Prototype

di GreedFan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Day of the Idra ***
Capitolo 2: *** Zeus ***
Capitolo 3: *** The Hell's Gate ***
Capitolo 4: *** Chaos and Cosmos ***
Capitolo 5: *** Fallen Angel ***
Capitolo 6: *** Thunder ***
Capitolo 7: *** Kick Ass! ***
Capitolo 8: *** Mommy ***
Capitolo 9: *** Horsemen ***
Capitolo 10: *** Eyes of Blood ***
Capitolo 11: *** The Road of Betrayal ***
Capitolo 12: *** Darkness ***
Capitolo 13: *** Checkmate ***
Capitolo 14: *** Cure ***
Capitolo 15: *** Fake Actors ***
Capitolo 16: *** Madness ***
Capitolo 17: *** Art is Explosion ***
Capitolo 18: *** Seek and Destroy ***
Capitolo 19: *** New Entries ***
Capitolo 20: *** Qui pro Quo ***
Capitolo 21: *** First Part of the Truth ***
Capitolo 22: *** Chemical Reactions ***
Capitolo 23: *** Brothers ***
Capitolo 24: *** Let the Bodies hit the Floor ***
Capitolo 25: *** Dream On ***
Capitolo 26: *** Frost ***
Capitolo 27: *** The Scars I Bear ***
Capitolo 28: *** Bloodtox ***
Capitolo 29: *** Break the Ice ***
Capitolo 30: *** Hunter and Prey ***
Capitolo 31: *** Stuck in your Wonderland ***
Capitolo 32: *** Bane ***



Capitolo 1
*** The Day of the Idra ***


000 - The Day of the Idra


L'ufficio era freddo e silenzioso, quasi totalmente buio, fatta eccezione per le lame di luce che filtravano dalle persiane semiaperte. L'uomo dietro la scrivania inspirò il proprio sigaro con tranquillità, sebbene la situazione fosse gravissima.

«Ebbene, Sasuke? Mi sarei aspettato una risposta tempestiva, e invece pare che tu non abbia voglia di aprire bocca».

«Spero che lei capisca che mi sento un po' strano, dopo quello che mi avete fatto».

«Ma come, ci ringrazi così della nostra gentilezza? E noi che pensavamo di farti cosa gradita, salvandoti da una morte certa e donandoti un corpo nuovo! Il cancro non è una bella malattia, no?»

«L'Idra lo è ancora di meno».

Le dita dell'uomo si serrarono con stizza sui bordi della scrivania, accompagnate da una smorfia di disappunto per la risposta ricevuta.

«Sai meglio di me che non sei malato, Sasuke. Sei qui proprio grazie a questa tua peculiarità, perché non c'è nessun altro in grado di sconfiggere lui».

«Com'è la situazione a Manhattan?»

«Pessima. Abbiamo chiuso tutte le vie d'accesso, nessuno può entrare o uscire. I quartieri infetti sono controllati dalle unità speciali blackwatch, ma l'Idra continua a diffondersi come se nulla fosse. La città è diventata un inferno».

«Posto questo, mi pare strano che sia lui il vostro problema principale. Per i vostri dipartimenti speciali non dovrebbe essere un problema abbattere un unico individuo infetto, no?»

«Non considerarlo alla stregua di quei mostri stupidi e bestiali che hanno come unico obiettivo il cibarsi di carne umana. In lui il virus ha subito una mutazione».

«E sarebbe?»

«La stessa che abbiamo tentato di riprodurre nel tuo organismo, seppur con scarsi risultati. Lui è immune al contagio e non trasmette l'Idra agli individui sani, inoltre è in grado di sfruttarlo per modificare la propria struttura cellulare a livelli ritenuti impossibili per l'anatomia umana. Non ha più nulla di ciò che era prima, ormai».

«E mi state chiedendo di braccare un individuo simile?»

«Esattamente. Non c'è bisogno che tu abbia subito un contatto diretto, basta anche una foto segnaletica che ci permetta di identificarlo. Finora non siamo riusciti ad ottenere un identikit dettagliato».

«Andare in quell'inferno e sfidare un mostro del genere? Mi rifiuto».

L'uomo nell'ombra ghignò, intrecciando le mani.

«Non credo che tu possa».

«Non potete obbligarmi».

«E invece sì. Tecnicamente sei un individuo infetto e potenzialmente pericoloso, quindi ti conviene acconsentire, se non vuoi finire su un vetrino sotto il nominativo di "materiale virale destinato alla ricerca". Che ne dici?»

Sasuke sospirò, fissando con odio la figura immersa nell'ombra.

«Non credo di avere molta scelta».

«Bravo, finalmente hai capito».


L'Idra era un virus mutagenico di livello quattro, la cui origine era assolutamente sconosciuta. Aveva un altissimo potere di diffusione, e in meno di due settimane le autorità sanitarie erano state costrette a porre l'intera isola di Manhattan, in cui era scoppiata l'infezione, in stato di blocco permanente e quarantena.

I sintomi assomigliavano a quelli di un comune raffreddore, ma dopo tre giorni dal contagio il corpo si trasformava in un ammasso di tessuti necrotici, ed i soggetti infetti, ormai aberrazioni potenzialmente aggressive, attaccavano gli elementi sani per cibarsene. Questo veniva comunemente classificato come "Stadio 1".

Lo "Stadio 2", detto anche autogenerazione, aveva visto il virus assumere le connotazioni di una creatura semisenziente in grado di riprodursi per mitosi, con una struttura simile a quella di un gigantesco lichene che ben presto era riuscito ad infestare interi palazzi. Gli edifici infetti, detti alveari, erano passati in tempi brevissimi al terzo stadio, cominciando a produrre, tramite strutture simile a dei veri e propri uteri artificiali, delle creature umanoidi alte circa sei metri, capaci di abbattere i mezzi militari con estrema facilità. I Cacciatori.

Infine, era noto un unico caso di "Stadio 4". Lui.

Secondo i rari avvistamenti effettuati, esteriormente appariva come un normale ragazzo di diciassette anni, giapponese incrociato con la razza caucasica. Era in grado di controllare l'attività mutagenica del virus con il solo pensiero, cambiando in tempi infinitesimali la propria struttura molecolare ed usando l'organismo come una vera e propria arma dalle molteplici funzioni, oppure creando un esoscheletro cheratinoso in grado di proteggerlo da qualunque attacco per tempi relativamente lunghi.

Ma la sua abilità più spaventosa era senz'altro quella della "replicazione". In pratica, lui era in grado di inglobare qualunque creatura all'interno del proprio organismo, decifrarne il codice genetico ed assumerne le sembianze. Era persino riuscito ad introdursi in alcune basi militari e sterminarne gli occupanti, dopo aver assunto l'aspetto di un soldato.

Questo era tutto ciò che sapeva Sasuke, abbastanza per indurlo a diffidare del futuro. In pratica, si ritrovava a combattere contro un nemico privo di volto, di cui lui non era altro che una copia malriuscita.

All'inizio aveva pensato che gli stessero offrendo chissà quale possibilità, quando, orfano diciottenne malato di cancro al cervello, aveva accettato senza pensarci due volte di aderire ad un nuovo programma di ricerca sulla cura ai tumori. Non aveva nulla da perdere.

La verità era emersa poco dopo: quella che si era spacciata come la sua più grande salvatrice era in realtà una società di ricerca sui virus, la cosiddetta "Eden", che era stata incaricata dall'esercito statunitense della creazione di un'arma biologica in grado di distruggere il Prototype, lui.

E così lui era guarito, almeno sulla carta.

Gli avevano fatto miriadi di test, prelevato litri di sangue. Ed eccolo lì, su un elicottero diretto alla base militare centrale di Manhattan.

«Tutto a posto, amico?»

«No».

«Davvero? Hai un brutto colorito, non è che soffri di mal di mare?»

«No». E come avrebbe potuto? Grazie al virus, tutti i suoi organi interni erano stati riconvertiti in un apparato per l'assorbimento delle prede, e il suo sistema digerente non esisteva più. Lo avevano costretto ad assorbire degli infetti per studiarne il funzionamento, ed era stato disgustoso.

«Ecco, siamo arrivati».

Atterrarono in uno spiazzo di strada delimitato da due alti sbarramenti, sito in una delle zone più "sane" di New York. Dall'alto, la città sembrava un macabro collage di strade popolose e quartieri distrutti e pieni di infetti, dove spiccavano le macchie bruno-rossicce degli alveari.

Sasuke scese lentamente dall'elicottero, facendo un check-up del proprio corpo e ricercando qualche strana anomalia. Doveva appuntare tutto su un quadernino, in modo da fornire ulteriore documentazione sui risultati del lavoro degli scienziati della "Eden".

Gli si avvicinò un uomo alto e muscoloso, dal collo taurino, che, a giudicare dall'uniforme, era un colonnello.

«Tu devi essere Sasuke Uchiha, il marmocchio che ci hanno mandato per combattere il Prototype. Qui lo chiamiamo Zeus, quindi d'ora in poi il tuo soprannome sarà Ade, va bene? Tienilo a mente. Io sono Neil Crawford, colonnello della quarta divisione operativa, e ti farò visitare la base. Ora, se hai dei bagagli...»

«Non ne ho» lo interruppe Sasuke, causando nel soldato una reazione di disappunto «e forse è il caso che legga gli ordini di missione che il generale Madara mi ha chiesto di portarle».

Detto ciò, estrasse una busta dalla tasca della pesante felpa nera che indossava. Crawford la afferrò, aprendola con forza, e dopo averne letto il contenuto impallidì.

«Conosci il contenuto di questo messaggio, ragazzo?»

«Parola per parola»

«É praticamente una missione suicida».

«É ciò che vogliono che faccia, né più né meno».

«Nessuno è mai riuscito ad avvicinarsi a Zeus tanto da vederlo in viso. Cosa ti fa pensare che riuscirai a scattargli una foto?»

«Il fatto che non ho più nulla da perdere, nemmeno la mia umanità».


***


Un'ora dopo, Sasuke camminava lentamente in direzione del quartiere infetto dove avrebbe cominciato a cercare Zeus. Avrebbe girovagato per la città fino a quando non fosse riuscito a scattargli una foto, poi Madara gli aveva promesso di venirlo a prendere. Che bastardo.

Non aveva nemmeno bisogno di cambiarsi i vestiti, visto che poteva controllare la produzione di secrezioni corporee, e di cibo ne aveva in abbondanza. Si era portato dietro solo un taccuino e una specie di macchinetta fotografica ad alta tecnologia, grande quanto una zolletta di zucchero, che portava appesa al collo a mo' di ciondolo.

L'unica cosa inutile che non aveva potuto scollarsi di dosso era una paura quasi trascendentale di venire ucciso.

A mano a mano che andava avanti, il paesaggio assumeva una connotazione sempre più apocalittica. Le strade divennero vuote, mentre, in lontananza, cominciò a farsi strada un rumore impercettibile ma cacofonico, un miscuglio di suoni indistinti che fecero fermare il moro. Dopo una veloce valutazione di ciò che avrebbe potuto trovare, decise di raggiungere la meta per vie traverse.

Saltò sul cornicione dell'insegna di un cinema, poi si diede lo slancio e, come se fosse stata la cosa più naturale di questo mondo, cominciò a correre in parallelo alla facciata dell'edificio. Raggiunse il tetto con un'aggraziata capriola aerea e guardò in basso, constatando che si trovava a circa trenta metri dal suolo.

Una piccola fonte di autocompiacimento in quel marasma di orrori in cui era immerso.

Saltò di tetto in tetto senza guardarsi mai intorno, finché un pungente odore di fumo e sangue gli stuzzicò le narici, insieme alla baraonda che, da lontana e indistinta, lo circondava e lo stordiva con il suo miscuglio di suoni. Sentiva le urla, disumane e bestiali, di coloro che erano divenuti schiavi del virus. Udiva il grido dei Cacciatori, così come lo stridio del ferro che veniva piegato e distrutto e il rumore di vetri infranti.

Un suono ritmico lo avvisò della presenza di un elicottero anche prima che alzasse lo sguardo, abbassandosi poi per osservare lo scenario macabro che si stendeva una ventina di metri più in basso.

Le strade erano affollate, gremite di infetti. Attaccavano tutto e tutti, protendendo le carni marcescenti nel tentativo di abbrancare gli altri miserabili che, come loro, non avevano avuto la fortuna di scappare prima di venire contagiati. In mezzo a quella calca si facevano strada i carri armati e i Cacciatori, spazzando via senza misericordia quelli che una volta erano esseri umani.

I primi ammaccati e malridotti, poco efficaci nella loro lentezza; i secondi alti e possenti, coperti di venuzze e cisti pulsanti sulla carne viva, le teste piccole dalle fauci spaventose.

Sullo sfondo, presagio di sventure, spiccava l'alveare, un gigantesco edificio coperto di viticci rossi e pulsanti ed enormi sacche elastiche, che partorivano Cacciatori ad intervalli regolari. L'aria era ammorbata dalla puzza del fumo e dalle nuvole di cenere, che si levavano come colonne grigie a coprire la luce del sole.

«Bel posto per una vacanza». commentò freddamente Sasuke.

Quella confusione non era affatto positiva, perché cercare una singola persona in un luogo così disordinato poteva rivelarsi impossibile. Se poi calcolava che i Cacciatori sembravano tutto, meno che amichevoli, buttarsi nella folla alla ricerca di Zeus gli sembrava sempre meno auspicabile.

Altro problema: e se i militari lo avessero malauguratamente scambiato per Zeus? Sarebbe riuscito a scappare in tempo?

In fondo, si consolò. era sempre meglio morire sotto i colpi di una mitragliatrice che per un cancro in ospedale, magari piangendosi addosso come un ragazzino spaventato.

Aprì le braccia, lasciandosi cadere lungo il muro e atterrando a quattro zampe, come un gatto. Era finito in uno stretto vicolo pieno di sacchi di immondizia, completamente vuoto, fatta eccezione per i ratti, che, indisturbati, gironzolavano tra i cumuli di rifiuti. Sasuke avanzò, fluido e silenzioso, immettendosi direttamente nella baraonda della strada principale.

Non fece in tempo a posare un piede sul marciapiede, che si sentì afferrare per un braccio.

Era una donna infetta, completamente coperta di sangue, che, se un tempo doveva essere stata bella, in quel momento assomigliava ad un cadavere in avanzato stato di putrefazione. Il moro non si prese nemmeno la briga di assorbirla, spaccandole il cranio con un pugno ben assestato.

Proseguì di corsa, inframmezzando agli scatti salti e capriole per superare gli ostacoli, girando intorno all'alveare alla ricerca di una qualche traccia di Zeus. Niente.

Eppure, da quello che gli avevano spiegato, si trovava di fronte all'alveare principale, quello che, almeno in teoria, avrebbe dovuto attirare il Prototype più degli altri.

Un ruggito alle sue spalle lo distrasse dalle proprie elucubrazioni, permettendogli di scostarsi un secondo prima che il gigantesco pugno di un cacciatore si abbattesse sul muro a cui era appoggiato, riducendolo ad un ammasso di calcinacci.

Sasuke finì contro la carcassa sventrata di una macchina, urtando contro ciò che rimaneva del cofano e scivolando a terra, la vista offuscata dal dolore alla schiena. Percepì una sostanza calda e appiccicosa colargli lungo il fianco. Sangue.

Il Cacciatore lo fiutò, girando la testa nella sua direzione e annusando l'aria, i minuscoli occhi ciechi che si giravano in continuazione nel tentativo di individuarlo. La situazione era chiara: se non si fosse tolto di lì alla svelta, quel mostro lo avrebbe fatto a pezzi. Doveva sbrigarsi.

Provò ad alzarsi, ma la felpa, nel punto in cui la lamiera gli era penetrata nella carne provocandogli una brutta ferita, si era impigliata ad un pezzo di ferro e non accennava a volersi strappare. Sasuke scalciò nella polvere nel tentativo di liberarsi, e, nel frattempo, vide il Cacciatore che, identificata la propria preda, macinava la poca distanza che li divideva con passi lenti e possenti.

«Cristo...» sibilò, riuscendo finalmente a strappare la stoffa che lo imprigionava. Ma era troppo tardi.

Prima che potesse anche solo alzarsi, il Cacciatore lo afferrò e lo sollevò in aria, stringendo la presa attorno al suo busto. In quel momento l'Uchiha ringraziò di non essere un semplice infetto, perché in tal caso sarebbe stato già morto. Era tutto merito del suo scheletro rinforzato, se non si era ancora trasformato in una pila di carne macinata.

Cercò di liberarsi con tutte le proprie forze, esigue rispetto a quelle del mostro che lo fronteggiava, e rivolse un ultimo sguardo di supplica all'elicottero che, incurante della sua sorte, lo sovrastava e continuava a sparare contro l'alveare.

Ironia della sorte, in quel momento lo vide.

«Zeus...» gli sfuggì un mormorio quasi adorante, mentre guardava il suo unico obiettivo che, come a beffarsi di lui, si presentava proprio nel momento della sua dipartita.

Lo vedeva da lontano, niente più che un puntino nero adagiato sul tetto dell'alveare, ma il suo istinto gli diceva che si trattava di lui. Ogni fibra del suo corpo urlava il suo nome, surclassando il dolore in una strana euforia che non aveva nulla di normale.

Zeus saltò, annullando la distanza che lo separava dall'elicottero e sparendo momentaneamente alla vista. Una manciata di secondi dopo, il mezzo si inclinò come un gigantesco insetto d'acciaio, precipitando al suolo sempre più velocemente tra lo stridore del metallo e le urla dei militari che si affrettavano a sgomberare il campo. Sasuke realizzò ben presto che quella carcassa di ferro si stava dirigendo verso di lui.

Problema: il Cacciatore era cieco, quindi non riusciva a capire cosa stesse succedendo e rimaneva immobile nello stesso punto, disorientato dal rumore assordante delle pale dell'elica. L'Uchiha chiuse gli occhi.

Il Cacciatore non scappò.

L'elicottero li travolse, sfracellando il mostro sull'asfalto e fermandosi a pochi metri dalla parete dell'alveare. Quando Sasuke aprì le palpebre, stupendosi persino di essere vivo, si scoprì ancora stretto nella mano del Cacciatore, saldamente attaccata ad un braccio che spuntava da sotto la carcassa del veicolo.

Tentò disperatamente di liberarsi, impaurito da ciò che sarebbe potuto capitargli, bloccato e indifeso com'era, e non prestò attenzione alle ombre che si agitavano all'interno dell'abitacolo distrutto.

Improvvisamente, il portellone dell'elicottero si spalancò.

E Zeus fece la sua comparsa.


























_Angolo del Fancazzismo_

O_O vipregoviscongiurovisupplico perdonatemi. Ok, ok, non dovrei iniziare un'altra fic in queste condizioni, ma mica è colpa mia se mia cugina mi ha convinto a giocare a Prototype e mi ha fatto ritornare la vecchia ossessione che provo per questo gioco, no? NO?

Vabbè, scleri a parte, con l'influsso delle vacanze pasquali sono riuscita a scribacchiare anche qualcosa per le mie altre due fic, "Never Too Late" e "Highway To Hell", quindi conto di postare al massimo tra due giorni i nuovi capitoli di entrambe. Se non dovessi farlo le mie lettrici sono autorizzate a fustigarmi.

Per quanto riguarda questo sclero qui, invece, mi andava di trattare un argomento un po' originale nel fandom di Naruto, in quanto non mi pare di aver visto altre storie del tipo "survivor". Sì, lo so, probabilmente non beccherò nemmeno un decimo delle recensioni delle SasuNaru classiche, ma che volete farci, Prototype è un videogioco splatter e la sua sezione su EFP conta solo quattro storie (con mio sommo disappunto).

Conscia che anche io, come il buon Sas'ke, mi sto imbarcando in una missione suicida, vi faccio i miei saluti e vi auguro di riposare in pace fino al prossimo aggiornamento, che, per la cronaca, si chiamerà:

001 - Zeus

Baci bacioni e tanti auguri di buona Pasqua.

Che Ronnie James Dio sia con voi.

Roby

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Capitolo 2
*** Zeus ***


001 - Zeus


Indossava una felpa rossa e grigia, con il cappuccio abbassato fin sotto gli occhi da cui sfuggivano alcuni ciuffi di capelli dorati. Teneva le mani infilate nelle tasche di un paio di jeans sgualciti, e fischiettava allegramente il motivetto di Welcome to the Jungle dei Guns 'n Roses.

Quello era Zeus.

Nonostante l'apparenza innocua (non era né alto, né ben piazzato) Sasuke percepì distintamente l'aura di pericolo che emanava, come un lupo coperto dal vello di una pecora. Letale come uno scorpione, eppure esteticamente anonimo, quasi normale. Poteva ucciderlo con estrema facilità, ma non sembrava averne l'intenzione: anzi, gli si avvicinò con un portamento tranquillo e rilassato, tenendo lo sguardo fisso al suolo per non scoprire la faccia.

«Tu... sei... Zeus...» esalò, sputando sangue. L'altro gli si accovacciò davanti, senza alzare la testa. Sorrise, un ghigno sghembo che aveva un sapore vagamente infantile, e poi parlò, con un tono di voce tanto suadente da risultare inumano.

«Mi chiamano in tanti modi. Mostro, assassino, terrorista... sono tutte e tre le cose». Poi, con delicatezza, sfiorò la ferita aperta del moro, prima di leccarsi le dita sporche di sangue. «Interessante. Neanche tu manifesti ciò che sei, vero?»

Fece due passi indietro, repentino, e sollevò il bracciò destro. Sasuke udì uno scatto, e vide che, al posto dell'avambraccio e della mano, era apparsa una lunga lama di quello che sembrava ferro, collegata alla spalla tramite una serie di vene grosse e robuste, nere e sanguigne.

Zeus abbassò il torso, tranciando di netto quelle dita che l'Uchiha non era riuscito a smuovere nemmeno di un millimetro, e lo afferrò per le spalle (la lama era di nuovo scomparsa), caricandoselo sulla schiena senza troppa delicatezza.

«Sarà meglio portarti in un posto sicuro, ti ci vorranno circa due ore per rimarginare questa ferita. I tuoi poteri di rigenerazione sono scarsi». Detto questo, si arrampicò sulla parete di un palazzo, iniziando a percorrere i tetti di Manhattan. Sasuke non gli aveva ancora visto il volto, ma già pregava per poter sentire di nuovo la sua voce, simile ad un bicchiere di acqua fresca in una giornata di calura.

Era la musica più bella che avesse mai sentito in diciannove anni di vita.

Dopo un tempo che non seppe definire, Zeus si fermò su un tetto al limitare di una delle zone infette. C'erano solo una cisterna e un mucchio di lamiere in un angolo, che, una volta spostate, rivelarono una botola impolverata. Il Prototype la sollevò, tuffandosi poi nella stretta apertura e richiudendola con gesti metodici.

«Benvenuto a casa mia. Scusa il macello, ma tra uno sterminio e l'altro non trovo mai il tempo di mettere in ordine».

«Non... fa.... ridere...»

«Non era una battuta».

Sasuke fu adagiato su un divano, e percepì ben presto la morbida sensazione dell'essere avvolto da coperte di lana. La ferita, grazie al calore e al riposo, si rigenerava a vista d'occhio, provocando ondate di brividi di sollievo all'Uchiha.

«E così» la voce di Zeus, comparso improvvisamente alle sue spalle, lo fece sobbalzare «tu saresti Ade, la pericolosissima arma biologica creata dall'esercito apposta per distruggermi. Ma guardati, se non sei capace di resistere all'attacco di un cacciatore, come puoi pensare di affrontarmi?»

«Non l'ho mai pensato. Sono stato creato per questo, è vero, ma non possiedo nessuna abilità di attacco, e quelle di difesa non possono definirsi al tuo livello... un momento, ma come fai a sapere chi sono?»

«Ehehe... domanda corretta. Prima, quando ho bevuto il tuo sangue, ho assorbito una parte del tuo patrimonio genetico, e ciò mi ha permesso di vedere tutti i tuoi ricordi più recenti. E' uno dei poteri legati all'assorbimento, ma a quanto pare i militari ancora non lo conoscono».

«Perché mi hai salvato, pur conoscendo il mio obiettivo?»

«Perché mi sembri un tipo interessante. Sei debole e praticamente inutile, però la tua struttura fisica è quasi identica alla mia, e questo potrebbe portarmi qualche vantaggio. Inoltre, penso che passerai dalla mia parte».

«Non vedo perché dovrei».

«Beh, io sì. Che cosa ti ha offerto l'esercito, per convincerti ad impantanarti in una missione suicida come questa?»

«Non mi hanno offerto nulla. Mi hanno minacciato di morte, nel caso avessi rifiutato».

«Appunto. Se invece decidessi di aiutarmi, io potrei darti una cosa abbastanza interessante».

«E sarebbe?»

«La verità. So che non ti hanno detto nulla sulle origini dell'infezione, e scommetto che muori dalla voglia di conoscere lo svolgimento dei fatti. Sto conducendo delle ricerche in proposito, e con il tuo aiuto potrò portarle a termine più velocemente».

«Mi chiedi di fidarmi di una persona che non ho mai visto in faccia?»

«Touchè». Sorrise, sollevando le mani in segno di resa «Se ci tieni tanto, ti mostrerò il mio viso».

A quel punto, Sasuke si sarebbe aspettato di tutto. Qualsiasi mostruosità, o magari anche una di quelle facce dozzinali che si vedono tutti i giorni sui marciapiedi. Si sarebbe aspettato tutto, meno quello che vide.

Quando Zeus sollevò il cappuccio, l'Uchiha si ritrovò a fissare il viso di un angelo.

Pelle liscia e compatta, color biscotto, in cui brillavano due occhi cerulei dalle cigli lunghe e nere. Capelli biondi dai riflessi dorati, non troppo lunghi e spettinati in tutte le direzioni. Sulle guance, tre per lato, facevano bella mostra di sé sei cicatrici simmetriche simili a baffi.

Bellissimo, come il modello di una pubblicità. Irreale, finto.

Era davvero quello, il temibile assassino di cui gli avevano parlato? Un diciassettenne dal volto angelico?

«Ah, forse è meglio che ti avverta di una cosa: le mie ghiandole sudoripare secernono una specie di feromone, che, in casi normali, dovrebbe servire ad attrarre le prede. Quindi, se dovessi sentirti scombussolato, o... attratto» e qui fece una smorfia «... dal sottoscritto, non devi preoccuparti, è tutto normale. Passa se ti fai un paio di inalazioni con l'antiasma».

«Non pensavo che ci fosse anche questa, tra le tue abilità».

«In effetti non me ne faccio nulla. In questo posto le uniche donne presenti hanno la pelle decomposta e vogliono mangiarmi, uffa!»

A Sasuke sfuggì un sorriso. Zeus era completamente diverso da come se lo era immaginato, e molto poco minaccioso. Tuttavia, c'era quella sensazione di pericolosità sopita che lo inquietava moltissimo, come se dietro quella facciata di buonismo si nascondesse un'entità di tutt'altro genere.

«Allora, Ade,» esordì il biondo, appoggiandosi allo schienale del divano «perché non mi parli di te, mentre ti riprendi? Avrai qualche hobby, no?»

«Sono sempre stato in ospedale a causa della mia malattia, ma, da quel che ricordo, amavo molto i libri».

«Libri, eh? A me non piacciono, li trovo troppo noiosi e impegnativi. In compenso adoro il ramen, tu l'hai mai mangiato?»

«No».

«Aaaah, che peccato! E pensare che adesso non puoi più assaggiarlo!»

A dirla tutta, Sasuke aveva problemi ben più grossi del cibo giapponese, ma ascoltò la filippica di Zeus senza mai interromperlo, e sforzandosi di prestare attenzione. Che un serial killer mutaforma di preoccupasse delle sue esigenze alimentari, poi, gli sembrava quanto mai paradossale.

Passarono le due ore successive tra le facezie più svariate, come a voler tagliare fuori per un po' la catastrofe ce avveniva fuori dalla casa di Zeus. E forse fu un bene, visto che Sasuke, capitato in quell'ambiente senza avere la minima idea di ciò che avrebbe trovato, si sentiva ancora piuttosto male.

«Allora» esclamò il Prototype, fissando l'orologio appeso al muro «direi che ti sei ripreso, no?»

Sasuke controllò la ferita, poi assentì. Non era rimasta neanche la cicatrice.

«In questo caso, è ora di uscire. Se vuoi farmi da alleato dovrò pur mostrarti da che parte cominciare, giusto?»

«Io non ho mai detto "sì"...» l'ultima frase di Sasuke venne bellamente ignorata da Zeus, che spalancò di nuovo la botola e saltò fuori. Una volta sul tetto, l'Uchiha si concesse una panoramica sull'isola di Manhattan, che, vista dall'alto, era ancora più lugubre di quanto non sembrasse dall'interno delle zone infette.

«Li vedi quei palazzi distrutti, laggiù?» Zeus indicò un punto con il dito, e Sasuke non ci mise molto a capire a cosa si riferisse.

Erano un gruppo di edifici abbandonati e un parte demoliti dalle esplosioni, facenti parte di un vecchio complesso residenziale. Si trovavano al confine tra una zona infetta e un quartiere ancora parzialmente abitato, quindi nessun essere vivente sembrava aggirarvisi.

«Sì. Che hanno di particolare?»

«Sono abbastanza sicuri, per uno come te. Da quello che ho capito non hai abilità offensive e difensive, sei solo una specie di essere umano super-agile e capace di rigenerarsi. No?»

«Sì».

«Ok. Non credo ci sia modo di farti sviluppare i miei stessi poteri, ma con un po' di allenamento potresti diventare un diversivo utile».

«Diversivo? In che senso?»

«Lo capirai. E adesso andiamo».

Zeus afferrò Sasuke per la cintola, saltando oltre il cornicione.

Prima che potessero toccare terra, però, una delle braccia del biondo si trasformò in una lunga frusta di fasci rossi e neri e spuntoni acuminati, che si attorcigliò ad un lampione e, come una liana, gli permise di darsi lo slancio per compiere un salto poderoso e atterrare diversi palazzi più in là. Quando si ritrovò con i piedi su una superficie solida, il moro perse qualche secondo a guardare l'arto mutato di Zeus, trovandolo stranamente poco disgustoso nella sua forma obiettivamente raccapricciante. Dalla spalla in poi, era un caos di viticci scuri e scarlatti, alcuni più grossi che formavano la struttura portante della frusta e altri, più sottili, che si attorcigliavano e pulsavano in continuazione, come mossi da vita propria. Il tutto compattato da una strana sostanza rossastra, che doveva essere Idra allo stato puro, da cui emergevano diversi aculei lunghi circa trenta centimetri, dall'aspetto per nulla rassicurante.

«Questa» disse Zeus, facendo saettare il braccio mutato come la coda di un serpente «è la frusta. Di solito la uso per attaccarmi agli elicotteri in volo e rubarli, ma è anche molto utile per spostarsi o per liberare la strada quando dei accerchiato dagli infetti. Ha un raggio massimo di venticinque metri».

«Venticinque metri... è enorme».

«Dici così perché non hai ancora visto la portata degli attacchi distruttori».

«E cosa sarebbero?»

«Ehehe... vedrai che forza! Dopo te li mostro, tanto ho un paio di commissioni da sbrigare e mi saranno molto utili».

Proseguirono con lo stesso sistema, e ben presto raggiunsero il gruppo di palazzi indicato da Zeus. Era tutto molto silenzioso e impolverato, come se nessuno avesse smosso un sasso per decenni. Eppure l'infezione era scoppiata poco più di un anno prima.

«Questo posto non mi piace affatto... è troppo calmo».. sentenziò l'Uchiha, camminando attraverso le macerie di un muro. Sbucò in un piccolo cortile interno, ormai invaso dalle erbacce e da qualche propaggine del lichene Idra, che si concludeva con lo scheletro di un vecchio edificio, all'interno completamente buio.

«Ecco, appunto. Sembra quasi il set di un film dell'orrore. Vero, Zeus? ... Zeus?» quando il moro si girò, sperando di incontrare gli occhi cerulei del famigerato biondino, si ritrovò a fissare il vuoto.

«Zeus! Che razza di scherzo è questo?»

«Perché parli di scherzo? Non è il termine più appropriato, neh?»

Sollevò lo sguardo e lo trovò, appoggiato ad una trave metallica con un sorriso stampato sulla faccia . Quando vide i suoi occhi, però, non poté fare a meno di indietreggiare.

Erano grigi, lucidi e splendenti come il ferro, e non contenevano più alcuna traccia di vita. Sembravano pezzi di ghiaccio intrisi di tristezza e rabbia, anche se non lasciavano trapelare altri sentimenti dietro il nero cupo della pupilla. E lui, Zeus, sembrava cambiato con loro: finalmente manifesti, Sasuke percepiva la frustrazione e l'odio che si spandevano a vagonate da quel corpo vagamente efebico, rendendolo terribile e inquietante più di ogni aberrazione infetta che calcava quella terra maledetta da Dio. Era come se Zeus, con il suo fisico da diciassettenne, covasse nell'animo un odio secolare.

Assurdo. E spaventoso.

«Forse ti starai chiedendo perché ti ho portato qui, Ade. In realtà, sebbene tu valga ben poco in combattimento, sei agile e più forte di un comune essere umano. E soprattutto- sospirò, abbassando lo sguardo -non corro il rischio di infettarti o ucciderti per sbaglio. Sai quanto cazzo è brutto vivere per un anno senza parlare con nessuno? Beh, non te lo consiglio, 'ttebayo. Ma non posso neanche portarmi dietro un moccioso bisognoso di cure, quindi voglio vedere fino a che punto sei in grado di difenderti».

«Tu sei pazzo».

«Meno di quanto pensi. Non sono io che ho firmato per diventare la copia malriuscita di un mostro».

Poi, gli occhi venati di una sfumatura azzurrognola e pieni di tristezza, fece un gesto con la mano. Da dietro le macerie iniziarono a sbucare i viticci dell'Idra, stavolta più grossi e veloci di quanto li ricordasse Sasuke, che si avvolsero in breve tempo sopra la sua testa e crearono una cupola elastica alta più o meno sei metri da terra.

«Che ne dici di prenderti una piccola rivincita?»

«Che intendi dir... oh, Cristo». L’Uchiha indietreggiò di corsa, quando vide la massiccia ombra di un cacciatore che sbucava lentamente dai ruderi bui.

«Tu... tu li comandi...»

«Non tutti e non per lunghi periodi di tempo. Reagiscono agli ultrasuoni, ma sottometterli non è facile».

«Bene» sibilò Sasuke, appiattendosi contro il muro «e come faccio ad abbattere un cacciatore, secondo te?»

«Non ne ho la minima idea. Non saprei come fare, nelle tue condizioni, ma è proprio questo il bello. Sai che noia, sennò?»

"E' evidente che il virus gli ha fottuto il cervello..."

«Nah, il virus non mi ha fatto proprio niente. E comunque non mi preoccuperei di una cosa del genere, visto che il bel pupone sembra abbastanza incazzato».

Sasuke, arrendendosi all'evidenza che Zeus fosse anche in grado di leggere il pensiero, riportò l'attenzione al suo avversario. Era Leggermente più piccolo di quello che lo aveva quasi ucciso, ma i fasci muscolari che guizzavano sotto la pelle viscida e butterata ebbero comunque l'effetto di farlo rabbrividire.

«Regola numero uno» la voce di Zeus lo fece incazzare ancora di più «i Cacciatori sono agili e forti, ma scarsi nella difesa. Hanno miriadi di punti deboli, ma direi che il più significativo si trova in mezzo alla fronte. In quel punto il cranio diventa molto sottile e può essere spezzato con relativa facilità».

Il mostro si girò all'improvviso, inquadrandolo con i suoi minuscoli occhietti ed emettendo un basso ruggito. Sasuke afferrò una sbarra di ferro, il primo oggetto contundente che riuscì a trovare, e si rifugiò in un angolo, aspettando l'attacco con tutti i nervi tesi.

«Regola numero due» il Cacciatore partì alla carica, mulinando i pugni alla cieca e mancando il moro per un soffio; Sasuke sgusciò via dalla portata della creatura e si nascose dietro un mucchio di macerie «i Cacciatori hanno gli occhi atrofizzati. Non vedono, ma fiutano benissimo il sangue, hanno un buon udito e localizzano le prede grazie alle vibrazioni che queste emettono camminando. Inoltre colpiscono tutto ciò che si trovano davanti, indiscriminatamente».

L'Uchiha schivò un altro attacco, puntellandosi sulla spranga e saltando come un equilibrista oltre la schiena del Cacciatore, che nel frattempo cominciava a manifestare i primi segni di nervosismo. Si girava da una parte all'altra, ringhiando, il capo teso nel tentativo di avvertire il benché minimo suono.

Ma Sasuke, ormai certo di avere la vittoria in tasca, se ne stava attaccato ad una trave metallica, in attesa del momento propizio per colpire.

«Complimenti, Ade. Se te ne stai a quell'altezza senza fare rumore, il Cacciatore non può capire dove sei. Ottima mossa, sei più preciso e concentrato di questa mattina».

Il moro avrebbe tanto voluto replicare con una delle sue risposte mordaci, ma se l'avesse fatto tutta la sua tattica sarebbe andata in fumo. Per cui stette zitto e fermo, i muscoli tesi fino allo spasimo e pronti a scattare,

Poi, semplicemente, arrivò l'occasione giusta.

Il mostro, sempre brancolando alla ricerca della preda, si portò sotto all'Uchiha. Questi si lasciò cadere, atterrando sulla testa del Cacciatore, e, prima che potesse ribellarsi, gli conficcò la spranga nella fronte, tra lo scrocchio sonoro della scatola cranica e il gorgoglio del sangue bluastro che sgorgava a fiotti dalla ferita.

Il colosso scalciò e si dibatté per qualche secondo, schiantandosi poi senza un lamento.

«Come vedi, Zeus, si può vincere un cacciatore anche senza i tuoi poteri».

La cupola di viticci si ritirò, e il biondo sorrise, sornione:« Non sono i Cacciatori la cosa più pericolosa che si aggira sull'isola di Manhattan. Tuttavia, ti fa onore l'averne battuto uno con l'aiuto di una sola spranga di ferro».

Sasuke ghignò, sarcastico:« Devo ritenermi degno di accompagnarti?»

L'altro scoppiò a ridere, mettendo in mostra due file di denti candidi e, almeno all'apparenza, affilati come rasoi.

«Diciamo di sì. Beh, allora i vediamo stasera, Ade. Davanti alla stazione centrale di polizia, e vedi di comportarti come se fossi ancora un loro alleato, ok?»

«Ma...» non poté continuare la frase, perché Zeus si era già volatilizzato.

«Figlio di puttana...» sibilò, spezzando la spranga di ferro in un accesso d'ira.


***


Fissando il grande portale della stazione di polizia, Sasuke si ripeté più o meno una decina di volte che non sarebbe dovuto andare fin lì. Seguire le indicazioni di un pazzo mutante pluriomicida non era esattamente una politica saggia, e ne era conscio, ma in un certo qual modo moriva dalla voglia di scoprire cosa avrebbe combinato Zeus.

Si sedette su un marciapiede, aspettando tranquillamente l'arrivo del Prototype. Dall'esterno sembrava un normale ragazzo in attesa del pullman, e questo, in una città dove persino le creature più mostruose erano costrette a guardarsi le spalle, causava occhiate incuriosite da parte dei soldati che pattugliavano gli ingressi.

Uno dei militari, imbracciando un AK47 piuttosto malridotto, gli si avvicinò.

«Favorisca i documenti, per favore».

Sasuke, assai svogliatamente, frugò nelle proprie tasche alla ricerca della carta di identità falsa che quelli dell'Eden gli avevano fornito. Tra i pantaloni sgualciti e la felpa rotta e macchiata aveva un aspetto ben poco raccomandabile, ma il soldato fu costretto ad arrendersi all'evidenza di fronte al documento.

«Scusa per il disturbo, ma con questa faccenda di Zeus non ci fidiamo più neanche dei nostri commilitoni. Tu poi sei anche giapponese, quindi...»

«Non si preoccupi, capisco perfettamente». "Peccato che non arriverai a domani mattina, amico..."

Il sole declinò lentamente fino a sparire oltre l'orizzonte, immergendo la città in un buio pesto che veniva contrastato solamente dai grandi fari abbaglianti posti sulle torrette mitragliatrici della base militare.

L'Uchiha non sentiva né fame né freddo, ma cominciava ad annoiarsi. Per cui, quando notò un altro soldato che gli si avvicinava, la sua reazione fu molto meno gentile della precedente.

«Senti, i documenti li ho già dati al tuo amico, quindi...»

«Non me ne faccio un cazzo dei tuoi documenti, Ade».

Sasuke sollevò lo sguardo di scatto appuntandolo negli occhi stranamente argentei e traslucidi del soldato che lo sovrastava.

«Sei tu?»

«In carne ed ossa, kisama. Ma adesso entriamo, c'è qualcosa che mi serve in questa base».

«Mi sembra strano che ti occorrano armi, con tutti i poteri che hai».

«Non ho mai parlato di armi...» Zeus si sporse, fino a portare la bocca accanto all'orecchio di Sasuke «...quello che voglio sono i ricordi».

L’Uchiha rabbrividì, forse per il tono inquietante con cui quelle parole erano state pronunciate o per l'alito ghiacciato che gli aveva solleticato il collo, e non riuscì ad impedire al proprio cuore di aumentare esponenzialmente il ritmo dei battiti. Era come se tutto il suo corpo, meno la testa, provasse una paura irrazionale nel trovarsi a meno di tre metri da Zeus.

«Che c'è, Ade, ti faccio paura?»

«Non dire stronzate. Entriamo».

«Ok, ok... Mi raccomando, tieniti attaccato al mio culo. In senso metaforico, naturalmente».

«Non avevo dubbi in proposito».

Varcarono le soglie della base con sicurezza, senza guardare in faccia nessuno ed immettendosi immediatamente in quella che sembrava una gigantesca costruzione Lego, fatta però di casse piene di armi. C'erano anche due serbatoi di carburante ed un piccolo container aperto e vuoto, pattugliati da uno scarno gruppetto di militari che, a prima vista, non sembravano avere più di diciannove anni.

«Ormai non sanno più dove prenderli, i soldati». Spiegò il Prototype, fissando l'asfalto con uno sguardo cupo «Tra quelli che muoiono a causa del virus e quelli che ho ucciso io, ormai al governo americano non resta che reclutare i ragazzi. Poveracci».

«Li compiangi, ma trovi lo stesso il coraggio di ucciderli. Non pensavo che potessi essere così ipocrita».

«La mia non è ipocrisia». sibilò Zeus, serrando i pugni fino a far sbiancare le nocche «Semplicemente, se voglio conseguire i miei scopi devo dare alla mia vita un valore superiore rispetto alla loro. Il pesce più grosso non può essere magnanimo, se non vuole farsi divorare dai pesci più piccoli».

Si fermarono di fronte ad una porta blindata; Zeus fece scorrere una tessera magnetica nell'apposita guida, poi appoggiò la mano sulla maniglia.

«Adesso io entrerò e farò piazza pulita. Il tuo compito è di rimanere qui fuori, sgomberare il campo e non entrare a meno che non sia io a dirtelo, perché potresti farti male».

«Vedi di non crepare, dobe. So badare a me stesso».

«Bah, kisama presuntuoso...»

Poi abbassò la maniglia ed entrò, sparendo alla vista di Sasuke.





























_Angolo del Fancazzismo_

Bella a tutti, signori, e rieccomi con un aggiornamento lampo! Ci ho messo poco, eh? Ma non temete, sono a buonissimo punto anche con le altre due fic, che hanno avuto un rallentamento giusto perchè ieri mi è venuta l'idea di cominciare una fanart su questa storia... non vi dico cosa sta uscendo fuori, appena ho fatto la scannerizzo e la posto con il prossimo aggiornamento.

Ciemmecu, ecco le risposte alle recensioni!

ryanforever: aspè, io non intendevo "fan" sasunaru classica, ma proprio la fic relativa a questo pairing. Sono tutte quelle storie mielose, ambientate generalmente in contesto scolastico, in cui uno dei due (più spesso è Naruto, ma a volte può essere anche Sasuke) va ad abitare a casa dell'altro per le più disparate circostanze. Le apprezzo molto anch'io, perchè quelle ben scritte possono essere davvero carine, ma sono talmente tutte uguali che, quando le aggiungevo nei preferiti, mi confondevo con i titoli e non riuscivo più a seguire il filo della trama.

Per quanto concerne Naru e Sas'ke in questa storia, invece, la risposta l'hai avuta in questo chap, anche se a grandi linee avevi capito bene.Ah, a proposito: ho notato che hai recensito tutte le storie che ho scritto su questo fandom, e devo farti i miei complimenti. Non sono molti quelli che recensiscono assiduamente come te, ed è una bella cosa perchè i commenti rendono sempre felici gli autori. Grazie mille!

Hanil: XD... mischiare la trama di un videogioco e di un manga non è poi così geniale, su! In compenso, mi fa molto piacere il fatto che tu apprezzi l'originalità della fic, che è un po' il punto di forza di "Prototype", come il fatto che ti piacciano le storie horror/survival (siamo in due, sai?). E su Sasuke hai perfettamente ragione. Anche io mi chiedo perchè non la prende con filosofia e non se ne scappa da qualche parte ai Caraibi a godersi i suoi poteri strafighi. Bah, questi emo non sanno proprio cogliere i lati positivi della vita...

bradipiro: tranquilla, non sono affatto un genio. Ma i complimenti mi fanno comunque piacere XD... cmq, sono felice che anche a te piaccia Prototype, che è stato una delle mie più grandi fissazioni e mi rimarrà nel cuore al pari di giochi come Resident Evil e Alone in the Dark. A proposito, sai che a dicembre esce Prototype 2? Non vedo l'ora!

yume: grazie mille! Guarda, non c'è problema se non conosci il gioco, anche perchè ho intenzione di distaccare un po' la trama dallo spunto originale e comunque spiegherò tutto nel corso dei fatti. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto.


Ladies and gentlemen, ci rivediamo al prossimo aggiornamento!

Bacioni,

Roby



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Capitolo 3
*** The Hell's Gate ***


002 - The Hell's Gate


Rimase appoggiato alla porta di metallo, in silenzio.

Era consapevole del fatto che, se qualcuno lo avesse malauguratamente riconosciuto, la sua copertura sarebbe saltata e avrebbe avuto i servizi segreti americani e l'Eden al gran completo attaccati alle costole. Il che, se avesse potuto fidarsi ciecamente di Zeus, non sarebbe stato un gran problema.

Il punto era che, promesse a parte, il biondino non gli aveva assicurato niente, e tantomeno ispirato sentimenti di appoggio e fiducia. Si ritrovava in una situazione pessima: uccidere il Prototype non era nemmeno contemplato, suicidarsi direttamente sarebbe stato più facile, e non poteva presentarsi da Madara, che aveva speso miliardi per il "progetto Ade", dicendogli che tutti gli sforzi compiuti per la sua creazione erano stati vani. A quel punto sì, che sarebbe diventato materiale di ricerca.

Inimicarsi l'esercito o Zeus?

Alla lunga, probabilmente le forze federali avrebbero avuto la meglio, ma fino a quel momento sarebbe stato meglio nascondersi e celare la propria identità, aspettando il momento buono per colpire Zeus alle spalle. Avrebbe aiutato sia i "buoni" che i "cattivi", senza favorire nessuno.

Un comportamento equo, dopo tutto.

Fu allora, proprio mentre i pensieri lo distraevano dalla realtà, che sentì le urla.

La prima fu una voce maschile bassa e baritonale, che si spense in un gorgoglio così com'era iniziata. Poi cominciarono le altre, una confusione di strida sempre più alte e cacofoniche che si mescolavano, attutite, al di là della porta. Ordini urlati e ormai inutili, imprecazioni e rumore di passi, esplosioni che facevano tremare le pareti e schiocchi di frusta.

Ormai Sasuke aveva una mezza idea di quello che stava succedendo all'interno dell'edificio, ma non si mosse. Almeno, non si mosse finché, guidato dal suo istinto, non si abbassò di scatto per evitare un gigantesco ramo di fasci rossi e neri che, dopo aver bucato la porta, travolse gli imballaggi antistanti scatenando il caos nella base.

Poi sparì, risucchiato dal foro che aveva aperto nella lastra di metallo.

Un buco con un diametro di quaranta centimetri, come minimo.

La frusta, e l'aveva vista bene, non raggiungeva dimensioni simili, per cui Zeus doveva aver usato un qualche asso nella manica ancora più spaventoso delle sue armi abituali. Uno dei misteriosi "attacchi distruttori"? Probabile.

Sasuke si spostò dalla porta, giusto un attimo prima che i soldati di guardia cercassero di forzarla. Anche con la tessera magnetica, nessuno di loro riuscì ad aprirla: il Prototype, oltre che forte, era anche previdente.

Il moro, da parte sua, assolse per bene il compito che gli era stato affidato: in breve tempo non rimase più nessuno, della guarnigione, che fosse in grado di infastidirlo. Tutti a terra, con la testa spaccata e il volto ormai irriconoscibile. Era così che gli avevano insegnato a lavorare, al quartier generale dell'Eden, ed era così che, secondo loro, avrebbe dovuto battere Zeus. Poveri pazzi.

«E' lì, è Zeus!»

Prevedibile, lo avevano scambiato con il Prototype. I militari erano veramente degli idioti.

Un nutrito gruppo di blackwatch si schierò di fronte all'unica uscita, i fucili spianati e puntati su di lui. Il comandante gridò.

«FUOCO!»

Troppo tardi. Sasuke saltò di lato, schivando i proiettili con grande facilità. I combattimenti contro gli umani erano tutto un altro paio di maniche, rispetto a quelli con i cacciatori. Per quanto potessero essere armati e organizzati, i militari non reggevano decisamente il confronto con quelle creature gigantesche e quasi invulnerabili.

Quasi.

Saltare oltre la barricata della base, alta quindici metri, fu fin troppo facile. Atterrò senza preavviso alle spalle dei soldati, scartando di lato per evitare una nuova raffica di pallottole e schizzando poi in avanti per porre fine a quel giochetto inutile. Anche perché, ora che lo avevano visto in faccia, non poteva permettersi di lasciarne vivo neanche uno.

Prima che potesse sfiorare anche solo un blackwatch, però, si sentì sbalzare via da un'improvvisa corrente d'aria bollente, che gli ustionò la faccia e lo catapultò nel bel mezzo di una nuvola di polvere.

Cazzo.

Quei bastardi avevano un lanciarazzi.

Saltò alla cieca, uscendo dal fumo. Non fece in tempo a porre il naso fuori dalla polvere che i soldati gli spararono di nuovo contro, mancandolo per un soffio e ottenendo il duplice effetto di farlo incazzare e di segnalargli la loro posizione. Si mosse ad una tale velocità da diventare per un attimo invisibile, a parte per un barlume scarlatto che gli si era acceso negli occhi, e che fu probabilmente l'ultima visione delle unità speciali blackwatch preposte alla difesa della base.

Pochi attimi dopo, il loro sangue bagnò l'asfalto.

«Ma bravo, Ade».

«Zeus. Mi sembrava strano che ci mettessi così tanto».

«Bah, ho dovuto liberarmi della felpa, del cappotto e della camicia. Mi si erano tutti rotti, uffa».

A quelle parole Sasuke si girò, ritrovandosi di fronte uno spettacolo che gli fece seccare la gola. E non certo per il caldo o la sete.

Il Prototype a torso nudo, obiettivamente, era una bella vista. Specie se poi, a coronamento dei muscoli tonici che affioravano sotto la belle bronzea, ci si metteva uno strato di sudore e sangue decisamente lucido e invitante. Talmente contrastante con quello che aveva intorno da sembrare realmente un essere divino.

«Sarà meglio che andiamo. Anche io ho bisogno di cambiarmi i vestiti».

«Sas'ke, non che i tuoi complimenti mi dispiacciano, ma faresti meglio a non pensare cose che non vuoi che io sappia. Sai com'è, certe cose le sento fin troppo bene...»

«Baka».

«Ha parlato il teme-hentai! Non sono mica io quello che fa pensieri pervertiti, neh!?»

«Io non faccio pensieri pervertiti».

«Ah, no, perché tu sei troppo perfetto, vero? Ti ricordo che sono più forte di te, kisama».

«Fisicamente. Mentalmente ti batto su tutta la linea».

«Vedremo, Sas'ke, vedremo».


***


«Signorina Tenten, spero che lei stia scherzando».

«Niente affatto, signore. Non abbiamo più notizie di Ade da circa quattordici ore».

«Non... non abbiamo neanche una pista?»

«No. Anche perché abbiamo avuto dei problemi con Zeus, che ha attaccato una delle basi centrali e ha sterminato tutto il personale presente. Non siamo riusciti a trovare il cadavere del dottor McDouglas».

«L'ha assorbito. E' la quarta vittima appartenente alla società Eden che fa fuori, questa settimana. Senza contare gli innumerevoli impiegati della Gentek».

«Perché? Intendo dire, perché questi assorbimenti mirati? Tanto per lui uno vale l'altro, no?»

«In effetti... ci stiamo chiedendo se non abbia qualche facoltà particolare, legata all'assorbimento. Quelli della Gentek tengono la bocca chiusa e l'Eden non sembra aver voglia di collaborare, per cui non possiamo andare avanti con le ricerche. D'altra parte, sono stati loro ad avere sottomano Zeus per primi».

«Averlo sottomano? Comandante Morino, cosa vuol dire?»

«Ibarashi... davvero pensava che Zeus fosse un prodotto della natura?»

«Beh, è questo che mi è stato riferito appena sono arrivata qui. Anche sulla cartella che lo riguarda compare la dicitura "Mutazione genetica naturale autoindotta"».

«Perché è quello che vogliono farle credere, signorina. In realtà, e non sappiamo né come né perché, la Gentek ha detenuto per qualche tempo il Prototype all'interno dei propri laboratori. Ce ne siamo accorti per il lievitare dei finanziamenti che ha ricevuto, e scavando un po' più a fondo abbiamo scoperto che è stato a causa di un loro errore se Zeus è riuscito a scappare e a diffondere il contagio a Manhattan».

«Mi perdoni, ma queste non sono informazioni top secret?»

«Lo erano. Adesso valgono quanto carta straccia, visto che la Gentek ha distrutto tutti i dati relativi al caso. Sono passate da informazioni a illazioni in un battito di ciglia».

«In questo caso... scusi se mi intrometto, ma che legame c'è tra la Gentek e l'Eden?»

«La Gentek ha sempre avuto le mani in pasta in affari poco raccomandabili. Per quanto ne sappiamo ha qualcosa a che fare con Zeus e la diffusione dell'Idra, ma non ci sono prove certe. E' assodato, invece, che abbia venduto dei campioni di DNA all'Eden, gli stessi che sono stati usati per la creazione di Ade».

«Mi ha chiamata qui per dirmi questo?»

«Niente affatto. Ho intenzione di affidarle una missione di ricognizione. In pratica, visto che Ade sarebbe dovuto tornare a fare rapporto in una delle nostre basi, ma non l'ha fatto, il suo compito è quello di trovarlo è di verificare che sia ancora vivo e, soprattutto... ben saldo nelle sue convinzioni. Se così non fosse, dia l'ordine di sparare a vista».

«Capisco. Devo compiere una ricerca a tappeto oppure avete già delle coordinate ben precise?»

«Non si può parlare di precisione, ma, visto che il compito di Ade era quello di pedinare Zeus, potrebbe cercare nei dintorni della base distrutta».

«Ma, signore... Zeus compie spostamenti estremamente veloci... e...»

«Lo trovi. Non voglio scuse».

«Sissignore».


***


«Hai trovato quello che cercavi, nella base?»

«I ricordi? Sì. Ma come sempre erano confusi e praticamente incomprensibili».

«Tu... perché cerchi ricordi? Che cosa speri di ottenere, Zeus?»

Il biondo si bloccò, in mezzo alla strada. Sasuke non se ne avvide, andando avanti di qualche passo prima di girarsi e trovarlo lì, piantato in mezzo alla carreggiata, con quello sguardo intriso di tristezza antica che gli aveva già visto di pomeriggio.

«Rivoglio indietro la mia vita, Sasuke. Niente più di questo».

Quella frase, volente o nolente, si impresse nella mente di Sasuke come una marchiatura a fuoco.

«Che intendi dire?»

«Sei così sicuro di volerlo sapere? Una volta entrati in certe questioni, non c'è più possibilità di uscirne».

«Parla».

«Ebbene, che faresti se ti dicessi che i miei ricordi più vecchi risalgono ad un anno fa, quando mi sono svegliato in laboratorio della Gentek e, dopo essere scappato, mi sono ritrovato in questo inferno?»

«Mi stai prendendo in giro».

«Magari Sas'ke, magari. E' da quando sono libero che provo a ricostruire la mia identità attraverso punti di vista altrui, e più vado avanti più la faccenda si ingarbuglia. Ho scoperto che, in qualche modo, la mia esistenza è strettamente legata al virus Idra, e che c'è il Governo dietro tutto questo casino. La Gentek e l'Eden, le due società da cui siamo usciti io e te, sono strettamente coinvolte con lo scoppio dell'epidemia, e come saprai sopravvivono grazie ai fondi del Presidente».

«E tu...»

«Io scoprirò chi è stato a farmi questo, Sasuke. Scoprirò chi è stato a trasformarmi in un mostro, e lo costringerò a trovare una cura. I miei non sono superpoteri, ma catene che mi legano a questa terra maledetta, e voglio liberarmene al più presto. Voglio condurre una vita normale, non mi sembra di chiedere tanto».

«Non potresti chiedere l'aiuto diretto dell'esercito, allora? Perché usare metodi così rischiosi?»

«Perché anche l'esercito è in combutta con quei bastardi filogovernativi. Se andassi a chiedere aiuto, mi ritroverei a pezzi in una provetta dopo dieci minuti. Mi cercano per chiudermi la bocca, è solo questo il motivo».

L'Uchiha lo fissò, a bocca aperta. Per come l'avevano raccontata a lui, Zeus non era altro che un mostro instabile che aveva diffuso il contagio a Manhattan per assecondare la propria sete di distruzione, non la vittima di qualche strano esperimento che si era liberata e cercava i colpevoli della sua mutazione! La situazione cambiava completamente, da quel punto di vista.

«Cristo... io non lo sapevo».

«E' normale. Non mi avresti mai attaccato, se avessi saputo tutta la verità».

«Normale!? Il governo americano finanzia una cosa del genere, e tu la definisci normale? Non so più come considerarti, Zeus».

«Non sei la prima persona che me lo dice, e suppongo neanche l'ultima. Ma in fin dei conti non mi importa... perché, se non ho un passato, come posso sperare nel... futuro?»

No, non se l'era immaginato: la voce del biondo aveva realmente tremato, e i suoi occhi si erano fatti più lucidi del dovuto. Niente polvere.

Vagamente consapevole di quello che stava facendo, Sasuke colmò la distanza che lo separava dal biondo, abbracciandolo con tutto il calore di cui era capace. Ben poco, in realtà, perché non era mai stato abbastanza bravo con i rapporti interpersonali, ma abbastanza da lasciare Zeus stecchito, a fissarlo con gli occhi azzurri completamente sgranati.

"Adesso mi trafigge."

E invece, senza alcun preavviso, il Prototype chinò la testa e la appoggiò sul petto di Sasuke, che ben presto sentì qualcosa di umido bagnargli la felpa. Le spalle si Zeus si alzavano e si sollevavano in tremiti brevi e convulsi, ma nessuno dei due osò emettere alcun suono. Nemmeno quando il biondo si staccò, asciugandosi gli occhi e facendo un gesto con la mano, che da solo valeva più di mille parole.

"Dimentica".

Ce l'aveva stampato in fronte, a caratteri cubitali, e sul momento il moro non poté fare altro che annuire. Zeus non poteva permettersi la debolezza, con nessuno.

Senza dire una parola, poi, il Prototype si girò e corse a razzo sulla facciata di un palazzo, sparendo alla vista con una grazia impensabile. E con un messaggio, scritto nell'aria con le sue capriole eleganti, che chiedeva di lasciarlo solo.

Il moro scacciò ogni briciola di compassione dalla testa, dandosi dell'idiota per quanto aveva fatto e chiarendo con sé stesso che il piano sarebbe andato avanti, nonostante la valanga di problemi che aveva quel biondino mezzo squilibrato. Lui era solo un'aggiunta alla lista, niente di nuovo.

Riprese a camminare senza una meta precisa, le mani in tasca, ben deciso a farsi passare quello strano senso di oppressione che gli chiudeva lo stomaco con una capatina ad una base militare, dove avrebbe potuto contattare Madara e informarlo delle ultime scoperte. Che poi, sulle basi delle suddette scoperte, il vecchio avrebbe potuto fare a fettine Zeus, non doveva importargliene nulla. Non rientrava nei suoi compiti.

Tuttavia, a scapito dei suoi propositi, non ebbe bisogno di raggiungere una base.

Non fece in tempo a chiedersi il perché, che un elicottero con la scritta "Genetic Teknology" gli atterrò davanti in manovra di emergenza, sollevando una nuvola di polvere e sangue secco e costringendolo a ripararsi gli occhi con una mano. Non provò a scappare, perché sarebbe stato come afferrare un gigantesco cartello con scritto "TRADITORE" e appenderselo alla schiena. Rimase semplicemente fermo, in attesa degli sviluppi.

Dal veicolo scese una donna molto giovane, sui venticinque anni, con i capelli castani legati in due chignon e una divisa militare standard. Gli si avvicinò, porgendogli la mano. Non la strinse.

«Sono Tenten Ibarashi, del quarto dipartimento di aviazione. Sono stata incaricata dal generale Morino di visionare gli sviluppi del tuo operato, Ade».

Il moro la fissò un secondo, in tralice. E così, quei militari bastardi avevano già fiutato qualcosa... buon per loro, aveva tutto ciò che gli era stato chiesto, e non doveva nascondere nulla, o quasi.

«Ho scoperto diverse cose... interessanti...» buttare fuori quella frase fu un po' come ingoiare sassi. Gli riusciva difficile, ed il brutto era che sapeva anche il perché. Non era certamente stupido.

«E sarebbe?»

«Non sono riuscito ancora a scoprire il suo nome vero, ma... conto di farlo presto». sospiro «É un ragazzo di circa diciassette anni, capelli biondi e occhi azzurri, pelle leggermente abbronzata...»

«Ce ne saranno decine, di ragazzi così. Non hai delle caratteristiche un po' più particolari?»

«Sì. Lui ha... ha sei cicatrici, tre per lato, messe come i baffi di una volpe».

«Ade, se stai scherzando non fa ridere».

«Non sto affatto scherzando. Sono rimasto sorpreso anche io, quando le ho viste, e mi sono chiesto come se le fosse procurate. Ah, e i suoi occhi possono... cambiare colore, almeno credo».

«In che senso?»

«Quando si arrabbia diventano grigi. L'ho visto da lontano, ma il cambiamento si percepiva benissimo».

«E' una caratteristica strana. Credo che avviserò il dipartimento di ricerca. Per quanto riguarda i poteri, che cosa mi dici?»

«E' assolutamente spaventoso. Mai visto niente di simile. Riesce a trasformare le braccia in qualunque cosa, anche se io, per ora, ho assistito solamente a due tipi di mutazione».

«Potresti descriverli?»

«Sì. Il primo è una specie di lama di acciaio, anche se non ricordo bene com'è fatta, l'ho vista da lontano. Il secondo è una specie di frusta gigantesca, che usa per far schiantare gli elicotteri. Da quel che ho potuto osservare, ha una portata di circa venticinque metri».

«Venticinque...?»

«E non è finita. Abbatte i cacciatori come se fossero comuni esseri umani».

«Noi dei Comando eravamo rimasti incuriositi dal suo potere di assorbimento. Sai qualcosa al riguardo?»

Domanda trabocchetto. Non si poteva rispondere ad un quesito del genere senza aver parlato con Zeus, perché l'assorbimento non era uno di quei poteri analizzabili con la sola vista. Lo credevano davvero così stupido?

«No, di quello non so niente». evitò accuratamente di parlare del rifugio del biondo, un'informazione che solo lui conosceva e che quindi l'avrebbe messo in serio pericolo, se i militari avessero deciso di sfruttarla.

«Bene. Ci sei stato di grande aiuto, Ade, e spero che per la prossima volta tu riesca a scattare anche la foto segnaletica che ci serve. Se ti serve di pernottare, poi, le nostre basi sono sempre pronte ad accogliere un buon alleato come te».

«Non mancherò di approfittarne, allora».

E potevano giurarci, che ne avrebbe approfittato.

La donna gli rivolse un ultimo, breve cenno di saluto, prima di risalire sul veicolo. Le pale dell'elicottero ripresero a girare, e ben presto il gigantesco insetto d'acciaio si librò sui tetti, svanendo all'orizzonte nell'aria scura della notte.

«Ci rivedremo presto, Ibarashi. E non credo che per te sarà una bella esperienza».


***


Nel cielo notturno, sospesa a cinquecento metri di quota, Tenten scrutava il paesaggio macabro di Manhattan, le sopracciglia aggrottate.

«So che mi nascondi qualcosa, Sasuke Uchiha, e io scoprirò di cosa si tratta».

























_Angolo del Fancazzismo_

Capitolo bellino, eh? Finalmente cominciamo a mettere da parte qualche pezzo del puzzle, che si rivelerà molto più complicato di quanto non possa sembrare. Tra l'altro devo ancora mettere in gioco un sacco di personaggi, ma pasticciona come sono la scena romantica mi è scappata comunque... chiedo ammenda, chiedo ammenda! XD...

Ecco le risposte alle recensioni, che devo andare a dormire di corsa:

ryanforever: per il nome devi aspettare ancora un pochino... è uno degli elementi fondamentali di questa fic, e non posso buttarlo lì come se fosse una sciocchezza (sembra un discorso insensato, ma vedrai che acquisterà significato appena arriveremo al punto giusto della trama). Cosa combineranno insieme? Una serie di disastri uno peggio dell'altro, ma da due così non ci si può aspettare niente di meglio...

krikka86: kisama è uno dei tanti modi giapponesi per dire "bastardo". Per quanto riguarda il doppio gioco di Sasuke... secondo te io lo lascerò libero di fare la spia al mio Nacchan senza essere scoperto? Non sarebbe da me, no?

yume: la tua rece mi ha fatto schiattare dalle risate... hai colto il "profondo significato" dei comportamenti di Sasuke, ovvero un disperato istinto di sopravvivenza, e vedrai che il peggio deve ancora arrivare! Ah, quanto amo torturare Sasuke... *.* Muhahahaha... E Naruto bastardo, invece, è una delle mie più grandi passioni. Gli si adatta talmente bene!

bradipiro: decisamente, la fine sarà diversa. Anche perchè non prevedo di imbarcarmi in un seguito di questa fic, quindi non vedo perchè lasciare un finale terribile come quello, decisamente troppo aperto e pieno di interrogativi. Questa storia avrà un epilogo come si deve, altrochè!

Sadako94: uff... che rispostona che mi tocca fare XD! Allora, ho scelto di proposito Naruto come "cattivo" (e qui mi tocca cucirmi la bocca sennò ti faccio troppi spoiler), perchè mi serviva un antagonista iperattivo e vivace, non il solito bietolone che fa tanto il dark e poi alla fine è una mezza calzetta. E poi, in via del tutto pratica, perchè adoro vedere Nacchan che strapazza Sacchan.

I nomi "Zeus" e "Ade", invece, li ho scelti in funzione di due cose: 1- nel videogioco Alex Mercer, il protagonista con i superpoteri, viene chiamato appunto "Zeus" 2- i militari conoscono per primo Naruto, e lo chiamano Zeus per i suoi poteri quasi "divini". Sasuke arriva dopo, e gli appioppano il soprannome "Ade" giusto per contrapporlo a quello che secondo loro è il cattivo.

kagchan: ma che bei complimenti! l'OMG, poi, mi ha mandato letteralmente in brodo di giuggiole! E mi fa piacere che questa fic ti ricordi veri e propri must come Resident Evil e Alone in the Dark, perchè (come accennato nel capitolo precedente) sono i miei giochi preferiti di sempre! Riguardo al fandom... beh, sta lasciando perplessa anche me. Ho come la sensazione che la sezione "Naruto" si incammini sempre di più nel cosiddetto "oblio grammaticale"...


Bene, adesso vi saluto, miei cari lettori, evado a fare la ninna.

Buona notte a tutti e sogni d'oro!

Roby



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Capitolo 4
*** Chaos and Cosmos ***


003 - Chaos and Cosmos


Seduto sulla cima di un grattacielo, le gambe penzoloni a circa trecento metri da terra, Sasuke fissava la Luna. Era bella, quella notte, come un grande disco d'argento appoggiato su un mare color lapislazzuli.

«Pensi al passato?»

«No».

«A cosa, allora? Per quel poco che ti conosco, non è da te osservare il cielo con quell'espressione nostalgica».

«Tu non fai nulla di così diverso. E l'immagine che l'opinione pubblica ha di Zeus c’entra poco con un ragazzo che guarda le stelle, no?».

L'Uchiha alzò lo sguardo, facendolo scorrere sul fisico proporzionato di Naruto, che, appoggiato ad un'antenna satellitare ormai distrutta, puntava le proprie iridi sulla volta celeste con un'espressione quasi meravigliata. In quel momento, Sasuke lo trovò strano. C’era qualcosa di assurdo e misterioso nel modo in cui fissava la Luna, quell’astro che, nella sua incompletezza piena di crepe, aveva l'ardire di specchiarsi sul viso di un essere quasi onnipotente. Il Prototype sembrava quasi spaventato dalla sua luce.

«Sas'keeee... con questo silenzio sento tutto quello che pensi...»

Ecco, appunto. Bellissimo, ma pur sempre un dobe. Lui si concedeva qualche secondo di riflessioni poetiche, e subito Zeus le interrompeva ricordandogli il suo irritante potere speciale.

«Tzè... tu non hai idea di cosa sia la poesia, vero dobe?»

«Non è colpa mia se non capisco queste cose complicate! Posso fare strategie e pianificare attacchi, ma quando sento parlare di libri o poesie mi trovo a disagio».

«Bah... sei strano, più di quanto credessi. Comunque, potresti spiegarmi perché mi hai costretto a venire qui all'una e mezza di notte? Il motivo mi sfugge».

«Intanto, perché la luna è bellissima stanotte. Non lo pensi anche tu, Sas'ke? E poi perché devo mostrarti una cosa che ti piacerà molto. O ti spaventerà, a seconda dei punti di vista».

«Di che si tratta?»

«Tu... eri venuto a cercarmi in quello che i militari credono il più importante alveare di tutta l'isola, o sbaglio?»

«Il fatto che tu usi il verbo"credere" mi fa pensare che non lo sia per nulla, giusto?»

«Giusto. Sai dirmi com'è che si giudica il valore di un oggetto, Ade?»

«Non si può giudicare il valore di un oggetto, perché esso varia a seconda di chi lo formula».

«Mh... vero, ma solo in parte. Per comprendere l'importanza di qualcosa basta guardare chi la protegge e come la protegge. Seguimi».

Lo afferrò per un braccio, spiccando un salto oltre il parapetto di cemento. Schizzarono nell'aria fredda della sera come proiettili, abbattendosi poi sull'asfalto ad una velocità tale da spaccarlo e formare un piccolo cratere, tra il boato della collisione e un paio di imprecazioni di spavento sibilate dall'Uchiha. Corsero per i vicoli di Manhattan e sulle facciate dei palazzi disabitati, senza fare una piega di fronte agli spettacoli raccapriccianti che si offrivano lungo la strada come i fenomeni da baraccone di un macabro circo, finché, dopo essersi addentrati per un bel pezzo in una zona infetta, Naruto fece segno al moro di nascondersi dietro la facciata di un palazzo mezzo infestato.

«Quello...» sussurrò, indicando a Sasuke un edificio che, seppur nascosto dai profili di altre costruzioni, si identificava ad una prima occhiata come un alveare piuttosto piccolo «... è in assoluto il luogo più protetto di tutta l'isola. Non so dirti quanti cacciatori ci siano a pattugliarlo, ma ne produce ad un ritmo quasi triplicato rispetto al normale. E poi c'è anche dell'altro...»

«Sarebbe?»

«Uno di loro è molto strano. I militari lo chiamano "Cacciatore supremo", e a differenza dei suoi simili ha una visione binoculare perfettamente funzionante e un'intelligenza discretamente sviluppata. Ed è più grosso, circa quattro volte il normale».

Sasuke deglutì, la fronte improvvisamente sudata. Fece un piccolo calcolo mentale: un cacciatore normale era alto circa sei metri, e sei per quattro veniva fuori...

«Ventiquattro metri? Un cacciatore intelligente alto come una palazzina?»

«Secondo te perché sto sussurrando, teme!? Non voglio che quel coso ci scopra, l'ultima volta che ho provato ad ucciderlo mi ha estirpato un paio di costole a mani nude. Per farle ricrescere ci ho messo dieci giorni».

«E' davvero così forte?»

«Non quanto me. Mi ha preso in un momento pessimo, ero già ferito e i militari mi inseguivano: per lui dev'essere stato facile attaccarmi. Se è quello che ti stai chiedendo, comunque, contro di lui non dureresti dieci secondi».

«Buono a sapersi. Comunque, se ho capito, ti chiedi perché quest'alveare all'apparenza periferico sia così ben protetto. Lecito, ma alla fin fine non mi sembra che abbia niente di particolare, anzi».

«Questo perché nel tuo sangue non c'è la stessa percentuale di Idra che scorre nel mio. E' come se... come se mi chiamasse. Non so spiegarlo bene, ma emette una serie di segnali chimici che mi attirano incredibilmente. Hai presente le api? Beh, penso che se io fossi un'operaia e lì dentro ci fosse nascosta la regina mi sentirei allo stesso modo».

«Possibile che non ci siano manifestazioni esterne di un fenomeno simile?»

«A quanto pare sì. Non ho mai trovato nulla di strano in quest'alveare, almeno finché il capoccia non mi ha attaccato. Ah, quasi dimenticavo: tu non sai niente sul progetto di raccolta dei campioni di DNA, vero?»

«No».

«Non mi sorprende, è un'iniziativa che conoscono in pochi anche tra le file dell'esercito. Da quello che ho potuto vedere, un'equipe di scienziati viene qui ogni tanto per raccogliere campioni di DNA e studiare il Cacciatore Supremo. La domanda è: perché qui e non negli altri alveari disseminati per Manhattan? Ho deciso che oggi troverò la risposta».

«Oggi? Verranno gli scienziati?»

«Esatto. E poi c'è una tipa niente male, te la devo far vedere assolutamente!»


***


La Dottoressa Hinata Hyuga, settimo dipartimento di virologia, era una delle più brillanti scienziate della Gentek. E non solo.

Di nobile famiglia, molti dei suoi colleghi erano rimasti stregati dalla sua bellezza orientale, che aveva come maggiori punti di forza i capelli neri e lucenti e gli splendidi occhi viola, chiarissimi, che rischiaravano un viso dalle fattezze dolci e delicate. Il fisico, formoso senza essere volgare, sembrava più quello di una modella che di una donna in carriera, e anche il carattere, timido e remissivo, aveva poco a che fare con il comportamento previsto per un team leader come lei. Nonostante l'apparenza, però, nel suo lavoro era molto brava, senza risultare geniale: svolgeva i propri compiti così come le venivano affidati, senza ribattere e mantenendo sempre un gran senso di responsabilità.

Il che, nella situazione in cui versava Manhattan, era un requisito tanto fondamentale quanto raro.

Non che la vista della città così orribilmente mutilata non le facesse orrore, anzi: pensava spesso a com'era prima che scoppiasse l'infezione, e rimpiangeva quel tempo di relativa serenità con tutta sé stessa, chiedendosi anche se tutte le voci che circolavano sull'azienda per cui lavorava fossero vere. Lei non ne sapeva nulla, e, quando aveva provato ad investigare sulla presunta fuga di Zeus, i suoi capi l'avevano scoperta e minacciata di licenziamento nel caso si fosse rifiutata di interrompere le ricerche. Poi i dati erano andati distrutti, e lei era stata promossa.

Sospirò, stringendo con forza la valigetta portaoggetti che quelli del reparto di anatomia le avevano fornito. Conteneva tutto ciò di cui aveva bisogno per raccogliere i campioni, un compito ingrato che le avevano relegato in extremis e che non aveva voglia di svolgere. Era un lavoro da militari, quello: aveva paura che i mostri degli alveari le facessero qualcosa, lei che non era in grado di maneggiare correttamente una pistola, e temeva un possibile arrivo di Zeus con tutta sé stessa.

Il sole non era ancora completamente sorto quando la squadra di tre elicotteri che trasportavano lei e il suo team di scienziati atterrò di fronte all'alveare. Lo spiazzo era stato precedentemente sgombrato e privato di ogni minaccia, ma dovevano comunque fare in fretta: sebbene avessero un plotone di militari a loro disposizione, i cuori delle zone infette costituivano luoghi proibitivi per i comuni esseri umani.

Scese di corsa dal mezzo, infilandosi i guanti con gesti secchi e legandosi la mascherina chirurgica attorno a bocca e naso. Non era ancora chiaro il metodo di propagazione del virus, ma in ogni caso era meglio non rischiare.

Spalancò la valigetta, rimirandone il contenuto con aria critica. Provette, bisturi, pinzette metalliche, bustine di plastica e tamponi di varie misure... sì, c'era tutto. Afferrò il coltellino anatomico e una provetta, poi si avvicinò all'alveare e iniziò ad amputare delle piccole parti di tessuto dai viticci rossastri che avviluppavano la struttura, infilandole nel contenitore di vetro una dopo l'altra. Prelevò dei tamponi di liquido vescicolare, misurò il diametro e la scala cromatica di una decina di propaggini dell'Idra e, quando si ritenne soddisfatta del proprio operato, riportò la valigetta (sigillata) sull'elicottero.

Improvvisamente, però, accadde qualcosa di totalmente inaspettato.

Il fatto è che, da quel poco che gli scienziati avevano desunto dalle scarse osservazioni ravvicinate compiute, i viticci non compivano che pochi, piccoli spostamenti striscianti. Niente a che vedere con l'improvviso movimento che portò uno di quei tentacoli, un bestione largo circa un metro e mezzo, ad afferrare un malcapitato scienziato che lavorava lì vicino e a stritolarlo come una spugna umana, che, invece di espellere acqua, esplose grondando sangue da tutti i pori.

Hinata rimase pietrificata, fissando il cadavere dell'uomo che, ormai semplice ammasso di carne sanguinolenta e ossa spezzate, cadeva a terra come un fagotto sfatto. Si tappò la bocca con la mano, emettendo un lungo urlo silenzioso, poi si accasciò contro la parete dell'elicottero e rimase immobile, ben consapevole che quella era la sua unica via di salvezza.

Ben presto, infatti, tutto l'alveare sembrò animarsi, e i viticci afferrarono e stritolarono anche quegli incauti che, nella tenue speranza di fuggire, se l'erano data a gambe nei vicoli. Lei, invece, rimase saggiamente ferma, evitando di emettere vibrazioni.

Una tattica che, indubbiamente, avrebbe funzionato in qualunque alveare.

Ma non in quello.

Pochi secondi, infatti, e la terra tremò. Hinata sperò con tutto il cuore di sbagliarsi, quando percepì distintamente un ruggito (più simile ad un boato) che si originava da dietro l'alveare.

Boom. Boom.

L'asfalto sembrava sbriciolarsi, sotto quelle possenti vibrazioni che lo scuotevano ad intervalli regolari, come se qualcosa della mole di un'autopompa si stesse lentamente avvicinando. E, in effetti, il Cacciatore che sbucò sul piazzale non aveva dimensioni molto diverse.

La prima cosa che Hinata notò fu la faccia: porcina, con un muso tozzo e sgraziato e delle zanne che, come i denti di uno squalo, uscivano dalle labbra e si incrociavano sopra e sotto la bocca. Gli occhi, incredibilmente grandi e simili a quelli umani, le si appuntarono addosso con brama, con fame e desiderio di sangue. La pelle brunita (uno strano colore, per quelli della sua razza), fremeva sotto la spinta dei fasci muscolari ingigantiti, mentre il cuore, probabilmente enorme, emetteva un battito udibile anche a diversi metri di distanza.

La ragazza si appiattì contro la fiancata dell'elicottero, pur sapendo quanto fosse inutile: con un normale Cacciatore avrebbe sicuramente funzionato, ma con quello, che poteva vederla, era una mossa del tutto priva di senso. Strizzò gli occhi, ma non poteva estraniarsi dalla percezione di quelle maledette scosse che, sempre più forti, si avvicinavano inesorabilmente a lei. Le parve quasi di vederla, la mano alzata del cacciatore che stava per colpirla.

E poi, nel buio, si fece spazio un grido.

«PISTAAAAAAAAAAAAAA!»

Hinata si sentì sollevare da terra, e aprì gli occhi di scatto.

«Ma che...» ok, qualcuno la stava tenendo in braccio. Qualcuno aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, un sorriso che andava da un orecchio all’altro e... e aveva il braccio trasformato in una gigantesca frusta, con cui si stava lanciando sul tetto di un condominio. Le aveva studiate al corso di mutagenesi, quelle caratteristiche.

«Ze... Zeus...» arrossì inconsapevolmente, stringendosi alla felpa del Prototype.

«In persona». replicò quello, mentre si voltava un attimo per fissare il Cacciatore Supremo che, sorpreso dalla fuga improvvisa, roteava il testone alla ricerca delle sue prede. Ben presto, poi, Hinata intravide un'altra ombra che li seguiva a distanza, destreggiandosi tra impalcature e macerie con la stessa bravura del biondo.

«Quello c-che cos'è?»

«Non ti riguarda molto, neh?»

La ragazza si ricordò improvvisamente tutti i dati sul soggetto con cui stava parlando, omicidi compresi, e distolse lo sguardo chinando il capo. Dalla padella nella brace.

Sasuke, diversi metri più indietro, pensava più o meno la stessa cosa.

Perché il baka aveva voluto salvare la vita a quella sgualdrinella? Non era che una dottoressa di quart'ordine, e dubitava seriamente che potesse servire a qualcosa. Senza contare che era una donna, perdio, una donna! Un essere statisticamente buono solo per cucinare e scopare, entrambe cose di cui il Prototype non aveva un urgente bisogno. O almeno, preferiva pensarla così.

Tornarono al rifugio, dove Naruto scaricò Hinata sul divano senza neanche degnarsi di legarla e lo trascinò in quella che una volta era probabilmente una cucina, riadattata a guardaroba/armeria. Sasuke si sedette su una cassetta di legno, attendendo una spiegazione o, al limite, un bel cazziatone.

«Sas'ke... scommetto che ti starai chiedendo perché ho rapito quella ragazza».

«No, in effetti no. Sai, tanto fare da balia ad una troia è una delle cose che mi riescono meglio».

«Sas'ke, calmati. Non ho intenzione di tenerla qui molto a lungo, e se non avrà intenzione di collaborare mi vedrò costretto ad assorbirla. É della Gentek, hai notato?»

«Mhm... e con questo?»

«La userò, Sasuke, come faccio con chiunque altro eccetto te. Sono indeciso se adoperarla come infiltrata o aiutante nel procurarci informazioni, oppure, visto che è una virologa, potrebbe darmi anche una mano nei miei studi sul virus...»

«Bah, potrebbe anche andare... Una cosa, ma quello che abbiamo visto prima era il Cacciatore Supremo?»

«Sì. Imponente, vero? Quello che mi preoccupa è che anche gli altri potrebbero cominciare ad evolversi nello stesso modo, e voglio evitarlo. Sai che incubo, una mandria di quei cosi a spasso per Manhattan?»

«Poco auspicabile».

«Già. E adesso scusami, ma vado ad occuparmi della nuova arrivata».

Sasuke sospirò appena il biondo varcò la soglia. Non gli piaceva per niente quella novità, inutile negarlo. E il motivo, poi, era anche peggiore.

Sbuffò, massaggiandosi gli occhi con le mani nel blando tentativo di rilassarsi. Nonostante tutto, però, c'era una frase che non riusciva a togliersi dalla testa: "come faccio con chiunque eccetto te".


***


«Che ne pensi, Shikamaru?»

«Siamo nella merda, Sai».

Due ragazzi di circa vent'anni erano seduti attorno al tavolo della sala grande del reparto investigazione, al quarto piano del "Gentek Palace". Il primo aveva i capelli neri, corti, e gli occhi dello stesso colore, che contrastavano incredibilmente con la pelle chiarissima, quasi trasparente. Il viso mostrava un'espressione sorridente che, per qualche strana ragione, appariva anche artefatta.

Il secondo era un ragazzo castano dall'aria terribilmente annoiata ed apatica, i capelli raccolti in un ciuffo a forma d'ananas, che se ne stava accasciato con strafottenza sul piano di vetro. Sebbene il regolamento della Gentek lo proibisse severamente, poi, teneva tra le labbra una sigaretta accesa.

«Ci hanno fottuto la miglior squadra di virologi che avessimo mai avuto e quella strafiga della capodipartimento, Hinata Hyuga. Tra l'altro era la cugina di Neji, che a quest'ora sarà incazzato come un colibrì con una scopa nel culo».

«E non sappiamo nulla di Zeus».

«Non ricordarmelo. Quel bastardo mi tiene talmente tanto occupato che non ho più tempo per guardare le nuvole».

«E io per dipingere. E poi, Morino vuole che ci occupiamo anche della monitorazione di Ade».

«Ade? Non era compito di quella mendekouze di TenTen Ibarashi?»

«Lei lavora sul campo, noi dietro una scrivania. Non è nemmeno così male, se ci pensi un attimo».

«Mhm... non so quanto sia divertente lanciarsi in missioni suicide contro zombie assassini. Potrei provare ogni tanto, durante la pausa pranzo».

«Non fa ridere». Replicò l'altro, sempre con l'immancabile sorrisetto sulle labbra.

«Grazie, Sai. Sei molto carino».

«Niente. Da domani, comunque, dovremo cominciare a mappare tutti gli spostamenti di Ade».

«E come facciamo?»

«Nella macchina fotografica che si porta dietro è stato inserito un localizzatore GPS. Rintracciarlo non dovrebbe essere complicato».

«No, certo. Ciò non toglie che non ne ho la minima voglia».

«Guarda che se non porti lo stipendio a casa poi Temari si arrabbia».

«Quella! Il suo stipendio da Generale di Brigata è dieci volte il mio, figurati se ha problemi economici. Pensa ad Ino, piuttosto, che spende tutta la paga del laboratorio di ricerca in vestiti e stronzate varie».

Il sorrisetto di Sai si fece improvvisamente inquietante, un buffo compromesso tra Hannibal Lecter nei suoi momenti "bene" e la maschera di "V per Vendetta".

«Lavoriamo, Shikamaru».

«O-ok».


***


La donna uscì dall'alveare, puntando lo sguardo vuoto sul sole di mezzogiorno.

L'iride, vacua e spenta, vagò per qualche secondo sul cielo terso, mentre la bocca, secca e screpolata, si mosse a pronunciare delle sillabe all'apparenza prive di suono. I Cacciatori le percepirono, però, schierandosi attorno alla loro signora e inginocchiandosi di fronte alla sua figura sottile e sinuosa, circondata da un intrico di capelli che serpeggiavano nell'aria come mossi da vita propria.

«Cercate... lui... lui...»

Le bestie mugghiarono, ansiose di soddisfare la Madre, e gridarono il proprio assenso con la forza di mille squilli di tromba. La donna, invece, rimase immobile al centro della piazza, fissando i propri figli che si allontanavano velocemente tra la polvere.

Aveva aspettato di vederlo così a lungo, eppure non aveva potuto bearsi del suo viso che per pochi, stentati secondi. Ne rimembrava ogni particolare, ogni sfumatura dell'incarnato, eppure ne voleva ancora, fino ad ubriacarsi della sua immagine. Era un desiderio primitivo, il suo, la voglia di una mente succube dell'istinto, ma non era capace di sopirlo, né lo desiderava.

Avrebbe riavuto indietro ciò che le spettava, avrebbe finalmente raggiunto l'obiettivo che l'aveva portata in quella città. Nessuno poteva permettersi di portarle via ciò che le apparteneva di diritto, nessuno.



























_Angolo del Fancazzismo_

O.O lo so, fa schifo. Abbiate pazienza e perdonatemi, il prossimo chap sarà migliore e, soprattutto, non vi presenterà quattro personaggi tutti in un colpo solo. O almeno spero. Passiamo subito alle rece, perchè ho un sonno che ci vedo quintuplo.

ryanforever: oh, lo vedrai eccome cosa gli hanno fatto quei bastardi. E non è scontato come sembra, fidati. E Tenten... tranquilla, quello che sa basta e avanza per scatenare la terza guerra mondiale, quella ragazza è terribile XD. Mi fa piacere che tu abbia apprezzato la scena romantica!

yume: Sasuke riserverà delle sorprese, te lo garantisco. Anche se non sono molto sicura che riuscirà a sbrogliarsela facilmente XD.

kagchan: ti ringrazio molto per aver considerato questa fic al di fuori del gruppo "oblio grammaticale"! Thanks! Il punto è che, con tutte queste liceali che scrivono su EFP, una di terza media come la sottoscritta si trova sempre un po' interdetta dagli erroracci grammaticali delle sue "compagne" più grandi. Con questo non voglio dire che il mio stile sia perfetto, anzi...

Sasuke... beh, Sasuke fa il doppiogioco perchè è un amorevole bastardo. E Naruto fa il cattivo ^_^! E la scenetta romantica ti è piaciuta *.*!! Vabbè, finiamola con la demenza. Cmq, Tenten sarà effettivamente un bel problema per Sas'ke, mentre Orochimaru avrà un ruolo meno scontato di quello che ci si possa aspettare... come dire, siccome "Orociock roccheggia!" non credo che gli darò la solita parte di bastardo maniaco. Poi non sarei abbastanza folle, dico bene?

Sadako94: non ti preoccupare, adoro scrivere rispostone! E la scenetta... beh, Naru-chan che piange è sempre bellissimo, non si può fare a meno di amarlo. Invece credo che i miei lettori non potranno far a meno di odiare Tenten, dopo quello che ho pianificato per i prossimi chap... Muhahahaha!

_laura_: cavoli, non capita spesso di trovare una recensitrice tanto buona, grazie 100000!! E cmq, le AU scolastiche hanno ampiamente nauseato anche la sottoscritta, non ti preoccupare. L'originalità è un punto a cui tengo particolarmente, immagino che l'avrai notato anche leggendo "Highway to Hell", perchè, anche se lo stile è pressochè perfetto, una trama trita e ritrita è capace di rovinare anche il periodare di Umberto Eco. E i tuoi poemi non mi tediano affatto, anzi: li adoro!

bradipiro: sì, questa storia mi ispira davvero tanto. Sarà perchè l'azione mi attira da sempre, ma è come se non riuscissi a finire mai l'ispirazione! E' fantastico! Cmq non farò un seguito, ma ti assicuro che troverò un finale in grado di non farti desiderare alcuna continuazione!


Bene, grazie a tutti per i preferiti e le seguite e buona notte, che sto veramente morendo di sonno.

See you soon.

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Capitolo 5
*** Fallen Angel ***


004 - Fallen Angel


«Ciao».

Hinata si ritrasse al suono di quella voce, così incredibilmente dolce nell'aria impolverata del salotto sfatto. Era... strana. Terribilmente strana e ammaliante, la attirava.

«Ciao...» rispose, titubante, puntando le iridi color ametista sul volto del suo salvatore. O rapitore, a seconda dei punti di vista.

«Immagino che tu sappia chi sono, no?»

«S-sei Zeus. I-il Prototype».

«Bene. Mi risparmi già molta fatica. Potresti dirmi chi sei tu e che lavoro svolgevi alla Gentek, invece?»

La ragazza retrocedette sul divano su cui era seduta, fino a scontrarsi con lo schienale. Era disgustata dalla strana sensazione di attrazione che le aveva invaso la testa, e cercava il più possibile di limitare i danni agendo razionalmente. Non per questo, tuttavia, scelse la risposta più saggia.

«N-no! Non p-puoi chiedermi di tradire l-la ditta per cui lavoro, n-non se non s-so c-cosa devi fare c-con le i-informazioni che v-vuoi!»

Ops. Piccolo errore di valutazione.

Zeus la afferrò per la gola, sbattendola senza esitazione contro la parete. Neanche il tempo di emettere un grido, che già dei piccoli viticci rossi, sbucati dal petto del biondo senza però danneggiare la felpa, le si erano avvinghiati attorno ai piedi.

«Non ti conviene comportarti così. Non voglio farti del male, davvero...» e come dubitarne, pensò Hinata, di fronte a quel viso così dolce? «... ma sappi che, se ti rifiutassi di dirmi ciò che voglio sapere, potrei sempre assorbirti e prendermi i tuoi ricordi con la forza».

La ragazza ci mise qualche secondo per metabolizzare quella frase, ma appena l'ebbe compresa il suo animo di ricercatrice reclamò il proprio spazio:«A-allora è per qu-questo che assorbi i r-ricercatori! T-tu p-puoi p-prendere i ricordi i-inglobandoli!»

Zeus la fissò, esitante. Poi spalancò la bocca, atteggiando le sopracciglia ad un moto di sorpresa e mimando un "cazzo" silenzioso che fece scoppiare a ridere Hinata. Incredibile che un umana avesse il coraggio di ridergli in faccia, specie poi in una situazione di quel tipo.

Appena la ragazza smise di sghignazzare, Zeus sospirò e riprese a parlare.

«Ok, ok, molto divertente. Tuttavia, adesso che sai anche questo non posso certamente lasciarti andare. Cosa scegli?»

La mora si torturò il labbro inferiore con i denti, ragionando sulle opzioni che aveva di fronte. Due, e nessuna troppo bella: da una parte, aveva la possibilità di rimanere con Zeus e studiarne le caratteristiche anatomiche (lavorare sul Prototype era sempre stato il suo sogno nel cassetto), mentre dall'altra poteva mantenere la fedeltà alla Gentek immolandosi come un agnello sacrificale.

Decisamente non era una scelta difficile.

«Prima di essere assunta alla Gentek lavoravo come anatomopatologa per la CIA». il biondo sorrise, compiaciuto. In meno di due settimane aveva trovato due alleati, non poteva che esserne felice.

La mora continuò:« Quando scoppiò l'epidemia a Manhattan, fui prelevata dalla frazione in cui operavo e mi fu offerta la possibilità di entrare in quella che, da ciò che mi avevano detto, era la più importante azienda di ricerca ancora attiva nel perimetro dell'isola. Accettai».

«Quindi tu non sai nulla sulle origini dell'epidemia». Non era una domanda, piuttosto una rassegnata constatazione.

«No». Riusciva a non balbettare, che strano. Non le era mai capitata una cosa simile, e la trovava molto piacevole. «Comunque, dopo la mia assunzione alla Gentek mi fu chiesto di studiare alcuni campioni di virus e di trovare un modo per sintetizzare l'Idra in forma iniettabile. In pratica, volevano un composto che si potesse inoculare a degli individui vivi. Sulle prime rifiutai, e così i patti cambiarono».

«In che senso?»

«Mi chiesero di...» tentennò, passandosi una mano tra i capelli « ... mi chiesero di creare un secondo Zeus».


***


«Dove cazzo è finito quello stronzo!?»

«Come sei fine, Shikamaru».

«E tu non rompere le palle! É da due ore che ne stai lì fermo e zitto mentre io mi rompo il culo per capire la ragione dei movimenti di quel bastardo!»

«Non è mica colpa mia se si sposta da un punto all'altro ogni cinque minuti...» sentenziò Sai, continuando il ritratto di Shikamaru che aveva disegnato con la penna su un foglio da stampante. Mostrava il collega in una delle sue sempre più frequenti esplosioni di rabbia, con la faccia incazzata e la coda mezza sfatta che ricadeva in ciuffi bruni attorno al viso.

«Aaah! Non ha senso! É completamente illogico!»

«Strano che sia tu a dirlo, con il tuo quoziente intellettivo».

«Vieni qui, così potrai rendertene conto tu stesso».

Il moro si avvicinò allo schermo del pc del collega, constatando che, effettivamente, gli spostamenti di Ade erano quantomeno insoliti. Le tracce del segnale GPS, segnate con un'unica linea rossa, si intrecciavano continuamente e sembravano un gomitolo di filo sfatto, che copriva uno spazio enorme e passava sia sopra le zone infette che su quelle "sane". Il punto fondamentale era che, in certi punti, il rosso copriva quasi totalmente la visione satellitare, segno che Ade ci era passato e ripassato svariate volte. Perché sprecare tempo in quel modo?

«Se stesse inseguendo Zeus?»

Shikamaru sbuffò, intrecciando le mani sopra la testa.

«No, non credo che il Prototype scapperebbe di fronte ad un bamboccio del genere. Non so se hai letto il suo profilo psicologico, ma Ade non è un tipetto esattamente gestibile».

«Mhm. Magari è lui che scappa, no?»

«Nah. Non sarebbe così sciocco da trascinarsi dietro un Cacciatore nelle zone presidiate dai militari. Lo ridurrebbero in poltiglia prima di permettergli di dire "bah", visto quanto sono terrorizzati dall'infezione. Figurati se sarebbero disposti a porsi il problema di abbattere il risultato di un esperimento da cento miliardi di dollari».

Sai percorse lo schermo con lo sguardo, cercando un possibile nesso tra tutti i punti segnati sulla cartina che Shikamaru teneva spiegata di fronte a sé, accanto alla tastiera. Segnalavano le soste più lunghe di mezz'ora che aveva compiuto Ade, ma sembravano casuali e disordinati.

«Chissà che sta facendo adesso...»

«Vallo a capire, quello è completamente pazzo».


***


«Cazzo». Eh, già, era proprio il caso di dirlo. Perché perdersi per la quarta volta dentro Manhattan era veramente una cazzata, specialmente se si aveva la possibilità di salire su un grattacielo e orientarsi dall'alto con relativa facilità.

Quando si è arrabbiati e gelosi, d'altra parte, ragionare diventa più difficile.

«Merda. Merda. Merda. Ma di tutte le persone di questo fottuto pianeta, possibile che dovesse essere proprio una donna? Non poteva essere... che ne so, uno sfigato con gli occhiali e i brufoli sul naso?»

Sei poi ti chiami Sasuke Uchiha e sei per antonomasia un emo isterico, allora i tuoi problemi si moltiplicano esponenzialmente ogni secondo che passa.

Il fatto era che, molto semplicemente, Sasuke non poteva sopportare l'idea che la nuova, procace coinquilina potesse sembrare "carina" o "bella" agli occhi di Zeus. E, se ne rendeva conto anche lui, incazzarsi per una simile inezia non era esattamente sintomo di normalità.

Diede un calcio ad un secchione e lo mandò a sbattere contro un infetto, che, dal basso della propria mente ormai putrefatta, pensava di poterlo avvicinare durante una crisi di nervi senza venire sfracellato contro il muro più vicino. Povero, triste illuso.

Stava girovagando da due ore ormai, e cioè da quando aveva sentito la piccola strega ridere davanti a Zeus, con quella sua vocetta terribilmente mielosa e irritante, e aveva deciso di non volerla più vedere almeno fino all'alba del giorno seguente. Ergo, avrebbe passato la notte a bighellonare, nella speranza di non fare incontri scomodi (uno a caso: Tenten Ibarashi) e riuscire a ristabilire un po' di equilibrio nel proprio ordine mentale. Soprattutto sulla parte che riguardava le priorità, perché aveva come la sensazione che il file "Rimanere in Vita" stesse lentamente scivolando dalla prima posizione all'ultima per lasciare il posto a "Cosa Pensa Zeus di Me". E decisamente, la cosa non avrebbe giovato al suo istinto di sopravvivenza.

Sospirò, passandosi una mano tra i capelli e facendo vagare lo sguardo sulle vetrine impolverate e macchiate dei negozi.

Improvvisamente, qualcosa attirò la sua attenzione. Qualcosa di così terribile e grottesco da lasciare a bocca aperta perfino l'impassibile Uchiha.


***


Zeus spalancò gli occhi, sorpreso.

«Non mi dire che tu eri la responsabile del progetto Ad... AH!»

Hinata si avvicinò al Prototype, che nel frattempo si era chinato sulle ginocchia e si teneva la testa tra le mani, mormorando brevi frasi convulse.

«C-che succede? Zeus!?»

Ma lui non poteva più sentirla.


***


«CORRI! CORRI!» Qualcuno sta gridando, dietro di te, ma non capisci di chi si tratta. Sei immerso nel buio più totale, affogato in una vasca di petrolio nero che ti avvolge in maniera sgradevole, fin quasi a soffocarti.

«Cazzo, Harris, fuori di qui! Si sta svegliando!»

"Svegliarsi". E' un verbo che ti ricorda qualcosa, l'hai già sentito in un punto indefinito del criosonno. Ecco, adesso ti torna in mente come fare per "svegliarsi", come scacciare l'oscurità che ti avvolge nel suo velo di torpore.

Sbatti le ciglia, lentamente, e la luce dell'ambiente esterno ti colpisce gli occhi con violenza. Serri le palpebre, ma ormai la curiosità ha avuto il sopravvento e non puoi fare a meno di riaprirle, stavolta con cautela.

E scopri i colori.

Non che nel laboratorio dove sei rinchiuso ve ne siano molti, prevalentemente il blu e il rosso dei bottoni che emergono da quella monotonia di grigio acciaio, ma anche la sola percezione della luce è sufficiente a stupirti. Ti bei del dono della vista, ruotando gli occhi alla ricerca di novità.

Per la prima volta dal cambiamento, ti è concesso di vedere il tuo corpo.

Guardando fisso di fronte a te, puoi ammirare le punte dei piedi e il leggero rilievo dei muscoli delle cosce, lasciate parzialmente scoperte dal corto pigiama da ospedale che contrasta, nel suo bianco quasi accecante, con la tua pelle liscia e bronzea.

Ti metti seduto senza pensarci, perché, in qualche strano modo, sai già come si fa. Ciononostante, la leggera contrazione degli addominali ti causa nuovo stupore, nuova voglia di scoprire com'è il tuo corpo.

Le mani sono lunghe e morbide, e nella loro complessa alchimia di tendini e muscoli sottili ti affascinano. Le muovi, apri e chiudi il pugno, scoprendoti straordinariamente preciso e saldo nei movimenti. Non sai bene perché, ma sospetti che questa sia un'ottima cosa. Le braccia, sottili e muscolose, obbediscono ad ogni tuo comando con una precisione impeccabile, mentre per qualche ragione che non capisci non puoi vederti la testa. Forse i tuoi occhi sono rotti, o sbagliati.

Inaspettatamente, questo pensiero ti causa una fitta all'altezza del petto. Questo... sentimento è qualcosa che conosci... ecco, dolore.

Porti le mai al viso, percorrendone i tratti con le dita magre senza riuscire però a decifrarli, a capire come appari esteriormente. Puoi sentire la morbida curva delle labbra e la setosità dei capelli, ma non riesci a dargli forma nella tua mente, a differenza di tutte le sensazioni che hai provato fino ad ora. Questo perché non hai mai incontrato un essere umano, nemmeno prima del risveglio.

Percepisci un fastidio all'avambraccio sinistro, e noti un piccolo oggetto luccicante che ti buca la pelle. Una "flebo". La prendi e la strappi, senza far caso alla ferita che si rimargina subito e alla leggera scarica di dolore che questo ti provoca.

Sei finalmente pronto per andartene, libero. Lasci che lo sguardo vaghi sulle pareti di metallo del laboratorio, fino a soffermarti su una porta metallica dall'apparenza robusta. Sai che puoi oltrepassarla, è nella tua natura.

Poggi i piedi sul pavimento di linoleum, poi accenni il primo passo della tua nuova vita. In un certo senso sai di aver già fatto tutto questo, anche se il tuo corpo allora era diverso, ma non ricordi nulla degli avvenimenti passati. Nella tua mente c'è un vuoto liscio e lineare, come quella porta che viene presto violata da un colpo potentissimo inferto dal tuo braccio.

Il metallo si increspa sotto la pressione del pugno, improvvisamente trasformato in un ammasso globoso di quella che sembra pietra nera, ardesia. Distruggi con facilità quell'insulsa barriera che si frappone tra te e la libertà, addentrandoti in un corridoio bianco rischiarato da luci al neon, lampade insopportabilmente chiare che ti danno fastidio. Sai già cosa fare, quando giungi di fronte all'ascensore.

In poco tempo percorri corridoi su corridoi, tutti tristemente immacolati e deserti, finché non sbuchi in un piano diverso dagli altri. Le pareti sono tinteggiate di una delicato color beige, alle pareti spuntano alcuni rettangoli colorati ("quadri", ti suggerisce la tua mente) e delle strane cose verdi giacciono in certi vasi bizzarri, rossicci, appoggiati praticamente in ogni angolo. Questi nuovi particolari ti piacciono, stuzzicano la tua curiosità.

Come un bambino, ti spingi avanti per quel corridoio colorato, osservando, in estasi, le grandi pareti trasparenti che ogni tanto ti permettono di vedere una grande distesa blu e un'altra di cose grandi, grigie e squadrate, più in basso. Non hai mai visto delle finestre, prima d'ora, e scopri che ti piacciono moltissimo.

Vorresti essere circondato da quelle grandi lastre trasparenti, così da poter osservare il mondo che ti circonda senza muoverti, senza scappare dall'unico luogo che conosci.

Improvvisamente, però, delle creature brutte e sgraziate di sbarrano il passaggio.

Sono più grosse di te, e hanno tutto il corpo nero, coperto da placche irregolari di metallo e una tuta lucida. In mano tengono degli arnesi che, strano, ti sono familiari: fucili. E, nonostante lo stato di intontimento in cui ti trovi, sai che quegli oggetti sono molto, mooolto pericolosi.

Ti scosti all'ultimo secondo, evitando una raffica di proiettili, e pieghi il busto in avanti, lanciandoti frontalmente contro i tuoi aggressori. Riesci a scaraventarne uno contro un muro, che si rompe e solleva una nuvola di calcinacci, permettendoti di scappare furtivamente.

Trovi delle scale e le scendi, alternando veloci saltelli a scivolate su quel lungo tubo nero e lucido che accompagna i gradini. Corrimano.

Ti ritrovi, senza neanche capire come, in un ampio atrio dal pavimento di marmo, pieno zeppo di creature armate simili a quelle di prima. Ti sparano contro, ma tu corri veloce e ti rifugi in continuazione dietro le colonne che sorreggono il soffitto, avvicinandoti sempre di più all'uscita. Tuttavia, i mostri si sono appostati proprio di fronte alla porta, e sai che non puoi fronteggiarli.

Ti viene un'idea.

Scatti all'indietro, disorientando per un attimo le creature e allontanandoti sempre di più dalla tua unica via di fuga. Ma non ti sei affatto arreso.

Prendi la rincorsa. Salti.

Vedi il muro farsi sempre più vicino, e incroci le tue esili braccia davanti al viso. Colpisci la parete con la violenza di una palla di cannone, precipitando, insieme ad una valanga di calcinacci, sulla strana distesa di terra dura e grigia che si trova di fronte alla tua casa/prigione.

Quando le creature nere escono fuori, tu ti sei già volatilizzato.

Ormai sei libero, Zeus.


***


Sasuke non pensava di poter assistere ad uno spettacolo del genere.

Insomma, un gruppo di cento e più Cacciatori che sfilano lungo la strada non è esattamente cosa da tutti i giorni, no? Specie se poi, come aprifila del suddetto gruppo, c'è un Cacciatore Supremo incazzato come non mai, che però, nonostante si porti dietro sette o otto tonnellate di peso, non fa nessun rumore quando cammina. Idem per gli altri.

E forse fu proprio questa furtività a far scattare il campanello di allarme.

Il moro balzò sul tetto più vicino, iniziando a seguire, non visto, il gruppo di Cacciatori. La sua preoccupazione si rivelò esatta quando si avvide che i mostri stavano prendendo una direzione che gli sembrava fin troppo familiare.

Il rifugio di Zeus.

"Merda", pensò, superando i Cacciatori e partendo a razzo tra gli edifici, "devo avvertire il Prototype prima che questi cosi lo raggiungano... con quella ragazzina tra le palle non potrebbe difendersi da un tale spiegamento di forze..."

Naturalmente, Sasuke confidava che Zeus si accorgesse dei Cacciatori e scappasse di corsa, perché, anche nel pieno delle forze, abbatterne così tanti rasentava l'impossibile. Quello che non poteva sapere era che, in quel momento, la salvezza del biondo dipendeva soltanto da lui.


***


«Sai, guarda che roba!»

«Mhm?» l'interpellato si avvicinò al pc, e, dopo aver osservato lo schermo per cinque, lunghissimi minuti, rimase semplicemente a bocca aperta. Chi lo conosceva sapeva quanto fosse raro un simile comportamento da parte sua, Shikamaru incluso.

«Incredibile, vero? Sono centododici, mi hanno appena inviato i dati. E guarda qui».

«Questo è... Hannibal?»

«Proprio lui. Il Capo Cacciatore. Mi chiedo come un evento del genere sia possibile, visto che di solito questi cosi non si muovono mai in gruppo».

«Hai avvisato Ibarashi?»

«Ovvio. Ha preso un elicottero ed è andata lì di corsa, neanche le avessero infilato un peperoncino su per il culo».

«Ade è con loro, giusto?»

«Prima, adesso non più. Li ha seguiti per un tratto brevissimo, poi ha cambiato bruscamente direzione ed è partito a razzo. Sta andando dalle parti di Central Park».

«Bene. Ok, ho deciso che oggi lavoro anche io». proclamò Sai, sedendosi di fronte al PC. Shikamaru lo guardò, sinceramente stupito.

«Devo aspettarmi la fine del mondo?»

«La fine del mondo sta già avvenendo, Nara, solo che tu non te ne sei ancora accorto».











_Angolo del Fancazzismo_

Vi sembra che la fic si stia già avviando verso la fine? Vi sbagliate, miei cari lettori! Siamo ancora alle battute iniziali, alla cosiddetta "apocalisse introduttiva". Non preoccupatevi, in futuro accadrà di peggio.

In questo chap vediamo un pezzetto del passato di Naruto, quello che lui ricorda. Il punto su cui vi invito a pensare è: perchè proprio adesso?

Ah, e poi lancio una sfida: vediamo chi indovina chi è la misteriosa "Madre" degli infetti! Ognuno di voi può esprimere un solo parere, e al vincitore (oppure ai vincitori, perchè sono sicura che più di qualcuno capirà la verità) andrà una fanart fatta dalla sottoscritta!

*il pubblico rumoreggia, piovono lattine e frutta marcia* Ok, ok, so che non ve ne può fregar di meno, ma a me piace coinvolgere anche i lettori nella storia! Non è più figo?


Scleri a parte, queste sono le risposte alle bellissime rece che mi avete lasciato:


yume: ma grasshie! eh, quanto adoro la gelosia degli Uchiha... è, come dire... estremamente possessiva, ma allo stesso tempo tenera (anche in un contesto come quello di Prototype, dove gli squartamenti sono dietro l'angolo e rischi di farti mangiare dalla prima cosa che passa). Cmq... che coraggio recensire una fic alle otto di mattina! Ma come fai? Io a quell'ora o sono fuori scuola o dormo beatamente! Davvero, complimenti.

ryanforever: mamma mia, recensire tutti i capitoli è davvero notevole! Io non riesco a fare altrettanto con le storie che mi piacciono, uffa T__T... cmq, mi dispiace per non aver messo il tuo pairing preferito, ma se facevo una ShikaIno poi non sapevo con chi accroccare Sai, ed è fondamentale che i nostri due stramboidi siano fidanzati, altrimenti di che si lamentano durante i turni lavorativi? La ricetrasmittente sarà un bel problema, anche perchè Sasuke non ha la minima intenzione di buttare la fotocamera. Che baka. Anche se, considerando l'impegno professionale di Shika e Sai, penso che Tenten rimanga il suo unico problema serio...

kagchan: se tu scrivi male io sono Napoleone. E non ho le basette.

Seriamente, ho letto le tue storie proprio in seguito alla rece (mi avevi incuriosito), e, a parte il fatto che amo le NaruIta (nonostante non sia capace di scriverle) il tuo stile mi piace moltissimo! E poi hai anche tanta fantasia! Cmq, passando al commento in sè per sè, ti ringrazio molto dei complimenti, e ti dico che sì, V per Vendetta è uno dei film che amo di più al mondo e ci ho pure fatto un cosplay XD. Per quanto riguarda Orociock, in effetti ultimamente ho notato la tendenza a caratterizzarlo solo come una specie di pedofilo stupratore, cosa che tra l'altro gli dona lo spessore psicologico di una triglia. Bah.

bradipiro: *_* non temere, lettrice, non temere. Mi dispiace che la frase non ti sia piaciuta, ma, come hai detto tu, era un pensiero dell'Uchiha e c'è roba simile anche in questo chap. Conta che Hinata è anche uno dei miei personaggi preferiti, perchè riesce ad essere dolce e sensibile senza sembrare un'ochetta e questo, dal mio punto di vista, la rende veramente grandiosa. Avrà un ruolo che la porrà in una pessima situazione, ma ti assicuro che nè Naruto, nè Sasuke la tratteranno male, anzi. Capirai cosa intendo. E Sas'ke farà una tale quantità di figure di merda da arrivare ad infilarsi un sacco dell'immondizia in testa, te lo prometto.

Sadako94: O_O non scherziamo, che poi svengo. I'm a SasuNaru, of course, not a NaruHina. Troppo, troppo smielate le Naruhina. Cmq, dal punto di vista sentimentale questa fic sarà un po' più lenta delle altre, perchè voglio privilegiare l'azione. Non voglio creare una SasuNaru fine a sè stessa, ma una storia con una trama definita e, come aggiunta, una bella storia d'amore yaoi. Non sorprenderti se non capisci ancora da che parte stanno alcuni personaggi, è tutto normale!


Visto? Oggi ho aggiornato prima delle undici!

See you soon,

Roby


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Capitolo 6
*** Thunder ***


005 - Thunder

-Se me l'avessero raccontato non ci avrei mai creduto...- commentò TenTen, osservando la macabra sfilata dei cacciatori dall'alto dell'elicottero.

-Pensi che Zeus c'entri qualcosa?-

-Ovvio. E, se ho ragione, questi Cacciatori ci condurranno proprio da lui.-

-E chi ti da tutta questa sicurezza? Bah, secondo me sei una fissata.-

-Kiba...- la castana si girò, fulminando con lo sguardo il ragazzo che le aveva rivolto la parola -... non mi pare di averti mai dato tutta questa confidenza. Sei un mio sottoposto, e ti pregherei di comportarti come tale.-

Kiba si girò, borbottando qualcosa di poco comprensibile, e prese a lucidare con foga la canna di un fucile da elefanti. Erano l'unica arma che funzionasse perfettamente contro i cacciatori, e lui, personalmente, li trovava fantastici. Pesanti, robusti, capaci di frantumare il cranio di un essere umano con un solo colpo, riducendo scatola cranica e cervello in un ammasso di poltiglia fumante... sì, decisamente erano la parte più bella del suo lavoro.

Se c'era una parte più brutta delle altre, invece, era il suo indefinibile compagno di squadra. Indefinibile perchè, semplicemente, tutto il suo essere andava oltre l'umana comprensione.

Si faceva chiamare Rock Lee, anche se nessuno (a parte i capoccioni, ovviamente) conosceva il suo vero nome. Pazzo schizofrenico con evidenti manie di grandezza e deficit visivi (non era in grado di abbinare decentemente i colori), si identificava a prima vista come un ragazzo alto, dal fisico asciutto e muscoloso, gli occhi a palla e una chioma di capelli tagliati a scodella che avrebbero fatto invidia al più sfegatato fan dei Beatles. L'aspetto fisico bastava già a scoraggiare chiunque osasse avvicinarglisi, ma, nel caso in cui qualche temerario avesse realmente approcciato un dialogo con lui, il suo vocabolario infarcito di termini degni di un tredicenne era capace di disgustare istantaneamente qualsivoglia adulto dotato di cervello.

Non era un caso, dunque, che l'unico amico di Rock Lee fosse appunto Kiba Inuzuka.

-Kiba, cos'è quella faccia mogia? Pensa che tra poco potremo dare sfogo alla nostra giovinezza!-

-Mhm... forte. Pensa un po' a tutti i cacciatori incazzati che incontreremo... e per cosa, poi? Per trovare un frocetto vanesio che si dà arie da supereroe.-

-Ade è omosessuale?-

-Chiaro come il sole. Uno che porta i capelli in quel modo è una checca, poco ma sicuro.-

-Ah. Sai che non pensavo?-

-Tu pensi, Rock Lee? Vacci piano con le dichiarazioni, potresti farmi venire un cazzo di infarto.- della serie, il bue che dice cornuto all'asino.

-Zitti, voi due. Ci abbassiamo di quota, siate pronti a tutto.-

-Yes, your highness... -

-Non fare il cretino. Hawking, dove possiamo atterrare?-

Il pilota, un tizio nerboruto con la faccia coperta del casco, ci mise qualche secondo per rispondere.

-Laggiù. E' il tetto di una vecchia stazione televisiva, e c'è una piattaforma per elicotteri.-

-Bene. Edificio infetto?-

-Sì. Francamente, non so cosa potrete trovare là dentro. Vi faccio scendere e poi me ne vado, mi richiamerete solo quando vorrete andarvene, perchè non ho nessuna intenzione di rimanermene fermo come un maxi-cheeseburger per Cacciatori. No, grazie.-

-Non c'era bisogno di essere così prolissi. Siamo perfettamente consci dei rischi che correremo, essendo solamente tre, ma abbiamo munizioni sufficienti per arrivare vivi al piano terra. Da lì in poi, ci organizzeremo di conseguenza.-

-Oh, certo! Tanto mica è lei quella che deve incollarsi l'artiglieria, porca troia!-

-Kiba...-

-Sissignora. Cazzo.-

L'elicottero si inclinò con dolcezza, posandosi sul tetto di una palazzina di una decina di piani immersa nel centro di un quartiere infetto. Non distava che poche centinaia di metri da un grosso alveare, e la strada sottostante era intasata da carcasse di automobili e morti viventi, talmente tanti e talmente tanto accalcati da confondersi in una massa rossiccia che emanava la puzza dolciastra propria della decomposizione. Sembrava che confluissero, tutti insieme e senza attaccarsi, verso la sfilata di Cacciatori, che nel frattempo proseguiva e si allontanava lentamente dal luogo in cui Tenten e la sua squadra si erano fermati.

-Sembra una convention cittadina di zombie. Che cazzo hanno da fare, tutti quanti?-

-Kiba, so che per te ascoltare gli ordini di missione è qualcosa di fin troppo complesso, ma non ti ricordi più o meno cosa ci ha detto Sabaku no Temari, stamattina?-

-Che... noi... dovevamo... ecco...-

-Che noi dovevamo scoprire la ragione di questa anomalia comportamentale negli infetti, e parallelamente rintracciare Ade per vedere se è riuscito a scattare quella maledetta foto. E spero per lui che l'abbia fatto, se non vuole ritrovarsi un paio di proiettili piantati tra le palle.-

-Capito. Andiamo?-

-Ok. Fucili spianati, sparate a qualunque cosa vedete muoversi. Nemmeno le farfalle sono più innocue, in questa città.-

Tenten non immaginava minimamente fino a che punto quell'affermazione fosse veritiera.

***

 

Sasuke correva.

L'aria gli ustionava i polmoni ad ogni respiro, mentre il sangue bollente affluiva nei muscoli sovraffaticati in pulsazioni frenetiche che parevano quasi udibili, tanto erano forti. Stringeva i denti, i pugni, persino gli addominali erano contratti fino allo spasmo nel tentativo di aumentare la velocità oltre il limite. Sapeva che sarebbe arrivato prima dei Cacciatori, ma durante l'addestramento per diventare un combattente gli avevano insegnato che un buon vantaggio dà sempre qualche punto in più per la vittoria, e lui non osava immaginare cosa sarebbe successo se fossero arrivati ad uno scontro diretto con il gruppo di mostri. 

Non ne sarebbero usciti vivi, poco ma sicuro.

Finalmente raggiunse la botola, sfondandola con un calcio secco. Non sarebbero più potuti tornare in quel posto, ne era certo, e averne cura in un momento simile gli sembrava una stronzata.

-ZEUS! Zeus, cazzo, abbiamo un fottuto proble...- le parole gli morirono sulle labbra, quando vide una fin troppo familiare sagoma dalla testa bionda accasciata per terra, sul pavimento del salotto.

Il Prototype alzava e abbassava il petto a intervalli regolari, annaspando e muovendo gli arti in scatti brevi e convulsi, ormai perso in una rapsodia di immagini confuse che si riflettevano sulle sue iridi stranamente opache. Mormorava brani di frasi, inframmezzandoli a gemiti e respiri spezzati.

-I-io...- Hinata gemette, cominciando a singhiozzare come una ragazzina -... all'improvviso è ca-caduto per terra... n-non so...-

-Zitta.- sibilò il moro, avvicinandosi e sollevando di peso Zeus. La testa bionda, priva di ogni forza, ricadde mollemente sulla spalla coperta dalla felpa.

-Cazzo... portarlo via di qui sarà un suicidio. Senza contare che siete troppo ingombranti per tenervi entrambi, dovrei trasportarvi uno alla volta e non se ne parla.-

-M-ma perchè do-dovresti...-

-In parole povere, là fuori ci sono un centinaio di Cacciatori che non aspettano altro che farci la pelle. E, se non ci sbrighiamo a scappare, credo proprio che riusciranno nel loro intento.-

La mora sbiancò, portandosi una mano alla bocca in un gesto di sorpresa e terrore. Poi, pian piano, la sua mente cominciò a comporre i pezzi del puzzle, che, pur essendo pochi, offrivano già molteplici vie interpretative. Perchè, in effetti, un malore così improvviso in un individuo che, teoricamente, sarebbe dovuto essere assolutamente perfetto e inattaccabile da qualsiasi tipo di patologia, suonava strano. Troppo strano.

Quando sollevò il viso per guardare in faccia il suo interlocutore, poi, non ebbe più il coraggio di pronunciare una sillaba.

Quel volto lo conosceva benissimo, un po' perchè era la classica faccia che rimane subito impressa, un po' perchè ci aveva condotto esperimenti per innumerevoli settimane. Ade.

La sua creazione più riuscita, in assoluto, l'unica delle cavie che fosse riuscita a metabolizzare il virus a tal punto da sopravvivere all'inoculazione diretta di dosi pesantissime di Idra. Sì, perchè era stata lei a crearlo, con le proprie mani. Non da sola, questo no, ma la dose decisiva di veleno glie l'aveva iniettata lei.

-Ade...-

Sasuke si girò di scatto a fissarla, assottigliando gli occhi.

-E tu come fai a sapere chi sono? Non mi sembra di essermi presentato, mi pare...-

-Ecco, io...- cercò una scusa decente, tra i meandri della sua mente spaventata -... ho letto il tuo fascicolo, alla Gentek. Tu sei quello che dovrà ucc... un momento, ma se la tua missione consiste nell'uccidere Zeus, perchè gli stai salvando la vita?-

Ancora una volta, era riuscita a non balbettare.

Sasuke arrossì lievemente, abbassando la testa e lasciando che i capelli gli coprissero il viso. -Te lo spiego dopo...- borbottò, caricandosi in spalla il corpo di Zeus -Sali sul tetto, muoviti. Non portare nulla con te, non farebbe che rallentarci.-

-Ok.-

Una volta fuori dal rifugio, il moro fissò Hinata pensosamente, come a volerla scannerizzare.

Settanta chili circa, piuttosto alta e prosperosa... scomoda, scomoda, scomoda. E poi non poteva tenere lei tra le braccia e Zeus sulle spalle e nel frattempo saltellare da un palazzo all'altro. Non era così folle da pensare di essere in grado di non farne cadere nessuno.

Chiariamoci, fosse stato per lui avrebbe mollato la bimbetta sul tetto, e magari le avrebbe anche attaccato un bel cartello in faccia con scritto "Eat Me" (sempre ammesso che il capo Cacciatore sapesse leggere), ma se l'avesse fatto Zeus lo avrebbe ridotto in poltiglia, una volta sveglio.

Doveva necessariamente spostarli uno per volta.

Era una strategia folle, perchè avrebbe lasciato o Zeus o la ragazzina completamente indifesi, in balia di un branco di mostri che neanche sapeva quando sarebbero arrivati, e che si facevano sempre più vicini ogni secondo che passava a ragionare. Tuttavia, era perfettamente sicuro sul punto "chi devo salvare per primo".

-Vi porterò uno per uno. Prima il Prototype, poi tu.-

Hinata chinò il capo, avvampando. Sasuke poté notare un lampo di ribellione in quegli occhi cristallini, ma non se ne curò e, anzi, si girò e spiccò un balzo, lasciandosi alle spalle quella ragazzina che, per lui, contava meno di niente. Teneva il biondo ben saldo tra le braccia, e scrutava ogni edificio alla ricerca di un posto che potesse essere buono per nasconderlo.

Non sapeva nemmeno perchè, ma non aveva la minima voglia di mollarlo per strada in quello stato.

-Cazzo...- sibilò, quando notò che, in un posto come Manhattan, di nascondigli sicuri non ce n'erano molti. E lui che sperava anche di sbrigarsi e di riuscire a prendere pure quell'altra... fanculo a lei e alla Gentek. L'avrebbe recuperata più tardi, se mai gli fosse venuta voglia.

 

***

 

- Questo posto è una vera giungla...-

-You know where you are? You're in the jungle baby...- canticchiò Kiba, intonando uno dei suoi pezzi preferiti. Che, per pura casualità, piaceva moltissimo anche ad un'altra persona.

-Grazie, Kiba. Non avevo bisogno del sottofondo.- sibilò Tenten, acida, abbattendo uno schedario con un calcio ben assestato. Oltre a quello, nelle stanze buie della palazzina campeggiavano scrivanie e  scaffali, tutti rovesciati e privati del loro contenuto, sparpagliato disordinatamente sul pavimento. Era tutto incredibilmente silenzioso. Troppo.

-Tenten-sama... ha notato una cosa? Per terra non c'è polvere.-

-Già, Rock Lee. Questo posto ha qualcosa che non mi convince... guarda là.- indico un punto del muro color crema, dove, nonostante la penombra, si scorgeva una grossa chiazza scura. Sembrava sangue secco. Vicino, però, non c'erano resti di nessun tipo, nè altre macchie di liquido vermiglio sporcavano la moquette.

-Ecco, e ti pareva. Mi sembrava strano che non ci avessero mollato sull'unica cazzo di fottutissima palazzina abitata da un mostro, porca troia!-

-Quando usciremo di qui ricordami di pagarti un corso di alfabetizzazione, Inuzuka.-

-Se usciremo da qui, Ibarashi.-

-Ragazzi, non la facciamo così tragica... siamo in una situazione pericolosa, ma non così tanto... e poi è meglio se andiamo d'accordo, non...-

-Fottiti, Rock Lee.-

-Stavolta sono d'accordo con Inuzuka.-

Stroncato sul nascere di una promettente predica pacifista, il sopracciglione chinò il capo, afflitto. E avrebbe anche ritentato, se un rumore sospetto non avesse attirato completamente l'attenzione del terzetto.

Uno scricchiolio sul soffitto, sinistro, seguito dal lieve cigolare di una porta e da passi pesanti, che fecero cadere a terra la poca polvere ancora strenuamente attaccata ai lampadari di vetro.

Kiba espirò, tremulo, e strinse con più forza la propria mitragliatrice, fissando Tenten che, nel frattempo, aveva estratto i propri coltelli da lancio. Glie l'aveva ripetuto mille volte, a quella cretina, che con quei temperini spuntati non avrebbe fatto male nemmeno ad un agnellino, ma lei, caparbia, continuava a preferirli alle armi da fuoco.

Riportò la propria mente sui binari giusti, estraniandola da qualsiasi possibile divagazione. I passi al piano di sopra si fecero più lontani, fino a scomparire del tutto, lasciandoli con una consapevolezza quasi schiacciante ad opprimergli il pretto: qualcosa stava venendo verso di loro.

-Ibarashi...-

-Mhm...-

-Siamo al quarto piano. Quanto ci metteremmo a scendere di sotto?-

-Dieci minuti. Forse meno, se ci sbrighiamo.-

-In questo caso... CORRETE!-

Si lanciarono fuori dalla porta, schizzando verso le scale come se avessero avuto  il diavolo alle calcagna. E forse, in fondo, le cose stavano più o meno così.

Mentre percorrevano la prima rampa, un suono disumano squarciò l'aria alle loro spalle, spingendoli ad aumentare ancora di più il ritmo della corsa. Un misto tra un ruggito, un grido umano e un gorgoglio basso e ronzante, uno di quei versi demoniaci che sembrano appena usciti da una bolgia di dannati.

-E quello cosa cazzo era!?- gridò l'Inuzuka, ansimante.

-Non  chiederlo a me! Niente di buono, sicuramente!-

-Waaah!-

-Cazzo, Rock Lee! vedi di non inciampare, se non vuoi che ti regali qualche nuovo buco nel culo!-

Raggiunsero il secondo piano senza particolari problemi, ma una volta che furono usciti dall'ascensore compresero che la traversata, da lì in poi, sarebbe stata molto più complessa.

Era tutto buio. Completamente, desolatamente buio, di quel nero petrolio che restringe gli spazi e li rende claustrofobici e asfissianti. In più, il rumore di passi era cessato.

-E adesso che si fa?-

-Abbiamo delle torce, no? Sbrighiamoci, prima che il nostro inseguitore si faccia vivo.-

-E dove cazzo andiamo, al buio!? Prendiamo i muri a testate, per orientarci?-

-Preferisci rimanere qui, Inuzuka?-

Il castano sospirò, accendendo la torcia fissata sul proprio casco:- La prossima volta che mi toccherà scegliere un lavoro mi prenderò un bel posto dietro una scrivania, magari con una segretaria tettona e un computer davanti.-

-Io credo che sia più divertente così.- soggiunse Rock Lee, spianando la mitragliatrice verso la parte di corridoio che riuscivano ad illuminare. Una porzione misera, considerato quello che poteva trovarsi oltre l'alone di luce diffuso dalle torce.

Mentre camminavano, affidandosi più alla fortuna che all'istinto, alle narici dei tre giunse un odore niente affatto rassicurante, il genere di puzza che a Manhattan si imparava a riconoscere presto.

-Ci sono dei cadaveri, qui dentro.-

-Tanti cadaveri. Secondo me sono più di trenta... sentite che puzza.-

E infatti, appena svoltarono dietro l'angolo del corridoio, venne alla luce un grosso mucchio di quelli che sembravano corpi umani, quasi totalmente decomposti e, in certi casi, fatti a pezzi o scarnificati. A dirla tutta, in alcuni punti sembrava quasi che qualcuno avesse strappato la carne di proposito, lasciando le ossa bianche e praticamente pulite.

-Qualcuno ha avuto un discreto banchetto, da queste parti. Rock Lee, sono umani o infetti?-

-Umani. Ce ne sono alcuni a cui non è stata mozzata la testa, e se fossero infetti potrebbero ancora muoversi.-

Scavalcarono il cumulo con indifferenza, distogliendo lo sguardo per non lasciarsi impressionare da quello spettacolo macabro. Dall'altra parte, il cammino continuava ad essere disseminato di cadaveri e pezzi vari più o meno putrefatti, mentre alle pareti campeggiavano, vagamente simili a dei Wall-art per la loro regolarità raccapricciante, delle chiazze di sangue enormi e nitide. L'aria era densa, gelatinosa, e la temperatura aveva subito una brusca impennata, dettata forse dal senso istintivo di nausea che si provava camminando lungo quel percorso.

La morte era ovunque, ovunque.

-A volte...- esordì Kiba, deglutendo per togliersi di dosso quella fastidiosa sensazione di soffocamento -... ho come l'impressione di camminare su un mare di merda.-

-Il mondo, purtroppo, non è altro che questo. Guarda cosa siamo stati capaci di creare, amico.-

-E' per questo che siamo qui. Scontiamo le colpe commesse dalla nostra razza offrendoci come agnelli sacrificali, mentre i veri peccatori ci fissano dall'alto e sorridono. E' questo il ruolo che ricopriamo nella società, e non possiamo sottrarci dal rispettarlo.- Tenten espirò le parole con calma, fissando con uno sguardo triste, che nessuno avrebbe mai visto, lo spettacolo di muta desolazione a cui stava assistendo. Era una donna forte, volitiva e ligia al dovere, ma in situazioni come quelle il suo animo si ribellava al pensiero razionale, perchè si rendeva conto anche lei che il mondo, così come stava girando, non andava affatto bene.

Trovarono l'ascensore, lo oltrepassarono e scesero le scale. Erano molto più calmi, perchè l'inseguitore, qualunque cosa fosse, sembrava aver rinunciato alle proprie prede.

Tra il primo piano e il secondo piano non c'era quasi nessuna differenza, a parte qualche spiraglio di luce che, incerto, si faceva strada tra le persiane sbarrate delle finestre. Il piano terra, invece, offriva uno scenario abbastanza diverso dai precedenti.

Sempre buio pesto, ma con una variante insolita: il pavimento era coperto da una sostanza bianchiccia e filamentosa, tanto compatta e soffice da sembrare uno strato di lana di vetro alto circa trenta centimetri.

-Che cos'è questa merda?-

-Boh... sembra ovatta, però è più appiccicosa. Tipo...-

-... zucchero filato?- completò Tenten, strappandone un pezzo e annusandolo -Però ha un pessimo odore, sa di sangue secco.-

-In questa città anche la figa sa di sangue secco...- Kiba lanciò un'occhiataccia al proprio capitano, poi sputò per terra -... e comunque poco importa che odore abbia questo coso, guardate là.-

Sullo sfondo buio dell'androne deserto si stagliava un rettangolo di luce bianca, una macchia accecante dai contorni definiti che riaccese la speranza nei tre militari.

-Il... portone?-

-Già. Sbrighiamoci ad andarcene, non ho la minima intenzione di rimanere un minuto di più. Di cadaveri fatti a pezzi tanto ne vedremo altri, giusto?-

-Non puoi immaginare quanti. E adesso muovetevi.-

Scattarono in avanti, avvicinandosi alla porta con cautela.

Fu quando erano a circa un metro, la speranza ormai praticamente realizzata nella mente, che la porta si chiuse di scatto, gettandoli nuovamente alla mercé del buio.

La prima cosa che fece Kiba fu guardare in alto, sulla parete sovrastante l'uscita, per vedere se vi fosse qualcosa che avrebbe potuto chiudere i battenti così all'improvviso. E, in effetti, trovò ciò che cercava.

-Cazzo, ma non è possibile!- sbraitò Tenten, senza prestare attenzione all'improvvisa immobilità del suo subalterno -C'eravamo quasi! E poi come fa una porta a chiudersi senza che ci sia nessuno a spingerla!?-

-Già!- rispose Rock Lee, lapidario, prima di notare l'assenza della fila ininterrotta di bestemmie che si sarebbe aspettato da Kiba -Ehi, amico, tutto ok?-

-Gu-guarda l-là...- il castano puntò un dito, tremante, verso il punto che riusciva ad illuminare con la propria torcia. Rock Lee, per la prima volta nella sua vita, sbiancò e cominciò a sudare freddo.

Tenten, da parte sua, accennò un mezzo passo indietro, gli occhi spalancati dal terrore, ed emise un mezzo sibilo strozzato.

-Oh, merda...-

L'inseguitore, attaccato alla parete diversi metri più in alto, ringhiò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Chiedo umilmente perdono per i ritardi editoriali, ma quest'anno ho gli esami di terza media e quindi le prof rompono con il ripasso e cazzi e smazzi... mamma mia, ma come avete fatto a sopravvivere voi?

Il chap, in compenso, è leggermente più lungo del solito, e anche molto meno incentrato su Sasuke e Naruto. Probabilmente vi starete chiedendo cosa c'entri far entrare in scena Tenten, Rock Lee e Kiba proprio adesso, ma scoprirete che a qualcosa effettivamente servono XD. Vado con le risposte alle rece, che stasera ho meno tempo del solito.

 

ryanforever: beh, la scelta di Hinata era abbastanza obbligata XD. Cmq no, la "madre" non è Kyubi, mi dispiace... ma sarebbe stato troppo scontato mettere lei. La ragione per cui Naruto ha quei ricordi non è precisamente questa, ma d'altra parte nessuno a parte shi_angel l'ha indovinata al 100%. Verrà spiegata nel prossimo chap, don't worry.

yume: XD in ospedale? oddio, non posso crederci! ma grazie mille! mica è da tutti avere simile recensitori, ehehe ù_ù... cmq i personaggi di questa fic, sul piano delle priorità e non solo, sono tutti abbastanza sballati. Capirete le motivazioni quando parlerò un po' dei loro background personali, cosa che non credo avverrà molto presto. See you soon!

bradipiro: +_+ mi lasci davvero senza parole, un po' come le canzoni dei Gorgoroth. Beh, Hinata è un personaggio che, secondo me, o la odi o la ami follemente. Ed io rientro nella seconda categoria XD. Spero che anche questo capitolo ti abbia messo voglia di continuare a leggere, anche se purtroppo non succede nulla di particolarmente significativo... non temere, mi riprenderò con il prossimo! e cmq no, la madre nn è né Kyubi né Sakura, e io non ho un sito dove metto le fanart XD (vorrei evitare crisi di vomito ai naviganti in internet, sai com'è)...

shi_angel: la tua teoria sulle "onde mentali" è perfettamente corretta, quella sulla madre no, e per questo ti faccio i miei complimenti! Ah, sì, la fotocamera è un bell'intoppo per Sasuke, visto che il gps non è esattamente l'unica cosa che ci hanno infilato dentro (le nanotecnologie fanno miracoli ù_ù...). Per quanto riguarda la gigantomachia, non ti preoccupare che presto cominceranno ad infilarcisi anche dei comuni esseri umani, sennò poi con chi sfogo il mio lato sadico?

kagchan: la tua rece mi ha fatto schiattare dalle risate, e mi dispiace non poter rispondere adeguatamente a causa della mancanza di tempo... vabbè, mi rifarò la prossima volta! Ti dico solo questo: 1- Hinata sarà effettivamente una scocciatura, e non sai nemmeno quanto 2- la madre di Naruto non è kyuubi, come molte di voi hanno pensato, ma qualcuno di ancora più... ehm... se ve lo dico capite tutto, quindi meglio evitare....

fra76: hai avuto un'ottima intuizione, anche se non completamente esatta. Cmq Naru è stato rinchiuso per parecchio tempo, diciamo di sì. Dici che so scrivere bene le scene d'azione? Io non le vedo poi così ben fatte, anzi: a dirla tutta mi sembrano delle mezze schifezze, ma tanto c'è sempre tempo per migliorarsi... Ah, finalmente un parere diverso dagli altri! No, non è Mikoto Uchiha, ma ci sei andata pericolosamente vicina.

erol89: chiarisco subito il tuo dubbio: SasuNaru. ovviamente ci farò altri pairing di contorno, ma  a parte rari casi non credo che saranno yaoi, nono. Ah, e poi perdona l'ignoranza... ma che cos'è "vorrei tu fossi qui"? Non l'ho mai sentito XD. Cmq grazie mille per la rece, mi ha fatto moltamente piacere!

Little white angel: anche la tua è stata una rece molto carina, ma mi dispiace, la madre non è Saura. Ti consiglio vivamente di giocare a Prototype, che ti piacerà sicuramente se sei un'amante dei videogiochi un po' splatter, e ti ringrazio per i complimenti! I commenti positivi come i tuoi mi mettono tantissima voglia di continuare a scrivere, sai?

Sadako94: XD finalmente qualcuno che la pensa come me! Viva l'azione! Cmq alla fine Naru non è poi così sfigato, basti pensare che ha Sasuke accanto.... (sbaaaaaaaav.....)... ok, eccesso di punti di sospensione a parte, vedrai che alla fine avremo anche un po' di sano Sasunaru, non mi tiro di certo indietro! Spero che ti piaccia anche questo chap, ci vediamo presto!

 

Ok, forse ora è meglio che vada a studiare storia... domani ho un'interrogazione sui regimi totalitari, e fondamentalmente so ben poco XD...

 

See you soon,

Roby

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Capitolo 7
*** Kick Ass! ***


006 - Kick ass!

Kiba, in quel momento, capì che probabilmente non avrebbe mai più rivisto uno spettacolo tanto osceno e grottesco in vita sua. Ciò che aveva davanti, in fondo, non poteva essere definito che così.

Dall'ombra, lungo e affusolato, spuntava il corpo di quella che in teoria sarebbe dovuta essere un'enorme mantide religiosa, ma che in realtà aveva il busto e la testa umani. L'addome era lungo e molliccio, segmentato in sei parti segnalate dalla presenza di una robusta placca cheratinosa color fango, mentre il torace, che sembrava quello di un uomo adulto di grossa stazza, sosteneva ben tre paia di zampe, due delle quali terminanti in falci dal bordo seghettato. La testa, piccola e deforme, si apriva dall'attaccatura del naso in un apparato masticatorio rivoltante, composto la cinque chiostre di denti disposte circolarmente attorno all'imboccature del tubo esofageo. Dove in teoria ci sarebbe dovuta essere la nuca, poi, spuntava un lunghissimo collo flessibile, dalle sembianze vagamente rettili, che sorreggeva un secondo cranio sottile e allungato, simile a quello di una vipera.

-Capo...-

-Che vuoi, Kiba!?-

-E questa sarebbe l'azione di un virus!? Ma non scherziamo, cazzo! Sembra più un castigo divino!-

Tenten deglutì, stringendo i manici dei coltelli con più forza. Indietreggiò lentamente, tenendo gli occhi fissi in quelli del mostro e facendo segno ai compagni di seguirla.

La mantide tentennò per qualche secondo, contraendo nervosamente il corpo molliccio, poi staccò le zampe dal muro e atterrò sul pavimento morbido senza emettere il minimo suono. Ringhiò, piegando le zampe sul busto.

-Ca-capo... - mormorò Rock Lee -... non mi sembra che questo sia descritto nella lista delle mutazioni che l'Idra può provocare...-

-Non sembra neanche a me. Sentite, quanti metri ci separano dall'uscita?-

-Una quindicina.-

-Bene. Dobbiamo fare in modo che si sposti dalla nostra traiettoria, altrimenti non riusciremo mai a raggiungere l'esterno... questo coso è troppo grosso, e qualcosa mi dice che anche in quanto a velocità se la cava.-

-Be'...- Kiba sollevò la mitragliatrice, puntando al muso della mantide -... questo figlio di puttana deve solo provare ad avvicinarsi, e poi vedremo chi ha le palle e chi no! Fottuto insetto di merda...-

Il sopracitato insetto, forse sentendosi chiamato in causa, mosse qualche passo verso il castano, sibilando. Si muoveva velocemente, ma non emetteva alcun rumore mentre posava i piedi a terra, e questo, per un essere di quelle dimensioni, era veramente fenomenale.

Al'improvviso,  la creatura scattò in avanti e sollevò una zampa, affondandola nel terreno nel tentativo di colpire Kiba. Il castano riuscì a schivarla per un pelo (era dannatamente veloce, sembrava un coltello a serramanico gigante) ma inciampò nell'ovatta bianca che copriva il pavimento e capitolò a terra con un tonfo ovattato. La mantide stava per colpirlo di nuovo, e stavolta non avrebbe sbagliato, poco ma sicuro, quando Tenten lo afferrò e lo spinse via, esponendosi al posto suo all'attaccò.

-Cazzo, NO!-

Troppo tardi. L'unica cosa che il castano riuscì a vedere fu uno schizzo di sangue, reso nero dalla penombra, e il corpo di Tenten che cadeva sul pavimento, scosso dai sussulti. Tanto quanto bastava, comunque, per farlo incazzare.

-Rock Lee.-

-Sì?-

- Adesso noi due faremo una cosa abbastanza pericolosa. Te la senti?- lanciò uno sguardo preoccupato alla chiazza di sangue che si stava allargando sotto il corpo del proprio capo, imbrattando l'ovatta e attirando lo sguardo del mostro, che però non si decideva ad avanzare.

Rock Lee fece spallucce, mostrando il pollice alzato in segno di approvazione.

-Non ti preoccupare. Tanto, più pericoloso di così...-

-In questo caso... ti ricordi lo schema che abbiamo provato per i Cacciatori?-

-Ma questo non è...-

-Non abbiamo tempo per elaborarne uno nuovo, quindi muoviti.-

-Ok, ok...-

Il punto fondamentale che nessuno dei due aveva considerato, però, era che un insetto gigante di quelle dimensioni, e per di più incazzato, non avrebbe assecondato facilmente i loro propositi di vittoria.

-Tre, due, uno...-

-Via.-

 

***

 

-Zeus... ascoltami, tu adesso starai qui e... oh cazzo...-

Niente, non si svegliava. Aveva trovato un posto dove nasconderlo, una specie di cortile interno privo di finestre e imbocchi praticabili, ma non se la sentiva comunque di abbandonarlo. Non in quello stato, almeno.

-Nhh...-

-Ehi! Dobe! Cazzo, svegliati!-

Il moro si accovacciò accanto al corpo di Zeus, prendendosi la testa tra le mani. Ma guarda tu in che situazione si doveva cacciare... era stato uno sciocco a pensare di potersi sobbarcare una responsabilità come quella, senza tra l'altro minimamente prepararsi ai rischi che, col senno di poi se ne rendeva conto, avrebbe sicuramente corso.

Idiota, idiota, idiota. Se lo ripetè fino alla nausea

E poi, a complicare ulteriormente la situazione, c'era Hinata. La ragazzina che non poteva lasciare al suo destino, e che per una fortunata combinazione avrebbe felicemente gettato in pasto ad un branco di cani rabbiosi. Dio, se la odiava.

Tuttavia, pareva che a Sasuke non fosse concesso nemmeno il breve tempo che il suo cervello reclamava per pensare, perchè, proprio nel punto cruciale della sua riflessione, (ovvero "perchè odio così tanto la ragazzina?") un rumore fortissimo lo distrasse.

Più che un semplice rumore, una vera e propria esplosione.

Si assicurò che Zeus fosse ancora profondamente immerso nello stato comatoso, poi prese la rincorsa e saltò oltre il tetto che circondava il cortile, finendo sul marciapiede di una viuzza secondaria. Quello che vide lo lasciò a bocca aperta, inducendolo addirittura strofinarsi gli occhi.

C'era un... beh, una specie mantide gigantesca, che era presumibilmente sbucata dal muro ormai distrutto di una vecchia stazione televisiva. Se il mostro, già da solo, era una visione ripugnante, Sasuke storse il naso alla vista di un tizio conciato in maniera improponibile (capelli a caschetto e sopracciglia neandertaliane) che si reggeva ad una sorta di coltello piantato saldamente nel cranio della creatura. Più in basso un altro idiota, stavolta somigliante a Rambo per via dei vistosi triangoli rossi che si era dipinto sulle guance, sparava a ripetizione contro la mantide, senza evidentemente rendersi conto che i suoi colpi avevano l'effetto di una sana pioggerellina estiva, su un mostro del genere.

-Bene.- commentò, ravviandosi i capelli -Non ci mancavano i cacciatori, adesso anche gli insetti giganti da film dell'orrore e i deficienti che sperano di abbatterli con le armi della FisherPrice.-

Improvvisamente, poi, l'idiota-Rambo sembrò riconoscerlo, perchè lo indicò con un dito e gridò:- Cazzo, Ade! Dacci una mano, porca puttana Eva!-

-Deficienti che a quanto pare conoscono il mio nome...- considerò il moro. Poi, dando un'occhiata ai vestiti macchiati di sangue di entrambi i militari, decretò che salvarli era un'opera di bene che gli avrebbe riempito il cuore di taaanta gioia.

Ma anche no. Era solo una scusa in più per ritardare il salvataggio di Hinata.

Spinse con i tacchi sull'asfalto, dandosi lo slancio necessario per atterrare proprio di fronte al pazzoide con i triangoli rossi e sfilargli delicatamente la mitragliatrice tra le mani.

-Questa...- spiegò, torcendo il metallo della canna fino a renderlo appuntito come una lancia -...non farà mai nulla ad un mostro del genere. Ha la pelle troppo dura e un tessuto muscolare troppo forte perchè tu possa ferirlo con un giocattolo come questo.-

Kiba fissò il nuovo arrivato con gli occhi spalancati, oro nella pece, chiedendosi da quando aveva accettato di prendere lezioni sull'artiglieria da un frocetto più piccolo di lui. Non vocalizzò i propri pensieri solo perchè Sasuke lo bruciò sul tempo, balzando sul dorso della mantide, che nel frattempo si dibatteva forsennatamente, e cominciando ad aggredire la base del secondo cranio con l'arma che si era appena creato mutilando un Kalashnikov.

Per quanto la creatura tentasse di abbrancarlo, rigirando in continuazione le zampe, questi si era accomodato in un punto cieco e praticamente irraggiungibile, senza contare che era troppo teso e concentrato per commettere goffaggini di fronte ai colpi scoordinati dell'insetto. Alla fine, con uno strillo acutissimo e uno schizzo di sangue, la testa rettile finì sull'asfalto, per venire schiacciata dopo pochi istanti dalla zampa di quello che era il suo corpo di origine.

Contestualmente, la mantide riuscì a mettere a segno un colpo, scaraventando Sasuke sull'asfalto dopo avergli sfregiato una spalla.

-Cazzo...- sibilò il ragazzo, stringendosi la parte lesa. Non ci voleva proprio, non in quel frangente, ma non poteva darsi per vinto. Era un taglio, un fottuto taglio che gli sarebbe guarito in un pomeriggio.

Si raddrizzò, fissando il proprio nemico che, forte dell'offesa subita, aveva ripreso ad attaccare con più forza di prima . La testa vera e propria sarebbe stata più difficile da abbattere rispetto al cranio rettile, poco ma sicuro, e lui non riusciva a muovere bene il braccio destro. Doveva farsi venire un'idea, e in fretta.

 

***

 

La Madre interruppe per un attimo il canto, socchiudendo gli occhi. No, non andava proprio bene che i suoi figli si comportassero così. Non dovevano fare del male al piccolo Ade, sarebbe stato proprio un peccato perderlo...

-Ade...- la sua voce risuonò metallica, inumana, priva di qualsiasi inflessione -... salvo. Salvo, salvo, salvo!- cinguettò poi, facendo ciondolare le gambe avanti e indietro. Scosse la testa, lasciando che i lunghi capelli setosi le scivolassero via dalle spalle, poi accennò un sorriso nella penombra in cui era immersa. Quel posto le piaceva, era caldo e morbido. Be', non sapeva nemmeno cosa fosse precisamente quel posto, ma amava starci e quindi vi rimaneva per la maggior parte del proprio tempo.

Perchè avrebbe dovuto fare altrimenti? Gli umani la infastidivano, con il loro inutile obbligarsi a fare cose inutili e innaturali, a comportarsi anteponendo i propri doveri alle pulsioni naturali. Lei le seguiva, faceva quello che voleva quando lo voleva, niente di più. E, in quel momento, il suo massimo desiderio era avere lui tutto per sè. Lui non era umano, no... non lo era più, almeno, e da quanto poteva ricordare non lo era mai stato. Ma la sua mente divagava sempre, quando pensava a lui, trascinandola in abissi inesplicabili pieni di pensieri intricati e occultati da un fitto velo di nebbia. Non amava pensare al passato, a quello che poteva nascondere.

-Ti lascerò libero, così potrai salvare il piccolo Ade.- decise, puntando il dito indice verso l'alto.

Da qualche parte, a qualche isolato di distanza, Zeus spalancò gli occhi di scatto.

 

***

 

-Ade?- Zeus sbattè le ciglia, mettendosi seduto. La testa gli girava, impazzita, e sentiva le gambe molli e tremolanti.

-Che cazzo è successo? Dove sono?- le sue domande risuonarono per tutto il cortile, senza ricevere risposta. Si alzò in piedi, ignorando un lieve attacco di vertigini, e cercò di fare il punto della situazione: si ricordava soltanto un fortissimo dolore alla testa, un fischio acuto nelle orecchie e poi il buio. Si avvicinò al muro, e dopo un'ulteriore vertigine comprese che non sarebbe riuscito a superarlo con un salto. Poggiò le mani sulla superficie ruvida della parete e cominciò ad arrampicarsi, agile come una lucertola, finchè non riuscì ad issarsi sul tetto con uno sbuffo. Era ridotto piuttosto male... di solito un ostacolo del genere lo avrebbe superato senza nemmeno pensarci.

Una volta sul tetto, però, non ci fu tempo per dedicarsi al check-up del proprio corpo: gli bastò guardare in basso per rimanere a bocca aperta, vagamente stordito di fronte allo spettacolo di un insetto gigante che cercava di uccidere il suo principale complice e un paio di altri cretini di cui non gli importava nulla. Lasciò scivolare lo sguardo sulla mantide, assottigliando gli occhi nel tentativo di ricordare dove avesse già visto una creatura simile a quella. Improvvisamente, la risposta gli salì alle labbra.

-U-3.- sibilò, improvvisamente consapevole della pazzia che Ade stava compiendo -Cristo. Non può assolutamente ucciderlo, quel coso è praticamente immortale!-

Senza ragionare su quello che stava facendo oltrepassò il cornicione, lanciandosi nel vuoto. Cadde proprio al centro della strada, tra la mantide, i soldati ed Ade, guadagnandosi una serie a dir poco pittoresca di occhiate inorridite.

-Beh, che c'è?- l'insetto lo fissò, sbattendo le palpebre un paio di volte -Non mi aspettavate, vero?-

Kiba si girò verso Sasuke, lanciandogli un'occhiata penetrante carica di significato. Significato che, ad occhio e croce, si poteva tradurre con "muovi il culo e ammazza questo bastardo, idiota!".

-Ehm...-

-Ah, Ade...- ti prego, non sorridermi, non guardarmi, fa in modo che non si accorgano che io e te siamo complici  -... quasi mi ero dimenticato di te, misero bastardo.-

-Eh?- a quel punto Sasuke avrebbe voluto possedere un registratore, o comunque un qualche marchingegno capace di riavvolgere il filo intricato della sua vita e riportarlo ai cinque secondi precedenti. Zeus stava recitando, vero? Non si era svegliato dalla trance con un improvviso desiderio omicida, vero?

Le sue supposizioni si fecero ancora più nefaste quando il biondo, senza alcun preavviso o delicatezza, lo afferrò per il braccio ferito e lo scagliò in aria, catapultandolo a una trentina di metri da terra. Sbattè contro l'asfalto senza farsi eccessivamente male, ma finse un improvviso dolore lancinante e se ne rimase lì, a contorcersi in mezzo alla strada come un povero umano in fin di vita.

All'altra estremità della carreggiata, Zeus fissava Kiba e Rock Lee con una certa curiosità, senza badare alla mantide che, fiutato il pericolo, se ne stava immobile in attesa del momento propizio per colpire. Il suo istinto le diceva che, in qualche modo, quella piccola creatura dall'aspetto umano poteva essere pericolosa almeno quanto lei.

-Allora?-

-"Allora" cosa, Zeus? Ci ucciderai?-

-Nah. La vostra morte non mi servirebbe a nulla. Soltanto, posso chiedervi perchè stavate bisticciando con U-3? Può essere molto pericoloso, sapete?-

-Ma fatti i cazzi tuoi, razza di stronzo! Quel fottuto figlio di puttana ha ammazzato il nostro capo, come cazzo pensi che dovrei comportarmi!?- la voce del castano trasudava rabbia, tristezza e veleno. Un mix che, per qualche strana ragione, a Zeus piacque molto.

-Beh, c'è sempre un lato positivo. Adesso sei sotto shock e il massimo che puoi fare è incazzarti, ma pensa che, appena sarai al sicuro in un posto tranquillo, comincerai a capire l'enormità di ciò che è successo e probabilmente avrai un bel collasso emotivo. Sei una creatura debole, e per quanto tu possa lottare rimani sempre tale.- sorrise, sornione, mentre pronunciava quelle parole.

-Ehi, non ti permetto di trattare così il mio compagno di squadra!-

-Aaaah, che noiosi che siete!- Kiba e Rock Lee lo fissarono, sconvolti -Io stavo solo scherzando!-

-Eh? Che cazzo dici, ragazzino?-

Ma Zeus, già pieno di disinteresse per la conversazione, aveva alzato gli occhi al cielo, iniziando a canticchiare "Child in Time" dei Deep Purple.

-Ehi, Zeus!- Kiba trovava quella situazione a metà tra il fantascientifico e il grottesco. Se non l'avesse visto saltare dalla cima di un palazzo di sette piani, difficilmente avrebbe creduto che quello fosse Zeus.

-"Sweet child in time you'll see the line... the line that's drawn between the good and the bad ..."-

-Zeus! Si può sapere che cazzo stai facendo?-

-"See the blind man shooting at the world... bullets flying taking toll"... ah , quasi dimenticavo. Il vostro capo non è affatto morto.-

Rock Lee per poco non si strozzò con la propria saliva:- C-come!?-

-Già, anche se quella poveraccia è ridotta piuttosto male. Credo stia agonizzando.-

Neanche il tempo di concludere la frase, che i due militari erano già corsi dentro il palazzo, chi gridando bestemmie e chi ringraziando il Signore per la grazia ricevuta. La diversità umana era veramente deliziosa, Zeus la trovava affascinante.

U-3 accennò un passo in direzione dei due fuggiaschi, ma fu prontamente bloccata dal Prototype, che la afferrò per una zampa.

-No, tu non vai da nessuna parte...-

Zeus strinse la presa, concentrando la forza nei muscoli del braccio e flettendolo all'improvviso.

La mantide schizzò in aria come un missile, sbattendo contro la facciata di un palazzo e scorticandosi buona parte dell'addome, che cominciò a rovesciare sull'asfalto litri di sangue violaceo. nell'aria si levarono dei versi simili ai guaiti di un cane, mentre U-3 retrocedeva lentamente, conscia di non avere possibilità contro il nuovo arrivato.

Il Prototype, tuttavia, non provava interesse alcuno nel lasciarla viva.

Diede un pugno all'asfalto con tutta la forza che aveva, immettendo un po' della propria essenza nel terreno. Sentì il proprio corpo scorrere sotto la crosta di bitume, ramificarsi e allungarsi come le radici di un albero, finchè, una frazione di secondo dopo, nel preciso punto in cui si trovava U-3 sbucarono delle spine enormi, nere ed appuntite, che impalarono la mantide senza pietà. L'insetto cercò debolmente di liberarsi, contorcendo il corpo ormai ridotto a brandelli, ma ben presto abbandonò la testa e spirò.

-Visto, Ade?- esclamò Zeus, a voce abbastanza alta perchè il moro potesse sentirlo -Ci voleva poco!-

Sasuke si avvicinò di corsa, ormai totalmente disinteressato ai due soldati che, all'interno dell'edificio, tentavano di prestare qualche cura medica al proprio capo.

-Cosa ci fai tu qui? Cretino, vuoi che ci scoprano?-

-Quello era uno degli attacchi distruttori. Si chiama "Artiglio Cimitero".-

-Zeus! Non mi interessano i nomi dei tuoi attacchi!-

-Mhm... peccato. Comunque, nel caso non te ne fossi accorto, sono qui per salvarti il culo.-

-Ah davvero? Guarda che non ne avevo bisogno.- sibilò Sasuke, indicando lo squarcio sul braccio che si richiudeva a vista d'occhio -Quando sono in forma mi rigenero più in fretta.-

-E' questo testimonia quanto siano grezze le tue capacità. Ma mi piaci anche per questo...- sorrise il biondo, costringendo Sasuke a dirigere lo sguardo verso una vecchia impalcatura -... e comunque c'è una cosa che dovremmo fare, prima di andarcene.-

-E sarebbe?-

-Il capo di quei tizi, quello che è stato ferito a morte, non è altri che la signorina Tenten Ibarashi.-

Sasuke spalancò gli occhi, sentendosi improvvisamente mancare la terra sotto i piedi.

-Co... no, dimmi che è uno scherzo...-

-Niente affatto. E proprio perchè è del tuo unico contatto con l'esercito che stiamo parlando, secondo me ti converrebbe salvarle il culo. Non per essere pessimista, ma i militari potrebbero incazzarsi se sapessero che te la sei squagliata senza nemmeno provare a dare una mano.-

-Tch... tanto quei due moriranno qui.-

-Non credo proprio. Immagino che si siano portati dietro un telefono satellitare, e non ci vuole nulla a chiamare un elicottero per farsi venire a prendere. Ah, e di ucciderli per tappar loro la bocca non se ne parla nemmeno.-

-E perchè, scusa? Ti fanno forse pena?-

-No. Ma il tipo con i sopracciglioni mi sta proprio simpatico.- ghignò, grattandosi un orecchio.

Sasuke sbuffò, chinando la testa per nascondere l'espressione seccata.

"Ed ecco a voi il lato filantropo di Zeus... preferivo quello con manie omicide."

-E' evidente che non mi conosci, Ade. Se così fosse, difficilmente preferiresti la mia parte violenta.-

-Ok, ok... sbrigati ad aiutare quei due idioti, non abbiamo tutto il giorno!-

-E perchè no?- ah, già. Zeus era svenuto prima che cominciasse l'attacco dei Cacciatori, quindi non poteva saperne niente.

-Te lo spiego dopo. Adesso fai quello che devi fare, per favore.-

-Uhm... ok. Reggimi il gioco.-

Lo afferrò per un braccio, iniziando a trascinarlo attraverso le macerie della facciata appena crollata. Ade accennò qualche strattone, perchè la presa di Zeus gli faceva veramente male, ma questi non accennò nè a lasciarlo, nè a girarsi.

L'interno dell'edificio era completamente foderato di una sostanza bianca e lanuginosa che a Sasuke parve zucchero filato, un morbido velo bianco che copriva tutto ed era spezzato solo da una macchia rossa nel punto esatto in cui sostavano i tre militari.

-Questo nido è davvero splendido. U-3 deve aver impiegato giorni e giorni per costruirlo.-

-Splendido? Non credo di capirne la bellezza, allora.-

Poi tacquero, finchè non giunsero accanto alla macchia di sangue. Kiba, in ginocchio, teneva la testa di Tenten leggermente sollevata, mentre Rock Lee si adoperava per bloccare la perdita di sangue. Con scarsi risultati, tra l'altro, visto che sul petto della donna si apriva uno squarcio lungo e profondo.

Zeus spintonò via Ade, facendolo cadere per terra con un grugnito, poi si avvicinò al gruppetto. Kiba si sollevò, puntandogli contro la propria arma e intimandogli di allontanarsi.

-Stai lontano da lei, mostro.-

-Tranquillo, umano. Non ho intenzione di farle del male, anzi.-

-Come puoi pretendere che io ti creda!?-

-Non pretendo nulla. Ma se non mi lasci passare, lei morirà.-

-Non è vero. Abbiamo chiamato un elicottero, ci verranno a prendere e...-

-Morirà.- Zeus fissò il castano con i suoi imperturbabili occhi celesti, come se avesse dovuto impartire una lezione particolarmente difficoltosa ad un bambino piccolo -Questa donna ormai è infetta.-

Kiba boccheggiò, le mani improvvisamente tremanti:- No, non...-

-Nessuno sa di preciso come si trasmetta il virus Idra, ma ti posso garantire che un taglio del genere in un posto come questo è il miglior veicolo per far sì che l'organismo venga corrotto. Come se non bastasse glie l'ha procurato U-3, che era un concentrato di virus semovente.-

-Vuoi dire che non c'è più nulla da fare?-

-Ammesso e non concesso che riusciate ad arrestare l'emorragia, il vostro capo si trasformerebbe in uno zombie nel giro di tre giorni. Tuttavia, se lasciate fare a me, non correrete alcun rischio.-

-Che intendi fare?-

-Con un sistema simile a quello che uso per assorbire, risucchierò via il virus dal sangue. E' una procedura abbastanza delicata, ma sono sicuro di potercela fare. Una volta rimosso l'Idra, poi, introdurrò al suo posto l'antigene che mi consente di mantenere il pieno controllo delle facoltà mentali, così il vostro capo sarà praticamente immune dal virus per tutto il resto della vita.-

-Puoi fare una cosa simile?- domandò Kiba, sorpreso.

Zeus chinò la testa, improvvisamente triste, ed espirò un "sì, posso", che risuonò carico di significati nel silenzio polveroso in cui erano immersi gli interlocutori. Poi si avvicinò e posò delicatamente due dita sulla ferita di Tenten, corrugando le sopracciglia per lo sforzo.

Dalla spalla, repentini, cominciarono a fuoriuscire i consueti viticci neri e rossi, sottili come barbigli, che ben presto ricoprirono tutto il braccio in un caos vivo e pulsante. Iniziarono a sfiorare la pelle della donna e a fissarvisi come delle ventose, scandagliando i bordi slabbrati del taglio con precisione anatomica. Bel presto il sangue cominciò a fluire via dalla ferita, risucchiato dai viticci, mentre una sostanza chiara e rosata veniva immessa al suo posto nel sistema circolatorio.

La fronte di Zeus si imperlò di gocce di sudore, mentre questi cercava di dominare i suoi poteri per fare in modo di prendere solo il necessario, di non distruggere quel fragile organismo umano. Contenersi era difficile, eppure, alla fine, ci riuscì.

Staccò il braccio con uno strattone, lasciando una serie di puntolini rossi sulla pelle chiara della castana, poi si tirò in piedi e prese a massaggiarsi le tempie.

-Cazzo... è stato più faticoso di quel che pensassi...-

-Ma... adesso sta bene, vero?- chiese Rock Lee, sfiorandole la fronte sudata con delicatezza.

-Sì. Purtroppo non posso rigenerare in alcun modo la carne. Voi vi siete fatti qualche ferita?-

-No.- dissero, in coro, fissando il biondo con aria stralunata.

-Zeus...- mormorò il castano, avvicinandosi, dubbioso -... permetti una domanda?-

-Purché non riguardi informazioni strettamente personali.-

-Perchè ti preoccupi per noi? Che senso ha avuto aiutarci?-

-Beh...- il Prototype ghignò -... non sono poi il freddo assassino che tutti credono. Se una morte non mi è in alcun modo necessaria, mi astengo dal causarla.-

-In questo caso... grazie. Ti siamo debitori.-

-Non dite sciocchezze. I capoccioni potrebbero arrabbiarsi se vi sentissero, sapete?-

Poi si volto, e, così come era comparso, sparì dietro un mucchio di macerie.

Ade, senza bisogno di gesti o parole, sapeva di doverlo seguire. Si alzò e mosse qualche passo nella direzione prescelta, prima di venire bloccato dalla voce di Rock Lee.

-Tra te e il Prototype c'è qualche strano patto, non è così? Non ti avrebbe mai lasciato in vita, altrimenti.-

-Non sono affari che ti riguardano. Pensa a combattere, non a parlare.-

"Bene", pensò, una volta fuori, "adesso andiamo ad occuparci della ragazzina."

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Bene, signori, domani iniziano i miei esami di terza media. Dire che ho il latte alle ginocchia è un eufemismo, quindi spero che recensirete numerose per mettermi un po' di buonumore prima della fatidica trafila di compiti in classe. Se non dovessi riuscire a tornare viva da cotale impresa, sappiate che vi voglio un mondo di bene :)

Oggi vi scrivo una risposta alle recensioni "globale", perchè non ho tempo di dedicarmi a tutti in egual modo. Spero comunque che vada bene.

Innanzitutto, ringrazio coloro che mi hanno rassicurato sugli esami, coloro che mi hanno detto "in bocca al lupo" e coloro che mi hanno fatto i complimenti per come scrivo. Grazie mille, davvero ^^

Ci tenevo a comunicarvi che scoprirete l'identità della madre nel prossimo capitolo, in cui non verrà nominata direttamente, ma verrà descritta in modo che possiate capire. Mi scuso con tutti per il ritardo, e spero che anche questo chap vi sia piaciuto (attenzione, non sottovalutate quello che è accaduto qui, è molto più che un semplice capitolo "riempitivo"). Mi avete fatto ridere con i vostri commenti sui miei piccoli Kiba e Rock Lee, cosa di cui vi sono infinitamente grata, e vi assicuro che quel fantastico scaricatore di porto (cito testuale) ha ancora in serbo numerose sorprese. Sasuke... beh, un Uchiha è pure sempre un Uchiha xD! Non potete pretendere dolcezza e smancerie da uno con un culo d'anatra in testa, non trovate? Ma non preoccupatevi, Hinata in un modo o nell'altro riuscirà a spuntarla. E' una tosta, quella ragazza.

Un ringraziamento particolare va a Nana97 (che, da quanto ho capito, è una nuova fan di questa storia xD) che è stata in grado di farmi saltellare per la stanza con il suo fantastico neologismo, "spettacoloso".

Grazie a tutte/i, ci vediamo nel prossimo chap!

 

See you soon,

Roby

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Capitolo 8
*** Mommy ***


007 – Mommy

-In pratica…- esordì Zeus, mentre si avvicinavano alla massima velocità possibile verso il palazzo -… sono caduto in una specie di come delirante, e nel frattempo i cacciatori, capitanati dal Bel Pupone, hanno mosso un attacco verso il mio rifugio?-

-Il succo è questo. Se ci togli la ragazzina che si fa venire le risi isteriche, io che cerco di portarti in salvo e l’attacco di un grillo gigante, beninteso.-

-Mantide, Sasuke. Non grillo.-

-Ho vissuto in ospedale dall’età di sei anni, non puoi pretendere che conosca la differenza tra una mantide e un grillo. In compenso potrei descriverti tutte le caratteristiche che distinguono un fibrosarcoma da un liposarcoma.-

-Ti sarei grato se mi evitassi il mal di testa…-

Poi, all’improvviso, Zeus bloccò Ade con la mano, facendogli segno di tacere. Si arrampicarono agilmente sulla facciata di un palazzo, fino a raggiungere il tetto e stendersi carponi per ispezionare la strada sottostante senza essere visti.

-Beh, pure un cieco demente si accorgerebbe che questa è una trappola. Mai visto niente di più spudorato.-

-Grazie, Sas’ke, ma credo di poterci arrivare anche da solo.-

E, in effetti, Zeus non era così stupido da non capire che il suo palazzo, accerchiato da cacciatori palesemente calmi e in attesa di qualcosa, si era appena trasformato in una gigantesca trappola per topi. Altresì, comprendeva appieno di essersi entrato nella parte del roditore che vuole raggiungere il formaggio, ma sa che, anche nel caso in cui riuscisse ad appropriarsi dell’esca, morirebbe sotto le unghie del grosso gatto nero che fa la guardia alla trappola.

-Come facciamo a raggiungere Hinata? Se anche usassi uno degli attacchi distruttori potrei farne fuori al massimo una decina, non di più. E ciò non ci fornirebbe il tempo necessario per scappare.-

-L’ideale sarebbe qualcosa a grosso raggio… quell’attacco che hai usato prima… ah, “Artiglio Cimitero”, ecco… non potresti espanderlo a tutto il terreno che circonda il palazzo?-

-No. Mi prosciugherebbe completamente, senza contare che la fatica potrebbe uccidermi. E poi potrei colpire qualche tubatura del gas, o dei cavi elettrici, e sono immune a tutto, ma non al fuoco o ad una folgorazione.-

-Il fuoco… e se li bruciassimo?-

-E come, scusa?-              

Gli occhi del moro si illuminarono di una strana luce sadica, prima che si decidesse a rispondere.

-Un serbatoio di benzina. Di quelli che tengono nelle basi militari come riserva di carburante. Lo rubiamo, glie lo lanciamo contro e poi...-

-Boom.- concluse Zeus, finalmente soddisfatto del proprio collaboratore dopo quella che si era rivelata una giornata di fiaschi. –Beh, sbrighiamoci a trovare questo serbatoio, prima che il Cacciatore Supremo decida di farsi uno spuntino usando Hinata come stuzzicadenti.-

-… cosa che peraltro non mi dispiacerebbe.-

-Sas’ke!-

-Ok, ok…-

Fecero un rapido dietrofront, poi Zeus svoltò bruscamente a sinistra, verso Central Park. Si muovevano agilmente tra i palazzi, improvvisando delle evoluzioni per schivare rapidamente gli ostacoli. All'improvviso, però, Sasuke riesumò un piccolo particolare riguardante le sue conoscenze su Manhattan.

-Ma da questa parte non dovrebbe esserci la 5th Avenue?-

-Esatto! Ci hanno costruito un minuscolo avamposto, ma dopo qualche giorno l'idra ha infestato un edificio limitrofo e l'ha trasformato in un alveare. Vedrai che macello... ci sono ancora delle unità blackwatch che resistono, ma sono completamente isolate e hanno tutte le apparecchiature fuori uso, quindi dubito che il Quartier Generale li salverà.-

-E tu come fai a sapere tutte queste cose?-

-Perchè assorbo i militari, no?-

-Bah...- commentò Sasuke, schivando un cartellone pubblicitario della Coca Cola con un salto acrobatico -... il giorno in cui capirò da che parte stai potrò ritenermi pienamente soddisfatto della mia vita.-

-Io non sto da nessuna parte. Anzi, a pensarci bene credo di rappresentare una fazione a sè stante. Non è una figata?-

-Il tuo concetto di "figata" esula dal senso comune, sai?-

-Ti risponderei se capissi il significato della parola "esula"...-

Sasuke sbuffò, aumentando il ritmo per portarsi più vicino a Zeus. Erano praticamente arrivati, e già gli infetti gironzolavano per la strada sottostante, tra taxi ribaltati e immondizia di tutti i tipi che intasava completamente le due corsie. Il moro lasciò scorrere lo sguardo su quelle creature, così simili agli zombie che tanto lo spaventavano quando vedeva i film horror in TV, e pensò ghignando che a volte la realtà, nella sua crudezza, supera persino la fantasia.

Infine, la base comparve in fondo alla strada.

La barricata era quasi completamente distrutta, mentre delle torrette mitragliatrici e dei fari di segnalazione non c'era più traccia. L'asfalto era completamente rosso di sangue, coperto da una macchia scarlatta che giungeva fino alla base dell'alveare, una decina di metri più in là.

Si sentiva un confuso rumore di spari e urla di paura, le stesse che Sasuke aveva già udito in decine di circostanze diverse. Era tutto maledettamente uguale. Sempre.

Ormai gli sembrava quasi che la sua vita fosse un disco rotto, in cui le situazioni si ripetevano in maniera ossessiva, senza nè inizio nè fine. Ma, in fondo, non poteva farci niente. Era completamente impotente.

-Non sarà difficile prendere la benzina. Il punto è: sei disposto ad ucciderli, o mi toccherà assistere ad un altro episodio di carità in puro stile "madre Teresa"?-

-Nah...- sibilò Zeus, mentre il braccio diventava lama, fredda e baluginante nel sole estivo -... questi non mi servono a niente. E poi, uccidendoli ne alleviamo le sofferenze, o no?-

-Già. Anche se non credo che loro siano molto d'accordo.-

I soldati smisero di respirare nel giro di qualche minuto. Il biondo rubò un accendino da uno dei cadaveri, infilandoselo in tasca, poi adocchiò un serbatoio di benzina, dalla forma vagamente cilindrica, che giaceva, miracolosamente illeso, in un angolo della base.

-Quanti litri di carburante ci saranno là dentro?-

-Sicuramente più di mille. Ce la fai a trasportarlo?-

-Scherzi!?- esclamò Zeus, afferrandolo e sollevandolo senza nessuna fatica apparente -Tiro su gli autocarri, questo coso non è poi così pesante. Anche se credo che dovrai darmi una mano a portarlo, se vogliamo che arrivi tutto intero al rifugio.-

-Ok.-

Il biondo lo afferrò da una parte, mentre Ade si occupò di tenere la metà posteriore. Partirono così, molto più lenti e sgraziati a causa del carico, e in breve tempo raggiunsero il palazzo che avevano precedentemente utilizzato come punto di osservazione.

-Bene, e adesso...-

-Aspetta, Zeus. Stavo pensando... se lo tiri da qua la benzina finirà solo su questo lato del palazzo e su quello che sta più in basso, perchè siamo in discesa... se invece lo butti dall'altro lato la pendenza farà colare giù il carburante e il diversivo funzionerà decisamente meglio.-

-Dici?-

-Sì.-

-Va bene, allora. Spostiamo questo coso e arrostiamo quei pezzi di merda.-

 

***

 

Hinata non era mai stata una persona violenta. Anzi, tutto il contrario: più che altro timida, gentile e introversa. Persino dolce e vagamente zuccherosa, se trovava qualcuno con cui si sentiva a proprio agio, ma violenta o iraconda mai.

Eppure, in quel preciso momento in cui Sasuke e Zeus discutevano per decidere il punto migliore per lanciare il serbatoio, il suo maggior desiderio era quello di scendere dal tetto e, se avesse potuto, strangolare i cacciatori a mani nude, uno per uno.

Peccato che il suo fragile corpo umano non le consentisse che di starsene ferma in mezzo alla terrazza, come un pulcino di merlo alla completa mercé degli avvoltoi, con le dita infilate nella polvere e il sudore che, a piccole gocce, le scendeva inesorabile dalla fronte.

Sentiva la puzza di cadavere che mandavano quei... quegli esseri, giù in basso, e pregava con tutto il cuore che a nessuno di loro venisse in mente di fare uno spuntino, perchè sapeva perfettamente che, per un cacciatore, arrampicarsi su un palazzo di media altezza come quello era una sciocchezza. E ce n'erano talmente tanti, ed erano talmente vicini, che poteva sentire il ritmo del loro respiro, come un lieve tremolio nell'aria immobile che la circondava.

-Vi prego... sbrigatevi...- singhiozzò, cercando di fare meno rumore possibile. Sapeva di non stare simpatica al ragazzo moro che aveva portato via Zeus, e immaginava che non si sarebbe di certo scomodato a salvarla. Sempre che il biondo non si fosse svegliato, perchè in quel caso la sua vita sarebbe stata salva.

O, almeno, c'era una minima possibilità che ciò accadesse.

Improvvisamente, Hinata udì un forte stridore metallico. Sobbalzò, poi si girò verso la fonte del rumore e vide qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. Beh, non che una cisterna volante sia roba di tutti i giorni.

-Che... com'è possibile?- si domandò, osservando il serbatoio che, compiendo un arco molto preciso e aggraziato, cadde sull'asfalto e si spaccò, rovesciando il suo contenuto per tutta la strada. Hinata vide la scena a rilento, come se un regista imprecisato avesse inserito la moviola, e quando udì le grida di allarme dei cacciatori si riscosse di soprassalto, quasi con violenza.

L'olfatto fu il terzo senso a risvegliarsi, subito dopo vista e olfatto. Quello che percepì fu una terribile, asfissiante puzza di benzina, che saliva dall'enorme pozza sull'asfalto fino al tetto. La dottoressa si alzò in piedi, cercando di capire da dove provenisse la cisterna, e si sporse leggermente oltre il bordo, aguzzando la vista.

Forse avrebbe fatto meglio a rimanere seduta.

Infatti, non fece in tempo a notare un vago baluginio, come una scintilla che cadeva sulla benzina, che tutto il carburante prese fuoco di colpo, innalzandosi in vampe e lingue di fiamma che avvolsero in breve l'intera base dell'edificio. I cacciatori rimasero coinvolti nell'incendio, e, se alcuni tentarono di scappare con la pelle che andava a fuoco, come una gigantesca torcia, altri rimasero fermi, a dibattersi e contorcersi per il dolore. Il terreno iniziò a tremare, e la mora si aggrappò con tutte le proprie forze all'apertura della botola, terrorizzata.

"Portatemi via di qui, portatemi via di qui, portatemi via di qui..."

-Hinata! Tutto ok?- si girò verso la voce, la sua voce, spalancando gli occhi con il cuore gonfio di sollievo. Poi, senza rendersi conto di ciò che stava facendo, si lanciò - letteralmente - tra le braccia di Zeus, affondando il viso nel suo petto e affogandoci i singhiozzi isterici che la scuotevano come uno stelo d'erba.

-Ehi, tu...- sibilò Sasuke, cercando di distoglierla dalla contemplazione della felpa di Zeus -... cosa pensi di...-

-Giù le mani dal mio bambino.-

I tre si girarono, all'unisono, verso la voce nuova e sconosciuta che li aveva appena interpellati.

Ciò che videro sarebbe rimasto loro in testa per molti, molti anni a seguire.

 

***

 

Zeus fissò la figura che lo fronteggiava, incapace di proferire parola.

Era una donna.

Aveva gli occhi verdi, lucenti come smeraldi. Ma erano anche vuoti come ciottoli, privi di quella luce che contraddistingue gli esseri viventi propriamente detti.

I capelli, lunghi fino alle ginocchia, le serpeggiavano attorno come una nugolo di serpenti, mossi da vita propria. Ed erano rossi, rossi come il sangue fresco, come le fiamme e il fuoco e le rose appena colte, e sembravano bruciare e riflettersi in quelle orbite lucide e vuote, in un gioco di contrasti e chiaroscuri che rendeva la donna ancora più strana, più misteriosa di quanto già non fosse.

Il volto era acceso da un'espressione di rabbia e ferocia, che deformava i lineamenti squisiti in una maschera inumana che, pur mantenendo intatti fascino e grazia, non comunicava che sentimenti di odio e rancore.

Era una donna.

Perdio, lui ricordava di averla già vista, ma dove!?

-Zeus...- deglutì Sasuke, accennando un mezzo passo indietro -... guarda là.- indicò i piedi della creatura, circondati da uno spesso alone di Idra, che era riuscito a penetrare nell'intonaco e continuava ad espandersi sul tetto, infestandolo.

-Tu...- mormorò il biondo, rivolgendosi alla nuova arrivata -... infetti tutto ciò che tocchi, non è così?-

-Esatto.- cinguettò lei, in risposta. Aveva una voce metallica, che sembrava quasi ritoccata con il computer. Niente di umano, in ogni caso.

-Come... come ti chiami?- azzardò Sasuke, i peli delle braccia dritti per una sensazione che somigliava spaventosamente al terrore.

-Elizabeth Greene.- sorrise, inclinando la testa di lato con affettazione -Ma questo non è il mio vero nome. E' come mi chiamavano loro.-

-"Loro"? Chi sono "loro"?-

-Sono delle persone mooolto  cattive, e mi hanno fatto taaaanto male. Però adesso io sto facendo i dispetti, così quando loro si saranno stufati verranno a cercarmi... e io potrò vendicarmi.-

"Questa sì che ha il cervello fritto a causa del virus!" esclamò Sasuke, sicuro che Zeus avesse capito. Poi si girò di nuovo verso Elizabeth, rivolgendole uno sguardo disgustato.

-Cosa sei? Un mostro? Un'evoluzione dei cacciatori?-

-Oh, no...- mormorò lei, sporgendo il labbro in fuori come una bambina - ... io sono la madre.-

-"Madre"... quello che dici non ha senso.-

-Oh, eccome se ce l'ha!- trillò lei, facendo una mezza piroetta e un saltello -Voi siete il risultato. Ah, se solo Miko-chan fosse qui... noi eravamo tanto amiche, sapete?-

Sasuke si irrigidì.

-Miko-chan? Non sarà mica...-

-Non è tempo di parlare, questo!- lo interruppe la rossa, levando un indice nella sua direzione.

-E perchè no?-

-Perchè adesso...- mormorò lei, facendo un passo in avanti -... la ragazzina morirà.-

Una frazione di secondo. Se Zeus si fosse spostato una sola frazione di secondo in ritardo l'artiglio sbucato dal pavimento avrebbe trafitto Hinata in pieno.

-Ah, cattivo! Se ti muovi non è divertente!-

Zeus non le diede retta, saltando oltre il cornicione nel tentativo di scappare. Gli si parò di fronte un muro di viticci, che tagliò trasformando repentinamente il braccio in lama, poi cadde nel vuoto e lo strappo si richiuse, nascondendolo alla vista. Ade spiccò un balzo per seguirlo, ma mentre precipitava un fascio nero gli si attorcigliò intorno alla caviglia, bloccando la caduta e facendolo rimbalzare verso l'alto come un elastico da bungee jumping.

-AAAAAAAAAH!- gridò, mentre la pressione del vento sembrava quasi bucargli i polmoni. Artigliò la liana con entrambe le mani, graffiandola e torcendola finche non si ritrasse, liberandolo.

Cadde in piedi, poi, seguendo l'odore, corse nella direzione in cui era scappato Zeus. Sentiva le ossa dolere e un paio di muscoli dovevano essersi strappati durante il rimbalzo, ma raggiunse una velocità tale che ben presto raggiunse il biondo, evidentemente molto impegnato a porre la massima distanza possibile tra la propria persona e quella di Elizabeth Green.

-Ehi!- gli urlò, avvicinandosi un po' di più -Dici che ci sta seguendo!?-

-No... sentirei la sua presenza se così fosse.-

-Che? Sei diventato una specie di medium, Zeus?-

-Non dire cazzate! Non so come spiegarlo, ma è come se la sua mente riuscisse ad accomunare quella di tutti gli infetti... tu prima non ti sei accorto di nulla?-

-Beh, no.-

-Quando parla... sento tutti i cacciatori, sento quello che pensano. E' come se... ci fosse una specie di coscienza collettiva, non so come chiamarla.-

-Oh, che palle... siamo passati dall'horror alla fantascienza, eh?-

-Sasuke, non fa ridere. E poi Hinata sta male, e noi non abbiamo nessun posto dove andare.-

-Male? Che le è preso stavolta?-

-Crisi isterica. Immagino che sia normale, quando si rischia di morire due volte nella stessa giornata.-

-Bah. Non conosci un altro luogo sicuro?-

-La parola sicuro non ha nessun significato in questa città. Potremmo parlare di "tranquillo", più che altro. E comunque no, non c'è niente del genere. A meno che...-

-A meno che?-

-Ade, tu sei ancora fermamente convinto che esistano due sole persone che hanno sviluppato un'affinità particolare con il virus, e che queste due persone siamo io e te, giusto?-

-Non dirmi che non è così. Non. Dirmelo. Oggi ne ho avuto veramente abbastanza: prima la mantide, o il grillo, come cazzo vuoi chiamarlo, poi  tu che succhi via l'idra come se fosse succo di frutta, poi l'adunata dei cacciatori e infine una pazza sanguinaria che dice di essere "la Madre" e si diverte tentando di ucciderci. Non ne posso più.-

-Ah, ok. Sas'ke, penso che dovresti prenderti un paio di giorni di relax, mi sembri un po' troppo su di giri.-

Il moro, tentando disperatamente di non esplodere, digrignò i denti e chiese:- Allora, cosa facciamo?-

-Qualcosa di facile e rilassante. Andiamo da certi miei amici che vivono nei pressi del porto, sono sicuro che ci ospiteranno.-

-Ok, ok.-

-Sas'ke, sei sicuro di non voler sapere chi...-

-No. Non mi interessa. E adesso andiamo.-

 

***

 

-Vaffanculo!-

-Uhm?- Sai sollevò la testa dal tavolo, mandando per aria un mucchio di fogli.

-Non puoi capire che è successo. I cacciatori hanno preso fuoco. E il bello è che, siccome le immagini del computer sono tutte sgranate, non riesco nemmeno a capire il perchè! Ah, ma non è finita, perchè all'improvviso quelli rimasti se ne sono andati via, in gruppo, in concomitanza con lo spostamento del segnale Gps di Ade. E quelli della base della 5th Avenue non rispondono più alle segnalazioni, merda!-

Shikamaru fece per afferrare una tazza di caffè, che gli fu prontamente sottratta dal moro.

-Shika, dovresti finirla con il caffè. Sei ridotto uno straccio.- osservò educatamente Sai, vagamente scioccato dal comportamento molto poco pigro e menefreghista che il proprio collega aveva assunto nel giro di qualche ora. Sembrava completamente fatto, e forse lo era.

La caffeina, si sa, gioca pessimi scherzi.                

-Io ho sete.- dichiarò il Nara, stoico -Quindi passami quel caffè di merda e fatti i cazzi tuoi.-

Sai espirò, porgendogli la tazza. Shikamaru ne tracannò il contenuto in un sorso solo, tornando poi a battere furiosamente sulla tastiera.

Improvvisamente, il telefono dell'ufficio squillò.

-Divisione monitoraggio e coordinamento delle attività militari, posso fare qualcosa per lei?-

-A-aiuto!-

-Come, prego?- Sai spalancò gli occhi, attonito.

-Sono Kiba Inuzuka, numero di matricola 349862... siamo stati attaccati, ci troviamo vicino all'ex palazzo della CNN... chiediamo soccorso aereo, il nostro capo è ferito!-

-Ah. Ma questo non è il centralino di emergenza...-

-HO CHIAMATO IL PRIMO NUMERO CHE MI E' VENUTO IN MENTE, VA BENE!? TU NON SEI SHIKAMARU, GIUSTO? BEH, DI' A QUEL COGLIONE CHE SE NON MI INVIA UNA PATTUGLIA SUBITO IO GLI INFILO UN CANNONE HARKONNEN SU PER IL CULO, SONO STATO CHIARO!?-

-Chiarissimo. Manderemo qualcuno a prendervi al più presto.- poi, incurante del rabbioso sproloquio che proseguiva dall'altra parte della linea, Sai chiuse la comunicazione.

-Chi era?-

-Un tuo amico. Si chiama Kiba Inuzuka, numero di matricola 349862, ha detto che è stato attaccato e si trova vicino al vecchio palazzo della CNN, chiede soccorso aereo perchè il suo capo è ferito. Ah, e ha minacciato di sodomizzarti con un cannone Harkonnen se non gli mandi subito quello che ha chiesto. E ti ha chiamato "coglione".-

Forse Sai se lo sarebbe dovuto aspettare.

A poco a poco, il ciuffo ad ananas di Shika declinò dietro il bordo della scrivania, mentre il corpo dell'informatico cadeva sul pavimento con un tonfo e dalle labbra usciva una sequela di gemiti inconsulti.

-Visto? Te l'avevo detto che troppa caffeina ti fa male.-

-Ashrga... ki...baaaaah...-

-Non ora, Shikamaru. Devo avvertire il centralino, perdonami.-

Sai prese il telefono e digitò un numero, premendo il bottone con la cornetta verde.

-Pronto? Qui centralino di emergenza. In cosa posso aiutarla?-

-Abbiamo una richiesta di soccorso aereo.-

-Bene, mi dica.-

E poi, infaticabile, Sai cominciò a dettare le informazioni che gli aveva dato l'Inuzuka.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Questo capitolo è stata una fatica bestiale. L'ho scritto due volte, perchè la prima versione non mi convinceva, ma non è che questa sia tanto meglio di quella, alla fine...

Mi fumano le orecchieeeee... provateci voi a stare un pomeriggio incollati al pc tra Gorgoroth e Cannibal Corpse! Ahiahi, la vostra povera autrice vaneggia...

Meglio passare alle risposte alle recensioni:

 

Sarhita: ma daaaaaai... esagerata! Alla fine non è niente di così speciale, semplicemente ho preso un videogioco e un manga e li ho fusi insieme! Niente di particolare, davvero! Spero che non ti sia venuta una crisi d'astinenza per il mio ritardo esagerato (chiedo umilmente perdono) e mi auguro che questo cap ti abbia soddisfatto come i precedenti! Fammi sapere cosa ne pensi ;)... per il passato di Naruto ci vorrà ancora tanto, perchè la storia è abbastanza complicata... ehehehe, ne vedrete delle belle!

yume: il tuo "in bocca al lupo" evidentemente è servito, perchè sono uscita con dieci e lode!!! Non so nemmeno io come ho fatto, nè perchè mi abbiano messo un voto tanto alto (credimi se ti dico che non me lo merito) ma sono molto felice e finalmente potrò godermi una luuunga estate senza compiti! Siiiii!

Non stupirti se anche in questo cap non ho risposto praticamente a nessuna domanda, perchè è così che deve andare ù_ù! Più si dipana la matassa, più si incontrano nuovi nodi!

ryanforever: ma che brava recensitrice che seii °w°... adesso finalmente sai chi è la madre, dopo tanto penare xD! Spero di non aver deluso le tue aspettative, e spero anche che tu continui a recensire questa storia come hai sempre fatto, regalandomi un sacco di soddisfazione!!

erol98: infatti gli esami erano una c****** (ehm ehm...). Vabbuò, come hai visto la madre non è Kyubi, e il fatto che sia Kushina pone una serie di problematiche che non vedo l'ora di affrontare. Sasuke sfigato? A pensarci bene è proprio così xD Quel ragazzo è una calamita per i guai, inutile negarlo... ma se non fosse così Zeus che ci starebbe a fare? Non potrebbe mai "tirare fuori conigli dal cilindro" (che espressione fantastica xD) e non potrebbe fare la figura del principe azzurro, se Sasuke non ci fosse! Quindi ringraziamo l'idiozia degli Uchiha ù_ù

bradipiro: alla povera Hina-chan ne capita una dietro l'altra, ma è inevitabile che sia così xD... gli esami erano facilissimi, tanto che ho preso 10 e lode senza aver studiato (e di questo sono tutt'ora sorpresa)... la madre alla fine era Kushina, e chissà perchè *si allontana fischiettando, con un'atro capitolo già pronto sotto il braccio*... vabbè, non posso farvi troppe anticipazioni!

Vaius: benvenuta, nuova recensitrice! Spero che tu abbia azzeccato il personaggio della "madre"(non è così difficile, in fondo molti di voi l'avevano già capito) e spero che non ti abbia deluso xD. Hinata che pesta a sangue Sasuke? Perchè no, potrei farci un pensierino... *_*

shi_angel: mi hai fatto venire un flash assurdo di kiba e naru che cantano in coro "Welcome to the Jungle" xD ahahahahahaha, sarebbe spettacolare! E Sasuke avrà pure una mente contorta, ma le persone le inquadra subito bene ù_ù ....

angelica_89: spero che anche i tuo esami siano andati bene, pur essendo decisamente più difficili dei miei! Sono felice che la mia storia ti appassioni, e mi stupisco di trovare così tante recensioni piene di complimenti! Grazie mille davvero!

Sadako94: mi dispiace, ma Hinata è ancora viva e vegeta xD no, a parte gli scherzi, la tua rece mi ha fatto schiattare dalle risate! E per la fine dovrai aspettare ancora mooooolto tempo, visto il mostruoso impiccio che si profila all'orizzonte ... >_>

kagchan: grazie mille per i complimenti, e... ma davvero ti piacciono i Deep Purple? Fantastico! Io li adoro, adoro il Mark II e il mio album preferito è l'indimenticabile "Deep Purple 'n Rock"! Passando alla fic, U-3 è un mostro di Resident Evil 4 a cui mi sono ispirata per la mantide. Indi per cui le ho lasciato lo stesso nome, che fa molto figo xD

nana97: sei la seconda persona che mi chiede di far morire uno dei miei personaggi... ragazze, c'è qualcosa che non va? xD! Comunque TenTen dovrai cuccartela ancora per parecchio tempo, temo. Ma per molto, mooooolto tempo ù_ù! E comunque non preoccuparti, riuscirai a trovare moltissimi altri personaggi da odiare, in questa fic (svantaggi dell'OOC, sai com'è)...

fra76: "anche se i suoi poteri a volte sono alquanto inquietanti"... ahahahahahaha X'D! Ma povero Zeus! No, comunque è vero, sono abbastanza macabri... però io li vorrei! Ti immagini che figata, andare in giro per strada a falciare zombie con una frusta gigante e una lama più lunga del naso di Barbra Streisand?

sssweety: hai un nick di difficile digitazione ù_ù. Sono molto felice di poterti accoglier nella truppa delle "sante recensitrici", e ti ringrazio vivamente per tutti i complimenti.

 

Adesso devo proprio andare!

See you soon,

Roby

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Capitolo 9
*** Horsemen ***


008 - Horsemen

Il porto di Manhattan, dopo lo scoppio dell'epidemia, era andato completamente in rovina.

I magazzini, giganteschi capannoni un tempo pieni di merci, erano ormai abbandonati e semi-distrutti, prede della ruggine e della voracità del tempo. Le navi erano rimaste attraccate, fredde e inanimate come giganteschi fantasmi, e beccheggiavano nella nebbia della sera con un forte cigolio metallico.

A parte lo sciabordio dell'acqua e il verso di qualche gabbiano assonnato, tutto era silenzio.

-Questo è probabilmente il posto più sano di tutta l'isola. Il vento che proviene dal mare spazza via l'odore della decomposizione e le nubi di gas velenoso, senza contare che è una zona totalmente disabitata, quindi priva di interesse per gli infetti.-

-Fa un freddo cane.- osservò Sasuke, stringendosi nella propria felpa. Doveva procurarsene una nuova, si appuntò mentalmente, perchè ormai di quella che gli avevano fornito come equipaggiamento era completamente distrutta. Non sembrava nemmeno un abito vero e proprio, piuttosto assomigliava ad una grossa sciarpa strappata e  lurida, che gli si avvolgeva attorno al collo per poi ricadere, a brandelli, sull'addome.

Girandosi verso Zeus, però, notò che i suoi abiti erano perfettamente integri, senza nemmeno una macchia di sangue. Il che non era razionalmente possibile, visto che non si era cambiato.

-Non stupirti. Questi non sono gli stessi vestiti che indossavo mezz'ora fa.-

-Eh?-

Il biondo sbuffò, scuotendo la testa alla ricerca di una spiegazione veloce e concisa che, possibilmente, non desse adito ad altre inutili dilungazioni del moro.

-Hai presente che esistono animali con la pelliccia, con la corazza, con le squame e con le piume, vero?-

-Beh, sì.-

-Ecco. I vestiti che vedi non sono altro che strati di cheratina ricombinati in modo da assumere le precise caratteristiche scelte dal mio cervello, in base ovviamente a dei dati esterni raccolti tramite l'assorbimento. In pratica, quando assorbo qualcuno il mio cervello esegue una specie di scansione degli abiti che questo "qualcuno" porta, e poi li riproduce come se fossero pelo o squame.-

Colto dalla curiosità, Sasuke allungò una mano per toccare la maglietta del Prototype. Al tatto sembrava normalissimo cotone.

-Cavoli... c'è qualcosa che tu non sappia fare, Zeus?-

-Molte, anzi, moltissime. Il fatto è che il mio organismo è strutturato per cacciare prede intelligenti e sospettose, e per camuffarmi tra loro con la massima precisione. Come si dice, a ciascuno il suo. E poi, un corpo di questo tipo ha degli svantaggi, rispetto al tuo.-

-Per esempio.-

-Sas'ke, da quant'è che non assorbi un umano?-

-Molto. Perchè?-

-Beh, perchè stai bene. Se provassi a fare la stessa cosa, molto probabilmente finirei per debilitarmi e sentirmi male. Il mio metabolismo, benché mi doni delle capacità nettamente superiori alle tue, ha bisogno anche di un quantitativo di energia molto più grande.-

Sasuke ripensò con disgusto alla sensazione che dava l'assorbimento. Una cosa talmente rivoltante e vomitevole da costituire il suo incubo peggiore, anche più dei cacciatori e di qualsiasi altro mostro che avesse mai incontrato. E, improvvisamente, considerò come "vantaggioso" il proprio lato sfigato e totalmente privo di poteri offensivi.   

-Smettila di fantasticare e apri quella porta sbarrata, io non posso farlo con Hinata in braccio.-

Sasuke si avvicinò alla sopracitata porta, abbattendola con uno spintone. Entrarono all’interno di un capannone buio e silenzioso, ma stranamente pulito e privo di qualsiasi odore particolare, eccezion fatta per un leggerissimo sentore di disinfettante. Appena le pupille si abituarono alla quasi totale assenza di luce, il moro poté notare che il locale era completamente sgombro, almeno nella parte centrale, mentre accanto alle pareti si trovavano delle vere e proprie torri di casse metalliche sigillate alla meglio, tutte recanti un teschio e la scritta “danger”.

Fece per toccarne una, ma la voce del biondo lo fece sobbalzare.

-Se fossi in te non le sfiorerei nemmeno. Con tutta probabilità fanno parte del sistema di allarme.-

-“Sistema di allarme”? Vuoi dire che potremmo saltare in aria da un momento all’altro?-

-No, se non tocchi niente qua dentro. Ci sono dei metodi molto precisi per ottenere ospitalità dagli abitanti di questo luogo, e mettere le mani sui loro giocattoli è il modo migliore per inimicarseli.-

-Giocattoli?-

-Sasuke… hai detto di non voler sapere niente su di loro, giusto? Beh, comincio a pensare che sia meglio così.-

-Io no. Comunque... cosa dobbiamo fare adesso?-

Il biondo avanzò fino al centro della sala, dove spiccava un quadrato di ferro con un vistoso pomello da una parte.

-Questa è... una botola?-

-No, è una trappola. Se provi a sollevare la lastra di metallo usando il pomello ti becchi una scossa elettrica da diecimila volt, tanto quanto basta per carbonizzare un essere umano. E' così che tengono lontani gli eventuali curiosi e i militari che provano a capire quale sia il segreto di questo posto. Non è l'unico tranello, comunque.-

-Beh, questi tuoi amici sono molto bravi nel difendersi...-

-... e lo sono anche nell'attaccare, ma non amano particolarmente lo scontro. Adesso ti mostrerò l'unico modo per entrare nel loro rifugio senza rischiare di finire come uno spezzatino di manzo.-

Poi il Prototype alzò lo sguardo verso il soffitto, gonfiò il petto ed intonò:- "Livin' easy, lovin' free, season ticket on a one-way ride... askin' nothin', leave me be, takin' everythin' in my stride... don't need reason, don't need rhyme... ain't nothing that I'd rather do... goin' down, party time, my friends are gonna be there to! I'm on the highway to hell, Higway to Hell! I'm on the highway to hell!"-

Imitò il tono stridulo di un cantante che Sasuke aveva già sentito, aggiungendoci degli acuti abbastanza stonati e un'interpretazione da cantante amatoriale. Quando ebbe finito, nella volta cupa del magazzino si udì un lieve scricchiolio.

-E questo cos'era? Un tentativo di commuovere i tuoi amici?-

-No, era la parola d'ordine. E, tra l'altro, è anche "Highway to Hell" degli AC/DC. Faresti bene a portare un po' di rispetto per i mostri sacri del rock.-

Sasuke avrebbe voluto rispondere molte cose. Che, per esempio, la sua lunghissima permanenza in ospedale non gli aveva permesso di farsi una cultura musicale, e che in ogni caso il rock non sembrava decisamente il genere adatto a lui, e che tra l'altro usare come parola d'ordine un'intera strofa di una canzone gli sembrava un po' esagerato, ma il suo monologo fu troncato sul nascere da un fortissimo clangore metallico proveniente da un punto indefinito alla loro sinistra.

Improvvisamente, in un punto poco distante dalla finta botola, il pavimento si sollevò di botto, rivelando quello che in teoria era un essere umano, ma che in realtà sembrava più un ammasso di stracci. Era completamente coperto da pezzi di tessuto lurido, che gli avvolgevano anche la parte inferiore del viso, nascondendolo, ma lasciando scoperti i luminosi occhi cerulei.

In un certo senso ricordavano quelli di Zeus, ma non possedevano nè la stessa purezza, nè la stessa profondità.

-Ciao, Seiryu.-

-Ciao, Zeus. E comunque non mi offendo se mi chiami con il mio vero nome.-

-Ok, ok... Sasuke, questo è Deidara. Vorrei dirti di non dimenticarti di lui, ma dubito che, anche volendo, potresti farlo. E' un tale pazzo psicopatico che il suo nome finirà per perseguitarti durante le tue nottate e...-

-Zeus!-

-... cosa più importante, è il top del top quando si parla di esplosivi. Anche se potresti non condividere i suoi gusti in campo artistico.-

-Tzè...- sbuffò Deidara, scoprendosi la testa e rivelando una cascata di capelli biondi e un viso che aveva un nonsoché  di capriccioso -... non sei mai stato un artista, Zeus. Non puoi capire la pura bellezza che si può creare anche solo con un fuggevole attimo della mia arte...-

-Va bene, ok... non siamo qui per discutere di arte. Ci serve un riparo.-

-Ma come!- esclamò l'altro, appoggiando il mento sulle mani -Non avevi quello splendido appartamento riadattato ad armeria, quello che hai sempre utilizzato sin dai primi giorni dell'infezione?-

-"Avevo", appunto. Diciamo che per una fortunata combinazione mi hanno scoperto, e non credo che sia molto saggio avvicinarmi di nuovo a quel palazzo.-

-E sei rimasto senza un tetto sopra la testa.- poi sorrise, inclinando la testa di lato con fare civettuolo -Va bene, entra pure.-

Si fece da parte, scoprendo una stretta apertura quadrata in cui sia Zeus che Ade si calarono con circospezione. Si ritrovarono ben presto in una specie di piccolo garage dal tetto basso, illuminato da una serie di lampade al neon che emettevano una luce estremamente forte.

Improvvisamente, Deidara guardò Sasuke in viso, ed impallidì vistosamente. Poi alzò un braccio, puntando il dito indice verso il moro, e balbettò:- T-tu... che cosa ci fai qui?-

-Mi confondi con qualcun altro, perchè io non ti ho mai visto.- ribatté l'Uchiha con voce tagliente.

A quel punto Deidara sembrò riacquistare il controllo e si avvicinò a Sasuke, girandogli intorno come per esaminarlo.

-No, questo è più giovane... e poi ha i capelli a culo d'anatra... e anche la faccia, è leggermente più magra e spigolosa...-

-Interessato al mio amico, Dei? Si chiama Sasuke Uchiha, conosciuto anche come Ade.-

Il biondo si immobilizzò di nuovo, puntando le proprie iridi cerulee in quelle cristalline di Zeus.

-Ade è... un Uchiha? Vorresti dire che ho davanti l'esperimento più malriuscito del secolo, e che il suddetto esperimento è anche un parente di quello là?-

-"Quello" chi?- chiesero il Prototype e Ade, in coro.

-E a chi avresti dato del "malriuscito", sottospecie di salamandra ermafrodita!?- sputò il moro, squadrando Deidara con odio.

-La-lasciamo perdere. La somiglianza è fin troppo inquietante perchè possa sbagliarmi... Zeus, dopo io e te dobbiamo parlare in privato, ok?-

Evitando di esprimere le proprie rimostranze per non essere stato incluso nell'invito, Sasuke seguì in silenzio i due biondi, addentrandosi in un dedalo di corridoi costellati di porte metalliche. Tutto era pulito, quasi asettico, ma non fu un'impressione duratura: appena Deidara spalancò una porta, invitandoli ad entrare, Sasuke comprese che quella pulizia si applicava al solo corridoio.

Si trovavano in una saletta circolare, abbastanza spaziosa e dal soffitto alto, arredata con alcuni divanetti e poltroncine disposti in circolo accanto ad un tavolino basso e rotondo. Per il resto, lungo le pareti erano ammassati gli oggetti più disparati: dalle lattine di birra alle scatolette di cibo a lunga conservazione. C'era persino un frigo, apparentemente funzionante, che sostava, sbilenco, accanto ad una pila di riviste pornografiche. Sasuke storse il naso, a quella vista.

A parte l'arredamento e il disordine cosmico, tuttavia, il particolare più notevole della stanza erano sicuramente i suoi occupanti.

In tutto sei persone, stravaccate più o meno uniformemente sui sofà. Quel genere di soggetti che, stando anche solo fermi a sonnecchiare, esulano dal senso comune di "normalità".

Il più vicino aveva i capelli rossi e una corporatura minuta, quasi efebica. I suoi occhi, di un color nocciola chiarissimo, erano insistentemente puntati sul viso di Deidara, anche se il viso non tradiva alcuna emozione.

-Lui è Sasori.- spiegò il biondo, facendoli accomodare su un divano -Non parla con gli estranei, e a volte nemmeno con noi.-

Subito dopo Sasori venivano due ragazzi abbracciati, un maschio e una femmina, che si presentarono come Pain e Konan. Lei era piccola e delicata, con i capelli e gli occhi blu e un pesantissimo trucco nero, mentre lui era alto e ben piazzato, con il viso coperto di piercing e i capelli di una strana sfumatura di arancione.

Poi c'era Kisame, un armadio a quattro ante che sembrava aver assimilato la pesciosità del porto, a giudicare dalla sfumatura a dir poco ittica della pelle e degli occhi, che viravano decisamente sul grigio-azzurrino.

Accanto a lui sostava uno strano tipo imbavagliato, con gli occhi viola e verdi (mai vista una cosa del genere), a quanto pare molto impegnato a redarguire un ragazzo albino dalle sfavillanti iridi ametista, che rispondeva a furia di insulti e bestemmie alle prediche piuttosto noiose del compagno. I loro nomi? Kakuzu e Hidan.

-Non siamo tutti...- riprese Deidara, afferrando una lattina e aprendola con veemenza -... Zetsu si sta occupando della ricognizione notturna. Non si sa mai cosa può capitare, in un posto come questo.-

-Birra?- domandò Kisame, tirando fuori da chissà dove una bottiglia di Imperial Stout.

-No, grazie...- rispose Sasuke -... noi non mangiamo.-

-"Noi"?- il rosso lo interruppe, fissandolo con quello sguardo assurdo, a metà tre l'indifferente e il penetrante -Sapevamo della particolare capacità di Zeus, ma tu... chi sei?-

-Io...- il moro rivolse uno sguardo interrogativo verso Zeus, che annuì con sicurezza -... sono Ade.-

-Mhm... e sei dalla nostra parte? Cos'è quello?- domandò Sasori, indicando con mollezza la fotocamera, ancora saldamente attaccata al collo dell'Uchiha.

-E' un... ricordo dei miei genitori.-

-Inconsueto, come regalo.-

-Già.-

-E la ragazza? Anche lei un esperimento?-

-No.- stavolta fu Zeus a rispondere -E' una dottoressa che ci aiuterà a cercare una cura per l'Idra. Avremmo bisogno di farla riposare, si è sentita male.-

-Una cura per l'Idra?- esclamò l'albino, beffardo, sfilando la birra dalle mani di Kisame e bevendone un lungo sorso -Come se esistesse. Sai meglio di me che non si possono eliminare i suoi effetti, nemmeno volendo.-

-E voi come fate a saperlo?- chiese Sasuke, l'espressione determinata. Odiava a morte coloro che si arrendevano senza nemmeno combattere, e in più l'atteggiamento strafottente di Hidan non gli andava per niente a genio.

-Sas'ke... - il Prototype intervenne, cercando di rabbonirlo -... queste persone sono il risultato degli esperimenti fatti sui carcerati dopo la mia fuga.-

-Carcerati!?-

-Esatto. Hanno tentato di creare un gene che potenziasse i blackwatch, ma hanno fallito. Questi che vedi sono i risultati degli errori della Gentek.-

-Quindi... quindi la Gentek trafficava con il genoma umano ancor prima che io venissi creato?-

-Ovvio. E probabilmente lo faceva da molto, molto più tempo di quanto possiamo immaginare. Non sappiamo quante siano state le vittime degli esperimenti, ma certamente non siamo gli unici ad aver subito dei cambiamenti.-

-Esatto.- esclamò Kakuzu, la voce bassa e roca che veniva attutita dal bavaglio -Ma Zeus si dimentica sempre di aggiungere che è lui, il più potente tra gli infetti.-

-Ed è qui che ti sbagli.- replicò il Prototype - Ho trovato qualcuno che è molto più forte di me, e che, se posso permettermi l'aggettivo, è anche molto meno benevolo.-

-E chi sarebbe?-

-Mi stupisco che neppure voi l'abbiate mai vista. Si chiama Elizabeth Greene, è un'infetta estremamente potente e controlla tutti gli alveari e i cacciatori di Manhattan. Ovunque vada propaga l'infezione, e ho come la sensazione che sia stata lei a diffondere la malattia in città. Tra l'altro il virus l'ha completamente privata della capacità di ragionare: agisce solamente in base all'istinto, e non credo sia in grado di comprendere le conseguenze dei propri gesti.-

-Una donna? Siamo messi bene...-

-Cosa vorresti dire, Kisame?- domandò Konan, assottigliando le palpebre.

-Niente.-

-Meglio così.-

-Comunque...- disse Pain, con la voce roca e strascicata di chi non parla spesso -... esteticamente com'è? Ha qualche tratto distintivo particolare?-

-Potrebbe essere una mutaforma come me... non ha molto senso che io ti descriva il tuo aspetto.-

-Ma anche tu, pur potendo cambiare fisionomia, hai una tua "forma originale", che è quella in cui ci appari adesso. Magari lei vi si è presentata con il suo vero aspetto.-

-Forse hai ragione. Ma ho ragione di credere che, nel caso doveste incontrarla, riuscireste a riconoscerla anche senza nessun riferimento.-

-Perchè?-

-Capirete.-

 

***

 

-Shika... non ti sembra di esagerare?-

-Assolutamente no!-

Sai sbuffò, lanciando uno sguardo alla scrivania. Anzi, precisiamo: sotto, non sopra la scrivania.

Il Nara, infatti, dopo aver saputo che la squadra di recupero aveva compiuto la propria missione con successo, e che quindi Kiba e compagnia stavano tornando alla base, aveva saggiamente deciso di rifugiarsi nell'angusto spazio compreso tra il pavimento e il piano di legno del proprio tavolo, munendosi di un robusto taglierino come unica arma di difesa.

-Ma si può sapere cosa ti ha fatto questo Kiba? Ne parli come se fosse il diavolo in persona.-

-No, niente affatto... il diavolo sarebbe molto, molto meglio di quello là...-

Il moro inarcò un sopracciglio, sfogliando le pagine del giornale esterno che veniva recapitato ogni giovedì alla sede della Gentek. Non che avesse molto senso leggerlo, visto che le informazioni citate erano sono una minima parte di quelle che venivano messe quotidianamente a disposizione dei dipendenti, ma almeno ci si poteva fare un'idea di come l'epidemia era vista da chi si trovava oltre i confini dell'isola.

-Cosa dice?- domandò Shikamaru, sporgendo un po' la testa oltre il limite del tavolo.

-Il solito. Questi giornalisti trattano la faccenda come una comune epidemia, alleggerendo anche troppo la verità. Ah, e come al solito non fanno parola nè dei morti viventi, nè dei cacciatori e nemmeno degli alveari, ma dedicano paragrafi su paragrafi a Zeus.-  

-Non mi sorprende. E' un personaggio che attira l'audience.-

-Ok, ma mi sembra che ne sappiano fin troppo. Ci deve essere una fuga di notizie... magari qualcuno che accetta dei soldi per passare le proprie informazioni.-

-E se anche fosse? La cosa non ci crea alcun danno, quindi non vedo perchè preoccuparsene.-

-Sì, ma non credo che...-

Sbonk. La porta si spalancò con un tonfo, impedendo a Sai di completare la propria frase, e sulla soglia fece la propria comparsa il tanto atteso incubo del Nara.

-Ehilà, Shika!- tuonò Kiba, allegro e pimpante come al solito -Brutto cazzone, è da un secolo che non ci si vede!-

Al che Shikamaru strinse ancora più saldamente il taglierino e si raggomitolò sotto il tavolo, emettendo un verso simile ad uno squittio.

-Ehi, amico, che gli prende?- domandò il castano, fissando sai con sorpresa.

-A quanto pare la tua presenza gli incute timore. Non chiedermi perchè, ho cercato di capirlo e non ho ottenuto nemmeno una risposta sensata.-

L'Inuzuka si voltò verso Shikamaru, inarcando un sopracciglio:- Non sarà mica per quella volta dell'incidente al poligono di tiro, vero?-

-La cosa più interessante è il tuo definire "incidente" un tentato omicidio bello e buono...-

-Ma quale omicidio... ero solo un po' brillo, non mi rendevo conto di dove stavo mirando!-

-Ah, davvero? Anche quando hai cominciato a strillare "fermati, schifoso ananas, che ti ficco un paio di proiettili nel culo"?-

-Hai una memoria invidiabile, Shika.-

-Già.-

-Comunque... rimani pure lì sotto, devo dirti una cosa importante.-

-E sarebbe?-

-Il tuo amico becchino, qui, è una persona fidata?-

-Fidatissima, perchè?-

-Perchè quello che sto per dirti non è molto "politically correct"... senti, tu hai mai avuto dei dubbi su tutto quello che ti hanno raccontato sin dall'inizio dell'inferno?-

-Comincio a non capirti, Kiba.-

-Tutte quelle storie sulla malvagità di Zeus, e sulla bontà dell'esercito... pensi che siano vere?-

-Ma certo. Se così non fosse... un momento, vorresti dire che...?-

-Ho visto delle cose, là fuori... delle cose che mi hanno fatto capire che tutto quello in cui crediamo, tutte le cose che i hanno raccontato... non sono altro che una montagna di cazzate.-

-Non potresti essere più preciso?-

-No. Altrimenti, amico o non amico, credo che finirei davanti alla corte marziale per alto tradimento. Adesso devo andare, mi aspetta un pallosissimo rapporto a quel tritapalle di Hatake. Pensa a quello che ti ho detto, Nara.-

Dopo un breve cenno della mano al castano e una stretta di mano vigorosa a Sai, l'Inuzuka uscì dalla porta e se la richiuse alle spalle, lasciando nella stanza l'atmosfera pesante di chi ha fin troppi, nebulosi interrogativi e non sa come risolverli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

In questo capitolo non succede niente di particolare, è un momento di riepilogo per tutto quello che succederà nel prossimo (non vi lascio un minuto di respiro, eh?)... è un po' più corto degli alrti, ma ho ritenuto necessario postarlo oggi perchè da domani vado in vacanza per una settimana e mi sembrava brutto lasciarvi a bocca asciutta per così tanto tempo.

Capirete quindi che, causa partenza imminente, non ho proprio il tempo di rispondere singolarmente alle recensioni, perchè devo sbrigarmi a fare di corsa le valigie. Nel prossimo cap, quindi, risponderò sia a quelle dello scorso aggiornamento, sia a quelle che mi regalerete stavolta!

See you soon,

Roby

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Capitolo 10
*** Eyes of Blood ***


009 – Eyes of Blood

Erano poche le persone che potevano vantarsi di riuscire a mettere in difficoltà Kiba Inuzuka.

Tra queste, certamente Kakashi Hatake spiccava sia per la malizia, che per il sottile sadismo che applicava e ostentava nel torturare il proprio sottoposto. Era un gioco tutto sommato divertente e privo di rischi, che gli consentiva di svagarsi un po’ dalla noia dei propri compiti amministrativi e gli donava l’intima soddisfazione del comprendere una mente umana tanto più semplice e cristallina della sua.

-Allora, Inuzuka… nel rapporto che hai stilato, oltre ai numerosi e grossolani errori di ortografia- Kiba serrò una mascella, arrossendo, mentre malediceva con tutte le proprie forze lo scarso impegno che aveva sempre destinato alla scuola –noto un po’ di… incertezza. Sì, è incertezza.-

-In… in che senso, signore?-

-Beh, per esempio…- Kakashi rilesse il paragrafo interessato, sorridendo impercettibilmente di fronte all’ingenuità del castano -… quando parli del modo in cui Ade vi ha soccorso. E’ piuttosto confuso, non trovi? Prima scrivi di questa figura quasi mitica che arriva e uccide la mantide facendovi scudo con il proprio corpo, poi dici che scappa all’improvviso senza degnarsi nemmeno di prestarvi i dovuti soccorsi. Non pensi che suoni un po’ strano?-

-Ecco… il punto è che Ade è uno stron… ha un carattere particolare, tutto qua! Immagino che volesse dedicarsi alle ricerche di Zeus, e…-

-A proposito di Zeus,- lo interruppe, fissandolo attentamente con l’unico occhio sano (l’altro, perduto grazie allo scoppio di una granata, era coperto da una larga benda nera) -sul cadavere di quella creatura, U-3, abbiamo ritrovato fori e lacerazioni che somigliano in maniera inquietante alle ferite inferte da un certo tipo di attacchi caratteristici del Prototype. Ne sai nulla?-

Kiba rabbrividì, contraendo tutti i muscoli del corpo per impedirsi di vacillare. Risucchiò l’aria tra i denti serrati, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento, e si rese conto che era stato un deficiente.

Kakashi sapeva. Sapeva tutto. Probabilmente, ancor prima che lui scrivesse quel rapporto infarcito di bugie, credendo tra l’altro di poter gabbare il più anziano in maniera relativamente facile, l’Hatake aveva già costruito un proprio quadro della situazione. E, cazzo, era un quadro fottutamente realistico.

-E’ che… era tutto confuso, e…-

-Risparmiami queste scene pietose, Kiba. Ah, quasi dimenticavo. Se proprio vogliamo stilare una classifica dei particolari incongrui, ce n’è uno che si colloca certamente al primo posto. Non vuoi sapere qual è?-

No, non voleva saperlo. Non voleva sapere fino a che punto Kakashi fosse riuscito ad indovinare.

-Certamente, signore.-

-Il tuo capo, Tenten Ibarashi… ha subito una brutta ferita, e perdipiù in un ambiente infetto come quello. Non capisci dove voglio arrivare?-

-N-non vedo come potrei, visto che…-

-Risparmia il fiato. Se proprio ti costa fatica dirlo, Ibarashi non è infetta. Il suo sangue è pulito, senza tracce di virus. E siccome non credo ai miracoli, quindi non penso che il tuo capo sia immune all’Idra, che ne diresti di spiegarmi come mai i suoi tessuti non sono ancora andati incontro ad una necrosi precoce?-

A quel punto sarebbe stato completamente inutile continuare a mentire. Ma, d’altra parte, Kiba non poteva nemmeno permettersi di vuotare il sacco. Per cui, raggranellato quel poco coraggio che gli restava, il castano gonfiò il petto e si mise quasi sull’attenti, in posizione perfettamente eretta.

-Mi dispiace, Colonnello. Non posso rivelarle nulla di quanto accaduto, ed è in suo diritto procedere a sanzioni severe per il mio rifiuto di obbedire ai suoi ordini. Tuttavia, non intendo rivelare nulla che si discosti anche solo minimamente dal rapporto che ho presentato.-

Kakashi posò il mento sulle mani intrecciate, fissando Kiba con interesse. In un certo senso si fidava di quel ragazzo così incredibilmente gretto, ma era combattuto se insabbiare le sue menzogne oppure no.

In fondo, pensò, che male avrebbe fatto nascondere una piccola bugia?

-E sia. Non intendo farti nulla, Inuzuka, ma sappi che, se le tue azioni dovessero nuocere anche solo lontanamente al quartier generale e ai suoi occupanti, la tua testa finirà sulla mia scrivania. Su un piatto d’argento.-

-M-ma… perché?-

-Non credere che lo faccia per carità cristiana e simili. Ti terrò d’occhio, Kiba, e andrò in fondo a questa faccenda, ma per il momento non mi conviene sollevare un polverone. Perderei tutti gli indizi che mi hai regalato.-

-Signorsì, signore.-

 

***

 

-Non ne sapete nulla?-

-No. E’ un nome totalmente nuovo: Elizabeth Greene, Elizabeth Greene… nah, mai sentito. Appena Zetsu sarà tornato gli chiederò di fare qualche ricerca, sono certo che riuscirà a portarvi qualche informazione.-

Erano seduti, il Prototype e Deidara, in uno dei magazzini preposti alla conservazione dei cibi in scatola. Sostavano tra varie pile di lattine scadute, confezioni di tonno ormai avariato e persino alcuni vasetti di cetriolini sott’olio che non avevano retto il trascorrere del tempo.

-Cosa dovevi dirmi? Riguarda Sasuke, immagino.-

-Ehehehe...- rise l'artista, reclinando il capo all'indietro -... sono proprio bravo, eh? Non riesci a leggermi nella mente nonostante i tuoi poteri e il virus che ci accomuna.-

-Sei sempre stato così... non ho mai capito perchè, ma la tua mente è talmente caotica e disordinata che non riesco a capirci un tubo, quando la guardo.-

-Sì, sì. La verità è che sono troppo geniale per i tuoi standard, Zeus. Ma, tralasciando queste facezie, quello ce volevo dirti riguarda proprio Ade.-

-Me ne ero accorto. Quando l'hai visto sei diventato bianco come un cencio.-

-Immagino che sia una reazione comune, quando conosci anche l'altro... sì, insomma... Itachi Uchiha, il fratello maggiore di Sasuke. O almeno credo che siano fratelli, visto che con quella somiglianza mostruosa non possono proprio essere cugini.-

-Sasuke ha un fratello!?- il Prototype scattò in piedi, fissando Deidara con gli occhi spalancati. No, non era possibile che Ade avesse un fratello...

-Esatto. E forse ti interesserà sapere come faccio a conoscerlo.-

-Spara.-

-E' successo più o meno due settimane fa. Ero dalle parti di Downtown, e stavo provando alcune nuove forme di arte... sai, non si finisce mai di sperimentare... quando, ad un certo punto, ho visto un elefante che camminava per strada.-

-Eh!?-

-Sì, proprio un elefante. E poi, dopo quel coso, c'era una specie di sfilata di animali di tutti i tipi, dai leoni alle zebre. Mi sembra inutile dirti che erano tutti morti e putrefatti, e che addirittura alcuni sembravano scheletri semoventi.-

-Deidara... mi stai raccontando una specie di allucinazione, te ne rendi conto?-

-Sì. E' proprio questo il punto! Ad un certo punto è arrivata una nuvola di corvi, che hanno cominciato a beccarmi da tutte le parti, a mangiarmi vivo, letteralmente. Il dolore era... reale, Zeus. Mi sembra ancora di sentirli, mentre mi strappano gli occhi a furia di zampate... comunque, all'improvviso è finito tutto. Mi sono ritrovato in mezzo alla strada, senza un graffio, e stavo piangendo come un bambino. Comprenderai l'umiliazione, spero. Poi ho guardato in alto, attratto da una specie di movimento, come di un gatto che corre, e in quel momento l'ho visto.-

-Chi, il fratello di Sasuke?-

-Proprio lui. Stava sul cornicione di un cinema, e ti posso garantire che l'ho guardato in volto con molta attenzione. Ha i capelli neri, più lunghi del fratello, e i lineamenti meno marcati. A parte questo, gli occhi sono rossi.-

-Rossi? Che vuol dire?-

-Non lo so. So solo che all'improvviso mi sono reso conto che era stato lui a farmi vedere tutte quelle cose, ne sono certo. Non che avessi prove al riguardo, ma la consapevolezza è stata così improvvisa e totale da non lasciare spazio a dubbi di sorta: quell'Uchiha manipola la mente. Non so come, ma lo fa.-

-E come fai a dire che si trattava di Itachi Uchiha?-

-Perchè me l'ha detto lui. Io gli ho urlato qualcosa del tipo "ehi, chi sei tu" e lui mi ha risposto semplicemente "Itachi Uchiha". Poi se n'è andato, e da quel giorno non l'ho più visto.-

-Ricapitoliamo: un estraneo con dei poteri misteriosi ti fa prima vedere una sfilata di animali zombie, poi fa in modo che uno stormo di corvi immaginari ti torturi per un po', poi ti rivela la sua identità e se ne va senza farti nulla? Strano, no?-

-In effetti... mi sto ancora chiedendo perchè si sia comportato così.-

Zeus sospirò, pizzicandosi la base del naso con due dita. Ed ecco un altro tassello che si aggiungeva al mosaico, ma rimaneva assolutamente privo di collocazione. Sasuke non gli aveva mai detto di avere fratelli, e il biondo sospettava che non ne avesse mai avuti. O, almeno, che gli avessero fatto credere di non averne mai avuti.

Rimaneva poi il problema della Greene. Aveva dimostrato un attaccamento molto strano nei loro confronti, non aveva tentato di ucciderli o ferirli e si era dimostrata quasi... protettiva e gelosa. Non solo: aveva nominato una certa "Miko-chan", altra persona ignota, e, cosa più strana, lo aveva chiamato "mio bambino".

No, non gli piaceva per niente.

E la ragione, tra l'altro, lo riempiva di vergogna: per lungo tempo aveva pensato, erroneamente, di essere la creatura più temibile all'interno dell'isola, e questo lo aveva privato della paura. Cosa poteva temere, una creatura potente come lui? Tutto il suo coraggio era però crollato nel momento esatto in cui aveva visto la madre, nel preciso istante in cui si era reso conto di essersi trasformato, da cacciatore, in una preda.

Era vulnerabile.

-La cosa ti turba?-

-Mh?-

-Il fatto che Sasuke abbia un fratello... avevi una faccia strana. Ma forse non pensavi a quello, no?-

Il Prototype sogghignò, avvicinandosi lentamente a Deidara. Poi, come se la cosa non avesse nessuna importanza, lo baciò con dolcezza, accarezzandogli le labbra e annegando in quel sapore caldo e rassicurante che lo aveva sempre accolto, nei momenti peggiori della sua vita.

-Sasori potrebbe uccidermi, se ci vedesse.- commentò l'artista, ridacchiando lievemente, quando si staccarono.

-Non voglio fare nulla... era solo per...-

-... sentirti un po' meglio. Non deve essere rassicurante scoprire all'improvviso che il proprio livello nella catena alimentare si è drasticamente abbassato.- all'espressione stupita dell'altro, sorrise -Beh, il fatto che io non possa leggere nel pensiero non mi rende del tutto incapace di comprendere i sentimenti altrui. E poi ti conosco molto bene, Zeus.-

-Forse anche troppo.- si imbronciò il biondo, gonfiando le guance come era solito fare quando qualcosa lo disturbava.

-Già. Se ti conoscessi di meno, forse non mi dispiacerebbe il fatto che qualcuno abbia già rubato il posto che un tempo occupavo nel tuo cuore.-

Non lo disse con tono smielato, constatò semplicemente qualcosa che, a suo parere, era chiaro come il sole. Il Prototype, tuttavia, sembrava di tutt'altro avviso.

-Che... che dici? N-no, hai capito male!- divenne rosso come un peperone, iniziando a gesticolare, confusionario -E-e poi chi sarebbe i-il qualcuno!?-

-Ma il piccolo Uchiha, Zeus. Probabilmente neanche tu l'hai capito, ma lo guardi in maniera molto diversa dagli altri. Sembri quasi...- sbuffò, colto da un attacco di ilarità -... una chioccia con il suo pulcino favorito. E poi guardati, adesso non sembri nemmeno la temibile macchina di morte che tutti credono, e solo perchè ho nominato un attimo il ragazzino.-

-Aaaah! Accidenti a te, Deidara!-

-Finché sei tu ad augurarmi "accidenti", non posso che ritenermi fortunato...- soffiò il biondo, malizioso. Poi si alzò, chiedendo a Zeus di seguirlo con un cenno della mano, coperta da un guanto sottile senza dita -Immagino che vorrai vedere l'umana. Le abbiamo dato una camera.-

-Ok. Portami da lei.-

 

***

 

Sasuke, al quarto tentativo, abbandonò l'idea di contare tutte le righine del plaid sgualcito su cui era disteso. Concentrò l'attenzione sul paralume - un vecchio, polveroso paralume da discount cinese - e poi la spostò sull'armadio a due ante che, posto sulla parete opposta rispetto al letto, metteva in bella mostra almeno due o tre chiazze di muffa.

Era lì da quasi due ore, e Zeus non si era nemmeno preoccupato di chiedergli come stava. Semplicemente, lo aveva scaricato dentro la stanza, e, dopo un veloce "mi raccomando, non uscire", se n'era andato in compagnia dell'altro biondo, la salamandra ermafrodita. Un abbinamento che non gli piaceva neanche un po'.

Perchè, poi? In fondo non stava certamente a lui preoccuparsi delle compagnie di Zeus, o dei suoi -rabbrividì, scacciando alcuni flash inquietanti con una decisa mossa del capo - gusti.

Che poi, i sopracitati gusti del Prototype non gli erano ancora del tutto chiari. Prima si comportava tutto dolce e cuore-amore con la ragazzina irritante, poi si appiccicava alla salamandra.

Ma, si ripetè, mordicchiandosi le labbra, infondo a lui cosa interessava?

Quei maledetti pensieri non se ne andavano, e più lui li scacciava, più tornavano alla carica, con l'intento più che evidente di farlo impazzire. Quella doveva essere tutta una cospirazione ordita ai suoi danni, ne era certo.

-Merda...- si passò una mano sulla faccia, tirandosi a sedere. Ok, calma, doveva semplicemente distrarsi. Ma la faccenda delle righine non sembrava funzionare. E lui non poteva uscire.

Stendendosi di nuovo, l'Uchiha decretò che, con tutta probabilità, entro la fine della giornata sarebbe morto di apatia.

E le righine sul plaid, stinte e al contempo invitanti, attirarono di nuovo la sua attenzione.

 

                                                                             ***                       

 

Zeus si fece condurre in una stanzetta pulita e scarsamente illuminata, con un letto spazioso da una parte e un grosso comodino angolare. Per il resto era completamente vuota.

Tra le coperte, raggomitolata e, apparentemente, molto tranquilla, Hinata dormiva. I lunghi capelli corvini erano sparsi sul cuscino, mentre l'espressione serena, dettata da chissà quali sogni, rendeva il suo viso ancora più grazioso. Nonostante tutto, il Prototype non la trovò bella, o desiderabile.

Non avrebbe mai potuto pensare nulla di simile, o, almeno, non per una donna.

-Hinata? Hina-chan?- mormorò, scuotendola delicatamente. La ragazza emise un lungo sospiro, si guardò intorno con gli occhi gonfi di sonno e poi sussultò, mettendosi a sedere di scatto.

-Zeus? D-dove mi hai portata?-

-Questo è un posto sicuro, Hina-chan.-

-L-lei... quella donna...-

-Non c'è più. Non verrà più a farti del male, te lo prometto.-

Hinata espirò, serrando le palpebre, poi si rivolse di nuovo al Prototype:- C'è qualcosa che devi chiedermi?-

-Sì. Come ti ho già spiegato, la ragione principale per cui ti ho salvata è che devo, anzi, voglio, trovare una cura per l'Idra. Tu lavoravi già sul virus da diverso tempo, per cui...-

-Immagino di doverti aiutare, non è così?-

-Sì. Tra l'altro, Hinata, ricordi quello che mi hai detto?-

-Quel... quella storia di Ade?-

-Esatto... l'hai creato tu, non è così?-

-Sì. Ma ho utilizzato campioni di DNA che venivano dalla Gentek, e poi c'era un'equipe di scienziati con me. N-non credo di poter rifare la stessa cosa un'altra volta.-

-Questo non ha importanza. Mi interessa sapere qualcosa su Sasuke. Per esempio... sono mai venuti dei familiari a trovarlo, o hai mai avuto notizia di altri Uchiha viventi?-

-No. Da quel che ne so io, Ade è sempre stato solo. Non... non ha mai parlato nè di "famiglia", nè di "amici", e non ci ha mai chiesto nulla. Mi è sempre sembrato molto... vuoto.-

-Capisco. Beh, pazienza, vedrò di trovare ciò che mi occorre nella memoria di qualcun altro... comunque, Hinata, tu hai una conoscenza del virus nettamente superiore a quella di chiunque altro, qui in città. E' per questo che mi aiuterai a cercare una cura.-

-O-ok. Ti avverto però che mi serviranno diverse attrezzature, e non so quanto sia facile procurarle. E poi, per prima cosa ho bisogno di alcuni campioni del virus.-

-Di che tipo?-

-Mi servono dei campioni puri, cioè non metabolizzati da alcun essere vivente. Per quelli andranno bene le spore che rilasciano gli alveari. Poi dei campioni staminali, che troverai nelle cisterne infette sparse per la città.-

-Cisterne infette? Non credo di sapere cosa siano.-

-B-beh, la loro evoluzione è piuttosto recente. Il virus infetta i serbatoi dell'acqua e li sfrutta come incubatrici per creare cacciatori, ma non solo: una volta che una cisterna esplode, sparge le spore dell'Idra anche a diverse centinaia di metri di distanza.-

-Ok... e come le riconosco?-

-Tranquillo... sono semplici cisterne coperte di Idra. E' il liquido al loro interno che mi serve, devi fare in modo di romperle prima che nascano i cacciatori.-

-Va bene. Quanti campioni vuoi?-

-Molti. Prendine più che puoi, Zeus.-

-Sarò di ritorno prima di due ore.-

 

***

 

Shikamaru, per l'ennesima volta, abbandonò lo schermo del pc e tracciò un debole scarabocchio sul proprio taccuino giallo, ormai completamente ricoperto di simboli e linee di ogni tipo. Non ce la faceva a concentrarsi sul lavoro, e la consapevolezza di non avere qualcuno a cui dare la colpa (tipo Sai, che però era ben deciso a lasciarlo in pace) lo rendeva ancora più inquieto ed insofferente.

-Sai...-

-Mh?-

-Niente.-

Siccome quel tipo di risposta non si addiceva per niente al Nara, il moro si voltò e lo fissò a lungo, decidendo che forse, in via del tutto eccezionale, aiutare il proprio collega era la migliore delle vie praticabili. Tra l'altro anche Sai si sentiva inquieto, e credeva che le proprie motivazioni fossero identiche a quelle di Shikamaru: lo strano, criptico discorso di Kiba Inuzuka.

-Secondo te...- disse, quindi, voltandosi sulla sedia e poggiando il mento sullo schienale -... cosa voleva dire Kiba?-

-E' stato abbastanza chiaro, anche se probabilmente quello che ha detto, nelle sue intenzioni, doveva risultare misterioso. Molto semplicemente, Kiba ha scoperto qualcosa, qualcosa che lo ha convinto della falsità di molte delle verità che qui a Manhattan abbiamo sempre accettato come "basilari".-

-Verità... come, per esempio, la malvagità di Zeus? Andiamo, Shika, Zeus non può essere buono. Non mi sembra esattamente il tipo che distribuisce caramelle ai bambini...-

-Ma nemmeno l'esercito è molto degno di fiducia. Io, ai Blackwatch, non affiderei nemmeno una pietra scheggiata.-

-Questo è vero. Quelle unità speciali sono sempre state strane, sin da quando e le hanno inviate la prima volta. Si comportano fin troppo freddamente, per essere dei soldati, e non sembrano provare timore di fronte a Zeus o ai Cacciatori.-

-Questo si potrebbe anche spiegare con un allenamento rigoroso, che li avrebbe resi pienamente coscienti di ciò a cui andavano incontro... no, quello a cui mi riferisco è un altro particolare.-

-E cioè?-

-Questi Blackwatch sono saltati fuori parallelamente allo scoppio dell'epidemia. Sapevano già cosa fare e come comportarsi, mentre i soldati dell'esercito federale erano disorganizzati e in preda al panico. Ma non solo: sono usciti dal nulla, come una semplice propaggine delle normali unità militari, ma hanno equipaggiamenti preposti al contenimento di virus di livello 4 e altre chincaglierie elettroniche che sembrano uscite da un film di Matrix. Ufficialmente vengono finanziati dalla Gentek e da un paio di case farmaceutiche ad essa legate, ma non credo che ci sia una ditta, in tutto il mondo, capace di sobbarcarsi una spesa del genere.-

-Credi quindi che ci sia un nesso tra i Blackwatch e il Governo Americano? Quindi pensi che, in un certo senso, il presidente fosse stato informato precedentemente dello scoppio dell'epidemia, in modo da poter creare preventivamente delle unità speciali in grado di contrastarla?-

-Ne sono certo. Non si potrebbe spiegare altrimenti il tempismo e la potenza dei Blackwatch.-

-Shika... ho come la sensazione di aver messo le mani in pasta in qualcosa di più grande di noi.-

-Beh...- commentò il Nara, afferrando il mouse con aria solenne -... ormai abbiamo aperto la tomba imbiancata, per cui che ne dici di andare fino in fondo?-

-Ok. E fammi spazio vicino allo schermo.-

 

***

 

Zeus uscì di corsa, sbattendo la porta.

La vibrazione del legno perdurò nell'aria per qualche secondo ancora, prima di venire coperta da un altro rumore, un rumore ritmico, conosciuto, che alle orecchie di Hinata suonò come... qualcuno che batteva le mani?

La ragazza si girò di scatto, sondando la semioscurità della camera con gli occhi violetti.

E lì, accanto alla porta, lo vide.

-Ma brava, piccola Hyuga.- la voce morbida dell'individuo la travolse come una valanga, bloccandole il cuore nel petto. Era glaciale, elegante, ma allo stesso tempo derisoria e malvagia.

-C-chi sei?-

-Non è certo la domanda da porre a chi si presenta in camera tua acquattandosi nell'ombra, non trovi?-

Hinata squittì, afferrando un lembo della coperta. Lo sconosciuto, da parte sua, si fece avanti lentamente, a piccoli passi eleganti, e le diede tutto il tempo di rodersi il fegato prima di esporsi alla luce. E, alla vista del suo viso, la ragazza non poté che sbiancare e rimanere immobile, in attesa del compimento del proprio destino.

Quello che aveva davanti era un ragazzo alto e ben piazzato, con liscissimi capelli neri, legati in una coda, e lineamenti raffinati. Gli occhi, scarlatti come rubini, gli donavano un'aria vampiresca, quasi inquietante, che certamente veniva accentuata dalla pelle bianchissima e perfetta e dall'espressione totalmente indifferente che il nuovo venuto ostentava.

A spaventarla di più, tuttavia, fu però l'impressionante rassomiglianza con Sasuke Uchiha, che non sembrava decisamente frutto del caso.

-T-tu... sei forse...-

-Ai piani alti della Gentek ti cercano ancora. Non hai fatto una cosa molto leale, tradendoci tutti per unirti a Zeus, e questo potrebbe portare delle conseguenze... non proprio piacevoli. Per te, almeno.-

-Che cosa volete fare?-

-E la tua sorellina, tutta sola a casa... da quando tuo padre Hiashi è morto in servizio, non le resti che tu. E' piccola, no? Ai bambini così piccoli potrebbe capitare qualche incidente domestico, come la caduta da una rampa di scale, un incendio domestico... tua sorella Hanabi, poi, è particolarmente spericolata.-

Hinata ingoiò a fatica l'enorme portata della minaccia, cercando però di mantenere un minimo di sangue freddo. Lo sconosciuto non sembrava intenzionato a farle del male, sembrava anzi che volesse stringere un accordo, e la merce di scambio era Hanabi, la sua adorata sorellina.

Come poteva rifiutarsi di ascoltare?

-C-cosa vuoi da me?-

-Voglio che ti faccia quello che ti chiederò quando te lo chiederò. E, anche se fosse, difficilmente potresti rifiutarti.-

-Eh? Non c-capi...- non fece in tempo a finire la frase. Il ragazzo le si avvicinò, prendendole delicatamente il mento tra le dita, e la costrinse ad alzare lo sguardo fino ad incrociare i suoi occhi.

Hinata si sentì risucchiare.

Era come se l'intera anima sua venisse strappata a forza dal suo corpo e finisse in quei laghi perfettamente scarlatti, segnati da tre punti neri che cominciarono a sovrapporsi e sdoppiarsi, nel suo campo visivo, come allucinazioni dettate da un'ubriachezza improvvisa. A poco a poco si sentì annullare, calpestare, finchè la sua volontà non fu relegata nel più piccolo angolo della mente e il suo cervello rimase vuoto, una tabula rasa. In qualche modo, la parte di lei che ancora pensava seppe di non potersi opporre in nessun modo a colui che in quel momento la fissava dall'alto delle sue iridi rosse, e fu così profonda la vergogna per questa scoperta che la ragazza si lasciò scivolare sul letto, gli occhi ancora parzialmente aperti, spalancati sul nulla.

Itachi Uchiha, così com'era venuto, scomparve, posando uno sguardo di fredda indifferenza su quella piccola umana che avrebbe presto condotto il Prototype alla rovina.

Per lui, questo ed altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Benebene, ecco il nuovo aggiornamento, scritto tutto d'un fiato.

Una piccola parentesi: io AMO Itachi Uchiha °ç°

Comunque rieccomi, dopo la vacanza, ancora piena di ispirazione e pronta a postare! Sono super carica, anche grazie alle vostre recensioni meravigliose, a cui finalmente ho il tempo per rispondere.

Vaius: per me il verbo esagerare non esiste, carO (visto, eh xD) Vaius. Purtroppo la parte di Hinata in questa storia è veramente ingrata, ma, come dico io, i personaggi sfortunati sono anche i più divertenti da trattare xD

ryanforever: ehm... ops, errore di battitura '^^... non temere, è normale che le cose scontate vengano sottovalutate (questa fic, infatti, sta diventando un po' il teatrino delle banalità...). La situazione comunque si fa sempre più caotica... brr, non so quanto posso essere in grado di gestire un intreccio che promette guai a non finire T_T

Sarhita: ami le storie intricate? Io no. Però amo scriverle, perchè il divertimento non finisce mai u_u... grazie per i complimenti sul capitolo precedente e perdona la piccola svista di Sasori (volevo semplicemente far intendere che, pur essendo un tipo taciturno, è meno stupido di quello che sembra. Non a caso nota la fotocamera...) =)

bradipiro: volevi Itachi-san? Ed eccolo qua! Forse un po' troppo stronzo, ma io lo vedo molto meglio così che in modalità "fratellone-amoroso". Come ho fatto a prendere 10 e lode? Beh, con la tecnica pluripremiata che a questo mondo qualsiasi autrice chiama "botta di culo". Perchè, ti garantisco, io quel voto non lo merito xD

kagchan: spero che tu non sia già partita T_T... vabbè, in ogni caso, se e quando lo leggerai, mi auguro che questo capitolo ti piaccia! Anche io sono una fan delle Saso/dei (e degli AC/DC xD) e non mi asterrò dal trattare questo fantastico pairing. Buone vacanze!!!

shi_angel: vacanza bellissima, grazie mille per gli auguri! E, beh, le scene che ti immagini tu hanno sempre lo strano potere di farmi morire dal ridere xD

Little white angel: Sasuke è il re degli sfigati, per questo fa ridere. Complimenti per aver azzeccato il personaggio (a proposito, mi scordo sempre di quella maledetta fanart)! A proposito, vedo che anche a te, come a qualche altra recensitrice, Hinata non sta particolarmente simpatica, neh?

Sadako94: la madre è la signora Kushina Uzumaki xD! mi dispiace che non l'avessi capito, pensavo di essere stata comprensibile con la descrizione... ma vabbè, mi rifarò la prossima volta u_u. E poi... temo che per l'incontro tra Itachi e Sasuke dovrai aspettare un bel po'.

fra76: muhahahaha... che bello far stare i lettori sulle spine! Comunque il ruolo di Itachi non è ancora perfettamente definito, ci devo pensare ancora un po'... così come Mikoto, d'altra parte. Gli Uchiha sono delle brutte bestie, da gestire xD

_N_: evviva, una nuova recensitrice! Sono felice che tu ti sia aggiunta alle fan di "Prototype", ti do il mio benvenuto!

rekichan: la prima cosa che ho detto quando ho visto la tua recensione è stata: "OH. Mio. Dio." poi una pausa e infine :"REKICHAN!". Ti giuro, mi hai mandato in fibrillazione per un intero pomeriggio.

Perchè? Beh, ti ammiro moltissimo, sia come autrice (ho letto tutti i tuoi lavori, nessuno escluso) sia come persona. Adoro il tuo "blog delle ragazze confuse", così come le tue opinioni e il modo in cui le esprimi nelle tue opere. Ricevere i tuoi complimenti, quindi, è per me motivo di profonda gioia.

Grazie per tutto quello che mi hai detto, mi hai regalato un sacco di gioia e una grande voglia di continuare a scrivere.

 

Bene, ci vediamo al prossimo aggiornamento. Prima di andare, però, potrei chiedervi un favore personale? potreste leggere (e magari commentare) la storia "La Tata contro i Mereh" della mia amica "beads and flowers 96"? E' una fic molto dolce, comica, e uno dei personaggi (Roberta) è modellato per l'appunto sul mio carattere. Mi farebbe molto piacere se la leggeste!


See you soon,

Roby

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Capitolo 11
*** The Road of Betrayal ***


010 - The Road of Betrayal

-Deidara, saresti così gentile da chiamare Sasuke e avvertirlo di aspettarmi sul molo?-

-E perchè mai? Non potresti farlo tu?- ribatté l'artista, evidentemente assorbito da uno strano pezzo di creta biancastra che si rigirava continuamente tra le mani.

-Io devo andare nel deposito... mi serve un po' di attrezzatura. Non è un problema se uso il materiale che avete trafugato dall'ospedale, vero?-

-No, tanto a noi non serve. Ah, guarda!- esclamò, mostrandogli l'argilla -E' un nuovo tipo di esplosivo!-

-Esplosivo? A me sembra quasi plastilina...- ribatté il Prototype, allungando la mano a toccare la misteriosa sostanza. Deidara l'allontanò prontamente, stringendola con fare protettivo.

-No! Non toccare la mia arte finchè non sarà completa!-

-Con "completa" intendi "capace di distruggere tre isolati con un grammo di esplosivo"?-

-Il concetto più o meno è quello. Ma tu lo esprimi in maniera così poco artistica, Zeus...-

Il Prototype sbuffò, afferrando l'artista per un gomito e costringendolo ad alzarsi, per poi spintonarlo con forza verso la porta aperta.

-Avverti Sasuke, non ho voglia di perdere troppo tempo.-

-Sempre il solito... "fai questo, fai quello", senza nessun rispetto per le mie esigenze di creatura ispirata.-

Tuttavia, in piena contraddizione rispetto a quanto aveva appena detto, scattò verso le stanze dell'Uchiha non appena vide la strana contrazione nervosa che chiudeva l'occhio del Prototype ad intervalli regolari, presagendo una crisi di nervi che di sicuro non avrebbe giovato alla salute dell'artista. Deidara, infatti, ricordava ancora come potessero rivelarsi distruttive le crisi di rabbia di Zeus, (e, quando viveva insieme al loro gruppo, era ancora molto irrequieto), che spesso sfociavano in veri e propri accessi di furia omicida. Non sarebbe riuscito ad enumerare le infinite volte in cui, offeso da un commento forse troppo salace di Kisame, il Prototype aveva raso al suolo il rifugio in cui si trovavano, costringendoli a numerosi traslochi.

Per fortuna, il suo temperamento sanguigno sembrava essersi calmato.

Non si poteva dire lo stesso, però, del caratterino indisponente di Ade. Quando Deidara spalancò la porta della sua stanza, infatti, lo trovò completamente abbandonato sul copriletto, il viso atteggiato in una smorfia seccata che non prometteva nulla di buono.

-Buongiorno, Ade. C'è qualcosa che ti turba?- domandò, un ghigno sarcastico che gli si allargava sul volto.

-Tutto a posto.- fu la risposta, scandita in ogni sillaba con l'indifferenza mista a rabbia di chi, per qualche motivo non meglio precisato, si è inequivocabilmente offeso.

-Le tue parole mi dicono tutto il contrario...- sogghignò -... non è che per caso ti sei arrabbiato a causa di un biondo di nostra conoscenza?-

Ade sobbalzò, girandosi a fissarlo con le iridi rese liquide e turbolente dall'odio. Inesplicabilmente, però, era anche arrossito, colorandosi di un bel rosso acceso che gli chiazzava le guance in maniera quasi malsana.

-Zeus non c'entra nulla.-

Telegrafico, il ragazzo. Ma anche molto, molto poco sincero.

-Ma davvero? A vederti si direbbe tutto il contrario.-

L'Uchiha scattò a sedere, indirizzandogli un'occhiata omicida con i controfiocchi. Ci mise qualche secondo a trovare una risposta appropriata, poi disse, a labbra strette:- Se sei venuto qui per prenderti gioco di me puoi anche andartene subito. Non ho alcun interesse nell'ascoltare le tue farneticazioni.-

Se il moro avesse appeso un cartello fuori dalla porta, uno di quei giganteschi post-it fosforescenti, e ci avesse scritto a caratteri cubitali "mi sono preso una cotta per Zeus", probabilmente Deidara non sarebbe stato convinto della cosa come in quel momento. Era talmente evidente, lampante... ma come poteva biasimarlo? Era difficile non lasciarsi trascinare da quegli occhi azzurri così assurdamente cristallini che nascondevano un'anima che decisamente non rientrava nella sfera umana.

Tuttavia, se non poteva biasimarlo, poteva almeno fare in modo di renderlo consapevole dei propri sentimenti. Una missione tutt'altro che facile, ma usando un paio di vecchi trucchi sarebbe stato tutto più semplice.

-Meglio così, allora.- sussurrò, un sorriso minaccioso appositamente studiato che gli deformava il volto delicato e accendeva una scintilla di cattiveria negli occhi celesti.

Ade, non aspettandosi evidentemente una simile risposta, spalancò lievemente gli occhi ed esclamò, senza riuscire a frenarsi:- Cosa vuoi dire!?-

L'intonazione trasudava dispetto e qualcosa di molto simile alla gelosia, ma Deidara finse accuratamente di non accorgersene.

-Voglio dire...- continuò, socchiudendo le palpebre -... che forse faresti meglio a stargli alla larga.-

Sul viso di Sasuke, alla rabbia si sostituì lo sconcerto.

-Cosa!?-

-Hai capito benissimo.- Deidara dovette trattenersi dallo scoppiargli a ridere in faccia, tanto era enorme la portata della balla che stava per raccontare -Io e Zeus siamo indissolubilmente... legati. Mettiti bene in testa che il legame che c'è tra noi non verrà certamente spezzato da un ragazzino in balìa di una cotta passeggera.-

Il moro sembrava sull'orlo del collasso, ma inghiottì la rabbia improvvisa che lo aveva colto e tentò di recuperare un po' della propria dignità, pur avvertendo distintamente di avere il viso in fiamme senza una motivazione decente.

-Tu non puoi saper...- si rimangiò in tempo record la risposta decisamente inopportuna che stava per dare, proponendone una nuova e assolutamente indolore in tempo record -... a me di te e Zeus non importa nulla. Per quanto mi riguarda potete fare ciò che volete, purché non veniate a disturbarmi.-

-Affare fatto. E adesso, se non è troppo disturbo, raggiungi Zeus sul molo.-

-E perchè?-

-Non chiedermelo. Una missione, in ogni caso.-

-Bene.- sibilò, fissando il biondo in attesa di un risposta. Non sapeva perchè si stava comportando in quel modo, ed era perfettamente conscio di quanto poteva risultare infantile. Fermo restando che non riusciva a contenersi.

Deidara ridacchiò, indicando l'armadio:- Lì ci sono dei vestiti puliti. Non so se possano andarti bene, visto che non abbiamo avuto il tempo di cercarne della tua misura, ma sempre meglio mettersi qualcosa di troppo largo o troppo stretto che sembrare un clochard.-

-"Clochard"? Che significa?-

-E' francese, significa barbone.-

Stavolta Sasuke dovette trattenersi dal saltare addosso all'artista e fargli tutto ciò che albergava nei suoi incubi peggiori, mutilazioni e pestaggi inclusi, sfogando tutta la rabbia violenta e viscerale che aveva accumulato per giorni senza trovare uno sfogo. Rimase fermo sul letto, stritolando le coperte in attesa che il biondo se ne andasse.

Quando, poi, Deidara si decise a varcare la soglia, l'Uchiha provò lo strano impulso di saltargli addosso ed azzannarlo. C'era qualcosa che non andava, nell'aria di quel posto.

Lo rendeva troppo nervoso e gli causava strane reazioni.

Dopo aver sostituito la felpa con una maglietta grigia a mezze maniche, Sasuke ripercorse all'indietro i corridoi che l'avevano condotto alla sua stanza (non per niente, la sua memoria era ineccepibile) fino a ritrovare la botola. Ci mise un po' per trovare la leva che serviva a sbloccarla, poi uscì dal capannone e, ritrovandosi improvvisamente sotto i raggi del sole di mezzogiorno, si coprì gli occhi con un braccio nel tentativo di individuare Zeus.

Il Prototype era seduto sul molo, le gambe lasciate penzoloni oltre la banchina di cemento, e fissava l'acqua con espressione pensosa. Accanto teneva una grossa borsa di cuoio, piena fino all'orlo di oggetti che Sasuke non riuscì ad identificare, preso com'era dai giochi di luce che il riverbero produceva sulla pelle abbronzata del biondo.

-Alla buon'ora, Sasuke.-

-Ho avuto qualche problema con la salamandra.- ribatté il moro, piccato.

-Ti conviene stare attento, Sas'ke. Con Deidara puoi scherzare quanto vuoi, ma se riesci a farlo arrabbiare è capace di farti esplodere in mille pezzi prima di perdonarti. Secondo la sua logica contorta, poi, le esplosioni sono una forma d'arte molto raffinata.-

-Ma che novità! Ce ne sono talmente pochi, in questa città, di individui mentalmente instabili...-

-Se vogliamo parlare di instabili, io mi guarderei le spalle da Hidan e Sasori.-

-Fottuta Elizabeth Greene...- ringhiò il moro, desiderando ardentemente di poter disintegrare la donna per aver distrutto il covo di Zeus. Beh, non che l'avesse propriamente distrutto, ma il fatto che non potessero più tornarvi giustificava, secondo il parere dell'Uchiha, una morte atroce e dolorosa.

-Bando alle ciance, oggi dobbiamo raccogliere dei campioni.-

-Perchè la cosa sembra tutto, tranne che facile e sicura?-

-Naaah, vedrai che sarà una cazzata. Innanzitutto pensiamo alla parte più difficile.-

-E cioè?-

-Dovremmo trovare dei serbatoi dell'acqua che l'idra utilizza come incubatrici per produrre Cacciatori. Ci serve un liquido che si trova al loro interno, ma per ottenerlo dobbiamo fare in modo di romperle prima che ne escano i mostri.-

Sasuke sospirò, soddisfatto. Sembrava molto facile, sarebbe bastato riuscire a capire quali cisterne erano in procinto di esplodere e quali invece erano ancora ad uno stadio primitivo.

Partirono di corsa, ma ci misero più di mezz'ora a trovare quello che cercavano. Evidentemente, come aveva detto Hinata, l'evoluzione delle cisterne infette era piuttosto recente, e, conseguentemente, queste erano poco diffuse.

Il serbatoio era completamente ricoperto di virus, e riluceva al sole con la brillantezza umidiccia della pelle di un anfibio. Al centro, in trasparenza, si scorgeva un lieve chiarore, come se il metallo, arroventato, emettesse luce propria, e, quando Sasuke provò ad avvicinarsi per toccare la cisterna, quella strana luminescenza si accentuò ancora di più.

-Che strano...- fece, poggiando la mano sulla superficie umida e scivolosa -... è appena tiepida, eppure il metallo arroventato dovrebbe...-

-Sas'ke, togliti di lì.-

-Eh?- il moro si voltò verso Zeus, fissandolo con un'espressione spaesata. Poi, allarmato dallo sguardo preoccupato del biondo, saltò via giusto un secondo prima che sulla spessa cortina dell'Idra si delineasse una crepa.

-Proprio come pensavo.- mormorò il Prototype, non senza un velo di autocompiacimento.

-Non ti seguo.-

-Neh Sas'ke, è normale... te lo spiego: i serbatoi esplodono appena ti avvicini. Immagino che, appena nati, i Cacciatori abbiano bisogno sin da subito di una fonte di energia da consumare, e per far sì che abbiano cibo a disposizione appena escono dal guscio l'Idra ha sviluppato un sistema molto ingegnoso.-

-Credo di aver capito. Reagiscono al calore, per caso?-

-Esatto. Si schiudono quando avvertono la vicinanza di una fonte di calore, che potrebbe indicar...-

Un secondo prima che Zeus terminasse la parola, la cisterna esplose in mille pezzi.

Una delle schegge metalliche si conficcò per una buona ventina di centimetri nello stomaco del Prototype, che, senza fare una piega, la sfilò e la gettò a terra ostentando una smorfia schifata. Quando Sasuke si fu ripreso dalla sorpresa per aver visto la velocità con cui lo squarcio si era richiuso (poco meno di quattro, cinque secondi), rivolse lo sguardo a quella che ormai non era più una cisterna, ma una sorta di piattaforma su cui si agitava, ancora semi-avvolto da una specie di placenta, un cacciatore appena nato.

-Oh, che carino.- mormorò Ade, sarcastico fino alla nausea.

-Già. Peccato che debba morire così giovane...- ribatté Zeus, il tono fintamente lacrimoso, schizzando verso il Cacciatore con entrambe le braccia mutate in robusti arti neri che terminavano con cinque artigli luccicanti, lunghi più di un metro. Lo decapitò senza nessuno sforzo apparente, volgendosi poi verso Sasuke e mostrandogli con orgoglio le mani.

-Artigli, vedi? In assoluto, i miei preferiti dopo la lama.-               

L'Uchiha gli lanciò un'occhiata scettica, poi si voltò ed esclamò:- Bellissimi, quasi quanto la gioconda con i baffi di Duchamp. Adesso, se non ti dispiace...-

-Non apprezzi il Dadaismo, Sas'ke? Invece è una corrente artistica notevole, anche se trovo che ti si adatti di più il sur...-

-Non mi interessa l'arte. Se fosse per te, Zeus, ogni missione finirebbe per diventare un'unica, inutile divagazione su temi che non ci sono di nessuna utilità.-

-E' un modo carino per dirmi che dovremmo trovare la prossima cisterna?-

-Non lo definirei carino.-

In linea di massima, Zeus conosceva la locazione di buona parte dei serbatoi della città, perchè, utilizzando i tetti come rifugio dai Blackwatch e spostandosi proprio su di essi, utilizzava le cisterne come punti di riferimento. Per quanto potesse possedere una buona memoria, infatti, il cervello del Prototype era pur sempre umano, e New York era una città decisamente troppo grande per poterne ricordare ogni singolo angolo.

-Siamo arrivati?-

-Quasi...- mormorò Zeus, prima di girare a destra e cominciare ad arrampicarsi agilmente sulle finestre di un piccolo condominio. Sasuke fece per raggiungere direttamente il tetto con un salto, ma fu bloccato da un cenno del biondo.

-Se ti avvicini troppo finirai per farla esplodere, e non ho voglia di cercarne altre. Anzi, ora che ci penso faremmo meglio a salire prima là.- esclamò, indicando un caseggiato attiguo a quello che stavano scalando.

-Ok, passiamo di lì.-

Quando arrivarono sul tetto, Zeus comprese che la questione si sarebbe rivelata più complessa del previsto. Le cisterne, infatti, erano due, non una, e da quanto vedeva entrambe infette. Se anche avesse fatto in tempo a distruggerne una con un colpo ben assestato, l'altra sarebbe sicuramente esplosa vanificando il suo lavoro, perchè avrebbe dovuto sconfiggere il cacciatore e il liquido che gli serviva, in quel breve intervallo, si sarebbe certamente rovinato.

Gli venne il cosiddetto colpo di genio quando, guardando attentamente Sasuke e considerandone la forza, capì che il moro non sarebbe mai riuscito a rompere in tempo un involucro d'acciaio di quel tipo. Ed ecco perchè lui gli avrebbe dato una mano...

-Sas'ke...- mormorò, la voce grave, avvicinandosi ad Ade e afferrandolo per gli avambracci -... tu ti fidi di me?-

Non poteva resistere agli occhioni spalancati stile fanale catarifrangente.

-Sinceramente no.-

Ok, la tattica del kawaii con l'Uchiha non funzionava. Prendere nota.

-E se ti chiedessi di fidarti?- sibilò, stavolta malizioso. Si avvicinò al moro fino a portarsi ad un soffio dalle sue labbra, così vicino da poterne quasi avvertire la morbidezza. Il moro arrossì vistosamente, allontanando la testa di scatto e scuotendola nel tentativo di recuperare l'autocontrollo.

-N-n...-

-Lo prendo per un sì.-

Il biondo flesse le braccia e ruotò il busto con tutta la forza che aveva, lasciando contemporaneamente la presa. Una frazione di secondo dopo era già scattato verso la cisterna di sinistra, facendola a pezzi con un pugno bestiale, mentre Sasuke si schiantava come una cannonata contro quella di destra.

L'Uchiha ci mise qualche secondo a recuperare il controllo delle sinapsi, e quando riuscì a guardarsi intorno (e, conseguentemente, a comprendere che Zeus lo aveva utilizzato come un proiettile formato gigante) montò su tutte le furie. Si tirò in piedi, ignorando i vestiti zuppi di un liquido misteriosamente appiccicoso e tutti strappati per la collisione con la lamiera, e, voltate le spalle al biondo, cominciò a correre il più velocemente possibile. Lo scopo? Mettere una distanza di minimo dieci chilometri fra la propria persona e quella creatura che sembrava avere tutte le intenzioni di ucciderlo.

Zeus, da parte sua, gli sarebbe corso dietro anche subito, ma era troppo impegnato a riempire le provette di plastica che si era portato dietro con il liquido rosa che, lentamente, gocciolava dai pezzi di alluminio rinforzato sparsi un po' su tutto il tetto. Liquido che, per inciso, era lo stesso di cui Sasuke era intriso dalla testa ai piedi.

Una volta finito di prelevare i campioni, il biondo si concesse uno sbuffo e cinque minuti di pausa, prima di darsi all'inseguimento del fuggiasco.

-Ade! Cazzo, si può sapere che ti prende?- urlò, dopo averlo ritrovato.

-Mi hai lanciato contro una cisterna senza chiedermi il permesso, ecco cosa mi prende!-

-Sas'ke, Sas'ke...- lo affiancò, più agile e scattante nonostante si trascinasse dietro la borsa piena -... se anche ti avessi avvertito prima, tu me lo avresti permesso?-

-Neanche per sogno.-

Il biondo sorrise, sornione, godendosi la voce decisamente scorbutica del compagno.

Chissà se si sarebbe arrabbiato, pensò, se avesse saputo che, qualche minuto prima, aveva provato l'impulso irresistibile di baciarlo?

Nel dubbio, meglio non dirgli nulla.

 

***

 

-Odio gli ospedali...- bofonchiò Tenten, costretta a rimanere immobile nel suo letto per evitare che la ferita all'addome si riaprisse. Per fortuna si trattava di un taglio abbastanza superficiale, che non aveva leso organi importanti, ma faceva comunque un male cane, nonostante gli antidolorifici.

-Tranquillo, capo!- esclamò Rock Lee, auto-elevatosi al rango di crocerossina -... guarirai prestissimo!-

La castana sospirò, mentre il ragazzo, con rinnovato entusiasmo, prendeva a sbucciarle una mela. Tenten trovava umilianti tutte quelle attenzioni, ma non poteva certamente comportarsi in maniera sgarbata con il solo sottoposto responsabile che aveva. Kiba, naturalmente, era tutta un'altra questione...

-Ehi, capo, forse è meglio se ti sbrighi a guarire. Un altro po' di tempo sul letto, e il culo ti si riempirà di cellulite!-

-La cellulite...- sibilò la castana, evidentemente offesa (mai dire una cosa del genere ad una donna) -... verrà sicuramente a te se non la smetterai di ingozzarti con quella robaccia.-

Kiba, infatti, con molto poco riguardo nei confronti dell'ammalata, stava dando fondo ad un gigantesco pacco di marshmallow alla fragola, infilando mugugni di puro godimento tra un dolcetto e l'altro.

-Capo... non per essere scortese, ma in poco meno di sei ore ho visto pile di cadaveri, palazzi da incubo pieni di gente fatta a pezzi e sangue secco e, ciliegina sulla torta, una specie di insetto umanoide con delle discutibili preferenze alimentari. E' già un miracolo che riesca ancora a mangiarli, i mashmallow.- l'assenza di volgarità indicava che, molto probabilmente, Kiba era assolutamente serio. Tenten batté in ritirata.

-Suppongo che tu abbia ragione. Rock Lee, quanto ti ci vuole per sbucciare una mela?-

-Arriva, capo!-

Il ragazzo cominciò ad imboccarla, premuroso, sbatacchiando le palpebre degli occhi da pesce lesso come una ragazzina alla prima cotta. La castana, naturalmente, sapeva che quello era solo uno dei tanti comportamenti strambi del sottoposto, e che avrebbe fatto la stessa cosa anche se si fosse preso cura di Kiba, ma non riusciva a non trovarlo inquietante.

In quella, a salvarla dall'imbarazzante situazione, la porta della stanza si spalancò con un colpo secco e sbatté contro la parete, mentre sulla soglia faceva la sua comparsa il Generale di Brigata Sabaku no Temari.

-TU!?- sbraitò Tenten, cercando di tirarsi a sedere e ricadendo malamente sul materasso. Temari era sempre stata la persona che odiava di più in tutta la base, con quel suo comportamento eternamente strafottente e maleducato, ma soprattutto, ai suoi occhi, si era macchiata della colpa di aver raggiunto il grado di Generale prima di lei, che pure aveva la sua stessa età.

-Dolce come sempre, Ibarashi.- la bionda sorrise, derisoria, e si aggiustò con un gesto vago uno dei quattro codini in cui erano acconciati, come al solito, i suoi lucenti capelli dorati. Era bella, la Sabaku, di una bellezza aggressiva con cui solo la delicatezza e la grazia di Ino Yamanaka, la Team Leader del laboratorio di ricerca, potevano competere.

-Come mai sei qui? Non mi risulta che il farmi visite di cortesia sia tra le tue attività preferite.-

-No, infatti. Ero venuta solo per avvisarti che, da oggi, il tuo compito passa a me e alla mia squadra.-

Tenten rimase pietrificata. Non tanto perchè avevano dato la missione a qualcun altro (era abbastanza ovvio, visto che la ferita l'avrebbe tenuta a letto ancora per molto tempo) ma piuttosto perchè il Team Kaze, composto dai tre fratelli Sabaku, veniva scomodato solamente quando non si sapeva più che pesci prendere. E Zeus, che lei sapesse, non aveva mai richiesto una simile urgenza.

Temari sorrise, accennando un inchino, poi si girò e si diresse verso la porta. La divisa, che ne accarezzava dolcemente le forme e le metteva in risalto, provocò una fitta di invidia non indifferente alla castana, che pure sapeva di essere non proprio brutta, sul piano fisico.

-Tzè!- esclamò Kiba, appena la bionda si fu allontanata -Il team degli psicotici di 'sto cazzo! Quei tre sono capaci di demolire ogni edificio di New York, pur di trovare quello che cercano...-

-E' proprio questo che mi preoccupa...- intervenne Tenten -... perchè all'improvviso hanno tutta questa urgenza di stanare Zeus?

 

***

 

-Ho trovato qualcosa.-

-Cosa?- Sai si avvicinò al pc, incuriosito dall'espressione concentrata del Nara.

-Beh... non è poi molto, a dire il vero. In tutti i documenti che sono riuscito a sbloccare si fa riferimento ad un luogo, o almeno credo che sia un luogo, e ad una data.-

-E sarebbe?-

-Hope, Idaho. La data è il 1990.-

-Non spiega cosa significa?-

-No. Hanno distrutto tutti i dati inerenti... sono riuscito a ricostruirne il percorso informatico, ma da qui a determinarne il contenuto...-

-Impossibile, vero?-

-Già. Ho la netta sensazione che per capirci qualcosa in questa storia dovremmo interpellare qualcuno che è direttamente coinvolto.-

-Come Zeus?-

-Esatto.-

 

***

 

"Non doveva finire così."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Miei cari lettori, scusatemi per il ritardo ma credetemi se vi dico che questo capitolo è stato un parto. Può sembrare di transizione, ma vi assicuro che non lo è affatto, anzi... probabilmente è uno degli snodi più importanti di tutta la trama. Sto preparando il terreno per future catastrofi, quindi cercate di perdonare la lentezza degli aggiornamenti pensando che questa è una fase molto delicata e che, bene o male, devo riuscire a far quadrare per bene tutti i dettagli in modo da presentarvi gli eventi nella maniera giusta.

E poi, sinceramente, io odio le fic troppo veloci, approssimative o del tutto campate in aria.

E ora, finalmente, le risposte alle rece >.

Vaius: succederà un bel macello, te lo garantisco xD... e comunque la parte peggiore in questa fic spetterà a Naruto, non a Hinata. Ma forse è meglio che non ti faccio troppi spoiler, potrei rovinare questa sottospecie di suspense che ho faticosamente costruito in undici capitoli di "sudate carte". Che dire, spero che anche questo aggiornamento ti abbia incuriosito.

ryanforever: dunque... vediamo di rispondere alle tue supposizioni. Kakashi avrà un ruolo non proprio fondamentale, ma comunque abbastanza importante, mentre Itachi sarà un personaggio assolutamente basilare. Tuttavia, se fossi in voi, non sottovaluterei nemmeno Sai e Shikamaru, che avranno una parte molto più importante di quanto possa sembrare. Grazie 1000 per l'incoraggiamento =)...

_N_: l'entusiasmo dei lettori rende entusiasta anche me! Grazie per i complimenti, spero che ti sia piaciuto anche questo cap in cui ho (finalmente) lasciato un po' più di spazio anche a Sas'ke...

rekichan: xD ahahahaha! non ci posso credere, se devo essere sincera mi sento molto felice! La mia autrice preferita che mi fa i complimenti, sìììì! Bando alle ciance, Itachi combinerà molti più disastri di quanti si possa pensare. Diciamo che, pur agendo nell'ombra, avrà un ruolo molto "attivo". Spero che anche questo cap ti sia piaciuto, reki-senpai!

kagchan: rispondo alla rece anche se sei in vacanza, ecco. Mi dispiace molto non poter ricevere i tuoi commenti, ma vedrò di pazientare fino a settembre. Itachi Uchiha fa parte della mia triade di personaggi preferiti (Suigetsu, Deidara, Itachi) e credo che, a livello psicologico, sia il chara migliore che Kishimoto si sia mai inventato, Sasuke permettendo. Forse è anche per questo che risulta maledettamente difficile, da trattare... Tra Zeus e Deidara c'è stato qualcosa, sì, è lo spiegherò più diffusamente in futuro (non so te, ma il DeiNaru è un pairing che, pur essendo praticamente crack, mi ha sempre attirato moltissimo). Kakashi... beh, quell'uomo è un vero e proprio mistero xD!

bradipiro: xD la tua teoria sulla scuola è pienamente corretta! Tuttavia, i miei genitori sono così dolci e comprensivi che mi hanno minacciato di togliermi il pc se non uscivo dalle medie con un voto uguale o superiore al 10. Vecchi dispotici... ehm ehm, cambiando discorso: Itachi-san è semplicemente strafigo, logico che faccia un'entrata spettacolare. Anzi, probabilmente l'entrata sarebbe stata spettacolare anche se l'avessi fatto emergere da un water, visto il personaggio di cui stiamo parlando x'D...

fra76: povera Hinata... non riesco a contenere il mio sadismo, mi dispiace. Comunque non ti preoccupare, lei è solamente la prima a cui capitano disgrazie, perchè non ho nessuna intenzione di esimere il resto dei personaggi di questa fic dal mio estro creativo in fatto di morte e distruzione.

Sadako94: SasuNaru o NaruSasu? Boh. Le NaruSasu mi risultano abbastanza repellenti, ma in un certo senso potrebbe essere un buon esperimento provare a scriverne una. Le SasuNaru, invece, sono un vero e proprio credo per la sottoscritta xD... sulla smielatezza ti ringrazio, mi fa molto piacere che questa fic si distacchi dalle classice ficcyne love-love con un contenuto di zucchero he rasenta il coma diabetico. *Sospiro di sollievo*. Riguardo alla storia, Naruto è un tonto terribile. Per quanto riguarda la presa di coscienza dei propri sentimenti è anche peggio di Sasuke, il che è tutto dire...

 

Bene, ci vediamo al prossimo aggiornamento!

See you soon,

Roby

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Capitolo 12
*** Darkness ***


011 - Darkness

-Avevi mai visto le spore di un alveare, Sasuke?-

-Non... non ci avevo mai fatto caso...-

-"Il fiore perfetto è una cosa rara. Se si trascorresse la vita a cercarne uno, non sarebbe una vita sprecata". Guardali. Non trovi che somiglino a dei soffioni?-

-Non so cos'è un soffione.- rispose il moro, allungando la mano per sfiorare uno di quei rilucenti globi di lanugine dorata che svolazzavano nei pressi dell'alveare. Esteticamente erano fantastici, leggeri e delicati come dovevano essere le piume degli angeli, ed emanavano un tepore avvertibile anche a qualche palmo di distanza.

-Tuttavia...- riprese Sasuke -... per quanto bello, dubito che un semplice fiore possa anche solo assomigliare a queste spore.-

-Sono effettivamente più belle di qualsiasi pianta terrestre. Inoltre, hanno il vantaggio di funzionare molto bene come medicinali: se ne assorbi una certa quantità quando stai male, torni in forma nel giro di pochi secondi.- spiegò Zeus, afferrandoli a mucchi per riempire un voluminoso sacchetto di plastica trasparente.

-Mi chiedo... è saggio portarle all'interno del rifugio? Se una di quelle spore riuscisse a sfuggire al nostro controllo, non trasformerebbe tutto in un gigantesco alveare?-

-No, sono molto facili da trattare, e poi al porto Deidara e gli altri hanno allestito un laboratorio sotterraneo, dacché è scoppiata l'infezione, che potrebbe fare invidia a qualsiasi struttura della Gentek.-

-E come hanno fatto? Insomma, non credo sia facile creare un laboratorio così, su due piedi.-

-"Due piedi"? Non sottovalutare il loro quoziente intellettivo, sono più pratici e scaltri di quanto non sembrino. E ora torniamo da Hinata, così potrà cominciare a studiare i campioni che le abbiamo portato...-

-... e io potrò farmi una doccia. Sai, a causa di qualcuno sono completamente ricoperto di gelatina...-

Raggiunsero il porto in mezz'ora, e ad accoglierli trovarono Sasori, che, completamente immobile contro il muro del magazzino, svolgeva celermente il ruolo di vedetta. Non spiccicò nemmeno una parola, e si limitò ad aprir loro la porta per poi richiuderla silenziosamente.

-Loquace, eh?-

-Parla solo quando qualcosa gli interessa sul serio. Come quando siamo arrivati, e ci ha fatto quelle domande... sentirlo parlare così tanto è un evento eccezionalmente raro. Sarebbe potuta andare peggio, visto il suo potere, però...-

-Che potere ha?-

-Non vorresti saperlo, fidati.-

-Credo di poter determinare da solo ciò che offende la mia psiche, dobe.-

-Chiedilo a lui, sempre che sia intenzionato a risponderti. Non voglio uccidere nessuno, io.-

-Non ti seguo.-

-Oh, beh... Sasori è imprevedibile. Se si incazzasse sarei costretto ad ucciderlo, e mi dispiacerebbe davvero, perchè tutto sommato è una di quelle persone di cui difficilmente riesci a dimenticarti.-

Il moro sbuffò, accorgendosi che, tra una chiacchiera e l'altra, erano arrivati fino alla stanza di Hinata.

-Ok, io non entro.-

-E dai, Sas'ke! Potresti anche dimostrarti carino ogni tanto, sai?-

-Con quella? Scordatelo!-

-Va bene.- sbottò il biondo, poggiando la borsa a terra e fronteggiando l'Uchiha con aria decisa -Allora spiegami perchè ti sta sul cazzo. Avrai una motivazione decente, no?-

Sasuke lo guardò, cercando una risposta. Era proprio lì, nel cassetto più vicino e accessibile del suo inconscio, ma non aveva nessuna intenzione di accettarla. Zeus, di fronte a lui, sembrava più risoluto che mai nelle sue intenzioni.

-Perchè... non mi piace il suo carattere.-

-Ah, davvero? E, tanto per sapere, cosa c'è che t'infastidisce così tanto?-

-E' infantile. Si comporta come una bambina e non ha fatto che rallentarci...- "...e farti rischiare la vita".

-Non credo che le sue siano state azioni volute, Sas'ke. E' solo una ragazza, fragile tra l'altro, che è capitata in un mondo più grande di lei. E poi...-

-Anche io...- il moro lo interruppe, la voce trasformatasi in un sibilo basso, appena udibile, eppure denso d'ira e risentimento -... anche io sono finito in una situazione più grande di me. Eppure non mi sembra che qualcuno si sia scomodato per preoccuparsene.-

Conclusa la breve invettiva, incisiva quanto improvvisa, Sasuke spalancò la porta e troncò così ogni possibile recriminazione del biondo. Che, da parte sua, lo fissava come se avesse visto un fantasma.

Poi si riscosse, riacquistando la solita aria solare e scanzonata, e si avvicinò al letto, dove un'Hinata decisamente più silenziosa del solito fissava la parete di fronte, l'aria apatica e spiritata.

-Ehm... Hina-chan? Tutto a posto.-

-S-sì, non è nulla. Sto bene.-

-Beh, noi ti abbiamo portato i... campioni. Hina-chan, sicura di stare bene?-

-N-non è nulla, non ti preoccupare. S-solo un po' di mal di testa. Posso... posso cominciare a lavorare sin da s-subito, giu-giusto?-

-Certo. Ti ci faccio accompagnare da Kakuzu, tu nel frattempo aspetta qui. Vedrai che ti troverai  tuo agio, e ricordati che nessuno qui pretende la Luna. Stiamo solo facendo un tentativo, quindi... beh, anche se dovessi fallire non ci sarebbe nessun problema, sul serio.-

-L-lo so. Fa-farò del mio meglio.-

-Beh, in questo caso io vado. Ciao!- esclamò, prima di voltarsi e uscire, sbattendo la porta. C'erano ancora un paio di cose che doveva fare, prima tra tutti una bella strigliata al teme, ma si avvide fin da subito che Ade era sparito.

"Sarà andato a farsi una doccia..." pensò, non senza una punta di rabbia. Sasuke godeva dell'irritazione che provocava ed era fermamente convinto che tutto gli fosse dovuto, e questo comportamento avrebbe finito per condurlo alla tomba.

-Prima o poi qualcuno lo ammazzerà, sempre che non sia io a farlo.-

 

***

 

Kakuzu aveva sempre odiato le perdite di tempo. E, ancora di più, odiava coloro che le causavano.

Perchè, razionalmente, se è vero che "il tempo è denaro", le "perdite di tempo" sono anche "perdite di denaro", giusto? E, per lui, il denaro era il valore principale dell'esistenza, la cosa più preziosa a cui un uomo potesse aspirare. Dei soldi amava tutto: la consistenza, l'odore, il peso, l'eleganza e la freddezza che ti spingevano a volerne sempre di più, ad accumularli senza avere necessariamente voglia di spenderli.

Per cui, grande era stato il suo disappunto quando Zeus lo aveva avvisato che avrebbe dovuto interrompere la sua consueta contabilità mattutina per accompagnare l'ospite nel laboratorio, dove avrebbe cominciato a cercare una cura per l'Idra.

Ecco, poteva tranquillamente classificare tutta la faccenda come "spreco di tempo".

Enorme spreco di tempo.

Lo stesso Zetsu, che pure conosceva la composizione dell'Idra a menadito (causa alcuni esperimenti genetici che aveva condotto su sè stesso) aveva ammesso che non esisteva al mondo una cura in grado di sconfiggerlo. Gli effetti erano troppo repentini, e, se pure si fosse riusciti ad eliminare il virus, l'ospite sarebbe certamente morto. Quindi, a che pro tentare esperimenti inutili e controproducenti, che avrebbero ulteriormente assottigliato le sue finanze?

Bussò con fare distratto, esplorando i meandri della propria mente alla ricerca di un metodo per evitare che la ragazzina raggiungesse il laboratorio viva, ma fu costretto ad arrendersi di fronte alla verità: se avesse torto un capello ad Hinata, Zeus lo avrebbe smembrato e poi cucinato in puro stile "spezzatino di manzo".

-Arrivo.- fece una voce piatta ed impersonale, dall'interno, prima che la porta si spalancasse con un fruscio. Kakuzu aggrottò le sopracciglia, considerando la figura che aveva di fronte con una breve occhiata e trovandola decisamente strana. Non aveva quella faccia inespressiva quando era arrivata, poteva giurarci, ma, a rigor di logica, era normale che un semplice essere umano rimanesse traumatizzato dagli eventi che quella ragazzina aveva subito. Alzò le spalle, afferrando la sacca dei campioni (abbandonata fuori dalla porta, un atto che chiunque avrebbe definito irresponsabile, specie se Deidara era a piede libero nell'edificio) e si incamminò. Non ci fu bisogno di cenni perchè la ragazza lo seguisse, evidentemente sapeva già tutto.

La porta del laboratorio era diversa da tutte le altre del corridoio che la ospitava: liscia, lucida, sembrava quasi lo sportello di una cella frigorifera. Non aveva maniglia, e per aprirla Kakuzu azionò un meccanismo nascosto nella parete. Scorrendo lateralmente senza emettere il minimo suono, la lastra metallica si aprì quel tanto che bastava per lasciarli passare, richiudendosi poi dopo il loro passaggio. L'uomo ricordò con un vago senso di orgoglio tutta la fatica che ci era voluta per realizzare quella chicca elettronica, progettata e costruita quasi interamente da lui e Sasori in mesi di sforzi congiunti.

-Tu starai qui. Non credo di doverti spiegare nulla, visto che hai lavorato in un laboratorio.-

E, se anche ci fosse stato bisogno di ulteriori chiarimenti, dubitava che avrebbe avuto la pazienza di fornirli.

-V-va bene. T-tuttavia... prima vorrei mangiare qualcosa.-

Ecco, altro tempo sprecato. Ci avrebbero messo ore prima di trovare del cibo commestibile a Manhattan, a meno che...

-Il pesce ti va bene?-

-C-certamente.-

-Perfetto. Non puoi mangiare nel laboratorio, rischieresti di contaminarlo, quindi torna pure in camera tua e aspetta che qualcuno ti porti il pranzo. Dopo aver mangiato torna qui e comincia a lavorare. Naturalmente ricordi il percorso che abbiamo seguito per arrivare fino a qui.- erano solamente affermazioni, nessuna domanda. Kakuzu non desiderava ulteriori fastidi.

-Sì.-

-Il materiale sterile è nel quarto cassetto dello schedario, non ti è permesso aprire gli altri. Una volta che hai utilizzato qualcosa chiudilo nelle bustine di plastica che troverai e gettalo nel cestino, penseremo noi a disfarcene.-

-O-ok.- Hinata si sentiva stanca, svuotata. Avvertiva la presenza di Itachi, se lo sentiva sempre addosso, come una patina invisibile che le ostacolava i movimenti e le impediva di pensare come avrebbe voluto. Era come avere il cervello completamente appannato, vacuo. Galleggiava in un mare di nebbia.

Kakuzu le voltò le spalle, sparendo dietro l'angolo più vicino, lasciandole il tempo per tirare un sospiro di sollievo e raggiungere, barcollando lievemente, la propria stanza.

Qualche minuto dopo, o forse erano trascorse ore, la sua porta venne spalancata di colpo, senza che nessuno si fosse degnato di bussare. Sulla soglia, i capelli turchini che sfioravano l'architrave, stava Kisame, il viso bluastro contratto in un ghigno che metteva bene in mostra gli inquietanti denti da squalo.

-Ehilà, mocciosa! Avevi ordinato il pranzo?-

-I-io...-

-Ecco, ecco... che impazienza...- borbottò il gigante, facendosi strada nella stanzetta con la stessa grazia di un elefante imbizzarrito. Il piatto che le schiaffò sulle gambe (era seduta sul letto, la schiena schiacciata contro il muro) era ricolmo di grossi pesci arrostiti simili a trote, infilzati dalla coda al muso con dei grossi spiedini di legno. Emanavano un odore ottimo, e Hinata, che cominciava ad avere veramente fame, li trovò deliziosi, benché fossero privi di condimento.

-Beh, visto che hai finito ti converrebbe andare al laboratorio. Kakuzu diventa piuttosto scassapalle, quando qualcuno contravviene alle sue disposizioni.-

-Hm... ok.-

Di nuovo lo stesso percorso, di nuovo la porta di ferro. La ragazza ci mise un po' per trovare il meccanismo, ma alla fine riuscì ad entrare senza particolari difficoltà.

L'interno era bicromatico, con il solito accostamento bianco-grigio acciaio a cui anni di lavoro l'avevano abituata. Al centro della stanza c'erano due tavolate identiche, di ferro, su cui stavano diversi oggetti che Hinata identificò come microscopi elettronici ad alta tecnologia, macchinari per il raffreddamento e la stabilizzazione dei campioni sanguigni ed una serie di altri marchingegni per la coltura dei germi e il loro monitoraggio. Sulla parete opposta rispetto all'entrata stava uno schedario, e, aprendo il quarto cassetto a partire dall'alto, Hinata vi trovò diverse bustine di plastica a chiusura ermetica, dei guanti sterili, un camice ed una mascherina accuratamente ripiegati. In un angolo, impolverata, c'era anche una bottiglietta di disinfettante, del tipo che non andava risciacquato.

"Usare queste attrezzature per un virus come l'Idra... è veramente un azzardo senza precedenti."

Sapevo che il rischio di venire infettata, in quella situazione, era veramente altissimo, ma non poteva rifiutarsi in nessun modo. Pensò con nostalgia a cosa sarebbe successo se, quella dannata mattina che aveva deciso per sempre il corso della sua vita, avesse affibbiato l'incarico di raccolta a qualcun altro, rimanendo alla base. Scosse la testa, scacciando quei pensieri: inutile piangere sul latte versato.

Non le restava che quell'unica risoluzione, quell'unico scopo. Avrebbe cercato una cura, lo doveva a colui che l'aveva salvata, e, benché sapesse che Itachi avrebbe potuto farle qualsiasi cosa, era altrettanto certa che non si sarebbe mai arresa.

 

***

 

Elizabeth Greene si rigirò nel proprio nascondiglio, inquieta.

Uno dei figli si stava comportando male, molto male, e lei lo sentiva perfettamente. Poteva intuire i suoi pensieri con la stessa identità con cui sentiva il respiro di quel posto, e ciò che leggeva la atterriva: il suo bambino prediletto, il piccolo Zeus, era in grave pericolo. Oh, chiunque gli avesse torto un capello sarebbe incorso nella sua ira, questo era certo, ma dubitava che uccidere il responsabile potesse servire a qualcosa, se il Prototype fosse morto. Non aveva il potere di riportare in vita coloro che smettevano di respirare.

-Cattivo, Itachi-kun...- mormorò, giocherellando con una spora dorata -... se la mamma ti vedesse, rimarrebbe molto delusa da te, sai? Non costringermi ad ucciderti, Itachi-kun.-

 

***

 

Hinata si irrigidì, udendo di nuovo quel suono. Mani che battevano, con delicatezza, e una voce che sapeva di veleno.

-Lavori celermente.-

-Sì.-

-Hai trovato qualcosa?-

-N-no... forse. S-stavo p-pensando... beh, fo-forse abbiamo sba-sbagliato tutto, nella ricerca di una terapia. Cre-credo di aver ca-capito come...-

-No. Non hai capito nulla, e lo sai perfettamente. Adesso, credo sia arrivato il momento di fare scacco matto.-

-S-scacco m-matto?-

-Sì.- Itachi Uchiha sorrise, frugando nelle tasche dei pantaloni neri che indossava. Ne trasse una provetta accuratamente sigillata, che conteneva un liquido rosato denso e trasparente.

-C-cos'è quello?-

-Non ti serve saperlo. Quello che farai è molto semplice: dirai al Prototype di voler sperimentare questo preparato come test per verificare le reazioni dell'Idra e glielo inietterai. Naturalmente, dovrai convincerlo della sua innocuità.-

-C-cosa g-gli su-succederà?-

-Non ti serve saperlo.- ripetè l'Uchiha, sibillino, sorridendo in una maniera che Hinata trovò a dir poco disgustosa. Poi le si avvicinò, posando la provetta sul tavolo, e svanì in una nuvola di fumo nerastro, che levitò per qualche minuto sul pavimento e poi vi si infiltrò, sparendo alla vista.

La mora deglutì, terrorizzata. Sapeva che avrebbe fatto tutto quello che Itachi le aveva chiesto, ma una parte di lei continuava a lottare furiosamente per riottenere il controllo delle proprie azioni. Si odiò quando, completamente sconfitta, afferrò il cilindretto di vetro ed una siringa ipodermica, aprendo la porta con una lentezza estenuante.

Cominciò a vagare per i corridoi, chiamando a tratti il nome di Zeus, finchè non se lo vide comparire davanti, i vestiti stropicciati e il disordine dei capelli che denotavano un risveglio improvviso.

-Hina-chan? Ti serve qualcosa?-

La ragazza sperò che notasse il suo disgusto verso ciò che stava per fare, ma non poteva fare a meno di sembrare dannatamente convincente, quando pose la domanda:- Ho sintetizzato un preparato per studiare le reazioni del virus a livello molecolare. Mi concederesti di iniettartelo?-

Non aveva nemmeno balbettato.

-Ma... se prendessi un campione del mio sangue?-

-Non sarebbe la stessa cosa. Il tuo organismo permeato di virus potrebbe far sì che il sangue reagisca in modo diverso.-

-Ah... capisco. Hina-chan, sicura che non ci sia alcun rischio?-

-C-certamente. E' un trattamento sperimentale, ma completamente innocuo.-

-Uhm... beh... ah, fanculo i film mentali, mi fido!- esclamò Zeus, con uno dei suoi migliori sorrisi, porgendole il braccio.

-Vuoi fare l'iniezione qui?-

-Certo. Che problema c'è?-

-N-nulla.- rispose la mora. Afferrò la siringa, bucando con delicatezza il tappo di gomma morbida della provetta, e tirò indietro lo stantuffo, riempiendola con il liquido rosato. La mano le tremò leggermente per lo sforzo nervoso a cui si stava sottoponendo, tentando in tutti i modi di ostacolare quelle azioni dettate dalla coscienza di qualcun altro.

Alla fine, però, fu costretta a capitolare.

Prese il braccio sinistro del Prototype, dove le vene erano ben visibili grazie alla profonda definizione dei muscoli che le sottolineavano.

L'ago bucò la pelle, lo stantuffo scese dolcemente.

La morte entrò in circolo.

 

***

 

-Avrei fatto meglio ad ucciderla.- commentò la Madre, irata, spezzando la spora fra le dita con un gesto secco. Sapeva esattamente cosa stava succedendo, in quel preciso istante, e non poteva fare nulla per impedirlo. Però poteva fare in modo che il suo piccolo si salvasse, poteva chiedere aiuto.

E poi, una volta recuperate le energie necessarie, avrebbe distrutto sia il bambino cattivo, che non doveva permettersi di nuocere al suo unico, vero figlio, sia quell'inutile ragazzina che si faceva soggiogare da uno stupido bamboccio.

"Nessuno tocca le cose di Elizabeth, nessuno fa del male alle cose di Elizabeth. Me l'avevi promesso. Ma sei sempre stato un bugiardo."

 

***

 

-Ora dovresti riposarti per qualche ora, in attesa che il composto faccia effetto.-

-Ok, grazie! Hina-chan, non so davvero come farti capire quanto sono contento che tu sia qui, a lavorare con noi. Davvero, sei...-

-N-no!- esclamò la ragazza, prendendosi la testa tra le mani con una terribile voglia di piangere. La benevolenza di Zeus era la punizione peggiore che potesse capitarle, dopo quello che aveva fatto.

-Hina-chan...?-

-T-tutto a posto. S-solo un po' di m-mal di testa. Cre-credo che andrò a dormire a-anche io.-

-Beh, devi sentirti sicuramente stanca! Certo che ci hai messo poco a preparare il trattamento, appena tre ore!-

-A-avevo d-dell'ottimo ma-materiale di base. E-e poi h-ho già f-fatto d-decine di esperimenti simili.-

-Ok. Io vado, ti lasciò un po' di riposo. Ciao, Hina-chan.-

-Ciao, Zeus.-

"Addio, Zeus".

 

 

"La speranza non dovrebbe portare alla disperazione."

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Capitolo a dir poco impossibile, lo confesso. E' brutto nonostante l'impegno che ci ho messo per scriverlo, e vi ho fatto pure aspettare. Sono inqualificabile T_T... non temete, il prossimo chap sarà in anticipo rispetto alla tabella di marcia (e per fortuna!!) perchè so già cosa accadrà e come scriverlo. Se poi sarà decente o meno... beh, questo non posso prevederlo ù_ù.

Ecco le risposte alle recensioni, che stavolta mi hanno semplicemente annichilita.

rekichan: "rimani fedele al SasuNaru, perché il NaruSasu è il male come il rosa, il NaruHina e Winnie the pooh." xD ma LOL! Ahahahahaha... sapevo del tuo odio spassionato per il NaruSasu, ma non pensavo che saresti arrivata a paragonarlo al rosa e a Winnie The Pooh! Comunque, in questo capitolo non ho dato spazio ai sentimentalismi e nemmeno ai personaggi secondari (che, nel prossimo chap, si scateneranno alla grande) ma ho preferito descrivere un evento cardine della trama. Essì, l'iniezione. Voglio proprio vedere che ipotesi sono sorte sugli effetti di quella puntura, sisì ù_ù

Sadako94: lo so, la trama è piuttosto lenta. Ma ci sono talmente tante cose da scrivere che, a meno di non fare capitoli di una trentina di pagine per uno (cosa che li renderebbe tediosi) sono costretta ad andare a piccoli passi. Deidara ti sembra bastardo? Oh, aspetta di vedere gli altri, Sasori in testa xD... sulla faccenda del pairing... dici che ci starebbe meglio un NaruSasu? In effetti l'equazione Zeus : Ade =  Seme : Uke è piuttosto corretta, ma la coppia proprio non mi attizza. A parte che per un contest sono arrivata anche a scrivere una OroSasu, pairing che aborro, quindi... non so. Sono mortalmente indecisa.

ryanforever: tranquilla, sulla frase finale non ti sei affatto persa. Sono spezzoni di frasi appartenenti al "passato" *cerca di non fare troppi spoiler mentre scrive* che inserirò qua e là nei capitoli, per vedere se riuscirete ad indovinare a cosa si riferiscono. Diciamo che sono in qualche modo legati agli eventi di Hope, Idaho, nel 1990 :D!

bradipiro: vedi la risposta di ryanforever :P. Comunque sì, ho cambiato lievemente quella parte di trama (seguendo anche quanto scritto nel fumetto, non so se lo hai letto) per evitare che chi ha già giocato al videogioco si trovi davanti una storia che già conosce e finisca per annoiarsi. Anche i poteri saranno un po' differenti da quelli del videogioco, e pure i responsabili di quello che è successo ad Hope perchè *si chiude la bocca con una cerniera lampo. NON può continuare a fare spoiler xD*.

_N_: grazie mille! Ah, il campo scout, quanti ricordi... anche io ero un lupetto, poi ho mollato in quinta elementare perchè il nostro Akela era veramente un rompipalle cosmico e il nostro gruppo scout era probabilmente il più barbone che si fosse mai visto in Italia. Ricordo ancora con orrore i pomeriggi passati a giocare e a fare ban tipo "batti le mani, muovi le antennine, dammi le tue zampiiiine..." ecc, ecc.

Little white angel: ok, a questo punto suppongo che verso Hinata tu abbia cominciato a provare un odio feroce xD. Poverina, però, mica è colpa sua! In fondo c'è Itachi che la obbliga, no (e adesso sai anche cosa voleva combinare, quel mascalzone dell'Uchiha ù_ù)? LA scarsa capacità di concentrazione di Naruto è indispensabile per sottolineare la sua tonteria, così come le idee dementi che gli vengono in testa *Naruto lancia Sasuke contro una cisterna infetta*... insomma, non sarebbe la kitsune che tutti conosciamo!

vivvinasme: ti confesso che quando ho visto la tua recensione mi è venuto un infarto. Credo sia la più lunga che abbia mai letto su Efp, e per certi versi anche una delle più belle.

Innanzitutto ti ringrazio per i complimenti, e ti informo che anch'io sono muy felice di aver trovato un'altra ragazza che ama Prototype come la sottoscritta (abbiamo gli stessi gusti in fatto di armi, frusta e lama *w*) e che si ricorda in maniera così precisa i particolari del gioco. E, ammettiamolo, anche io ho cominciato a scrivere la fic con il pensiero fisso di Naruto/Zeus appollaiato sul bordo di un grattacielo, con la faccia in ombra e i capelli che sfuggono leggermente dal cappuccio della felpa. Insomma, se Alex Mercer era di per sè un figo bestiale (gli occhi. Gli occhi grigi xD) Naruto nei suoi panni ci sta ancora meglio ù_ù. Ah, e su quello che hai scritto riguardo all'importanza del videogioco per poter apprezzare la fic... concordo. Non si può dimenticare la pura sensazione di adrenalina mista a sadismo che ti pervade quando giri per la città e tiri giù gli elicotteri, infilzi i cacciatori (a me il rumore che fanno piaceva un sacco xD) e assorbi tutti gli zombie che riesci a beccare. E' qualcosa di impagabile *_*

Ci rivediamo nel prossimo chap!

See you soon,

Roby

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Capitolo 13
*** Checkmate ***


012 - Checkmate

-Ehi, ragazzi!- Kiba Inuzuka entrò di corsa nell'ufficio, sbattendo la porta e causando lo smottamento di una pila di fogli poggiati in bilico sulla scrivania di Shikamaru Nara.

-Uhm...- fu la sonnacchiosa risposta del castano, malamente allungato sulla tastiera del proprio pc, dove era crollato per il sonno.

-La sapete l'ultima?-

-No.- fu la risposta di Sai, la cui presenza era segnalata solo dalla cima di una penna che andava a destra e sinistra dietro un cumulo di giornali vecchi.

-Ma quanto caffè avete bevuto? Sembra di stare in una fabbrica brasiliana!-

-Kiba...- mugugnò Shikamaru, spalmando la guancia sul piano di legno -... se hai qualcosa da dire, dilla ora, perchè ho come la sensazione che tra qualche secondo non riuscirò più a capirti.-

-E' successa una cosa assurda! Avete presente la capodipartimento scomparsa, Hinata Hyuga? La cugina di quell'arrogante rompipalle di Neji Hyuga? Beh, pare che circa dieci minuti fa, alle ore diciotto e trenta in punto, la tizia abbia varcato le soglie della base accompagnata da un tipo strano.-

-Cosa!?- sbottò il Nara, tirandosi faticosamente in piedi e afferrando l'Inuzuka per il colletto della camicia sgualcita che indossava -Vuoi dirmi che Hinata Hyuga, la tizia tutta tette del Dipartimento di Virologia, è riuscita a sopravvivere per così tanto tempo là fuori?-

-Beh, alla fine sono circa due giorni...-

-Comunque troppi, per un'umana indifesa.- intervenne Sai, mollando il disegno che stava tratteggiando e avvicinandosi ai due coetanei.

-Le cose cominciano a farsi davvero strane.- fu il commento di Shikamaru, che, accesosi una sigaretta, si era seduto sulla scrivania e fissava il vuoto, pensoso. Era sempre più curioso di scoprire cosa ci fosse sotto la diffusione del morbo, così come voleva conoscere i segreti riguardanti quello strano luogo, Hope, che compariva nella quasi totalità dei documenti legati all'Idra.

"Tuttavia, se rimango fermo qui non riuscirò a scoprire nulla."

 

***

 

Il bianco era accecante. Sasuke aveva sempre odiato quel colore così puro, che si sporcava per un nonnulla, e in quel momento ne era circondato. Lo spazio era sparito, deflagrato, inghiottito da un unico nulla bianco che non aveva nè profondità, nè altezza, nè lunghezza, e rendeva il suo stesso corpo piatto e bidimensionale.

Poi, lentamente, dalla direzione che, per come stava lui, era il basso, si generò una figura nebulosa, niente più che un grumo di fumo, che lentamente si condensò a formare un corpo umano. Era una donna, che per qualche motivo sentiva di conoscere. Aveva i capelli neri, lunghi fino ai fianchi, la pelle bianca come il latte e occhi belli e neri come il giaietto, dal taglio raffinato. Gli si mozzò il respiro in gola, quando si rese conto di somigliarle moltissimo.

-Sai, Sas'ke-kun...-mormorò, avvicinandosi e abbracciandolo con dolcezza -... è davvero un peccato che tu non voglia mai festeggiare il tuo compleanno. Ci divertiremmo così tanto, se solo tu mi permettessi di invitare Naruto, Minato e Kushina... siete migliori amici, non è così?-

Non riusciva a parlare, era paralizzato. Quei nomi... dove li aveva già sentiti? Cosa rappresentavano? Era come lottare contro una corrente potentissima, che lo trascinava via da quei ricordi  ogniqualvolta cercava di rievocarli.

E poi, improvvisamente, la donna lo strinse con forza ed emise un grido, tanto forte e disperato che Sasuke provò l'impulso di tapparsi le orecchie come un bambino piccolo. Eppure... la voce con cui stava gridando non era la stessa che la donna aveva usato poco prima. Sembrava incredibilmente...

-Zeus!- il moro si svegliò di botto, tirandosi a sedere sudato e ansimante per il sogno interrotto. E, a quel punto, si rese conto che l'urlo non l'aveva affatto sognato, ma era reale, e sembrava proprio la voce del Prototype. I lamenti strazianti oltrepassavano la porta e gli si accumulavano nelle orecchie, l'uno dopo l'altro, sempre più acuti e pregni di dolore.

-Che cazzo sta succedendo!?- sbottò, tirandosi in piedi e aprendo la porta con un calcio ben assestato. Seguì il suono delle urla, finchè le sue più funeste supposizioni non divennero realtà: di fronte alla porta del Prototype, infatti, erano assiepati tutti gli abitanti della base, e, in un angolo, Konan sembrava quasi sull'orlo delle lacrime.

-Ehi! Che succede!?- urlò, dimentico della sua abituale maschera flemmatica, cercando di farsi strada tra i robusti corpi di Kisame e Kakuzu. Quest'ultimo lo fece passare, non senza rivolgergli uno sguardo di compatimento.

E poi, quando Sasuke riuscì a vedere Zeus, gli salì alla gola un conato di vomito tanto forte e repentino da fargli piegare le ginocchia e costringerlo a sputare per terra la poca saliva che gli era rimasta nella bocca secca.

Il Prototype era steso sul letto e si agitava come un forsennato, emettendo quelle grida lancinanti che somigliavano quasi ai lamenti di una belva ferita. La pelle era diventata grigiastra, e lacrime copiose gli scendevano dagli occhi socchiusi, mescolandosi con il velo di sudore che gli copriva il corpo, nudo fino alla cintola.

Il braccio sinistro, praticamente irriconoscibile, era come inglobato in una grossa massa bitorzoluta e pulsante, piena di vesciche, che somigliava in maniera inquietante alla pelle dei Cacciatori, non fosse perchè in alcuni punti si presentava completamente annerita e coperta da venuzze gialle.

Era disgustosa, orripilante. Malsana, malata, malvagia.

Più schifosa e ripugnante dell'Idra stesso.

Accanto al letto, affaccendati a tergergli il sudore e sorvegliare quella strana mutazione, stavano Deidara e un tipo che Sasuke non aveva mai visto, e che identificò come "Zetsu" dagli accenni reperiti qua è là. Non si soffermò sulla stranezza di quel tipo, che solitamente lo avrebbe sinceramente colpito, perchè troppo occupato a cercare di calmarsi e pensare lucidamente a come potesse rendersi utile.

-C-che gli è successo?- domandò, la voce tremula e la testa confusa. Non riusciva quasi a respirare, gli faceva male il petto.

-Gli hanno fatto una puntura, da quello che siamo riusciti a farci dire. E poi, nel punto esatto in cui l'hanno bucato, si è generato quel gigantesco tumore. Solo che non è un vero e proprio tumore, nel senso che non si tratta di una complicazione genetica. E' qualcosa che si sta nutrendo del virus contenuto nel corpo di Zeus, e, siccome ne è pregno fino al midollo, se non ci sbrighiamo finirà per divorarlo completamente.- rispose Zetsu, la fronte bicromatica profondamente corrugata.

Sasuke fissò il Prototype, incapace di parlare. Non riusciva quasi a respirare, e si sentiva come schiacciato da qualcosa che non poteva contrastare.

-Morirà?- pronunciare quella domanda gli costò uno sforzo terribile, sillaba dopo sillaba. Era come sputare sassi, che gli s'incastravano in gola prima di uscire.

-Sì.-

Il suo cuore perse un battito, poi un altro.

Che strano, il suo cuore non batteva, eppure era ancora vivo. Anche se, per un motivo che ormai gli era chiaro come il sole, immaginarsi vivo senza l'asfissiante presenza di Zeus gli sembrava un paradosso.

E poi, quel "sì" non era possibile. Non poteva non esserci una via d'uscita, dopotutto.

C'è sempre una via d'uscita.

Sempre.

-Come...-

-Hinata è sparita. Nel laboratorio abbiamo trovato questo.- rispose Kisame, avvicinandosi con un oggettino tra le mani. Quando Sasuke riuscì a metterlo a fuoco, lo riconobbe come il "re" bianco degli scacchi. La statuina era spezzata in due, e sul fondo c'era una scritta, leggibilissima.

Checkmate.

Scacco Matto.

Improvvisamente, alla disperazione in cui era caduto si sostituì un altro sentimento, così profondo e corroborante da farlo tremare per la soddisfazione. Rabbia. Era infuriato, così tanto che sentiva di poter fare pezzi l'intera Manhattan, e il bello era che poteva dirigere tutto il suo odio verso un'unica persona, verso la persona che, se prima gli stava semplicemente antipatica, si era piazzata sul podio della sua lista nera.

-Io la ammazzo.- constatò, sorridendo. Poi ridacchiò. Poi esplose in una risata malsana, tenendosi lo stomaco con le mani e agitando la testa in una litania monotona, isterica.

Fu Sasori ad interromperlo, con un tono di voce da cui traspariva una furia omicida quasi comparabile alla sua.

-Smettila. Se vuoi vendicarti nei confronti dell'esercito, conosco un modo decisamente più semplice e veloce che starsene qui a piagnucolare. Per la testa della ragazza dovremo aspettare, ma ti garantisco che sarò il primo a combattere per ottenerla.-

-Sasori, non vorrai...- Deidara lo fissò, corrucciando le sopracciglia in un'espressione che trasudava disapprovazione.

-Non chiedermi di trattenermi. Sai che non i riuscirei, e in ogni caso i blackwatch si meritano una punizione per aver giocato col fuoco. Un gatto non può permettersi di mostrare le unghie ad un leone.-

-E tantomeno ad uno scorpione.- l'albino dagli occhi viola, Hidan, sorrise.

-Tu non c'entri nulla. Andremo io e Ade.-

-Col cazzo. Non sei l'unico ad essere incazzato, Sasori.-

-Ma sono l'unico ad avere un minimo di cervello, qui dentro. Uchiha, alzati.-

Sasuke fece come gli era stato detto, poi si lasciò accompagnare fuori dalla porta.

-Dove stiamo andando?-

-Asciugati gli occhi, Uchiha. Stai piangendo.-

-Sì.-

 

***

 

Il sottotenente Arthur Smith, trentacinque anni, non poteva certo sapere che sarebbe morto di lì a qualche minuto, quando, alle ore otto e trenta, cominciò come di consueto il proprio turno di guardia.

Si era appena acceso una sigaretta, una Camel Light, per la precisione, e ripensava sorridendo alla quasi-lite che aveva avuto nel pomeriggio con Winston Clark, un suo commilitone, che aveva tentato di imporgli il suo beneamato pacchetto di Lucky Strike. Ora, sarebbe probabilmente molto più conveniente e politicamente corretto descrivere Arthur come uno spietato soldato al servizio di un'altrettanto spietata nazione, o magari come un assassino assetato di sangue... ma sarebbe falso. Arthur era sposato da quattro anni con la donna a cui era andato dietro per una buona metà della propria vita, e aveva due figlie. Teneva una foto di famiglia nel taschino della giacca dell'uniforme, e non se ne separava mai. Come tanti altri, era stato chiamato sul fronte di Manhattan senza sapere assolutamente ciò a cui andava incontro.

Forse, infondo, la sua morte fu quasi ingiusta.

Sasuke gli arrivò alle spalle senza il minimo rumore. Era talmente furibondo (anche se dubitava che ci fosse una parola in grado di descrivere il suo stato d'animo) che non riusciva nemmeno a ragionare coerentemente o dosare la forza. Per cui, quando tentò di afferrare Smith per la nuca, finì inevitabilmente per affondargli cinque dita nel cranio.

Fece una smorfia schifata, estraendo la mano sporca di sangue e cervello, poi la pulì sulla divisa dell'uomo che nel frattempo era rotolato ai suoi piedi, morto.

-Non capisco l'utilità di tutto ciò.- commentò, la voce impersonale e disinteressata, mentre Sasori, alle sue spalle, si produceva in un'alzata di spalle.

-Hanno ucciso Zeus. Noi distruggeremo metà delle loro basi.-

-Non ha senso. Questo... questo non lo riporterà in vita.-

-No, ma almeno potremo sfogare la rabbia su qualcosa che non sia la base.-

L'Uchiha annuì, entrando con un ghigno nella zona illuminata dell'avamposto. Vi sostavano una decina di militari, che, appena se lo videro comparire davanti con la felpa sporca di sangue, imbracciarono le mitragliatrici.

-Non fatemi ridere...- mormorò Sasuke -... non c'è arma al mondo che possa colpirmi, in questo momento.-

Scattò, portandosi con un salto alle spalle dei soldati. I loro riflessi umani erano decisamente troppo lenti perchè potessero spostarsi in tempo, quindi i primi della fila subirono una morte relativamente dolce, e caddero a terra con il collo spezzato. Gli altri, purtroppo, non poterono vantare lo stesso destino.

Il primo, un mulatto alto e possente, finì infilzato (ironia della sorte) contro l'asta della bandiera americana affissa all'entrata, che gli perforò la cassa toracica lasciandolo ad agonizzare per una decina di minuti. Il secondo, un ragazzino poco più che diciannovenne, venne scaraventato contro il muro, e scivolò sul pavimento dopo il sonoro "crack" della sua spina dorsale. Il terzo, il quarto e il quinto, infine, ottennero un trattamento di favore: dopo aver schivato una raffica di proiettili che, in teoria, avrebbe dovuto risultargli letale, Sasuke ridusse in poltiglia i loro organi interni a furia di calci. Il suono delle interiora che si schiacciavano l'una sull'altra, sotto i suoi piedi, era la sola ed unica musica che potesse distrarlo da quanto si stava compiendo nei sotterranei del porto, nella camera di Zeus.

Il trambusto attirò, ovviamente, l'intero plotone accampato nella base, e la porta di un palazzo si spalancò, lasciando uscire una trentina di soldati. Sasuke si fece prudentemente da parte, ben sapendo quanto potessero far male i proiettili conficcati nella carne, e attese pazientemente, nascosto dietro una pila di cassette di plastica, che qualcuno si avvicinasse.

Tuttavia, non ci fu bisogno del suo intervento.

A poco a poco, uno per uno, i cadaveri dei dieci soldati morti cominciarono a muoversi, traballanti, finchè non riuscirono persino ad alzarsi in piedi. Le teste pendule, reclinate sul petto, gli occhi bianchi e il corpo macchiato di sangue, disarticolato, si appressarono ai propri compagni, vivi, che iniziarono ad urlare come forsennati. Sparavano, i militari, sperando di fermare i morti che, inesorabili, li incalzavano, ma i proiettili non sembrano avere alcun effetto su quei cadaveri.

Inizialmente, Sasuke pensò si trattasse di una qualche strana mutazione dell'Idra, che era giunto persino ad infestare i cadaveri. Poi, però, notò che, sul pavimento, correvano degli strani filamenti rossastri, che si innestavano sulla nuca dei corpi e sembrava li manovrassero, torcendosi leggermente ad ogni movimento. Seguendo a ritroso i fili, con un rapido sguardo, si trovò a fissare il marionettista.

Sasori, seduto elegantemente sul muro di sbarramento, accanto alle torrette mitragliatrici, lo fissava con un vago ghigno beffardo. Teneva le braccia stese dinnanzi a sè, e l'Uchiha vide perfettamente che dalle dita si dipartivano decine di filamenti, grazie ai quali il ragazzo riusciva a manovrare i cadaveri.

"Sarebbe potuta andare peggio, visto il suo potere, però..."

La voce di Zeus gli rimbalzò nelle orecchie, mentre osservava, atterrito, l'evidente compiacimento che provava Sasori nel giocare con quei corpi. Sorrideva, sornione, muovendo elegantemente le belle mani affusolate, e pareva prendersi gioco di quegli umani che, al colmo del terrore, tentavano disperatamente di contrastare le sue creature. Era forse contento di esercitare un potere tanto disumano? Probabile.

Non distolse lo sguardo, mentre i soldati venivano fatti a pezzi dai loro stessi compagni. C'era un'ironia malvagia, una vena di sottile umorismo che lo affascinava, e che gli strappò perfino una risata. In una città dove è la morte, a farla da padrone, nemmeno ai cadaveri è concesso il riposo che hanno faticosamente conquistato.

Nemmeno a loro.

-Abbiamo finito, qui.- comunicò il rosso, atterrando sull'asfalto dopo un'aggraziata capriola aerea -Ma ci mancano ancora sei, forse sette basi.-

-Sono così tante?-

-Più di quindici. Tuttavia, sterminarli del tutto risulterebbe controproducente, ecco perchè ci limiteremo semplicemente a far capire chi comanda.-

-Non vedo l'ora.-

 

***

 

Mezzanotte era ormai passata da mezz'ora, quando i monitor delle sale comuni di tutti i reparti del Gentek Palace si accesero simultaneamente. Dagli amplificatori, sparsi per tutto l'edificio, una gracchiante voce femminile pregò i dipendenti di recarsi di fronte ai suddetti televisori, e, nel giro di un quarto d'ora, tale ordine era stato celermente rispettato.

Shikamaru e Sai, per pura fortuna, avevano trovato un posto accanto a Kiba, rimasto solo dopo che Rock Lee aveva deciso di diventare una crocerossina a tutti gli effetti e, quindi, non abbandonare Tenten praticamente mai, fatta eccezione per quando l'emergenza bagno si faceva sentire.

Il Nara sospettava che la donna sarebbe rimasta traumatizzata a vita, ma non ne fece parola con nessuno.

Sullo schermo, prima nero, comparve una scritta blu, e poi un'altra e un'altra ancora. I dipendenti, all'inizio, fecero fatica a credere a ciò che leggevano. Beh, era veramente incredibile.

"Nove basi militari distrutte nel giro di quattro ore. Trecentosettantuno morti, nessun ferito. I decessi sono stati attribuiti a Zeus, che pare abbia deciso di infliggere un duro colpo alle forze militari statunitensi. Il Generale Madara impone la calma e incoraggia un aumento della rendita lavorativa e della collaborazione, cosicché si renda possibile la cattura di questo soggetto altamente pericoloso e malvagio. Vi invita inoltre ad un minuto di silenzio nella memoria di coloro che sono caduti per difendere la nostra patria da un mostro."

Shikamaru chinò la testa, come tutti, ma di certo non innalzò alcuna preghiera verso un Dio in cui non credeva. Piuttosto, il suo cervello cominciò a ragionare freneticamente, cercando un nesso tra tutte le stranezze che erano accadute in quella giornata. Il Progetto Ade non aveva portato altro che problemi e perdite, ma quello che più lo impensieriva era il ritorno di Hinata Hyuga (che, peraltro, desiderava assolutamente interrogare) e, solo poche ore più tardi, il massacro apparentemente ingiustificato di così tanti soldati. Poteva anche trattarsi di semplici coincidenze, certo, ma il sesto senso del Nara gli suggeriva che Zeus non avrebbe mai combinato un simile disastro per nulla.

C'era un motivo, peccato che, nella sua attuale situazione, non avesse la minima possibilità di scoprirlo.

La sua curiosità di uomo intelligente e il suo buonsenso combatterono duramente, in quei sessanta secondi, per determinare chi avesse libero arbitrio sulle sue azioni. Vinse la curiosità

Appena la folla cominciò a scemare, Shikamaru si accostò a Kiba, dandogli una leggera gomitata nelle costole.

-Che c'è?- sibilò l'Inuzuka, incuriosito.

-Kiba... sai guidare un elicottero?-

-Sì, perchè?-

 

***

 

-Torniamo alla base.-

-No, io... preferisco rimanere un po' da solo.-

-Fai come vuoi. Cerca di tornare prima dell'alba.- Sasori si girò, camminando, flemmatico, verso il porto.

Sasuke si sentiva a dir poco esausto, senza contare che era zuppo di sangue dalla testa ai piedi, ma raggranellò comunque le forze per saltare sulla cima di un supermercato e cercare un luogo appartato in cui riposarsi un attimo. Improvvisamente, come un miraggio, gli si parò di fronte la mole massiccia del Chrysler Building, il grattacielo più bello di New York, che sembrava bucare il cielo buio con la sua guglia acuminata.

Chissà come si doveva stare bene lassù, in cima a quella gigantesca punta d'acciaio, con il vento che scompigliava i capelli e spazzava via l'odore ferruginoso del sangue, ormai divenuto quasi opprimente... l'Uchiha non resistette alla tentazione. Raggiunse la base dell'imponente costruzione, poi spiccò un salto e cominciò a correre in verticale, su una delle facce del grattacielo, godendosi il rumore cristallino delle vetrate che si frantumavano sotto i suoi piedi. I settantasette piani scivolarono verso il basso ad una velocità incredibile, e, quando posò i talloni sull'arcata più alta di tutte, giusto al di sotto della guglia alta novanta metri, Sasuke si sentì libero come non mai, realizzato.

Però, in tutto quello scenario idilliaco, sentiva distintamente il cuore bruciare e contrarsi come in preda agli spasmi. Oh, se stava soffrendo. Ed era la prima volta, in vita sua, che soffriva per qualcuno che non fosse sè stesso.

Si sedette sul cornicione curvo di cemento freddo, poggiandosi a terra con i gomiti e reclinando la testa all'indietro nell'atto di fissare il cielo. L'inquinamento luminoso, dopo lo scoppio dell'epidemia, era decisamente diminuito, cosicché nel cielo si potevano ammirare molte più stelle del normale. Nessuna di loro, tuttavia, eguagliava, nell'ottica dell'Uchiha, la lucentezza pura e genuina di un certo paio d'occhi, e tantomeno poteva sfidarne l'espressività.

Ormai si era pienamente reso conto della verità, e non gli sembrava neanche così disastrosa. Ininfluente, più che altro, perchè in una situazione come quella i sentimenti valevano meno della carta straccia.

-Alla fine mi sono innamorato di un dobe.- lo scandì, per la prima volta sincero con sè stesso, eppure terribilmente spaventato dall'idea di cosa potesse essere l'amore. Un sentimento così terrificante e totalmente nuovo, per lui, da atterrirlo sin nel profondo.

Se n'era reso conto, e adesso l'unico oggetto di quel sentimento nuovo e ancora immaturo stava morendo. Aveva quasi voglia di piangersi addosso, a tratti di prendersi in giro da solo. Che sciocco, stupido bamboccio era stato.

Certo, non poteva ancora parlare di amore vero e proprio, ma si trattava pur sempre di... attrazione?

Non sapeva come classificarla.

Sospirò, sconfitto, rimuginando sull'inutilità dei propri pensieri. A cosa gli serviva continuare a pensare, visto che comunque il Prototype sarebbe morto? Poi, improvvisamente, fu colto da una folgorazione.

La collana. La portava ancora.

Se c'era una cosa che poteva fare per Zeus, anche se a livello puramente teorico, era donargli la propria fedeltà assoluta, o, almeno, donarla alla causa che il Prototype stava cercando di portare avanti.

Staccò la catenina con uno strattone, spezzandola, e poi si concesse un sorriso prima di gettarla nel vuoto. Il cubo metallico luccicò per l'ultima volta, prima di precipitare nelle tenebre e sparire alla vista.

-Perdonami, Zeus. Avrei dovuto farlo prima.-

-Uchiha, sempre i soliti.- proruppe una voce alle sue spalle -Non sapete far altro che frignare e pentirvi per gli errori commessi, figuriamoci poi a trovarvi un rimedio.-

 

***

 

-Complimenti, Itachi-kun, hai svolto il tuo compito alla perfezione.-

-Non dovresti dire bugie, Madara.-

-A cosa ti riferisci? Il tuo lavoro è stato veramente ottimo.-

-Non parlo di questo. Perchè hai detto ai dipendenti che era stato Zeus, ad uccidere tutta quella gente, quando non sai nemmeno chi sia il colpevole?-

-Ah, Itachi... semplice psicologia, tutto qui. Solo io e te sappiamo, ipoteticamente, quale sia l'attuale situazione del Prototype, e l'odio è il migliore dei metodi persuasivi, quando si tratta di motivare le folle.-

-E perchè la gente dovrebbe odiare Zeus? Ucciderlo in questo modo non ti basta?-

-No. C'è qualcun altro lì fuori, Itachi, qualcuno molto potente. Finchè continueranno ad essere "loro", i cattivi, noi potremo avvalerci del sostegno di tante brave persone. A proposito, sai dov'è Sasuke?-

-Gira ancora a vuoto. Mio fratello sa essere davvero uno sciocco, e non ha ancora risvegliato nessuna abilità particolare.-

-Buffo. Aveva occhi migliori dei tuoi, questo lo sappiamo tutti.-

-E' semplicemente troppo stupido per accorgersi delle proprie capacità. Spero che manterrai la promessa che mi hai fatto, sul suo conto.-

-Oh, certamente. Quando questa faccenda sarà finita gli stravolgeremo di nuovo la memoria, in modo che non si ricordi più di quello che sta subendo là fuori. Anche se, sinceramente, questa tua eccessiva protettività mi sembra quasi sciocca, Itachi-kun.-

-Non lo è. Mio fratello ha passato già troppi guai, non è necessario che gli capiti dell'altro. E poi, se dovesse andare ancora avanti così, potrebbe cominciare a ricordare qualcosa.-

-Di certo è stato più fortunato di Zeus, ma il suo passato finirebbe per traumatizzarlo. Senza contare che la divulgazione di determinati dati...-

-... non gioverebbe a nessuno. Se, attraverso i propri ricordi, Sasuke riuscisse a scoprire e divulgare i fatti di Hope, non so cosa potrebbe accadergli.-

-Te lo dico io cosa gli succederebbe: non ha importanza chi siano, ma coloro che vengono a sapere la verità su ciò che accadde nel '90 devono morire. E' per salvaguardare l'integrità nazionale.-

-Un'integrità che ci sta costando fin troppe vite umane, mi sembra.-

-Non c'è altra via, Itachi.-

 

"Giocare con la vita. Noi umani non ne abbiamo alcun diritto".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Capitolo che arriva in anticipo, sfruttando uno dei miei (rari) lampi d'ispirazione. A me è piaciuto molto scriverlo, e (a differenza del chap precedente), sono veramente soddisfatta del risultato finale. Non so, ma amo le scene splatter e i momenti "riflessivi", specie se accostati... come si fa a non adorare il contrasto che generano^^?

Le risposte alle rece, che sono un po' meno del solito (ovvio, visto che non ho aspettato una settimana e comunque lo scorso capitolo era imbarazzante):

vivvinasme: mamma mia che recensione *_*... mi lasciano sconvoltamente felice, ogni volta! (perdona il neologismo da terza elementare :3) Comunque... schiacciare i passanti con un carro armato? Andiamo, non puoi compararlo a del banale, noioso shopping. E poi, diciamocelo: i protagonisti dei videogiochi sono talmente fighi che staccarsi dallo schermo diventa difficile. Anche io ho avuto le mie brave trip ogni volta che compariva Mercer in un filmato (con quello sguardo glaciale che ti mette i brividi) ma vogliamo parlare anche dei "secondi in classifica"? Mi riferisco a personcine come Altair (Assassin's Creed) Dante (Devil May Cry) e Leon, Chris, Wesker (Resident Evil). Insomma, chi non ne vorrebbe uno vero?

Sul pairing... beh, credo che alla fine farò una SasuNaru, per la gioia di voi lettrici xD. Non per essere "razzista", ma il NaruSasu... ne ho lette diverse, e non credo di aver mai visto nulla di più OOC, con Sasuke in "donnicciola mode" e Naruto che si trasforma in un malvagio seviziatore (???).

Vaius: no, nessuno farà a pezzi Hinata xD. Ci tengo, a quella ragazza, anche se immagino che dopo questo cap l'80% dei lettori abbia desiderato ardentemente di poterla bruciare sul rogo. E no, per Zeus non si prospetta proprio niente di buono. Ma niente niente xD... povero Naru-chan, finirà che Sasuke si materializzerà a casa mia per picchiarmi T_T

bradipiro: beh, spero che questo chap sia stato meno monotono del precedente... Dattebane! il fumetto... boh, a me è piaciuto moltissimo. A parte la qualità grafica, che indubbiamente risulta ottima, ti aiuta a fare il punto su un sacco di "punti oscuri" della trama del gioco. Una vera chicca, se passi in fumetteria ti consiglio di comprarlo (mi sembra che la versiona completa, che riunisce tutti e sei i numeri, costi sugli undici euro).

Sadako94: ehm, wait. L'OroSasu (che è esattamente una di quelle prive di amore, anche se Orochimaru non è il solito stupratore rompicoglioni) è destinata ad un contest, e non ancora pubblicata. Non so quando mi arriveranno i risultati, ma ti prometto di dedicartela appena la pubblico :P... Sasori è un personaggio che comincia a piacermi un casino. E mi piace pure il potere che mi è venuto in mente (l'alternativa era di fargli usare delle vere e proprie marionette, come nel manga, ma non è che mi ispirasse troppo). Beh, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

fra76: è messa male, ma non peggio di Zeus. Itachi che scompare nella nuvola di fumo è decisamente un gran figo (come nel manga originale, del resto) e aspetta di vedere gli altri poteri. Sempre simili a quelli che ha inventato Kishimoto, ma con una sfumaturina splatter che non guasta mai *_*


Bene, spero di essermi fatta perdonare con questo aggiornamento lampo!

See you soon,

Roby

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Capitolo 14
*** Cure ***


013 - Cure

-T-tu chi saresti!?-

-Uno che ti conosce da prima che nascessi, Sas'ke-kun. Ma non sono qui per te.-

Lo sconosciuto colpì sin da subito Sasuke per la sua straordinaria avvenenza. Era un uomo alto, ben piazzato, con la pelle lattescente e due bellissimi occhi color oro fuso, le cui fattezze che ricordavano vagamente quelle dei rettili. I capelli erano lunghi e setosi, raccolti in una coda morbida, e gli scendevano sulle spalle come un serico manto nero, che scintillava del rosso degli incendi e del bianco eburneo delle stelle. Era indubbiamente bello, ma il suo viso aveva un nonsoché di viscido che all'Uchiha fece immediatamente ribrezzo.

-Come ti chiami?-

-Orochimaru.-

-Come mai mi conosci?-

-Non è argomento di cui discutere, ora. Piuttosto, non sei preoccupato per le sorti di Zeus?-

-La preoccupazione non si addice a chi ormai si è da tempo arreso.-

-Non dovresti arrenderti, Sas'ke-kun. Una soluzione c'è sempre, in tutte le situazioni.- fece l'uomo, mellifluo, traendo dal taschino una fiala che conteneva una soluzione trasparente. Sasuke rimase pietrificato, fissando la provetta, e improvvisamente la speranza, morta in lui da quando aveva visto Zeus steso su quel letto, divampò con una vivacità e una forza che gli erano estranee.

-Quella che cosa...-

-Puoi chiamarla cura, se vuoi. Non so quanto possa funzionare e se riporterà il Prototype alle sue condizioni originarie, ma c'è un 92% di possibilità che lo salvi da una morte certa. Ti spiegherei anche secondo quale principio agisce, ma se lo facessi rischierei di sprecare troppo tempo. Tieni.-

L'Uchiha la afferrò al volo, fissandola con un misto di gioia e venerazione. Era euforico, felice.

-Cosa vuoi in cambio?-

-Oh, nulla. Non sono stato io a prepararla, quindi capirai che non posso avanzare nessuna pretesa.-

-Non sei stato tu? Aspetta un attimo... ma come fai a sapere di Zeus? Chi te l'ha detto?-

-Ringrazia Elizabeth Greene, Sas'ke-kun. Se mai il Prototype dovesse tornare a camminare con le proprie gambe, lo devi solamente a lei.-

Il moro rischiò di strozzarsi con la propria saliva, seriamente incredulo.

-Ma ha cercato di ucciderci!-

-Oh, niente affatto, Sas'ke-kun. Non vi torcerebbe nemmeno un capello, credimi.-

-Non dire...-

-... ok, ok. Vedo che non sei disposto a cambiare opinione, d'altronde io non ho mai desiderato convincerti.-

-No, spiegati! In che senso? Che sai di noi?-

-Quante domande... sarei deliziato di poterti rispondere, ma temo che, se non ti sbrighi, non ci sarà più alcun Prototype da curare.-

Sasuke tentennò, indeciso, poi si voltò e saltò oltre il cornicione.

Non prima di un "ci rivedremo, e allora pretenderò spiegazioni" che fece sorridere impercettibilmente Orochimaru.


***


-E' una pazzia. Finiremo sulla sedia elettrica, ve lo dico io.-

-Kiba...-

-M-ma vi rendete conto? Questo è... è un reato. Un reato gravissimo!-

-Kiba...-

-Oh, il capo mi ucciderà. Mi farà a pezzetti piccoli piccoli e...-

-Kiba! Abbiamo capito. Ora, di grazia, potresti portarci all'eliporto?-

-E' nel cortile interno del complesso. Ci siamo quasi.- disse Sai, probabilmente l'unico che riusciva a mantenere una calma perfetta mentre scortava i suoi due compagni attraverso il palazzo. Compito che, in teoria, sarebbe dovuto spettare a Kiba, ma il castano non era esattamente in grado di adempirvi.

Il piano di Shikamaru era molto semplice, anche se estremamente spregiudicato e rischioso: dopo aver rubato delle uniformi militari e degli equipaggiamenti (grazie all'aiuto di Kiba, che aveva libero accesso al magazzino) avrebbero preso un elicottero e, con quello, avrebbero tentato di trovare Zeus e avere un contatto costruttivo per capirci qualcosa in quella faccenda.

Il rischio principale era che, una volta trovato, Zeus si sarebbe potuto indisporre.

E, da quel poco che Shikamaru sapeva, un Prototype indisposto non è precisamente il compagno ideale per un'allegra scampagnata.

Scesero una rampa di scale, e, dopo una massiccia porta blindata, che l'Inuzuka aprì utilizzando la tessera rubata ad un commilitone (il Nara gli aveva sconsigliato di usare la propria, li avrebbero scoperti troppo in fretta) i tre poterono ammirare lo spettacolo dell'eliporto. Era, esso, un gigantesco cortile di cemento, su cui sostavano, a perdita d'occhio, decine e decine di elicotteri militari, come mostruose libellule d'acciaio. I modelli differivano profondamente l'uno dall'altro, e Kiba perse qualche minuto ad osservarli, pensieroso.

-Che dite, un modello equipaggiato da combattimento, uno per il trasporto speciale... o forse un Dauphin? Potrei...- improvvisamente, il soldato smise di parlare. Fissò, apparentemente terrorizzato, un punto alla sua sinistra, e poi emise un sibilo strozzato.

-Shika, Sai, nascondetevi immediatamente.-

-Cos...-

-Ora!-

I due si affrettarono ad infilarsi nella cabina di un elicottero corazzato con i vetri oscurati, dall'apparenza nuova e pericolosa. Rimasero completamente immobili, finchè non sentirono un rumore di passi e una voce, che a Shikamaru risultò fin troppo familiare.

-Kiba! Che ci fai qui, a quest'ora? Il sole non è nemmeno sorto!-

-Ah eri tu, Kankuro... niente, davo un'occhiata agli ultimi modelli che ci sono appena arrivati.-

Il Nara emise uno squittio, scuotendo la testa come per un'improvvisa catatonia. Sai, bisbigliando, domandò:- Ehi, che succede?-

Oh, nulla, proprio nulla. Erano a meno di mezzo metro dal suo probabile futuro cognato, quell'odioso cretino di Sabaku no Kankuro, il che significava che, molto probabilmente, nei paraggi c'era anche...

-Temari, Gaara, venite qui! Guardate chi c'è, non vedevamo Kiba da millenni!-

"Sono morto" fu il pensiero istantaneo di Shikamaru, non appena riconobbe la voce energica e sensuale della sua fidanzata e quella cupa e strascicata del fratellino psicopatico. Non c'è che dire, il Team Sabaku saltava fuori, come sempre, nei momenti meno opportuni.

-Sei davvero un soldato modello, eh? Non sono nemmeno le cinque di mattina, e tu sei già qui ad ammirare gli ultimi arrivi? Ah, ma guarda questo modello della Kamov, il Kamov Ka 300, non è stupendo? Solcare i cieli di Manhattan con questo gioiellino dovrebbe essere fantastico... ma aspetta, ti mostro l'interno, è ancora meglio.-

Shikamaru si accorse con orrore di trovarsi proprio sul sopracitato Kamov quando la mano di Kankuro si delineò sul vetro oscurato, mentre l'altra era evidentemente andata ad aprire la portiera.

La sua missione sarebbe finita ancor prima di cominciare.

Se, infatti, Kiba aveva tutto il diritto di starsene lì a rimirare i suoi elicotteri, essendo un militare specializzato, giustificare la presenza di due impiegati del Dipartimento Monitoraggio e Coordinamento delle Attività Militari, perdipiù vestiti con delle uniformi rubate e armati, sarebbe stato un pelino più complicato. Per non parlare del fatto che Temari, una volta trovatolo in quella situazione incresciosa, avrebbe finito per fargli una memorabile sfuriata.

E, se c'era una cosa che odiava, nella sua donna, era proprio la sua scarsa delicatezza quando si trattava di redarguire qualcuno.

-Kankuro, non fare l'idiota. Abbiamo una missione, e il tempo non ci basta per metterci a parlare di queste cazzate.-

Se c'era una cosa che amava, invece, era il suo essere così meravigliosamente concisa e pratica.

La mano del ragazzo scomparve dal finestrino, e, dopo essersi congedati, i tre fratelli raggiunsero il proprio elicottero, già acceso e pronto al decollo, dove li attendeva uno dei tanti piloti forniti regolarmente dalle basi d'aviazione statunitense. Piloti che, a quanto pareva, risentivano di un tasso di mortalità tre volte superiore rispetto a quello di qualsiasi soldato semplice.

Quando il rumore delle pale si fu fatto lontano, fino a diventare impercettibile, Kiba spalancò una portiera dell'elicottero e, afferrato Shikamaru per un braccio, lo tirò letteralmente giù dal mezzo.

-Ehi!-

-Stavano per scoprirci, mister "quoziente intellettivo 200". Consideralo come un indennizzo.-

Kiba li indirizzò verso un elicottero estremamente massiccio, un Apache da combattimento, e li infilò nello scomparto posteriore con una rudezza che sconfinava quasi nella violenza.

-Delicatezza zero, eh?-

-Shikamaru Nara. A causa tua e di tutte le cazzate che ti inventi rischio di finire davanti alla corte marziale per alto tradimento, ergo mi faranno un culo che in confronto le bocce di Pamela Anderson somiglieranno a delle biglie di vetro, e tu pensi alla delicatezza!?-

-Alto tradimento? No, dai...- Sai cercò di calmarlo, sorridendo con fare accomodante. La strategia non funzionò.

-Ah, no? Oh, allora...- iniziò a contare, sollevando un dito per ogni motivazione che enumerava. A Shikamaru ricordò vagamente una casalinga isterica -... appropriazione indebita, ma puoi anche chiamarlo furto, di oggetti di proprietà statale, utilizzo illegale di un veicolo che teoricamente sarebbe non operativo, negligenza. A questi potremmo anche aggiungere il fatto che stiamo andando a parlamentare - e i militari non capiscono la differenza tra "scambio di opinioni con il nemico" e "vendita di informazioni riservate" - con Zeus. Zeus, il pluriomicida che ha sterminato trecentosettantuno persone in quattro ore, che ha distrutto gran parte dei nostri velivoli e sta cercando di radere al suolo la Gentek e la sede dell'Esercito Americano a Manhattan. Cose così.-

-Kiba, se quello che ci hai raccontato stamattina è vero, il Prototype ha anche salvato il tuo capo dalla morte certa. Sembra quasi una favola della buonanotte, ma...-

Lo stesso Shikamaru, quando Kiba aveva infine rivelato la storia del salvataggio, era incredulo. Poi aveva semplicemente desunto che una mente semplice come quella di Kiba non sarebbe mai riuscita ad architettare una bugia così convincente.

-Non è questo il punto, baka! Quello che io ho visto non è precisamente un evento a cui tutti crederebbero in un battito di ciglia, sai? Io sto parlando di ciò che l'opinione pubblica penserà di noi, di ciò che i buoni penseranno di noi! Zeus potrà anche aver salvato il mio capo, e di questo gli sono profondamente, infinitamente grato, ma ciò non toglie che le sue mani siano sporche del sangue di innumerevoli vittime innocenti. Come se non bastasse, lì fuori troveremo anche i fratelli Sabaku.-

-Beh, se avevi tutte queste obiezioni potevi anche farle prima. E' un po' tardi per tornare indietro, sai com'è...-

-Non ho mai detto di voler tornare indietro. Sai come sono fatto, non riuscirei mai a sostenere una causa di cui non sono profondamente convinto.-

-Nessuno di noi ce la farebbe.-

-Eh, già...- fu Sai ad avere l'ultima parola -... preferisco tradire la mia nazione ed i miei ideali, piuttosto che farmi manovrare a mia insaputa da uno stupido burattinaio.-


***


-Deidara!- urlò Sasuke, calandosi nella botola con una velocità che non credeva di poter raggiungere. Per quanto cercasse di arginarla, consapevole delle scarse possibilità che c'erano, la speranza ormai lo illuminava completamente, facendolo sentire persino felice. A costo di farsi assorbire per ridargli le forze, non avrebbe permesso che Zeus morisse.

-Sasuke... che c'è?- Deidara, sulla soglia della stanza di Zeus, gli indirizzò un'occhiata timorosa, forse spaventato da quella strana esaltazione. Era convinto che Ade non sarebbe tornato alla base per diverso tempo, a causa della morte del biondo, oppure che, nel peggiore dei casi, sarebbe scomparso semplicemente nel nulla. Vederlo sorridere con aria radiosa lo lasciò di stucco.
-Posso salvarlo.-

Il biondo inarcò un sopracciglio, scettico. Impazzito, pensò, l'Uchiha è impazzito.

-Uchiha, ascolta...-

-Non mi credi?- il tono con cui lo chiese era quasi offeso.

-Zeus non può essere salvato. Non so quante ore - e se di ore si possa parlare - gli restino, per cui ti converrebbe stargli semplicemente vicino senza...-

Interrompendolo con un gesto affrettato, Sasuke tirò fuori la provetta che gli aveva datto quell'Orochimaru, sventolandola davanti al naso di Deidara.

-Che tu ci creda o no, questa è la cura. E puoi star certo che non mi impedirai di somministrargliela.-

-Dove l'hai presa?- sibilò il biondo, afferrando il contenitore e assottigliando lo sguardo per esaminarlo più da vicino -O meglio... chi te l'ha data? Sasuke, non sappiamo cosa potrebbe fargli.-

-Morirà comunque. A questo punto è meglio provare, no?-

-Chi te l'ha data?-

-Te lo spiego dopo. Sono quasi certo che non sia una trappola.-

Deidara gli lanciò un ultimo sguardo dubbioso, prima di annuire stancamente. Sasuke notò che aveva gli occhi gonfi e iniettati di sangue, doveva aver pianto anche lui. Per un attimo, disubbidendo all'autocontrollo che si era rigidamente imposto, una fitta di invidia gli colpì lo stomaco, che si contrasse involontariamente.

Ma non era quello il momento di lasciarsi trasportare da sentimenti egoistici.

Mentre il biondo preparava la siringa corse accanto al letto, dove il Prototype riposava ad occhi chiusi, gemendo di tanto in tanto. L'impercettibile alzarsi e abbassarsi del petto, così come il polso fin troppo lento e debole, lo spaventarono. Non credeva che una creatura come Zeus potesse rivelarsi fragile, per qualsiasi motivo, e invece lo era. Incredibilmente, benché potesse fare a pezzi elicotteri e uccidere cacciatori con la stessa facilità con cui lui avrebbe lanciato una pietra in uno stagno, bastava il contenuto di una misera provetta a portarlo sulla soglia della morte.

-Zeus... mi senti?- gli sfiorò una mano, palesemente imbarazzato. Dio, sembrava una di quelle sitcom smielate in cui il protagonista si ritrova sul letto di morte del suo migliore amico, e parte con tutti quei discorsi cretini sull'ineluttabilità della morte, sul perdono divino... che sciocchezze.

Eppure, non poteva evitarlo.

-Non ti sente. O, almeno, non se il nostro trattamento ha fatto effetto.-

-Quale "trattamento"?-

-Lo abbiamo riempito di morfina. Volevamo fargli passare le sue ultime ore in pace, invece di costringerlo ad una tortura come quella a cui hai assistito qualche ora fa.-

Deidara si avvicinò a Zeus, sollevandogli con delicatezza un braccio e stringendovi attorno, una decina di centimetri sopra il gomito, un lacio emostatico di gomma morbida. Non appena le vene cominciarono a sporgere, afferrò una siringa preventivamente riempita con il liquido della provetta e ne premette lo stantuffo, eliminando eventuali bolle d'aria. Poi, in un attimo, che a Sasuke sembrò quasi un'eternità, praticò l'iniezione.

-Uchiha, ti do un consiglio: prega.-

-Non sono credente.-

-Meglio così. La fede in un Dio che non esiste non farebbe che intralciarti, in situazioni come queste. Comunque...- cercava le parole, incapace di esprimere come voleva i concetti che gli premevano sulla punta della lingua -... non metterti nulla sullo stomaco, Poi mi spiegherai dove hai preso quella cura, ma spero tu ti renda conto che le possibilità di guarigione sono minime.-

-Lo so.-

-E poi, anche se fosse, come avrebbero fatto ad elaborare un farmaco specifico per questo caso? Su che materiale hanno lavo...- si bloccò a metà frase, spalancando gli occhi.

-Ma certo! Ecco come!-

-Eh?- Sasuke lo fissò, storcendo la bocca.

-L'iniezione... oh, che idiota! Non abbiamo trovato nessuna provetta che contenesse residui di materiale organico, nel laboratorio, il che significa che...-

-... o Hinata l'ha portata via con sè, oppure l'ha dimenticata qui. Nel qual caso, se non l'avete trovata, qualcuno deve averla necessariamente rubata. E chi, se non colui, o coloro, che ha elaborato la cura?-

-Il che ci pone di fronte ad un problema abbastanza grosso...-

-Sarebbe?-

-Ultimamente il nostro covo è stato frequentato da un po' troppa gente, ti pare? Prima Hinata, che è riuscita a fuggire senza che nessuno se ne accorgesse, poi quest'aiutante misterioso che, in un modo o nell'altro, si è introdotto nel laboratorio e ha sottratto del materiale.-

Sasuke si guardò bene dal dirgli che anche la Madre, sicuramente, conosceva l'ubicazione della base, altrimenti Deidara li avrebbe costretti ad un controproducente trasloco forzato che, in quelle condizioni, non potevano certamente permettersi.

-Quindi? Come pensi di risolvere la faccenda?-

-Non posso risolverla. Non mi resta che cercare di capire se c'è qualche punto debole nella struttura, e nel qual caso migliorarlo. Se, invece, fossero le capacità del nemico ad essere troppo avanzate, non mi resterebbe che agire personalmente per evitare che la nostra casa venga profanata.-

-Distruggerai la Gentek a colpi di eyeliner, Deidara?- soffiò Sasuke, ironizzando sul makeup forse leggermente eccessivo del biondo. Certo era che non si sarebbe mai aspettato una risposta seria a quella provocazione.

-No, imbecille, mi limiterò a far saltare in aria loro e tutte le loro attrezzature pacchiane. E forse, se non cominci a chiudere la tua fottuta boccaccia, finirò per ammazzare anche te.-

Più che seria, molto incazzata.

Sasuke lo fissò, vagamente spaventato da una replica così furiosa da parte dell'esile biondino, prima che questi sospirasse, portandosi una mano a coprire gli occhi, e dicesse:- Scusa. Sono davvero... stanco. Questa storia non è più divertente, se mai lo è stata, e non riesco a controllarmi come dovrei.-

-Non devi scusarti.- ammise il moro, poggiando la testa sulle lenzuola fresche -La rabbia è il sentimento più ovvio e naturale, in una situazione come questa. Sasori ti avrà accennato, credo, che nemmeno io posso evitare che straripi.-

-Sì, era impressionato. Soprattutto... si chiedeva come faccia un ragazzino come te a macchiarsi senza battere ciglio del sangue di tante persone innocenti. Quanti anni hai, Sasuke?-

-Diciassette. Ma forse dimentichi che anche Zeus è un mio coetaneo, e che ha fatto cose ben peggiori.-

-Zeus... è complicato. Vedi, Ade, ci sono certe situazioni per cui, a volte...-

-Ti sarei grato se per quello che devi dirmi non partissi dalla Genesi. Vai dritto al sodo.-

-Il Prototype ha il potere di leggere la mente a tutti, con la sola eccezione del sottoscritto. Questo, col tempo, mi ha permesso di celargli diverse cose.-

-Del tipo?-

-Se te lo dicessi lui finirebbe per scoprirlo, perchè, da quanto ho visto, riesce a capire perfettamente ciò che pensi.-

-E allora si può sapere perchè hai cominciato questo discorso? Ha forse senso?-

-Più di quanto pensi.-


***


-Tem...-

-Per l'ultima volta, Kankuro... che vuoi?-

-Be'... Kiba non ti sembrava un po'... strambo?-

-Sembri più strano tu, idiota.- sillabò la bionda, sciogliendo e rifacendo in fretta una delle quattro codine che le svettavano sul cranio.

-Non è bello che vi insultiate. Rifatelo ancora e vi ammazzo.- la voce stentorea di Gaara li fece sobbalzare, inducendoli, di comune accordo, ad interrompere il dissidio e tornare il più silenziosamente possibile alle proprie occupazioni. Il rosso, rintanato in un angolo, si teneva come di consueto il più lontano possibile dai fratelli.

Non si poteva certo dire che i Sabaku fossero una famiglia convenzionale, in effetti.

Karura, la loro madre, era morta di parto a causa di complicazioni sorte subito dopo la nascita di Gaara, e questo, per il padre, era un motivo più che buono per detestare il figlio minore. Gaara era cresciuto con le spalle cariche di un peso che non era in grado di sopportare, finendo per rimanere inevitabilmente segnato. Se, da piccolo, aveva dimostrato un carattere tutto sommato dolce e rilassato, l'età adulta aveva prodotto sulla sua psiche un cambiamento drastico e irreversibile, che gli psicologi avevano attribuito ad una sorta di complesso di Edipo mai risolto nei confronti di Yashamaru, uno zio, morto quando il rosso aveva circa sedici anni.

-Gaara...-

-Mh.-

-Stai attento, ok? Non possiamo permetterci di affrontare Zeus a viso aperto, ci ucciderebbe.- fece Kankuro, osservando di sottecchi le reazioni del fratello. Temari, prudentemente, si allontanò quanto più potè.

-L'imbecille mi aveva garantito che non ci sarebbero stati problemi.-

-Sono cose che non possiamo controllare. Il virus...-

-Kankuro.- lo interruppe il rosso, levando la mano pallida e perfetta dinnanzi al viso -Non ho bisogno che tu mi spieghi le proprietà dell'Idra. Comunque dimentichi che io non sono Ade, ergo non corro gli stessi rischi di quella variante impazzita.-

Il castano si guardò bene dal ricordargli che colui che aveva condotto gli esperimenti, Kabuto Yakushi, si era più volte raccomandato di non partire subito per altre missioni, ma di aspettare due o tre mesi per prevenire eventuali anomalie. Naturalmente, Gaara non era stato in grado di pazientare nemmeno per due settimane.

Si stavano portando dietro un mostro, ecco la verità.

O, a voler essere clementi, una bomba ad orologeria.

"Quando esploderà, poco ma sicuro, saremo tutti in pessime acque..."


***


-Tieni molto a quel ragazzo, eh? E' da diciassette anni che viviamo nell'ombra, e adesso, improvvisamente, solo perché Zeus rischia di morire tu ti esponi così tanto?-

-Kushina ne sarebbe felice.-

-Non è una giustificazione.-

-Orochimaru... non credo che tu possa capire l'affetto di una madre verso il proprio figlio.-

-E tu, sentiamo, cosa ne sai dell'affetto materno? Non mi sembri decisamente il tipo.-

-Io non ne so nulla. Ma posso comprendere perfettamente i sentimenti di Kushina.-

-Kushina non esiste più. E' morta diciassette anni fa, e qualcosa di indefinito ha occupato il suo corpo generando quella...-

-Lei è ancora lì dentro, da qualche parte. So che c'è.-

-Tu sogni troppo. Sai perfettamente che i genitori di Zeus sono entrambi morti, anche se c'è da dire che a Minato è capitata la sorte migliore.-

-Tieni a freno la lingua.-

-Non sperare che lo faccia in eterno, hime-sama.-


Esperimenti sfuggiti al controllo. E' solo questo che siamo?”












_Angolo del Fancazzismo_

Rieccomi di nuovo a casa, dopo una settimana passata a Gardaland e dintorni (Blue Tornado! Blue Tornado!). Dunque... in questo capitolo succedono diverse cosette interessanti, e (non vi faccio spoiler) c'è una frase in particolare che ha deciso il destino di uno dei personaggi che quivi compaiono.

Beh, qualcuno probabilmente avrà già capito... ma il cervellino della sottoscritta sta macchinando alcune svolte piuttosto crudeli nella trama di Prototype. No problem, tutto arriva a chi sa aspettare.


vivvinasme: mi sto abituando alle tue recensioni. MOLTO lentamente. Ma mi sto abituando xD. Non posso comunque fare a meno di trovarle stupende, e ti informo che anche stavolta mi hai fatto divertire (e inquietare, con la storia del colpo di sole. sarò costretta a redarguire gentilmente tua madre *impugna una motosega*). Ovviamente, come hai detto anche tu, non posso proprio rispondere alle tue domande, altrimenti finirei per svelarti il 40% dei segreti irrisolti della storia. E, insomma, quaranta su cento è una bella percentuale! Ti ringrazio molto per tuuuutti i complimenti, continuerò ad impegnarmi al massimo!

Vaius: Hinata non salverà Zeus (e non potrebbe effettivamente farlo, sempre che non voglia vedere Hanabi morta) ma vedrai che... beh, in futuro sarà lei a decidere la fine della vicenda. E' giusto che tu non la colpevolizzi, poverina! (anche se forse non dovrei dirlo, visto che la colpa delle sue disavventure è tutta mia).

bradipiro: oh... beh, francamente non lo so nemmeno io xD... a volte è come se i protagonisti facessero tutto da soli! Io voglio scrivere una cosa, e loro vanno in tutt'altra direzione. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto!

ryanforever: partiamo dalla domanda. Le spore non possono curarlo perchè sono fatte di virus, e il tumore di Naruto si nutre appunto dell'Idra. Anzi, diciamo pure che peggiorerebbero la situazione ^^. La collana era quella famosa fotocamera che non ha mai usato, quella che ha dentro il Gps che Shika e Sai usano per seguire i suoi spostamenti. E comunque tranquilla, sei più che perdonata.+

Sadako94: xD vedo che il capitolo, tutto sommato, ti è piaciuto. Dunque, la voce misteriosa (come mi sembra di avere già detto) non è una vera e propria voce, bensì dei pezzi sparsi di ricordi di quello che successe ad Hope nel 1990. Diciamo che è un piccolo assaggio della "verità".

rekichan: guarda, ad essere sincera penso che preferirei dormire sotto un ponte piuttosto che interferire nella vita privata di qualcuno (è una delle cose che odio di più) tantomeno in quella delle persone che stimo :P. Ah, e non ami il NaruHina? Strano... anzi, no, non è per niente strano xD. Riflettendoci, il dobe che fa il seme (poco importa che Hinata sia una ragazza) non mi tange. E il NaruSaku? Vogliamo parlarne xD?

fra76: diciamo che ci hai preso sul... 20% (ok, comincio a parlare come L di Death Note, peccato che il quoziente intellettivo sia abbastanza diverso). E', fidati, non è per niente bassa come percentuale, anzi. Ci sono delle parti di questa storia che rimangono oscure anche a me xD.

Beatrix91: beh, guarda il lato positivo... in questo capitolo Hinata proprio non compare :D! Dicevamo... ah, sì! Ti ringrazio per le graditissime recensioni (comunque avevo notato un certo incremento dalle parti del primo capitolo) e sono contenta di trovare sempre più ragazze che apprezzano il genere splatter e l'azione. Pensavo di essere l'unica o.O... spero che questo capitolo non ti abbia deluso, alla prossima!

kagchan: aspettavo con ansia il tuo ritorno T.T... comunque... oddio, hai scritto talmente tante cose che non so come risponderti. Intanto... Sasori è un figo, punto. Insomma, a parte il fatto che mi piace il suo potere (e, ironia della sorte, mi è venuto in mente di farlo così mentre guardavo una puntata di Elfen Lied) anche esteticamente è fa-vo-lo-so! Il team Sabaku è comparso in questo capitolo, (finalmente!!) e porta con sé tutta una serie in interrogativi che lentamente risolverò (o risolverete). Poi... ah, Deidara. Inutile dire che amo anche lui, forse è il mio personaggio preferito della serie dopo Itachi. Ha un look molto poco virile, ma molto, molto artistico. Ed è un genio folle. Me sbavaaaaaaa *ç*....

Ooook, temo che per i prossimi aggiornamenti dovrete aspettare un po', perchè quest'anno comincio il liceo (a proposito, è davvero così orribile come sembra?) e non credo che riuscirò a scrivere spesso a causa dello studio. Per dirla tutta, i miei sono molto tipi da "o dieci o niente!" per cui...

See you soon,

Roby


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Capitolo 15
*** Fake Actors ***


014 - Fake Actors

-Ci siamo?-

-Quasi. Mancano poche centinaia di metri... ecco, lì. ce la fai ad atterrare nel mezzo di quell'incrocio?-

-Ehi, Nara, stai parlando con il miglior pilota della nazione. Non ci vuole niente...-

-... a cadere e morire schiacciati sull'asfalto.- completò Sai, con lo stesso tono di chi invita qualcun altro a fare una passeggiata. In realtà, benchè riuscisse a mantenere pienamente il controllo di sè e a tirare fuori frasi tutto sommato stupide ed ironiche, aveva paura anche lui.

Chi non ne avrebbe avuta? Le probabilità che spuntasse fuori qualche cacciatore e li facesse a pezzi erano abbastanza alte, e, seppure fossero riusciti a trovare Zeus, quest'ultimo non avrebbe sicuramente acconsentito a comunicare con dei militari.

-Sai, invece di fare battute controlla la posizione di Ade.-

Il moro, sospirando, aprì un portatile nero, grazie al quale, come alla base, poteva mappare tutti gli spostamenti del segnale Gps. Posando lo sguardo sullo schermo, però, rimase esterrefatto.

-C'è qualcosa che non quadra.-

-Ade è qui vicino?-

-No... il problema è un altro. Dai dati che ricevo, pare che sia rimasto fermo nello stesso posto per le ultime sei ore.-

Shikamaru si voltò di scatto, fissando il moro con aria preoccupata.

-Che si sia addormentato?- fece Kiba, dalla cabina di pilotaggio.

-Mi sembra assurdo, ma forse è proprio così. Altrimenti, le opzioni sono due: o ha gettato la collana, oppure è stato ucciso, e il suo cadavere sta marcendo da qualche parte in questa città. Di preciso, dove si è fermato il segnale?-

-Vicino al Chrysler Building.-

-Escluderei a priori l'ipotesi del sonno, visto che non ci è mai stato prima d'ora. Il suo rifugio deve essere un altro.-

-Per cui... pensi che sia morto?-

-L'unica persona che potrebbe ucciderlo è Zeus... ma, mi chiedo, chi ci garantisce che il Prototype abbia tutta questa voglia di toglierlo di mezzo?-

-Già,- Kiba intervenne di nuovo -Rock Lee è addirittura convinto che tra Zeus e Ade ci sia una sorta di accordo.-

-Esatto. Stando al tuo racconto, Zeus ha preferito salvare Tenten piuttosto che lanciarsi verso Ade, il suo principale avversario. Nessuno si comporterebbe così, nemmeno un pazzo.-

-E' per questo che siamo qui, no? Siamo vicini al punto in cui i cacciatori hanno fatto quella specie di adunanza, lo stesso posto in cui Ade è rimasto per diverso tempo. Può essere che fosse questa la sua casa, prima che gli infetti la distruggessero, e, se così fosse, troveremmo sicuramente qualche indizio.-

-Già. E poi devo vedere con i miei occhi cosa è successo quaggiù. I cacciatori non sono soggetti a combustione spontanea, e voglio capire chi è stato a bruciarli.-

Atterrarono al centro della strada, poi scesero di corsa, i fucili spianati. Non si vedeva nessuno per strada, ma l'odore di carne bruciata si avvertiva anche da quella distanza, preludio di ciò che videro non appena si furono avvicinati.

Le carcasse dei cacciatori erano tante, carbonizzate a tal punto da aver perso qualsiasi rassomiglianza con quella che era la loro forma originale. Alcune lasciavano esposte le ossa grottesche, annerite dal fuoco, mentre altre si erano quasi sciolte, riversando sulla strada litri e litri di un liquame violaceo e viscoso che emanava un fetore orribile.

-Indossate queste.- mormorò Kiba, porgendo ai compagni due mascherine da legare attorno alla bocca.

-C'è il rischio di rimanere infettati?- chiese Sai, allacciando il rettangolo di stoffa bianca sul viso.

-No, non credo. Il fuoco distrugge completamente l'Idra. Il punto è che i vapori sprigionati da queste carcasse potrebbero essere venefici, meglio non rischiare.- a rispondere fu Shikamaru, che, con aria pratica, sebbene l'equipaggiamento lo ostacolasse moltissimo, si faceva strada in quell'ecatombe dirigendosi verso il palazzo che ne era il fulcro.

Arrivarono in breve davanti alla porta, dirigendo la vista ovunque, tranne che sui cadaveri.

-Entriamo.-

-Ehi.- Kiba levò una mano, contrariato -Ho già fatto una volta una cosa simile, e il mio capo è quasi morto. Eravamo tre militari, mentre voi non siete nemmeno in grado di tenere in mano un'arma.-

-Abbiamo ricevuto anche noi un addestramento...-

-... che non vi servirà, Shikamaru, se lì dentro dovesse esserci qualcosa di anche solo lontanamente simile al mostro che ho visto io. Mi chiedo se ne valga la pena.-

Ora, difficilmente Shikamaru Nara cedeva a sentimenti di rabbia. Il più delle volte, semplicemente, si limitava ad una blanda irritazione o, più semplicemente, alla totale indifferenza. Del resto, da qualcuno che prova noia nel vivere non ci si possono certo aspettare particolari slanci emotivi, no?

Eppure, per qualche strana ragione, in quel momento Shikamaru si infuriò.

-Stammi bene a sentire, Kiba...- sibilò, sollevando il fucile e puntandolo verso il bassoventre del castano -... in una situazione normale sarei stato il primo a fregarmene di tutto e di tutti, ma quello che sta succedendo a questa città, a questo paese, è fuori dall'ordinario. Non possiamo restarcene a guardare mentre la realtà viene distorta e cambiata a seconda della convenienza, capisci? Siamo esseri umani, non macchine.-

-E con questo? Se ci stessimo sbagliando?-

-Oh, andiamo... non dirmi che credi ancora che Zeus sia malvagio, dopo quello che ha fatto per il tuo capo.-

-Ma ha ucciso...-

-Anche tu hai ucciso della gente, Kiba. E' la guerra. C'è chi perde, c'è chi vince, e non è detto che i buoni debbano essere sempre quelli che stanno con la maggioranza.-

-E su quali basi pensi che sia Zeus, quello buono?-

-Non lo penso. So solo che ci stanno nascondendo qualcosa, ed evidentemente Ade se n'è accorto, poi è scomparso nel nulla e presumibilmente ha preso le parti del Prototype. E' la nostra unica possibilità, e se intendi mollare tutto adesso che siamo qui giuro che, nonostante la mia scarsa mira, riuscirò a piantarti un proiettile dritto nelle palle. Non ne avresti comunque bisogno, no?-

L'Inuzuka sospirò, massaggiandosi la radice del naso. Poi scrollò le spalle, sconfitto.
-Ok, fottuto avvocato del diavolo. Mi fido. Ma vi avverto che non sarò certo io a salvare i vostri culi, se incontreremo qualcosa.-

-Ah, già...- intervenne Sai, sorridendo -... se dovessimo morire qui, dì a Ino che le sue tette sono e saranno sempre le più belle di tutti gli USA.-

-Giusto, Sai.- Shikamaru rincarò la dose -E avverti Temari che sarà la mia mendekouze anche all'Inferno, e di non trovarsi un altro pesaculo come il sottoscritto se dovesse volere un ragazzo nuovo.-

-Right. Nel caso fossi io a crepare, invece, ricordate a quel fottuto idiota di Lee di prendersi cura del mio Akamaru e di fargli una visita ogni tanto, per vedere se sta bene. Mia madre non è mai stata un tipo affidabile, su queste cose.-

-I tuoi ultimi desideri riguardano un cane? Sei messo male, amico.-

Kiba sibilò, offeso, abbattendo il semplice portone d'ingresso con un calcio. L'interno era sporco, ma illuminato, e non c'erano macchie di sangue.

-Bene, sembra più sicuro dell'ultima volta...-

-... disse Kiba Inuzuka, prima che un gigantesco mostro mutagenico uscisse urlando dall'angolo del corridoio.-

-Sai, sul serio, non è il momento.-

-Ooook...-


***


-Sasuke.-

-Mh...-

-Sai, forse faresti meglio ad andare a dormire nel tuo letto.-

-Mhm...-

-Uchiha, alzati immediatamente da lì e vai a dormire. Non puoi restare qui tutta la notte, e poi finirai per non vederlo quando si sveglierà.-

-... n... no.- fu la risposta, espressa con un vago mugugno che strappò un gemito di disperazione a Deidara. Sasuke, alla fine, aveva deciso di parcheggiare la testa sul letto di Zeus, piegato come un vecchio ingobbito, e rimanere a dormire in quella scomoda posizione per tutta la notte.

Cosa che, a dirla tutta, non poneva nessun problema particolare, se non fosse che Deidara non si fidava a lasciare l'Uchiha nella stessa stanza di Zeus, da soli e per giunta di notte. Ok, il Prototype era pur sempre in coma farmaceutico, ma lui non poteva mica sapere cosa si agitasse nella testolina malata del piccolo Uchiha, no?

Si avvicinò a Sasuke, che nel frattempo aveva chiuso gli occhi, segnati da profonde occhiaie, e lo afferrò per un braccio. Il moro non fece resistenza, limitandosi ad un debole strattone, poi gli crollò semplicemente addosso. Addormentato.

-Allora anche tu ti stanchi... per fortuna.-

Lo trascinò con facilità fino alla sua camera (era abbastanza leggero) e lo mise sul letto, coprendolo alla bell'e meglio con un plaid sgualcito.

"Però, quando dorme ha un'espressione quasi normale. Voglio dire, non sembra più che qualcuno lo stia prendendo a calci nelle palle..."

Sbadigliò sonoramente, passandosi una mano sulla faccia, e poi tornò sui propri passi, preparandosi a quella che si prospettava come una lunga, lunghissima notte di veglia.


***


Alle sei e ventitrè in punto, Sasuke spalancò gli occhi nel buio e si tirò a sedere di scatto.

-Zeus!- quasi urlò, guardandosi intorno alla ricerca del Prototype. Ma... non ricordava di aver raggiunto la propria camera, quindi...

-Deidara... ma io lo ammazzo...-

Si mise in piedi di corsa, ignorando una dolorosa fitta alla testa, e raggiunse la stanza di Zeus in un lasso di tempo compreso tra gli otto e i dieci secondi. I suoi propositi di omicidio e tortura sfumarono come neve al sole, una volta arrivato.

Inutile specificare il perché.

-Sas'ke... hai visto? Non basta così poco per togliermi di mezzo...- mormorò il Prototype, uno sguardo allegro nelle iridi azzurre, mentre lo fissava, steso sul letto. La voce era fievole, stanca, ma viva. Serena.

La voce più inappropriata per chi ha appena sfiorato la morte.

Sasuke strinse leggermente i pugni, poi si avvicinò al biondo, contraendo le labbra in una linea sottile. Improvvisamente, senza una ragione particolare, si era arrabbiato.

Forse per quel ghigno genuino, un'espressione che Zeus non aveva nessun diritto di fare, o forse per l'aria sicura e derisoria con cui il ragazzo sembrava guardarlo... o forse, più semplicemente, perchè, ancora una volta, il Prototype si ostinava a rassicurarlo con un falso sorriso quando era evidente la preoccupazione che gli deformava i lineamenti.

-Tu, razza di dobe...-

-Eh?-

-Sei completamente scemo! Come ti viene in mente di fidarti della prima ragazzina che passa!? Te l'avevo detto, ma seguire i consigli di qualcuno sarebbe stato troppo adulto per te, eh, Zeus?-

L'altro, sorprendentemente, non protestò.

Annuì stancamente, facendo ricadere la frangia color del grano sugli occhi segnati, poi sorrise.

-Sasuke... ma ci sei tu.-

L'Uchiha rimase di sasso, bloccato sull'inizio di un monologo, e fissò il biondo con gli occhi sgranati.

-C'eri tu. Qualunque cosa mi fosse successa, c'eri tu.- ammise Zeus, sorridendo di un sorriso che splendeva come il sole e arrossendo leggermente.

A quella vista, Sasuke non riuscì a trattenersi. Non più, non dopo che il suo autocontrollo era stato lentamente lesinato dagli avvenimenti delle ultime ore.

Vagamente conscio della presenza di Deidara, in un remoto angolo del suo campo visivo, colmò la distanza che lo separava dal Prototype a passi decisi.

Poi afferrò il biondo per le spalle.

Poi avvicinò il viso al suo, consapevole del fatto che Zeus sapeva e conosceva tutti i suoi pensieri, e che quindi qualsiasi parola sarebbe stata completamente inutile.

Lo baciò.

Sasuke non aveva mai baciato nessuno, in vita sua, e a dire il vero non aveva mai considerato l'eventualità che una cosa del genere potesse succedere. Quando sentì le labbra del Prototype sulle proprie, morbide e carezzevoli come solo può esserlo un sogno, comprese che lì, in quell'istante, si compiva la fine di un ciclo, e l'inizio di un altro. Si sentì distrutto e ricostruito decine di volte in pochi secondi, mentre chiedeva delicatamente l'accesso a quella bocca dal sapore dolce che non somigliava minimamente a qualsiasi cosa avesse mai sentito, e provato.

O immaginato.

Tutto il resto era niente, pura fantasia, il fastidioso spazio privo di nitidezza ai margini del punto focale. Anche le dita di Zeus affondate tra i suoi capelli, sulla nuca, erano una percezione secondaria, superflua.

Quando si staccò, con un mezzo sospiro, aveva quasi il fiatone.

-Oh, be', vedo che finalmente voialtri avete finito di mangiarvi la faccia.-

La percezione superflua chiamata Deidara fece brutalmente irruzione nella sua mente, spezzando in meno di quindici parole l'atmosfera quasi onirica che si era venuta a creare. Lo ignorò accuratamente, concentrandosi invece sul biondo che lo fronteggiava, estremamente rosso e imbarazzato.

-Sono debole. Uno squalo non può pretendere di essere difeso da un arowana, no?-

-Se tu fossi forte solo nel corpo, Sas'ke, non sarei stato così sciocco da fidarmi di te.-

Il moro ci pensò un po', poi arricciò le labbra, pensieroso.

-Già... in fondo hai ragione.-


***


-Ragazzi, credo che sia questa.-

-Ma con un palazzo intero a sua completa disposizione, proprio all'ultimo piano doveva farsi la casa?-

-Se ci ragioni per due secondi, Kiba, capirai che per Ade era decisamente più pratico avere una via di fuga a portata di mano, e perdipiù accessibile solamente a lui.-

Erano finalmente giunti all'ultima porta dell'ultimo piano, e, per esclusione, il rifugio doveva essere quello. La porta cedette con una spallata di Kiba (che, ormai, a forza di calci e spinte aveva la schiena dolorante) e rivelò l'interno di un appartamento semplice e, tutto sommato, pulito.

-E' questo. Gli altri sembravano abbandonati da molto più tempo, qui c'è pochissima polvere.-

Fecero un'ispezione veloce, passando da una stanza all'altra molto velocemente.

Finalmente, in salotto, trovarono ciò che cercavano.

Sul divano, un vecchio cimelio anni '60 con la fodera sgualcita e strappata (sembrava quasi che qualcuno ci si fosse accanito, in verità), stava una coperta parzialmente macchiata di sangue. Shikamaru la avvicinò al volto, pizzicandola con le dita per sfilare un lungo capello nero che vi era rimasto attaccato.

-Sai... la foto segnaletica di Ade.-

Il moro frugò per qualche secondo nella borsa che teneva a tracolla, poi porse al castano un foglietto piegato in quattro. Sulla carta da fotocopie, leggermente giallastra e tutta spiegazzata, campeggiava la fotografia di un ragazzo dall'espressione spenta, capelli e occhi neri.

-La lunghezza sembra quella...- interloquì Kiba, afferrando a sua volta la coperta -... ma c'è dell'altro.-

Dopo qualche secondo di intenso frugare tra le maglie di lana, vennero fuori altri due capelli, stavolta biondi e sottili come un filo di seta.

-Questi? Di chi sono?-

Sai si avvicinò ad una libreria, sui cui ripiani erano esposte una miriade di cornici.

-Di sicuro non del precedente inquilino... questo aveva i capelli castani, e pare si chiamasse Jake.-

-E come fai a saperlo, scusa?-

Il moro, senza rispondere, additò una fotografia. Ritraeva un ragazzo di venti, forse venticinque anni, con i capelli castani lunghi fino alle spalle. Con il pennarello indelebile, a margine, qualcuno aveva aggiunto la scritta "Auguri, Jake!".

-Ah. Chissà che fine avrà fatto...-

-Morto, sicuramente. Questa zona è più o meno al confine tra quelle infette e quelle sane, per cui, se l'inquilino non è in casa, vuol dire che è stato infettato e adesso è lì fuori a scorrazzare tra i Cacciatori.-

-Se non sono del padrone di casa, a chi appartengono quei capelli biondi?-

-Lo scopriremo. Per ora, l'importante è che sappiamo che Ade è stato qui.-

-Procediamo con l'esplorazione?-

-Sì.-


***


L'Idra si spandeva sotto i suoi piedi, obbediente, rispondendo ad ogni suo minimo movimento. Era raro che uscisse di mattina per le vie della città, ma c'era qualcosa che doveva assolutamente fare.

Percorse velocemente quelle strade che già conosceva, fermandosi per un attimo nel punto dove i suoi cacciatori, i suoi piccoli, umili schiavi, erano rimasti carbonizzati. Avvertì distintamente la presenza di alcuni umani, ma per il momento decise di soprassedere. Non era lì per quello, e non aveva alcuna voglia di schiacciare formiche indifese.

Il suo scopo era un altro, molto più difficile. Ma, pur essendo difficile, era anche appagante.

"Itachi-kun... non dirmi che non ti avevo avvertito..."

Sentiva la presenza dell'Uchiha, come del resto poteva percepire quelle di tutti gli infetti. La rabbia di qualche ora prima era svanita, sostituita dal sollievo per la guarigione di Zeus, ma la Madre aveva fatto una promessa, e l'avrebbe mantenuta. Le promesse si mantengono sempre, vero?

Sentiva l'essenza vitale di Itachi farsi sempre più forte e precisa, come un'immagine sfocata che acquista nitidezza a mano a mano che ci si avvicina. E poi, quando finalmente lo vide, notare la sua espressione stupefatta la lasciò quasi senza fiato per la gioia.

-Avrei dovuto immaginarlo. Alla fine sei venuta.-

-Elizabeth mantiene sempre le promesse, raven-kun.-

-Quel soprannome... tu...-

-E' bello, non è vero? Sembra fatto apposta per te, raven-kun.-

L'Uchiha strinse i pugni, perdendo in un soffio la sua maschera di calma e tranquillità. Le iridi brillavano come braci ardenti, riempite di rabbia.

-Non dirlo. Non pronunciare mai più quel nome.-

-E perché non dovrei, raven-kun?-

-Perché non ti appartiene. Tu sei solo una copia di lei, Greene, e lo sai perfettamente.- sibilò, maligno, ghignando con un'espressione di disprezzo che fece infuriare la donna.

-Sbagli a provocarmi, Itachi-kun. Potrei anche decidere di prendere la tua vita, se mi facessi arrabbiare sul serio.-

-Mi minacci di morte? Ciò significa che non sei davvero lei. Kushina non avrebbe mai detto una cosa del genere, non dopo quello che è successo a mia madre.-

I capelli della rossa furono percorsi da un tremito, mentre le mani bianche, dalle unghie lunghe e regolari, si stringevano di colpo. L'Idra stesso ribollì, come se fosse stato ferito.

-Perdonami, Mikoto-chan. E' stato Itachi-kun a provocarmi, vero? Io non ne ho colpa...- mormorò, con voce lamentosa.

Poi, con un balzo fluido, si lanciò all'attacco.


***


Cercarono per un'altra mezz'ora, ispezionando con cura tutti i nascondigli possibili, ma non trovarono nulla di rilevante.

-Be', qui abbiamo finito. Andiamo via.-

-No, aspettate...- mormorò Sai, entrando nella cucina -... qui c'è una porta che non avevamo notato. Immagino sia una specie di ripostiglio.-

-Tra l'altro- Shikamaru intervenne, avvicinandosi -il cesto dei rifiuti è pieno di carta straccia. Magari c'è qualcosa di interessante...-

-Oh, andiamo, cosa pensate di trovare in un cazzo di cestino dell'immondizia?-

-Kiba, è proprio per questo motivo che non sei stato assegnato alla sezione investigativa.-

L'Inuzuka sbuffò, andando ad aprire l'ennesima porta della giornata, mentre Sai e Shikamaru, girati dall'altra parte, si accingevano a controllare il contenuto del cestino. Anche dopo lo schianto del legno non si voltarono, perdendosi così lo spettacolo di Kiba che, inorridito, si infilava entrambe le mani nei capelli.

-Ma cos'è quest'odore orripilante?-

-Ragazzi... ho trovato il caro, vecchio Jake.-

A quelle parole, i due si precipitarono sulla porta, guardando all'interno della stanzetta buia e stretta che delimitava.

Al centro del pavimento, decomposto e ricoperto da un vago brulichio di larve, stava un cadavere. Sul cranio, quasi totalmente scarnificato, erano ancora abbarbicate alcune ciocche di capelli castani.

-Ade ha ucciso quest'uomo?-

-Non essere sciocco. Un simile grado di putrefazione non si realizza in poco più di tre giorni... Jake è morto da diversi mesi, probabilmente. Deve averlo ucciso qualcun altro, qualcuno che era qui molto tempo prima che ci arrivasse Ade.-

-Capelli umani, un cadavere risalente a diversi mesi fa, le macchie di sangue... stai pensando quello che penso io?-

-Ci serve una conferma, non possiamo avanzare ipotesi affrettate. Nel frattempo svuota il cestino.-

E fu proprio lì, paradossalmente, che trovarono le loro conferme.

Nel secchio di plastica giaceva una grossa quantità di ritagli di giornale, e un oggetto che a prima vista i due ragazzi non riconobbero. Poi, lentamente, compresero.

-Sono tutti articoli che riguardano Zeus... e sono tratti dal nostro giornale interno, quello che viene distribuito solamente ai militari. Li ha collezionati tutti, fin dai primi tempi dell'infezione.-

-Non è finita. Guarda qua.-

Shikamaru, con espressione funerea, porse al moro un braccialetto di plastica, di quelli da ambulatorio. Era un oggettino elementare, liscio, eppure semplicemente spaventoso.

Perché sulla fascia esterna, a chiare lettere nere, campeggiava una scritta.

ZEUS - 000.

Il primo paziente, il paziente zero.

-Merda.-













_Angolo del Fancazzismo_

Non mi uccidete. Vi scongiuro, non fatelo.

Scena del bacio pessima. Troppe cose in un capitolo solo. E, come giustamente dice bradipiro, vi ho lasciati nuovamente sul più bello.

Gomen-nasai. Gomen, gomen, gomen...

Beh, rispondiamo alle recensioni :)...

_N_: macché tarda... è questa fanfiction che, a furia di giri e rigiri, porta la gente sull'orlo dello sfinimento xD... beh, grazie della recensione, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Non sono troppo brava con le scene di baci e consimili, tanto più se le progetto fin dall'inizio come questa :P

Beatrix91: nella tua rece hai scritto il nome della biscia in 100 modi diversi, e nessuno di questi era "Orochimaru" xD! Il mio preferito rimane e sempre rimarrà "Orochimario"... comunque, nel caso in cui Shika venisse scoperto avrebbe decisamente più problemi con Temari che con lo stato. In fondo, cosa possono armi ed eserciti interi contro l'ardore di una dolce fanciulla? (o.O) Gaara ve lo godrete tutto tra un capitolo esatto, perchè credo che il prossimo lo dedicherò completamente a Itachi-kun e Kushina. Ti è piaciuto questo cap? Spero di sì : D!

ryanforever: farò un normalissimo classico. Sì, sullo studio non avevo dubbi, ma per fortuna ci sono materie che adoro (come il greco e la filosofia, per esempio) e i compagni di classe sono sufficientemente noiosi da non essere rompipalle. Passando alla fanfiction, Gaara non ha subito un trattamento simile ad Ade (ho rimarcato la differenza anche nel fatto che sono stati "curati" da due dottori diversi, Hinata e Kabuto), ma fa parte di un progetto completamente diverso. In bocca a lupo per l'università!!

Vaius: err... no, non controlla la sabbia xD. Tranquillo, non è l'ennesimo personaggio con poteri strani, ormai sono finiti (anzi, a pensarci bene me ne mancano ancora due, ma credo che saranno piuttosto marginali). Hinata ha un metodo tutto suo di risolvere le cose, e certamente non andrà a farsi ammazzare di proposito, no?

Sadako94: naaah, Gaara no. Un altro Ade comincerebbe a stufare, senza contare che non saprei come chiamarlo. Poseidone? Ares? Oddio xD...vabbè, vedrai con i tuoi occhi quello che intendo. La scuola è una brutta bestia, ma è praticamente da sempre che sogno di intraprendere degli studi classici, quindi penso di poter compenetrare i miei due hobby senza rinunciare a nessuno dei due! ooooh yesss...

bradipiro:err... no, non mi riferivo a Gaara. Anche se, comunque, pure a lui ne capiteranno di cotte e di crude, don't worry. Deidara nasconde mooolte cose, anzi, diciamo pure che, quando saprete quello che sa anche lui, avrete piena conoscenza del segreto di Zeus, e della verità. Pazientate, non ci vorrà molto.

fra76: sul peso dello zaino... l'ho notato. Il mio libro di italiano è praticamente un vocabolario -_-"". Ciemmecu (comunque) fai bene a non lanciarti in ipotesi affrettate. In "Prototype" non ci sono personaggi "buoni" o "cattivi" in quanto tali, semplicemente alcuni stanno da una parte della barricata, altri dall'altra.


See you soon,

Roby


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Capitolo 16
*** Madness ***


014 – Madness

Itachi aveva un dono.

O forse, a voler essere più precisi, una maledizione.

Poteva, molto banalmente, vedere le cose al rallentatore. I suoi occhi percepivano le immagini con una sveltezza tripla rispetto al normale, rielaborandole poi in sequenze di fotogrammi a bassa velocità che gli scorrevano nella mente l'uno dopo l'altro. Ciò gli consentiva di evitare attacchi e sferrarne di velocissimi quando il nemico abbassava la guardia, ed era quindi un'agevolazione preziosissima in combattimento.

Tuttavia, come ogni cosa apparentemente perfetta, anche gli occhi di Itachi avevano un tallone d'Achille.

Ovvero: cosa fare quando il nemico è più forte e soprattutto più veloce di te?

Vide la Greene che gli si lanciava addosso, lenta come se qualcuno avesse inserito la moviola, e provò a scostarsi. Ma, per quanto le sue mosse potessero risultare repentine, quelle della donna erano a dir poco disumane.

Lo colpì in pieno viso, forte e precisa, assestandogli uno di quei pugni che difficilmente, in vita sua, avrebbe dimenticato. Si tenne in equilibrio, scivolando nell'asfalto e tracciando due solchi paralleli di cemento ridotto in frantumi e pezzi di bitume nerastro, fermandosi poi ad una ventina di piedi distanza dalla Madre.

Lei, con quelle sue movenze tipicamente infantili, lo guardava e sorrideva.

-Fa male, Itachi-kun?-

-No.-

-Oh, mi dispiace... allora dovrò impegnarmi di più...- mormorò, con aria fintamente contrita, prima di spiccare un balzo. Si portò in pochi attimi ad un soffio dal suo viso, caricando un altro pugno che, stavolta, gli avrebbe fatto certamente male.

Il moro la evitò all'ultimo secondo, buttandosi a destra con una contrazione dolorosa dei muscoli delle gambe. Per un attimo, complice forse la stanchezza, credette quasi di aver evitato l'attacco.

Be', tecnicamente il pugno l'aveva evitato. Non si poteva dire lo stesso, però, del tentacolo che sbucò dal terreno, gli si avvinghiò attorno alla caviglia e lo lanciò in aria, facendolo schizzare per una ventina di metri verso il blu infinito del cielo.

La Greene non perse l'occasione, saltando immediatamente con tutte le energie che possedeva e raggiungendolo in pochi istanti. Negli attimi in cui le loro posizioni rimasero allineate, chiuse entrambi le mani a pugno, e, caricate le braccia all'indietro, assestò ad Itachi un colpo micidiale allo stomaco, spedendolo come un proiettile contro il terreno.

Il boato dello schianto coprì per qualche istante la risata argentina della rossa, prima che questa atterrasse piegando leggermente le ginocchia, leggera e aggraziata come una farfalla. Si avvicinò al luogo dell'impatto, su cui aleggiava una sottile nuvola di polvere, e fu costretta a smettere di ridere, suo malgrado, quando lo trovò completamente vuoto.

-Dove sei, Itachi-k...- una mano grande e fredda la afferrò per la gola, troppo veloce e inaspettata perché riuscisse a reagire immediatamente. Quando poi Itachi tentò di farla voltare, e comprese la ragione di quel gesto, fu invasa da un senso di furia cieca che la rese immobile per qualche secondo ancora.

Per qualche secondo.

Si udì una specie di gorgoglio quando la schiena di Itachi fu trapassata da un artiglio sbucato dal terreno, e la Greene sorrise, sentendo la presa sulla propria gola che si allentava fino a sparire.

-So quello che vuoi fare, Itachi-kun... non provarci.-

-Hai paura?-

La rossa contrasse nervosamente un angolo della bocca, arricciando il naso.

-Paura? Non ho paura di te.-

-Non si dicono le bugie, Greene.- sibilò il moro, in un singulto, spezzando la spina con le mani. La ferita si rimarginò immediatamente, lasciando la pelle liscia e compatta, priva di cicatrici.

L'Uchiha fissò Elizabeth, che, conscia del proprio punto debole, ne evitava accuratamente lo sguardo. Naturalmente, Itachi sapeva molto bene che la rossa, quando combatteva, non conosceva stasi, né pause.

Fu una crepa sull'asfalto ad avvertirlo di ciò che stava per accadere, permettendogli di spostarsi appena in tempo per evitare una corona di tentacoli uncinati che, emersa dal terreno, iniziò ad agitarsi e protendersi in tutte le direzioni nel tentativo di afferrarlo.

-Disgustoso.- commentò -E anche di pessimo gusto.-

-Guardati alle spalle, Itachi-kun.- fu la piatta affermazione della Greene, prima che Itachi saltasse in aria, evitando due fasci di tentacoli diretti alla sua schiena.

Ben presto l'asfalto iniziò a spezzarsi e creparsi in ogni dove, rivelando un brulichio di tentacoli rossastri, dai movimenti frenetici simili a quelli dei vermi, che brancolavano alla cieca nel tentativo di abbrancare l'Uchiha. Questi, senza requie, iniziò a saltare da una parte all'altra della strada, evitando quelle propaggini che si raggruppavano, simili ad anemoni scarlatti, nei punti in cui riusciva a passare senza essere colpito.

Erano troppi, e aumentavano sempre di più ogni secondo che passava. Itachi realizzò di essere realmente stanco solamente quando uno dei tentacoli lo colpì su una coscia, aprendovi uno squarcio da cui il sangue iniziò a sgorgare copioso.

-Merda...- non era da lui lasciarsi andare ad imprecazioni triviali.

Trattenersi, d'altra parte, era difficile.

Ammesso e non concesso che fosse riuscito a resistere ancora a lungo, non c'era modo di scappare indisturbato. Elizabeth controllava il virus presente nel sottosuolo di Manhattan, ed era in grado di manipolarlo a piacimento, precludendogli così qualsiasi via di fuga.

C'era un unico sistema per uscire interi da quella situazione.

E non poteva dirsi privo di rischi.

Meditò per qualche attimo se non ci fosse altra via d'uscita, ma fu costretto ad ammettere che no, non conosceva altri metodi per placare la Greene se non farle molto, molto male. E non si trattava di “male” in senso fisico.

Il dolore, in fondo, può essere inteso in molti modi e presentarsi sotto molteplici forme.

Sospirò, schivando l'ultimo attacco, poi si lasciò cadere nel vuoto. Strinse i denti quando sentì i tentacoli che gli strappavano la pelle a furia di affondi, e attese finché quella frenesia non si placò. Evidentemente, la Greene contava sul fatto che lui si fosse già arreso.

Sciocca. Gli Uchiha non si arrendono mai.

La furia ti ottenebra il cervello al punto che hai perso di vista i miei pensieri... se così non fosse, difficilmente avresti fermato il tuo attacco. Sei tanto codarda da non poterti permettere il minimo rischio, Greene.”

Itachi si rilassò completamente, lasciando che i tentacoli cominciassero a sommergerlo, lenti e compatti come una coperta viva. Lo inglobarono del tutto, finché, a poco a poco, non cominciarono a restringersi e cambiare forma, scoprendogli del tutto la faccia e lasciando il resto del corpo immerso nell'Idra.

Non aprì gli occhi e rimase immobile, producendosi in un paio di sospiri pesanti.

Svenuto, doveva sembrare svenuto.

La donna gli si avvicinò, sorridendo con aria derisoria. Sentì i suoi passi leggeri, quasi impercettibili, e il fruscio dell'Idra che, obbediente, la seguiva come un'ombra. Il respiro gelido di lei sul suo viso lo avvertì che era il momento propizio.

-Che cosa volevi fare, raven-kun? Non puoi battermi, lo s... !?-

-Ti fidi troppo delle tue capacità, mostro.-

Elizabeth Greene, con non poca sorpresa, si ritrovò le iridi scarlatte di Itachi puntate nelle sue, ormai impossibilitata a distogliere lo sguardo o fare qualsiasi cosa per contrastare l'Uchiha. Il moro, vittorioso, le rivolse un'occhiata piena d'odio, poi sorrise.

-Non sei diverso da me, raven-kun. “Mostro”, dici, ma lo sei anche tu...-

-Risparmia il fiato, “Madre”, perché adesso, finalmente, ti farò provare le pene dell'Inferno.-


***


Solo in un secondo momento, sospeso a pochi centimetri dal corpo di Zeus, Sasuke si ricordò che, effettivamente, in tutta la faccenda c'era un piccolo particolare stonato.

Non tanto piccolo, a dirla tutta.

Si voltò verso Deidara, circospetto, aspettandosi un qualsiasi segnale di nervosismo. Un tic, magari. Un verso stizzito. Un'espressione anche solo vagamente arrabbiata.

Invece, sorprendentemente, sul volto del biondo rimaneva stampato sempre quell'irritante sorriso alla "tra noi due l'emo sei tu, pivello", che, oltre a farlo irritare, gli stava facendo venire un orrendo sospetto.

-Deidara...-

-Mh?-

-Tu... non ti senti minimamente irritato per quello che ho appena fatto?-

-Uh? E perché mai dovrei, Ade?- replicò, con un certo sorriso furbesco che valeva più di mille parole.

-Già, Sas'ke, perché dovrebbe?- fu la domanda di Zeus, che, per sua sfortuna, rimase inascoltata. Sasuke, infatti, era fin troppo impegnato a fissare Deidara con uno sguardo che prometteva le peggiori torture, ma, da bravo Uchiha, prima di agire preferì sincerarsi della verità.

-Tu... non avrai mica raccontato una ca...-

-Be', Ade, sai com'è, no? A volte ci vuole un po' di... come dire... ecco... hai presente le bugie dette per un buon fine? Non sono vere e proprie... Ade, cos'è quella faccia? Ehi?-

-Maledetto bastardo... ma io ti ammazzo...-

-G-guarda il lato positivo! V-vi ho dato una spinta, no?-

-Ti conviene cominciare a correre.- sibilò il moro, muovendo un passo verso l'artista.

Deidara, senza farsi pregare, fece un rapido dietro-front e si fiondò fuori dalla porta, mentre, alle sue spalle, un Sasuke più innervosito che mai lo rincorreva sibilando epiteti irripetibili.

Zeus sorrise, scuotendo lievemente la testa, poi crollò sul cuscino, con un sospiro.

Si passò una mano sulla faccia, accarezzando con i polpastrelli le borse formatesi appena sotto gli occhi, e per un attimo fu grato di non avere uno specchio a disposizione, cosa che gli avrebbe permesso di rimirare le pessime condizioni in cui era ridotta la sua faccia.

Era stanco e si sentiva totalmente scombussolato, sia per gli eventi in sè, sia per l'improvvisa iniziativa di Sasuke. E quale medicina migliore, per un cervello spossato, di un po' di sano sonno?

Afferrò le coperte, tirandosele fin sotto il naso, poi si accoccolò su un fianco e sprofondò nel dormiveglia.


***


-Questo... questo cosa significa?- la voce di Kiba era tremula, quasi inudibile. Un tono quanto mai inusuale, per qualcuno che sembrava quasi l'incarnazione terrena della spavalderia.

-Mi sembra ovvio, no? Ade è stato qui. E, con lui, c'era Zeus.-

-Ade ci ha... traditi?-

-E' presto per parlare di tradimento. Più che altro, c'è un particolare che mi preoccupa.-

-Spara.-

-Jake. E' qui da molto, troppo tempo. Ora, se fosse stato Zeus ad ucciderlo, ciò significherebbe...-

-... che ci troviamo nel posto in cui il Prototype ha trascorso praticamente tutto il suo periodo di latitanza, o almeno una buona parte di esso.- fu Sai a completare la frase, aprendo il portatile sul tavolo della cucina e cominciando, frenetico, a pestare sui tasti.

-Che stai facendo?-

-Sto guardando la scia del GPS. Escludendo il periodo di tempo in cui il segnale è rimasto fermo sul Chrysler, c'è anche un altro posto in cui Ade è rimasto per diverso tempo.-

-Dove?-

-Il porto.-

-Il porto?- Shikamaru si accarezzò il mento con due dita, poi spalancò gli occhi e schioccò le dita in aria -Certo! Allora, poniamo che Zeus e Ade siano rimasti in questo posto per qualche tempo, e che poi, a causa dell'attacco dei cacciatori, lo abbiano abbandonato...-

-... aspetta, Shikamaru. E' probabile che lo abbiano abbandonato, visto che Ade non è più tornato qui, ma perché avrebbero dovuto farlo? Insomma, solo perché dei cacciatori...-

-Ci sono diverse spiegazioni plausibili. La più ovvia è che abbiano preferito andarsene perché sospettavano che tutto quel trambusto avrebbe attirato i militari, e volevano che il loro nascondiglio rimanesse segreto.-

-Dev'essere così. Non c'erano falle nel loro piano, ma non potevano sapere del GPS.-

-Esatto. Comunque, intuitivamente, il porto è decisamente un buon posto per nascondersi. Ci sono i magazzini, pochi infetti e nessun alveare. E' praticamente un'oasi di pace.-

-Quindi...- Kiba assottigliò lo sguardo, pensoso -... è lì che si trova la tana del lupo, giusto?-

-Sì.- rispose Shikamaru, tranquillo, mentre si accendeva una sigaretta.

-Ci andremo subito?- era interessante notare come la domanda non fosse "ci andremo", o qualcosa di simile. Kiba, ormai, sapeva che era troppo tardi per tirarsi indietro.

-No. Innanzitutto voglio fare un sopralluogo di sotto, per vedere chi ha bruciato i cacciatori. Poi andremo al Chrysler per scoprire che fine ha fatto Ade, e, nel caso la risposta ci portasse a pensare che tra lui e Zeus c'è effettivamente un accordo, solo allora andremo avanti con la missione.-

-Ho la netta sensazione che quando Ade saprà del GPS non sarà affatto felice.-

-Non dobbiamo necessariamente dirglielo!- intervenne Kiba, arrossendo.

-Ah, no? E come pensi che ci giustificheremo, una volta che li avremo raggiunti? "Sai, Zeus, sono state le nostre capacità divinatorie a portarci qui da te"... ma per piacere.-

-Tra l'altro...- fece notare Sai, fissando un orologio attaccato alla parete e fermo ormai da molto tempo -... dovremmo sbrigarci. I Sabaku sono in città, e se ci beccano finiremo i nostri giorni in una cella ammuffita.-

-La cosa più avvilente è che Temari è pure la mia fidanzata...-

-Non è mica colpa nostra se ti sei messo con un'iron maiden, Shika.-

-Avreste potuto avvertirmi.- scherzò il castano, aprendo la porta dell'appartamento.

-Oh, non sarebbe servito.- rispose Sai -Tu, Shikamaru, sei sempre stato un gran cocciuto.-

-Intendi dire che lo sono ancora?-

-Oh, sì. Guarda in che casino ci hai portato, per la tua testardaggine.-


***


-NO!- la madre si portò le mani alle orecchie, affondando le dita nei capelli.

Attorno ad Itachi l'Idra si afflosciò, disgregandosi, e ricadde a terra in mille brandelli rossicci. Il moro, sentendosi libero, non distolse comunque lo sguardo dagli occhi verdi dell'avversaria, conscio di non poter sprecare una possibilità preziosa come quella. La vedeva soffrire, urlare e gemere come un condannato a morte, e sapere di essere la causa di tutto quel dolore gli regalava una soddisfazione non indifferente. Sogghignò, posando le mani sulle spalle dall'apparenza fragile della rossa.

-Cosa vedi, Elizabeth? Somiglia almeno un po' alla realtà?-


***


Hai sempre avuto paura del fuoco.

Una dannata paura.

Afferri la maniglia con entrambe le mani, ma scotta talmente tanto che senti la pelle sfrigolare, a quel contatto, e le ritrai immediatamente. Fa male, fa male... ma non puoi fermarti qui, o l'essere che porti in grembo troverà la morte assieme a te.

Come Minato.

Come Mikoto.

Come tutti.

Non è giusto.

Le fiamme divampano nel salotto, divorando tutto, fotografie e libri inclusi. Reprimi l'orrore che provi nel vedere i tuoi ricordi bruciati, ridotti ad un cumulo di cenere, ma non è questa la tua priorità. Ah, se solo fossi stata un po' più svelta nel correre all'entrata... forse saresti giunta prima che le travi del tetto crollassero, impedendoti di passare. Stringi le mani sulla pancia, perfettamente gonfia e sferica, l'unica cosa sana e viva in quel luogo malvagio, infetto, in cui pensavi di trovare la tua felicità.

Stanno cercando di cancellare quello che hanno fatto, ma non ci riusciranno.

Non glielo permetterai.

Non dopo che vi hanno trasformato in carne da macello, tutti, nessuno escluso.
Anche il tuo bambino non ancora nato, così piccolo e fragile, eppure già preda di creature più potenti di lui. Vorresti proteggerlo, cullarlo dolcemente per rassicurarlo, e l'impossibilità di non poterlo fare ti spezza il cuore.

Nel frattempo, l'aria del salotto si è fatta densa ed irrespirabile, piena di fumo. Ti entra nella gola e la brucia, intossicandoti, finché le ginocchia molli non ti tradiscono, lasciandoti cadere sul pavimento. Per terra riesci a respirare meglio, ma sai che durerà soltanto pochi secondi. Ti raggomitoli quanto più possibile, e ti sforzi di incamerare ossigeno nei polmoni solo perché sai che, se smettessi, il piccolo morirebbe.

Che brutta cosa, l'abnegazione materna. Ti porta a sacrificare tutta te stessa per qualcosa che ancora non esiste, a lottare con tutte le tue forze per difendere una vita alle volte fragile, quasi insignificante.

No, insignificante no. Non potrebbe mai essere insignificante, non per te, almeno.

Vorresti urlare aiuto, ti basterebbe anche solo che qualcuno arrivasse e salvasse il bambino, ma, almeno finché le vostre vite sono legate a doppio taglio, con lui dovrebbero portare via anche te. Ti senti quasi egoista per aver pensato che, in fin dei conti, questo è un vantaggio.

Cerchi di gridare, di fare qualsiasi cosa per attirare l'attenzione, ma la tua voce si spegne in un convulso attacco di tosse. Ti fa male il petto, sputi un po' di saliva nerastra.

E poi, ti senti strana. In mezzo a tutto questo dolore, a questa sofferenza, c'è un'altra sensazione che si sta facendo spazio nelle tue percezioni.

E' ghiaccio, ghiaccio liquido che ti scorre nelle vene e sembra quasi paralizzarti, partendo dalla mano ed espandendosi in tutto il braccio. Girando lentamente gli occhi, che pizzicano e lacrimano per via del fumo, noti una chiazza strana, di un viola purpureo, apparsa alla base del polso.

Non è una bruciatura.

Poi, in concomitanza con l'espandersi del gelo, che ti raggiunge lo stomaco, senti il bambino scalciare, come impazzito. Va avanti per qualche secondo, forsennato, e tu ti agiti, spaventata, toccando con le mani la pelle che si tende sotto i colpi del piccolo.

Non fai in tempo a chiederti cosa stia succedendo, che smette.

La faccia ti si contorce in una smorfia d'orrore, la bocca si spalanca in un urlo silenzioso, mille volte più straziante di qualsiasi pianto o manifestazione di dolore.

Perché, improvvisamente, la consapevolezza ti ha colto.

E' morto. Morto.

Come se potessi conoscere ogni suo pensiero, come se la tua mente fosse realmente interconnessa alla sua, sai che ha appena cessato di vivere.

Non può essere vero, no. No, no, no, no... te lo ripeti centinaia di volte, mentendo a te stessa sulle orribili verità che la tua vita ti sta ponendo davanti, l'una dopo l'altra, come per sfidarti. Ma dovrebbe saperlo, la vita, che tu non sei così forte da sopportare tutto questo senza riportare ferite più gravi di quanto possa sopportare.

Abbandoni la testa sul pavimento, respirando piano quell'aria arroventata che ti uccide mentre ti regala i tuoi ultimi istanti di vita. Come a contrastare con il fuoco che tu brucia dall'esterno, il gelo si è fatto pressante, totale, come se, all'interno, il tuo corpo fosse completamente ghiacciato. Avverti una sensazione strana alla testa, forse una sorta di leggerezza, d'oblio, ma non te ne importa nulla.

Sai e speri che morirai qui, a cosa servirebbe interrogarsi su qualcos'altro?

Poi, come a smentire i tuoi pensieri, la porta d'ingresso cede, cadendo sulle travi ammucchiate sul pavimento. Si solleva una nuvola di scintille, e, mentre la tua vista si fa sempre più sfocata, delle figure nere si fanno spazio tra le fiamme, sedandole con degli estintori.

Devono essere loro, i tuoi salvatori. Protendi una mano verso una di quelle figure, in una supplica muta, ma nessuno ti presta attenzione.

Eppure, internamente, sorridi.

Sì, sono venuti a prenderti. E magari, con te, salveranno la vita anche al bambino.

Quello che non sai, Kushina, è che quelli non sono angeli custodi arrivati per portarti in un posto migliore, no.

Sono i demoni neri che ti getteranno in una vita fatta di incubi.


***


Itachi fissò la Greene, raggomitolata per terra come un animale ferito.

-So che soffri. Tutti soffriamo per quello che è successo, tutti abbiamo perso qualcosa e abbiamo motivi di vendetta. Ma tu, sola tra tutti, hai permesso che accadesse questo...- con un gesto ampio delle braccia, indicò l'intera area circostante -... e hai consentito al virus di soggiogarti. Non meriti pietà e compassione, Greene, perché continui a combattere una battaglia persa da diciassette anni. Lui non è tuo figlio, e non lo sarà mai. Il passato è stato distrutto dalle stesse fiamme che bruciarono Hope, e non tornerà indietro.-

Rivolse uno sguardo compassionevole alla rossa, che, persa nei meandri dei propri ricordi perduti, si graffiava le guance rigate di lacrime, poi si voltò e corse via, sparendo tra le costruzioni di cemento grigio.

Il passato è perduto per sempre, pensò, mentre si dirigeva al quartier generale della Gentek, e quello che ci è stato tolto non ci verrà mai restituito, a partire dalle nostre vite. Non siamo nemmeno più umani, ormai.


Allora dimmi, Itachi-kun... in fondo vale così tanto la pena essere "umani"?









_Angolo del Fancazzismo_

Ouuuff... capitolo a dir poco faticoso da scrivere. Non vi dico quanto tempo ci ho messo per creare il passato di Kushina, e quanto ne ho sprecato inutilmente cercando di rendere Itachi anche solo vagamente convincente.

Il gioco non vale la candela, ma tra una lettura di greco e l'altra (chenoiachebarbachebarbachenoia) sono riuscita anche ad aggiornare abbastanza per tempo. Abbastanza.

Va beh, l'importante è che sia arrivato, no? O.O <--- sarebbe un'espressione kawaii, ma voi non fateci troppo caso xD

Oggi, sfortunatamente, non ho proprio tempo per rispondere alle rece (ho disertato il latino per finire il capitolo, e corro subito a studiare per domani) quindi includerò le risposte a quelle che mi avete inviato in quelle del prossimo capitolo.

Vi ringrazio sempre moltissimo, siete recensitrici fantastiche (e no, vivvinasme, non hai fatto nessuna figuraccia, anzi ù.ù)...

See you soon,

Roby

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Capitolo 17
*** Art is Explosion ***


016 - Art is Explosion

La schiena di Gaara era larga e distante, sotto i raggi del sole.

Temari la fissò ancora una volta, passandosi poi una mano sugli occhi, un po' per distogliersi dalla contemplazione, un po' per asciugarli dal sudore che le copriva la faccia. Mai, come in quel momento, si sentiva perfettamente inutile.

Il rosso camminava davanti a loro, dieci, forse quindici metri più avanti, e non si curava affatto della loro presenza, continuando la marcia senza mai fermarsi a riposare. Era solo, lo era sempre stato, abituato a non fare affidamento sull'aiuto di nessuno.

E poi, particolare iniquo eppure orribilmente evidente, era l'unico dei tre a non indossare la mascherina. Adattato, a suo agio in un luogo che alla gente normale non sembrava altro che il preludio dell'Apocalisse. E loro, gli umani, così come doveva essere, si proteggevano da qualcosa che lui non temeva nemmeno.

Temari non era mai stata una persona sciocca o pressappochista, e tantomeno una codarda. Fatto sta che non poteva impedire ai brividi di correrle su per la schiena, quando incrociava casualmente lo sguardo vuoto del fratello, voltatosi magari per controllare a che punto fossero i suoi deboli compagni di squadra. Il suo istinto animale le urlava di voltarsi e scappare, la ragione le imponeva un rigido autocontrollo appreso con anni di vicinanza a Gaara.

Era completamente pazzo e pericoloso anche come un semplice umano, e non era curiosa di sapere quale risultato avessero prodotto gli esperimenti di Kabuto Yakushi, su di lui. Sperava solo che non lo avessero reso ancora più instabile.

Kankuro, accanto a lei, lanciava al rosso continue occhiate preoccupate, mentre quello, serafico, camminava tranquillamente in mezzo a resti di cadaveri vecchi di giorni. Si tratteneva dal sussurrarle qualche commento sprezzante, ne era certa, solo perché temeva che Gaara avrebbe potuto udirli.

In lontananza, a poco a poco, spuntò la familiare sagoma di un alveare. Il loro obiettivo.

Si avvicinarono molto, ormai solo pochi metri li separavano dalle pareti viscose delle incubatrici, e si rifugiarono dietro un palazzo per non essere attaccati. La baraonda, intorno al palazzo, era inaudita.

-Qui.- il rosso si fermò, aspettando che lo raggiungessero, poi aprì la borsa che portava a tracolla e ne trasse una specie di macchina radiocomandata, completamente nera, dalla forma quasi perfettamente cubica. Dopo qualche secondo di ricerche venne fuori anche un piccolo telecomando, uguale in tutto o per tutto a quelli dei giocattoli per bambini.

-Gaara...- azzardò Kankuro, fissando l'oggettino -... non avevamo concordato per una quantità di esplosivo leggermente più piccola?-

-Se dobbiamo attirare Zeus sarà meglio usare qualcosa di più forte. Non si avvicinerebbe di certo per un marciapiede saltato in aria.-

-Ma... distruggendo l'alveare non faremo incazzare anche quelle creature?-

-Non sarà un problema. E adesso muovetevi, distribuite le altre cariche.-

Temari e Kankuro tirarono fuori le altre bombe radiocomandate, tre per uno, e, grazie ai telecomandi, le mandarono a sbattere contro la base dell'alveare. Una per una, le nove cariche vennero piazzate nei punti giusti.

-Allontanatevi.- mormorò il rosso, prendendo un telecomando piccolo e nero che, invece delle levette per pilotare, recava un unico, piccolo bottone.

-Ma... se rimani qui anche tu finirai coinv...-

-Via.-

I due fratelli sospirarono all'unisono, sconsolati, prima di correre via. Avevano fatto appena due, forse trecento metri, che Gaara spinse il bottone.

Per un attimo, Temari pensò di essere diventata sorda.

Il boato le colpì le orecchie a tal punto da diventare quasi inudibile, mentre una corrente di aria calda, ustionante, le arrivò sulla schiena, facendola cadere a terra. Kankuro le finì accanto, bestemmiando come uno scaricatore di porto, ma a differenza sua ci mise qualche secondo per rialzarsi. Quando si voltarono verso l'alveare, poi, non videro altro che un cumulo indistinto di macerie bruciate.

-Ma che cazzo di esplosivo era?- Kankuro quasi urlò, massaggiandosi le spalle.

-Non lo so. Credo lo abbiano preparato apposta per questa missione.-

Poi, improvvisamente, i due si fissarono negli occhi. Un lampo di sorpresa.

-E Gaara?- esclamarono, all'unisono.

Si incamminarono velocemente verso l'alveare distrutto, sinceramente preoccupati di ciò che avrebbero potuto trovare. Non che provassero chissà quale affetto o preoccupazione nei confronti di quel fratello che per loro era quasi alla stregua di un'arma umana, ma temevano di aver perso il membro più forte del team e, con esso, il prestigio di cui godevano presso la Gentek.

Potrebbe sembrare un pensiero meschino, opportunista.

Nella loro situazione, tuttavia, era il massimo che ci si potesse aspettare.

-Gaara? Ci s...-

-Vi avevo detto che non c'era motivo di preoccuparsi.-

Temari e Kankuro sobbalzarono, voltandosi poi verso la voce.

Gaara, perfettamente illeso e inespressivo come al solito, li fissava. Sulla pelle non aveva il minimo segno di bruciature o escoriazioni, i capelli non gli si erano nemmeno arruffati.

-Tu, come...-

-Non vi riguarda. Insistete con queste domande e vi ammazzo.- mormorò il rosso, facendo rabbrividire gli interlocutori. Poi si voltò verso le rovine dell'alveare, considerandole con un'occhiata, e stirò le labbra in un ghigno sadico.

-Dobbiamo solo aspettare che ci raggiunga.-

-Gaara, ma... non è detto che venga. Non credo che Zeus si curi di ogni rumore che sente, no?-

-Zitta, Temari. Verrà. Non a caso ho distrutto un alveare.-

La bionda non ribatté, sapendo che comunque non sarebbe servito a nulla.

Stavano cacciando una preda più pericolosa di loro, e la ragazza se ne rendeva perfettamente conto, ma non poteva ribellarsi.

Non a Gaara, né a Kankuro. Ciò che le impediva di alzarsi e andarsene era la mostruosità stessa del loro rapporto, un misto di affetto naturale che non poteva impedirsi verso i fratelli e di odio puro che i tre si rivolgevano, certi di dovere la propria infelicità solamente ai membri della propria famiglia.

Erano stati fagocitati dagli eventi, ecco la verità.

E la porta per tornare indietro era ormai crollata, alle loro spalle.

 

***

 

Sasuke si fermò nel bel mezzo dell'inseguimento, allungando le orecchie.

-Che cosa...-

Nell'aria, impercettibile eppure così evidente, si spandeva una vibrazione lontana, un singulto della terra che sembrava gemere della ferita appena subita. Un normale essere umano non sarebbe mai riuscito a percepire quel tremito infinitesimale, ma l'Uchiha non rientrava nella definizione di "umano". E nemmeno Deidara.

Il biondo, dimentico delle minacce di morte di Sasuke, gli si portò davanti, fissandolo con espressione preoccupata.

-Hai sentito?-

-Cos'era?-

-Un'esplosione.- scandì Deidara, sul viso una strana espressione esaltata.

-Dovremmo andare a controllare?-

-Penso di sì... è stato un bel botto. Chissà che genere di esplosivo hanno usato...- gli occhi gli brillavano, accesi di una strana luce sadica.

-Hm, ok. Sbrighiamoci, così, nel caso Zeus dovesse svegliarsi, non si troverà da solo.-

-Ti preoccupi per lui, adesso? Oh, che carin...-

-Deidara.-

-Ok, la smetto.-

Uscirono dalla base senza nessuna fretta, saltando poi sul tetto di uno dei magazzini del porto.

-L'esplosione veniva da là.- decretò il biondo, puntando il dito alla loro sinistra.

-E come fai a saperlo?-

-Uh, allora Zeus non ti ha spiegato proprio niente. Vedi, Ade, il mio potere è legato proprio alle esplosioni, e un giorno, forse, vedrai anche come. Il punto che ti interessa ora è che, grazie alle mie capacità, posso decifrare le vibrazioni del terreno e leggere anche la minima, e sottolineo minima, scossa a cui viene sottoposto il suolo su cui cammino.-

-Un po' come i cacciatori?-

-Assolutamente no. Le mie capacità sono infinitamente più raffinate.-

-Ok, megalomane. Qual'è il punto?-

-Sasuke, hai mai lanciato un sasso in uno stagno?-

-No.-

-Ah, ehm... allora, facciamo finta che tu l'abbia fatto, ok? Beh, il succo è che, quando lanci il sasso, le increspature prodottesi sull'acqua vanno dall'esatto punto in cui la pietra colpisce la superficie verso l'esterno, ingrandendosi sempre di più e, contemporaneamente, diminuendo d'intensità. Stesso discorso vale per il terreno e le vibrazioni date da una collisione, o un'esplosione.-

-Se ho capito, tu riesci, attraverso l'intensità delle vibrazioni, a determinare dove si trova l'epicentro e a quale distanza è dal punto in cui sei tu, giusto?-

-Esatto. E, pensa un po', le vibrazioni si sentono ancora, quindi dev'essere stato proprio un bel botto. Oh, quanto vorrei poter avere sotto mano l'esplosivo che hanno usato...-

-Se ci sbrighiamo ce l'avrai. Tanto sono stati dei militari a causare quell'esplosione, non vedo chi altro avrebbe potuto farlo.-

-La Madre?-

-Strano, mi sembrava che Zeus te ne avesse parlato. Quella donna è appena in grado di formulare frasi di senso compiuto, a volte neanche quelle, e sinceramente dubito che possa utilizzare una carica esplosiva. E poi non ne avrebbe bisogno, visto che, se volesse distruggere qualcosa, potrebbe usare i suoi cacciatori.-

-Oh, beh, in questo caso sarà meglio sbrigarsi. Sai com'è... i macellai adorano la carne fresca, specialmente quand'è ancora viva e pulsante.-

-E tu saresti un macellaio, Deidara?-

Il biondo gli rispose con un ghigno che aveva dell'inquietante.

-Be', Ade, tu non lo sei?-

Non gli diede il tempo di interiorizzare la domanda, schizzando in avanti, verso il punto precedentemente indicato. Sasuke saltò, iniziando subito a corrergli dietro, ma realizzò ben presto di essere davvero lento, in confronto all'artista.

Deidara era veloce, incredibilmente rapido in ogni movimento, e non sprecava nemmeno un secondo in evoluzioni inutili e simili atti di vanità. Le sue mosse erano essenziali, forse meno aggraziate di quelle di Ade, ma infinitamente più potenti e scattanti. Sasuke, suo malgrado, si ritrovò a paragonarlo a Zeus.

I due avevano, fra loro, diversi punti di rassomiglianza: l'esuberanza, per esempio, o l'infantilismo appena eccessivo che usavano per sdrammatizzare le peggiori situazioni.

Tuttavia, per tante altre cose, il Prototype non poteva essere comparato con Deidara. Né per il sorriso luminoso, che l'artista non avrebbe mai potuto avere, né per i capelli biondi, quanto mai dissimili nella loro somiglianza, né per gli occhi azzurri, apparentemente uguali eppure così diversi, quasi opposti.

No, Zeus non somigliava a nessuno. Zeus era semplicemente unico.

E Sasuke aveva quasi paura di ammettere il perché.

Immerso nei propri pensieri, quasi non si accorse della mano di Deidara che gli sventolava davanti alla faccia. Riemerse dal mondo dei sogni, fissando, non senza una vena d'irritazione, il palazzo su cui si erano fermati.

-Cavoli... hanno fatto a pezzi un intero alveare.- disse il biondo, piegandosi sulle ginocchia e sporgendosi dal cornicione, come per mettere meglio a fuoco la devastazione che regnava pochi metri più in basso. Tutta scena: vedeva benissimo anche da quella distanza, ma amava atteggiarsi a bambino piccolo.

Il moro inarcò un sopracciglio, vagamente sorpreso.

-Comincio a chiedermi anche io chi sia stato a farlo, e perché.-

-Scendiamo?- gli occhi del dinamitardo brillavano, illuminati da quella che sembrava una vaga distorsione del senso di "furore artistico".

-C'è una vaga possibilità che, anche di fronte ad un mio eventuale rifiuto, tu rimanga qui sopra?-

-Assolutamente no.-

Sasuke si passò una mano tra i capelli, sospirando, prima di seguire Deidara, che si era già lanciato sulle macerie. Atterrarono silenziosamente, guardandosi intorno con circospezione, ma non videro nessuno.

La loro sicurezza fu un grosso errore.

Mentre il biondo, chinato, rovistava tra i calcinacci alla ricerca dell'ordigno che aveva causato quel disastro, Sasuke se ne stava in piedi. Forse un po' troppo scoperto.

Forse un po' troppo al centro.

Fece appena in tempo a sentire uno scatto, poi uno sparo, che un dolore fortissimo gli invase tutto il braccio, partendo dalla spalla e irradiandosi, bruciante, fino alle dita. Cercò di voltarsi verso il punto da cui gli era parso provenisse la deflagrazione, ma non ci riuscì.

Due colpi, poi tre, e il dolore che si faceva sempre più forte, rendendolo incapace di muoversi. Gli avevano sparato. E lo avevano colpito quattro volte su quattro.

Si accasciò nella polvere, che andava macchiandosi del suo stesso sangue vermiglio, e sollevò debolmente la testa, mentre la vista gli si faceva sempre più appannata, guardando Deidara che, ripresosi dallo stupore iniziale, aveva evitato un paio di proiettili e si lanciava verso il cecchino, a quanto pare nascosto in un punto che sconfinava dal suo campo visivo.

-Fottuti bastardi!- sbraitò il biondo, sfilandosi i guanti senza dita che era solito portare.

Sasuke tentò di sollevarsi, ma ricadde a terra senza un lamento. Si impose la calma, facendo il punto della situazione: Deidara stava combattendo contro un nemico imprecisato, Zeus dormiva alla base e lui era steso in un cumulo di macerie con quattro pallottole piantate nel corpo. Doveva inventarsi qualcosa, in fretta.

 

***

 

Zeus fece uno sbadiglio, stiracchiandosi e tirando le coperte con un miagolio soddisfatto.

Si tirò a sedere, passandosi una mano sugli occhi gonfi (ed era una vera soddisfazione saperli tali per il sonno, non per la stanchezza) e poi aprì la porta del bagno, infilandosi velocemente nel box doccia. Sebbene non ne avesse bisogno (poteva regolare le secrezioni corporee e assorbire lo sporco all'interno della pelle stessa, usandolo come una fonte di nutrienti) amava sentire l'acqua calda sul corpo, ancor di più se aveva la testa invasa dai pensieri e gli serviva un po' di tempo libero per esaminarli.

Iniziò a cantare "I want it all" dei Queen, cospargendosi i capelli con lo shampoo (alle rose, essenza che Konan amava infilare praticamente dappertutto) e nel frattempo pensava.

Ricordava con estrema nitidezza la sensazione assurda che aveva provato quando Sasuke lo aveva baciato, ma per qualche strana ragione la cosa non lo turbava. Era... felice? Forse, ma la cosa gli sembrava talmente naturale, come se avesse sempre saputo che sarebbe accaduta, da non lasciarlo per nulla sorpreso. C'era solo una gran voglia di farlo ancora, che per il momento soppresse con veemenza.

Sasuke non doveva aver fatto molta chiarezza nei propri sentimenti, e comunque non poteva dirsi amore un sentimento nato in tre giorni scarsi. E poi, materialmente, non avevano tempo di occuparsi di sentimenti egoistici. Con una guerra come quella in atto, in cui si rischiava la vita ad ogni passo, perdere tempo in inutili parentesi romantiche sarebbe stato impossibile, sciocco.

Inconsapevolmente, Naruto strinse con forza le dita sulla spugna.

E cos'era quella sensazione? Egoismo, forse? Aveva sacrificato troppe cose per cedere alle lusinghe dell'amore, che, paradossalmente, era la scelta più sciocca tra le varie poste in gioco. Si sarebbe lasciato trascinare dal romanticismo solo quando tutto fosse finito.

-Però...- mormorò, lentamente, mentre si insaponava la testa -... se ci fosse possibilità...-

Il vocabolo "possibilità" si articolò, nella sua testa, con una serie di flash violenti e quanto mai osceni di ciò che lui e Sasuke avrebbero potuto fare, nei ritagli di tempo post-battaglia, e fu sufficiente per convincerlo ad abbandonare la cabina doccia, prima di commettere spropositi. Si risciacquò velocemente la testa, poi chiuse il rubinetto e si strofinò energicamente con l'asciugamano, eliminando l'acqua in eccesso.

Gesti inutili, nel senso strettamente pratico.

Tuttavia, diventavano utili se si voleva conservare anche solo una parvenza di umanità.

Che, poi, era quello a cui il Prototype teneva di più in assoluto.

Un sospiro, e i vestiti, semplicemente, gli emersero dalla pelle, circondandogli il corpo con un fruscio delicato. Perfetti e leggeri come al solito, privi di qualsiasi difetto che caratterizzava gli abiti umani.

Eppure Zeus li odiava. Perché erano l'ennesima dimostrazione della sua natura non umana, il simbolo della sua schiavitù eterna ad un virus orribile come l'Idra. Non c'era nulla che disprezzasse al mondo più di sè stesso, e si odiava con tutte le proprie forze, senza requie. La morte, tuttavia, gli sembrava una via di fuga troppo codarda.

Uscì nel corridoio, imbattendosi in Sasori.

-Ohi, Sasori! Sai dov'è Sasuke?-

-Lui e Deidara non sono più qui.-

-In che senso?-

Sasori lo fissò, immobile, segno che non aveva particolarmente gradito la domanda. Che, in effetti, era piuttosto stupida.

-Ehm... sai dove sono andati?-

-No.-

Zeus inarcò un sopracciglio, improvvisamente pensieroso.

Ade e... Deidara? Un abbinamento quanto mai insolito, per una scampagnata. E perché mai sarebbero dovuti uscire dalla base?

In altre parole, chi o cosa li aveva attirati?

Il campanello d'allarme nella testa di Zeus trillò, in allerta.

-Sai se è successo qualcosa?-

-No.-

La mancanza di loquacità di Sasori l'avrebbe irritato, se non fosse stato così preoccupato per la sorte dei due amici. Si risolse a verificare la situazione di persona.

Uscì dal magazzino e si allontanò dal porto in men che non si dica, realizzando solo in seguito di non sapere assolutamente dove andare. Per trovare Deidara e Sasuke, quindi, decise di usare un sistema che non aveva mai amato particolarmente: il controllo dell'Idra.

Il virus, nella sua forma al secondo stadio, si poteva comandare tramite l'emissione di determinati ultrasuoni, che ne influenzavano il comportamento. Zeus era in grado di controllarlo per brevi periodi, e comunque non in maniera perfetta, ma in quella situazione era l'unico modo per trovare due persone disperse in un luogo grande come Manhattan. L'Idra, infatti, poteva godere di una specie di coscienza condivisa, ed era, nonostante la forma simile a quella di un lichene, un essere intelligente e dotato di percezioni. Primitive, certo, ma bastanti per il ruolo che il Prototype si era prefisso.

Si avvicinò ad una chiazza di Idra sufficientemente grossa, poi si tagliò un dito e, lasciando cadere una goccia di sangue sulla superficie rosata, si assicurò che il lichene avesse percepito le parti fondamentali dei suoi ultimi ricordi. I viticci fremettero, mentre assorbivano il liquido rosso, e si protesero verso il donatore con un nonsoché di festante che lo fece sorridere.

Il biondo schiuse poi le labbra, emettendo un suono particolare, una sorta di grido acutissimo, che indusse l'Idra a espandersi e circondargli i piedi.

"Bene", pensò, "adesso portami da loro".

Il virus obbedì, delicato, scivolando sul terreno a una velocità tale da consentirgli di seguirlo.

 

***

 

Deidara si lanciò all'attacco, le mani finalmente scoperte e libere di manifestare il loro segreto. Sui palmi, al centro della mano, si aprivano infatti delle fessure, simili a bocche, i cui contorni slabbrati scoprivano due chiostre di denti acuminati e sottili come spilli, da cui colava un liquido denso e purpureo. Tra quelle zanne si agitavano due lingue di un vago colore violaceo, che somigliavano in maniera inquietante a della carne in decomposizione.

Il biondo era conscio del loro aspetto disgustoso, ma ne andava assolutamente fiero. Erano le sue armi, così preziose e particolari, uniche. E meravigliosamente artistiche, sia nella forma che nell'azione.

Colui che si era permesso di ferire Ade, un castano dal volto sgraziato e privo di qualsivoglia tratto interessante, tentò di sparargli imbracciando con fare esperto un fucile da elefanti. Era abile, e per poco non riuscì a centrarlo.

Ma aveva scelto l'arma sbagliata.

Un fucile di quel tipo era piuttosto lento e pesante, l'esatto contrario dell'arma che occorreva per combattere Deidara, che giocava molto sulla velocità. L'artista si portò alle spalle del castano con un salto all'indietro, poi lo afferrò per le spalle e, velocemente, gli circondò il collo con entrambe le mani, affondando le zanne nella pelle dura e ruvida del soldato. Poi si staccò, allontanandosi di qualche metro, e osservò, compiaciuto, la sua prossima opera d'arte che si toccava, perplessa, i forellini comparsi accanto alla giugulare.

-Come ti chiami, soldato?-

Quello lo fissò, digrignando i denti, e poi sembrò quasi sputare la risposta.

-Sabaku No Kankuro.-

-Bene, Kankuro, sono felice che tu mi abbia risposto. Non avrei saputo che titolo dare alla mia opera, in caso contrario.-

-Opera? Che cazzo...-

Deidara si portò una mano al cuore, lezioso, e poi, dolce come una donna che canta una ninnananna al proprio bambino, mormorò:-Bakuhatsu.-

Lenta, ma inesorabile, una macchia violacea iniziò ad espandersi sul collo di Kankuro, a partire dai fori causatigli dal biondo. Il soldato si portò entrambi le mani al collo, ansimando pesantemente, mentre la chiazza, simile a dell'inchiostro su un fazzoletto bianco, gli copriva prima la faccia e poi l'intero corpo.

E poi, ad uno schiocco di dita dell'artista, l'opera d'arte esplose.

Il corpo del ragazzo si gonfiò di colpo, e poi, come seguendo delle cuciture invisibili, si strappò con uno schiocco secco e scoppiò dall'interno. Il sangue si riversò sull'asfalto, copioso, insieme agli organi interni e alle ossa, sparse più o meno uniformemente in quel caos rosso e raccapricciante che fino a pochi attimi prima era stato un essere umano.

Deidara si mise a ridere, guardando con una sorta di esaltazione mistica ciò che aveva appena fatto. Poi smise di colpo, accorgendosi di una minuscola macchiolina di sangue che gli aveva macchiato i pantaloni.

-Aaah, che lavoro inutile! Uno cerca di creare qualcosa di artistico, e la sua opera gli sporca anche i vestiti!- celiò, passando le mani sulla chiazza rossa.

Fu una vibrazione sospetta del terreno a zittirlo. Percepì distintamente i passi di due persone, dietro il palazzo accanto al quale si trovava, e sorrise, ghignando come un lupo che ha appena avvistato due allodole intrappolate tra i rami di una siepe.

-Allora, chi è il prossimo? So che siete lì, non fatemi aspettare!-

La risposta alla sua provocazione fu uno sparo.

E non andò a vuoto.

 

 

"Bene e Male. Sono parole prive di significato".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

E Kankuro ebbe vita breve xD. Ok, poveraccio, mi sta pure simpatico... ma mi serviva qualcuno per manifestare il potere di Deidara, e infilarci un commilitone inventato non mi sarebbe piaciuto (cerco di evitare gli OC quanto più possibile).

Dunque, lo scontro tra la sabbia e il vento è alle porte, e nel prossimo capitolo ve lo godrete tutto (doveva essere incluso in questo capitolo, ma poi sarebbe uscita una cosa troppo lunga e, alla fine, noiosa).

Rispondo alle rece (wow, 10!):

Vaius: be quite, penso che Hinata tornerà tra un capitolo circa, in concomitanza con i guai di Shika&Co. xD... oh, quanto mi diverto a far soffrire i personaggi! Ehm, comunque, scleri sadici a parte... Itachi. Beh, effettivamente è un mostro, specie considerato che batte Kushina con relativa facilità. Però, allo stesso tempo, non lo è. E, più avanti, vedrete anche il perché ù_ù...

ryanforever: mi fai domande a cui non posso rispondere >_>... Deidara, in questa fanfiction, è ormai diventato il mio personaggio preferito (e si vede, visto che ho riversato tutta la mia vena splatter nel potere che gli ho scelto). Non lo so, quando scrivo i suoi dialoghi mi escono fuori facilmente, senza pensarci troppo, cosa che non succede, ad esempio, per Sasuke. E su Kushina... sapete ancora molto, molto poco sul suo passato. E il bello è che devo ancora decidere come fare per svelarvelo, cosa non esattamente facile...

kagchan: messaggio di posta elettronica? A dire il vero non mi è arrivato. A questo proposito, faccio un appello a tutte le Efpiane che seguono le mie storie: se dovete mandarmi una mail, inviatela all'indirizzo robertasilvestri@hotmail.it, perchè è il mio account abituale, quello che uso praticamente sempre. Sull'altro non ci vado quasi mai. Detto questo, passiamo alle due recensioni. Oh, grazie per i complimenti T.T! Mi rendi tanto, tanto felice! Credimi, dopo che mi hai scritto quella rece ho cominciato ad apprezzare la parte del bacio. Il Katun, dici? L'ho già fatto, e per inciso è stata la mia prima montagna russa (un'esperienza che non penso dimenticherò più, mi è piaciuta troppo). Sulla scena del combattimento... boh, non ho pensato a Dragonball mentre la scrivevo xD! Mi è venuta in mente così, mentre cercavo un metodo figo per far prendere mazzate ad Itachi.

Sadako94: si, finalmente ho deciso. E vedrete, vedrete... comunque non ti preoccupare, la storia ha raggiunto con questi due capitoli il massimo picco dell'incasinatezza. Da qui in poi comincerò a chiarificarla un po', per non farvi venire emicranie o infarti durante la lettura xD... Poi, sul terzetto Ade-Zeus-Poseidone mi sono fatta delle risate che neanche immagini. Me li sono immaginati vestiti stile antica Grecia e non ho potuto fare a meno di sganasciarmi sulla tastiera come una scema xD! Per Orochimaru dovrai aspettare ancora un po', ma non ti preoccupare: avrà un ruolo abbastanza importante, credo che lo vedremo spesso.

Beatrix91: non riesco a capire se Sasuke ti sta simpatico o se lo odi xD... va beh, grazie per i complimenti e per le risate che mi hai fatto fare con la tua rece (Orochinchin è da Oscar : D). Tranquilla, Deidara non sa tutto, ma solo una grossa fetta di verità. Sa il "cosa", ma non il "come". Per il resto delle tue domande, a tutto ci sarà una spiegazione. Compresa la misericordia apparentemente fuori luogo di Itachi verso la Greene.

fra76: Itachi un cacciatore lo fa a pezzi ad occhi chiusi, ecco perché la madre non l'ha mandato e ha preferito attaccare di persona xD! Non ti preoccupare, tutte le tue domande avranno risposta (non molto presto, magari, ma ce l'avranno).

_N_: leggere i commenti fa sempre piacere, scherzi? Anche se sono brevi, e comunque non mi aspetto mica che tutte le ragazze d'Italia abbiano tempo da sprecare in recensioni xD! Poi devi pensare anche che, su circa duecento-trecento visite a capitolo, mi arrivano otto-nove recensioni in media, quindi sei comunque fuori dall'ordinario se scrivi un commento. E ti ringrazio molto per i complimenti, che mi rallegrano sempre.

rekichan: io invece riesco a vedere Naruto praticamente con tutti, crack allucinanti compresi, ma mi viene il blocco dello scrittore se penso a Sasuke con qualcuno che non sia il dobe. Non lo so, sarà una mia limitazione xD. Davvero ti piace Kushina? Pensavo che non funzionasse, resa in questo modo... be', meglio così ^^! Lieto fine? Ahem... non è esattamente la storia adatta per un "e vissero tutti felici e contenti", ma, dovendo cambiare il finale terrificante del gioco, penso che opterò per una cosa tranquilla, più che per l'ecatombe finale. Quest'affermazione è soggetta a cambiamenti costanti, non assicuro nulla >_>.

vivvinasme: ma non ti preoccupare, su! Non mi sono offesa, e capisco che la scuola possa essere davvero un grosso impegno (questo capitolo è uscito con due giorni di ritardo T.T). Per non parlare poi della recensione che mi hai scritto... mi ha profondamente commossa. I miei familiari non mi dicono quasi mai questo genere di cose, e ai miei amici tendo a non mostrare i miei risultati per paura che questo possa allontanarli da me, per cui... sentirmi fare dei complimenti così belli da una persona che non ho mai visto mi ha davvero riempito di gioia. Grazie. Comunque ho "scelto" il classico. E grazie anche a te per i complimenti sulla scena del bacio, credevo facesse altamente schifo xD! Per non parlare del passato della Greene, che mi sembrava una scena "debole" e che invece ha avuto un certo successo...

bradipiro: xD Itachi non è poi così sano di mente, aspetta e vedrai. Grazie per i complimenti (comincio a diventare ripetitiva, ma non riesco a smettere di ringraziare) e mi auguro che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Forse è un po' troppo violento?

 

Al prossimo aggiornamento!

See you soon,

Roby

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Capitolo 18
*** Seek and Destroy ***


017 - Seek and Destroy

Sasuke sentì una fitta allo stomaco - simile alla paura, ma non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura - quando vide il corpo di Deidara piegarsi sulle ginocchia e precipitare inesorabilmente verso il suolo. Sulla fronte, visibile anche da diversi metri di distanza, un foro da cui sgorgava copioso il sangue.

"Porca puttana..."

L'Uchiha cercò con tutte le proprie forze di tirarsi almeno a sedere, ma non ci fu modo. I proiettili dovevano avergli colpito qualche muscolo importante, a giudicare da dolore allucinante che lo colpiva ogniqualvolta provava a flettere le gambe. Che situazione di merda.

Girando la testa, vide due figure che uscivano dal retro di un palazzo.

Indossavano le uniformi militari, ed erano un ragazzo e una ragazza. Imbracciavano entrambi dei fucili grottescamente grossi, e quando lo videro, forse aspettandosi che l'altro soldato l'avesse ucciso, si fermarono per un attimo al centro della strada. Lei sembrava abbastanza terrorizzata, le tremavano le spalle e non faceva che fissare il cumulo di sangue e interiora sparse su tutto l'asfalto, così lui, un rosso alto e pallido, le fece un gesto, indicandole il corpo di Deidara. La ragazza gli si avvicinò, iniziando a tenerlo sotto tiro.

Un momento, ma... perché? Perché puntare un'arma contro un cadavere?

"Può essere che non sia morto, anche se mi sembra quasi incredibile, dopo un colpo alla testa come quello."

Sasuke fu brutalmente distolto dai propri pensieri da un dolore acuto alla nuca, e, sentendo delle dita strette attorno ai capelli e il corpo che si sollevava bruscamente dal suolo, capì che Gaara lo aveva afferrato e strattonato verso l'alto come un animale legato. Ancora una volta cercò di muoversi, ma non ne aveva le forze. Anzi, più andava avanti, più le cose peggioravano, perché la perdita di sangue lo indeboliva sempre di più.

-Sei Ade, non è così? Ho visto le tue foto.-

Il moro appuntò lo sguardo nelle iridi chiare del rosso, regalandogli quanto più odio poteva.

-La... scia... mi...-

-No.-

L'Uchiha ringhiò, tentando di liberarsi a furia di scossoni. Non sortì nessun effetto particolare, fatta eccezione per una fitta di dolore lancinante al cuoio capelluto.

-Non provare a liberarti. Sarei curioso di vedere se ne sei capace, con quattro proiettili da dodici millimetri in corpo, ma non voglio creare altri problemi.-

Ad un ennesimo strattone da parte di Sasuke, Gaara abbandonò definitivamente l'approccio tranquillo, afferrando con lentezza una pistola calibro nove millimetri, che teneva infilata, per precauzione, nella cintura, e appoggiò la canna sulla fronte del moro.

-Sai... scommetto che un sacco di gente, al quartier generale, sarebbe ansiosa di sapere come mai te ne vai in giro in compagnia di Zeus, invece di ucciderlo come dovresti. Tuttavia, io sono molto più curioso di sapere se moriresti, con una pallottola piantata in testa.-

Sasuke rimase pietrificato, osservando con una punta di terrore il dito indice di Gaara che si avvicinava sempre di più al grilletto. Ci godeva, il rosso, a fare le cose con lentezza: la sua preda aveva tutto il tempo di dimenarsi e implorare il perdono, e lui poteva goderne appieno gli ultimi ansiti di vita, nutrendosene come fa un ragno con la mosca caduta nella rete.

Tuttavia, Sasuke non era una mosca.

Rimase immobile, cercando di controllarsi quanto più possibile, mentre i millimetri che lo separavano dalla morte si assottigliavano sempre di più, fin quasi a scomparire. Il dito del rosso si posò infine sulla linguetta di metallo, statico.

"Che morte di merda. Ne ho rischiate tante, ma questa è la peggiore che potesse capitar..."

Il fatto che Sasuke non riuscisse mai a concludere una sequenza di pensiero logico era ormai un fatto assodato. Che poi, in quel caso, l'interruzione fosse dovuta ad un fattore positivo, era tutto un altro paio di maniche.

Il moro si sentì strappare via violentemente dalla presa del moro e ricadde pesantemente sull'asfalto. Riuscì a tirare fuori abbastanza energie per non sbattere dolorosamente la testa, ma quel movimento appena accennato gli valse un cigolio simultaneo di tutte le articolazioni.

Il dolore, tuttavia, fu pienamente ripagato dalla vista di colui che lo aveva salvato.

-Zeus... che tempismo...-

-Teme...-

Il biondo stava in piedi davanti a lui, e gli rivolgeva la schiena. I capelli erano bagnati, e le gocce d'acqua intrappolate tra le ciocche luccicavano come brillanti incastonati nell'oro. Tuttavia, essendo Sasuke quel tipo di persona che considera "bello" prevalentemente ciò che è anche "utile", il particolare che gli piacque di più fu la mano del Prototype stretta attorno alla gola di Gaara, sollevato di una ventina di centimetri dal suolo.

-Quanto a te, rosso, che ne diresti se io ti strappassi la testa e le dessi fuoco? Saresti curioso anche in quel caso?-

Il soldato, senza fare una minima piega (ma con molta presenza di spirito, doveroso ammetterlo) puntò la nove millimetri allo stomaco di Zeus e sparò, liberandosi dalla presa del biondo con un calcio poderoso alla mascella. Il Prototype fece due passi indietro, massaggiandosi la parte colpita, e poi sputò a terra, ghignando.

Non sembrava particolarmente toccato dal buco che aveva nello stomaco.

-Ok, devo ammetterlo: sei bravo.-

-Tu chi sei?- domandò il rosso, freddo, continuando a puntargli la pistola contro la testa. Temari, nel frattempo, aveva estratto una seconda arma da fuoco, tenendo sia Deidara che Zeus sotto tiro. Confidava nella bravura del fratello, ma si sentiva inutile a tenere d'occhio quello che le sembrava un comunissimo cadavere.

Il suo fu un grave errore di valutazione.

Il Prototype, udita la risposta di Gaara, sollevò un sopracciglio. Ok, i militari non erano mai stati delle cime in quanto a capacità deduttive, ma per fare una domanda del genere ce ne voleva: insomma, sei solo in una città dove sai che c'è un mostro mutaforma a piede libero e sai che nessun essere umano può sopravvivere in un ambiente del genere. Sai che le uniche creature senzienti oltre a te sono Ade, un alleato, e Zeus. Del primo hai fotografie, del secondo non conosci il volto. E, visto che Ade è a terra davanti a te, chi può essere la persona che ha appena tentato di strangolarti?

-La gente mi chiama in diverse maniere. Assassino, terrorista, mostro... tutti questi appellativi mi descrivono in egual modo. Io sono Zeus.-

Il rosso spalancò lievemente gli occhi, sorpreso. Sasuke, alle sue spalle,. si produsse in uno sbuffo sonoro, memore del momento in cui il biondo si era presentato a lui con le stesse, identiche parole.

-Tu saresti Zeus?-

-Ehi, rosso, non mi credi nemmeno? Si può sapere come addestrano i soldati, quelli del governo americano?-

-E quello chi sarebbe?- Gaara non si curò delle domande ironiche del Prototype, additando invece il corpo di Deidara. Quando Zeus seguì il percorso indicato dalla sua mano, sbiancò vistosamente e spalancò la bocca.

-Gli hai... p-piantato una pallottola in fronte?-

-Sì.-

-Oh, merda! Quando si sveglierà sarà incazzato nero...-

-Allora è come pensavo, non vi basta un proiettile in testa per morire.-

-Ehi, soldato...- ghignò il biondo, sollevando la testa in una posa fiera -... ci hai preso per degli infetti comuni? Se bastasse un proiettile piazzato nel posto giusto per ucciderci, molti dei problemi del governo americano sarebbero già risolti.-

Gaara storse la bocca in una piega rabbiosa, stringendo sensibilmente la presa sul calcio della pistola. Era sempre stato più intelligente della media, e sapeva perfettamente di avere davanti delle creature la cui forza era infinitamente superiore alla sua. Ma non si sarebbe mai arreso, mai.

-Mi ero scordato di avere davanti degli autentici mostri.-

Lo scatto dei denti di Zeus si sentì benissimo, nel silenzio tombale che seguì l'affermazione del rosso.

-Molto coraggiosa come risposta, davvero. Peccato che tu sia davanti a me, a meno di mezzo metro, con una pistola come unica arma. I proiettili mi danno fastidio, ma spero tu abbia capito che non mi fanno praticamente nessun effetto.-

Senza rispondere, Gaara puntò di scatto la pistola alla testa di Zeus e sparò.

Sasuke trattenne il fiato, aspettandosi che anche il Prototype finisse nella polvere a fargli compagnia, e rimase stupito quando sentì il lieve rumore di qualcosa che cadeva a terra e, guardando tra i piedi del biondo, poté notare una pallottola deformata.

-Sei bravo, rosso, ma sei pur sempre umano. Non penserai mica che caschi nello stesso trucco che ha steso Deidara, giusto?- sulla fronte del ragazzo, proprio nel punto in cui la pallottola avrebbe dovuto colpirlo, era comparsa una chiazza nera e lucida, quasi metallizzata. Era come se dalla pelle fosse emersa una protezione, fatta di un materiale mai visto prima.

Gaara, mantenendo la calma per quanto possibile, rinfoderò la pistola, ormai conscio della sua inutilità. Cercò di guadagnare tempo.

-E così, il nome di quella creatura è Deidara. Chi è?-

-Non sei tu quello che fa le domande, qui. E nemmeno io, perché quello che hai da dirmi non mi interessa minimamente. Quindi, se vogliamo farla finita...- mormorò, facendo un passo verso il soldato.

-NO!- con un urlo e una detonazione, Temari gli sparò un colpo dritto nel collo (forse sbagliando mira, probabilmente puntava alla testa) che non fu in grado di parare. Si voltò verso la ragazza con una smorfia infuriata, le iridi tinte di un vago color argento, e digrignò i denti.

-Basta.- si lanciò versò la bionda, afferrandole un codino e sbattendola rudemente contro un muro. Fu talmente veloce che la ragazza non ebbe nemmeno il tempo di ribellarsi, schiacciata tra il suo corpo e la parete, e fu solo per una sorta di carità cristiana che Zeus non le spezzò il collo, limitandosi ad assopirla con un pugno nello stomaco.

Poi si voltò, trasformando velocemente il braccio in frusta, e atterrò Gaara con un colpo orizzontale spaventoso, che, oltre a mandare il rosso al tappeto, distrusse macchine, lampioni e tutto ciò che si trovava nel raggio di dieci metri. Sasuke, troppo in basso perché la frustata potesse colpirlo, rivolse un'occhiata sinceramente stupefatta al soldato, apparentemente illeso. Se ne stava a terra, il viso inespressivo, e non sembrava che gli aculei di cui era disseminata la frusta gli avessero fatto qualche ferita.

-Non è...-

-... possibile? Neh, Sas'ke, ce ne hai messo di tempo. Non so cosa gli abbiano fatto, ma non è umano. La Gentek si sta sbizzarrendo, ultimamente.-

-Non paragonatemi a voi, mostri.- mormorò Gaara, sollevandosi con un fruscio - Io sono ancora umano.-

-Se fossi umano, a quest'ora il tuo busto e le tue gambe sarebbero finiti in due punti diversi della strada. Che ti hanno fatto?-

-Non c'è attacco che possa colpirmi, né proiettile o esplosione che possa intaccarmi la pelle. Il mio corpo è praticamente indistruttibile.- rispose Gaara, con un garbo che rasentava la noncuranza.

Zeus, a quelle parole, scoppiò a ridere.

-Cioè...- esalò, con le lacrime agli occhi -... ti hanno detto che nulla può ferirti? Che sei invulnerabile?-

Sasuke inarcò un sopracciglio, incuriosito, mentre il rosso non mutò espressione, spalancando però gli occhi.

-Intendi forse dire che non è vero?-

-Rosso.- il Prototype smise di colpo di ridere, fissando il proprio interlocutore con un'aria seria che poco gli si addiceva -Nulla è realmente invulnerabile. Puoi possedere lo scudo o l'armatura più potente del mondo, ma ci sarà sempre qualcuno con l'arma adatta per colpirti. E poi, nel caso non avesse un arma, potrebbe sempre possedere una protezione migliore della tua.-

Le ultime parole si spensero in un ringhio metallico.

Sasuke rimirò Zeus in silenzio, mentre la sua pelle si ricopriva di una sorta di patina nera dall'apparenza resistente, che si gonfiava e deformava in corrispondenza della testa e del busto, donando al Prototype un aspetto niente affatto umano. La corazza sembrava ribollire, espandendosi sempre di più, e, quando si fu richiusa del tutto, raccogliendosi nel centro esatto della schiena del biondo, l'Uchiha comprese il motivo per il quale i militari pensavano a Zeus come ad un mostro.

Lo era.

Penoso ammetterlo, ma lo era davvero.

La testa era globosa e lucente, perfettamente curva sulla fronte e frastagliata sulla nuca, coperta di creste nere e appuntite. In basso, in corrispondenza della bocca, si apriva una fessura bassa e sottile, da cui scaturiva un respiro lento e roco, con quel retrogusto metallico che aveva inquinato le ultime parole del discorso del Prototype. Il torace si era allargato e irrobustito, e si alzava lentamente, con le carene lucide che brillavano al sole, rivelando fasci muscolari che non avevano nulla a che spartire con l'anatomia umana. Le braccia erano asciutte e muscolose, terminanti in mani che erano un tutt'uno di artigli e metallo, mentre le gambe, possenti e solide, come del resto l'intero corpo, sembravano capaci di sostenere il peso di un palazzo intero.

"Avrà lo sterno largo venti centimetri... che diavolo di potere è questo?"

Poi, improvvisamente, ricordò.

Madara lo aveva avvertito della capacità del Prototype di crearsi una sorta di esoscheletro resistente agli attacchi, certo era che non avrebbe mai pensato a nulla di simile. Era spaventoso, un demone onirico con il corpo di ferro che sembrava emerso dai suoi stessi incubi. Per un attimo provò del sincero ribrezzo nei confronti di Zeus.

-Allora, soldato?- la distorsione della voce lo fece rabbrividire -Attaccami ora, ti garantisco che non mi difenderò. Non muoverò un dito se tenterai di ucciderti, tranquillo. Allora?-

Gaara fece un passo indietro, prudentemente, ma non sfoderò nessuna arma. In quel momento, più che mai, non sarebbe servito a nulla.

"O, forse..."

Un'idea gli balenò i testa, bella e precisa come il miraggio di un lago in pieno deserto.

Fattibile.

Oppure no?

-Non hai ancora vinto, Zeus.-

Poi si lanciò verso Sasuke, così rapido che il Prototype, appesantito dall'armatura, non fu in grado di fermarlo. In meno di due secondi, l'Uchiha si ritrovò un peso sulla schiena, e qualcosa che somigliava spaventosamente ad una lama affilata premuta sul pomo d'Adamo.

-Lascialo. Ora.-

-Non penso proprio.-

 

***

 

-Cisterna standard da milleduecento litri, in dotazione ad ogni base per un totale di due cisterne ogni quaranta soldati.-

-Wow, ma ve le fanno imparare tutte a memoria?-

-No, però ho dato un'occhiata ai rifornimenti che ci hanno passato i Blackwatch. Una merda, a dire il vero, ma dobbiamo accontentarci.-

-Quindi, Kiba... sei sicuro che questo serbatoio sia ad uso specifico dei militari.-

-Sì, Shikamaru. Non è la prima che vedo.-

-Strano, però... non è arrivata nessuna segnalazione di furti dalle basi, quindi...-

-Shika...- Sai lo interruppe, fissandolo con aria seria -... non stavi blaterando del fatto che la base sulla 5th Avenue non risponde più alle segnalazioni?-

Il castano sgranò gli occhi, voltandosi contemporaneamente verso il compagno.

-Non sarà... oh, ma certo! Li hanno uccisi, hanno rubato la cisterna e poi l'hanno lanciata sui cacciatori, bruciandoli. Sono stati veloci e furbi.-

-Non parlare al plurale. Non sappiamo ancora se le tue teorie sono vere, Nara.-

-Lo sapremo presto. All'elicottero.-

Salirono sul mezzo, Kiba nella cabina di pilotaggio, e si librarono velocemente nel cielo di Manhattan. Shikamaru, ogni tanto, abbassava lo sguardo alla distesa di palazzi che, ovunque si guardasse, veniva interrotta solamente dalla striscia dorata del mare, all'orizzonte. Fu quando cominciò a spirare una brezza leggera, profumata di salsedine e del tutto scevra dall'odore del sangue, impresso anche nella polvere di quella città, che il castano comprese di aver raggiunto la meta.

Atterrarono nello spazio antistante i magazzini, e scesero lentamente, sincerandosi che non ci fosse nessuno, a parte loro. E, in effetti, il porto era completamente disabitato, pulito.

-Non sembra nemmeno di essere a New York.-

-Già... comunque, se questo è il luogo in cui Ade si è creato un rifugio, ha scelto davvero bene.-

-Ade e Zeus non sono certamente degli stupidi. Sai, con che precisione puoi rilevare la presenza del segnale Gps?-

-Ho uno scarto di circa due metri e mezzo. Centimetro più, centimetro meno.-

-Ok. Dimmi esattamente dove dobbiamo cercare.-

Sai si sedette a terra, a gambe incrociate, e aprì lo schermo del PC. Dopo qualche secondo di ticchettii e di evidenti sforzi della ventola del portatile, sul volto del moro si dipinse un'espressione concentrata.

-Dunque... secondo i dati del computer, piccoli spostamenti permettendo, Ade è stato per parecchio tempo... lì.- indicò un magazzino, esattamente uguale a quelli che lo circondavano, e poi si alzò in piedi, dirigendosi immediatamente nella direzione indicata dal Gps.

-La porta è aperta.-

-Un buon segno?-

-Dipende. Potrebbe essere ottimo o pessimo, a seconda dei casi.-

-E che ti dice l'istinto, Shikamaru?- domando l'Inuzuka, le mani strette attorno all'impugnatura del Kalashnikov.

-Che, nove su dieci, dietro questa porta potrebbe esserci l'incarnazione dei nostri peggiori incubi.-

-E uno su dieci?-

-Risposte. Vere risposte.-

-Ok. Mi piace.- Kiba ghignò, spingendo delicatamente la porta, e quella si spalancò con un cigolio. Entrarono nell'ambiente semibuio, guardandosi intorno, circospetti, prima che un'esclamazione di Shikamaru spezzasse il silenzio di tomba che si era venuto a creare.

-Ehi, quella è una botola?-

-Caspita, non l'avevo notata.- mormorò Sai, avvicinandosi ad un pomello che spuntava dal pavimento e allungando la mano, fin quasi a toccarlo.

-Fermo, non farlo.-

-Perché, Shika?-

-Questa storia puzza di bruciato. Non ti pare un po' strano che qualcuno che ha l'evidente intenzione di tenere segreto il proprio nascondiglio piazzi una botola così poco nascosta al centro del magazzino? Non è coperta, non sembra ci siano sistemi di sicurezza e la porta era aperta.-

-E' come se...-

-Come se chi sta qui volesse spingerci ad aprire quella botola.-

-Dici che potrebbe saltare fuori qualche mostro di merda?-

-Forse. O forse è collegata ad una qualche trappola. In ogni caso, sono pronto a scommettere che non succederebbe niente di buono, se provassimo ad aprirla.-

-E se invece Ade fosse semplicemente scemo?-

-Uno stupido non sarebbe mai stato selezionato per la missione che gli è stata assegnata, Kiba.-

-Una persona intelligente, Nara, non si farebbe mai coinvolgere spontaneamente in quello che gli hanno fatto.-

Shikamaru spalancò leggermente gli occhi, sorpreso dalla risposta stranamente incontestabile di Kiba. Insomma, da quando era in grado di tenergli testa in uno scontro verbale?

Aveva una risposta sagace già pronta, sulla punta della lingua, quando un fruscio alle sue spalle lo fece voltare bruscamente. Si ritrovò a fissare il pavimento del magazzino, incredibilmente dilatato dalla penombra, che lo faceva sembrare quasi infinito.

-Avete sentito?-

-Cosa?-

-Il...- si interruppe. Di nuovo quel rumore, stavolta alla sua sinistra.

-Stavolta l'ho sentito anche io...- mormorò Sai, allungando la mano verso la mitragliatrice, che teneva attaccata alla cintura.

Non riuscì mai a prenderla.

Improvvisamente, un fascio di viticci rossi, emerso dall'ombra, gli si avviluppò attorno al braccio, trascinandolo in meno di cinque secondi dietro una montagna di casse di legno. Kiba e Shikamaru non fecero in tempo a scappare, che altri legacci scarlatti, identici a quelli che avevano catturato Sai, li avvilupparono come una rete, strappandoli dal rettangolo di luce della porta e facendoli precipitare nella semioscurità del magazzino.

Quando si fu riavuto, il Nara poté finalmente vedere cosa, o meglio chi, li aveva catturati.

Occhi nocciola.

Sguardo assente.

Capelli rossi.

Pelle diafana.

Una fottuta copia di Gaara.

-Chi cazzo sei, stronzo!? Lasciaci!-

-Il mio nome è Akasuna No Sasori, o, se preferite, Sasori della Sabbia Rossa.- fece l'altro, garbato, senza offendersi di fronte agli insulti di Kiba. Shikamaru ne considerò la figura e gli abiti, consunti ma tutto sommato puliti, e ritenne che, molto probabilmente, quello che avevano davanti non era un semplice infetto rifugiatosi nel magazzino per scampare agli attacchi dell'esercito. No, molto probabilmente stava semplicemente proteggendo il rifugio.

-Tu sei Zeus?-

-No.-

-Aspetta, non ammazzarci, noi siamo...- fece Sai, cercando di liberarsi da quelle corde elastiche e resistenti che, a ben guardare, sembravano partire proprio dalle mani del rosso.

-I vostri nomi non mi interessano. Cerco sempre di evitare di familiarizzare con le vittime, altrimenti ucciderle potrebbe diventare noioso.-

 

***

 

Deidara aprì lentamente un occhio, fissando, non senza un certo sollievo, il cielo azzurro che lo sovrastava.

Sentiva un dolore alla testa, prepotente, e, ricostruendo gli eventi dell'ultima ora, ne comprese anche il motivo. Senza esitazione, infilò le dita nel foro che gli sfregiava la fronte, allargandolo e spezzando ancora di più la fragile protezione della scatola cranica, e, dopo qualche secondo di tocchi esperti, tirò fuori un proiettile, completamente schiacciato per la collisione con il suo scheletro rinforzato.

Senza alzarsi, con la coda dell'occhio, scorse Zeus. Voltò lentamente il capo, e quello che vide lo lasciò di sasso.

Il Prototype era in piedi, coperto dall'armatura (un potere considerevolmente artistico, che però sfruttava poche volte) e fronteggiava un ragazzo dai capelli rossi, che, a sua volta, teneva Ade per i capelli e gli premeva una lama sulla gola.

Mentre il foro sulla fronte si rimarginava a vista d'occhio, Deidara cercò di elaborare un piano per trarre d'impaccio Zeus da quella situazione. Fece scivolare lo sguardo sul corpo di una ragazza svenuta, a un metro circa di distanza da lui, e lo trovò assolutamente inutile. Non poteva farci nulla.

Non gli restava che agire in maniera semplice e veloce, senza trucchi.

Attese che il suo corpo si fosse completamente rigenerato, poi appoggiò i palmi a terra, attento a rendere i movimenti tanto lenti da risultare impercettibili. Zeus aveva appena ringhiato qualcosa all'indirizzo del rosso, ma era talmente concentrato da non prestarvi attenzione. Tese il corpo come la corda di un'arpa, inspirò, espirò e svuotò la mente.

Precisione. Doveva essere preciso.

Si diede la spinta con un'unica, possente contrazione di tutti i muscoli del corpo, e, calibrando perfettamente forza, equilibrio e direzione, atterrò alle spalle del rosso senza che questi avesse il tempo di voltarsi. Era velocità, movimento, dinamismo.

E fu anche soddisfazione, quando finalmente circondò il collo del soldato con entrambe le mani, affondandovi le zanne in un'estasi artistica che sconfinava e abbracciava il fanatismo.

-Non muoverti. Mi basta anche solo desiderarlo, e tu esploderai proprio come il tuo amichetto.-

-Come...-

-Una volta che i miei fluidi entrano in circolazione, posso far esplodere qualsiasi cosa a livello cellulare tramite il pensiero. E, credimi, difficilmente avresti il tempo di fare qualcosa ad Ade.-

-Quindi morite se vi si taglia la testa.- interloquì Gaara, apparentemente molto poco toccato dall'intera situazione.

-A patto che qualcuno possa riuscirci... teoricamente sì. E' il cervello che comanda la rigenerazione, e se lo si separa del tutto dal corpo questa diviene impossibile. Tuttavia, non mi sento di escludere che alcuni di noi, specie se particolarmente potenti...- e lanciò un'occhiata a Zeus -... possano sopravvivere anche con la testa mozzata.-

-A proposito, rosso...- il ghigno, sul volto del Prototype, si fece apertamente divertito -... gli aculei di Deidara ti hanno appena bucato la pelle, dico bene? Non sei poi così invulnerabile, neh?-

-Aspetta a parlare, Zeus.- fu la pacata ammonizione dell'artista, mentre dei viticci di Idra, sbucati dal terreno, si avvolgevano attorno al corpo del soldato, immobilizzandolo -Appena avrò analizzato ogni singola cellula di questo bastardo, sapremo davvero se gli esperimenti lo hanno dotato di un qualche potere protettivo. E' più probabile che sia capace di rigenerarsi ad alti livelli, da quel che vedo.-

Indicò poi il collo di Gaara, rimasto scoperto, che già non presentava più alcun foro.

-Bah, vedremo. Sarà meglio tornare alla base, avete combinato abbastanza confusione oggi. Dico bene, Sasuke?- ghignò, sornione, avvicinandosi all'Uchiha e lasciando che questi gli passasse un braccio sopra le spalle.

-Dobe. Da quando ho deciso di darti retta ho rischiato la morte una decina di volte.-

Zeus strusciò la testa sulla guancia del moro, sorridendo.

-Stai bene, Sas'ke, ed è questo che conta.-

L'Uchiha si guardò bene dal tirare fuori un commento acido, godendosi invece il profumo fresco dei capelli dorati del Prototype. Nonostante il dolore atroce e la prospettiva di qualche chilometro a piedi, fino alla base, la consapevolezza di poter godere della compagnia del biondo lo rendeva più sereno.

Deidara si caricò in spalla Temari e Gaara insieme, sbuffando per il peso eccessivo, e cominciò a correre. Zeus e Ade lo seguirono, leggermente più lenti, percorrendo sempre strade che non fossero né troppo vicine agli alveari, né prossime a basi militari. Sasuke non poteva permettersi di ingaggiare un altro combattimento, e questo lo sapevano benissimo.

Tra l'altro, il Prototype aveva utilizzato nuovamente l'Idra per immobilizzare Gaara, e non era sicuro di poter mantenere la concentrazione anche in uno scontro. In altre parole, c'era anche il rischio che il rosso scappasse.

-Certo che... in questa città il riposo non esiste, eh?- fu l'aspro commento di Deidara, sudato e ansimante sotto il peso del proprio carico -Tu, Zeus, a malapena ti sei ripreso da un male che avrebbe potuto ucciderti, e già ricominci a combattere.-

-E' proprio per questo che ci chiamano mostri, no? Stacanovisti, oltre che mutaforma.-

Sasuke si limitò a rispondergli con un'occhiataccia, mentre Deidara scoppiò a ridere.

-Aaaah, per oggi abbiamo finito, su! Alla base potrai riposarti un po', e io ti farò le analisi che avevo programmato... esercito permettendo, s'intende. Stanno diventando davvero fastidiosi.-

-Già... comunque non vedo l'ora di un po' di sano riposo.-

Quello che il Prototype non sapeva, e che avrebbe scoperto molto presto, era che quella giornata si sarebbe rivelata tutto, fuorché riposante.

Un vero massacro.

 

"Bisogna essere capaci di gettarsi il proprio passato alle spalle. Solo i deboli si perdono nei ricordi."

 

 

 

 

 

 

 


_Angolo del Fancazzismo_

Questo capitolo è terrificante. Forse il più brutto che abbia mai scritto.

Gomen-nasai per questa scempiaggine, care lettrici, ma, se volete accusare qualcuno, date la colpa al greco. E ai dannati articoli con iota sottoscritta e accento circonflesso. E alle enclitiche e proclitiche.

Insomma, è tutta colpa di quella maledetta lingua se è uscita questa schifezza.

Chiedo umilmente perdono, e passo alle recensioni per non tediarvi ulteriormente con le mie ciance:

Vaius: Gaara non sarà un personaggio chiave, ma, essendo comunque uno dei miei preferiti e potendo fare da cerniera tra Temari e Naruto, e conseguentemente tra Temari e Shikamaru, ce l'ho messo comunque. Sasuke prende botte a tutto spiano perché ha a che fare con delle creature mostruosamente potenti, ma anche lui, tra poco, avrà i suoi momenti di gloria (per chi non l'avesse capito, sto parlando di Itachi). Spero che questo capitolo ti sia piaciut non ti abbia fatto schifo, alla prossima :)

Sadako94: guarda, quando finirò questa fic (in un futuro davvero molto lontano) sono indecisa tra due opzioni, oneshot permettendo: la mia prossima longfic sarà ambientata o nella Firenze medicea (tipo Bara No Rensa, per intenderci) nel qual caso la scriverò basata sulla storia di Assassin's Creed, oppure in un mondo fantasy stile "Il Signore degli Anelli" (solo a livello stilistico, non ho intenzione di riprendere trame e ambientazioni). La seconda idea mi ispira tantissimo *^*... passando alla recensione, dal prossimo capitolo riepilogherò un po' "ciò che sappiamo", e, partendo dal presupposto che voi lettori sapete davvero poche cose, cercherò di rimettervi a posto le idee.

_N_: allora... all'inizio pensavo di trarre completamente la trama dal videogioco, poi la cosa è degenerata. Per due motivi: innanzitutto, avevo paura che le persone che già conoscono il videogioco potessero annoiarsi, ripercorrendo una trama già giocata, e poi perché la storia originale non mi avrebbe permesso di inserire personaggi e situazioni a cui tengo moltissimo. Quindi, ambientazioni e poteri (di Zeus) sono sostanzialmente identici, la trama è in parte simile, in parte totalmente modificata. Diciamo che il videogioco aiuta ù.ù

ryanforever: Gaara, alla fin fine, non ha un potere spettacolare come quello di un vero e proprio infetto superiore ( e vi verrà la nausea a furia di poteri, quando vedrete di cosa sono capaci i membri dell'Akatsuki) ma mi piaceva pensare ad un chara che fosse capace di cavarsela, oltre che con la semplice rigenerazione, con la scaltrezza e l'intelligenza. A parte questo, sostanzialmente è immortale. Ma meglio non fare troppi spoiler :P...

rekichan: xD... beh, in effetti un finale del genere non lo vedrei male nemmeno io... comunque, il fatto che i personaggi di Naruto rendano, in versione "Prototype", secondo me è dovuto al fatto che un universo apocalittico gli si confà molto più di un'ambientazione scolastica. Renderli più o meno IIC o al limite "funzionanti", quando ci sono in mezzo morte e distruzione, è molto più facile di quando si scrivono storie statiche. Se poi sei sadica come la sottoscritta, la cosa comincia a diventare anche divertente xD.

fra76: dopo un bacio di Sasuke chiunque rimarrebbe confuso. Io, essendo una delle tante versioni femminili di Naruto in circolazione, semplicemente schiatterei. Ciemmecu, probabilmente Gaara lo vedrete in pestazione nei prossimi capitoli, sempre che non mi arrenda trattazion-facendo e decida di ucciderlo per semplificarmi la vita. E' un personaggio spinoso da trattare, specialmente per quanto riguarda l'evoluzione caratteriale -_-"

bradipiro: io adoro Deidara xD! O lo ami o lo odi, ma, da brava amante dei ragazzi con i capelli lunghi, non ho potuto evitare una cotta atomica per quel dinamitardo fuori di testa. Che dire, è l'incastro. L'uomo che fa esplodere il pongo xD. Darò un'occhiata alla fanfiction che mi hai consigliato, sperando che greco e latino non mi uccidano prima.

vivvinasme: la fine? Oh, no. Ma neanche lontanamente. Devono succederne ancora di cose (non potrei mai permettermi di lasciare personaggi trattati in maniera superficiale, tipo Tenten, Itachi, Rock Lee, Orochimaru e Kushina) prima che questa tortura formato fanfiction raggiunga una conclusione. Kankuro, invece, è morto così presto perché, viste anche le future new-entry, gestire tutti i personaggi in gioco sarebbe stato davvero impossibile. E, essendo lui un personaggio non fondamentale (Temari lo è, essendo la ragazza di Shikamaru) farlo morire è stata la scelta più comoda. E sadica.

Beatrix91: Temari Vs Shikamaru te la godrai nel prossimo capitolo, che non vedo già l'ora di scrivere e pubblicare. Gaara non morirà, a meno che non mi prenda un attacco di pazzia, perché è sempre stato uno dei miei personaggi preferiti (anche se, con la sua trasformazione in sentimentale-romantico-hippie, mi è un pochino calato).

 

Beh, ci si vede tra una settimana circa ^^

See you soon,

Roby

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Capitolo 19
*** New Entries ***


018 - New Entries

-Ti ha ridotto male, non è così?-

-Sono già guarito.-

-Ah, Itachi... mi piacerebbe darti l'occasione di riposare, ogni tanto, ma il personale scarseggia. A proposito, abbiamo registrato la fuga di due impiegati e un marine.-

-Fuga?-

-Hanno rubato un elicottero e se ne sono andati, non sappiamo dove. I due impiegati erano gli addetti al monitoraggio di Ade, mentre il marine... be', è uno dei tre soldati che hanno avuto quello strano incidente, giù in città. Pare che il loro capo, benché ferito da una creatura mutante, non sia rimasto infetto. Forse hanno avuto qualche sospetto sulla nostra buona fede, ma... mi chiedo, come mai proprio i due addetti alla sorveglianza di tuo fratello? Cos'avranno visto, di così particolare, da indurli a fuggire? Sai dirmelo tu, per caso?-

Itachi rabbrividì, capendo immediatamente dove l'altro voleva andare a parare.

-Avete la possibilità di visionare tutto quello che gli impiegati fanno attraverso i loro computer. Dovresti trarre da solo le tue conclusioni, Madara.-

-E le trarrei, se non fosse che il lavoro dei fuggitivi è perfettamente pulito. Non c'è nulla di particolare, nei dati che hanno raccolto. Tuttavia, se avessero scoperto qualcosa mettendo insieme le rilevazioni e ciò che è successo al militare... in quel caso non potrei assolutamente saperlo, non trovi?-

-Potresti provare ad interrogare gli altri due marines.-

-Se n'è occupato Kakashi Hatake, uno dei miei uomini migliori. Non hanno parlato.-

-E allora, non vedo...-

-Itachi, non comportarti da stupido. So che non lo sei. Mettiamola così: il patto che c'è tra noi due è valido finché tuo fratello si dimostrerà... ligio al dovere. Sai bene che, nel caso dovesse tradirci, non esiterei a minacciarlo con un'offensiva uguale o superiore a quella che sto rivolgendo a Zeus.-

-Ho capito perfettamente. Conosco i termini del nostro contratto, Madara.-

-Solo io possiedo la cura in grado di regalare a te e tuo fratello una vita normale, Itachi.-

-Lo so.-

-E tu hai sacrificato tutto per lui, non è forse così?-

-Sì.-

-Bene. Mi aspetto un lavoro perfetto, come al solito.-

-Sarà fatto.-


***


Anche prima di entrare nel capannone, Zeus sentì le urla.

La voce di Kisame, inconfondibile nel suo accento brutale, usciva dalla porta del magazzino e si spandeva, udibile anche da diversi metri di distanza, per quasi tutto il molo.

-Razza di idiota, ti ho detto di mollarli!-

La riposta dovette essere negativa, perché l'Hoshigaki riprese a urlare, più imbufalito di prima. Tra una bestemmia e l'altra, al Prototype parve di cogliere qualche velato riferimento a Sasori e a dei "bersagli importanti", cosa che lo inquietò profondamente.

Afferrando Sasuke con più forza, con il rischio di conficcargli il braccio nelle spine che gli spuntavano dalle spalle, saltò verso il magazzino, atterrando esattamente davanti alla porta. Quando varcò la soglia, la vista perfettamente funzionante anche nella penombra, gli si ghiacciò il sangue nelle vene.

Sasori teneva le braccia completamente stese. I filamenti rossi che, come di consueto, gli spuntavano dai palmi, erano attorcigliati attorno a tre figure schiacciate contro la parete di fondo dello stanzone. Da quella centrale, inoltre, colava una lunga striscia si sangue scuro, che scorreva lungo la parete e si depositava sul pavimento in una larga pozzanghera nera.

-Sasori!- quasi gridò, appoggiando Sasuke a terra e lanciandosi poi verso il marionettista. Kisame, vedendolo, alzò gli occhi al cielo in un ringraziamento muto.

-Che hai, Zeus?-

La figura di sinistra sussultò, come attraversata da una scarica elettrica. Il rosso, apparentemente indifferente all'intera situazione, gli rivolse un'occhiata annoiata.

-Che ho!? Si può sapere chi sono questi?-

-Visitatori indesiderati. Non sono caduti nella trappola di Deidara, così ho pensato di eliminarli di persona.-

-Oh...- gemette il biondo, portandosi una mano sul cranio globoso -Ok, calma. Ti hanno detto perché sono qui?-

-C'è mai stato il bisogno di sapere una cosa del genere?-

-No, ma se i militari avessero scoperto il nostro rifugio sarebbe un bel problema, non trovi?-

-Mh. Ragionamento corretto.-

Con un gesto delicato della mano sciolse contemporaneamente tutti i viticci, così che i soldati, sospesi a un metro e mezzo circa da terra, caddero al suolo con un tonfo. Zeus li analizzò velocemente: quello di sinistra era bruno, i capelli legati in una coda alta e lo sguardo intelligente, poi ne veniva uno moro e incredibilmente pallido, la spalla perforata e coperta di sangue. Infine, a destra, stava un soldato che il Prototype riconobbe immediatamente.

-Ehi, ma tu sei quello dell'altra volta!- la sua voce, già di per sé alterata, in quell'esclamazione di sorpresa assunse il suono di un ruggito bestiale. I tre ostaggi si ritrassero simultaneamente, fissandolo con lo stesso guardo spaesato e inorridito, riflesso però su tre visi differenti.

-Ok, ok... forse vi trovate meglio con questa forma, neh?- l'armatura si dissolse in un brulichio di viticci neri e rossi, lasciando emergere il consueto aspetto di Zeus. Sia Shikamaru che Sai sgranarono gli occhi, mentre Kiba si limitò ad uno sbuffo nervoso.

-Non sembravi nemmeno umano...-

-Perché non lo sono, soldato. Tu sei quello dell'altra volta, vero? Il tuo capo sta bene?-

-Benissimo. Suppongo di doverti ringraziare.-

-Non devi, se non vuoi.- si rivolse poi a Sai, adocchiando la ferita -Che ti ha fatto?-

Quello non rispose, limitandosi a stringere la spalla con la mano.

-Sasori...-

-Non parlarmi con quel tono di disapprovazione, Zeus. Anche a te piace divertirti, non è forse così?-

-Sì. Piace anche a me, ma almeno avresti potuto ascoltare le loro motivazioni, prima di ferirne uno.-

-Vuoi sapere perché siamo qui?- si intromise Shikamaru, le orecchie tese e lo sguardo ansioso. Aveva paura, e si vedeva.

-Esatto-

-Bene. E' un po' lungo da spiegare, ma, sostanzialmente... ci siamo chiesti, Zeus, se la verità che ci ha propinato il governo corrisponda alla realtà.-

-Temo di non capirti.- sussurrò il biondo, attonito.

-Ci è stato detto che tu non sei altro che un mostro malvagio, che l'infezione di Manhattan è colpa tua, che stai cercando di ucciderci tutti senza un motivo solo perché l'Idra ti ha fatto impazzire. E avremmo anche continuato a crederci, se Kiba non ci avesse raccontato che hai salvato la vita del suo capo senza uno scopo preciso. Poi abbiamo fatto un sopralluogo nell'appartamento distrutto, quello dove sono arrivati all'improvviso tutti quei cacciatori... abbiamo trovato i capelli di Ade, e poi, nel cestino della carta straccia, questo.-

Il Nara infilò una mano nel taschino, tirando poi fuori un oggetto che Zeus avrebbe riconosciuto anche tra mille atri uguali.

-Voi...- sibilò, strappandoglielo di mano. Lo strinse nel pugno come se avesse voluto farlo sparire per sempre, poi se lo portò al petto con un sospiro, aprendo la mano. E quella scritta, quel "ZEUS 000" stampato in caratteri terribilmente asettici sulla striscia di gomma bianca, lo ferì più di una coltellata al cuore. Incassò il colpo con un lieve tremolio delle spalle e un desiderio pressante di lasciar cadere le lacrime che avevano iniziato a spingere agli angoli degli occhi, ma si trattene, sapendo benissimo che non era nella posizione di scoppiare a piangere di fronte a dei potenziali alleati.

-E' per questo che siamo qui, per sapere come sono andate realmente le cose. E tu, Prototype, risponderai alle nostre domande?-

-Sì.- fu la risposta, malinconica -Ma credo che la prima delle vostre risposte possiate averla anche adesso.-

Si spostò di lato, permettendo ai soldati di spaziare con lo sguardo fino in fondo al capannone. Nonostante la penombra, Sasuke e Deidara erano abbastanza vicini perché potessero vederli benissimo.

-Ade.- constatò Shikamaru, per nulla sorpreso. Kiba, che invece non era ancora convinto della veridicità delle teorie del Nara, sbarrò gli occhi e rimase muto, pietrificato. Sai si limitò a piegare verso il basso gli angoli della bocca, in quello che somigliava spaventosamente ad un broncio.

-A quanto pare c'è qualcuno che si ricorda che esisto.- constatò il moro, acido, sostenendosi alla bell'e meglio con le braccia per evitare di cadere lungo disteso sul pavimento.

-Ops...- ridacchiò Zeus, passandosi una mano tra i capelli com'era solito fare -... scusami, Sas'ke, ma ero piuttosto preso dalla situazione.-

Gli si avvicinò e lo sollevò nuovamente, voltandosi poi verso i soldati.

-Suppongo che questo fosse l'argomento di uno dei vostri interrogativi. La risposta vi induce a continuare?-

-Più che mai. Abbiamo rischiato di morire per questo, e non ci tireremo indietro.-

-E dimmi, umano...- mormorò il Prototype, fissandolo con viva curiosità -... per cosa combatti?-

-Per la mia libertà.- rispose Shikamaru, alzando la voce.

-E non sei già libero, tu?-

-Nessun uomo può definirsi libero, finché vive nell'ignoranza.-


***


-Hime.-

-Che vuoi, Orochimaru?-

-Oh, nulla. Solo che Zeus e compagnia stanno mandando a monte i tuoi piani.-

-Che intendi dire?-

-L'idiota, di là, mi ha detto che hanno stabilito un contatto con dei militari. Sai che significa, no?-

-Sei sicuro di quel che dici?-

-Ma certo, Tsunade.-

Orochimaru incrociò le braccia, dedicando una lunga occhiata provocatoria alla donna che gli stava seduta davanti. Non più giovane ma comunque bella, sulla quarantina, aveva i capelli color miele raccolti in due code basse e gli occhi intelligenti, di una sfumatura caramellata che, però, non ne addolciva lo sguardo austero. Il seno prosperoso era contenuto in una maglietta consunta, con lo scollo a V, le cui maniche strappate mettevano in mostra le braccia piene di cicatrici, niente più che porzioni di pelle perlacea e corrugata.

-Mi chiedo ancora come sia possibile... Zeus non dovrebbe nemmeno esistere.-

-E difatti non lo è. Kushina è "morta" prima che il bambino nascesse, di questo sono più che certo. Eppure... anche l'idiota, con le sue abilità, non è riuscito a trovare una spiegazione.-

-Jiraiya non è mai stato particolarmente accorto.-

-Vero, ma per uno come lui la raccolta di informazioni riservate è un gioco da ragazzi. Mi sembra strano che Madara non abbia mai scucito nessun particolare contraddittorio, a parte ripetere in continuazione che Zeus è il figlio della Greene.-

-Cosa che, abbiamo appurato, è semplicemente assurda. Il Prototype non può essere realmente il bambino che Kushina portava in grembo, a meno che non sia resuscitato. E questo non è possibile.-

-Sei così sicura che Uzumaki non possa aver partorito?-

-Dopo essere diventata l'incubatrice vivente del virus? Non credo proprio. L'Idra, piuttosto, avrebbe ucciso il feto per poi inglobarlo come fonte di energia.-

-Questo non risolve il nostro problema. Come fa Zeus ad esistere?-

-Ai militari è stato detto che si tratta di una mutazione naturale. Madara e Itachi conoscono la verità, e il primo, direttamente implicato nei fatti di Hope, continua a sostenere una versione dei fatti che è assolutamente falsa, e cioè che Zeus sarebbe il figlio di Kushina Uzumaki, ad oggi Elizabeth Greene.-

-E se fosse uno dei bambini-cavia di Hope? Non abbiamo avuto la possibilità di vederli quando abitavamo lì, e l'età coincide.-

-L'età dice poco. La stessa Kushina non invecchia più dal '90, a causa del virus.-

-Rigenerazione cellulare a livelli astronomici... gli infetti superiori sono davvero impressionanti. Mi piacerebbe poterli studiare.-

-Tsk... sono finiti i tempi in cui eri un dottore, Orochimaru. Salutali per sempre, non torneranno più.-

-Non ti facevo così nichilista, Tsunade. Comunque, tornando al problema di prima... c'è il rischio che, con l'aiuto di Uchiha Junior, Zeus riesca ad arrivare fino a Madara. Se dovesse farlo, ho paura che quel pazzo possa impaurirsi e tentare un metodo estremo per liberarsi del Prototype. E "metodo estremo", nel suo vocabolario, si traduce con una sola parola. Anzi, con due.-

-Testata nucleare. Quello che fece ad Hope, se non sbaglio, dopo che l'infezione si fu propagata fino al punto di non ritorno. Strano che non abbia già preso quella decisione.-

-Effettivamente, mi chiedo cosa lo spinga ad agire stavolta. E' saltato fuori dopo diciassette anni di buio, in concomitanza con l'infezione... che sta pianificando?-

-Chi può dirlo? Dobbiamo solamente assicurarci che il Prototype non distrugga le ultime testimonianze che abbiamo del passato, o, almeno, che non lo faccia prima che la verità venga a galla.-

-Perché sei così ossessionata dai tuoi ricordi, Tsunade? Non potremmo lasciar perdere e andarcene da qualche altra parte? Non che trascinarsi dietro Jiraiya sia piacevole, ma sempre meglio che rimanere qui. Questo posto è marcio. Infettato dall'odio e dagli incubi del passato, prima che dal virus.-

-Orochimaru, io... se ci fosse anche solo una minima possibilità che Zeus sia il figlio di Kushina, per quanto inaccettabile, impossibile, imponderabile... non ho il coraggio di scappare e abbandonare tutto. In parte lo faccio anche per Itachi e Sasuke.- ammise la donna, arrossendo.

-Dunque speri ancora in qualcosa di simile... bah, ormai le nostre vite sono fin troppo interconnesse perché possa andarmene e lasciarvi qui, ma sappi, Tsunade, che quello che stai cercando di fare non ti porterà a nulla. Per quanto riguarda i due Uchiha... se la caveranno. Non sembra, ma quella famiglia ha una scorza più tenace persino della tua.-

-La forza non basta più, Orochimaru. Per come si sono mescolate le carte, ormai sopravvivere è solo questione di fortuna.-


***


Inavvertitamente, Shikamaru fece scivolare lo sguardo oltre le spalle di Zeus, soffermandosi sulla figura di Deidara. Gli bastarono dieci secondi per inquadrare e riconoscere le due figure che questi portava sulle spalle.

-T-temari!? Gaara?- emise una specie di squittio terrorizzato, scattando all'indietro con una paura che nemmeno l'aspetto mostruoso di Zeus aveva saputo risvegliare.

-Li conosci?- fu l'ingenua domanda del Prototype.

-Purtroppo sì. Quella è la mia ragazza, e quello è suo fratello... un momento, ma dov'è Kankuro?-

-Kankuro?- si intromise Deidara, con la sua solita aria svagata -Ti riferisci forse a quell'imbecille castano che ho fatto esplodere poco meno di un'ora fa?-

Evidentemente, l'approccio diretto del biondo non fu particolarmente apprezzato dal Nara, che divenne pallido come un cencio e spalancò la bocca.

-Kankuro è m-morto?-

-Oh, temo di sì. La sua vita era proprio così indispensabile?- il finto tono dispiaciuto nella domanda dell'artista era quanto di più falso e artefatto si potesse immaginare, ma Shikamaru preferì soprassedere.

Zeus, nel frattempo, sembrava non aver capito metà del discorso.

-Oh, era un tuo amico? Allora ti dispiacerà, scusaci!-

-Dobe, è ovvio che gli dispiaccia...-

In quella conversazione, il castano trovò ben quattro stonature. Innanzitutto, il biondo aveva detto "ho fatto esplodere". E Shikamaru sperò che si trattasse di un'esplosione causata da un qualsiasi marchingegno, piuttosto che da un nuovo, inquietante potere. D'altra parte, dopo aver "ammirato" le abilità di Sasori, era stato costretto ad accettare l'eventualità che potessero esserci altri infetti evoluti, all'interno del perimetro dell'isola.

Altra cosa che non quadrava, era il comportamento fin troppo ansioso e buonista di Zeus. Per un attimo gli affiorò il sospetto che quel biondo con gli occhi azzurri non fosse realmente lui, poi, però, gli venne in mente che un potere peculiare come l'armatura poteva appartenere solamente al Prototype, e non era decisamente facile da replicare.

La terza incongruenza stava nell'epiteto quasi affettuoso (non che fosse stato pronunciato con dolcezza, anzi) con cui Ade si era rivolto a Zeus. In che razza di rapporti erano, per potersi permettere prese in giro di quel tipo? Dubitava che una semplice alleanza potesse giustificarle.

Ultimo, ma non meno importante, veniva il suo stato d'animo. Non ci aveva realmente pensato, ma l'affermazione di Ade gli aveva fatto capire che no, lui non era affatto triste per Kankuro. Non era neanche allegro, per carità, ma, detto in parole povere, non gliene fregava nulla. Erano capitate troppe cose perché la morte di qualcuno che detestava cordialmente potesse sconvolgerlo.

E, comunque, il problema "Temari" assorbiva qualsiasi altra complicazione, fosse pure invalicabile. Perché, se poteva scampare ad una mandria di zombie assetati di sangue, dubitava di poter fare altrettanto con la sua fidanzata, specie se imbufalita.

Anche Hannibal Lecter, con la Sabaku, si sarebbe trasformato in un'accondiscendente donnina di casa.

-Bene, adesso che ci siamo chiariti...- la voce squillante del Prototype spezzò il filo dei suoi pensieri -... proporrei di medicare il soldato ferito... ehm...-

-Sai.-

-Ok, dicevo... proporrei di medicare Sai ed Ade, poi penseremo ai discorsi. C'è tanto da dire, e dobbiamo occuparci prima dei feriti.-

-Uhm, va bene.- replicò Deidara, scrollando leggermente Temari e Gaara, che emise un mugugno -Ma io con questi che ci faccio?-

-Basta che tu non li uccida.- fece il Prototype, ironico. L'artista non sembrò gradire la risposta.

-Peccato, speravo non ci servissero più. Comunque ti comporti troppo bene, Zeus... finirai per perdere credibilità.-

-Quella l'ha già persa da un pezzo.- fu il commento di Sasuke, che rincarò la dose.

-Come se l'avesse mai avuta...- Sasori colse la palla al balzo, chiudendo la sequela di critiche con un'affermazione che fece arrossire il Prototype dall'irritazione.

-Ok, se avete finito...-

-Noi non finiremo mai, Zeus. E poi... sei così carino, quando ti arrabbi.-

Affermazione che, con il tono malizioso tipico di Deidara, imbarazzò il biondo e causò un violento attacco di bile a Sasuke. Il Prototype, desideroso di godersi anche solo cinque minuti di pace, si calò nella botola prima che potesse scoppiare una lite, portando con sè anche un Uchiha decisamente irritato.

-Sasori, Kisame, portate dentro anche i soldati e chiamate Zetsu. Sasuke, preparati.-

-A cosa?-

-A qualcosa che farà molto, moooolto male.-


***


-Ngh...-

Nell'aria risuonò un gemito soffocato.

Poi un altro.

-Mh. Complimenti per l'autocontrollo.- commentò Zetsu, affondando nuovamente le pinzette nel foro del proiettile, per poi tirarle fuori e decidere, molto diplomaticamente, di incidere i tessuti già rigenerati con il bisturi ed estrarre la pallottola.

Sasuke, steso sul lettino, stringeva uno straccio bianco tra i denti, trattenendo le urla che, ad ogni nuova incisione, premevano con decisione sempre maggiore per uscirgli dalla gola. Tuttavia, quando Zetsu gli piantò il bisturi nella coscia, spingendo con precisione fino a grattare sulla superficie del proiettile con la lama, non ci fu alcuna pretesa d'orgoglio che seppe trattenerlo dal gridare una bestemmia.

Sputò lo straccio in fretta e furia, avvertendo con una smorfia disgustata un filo di saliva colargli a lato della bocca. Ma non mosse la mano per toglierlo.

Sentiva il corpo talmente teso, come una corda di violino, da avere quasi paura che, una volta spostato un braccio, non sarebbe riuscito a esimersi dal saltare addosso a Zetsu e riempirlo di pugni. O l'immobilità assoluta, o lo sfogo.

E, visto che del suo corpo aveva ancora un certo bisogno, l'immobilità era l'unica scelta praticabile.

-Fa male, Sas'ke?- il dobe, come sempre campione di ovvietà, lo fissò con un certo cipiglio preoccupato. Il che era ammirevole, viste le dimensioni della siringa che gli perforava la vena del braccio.

Infatti, essendo l'infermeria della base piuttosto ristretta, Sai, Naruto e Sasuke erano costretti a medicarsi contemporaneamente, a stretto contatto. Per il soldato quello poteva essere un rischio di contagio non indifferente, ma, fortunatamente, gli infetti evoluti come Zeus non erano capaci di trasmettere il virus. Quindi, su tre lettini separati da poco meno di due metri di distanza, i tre erano tutti intenti a farsi medicare, ognuno immerso nel proprio personale supplizio.

Sai, già perfettamente adattato e per nulla impaurito dalla situazione, si lasciava fasciare con molta - forse troppa - condiscendenza da Konan, che, asettica e inespressiva come al solito, si era improvvisata infermiera per l'occasione. Zeus, dopo varie proteste, aveva acconsentito a farsi fare le analisi tanto desiderate da Deidara ("routine, pura routine", ripeteva in continuazione l'artista) mentre a Sasuke era toccata la sorte più ingrata: visto che tutta la morfina era stata usata per ammortizzare gli effetti del "tumore" che aveva colpito il Prototype, i proiettili sarebbero stati estratti senza anestesia... e senza antidolorifici.

-Porca... puttana...- sibilò, mentre Zetsu, dopo avergli lacerato una coscia, estraeva il proiettile e lo appoggiava in un contenitore che sembrava tanto una capsula di Petri. E pensare che possedeva anche un'elevata resistenza al dolore... un essere umano come avrebbe fatto?

-Se fossi umano non saresti arrivato fin qui, Sas'ke.-

-Non ricordarmelo...- fu la risposta stizzita, mentre l'infermiere, messa da parte la pallottola, tirava fuori, da quello che sembrava un frigorifero, un flacone trasparente che conteneva una sostanza viscosa e trasparente, simile a colla.

-Prima che tu mi chieda che cos'è, ti mostrerò i suoi effetti.-

Intinse un cotton fioc nella gelatina, poi si avvicinò a Sasuke e glie la spalmò sul foro sanguinante, stando bene attento a depositarne una quantità cospicua. Prima che l'Uchiha potesse commentare il piacevole senso di refrigerio che gli aveva avvolto la gamba, la ferita si era già richiusa.

-Come... ?-

-E' un fluido che ho preparato utilizzando il plasma infetto del sangue di Zeus, più altri enzimi prodotti dal mio organismo. Non che faccia nulla di speciale, semplicemente incrementa lo sviluppo dell'Idra a livello locale e, così facendo, permette di guarire immediatamente ferite grandi e piccole. Ah, e non ti rimarrà nemmeno la cicatrice.-

-Mi stai dicendo che usate Zeus come una panacea vivente?-

-Perché no? Tanto a lui non dispiace!- si intromise Deidara, indicando una valigetta che. con sommo orrore di Sasuke, sembrava piena di provette appena riempite con il sangue fresco di Zeus. Quanto gliene avevano tolto?

-Ah, si sta facendo tardi. I nostri ospiti potrebbero spazientirsi. Ade, sta fermo.-

L'Uchiha strinse i denti e chiuse gli occhi, preparandosi ad una nuova scarica di dolore.

-Be', guarda il lato positivo, Ade: la prossima volta sarai più attento ed eviterai di farti colpire.- la voce non apparteneva né a Zeus, né a Deidara e nemmeno a Zetsu. Era stato il soldato, il moro con la faccia irritante, a parlare.

"E chi glie l'ha data tutta questa confidenza?" pensò Sasuke, infastidito.

Incredibile: neanche lo conosceva, e già odiava quel marine dallo stomachevole sorrisetto.


"La verità di Hope era più simile ad un incubo, che alla realtà. Anzi, potremmo quasi dire che gli eventi, in quel frangente, superarono di gran lunga le più fervide fantasie orrorifiche concepite da mente umana."











_Angolo del Fancazzismo_

Vi chiedo umilmente di perdonare il ritardo a dir poco mostruoso, ma la scuola chiama... e io sono costretta a rispondere. Nel frattempo si avvicina il ventesimo capitolo, e io comincio a pensare che questa storia stia diventando decisamente più lunga di quanto avevo progettato (secondo l'idea originaria, infatti, non doveva superare le ventina di capitoli). La mia piccola epopea OwO...

Passiamo subito alle recensioni, va', che dopo devo finire una versione di latino sui giochi circensi.

reckichan: ecco, purtroppo il combattimento non è potuto procedere (T_T) per il semplice fatto che la differenza di potenza tra Gaara e Naruto era troppa. Lo scontro era già perso in partenza, se così si può dire. Questo capitolo è decisamente statico, ma spero che ti sia piaciuto comunque ^^... ah, quasi dimenticavo: potresti fare i complimenti a Kei_Saiyu, da parte mia, per la sua storia "Symbolum"? E' davvero molto bella, e la lemon iniziale... be', diciamo che non sarò mai capace di scriverne una simile xD

fra76: ho come la sensazione che la mia storia si stia trasformando in una soap opera... non c'è niente da fare, non riesco a scandire precisamente i momenti in "tragici", "dolci" o "comici", mi esce sempre un'insalata assurda. Uffa -_-... comunque sono contenta che ti piaccia, forse il mio tempo non è del tutto sprecato :D!

vivvinasme: in questo capitolo ho dato molto poco spazio alla "globalità" dei personaggi, e ho preferito inserire le due scene di Orochimaru/Tsunade e Madara/Itachi. Temo il momento in cui dovrò farli uscire allo scoperto, la loro trattazione (specialmente quella di Orochimaru e Itachi) è davvero ostica. Comunque... le sorprese le avrete tra un po' di tempo, quando la storia entrerà nel suo punto di spannung e verranno svelati tutti i misteri. Vero anche che tu conosci il gioco, ma proprio per questo ho modificato tantissimo la storia di Hope U.U. E ti ringrazio molto per i complimenti sulla caratterizzazione, come sempre apprezzatissimi!

Vaius: vogliamo scherzare? La mia infanzia non sarebbe stata la stessa, senza Tolkien e il suo amabilissimo Smeagol (o Gollum, che dir si voglia), il mio personaggio preferito. E comunque ti garantisco che Zeus non fa schifo, in quella forma (anzi, mi sa che metterò un'immagine per mostrarvi l'armatura, che è uno tra i poteri più fighi). E' molto powah.

ryanforever: sebbene la tentazione di togliere di mezzo un po' di chara fosse forte (ebbenesì) ho preferito evitare. Mi servono ancora tutti, per far funzionare la trama a dovere ù_ù. E poi, ti piacciono gli spoiler? Io a volte li amo, a volte li odio... insomma, tu ti crei tutte le tue ipotesi sul capitolo successivo e poi vengono brutalmente distrutte da un'anticipazione malfatta.

Beatrix91: il triangolo no. Non l'avevo considerato. A parte gli scherzi, la sottoscritta prova nei confronti del triangolo Gaara-Naruto-Sasuke un odio davvero viscerale, a causa della sua predisposizione a diventare il teatrino dei cliché. Ed ecco che Gaara diventa il fidanzato cattivo e dispotico, mentre Sasuke si trasforma in un salvatore aitante e coccoloso (brrr...) e Naruto nel peggior uke piagnone e complessato di sempre. E comunque soffro di antipatia per i triangoli, in generale U_U. I poteri degli akatsukiani dovranno aspettare ancora un bel po', visto e considerato che, per dimostrarne le capacità, ho bisogno di scontri. Vedremo, vedremo...

SnowQueen: wow, che entusiasmo! Grazie mille per i complimenti, e anche per l'euforia che, se all'inizio mi ha lasciato un po' di sconcerto, poi mi ha veramente rallegrato. Lo splatter in questo capitolo non c'è (e nemmeno il sasunaru, se è per questo :P) ma non preoccuparti: conoscendo i miei gusti, ne avrete dell'altro molto presto.

Sadako94: ok, sono costretta a posticipare i chiarimenti al prossimo capitolo. Chiedo perdono, ma non credo che qualcuno voglia un capitolo di quattordici pagine tra i piedi, specie se pieno zeppo di dialoghi e informazioni... è già abbastanza pieno così xD. Gaara, poi... ha una carica di sadismo, quel ragazzo, che in futuro mi frutterà diversi sviluppi interessanti *_*... che ne so, un bel combattimento Gaara Vs Kabuto?

bradipiro: io, più che per Temari, mi preoccuperei per Shikamaru xD. Quella ragazza è più pericolosa di Zeus, se ci si mette xD! Comunque non ti preoccupare, staranno bene, alla fine. Forse.

kagchan: grazie mille per tutte le recensioni che hai "recuperato"! E complimenti per aver colto le scene più "leggere" che ho inserito nel capitolo (ebbenesì, amo scriverle). Certo, non posso far diventare questa storia una "fluff", ma mantenendosi nei limiti del possibile si trova sempre il tempo per qualche particolare dolce. Per sapere cosa intendeva Deidara, quando parlava della analisi di Zeus, dovrete aspettare ancora del tempo, e ho come l'impressione che il modo in cui il mistero verrà rivelato non vi piacerà affatto. Vabbé, non posso fare fanservice anche in una fanfiction U.U...

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L'immagine qui sopra è relativa all'armatura (anche se, in figura, Zeus ha anche la lama).

Ci vediamo, alla prossima!

See you soon,

Roby

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Capitolo 20
*** Qui pro Quo ***


019 - Qui pro Quo

Nell'atmosfera congelata del salotto, Shikamaru si torse le mani per l'ennesima volta, occhieggiando la sagoma di Temari, mollemente abbandonata contro la parete. Non si era ancora svegliata, e la cosa cominciava a preoccuparlo.

-Allora?- esordì Zeus, seduto sul divano di fronte a lui, circondato dal resto di quella bizzarra congrega di infetti che occupavano i sotterranei del porto. Il Nara si domandò come avessero fatto a passare del tutto inosservati, ma non era quello il momento delle domande.

La parola era sua.

-Come ti ho già detto prima, Zeus, siamo qui perché abbiamo notato delle incongruenze tra ciò che il comando ci ha sempre riferito e alcune cose che hai fatto. Da quello che dicono i giornali e le fonti d'informazione interne alla Gentek, dovresti essere una sorta di Cacciatore evoluto, una mutazione inspiegabile del virus che avrebbe portato alla nascita di un... mostro privo di intelletto. Le carneficine che hai compiuto, tra l'altro, avvaloravano ancora di più questa versione dei fatti.-

-"Però"?- interloquì Deidara, limandosi le unghie con un'attenzione quasi maniacale. Non sembrava che gli importasse molto del discorso, e contribuiva giusto per dare l'impressione di una blanda partecipazione.

-Però è successa quella cosa con la mantide.- fu Kiba a rispondere -E...-

-Quale cosa?- chiese Hidan, sporgendosi sul bracciolo della poltrona su cui era seduto.

-Ah, già... non ve l'ho detto, e suppongo che Sas'ke non abbia ritenuto necessario informarvi. Kiba, racconta in modo che capiscano anche loro.-

Zeus già aveva cominciato a chiamarli per nome, amichevolmente, e la cosa era abbastanza inquietante. Prendendo fiato, l'Inuzuka continuò.

-In pratica, la nostra missione era quella di stabilire un contatto con Ade per poter stilare un rapporto sul suo lavoro. Immagino sappiate che il motivo per cui la Gentek lo ha mandato a Manhattan era la distruzione di Zeus, giusto?-

Seguendo i consigli di Shikamaru, Kiba non nominò la fotocamera Gps, per evitare che, casomai Zeus non ne sapesse nulla, Ade corresse dei pericoli a causa loro.

-Non saperlo equivale ad essere ciechi e sordi.- fu il commento di Sasuke, appoggiato un po' allo schienale e un po' a Zeus, che gli teneva la testa sulla spalla. Quella strana intimità era un altro punto che andava chiarito.

-Ehm, dicevo...ah, sì. Insomma, ci hanno fatto scendere sul tetto di un palazzo, e abbiamo tentato di percorrerlo tutto per scendere in strada. Quello che abbiamo trovato là dentro non me lo scorderò più. C'era una creatura, come una mantide mostruosa, che ha ferito a morte il capo e poi ha tentato di uccidere anche noi. Se non fosse stato per Ade e Zeus, a quest'ora saremmo tutti morti.-

-Da questo punto farei meglio a spiegare.- disse il Prototype, sospirando -Quella che avete visto là dentro era U-3, acronimo di "Uroboros-3", il terzo tipo di mutazione senziente e semovente dopo gli infetti comuni e i Cacciatori. E' stato Zetsu a darle quel nome, e viveva in quel palazzo sin dai primi giorni dell'infezione. In quel momento, Ade era lì perché cercava di nascondermi, in quanto mi trovavo in una situazione abbastanza... delicata. E' per questo che ha cercato di soccorrervi, e poi, quando ho potuto, sono arrivato anche io.-

-"Situazione delicata" in che senso?-

-Ve lo spiego dopo. Continua con la tua storia, Kiba.-

-Allora, ad un certo punto quel mostro ha ferito a morte il capo, poi è arrivato Ade e ha cominciato a combattere. Non sarebbe riuscito a sconfiggerlo, e per fortuna Zeus ha steso quel mostro con un attacco strano, facendo spuntare degli artigli enormi dal terreno. Poi si è avvicinato al capo e le ha succhiato via il virus dal sangue, salvandola.-

-E non è finita qui.- proseguì Sai -Infatti, ieri sera, sul tardi, è stato fatto girare un filmato, alla Gentek, che ci avvisava di un massacro da te compiuto, e poco prima che la notizia venisse diffusa Hinata Hyuga era tornata alla base.-

Se anche Sai avesse voluto continuare, non poté farlo.

Sasuke scattò in piedi, stringendo i pugni in un moto di rabbia, e poi lo afferrò per il bavero della giacca, sollevandolo di una ventina di centimetri dal suolo.

-Hinata Hyuga, hai detto?- quasi ringhiò, contraendo il viso in un'espressione di pura ferocia.

-Sasuke!- Zeus gli strinse l'avambraccio fin quasi a spezzarglielo, e lui mollò la presa -... basta. Sarò io a vendicarmi di Hinata, se e quando vorrò.-

-Se e quando? Stava per ucciderti, te ne sei dimenticato!?-

Shikamaru si fece interessato, allungandosi verso il Prototype, e Deidara smise di lavorare di lima. Fece una smorfia di puro disgusto, notando che la curvatura dell'unghia del medio era leggermente imperfetta, poi si schiarì rumorosamente la voce.

In un attimo, l'attenzione degli occupanti del salotto si calamitò su di lui.

-Ade, Zeus, vi pregherei di finirla. Non siamo qui per dare spettacolo, e, se il vostro scopo è divertire gli ospiti, tanto vale spogliarsi nudi e ballare "I Will Survive" con un casco di banane a coprire le zone strategiche.-

Appena si fu placato l'accesso di risa generale che seguì la battuta, il dinamitardo si rivolse a Sai, Shikamaru e Kiba, accavallando le gambe e sospirando con l'aria di chi sta per raccontare una lunga storia. Sasuke e Zeus lo fissarono, a metà tra lo sconvolto e il sinceramente divertito, poi si accomodarono nuovamente sul divano. Ade, in particolare, passò una mano tra i capelli del Prototype, scompigliandoli scherzosamente.

In meno di due minuti, quella che sembrava una situazione irrecuperabile era diventata nuovamente distesa e informale. Il Nara apprezzò sinceramente la sottile bravura di Deidara.

-Ah-ehm... quello che Sasuke stava cercando di dirvi, anche se come al solito dimostra la delicatezza di una bomba H, è che abbiamo avuto dei contatti con Hinata Hyuga. Contatti che per poco non hanno ucciso il Prototype.-

-Cosa!?-

-Tranquillo, ciuffo ad ananas, non sto scherzando. La piccola Hyuga è stata salvata da Zeus, che intendeva usarla per cercare una cura all'Idra, ma poi, come dire... ci ha traditi e gli ha iniettato un composto di origine sconosciuta, che gli ha fatto diventare un braccio simile ad un gigantesco pasticcio di carne. Per fortuna Ade ha trovato una cur... a proposito, Sasuke, non ci hai ancora detto chi è stato a consegnarti la cura, sbaglio?-

L'Uchiha sobbalzò, sentendosi chiamato in causa.

-Non so come si chiama, non me l'ha detto. Mi ha infilato in mano una provetta e basta.-

-Descrizione fisica.- scandì Deidara, riavviandosi la frangia

-Capelli neri e lisci, molto lunghi, occhi color oro a mandorla, somiglia vagamente ad un serpente. Ha la pelle molto chiara, quasi bianca, è alto e abbastanza muscoloso.-

-Caspita, Ade... in giro per la città c'è una simile bomba sexy e tu non mi hai avvertito prima?-

Prima che Sasuke potesse rispondere male, ci pensò Sasori a riportare la discussione sui binari giusti.

-Se provi anche solo ad avvicinarti a quel tizio te lo taglio. Non credo ci sia bisogno di specificare cosa.- fece, serafico, fissando il proprio ragazzo con un'espressione neutra che, però, non prometteva nulla di buono.

-Come non detto. Comunque, proseguendo con il racconto... ah, sì. Ade ci ha portato la cura e abbiamo salvato la vita a Zeus per un pelo. Da qui in poi c'è la parte che credo abbiate intuito, quella in cui catturiamo Ms.America 2008 e il suo fratellino e poi troviamo voi alla nostra base. Ora, tralasciando tutte le intuizioni poco interessanti che vi hanno condotti qui, e che comunque ci spiegherete dopo, c'è qualcosa che dovreste sapere.-

-Sarebbe?-

-Dì un po', ananas, sei bravo con il computer?-

-Se mi dai un PC decente posso tirarci fuori anche la verità sulla Genesi.-

-Bon, in questo caso sono felice di annunciarti che hai appena ricevuto il tuo primo incarico. Elizabeth Greene. Voglio tutto ciò che si può trovare su quella donna nei database della Gentek, e, quando ci avrai portato informazioni utili, ti spiegheremo cosa ci abbiamo a che fare noi e risponderemo al resto delle vostre domande. Vorremmo evitare fregature, dopo l'ultima esperienza poco piacevole.-

-Qui pro quo?-

-Qui pro quo.-

 

***

 

Il ronzare quieto dei condizionatori riempiva la sala, piena di persone innaturalmente silenziose, sedute attorno ad un tavolo, in attesa. Fu una voce bassa e glaciale a rompere il silenzio.

-Signori, immagino abbiate intuito il motivo per cui vi ho convocati.- Madara Uchiha, in piedi di fronte al modesto uditorio, lasciò scorrere lo sguardo su coloro che lo circondavano. Partendo da destra, in senso antiorario, si potevano notare le chiome argentee di Kabuto Yakushi e Kakashi Hatake, seduti a poca distanza l'uno dall'altro, e, più in là, i capelli viola acceso di Anko Mitarashi, capo della divisione speciale blackwatch, che spiccavano come un faro nella stanza scura. Un po' più a sinistra, celati dalla penombra, c'erano Mizuki Hoshibuki, Zabusa Momochi e Danzo Ayumine, i tre Generali di Divisione. Alle spalle di Madara, infine, stava Itachi, silenzioso come una statua e pronto a scattare in caso di pericolo.

Chi più, chi meno, quei sette individui costituivano la guardia scelta di Madara, e il fatto che fossero stati convocati tutti insieme significava, di primo acchitto, una montagna di guai.

-Zeus.- la risposta di Anko, pronunciata con un tono ironico e beffardo, fece rabbrividire metà degli astanti. La figura del Prototype aveva assunto un significato tale, ormai, che pronunciarne il nome faceva quasi impressione.

-Esattamente. Come spero saprete, abbiamo inviato giusto questa mattina una squadra speciale, composta dai fratelli Sabaku, per muovere un'offensiva decisiva a Zeus. Tuttavia, quando abbiamo provato a contattarli, pochi minuti fa, non ci hanno risposto.-

-Credete che li abbia uccisi?-

-Trattandosi di Zeus, è molto probabile. Anche Ade è praticamente sparito, e non riusciamo più a trovarlo.-

Stavolta persino Anko sgranò gli occhi, protendendosi verso l'Uchiha.

-Possibile che sia così potente? Insomma, i test di laboratorio fatti sul soggetto 002 dimostravano abilità che...-

-... che Zeus possiede e supera con estrema facilità.- fece Kakashi, dondolandosi sulla sedia -Non scordatevi che il Prototype è pur sempre la mutazione originale, e quindi più potente.-

-E non solo.- Kabuto si aggiustò gli occhiali, prima di proseguire -Le sue cellule si moltiplicano ed evolvono ad una velocità davvero fuori dal comune. Potrebbe diventare ancora più forte, e va fermato, prima che non sia più possibile farlo.-

-Ed è proprio per questo che siete qui. Da dopodomani andrete in missione, con le vostre squadre, e scandaglierete la città alla ricerca di Zeus. Ah, ovviamente, qualsiasi altra cosa doveste trovare, ripeto, qualsiasi, va eliminata. Cacciatori, infetti comuni... distruggete tutto ciò che vi troverete davanti, senza alcuna distinzione. E' venuto il momento di adottare una politica totale.-

-I dettagli?-

-Troverete tutto nei vostri uffici, i documenti vi sono già stati consegnati. Ora, perdonatemi per la rudezza e la fretta, ma devo discutere di alcuni particolari essenziali con il Dottor Yakushi. Potete andare.-

Cinque dei presenti si alzarono in piedi, facendo poi un breve inchino prima di uscire.

Nella stanza rimasero in tre.

-Non ti capisco più, Madara.- esordì Kabuto, sfilandosi gli occhiali con un gesto seccato -Perché hai mandato i fratelli Sabaku a cercare Zeus, quando siamo certi che è morto?-

-Il punto era proprio che non siamo certi che è morto. Da quando sono morti i quattrocento soldati delle basi so per certo che a Manhattan ci sono altri infetti superiori, in grado di coordinare un attacco su vasta scala, ma mi serviva la conferma che Zeus fosse ancora vivo.-

-Mh, e come sai se i fratelli sono stati uccisi da questi fantomatici infetti, oppure no?-

-Tu stesso, Kabuto, hai potenziato Gaara. L'unico che avrebbe potuto batterlo, e di questo siamo sicuri, era Zeus. No?-

-Questo è vero. Nemmeno Ade potrebbe sperare di batterlo, e il fatto che abbia perso potrebbe portarci a pensare che, effettivamente, Zeus sia sopravvissuto. Ma come?-

-Non temere, lo scopriremo. I nostri amici rivolteranno la città come un calzino, per ritrovarlo, e sarà lui stesso a raccontarci tutta la verità, dopo che lo avremo persuaso.-

-A volte il Prototype mi fa quasi pena. Dopo tutto quello che ha passato... perché continui ad inseguirlo, Madara? E la Madre? Non fai niente per catturarla, a quel che vedo.-

-Si stanno comportando un po' troppo male, per essere delle semplici pedine. E comunque, catturare Elizabeth Greene, alias Kushina Uzumaki, sarebbe uno spreco di tempo. Una volta preso Zeus, lei cercherà con tutti le proprie forze di liberarlo, e sarà allora che la imprigioneremo. Stavolta per sempre.-

-Non faresti prima a distruggerla?-

-Sai che non posso. Se lo facessi, morirei anche io. Ed è l'ultima cosa che voglio, Kabuto, l'ultima. In fondo, quest'epidemia potrebbe anche rivelarsi utile, non trovi?-

Il dottore socchiuse gli occhi, fissando Madara.

-E, quando sarà finita, anche io avrò la mia fetta di dolce. Dico bene?-

-Esattamente. Ah, Kabuto, un'ultima cosa...-

-Mh?-

-Conserviamo ancora i rapporti di Hope?-

-Sì, signore.-

-Bene. Portameli.-

-Va bene.-

Prima che Kabuto uscisse, Madara scorse, sulla moquette del pavimento, un luccichio insolito.

Se solo si fosse avvicinato per controllare, probabilmente la storia sarebbe andata diversamente da come la ricordiamo. Tuttavia, non lo fece.

La noncuranza fu una delle cause della sua rovina.

 

***

 

-Cazzo!-

Jiraiya Monogatari, cinquantadue anni apparenti, aveva seriamente rischiato un infarto che, biologicamente, non poteva neanche avere. Si lasciò cadere a peso morto sul pavimento della stanza, colpendolo con la schiena possente, e rimase fermo finché non sentì un piede affondargli nel fianco destro. Non poteva provare dolore, Jiraiya, ma si sollevò comunque.

-Ti sei fatto beccare, razza d'imbecille!?- lo apostrofò Tsunade, le mani posate sui fianchi e un'aria quanto mai furiosa.

-N-no... ma ci è mancato davvero poco. Se Madara non fosse ancora l'idiota dei tempi di Hope, probabilmente avrebbe capito immediatamente che ero riuscito ad infiltrarmi nella base.-

-Lasciamo perdere, Tsunade.- Orochimaru entrò nella stanza, ravviandosi i capelli -Sentire un idiota che dà dell'idiota ad un altro idiota è davvero triste. Hai scoperto qualcosa, rospo?-

-Niente di diverso dal solito, biscia. Stanno per mandare altri militari a cercarlo.-

-Poveri pazzi...- fece il moro, con il solito ghigno -... potranno mandarne anche diecimila, ma non lo...-

-Ah, quasi dimenticavo... hanno scoperto che è vivo. E sanno anche dell'esistenza degli altri.-

-Tsk... se fossero stati più furbi, a quest'ora la situazione sarebbe diversa.-

-Zeus ha pur sempre diciassette anni, Tsunade. Non puoi aspettarti la responsabilità di un adulto.-

-Cosa facciamo?- domandò Jiraiya, osservandosi una ciocca dei lunghissimi capelli argentei.

-A questo punto, se non vogliamo che Zeus muoia...- Orochimaru lanciò un'occhiata penetrante a Tsunade -... e soprattutto, se vogliamo evitare che Madara lo catturi, insieme alla Greene, o che il Prototype spaventi quel pazzo fino ad indurlo alla distruzione dell'isola, dobbiamo agire. Scenderemo in campo, come avremmo dovuto fare molto tempo fa.-

-Cosa pensi di fare, Orochimaru? Sasuke Uchiha già ti cerca, e, se incontrassimo Zeus, dovremmo rispondere a troppe domande.-

-Non sarà un problema, Tsunade.-

-Mi stai chiedendo di fidarmi di te, pazzo maniaco?-

-Vuoi sapere se Zeus è il figlio di Kushina, Tsunade? Questa è l'unica strada che ti resta.-

-Va bene. Jiraiya, tu sei d'accordo?-

-Certo, che domande! Se vi lasciassi da soli, sareste capaci di ammazzarvi a vicenda per ogni stronzata.-

I due uomini si fissarono in cagnesco per una decina di secondi, poi sospirarono, all'unisono. Tsunade quasi sorrise, memore dei tempi in cui vederli litigare era uno dei suoi passatempi preferiti, e poi uscì dalla stanza. Tutto quello che le interessava, ormai, era sapere se il bimbo di Kushina era ancora vivo. Una volta che l'avesse scoperto, sarebbe potuta finalmente morire in pace.

"E se la morte non mi appartenesse più? Che cosa farei?"

 

***

 

I membri della base si erano ufficialmente presi una giornata di pausa.

Naruto era da qualche parte in camera sua, affondato tra le coperte, Sasuke era scivolato in un piacevole stato di sonno comatoso, dovuto anche al costante rigenerarsi delle ferite, che gli toglieva molte energie. Gli altri erano tutti intenti a festeggiare nel piccolo salotto, tra birre e cibi di dubbia provenienza.

Le uniche persone che non sembravano particolarmente in vena di riposarsi erano Deidara, Shikamaru, Sai, Kiba e Gaara. Il biondo perché impegnato a sorvegliare il lavoro del Nara, gli altri tre perché, per sicurezza, erano stati legati e letteralmente gettati in una specie di stanza disadorna, in attesa che il dinamitardo li giudicasse meritevoli di una sistemazione migliore.

Neanche a dirlo, Gaara era legato come un salame e sedato, per evitare spiacevoli inconvenienti.

-Allora? Trovato niente?-mugugnò Deidara, annoiato, fissando le dita del Nara che, agili, sembravano quasi volare sulla tastiera del pc portatile.

-I file governativi sono tutti protetti da una serie di password che io non possiedo. Hackerarle non è facile, e mi servirebbe un computer più potente di questo, ma...-

-"Ma"?-

-Da adolescente, prima di entrare nell'esercito, ero un nerd, e passavo tutto il giorno davanti al computer.-

-E allora, scusa?-

-Hai presente il caso del Capodanno 1999, quando i siti internet di quasi tutte le banche del paese andarono in crack contemporaneamente, spaventando l'opinione pubblica?-

-Ah, sì!- gli occhi di Deidara si illuminarono -Ero in carcere, ma la notizia fu comunque diffusa! Un attimo, non è che...-

-Sono stato io. Sai, il governo americano stesso voleva farmi il culo, ma poi a qualcuno dei capoccioni è venuto in mente che avevano bisogno di un hacker bravo per entrare in un paio di database sovietici, e così...-

-Database sovietici?-

-Roba top secret e assolutamente delirante, te lo garantisco. E' così che mi hanno assunto.-

-La tua storia ha dell'incredibile, sai?-

-Mh, neanche tanto. La gente è disposta a credere a cose ben più assurde, puoi starne certo. E comun... ah, cazzo!-

-Che succede?-

-Il firewall governativo mi blocca. Certo, se voglio evitare che mi individuino non posso fare altrimenti, però...-

-Eh?-

-Sto usando una traccia di tipo ghost, che impedisce al pc di captare segnali di intromissione. Se scoprissero che qualcuno sta cercando di entrare nei loro sistemi, potrebbero resettare tutto per evitare di mettere in giro informazioni riservate. Devo evitare che mi scoprano.-

-Uhm. Figo.- il biondo non ci aveva evidentemente capito nulla, e Shikamaru sorrise.

-Senti... mi hai parlato di prigione. E' da lì che vieni?-

-Ah-ah.-

-E perché ti hanno messo dentro, se posso?-

-Tranquillo, non ho problemi a raccontarlo. Mi hanno dato l'ergastolo perché ho bruciato entrambi i miei genitori.-

Il castano si voltò verso Deidara, sconvolto, e smise per qualche istante di battere sui tasti. Deglutì a vuoto, inorridito dalla noncuranza con cui il biondo aveva ammesso una colpa tanto orrenda, e poi, con un filo di voce, osò porre un'altra domanda.

-Ma... ti avevano fatto qualcosa di particolare? Che ne so, magari tuo padre...-

-Naah, che mancanza di fantasia! Cos'è, una specie di film americano strappalacrime? Non mi avevano fatto nulla. Li ho bruciati perché erano noiosi, e non c'era davvero nessun altro modo per nobilitarli.- la voce del biondo conteneva un disprezzo quasi velenoso, e il Nara si domandò fino a che punto potesse essere pazzo. Evidentemente, i suoi occhi riflettevano ciò che stava pensando, perché Deidara riattaccò quasi immediatamente a parlare, stavolta serio.

-So che stai pensando. Forse credi che sia strano, no, che tu ti sia alleato con uno come me. Il punto fondamentale è che tu, soldato, non stai combattendo per il "bene" assoluto, mettitelo in testa. Tu difendi i tuoi interessi e tuteli il tuo egoismo, e casualmente hai scopi che coincidono con i nostri. Per questo ti sei unito a noi. Non sperare di trovare necessariamente il "male" nell'altra fazione, perché non andrà così. Il mondo reale, a differenza dei film, vanta, oltre al bianco e al nero, una scala di grigi pressoché infinita.-

-E quindi?-

-Lotta per quello che ami, e andrai avanti. Sbaglieresti a prendere un partito, ne saresti deluso e finiresti per perdere ciò a cui tieni davvero.-

-Qual'è il vostro scopo? Zeus, perché...-

-Zeus ha perso la memoria. Non ricorda chi è, e sta cercando di scoprire la verità sul proprio passato e sull'epidemia. Uh, a proposito...-

-Mh?-

-Non te l'avevo ancora detto, ma Zeus ha la capacità di leggere nel pensiero di tutti gli infetti... eccetto me. Per cui, qualsiasi cosa dovessi scoprire, non farne parola che con il sottoscritto, chiaro?-

-Chiaro. Posso sapere perché?-

-Non ancora. Ma sei un tipo sveglio, e prima o poi capirai tutto da solo.-

Improvvisamente, da pc provenne un "bip" acuto e squillante. Il viso di Shikamaru si illuminò, mentre le finestre, sullo schermo, si chiudevano di botto. Ne rimase una soltanto.

-Bingo.-

-Uh, l'avevo detto che sei sveglio!-

-E adesso... vediamo un po' chi è questa Elizabeth Greene.-

 

"La verità si nasconde sempre dietro un velo di menzogne".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo dell'Autrice_

No, non è un miraggio. Sono tornata davvero.

Prima che mi uccidiate, vi spiego il motivo di quest'assenza di due mesi: un po' il Liceo Classico (che mi sta più o meno uccidendo e che detesto con tutta me stessa), un po' la long-fic di quaranta pagine che ho scritto per il concorso "i quattro elementi". Nessun calo di ispirazione, tranquilli! Ricomincerò a postare a ritmo regolare...

See you soon,

Roby

 

ps. Benché disapprovi, vi risponderò tramite la funzione che la webmistress ci ha gentilmente fornito. Devo scappare, ai miei congiunti serve il pc.

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Capitolo 21
*** First Part of the Truth ***


020 - First Part of the Truth

-Hope. Qui c'è scritto che si trattava di un piccolo insediamento gestito dai militari, in Idaho. Ma che scopo aveva la creazione di un posto del genere?-

-Non c'è scritto?-

-Teoricamente sì, ma... beh, vedi un po' tu se ti sembra verosimile...-

-"Progetto nato nel 1990 con lo scopo di osservare la vita comunitaria di un gruppo di individui di differenti etnie in un ambiente innocuo, che simulava però le condizioni di una zona post-atomica."-

Deidara arricciò il naso, evidentemente scettico.

-Detta così sembrerebbe quasi un'iniziativa positiva... se c'entra con la Greene, però, dubito fortemente che lo fosse realmente.- sussurrò, lo sguardo fisso sullo schermo.

-Perché? Non mi avete ancora spiegato chi è, questa "Elizabeth Greene".-

-Neanche io l'ho mai vista. Da quello che dicono Ade e Zeus, però, potrebbe diventare il più grosso dei nostri problemi, ed è sicuramente legata all'origine dell'infezione.-

-Capisco. Ah, guarda! Qui c'è scritto che Hope fu distrutta in seguito ad un incidente, il 10 ottobre del 1990. Ci sono anche delle foto.-

Le immagini che riuscirono a visionare mostravano cumuli e cumuli di macerie bruciate e fumanti, e qualche militare che si aggirava tra le rovine, probabilmente in cerca di sopravvissuti.

-Incidente? Andiamo, vuoi dirmi che una cittadina protetta dall'esercito e da un'equipe di tecnici statali può bruciare nel giro di una notte, senza che nessuno riesca ad impedirlo?-

-Questa storia è così palesemente falsa che mi sembra impossibile che nessuno si sia fatto venire dei sospetti. Mh... uh, ci sono anche alcuni appunti riguardanti delle vaccinazioni...- buttò lì Shikamaru, sicuro che si trattasse di un dato assolutamente privo di interesse. La reazione di Deidara, tuttavia, fu quanto di più inaspettato si potesse immaginare.

-Vaccinazioni!?- sobbalzò, poi avvicinò la faccia allo schermo, fin quasi a toccarlo con la punta del naso -Hanno vaccinato tutta la popolazione, adulti e bambini, nei giorni dal 22 agosto al 3 settembre... ma certo!-

-Mh?-

-Ecco come hanno fatto... immagino ti sarai chiesto il perché dei poteri di Sasori, giusto?-

-Sasori... quello con i capelli rossi. Sì, me lo sono chiesto.-

-Per fartela breve, a parte Ade e Zeus, che sono casi del tutto particolari, gli altri occupanti della base sono stati infettati dal virus Idra e hanno sviluppato capacità particolari in seguito ad esperimenti condotti nelle carceri dello stato di New York.-

-Sul serio?-

-Esatto. Quando gli effetti dell'Idra si sono manifestati nella loro completezza, naturalmente, tutti noi sapevamo di essere stati sottoposti ad esperimenti top-secret, ma, all'inizio, i primi test ci furono fatti in segreto, usando una certa scusa...-

-Vaccinazioni?-

-Esatto. Ad Hope dev'essere successa la stessa cosa. E' stato facile, per quei bastardi, convincere gli abitanti a farsi iniettare chissà quale ceppo mutante di virus creato in laboratorio... e non è difficile immaginare quello che è successo dopo.-

-La situazione gli è sfuggita di mano. Evidentemente il virus aveva un potere di contagio superiore a quello che pensavano, e così sono stati costretti a fare terra bruciata per evitare che si diffondesse da qualche altra parte.-

-Tsk... e pensare che hanno anche scritto dei rapporti falsi, per evitare che qualcuno lo scoprisse.-

-Resta comunque un problema.-

-Che fine ha fatto la Greene?-

-Err... no. Quello penso sia scritto più avanti. Quello che mi chiedo  è: perché stavano cercando di sviluppare un virus letale? Evidentemente non per semplice smania di distruzione, visto che lo hanno frenato prima che portasse a conseguenze gravi.-

-In effetti... forse volevano creare un'arma biologica, no? Questo spiega anche perché hanno tenuto in vita la Greene. Certo, se  potessi esaminarla...-

-Forse non ce ne sarà bisogno.- sussurrò il Nara, barcamenandosi fra file e cartelle fino a trovare ciò che cercava -Ecco. Qui ci sono i risultati delle analisi di Elizabeth Greene e tutto il materiale raccolto nei diciassette anni successivi al disastro di Hope. Vediamo un po'...-

Dopo qualche secondo, passato a spingere i tasti con più esitazione del solito, Shikamaru Nara sgranò gli occhi.

-Ehi, che succede?-

-Questa sembra roba autentica. Da' un'occhiata...-

Deidara si chinò sullo schermo, leggendo le poche righe che Shikamaru aveva evidenziato con un  leggero movimento del cursore. Poi sbarrò gli occhi, allibito.

-Si chiamava...-

-Kushina Uzumaki. Evidentemente "Elizabeth Greene" era un nome falso. Padre asiatico e madre americana, vent'anni al momento della cattura... aspetta un attimo.- cliccò su una foto, ingrandendola. L'immagine che comparve sullo schermo fece sobbalzare entrambi.

C'era una donna, al centro dell'inquadratura, legata ad una sedia con un paio di corde robuste, simili a vere e proprie gomene. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé, gli occhi di un inquietante tinta smeraldina, l'espressione folle. Completamente assente. I capelli rossi, un tempo probabilmente lunghi, mostravano i segni di un taglio frettoloso e malfatto, e le ricadevano sul cranio in ciocche disordinate, lunghe al massimo una decina di centimetri. Il viso era di un pallore spettrale, e si intravedevano, sotto il velo sottile della pelle, i tracciati rossi o bluastri di vene che, Deidara ne era certo, erano anatomicamente inconcepibili. A parte questo, era di una bellezza incredibile, da bambola di porcellana.

Tuttavia, i particolari più importanti della fotografia erano due: nonostante il camice bianco, che ne mascherava le forme, la donna aveva un ventre teso e prominente, la cui forma difficilmente si poteva fraintendere, e poi...

-Era incinta. Questa... donna era incinta.-

-E non solo...- mormorò Deidara, indeciso se arrendersi o no di fronte a quella che, purtroppo, si presentava come una realtà incontrovertibile -... guardale la faccia. Chi ti ricorda?-

Shikamaru sospirò, scuotendo la testa.

-Vorrei sbagliarmi, ma... somiglia a Zeus. Non moltissimo, ma la forma del viso è più o meno la stessa. Allora è per questo che...-

-No. Non avrei mai sospettato una cosa del genere. Per dire la verità, pensavo di trovare tutt'altro.-

-Vado avanti?-

-Sì.-

Visionarono un'intera serie di fotografie. Erano tutte numerate, e riportavano, nell'angolo in basso a destra, una data diversa per ognuna. Ritraevano tutte Kushina Uzumaki, anche se in pose e situazioni abbastanza diverse tra loro, e, se Deidara non ne fu particolarmente impressionato, avendo dimestichezza con i poteri degli infetti, Shikamaru spalancò gli occhi in maniera quasi teatrale.

-Non... non invecchia.- sussurrò, spostando lo sguardo da una foto del 1984 ad una del 2005. Il volto che ritraevano, nonostante gli undici anni di differenza, era rimasto perfettamente identico.

-E' abbastanza comune, tra gli infetti. L'Idra potenzia le cellule a tal punto da permettere una rigenerazione continua e un arresto totale dell'invecchiamento. Nel caso di Zeus, consente addirittura di cambiare il proprio aspetto.-

-Qui dice qualcosa al riguardo... ah, ecco: "dalle analisi svolte tra il 05/04/2004 e il 05/05/2004, risultano presenti quattordici nuovi tipi di ceppi virali ancora sconosciuti, da sommarsi a quelli ottenuti con le precedenti analisi del..."! Quattordici ceppi virali! Quella donna praticamente è...-

-... una fabbrica semovente e soprattutto instabile di virus. Quanto scommettiamo che anche il caro Idra proviene da lei?-

-Dici?-

-A questo punto non mi sembra difficile capire quello che è successo. I militari diffondono un virus ad Hope, per chissà quale motivo. Sperano che vada tutto liscio, ma così non è, e sono costretti a distruggere la città per evitare un'epidemia... ed è qui che entra in gioco Elizabeth Greene, alias Kushina Uzumaki. Il virus trova in lei un'ospite ideale e si evolve, prendendo possesso del suo corpo e cominciando a duplicarsi e a creare altri virus, come una catena di montaggio.-

-Rimangono comunque dei punti oscuri. Che ne è stato del bambino? La somiglianza con Zeus è troppo labile per costituire una prova, e poi... guarda: qui c'è scritto che il feto, morto, fu estratto dall'utero per evitare che la madre morisse. L'Idra deve averlo ucciso nel momento stesso in cui ha contaminato la madre.-

Shikamaru si voltò verso Deidara, puntandogli addosso uno dei suoi sguardi più trionfanti. Tuttavia, il viso del biondo tradiva una certa soddisfazione, le labbra piegate in un ghigno vagamente vittorioso.

-C'è qualcos'altro che non so, vero?-

-Sono davvero troppe le cose che non sai, soldato. Quello che hai fatto oggi basta per avere la mia fiducia, ma non al punto di spingermi a rivelarti informazioni strettamente riservate e personali. Comunque... merci, mon chéri!-

A quel punto, Shikamaru visse una delle scene più raccapriccianti della sua intera esistenza. Sentì le mani di Deidara sulle spalle, poi vide il viso del dinamitardo farsi vicino al suo, troppo vicino. Per un attimo, per un terribile attimo temette che lo avrebbe baciato sulle labbra, ma il biondo si limitò a sfiorargli la guancia (con tanto di schiocco, cosa che lo fece rabbrividire dal disgusto) e poi si staccò, salutandolo con la manina prima di andare via.

Lo sentì canterellare una strofa di "Lady Marmalade" mentre si allontanava, saltellando per tutto il corridoio, e ipotizzò che, per qualche strano, incomprensibile motivo, quello che avevano appena scoperto gli facesse piacere.

Poi, però, il pensiero di quello che sarebbe potuto succedere lo fece afflosciare sulla sedia dal ribrezzo. Che strano, eppure guardare Zeus e Ade, che tanto normali non sembravano, non gli faceva quell'effetto...

Dopo qualche secondo di acuta riflessione, comprese. Shikamaru era un tipo tranquillo e in pace col mondo, ergo non glie ne importava assolutamente nulla delle preferenze sessuali di chi gli stava intorno. Purché non lo coinvolgessero, quello era sottinteso: non riusciva a immaginarsi, a stringere tra le braccia un corpo che non fosse quello morbido e formoso della sua Temari.

A proposito di Temari... che fine aveva fatto?

In quel preciso istante, per l'intera base risuonò un urlo che somigliava spaventosamente al ruggito di un puma di montagna. Shikamaru riconobbe immediatamente la voce, e, casomai non se la ricordasse, si dava il caso che stesse urlando il suo nome ai quattro venti.

-SHIKAMARUUU...-

La cara, dolce Temari si era svegliata.

"Adesso che sono fottuto".

 

***

 

Deidara entrò nel laboratorio, circospetto, richiudendosi la porta alle spalle. Si avvicinò all'unico schedario della stanza, poi aprì il primo cassetto a partire dall'alto.

Vuoto.

O, almeno, così sarebbe parso all'occhio di un osservatore poco esperto, o disattento. Il biondo sfilò completamente l'intelaiatura metallica, con una cura quasi maniacale, e poi la rovesciò; la base del cassetto si spalancò verso il basso, rivelando un doppio fondo di retina metallica, accuratamente sigillato, al cui interno stavano diverse cartelline beige, legate tra di loro con uno spago sottile.

Aprì quella protezione, che lui stesso aveva creato, e slacciò lo spago, poi afferrò una delle cartelline e la aprì. Mise i fogli che conteneva da una parte, poi ne esaminò l'interno, valutandone velocemente le dimensioni.

Sperando che lo spazio fosse sufficiente, si cavò di tasca una penna biro e cominciò a scrivere, frenetico.

Una volta fatto, rimise tutto a posto e infilò nuovamente il cassetto nella sua sede.

"Con un po' di fortuna, questa cosa non servirà mai a nessuno..." pensò, uscendo dal laboratorio.

Purtroppo per lui, si sbagliava. E, se avesse potuto conoscere in anticipo le circostanze in cui sarebbe stato usato quel suo messaggio, e le conseguenze che avrebbe scatenato, Deidara lo avrebbe probabilmente strappato in mille pezzi, e poi avrebbe fatto in modo di fare perdere per sempre le sue tracce.

 

***

 

Zeus si stirò pigramente tra le coperte, affondando la faccia nel cuscino. Aveva le palpebre incollate e la bocca secca, e Dio solo sapeva quanto avrebbe desiderato rimanere a dormire fino a sprofondare in un piacevole stato di coma irreversibile.

Purtroppo, c'era qualcosa che glie lo impediva.

Niente più che una fastidiosa sensazione di fondo, eppure era più che sufficiente per impedirgli di riaddormentarsi.

-Ma che...- borbottò, sollevandosi sulle braccia e sporgendo la testa fuori dal bozzolo di coperte in cui si era accuratamente avvolto. Con un ulteriore sforzo riuscì a spalancare gli occhi, fessure azzurre su un viso stravolto dalla stanchezza.

-Ma che cazzo...- gli fece eco una voce, dal corridoio. Prima che potesse rendersi quantomeno presentabile (cosa che, comunque, non avrebbe fatto) o quantomeno assumere una posa più dignitosa, sulla porta si profilò una sagoma che ben conosceva, anche se, doveva ammetterlo, non si sarebbe mai aspettato che i capelli di un essere umano potessero mantenere intatta la loro piega anche dopo ore e ore di sonno.

-Sas'ke? Che ci fai qui?-

-Ti cercavo. Lo senti anche tu, questo rumore?- L'Uchiha aveva la voce impastata, e si stropicciò nervosamente gli occhi prima di varcare la soglia.

-Urla. C'è una donna che urla.- Replicò il Prototype, affondando nuovamente tra le coltri e tirandosi le lenzuola fin sopra le orecchie. Maledisse con tutto il cuore il suo udito potenziato: anche così, con diversi centimetri di stoffa premuti sui padiglioni auricolari, non riusciva a soffocare del tutto la percezione di quel suono fastidioso.

-Andiamo a controllare.-

Sasuke si avvicinò al letto, togliendo in un colpo solo tutte le coperte, e poi fissò il Prototype, che, accoccolato sul materasso con una guancia premuta sul cuscino, aveva definitivamente perso qualsiasi parvenza di pericolosità.

"Non lasciarti ingannare" pensò, rimirando quello spettacolo con una smorfia scettica "si comporta come un essere umano normale, ma non lo è affatto."

Erano frasi che si ripeteva in continuazione, perché non poteva permettersi di dimenticare che, nonostante l'apparenza innocua, quasi carina, chi gli stava di fronte avrebbe potuto spezzarlo in due con un calcio.  La confusione nasceva proprio da questo: da un lato si sentiva attratto dal Zeus, dal suo modo di essere sempre maledettamente allegro e pieno di vita, dai suoi occhi azzurri e dai suoi sorrisi smaglianti, dalla sua affidabilità assoluta quando si trattava di farsi guardare le spalle. Il Prototype, e questo Sasuke l'aveva capito, era quel genere di persona che difficilmente ritorna sui propri passi, quando fa una promessa. Era il sole, la vita, l'energia... tutto quello che l'Uchiha non aveva mai avuto l'occasione di possedere, di ammirare.

L'altro lato di Zeus, tuttavia, era per lui talmente raccapricciante da spingerlo ad allontanarsi. Era come una doppia faccia, un essere sanguinario e violento che si nascondeva sotto quell'apparenza delicata, un lupo coperto dal vello di un agnello che attendeva solo il momento propizio per balzare fuori e sbranarlo. E, sebbene Sasuke riconoscesse che, senza una natura duplice come quella, Zeus non sarebbe mai sopravvissuto, non poteva fare a meno di detestare la parte più oscura e violenta del suo carattere.

-Ho sonno...- gemette il biondo, riportandolo alla realtà. Si sollevò dal materasso, puntellandosi sulle ginocchia, e poi gli afferrò una spalla e si alzò, prima di saltare a terra.

Nell'esatto istante in cui Sasuke percepì il calore di quella mano, attraverso la stoffa della maglietta, una scossa elettrica lo attraversò da parte a parte. Ecco, quello era un altro punto che andava chiarito.

Non sapeva se si trattasse di mera attrazione fisica o di qualcos'altro, ma l'Uchiha era ormai più che convinto di essersi infilato in una situazione pressoché irrisolvibile. E, dopo quel dannato bacio (di cui il moro, in cuor suo, non riusciva decisamente a pentirsi), ogni volta che Zeus lo toccava gli saliva una voglia terribile di sbatterlo contro un muro e baciarlo. Come una droga, era stata una sensazione troppo piacevole ed intossicante per non desiderare che si ripetesse.

Ad ogni modo, non era il momento adatto per perdersi in simili fantasticherie. Sasuke si riscosse, sbuffando, poi raggiunse il biondo che, appoggiato allo stipite della porta, gli rivolgeva uno sguardo vagamente interrogativo.

In quell'istante realizzò di essersi scordato di quella bellissima capacità di Zeus per cui il bastardo era in grado di capire ogni cosa che pensava.

Sobbalzò, sgranando gli occhi e girandosi repentinamente verso il Prototype. Quello gli sorrise, un ghigno furbesco che gli increspò le sei cicatrici a forma di baffo, e poi gli diede le spalle, incamminandosi verso la fonte delle urla sospette.

"Che catastrofica figura..."

-... di merda.- Completò Zeus, ridacchiando.

Sasuke espirò, piccato, e seguì il Prototype a testa alta, reprimendo un moto di vergogna che gli saliva dal fondo della cassa toracica, rischiando di infiammargli la faccia. Mise su la sua migliore espressione indifferente, poi superò il biondo e accelerò ulteriormente il passo, distanziandolo.

Alle sue spalle, non visto, Zeus sorrise vittoriosamente.

 

***

 

La scena che gli si presentò, una volta raggiunto il luogo delle urla, poteva definirsi, per certi versi, comica.

La stanza in cui Deidara aveva confinato i prigionieri era aperta, riempita dalla luce di alcune lampade a neon che correvano lungo il soffitto, e c'era un trambusto tale che, per qualche secondo, Zeus non comprese cosa stava succedendo.

Poi, ad un occhiata più attenta e dopo qualche secondo di smarrimento, comprese.

In piedi, legata e piuttosto malferma ma con un portamento decisamente altero, c'era la ragazza bionda con i quattro codini. Davanti a lei stava Kisame, alto e possente, che proteggeva, con la sua mole, l'ospite chiamato Shikamaru.

-Che succede?- Domandò il Prototype, girandosi verso Pain che, apparentemente ben poco partecipe dell'intera situazione, fissava la scena con una faccia annoiata.

-Finalmente, Zeus. Questa femmina ha cominciato a strillare che voleva parlare con quello lì, e noi glie l'abbiamo portato. Kisame si è messo in mezzo per evitare che lo facesse a pezzi.-

Prima che Zeus potesse porre altre domande, per compensare la naturale sinteticità dei discorsi di Pain, uno strillo incredibilmente acuto gli perforò le orecchie, e Temari si slanciò nella sua direzione. Cosa volesse fargli non era del tutto chiaro, visto che aveva le mani legate, ma il Prototype ipotizzò che, se Kakuzu non si fosse messo in mezzo, si sarebbe beccato come minimo un dolorosissimo morso.

Afferrò la ragazza per le spalle, tenendola ferma mentre quella scalciava, e sbuffò sonoramente.

-Shikamaru, dannazione! Lo sapevo che eri un verme senza spina dorsale, ma non pensavo che ti saresti abbassato a tanto!- gridava, la bionda, con tutto il fiato che aveva in gola -Allearti con Zeus! Questo mostro ha ucciso mio fratello!-

Sasuke si rabbuiò e Deidara strinse i pugni, minaccioso. Zeus non smise di sorridere, anche se, ad un più attento esame, si poteva notare come il colore dei suoi occhi stesse virando pericolosamente verso il grigio argento.

E poi, a sanare una situazione che sembrava irrecuperabile (e che, peraltro, sarebbe finita con i tre sopracitati che si contendevano il cadavere di Temari) giunse la voce di Gaara.

Fredda come una corrente di aria gelata.

-Temari, finiscila. Non ti è mai importato nulla di nostro fratello, e lo sai perfettamente.-

La bionda si voltò verso il fratello, le iridi verdi accese di rabbia. Per un attimo sembrò sul punto di replicare, poi abbassò lo sguardo a terra, digrignando i denti. Lo sguardo del rosso, acquemarine ghiacciate, le si era puntato addosso con un'ostinazione che sapeva di accusa.

-E va bene... va bene. Sentiamo, allora, quali sono i motivi per cui ti sei schierato con questi... terroristi.- la domanda era evidentemente rivolta a Shikamaru, che osò staccarsi da Kisame e fronteggiare la fidanzata.

-Temari... so che può essere difficile credere a quello che sto per dirti, ma... ecco... non è Zeus il cattivo, in tutta questa storia.-

-Come!?-

-Dunque... è probabile che sia stato l'esercito a diffondere il virus Idra a Manhattan. Per questo io, Kiba e Sai siamo qui. Non avremmo mai voltato le spalle all'esercito, senza prove più che certe.-

-Tu... tu non hai visto quello che ha fatto a Kankuro...- sibilò lei, accennando a Deidara. Intercettando un'occhiata incuriosita di Shikamaru, il biondo alzò gli occhi al cielo.

-L'ho fatto esplodere. Era il minimo che potessi fare, per salvare la vita a Sasuke.-

"Ok, cerchiamo di recuperare la situazione in maniera civile..."

-Tem, siamo in guerra. E' normale che ci siano delle perdite, e dopotutto loro si stavano difendendo...-

-Ma era mio...-

-Tem!- esclamò il Nara, alzando bruscamente la voce -Dai retta a tuo fratello, per una volta! Nell'ultima settimana ho rischiato di morire più volte che nella mia intera vita, e non ho nessuna voglia di preoccuparmi per la morte di Kankuro. E nemmeno tu nei hai voglia, in realtà, quindi piantala con questa sceneggiata.-

Temari si raddrizzò, atteggiando il viso in una maschera battagliera che, in quel momento, si confaceva ben poco al suo reale stato d'animo.

-E sia. Ma sappi che non mi hai convinta: voglio verificare con i miei occhi quello che mi hai detto.-

-Se anche non ci credessi...- si intromise Deidara, regalandole uno sguardo pieno di cordiale antipatia -... le cose non cambierebbero. Adesso che ci hai visto non possiamo assolutamente lasciarti andare. Giusto, Zeus?-

-Giusto.-

La ragazza si voltò verso il Prototype, inarcando un sopracciglio.

-Quindi tu saresti Zeus, l'assassino?-

-Sì.-

-Tsk, ti facevo più... terrificante. Sembri quasi un ragazzino.-

Il Prototype assottigliò gli occhi, divenuti di un bel color grigio ferro. Sasuke, osservandolo, si chiese di che colore diventavano quando il loro proprietario era veramente incazzato.

-Ricordati di quello che hai appena detto, biondina...- sibilò Deidara, che, come al solito, tendeva a prendere le difese di chi si trovava in difficoltà -... quando massacrerà di pugni il tuo bel musetto.-

Dopo quel breve scambio di battute, Deidara convocò tutti gli occupanti della base per un consiglio straordinario.

-Dobbiamo cominciare a muoverci. Non possiamo rimanere fermi e disorganizzati ancora a lungo.-

-Oppure?- fece Sasori, indirizzandogli un'occhiata penetrante.

-Ci schiacceranno.-

 

 

"Spesso accade che le vere vittime non vengano minimamente prese in considerazione. Successe anche nel nostro caso".

 

 

 

 

 

_Angolo del  Fancazzismo_

Scusate il ritardo, e... Bbbbbbuon 2011! Vi siete divertiti durante le vacanze? Io per niente. Ma passiamo ad altro, và, che non mi va di opprimervi con la cronaca emo dei miei "divertimenti" (eccettuata la vacanza con te, Kla-chan, che è stata davvero stupenda)...

Che dire su questo capitolo... finalmente scopriamo qualcosa in più su Elizabeth-Kushina, anche se rimane il mistero insoluto del feto (qui neanche chi ha giocato al videogame è avvantaggiato, muhahahaha) e assistiamo alle performance di Deicchan (quanto amo questo personaggio)! Dal prossimo capitolo potrebbero succedere un po' di... ehm... casini, e ormai mancano davvero pochi capitoli a quell'evento (BeadsAndFlowers96, tu sai perfettamente a cosa mi riferisco... ma non scriverlo nei commenti, sennò roviniamo la sorpresa alle altre pulzelle che leggono).

Ah, a proposito: tra breve Hinata farà il suo trionfale rientro in scena! ^^

See you soon,

Roby

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Capitolo 22
*** Chemical Reactions ***


021 - Chemical Reactions

-Non sono d'accordo.- Per l'ennesima volta, la voce tranquilla di Sasori interruppe il discorso di Deidara. Sasuke sollevò un sopracciglio, con aria di sfida, e occhieggiò Zeus, che non sembrava particolarmente toccato dalla piega che aveva preso la situazione.

"Eppure dovresti preoccuparti, dannazione! Non pensi a quello che potrebbe succedere se..." i suoi pensieri furono interrotti dalla risposta di Deidara, un'invettiva a metà tra l'arrabbiato e il sinceramente incredulo.

-Stai scherzando, vero? Non posso credere che tu ti rifiuti di aiutare Zeus, dopo tutto quello che è successo! L'hai visto anche tu, no? Non possiamo restarcene con le mani in mano!-

Si stava discutendo sulla politica da adottare da quel momento in poi, e il dinamitardo aveva proposto un attacco immediato alla sede della Gentek. Sasori, tuttavia, si era opposto non solo all'iniziativa di un'offensiva immediata (cosa in cui, comunque, Zeus lo avrebbe spalleggiato), ma aveva dimostrato delle riserve anche per quanto riguardava l'idea di scendere in campo. In poche parole, il rosso non voleva muovere un dito.

-Non sto scherzando. Da quando cooperiamo con Zeus non sono successi che disastri, e l'eventualità di un attacco è troppo pericolosa. Non siamo all'altezza.-

-Ma...-

-Anche io sono d'accordo con lui.- Fece Pain, sistemandosi meglio sul divano -Questa è la guerra di Zeus, non la nostra. Se fossimo sicuri del successo potremmo anche aiutarlo, ma così non è. Faremmo meglio ad attendere la prossima mossa di Madara, e, in ogni caso, io non ho intenzione di intervenire, a meno che non venga messa a rischio la mia stessa vita.-

-Dannazione!- Deidara alzò la voce, incurante dello sguardo di rimprovero che Sasori gli stava indirizzando -Possibile che tutti voi siate concentrati solo sui vostri interessi!? Non possiamo lasciare che il Prototype combatta da solo, e poi...-

-No.- Fu Zeus stesso a farsi avanti, stendendo un braccio davanti al dinamitardo -Non puoi costringerli, Deidara. Una richiesta è lecita, una costrizione no. E poi hanno ragione: sinceramente non so se io, nelle loro condizioni, acconsentirei alla tua richiesta.-

-Invece lo faresti.- Sibilò Sasuke, prima di rivolgersi a tutti i presenti -Lui lo farebbe! Lui vi aiuterebbe! Non lo capite, vero, che se rimarrete fermi ancora a lungo quelli verranno a cercarci? Volete che ci stanino, che ci attacchino dopo aver scoperto i nostri punti deboli? Fate pure, ma sappiate che, quando accadrà, non sarò io a difendervi.-

Poi si voltò, furente, e uscì sbattendo la porta. Hidan fissò il punto in cui era sparito con ammirato interesse, prima di esclamare:- Il ragazzo ha fottutamente ragione! Siamo un cazzo di gruppo, no? Aiutiamo Zeus, invece di poltrire!-

-Non è così semplice, Hidan.- Fu la tranquilla replica di Kakuzu -Stavolta le circostanze sono molto svantaggiose. Combattiamo un nemico infinitamente più forte di noi, e, a differenza sua, non lo conosciamo nemmeno. Su quali presupposti speri di basare un eventuale attacco, Deidara? Farai saltare tutto in aria come tuo solito?-

Zetsu stava in un angolo, zitto, e osservava attentamente l'evolversi della situazione. Era sempre stato un tipo dedito alla raccolta d'informazioni, piuttosto che all'azione, e questo gli aveva evitato una lunga serie di problemi, nel corso degli anni. Si rendeva conto, però, che non era il momento adatto per tacere: se lo stesso Deidara si era infervorato a tal punto da mettersi ad urlare, la situazione rischiava di diventare irrecuperabile.

-Ascoltate...- intervenne, la voce più simile ad un cupo ronzio che al prodotto di corde vocali umane -... io propongo di aspettare ancora un po', prima di prendere una decisione. Se anche la mettessimo ai voti, sarebbe completamente inutile: non possiamo combattere adeguatamente, se non siamo uniti.-

"Zetsu il diplomatico, eh?" pensò Deidara, incrociando le braccia all'altezza del petto. C'erano delle volte in cui avrebbe volentieri strangolato il compagno, ma le sue abilità erano davvero troppo utili per rischiare di perderle.

-Quindi?-

-Quindi, Sasori, staremo a vedere che succede. Se posso avanzare una proposta, però, faremmo meglio a trovarci un altro posto dove stare.-

-E perché mai?- Sbottò il dinamitardo, apparentemente offeso. Diamine, il rifugio era il suo vanto, la sua casa, il progetto in cui aveva speso più tempo e fatica... non potevano dirgli di abbandonarlo!

-Sanno dove siamo. Le difese di questo posto non sono più sufficienti a proteggerci, e...-

-Te ne rendi conto ora!? Dall'incidente della ragazzina avresti dovuto capirlo, dannazione! E poi, anche se ce ne andassimo, come pensi di far passare inosservato un eventuale spostamento?-

Zetsu corrugò la fronte, poi inspirò. Lentamente.

-Almeno come riserva, Deidara. Se decidessero di distruggere questo rifugio buttandoci una bomba, ci ritroveremmo per strada. E non avere un tetto sulla testa è sinonimo di vulnerabilità.-

-Ma perché te ne esci adesso con...-

-Perché adesso abbiamo un attimo di respiro. I militari ci metteranno del tempo, prima di riorganizzarsi, e noi sfrutteremo questo vantaggio per trovare un salvagente.-

-Non credere che mi metterò a cercare da solo...-

-Nessuno l'ha detto. Va bene se cominciamo domani?-

-Perché domani?-

-Voglio fare un paio di analisi su quel tizio strano, il rosso. Mi basta un pomeriggio.-

-E sia. Ma ti avverto che...-

-Tranquillo, Deidara, non ci saranno incidenti di sorta. Andrà tutto perfettamente.-


***


-Tu devi essere Gaara, dico bene?-

Incurante dello sguardo terrorizzato di Shikamaru, Sai sfiorò con le dita la spalla di Gaara, appoggiato al muro a circa mezzo metro da lui. L'occhiata gelida che gli lanciò il rosso non bastò a scomporlo, tanto che, con un colpo di bacino, gli si sedette accanto.

-Io sono Sai, molto piacere!-

Gaara non lo degnò di uno sguardo, prendendo a fissare il muro di fronte. Pensava di aver raggiunto uno stato di pace, del tutto privo di irritanti intromissioni, ed ecco che qualche nuovo idiota, apparentemente amico di quell'essere insignificante che era il fidanzato di sua sorella, veniva a turbare impunemente la sua quiete.

-Ehi, mi senti?-

Stoico, il rosso non rispose. Non era Sai, quello con cui avrebbe desiderato parlare. C'era Zeus, che si era dimostrato così forte da stuzzicare la sua curiosità, ma comunque non nutriva un vero e proprio interesse nei suoi confronti. La regola era di non pensare a nulla come oggetto di desiderio, di non affezionarsi a chi gli stava intorno: solo così, secondo Gaara, si poteva raggiungere la perfezione. Tramite il distacco.

Zeus non sembrava pensarla allo stesso modo, a giudicare da come si comportava con Ade, e il Sabaku era convinto che questo, prima o poi, ne avrebbe decretato la rovina.  

L'amore, se diretto verso gli altri e non verso se stessi, era un sentimento controproducente.

-Soldato.- Mormorò, senza nessuna intonazione particolare, mantenendo lo sguardo fisso.

-Che c'è?-

-Smettila di toccarmi, se non vuoi che da domani tutti ti soprannominino "monco".-

Sai sembrò recepire - non senza un'occhiata piuttosto sorpresa all'indirizzo di Gaara - e si scostò dal ragazzo, retrocedendo lungo la parete fino a raggiungere Shikamaru. Che, avrebbe potuto giurarlo, sorrideva.

Il castano, da parte sua, ammirava lo sconsiderato coraggio di Sai. Nessuno, dacché riusciva a ricordare, era mai riuscito ad intrattenere una conversazione civile con il fratellino di Temari, nemmeno lui.

"Non che mi dispiaccia, per carità..." pensò, incassando la testa nelle spalle come una tartaruga "... non credo che Gaara abbia nulla di interessante da raccontare".


***


Zeus scivolò lungo il corridoio, silenzioso come un'ombra.

Si bloccò davanti ad una porta ben nota, ascoltando, prima di bussare, la corrente fitta e ingarbugliata dei pensieri di chi stava dall'altra parte. Sospirò, sconsolato e abbastanza divertito, poi scosse la testa e avvicinò la mano alla superficie di legno, esitante.

Gli occorsero una decina di secondi di accurata preparazione, prima di riuscire a bussare.

-Che c'è?-

Tono scocciato, vagamente imbronciato. Anche senza conoscerne i pensieri, il biondo avrebbe potuto tranquillamente immaginare l'espressione e lo stato d'animo della persona che gli aveva appena risposto.

-Sas'ke, posso entrare?-

Spinse la maniglia verso il basso, senza attendere la risposta, guadagnandosi un borbottio irato e un'occhiataccia da parte dell'Uchiha. Stava steso sul letto, le braccia dietro la nuca e piedi che penzolavano fuori dal bordo, e si spostò solamente quando, con uno spintone, il Prototype si fece posto sul materasso.

-Che vuoi?- domandò, brusco.

-Io? Nulla. Soltanto accertarmi del tuo stato d'animo, Sas'ke.-

-Come se non lo sapessi. Ti basta leggermi nel pensiero per capirlo, no?-

-Hm... sì. Ma cerco di evitare di pensarla in questo modo, sai?-

-E perché? E' più comodo, no?-

-Anche troppo. E' molto indelicato guardare nella testa delle persone senza il loro permesso, e, alla fine, ti porta a considerare inutile anche il semplice atto della conversazione.-

-Non per questo eviti di farlo.-

-No, infatti. Però, Sas'ke... non ti capita mai di ritenere una cosa sbagliata e poi farla comunque?-

L'Uchiha ripensò al rumore umido delle interiora che si comprimevano sotto le suole delle scarpe, e allo scrocchio sonoro delle ossa spezzate... quello che aveva fatto alla base militare gli era rimasto perfettamente chiaro nella memoria, eppure non riusciva a legarvi nessuna sensazione particolare. Solo una freddezza lucida e impenetrabile, simile, nella sua mente, ad una superficie di vetro antiproiettile che lo aveva totalmente diviso dal resto del mondo. In quei momenti, qualsiasi cosa fosse successa, non si sarebbe mai distolto dall'obiettivo.

-Non so se si possa parlare di giusto o sbagliato. Tendo a non lanciarmi in giudizi con tanta semplicità, dobe. E, comunque, il problema si risolve con l'equanimità.-

-Ehm...-

-Sei proprio un dobe...- commentò, quando si accorse che Zeus non conosceva il significato della parola -"Equanime" è chi riesce a mantenersi sempre imparziale, di fronte a qualsiasi situazione. Sinonimo di... indifferente, credo.-

-Non è un po'... innaturale? Voglio dire, anche gli animali provano sentimenti.- Il Prototype era particolarmente interessato all'argomento. Dopotutto, lui non ne sapeva quasi nulla, a parte le rare e quanto mai imprecise lezioni di Deidara, che spesso e volentieri era troppo impegnato per spiegargli qualcosa di utile.

-Si tratta di semplici reazioni neurochimiche. Sostanze che, nel nostro cervello, causano reazioni a livello quasi casuale.- Tagliò corto Sasuke, distogliendo improvvisamente lo sguardo dalla figura perplessa che gli sedeva vicino.

-Quindi... anche il fatto di essere più o meno... affezionati a qualcuno... è una reazione chimica del tutto casuale?- Il tono era chiaramente dispiaciuto.

"Oh, merda."

Sasuke cercò un modo per sviare il discorso dalla strada  piuttosto scomoda che sembrava aver imboccato, ma non ce ne fu modo. Rimase perfettamente immobile, a fissare il vuoto, chiedendosi perché, ogni dannata volta che il dobe apriva bocca e lui, casualmente, captava le sue parole, finivano per impelagarsi in discussioni spinose.

-S... suppongo di sì.- esalò, alla fine, contenendo l'imbarazzo e un vago senso di colpa.

Si sarebbe aspettato qualsiasi risposta - ormai, cercare di indovinare l'opinione del Prototype su un argomento era pressoché inutile - ma, invece della voce del biondo, sentì il cigolio delle molle del materasso, prima che la superficie del letto sobbalzasse, liberata dal suo peso. Zeus si alzò, senza dire una parola, e raggiunse la porta.

All'ultimo momento, quando stava per richiudersi il battente alle spalle, Sasuke lo chiamò.

-Ehi, Zeus! C'è qualcosa che non...-

-Tutto a posto, Sas'ke.- Rispose, sollevando lo sguardo e appuntandolo nelle iridi color pece del moro.

L'Uchiha non ebbe la forza di replicare, di fronte agli occhi del Prototype. Per due motivi: innanzitutto perché erano grigi, di una tinta così gelida da non potersi fraintendere, e poi perché, tralasciando il colore, trasmettevano una stizza che, per la prima volta, riuscì a lasciare l'Uchiha senza parole. Sapere di essere l'oggetto della rabbia di una creatura come Zeus era davvero strano, rifletté Sasuke, e non riusciva a comprenderne il motivo.

Se soltanto avesse guardato un po' più a fondo - anzi, se soltanto avesse voluto guardare un po' più a fondo - si sarebbe accorto che quello sguardo amareggiato lo feriva più di quanto non si aspettasse. E questo perché, molto banalmente, odiava l'idea che il Prototype potesse star male a causa sua.

"Questione di reazioni chimiche, eh? Sono un idiota..."


***


Hinata non riusciva più a lavorare.

Da quando era tornata alla Gentek l'avevano reinserita stabilmente nel suo laboratorio, assicurandole a sua sorella non sarebbe stato fatto nulla, ma non per questo si sentiva più tranquilla. I piani alti, in qualunque ambito, erano sempre nidi di serpi.

Come se non bastasse, una volta tornata aveva dovuto sopportare la curiosità molesta dei colleghi e quella - un po' più difficile da ignorare - di suo cugino Neji. Era sempre stato molto intelligente, e aveva capito fin da subito che qualcosa non andava... ma non poteva raccontargli la verità. Nemmeno lei era una stupida, e sospettava che il laboratorio e i suoi alloggi fossero stati riempiti di cimici per sorvegliarla.

In tal caso, mettere in pericolo Neji soltanto perché non era capace di star zitta era fuori questione.

E poi, a completare il quadro, c'era un'ansia sottile e meschina, che non l'abbandonava mai. Il motivo?

Zeus.

Si rendeva conto di quanto fosse stupida, come logica, ma non riusciva a smettere di pensare al fatto che quel sorriso, quegli occhi così azzurri e quella voce dolce sarebbero scomparsi per sempre... a causa sua. Aveva fatto la sua scelta, e non poteva dire di essersi pentita, ma non poteva nemmeno impedire ai sensi di colpa di tormentarla a qualsiasi ora del giorno, tanto che il suo viso aveva perso l'abituale freschezza e si era trasformato in una maschera pallida e stanca.

Lavorava assiduamente sui campioni che le venivano portati dall'esterno, ma non le erano più state affidate missioni di ricerca sul campo. E aveva come la sensazione che, a lungo andare, il suo ruolo nel team di scienziati sarebbe diventato via via più marginale, fino alla totale nullità.

-Hyuga-san... tutto bene?-

La mora sobbalzò, avvertendo un tocco gentile sulla spalla. Poi fissò la mano familiare che l'aveva sfiorata, e, infine, la sua proprietaria.

-C... certamente, M-Matsuri.-

-L'ho chiamata un paio di volte, ma non mi ha risposto.- Disse la ragazza, ravviandosi una ciocca dei capelli castani, lunghi fino al mento. Negli occhi scuri, Hinata vedeva soltanto gentilezza, cordialità e una preoccupazione perfettamente professionale, quale ci si aspetterebbe da una qualcuno che vede un proprio collega imbambolarsi a fissare il vuoto per una decina di minuti. In realtà, anche se non era molto brava a dimostrarlo, si preoccupava sinceramente per la salute della Hyuga, l'unica, fra tutti gli scienziati della Gentek, che non la guardava dall'alto in basso a causa della sua giovane età.

-Le porto un caffè, Hyuga-san?-

-N... non serve, d-davvero. M-mi ero d-distratta un att-timo, tutto qui.-

Poco convinta, Matsuri incrociò le braccia all'altezza del petto. C'era qualcosa in Hinata, in quel suo essere così chiusa e timida, quasi pudica verso chi le stava intorno, che la spingeva a preoccuparsi per lei, a cercare di capirla e aiutarla. Non che fosse facile, ma la castana era assolutamente convinta che, anche procedendo per tentativi, si potessero ottenere comunque buoni risultati.

-C'è qualcosa che posso fare?-

Hinata fissò quel viso pallido e ovale, con gli occhi ombreggiati da lunghe ciglia nere e la fronte leggermente aggrottata, poi si soffermò sulla piega scontenta della bocca sottile. Matsuri aveva capito che c'era qualcosa che non andava, e doveva cercare di depistarla.

-No, davvero... ecco, adesso devo esaminare dei campioni, non ho bisogno d'aiuto.- Rispose, premurandosi di non balbettare. La castana non sembrava particolarmente convinta, ma di fronte ad un rifiuto tanto netto ed educato non poteva protestare. Fece un breve inchino, poi uscì dal laboratorio.

La Hyuga si permise un lungo sospiro di sollievo, poi si portò una mano alla fronte e si stropicciò gli occhi madreperlati, mezzi chiusi per la stanchezza. In realtà non doveva svolgere nessun lavoro, ma, dopotutto, che male poteva fare una bugia come quella?

Dopo tutte quelle che l'avevano costretta a dire, non faceva nessuna differenza.

Si prese la testa tra le mani, piano, socchiudendo gli occhi e fissando, senza vederlo, il piano lucido del tavolo d'acciaio. E poi, prepotente, le arrivò la consapevolezza che doveva fare qualcosa.

Era la sua stessa natura a ribellarsi, dopo anni e anni di remissività e obbedienza. Finché poteva fare qualcosa, doveva battersi per coloro che voleva proteggere, e, sorprendentemente, in quel momento le sembrava che, più di tutti, fossero Ade e Zeus coloro che desiderava aiutare. Sempre se Zeus era ancora vivo, beninteso.

Si alzò, facendo strusciare la sedia sul pavimento di linoleum, e cominciò a camminare in tondo, attorno al tavolo. Cosa poteva fare? Qual'era il suo ruolo in quella storia, la parte che soltanto lei era in grado di recitare?

"Zeus... lui mi aveva accolta perché gli serviva... ma certo!"

La ragione per cui il Prototype l'aveva presa con sé era che aveva bisogno di qualcuno che trovasse una cura per l'Idra. Ironia della sorte, Hinata non si era ancora mossa in tal senso, nemmeno alla Gentek, perché lo scopo del laboratorio non era certamente quello di creare un vaccino (anche se, ai civili, era stato detto il contrario), ma bensì fabbricare armi chimiche che potessero essere sfruttate contro gli alveari e i cacciatori.

Tra l'altro, Hinata aveva appurato che una cura per l'Idra era pressoché impossibile: una volta che il virus attaccava i tessuti, li divorava a tal punto da rendere l'ospite un vero e proprio cadavere ambulante, mosso solamente dall'Idra contenuta nel sistema nervoso. In altre parole, se pure ci fosse stato un modo per curare l'infezione, l'ospite sarebbe comunque morto.

La capacità di rigenerazione, purtroppo, era comune solo agli infetti superiori.

A meno che... e se per "cura" si fosse inteso semplicemente il ripristino delle facoltà cerebrali e fisiche degli infetti? Se fosse bastato questo?

Hinata scosse la testa, dubbiosa. Si trattava di una cura che avrebbe potuto portare più danni che altro, però... tutte quelle persone, in un modo o nell'altro, avrebbero riconquistato la loro libertà. Zeus non se ne sarebbe fatto nulla, certo, ma tutti gli infetti comuni sì.

-Matsuri!- Chiamò, sporgendosi nel piccolo ufficio della collega. La castana era impegnata a digitare qualcosa sulla tastiera di un MacBook di ultima generazione, e, per qualche secondo, non le prestò attenzione. Poi si volse, sorridendole con dolcezza

-C'è qualcosa che posso fare per lei, Hyuga-san?-

-S-sì. Se qualcuno c-chiede di me...- e pensò a suo cugino Neji, così soffocante e autoritario -... s-sono nel laboratorio s-sotterraneo.-

-Va bene. Buon lavoro, Hyuga-san.-

-G-grazie.-

Hinata uscì dalla stanza con una sensazione strana, avvertendo, non senza una certa sorpresa, il moto accelerato del suo cuore. Sul momento attribuì la cosa a ciò che stava per fare, e non vi diede molto peso.

Dopotutto, per la prima volta da quando era nata stava facendo qualcosa che contravveniva alle regole, qualcosa che lei aveva scelto di fare.

E questo, anche se a chiunque altro sarebbe sembrato banale, la faceva sentire viva.


***


Tenten socchiuse gli occhi, sveglia.

Sbadigliò vistosamente, tenendosi una mano davanti alla bocca, poi cercò - invano - di girarsi su un fianco. Il dolore al costato era troppo forte, e la flebo, pungendole il braccio, le rendeva difficile qualsiasi movimento. Certo, il taglio si stava cicatrizzando molto velocemente (anche troppo, secondo i medici della Gentek), ma le erano state imposte due settimane di riposo forzato.

E Rock Lee, instancabile lavoratore, aveva due settimane di ferie arretrate.

Quindi...

-Capo, tutto bene?-

-Sì, Rock Lee.- Sussurrò, corrugando le sopracciglia. Se solo avesse avuto a portata di mano uno di quei fucili con proiettili a tranquillanti... -Che ore sono?-

-Le dieci e mezza di mattina. Ha dormito bene?-

-Benissimo. E' successo qualcosa di interessante?- Sebbene fosse bloccata a letto, nulla poteva impedire a Tenten Ibarashi di documentarsi su tutto ciò che accadeva alla base. Era una questione... professionale, ecco.

E, a guardarla in senso più strettamente pratico, aveva qualcosa a cui pensare che non fossero gli orribili occhi a palla di Lee.

-No, capo.-

In quel momento, come a contraddirlo, entrò un ragazzo, trafelato. Sembrava molto giovane, aveva i capelli castani arruffati e un paio di occhi nocciola che tradivano un certo imbarazzo.

-Lei è Tenten Ibarashi, giusto?-

-Sì.- Aveva come la sensazione che quella visita inaspettata non avrebbe avuto esito positivo, ma rimase comunque professionale.

-Ecco... io dovrei comunicarle che... uno dei suoi sottoposti, Kiba Inuzuka, è stato coinvolto in... ecco...-

-Parla, ragazzo.- La castana mantenne la calma, ignorando un'occhiata perplessa e spaventata di Rock Lee. Tuttavia, anche lei cominciava a provare una certa inquietudine.

-Pare che lui e due impiegati del M.C.M.A. siano fuggiti dalla base dopo aver rubato equipaggiamenti di proprietà statale ed un elicottero militare.-

Tenten lo fissò, spalancando gli occhi, e Rock Lee lasciò cadere a terra il fumetto che stava leggendo.

-Co... come?-

-Mi... mi dispiace davvero. Ci siamo assicurati che fossero proprio loro, prima di dirglielo, e la cosa ha richiesto un po' di tempo, ma... non c'è possibilità di errore. Naturalmente, la condotta del suo sottoposto non avrà affatto ripercussioni sulla sua.-

La castana fissò il vuoto, smettendo di prestare attenzione alle parole del commilitone. Possibile che Kiba, fedele all'esercito come un cane al suo padrone, se ne fosse andato? Kiba, che non aveva paura di niente, che sapeva sorridere anche quando gli altri tremavano di paura, che poteva portare a termine qualsiasi missione... perché?

-Tolgo il disturbo.- Il ragazzo sparì dietro la porta, lasciando, nella stanza, un'atmosfera così pesante da potersi tagliare con il coltello.

-E' uno scherzo, vero?- Sussurrò Rock Lee, le spesse sopracciglia piegate verso l'alto in un'espressione di pura costernazione -Kiba non...-

-Rock Lee, per favore... esci. Ho bisogno di un po' di tranquillità.-

Il moro stava per ribattere, ma, quando notò l'espressione della castana, raccolse in tutta fretta il fumetto caduto e si diede letteralmente alla fuga.

Quanto a Tenten, si lasciò cadere sul cuscino, sospirando con aria sconfitta. Poi, quando venne il momento di inspirare, il suo addome fu scosso da un singhiozzo. Poi da un altro, e un altro ancora, finché la ragazza non fu costretta a coprirsi il viso con le mani per evitare che qualcuno, sentendola, venisse a controllare cosa le era capitato.

Il suo orgoglio ne sarebbe rimasto irrimediabilmente ferito.

"E questo cos'é, adesso?"

Bella domanda, peccato che non le venisse in mente nessuna risposta degna di questo nome.

Nel frattempo, però, poteva sempre imputare la causa di tutto a qualche reazione neurochimica. In fondo era vero, no?



"Non siamo capaci di controllare i nostri sentimenti, eppure ci consideriamo diversi dagli animali. Lo trovo buffo".













_Angolo del Fancazzismo_

Buon pomeriggio, lettori e lettrici! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e che il ritorno di Hinata non vi abbia causato spiacevoli disturbi fisici. Suvvia, sono certa che possiate superare anche questo ù_ù...

Dunque, oggi sfrutterò questo angolino per farmi un po' di sana pubblicità (sì, lo ammetto tranquillamente). Se avete voglia, vi pregherei di leggere questa storia:  http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=637275&i=1

Si chiama "Heroine", ed è arrivata prima al contest "Verba Volant, Crack Manet" di Vivvinasme. Dunque, vi chiederete perché proprio lei e non una delle altre storie che ho scritto... diciamo che, anche se all'inizio la odiavo, questa one-shot è, finora, la mia preferita tra le mie fanfiction. Se vi piacciono il SuiKiba, le fic un po' "impegnate" (a volte mi chiedo se sarò mai capace di scrivere una fluff di 500 parole, è una sfida personale) con un finale decisamente poco allegro, fa per voi.

Come ho già detto, poi, è qualcosa a cui sono profondamente affezionata: un po' perché di storie sulla droga nel fandom ce ne sono molte, alcune delle quali trattano l'argomento in maniera un po' troppo leggera; un po' perché Suigetsu è uno di quei personaggi che di solito descrivo poco e che, invece, mi piace moltissimo.

Ci vediamo al prossimo chap!

See you soon,

Roby

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Capitolo 23
*** Brothers ***


22 – Brothers

Itachi piegò le ginocchia, lanciando un’occhiata svogliata all’enorme grattacielo che gli stava di fronte. Era una di quelle costruzioni grandi e dozzinali, perfettamente squadrate, talmente iniqua da non meritare nemmeno un nome. A New York erano molti i grattacieli ad avere un nome, ad essere famosi per l’architetto che li aveva costruiti o per le società multinazionali che ospitavano, ma quello… quello era negletto tra i suoi stessi simili. Era uguale, eppure meno.

Chissà se anche Sasuke si sente così…” pensò, arricciando poi le labbra nella breve imitazione di un sorriso. Si compiaceva, Itachi, della sua totale libertà intellettuale:  Madara gli impediva di parlare e agire secondo i suoi desideri, ma nessuno poteva controllarlo,  a livello mentale. E l’Uchiha, la cui natura forte e scaltra aveva sempre prevalso sugli animi modesti di chi gli stava intorno, ne andava immensamente fiero.

Si portò il polso davanti agli occhi, posandovi pigramente le iridi rosse sul’orologio che lo cingeva. Era un piccolo apparecchio di gomma, sportivo e praticamente indistruttibile, che Itachi aveva preferito ai tanti modelli di marca che Madara gli aveva proposto. Tentava di ingraziarselo, il vecchio, senza però rendersi conto che lui, con quegli oggetti vanesi e prodotti in serie, simbolo di una civiltà che lo disgustava, non voleva avere nulla a che fare.

Erano le otto e mezza di mattina.

-Dovrebbero essere già partiti.- constatò, alzandosi, poi fissò di nuovo la costruzione che lo sovrastava. Con un’occhiata veloce al palazzo, stimò una distanza complessiva di 23,426 metri dal punto in cui si trovava lui. Socchiudendo nuovamente le palpebre, poi, calcolò, con un’approssimazione al millimetro, un intervallo di 2,531 metri tra una finestra e l’altra. Era a 126,895 metri dal suolo.

I suoi occhi sapevano essere davvero molto utili.

Si lasciò cadere in avanti, facendo strusciare la parte anteriore delle scarpe sul cornicione, e precipitò nel vuoto con le braccia spalancate, i muscoli quasi totalmente rilassati. Il vento gli sferzava la faccia in maniera quasi piacevole, mentre i capelli e i vestiti gli si sollevavano scompostamente, regalandogli scariche piacevoli di brividi di freddo. Atterrò con un fragore incredibile, conficcando le gambe nell’asfalto di qualche centimetro, e si infilò le mani in tasca, statico.

Se era nel giusto - e solitamente non sbagliava mai una previsione - i militari ci avrebbero messo parecchio tempo a trovare la base. Oppure, con un po’ di fortuna, non l’avrebbero trovata affatto.

Aveva tutto il tempo che gli serviva per fare le cose con calma, e Madara non sarebbe venuto a sapere nulla. Meglio così, nel caso possedesse veramente la cura.

Si incamminò attraverso i vicoli della Grande Mela, ammirando, non senza una punta di derisione, i cassonetti della spazzatura sparsi in ogni dove, mescolati a pile di cadaveri in decomposizione.  Gli umani avevano inquinato il pianeta per lungo tempo, raggiungendo e soggiogando le stesse divinità che in passato veneravano, ed era ironico che pagassero il prezzo di tanta arroganza con la stessa degradazione che rifuggivano. Corpi e lattine vuote nella stessa strada, sullo stesso marciapiede.

Il porto era relativamente vicino, e vi arrivò dopo una mezz’oretta.  Si tenne ben nascosto dietro gli edifici che lo circondavano, sperando che Zeus non fosse così vicino da percepire i suoi pensieri. Sapeva praticamente tutto del Prototype, lui, ed era solo grazie alle sue conoscenze che era riuscito ad evitarlo per tutto quel tempo. E, infatti, anche quella mattina non era certamente lì per Zeus.

Il suo obiettivo era infinitamente più debole, e, paradossalmente, più difficile da gestire.

Come posso fare per introdurmi all’interno della loro base senza che mi scoprano? Saranno diventati più vigili, dopo l’ultima volta.” Pensò, considerando con attenzione la spianata perfettamente liscia della piazza del porto. Alla fine, non c’era nulla che potesse fare, per infiltrarsi, se non usare il metodo della volta precedente.

Socchiuse gli occhi, e sentì il corpo farsi sempre più inconsistente, leggero, fino a sciogliersi in un torrente nerastro che si rovesciò sull’asfalto, liberando un vapore nerastro. Ben presto la vista gli si oscurò completamente, e l’unica percezione stabile rimase quella del tatto, diffusa però su una superficie molto più ampia del normale, finché anche quella scomparve. La massa liquida, indisturbata, penetrò nel terreno come se fosse stata assorbita dall’asfalto.  Itachi, alle volte, si sorprendeva di come alcuni meccanismi dell’Idra non facessero altro che modificare il corpo umano sul modello di animali già esistenti: esisteva una classe di creature marine, chiamate oloturie, che erano capaci, se attaccate, di liquefare completamente il proprio corpo e rimanere comunque vive. Nel suo caso si trattava solamente di un processo più raffinato, ma le basi rimanevano uguali.

In fondo, l’uomo non è mai stato capace di creare nulla di nuovo. Tutto ciò che scopriamo, la natura l’ha già fatto.”

Epitelio che si divide in frammenti minuscoli, organi scomposti fino al livello di unicellulari, materia cerebrale che perde ogni capacità cognitiva e viene guidata solo e unicamente tramite l’istinto… Itachi non aveva nozioni di biologia tali da saper dare un nome a quel che era, ma supponeva che, in qualche modo, l’Idra avesse trasformato il suo corpo in una gigantesca colonia di eucarioti, ognuno capace di agire autonomamente ma legato agli altri, forse con dei recettori chimici, in modo da non potersene distaccare mai del tutto. Un ammasso di cellule semovente, ancora misteriosamente umano.

O forse no… ma, in fondo, non c’è alcuna differenza.”

Quando riacquistò la vista, il campo visivo ancora leggermente sfocato, si ritrovò in una stanza scura e vuota, disadorna. Strano a dirsi, le sue orecchie non percepivano alcun suono, quasi la base fosse vuota, e il pavimento non vibrava, nemmeno impercettibilmente, segno che nessuno stava camminando nel raggio di diversi metri.

-Se ne sono andati?- Sussurrò, avvicinandosi alla porta. Non era chiusa, tuttavia non la spalancò. Immerse il braccio nella parete fino al gomito, e represse un brivido quando lo sentì scomporsi, e attraversare le pareti della base in un lampo. Una volta ritirato l’arto, sogghignò.

Nella base c’erano cinque persone in tutto. Quattro erano rinchiuse in una stanza, cosa che lo faceva pensare a dei prigionieri, mentre la quinta… gli era bastata una percezione sommaria per riconoscerla. D’altra parte, i legami di sangue sono pur sempre indissolubili, no?

 

***

 

6.30 a.m.

-Cosa ti fa pensare che io abbia voglia di seguirti, dobe?-

-Be’, meglio così! Non ce la farei an andarmene in giro con un teme deficiente come te alle calcagna!-

-E sarei io il deficiente? Almeno non sono un credulone idiota, no?-

-No, infatti… tu sei solo un… un…-

-Ragazzi, calma… Zeus, io ti avevo mandato qui a chiamare Sasuke, non a fargli una dichiarazione di guerra.- Deidara, appostato sulla porta, alzò gli occhi al cielo. Non sapeva cosa fosse successo tra quei due, ma metterli nella stessa stanza si era rivelata una scelta piuttosto sbagliata. Pessima, a dire il vero.

-Sentite, facciamo così… se Sasuke non può venire, che resti alla base. Pensavo che sarebbe stato Sasori a sorvegliare gli ospiti, ma, effettivamente, dopo l’ultima volta è meglio che sia qualcun altro a farlo. Di’, Ade, ti va bene così?-

-Tsk, fate come volete. Non mi riguarda.-

Il dinamitardo inarcò un sopracciglio, mentre Zeus gli passava accanto, uscendo dalla stanza come in toro imbufalito.

-Fuck off, motherfucker…- lo sentì imprecare, mentre svoltava il corridoio. Anche Sasuke doveva averlo udito, perché sibilò una mezza bestemmia e pestò con forza un piede sul pavimento.

-Ma si può sapere che gli hai detto? Stamattina per poco non mi ha picchiato, quando gli ho chiesto di venire da te per avvisarti della partenza.-

-Io non gli ho detto proprio niente. E’ lui che è un imbecille.-

Deidara arricciò le labbra, indeciso se scoppiare a ridere oppure infilarsi le mani nei capelli di fronte a quelli che, senz’ombra di dubbio, erano autentici capricci infantili, del tipo che un bambino impara ad abbandonare all’età di sette anni. Erano opposti in maniera quasi artistica, Ade e Zeus, ma, prevedibilmente, la loro diversità li avrebbe portati a continue liti… e lui non avrebbe potuto sedarle per sempre.

-Ok, ok, pensala come preferisci. Adesso vado, devo aiutare gli altri a cercare un nuovo rifugio e…-

-Quando pensate di tornare?-

-Dipende. Potremmo trovare un posto adatto tra mezz’ora o addirittura questa sera… dopotutto New York è grande, no?-

-Mi toccherà rimanere da solo con quei parassiti?-

-Sì, e se non ti è di troppo disturbo dovresti anche dar loro da mangiare. Ci sono decisamente più utili vivi, che morti.-

-Prendetevela con calma, mi raccomando. Non c’è bisogno che torniate prima del previsto.-

-Tranquillo, Sasuke…- il biondo ghignò, sistemandosi la frangetta -… faremo in modo di metterci più tempo possibile. Se poi dovessi avere qualche problema, vedi di cavartela da solo.-

-Problemi? Non vedo come potrei avere problemi, sono abbastanza bravo per gestire a situazione.-

 

***

 

Kakashi aveva sempre detestato il rumore troppo forte degli elicotteri. Era sempre stato un tipo tranquillo, lui, uno che preferiva starsene sdraiato a leggere sotto un ciliegio piuttosto che bighellonare con i propri amici. Odiava lo scompiglio, la confusione, eppure era un tipo straordinariamente poco categorico, sempre in ritardo, sempre stanco e, apparentemente, annoiato.

-Che fai, sei distratto?-

-Mi dai del distratto solo perché il mio sguardo non è fisso su di te, Anko?-

-Forse…- la donna si sporse verso di lui, il seno prosperoso a malapena nascosto dalla maglietta di microfibra che indossava e che evidenziava, senza lasciare spazio alla fantasia, la muscolatura definita ed elastica dello stomaco. Era bella, Anko, con la sua aggressività tutta felina ed il corpo che emanava un profumo denso e sensuale, ma non così tanto da tentarlo. Kakashi voleva potersi fidare di un eventuale partner, e la sola prospettiva di mettere la propria vita nelle mani di quella donna lo atterriva.

-Cosa vuoi, Anko?-

La soldatessa incrociò le braccia sotto il seno, stizzita, evidentemente offesa dal fatto che l’Hatake non considerasse adeguatamente la sua bellezza. Era una donna seria, certo, non una sciacquetta ossessionata dal proprio aspetto, ma si considerava sufficientemente attraente per circuire qualsiasi uomo. Kakashi, tuttavia, aveva resistito a tutti i suoi assalti.

E dire che, a vederlo, sembrava tanto facile

-Passando a cose più serie…- disse poi, scoprendosi le braccia con una mossa energica - ... Houston, lì, dice che tra poco atterreremo a Central Park.-

-Central Park? E’ una pessima zona, per cominciare.-

-E perché?-

-Perché è al confine tra una zona infetta e una sana. Rischiamo di trovarci coinvolti in azioni di guerriglia e non ci servono altri problemi per…-

-Rilassati, Hatake. Mi conosci, no? In questa stessa città ho spaccato più teste di te. E, sai, non sarà qualche scaramuccia tra i novellini di New York e gli infetti a spaventarmi.- Esclamò, imbracciando un fucile dall’apparenza massiccia -Guarda questo gioiellino… non vedo l’ora di provarlo.-

-Chissà che meraviglia…-

 

***

 

La procedura per accedere al laboratorio sotterraneo era piuttosto complicata.

Innanzitutto bisognava sbrigare una noiosa trafila burocratica, fatta di firme a destra e a manca e autorizzazioni da parte dei superiori. Fortunatamente, grazie ad una tessera che Matsuri era riuscita a farsi prestare da Ino Yamanaka, capo del laboratorio, Hinata riuscì ad accedervi senza i curricolari tempi d’attesa.

Una volta dentro si infilò la tuta speciale anticontaminazione, fatta di una speciale plastica resistente agli agenti corrosivi, e poi stette per circa un quarto d’ora sotto una doccia di acido, che, senza la protezione artificiale, avrebbe ridotto il suo corpo ad un mucchietto di ossa pulite.

Completata quella procedura, attraversò diverse porte a tenuta stagna, dotate di un sistema di ricircolo e filtraggio dell’aria che scongiurava la fuga di eventuali agenti patogeni, ed entrò nel laboratorio vero e proprio.

Era uno stanzone molto grande, dal soffitto basso, completamente immerso in una penombra a malapena rischiarata dalla luce di alcune lampade al neon, appese al soffitto. Per tutto l’ambiente correvano lunghi tavoli d’acciaio, perfettamente puliti, su cui faceva bella mostra di sé un armamentario di microscopi a scansione che avrebbero fatto invidia a qualsiasi società di ricerca; lungo le pareti, costosi e apparentemente inutilizzati, stavano diversi macchinari, tra cui un apparecchio per la centrifugazione dei campioni di DNA e una minuscola cisterna piena di azoto liquido, molto utile per congelare materiali organici instabili.

Tuttavia, l’obiettivo di Hinata era ancora diverso: sulla parete opposta rispetto all’entrata, illuminato da un freddo lucore bianchiccio, c’era un frigorifero con gli sportelli trasparenti, incassato nella parete. Era quasi totalmente vuoto, fatta eccezione per alcune provette appoggiate sul ripiano più in alto.

Eccole…”

Spalancò il frigo con una mossa incerta, ostacolata dalla tuta ingombrante. Afferrò le provette con entrambe le mani, per evitare che le scivolassero, e le tenne strette, poggiandole poi sul tavolo più vicino.

Rabbrividì. La temperatura nel laboratorio doveva essere piuttosto bassa, avrebbe fatto meglio a portarsi un maglione.

Cercando di ignorare la fastidiosa sensazione dei muscoli che fremevano e si contraevano per il freddo, Hinata si sedette di fronte alle provette, la parte del casco che corrispondeva al mento poggiata sulle mani coperte da uno spesso strato di lattice. E ragionò.

Tutti i suoi colleghi, così come i luminari della scienza che si erano occupati del virus Idra, avevano esaminato la situazione da un punto di vista totalmente sbagliato. La loro ricerca della cura si era basata sul presupposto “se devo curare il soggetto, allora distruggo l’agente patogeno che ha infettato l’organismo”, ma, sull’Idra, un pensiero di questo tipo non poteva che rivelarsi errato. Se è il virus a tenere in vita l’ospite, eliminandolo quest’ultimo muore. Elementare, no?

No, la faccenda andava presa in modo completamente diverso. La domanda da porsi era: “come posso far sì che un organismo, pur rimanendo portatore dell’Idra, riesca a riconquistare le proprie facoltà mentali e fisiche e smetta di essere contagioso? Come posso far sì che  il virus si pieghi alla volontà dell’ospite, divenendone un valido alleato?”

La risposta, incredibilmente, l’aveva sempre avuta sotto gli occhi.

Gli infetti superiori, pur essendo pregni fino al midollo di Idra, avevano un perfetto controllo di sé, e, a prima vista, si confondevano completamente con i comuni esseri umani. Certo, non lo erano davvero, ma comunque possedevano un proprio intelletto e una vita libera, a differenza dell’orda di cadaveri che popolava le strade di Manhattan.

L’unico modo per far sì che quelle persone riconquistassero un cervello senziente era farle cadere ancora più in basso. In poche parole, doveva sintetizzare una sostanza che riuscisse a far evolvere il virus fino a livelli incommensurabili, simili a quelli che aveva raggiunto negli organismi di Ade e Zeus.

Non è impossibile. Esistono dossier che parlano di esperimenti condotti dalla Gentek in tal proposito, e alcuni hanno avuto anche risultati soddisfacenti.”

Soprattutto, quegli scienziati non avevano ciò che possedeva lei. Fece scorrere lo sguardo sul vetro lucido delle provette, piene fino all’orlo di una sostanza rosata, a tratti quasi bianca.

Erano campioni del plasma di Zeus, prelevati prima della sua fuga. Una merce che, da qualche settimana, valeva miliardi di dollari.

-La cura che voglio sviluppare non è quella che mi ha chiesto, e non gli servirà. Non volevo deluderti ancora una volta, Zeus… mi dispiace.-

 

***

 

Orochimaru guardò il cielo, corrugando lo sopracciglia. Sopra di lui passò un elicottero, facendo un rumore a dir poco assordante, e lui gli dedicò un’occhiata velenosa, prima di voltarsi e fissare con astio il viso beato di Jiraiya.

-Non mi sembrano le circostanze più adatte per mostrare un’espressione di quel tipo, no?-

-E perché mai, Orochimaru? Se pure avessi il muso lungo quanto il tuo, dubito che la situazione cambierebbe. E poi, non vedo dove sia il problema. Zeus è perfettamente capace di cavarsela da solo, vedrai che non ci toccherà nemmeno combattere.-

-Meglio per te che sia così, rospo… sai, non mi sembri nella tua forma migliore.-

-Non sono nella mia “forma migliore” da diciassette anni, e comunque rimango abbastanza allenato per poter battere un pugno di militari disorganizzati. Sarebbe bello fare un combattimento come ai vecchi tempi, ti ricordi?-

-Purtroppo sì. Siamo ancora alla pari, giusto?-

-Quindici a te e quindici a me. –

-Bene. Quando questa storia sarà finita, sistemeremo anche la questione del pareggio.- Fece Orochimaru, con l’aria di chi parla di un argomento particolarmente deprecabile, balzando su un mucchio di macerie. Si passò una mano tra i lunghi capelli corvini, che scintillarono al sole, poi osservò nuovamente il cielo.

-Andiamo, vecchia serpe! Non dirmi che ti sei fatto improvvisamente romantico!-

-Sto semplicemente controllando, ma non arriva nessuno. Andiamo.-

Orochimaru piegò le ginocchia, poi si portò, con un salto perfettamente calcolato, sul’insegna tridimensionale di un cinema. Da lì cominciò a correre sulla parete verticale del palazzo, ma sempre con quel suo modo di fare freddo, impeccabile ed elegante. Non sprecava movimenti, lui, e nel saltare da un grattacielo all’altro non eccedeva mai né in forza, né in velocità.

Jiraiya, invece, come per contraddirlo, spiccava balzi estremamente elastici e potenti, sfrecciando nel cielo e compiendo ampie parabole nei tratti in cui la strada si faceva più larga. Atterrava in punti improbabili, sollevando vere e proprie nuvole di polvere, ma sembrava non stancarsi mai e, soprattutto, riusciva miracolosamente a non perdere l’equilibrio.

Secondo il parere del moro, però, faceva troppa confusione.

-Quello è l’Empire State Building, giusto?-

-Vivi in questa città da quasi diciassette anni, Jiraiya, e ancor non sai riconoscere l’Empire State Building? Comunque, sì, è quello, e noi ci andremo perché è il miglior punto d’osservazione di tutta la città. Il tuo stupido potere, almeno, servirà a qualcosa.-

Il sole scintillava sulla parete del grattacielo con un lucore quasi doloroso, rendendolo simile ad un gigantesco prisma di cristallo. Era di forma squadrata, con la parte superiore divisa in blocchi regolari e simmetrici, e per Orochimaru e Jiraiya l’arrampicata non presentò nessuna difficoltà particolare. Una volta giunti in cima, i due scelsero un posto comodo per sedersi, girando diverse volte attorno alla massiccia guglia di cemento che costituiva la sommità dell’edificio.

-Allora…- il moro si leccò le labbra, abbracciando il paesaggio con lo sguardo -… vediamo di cosa sei capace, eremita dei rospi.-

-Ancora con questa storia? Sai che odio quel soprannome…- borbottò Jiraiya, contrariato. Poi incrociò le gambe e poggiò i gomiti sulle ginocchia, congiungendo le mani nella cosiddetta posizione del “loto”, con le dita intrecciate e i pollici a contatto. Teneva gli occhi spalancati, apparentemente fissi nel vuoto, e ben presto, sulla pelle increspata per lo sforzo, si disegnarono dei segni rossastri, che gli coprirono le palpebre e parte degli zigomi.

-Cosa vedi?-

-Un po’ di tutto. Vuoi che ti dica cosa sta facendo quel militare laggiù? Uhm, si chiama… Anthony, Anthony McGillan, matricola numero 369153. Ce l’ha scritto su una specie di cartellino, sulla camicia.-

-Non so di cosa tu stia parlando.- Rispose Orochimaru, atarassico –Anche perché, se la tua descrizione si limita a particolari sommari come il nome e il numero di matricola, deve essere ad una distanza tale da risultare invisibile ad occhi che non siano i tuoi. Solitamente noti particolari ben più piccoli.-

-E’ a quattro chilometri di distanza in linea d’aria… sul tetto di quel grattacielo, lo vedi?-

Assottigliando lo sguardo, il moro riuscì a scorgere un minuscolo puntolino scuro, posato sulla sommità di un palazzo. Non sarebbe riuscito nemmeno ad identificarlo come essere umano, mentre Jiraiya era addirittura capace di leggere il numero di matricola... che potere incredibile. Appena diciassette anni addietro, avrebbe vivisezionato volentieri il proprietario di una simile abilità e ne avrebbe carpito il segreto.

Tuttavia, i tempi erano cambiati. E Jiraiya, la sua vittima favorita, si era improvvisamente trasformato nel suo compagno di missione.

Che tristezza.

-Si vedono elicotteri?-

-Sì. Due. Sono entrambi Apache da combattimento. Non riesco a vedere l’equipaggio, perché hanno i portelloni chiusi, ma… ehi! La pilota è una gran gnoc…-

-Finiscila, idiota. Pensi che sia il caso di seguirli?-

-E perché mai? Li vedrò ovunque siano, e, appena daranno segno di voler atterrare, li raggiungeremo. Comunque siamo stati fortunati… decidiamo di farci avanti, e in città arrivano degli elicotteri da combattimento. Di solito ci sono soltanto ricognitori.-

-Tu la chiami fortuna? Non siamo mostri corazzati come Zeus, e non siamo nemmeno veloci  tal punto da sfuggire ad un elicottero. Sai che significa, no?-

-Certo!- esclamò Jiraiya, senza mutare la propria posizione –Significa che, finalmente, dopo tutti questi anni di noia avrò l’occasione di sgranchirmi un po’.-

 

***

 

La porta cigolò, ruotando sui cardini di qualche millimetro.

Sasuke, in piedi nel salotto da qualche minuto, si voltò di scatto verso l’entrata, poi sospirò. Ormai versava in uno stato di tale agitazione che persino un lieve rumore era capace di farlo sobbalzare, e si rimproverò da solo per la propria stupidità.

Ci manca solo che cominci a credere ai fantasmi…”

Si avvicinò alla porta per richiuderla, poi posò la mano sulla maniglia e vi esercitò una lieve pressione, cercando al contempo di richiudere il battente. Tuttavia, ad appena un millimetro di distanza dalla cornice, la porta si bloccò.

Era come se qualcuno, dall’altra parte, stesse spingendo nella direzione opposta.

Qualcuno o qualcosa.

Sasuke rimase paralizzato, dando una spintarella supplementare per verificare di non essersi sbagliato. La porta rimase perfettamente immobile.

Che cavolo…” reprimendo un brivido, l’Uchiha si sporse, circospetto, dal bordo del battente. Nel momento esatto in cui il suo sguardo abbracciò il lato esterno della porta, quella cedette sotto il suo peso e si chiuse di botto, facendolo incespicare. Non era riuscito a vedere nulla.

Non tentò nemmeno di riaprirla, e si appiattì immediatamente contro il legno, guardandosi intorno. Silenzio.

Ora, anche ammettendo l’esistenza dei fantasmi, Sasuke trovava piuttosto improbabile il fatto che ce ne fosse qualcuno lì. Quindi… perché la porta si era bloccata?

-Oh, Sasuke, rimani sempre lo stesso. Ancora a chiederti il perché di eventi inspiegabili?-

Un suono sottile e mellifluo, impercettibile.

Quasi saltò, agitando la testa a destra e a manca, ma continuava a non vedere nessuno. E poi… lo aveva chiamato con il suo nome? Lo conosceva? Che razza di scherzo era, quello?

-C-chi sei!?- Sbottò, la voce più stridula di quanto avrebbe voluto. Dalla stanza stessa che lo circondava, come emergendo dalle pareti, scaturì una risata bassa e vibrante, derisoria. L’Uchiha si schiacciò ancora di più contro la porta, prendendo a respirare velocemente, sempre più velocemente.

Mantieni la calma, mantieni la calma…”

-E’ normale che tu non mi riconosca. Dimmi, Sasuke, dov’eri prima di venire a New York?-

-Cosa succede se non ti rispondo?-

-Ti conviene farlo, Sasuke. Se sono stato capace di entrare qui dentro senza che tu mi notassi, dovresti capire che sono molto al di sopra delle tue capacità. Adesso rispondi.-

-Ero… in un ospedale. In Nevada.-

-Nevada. Confina con l’Idaho, sai?-

-E questo cosa…-

-Perché eri in ospedale?-

-Ero malato di cancro. Al cervello.-

-E adesso non lo sei più, dico bene? La tua malattia è cambiata, anche se non sei comunque sano.-

-E a te che importa? Si può sapere chi sei?-

-Sono qualcuno che ti conosce meglio di quanto tu non conosca te stesso. Ti ho visto nascere, ti ho tenuto in braccio quando eri ancora piccolo e ti ho portato in salvo quando i nostri genitori sono morti. Non mi sorprende che tu non ti ricordi di me, ma credo sia tempo di finirla. Devi imparare a cavartela da solo, Sasuke… non posso proteggerti a lungo, non con lo schieramento per cui hai scelto di combattere.-

-“Nostri genitori”? No, io non…-

-Ah, che sgarbato… non si intraprende una conversazione prima di presentarsi, dico bene?-

Non gli diede tempo di replicare. In meno di un battito di ciglia, Sasuke vide una specie di vapore nerastro salire dal pavimento al centro della stanza, condensandosi in una massa che, sempre più velocemente, andava assumendo una forma terribilmente tangibile.

-Che…-

-Da quanto tempo, fratellino...-

 

Sono i ricordi e le esperienze passate a renderci ciò che siamo. Senza di esse, non saremmo altro che burattini.”

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Ebbenesì, ogni tanto riesco ad aggiornare anche io xD... su questo capitolo non ho molto da dire, a parte per quanto concerne il potere di Jiraiya. Forse non c'entra molto con il personaggio, ma, trattandosi di un gran pervertito che spia le ragazze alle terme, supponevo che la "vista lunga" gli potesse essere utile. Detta questa enorme scemenza, vi saluto :D!

See you soon,

Roby

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Capitolo 24
*** Let the Bodies hit the Floor ***


 

023 – Let the Bodies hit the Floor

 

Da quando il rosso era diventato un colore tanto orribile?

Forse ce n’era troppo. Ovunque si girasse, ovunque tentasse di rivolgere lo sguardo, la tinta cremisi era onnipresente e densa, tanto da sfasargli completamente il campo visivo. E poi, quella voce non faceva altro che parlare e parlare, sussurrando con voce melliflue parole che non riusciva ad ascoltare.

Caldo.

Sì, faceva caldo. Il sudore gli scorreva sulla pelle, sotto la pelle, negli occhi e nella gola, soffocandolo. O era sangue, quello che gli aveva invaso le vie respiratorie? O semplicemente aria?

Non riusciva a capirlo, non capiva più niente. La confusione era tale che persino il muro, contro cui qualcosa lo schiacciava, violentemente, era diventato totalmente impercettibile.

Galleggiava in un mare di rosso, di fiamme. Qualcosa stava andando a fuoco.

Brucia.

Era il suo corpo? No, quello sembrava ancora tutto intero, anche se la testa pareva quasi sul punto di implodere. Qualcos’altro stava bruciando, avvolto da una cortina di fumo. C’era un odore terribile, di legno e carne carbonizzati, di morte e... infezione? Come faceva a definire “infetto” un odore?

Guarda.

La vista si schiarì all’improvviso, solo quella, e la percezione del mondo che lo circondava fu così violenta da stordirlo. Tra le altre cose... dove diavolo era finito?

Si trovava al centro di una strada, presumibilmente la via centrale di quello che, pur se avvolto da un unico inferno fiammeggiante, doveva essere stato un paesino di campagna. Era notte, e il cielo buio veniva quasi rischiarato dai bagliori del fuoco, disteso verso la volta celeste in vampe che parevano quasi intangibili artigli di demoni. Stava bruciando tutto, tutto, dalle case ai lampioni, ai cassonetti dell’immondizia, alle macchine parcheggiate.

Percepiva l’asfalto sotto le ginocchia, lo sentiva scottare. E nell’aria, prima flebili, poi acute e stridenti, urla di dolore e rabbia, che gli riempivano le orecchie e si annullavano quasi, per quanto lo colpivano, in una nenia terrificante che sapeva di morte.

Tra le braccia stringeva qualcosa, ma non riusciva ad abbassare la testa per vedere cosa fosse. Era come trovarsi dentro il corpo di qualcun altro: poteva vedere e sentire, cogliere gli odori e la consistenza di ciò che toccava, ma, se provava a muoversi, i muscoli non rispondevano ai comandi.

Bloccato, immobile, lo sguardo forzatamente puntato sulla casa di fronte, che bruciava e crollava sotto i suoi occhi impotenti.

«Mamma...» fu la sua bocca a parlare, ma lui non pronunciò alcuna parola. Gli sembrava quasi di essere immerso nella mente di qualcun altro, in un... ricordo.

Bravo, Sasuke.

Quella voce. Risuonava attorno a lui, esattamente come nella stanza della base, ma sembrava infinitamente più lontana, più spenta. E poi, per un’intuizione improvvisa, Sasuke comprese parte della verità.

Sono i tuoi ricordi, questi?

Silenzio, ma senza ombra di esitazione. Sembrava quasi che il suo interlocutore si divertisse a tenerlo sulle spine.

Sì. Riempiti gli occhi con ciò che vedrai, perché in futuro ti sarà più utile di tutta la tua forza.

Poi, così com’era giunta, la voce tacque di nuovo. Si sforzò, Sasuke, di chiamarla, di attirare l’attenzione di quell’interlocutore misterioso, ma non arrivò nessuna risposta, Era snervante restare immobili, dispersi nella carne e nel sangue di qualcuno altro, senza poter distogliere lo sguardo o sbattere autonomamente le ciglia.

Quando, finalmente, l’individuo X si alzò in piedi, e Ade con lui, al ragazzo parve quasi di essersi tolto un peso dal cuore. Poté finalmente percepire chiaramente ciò che stringeva tra le braccia, un involto piuttosto grosso e pesante, di una consistenza morbidissima, e dalla mente del suo ospite gli giunsero gli echi di una preoccupazione intensa e ossessiva, bruciante più del calore delle fiamme. Perché angustiarsi tanto per una palla di stracci?

X cominciò a correre, incespicando malamente sull’asfalto ricoperto di crepe. A ben guardare, sembrava quasi che in quella cittadina, oltre all’incendio, fosse stata combattuta una guerra: sotto le suole di gomma delle scarpe, sottili ed economiche quanto bastava per percepire ogni singola asperità del terreno, Sasuke avvertiva distintamente le masse dure e dolorose dei calcinacci, dei tubi di ferro, nonostante non potesse guardarli. Cadde un paio di volte, sbucciandosi le ginocchia, ed era una sensazione assurda provare sia il proprio dolore che quello, riflesso pallidamente ma pur sempre presente, del suo ospite. Che, tra l’altro, sembrava avere la mente in tumulto. Gli giungevano, in una confusione quasi paradossale, accenti di rabbia e odio, paura e delusione, ansia e amore, tanto che se ne sentiva quasi influenzato, e accelerava i battiti del cuore all’unisono con quelle emozioni violente. Dove stava correndo? Da chi stava scappando?

All’improvviso, udì uno schiocco forte e vibrante, subito seguito da alcuni spari. X, veloce come un saetta, si nascose dietro un cassonetto rovesciato, ansimando a più non posso, il corpo che era tutto un tremito di ansia e terrore. Schiacciato tra l’immondizia, gli occhi spalancati illuminati dal riverbero delle fiamme, la puzza del sangue gli chiuse la gola. Ed era così forte le sensazione di ansia, che gli stritolava lo stomaco in una morsa fredda, che Sasuke si chiese di quali entità fossero i sentimenti del suo ospite, se quelli provati da lui erano, in fondo, semplici echi.

Strinse le braccia sul fagotto, ma senza esagerare: c’erano protezione e affetto, in quel gesto, una certezza quasi matematica che, se lo avessero sorpreso, X sarebbe morto difendendo quella palla di stracci.

Saltò fuori non appena gli inseguitori si furono allontanati, avvolti in tute di neoprene che ne confondevano le sagome scure, rendendoli simili a mostruosi demoni. Sasuke li vide di sfuggita, ma comprese che X, in qualche modo, conosceva quelle figure. E le temeva.

Corse a perdifiato, tra le case, rischiando più di una volta di essere travolto dalle macerie fiammeggianti che si staccavano dagli edifici e precipitavano in strada. La sua mente era tutta proiettata verso l’oscurità materna e sicura della campagna, che si stendeva, immensa e imperturbata, fino a toccare l’orizzonte. Inciampando tra le zolle di erba umida, rischiando più volte di scaraventare a terra il contenuto dell’involto che ancora stringeva, tenace, si accorse all’improvviso della presenza di tre figure più chiare, in piedi nell’erba a qualche centinaio di metri da lui. Le riconobbe, e ne fu felice.

Due uomini e una donna, coperti di ferite e fuliggine ma ancora, miracolosamente, vivi. Uno era alto, con i capelli nerissimi e gli occhi che, sebbene non fosse possibile scorgerne il colore, riflettevano il chiarore dell’incendio come fossero fatti di vetro. L’altro era ancora più possente, e sembrava che i suoi capelli, candidi come la neve, gli scendessero, scomposti in una zazzera disordinata, fino ai fianchi. La donna, appoggiata ad entrambi, aveva capelli biondo grano e una ferita ragguardevole alla gamba, che stillava sangue.

X, non senza un certo stupore, si rese conto che era strano vedere tante cose, da quella distanza. Lui poi era anche miope... com’era possibile che riuscisse a discernere con tanta precisione sagome così lontane? Sasuke, ormai del tutto assoggettato ai pensieri di quella personalità così diversa dalla sua, non poté far altro che starsene in disparte, assimilando tutto ciò che riusciva a percepire.

E poi, prima che X potesse in qualche modo scappare, accadde.

Lo strano trio si voltò, all’unisono, e sembrò quasi scomparire per la velocità con cui era sparito. Un attimo dopo, voltandosi per controllare cosa potesse averli spinti ad un simile gesto, X vide i demoni. Correvano velocemente verso di lui, nere armi tra le braccia corazzate, e fu così grande lo spavento che, per qualche secondo, rimase impalato nell’erba, il cuore impazzito.

Poi, in uno scatto che gli fece dolere tutti i muscoli, strinse al petto l’involto e corse, corse più veloce che poté verso una libertà ormai più sognata che sperata. Nelle gambe e nel cuore, al posto del sangue, acido di batteria.

Spararono, per fermarlo.

E fu lo stesso Sasuke, a gridare, quando il dolore cieco e ustionante del proiettile che perfora la carne lo colpì alla gamba, con tutta la vividezza di una percezione umana, non inquinata dalla completa atarassia provocata dall’Idra. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, all’unisono con il suo ospite, pregando che quell’incubo avesse presto fine. E si sentì afferrare per i capelli, e strattonare, sputando sangue e bava rossiccia e appigliandosi con le mani all’erba e al terreno. Il fagotto di stracci, abbandonato nel prato, si mosse.

Una testa piccola e tonda fece capolino dalle pieghe di tessuto, mentre le sue grida inferocite riempivano l’aria e la sua voce si faceva sempre più roca, prossima a disperdersi del tutto. I suoi occhi si appuntarono su un visetto tondo, bianco e delicato, con due occhi scuri dall’inconfondibile taglio orientale e un ciuffo di capelli corvini sul cranio quasi completamente calvo.

Sasuke, in quell’esatto momento, smise di gridare.

Attonito, smarrito, le orecchie ronzanti e piene delle grida di X, rimase ipnotizzato di fronte a quel neonato, e seppe sin da subito il perché. Come per confermare i suoi pensieri, anche se non aveva affatto bisogno, gli giunse la voce del suo ospite, smorzata dai singhiozzi.

«Sa... su... ke...»

 

***

 

«Deidara...»

«Hm?»

«Hai notato quegli elicotteri?»

«Sì... sembrerebbe una nuova, inutile manovra di quegli stupidi blackwatch per catturarci».

Seduti su un palazzo nei dintorni di Central Park, dopo essersi abbondantemente stufati della ricerca, Zeus e Deidara fissarono, non senza una punta di esasperazione, il nuovo elicottero da combattimento che atterrò nella grossa strada che circoscriveva l’area verde.

«Lo distruggiamo?»

«A che pro? Tanto, se non saremo noi a farlo, ci penseranno i cacciatori».

Erano talmente vicini da poter guardare bene in viso coloro che scesero dal mezzo corazzato, le gambe a penzoloni ed un portamento rilassato, che, da solo poteva considerarsi provocatorio.

«Ce ne saranno degli altri?»

«Potrebbe anche essere... in fondo, cosa importa? I militari non ci hanno mai causato problemi».

«Zeus...»

«Che vuoi?»

«Ti prego... tu hai bisogno di recuperare un po’ del tuo smalto, e io non assisto da tempo ad un bello spettacolo. Sai che amo vederti massacrare un po’ di insetti, no?»

«Non è un buon motivo per ucciderli. Non ci hanno nemmeno visti, perché mai dovrei attaccare per primo? Con te che fai il tifo, poi...»

Effettivamente, Zeus non si sarebbe mai sognato di stuzzicare dei militari senza una ragione precisa. Non gli piaceva particolarmente lo scontro e non provava nessuna smania nei confronti del sangue, cosa che invece caratterizzava Deidara, e tra l’altro, in quel frangente, si sentiva ancora troppo indebolito per lanciarsi contro una guarnigione armata senza motivo.

Furono i militari, infatti, a cominciare per primi la battaglia.

 

***

 

Kakashi era appena sceso dall’elicottero.

Nonostante la sua mascherina nera fosse, come di consueto, avvolta strettamente attorno a bocca e naso, non riusciva ad attutire un penetrante odore di decomposizione, dolciastro e soffocante, che sembrava far quasi parte dell’aria stessa di quel luogo. Stava per lamentarsi con i commilitoni, giunti proprio in quel momento a salutare l’arrivo dei superiori, quando Anko rivolse un’ampia occhiata all’ambiente circostante e, fissatasi su un punto in particolare, gli afferrò il polso in una stretta ferrea ed urgente.

«Anko, che...»

«Guarda. Il tetto di quel palazzo, a sinistra».

L’uomo, una volta individuato il punto esatto, rimase pietrificato.

Impossibile notare le due figure sul tetto: una in piedi, l’altra tranquillamente seduta sul cornicione. Li stavano fissando, e, vista la distanza relativamente breve, si poteva vedere che uno dei due ghignava compiaciuto al loro indirizzo.

« Non ci posso credere...»

«L’abbiamo trovato». Sibilò Anko, puntando senza esitazione il fucile verso il più basso dei due, un ragazzino dall’aria tranquilla con una zazzera di corti capelli biondi.

«Aspetta, Anko... chi cazzo sono quei due? Nessuno ci aveva detto niente riguardo a...»

«Non l’hai sentito Madara? “Qualsiasi altra cosa doveste trovare, va eliminata”... addesso capisco cosa intendeva. C’è qualcosa che quel vecchio porco non ci ha detto, e scommetto che quel biondino lassù sarà felice di raccontarcelo».

Poi, Anko commise il più grande errore della sua carriera.

Cecchino professionista, era famosa alla base, oltre che per il suo animo spietato, per la sua mira senza paragoni. Non aveva mai sbagliato un tiro, e nemmeno in questo la sua performance di quel giorno fece eccezione.

Se il proiettile non avesse incontrato ostacoli, difatti, avrebbe certamente perforato la spalla di Zeus. Non puntava alla testa, la soldatessa, e certamente non si era aspettata che il suo primo avversario della giornata fosse proprio il Prototype... tuttavia, quando dal braccio destro del “ragazzino” spuntò uno scudo osseo, con una superficie di circa un metro e mezzo, su cui il proiettile si schiantò senza riuscire a perforarlo, persino il proverbiale autocontrollo di Anko vacillò.

Fece un passo indietro, mentre il suo cervello, che ormai lavorava a velocità febbrile, elaborò la situazione in pochissimo tempo. Diede velocemente l’ordine ai soldati di disporsi sulla strada, in formazione di difesa, pronti a qualsiasi tipo di offensiva fosse arrivata da quell’essere, mentre Kakashi, ancora non del tutto preparato alla situazione, ebbe a malapena il tempo di afferrare una mitragliatrice.

Zeus, dopo aver rivolto un cenno stizzito a Deidara – che, da parte sua, gli fece il segno di “ok” congiungendo indice e pollice – si lasciò cadere sulla strada, senza preoccuparsi dell’adunanza di soldati a pochi metri da lui. Nel frattempo, però, l’armatura gli ricoprì l’intero corpo, e, come si aspettava, molti di coloro che gli puntavano un’arma contro contrassero il viso in smorfie orripilate.

Non appena fu a distanza di tiro (dieci, forse dodici metri dalla prima fila di militari), venne dato il segnale di fuoco.

Sospirò, lievemente deluso, mentre quella muraglia di piombo si abbatteva, senza produrre alcun effetto, sulla sua corazza.

Kakashi, qualche metro più in là, sgranò gli occhi a quella vista. I proiettili scivolavano con stridore metallico sull’armatura, sprigionando scintille, ma non lasciavano il minimo segno su quella superficie liscia e globosa, cosparsa di creste appuntite. Era come combattere contro un mostro mitologico, un leone Nemeo la cui pelliccia non poteva essere scalfita da nessun tipo di arma.

Con l’unica differenza che, però, quel mostro non sembrava un avversario che potesse essere battuto a mani nude. E di eroi greci, tra le loro fila, non ce n’erano.

«Ho come la sensazione che abbiamo trovato l’obiettivo principale della missione, Anko».

«Secondo te quello è Zeus?»

«Sì. Nei dossier sii parlava dell’armatura... certo che, finché non le vedi, certe cose non riesci ad immaginarle fedeli alla realtà».

Il loro discorso fu improvvisamente interrotto da uno schiocco, immediatamente seguito da un sibilo così forte e acuto da far male ai timpani. Con il braccio mutato in frusta, implacabile, Zeus falciò due file di militari, che volarono in aria e si sparpagliarono poi sull’asfalto. Molti di loro, al momento di ricadere a terra, non erano più interi.

Ci volle maledettamente poco perché il sangue rendesse la strada scivolosa, e ancora di meno perché i soldati cominciassero ad arretrare, incalzati da quell’essere che sembrava quasi incarnare un castigo divino. Infuriato, la mente svuotata da ogni pensiero, Zeus avanzava, senza minimamente curarsi del movimento della frusta e delle gocce di sangue che, ad intervalli quasi regolari, andavano a depositarsi sulla sua pelle.

Era arrabbiato con Sasuke, con Deidara, con quei militari, con sé stesso, con la Madre. E tutto il suo dolore, la sua frustrazione, le sfogava facendo ciò per cui il suo corpo era progettato. Uccidere.

Eppure, ben presto anche la parte più animale del suo essere si stancò di quel gioco niente affatto catartico, ma ozioso e ripetitivo. Si portò entrambe le mani alla testa, piegandosi leggermente sulle ginocchia, e gli sembrò quasi che il cranio stesse per esplodere dal dolore; concentrandosi solo ed unicamente su quella sensazione e sulla rabbia ceca che gli aveva avvolto la mente, il Prototype scatenò completamente la propria forza.

Forse fu un presentimento, o forse un semplice istinto animale, fatto sta che Kakashi comprese in tempo che stava per succedere qualcosa di veramente terribile. Afferrò Anko per un braccio, poi si lanciò oltre il muretto che delimitava il parco, scivolando per qualche metro su una sorta di piccolo pendio coperto di sassi. L’ultima cosa che vide, prima di cadere, fu un brulichio di viticci che ribollivano attorno al corpo del Prototype, poi più niente.

L’aria si cristallizzò, un istante prima del boato.

Poi esplose, frantumandosi in mille pezzi, entrando come una pioggia di schegge nella gola di Kakashi. Il soldato strinse a sé Anko, che tentava in tutti i modi di divincolarsi, e fissò con espressione atterrita gli enormi tentacoli scarlatti che, diramatisi da un unico punto, si erano protesi per tutta la strada, impalando senza pietà quanti non erano riusciti a fuggire. Si conficcavano  nelle vittime con precisione anatomica, scaraventandole poi in aria e ondeggiando, come grotteschi anemoni mossi da una corrente marina. Erano più di cento, e Kakashi si rese conto, incredulo, che era stato Zeus a produrre quelle mostruosità.

Contro cosa stiamo combattendo?”

Quella domanda gli rimbombò nella testa, ancora e ancora. Finalmente capiva il racconto del soldato Inuzuka, finalmente riusciva a comprendere quale poteva essere stato l’orrore profondo che l’aveva colto alla vista di creature come quella. Zeus era infinitamente più potente di qualsiasi altro infetto, questo sì, ma la sua natura, sostanzialmente, era identica. Non era come condurre una qualsiasi guerra, combattere contro altri soldati con pensieri umani e tentare di prevedere le loro mosse... come si poteva pretendere di battere un nemico senza capirlo? E come si poteva pretendere di comprendere una natura che era tutto, tranne che umana?

«Soldati!» La voce di Zeus, niente più che un sussurro orribilmente alterato dall’armatura, rimbombò come per magia in tutto l’ambiente circostante. A Kakashi sembrò quasi che quelle sillabe si ripercuotessero nella sua testa, più che nei timpani.

«So che siete lì, vi sento. Sento il vostro respiro» l’uomo si sentì afferrare le viscere da una morsa gelida, di terrore, come non gli era mai capitato in tutta la sua carriera «non voglio uccidervi, quindi calmatevi. Soltanto, vorrei che sapeste una cosa: non cercate di combattermi, se questo è il massimo che sapete fare. Se siete qui soltanto perché una boriosa autorità superiore vi ha ordinato di farlo, vi darò la possibilità di tornare a casa senza che nessuno lo sappia. Ma, se il vostro obiettivo è uccidermi, sbagliereste a pensare di potermi battere con mezzi così ridicoli. Io sono Zeus».

Io sono Zeus”. Era curioso, rifletté Kakashi, che una simile affermazione semplicistica racchiudesse in sé un messaggio ben preciso. Il Prototype li stava avvisando, in maniera velata e quasi cortese, che avrebbe lottato per sé, non per uccidere.

Che logica strana, per un pluriomicida.

Seguì un rumore di passi, e Zeus attraversò tutta la strada, allontanandosi con la calma soddisfatta del leone che, unico dominatore nel suo territorio, sa di non doversi preoccupare che qualcuno lo attacchi. Nel momento in cui passò sopra il punto in cui si trovava lui, Kakashi ebbe il tempo di dedicargli un’occhiata. Rimase pietrificato da quello che vide, e con lui Anko.

«Mio Dio...» sussurrò, sinceramente sconvolto «... è un demone, oppure...»

«Sciocchezze! Ecco come siete fatti, voi uomini: non appena trovate qualcosa che vi supera, subito lo credete superiore all’umanità intera pur di non ammettere che siete inferiori. Dio o demone, lo uccideremo... non esiste l’immortalità».

 

***

 

«Zeus, tutto a posto?»

«Torniamo alla base».

«Eh!?»

«Questa cosa mi ha messo di pessimo umore. Ho voglia di dormire un po’».

«Zeus...»

Deidara lo afferrò per una spalla, evitando sapientemente di tagliarsi con le creste, e lo fece voltare.

«Togliti questa cosa. La odio, se non posso vedere la tua faccia».

L’armatura si dissolse, obbediente, e il dinamitardo poté appuntare i propri occhi in quelli, velati di tristezza, del Prototype.

«Sono stanco di tutto questo. Quand’è che l’inferno troverà una conclusione?»

«Devi abituarti all’idea che potrebbe non trovarla mai. Il mondo non va come vogliamo noi, anche se ci impegniamo al massimo per cambiarlo... forse è meglio tornare sul serio alla base, gli altri troveranno comunque un posto. Ehi, Zeus?»

«Che c’è...»

«Comunque... ci sono io, c’è Sasuke. Ci siamo noi. Non combattere le tue guerre da solo».

 

***

 

Sasuke rimase immobile, strizzando gli occhi fino a sentir pizzicare le palpebre.

Il muro era ricomparso, come per magia. Lo sentiva, dietro la schiena e sotto i polpastrelli.

E aveva paura. Paura di interrompere il buio totale della cecità, paura di scoprire cosa si celava oltre l’universo ovattato dell’assenza di luce. Si sarebbe tappato volentieri le orecchie, ma la sola prospettiva di muoversi lo atterriva a tal punto che rimase immobile, schiacciato contro la parete. Ma, come i bambini non diventano invisibili solamente coprendosi il viso, così lui si rendeva ancora più vulnerabile, comportandosi in quel modo.

Avvertì un tocco leggero, prima sugli zigomi e poi sulle labbra.

Dita. Dita gelate che perlustravano il suo viso quasi volessero ricalcarne ogni particolare.

«Apri gli occhi, Sasuke».

Obbedì.

Socchiuse leggermente le palpebre, ancora troppo scosso per proferire parola, finché non gli si materializzò di fronte l’immagine di un viso, che, purtroppo, aveva la sensazione di aver già visto da qualche altra parte. Riflesso in un paio di iridi rosse che sembravano quelle del più malvagio dei demoni, ebbe tutto il tempo di esplorare il volto dello sconosciuto.

Gli somigliava terribilmente: avevano gli stessi capelli neri e setosi e lo stesso taglio signorile degli occhi, ma l’estraneo possedeva tratti meno marcati e due rughe profonde che gli segnavano zigomi e guance, invecchiandone notevolmente l’aspetto. Nonostante ciò, era di una bellezza incontestabile, pura.

«Mi sei mancato molto, otouto...» sussurrò, suadente, lasciando scorrere il palmo della mano sul suo viso. Solo in quel momento il più piccolo si rese conto delle lacrime che gli bagnavano le guance, sgorgando dai suoi occhi spalancati.

«Chi...»

«Shh... non parlare. Non capiresti, otouto, se rispondessi con serietà alla domanda che vuoi pormi. I tuoi ricordi, tutte quelle proiezioni sul tumore e l’ospedale... conservale, ma non prestarvi fede. Fanno parte di te, dopotutto».

«No...» sibilò, atterrito «... no. Non è vero, tutto questo non è vero...»

«Zitto, Sasuke». Di fronte alla voce strozzata di Ade, anche il tono di Itachi si era sensibilmente inasprito, pur mantenendo la sua cadenza flautata «Adesso ascoltami con molta attenzione.  Quello che sto per farti non è, come potresti pensare, un atto di malvagità... è per te, Sasuke, solo per te. Per evitare che Madara riesca di nuovo a farti del male, otouto... comunque vadano le cose, nel futuro che ho predisposto tu sarai salvo».

La mano scese, dapprima delicata, per poi serrarsi in una morsa ferrea attorno alla gola di Ade.

La trachea compressa da quelle dita fredde e implacabili, il ragazzo tentò debolmente di liberarsi, senza alcun risultato. A poco a poco, stava tornando reattivo.

«Fermo. Farà più male, se ti muovi».

Sasuke comprese cosa voleva fargli nel momento in cui l’indice e il medio di Itachi, piegati leggermente, fluttuarono di fronte al suo occhio sinistro. Il terrore che lo assalì fu così cieco da spingerlo a dibattersi come un forsennato, sferrando calci che, pur colpendo il più grande, non sembravano fargli alcun male.

L’ultima cosa che vide, prima che il dolore diventasse troppo forte per poter articolare pensieri logici, fu l’espressione fosca e vagamente dispiaciuta sul viso di quello che – ormai ne era certo – non poteva essere altri che il suo fratello maggiore.

 

***

 

«Ohi, Deidara... ci ho ripensato. Ti dispiace precedermi, per favore?»

«E perché, scusa? All’improvviso ti è venuta voglia di fare una passeggiata?»

«No, è che mi sento stanco e devo nutrirmi. Sai che non mi piace farlo quando gli altri guardano».

«Uh, ok. Ti aspetto alla base, allora».

«Non dovrai annoiarti per più di mezz’ora... e preparami un bagno caldo, se puoi!»

«Ehi, non sono mica il tuo schiavo personale!»

 

C’è chi dice che il battito d’ali di una farfalla possa causare un uragano dall’altra parte del mondo. A volte ho quasi paura che sia vero”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo dell'Autrice_

Vi avverto che non amo i sassi e nemmeno le cose appiccicose. Quindi, se dovete uccidermi, preferirei metodi che non includano la lapidazione e l'olio bollente.

A parte gli scherzi... potrei tentare in mille modi di giustificare la mia assenza prolungata dal fandom (a proposito, se ci riesco stasera posto anche l'epilogo di Jump, che mi ero prefissata di pubblicare insieme al capitolo 24 di Prototype), ma penso che dirvi la pura e semplice verità sia più corretto nei vostri confronti: il manga, vista la piega che ha preso, non mi sta piacendo. E' come se stesse perdendo completamente lo spirito di Naruto e... non so, mi delude. Tra parentesi, io sono una di quelle che segue i capitoli in inglese.

Comunque, mi sono fatta forza e, per amor vostro (non voglio abbandonarvi, visto l'ampio seguito che mi avete concesso e di cui vi sarò per sempre grata) ho scritto il difficilissimo - per me - capitolo 24.

Che dire... ho paura di aver infilato troppe cose tutte insieme e di non averle ben gestite, ma credetemi se vi dico che mi sono impegnata al massimo per contrastare il calo d'ispirazione galoppante.

Concludo dicendo che ve vojo bbene e che ci rivedremo al prossimo capitolo.

A Dio piacendo, presto.

See you soon,

Roby

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Capitolo 25
*** Dream On ***


  

024 – Dream On

Deidara si calò nella botola.

Nella base, come di consueto, regnava un silenzio tranquillo e accogliente, quasi corroborante rispetto all'atmosfera apocalittica di New York. Sospirò, stiracchiandosi brevemente e pianificando quanto avrebbe fatto nelle ore seguenti: innanzitutto doveva controllare che i prigionieri stessero bene (cosa di cui dubitava, visto lo scarso senso di responsabilità che Sasuke gli aveva più volte dimostrato), poi analizzare i campioni di sangue di Gaara - che, per mancanza di tempo, non aveva ancora toccato - e infine godersi il meritato riposo di una giornata insolitamente tranquilla.

Stava già riflettendo su quale film avrebbe potuto guardare (in ballottaggio c’erano Alexander, Il Signore degli Anelli ed un disimpegnato Final Destination), quando alle sue orecchie giunse un rumore inconsueto.

Un gemito fioco, quasi inudibile. Fece qualche passo in avanti, lungo il corridoio, e lo sentì ancora, stavolta più forte; sembrava quasi il pianto di un cane, o comunque di un animale indifeso che viene picchiato e, incapace di liberarsi, piagnucola per chiamare aiuto.

Rabbrividendo, si appiattì contro la parete a destra del corridoio, strisciando silenziosamente verso la porta da cui proveniva il rumore. Apparentemente, chiunque stesse emettendo quei suoni si trovava nel salotto; ad un verso più acuto e particolarmente prolungato, poi, a Deidara parve di riconoscere la voce di Sasuke. Impallidì, la testa invasa da un turbinio di domande una meno rassicurante dell’altra, e allungò una mano. La maniglia, a pochi centimetri dalle sue dita, sembrò quasi emettere un bagliore derisorio.

Era assai poco saggio spalancare la porta e gettarsi allo sbaraglio in quel modo, ma non vedeva cos’altro potesse fare. Aveva lasciato Sasuke da solo, e quei rumori non gli piacevano per niente; se fosse scappato senza sincerarsi della gravità della situazione, la responsabilità di quanto successo gli sarebbe ricaduta interamente sulle spalle. E il Prototype non l’avrebbe perdonato, non se Ade ci fosse andato di mezzo.

Aprì la porta con un gesto deciso, gettandosi nella stanza con un movimento fluido e velocissimo.

Era pronto a qualsiasi cosa, ma lo spettacolo che gli si presentò davanti gli gelò comunque il sangue nelle vene.

Il pavimento era rosso di sangue.

Si stendeva come una pozza fluida e compatta a partire da quello che sembrava un fagotto gettato malamente per terra, per poi sfrangiarsi in bordi cancellati e allargati da numerose impronte di scarpe. Fu quando il fagotto emise un gemito che Deidara riconobbe Sasuke.

Sul momento non riuscì a capire cosa gli fosse successo; stava per terra, accasciato contro il muro, le mani premute sul viso e tutta la parte anteriore del corpo lorda di sangue, a tal punto che Deidara stentò a credere che si trattasse solamente del suo. Emise un gemito fioco, accartocciandosi quasi, e il dinamitardo gli si avvicinò con un'esitazione che affondava le sue radici in una paura indistinta, priva di classificazioni, che sembrava quasi volerlo congelare. Mentre protendeva una mano a toccare la spalla del più piccolo, i suoi pensieri variavano dal terrore pressante e immediato di cosa poteva aver ridotto in quel modo Ade ad un'inquietudine più remota, che riguardava principalmente Zeus. Sperò di scamparla, di potergli spiegare con calma che non era colpa sua, ma aveva come la netta sensazione che la rabbia del Prototype non si sarebbe fermata di fronte ad un paio di pessime scuse. Sempre che l'aggressore di Sasuke non fosse ancora in giro.

Come per rispondere a quest'ultimo pensiero, proprio quando si trovava con le dita a pochi millimetri da Ade, una voce cupa e strascicata gli rimbombò nelle orecchie.

«Non toccarlo».

Naturalmente la riconobbe. Difficilmente avrebbe potuto dimenticare quel timbro, che ancora popolava molti dei suoi sogni peggiori; nondimeno, fu con una certa sorpresa che si staccò da Sasuke, quasi non fosse possibile ribellarsi al comando garbato che gli era stato imposto.

«Itachi Uchiha,» sibilò, voltandosi di scatto «e così, ti andava di rivedere il tuo fratellino? Hai uno strano modo di dimostrare affetto».

Sasuke emise un gemito, rannicchiandosi ancora di più. Deidara contrasse il viso in una smorfia pietosa, prima di voltarsi verso l'intruso; era esattamente come lo ricordava: un po' più reale, quasi la vicinanza gli infondesse concretezza, eppure fu questa l'impressione che ne ricavò. E quegli occhi completamente neri, puntati nei suoi con strafottenza e allegria insieme, gli trasmisero un sentimento malsano, di gioia sadica.

Forse fu in quel momento che lo comprese davvero, per la prima volta, e lo disprezzò. Totalmente, come si odia un'opera d'arte brutta o insignificante, Deidara disprezzò Itachi Uchiha perché, nonostante avesse fatto qualcosa di così raffinato - lui stesso ben conosceva il piacere malsano del ferire qualcuno con cui si ha un legame di sangue - manteneva un portamento pacato, scialbo. Era tranquillità quella che ostentava, e il dinamitardo l'interpretò come la pacata vanità di qualcuno che compie un gesto straordinario e si ritiene troppo superiore per gioirne davvero.

Era forse il germe della competizione, quello che gli stava bruciando il cervello?

«Perché?» Come se non fosse ovvio. Odio, e malattia, e rabbia, e pazzia... c'erano mille e più motivi per cui una persona come quella avrebbe potuto seviziare Sasuke.

«Non ti riguarda,» rispose, lasciando che un sorriso appena accennato prendesse forma sul suo viso «ma non puoi toccarlo. Non te lo permetto. E non gli piacerebbe sentire le mani di qualcuno su di sé, dopo quello che gli ho fatto».

Deidara strinse i pugni, ma non si mosse. Attendeva che Itachi facesse la prima mossa.

«Non mi riguarda? Parla, bastardo, se non vuoi crepare!» Ringhiò, sgranando gli occhi azzurri. Non sapeva perché, ma la sola presenza di quell'Itachi Uchiha bastava a fargli montare un'irritazione bruciante, senza precedenti. Un po' perché dopo quella volta della visione si sentiva abbastanza umiliato, un po' perché era come se quel tipo lo offendesse con ogni parola e ogni movenza.

«"Crepare"? Sei rozzo, rozzo e sciocco come tutti quelli della tua specie. Non credere che non sappia chi sei... comunque, non puoi battermi. Speri forse che le tue capacità ti bastino per uccidermi, io che sono uno dei primi? Sarebbe come se tentassi di vincere Zeus, o la Madre».

Fremette, Deidara, prestando ascolto al proprio orgoglio che, forse per qualche suggestione bizzarra, gli sussurrava parole dolci come il miele e velenose come il cianuro. Eppure, sebbene la sua parte più aggressiva gli intimasse di attaccare, di fare a pezzi quell’Itachi Uchiha senza pensarci due volte, quella più strettamente istintuale lo avvertiva, silenziosamente, che quella creatura cupa a pochi centimetri da lui non era da sottovalutare. Si paragonava a Zeus con una semplicità che aveva dell’incredibile, ma le sue non sembravano menzogne; e Deidara aveva compreso da tempo che i poteri dell’Uchiha erano oscuri e terribili, di un genere completamente diverso da quelli degli altri infetti.

Tuttavia, non poteva tollerare di essere insultato in quel modo.

«Ritira quello che hai detto,» ringhiò, aspro «e forse renderò la tua morte meno dolorosa».

«La verità è spesso più amara di una tazza colma di veleno». Interloquì Itachi, neanche stesse conversando di letteratura classica con un amante del genere «E la vanità umana è spesso più nociva di una pianta infestante. Nessuno ti ha mai fatto notare quanto tu sia iniquo?»

Deidara non rispose, troppo arrabbiato per parlare.

Si sfilò i guanti nell’intervallo intercorso tra la penultima e l’ultima sillaba del discorso di Itachi, gettandoli da una parte. E poi, veloce come una saetta, si lanciò verso la sagoma scura, con le braccia protese nel tentativo di affondare le zanne nel suo collo. L’Uchiha lo evitò facilmente, scartando di lato con un movimento fluido e aggraziato, poi lo colpì sulla nuca con il palmo della mano; quel colpo, di norma niente più che uno schiaffetto, era colmo di una forza tale che, incapace di fermarsi, il dinamitardo finì contro il divano, rovesciandolo. Si rialzò in una frazione di secondo, scattando nuovamente verso Itachi; stavolta, però, riuscì a colpire l’Uchiha con un calcio poderoso, che lo fece cozzare brutalmente contro un muro. Subito dopo, muovendosi quasi carponi, Deidara si portò strisciando davanti al nemico e poi, con un unico balzo fluido, gli assestò un pugno fortissimo sulla mascella.

Itachi cadde a terra con una mezza giravolta, per poi mettersi in ginocchio e asciugarsi, con un movimento beffardo della mano, il rivolo di sangue che gli scorreva a lato delle labbra. Non sembrava nemmeno stordito per i colpi ricevuti, e Deidara, ormai completamente perso nel proprio orgasmo di furia, non prestò attenzione ad un particolare tanto evidente.

C'era in lui la gioia del vincitore che ha avuto ragione di un nemico particolarmente odiato, quel piacere intenso e sadico che si prova una volta smontata ogni resistenza e ridotto l'avversario ad un essere inerme, debole. Ed era così accecato dalla rabbia che non vide la luce letale negli occhi di Itachi, e tantomeno seppe interpretare l'espressione serafica che gli distendeva il volto in una maschera inespressiva.

In quello che, per lui, era il colpo finale, stese il braccio destro contro il petto dell'Uchiha, il palmo aperto e le zanne protese.

Itachi fu colpito, ma non fece nulla per evitarlo; in caso contrario, i suoi occhi gli avrebbero permesso di schivare con molta facilità quello che, pure, era un attacco estremamente veloce.

La mano di Deidara affondò fino al polso nella carne improvvisamente cedevole, quasi stesse fendendo della nebbia. Si fermò per un attimo, osservando con gli occhi sgranati quel fenomeno inspiegabile, ma pensò per un secondo di troppo: quando cercò di tirarsi indietro, una scintilla di comprendonio che andava infiammandosi nella sua mente, il braccio era stretto in una morsa così stretta e salda, compresso da ogni lato, che gli fu impossibile sottrarsi. Percepiva distintamente un pulsare violento, tutt'intorno alla pelle, quasi il cuore (che, più o meno, doveva trovarsi nel punto in cui la sua mano si era infilata), si fosse scomposto in un'area inconcepibilmente grande e battesse in tutto il petto, forte e sonoro.

Itachi lo afferrò per il collo, sbattendolo contro la parete più vicina neanche fosse un fuscello. Deidara rabbrividì, ma non tentò nemmeno di divincolarsi: come poteva, in quella situazione? Ringhiò di rabbia, impotente, avendo ormai compreso quanto l'avversario fosse al di sopra delle sue capacità, e sibilò una bestemmia soffocata, che ebbe come unico effetto quello di far sorridere l'Uchiha.

«Come... puoi...» rantolò, afferrando il braccio di Itachi con la mano libera e cercando inutilmente di scansarlo. Aveva una forza spaventosa, e, come se fino a quel momento non l'avesse affatto manifestata, Deidara la sentiva scorrere nelle sue vene insieme al sangue, sotto le dita; la sua pelle, d'aspetto freddo ed eburneo, bruciava invece come se avesse la febbre.

«Non c'é ragione per cui te lo spieghi. Se il nostro fosse stato un combattimento degno di questo nome non ti avrei negato quest'informazione, prima di ucciderti,» era curioso come si attenesse alla regola del concedere un'ultima richiesta ad un condannato a morte, lui che sembrava l'incarnazione del menefreghismo «ma mi hai sottovalutato, e l'ignoranza è il prezzo che pagherai per la tua stupidità. Anzi... se non mi avessi attaccato, non ci sarebbe stato bisogno di arrivare a questo. Non lascio mai che una sfida cada nel vuoto».

L'attimo successivo, per Deidara, si condensò in un'esplosione di dolore infuocato, lancinante, che gli avvolse la mano destra e la consumò con una lentezza estenuante; percepì che si dissolveva, come scoppiettando in mille bolle di sapone incandescenti, e si perdeva gradualmente nel corpo di Itachi, seguita a poco a poco dal resto del braccio. Come per un'attrazione subitanea ed incontrastabile, il suo corpo prese a scivolare verso quello dell'Uchiha: ovunque lo toccasse, veniva avvolto dallo stesso dolore. Lo stava assorbendo, e Deidara fu certo che quel processo così lento fosse intenzionale: voleva farlo soffrire e torturarlo prima che la sua coscienza evaporasse, fagocitata da quell'essere che nemmeno lui faticava a definire mostruoso.

Gridò, e gridò, e gridò finché la gola non gli bruciò più del braccio, più del cuore che batteva come impazzito, imperandogli di liberarsi in qualche modo e scappare via, perché - fanculo all'orgoglio, fanculo persino a Zeus - lui voleva vivere. La morte era così poco artistica, così priva di luce e colori, e lui già la sentiva, fredda e gelida e dannatamente spenta, inerpicarglisi rapidamente su per lo stomaco.

«Sei solo un... mostro...» esalò, riuscendo, nonostante gli costasse un grandissimo sforzo, a mettere persino su un’espressione ghignante e beffarda «... e Zeus ti ucciderà... non ti basterà... la forza».

Itachi non sembrò gradire quell’uscita. Assottigliò lo sguardo e strinse la presa, impedendo che Deidara potesse emettere un minimo suono, soffocandolo quasi.

Poi fu il suo turno di parlare.

«Sai... avevo già intenzione di lasciare un souvenir ai tuoi amici, per quando fossero tornati...» sussurrò, cucchiaiate di miele che scivolavano via dalle sue labbra rosee. Deidara ebbe uno spasmo, e percepì distintamente gli occhi che, come spinti da una pressione in costante aumento, sembravano volergli schizzare via dalle orbite.

E tuttavia, Itachi Uchiha non aveva ancora finito.

«... che ne dici della testa?»

 

***

 

Aveva fatto esplodere i suoi genitori nel giorno del suo compleanno.

Il cinque maggio in Giappone si festeggiava la Kodomo no Hi, o Festa dei Bambini che dir si voglia. Era una di quelle orribili ricorrenze tradizionali in cui i vecchi sembravano dar sfogo a tutta la loro noiosa pedanteria e branchi di rozzi ragazzini urlanti invadevano le strade e torturavano i suoi poveri timpani con le loro insopportabili urla sgraziate.

Fortunatamente, Deidara era uno di quei fortunati giapponesi, pochi ma buoni, che avevano preferito mollare la vecchia barca che affonda e trasferirsi in un paese meno bigotto e classista, più ricco di prospettive e pronto ad offrire un lavoro degno di questo nome anche agli artisti.

E lui l’avrebbe passata anche bene quella giornata, mangiando cheesecake e stendendosi sul divano con il suo ragazzo a guardare Il Signore degli Anelli (scusa pretestuosa, quella, per dedicarsi a qualche sana scopata con la battaglia del Fosso di Helm sullo sfondo), peccato per il particolare stonato.

Già, quel particolare stonato.

Come un vistoso paio di baffi scarabocchiati sulla Monna Lisa, un brufolo sulla faccia di Jared Leto, una nota stonata nella perfetta esecuzione live dell’assolo di Blackened dei Metallica.

Come una madre scassacazzi che rompe le palle al suo unico figlio gay per convincerlo a tornare a casa nel giorno del suo compleanno.

Il che era vagamente insensato, visto che i genitori di Deidara l’avevano praticamente diseredato, dopo il coming out. Suo padre, in particolare, dopo avergli tirato un pugno che aveva rovinato per giorni il suo viso con un brutto livido violaceo, gli aveva gridato contro di andarsene per sempre, lui e il suo ragazzo rottinculo, in una patetica pantomima che, a posteriori, il ragazzo aveva finito per giudicare noiosa.

Deidara era appunto intento ad acquistare il cofanetto in versione estesa con tutti e tre i film de “Il Signore degli Anelli” (settantotto dollari spessi benissimo, a sentire lui), ordinato due settimane prima alla videoteca più fornita della piccola città in cui viveva, quando il suo cellulare vibrò nella tasca dei pantaloni. Era un modello molto carino, anche se antiquato, e aveva tirato scemi i suoi genitori per due settimane prima che glie lo regalassero, a quattordici anni. Era il suo ventesimo compleanno e, per la prima volta in una vita di infatuazioni passeggere e saltuari amori per la tecnologia, lo odiò davvero.

Si scusò con un sorrisetto di circostanza verso la cassiera, che, da parte sua, era già decollata da tempo verso la galassia di Civetteria-land e lo fissava con un misto di sincera ammirazione e libido trattenuta. Quando uscì dal locale, una bella sferzata di torrida aria estiva ad accoglierlo (e ad arricciargli i capelli piastrati con cura, poco ma sicuro), rispose a quella che era ormai la ventiduesima chiamata della giornata con una voce pregna di irritazione.

«Ma’? Meeerda, ti avrò detto cinquemila volte che... cazzo, ma’, ho detto di no! Non ho nessuna fottuta voglia di festeggiare con voi, va bene? Non finché quello stronzo vive ancora con...»

Non aveva ben chiaro il motivo per cui la sua adorata mamma continuava a tormentarlo in quel modo, allettandolo con immagini di tacchino farcito con zucca e uvette (senza ricordare che, tra l'altro, lui i sapori agrodolci li odiava), ma gli pizzicavano le mani dalla voglia di prendere a pugni la sua vecchia e sfondarle in testa, una per una, la collezione di acquasantiere che teneva in camera da letto. E guardare i pezzetti di ceramica dipinta che si confondevano col sangue, sul pavimento... oh, sì.

Chiuse la chiamata senza più ascoltare, fin troppo concentrato sulla piacevole immagine di materia grigia e angioletti in porcellana malamente schiantati sulla stessa mattonella, poi tornò nella videoteca e acquistò il cofanetto. Sorrideva con particolare allegria.

Il resto del pomeriggio passò in maniera pressoché perfetta.

Mizuki arrivò a casa sua per le quattro, trascinando dietro di sé una vistosa valigia nera e, tra le mani, due cellulari usa e getta dall’apparenza nuovissima. Gli sorrise, com’era solito fare, scostandosi un ciuffo di capelli color grano dalla fronte con le mani occupate, poi lo baciò in soggiorno, dopo aver posato a terra il suo carico.

Mizuki Otoki amava il suo ragazzo di quell’amore infantile e vagamente annoiato che sovente gli uomini adulti provano verso partner più piccoli (si passavano ben dieci anni), ma adorava, semplicemente, tutte le sue idee e le sue uscite bizzarre sugli argomenti più imprevedibili. Quindi non si era stupito quando, mentre agganciava una trave di ferro nel cantiere in cui lavorava, il suo ragazzo l’aveva chiamato e, con quella voce sottilmente erotica a cui non poteva rifiutare proprio nulla, gli aveva chiesto di portargli quella.

«Ce l’hai?» Sussurrò Deidara, avvolgendogli il collo con le spalle e stringendoselo contro «Me l’hai portata, vero? Vero, Mizuki?»

*

Avevano usato un furgoncino provvidenzialmente rubato, un carico considerevole di dinamite e due cellulari usa e getta. Mizuki era eccitato e gli tremavano le mani, mentre collegava uno dei due apparecchi ad un detonatore, mentre Deidara lo osservava con occhi bramosi, brucianti di interesse. Poi avevano guidato il furgoncino fino all’abitazione dei suoi genitori, appena due isolati più in là rispetto alla sua, e Deidara era entrato in casa e aveva salutato i suoi genitori per dare a Mizuki il tempo di prepararsi.

Era uscito nel vialetto accuratamente pulito con una sensazione formicolante nello stomaco, poi aveva attraversato la strada. Sul marciapiede, Mizuki lo attendeva in sella ad una motocicletta che avevano caricato nel bagagliaio del furgone; aveva messo in moto, poi gli aveva passato un telefono usa e getta.

Nel comporre il numero, Deidara aveva sorriso.

Nell’attimo stesso in cui la casa dei suoi era esplosa in un caldo covone di fiamme, scintillanti e profumate di legno, plastica e carne bruciati, per un attimo sulla sua coscienza s’era steso un velo lieve, forse una vaghissima, blanda imitazione del senso di colpa. Ma non capiva, Deidara, non poteva capire: la sua mente era offuscata da una nebbia ben più fitta di quella causata dai semplici sentimenti, e le spine che la avviluppavano si dissolsero non appena strinse la schiena forte e calda di Mizuki tra le braccia.

Quello che però il suo animo nemmeno concepiva, la mente del fidanzato presto l’avrebbe realizzato. Perché, se un cieco può sopportare senza nessun problema il lucore abbagliante di un flash sulla retina, chi gode dell’uso seppure parziale della vista ne rimarrà accecato.

*

Se Mizuki non si fosse costituito, molto probabilmente lo avrebbero catturato comunque.

Non aveva fatto nulla per scappare, o nascondersi. Per dire la verità, lo stesso fatto di aver ucciso barbaramente i suoi genitori non lo aveva minimamente toccato: gli aveva lasciato un’impressione fugace, quasi come lo stupore momentaneo per le esplosioni dei fuochi artificiali a Capodanno, poi se n’era andato. Puff, dimenticato.

Sensazione del tutto priva di attrattive in un mondo ancora ricco di sorprese.

I poliziotti, quindi, avevano avuto gioco facile con lui, e lo avevano catturato mentre mangiava un Big Mac nel McDonald’s più frequentato della città. Inutile dire che Deidara aveva trovato pacchianamente americano il binomio formato dal sapore artificiale del panino e dalla sensazione della canna gelida di una 9mm appoggiata alla tempia. Hard-boiled e stereotipato, ma del tutto privo del gusto pop di una Pulp Fiction.

Però non si era ribellato. Non poteva farlo, anche se avesse voluto, e non ne aveva alcuna voglia.

Era curioso di sapere cosa gli sarebbe capitato.

*

Pena di morte.

Un po’ se l’aspettava.

Aveva trovato così incredibilmente interessante l’aula del tribunale, demodé e dal gusto antico, con il giudice di colore che dominava la folla dal suo seggio rialzato, da essere certo che, in qualche cosa, il processo si sarebbe certamente macchiato di banalità. Non poteva esistere tanta perfezione in un solo angolo dell’universo, a mostrarsi, ingenuamente, davanti ai suoi occhi azzurri.

L’avvocato che gli avevano appioppato, un americano grasso e lustro come il pomello di una porta e con le mani lisce come olio di ricino, gli aveva praticamente riso in faccia al momento del verdetto, convinto che, per chissà quale motivo, lui fosse dispiaciuto. Dispiaciuto, neanche lo avessero condannato a passare i tre mesi successivi in un’accademia d’arte. Quello sì, che l’avrebbe ucciso.

La sua esecuzione era prevista per il ventun dicembre. Nessun riesame, o appello, o processo, ma evidentemente lo stato del Texas riusciva a rallentare le procedure fino a livelli quasi distopici. O utopici? Forse avrebbe dovuto ritener positivo il fatto di poter passare qualche mese in più con il cuore ancora in funzione?

Che pretesa sciocca.

Fu quando entrò al Potter County Detention Center che cambiò definitivamente idea.

Era una struttura grigia e possente, apparentemente abbandonata nel bel mezzo di un pianoro e protetta da varie barriere di reti alte tre metri, coronate da volute massicce di filo spinato. Circondato da un cortile ingombro di detenuti, l’edificio si sviluppava in un susseguirsi di parallelepipedi collegati gli uni agli altri, erosi dall’umidità e pregni di quell’atmosfera decadente che sembrava, come in un film, accompagnarsi naturalmente all’essenza delle carceri.

Gli urlarono dietro, mentre lo conducevano verso il braccio della morte. Frasi oscene, di apprezzamento, che, più che spaventarlo, lo inorgoglirono: sapeva perfettamente quello che sarebbe successo, e la cosa non gli creava alcun problema. Lentamente, inesorabilmente, si stava lasciando andare.

Lo sistemarono in una cella piccola e sufficientemente pulita, con un’unica branda in un angolo e nient’altro. Non c’era nulla con cui potesse farsi male: i contorni dell’asse su cui poggiava il materasso erano accuratamente smussati, le catene che la sostenevano al muro così spesse e resistenti che, anche possedendo un seghetto robusto, gli ci sarebbero voluti mesi per spezzarle. Una minuscola finestrella dava sull’unico cortile interno, mentre una lampadina nuda, che pendeva ad un’altezza tale da impedire anche ad un uomo notevolmente grosso di raggiungerla, doveva essere l’unica fonte di luce quando faceva buio.

Ai carcerati del braccio, lo sapeva, non era concesso uscire in cortile. Non avevano diritto alla cosiddetta “ora d’aria”, evidentemente perché li ritenevano così pazzi da poter ledere seriamente alla salute degli altri detenuti.

Non che gl’importasse. Rimuginando su quanto quella circostanza fosse fortunata – per lui, almeno – si stese con un sospiro sulla branda e tentò di socchiudere gli occhi. Aveva sonno, il viaggio l’aveva stancato e quel posto si stava già rivelando più piatto del previsto.

Tuttavia, per una strana combinazione del destino, non gli fu possibile addormentarsi.

Non appena rivolse le sguardo al pavimento, infatti, fu invaso da un moto di disgusto e si tirò di scatto in piedi. Le piastrelle, che prima non aveva notato, erano di un color rosa salmone vagamente stinto e pieno di macchioline di chissà che cosa, come la gigantesca carcassa di un pesce spellato distesa per tutto il corridoio.

Chi ha arredato questo posto dovrebbe leggere qualche libro di Stephen King...” pensò, stizzito, appoggiando la schiena al muro e curiosando con lo sguardo tra le altre celle. Avrebbe provato volentieri a riaddormentarsi, ma era più che convinto che, con quel colore orripilante a riempirgli le pupille, riuscirci fosse impossibile. Si bloccò, con un moto di interesse, sulla cella di fronte alla sua.

Era così vicina che riusciva a vederla perfettamente, sebbene l’ambiente non fosse propriamente illuminato, e notò fin da subito una figura esile che lo fissava dall’altra parte delle sbarre.

Si alzò in piedi, senza esitare, e schiacciò il viso sulle sue, di sbarre, appoggiandosi con entrambe le mani al ferro gelido. Socchiuse le palpebre, mettendo a fuoco per bene il ragazzo che sembrava così interessato al suo arrivo.

Aveva la pelle pallida, forse olivastra, e una zazzera di capelli rosso fuoco che spiccavano anche nella penombra; il viso, minuto, aveva tratti delicati, quasi efebici: la bocca piccola, sottile, con il labbro inferiore leggermente più pronunciato di quello inferiore, il naso all’insù, gli occhi grandi, a mandorla. Castani, belli e completamente privi di vita, sembravano quasi perforare il velo d’ombra che li separava e lui stesso, scavandogli nell’animo con una pacatezza gelida e quasi inquietante che non pareva nemmeno umana, ma immobile e statica come le fattezze delle statue di pietra in una chiesa medievale. A vederlo, si sarebbe detto un adolescente.

«Ehi!» Sbottò Deidara, stringendosi con più forza alle sbarre «Ehi, come ti chiami?»

L’altro non rispose, limitandosi ad inclinare leggermente la testa di lato con un gesto affettato. Ma lo stava ascoltando, a giudicare dallo sguardo improvvisamente più affilato.

«Ti ho chiesto come ti chiami!»

«Ho ventidue anni».

La sua voce ebbe il potere di congelarlo per qualche secondo.

Era cupa e autoritaria, perfettamente controllata, vibrazione bassa e sonora intrisa di buio. Non vi scorrevano vita, emozioni, pensieri: era un monocorde, infinito abisso di calma morta. Quasi il ragazzino fosse una marionetta mossa da fili invisibili, e parlasse con una bocca che evidentemente non gli apparteneva.

«È questo che ti interessa sapere, non il mio nome. No? Ti sembrava scortese chiedermi subito l’età?»

Gli venne una voglia matta di piegare le sbarre e sbattere quella testolina rossa contro un muro, ripetutamente. Aveva appena fatto la figura dell’idiota, e non era una delle sue attività preferite.

«Come ti chiami?» Ripeté, ignorando la risposta dell’altro detenuto. Quel tipo, comunque, era parecchio strano... sembrava uscito da un film, uno di quei film horror dove il serial killer sembra un tipo completamente normale e tranquillo e poi esplode uccidendo tutti quelli che gli capitano a tiro. Gli dava una sensazione mostruosa, di furia controllata e fuoco che dorme sotto la cenere.

«Sasori Akasuna. Suppongo che adesso ti interessi».

Si sarebbe aspettato che gli chiedesse il suo, di nome. Ma non lo fece.

Si voltò, anzi, quasi si fosse stufato di quella misera conversazione, e si stese sulla branda con un movimento strano, malfermo, totalmente in disaccordo con tutto ciò che Deidara gli aveva visto fare fino a quel momento. Gli sembrò che trascinasse la gamba destra.

«Io sono Deidara Iwa!» Sbottò, senza nemmeno sapere perché. Quando si avvide che le sue parole non avevano prodotto il minimo moto d’interesse in Sasori, staccò lentamente le mani dalle sbarre e, profondamente offeso, si coricò sul materasso digrignando i denti. Odiava, indistintamente, tutti coloro che lo trattavano come una creatura priva d’importanza.

Anche quel Sasori, prima o poi, avrebbe imparato a portargli rispetto.

*

Il cibo della prigione, al contrario delle aspettative, era piuttosto gradevole. Non si parlava di chef d’alta classe o piatti raffinati (quel rancio avrebbe probabilmente fatto inorridire un cuoco professionista), ma gli alimenti erano al più vari e freschi e avevano un sapore decente.

Deidara osservava gli altri detenuti mangiare.

Era uno dei suoi passatempi preferiti – non che vi fosse molto altro da fare, nel braccio della morte – e lo aveva portato, nell’arco di pochi giorni, a capire parecchie cose dei suoi vicini.

Sasori, nella cella di fronte, inghiottiva con garbo piccoli bocconi di cibo, apparentemente senza percepirne il gusto, spesso leggendo un libro che teneva con la mano sinistra. Mangiava senza guardare le pietanze, disinteressato, costretto a quell’atto meccanico per pura necessità fisica, e da quell’atteggiamento controllato emergeva una certa educazione, così come dal fatto che, prima di cominciare il pasto, si premurava di appoggiare la forchetta a sinistra e il coltello a destra del piatto.

Accanto a Sasori, sulla destra, stava un nero alto e largo come un armadio che, in virtù delle sue imprese, tutti chiamavano “Killer Bee”. Era finito nel braccio per pluriomicidio e spaccio di droga, e spesso Deidara lo udiva gemere di dolore, steso tra le lenzuola, a causa dei dolori provocati dall’astinenza. Tuttavia, quando mangiava, sembrava recuperare un po’ della vivacità che un tempo aveva sicuramente posseduto: ingurgitava velocemente tutto quello che si trovava davanti, canticchiando, nel mentre, versi di canzoni rap che Iwa aveva già sentito da qualche parte. Una volta gli parve di riconoscere “Lose Yourself” di Eminem.

L’ultimo ospite del braccio era nella cella accanto a quella di Deidara, che quindi non poteva vederlo. Ogni tanto lo sentiva urlare, però, e sbattere furiosamente contro le pareti della cella come un animale selvatico chiuso in gabbia, oppure, nei momenti di calma, fischiettare imitando con straordinaria abilità i versi di vari tipi di uccelli. Erano concerti, i suoi, che persino i secondini amavano ascoltare, e proprio grazie ai loro complimenti Deidara apprese che il nome del suo vicino era Juugo.

Ad ogni modo, nessuno degli inquilini solleticava il suo interesse quanto Sasori.

Era un tipo silenzioso, e di rado lo si sentiva parlare, ma aveva un modo di fare talmente particolare e interessante da non spegnere mai la curiosità. Più volte Deidara si era domandato perché trascinasse la gamba – cosa che era ben lungi dall’essere una sua semplice impressione – o per quale motivo una persona così apparentemente innocua fosse finita addirittura nel braccio.

Non resistendo più alla curiosità, un giorno glielo chiese.

«Ehi, Sasori...» lo chiamò, piano, aspettando che sollevasse la testa dalla massiccia copia di “Pride and Prejudice” che stringeva tra le piccole mani «... tu com’è che sei finito qui?»

Non sembrò contento di quella domanda. Si rabbuiò – e quella fu, in assoluto, la prima vera espressione che Deidara avesse mai visto comparire sul suo viso – e chinò nuovamente il capo sul libro, come se non l’avesse sentito.

«Se vuoi posso dirtelo io». Fu Iruka, uno dei carcerieri, ad intromettersi. Gli sorrise con il suo solito fare gioviale – era un bel ragazzo alto, con i capelli castani e una cicatrice orizzontale che gli segnava gli zigomi e il naso – e si sedette accanto alla sua cella con estrema naturalezza. Doveva essere noioso anche per loro, quel lavoro: sorvegliare per tutto il giorno quattro individui rinchiusi e relativamente tranquilli aveva i suoi vantaggi, ma non era particolarmente elettrizzante.

«Il nostro piccolo divo, qui, aveva l’abitudine di accogliere in casa sua amici e viaggiatori casuali per poi assassinarli e farli a pezzi. Conservavi solo la... gamba destra? Era la gamba destra, no?»

Sasori annuì, voltando pagina.

«Be’, pensa che a casa sua c’era una collezione di duecentoquindici arti amputati. Questo fa di lui uno dei più grandi serial killer della storia degli Stati Uniti... noi, personalmente, ci chiediamo come abbia fatto a non farsi beccare per tutto quel tempo».

Deidara si chiese cosa sottintendesse quel “noi”.

Noi” forze dell’ordine? “Noi” gente rispettabile? “Noi” buoni?

Qualunque cosa fosse, era evidente che quell’Iruka si riteneva di una pasta completamente differente rispetto ad Akasuna, e ne andava fiero. Deidara si chiese quanti detenuti aveva ammazzato per sbaglio – non capitava di rado che ci fossero morti accidentali – nei suoi lunghi anni di lavoro al carcere. Si chiese come giustificava il suo lavoro di fronte alla coscienza.

Poi, però, la storia di Sasori lo distrasse di nuovo.

«Riceviamo lettere, richieste per interviste e persino per un paio di servizi fotografici. Per fortuna il nostro Hannibal Lecter, qui, non sembra interessato a cose del genere. L’unica richiesta che ci ha fatto, ed è qui da due anni, è di portargli ogni tanto un libro dalla biblioteca del carcere».

Due anni... era comprensibile che avesse chiesto dei libri, altrimenti sarebbe morto d’inedia.

Deidara non era del tutto sicuro di aver compreso per bene le dinamiche dell’assegnazione delle pene negli Stati Uniti, ma gli sembrava strano che un serial killer pluriomicida fosse destinato a passare più tempo in carcere di quanto ne avrebbe trascorso lui.

«Come mi ammazzeranno, Iruka?» Domandò, allungando una mano verso la finestrella e fissando la sagoma della propria mano, in controluce.

«Tre punture. Tre punture e poi non dovrai più preoccuparti dei sensi di colpa».

«Sensi di colpa?» Gli fece eco, con una voce spenta e vagamente graffiante «Non ne ho mai avuti».

Sasori sorrise, scuotendo la testa.

*

Si lavavano insieme, una volta alla settimana.

Li costringevano ad indossare le camicie di forza – Deidara, con stupore, appurò che era davvero impossibile toglierle – e li conducevano per uno stretto corridoio muffito fino ad una stanza dal soffitto basso, umida come una sauna e attrezzata con una decina di docce. Lì potevano sfilare temporaneamente le camicie di forza e lavarsi con i saponi gentilmente forniti dal carcere, sotto la sorveglianza costante dei secondini, senza parlare tra di loro o tantomeno avere contatti fisici.

Fu proprio lì che Iwa scoprì la ragione della strana camminata di Sasori, con quel suo trascinarsi stanco e sgraziato sul pavimento.

Aveva una protesi.

La gamba destra gli era stata amputata circa trenta centimetri sopra il ginocchio, cosicché la pelle vellutata della coscia si presentava ingabbiata in una struttura di plastica brutta e poco mobile. Il moncherino, che Iwa trovò a dir poco splendido, era epidermide martoriata da cicatrici dall’apparenza vecchissima, quasi lattescenti; l’acqua vi scorreva come olio sulla seta, frazionandosi in centinaia di gocce che giocavano sulla tinta madreperlacea della pelle.

Deidara non perdeva mai occasione per fissare quel corpo longilineo e vagamente efebico di Sasori, ma senza farsi scoprire: non voleva che l’altro lo vedesse. Il perché se lo domandava spesso, ma non era ancora riuscito a stabilirlo.

Nessuno di loro trasgrediva mai le regole, a parte Juugo. Quando lo faceva, colto dai suoi scatti di rabbia imprevedibili e repentini, i secondini lo respingevano prontamente a furia di manganellate; sulla sua pelle i lividi fiorivano come enormi fiori violacei dai bordi slabbrati. Deidara cercava sempre di non intervenire.

Una volta, tuttavia, non poté trattenersi.

Si stava godendo per bene la sensazione dell’acqua calda sulla pelle – se pensava che doveva lavar via con un’unica doccia la sozzura accumulata in sei giorni gli veniva da vomitare – quando colse un movimento alla sua sinistra, con la coda dell’occhio. Juugo aveva finito, e si stava dirigendo verso la porta con la sua andatura pesante e mansueta, canticchiando pacatamente una strofa di “Show Must Go On”; doveva essere una delle sue giornate “bene”.

Improvvisamente, però, la sua mole sembrò ripiegarsi su un fianco, e sbandare: scivolato sul pavimento viscido di acqua e sapone, Juugo cadde malamente verso il secondino di guardia sulla porta. E quello, interpretando male quel movimento, spaventato dalla precedente condotta del detenuto, non esitò un momento a picchiargli con violenza il manganello sulla schiena; lo fece ancora e ancora, gridando frasi che Deidara non cercò nemmeno di capire.

Toh, era Iruka.

«Ehi! Ehi, fermo, basta!» Gridò, scattando verso Juugo. Anche Killer Bee accennò lo stesso movimento, ma lui fu decisamente più veloce. Fu per questo, forse, che Iruka interpretò il suo gesto come una minaccia per la propria incolumità.

Prima che potesse frapporsi tra il detenuto e il secondino quest’ultimo gli assestò un colpo alla tempia con il manganello, così forte che per qualche secondo il suo campo visivo sembrò sfocarsi e turbinare. Cadde a terra, il sangue caldo e rosso che gli scorreva da un brutto taglio all’altezza delle sopracciglia, e imprecò.

Quando sollevò lo sguardo, per sincerarsi di vedere ancora con entrambi gli occhi, colse una fugace occhiata di Sasori. Era carica di indifferenza.

«Ehi... scusa». Fece Iruka, sfiorandogli la spalla in un gesto estremamente rischioso. Deidara lo scansò con uno schiaffo, mettendosi in piedi e fronteggiandolo nonostante il timore di qualche altra rappresaglia violenta.

«Non avvicinarti e non mi toccare, idiota. Sono pericoloso, no?»

Impettito, offeso, uscì dal box docce senza nemmeno infilare la camicia di forza.

*

Alla fine, Iruka era semplicemente spaventato. Un povero idiota spaventato.

A questo pensava, Deidara, destandosi il giorno seguente con una fasciatura bianca attorno al cranio. Non si rese conto di cosa lo aveva svegliato, finché un secondino sfrecciò davanti alla sua cella e prese a picchiare furiosamente contro le sbarre di quella di Sasori, gridando come un ossesso e, apparentemente, cercando di scardinarle a mani nude.

Rumore di passi e grida. Ecco perché era perfettamente sveglio, nonostante il pallore della luce che pioveva dalla finestra testimoniasse un orario non proprio ortodosso.

«Che succede?» Borbottò, mettendosi seduto. Nessuno gli rispose, nemmeno il tipo che era arrivato a placcare il primo secondino per impedirgli di svegliare l’intera prigione.

Nel pomeriggio, parlando con Killer Bee, ebbe però occasione di capire quello che era successo.

Iruka era morto, impiccato al lampadario del suo ufficio con un metro a nastro. Il motivo per cui tutti si erano incazzati con Sasori era che quel tipo, prima di allacciarsi la fettuccia graduata attorno al collo e penzolare dal soffitto con un salame, pareva ci avesse parlato per tutta la sera, su invito del detenuto, discutendo di chissà che cosa. Deidara non li aveva sentiti, essendosi addormentato subito a causa dello stordimento e del mal di testa.

Tutti pensavano che Akasuna avesse indotto Iruka al suicidio.

Ad Iwa, stranamente, non interessava.

Se ne stette seduto per terra fino al calare della sera, mormorando con la sua bella voce androgina le strofe e l’assolo di Starway To Heaven, così perso nell’apatia e nell’autocommiserazione da non aver nemmeno voglia di mangiare. Una bella canna, quella sì che l’avrebbe reso felice. E forse gli avrebbe persino fatto dimenticare l’orribile sfregio che quella manganellata doveva aver prodotto sulla sua pelle perfetta.

Un pensiero un po’ futile di cui occuparsi, quando mancano pochi mesi alla propria morte. Eppure, per Deidara, era diventato il centro pulsante attorno al quale convergevano tutte le riflessioni.

Questo, naturalmente, finché una voce fin troppo conosciuta e stranamente intraprendente si infilò nel corso dei suoi pensieri, troncandolo bruscamente.

«L’ho ucciso io».

Occhi nocciola, nella penombra.

«Ah, davvero?» Biascicò, rimirando un ciuffo dei suoi capelli biondissimi e ancora miracolosamente lisci e privi di doppie punte «E come hai fatto?»

«Gli ho parlato». La risposta, accolta con disinteresse, non lo indusse nemmeno a voltare la testa. Non che il suo interlocutore fosse molto più animato di lui.

«E di cosa gli hai parlato? Lo hai indotto a suicidarsi raccontandogli la trama di Beautiful per intero?» Poi ridacchiò, cingendosi le ginocchia con le braccia «Ah, no... nemmeno tu saresti così bastardo da fare una cosa del genere. E poi parli troppo poco».

«L’ho aiutato a pensare».

«Pensare... in che modo?» Si stava interessando. A Sasori le parole andavano estratte con le tenaglie, ma ciò che diceva, forse per il suo sapore enigmatico, eccitava Deidara come il sangue un cane da caccia.

«Quello che faceva. Quello che ha fatto. Quel tipo... il padre lo violentava quand’era piccolo».

Si esprimeva in maniera molto vaga e sintetica, ma Iwa capì comunque; doveva averlo costretto a ricordare quegli episodi, poi aveva risvegliato in lui il senso di colpa per ciò che aveva fatto a Juugo. Chissà come, alla fine, Iruka si era suicidato.

Era semplicemente mostruoso.

«Perché?» Sussurrò lentamente, già conoscendo la risposta, ma volendola ascoltare da quelle labbra sottili che già si insinuavano nei suoi pensieri.

Come aveva previsto, l’altro non rispose. Si limitò a guardarlo, granitico, senza che un solo muscolo del suo volto tradisse la minima sensazione. Bello e malefico come una pianta carnivora.

*

«L’arte è un istante di effimero splendore... l’arte è esplosione!»

«Ti sbagli. L’arte è qualcosa di incantevole che rimane nel tempo... è eterna».

Da parecchie settimane, ormai, quelle frasi riecheggiavano, sempre identiche e sempre nello stesso ordine, tra le pareti del braccio della morte. Sia i secondini che i detenuti si erano – per dirla elegantemente – stufati di udire quelle farneticazioni, ma, un po’ per la paura che Sasori suscitava nel personale del carcere, un po’ per la simpatia che Deidara naturalmente ispirava, evitavano di disturbarli.

Uno psicologo avrebbe trovato la cosa più divertente di un luna park.

«Non esiste l’eternità, le cose si deteriorano. Come può l’arte essere qualcosa di deperibile? No, no, è fugace, è effimera, e scorgerla è privilegio di pochi fortunati... un’esplosione!»

«Un volgare lampo colorato... questa sarebbe la tua idea di arte? Come puoi sminuirla a tal punto, con una connotazione tanto casuale?»

In quel momento, un rumore improvviso interruppe la loro conversazione.

Era un battere di mani leggero e scandito, aggraziato.

Deidara aggrottò le sopracciglia, contrariato; era la venticinquesima volta che tentava di convincere Sasori delle sue tesi sull’arte, ed era quasi sicuro che fosse quella buona. Tra l’altro non gli era mai capitato di venire interrotto proprio sul più bello, proprio quando stava per rispondere con la frase ad effetto che gli avrebbe attribuito la vittoria, e ciò lo irritava.

Quasi come la faccia del tipo che, al centro del corridoio, equidistante da entrambe le file di celle, applaudiva con lo stesso entusiasmo che ci avrebbe messo lui davanti ad uno spettacolo di musica sinfonica. Ovvero... nullo. Pressoché nullo.

Aveva una faccia ordinaria, smorta e floscia, eppure ancora giovane; la pelle era grigiastra, poco curata, così come i suoi capelli, lunghi e raccolti in una coda di cavallo bassa e parzialmente sfatta. Gli stessi occhi, di un nero intenso, pure non trasmettevano alcuna forza, e parevano quelli di un topo: intelligenti, sì, ma acquosi e viscidi. Sul naso inforcava un paio di occhialini metallici con le lenti tonde; indossava dei pantaloni neri e un pullover bluastro sopra una camicia grigia, per Deidara segni inequivocabili dell’iniquità che già traspariva da ogni particolare del suo aspetto.

«E tu chi saresti, Mickey Mouse?» Esclamò, aspro, guardando dritto in faccia il nuovo arrivato.

«Kabuto Yakushi. Sono un virologo, molto piacere. Tu devi essere Deidara Iwa, e tu... Sasori Akasuna». Il tono era così viscido e intriso di falsa cortesia che Deidara fece una smorfia, provando l’istinto improvviso di allontanarsi da quel tipo.

«E che ci fa un virologo in un carcere? Si è diffusa un’epidemia di peste?»

Kabuto Yakushi non rispose, limitandosi a rivolgergli un’occhiata sorniona, forse persino compiaciuta. Il suo sguardo corse sul corpo giovane e forte del detenuto, sul suo sguardo pieno di energia e sulla rabbia che ne deformava i bei lineamenti..

«Che soggetti interessanti...» commentò, prima di voltarsi e sparire oltre il campo visivo di entrambi i detenuti. Ascoltarono il riecheggiare dei suoi passi per tutto il corridoio, poi anche quell’ultima traccia sparì.

«Idiota». Sibilò Deidara, gettandosi sulla brandina a peso morto.

«È pericoloso». Fu il sussurro di Sasori, che, stranamente, teneva gli occhi ben fissi nella direzione in cui se n’era andato Kabuto. Di fronte a quella manifestazione evidente di interesse, le viscere di Iwa sembrarono contrarsi in un unico, dolorosissimo movimento.

Schiacciò la testa dal materasso, cercando di scollegare la mente, dimenticare ogni pensiero.

Non sarebbe stato così facile, nei giorni successivi.

*

Kabuto, ogni giorno, si piazzava nel bel mezzo del corridoio con una sedia pieghevole e rimaneva lì fino al tramonto, appuntando chissà cosa su un block notes che aveva sempre appresso.

Alla lunga quel comportamento cominciò a passare inosservato, e nessuno dei detenuti ci fece nemmeno più caso; nemmeno i diretti interessati sembravano avvedersi della presenza di quell’omino grigio, e parlavano, come sempre, di arte che è esplosione e cosa eterna insieme.

Finché, un bel giorno, il dottor Yakushi non si decise ad uscire dal proprio – fittizio – anonimato.

Arrivò di mattina presto, come al solito, sotto il braccio un plico sottile di fogli fittamente scritti. Sistemò la sedia a pochi centimetri dalla cella di Deidara e si sedette con calma, appoggiando il proprio carico sulle ginocchia.

Iwa, come di consueto, fece tre passi indietro e si sistemò a ridosso della parete di fondo della cella, il più lontano possibile da quell’uomo.

«Allora, Deidara Iwa,» esordì Kabuto, a bassa voce «forse ti sarai chiesto come mai ultimamente sia venuto così spesso a fare visita a te e al tuo amico. Il motivo è molto semplice: siete stati selezionati, in base alle vostre caratteristiche fisiche e soprattutto psicologiche per aderire ad un nuovo programma di ricerca sponsorizzato e finanziato dalla società Gentek, per cui lavoro. Se accetterete di aderire al programma, la vostra pena di morte verrà... dimenticata. Una volta che sarà tutto finito, potrete tornare liberi e costruirvi vite nuove. Sotto falsa identità, ovviamente».

Quella storia puzzava di bruciato. Perché mai avrebbero dovuto dare la possibilità a gente come loro di salvarsi? E perché, poi, proprio lui e Sasori erano stati scelti, rispetto a Killer Bee o Juugo?

«E su cosa sarebbe ‘sto programma di ricerca?» Domandò, ghignando «No, perché non ci tengo a crepare per colpa di qualche virus sconosciuto. Preferisco l’iniezione, se proprio devo scegliere».

«Si tratta effettivamente di un programma di ricerca sui virus, ma non nel senso a cui stiamo pensando. La mia società ha scoperto da qualche anno l’esistenza di particolari virus mutagenici che, se iniettati in un organismo umano, possono accelerare il rinnovamento delle cellule e, addirittura,» e qui scoccò un’occhiata a Sasori, di sottecchi «far sì che parti del corpo perse o distrutte si rigenerino completamente. Sono le cellule staminali del futuro, Deidara».

«E perché proprio noi?»

«Se ti riferisci al fatto che siete dei carcerati in attesa dell’esecuzione, posso dirti che non molte persone, là fuori, hanno voglia di sottoporsi per hobby ad esperimenti che, pur non avendo mai causato problemi, ammettono un minimo margine di rischio. Se invece parli, nello specifico, di te e del tuo amico, ho valutato personalmente la vostra idoneità psicologica al nostro progetto, oltre, naturalmente, al vostro DNA...»

«E come l’avresti ottenuto? Il DNA, intendo...»

«Vi cambiano le lenzuola una volta a settimana, non è difficile procurarsi un capello».

Sorrise, sempre con quella sua espressione compiaciuta, intrecciando le dita sulle gambe accavallate. Si aspettava che accettasse ad occhi chiusi, forse?

«Naturalmente, non c’è nessun obbligo da parte nostra. Non dovete partecipare, se non volete...» detto questo, prese il primo dei fogli in cima alla pila e lo porse a Deidara, che si alzò il piedi per afferrarlo. Era un contratto, pieno di parole troppo difficili che Iwa non era sicuro di riuscire a capire. In fondo, una riga continua nera su cui avrebbe dovuto apporre la propria firma per autorizzarli ad usarlo come una cavia da laboratorio.

«Di’, mi hai preso per un imbecille?! So come vanno queste cose: tra qualche settimana sarò morto di chissà cosa in un laboratorio sterile, direte a tutti che la pena di morte è stata eseguita come da programma e il mio cadavere finirà in un sacco in qualche inceneritore. Virus mutagenici... roba interessante per un film di fantascienza, forse, ma non aspettatevi che vi creda».

«Quindi rimarrai qui? Il ventuno dicembre arriverà, prima o poi».

«So di non poter fermare il tempo, Mickey Mouse, ma preferisco sapere in anticipo come morirò». Replicò, sprezzante, guardando Kabuto con orgoglio.

«Come desideri. E per quanto riguarda te, Sasori Akasuna?» Si voltò, stavolta senza sorridere «Hai ascoltato, no? Accetti la mia proposta, oppure no?»

Sasori non sollevò nemmeno gli occhi dal libro che stava leggendo, segno che l’interlocutore gli risultava fastidioso ai limiti dello sgradevole. Tuttavia, dopo aver rimuginato qualche secondo, rispose con garbo.

«Ha parlato di rigenerazione... la mia gamba, con questi virus, potrebbe tornare quella di prima?»

Deidara si irrigidì, scattando immediatamente verso le sbarre. Era assolutamente convinto che anche Sasori, come lui, si sarebbe categoricamente rifiutato di tentare quella pazzia, troppo intelligente e pacato per lanciarsi in imprese sconosciute, ma quella frase lo aveva fatto ricredere su tutti i propri pensieri. Non aveva minimamente sospettato che una creatura indifferente e fredda come Akasuna potesse essere interessata ad una proposta del genere solo per riprendersi la gamba.

Per dire la verità, non aveva nemmeno considerato che quella mutilazione potesse costituire un trauma, per Sasori. Nulla sembrava toccarlo, allora perché quello avrebbe dovuto...

“...aveva l’abitudine di accogliere in casa sua amici e viaggiatori casuali per poi assassinarli e farli a pezzi. Conservavi solo la... gamba destra? Era la gamba destra, no?” Gli tornarono in mente le parole di Iruka. Si aggrappò alle sbarre con entrambe le mani, in piedi, rivolgendo ad Akasuna un’occhiata disperata e pregando che non facesse la cazzata di accettare la proposta; si diede dell’idiota: se era giunto ad uccidere, se era giunto alla follia per quel motivo, come poteva sperare che rifiutasse la possibilità, anche se minima, di rimettere tutto a posto?

«Va bene». Ripose Sasori, e Deidara lasciò che il suo corpo scivolasse a terra. Spalancò gli occhi, incredulo, e guardò la mano piccola e femminea di Akasuna che vergava una firma elegante e distinta alla base del foglio.

«Ehi, no! Che ti passa per la testa, sei diventato scemo! Questi ti ammazzeranno e non daranno mai...»

«Zitto». Lo mise a tacere con un’unica parola, pronunciata appena più forte del solito «In ogni caso, so cosa mi aspetterebbe se rimanessi qui».

Kabuto sorrise, ricomponendo i fogli e mettendoseli nuovamente sotto il braccio. Salutò entrambi con un mezzo inchino, poi fece per andarsene.

«A quanto pare, qualcuno qui è ancora dotato di raziocinio...» lo sentì sussurrare, Deidara, prima che il suo autocontrollo si disintegrasse del tutto e cominciasse a picchiare contro le sbarre nel tentativo di attirare l’attenzione del virologo. Non seppe mai perché lo fece, ma in quel momento era così forte la rabbia che sentiva, come fiamme che lo lambivano dappertutto, improvvise e voraci, che non seppe trattenersi.

Qualcosa, da qualche parte nella sua cassa toracica, stava sanguinando. Lo stesso qualcosa che gli stava urlando disperatamente di non lasciare che Yakushi se ne andasse, di evitare che Sasori si buttasse nel baratro da solo. Deidara poteva solo obbedirgli, senza comprendere chi gli stesse facendo quelle imposizioni; non era mai stato abituato ad ascoltarlo. Eppure, nel dolore e nell’ansia che, improvvisi, gli martellavano nella testa e nei polmoni, comprese di star facendo uno sbaglio, forse persino il più grosso sbaglio della sua vita.

Gli bastò un’occhiata di sfuggita ad una sagoma dai capelli rossi accoccolata sulla propria branda, un libro in grembo, che quella consapevolezza si frantumò e perse di significato, così come i respiri spezzati che gli fuggivano dalla bocca.

Nulla ebbe più senso per lui, se non il pensiero mostruoso che andava formandosi nella sua mente.

«Fermati! Fermati, Mickey Mouse! Ci ho ripensato! Dammi quel cazzo di foglio, muoviti!» Gridò, fuori di sé. Kabuto si voltò verso di lui e sorrise, e Deidara vede l’ombra di una vipera dietro quella falsa allegria; per l’ultima volta, ebbe la possibilità di rimangiarsi tutto e sedersi sulla branda, lasciando che Sasori andasse a farsi ammazzare in un laboratorio e aspettando la sua esecuzione. Poteva scegliere quella strada, ma non lo fece.

Quando firmò la sua mano tremava, malferma. Scosse la testa, concentrandosi unicamente sull’inchiostro nero che fluiva sulla carta bianca; ascoltò i complimenti di Kabuto, vaghi rimbombi nelle sue orecchie ormai ottuse e incapaci di interpretare correttamente quanto sentiva, poi strisciò all’indietro e si appoggiò alla parete di fondo.

Per la prima volta dopo anni ed anni in cui i sentimenti avevano danzato attorno a lui come sagome prive di definizione, un senso di dolore indicibilmente violento lo colpì alla testa, allo stomaco, al cuore. Si sentì mutilato, distrutto e stupido, debole come un bambino abbandonato dai genitori, e un pizzicore conosciuto, che gli ricordava soltanto episodi remoti della sua infanzia, lo colse alla gola prima che si mettesse a piangere. Erano amare come il fiele, le lacrime, e trattenne i singhiozzi mordendo le labbra a sangue. Non voleva che Sasori lo sentisse.

«Perché?» Quella voce gli giunse come da un mondo lontano, e la immaginò carezzevole e dolce più di quanto in realtà non fosse. Era stato Sasori a parlare, ma lui pensò che a fargli quella domanda fosse stata sua madre, suo padre, Mizuki, Iruka, Killer Bee o qualsiasi altra persona avesse incontrato in vita sua. “Perché?” Gridavano, tirandolo per i capelli e strappandogli via il cuore e il cervello, affamati del suo sangue, affamati del suo dolore. Che continuassero, lui non lo sapeva; erano troppi i “perché” della sua vita ai quali si trovò incapace di rispondere, in quel momento, erano troppe le domande da cui sarebbe volentieri fuggito e che invece gli si affollavano nella testa, sempre più maligne, sempre più pericolose.

Chiuse gli occhi, premendosi le mani sulle orecchie, ma non funzionò. Quelle voci non si zittivano.

Sasori, perfettamente immobile al suo posto, lo guardò piangere in silenzio.

*

Deidara cercò di ricordare se fosse nato legato ad un tavolo oppure no.

Non riusciva a ricordare che il freddo del metallo e luce verde che gli pioveva negli occhi, così intensa da accecarlo. Il suo passato, benché non l’avesse dimenticato, sembrava chiuso in un cassetto sigillato: poteva cercare di aggrapparsi a quelle esperienze, di pensare a quanto fossero gradevoli la luce del sole, il vento sul viso e persino l’umidità soffocante delle docce nel carcere, ma non riusciva a rievocare che fotogrammi sbiaditi, che non sembravano nemmeno appartenergli.

Tutto faceva male, tranne il cuore.

Avevano spezzato il suo corpo, distrutto e sfibrato ogni nervo e ogni muscolo; il suo cuore, però, era come morto. Sasori non esisteva più, le voci non esistevano più, la vita non esisteva più, persa nel colore fluorescente della lampada che gli tenevano costantemente puntata contro, come per torturarlo.

Eppure, sarebbe bastato poco per liberarsi...

I legacci che lo costringevano attorno al tavolo erano robusti e spessi, di nylon, eppure sapeva di poterli spezzare. Era cambiato, i suoi sensi si erano fatti più acuti e percepiva una forza nuova farsi strada dentro di lui, nell’odore del suo sangue; poteva udire rumori infinitesimali come il lento strisciare dei topi nell’intercapedine, quattro piani sopra il suo, e le grida delle altre cavie gli rimbombavano nelle orecchie come amplificate, inascoltabili. Quelle vibrazioni non facevano che scuoterlo, giorno e notte, impedendogli di dormire. Istupidito, solo, perso nell’abisso di un’inconsapevole follia, Deidara lasciava che le figure scure (non riusciva a registrarli come medici, anche se sapeva benissimo che lo erano) gli infilassero aghi nel braccio e sonde in ogni parte del corpo. Non si era nemmeno ribellato quando gli avevano tagliato i capelli.

Arrancava nell’incubo con mestizia, sperando che quella luce prima o poi si spegnesse, anelando il calore del sole e la comodità dell’erba su cui sdraiarsi, invece di quel freddo giaciglio di metallo.

Eppure, anche in quella situazione gli capitò di trovare un po’ di felicità.

C’era un’infermiera, di cui non sapeva nemmeno il nome, che, al momento di lavarlo e cambiarlo – neanche fosse un neonato, o comunque una creatura incapace di badare a se stessa – gli sussurrava cose gentili e carine. Gli diceva che i suoi occhi erano dello stesso colore del cielo, che i suoi capelli così corti e tagliati male lo facevano somigliare ad un pulcino spettinato e altre dolcezze simili, cosicché lui poteva socchiudere le palpebre per qualche secondo e immaginarsi di stare tra le braccia di quella donna senza un pensiero al mondo, magari sotto un albero, a guardare gli aeroplani che gli passavano sopra la testa. In passato aveva odiato quel genere di cose con tutto se stesso – le aveva definite inique, per sempliciotti, eppure avrebbe dato qualsiasi cosa anche solo per dei momenti come quelli.

Lo amava, forse, ma lui non fu mai capace di fare altrettanto. Non riusciva ad amare nulla, in quel periodo.

L’infermiera gli parlava anche dei fatti che accadevano nel mondo, e del perché lui fosse lì.

«Dobbiamo combattere Zeus». Ripeteva, in continuazione, bagnandogli le labbra con una spugna umida «Dobbiamo impedire che faccia ancora del male. È una creatura molto malvagia, e non vogliamo che Manhattan sia uno specchio di ciò che accadrà nel resto del mondo».

Deidara non aveva idea di chi fosse “Zeus”, ma se lo stavano torturando in quel modo soltanto perché volevano che ci combattesse, potevano star sicuri che non l’avrebbe fatto; fosse pure il peggiore dei criminali, uscito di lì si sarebbe alleato con lui.

Perché sarebbe uscito, giusto?

«Sarai forte contro di lui, Seiryu». “Dragone azzurro”, Seiryu. Perché lo chiamasse in quel modo era un mistero, ma gli piaceva la sua voce carezzevole mentre pronunciava quelle parole; gli davano la speranza di rivedere il mondo, un giorno.

E fu proprio l’infermiera, il cui nome non seppe mai, a sciogliere le catene che lo tenevano avvinto a quell’inferno.

A posteriori, Deidara apprese che i capoccia della Gentek, visti gli scarsi risultati del programma, e visto che era stata trovata una cavia la cui compatibilità genetica con il virus poteva dirsi superiore a tutti i casi esaminati fino a quel momento, avevano deciso di fare piazza pulita e uccidere tutti i soggetti contaminati che facevano parte del progetto. Qualche ora prima che i laboratori sterilizzati in cui vivevano venissero dati alle fiamme, l’infermiera entrò di corsa nella sua stanza, il respiro accelerato e le mosse tremanti di chi sta infrangendo una regola per la prima volta in vita sua.

Gli staccò la flebo con un colpo secco e spense la lampada verde.

Il mondo di Deidara si riaccese improvvisamente. Nel momento in cui l’effetto del calmante si annullò, fagocitato dal suo corpo, fu improvvisamente capace di distinguere le forme e i colori della stanza in cui era stato rinchiuso fino a quel momento. Disgustato, osservò quell’ambiente candido, dal soffitto alto, buio e ingombro dei macchinari che erano serviti per monitorarlo e tenerlo in vita in quelle settimane. Poi guardò la sua salvatrice, voltando appena la testa sul tavolo.

Appena il tempo di registrare l’immagine di una ragazza bella, con gli occhi verdi e i capelli castano rossicci in totale disordine, che già l’aveva dimenticata. Non gli interessava più, perché quella chioma fulva aveva risvegliato in lui ben altri ricordi.

Anche Sasori doveva essere lì, e lui l’avrebbe trovato.

Doveva andarsene immediatamente.

Si tirò a sedere come se fosse stata la cosa più semplice del mondo, senza avvertire il minimo dolore (il che era strano, per qualcuno che era rimasto settimane nella stessa posizione) e avvertì un calore strano, anomalo, scorrergli sottopelle e rinvigorirlo. Si sentiva incredibilmente forte.

Saltò giù dal lettino e volò verso la porta. Alle sue spalle l’infermiera gridò qualcosa, ma lui non la udì nemmeno. Poteva dire con estrema precisione quante persone ci fossero nelle stanze e nei corridoi attorno a lui, e, anche se questa nuova capacità gli diede all’inizio una sensazione stranissima, ci mise pochi secondi a metabolizzarla; comprese che si trattava delle vibrazioni che le persone emettevano camminando sul terreno: le sentiva propagarsi nel terreno, e identificava approssimativamente la stazza e il sesso di chi le produceva. E tutto per istinto, come se quell’abilità gli fosse appartenuta da sempre.

Poi, dopo qualche secondo di ascolto, riconobbe i suoi passi. Lo seppe da subito, ma volle aspettare ancora qualche secondo per accertarsi di non aver preso un abbaglio: perché, se quella camminata sicura eppure leggera non gli dava alcun dubbio, non coglieva però lo strisciare penoso della gamba destra, a cui era abituato. Dovevano aver esaudito il suo desiderio, pensò con un sorriso amaro.

Scattò nella direzione giusta, e si accorse solo in quel momento di quanto fosse veloce e agile. Si sentiva sciolto e leggero come mai gli era successo prima, privo di quella pesantezza umana che, in quel momento se ne rese conto, aveva sempre impacciato i suoi movimenti. Si fermò davanti ad una porta bianca e l’abbatté con un calcio, perfettamente conscio di cosa avrebbe trovato al suo interno e febbricitante per l’emozione.

La vista di Sasori in piedi al centro della stanza gli fece quasi venire le vertigini.

Eretto, come una statua viva, lo fissò con i suoi occhi nocciola, fattisi ancora più grandi per via del dimagrimento intenso che segnava le sue guance e le ossa, ora sporgenti, dei polsi sottili. Non lo avevano legato, forse ritenendolo sufficientemente tranquillo, o forse capendo che sarebbe stato del tutto inutile: Sasori non era Deidara, Sasori non si sarebbe mai lasciato abbattere e domare da nessuno.

«Per-» forse voleva chiedergli “perché”. Deidara lo baciò prima che potesse finire la parola.

Lo strinse con violenza animale, toccando quel corpo minuto con tutta la foga che aveva rinchiuso e trattenuto nelle settimane di carcere e la nostalgia che riaffiorava, seppur confusa, dai giorni di tortura. Si avventò sulle sue labbra perché sapeva che lui non l’avrebbe respinto, e fu accolto da una bocca calda e morbida che, per qualche attimo, gli fece dimenticare completamente il motivo per cui era lì e anche il pericolo che incombeva sulle loro teste. Giocò con la sua lingua e godette di quel contatto intimo come non gli era mai capitato con nessuno, prima, pieno di un sentimento innominabile che gli infondeva energia e gli faceva bruciare il petto e la testa.

«Come mai sei qui?» Sussurrò Sasori, a pochi centimetri dalle sue labbra, quando si separarono.

«Sono libero. Dobbiamo andarcene».

«Perché?»

«Hai riavuto la gamba, no? Non venirmi a dire che questo posto ti piace».

«Lo odio». Mormorò, precedendolo attraverso la carcassa della porta sfondata.

In quel momento, un allarme risuonò per il corridoio.

«Cazzo, si sono accorti che quella mi ha fatto scappare... muoviamoci!»

Poteva sentire i passi di una moltitudine di gente che correva nella loro direzione, per cui afferrò Sasori per un braccio e si lanciò in avanti, sperando con tutto il cuore che ci fosse più di un accesso ai piani superiori. A quanto pareva, però, non era il solo ad aver avuto la brillante idea di svignarsela: dopo qualche secondo udì delle grida altissime, maschili, e degli spari, subito seguiti da una modesta esplosione nelle stanze alle loro spalle.

Fortunatamente, riuscirono a trovare delle scale antincendio che conducevano verso l’alto. Le imboccarono e risalirono attraverso vari piani seminterrati, fino a sbucare in un ambiente che, grazie ad una piccola finestra, veniva parzialmente illuminato da quella che, inequivocabilmente, era la luce del sole al tramonto. Deidara avvertiva i passi sulle scale di ferro, poco sotto di loro, e, anche se gli sembravano un po’ troppo leggeri e veloci per appartenere ai normali, preferì evitare comunque di fidarsi. Diede un calcio poderoso al muro, che si spaccò ed esplose verso l’esterno con un rumore che gli fece spuntare un sorriso felice; non rimase particolarmente sorpreso: seguiva semplicemente l’istinto, e tutte le sue azioni gli apparvero in quel momento estremamente naturali.

E poi, c’era il paesaggio.

Una brulla distesa di cespugli e sterpi, resi rossastri dalla luce del tramonto, che in  quel momento gli parve più bella di quel “Grand Canyon” che i suoi lo avevano portato a visitare quando aveva otto anni. Poco lontano c’era un gruppo di colline piuttosto alte, sulle quali spuntava qualche sporadica macchia di alberi.

Deidara guardò al crinale come un conquistador all’Eldorado.

«Ce l’abbiamo fatta, siamo liberi!» Esclamò, afferrando Sasori per il polso.

E forse fu il riverbero d’oro rosso che giocava con i capelli di Akasuna, trasfigurandoli in volute di fiamme dai colori cangianti, o forse il profumo insperato di quell’aria fresca e secca, ma in quel momento a Deidara sembrò di provare una sensazione mai sperimentata prima, che gli scaldava il cuore e ripuliva la sua mente dai pensieri negativi, lasciandolo lucido e pronto all’azione.

Forse non completa (non sarebbe mai potuta essere tale, non con il suo passato), forse non lecita, ma si trattava indiscutibilmente di felicità.

*

Erano rinchiusi là dentro in cento.

Ne sopravvissero otto.

Si incontrarono sul crinale, nell’ultima luce del crepuscolo. Dallo stabile dei laboratori si levavano fiocchi di fumo scuro e urla di esseri umani, evidentemente impegnati a spegnere gli incendi. Ancora poco, e avrebbero cominciato a dar loro la caccia.

Abbandonando la contemplazione di certe piaghe violacee che gli si stavano formando sui palmi delle mani (non sembrava fossero purulente e non facevano male, ma avevano comunque un pessimo aspetto), Deidara lanciò un’occhiata veloce, per l’ennesima volta, al semicerchio di persone che lo circondava. C’era Sasori, ovviamente, e poco discosti un ragazzo con i capelli di una tinta assurda – arancione – e quella che doveva essere la sua fidanzata, nonché unica donna del gruppo; e poi quattro altri uomini, uno dei quali poteva vantare la faccia di due colori diversi, come un grottesco yin-yang umano. Gli altri erano troppo in ombra perché potesse vederli bene, ma sembravano tipi abbastanza imponenti.

La cosa gli piacque, e non poco.

«Allora, siamo gli ultimi rimasti?»

«Sì. I soli».

Non si curò di chi gli aveva appena risposto. La sua, in fondo, era praticamente una domanda retorica.

«E non abbiamo dove andare. Oh, a meno che qualcuno di voi abbia in mente un posto dove andare...» si guardò in torno. Nessuno di loro aveva la minima voglia di separarsi, non dopo quello che tutti dovevano aver passato. L’unione fa la forza, e in quella situazione erano più i loro istinti ancestrali a guidarli, che il raziocinio vero e proprio.

«Perfetto. Che ne dite di un viaggetto a New York?»

«Perché proprio a New York? Chissà quanto è lontana da qui...»

«Non troppo per noi. Nessun posto è troppo lontano per noi, adesso. La ragione per cui pensavo di andare a Manhattan è che il motivo per cui siamo stati creati è combattere un simpatico tizio che sta combinando parecchi casini laggiù». Poi sorrise, invitante. Se quei tizi non avessero avuto intenzione di seguirlo, che si fottessero. Lui e Sasori avevano già concordato quella meta.

«E vuoi andare a buttarti nella tana del lupo?»

«Nemmeno per sogno. Ma sono curioso di sapere cosa sta succedendo... voi no? Pensateci, se sono stati capaci di creare delle armi biologiche come noi per questa storia, significa che a Manhattan sta succedendo qualcosa di grosso. Significa che qualcuno laggiù sta scrivendo la storia dell’America, forse del mondo intero... e voi avete intenzione di volatilizzarvi e mettervi a lavorare in un fast food, quando avreste la possibilità di andare laggiù e assistere? È come per i concerti: dovete decidere se guardare il DVD a casa vostra, col culo sul divano, oppure buttarvi nella folla del parterre. Io, per quanto mi riguarda, ho già deciso».

«Non avrebbe comunque senso cercare di vivere normalmente,» disse la ragazza, con un tono tranquillo e profondo che a Deidara piacque subito «non con il nostro passato. Eravamo carcerati, assassini o trafficanti famosi, e non ci vorrà molto prima che qualcuno ci riconosca. E poi, non so spiegarlo, ma... è come se qualcosa mi stesse chiamando. So che voglio andare a New York».

«Perfetto! In questo caso, partiamo subito... gli scienziati, lì, o come volete chiamarli, ci metteranno un po’ per riorganizzarsi, ma è meglio non farci trovare nel momento in cui saranno pronti a combattere».

Sorrise, Deidara. Sorrise perché sentiva che da quel momento sarebbe andato tutto meravigliosamente, perché sperava che non vi fossero orrori pari a quelli che aveva vissuto da nessun’altra parte del mondo.

Sorrise perché sapeva che quella volta ce l’avrebbe fatta.

Nulla e nessuno avrebbero potuto più sconfiggerlo.

 

***

 

«Sono a caaaasa!» Zeus si calò nella botola, esibendo uno di quei sorrisi radiosi che sono tipici di chi è particolarmente di buonumore. Dopo i pasti era sempre così: al surplus energetico seguiva un surplus di allegria e baldanza che Deidara aveva sempre definito come “l’evento più bello a cui abbia mai assistito a parte quella volta che Sasori è scivolato in un tombino”, e che per questo lo faceva sentire più bello e fiero di sé che mai. E poi, anche se questo difficilmente l’avrebbe ammesso, alla base c’era... Sasuke.

Voleva i suoi occhi neri, ne aveva bisogno. E, per quanto i suddetti occhi potessero rivelarsi terribilmente incazzosi e lanciare occhiatacce di cui a volte stentava a comprendere il motivo, sentiva di amare il modo in cui lo guardavano quando l’Uchiha credeva che lui non se ne accorgesse.

Si diresse con passo baldanzoso verso il salotto, senza accorgersi dello strano silenzio che riempiva il corridoio. Vista la presenza sia di Sasuke che Deidara, qualche rumore sarebbe dovuto esserci; eppure il Prototype non vi fece caso, non quella volta. Voleva fare assolutamente pace con Sasuke, e quell’unico pensiero lo teneva completamente occupato.

La porta del salotto cedette docilmente, sotto la sua spinta. Era già aperta.

«Ehi, Sas’ke! Senti, ci ho pensato un po’ e cr-»

La voce gli morì in gola.

Vide il sangue.

Sgranò gli occhi, fece saettare le pupille da una parte all’altra della stanza.

Vide Sasuke.

Non lo riconobbe, all’inizio. Fu quando ebbe emesso un mugolio che riuscì a registrare la sua presenza, ma non si mosse. Come immerso in una strana catatonia, poi, si avvicinò all’Uchiha e lo scosse leggermente, sporcandosi la mano con il sangue di cui era intrisa la sua maglietta; ma Sasuke non se ne accorse nemmeno.

Ridacchiò, senza sapere bene il perché. La voce gli usciva in singulti strozzati, le parole erano difficili da compitare. Eppure ce la fece, doveva farcela: sentiva che, se non avesse detto nulla, quel silenzio intollerabile lo avrebbe ucciso.

«Su, Sas’ke, non giocare... n-non è divertente...» balbettò. Ma Sasuke non rispose.

Perché non rispondeva?

Perché non rispondeva?

E cos’era tutto quel sangue? Perché non si alzava in piedi e non glielo spiegava lui?

«E p-poi cos’è tutto questo cas-»

Per la seconda volta si interruppe.

Vide Deidara.

O, per meglio dire, quello che ne restava.

Cadde in ginocchio, incapace di interpretare quello che vedeva. La sua stessa anima era annegata in un baratro di disperata incredulità.

Poi i suoi occhi lo costrinsero a vedere.

Annaspando, senza ossigeno, arrancò a quattro zampe verso ciò che troneggiava al centro del pavimento. Il sangue era scivoloso, puzzava, e gli rimaneva incollato addosso e lo sporcava senza che lui potesse far nulla. Prese la cosa tra le mani, guardandola con gli occhi dolorosamente spalancati, le pupille riempite dall’immagine di un viso contratto e deformato da un’orribile smorfia. Le iridi azzurre, così simili alle sue, lo fissavano con’espressione priva di vita, spenta; i capelli biondi erano rossi di sangue.

Era la sua...

La sua...

Scosse il capo, paralizzato. Lentamente, lo sguardo fisso nel vuoto, incapace di fare altro movimento, se la portò al petto, abbracciandola. Proteggendola. La testa di Deidara.

Urlò.

Urlò così forte da lacerarsi la gola e i polmoni, da comprimere la cassa toracica e schiacciare il cuore. Il cuore, che sanguinava del dolore più totale e profondo che sia concesso provare ad un essere umano, che sembrava volerlo ammazzare tanto faceva male.

E non fu un grido umano, il suo, e nemmeno animale.

Fu un lamento così acuto e prolungato, così forte e disperato e terribile e vibrante, da non somigliare a nulla che fosse stato udito nel mondo sino a quel momento. Puro dolore, pura disperazione, fusi in un ululato stridente, inascoltabile, tanto che persino Sasuke, nella sua agonia, ebbe l’impulso di coprire le orecchie.

Il pianto non già di un umano, ma di un demone.

 

***

 

Lo udirono anche in città.

Pain, Konan, Sasori, Kakuzu, Hidan e Zetsu, e tutti i militari che stazionavano per le strade.

Scosse i palazzi, fece tremare i vetri, si infranse contro gli alveari ed essi ribollirono, svegli come mai erano stati dall’inizio dell’epidemia. Gli umani si guardavano intorno spaesati, sconvolti da quel suono terrificante che sembrava non avere mai fine, e che recava la cupa ombra di una rabbia e di un odio che atterrivano e confondevano chi l’ascoltava. I cacciatori guairono e mugolarono, stringendosi tra di loro e guardandosi intorno spauriti, presaghi di qualcosa di orrendo; gli infetti caddero a terra in preda alle convulsioni, perché troppo era il dolore che esplodeva nei loro crani, ottundendo qualsiasi altra percezione.

La Madre, nel suo rifugio, serrò le mani attorno alla sua testa.

Percepiva un dolore folle, inconcepibile; quel male era parte di lei, parte della sua carne, e non poteva sottrarvisi neanche volendo: sopportò fino all’ultimo, graffiando il cuoio capelluto e strappando i capelli tra mugolii di prostrazione, poi non ce la fece più.

Il suo grido si perse in quello di Zeus, smorzandosi.

 

***

 

Temari credé che i timpani le sarebbero scoppiati.

Premette i palmi sui padiglioni auricolari, eppure la potenza del suono non accennò a diminuire. Era come... era come sentirlo nella testa, come se qualcuno le avesse infilato nel cranio una pietra incandescente. Con le lacrime che le pizzicavano gli occhi, lanciò un’occhiata veloce a Sai e Shikamaru, nelle sue stesse condizioni. Il primo, in particolare, era così pallido che la ragazza temé potesse svenire.

Gaara era diverso.

All’inizio aveva tirato anche lui su le mani, per proteggersi, poi si era lasciato completamente andare contro la parete, socchiudendo gli occhi in un’espressione estatica che sembrava quasi voler contraddire quelle dei suoi compagni. E rideva, anche, singhiozzando ogni tanto con la cupezza che gli era solita.

L’urlo non digradò fino a sparire dolcemente, no.

Si interruppe all’improvviso, così com’era cominciato.

Gli occupanti della stanza si guardarono in viso con espressioni perplesse, chiedendosi l’un l’altro – anche se senza parole – cosa fosse successo. Il primo a parlare, e quello che sembrava aver recuperato più autocontrollo, fu Shikamaru.

«Va... va tutto bene?»

«Sì...» soffiò Temari, strattonandosi nervosamente uno dei quattro codini «... anche se vorrei tanto sapere che cazzo è successo. Cos’era quel... quel...»

«Grido...» sussurrò Gaara, perso nella contemplazione del vuoto, le iridi come acquemarine occhieggianti sulla soglia della follia.

«A te n-non ha fatto male?» Chiese Sai, visibilmente preoccupato dallo strano comportamento del ragazzo.

«Voi non potete capire...» il sussurro si fece più forte e intenso, quasi accalorato «... voi non l’avete sentito come l’ho sentito io. Era l’angoscia divorante, era la disperazione più nera e cupa che abbia mai provato in tutta la mia vita. Un turbine di sentimenti così schiaccianti non possono provenire che da un dio... oh, Cristo...» ridacchiò, ricacciando indietro un singulto d’esaltazione «... quella era furia divina. Nessuno si salverà, quando la follia avrà preso il sopravvento».

 

Ho sentito le urla più brutte del mondo”.

 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

_Angolo del Fancazzismo_

Oddio, non ci credo. Ce l’ho fatta.

Vi confesso che questo capitolo è la cosa più faticosa che abbia mai scritto in vita mia. Sono ventidue pagine, vi rendete conto? Il triplo di un capitolo normale, ed è quasi tutto flashback, e quasi tutto dedicato a Deidara.

Che, come avrete capito, ha fatto la sua parte, in Prototype. E mi dispiace, sul serio.

Era uno dei miei personaggi preferiti, sia nell’originale che come caratterizzazione, ed è stata una tortura scrivere della sua morte. Non volevo, in un certo senso mi ci ero affezionata molto. Però doveva necessariamente morire, fondamentalmente perché rubava troppo spazio agli altri personaggi e mi impediva di caratterizzare decentemente parecchia gente. Oddio... sono cretina se mi commuovo, vero?

Vabbeh, perdonatemi di questo capitolo che c’ha messo tre mesi per arrivare. Anche se è extra-large :P

Ci vediamo al prossimo aggiornamento, care lettrici, e fatemi sapere cosa pensate di questo chap! Degli altri non mi importava così tanto, ma questo è quasi “sperimentale”, per me, ed essendo stato molto difficile da scrivere vorrei sapere se sono riuscita nel mio intento, ovvero emozionarvi.

Saluti dalla vostra (esausta),

GreedFan


 

 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Frost ***


025 – Frost

Per Sasori fu semplice intuire la verità.

Lui e Deidara erano sempre state creature incompatibili, vacanti su lunghezze d’onda diametralmente opposte e del tutto prive di interessi comuni, ma, forse proprio per questo, avevano imparato a conoscersi perfettamente. Come creature simbiotiche, sapevano convivere nonostante la diversità, e godevano della comprensione completa di mente e cuore in maniera naturale, reciproca, quasi fossero gemelli eterozigoti.

L’urlo di Zeus recò con sé, per Sasori, una sensazione di vuoto, solitudine e incertezza così forti che per poco il ragazzo non barcollò, ascoltandolo. Riconobbe quelle percezioni come proprie solo dopo che tutto fu scemato, ritrovandosi a battere le palpebre in una strada invasa dalla polvere e dal confuso arrabattarsi degli infetti.

Capì, e il suo cuore andò in frantumi.

No, non il suo autocontrollo, non la sua rigida apparenza. Quelle rimasero statiche come dovevano essere, perfettamente misurate in ogni gesto ed espressione, curate sin nei dettagli perché nessuno potesse scorgere le ombre cupe che andavano addensandosi, continuamente, nella sua testa.

Ma il cuore, a cui sentimenti come la preoccupazione e la paura erano quasi del tutto sconosciuti – Deidara, l’unica persona che avrebbe potuto causarli, era sempre stato in grado di cavarsela da solo – sanguinò e si contrasse, solo come non lo era mai stato.

Saltò sul tetto di una casa, poi di un’altra e un’altra ancora, macinando terreno in direzione del porto senza alterare di un filo il suo portamento rilassato; l’inferno di dubbio che lo bruciava dall’interno non avrebbe mai potuto sfiorare un viso che  aveva imparato a mantenersi freddo di fronte alle peggiori eventualità.

Se non fosse stato per quello, negli anni Sasori non ce l’avrebbe mai fatta.

A mano a mano che il covo si faceva sempre più vicino, vide di sfuggita, con la coda dell’occhio, scie di figure puntiformi che lo seguivano ai margini del campo visivo. Zetsu, Pain, Konan, Kisame, Kakuzu e Hidan, c’erano tutti – e tutti, presumibilmente, covavano nel profondo la stessa convinzione.

Quello che li attendeva al covo non fu che la ciliegina sulla torta.

Aveva visto gli elicotteri dei militari, Sasori, e aveva pensato che entro breve avrebbero avuto grossi problemi con le nuove squadre giunte in città. Aveva anche deciso di riferirlo a Zeus, visto mai quella manovra così invasiva celasse ben altri intenti, e sperava che il Prototype non prendesse le cose alla leggera, come suo solito.

Tutti quei pensieri svanirono come neve al sole di fronte alla scena del salotto.

Zeus era lì, rannicchiato a centro del pavimento, e mugolava frasi incomprensibili con qualcosa stretto tra le braccia; cosa fosse quel “qualcosa”, Akasuna lo sapeva più che bene, ma non riuscì a crederci, sul momento. Stordito, annichilito, rimase in piedi sull’uscio, lo sguardo fisso su una ciocca di capelli biondi che sfuggiva dalla stretta del Prototype e ondeggiava delicatamente nel vuoto. Era un colore dolorosamente conosciuto, per le tante volte che l’aveva sfiorato con le labbra e aveva pensato quanto fosse bello e intenso.

Ma non glie l’aveva mai detto.

Non se ne pentì – difficilmente un dettaglio come quello avrebbe potuto causargli dolore, in quel momento, ma fu istantaneamente invaso da una rabbia cieca e fredda, implacabile, che lo fece impallidire. Strinse i pugni, immobile, e lasciò che gli altri, spintonandolo, gli passassero davanti e scoprissero con i loro occhi la tragedia.

Deidara era morto.

Ucciso dal nemico come un cane, come un trofeo di caccia. A Sasori venne in mente “Il Signore delle Mosche”, osservando Zetsu che cercava di staccare Zeus dalla testa insanguinata.

Poi si voltò.

Non riusciva a pensare a niente. Ventitré anni della sua vita sembravano spariti, inghiottiti dalla sensazione di vuoto e ferocia che gli annebbiava la vista; per la prima volta, ebbe davvero paura.

Non ne aveva avuta quando gli avevano amputato la gamba in seguito all'incidente stradale che aveva ucciso entrambi i suoi genitori, perché troppo shockato persino per formulare pensieri, coerenti o incoerenti che fossero; non ne aveva avuta quando aveva ucciso la sua prima vittima - esperienza di cui ricordava solo un vago senso di esaltazione e appagamento - né quando lo avevano rinchiuso in quel laboratorio e infettato. Era sempre stato sicuro delle proprie scelte, autosufficiente e perfettamente in grado di cavarsela da solo, e si era sempre preoccupato per se stesso e per Deidara. Realizzare quanto la presenza di quel biondino esuberante e fuori di testa fosse stata necessaria per lui, negli ultimi tempi, fece scaturire la paura di non farcela, di non poter più muovere un dito senza la scherzosa, onnipresente approvazione del ragazzo.

Ma lui era Sasori, lui avrebbe sconfitto la paura. Si sarebbe vendicato, e stavolta la sua furia non avrebbe coinvolto solo mezza dozzina di basi e poche centinaia di militari disorganizzati; una volta

che Zeus si fosse svegliato, poi, avrebbe avuto un alleato infinitamente più potente e pericoloso, animato da una rabbia identica alla sua.

Chiunque fosse il responsabile di quell'atto, l'avrebbero stanato.

 

***

 

Kiba era rimasto in silenzio, le mani strette sulle orecchie, in un angolo della stanza.

Non mutò la sua posizione finché non fu ben udibile il trambusto nel corridoio, e le grida e i passi dei loro carcerieri che correvano da una parte all'altra urlando farsi incomprensibili, perché occultate dalla porta blindata. A quel punto si alzò in piedi, dirigendosi a piccoli passi esitanti verso la porta; quando il suo pugno si abbatté sul metallo freddo, risuonarono un tonfo ed uno scricchiolio sonoro.

«Ehi!» Stordito, riprese fiato «Ehi, qualcuno può venire a spiegarci cosa succede?! E poi abbiamo fame, sono ore che nessuno ci porta da mangiare o da bere!»

Shikamaru scosse il capo, massaggiandosi nervosamente le tempie.

«Temo che al momento abbiano altre priorità, Kiba. Deve essere successo qualcosa di davvero orrendo al loro gruppo, quindi non credo che ti daranno retta tanto facilmente».

«Credi che ne abbiano ammazzato qualcuno?»

«È probabile... mi preoccupa il fatto che il nemico sia riuscito a ferirli così tanto. Di questo passo non potremo contare più nemmeno sull’appoggio di Zeus».

«Appoggio? Che intendi fare, Shikamaru?» disse Temari.

«Non è ovvio? Distruggere la Gentek. È chiaro come il sole che quella società c’entra con la diffusione dell’epidemia, e che probabilmente c’erano degli interessi di terze parti in questa storia... quindi, a meno che non vogliamo che il disastro di Manhattan si ripeta in altre parti del mondo, dobbiamo togliere di mezzo chi l’ha provocato».

«Per questo credo bastino Zeus e...»

«No, non bastano. Chissà quali altre diavolerie hanno in serbo i militari... e poi possiedono una conoscenza troppo sommaria del nemico con cui intendono battersi. Da soli non potrebbero farcela, non senza delle spie».

«Spie? Non siamo qualificati per fare una cosa del genere. Ignoriamo più cose di loro sull'azienda per cui lavoriamo, quindi...»

«Non sappiamo chi manovra i fili, certo, e non conosciamo le mire dei piani alti sul virus Idra... ma la disposizione degli uffici, l'ubicazione dei laboratori e tutte le informazioni di questo tipo sono alla nostra portata. Per spazzare via la società Gentek non basterà la forza bruta, ma il palazzo in cui ha sede non credo resisterà ad un attacco massiccio, e sarebbe uno smacco notevole sia per i militari che per gli scienziati coinvolti. Oltretutto, lì hanno i campioni virali e tutte le attrezzature con cui lavorano... sarà una perdita inimmaginabile se li distruggiamo».

Temari aggrottò le sopracciglia, dubbiosa.

«Spero tu ti renda conto che questo significa uccidere quelli che un tempo erano nostri colleghi. Ne moriranno tanti, e tu sei disposto ad accettarlo per stare dalla parte di un essere che nemmeno conosci... ha ucciso Kankuro, e gli ho visto fare cose terribili. Non è altro che un mostro».

«Non è un mostro, Temari». Il tono di Shikamaru si era fatto serio, quasi accorato «Senti... forse non dovrei dirtelo, ma facendo delle ricerche insieme al tizio biondo, Deidara, ho scoperto delle cose su una certa Kushina Uzumaki. È una creatura più potente di Zeus, e anche lei, a quanto pare, si trova sull'isola in questo momento... la cosa più interessante, comunque, è che c'è una connessione molto stretta tra lei e il Prototype. Addirittura, sono convinto che siano madre e figlio. Quella... donna, se così la si può chiamare, ha subito torture orribili da parte dell’esercito, e probabilmente è stato lo stesso per Zeus; qualsiasi essere umano, nella loro situazione, sarebbe diventato come loro, se non peggio. Ma non è per questo che intendo seguirlo, ovviamente. Il motivo è più semplice: se sarà Zeus a prevalere, tutto tornerà come prima, perché il Prototype non ha brame di potere e non vuole sottomettere nessuno. Non sappiamo, invece, quello che succederà nel caso fosse la Gentek a vincere».

«Si tratta comunque di mettere sul piatto della bilancia le vite di umani innocenti e di infetti che hanno ucciso centinaia di noi. Queste creature non meritano di essere trattate come umane, né lo sono... è inutile che tu le difenda. Ok, sono il risultato di esperimenti condotti da noi, e un tempo erano umani, ma il loro DNA non assomiglia quasi per nulla al nostro. Sono involucri dall’aspetto umano che pensano, vivono e soprattutto cacciano come animali predatori; non sono disposta a combattere per loro». Scoccò un rapido sguardo a Gaara, che, ancora immobile contro il muro, sembrava troppo perso nella contemplazione del soffitto per darle ascolto.

«Fa’ come vuoi, Temari. Comunque sia, sai che non ci permetteranno di scegliere per chi schierarci».

 

***

 

Fu Konan ad occuparsi di Sasuke. Mentre Hidan e Kakuzu pensavano a Zeus – che, fortunatamente, pareva illeso – e Pain ripuliva il salotto insieme a Kisame, lei afferrò Sasuke e lo portò fino all’infermeria. Lo stese su uno dei lettini, lasciando che si rannicchiasse in posizione fetale, su un fianco, con le mani ancora saldamente premute sul viso, e osservò l’enorme quantità di sangue che inzuppava i vestiti del ragazzo.

Sgorgava dal viso, quello era evidente; non c’erano ferite sul resto del suo corpo, e nemmeno strappi sui vestiti. Gli si avvicinò, con quei suoi passi leggeri che a stento producevano rumore sul pavimento di linoleum, e chinò il busto fino ad avvicinare il viso alla testa dell’Uchiha.

«Ade...» la sua voce era bassa, tranquilla, persino più carezzevole del solito. Eppure, Sasuke sussultò, raggomitolandosi ancora di più, ed emise un sibilo basso. Konan si chiese cosa potesse averlo terrorizzato in quel modo, prima di afferrargli saldamente i polsi e tentare di scostarli dal viso; quelli non si mossero, trattenuti da una forza ben più ostinata della sua.

«Ade, ti avverto che, se non mi lascerai medicare il tuo viso, sarò costretta a spezzarti entrambi i polsi». Disse, tranquilla, serrando la presa sulle braccia pallide di Sasuke.

Poteva sembrare una ragazza come tante altre, Konan, con quel suo trucco pesante e l’aspetto tranquillo e posato; un osservatore distratto – o tutt’al più ignorante – avrebbe potuto crederla più debole dei propri compagni solo in quanto donna, e avrebbe commesso un grosso errore di valutazione. Era forte, incredibilmente forte, e possedeva una mente acuta e calcolatrice, oltre che un’intelligenza spiccata; ancor prima di spostare le mani di Sasuke, era riuscita a prevedere cosa avrebbe trovato, e aveva recuperato la calma necessaria per affrontare la situazione con la solita metodicità.

Strinse ulteriormente le dita sulla pelle chiara, e percepì lo scricchiolio deciso delle ossa, sotto la sua presa. Ade guaì, contorcendosi leggermente, poi si arrese: staccò le dita dal viso, una ad una, e allontanò finalmente le mani.

Konan represse un brivido, poi sospirò. Le labbra leggermente dischiuse in un moto di pietà, avvicinò le dita al volto di Sasuke, orribilmente deturpato; fino al naso era quello che ricordava, sebbene la pelle delicata fosse rossa e lucida di sangue.

A fissarla, tuttavia, non erano gli occhi color giaietto che le erano diventati quasi familiari, ormai, ma due orribili orbite vuote.

Nere, scure voragini prive di vita.

Gocciolavano ancora sangue, come se Ade stesse piangendo. Non avrebbe potuto farlo comunque, visto che, oltre all’occhio, l’aggressore si era premurato di strappare via anche le palpebre, con una precisione che sottintendeva, piuttosto che furia, un piacere freddo e maniacale per quello che aveva fatto.

«Mi senti, Ade?»

Non ottenne risposta. Il ragazzo era come morto, anche se il petto si sollevava ad intervalli regolari nell’atto del respiro.

«Mi senti, Sasuke Uchiha?»

Quel secondo tentativo ebbe un esito diverso: Sasuke emise un gemito flebile e contrasse le dita, come a voler afferrare qualcosa, nel vuoto. Konan non seppe come interpretarlo.

Si voltò, poi si avvicinò al frigo e prese il barattolino che conteneva la colla ottenuta dal plasma di Zeus, quella stessa sostanza che, già una volta, aveva risanato le ferite di Ade. Per il ragazzo quell’episodio sarebbe stato indubbiamente un trauma difficile da superare, ma, almeno, il suo corpo sarebbe guarito perfettamente; era uno dei tanti vantaggi di essere infetti.

Immerso un tampone nella sostanza, lo spalmò con estrema delicatezza all’interno delle orbite di Sasuke, stando attenta a ricoprirle con un sottile strato madreperlaceo e compatto. Il ragazzo cercò di divincolarsi più volte (evidentemente, anche essere sfiorato in quel modo doveva provocargli un dolore atroce), arrivando persino a tirarle un mezzo schiaffo, che fu prontamente bloccato.

Quando ebbe finito, Konan fasciò la testa del ragazzo con delle garze pulite e lo lasciò tranquillo, uscendo dalla stanza senza fare rumore. Sasuke delirava, sussurrando parole insensata che si fondevano le une nelle altre, in un miscuglio di suoni.

“Spero che questo ricordo non ti causi troppo dolore, Sasuke Uchiha. E spero che sia lo stesso anche per Zeus”.

 

***

 

«Zetsu, che gli è successo?»

La voce del Prototype sembrava quasi un pigolio, dolorosamente diversa dal tono allegro e vitale che era solito usare.

«Non lo so, Konan si sta occupando di lui. Che t’importa?! È solo un ragazzino come un altro».

Zeus stirò gli angoli della bocca in quello che sarebbe dovuto essere un sorriso.

«Sei nervoso. Era da un po’ che non succedeva».

Zetsu aveva sempre avuto una particolarità piuttosto strana, persino per gli standard degli infetti: già prima di venire contaminato aveva problemi psicologici notevoli, ma, dopo il cambiamento, aveva sviluppato una doppia personalità che emergeva, solitamente, nei momenti di rabbia. Zetsu “bianco” era la parte più tranquilla e morigerata, Zetsu “nero” incarnava le pulsioni più istintive e, in un certo senso, i pensieri più “malvagi”.

Deidara, appassionato cinefilo, una volta lo aveva definito il connubio perfetto tra il narratore senza nome e Tyler Durden di Fight Club.

Il Prototype scacciò immediatamente quel pensiero, che bruciava come e più di un ferro arroventato premuto al centro del petto. Rivolse nuovamente l’attenzione su Zetsu, apparentemente molto impegnato a tenere a freno la parte nera, e schiuse le labbra screpolate, senza sapere bene che dire.

«Di’ pure quello che vuoi, non importa. Ormai non c’è più niente che potrebbe importarmi».

«Siamo tutti arrabbiati e tristi per quello che è successo, Zeus, ma non devi lasciarti andare così. Se molli tutto adesso, butterai nel cesso tutta la tua fatica e i nostri sforzi».

«Lo so... lo so. Non lo farò. Dammi solo un po’ di tempo, ti prego...» la supplica si perse in un sospiro stanco, e il Prototype socchiuse gli occhi celesti, prossimo al sonno. Si sentiva confuso, esausto, gli occhi gonfi per il pianto e la gola che bruciava di dolore ad ogni respiro; passato lo stato di intontimento dovuto allo shock, era come essere finiti sotto un treno.

Si sentiva distrutto, sia nel corpo che nello spirito.

«Hai resistito a cose peggiori... che ridere, se bastasse la morte di un compagno per abbatterti. Che risate, che smacco per il terribile Zeus!»

«Non sono fatto di pietra... è che, se fossi arrivato lì qualche minuto prima, forse Deidara sarebbe ancora...»

«Vivo? Fai ragionamenti degni di un bambino, Zeus».

Non era stato Zetsu a parlare. Sollevando lo sguardo, il Prototype riconobbe la figura esile di Sasori, appoggiata alla porta, che lo squadrava con un’espressione neutra particolarmente irritante, in quel momento.

«Parli come se non te ne importasse nulla...» ringhiò, stringendo le lenzuola tra le dita «... tu, che hai perso più di tutti. Non ti togli mai di dosso quella maschera indifferente, vero?»

«Zetsu, lasciaci. Ho bisogno di parlare da solo con lui».

Sempre borbottando tra sé e sé, l’interpellato si alzò e uscì dalla stanza; Sasori chiuse a chiave la porta, poi si sedette accanto al letto.

«Allora, che c’è?»

«Se anche fossi arrivato in tempo, nessuno garantisce che saresti riuscito a salvare Deidara».

Zeus lo guardò, dubbioso; poi si tirò a sedere, non senza un certo sforzo.

«Cosa vuoi dirmi, di preciso? Non sarai qui per questo...»

«No, infatti. Zeus, io...» inspirò profondamente, poi lo guardò dritto negli occhi «... ho sbagliato. E me ne scuso».

Il Prototype non riusciva a credere alle proprie orecchie; incredulo, fissò l’espressione mostruosamente seria di Sasori e cercò di ricordare in quali altre occasioni Akasuna avesse fatto ammissioni di colpa così plateali. Mai, da quello che riusciva a ricordare.

E per cosa si stava scusando?

«In che...»

«Avrei dovuto ascoltarti sin da subito. Avrei dovuto capire che questa guerra riguardava tanto noi quanto te, e invece ho commesso l’imperdonabile errore di negarti l’aiuto che ci hai chiesto. Tu ci hai aiutati e io non ho riconosciuto i tuoi sforzi, e ho permesso che il nemico oltrepassasse ogni confine. Deidara è morto, e non possiamo riportarlo indietro, ma non rimarremo inattivi».

«Combatteremo insieme, Sasori?»

«Combatteremo».

Zeus porse la mano ad Akasuna, che la strinse.

Nessuno dei due sorrideva, nessuno dei due era contento dell’accordo appena raggiunto. Uno era roso dai sensi di colpa per la morte dell’amico, l’altro era sommerso da una rabbia incontrollabile e violenta, che non aveva mai provato e faceva fatica a contenere.

Entrambi, però, erano accomunati dalla perdita di qualcosa che amavano.

Sasori fece per uscire dalla stanza, ma, prima che potesse mettere un piede oltre la soglia, la voce del Prototype lo bloccò.

«Aspetta...» aveva la voce strozzata, e, quando il ragazzo si voltò, vide che le guance di Zeus erano umide di pianto. Tuttavia, non ci volle molto perché Sasori comprendesse la natura di quelle lacrime: non era tristezza, ma rabbia quella che sgorgava dagli occhi del Prototype; le sue iridi, fino a qualche secondo prima celesti, ardevano di un rosso chiazzato d’argento.

«Cosa hanno fatto a Sasuke? Tu lo sai?»

«Ho parlato con Konan. Gli hanno strappato via gli occhi».

Zeus emise una sorta di guaito, serrando le palpebre quasi avvertisse un dolore fisico; strinse le mani sulle lenzuola, poi aprì nuovamente gli occhi e guardò il proprio interlocutore. Sasori riconobbe la propria rabbia, nel suo sguardo.

«Troverò il responsabile di tutto questo e lo ammazzerò». Sussurrò «Gli farò passare le pene dell’Inferno per quello che ci ha fatto, Sasori. Adesso è questa la mia priorità».

«Io ti aiuterò, lo sai. Togliendo di mezzo l’assassino, è probabile che uccideremo la creatura più potente tra tutte quelle a disposizione della Gentek».

«E poi sarà la Gentek intera a cadere, e tutti quelli che hanno reso possibile questo... abominio». Aveva pensato alla parola da usare, mettendoci qualche secondo più del necessario per cercare un termine che, nonostante il suo vocabolario ristretto, descrivesse perfettamente la situazione.

Sorrise. Deidara gli avrebbe sicuramente dato del sempliciotto.

«Moriranno».

 

***

 

Orochimaru e Jiraiya erano rimasti immobili, esterrefatti, incapaci di proferire parola.

L’urlo li aveva colpiti con la potenza di un pugno, ed entrambi avevano sentito il proprio corpo tremare e tendersi di fronte ad un richiamo che risvegliava le loro percezioni più ancestrali. Era una richiesta d’aiuto da parte di una creatura più potente di loro, e seppero immediatamente da dove proveniva e, soprattutto, chi l’aveva mandata.

«Zeus...»

«Veniva dal porto, dev’essergli successo qualcosa. Credi sia il caso di intervenire?»

«Sì. Questi umani stanno acquisendo un certo talento nel darci noie».

Orochimaru accennò con il capo alla carcassa fumante di un elicottero che, schiantatosi sull’asfalto, era esploso scaraventando pezzi di lamiera e corpi carbonizzati a diversi metri di distanza. Con un movimento aggraziato, sistemò una ciocca di capelli che era finita fuori posto.

«Oltretutto...» continuò, la voce simile ad un sibilo seccato «... Zeus non è stato saggio. Quell’urlo attirerà non soltanto noi, ma anche i militari e qualsiasi altra creatura voglia approfittare della sua debolezza. Adesso basta con i giochi».

«Dobbiamo avvertire Tsunade».

«Sciocchezze. Qualunque cosa stia succedendo laggiù, esporla ad un pericolo ignoto è completamente inutile».

«Hai ragione. E poi, se le nostre idee dovessero rivelarsi corrette, per lei sarebbe un colpo troppo forte».

Orochimaru annuì brevemente, senza far caso a quel particolare che, ad essere sinceri, non gli interessava più di tanto. Non aveva quelle premure nemmeno per sé stesso, figurarsi poi per gli altri... gli sembrava stupido, infantile e soprattutto inutile: proteggere qualcuno nascondendogli la verità era sempre una pessima idea, da qualunque lato si guardasse la faccenda.

«Mi chiedo quanto abbiano scoperto sui fatti di Hope».

«Hai intenzione di rivelargli la verità, Orochimaru?»

«Soltanto quella che conosco per certo. Tsunade non vuole che Zeus combatta contro Madara per paura che possa ripetersi quanto accaduto diciassette anni fa, ma di questo passo la situazione potrebbe diventare persino peggiore. Quello che stiamo facendo è permettere che una creatura dotata di poteri immensi sia fuorviata da informazioni fasulle, che brancoli nel buio dell’ignoranza senza un obiettivo contro cui dirigere la rabbia. Stiamo sprecando l’arma più potente che possediamo, e quell’urlo ne era l’ennesima riprova».

«Tsunade ti ucciderà, quando lo verrà a sapere».

«Sarà comunque troppo tardi. Dovresti ringraziarmi, rospo: sono probabilmente l’unica creatura dotata di un cervello funzionante, su quest’isola».

«No, sei soltanto il più folle, e lo sai perfettamente».

«Il più folle? Finché Madara è ancora in vita, quel primato non mi appartiene».

 

“Era difficile credere ancora in un futuro migliore”.

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Capitolo di passaggio, lo so. Forse il più noioso che abbia scritto dall’inizio della storia, ma era necessario per spezzare dopo quella mostruosità dello scorso chap e prepararvi alla colossale baraonda dei prossimi capitoli. Dico “baraonda” perché ci avviciniamo alla rivelazione della verità su Zeus/Naruto, più una serie di battaglie già pianificate – be’, più o meno – e poi, naturalmente, la fine.

Non prima di un centinaio di capitoli, a giudicare dalla tremenda lentezza con cui porto avanti i fatti.

Comunque, parliamo di facezie. Eh, sì, oggi sono particolarmente in vena... dunque, tutto ciò che avete appena letto è stato scritto sotto il magico (?) influsso di due dei miei album preferiti, e cioè “Toxicity” dei System of a Down e “Korn” dei Korn. La scrittura ha richiesto più tempo del previsto anche perché ogni volta che partiva “Science” (forse la mia canzone preferita dei SOAD) mi mettevo a correre e fare headbanging per tutto il salotto. Sì, lo so, la mia sanità mentale è uno sfacelo.

Spero vi sia piaciuto (spero, ma non credo), e che Ronnie James Dio sia con voi!

See you soon,

Roby

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Capitolo 27
*** The Scars I Bear ***


026 - The Scars I Bear

 

«Zetsu, potresti portarmi qui Shikamaru?»

«Shikamaru? Chi è?»

«È il ragazzo con il codino e i capelli castani». Zeus stava seduto nel letto con la schiena appoggiata ai cuscini, lo sguardo già più lucido e fermo. Negli occhi, però, nonostante la ripresa avvenuta, permaneva un'ombra cupa di tristezza, che difficilmente si poteva ignorare o confondere con una stanchezza che, Zetsu lo sapeva, sarebbe stata più che giustificata in una situazione come quella.

«Vado».

Si sollevò dalla sedia su cui si era seduto, le gambe aggranchite per l'eccessiva immobilità, poi uscì nel corridoio; non appena aprì la porta della stanza in cui erano alloggiati gli ospiti, si trovò puntate addosso cinque paia d'occhi che, di primo acchito, non sembravano affatto contente di vederlo.

«Notevole che vi siate ricordati di noi...» fece la ragazza bionda «... visto e considerato che stiamo morendo di fame».

«Dovete perdonarci,» la voce di Zetsu, falsamente accondiscendente, causò un moto di stizza nella donna «ma ci sono successe cose poco piacevoli nelle ultime ore, e non siamo riusciti ad occuparci di voi. Farò in modo che vi sia portato da mangiare e da bere... e suppongo che avrete bisogno di andare in bagno, giusto? Tu, però, adesso vieni con me». Indicò Shikamaru, che gli rivolse un'occhiata confusa. Poi si alzò e, silenzioso, varcò la porta che Zetsu teneva aperta.

«Perché questa cosa?» Domandò, mentre camminavano verso la stanza di Zeus.

«Non lo so... suppongo che il Prototype voglia parlarti».

«A proposito della confusione che abbiamo sentito?»

«È probabile. Non vi hanno detto nulla su quello che è successo, vero?»

«No. Qualcosa di particolarmente grave?»

«Deidara è morto».

Shikamaru si bloccò nel mezzo del corridoio, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo incredulo. Guardò il viso di Zetsu, che non sembrava tradire emozioni di sorta, poi deglutì; sentiva improvvisamente caldo.

«Non stai scherzando». Concluse poi, scuotendo la testa «E questa è definitivamente la peggior situazione in cui potessi capitare».

Zetsu non chiese il perché - non gli interessava, aveva ben altro di cui occuparsi - e riprese a muoversi. Shikamaru, silenzioso, lo seguì fino alla camera del Prototype.

«Zeus è molto debole, ma ti consiglio di non irritarlo. È un momento piuttosto delicato, per lui».

Nara colse l'avvertimento e ringraziò con un cenno del capo, poi appoggiò una mano sulla maniglia della porta; quando l'abbassò e spinse, gli sembrò che davanti a lui si spalancasse la porta di un limbo.

Il Prototype stava sdraiato sul materasso, la testa affondata tra i cuscini, e lo fissava con uno sguardo che, nonostante fosse segnato da profonde occhiaie scura, restava vigile e attento; il viso era disteso, apparentemente sereno, ma nell'aria Shikamaru avvertì un'inquietudine che gli fece correre una serie di brividi poco piacevoli lungo la spina dorsale. Ignorando quell'ultimo, disperato segnale del suo istinto, si avvicinò al letto e, a fatica, atteggiò l'espressione del volto ad una smorfia tranquilla e controllata.

«Tu e Deidara avete fatto delle ricerche insieme, non è vero?»

Ecco, sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato. Il cliché finale di quel pessimo film che era stata la sua "avventura" di Manhattan; peccato che, a differenza di quanto sarebbe probabilmente successo in un film, Shikamaru non avesse la possibilità di salvarsi con qualche stratagemma brillante, o con un discorso sagace.

«S-sì».

"Sono nella completa merda".

«Che avete scoperto? Sono certo che Deidara mi avrebbe informato, se aveste trovato qualcosa di importante, ma visto quello che è successo ho bisogno di sapere fino a che punto siete arrivati».

Nara deglutì, per la prima volta dopo tanto tempo in seria difficoltà, intimorito dal suo interlocutore. Non sapeva che fare: la verità era troppo tremenda e basata su supposizioni per raccontarla a Zeus, senza contare che, a quanto pareva, Deidara aveva realmente scoperto qualcosa di grosso e l'aveva nascosto al Prototype. Dire che si sarebbe incazzato di brutto era parlare per eufemismi.

Optare per una menzogna pacificatrice, altresì, era impensabile. Non aveva nessuna voglia di finire sul menu della base, Shikamaru, ed era abbastanza furbo per capire che, se mai Zeus l'avesse scoperto - e l'avrebbe scoperto, vista la sua buona stella nell'ultimo periodo - l'avrebbe fatto a pezzi con le proprie mani.

Non poteva permettersi di rischiare troppo.

«Io... ecco... abbiamo effettivamente trovato... trovato delle informazioni».

«Di che tipo? Sappiamo chi è Elizabeth Greene?»

Il fatto che Zeus avesse usato la prima persona singolare non era affatto rassicurante; Shikamaru aveva già capito perfettamente di che tipo di persona si trattava: fiducioso a priori in tutti, terribilmente pericoloso quando veniva tradito, e forse proprio per questo non gli faceva affatto piacere essere oggetto di tanta fede.

«Ecco... non proprio. Cioè, lo sappiamo, ma il punto è che...»

«Parla, tranquillo...» Zeus lo interruppe con un sorriso conciliante «... non ti mangio mica, sai?»

Su questo Shikamaru aveva dei seri dubbi.

Deglutì, più spaventato che altro da quelle parole, e cercò di riafferrare il filo del discorso, ormai irreparabilmente perso.

«Il punto è che non riusciamo a spiegarci delle... cose».

«Non ti preoccupare, vai con calma. Potrai sempre completare le ricerche insieme a qualcun altro, ma per adesso voglio sapere a che punto siamo arrivati».

La gentilezza di Zeus metteva Nara nella tipica situazione di chi vorrebbe avere una scusa per mentire al proprio interlocutore, ma si sente in colpa anche al solo pensiero di farlo, di fronte alla magnanimità dimostrata da quest'ultimo. "E se lo danneggiasse?" pensò, osservando per qualche secondo il viso stanco del Prototype "La situazione è delicata, eppure..."

Eppure, nascondergli tutto avrebbe potuto arrecargli danni ancora peggiori.

Come suo solito, Shikamaru ritenne più opportuno optare per una mezza verità.

«Elizabeth Greene è il... risultato, se così vogliamo chiamarlo, di una serie di esperimenti che furono finanziati dall'esercito nel 1960. In un villaggio dell'Idaho, Hope, fu iniettato alle persone un ceppo virale mutante... la gente credeva si trattasse di vaccini. Non sappiamo né come né perché, ma la Greene ha sviluppato la capacità di non invecchiare ed è rimasta uguale fino ad oggi».

«Oh, dovresti vedere che altro sa fare. Che ne è stato di Hope?»

«Divorato da un incendio, che suppongo sia stato appiccato dai militari stessi. Il punto però è un altro... al momento del disastro, il 10 Ottobre, la Greene era incinta. Molto incinta, non so se mi spiego... il bambino, probabilmente, stava per nascere».

Zeus pareva improvvisamente interessato: corrugò le sopracciglia, gli occhi più attenti di prima; Shikamaru lo notò, e il suo primo impulso fu quello di tapparsi la bocca all’istante.

«E che fine ha fatto il bambino? Lo avete scoperto?»

«È... è morto».

«Mh. Basta così?»

«Sì. Ignoriamo quale fosse lo scopo dell'arma biologica che hanno tentato di creare».

«Capito. Be', grazie per queste informazioni... mi aspettavo che la Greene fosse diventata un mostro a causa dell'esercito, ma non credevo che l'America avrebbe mai appoggiato lo sterminio di un intero villaggio».

«Potrò continuare a cercare?»

«Sì... non da solo, ovviamente. Vedrò se qualcuno dei nostri vuole darti una mano».

Shikamaru annuì, poi fece per uscire. Sulla porta, all'improvviso, si voltò, ricordando un particolare che, repentino, gli era venuto in mente.

«Un'ultima cosa...» disse, rivolgendosi al Prototype; quello lo fissava ancora, scrupolosamente, come ipnotizzato, forse cercando di capire se gli avesse nascosto qualcosa - peccato che i suoi poteri funzionassero soltanto con gli infetti, e non con gli umani sani.

«Parla».

«Il vero nome di Elizabeth Green è...» indugiò per qualche secondo, sperando di ricordarlo bene «... Kushina Uzumaki».

Zeus impallidì.

 

***

 

La prima volta che aveva assorbito qualcuno, il dolore era stato atroce.

Ricordava ancora la sensazione strana e piacevole allo stesso tempo che aveva provato quando, conficcando il braccio nel corpo stanco di un senzatetto, la sua essenza vitale si era infiltrata nelle vene dell'uomo, e dal suo corpo erano sbucata, famelica, una rete di filamenti neri e rossicci che, in pochi secondi, aveva inglobato l'intero corpo, fagocitandolo.

Immediatamente dopo l'assorbimento, aveva provato un piacere puro, indescrivibile, e una sensazione di energia pura che gli scorreva per le vene, rinfrancandolo. Per giorni aveva vagato tra i vicoli di New York, spaurito e macilento, affamato senza saper bene di cosa, finché l'istinto non lo aveva portato a quel gesto.

Il dolore ci mise qualche secondo per arrivare.

Lo colse impreparato, violento come una stilettata nel cranio; si piegò sulle ginocchia, Zeus, ansimando pesantemente e stringendosi la testa tra le mani, quasi sperasse di cancellare quella fitta improvvisa chiudendosi su sé stesso. Ma la fitta non passò e, anzi, crebbe d'intensità fino a intontirlo, annientandolo. Cadde a terra, il capo abbandonato tra l'immondizia e le pozzanghere.

In quel momento, vide la prima immagine.

Oscurando del tutto il suo campo visivo, gli si presentò davanti un paesaggio a lui completamente sconosciuto: enormi distese ondulate, coperte di verde, si stendevano in ogni dove davanti ai suoi occhi, rosseggianti sotto i raggi di un sole prossimo al tramonto. Una voce chiamò un nome che Zeus non conosceva, eppure, manovrata da qualcun altro, la sua testa si voltò, giusto in tempo per guardare il volto bello e delicato di una giovane ragazza bionda.

Come per magia, quella visione si dissolse improvvisamente, subito sostituita da un'altra; ed ecco che davanti agli occhi del Prototype, nell'arco di pochi secondi, si spiegarono, in rapida successione, frammentari fotogrammi della vita dell'uomo che aveva assorbito. Non era tutto, ma bastò perché Zeus capisse cosa stava accadendo; nonostante ciò, non tentò di contrastare quel processo, che, anzi, gli parve improvvisamente naturale, quasi divertente.

Quando le immagini svanirono, si ritrovò sdraiato per terra, una guancia premuta sull'asfalto umido e caldo. Un sorriso estatico gli correva da una parte all'altra del viso.

Oh, se aveva capito.

Rialzandosi in piedi, spazzolandosi i pantaloni laceri con le mani, sentì fluire nel suo corpo un nuovo tipo di sicurezza, sottile e melliflua come il sapore dolciastro di un potente veleno. La consapevolezza di aver ucciso un uomo non lo toccava minimamente - nella sua ottica, nella sua fame, era naturale cibarsi di ciò che l'istinto gli suggeriva - mentre, con la forza di una deflagrazione, aveva compreso l'enorme potenziale della capacità appena scoperta.

Possedeva una finestra sui loro piani, un'arma che gli avrebbe permesso di sconfiggerli. Doveva soltanto mangiarne degli altri, e avrebbe conosciuto in anticipo ogni loro mossa, leggendola direttamente dai ricordi - una sorgente che, a differenza delle parole, non contemplava menzogna.

Loro, gli uomini vestiti di nero, in quei giorni lo avevano cercato. Mentre la città cambiava e si accartocciava su sé stessa, mentre enormi nuvole di vapori rossi coprivano i grattacieli e strane creature barcollanti, coperte di sangue rosso, cominciavano a comparire per le strade - proprio allora Zeus, respirando quell'aria putrida e sentendosi a casa in un modo strano, piacevole, si rifugiava nei luoghi più bui e solitari per evitare di essere trovato. Sapeva, grazie alle sue pulsioni ancestrali, che, se mai gli si fossero presentati dei reali pericoli, lui avrebbe saputo affrontarli.

Altresì, leggeva la paura negli occhi degli uomini, quando lo incontravano, e comprendeva che la sua gioia e il loro terrore nascevano dalla medesima fonte, ed erano entrambi completamente giusti.

A poco a poco, stava imparando la vita.

*

Aveva scelto di provare il suo metodo su un tipo importante.

Lo aveva visto spesso recarsi al grande palazzo da cui lui era scappato, chiuso in una di quelle brutte, lente gabbie di metallo che si chiamavano "elicotteri". Lo aveva spiato mentre si aggirava attorno agli alveari con un grosso seguito di uomini corazzati, lui che con il suo camice bianco spiccava incredibilmente in quel caos di terra rossa e uniformi nere; aveva capito il suo status dal modo in cui camminava, dal tono aspro che la sua voce assumeva quando parlava con qualcun altro e dal grande impegno che gli altri umani mettevano nel proteggerlo.

Aveva aspettato con pazienza che l'elicottero gli arrivasse sulla testa, dove sapeva che sarebbe passato; aveva spiccato un balzo poderoso, sollevandosi fino ad un'altezza di quasi venti metri, poi aveva proteso il braccio, mutato in frusta, verso l'alto.

Gli esseri umani volavano troppo bassi.

La frusta si era avvolta con uno schiocco sonoro sulla coda del mezzo, e le spine nere si erano conficcate nel metallo, deformandolo. Quando era atterrato sul portellone, reggendosi alle minime sporgenze sulle lamiere che custodivano l'abitacolo, gli occupanti avevano cominciato a gridare; non che fosse servito a molto. Aveva afferrato il suo obiettivo mentre il sangue del pilota ancora colava sul quadro dei comandi, fluendo lento dal cranio spaccato, e lo aveva trafitto da parte a parte con violenza. Quello che vide poi, non l'avrebbe più dimenticato.

Superato il dolore, ormai diventato una consuetudine dell'assorbimento, gli si presentò un'immagina nota e sconosciuta insieme: davanti a lui c'era un vetro dall'apparenza spessa, perfettamente pulito e lucido. Oltre il vetro, steso su un lettino di metallo con un'incalcolabile serie di macchinari tutt'intorno, stava un ragazzo dall'aspetto inconfondibile.

Lui, semplicemente.

Sembrava che respirasse, ma non compiva il minimo movimento; su uno schermo, a qualche passo di distanza da lui, una linea che si increspava regolarmente segnava i battiti del suo cuore.

La sensazione di guardare se stesso era davvero strana, lo faceva sentire confuso - specialmente considerando che quella parte della sua vita lui non la ricordava nemmeno. Ad ogni modo, il ricordo doveva appartenere ad un periodo estremamente vicino alla sua fuga, visto che il suo corpo era identico al presente e indossava persino la stessa vestaglia da ospedale. Forse addirittura poche ore prima.

«A volte mi chiedo cosa sogna... se sogna». Fu qualcun altro a parlare, forse un collega.

La sua voce, più bassa e mascolina del solito, rispose con tono pacato.

«Credi che gli animali sognino? Se è così, anche Zeus sogna».

«Ma...» la voce del collega tremò leggermente; dunque, era un suo subordinato «... un tempo lui era... voglio dire, un essere umano normale, no?»

«Certo, lo era. Ti hanno detto come si chiamava?»

«No. Lui era di...»

«No, figurati. Di quel posto c’è una sola superstite, e adesso si trova in un laboratorio dieci piani più in basso di noi».

«Ma allora da dove viene?»

«Che vuoi che ne sappia... i capoccia non ci danno questo tipo di informazioni, dovresti saperlo. Sarà una cavia come tante, uno di quei figli di nessuno che vengono pescati per strada o venduti dai genitori alle aziende come la nostra... comunque, vuoi sapere come si chiama? Non sembra, ma è giapponese».

«Giapponese? Sul serio?»

«Dal nome si direbbe. Si chiama Naruto Uzumaki».

Prima che la visione svanisse, a Zeus parve di cogliere un fremito nelle palpebre del corpo adagiato sul lettino.

 

***

 

Orochimaru aveva pensato che, dopo quel trambusto improvviso, Zeus avesse predisposto un qualche sistema di difesa davanti alla propria base; quello che non si aspettava era la somma ingenuità e stupidità con cui questa barriera era stata approntata.

Se anche un estraneo non avesse conosciuto la reale ubicazione del rifugio - com'era, d'altra parte, nel suo caso - difficilmente avrebbe potuto ignorare il gigante con la pelle di un'inequivocabile sfumatura azzurra che sostava davanti alla porta. Appoggiata svogliatamente ad una spalla, suddetto gigante aveva una spada di quello che sembrava osso, bianco-giallognola, formata da centinaia di cuspidi sovrapposte.

Che un tipo del genere non si trovasse lì per fare un picnic era abbastanza lampante.

«Idioti». Commentò, avvicinandosi con passi lunghi e tranquilli al guardiano immobile. Aveva un aspetto davvero terribile, oltre che rozzo e arrogante; quando gli puntò contro la spada ed emise un grido strozzato, Orochimaru riconfermò questa impressione e vi aggiunse quella di negligenza.

Distratto, evidentemente non lo aveva nemmeno sentito arrivare.

«E tu chi cazzo sei?»

«Uno a cui dovete molto, credimi. Posso parlare con il tuo capo?»

«Ti ho chiesto chi cazzo sei, stronzo».

Orochimaru sorrise, mellifluo, inclinando leggermente la testa di lato; era evidente che quel bruto sulla porta non si sarebbe mai lasciato convincere con le parole, quindi qualsiasi interazione civile andava accantonata. L'unico problema era che rischiava di offendere Zeus, ammazzando uno dei suoi sottoposti, e poi non aveva molta voglia di sporcarsi le mani con della simile feccia.

«Non credo che sapere il mio nome ti convincerebbe a togliere questa cosa. A proposito, potresti abbassarla?» Una delle tante punte che componevano la spada ondeggiava ad un soffio dal suo pomo d'Adamo, e non era piacevole vederla curvare da destra a sinistra in traiettorie via via più incerte.

«E secondo te mi fido del primo che passa?! Potresti essere chiunque!»

«Questo è un ragionamento corretto, ma mi permetto di farti notare avresti potuto usare altrettanta prudenza prima ed evitare di segnalare la presenza del vostro rifugio in un modo così plateale. Sei fortunato che io non sia un tuo nemico, perché chiunque saprebbe interpretare la tua presenza in questo luogo, e non passi di certo inosservato. Detto questo,» Orochimaru si sgranchì le lunghe dita bianche, continuando ad osservare, con la coda dell'occhio, il gigante blu «dubito che serva parlare ancora, giusto?»

Finse di caricare un colpo con il braccio sinistro; il guardiano, come previsto, affondò la spada in avanti, gridando. Orochimaru bloccò la punta della lama con due dita della mano destra, poi fece un passo indietro e, con un'unica mossa fluida, ruotando elegantemente il polso, scaraventò la spada ad una decina di metri di distanza. Quella si conficcò nell'asfalto con un gran frastuono, vibrando leggermente, e Orochimaru sfruttò lo stupore momentaneo dell'avversario per rassettare una ciocca di capelli sfuggita all'ordine.

«Nessuno mi aveva mai tolto di mano la Samehada...» biascicò lo spadaccino, fissando la sagoma immobile piantata nel cemento grigio.

«"Pelle di squalo"... come ti chiami, guardiano? Credo di poter pretendere almeno il tuo nome».

«Kisame Hoshigaki. Tu chi saresti?»

«Orochimaru. Ti offro una possibilità di salvarti la vita, Kisame: chiama il tuo capo e portalo qui in modo che io possa parlarci. Non sono un tuo nemico, non è nel mio interesse ucciderti».

Kisame annuì, palesemente a malincuore, poi si voltò e, girandosi ogni tanto per controllare le mosse di Orochimaru, sparì all'interno di un magazzino; qualche minuto dopo ne uscì di nuovo, seguito da quello che pareva un ragazzino dall'aria particolarmente provata.

Se anche Orochimaru non avesse chiesto espressamente di vedere il capo, avrebbe saputo di trovarsi di fronte a Zeus.

Poteva avere diciotto anni, non uno di più. Era magro, basso e sottile, con la pelle leggermente scura e i capelli innaturalmente chiari, biondi come il grano; gli occhi, azzurri, lo fissarono con un'aria insospettita che gli suscitò un sorriso spontaneo. Le occhiaie che li circondavano e l'espressione abbattuta del Prototype, tuttavia, non raccontavano una storia allegra.

«Sei tu Zeus?»

«Sì, sono io. Tu... tu sei quello di cui parlava Sasuke. Tu mi hai salvato quando...»

«Quando il tumore ti stava divorando. Ma non è a me che devi la vita, Zeus, bensì a chi è con me... qualcuno che è stato capace di infiltrarsi sin dall'inizio nella vostra base e qualcun altro che ha creato la cura. È per quelle persone che io sono qui, adesso».

Zeus annuì, sospirò. C'era qualcosa nel suo comportamento che faceva supporre a Orochimaru uno stravolgimento profondo e una tristezza il cui motivo gli sembrava oscuro; che derivassero dalla stessa cosa che aveva originato quel grido tremendo?

Per diplomazia, scelse di tenere in conto ogni possibilità.

«Ho sentito l'urlo, come tutti in città. Una mossa imprudente, da parte tua, ma, se non altro, ha avuto l'effetto di spaventare i militari... staranno tranquilli per un po'. Qualsiasi fosse la causa, sono qui anche per aiutarti a riparare il danno fatto».

«Uno dei nostri compagni... uno dei miei più grandi amici è stato ucciso, e non sappiamo nemmeno da chi. L'unico testimone, Sasuke... a lui sono stati strappati entrambi gli occhi. Siamo in un vicolo cieco, per il momento, e poi... poi... nulla, lascia stare».

Orochimaru assottigliò lo sguardo, poi fece un gesto ampio con la mano.

«Vieni, camminiamo. Devo dirti molte cose, che forse interessano anche i vostri problemi al momento... ci sono numerose domande ancora prive di risposte, e mi auguro che tu possa aiutarmi a trovarle».

«Va bene».

Lo seguì con aria mesta, guardandolo ogni tanto con quegli enormi occhi azzurri che sembravano sfuggirgli in continuazione; a Orochimaru non era capitato molto spesso, in vita sua, di vedere sguardi che esprimessero quel baratro di sentimenti contrastanti che turbinava nelle iridi di Zeus. Adombrate dalla stanchezza e da chissà quale esperienza tremenda, risplendevano al contempo di una luce vivida e forte, disperata e caparbia.

E poi, ovviamente, aveva notato la somiglianza. Impossibile non vederla.

Eppure, nemmeno lui riusciva a spiegarsi il perché; ciò che vedeva, seppur ovvio, era del tutto privo di giustificazioni.

«Sai qualcosa di una certa Hope, in Idaho? Sai cosa successe lì nel 1960?»

Si sentì strattonare con forza un braccio, e girò il capo in un moto di sorpresa. Il viso di Zeus era improvvisamente così vicino al suo che avrebbe potuto contare, una per una, le sue ciglia bionde.

«Devi dirmelo. Tu devi dirmelo, so che lo sai!»

«Sapere cosa, Zeus?»

«Kushina Uzumaki, o Elizabeth Greene, chiamala come ti pare... lei è mia madre? Sono il figlio di quel mostro?»

Orochimaru sorrise. Se era lo stesso Zeus a fargli quella domanda per primo, se anche lui era arrivato a quel punto investigando da solo, allora voleva dire che le supposizioni di Tsunade erano esatte, e che il mistero, tutt'altro che sciolto, si era almeno chiarito in una sua minima parte.

«Sì».

 

"Quando la maschera che indossiamo divora ciò che custodisce, solo allora possiamo diventare noi stessi".

 

 

 

 

 

 

 

 

_Angolo del Fancazzismo_

Questo capitolo è stata una bella sudata, caprioleggiando tra compiti in classe ed interrogazioni di Greco (argh). Odio il quinto ginnasio, lo odio davvero.

Ad ogni modo, se pensate che quanto scoperto in questo capitolo, alias il Segreto di Pulcinella, sia la terribile rivelazione sul passato di Zeus, vi sbagliate di grosso. Non mi chiamo mica Kishimoto D:

Ci siamo vicini, comunque. Molto vicini.

E, una volta finita la noiosa parte burocratica, potrò finalmente tornare a concentrarmi su una pulitissima trafila di capitoli splatter :3. Non vedo l'ora, guys.

Anche perché, a furia di leggere fyccyne sul fandom di Naruto, ho certi istinti omicidi da sfogare che nemmeno De Niro in Taxi Driver.

See you soon,

Roby

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Capitolo 28
*** Bloodtox ***


027 – Bloodtox


«Non immaginavo che lo sapessi. Come sei arrivato a scoprirlo?»

«Non è un dettaglio importante. Tu, piuttosto, sei sicuro che sia vero?»

Zeus appariva preoccupato e confuso, anche se Orochimaru era quasi certo che quella notizia, più che dargli un'altra preoccupazione, lo aveva tranquillizzato: era come un ragazzino alla continua ricerca di punti fermi, il Prototype, e finalmente ne aveva trovato uno. A testimonianza di ciò, i suoi occhi parevano improvvisamente più saldi.

«Non certo... diciamo sicuro al novanta per cento. Ci sono ancora alcuni punti oscuri in questa storia, ma mi auguro che presto tu sappia chiarirli».

«Lo spero anch'io. Come sai di Hope? Hai violato il database governativo?»

«Anche. So di Hope perché ero lì quando successe quel disastro».

Il Prototype sgranò gli occhi, smettendo per un attimo di camminare. Era incredulo, attonito e stranamente rallegrato da quella notizia: che fosse quello il momento in cui ogni mistero veniva svelato? Orochimaru gli leggeva sul viso la voglia spasmodica di sapere, ma, purtroppo, le nozioni da lui possedute erano probabilmente minori di quelle che Zeus si aspettava di ricevere.

«Eri là... e come... come sei arrivato qui? Cosa successe?»

«È una storia molto lunga. Dopo il disastro ho vissuto in varie parti dell'America con i miei compagni... siamo tornati a New York in occasione dell'epidemia».

«E Hope?»

«Dovresti sapere già ciò che è successo, no? Io che ero lì non so molto più di te, visto che all'epoca non eravamo informati di nulla».

«Capisco...» mormorò, l'espressione delusa «... eppure, scommetto che non sei qui per dirmi cose che già so, vero?»

«No, infatti. Innanzitutto, sono qui per chiederti se sai quale sia l'esatto numero dei sopravvissuti di Hope».

«No. Non c'era scritto niente e...»

«Ovviamente non c'era scritto nulla. L'unica su cui sono stati compilati dei dossier, e cioè Kushina, era anche l'unica che potessero tenere in laboratorio con il pretesto di arginarne la pericolosità. L'unica contagiosa, non so se mi spiego. Nessuno degli altri superstiti può trasmettere il virus, eccetto lei».

«Questo è vero... infetta tutto ciò che tocca».

«In lei non c'è solo il virus Idra, ma una combinazione letale di genomi in costante mutazione. Questo la rende enormemente pericolosa. Comunque, sono arrivato a concludere che, dei circa diecimila abitanti di Hope al momento dell'incendio, ne siano sopravvissuti in tutto sei, se ammettiamo che tu sia figlio di Kushina sette».

«E chi sarebbero?»

«Io e i miei due compagni, Kushina, Sasuke e-»

«Cosa?! Sasuke proviene da Hope?»

«Non lo sapevi?» Orochimaru inarcò un sopracciglio «Sul serio?»

Dall'espressione sconvolta di Zeus, pareva che quella notizia gli fosse nuova.

«Ma non è possibile... lui è un esperimento-»

«"Creato dall'esercito per uccidermi"... risparmiami il discorso. E così, Sasuke non ti ha detto tutta la verità, mh? Deve essere un brutto colpo per te, Zeus».

Lo sguardo infantile di Zeus, però, era stranamente deciso. Lo fissava con un'ostinazione che rasentava il ridicolo, e, ascoltando la sua ultima affermazione, sul suo volto si aprì un sorriso spavaldo.

«Ti sbagli. Sasuke non mi ha mentito. Sono sicuro che gli abbiano fatto qualcosa per impedirgli di ricordare, che so... tipo... un lavaggio del cervello».

Ridacchiò, Orochimaru, e soffiò:« Puoi credere ciò che preferisci... di certo non sarò io a obbligarti a prestare fede alle mie parole. Comunque, Sasuke era figlio di Mikoto e Fugaku Uchiha. Abitavano accanto a Kushina, ed erano l'unica altra famiglia giapponese - a parte il mio gruppo - residente ad Hope».

«Gli abitanti erano stati scelti in base alla razza?»

«Non esattamente. I militari avevano creato una sorta di campus multietnico, non chiedermi per quale ragione. Quando tutto andò a fuoco il nostro quartiere, più periferico rispetto agli altri, bruciò per ultimo, e questo permise a pochi di noi di scappare».

«Capisco... quindi anche tu sei come Sasuke? Anche tu hai lo stesso tipo di mutazione?»

«No. Quella notte si liberarono una gran quantità di ceppi diversi, e dovresti sapere meglio di me che il virus Idra muta a seconda del suo occupante, manifestandosi in molti modi differenti. Tutti coloro che sopravvissero sono diventati infetti superiori, ma nessuno è uguale agli altri. E prima non mi hai fatto finire, Zeus... stavo dicendo che, oltre a Sasuke, si salvò anche un altro membro della famiglia Uchiha. Suo fratello».

«Sasuke non mi aveva mai detto di avere un fratello... spero che tu stia dicendo il vero».

«Non ho nulla contro di te, nulla per cui mentirti. Sarà meglio che tu chieda a Sasuke di spiegarti quello che spero sia un malinteso, anche se, visto quanto sembrava preoccupato l'ultima volta che l'ho visto, anche a me pare improbabile che voglia tradirti».

«Un fratello...» mormorò Zeus, che, assorbito dai propri pensieri, non sembrava aver ascoltato la risposta di Orochimaru. L'uomo gli lanciò un'occhiata a metà tra il sarcastico e l'inquisitorio, poi, incurante se l'altro lo stesse sentendo oppure no, riprese a parlare.

«Il suo nome era Itachi. Un ragazzo estremamente intelligente, anche se si è sempre comportato in maniera molto strana... un sociopatico, probabilmente. Mi ricordo che una volta venne da me perché il fratello aveva la febbre, e mi pregò di raggiungere casa sua per visitarlo. Si preoccupava sempre troppo per Sasuke».

«Eri un medico?»

Gli occhi di Orochimaru si ridussero a fessure.

«Sì, un medico. Ed è proprio un mio collega la persona che custodisce il segreto di Hope».

«Sarebbe?»

«Kabuto Yakushi. Si è occupato di ogni progetto riguardante l'Idra negli ultimi vent'anni. Più in alto di lui c'è solo Madara».

«Madara...» Zeus ripeté quel nome lentamente, quasi ne stesse assaggiando la consistenza «Chi è?»

«Il vero responsabile di tutto. È un generale dell'esercito, invischiato fino al collo in questa storia. Uccidilo, e avrai eliminato la causa dell'inferno».

Il Prototype sollevò lo sguardo, fattosi improvvisamente rabbioso, quasi famelico, e ghignò. Orochimaru lo osservò con la coda dell'occhio, notando quanto quella smorfia stonasse sul suo viso, apparendo quasi fuori posto. Non era fatto per sporcarsi, quel ragazzino, e nonostante tutte le malefatte che aveva commesso sembrava fosse rimasto pulito, puro, in piena contrapposizione con quello che l'uomo si sarebbe aspettato da lui.

"Non sei fatto per sporcarti, Zeus. Puoi cercare quanto vuoi di corromperti e scendere al livello delle bestie che ti circondano, ma non ci riuscirai mai".

«Hai intenzione di attaccarli?»

«Sì».

«Bene. In questo caso, ti aiuterò. Non so se i miei due compagni saranno dello stesso avviso».

«Sarai dalla mia parte anche se loro dovessero rifiutarsi?»

«Mi credi forse sciocco, Zeus? Non sono un fantoccio o un ragazzino, che ha bisogno del consenso di qualcun altro per agire. Piuttosto, quando intendi muoverti?»

«Non appena Sasuke si sarà ripreso».

«A proposito di Sasuke... mi farebbe piacere che mi permettessi di vederlo».

«Curiosità professionale?» Il Prototype sorrise, vagamente malizioso.

«Niente affatto. Voglio semplicemente accertarmi che non abbiate commesso errori irreparabili».


***


Dopo aver lasciato Orochimaru davanti alla porta di Ade – con Kisame a controllare che tutto andasse per il verso giusto – Naruto si recò alla stanza del prigionieri ed entrò.

Il suo ingresso fu accolto con più calma del previsto: Temari lo fissava in cagnesco, come sempre, e Shikamaru era immediatamente impallidito, ma nel complesso pareva che cominciassero ad abituarsi tutti alla sua presenza. Sorrise.

«Salve». Visto quello che stava per chiedere. Ritenne opportuno presentarsi con una certa cordialità «Perdonami per averti lasciato come uno scemo davanti alla porta della mia stanza, Shikamaru, ma dovevo accogliere un nuovo ospite. Abbiamo ricevuto notizie fondamentali».

«Ah, davvero?» Lo sguardo del ragazzo si fece corrucciato: evidentemente, si chiedeva il perché di quella conversazione.

«Spero capiate che c’è un motivo se vi abbiamo lasciati in vita fino a questo momento». Tagliò corto Zeus, consapevole che, qualsiasi fosse il pensiero dei prigionieri, non gli sarebbe mai stato opposto un rifiuto «E cioè, che speriamo di utilizzare le vostre conoscenze per raggiungere i nostri scopi».

«Volete attaccare?»

«Non subito. Stiamo cercando una persona, in particolare, e vorrei conoscere la disposizione degli uffici nei piani che...»

«Aspetta, frena». Fu Shikamaru a bloccarlo, attirandosi le occhiate stupite e scandalizzate dai compagni «Raderete al suolo quel posto, vero? Se lo attaccate in massa, tutti quelli là dentro moriranno?»

«Sì».

«Be’, non possiamo permetterlo!» Esclamò Kiba, che, evidentemente, aveva afferrato il corso dei pensieri del Nara «Ti ricordi quella che hai salvato dalla mantide gigante? Il mio capo. Con lei c’è anche Rock Lee, e poi...»

«Ino, la mia ragazza». Sai lo fissò di sottecchi «Non sarò di certo io a darti consigli su dove colpire, se non mi garantisci che vivrà».

Gaara, in un angolo, stava zitto. Fissava il Prototype con un’aria vagamente incuriosita, ma pareva che non riuscisse a focalizzare l’attenzione sullo stesso punto per più di qualche secondo: il suo sguardo, alternativamente, saettava dal viso di Zeus al soffitto, poi di nuovo giù, sul pavimento. Come se qualcosa lo stesse distraendo.

Naruto, da parte sua, era troppo occupato a cercare una soluzione per ascoltarlo.

«Cosa volete che faccia? Potrei obbligarvi a parlare con la violenza, ma...» sospirò, poi sorrise tristemente «... ma suppongo che non lo farò».

«Potresti portarli via. Salvarli prima, e poi attaccare e distruggere definitivamente quel posto. Se ci pensi, ti converrebbe: avresti la possibilità di fare una prima incursione sul campo e studiarlo per bene, per poi dirigere tutta la potenza sui punti più deboli...»

«Se facessi così, i militari intensificherebbero molto la sorveglianza, dopo il primo attacco».

«Mi inventerò qualcosa». Lo sguardo di Shikamaru si accese per il fervore «Io ti prometto, Zeus, che se ci permetterai di salvare i nostri amici sarò per te la tua arma più potente. Le guerre non si vincono soltanto con la forza bruta, questo dovresti saperlo, e ti è sempre mancato uno stratega... senza contare che conosco i loro schemi meglio di chiunque altro».

Naruto era dubbioso. Accettare quell’offerta significava rischiare il tutto per tutto, affidarsi completamente ad un umano fragile e debole che poteva serbare nel cuore un desiderio di rivalsa nei loro confronti. Eppure, il suo istinto gli diceva che poteva andar bene, e che soltanto attraverso qualcuno come Shikamaru avrebbero potuto trovare il modo di raggiungere Madara, Kabuto o chiunque altro desiderassero eliminare.

Assentì.

«Sia. Dovete dirmi chi volete che porti via da lì, e poi...»

«Aspetta. Prima hai accennato ad una “persona”. Chi sarebbe?»

«Kabuto Yakushi».

Kiba, a quel nome, atteggiò il viso in un’espressione a metà tra lo schifato ed il sofferente.

«Eeeeew, Kabuto Facciadiculo. Dio Santo, io in tutta la mia vita non ho mai conosciuto un simile stron-»

«Come Kiba sta cercando di farci notare, sappiamo di chi parli. È il capoccia dei laboratori e controlla in toto la ricerca sperimentale sull’Idra. Il fatto che sia una persona così importante ci aiuta».

«Perché?»

«Perché potresti sfruttarlo come ostaggio per andartene di lì quando avrai trovato tutti quelli che ti chiederemo di salvare. Se anche ti portassi dietro i tuoi compagni al completo, nel caso qualcosa andasse storto sarebbe difficile scappare con tutti gli ostaggi, no? Kabuto lo potrai usare come scudo... per quelli della Gentek è troppo importante».

«Uhm». Zeus si sedette a terra, le gambe incrociate, il viso alla stessa altezza di quello di Shikamaru «Va bene. Senti, spiegami un po’ questo piano che vuoi fare. Però parla piano, eh, che non sono un genio in queste cose... avrai capito che non penso molto prima di agire».

«Credo... credo di sì. Abbiamo della carta e una penna?»

«Perché?»

«Potremmo averne bisogno».


***


Orochimaru si sedette sospirando accanto al letto di Sasuke.

Nonostante avesse ispezionato le orbite vuote con singolare perizia, non aveva trovato nulla. Ed era proprio quel “nulla” – più del silenzio forzato di Sasuke, che si poteva sicuramente imputare al fortissimo trauma – a fargli storcere il naso.

Non c’erano tumori, infezioni o traccia di pus. I tessuti erano perfettamente cicatrizzati.

Stabili.

Il che, in poche parole, significava che non si sarebbero mai rigenerati.

Secche, bruciate, le orbite nere sarebbero rimaste tali probabilmente per sempre, e lui non aveva idea di come comunicarlo al Prototype senza che quello si gettasse in qualche impresa avventata.

Sospirò di nuovo.

«Ah, Sasuke...» il corpo, tra le coperte bianche, ebbe un fremito «... alla fine proprio Zeus, che grazie a te ha avuto salva la vita, rischia di non poterti aiutare. Voi Uchiha siete sempre complicati, non è così? Quasi ci trovaste un qualche piacere perverso...»

Ade digrignò i denti, ma non parlò.

Dopo qualche secondo di attesa, Orochimaru si alzò. Prima di uscire, la mano poggiata sullo stipite della porta, guardò a lungo il ragazzo dai capelli neri, vide il suo pallore e l’orrendo viso sfigurato. Ricordò come gli era apparso – vivo e acceso dal sangue, bello come solo un giovane può essere – quando gli aveva dato la cura.

E provò disprezzo per quella creatura e la sua debolezza, simile a quello che i bambini riservano ad un giocattolo rotto.

Eppure, era uno spreco enorme.

«Combatti, Sasuke. Con l’odio, se necessario, ma risvegliati da questo stato pietoso e smettila di affogare nel tuo dolore. Sappiamo entrambi che non hai bisogno dell’aiuto di Zeus per portare avanti la tua vendetta... altrimenti, puoi sempre continuare ad affogare nella tua oscurità. Ma non sperare che la situazione si risolva, o che sia il Prototype a salvarti... ti rispetta troppo per offendere così la tua dignità».

Sasuke l’aveva sentito, ne era certo.

Così come era certo che avrebbe raccolto la sua sfida.


***


Le squadre speciali in servizio per tutta la città vennero richiamate alla base.

Inizialmente Morino, Danzo, Mizuki e Zabusa erano rimasti colpiti dall’ordine (il setaccio della città non aveva portato nessun risultato, pareva che Zeus fosse scomparso dalla circolazione, e l’urlo terribile che aveva scosso Manhattan aveva gettato gli infetti in un tale disordine da impossibilitare qualsiasi operazione), poi, saputo quanto era successo alla squadra Kakashi, avevano supposto che si trattasse di una manovra per evitare nuovi infortuni. Magari, Madara riteneva il pericolo troppo alto per sacrificare così degli uomini.

Quello che non sapevano era che Madara non si sarebbe mai curato a tal punto della loro vita, se si fosse trattato di catturare Zeus. Aveva semplicemente trovato qualcosa di meglio da scagliare contro il Prototype.

Appena fu buio, cinque elicotteri da trasporto partirono dalla basa Gentek. Viaggiarono uniti per un primo tratto di strada, poi le loro traiettorie si aprirono a ventaglio e si sparpagliarono in varie zone della città – quelle, fondamentalmente, in cui i grandi alveari troneggiavano e ribollivano nell’aria fresca della sera.

Poi, ad un segnale convenuto, sganciarono delle grandi bombole collegate a dei detonatori.

Sulle bombole, grossi caratteri rossi recitavano “A-113A”.

L’aria divenne rossa.

Grandi nuvole di vapore scarlatto si levarono su una buona parte della città; quelle nuvole sapevano di morte, decomposizione, e gli infetti che vi si trovavano immersi cadevano a terra, contorcendosi per il dolore, la carne che si anneriva, ricoperta di croste, fino ad ucciderli. Persino i cacciatori, incommensurabilmente grandi e forti, cadevano, senza nemmeno capire cosa fosse a piegarli.

Quel veleno sottile e mortale si propagò in buona parte della città, prima che il vento cominciasse a spingerlo via, sui quartieri sani. D’altra parte, agli umani non faceva nessun effetto: lo respiravano senza nemmeno accorgersene, perché quell’arma biologica non era stata progettata per uccidere loro. Solo chi portava l’Idra nel sangue si sentiva male, vomitava e si accasciava a terra in preda alle convulsioni.

E poi, slittando e avvolgendosi attorno ai grattacieli, la nuvola tossica raggiunse il porto.


***


«Che vuol dire che non potrà più avere la vista?»

Aveva passato il pomeriggio con Shikamaru e gli altri umani, a pianificare nei dettagli quella che sarebbe stata, molto probabilmente, l’operazione più pericolosa che il Prototype avesse mai compiuto. Si era rivelato più difficile del previsto, ma alla fine erano venuti a capo di tutti i problemi, calcolando anche le eventualità più nefaste.

E Orochimaru gli diceva che...

«Non chiedermi perché. Il suo corpo ha rigenerato perfettamente tutta la zona dell’orbita, senza che si verificassero infezioni, ma i bulbi oculari non accennare a ricrescere. Ormai le condizioni si sono stabilizzate, per cui è da escludere che Sasuke possa tornare a vedere».

Naruto impallidì vistosamente, incassando quel nuovo colpo al cuore con un sorriso amareggiato e un dolore pazzesco da qualche parte, dentro di lui. Non osò nemmeno chiedersi se la situazione sarebbe mai migliorata, si limitò a chinare il capo e arrendersi anche a quell’ultima disgrazia.

«Suppongo che dovrò cominciare a farci l’abitudine. Scusami, io... ho bisogno di un po’ d’aria».

«Zeus...»

Orochimaru scosse la testa, ma nonostante tutto lo seguì mentre percorreva i corridoi della base fino alla botola, fin nel magazzino.

«Io, io non capisco perché...»

Non espresse mai fino in fondo quel pensiero. Spalancò la porta del magazzino, e Orochimaru fece appena in tempo a sentire un puzzo acre, simile alla carne in decomposizione, che Zeus si era accasciato a terra con entrambe le mani attorno alla gola.

Il cervello dell’uomo lavorò in fretta, perfettamente freddo e controllato.

Benché fosse ignaro della situazione, comprese al volo che il Prototype stava soffocando per qualcosa che si trovava nell’aria; smise istantaneamente di respirare e si scagliò sul ragazzo, lo afferrò per la maglietta e lo tirò indietro, fino alla botola, dove si gettò alla massima velocità possibile. Richiuso su di sé il coperchio, si concesse un breve respiro: gli ci volle tutto l’autocontrollo di cui era dotato per non appoggiarsi al muro e vomitare, tanta era la sensazione di nausea e asfissia che gli dava quell’odore greve, seppure non fosse che un sentore vago rispetto a ciò che doveva trovarsi all’esterno del magazzino.

Abbassando lo sguardo sul Prototype, i suoi sospetti furono confermati.

Aveva le braccia, il viso e il collo come bruciati, ricoperti di spaccature e vesciche. La pelle era rossa, solcata da vene rilevate e bluastre.

«Tutto a posto?»

Si teneva ancora la gola, tossicchiando. Gli rivolse un’occhiata riconoscente.

«Che... che cazzo era?»

«Qualche nuova diavoleria dell’esercito. Caso più unico che raro, pare che stavolta siano riusciti a creare qualcosa di utile. Ci sono prese d’aria, in questo posto?»

«Sì... sì, ma è filtrata».

«Speriamo che basti. Pare che dovremo rimandare i piani di attacco».

«Non penso proprio». Allungò un braccio nella sua direzione, e Orochimaru poté osservare la pelle che, rapida, si richiudeva silenziosamente sulle vesciche, tornando liscia e compatta come pochi minuti prima. Lo stesso accadde anche sul viso del ragazzo.

«Conosco le tue capacità di guarigione, Zeus».

«Non è questo che intendevo. Ho assimilato quella merda che ho respirato pochi secondi fa... il mio organismo, molto probabilmente, ha già sviluppato una mezza immunità. Questo è un punto a nostro favore, non il contrario... anzi, mi è già venuta una mezza idea...»

Scattò in piedi, come folgorato, prima che il più anziano lo bloccasse.

«E Sasuke? Ti sei già dimenticato di lui?»

«Niente affatto. Voglio che tu lo aiuti, Orochimaru, che lo faccia tornare a vivere».

Lo fissò, irremovibile. Nei suoi occhi c’era la solita, ammirevole forza d’animo, che lo scienziato non sapeva se deprecare o ammirare con tutto sé stesso: che derivasse da un’ingenuità senza limiti o da una fede cieca nel futuro, quella sua resistenza ad ogni evento negativo era infatti l’arma più potente che possedeva.

«Io? Perché proprio io?»

«Perché sei intelligente, forte e infetto. E perché sento che è una scelta giusta. Io non potrò occuparmene, almeno non domani».

«Perché “non domani”? Non mi dirai che...»

«Intendo colpire domani. Sono stanco di aspettare, e poi non ho bisogno di Sasuke per portare a termine quello che abbiamo deciso con Shikamaru. A proposito di Shikamaru... digli che lo voglio tra cinque minuti davanti al computer. Credo di avere delle ottime modifiche da apportare al piano»


***


Ce l’ho fatta”.

Hinata abbandonò la schiena sulla sedia, il rumore stridente della tuta di lattice a ferirle le orecchie. Rise, il volto protetto dallo schermo di plastica, rise fino a piangere. Le lacrime le rotolarono sulle guance, indisturbate, senza che lei potesse fare nulla per toglierle – né avrebbe voluto.

Erano il simbolo della sua vittoria.

Abbassò lo sguardo sul microscopio, sul tavolo davanti a lei, e sul vetrino sterile che vi poggiava.

Poteva quasi vederlo, il virus Idra che si contorceva e schiumava su quella minuscola superficie piatta, incapace di sottrarsi al cambiamento forzato che lei gli aveva imposto. Incapace di vincere una battaglia contro la creatura che più di tutte era in grado di offendere.

Perdente, per la prima volta dopo tanto tempo.

Ho trovato la cura”.

La cura, quella vera, non un qualche surrogato di poco conto che poteva appena bastare per causare un tumore negli organismi infetti, uccidendoli. No. La sua cura avrebbe restituito la vita a tutti coloro che il virus aveva reso schiavi. Li avrebbe salvati.

Come era successo a Zeus.

Con dita tremanti, afferrò delle provette vuote da un ripiano lì vicino e le posò sul tavolo assieme ad alcune capsule di Petri. Doveva sintetizzare una buona quantità di antidoto per potersi dire davvero soddisfatta.

Dopo un’ultima occhiata al virus Idra, rinchiuso nelle provette sulla scrivania sotto forma di un liquido trasparente, innocuo, si mise nuovamente al lavoro.


***


«Bloodtox. Questa porcata si chiama Bloodtox». Esclamò Shikamaru, puntando un dito contro lo schermo del PC. Zeus corrugò le sopracciglia.

«E che roba è?»

«Un’arma chimica che manda in necrosi istantanea tutti i tessuti infetti, lasciando quelli sani perfettamente normali. Devono aver speso parecchio tempo per inventarsi una roba così raffinata».

«Magnifico. Se è chimica posso abituarmi facilmente... per un attimo ho avuto paura che si trattasse di una sostanza organica...»

«Il modo in cui vuoi sfruttare questa roba è molto pericoloso, Zeus. Non hai nessuna assicurazione che funzioni».

«Conosco le mie potenzialità, Shikamaru».

«Lo so, ma chi ti assicura che il tuo metabolismo si abituerà a questa roba fino a minimizzare i danni? La tua idea è praticamente un suicidio e poi...»

«Tranquillo,» gli poggiò una mano sulla spalla, con un gran sorriso sornione stampato sul viso «andrà tutto bene. E poi, ho il metodo più sicuro del mondo per essere certo della mia teoria».

«Sarebbe?»

Zeus si avvicinò alla porta del salotto, poggiando una mano sulla maniglia lucida della porta.

«Credo proprio che andrò a fare una piacevole passeggiata rigenerante su al porto, che ne dici? La salsedine fa bene ai polmoni umani, forse anche ai miei».

Shikamaru si schiaffò una mano sulla fronte, l’espressione funerea.

«Se non saranno i militari ad ucciderti, Zeus, sarai tu stesso responsabile della tua morte.


Le tenebre non sono sempre la via più facile”.













_Angolo del Fancazzismo_

Ssssssalve e buon Compleanno di Jared Leto!

Ok, scherzo. Buon Natale.
Comunque, ci ritroviamo in questo meraviglioso (ahem), bellissimo (ehehehehemmm), per nulla noioso (mavaccagar’...) capitolo ventottesimo di Prototype. *suonano fanfare*

Ebbenesì, ho aggiornato. E il capitolo l’ho scritto quasi tutto oggi.

Prendetemi a clavate, pleeaaaase.

Scleri a parte, troverete i vaneggiamenti più seri nelle risposte alle recenZioni.
See you soon,

Roby


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Capitolo 29
*** Break the Ice ***


028 – Break the Ice



Il convoglio entrò nella base.

Quattro autocarri in fila indiana, protetti da un paio di jeep e soldati appiedati e muniti di lanciarazzi, oltrepassarono il portone - spalancato, con cautela, solo dopo che l'area fu ritenuta sicura. Una volta dentro, furono parcheggiati perpendicolarmente al muro di sbarramento, nel cortile antistante il fortino.

Ne scesero le reclute fresche, ragazzi giovani, di massimo vent'anni - dacché erano entrati a Manhattan, niente più che carne da macello in quella lunga ed estenuante guerra contro gli infetti. Tra loro, persino qualche europeo: anche i Paesi d'oltreoceano cominciavano a capire quanto l'infezione di New York potesse rivelarsi pericolosa, alla lunga, per l'umanità intera.

Si disposero in due file ordinate, pronti per la rivista.

In fondo, a destra, se ne stava, piuttosto discosto dagli altri, stranamente basso ed esile, un ragazzo giovanissimo con due grandi occhi azzurri e la pelle leggermente scura. I capelli, disordinati - ed era strano per un soldato, visto che passavano dal barbiere d'ordinanza prima di ricevere la divisa - sfuggivano di sotto all'elmetto come ciuffi di paglia bionda. Tremava vistosamente.

Un ufficiale decorato uscì dalla base; dietro di lui, due Blackwatch che trasportavano una sorta di cubo di metallo, non più grande di uno scatolone, con strane aperture su tutti e quattro i lati.

Ad un cenno dell'ufficiale, i soldati in nero schiacciarono un bottone, e dalle aperture - valvole a pressione, in realtà - fuoriuscirono quattro getti perfettamente simmetrici di Bloodtox rossiccio, che si disperse in fretta nell'aria circostante e diffuse un odore penetrante di carne in decomposizione.

Era, quella, l'ultima misura di sicurezza escogitata dai Blackwatch per avere il completo controllo della situazione nelle basi militari: non pochi erano i soldati che, contagiati dall'Idra, continuavano a lavorare nonostante il malessere - per paura di essere giustiziati se avessero rivelato di essere malati - e finivano per diventare armi rivolte contro lo stesso esercito, e nuovi focolai di infezione.

Tuttavia, in quel primo giorno di prova, il nuovo Esame Bloodtox portò risultati insperatamente migliori dell'eliminazione di qualche recluta infetta.

Il soldato biondo, ultimo posto della seconda fila a destra, inspirò a fondo il Bloodtox e impallidì.

I suoi occhi si fecero grandi, sgranati, e cadde a terra reggendosi lo stomaco con entrambe le mani; emise un singulto aspro e stridulo, prima che il braccio sinistro esplodesse in una selva di viticci neri che si aggrovigliavano e ricompattavano fino a definire la forma di un'enorme lama curva.

Immediatamente fu circondato.

Gli puntarono addosso i fucili, disponendosi circolarmente attorno al suo corpo che, a terra, si contorceva debolmente. Quando cadde definitivamente, la pelle annerita e il viso a contatto con l'asfalto, il petto che si gonfiava debolmente a ritmo di un respiro sforzato, l'ufficiale, un sorriso estatico sul viso, diede l'ordine di chiamare il quartiere generale della Gentek.

«Abbiamo catturato Zeus». Annunciò.

La base si riempì di grida d'esultanza.



***



Il dottor Kabuto Yakushi stentò a credere alle proprie orecchie.

Ascoltò la telefonata del sergente Ross con la bocca spalancata, incapace di prestare fede a tanta, inaspettata fortuna. Quando riattaccò aveva le mani sudate, la gola secca, e una sensazione di eccitazione crescente che gli faceva formicolare tutto il corpo e stringeva lo stomaco come una morsa.

L'avevano preso.

Finalmente.

Finalmente, ciò che era suo di diritto era tornato a casa.

Se lo ricordava ancora, Zeus, un bambinetto di otto anni chiuso in una sala bianca dalle pareti imbottite, elettrodi conficcati nel corpo sottile, nudo, quando lui era appena entrato nella sezione top secret dei laboratori. Soprattutto, gli tornarono alla mente quei suoi occhi infantili, immensi e vuoti, di un blu delle sfumature più cupe delle profondità marine - così simili a quelli della Madre - fissarlo al di là dello spesso vetro di contenimento, pregni di una forza e di un furore che erano tutto, tranne che umani.

Quella piccola creatura dal corpo efebico che l'aveva stregato, ammaliato, legato a sé con l'incanto dei suoi occhi, ora era di nuovo sua. Quante volte aveva sognato Zeus, il suo potere, la sua perfezione divina, rigirandosi nel suo letto, incapace di dormire perché ossessionato dal viso del bambino che bambino non era anche nei sogni? Incapace di carpire quel segreto, incapace di cogliere quel frutto o scacciare il tarlo che gli rodeva il cervello, Kabuto Yakushi non aveva fatto altro, per quasi cinque anni, che desiderare il Prototype con ogni singola fibra del proprio essere, corpo e anima. Non per la carne - o, almeno, non principalmente per quella - ma per l'enigma profondissimo e insondabile che vedeva crescere giorno dopo giorno in quelle iridi cerulee, una domanda terribile e meravigliosa che, sentiva, avrebbe spalancato a lui, solo a lui, le porte della conoscenza eterna, delle nozioni più elementari che governavano l'Universo. La vita e la morte in quegli occhi, il paradosso più affascinante che la specie umana avesse mai scoperto.

L'esistenza stessa del Prototype e gli immensi poteri che celava non facevano che galvanizzarlo, trascinarlo inesorabilmente verso l'abisso della follia.

Eppure, era riuscito in qualche modo a resistere.

Col passare del tempo aveva capito che Zeus si trovava ad un livello troppo alto perché potesse averlo per sé e studiarlo come avrebbe voluto. Aveva cercato, prima con Sasuke Uchiha e poi con Sabaku No Gaara, di creare dei surrogati che potessero valere quanto l'essere originale.

Il fallimento era stato arduo da sopportare.

Più di tutto, però la fuga di Zeus lo aveva colpito.

Era stato uno choc tremendo sapere che era scappato - lui, che da anni si poneva nella sua vita come uno scopo da raggiungere, come l'unica ragione per migliorare sempre di più le proprie competenze - e che l'aveva abbandonato così, alla ricerca di una libertà che non avrebbe mai trovato. Perché, Kabuto ne era sicuro, il Prototype non sarebbe mai stato libero fino in fondo.

Era un'arma nata in laboratorio per il solo scopo di adempiere le volontà di qualcun altro.

Che poi si fosse ribellato, quello era un dettaglio ininfluente, tanto sciocco da farlo sorridere. Sapeva che prima o poi sarebbe tornato.

E infatti, quel giorno era finalmente giunto.

Indosso il camice di corsa, distrattamente, e percorse di volata i piani che lo separavano dal laboratorio in cui lui era stato portato. Finalmente aveva l'autorità bastante per esaminarlo, per investigare a fondo i segreti di quell'essere meraviglioso... e non si sarebbe fatto sfuggire quell'occasione per nulla al mondo.

Le procedure di decontaminazione lo tediarono più del solito mentre si allargava il colletto della camicia, accaldato. Indossò la mascherina chirurgica e, percorso un corridoio - sorprendentemente sgombro, non sorvegliato dai Blackwatch - passò una carta magnetica nella guida di acciaio accanto ad una porta ed entrò nel laboratorio.

La porta si richiuse alle sue spalle con un fruscio prima che potesse realizzare ciò che gli stava davanti.

La parete di fronte era stranamente nera.

Batté le palpebre un paio di volte, paralizzato, mentre l'immagine raccapricciante di un Blackwatch inchiodato al muro si materializzava davanti ai suoi occhi. Pareva crocifisso, a bloccargli le braccia e le gambe pezzi appuntiti di metallo nero che somigliavano terribilmente a canne di fucili; la testa, inerme, penzolava sul petto insanguinato. Ai suoi piedi, un cumulo di cadaveri ridotti nello stesso modo.

Alzò appena lo sguardo, Kabuto, e lesse, sopra la testa del soldato, una scritta tracciata con quello che pareva - e che doveva sicuramente essere - sangue umano.

"Sorpresa!"

Sentì un tuffo al cuore. Giusto il tempo di capire cosa poteva essere successo, che si sentì afferrare per la nuca da una mano forte e violenta e gettare avanti con una potenza inaudita. Sbatté contro la parete, mugolò, affondò le mani tra i corpi dei Blackwatch, il loro sangue ad insozzargli la pelle, a scorrergli sotto la pelle.

Girò appena la testa, terrorizzato.

E le profondità plumbee dei suoi sogni, stavolta chiazzate di rosso scarlatto, ad accoglierlo.

«Z-Zeus...» gli mancò il fiato. Sentì la gola stringersi per le lacrime, mentre vedeva il sogno di tutta una vita sfumare nel nulla. Eppure, fino a pochi secondi prima aveva creduto possibile il ritorno del Prototype... perché le sue aspirazioni erano destinate ad essere disilluse in un modo così crudele?

«Sei Kabuto Yakushi?»

Annuì, rimangiandosi un singhiozzo. Sembrava così bello, il Prototype, così cresciuto, inesorabile e forte di tutto il suo potere. Un Dio vendicatore nel pieno della sua potenza, non già il bambino acerbo che lo aveva ossessionato.

Eppure, nei suoi occhi vide qualcosa che lo confuse. Benché colmi di rabbia, erano straordinariamente limpidi e sicuri, vivi, diametralmente opposti rispetti ai baratri vorticosi che ricordava di aver osservato negli anni precedenti. Era come trovarsi davanti un'altra persona, eppure covava nel cuore la certezza che si trattasse proprio di Zeus.

«Sì...» Si appoggiò con la schiena al muro. Il bagliore delle lampade al neon sulla canna di un fucile, abbandonato accanto a lui, lo distrasse per un attimo.

«Immagino tu sappia chi sono». Il braccio sinistro di Zeus mutò, sfrigolando e accartocciandosi e poi ricomponendosi nella lama circondata da sottilissimi tentacoli che per tanto tempo Kabuto aveva osservato, nei dossier e dietro i vetri blindati dei laboratori. Era l'arma finale, la più potente.

Era lì per ucciderlo.

«Cosa vuoi da me?»

«Devo farti alcune domande».

«Riguardo ad Hope?»

Stranamente, quel nome non suscitò nel Prototype nessuna espressione dubbiosa. Si limitò ad annuire, facendo un passo nella sua direzione, e Kabuto poté vedere come il suo viso, nonostante gli occhi ormai completamente rossi, fosse disteso in un'espressione di ineluttabilità dolente, quasi compassionevole.

Provava pena per lui? Lo faceva sentire quasi fortunato.

«Voglio sapere perché fu fatto quell'esperimento. Voglio sapere chi sono io, e chi è Elizabeth Greene».

«Hope...» ridacchiò, trovando improvvisamente divertente la comparsa di quel fantasma dal suo passato. Aveva lavorato sul virus diffuso ad Hope, sul Redlight, benché ignaro dell'enorme potenziale nell'arma distruttiva che aveva creato.

Sapeva, oh se sapeva.

«Parla». Gli intimò, quasi ringhiando, avvicinando la lama al suo petto. Eppure, lui l'aveva visto nascere - sempre che così si potesse dire.

Una mancanza di rispetto indecorosa.

«Hope fu costruita solo ed unicamente per uno scopo... ovverosia, la creazione di un arma biologica particolare...» inspirò, ricordando, minuto dopo minuto, tutte le atrocità che l'esercito aveva commesso appena diciassette anni prima. Eppure, gli pareva quasi di averle dimenticate, quasi riemergessero da una nebbia fitta di secoli.

«Sarebbe?»

«Volevano... volevano che sviluppassimo un virus mortale solo...» si interruppe. Un singhiozzo strozzato, chissà perché, affiorò sulle sue labbra.

«... solo per determinati gruppi etnici».

Sentì che il Prototype era ammutolito, e alzò lo sguardo verso di lui. Lo fissava con un'espressione attonita, evidentemente troppo sorpreso per replicare.

Una frazione di secondo dopo, si sentì sbattere rudemente contro il muro, il corpo del Blackwatch sotto di lui.

Gli occhi di Zeus, rossi come braci, a pochi centimetri dal suo viso.

«Dimmi che è uno scherzo». Aveva il viso contratto, arrossato dalla furia «Non posso credere che al mondo esistano dei figli di puttana capaci di fare una cosa del genere».

«Non... noi...» mugolò, cercando di scostare la mano che gli si era stretta attorno al collo. Il Prototype allentò leggermente la presa, consentendogli di parlare.

«Non sono gli scienziati a scegliere quali progetti portare avanti, è l'esercito a ordinarcelo. Fu il Presidente ad accettare e a autorizzare il progetto Hope».

L'espressione di Zeus si vece quasi sofferente. Non riusciva forse a credere che ci fossero persone in grado di predisporre simili mostruosità?

«A chi era destinato questo virus Redlight?»

«Etnie orientali. A quanto pare l'America voleva assicurarsi di poter reggere il confronto con le grandi economie dell'Est, in futuro. E forse è proprio per quello che Kushina...»

«... è diventata l'ospite ideale del virus. Lo so».

«Oh, lei era perfetta. Non aveva nessun difetto: miopia, complicazioni genetiche latenti, predisposizioni a malattie di alcun tipo...» ridacchiò «... nemmeno un dannato ginocchio valgo o un po' di scoliosi. Perfetta».

«Era da sola?»

«No. Con lei c'era il suo fidanzatino, un certo Minato Namikaze. Si erano appena sposati, a quel che so, e tu... tu gli somigli molto. Era già incinta, quando arrivò».

«Sasuke? Sasuke come...»

«Sasuke era il figlio dei loro vicini di casa... nacque qualche mese prima del massacro. Con lui sopravvisse anche suo fratello Itachi... lo sapevi, questo?»

«Sì». La presa si fece più delicata, fino a sciogliersi del tutto. Kabuto scivolò nuovamente a terra.

«Dopo cosa accadde? Né io né lui ricordiamo nulla del periodo successivo... e poi, il bambino di Kushina morì, a quanto dicono i rapporti. Perché io sono vivo?»

«Dopo l'incendio di Hope vi portarono qui... siete stati al sicuro in questo posto per anni, al centro di una delle metropoli più popolate del mondo, senza mai fare nulla di pericoloso. Credo che Sasuke abbia dimenticato tutto grazie a qualche operazione di Madara... quell'uomo conosce bene la mente umana, e sa come far sì che le memorie più terribili vengano sepolte da qualche parte e non tornino mai più in superficie. Kushina, dopo che il cadavere del bambino fu estratto dal suo corpo, fu indotta da noi in uno stato comatoso per evitare che succedesse quello che è successo... il piccolo era indubbiamente morto, e l'Idra non riporta in vita i cadaveri».

«Allora com'è possibile che...»

«Oh, Zeus...» Kabuto ghignò «... io questo lo so, ma non crederai mica che abbia intenzione di dirtelo...»

Fulmineo, più di quanto si sarebbe aspettato di poter essere, il medico si gettò sul fucile che aveva già notato, e senza esitazione alcuna se lo puntò alla gola, la canna verso l'alto. Premé il grilletto, e tutto quello che Zeus vide fu un'esplosione rossiccia e una colonna di vapore e gocce scarlatte elevarsi al di sopra di quella che una volta era la testa del medico, in quel momento più simile ad un grosso fiore accartocciato.

Sul momento, Naruto si sentì quasi triste di fronte a quello scempio, insoddisfatto per non aver potuto uccidere Kabuto Yakushi con le proprie mani. Poi avvertì una sensazione familiare al centro del petto, e nella gola.

Infine, semplicemente, si appoggiò alla parete lorda di sangue e scoppiò a piangere.

Sentiva una pena incommensurabilmente grande per tutti coloro che, a causa della pazzia umana, avevano dovuto soffrire atrocemente e morire. Sua madre, Sasuke, Deidara e ora anche quello scienziato, non erano altro che strumenti di un destino troppo crudele, famelico.

Se le cose fossero andate diversamente, nessuno di loro sarebbe morto.

Inspirò nel tentativo di calmarsi. Asciugò le lacrime con il dorso della mano, poi si voltò verso la porta del laboratorio. Doveva sbrigarsi, andarsene prima che tutta la Gentek gli piombasse addosso - e non ci sarebbe voluto molto, prima che si accorgessero del disastro che aveva combinato.

"Gli altri avranno già fatto la loro parte." Pensò, sfondando con un pugno la porta del laboratorio.

Immediatamente il suono squillante di un allarme riempì l'aria.

«Ok, ora sono veramente nei casini».



***



Sasori osservò con una certa sfiducia la mole del Gentek Palace.

Nel cortile c'era un viavai continuo di autocarri e mezzi blindati di ogni tipo, elicotteri militari solcavano il cielo di Manhattan per poi posarsi con grazia singolare sul tetto dell'edificio.

La divisa da Blackwatch gli stava larga, era calda e asfissiante. La maschera antigas che gli copriva occhi e viso non faceva che limitare il suo campo visivo, ma era - purtroppo - necessaria: grazie a quella, tutti avrebbero preso per buona la tessera di riconoscimento che portava appesa al collo (sottratta ad un vero Blackwatch mezz'ora prima quando l'aveva ucciso). Usando quelle, né lui né i suoi compagni correvano alcun pericolo.

Oltre a quello che potevano procurarsi autonomamente, aggiunse, quando, voltato un attimo lo sguardo per controllare la situazione, vide Hidan e Kakuzu intenti a bisticciare su un non meglio definito dettaglio della missione. Li chetò con un gesto imperioso del braccio, trattenendosi dal motteggiarli per l'effetto vagamente inquietante che quelle due divise nere facevano su dei colossi come loro. Kisame, invece, ridacchiò apertamente, per quanto la sua voce risultasse attutita dalla barriera della maschera.

Pain e Konan erano rimasti alla base, a sorvegliare la new entry.

Zetsu, molto probabilmente, era già dentro. Per lui non doveva essere un problema.

«Andiamo».

Si mossero compatti verso l’entrata. Un custode, all’ingresso della barricata, controllava uno ad uno tutti i cartellini che venivano esibiti; accanto a lui, uno dei diffusori di Bloodtox, in funzione fino a pochi minuti prima, giaceva spento nella polvere: dopo quella che ritenevano la cattura di Zeus, i militari sentivano di non avere più nulla da cui guardarsi, né avevano voglia di restare troppo tempo con quell’orribile odore di carne marcia nelle narici.

Passarono i controlli senza nessun problema.

Una volta arrivati davanti all’entrata vera e propria dell’edificio, un’immensa schiera di porte girevoli da cui entrava e usciva una fiumana di militari, Sasori si bloccò. Guardò nuovamente i compagni, poi sospirò: ce l’avrebbe fatta, una simile accozzaglia di idioti, a completare una missione tanto delicata? Scommetteva che l’umano con i capelli castani stava già ridendo alle sue spalle.

«Avete con voi le planimetrie?»

Seguirono numerosi versi di assenso e colpetti strategici sulle tasche in cui i foglietti stampati erano stati messi.

«Le avete per caso studiate?»

Seguì un silenzio imbarazzato. Molto imbarazzato.

«Imbecilli. Non speravo in una risposta affermativa, comunque».

«Che vuoi che sia...» proruppe Hidan, con il suo solito tono da esaltato «... tutti sono capaci a leggere una cartina».

«Di leggere una cartina. E non sono sicuro che attribuirvi le normali competenze di un bambino umano di dodici anni sia una mossa poi così saggia. Comunque, avete mezz’ora di tempo per portare a termine la missione. Al termine, ognuno tornerà singolarmente alla base... a meno che non capiti di incontrarsi, è chiaro. Evitate di sollevare troppa agitazione».

«Non credo che reagiranno bene».

«Non ha importanza. A quest’ora Zeus dovrebbe aver finito, e Zetsu sarà pronto per l’attacco».

Varcarono le soglie del palazzo non senza un certo timore, dovuto principalmente alla gran quantità di umani armati che li circondavano.

Avevano fatto pochi passi nell’atrio, che un allarme risuonò per tutta la stanza. Probabilmente, considerò Sasori, per tutto il palazzo.

Immediatamente, i Blackwatch cominciarono a convergere verso una delle tante porte che immettevano nell’atrio, mentre una voce metallica, dagli altoparlanti, diceva: “Emergenza al livello quattordici, le unità BlackWatch devono recarsi immediatamente sul posto...”

«Zeus è sempre il solito. Combina solo cazzate».

«Per una volta, Hidan ha ragione».

Vedere Kakuzu che dava ragione ad Hidan era già di per sé un evento più unico che raro, ma lo fu ancora di più udire le grida spaventate dei perennemente impassibili Blackwatch quando, con un rombo ed un rumore fragoroso di vetri infranti, una pioggia di proiettili si abbatté sulle porte dell’atrio, mandandole in frantumi.

«Invece Zetsu è sempre al posto giusto al momento giusto, neh?»

L’infetto, in quel momento, sospeso una ventina di metri sopra la strada, era intento ad utilizzare – con sommo piacere e divertimento – tutto l’arsenale bellico di cui l’elicottero che aveva rubato poc’anzi disponeva, a scapito però della facciata del Gentek Palace. Inutile dire che se la rideva come pochi, aspettando che arrivasse il soccorso aereo per dimostrare anche ai piloti umani le sue superiori capacità da infetto.

«Il piano prosegue come stabilito. Abbiamo solo meno tempo, ma ci sarà più facile muoverci indisturbati se tutta l’attenzione è focalizzata su Zeus».

«E con lui come la mettiamo? Se dovessero fargli qualcosa?»

«Non ho mai incontrato un tipo più indistruttibile di lui. Ha superato situazioni peggiori. Ora separiamoci».

«Quanto tempo abbiamo?»

«Un quarto d’ora. Cercate di metterci di meno».



***



«Capo... le dico che secondo me sta dimagrendo troppo».

«Grazie, Rock Lee, ma sto bene».

«Vuole una mela?»

«No».

«Vuoi una mela?» Quella nuova offerta, coadiuvata dall’uso del “tu” e da un’espressione che chiunque avrebbe definito “inquietante” (i sorrisi di Rock Lee lo erano tutti, o quasi), fece capitolare Tenten. Accettò il frutto – già miracolosamente sbucciato – e gli diede un morso.

Nonostante il pessimo cibo dell’ospedale militare, che dava solo l’illusione di un apporto vitaminico e/o proteico, non aveva fame. Si sentiva bene, forte e pronta a rialzarsi; i medici imputavano quella strana condizione allo stesso fattore che aveva causato la cicatrizzazione precoce delle sue ferite, e la donna, al solo pensiero di quale altra mutazione poteva essersi prodotta all’interno dell’organismo, tremava.

Eppure, Zeus le aveva salvato la vita.

Quel pensiero aveva finito per toglierle il sonno.

Le occhiaie incavate nel viso roseo e sano, nota stonata in un quadro complessivo eccellente, lasciava che Rock Lee le rimanesse accanto, ma non aveva il coraggio di condividere con lui le domande che le affollavano la mente.

Forse, se al suo posto ci fosse stato Kiba...

Scosse la testa. Kiba era stato dato per morto già da tempo. Aveva pianto, quando glie l’avevano detto, più per lui che per lo schiaffo morale subito dall’esercito – dopotutto, era andata persa una delle squadre più temibili e importanti che i Marines avessero mai posseduto. Non le importava.

«Rock Lee... tu hai mai perso qualcuno di importante?»

L’infermeria vuota le metteva addosso un senso di tristezza; il compagno, seduto presso la finestra, guardava fuori con aria tranquilla.

«Io? Be’, sono stato sul punto di...»

Non riuscì a completare la frase: la sua voce, benché piuttosto alta, fu coperta dal suono squillante dell’allarme generale, quello che veniva azionato solo nel caso l’intero edificio fosse in serio pericolo. Tenten si tirò in piedi con uno scatto (da tempo, ormai, non usava più la flebo, e veniva tenuta a riposo soltanto per fare ulteriori accertamenti sulle sue strane capacità di guarigione), e si avvicinò alla finestra.

«Ma che succede?»

«Non ne ho idea, cap... ehi! Guarda quell’elicottero!»

Un mezzo corazzato e incredibilmente grosso, un Kamov da combattimento ultimo modello, comparve improvvisamente da dietro un angolo de Gentek Palace e si portò di fronte alla facciata.

Inclinatosi verso il suolo, azionò le mitragliatrici che svettavano ai lato della cabina di pilotaggio.

Tenten fece appena in tempo a coprirsi le orecchie che un frastuono assordante fece vibrare l’aria, mentre i proiettili, sparati da enormi tamburi rotanti che sputavano una cascata di bossoli, si infrangevano contro i piani inferiori dell’edificio e polverizzavano tutto ciò che colpivano.

Fortunatamente, l’infermeria in cui si trovavano – quella, cioè, destinata ai malati non gravi – era abbastanza in alto.

«Ho come la sensazione che faremmo meglio ad andarcene di qui, capo».

«Sai, Rock Lee, lo penso anche io. Fammi prendere le medicine...» Tenten si avvicinò al tavolo accanto al proprio letto, sul quale stavano vari flaconi di antidolorifici e dei sonniferi. Li usava per combattere il dolore delle ferite (che ancora, qualche volta, la facevano penare) e la sua fastidiosa insonnia. Rovesciò tutte le bottigliette in una bustina, poi si affaccendò ancora qualche minuto a recuperare i propri effetti personali di prima necessità (il telefono cellulare, la pistola d’ordinanza, il distintivo) ammucchiati in una sacca che Rock Lee aveva avuto la compiacenza di portarle sotto il letto.

Nel corridoio si sentirono delle urla, immediatamente soffocate.

Si bloccò.

«Che cos’era quello?»

«Non lo so capo. Sbrighiamoci».

Fece un passo verso la porta, il braccio proteso.

Quella si spalancò senza che ci fosse bisogno di spingere la maniglia, spinta da un calcio poderoso proveniente dall’esterno.

Sulla soglia comparve un uomo alto e imponente, con indosso una tuta da Blackwatch. Portava la maschera antigas slacciata, ciondolante sul petto; i particolari che Tenten riuscì a registrare della sua figura, prima che irrompesse nella stanza, furono due: il viso, bello e regolare, in cui brillavano degli occhi assurdamente viola, e il braccio destro, più simile ad una grottesca falce di osso bianco che spuntava direttamente dalla carne. Appesi alla lama insanguinata c’erano ancora dei frammenti di tessuto nero, proveniente dalla tuta, segno che quella cosa era uscita dall'interno.

Tenten rabbrividì.

«Salve,» esclamò lo sconosciuto, seguito da un compare ugualmente vestito «siamo quelli della pizza che avete ordinato. E adesso muovete il culo e seguiteci, da bravi».



Il virus poteva tutto, tranne che resuscitare i morti”.





















_Angolo del Fancazzismo_

Ok, parliamone. Parliamo del fatto che questo capitolo arriva con circa –ahem – cinque giorni di stacco dal precedente, dopo un intervallo di mesi. Parliamo del fatto che fa abbastanza schifìo e che Kabuto pare pedobear.

Parliamo del fatto che il Classico mi toglie ogni ispirazione, neh. Che non so spiegarmi questo boom letterario in nessun altro modo.

Tuttavia, poiché (adoro questa congiunzione) vi voglio bene, vi avviso che ho pronti atri due capitoli che dovrebbero essere entrambi pubblicati entro e non oltre l’8 gennaio. No, non infartate: sono seria.

Uno dei quali è anche abbastanza... estremo, per così dire.

Ma parliamo di quest’aggiornamento di fine anno!

Innanzitutto, Buon Anno!

Vi voglio ringraziare per il fatto che mi seguite da così tanto tempo nonostante la mia mancanza di serietà... siete il mio pane, davvero. Senza di voi non riuscirei a scrivere, e Prototype si sarebbe fermata parecchi capitoli fa. Mi rendete felice con i vostri commenti, non importa se lunghi o corti, e – anche se vi potrà sembrare strano, detto da una che nemmeno conoscete – io vi voglio bene J.

Auguro a tutti un 2011 pieno di soddisfazioni.

See you soon(issimamente),

Roby


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Capitolo 30
*** Hunter and Prey ***


029 – Hunter and Prey


All’interno del suo alveare, Kushina Uzumaki percepì le vibrazioni che scuotevano tutta Manhattan.

Sollevò la testa, scostò i capelli dal viso con un gesto distratto e inspirò profondamente ad occhi chiusi. L’aria conservava per chilometri e chilometri una puzza acre, marcia, come quella della morte rossa che aveva seminato distruzione tra i suoi figli, ma c’era anche qualcos’altro.

Un rumore.

Grida lontane, attutite dalla distanza, ed esplosioni. Sembravano provenire dalla tana del lupo.

Si rannicchiò sul suo letto di Idra, indecisa. Il suo bambino era in pericolo, lo sentiva, e Itachi-kun... Itachi-kun era vicino a lui. Troppo vicino, troppo forte e pericoloso e infido, quel maledetto; già una volta aveva fatto del male a Zeus, e lei non voleva che la cosa si ripetesse.

Stavolta, poi, Ade non avrebbe potuto salvarlo.

Si alzò in piedi con uno sbuffo. Attorno a lei, i cacciatori ruggirono, percependo il cattivo umore della regina.

Si passò una mano sul polso, osservandolo con tutta calma. Le sue vene bluastre, al solito, pulsavano sotto l’epidermide semitrasparente in reticoli astratti, che mutavano periodicamente e si ricomponevano decine di migliaia di volte. Affondò le unghie nel polso, strinse la presa.

Gocce scarlatte perfettamente sferiche, come perle di sangue, le stillarono dalla ferita.

A poco a poco, ingrandendosi e perdendo la loro forma, le rigarono il braccio e precipitarono a terra con un rumore appena udibile.

Formavano delle pozze minuscole, senza venire assorbite dal tappeto di Idra che ricopriva il pavimento. Ben presto, però, cominciarono a mutare.

Piccole bolle affiorarono sulla superficie, ingrandendosi sempre di più in quella che ben presto divenne una sorta di schiuma densa e rosata, che si ammonticchiava e aumentava di volume secondo dopo secondo. Quella pila vischiosa crebbe a dismisura, fino ad assumere una vaga forma umanoide; poi, si ingrandì ancora, superò in altezza e grossezza la sagoma della Greene e assunse contorni più netti. Quando, con uno scossone, si liberò dalle bolle che ancora gli scorrevano sulla pelle, davanti a Elizabeth comparve una creatura molto simile ad un cacciatore.

Aveva, certo, forme più umane e slanciate, nari più grandi e orecchie che svettavano in fuori rispetto alla rotondità del cranio, ma gli stessi occhi piccoli e scuri brillavano nelle orbite, le stesse zanne piccole e appuntite spuntavano a file dalla bocca semiaperta.

«Gisei,» sussurrò, allungando una mano ad accarezzare la fronte piatta e fortemente convessa della creatura. Quella emise un gorgoglio di ringraziamento, socchiudendo lo palpebre «proteggi il piccolo Zeus. Combatti per me».

Gisei piegò la grossa testa scabrosa e chiuse gli occhi.

Si voltò e corse via, sparendo nella penombra rossiccia dell’alveare.


***


«Ehmm...» Kisame osservò la carta che teneva tra le grosse dita, già stropicciata. Poi la girò al contrario «Uh. Ah, ecc... no. Ma che cazz... questa cosa è più confusa dei discorsi di Hidan quando è ubriaco!»

Alzò gli occhi chiari al soffitto, sperando che qualche aiuto misterioso piovesse dal soffitto e lo aiutasse a capire dove diamine doveva andare. Non riusciva a leggerla, quella dannata cartina.

Tirò fuori dal taschino una fototessera della tipa che doveva prelevare – una gran figa, dal poco che quel minuscolo rettangolino di carta lasciava intendere – e lo rimise a posto con una smorfia contrariata. Ma che doveva fare per trovare i laboratori? Chiedere aiuto ad un passante?

«Scusi, ma chi è l-»

La voce proveniva da dietro le sue spalle. Quando si voltò (dimenticandosi, incauto, di rimettere a posto la maschera da Blackwatch, slacciata per poter respirare meglio) la signorina in camicie e decolléte che aveva parlato sbiancò improvvisamente, e si portò una mano al petto.

Aveva delle gran belle tette.

Emise un gridolino fioco, strozzato dal terrore, e rimase perfettamente immobile e tremante. Certo, incontrare un gigante con la pelle blu non capita tutti i giorni, men che meno in un momento di sollecitazione generale come quello in cui si trovava la Gentek. La ragazza, una dottoressa del piano, doveva soltanto assicurarsi che tutti i colleghi fossero rimasti al proprio posto – il suo capo, che avrebbe dovuto adempiere a quel compito, era sparito chissà dove.

«Salve, bellezza…» Kisame l’afferrò per il polso. Quella non si mosse nemmeno, troppo terrorizzata per fare il minimo gesto «... come ti chiami?»

«M-Matsuri…» balbettò, fissando Kisame con due occhi castani, da cerva, enormemente spalancati.

«Bene, è un nome che mi piace. Adesso, Matsuri, mi serve che tu mi aiuti a trovare questa tipa qui... sai dov’è ora? Mi avevano detto di cercare nei  laboratori». Le sventolò davanti al viso la fototessera.

Matsuri deglutì.

«O-ok. M-ma non ucc...»

«Non ti uccido, tranquilla». Le passò una mano sotto i fianchi e l’altra dietro la schiena, prendendola in braccio come se non pesasse niente. La ragazza emise un mezzo grido, afferrandogli la tuta, e Kisame ghignò, mettendo in mostra una doppia fila di denti triangolari e appuntiti, i denti di uno squalo.

Se mi avessero detto prima che si trovavano certe gattine alla Gentek, non mi sarei nemmeno portato la cartina”.

«I-i l-laboratori s-sono da quella parte...»

«Bene, baby, guidami tu. Ah, e non provare a fregarmi... ti sarebbe difficile scappare, con quelle trappole di scarpe che porti».


***


A Sasori era stata affidata la parte più pericolosa del piano.

Stai attento”, gli aveva detto Zeus, “secondo Shikamaru, tutti i campioni biologici e le attrezzature di ricerca sono nei laboratori sotterranei. Voglio che tu li distrugga... così, almeno, non potranno creare altri abomini”.

Ovviamente, aveva acconsentito. Dovevano ancora scoprire chi aveva ucciso Deidara, e non era nella posizione di negare un favore a Zeus. Ciò non voleva dire, però, che ne avesse la voglia.

Fortunatamente, pareva che i Blackwatch si stessero dirigendo esattamente nel punto dove doveva recarsi anche lui. Certo, non poteva mettersi a spaccare mobili e celle frigorifere fintantoché era circondato da militari, ma quella situazione gli permetteva di passare inosservato e entrare dove voleva.

Almeno in teoria.

Non ci volle molto perché udisse i primi spari. Era un rumore che odiava – cacofonico, continuo, ripetitivo – eppure, in quel frangente, lo fece sorridere: Zeus era lì da qualche parte, vicino. Sentì un grido – no, più che un grido era un ruggito, animalesco e brutale, lacerante. Carico di rabbia.

Nemmeno il Prototype sopportava i proiettili all’infinito. Oltre un certo limite cominciavano a dargli fastidio.

A quel verso si sovrapposero ben presto le urla dei soldati.

Continuò ad avanzare nella direzione prescelta, esaminando l'ambiente circostante con grande perizia. Si trovava al secondo livello dei laboratori, ultima fermata dell'ascensore regolare, ma sapeva perfettamente che c'era un qualche modo per accedere ai livelli inferiori; udendo un altro ruggito, decretò che Zeus si trovava sul suo stesso piano, a non più di una quarantina di metri di distanza. Non aveva voglia di incontrarlo - avrebbe dovuto prestargli necessariamente aiuto, e questo avrebbe ritardato di parecchio i suoi piani.

Perciò, non appena ne ebbe l'occasione, sgusciò fuori dal flusso dei Blackwatch e si defilò rapidamente in una stanza; rimase qualche minuto in silenzio, attese che gli ultimi passi si fossero allontanati verso la fonte del trambusto, poi uscì.

Cambiò strada una ventina di volte prima di trovare quello che cercava.

Sul fondo di un corridoio dalle pareti bianche c'era la porta d'acciaio, lucida e invitante, di un ascensore. Accanto, simile ad una scatola di metallo robusto affissa al muro, una guida metallica attraversata da una sottilissima fessura verticale.

"Hanno un sistema di sicurezza invidiabile in questo posto," pensò Sasori "ma non ho certo bisogno della tessera per eludere una barriera così delicata".

Diede un calcio alla porta, e il metallo si piegò. Poi un altro e un altro ancora, aiutandosi anche con le mani, finché le due porte scorrevoli, deformate verso l'interno, non si separarono abbastanza per permettergli di inserire le mani nella fessura e svellerle completamente.

Si sporse nella tromba dell'ascensore, un precipizio dalle pareti di cemento che si perdeva subito nell'oscurità. Sia che sollevasse lo sguardo, sia che lo abbassasse, ad accoglierlo c'era lo stesso buio pesto, incerto e carico di chissà quali incognite; non poteva rimanere fermo in eterno - sicuramente quella zona era videosorvegliata, e qualcuno l'aveva già visto.

Si lasciò cadere nel vano con le gambe piegate, pronto all'impatto. Precipitò per un tempo che gli parve infinito, prima che i suoi piedi colpissero una superficie rigida e uno schianto fortissimo rimbalzasse sulle pareti di cemento creando un'eco fastidiosa. Era sul soffitto di metallo di un ascensore.

Si accosciò, percorrendo quel coperchio mezzo deformato con le dita finché non percepì, sotto le dita, in profilo appena in rilievo di una botola. La strappò dai cardini con un gesto annoiato e si calò nella cabina, che godeva dell'illuminazione di una tremula lampada al neon; qui, dopo aver schiacciato il pulsante dell'ultimo piano, il -21, scoprì di essere già arrivato a destinazione.

Che qualche scienziato fosse sceso a salvare il salvabile in previsione di un intervento come il suo?

Peggio per lui, allora.

Il livello in cui entrò era molto diverso da quello in cui Zeus stava dando spettacolo.

Non c'erano porte, solo un corridoio interamente rivestito di metallo opaco e freddo; si biforcava sul fondo, formando una T perfetta, e solo allora due battenti d'acciaio, muniti anche quelli di targhette e guide per tessere magnetiche, sbarravano il passaggio.

La targa di destra riportava "Campi di Allenamento", la sinistra "Materiali Virali".

Sasori abbatté la prima a furia di calci e spallate e si fece largo in un corridoio identico al precedente. Solo, sulla destra si aprivano tre porte, due di semplice metallo e munite di maniglia, la terza ancora una volta accompagnata dalla guida.

Fu su quella che si diresse. Prima che potesse attaccarla, però, la lastra d'acciaio scivolò silenziosamente di lato.

Sasori si accostò repentinamente al muro, accanto alla porta, le orecchie tese al delicato rumore di un respiro umano, pochi centimetri oltre la soglia. Quando l'ospite inatteso si palesò, le sue sopracciglia si corrugarono impercettibilmente in un moto d'ira.

Conosceva quella donna. Come avrebbe potuto dimenticare il suo viso da ragazzina e i suoi lunghi capelli neri, quando proprio lei era stata la causa e il motore del lento sfacelo che aveva finito per culminare con la morte di Deidara? Come poteva dimenticarsi di Hinata Hyuga, quando proprio a causa dei suoi errori e del suo tradimento il nemico aveva potuto colpirli tanto profondamente?

Senza indugio, scattando con una velocità e una violenza che recavano l'impronta della sua rabbia, la afferrò per la gola e la schiacciò contro il muro, avvertendo il suo respiro farsi corto e affannato sotto la spinta dei polpastrelli.

Solo a quel punto notò che nella mano destra stringeva, con tanta forza da avere le nocche completamente bianche, una valigetta nera con delle strane strutture circolari di metallo su entrambi i lati, simili a valvole o filtri, e un led lampeggiante vicino al manico.

«Donna...» sibilò, accennando all'oggetto «... cos'è quella?»

Allentò un poco la presa, e gli occhi di Hinata si riempirono di lacrime. Da come lo guardava, sembrava l'avesse riconosciuto.

«Rispondimi. Ho già troppi buoni motivi per ucciderti».

Hinata tossicchiò, facendogli segno che non riusciva comunque a parlare. Sasori la lasciò andare, poi fece un passo indietro, lo sguardo pieno di disprezzo.

«Allora? Cosa ci facevi qui sotto?»

«Q-q-questi... q-questi s-s-sono g-gli u-ultimi c-campioni di I-Idra r-rimasti... l-la s-sostanza p-pura t-tratta d-dal p-plasma di Z-Zeus... e... e poi...»

«Parla».

«La c-cur-»

«Non osare dirlo!»

Le allungò un calcio che la fece gridare dal dolore, poi si dominò e assunse il solito contegno: dare spettacolo di fronte ad una creatura inferiore come quella non rientrava certamente tra i suoi piani.

«Lo stesso trucco non funziona due volte».

«A-aspetta! T-ti prego, t-tu d-d-devi a-ascoltarmi!» Supplicò, ripiegandosi su se stessa come per proteggersi «Q-quella c-cosa c-che m-mi h-hanno f-fatto iniettare a Z-Zeus, i-io n-non s-sapevo c-cosa fosse...»

«L'ha quasi ucciso provocandogli una specie di tumore. Ora che lo sai, come pensi di convincermi?»

Hinata spalancò gli occhi e fece una smorfia inorridita, poi, dopo aver scosso la testa un paio di volte, gli occhi bassi, riprese a parlare.

«M-mi h-hanno r-ricattata... a-avrebbero f-fatto d-del male a m-m-mia s-sorella».

«Questo ti rende un individuo a rischio».

«F-fai c-come v-vuoi... u-uccidimi s-se c-credi, m-ma t-ti p-prego d-di p-p-portare q-questa a Z-Zeus... i-iniettatela su u-un i-infetto c-comune e v-vedete s-s-se f-fa effetto... n-non su di v-voi, n-non f-funzionerebbe».

«Su di noi non funzionerebbe? Che intendi? Smettila di balbettare, o ti ammazzo».

La ragazza arrossì violentemente, poi prese un respiro profondo e inghiottì il groppo che le opprimeva la gola. Si appoggiò al muro con la schiena, prima di rispondere.

«Ho sperimentato d-delle cure...» sospirò, rabbrividendo nel tentativo di controllarsi «... ma nulla può far r-retrocedere gli effetti dell'Idra, p-perché il virus si integra troppo con l'organismo o-ospite e distruggerlo s-significherebbe u-uccidere anche l'infetto. Q-quindi ho pensato c-che avrei potuto riprodurre l-la mutazione di v-voi infetti superiori anche sugli altri e r-ridare loro l'autonomia e la dignità...»
Sasori scosse la testa. Dignità... quella ragazzina non sapeva di cosa stava parlando. Avrebbe voluto ucciderla, ma quella novità della presunta cura impossibilitava ogni sua mossa: la logica voleva che ammazzasse l’umana e portasse via la valigetta, ma non poteva prendere una decisione del genere senza consultarsi con Zeus. Certo, avrebbe potuto tacere quell’incontro e finirla lì, ma un tardo fastidiosamente ostinato già lo pungeva all’altezza del petto, sussurrandogli cose che non voleva ascoltare. La cura poteva essere reale, stavolta? Fosse pure, a lui cosa interessava?

Digrignò i denti, fissando Hinata.

Era una circostanza intollerabile, ma non poteva lasciarla lì.

Prima, però, aveva una missione da compiere.

«Queste porte,» le additò «dove conducono?»

«C-ci sono i macchinari di r-ricerca e i campioni di Idra... n-non quelli puri, ovviamente».

«Nel corridoio prima di questo c’era una biforcazione. Che cosa c’è oltre l’altra porta?»

«O-oh, niente... quella parte n-non v-viene u-usata da mes-»

«Ti ho chiesto cosa c’è».

«Lì... lì c’erano i p-posti dove v-vivevano Z-Zeus e g-gli altri e-esperimenti di Hope, m-ma la zona è s-stata chiusa dopo la f-fuga di Elizabeth Greene».

Sasori torse leggermente la bocca.

«Bene. Fammi entrare nei laboratori».

Hinata annuì, senza fare domande, e passò velocemente la propria tessera magnetica nella guida accanto alla porta; Sasori la afferrò per un braccio, tirandosela dietro con  rudezza mentre percorreva il basso passaggio illuminato, fino a sbucare in un’ampia sala rischiarata a giorno da una serie di enormi tubi al neon. Il locale era pieno di tavoli e strumenti di ogni tipo, dal pavimento sbucavano a tratti strutture cilindriche alte fino al soffitto in cui, oltre il vetro spesso, luccicavano provette piene di campioni congelati; era tutto così bianco che per qualche secondo Sasori fu accecato da quel chiarore abbacinante.

Poi, infilò la mano in tasca e ne trasse un piccolo oggettino nero.

A prima vista somigliava ad una scatolina di plastica con due linguette per ciascun lato, senza disegni o dettagli di nessun tipo tranne una striscia di nastro biadesivo sigillato su una delle facce piatte. L’infetto strappò la carta del nastro e fissò la scatolina su un tavolo, poi ne prese un’altra e ripeté il procedimento.

Ne dispose in tutto quattro.

«C-che cosa sono quelle?»

«Il regalo di un morto».


***


«Chi siete?!»

«Oh, andiamo, non costringermi a ripetere le cose più di una volta...»

«Salta i convenevoli. Ci fanno perdere tempo».

Hidan fissò Kakuzu, risentito, poi tornò a concentrarsi sulla ragazza che gli stava davanti. Non era una gran bellezza – capelli e occhi scuri, viso orientale dai tratti un po’ troppo marcati per una donna, e, in più, lo guardava con un’aria di aggressività e supponenza che gli faceva girare le palle.

«Che cosa volete da noi?» Il ragazzo era più interessante solo perché brutto e dall’aria stupida e irritante. Gli era capitato un incarico del cazzo.

«Tanto per cominciare vorrei che la smettessi di rompermi i coglioni. Che ne dici, è una buona idea? E poi vorrei che tu e Lucy Liu veniste con noi».

Anche se Lucy Liu, per cinese che era, aveva comunque un viso più bello di quella ragazzina.

«No!» Esclamò la ragazza, facendo un passo indietro e accostandosi al letto. Sulle lenzuola c’era una sacca di tela verde, a cui Hidan, entrando, non aveva fatto caso; non si poteva dire lo stesso di Kakuzu, che, dopo essersi sfilato la maschera antigas, rivolse agli ostaggi un ghigno solcato da cicatrici.

«Se lì dentro c’è una pistola,» interloquì, calmo come suo solito «non ti conviene provare a prenderla, a meno che tu non possa fare a meno di una mano... o due».

Hidan le si avvicinò a grandi passi, e lei si appiattì contro il muro.

«Su, da brava... ci ha mandato Zeus, quello che vi ha salvato il culo».

«P-perché siete...»

«Perché qualcuno sta attaccando la vostra base in questo momento e qualcun altro ci ha chiesto di portarvi via da qua».

«Chi?»

A quel punto, spazientito, Hidan afferrò la ragazza con uno scatto e se la tirò contro. Tenten cercò di ribellarsi, emise un urlo e scalciò, ma all’uomo bastò un braccio per circondarle il corpo e immobilizzarla del tutto. Rock Lee tentò di difenderla, ma inutilmente: fece un passo verso Hidan, la mano chiusa a pugno, e nello stesso istante in cui le sue nocche sfiorarono il tessuto della tuta sulla spalla del blackwatch, strusciando contro l’imbottitura di uno spallaccio, si sentì serrare la bocca da qualcosa di gelido. Pochi secondi dopo, avvertì un dolore pazzesco allo stomaco, e il suo campo visivo si oscurò completamente.

Si abbandonò tra le braccia di Kakuzu, svenuto.

Gli occhi di Tenten fissarono il suo corpo inerme, spalancati per la paura. Poi, lentamente, si spostarono sul viso scoperto di Kakuzu, solcato da miriadi di cicatrici nerastre.

Un lampo di comprensione le attraversò gli occhi.

«Ma tu... io ti ho già visto da qualche parte...»

«Starà parlando del periodo in cui cantavi con quella boyband gay di Toronto».

«Non sarai mica-»

«Il grande rapinatore di banche che quattro anni fa ammazzò venti persone durante un colpo? Cristo, sì! Non capisco tutto questo interesse mediatico nei confronti di un rubagalline...» sputò Hidan, spintonando la ragazza senza alcuna delicatezza «... voglio dire, ci sono cose molto più interessanti su cui puntare i riflettori. Cazzo, da quando gli Americani preferiscono un paio di dollari buttati nel cesso ad una donna con la fica squarciata, eh? Da quando?»

«Credo di averti già detto che la tua megalomania mi infastidisce, ma non è questa la sede in cui parlarne. Ragazzina, tu riesci a camminare?»

Tenten annuì.

«Bene. Ora, visto che grazie al tuo amichetto mi tocca portare un peso in più, voi mi precederete. Hidan, tu sta’ attento... dobbiamo evitare che sparino a lei, o Zeus ci ammazzerà».

«Non mi sparerebbero mai, sono pur sempre...»

«Blackwatch? Esseri umani?»

E Hidan la trascinò oltre la porta, ghignando, mentre Kakuzu, alle loro spalle, emetteva una risata bassa e terribilmente lugubre.

 

***


La verità era che gli sarebbe piaciuto smettere di vivere.

Qualsiasi cosa sentisse oltre l’oscurità perenne che gli opprimeva la vita, qualsiasi impercettibile movimento o vibrazione o respiro, non faceva che spingerlo sempre di più nel pozzo buio in cui era precipitato.

«Non ti sveglierai, Sasuke?»

Aveva riconosciuto quella voce, naturalmente. Apparteneva ad un momento che pareva trascorso da secoli, in una notte in cui aveva scelto definitivamente la sua strada e per poco non aveva perso ciò a cui teneva di più... Zeus. Chissà dov’era lui, in quel momento. Non aveva sentito la sua voce, ma sapeva che era vivo; da qualche parte, lontano da lui e probabilmente disinteressato alla sua sorte, ma vivo. E cosa ci faceva quell’uomo strano, quell’Orochimaru, nella sua stessa stanza?

Non capiva perché avrebbe dovuto rispondergli. No, non si sarebbe mai svegliato, non avrebbe m ai più rivisto la luce del sole. A che pro alzarsi e ricominciare a camminare in un mondo nero?

«Credevo che gli Uchiha fossero più forti».

Quindi conosceva la sua famiglia; un dettaglio così sarebbe stato anche capace di risvegliare la sua curiosità, in altre circostanze, ma in quel momento gli suscitava soltanto un profondo desiderio di tapparsi le orecchie e rendersi invisibile anche a quell’ennesimo disturbatore. Muovere le braccia o le mani, però, era fuori discussione.

Sentiva che, se avesse azzardato una mossa del genere, sarebbe caduto in pezzi.

«So che hai superato prove peggiori. Perché adesso non combatti?»

Non corrugò le sopracciglia, non si agitò. Espirò tutta l’aria che aveva nei polmoni e schiacciò il torace contro il lettino fino a sentire una fitta allo sterno. “Perché”, gli chiedeva?

Aveva sempre creduto di poter sopportare le atrocità della vita. Dopo aver conosciuto Zeus, dopo aver gettato uno sguardo in quel baratro profondissimo che era il suo mondo, aveva pensato di essere persino fortunato. Guardando il proprio passato lo aveva trovato quasi bello, se non  altro pacifico.

Qualcosa su cui poter contare.

E poi... poi c’erano gli occhi di Itachi, le profondità abissali di quelle iridi rosse.

C’erano i ricordi – quelli veri, non un banale surrogato della realtà – quelli che il suo amorevole fratellone si era prodigato di fornirgli. Il suo passato, il suo incubo peggiore.

 

Non si tratta di aver paura dell’ignoto, ma di sé stessi”.

 















_Angolo del Fancazzismo_
E adesso voi vi starete chiedendo "ma se avevi due capitoli pronti, perché non hai postato prima?"
Io effettivamente i capitoli pronti ce li avevo, ma mi sono accorta che per appiopparvi il prossimo aggiornamento (che, tanto per intenderci, è un bel capitolone flashback *schiva i pomodori*) dovevo necessariamente aggiungere un pezzo a questo e creare una piccola parte introduttiva.

Non me ne vogliate se ci ho messo tanto, ma tra il p0rnfest e la scuola sono mmmmmmorta.
*Si accascia sulla scrivania*

Giuro e spergiuro che domani risponderò a tutte le recensioni che ho lasciato senza risposta nell'ultimo periodo, e che mi erano completamente passate di mente *Alzheimer precoce: è grave*

Bien, Prototype continua. Per quanto mi rigurda, credo che, finita questa, mi prenderò una luuuuunga pausa dal fandom di Naruto :D

See you soon,

Roby

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Capitolo 31
*** Stuck in your Wonderland ***


030 – Stuck in your Wonderland


Sasuke aveva otto anni.

Non che sapesse cosa significava quel dato. Per lui era solo una cifra, un'insieme di caratteri neri.

Non conosceva il significato della parola "compleanno", né ne aveva mai festeggiato uno; i giorni della sua vita erano scivolati via l'uno dopo l'atro, tutti perfettamente uguali, tanto che il tempo veniva scandito solo dai cambiamenti del corpo.

Dacché riuscisse a ricordare, nella sua memoria c'erano solo pareti bianche, camici bianchi, letti bianchi. Il suo spazio era delimitato da alte barriere di vetro blindato, e ovunque guardasse, finché non si spegnevano le lampade elettriche del soffitto e non aveva il permesso di dormire, c'erano occhi puntati su di lui.

Da bambino, non poteva ancora capire. Non aveva mai visto l'esterno, il mondo, né si chiedeva se ci fosse qualcosa oltre i laboratori; ciò dipendeva in primis dal fatto che lo tenevano narcotizzato per la maggior parte del tempo, e la miscela di droghe che gli scorreva per il corpo lo manteneva nella quasi totale incapacità di articolare pensieri logici. E poi, anche quando si sentiva più sveglio, era troppo assuefatto a quella vita vuota e, tuttavia, certa per pensare di potersene slegare.

Gli strumenti, le stesse parole per rimuginare su una qualsiasi evasione gli erano preclusi.

E poi, lì con lui c'era Itachi.

Non gli permettevano di parlarci, come d'altra parte con nessuno degli altri bambini, però li tenevano in due stanzoni attigui, comunicanti. Separati dal vetro blindato.

Ogni tanto, nell'intervallo tra un test e un altro, oppure durante i pasti - il cibo veniva introdotto nelle stanze tramite delle finestrelle di plastica a chiusura ermetica che si trovavano sul fondo delle porte, ed era servito su grandi vassoi di cartone ruvido - si avvicinava alla parete trasparente e picchiettava con le nocche, sorridendogli. Sasuke si sedeva dall'altra parte, speculare, a volte persino dimentico della fame, e sorrideva a quel viso così bello, a quegli occhi scuri e quella pelle di un pallore incredibilmente luminoso.

L'espressione dolce di Itachi era diversa da quella di qualsiasi altra persona con cui Sasuke interagiva. Quando lo guardava, gli occhi gli s'incurvavano lievemente verso l'alto, così come gli angoli della bocca; era una smorfia appena accennata, eppure, in fondo alle iridi nere, il piccolo Uchiha scorgeva come una scintilla, una luce che gli scaldava il petto e gli faceva venire voglia di torcere le labbra allo stesso modo. Per nessun motivo si sarebbe allontanato da Itachi, e guardarlo attraverso il vetro gli pareva la cosa più bella del mondo.

Bastava per distrarlo quando gli uomini con le tute bianche (grandi, quadrati, gommosi come brutte creature uscite da un incubo) entravano nella sua stanza e lo obbligavano a stendersi sul letto, a farsi portare via il sangue. O quando, stringendo i denti per il dolore - a volte, esausto, rompendo in singhiozzi, cercava di sopportare il dolore atroce che certe punture scatenavano nel suo corpo.

Si rannicchiava nel letto, allora, i pugni piccoli e stretti con tutta la forza che aveva, combattendo contro la sensazione di gelo che gli montava dentro perché sapeva che, se si fosse arreso, il giorno dopo, quando le lampade fossero state riaccese, non avrebbe potuto vedere il sorriso di Itachi.

Spesso piangeva. Fortunatamente, nella sua ottica di bambino, ciò che accadeva a lui era comune a tutto il mondo: quelle disgrazie, quel continuo star male non potevano essere per lui solo. Sicuramente, pensava, sicuramente c'erano altre mille stanze uguali alla sua e altre mille persone che vivevano nello stesso identico modo, e quindi non era giusto frignare. Doveva essere forte.

Glielo diceva anche la dottoressa che, ogni giorno, veniva a fare i controlli.

Lei non indossava una tuta di gomma che le nascondeva il viso, ma un camicie bianco e una cuffia candida. Era l'unica donna che conosceva, e si prendeva cura di lui da sempre.

Si faceva chiamare Mary, e aveva una voce bella e molto gentile. Gli aveva insegnato a leggere, a disegnare (Sasuke amava disegnare Itachi, e il suo viso era l'unica cosa che gli pareva degna di essere messa su carta) e tutti i giorni gli misurava la febbre, la pressione e tutta una serie di altre cose che l'Uchiha non riusciva a capire bene.

A volte gli portava anche delle cose buone da mangiare, dei dolci.

Andava bene, per lui.

Andava tutto bene, fino al giorno in cui non conobbe Zeus.


***


Gli sembrò che l'avessero svegliato prima del solito.

Non poteva saperlo, naturalmente - non c'erano orologi nella sua stanza, ma il sonno che gli chiudeva le palpebre era un segnale più che evidente. In due, vestiti delle solite tute, lo avevano spinto malamente giù dal letto, facendolo cadere a terra, per poi allontanarsi dal suo corpo come se scottasse.

Quando aveva sollevato la testa, di fronte a sé aveva visto una persona nuova.

Un uomo alto e magro, con le spalle non troppo larghe e gli occhi e i capelli grigi. Rispetto ai tipi in tuta sembrava molto più piccolo, quasi invisibile; portava anche lui un camice bianco, e un cartellino su cui Sasuke, a fatica, compitò le parole "Kabuto Yakushi".

L'uomo gli porse la mano.

«Ciao, Sasuke».

«C-ciao». La parola gli uscì con un saltello strano. Non gli era mai capitato prima. Vagamente impaurito, afferrò la mano di Kabuto e lasciò che quello lo tirasse in piedi con delicatezza.

«Ti va di fare una passeggiata, Sasuke?»

«Passeggiata?» Inclinò la testa di lato, ripetendo le sillabe senza capire. Kabuto sorrise, ma non bene come Itachi: sembrava quasi che si stesse sforzando.

«Già, una passeggiata. Usciamo di qui e vediamo un posto nuovo, che ne dici?»

L'espressione sul volto del bambino si fece dubbiosa, quasi contrariata. Andare fuori dalla stanza?

Non l'aveva mai fatto, e non era tanto sicuro di voler conoscere la realtà cupa e buia che si celava oltre la porta bianca che per tanto tempo l'aveva protetto. Per lui, la stanza era tutto: tutto quello che poteva e non poteva fare si risolveva all'interno di quelle quattro pareti, e non c'era nient'altro che gli servisse o gli mancasse al punto da spingerlo ad acconsentire.

Scosse la testa in un cenno di diniego.

Kabuto parve stringere la presa sul suo polso.

«Oh, Sasuke, non è il caso di rifiutare... dopo tutto non sai cosa c'è là fuori, giusto?»

Negò di nuovo.

«Ecco, appunto. E non sei curioso di scoprirlo? Andiamo, forza...»

Quando vide che, comunque, il bambino non sembrava intenzionato a seguirlo, il contegno di Kabuto ambiò radicalmente. Il sorriso scomparve, contrasse la bocca in una linea dura e dritta, dalla piega scontenta (Sasuke, a quella vista, tentò inconsciamente di farsi più piccolo) e strattonò la mano del ragazzino con impazienza, costringendolo a muovere un paio di passi in avanti.

«Mi dispiace, ma non ho tempo di giocare con te».

Quella frase gli sarebbe rimasta impressa nella memoria per molto tempo.

Lo trascinò, sordo alle sue suppliche, fino alla porta. Poi la spalancò.

Oltre la soglia, Sasuke vide un corridoio nero rischiarato da alcune piccole lampade azzurrine sul soffitto, che sembravano scomparire, in lontananza, nell'oscurità sempre più fitta. Era come la gola profonda di un essere mostruoso, una gigantesca creatura che voleva inghiottirlo. L'Uchiha si appoggiò allo stipite con una mano, fece leva con tutta la forza che aveva e, buttandosi all'indietro, per poco non riuscì a sgusciare via, tra le gambe del dottore grigio. Il cuore gli batteva forte nel petto, colmo di paura, e, quando Kabuto lo sollevò - apparentemente senza sforzo - cominciò a scalciare e a piangere, terrorizzato, implorando lui e i due uomini con la tuta di lasciarlo in pace.

«Su, Sasuke, non c'è nulla da temere...»

«Non voglio!» Gridò, mordendo con forza il braccio del medico. Quello ritirò bruscamente la mano e lasciò che cadesse a terra, poi controllò con aria preoccupata l'area offesa; sospirò, realizzando che non c'erano tagli, e fece un cenno stizzito ai due uomini di gomma.

Uno di loro afferrò Sasuke per le gambe e se lo caricò su una spalla, rude.

Il piccolo Uchiha gli avrebbe riempito volentieri la schiena di pugni, ma, una volta che furono entrati nel corridoio buio, si portò istintivamente entrambe le mani al viso, sugli occhi, allungando le dita fino a tappare anche le orecchie. Tremava e singhiozzava, la paura di quell'oscurità tremenda a scuotergli il corpo; si arrischiò ad aprire leggermente le dita solo quando, dopo un tempo che gli parve infinito, la carne delle mani si illuminò di rosso, rischiarata da una forte luce.

Si trovavano davanti ad una nuova porta bianca, spalancata.

Prima di essa, a destra, stavano altri due uomini di gomma e una signorina con la pelle lattescente e gli occhi chiarissimi, quasi trasparenti. I capelli, di un nero simile a quello di Sasuke, avevano però riflessi violacei, e le ricadevano fin quasi ai fianchi, sparpagliandosi sul camicie aperto.

«Lei è Hinata Hyuga, Sasuke. Lei è la persona che ti fa fare tutte quelle punture che non ti piacciono affatto».

E questo come faceva a saperlo? Come faceva a sapere delle punture, se lui non glielo aveva mai detto? Doveva avergliene parlato la signorina Mary, eppure anche lei non lo aveva visto mai piangere. Itachi, forse? No, non poteva credere che l'unica persona a cui voleva bene avesse fatto la spia in quel modo.

E poi, quella ragazza sembrava così buona, e lo guardava con degli occhi così tristi...

Prima che potesse chiedere, fu spinto oltre la porta.

Lo investì una luce fortissima, che lo costrinse a strizzare le palpebre per qualche secondo prima di poter riaprire gli occhi. Quando lo fece, scoprì di essere in uno stanzone enorme, dieci volte più grande della sua solita camera, con il soffitto altissimo e il pavimento liscio e lucido come uno specchio.

Esattamente a metà dello stanzone correva una riga nera, che lo divideva in due sezioni speculari. Sia a destra che a sinistra la parte alta del muro era fatta di vetro oscurato, e a Sasuke parve di veder baluginare qualcosa oltre quel rivestimento. Rimase in piedi, immobile per qualche secondo, prima che una voce metallica e ronzante - che non si capiva bene da dove provenisse, ma gli mise comunque addosso una certa inquietudine, dicesse:«Uchiha Sasuke, mettiti dietro la linea rossa».

In quel momento il ragazzino si avvide della presenza di una striscia scarlatta, parallela a quella nera, che partiva un metro e mezzo prima della fine della stanza; aguzzando la vista ne vide un'altra, azzurra, collocata nel medesimo modo dall'altra parte della camera.

Trotterellò fino al punto indicato, poi si guardò intorno. Incuriosito.

Magari era un nuovo gioco, pensò. Magari volevano vedere se era bravo a correre, o a eseguire gli ordini che gli davano.

Improvvisamente, udì uno schianto.

Una porta sul fondo della sala si aprì - non l'aveva vista, bianca com'era e perciò mimetizzata perfettamente nel muro, e ne uscì una figuretta bassa ed esitante. Illuminandosi per la felicità, Sasuke riconobbe un bambino pressappoco della sua età: avanzava lentamente, trascinando i piedi sul pavimento, e aveva una zazzera di capelli biondissimi. Sul momento, data la distanza, non riuscì a distinguere il colore degli occhi, ma vide che indossava una sorta di museruola che gli avvolgeva la faccia e il collo, dalla clavicola al ponte del naso. Quel particolare gli mise addosso una certa inquietudine.

«Zeus, dietro la linea blu».

Si chiamava Zeus, quindi? Era un nome che suonava molto diverso dal suo, e non era nemmeno composto da due parti. Come chiamarsi solo Sasuke, o solo Uchiha. D'altronde, il bambino ignorava se anche Itachi avesse due nomi, oppure uno solo; Kabuto e Hinata erano come lui, però.

«Avanzate fino alla linea nera, uno davanti all'altro».

Ecco, per dirla tutta avrebbe preferito evitare di avvicinarsi a quell'altro bambino... però, se l'avesse visto, Itachi avrebbe sicuramente pensato che era un codardo. Preso un bel sospiro, si avvicinò alla linea nera con piccoli passi esitanti.

Non che l'altro avesse più fretta di lui. Avanzava sempre con quel modo di trascinare i piedi e, a mano a mano che si avvicinava, Sasuke fu in grado di distinguere altri particolari della sua figura: teneva la testa ciondoloni sul petto e lasciava che si spostasse a destra e a sinistra mentre camminava, mentre gli occhi - azzurro cupo e scintillante, belli come l'Uchiha non ne aveva mai visti - stavano piantati a terra, spenti. Quando si fermarono, a mezzo metro l'uno dall'altro, e Zeus sollevò lo sguardo, Sasuke rabbrividì, sentendosi scrutato con un'intensità fin troppo forte, difficile da sopportare. Era inquietante, completamente privo di espressione.

Si udì uno sbuffo, un rumore metallico di qualcosa che veniva sganciato, e la museruola - fatta di placche metalliche che scorrevano le une sulle altre per consentire una certa libertà di movimento - si aprì e cadde a terra in una nuvola di vapore freddo. Zeus si passò una mano sulla mascella, muovendola come per masticare... evidentemente, quella cosa doveva dargli molto fastidio. Sasuke se ne dispiacque.

La voce parlò di nuovo. E, stavolta, per dire qualcosa che all'Uchiha non piacque molto.

«Zeus, attacca».

Sasuke non fece in tempo a capire cosa stava succedendo.

Il pugno lo colpì dritto in faccia, cogliendolo in tutta la sua incredulità, e lo fece slittare e scivolare all'indietro sul pavimento per diversi metri. Fu fermato dall'impatto contro la parete di fondo, che gli tolse il fiato.

Cadde carponi, inspirando forzatamente per contrastare l'asfissia improvvisa che lo faceva tossire. Non ci volle molto prima che le lacrime cominciassero a rigargli le guance. Si rannicchiò contro il muro, disperato, gli occhi spalancati verso quell'essere - perché l'aveva capito, Sasuke, che di bambino Zeus aveva soltanto il corpo - che lo scrutava da dietro la riga nera, immobile in attesa di nuovi ordini.

«Lama».

Sasuke gridò. Il braccio di Zeus, in un battito di ciglia, era mutato da quello di un normale ragazzino di otto anni ad una falce nera, alta quasi quanto l'intero corpo e circondata da una massa formicolante di filamenti neri e rossi.

«Attacca».

Non attese il colpo, stavolta. Saltò in piedi e corse via più veloce che poté, verso la porta.

Zeus gli si parò davanti all'improvviso, quasi fosse comparso per magia; menò un fendente con la lama che Sasuke riuscì quasi a schivare - nonostante la velocità, un graffio sottilissimo si aprì sul suo avambraccio, per poi catapultarsi in direzione della maniglia. Con la coda dell'occhio vide che l'altro si era fermato di nuovo, e tentò, nel breve lasso di tempo che aveva, di aprire la porta.

Era chiusa a chiave.

Si girò, il petto che si alzava e si abbassava in brevi ansiti convulsi, cercando con i palmi delle mani la superficie sicura della porta. Percepiva un'oppressione dolorosa nel petto, una paura terribile che gli faceva cedere le gambe, e pregò che quella tortura si fermasse al più presto.

Perché gli stavano facendo una cosa del genere? Che aveva fatto per meritarselo?

Forse sarebbe dovuto andare subito con il medico grigio. Ma no, non era possibile che lo punissero così per una stupidaggine... e dov'era Itachi? Lui avrebbe difeso Itachi, se l'avesse visto in una situazione così.

Poi realizzò che Itachi, molto probabilmente, non sapeva cosa gli stava succedendo.

Torse le sopracciglia e tutto il viso in una smorfia di pianto, rannicchiandosi su se stesso, sperando ardentemente che qualcuno, qualcuno arrivasse ad aiutarlo. Anche la dottoressa con gli occhi chiari, persino il medico grigio. Voleva soltanto che lo portassero via da quel mostro, che non glielo facessero vedere mai più.

«A-aiuto». Mugolò, affondando la testa tra le ginocchia.

Di nuovo, la voce metallica ordinò qualcosa a Zeus. Qualcosa che suonava molto come "frusta".

Prima che l'impatto con un corpo terribilmente duro e acuminato gli facesse vedere le stelle, Sasuke pregò un'ultima volta che Itachi lo vedesse e decidesse di proteggerlo.

Dopo, poté soltanto scappare.

 

***

 

«Non c'è che dire, dottoressa... le iniezioni del suo siero hanno prodotto risultati sorprendenti. E pensare che Ade non era nemmeno tra gli infetti originali. Elizabeth Greene non avrebbe saputo produrre di meglio». Kabuto Yakushi si sistemò meglio sulla propria sedia, al di là del vetro oscurato.

Hinata, mezzo metro dietro di lui, teneva una mano premuta sulla bocca, e osservava ciò che si svolgeva al di là della superficie traslucida con un'espressione colpevole. Si sentiva sporca, lacerata dal rimorso per quello che aveva consapevolmente creato; non credeva che sarebbero state quelle le conseguenze, quando le avevano proposto di partecipare ad un esperimento innovativo sulla mutagenesi. Eppure, lei era colpevole più di tutti, persino più del dottor Yakushi. Aveva trattato quel lavoro con leggerezza, senza mai prendere contatti con il soggetto degli esperimenti, e ora che ne vedeva i risultati si rendeva conto di quanto fossero orribili e sbagliati.

Erano solo bambini.

L'aveva sempre saputo, ma vederli faceva tutt'altro effetto.

Sasuke correva, inconsapevolmente veloce - al punto che, talvolta, le sue mosse sfuggivano alla vista - scappando da quella furia gelida e implacabile che era Zeus. A nessuno degli scienziati era permesso accedere al materiale riguardante nello specifico quella creatura; a poco a poco, nel dipartimento sanitario si era creata una specie di leggenda metropolitana, e cioè che quei fascicoli e quelle cartelle, contrassegnati tutti dal nominativo "[PROTOTYPE]", custodissero un segreto così oscuro che i pochi che erano riusciti a scoprirlo erano stati fatti sparire dalla Gentek stessa.

Hinata si era augurata che non fosse vero, ma osservando quella creatura all'opera cominciava a vedere un fondo di verità in quelle storie. Era comprensibile che si cercasse di tenere nascosto un mostro del genere... un'arma tanto potente avrebbe fatto gola a troppe persone, a troppi Paesi.

Lo stesso Sasuke, benché marcatamente più debole, sarebbe stato una preda appetibile. Il precursore di una razza di supersoldati.

La ragazza scosse la testa. Era troppo.

Troppo per chiunque volesse mantenere la coscienza pulita. Lei non poteva vantare un simile requisito da troppo tempo, ormai.

«N-non è sufficiente?» Mentre poneva quella domanda, Ade incassava un colpo poderoso della frusta e finiva contro il muro, sputando sangue. Ed era un bambino.

Un bambino di otto anni.

«No. Questo incontro viene registrato, sa?, e poi inviato a Madara. Più materiale raccogliamo, meglio è... si ricordi che questi sono soltanto soggetti di studio, dottoressa. Come i campioni sui vetrini. Carne che vive per un breve periodo a favore della scienza e poi si decompone, orrori che solo con rigore e freddezza si possono imbrigliare. Lei vede Zeus e crede che sia un ragazzino, ma provi a scendere nell'arena e sfidarlo. La ucciderebbe, perché questa è la sua natura».

«Ma Ade è...»

«Ade è come lui, soltanto più debole e, per questo, meno consapevole. O pensi, per esempio, a Itachi. Le pare forse un quattordicenne?»

Hinata aveva visto il maggiore degli Uchiha poche volte, di sfuggita, come del resto tutti i mutanti soggetti a infezione spontanea. L'aveva colpita lo sguardo nero e bruciante, colmo d'odio, che indirizzava a tutti, meno che al fratello; lo aveva visto bussare sul vetro e far ridere Sasuke con delle smorfie buffe, oppure appoggiare la mano sul vetro e lasciare che il più piccolo vi sovrapponesse la sua, al confronto minuscola. E sorridere a quel corpicino rannicchiato che pareva gridare a tutti "amatemi, amatemi, amatemi" e riceveva in cambio solo torture.

Si morse le labbra, sull'orlo delle lacrime.

«Non la facevo così emozionabile, signorina Hyuga».

«N-non v-vedo come n-non si possa...»

«Oh, lei è una donna. Le donne tendono sempre all'emotività».

Stette zitta, incapace di ribattere (un po' per lo shock, un po' perché non voleva rompere in singhiozzi isterici davanti al suo rivale dalle sguardo beffardo), e guardò nuovamente oltre il vetro.

Zeus si era fermato. A qualche metro da lui, raggomitolato sul pavimento, stava Ade. Il pavimento bianco era macchiato di sangue.

Materiale per esperimenti. Hinata se lo ripeté come un mantra.

Materiale per esperimenti.

«Zeus, artigli». Sussurrò Kabuto, nell'interfono.

Le braccia del Prototype mutarono ancora. Comparvero dita lunghe e nere, unghie acuminate e affilate come rasoi. Stava per infilzare Sasuke quando quello si spostò, goffo, evidentemente sfruttando le ultime forze residue, e le lame si conficcarono nel pavimento.

L'Uchiha giacque fermo.

Materiale per esperimenti.

«Zeus, pugno martello».

Il Prototype si avvicinò al corpo riverso a terra e sollevò la mandritta, mutata in un ammasso coriaceo e bulboso che aveva l'aria dura e soprattutto pesante. Lento, senza fretta.

Materiale per...

«B-basta così». Disse, e la sua voce tremò. Strappò il microfono dell'interfono dalle mani di Kabuto e vi avvicinò la bocca, non prima di aver notato uno sguardo scandalizzato da parte del collega - lei stessa, in fondo, si era stupita dell'audacia di quel gesto.

«Zeus, fermo. Non attaccare. Rimetti la protezione».

Le sembrò quasi che Zeus la guardasse per un breve istante, prima di riportare il braccio alle condizioni normali e, avvicinatosi con calma alla museruola, indossarla con tranquillità e gesti esperti. Quella maschera aveva essenzialmente due funzioni: immetteva nel corpo del Prototype, attraverso aghi conficcati nella pelle, una miscela di droghe estremamente potente che serviva a inibirne i comportamenti violenti - benché il suo metabolismo bruciasse ad una velocità tale da costringere i medici e ricaricarla in continuazione, e, quando i battiti del cuore aumentavano troppo (ciò accadeva essenzialmente quando si trasformava) emetteva una scarica elettrica potentissima, in grado di paralizzarlo per qualche minuto. Poteva essere tolta solo se Kabuto - o chi per lui, la sbloccava tramite un telecomando. E questo accadeva molto di rado.

«Lei è sorprendentemente giovane, dottoressa...» motteggiò Yakushi, non esattamente scherzoso «... e le abbiamo permesso di partecipare a questi esperimenti in virtù della sua genialità, certo. Ma tenga bene in mente qual è la gerarchia, qui alla Gentek. Per stavolta chiuderò un occhio».

«L-a ringraz-»

«Chiami degli infermieri. Anzi, no, faccia prima entrare Itachi».

«Sì.»


***


Lo vide arrivare oltre lo schermo delle ciglia.

Si sentiva così stanco.

Faceva male, male dappertutto. E chi era stato? Zeus. Sì, forse lui. Ed era suo il sangue che macchiava il pavimento?

Sì, forse era proprio il suo.

Itachi lo calpestò senza curarsene, prima di chinarsi accanto a lui e circondarlo con le braccia. E pensare che ci aveva pensato tante volte, alle braccia di Itachi... a come potessero essere morbide, calde e confortevoli, a come l'avrebbero protetto se avesse potuto toccarlo.

Erano piuttosto fredde e dure, in realtà, ma accolse quel contatto con una gioia impossibile da descrivere. Si lasciò sollevare, privo di forze, e percepì le dita ghiacciate di Itachi accarezzargli la fronte, piano piano.

I suoi occhi fissi nei suoi, non più neri ma rossi come il sangue.

«Stai calmo, Sasuke. Guarda i miei occhi e respira... piano. Così».

Obbedì, controllando i tremiti convulsi che affioravano sulle braccia e sul torace. E, a poco a poco, si sentì scivolare in un silenzio scuro e ovattato, accogliente. Tiepido.

Chiuse gli occhi, cedendo alla stanchezza.

Nella sua mente, come fuochi fatui, rimasero a lungo quelle iridi rosse.


***


Hinata guardò Itachi. Le stava a poco meno di un metro, le mani bloccate dietro la schiena.

Due inservienti lo stavano scortando alla sua cella.

«Io vi ucciderò tutti, un giorno». Sussurrò, guardandola. Nei suoi occhi c'era una fissità spaventosamente simile a quella di Zeus, ma molto più fine, intrisa di cattiveria. Sorrise, ed era bello.

Troppo per essere un mostro.

«M-mi dispiace, Itachi».

«Non me ne faccio nulla del tuo dispiacere». Sibilò, sporgendosi verso di lei. Fortunatamente, un collare della stessa fattura di quello di Zeus gli copriva il collo «Tu sei la persona che gli ha fatto questo, e i tuoi superiori hanno ucciso molta più gente di quanto tu non possa credere. Sei una stupida se credi che la tua compassione basti a lavarti la coscienza».

«I-io n-non...»

«Ricordati di quello che è successo oggi, quando ti darò la morte».

Si lasciò portare via, assolutamente calmo. Hinata osservò a lungo la sua schiena magra, prima di decidersi a parlare con l'infermiera che l'attendeva, fuori dalla porta in cui Ade e Zeus avevano combattuto.

«C-come sta?»

«Ha una gamba rotta e varie costole fratturate. Sugli organi interni non abbiamo dati certi, ma crediamo che la situazione sia critica... si parla di emorragie».

«N-non è c-così g-grave. M-medicatelo e p-portatelo nella s-sua stanza».

L'infermiera annuì, senza fare domande. La gente, lì, era abituata a vedere cose di ogni tipo.

Hinata si mise da parte, permettendo il passaggio alla barella; sospirò, sconvolta.

Cos'era diventata?

Un mostro, di certo. Ma uno vero, non come Zeus o Ade, che erano soltanto vittime del destino. Loro non avevano scelta, lei sì.

Ed era scesa fino al limite più basso dell'aberrazione.

Pianse soltanto quando tutti se ne furono andati. Lacrime amare, le sue, lacrime colme di rimorso, rabbia e odio verso se stessa, che si strappava via dal viso sfregando la pelle con urgenza e vergogna. Avrebbe voluto davvero che Itachi la uccidesse, così da lavare via, almeno parzialmente, i peccati che aveva commesso.

"Perdonatemi... perdonatemi..."


"Non era colpa di nessuno. Certe cose accadono".











_Angolo del Fancazzismo_
Pensa che ti ripensa, dieci minuti fa mi sono detta "e se pubblicassi anche l'altro?"

E mi sono anche risposta.

See you soon,

Roby

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Capitolo 32
*** Bane ***


031 - Bane


"Devo uscire di qui alla svelta".

Naruto caricò un gruppo di soldati alla sua sinistra, uno scudo osseo a proteggergli l'avambraccio, e li schiacciò contro la parete. I proiettili gli fischiavano intorno, e la calca era tale che spesso gli stessi Blackwatch finivano colpiti a morte.

Tutto, pur di catturare Zeus. Pur di uccidere il mostro.

Ringhiò, mentre quelle mani guantate cercavano di afferrarlo da tutte le parti, di trattenerlo. Con le orecchie che ronzavano per il rumore delle detonazioni e la pelle che fremeva e si rigenerava continuamente attorno ai fori dei proiettili, Naruto mutò il braccio destro in lama e si gettò in avanti.

Quella situazione gli ricordava sgradevolmente il suo primo risveglio, con l'unica differenza che in quel momento non aveva la minima intenzione di scappare.

Se non altro, all'interno dell'edificio non potevano utilizzare i lanciarazzi.

Tranciò a metà un soldato piuttosto imponente, che gli si era parato davanti all'ultimo minuto, e si spinse contro ciò che restava del suo cadavere, approfittando del vuoto momentaneo che si era creato intorno a lui. Scivolò sul pavimento inondato dal sangue.

Sbatté contrò il linoleum con un gemito d'insofferenza, goffo a causa della stanchezza e dei muscoli provati dalla rigenerazione. Evitò con una mezza capriola di finire disteso sotto gli stivali con le punte di ferro dei Blackwatch, ma l'aver recuperato una posizione eretta non gli bastò per disfarsi del manipolo di coraggiosi che gli si era avvicinato stringendo un diffusore di Bloodtox.

«Guardate che quello non serve a nulla». Ringhiò.

Si proiettò in avanti, afferrò la scatola - da cui usciva un fumo rosato che sapeva di carne putrida - e la scagliò contro il muro con tanta forza da ridurla in frantumi. Attorno a lui, ovunque, si riunivano e rumoreggiavano frotte di soldati, come grosse blatte nere che sembravano volerlo inghiottire tra le loro schiere.

Che schifo.

Era davvero stufo.

La mandritta divenne una frusta prima ancora che potesse capire cosa voleva fare di preciso. Poi realizzò semplicemente che, se non aveva tempo uccidere tutti quei Blackwatch - non con il corridoio che restringeva sensibilmente le sue possibilità di manovra - poteva sempre evitarli.

Menò una frustata contrò il soffitto, tanto forte che il contraccolpo lo fece barcollare.

Quando vide allargarsi una crepa e sentì il picchiettare dei primi calcinacci sul pavimento, colpì una seconda volta.

Il soffitto crollò.

Si aprì una voragine sufficientemente grossa per far passare un cacciatore, e Naruto non esitò a saltarci dentro - approfittando anche della confusione generale e dei numerosi Blackwatch rimasti schiacciati sotto ai detriti. Quando si trovò con i piedi su una moquette color pistacchio, miracolosamente solo e finalmente distante (anche se, a conti fatti, non si era allontanato che di tre, forse quattro metri in linea d'aria) dalla ressa, tirò un sospiro di sollievo.

Non aveva mai amato il silenzio, ma quella quiete momentanea gli parve meravigliosa.

Accennò qualche passo nel corridoio, giusto per darsi la sensazione di star effettivamente facendo qualcosa. Doveva andarsene, ma, per dirla tutta, non aveva una gran voglia di incappare nell'ennesimo manipolo di soldati disorganizzati e pronti a punzecchiarlo con i loro fastidiosissimi fucili.

Inspirò, gonfiando il petto. Ci doveva essere un ascensore, da qualche parte. Poteva entrare nel vano e scalare il cunicolo fino all'uscita... il problema era trovarlo.

Non aveva fatto nemmeno un passo, che il pavimento tremò violentemente.

Fu una scossa momentanea, eppure terribilmente forte: per qualche istante il campo visivo di Naruto vacillò, divenne sfocato, e il Prototype sentì chiaramente il rimbombo cupo di un'esplosione. Era vicina, sotto di lui.

Forse non più di cinque piani più in basso.

«Sasori...» sussurrò, sbarrando gli occhi. Ecco, doveva sbrigarsi.

Corse, cercando di recuperare il tempo sprecato, attraverso i numerosi corridoi del piano; ci mise parecchio - il che, in quel momento, equivaleva forse a tre minuti d'orologio - per trovare l'ascensore, ma alla fine scovò la porta di metallo che tanto cercava.

Sembrava sottile, fragile; la colpì con un pugno, affondando il braccio nell'acciaio quasi fino al gomito. Nel frattempo, le orecchie tese, colse un vago trambusto farsi sempre più vicino, e non si trattava di esplosioni: erano passi umani, grida concitate e ordini abbaiati a mezza voce.

Doveva immaginare che i Blackwatch ci avrebbero messo poco.

Divelse le porte dell'ascensore con gesti frenetici, scoordinati. Sotto di lui si spalancò ben presto una voragine buia, poligonale, con i cavi della cabina che passavano al centro, tesi come corde d'arco.

Stava per saltare, quando una voce lo bloccò.

«Zeus. È da decenni che volevo incontrarti di persona».

Si voltò. Chiunque fosse non l’aveva sentito arrivare, e questo poteva significare una cosa soltanto.

Incredulo, si trovò a fissare un ragazzo alto e magro, con i capelli corvini che gli incorniciavano il volto; i tratti avevano una delicatezza tipicamente orientale, e gli occhi, di un assurdo color rosso cupo – come quello del sangue appena versato, pensò Naruto – erano fermi su di lui con un’intensità quasi fastidiosa. Sorrideva, beffardo, le mani affondate nelle tasche di un paio jeans neri.

«Sasuke?!»

No, non era Sasuke. Benché gli somigliasse spaventosamente, aveva i lineamenti leggermente meno marcati e i capelli più lunghi – a voler essere più precisi, li teneva legati i una coda bassa; due rughe sottilissime, partendo dalla base del naso, gli scavavano diagonalmente il viso. Sembrava la versione più vecchia di Sasuke.

E fu in quel preciso istante che Naruto si ricordò di una conversazione avvenuta molto, molto tempo prima, un discorso che aveva dimenticato e seppellito negli angoli più reconditi della propria memoria.

... l'ho guardato in volto con molta attenzione. Ha i capelli neri, più lunghi del fratello, e i lineamenti meno marcati. A parte questo, gli occhi sono rossi”.

Deidara. Si ricordò ogni parola che si erano detti quel giorno, ogni informazione scambiata nel magazzino della base; poi, gli sovvenne anche un brandello della conversazione avuta con Orochimaru, poche ore prima. Come aveva fatto a dimenticarsi di quello che gli aveva detto Deidara?!

Io gli ho urlato qualcosa del tipo "ehi, chi sei tu" e lui mi ha risposto semplicemente "Itachi Uchiha"...”

Come aveva potuto essere così stupido?

«... Itachi. Tu sei... sei il fratello di Sasuke, non è così?»

L'espressione sul viso dell'altro si fece vagamente compiaciuta.

«Non speravo che foste arrivati già a questo punto... i miei complimenti».

«Che ci fai qui? Sei qui anche tu per... per sconfiggere Madara?»

Itachi inclinò la testa di lato, lentamente, e proruppe in una risata bassa, sarcastica; Naruto, osservandolo, capì che la sua presenza in quel luogo non significava proprio niente di buono.

La sola presenza dell'Uchiha gli metteva i brividi, ed era una cosa che non si poteva dire di molte altre creature.

«Oh, Zeus... sei cambiato molto, non c'é che dire. Non ti ricordavo così... ingenuo».

«Io...» Naruto spalancò le palpebre, preparandosi all'ennesima doccia fredda «... io non ti conosco».

«Ovviamente. Ma non siamo qui per parlare di questo, giusto? Madara mi ha chiesto di ucciderti».

«Cos... tu... tu lavori per Madara? Ma sai che Sasuke è...»

«Dalla vostra parte? Lo so molto bene, Zeus. Ora, ascoltami. Tu sai perfettamente cosa successe ad Hope, non è così?»

Naruto rimuginò qualche secondo, prima di rispondere. Se escludeva il tassello della morte del figlio di Elizabeth Greene, aveva una conoscenza completa dei fatti.

«Sì».

«Bene, perché non ho tempo di spiegarti nulla. Ti basti sapere che attualmente lavoro per Madara e che non posso in alcun modo rompere il contratto con lui».

Il Prototype guardò Itachi, confuso. Cosa stava cercando di dirgli?

«Io... non capisco...»

«Nemmeno Sasuke capiva. È sempre stato così indifeso, incapace di combattere per sé... sai, non ha avuto il coraggio di domandarmi perché lo stessi facendo, ma so che se l'è chiesto. In lui dev'essere rimasta l'ombra di quell'illusione... la protezione del fratello maggiore. Debole, stupido Sasuke».

Naruto ascoltò quel breve monologo con gli occhi sgranati, cercando febbrilmente di smontare il pensiero disgustoso che si andava formando nella sua testa.

«Che...»

«Ha provato a ribellarsi, sai? Lui non si ricordava di me. Nemmeno tu ti ricordi, giusto? Oh, ma tu hai subito capito chi ero... Sasuke non voleva crederci».

«Non mi dirai che-» incapace di proseguire, Naruto strinse i pugni. Con il cervello paralizzato dall'orrore e dalla rabbia, sentì qualcosa di indefinibile gonfiarsi dentro di lui, riempirgli la gola e il petto e lo stomaco, e tendersi e tendersi fino ad esplodere. Perché se aveva capito, se davvero aveva compreso il senso delle parole di Itachi Uchiha, nulla avrebbe potuto salvare quel verme dalla sua vendetta.

Nulla.

«Quando quel tuo amico... quel Deidara ha scoperto quello che avevo fatto, ha tentato di uccidermi. Sai qual'é stata la cosa più ridicola? Ha creduto di essermi superiore, e poi mi ha implorato di risparmiargli la vita. Decapitarlo è stato un vero peccato, visto quanto era bello. Non credi anche tu, Zeus?»

Ma Naruto non riusciva più a sentirlo.

Il campo visivo invaso da una foschia rossa, fissava quella figura nera al centro del corridoio con la consapevolezza bruciante che avrebbe tanto voluto divorarlo. Farlo a pezzi, strappargli via la carne dalle ossa a mani nude e spezzargli la schiena a calci, cavargli gli occhi - come lui aveva fatto con Sasuke, Dio santo - e lasciarlo dissanguare per terra. Non c'era nome per il sentimento che gli infiammava le viscere in quel momento.

Non c'erano atrocità sufficienti a riscattare quello che Itachi Uchiha aveva fatto. Nemmeno se avesse potuto ucciderlo più di una volta Naruto si sarebbe sentito soddisfatto, di questo era certo.

Voleva la sua sofferenza.

«Maledetto...» la voce gli uscì soffocata, un ringhio «... maledetto figlio di puttana...»

Si scagliò su Itachi ad una velocità che non sospettava di poter raggiungere.

Gli sferrò un pugno sulla tempia. L'Uchiha cozzò violentemente contro una parete, che esplose verso l'interno in una pioggia di calcinacci; steso sul pavimento di una camera buia, non ebbe tempo di rialzarsi prima che Naruto gli fosse nuovamente addosso.

Il Prototype non era in grado di pensare a niente.

Se provava a razionalizzare, a frenare la furia distruttiva che in quel momento sembrava aver sostituito il sangue nelle vene, l'unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era la testa di Deidara e la smorfia di dolore su quel viso bluastro. Era il volto dalle orbite nere di Sasuke.

Le dita mutate in artigli, si accanì sul petto e sul viso di Itachi con una frenesia che non aveva mai provato in vita in sua. Lacerò la pelle, le viscere e le ossa, martoriò il viso fino a renderlo niente più che un ammasso di frattaglie sanguinolente, gridò così tanto da perdere la voce e alla fine, quando quello sotto di lui non somigliò nemmeno lontanamente ad un corpo umano e tutti i suoi abiti furono intrisi di sangue, l'odio continuò ad infiammargli il cuore.

Muorimuorimuorimuorimuori - e non riusciva a pensare a parole che non fossero quelle. Gli rimbombavano nel cranio, lo assordavano, mentre contemplava le proprie mani intrise di sangue con gli occhi sbarrati e il fiato corto.

Poi, un movimento insolito catturò la sua attenzione.

Distogliendo lo sguardo dalle dita scarlatte per seguirlo, scoprì che davanti a lui c’era un corvo.

Era una bestia considerevolmente grossa, con il piumaggio lucido e dei minuscoli occhietti rossi pregni di una consapevolezza tutta umana; benché non fosse mai stato un tipo particolarmente acuto, al Prototype bastò guardarlo per capire cosa – o meglio, chi – aveva davanti.

«Itachi...?»

Tutto si dissolse.

L’attimo successivo, sbattendo le palpebre, Naruto si ritrovò sulla soglia del vano dell’ascensore. Disorientato, fissò prima Itachi e poi il corridoio: tutto era in ordine, il muro perfettamente integro; non c’era sangue, sui suoi vestiti, e l’Uchiha pareva illeso.

Impossibile.

«Tu, come hai-» il Prototype si interruppe a metà della frase perché ricordò che Deidara gli aveva detto anche quello. L’aveva avvisato che quell’Itachi era in grado di manipolare la mente delle persone e provocare allucinazioni, e sul momento lui non aveva dato troppo peso all’informazione; in quel momento si rese conto di quanto un potere del genere potesse essere pericoloso.

«Vedi, Zeus...» Itachi fece un passo verso di lui, lo sguardo fisso nel suo «... le persone vivono la loro vita aggrappandosi a ciò che conoscono e comprendono, e chiamano questo “realtà”. Ma “conoscenza” e “comprensione” sono termini vaghi. La realtà potrebbe essere un illusione».

Naruto non riusciva a capire. Gli sembrava un ragionamento fin troppo contorto per lui.

«Ci hai mai riflettuto? La tua realtà attuale è il prodotto delle esperienze passate. Se tutti i tuoi ricordi non fossero altro che menzogne, cosa ne sarebbe della tua vita presente?»

«I miei ricordi non sono menzogne. La cosa più recente che ricordo è quando mi sono svegliato in un laboratorio della Gentek, un anno fa, e sono scappato, quindi... su cosa potrebbero avermi mentito?»

Itachi corrugò le sopracciglia. Non se l’aspettava, evidentemente.

«Questo è molto interessante... peccato che il mio incarico mi offra poco tempo per parlare con te, Zeus. Se non combattiamo, Madara penserà che voglia tradirlo. E non credo che tu possa uscire vincitore da uno scontro con me».

«Tsk... se pensi che mi lascerò sconfiggere-»

«In questo momento sei intrappolato in una mia illusione. So che credevi di esserne uscito, poco fa, ma non è così. Sei soltanto passato ad un livello più vicino alla realtà».

Naruto ammutolì, preso alla sprovvista. Capiva anche lui che non c’era niente che potesse fare per contrastare un avversario simile, contro il quale la sua forza bruta era pressoché inutile.

E Sasori e gli altri lo stavano sicuramente aspettando.

«Che stai aspettando, allora? Se devi uccidermi... perché non l’hai già fatto?»

«Nelle mie illusioni,» riprese l’Uchiha, come se non l’avesse sentito «io posso parlarti senza che gli altri ci ascoltino. Voglio dirti una cosa molto importante, Zeus... promettimi che non la dimenticherai».

«O-ok...»

«Il mio potere...» sussurrò «... funziona soltanto se ho un contatto visivo diretto con l’avversario. Capisci che significa? Devo guardarlo negli occhi per pote-»

Si udì un nuovo boato, stavolta più vicino, e tutto il piano parve scuotersi come un ramo di salice nel bel mezzo di una tempesta. Il campo visivo di Naruto si schiarì improvvisamente, facendosi più luminoso e definito, e il ragazzo non aveva ancora capito di essersi liberato spontaneamente dell’illusione, che un ruggito squarciò l’aria. Frastornato, il Prototype riconobbe quel suono: era molto simile a quello dei cacciatori, anche se meno cavernoso, per certi versi più simile ad un grido umano. Prima che potesse anche solo chiedersi a cosa appartenesse, la sezione di soffitto compresa tra lui ed Itachi vibrò violentemente e crollò sotto i suoi occhi, sollevando una nuvola di polvere e pietruzze che per qualche secondo gli impedì di vedere bene.

Poi, il Prototype deglutì e, molto lentamente, fece un passo indietro.

Non sapeva se si trattasse di fortuna o sfortuna, ma sul cumulo di calcinacci appena caduti stava un cacciatore semplicemente enorme, con la testa piccola e tonda girata verso Itachi. Ringhiava.

Era la sua occasione.

Senza nemmeno pensare a quello che Itachi stava per dirgli, senza nemmeno chiedersi il perché della comparsa improvvisa e fortuita di quel bizzarro aiutante, Naruto saltò nel vano dell’ascensore. Dopotutto doveva preoccuparsi di Sasori, Kisame, Hidan Kakuzu e Zetsu.

Le parole di un nemico sconosciuto non potevano avere troppa importanza.


***


«Merda... questa schifezza rossa fa davvero schifo».

«La tua ignoranza non finirà mai di stupirmi, Hidan».

Kakuzu, con il corpo di Rock Lee appoggiato su una spalla, scese velocemente una rampa di scale. Si trovavano a poca distanza dall’uscita principale, e ormai la missione poteva dirsi compiuta, ma i soldati avevano avuto l’intuizione geniale di riattivare i diffusori di Bloodtox non appena Zeus aveva manifestato la propria presenza. Le maschere antigas riuscivano ad evitare che quei vapori si rivelassero letali per entrambi, ma i due infetti percepivano distintamente un senso di stanchezza e oppressione farsi largo dentro di loro, a mano a mano che avanzavano nella foschia rosata.

La pelle del volto di Hidan era arrossata e piena di grinze, massacrata dall’azione del veleno. Kakuzu aveva nel complesso un aspetto migliore, ma anche lui cominciava ad incespicare quando scendeva i gradini troppo in fretta, e la presa sul corpo dell’umano si era fatta meno salda; tuttavia, non si lamentavano: odiavano ammettere le proprie debolezze.

«Di’ un po’, ragazzina...» Hidan si appoggiò con la mandritta ad una colonna, riprendendo fiato. Inspirare significava trattenere ogni volta un conato di vomito, e diventava sempre più difficoltoso.

«... c’è una strada più breve per uscire da qua?»

Tenten negò con il capo, anche lei piegata sulla schiena dell’infetto.

«No, non c’è...» da qualche parte, in un remoto angolo del suo cervello, c’era del dispiacere per la situazione in cui i suoi due rapitori si trovavano. Si diede della stupida per aver formulato un pensiero del genere.

Eppure, se Zeus li aveva mandati a prenderla qualcosa di buono doveva pur esserci. Il Prototype, dopotutto, le aveva salvato la vita.

«Senti...» domandò, sperando che l’infetto non reagisse male «... puoi dirmi qual è il motivo preciso per cui ci state... ehm, portando via? Io non... non credo di aver capito bene, prima».

«Ah, fanculo...» Hidan aveva la voce stanca, impastata come quella di un ubriaco «... i vostri amichetti - com’è che si chiamano, Kakuzu?»

«Il salvataggio di questi due umani è stato richiesto da Kiba Inuzuka».

«Kiba?! Kiba è ancora vivo? Ed è con voi? Io non ci posso...»

«... credere. Sì, lui e gli altri due amichetti che si portava appresso sono finiti nella rete di Zeus. Hanno tentato di penetrare nella base e li abbiamo  beccati».

Per Tenten tutto fu immediatamente più chiaro. Evidentemente Inuzuka era stato catturato da Zeus e, messo a conoscenza dei suoi piani, aveva chiesto che li portassero via dal Gentek Palace perché stava per succedere qualcosa di davvero terribile, e quell’intervento non andava che a loro vantaggio. La consapevolezza che il proprio compagno stava bene le riempì il cuore di felicità, al punto da spingerla ad avanzare una proposta vantaggiosa nei confronti di coloro che fino a qualche minuto prima aveva silenziosamente coperto di maledizioni.

«Se sei stanco di portarmi in spalla posso camminare».

«Come?» Hidan la fissò con la coda dell’occhio, incredulo «Pensi di potermi fregare così facilmente, ragazzina?»

«No, voglio solamente evitare che i Blackwatch ci sparino addosso non appena saremo arrivati nell’androne. Potremmo fingere di star portando via un commilitone ferito in seguito all’attacco di Zeus... la tua divisa è anche strappata, sarebbe perfetto. Io sono un soldato di grado abbastanza alto per permetterci di uscire, e...»

«Non abbiamo né una barella né l’aria da portantini, e il tuo amico non porta nessunissima uniforme. E nemmeno tu, a dire il vero».

«Mi sorprende che assumano persone così sprovvedute nell’esercito degli Stati Uniti». Interloquì Kakuzu, dopo un colpo di tosse piuttosto roco.

«Io sarò anche una sprovveduta, ma non mi pare che voi vi siate organizzati meglio contro le armi del nemico. Dovreste conoscere il Bloodtox, visto che ieri è stato diffuso in tutta la città».

«Noi possiamo anche conoscerlo, ma finora Zeus è l’unico che è riuscito a sviluppare un’immunità decente a questa merda. Come cazzo fate a sopportare questa puzza di carne marcia, voi umani? Ce l’avete il naso?!»

Tenten scosse il capo, afflitta. Ok, magari la sua strategia non era propriamente grandiosa – dopotutto, avrebbe voluto vedere chiunque altro ad elaborare piani di battaglia a testa in giù sulla schiena di un mostro mutante – ma una volta che fossero arrivati nell’atrio i Blackwatch avrebbero potuto avvertire la minaccia e cominciare a sparare.

E, a differenza dei suoi simpaticissimi nuovi conoscenti, lei e Rock Lee non avevano il potere di rigenerarsi.


***


Aggrappata alle spalle sottili di Sasori, la valigetta stretta in grembo con l’ausilio maldestro della mancina, Hinata aveva una paura tremenda.

Le sembrava che il mondo scorresse attorno a lei ad una velocità semplicemente assurda, mentre l’infetto correva per i corridoi dal grattacielo e saliva rampe di scale con una celerità che non avrebbe mai supposto in un ragazzo dall’ossatura così sottile, apparentemente fragile. Eppure, riusciva a reggere il suo peso e correre come se nulla fosse.

Accolse con gioia il calore del sole, non appena sbucarono nel primo piano. Si era trattenuta dal gridare quando avevano risalito la tromba dell’ascensore – orribile, buia, anche se la ragazza sapeva perfettamente quanto gli occhi degli infetti vedessero bene al buio – ma nulla poté frenarla dal sospirare quando i raggi caldi e luminosi le accarezzarono la pelle.

Aveva pensato, inconsciamente, che sarebbe morta lì, nei sotterranei della Gentek, e non avrebbe mai più rivisto il cielo azzurro che invece occhieggiava oltre i vetri delle finestre.

«Come f-faremo ad uscire?»

«Prova ad indovinare».

Sasori era veloce, forte e silenzioso. I suoi passi non producevano alcun rumore sui pavimenti di linoleum del palazzo, e il suo respiro rimaneva impercettibile e calmo nonostante l’enorme sforzo a cui sottoponeva i muscoli.

Così, quando entrarono nell’androne, i Blackwatch non li videro.

Fulmineo, simile ad una saetta rossiccia, Sasori si spostò dietro le colonne della sala, attento a non destare l’attenzione di quei soldati che, sparuto gruppetto lasciato a sorvegliare l’entrata mentre il grosso delle forse si concentrava su Zeus, montavano la guardia al centro dell’atrio.

I suoi spostamenti erano notevolmente facilitati dalla nuvola di Bloodtox rossiccio che, compatta, riempiva tutto l’ambiente.

Uscì, così, senza esser visto.

Qualcuno lo notò, sul piazzale. Udì le grida e qualche sparo, ma era troppo lesto perché dei marines impreparati potessero colpirlo; si permise di rallentare l’andatura e – infine – concedersi una brevissima pausa solo quando ebbe messo un paio di isolati tra se stesso e il Gentek Palace.

Hinata, a quel punto, lo guardò. Le sfuggì un mezzo grido.

«Ma, la tua pelle... è completamente...»

«Lascia fare, è il Bloodtox». Sasori la lasciò poggiare i piedi a terra e poi si accarezzò una guancia, coperta di vesciche giallognole e croste «Mi sto già rigenerando».

«C-capisco. N-non dovremmo aspettare Zeus?»

L’infetto annuì, lanciandole una breve occhiata indagatrice. Non si fidava affatto di lei.

«L’appuntamento è a Central Park. È una zona infetta, ti conviene prepararti».

«I-io non ho p-paura».

«Ah, sì?» L’espressione sul volto di Sasori si fece beffarda «Vedremo».


***


Kisame era piuttosto soddisfatto della compagnia che si era trovato.

Matsuri era dolce, piacevolmente spaventata e, soprattutto, aveva due tette fantastiche; se avesse potuto fare una stima delle donne più belle che aveva conosciuto, soltanto la dottoressa pallida che per qualche tempo aveva vissuto alla base poteva batterla.

Aveva come la sensazione, però, che presto si sarebbe aggiunta un’altra concorrente in gara.

Non aveva ancora idea di come avrebbe fatto a portare via due donne insieme – soprattutto, non sapeva come Zeus avrebbe preso quella sua decisione del tutto autonoma – ma era assolutamente certo che non avrebbe mollato la ragazza con gli occhi da cerbiatta per nessuna ragione al mondo.

Si era rotto i coglioni di passare il tempo con gli indovinelli di Zetsu.

I laboratori in cui Ino Yamanaka stazionava si trovavano al piano -4, relativamente in alto; evidentemente, quella donna non si occupava di ricerche direttamente collegate al virus Idra, ma di progetti d’ordine più comune. Che fosse stata lei a creare quel gas dall’orribile puzzo dolciastro che aveva invaso buona parte dell’edificio?

«Ecco, ci siamo». Lo informò Matsuri, accennando con la testa alla porta scorrevole d’acciaio che li separava dalla sezione laboratori. Le misure di sicurezza di quel posto erano veramente impressionanti, pensò Kisame, peccato che fossero calibrate sugli standard degli esseri umani.

Gli bastò un calcio per aprire la porta.

«La stanza di Yamanaka-san è quella». Matsuri indicò una porta tra le tante che davano sul corridoio, e Kisame vi si diresse a passi pesanti. Sperò che gli altri non avessero già completato la propria missione, o Zeus l'avrebbe spellato vivo.

Appoggiò la grossa mano sulla maniglia e la tirò verso di sé; quando si sporse nella stanza, trovò ad accoglierlo un gruppetto di persone in camicie, apparentemente indaffarate intorno ad una serie di bancali pieni di apparecchiature.

Riconobbe Ino quasi immediatamente: era così bella che sarebbe stato difficile non notarla, con i capelli biondi trattenuti in una coda e i grandi occhi azzurri puntati verso di lui.

Sorrise, ed entrò.


"Non puoi scappare per sempre".

















_Angolo del Fancazzismo_

*Compare dal suo angolino buio, si avvicina al computer e sviene sulla tastiera.*

Chi. Ha. Parlato. Di. GRECO?

Ok, non desidero in alcun modo tediarvi con i miei problemi personali, ma... quante di voi hanno fatto il classico e ne sono uscite vive, potete dirmi se imparare a memoria i verbi particolari dell'aoristo secondo serve davvero a qualcosa, quando si trovano sul vocabolario in tutta tranquillità?

Non riesco a trovare una risposta.

Fortuna che c'è il fandom a risollevarmi il morale, ogni tanto. DVnque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e non vi abbia spinto eccessivamente al suicidio - come, invece, stanno facendo gli aggiornamenti di Naruto con me.

Ridatemi il vecchio Itachi, ridatemelo.

See you soon,

Roby


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