l’aiuto di Avalon,e lo ottenne. Tua madre era già sposata con Gorlois, duca di Cornovaglia, ma con l’aiuto della magia di Avalon e del grande druido Taliesin lui riuscì prima ad uccidere il duca e poi, assumendone le sembianze, ad ingannare tua madre”.

Artù guardava la donna incredulo: gli sarebbe quasi venuto da ridere se non avesse avuto l’assoluta certezza  che la sacerdotessa non stava scherzando.

“Proprio così, Artù: tuo padre non è sempre stato l’acerrimo nemico della magia che hai sempre conosciuto. C’è stato un tempo, anzi, in cui non si faceva scrupoli ad usarla. Ed è stato solo grazie alla magia che sei nato, sia per l’inganno con cui tuo padre è entrato nel letto di tua madre, sia per il fatto di essere finalmente riuscito a concepire un figlio. Troppa magia, lo riconosco. Troppa magia che è stata fatale a tua madre, mia sorella”.

“Odi la magia perché ha ucciso mia madre?” chiese Artù, ma la risata di Viviana gli ghiacciò il sangue nelle vene.

“Neanche per idea, Artù! Attribuisci a tuo padre una nobiltà d’animo che non gli appartiene, ma non ti biasimo per questo: io stessa ho commesso lo stesso errore tanti anni fa”.

“Non crederle!” intervenne suo padre in un tentativo disperato. “Non credere ad una sola parola di quello che dice. Questa è la ricompensa per aver risparmiato lei e le sue streghe dal rogo! Capisci ora perché non ci si possa fidare di chi fa uso della magia? Io amavo tua madre”.

“Ipocrita!” urlò Viviana. “Non ti è mai importato nulla di lei e se ora odi tanto la magia è solo perché quando Artù è venuto al mondo tu hai deciso di non rispettare più nemmeno uno degli impegni che ti avevano fatto guadagnare l’aiuto di Avalon! Hai preso la morte di Igraine come pretesto per incolparci di tradimento e sentirti libero dai tuoi giuramenti”.

“Ma sera con voi che ce l’aveva , perché siete stati proprio gli unici che ha salvato nella sua guerra contro la magia?” chiese Artù scettico.

“Perché tuo padre è uno spergiuro, ma non è completamente stupido. Aveva visto ciò che Avalon poteva fare e sapeva bene che, come avevamo contribuito alla tua nascita, allo stesso modo avremmo potuto contribuire alla tua morte. Ha preferito non rischiare perché l’unica cosa vera e sincera che c’è in lui e il suo amore per te”.

Artù non voleva credere a quelle parole, ma suo padre ormai taceva sconfitto, senza più nemmeno provare a negare. Guardò verso Gaius supplicandolo con lo sguardo di sbugiardare la donna, ma l’anziano medico si limitò a dire: “E’ la versione di Avalon, ma i fatti che riguardano la tua nascita sono innegabili Artù”.

“E la notte in cui sei stato concepito mi porta al secondo motivo per cui sono giunta fin qui: mia sorella Igraine aveva già una figlia, di poco meno di un paio d’anni, che sarebbe dovuta crescere ad Avalon se, come supponevo, avesse dimostrato di possedere il dono della Vista. Quella notte, durante l’attacco, la piccola scomparve. A lungo l’ho creduta morta, anche se il suo corpicino non era mai stato ritrovato, ma qualche tempo fa una visione me l’ha mostrata sana e adulta, qui a Camelot. Io comincio ad essere anziana e a volte la mia Vista si dimostra meno affidabile di un tempo, e così non avevo dato molto peso a quella visione, ma quando abbiamo ricevuto un messaggio da palazzo in cui veniva detto che a Camelot c’era una ragazza che pareva possedere il dono della Dea alle sue servitrici, mi sono detta che forse non mi ero ingannata”.

“Una ragazza con la Vista qui a Camelot? Un messaggio da palazzo? Non so di cosa tu stia blaterando” rispose Uther acidamente.

“Questa non mi meraviglia di certo, mio caro!” lo sbeffeggiò Viviana. “Di certo conoscendo la tua proverbiale ed infinita ragionevolezza quando si tratta di magia, nessuna ragazza che sospettasse di possedere il dono verrebbe da te a chiedere un consiglio!”

“Stai forse insinuando che non solo delle streghe vivano tra le mie stesse mura, ma che ci sia persino qualcuno che le protegge?”

“Ho mandato io il messaggio” ammise Gaius facendosi coraggio.

“Che cosa?!?” urlò Uther: sembrava in realtà più deluso e ferito per il tradimento di una persona fidata che arrabbiato.

“Avevo solo il sospetto che potesse trattarsi della Vista, sire. Credevo che solo una sacerdotesse sarebbe giunta a Camelot, magari senza fare tanto clamore, e avrebbe esaminato la ragazza: se davvero avesse posseduto il dono sarebbe certo immediatamente partita per Avalon, ma era sciocco che io vi mettessi in agitazione senza essere certo dei miei sospetti. Ho creduto di agire per il meglio, mio signore, e certo non avevo alcuna intenzione di tradirvi”.

Uther lo fissò a lungo: avrebbe voluto credergli, ma in quel momento la cosa gli riusciva difficile.

“Ho appena affermato che non sei uno stupido Uther: non farmi ricredere anche su questo!”intervenne Viviana per prendere le difese del medico di corte. “Gaius ha davvero agito per il meglio e non poteva certo prevedere che io stessa mi presentassi a corte: non posso certo esaminare personalmente ogni singola ragazza che sostenga di essere stata toccata dalla Dea! Ma la speranza di poter ritrovare quella nipote che per quasi vent’anni ho creduto morta mi ha portata sin qui, e di certo non è colpa di Gaiius” concluse. Poi, rivolgendosi all’anziano uomo chiese: “Chi è la ragazza?”

“Signora, dubito che possa essere la figlia di Lady Igraine” disse il medico. “Non le somiglia nemmeno…”

Artù era stordito: la verità gli era stata rovesciata addosso tutta in una volta ed era troppo assurda per poterla razionalizzare in breve tempo. Solo un’idea gli ronzava per la testa mentre ascoltava senza realmente sentirli, i discorsi degli altri tre: una bambina scomparsa, la figlia di Igraine… sua sorella! Aveva una sorella che forse era ancora viva e abitava proprio lì, a Camelot. Di tutte lo notizie di quella sera, quella era forse la più sconvolgente, ma in senso buono. L’unica cosa di cui era certo era che se davvero aveva una sorella, voleva assolutamente conoscerla.

“Sono consapevole che le probabilità che si tratti realmente della figlia di mia sorella sono poche, Gaius, ma visto che ormai sono qui desidero esaminare personalmente questa ragazza, e al più presto, quindi sarei grata se mi dicessi chi è” rispose calma la Signora di Avalon. “Se davvero avesse il dono della Vista non avrei comunque fatto il viaggio invano”.

“Si tratta della giovane serva di Lady Ginevra, Morgana”.

“Morgana!” Esclamò Viviana, mentre i suoi occhi si accendevano di speranza. “La figlia di Igraine si chiamava Morgana! Non posso attendere fino a domani mattina: devo vederla ora! Fatela chiamare immediatamente!”

“No!” esclamò Artù con voce strozzata: si sentiva come se migliaia di lame gli stessero trapassando il petto. “Ci deve essere per forza un errore: Morgana non è mia sorella, non può esserlo!”

Viviana lo studiò per un lungo attimo ed Artù fu certo che stesse cercando di capire il perché di quella reazione. Si chiuse riccio su se stesso nel timore che la donna potesse leggere nei suoi pensieri e nel suo cuore. Si sentiva male. Aveva solo voglia di vomitare anche l'anima.

“Il nome potrebbe anche essere solo una coincidenza effettivamente” concesse Viviana, “Per questo desidero conoscerla al più presto”.

“Credo che sia giù in città a partecipare al banchetto in piazza” disse Gaius.

“Mandala a chiamare, per favore” disse di nuovo la donna e, nonostante il tono cordiale, la sua non era una richiesta, ma un ordine.

“Vado a cercarla io!” si offrì Artù: in realtà voleva solo farla fuggire. Se davvero era sua sorella, non voleva che lo sapesse: era un peso che non voleva dovesse sopportare. Non poteva permettere che lei si sentisse male nemmeno la metà di come si sentiva lui in quel momento.

“No Artù, per favore, resta: dubito che a Camelot manchino servitori soldati che possano andare a chiamarla, e anche tu sei mio nipote e non posso dire, purtroppo, di conoscerti molto meglio di quanto conosca lei”: un altro ordine mascherato da gentile richiesta.

Artù la odiò: non poteva credere che quella donna tanto subdola potesse essere la madre di un uomo aperto e sincero come Lancillotto, ma poi si disse che l'amico era cresciuto lontano da lei, senza nemmeno sapere di essere suo figlio, e tutto tornò ad avere un senso.

“Ho molte cose di cui parlare con te” continuò la sacerdotessa. “Anche se tuo padre lo ha temuto per tutti questi anni, Avalon non ti è mai stata nemica. Anzi, tutt'altro: sull'Isola Sacra riponiamo enormi speranze in te. Ma è giunto il momento che tu ci conosca, e che sia consapevole del futuro per cui Avalon ti ha messo al mondo. Dimmi Artù, a parte definirci probabilmente streghe, che cosa conosce di Avalon?”

“Conosco il volto della Dea” rispose Artù prima ancora di riflettere.

Viviana rimase sorpresa da quella risposta che di certo non si era aspettata: “Forse in fondo tuo padre ha fatto meno danni di quanti temessi” commentò compiaciuta.

 

***

 

Morgana si sentiva impaurita mentre due guardie la scortavano nello studio privato del re. Non poteva fare a meno di chiedersi se fosse stata convocata perché Uther aveva scoperto ciò che la legava ad Artù: l'annuncio del fidanzamento reale era stato dato anche al popolo, che ora festeggiava per le strade di Camelot, e la ragazza si domandava se per caso Artù non avesse fatto qualche sciocchezza.

Non appena entrò nella stanza, tuttavia, comprese che qualcosa di serio doveva essere accaduto: Uther era in piedi accanto alla finestra, rigido per la rabbia. Gaius fissava il re nella speranza di un cenno da parte sua e Artù sedeva alla scrivania del padre. Sembrava letteralmente stravolto, disperato addirittura. Nei suoi occhi le parve quasi di vedere delle lacrime, trattenute a stento. Ma a catturare pressoché immediatamente l'attenzione di Morgana fu la donna che sedeva accanto ad Artù: la veste azzurra e la falce di luna tatuata sulla sua fronte, in mezzo agli occhi, la identificavano come una donna di Avalon, ma la ragazza fu certa che non si trattasse di una semplice sacerdotessa. Istintivamente cercò lo sguardo di Gaius, che le sorrise tranquillamente. invitandola a farsi avanti.

La donna alzò gli occhi su di lei e sembrò trattenere il fiato: “Dunque tu sei Morgana” disse con voce profonda, e Morgana seppe che avrebbe potuto passare intere ore, forse giorni, ad ascoltare quella voce. Annuì timidamente.

In contrasto con la calma della donna, Artù era nervoso e tormentato come mai la aveva visto prima.

“Vieni avanti, cara. Gaius mi ha detto che ritiene tu possa avere il dono della Vista. Vuoi parlarne un po'? Non avere paura...” disse notando il disagio della giovane e l'occhiata spaventata che aveva lanciato verso Uther.

Morgana raccontò ciò che aveva detto al medico il giorno che aveva accusato il malore mentre filava nel giardino. La donna la ascoltava attentamente, corrugando la fronte di tanto in tanto e annuendo soddisfatta più spesso.

“È cosa hai visto, bambina?” chiese ancora.

Questa volta Morgana non era intimorita, ma solo imbarazzata; ancora una volta la sacerdotessa parve capire la sua reticenza, ma la invito a parlarne ugualmente.

“Ho visto Camelot regnare su tutta la Britannia, finalmente unita e libera dall'incubo dei Sassoni”.

Anche Uther, nonostante la rabbia, si voltò per ascoltare le sue parole. Artù sembrava invece perso in tormentosi pensieri.

“Ho visto il re che sarà Artù: giusto è amato dal suo popolo. Ho visto dei draghi tatuati attorno ai suoi polsi: non ho idea di che cosa significhino, ma so che comunque sono importanti”.

Viviana fissò trionfante Uther, poi tornò a rivolgersi a Morgana: “Basta così. Ora avvicinati”.

Morgana si mosse verso la donna che le prese la testa fra le mani, poggiandole i pollici sulle tempie. Poi le disse di chiudere gli occhi e fece lo stesso sua volta. Rimasero così per lunghi attimi mentre nello studio gli unici rumori erano quelli che giungevano ovattati dalla sala del banchetto dove gli ospiti avevano ricominciato a bere e a festeggiare, già apparentemente dimentichi dello scontro tra il re e la Dama del Lago, a cui avevano assistito meno di un'ora prima.

Una marea di immagini invase la mente di Morgana, mentre una confortante sensazione di calma e serenità la pervadeva. Quando l'altra donna allontanò le mani dalla sua fronte, la ragazza quasi protestò per l'improvviso senso di vuoto che provò.

“Dimmi ora che cosa hai visto, Morgana”.

“Ho visto un'isola in mezzo ad un lago. Vi sorge un convento, ma dietro di esso c'è un velo di nebbia: sembra sottile, quasi impalpabile, ma in realtà è una barriera praticamente invalicabile. E poi c'è una barca che avanza nelle acque del lago, proprio in mezzo alla nebbia. Il barcaiolo non sa dove andare, ma non ha paura perché sa che, al momento opportuno, Lei apriva le nebbie e lo condurrà al porto sicuro sull'isola che è celata lo sguardo umano. Profuma di mele dolci e succose ed è sempre estate. Una volta non era così completamente separata dal mondo reale, ma ora i tempi sono cambiati e l'isola sembra perdersi sempre più profondamente nelle nebbie che la circondano, luogo magico è sacro”.

Mentre parlava Morgana era inequivocabilmente caduta in trance: in quello che raccontava si alternavano le immagini che aveva visto mentre Viviana le teneva la testa e quelle che vedeva in quel preciso momento.

“C'è una collina al centro dell'isola. È il luogo più sacro. Ci sono delle pietre enormi in cima, e sono lì, in quella stessa posizione, dalla notte dei tempi. Durante la notte un'unica costellazione splende sopra la collina: è la costellazione del Drago... è lo stesso Drago che ho visto intorno ai polsi di Artù. Ci sono stati tempi in cui le sue stelle brillavano con tale forza da essere visibili anche in pieno giorno, e altre, come questa, in cui sono quasi invisibili anche durante le notti prive di luna. Ma sono sempre lì, e promettono di tornare a splendere...”

“Può bastare, bambina” disse Viviana facendola sedere mentre delicatamente la risvegliava dalla trance.

Morgana sbatte gli occhi quasi sorpresa: questa volta non c'erano né nausea né gambe che tremavano, sono quella stessa pace che aveva provato mentre era connessa con Viviana.

La sacerdotessa sorrideva gentilmente mentre le porgeva un calice di acqua fresca: “Ora è solo semplice acqua, ma quando sarai ad Avalon sarà con l'acqua del Pozzo Sacro che ti rinfrancherai dopo una visione. Tu possiedi indubbiamente il dono della Vista, più forte di quanto io non abbia più visto da molti anni a questa parte. Il tuo destino non è quello di essere la serva di nessuno, se non della Dea stessa, che evidentemente ha piani gloriosi. L'addestramento non sarà semplice, soprattutto considerando che sei ormai una donna fatta, ma tu appartieni al Piccolo Popolo, su questo non ci sono dubbi, e dunque sono assolutamente certa che saprai affrontare ogni difficoltà. Vuoi venire ad Avalon con me, Morgana?”

Lo sguardo della razza fuggi per un istante a cercare Artù e la cosa non sfuggì a Viviana, ma poi tornò a fissarsi negli occhi della sacerdotessa e, dopo un attimo di esitazione, Morgana annuì, prima impercettibilmente e poi, piano piano, con sempre più convinzione.

“Se mi dici il nome di tuo padre, manderò una delle sacerdotessa ad avvisare i tuoi genitori del grande onore che ti è stato concesso” disse Viviana.

“Non c'è nessuno da avvertire: la donna che mi ha fatto da madre è morta due anni fa. A parte Ginevra, non mi viene in mente nessun altro da dover avvisare”.

“La donna che ti ha fatto da madre?” chiese la sacerdotessa mentre il suo cuore prendeva a battere più forte.

“Poco prima di morire mi disse di non essere lei la mia madre naturale, ma è la donna che mi ha cresciuta ed è a lei sola che penso quando penso a mia madre” rispose Morgana sorridendo con malinconia. “Mi raccontava spesso del luogo che oggi ho visto, ma credevo fosse solo una bella fiaba...”

“Non ti ha mai parlato della tua vera madre?”

“Mi disse che non aveva idea di chi fosse: mi raccontò che era stato un uomo a portami da lei in una notte di tempesta e che non gli diede spiegazioni, né lei né chiese. Mi accolse e basta, come una figlia, e grazie a lei ho avuto una vita semplice, ma serena e felice”.

“Dove sei cresciuta?”

“In Cornovaglia: mia madre diceva che il temperamento ribelle e coraggioso di quella terra hanno profondamente temprato il mio carattere”.

“E dopo aver saputo che non era lei la tua vera madre, non hai mai provato il desiderio di sapere chi fosse ad averti messo al mondo?” domandò ancora Viviana per la quale le coincidenze cominciavano a essere veramente troppe per poterle ritenere tali.

“Non dire altro, Morgana, ti prego…” la supplicò debolmente Artù

Morgana non riusciva a capire cosa tormentasse tanto il giovane, ma gli avrebbe comunque dato ascolto e avrebbe taciuto se gli occhi di Viviana non le fossero stati puntati addosso. “In tutta sincerità, no” rispose quasi senza poterselo impedire. “Ho pensato che se era ancora viva e non mi aveva mai cercata, dovevo rispettare la sua volontà. Mentre se avessi scoperto che era morta... Avevo appena perso una madre: non me la sentivo di perderne un'altra...” concluse tristemente.

“Dunque non hai nessuna idea di chi sia la tua vera madre”.

“Ho solo un piccolo gioiello, un ciondolo a forma di giglio” disse. “Mia madre me lo diede dicendomi che era l'unica cosa che le aveva lasciato l'uomo che mi aveva portato da lei, ma non lo indosso mai perché sembra troppo prezioso per una ragazza semplice come me ed ho paura di rovinarlo, di perderlo o, peggio ancora, che me lo rubino”.

Gli occhi di Viviana si riempirono all'istante di lacrime e la donna non fece nulla per trattenerle. Anche Gaius stava piangendo pur discretamente, mentre Artù scuoteva la testa con incredula disperazione.

“Ma cosa sta succedendo?” chiese Morgana, sinceramente stupita da quelle reazioni: quella di Artù in particolare, gli aveva messo addosso un’ansia incredibile, senza contare il fatto che il solo vederlo tanto stravolto bastava farla star male.

“Tre copie di questo prezioso ciondolo vennero realizzate da uno dei più bravi orafi di Roma e vennero portati qui in Britannia da un legionario. Egli li donò ad un druido, Ardanos, che lo aveva salvato e curato nonostante fosse un nemico, e alla famiglia di quel druido sono appartenuti per più di un secolo. Tua madre è una discendente di quel druido: aveva due sorelle che, ancora oggi, possiedono le altre due copie del ciondolo che custodisci” spiegò Viviana, e una volta che ebbe terminato di parlare estrasse a sua volta il ciondolo che lei stessa portava al collo: era identico a quello di Morgana. “Tu sei la figlia che ormai credevo morta di mia sorella Igraine” disse Viviana.

“No...” sentii mormorare Artù, mentre le implicazioni di quella rivelazione le piombavano addosso come un macigno.

Viviana fraintese le lacrime che all'istante le avevano invaso gli occhi. La donna l’abbracciava con calore, ma, da sopra la sua spalla, era solo Artù che Morgana fissava. Il ragazzo la guardava a sua volta tentando di mascherare i suoi sentimenti: stava fallendo miseramente nel suo tentativo dato che la sua disperazione e il suo senso di colpa erano ben evidenti. Per sua fortuna tutti presenti erano però troppo presi a riflettere sulle implicazioni di quella rivelazione per poter badare agli altri.

Morgana avrebbe voluto morire in quello stesso istante: aveva donato il suo cuore e il suo corpo a suo fratello, e la consapevolezza di essere stati del tutto ignari di quel vincolo di sangue tanto stretto non l'aiutava. Sul volto di Artù vide gli stessi sentimenti, ma vide anche il suo amore che, nonostante tutto, si ribellava: il suo mondo era radicalmente cambiato quella sera, ma Morgana seppe che per Artù non era accaduto lo stesso. L'amava ancora, nonostante tutto.

Sapeva che abbandonare Camelot al più presto era la cosa giusta da fare, ma, in fondo in fondo, anche il suo cuore urlava.

 

NOTE: Innanzi tutto, scusate per il ritardo, ma mi sono fatta una settimana a letto con l'influenza senza riuscire a tenere gli occhi aperti per più di 5 minuti di fila. Seconda cosa, mi scuso fin da ora se questa storia, che si avvia ormai verso la fine (a meno di clamorose ispirazioni) non verrà aggiornata molto presto: al lavoro mi mandano in trasferta per qualche tempo, e non posso escludere che non avrò modo, se non durante le ore di lavoro, di collegarmi alla rete; poi finalmente me ne andrò in vacanza un po' anche io (e lì è certo che non avrò collegamenti internet XD ), quindi sono quasi tentata di darvi appuntamento direttamente a settembre. Insomma, non ne sono sicura, ma se sparisco, almeno sapete perché.
Riguardo alla storia, onestamente sono un po' indecisa se aggiungere ancora qualche capitolo, oppure limitarmi ad un epilogo che "tiri le somme": mi sono sempre riuscite meglio le parti "liete" delle storie, e dato che, d'ora in avanti, come ben comprenderete, di allegria non potrebbe più essercene molta, ho un po' il timore di "rovinare tutto" riducendolo ad un drammone stile Beautiful (sempre che io non lo abbia già fatto in questo ultimo capitolo XD). In realtà un paio di spunti per qualche altra scena che mi ronza in testa fin dall'inizio ce li avrei anche, ma tali scene potrebbero anche diventare una ff a se stante. Ci penserò un po' durante questo periodo di mia probabile assenza forzata, e ovviamente se avete un'opnione o un consiglio da darmi a riguardo, li accetto volentieri.
Ciao e al più presto possibile e ovviamente... BUONE VACANZE!

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


EPILOGO

 

PARLA MORGANA: E’ passato più di un anno da quando ho lasciato Camelot. Ginevra ha tentato in tutti i modi di impedirmelo, chiedendomelo come amica, ordinando melo come mia padrona, supplicandomi come sorella, ma alla fine non ha potuto impedirmi di raggiungere Avalon quando Uther stesso ordinò che mi venisse concesso di partire.
Il padre di Artù non mi voleva più a Camelot ed io mi ritengo fortunata ad essere stata semplicemente allontanata dal regno e non bruciata direttamente sul rogo. Ora conosco i giuramenti che legavano Uther ad Avalon, ma ho come l’impressione che, se non fosse stato per Viviana, non sarei stato tanto fortunata.
In realtà il più delle volte penso che alla stessa Ginevra non importasse molto che io me ne andassi, ma quella che proprio non riusciva ad accettare era la mia destinazione: è sempre stata buona con me, non affermerò mai il contrario, ma non eravamo amiche; quello che non voleva era che io lasciassi lei e la sua Chiesa per andarmi ad addestrare per diventare una sacerdotessa pagana e blasfema. Il fatto che io preferissi la Dea al suo Cristo era una sconfitta personale per lei che aveva tentato in tutti i modi di convertirmi alla sua fede.

La mia esistenza, fino ad allora, era stata semplice, eppure io ci ero affezionata: abbandonarla all’improvviso per dedicarmi al duro addestramento per diventare sacerdotessa della Dea non fu una decisione facile da prendere.
Confesso che inizialmente, per quanto sentissi già di appartenere ad Avalon nonostante non ci fossi mai stata, il vero motivo per cui avevo accettato la proposta di Viviana era stato il desiderio di allontanarmi da Camelot. Da Camelot e da Artù.
Da quella sera nella studio di Uther, quando la mia vera identità e discendenza erano state svelate, non gli ho più parlato. Non ne ho avuto il coraggio. Non sono arrabbiata con lui, anche se forse ora lui lo crede, ma il ripensare a ciò che c’è stato far noi e al fatto che è mio fratello…

In questo anno abbondante di addestramento, mi è stato insegnato che non esiste nulla di iù sacro di quello che io e lui abbiamo condiviso accanto al calore dei Fuochi di Beltane. Mi è stato insegnato ciò che in realtà avevo già scoperto da sola quella notte, e cioè che io non ero semplicemente io, ma la Dea, e lui non era semplicemente Artù, mio fratello, ma il Consorte. Io non ho dubbi riguardo a questo: quella notte è ancora fin troppo vivida nella mia memoria e ricordo distintamente la sensazione che ho provato mentre lo accoglievo dentro di me. Non semplice piacere fisico, ma consapevolezza che qualcosa di più importante e profondo stava accadendo. Lo stesso Artù, che dell’Antica Religione ne sapeva persino meno di me, se ne era reso conto. E non ho mai avuto ragione di dubitare delle sue parole, successivamente, quando affermava che, dopo quella notte, avrebbe per sempre visto la Dea con il mio volto.
Ed è proprio questo che mi terrorizza più di ogni altra cosa.
Con il tempo e l’addestramento di sacerdotessa sono quasi giunta a perdonare me stessa per quello che è stato tra me e Artù, per la notte di Beltane e persino per tutte le altre, decisamente meno sacre, che l’hanno seguita.
Quello che invece ancora oggi mi fa paura è lo sguardo di Artù quella dannata sera, la certezza che quelle che io ora considero notti ‘meno sacre’ non lo sono state altrettanto per lui. Lo sguardo di Artù quella sera era stato certamente lo sguardo sconvolto di un fratello che aveva scoperto di aver giaciuto, pur inconsapevolmente, con la propria sorella, ma era stato ancora di più lo sguardo disperato di un uomo che stava perdendo la propria donna, e che non riusciva né voleva farsene una ragione.
In quell’unico, brevissimo istante in cui i nostri occhi si sono incontrati dopo che avevamo scoperto di essere figli della stessa madre, io compresi di aver amato quel giovane uomo, ma di essere sempre stata pronta al momento in cui ci avrebbero separati. Certo, credevo che sarebbero stati Ginevra prima e una corona poi a dividerci, e non certo il nostro stesso sangue, ma non mi ero mai fatta seriamente illusioni sul fatto che la nostra storia potesse durare a lungo. Ero decisa a godere di ogni attimo che ci fosse stato concesso, e non nego che quando ero fra le sue braccia riuscivo persino a sperare di sbagliarmi, ma, a mente lucida, sapevo che non c’era un futuro per noi, ed ero pronta ad accettarlo. Forse pensavo che sarei comunque rimasta a Camelot e che magari sarei stata la sua amante se davvero le cose fra lui e Ginevra non fossero andate, ma in realtà non credevo che Artù sarebbe stato un marito infedele e quindi, a maggior ragione, non mi ero mai lasciata travolgere completamente da ciò che provavo quando gli stavo accanto.
Avevo anche creduto che, nonostante le parole accorate e le promesse di amore eterno che pronunciava quando eravamo insieme, anche Artù fosse consapevole che stare insieme non era il nostro destino. Eppure in un attimo compresi che non era così. Quando incrociai il suo sguardo, vidi, al di là dello sconforto e dello shock del momento, la determinazione a fare tutto il possibile pur di non rinunciare a me e a ciò che c’era tra noi. In quel momento seppi che, nonostante tutto il regno stesse festeggiando il suo fresco fidanzamento con Ginevra, lui non si era affatto rassegnato, ed ebbi anche la certezza che, non so in quale modo, sarebbe davvero riuscito ad evitarlo quel matrimonio. Lui mi amava più di quanto io mi sia mai concessa di amare lui, e questo mi terrorizzava a morte. Avevo visto l’uomo triste e solo che, al di là della corona, Artù sarebbe diventato e l’idea di poter essere io la causa, o anche solo una parte, di quella infelicità mi sconvolse persino più del fatto di essere sua sorella, oltre che sua amante.
Nei giorni che sono seguiti, prima che io partissi per Avalon, lo evitai in tutti modi possibili: cosa avrei potuto dirgli? Lui mi cercò, ma a cosa sarebbe potuto servire? Ci saremmo solo fatti ancora di più del male. Per niente. Anche se lui forse allora la pensava diversamente, nulla di ciò che avremmo potuto dire o fare avrebbe potuto cambiare il fatto che lui era mio fratello ed io sua sorella, nulla avrebbe potuto modifcare il sangue che ci scorreva nelle vene, o il nostro destino. Non c’erano scuse da farci l’un l’altra, né accuse da rovesciarci addosso. Perché allora spargere sale su ferite già sufficientemente dolorose anche così? Forse, comportandomi come ho fatto, ho anche sperato di farmi odiare da lui, di cancellarmi dal suo cuore. Preferivo che mi odiasse e mi dimenticasse piuttosto che saperlo a struggersi nel mio ricordo. E tutt’ora lo preferirei.
Mi limitai ad affidarlo nelle mani di Merlino: lui probabilmente aveva sospettato qualcosa riguardo alla loro storia, e quando avesse saputo come stavano le cose gli sarebbe stato vicino. Irritandolo magari, ma senza lasciarlo solo. Sapevo di potermi fidare di lui.

Non so però se sono riuscita nel mio intento di farmi dimenticare da Artù. Posso solo sperarlo. Da quando sono giunta ad Avalon sono letteralmente stata tagliata fuori dal mondo esterno. Qualche volta mi chiedo se davvero sia possibile che io sia qui solo da poco di più di un anno, perché in realtà mi sembra di essere qui da una vita. Forse addirittura da più vite. Da sempre. L’addestramento è duro, e più di una volta ho desiderato di scappare. Ma la verità e che qui mi sento a casa come non mi sono mai sentita da nessun’altra parte.

Il momento più orribile è stato quando mi sono resa conto di essere in attesa di un figlio, il figlio di Artù. Presa dalla disperazione, tentai di liberarmi di quel bambino che, qualche mese prima, avrei potuto amare alla follia e che invece era una condanna inappellabile allora. Quando Viviana  lo venne a sapere, andò su tutte le furie. Credevo addirittura che mi avrebbe fatta cacciare. Era furibonda perché ero incinta, mandando probabilmente all’aria tutti i progetti che aveva fatto per me; ed era ancora più furiosa perché avevo cercato di abortire: sforzandosi di non urlare, mi aveva detto che un figlio era una benedizione della Dea. Le sacerdotesse sapevano come non concepire e non si facevano scrupoli ad usare tutti i mezzi di cui disponevano per evitare di rimanere incinte quando non lo desideravano, ma quando una vita veniva concepita, poche cose ad Avalon erano più sacrileghe di quello che io avevo cercato di fare. Per un’intera luna si era rifiutata di parlarmi, impedendomi anche di continuare con il mio addestramento, definendomi indegna.
Fossi morta allora, non mi sarebbe dispiaciuto, ma il suicidio era, salvo poche eccezioni, una di quelle poche cose che Viviana avrebbe ritenuto ancora più gravi  dell’aborto che aveva tentato, e la sola idea di dover di nuovo affrontare la sua rabbia qualora avessi fallito anche nel tentativo di togliermi la vita fu un deterrente sufficiente a farmi passare qualsiasi strana idea.
L’unica volta che decisi di affrontare di nuovo la sua rabbia fu quando, qualche tempo dopo, la Signora del Lago mi chiese chi fosse il padre del mio bambino. Non potevo certo dire a mia zia che portavo in grembo il figlio di mio fratello, e, anche se avessi potuto farlo, non lo avrei voluto: non volevo, e non voglio tuttora, che Artù venga mai a sapere dell’esistenza di questo bambino. Non mi importa che lui sia di fatto il suo primo figlio ed erede. Io non gli dirò mai nulla perché non voglio che anche mio fratello debba vivere con un simile peso sul cuore, e se nessun altro avesse saputo, nessun altro avrebbe mai potuto rivelargli la verità.
“E’ stato concepito durante i Fuochi di Beltane” questa almeno era la verità: non potevo esserne assolutamente certa, dato che io ed Artù eravamo stati insieme anche dopo quella notte, ma stavo diventando una sacerdotessa della Dea e qualcosa, dentro di me, mi diceva che quella era davvero la verità. “Il padre era un perfetto sconosciuto che non ho mai più rivisto dopo, e che non ho alcun desiderio di rivedere. Non so nemmeno se, rivedendolo, lo riconoscerei”.
Sono certa che Viviana sapesse che le stavo mentendo, ma in quel momento decise di ignorare la cosa, di nuovo furibonda nell’apprendere che il figlio che avevo cercato di uccidere era stato concepito nella nette più sacra alla Dea. Avrei preferito evitare di rivelare quel particolare, ben sapendo che non avrebbe fatto altro che aggravare la mia situazione, ma preferivo che la Somma Sacerdotessa fosse di nuovo furiosa piuttosto che determinata a scoprire l’identità del padre di mio figlio. E comunque anche ad Avalon l’aritmetica faceva parte degli insegnamenti e quindi, a meno che il bambino non fosse nato decisamente in anticipo, chiunque sarebbe potuto facilmente risalire al momento in cui era stato concepito, e allora, forse, Viviana si sarebbe arrabbiata ancora di più.
Lei continuò a non volermi parlare, anche se si teneva costantemente aggiornata sull’andamento della mia gravidanza. Almeno però la convinsero a permettermi di riprendere in parte il mio addestramento: qualsiasi pratica magica che avesse potuto interferire con la regolare crescita del bambino mi fu ovviamente preclusa, ma almeno mi era concesso seguire le lezioni dei Druidi sulla storia, l’astronomia, la medicina. A volte mi sorprendevo ad immaginarmi di discutere con Gaius di tutto quello che stavo imparando, e quando mi rendevo conto che difficilmente sarebbe più potuto accadere, una tenera tristezza mi velava il cuore.

La nascita di mio figlio è stata un incubo: ancora oggi non riesco a capire come io possa essere ancora qui a raccontarlo. Le sacerdotesse più anziane sostengono che sia stata la punizione della Dea per quello che avevo cercato di fare ad un SUO figlio, e che tuttavia, nella sua infinita bontà, Lei aveva deciso risparmiarmi la vita. Di certo però aveva deciso che non ero più degna di ricevere un simile dono. Ancora oggi non sono in grado di stabilire se il fatto di non poter più avere dei figli sia una maledizione o invece una benedizione: probabilmente entrambe le cose contemporaneamente. Dopo il parto rimasi incosciente per diversi giorni, più morta che viva, e quando infine mi svegliai, mi resi conto che mio figlio, il figlio che prima non volevo e che ora desideravo stringere tra le mie braccia più di ogni altra cosa al mondo, mi era stato portato via.
“E’ un maschio, e non potevo permettere che il futuro re della Britannia morisse di fame a pochi giorni dalla sua nascita” mi disse Viviana quando fummo da sole e le chiesi di lui. Quelle parole mi agghiacciarono: aveva usato la Vista, sapeva chi era il padre e già stava progettando il suo futuro, proprio come aveva programmato quello di Artù. “Credevi davvero che fossi tanto sciocca da credere alla storia dello sconosciuto ai Fuochi? Mi rincresce solo di essermi arrabbiata tanto: avevo dei progetti per te, e tu hai fatto di tutto per mandarli a monte, ma la Dea è grande ed è in grado di provvedere da sola a se stessa e alla sua gente, evidentemente”.
“Ti prego, portamelo qui: voglio vederlo, voglio stringerlo a me…” la supplicai.
“Non posso permettere che tu lo stringa a te tanto forte da soffocarlo…” mi rispose con ironia malevola. Probabilmente me la meritavo, ma quell’accusa mi ferì profondamente. “Tu ora devi solo concentrarti sul tuo addestramento, che sarà ancora più impegnativo visto tutto il tempo che hai sprecato per un motivo o per l’altro. Inoltre il figlio di Artù…” - non il mio, il figlio di Artù- “… è stato affidato ad una balia per evitare che morisse di fame mentre tu non eri in grado di occuparti di lui. Se anche te lo portassi qui, non ti riconoscerebbe come madre. Ti consoli il fatto che è sano e forte e che verrà allevato qui ad Avalon dai Druidi che gli insegneranno tutto ciò che deve sapere. E’ stato chiamato Mordred”. Aveva ragione: quando finalmente riuscii a rimettermi in piedi, sgattaiolai in piena notte nella stanza in cui il bambino dormiva: lui iniziò a piangere non appena mi avvicinai alla sua culla, come se davvero avvertisse un pericolo. Non riuscii nemmeno a toccarlo prima che la donna che gli faceva da balia si precipitasse nella camera. Potei solo notare che aveva i miei colori scuri, e non quelli chiari di Artù. Sapevo che non significava molto, data la velocità con cui i neonati cambiano, eppure ero certa che lui sarebbe somigliato a me più che a suo padre e per qualche ignoto motivo, questo mi tranquillizzava. Forse feci pena alla balia, dato che non ha mai detto a Viviana del mio tentativo di vedere Mordred; tuttavia mi chiese di non tornare  o sarebbe stata costretta a riferire tutto quanto. Da parte mia, in realtà, non desideravo ritentare: mio figlio aveva paura di me e questo, nonostante tutto, era più di quanto potessi sopportare.
 
Oggi sono ancora qui. Nutro del risentimento verso Viviana, per come mi ha impedito di essere una madre per mio figlio, eppure non voglio andarmene da Avalon: nonostante tutto questa ormai è casa mia, ed io voglio diventare una sacerdotessa. I doni della Dea sono forti in me e lo dimostra il fatto che, nonostante io sia ancora una novizia, mi è stato affidato l’importante compito di cucire il fodero che custodirà Excalibur, uno dei simboli più sacri di Avalon. La leggendaria spada verrà donata dalla Dama del Lago ad Artù come dono di nozze, e il fodero dovrà proteggerlo da qualsiasi ferita riportata in battaglia. Questo significa che Artù se ne è mostrato degno, che ha sconfitto il Re Cervo e che ha celebrato le Nozze Sacre sul Tor. Questo significa che quest’anno, a Beltane, lui è stato qui ad Avalon, e che io non ne ho saputo niente. Questo significa che qualche altra giovane e pura sacerdotessa è stata per lui la Dea.
“Vedrò per sempre la Dea con il tuo volto, Morgana”: le sue parole mi rimbombano nella testa e ancor più nel cuore, senza che io possa arginarle. Spero davvero che non sia così; spero davvero che lui possa vedere la sua sposa come la Dea, e che con Ginevra possa essere felice, re giusto e padre amorevole. Queste sono le benedizioni che intesso nel fodero, intrecciandole ai fili dorati ed argentei del complicato motivo che vi sto ricamando sopra.

Sono auguri sinceri i miei, non ho dubbi.
Ma allora perché non riesco a trattenere le lacrime?



NOTE: Vi chiedo veramente scusa!!! Questo ultimo capitolo era sul PC da settembre scorso, ma ero certa di averlo postato, tant'è che non avevo nemmeno più controllato questa storia. Quando poi oggi, per puro caso, ho letto l'ultima recensione che mi è stata lasciata da Leuviah_Utopia quasi un mese fa, sono letteralmente caduta dalle nuvole. Davvero mi spiace tantissimo se c'è qualcuno che ancora attendeva la conclusione di questa storia.
Questo epilogo si stacca decisamente dal telefilm che tutti noi amiamo e si rifà decisamente al lib ro "Le Nebbie di Avalon". E' stato evidentemente scritto usando la stessa tecnica del racconto in prima persona usato da Marion Zimmer Bradley nel suo meraviglioso romanzo: non prendetelo come una banale scopiazzatura, quanto invece come un misero omaggio ad una scrittrice che mi ha regalato dei sogni.

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