Prototype di GreedFan (/viewuser.php?uid=68718)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Day of the Idra ***
Capitolo 2: *** Zeus ***
Capitolo 3: *** The Hell's Gate ***
Capitolo 4: *** Chaos and Cosmos ***
Capitolo 5: *** Fallen Angel ***
Capitolo 6: *** Thunder ***
Capitolo 7: *** Kick Ass! ***
Capitolo 8: *** Mommy ***
Capitolo 9: *** Horsemen ***
Capitolo 10: *** Eyes of Blood ***
Capitolo 11: *** The Road of Betrayal ***
Capitolo 12: *** Darkness ***
Capitolo 13: *** Checkmate ***
Capitolo 14: *** Cure ***
Capitolo 15: *** Fake Actors ***
Capitolo 16: *** Madness ***
Capitolo 17: *** Art is Explosion ***
Capitolo 18: *** Seek and Destroy ***
Capitolo 19: *** New Entries ***
Capitolo 20: *** Qui pro Quo ***
Capitolo 21: *** First Part of the Truth ***
Capitolo 22: *** Chemical Reactions ***
Capitolo 23: *** Brothers ***
Capitolo 24: *** Let the Bodies hit the Floor ***
Capitolo 25: *** Dream On ***
Capitolo 26: *** Frost ***
Capitolo 27: *** The Scars I Bear ***
Capitolo 28: *** Bloodtox ***
Capitolo 29: *** Break the Ice ***
Capitolo 30: *** Hunter and Prey ***
Capitolo 31: *** Stuck in your Wonderland ***
Capitolo 32: *** Bane ***
Capitolo 1 *** The Day of the Idra ***
000
- The Day of the Idra
L'ufficio
era freddo e silenzioso, quasi totalmente buio, fatta eccezione per
le lame di luce che filtravano dalle persiane semiaperte. L'uomo
dietro la scrivania inspirò il proprio sigaro con
tranquillità,
sebbene la situazione fosse gravissima.
«Ebbene,
Sasuke? Mi sarei aspettato una risposta tempestiva, e invece pare che
tu non abbia voglia di aprire bocca».
«Spero
che lei capisca che mi sento un po' strano, dopo quello che mi avete
fatto».
«Ma
come, ci ringrazi così della nostra gentilezza? E noi che
pensavamo
di farti cosa gradita, salvandoti da una morte certa e donandoti un
corpo nuovo! Il cancro non è una bella malattia,
no?»
«L'Idra
lo è ancora di meno».
Le
dita dell'uomo si serrarono con stizza sui bordi della scrivania,
accompagnate da una smorfia di disappunto per la risposta ricevuta.
«Sai
meglio di me che non sei malato, Sasuke. Sei qui proprio grazie a
questa tua peculiarità, perché non c'è
nessun altro in grado di
sconfiggere lui».
«Com'è
la situazione a Manhattan?»
«Pessima.
Abbiamo chiuso tutte le vie d'accesso, nessuno può entrare o
uscire.
I quartieri infetti sono controllati dalle unità speciali
blackwatch, ma l'Idra continua a diffondersi come se nulla fosse. La
città è diventata un inferno».
«Posto
questo, mi pare strano che sia lui
il
vostro
problema principale. Per i vostri dipartimenti speciali non dovrebbe
essere un problema abbattere un unico individuo infetto, no?»
«Non
considerarlo alla stregua di quei mostri stupidi e bestiali che hanno
come unico obiettivo il cibarsi di carne umana. In lui
il
virus ha
subito una mutazione».
«E
sarebbe?»
«La
stessa che abbiamo tentato di riprodurre nel tuo organismo, seppur
con scarsi risultati. Lui
è
immune al
contagio e non trasmette l'Idra agli individui sani, inoltre
è in
grado di sfruttarlo per modificare la propria struttura cellulare a
livelli ritenuti impossibili per l'anatomia umana. Non ha
più nulla
di ciò che era prima, ormai».
«E
mi state chiedendo di braccare un individuo simile?»
«Esattamente.
Non c'è bisogno che tu abbia subito un contatto diretto,
basta anche
una foto segnaletica che ci permetta di identificarlo. Finora non
siamo riusciti ad ottenere un identikit dettagliato».
«Andare
in quell'inferno e sfidare un mostro del genere? Mi rifiuto».
L'uomo
nell'ombra ghignò, intrecciando le mani.
«Non
credo che tu possa».
«Non
potete obbligarmi».
«E
invece sì. Tecnicamente sei un individuo infetto e
potenzialmente
pericoloso, quindi ti conviene acconsentire, se non vuoi finire su un
vetrino sotto il nominativo di "materiale virale destinato alla
ricerca". Che ne dici?»
Sasuke
sospirò, fissando con odio la figura immersa nell'ombra.
«Non
credo di avere molta scelta».
«Bravo,
finalmente hai capito».
L'Idra
era un virus mutagenico di livello quattro, la cui origine era
assolutamente sconosciuta. Aveva un altissimo potere di diffusione, e
in meno di due settimane le autorità sanitarie erano state
costrette
a porre l'intera isola di Manhattan, in cui era scoppiata
l'infezione, in stato di blocco permanente e quarantena.
I
sintomi assomigliavano a quelli di un comune raffreddore, ma dopo tre
giorni dal contagio il corpo si trasformava in un ammasso di tessuti
necrotici, ed i soggetti infetti, ormai aberrazioni potenzialmente
aggressive, attaccavano gli elementi sani per cibarsene. Questo
veniva comunemente classificato come "Stadio 1".
Lo
"Stadio 2", detto anche autogenerazione, aveva
visto
il virus assumere le connotazioni di una creatura semisenziente in
grado di riprodursi per mitosi, con una struttura simile a quella di
un gigantesco lichene che ben presto era riuscito ad infestare interi
palazzi. Gli edifici infetti, detti alveari, erano
passati in
tempi brevissimi al terzo stadio, cominciando a produrre, tramite
strutture simile a dei veri e propri uteri artificiali, delle
creature umanoidi alte circa sei metri, capaci di abbattere i mezzi
militari con estrema facilità. I Cacciatori.
Infine,
era noto un unico caso di "Stadio 4". Lui.
Secondo
i rari avvistamenti effettuati, esteriormente appariva come un
normale ragazzo di diciassette anni, giapponese incrociato con la
razza caucasica. Era in grado di controllare l'attività
mutagenica
del virus con il solo pensiero, cambiando in tempi infinitesimali la
propria struttura molecolare ed usando l'organismo come una vera e
propria arma dalle molteplici funzioni, oppure creando un
esoscheletro cheratinoso in grado di proteggerlo da qualunque attacco
per tempi relativamente lunghi.
Ma
la sua abilità più spaventosa era senz'altro
quella della
"replicazione". In pratica, lui era in grado di
inglobare qualunque creatura all'interno del proprio organismo,
decifrarne il codice genetico ed assumerne le sembianze. Era persino
riuscito ad introdursi in alcune basi militari e sterminarne gli
occupanti, dopo aver assunto l'aspetto di un soldato.
Questo
era tutto ciò che sapeva Sasuke, abbastanza per indurlo a
diffidare
del futuro. In pratica, si ritrovava a combattere contro un nemico
privo di volto, di cui lui non era altro che una copia malriuscita.
All'inizio
aveva pensato che gli stessero offrendo chissà quale
possibilità,
quando, orfano diciottenne malato di cancro al cervello, aveva
accettato senza pensarci due volte di aderire ad un nuovo programma
di ricerca sulla cura ai tumori. Non aveva nulla da perdere.
La
verità era emersa poco dopo: quella che si era spacciata
come la sua
più grande salvatrice era in realtà una
società di ricerca sui
virus, la cosiddetta "Eden", che era stata incaricata
dall'esercito statunitense della creazione di un'arma biologica in
grado di distruggere il Prototype, lui.
E
così lui era guarito, almeno sulla carta.
Gli
avevano fatto miriadi di test, prelevato litri di sangue. Ed eccolo
lì, su un elicottero diretto alla base militare centrale di
Manhattan.
«Tutto
a posto, amico?»
«No».
«Davvero?
Hai un brutto colorito, non è che soffri di mal di
mare?»
«No».
E come avrebbe potuto? Grazie al virus, tutti i suoi organi interni
erano stati riconvertiti in un apparato per l'assorbimento delle
prede, e il suo sistema digerente non esisteva più. Lo
avevano
costretto ad assorbire degli infetti per studiarne il funzionamento,
ed era stato disgustoso.
«Ecco,
siamo arrivati».
Atterrarono
in uno spiazzo di strada delimitato da due alti sbarramenti, sito in
una delle zone più "sane" di New York. Dall'alto, la
città
sembrava un macabro collage di strade popolose e quartieri distrutti
e pieni di infetti, dove spiccavano le macchie bruno-rossicce degli
alveari.
Sasuke
scese lentamente dall'elicottero, facendo un check-up del proprio
corpo e ricercando qualche strana anomalia. Doveva appuntare tutto su
un quadernino, in modo da fornire ulteriore documentazione sui
risultati del lavoro degli scienziati della "Eden".
Gli
si avvicinò un uomo alto e muscoloso, dal collo taurino,
che, a
giudicare dall'uniforme, era un colonnello.
«Tu
devi essere Sasuke Uchiha, il marmocchio che ci hanno mandato per
combattere il Prototype. Qui lo chiamiamo Zeus, quindi d'ora in poi
il tuo soprannome sarà Ade, va bene? Tienilo a mente. Io
sono Neil
Crawford, colonnello della quarta divisione operativa, e ti
farò
visitare la base. Ora, se hai dei bagagli...»
«Non
ne ho» lo interruppe Sasuke, causando nel soldato una
reazione di
disappunto «e forse è il caso che legga gli ordini
di missione che
il generale Madara mi ha chiesto di portarle».
Detto
ciò, estrasse una busta dalla tasca della pesante felpa nera
che
indossava. Crawford la afferrò, aprendola con forza, e dopo
averne
letto il contenuto impallidì.
«Conosci
il contenuto di questo messaggio, ragazzo?»
«Parola
per parola»
«É
praticamente una missione suicida».
«É
ciò che vogliono che faccia, né più
né meno».
«Nessuno
è mai riuscito ad avvicinarsi a Zeus tanto da vederlo in
viso. Cosa
ti fa pensare che riuscirai a scattargli una foto?»
«Il
fatto che non ho più nulla da perdere, nemmeno la mia
umanità».
***
Un'ora
dopo, Sasuke camminava lentamente in direzione del quartiere infetto
dove avrebbe cominciato a cercare Zeus. Avrebbe girovagato per la
città fino a quando non fosse riuscito a scattargli una
foto, poi
Madara gli aveva promesso di venirlo a prendere. Che bastardo.
Non
aveva nemmeno bisogno di cambiarsi i vestiti, visto che poteva
controllare la produzione di secrezioni corporee, e di cibo ne aveva
in abbondanza. Si era portato dietro solo un taccuino e una specie di
macchinetta fotografica ad alta tecnologia, grande quanto una
zolletta di zucchero, che portava appesa al collo a mo' di ciondolo.
L'unica
cosa inutile che non aveva potuto scollarsi di dosso era una paura
quasi trascendentale di venire ucciso.
A
mano a mano che andava avanti, il paesaggio assumeva una connotazione
sempre più apocalittica. Le strade divennero vuote, mentre,
in
lontananza, cominciò a farsi strada un rumore impercettibile
ma
cacofonico, un miscuglio di suoni indistinti che fecero fermare il
moro. Dopo una veloce valutazione di ciò che avrebbe potuto
trovare,
decise di raggiungere la meta per vie traverse.
Saltò
sul cornicione dell'insegna di un cinema, poi si diede lo slancio e,
come se fosse stata la cosa più naturale di questo mondo,
cominciò
a correre in parallelo alla facciata dell'edificio. Raggiunse il
tetto con un'aggraziata capriola aerea e guardò in basso,
constatando che si trovava a circa trenta metri dal suolo.
Una
piccola fonte di autocompiacimento in quel marasma di orrori in cui
era immerso.
Saltò
di tetto in tetto senza guardarsi mai intorno, finché un
pungente
odore di fumo e sangue gli stuzzicò le narici, insieme alla
baraonda
che, da lontana e indistinta, lo circondava e lo stordiva con il suo
miscuglio di suoni. Sentiva le urla, disumane e bestiali, di coloro
che erano divenuti schiavi del virus. Udiva il grido dei Cacciatori,
così come lo stridio del ferro che veniva piegato e
distrutto e il
rumore di vetri infranti.
Un
suono ritmico lo avvisò della presenza di un elicottero
anche prima
che alzasse lo sguardo, abbassandosi poi per osservare lo scenario
macabro che si stendeva una ventina di metri più in basso.
Le
strade erano affollate, gremite di infetti. Attaccavano tutto e
tutti, protendendo le carni marcescenti nel tentativo di abbrancare
gli altri miserabili che, come loro, non avevano avuto la fortuna di
scappare prima di venire contagiati. In mezzo a quella calca si
facevano strada i carri armati e i Cacciatori, spazzando via senza
misericordia quelli che una volta erano esseri umani.
I
primi ammaccati e malridotti, poco efficaci nella loro lentezza; i
secondi alti e possenti, coperti di venuzze e cisti pulsanti sulla
carne viva, le teste piccole dalle fauci spaventose.
Sullo
sfondo, presagio di sventure, spiccava l'alveare, un gigantesco
edificio coperto di viticci rossi e pulsanti ed enormi sacche
elastiche, che partorivano Cacciatori ad intervalli regolari. L'aria
era ammorbata dalla puzza del fumo e dalle nuvole di cenere, che si
levavano come colonne grigie a coprire la luce del sole.
«Bel
posto per una vacanza». commentò freddamente
Sasuke.
Quella
confusione non era affatto positiva, perché cercare una
singola
persona in un luogo così disordinato poteva rivelarsi
impossibile.
Se poi calcolava che i Cacciatori sembravano tutto, meno che
amichevoli, buttarsi nella folla alla ricerca di Zeus gli sembrava
sempre meno auspicabile.
Altro
problema: e se i militari lo avessero malauguratamente scambiato per
Zeus? Sarebbe riuscito a scappare in tempo?
In
fondo, si consolò. era sempre meglio morire sotto i colpi di
una
mitragliatrice che per un cancro in ospedale, magari piangendosi
addosso come un ragazzino spaventato.
Aprì
le braccia, lasciandosi cadere lungo il muro e atterrando a quattro
zampe, come un gatto. Era finito in uno stretto vicolo pieno di
sacchi di immondizia, completamente vuoto, fatta eccezione per i
ratti, che, indisturbati, gironzolavano tra i cumuli di rifiuti.
Sasuke avanzò, fluido e silenzioso, immettendosi
direttamente nella
baraonda della strada principale.
Non
fece in tempo a posare un piede sul marciapiede, che si
sentì
afferrare per un braccio.
Era
una donna infetta, completamente coperta di sangue, che, se un tempo
doveva essere stata bella, in quel momento assomigliava ad un
cadavere in avanzato stato di putrefazione. Il moro non si prese
nemmeno la briga di assorbirla, spaccandole il cranio con un pugno
ben assestato.
Proseguì
di corsa, inframmezzando agli scatti salti e capriole per superare
gli ostacoli, girando intorno all'alveare alla ricerca di una qualche
traccia di Zeus. Niente.
Eppure,
da quello che gli avevano spiegato, si trovava di fronte all'alveare
principale, quello che, almeno in teoria, avrebbe dovuto attirare il
Prototype più degli altri.
Un
ruggito alle sue spalle lo distrasse dalle proprie elucubrazioni,
permettendogli di scostarsi un secondo prima che il gigantesco pugno
di un cacciatore si abbattesse sul muro a cui era appoggiato,
riducendolo ad un ammasso di calcinacci.
Sasuke
finì contro la carcassa sventrata di una macchina, urtando
contro
ciò che rimaneva del cofano e scivolando a terra, la vista
offuscata
dal dolore alla schiena. Percepì una sostanza calda e
appiccicosa
colargli lungo il fianco. Sangue.
Il
Cacciatore lo fiutò, girando la testa nella sua direzione e
annusando l'aria, i minuscoli occhi ciechi che si giravano in
continuazione nel tentativo di individuarlo. La situazione era
chiara: se non si fosse tolto di lì alla svelta, quel mostro
lo
avrebbe fatto a pezzi. Doveva sbrigarsi.
Provò
ad alzarsi, ma la felpa, nel punto in cui la lamiera gli era
penetrata nella carne provocandogli una brutta ferita, si era
impigliata ad un pezzo di ferro e non accennava a volersi strappare.
Sasuke scalciò nella polvere nel tentativo di liberarsi, e,
nel
frattempo, vide il Cacciatore che, identificata la propria preda,
macinava la poca distanza che li divideva con passi lenti e possenti.
«Cristo...»
sibilò, riuscendo finalmente a strappare la stoffa che lo
imprigionava. Ma era troppo tardi.
Prima
che potesse anche solo alzarsi, il Cacciatore lo afferrò e
lo
sollevò in aria, stringendo la presa attorno al suo busto.
In quel
momento l'Uchiha ringraziò di non essere un semplice
infetto, perché
in tal caso sarebbe stato già morto. Era tutto merito del
suo
scheletro rinforzato, se non si era ancora trasformato in una pila di
carne macinata.
Cercò
di liberarsi con tutte le proprie forze, esigue rispetto a quelle del
mostro che lo fronteggiava, e rivolse un ultimo sguardo di supplica
all'elicottero che, incurante della sua sorte, lo sovrastava e
continuava a sparare contro l'alveare.
Ironia
della sorte, in quel momento lo vide.
«Zeus...»
gli sfuggì un mormorio quasi adorante, mentre guardava il
suo unico
obiettivo che, come a beffarsi di lui, si presentava proprio nel
momento della sua dipartita.
Lo
vedeva da lontano, niente più che un puntino nero adagiato
sul tetto
dell'alveare, ma il suo istinto gli diceva che si trattava di lui.
Ogni fibra del suo corpo urlava il suo nome,
surclassando il
dolore in una strana euforia che non aveva nulla di normale.
Zeus
saltò, annullando la distanza che lo separava
dall'elicottero e
sparendo momentaneamente alla vista. Una manciata di secondi dopo, il
mezzo si inclinò come un gigantesco insetto d'acciaio,
precipitando
al suolo sempre più velocemente tra lo stridore del metallo
e le
urla dei militari che si affrettavano a sgomberare il campo. Sasuke
realizzò ben presto che quella carcassa di ferro si stava
dirigendo
verso di lui.
Problema:
il Cacciatore era cieco, quindi non riusciva a capire cosa stesse
succedendo e rimaneva immobile nello stesso punto, disorientato dal
rumore assordante delle pale dell'elica. L'Uchiha chiuse gli occhi.
Il
Cacciatore non scappò.
L'elicottero
li travolse, sfracellando il mostro sull'asfalto e fermandosi a pochi
metri dalla parete dell'alveare. Quando Sasuke aprì le
palpebre,
stupendosi persino di essere vivo, si scoprì ancora stretto
nella
mano del Cacciatore, saldamente attaccata ad un braccio che spuntava
da sotto la carcassa del veicolo.
Tentò
disperatamente di liberarsi, impaurito da ciò che sarebbe
potuto
capitargli, bloccato e indifeso com'era, e non prestò
attenzione
alle ombre che si agitavano all'interno dell'abitacolo distrutto.
Improvvisamente,
il portellone dell'elicottero si spalancò.
E
Zeus fece la sua comparsa.
_Angolo
del Fancazzismo_
O_O
vipregoviscongiurovisupplico perdonatemi. Ok, ok, non dovrei iniziare
un'altra fic in queste condizioni, ma mica è colpa mia se
mia cugina
mi ha convinto a giocare a Prototype e mi ha fatto ritornare la
vecchia ossessione che provo per questo gioco, no? NO?
Vabbè,
scleri a parte, con l'influsso delle vacanze pasquali sono riuscita a
scribacchiare anche qualcosa per le mie altre due fic, "Never
Too Late" e "Highway To Hell", quindi conto di postare
al massimo tra due giorni i nuovi capitoli di entrambe. Se non
dovessi farlo le mie lettrici sono autorizzate a fustigarmi.
Per
quanto riguarda questo sclero qui, invece, mi andava di trattare un
argomento un po' originale nel fandom di Naruto, in quanto non mi
pare di aver visto altre storie del tipo "survivor". Sì,
lo so, probabilmente non beccherò nemmeno un decimo delle
recensioni
delle SasuNaru classiche, ma che volete farci, Prototype è
un
videogioco splatter e la sua sezione su EFP conta solo quattro storie
(con mio sommo disappunto).
Conscia
che anche io, come il buon Sas'ke, mi sto imbarcando in una missione
suicida, vi faccio i miei saluti e vi auguro di riposare in pace fino
al prossimo aggiornamento, che, per la cronaca, si chiamerà:
001
- Zeus
Baci
bacioni e tanti auguri di buona Pasqua.
Che
Ronnie James Dio sia con voi.
Roby
|
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Capitolo 2 *** Zeus ***
001
- Zeus
Indossava
una felpa rossa e grigia, con il cappuccio abbassato fin sotto gli
occhi da cui sfuggivano alcuni ciuffi di capelli dorati. Teneva le
mani infilate nelle tasche di un paio di jeans sgualciti, e
fischiettava allegramente il motivetto di Welcome to the
Jungle
dei Guns 'n Roses.
Quello
era Zeus.
Nonostante
l'apparenza innocua (non era né alto, né ben
piazzato) Sasuke
percepì distintamente l'aura di pericolo che emanava, come
un lupo
coperto dal vello di una pecora. Letale come uno scorpione, eppure
esteticamente anonimo, quasi normale. Poteva
ucciderlo con
estrema facilità, ma non sembrava averne l'intenzione: anzi,
gli si
avvicinò con un portamento tranquillo e rilassato, tenendo
lo
sguardo fisso al suolo per non scoprire la faccia.
«Tu...
sei... Zeus...» esalò, sputando sangue. L'altro
gli si accovacciò
davanti, senza alzare la testa. Sorrise, un ghigno sghembo che aveva
un sapore vagamente infantile, e poi parlò, con un tono di
voce
tanto suadente da risultare inumano.
«Mi
chiamano in tanti modi. Mostro, assassino, terrorista... sono tutte e
tre le cose». Poi, con delicatezza, sfiorò la
ferita aperta del
moro, prima di leccarsi le dita sporche di sangue.
«Interessante.
Neanche tu manifesti ciò che sei, vero?»
Fece
due passi indietro, repentino, e sollevò il
bracciò destro. Sasuke
udì uno scatto, e vide che, al posto dell'avambraccio e
della mano,
era apparsa una lunga lama di quello che sembrava ferro, collegata
alla spalla tramite una serie di vene grosse e robuste, nere e
sanguigne.
Zeus
abbassò il torso, tranciando di netto quelle dita che
l'Uchiha non
era riuscito a smuovere nemmeno di un millimetro, e lo
afferrò per
le spalle (la lama era di nuovo scomparsa), caricandoselo sulla
schiena senza troppa delicatezza.
«Sarà
meglio portarti in un posto sicuro, ti ci vorranno circa due ore per
rimarginare questa ferita. I tuoi poteri di rigenerazione sono
scarsi». Detto questo, si arrampicò sulla parete
di un palazzo,
iniziando a percorrere i tetti di Manhattan. Sasuke non gli aveva
ancora visto il volto, ma già pregava per poter sentire di
nuovo la
sua voce, simile ad un bicchiere di acqua fresca in una giornata di
calura.
Era
la musica più bella che avesse mai sentito in diciannove
anni di
vita.
Dopo
un tempo che non seppe definire, Zeus si fermò su un tetto
al
limitare di una delle zone infette. C'erano solo una cisterna e un
mucchio di lamiere in un angolo, che, una volta spostate, rivelarono
una botola impolverata. Il Prototype la sollevò, tuffandosi
poi
nella stretta apertura e richiudendola con gesti metodici.
«Benvenuto
a casa mia. Scusa il macello, ma tra uno sterminio e l'altro non
trovo mai il tempo di mettere in ordine».
«Non...
fa.... ridere...»
«Non
era una battuta».
Sasuke
fu adagiato su un divano, e percepì ben presto la morbida
sensazione
dell'essere avvolto da coperte di lana. La ferita, grazie al calore e
al riposo, si rigenerava a vista d'occhio, provocando ondate di
brividi di sollievo all'Uchiha.
«E
così» la voce di Zeus, comparso improvvisamente
alle sue spalle, lo
fece sobbalzare «tu saresti Ade, la pericolosissima arma
biologica
creata dall'esercito apposta per distruggermi. Ma guardati, se non
sei capace di resistere all'attacco di un cacciatore, come puoi
pensare di affrontarmi?»
«Non
l'ho mai pensato. Sono stato creato per questo, è vero, ma
non
possiedo nessuna abilità di attacco, e quelle di difesa non
possono
definirsi al tuo livello... un momento, ma come fai a sapere chi
sono?»
«Ehehe...
domanda corretta. Prima, quando ho bevuto il tuo sangue, ho assorbito
una parte del tuo patrimonio genetico, e ciò mi ha permesso
di
vedere tutti i tuoi ricordi più recenti. E' uno dei poteri
legati
all'assorbimento, ma a quanto pare i militari ancora non lo
conoscono».
«Perché
mi hai salvato, pur conoscendo il mio obiettivo?»
«Perché
mi sembri un tipo interessante. Sei debole e praticamente inutile,
però la tua struttura fisica è quasi identica
alla mia, e questo
potrebbe portarmi qualche vantaggio. Inoltre, penso che passerai
dalla mia parte».
«Non
vedo perché dovrei».
«Beh,
io sì. Che cosa ti ha offerto l'esercito, per convincerti ad
impantanarti in una missione suicida come questa?»
«Non
mi hanno offerto nulla. Mi hanno minacciato di morte, nel caso avessi
rifiutato».
«Appunto.
Se invece decidessi di aiutarmi, io potrei darti una cosa abbastanza
interessante».
«E
sarebbe?»
«La
verità. So che non ti hanno detto nulla sulle origini
dell'infezione, e scommetto che muori dalla voglia di conoscere lo
svolgimento dei fatti. Sto conducendo delle ricerche in proposito, e
con il tuo aiuto potrò portarle a termine più
velocemente».
«Mi
chiedi di fidarmi di una persona che non ho mai visto in
faccia?»
«Touchè».
Sorrise, sollevando le mani in segno di resa «Se ci tieni
tanto, ti
mostrerò il mio viso».
A
quel punto, Sasuke si sarebbe aspettato di tutto. Qualsiasi
mostruosità, o magari anche una di quelle facce dozzinali
che si
vedono tutti i giorni sui marciapiedi. Si sarebbe aspettato tutto,
meno quello che vide.
Quando
Zeus sollevò il cappuccio, l'Uchiha si ritrovò a
fissare il viso di
un angelo.
Pelle
liscia e compatta, color biscotto, in cui brillavano due occhi
cerulei dalle cigli lunghe e nere. Capelli biondi dai riflessi
dorati, non troppo lunghi e spettinati in tutte le direzioni. Sulle
guance, tre per lato, facevano bella mostra di sé sei
cicatrici
simmetriche simili a baffi.
Bellissimo,
come il modello di una pubblicità. Irreale, finto.
Era
davvero quello, il temibile assassino di cui gli avevano parlato? Un
diciassettenne dal volto angelico?
«Ah,
forse è meglio che ti avverta di una cosa: le mie ghiandole
sudoripare secernono una specie di feromone, che, in casi normali,
dovrebbe servire ad attrarre le prede. Quindi, se dovessi sentirti
scombussolato, o... attratto» e qui fece una smorfia
«... dal
sottoscritto, non devi preoccuparti, è tutto normale. Passa
se ti
fai un paio di inalazioni con l'antiasma».
«Non
pensavo che ci fosse anche questa, tra le tue
abilità».
«In
effetti non me ne faccio nulla. In questo posto le uniche donne
presenti hanno la pelle decomposta e vogliono mangiarmi,
uffa!»
A
Sasuke sfuggì un sorriso. Zeus era completamente diverso da
come se
lo era immaginato, e molto poco minaccioso. Tuttavia, c'era quella
sensazione di pericolosità sopita che lo inquietava
moltissimo, come
se dietro quella facciata di buonismo si nascondesse
un'entità di
tutt'altro genere.
«Allora,
Ade,» esordì il biondo, appoggiandosi allo
schienale del divano
«perché non mi parli di te, mentre ti riprendi?
Avrai qualche
hobby, no?»
«Sono
sempre stato in ospedale a causa della mia malattia, ma, da quel che
ricordo, amavo molto i libri».
«Libri,
eh? A me non piacciono, li trovo troppo noiosi e impegnativi. In
compenso adoro il ramen, tu l'hai mai mangiato?»
«No».
«Aaaah,
che peccato! E pensare che adesso non puoi più
assaggiarlo!»
A
dirla tutta, Sasuke aveva problemi ben più grossi del cibo
giapponese, ma ascoltò la filippica di Zeus senza mai
interromperlo,
e sforzandosi di prestare attenzione. Che un serial killer mutaforma
di preoccupasse delle sue esigenze alimentari, poi, gli sembrava
quanto mai paradossale.
Passarono
le due ore successive tra le facezie più svariate, come a
voler
tagliare fuori per un po' la catastrofe ce avveniva fuori dalla casa
di Zeus. E forse fu un bene, visto che Sasuke, capitato in
quell'ambiente senza avere la minima idea di ciò che avrebbe
trovato, si sentiva ancora piuttosto male.
«Allora»
esclamò il Prototype, fissando l'orologio appeso al muro
«direi che
ti sei ripreso, no?»
Sasuke
controllò la ferita, poi assentì. Non era rimasta
neanche la
cicatrice.
«In
questo caso, è ora di uscire. Se vuoi farmi da alleato
dovrò pur
mostrarti da che parte cominciare, giusto?»
«Io
non ho mai detto "sì"...» l'ultima frase di Sasuke
venne
bellamente ignorata da Zeus, che spalancò di nuovo la botola
e saltò
fuori. Una volta sul tetto, l'Uchiha si concesse una panoramica
sull'isola di Manhattan, che, vista dall'alto, era ancora
più
lugubre di quanto non sembrasse dall'interno delle zone infette.
«Li
vedi quei palazzi distrutti, laggiù?» Zeus
indicò un punto con il
dito, e Sasuke non ci mise molto a capire a cosa si riferisse.
Erano
un gruppo di edifici abbandonati e un parte demoliti dalle
esplosioni, facenti parte di un vecchio complesso residenziale. Si
trovavano al confine tra una zona infetta e un quartiere ancora
parzialmente abitato, quindi nessun essere vivente sembrava
aggirarvisi.
«Sì.
Che hanno di particolare?»
«Sono
abbastanza sicuri, per uno come te. Da quello che ho capito non hai
abilità offensive e difensive, sei solo una specie di essere
umano
super-agile e capace di rigenerarsi. No?»
«Sì».
«Ok.
Non credo ci sia modo di farti sviluppare i miei stessi poteri, ma
con un po' di allenamento potresti diventare un diversivo
utile».
«Diversivo?
In che senso?»
«Lo
capirai. E adesso andiamo».
Zeus
afferrò Sasuke per la cintola, saltando oltre il cornicione.
Prima
che potessero toccare terra, però, una delle braccia del
biondo si
trasformò in una lunga frusta di fasci rossi e neri e
spuntoni
acuminati, che si attorcigliò ad un lampione e, come una
liana, gli
permise di darsi lo slancio per compiere un salto poderoso e
atterrare diversi palazzi più in là. Quando si
ritrovò con i piedi
su una superficie solida, il moro perse qualche secondo a guardare
l'arto mutato di Zeus, trovandolo stranamente poco disgustoso nella
sua forma obiettivamente raccapricciante. Dalla spalla in poi, era un
caos di viticci scuri e scarlatti, alcuni più grossi che
formavano
la struttura portante della frusta e altri, più sottili, che
si
attorcigliavano e pulsavano in continuazione, come mossi da vita
propria. Il tutto compattato da una strana sostanza rossastra, che
doveva essere Idra allo stato puro, da cui emergevano diversi aculei
lunghi circa trenta centimetri, dall'aspetto per nulla rassicurante.
«Questa»
disse Zeus, facendo saettare il braccio mutato come la coda di un
serpente «è la frusta. Di solito la uso per
attaccarmi agli
elicotteri in volo e rubarli, ma è anche molto utile per
spostarsi o
per liberare la strada quando dei accerchiato dagli infetti. Ha un
raggio massimo di venticinque metri».
«Venticinque
metri... è enorme».
«Dici
così perché non hai ancora visto la portata degli
attacchi
distruttori».
«E
cosa sarebbero?»
«Ehehe...
vedrai che forza! Dopo te li mostro, tanto ho un paio di commissioni
da sbrigare e mi saranno molto utili».
Proseguirono
con lo stesso sistema, e ben presto raggiunsero il gruppo di palazzi
indicato da Zeus. Era tutto molto silenzioso e impolverato, come se
nessuno avesse smosso un sasso per decenni. Eppure l'infezione era
scoppiata poco più di un anno prima.
«Questo
posto non mi piace affatto... è troppo calmo»..
sentenziò
l'Uchiha, camminando attraverso le macerie di un muro. Sbucò
in un
piccolo cortile interno, ormai invaso dalle erbacce e da qualche
propaggine del lichene Idra, che si concludeva con lo scheletro di un
vecchio edificio, all'interno completamente buio.
«Ecco,
appunto. Sembra quasi il set di un film dell'orrore. Vero, Zeus? ...
Zeus?» quando il moro si girò, sperando di
incontrare gli occhi
cerulei del famigerato biondino, si ritrovò a fissare il
vuoto.
«Zeus!
Che razza di scherzo è questo?»
«Perché
parli di scherzo? Non è il termine
più appropriato, neh?»
Sollevò
lo sguardo e lo trovò, appoggiato ad una trave metallica con
un
sorriso stampato sulla faccia . Quando vide i suoi occhi,
però, non
poté fare a meno di indietreggiare.
Erano
grigi, lucidi e splendenti come il ferro, e non contenevano
più
alcuna traccia di vita. Sembravano pezzi di ghiaccio intrisi di
tristezza e rabbia, anche se non lasciavano trapelare altri
sentimenti dietro il nero cupo della pupilla. E lui, Zeus, sembrava
cambiato con loro: finalmente manifesti, Sasuke percepiva la
frustrazione e l'odio che si spandevano a vagonate da quel corpo
vagamente efebico, rendendolo terribile e inquietante più di
ogni
aberrazione infetta che calcava quella terra maledetta da Dio. Era
come se Zeus, con il suo fisico da diciassettenne, covasse nell'animo
un odio secolare.
Assurdo.
E spaventoso.
«Forse
ti starai chiedendo perché ti ho portato qui, Ade. In
realtà,
sebbene tu valga ben poco in combattimento, sei agile e più
forte di
un comune essere umano. E soprattutto- sospirò, abbassando
lo
sguardo -non corro il rischio di infettarti o ucciderti per sbaglio.
Sai quanto cazzo è brutto vivere per un
anno senza parlare
con nessuno? Beh, non te lo consiglio, 'ttebayo. Ma non posso neanche
portarmi dietro un moccioso bisognoso di cure, quindi voglio vedere
fino a che punto sei in grado di difenderti».
«Tu
sei pazzo».
«Meno
di quanto pensi. Non sono io che ho firmato per diventare la copia
malriuscita di un mostro».
Poi,
gli occhi venati di una sfumatura azzurrognola e pieni di tristezza,
fece un gesto con la mano. Da dietro le macerie iniziarono a sbucare
i viticci dell'Idra, stavolta più grossi e veloci di quanto
li
ricordasse Sasuke, che si avvolsero in breve tempo sopra la sua testa
e crearono una cupola elastica alta più o meno sei metri da
terra.
«Che
ne dici di prenderti una piccola rivincita?»
«Che
intendi dir... oh, Cristo». L’Uchiha
indietreggiò di corsa,
quando vide la massiccia ombra di un cacciatore che sbucava
lentamente dai ruderi bui.
«Tu...
tu li comandi...»
«Non
tutti e non per lunghi periodi di tempo. Reagiscono agli ultrasuoni,
ma sottometterli non è facile».
«Bene»
sibilò Sasuke, appiattendosi contro il muro «e
come faccio ad
abbattere un cacciatore, secondo te?»
«Non
ne ho la minima idea. Non saprei come fare, nelle tue condizioni, ma
è proprio questo il bello. Sai che noia,
sennò?»
"E'
evidente che il virus gli ha fottuto il cervello..."
«Nah,
il virus non mi ha fatto proprio niente. E comunque non mi
preoccuperei di una cosa del genere, visto che il bel pupone
sembra abbastanza incazzato».
Sasuke,
arrendendosi all'evidenza che Zeus fosse anche in grado di leggere il
pensiero, riportò l'attenzione al suo avversario. Era
Leggermente
più piccolo di quello che lo aveva quasi ucciso, ma i fasci
muscolari che guizzavano sotto la pelle viscida e butterata ebbero
comunque l'effetto di farlo rabbrividire.
«Regola
numero uno» la voce di Zeus lo fece incazzare ancora di
più «i
Cacciatori sono agili e forti, ma scarsi nella difesa. Hanno miriadi
di punti deboli, ma direi che il più significativo si trova
in mezzo
alla fronte. In quel punto il cranio diventa molto sottile e
può
essere spezzato con relativa facilità».
Il
mostro si girò all'improvviso, inquadrandolo con i suoi
minuscoli
occhietti ed emettendo un basso ruggito. Sasuke afferrò una
sbarra
di ferro, il primo oggetto contundente che riuscì a trovare,
e si
rifugiò in un angolo, aspettando l'attacco con tutti i nervi
tesi.
«Regola
numero due» il Cacciatore partì alla carica,
mulinando i pugni alla
cieca e mancando il moro per un soffio; Sasuke sgusciò via
dalla
portata della creatura e si nascose dietro un mucchio di macerie
«i
Cacciatori hanno gli occhi atrofizzati. Non vedono, ma fiutano
benissimo il sangue, hanno un buon udito e localizzano le prede
grazie alle vibrazioni che queste emettono camminando. Inoltre
colpiscono tutto ciò che si trovano davanti,
indiscriminatamente».
L'Uchiha
schivò un altro attacco, puntellandosi sulla spranga e
saltando come
un equilibrista oltre la schiena del Cacciatore, che nel frattempo
cominciava a manifestare i primi segni di nervosismo. Si girava da
una parte all'altra, ringhiando, il capo teso nel tentativo di
avvertire il benché minimo suono.
Ma
Sasuke, ormai certo di avere la vittoria in tasca, se ne stava
attaccato ad una trave metallica, in attesa del momento propizio per
colpire.
«Complimenti,
Ade. Se te ne stai a quell'altezza senza fare rumore, il Cacciatore
non può capire dove sei. Ottima mossa, sei più
preciso e
concentrato di questa mattina».
Il
moro avrebbe tanto voluto replicare con una delle sue risposte
mordaci, ma se l'avesse fatto tutta la sua tattica sarebbe andata in
fumo. Per cui stette zitto e fermo, i muscoli tesi fino allo spasimo
e pronti a scattare,
Poi,
semplicemente, arrivò l'occasione giusta.
Il
mostro, sempre brancolando alla ricerca della preda, si
portò sotto
all'Uchiha. Questi si lasciò cadere, atterrando sulla testa
del
Cacciatore, e, prima che potesse ribellarsi, gli conficcò la
spranga
nella fronte, tra lo scrocchio sonoro della scatola cranica e il
gorgoglio del sangue bluastro che sgorgava a fiotti dalla ferita.
Il
colosso scalciò e si dibatté per qualche secondo,
schiantandosi poi
senza un lamento.
«Come
vedi, Zeus, si può vincere un cacciatore anche senza i tuoi
poteri».
La
cupola di viticci si ritirò, e il biondo sorrise,
sornione:« Non
sono i Cacciatori la cosa più pericolosa che si aggira
sull'isola di
Manhattan. Tuttavia, ti fa onore l'averne battuto uno con l'aiuto di
una sola spranga di ferro».
Sasuke
ghignò, sarcastico:« Devo ritenermi degno
di accompagnarti?»
L'altro
scoppiò a ridere, mettendo in mostra due file di denti
candidi e,
almeno all'apparenza, affilati come rasoi.
«Diciamo
di sì. Beh, allora i vediamo stasera, Ade. Davanti alla
stazione
centrale di polizia, e vedi di comportarti come se fossi ancora un
loro alleato, ok?»
«Ma...»
non poté continuare la frase, perché Zeus si era
già
volatilizzato.
«Figlio
di puttana...» sibilò, spezzando la spranga di
ferro in un accesso
d'ira.
***
Fissando
il grande portale della stazione di polizia, Sasuke si
ripeté più o
meno una decina di volte che non sarebbe dovuto andare fin
lì.
Seguire le indicazioni di un pazzo mutante pluriomicida non era
esattamente una politica saggia, e ne era conscio, ma in un certo
qual modo moriva dalla voglia di scoprire cosa avrebbe combinato
Zeus.
Si
sedette su un marciapiede, aspettando tranquillamente l'arrivo del
Prototype. Dall'esterno sembrava un normale ragazzo in attesa del
pullman, e questo, in una città dove persino le creature
più
mostruose erano costrette a guardarsi le spalle, causava occhiate
incuriosite da parte dei soldati che pattugliavano gli ingressi.
Uno
dei militari, imbracciando un AK47 piuttosto malridotto, gli si
avvicinò.
«Favorisca
i documenti, per favore».
Sasuke,
assai svogliatamente, frugò nelle proprie tasche alla
ricerca della
carta di identità falsa che quelli dell'Eden gli avevano
fornito.
Tra i pantaloni sgualciti e la felpa rotta e macchiata aveva un
aspetto ben poco raccomandabile, ma il soldato fu costretto ad
arrendersi all'evidenza di fronte al documento.
«Scusa
per il disturbo, ma con questa faccenda di Zeus non ci fidiamo
più
neanche dei nostri commilitoni. Tu poi sei anche giapponese,
quindi...»
«Non
si preoccupi, capisco perfettamente». "Peccato che
non
arriverai a domani mattina, amico..."
Il
sole declinò lentamente fino a sparire oltre l'orizzonte,
immergendo
la città in un buio pesto che veniva contrastato solamente
dai
grandi fari abbaglianti posti sulle torrette mitragliatrici della
base militare.
L'Uchiha
non sentiva né fame né freddo, ma cominciava ad
annoiarsi. Per cui,
quando notò un altro soldato che gli si avvicinava, la sua
reazione
fu molto meno gentile della precedente.
«Senti,
i documenti li ho già dati al tuo amico, quindi...»
«Non
me ne faccio un cazzo dei tuoi documenti, Ade».
Sasuke
sollevò lo sguardo di scatto appuntandolo negli occhi
stranamente
argentei e traslucidi del soldato che lo sovrastava.
«Sei
tu?»
«In
carne ed ossa, kisama. Ma adesso entriamo,
c'è qualcosa che
mi serve in questa base».
«Mi
sembra strano che ti occorrano armi, con tutti i poteri che
hai».
«Non
ho mai parlato di armi...» Zeus si sporse, fino a portare la
bocca
accanto all'orecchio di Sasuke «...quello che voglio
sono i
ricordi».
L’Uchiha
rabbrividì, forse per il tono inquietante con cui quelle
parole
erano state pronunciate o per l'alito ghiacciato che gli aveva
solleticato il collo, e non riuscì ad impedire al proprio
cuore di
aumentare esponenzialmente il ritmo dei battiti. Era come se tutto il
suo corpo, meno la testa, provasse una paura irrazionale nel trovarsi
a meno di tre metri da Zeus.
«Che
c'è, Ade, ti faccio paura?»
«Non
dire stronzate. Entriamo».
«Ok,
ok... Mi raccomando, tieniti attaccato al mio culo. In senso
metaforico, naturalmente».
«Non
avevo dubbi in proposito».
Varcarono
le soglie della base con sicurezza, senza guardare in faccia nessuno
ed immettendosi immediatamente in quella che sembrava una gigantesca
costruzione Lego, fatta però di casse piene di armi. C'erano
anche
due serbatoi di carburante ed un piccolo container aperto e vuoto,
pattugliati da uno scarno gruppetto di militari che, a prima vista,
non sembravano avere più di diciannove anni.
«Ormai
non sanno più dove prenderli, i soldati».
Spiegò il Prototype,
fissando l'asfalto con uno sguardo cupo «Tra quelli che
muoiono a
causa del virus e quelli che ho ucciso io, ormai al governo americano
non resta che reclutare i ragazzi. Poveracci».
«Li
compiangi, ma trovi lo stesso il coraggio di ucciderli. Non pensavo
che potessi essere così ipocrita».
«La
mia non è ipocrisia». sibilò
Zeus, serrando i pugni fino a far
sbiancare le nocche «Semplicemente, se voglio conseguire i
miei
scopi devo dare alla mia vita un valore superiore rispetto alla loro.
Il pesce più grosso non può essere magnanimo, se
non vuole farsi
divorare dai pesci più piccoli».
Si
fermarono di fronte ad una porta blindata; Zeus fece scorrere una
tessera magnetica nell'apposita guida, poi appoggiò la mano
sulla
maniglia.
«Adesso
io entrerò e farò piazza pulita. Il tuo compito
è di rimanere qui
fuori, sgomberare il campo e non entrare a meno che non sia io a
dirtelo, perché potresti farti male».
«Vedi
di non crepare, dobe. So badare a me stesso».
«Bah,
kisama presuntuoso...»
Poi
abbassò la maniglia ed entrò, sparendo alla vista
di Sasuke.
_Angolo
del Fancazzismo_
Bella
a tutti, signori, e rieccomi con un aggiornamento lampo! Ci ho messo
poco, eh? Ma non temete, sono a buonissimo punto anche con le altre
due fic, che hanno avuto un rallentamento giusto perchè ieri
mi è
venuta l'idea di cominciare una fanart su questa storia... non vi
dico cosa sta uscendo fuori, appena ho fatto la scannerizzo e la
posto con il prossimo aggiornamento.
Ciemmecu,
ecco le risposte alle recensioni!
ryanforever:
aspè,
io non intendevo "fan" sasunaru classica, ma proprio la fic
relativa a questo pairing. Sono tutte quelle storie mielose,
ambientate generalmente in contesto scolastico, in cui uno dei due
(più spesso è Naruto, ma a volte può
essere anche Sasuke) va ad
abitare a casa dell'altro per le più disparate circostanze.
Le
apprezzo molto anch'io, perchè quelle ben scritte possono
essere
davvero carine, ma sono talmente tutte uguali che, quando le
aggiungevo nei preferiti, mi confondevo con i titoli e non riuscivo
più a seguire il filo della trama.
Per
quanto concerne Naru e Sas'ke in questa storia, invece, la risposta
l'hai avuta in questo chap, anche se a grandi linee avevi capito
bene.Ah, a proposito: ho notato che hai recensito tutte le storie che
ho scritto su questo fandom, e devo farti i miei complimenti. Non
sono molti quelli che recensiscono assiduamente come te, ed
è una
bella cosa perchè i commenti rendono sempre felici gli
autori.
Grazie mille!
Hanil:
XD...
mischiare la trama di un videogioco e di un manga non è poi
così
geniale, su! In compenso, mi fa molto piacere il fatto che tu
apprezzi l'originalità della fic, che è un po' il
punto di forza di
"Prototype", come il fatto che ti piacciano le storie
horror/survival (siamo in due, sai?). E su Sasuke hai perfettamente
ragione. Anche io mi chiedo perchè non la prende con
filosofia e non
se ne scappa da qualche parte ai Caraibi a godersi i suoi poteri
strafighi. Bah, questi emo non sanno proprio cogliere i lati positivi
della vita...
bradipiro:
tranquilla,
non sono affatto un genio. Ma i complimenti mi fanno comunque piacere
XD... cmq, sono felice che anche a te piaccia Prototype, che
è stato
una delle mie più grandi fissazioni e mi rimarrà
nel cuore al pari
di giochi come Resident Evil e Alone in the Dark. A proposito, sai
che a dicembre esce Prototype 2? Non vedo l'ora!
yume:
grazie
mille! Guarda, non c'è problema se non conosci il gioco,
anche
perchè ho intenzione di distaccare un po' la trama dallo
spunto
originale e comunque spiegherò tutto nel corso dei fatti.
Spero che
anche questo capitolo ti sia piaciuto.
Ladies
and gentlemen, ci rivediamo al prossimo aggiornamento!
Bacioni,
Roby
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Capitolo 3 *** The Hell's Gate ***
002
- The Hell's Gate
Rimase
appoggiato alla porta di metallo, in silenzio.
Era
consapevole del fatto che, se qualcuno lo avesse malauguratamente
riconosciuto, la sua copertura sarebbe saltata e avrebbe avuto i
servizi segreti americani e l'Eden al gran completo attaccati alle
costole. Il che, se avesse potuto fidarsi ciecamente di Zeus, non
sarebbe stato un gran problema.
Il
punto era che, promesse a parte, il biondino non gli aveva assicurato
niente, e tantomeno ispirato sentimenti di appoggio e fiducia. Si
ritrovava in una situazione pessima: uccidere il Prototype non era
nemmeno contemplato, suicidarsi direttamente sarebbe stato
più
facile, e non poteva presentarsi da Madara, che aveva speso miliardi
per il "progetto Ade", dicendogli che tutti gli
sforzi compiuti per la sua creazione erano stati vani. A quel punto
sì, che sarebbe diventato materiale di ricerca.
Inimicarsi
l'esercito o Zeus?
Alla
lunga, probabilmente le forze federali avrebbero avuto la meglio, ma
fino a quel momento sarebbe stato meglio nascondersi e celare la
propria identità, aspettando il momento buono per colpire
Zeus alle
spalle. Avrebbe aiutato sia i "buoni" che i "cattivi",
senza favorire nessuno.
Un
comportamento equo, dopo tutto.
Fu
allora, proprio mentre i pensieri lo distraevano dalla
realtà, che
sentì le urla.
La
prima fu una voce maschile bassa e baritonale, che si spense in un
gorgoglio così com'era iniziata. Poi cominciarono le altre,
una
confusione di strida sempre più alte e cacofoniche che si
mescolavano, attutite, al di là della porta. Ordini urlati e
ormai
inutili, imprecazioni e rumore di passi, esplosioni che facevano
tremare le pareti e schiocchi di frusta.
Ormai
Sasuke aveva una mezza idea di quello che stava succedendo
all'interno dell'edificio, ma non si mosse. Almeno, non si mosse
finché, guidato dal suo istinto, non si abbassò
di scatto per
evitare un gigantesco ramo di fasci rossi e neri che, dopo aver
bucato la porta, travolse gli imballaggi antistanti scatenando il
caos nella base.
Poi
sparì, risucchiato dal foro che aveva aperto nella lastra di
metallo.
Un
buco con un diametro di quaranta centimetri, come minimo.
La
frusta, e l'aveva vista bene, non raggiungeva dimensioni simili, per
cui Zeus doveva aver usato un qualche asso nella manica ancora
più
spaventoso delle sue armi abituali. Uno dei misteriosi "attacchi
distruttori"? Probabile.
Sasuke
si spostò dalla porta, giusto un attimo prima che i soldati
di
guardia cercassero di forzarla. Anche con la tessera magnetica,
nessuno di loro riuscì ad aprirla: il Prototype, oltre che
forte,
era anche previdente.
Il
moro, da parte sua, assolse per bene il compito che gli era stato
affidato: in breve tempo non rimase più nessuno, della
guarnigione,
che fosse in grado di infastidirlo. Tutti a terra, con la testa
spaccata e il volto ormai irriconoscibile. Era così che gli
avevano
insegnato a lavorare, al quartier generale dell'Eden, ed era
così
che, secondo loro, avrebbe dovuto battere Zeus. Poveri pazzi.
«E'
lì, è Zeus!»
Prevedibile,
lo avevano scambiato con il Prototype. I militari erano veramente
degli idioti.
Un
nutrito gruppo di blackwatch si schierò di fronte all'unica
uscita,
i fucili spianati e puntati su di lui. Il comandante gridò.
«FUOCO!»
Troppo
tardi. Sasuke saltò di lato, schivando i proiettili con
grande
facilità. I combattimenti contro gli umani erano tutto un
altro paio
di maniche, rispetto a quelli con i cacciatori. Per quanto potessero
essere armati e organizzati, i militari non reggevano decisamente il
confronto con quelle creature gigantesche e quasi invulnerabili.
Quasi.
Saltare
oltre la barricata della base, alta quindici metri, fu fin troppo
facile. Atterrò senza preavviso alle spalle dei soldati,
scartando
di lato per evitare una nuova raffica di pallottole e schizzando poi
in avanti per porre fine a quel giochetto inutile. Anche
perché, ora
che lo avevano visto in faccia, non poteva permettersi di lasciarne
vivo neanche uno.
Prima
che potesse sfiorare anche solo un blackwatch, però, si
sentì
sbalzare via da un'improvvisa corrente d'aria bollente, che gli
ustionò la faccia e lo catapultò nel bel mezzo di
una nuvola di
polvere.
Cazzo.
Quei
bastardi avevano un lanciarazzi.
Saltò
alla cieca, uscendo dal fumo. Non fece in tempo a porre il naso fuori
dalla polvere che i soldati gli spararono di nuovo contro, mancandolo
per un soffio e ottenendo il duplice effetto di farlo incazzare e di
segnalargli la loro posizione. Si mosse ad una tale velocità
da
diventare per un attimo invisibile, a parte per un barlume scarlatto
che gli si era acceso negli occhi, e che fu probabilmente l'ultima
visione delle unità speciali blackwatch preposte alla difesa
della
base.
Pochi
attimi dopo, il loro sangue bagnò l'asfalto.
«Ma
bravo, Ade».
«Zeus.
Mi sembrava strano che ci mettessi così tanto».
«Bah,
ho dovuto liberarmi della felpa, del cappotto e della camicia. Mi si
erano tutti rotti, uffa».
A
quelle parole Sasuke si girò, ritrovandosi di fronte uno
spettacolo
che gli fece seccare la gola. E non certo per il caldo o la sete.
Il
Prototype a torso nudo, obiettivamente, era una bella vista. Specie
se poi, a coronamento dei muscoli tonici che affioravano sotto la
belle bronzea, ci si metteva uno strato di sudore e sangue
decisamente lucido e invitante. Talmente contrastante con quello che
aveva intorno da sembrare realmente un essere divino.
«Sarà
meglio che andiamo. Anche io ho bisogno di cambiarmi i
vestiti».
«Sas'ke,
non che i tuoi complimenti mi dispiacciano, ma faresti meglio a non
pensare cose che non vuoi che io sappia. Sai com'è, certe
cose le
sento fin troppo bene...»
«Baka».
«Ha
parlato il teme-hentai! Non sono mica io quello che fa pensieri
pervertiti, neh!?»
«Io
non faccio pensieri pervertiti».
«Ah,
no, perché tu sei troppo perfetto, vero? Ti ricordo che sono
più
forte di te, kisama».
«Fisicamente.
Mentalmente ti batto su tutta la linea».
«Vedremo,
Sas'ke, vedremo».
***
«Signorina
Tenten, spero che lei stia scherzando».
«Niente
affatto, signore. Non abbiamo più notizie di Ade da circa
quattordici ore».
«Non...
non abbiamo neanche una pista?»
«No.
Anche perché abbiamo avuto dei problemi con Zeus, che ha
attaccato
una delle basi centrali e ha sterminato tutto il personale presente.
Non siamo riusciti a trovare il cadavere del dottor
McDouglas».
«L'ha
assorbito. E' la quarta vittima appartenente alla società
Eden che
fa fuori, questa settimana. Senza contare gli innumerevoli impiegati
della Gentek».
«Perché?
Intendo dire, perché questi assorbimenti mirati? Tanto per
lui uno
vale l'altro, no?»
«In
effetti... ci stiamo chiedendo se non abbia qualche facoltà
particolare, legata all'assorbimento. Quelli della Gentek tengono la
bocca chiusa e l'Eden non sembra aver voglia di collaborare, per cui
non possiamo andare avanti con le ricerche. D'altra parte, sono stati
loro ad avere sottomano Zeus per primi».
«Averlo
sottomano? Comandante Morino, cosa vuol dire?»
«Ibarashi...
davvero pensava che Zeus fosse un prodotto della natura?»
«Beh,
è questo che mi è stato riferito appena sono
arrivata qui. Anche
sulla cartella che lo riguarda compare la dicitura "Mutazione
genetica naturale autoindotta"».
«Perché
è quello che vogliono farle credere, signorina. In
realtà, e non
sappiamo né come né perché, la Gentek
ha detenuto per qualche
tempo il Prototype all'interno dei propri laboratori. Ce ne siamo
accorti per il lievitare dei finanziamenti che ha ricevuto, e
scavando un po' più a fondo abbiamo scoperto che
è stato a causa di
un loro errore se Zeus è riuscito a scappare e a diffondere
il
contagio a Manhattan».
«Mi
perdoni, ma queste non sono informazioni top secret?»
«Lo
erano. Adesso valgono quanto carta straccia, visto che la Gentek ha
distrutto tutti i dati relativi al caso. Sono passate da informazioni
a illazioni in un battito di ciglia».
«In
questo caso... scusi se mi intrometto, ma che legame c'è tra
la
Gentek e l'Eden?»
«La
Gentek ha sempre avuto le mani in pasta in affari poco
raccomandabili. Per quanto ne sappiamo ha qualcosa a che fare con
Zeus e la diffusione dell'Idra, ma non ci sono prove certe. E'
assodato, invece, che abbia venduto dei campioni di DNA all'Eden, gli
stessi che sono stati usati per la creazione di Ade».
«Mi
ha chiamata qui per dirmi questo?»
«Niente
affatto. Ho intenzione di affidarle una missione di ricognizione. In
pratica, visto che Ade sarebbe dovuto tornare a fare rapporto in una
delle nostre basi, ma non l'ha fatto, il suo compito è
quello di
trovarlo è di verificare che sia ancora vivo e,
soprattutto... ben
saldo nelle sue convinzioni. Se così non fosse, dia l'ordine
di
sparare a vista».
«Capisco.
Devo compiere una ricerca a tappeto oppure avete già delle
coordinate ben precise?»
«Non
si può parlare di precisione, ma, visto che il compito di
Ade era
quello di pedinare Zeus, potrebbe cercare nei dintorni della base
distrutta».
«Ma,
signore... Zeus compie spostamenti estremamente veloci...
e...»
«Lo
trovi. Non voglio scuse».
«Sissignore».
***
«Hai
trovato quello che cercavi, nella base?»
«I
ricordi? Sì. Ma come sempre erano confusi e praticamente
incomprensibili».
«Tu...
perché cerchi ricordi? Che cosa speri di ottenere,
Zeus?»
Il
biondo si bloccò, in mezzo alla strada. Sasuke non se ne
avvide,
andando avanti di qualche passo prima di girarsi e trovarlo
lì,
piantato in mezzo alla carreggiata, con quello sguardo intriso di
tristezza antica che gli aveva già visto di pomeriggio.
«Rivoglio
indietro la mia vita, Sasuke. Niente più di
questo».
Quella
frase, volente o nolente, si impresse nella mente di Sasuke come una
marchiatura a fuoco.
«Che
intendi dire?»
«Sei
così sicuro di volerlo sapere? Una volta entrati in certe
questioni,
non c'è più possibilità di
uscirne».
«Parla».
«Ebbene,
che faresti se ti dicessi che i miei ricordi più vecchi
risalgono ad
un anno fa, quando mi sono svegliato in laboratorio della Gentek e,
dopo essere scappato, mi sono ritrovato in questo inferno?»
«Mi
stai prendendo in giro».
«Magari
Sas'ke, magari. E' da quando sono libero che provo a ricostruire la
mia identità attraverso punti di vista altrui, e
più vado avanti
più la faccenda si ingarbuglia. Ho scoperto che, in qualche
modo, la
mia esistenza è strettamente legata al virus Idra, e che
c'è il
Governo dietro tutto questo casino. La Gentek e l'Eden, le due
società da cui siamo usciti io e te, sono strettamente
coinvolte con
lo scoppio dell'epidemia, e come saprai sopravvivono grazie ai fondi
del Presidente».
«E
tu...»
«Io
scoprirò chi è stato a farmi questo, Sasuke.
Scoprirò chi è stato
a trasformarmi in un mostro, e lo costringerò a trovare una
cura. I
miei non sono superpoteri, ma catene che mi legano a questa terra
maledetta, e voglio liberarmene al più presto. Voglio
condurre una
vita normale, non mi sembra di chiedere tanto».
«Non
potresti chiedere l'aiuto diretto dell'esercito, allora?
Perché
usare metodi così rischiosi?»
«Perché
anche l'esercito è in combutta con quei bastardi
filogovernativi. Se
andassi a chiedere aiuto, mi ritroverei a pezzi in una provetta dopo
dieci minuti. Mi cercano per chiudermi la bocca, è solo
questo il
motivo».
L'Uchiha
lo fissò, a bocca aperta. Per come l'avevano raccontata a
lui, Zeus
non era altro che un mostro instabile che aveva diffuso il contagio a
Manhattan per assecondare la propria sete di distruzione, non la
vittima di qualche strano esperimento che si era liberata e cercava i
colpevoli della sua mutazione! La situazione cambiava completamente,
da quel punto di vista.
«Cristo...
io non lo sapevo».
«E'
normale. Non mi avresti mai attaccato, se avessi saputo tutta la
verità».
«Normale!?
Il governo americano finanzia una cosa del genere, e tu la definisci
normale? Non so più come considerarti, Zeus».
«Non
sei la prima persona che me lo dice, e suppongo neanche l'ultima. Ma
in fin dei conti non mi importa... perché, se non ho un
passato,
come posso sperare nel... futuro?»
No,
non se l'era immaginato: la voce del biondo aveva realmente tremato,
e i suoi occhi si erano fatti più lucidi del dovuto. Niente
polvere.
Vagamente
consapevole di quello che stava facendo, Sasuke colmò la
distanza
che lo separava dal biondo, abbracciandolo con tutto il calore di cui
era capace. Ben poco, in realtà, perché non era
mai stato
abbastanza bravo con i rapporti interpersonali, ma abbastanza da
lasciare Zeus stecchito, a fissarlo con gli occhi azzurri
completamente sgranati.
"Adesso
mi trafigge."
E
invece, senza alcun preavviso, il Prototype chinò la testa e
la
appoggiò sul petto di Sasuke, che ben presto
sentì qualcosa di
umido bagnargli la felpa. Le spalle si Zeus si alzavano e si
sollevavano in tremiti brevi e convulsi, ma nessuno dei due
osò
emettere alcun suono. Nemmeno quando il biondo si staccò,
asciugandosi gli occhi e facendo un gesto con la mano, che da solo
valeva più di mille parole.
"Dimentica".
Ce
l'aveva stampato in fronte, a caratteri cubitali, e sul momento il
moro non poté fare altro che annuire. Zeus non poteva
permettersi la
debolezza, con nessuno.
Senza
dire una parola, poi, il Prototype si girò e corse a razzo
sulla
facciata di un palazzo, sparendo alla vista con una grazia
impensabile. E con un messaggio, scritto nell'aria con le sue
capriole eleganti, che chiedeva di lasciarlo solo.
Il
moro scacciò ogni briciola di compassione dalla testa,
dandosi
dell'idiota per quanto aveva fatto e chiarendo con sé stesso
che il
piano sarebbe andato avanti, nonostante la valanga di problemi che
aveva quel biondino mezzo squilibrato. Lui era solo un'aggiunta alla
lista, niente di nuovo.
Riprese
a camminare senza una meta precisa, le mani in tasca, ben deciso a
farsi passare quello strano senso di oppressione che gli chiudeva lo
stomaco con una capatina ad una base militare, dove avrebbe potuto
contattare Madara e informarlo delle ultime scoperte. Che poi, sulle
basi delle suddette scoperte, il vecchio avrebbe potuto fare a
fettine Zeus, non doveva importargliene nulla. Non rientrava nei suoi
compiti.
Tuttavia,
a scapito dei suoi propositi, non ebbe bisogno di raggiungere una
base.
Non
fece in tempo a chiedersi il perché, che un elicottero con
la
scritta "Genetic Teknology" gli atterrò davanti in manovra
di emergenza, sollevando una nuvola di polvere e sangue secco e
costringendolo a ripararsi gli occhi con una mano. Non provò
a
scappare, perché sarebbe stato come afferrare un gigantesco
cartello
con scritto "TRADITORE" e appenderselo alla schiena. Rimase
semplicemente fermo, in attesa degli sviluppi.
Dal
veicolo scese una donna molto giovane, sui venticinque anni, con i
capelli castani legati in due chignon e una divisa militare standard.
Gli si avvicinò, porgendogli la mano. Non la strinse.
«Sono
Tenten Ibarashi, del quarto dipartimento di aviazione. Sono stata
incaricata dal generale Morino di visionare gli sviluppi del tuo
operato, Ade».
Il
moro la fissò un secondo, in tralice. E così,
quei militari
bastardi avevano già fiutato qualcosa... buon per loro,
aveva tutto
ciò che gli era stato chiesto, e non doveva nascondere
nulla, o
quasi.
«Ho
scoperto diverse cose... interessanti...» buttare fuori
quella frase
fu un po' come ingoiare sassi. Gli riusciva difficile, ed il brutto
era che sapeva anche il perché. Non era certamente stupido.
«E
sarebbe?»
«Non
sono riuscito ancora a scoprire il suo nome vero, ma... conto di
farlo presto». sospiro «É un ragazzo di
circa diciassette anni,
capelli biondi e occhi azzurri, pelle leggermente
abbronzata...»
«Ce
ne saranno decine, di ragazzi così. Non hai delle
caratteristiche un
po' più particolari?»
«Sì.
Lui ha... ha sei cicatrici, tre per lato, messe come i baffi di una
volpe».
«Ade,
se stai scherzando non fa ridere».
«Non
sto affatto scherzando. Sono rimasto sorpreso anche io, quando le ho
viste, e mi sono chiesto come se le fosse procurate. Ah, e i suoi
occhi possono... cambiare colore, almeno credo».
«In
che senso?»
«Quando
si arrabbia diventano grigi. L'ho visto da lontano, ma il cambiamento
si percepiva benissimo».
«E'
una caratteristica strana. Credo che avviserò il
dipartimento di
ricerca. Per quanto riguarda i poteri, che cosa mi dici?»
«E'
assolutamente spaventoso. Mai visto niente di simile. Riesce a
trasformare le braccia in qualunque cosa, anche se io, per ora, ho
assistito solamente a due tipi di mutazione».
«Potresti
descriverli?»
«Sì.
Il primo è una specie di lama di acciaio, anche se non
ricordo bene
com'è fatta, l'ho vista da lontano. Il secondo è
una specie di
frusta gigantesca, che usa per far schiantare gli elicotteri. Da quel
che ho potuto osservare, ha una portata di circa venticinque
metri».
«Venticinque...?»
«E
non è finita. Abbatte i cacciatori come se fossero comuni
esseri
umani».
«Noi
dei Comando eravamo rimasti incuriositi dal suo potere di
assorbimento. Sai qualcosa al riguardo?»
Domanda
trabocchetto. Non si poteva rispondere ad un quesito del genere senza
aver parlato con Zeus, perché l'assorbimento non era uno di
quei
poteri analizzabili con la sola vista. Lo credevano davvero
così
stupido?
«No,
di quello non so niente». evitò accuratamente di
parlare del
rifugio del biondo, un'informazione che solo lui conosceva e che
quindi l'avrebbe messo in serio pericolo, se i militari avessero
deciso di sfruttarla.
«Bene.
Ci sei stato di grande aiuto, Ade, e spero che per la prossima volta
tu riesca a scattare anche la foto segnaletica che ci serve. Se ti
serve di pernottare, poi, le nostre basi sono sempre pronte ad
accogliere un buon alleato come te».
«Non
mancherò di approfittarne, allora».
E
potevano giurarci, che ne avrebbe approfittato.
La
donna gli rivolse un ultimo, breve cenno di saluto, prima di risalire
sul veicolo. Le pale dell'elicottero ripresero a girare, e ben presto
il gigantesco insetto d'acciaio si librò sui tetti, svanendo
all'orizzonte nell'aria scura della notte.
«Ci
rivedremo presto, Ibarashi. E non credo che per te sarà una
bella
esperienza».
***
Nel
cielo notturno, sospesa a cinquecento metri di quota, Tenten scrutava
il paesaggio macabro di Manhattan, le sopracciglia aggrottate.
«So
che mi nascondi qualcosa, Sasuke Uchiha, e io scoprirò di
cosa si
tratta».
_Angolo
del Fancazzismo_
Capitolo
bellino, eh? Finalmente cominciamo a mettere da parte qualche pezzo
del puzzle, che si rivelerà molto più complicato
di quanto non
possa sembrare. Tra l'altro devo ancora mettere in gioco un sacco di
personaggi, ma pasticciona come sono la scena romantica mi è
scappata comunque... chiedo ammenda, chiedo ammenda! XD...
Ecco
le risposte alle recensioni, che devo andare a dormire di corsa:
ryanforever:
per
il nome devi aspettare ancora un pochino... è uno degli
elementi
fondamentali di questa fic, e non posso buttarlo lì come se
fosse
una sciocchezza (sembra un discorso insensato, ma vedrai che
acquisterà significato appena arriveremo al punto giusto
della
trama). Cosa combineranno insieme? Una serie di disastri uno peggio
dell'altro, ma da due così non ci si può
aspettare niente di
meglio...
krikka86:
kisama
è uno dei tanti modi giapponesi per dire "bastardo". Per
quanto riguarda il doppio gioco di Sasuke... secondo te io lo
lascerò
libero di fare la spia al mio Nacchan senza essere scoperto? Non
sarebbe da me, no?
yume:
la
tua rece mi ha fatto schiattare dalle risate... hai colto il
"profondo significato" dei comportamenti di Sasuke, ovvero
un disperato istinto di sopravvivenza, e vedrai che il peggio deve
ancora arrivare! Ah, quanto amo torturare Sasuke... *.* Muhahahaha...
E Naruto bastardo, invece, è una delle mie più
grandi passioni. Gli
si adatta talmente bene!
bradipiro:
decisamente,
la fine sarà diversa. Anche perchè non prevedo di
imbarcarmi in un
seguito di questa fic, quindi non vedo perchè lasciare un
finale
terribile come quello, decisamente troppo aperto e pieno di
interrogativi. Questa storia avrà un epilogo come si deve,
altrochè!
Sadako94:
uff...
che rispostona che mi tocca fare XD! Allora, ho scelto di proposito
Naruto come "cattivo" (e qui mi tocca cucirmi la bocca
sennò ti faccio troppi spoiler), perchè mi
serviva un antagonista
iperattivo e vivace, non il solito bietolone che fa tanto il dark e
poi alla fine è una mezza calzetta. E poi, in via del tutto
pratica,
perchè adoro vedere Nacchan che strapazza Sacchan.
I
nomi "Zeus" e "Ade", invece, li ho scelti in
funzione di due cose: 1- nel videogioco Alex Mercer, il protagonista
con i superpoteri, viene chiamato appunto "Zeus" 2- i
militari conoscono per primo Naruto, e lo chiamano Zeus per i suoi
poteri quasi "divini". Sasuke arriva dopo, e gli appioppano
il soprannome "Ade" giusto per contrapporlo a quello che
secondo loro è il cattivo.
kagchan:
ma
che bei complimenti! l'OMG, poi, mi ha mandato letteralmente in brodo
di giuggiole! E mi fa piacere che questa fic ti ricordi veri e propri
must come Resident Evil e Alone in the Dark, perchè (come
accennato
nel capitolo precedente) sono i miei giochi preferiti di sempre!
Riguardo al fandom... beh, sta lasciando perplessa anche me. Ho come
la sensazione che la sezione "Naruto" si incammini sempre
di più nel cosiddetto "oblio grammaticale"...
Bene,
adesso vi saluto, miei cari lettori, evado a fare la ninna.
Buona
notte a tutti e sogni d'oro!
Roby
|
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Capitolo 4 *** Chaos and Cosmos ***
003
- Chaos and Cosmos
Seduto
sulla cima di un grattacielo, le gambe penzoloni a circa trecento
metri da terra, Sasuke fissava la Luna. Era bella, quella notte, come
un grande disco d'argento appoggiato su un mare color lapislazzuli.
«Pensi
al passato?»
«No».
«A
cosa, allora? Per quel poco che ti conosco, non è da te
osservare il
cielo con quell'espressione nostalgica».
«Tu
non fai nulla di così diverso. E l'immagine che l'opinione
pubblica
ha di Zeus c’entra poco con un ragazzo che guarda le stelle,
no?».
L'Uchiha
alzò lo sguardo, facendolo scorrere sul fisico proporzionato
di
Naruto, che, appoggiato ad un'antenna satellitare ormai distrutta,
puntava le proprie iridi sulla volta celeste con un'espressione quasi
meravigliata. In quel momento, Sasuke lo trovò strano.
C’era
qualcosa di assurdo e misterioso nel modo in cui fissava la Luna,
quell’astro che, nella sua incompletezza piena di crepe,
aveva
l'ardire di specchiarsi sul viso di un essere quasi onnipotente. Il
Prototype sembrava quasi spaventato dalla sua luce.
«Sas'keeee...
con questo silenzio sento tutto quello che pensi...»
Ecco,
appunto. Bellissimo, ma pur sempre un dobe. Lui si concedeva qualche
secondo di riflessioni poetiche, e subito Zeus le interrompeva
ricordandogli il suo irritante potere speciale.
«Tzè...
tu non hai idea di cosa sia la poesia, vero dobe?»
«Non
è colpa mia se non capisco queste cose complicate! Posso
fare
strategie e pianificare attacchi, ma quando sento parlare di libri o
poesie mi trovo a disagio».
«Bah...
sei strano, più di quanto credessi. Comunque, potresti
spiegarmi
perché mi hai costretto a venire qui all'una e mezza di
notte? Il
motivo mi sfugge».
«Intanto,
perché la luna è bellissima stanotte. Non lo
pensi anche tu,
Sas'ke? E poi perché devo mostrarti una cosa che ti
piacerà molto.
O ti spaventerà, a seconda dei punti di vista».
«Di
che si tratta?»
«Tu...
eri venuto a cercarmi in quello che i militari credono il
più
importante alveare di tutta l'isola, o sbaglio?»
«Il
fatto che tu usi il verbo"credere" mi fa pensare che non lo
sia per nulla, giusto?»
«Giusto.
Sai dirmi com'è che si giudica il valore di un oggetto,
Ade?»
«Non
si può giudicare il valore di un oggetto, perché
esso varia a
seconda di chi lo formula».
«Mh...
vero, ma solo in parte. Per comprendere l'importanza di qualcosa
basta guardare chi la protegge e come
la protegge.
Seguimi».
Lo
afferrò per un braccio, spiccando un salto oltre il
parapetto di
cemento. Schizzarono nell'aria fredda della sera come proiettili,
abbattendosi poi sull'asfalto ad una velocità tale da
spaccarlo e
formare un piccolo cratere, tra il boato della collisione e un paio
di imprecazioni di spavento sibilate dall'Uchiha. Corsero per i
vicoli di Manhattan e sulle facciate dei palazzi disabitati, senza
fare una piega di fronte agli spettacoli raccapriccianti che si
offrivano lungo la strada come i fenomeni da baraccone di un macabro
circo, finché, dopo essersi addentrati per un bel pezzo in
una zona
infetta, Naruto fece segno al moro di nascondersi dietro la facciata
di un palazzo mezzo infestato.
«Quello...»
sussurrò, indicando a Sasuke un edificio che, seppur
nascosto dai
profili di altre costruzioni, si identificava ad una prima occhiata
come un alveare piuttosto piccolo «... è in
assoluto il luogo più
protetto di tutta l'isola. Non so dirti quanti cacciatori ci siano a
pattugliarlo, ma ne produce ad un ritmo quasi triplicato rispetto al
normale. E poi c'è anche dell'altro...»
«Sarebbe?»
«Uno
di loro è molto strano. I militari lo chiamano "Cacciatore
supremo", e a differenza dei suoi simili ha una visione
binoculare perfettamente funzionante e un'intelligenza discretamente
sviluppata. Ed è più grosso, circa quattro volte
il normale».
Sasuke
deglutì, la fronte improvvisamente sudata. Fece un piccolo
calcolo
mentale: un cacciatore normale era alto circa sei metri, e sei per
quattro veniva fuori...
«Ventiquattro
metri? Un cacciatore intelligente alto come una palazzina?»
«Secondo
te perché sto sussurrando, teme!? Non voglio che quel coso
ci
scopra, l'ultima volta che ho provato ad ucciderlo mi ha estirpato un
paio di costole a mani nude. Per farle ricrescere ci ho messo dieci
giorni».
«E'
davvero così forte?»
«Non
quanto me. Mi ha preso in un momento pessimo, ero già ferito
e i
militari mi inseguivano: per lui dev'essere stato facile attaccarmi.
Se è quello che ti stai chiedendo, comunque, contro di lui
non
dureresti dieci secondi».
«Buono
a sapersi. Comunque, se ho capito, ti chiedi perché
quest'alveare
all'apparenza periferico sia così ben protetto. Lecito, ma
alla fin
fine non mi sembra che abbia niente di particolare, anzi».
«Questo
perché nel tuo sangue non c'è la stessa
percentuale di Idra che
scorre nel mio. E' come se... come se mi chiamasse. Non so spiegarlo
bene, ma emette una serie di segnali chimici che mi attirano
incredibilmente. Hai presente le api? Beh, penso che se io fossi
un'operaia e lì dentro ci fosse nascosta la regina mi
sentirei allo
stesso modo».
«Possibile
che non ci siano manifestazioni esterne di un fenomeno
simile?»
«A
quanto pare sì. Non ho mai trovato nulla di strano in
quest'alveare,
almeno finché il capoccia non mi ha attaccato. Ah, quasi
dimenticavo: tu non sai niente sul progetto di raccolta dei campioni
di DNA, vero?»
«No».
«Non
mi sorprende, è un'iniziativa che conoscono in pochi anche
tra le
file dell'esercito. Da quello che ho potuto vedere, un'equipe di
scienziati viene qui ogni tanto per raccogliere campioni di DNA e
studiare il Cacciatore Supremo. La domanda è:
perché qui e non
negli altri alveari disseminati per Manhattan? Ho deciso che oggi
troverò la risposta».
«Oggi?
Verranno gli scienziati?»
«Esatto.
E poi c'è una tipa niente male, te la devo far vedere
assolutamente!»
***
La
Dottoressa Hinata Hyuga, settimo dipartimento di virologia, era una
delle più brillanti scienziate della Gentek. E non solo.
Di
nobile famiglia, molti dei suoi colleghi erano rimasti stregati dalla
sua bellezza orientale, che aveva come maggiori punti di forza i
capelli neri e lucenti e gli splendidi occhi viola, chiarissimi, che
rischiaravano un viso dalle fattezze dolci e delicate. Il fisico,
formoso senza essere volgare, sembrava più quello di una
modella che
di una donna in carriera, e anche il carattere, timido e remissivo,
aveva poco a che fare con il comportamento previsto per un team
leader come lei. Nonostante l'apparenza, però, nel suo
lavoro era
molto brava, senza risultare geniale: svolgeva i propri compiti
così
come le venivano affidati, senza ribattere e mantenendo sempre un
gran senso di responsabilità.
Il
che, nella situazione in cui versava Manhattan, era un requisito
tanto fondamentale quanto raro.
Non
che la vista della città così orribilmente
mutilata non le facesse
orrore, anzi: pensava spesso a com'era prima che scoppiasse
l'infezione, e rimpiangeva quel tempo di relativa serenità
con tutta
sé stessa, chiedendosi anche se tutte le voci che
circolavano
sull'azienda per cui lavorava fossero vere. Lei non ne sapeva nulla,
e, quando aveva provato ad investigare sulla presunta fuga di Zeus, i
suoi capi l'avevano scoperta e minacciata di licenziamento nel caso
si fosse rifiutata di interrompere le ricerche. Poi i dati erano
andati distrutti, e lei era stata promossa.
Sospirò,
stringendo con forza la valigetta portaoggetti che quelli del reparto
di anatomia le avevano fornito. Conteneva tutto ciò di cui
aveva
bisogno per raccogliere i campioni, un compito ingrato che le avevano
relegato in extremis e che non aveva voglia di svolgere. Era un
lavoro da militari, quello: aveva paura che i mostri degli alveari le
facessero qualcosa, lei che non era in grado di maneggiare
correttamente una pistola, e temeva un possibile arrivo di Zeus con
tutta sé stessa.
Il
sole non era ancora completamente sorto quando la squadra di tre
elicotteri che trasportavano lei e il suo team di scienziati
atterrò
di fronte all'alveare. Lo spiazzo era stato precedentemente sgombrato
e privato di ogni minaccia, ma dovevano comunque fare in fretta:
sebbene avessero un plotone di militari a loro disposizione, i cuori
delle zone infette costituivano luoghi proibitivi per i comuni esseri
umani.
Scese
di corsa dal mezzo, infilandosi i guanti con gesti secchi e legandosi
la mascherina chirurgica attorno a bocca e naso. Non era ancora
chiaro il metodo di propagazione del virus, ma in ogni caso era
meglio non rischiare.
Spalancò
la valigetta, rimirandone il contenuto con aria critica. Provette,
bisturi, pinzette metalliche, bustine di plastica e tamponi di varie
misure... sì, c'era tutto. Afferrò il coltellino
anatomico e una
provetta, poi si avvicinò all'alveare e iniziò ad
amputare delle
piccole parti di tessuto dai viticci rossastri che avviluppavano la
struttura, infilandole nel contenitore di vetro una dopo l'altra.
Prelevò dei tamponi di liquido vescicolare,
misurò il diametro e la
scala cromatica di una decina di propaggini dell'Idra e, quando si
ritenne soddisfatta del proprio operato, riportò la
valigetta
(sigillata) sull'elicottero.
Improvvisamente,
però, accadde qualcosa di totalmente inaspettato.
Il
fatto è che, da quel poco che gli scienziati avevano desunto
dalle
scarse osservazioni ravvicinate compiute, i viticci non compivano che
pochi, piccoli spostamenti striscianti. Niente a che vedere con
l'improvviso movimento che portò uno di quei tentacoli, un
bestione
largo circa un metro e mezzo, ad afferrare un malcapitato scienziato
che lavorava lì vicino e a stritolarlo come una spugna
umana, che,
invece di espellere acqua, esplose grondando sangue da tutti i pori.
Hinata
rimase pietrificata, fissando il cadavere dell'uomo che, ormai
semplice ammasso di carne sanguinolenta e ossa spezzate, cadeva a
terra come un fagotto sfatto. Si tappò la bocca con la mano,
emettendo un lungo urlo silenzioso, poi si accasciò contro
la parete
dell'elicottero e rimase immobile, ben consapevole che quella era la
sua unica via di salvezza.
Ben
presto, infatti, tutto l'alveare sembrò animarsi, e i
viticci
afferrarono e stritolarono anche quegli incauti che, nella tenue
speranza di fuggire, se l'erano data a gambe nei vicoli. Lei, invece,
rimase saggiamente ferma, evitando di emettere vibrazioni.
Una
tattica che, indubbiamente, avrebbe funzionato in qualunque alveare.
Ma
non in quello.
Pochi
secondi, infatti, e la terra tremò. Hinata sperò
con tutto il cuore
di sbagliarsi, quando percepì distintamente un ruggito
(più simile
ad un boato) che si originava da dietro l'alveare.
Boom.
Boom.
L'asfalto
sembrava sbriciolarsi, sotto quelle possenti vibrazioni che lo
scuotevano ad intervalli regolari, come se qualcosa della mole di
un'autopompa si stesse lentamente avvicinando. E, in effetti, il
Cacciatore che sbucò sul piazzale non aveva dimensioni molto
diverse.
La
prima cosa che Hinata notò fu la faccia: porcina, con un
muso tozzo
e sgraziato e delle zanne che, come i denti di uno squalo, uscivano
dalle labbra e si incrociavano sopra e sotto la bocca. Gli occhi,
incredibilmente grandi e simili a quelli umani, le si appuntarono
addosso con brama, con fame e desiderio di sangue. La pelle brunita
(uno strano colore, per quelli della sua razza), fremeva sotto la
spinta dei fasci muscolari ingigantiti, mentre il cuore,
probabilmente enorme, emetteva un battito udibile anche a diversi
metri di distanza.
La
ragazza si appiattì contro la fiancata dell'elicottero, pur
sapendo
quanto fosse inutile: con un normale Cacciatore avrebbe sicuramente
funzionato, ma con quello, che poteva vederla, era una mossa del
tutto priva di senso. Strizzò gli occhi, ma non poteva
estraniarsi
dalla percezione di quelle maledette scosse che, sempre più
forti,
si avvicinavano inesorabilmente a lei. Le parve quasi di vederla, la
mano alzata del cacciatore che stava per colpirla.
E
poi, nel buio, si fece spazio un grido.
«PISTAAAAAAAAAAAAAA!»
Hinata
si sentì sollevare da terra, e aprì gli occhi di
scatto.
«Ma
che...» ok, qualcuno la stava tenendo in
braccio. Qualcuno
aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, un sorriso che andava da
un orecchio all’altro e... e aveva il braccio trasformato in
una
gigantesca frusta, con cui si stava lanciando sul tetto di un
condominio. Le aveva studiate al corso di mutagenesi, quelle
caratteristiche.
«Ze...
Zeus...» arrossì inconsapevolmente, stringendosi
alla felpa del
Prototype.
«In
persona». replicò quello, mentre si voltava un
attimo per fissare
il Cacciatore Supremo che, sorpreso dalla fuga improvvisa, roteava il
testone alla ricerca delle sue prede. Ben presto, poi, Hinata
intravide un'altra ombra che li seguiva a distanza, destreggiandosi
tra impalcature e macerie con la stessa bravura del biondo.
«Quello
c-che cos'è?»
«Non
ti riguarda molto, neh?»
La
ragazza si ricordò improvvisamente tutti i dati sul soggetto
con cui
stava parlando, omicidi compresi, e distolse lo sguardo chinando il
capo. Dalla padella nella brace.
Sasuke,
diversi metri più indietro, pensava più o meno la
stessa cosa.
Perché
il baka aveva voluto salvare la vita a quella sgualdrinella? Non era
che una dottoressa di quart'ordine, e dubitava seriamente che potesse
servire a qualcosa. Senza contare che era una donna, perdio, una
donna! Un essere statisticamente buono solo per
cucinare e
scopare, entrambe cose di cui il Prototype non aveva un urgente
bisogno. O almeno, preferiva pensarla così.
Tornarono
al rifugio, dove Naruto scaricò Hinata sul divano senza
neanche
degnarsi di legarla e lo trascinò in quella che una volta
era
probabilmente una cucina, riadattata a guardaroba/armeria. Sasuke si
sedette su una cassetta di legno, attendendo una spiegazione o, al
limite, un bel cazziatone.
«Sas'ke...
scommetto che ti starai chiedendo perché ho rapito quella
ragazza».
«No,
in effetti no. Sai, tanto fare da balia ad una troia è una
delle
cose che mi riescono meglio».
«Sas'ke,
calmati. Non ho intenzione di tenerla qui molto a lungo, e se non
avrà intenzione di collaborare mi vedrò costretto
ad assorbirla. É
della Gentek, hai notato?»
«Mhm...
e con questo?»
«La
userò, Sasuke, come faccio con chiunque altro
eccetto te.
Sono indeciso se adoperarla come infiltrata o aiutante nel procurarci
informazioni, oppure, visto che è una virologa, potrebbe
darmi anche
una mano nei miei studi sul virus...»
«Bah,
potrebbe anche andare... Una cosa, ma quello che abbiamo visto prima
era il Cacciatore Supremo?»
«Sì.
Imponente, vero? Quello che mi preoccupa è che anche gli
altri
potrebbero cominciare ad evolversi nello stesso modo, e voglio
evitarlo. Sai che incubo, una mandria di quei cosi a spasso per
Manhattan?»
«Poco
auspicabile».
«Già.
E adesso scusami, ma vado ad occuparmi della nuova arrivata».
Sasuke
sospirò appena il biondo varcò la soglia. Non gli
piaceva per
niente quella novità, inutile negarlo. E il motivo, poi, era
anche
peggiore.
Sbuffò,
massaggiandosi gli occhi con le mani nel blando tentativo di
rilassarsi. Nonostante tutto, però, c'era una frase che non
riusciva
a togliersi dalla testa: "come faccio con chiunque eccetto
te".
***
«Che
ne pensi, Shikamaru?»
«Siamo
nella merda, Sai».
Due
ragazzi di circa vent'anni erano seduti attorno al tavolo della sala
grande del reparto investigazione, al quarto piano del "Gentek
Palace". Il primo aveva i capelli neri, corti, e gli occhi dello
stesso colore, che contrastavano incredibilmente con la pelle
chiarissima, quasi trasparente. Il viso mostrava un'espressione
sorridente che, per qualche strana ragione, appariva anche artefatta.
Il
secondo era un ragazzo castano dall'aria terribilmente annoiata ed
apatica, i capelli raccolti in un ciuffo a forma d'ananas, che se ne
stava accasciato con strafottenza sul piano di vetro. Sebbene il
regolamento della Gentek lo proibisse severamente, poi, teneva tra le
labbra una sigaretta accesa.
«Ci
hanno fottuto la miglior squadra di virologi che avessimo mai avuto e
quella strafiga della capodipartimento, Hinata Hyuga. Tra l'altro era
la cugina di Neji, che a quest'ora sarà incazzato come un
colibrì
con una scopa nel culo».
«E
non sappiamo nulla di Zeus».
«Non
ricordarmelo. Quel bastardo mi tiene talmente tanto occupato che non
ho più tempo per guardare le nuvole».
«E
io per dipingere. E poi, Morino vuole che ci occupiamo anche della
monitorazione di Ade».
«Ade?
Non era compito di quella mendekouze di TenTen
Ibarashi?»
«Lei
lavora sul campo, noi dietro una scrivania. Non è nemmeno
così
male, se ci pensi un attimo».
«Mhm...
non so quanto sia divertente lanciarsi in missioni suicide contro
zombie assassini. Potrei provare ogni tanto, durante la pausa
pranzo».
«Non
fa ridere». Replicò l'altro, sempre con
l'immancabile sorrisetto
sulle labbra.
«Grazie,
Sai. Sei molto carino».
«Niente.
Da domani, comunque, dovremo cominciare a mappare tutti gli
spostamenti di Ade».
«E
come facciamo?»
«Nella
macchina fotografica che si porta dietro è stato inserito un
localizzatore GPS. Rintracciarlo non dovrebbe essere
complicato».
«No,
certo. Ciò non toglie che non ne ho la minima
voglia».
«Guarda
che se non porti lo stipendio a casa poi Temari si arrabbia».
«Quella!
Il suo stipendio da Generale di Brigata è dieci volte il
mio,
figurati se ha problemi economici. Pensa ad Ino, piuttosto, che
spende tutta la paga del laboratorio di ricerca in vestiti e
stronzate varie».
Il
sorrisetto di Sai si fece improvvisamente inquietante, un buffo
compromesso tra Hannibal Lecter nei suoi momenti "bene" e
la maschera di "V per Vendetta".
«Lavoriamo,
Shikamaru».
«O-ok».
***
La
donna uscì dall'alveare, puntando lo sguardo vuoto sul sole
di
mezzogiorno.
L'iride,
vacua e spenta, vagò per qualche secondo sul cielo terso,
mentre la
bocca, secca e screpolata, si mosse a pronunciare delle sillabe
all'apparenza prive di suono. I Cacciatori le percepirono,
però,
schierandosi attorno alla loro signora e inginocchiandosi di fronte
alla sua figura sottile e sinuosa, circondata da un intrico di
capelli che serpeggiavano nell'aria come mossi da vita propria.
«Cercate...
lui... lui...»
Le
bestie mugghiarono, ansiose di soddisfare la Madre, e gridarono il
proprio assenso con la forza di mille squilli di tromba. La donna,
invece, rimase immobile al centro della piazza, fissando i propri
figli che si allontanavano velocemente tra la polvere.
Aveva
aspettato di vederlo così a lungo, eppure non aveva potuto
bearsi
del suo viso che per pochi, stentati secondi. Ne rimembrava ogni
particolare, ogni sfumatura dell'incarnato, eppure ne voleva ancora,
fino ad ubriacarsi della sua immagine. Era un desiderio primitivo, il
suo, la voglia di una mente succube dell'istinto, ma non era capace
di sopirlo, né lo desiderava.
Avrebbe
riavuto indietro ciò che le spettava, avrebbe finalmente
raggiunto
l'obiettivo che l'aveva portata in quella città. Nessuno
poteva
permettersi di portarle via ciò che le apparteneva di
diritto,
nessuno.
_Angolo
del Fancazzismo_
O.O
lo so, fa schifo. Abbiate pazienza e perdonatemi, il prossimo chap
sarà migliore e, soprattutto, non vi presenterà
quattro personaggi
tutti in un colpo solo. O almeno spero. Passiamo subito alle rece,
perchè ho un sonno che ci vedo quintuplo.
ryanforever:
oh,
lo vedrai eccome cosa gli hanno fatto quei bastardi. E non è
scontato come sembra, fidati. E Tenten... tranquilla, quello che sa
basta e avanza per scatenare la terza guerra mondiale, quella ragazza
è terribile XD. Mi fa piacere che tu abbia apprezzato la
scena
romantica!
yume:
Sasuke
riserverà delle sorprese, te lo garantisco. Anche se non
sono molto
sicura che riuscirà a sbrogliarsela facilmente XD.
kagchan:
ti
ringrazio molto per aver considerato questa fic al di fuori del
gruppo "oblio grammaticale"! Thanks! Il punto è che, con
tutte queste liceali che scrivono su EFP, una di terza media come la
sottoscritta si trova sempre un po' interdetta dagli erroracci
grammaticali delle sue "compagne" più grandi. Con questo
non voglio dire che il mio stile sia perfetto, anzi...
Sasuke...
beh, Sasuke fa il doppiogioco perchè è un
amorevole bastardo. E
Naruto fa il cattivo ^_^! E la scenetta romantica ti è
piaciuta
*.*!! Vabbè, finiamola con la demenza. Cmq, Tenten
sarà
effettivamente un bel problema per Sas'ke, mentre Orochimaru
avrà un
ruolo meno scontato di quello che ci si possa aspettare... come dire,
siccome "Orociock roccheggia!" non credo che gli darò la
solita parte di bastardo maniaco. Poi non sarei abbastanza folle,
dico bene?
Sadako94:
non
ti preoccupare, adoro scrivere rispostone! E la scenetta... beh,
Naru-chan che piange è sempre bellissimo, non si
può fare a meno di
amarlo. Invece credo che i miei lettori non potranno far a meno di
odiare Tenten, dopo quello che ho pianificato per i prossimi chap...
Muhahahaha!
_laura_:
cavoli,
non capita spesso di trovare una recensitrice tanto buona, grazie
100000!! E cmq, le AU scolastiche hanno ampiamente nauseato anche la
sottoscritta, non ti preoccupare. L'originalità è
un punto a cui
tengo particolarmente, immagino che l'avrai notato anche leggendo
"Highway to Hell", perchè, anche se lo stile è
pressochè
perfetto, una trama trita e ritrita è capace di rovinare
anche il
periodare di Umberto Eco. E i tuoi poemi non mi tediano affatto,
anzi: li adoro!
bradipiro:
sì,
questa storia mi ispira davvero tanto. Sarà
perchè l'azione mi
attira da sempre, ma è come se non riuscissi a finire mai
l'ispirazione! E' fantastico! Cmq non farò un seguito, ma ti
assicuro che troverò un finale in grado di non farti
desiderare
alcuna continuazione!
Bene,
grazie a tutti per i preferiti e le seguite e buona notte, che sto
veramente morendo di sonno.
See
you soon.
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Capitolo 5 *** Fallen Angel ***
004
- Fallen Angel
«Ciao».
Hinata
si ritrasse al suono di quella voce, così incredibilmente
dolce
nell'aria impolverata del salotto sfatto. Era... strana.
Terribilmente strana e ammaliante, la attirava.
«Ciao...»
rispose, titubante, puntando le iridi color ametista sul volto del
suo salvatore. O rapitore, a seconda dei punti di vista.
«Immagino
che tu sappia chi sono, no?»
«S-sei
Zeus. I-il Prototype».
«Bene.
Mi risparmi già molta fatica. Potresti dirmi chi sei tu e
che lavoro
svolgevi alla Gentek, invece?»
La
ragazza retrocedette sul divano su cui era seduta, fino a scontrarsi
con lo schienale. Era disgustata dalla strana sensazione di
attrazione che le aveva invaso la testa, e cercava il più
possibile
di limitare i danni agendo razionalmente. Non per questo, tuttavia,
scelse la risposta più saggia.
«N-no!
Non p-puoi chiedermi di tradire l-la ditta per cui lavoro, n-non se
non s-so c-cosa devi fare c-con le i-informazioni che v-vuoi!»
Ops.
Piccolo errore di valutazione.
Zeus
la afferrò per la gola, sbattendola senza esitazione contro
la
parete. Neanche il tempo di emettere un grido, che già dei
piccoli
viticci rossi, sbucati dal petto del biondo senza però
danneggiare
la felpa, le si erano avvinghiati attorno ai piedi.
«Non
ti conviene comportarti così. Non voglio farti del male,
davvero...»
e come dubitarne, pensò Hinata, di fronte a quel viso
così dolce?
«... ma sappi che, se ti rifiutassi di dirmi ciò
che voglio sapere,
potrei sempre assorbirti e prendermi i tuoi ricordi con la
forza».
La
ragazza ci mise qualche secondo per metabolizzare quella frase, ma
appena l'ebbe compresa il suo animo di ricercatrice reclamò
il
proprio spazio:«A-allora è per qu-questo che
assorbi i
r-ricercatori! T-tu p-puoi p-prendere i ricordi
i-inglobandoli!»
Zeus
la fissò, esitante. Poi spalancò la bocca,
atteggiando le
sopracciglia ad un moto di sorpresa e mimando un "cazzo"
silenzioso che fece scoppiare a ridere Hinata. Incredibile che un
umana avesse il coraggio di ridergli in faccia, specie poi in una
situazione di quel tipo.
Appena
la ragazza smise di sghignazzare, Zeus sospirò e riprese a
parlare.
«Ok,
ok, molto divertente. Tuttavia, adesso che sai anche questo non posso
certamente lasciarti andare. Cosa scegli?»
La
mora si torturò il labbro inferiore con i denti, ragionando
sulle
opzioni che aveva di fronte. Due, e nessuna troppo bella: da una
parte, aveva la possibilità di rimanere con Zeus e studiarne
le
caratteristiche anatomiche (lavorare sul Prototype era sempre stato
il suo sogno nel cassetto), mentre dall'altra poteva mantenere la
fedeltà alla Gentek immolandosi come un agnello sacrificale.
Decisamente
non era una scelta difficile.
«Prima
di essere assunta alla Gentek lavoravo come anatomopatologa per la
CIA». il biondo sorrise, compiaciuto. In meno di due
settimane aveva
trovato due alleati, non poteva che esserne felice.
La
mora continuò:« Quando scoppiò
l'epidemia a Manhattan, fui
prelevata dalla frazione in cui operavo e mi fu offerta la
possibilità di entrare in quella che, da ciò che
mi avevano detto,
era la più importante azienda di ricerca ancora attiva nel
perimetro
dell'isola. Accettai».
«Quindi
tu non sai nulla sulle origini dell'epidemia». Non era una
domanda,
piuttosto una rassegnata constatazione.
«No».
Riusciva a non balbettare, che strano. Non le era mai capitata una
cosa simile, e la trovava molto piacevole. «Comunque, dopo la
mia
assunzione alla Gentek mi fu chiesto di studiare alcuni campioni di
virus e di trovare un modo per sintetizzare l'Idra in forma
iniettabile. In pratica, volevano un composto che si potesse
inoculare a degli individui vivi. Sulle prime rifiutai, e
così i
patti cambiarono».
«In
che senso?»
«Mi
chiesero di...» tentennò, passandosi una mano tra
i capelli « ...
mi chiesero di creare un secondo Zeus».
***
«Dove
cazzo è finito quello stronzo!?»
«Come
sei fine, Shikamaru».
«E
tu non rompere le palle! É da due ore che ne stai
lì fermo e zitto
mentre io mi rompo il culo per capire la ragione dei movimenti di
quel bastardo!»
«Non
è mica colpa mia se si sposta da un punto all'altro ogni
cinque
minuti...» sentenziò Sai, continuando il ritratto
di Shikamaru che
aveva disegnato con la penna su un foglio da stampante. Mostrava il
collega in una delle sue sempre più frequenti esplosioni di
rabbia,
con la faccia incazzata e la coda mezza sfatta che ricadeva in ciuffi
bruni attorno al viso.
«Aaah!
Non ha senso! É completamente illogico!»
«Strano
che sia tu a dirlo, con il tuo quoziente intellettivo».
«Vieni
qui, così potrai rendertene conto tu stesso».
Il
moro si avvicinò allo schermo del pc del collega,
constatando che,
effettivamente, gli spostamenti di Ade erano quantomeno insoliti.
Le tracce del segnale GPS, segnate con un'unica linea rossa, si
intrecciavano continuamente e sembravano un gomitolo di filo sfatto,
che copriva uno spazio enorme e passava sia sopra le zone infette che
su quelle "sane". Il punto fondamentale era che, in certi
punti, il rosso copriva quasi totalmente la visione satellitare,
segno che Ade ci era passato e ripassato svariate volte.
Perché
sprecare tempo in quel modo?
«Se
stesse inseguendo Zeus?»
Shikamaru
sbuffò, intrecciando le mani sopra la testa.
«No,
non credo che il Prototype scapperebbe di fronte ad un bamboccio del
genere. Non so se hai letto il suo profilo psicologico, ma Ade non
è
un tipetto esattamente gestibile».
«Mhm.
Magari è lui che scappa, no?»
«Nah.
Non sarebbe così sciocco da trascinarsi dietro un Cacciatore
nelle
zone presidiate dai militari. Lo ridurrebbero in poltiglia prima di
permettergli di dire "bah", visto quanto sono terrorizzati
dall'infezione. Figurati se sarebbero disposti a porsi il problema di
abbattere il risultato di un esperimento da cento miliardi di
dollari».
Sai
percorse lo schermo con lo sguardo, cercando un possibile nesso tra
tutti i punti segnati sulla cartina che Shikamaru teneva spiegata di
fronte a sé, accanto alla tastiera. Segnalavano le soste
più lunghe
di mezz'ora che aveva compiuto Ade, ma sembravano casuali e
disordinati.
«Chissà
che sta facendo adesso...»
«Vallo
a capire, quello è completamente pazzo».
***
«Cazzo».
Eh, già, era proprio il caso di dirlo. Perché
perdersi per la
quarta volta dentro Manhattan era veramente una cazzata, specialmente
se si aveva la possibilità di salire su un grattacielo e
orientarsi
dall'alto con relativa facilità.
Quando
si è arrabbiati e gelosi, d'altra parte,
ragionare diventa
più difficile.
«Merda.
Merda. Merda. Ma di tutte le persone di questo fottuto pianeta,
possibile che dovesse essere proprio una donna? Non
poteva
essere... che ne so, uno sfigato con gli occhiali e i brufoli sul
naso?»
Sei
poi ti chiami Sasuke Uchiha e sei per antonomasia un emo isterico,
allora i tuoi problemi si moltiplicano esponenzialmente ogni secondo
che passa.
Il
fatto era che, molto semplicemente, Sasuke non poteva sopportare
l'idea che la nuova, procace coinquilina potesse sembrare "carina"
o "bella" agli occhi di Zeus. E, se ne rendeva conto anche
lui, incazzarsi per una simile inezia non era esattamente sintomo di
normalità.
Diede
un calcio ad un secchione e lo mandò a sbattere contro un
infetto,
che, dal basso della propria mente ormai putrefatta, pensava di
poterlo avvicinare durante una crisi di nervi senza venire
sfracellato contro il muro più vicino. Povero, triste illuso.
Stava
girovagando da due ore ormai, e cioè da quando aveva sentito
la
piccola strega ridere davanti a Zeus, con quella sua vocetta
terribilmente mielosa e irritante, e aveva deciso di non volerla
più
vedere almeno fino all'alba del giorno seguente. Ergo, avrebbe
passato la notte a bighellonare, nella speranza di non fare incontri
scomodi (uno a caso: Tenten Ibarashi) e riuscire a ristabilire un po'
di equilibrio nel proprio ordine mentale. Soprattutto sulla parte che
riguardava le priorità,
perché aveva come la sensazione che
il file "Rimanere in Vita" stesse lentamente scivolando
dalla prima posizione all'ultima per lasciare il posto a "Cosa
Pensa Zeus di Me". E decisamente, la cosa non avrebbe giovato al
suo istinto di sopravvivenza.
Sospirò,
passandosi una mano tra i capelli e facendo vagare lo sguardo sulle
vetrine impolverate e macchiate dei negozi.
Improvvisamente,
qualcosa attirò la sua attenzione. Qualcosa di
così terribile e
grottesco da lasciare a bocca aperta perfino l'impassibile Uchiha.
***
Zeus
spalancò gli occhi, sorpreso.
«Non
mi dire che tu eri la responsabile del progetto Ad... AH!»
Hinata
si avvicinò al Prototype, che nel frattempo si era chinato
sulle
ginocchia e si teneva la testa tra le mani, mormorando brevi frasi
convulse.
«C-che
succede? Zeus!?»
Ma
lui non poteva più sentirla.
***
«CORRI!
CORRI!» Qualcuno sta gridando, dietro di te, ma non capisci
di chi
si tratta. Sei immerso nel buio più totale, affogato in una
vasca di
petrolio nero che ti avvolge in maniera sgradevole, fin quasi a
soffocarti.
«Cazzo,
Harris, fuori di qui! Si sta svegliando!»
"Svegliarsi".
E' un verbo che ti ricorda qualcosa, l'hai già sentito in un
punto
indefinito del criosonno. Ecco, adesso ti torna in mente come fare
per "svegliarsi", come scacciare l'oscurità che ti avvolge
nel suo velo di torpore.
Sbatti
le ciglia, lentamente, e la luce dell'ambiente esterno ti colpisce
gli occhi con violenza. Serri le palpebre, ma ormai la
curiosità ha
avuto il sopravvento e non puoi fare a meno di riaprirle, stavolta
con cautela.
E
scopri i colori.
Non
che nel laboratorio dove sei rinchiuso ve ne siano molti,
prevalentemente il blu e il rosso dei bottoni che emergono da quella
monotonia di grigio acciaio, ma anche la sola percezione della luce
è
sufficiente a stupirti. Ti bei del dono della vista, ruotando gli
occhi alla ricerca di novità.
Per
la prima volta dal cambiamento, ti è concesso di vedere il
tuo
corpo.
Guardando
fisso di fronte a te, puoi ammirare le punte dei piedi e il leggero
rilievo dei muscoli delle cosce, lasciate parzialmente scoperte dal
corto pigiama da ospedale che contrasta, nel suo bianco quasi
accecante, con la tua pelle liscia e bronzea.
Ti
metti seduto senza pensarci, perché, in qualche strano modo,
sai già
come si fa. Ciononostante, la leggera contrazione degli addominali ti
causa nuovo stupore, nuova voglia di scoprire com'è il tuo
corpo.
Le
mani sono lunghe e morbide, e nella loro complessa alchimia di
tendini e muscoli sottili ti affascinano. Le muovi, apri e chiudi il
pugno, scoprendoti straordinariamente preciso e saldo nei movimenti.
Non sai bene perché, ma sospetti che questa sia un'ottima
cosa. Le
braccia, sottili e muscolose, obbediscono ad ogni tuo comando con una
precisione impeccabile, mentre per qualche ragione che non capisci
non puoi vederti la testa. Forse i tuoi occhi sono rotti, o
sbagliati.
Inaspettatamente,
questo pensiero ti causa una fitta all'altezza del petto. Questo...
sentimento è qualcosa che conosci...
ecco, dolore.
Porti
le mai al viso, percorrendone i tratti con le dita magre senza
riuscire però a decifrarli, a capire come appari
esteriormente. Puoi
sentire la morbida curva delle labbra e la setosità dei
capelli, ma
non riesci a dargli forma nella tua mente, a differenza di tutte le
sensazioni che hai provato fino ad ora. Questo perché non
hai mai
incontrato un essere umano, nemmeno prima del risveglio.
Percepisci
un fastidio all'avambraccio sinistro, e noti un piccolo oggetto
luccicante che ti buca la pelle. Una "flebo". La prendi e
la strappi, senza far caso alla ferita che si rimargina subito e alla
leggera scarica di dolore che questo ti provoca.
Sei
finalmente pronto per andartene, libero. Lasci che lo sguardo vaghi
sulle pareti di metallo del laboratorio, fino a soffermarti su una
porta metallica dall'apparenza robusta. Sai che puoi oltrepassarla,
è
nella tua natura.
Poggi
i piedi sul pavimento di linoleum, poi accenni il primo passo della
tua nuova vita. In un certo senso sai di aver già fatto
tutto
questo, anche se il tuo corpo allora era diverso, ma non ricordi
nulla degli avvenimenti passati. Nella tua mente c'è un
vuoto liscio
e lineare, come quella porta che viene presto violata da un colpo
potentissimo inferto dal tuo braccio.
Il
metallo si increspa sotto la pressione del pugno, improvvisamente
trasformato in un ammasso globoso di quella che sembra pietra nera,
ardesia. Distruggi con facilità quell'insulsa barriera che
si
frappone tra te e la libertà, addentrandoti in un corridoio
bianco
rischiarato da luci al neon, lampade insopportabilmente chiare che ti
danno fastidio. Sai già cosa fare, quando giungi di fronte
all'ascensore.
In
poco tempo percorri corridoi su corridoi, tutti tristemente
immacolati e deserti, finché non sbuchi in un piano diverso
dagli
altri. Le pareti sono tinteggiate di una delicato color beige, alle
pareti spuntano alcuni rettangoli colorati ("quadri", ti
suggerisce la tua mente) e delle strane cose verdi giacciono in certi
vasi bizzarri, rossicci, appoggiati praticamente in ogni angolo.
Questi nuovi particolari ti piacciono, stuzzicano la tua
curiosità.
Come
un bambino, ti spingi avanti per quel corridoio colorato, osservando,
in estasi, le grandi pareti trasparenti che ogni tanto ti permettono
di vedere una grande distesa blu e un'altra di cose grandi, grigie e
squadrate, più in basso. Non hai mai visto delle finestre,
prima
d'ora, e scopri che ti piacciono moltissimo.
Vorresti
essere circondato da quelle grandi lastre trasparenti, così
da poter
osservare il mondo che ti circonda senza muoverti, senza scappare
dall'unico luogo che conosci.
Improvvisamente,
però, delle creature brutte e sgraziate di sbarrano il
passaggio.
Sono
più grosse di te, e hanno tutto il corpo nero, coperto da
placche
irregolari di metallo e una tuta lucida. In mano tengono degli arnesi
che, strano, ti sono familiari: fucili. E,
nonostante lo stato
di intontimento in cui ti trovi, sai che quegli oggetti sono molto,
mooolto pericolosi.
Ti
scosti all'ultimo secondo, evitando una raffica di proiettili, e
pieghi il busto in avanti, lanciandoti frontalmente contro i tuoi
aggressori. Riesci a scaraventarne uno contro un muro, che si rompe e
solleva una nuvola di calcinacci, permettendoti di scappare
furtivamente.
Trovi
delle scale e le scendi, alternando veloci saltelli a scivolate su
quel lungo tubo nero e lucido che accompagna i gradini. Corrimano.
Ti
ritrovi, senza neanche capire come, in un ampio atrio dal pavimento
di marmo, pieno zeppo di creature armate simili a quelle di prima. Ti
sparano contro, ma tu corri veloce e ti rifugi in continuazione
dietro le colonne che sorreggono il soffitto, avvicinandoti sempre di
più all'uscita. Tuttavia, i mostri si sono appostati proprio
di
fronte alla porta, e sai che non puoi fronteggiarli.
Ti
viene un'idea.
Scatti
all'indietro, disorientando per un attimo le creature e
allontanandoti sempre di più dalla tua unica via di fuga. Ma
non ti
sei affatto arreso.
Prendi
la rincorsa. Salti.
Vedi
il muro farsi sempre più vicino, e incroci le tue esili
braccia
davanti al viso. Colpisci la parete con la violenza di una palla di
cannone, precipitando, insieme ad una valanga di calcinacci, sulla
strana distesa di terra dura e grigia che si trova di fronte alla tua
casa/prigione.
Quando
le creature nere escono fuori, tu ti sei già volatilizzato.
Ormai
sei libero, Zeus.
***
Sasuke
non pensava di poter assistere ad uno spettacolo del genere.
Insomma,
un gruppo di cento e più Cacciatori che sfilano lungo la
strada non
è esattamente cosa da tutti i giorni, no? Specie se poi,
come
aprifila del suddetto gruppo, c'è un Cacciatore Supremo
incazzato
come non mai, che però, nonostante si porti dietro sette o
otto
tonnellate di peso, non fa nessun rumore quando cammina. Idem per gli
altri.
E
forse fu proprio questa furtività a far scattare il
campanello di
allarme.
Il
moro balzò sul tetto più vicino, iniziando a
seguire, non visto, il
gruppo di Cacciatori. La sua preoccupazione si rivelò esatta
quando
si avvide che i mostri stavano prendendo una direzione che gli
sembrava fin troppo familiare.
Il
rifugio di Zeus.
"Merda",
pensò, superando i Cacciatori e partendo a razzo tra gli
edifici,
"devo
avvertire il Prototype prima che questi cosi lo raggiungano... con
quella ragazzina tra le palle non potrebbe difendersi da un tale
spiegamento di forze..."
Naturalmente,
Sasuke confidava che Zeus si accorgesse dei Cacciatori e scappasse di
corsa, perché, anche nel pieno delle forze, abbatterne
così tanti
rasentava l'impossibile. Quello che non poteva sapere era che, in
quel momento, la salvezza del biondo dipendeva soltanto da lui.
***
«Sai,
guarda che roba!»
«Mhm?»
l'interpellato si avvicinò al pc, e, dopo aver osservato lo
schermo
per cinque, lunghissimi minuti, rimase semplicemente a bocca aperta.
Chi lo conosceva sapeva quanto fosse raro un simile comportamento da
parte sua, Shikamaru incluso.
«Incredibile,
vero? Sono centododici, mi hanno appena inviato i dati. E guarda
qui».
«Questo
è... Hannibal?»
«Proprio
lui. Il Capo Cacciatore. Mi chiedo come un evento del genere sia
possibile, visto che di solito questi cosi non si muovono mai in
gruppo».
«Hai
avvisato Ibarashi?»
«Ovvio.
Ha preso un elicottero ed è andata lì di corsa,
neanche le avessero
infilato un peperoncino su per il culo».
«Ade
è con loro, giusto?»
«Prima,
adesso non più. Li ha seguiti per un tratto brevissimo, poi
ha
cambiato bruscamente direzione ed è partito a razzo. Sta
andando
dalle parti di Central Park».
«Bene.
Ok, ho deciso che oggi lavoro anche io». proclamò
Sai, sedendosi di
fronte al PC. Shikamaru lo guardò, sinceramente stupito.
«Devo
aspettarmi la fine del mondo?»
«La
fine del mondo sta già avvenendo, Nara, solo che tu non te
ne sei
ancora accorto».
_Angolo
del Fancazzismo_
Vi
sembra che la fic si stia già avviando verso la fine? Vi
sbagliate,
miei cari lettori! Siamo ancora alle battute iniziali, alla
cosiddetta "apocalisse introduttiva". Non preoccupatevi, in
futuro accadrà di peggio.
In
questo chap vediamo un pezzetto del passato di Naruto, quello che lui
ricorda. Il punto su cui vi invito a pensare è:
perchè proprio
adesso?
Ah,
e poi lancio una sfida: vediamo chi indovina chi è la
misteriosa
"Madre" degli infetti! Ognuno di voi può esprimere un solo
parere, e al vincitore (oppure ai vincitori, perchè sono
sicura che
più di qualcuno capirà la verità)
andrà una fanart fatta dalla
sottoscritta!
*il
pubblico rumoreggia, piovono lattine e frutta marcia* Ok, ok, so che
non ve ne può fregar di meno, ma a me piace coinvolgere
anche i
lettori nella storia! Non è più figo?
Scleri
a parte, queste sono le risposte alle bellissime rece
che mi
avete lasciato:
yume:
ma
grasshie! eh, quanto adoro la gelosia degli Uchiha... è,
come
dire... estremamente possessiva, ma allo stesso tempo tenera (anche
in un contesto come quello di Prototype, dove gli squartamenti sono
dietro l'angolo e rischi di farti mangiare dalla prima cosa che
passa). Cmq... che coraggio recensire una fic alle otto di mattina!
Ma come fai? Io a quell'ora o sono fuori scuola o dormo beatamente!
Davvero, complimenti.
ryanforever:
mamma
mia, recensire tutti i capitoli è davvero notevole! Io non
riesco a
fare altrettanto con le storie che mi piacciono, uffa T__T... cmq, mi
dispiace per non aver messo il tuo pairing preferito, ma se facevo
una ShikaIno poi non sapevo con chi accroccare Sai, ed è
fondamentale che i nostri due stramboidi siano fidanzati, altrimenti
di che si lamentano durante i turni lavorativi? La ricetrasmittente
sarà un bel problema, anche perchè Sasuke non ha
la minima
intenzione di buttare la fotocamera. Che baka. Anche se, considerando
l'impegno professionale di Shika e Sai, penso che Tenten rimanga il
suo unico problema serio...
kagchan:
se
tu scrivi male io sono Napoleone. E non ho le basette.
Seriamente,
ho letto le tue storie proprio in seguito alla rece (mi avevi
incuriosito), e, a parte il fatto che amo le NaruIta (nonostante non
sia capace di scriverle) il tuo stile mi piace moltissimo! E poi hai
anche tanta fantasia! Cmq, passando al commento in sè per
sè, ti
ringrazio molto dei complimenti, e ti dico che sì, V per
Vendetta è
uno dei film che amo di più al mondo e ci ho pure fatto un
cosplay
XD. Per quanto riguarda Orociock, in effetti ultimamente ho notato la
tendenza a caratterizzarlo solo come una specie di pedofilo
stupratore, cosa che tra l'altro gli dona lo spessore psicologico di
una triglia. Bah.
bradipiro:
*_* non temere, lettrice, non temere. Mi
dispiace che la frase non ti sia piaciuta, ma, come hai detto tu, era
un pensiero dell'Uchiha e c'è roba simile anche in questo
chap.
Conta che Hinata è anche uno dei miei personaggi preferiti,
perchè
riesce ad essere dolce e sensibile senza sembrare un'ochetta e
questo, dal mio punto di vista, la rende veramente grandiosa.
Avrà
un ruolo che la porrà in una pessima situazione, ma ti
assicuro che
nè Naruto, nè Sasuke la tratteranno male, anzi.
Capirai cosa
intendo. E Sas'ke farà una tale quantità di
figure di merda da
arrivare ad infilarsi un sacco dell'immondizia in testa, te lo
prometto.
Sadako94:
O_O
non scherziamo, che poi svengo. I'm
a SasuNaru, of course, not a NaruHina. Troppo,
troppo smielate le Naruhina. Cmq, dal punto di vista sentimentale
questa fic sarà un po' più lenta delle altre,
perchè voglio
privilegiare l'azione. Non voglio creare una SasuNaru fine a
sè
stessa, ma una storia con una trama definita e, come aggiunta, una
bella storia d'amore yaoi. Non sorprenderti se non capisci ancora da
che parte stanno alcuni personaggi, è tutto normale!
Visto?
Oggi ho aggiornato prima delle undici!
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 6 *** Thunder ***
005 - Thunder
-Se
me
l'avessero raccontato non ci avrei mai creduto...- commentò
TenTen, osservando
la macabra sfilata dei cacciatori dall'alto dell'elicottero.
-Pensi
che Zeus
c'entri qualcosa?-
-Ovvio.
E, se
ho ragione, questi Cacciatori ci condurranno proprio da lui.-
-E
chi ti da
tutta questa sicurezza? Bah, secondo me sei una fissata.-
-Kiba...-
la
castana si girò, fulminando con lo sguardo il ragazzo che le
aveva rivolto la
parola -... non mi pare di averti mai dato tutta questa confidenza. Sei
un mio
sottoposto, e ti pregherei di comportarti come tale.-
Kiba
si girò,
borbottando qualcosa di poco comprensibile, e prese a lucidare con foga
la
canna di un fucile da elefanti. Erano l'unica arma che funzionasse
perfettamente contro i cacciatori, e lui, personalmente, li trovava
fantastici.
Pesanti, robusti, capaci di frantumare il cranio di un essere umano con
un solo
colpo, riducendo scatola cranica e cervello in un ammasso di poltiglia
fumante... sì, decisamente erano la parte più
bella del suo lavoro.
Se
c'era una
parte più brutta delle altre, invece, era il suo
indefinibile compagno di
squadra. Indefinibile perchè, semplicemente, tutto il suo
essere andava oltre
l'umana comprensione.
Si
faceva
chiamare Rock Lee, anche se nessuno (a parte i capoccioni, ovviamente)
conosceva il suo vero nome. Pazzo schizofrenico con evidenti manie di
grandezza
e deficit visivi (non era in grado di abbinare decentemente i colori),
si
identificava a prima vista come un ragazzo alto, dal fisico asciutto e
muscoloso, gli occhi a palla e una chioma di capelli tagliati a
scodella che
avrebbero fatto invidia al più sfegatato fan dei Beatles.
L'aspetto fisico
bastava già a scoraggiare chiunque osasse avvicinarglisi,
ma, nel caso in cui
qualche temerario avesse realmente approcciato un dialogo con lui, il
suo
vocabolario infarcito di termini degni di un tredicenne era capace di
disgustare istantaneamente qualsivoglia adulto dotato di cervello.
Non
era un
caso, dunque, che l'unico amico di Rock Lee fosse appunto Kiba Inuzuka.
-Kiba,
cos'è
quella faccia mogia? Pensa che tra poco potremo dare sfogo alla nostra
giovinezza!-
-Mhm...
forte.
Pensa un po' a tutti i cacciatori incazzati che incontreremo... e per
cosa,
poi? Per trovare un frocetto vanesio che si dà arie da
supereroe.-
-Ade
è
omosessuale?-
-Chiaro
come il
sole. Uno che porta i capelli in quel modo è una checca,
poco ma sicuro.-
-Ah.
Sai che
non pensavo?-
-Tu
pensi, Rock Lee? Vacci piano con le
dichiarazioni, potresti farmi venire un cazzo di infarto.- della serie,
il bue
che dice cornuto all'asino.
-Zitti,
voi
due. Ci abbassiamo di quota, siate pronti a tutto.-
-Yes, your highness... -
-Non
fare il
cretino. Hawking, dove possiamo atterrare?-
Il
pilota, un
tizio nerboruto con la faccia coperta del casco, ci mise qualche
secondo per
rispondere.
-Laggiù.
E' il
tetto di una vecchia stazione televisiva, e c'è una
piattaforma per
elicotteri.-
-Bene.
Edificio
infetto?-
-Sì.
Francamente, non so cosa potrete trovare là dentro. Vi
faccio scendere e poi me
ne vado, mi richiamerete solo quando vorrete andarvene,
perchè non ho nessuna
intenzione di rimanermene fermo come un maxi-cheeseburger per
Cacciatori. No,
grazie.-
-Non
c'era
bisogno di essere così prolissi.
Siamo perfettamente consci dei rischi che correremo, essendo solamente
tre, ma
abbiamo munizioni sufficienti per arrivare vivi al piano terra. Da
lì in poi,
ci organizzeremo di conseguenza.-
-Oh,
certo!
Tanto mica è lei quella che deve incollarsi l'artiglieria,
porca troia!-
-Kiba...-
-Sissignora.
Cazzo.-
L'elicottero
si
inclinò con dolcezza, posandosi sul tetto di una palazzina
di una decina di
piani immersa nel centro di un quartiere infetto. Non distava che poche
centinaia di metri da un grosso alveare, e la strada sottostante era
intasata
da carcasse di automobili e morti viventi, talmente tanti e talmente
tanto
accalcati da confondersi in una massa rossiccia che emanava la puzza
dolciastra
propria della decomposizione. Sembrava che confluissero, tutti insieme
e senza
attaccarsi, verso la sfilata di Cacciatori, che nel frattempo
proseguiva e si
allontanava lentamente dal luogo in cui Tenten e la sua squadra si
erano fermati.
-Sembra
una
convention cittadina di zombie. Che cazzo hanno da fare, tutti quanti?-
-Kiba,
so che
per te ascoltare gli ordini di missione è qualcosa di fin
troppo complesso, ma
non ti ricordi più o meno cosa ci ha detto Sabaku no Temari,
stamattina?-
-Che...
noi...
dovevamo... ecco...-
-Che
noi dovevamo scoprire la ragione di
questa anomalia comportamentale negli infetti, e parallelamente
rintracciare
Ade per vedere se è riuscito a scattare quella maledetta
foto. E spero per lui
che l'abbia fatto, se non vuole ritrovarsi un paio di proiettili
piantati tra
le palle.-
-Capito.
Andiamo?-
-Ok.
Fucili
spianati, sparate a qualunque cosa vedete muoversi. Nemmeno le farfalle
sono
più innocue, in questa città.-
Tenten
non
immaginava minimamente fino a che punto quell'affermazione fosse
veritiera.
***
Sasuke
correva.
L'aria
gli
ustionava i polmoni ad ogni respiro, mentre il sangue bollente affluiva
nei
muscoli sovraffaticati in pulsazioni frenetiche che parevano quasi
udibili,
tanto erano forti. Stringeva i denti, i pugni, persino gli addominali
erano
contratti fino allo spasmo nel tentativo di aumentare la
velocità oltre il
limite. Sapeva che sarebbe arrivato prima dei Cacciatori, ma durante
l'addestramento
per diventare un combattente gli avevano insegnato che un buon
vantaggio dà
sempre qualche punto in più per la vittoria, e lui non osava
immaginare cosa
sarebbe successo se fossero arrivati ad uno scontro diretto con il
gruppo di
mostri.
Non
ne
sarebbero usciti vivi, poco ma sicuro.
Finalmente
raggiunse la botola, sfondandola con un calcio secco. Non sarebbero
più potuti
tornare in quel posto, ne era certo, e averne cura in un momento simile
gli
sembrava una stronzata.
-ZEUS!
Zeus,
cazzo, abbiamo un fottuto proble...- le parole gli morirono sulle
labbra,
quando vide una fin troppo familiare sagoma dalla testa bionda
accasciata per
terra, sul pavimento del salotto.
Il
Prototype
alzava e abbassava il petto a intervalli regolari, annaspando e
muovendo gli
arti in scatti brevi e convulsi, ormai perso in una rapsodia di
immagini
confuse che si riflettevano sulle sue iridi stranamente opache.
Mormorava brani
di frasi, inframmezzandoli a gemiti e respiri spezzati.
-I-io...-
Hinata gemette, cominciando a singhiozzare come una ragazzina -...
all'improvviso
è ca-caduto per terra... n-non so...-
-Zitta.-
sibilò
il moro, avvicinandosi e sollevando di peso Zeus. La testa bionda,
priva di
ogni forza, ricadde mollemente sulla spalla coperta dalla felpa.
-Cazzo...
portarlo via di qui sarà un suicidio. Senza contare che
siete troppo
ingombranti per tenervi entrambi, dovrei trasportarvi uno alla volta e
non se
ne parla.-
-M-ma
perchè
do-dovresti...-
-In
parole
povere, là fuori ci sono un centinaio di Cacciatori che non
aspettano altro che
farci la pelle. E, se non ci sbrighiamo a scappare, credo proprio che
riusciranno nel loro intento.-
La
mora
sbiancò, portandosi una mano alla bocca in un gesto di
sorpresa e terrore. Poi,
pian piano, la sua mente cominciò a comporre i pezzi del
puzzle, che, pur
essendo pochi, offrivano già molteplici vie interpretative.
Perchè, in effetti,
un malore così improvviso in un individuo che, teoricamente,
sarebbe dovuto
essere assolutamente perfetto e inattaccabile da qualsiasi tipo di
patologia,
suonava strano. Troppo strano.
Quando
sollevò
il viso per guardare in faccia il suo interlocutore, poi, non ebbe
più il
coraggio di pronunciare una sillaba.
Quel
volto lo
conosceva benissimo, un po' perchè era la classica faccia
che rimane subito
impressa, un po' perchè ci aveva condotto esperimenti per
innumerevoli
settimane. Ade.
La
sua
creazione più riuscita, in assoluto, l'unica delle cavie che
fosse riuscita a
metabolizzare il virus a tal punto da sopravvivere all'inoculazione
diretta di
dosi pesantissime di Idra. Sì, perchè era stata
lei a crearlo, con le proprie
mani. Non da sola, questo no, ma la dose decisiva di veleno glie
l'aveva
iniettata lei.
-Ade...-
Sasuke
si girò
di scatto a fissarla, assottigliando gli occhi.
-E
tu come fai
a sapere chi sono? Non mi sembra di essermi presentato, mi pare...-
-Ecco,
io...-
cercò una scusa decente, tra i meandri della sua mente
spaventata -... ho letto
il tuo fascicolo, alla Gentek. Tu sei quello che dovrà
ucc... un momento, ma se
la tua missione consiste nell'uccidere Zeus, perchè gli stai
salvando la vita?-
Ancora
una
volta, era riuscita a non balbettare.
Sasuke
arrossì
lievemente, abbassando la testa e lasciando che i capelli gli
coprissero il
viso. -Te lo spiego dopo...- borbottò, caricandosi in spalla
il corpo di Zeus
-Sali sul tetto, muoviti. Non portare nulla con te, non farebbe che
rallentarci.-
-Ok.-
Una
volta fuori
dal rifugio, il moro fissò Hinata pensosamente, come a
volerla scannerizzare.
Settanta
chili
circa, piuttosto alta e prosperosa... scomoda, scomoda, scomoda. E poi
non
poteva tenere lei tra le braccia e Zeus sulle spalle e nel frattempo
saltellare
da un palazzo all'altro. Non era così folle da pensare di
essere in grado di
non farne cadere nessuno.
Chiariamoci,
fosse stato per lui avrebbe mollato la bimbetta sul tetto, e magari le
avrebbe
anche attaccato un bel cartello in faccia con scritto "Eat Me"
(sempre ammesso che il capo Cacciatore sapesse leggere), ma se l'avesse
fatto
Zeus lo avrebbe ridotto in poltiglia, una volta sveglio.
Doveva
necessariamente spostarli uno per volta.
Era
una
strategia folle, perchè avrebbe lasciato o Zeus o la
ragazzina completamente
indifesi, in balia di un branco di mostri che neanche sapeva quando
sarebbero
arrivati, e che si facevano sempre più vicini ogni secondo
che passava a ragionare.
Tuttavia, era perfettamente sicuro sul punto "chi devo salvare per
primo".
-Vi
porterò uno
per uno. Prima il Prototype, poi tu.-
Hinata
chinò il
capo, avvampando. Sasuke poté notare un lampo di ribellione
in quegli occhi
cristallini, ma non se ne curò e, anzi, si girò e
spiccò un balzo, lasciandosi
alle spalle quella ragazzina che, per lui, contava meno di niente.
Teneva il
biondo ben saldo tra le braccia, e scrutava ogni edificio alla ricerca
di un
posto che potesse essere buono per nasconderlo.
Non
sapeva
nemmeno perchè, ma non aveva la minima voglia di mollarlo
per strada in quello
stato.
-Cazzo...-
sibilò, quando notò che, in un posto come
Manhattan, di nascondigli sicuri non
ce n'erano molti. E lui che sperava anche di sbrigarsi e di riuscire a
prendere
pure quell'altra... fanculo a lei e alla Gentek. L'avrebbe recuperata
più
tardi, se mai gli fosse venuta voglia.
***
-
Questo posto
è una vera giungla...-
-You
know where you are? You're
in
the jungle baby...- canticchiò Kiba, intonando uno
dei suoi pezzi
preferiti. Che, per pura casualità, piaceva moltissimo anche
ad un'altra
persona.
-Grazie,
Kiba.
Non avevo bisogno del sottofondo.- sibilò Tenten, acida,
abbattendo uno
schedario con un calcio ben assestato. Oltre a quello, nelle stanze
buie della
palazzina campeggiavano scrivanie e
scaffali, tutti rovesciati e privati del loro contenuto,
sparpagliato
disordinatamente sul pavimento. Era tutto incredibilmente silenzioso.
Troppo.
-Tenten-sama...
ha notato una cosa? Per terra non
c'è
polvere.-
-Già,
Rock Lee.
Questo posto ha qualcosa che non mi convince... guarda là.-
indico un punto del
muro color crema, dove, nonostante la penombra, si scorgeva una grossa
chiazza
scura. Sembrava sangue secco. Vicino, però, non c'erano
resti di nessun tipo,
nè altre macchie di liquido vermiglio sporcavano la moquette.
-Ecco,
e ti
pareva. Mi sembrava strano che non ci avessero mollato sull'unica cazzo
di
fottutissima palazzina abitata da un mostro, porca troia!-
-Quando
usciremo di qui ricordami di pagarti un corso di alfabetizzazione,
Inuzuka.-
-Se usciremo da qui, Ibarashi.-
-Ragazzi,
non
la facciamo così tragica... siamo in una situazione
pericolosa, ma non così
tanto... e poi è meglio se andiamo d'accordo, non...-
-Fottiti,
Rock
Lee.-
-Stavolta
sono
d'accordo con Inuzuka.-
Stroncato
sul
nascere di una promettente predica pacifista, il sopracciglione
chinò il capo,
afflitto. E avrebbe anche ritentato, se un rumore sospetto non avesse
attirato
completamente l'attenzione del terzetto.
Uno
scricchiolio sul soffitto, sinistro, seguito dal lieve cigolare di una
porta e
da passi pesanti, che fecero cadere a terra la poca polvere ancora
strenuamente
attaccata ai lampadari di vetro.
Kiba
espirò,
tremulo, e strinse con più forza la propria mitragliatrice,
fissando Tenten che,
nel frattempo, aveva estratto i propri coltelli da lancio. Glie l'aveva
ripetuto mille volte, a quella cretina, che con quei temperini spuntati
non
avrebbe fatto male nemmeno ad un agnellino, ma lei, caparbia,
continuava a
preferirli alle armi da fuoco.
Riportò
la
propria mente sui binari giusti, estraniandola da qualsiasi possibile
divagazione. I passi al piano di sopra si fecero più
lontani, fino a scomparire
del tutto, lasciandoli con una consapevolezza quasi schiacciante ad
opprimergli
il pretto: qualcosa stava venendo
verso di loro.
-Ibarashi...-
-Mhm...-
-Siamo
al
quarto piano. Quanto ci metteremmo a scendere di sotto?-
-Dieci
minuti.
Forse meno, se ci sbrighiamo.-
-In
questo
caso... CORRETE!-
Si
lanciarono
fuori dalla porta, schizzando verso le scale come se avessero avuto il diavolo alle calcagna.
E forse, in fondo,
le cose stavano più o meno così.
Mentre
percorrevano la prima rampa, un suono disumano squarciò
l'aria alle loro
spalle, spingendoli ad aumentare ancora di più il ritmo
della corsa. Un misto
tra un ruggito, un grido umano e un gorgoglio basso e ronzante, uno di
quei
versi demoniaci che sembrano appena usciti da una bolgia di dannati.
-E
quello cosa
cazzo era!?- gridò l'Inuzuka, ansimante.
-Non chiederlo a me! Niente di
buono,
sicuramente!-
-Waaah!-
-Cazzo,
Rock
Lee! vedi di non inciampare, se non vuoi che ti regali qualche nuovo
buco nel
culo!-
Raggiunsero
il
secondo piano senza particolari problemi, ma una volta che furono
usciti dall'ascensore
compresero che la traversata, da lì in poi, sarebbe stata
molto più complessa.
Era
tutto buio.
Completamente, desolatamente buio, di quel nero petrolio che restringe
gli
spazi e li rende claustrofobici e asfissianti. In più, il
rumore di passi era
cessato.
-E
adesso che
si fa?-
-Abbiamo
delle
torce, no? Sbrighiamoci, prima che il nostro inseguitore si faccia
vivo.-
-E
dove cazzo
andiamo, al buio!? Prendiamo i muri a testate, per orientarci?-
-Preferisci
rimanere qui, Inuzuka?-
Il
castano sospirò,
accendendo la torcia fissata sul proprio casco:- La prossima volta che
mi
toccherà scegliere un lavoro mi prenderò un bel
posto dietro una scrivania,
magari con una segretaria tettona e un computer davanti.-
-Io
credo che
sia più divertente così.- soggiunse Rock Lee,
spianando la mitragliatrice verso
la parte di corridoio che riuscivano ad illuminare. Una porzione
misera,
considerato quello che poteva trovarsi oltre l'alone di luce diffuso
dalle
torce.
Mentre
camminavano, affidandosi più alla fortuna che all'istinto,
alle narici dei tre
giunse un odore niente affatto rassicurante, il genere di puzza che a
Manhattan
si imparava a riconoscere presto.
-Ci
sono dei
cadaveri, qui dentro.-
-Tanti
cadaveri. Secondo me sono più di trenta... sentite che
puzza.-
E
infatti,
appena svoltarono dietro l'angolo del corridoio, venne alla luce un
grosso
mucchio di quelli che sembravano corpi umani, quasi totalmente
decomposti e, in
certi casi, fatti a pezzi o scarnificati. A dirla tutta, in alcuni
punti
sembrava quasi che qualcuno avesse strappato la carne di proposito,
lasciando
le ossa bianche e praticamente pulite.
-Qualcuno
ha
avuto un discreto banchetto, da queste parti. Rock Lee, sono umani o
infetti?-
-Umani.
Ce ne
sono alcuni a cui non è stata mozzata la testa, e se fossero
infetti potrebbero
ancora muoversi.-
Scavalcarono
il
cumulo con indifferenza, distogliendo lo sguardo per non lasciarsi
impressionare da quello spettacolo macabro. Dall'altra parte, il
cammino
continuava ad essere disseminato di cadaveri e pezzi vari
più o meno
putrefatti, mentre alle pareti campeggiavano, vagamente simili a dei
Wall-art
per la loro regolarità raccapricciante, delle chiazze di
sangue enormi e
nitide. L'aria era densa, gelatinosa, e la temperatura aveva subito una
brusca
impennata, dettata forse dal senso istintivo di nausea che si provava
camminando lungo quel percorso.
La
morte era
ovunque, ovunque.
-A
volte...-
esordì Kiba, deglutendo per togliersi di dosso quella
fastidiosa sensazione di
soffocamento -... ho come l'impressione di camminare su un mare di
merda.-
-Il
mondo,
purtroppo, non è altro che questo. Guarda cosa siamo stati
capaci di creare,
amico.-
-E'
per questo
che siamo qui. Scontiamo le colpe commesse dalla nostra razza
offrendoci come
agnelli sacrificali, mentre i veri peccatori ci fissano dall'alto e
sorridono.
E' questo il ruolo che ricopriamo nella società, e non
possiamo sottrarci dal
rispettarlo.- Tenten espirò le parole con calma, fissando
con uno sguardo
triste, che nessuno avrebbe mai visto, lo spettacolo di muta
desolazione a cui
stava assistendo. Era una donna forte, volitiva e ligia al dovere, ma
in
situazioni come quelle il suo animo si ribellava al pensiero razionale,
perchè
si rendeva conto anche lei che il mondo, così come stava
girando, non andava affatto
bene.
Trovarono
l'ascensore, lo oltrepassarono e scesero le scale. Erano molto
più calmi,
perchè l'inseguitore, qualunque cosa fosse, sembrava aver
rinunciato alle
proprie prede.
Tra
il primo
piano e il secondo piano non c'era quasi nessuna differenza, a parte
qualche
spiraglio di luce che, incerto, si faceva strada tra le persiane
sbarrate delle
finestre. Il piano terra, invece, offriva uno scenario abbastanza
diverso dai
precedenti.
Sempre
buio
pesto, ma con una variante insolita: il pavimento era coperto da una
sostanza bianchiccia
e filamentosa, tanto compatta e soffice da sembrare uno strato di lana
di vetro
alto circa trenta centimetri.
-Che
cos'è
questa merda?-
-Boh...
sembra
ovatta, però è più appiccicosa.
Tipo...-
-...
zucchero
filato?- completò Tenten, strappandone un pezzo e
annusandolo -Però ha un
pessimo odore, sa di sangue secco.-
-In
questa
città anche la figa sa di sangue secco...- Kiba
lanciò un'occhiataccia al
proprio capitano, poi sputò per terra -... e comunque poco
importa che odore abbia
questo coso, guardate là.-
Sullo
sfondo
buio dell'androne deserto si stagliava un rettangolo di luce bianca,
una macchia
accecante dai contorni definiti che riaccese la speranza nei tre
militari.
-Il...
portone?-
-Già.
Sbrighiamoci ad andarcene, non ho la minima intenzione di rimanere un
minuto di
più. Di cadaveri fatti a pezzi tanto ne vedremo altri,
giusto?-
-Non
puoi
immaginare quanti. E adesso muovetevi.-
Scattarono
in
avanti, avvicinandosi alla porta con cautela.
Fu
quando erano
a circa un metro, la speranza ormai praticamente realizzata nella
mente, che la
porta si chiuse di scatto, gettandoli nuovamente alla mercé
del buio.
La
prima cosa
che fece Kiba fu guardare in alto, sulla parete sovrastante l'uscita,
per
vedere se vi fosse qualcosa che avrebbe potuto chiudere i battenti
così
all'improvviso. E, in effetti, trovò ciò che
cercava.
-Cazzo,
ma non
è possibile!- sbraitò Tenten, senza prestare
attenzione all'improvvisa
immobilità del suo subalterno -C'eravamo quasi! E poi come
fa una porta a
chiudersi senza che ci sia nessuno a spingerla!?-
-Già!-
rispose
Rock Lee, lapidario, prima di notare l'assenza della fila ininterrotta
di
bestemmie che si sarebbe aspettato da Kiba -Ehi, amico, tutto ok?-
-Gu-guarda
l-là...- il castano puntò un dito, tremante,
verso il punto che riusciva ad
illuminare con la propria torcia. Rock Lee, per la prima volta nella
sua vita,
sbiancò e cominciò a sudare freddo.
Tenten,
da
parte sua, accennò un mezzo passo indietro, gli occhi
spalancati dal terrore,
ed emise un mezzo sibilo strozzato.
-Oh, merda...-
L'inseguitore, attaccato alla parete
diversi metri più in alto, ringhiò.
_Angolo del Fancazzismo_
Chiedo
umilmente perdono per i ritardi editoriali, ma quest'anno ho gli esami
di terza
media e quindi le prof rompono con il ripasso e cazzi e smazzi... mamma
mia, ma
come avete fatto a sopravvivere voi?
Il
chap, in
compenso, è leggermente più lungo del solito, e
anche molto meno incentrato su
Sasuke e Naruto. Probabilmente vi starete chiedendo cosa c'entri far
entrare in
scena Tenten, Rock Lee e Kiba proprio adesso, ma scoprirete che a
qualcosa
effettivamente servono XD. Vado con le risposte alle rece, che stasera
ho meno
tempo del solito.
ryanforever: beh, la scelta di Hinata
era abbastanza obbligata XD. Cmq no, la "madre" non è Kyubi,
mi
dispiace... ma sarebbe stato troppo scontato mettere lei. La ragione
per cui
Naruto ha quei ricordi non è precisamente questa, ma d'altra
parte nessuno a
parte shi_angel l'ha indovinata al 100%. Verrà spiegata nel
prossimo chap,
don't worry.
yume: XD in ospedale? oddio, non posso
crederci! ma grazie mille! mica è da tutti avere simile
recensitori, ehehe
ù_ù... cmq i personaggi di questa fic, sul piano
delle priorità e non solo,
sono tutti abbastanza sballati. Capirete le motivazioni quando
parlerò un po'
dei loro background personali, cosa che non credo avverrà
molto presto. See you
soon!
bradipiro: +_+ mi lasci davvero senza
parole, un po' come le canzoni dei Gorgoroth. Beh, Hinata è
un personaggio che,
secondo me, o la odi o la ami follemente. Ed io rientro nella seconda
categoria
XD. Spero che anche questo capitolo ti abbia messo voglia di continuare
a
leggere, anche se purtroppo non succede nulla di particolarmente
significativo...
non temere, mi riprenderò con il prossimo! e cmq no, la
madre nn è né Kyubi né
Sakura, e io non ho un sito dove metto le fanart XD (vorrei evitare
crisi di
vomito ai naviganti in internet, sai com'è)...
shi_angel: la tua teoria sulle
"onde mentali" è perfettamente corretta, quella sulla madre
no, e per
questo ti faccio i miei complimenti! Ah, sì, la fotocamera
è un bell'intoppo
per Sasuke, visto che il gps non è esattamente l'unica cosa
che ci hanno
infilato dentro (le nanotecnologie fanno miracoli
ù_ù...). Per quanto riguarda
la gigantomachia, non ti preoccupare che presto cominceranno ad
infilarcisi
anche dei comuni esseri umani, sennò poi con chi sfogo il
mio lato sadico?
kagchan: la tua rece mi ha fatto
schiattare dalle risate, e mi dispiace non poter rispondere
adeguatamente a
causa della mancanza di tempo... vabbè, mi rifarò
la prossima volta! Ti dico
solo questo: 1- Hinata sarà effettivamente una scocciatura,
e non sai nemmeno
quanto 2- la madre di Naruto non è kyuubi, come molte di voi
hanno pensato, ma
qualcuno di ancora più... ehm... se ve lo dico capite tutto,
quindi meglio
evitare....
fra76: hai avuto un'ottima intuizione,
anche se non completamente esatta. Cmq Naru è stato
rinchiuso per parecchio
tempo, diciamo di sì. Dici che so scrivere bene le scene
d'azione? Io non le vedo
poi così ben fatte, anzi: a dirla tutta mi sembrano delle
mezze schifezze, ma
tanto c'è sempre tempo per migliorarsi... Ah, finalmente un
parere diverso
dagli altri! No, non è Mikoto Uchiha, ma ci sei andata
pericolosamente vicina.
erol89: chiarisco subito il tuo dubbio:
SasuNaru. ovviamente ci farò altri pairing di contorno, ma a parte rari casi non
credo che saranno yaoi,
nono. Ah, e poi perdona l'ignoranza... ma che cos'è "vorrei
tu fossi
qui"? Non l'ho mai sentito XD. Cmq grazie mille per la rece, mi ha
fatto
moltamente piacere!
Little white angel: anche la tua
è
stata una rece molto carina, ma mi dispiace, la madre non è
Saura. Ti consiglio
vivamente di giocare a Prototype, che ti piacerà sicuramente
se sei un'amante
dei videogiochi un po' splatter, e ti ringrazio per i complimenti! I
commenti
positivi come i tuoi mi mettono tantissima voglia di continuare a
scrivere,
sai?
Sadako94: XD finalmente qualcuno che la
pensa come me! Viva l'azione! Cmq alla fine Naru non è poi
così sfigato, basti
pensare che ha Sasuke accanto.... (sbaaaaaaaav.....)... ok, eccesso di
punti di
sospensione a parte, vedrai che alla fine avremo anche un po' di sano
Sasunaru,
non mi tiro di certo indietro! Spero che ti piaccia anche questo chap,
ci
vediamo presto!
Ok,
forse ora è
meglio che vada a studiare storia... domani ho un'interrogazione sui
regimi
totalitari, e fondamentalmente so ben poco XD...
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 7 *** Kick Ass! ***
006
- Kick ass!
Kiba, in quel momento, capì
che probabilmente non avrebbe
mai più rivisto uno spettacolo tanto osceno e grottesco in
vita sua. Ciò che
aveva davanti, in fondo, non poteva essere definito che così.
Dall'ombra, lungo e affusolato,
spuntava il corpo di quella
che in teoria sarebbe dovuta essere un'enorme mantide religiosa, ma che
in
realtà aveva il busto e la testa umani. L'addome era lungo e
molliccio,
segmentato in sei parti segnalate dalla presenza di una robusta placca
cheratinosa color fango, mentre il torace, che sembrava quello di un
uomo
adulto di grossa stazza, sosteneva ben tre paia di zampe, due delle
quali
terminanti in falci dal bordo seghettato. La testa, piccola e deforme,
si
apriva dall'attaccatura del naso in un apparato masticatorio
rivoltante,
composto la cinque chiostre di denti disposte circolarmente attorno
all'imboccature del tubo esofageo. Dove in teoria ci sarebbe dovuta
essere la
nuca, poi, spuntava un lunghissimo collo flessibile, dalle sembianze
vagamente
rettili, che sorreggeva un secondo cranio sottile e allungato, simile a
quello
di una vipera.
-Capo...-
-Che vuoi, Kiba!?-
-E questa sarebbe l'azione di un
virus!? Ma non scherziamo,
cazzo! Sembra più un castigo divino!-
Tenten deglutì, stringendo
i manici dei coltelli con più
forza. Indietreggiò lentamente, tenendo gli occhi fissi in
quelli del mostro e
facendo segno ai compagni di seguirla.
La mantide tentennò per
qualche secondo, contraendo
nervosamente il corpo molliccio, poi staccò le zampe dal
muro e atterrò sul
pavimento morbido senza emettere il minimo suono. Ringhiò,
piegando le zampe
sul busto.
-Ca-capo... - mormorò Rock
Lee -... non mi sembra che
questo sia descritto nella lista delle mutazioni che l'Idra
può provocare...-
-Non sembra neanche a me. Sentite,
quanti metri ci separano
dall'uscita?-
-Una quindicina.-
-Bene. Dobbiamo fare in modo che si
sposti dalla nostra
traiettoria, altrimenti non riusciremo mai a raggiungere l'esterno...
questo
coso è troppo grosso, e qualcosa mi dice che anche in quanto
a velocità se la
cava.-
-Be'...- Kiba sollevò la
mitragliatrice, puntando al muso
della mantide -... questo figlio di puttana deve solo provare ad
avvicinarsi, e
poi vedremo chi ha le palle e chi no! Fottuto insetto di merda...-
Il sopracitato insetto, forse
sentendosi chiamato in causa,
mosse qualche passo verso il castano, sibilando. Si muoveva
velocemente, ma non
emetteva alcun rumore mentre posava i piedi a terra, e questo, per un
essere di
quelle dimensioni, era veramente fenomenale.
Al'improvviso,
la
creatura scattò in avanti e sollevò una zampa,
affondandola nel terreno nel
tentativo di colpire Kiba. Il castano riuscì a schivarla per
un pelo (era dannatamente
veloce, sembrava un coltello a serramanico gigante) ma
inciampò nell'ovatta
bianca che copriva il pavimento e capitolò a terra con un
tonfo ovattato. La
mantide stava per colpirlo di nuovo, e stavolta non avrebbe sbagliato,
poco ma
sicuro, quando Tenten lo afferrò e lo spinse via,
esponendosi al posto suo
all'attaccò.
-Cazzo, NO!-
Troppo
tardi. L'unica cosa che il castano riuscì a vedere fu uno
schizzo di sangue,
reso nero dalla penombra, e il corpo di Tenten che cadeva sul
pavimento, scosso
dai sussulti. Tanto quanto bastava, comunque, per farlo incazzare.
-Rock
Lee.-
-Sì?-
-
Adesso noi due faremo una cosa abbastanza pericolosa. Te la senti?-
lanciò uno
sguardo preoccupato alla chiazza di sangue che si stava allargando
sotto il
corpo del proprio capo, imbrattando l'ovatta e attirando lo sguardo del
mostro,
che però non si decideva ad avanzare.
Rock
Lee fece spallucce, mostrando il pollice alzato in segno di
approvazione.
-Non ti
preoccupare. Tanto, più pericoloso di così...-
-In
questo caso... ti ricordi lo schema che abbiamo provato per i
Cacciatori?-
-Ma
questo non è...-
-Non
abbiamo tempo per elaborarne uno nuovo, quindi muoviti.-
-Ok,
ok...-
Il
punto fondamentale che nessuno dei due aveva considerato,
però, era che un
insetto gigante di quelle dimensioni, e per di più
incazzato, non avrebbe
assecondato facilmente i loro propositi di vittoria.
-Tre,
due, uno...-
-Via.-
***
-Zeus...
ascoltami, tu adesso starai qui e... oh cazzo...-
Niente,
non si svegliava. Aveva trovato un posto dove nasconderlo, una specie
di
cortile interno privo di finestre e imbocchi praticabili, ma non se la
sentiva
comunque di abbandonarlo. Non in quello stato, almeno.
-Nhh...-
-Ehi!
Dobe! Cazzo, svegliati!-
Il moro
si accovacciò accanto al corpo di Zeus, prendendosi la testa
tra le mani. Ma
guarda tu in che situazione si doveva cacciare... era stato uno sciocco
a pensare
di potersi sobbarcare una responsabilità come quella, senza
tra l'altro minimamente
prepararsi ai rischi che, col senno di poi se ne rendeva conto, avrebbe
sicuramente corso.
Idiota,
idiota, idiota. Se lo ripetè fino alla nausea
E poi, a complicare ulteriormente la
situazione, c'era
Hinata. La ragazzina che non poteva lasciare al suo destino, e che per
una fortunata combinazione
avrebbe felicemente gettato in pasto ad un branco di
cani rabbiosi. Dio, se la odiava.
Tuttavia, pareva che a Sasuke non
fosse concesso nemmeno il
breve tempo che il suo cervello reclamava per pensare,
perchè, proprio nel
punto cruciale della sua riflessione, (ovvero "perchè
odio così tanto la ragazzina?") un rumore
fortissimo lo distrasse.
Più che un semplice rumore,
una vera e propria esplosione.
Si assicurò che Zeus fosse
ancora profondamente immerso
nello stato comatoso, poi prese la rincorsa e saltò oltre il
tetto che
circondava il cortile, finendo sul marciapiede di una viuzza
secondaria. Quello
che vide lo lasciò a bocca aperta, inducendolo addirittura
strofinarsi gli
occhi.
C'era un... beh, una specie mantide
gigantesca, che era
presumibilmente sbucata dal muro ormai distrutto di una vecchia
stazione
televisiva. Se il mostro, già da solo, era una visione
ripugnante, Sasuke
storse il naso alla vista di un tizio conciato in maniera improponibile
(capelli a caschetto e sopracciglia neandertaliane) che si reggeva ad
una sorta
di coltello piantato saldamente nel cranio della creatura.
Più in basso un
altro idiota, stavolta somigliante a Rambo per via dei vistosi
triangoli rossi
che si era dipinto sulle guance, sparava a ripetizione contro la
mantide, senza
evidentemente rendersi conto che i suoi colpi avevano l'effetto di una
sana
pioggerellina estiva, su un mostro del genere.
-Bene.- commentò,
ravviandosi i capelli -Non ci mancavano i
cacciatori, adesso anche gli insetti giganti da film dell'orrore e i
deficienti
che sperano di abbatterli con le armi della FisherPrice.-
Improvvisamente, poi, l'idiota-Rambo
sembrò riconoscerlo,
perchè lo indicò con un dito e gridò:-
Cazzo, Ade! Dacci una mano, porca
puttana Eva!-
-Deficienti che a quanto pare
conoscono il mio nome...-
considerò il moro. Poi, dando un'occhiata ai vestiti
macchiati di sangue di entrambi
i militari, decretò che salvarli era un'opera di bene che
gli avrebbe riempito
il cuore di taaanta gioia.
Ma anche no. Era solo una scusa in
più per ritardare il
salvataggio di Hinata.
Spinse con i tacchi sull'asfalto,
dandosi lo slancio
necessario per atterrare proprio di fronte al pazzoide con i triangoli
rossi e
sfilargli delicatamente la mitragliatrice tra le mani.
-Questa...- spiegò,
torcendo il metallo della canna fino a
renderlo appuntito come una lancia -...non farà mai nulla ad
un mostro del
genere. Ha la pelle troppo dura e un tessuto muscolare troppo forte
perchè tu
possa ferirlo con un giocattolo come questo.-
Kiba fissò il nuovo
arrivato con gli occhi spalancati, oro
nella pece, chiedendosi da quando aveva accettato di prendere lezioni
sull'artiglieria da un frocetto più piccolo di lui. Non
vocalizzò i propri
pensieri solo perchè Sasuke lo bruciò sul tempo,
balzando sul dorso della
mantide, che nel frattempo si dibatteva forsennatamente, e cominciando
ad
aggredire la base del secondo cranio con l'arma che si era appena
creato
mutilando un Kalashnikov.
Per quanto la creatura tentasse di
abbrancarlo, rigirando
in continuazione le zampe, questi si era accomodato in un punto cieco e
praticamente irraggiungibile, senza contare che era troppo teso e
concentrato
per commettere goffaggini di fronte ai colpi scoordinati dell'insetto.
Alla
fine, con uno strillo acutissimo e uno schizzo di sangue, la testa
rettile finì
sull'asfalto, per venire schiacciata dopo pochi istanti dalla zampa di
quello
che era il suo corpo di origine.
Contestualmente, la mantide
riuscì a mettere a segno un
colpo, scaraventando Sasuke sull'asfalto dopo avergli sfregiato una
spalla.
-Cazzo...- sibilò il
ragazzo, stringendosi la parte lesa.
Non ci voleva proprio, non in quel frangente, ma non poteva darsi per
vinto.
Era un taglio, un fottuto taglio che gli sarebbe guarito in un
pomeriggio.
Si raddrizzò, fissando il
proprio nemico che, forte
dell'offesa subita, aveva ripreso ad attaccare con più forza
di prima . La
testa vera e propria sarebbe stata più difficile da
abbattere rispetto al
cranio rettile, poco ma sicuro, e lui non riusciva a muovere bene il
braccio
destro. Doveva farsi venire un'idea, e in fretta.
***
La Madre interruppe per un attimo il canto,
socchiudendo gli occhi.
No, non andava proprio bene che i suoi figli si comportassero
così. Non
dovevano fare del male al piccolo Ade, sarebbe stato proprio un peccato
perderlo...
-Ade...-
la sua
voce risuonò metallica, inumana, priva di qualsiasi
inflessione -... salvo. Salvo, salvo, salvo!-
cinguettò poi, facendo ciondolare le gambe avanti e
indietro. Scosse la testa,
lasciando che i lunghi capelli setosi le scivolassero via dalle spalle,
poi
accennò un sorriso nella penombra in cui era immersa. Quel posto le piaceva, era caldo e
morbido. Be', non sapeva nemmeno
cosa fosse precisamente quel posto,
ma amava starci e quindi vi rimaneva per la maggior parte del proprio
tempo.
Perchè avrebbe dovuto fare
altrimenti? Gli umani la
infastidivano, con il loro inutile obbligarsi a fare cose inutili e
innaturali,
a comportarsi anteponendo i propri doveri alle pulsioni naturali. Lei
le
seguiva, faceva quello che voleva quando lo voleva, niente di
più. E, in quel
momento, il suo massimo desiderio era avere lui
tutto per sè. Lui non
era umano,
no... non lo era più, almeno, e da quanto poteva ricordare
non lo era mai
stato. Ma la sua mente divagava sempre, quando pensava a lui,
trascinandola in abissi inesplicabili pieni di pensieri
intricati e occultati da un fitto velo di nebbia. Non amava pensare al
passato,
a quello che poteva nascondere.
-Ti lascerò libero,
così potrai salvare il piccolo Ade.-
decise, puntando il dito indice verso l'alto.
Da qualche parte, a qualche isolato di
distanza, Zeus spalancò
gli occhi di scatto.
***
-Ade?- Zeus sbattè le
ciglia, mettendosi seduto. La testa
gli girava, impazzita, e sentiva le gambe molli e tremolanti.
-Che cazzo è successo? Dove
sono?- le sue domande
risuonarono per tutto il cortile, senza ricevere risposta. Si
alzò in piedi,
ignorando un lieve attacco di vertigini, e cercò di fare il
punto della
situazione: si ricordava soltanto un fortissimo dolore alla testa, un
fischio
acuto nelle orecchie e poi il buio. Si avvicinò al muro, e
dopo un'ulteriore
vertigine comprese che non sarebbe riuscito a superarlo con un salto.
Poggiò le
mani sulla superficie ruvida della parete e cominciò ad
arrampicarsi, agile
come una lucertola, finchè non riuscì ad issarsi
sul tetto con uno sbuffo. Era
ridotto piuttosto male... di solito un ostacolo del genere lo avrebbe
superato senza
nemmeno pensarci.
Una volta sul tetto, però,
non ci fu tempo per dedicarsi al
check-up del proprio corpo: gli bastò guardare in basso per
rimanere a bocca
aperta, vagamente stordito di fronte allo spettacolo di un insetto
gigante che
cercava di uccidere il suo principale complice e un paio di altri
cretini di
cui non gli importava nulla. Lasciò scivolare lo sguardo
sulla mantide,
assottigliando gli occhi nel tentativo di ricordare dove avesse
già visto una
creatura simile a quella. Improvvisamente, la risposta gli
salì alle labbra.
-U-3.- sibilò,
improvvisamente consapevole della pazzia che
Ade stava compiendo -Cristo. Non può assolutamente
ucciderlo, quel coso è
praticamente immortale!-
Senza ragionare su quello che stava
facendo oltrepassò il
cornicione, lanciandosi nel vuoto. Cadde proprio al centro della
strada, tra la
mantide, i soldati ed Ade, guadagnandosi una serie a dir poco
pittoresca di
occhiate inorridite.
-Beh, che c'è?- l'insetto
lo fissò, sbattendo le palpebre
un paio di volte -Non mi aspettavate, vero?-
Kiba si girò verso Sasuke,
lanciandogli un'occhiata
penetrante carica di significato. Significato che, ad occhio e croce,
si poteva
tradurre con "muovi il culo e ammazza questo bastardo, idiota!".
-Ehm...-
-Ah, Ade...- ti
prego, non sorridermi, non guardarmi, fa in modo che non si accorgano
che io e
te siamo complici -...
quasi mi ero
dimenticato di te, misero bastardo.-
-Eh?- a quel punto Sasuke avrebbe
voluto possedere un
registratore, o comunque un qualche marchingegno capace di riavvolgere
il filo
intricato della sua vita e riportarlo ai cinque secondi precedenti.
Zeus stava recitando, vero? Non si
era svegliato
dalla trance con un improvviso desiderio omicida, vero?
Le sue supposizioni si fecero ancora
più nefaste quando il
biondo, senza alcun preavviso o delicatezza, lo afferrò per
il braccio ferito e
lo scagliò in aria, catapultandolo a una trentina di metri
da terra. Sbattè
contro l'asfalto senza farsi eccessivamente male, ma finse un
improvviso dolore
lancinante e se ne rimase lì, a contorcersi in mezzo alla
strada come un povero
umano in fin di vita.
All'altra estremità della
carreggiata, Zeus fissava Kiba e
Rock Lee con una certa curiosità, senza badare alla mantide
che, fiutato il
pericolo, se ne stava immobile in attesa del momento propizio per
colpire. Il
suo istinto le diceva che, in qualche modo, quella piccola creatura
dall'aspetto umano poteva essere pericolosa almeno quanto lei.
-Allora?-
-"Allora" cosa, Zeus? Ci ucciderai?-
-Nah. La vostra morte non mi
servirebbe a nulla. Soltanto,
posso chiedervi perchè stavate bisticciando con U-3?
Può essere molto
pericoloso, sapete?-
-Ma fatti i cazzi tuoi, razza di
stronzo! Quel fottuto
figlio di puttana ha ammazzato il nostro capo, come cazzo pensi che
dovrei
comportarmi!?- la voce del castano trasudava rabbia, tristezza e
veleno. Un mix
che, per qualche strana ragione, a Zeus piacque molto.
-Beh, c'è sempre un lato
positivo. Adesso sei sotto shock e
il massimo che puoi fare è incazzarti, ma pensa che, appena
sarai al sicuro in
un posto tranquillo, comincerai a capire l'enormità di
ciò che è successo e
probabilmente avrai un bel collasso emotivo. Sei una creatura debole, e
per
quanto tu possa lottare rimani sempre tale.- sorrise, sornione, mentre
pronunciava quelle parole.
-Ehi, non ti permetto di trattare
così il mio compagno di
squadra!-
-Aaaah, che noiosi che siete!- Kiba e
Rock Lee lo
fissarono, sconvolti -Io stavo solo scherzando!-
-Eh? Che cazzo dici, ragazzino?-
Ma Zeus, già pieno di
disinteresse per la conversazione,
aveva alzato gli occhi al cielo, iniziando a canticchiare "Child in Time" dei Deep Purple.
-Ehi, Zeus!- Kiba trovava quella
situazione a metà tra il
fantascientifico e il grottesco. Se non l'avesse visto saltare dalla
cima di un
palazzo di sette piani, difficilmente avrebbe creduto che quello fosse
Zeus.
-"Sweet
child in time you'll see the line... the
line that's drawn between the good and the bad ..."-
-Zeus! Si può sapere che
cazzo stai facendo?-
-"See
the blind man shooting at the world...
bullets flying taking toll"... ah sì, quasi dimenticavo. Il vostro capo non
è affatto morto.-
Rock Lee per poco non si
strozzò con la propria saliva:-
C-come!?-
-Già, anche se quella
poveraccia è ridotta piuttosto male.
Credo stia agonizzando.-
Neanche il tempo di concludere la
frase, che i due militari
erano già corsi dentro il palazzo, chi gridando bestemmie e
chi ringraziando il
Signore per la grazia ricevuta. La diversità umana era
veramente deliziosa,
Zeus la trovava affascinante.
U-3 accennò un passo in
direzione dei due fuggiaschi, ma fu
prontamente bloccata dal Prototype, che la afferrò per una
zampa.
-No, tu non vai da nessuna parte...-
Zeus strinse la presa, concentrando la
forza nei muscoli del
braccio e flettendolo all'improvviso.
La mantide schizzò in aria
come un missile, sbattendo
contro la facciata di un palazzo e scorticandosi buona parte
dell'addome, che
cominciò a rovesciare sull'asfalto litri di sangue violaceo.
nell'aria si
levarono dei versi simili ai guaiti di un cane, mentre U-3 retrocedeva
lentamente, conscia di non avere possibilità contro il nuovo
arrivato.
Il Prototype, tuttavia, non provava
interesse alcuno nel
lasciarla viva.
Diede un pugno all'asfalto con tutta
la forza che aveva,
immettendo un po' della propria essenza nel terreno. Sentì
il proprio corpo
scorrere sotto la crosta di bitume, ramificarsi e allungarsi come le
radici di
un albero, finchè, una frazione di secondo dopo, nel preciso
punto in cui si
trovava U-3 sbucarono delle spine enormi, nere ed appuntite, che
impalarono la
mantide senza pietà. L'insetto cercò debolmente
di liberarsi, contorcendo il
corpo ormai ridotto a brandelli, ma ben presto abbandonò la
testa e spirò.
-Visto, Ade?- esclamò Zeus,
a voce abbastanza alta perchè
il moro potesse sentirlo -Ci voleva poco!-
Sasuke si avvicinò di
corsa, ormai totalmente
disinteressato ai due soldati che, all'interno dell'edificio, tentavano
di
prestare qualche cura medica al proprio capo.
-Cosa ci fai tu
qui?
Cretino, vuoi che ci scoprano?-
-Quello era uno degli attacchi
distruttori. Si chiama
"Artiglio Cimitero".-
-Zeus! Non mi interessano i nomi dei
tuoi attacchi!-
-Mhm... peccato. Comunque, nel caso
non te ne fossi
accorto, sono qui per salvarti il culo.-
-Ah davvero? Guarda che non ne avevo
bisogno.- sibilò
Sasuke, indicando lo squarcio sul braccio che si richiudeva a vista
d'occhio
-Quando sono in forma mi rigenero più in fretta.-
-E' questo testimonia quanto siano
grezze le tue capacità.
Ma mi piaci anche per questo...- sorrise il biondo, costringendo Sasuke
a
dirigere lo sguardo verso una vecchia impalcatura -... e comunque
c'è una cosa
che dovremmo fare, prima di andarcene.-
-E sarebbe?-
-Il capo di quei tizi, quello che
è stato ferito a morte,
non è altri che la signorina Tenten Ibarashi.-
Sasuke spalancò gli occhi,
sentendosi improvvisamente
mancare la terra sotto i piedi.
-Co... no, dimmi che è uno
scherzo...-
-Niente affatto. E proprio
perchè è del tuo unico contatto
con l'esercito che stiamo parlando, secondo me ti converrebbe salvarle
il culo.
Non per essere pessimista, ma i militari potrebbero incazzarsi se
sapessero che
te la sei squagliata senza nemmeno provare a dare una mano.-
-Tch... tanto quei due moriranno qui.-
-Non credo proprio. Immagino che si
siano portati dietro un
telefono satellitare, e non ci vuole nulla a chiamare un elicottero per
farsi
venire a prendere. Ah, e di ucciderli per tappar loro la bocca non se
ne parla
nemmeno.-
-E perchè, scusa? Ti fanno
forse pena?-
-No. Ma il tipo con i sopracciglioni
mi sta proprio
simpatico.- ghignò, grattandosi un orecchio.
Sasuke sbuffò, chinando la
testa per nascondere
l'espressione seccata.
"Ed ecco a
voi il lato filantropo di Zeus... preferivo quello con manie omicide."
-E' evidente che non mi conosci, Ade.
Se così fosse,
difficilmente preferiresti la mia parte violenta.-
-Ok, ok... sbrigati ad aiutare quei
due idioti, non abbiamo
tutto il giorno!-
-E perchè no?- ah,
già. Zeus era svenuto prima che
cominciasse l'attacco dei Cacciatori, quindi non poteva saperne niente.
-Te lo spiego dopo. Adesso fai quello
che devi fare, per
favore.-
-Uhm... ok. Reggimi il gioco.-
Lo afferrò per un braccio,
iniziando a trascinarlo
attraverso le macerie della facciata appena crollata. Ade
accennò qualche
strattone, perchè la presa di Zeus gli faceva veramente
male, ma questi non
accennò nè a lasciarlo, nè a girarsi.
L'interno dell'edificio era
completamente foderato di una
sostanza bianca e lanuginosa che a Sasuke parve zucchero filato, un
morbido
velo bianco che copriva tutto ed era spezzato solo da una macchia rossa
nel
punto esatto in cui sostavano i tre militari.
-Questo nido è davvero
splendido. U-3 deve aver impiegato
giorni e giorni per costruirlo.-
-Splendido? Non credo di capirne la
bellezza, allora.-
Poi tacquero, finchè non
giunsero accanto alla macchia di
sangue. Kiba, in ginocchio, teneva la testa di Tenten leggermente
sollevata,
mentre Rock Lee si adoperava per bloccare la perdita di sangue. Con
scarsi
risultati, tra l'altro, visto che sul petto della donna si apriva uno
squarcio
lungo e profondo.
Zeus spintonò via Ade,
facendolo cadere per terra con un
grugnito, poi si avvicinò al gruppetto. Kiba si
sollevò, puntandogli contro la
propria arma e intimandogli di allontanarsi.
-Stai lontano da lei, mostro.-
-Tranquillo, umano.
Non ho intenzione di farle del male, anzi.-
-Come puoi pretendere che io ti
creda!?-
-Non pretendo nulla. Ma se non mi
lasci passare, lei
morirà.-
-Non è vero. Abbiamo
chiamato un elicottero, ci verranno a
prendere e...-
-Morirà.- Zeus
fissò il castano con i suoi imperturbabili
occhi celesti, come se avesse dovuto impartire una lezione
particolarmente difficoltosa
ad un bambino piccolo -Questa donna ormai è infetta.-
Kiba boccheggiò, le mani
improvvisamente tremanti:- No,
non...-
-Nessuno sa di preciso come si
trasmetta il virus Idra, ma
ti posso garantire che un taglio del genere in un posto come questo
è il
miglior veicolo per far sì che l'organismo venga corrotto.
Come se non bastasse
glie l'ha procurato U-3, che era un concentrato di virus semovente.-
-Vuoi dire che non c'è
più nulla da fare?-
-Ammesso e non concesso che riusciate
ad arrestare
l'emorragia, il vostro capo si trasformerebbe in uno zombie nel giro di
tre
giorni. Tuttavia, se lasciate fare a me, non correrete alcun rischio.-
-Che intendi fare?-
-Con un sistema simile a quello che
uso per assorbire,
risucchierò via il virus dal sangue. E' una procedura
abbastanza delicata, ma
sono sicuro di potercela fare. Una volta rimosso l'Idra, poi,
introdurrò al suo
posto l'antigene che mi consente di mantenere il pieno controllo delle
facoltà
mentali, così il vostro capo sarà praticamente
immune dal virus per tutto il
resto della vita.-
-Puoi fare una cosa simile?-
domandò Kiba, sorpreso.
Zeus chinò la testa,
improvvisamente triste, ed espirò un
"sì, posso", che risuonò carico di significati
nel silenzio polveroso
in cui erano immersi gli interlocutori. Poi si avvicinò e
posò delicatamente
due dita sulla ferita di Tenten, corrugando le sopracciglia per lo
sforzo.
Dalla spalla, repentini, cominciarono
a fuoriuscire i
consueti viticci neri e rossi, sottili come barbigli, che ben presto
ricoprirono tutto il braccio in un caos vivo e pulsante. Iniziarono a
sfiorare
la pelle della donna e a fissarvisi come delle ventose, scandagliando i
bordi
slabbrati del taglio con precisione anatomica. Bel presto il sangue
cominciò a
fluire via dalla ferita, risucchiato dai viticci, mentre una sostanza
chiara e
rosata veniva immessa al suo posto nel sistema circolatorio.
La fronte di Zeus si
imperlò di gocce di sudore, mentre
questi cercava di dominare i suoi poteri per fare in modo di prendere
solo il
necessario, di non distruggere quel fragile organismo umano. Contenersi
era
difficile, eppure, alla fine, ci riuscì.
Staccò il braccio con uno
strattone, lasciando una serie di
puntolini rossi sulla pelle chiara della castana, poi si
tirò in piedi e prese
a massaggiarsi le tempie.
-Cazzo... è stato
più faticoso di quel che pensassi...-
-Ma... adesso sta bene, vero?- chiese
Rock Lee, sfiorandole
la fronte sudata con delicatezza.
-Sì. Purtroppo non posso
rigenerare in alcun modo la carne.
Voi vi siete fatti qualche ferita?-
-No.- dissero, in coro, fissando il
biondo con aria
stralunata.
-Zeus...- mormorò il
castano, avvicinandosi, dubbioso -... permetti
una domanda?-
-Purché non riguardi
informazioni strettamente personali.-
-Perchè ti preoccupi per
noi? Che senso ha avuto aiutarci?-
-Beh...- il Prototype
ghignò -... non sono poi il freddo
assassino che tutti credono. Se una morte non mi è in alcun
modo necessaria, mi
astengo dal causarla.-
-In questo caso... grazie. Ti siamo
debitori.-
-Non dite sciocchezze. I capoccioni
potrebbero arrabbiarsi
se vi sentissero, sapete?-
Poi si volto, e, così come
era comparso, sparì dietro un
mucchio di macerie.
Ade, senza bisogno di gesti o parole,
sapeva di doverlo
seguire. Si alzò e mosse qualche passo nella direzione
prescelta, prima di
venire bloccato dalla voce di Rock Lee.
-Tra te e il Prototype c'è
qualche strano patto, non è
così? Non ti avrebbe mai lasciato in vita, altrimenti.-
-Non sono affari che ti riguardano.
Pensa a combattere, non
a parlare.-
"Bene", pensò, una volta fuori, "adesso andiamo ad occuparci della ragazzina."
_Angolo
del
Fancazzismo_
Bene, signori, domani iniziano i miei
esami di terza media.
Dire che ho il latte alle ginocchia è un eufemismo, quindi
spero che recensirete
numerose per mettermi un po' di buonumore prima della fatidica trafila
di
compiti in classe. Se non dovessi riuscire a tornare viva da cotale
impresa,
sappiate che vi voglio un mondo di bene :)
Oggi vi scrivo una risposta alle
recensioni
"globale", perchè non ho tempo di dedicarmi a tutti in egual
modo. Spero
comunque che vada bene.
Innanzitutto, ringrazio coloro che mi
hanno rassicurato
sugli esami, coloro che mi hanno detto "in bocca al lupo" e coloro
che mi hanno fatto i complimenti per come scrivo. Grazie mille, davvero
^^
Ci tenevo a comunicarvi che scoprirete
l'identità della
madre nel prossimo capitolo, in cui non verrà nominata
direttamente, ma verrà
descritta in modo che possiate capire. Mi scuso con tutti per il
ritardo, e
spero che anche questo chap vi sia piaciuto (attenzione, non
sottovalutate
quello che è accaduto qui, è molto più
che un semplice capitolo
"riempitivo"). Mi avete fatto ridere con i vostri commenti sui miei
piccoli Kiba e Rock Lee, cosa di cui vi sono infinitamente grata, e vi
assicuro
che quel fantastico scaricatore di porto (cito testuale) ha ancora in
serbo
numerose sorprese. Sasuke... beh, un Uchiha è pure sempre un
Uchiha xD! Non
potete pretendere dolcezza e smancerie da uno con un culo d'anatra in
testa,
non trovate? Ma non preoccupatevi, Hinata in un modo o nell'altro
riuscirà a
spuntarla. E' una tosta, quella ragazza.
Un ringraziamento particolare va a
Nana97 (che, da quanto
ho capito, è una nuova fan di questa storia xD) che
è stata in grado di farmi
saltellare per la stanza con il suo fantastico neologismo,
"spettacoloso".
Grazie a tutte/i, ci vediamo nel
prossimo chap!
See you soon,
Roby
|
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Capitolo 8 *** Mommy ***
007
– Mommy
-In pratica…-
esordì Zeus, mentre si avvicinavano alla
massima velocità possibile verso il palazzo -…
sono caduto in una specie di
come delirante, e nel frattempo i cacciatori, capitanati dal Bel
Pupone, hanno
mosso un attacco verso il mio rifugio?-
-Il succo è questo. Se ci
togli la ragazzina che si fa
venire le risi isteriche, io che cerco di portarti in salvo e
l’attacco di un grillo
gigante, beninteso.-
-Mantide, Sasuke. Non grillo.-
-Ho vissuto in ospedale
dall’età di sei anni, non puoi
pretendere che conosca la differenza tra una mantide e un grillo. In
compenso
potrei descriverti tutte le caratteristiche che distinguono un
fibrosarcoma da
un liposarcoma.-
-Ti sarei grato se mi evitassi il mal
di testa…-
Poi, all’improvviso, Zeus
bloccò Ade con la mano,
facendogli segno di tacere. Si arrampicarono agilmente sulla facciata
di un
palazzo, fino a raggiungere il tetto e stendersi carponi per
ispezionare la
strada sottostante senza essere visti.
-Beh, pure un cieco demente si
accorgerebbe che questa è
una trappola. Mai visto niente di più spudorato.-
-Grazie, Sas’ke, ma credo di
poterci arrivare anche da
solo.-
E, in effetti, Zeus non era
così stupido da non capire che
il suo palazzo, accerchiato da cacciatori palesemente calmi e in attesa
di
qualcosa, si era appena trasformato in una gigantesca trappola per
topi.
Altresì, comprendeva appieno di essersi entrato nella parte
del roditore che
vuole raggiungere il formaggio, ma sa che, anche nel caso in cui
riuscisse ad
appropriarsi dell’esca, morirebbe sotto le unghie del grosso
gatto nero che fa
la guardia alla trappola.
-Come facciamo a raggiungere Hinata?
Se anche usassi uno
degli attacchi distruttori potrei farne fuori al massimo una decina,
non di
più. E ciò non ci fornirebbe il tempo necessario
per scappare.-
-L’ideale sarebbe qualcosa a
grosso raggio… quell’attacco
che hai usato prima… ah, “Artiglio
Cimitero”, ecco… non potresti espanderlo a
tutto il terreno che circonda il palazzo?-
-No. Mi prosciugherebbe completamente,
senza contare che la
fatica potrebbe uccidermi. E poi potrei colpire qualche tubatura del
gas, o dei
cavi elettrici, e sono immune a tutto, ma non al fuoco o ad una
folgorazione.-
-Il fuoco… e se li
bruciassimo?-
-E come, scusa?-
Gli occhi del moro si illuminarono di
una strana luce
sadica, prima che si decidesse a rispondere.
-Un serbatoio di benzina. Di quelli
che tengono nelle basi militari
come riserva di carburante. Lo rubiamo, glie lo lanciamo contro e
poi...-
-Boom.- concluse Zeus, finalmente
soddisfatto del proprio
collaboratore dopo quella che si era rivelata una giornata di fiaschi.
–Beh,
sbrighiamoci a trovare questo serbatoio, prima che il Cacciatore
Supremo decida
di farsi uno spuntino usando Hinata come stuzzicadenti.-
-… cosa che peraltro non mi
dispiacerebbe.-
-Sas’ke!-
-Ok, ok…-
Fecero un rapido dietrofront, poi Zeus
svoltò bruscamente a
sinistra, verso Central Park. Si muovevano agilmente tra i palazzi,
improvvisando delle evoluzioni per schivare rapidamente gli ostacoli.
All'improvviso,
però, Sasuke riesumò un piccolo particolare
riguardante le sue conoscenze su
Manhattan.
-Ma da questa parte non dovrebbe
esserci la 5th Avenue?-
-Esatto! Ci hanno costruito un
minuscolo avamposto, ma dopo
qualche giorno l'idra ha infestato un edificio limitrofo e l'ha
trasformato in
un alveare. Vedrai che macello... ci sono ancora delle unità
blackwatch che
resistono, ma sono completamente isolate e hanno tutte le
apparecchiature fuori
uso, quindi dubito che il Quartier Generale li salverà.-
-E tu come fai a sapere tutte queste
cose?-
-Perchè assorbo i militari,
no?-
-Bah...- commentò Sasuke,
schivando un cartellone
pubblicitario della Coca Cola con un salto acrobatico -... il giorno in
cui
capirò da che parte stai potrò ritenermi
pienamente soddisfatto della mia
vita.-
-Io non sto da nessuna parte. Anzi, a
pensarci bene credo
di rappresentare una fazione a sè stante. Non è
una figata?-
-Il tuo concetto di "figata" esula dal
senso
comune, sai?-
-Ti risponderei se capissi il
significato della parola
"esula"...-
Sasuke sbuffò, aumentando
il ritmo per portarsi più vicino
a Zeus. Erano praticamente arrivati, e già gli infetti
gironzolavano per la
strada sottostante, tra taxi ribaltati e immondizia di tutti i tipi che
intasava completamente le due corsie. Il moro lasciò
scorrere lo sguardo su
quelle creature, così simili agli zombie che tanto lo
spaventavano quando
vedeva i film horror in TV, e pensò ghignando che a volte la
realtà, nella sua
crudezza, supera persino la fantasia.
Infine, la base comparve in fondo alla
strada.
La barricata era quasi completamente
distrutta, mentre
delle torrette mitragliatrici e dei fari di segnalazione non c'era
più traccia.
L'asfalto era completamente rosso di sangue, coperto da una macchia
scarlatta
che giungeva fino alla base dell'alveare, una decina di metri
più in là.
Si sentiva un confuso rumore di spari
e urla di paura, le
stesse che Sasuke aveva già udito in decine di circostanze
diverse. Era tutto
maledettamente uguale. Sempre.
Ormai gli sembrava quasi che la sua
vita fosse un disco
rotto, in cui le situazioni si ripetevano in maniera ossessiva, senza
nè inizio
nè fine. Ma, in fondo, non poteva farci niente. Era
completamente impotente.
-Non sarà difficile
prendere la benzina. Il punto è: sei
disposto ad ucciderli, o mi toccherà assistere ad un altro
episodio di carità
in puro stile "madre Teresa"?-
-Nah...- sibilò Zeus,
mentre il braccio diventava lama,
fredda e baluginante nel sole estivo -... questi non mi servono a
niente. E
poi, uccidendoli ne alleviamo le sofferenze, o no?-
-Già. Anche se non credo
che loro siano molto d'accordo.-
I soldati smisero di respirare nel
giro di qualche minuto.
Il biondo rubò un accendino da uno dei cadaveri,
infilandoselo in tasca, poi
adocchiò un serbatoio di benzina, dalla forma vagamente
cilindrica, che
giaceva, miracolosamente illeso, in un angolo della base.
-Quanti litri di carburante ci saranno
là dentro?-
-Sicuramente più di mille.
Ce la fai a trasportarlo?-
-Scherzi!?- esclamò Zeus,
afferrandolo e sollevandolo senza
nessuna fatica apparente -Tiro su gli autocarri, questo coso non
è poi così
pesante. Anche se credo che dovrai darmi una mano a portarlo, se
vogliamo che
arrivi tutto intero al rifugio.-
-Ok.-
Il biondo lo afferrò da una
parte, mentre Ade si occupò di
tenere la metà posteriore. Partirono così, molto
più lenti e sgraziati a causa
del carico, e in breve tempo raggiunsero il palazzo che avevano
precedentemente
utilizzato come punto di osservazione.
-Bene, e adesso...-
-Aspetta, Zeus. Stavo pensando... se
lo tiri da qua la
benzina finirà solo su questo lato del palazzo e su quello
che sta più in basso,
perchè siamo in discesa... se invece lo butti dall'altro
lato la pendenza farà
colare giù il carburante e il diversivo
funzionerà decisamente meglio.-
-Dici?-
-Sì.-
-Va bene, allora. Spostiamo questo
coso e arrostiamo quei
pezzi di merda.-
***
Hinata non era mai stata una persona
violenta. Anzi, tutto
il contrario: più che altro timida, gentile e introversa.
Persino dolce e
vagamente zuccherosa, se trovava qualcuno con cui si sentiva a proprio
agio, ma
violenta o iraconda mai.
Eppure, in quel preciso momento in cui
Sasuke e Zeus discutevano
per decidere il punto migliore per lanciare il serbatoio, il suo
maggior
desiderio era quello di scendere dal tetto e, se avesse potuto,
strangolare i
cacciatori a mani nude, uno per uno.
Peccato che il suo fragile corpo umano
non le consentisse
che di starsene ferma in mezzo alla terrazza, come un pulcino di merlo
alla
completa mercé degli avvoltoi, con le dita infilate nella
polvere e il sudore
che, a piccole gocce, le scendeva inesorabile dalla fronte.
Sentiva la puzza di cadavere che
mandavano quei... quegli esseri,
giù in basso, e pregava con
tutto il cuore che a nessuno di loro venisse in mente di fare uno
spuntino,
perchè sapeva perfettamente che, per un cacciatore,
arrampicarsi su un palazzo
di media altezza come quello era una sciocchezza. E ce n'erano talmente
tanti,
ed erano talmente vicini, che poteva sentire il ritmo del loro respiro,
come un
lieve tremolio nell'aria immobile che la circondava.
-Vi prego... sbrigatevi...-
singhiozzò, cercando di fare
meno rumore possibile. Sapeva di non stare simpatica al ragazzo moro
che aveva
portato via Zeus, e immaginava che non si sarebbe di certo scomodato a
salvarla. Sempre che il biondo non si fosse svegliato,
perchè in quel caso la
sua vita sarebbe stata salva.
O, almeno, c'era una minima
possibilità che ciò accadesse.
Improvvisamente, Hinata udì
un forte stridore metallico. Sobbalzò,
poi si girò verso la fonte del rumore e vide qualcosa che
non si sarebbe mai
aspettata. Beh, non che una cisterna volante sia roba di tutti i giorni.
-Che... com'è possibile?-
si domandò, osservando il
serbatoio che, compiendo un arco molto preciso e aggraziato, cadde
sull'asfalto
e si spaccò, rovesciando il suo contenuto per tutta la
strada. Hinata vide la
scena a rilento, come se un regista imprecisato avesse inserito la
moviola, e
quando udì le grida di allarme dei cacciatori si riscosse di
soprassalto, quasi
con violenza.
L'olfatto fu il terzo senso a
risvegliarsi, subito dopo
vista e olfatto. Quello che percepì fu una terribile,
asfissiante puzza di
benzina, che saliva dall'enorme pozza sull'asfalto fino al tetto. La
dottoressa
si alzò in piedi, cercando di capire da dove provenisse la
cisterna, e si
sporse leggermente oltre il bordo, aguzzando la vista.
Forse avrebbe fatto meglio a rimanere
seduta.
Infatti, non fece in tempo a notare un
vago baluginio, come
una scintilla che cadeva sulla benzina, che tutto il carburante prese
fuoco di
colpo, innalzandosi in vampe e lingue di fiamma che avvolsero in breve
l'intera
base dell'edificio. I cacciatori rimasero coinvolti nell'incendio, e,
se alcuni
tentarono di scappare con la pelle che andava a fuoco, come una
gigantesca
torcia, altri rimasero fermi, a dibattersi e contorcersi per il dolore.
Il
terreno iniziò a tremare, e la mora si aggrappò
con tutte le proprie forze
all'apertura della botola, terrorizzata.
"Portatemi
via di qui, portatemi via di qui, portatemi via di qui..."
-Hinata! Tutto ok?- si girò
verso la voce, la sua voce,
spalancando gli occhi con il
cuore gonfio di sollievo. Poi, senza rendersi conto di ciò
che stava facendo,
si lanciò - letteralmente - tra le braccia di Zeus,
affondando il viso nel suo
petto e affogandoci i singhiozzi isterici che la scuotevano come uno
stelo d'erba.
-Ehi, tu...- sibilò Sasuke,
cercando di distoglierla dalla
contemplazione della felpa di Zeus -... cosa pensi di...-
-Giù
le mani dal mio
bambino.-
I tre si girarono, all'unisono, verso
la voce nuova e
sconosciuta che li aveva appena interpellati.
Ciò che videro sarebbe
rimasto loro in testa per molti,
molti anni a seguire.
***
Zeus fissò la figura che lo
fronteggiava, incapace di
proferire parola.
Era una donna.
Aveva gli occhi verdi, lucenti come
smeraldi. Ma erano
anche vuoti come ciottoli, privi di quella luce che contraddistingue
gli esseri
viventi propriamente detti.
I capelli, lunghi fino alle ginocchia,
le serpeggiavano
attorno come una nugolo di serpenti, mossi da vita propria. Ed erano
rossi,
rossi come il sangue fresco, come le fiamme e il fuoco e le rose appena
colte,
e sembravano bruciare e riflettersi in quelle orbite lucide e vuote, in
un
gioco di contrasti e chiaroscuri che rendeva la donna ancora
più strana, più
misteriosa di quanto già non fosse.
Il volto era acceso da un'espressione
di rabbia e ferocia, che
deformava i lineamenti squisiti in una maschera inumana che, pur
mantenendo
intatti fascino e grazia, non comunicava che sentimenti di odio e
rancore.
Era una donna.
Perdio, lui ricordava di averla
già vista, ma dove!?
-Zeus...- deglutì Sasuke,
accennando un mezzo passo
indietro -... guarda là.- indicò i piedi della
creatura, circondati da uno
spesso alone di Idra, che era riuscito a penetrare nell'intonaco e
continuava
ad espandersi sul tetto, infestandolo.
-Tu...- mormorò il biondo,
rivolgendosi alla nuova arrivata
-... infetti tutto ciò che tocchi, non è
così?-
-Esatto.- cinguettò lei, in
risposta. Aveva una voce
metallica, che sembrava quasi ritoccata con il computer. Niente di
umano, in
ogni caso.
-Come... come ti chiami?-
azzardò Sasuke, i peli delle
braccia dritti per una sensazione che somigliava spaventosamente al
terrore.
-Elizabeth Greene.- sorrise,
inclinando la testa di lato
con affettazione -Ma questo non è il mio vero nome. E' come
mi chiamavano loro.-
-"Loro"?
Chi sono "loro"?-
-Sono delle persone mooolto cattive, e mi hanno fatto
taaaanto male. Però
adesso io sto facendo i dispetti, così quando loro
si saranno stufati verranno a cercarmi... e
io potrò vendicarmi.-
"Questa
sì
che ha il cervello fritto a causa del virus!" esclamò Sasuke, sicuro che
Zeus avesse capito. Poi si girò
di nuovo verso Elizabeth, rivolgendole uno sguardo disgustato.
-Cosa sei? Un mostro? Un'evoluzione
dei cacciatori?-
-Oh, no...- mormorò lei,
sporgendo il labbro in fuori come
una bambina - ... io sono la madre.-
-"Madre"... quello che dici non ha
senso.-
-Oh, eccome se ce l'ha!-
trillò lei, facendo una mezza
piroetta e un saltello -Voi siete il risultato.
Ah, se solo Miko-chan fosse qui... noi eravamo tanto amiche, sapete?-
Sasuke si irrigidì.
-Miko-chan?
Non
sarà mica...-
-Non è tempo di parlare,
questo!- lo interruppe la rossa,
levando un indice nella sua direzione.
-E perchè no?-
-Perchè adesso...-
mormorò lei, facendo un passo in avanti
-... la ragazzina morirà.-
Una frazione di secondo. Se Zeus si
fosse spostato una sola
frazione di secondo in ritardo l'artiglio sbucato dal pavimento avrebbe
trafitto Hinata in pieno.
-Ah, cattivo! Se ti muovi non
è divertente!-
Zeus non le diede retta, saltando
oltre il cornicione nel
tentativo di scappare. Gli si parò di fronte un muro di
viticci, che tagliò
trasformando repentinamente il braccio in lama, poi cadde nel vuoto e
lo
strappo si richiuse, nascondendolo alla vista. Ade spiccò un
balzo per
seguirlo, ma mentre precipitava un fascio nero gli si
attorcigliò intorno alla
caviglia, bloccando la caduta e facendolo rimbalzare verso l'alto come
un
elastico da bungee jumping.
-AAAAAAAAAH!- gridò, mentre
la pressione del vento sembrava
quasi bucargli i polmoni. Artigliò la liana con entrambe le
mani, graffiandola
e torcendola finche non si ritrasse, liberandolo.
Cadde in piedi, poi, seguendo l'odore,
corse nella direzione
in cui era scappato Zeus. Sentiva le ossa dolere e un paio di muscoli
dovevano
essersi strappati durante il rimbalzo, ma raggiunse una
velocità tale che ben
presto raggiunse il biondo, evidentemente molto impegnato a porre la
massima
distanza possibile tra la propria persona e quella di Elizabeth Green.
-Ehi!- gli urlò,
avvicinandosi un po' di più -Dici che ci
sta seguendo!?-
-No... sentirei la sua presenza se
così fosse.-
-Che? Sei diventato una specie di
medium, Zeus?-
-Non dire cazzate! Non so come
spiegarlo, ma è come se la
sua mente riuscisse ad accomunare quella di tutti gli infetti... tu
prima non
ti sei accorto di nulla?-
-Beh, no.-
-Quando parla... sento tutti i
cacciatori, sento quello che
pensano. E' come se... ci fosse una specie di coscienza collettiva, non
so come
chiamarla.-
-Oh, che palle... siamo passati
dall'horror alla fantascienza,
eh?-
-Sasuke, non fa ridere. E poi Hinata
sta male, e noi non
abbiamo nessun posto dove andare.-
-Male? Che le è preso
stavolta?-
-Crisi isterica. Immagino che sia
normale, quando si
rischia di morire due volte nella stessa giornata.-
-Bah. Non conosci un altro luogo
sicuro?-
-La parola sicuro
non ha nessun significato in questa città. Potremmo parlare
di
"tranquillo", più che altro. E comunque no, non
c'è niente del
genere. A meno che...-
-A meno che?-
-Ade, tu sei ancora fermamente
convinto che esistano due
sole persone che hanno sviluppato un'affinità particolare
con il virus, e che
queste due persone siamo io e te, giusto?-
-Non dirmi che non è
così. Non. Dirmelo. Oggi ne ho avuto
veramente abbastanza: prima la mantide, o il grillo, come cazzo vuoi
chiamarlo,
poi tu che succhi
via l'idra come se
fosse succo di frutta, poi l'adunata dei cacciatori e infine una pazza
sanguinaria che dice di essere "la Madre" e si diverte
tentando di ucciderci. Non
ne posso più.-
-Ah, ok. Sas'ke, penso che dovresti
prenderti un paio di
giorni di relax, mi sembri un po' troppo su di giri.-
Il moro, tentando disperatamente di
non esplodere, digrignò
i denti e chiese:- Allora, cosa facciamo?-
-Qualcosa di facile e rilassante.
Andiamo da certi miei
amici che vivono nei pressi del porto, sono sicuro che ci ospiteranno.-
-Ok, ok.-
-Sas'ke, sei sicuro di non voler
sapere chi...-
-No. Non mi interessa. E adesso
andiamo.-
***
-Vaffanculo!-
-Uhm?- Sai sollevò la testa
dal tavolo, mandando per aria
un mucchio di fogli.
-Non puoi capire che è
successo. I cacciatori hanno preso
fuoco. E il bello è che, siccome le immagini del computer
sono tutte sgranate,
non riesco nemmeno a capire il perchè! Ah, ma non
è finita, perchè
all'improvviso quelli rimasti se ne sono andati via, in gruppo, in
concomitanza
con lo spostamento del segnale Gps di Ade. E quelli della base della
5th Avenue
non rispondono più alle segnalazioni, merda!-
Shikamaru fece per afferrare una tazza
di caffè, che gli fu
prontamente sottratta dal moro.
-Shika, dovresti finirla con il
caffè. Sei ridotto uno
straccio.- osservò educatamente Sai, vagamente scioccato dal
comportamento
molto poco pigro e menefreghista che il proprio collega aveva assunto
nel giro
di qualche ora. Sembrava completamente fatto, e forse lo era.
La caffeina, si sa, gioca pessimi
scherzi.
-Io ho sete.- dichiarò il
Nara, stoico -Quindi passami quel
caffè di merda e fatti i cazzi tuoi.-
Sai espirò, porgendogli la
tazza. Shikamaru ne tracannò il
contenuto in un sorso solo, tornando poi a battere furiosamente sulla
tastiera.
Improvvisamente, il telefono
dell'ufficio squillò.
-Divisione monitoraggio e
coordinamento delle attività
militari, posso fare qualcosa per lei?-
-A-aiuto!-
-Come, prego?- Sai spalancò
gli occhi, attonito.
-Sono Kiba
Inuzuka,
numero di matricola 349862... siamo stati attaccati, ci troviamo vicino
all'ex
palazzo della CNN... chiediamo soccorso aereo, il nostro capo
è ferito!-
-Ah. Ma questo non è il
centralino di emergenza...-
-HO CHIAMATO
IL PRIMO
NUMERO CHE MI E' VENUTO IN MENTE, VA BENE!? TU NON SEI SHIKAMARU,
GIUSTO? BEH,
DI' A QUEL COGLIONE CHE SE NON MI INVIA UNA PATTUGLIA SUBITO IO GLI INFILO UN CANNONE HARKONNEN SU PER
IL CULO, SONO STATO CHIARO!?-
-Chiarissimo. Manderemo qualcuno a
prendervi al più
presto.- poi, incurante del rabbioso sproloquio che proseguiva
dall'altra parte
della linea, Sai chiuse la comunicazione.
-Chi era?-
-Un tuo amico. Si chiama Kiba Inuzuka,
numero di matricola
349862, ha detto che è stato attaccato e si trova vicino al
vecchio palazzo
della CNN, chiede soccorso aereo perchè il suo capo
è ferito. Ah, e ha
minacciato di sodomizzarti con un cannone Harkonnen se non gli mandi
subito
quello che ha chiesto. E ti ha chiamato "coglione".-
Forse Sai se lo sarebbe dovuto
aspettare.
A poco a poco, il ciuffo ad ananas di
Shika declinò dietro
il bordo della scrivania, mentre il corpo dell'informatico cadeva sul
pavimento
con un tonfo e dalle labbra usciva una sequela di gemiti inconsulti.
-Visto? Te l'avevo detto che troppa
caffeina ti fa male.-
-Ashrga... ki...baaaaah...-
-Non ora, Shikamaru. Devo avvertire il
centralino,
perdonami.-
Sai prese il telefono e
digitò un numero, premendo il
bottone con la cornetta verde.
-Pronto? Qui
centralino di emergenza. In cosa posso aiutarla?-
-Abbiamo una richiesta di soccorso
aereo.-
-Bene, mi
dica.-
E poi, infaticabile, Sai
cominciò a dettare le informazioni
che gli aveva dato l'Inuzuka.
_Angolo
del
Fancazzismo_
Questo capitolo è stata una
fatica bestiale. L'ho scritto
due volte, perchè la prima versione non mi convinceva, ma
non è che questa sia
tanto meglio di quella, alla fine...
Mi fumano le orecchieeeee... provateci
voi a stare un
pomeriggio incollati al pc tra Gorgoroth e Cannibal Corpse! Ahiahi, la
vostra
povera autrice vaneggia...
Meglio passare alle risposte alle
recensioni:
Sarhita: ma daaaaaai... esagerata! Alla fine
non è niente di così
speciale, semplicemente ho preso un videogioco e un manga e li ho fusi
insieme!
Niente di particolare, davvero! Spero che non ti sia venuta una crisi
d'astinenza per il mio ritardo esagerato (chiedo umilmente perdono) e
mi auguro
che questo cap ti abbia soddisfatto come i precedenti! Fammi sapere
cosa ne
pensi ;)... per il passato di Naruto ci vorrà ancora tanto,
perchè la storia è
abbastanza complicata... ehehehe, ne vedrete delle belle!
yume: il tuo "in bocca al lupo"
evidentemente è
servito, perchè sono uscita con dieci e lode!!! Non so
nemmeno io come ho
fatto, nè perchè mi abbiano messo un voto tanto
alto (credimi se ti dico che
non me lo merito) ma sono molto felice e finalmente potrò
godermi una luuunga
estate senza compiti! Siiiii!
Non stupirti se anche in questo cap
non ho risposto
praticamente a nessuna domanda, perchè è
così che deve andare ù_ù!
Più si
dipana la matassa, più si incontrano nuovi nodi!
ryanforever:
ma che
brava recensitrice che seii °w°... adesso finalmente
sai chi è la madre, dopo tanto penare xD! Spero di non aver
deluso le tue aspettative,
e spero anche che tu continui a recensire questa storia come hai sempre
fatto,
regalandomi un sacco di soddisfazione!!
erol98: infatti gli esami erano una c******
(ehm ehm...). Vabbuò,
come hai visto la madre non è Kyubi, e il fatto che sia
Kushina pone una serie
di problematiche che non vedo l'ora di affrontare. Sasuke sfigato? A
pensarci
bene è proprio così xD Quel ragazzo è
una calamita per i guai, inutile
negarlo... ma se non fosse così Zeus che ci starebbe a fare?
Non potrebbe mai
"tirare fuori conigli dal cilindro" (che espressione fantastica xD) e
non potrebbe fare la figura del principe azzurro, se Sasuke non ci
fosse! Quindi
ringraziamo l'idiozia degli Uchiha ù_ù
bradipiro:
alla
povera Hina-chan ne capita una dietro l'altra, ma è
inevitabile che sia così xD... gli esami erano facilissimi,
tanto che ho preso
10 e lode senza aver studiato (e di questo sono tutt'ora sorpresa)...
la madre
alla fine era Kushina, e chissà perchè *si
allontana fischiettando, con un'atro
capitolo già pronto sotto il braccio*... vabbè,
non posso farvi troppe
anticipazioni!
Vaius: benvenuta, nuova recensitrice! Spero
che tu abbia azzeccato
il personaggio della "madre"(non è così
difficile, in fondo molti di
voi l'avevano già capito) e spero che non ti abbia deluso
xD. Hinata che pesta
a sangue Sasuke? Perchè no, potrei farci un pensierino... *_*
shi_angel: mi hai fatto venire un flash assurdo
di kiba e naru che
cantano in coro "Welcome to the Jungle" xD ahahahahahaha, sarebbe
spettacolare! E Sasuke avrà pure una mente contorta, ma le
persone le inquadra
subito bene ù_ù ....
angelica_89:
spero
che anche i tuo esami siano andati bene, pur essendo
decisamente più difficili dei miei! Sono felice che la mia
storia ti
appassioni, e mi stupisco di trovare così tante recensioni
piene di
complimenti! Grazie mille davvero!
Sadako94: mi dispiace, ma Hinata è
ancora viva e vegeta xD no, a
parte gli scherzi, la tua rece mi ha fatto schiattare dalle risate! E
per la
fine dovrai aspettare ancora mooooolto tempo, visto il mostruoso
impiccio che
si profila all'orizzonte ... >_>
kagchan: grazie mille per i complimenti, e...
ma davvero ti
piacciono i Deep Purple? Fantastico! Io li adoro, adoro il Mark II e il
mio
album preferito è l'indimenticabile "Deep Purple 'n Rock"!
Passando
alla fic, U-3 è un mostro di Resident Evil 4 a cui mi sono
ispirata per la
mantide. Indi per cui le ho lasciato lo stesso nome, che fa molto figo
xD
nana97: sei la seconda persona che mi chiede
di far morire uno dei
miei personaggi... ragazze, c'è qualcosa che non va? xD!
Comunque TenTen dovrai
cuccartela ancora per parecchio tempo, temo. Ma per molto, mooooolto
tempo ù_ù!
E comunque non preoccuparti, riuscirai a trovare moltissimi altri
personaggi da
odiare, in questa fic (svantaggi dell'OOC, sai com'è)...
fra76: "anche se i suoi poteri a volte sono
alquanto
inquietanti"... ahahahahahaha X'D! Ma povero Zeus! No, comunque
è vero,
sono abbastanza macabri... però io li vorrei! Ti immagini
che figata, andare in
giro per strada a falciare zombie con una frusta gigante e una lama
più lunga
del naso di Barbra Streisand?
sssweety: hai un nick di difficile digitazione
ù_ù. Sono molto felice
di poterti accoglier nella truppa delle "sante recensitrici", e ti
ringrazio vivamente per tutti i complimenti.
Adesso devo proprio andare!
See you soon,
Roby
|
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Capitolo 9 *** Horsemen ***
008 -
Horsemen
Il porto di Manhattan, dopo lo scoppio
dell'epidemia, era
andato completamente in rovina.
I magazzini, giganteschi capannoni un
tempo pieni di merci,
erano ormai abbandonati e semi-distrutti, prede della ruggine e della
voracità
del tempo. Le navi erano rimaste attraccate, fredde e inanimate come
giganteschi fantasmi, e beccheggiavano nella nebbia della sera con un
forte
cigolio metallico.
A parte lo sciabordio dell'acqua e il
verso di qualche
gabbiano assonnato, tutto era silenzio.
-Questo è probabilmente il
posto più sano di tutta l'isola.
Il vento che proviene dal mare spazza via l'odore della decomposizione
e le
nubi di gas velenoso, senza contare che è una zona
totalmente disabitata,
quindi priva di interesse per gli infetti.-
-Fa un freddo cane.-
osservò Sasuke, stringendosi nella
propria felpa. Doveva procurarsene una nuova, si appuntò
mentalmente, perchè
ormai di quella che gli avevano fornito come equipaggiamento era
completamente
distrutta. Non sembrava nemmeno un abito vero e proprio, piuttosto
assomigliava
ad una grossa sciarpa strappata e
lurida, che gli si avvolgeva attorno al collo per poi
ricadere, a
brandelli, sull'addome.
Girandosi verso Zeus, però,
notò che i suoi abiti erano
perfettamente integri, senza nemmeno una macchia di sangue. Il che non
era
razionalmente possibile, visto che non si era cambiato.
-Non stupirti. Questi non sono gli
stessi vestiti che
indossavo mezz'ora fa.-
-Eh?-
Il biondo sbuffò, scuotendo
la testa alla ricerca di una
spiegazione veloce e concisa che, possibilmente, non desse adito ad
altre
inutili dilungazioni del moro.
-Hai presente che esistono animali con
la pelliccia, con la
corazza, con le squame e con le piume, vero?-
-Beh, sì.-
-Ecco. I vestiti che vedi non sono
altro che strati di
cheratina ricombinati in modo da assumere le precise caratteristiche
scelte dal
mio cervello, in base ovviamente a dei dati esterni raccolti tramite
l'assorbimento. In pratica, quando assorbo qualcuno il mio cervello
esegue una
specie di scansione degli abiti che questo "qualcuno" porta, e poi li
riproduce come se fossero pelo o squame.-
Colto dalla curiosità,
Sasuke allungò una mano per toccare
la maglietta del Prototype. Al tatto sembrava normalissimo cotone.
-Cavoli... c'è qualcosa che
tu non sappia fare, Zeus?-
-Molte, anzi, moltissime. Il fatto
è che il mio organismo è
strutturato per cacciare prede intelligenti e sospettose, e per
camuffarmi tra
loro con la massima precisione. Come si dice, a ciascuno il suo. E poi,
un
corpo di questo tipo ha degli svantaggi, rispetto al tuo.-
-Per esempio.-
-Sas'ke, da quant'è che non
assorbi un umano?-
-Molto. Perchè?-
-Beh, perchè stai bene. Se
provassi a fare la stessa cosa,
molto probabilmente finirei per debilitarmi e sentirmi male. Il mio
metabolismo, benché mi doni delle capacità
nettamente superiori alle tue, ha
bisogno anche di un quantitativo di energia molto più
grande.-
Sasuke ripensò con disgusto
alla sensazione che dava
l'assorbimento. Una cosa talmente rivoltante e vomitevole da costituire
il suo
incubo peggiore, anche più dei cacciatori e di qualsiasi
altro mostro che
avesse mai incontrato. E, improvvisamente, considerò come
"vantaggioso" il proprio lato sfigato e totalmente privo di poteri
offensivi.
-Smettila di fantasticare e apri
quella porta sbarrata, io
non posso farlo con Hinata in braccio.-
Sasuke si avvicinò alla
sopracitata porta, abbattendola con
uno spintone. Entrarono all’interno di un capannone buio e
silenzioso, ma
stranamente pulito e privo di qualsiasi odore particolare, eccezion
fatta per
un leggerissimo sentore di disinfettante. Appena le pupille si
abituarono alla
quasi totale assenza di luce, il moro poté notare che il
locale era
completamente sgombro, almeno nella parte centrale, mentre accanto alle
pareti
si trovavano delle vere e proprie torri di casse metalliche sigillate
alla
meglio, tutte recanti un teschio e la scritta
“danger”.
Fece per toccarne una, ma la voce del
biondo lo fece
sobbalzare.
-Se fossi in te non le sfiorerei
nemmeno. Con tutta
probabilità fanno parte del sistema di allarme.-
-“Sistema di
allarme”? Vuoi dire che potremmo saltare in
aria da un momento all’altro?-
-No, se non tocchi niente qua dentro.
Ci sono dei metodi molto precisi
per ottenere
ospitalità dagli abitanti di questo luogo, e mettere le mani
sui loro
giocattoli è il modo migliore per inimicarseli.-
-Giocattoli?-
-Sasuke… hai detto di non
voler sapere niente su di loro,
giusto? Beh, comincio a pensare che sia meglio così.-
-Io no. Comunque... cosa dobbiamo fare
adesso?-
Il biondo avanzò fino al
centro della sala, dove spiccava
un quadrato di ferro con un vistoso pomello da una parte.
-Questa è... una botola?-
-No, è una trappola. Se
provi a sollevare la lastra di
metallo usando il pomello ti becchi una scossa elettrica da diecimila
volt,
tanto quanto basta per carbonizzare un essere umano. E' così
che tengono
lontani gli eventuali curiosi e i militari che provano a capire quale
sia il
segreto di questo posto. Non è l'unico tranello, comunque.-
-Beh, questi tuoi amici sono molto
bravi nel difendersi...-
-... e lo sono anche nell'attaccare,
ma non amano
particolarmente lo scontro. Adesso ti mostrerò l'unico modo
per entrare nel
loro rifugio senza rischiare di finire come uno spezzatino di manzo.-
Poi il Prototype
alzò lo
sguardo verso il soffitto, gonfiò il petto ed
intonò:- "Livin' easy, lovin'
free, season ticket on a one-way ride...
askin' nothin', leave me be, takin' everythin' in my stride... don't
need
reason, don't need rhyme... ain't nothing that I'd rather do... goin'
down,
party time, my friends are gonna be there to! I'm on the highway to
hell,
Higway to Hell! I'm on the highway to hell!"-
Imitò il tono stridulo di
un cantante che Sasuke aveva già
sentito, aggiungendoci degli acuti abbastanza stonati e
un'interpretazione da
cantante amatoriale. Quando ebbe finito, nella volta cupa del magazzino
si udì
un lieve scricchiolio.
-E questo cos'era? Un tentativo di
commuovere i tuoi
amici?-
-No, era la parola d'ordine. E, tra
l'altro, è anche
"Highway to Hell" degli AC/DC. Faresti bene a portare un po' di
rispetto per i mostri sacri del rock.-
Sasuke avrebbe voluto rispondere molte
cose. Che, per
esempio, la sua lunghissima permanenza in ospedale non gli aveva
permesso di
farsi una cultura musicale, e che in ogni caso il rock non sembrava
decisamente
il genere adatto a lui, e che tra l'altro usare come parola d'ordine
un'intera
strofa di una canzone gli sembrava un po' esagerato, ma il suo monologo
fu
troncato sul nascere da un fortissimo clangore metallico proveniente da
un
punto indefinito alla loro sinistra.
Improvvisamente, in un punto poco
distante dalla finta
botola, il pavimento si sollevò di botto, rivelando quello
che in teoria era un
essere umano, ma che in realtà sembrava più un
ammasso di stracci. Era
completamente coperto da pezzi di tessuto lurido, che gli avvolgevano
anche la
parte inferiore del viso, nascondendolo, ma lasciando scoperti i
luminosi occhi
cerulei.
In un certo senso ricordavano quelli
di Zeus, ma non
possedevano nè la stessa purezza, nè la stessa
profondità.
-Ciao, Seiryu.-
-Ciao, Zeus. E comunque non mi offendo
se mi chiami con il
mio vero nome.-
-Ok, ok... Sasuke, questo è
Deidara. Vorrei dirti di non
dimenticarti di lui, ma dubito che, anche volendo, potresti farlo. E'
un tale
pazzo psicopatico che il suo nome finirà per perseguitarti
durante le tue
nottate e...-
-Zeus!-
-... cosa più importante,
è il top del top quando si parla
di esplosivi. Anche se potresti non condividere i suoi gusti in campo
artistico.-
-Tzè...- sbuffò
Deidara, scoprendosi la testa e rivelando
una cascata di capelli biondi e un viso che aveva un nonsoché di capriccioso -... non
sei mai stato un
artista, Zeus. Non puoi capire la pura bellezza che si può
creare anche solo
con un fuggevole attimo della mia
arte...-
-Va bene, ok... non siamo qui per
discutere di arte. Ci
serve un riparo.-
-Ma come!- esclamò l'altro,
appoggiando il mento sulle mani
-Non avevi quello splendido appartamento riadattato ad armeria, quello
che hai
sempre utilizzato sin dai primi giorni dell'infezione?-
-"Avevo", appunto. Diciamo che per una
fortunata
combinazione mi hanno scoperto, e non credo che sia molto saggio
avvicinarmi di
nuovo a quel palazzo.-
-E sei rimasto senza un tetto sopra la
testa.- poi sorrise,
inclinando la testa di lato con fare civettuolo -Va bene, entra pure.-
Si fece da parte, scoprendo una
stretta apertura quadrata
in cui sia Zeus che Ade si calarono con circospezione. Si ritrovarono
ben
presto in una specie di piccolo garage dal tetto basso, illuminato da
una serie
di lampade al neon che emettevano una luce estremamente forte.
Improvvisamente, Deidara
guardò Sasuke in viso, ed
impallidì vistosamente. Poi alzò un braccio,
puntando il dito indice verso il
moro, e balbettò:- T-tu... che cosa ci fai qui?-
-Mi confondi con qualcun altro,
perchè io non ti ho mai
visto.- ribatté l'Uchiha con voce tagliente.
A quel punto Deidara sembrò
riacquistare il controllo e si
avvicinò a Sasuke, girandogli intorno come per esaminarlo.
-No, questo è
più giovane... e poi ha i capelli a
culo d'anatra... e anche la faccia, è
leggermente più magra e spigolosa...-
-Interessato al mio amico, Dei? Si
chiama Sasuke Uchiha,
conosciuto anche come Ade.-
Il biondo si immobilizzò di
nuovo, puntando le proprie
iridi cerulee in quelle cristalline di Zeus.
-Ade è... un Uchiha?
Vorresti dire che ho davanti
l'esperimento più malriuscito del secolo, e che il suddetto
esperimento è anche
un parente di quello là?-
-"Quello" chi?- chiesero il Prototype
e Ade, in
coro.
-E a chi avresti dato del
"malriuscito",
sottospecie di salamandra ermafrodita!?- sputò il moro,
squadrando Deidara con
odio.
-La-lasciamo perdere. La somiglianza
è fin troppo
inquietante perchè possa sbagliarmi... Zeus, dopo io e te
dobbiamo parlare in
privato, ok?-
Evitando di esprimere le proprie
rimostranze per non essere
stato incluso nell'invito, Sasuke seguì in silenzio i due
biondi, addentrandosi
in un dedalo di corridoi costellati di porte metalliche. Tutto era
pulito,
quasi asettico, ma non fu un'impressione duratura: appena Deidara
spalancò una
porta, invitandoli ad entrare, Sasuke comprese che quella pulizia si
applicava
al solo corridoio.
Si trovavano in una saletta circolare,
abbastanza spaziosa
e dal soffitto alto, arredata con alcuni divanetti e poltroncine
disposti in
circolo accanto ad un tavolino basso e rotondo. Per il resto, lungo le
pareti
erano ammassati gli oggetti più disparati: dalle lattine di
birra alle
scatolette di cibo a lunga conservazione. C'era persino un frigo,
apparentemente funzionante, che sostava, sbilenco, accanto ad una pila
di
riviste pornografiche. Sasuke storse il naso, a quella vista.
A parte l'arredamento e il disordine
cosmico, tuttavia, il
particolare più notevole della stanza erano sicuramente i
suoi occupanti.
In tutto sei persone, stravaccate
più o meno uniformemente
sui sofà. Quel genere di soggetti che, stando anche solo
fermi a sonnecchiare,
esulano dal senso comune di "normalità".
Il più vicino aveva i
capelli rossi e una corporatura
minuta, quasi efebica. I suoi occhi, di un color nocciola chiarissimo,
erano
insistentemente puntati sul viso di Deidara, anche se il viso non
tradiva
alcuna emozione.
-Lui è Sasori.-
spiegò il biondo, facendoli accomodare su
un divano -Non parla con gli estranei, e a volte nemmeno con noi.-
Subito dopo Sasori venivano due
ragazzi abbracciati, un
maschio e una femmina, che si presentarono come Pain e Konan. Lei era
piccola e
delicata, con i capelli e gli occhi blu e un pesantissimo trucco nero,
mentre
lui era alto e ben piazzato, con il viso coperto di piercing e i
capelli di una
strana sfumatura di arancione.
Poi c'era Kisame, un armadio a quattro
ante che sembrava
aver assimilato la pesciosità
del
porto, a giudicare dalla sfumatura a dir poco ittica della pelle e
degli occhi,
che viravano decisamente sul grigio-azzurrino.
Accanto a lui sostava uno strano tipo
imbavagliato, con gli
occhi viola e verdi (mai vista una cosa del genere), a quanto pare
molto
impegnato a redarguire un ragazzo albino dalle sfavillanti iridi
ametista, che
rispondeva a furia di insulti e bestemmie alle prediche piuttosto
noiose del
compagno. I loro nomi? Kakuzu e Hidan.
-Non siamo tutti...- riprese Deidara,
afferrando una
lattina e aprendola con veemenza -... Zetsu si sta occupando della
ricognizione
notturna. Non si sa mai cosa può capitare, in un posto come
questo.-
-Birra?- domandò Kisame,
tirando fuori da chissà dove una
bottiglia di Imperial Stout.
-No, grazie...- rispose Sasuke -...
noi non mangiamo.-
-"Noi"?- il rosso lo interruppe,
fissandolo con
quello sguardo assurdo, a metà tre l'indifferente e il
penetrante -Sapevamo
della particolare capacità
di Zeus,
ma tu... chi sei?-
-Io...- il moro rivolse uno sguardo
interrogativo verso
Zeus, che annuì con sicurezza -... sono Ade.-
-Mhm... e sei dalla nostra parte?
Cos'è quello?- domandò
Sasori, indicando con mollezza la fotocamera, ancora saldamente
attaccata al
collo dell'Uchiha.
-E' un... ricordo dei miei genitori.-
-Inconsueto, come regalo.-
-Già.-
-E la ragazza? Anche lei un
esperimento?-
-No.- stavolta fu Zeus a rispondere
-E' una dottoressa che
ci aiuterà a cercare una cura per l'Idra. Avremmo bisogno di
farla riposare, si
è sentita male.-
-Una cura
per
l'Idra?- esclamò l'albino, beffardo, sfilando la birra dalle
mani di Kisame e
bevendone un lungo sorso -Come se esistesse. Sai meglio di me che non
si
possono eliminare i suoi effetti, nemmeno volendo.-
-E voi come fate a saperlo?- chiese
Sasuke, l'espressione
determinata. Odiava a morte coloro che si arrendevano senza nemmeno
combattere,
e in più l'atteggiamento strafottente di Hidan non gli
andava per niente a
genio.
-Sas'ke... - il Prototype intervenne,
cercando di
rabbonirlo -... queste persone sono il risultato degli esperimenti
fatti sui
carcerati dopo la mia fuga.-
-Carcerati!?-
-Esatto. Hanno tentato di creare un
gene che potenziasse i
blackwatch, ma hanno fallito. Questi che vedi sono i risultati degli
errori
della Gentek.-
-Quindi... quindi la Gentek trafficava
con il genoma umano
ancor prima che io venissi creato?-
-Ovvio. E probabilmente lo faceva da
molto, molto più tempo
di quanto possiamo immaginare. Non sappiamo quante siano state le
vittime degli
esperimenti, ma certamente non siamo gli unici ad aver subito dei
cambiamenti.-
-Esatto.- esclamò Kakuzu,
la voce bassa e roca che veniva
attutita dal bavaglio -Ma Zeus si dimentica sempre di aggiungere che
è lui, il
più potente tra gli infetti.-
-Ed è qui che ti sbagli.-
replicò il Prototype - Ho trovato
qualcuno che è molto più forte di me, e che, se
posso permettermi l'aggettivo,
è anche molto meno benevolo.-
-E chi sarebbe?-
-Mi stupisco che neppure voi l'abbiate
mai vista. Si chiama
Elizabeth Greene, è un'infetta estremamente potente e
controlla tutti gli
alveari e i cacciatori di Manhattan. Ovunque vada propaga l'infezione,
e ho
come la sensazione che sia stata lei a diffondere la malattia in
città. Tra
l'altro il virus l'ha completamente privata della capacità
di ragionare: agisce
solamente in base all'istinto, e non credo sia in grado di comprendere
le
conseguenze dei propri gesti.-
-Una donna? Siamo messi bene...-
-Cosa vorresti dire, Kisame?-
domandò Konan, assottigliando
le palpebre.
-Niente.-
-Meglio così.-
-Comunque...- disse Pain, con la voce
roca e strascicata di
chi non parla spesso -... esteticamente com'è? Ha qualche
tratto distintivo
particolare?-
-Potrebbe essere una mutaforma come
me... non ha molto
senso che io ti descriva il tuo aspetto.-
-Ma anche tu, pur potendo cambiare
fisionomia, hai una tua
"forma originale", che è quella in cui ci appari adesso.
Magari lei
vi si è presentata con il suo vero aspetto.-
-Forse hai ragione. Ma ho ragione di
credere che, nel caso
doveste incontrarla, riuscireste a riconoscerla anche senza nessun
riferimento.-
-Perchè?-
-Capirete.-
***
-Shika... non ti sembra di esagerare?-
-Assolutamente no!-
Sai sbuffò, lanciando uno
sguardo alla scrivania. Anzi,
precisiamo: sotto, non sopra la
scrivania.
Il Nara, infatti, dopo aver saputo che
la squadra di
recupero aveva compiuto la propria missione con successo, e che quindi
Kiba e
compagnia stavano tornando alla base, aveva saggiamente deciso di
rifugiarsi
nell'angusto spazio compreso tra il pavimento e il piano di legno del
proprio
tavolo, munendosi di un robusto taglierino come unica arma di difesa.
-Ma si può sapere cosa ti
ha fatto questo Kiba? Ne parli
come se fosse il diavolo in persona.-
-No, niente affatto... il diavolo
sarebbe molto, molto
meglio di quello là...-
Il moro inarcò un
sopracciglio, sfogliando le pagine del
giornale esterno che veniva recapitato ogni giovedì alla
sede della Gentek. Non
che avesse molto senso leggerlo, visto che le informazioni citate erano
sono
una minima parte di quelle che venivano messe quotidianamente a
disposizione
dei dipendenti, ma almeno ci si poteva fare un'idea di come l'epidemia
era
vista da chi si trovava oltre i confini dell'isola.
-Cosa dice?- domandò
Shikamaru, sporgendo un po' la testa
oltre il limite del tavolo.
-Il solito. Questi giornalisti
trattano la faccenda come
una comune epidemia, alleggerendo anche troppo la verità.
Ah, e come al solito
non fanno parola nè dei morti viventi, nè dei
cacciatori e nemmeno degli
alveari, ma dedicano paragrafi su paragrafi a Zeus.-
-Non
mi
sorprende. E' un personaggio che attira l'audience.-
-Ok,
ma mi
sembra che ne sappiano fin troppo. Ci deve essere una fuga di
notizie... magari
qualcuno che accetta dei soldi per passare le proprie informazioni.-
-E
se anche
fosse? La cosa non ci crea alcun danno, quindi non vedo
perchè preoccuparsene.-
-Sì,
ma non
credo che...-
Sbonk. La porta si spalancò
con un
tonfo, impedendo a Sai di completare la propria frase, e sulla soglia
fece la
propria comparsa il tanto atteso incubo del Nara.
-Ehilà,
Shika!-
tuonò Kiba, allegro e pimpante come al solito -Brutto
cazzone, è da un secolo
che non ci si vede!-
Al
che
Shikamaru strinse ancora più saldamente il taglierino e si
raggomitolò sotto il
tavolo, emettendo un verso simile ad uno squittio.
-Ehi,
amico,
che gli prende?- domandò il castano, fissando sai con
sorpresa.
-A
quanto pare
la tua presenza gli incute timore. Non chiedermi perchè, ho
cercato di capirlo
e non ho ottenuto nemmeno una risposta sensata.-
L'Inuzuka
si
voltò verso Shikamaru, inarcando un sopracciglio:- Non
sarà mica per quella
volta dell'incidente al poligono di tiro, vero?-
-La
cosa più
interessante è il tuo definire "incidente"
un tentato omicidio bello e buono...-
-Ma
quale
omicidio... ero solo un po' brillo, non mi rendevo conto di dove stavo
mirando!-
-Ah,
davvero?
Anche quando hai cominciato a strillare "fermati, schifoso ananas, che
ti
ficco un paio di proiettili nel culo"?-
-Hai
una
memoria invidiabile, Shika.-
-Già.-
-Comunque...
rimani pure lì sotto, devo dirti una cosa importante.-
-E
sarebbe?-
-Il
tuo amico
becchino, qui, è una persona fidata?-
-Fidatissima,
perchè?-
-Perchè
quello
che sto per dirti non è molto "politically correct"...
senti, tu hai
mai avuto dei dubbi su tutto quello che ti hanno raccontato sin
dall'inizio
dell'inferno?-
-Comincio
a non
capirti, Kiba.-
-Tutte
quelle
storie sulla malvagità di Zeus, e sulla bontà
dell'esercito... pensi che siano
vere?-
-Ma
certo. Se
così non fosse... un momento, vorresti dire che...?-
-Ho
visto delle
cose, là fuori... delle cose che mi hanno fatto capire che
tutto quello in cui
crediamo, tutte le cose che i hanno raccontato... non sono altro che
una
montagna di cazzate.-
-Non
potresti
essere più preciso?-
-No.
Altrimenti, amico o non amico, credo che finirei davanti alla corte
marziale
per alto tradimento. Adesso devo andare, mi aspetta un pallosissimo
rapporto a
quel tritapalle di Hatake. Pensa a quello che ti ho detto, Nara.-
Dopo
un breve
cenno della mano al castano e una stretta di mano vigorosa a Sai,
l'Inuzuka
uscì dalla porta e se la richiuse alle spalle, lasciando
nella stanza
l'atmosfera pesante di chi ha fin troppi, nebulosi interrogativi e non
sa come
risolverli.
_Angolo del Fancazzismo_
In
questo
capitolo non succede niente di particolare, è un momento di
riepilogo per tutto
quello che succederà nel prossimo (non vi lascio un minuto
di respiro, eh?)... è
un po' più corto degli alrti, ma ho ritenuto necessario
postarlo oggi perchè da
domani vado in vacanza per una settimana e mi sembrava brutto lasciarvi
a bocca
asciutta per così tanto tempo.
Capirete
quindi
che, causa partenza imminente, non ho proprio il tempo di rispondere
singolarmente alle recensioni, perchè devo sbrigarmi a fare
di corsa le
valigie. Nel prossimo cap, quindi, risponderò sia a quelle
dello scorso
aggiornamento, sia a quelle che mi regalerete stavolta!
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 10 *** Eyes of Blood ***
009
– Eyes of Blood
Erano
poche le persone che
potevano vantarsi di riuscire a mettere in difficoltà Kiba
Inuzuka.
Tra
queste, certamente Kakashi
Hatake spiccava sia per la malizia, che per il sottile sadismo che
applicava e
ostentava nel torturare il proprio
sottoposto. Era un gioco tutto sommato divertente e privo di rischi,
che gli
consentiva di svagarsi un po’ dalla noia dei propri compiti
amministrativi e
gli donava l’intima soddisfazione del comprendere una mente
umana tanto più
semplice e cristallina della sua.
-Allora,
Inuzuka… nel rapporto
che hai stilato, oltre ai numerosi e grossolani errori di ortografia-
Kiba
serrò una mascella, arrossendo, mentre malediceva con tutte
le proprie forze lo
scarso impegno che aveva sempre destinato alla scuola –noto
un po’ di…
incertezza. Sì, è incertezza.-
-In…
in che senso, signore?-
-Beh,
per esempio…- Kakashi
rilesse il paragrafo interessato, sorridendo impercettibilmente di
fronte
all’ingenuità del castano -… quando
parli del modo in cui Ade vi ha soccorso.
E’ piuttosto confuso, non trovi? Prima scrivi di questa
figura quasi mitica che
arriva e uccide la mantide facendovi scudo con il proprio corpo, poi
dici che
scappa all’improvviso senza degnarsi nemmeno di prestarvi i
dovuti soccorsi.
Non pensi che suoni un po’ strano?-
-Ecco…
il punto è che Ade è uno
stron… ha un carattere particolare, tutto qua! Immagino che
volesse dedicarsi
alle ricerche di Zeus, e…-
-A
proposito di Zeus,- lo
interruppe, fissandolo attentamente con l’unico occhio sano
(l’altro, perduto
grazie allo scoppio di una granata, era coperto da una larga benda
nera) -sul
cadavere di quella creatura, U-3, abbiamo ritrovato fori e lacerazioni
che
somigliano in maniera inquietante
alle ferite inferte da un certo tipo di attacchi caratteristici del
Prototype.
Ne sai nulla?-
Kiba
rabbrividì, contraendo tutti
i muscoli del corpo per impedirsi di vacillare. Risucchiò
l’aria tra i denti
serrati, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento, e si rese conto che
era stato
un deficiente.
Kakashi
sapeva. Sapeva tutto. Probabilmente,
ancor prima che lui scrivesse
quel rapporto infarcito di bugie, credendo tra l’altro di
poter gabbare il più
anziano in maniera relativamente facile, l’Hatake aveva
già costruito un
proprio quadro della situazione. E, cazzo, era un quadro fottutamente
realistico.
-E’
che… era tutto confuso, e…-
-Risparmiami
queste scene
pietose, Kiba. Ah, quasi dimenticavo. Se proprio vogliamo stilare una
classifica dei particolari incongrui,
ce n’è uno che si colloca certamente al primo
posto. Non vuoi sapere qual è?-
No,
non voleva saperlo. Non
voleva sapere fino a che punto Kakashi fosse riuscito ad indovinare.
-Certamente,
signore.-
-Il
tuo capo, Tenten Ibarashi… ha
subito una brutta ferita, e perdipiù in un ambiente infetto
come quello. Non
capisci dove voglio arrivare?-
-N-non
vedo come potrei, visto
che…-
-Risparmia
il fiato. Se proprio
ti costa fatica dirlo, Ibarashi non è infetta. Il suo sangue
è pulito, senza
tracce di virus. E siccome non credo ai miracoli, quindi non penso che
il tuo
capo sia immune all’Idra, che ne diresti di spiegarmi come
mai i suoi tessuti
non sono ancora andati incontro ad una necrosi precoce?-
A
quel punto sarebbe stato
completamente inutile continuare a mentire. Ma, d’altra
parte, Kiba non poteva
nemmeno permettersi di vuotare il sacco. Per cui, raggranellato quel
poco
coraggio che gli restava, il castano gonfiò il petto e si
mise quasi
sull’attenti, in posizione perfettamente eretta.
-Mi
dispiace, Colonnello. Non
posso rivelarle nulla di quanto accaduto, ed è in suo
diritto procedere a
sanzioni severe per il mio rifiuto di obbedire ai suoi ordini.
Tuttavia, non
intendo rivelare nulla che si discosti anche solo minimamente dal
rapporto che
ho presentato.-
Kakashi
posò il mento sulle mani
intrecciate, fissando Kiba con interesse. In un certo senso si fidava
di quel
ragazzo così incredibilmente gretto, ma era combattuto se
insabbiare le sue
menzogne oppure no.
In
fondo, pensò, che male avrebbe
fatto nascondere una piccola bugia?
-E
sia. Non intendo farti nulla,
Inuzuka, ma sappi che, se le tue azioni dovessero nuocere anche solo lontanamente al quartier generale e ai
suoi occupanti, la tua testa finirà sulla mia scrivania. Su un piatto d’argento.-
-M-ma…
perché?-
-Non
credere che lo faccia per
carità cristiana e simili. Ti terrò
d’occhio, Kiba, e andrò in fondo a questa
faccenda, ma per il momento non mi conviene sollevare un polverone.
Perderei
tutti gli indizi che mi hai regalato.-
-Signorsì,
signore.-
***
-Non
ne sapete nulla?-
-No.
E’ un nome totalmente nuovo:
Elizabeth Greene, Elizabeth Greene…
nah, mai sentito. Appena Zetsu sarà tornato gli
chiederò di fare qualche
ricerca, sono certo che riuscirà a portarvi qualche
informazione.-
Erano
seduti, il Prototype e
Deidara, in uno dei magazzini preposti alla conservazione dei cibi in
scatola.
Sostavano tra varie pile di lattine scadute, confezioni di tonno ormai
avariato
e persino alcuni vasetti di cetriolini sott’olio che non
avevano retto il
trascorrere del tempo.
-Cosa
dovevi dirmi? Riguarda
Sasuke, immagino.-
-Ehehehe...-
rise l'artista,
reclinando il capo all'indietro -... sono proprio bravo, eh? Non riesci
a
leggermi nella mente nonostante i tuoi poteri e il virus che ci
accomuna.-
-Sei
sempre stato così... non ho
mai capito perchè, ma la tua mente è talmente
caotica e disordinata che non
riesco a capirci un tubo, quando la guardo.-
-Sì,
sì. La verità è che sono
troppo geniale per i tuoi standard,
Zeus. Ma, tralasciando queste facezie, quello ce volevo dirti riguarda
proprio
Ade.-
-Me
ne ero accorto. Quando l'hai
visto sei diventato bianco come un cencio.-
-Immagino
che sia una reazione
comune, quando conosci anche l'altro...
sì, insomma... Itachi Uchiha, il fratello maggiore di
Sasuke. O almeno credo
che siano fratelli, visto che con quella somiglianza mostruosa non
possono
proprio essere cugini.-
-Sasuke
ha un fratello!?- il
Prototype scattò in piedi, fissando Deidara con gli occhi
spalancati. No, non
era possibile che Ade avesse un fratello...
-Esatto.
E forse ti interesserà
sapere come faccio a conoscerlo.-
-Spara.-
-E'
successo più o meno due settimane
fa. Ero dalle parti di Downtown, e stavo provando alcune nuove forme di
arte...
sai, non si finisce mai di sperimentare... quando, ad un certo punto,
ho visto
un elefante che camminava per strada.-
-Eh!?-
-Sì,
proprio un elefante. E poi,
dopo quel coso, c'era una specie di sfilata di animali di tutti i tipi,
dai
leoni alle zebre. Mi sembra inutile dirti che erano tutti morti e
putrefatti, e
che addirittura alcuni sembravano scheletri semoventi.-
-Deidara...
mi stai raccontando
una specie di allucinazione, te ne rendi conto?-
-Sì.
E' proprio questo il punto!
Ad un certo punto è arrivata una nuvola di corvi, che hanno
cominciato a
beccarmi da tutte le parti, a mangiarmi
vivo, letteralmente. Il dolore era... reale, Zeus. Mi sembra ancora di
sentirli, mentre mi strappano gli occhi a furia di zampate... comunque,
all'improvviso è finito tutto. Mi sono ritrovato in mezzo
alla strada, senza un
graffio, e stavo piangendo come un bambino. Comprenderai l'umiliazione,
spero.
Poi ho guardato in alto, attratto da una specie di movimento, come di
un gatto
che corre, e in quel momento l'ho visto.-
-Chi,
il fratello di Sasuke?-
-Proprio
lui. Stava sul
cornicione di un cinema, e ti posso garantire che l'ho guardato in
volto con
molta attenzione. Ha i capelli neri, più lunghi del
fratello, e i lineamenti
meno marcati. A parte questo, gli occhi sono rossi.-
-Rossi?
Che vuol dire?-
-Non
lo so. So solo che
all'improvviso mi sono reso conto che era stato lui
a farmi vedere tutte quelle cose, ne sono certo. Non che avessi
prove al riguardo, ma la consapevolezza è stata
così improvvisa e totale da non
lasciare spazio a dubbi di sorta: quell'Uchiha manipola la mente. Non
so come,
ma lo fa.-
-E
come fai a dire che si
trattava di Itachi Uchiha?-
-Perchè
me l'ha detto lui. Io gli
ho urlato qualcosa del tipo "ehi, chi sei tu" e lui mi ha risposto
semplicemente "Itachi Uchiha". Poi se n'è andato, e da quel
giorno
non l'ho più visto.-
-Ricapitoliamo:
un estraneo con
dei poteri misteriosi ti fa prima vedere una sfilata di animali zombie,
poi fa
in modo che uno stormo di corvi immaginari ti torturi per un po', poi
ti rivela
la sua identità e se ne va senza farti nulla? Strano, no?-
-In
effetti... mi sto ancora
chiedendo perchè si sia comportato così.-
Zeus
sospirò, pizzicandosi la
base del naso con due dita. Ed ecco un altro tassello che si aggiungeva
al
mosaico, ma rimaneva assolutamente privo di collocazione. Sasuke non
gli aveva
mai detto di avere fratelli, e il biondo sospettava che non ne avesse
mai
avuti. O, almeno, che gli avessero fatto credere di non averne mai
avuti.
Rimaneva
poi il problema della
Greene. Aveva dimostrato un attaccamento molto strano nei loro
confronti, non
aveva tentato di ucciderli o ferirli e si era dimostrata quasi...
protettiva e
gelosa. Non solo: aveva nominato una certa "Miko-chan", altra persona
ignota, e, cosa più strana, lo aveva chiamato "mio bambino".
No,
non gli piaceva per niente.
E
la ragione, tra l'altro, lo
riempiva di vergogna: per lungo tempo aveva pensato, erroneamente, di
essere la
creatura più temibile all'interno dell'isola, e questo lo
aveva privato della
paura. Cosa poteva temere, una creatura potente come lui? Tutto il suo
coraggio
era però crollato nel momento esatto in cui aveva visto la
madre, nel preciso
istante in cui si era reso conto di essersi trasformato, da cacciatore,
in una
preda.
Era
vulnerabile.
-La
cosa ti turba?-
-Mh?-
-Il
fatto che Sasuke abbia un
fratello... avevi una faccia strana. Ma forse non pensavi a quello, no?-
Il
Prototype sogghignò,
avvicinandosi lentamente a Deidara. Poi, come se la cosa non avesse
nessuna
importanza, lo baciò con dolcezza, accarezzandogli le labbra
e annegando in
quel sapore caldo e rassicurante che lo aveva sempre accolto, nei
momenti
peggiori della sua vita.
-Sasori
potrebbe uccidermi, se ci
vedesse.- commentò l'artista, ridacchiando lievemente,
quando si staccarono.
-Non
voglio fare nulla... era
solo per...-
-...
sentirti un po' meglio. Non
deve essere rassicurante scoprire all'improvviso che il proprio livello
nella
catena alimentare si è drasticamente abbassato.-
all'espressione stupita
dell'altro, sorrise -Beh, il fatto che io non possa leggere nel
pensiero non mi
rende del tutto incapace di comprendere i sentimenti altrui. E poi ti
conosco
molto bene, Zeus.-
-Forse
anche troppo.- si imbronciò
il biondo, gonfiando le guance come era solito fare quando qualcosa lo
disturbava.
-Già.
Se ti conoscessi di meno,
forse non mi dispiacerebbe il fatto che qualcuno abbia già
rubato il posto che
un tempo occupavo nel tuo cuore.-
Non
lo disse con tono smielato,
constatò semplicemente qualcosa che, a suo parere, era
chiaro come il sole. Il
Prototype, tuttavia, sembrava di tutt'altro avviso.
-Che...
che dici? N-no, hai
capito male!- divenne rosso come un peperone, iniziando a gesticolare,
confusionario -E-e poi chi sarebbe i-il qualcuno!?-
-Ma
il piccolo Uchiha, Zeus.
Probabilmente neanche tu l'hai capito, ma lo guardi in maniera molto
diversa
dagli altri. Sembri quasi...- sbuffò, colto da un attacco di
ilarità -... una
chioccia con il suo pulcino favorito. E poi guardati, adesso non sembri
nemmeno
la temibile macchina di morte che tutti credono, e solo
perchè ho nominato un
attimo il ragazzino.-
-Aaaah!
Accidenti a te, Deidara!-
-Finché
sei tu ad augurarmi
"accidenti", non posso che ritenermi fortunato...- soffiò il
biondo,
malizioso. Poi si alzò, chiedendo a Zeus di seguirlo con un
cenno della mano,
coperta da un guanto sottile senza dita -Immagino che vorrai vedere
l'umana. Le
abbiamo dato una camera.-
-Ok.
Portami da lei.-
***
Sasuke,
al quarto tentativo,
abbandonò l'idea di contare tutte le righine del plaid
sgualcito su cui era
disteso. Concentrò l'attenzione sul paralume - un vecchio,
polveroso paralume
da discount cinese - e poi la spostò sull'armadio a due ante
che, posto sulla
parete opposta rispetto al letto, metteva in bella mostra almeno due o
tre
chiazze di muffa.
Era
lì da quasi due ore, e Zeus
non si era nemmeno preoccupato di chiedergli come stava. Semplicemente,
lo
aveva scaricato dentro la stanza, e, dopo un veloce "mi raccomando, non
uscire", se n'era andato in compagnia dell'altro biondo, la salamandra
ermafrodita. Un abbinamento che non gli piaceva neanche un po'.
Perchè,
poi? In fondo non stava
certamente a lui preoccuparsi delle compagnie di Zeus, o dei suoi
-rabbrividì,
scacciando alcuni flash inquietanti con una decisa mossa del capo - gusti.
Che
poi, i sopracitati gusti del
Prototype non gli erano ancora
del tutto chiari. Prima si comportava tutto dolce e cuore-amore con la
ragazzina irritante, poi si appiccicava alla salamandra.
Ma,
si ripetè, mordicchiandosi le
labbra, infondo a lui cosa interessava?
Quei
maledetti pensieri non se ne
andavano, e più lui li scacciava, più tornavano
alla carica, con l'intento più
che evidente di farlo impazzire. Quella doveva
essere tutta una cospirazione ordita ai suoi danni, ne era certo.
-Merda...-
si passò una mano
sulla faccia, tirandosi a sedere. Ok, calma, doveva semplicemente
distrarsi. Ma
la faccenda delle righine non sembrava funzionare. E lui non poteva
uscire.
Stendendosi
di nuovo, l'Uchiha
decretò che, con tutta probabilità, entro la fine
della giornata sarebbe morto
di apatia.
E
le righine sul plaid, stinte e
al contempo invitanti, attirarono di nuovo la sua attenzione.
***
Zeus si
fece
condurre in una stanzetta pulita e scarsamente illuminata, con un letto
spazioso da una parte e un grosso comodino angolare. Per il resto era
completamente vuota.
Tra
le coperte, raggomitolata e,
apparentemente, molto tranquilla, Hinata dormiva. I lunghi capelli
corvini
erano sparsi sul cuscino, mentre l'espressione serena, dettata da
chissà quali
sogni, rendeva il suo viso ancora più grazioso. Nonostante
tutto, il Prototype
non la trovò bella, o desiderabile.
Non
avrebbe mai potuto pensare
nulla di simile, o, almeno, non per una donna.
-Hinata?
Hina-chan?- mormorò,
scuotendola delicatamente. La ragazza emise un lungo sospiro, si
guardò intorno
con gli occhi gonfi di sonno e poi sussultò, mettendosi a
sedere di scatto.
-Zeus?
D-dove mi hai portata?-
-Questo
è un posto sicuro,
Hina-chan.-
-L-lei...
quella donna...-
-Non
c'è più. Non verrà più a
farti del male, te lo prometto.-
Hinata
espirò, serrando le palpebre,
poi si rivolse di nuovo al Prototype:- C'è qualcosa che devi
chiedermi?-
-Sì.
Come ti ho già spiegato, la
ragione principale per cui ti ho salvata è che devo, anzi, voglio, trovare una cura per l'Idra. Tu
lavoravi già sul virus da
diverso tempo, per cui...-
-Immagino
di doverti aiutare, non
è così?-
-Sì.
Tra l'altro, Hinata, ricordi
quello che mi hai detto?-
-Quel...
quella storia di Ade?-
-Esatto...
l'hai creato tu, non è
così?-
-Sì.
Ma ho utilizzato campioni di
DNA che venivano dalla Gentek, e poi c'era un'equipe di scienziati con
me. N-non
credo di poter rifare la stessa cosa un'altra volta.-
-Questo
non ha importanza. Mi
interessa sapere qualcosa su Sasuke. Per esempio... sono mai venuti dei
familiari a trovarlo, o hai mai avuto notizia di altri Uchiha viventi?-
-No.
Da quel che ne so io, Ade è
sempre stato solo. Non... non ha mai parlato nè di
"famiglia", nè di
"amici", e non ci ha mai chiesto nulla. Mi è sempre sembrato
molto...
vuoto.-
-Capisco.
Beh, pazienza, vedrò di
trovare ciò che mi occorre nella memoria di qualcun altro...
comunque, Hinata,
tu hai una conoscenza del virus nettamente superiore a quella di
chiunque
altro, qui in città. E' per questo che mi aiuterai a cercare
una cura.-
-O-ok.
Ti avverto però che mi
serviranno diverse attrezzature, e non so quanto sia facile procurarle.
E poi,
per prima cosa ho bisogno di alcuni campioni del virus.-
-Di
che tipo?-
-Mi
servono dei campioni puri,
cioè non metabolizzati da alcun
essere vivente. Per quelli andranno bene le spore che rilasciano gli
alveari.
Poi dei campioni staminali, che
troverai nelle cisterne infette sparse per la città.-
-Cisterne
infette? Non credo di
sapere cosa siano.-
-B-beh,
la loro evoluzione è
piuttosto recente. Il virus infetta i serbatoi dell'acqua e li sfrutta
come
incubatrici per creare cacciatori, ma non solo: una volta che una
cisterna
esplode, sparge le spore dell'Idra anche a diverse centinaia di metri
di
distanza.-
-Ok...
e come le riconosco?-
-Tranquillo...
sono semplici
cisterne coperte di Idra. E' il liquido al loro interno che mi serve,
devi fare
in modo di romperle prima che nascano i cacciatori.-
-Va
bene. Quanti campioni vuoi?-
-Molti.
Prendine più che puoi,
Zeus.-
-Sarò
di ritorno prima di due ore.-
***
Shikamaru,
per l'ennesima volta,
abbandonò lo schermo del pc e tracciò un debole
scarabocchio sul proprio
taccuino giallo, ormai completamente ricoperto di simboli e linee di
ogni tipo.
Non ce la faceva a concentrarsi sul lavoro, e la consapevolezza di non
avere
qualcuno a cui dare la colpa (tipo Sai, che però era ben
deciso a lasciarlo in
pace) lo rendeva ancora più inquieto ed insofferente.
-Sai...-
-Mh?-
-Niente.-
Siccome
quel tipo di risposta non
si addiceva per niente al Nara, il moro si voltò e lo
fissò a lungo, decidendo
che forse, in via del tutto eccezionale, aiutare il proprio collega era
la
migliore delle vie praticabili. Tra l'altro anche Sai si sentiva
inquieto, e
credeva che le proprie motivazioni fossero identiche a quelle di
Shikamaru: lo
strano, criptico discorso di Kiba Inuzuka.
-Secondo
te...- disse, quindi,
voltandosi sulla sedia e poggiando il mento sullo schienale -... cosa
voleva
dire Kiba?-
-E'
stato abbastanza chiaro,
anche se probabilmente quello che ha detto, nelle sue intenzioni,
doveva
risultare misterioso. Molto
semplicemente, Kiba ha scoperto qualcosa, qualcosa che lo ha convinto
della
falsità di molte delle verità
che qui
a Manhattan abbiamo sempre accettato come "basilari".-
-Verità...
come, per esempio, la
malvagità di Zeus? Andiamo, Shika, Zeus non può
essere buono. Non mi sembra
esattamente il tipo che distribuisce caramelle ai bambini...-
-Ma
nemmeno l'esercito è molto
degno di fiducia. Io, ai Blackwatch, non affiderei nemmeno una pietra
scheggiata.-
-Questo
è vero. Quelle unità
speciali sono sempre state strane, sin da quando e le hanno inviate la
prima
volta. Si comportano fin troppo freddamente, per essere dei soldati, e
non
sembrano provare timore di fronte a Zeus o ai Cacciatori.-
-Questo
si potrebbe anche
spiegare con un allenamento rigoroso, che li avrebbe resi pienamente
coscienti
di ciò a cui andavano incontro... no, quello a cui mi
riferisco è un altro
particolare.-
-E
cioè?-
-Questi
Blackwatch sono saltati
fuori parallelamente allo scoppio dell'epidemia. Sapevano
già cosa fare e come
comportarsi, mentre i soldati dell'esercito federale erano
disorganizzati e in
preda al panico. Ma non solo: sono usciti dal nulla, come una semplice
propaggine delle normali unità militari, ma hanno
equipaggiamenti preposti al
contenimento di virus di livello 4 e altre chincaglierie elettroniche
che
sembrano uscite da un film di Matrix. Ufficialmente vengono finanziati
dalla
Gentek e da un paio di case farmaceutiche ad essa legate, ma non credo
che ci
sia una ditta, in tutto il mondo, capace di sobbarcarsi una spesa del
genere.-
-Credi
quindi che ci sia un nesso
tra i Blackwatch e il Governo Americano? Quindi pensi che, in un certo
senso,
il presidente fosse stato informato precedentemente dello scoppio
dell'epidemia, in modo da poter creare preventivamente delle
unità speciali in
grado di contrastarla?-
-Ne
sono certo. Non si potrebbe
spiegare altrimenti il tempismo e la potenza dei Blackwatch.-
-Shika...
ho come la sensazione
di aver messo le mani in pasta in qualcosa di più grande di
noi.-
-Beh...-
commentò il Nara,
afferrando il mouse con aria solenne -... ormai abbiamo aperto la tomba
imbiancata, per cui che ne dici di andare fino in fondo?-
-Ok.
E fammi spazio vicino allo
schermo.-
***
Zeus
uscì di corsa, sbattendo la
porta.
La
vibrazione del legno perdurò
nell'aria per qualche secondo ancora, prima di venire coperta da un
altro
rumore, un rumore ritmico, conosciuto, che alle orecchie di Hinata
suonò
come... qualcuno che batteva le mani?
La
ragazza si girò di scatto,
sondando la semioscurità della camera con gli occhi violetti.
E
lì, accanto alla porta, lo
vide.
-Ma
brava, piccola Hyuga.- la
voce morbida dell'individuo la travolse come una valanga, bloccandole
il cuore
nel petto. Era glaciale, elegante, ma allo stesso tempo derisoria e
malvagia.
-C-chi
sei?-
-Non
è certo la domanda da porre
a chi si presenta in camera tua acquattandosi nell'ombra, non trovi?-
Hinata
squittì, afferrando un
lembo della coperta. Lo sconosciuto, da parte sua, si fece avanti
lentamente, a
piccoli passi eleganti, e le diede tutto il tempo di rodersi il fegato
prima di
esporsi alla luce. E, alla vista del suo viso, la ragazza non
poté che sbiancare
e rimanere immobile, in attesa del compimento del proprio destino.
Quello
che aveva davanti era un
ragazzo alto e ben piazzato, con liscissimi capelli neri, legati in una
coda, e
lineamenti raffinati. Gli occhi, scarlatti come rubini, gli donavano
un'aria
vampiresca, quasi inquietante, che certamente veniva accentuata dalla
pelle
bianchissima e perfetta e dall'espressione totalmente indifferente che
il nuovo
venuto ostentava.
A
spaventarla di più, tuttavia,
fu però l'impressionante rassomiglianza con Sasuke Uchiha,
che non sembrava
decisamente frutto del caso.
-T-tu...
sei forse...-
-Ai
piani alti della Gentek ti
cercano ancora. Non hai fatto una cosa molto leale, tradendoci tutti
per unirti
a Zeus, e questo potrebbe portare delle conseguenze... non proprio
piacevoli. Per
te, almeno.-
-Che
cosa volete fare?-
-E
la tua sorellina, tutta sola a
casa... da quando tuo padre Hiashi è morto in servizio, non
le resti che tu. E'
piccola, no? Ai bambini così piccoli potrebbe capitare
qualche incidente
domestico, come la caduta da una rampa di scale, un incendio
domestico... tua
sorella Hanabi, poi, è particolarmente spericolata.-
Hinata
ingoiò a fatica l'enorme
portata della minaccia, cercando però di mantenere un minimo
di sangue freddo. Lo
sconosciuto non sembrava intenzionato a farle del male, sembrava anzi
che
volesse stringere un accordo, e la merce di scambio era Hanabi, la sua
adorata
sorellina.
Come
poteva rifiutarsi di
ascoltare?
-C-cosa
vuoi da me?-
-Voglio
che ti faccia quello che
ti chiederò quando te lo chiederò. E, anche se
fosse, difficilmente potresti
rifiutarti.-
-Eh?
Non c-capi...- non fece in
tempo a finire la frase. Il ragazzo le si avvicinò,
prendendole delicatamente
il mento tra le dita, e la costrinse ad alzare lo sguardo fino ad
incrociare i
suoi occhi.
Hinata
si sentì risucchiare.
Era
come se l'intera anima sua
venisse strappata a forza dal suo corpo e finisse in quei laghi
perfettamente
scarlatti, segnati da tre punti neri che cominciarono a sovrapporsi e
sdoppiarsi, nel suo campo visivo, come allucinazioni dettate da
un'ubriachezza
improvvisa. A poco a poco si sentì annullare, calpestare,
finchè la sua volontà
non fu relegata nel più piccolo angolo della mente e il suo
cervello rimase
vuoto, una tabula rasa. In qualche modo, la parte di lei che ancora
pensava
seppe di non potersi opporre in nessun modo a colui che in quel momento
la
fissava dall'alto delle sue iridi rosse, e fu così profonda
la vergogna per questa
scoperta che la ragazza si lasciò scivolare sul letto, gli
occhi ancora
parzialmente aperti, spalancati sul nulla.
Itachi
Uchiha, così com'era
venuto, scomparve, posando uno sguardo di fredda indifferenza su quella
piccola
umana che avrebbe presto condotto il Prototype alla rovina.
Per
lui, questo ed altro.
_Angolo del Fancazzismo_
Benebene,
ecco il nuovo aggiornamento,
scritto tutto d'un fiato.
Una
piccola parentesi: io AMO Itachi
Uchiha °ç°
Comunque
rieccomi, dopo la vacanza,
ancora piena di ispirazione e pronta a postare! Sono super carica,
anche grazie
alle vostre recensioni meravigliose, a cui finalmente ho il tempo per
rispondere.
Vaius: per me il verbo esagerare non
esiste, carO (visto, eh xD)
Vaius. Purtroppo la parte di Hinata in questa storia è
veramente ingrata, ma,
come dico io, i personaggi sfortunati sono anche i più
divertenti da trattare
xD
ryanforever: ehm... ops, errore di
battitura '^^... non temere, è
normale che le cose scontate vengano sottovalutate (questa fic,
infatti, sta
diventando un po' il teatrino delle banalità...). La
situazione comunque si fa
sempre più caotica... brr, non so quanto posso essere in
grado di gestire un
intreccio che promette guai a non finire T_T
Sarhita: ami le storie intricate? Io no.
Però amo scriverle, perchè
il divertimento non finisce mai u_u... grazie per i complimenti sul
capitolo
precedente e perdona la piccola svista di Sasori (volevo semplicemente
far
intendere che, pur essendo un tipo taciturno, è meno stupido
di quello che
sembra. Non a caso nota la fotocamera...) =)
bradipiro: volevi Itachi-san? Ed eccolo
qua! Forse un po' troppo
stronzo, ma io lo vedo molto meglio così che in
modalità "fratellone-amoroso".
Come ho fatto a prendere 10 e lode? Beh, con la tecnica pluripremiata
che a
questo mondo qualsiasi autrice chiama "botta di culo".
Perchè, ti
garantisco, io quel voto non lo merito xD
kagchan: spero che tu non sia
già partita T_T... vabbè, in ogni
caso, se e quando lo leggerai, mi auguro che questo capitolo ti
piaccia! Anche
io sono una fan delle Saso/dei (e degli AC/DC xD) e non mi
asterrò dal trattare
questo fantastico pairing. Buone vacanze!!!
shi_angel: vacanza bellissima, grazie
mille per gli auguri! E, beh,
le scene che ti immagini tu hanno sempre lo strano potere di farmi
morire dal
ridere xD
Little white angel: Sasuke è
il re degli sfigati, per questo fa
ridere. Complimenti per aver azzeccato il personaggio (a proposito, mi
scordo
sempre di quella maledetta fanart)! A proposito, vedo che anche a te,
come a
qualche altra recensitrice, Hinata non sta particolarmente simpatica,
neh?
Sadako94: la madre è la
signora Kushina Uzumaki xD! mi dispiace che
non l'avessi capito, pensavo di essere stata comprensibile con la
descrizione... ma vabbè, mi rifarò la prossima
volta u_u. E poi... temo che per
l'incontro tra Itachi e Sasuke dovrai aspettare un bel po'.
fra76: muhahahaha... che bello far stare
i lettori sulle spine! Comunque
il ruolo di Itachi non è ancora perfettamente definito, ci
devo pensare ancora
un po'... così come Mikoto, d'altra parte. Gli Uchiha sono
delle brutte bestie,
da gestire xD
_N_: evviva, una nuova recensitrice!
Sono felice che tu ti sia
aggiunta alle fan di "Prototype", ti do il mio benvenuto!
rekichan: la prima cosa che ho detto
quando ho visto la tua recensione
è stata: "OH. Mio. Dio." poi una pausa e infine
:"REKICHAN!".
Ti giuro, mi hai mandato in fibrillazione per un intero pomeriggio.
Perchè?
Beh, ti ammiro
moltissimo, sia come autrice (ho letto tutti i tuoi lavori, nessuno
escluso)
sia come persona. Adoro il tuo "blog delle ragazze confuse",
così
come le tue opinioni e il modo in cui le esprimi nelle tue opere.
Ricevere i
tuoi complimenti, quindi, è per me motivo di profonda gioia.
Grazie
per tutto quello che mi
hai detto, mi hai regalato un sacco di gioia e una grande voglia di
continuare
a scrivere.
Bene,
ci vediamo al prossimo
aggiornamento. Prima di andare, però, potrei chiedervi un
favore personale? potreste
leggere (e magari commentare) la storia "La Tata
contro i Mereh"
della mia amica "beads and flowers 96"? E' una fic molto dolce,
comica, e uno dei personaggi (Roberta) è modellato per
l'appunto sul mio
carattere. Mi farebbe molto piacere se la leggeste!
See you soon,
Roby
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Capitolo 11 *** The Road of Betrayal ***
010 - The Road of Betrayal
-Deidara,
saresti così gentile da
chiamare Sasuke e avvertirlo di aspettarmi sul molo?-
-E
perchè mai? Non potresti farlo
tu?- ribatté l'artista, evidentemente assorbito da uno
strano pezzo di creta
biancastra che si rigirava continuamente tra le mani.
-Io
devo andare nel deposito...
mi serve un po' di attrezzatura. Non è un problema se uso il
materiale che
avete trafugato dall'ospedale, vero?-
-No,
tanto a noi non serve. Ah,
guarda!- esclamò, mostrandogli l'argilla -E' un nuovo tipo
di esplosivo!-
-Esplosivo?
A me sembra quasi
plastilina...- ribatté il Prototype, allungando la mano a
toccare la misteriosa
sostanza. Deidara l'allontanò prontamente, stringendola con
fare protettivo.
-No!
Non toccare la mia arte
finchè non sarà completa!-
-Con
"completa" intendi
"capace di distruggere tre isolati con un grammo di esplosivo"?-
-Il
concetto più o meno è quello.
Ma tu lo esprimi in maniera così poco artistica, Zeus...-
Il
Prototype sbuffò, afferrando
l'artista per un gomito e costringendolo ad alzarsi, per poi
spintonarlo con
forza verso la porta aperta.
-Avverti
Sasuke, non ho voglia di
perdere troppo tempo.-
-Sempre
il solito... "fai
questo, fai quello", senza nessun rispetto per le mie esigenze di
creatura
ispirata.-
Tuttavia,
in piena contraddizione
rispetto a quanto aveva appena detto, scattò verso le stanze
dell'Uchiha non
appena vide la strana contrazione nervosa che chiudeva l'occhio del
Prototype
ad intervalli regolari, presagendo una crisi di nervi che di sicuro non
avrebbe
giovato alla salute dell'artista. Deidara, infatti, ricordava ancora
come
potessero rivelarsi distruttive le
crisi di rabbia di Zeus, (e, quando viveva insieme al loro gruppo, era
ancora
molto irrequieto), che spesso
sfociavano in veri e propri accessi di furia omicida. Non sarebbe
riuscito ad
enumerare le infinite volte in cui, offeso da un commento forse troppo
salace
di Kisame, il Prototype aveva raso al suolo il rifugio in cui si
trovavano,
costringendoli a numerosi traslochi.
Per
fortuna, il suo temperamento
sanguigno sembrava essersi calmato.
Non
si poteva dire lo stesso,
però, del caratterino indisponente di Ade. Quando Deidara
spalancò la porta
della sua stanza, infatti, lo trovò completamente
abbandonato sul copriletto,
il viso atteggiato in una smorfia seccata che non prometteva nulla di
buono.
-Buongiorno,
Ade. C'è qualcosa
che ti turba?- domandò, un ghigno sarcastico che gli si
allargava sul volto.
-Tutto
a posto.- fu la risposta,
scandita in ogni sillaba con l'indifferenza mista a rabbia di chi, per
qualche
motivo non meglio precisato, si è inequivocabilmente offeso.
-Le
tue parole mi dicono tutto il
contrario...- sogghignò -... non è che per caso
ti sei arrabbiato a causa di un
biondo di nostra conoscenza?-
Ade
sobbalzò, girandosi a
fissarlo con le iridi rese liquide e turbolente dall'odio.
Inesplicabilmente,
però, era anche arrossito, colorandosi di un bel rosso
acceso che gli chiazzava
le guance in maniera quasi malsana.
-Zeus
non c'entra nulla.-
Telegrafico,
il ragazzo. Ma anche
molto, molto poco sincero.
-Ma
davvero? A vederti si direbbe
tutto il contrario.-
L'Uchiha
scattò a sedere,
indirizzandogli un'occhiata omicida con i controfiocchi. Ci mise
qualche
secondo a trovare una risposta appropriata, poi disse, a labbra
strette:- Se
sei venuto qui per prenderti gioco di me puoi anche andartene subito.
Non ho
alcun interesse nell'ascoltare le tue farneticazioni.-
Se
il moro avesse appeso un
cartello fuori dalla porta, uno di quei giganteschi post-it
fosforescenti, e ci
avesse scritto a caratteri cubitali "mi sono preso una cotta per
Zeus", probabilmente Deidara non sarebbe stato convinto della cosa come
in
quel momento. Era talmente evidente, lampante... ma come poteva
biasimarlo? Era
difficile non lasciarsi trascinare da quegli occhi azzurri
così assurdamente
cristallini che nascondevano un'anima che decisamente non rientrava
nella sfera
umana.
Tuttavia,
se non poteva
biasimarlo, poteva almeno fare in modo di renderlo consapevole
dei propri sentimenti. Una missione tutt'altro che
facile, ma usando un paio di vecchi trucchi sarebbe stato tutto
più semplice.
-Meglio
così, allora.- sussurrò,
un sorriso minaccioso appositamente studiato che gli deformava il volto
delicato e accendeva una scintilla di cattiveria negli occhi celesti.
Ade,
non aspettandosi
evidentemente una simile risposta, spalancò lievemente gli
occhi ed esclamò,
senza riuscire a frenarsi:- Cosa vuoi dire!?-
L'intonazione
trasudava dispetto
e qualcosa di molto simile alla gelosia, ma Deidara finse accuratamente
di non
accorgersene.
-Voglio
dire...- continuò,
socchiudendo le palpebre -... che forse faresti meglio a stargli alla
larga.-
Sul
viso di Sasuke, alla rabbia
si sostituì lo sconcerto.
-Cosa!?-
-Hai
capito benissimo.- Deidara
dovette trattenersi dallo scoppiargli a ridere in faccia, tanto era
enorme la
portata della balla che stava per raccontare -Io e Zeus siamo
indissolubilmente... legati.
Mettiti
bene in testa che il legame che c'è tra noi non
verrà certamente spezzato da un
ragazzino in balìa di una cotta passeggera.-
Il
moro sembrava sull'orlo del
collasso, ma inghiottì la rabbia improvvisa che lo aveva
colto e tentò di
recuperare un po' della propria dignità, pur avvertendo
distintamente di avere
il viso in fiamme senza una motivazione decente.
-Tu
non puoi saper...- si
rimangiò in tempo record la risposta decisamente inopportuna
che stava per
dare, proponendone una nuova e assolutamente indolore
in tempo record -... a me di te e Zeus non importa nulla.
Per quanto mi riguarda potete fare ciò che volete,
purché non veniate a
disturbarmi.-
-Affare
fatto. E adesso, se non è
troppo disturbo, raggiungi Zeus sul molo.-
-E
perchè?-
-Non
chiedermelo. Una missione,
in ogni caso.-
-Bene.-
sibilò, fissando il
biondo in attesa di un risposta. Non sapeva perchè si stava
comportando in quel
modo, ed era perfettamente conscio di quanto poteva risultare
infantile. Fermo
restando che non riusciva a contenersi.
Deidara
ridacchiò, indicando
l'armadio:- Lì ci sono dei vestiti puliti. Non so se possano
andarti bene,
visto che non abbiamo avuto il tempo di cercarne della tua misura, ma
sempre
meglio mettersi qualcosa di troppo largo o troppo stretto che sembrare
un clochard.-
-"Clochard"? Che significa?-
-E'
francese, significa barbone.-
Stavolta
Sasuke dovette
trattenersi dal saltare addosso all'artista e fargli tutto
ciò che albergava
nei suoi incubi peggiori, mutilazioni e pestaggi inclusi, sfogando
tutta la
rabbia violenta e viscerale che aveva accumulato per giorni senza
trovare uno
sfogo. Rimase fermo sul letto, stritolando le coperte in attesa che il
biondo
se ne andasse.
Quando,
poi, Deidara si decise a
varcare la soglia, l'Uchiha provò lo strano impulso di
saltargli addosso ed
azzannarlo. C'era qualcosa che non andava, nell'aria di quel posto.
Lo
rendeva troppo nervoso e gli
causava strane reazioni.
Dopo
aver sostituito la felpa con
una maglietta grigia a mezze maniche, Sasuke ripercorse all'indietro i
corridoi
che l'avevano condotto alla sua stanza (non per niente, la sua memoria
era
ineccepibile) fino a ritrovare la botola. Ci mise un po' per trovare la
leva
che serviva a sbloccarla, poi uscì dal capannone e,
ritrovandosi improvvisamente
sotto i raggi del sole di mezzogiorno, si coprì gli occhi
con un braccio nel
tentativo di individuare Zeus.
Il
Prototype era seduto sul molo,
le gambe lasciate penzoloni oltre la banchina di cemento, e fissava
l'acqua con
espressione pensosa. Accanto teneva una grossa borsa di cuoio, piena
fino
all'orlo di oggetti che Sasuke non riuscì ad identificare,
preso com'era dai
giochi di luce che il riverbero produceva sulla pelle abbronzata del
biondo.
-Alla
buon'ora, Sasuke.-
-Ho
avuto qualche problema con la
salamandra.- ribatté il
moro, piccato.
-Ti
conviene stare attento,
Sas'ke. Con Deidara puoi scherzare quanto vuoi, ma se riesci a farlo
arrabbiare
è capace di farti esplodere in mille pezzi prima di
perdonarti. Secondo la sua
logica contorta, poi, le esplosioni sono una forma d'arte molto
raffinata.-
-Ma
che novità! Ce ne sono
talmente pochi, in questa città, di individui mentalmente
instabili...-
-Se
vogliamo parlare di
instabili, io mi guarderei le spalle da Hidan e Sasori.-
-Fottuta
Elizabeth Greene...-
ringhiò il moro, desiderando ardentemente di poter
disintegrare la donna per
aver distrutto il covo di Zeus. Beh, non che l'avesse propriamente
distrutto,
ma il fatto che non potessero più tornarvi giustificava,
secondo il parere
dell'Uchiha, una morte atroce e dolorosa.
-Bando
alle ciance, oggi dobbiamo
raccogliere dei campioni.-
-Perchè
la cosa sembra tutto,
tranne che facile e sicura?-
-Naaah,
vedrai che sarà una
cazzata. Innanzitutto pensiamo alla parte più difficile.-
-E
cioè?-
-Dovremmo
trovare dei serbatoi
dell'acqua che l'idra utilizza come incubatrici per produrre
Cacciatori. Ci
serve un liquido che si trova al loro interno, ma per ottenerlo
dobbiamo fare
in modo di romperle prima che ne escano i mostri.-
Sasuke
sospirò, soddisfatto.
Sembrava molto facile, sarebbe bastato riuscire a capire quali cisterne
erano
in procinto di esplodere e quali invece erano ancora ad uno stadio
primitivo.
Partirono
di corsa, ma ci misero
più di mezz'ora a trovare quello che cercavano.
Evidentemente, come aveva detto
Hinata, l'evoluzione delle cisterne infette era piuttosto recente, e,
conseguentemente, queste erano poco diffuse.
Il
serbatoio era completamente
ricoperto di virus, e riluceva al sole con la brillantezza umidiccia
della
pelle di un anfibio. Al centro, in trasparenza, si scorgeva un lieve
chiarore,
come se il metallo, arroventato, emettesse luce propria, e, quando
Sasuke provò
ad avvicinarsi per toccare la cisterna, quella strana luminescenza si
accentuò
ancora di più.
-Che
strano...- fece, poggiando la
mano sulla superficie umida e scivolosa -... è appena
tiepida, eppure il
metallo arroventato dovrebbe...-
-Sas'ke,
togliti di lì.-
-Eh?-
il moro si voltò verso
Zeus, fissandolo con un'espressione spaesata. Poi, allarmato dallo
sguardo
preoccupato del biondo, saltò via giusto un secondo prima
che sulla spessa
cortina dell'Idra si delineasse una crepa.
-Proprio
come pensavo.- mormorò
il Prototype, non senza un velo di autocompiacimento.
-Non
ti seguo.-
-Neh
Sas'ke, è normale... te lo
spiego: i serbatoi esplodono appena ti avvicini. Immagino che, appena
nati, i
Cacciatori abbiano bisogno sin da subito di una fonte di energia da
consumare,
e per far sì che abbiano cibo a disposizione appena escono
dal guscio l'Idra ha
sviluppato un sistema molto ingegnoso.-
-Credo
di aver capito. Reagiscono
al calore, per caso?-
-Esatto.
Si schiudono quando
avvertono la vicinanza di una fonte di calore, che potrebbe indicar...-
Un
secondo prima che Zeus
terminasse la parola, la cisterna esplose in mille pezzi.
Una
delle schegge metalliche si
conficcò per una buona ventina di centimetri nello stomaco
del Prototype, che,
senza fare una piega, la sfilò e la gettò a terra
ostentando una smorfia
schifata. Quando Sasuke si fu ripreso dalla sorpresa per aver visto la
velocità
con cui lo squarcio si era richiuso (poco meno di quattro, cinque
secondi),
rivolse lo sguardo a quella che ormai non era più una
cisterna, ma una sorta di
piattaforma su cui si agitava, ancora semi-avvolto da una specie di
placenta,
un cacciatore appena nato.
-Oh,
che carino.- mormorò Ade,
sarcastico fino alla nausea.
-Già.
Peccato che debba morire
così giovane...- ribatté Zeus, il tono fintamente
lacrimoso, schizzando verso
il Cacciatore con entrambe le braccia mutate in robusti arti neri che
terminavano con cinque artigli luccicanti, lunghi più di un
metro. Lo decapitò
senza nessuno sforzo apparente, volgendosi poi verso Sasuke e
mostrandogli con
orgoglio le mani.
-Artigli,
vedi?
In assoluto, i miei preferiti dopo la lama.-
L'Uchiha
gli
lanciò un'occhiata scettica, poi si voltò ed
esclamò:- Bellissimi, quasi quanto
la gioconda con i baffi di Duchamp. Adesso, se non ti dispiace...-
-Non
apprezzi
il Dadaismo, Sas'ke? Invece è una corrente artistica
notevole, anche se trovo
che ti si adatti di più il sur...-
-Non
mi
interessa l'arte. Se fosse per te, Zeus, ogni missione finirebbe per
diventare
un'unica, inutile divagazione su temi che non ci sono di nessuna
utilità.-
-E'
un modo
carino per dirmi che dovremmo trovare la prossima cisterna?-
-Non
lo definirei
carino.-
In
linea di
massima, Zeus conosceva la locazione di buona parte dei serbatoi della
città,
perchè, utilizzando i tetti come rifugio dai Blackwatch e
spostandosi proprio
su di essi, utilizzava le cisterne come punti di riferimento. Per
quanto
potesse possedere una buona memoria, infatti, il cervello del Prototype
era pur
sempre umano, e New York era una città decisamente troppo
grande per poterne
ricordare ogni singolo angolo.
-Siamo
arrivati?-
-Quasi...-
mormorò Zeus, prima di girare a destra e cominciare ad
arrampicarsi agilmente
sulle finestre di un piccolo condominio. Sasuke fece per raggiungere
direttamente il tetto con un salto, ma fu bloccato da un cenno del
biondo.
-Se
ti avvicini
troppo finirai per farla esplodere, e non ho voglia di cercarne altre.
Anzi,
ora che ci penso faremmo meglio a salire prima là.-
esclamò, indicando un
caseggiato attiguo a quello che stavano scalando.
-Ok,
passiamo
di lì.-
Quando
arrivarono sul tetto, Zeus comprese che la questione si sarebbe
rivelata più
complessa del previsto. Le cisterne, infatti, erano due, non una, e da
quanto
vedeva entrambe infette. Se anche avesse fatto in tempo a distruggerne
una con
un colpo ben assestato, l'altra sarebbe sicuramente esplosa vanificando
il suo
lavoro, perchè avrebbe dovuto sconfiggere il cacciatore e il
liquido che gli
serviva, in quel breve intervallo, si sarebbe certamente rovinato.
Gli
venne il
cosiddetto colpo di genio quando,
guardando attentamente Sasuke e considerandone la forza,
capì che il moro non
sarebbe mai riuscito a rompere in tempo un involucro d'acciaio di quel
tipo. Ed
ecco perchè lui gli avrebbe dato una mano...
-Sas'ke...-
mormorò, la voce grave, avvicinandosi ad Ade e afferrandolo
per gli avambracci
-... tu ti fidi di me?-
Non
poteva
resistere agli occhioni spalancati stile fanale catarifrangente.
-Sinceramente
no.-
Ok,
la tattica del kawaii con l'Uchiha
non funzionava.
Prendere nota.
-E
se ti chiedessi di fidarti?-
sibilò, stavolta malizioso. Si avvicinò al moro
fino a portarsi ad un soffio
dalle sue labbra, così vicino da poterne quasi avvertire la
morbidezza. Il moro
arrossì vistosamente, allontanando la testa di scatto e
scuotendola nel
tentativo di recuperare l'autocontrollo.
-N-n...-
-Lo prendo per un sì.-
Il
biondo flesse le braccia e
ruotò il busto con tutta la forza che aveva, lasciando
contemporaneamente la
presa. Una frazione di secondo dopo era già scattato verso
la cisterna di
sinistra, facendola a pezzi con un pugno bestiale, mentre Sasuke si
schiantava
come una cannonata contro quella di destra.
L'Uchiha
ci mise qualche secondo
a recuperare il controllo delle sinapsi, e quando riuscì a
guardarsi intorno
(e, conseguentemente, a comprendere che Zeus lo aveva utilizzato come
un
proiettile formato gigante) montò su tutte le furie. Si
tirò in piedi,
ignorando i vestiti zuppi di un liquido misteriosamente appiccicoso e
tutti
strappati per la collisione con la lamiera, e, voltate le spalle al
biondo, cominciò
a correre il più velocemente possibile. Lo scopo? Mettere
una distanza di
minimo dieci chilometri fra la propria persona e quella creatura che
sembrava
avere tutte le intenzioni di ucciderlo.
Zeus,
da parte sua, gli sarebbe
corso dietro anche subito, ma era troppo impegnato a riempire le
provette di
plastica che si era portato dietro con il liquido rosa che, lentamente,
gocciolava dai pezzi di alluminio rinforzato sparsi un po' su tutto il
tetto.
Liquido che, per inciso, era lo stesso di cui Sasuke era intriso dalla
testa ai
piedi.
Una
volta finito di prelevare i
campioni, il biondo si concesse uno sbuffo e cinque minuti di pausa,
prima di
darsi all'inseguimento del fuggiasco.
-Ade!
Cazzo, si può sapere che ti
prende?- urlò, dopo averlo ritrovato.
-Mi
hai lanciato contro una
cisterna senza chiedermi il permesso, ecco cosa mi prende!-
-Sas'ke,
Sas'ke...- lo affiancò,
più agile e scattante nonostante si trascinasse dietro la
borsa piena -... se
anche ti avessi avvertito prima, tu me lo avresti permesso?-
-Neanche
per sogno.-
Il
biondo sorrise, sornione,
godendosi la voce decisamente scorbutica del compagno.
Chissà
se si sarebbe arrabbiato,
pensò, se avesse saputo che, qualche minuto prima, aveva
provato l'impulso
irresistibile di baciarlo?
Nel
dubbio, meglio non dirgli
nulla.
***
-Odio
gli ospedali...- bofonchiò
Tenten, costretta a rimanere immobile nel suo letto per evitare che la
ferita all'addome
si riaprisse. Per fortuna si trattava di un taglio abbastanza
superficiale, che
non aveva leso organi importanti, ma faceva comunque un male cane,
nonostante
gli antidolorifici.
-Tranquillo,
capo!- esclamò Rock
Lee, auto-elevatosi al rango di crocerossina -... guarirai prestissimo!-
La
castana sospirò, mentre il
ragazzo, con rinnovato entusiasmo, prendeva a sbucciarle una mela.
Tenten
trovava umilianti tutte quelle attenzioni, ma non poteva certamente
comportarsi
in maniera sgarbata con il solo sottoposto responsabile che aveva.
Kiba,
naturalmente, era tutta un'altra questione...
-Ehi,
capo, forse è meglio se ti
sbrighi a guarire. Un altro po' di tempo sul letto, e il culo ti si
riempirà di
cellulite!-
-La
cellulite...- sibilò la
castana, evidentemente offesa (mai dire una cosa del genere ad una
donna) -...
verrà sicuramente a te se non la smetterai di ingozzarti con
quella robaccia.-
Kiba,
infatti, con molto poco
riguardo nei confronti dell'ammalata, stava dando fondo ad un
gigantesco pacco
di marshmallow alla fragola, infilando mugugni di puro godimento tra un
dolcetto e l'altro.
-Capo...
non per essere scortese,
ma in poco meno di sei ore ho visto pile di cadaveri, palazzi da incubo
pieni
di gente fatta a pezzi e sangue secco e, ciliegina sulla torta, una
specie di
insetto umanoide con delle discutibili preferenze alimentari. E'
già un
miracolo che riesca ancora a mangiarli, i mashmallow.- l'assenza di
volgarità
indicava che, molto probabilmente, Kiba era assolutamente serio. Tenten
batté
in ritirata.
-Suppongo che tu abbia
ragione. Rock Lee, quanto ti ci vuole
per sbucciare una mela?-
-Arriva, capo!-
Il
ragazzo cominciò ad
imboccarla, premuroso, sbatacchiando le palpebre degli occhi da pesce
lesso
come una ragazzina alla prima cotta. La castana, naturalmente, sapeva
che
quello era solo uno dei tanti comportamenti strambi del sottoposto, e
che avrebbe
fatto la stessa cosa anche se si fosse preso cura di Kiba, ma non
riusciva a
non trovarlo inquietante.
In
quella, a salvarla
dall'imbarazzante situazione, la porta della stanza si
spalancò con un colpo
secco e sbatté contro la parete, mentre sulla soglia faceva
la sua comparsa il
Generale di Brigata Sabaku no Temari.
-TU!?-
sbraitò Tenten, cercando
di tirarsi a sedere e ricadendo malamente sul materasso. Temari era
sempre
stata la persona che odiava di più in tutta la base, con
quel suo comportamento
eternamente strafottente e maleducato, ma soprattutto, ai suoi occhi,
si era
macchiata della colpa di aver raggiunto il grado di Generale prima di
lei, che
pure aveva la sua stessa età.
-Dolce
come sempre, Ibarashi.- la
bionda sorrise, derisoria, e si aggiustò con un gesto vago
uno dei quattro
codini in cui erano acconciati, come al solito, i suoi lucenti capelli
dorati.
Era bella, la
Sabaku,
di una bellezza aggressiva con cui solo la delicatezza e la grazia di
Ino
Yamanaka, la Team Leader
del laboratorio di ricerca, potevano competere.
-Come
mai sei qui? Non mi risulta
che il farmi visite di cortesia sia tra le tue attività
preferite.-
-No,
infatti. Ero venuta solo per
avvisarti che, da oggi, il tuo compito passa a me e alla mia squadra.-
Tenten
rimase pietrificata. Non
tanto perchè avevano dato la missione a qualcun altro (era
abbastanza ovvio,
visto che la ferita l'avrebbe tenuta a letto ancora per molto tempo) ma
piuttosto perchè il Team Kaze, composto dai tre fratelli
Sabaku, veniva
scomodato solamente quando non si sapeva più che pesci
prendere. E Zeus, che
lei sapesse, non aveva mai richiesto una simile urgenza.
Temari
sorrise, accennando un
inchino, poi si girò e si diresse verso la porta. La divisa,
che ne accarezzava
dolcemente le forme e le metteva in risalto, provocò una
fitta di invidia non
indifferente alla castana, che pure sapeva di essere non proprio
brutta, sul
piano fisico.
-Tzè!-
esclamò Kiba, appena la
bionda si fu allontanata -Il team degli psicotici di 'sto cazzo! Quei
tre sono
capaci di demolire ogni edificio di New York, pur di trovare quello che
cercano...-
-E'
proprio questo che mi
preoccupa...- intervenne Tenten -... perchè all'improvviso
hanno tutta questa
urgenza di stanare Zeus?
***
-Ho
trovato qualcosa.-
-Cosa?-
Sai si avvicinò al pc,
incuriosito dall'espressione concentrata del Nara.
-Beh...
non è poi molto, a dire
il vero. In tutti i documenti che sono riuscito a sbloccare si fa
riferimento
ad un luogo, o almeno credo che sia un luogo, e ad una data.-
-E
sarebbe?-
-Hope,
Idaho. La data è il 1990.-
-Non
spiega cosa significa?-
-No.
Hanno distrutto tutti i dati
inerenti... sono riuscito a ricostruirne il percorso informatico, ma da
qui a
determinarne il contenuto...-
-Impossibile,
vero?-
-Già.
Ho la netta sensazione che
per capirci qualcosa in questa storia dovremmo interpellare qualcuno
che è
direttamente coinvolto.-
-Come
Zeus?-
-Esatto.-
***
"Non
doveva finire così."
_Angolo del Fancazzismo_
Miei
cari lettori, scusatemi per
il ritardo ma credetemi se vi dico che questo capitolo è
stato un parto. Può
sembrare di transizione, ma vi assicuro che non lo è
affatto, anzi... probabilmente
è uno degli snodi più importanti di tutta la
trama. Sto preparando il terreno
per future catastrofi, quindi cercate di perdonare la lentezza degli
aggiornamenti pensando che questa è una fase molto delicata
e che, bene o male,
devo riuscire a far quadrare per bene tutti i dettagli in modo da
presentarvi
gli eventi nella maniera giusta.
E
poi, sinceramente, io odio le
fic troppo veloci, approssimative o del tutto campate in aria.
E
ora, finalmente, le risposte
alle rece >.
Vaius: succederà un bel
macello, te lo garantisco xD... e comunque
la parte peggiore in questa fic spetterà a Naruto, non a
Hinata. Ma forse è
meglio che non ti faccio troppi spoiler, potrei rovinare questa
sottospecie di suspense
che ho faticosamente costruito in undici capitoli di "sudate carte".
Che
dire, spero che anche questo aggiornamento ti abbia incuriosito.
ryanforever: dunque... vediamo di
rispondere alle tue supposizioni.
Kakashi avrà un ruolo non proprio fondamentale, ma comunque
abbastanza
importante, mentre Itachi sarà un personaggio assolutamente
basilare. Tuttavia,
se fossi in voi, non sottovaluterei nemmeno Sai e Shikamaru, che
avranno una
parte molto più importante di quanto possa sembrare. Grazie
1000 per
l'incoraggiamento =)...
_N_: l'entusiasmo dei lettori rende
entusiasta anche me! Grazie per
i complimenti, spero che ti sia piaciuto anche questo cap in cui ho
(finalmente) lasciato un po' più di spazio anche a Sas'ke...
rekichan: xD ahahahaha! non ci posso
credere, se devo essere
sincera mi sento molto felice! La mia autrice preferita che mi fa i
complimenti, sìììì! Bando
alle ciance, Itachi combinerà molti più disastri
di
quanti si possa pensare. Diciamo che, pur agendo nell'ombra,
avrà un ruolo
molto "attivo". Spero che anche questo cap ti sia piaciuto,
reki-senpai!
kagchan: rispondo alla rece anche se sei
in vacanza, ecco. Mi
dispiace molto non poter ricevere i tuoi commenti, ma vedrò
di pazientare fino
a settembre. Itachi Uchiha fa parte della mia triade di personaggi
preferiti
(Suigetsu, Deidara, Itachi) e credo che, a livello psicologico, sia il
chara
migliore che Kishimoto si sia mai inventato, Sasuke permettendo. Forse
è anche
per questo che risulta maledettamente difficile, da trattare... Tra
Zeus e
Deidara c'è stato qualcosa, sì, è lo
spiegherò più diffusamente in futuro (non
so te, ma il DeiNaru è un pairing che, pur essendo
praticamente crack, mi ha
sempre attirato moltissimo). Kakashi... beh, quell'uomo è un
vero e proprio
mistero xD!
bradipiro: xD la tua teoria sulla scuola
è pienamente corretta! Tuttavia,
i miei genitori sono così dolci e comprensivi che mi hanno
minacciato di
togliermi il pc se non uscivo dalle medie con un voto uguale o
superiore al 10.
Vecchi dispotici... ehm ehm, cambiando discorso: Itachi-san
è semplicemente
strafigo, logico che faccia un'entrata spettacolare. Anzi,
probabilmente
l'entrata sarebbe stata spettacolare anche se l'avessi fatto emergere
da un
water, visto il personaggio di cui stiamo parlando x'D...
fra76: povera Hinata... non riesco a
contenere il mio sadismo, mi
dispiace. Comunque non ti preoccupare, lei è solamente la
prima a cui capitano
disgrazie, perchè non ho nessuna intenzione di esimere il
resto dei personaggi
di questa fic dal mio estro creativo in fatto di morte e distruzione.
Sadako94: SasuNaru o NaruSasu? Boh. Le
NaruSasu mi risultano
abbastanza repellenti, ma in un certo senso potrebbe essere un buon
esperimento
provare a scriverne una. Le SasuNaru, invece, sono un vero e proprio
credo per
la sottoscritta xD... sulla smielatezza ti ringrazio, mi fa molto
piacere che
questa fic si distacchi dalle classice ficcyne love-love con un
contenuto di
zucchero he rasenta il coma diabetico. *Sospiro di sollievo*. Riguardo
alla
storia, Naruto è un tonto terribile. Per quanto riguarda la
presa di coscienza
dei propri sentimenti è anche peggio di Sasuke, il che
è tutto dire...
Bene,
ci vediamo al prossimo
aggiornamento!
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 12 *** Darkness ***
011 - Darkness
-Avevi
mai visto le spore di un
alveare, Sasuke?-
-Non...
non ci avevo mai fatto
caso...-
-"Il fiore
perfetto è una cosa rara. Se si
trascorresse la vita a cercarne uno, non sarebbe una vita sprecata". Guardali. Non trovi che somiglino a
dei soffioni?-
-Non so
cos'è un soffione.- rispose il moro, allungando la mano per
sfiorare uno di
quei rilucenti globi di lanugine dorata che svolazzavano nei pressi
dell'alveare. Esteticamente erano fantastici, leggeri e delicati come
dovevano
essere le piume degli angeli, ed emanavano un tepore avvertibile anche
a qualche
palmo di distanza.
-Tuttavia...-
riprese Sasuke -... per quanto bello, dubito che un semplice fiore
possa anche
solo assomigliare a queste spore.-
-Sono
effettivamente più belle di qualsiasi pianta terrestre.
Inoltre, hanno il
vantaggio di funzionare molto bene come medicinali: se ne assorbi una
certa
quantità quando stai male, torni in forma nel giro di pochi
secondi.- spiegò
Zeus, afferrandoli a mucchi per riempire un voluminoso sacchetto di
plastica
trasparente.
-Mi
chiedo... è saggio portarle all'interno del rifugio? Se una
di quelle spore
riuscisse a sfuggire al nostro controllo, non trasformerebbe tutto in
un
gigantesco alveare?-
-No,
sono molto facili da trattare, e poi al porto Deidara e gli altri hanno
allestito un laboratorio sotterraneo, dacché è
scoppiata l'infezione, che
potrebbe fare invidia a qualsiasi struttura della Gentek.-
-E come
hanno fatto? Insomma, non credo sia facile creare un laboratorio
così, su due
piedi.-
-"Due
piedi"? Non sottovalutare il loro quoziente intellettivo, sono
più pratici
e scaltri di quanto non sembrino. E ora torniamo da Hinata,
così potrà
cominciare a studiare i campioni che le abbiamo portato...-
-... e
io potrò farmi una doccia. Sai, a causa di qualcuno
sono completamente ricoperto di gelatina...-
Raggiunsero
il porto in mezz'ora, e ad accoglierli trovarono Sasori, che,
completamente
immobile contro il muro del magazzino, svolgeva celermente il ruolo di
vedetta.
Non spiccicò nemmeno una parola, e si limitò ad
aprir loro la porta per poi
richiuderla silenziosamente.
-Loquace,
eh?-
-Parla
solo quando qualcosa gli interessa sul serio. Come quando siamo
arrivati, e ci
ha fatto quelle domande... sentirlo parlare così tanto
è un evento
eccezionalmente raro. Sarebbe potuta andare peggio, visto il suo
potere,
però...-
-Che
potere ha?-
-Non
vorresti saperlo, fidati.-
-Credo
di poter determinare da solo ciò che offende la mia psiche,
dobe.-
-Chiedilo
a lui, sempre che sia intenzionato a risponderti. Non voglio uccidere
nessuno,
io.-
-Non ti
seguo.-
-Oh,
beh... Sasori è imprevedibile. Se si incazzasse sarei
costretto ad ucciderlo, e
mi dispiacerebbe davvero, perchè tutto sommato è
una di quelle persone di cui
difficilmente riesci a dimenticarti.-
Il moro
sbuffò, accorgendosi che, tra una chiacchiera e l'altra,
erano arrivati fino
alla stanza di Hinata.
-Ok, io
non entro.-
-E dai,
Sas'ke! Potresti anche dimostrarti carino
ogni tanto, sai?-
-Con
quella? Scordatelo!-
-Va
bene.- sbottò il biondo, poggiando la borsa a terra e
fronteggiando l'Uchiha
con aria decisa -Allora spiegami perchè ti sta sul cazzo.
Avrai una motivazione
decente, no?-
Sasuke
lo guardò, cercando una risposta. Era proprio lì,
nel cassetto più vicino e
accessibile del suo inconscio, ma non aveva nessuna intenzione di
accettarla.
Zeus, di fronte a lui, sembrava più risoluto che mai nelle
sue intenzioni.
-Perchè...
non mi piace il suo carattere.-
-Ah,
davvero? E, tanto per sapere, cosa c'è che t'infastidisce
così tanto?-
-E'
infantile. Si comporta come una bambina e non ha fatto che
rallentarci...- "...e farti rischiare la
vita".
-Non
credo che le sue siano state azioni volute, Sas'ke. E' solo una
ragazza,
fragile tra l'altro, che è capitata in un mondo
più grande di lei. E poi...-
-Anche
io...- il moro lo interruppe, la voce trasformatasi in un sibilo basso,
appena
udibile, eppure denso d'ira e risentimento -...
anche io sono finito in una situazione più grande di me.
Eppure non mi sembra
che qualcuno si sia scomodato per preoccuparsene.-
Conclusa
la breve invettiva, incisiva quanto improvvisa, Sasuke
spalancò la porta e
troncò così ogni possibile recriminazione del
biondo. Che, da parte sua, lo
fissava come se avesse visto un fantasma.
Poi si
riscosse, riacquistando la solita aria solare e scanzonata, e si
avvicinò al
letto, dove un'Hinata decisamente più silenziosa del solito
fissava la parete
di fronte, l'aria apatica e spiritata.
-Ehm...
Hina-chan? Tutto a posto.-
-S-sì,
non è nulla. Sto bene.-
-Beh,
noi ti abbiamo portato i... campioni. Hina-chan, sicura di stare bene?-
-N-non
è nulla, non ti preoccupare. S-solo un po' di mal di testa.
Posso... posso
cominciare a lavorare sin da s-subito, giu-giusto?-
-Certo.
Ti ci faccio accompagnare da Kakuzu, tu nel frattempo aspetta qui.
Vedrai che
ti troverai tuo
agio, e ricordati che
nessuno qui pretende la Luna. Stiamo
solo facendo un tentativo, quindi... beh, anche se dovessi fallire non
ci
sarebbe nessun problema, sul serio.-
-L-lo
so. Fa-farò del mio meglio.-
-Beh,
in questo caso io vado. Ciao!- esclamò, prima di voltarsi e
uscire, sbattendo
la porta. C'erano ancora un paio di cose che doveva fare, prima tra
tutti una
bella strigliata al teme, ma si avvide fin da subito che Ade era
sparito.
"Sarà
andato a farsi una doccia..." pensò, non senza una punta di
rabbia. Sasuke
godeva dell'irritazione che provocava ed era fermamente convinto che
tutto gli
fosse dovuto, e questo comportamento avrebbe finito per condurlo alla
tomba.
-Prima
o poi qualcuno lo ammazzerà, sempre che non sia io a farlo.-
***
Kakuzu
aveva sempre odiato le perdite di tempo. E, ancora di più,
odiava coloro che le
causavano.
Perchè,
razionalmente, se è vero che "il
tempo è denaro", le "perdite
di tempo" sono anche "perdite
di denaro", giusto? E, per lui, il denaro era il valore
principale
dell'esistenza, la cosa più preziosa a cui un uomo potesse
aspirare. Dei soldi
amava tutto: la consistenza, l'odore, il peso, l'eleganza e la
freddezza che ti
spingevano a volerne sempre di più, ad accumularli senza
avere necessariamente
voglia di spenderli.
Per
cui, grande era stato il suo disappunto quando Zeus lo aveva avvisato
che
avrebbe dovuto interrompere la sua consueta contabilità
mattutina per
accompagnare l'ospite nel
laboratorio, dove avrebbe cominciato a cercare una cura per l'Idra.
Ecco,
poteva tranquillamente classificare tutta la faccenda come "spreco di tempo".
Enorme
spreco di tempo.
Lo
stesso Zetsu, che pure conosceva la composizione dell'Idra a menadito
(causa
alcuni esperimenti genetici che aveva condotto su sè stesso)
aveva ammesso che
non esisteva al mondo una cura in grado di sconfiggerlo. Gli effetti
erano
troppo repentini, e, se pure si fosse riusciti ad eliminare il virus,
l'ospite
sarebbe certamente morto. Quindi, a che pro tentare esperimenti inutili
e
controproducenti, che avrebbero ulteriormente assottigliato le sue
finanze?
Bussò
con fare distratto, esplorando i meandri della propria mente alla
ricerca di un
metodo per evitare che la ragazzina raggiungesse il laboratorio viva,
ma fu
costretto ad arrendersi di fronte alla verità: se avesse
torto un capello ad
Hinata, Zeus lo avrebbe smembrato e poi cucinato in puro stile
"spezzatino
di manzo".
-Arrivo.-
fece una voce piatta ed impersonale, dall'interno, prima che la porta
si
spalancasse con un fruscio. Kakuzu aggrottò le sopracciglia,
considerando la
figura che aveva di fronte con una breve occhiata e trovandola
decisamente strana. Non aveva
quella faccia
inespressiva quando era arrivata, poteva giurarci, ma, a rigor di
logica, era
normale che un semplice essere umano rimanesse traumatizzato dagli
eventi che
quella ragazzina aveva subito. Alzò le spalle, afferrando la
sacca dei campioni
(abbandonata fuori dalla porta, un atto che chiunque avrebbe definito irresponsabile, specie se Deidara era a
piede libero nell'edificio) e si incamminò. Non ci fu
bisogno di cenni perchè
la ragazza lo seguisse, evidentemente sapeva già tutto.
La
porta del laboratorio era diversa da tutte le altre del corridoio che
la
ospitava: liscia, lucida, sembrava quasi lo sportello di una cella
frigorifera.
Non aveva maniglia, e per aprirla Kakuzu azionò un
meccanismo nascosto nella
parete. Scorrendo lateralmente senza emettere il minimo suono, la
lastra
metallica si aprì quel tanto che bastava per lasciarli
passare, richiudendosi
poi dopo il loro passaggio. L'uomo ricordò con un vago senso
di orgoglio tutta
la fatica che ci era voluta per realizzare quella chicca elettronica,
progettata e costruita quasi interamente da lui e Sasori in mesi di
sforzi
congiunti.
-Tu
starai qui. Non credo di doverti spiegare nulla, visto che hai lavorato
in un
laboratorio.-
E, se
anche ci fosse stato bisogno di ulteriori chiarimenti, dubitava che
avrebbe
avuto la pazienza di fornirli.
-V-va
bene. T-tuttavia... prima vorrei mangiare qualcosa.-
Ecco,
altro tempo sprecato. Ci avrebbero messo ore prima di trovare del cibo
commestibile a Manhattan, a meno che...
-Il
pesce ti va bene?-
-C-certamente.-
-Perfetto.
Non puoi mangiare nel laboratorio, rischieresti di contaminarlo, quindi
torna
pure in camera tua e aspetta che qualcuno ti porti il pranzo. Dopo aver
mangiato torna qui e comincia a lavorare. Naturalmente ricordi il
percorso che
abbiamo seguito per arrivare fino a qui.- erano solamente affermazioni,
nessuna
domanda. Kakuzu non desiderava ulteriori fastidi.
-Sì.-
-Il
materiale sterile è nel quarto cassetto dello schedario, non
ti è permesso
aprire gli altri. Una volta che hai utilizzato qualcosa chiudilo nelle
bustine
di plastica che troverai e gettalo nel cestino, penseremo noi a
disfarcene.-
-O-ok.-
Hinata si sentiva stanca, svuotata. Avvertiva la presenza di Itachi, se
lo
sentiva sempre addosso, come una patina invisibile che le ostacolava i
movimenti e le impediva di pensare come avrebbe voluto. Era come avere
il
cervello completamente appannato, vacuo. Galleggiava in un mare di
nebbia.
Kakuzu
le voltò le spalle, sparendo dietro l'angolo più
vicino, lasciandole il tempo
per tirare un sospiro di sollievo e raggiungere, barcollando
lievemente, la
propria stanza.
Qualche
minuto dopo, o forse erano trascorse ore, la sua porta venne spalancata
di
colpo, senza che nessuno si fosse degnato di bussare. Sulla soglia, i
capelli
turchini che sfioravano l'architrave, stava Kisame, il viso bluastro
contratto
in un ghigno che metteva bene in mostra gli inquietanti denti da squalo.
-Ehilà,
mocciosa! Avevi ordinato il pranzo?-
-I-io...-
-Ecco,
ecco... che impazienza...- borbottò il gigante, facendosi
strada nella
stanzetta con la stessa grazia di un elefante imbizzarrito. Il piatto
che le
schiaffò sulle gambe (era seduta sul letto, la schiena
schiacciata contro il
muro) era ricolmo di grossi pesci arrostiti simili a trote, infilzati
dalla
coda al muso con dei grossi spiedini di legno. Emanavano un odore
ottimo, e
Hinata, che cominciava ad avere veramente fame, li trovò
deliziosi, benché
fossero privi di condimento.
-Beh,
visto che hai finito ti converrebbe andare al laboratorio. Kakuzu
diventa
piuttosto scassapalle, quando qualcuno contravviene alle sue
disposizioni.-
-Hm...
ok.-
Di
nuovo lo stesso percorso, di nuovo la porta di ferro. La ragazza ci
mise un po'
per trovare il meccanismo, ma alla fine riuscì ad entrare
senza particolari
difficoltà.
L'interno
era bicromatico, con il solito accostamento bianco-grigio acciaio a cui
anni di
lavoro l'avevano abituata. Al centro della stanza c'erano due tavolate
identiche, di ferro, su cui stavano diversi oggetti che Hinata
identificò come
microscopi elettronici ad alta tecnologia, macchinari per il
raffreddamento e
la stabilizzazione dei campioni sanguigni ed una serie di altri
marchingegni
per la coltura dei germi e il loro monitoraggio. Sulla parete opposta
rispetto
all'entrata stava uno schedario, e, aprendo il quarto cassetto a
partire
dall'alto, Hinata vi trovò diverse bustine di plastica a
chiusura ermetica, dei
guanti sterili, un camice ed una mascherina accuratamente ripiegati. In
un
angolo, impolverata, c'era anche una bottiglietta di disinfettante, del
tipo che
non andava risciacquato.
"Usare
queste attrezzature per un virus
come l'Idra... è veramente un azzardo senza precedenti."
Sapevo che
il rischio di venire infettata, in quella situazione, era veramente
altissimo, ma
non poteva rifiutarsi in nessun modo. Pensò con nostalgia a
cosa sarebbe successo
se, quella dannata mattina che aveva deciso per sempre il corso della
sua vita,
avesse affibbiato l'incarico di raccolta a qualcun altro, rimanendo
alla base. Scosse
la testa, scacciando quei pensieri: inutile piangere sul latte versato.
Non le
restava che quell'unica risoluzione, quell'unico scopo. Avrebbe cercato
una
cura, lo doveva a colui che l'aveva salvata, e, benché
sapesse che Itachi
avrebbe potuto farle qualsiasi cosa, era altrettanto certa che non si
sarebbe
mai arresa.
***
Elizabeth
Greene si rigirò nel proprio nascondiglio, inquieta.
Uno dei
figli si stava comportando male,
molto male, e lei lo sentiva perfettamente. Poteva intuire i suoi
pensieri con
la stessa identità con cui sentiva il respiro di quel posto, e ciò che leggeva
la atterriva: il suo bambino prediletto,
il piccolo Zeus, era in grave pericolo. Oh, chiunque gli avesse torto
un
capello sarebbe incorso nella sua ira, questo era certo, ma dubitava
che
uccidere il responsabile potesse servire a qualcosa, se il Prototype
fosse
morto. Non aveva il potere di riportare in vita coloro che smettevano
di
respirare.
-Cattivo,
Itachi-kun...- mormorò, giocherellando con una spora dorata
-... se la mamma ti
vedesse, rimarrebbe molto delusa da te, sai? Non costringermi ad
ucciderti,
Itachi-kun.-
***
Hinata
si irrigidì, udendo di nuovo quel suono. Mani che battevano,
con delicatezza, e
una voce che sapeva di veleno.
-Lavori
celermente.-
-Sì.-
-Hai
trovato qualcosa?-
-N-no...
forse. S-stavo p-pensando... beh, fo-forse abbiamo sba-sbagliato tutto,
nella
ricerca di una terapia. Cre-credo di aver ca-capito come...-
-No.
Non hai capito nulla, e lo sai perfettamente. Adesso, credo sia
arrivato il
momento di fare scacco matto.-
-S-scacco
m-matto?-
-Sì.-
Itachi Uchiha sorrise, frugando nelle tasche dei pantaloni neri che
indossava. Ne
trasse una provetta accuratamente sigillata, che conteneva un liquido
rosato
denso e trasparente.
-C-cos'è
quello?-
-Non ti
serve saperlo. Quello che farai è molto semplice: dirai al
Prototype di voler
sperimentare questo preparato come test per verificare le reazioni
dell'Idra e
glielo inietterai. Naturalmente, dovrai convincerlo della sua
innocuità.-
-C-cosa
g-gli su-succederà?-
-Non ti
serve saperlo.- ripetè l'Uchiha, sibillino, sorridendo in
una maniera che
Hinata trovò a dir poco disgustosa. Poi le si
avvicinò, posando la provetta sul
tavolo, e svanì in una nuvola di fumo nerastro, che
levitò per qualche minuto
sul pavimento e poi vi si infiltrò, sparendo alla vista.
La mora
deglutì, terrorizzata. Sapeva che avrebbe fatto tutto quello
che Itachi le
aveva chiesto, ma una parte di lei continuava a lottare furiosamente
per
riottenere il controllo delle proprie azioni. Si odiò
quando, completamente
sconfitta, afferrò il cilindretto di vetro ed una siringa
ipodermica, aprendo
la porta con una lentezza estenuante.
Cominciò
a vagare per i corridoi, chiamando a tratti il nome di Zeus,
finchè non se lo
vide comparire davanti, i vestiti stropicciati e il disordine dei
capelli che
denotavano un risveglio improvviso.
-Hina-chan?
Ti serve qualcosa?-
La
ragazza sperò che notasse il suo disgusto verso
ciò che stava per fare, ma non
poteva fare a meno di sembrare dannatamente convincente, quando pose la
domanda:- Ho sintetizzato un preparato per studiare le reazioni del
virus a
livello molecolare. Mi concederesti di iniettartelo?-
Non
aveva nemmeno balbettato.
-Ma...
se prendessi un campione del mio sangue?-
-Non
sarebbe la stessa cosa. Il tuo organismo permeato di virus potrebbe far
sì che
il sangue reagisca in modo diverso.-
-Ah...
capisco. Hina-chan, sicura che non ci sia alcun rischio?-
-C-certamente.
E' un trattamento sperimentale, ma completamente innocuo.-
-Uhm...
beh... ah, fanculo i film mentali, mi fido!- esclamò Zeus,
con uno dei suoi
migliori sorrisi, porgendole il braccio.
-Vuoi
fare l'iniezione qui?-
-Certo.
Che problema c'è?-
-N-nulla.-
rispose la mora. Afferrò la siringa, bucando con delicatezza
il tappo di gomma
morbida della provetta, e tirò indietro lo stantuffo,
riempiendola con il liquido
rosato. La mano le tremò leggermente per lo sforzo nervoso a
cui si stava sottoponendo,
tentando in tutti i modi di ostacolare quelle azioni dettate dalla
coscienza di
qualcun altro.
Alla
fine, però, fu costretta a capitolare.
Prese il
braccio sinistro del Prototype, dove le vene erano ben visibili grazie
alla
profonda definizione dei muscoli che le sottolineavano.
L'ago
bucò la pelle, lo stantuffo scese dolcemente.
La
morte entrò in circolo.
***
-Avrei
fatto meglio ad ucciderla.- commentò la Madre,
irata, spezzando la spora fra le dita con
un gesto secco. Sapeva esattamente cosa stava succedendo, in quel
preciso
istante, e non poteva fare nulla per impedirlo. Però poteva
fare in modo che il
suo piccolo si salvasse, poteva chiedere aiuto.
E poi,
una volta recuperate le energie necessarie, avrebbe distrutto sia il bambino cattivo, che non doveva
permettersi di nuocere al suo unico, vero
figlio, sia quell'inutile ragazzina che si faceva soggiogare da uno
stupido
bamboccio.
"Nessuno
tocca le cose di Elizabeth,
nessuno fa del male alle cose di Elizabeth. Me l'avevi promesso. Ma sei
sempre
stato un bugiardo."
***
-Ora
dovresti riposarti per qualche ora, in attesa che il composto faccia
effetto.-
-Ok,
grazie! Hina-chan, non so davvero come farti capire quanto sono
contento che tu
sia qui, a lavorare con noi. Davvero, sei...-
-N-no!-
esclamò la ragazza, prendendosi la testa tra le mani con una
terribile voglia
di piangere. La benevolenza di Zeus era la punizione peggiore che
potesse
capitarle, dopo quello che aveva fatto.
-Hina-chan...?-
-T-tutto
a posto. S-solo un po' di m-mal di testa. Cre-credo che
andrò a dormire a-anche
io.-
-Beh,
devi sentirti sicuramente stanca! Certo che ci hai messo poco a
preparare il
trattamento, appena tre ore!-
-A-avevo
d-dell'ottimo ma-materiale di base. E-e poi h-ho già f-fatto
d-decine di
esperimenti simili.-
-Ok. Io
vado, ti lasciò un po' di riposo. Ciao, Hina-chan.-
-Ciao,
Zeus.-
"Addio,
Zeus".
"La speranza non dovrebbe portare alla
disperazione."
_Angolo
del Fancazzismo_
Capitolo
a dir poco impossibile, lo confesso. E' brutto nonostante l'impegno che
ci ho
messo per scriverlo, e vi ho fatto pure aspettare. Sono inqualificabile
T_T...
non temete, il prossimo chap sarà in anticipo rispetto alla
tabella di marcia
(e per fortuna!!) perchè so già cosa
accadrà e come scriverlo. Se poi sarà decente
o meno... beh, questo non posso prevederlo ù_ù.
Ecco le
risposte alle recensioni, che stavolta mi hanno semplicemente annichilita.
rekichan: "rimani fedele al SasuNaru,
perché il NaruSasu è il male
come il rosa, il NaruHina e Winnie the pooh." xD ma LOL! Ahahahahaha...
sapevo del tuo odio spassionato per il NaruSasu, ma non pensavo che
saresti
arrivata a paragonarlo al rosa e a Winnie The Pooh! Comunque, in questo
capitolo non ho dato spazio ai sentimentalismi e nemmeno ai personaggi
secondari (che, nel prossimo chap, si scateneranno alla grande) ma ho
preferito
descrivere un evento cardine della trama. Essì, l'iniezione.
Voglio proprio
vedere che ipotesi sono sorte sugli effetti di quella puntura,
sisì ù_ù
Sadako94: lo
so, la trama è piuttosto lenta. Ma ci sono talmente tante
cose da scrivere che,
a meno di non fare capitoli di una trentina di pagine per uno (cosa che
li
renderebbe tediosi) sono costretta ad andare a piccoli passi. Deidara
ti sembra
bastardo? Oh, aspetta di vedere gli altri, Sasori in testa xD... sulla
faccenda
del pairing... dici che ci starebbe meglio un NaruSasu? In effetti
l'equazione
Zeus : Ade = Seme :
Uke è piuttosto
corretta, ma la coppia proprio non mi attizza.
A parte che per un contest sono arrivata anche a scrivere una OroSasu,
pairing
che aborro, quindi... non so. Sono mortalmente indecisa.
ryanforever:
tranquilla,
sulla frase finale non ti sei affatto persa. Sono
spezzoni di frasi appartenenti al "passato" *cerca di non fare troppi
spoiler mentre scrive* che inserirò qua e là nei
capitoli, per vedere se
riuscirete ad indovinare a cosa si riferiscono. Diciamo che sono in
qualche
modo legati agli eventi di Hope, Idaho, nel 1990 :D!
bradipiro:
vedi la risposta di ryanforever :P. Comunque sì, ho cambiato
lievemente quella
parte di trama (seguendo anche quanto scritto nel fumetto, non so se lo
hai
letto) per evitare che chi ha già giocato al videogioco si
trovi davanti una
storia che già conosce e finisca per annoiarsi. Anche i
poteri saranno un po'
differenti da quelli del videogioco, e pure i responsabili di quello
che è
successo ad Hope perchè *si chiude la bocca con una cerniera
lampo. NON può
continuare a fare spoiler xD*.
_N_: grazie
mille! Ah, il campo scout, quanti ricordi... anche io ero un lupetto,
poi ho
mollato in quinta elementare perchè il nostro Akela era
veramente un rompipalle
cosmico e il nostro gruppo scout era probabilmente il più
barbone che si fosse
mai visto in Italia. Ricordo ancora con orrore i pomeriggi passati a
giocare e
a fare ban tipo "batti le mani, muovi le antennine, dammi le tue
zampiiiine..." ecc, ecc.
Little
white angel: ok,
a questo punto suppongo che verso Hinata tu abbia
cominciato a provare un odio feroce xD. Poverina, però, mica
è colpa sua! In
fondo c'è Itachi che la obbliga, no (e adesso sai anche cosa
voleva combinare,
quel mascalzone dell'Uchiha ù_ù)? LA scarsa
capacità di concentrazione di
Naruto è indispensabile per sottolineare la sua tonteria,
così come le idee
dementi che gli vengono in testa *Naruto lancia Sasuke contro una
cisterna
infetta*... insomma, non sarebbe la kitsune che tutti conosciamo!
vivvinasme:
ti
confesso che quando ho visto la tua recensione mi è venuto
un infarto. Credo sia la più lunga che abbia mai letto su
Efp, e per certi versi
anche una delle più belle.
Innanzitutto
ti ringrazio per i complimenti, e ti informo che anch'io sono muy
felice di aver
trovato un'altra ragazza che ama Prototype come la sottoscritta
(abbiamo gli stessi
gusti in fatto di armi, frusta e lama *w*) e che si ricorda in maniera
così precisa
i particolari del gioco. E, ammettiamolo, anche io ho cominciato a
scrivere la fic
con il pensiero fisso di Naruto/Zeus appollaiato sul bordo di un
grattacielo, con
la faccia in ombra e i capelli che sfuggono leggermente dal cappuccio
della felpa.
Insomma, se Alex Mercer era di per sè un figo bestiale (gli
occhi. Gli occhi grigi xD) Naruto
nei suoi panni ci sta ancora
meglio ù_ù. Ah, e su quello che hai scritto
riguardo all'importanza del videogioco
per poter apprezzare la fic... concordo. Non si può
dimenticare la pura
sensazione di adrenalina mista a sadismo che ti pervade quando giri per
la
città e tiri giù gli elicotteri, infilzi i
cacciatori (a me il rumore che fanno
piaceva un sacco xD) e assorbi tutti gli zombie che riesci a beccare.
E'
qualcosa di impagabile *_*
Ci
rivediamo nel prossimo chap!
See you
soon,
Roby
|
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Capitolo 13 *** Checkmate ***
012 -
Checkmate
-Ehi,
ragazzi!- Kiba Inuzuka entrò di corsa nell'ufficio,
sbattendo la porta e
causando lo smottamento di una pila di fogli poggiati in bilico sulla
scrivania
di Shikamaru Nara.
-Uhm...-
fu la sonnacchiosa risposta del castano, malamente allungato sulla
tastiera del
proprio pc, dove era crollato per il sonno.
-La
sapete l'ultima?-
-No.-
fu la risposta di Sai, la cui presenza era segnalata solo dalla
cima di una penna che andava a destra e sinistra dietro un cumulo di
giornali
vecchi.
-Ma
quanto caffè avete bevuto? Sembra di stare in una fabbrica
brasiliana!-
-Kiba...-
mugugnò Shikamaru, spalmando la guancia sul piano di legno
-... se hai qualcosa
da dire, dilla ora, perchè ho come la sensazione che tra
qualche secondo non
riuscirò più a capirti.-
-E'
successa una cosa assurda! Avete presente la capodipartimento
scomparsa, Hinata
Hyuga? La cugina di quell'arrogante rompipalle di Neji Hyuga? Beh, pare
che
circa dieci minuti fa, alle ore diciotto e trenta in punto, la tizia
abbia
varcato le soglie della base accompagnata da un tipo strano.-
-Cosa!?-
sbottò il Nara, tirandosi faticosamente in piedi e
afferrando l'Inuzuka per il
colletto della camicia sgualcita che indossava -Vuoi dirmi che Hinata
Hyuga, la
tizia tutta tette del Dipartimento di Virologia, è riuscita
a sopravvivere per
così tanto tempo là fuori?-
-Beh,
alla fine sono circa due giorni...-
-Comunque
troppi, per un'umana indifesa.- intervenne Sai, mollando il disegno che
stava
tratteggiando e avvicinandosi ai due coetanei.
-Le
cose cominciano a farsi davvero strane.- fu il commento di Shikamaru,
che,
accesosi una sigaretta, si era seduto sulla scrivania e fissava il vuoto,
pensoso. Era
sempre più curioso di scoprire cosa ci fosse sotto la
diffusione del morbo,
così come voleva conoscere i segreti riguardanti quello strano
luogo, Hope, che
compariva nella quasi totalità dei documenti legati all'Idra.
"Tuttavia,
se rimango fermo qui non
riuscirò a scoprire nulla."
***
Il bianco
era accecante. Sasuke aveva sempre
odiato quel colore così puro, che si sporcava per un
nonnulla, e in quel
momento ne era circondato. Lo spazio era sparito, deflagrato,
inghiottito da un
unico nulla bianco che non aveva nè profondità,
nè altezza, nè lunghezza, e
rendeva il suo stesso corpo piatto e bidimensionale.
Poi,
lentamente, dalla direzione che, per
come stava lui, era il basso, si generò una figura nebulosa,
niente più che un
grumo di fumo, che lentamente si condensò a formare un corpo
umano. Era una
donna, che per qualche motivo sentiva di conoscere. Aveva i capelli
neri,
lunghi fino ai fianchi, la pelle bianca come il latte e occhi belli e
neri come
il giaietto, dal taglio raffinato. Gli si mozzò il respiro
in gola, quando si
rese conto di somigliarle moltissimo.
-Sai,
Sas'ke-kun...-mormorò, avvicinandosi e
abbracciandolo con dolcezza -... è davvero un peccato che tu
non voglia mai
festeggiare il tuo compleanno. Ci divertiremmo così tanto,
se solo tu mi
permettessi di invitare Naruto, Minato e Kushina... siete migliori
amici, non è
così?-
Non
riusciva a parlare, era paralizzato. Quei
nomi... dove li aveva già sentiti? Cosa rappresentavano? Era
come lottare
contro una corrente potentissima, che lo trascinava via da quei ricordi ogniqualvolta cercava di
rievocarli.
E poi,
improvvisamente, la donna lo strinse
con forza ed emise un grido, tanto forte e disperato che Sasuke
provò l'impulso
di tapparsi le orecchie come un bambino piccolo. Eppure... la voce con
cui
stava gridando non era la stessa che la donna aveva usato poco prima.
Sembrava incredibilmente...
-Zeus!-
il moro si svegliò di botto, tirandosi a sedere sudato e
ansimante per il sogno
interrotto. E, a quel punto, si rese conto che l'urlo non l'aveva
affatto
sognato, ma era reale, e sembrava proprio la voce del Prototype. I
lamenti strazianti
oltrepassavano la porta e gli si accumulavano nelle orecchie, l'uno
dopo
l'altro, sempre più acuti e pregni di dolore.
-Che
cazzo sta succedendo!?- sbottò, tirandosi in piedi e aprendo
la porta con un
calcio ben assestato. Seguì il suono delle urla,
finchè le sue più funeste
supposizioni non divennero realtà: di fronte alla porta del
Prototype, infatti,
erano assiepati tutti gli abitanti della base, e, in un angolo, Konan
sembrava
quasi sull'orlo delle lacrime.
-Ehi!
Che succede!?- urlò, dimentico della sua abituale maschera
flemmatica, cercando
di farsi strada tra i robusti corpi di Kisame e Kakuzu. Quest'ultimo lo
fece
passare, non senza rivolgergli uno sguardo di compatimento.
E poi,
quando Sasuke riuscì a vedere Zeus, gli salì alla
gola un conato di vomito
tanto forte e repentino da fargli piegare le ginocchia e costringerlo a
sputare
per terra la poca saliva che gli era rimasta nella bocca secca.
Il
Prototype era steso sul letto e si agitava come un forsennato,
emettendo quelle
grida lancinanti che somigliavano quasi ai lamenti di una belva ferita.
La
pelle era diventata grigiastra, e lacrime copiose gli scendevano dagli
occhi
socchiusi, mescolandosi con il velo di sudore che gli copriva il corpo,
nudo
fino alla cintola.
Il
braccio sinistro, praticamente irriconoscibile, era come inglobato in
una
grossa massa bitorzoluta e pulsante, piena di vesciche, che somigliava
in
maniera inquietante alla pelle dei Cacciatori, non fosse
perchè in alcuni punti
si presentava completamente annerita e coperta da venuzze gialle.
Era
disgustosa, orripilante. Malsana, malata, malvagia.
Più
schifosa e ripugnante dell'Idra stesso.
Accanto
al letto, affaccendati a tergergli il sudore e sorvegliare quella
strana
mutazione, stavano Deidara e un tipo che Sasuke non aveva mai visto, e
che
identificò come "Zetsu" dagli accenni reperiti qua
è là. Non si
soffermò sulla stranezza di quel tipo, che solitamente lo
avrebbe sinceramente
colpito, perchè troppo occupato a cercare di calmarsi e
pensare lucidamente a
come potesse rendersi utile.
-C-che
gli è successo?- domandò, la voce tremula e la
testa confusa. Non riusciva
quasi a respirare, gli faceva male il petto.
-Gli
hanno fatto una puntura, da quello che siamo riusciti a farci dire. E
poi, nel
punto esatto in cui l'hanno bucato, si è generato quel
gigantesco tumore. Solo che non
è un vero e proprio
tumore, nel senso che non si tratta di una complicazione genetica. E'
qualcosa
che si sta nutrendo del virus contenuto nel corpo di Zeus, e, siccome
ne è
pregno fino al midollo, se non ci sbrighiamo finirà per
divorarlo
completamente.- rispose Zetsu, la fronte bicromatica profondamente
corrugata.
Sasuke
fissò il Prototype, incapace di parlare. Non riusciva quasi
a respirare, e si
sentiva come schiacciato da qualcosa che non poteva contrastare.
-Morirà?-
pronunciare quella domanda gli costò uno sforzo terribile,
sillaba dopo
sillaba. Era come sputare sassi, che gli s'incastravano in gola prima
di
uscire.
-Sì.-
Il suo
cuore perse un battito, poi un altro.
Che
strano, il suo cuore non batteva, eppure era ancora vivo. Anche se, per
un
motivo che ormai gli era chiaro come il sole, immaginarsi vivo senza l'asfissiante presenza di Zeus
gli sembrava un
paradosso.
E poi,
quel "sì" non era possibile. Non poteva non esserci una via
d'uscita,
dopotutto.
C'è
sempre una via d'uscita.
Sempre.
-Come...-
-Hinata
è sparita. Nel laboratorio abbiamo trovato questo.- rispose
Kisame,
avvicinandosi con un oggettino tra le mani. Quando Sasuke
riuscì a metterlo a
fuoco, lo riconobbe come il "re" bianco degli scacchi. La statuina
era spezzata in due, e sul fondo c'era una scritta, leggibilissima.
Checkmate.
Scacco
Matto.
Improvvisamente,
alla disperazione in cui era caduto si sostituì un altro
sentimento, così
profondo e corroborante da farlo tremare per la soddisfazione. Rabbia.
Era
infuriato, così tanto che sentiva di poter fare pezzi
l'intera Manhattan, e il
bello era che poteva dirigere tutto il suo odio verso un'unica persona,
verso
la persona che, se prima gli stava semplicemente antipatica, si era
piazzata
sul podio della sua lista nera.
-Io la
ammazzo.- constatò, sorridendo. Poi ridacchiò.
Poi esplose in una risata
malsana, tenendosi lo stomaco con le mani e agitando la testa in una
litania
monotona, isterica.
Fu
Sasori ad interromperlo, con un tono di voce da cui traspariva una
furia
omicida quasi comparabile alla sua.
-Smettila.
Se vuoi vendicarti nei confronti dell'esercito, conosco un modo
decisamente più
semplice e veloce che starsene qui a piagnucolare. Per la testa della
ragazza
dovremo aspettare, ma ti garantisco che sarò il primo a
combattere per
ottenerla.-
-Sasori,
non vorrai...- Deidara lo fissò, corrucciando le
sopracciglia in un'espressione
che trasudava disapprovazione.
-Non
chiedermi di trattenermi. Sai che non i riuscirei, e in ogni caso i
blackwatch
si meritano una punizione per aver giocato col fuoco. Un gatto non
può
permettersi di mostrare le unghie ad un leone.-
-E
tantomeno ad uno scorpione.- l'albino dagli occhi viola, Hidan,
sorrise.
-Tu non
c'entri nulla. Andremo io e Ade.-
-Col
cazzo. Non sei l'unico ad essere incazzato, Sasori.-
-Ma
sono l'unico ad avere un minimo di cervello, qui dentro. Uchiha,
alzati.-
Sasuke
fece come gli era stato detto, poi si lasciò accompagnare
fuori dalla porta.
-Dove
stiamo andando?-
-Asciugati
gli occhi, Uchiha. Stai piangendo.-
-Sì.-
***
Il
sottotenente Arthur Smith, trentacinque anni, non poteva certo sapere
che
sarebbe morto di lì a qualche minuto, quando, alle ore otto
e trenta, cominciò
come di consueto il proprio turno di guardia.
Si era
appena acceso una sigaretta, una Camel Light, per la precisione, e
ripensava
sorridendo alla quasi-lite che aveva avuto nel pomeriggio con Winston
Clark, un
suo commilitone, che aveva tentato di imporgli il suo beneamato
pacchetto di
Lucky Strike. Ora, sarebbe probabilmente molto più
conveniente e politicamente
corretto descrivere Arthur come uno spietato soldato al servizio di
un'altrettanto spietata nazione, o magari come un assassino assetato di
sangue... ma sarebbe falso. Arthur era sposato da quattro anni con la
donna a
cui era andato dietro per una buona metà della propria vita,
e aveva due
figlie. Teneva una foto di famiglia nel taschino della giacca
dell'uniforme, e
non se ne separava mai. Come tanti altri, era stato chiamato sul fronte
di
Manhattan senza sapere assolutamente ciò a cui andava
incontro.
Forse,
infondo, la sua morte fu quasi ingiusta.
Sasuke
gli arrivò alle spalle senza il minimo rumore. Era talmente
furibondo (anche se
dubitava che ci fosse una parola in grado di descrivere il suo stato
d'animo)
che non riusciva nemmeno a ragionare coerentemente o dosare la forza.
Per cui,
quando tentò di afferrare Smith per la nuca, finì
inevitabilmente per
affondargli cinque dita nel cranio.
Fece
una smorfia schifata, estraendo la mano sporca di sangue e cervello,
poi la
pulì sulla divisa dell'uomo che nel frattempo era rotolato
ai suoi piedi,
morto.
-Non
capisco l'utilità di tutto ciò.-
commentò, la voce impersonale e
disinteressata, mentre Sasori, alle sue spalle, si produceva in
un'alzata di
spalle.
-Hanno ucciso
Zeus. Noi distruggeremo metà delle loro basi.-
-Non ha
senso. Questo... questo non lo riporterà in vita.-
-No, ma
almeno potremo sfogare la rabbia su qualcosa che non sia la base.-
L'Uchiha
annuì, entrando con un ghigno nella zona illuminata
dell'avamposto. Vi
sostavano una decina di militari, che, appena se lo videro comparire
davanti
con la felpa sporca di sangue, imbracciarono le mitragliatrici.
-Non
fatemi ridere...- mormorò Sasuke -... non c'è
arma al mondo che possa colpirmi,
in questo momento.-
Scattò,
portandosi con un salto alle spalle dei soldati. I loro riflessi umani
erano
decisamente troppo lenti perchè potessero spostarsi in
tempo, quindi i primi
della fila subirono una morte relativamente dolce, e caddero a terra
con il
collo spezzato. Gli altri, purtroppo, non poterono vantare lo stesso
destino.
Il
primo, un mulatto alto e possente, finì infilzato (ironia
della sorte) contro
l'asta della bandiera americana affissa all'entrata, che gli
perforò la cassa
toracica lasciandolo ad agonizzare per una decina di minuti. Il
secondo, un
ragazzino poco più che diciannovenne, venne scaraventato
contro il muro, e
scivolò sul pavimento dopo il sonoro "crack" della sua spina
dorsale.
Il terzo, il quarto e il quinto, infine, ottennero un trattamento di
favore:
dopo aver schivato una raffica di proiettili che, in teoria, avrebbe
dovuto
risultargli letale, Sasuke ridusse in poltiglia i loro organi interni a
furia
di calci. Il suono delle interiora che si schiacciavano l'una
sull'altra, sotto
i suoi piedi, era la sola ed unica musica che potesse distrarlo da
quanto si
stava compiendo nei sotterranei del porto, nella camera di Zeus.
Il
trambusto attirò, ovviamente, l'intero plotone accampato
nella base, e la porta
di un palazzo si spalancò, lasciando uscire una trentina di
soldati. Sasuke si
fece prudentemente da parte, ben sapendo quanto potessero far male i
proiettili
conficcati nella carne, e attese pazientemente, nascosto dietro una
pila di
cassette di plastica, che qualcuno si avvicinasse.
Tuttavia,
non ci fu bisogno del suo intervento.
A poco
a poco, uno per uno, i cadaveri dei dieci soldati morti cominciarono a
muoversi, traballanti, finchè non riuscirono persino ad
alzarsi in piedi. Le
teste pendule, reclinate sul petto, gli occhi bianchi e il corpo
macchiato di
sangue, disarticolato, si appressarono ai propri compagni, vivi, che
iniziarono
ad urlare come forsennati. Sparavano, i militari, sperando di fermare i
morti
che, inesorabili, li incalzavano, ma i proiettili non sembrano avere
alcun
effetto su quei cadaveri.
Inizialmente,
Sasuke pensò si trattasse di una qualche strana mutazione
dell'Idra, che era
giunto persino ad infestare i cadaveri. Poi, però,
notò che, sul pavimento,
correvano degli strani filamenti rossastri, che si innestavano sulla
nuca dei
corpi e sembrava li manovrassero, torcendosi leggermente ad ogni
movimento.
Seguendo a ritroso i fili, con un rapido sguardo, si trovò a
fissare il marionettista.
Sasori,
seduto elegantemente sul muro di sbarramento, accanto alle torrette
mitragliatrici, lo fissava con un vago ghigno beffardo. Teneva le
braccia stese
dinnanzi a sè, e l'Uchiha vide perfettamente che dalle dita
si dipartivano
decine di filamenti, grazie ai quali il ragazzo riusciva a manovrare i
cadaveri.
"Sarebbe
potuta andare peggio, visto il
suo potere, però..."
La voce
di Zeus gli rimbalzò nelle orecchie, mentre osservava,
atterrito, l'evidente
compiacimento che provava Sasori nel giocare con quei corpi. Sorrideva,
sornione, muovendo elegantemente le belle mani affusolate, e pareva
prendersi
gioco di quegli umani che, al colmo del terrore, tentavano
disperatamente di
contrastare le sue creature. Era forse contento di esercitare un potere
tanto
disumano? Probabile.
Non
distolse lo sguardo, mentre i soldati venivano fatti a pezzi dai loro
stessi
compagni. C'era un'ironia malvagia, una vena di sottile umorismo che lo
affascinava, e che gli strappò perfino una risata. In una
città dove è la
morte, a farla da padrone, nemmeno ai cadaveri è concesso il
riposo che hanno
faticosamente conquistato.
Nemmeno
a loro.
-Abbiamo
finito, qui.- comunicò il rosso, atterrando sull'asfalto
dopo un'aggraziata
capriola aerea -Ma ci mancano ancora sei, forse sette basi.-
-Sono
così tante?-
-Più di
quindici. Tuttavia, sterminarli del tutto risulterebbe
controproducente, ecco
perchè ci limiteremo semplicemente a far capire chi comanda.-
-Non
vedo l'ora.-
***
Mezzanotte
era ormai passata da mezz'ora, quando i monitor delle sale comuni di
tutti i
reparti del Gentek Palace si accesero simultaneamente. Dagli
amplificatori,
sparsi per tutto l'edificio, una gracchiante voce femminile
pregò i dipendenti
di recarsi di fronte ai suddetti televisori, e, nel giro di un quarto
d'ora,
tale ordine era stato celermente rispettato.
Shikamaru
e Sai, per pura fortuna, avevano trovato un posto accanto a Kiba,
rimasto solo
dopo che Rock Lee aveva deciso di diventare una crocerossina a tutti
gli
effetti e, quindi, non abbandonare Tenten praticamente mai, fatta
eccezione per
quando l'emergenza bagno si faceva sentire.
Il Nara
sospettava che la donna sarebbe rimasta traumatizzata a vita, ma non ne
fece
parola con nessuno.
Sullo
schermo, prima nero, comparve una scritta blu, e poi un'altra e
un'altra
ancora. I dipendenti, all'inizio, fecero fatica a credere a
ciò che leggevano.
Beh, era veramente incredibile.
"Nove basi militari distrutte nel giro
di quattro ore. Trecentosettantuno morti, nessun ferito. I decessi sono
stati
attribuiti a Zeus, che pare abbia deciso di infliggere un duro colpo
alle forze
militari statunitensi. Il Generale Madara impone la calma e incoraggia
un
aumento della rendita lavorativa e della collaborazione,
cosicché si renda
possibile la cattura di questo soggetto altamente pericoloso e
malvagio. Vi
invita inoltre ad un minuto di silenzio nella memoria di coloro che
sono caduti
per difendere la nostra patria da un mostro."
Shikamaru
chinò la testa, come tutti, ma di certo non
innalzò alcuna preghiera verso un
Dio in cui non credeva. Piuttosto, il suo cervello cominciò
a ragionare
freneticamente, cercando un nesso tra tutte le stranezze che erano
accadute in
quella giornata. Il Progetto Ade non aveva portato altro che problemi e
perdite, ma quello che più lo impensieriva era il ritorno di
Hinata Hyuga (che,
peraltro, desiderava assolutamente interrogare) e, solo poche ore
più tardi, il
massacro apparentemente ingiustificato di così tanti
soldati. Poteva anche
trattarsi di semplici coincidenze, certo, ma il sesto senso del Nara
gli
suggeriva che Zeus non avrebbe mai combinato un simile disastro per
nulla.
C'era
un motivo, peccato che, nella sua attuale situazione, non avesse la
minima
possibilità di scoprirlo.
La sua
curiosità di uomo intelligente e il suo buonsenso
combatterono duramente, in
quei sessanta secondi, per determinare chi avesse libero arbitrio sulle
sue
azioni. Vinse la curiosità
Appena
la folla cominciò a scemare, Shikamaru si accostò
a Kiba, dandogli una leggera
gomitata nelle costole.
-Che
c'è?- sibilò l'Inuzuka, incuriosito.
-Kiba...
sai guidare un elicottero?-
-Sì,
perchè?-
***
-Torniamo
alla base.-
-No, io...
preferisco rimanere un po' da solo.-
-Fai
come vuoi. Cerca di tornare prima dell'alba.- Sasori si
girò, camminando,
flemmatico, verso il porto.
Sasuke
si sentiva a dir poco esausto, senza contare che era zuppo di sangue
dalla
testa ai piedi, ma raggranellò comunque le forze per saltare
sulla cima di un
supermercato e cercare un luogo appartato in cui riposarsi un attimo.
Improvvisamente, come un miraggio, gli si parò di fronte la
mole massiccia del
Chrysler Building, il grattacielo più bello di New York, che
sembrava bucare il
cielo buio con la sua guglia acuminata.
Chissà
come si doveva stare bene lassù, in cima a quella gigantesca
punta d'acciaio,
con il vento che scompigliava i capelli e spazzava via l'odore
ferruginoso del
sangue, ormai divenuto quasi opprimente... l'Uchiha non resistette alla
tentazione. Raggiunse la base dell'imponente costruzione, poi
spiccò un salto e
cominciò a correre in verticale, su una delle facce del
grattacielo, godendosi
il rumore cristallino delle vetrate che si frantumavano sotto i suoi
piedi. I
settantasette piani scivolarono verso il basso ad una
velocità incredibile, e,
quando posò i talloni sull'arcata più alta di
tutte, giusto al di sotto della
guglia alta novanta metri, Sasuke si sentì libero come non
mai, realizzato.
Però,
in tutto quello scenario idilliaco, sentiva distintamente il cuore
bruciare e
contrarsi come in preda agli spasmi. Oh, se stava soffrendo. Ed era la
prima
volta, in vita sua, che soffriva per qualcuno che non fosse
sè stesso.
Si
sedette sul cornicione curvo di cemento freddo, poggiandosi a terra con
i
gomiti e reclinando la testa all'indietro nell'atto di fissare il
cielo. L'inquinamento
luminoso, dopo lo scoppio dell'epidemia, era decisamente diminuito,
cosicché
nel cielo si potevano ammirare molte più stelle del normale.
Nessuna di loro,
tuttavia, eguagliava, nell'ottica dell'Uchiha, la lucentezza pura e
genuina di
un certo paio d'occhi, e tantomeno poteva sfidarne
l'espressività.
Ormai
si era pienamente reso conto della verità, e non gli
sembrava neanche così
disastrosa. Ininfluente, più che altro, perchè in
una situazione come quella i
sentimenti valevano meno della carta straccia.
-Alla
fine mi sono innamorato di un dobe.- lo scandì, per la prima
volta sincero con
sè stesso, eppure terribilmente spaventato dall'idea di cosa
potesse essere
l'amore. Un sentimento così terrificante e totalmente nuovo,
per lui, da
atterrirlo sin nel profondo.
Se
n'era reso conto, e adesso l'unico oggetto di quel sentimento nuovo e
ancora
immaturo stava morendo. Aveva quasi voglia di piangersi addosso, a
tratti di
prendersi in giro da solo. Che sciocco, stupido bamboccio era stato.
Certo,
non poteva ancora parlare di amore
vero e proprio, ma si trattava pur sempre di... attrazione?
Non
sapeva come classificarla.
Sospirò,
sconfitto, rimuginando sull'inutilità dei propri pensieri. A
cosa gli serviva
continuare a pensare, visto che comunque il Prototype sarebbe morto?
Poi,
improvvisamente, fu colto da una folgorazione.
La
collana. La portava ancora.
Se
c'era una cosa che poteva fare per Zeus, anche se a livello puramente
teorico,
era donargli la propria fedeltà assoluta, o, almeno, donarla
alla causa che il
Prototype stava cercando di portare avanti.
Staccò
la catenina con uno strattone, spezzandola, e poi si concesse un
sorriso prima
di gettarla nel vuoto. Il cubo metallico luccicò per
l'ultima volta, prima di
precipitare nelle tenebre e sparire alla vista.
-Perdonami,
Zeus. Avrei dovuto farlo prima.-
-Uchiha,
sempre i soliti.- proruppe una voce alle sue spalle -Non sapete far
altro che frignare e pentirvi
per gli errori commessi, figuriamoci poi a trovarvi un
rimedio.-
***
-Complimenti,
Itachi-kun, hai svolto il tuo compito alla perfezione.-
-Non
dovresti dire bugie, Madara.-
-A cosa
ti riferisci? Il tuo lavoro è stato veramente ottimo.-
-Non
parlo di questo. Perchè hai detto ai dipendenti che era
stato Zeus, ad uccidere
tutta quella gente, quando non sai nemmeno chi sia il colpevole?-
-Ah,
Itachi... semplice psicologia, tutto qui. Solo io e te sappiamo,
ipoteticamente, quale sia l'attuale situazione del Prototype, e l'odio
è il
migliore dei metodi persuasivi, quando si tratta di motivare le folle.-
-E
perchè la gente dovrebbe odiare Zeus? Ucciderlo in questo
modo non ti basta?-
-No.
C'è qualcun altro lì fuori, Itachi, qualcuno molto potente. Finchè
continueranno ad essere "loro", i cattivi, noi potremo avvalerci del
sostegno di tante brave persone. A
proposito, sai dov'è Sasuke?-
-Gira
ancora a vuoto. Mio fratello sa essere davvero uno sciocco, e non ha
ancora
risvegliato nessuna abilità particolare.-
-Buffo.
Aveva occhi migliori dei tuoi, questo lo sappiamo tutti.-
-E'
semplicemente troppo stupido per accorgersi delle proprie
capacità. Spero che
manterrai la promessa che mi hai fatto, sul suo conto.-
-Oh,
certamente. Quando questa faccenda sarà finita gli
stravolgeremo di nuovo la
memoria, in modo che non si ricordi più di quello che sta
subendo là fuori.
Anche se, sinceramente, questa tua eccessiva protettività mi
sembra quasi
sciocca, Itachi-kun.-
-Non lo
è. Mio fratello ha passato già troppi guai, non
è necessario che gli capiti
dell'altro. E poi, se dovesse andare ancora avanti così,
potrebbe cominciare a ricordare
qualcosa.-
-Di
certo è stato più fortunato di Zeus, ma il suo
passato finirebbe per
traumatizzarlo. Senza contare che la divulgazione di determinati
dati...-
-...
non gioverebbe a nessuno. Se, attraverso i propri ricordi, Sasuke
riuscisse a
scoprire e divulgare i fatti di Hope, non so cosa potrebbe accadergli.-
-Te lo
dico io cosa gli succederebbe: non ha importanza chi siano, ma coloro
che
vengono a sapere la verità su ciò che accadde nel
'90 devono morire. E' per
salvaguardare l'integrità nazionale.-
-Un'integrità
che ci sta costando fin troppe vite umane, mi sembra.-
-Non
c'è altra via, Itachi.-
"Giocare con la vita. Noi umani non ne
abbiamo alcun diritto".
_Angolo
del Fancazzismo_
Capitolo
che arriva in anticipo, sfruttando uno dei miei (rari) lampi
d'ispirazione. A
me è piaciuto molto scriverlo, e (a differenza del chap
precedente), sono
veramente soddisfatta del risultato finale. Non so, ma amo le scene
splatter e
i momenti "riflessivi", specie se accostati... come si fa a non
adorare il contrasto che generano^^?
Le
risposte alle rece, che sono un po' meno del solito (ovvio, visto che
non ho
aspettato una settimana e comunque lo scorso capitolo era imbarazzante):
vivvinasme:
mamma
mia che recensione *_*... mi lasciano sconvoltamente
felice, ogni volta! (perdona il neologismo da terza elementare :3)
Comunque...
schiacciare i passanti con un carro armato? Andiamo, non puoi
compararlo a del
banale, noioso shopping. E poi,
diciamocelo: i protagonisti dei videogiochi sono talmente fighi che
staccarsi
dallo schermo diventa difficile. Anche io ho avuto le mie brave trip
ogni volta
che compariva Mercer in un filmato (con quello sguardo glaciale che ti
mette i
brividi) ma vogliamo parlare anche dei "secondi in classifica"? Mi
riferisco a personcine come Altair (Assassin's Creed) Dante (Devil May
Cry) e
Leon, Chris, Wesker (Resident Evil). Insomma, chi non ne vorrebbe uno vero?
Sul
pairing... beh, credo che alla fine farò una SasuNaru, per
la gioia di voi
lettrici xD. Non per essere "razzista", ma il NaruSasu... ne ho lette
diverse, e non credo di aver mai visto nulla di più OOC, con
Sasuke in
"donnicciola mode" e Naruto che si trasforma in un malvagio
seviziatore (???).
Vaius: no,
nessuno farà a pezzi Hinata xD. Ci tengo, a quella ragazza,
anche se immagino
che dopo questo cap l'80% dei lettori abbia desiderato ardentemente di
poterla
bruciare sul rogo. E no, per Zeus non si prospetta proprio niente di buono. Ma niente niente xD...
povero Naru-chan, finirà
che Sasuke si materializzerà a casa mia per picchiarmi T_T
bradipiro:
beh,
spero che questo chap sia stato meno monotono del precedente...
Dattebane!
il fumetto... boh, a me è piaciuto moltissimo. A parte la
qualità grafica, che
indubbiamente risulta ottima, ti aiuta a fare il punto su un sacco di
"punti oscuri" della trama del gioco. Una vera chicca, se passi in
fumetteria ti consiglio di comprarlo (mi sembra che la versiona
completa, che
riunisce tutti e sei i numeri, costi sugli undici euro).
Sadako94: ehm,
wait. L'OroSasu (che è esattamente una di quelle prive di
amore, anche se
Orochimaru non è il solito stupratore rompicoglioni)
è destinata ad un contest,
e non ancora pubblicata. Non so quando mi arriveranno i risultati, ma
ti
prometto di dedicartela appena la pubblico :P... Sasori è un
personaggio che
comincia a piacermi un casino. E mi piace pure il potere che mi
è venuto in
mente (l'alternativa era di fargli usare delle vere e proprie
marionette, come
nel manga, ma non è che mi ispirasse troppo). Beh, spero che
anche questo
capitolo ti sia piaciuto!
fra76: è
messa male, ma non peggio di Zeus. Itachi che scompare nella nuvola di
fumo è
decisamente un gran figo (come nel manga originale, del resto) e
aspetta di
vedere gli altri poteri. Sempre simili a quelli che ha inventato
Kishimoto, ma
con una sfumaturina splatter che non guasta mai *_*
Bene, spero di essermi fatta perdonare con questo aggiornamento lampo!
See you
soon,
Roby
|
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Capitolo 14 *** Cure ***
013
- Cure
-T-tu
chi saresti!?-
-Uno
che ti conosce da prima che nascessi, Sas'ke-kun. Ma non sono qui per
te.-
Lo
sconosciuto colpì sin da subito Sasuke per la sua
straordinaria
avvenenza. Era un uomo alto, ben piazzato, con la pelle lattescente e
due bellissimi occhi color oro fuso, le cui fattezze che ricordavano
vagamente quelle dei rettili. I capelli erano lunghi e setosi,
raccolti in una coda morbida, e gli scendevano sulle spalle come un
serico manto nero, che scintillava del rosso degli incendi e del
bianco eburneo delle stelle. Era indubbiamente bello, ma il suo viso
aveva un nonsoché di viscido che all'Uchiha fece
immediatamente
ribrezzo.
-Come
ti chiami?-
-Orochimaru.-
-Come
mai mi conosci?-
-Non
è argomento di cui discutere, ora. Piuttosto, non sei
preoccupato
per le sorti di Zeus?-
-La
preoccupazione
non si addice a chi ormai si è da tempo arreso.-
-Non
dovresti arrenderti, Sas'ke-kun. Una soluzione c'è sempre,
in tutte
le situazioni.- fece l'uomo, mellifluo, traendo dal taschino una
fiala che conteneva una soluzione trasparente. Sasuke rimase
pietrificato, fissando la provetta, e improvvisamente la speranza,
morta in lui da quando aveva visto Zeus steso su quel letto,
divampò
con una vivacità e una forza che gli erano estranee.
-Quella
che cosa...-
-Puoi
chiamarla cura,
se vuoi. Non so quanto possa funzionare e se riporterà il
Prototype
alle sue condizioni originarie, ma c'è un 92% di
possibilità che lo
salvi da una morte certa. Ti spiegherei anche secondo quale principio
agisce, ma se lo facessi rischierei di sprecare troppo tempo. Tieni.-
L'Uchiha
la afferrò al volo, fissandola con un misto di gioia e
venerazione.
Era euforico, felice.
-Cosa
vuoi in cambio?-
-Oh,
nulla. Non sono stato io a prepararla, quindi capirai che non posso
avanzare nessuna pretesa.-
-Non
sei stato tu? Aspetta un attimo... ma come fai a sapere di Zeus? Chi
te l'ha detto?-
-Ringrazia
Elizabeth Greene, Sas'ke-kun. Se mai il Prototype dovesse tornare a
camminare con le proprie gambe, lo devi solamente a lei.-
Il
moro rischiò di strozzarsi con la propria saliva, seriamente
incredulo.
-Ma
ha cercato di ucciderci!-
-Oh,
niente affatto, Sas'ke-kun. Non vi torcerebbe nemmeno un capello,
credimi.-
-Non
dire...-
-...
ok, ok. Vedo che non sei disposto a cambiare opinione, d'altronde io
non ho mai desiderato convincerti.-
-No,
spiegati! In che senso? Che sai di noi?-
-Quante
domande... sarei deliziato
di poterti rispondere, ma temo che, se non ti sbrighi, non ci
sarà
più alcun Prototype da curare.-
Sasuke
tentennò, indeciso, poi si voltò e
saltò oltre il cornicione.
Non
prima di un "ci rivedremo, e allora pretenderò spiegazioni"
che fece sorridere impercettibilmente Orochimaru.
***
-E'
una pazzia. Finiremo sulla sedia elettrica, ve lo dico io.-
-Kiba...-
-M-ma
vi rendete conto? Questo è... è un reato.
Un reato gravissimo!-
-Kiba...-
-Oh,
il capo mi ucciderà. Mi farà a pezzetti piccoli
piccoli e...-
-Kiba!
Abbiamo capito. Ora, di grazia, potresti portarci all'eliporto?-
-E'
nel cortile interno del complesso. Ci siamo quasi.- disse Sai,
probabilmente l'unico che riusciva a mantenere una calma perfetta
mentre scortava i suoi due compagni attraverso il palazzo. Compito
che, in teoria, sarebbe dovuto spettare a Kiba, ma il castano non era
esattamente in grado di adempirvi.
Il
piano di Shikamaru era molto semplice, anche se estremamente
spregiudicato e rischioso: dopo aver rubato delle uniformi militari e
degli equipaggiamenti (grazie all'aiuto di Kiba, che aveva libero
accesso al magazzino) avrebbero preso un elicottero e, con quello,
avrebbero tentato di trovare Zeus e avere un contatto costruttivo
per capirci qualcosa in quella faccenda.
Il
rischio principale era che, una volta trovato, Zeus si sarebbe potuto
indisporre.
E,
da quel poco che Shikamaru sapeva, un Prototype indisposto non
è
precisamente il compagno ideale per un'allegra scampagnata.
Scesero
una rampa di scale, e, dopo una massiccia porta blindata, che
l'Inuzuka aprì utilizzando la tessera rubata ad un
commilitone (il
Nara gli aveva sconsigliato di usare la propria, li avrebbero
scoperti troppo in fretta) i tre poterono ammirare lo spettacolo
dell'eliporto. Era, esso, un gigantesco cortile di cemento, su cui
sostavano, a perdita d'occhio, decine e decine di elicotteri
militari, come mostruose libellule d'acciaio. I modelli differivano
profondamente l'uno dall'altro, e Kiba perse qualche minuto ad
osservarli, pensieroso.
-Che
dite, un modello equipaggiato da combattimento, uno per il trasporto
speciale... o forse un Dauphin?
Potrei...- improvvisamente, il soldato smise di parlare.
Fissò,
apparentemente terrorizzato, un punto alla sua sinistra, e poi emise
un sibilo strozzato.
-Shika,
Sai, nascondetevi immediatamente.-
-Cos...-
-Ora!-
I
due si affrettarono ad infilarsi nella cabina di un elicottero
corazzato con i vetri oscurati, dall'apparenza nuova e pericolosa.
Rimasero completamente immobili, finchè non sentirono un
rumore di
passi e una voce, che a Shikamaru risultò fin troppo
familiare.
-Kiba!
Che ci fai qui, a quest'ora? Il sole non è nemmeno sorto!-
-Ah
eri tu, Kankuro... niente, davo un'occhiata agli ultimi modelli che
ci sono appena arrivati.-
Il
Nara emise uno squittio, scuotendo la testa come per un'improvvisa
catatonia. Sai, bisbigliando, domandò:- Ehi, che succede?-
Oh,
nulla, proprio nulla. Erano a meno di mezzo metro dal suo probabile
futuro cognato, quell'odioso cretino di Sabaku no Kankuro, il che
significava che, molto probabilmente, nei paraggi c'era anche...
-Temari,
Gaara, venite qui! Guardate chi c'è, non vedevamo Kiba da millenni!-
"Sono
morto" fu il
pensiero
istantaneo di Shikamaru, non appena riconobbe la voce energica e
sensuale della sua fidanzata e quella cupa e strascicata del
fratellino psicopatico. Non c'è che dire, il Team Sabaku
saltava
fuori, come sempre, nei momenti meno opportuni.
-Sei
davvero un soldato modello, eh? Non sono nemmeno le cinque di
mattina, e tu sei già qui ad ammirare gli ultimi arrivi? Ah,
ma
guarda questo modello della Kamov, il Kamov
Ka 300, non
è stupendo? Solcare i
cieli di Manhattan con questo gioiellino dovrebbe essere
fantastico... ma aspetta, ti mostro l'interno, è ancora
meglio.-
Shikamaru
si accorse con orrore di trovarsi proprio sul sopracitato Kamov
quando la mano di Kankuro si delineò sul vetro oscurato,
mentre
l'altra era evidentemente andata ad aprire la portiera.
La
sua missione sarebbe finita ancor prima di cominciare.
Se,
infatti, Kiba aveva tutto il diritto di starsene lì a
rimirare i
suoi elicotteri, essendo un militare specializzato, giustificare la
presenza di due impiegati del Dipartimento Monitoraggio e
Coordinamento delle Attività Militari, perdipiù
vestiti con delle
uniformi rubate e armati,
sarebbe stato un pelino più complicato. Per non parlare del
fatto
che Temari, una volta trovatolo in quella situazione incresciosa,
avrebbe finito per fargli una memorabile sfuriata.
E,
se c'era una cosa che odiava, nella sua donna, era proprio la sua
scarsa
delicatezza quando
si trattava di redarguire qualcuno.
-Kankuro,
non fare l'idiota. Abbiamo una missione, e il tempo non ci basta per
metterci a parlare di queste cazzate.-
Se
c'era una cosa che amava, invece, era il suo essere così
meravigliosamente concisa
e pratica.
La
mano del ragazzo scomparve dal finestrino, e, dopo essersi congedati,
i tre fratelli raggiunsero il proprio elicottero, già acceso
e
pronto al decollo, dove li attendeva uno dei tanti piloti forniti
regolarmente dalle basi d'aviazione statunitense. Piloti che, a
quanto pareva, risentivano di un tasso di mortalità tre
volte
superiore rispetto a quello di qualsiasi soldato semplice.
Quando
il rumore delle pale si fu fatto lontano, fino a diventare
impercettibile, Kiba spalancò una portiera dell'elicottero
e,
afferrato Shikamaru per un braccio, lo tirò letteralmente
giù dal mezzo.
-Ehi!-
-Stavano
per scoprirci, mister "quoziente intellettivo 200".
Consideralo come un indennizzo.-
Kiba
li indirizzò verso un elicottero estremamente massiccio, un
Apache
da combattimento, e li infilò nello scomparto posteriore con
una
rudezza che sconfinava quasi nella violenza.
-Delicatezza
zero, eh?-
-Shikamaru
Nara. A causa tua e di tutte le cazzate che ti inventi rischio di
finire davanti alla corte marziale per alto tradimento, ergo mi
faranno un culo che in confronto le bocce di Pamela Anderson
somiglieranno a delle biglie
di
vetro, e tu
pensi alla
delicatezza!?-
-Alto
tradimento? No, dai...- Sai cercò di calmarlo, sorridendo
con fare
accomodante. La strategia non funzionò.
-Ah,
no? Oh, allora...- iniziò a contare, sollevando un dito per
ogni
motivazione che enumerava. A Shikamaru ricordò vagamente una
casalinga isterica -... appropriazione indebita, ma puoi anche
chiamarlo furto,
di oggetti di proprietà statale, utilizzo illegale di un
veicolo che
teoricamente sarebbe non operativo, negligenza. A questi potremmo
anche aggiungere il fatto che stiamo andando a parlamentare - e i
militari non capiscono la differenza tra "scambio di opinioni
con il nemico" e "vendita di informazioni riservate" -
con Zeus. Zeus, il pluriomicida che ha sterminato trecentosettantuno
persone in quattro ore, che ha distrutto gran parte dei nostri
velivoli e sta cercando di radere al suolo la Gentek e la sede
dell'Esercito Americano a Manhattan. Cose così.-
-Kiba,
se quello che ci hai raccontato stamattina è vero, il
Prototype ha
anche salvato il tuo capo dalla morte certa. Sembra quasi una favola
della buonanotte, ma...-
Lo
stesso Shikamaru, quando Kiba aveva infine rivelato la storia del
salvataggio, era incredulo. Poi aveva semplicemente desunto che una
mente semplice come quella di Kiba non sarebbe mai riuscita ad
architettare una bugia così convincente.
-Non
è questo il punto, baka!
Quello che io ho visto non è precisamente un evento a cui
tutti
crederebbero in un battito di ciglia, sai? Io sto parlando di
ciò
che l'opinione pubblica penserà di noi, di ciò
che i buoni
penseranno di noi! Zeus potrà anche aver salvato il mio
capo, e di
questo gli sono profondamente, infinitamente grato, ma ciò
non
toglie che le sue mani siano sporche del sangue di innumerevoli
vittime innocenti. Come se non bastasse, lì fuori troveremo
anche i
fratelli Sabaku.-
-Beh,
se avevi tutte queste obiezioni potevi anche farle prima. E' un po'
tardi per tornare indietro, sai com'è...-
-Non
ho mai detto di voler tornare indietro. Sai come sono fatto, non
riuscirei mai a sostenere una causa di cui non sono profondamente
convinto.-
-Nessuno
di noi ce la farebbe.-
-Eh,
già...- fu Sai ad avere l'ultima parola -... preferisco
tradire la
mia nazione ed i miei ideali, piuttosto che farmi manovrare a mia
insaputa da uno stupido burattinaio.-
***
-Deidara!-
urlò Sasuke, calandosi nella botola con una
velocità che non
credeva di poter raggiungere. Per quanto cercasse di arginarla,
consapevole delle scarse possibilità che c'erano, la
speranza ormai
lo illuminava completamente, facendolo sentire persino felice. A
costo di farsi assorbire per ridargli le forze, non avrebbe permesso
che Zeus morisse.
-Sasuke...
che c'è?- Deidara, sulla soglia della stanza di Zeus, gli
indirizzò
un'occhiata timorosa, forse spaventato da quella strana esaltazione.
Era convinto che Ade non sarebbe tornato alla base per diverso tempo,
a causa della morte del biondo, oppure che, nel peggiore dei casi,
sarebbe scomparso semplicemente nel nulla. Vederlo sorridere con aria
radiosa lo lasciò di stucco.
-Posso salvarlo.-
Il
biondo inarcò un sopracciglio, scettico. Impazzito,
pensò, l'Uchiha
è impazzito.
-Uchiha,
ascolta...-
-Non
mi credi?- il tono con cui lo chiese era quasi offeso.
-Zeus
non può essere salvato. Non so quante ore
- e
se di ore si possa parlare - gli
restino, per cui ti converrebbe stargli semplicemente vicino
senza...-
Interrompendolo
con un gesto affrettato, Sasuke tirò fuori la provetta che
gli aveva
datto quell'Orochimaru, sventolandola davanti al naso di Deidara.
-Che
tu ci creda o no, questa è la cura. E puoi star certo che
non mi
impedirai di somministrargliela.-
-Dove
l'hai presa?- sibilò il biondo, afferrando il contenitore e
assottigliando lo sguardo per esaminarlo più da vicino -O
meglio...
chi te l'ha data? Sasuke, non sappiamo cosa potrebbe fargli.-
-Morirà
comunque. A questo punto è meglio provare, no?-
-Chi
te l'ha data?-
-Te
lo spiego dopo.
Sono quasi certo che non sia una trappola.-
Deidara
gli lanciò un ultimo sguardo dubbioso, prima di annuire
stancamente.
Sasuke notò che aveva gli occhi gonfi e iniettati di sangue,
doveva
aver pianto anche lui. Per un attimo, disubbidendo all'autocontrollo
che si era rigidamente imposto, una fitta di invidia gli
colpì lo
stomaco, che si contrasse involontariamente.
Ma
non era quello il momento di lasciarsi trasportare da sentimenti
egoistici.
Mentre
il biondo preparava la siringa corse accanto al letto, dove il
Prototype riposava ad occhi chiusi, gemendo di tanto in tanto.
L'impercettibile alzarsi e abbassarsi del petto, così come
il polso
fin troppo lento e debole, lo spaventarono. Non credeva che una
creatura come Zeus potesse rivelarsi fragile,
per qualsiasi motivo, e invece lo era. Incredibilmente,
benché
potesse fare a pezzi elicotteri e uccidere cacciatori con la stessa
facilità con cui lui avrebbe lanciato una pietra in uno
stagno,
bastava il contenuto di una misera provetta a portarlo sulla soglia
della morte.
-Zeus...
mi senti?- gli sfiorò una mano, palesemente imbarazzato.
Dio,
sembrava una di quelle sitcom smielate in cui il protagonista si
ritrova sul letto di morte del suo migliore amico, e parte con tutti
quei discorsi cretini sull'ineluttabilità della morte, sul
perdono
divino... che sciocchezze.
Eppure,
non poteva evitarlo.
-Non
ti sente. O, almeno, non se il nostro trattamento ha fatto effetto.-
-Quale
"trattamento"?-
-Lo
abbiamo riempito di morfina. Volevamo fargli passare le sue ultime
ore in pace, invece di costringerlo ad una tortura come quella a cui
hai assistito qualche ora fa.-
Deidara
si avvicinò a Zeus, sollevandogli con delicatezza un braccio
e
stringendovi attorno, una decina di centimetri sopra il gomito, un
lacio emostatico di gomma morbida. Non appena le vene cominciarono a
sporgere, afferrò una siringa preventivamente riempita con
il
liquido della provetta e ne premette lo stantuffo, eliminando
eventuali bolle d'aria. Poi, in un attimo, che a Sasuke
sembrò quasi
un'eternità, praticò l'iniezione.
-Uchiha,
ti do un consiglio: prega.-
-Non
sono credente.-
-Meglio
così. La fede in un Dio che non esiste non farebbe che
intralciarti,
in situazioni come queste. Comunque...- cercava le parole, incapace
di esprimere come voleva i concetti che gli premevano sulla punta
della lingua -... non metterti nulla sullo stomaco, Poi mi spiegherai
dove hai preso quella cura, ma spero tu ti renda conto che le
possibilità di guarigione sono minime.-
-Lo
so.-
-E
poi, anche se fosse, come avrebbero fatto ad elaborare un farmaco
specifico per questo caso? Su che materiale hanno lavo...- si
bloccò
a metà frase, spalancando gli occhi.
-Ma
certo! Ecco come!-
-Eh?-
Sasuke lo fissò, storcendo la bocca.
-L'iniezione...
oh, che idiota! Non abbiamo trovato nessuna provetta che contenesse
residui di materiale organico, nel laboratorio, il che significa
che...-
-...
o Hinata l'ha portata via con sè, oppure l'ha dimenticata
qui. Nel
qual caso, se non l'avete trovata, qualcuno deve averla
necessariamente rubata. E chi, se non colui, o coloro,
che ha elaborato la cura?-
-Il
che ci pone di fronte ad un problema abbastanza grosso...-
-Sarebbe?-
-Ultimamente
il nostro covo è stato frequentato da un po' troppa gente,
ti pare?
Prima Hinata, che è riuscita a fuggire senza che nessuno se
ne
accorgesse, poi quest'aiutante misterioso che, in un modo o
nell'altro, si è introdotto nel laboratorio e ha sottratto
del
materiale.-
Sasuke
si guardò bene dal dirgli che anche la Madre, sicuramente,
conosceva
l'ubicazione della base, altrimenti Deidara li avrebbe costretti ad
un controproducente trasloco forzato che, in quelle condizioni, non
potevano certamente permettersi.
-Quindi?
Come pensi di risolvere la faccenda?-
-Non
posso risolverla. Non mi resta che cercare di capire se c'è
qualche
punto debole nella struttura, e nel qual caso migliorarlo. Se,
invece, fossero le capacità del nemico ad essere troppo
avanzate,
non mi resterebbe che agire personalmente per evitare che la nostra
casa venga profanata.-
-Distruggerai
la Gentek a colpi di eyeliner, Deidara?- soffiò Sasuke,
ironizzando
sul makeup forse leggermente eccessivo del biondo. Certo era che non
si sarebbe mai aspettato una risposta seria a quella provocazione.
-No,
imbecille,
mi limiterò a far saltare in aria loro e tutte le loro
attrezzature
pacchiane.
E forse, se non cominci a chiudere la tua fottuta boccaccia,
finirò
per ammazzare anche te.-
Più
che seria, molto incazzata.
Sasuke
lo fissò, vagamente spaventato da una replica
così furiosa da parte
dell'esile biondino, prima che questi sospirasse, portandosi una mano
a coprire gli occhi, e dicesse:- Scusa. Sono davvero... stanco.
Questa storia non è più divertente, se mai lo
è stata, e non
riesco a controllarmi come dovrei.-
-Non
devi scusarti.- ammise il moro, poggiando la testa sulle lenzuola
fresche -La rabbia è il sentimento più ovvio e
naturale, in una
situazione come questa. Sasori ti avrà accennato, credo, che
nemmeno
io posso evitare che straripi.-
-Sì,
era impressionato. Soprattutto... si chiedeva come faccia un
ragazzino come te a macchiarsi senza battere ciglio del sangue di
tante persone innocenti. Quanti anni hai, Sasuke?-
-Diciassette.
Ma forse dimentichi che anche Zeus è un mio coetaneo, e che
ha fatto
cose ben peggiori.-
-Zeus...
è complicato. Vedi, Ade, ci sono certe situazioni per cui, a
volte...-
-Ti
sarei grato se per quello che devi dirmi non partissi dalla Genesi.
Vai dritto al sodo.-
-Il
Prototype ha il potere di leggere la mente a tutti, con la sola
eccezione del sottoscritto. Questo, col tempo, mi ha permesso di
celargli diverse cose.-
-Del
tipo?-
-Se
te lo dicessi lui finirebbe per scoprirlo, perchè, da quanto
ho
visto, riesce a capire perfettamente ciò che pensi.-
-E
allora si può sapere perchè hai cominciato questo
discorso? Ha
forse senso?-
-Più
di quanto pensi.-
***
-Tem...-
-Per
l'ultima volta, Kankuro... che vuoi?-
-Be'...
Kiba non ti sembrava un po'... strambo?-
-Sembri
più strano tu, idiota.- sillabò la bionda,
sciogliendo e rifacendo
in fretta una delle quattro codine che le svettavano sul cranio.
-Non
è bello che vi insultiate. Rifatelo ancora e vi ammazzo.- la
voce
stentorea di Gaara li fece sobbalzare, inducendoli, di comune
accordo, ad interrompere il dissidio e tornare il più
silenziosamente possibile alle proprie occupazioni. Il rosso,
rintanato in un angolo, si teneva come di consueto il più
lontano
possibile dai fratelli.
Non
si poteva certo dire che i Sabaku fossero una famiglia convenzionale,
in effetti.
Karura,
la loro madre, era morta di parto a causa di complicazioni sorte
subito dopo la nascita di Gaara, e questo, per il padre, era un
motivo più che buono per detestare il figlio minore. Gaara
era
cresciuto con le spalle cariche di un peso che non era in grado di
sopportare, finendo per rimanere inevitabilmente segnato. Se, da
piccolo, aveva dimostrato un carattere tutto sommato dolce e
rilassato, l'età adulta aveva prodotto sulla sua psiche un
cambiamento drastico e irreversibile, che gli psicologi avevano
attribuito ad una sorta di complesso di Edipo mai risolto nei
confronti di Yashamaru, uno zio, morto quando il rosso aveva circa
sedici anni.
-Gaara...-
-Mh.-
-Stai
attento, ok? Non possiamo permetterci di affrontare Zeus a viso
aperto, ci ucciderebbe.- fece Kankuro, osservando di sottecchi le
reazioni del fratello. Temari, prudentemente, si allontanò
quanto
più potè.
-L'imbecille
mi aveva garantito che non ci sarebbero stati problemi.-
-Sono
cose che non possiamo controllare. Il virus...-
-Kankuro.-
lo interruppe il rosso, levando la mano pallida e perfetta dinnanzi
al viso -Non ho bisogno che tu mi spieghi le proprietà
dell'Idra.
Comunque dimentichi che io non sono Ade, ergo non corro gli stessi
rischi di quella variante
impazzita.-
Il
castano si guardò bene dal ricordargli che colui che aveva
condotto
gli esperimenti, Kabuto Yakushi, si era più volte
raccomandato di
non partire subito per altre missioni, ma di aspettare due o tre mesi
per prevenire eventuali anomalie. Naturalmente, Gaara non era stato
in grado di pazientare nemmeno per due settimane.
Si
stavano portando dietro un mostro,
ecco la verità.
O,
a voler essere clementi, una bomba
ad
orologeria.
"Quando
esploderà, poco ma sicuro, saremo tutti
in
pessime acque..."
***
-Tieni
molto a quel ragazzo, eh? E' da diciassette anni che viviamo
nell'ombra, e adesso, improvvisamente, solo perché Zeus
rischia di
morire tu ti esponi così tanto?-
-Kushina
ne sarebbe felice.-
-Non
è una giustificazione.-
-Orochimaru...
non credo che tu possa capire l'affetto di una madre verso il proprio
figlio.-
-E
tu, sentiamo, cosa ne sai dell'affetto materno? Non mi sembri
decisamente il tipo.-
-Io
non ne so nulla. Ma posso comprendere perfettamente i sentimenti di
Kushina.-
-Kushina
non esiste più. E' morta diciassette anni fa, e qualcosa di
indefinito ha occupato il suo corpo generando quella...-
-Lei
è ancora lì dentro, da qualche parte. So che
c'è.-
-Tu
sogni troppo. Sai perfettamente che i genitori di Zeus sono entrambi
morti, anche se c'è da dire che a Minato è
capitata la sorte
migliore.-
-Tieni
a freno la lingua.-
-Non
sperare che lo faccia in eterno, hime-sama.-
“Esperimenti
sfuggiti al controllo. E' solo questo che siamo?”
_Angolo
del Fancazzismo_
Rieccomi
di nuovo a casa, dopo una settimana passata a Gardaland e dintorni
(Blue Tornado! Blue Tornado!). Dunque... in questo capitolo succedono
diverse cosette interessanti, e (non vi faccio spoiler) c'è
una
frase in particolare che ha deciso il destino di uno dei personaggi
che quivi compaiono.
Beh,
qualcuno probabilmente avrà già capito... ma il
cervellino della
sottoscritta sta macchinando alcune svolte piuttosto crudeli
nella trama di Prototype. No problem, tutto arriva a chi sa
aspettare.
vivvinasme:
mi sto abituando alle tue recensioni. MOLTO lentamente. Ma mi sto
abituando xD. Non posso comunque fare a meno di trovarle stupende, e
ti informo che anche stavolta mi hai fatto divertire (e inquietare,
con la storia del colpo di sole. sarò costretta a redarguire
gentilmente tua madre *impugna una motosega*). Ovviamente,
come
hai detto anche tu, non posso proprio rispondere alle tue domande,
altrimenti finirei per svelarti il 40% dei segreti irrisolti della
storia. E, insomma, quaranta su cento è una bella
percentuale! Ti
ringrazio molto per tuuuutti i complimenti, continuerò ad
impegnarmi
al massimo!
Vaius:
Hinata non
salverà Zeus (e non
potrebbe effettivamente farlo, sempre che non voglia vedere Hanabi
morta) ma vedrai che... beh, in futuro sarà lei a decidere
la fine
della vicenda. E' giusto che tu non la colpevolizzi, poverina! (anche
se forse non dovrei dirlo, visto che la colpa delle sue disavventure
è tutta mia).
bradipiro:
oh... beh,
francamente non lo
so nemmeno io xD... a volte è come se i protagonisti
facessero tutto
da soli! Io voglio scrivere una cosa, e loro vanno in tutt'altra
direzione. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto!
ryanforever:
partiamo
dalla domanda. Le
spore non possono curarlo perchè sono fatte di virus, e il
tumore di
Naruto si nutre appunto dell'Idra. Anzi, diciamo pure che
peggiorerebbero la situazione ^^. La collana era quella famosa
fotocamera che non ha mai usato, quella che ha dentro il Gps che
Shika e Sai usano per seguire i suoi spostamenti. E comunque
tranquilla, sei più che perdonata.+
Sadako94:
xD vedo che
il capitolo, tutto
sommato, ti è piaciuto. Dunque, la voce misteriosa (come mi
sembra
di avere già detto) non è una vera e propria
voce, bensì dei pezzi
sparsi di ricordi di quello che successe ad Hope nel 1990. Diciamo
che è un piccolo assaggio della "verità".
rekichan:
guarda, ad
essere sincera penso
che preferirei dormire sotto un ponte piuttosto che interferire nella
vita privata di qualcuno (è una delle cose che odio di
più)
tantomeno in quella delle persone che stimo :P. Ah, e non ami il
NaruHina? Strano... anzi, no, non è per niente strano xD.
Riflettendoci, il dobe che fa il seme (poco importa che Hinata sia
una ragazza) non mi tange. E il NaruSaku? Vogliamo parlarne xD?
fra76:
diciamo che
ci hai preso sul...
20% (ok, comincio a parlare come L di Death Note, peccato che il
quoziente intellettivo sia abbastanza diverso). E', fidati, non
è
per niente bassa come percentuale, anzi. Ci sono delle parti di
questa storia che rimangono oscure anche a me xD.
Beatrix91:
beh, guarda
il lato positivo...
in questo capitolo Hinata proprio non compare :D! Dicevamo... ah,
sì!
Ti ringrazio per le graditissime recensioni (comunque avevo notato un
certo incremento dalle parti del primo capitolo) e sono contenta di
trovare sempre più ragazze che apprezzano il genere splatter
e
l'azione. Pensavo di essere l'unica o.O... spero che questo capitolo
non ti abbia deluso, alla prossima!
kagchan:
aspettavo con
ansia il tuo
ritorno T.T... comunque... oddio, hai scritto talmente tante cose che
non so come risponderti. Intanto... Sasori è un figo, punto.
Insomma, a parte il fatto che mi piace il suo potere (e, ironia della
sorte, mi è venuto in mente di farlo così mentre
guardavo una
puntata di Elfen Lied) anche esteticamente è fa-vo-lo-so! Il
team
Sabaku è comparso in questo capitolo, (finalmente!!) e porta
con sé
tutta una serie in interrogativi che lentamente risolverò (o
risolverete). Poi... ah, Deidara. Inutile dire che amo anche lui,
forse è il mio personaggio preferito della serie dopo
Itachi. Ha un
look molto poco virile, ma molto, molto artistico. Ed è un
genio
folle. Me sbavaaaaaaa *ç*....
Ooook,
temo che per i prossimi aggiornamenti dovrete aspettare un po',
perchè quest'anno comincio il liceo (a proposito,
è davvero così
orribile come sembra?) e non credo che riuscirò a scrivere
spesso a
causa dello studio. Per dirla tutta, i miei sono molto tipi da "o
dieci o niente!" per cui...
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 15 *** Fake Actors ***
014
- Fake Actors
-Ci
siamo?-
-Quasi.
Mancano poche centinaia di metri... ecco, lì. ce la fai ad
atterrare
nel mezzo di quell'incrocio?-
-Ehi,
Nara, stai parlando con il miglior pilota della nazione. Non ci vuole
niente...-
-...
a cadere e morire schiacciati sull'asfalto.- completò Sai,
con lo
stesso tono di chi invita qualcun altro a fare una passeggiata. In
realtà, benchè riuscisse a mantenere pienamente
il controllo di sè
e a tirare fuori frasi tutto sommato stupide ed ironiche, aveva paura
anche lui.
Chi
non ne avrebbe avuta? Le probabilità che spuntasse fuori
qualche
cacciatore e li facesse a pezzi erano abbastanza alte, e, seppure
fossero riusciti a trovare Zeus, quest'ultimo non avrebbe sicuramente
acconsentito a comunicare con dei militari.
-Sai,
invece di fare battute controlla la posizione di Ade.-
Il
moro, sospirando, aprì un portatile nero, grazie al quale,
come alla
base, poteva mappare tutti gli spostamenti del segnale Gps. Posando
lo sguardo sullo schermo, però, rimase esterrefatto.
-C'è
qualcosa che non quadra.-
-Ade
è qui vicino?-
-No...
il problema è un altro. Dai dati che ricevo, pare che sia
rimasto
fermo nello stesso posto per le ultime sei ore.-
Shikamaru
si voltò di scatto, fissando il moro con aria preoccupata.
-Che
si sia addormentato?- fece Kiba, dalla cabina di pilotaggio.
-Mi
sembra assurdo, ma forse è proprio così.
Altrimenti, le opzioni
sono due: o ha gettato la collana, oppure è stato ucciso, e
il suo
cadavere sta marcendo da qualche parte in questa città. Di
preciso,
dove si è fermato il segnale?-
-Vicino
al Chrysler Building.-
-Escluderei
a priori
l'ipotesi del sonno, visto che non ci è mai stato prima
d'ora. Il
suo rifugio deve essere un altro.-
-Per
cui... pensi che sia
morto?-
-L'unica
persona che
potrebbe ucciderlo è Zeus... ma, mi chiedo, chi ci
garantisce che il
Prototype abbia tutta questa voglia di toglierlo di mezzo?-
-Già,-
Kiba intervenne
di nuovo -Rock Lee è addirittura convinto che tra Zeus e Ade
ci sia
una sorta di accordo.-
-Esatto.
Stando al tuo
racconto, Zeus ha preferito salvare Tenten piuttosto che lanciarsi
verso Ade, il suo principale avversario. Nessuno si comporterebbe
così, nemmeno un pazzo.-
-E'
per questo che siamo
qui, no? Siamo vicini al punto in cui i cacciatori hanno fatto quella
specie di adunanza, lo stesso posto in cui Ade è rimasto per
diverso
tempo. Può essere che fosse questa la sua casa, prima che
gli
infetti la distruggessero, e, se così fosse, troveremmo
sicuramente
qualche indizio.-
-Già.
E poi devo vedere
con i miei occhi cosa è successo quaggiù. I
cacciatori non sono
soggetti a combustione spontanea, e voglio capire chi è
stato a
bruciarli.-
Atterrarono
al centro
della strada, poi scesero di corsa, i fucili spianati. Non si vedeva
nessuno per strada, ma l'odore di carne bruciata si avvertiva anche
da quella distanza, preludio di ciò che videro non appena si
furono
avvicinati.
Le
carcasse dei
cacciatori erano tante, carbonizzate a tal punto da aver perso
qualsiasi rassomiglianza con quella che era la loro forma originale.
Alcune lasciavano esposte le ossa grottesche, annerite dal fuoco,
mentre altre si erano quasi sciolte, riversando sulla strada litri e
litri di un liquame violaceo e viscoso che emanava un fetore
orribile.
-Indossate
queste.-
mormorò Kiba, porgendo ai compagni due mascherine da legare
attorno
alla bocca.
-C'è
il rischio di
rimanere infettati?- chiese Sai, allacciando il rettangolo di stoffa
bianca sul viso.
-No,
non credo. Il fuoco
distrugge completamente l'Idra. Il punto è che i vapori
sprigionati
da queste carcasse potrebbero essere venefici, meglio non rischiare.-
a rispondere fu Shikamaru, che, con aria pratica, sebbene
l'equipaggiamento lo ostacolasse moltissimo, si faceva strada in
quell'ecatombe dirigendosi verso il palazzo che ne era il fulcro.
Arrivarono
in breve
davanti alla porta, dirigendo la vista ovunque, tranne che sui
cadaveri.
-Entriamo.-
-Ehi.-
Kiba levò una
mano, contrariato -Ho già fatto una volta una cosa simile, e
il mio
capo è quasi morto. Eravamo tre militari, mentre voi non
siete
nemmeno in grado di tenere in mano un'arma.-
-Abbiamo
ricevuto anche
noi un addestramento...-
-...
che non vi servirà,
Shikamaru, se lì dentro dovesse esserci qualcosa di anche
solo
lontanamente simile al mostro che ho visto io. Mi chiedo se ne valga
la pena.-
Ora,
difficilmente
Shikamaru Nara cedeva a sentimenti di rabbia. Il più delle
volte,
semplicemente, si limitava ad una blanda irritazione o, più
semplicemente, alla totale indifferenza. Del resto, da qualcuno che
prova noia nel vivere non ci si possono certo aspettare particolari
slanci emotivi, no?
Eppure,
per qualche
strana ragione, in quel momento Shikamaru si infuriò.
-Stammi
bene a sentire,
Kiba...- sibilò, sollevando il fucile e puntandolo verso il
bassoventre del castano -... in una situazione normale
sarei
stato il primo a fregarmene di tutto e di tutti, ma
quello che
sta succedendo a questa città, a questo paese,
è fuori
dall'ordinario. Non possiamo restarcene a guardare mentre la
realtà
viene distorta e cambiata a seconda della convenienza, capisci? Siamo
esseri umani, non macchine.-
-E
con questo? Se ci
stessimo sbagliando?-
-Oh,
andiamo... non dirmi
che credi ancora che Zeus sia malvagio, dopo quello che ha fatto per
il tuo capo.-
-Ma
ha ucciso...-
-Anche
tu hai ucciso
della gente, Kiba. E' la guerra. C'è chi perde,
c'è chi vince, e
non è detto che i buoni debbano essere sempre quelli che
stanno con
la maggioranza.-
-E
su quali basi pensi
che sia Zeus, quello buono?-
-Non
lo penso. So solo
che ci stanno nascondendo qualcosa, ed evidentemente Ade se
n'è
accorto, poi è scomparso nel nulla e presumibilmente ha
preso le
parti del Prototype. E' la nostra unica possibilità, e se
intendi
mollare tutto adesso che siamo qui giuro che, nonostante la mia
scarsa mira, riuscirò a piantarti un proiettile dritto nelle
palle.
Non ne avresti comunque bisogno, no?-
L'Inuzuka
sospirò,
massaggiandosi la radice del naso. Poi scrollò le spalle,
sconfitto.
-Ok, fottuto avvocato del diavolo. Mi fido. Ma vi
avverto che non sarò certo io a salvare i vostri culi, se
incontreremo qualcosa.-
-Ah,
già...- intervenne
Sai, sorridendo -... se dovessimo morire qui, dì a Ino che
le sue
tette sono e saranno sempre le più belle di tutti gli USA.-
-Giusto,
Sai.- Shikamaru
rincarò la dose -E avverti Temari che sarà la mia
mendekouze
anche all'Inferno, e di non trovarsi un altro pesaculo come
il
sottoscritto se dovesse volere un ragazzo nuovo.-
-Right.
Nel caso fossi io
a crepare, invece, ricordate a quel fottuto idiota di Lee di
prendersi cura del mio Akamaru e di fargli una visita ogni tanto, per
vedere se sta bene. Mia madre non è mai stata un tipo
affidabile, su
queste cose.-
-I
tuoi ultimi desideri
riguardano un cane? Sei messo male, amico.-
Kiba
sibilò, offeso,
abbattendo il semplice portone d'ingresso con un calcio. L'interno
era sporco, ma illuminato, e non c'erano macchie di sangue.
-Bene,
sembra più sicuro
dell'ultima volta...-
-...
disse Kiba Inuzuka,
prima che un gigantesco mostro mutagenico uscisse urlando dall'angolo
del corridoio.-
-Sai,
sul serio, non è
il momento.-
-Ooook...-
***
-Sasuke.-
-Mh...-
-Sai,
forse faresti
meglio ad andare a dormire nel tuo letto.-
-Mhm...-
-Uchiha,
alzati
immediatamente da lì e vai a dormire. Non puoi restare qui
tutta la
notte, e poi finirai per non vederlo quando si sveglierà.-
-...
n... no.- fu la
risposta, espressa con un vago mugugno che strappò un gemito
di
disperazione a Deidara. Sasuke, alla fine, aveva deciso di
parcheggiare la testa sul letto di Zeus, piegato come un vecchio
ingobbito, e rimanere a dormire in quella scomoda posizione per tutta
la notte.
Cosa
che, a dirla tutta,
non poneva nessun problema particolare, se non fosse che Deidara non
si fidava a lasciare l'Uchiha nella stessa stanza di Zeus, da
soli
e per giunta di notte. Ok, il Prototype
era pur sempre in
coma farmaceutico, ma lui non poteva mica sapere cosa si agitasse
nella testolina malata del piccolo Uchiha, no?
Si
avvicinò a Sasuke,
che nel frattempo aveva chiuso gli occhi, segnati da profonde
occhiaie, e lo afferrò per un braccio. Il moro non fece
resistenza,
limitandosi ad un debole strattone, poi gli crollò
semplicemente
addosso. Addormentato.
-Allora
anche tu ti
stanchi... per fortuna.-
Lo
trascinò con facilità
fino alla sua camera (era abbastanza leggero) e lo mise sul letto,
coprendolo alla bell'e meglio con un plaid sgualcito.
"Però,
quando
dorme ha un'espressione quasi normale. Voglio dire, non sembra
più
che qualcuno lo stia prendendo a calci nelle palle..."
Sbadigliò
sonoramente,
passandosi una mano sulla faccia, e poi tornò sui propri
passi,
preparandosi a quella che si prospettava come una lunga, lunghissima
notte di veglia.
***
Alle
sei e ventitrè in
punto, Sasuke spalancò gli occhi nel buio e si
tirò a sedere di
scatto.
-Zeus!-
quasi urlò,
guardandosi intorno alla ricerca del Prototype. Ma... non ricordava
di aver raggiunto la propria camera, quindi...
-Deidara...
ma io lo
ammazzo...-
Si
mise in piedi di
corsa, ignorando una dolorosa fitta alla testa, e raggiunse la stanza
di Zeus in un lasso di tempo compreso tra gli otto e i dieci secondi.
I suoi propositi di omicidio e tortura sfumarono come neve al sole,
una volta arrivato.
Inutile
specificare il
perché.
-Sas'ke...
hai visto? Non
basta così poco per togliermi di mezzo...-
mormorò il Prototype,
uno sguardo allegro nelle iridi azzurre, mentre lo fissava, steso sul
letto. La voce era fievole, stanca, ma viva. Serena.
La
voce più
inappropriata per chi ha appena sfiorato la morte.
Sasuke
strinse
leggermente i pugni, poi si avvicinò al biondo, contraendo
le labbra
in una linea sottile. Improvvisamente, senza una ragione particolare,
si era arrabbiato.
Forse
per quel ghigno
genuino, un'espressione che Zeus non aveva nessun diritto di fare, o
forse per l'aria sicura e derisoria con cui il ragazzo sembrava
guardarlo... o forse, più semplicemente, perchè,
ancora una volta,
il Prototype si ostinava a rassicurarlo con un falso sorriso quando
era evidente la preoccupazione che gli deformava i
lineamenti.
-Tu,
razza di dobe...-
-Eh?-
-Sei
completamente scemo!
Come ti viene in mente di fidarti della prima ragazzina che passa!?
Te l'avevo detto, ma seguire i consigli di qualcuno sarebbe stato
troppo adulto per te, eh, Zeus?-
L'altro,
sorprendentemente, non protestò.
Annuì
stancamente,
facendo ricadere la frangia color del grano sugli occhi segnati, poi
sorrise.
-Sasuke...
ma ci sei tu.-
L'Uchiha
rimase di sasso,
bloccato sull'inizio di un monologo, e fissò il biondo con
gli occhi
sgranati.
-C'eri
tu. Qualunque cosa
mi fosse successa, c'eri tu.- ammise Zeus, sorridendo di un sorriso
che splendeva come il sole e arrossendo leggermente.
A
quella vista, Sasuke
non riuscì a trattenersi. Non più, non dopo che
il suo
autocontrollo era stato lentamente lesinato dagli avvenimenti delle
ultime ore.
Vagamente
conscio della
presenza di Deidara, in un remoto angolo del suo campo visivo,
colmò
la distanza che lo separava dal Prototype a passi decisi.
Poi
afferrò il biondo
per le spalle.
Poi
avvicinò il viso al
suo, consapevole del fatto che Zeus sapeva e conosceva tutti i suoi
pensieri, e che quindi qualsiasi parola sarebbe stata completamente
inutile.
Lo
baciò.
Sasuke
non aveva mai
baciato nessuno, in vita sua, e a dire il vero non aveva mai
considerato l'eventualità che una cosa del genere potesse
succedere.
Quando sentì le labbra del Prototype sulle proprie, morbide
e
carezzevoli come solo può esserlo un sogno, comprese che
lì, in
quell'istante, si compiva la fine di un ciclo, e l'inizio di un
altro. Si sentì distrutto e ricostruito decine di volte in
pochi
secondi, mentre chiedeva delicatamente l'accesso a quella bocca dal
sapore dolce che non somigliava minimamente a qualsiasi cosa avesse
mai sentito, e provato.
O
immaginato.
Tutto
il resto era
niente, pura fantasia, il fastidioso spazio privo di nitidezza ai
margini del punto focale. Anche le dita di Zeus affondate tra i suoi
capelli, sulla nuca, erano una percezione secondaria, superflua.
Quando
si staccò, con un
mezzo sospiro, aveva quasi il fiatone.
-Oh,
be', vedo che
finalmente voialtri avete finito di mangiarvi la faccia.-
La
percezione
superflua chiamata Deidara fece brutalmente irruzione nella
sua
mente, spezzando in meno di quindici parole l'atmosfera quasi onirica
che si era venuta a creare. Lo ignorò accuratamente,
concentrandosi
invece sul biondo che lo fronteggiava, estremamente rosso e
imbarazzato.
-Sono
debole. Uno squalo
non può pretendere di essere difeso da un arowana, no?-
-Se
tu fossi forte solo
nel corpo, Sas'ke, non sarei stato così sciocco da fidarmi
di te.-
Il
moro ci pensò un po',
poi arricciò le labbra, pensieroso.
-Già...
in fondo hai
ragione.-
***
-Ragazzi,
credo che sia
questa.-
-Ma
con un palazzo intero
a sua completa disposizione, proprio all'ultimo piano doveva farsi la
casa?-
-Se
ci ragioni per due
secondi, Kiba, capirai che per Ade era decisamente più
pratico avere
una via di fuga a portata di mano, e perdipiù accessibile
solamente
a lui.-
Erano
finalmente giunti all'ultima porta dell'ultimo piano, e, per
esclusione, il rifugio
doveva essere quello. La porta cedette con una spallata di Kiba (che,
ormai, a forza di calci e spinte aveva la schiena dolorante) e
rivelò
l'interno di un appartamento semplice e, tutto sommato, pulito.
-E'
questo. Gli altri
sembravano abbandonati da molto più tempo, qui
c'è pochissima
polvere.-
Fecero
un'ispezione
veloce, passando da una stanza all'altra molto velocemente.
Finalmente,
in salotto,
trovarono ciò che cercavano.
Sul
divano, un vecchio
cimelio anni '60 con la fodera sgualcita e strappata (sembrava quasi
che qualcuno ci si fosse accanito, in verità), stava una
coperta
parzialmente macchiata di sangue. Shikamaru la avvicinò al
volto,
pizzicandola con le dita per sfilare un lungo capello nero che vi era
rimasto attaccato.
-Sai...
la foto
segnaletica di Ade.-
Il
moro frugò per
qualche secondo nella borsa che teneva a tracolla, poi porse al
castano un foglietto piegato in quattro. Sulla carta da fotocopie,
leggermente giallastra e tutta spiegazzata, campeggiava la fotografia
di un ragazzo dall'espressione spenta, capelli e occhi neri.
-La
lunghezza sembra
quella...- interloquì Kiba, afferrando a sua volta la
coperta -...
ma c'è dell'altro.-
Dopo
qualche secondo di
intenso frugare tra le maglie di lana, vennero fuori altri due
capelli, stavolta biondi e sottili come un filo di seta.
-Questi?
Di chi sono?-
Sai
si avvicinò ad una
libreria, sui cui ripiani erano esposte una miriade di cornici.
-Di
sicuro non del
precedente inquilino... questo aveva i capelli castani, e pare si
chiamasse Jake.-
-E
come fai a saperlo,
scusa?-
Il
moro, senza
rispondere, additò una fotografia. Ritraeva un ragazzo di
venti,
forse venticinque anni, con i capelli castani lunghi fino alle
spalle. Con il pennarello indelebile, a margine, qualcuno aveva
aggiunto la scritta "Auguri, Jake!".
-Ah.
Chissà che fine
avrà fatto...-
-Morto,
sicuramente.
Questa zona è più o meno al confine tra quelle
infette e quelle
sane, per cui, se l'inquilino non è in casa, vuol dire che
è stato
infettato e adesso è lì fuori a scorrazzare tra i
Cacciatori.-
-Se
non sono del padrone
di casa, a chi appartengono quei capelli biondi?-
-Lo
scopriremo. Per ora,
l'importante è che sappiamo che Ade è stato qui.-
-Procediamo
con
l'esplorazione?-
-Sì.-
***
L'Idra
si spandeva sotto
i suoi piedi, obbediente, rispondendo ad ogni suo minimo movimento.
Era raro che uscisse di mattina per le vie della città, ma
c'era
qualcosa che doveva assolutamente fare.
Percorse
velocemente
quelle strade che già conosceva, fermandosi per un attimo
nel punto
dove i suoi cacciatori, i suoi piccoli, umili schiavi, erano rimasti
carbonizzati. Avvertì distintamente la presenza di alcuni
umani, ma
per il momento decise di soprassedere. Non era lì per
quello, e non
aveva alcuna voglia di schiacciare formiche indifese.
Il
suo scopo era un
altro, molto più difficile. Ma, pur essendo difficile, era
anche
appagante.
"Itachi-kun...
non dirmi che non ti avevo avvertito..."
Sentiva
la presenza
dell'Uchiha, come del resto poteva percepire quelle di tutti gli
infetti. La rabbia di qualche ora prima era svanita, sostituita dal
sollievo per la guarigione di Zeus, ma la Madre aveva fatto una
promessa, e l'avrebbe mantenuta. Le promesse si mantengono sempre,
vero?
Sentiva
l'essenza vitale
di Itachi farsi sempre più forte e precisa, come un'immagine
sfocata
che acquista nitidezza a mano a mano che ci si avvicina. E poi,
quando finalmente lo vide, notare la sua espressione stupefatta la
lasciò quasi senza fiato per la gioia.
-Avrei
dovuto
immaginarlo. Alla fine sei venuta.-
-Elizabeth
mantiene
sempre le promesse, raven-kun.-
-Quel
soprannome...
tu...-
-E'
bello, non è vero?
Sembra fatto apposta per te, raven-kun.-
L'Uchiha
strinse i pugni,
perdendo in un soffio la sua maschera di calma e
tranquillità. Le
iridi brillavano come braci ardenti, riempite di rabbia.
-Non
dirlo. Non
pronunciare mai più quel nome.-
-E
perché non dovrei,
raven-kun?-
-Perché
non ti appartiene. Tu sei solo una copia di lei, Greene, e lo sai
perfettamente.- sibilò, maligno, ghignando con
un'espressione di
disprezzo che fece infuriare la donna.
-Sbagli
a provocarmi, Itachi-kun.
Potrei anche decidere di prendere la tua vita, se mi facessi
arrabbiare sul serio.-
-Mi
minacci di morte? Ciò significa che non sei davvero lei.
Kushina non avrebbe mai detto una cosa del genere, non dopo quello
che è successo a mia madre.-
I
capelli della rossa furono percorsi da un tremito, mentre le mani
bianche, dalle unghie lunghe e regolari, si stringevano di colpo.
L'Idra stesso ribollì, come se fosse stato ferito.
-Perdonami,
Mikoto-chan. E' stato Itachi-kun a provocarmi, vero? Io non ne ho
colpa...- mormorò, con voce lamentosa.
Poi,
con un balzo fluido, si lanciò all'attacco.
***
Cercarono
per un'altra mezz'ora, ispezionando con cura tutti i nascondigli
possibili, ma non trovarono nulla di rilevante.
-Be',
qui abbiamo finito. Andiamo via.-
-No,
aspettate...- mormorò Sai, entrando nella cucina -... qui
c'è una
porta che non avevamo notato. Immagino sia una specie di
ripostiglio.-
-Tra
l'altro- Shikamaru intervenne, avvicinandosi -il cesto dei rifiuti
è
pieno di carta straccia. Magari c'è qualcosa di
interessante...-
-Oh,
andiamo, cosa pensate di trovare in un cazzo di cestino
dell'immondizia?-
-Kiba,
è proprio per questo motivo che non sei stato assegnato alla
sezione
investigativa.-
L'Inuzuka
sbuffò, andando ad aprire l'ennesima porta della giornata,
mentre
Sai e Shikamaru, girati dall'altra parte, si accingevano a
controllare il contenuto del cestino. Anche dopo lo schianto del
legno non si voltarono, perdendosi così lo spettacolo di
Kiba che,
inorridito, si infilava entrambe le mani nei capelli.
-Ma
cos'è quest'odore orripilante?-
-Ragazzi...
ho trovato il caro, vecchio Jake.-
A
quelle parole, i due si precipitarono sulla porta, guardando
all'interno della stanzetta buia e stretta che delimitava.
Al
centro del pavimento, decomposto e ricoperto da un vago brulichio di
larve, stava un cadavere. Sul cranio, quasi totalmente scarnificato,
erano ancora abbarbicate alcune ciocche di capelli castani.
-Ade
ha ucciso quest'uomo?-
-Non
essere sciocco. Un simile grado di putrefazione non si realizza in
poco più di tre giorni... Jake è morto da diversi
mesi,
probabilmente. Deve averlo ucciso qualcun altro, qualcuno che era qui
molto tempo prima che ci arrivasse Ade.-
-Capelli
umani, un cadavere risalente a diversi mesi fa, le macchie di
sangue... stai pensando quello che penso io?-
-Ci
serve una conferma, non possiamo avanzare ipotesi affrettate. Nel
frattempo svuota il cestino.-
E
fu proprio lì, paradossalmente, che trovarono le loro
conferme.
Nel
secchio di plastica giaceva una grossa quantità di ritagli
di
giornale, e un oggetto che a prima vista i due ragazzi non
riconobbero. Poi, lentamente, compresero.
-Sono
tutti articoli che riguardano Zeus... e sono tratti dal nostro
giornale interno, quello che viene distribuito solamente ai militari.
Li ha collezionati tutti, fin dai primi tempi dell'infezione.-
-Non
è finita. Guarda qua.-
Shikamaru,
con espressione funerea, porse al moro un braccialetto di plastica,
di quelli da ambulatorio. Era un oggettino elementare, liscio, eppure
semplicemente spaventoso.
Perché
sulla fascia esterna, a chiare lettere nere, campeggiava una scritta.
ZEUS
- 000.
Il
primo paziente, il paziente zero.
-Merda.-
_Angolo
del Fancazzismo_
Non
mi uccidete. Vi scongiuro, non fatelo.
Scena
del bacio pessima. Troppe cose in un capitolo solo. E, come
giustamente dice bradipiro, vi ho lasciati nuovamente
sul più bello.
Gomen-nasai.
Gomen, gomen, gomen...
Beh, rispondiamo alle recensioni :)...
_N_:
macché
tarda... è questa fanfiction che, a furia di giri e rigiri,
porta la
gente sull'orlo dello sfinimento xD... beh, grazie della recensione,
spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Non sono troppo
brava con le scene di baci e consimili, tanto più se le
progetto fin
dall'inizio come questa :P
Beatrix91:
nella
tua rece hai scritto il nome della biscia in 100 modi diversi, e
nessuno di questi era "Orochimaru" xD! Il mio preferito
rimane e sempre rimarrà "Orochimario"...
comunque, nel caso in cui Shika venisse scoperto avrebbe decisamente
più problemi con Temari che con lo stato. In fondo, cosa
possono
armi ed eserciti interi contro l'ardore di una dolce fanciulla? (o.O)
Gaara ve lo godrete tutto tra un capitolo esatto, perchè
credo che
il prossimo lo dedicherò completamente a Itachi-kun e
Kushina. Ti è
piaciuto questo cap? Spero di sì : D!
ryanforever:
farò
un normalissimo classico. Sì, sullo studio non avevo dubbi,
ma per
fortuna ci sono materie che adoro (come il greco e la filosofia, per
esempio) e i compagni di classe sono sufficientemente noiosi da non
essere rompipalle. Passando alla fanfiction, Gaara non ha subito un
trattamento simile ad Ade (ho rimarcato la differenza anche nel fatto
che sono stati "curati" da due dottori diversi, Hinata e
Kabuto), ma fa parte di un progetto completamente diverso. In bocca a
lupo per l'università!!
Vaius:
err...
no, non controlla la sabbia xD. Tranquillo, non è l'ennesimo
personaggio con poteri strani, ormai sono finiti (anzi, a pensarci
bene me ne mancano ancora due, ma credo che saranno piuttosto
marginali). Hinata ha un metodo tutto suo di risolvere le cose, e
certamente non andrà a farsi ammazzare di proposito, no?
Sadako94:
naaah,
Gaara no. Un altro Ade comincerebbe a stufare, senza contare che non
saprei come chiamarlo. Poseidone? Ares? Oddio xD...vabbè,
vedrai con
i tuoi occhi quello che intendo. La scuola è una brutta
bestia, ma è
praticamente da sempre che sogno di intraprendere degli studi
classici, quindi penso di poter compenetrare i miei due hobby senza
rinunciare a nessuno dei due! ooooh yesss...
bradipiro:err...
no, non mi riferivo a Gaara. Anche se, comunque, pure a lui ne
capiteranno di cotte e di crude, don't worry. Deidara nasconde
mooolte cose, anzi, diciamo pure che, quando saprete quello che sa
anche lui, avrete piena conoscenza del segreto di Zeus, e della
verità. Pazientate, non ci vorrà molto.
fra76:
sul
peso dello zaino... l'ho notato. Il mio libro di italiano è
praticamente un vocabolario -_-"". Ciemmecu (comunque) fai
bene a non lanciarti in ipotesi affrettate. In "Prototype"
non ci sono personaggi "buoni" o "cattivi" in
quanto tali, semplicemente alcuni stanno da una parte della
barricata, altri dall'altra.
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 16 *** Madness ***
014
– Madness
Itachi
aveva un dono.
O
forse, a voler essere
più precisi, una maledizione.
Poteva,
molto banalmente, vedere le cose al rallentatore. I suoi occhi
percepivano le immagini con una sveltezza tripla rispetto al normale,
rielaborandole poi in sequenze di fotogrammi a bassa
velocità che
gli scorrevano nella mente l'uno dopo l'altro. Ciò gli
consentiva di
evitare attacchi e sferrarne di velocissimi quando il nemico
abbassava la guardia, ed era quindi un'agevolazione preziosissima in
combattimento.
Tuttavia,
come ogni cosa
apparentemente perfetta, anche gli occhi di Itachi avevano un tallone
d'Achille.
Ovvero:
cosa fare quando
il nemico è più forte e soprattutto
più veloce di te?
Vide
la Greene che gli si
lanciava addosso, lenta come se qualcuno avesse inserito la moviola,
e provò a scostarsi. Ma, per quanto le sue mosse potessero
risultare
repentine, quelle della donna erano a dir poco disumane.
Lo
colpì in pieno viso, forte e precisa, assestandogli uno di
quei
pugni che difficilmente, in vita sua, avrebbe dimenticato. Si tenne
in equilibrio, scivolando nell'asfalto e tracciando due solchi
paralleli di cemento ridotto in frantumi e pezzi di bitume nerastro,
fermandosi poi ad una ventina di piedi distanza dalla Madre.
Lei,
con quelle sue
movenze tipicamente infantili, lo guardava e sorrideva.
-Fa
male, Itachi-kun?-
-No.-
-Oh,
mi dispiace...
allora dovrò impegnarmi di più...-
mormorò, con aria fintamente
contrita, prima di spiccare un balzo. Si portò in pochi
attimi ad un
soffio dal suo viso, caricando un altro pugno che, stavolta, gli
avrebbe fatto certamente male.
Il
moro la evitò
all'ultimo secondo, buttandosi a destra con una contrazione dolorosa
dei muscoli delle gambe. Per un attimo, complice forse la stanchezza,
credette quasi di aver evitato l'attacco.
Be',
tecnicamente il
pugno l'aveva evitato. Non si poteva dire lo stesso, però,
del
tentacolo che sbucò dal terreno, gli si avvinghiò
attorno alla
caviglia e lo lanciò in aria, facendolo schizzare per una
ventina di
metri verso il blu infinito del cielo.
La
Greene non perse
l'occasione, saltando immediatamente con tutte le energie che
possedeva e raggiungendolo in pochi istanti. Negli attimi in cui le
loro posizioni rimasero allineate, chiuse entrambi le mani a pugno,
e, caricate le braccia all'indietro, assestò ad Itachi un
colpo
micidiale allo stomaco, spedendolo come un proiettile contro il
terreno.
Il
boato dello schianto
coprì per qualche istante la risata argentina della rossa,
prima che
questa atterrasse piegando leggermente le ginocchia, leggera e
aggraziata come una farfalla. Si avvicinò al luogo
dell'impatto, su
cui aleggiava una sottile nuvola di polvere, e fu costretta a
smettere di ridere, suo malgrado, quando lo trovò
completamente
vuoto.
-Dove
sei, Itachi-k...- una mano grande e fredda la afferrò per la
gola,
troppo veloce e inaspettata perché riuscisse a reagire
immediatamente. Quando poi Itachi tentò di farla voltare, e
comprese
la ragione di quel gesto, fu invasa da un senso di furia cieca che la
rese immobile per qualche secondo ancora.
Per
qualche secondo.
Si
udì una specie di
gorgoglio quando la schiena di Itachi fu trapassata da un artiglio
sbucato dal terreno, e la Greene sorrise, sentendo la presa sulla
propria gola che si allentava fino a sparire.
-So
quello che vuoi fare,
Itachi-kun... non provarci.-
-Hai
paura?-
La
rossa contrasse
nervosamente un angolo della bocca, arricciando il naso.
-Paura?
Non ho paura di
te.-
-Non
si dicono le bugie,
Greene.- sibilò il moro, in un singulto, spezzando la spina
con le
mani. La ferita si rimarginò immediatamente, lasciando la
pelle
liscia e compatta, priva di cicatrici.
L'Uchiha
fissò
Elizabeth, che, conscia del proprio punto debole, ne evitava
accuratamente lo sguardo. Naturalmente, Itachi sapeva molto bene che
la rossa, quando combatteva, non conosceva stasi, né pause.
Fu
una crepa sull'asfalto
ad avvertirlo di ciò che stava per accadere, permettendogli
di
spostarsi appena in tempo per evitare una corona di tentacoli
uncinati che, emersa dal terreno, iniziò ad agitarsi e
protendersi
in tutte le direzioni nel tentativo di afferrarlo.
-Disgustoso.-
commentò
-E anche di pessimo gusto.-
-Guardati
alle spalle,
Itachi-kun.- fu la piatta affermazione della Greene, prima che Itachi
saltasse in aria, evitando due fasci di tentacoli diretti alla sua
schiena.
Ben
presto l'asfalto
iniziò a spezzarsi e creparsi in ogni dove, rivelando un
brulichio
di tentacoli rossastri, dai movimenti frenetici simili a quelli dei
vermi, che brancolavano alla cieca nel tentativo di abbrancare
l'Uchiha. Questi, senza requie, iniziò a saltare da una
parte
all'altra della strada, evitando quelle propaggini che si
raggruppavano, simili ad anemoni scarlatti, nei punti in cui riusciva
a passare senza essere colpito.
Erano
troppi, e
aumentavano sempre di più ogni secondo che passava. Itachi
realizzò
di essere realmente stanco solamente quando uno dei tentacoli lo
colpì su una coscia, aprendovi uno squarcio da cui il sangue
iniziò
a sgorgare copioso.
-Merda...-
non era da lui
lasciarsi andare ad imprecazioni triviali.
Trattenersi,
d'altra
parte, era difficile.
Ammesso
e non concesso
che fosse riuscito a resistere ancora a lungo, non c'era modo di
scappare indisturbato. Elizabeth controllava il virus presente nel
sottosuolo di Manhattan, ed era in grado di manipolarlo a piacimento,
precludendogli così qualsiasi via di fuga.
C'era
un unico sistema
per uscire interi da quella situazione.
E
non poteva dirsi privo
di rischi.
Meditò
per qualche
attimo se non ci fosse altra via d'uscita, ma fu costretto ad
ammettere che no, non conosceva altri metodi per placare la Greene se
non farle molto, molto male. E non si trattava di
“male” in senso
fisico.
Il
dolore, in fondo, può
essere inteso in molti modi e presentarsi sotto molteplici forme.
Sospirò,
schivando
l'ultimo attacco, poi si lasciò cadere nel vuoto. Strinse i
denti
quando sentì i tentacoli che gli strappavano la pelle a
furia di
affondi, e attese finché quella frenesia non si
placò.
Evidentemente, la Greene contava sul fatto che lui si fosse
già
arreso.
Sciocca.
Gli Uchiha non
si arrendono mai.
“La
furia ti
ottenebra il cervello al punto che hai perso di vista i miei
pensieri... se così non fosse, difficilmente avresti fermato
il tuo
attacco. Sei tanto codarda da non poterti permettere il minimo
rischio, Greene.”
Itachi
si rilassò
completamente, lasciando che i tentacoli cominciassero a sommergerlo,
lenti e compatti come una coperta viva. Lo inglobarono del tutto,
finché, a poco a poco, non cominciarono a restringersi e
cambiare
forma, scoprendogli del tutto la faccia e lasciando il resto del
corpo immerso nell'Idra.
Non
aprì gli occhi e
rimase immobile, producendosi in un paio di sospiri pesanti.
Svenuto,
doveva sembrare
svenuto.
La
donna gli si avvicinò,
sorridendo con aria derisoria. Sentì i suoi passi leggeri,
quasi
impercettibili, e il fruscio dell'Idra che, obbediente, la seguiva
come un'ombra. Il respiro gelido di lei sul suo viso lo
avvertì che
era il momento propizio.
-Che
cosa volevi fare,
raven-kun? Non puoi battermi, lo s... !?-
-Ti
fidi troppo delle tue
capacità, mostro.-
Elizabeth
Greene, con non
poca sorpresa, si ritrovò le iridi scarlatte di Itachi
puntate nelle
sue, ormai impossibilitata a distogliere lo sguardo o fare qualsiasi
cosa per contrastare l'Uchiha. Il moro, vittorioso, le rivolse
un'occhiata piena d'odio, poi sorrise.
-Non
sei diverso da me,
raven-kun. “Mostro”, dici, ma lo
sei anche tu...-
-Risparmia
il fiato,
“Madre”, perché
adesso, finalmente, ti farò provare
le pene dell'Inferno.-
***
Solo
in un secondo
momento, sospeso a pochi centimetri dal corpo di Zeus, Sasuke si
ricordò che, effettivamente, in tutta la faccenda c'era un
piccolo
particolare stonato.
Non
tanto piccolo,
a dirla tutta.
Si
voltò verso Deidara,
circospetto, aspettandosi un qualsiasi segnale di nervosismo. Un tic,
magari. Un verso stizzito. Un'espressione anche solo vagamente
arrabbiata.
Invece,
sorprendentemente, sul volto del biondo rimaneva stampato sempre
quell'irritante sorriso alla "tra noi due l'emo sei tu,
pivello", che, oltre a farlo irritare, gli stava facendo venire
un orrendo sospetto.
-Deidara...-
-Mh?-
-Tu...
non ti senti
minimamente irritato per quello che ho appena fatto?-
-Uh?
E perché mai
dovrei, Ade?- replicò, con un certo sorriso furbesco che
valeva più
di mille parole.
-Già,
Sas'ke, perché
dovrebbe?- fu la domanda di Zeus, che, per sua sfortuna, rimase
inascoltata. Sasuke, infatti, era fin troppo impegnato a fissare
Deidara con uno sguardo che prometteva le peggiori torture, ma, da
bravo Uchiha, prima di agire preferì sincerarsi della
verità.
-Tu...
non avrai mica
raccontato una ca...-
-Be',
Ade, sai com'è,
no? A volte ci vuole un po' di... come dire... ecco... hai presente
le bugie dette per un buon fine? Non sono vere e proprie... Ade,
cos'è quella faccia? Ehi?-
-Maledetto
bastardo... ma
io ti ammazzo...-
-G-guarda
il lato
positivo! V-vi ho dato una spinta, no?-
-Ti
conviene cominciare a
correre.- sibilò il moro, muovendo un passo verso l'artista.
Deidara,
senza farsi
pregare, fece un rapido dietro-front e si fiondò fuori dalla
porta,
mentre, alle sue spalle, un Sasuke più innervosito che mai
lo
rincorreva sibilando epiteti irripetibili.
Zeus
sorrise, scuotendo
lievemente la testa, poi crollò sul cuscino, con un sospiro.
Si
passò una mano sulla
faccia, accarezzando con i polpastrelli le borse formatesi appena
sotto gli occhi, e per un attimo fu grato di non avere uno specchio a
disposizione, cosa che gli avrebbe permesso di rimirare le pessime
condizioni in cui era ridotta la sua faccia.
Era
stanco e si sentiva
totalmente scombussolato, sia per gli eventi in sè, sia per
l'improvvisa iniziativa di Sasuke. E quale medicina migliore, per un
cervello spossato, di un po' di sano sonno?
Afferrò
le coperte,
tirandosele fin sotto il naso, poi si accoccolò su un fianco
e
sprofondò nel dormiveglia.
***
-Questo...
questo cosa
significa?- la voce di Kiba era tremula, quasi inudibile. Un tono
quanto mai inusuale, per qualcuno che sembrava quasi l'incarnazione
terrena della spavalderia.
-Mi
sembra ovvio, no? Ade
è stato qui. E, con lui, c'era Zeus.-
-Ade
ci ha... traditi?-
-E'
presto per parlare di
tradimento. Più che altro, c'è un particolare che
mi preoccupa.-
-Spara.-
-Jake.
E' qui da molto,
troppo tempo. Ora, se fosse stato Zeus ad ucciderlo, ciò
significherebbe...-
-...
che ci troviamo nel
posto in cui il Prototype ha trascorso praticamente tutto il suo
periodo di latitanza, o almeno una buona parte di esso.- fu Sai a
completare la frase, aprendo il portatile sul tavolo della cucina e
cominciando, frenetico, a pestare sui tasti.
-Che
stai facendo?-
-Sto
guardando la scia
del GPS. Escludendo il periodo di tempo in cui il segnale è
rimasto
fermo sul Chrysler, c'è anche un altro posto in cui Ade
è rimasto
per diverso tempo.-
-Dove?-
-Il
porto.-
-Il
porto?- Shikamaru si
accarezzò il mento con due dita, poi spalancò gli
occhi e schioccò
le dita in aria -Certo! Allora, poniamo che Zeus e Ade siano rimasti
in questo posto per qualche tempo, e che poi, a causa dell'attacco
dei cacciatori, lo abbiano abbandonato...-
-...
aspetta, Shikamaru.
E' probabile che lo abbiano abbandonato, visto che Ade non è
più
tornato qui, ma perché avrebbero dovuto farlo? Insomma, solo
perché
dei cacciatori...-
-Ci
sono diverse
spiegazioni plausibili. La più ovvia è che
abbiano preferito
andarsene perché sospettavano che tutto quel trambusto
avrebbe
attirato i militari, e volevano che il loro nascondiglio rimanesse
segreto.-
-Dev'essere
così. Non
c'erano falle nel loro piano, ma non potevano sapere del GPS.-
-Esatto.
Comunque,
intuitivamente, il porto è decisamente un buon posto per
nascondersi. Ci sono i magazzini, pochi infetti e nessun alveare. E'
praticamente un'oasi di pace.-
-Quindi...-
Kiba
assottigliò lo sguardo, pensoso -... è
lì che si trova la tana del
lupo, giusto?-
-Sì.-
rispose Shikamaru,
tranquillo, mentre si accendeva una sigaretta.
-Ci
andremo subito?- era
interessante notare come la domanda non fosse "ci andremo",
o qualcosa di simile. Kiba, ormai, sapeva che era troppo tardi per
tirarsi indietro.
-No.
Innanzitutto voglio
fare un sopralluogo di sotto, per vedere chi ha bruciato i
cacciatori. Poi andremo al Chrysler per scoprire che fine ha fatto
Ade, e, nel caso la risposta ci portasse a pensare che tra lui e Zeus
c'è effettivamente un accordo, solo allora andremo avanti
con la
missione.-
-Ho
la netta sensazione
che quando Ade saprà del GPS non sarà affatto
felice.-
-Non
dobbiamo
necessariamente dirglielo!- intervenne Kiba, arrossendo.
-Ah,
no? E come pensi che
ci giustificheremo, una volta che li avremo raggiunti? "Sai,
Zeus, sono state le nostre capacità divinatorie a portarci
qui da
te"... ma per piacere.-
-Tra
l'altro...- fece
notare Sai, fissando un orologio attaccato alla parete e fermo ormai
da molto tempo -... dovremmo sbrigarci. I Sabaku sono in
città, e se
ci beccano finiremo i nostri giorni in una cella ammuffita.-
-La
cosa più avvilente è
che Temari è pure la mia fidanzata...-
-Non
è mica colpa nostra
se ti sei messo con un'iron maiden, Shika.-
-Avreste
potuto
avvertirmi.- scherzò il castano, aprendo la porta
dell'appartamento.
-Oh,
non sarebbe
servito.- rispose Sai -Tu, Shikamaru, sei sempre stato un gran
cocciuto.-
-Intendi
dire che lo sono
ancora?-
-Oh,
sì. Guarda in che
casino ci hai portato, per la tua testardaggine.-
***
-NO!-
la madre si portò
le mani alle orecchie, affondando le dita nei capelli.
Attorno
ad Itachi l'Idra
si afflosciò, disgregandosi, e ricadde a terra in mille
brandelli
rossicci. Il moro, sentendosi libero, non distolse comunque lo
sguardo dagli occhi verdi dell'avversaria, conscio di non poter
sprecare una possibilità preziosa come quella. La vedeva
soffrire,
urlare e gemere come un condannato a morte, e sapere di essere la
causa di tutto quel dolore gli regalava una soddisfazione non
indifferente. Sogghignò, posando le mani sulle spalle
dall'apparenza
fragile della rossa.
-Cosa
vedi, Elizabeth?
Somiglia almeno un po' alla realtà?-
***
Hai
sempre avuto paura
del fuoco.
Una
dannata paura.
Afferri
la maniglia
con entrambe le mani, ma scotta talmente tanto che senti la pelle
sfrigolare, a quel contatto, e le ritrai immediatamente. Fa male, fa
male... ma non puoi fermarti qui, o l'essere che porti in grembo
troverà la morte assieme a te.
Come
Minato.
Come
Mikoto.
Come
tutti.
Non
è giusto.
Le
fiamme divampano
nel salotto, divorando tutto, fotografie e libri inclusi. Reprimi
l'orrore che provi nel vedere i tuoi ricordi bruciati, ridotti ad un
cumulo di cenere, ma non è questa la tua
priorità. Ah, se solo
fossi stata un po' più svelta nel correre all'entrata...
forse
saresti giunta prima che le travi del tetto crollassero, impedendoti
di passare. Stringi le mani sulla pancia, perfettamente gonfia e
sferica, l'unica cosa sana e viva in quel luogo malvagio, infetto, in
cui pensavi di trovare la tua felicità.
Stanno
cercando di
cancellare quello che hanno fatto, ma non ci riusciranno.
Non
glielo
permetterai.
Non
dopo che vi hanno
trasformato in carne da macello, tutti, nessuno
escluso.
Anche
il tuo bambino non ancora nato, così piccolo e fragile,
eppure già
preda di creature più potenti di lui. Vorresti proteggerlo,
cullarlo
dolcemente per rassicurarlo, e l'impossibilità di non
poterlo fare
ti spezza il cuore.
Nel
frattempo, l'aria
del salotto si è fatta densa ed irrespirabile, piena di
fumo. Ti
entra nella gola e la brucia, intossicandoti, finché le
ginocchia
molli non ti tradiscono, lasciandoti cadere sul pavimento. Per terra
riesci a respirare meglio, ma sai che durerà soltanto pochi
secondi.
Ti raggomitoli quanto più possibile, e ti sforzi di
incamerare
ossigeno nei polmoni solo perché sai che, se smettessi, il
piccolo
morirebbe.
Che
brutta cosa,
l'abnegazione materna. Ti porta a sacrificare tutta te stessa per
qualcosa che ancora non esiste, a lottare con tutte le tue forze per
difendere una vita alle volte fragile, quasi insignificante.
No,
insignificante no.
Non potrebbe mai essere insignificante, non per te, almeno.
Vorresti
urlare aiuto,
ti basterebbe anche solo che qualcuno arrivasse e salvasse il
bambino, ma, almeno finché le vostre vite sono legate a
doppio
taglio, con lui dovrebbero portare via anche te. Ti senti quasi
egoista per aver pensato che, in fin dei conti, questo è un
vantaggio.
Cerchi
di gridare, di
fare qualsiasi cosa per attirare l'attenzione, ma la tua voce si
spegne in un convulso attacco di tosse. Ti fa male il petto, sputi un
po' di saliva nerastra.
E
poi, ti senti
strana. In mezzo a tutto questo dolore, a questa sofferenza,
c'è
un'altra sensazione che si sta facendo spazio nelle tue percezioni.
E'
ghiaccio, ghiaccio
liquido che ti scorre nelle vene e sembra quasi paralizzarti,
partendo dalla mano ed espandendosi in tutto il braccio. Girando
lentamente gli occhi, che pizzicano e lacrimano per via del fumo,
noti una chiazza strana, di un viola purpureo, apparsa alla base del
polso.
Non
è una bruciatura.
Poi,
in concomitanza
con l'espandersi del gelo, che ti raggiunge lo stomaco, senti il
bambino scalciare, come impazzito. Va avanti per qualche secondo,
forsennato, e tu ti agiti, spaventata, toccando con le mani la pelle
che si tende sotto i colpi del piccolo.
Non
fai in tempo a
chiederti cosa stia succedendo, che smette.
La
faccia ti si
contorce in una smorfia d'orrore, la bocca si spalanca in un urlo
silenzioso, mille volte più straziante di qualsiasi pianto o
manifestazione di dolore.
Perché,
improvvisamente, la consapevolezza ti ha colto.
E'
morto. Morto.
Come
se potessi
conoscere ogni suo pensiero, come se la tua mente fosse realmente
interconnessa alla sua, sai che ha appena cessato di vivere.
Non
può essere vero,
no. No, no, no, no...
te lo
ripeti centinaia di volte, mentendo a te stessa sulle orribili
verità
che la tua vita ti sta ponendo davanti, l'una dopo l'altra, come per
sfidarti. Ma dovrebbe saperlo, la vita, che tu non sei così
forte da
sopportare tutto questo senza riportare ferite più gravi di
quanto
possa sopportare.
Abbandoni
la testa sul
pavimento, respirando piano quell'aria arroventata che ti uccide
mentre ti regala i tuoi ultimi istanti di vita. Come a contrastare
con il fuoco che tu brucia dall'esterno, il gelo si è fatto
pressante, totale, come se, all'interno, il tuo corpo fosse
completamente ghiacciato. Avverti una sensazione strana alla testa,
forse una sorta di leggerezza, d'oblio, ma non te ne importa nulla.
Sai
e speri che
morirai qui, a cosa servirebbe interrogarsi su qualcos'altro?
Poi,
come a smentire i
tuoi pensieri, la porta d'ingresso cede, cadendo sulle travi
ammucchiate sul pavimento. Si solleva una nuvola di scintille, e,
mentre la tua vista si fa sempre più sfocata, delle figure
nere si
fanno spazio tra le fiamme, sedandole con degli estintori.
Devono
essere loro, i
tuoi salvatori. Protendi una mano verso una di quelle figure, in una
supplica muta, ma nessuno ti presta attenzione.
Eppure,
internamente,
sorridi.
Sì,
sono venuti a
prenderti. E magari, con te, salveranno la vita anche al bambino.
Quello
che non sai,
Kushina, è che quelli non sono angeli custodi arrivati per
portarti
in un posto migliore, no.
Sono
i demoni neri che
ti getteranno in una vita fatta di incubi.
***
Itachi
fissò la Greene,
raggomitolata per terra come un animale ferito.
-So
che soffri. Tutti
soffriamo per quello che è successo, tutti abbiamo perso
qualcosa e
abbiamo motivi di vendetta. Ma tu, sola tra tutti, hai permesso che
accadesse questo...- con un gesto ampio delle braccia,
indicò
l'intera area circostante -... e hai consentito al virus di
soggiogarti. Non meriti pietà e compassione, Greene,
perché
continui a combattere una battaglia persa da diciassette anni. Lui
non è tuo figlio, e
non lo sarà mai. Il passato
è stato distrutto dalle
stesse fiamme che bruciarono Hope, e non tornerà indietro.-
Rivolse
uno sguardo
compassionevole alla rossa, che, persa nei meandri dei propri ricordi
perduti, si graffiava le guance rigate di lacrime, poi si
voltò e
corse via, sparendo tra le costruzioni di cemento grigio.
Il
passato è perduto
per sempre, pensò, mentre si dirigeva al quartier
generale della
Gentek, e quello che ci è stato tolto non ci
verrà mai restituito,
a partire dalle nostre vite. Non siamo nemmeno più umani,
ormai.
Allora
dimmi,
Itachi-kun... in fondo vale così tanto la pena essere
"umani"?
_Angolo
del Fancazzismo_
Ouuuff... capitolo a dir poco faticoso da scrivere. Non vi dico
quanto tempo ci ho messo per creare il passato di Kushina, e quanto
ne ho sprecato inutilmente cercando di rendere Itachi anche solo
vagamente convincente.
Il gioco non vale la candela, ma tra una lettura di greco e l'altra
(chenoiachebarbachebarbachenoia) sono riuscita anche ad aggiornare
abbastanza per tempo. Abbastanza.
Va beh, l'importante è che sia arrivato, no? O.O <---
sarebbe
un'espressione kawaii, ma voi non fateci troppo caso xD
Oggi, sfortunatamente, non ho proprio tempo per rispondere alle rece
(ho disertato il latino per finire il capitolo, e corro subito a
studiare per domani) quindi includerò le risposte a quelle
che mi
avete inviato in quelle del prossimo capitolo.
Vi ringrazio sempre moltissimo, siete recensitrici fantastiche (e no,
vivvinasme, non hai fatto nessuna figuraccia, anzi
ù.ù)...
See you soon,
Roby
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Capitolo 17 *** Art is Explosion ***
016 - Art is Explosion
La schiena di Gaara era larga e distante, sotto i raggi del sole.
Temari la fissò ancora una volta, passandosi poi una mano sugli occhi, un po' per distogliersi dalla contemplazione, un po' per asciugarli dal sudore che le copriva la faccia. Mai, come in quel momento, si sentiva perfettamente inutile.
Il rosso camminava davanti a loro, dieci, forse quindici metri più avanti, e non si curava affatto della loro presenza, continuando la marcia senza mai fermarsi a riposare. Era solo, lo era sempre stato, abituato a non fare affidamento sull'aiuto di nessuno.
E poi, particolare iniquo eppure orribilmente evidente, era l'unico dei tre a non indossare la mascherina. Adattato, a suo agio in un luogo che alla gente normale non sembrava altro che il preludio dell'Apocalisse. E loro, gli umani, così come doveva essere, si proteggevano da qualcosa che lui non temeva nemmeno.
Temari non era mai stata una persona sciocca o pressappochista, e tantomeno una codarda. Fatto sta che non poteva impedire ai brividi di correrle su per la schiena, quando incrociava casualmente lo sguardo vuoto del fratello, voltatosi magari per controllare a che punto fossero i suoi deboli compagni di squadra. Il suo istinto animale le urlava di voltarsi e scappare, la ragione le imponeva un rigido autocontrollo appreso con anni di vicinanza a Gaara.
Era completamente pazzo e pericoloso anche come un semplice umano, e non era curiosa di sapere quale risultato avessero prodotto gli esperimenti di Kabuto Yakushi, su di lui. Sperava solo che non lo avessero reso ancora più instabile.
Kankuro, accanto a lei, lanciava al rosso continue occhiate preoccupate, mentre quello, serafico, camminava tranquillamente in mezzo a resti di cadaveri vecchi di giorni. Si tratteneva dal sussurrarle qualche commento sprezzante, ne era certa, solo perché temeva che Gaara avrebbe potuto udirli.
In lontananza, a poco a poco, spuntò la familiare sagoma di un alveare. Il loro obiettivo.
Si avvicinarono molto, ormai solo pochi metri li separavano dalle pareti viscose delle incubatrici, e si rifugiarono dietro un palazzo per non essere attaccati. La baraonda, intorno al palazzo, era inaudita.
-Qui.- il rosso si fermò, aspettando che lo raggiungessero, poi aprì la borsa che portava a tracolla e ne trasse una specie di macchina radiocomandata, completamente nera, dalla forma quasi perfettamente cubica. Dopo qualche secondo di ricerche venne fuori anche un piccolo telecomando, uguale in tutto o per tutto a quelli dei giocattoli per bambini.
-Gaara...- azzardò Kankuro, fissando l'oggettino -... non avevamo concordato per una quantità di esplosivo leggermente più piccola?-
-Se dobbiamo attirare Zeus sarà meglio usare qualcosa di più forte. Non si avvicinerebbe di certo per un marciapiede saltato in aria.-
-Ma... distruggendo l'alveare non faremo incazzare anche quelle creature?-
-Non sarà un problema. E adesso muovetevi, distribuite le altre cariche.-
Temari e Kankuro tirarono fuori le altre bombe radiocomandate, tre per uno, e, grazie ai telecomandi, le mandarono a sbattere contro la base dell'alveare. Una per una, le nove cariche vennero piazzate nei punti giusti.
-Allontanatevi.- mormorò il rosso, prendendo un telecomando piccolo e nero che, invece delle levette per pilotare, recava un unico, piccolo bottone.
-Ma... se rimani qui anche tu finirai coinv...-
-Via.-
I due fratelli sospirarono all'unisono, sconsolati, prima di correre via. Avevano fatto appena due, forse trecento metri, che Gaara spinse il bottone.
Per un attimo, Temari pensò di essere diventata sorda.
Il boato le colpì le orecchie a tal punto da diventare quasi inudibile, mentre una corrente di aria calda, ustionante, le arrivò sulla schiena, facendola cadere a terra. Kankuro le finì accanto, bestemmiando come uno scaricatore di porto, ma a differenza sua ci mise qualche secondo per rialzarsi. Quando si voltarono verso l'alveare, poi, non videro altro che un cumulo indistinto di macerie bruciate.
-Ma che cazzo di esplosivo era?- Kankuro quasi urlò, massaggiandosi le spalle.
-Non lo so. Credo lo abbiano preparato apposta per questa missione.-
Poi, improvvisamente, i due si fissarono negli occhi. Un lampo di sorpresa.
-E Gaara?- esclamarono, all'unisono.
Si incamminarono velocemente verso l'alveare distrutto, sinceramente preoccupati di ciò che avrebbero potuto trovare. Non che provassero chissà quale affetto o preoccupazione nei confronti di quel fratello che per loro era quasi alla stregua di un'arma umana, ma temevano di aver perso il membro più forte del team e, con esso, il prestigio di cui godevano presso la Gentek.
Potrebbe sembrare un pensiero meschino, opportunista.
Nella loro situazione, tuttavia, era il massimo che ci si potesse aspettare.
-Gaara? Ci s...-
-Vi avevo detto che non c'era motivo di preoccuparsi.-
Temari e Kankuro sobbalzarono, voltandosi poi verso la voce.
Gaara, perfettamente illeso e inespressivo come al solito, li fissava. Sulla pelle non aveva il minimo segno di bruciature o escoriazioni, i capelli non gli si erano nemmeno arruffati.
-Tu, come...-
-Non vi riguarda. Insistete con queste domande e vi ammazzo.- mormorò il rosso, facendo rabbrividire gli interlocutori. Poi si voltò verso le rovine dell'alveare, considerandole con un'occhiata, e stirò le labbra in un ghigno sadico.
-Dobbiamo solo aspettare che ci raggiunga.-
-Gaara, ma... non è detto che venga. Non credo che Zeus si curi di ogni rumore che sente, no?-
-Zitta, Temari. Verrà. Non a caso ho distrutto un alveare.-
La bionda non ribatté, sapendo che comunque non sarebbe servito a nulla.
Stavano cacciando una preda più pericolosa di loro, e la ragazza se ne rendeva perfettamente conto, ma non poteva ribellarsi.
Non a Gaara, né a Kankuro. Ciò che le impediva di alzarsi e andarsene era la mostruosità stessa del loro rapporto, un misto di affetto naturale che non poteva impedirsi verso i fratelli e di odio puro che i tre si rivolgevano, certi di dovere la propria infelicità solamente ai membri della propria famiglia.
Erano stati fagocitati dagli eventi, ecco la verità.
E la porta per tornare indietro era ormai crollata, alle loro spalle.
***
Sasuke si fermò nel bel mezzo dell'inseguimento, allungando le orecchie.
-Che cosa...-
Nell'aria, impercettibile eppure così evidente, si spandeva una vibrazione lontana, un singulto della terra che sembrava gemere della ferita appena subita. Un normale essere umano non sarebbe mai riuscito a percepire quel tremito infinitesimale, ma l'Uchiha non rientrava nella definizione di "umano". E nemmeno Deidara.
Il biondo, dimentico delle minacce di morte di Sasuke, gli si portò davanti, fissandolo con espressione preoccupata.
-Hai sentito?-
-Cos'era?-
-Un'esplosione.- scandì Deidara, sul viso una strana espressione esaltata.
-Dovremmo andare a controllare?-
-Penso di sì... è stato un bel botto. Chissà che genere di esplosivo hanno usato...- gli occhi gli brillavano, accesi di una strana luce sadica.
-Hm, ok. Sbrighiamoci, così, nel caso Zeus dovesse svegliarsi, non si troverà da solo.-
-Ti preoccupi per lui, adesso? Oh, che carin...-
-Deidara.-
-Ok, la smetto.-
Uscirono dalla base senza nessuna fretta, saltando poi sul tetto di uno dei magazzini del porto.
-L'esplosione veniva da là.- decretò il biondo, puntando il dito alla loro sinistra.
-E come fai a saperlo?-
-Uh, allora Zeus non ti ha spiegato proprio niente. Vedi, Ade, il mio potere è legato proprio alle esplosioni, e un giorno, forse, vedrai anche come. Il punto che ti interessa ora è che, grazie alle mie capacità, posso decifrare le vibrazioni del terreno e leggere anche la minima, e sottolineo minima, scossa a cui viene sottoposto il suolo su cui cammino.-
-Un po' come i cacciatori?-
-Assolutamente no. Le mie capacità sono infinitamente più raffinate.-
-Ok, megalomane. Qual'è il punto?-
-Sasuke, hai mai lanciato un sasso in uno stagno?-
-No.-
-Ah, ehm... allora, facciamo finta che tu l'abbia fatto, ok? Beh, il succo è che, quando lanci il sasso, le increspature prodottesi sull'acqua vanno dall'esatto punto in cui la pietra colpisce la superficie verso l'esterno, ingrandendosi sempre di più e, contemporaneamente, diminuendo d'intensità. Stesso discorso vale per il terreno e le vibrazioni date da una collisione, o un'esplosione.-
-Se ho capito, tu riesci, attraverso l'intensità delle vibrazioni, a determinare dove si trova l'epicentro e a quale distanza è dal punto in cui sei tu, giusto?-
-Esatto. E, pensa un po', le vibrazioni si sentono ancora, quindi dev'essere stato proprio un bel botto. Oh, quanto vorrei poter avere sotto mano l'esplosivo che hanno usato...-
-Se ci sbrighiamo ce l'avrai. Tanto sono stati dei militari a causare quell'esplosione, non vedo chi altro avrebbe potuto farlo.-
-La Madre?-
-Strano, mi sembrava che Zeus te ne avesse parlato. Quella donna è appena in grado di formulare frasi di senso compiuto, a volte neanche quelle, e sinceramente dubito che possa utilizzare una carica esplosiva. E poi non ne avrebbe bisogno, visto che, se volesse distruggere qualcosa, potrebbe usare i suoi cacciatori.-
-Oh, beh, in questo caso sarà meglio sbrigarsi. Sai com'è... i macellai adorano la carne fresca, specialmente quand'è ancora viva e pulsante.-
-E tu saresti un macellaio, Deidara?-
Il biondo gli rispose con un ghigno che aveva dell'inquietante.
-Be', Ade, tu non lo sei?-
Non gli diede il tempo di interiorizzare la domanda, schizzando in avanti, verso il punto precedentemente indicato. Sasuke saltò, iniziando subito a corrergli dietro, ma realizzò ben presto di essere davvero lento, in confronto all'artista.
Deidara era veloce, incredibilmente rapido in ogni movimento, e non sprecava nemmeno un secondo in evoluzioni inutili e simili atti di vanità. Le sue mosse erano essenziali, forse meno aggraziate di quelle di Ade, ma infinitamente più potenti e scattanti. Sasuke, suo malgrado, si ritrovò a paragonarlo a Zeus.
I due avevano, fra loro, diversi punti di rassomiglianza: l'esuberanza, per esempio, o l'infantilismo appena eccessivo che usavano per sdrammatizzare le peggiori situazioni.
Tuttavia, per tante altre cose, il Prototype non poteva essere comparato con Deidara. Né per il sorriso luminoso, che l'artista non avrebbe mai potuto avere, né per i capelli biondi, quanto mai dissimili nella loro somiglianza, né per gli occhi azzurri, apparentemente uguali eppure così diversi, quasi opposti.
No, Zeus non somigliava a nessuno. Zeus era semplicemente unico.
E Sasuke aveva quasi paura di ammettere il perché.
Immerso nei propri pensieri, quasi non si accorse della mano di Deidara che gli sventolava davanti alla faccia. Riemerse dal mondo dei sogni, fissando, non senza una vena d'irritazione, il palazzo su cui si erano fermati.
-Cavoli... hanno fatto a pezzi un intero alveare.- disse il biondo, piegandosi sulle ginocchia e sporgendosi dal cornicione, come per mettere meglio a fuoco la devastazione che regnava pochi metri più in basso. Tutta scena: vedeva benissimo anche da quella distanza, ma amava atteggiarsi a bambino piccolo.
Il moro inarcò un sopracciglio, vagamente sorpreso.
-Comincio a chiedermi anche io chi sia stato a farlo, e perché.-
-Scendiamo?- gli occhi del dinamitardo brillavano, illuminati da quella che sembrava una vaga distorsione del senso di "furore artistico".
-C'è una vaga possibilità che, anche di fronte ad un mio eventuale rifiuto, tu rimanga qui sopra?-
-Assolutamente no.-
Sasuke si passò una mano tra i capelli, sospirando, prima di seguire Deidara, che si era già lanciato sulle macerie. Atterrarono silenziosamente, guardandosi intorno con circospezione, ma non videro nessuno.
La loro sicurezza fu un grosso errore.
Mentre il biondo, chinato, rovistava tra i calcinacci alla ricerca dell'ordigno che aveva causato quel disastro, Sasuke se ne stava in piedi. Forse un po' troppo scoperto.
Forse un po' troppo al centro.
Fece appena in tempo a sentire uno scatto, poi uno sparo, che un dolore fortissimo gli invase tutto il braccio, partendo dalla spalla e irradiandosi, bruciante, fino alle dita. Cercò di voltarsi verso il punto da cui gli era parso provenisse la deflagrazione, ma non ci riuscì.
Due colpi, poi tre, e il dolore che si faceva sempre più forte, rendendolo incapace di muoversi. Gli avevano sparato. E lo avevano colpito quattro volte su quattro.
Si accasciò nella polvere, che andava macchiandosi del suo stesso sangue vermiglio, e sollevò debolmente la testa, mentre la vista gli si faceva sempre più appannata, guardando Deidara che, ripresosi dallo stupore iniziale, aveva evitato un paio di proiettili e si lanciava verso il cecchino, a quanto pare nascosto in un punto che sconfinava dal suo campo visivo.
-Fottuti bastardi!- sbraitò il biondo, sfilandosi i guanti senza dita che era solito portare.
Sasuke tentò di sollevarsi, ma ricadde a terra senza un lamento. Si impose la calma, facendo il punto della situazione: Deidara stava combattendo contro un nemico imprecisato, Zeus dormiva alla base e lui era steso in un cumulo di macerie con quattro pallottole piantate nel corpo. Doveva inventarsi qualcosa, in fretta.
***
Zeus fece uno sbadiglio, stiracchiandosi e tirando le coperte con un miagolio soddisfatto.
Si tirò a sedere, passandosi una mano sugli occhi gonfi (ed era una vera soddisfazione saperli tali per il sonno, non per la stanchezza) e poi aprì la porta del bagno, infilandosi velocemente nel box doccia. Sebbene non ne avesse bisogno (poteva regolare le secrezioni corporee e assorbire lo sporco all'interno della pelle stessa, usandolo come una fonte di nutrienti) amava sentire l'acqua calda sul corpo, ancor di più se aveva la testa invasa dai pensieri e gli serviva un po' di tempo libero per esaminarli.
Iniziò a cantare "I want it all" dei Queen, cospargendosi i capelli con lo shampoo (alle rose, essenza che Konan amava infilare praticamente dappertutto) e nel frattempo pensava.
Ricordava con estrema nitidezza la sensazione assurda che aveva provato quando Sasuke lo aveva baciato, ma per qualche strana ragione la cosa non lo turbava. Era... felice? Forse, ma la cosa gli sembrava talmente naturale, come se avesse sempre saputo che sarebbe accaduta, da non lasciarlo per nulla sorpreso. C'era solo una gran voglia di farlo ancora, che per il momento soppresse con veemenza.
Sasuke non doveva aver fatto molta chiarezza nei propri sentimenti, e comunque non poteva dirsi amore un sentimento nato in tre giorni scarsi. E poi, materialmente, non avevano tempo di occuparsi di sentimenti egoistici. Con una guerra come quella in atto, in cui si rischiava la vita ad ogni passo, perdere tempo in inutili parentesi romantiche sarebbe stato impossibile, sciocco.
Inconsapevolmente, Naruto strinse con forza le dita sulla spugna.
E cos'era quella sensazione? Egoismo, forse? Aveva sacrificato troppe cose per cedere alle lusinghe dell'amore, che, paradossalmente, era la scelta più sciocca tra le varie poste in gioco. Si sarebbe lasciato trascinare dal romanticismo solo quando tutto fosse finito.
-Però...- mormorò, lentamente, mentre si insaponava la testa -... se ci fosse possibilità...-
Il vocabolo "possibilità" si articolò, nella sua testa, con una serie di flash violenti e quanto mai osceni di ciò che lui e Sasuke avrebbero potuto fare, nei ritagli di tempo post-battaglia, e fu sufficiente per convincerlo ad abbandonare la cabina doccia, prima di commettere spropositi. Si risciacquò velocemente la testa, poi chiuse il rubinetto e si strofinò energicamente con l'asciugamano, eliminando l'acqua in eccesso.
Gesti inutili, nel senso strettamente pratico.
Tuttavia, diventavano utili se si voleva conservare anche solo una parvenza di umanità.
Che, poi, era quello a cui il Prototype teneva di più in assoluto.
Un sospiro, e i vestiti, semplicemente, gli emersero dalla pelle, circondandogli il corpo con un fruscio delicato. Perfetti e leggeri come al solito, privi di qualsiasi difetto che caratterizzava gli abiti umani.
Eppure Zeus li odiava. Perché erano l'ennesima dimostrazione della sua natura non umana, il simbolo della sua schiavitù eterna ad un virus orribile come l'Idra. Non c'era nulla che disprezzasse al mondo più di sè stesso, e si odiava con tutte le proprie forze, senza requie. La morte, tuttavia, gli sembrava una via di fuga troppo codarda.
Uscì nel corridoio, imbattendosi in Sasori.
-Ohi, Sasori! Sai dov'è Sasuke?-
-Lui e Deidara non sono più qui.-
-In che senso?-
Sasori lo fissò, immobile, segno che non aveva particolarmente gradito la domanda. Che, in effetti, era piuttosto stupida.
-Ehm... sai dove sono andati?-
-No.-
Zeus inarcò un sopracciglio, improvvisamente pensieroso.
Ade e... Deidara? Un abbinamento quanto mai insolito, per una scampagnata. E perché mai sarebbero dovuti uscire dalla base?
In altre parole, chi o cosa li aveva attirati?
Il campanello d'allarme nella testa di Zeus trillò, in allerta.
-Sai se è successo qualcosa?-
-No.-
La mancanza di loquacità di Sasori l'avrebbe irritato, se non fosse stato così preoccupato per la sorte dei due amici. Si risolse a verificare la situazione di persona.
Uscì dal magazzino e si allontanò dal porto in men che non si dica, realizzando solo in seguito di non sapere assolutamente dove andare. Per trovare Deidara e Sasuke, quindi, decise di usare un sistema che non aveva mai amato particolarmente: il controllo dell'Idra.
Il virus, nella sua forma al secondo stadio, si poteva comandare tramite l'emissione di determinati ultrasuoni, che ne influenzavano il comportamento. Zeus era in grado di controllarlo per brevi periodi, e comunque non in maniera perfetta, ma in quella situazione era l'unico modo per trovare due persone disperse in un luogo grande come Manhattan. L'Idra, infatti, poteva godere di una specie di coscienza condivisa, ed era, nonostante la forma simile a quella di un lichene, un essere intelligente e dotato di percezioni. Primitive, certo, ma bastanti per il ruolo che il Prototype si era prefisso.
Si avvicinò ad una chiazza di Idra sufficientemente grossa, poi si tagliò un dito e, lasciando cadere una goccia di sangue sulla superficie rosata, si assicurò che il lichene avesse percepito le parti fondamentali dei suoi ultimi ricordi. I viticci fremettero, mentre assorbivano il liquido rosso, e si protesero verso il donatore con un nonsoché di festante che lo fece sorridere.
Il biondo schiuse poi le labbra, emettendo un suono particolare, una sorta di grido acutissimo, che indusse l'Idra a espandersi e circondargli i piedi.
"Bene", pensò, "adesso portami da loro".
Il virus obbedì, delicato, scivolando sul terreno a una velocità tale da consentirgli di seguirlo.
***
Deidara si lanciò all'attacco, le mani finalmente scoperte e libere di manifestare il loro segreto. Sui palmi, al centro della mano, si aprivano infatti delle fessure, simili a bocche, i cui contorni slabbrati scoprivano due chiostre di denti acuminati e sottili come spilli, da cui colava un liquido denso e purpureo. Tra quelle zanne si agitavano due lingue di un vago colore violaceo, che somigliavano in maniera inquietante a della carne in decomposizione.
Il biondo era conscio del loro aspetto disgustoso, ma ne andava assolutamente fiero. Erano le sue armi, così preziose e particolari, uniche. E meravigliosamente artistiche, sia nella forma che nell'azione.
Colui che si era permesso di ferire Ade, un castano dal volto sgraziato e privo di qualsivoglia tratto interessante, tentò di sparargli imbracciando con fare esperto un fucile da elefanti. Era abile, e per poco non riuscì a centrarlo.
Ma aveva scelto l'arma sbagliata.
Un fucile di quel tipo era piuttosto lento e pesante, l'esatto contrario dell'arma che occorreva per combattere Deidara, che giocava molto sulla velocità. L'artista si portò alle spalle del castano con un salto all'indietro, poi lo afferrò per le spalle e, velocemente, gli circondò il collo con entrambe le mani, affondando le zanne nella pelle dura e ruvida del soldato. Poi si staccò, allontanandosi di qualche metro, e osservò, compiaciuto, la sua prossima opera d'arte che si toccava, perplessa, i forellini comparsi accanto alla giugulare.
-Come ti chiami, soldato?-
Quello lo fissò, digrignando i denti, e poi sembrò quasi sputare la risposta.
-Sabaku No Kankuro.-
-Bene, Kankuro, sono felice che tu mi abbia risposto. Non avrei saputo che titolo dare alla mia opera, in caso contrario.-
-Opera? Che cazzo...-
Deidara si portò una mano al cuore, lezioso, e poi, dolce come una donna che canta una ninnananna al proprio bambino, mormorò:-Bakuhatsu.-
Lenta, ma inesorabile, una macchia violacea iniziò ad espandersi sul collo di Kankuro, a partire dai fori causatigli dal biondo. Il soldato si portò entrambi le mani al collo, ansimando pesantemente, mentre la chiazza, simile a dell'inchiostro su un fazzoletto bianco, gli copriva prima la faccia e poi l'intero corpo.
E poi, ad uno schiocco di dita dell'artista, l'opera d'arte esplose.
Il corpo del ragazzo si gonfiò di colpo, e poi, come seguendo delle cuciture invisibili, si strappò con uno schiocco secco e scoppiò dall'interno. Il sangue si riversò sull'asfalto, copioso, insieme agli organi interni e alle ossa, sparse più o meno uniformemente in quel caos rosso e raccapricciante che fino a pochi attimi prima era stato un essere umano.
Deidara si mise a ridere, guardando con una sorta di esaltazione mistica ciò che aveva appena fatto. Poi smise di colpo, accorgendosi di una minuscola macchiolina di sangue che gli aveva macchiato i pantaloni.
-Aaah, che lavoro inutile! Uno cerca di creare qualcosa di artistico, e la sua opera gli sporca anche i vestiti!- celiò, passando le mani sulla chiazza rossa.
Fu una vibrazione sospetta del terreno a zittirlo. Percepì distintamente i passi di due persone, dietro il palazzo accanto al quale si trovava, e sorrise, ghignando come un lupo che ha appena avvistato due allodole intrappolate tra i rami di una siepe.
-Allora, chi è il prossimo? So che siete lì, non fatemi aspettare!-
La risposta alla sua provocazione fu uno sparo.
E non andò a vuoto.
"Bene e Male. Sono parole prive di significato".
_Angolo del Fancazzismo_
E Kankuro ebbe vita breve xD. Ok, poveraccio, mi sta pure simpatico... ma mi serviva qualcuno per manifestare il potere di Deidara, e infilarci un commilitone inventato non mi sarebbe piaciuto (cerco di evitare gli OC quanto più possibile).
Dunque, lo scontro tra la sabbia e il vento è alle porte, e nel prossimo capitolo ve lo godrete tutto (doveva essere incluso in questo capitolo, ma poi sarebbe uscita una cosa troppo lunga e, alla fine, noiosa).
Rispondo alle rece (wow, 10!):
Vaius: be quite, penso che Hinata tornerà tra un capitolo circa, in concomitanza con i guai di Shika&Co. xD... oh, quanto mi diverto a far soffrire i personaggi! Ehm, comunque, scleri sadici a parte... Itachi. Beh, effettivamente è un mostro, specie considerato che batte Kushina con relativa facilità. Però, allo stesso tempo, non lo è. E, più avanti, vedrete anche il perché ù_ù...
ryanforever: mi fai domande a cui non posso rispondere >_>... Deidara, in questa fanfiction, è ormai diventato il mio personaggio preferito (e si vede, visto che ho riversato tutta la mia vena splatter nel potere che gli ho scelto). Non lo so, quando scrivo i suoi dialoghi mi escono fuori facilmente, senza pensarci troppo, cosa che non succede, ad esempio, per Sasuke. E su Kushina... sapete ancora molto, molto poco sul suo passato. E il bello è che devo ancora decidere come fare per svelarvelo, cosa non esattamente facile...
kagchan: messaggio di posta elettronica? A dire il vero non mi è arrivato. A questo proposito, faccio un appello a tutte le Efpiane che seguono le mie storie: se dovete mandarmi una mail, inviatela all'indirizzo robertasilvestri@hotmail.it, perchè è il mio account abituale, quello che uso praticamente sempre. Sull'altro non ci vado quasi mai. Detto questo, passiamo alle due recensioni. Oh, grazie per i complimenti T.T! Mi rendi tanto, tanto felice! Credimi, dopo che mi hai scritto quella rece ho cominciato ad apprezzare la parte del bacio. Il Katun, dici? L'ho già fatto, e per inciso è stata la mia prima montagna russa (un'esperienza che non penso dimenticherò più, mi è piaciuta troppo). Sulla scena del combattimento... boh, non ho pensato a Dragonball mentre la scrivevo xD! Mi è venuta in mente così, mentre cercavo un metodo figo per far prendere mazzate ad Itachi.
Sadako94: si, finalmente ho deciso. E vedrete, vedrete... comunque non ti preoccupare, la storia ha raggiunto con questi due capitoli il massimo picco dell'incasinatezza. Da qui in poi comincerò a chiarificarla un po', per non farvi venire emicranie o infarti durante la lettura xD... Poi, sul terzetto Ade-Zeus-Poseidone mi sono fatta delle risate che neanche immagini. Me li sono immaginati vestiti stile antica Grecia e non ho potuto fare a meno di sganasciarmi sulla tastiera come una scema xD! Per Orochimaru dovrai aspettare ancora un po', ma non ti preoccupare: avrà un ruolo abbastanza importante, credo che lo vedremo spesso.
Beatrix91: non riesco a capire se Sasuke ti sta simpatico o se lo odi xD... va beh, grazie per i complimenti e per le risate che mi hai fatto fare con la tua rece (Orochinchin è da Oscar : D). Tranquilla, Deidara non sa tutto, ma solo una grossa fetta di verità. Sa il "cosa", ma non il "come". Per il resto delle tue domande, a tutto ci sarà una spiegazione. Compresa la misericordia apparentemente fuori luogo di Itachi verso la Greene.
fra76: Itachi un cacciatore lo fa a pezzi ad occhi chiusi, ecco perché la madre non l'ha mandato e ha preferito attaccare di persona xD! Non ti preoccupare, tutte le tue domande avranno risposta (non molto presto, magari, ma ce l'avranno).
_N_: leggere i commenti fa sempre piacere, scherzi? Anche se sono brevi, e comunque non mi aspetto mica che tutte le ragazze d'Italia abbiano tempo da sprecare in recensioni xD! Poi devi pensare anche che, su circa duecento-trecento visite a capitolo, mi arrivano otto-nove recensioni in media, quindi sei comunque fuori dall'ordinario se scrivi un commento. E ti ringrazio molto per i complimenti, che mi rallegrano sempre.
rekichan: io invece riesco a vedere Naruto praticamente con tutti, crack allucinanti compresi, ma mi viene il blocco dello scrittore se penso a Sasuke con qualcuno che non sia il dobe. Non lo so, sarà una mia limitazione xD. Davvero ti piace Kushina? Pensavo che non funzionasse, resa in questo modo... be', meglio così ^^! Lieto fine? Ahem... non è esattamente la storia adatta per un "e vissero tutti felici e contenti", ma, dovendo cambiare il finale terrificante del gioco, penso che opterò per una cosa tranquilla, più che per l'ecatombe finale. Quest'affermazione è soggetta a cambiamenti costanti, non assicuro nulla >_>.
vivvinasme: ma non ti preoccupare, su! Non mi sono offesa, e capisco che la scuola possa essere davvero un grosso impegno (questo capitolo è uscito con due giorni di ritardo T.T). Per non parlare poi della recensione che mi hai scritto... mi ha profondamente commossa. I miei familiari non mi dicono quasi mai questo genere di cose, e ai miei amici tendo a non mostrare i miei risultati per paura che questo possa allontanarli da me, per cui... sentirmi fare dei complimenti così belli da una persona che non ho mai visto mi ha davvero riempito di gioia. Grazie. Comunque ho "scelto" il classico. E grazie anche a te per i complimenti sulla scena del bacio, credevo facesse altamente schifo xD! Per non parlare del passato della Greene, che mi sembrava una scena "debole" e che invece ha avuto un certo successo...
bradipiro: xD Itachi non è poi così sano di mente, aspetta e vedrai. Grazie per i complimenti (comincio a diventare ripetitiva, ma non riesco a smettere di ringraziare) e mi auguro che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Forse è un po' troppo violento?
Al prossimo aggiornamento!
See you soon,
Roby |
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Capitolo 18 *** Seek and Destroy ***
017 - Seek and Destroy
Sasuke sentì una fitta allo stomaco - simile alla paura, ma non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura - quando vide il corpo di Deidara piegarsi sulle ginocchia e precipitare inesorabilmente verso il suolo. Sulla fronte, visibile anche da diversi metri di distanza, un foro da cui sgorgava copioso il sangue.
"Porca puttana..."
L'Uchiha cercò con tutte le proprie forze di tirarsi almeno a sedere, ma non ci fu modo. I proiettili dovevano avergli colpito qualche muscolo importante, a giudicare da dolore allucinante che lo colpiva ogniqualvolta provava a flettere le gambe. Che situazione di merda.
Girando la testa, vide due figure che uscivano dal retro di un palazzo.
Indossavano le uniformi militari, ed erano un ragazzo e una ragazza. Imbracciavano entrambi dei fucili grottescamente grossi, e quando lo videro, forse aspettandosi che l'altro soldato l'avesse ucciso, si fermarono per un attimo al centro della strada. Lei sembrava abbastanza terrorizzata, le tremavano le spalle e non faceva che fissare il cumulo di sangue e interiora sparse su tutto l'asfalto, così lui, un rosso alto e pallido, le fece un gesto, indicandole il corpo di Deidara. La ragazza gli si avvicinò, iniziando a tenerlo sotto tiro.
Un momento, ma... perché? Perché puntare un'arma contro un cadavere?
"Può essere che non sia morto, anche se mi sembra quasi incredibile, dopo un colpo alla testa come quello."
Sasuke fu brutalmente distolto dai propri pensieri da un dolore acuto alla nuca, e, sentendo delle dita strette attorno ai capelli e il corpo che si sollevava bruscamente dal suolo, capì che Gaara lo aveva afferrato e strattonato verso l'alto come un animale legato. Ancora una volta cercò di muoversi, ma non ne aveva le forze. Anzi, più andava avanti, più le cose peggioravano, perché la perdita di sangue lo indeboliva sempre di più.
-Sei Ade, non è così? Ho visto le tue foto.-
Il moro appuntò lo sguardo nelle iridi chiare del rosso, regalandogli quanto più odio poteva.
-La... scia... mi...-
-No.-
L'Uchiha ringhiò, tentando di liberarsi a furia di scossoni. Non sortì nessun effetto particolare, fatta eccezione per una fitta di dolore lancinante al cuoio capelluto.
-Non provare a liberarti. Sarei curioso di vedere se ne sei capace, con quattro proiettili da dodici millimetri in corpo, ma non voglio creare altri problemi.-
Ad un ennesimo strattone da parte di Sasuke, Gaara abbandonò definitivamente l'approccio tranquillo, afferrando con lentezza una pistola calibro nove millimetri, che teneva infilata, per precauzione, nella cintura, e appoggiò la canna sulla fronte del moro.
-Sai... scommetto che un sacco di gente, al quartier generale, sarebbe ansiosa di sapere come mai te ne vai in giro in compagnia di Zeus, invece di ucciderlo come dovresti. Tuttavia, io sono molto più curioso di sapere se moriresti, con una pallottola piantata in testa.-
Sasuke rimase pietrificato, osservando con una punta di terrore il dito indice di Gaara che si avvicinava sempre di più al grilletto. Ci godeva, il rosso, a fare le cose con lentezza: la sua preda aveva tutto il tempo di dimenarsi e implorare il perdono, e lui poteva goderne appieno gli ultimi ansiti di vita, nutrendosene come fa un ragno con la mosca caduta nella rete.
Tuttavia, Sasuke non era una mosca.
Rimase immobile, cercando di controllarsi quanto più possibile, mentre i millimetri che lo separavano dalla morte si assottigliavano sempre di più, fin quasi a scomparire. Il dito del rosso si posò infine sulla linguetta di metallo, statico.
"Che morte di merda. Ne ho rischiate tante, ma questa è la peggiore che potesse capitar..."
Il fatto che Sasuke non riuscisse mai a concludere una sequenza di pensiero logico era ormai un fatto assodato. Che poi, in quel caso, l'interruzione fosse dovuta ad un fattore positivo, era tutto un altro paio di maniche.
Il moro si sentì strappare via violentemente dalla presa del moro e ricadde pesantemente sull'asfalto. Riuscì a tirare fuori abbastanza energie per non sbattere dolorosamente la testa, ma quel movimento appena accennato gli valse un cigolio simultaneo di tutte le articolazioni.
Il dolore, tuttavia, fu pienamente ripagato dalla vista di colui che lo aveva salvato.
-Zeus... che tempismo...-
-Teme...-
Il biondo stava in piedi davanti a lui, e gli rivolgeva la schiena. I capelli erano bagnati, e le gocce d'acqua intrappolate tra le ciocche luccicavano come brillanti incastonati nell'oro. Tuttavia, essendo Sasuke quel tipo di persona che considera "bello" prevalentemente ciò che è anche "utile", il particolare che gli piacque di più fu la mano del Prototype stretta attorno alla gola di Gaara, sollevato di una ventina di centimetri dal suolo.
-Quanto a te, rosso, che ne diresti se io ti strappassi la testa e le dessi fuoco? Saresti curioso anche in quel caso?-
Il soldato, senza fare una minima piega (ma con molta presenza di spirito, doveroso ammetterlo) puntò la nove millimetri allo stomaco di Zeus e sparò, liberandosi dalla presa del biondo con un calcio poderoso alla mascella. Il Prototype fece due passi indietro, massaggiandosi la parte colpita, e poi sputò a terra, ghignando.
Non sembrava particolarmente toccato dal buco che aveva nello stomaco.
-Ok, devo ammetterlo: sei bravo.-
-Tu chi sei?- domandò il rosso, freddo, continuando a puntargli la pistola contro la testa. Temari, nel frattempo, aveva estratto una seconda arma da fuoco, tenendo sia Deidara che Zeus sotto tiro. Confidava nella bravura del fratello, ma si sentiva inutile a tenere d'occhio quello che le sembrava un comunissimo cadavere.
Il suo fu un grave errore di valutazione.
Il Prototype, udita la risposta di Gaara, sollevò un sopracciglio. Ok, i militari non erano mai stati delle cime in quanto a capacità deduttive, ma per fare una domanda del genere ce ne voleva: insomma, sei solo in una città dove sai che c'è un mostro mutaforma a piede libero e sai che nessun essere umano può sopravvivere in un ambiente del genere. Sai che le uniche creature senzienti oltre a te sono Ade, un alleato, e Zeus. Del primo hai fotografie, del secondo non conosci il volto. E, visto che Ade è a terra davanti a te, chi può essere la persona che ha appena tentato di strangolarti?
-La gente mi chiama in diverse maniere. Assassino, terrorista, mostro... tutti questi appellativi mi descrivono in egual modo. Io sono Zeus.-
Il rosso spalancò lievemente gli occhi, sorpreso. Sasuke, alle sue spalle,. si produsse in uno sbuffo sonoro, memore del momento in cui il biondo si era presentato a lui con le stesse, identiche parole.
-Tu saresti Zeus?-
-Ehi, rosso, non mi credi nemmeno? Si può sapere come addestrano i soldati, quelli del governo americano?-
-E quello chi sarebbe?- Gaara non si curò delle domande ironiche del Prototype, additando invece il corpo di Deidara. Quando Zeus seguì il percorso indicato dalla sua mano, sbiancò vistosamente e spalancò la bocca.
-Gli hai... p-piantato una pallottola in fronte?-
-Sì.-
-Oh, merda! Quando si sveglierà sarà incazzato nero...-
-Allora è come pensavo, non vi basta un proiettile in testa per morire.-
-Ehi, soldato...- ghignò il biondo, sollevando la testa in una posa fiera -... ci hai preso per degli infetti comuni? Se bastasse un proiettile piazzato nel posto giusto per ucciderci, molti dei problemi del governo americano sarebbero già risolti.-
Gaara storse la bocca in una piega rabbiosa, stringendo sensibilmente la presa sul calcio della pistola. Era sempre stato più intelligente della media, e sapeva perfettamente di avere davanti delle creature la cui forza era infinitamente superiore alla sua. Ma non si sarebbe mai arreso, mai.
-Mi ero scordato di avere davanti degli autentici mostri.-
Lo scatto dei denti di Zeus si sentì benissimo, nel silenzio tombale che seguì l'affermazione del rosso.
-Molto coraggiosa come risposta, davvero. Peccato che tu sia davanti a me, a meno di mezzo metro, con una pistola come unica arma. I proiettili mi danno fastidio, ma spero tu abbia capito che non mi fanno praticamente nessun effetto.-
Senza rispondere, Gaara puntò di scatto la pistola alla testa di Zeus e sparò.
Sasuke trattenne il fiato, aspettandosi che anche il Prototype finisse nella polvere a fargli compagnia, e rimase stupito quando sentì il lieve rumore di qualcosa che cadeva a terra e, guardando tra i piedi del biondo, poté notare una pallottola deformata.
-Sei bravo, rosso, ma sei pur sempre umano. Non penserai mica che caschi nello stesso trucco che ha steso Deidara, giusto?- sulla fronte del ragazzo, proprio nel punto in cui la pallottola avrebbe dovuto colpirlo, era comparsa una chiazza nera e lucida, quasi metallizzata. Era come se dalla pelle fosse emersa una protezione, fatta di un materiale mai visto prima.
Gaara, mantenendo la calma per quanto possibile, rinfoderò la pistola, ormai conscio della sua inutilità. Cercò di guadagnare tempo.
-E così, il nome di quella creatura è Deidara. Chi è?-
-Non sei tu quello che fa le domande, qui. E nemmeno io, perché quello che hai da dirmi non mi interessa minimamente. Quindi, se vogliamo farla finita...- mormorò, facendo un passo verso il soldato.
-NO!- con un urlo e una detonazione, Temari gli sparò un colpo dritto nel collo (forse sbagliando mira, probabilmente puntava alla testa) che non fu in grado di parare. Si voltò verso la ragazza con una smorfia infuriata, le iridi tinte di un vago color argento, e digrignò i denti.
-Basta.- si lanciò versò la bionda, afferrandole un codino e sbattendola rudemente contro un muro. Fu talmente veloce che la ragazza non ebbe nemmeno il tempo di ribellarsi, schiacciata tra il suo corpo e la parete, e fu solo per una sorta di carità cristiana che Zeus non le spezzò il collo, limitandosi ad assopirla con un pugno nello stomaco.
Poi si voltò, trasformando velocemente il braccio in frusta, e atterrò Gaara con un colpo orizzontale spaventoso, che, oltre a mandare il rosso al tappeto, distrusse macchine, lampioni e tutto ciò che si trovava nel raggio di dieci metri. Sasuke, troppo in basso perché la frustata potesse colpirlo, rivolse un'occhiata sinceramente stupefatta al soldato, apparentemente illeso. Se ne stava a terra, il viso inespressivo, e non sembrava che gli aculei di cui era disseminata la frusta gli avessero fatto qualche ferita.
-Non è...-
-... possibile? Neh, Sas'ke, ce ne hai messo di tempo. Non so cosa gli abbiano fatto, ma non è umano. La Gentek si sta sbizzarrendo, ultimamente.-
-Non paragonatemi a voi, mostri.- mormorò Gaara, sollevandosi con un fruscio - Io sono ancora umano.-
-Se fossi umano, a quest'ora il tuo busto e le tue gambe sarebbero finiti in due punti diversi della strada. Che ti hanno fatto?-
-Non c'è attacco che possa colpirmi, né proiettile o esplosione che possa intaccarmi la pelle. Il mio corpo è praticamente indistruttibile.- rispose Gaara, con un garbo che rasentava la noncuranza.
Zeus, a quelle parole, scoppiò a ridere.
-Cioè...- esalò, con le lacrime agli occhi -... ti hanno detto che nulla può ferirti? Che sei invulnerabile?-
Sasuke inarcò un sopracciglio, incuriosito, mentre il rosso non mutò espressione, spalancando però gli occhi.
-Intendi forse dire che non è vero?-
-Rosso.- il Prototype smise di colpo di ridere, fissando il proprio interlocutore con un'aria seria che poco gli si addiceva -Nulla è realmente invulnerabile. Puoi possedere lo scudo o l'armatura più potente del mondo, ma ci sarà sempre qualcuno con l'arma adatta per colpirti. E poi, nel caso non avesse un arma, potrebbe sempre possedere una protezione migliore della tua.-
Le ultime parole si spensero in un ringhio metallico.
Sasuke rimirò Zeus in silenzio, mentre la sua pelle si ricopriva di una sorta di patina nera dall'apparenza resistente, che si gonfiava e deformava in corrispondenza della testa e del busto, donando al Prototype un aspetto niente affatto umano. La corazza sembrava ribollire, espandendosi sempre di più, e, quando si fu richiusa del tutto, raccogliendosi nel centro esatto della schiena del biondo, l'Uchiha comprese il motivo per il quale i militari pensavano a Zeus come ad un mostro.
Lo era.
Penoso ammetterlo, ma lo era davvero.
La testa era globosa e lucente, perfettamente curva sulla fronte e frastagliata sulla nuca, coperta di creste nere e appuntite. In basso, in corrispondenza della bocca, si apriva una fessura bassa e sottile, da cui scaturiva un respiro lento e roco, con quel retrogusto metallico che aveva inquinato le ultime parole del discorso del Prototype. Il torace si era allargato e irrobustito, e si alzava lentamente, con le carene lucide che brillavano al sole, rivelando fasci muscolari che non avevano nulla a che spartire con l'anatomia umana. Le braccia erano asciutte e muscolose, terminanti in mani che erano un tutt'uno di artigli e metallo, mentre le gambe, possenti e solide, come del resto l'intero corpo, sembravano capaci di sostenere il peso di un palazzo intero.
"Avrà lo sterno largo venti centimetri... che diavolo di potere è questo?"
Poi, improvvisamente, ricordò.
Madara lo aveva avvertito della capacità del Prototype di crearsi una sorta di esoscheletro resistente agli attacchi, certo era che non avrebbe mai pensato a nulla di simile. Era spaventoso, un demone onirico con il corpo di ferro che sembrava emerso dai suoi stessi incubi. Per un attimo provò del sincero ribrezzo nei confronti di Zeus.
-Allora, soldato?- la distorsione della voce lo fece rabbrividire -Attaccami ora, ti garantisco che non mi difenderò. Non muoverò un dito se tenterai di ucciderti, tranquillo. Allora?-
Gaara fece un passo indietro, prudentemente, ma non sfoderò nessuna arma. In quel momento, più che mai, non sarebbe servito a nulla.
"O, forse..."
Un'idea gli balenò i testa, bella e precisa come il miraggio di un lago in pieno deserto.
Fattibile.
Oppure no?
-Non hai ancora vinto, Zeus.-
Poi si lanciò verso Sasuke, così rapido che il Prototype, appesantito dall'armatura, non fu in grado di fermarlo. In meno di due secondi, l'Uchiha si ritrovò un peso sulla schiena, e qualcosa che somigliava spaventosamente ad una lama affilata premuta sul pomo d'Adamo.
-Lascialo. Ora.-
-Non penso proprio.-
***
-Cisterna standard da milleduecento litri, in dotazione ad ogni base per un totale di due cisterne ogni quaranta soldati.-
-Wow, ma ve le fanno imparare tutte a memoria?-
-No, però ho dato un'occhiata ai rifornimenti che ci hanno passato i Blackwatch. Una merda, a dire il vero, ma dobbiamo accontentarci.-
-Quindi, Kiba... sei sicuro che questo serbatoio sia ad uso specifico dei militari.-
-Sì, Shikamaru. Non è la prima che vedo.-
-Strano, però... non è arrivata nessuna segnalazione di furti dalle basi, quindi...-
-Shika...- Sai lo interruppe, fissandolo con aria seria -... non stavi blaterando del fatto che la base sulla 5th Avenue non risponde più alle segnalazioni?-
Il castano sgranò gli occhi, voltandosi contemporaneamente verso il compagno.
-Non sarà... oh, ma certo! Li hanno uccisi, hanno rubato la cisterna e poi l'hanno lanciata sui cacciatori, bruciandoli. Sono stati veloci e furbi.-
-Non parlare al plurale. Non sappiamo ancora se le tue teorie sono vere, Nara.-
-Lo sapremo presto. All'elicottero.-
Salirono sul mezzo, Kiba nella cabina di pilotaggio, e si librarono velocemente nel cielo di Manhattan. Shikamaru, ogni tanto, abbassava lo sguardo alla distesa di palazzi che, ovunque si guardasse, veniva interrotta solamente dalla striscia dorata del mare, all'orizzonte. Fu quando cominciò a spirare una brezza leggera, profumata di salsedine e del tutto scevra dall'odore del sangue, impresso anche nella polvere di quella città, che il castano comprese di aver raggiunto la meta.
Atterrarono nello spazio antistante i magazzini, e scesero lentamente, sincerandosi che non ci fosse nessuno, a parte loro. E, in effetti, il porto era completamente disabitato, pulito.
-Non sembra nemmeno di essere a New York.-
-Già... comunque, se questo è il luogo in cui Ade si è creato un rifugio, ha scelto davvero bene.-
-Ade e Zeus non sono certamente degli stupidi. Sai, con che precisione puoi rilevare la presenza del segnale Gps?-
-Ho uno scarto di circa due metri e mezzo. Centimetro più, centimetro meno.-
-Ok. Dimmi esattamente dove dobbiamo cercare.-
Sai si sedette a terra, a gambe incrociate, e aprì lo schermo del PC. Dopo qualche secondo di ticchettii e di evidenti sforzi della ventola del portatile, sul volto del moro si dipinse un'espressione concentrata.
-Dunque... secondo i dati del computer, piccoli spostamenti permettendo, Ade è stato per parecchio tempo... lì.- indicò un magazzino, esattamente uguale a quelli che lo circondavano, e poi si alzò in piedi, dirigendosi immediatamente nella direzione indicata dal Gps.
-La porta è aperta.-
-Un buon segno?-
-Dipende. Potrebbe essere ottimo o pessimo, a seconda dei casi.-
-E che ti dice l'istinto, Shikamaru?- domando l'Inuzuka, le mani strette attorno all'impugnatura del Kalashnikov.
-Che, nove su dieci, dietro questa porta potrebbe esserci l'incarnazione dei nostri peggiori incubi.-
-E uno su dieci?-
-Risposte. Vere risposte.-
-Ok. Mi piace.- Kiba ghignò, spingendo delicatamente la porta, e quella si spalancò con un cigolio. Entrarono nell'ambiente semibuio, guardandosi intorno, circospetti, prima che un'esclamazione di Shikamaru spezzasse il silenzio di tomba che si era venuto a creare.
-Ehi, quella è una botola?-
-Caspita, non l'avevo notata.- mormorò Sai, avvicinandosi ad un pomello che spuntava dal pavimento e allungando la mano, fin quasi a toccarlo.
-Fermo, non farlo.-
-Perché, Shika?-
-Questa storia puzza di bruciato. Non ti pare un po' strano che qualcuno che ha l'evidente intenzione di tenere segreto il proprio nascondiglio piazzi una botola così poco nascosta al centro del magazzino? Non è coperta, non sembra ci siano sistemi di sicurezza e la porta era aperta.-
-E' come se...-
-Come se chi sta qui volesse spingerci ad aprire quella botola.-
-Dici che potrebbe saltare fuori qualche mostro di merda?-
-Forse. O forse è collegata ad una qualche trappola. In ogni caso, sono pronto a scommettere che non succederebbe niente di buono, se provassimo ad aprirla.-
-E se invece Ade fosse semplicemente scemo?-
-Uno stupido non sarebbe mai stato selezionato per la missione che gli è stata assegnata, Kiba.-
-Una persona intelligente, Nara, non si farebbe mai coinvolgere spontaneamente in quello che gli hanno fatto.-
Shikamaru spalancò leggermente gli occhi, sorpreso dalla risposta stranamente incontestabile di Kiba. Insomma, da quando era in grado di tenergli testa in uno scontro verbale?
Aveva una risposta sagace già pronta, sulla punta della lingua, quando un fruscio alle sue spalle lo fece voltare bruscamente. Si ritrovò a fissare il pavimento del magazzino, incredibilmente dilatato dalla penombra, che lo faceva sembrare quasi infinito.
-Avete sentito?-
-Cosa?-
-Il...- si interruppe. Di nuovo quel rumore, stavolta alla sua sinistra.
-Stavolta l'ho sentito anche io...- mormorò Sai, allungando la mano verso la mitragliatrice, che teneva attaccata alla cintura.
Non riuscì mai a prenderla.
Improvvisamente, un fascio di viticci rossi, emerso dall'ombra, gli si avviluppò attorno al braccio, trascinandolo in meno di cinque secondi dietro una montagna di casse di legno. Kiba e Shikamaru non fecero in tempo a scappare, che altri legacci scarlatti, identici a quelli che avevano catturato Sai, li avvilupparono come una rete, strappandoli dal rettangolo di luce della porta e facendoli precipitare nella semioscurità del magazzino.
Quando si fu riavuto, il Nara poté finalmente vedere cosa, o meglio chi, li aveva catturati.
Occhi nocciola.
Sguardo assente.
Capelli rossi.
Pelle diafana.
Una fottuta copia di Gaara.
-Chi cazzo sei, stronzo!? Lasciaci!-
-Il mio nome è Akasuna No Sasori, o, se preferite, Sasori della Sabbia Rossa.- fece l'altro, garbato, senza offendersi di fronte agli insulti di Kiba. Shikamaru ne considerò la figura e gli abiti, consunti ma tutto sommato puliti, e ritenne che, molto probabilmente, quello che avevano davanti non era un semplice infetto rifugiatosi nel magazzino per scampare agli attacchi dell'esercito. No, molto probabilmente stava semplicemente proteggendo il rifugio.
-Tu sei Zeus?-
-No.-
-Aspetta, non ammazzarci, noi siamo...- fece Sai, cercando di liberarsi da quelle corde elastiche e resistenti che, a ben guardare, sembravano partire proprio dalle mani del rosso.
-I vostri nomi non mi interessano. Cerco sempre di evitare di familiarizzare con le vittime, altrimenti ucciderle potrebbe diventare noioso.-
***
Deidara aprì lentamente un occhio, fissando, non senza un certo sollievo, il cielo azzurro che lo sovrastava.
Sentiva un dolore alla testa, prepotente, e, ricostruendo gli eventi dell'ultima ora, ne comprese anche il motivo. Senza esitazione, infilò le dita nel foro che gli sfregiava la fronte, allargandolo e spezzando ancora di più la fragile protezione della scatola cranica, e, dopo qualche secondo di tocchi esperti, tirò fuori un proiettile, completamente schiacciato per la collisione con il suo scheletro rinforzato.
Senza alzarsi, con la coda dell'occhio, scorse Zeus. Voltò lentamente il capo, e quello che vide lo lasciò di sasso.
Il Prototype era in piedi, coperto dall'armatura (un potere considerevolmente artistico, che però sfruttava poche volte) e fronteggiava un ragazzo dai capelli rossi, che, a sua volta, teneva Ade per i capelli e gli premeva una lama sulla gola.
Mentre il foro sulla fronte si rimarginava a vista d'occhio, Deidara cercò di elaborare un piano per trarre d'impaccio Zeus da quella situazione. Fece scivolare lo sguardo sul corpo di una ragazza svenuta, a un metro circa di distanza da lui, e lo trovò assolutamente inutile. Non poteva farci nulla.
Non gli restava che agire in maniera semplice e veloce, senza trucchi.
Attese che il suo corpo si fosse completamente rigenerato, poi appoggiò i palmi a terra, attento a rendere i movimenti tanto lenti da risultare impercettibili. Zeus aveva appena ringhiato qualcosa all'indirizzo del rosso, ma era talmente concentrato da non prestarvi attenzione. Tese il corpo come la corda di un'arpa, inspirò, espirò e svuotò la mente.
Precisione. Doveva essere preciso.
Si diede la spinta con un'unica, possente contrazione di tutti i muscoli del corpo, e, calibrando perfettamente forza, equilibrio e direzione, atterrò alle spalle del rosso senza che questi avesse il tempo di voltarsi. Era velocità, movimento, dinamismo.
E fu anche soddisfazione, quando finalmente circondò il collo del soldato con entrambe le mani, affondandovi le zanne in un'estasi artistica che sconfinava e abbracciava il fanatismo.
-Non muoverti. Mi basta anche solo desiderarlo, e tu esploderai proprio come il tuo amichetto.-
-Come...-
-Una volta che i miei fluidi entrano in circolazione, posso far esplodere qualsiasi cosa a livello cellulare tramite il pensiero. E, credimi, difficilmente avresti il tempo di fare qualcosa ad Ade.-
-Quindi morite se vi si taglia la testa.- interloquì Gaara, apparentemente molto poco toccato dall'intera situazione.
-A patto che qualcuno possa riuscirci... teoricamente sì. E' il cervello che comanda la rigenerazione, e se lo si separa del tutto dal corpo questa diviene impossibile. Tuttavia, non mi sento di escludere che alcuni di noi, specie se particolarmente potenti...- e lanciò un'occhiata a Zeus -... possano sopravvivere anche con la testa mozzata.-
-A proposito, rosso...- il ghigno, sul volto del Prototype, si fece apertamente divertito -... gli aculei di Deidara ti hanno appena bucato la pelle, dico bene? Non sei poi così invulnerabile, neh?-
-Aspetta a parlare, Zeus.- fu la pacata ammonizione dell'artista, mentre dei viticci di Idra, sbucati dal terreno, si avvolgevano attorno al corpo del soldato, immobilizzandolo -Appena avrò analizzato ogni singola cellula di questo bastardo, sapremo davvero se gli esperimenti lo hanno dotato di un qualche potere protettivo. E' più probabile che sia capace di rigenerarsi ad alti livelli, da quel che vedo.-
Indicò poi il collo di Gaara, rimasto scoperto, che già non presentava più alcun foro.
-Bah, vedremo. Sarà meglio tornare alla base, avete combinato abbastanza confusione oggi. Dico bene, Sasuke?- ghignò, sornione, avvicinandosi all'Uchiha e lasciando che questi gli passasse un braccio sopra le spalle.
-Dobe. Da quando ho deciso di darti retta ho rischiato la morte una decina di volte.-
Zeus strusciò la testa sulla guancia del moro, sorridendo.
-Stai bene, Sas'ke, ed è questo che conta.-
L'Uchiha si guardò bene dal tirare fuori un commento acido, godendosi invece il profumo fresco dei capelli dorati del Prototype. Nonostante il dolore atroce e la prospettiva di qualche chilometro a piedi, fino alla base, la consapevolezza di poter godere della compagnia del biondo lo rendeva più sereno.
Deidara si caricò in spalla Temari e Gaara insieme, sbuffando per il peso eccessivo, e cominciò a correre. Zeus e Ade lo seguirono, leggermente più lenti, percorrendo sempre strade che non fossero né troppo vicine agli alveari, né prossime a basi militari. Sasuke non poteva permettersi di ingaggiare un altro combattimento, e questo lo sapevano benissimo.
Tra l'altro, il Prototype aveva utilizzato nuovamente l'Idra per immobilizzare Gaara, e non era sicuro di poter mantenere la concentrazione anche in uno scontro. In altre parole, c'era anche il rischio che il rosso scappasse.
-Certo che... in questa città il riposo non esiste, eh?- fu l'aspro commento di Deidara, sudato e ansimante sotto il peso del proprio carico -Tu, Zeus, a malapena ti sei ripreso da un male che avrebbe potuto ucciderti, e già ricominci a combattere.-
-E' proprio per questo che ci chiamano mostri, no? Stacanovisti, oltre che mutaforma.-
Sasuke si limitò a rispondergli con un'occhiataccia, mentre Deidara scoppiò a ridere.
-Aaaah, per oggi abbiamo finito, su! Alla base potrai riposarti un po', e io ti farò le analisi che avevo programmato... esercito permettendo, s'intende. Stanno diventando davvero fastidiosi.-
-Già... comunque non vedo l'ora di un po' di sano riposo.-
Quello che il Prototype non sapeva, e che avrebbe scoperto molto presto, era che quella giornata si sarebbe rivelata tutto, fuorché riposante.
Un vero massacro.
"Bisogna essere capaci di gettarsi il proprio passato alle spalle. Solo i deboli si perdono nei ricordi."
_Angolo del Fancazzismo_
Questo capitolo è terrificante. Forse il più brutto che abbia mai scritto.
Gomen-nasai per questa scempiaggine, care lettrici, ma, se volete accusare qualcuno, date la colpa al greco. E ai dannati articoli con iota sottoscritta e accento circonflesso. E alle enclitiche e proclitiche.
Insomma, è tutta colpa di quella maledetta lingua se è uscita questa schifezza.
Chiedo umilmente perdono, e passo alle recensioni per non tediarvi ulteriormente con le mie ciance:
Vaius: Gaara non sarà un personaggio chiave, ma, essendo comunque uno dei miei preferiti e potendo fare da cerniera tra Temari e Naruto, e conseguentemente tra Temari e Shikamaru, ce l'ho messo comunque. Sasuke prende botte a tutto spiano perché ha a che fare con delle creature mostruosamente potenti, ma anche lui, tra poco, avrà i suoi momenti di gloria (per chi non l'avesse capito, sto parlando di Itachi). Spero che questo capitolo ti sia piaciut non ti abbia fatto schifo, alla prossima :)
Sadako94: guarda, quando finirò questa fic (in un futuro davvero molto lontano) sono indecisa tra due opzioni, oneshot permettendo: la mia prossima longfic sarà ambientata o nella Firenze medicea (tipo Bara No Rensa, per intenderci) nel qual caso la scriverò basata sulla storia di Assassin's Creed, oppure in un mondo fantasy stile "Il Signore degli Anelli" (solo a livello stilistico, non ho intenzione di riprendere trame e ambientazioni). La seconda idea mi ispira tantissimo *^*... passando alla recensione, dal prossimo capitolo riepilogherò un po' "ciò che sappiamo", e, partendo dal presupposto che voi lettori sapete davvero poche cose, cercherò di rimettervi a posto le idee.
_N_: allora... all'inizio pensavo di trarre completamente la trama dal videogioco, poi la cosa è degenerata. Per due motivi: innanzitutto, avevo paura che le persone che già conoscono il videogioco potessero annoiarsi, ripercorrendo una trama già giocata, e poi perché la storia originale non mi avrebbe permesso di inserire personaggi e situazioni a cui tengo moltissimo. Quindi, ambientazioni e poteri (di Zeus) sono sostanzialmente identici, la trama è in parte simile, in parte totalmente modificata. Diciamo che il videogioco aiuta ù.ù
ryanforever: Gaara, alla fin fine, non ha un potere spettacolare come quello di un vero e proprio infetto superiore ( e vi verrà la nausea a furia di poteri, quando vedrete di cosa sono capaci i membri dell'Akatsuki) ma mi piaceva pensare ad un chara che fosse capace di cavarsela, oltre che con la semplice rigenerazione, con la scaltrezza e l'intelligenza. A parte questo, sostanzialmente è immortale. Ma meglio non fare troppi spoiler :P...
rekichan: xD... beh, in effetti un finale del genere non lo vedrei male nemmeno io... comunque, il fatto che i personaggi di Naruto rendano, in versione "Prototype", secondo me è dovuto al fatto che un universo apocalittico gli si confà molto più di un'ambientazione scolastica. Renderli più o meno IIC o al limite "funzionanti", quando ci sono in mezzo morte e distruzione, è molto più facile di quando si scrivono storie statiche. Se poi sei sadica come la sottoscritta, la cosa comincia a diventare anche divertente xD.
fra76: dopo un bacio di Sasuke chiunque rimarrebbe confuso. Io, essendo una delle tante versioni femminili di Naruto in circolazione, semplicemente schiatterei. Ciemmecu, probabilmente Gaara lo vedrete in pestazione nei prossimi capitoli, sempre che non mi arrenda trattazion-facendo e decida di ucciderlo per semplificarmi la vita. E' un personaggio spinoso da trattare, specialmente per quanto riguarda l'evoluzione caratteriale -_-"
bradipiro: io adoro Deidara xD! O lo ami o lo odi, ma, da brava amante dei ragazzi con i capelli lunghi, non ho potuto evitare una cotta atomica per quel dinamitardo fuori di testa. Che dire, è l'incastro. L'uomo che fa esplodere il pongo xD. Darò un'occhiata alla fanfiction che mi hai consigliato, sperando che greco e latino non mi uccidano prima.
vivvinasme: la fine? Oh, no. Ma neanche lontanamente. Devono succederne ancora di cose (non potrei mai permettermi di lasciare personaggi trattati in maniera superficiale, tipo Tenten, Itachi, Rock Lee, Orochimaru e Kushina) prima che questa tortura formato fanfiction raggiunga una conclusione. Kankuro, invece, è morto così presto perché, viste anche le future new-entry, gestire tutti i personaggi in gioco sarebbe stato davvero impossibile. E, essendo lui un personaggio non fondamentale (Temari lo è, essendo la ragazza di Shikamaru) farlo morire è stata la scelta più comoda. E sadica.
Beatrix91: Temari Vs Shikamaru te la godrai nel prossimo capitolo, che non vedo già l'ora di scrivere e pubblicare. Gaara non morirà, a meno che non mi prenda un attacco di pazzia, perché è sempre stato uno dei miei personaggi preferiti (anche se, con la sua trasformazione in sentimentale-romantico-hippie, mi è un pochino calato).
Beh, ci si vede tra una settimana circa ^^
See you soon,
Roby |
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Capitolo 19 *** New Entries ***
018
- New Entries
-Ti
ha ridotto male, non è così?-
-Sono
già guarito.-
-Ah,
Itachi... mi piacerebbe darti l'occasione di riposare, ogni tanto, ma
il personale scarseggia. A proposito, abbiamo registrato la fuga di
due impiegati e un marine.-
-Fuga?-
-Hanno
rubato un elicottero e se ne sono andati, non sappiamo dove. I due
impiegati erano gli addetti al monitoraggio di Ade, mentre il
marine... be', è uno dei tre soldati che hanno avuto quello
strano
incidente, giù in città. Pare
che il loro capo, benché
ferito da una creatura mutante, non sia rimasto infetto. Forse hanno
avuto qualche sospetto sulla nostra buona fede, ma... mi chiedo, come
mai proprio i due addetti alla sorveglianza di tuo fratello?
Cos'avranno visto, di così particolare, da indurli a
fuggire? Sai
dirmelo tu, per caso?-
Itachi
rabbrividì, capendo immediatamente dove l'altro voleva
andare a
parare.
-Avete
la possibilità di visionare tutto quello che gli impiegati
fanno
attraverso i loro computer. Dovresti trarre da solo le tue
conclusioni, Madara.-
-E
le trarrei, se non fosse che il lavoro dei fuggitivi è
perfettamente
pulito. Non c'è nulla di particolare, nei dati che hanno
raccolto.
Tuttavia, se avessero scoperto qualcosa mettendo insieme le
rilevazioni e ciò che è successo al militare...
in quel caso non
potrei assolutamente saperlo, non trovi?-
-Potresti
provare ad interrogare gli altri due marines.-
-Se
n'è occupato Kakashi Hatake, uno dei miei uomini migliori.
Non hanno
parlato.-
-E
allora, non vedo...-
-Itachi,
non comportarti da stupido. So che non lo sei. Mettiamola
così: il
patto che c'è tra noi due è valido
finché tuo fratello si
dimostrerà... ligio al dovere. Sai bene che, nel caso
dovesse
tradirci, non esiterei a minacciarlo con un'offensiva uguale o
superiore a quella che sto rivolgendo a Zeus.-
-Ho
capito perfettamente. Conosco i termini del nostro contratto,
Madara.-
-Solo
io possiedo la cura in grado di regalare a te e tuo fratello una vita
normale, Itachi.-
-Lo
so.-
-E
tu hai sacrificato tutto per lui, non è forse
così?-
-Sì.-
-Bene.
Mi aspetto un lavoro perfetto, come al solito.-
-Sarà
fatto.-
***
Anche
prima di entrare nel capannone, Zeus sentì le urla.
La
voce di Kisame, inconfondibile nel suo accento brutale, usciva dalla
porta del magazzino e si spandeva, udibile anche da diversi metri di
distanza, per quasi tutto il molo.
-Razza
di idiota, ti ho detto di mollarli!-
La
riposta dovette essere negativa, perché l'Hoshigaki riprese
a
urlare, più imbufalito di prima. Tra una bestemmia e
l'altra, al
Prototype parve di cogliere qualche velato riferimento a Sasori e a
dei "bersagli importanti", cosa che lo inquietò
profondamente.
Afferrando
Sasuke con più forza, con il rischio di conficcargli il
braccio
nelle spine che gli spuntavano dalle spalle, saltò verso il
magazzino, atterrando esattamente davanti alla porta. Quando
varcò
la soglia, la vista perfettamente funzionante anche nella penombra,
gli si ghiacciò il sangue nelle vene.
Sasori
teneva le braccia completamente stese. I filamenti rossi che, come di
consueto, gli spuntavano dai palmi, erano attorcigliati attorno a tre
figure schiacciate contro la parete di fondo dello stanzone. Da
quella centrale, inoltre, colava una lunga striscia si sangue scuro,
che scorreva lungo la parete e si depositava sul pavimento in una
larga pozzanghera nera.
-Sasori!-
quasi gridò, appoggiando Sasuke a terra e lanciandosi poi
verso il
marionettista. Kisame, vedendolo, alzò gli occhi al cielo in
un
ringraziamento muto.
-Che
hai, Zeus?-
La
figura di sinistra sussultò, come attraversata da una
scarica
elettrica. Il rosso, apparentemente indifferente all'intera
situazione, gli rivolse un'occhiata annoiata.
-Che
ho!? Si può sapere chi sono questi?-
-Visitatori
indesiderati. Non sono caduti nella trappola di Deidara,
così ho
pensato di eliminarli di persona.-
-Oh...-
gemette il biondo, portandosi una mano sul cranio globoso -Ok, calma.
Ti hanno detto perché sono qui?-
-C'è
mai stato il bisogno di sapere una cosa del genere?-
-No,
ma se i militari avessero scoperto il nostro rifugio sarebbe un bel
problema, non trovi?-
-Mh.
Ragionamento corretto.-
Con
un gesto delicato della mano sciolse contemporaneamente tutti i
viticci, così che i soldati, sospesi a un metro e mezzo
circa da
terra, caddero al suolo con un tonfo. Zeus li analizzò
velocemente:
quello di sinistra era bruno, i capelli legati in una coda alta e lo
sguardo intelligente, poi ne veniva uno moro e incredibilmente
pallido, la spalla perforata e coperta di sangue. Infine, a destra,
stava un soldato che il Prototype riconobbe immediatamente.
-Ehi,
ma tu sei quello dell'altra volta!- la sua voce, già di per
sé
alterata, in quell'esclamazione di sorpresa assunse il suono di un
ruggito bestiale. I tre ostaggi si ritrassero simultaneamente,
fissandolo con lo stesso guardo spaesato e inorridito, riflesso
però
su tre visi differenti.
-Ok,
ok... forse vi trovate meglio con questa forma, neh?- l'armatura si
dissolse in un brulichio di viticci neri e rossi, lasciando emergere
il consueto aspetto di Zeus. Sia Shikamaru che Sai sgranarono gli
occhi, mentre Kiba si limitò ad uno sbuffo nervoso.
-Non
sembravi nemmeno umano...-
-Perché
non lo sono, soldato. Tu sei quello dell'altra volta, vero? Il tuo
capo sta bene?-
-Benissimo.
Suppongo di doverti ringraziare.-
-Non
devi, se non vuoi.- si rivolse poi a Sai, adocchiando la ferita -Che
ti ha fatto?-
Quello
non rispose, limitandosi a stringere la spalla con la mano.
-Sasori...-
-Non
parlarmi con quel tono di disapprovazione, Zeus. Anche a te piace
divertirti, non è forse così?-
-Sì.
Piace anche a me, ma almeno avresti potuto ascoltare le loro
motivazioni, prima di ferirne uno.-
-Vuoi
sapere perché siamo qui?- si intromise Shikamaru, le
orecchie tese e
lo sguardo ansioso. Aveva paura, e si vedeva.
-Esatto-
-Bene.
E' un po' lungo da spiegare, ma, sostanzialmente... ci siamo chiesti,
Zeus, se la verità che ci ha propinato il governo
corrisponda alla
realtà.-
-Temo
di non capirti.- sussurrò il biondo, attonito.
-Ci
è stato detto che tu non sei altro che un mostro malvagio,
che
l'infezione di Manhattan è colpa tua, che stai cercando di
ucciderci
tutti senza un motivo solo perché l'Idra ti ha fatto
impazzire. E
avremmo anche continuato a crederci, se Kiba non ci avesse raccontato
che hai salvato la vita del suo capo senza uno scopo preciso. Poi
abbiamo fatto un sopralluogo nell'appartamento distrutto, quello dove
sono arrivati all'improvviso tutti quei cacciatori... abbiamo trovato
i capelli di Ade, e poi, nel cestino della carta straccia, questo.-
Il
Nara infilò una mano nel taschino, tirando poi fuori un
oggetto che
Zeus avrebbe riconosciuto anche tra mille atri uguali.
-Voi...-
sibilò, strappandoglielo di mano. Lo strinse nel pugno come
se
avesse voluto farlo sparire per sempre, poi se lo portò al
petto con
un sospiro, aprendo la mano. E quella scritta, quel "ZEUS 000"
stampato in caratteri terribilmente asettici sulla striscia di gomma
bianca, lo ferì più di una coltellata al cuore.
Incassò il colpo
con un lieve tremolio delle spalle e un desiderio pressante di
lasciar cadere le lacrime che avevano iniziato a spingere agli angoli
degli occhi, ma si trattene, sapendo benissimo che non era nella
posizione di scoppiare a piangere di fronte a dei potenziali alleati.
-E'
per questo che siamo qui, per sapere come sono andate realmente le
cose. E tu, Prototype, risponderai alle nostre domande?-
-Sì.-
fu la risposta, malinconica -Ma credo che la prima delle vostre
risposte possiate averla anche adesso.-
Si
spostò di lato, permettendo ai soldati di spaziare con lo
sguardo
fino in fondo al capannone. Nonostante la penombra, Sasuke e Deidara
erano abbastanza vicini perché potessero vederli benissimo.
-Ade.-
constatò Shikamaru, per nulla sorpreso. Kiba, che invece non
era
ancora convinto della veridicità delle teorie del Nara,
sbarrò gli
occhi e rimase muto, pietrificato. Sai si limitò a piegare
verso il
basso gli angoli della bocca, in quello che somigliava
spaventosamente ad un broncio.
-A
quanto pare c'è qualcuno che si ricorda
che esisto.- constatò
il moro, acido, sostenendosi alla bell'e meglio con le braccia per
evitare di cadere lungo disteso sul pavimento.
-Ops...-
ridacchiò Zeus, passandosi una mano tra i capelli com'era
solito
fare -... scusami, Sas'ke, ma ero piuttosto preso dalla situazione.-
Gli
si avvicinò e lo sollevò nuovamente, voltandosi
poi verso i
soldati.
-Suppongo
che questo fosse l'argomento di uno dei vostri interrogativi. La
risposta vi induce a continuare?-
-Più
che mai. Abbiamo rischiato di morire per questo, e non ci tireremo
indietro.-
-E
dimmi, umano...- mormorò il Prototype, fissandolo con viva
curiosità
-... per cosa combatti?-
-Per
la mia libertà.- rispose Shikamaru, alzando la voce.
-E
non sei già libero, tu?-
-Nessun
uomo può definirsi libero,
finché vive nell'ignoranza.-
***
-Hime.-
-Che
vuoi, Orochimaru?-
-Oh,
nulla. Solo che Zeus e compagnia stanno mandando a monte i tuoi
piani.-
-Che
intendi dire?-
-L'idiota,
di là, mi ha detto che hanno stabilito un contatto con dei
militari.
Sai che significa, no?-
-Sei
sicuro di quel che dici?-
-Ma
certo, Tsunade.-
Orochimaru
incrociò le braccia, dedicando una lunga occhiata
provocatoria alla
donna che gli stava seduta davanti. Non più giovane ma
comunque
bella, sulla quarantina, aveva i capelli color miele raccolti in due
code basse e gli occhi intelligenti, di una sfumatura caramellata
che, però, non ne addolciva lo sguardo austero. Il seno
prosperoso
era contenuto in una maglietta consunta, con lo scollo a V, le cui
maniche strappate mettevano in mostra le braccia piene di cicatrici,
niente più che porzioni di pelle perlacea e corrugata.
-Mi
chiedo ancora come sia possibile... Zeus non dovrebbe nemmeno
esistere.-
-E
difatti non lo è. Kushina è "morta" prima
che il
bambino nascesse, di questo sono più che certo. Eppure...
anche
l'idiota, con le sue abilità, non
è riuscito a trovare una
spiegazione.-
-Jiraiya
non è mai stato particolarmente accorto.-
-Vero,
ma per uno come lui la raccolta di informazioni riservate è
un gioco
da ragazzi. Mi sembra strano che Madara non abbia mai scucito nessun
particolare contraddittorio, a parte ripetere in continuazione che
Zeus è il figlio della Greene.-
-Cosa
che, abbiamo appurato, è semplicemente assurda. Il Prototype
non può
essere realmente il bambino che Kushina portava in grembo, a meno che
non sia resuscitato. E questo non è possibile.-
-Sei
così sicura che Uzumaki non possa aver partorito?-
-Dopo
essere diventata l'incubatrice vivente del virus? Non credo proprio.
L'Idra, piuttosto, avrebbe ucciso il feto per poi inglobarlo come
fonte di energia.-
-Questo
non risolve il nostro problema. Come fa Zeus ad esistere?-
-Ai
militari è stato detto che si tratta di una mutazione
naturale.
Madara e Itachi conoscono la verità, e il primo,
direttamente
implicato nei fatti di Hope, continua a sostenere una versione dei
fatti che è assolutamente falsa, e cioè che Zeus
sarebbe il figlio
di Kushina Uzumaki, ad oggi Elizabeth Greene.-
-E
se fosse uno dei bambini-cavia di Hope? Non abbiamo avuto la
possibilità di vederli quando abitavamo lì, e
l'età coincide.-
-L'età
dice poco. La stessa Kushina non invecchia più dal '90, a
causa del
virus.-
-Rigenerazione
cellulare a livelli astronomici... gli infetti superiori sono davvero
impressionanti. Mi piacerebbe poterli studiare.-
-Tsk...
sono finiti i tempi in cui eri un dottore, Orochimaru. Salutali per
sempre, non torneranno più.-
-Non
ti facevo così nichilista, Tsunade. Comunque, tornando al
problema
di prima... c'è il rischio che, con l'aiuto di Uchiha
Junior, Zeus
riesca ad arrivare fino a Madara. Se dovesse farlo, ho paura che quel
pazzo possa impaurirsi e tentare un metodo estremo per liberarsi del
Prototype. E "metodo estremo", nel suo vocabolario, si
traduce con una sola parola. Anzi, con due.-
-Testata
nucleare. Quello che fece ad Hope, se non sbaglio, dopo che
l'infezione si fu propagata fino al punto di non ritorno. Strano che
non abbia già preso quella decisione.-
-Effettivamente,
mi chiedo cosa lo spinga ad agire stavolta. E' saltato fuori dopo
diciassette anni di buio, in concomitanza con l'infezione... che sta
pianificando?-
-Chi
può dirlo? Dobbiamo solamente assicurarci che il Prototype
non
distrugga le ultime testimonianze che abbiamo del
passato, o,
almeno, che non lo faccia prima che la verità venga a galla.-
-Perché
sei così ossessionata dai tuoi ricordi, Tsunade? Non
potremmo
lasciar perdere e andarcene da qualche altra parte? Non che
trascinarsi dietro Jiraiya sia piacevole, ma sempre
meglio che
rimanere qui. Questo posto è marcio.
Infettato dall'odio e
dagli incubi del passato, prima che dal virus.-
-Orochimaru,
io... se ci fosse anche solo una minima possibilità che Zeus
sia il
figlio di Kushina, per quanto inaccettabile, impossibile,
imponderabile... non ho il coraggio di scappare e abbandonare tutto.
In parte lo faccio anche per Itachi e Sasuke.- ammise la donna,
arrossendo.
-Dunque
speri ancora in qualcosa di simile... bah, ormai le nostre vite sono
fin troppo interconnesse perché possa andarmene e lasciarvi
qui, ma
sappi, Tsunade, che quello che stai cercando di fare non ti
porterà
a nulla. Per quanto riguarda i due Uchiha... se la caveranno. Non
sembra, ma quella famiglia ha una scorza più tenace persino
della
tua.-
-La
forza non basta più, Orochimaru. Per come si sono mescolate
le
carte, ormai sopravvivere è solo questione di fortuna.-
***
Inavvertitamente,
Shikamaru fece scivolare lo sguardo oltre le spalle di Zeus,
soffermandosi sulla figura di Deidara. Gli bastarono dieci secondi
per inquadrare e riconoscere le due figure che questi portava sulle
spalle.
-T-temari!?
Gaara?- emise una specie di squittio terrorizzato, scattando
all'indietro con una paura che nemmeno l'aspetto mostruoso di Zeus
aveva saputo risvegliare.
-Li
conosci?- fu l'ingenua domanda del Prototype.
-Purtroppo
sì. Quella è la mia ragazza, e quello
è suo fratello... un
momento, ma dov'è Kankuro?-
-Kankuro?-
si intromise Deidara, con la sua solita aria svagata -Ti riferisci
forse a quell'imbecille castano che ho fatto esplodere poco meno di
un'ora fa?-
Evidentemente,
l'approccio diretto del biondo non fu particolarmente apprezzato dal
Nara, che divenne pallido come un cencio e spalancò la bocca.
-Kankuro
è m-morto?-
-Oh,
temo di sì. La sua vita era proprio così
indispensabile?- il finto
tono dispiaciuto nella domanda dell'artista era quanto di
più falso
e artefatto si potesse immaginare, ma Shikamaru preferì
soprassedere.
Zeus,
nel frattempo, sembrava non aver capito metà del discorso.
-Oh,
era un tuo amico? Allora ti dispiacerà, scusaci!-
-Dobe,
è ovvio che gli dispiaccia...-
In
quella conversazione, il castano trovò ben quattro
stonature.
Innanzitutto, il biondo aveva detto "ho fatto esplodere". E
Shikamaru sperò che si trattasse di un'esplosione causata da
un
qualsiasi marchingegno, piuttosto che da un nuovo, inquietante
potere. D'altra parte, dopo aver "ammirato" le abilità di
Sasori, era stato costretto ad accettare l'eventualità che
potessero
esserci altri infetti evoluti, all'interno del perimetro dell'isola.
Altra
cosa che non quadrava, era il comportamento fin troppo ansioso e
buonista di Zeus. Per un attimo gli affiorò il sospetto che
quel
biondo con gli occhi azzurri non fosse realmente lui, poi,
però, gli
venne in mente che un potere peculiare come l'armatura poteva
appartenere solamente al Prototype, e non era decisamente facile da
replicare.
La
terza incongruenza stava nell'epiteto quasi affettuoso
(non
che fosse stato pronunciato con dolcezza, anzi) con cui Ade si era
rivolto a Zeus. In che razza di rapporti erano, per potersi
permettere prese in giro di quel tipo? Dubitava che una semplice
alleanza potesse giustificarle.
Ultimo,
ma non meno importante, veniva il suo stato d'animo. Non ci aveva
realmente pensato, ma l'affermazione di Ade gli aveva fatto capire
che no, lui non era affatto triste per Kankuro. Non
era
neanche allegro, per carità, ma, detto in parole povere, non
gliene
fregava nulla. Erano capitate troppe cose
perché la morte di
qualcuno che detestava cordialmente potesse sconvolgerlo.
E,
comunque, il problema "Temari" assorbiva qualsiasi altra
complicazione, fosse pure invalicabile. Perché, se poteva
scampare
ad una mandria di zombie assetati di sangue, dubitava di poter fare
altrettanto con la sua fidanzata, specie se imbufalita.
Anche
Hannibal Lecter, con la Sabaku, si sarebbe trasformato in
un'accondiscendente donnina di casa.
-Bene,
adesso che ci siamo chiariti...- la voce squillante del Prototype
spezzò il filo dei suoi pensieri -... proporrei di medicare
il
soldato ferito... ehm...-
-Sai.-
-Ok,
dicevo... proporrei di medicare Sai ed Ade, poi penseremo ai
discorsi. C'è tanto da dire, e dobbiamo occuparci prima dei
feriti.-
-Uhm,
va bene.- replicò Deidara, scrollando leggermente Temari e
Gaara,
che emise un mugugno -Ma io con questi che ci faccio?-
-Basta
che tu non li uccida.- fece il Prototype, ironico. L'artista non
sembrò gradire la risposta.
-Peccato,
speravo non ci servissero più. Comunque ti comporti troppo
bene,
Zeus... finirai per perdere credibilità.-
-Quella
l'ha già persa da un pezzo.- fu il commento di Sasuke, che
rincarò
la dose.
-Come
se l'avesse mai avuta...- Sasori colse la palla al balzo, chiudendo
la sequela di critiche con un'affermazione che fece arrossire il
Prototype dall'irritazione.
-Ok,
se avete finito...-
-Noi
non finiremo mai, Zeus. E poi... sei
così carino, quando ti
arrabbi.-
Affermazione
che, con il tono malizioso tipico di Deidara, imbarazzò il
biondo e
causò un violento attacco di bile a Sasuke. Il Prototype,
desideroso
di godersi anche solo cinque minuti di pace, si calò nella
botola
prima che potesse scoppiare una lite, portando con sè anche
un
Uchiha decisamente irritato.
-Sasori,
Kisame, portate dentro anche i soldati e chiamate Zetsu. Sasuke,
preparati.-
-A
cosa?-
-A
qualcosa che farà molto, moooolto male.-
***
-Ngh...-
Nell'aria
risuonò un gemito soffocato.
Poi
un altro.
-Mh.
Complimenti per l'autocontrollo.- commentò Zetsu, affondando
nuovamente le pinzette nel foro del proiettile, per poi tirarle fuori
e decidere, molto diplomaticamente, di incidere i tessuti
già
rigenerati con il bisturi ed estrarre la pallottola.
Sasuke,
steso sul lettino, stringeva uno straccio bianco tra i denti,
trattenendo le urla che, ad ogni nuova incisione, premevano con
decisione sempre maggiore per uscirgli dalla gola. Tuttavia, quando
Zetsu gli piantò il bisturi nella coscia, spingendo con
precisione
fino a grattare sulla superficie del proiettile con la lama, non ci
fu alcuna pretesa d'orgoglio che seppe trattenerlo dal gridare una
bestemmia.
Sputò
lo straccio in fretta e furia, avvertendo con una smorfia disgustata
un filo di saliva colargli a lato della bocca. Ma non mosse la mano
per toglierlo.
Sentiva
il corpo talmente teso, come una corda di violino, da avere quasi
paura che, una volta spostato un braccio, non sarebbe riuscito a
esimersi dal saltare addosso a Zetsu e riempirlo di pugni. O
l'immobilità assoluta, o lo sfogo.
E,
visto che del suo corpo aveva ancora un certo bisogno,
l'immobilità
era l'unica scelta praticabile.
-Fa
male, Sas'ke?- il dobe, come sempre campione di ovvietà, lo
fissò
con un certo cipiglio preoccupato. Il che era ammirevole, viste le
dimensioni della siringa che gli perforava la vena del braccio.
Infatti,
essendo l'infermeria della base piuttosto ristretta, Sai, Naruto e
Sasuke erano costretti a medicarsi contemporaneamente, a stretto
contatto. Per il soldato quello poteva essere un rischio di contagio
non indifferente, ma, fortunatamente, gli infetti evoluti come Zeus
non erano capaci di trasmettere il virus. Quindi, su tre lettini
separati da poco meno di due metri di distanza, i tre erano tutti
intenti a farsi medicare, ognuno immerso nel proprio personale
supplizio.
Sai,
già perfettamente adattato e per nulla impaurito dalla
situazione,
si lasciava fasciare con molta - forse troppa -
condiscendenza
da Konan, che, asettica e inespressiva come al solito, si era
improvvisata infermiera per l'occasione. Zeus, dopo varie proteste,
aveva acconsentito a farsi fare le analisi tanto desiderate da
Deidara ("routine, pura routine", ripeteva in continuazione
l'artista) mentre a Sasuke era toccata la sorte più ingrata:
visto
che tutta la morfina era stata usata per ammortizzare gli effetti del
"tumore" che aveva colpito il Prototype, i proiettili
sarebbero stati estratti senza anestesia... e senza antidolorifici.
-Porca...
puttana...- sibilò, mentre Zetsu, dopo avergli
lacerato una
coscia, estraeva il proiettile e lo appoggiava in un contenitore che
sembrava tanto una capsula di Petri. E pensare che possedeva anche
un'elevata resistenza al dolore... un essere umano come avrebbe
fatto?
-Se
fossi umano non saresti arrivato fin qui, Sas'ke.-
-Non
ricordarmelo...- fu la risposta stizzita, mentre l'infermiere, messa
da parte la pallottola, tirava fuori, da quello che sembrava un
frigorifero, un flacone trasparente che conteneva una sostanza
viscosa e trasparente, simile a colla.
-Prima
che tu mi chieda che cos'è, ti mostrerò i suoi
effetti.-
Intinse
un cotton fioc nella gelatina, poi si avvicinò a Sasuke e
glie la
spalmò sul foro sanguinante, stando bene attento a
depositarne una
quantità cospicua. Prima che l'Uchiha potesse commentare il
piacevole senso di refrigerio che gli aveva avvolto la gamba, la
ferita si era già richiusa.
-Come...
?-
-E'
un fluido che ho preparato utilizzando il plasma infetto del sangue
di Zeus, più altri enzimi prodotti dal mio organismo. Non
che faccia
nulla di speciale, semplicemente incrementa lo sviluppo dell'Idra a
livello locale e, così facendo, permette di guarire
immediatamente
ferite grandi e piccole. Ah, e non ti rimarrà nemmeno la
cicatrice.-
-Mi
stai dicendo che usate Zeus come una panacea vivente?-
-Perché
no? Tanto a lui non dispiace!- si intromise Deidara, indicando una
valigetta che. con sommo orrore di Sasuke, sembrava piena di provette
appena riempite con il sangue fresco di Zeus. Quanto gliene avevano
tolto?
-Ah,
si sta facendo tardi. I nostri ospiti potrebbero
spazientirsi.
Ade, sta fermo.-
L'Uchiha
strinse i denti e chiuse gli occhi, preparandosi ad una nuova scarica
di dolore.
-Be',
guarda il lato positivo, Ade: la prossima volta sarai più
attento ed
eviterai di farti colpire.- la voce non apparteneva né a
Zeus, né a
Deidara e nemmeno a Zetsu. Era stato il soldato, il moro con la
faccia irritante, a parlare.
"E
chi glie l'ha data tutta questa confidenza?" pensò
Sasuke,
infastidito.
Incredibile:
neanche lo conosceva, e già odiava quel marine dallo
stomachevole
sorrisetto.
"La
verità di Hope era più simile ad un incubo, che
alla realtà. Anzi,
potremmo quasi dire che gli eventi, in quel frangente, superarono di
gran lunga le più fervide fantasie orrorifiche concepite da
mente
umana."
_Angolo
del Fancazzismo_
Vi
chiedo umilmente di perdonare il ritardo a dir poco mostruoso, ma la
scuola chiama... e io sono costretta a rispondere. Nel frattempo si
avvicina il ventesimo capitolo, e io comincio a pensare che questa
storia stia diventando decisamente più lunga di quanto avevo
progettato (secondo l'idea originaria, infatti, non doveva superare
le ventina di capitoli). La mia piccola epopea OwO...
Passiamo
subito alle recensioni, va', che dopo devo finire una versione di
latino sui giochi circensi.
reckichan:
ecco,
purtroppo il
combattimento non è potuto procedere (T_T) per il semplice
fatto che
la differenza di potenza tra Gaara e Naruto era troppa. Lo scontro
era già perso in partenza, se così si
può dire. Questo capitolo è
decisamente statico, ma spero che ti sia piaciuto comunque ^^... ah,
quasi dimenticavo: potresti fare i complimenti a Kei_Saiyu, da parte
mia, per la sua storia "Symbolum"? E' davvero molto bella,
e la lemon iniziale... be', diciamo che non sarò mai capace
di
scriverne una simile xD
fra76:
ho come la
sensazione che la
mia storia si stia trasformando in una soap opera... non c'è
niente
da fare, non riesco a scandire precisamente i momenti in "tragici",
"dolci" o "comici", mi esce sempre un'insalata
assurda. Uffa -_-... comunque sono contenta che ti piaccia, forse il
mio tempo non è del tutto sprecato :D!
vivvinasme:
in questo
capitolo ho dato
molto poco spazio alla "globalità" dei personaggi, e ho
preferito inserire le due scene di Orochimaru/Tsunade e
Madara/Itachi. Temo il momento in cui dovrò farli uscire
allo
scoperto, la loro trattazione (specialmente quella di Orochimaru e
Itachi) è davvero ostica. Comunque... le sorprese le avrete
tra un
po' di tempo, quando la storia entrerà nel suo punto di
spannung e
verranno svelati tutti i misteri. Vero anche che tu conosci il gioco,
ma proprio per questo ho modificato tantissimo la storia di Hope U.U.
E ti ringrazio molto per i complimenti sulla caratterizzazione, come
sempre apprezzatissimi!
Vaius:
vogliamo
scherzare? La mia
infanzia non sarebbe stata la stessa, senza Tolkien e il suo
amabilissimo Smeagol (o Gollum, che dir si voglia), il mio
personaggio preferito. E comunque ti garantisco che Zeus non fa
schifo, in quella forma (anzi, mi sa che metterò un'immagine
per
mostrarvi l'armatura, che è uno tra i poteri più
fighi). E' molto
powah.
ryanforever:
sebbene la
tentazione di
togliere di mezzo un po' di chara fosse forte (ebbenesì) ho
preferito evitare. Mi servono ancora tutti, per far funzionare la
trama a dovere ù_ù. E poi, ti piacciono gli
spoiler? Io a volte li
amo, a volte li odio... insomma, tu ti crei tutte le tue ipotesi sul
capitolo successivo e poi vengono brutalmente distrutte da
un'anticipazione malfatta.
Beatrix91:
il triangolo
no. Non l'avevo
considerato. A parte gli scherzi, la sottoscritta prova nei confronti
del triangolo Gaara-Naruto-Sasuke un odio davvero viscerale, a causa
della sua predisposizione a diventare il teatrino dei
cliché. Ed
ecco che Gaara diventa il fidanzato cattivo e dispotico, mentre
Sasuke si trasforma in un salvatore aitante e coccoloso (brrr...) e
Naruto nel peggior uke piagnone e complessato di sempre. E comunque
soffro di antipatia per i triangoli, in generale U_U. I poteri degli
akatsukiani dovranno aspettare ancora un bel po', visto e considerato
che, per dimostrarne le capacità, ho bisogno di scontri.
Vedremo,
vedremo...
SnowQueen:
wow, che
entusiasmo! Grazie
mille per i complimenti, e anche per l'euforia che, se all'inizio mi
ha lasciato un po' di sconcerto, poi mi ha veramente rallegrato. Lo
splatter in questo capitolo non c'è (e nemmeno il sasunaru,
se è
per questo :P) ma non preoccuparti: conoscendo i miei gusti, ne
avrete dell'altro molto presto.
Sadako94:
ok, sono
costretta a
posticipare i chiarimenti al prossimo capitolo. Chiedo perdono, ma
non credo che qualcuno voglia un capitolo di quattordici pagine tra i
piedi, specie se pieno zeppo di dialoghi e informazioni... è
già
abbastanza pieno così xD. Gaara, poi... ha una carica di
sadismo,
quel ragazzo, che in futuro mi frutterà diversi sviluppi
interessanti *_*... che ne so, un bel combattimento Gaara Vs Kabuto?
bradipiro:
io, più che per Temari, mi preoccuperei per Shikamaru xD.
Quella
ragazza è più pericolosa di Zeus, se ci si mette
xD! Comunque non
ti preoccupare, staranno bene, alla fine. Forse.
kagchan:
grazie mille
per tutte le
recensioni che hai "recuperato"! E complimenti per aver
colto le scene più "leggere" che ho inserito nel capitolo
(ebbenesì, amo scriverle). Certo, non posso far diventare
questa
storia una "fluff", ma mantenendosi nei limiti del
possibile si trova sempre il tempo per qualche particolare dolce. Per
sapere cosa intendeva Deidara, quando parlava della analisi di Zeus,
dovrete aspettare ancora del tempo, e ho come l'impressione che il
modo in cui il mistero verrà rivelato non vi
piacerà affatto.
Vabbé, non posso fare fanservice anche in una fanfiction
U.U...
L'immagine
qui sopra è relativa all'armatura (anche se, in figura, Zeus
ha
anche la lama).
Ci
vediamo, alla prossima!
See
you soon,
Roby
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Capitolo 20 *** Qui pro Quo ***
019 - Qui pro Quo
Nell'atmosfera congelata del salotto, Shikamaru si torse le mani per l'ennesima volta, occhieggiando la sagoma di Temari, mollemente abbandonata contro la parete. Non si era ancora svegliata, e la cosa cominciava a preoccuparlo.
-Allora?- esordì Zeus, seduto sul divano di fronte a lui, circondato dal resto di quella bizzarra congrega di infetti che occupavano i sotterranei del porto. Il Nara si domandò come avessero fatto a passare del tutto inosservati, ma non era quello il momento delle domande.
La parola era sua.
-Come ti ho già detto prima, Zeus, siamo qui perché abbiamo notato delle incongruenze tra ciò che il comando ci ha sempre riferito e alcune cose che hai fatto. Da quello che dicono i giornali e le fonti d'informazione interne alla Gentek, dovresti essere una sorta di Cacciatore evoluto, una mutazione inspiegabile del virus che avrebbe portato alla nascita di un... mostro privo di intelletto. Le carneficine che hai compiuto, tra l'altro, avvaloravano ancora di più questa versione dei fatti.-
-"Però"?- interloquì Deidara, limandosi le unghie con un'attenzione quasi maniacale. Non sembrava che gli importasse molto del discorso, e contribuiva giusto per dare l'impressione di una blanda partecipazione.
-Però è successa quella cosa con la mantide.- fu Kiba a rispondere -E...-
-Quale cosa?- chiese Hidan, sporgendosi sul bracciolo della poltrona su cui era seduto.
-Ah, già... non ve l'ho detto, e suppongo che Sas'ke non abbia ritenuto necessario informarvi. Kiba, racconta in modo che capiscano anche loro.-
Zeus già aveva cominciato a chiamarli per nome, amichevolmente, e la cosa era abbastanza inquietante. Prendendo fiato, l'Inuzuka continuò.
-In pratica, la nostra missione era quella di stabilire un contatto con Ade per poter stilare un rapporto sul suo lavoro. Immagino sappiate che il motivo per cui la Gentek lo ha mandato a Manhattan era la distruzione di Zeus, giusto?-
Seguendo i consigli di Shikamaru, Kiba non nominò la fotocamera Gps, per evitare che, casomai Zeus non ne sapesse nulla, Ade corresse dei pericoli a causa loro.
-Non saperlo equivale ad essere ciechi e sordi.- fu il commento di Sasuke, appoggiato un po' allo schienale e un po' a Zeus, che gli teneva la testa sulla spalla. Quella strana intimità era un altro punto che andava chiarito.
-Ehm, dicevo...ah, sì. Insomma, ci hanno fatto scendere sul tetto di un palazzo, e abbiamo tentato di percorrerlo tutto per scendere in strada. Quello che abbiamo trovato là dentro non me lo scorderò più. C'era una creatura, come una mantide mostruosa, che ha ferito a morte il capo e poi ha tentato di uccidere anche noi. Se non fosse stato per Ade e Zeus, a quest'ora saremmo tutti morti.-
-Da questo punto farei meglio a spiegare.- disse il Prototype, sospirando -Quella che avete visto là dentro era U-3, acronimo di "Uroboros-3", il terzo tipo di mutazione senziente e semovente dopo gli infetti comuni e i Cacciatori. E' stato Zetsu a darle quel nome, e viveva in quel palazzo sin dai primi giorni dell'infezione. In quel momento, Ade era lì perché cercava di nascondermi, in quanto mi trovavo in una situazione abbastanza... delicata. E' per questo che ha cercato di soccorrervi, e poi, quando ho potuto, sono arrivato anche io.-
-"Situazione delicata" in che senso?-
-Ve lo spiego dopo. Continua con la tua storia, Kiba.-
-Allora, ad un certo punto quel mostro ha ferito a morte il capo, poi è arrivato Ade e ha cominciato a combattere. Non sarebbe riuscito a sconfiggerlo, e per fortuna Zeus ha steso quel mostro con un attacco strano, facendo spuntare degli artigli enormi dal terreno. Poi si è avvicinato al capo e le ha succhiato via il virus dal sangue, salvandola.-
-E non è finita qui.- proseguì Sai -Infatti, ieri sera, sul tardi, è stato fatto girare un filmato, alla Gentek, che ci avvisava di un massacro da te compiuto, e poco prima che la notizia venisse diffusa Hinata Hyuga era tornata alla base.-
Se anche Sai avesse voluto continuare, non poté farlo.
Sasuke scattò in piedi, stringendo i pugni in un moto di rabbia, e poi lo afferrò per il bavero della giacca, sollevandolo di una ventina di centimetri dal suolo.
-Hinata Hyuga, hai detto?- quasi ringhiò, contraendo il viso in un'espressione di pura ferocia.
-Sasuke!- Zeus gli strinse l'avambraccio fin quasi a spezzarglielo, e lui mollò la presa -... basta. Sarò io a vendicarmi di Hinata, se e quando vorrò.-
-Se e quando? Stava per ucciderti, te ne sei dimenticato!?-
Shikamaru si fece interessato, allungandosi verso il Prototype, e Deidara smise di lavorare di lima. Fece una smorfia di puro disgusto, notando che la curvatura dell'unghia del medio era leggermente imperfetta, poi si schiarì rumorosamente la voce.
In un attimo, l'attenzione degli occupanti del salotto si calamitò su di lui.
-Ade, Zeus, vi pregherei di finirla. Non siamo qui per dare spettacolo, e, se il vostro scopo è divertire gli ospiti, tanto vale spogliarsi nudi e ballare "I Will Survive" con un casco di banane a coprire le zone strategiche.-
Appena si fu placato l'accesso di risa generale che seguì la battuta, il dinamitardo si rivolse a Sai, Shikamaru e Kiba, accavallando le gambe e sospirando con l'aria di chi sta per raccontare una lunga storia. Sasuke e Zeus lo fissarono, a metà tra lo sconvolto e il sinceramente divertito, poi si accomodarono nuovamente sul divano. Ade, in particolare, passò una mano tra i capelli del Prototype, scompigliandoli scherzosamente.
In meno di due minuti, quella che sembrava una situazione irrecuperabile era diventata nuovamente distesa e informale. Il Nara apprezzò sinceramente la sottile bravura di Deidara.
-Ah-ehm... quello che Sasuke stava cercando di dirvi, anche se come al solito dimostra la delicatezza di una bomba H, è che abbiamo avuto dei contatti con Hinata Hyuga. Contatti che per poco non hanno ucciso il Prototype.-
-Cosa!?-
-Tranquillo, ciuffo ad ananas, non sto scherzando. La piccola Hyuga è stata salvata da Zeus, che intendeva usarla per cercare una cura all'Idra, ma poi, come dire... ci ha traditi e gli ha iniettato un composto di origine sconosciuta, che gli ha fatto diventare un braccio simile ad un gigantesco pasticcio di carne. Per fortuna Ade ha trovato una cur... a proposito, Sasuke, non ci hai ancora detto chi è stato a consegnarti la cura, sbaglio?-
L'Uchiha sobbalzò, sentendosi chiamato in causa.
-Non so come si chiama, non me l'ha detto. Mi ha infilato in mano una provetta e basta.-
-Descrizione fisica.- scandì Deidara, riavviandosi la frangia
-Capelli neri e lisci, molto lunghi, occhi color oro a mandorla, somiglia vagamente ad un serpente. Ha la pelle molto chiara, quasi bianca, è alto e abbastanza muscoloso.-
-Caspita, Ade... in giro per la città c'è una simile bomba sexy e tu non mi hai avvertito prima?-
Prima che Sasuke potesse rispondere male, ci pensò Sasori a riportare la discussione sui binari giusti.
-Se provi anche solo ad avvicinarti a quel tizio te lo taglio. Non credo ci sia bisogno di specificare cosa.- fece, serafico, fissando il proprio ragazzo con un'espressione neutra che, però, non prometteva nulla di buono.
-Come non detto. Comunque, proseguendo con il racconto... ah, sì. Ade ci ha portato la cura e abbiamo salvato la vita a Zeus per un pelo. Da qui in poi c'è la parte che credo abbiate intuito, quella in cui catturiamo Ms.America 2008 e il suo fratellino e poi troviamo voi alla nostra base. Ora, tralasciando tutte le intuizioni poco interessanti che vi hanno condotti qui, e che comunque ci spiegherete dopo, c'è qualcosa che dovreste sapere.-
-Sarebbe?-
-Dì un po', ananas, sei bravo con il computer?-
-Se mi dai un PC decente posso tirarci fuori anche la verità sulla Genesi.-
-Bon, in questo caso sono felice di annunciarti che hai appena ricevuto il tuo primo incarico. Elizabeth Greene. Voglio tutto ciò che si può trovare su quella donna nei database della Gentek, e, quando ci avrai portato informazioni utili, ti spiegheremo cosa ci abbiamo a che fare noi e risponderemo al resto delle vostre domande. Vorremmo evitare fregature, dopo l'ultima esperienza poco piacevole.-
-Qui pro quo?-
-Qui pro quo.-
***
Il ronzare quieto dei condizionatori riempiva la sala, piena di persone innaturalmente silenziose, sedute attorno ad un tavolo, in attesa. Fu una voce bassa e glaciale a rompere il silenzio.
-Signori, immagino abbiate intuito il motivo per cui vi ho convocati.- Madara Uchiha, in piedi di fronte al modesto uditorio, lasciò scorrere lo sguardo su coloro che lo circondavano. Partendo da destra, in senso antiorario, si potevano notare le chiome argentee di Kabuto Yakushi e Kakashi Hatake, seduti a poca distanza l'uno dall'altro, e, più in là, i capelli viola acceso di Anko Mitarashi, capo della divisione speciale blackwatch, che spiccavano come un faro nella stanza scura. Un po' più a sinistra, celati dalla penombra, c'erano Mizuki Hoshibuki, Zabusa Momochi e Danzo Ayumine, i tre Generali di Divisione. Alle spalle di Madara, infine, stava Itachi, silenzioso come una statua e pronto a scattare in caso di pericolo.
Chi più, chi meno, quei sette individui costituivano la guardia scelta di Madara, e il fatto che fossero stati convocati tutti insieme significava, di primo acchitto, una montagna di guai.
-Zeus.- la risposta di Anko, pronunciata con un tono ironico e beffardo, fece rabbrividire metà degli astanti. La figura del Prototype aveva assunto un significato tale, ormai, che pronunciarne il nome faceva quasi impressione.
-Esattamente. Come spero saprete, abbiamo inviato giusto questa mattina una squadra speciale, composta dai fratelli Sabaku, per muovere un'offensiva decisiva a Zeus. Tuttavia, quando abbiamo provato a contattarli, pochi minuti fa, non ci hanno risposto.-
-Credete che li abbia uccisi?-
-Trattandosi di Zeus, è molto probabile. Anche Ade è praticamente sparito, e non riusciamo più a trovarlo.-
Stavolta persino Anko sgranò gli occhi, protendendosi verso l'Uchiha.
-Possibile che sia così potente? Insomma, i test di laboratorio fatti sul soggetto 002 dimostravano abilità che...-
-... che Zeus possiede e supera con estrema facilità.- fece Kakashi, dondolandosi sulla sedia -Non scordatevi che il Prototype è pur sempre la mutazione originale, e quindi più potente.-
-E non solo.- Kabuto si aggiustò gli occhiali, prima di proseguire -Le sue cellule si moltiplicano ed evolvono ad una velocità davvero fuori dal comune. Potrebbe diventare ancora più forte, e va fermato, prima che non sia più possibile farlo.-
-Ed è proprio per questo che siete qui. Da dopodomani andrete in missione, con le vostre squadre, e scandaglierete la città alla ricerca di Zeus. Ah, ovviamente, qualsiasi altra cosa doveste trovare, ripeto, qualsiasi, va eliminata. Cacciatori, infetti comuni... distruggete tutto ciò che vi troverete davanti, senza alcuna distinzione. E' venuto il momento di adottare una politica totale.-
-I dettagli?-
-Troverete tutto nei vostri uffici, i documenti vi sono già stati consegnati. Ora, perdonatemi per la rudezza e la fretta, ma devo discutere di alcuni particolari essenziali con il Dottor Yakushi. Potete andare.-
Cinque dei presenti si alzarono in piedi, facendo poi un breve inchino prima di uscire.
Nella stanza rimasero in tre.
-Non ti capisco più, Madara.- esordì Kabuto, sfilandosi gli occhiali con un gesto seccato -Perché hai mandato i fratelli Sabaku a cercare Zeus, quando siamo certi che è morto?-
-Il punto era proprio che non siamo certi che è morto. Da quando sono morti i quattrocento soldati delle basi so per certo che a Manhattan ci sono altri infetti superiori, in grado di coordinare un attacco su vasta scala, ma mi serviva la conferma che Zeus fosse ancora vivo.-
-Mh, e come sai se i fratelli sono stati uccisi da questi fantomatici infetti, oppure no?-
-Tu stesso, Kabuto, hai potenziato Gaara. L'unico che avrebbe potuto batterlo, e di questo siamo sicuri, era Zeus. No?-
-Questo è vero. Nemmeno Ade potrebbe sperare di batterlo, e il fatto che abbia perso potrebbe portarci a pensare che, effettivamente, Zeus sia sopravvissuto. Ma come?-
-Non temere, lo scopriremo. I nostri amici rivolteranno la città come un calzino, per ritrovarlo, e sarà lui stesso a raccontarci tutta la verità, dopo che lo avremo persuaso.-
-A volte il Prototype mi fa quasi pena. Dopo tutto quello che ha passato... perché continui ad inseguirlo, Madara? E la Madre? Non fai niente per catturarla, a quel che vedo.-
-Si stanno comportando un po' troppo male, per essere delle semplici pedine. E comunque, catturare Elizabeth Greene, alias Kushina Uzumaki, sarebbe uno spreco di tempo. Una volta preso Zeus, lei cercherà con tutti le proprie forze di liberarlo, e sarà allora che la imprigioneremo. Stavolta per sempre.-
-Non faresti prima a distruggerla?-
-Sai che non posso. Se lo facessi, morirei anche io. Ed è l'ultima cosa che voglio, Kabuto, l'ultima. In fondo, quest'epidemia potrebbe anche rivelarsi utile, non trovi?-
Il dottore socchiuse gli occhi, fissando Madara.
-E, quando sarà finita, anche io avrò la mia fetta di dolce. Dico bene?-
-Esattamente. Ah, Kabuto, un'ultima cosa...-
-Mh?-
-Conserviamo ancora i rapporti di Hope?-
-Sì, signore.-
-Bene. Portameli.-
-Va bene.-
Prima che Kabuto uscisse, Madara scorse, sulla moquette del pavimento, un luccichio insolito.
Se solo si fosse avvicinato per controllare, probabilmente la storia sarebbe andata diversamente da come la ricordiamo. Tuttavia, non lo fece.
La noncuranza fu una delle cause della sua rovina.
***
-Cazzo!-
Jiraiya Monogatari, cinquantadue anni apparenti, aveva seriamente rischiato un infarto che, biologicamente, non poteva neanche avere. Si lasciò cadere a peso morto sul pavimento della stanza, colpendolo con la schiena possente, e rimase fermo finché non sentì un piede affondargli nel fianco destro. Non poteva provare dolore, Jiraiya, ma si sollevò comunque.
-Ti sei fatto beccare, razza d'imbecille!?- lo apostrofò Tsunade, le mani posate sui fianchi e un'aria quanto mai furiosa.
-N-no... ma ci è mancato davvero poco. Se Madara non fosse ancora l'idiota dei tempi di Hope, probabilmente avrebbe capito immediatamente che ero riuscito ad infiltrarmi nella base.-
-Lasciamo perdere, Tsunade.- Orochimaru entrò nella stanza, ravviandosi i capelli -Sentire un idiota che dà dell'idiota ad un altro idiota è davvero triste. Hai scoperto qualcosa, rospo?-
-Niente di diverso dal solito, biscia. Stanno per mandare altri militari a cercarlo.-
-Poveri pazzi...- fece il moro, con il solito ghigno -... potranno mandarne anche diecimila, ma non lo...-
-Ah, quasi dimenticavo... hanno scoperto che è vivo. E sanno anche dell'esistenza degli altri.-
-Tsk... se fossero stati più furbi, a quest'ora la situazione sarebbe diversa.-
-Zeus ha pur sempre diciassette anni, Tsunade. Non puoi aspettarti la responsabilità di un adulto.-
-Cosa facciamo?- domandò Jiraiya, osservandosi una ciocca dei lunghissimi capelli argentei.
-A questo punto, se non vogliamo che Zeus muoia...- Orochimaru lanciò un'occhiata penetrante a Tsunade -... e soprattutto, se vogliamo evitare che Madara lo catturi, insieme alla Greene, o che il Prototype spaventi quel pazzo fino ad indurlo alla distruzione dell'isola, dobbiamo agire. Scenderemo in campo, come avremmo dovuto fare molto tempo fa.-
-Cosa pensi di fare, Orochimaru? Sasuke Uchiha già ti cerca, e, se incontrassimo Zeus, dovremmo rispondere a troppe domande.-
-Non sarà un problema, Tsunade.-
-Mi stai chiedendo di fidarmi di te, pazzo maniaco?-
-Vuoi sapere se Zeus è il figlio di Kushina, Tsunade? Questa è l'unica strada che ti resta.-
-Va bene. Jiraiya, tu sei d'accordo?-
-Certo, che domande! Se vi lasciassi da soli, sareste capaci di ammazzarvi a vicenda per ogni stronzata.-
I due uomini si fissarono in cagnesco per una decina di secondi, poi sospirarono, all'unisono. Tsunade quasi sorrise, memore dei tempi in cui vederli litigare era uno dei suoi passatempi preferiti, e poi uscì dalla stanza. Tutto quello che le interessava, ormai, era sapere se il bimbo di Kushina era ancora vivo. Una volta che l'avesse scoperto, sarebbe potuta finalmente morire in pace.
"E se la morte non mi appartenesse più? Che cosa farei?"
***
I membri della base si erano ufficialmente presi una giornata di pausa.
Naruto era da qualche parte in camera sua, affondato tra le coperte, Sasuke era scivolato in un piacevole stato di sonno comatoso, dovuto anche al costante rigenerarsi delle ferite, che gli toglieva molte energie. Gli altri erano tutti intenti a festeggiare nel piccolo salotto, tra birre e cibi di dubbia provenienza.
Le uniche persone che non sembravano particolarmente in vena di riposarsi erano Deidara, Shikamaru, Sai, Kiba e Gaara. Il biondo perché impegnato a sorvegliare il lavoro del Nara, gli altri tre perché, per sicurezza, erano stati legati e letteralmente gettati in una specie di stanza disadorna, in attesa che il dinamitardo li giudicasse meritevoli di una sistemazione migliore.
Neanche a dirlo, Gaara era legato come un salame e sedato, per evitare spiacevoli inconvenienti.
-Allora? Trovato niente?-mugugnò Deidara, annoiato, fissando le dita del Nara che, agili, sembravano quasi volare sulla tastiera del pc portatile.
-I file governativi sono tutti protetti da una serie di password che io non possiedo. Hackerarle non è facile, e mi servirebbe un computer più potente di questo, ma...-
-"Ma"?-
-Da adolescente, prima di entrare nell'esercito, ero un nerd, e passavo tutto il giorno davanti al computer.-
-E allora, scusa?-
-Hai presente il caso del Capodanno 1999, quando i siti internet di quasi tutte le banche del paese andarono in crack contemporaneamente, spaventando l'opinione pubblica?-
-Ah, sì!- gli occhi di Deidara si illuminarono -Ero in carcere, ma la notizia fu comunque diffusa! Un attimo, non è che...-
-Sono stato io. Sai, il governo americano stesso voleva farmi il culo, ma poi a qualcuno dei capoccioni è venuto in mente che avevano bisogno di un hacker bravo per entrare in un paio di database sovietici, e così...-
-Database sovietici?-
-Roba top secret e assolutamente delirante, te lo garantisco. E' così che mi hanno assunto.-
-La tua storia ha dell'incredibile, sai?-
-Mh, neanche tanto. La gente è disposta a credere a cose ben più assurde, puoi starne certo. E comun... ah, cazzo!-
-Che succede?-
-Il firewall governativo mi blocca. Certo, se voglio evitare che mi individuino non posso fare altrimenti, però...-
-Eh?-
-Sto usando una traccia di tipo ghost, che impedisce al pc di captare segnali di intromissione. Se scoprissero che qualcuno sta cercando di entrare nei loro sistemi, potrebbero resettare tutto per evitare di mettere in giro informazioni riservate. Devo evitare che mi scoprano.-
-Uhm. Figo.- il biondo non ci aveva evidentemente capito nulla, e Shikamaru sorrise.
-Senti... mi hai parlato di prigione. E' da lì che vieni?-
-Ah-ah.-
-E perché ti hanno messo dentro, se posso?-
-Tranquillo, non ho problemi a raccontarlo. Mi hanno dato l'ergastolo perché ho bruciato entrambi i miei genitori.-
Il castano si voltò verso Deidara, sconvolto, e smise per qualche istante di battere sui tasti. Deglutì a vuoto, inorridito dalla noncuranza con cui il biondo aveva ammesso una colpa tanto orrenda, e poi, con un filo di voce, osò porre un'altra domanda.
-Ma... ti avevano fatto qualcosa di particolare? Che ne so, magari tuo padre...-
-Naah, che mancanza di fantasia! Cos'è, una specie di film americano strappalacrime? Non mi avevano fatto nulla. Li ho bruciati perché erano noiosi, e non c'era davvero nessun altro modo per nobilitarli.- la voce del biondo conteneva un disprezzo quasi velenoso, e il Nara si domandò fino a che punto potesse essere pazzo. Evidentemente, i suoi occhi riflettevano ciò che stava pensando, perché Deidara riattaccò quasi immediatamente a parlare, stavolta serio.
-So che stai pensando. Forse credi che sia strano, no, che tu ti sia alleato con uno come me. Il punto fondamentale è che tu, soldato, non stai combattendo per il "bene" assoluto, mettitelo in testa. Tu difendi i tuoi interessi e tuteli il tuo egoismo, e casualmente hai scopi che coincidono con i nostri. Per questo ti sei unito a noi. Non sperare di trovare necessariamente il "male" nell'altra fazione, perché non andrà così. Il mondo reale, a differenza dei film, vanta, oltre al bianco e al nero, una scala di grigi pressoché infinita.-
-E quindi?-
-Lotta per quello che ami, e andrai avanti. Sbaglieresti a prendere un partito, ne saresti deluso e finiresti per perdere ciò a cui tieni davvero.-
-Qual'è il vostro scopo? Zeus, perché...-
-Zeus ha perso la memoria. Non ricorda chi è, e sta cercando di scoprire la verità sul proprio passato e sull'epidemia. Uh, a proposito...-
-Mh?-
-Non te l'avevo ancora detto, ma Zeus ha la capacità di leggere nel pensiero di tutti gli infetti... eccetto me. Per cui, qualsiasi cosa dovessi scoprire, non farne parola che con il sottoscritto, chiaro?-
-Chiaro. Posso sapere perché?-
-Non ancora. Ma sei un tipo sveglio, e prima o poi capirai tutto da solo.-
Improvvisamente, da pc provenne un "bip" acuto e squillante. Il viso di Shikamaru si illuminò, mentre le finestre, sullo schermo, si chiudevano di botto. Ne rimase una soltanto.
-Bingo.-
-Uh, l'avevo detto che sei sveglio!-
-E adesso... vediamo un po' chi è questa Elizabeth Greene.-
"La verità si nasconde sempre dietro un velo di menzogne".
_Angolo dell'Autrice_
No, non è un miraggio. Sono tornata davvero.
Prima che mi uccidiate, vi spiego il motivo di quest'assenza di due mesi: un po' il Liceo Classico (che mi sta più o meno uccidendo e che detesto con tutta me stessa), un po' la long-fic di quaranta pagine che ho scritto per il concorso "i quattro elementi". Nessun calo di ispirazione, tranquilli! Ricomincerò a postare a ritmo regolare...
See you soon,
Roby
ps. Benché disapprovi, vi risponderò tramite la funzione che la webmistress ci ha gentilmente fornito. Devo scappare, ai miei congiunti serve il pc.
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Capitolo 21 *** First Part of the Truth ***
020
- First Part of the Truth
-Hope.
Qui
c'è scritto che si trattava di un piccolo insediamento
gestito dai
militari, in Idaho. Ma che scopo aveva la creazione di un posto del
genere?-
-Non c'è
scritto?-
-Teoricamente
sì, ma... beh, vedi un po' tu se ti sembra verosimile...-
-"Progetto
nato nel 1990 con lo scopo di osservare la vita comunitaria di un
gruppo di
individui di differenti etnie in un ambiente innocuo,
che simulava però le condizioni di una zona
post-atomica."-
Deidara
arricciò il naso, evidentemente scettico.
-Detta così
sembrerebbe quasi un'iniziativa positiva... se c'entra con la Greene,
però,
dubito fortemente che lo fosse realmente.- sussurrò, lo
sguardo fisso sullo
schermo.
-Perché? Non
mi avete ancora spiegato chi è, questa "Elizabeth Greene".-
-Neanche io
l'ho mai vista. Da quello che dicono Ade e Zeus, però,
potrebbe diventare il
più grosso dei nostri problemi, ed è sicuramente
legata all'origine
dell'infezione.-
-Capisco.
Ah, guarda! Qui c'è scritto che Hope fu distrutta in seguito
ad un incidente,
il 10 ottobre del 1990. Ci sono anche delle foto.-
Le immagini
che riuscirono a visionare mostravano cumuli e cumuli di macerie
bruciate e
fumanti, e qualche militare che si aggirava tra le rovine,
probabilmente in
cerca di sopravvissuti.
-Incidente?
Andiamo, vuoi dirmi che una
cittadina protetta dall'esercito e da un'equipe di tecnici statali
può bruciare
nel giro di una notte, senza che nessuno riesca ad impedirlo?-
-Questa
storia è così palesemente falsa che mi sembra
impossibile che nessuno si sia
fatto venire dei sospetti. Mh... uh, ci sono anche alcuni appunti
riguardanti
delle vaccinazioni...- buttò lì Shikamaru, sicuro
che si trattasse di un dato
assolutamente privo di interesse. La reazione di Deidara, tuttavia, fu
quanto
di più inaspettato si potesse immaginare.
-Vaccinazioni!?-
sobbalzò, poi avvicinò la faccia allo schermo,
fin quasi a toccarlo con la
punta del naso -Hanno vaccinato tutta la popolazione, adulti e bambini,
nei
giorni dal 22 agosto al 3 settembre... ma certo!-
-Mh?-
-Ecco come
hanno fatto... immagino ti sarai chiesto il perché dei
poteri di Sasori,
giusto?-
-Sasori...
quello con i capelli rossi. Sì, me lo sono chiesto.-
-Per fartela
breve, a parte Ade e Zeus, che sono casi del tutto particolari, gli
altri
occupanti della base sono stati infettati dal virus Idra e hanno
sviluppato
capacità particolari in seguito ad esperimenti condotti
nelle carceri dello
stato di New York.-
-Sul serio?-
-Esatto.
Quando gli effetti dell'Idra si sono manifestati nella loro
completezza,
naturalmente, tutti noi sapevamo di essere stati sottoposti ad
esperimenti
top-secret, ma, all'inizio, i primi test ci furono fatti in segreto,
usando una
certa scusa...-
-Vaccinazioni?-
-Esatto. Ad
Hope dev'essere successa la stessa cosa. E' stato facile, per quei
bastardi,
convincere gli abitanti a farsi iniettare chissà quale ceppo
mutante di virus
creato in laboratorio... e non è difficile immaginare quello
che è successo
dopo.-
-La
situazione gli è sfuggita di mano. Evidentemente il virus
aveva un potere di
contagio superiore a quello che pensavano, e così sono stati
costretti a fare
terra bruciata per evitare che si diffondesse da qualche altra parte.-
-Tsk... e
pensare che hanno anche scritto dei rapporti falsi, per evitare che
qualcuno lo
scoprisse.-
-Resta
comunque un problema.-
-Che fine ha
fatto la Greene?-
-Err... no.
Quello penso sia scritto più avanti. Quello che mi chiedo è:
perché stavano cercando di sviluppare un
virus letale? Evidentemente non per semplice smania di distruzione,
visto che
lo hanno frenato prima che portasse a conseguenze gravi.-
-In
effetti... forse volevano creare un'arma biologica, no? Questo spiega
anche
perché hanno tenuto in vita la Greene. Certo, se potessi esaminarla...-
-Forse non
ce ne sarà bisogno.- sussurrò il Nara,
barcamenandosi fra file e cartelle fino
a trovare ciò che cercava -Ecco. Qui ci sono i risultati
delle analisi di
Elizabeth Greene e tutto il materiale raccolto nei diciassette anni
successivi
al disastro di Hope. Vediamo un po'...-
Dopo qualche
secondo, passato a spingere i tasti con più esitazione del
solito, Shikamaru
Nara sgranò gli occhi.
-Ehi, che
succede?-
-Questa
sembra roba autentica. Da'
un'occhiata...-
Deidara si
chinò sullo schermo, leggendo le poche righe che Shikamaru
aveva evidenziato
con un leggero
movimento del cursore.
Poi sbarrò gli occhi, allibito.
-Si
chiamava...-
-Kushina
Uzumaki. Evidentemente
"Elizabeth Greene" era un nome falso. Padre asiatico e madre
americana, vent'anni al momento della cattura...
aspetta un attimo.- cliccò su una foto, ingrandendola.
L'immagine che comparve
sullo schermo fece sobbalzare entrambi.
C'era una
donna, al centro dell'inquadratura, legata ad una sedia con un paio di
corde
robuste, simili a vere e proprie gomene. Teneva lo sguardo fisso
davanti a sé,
gli occhi di un inquietante tinta smeraldina, l'espressione folle.
Completamente assente. I capelli rossi, un tempo probabilmente lunghi,
mostravano i segni di un taglio frettoloso e malfatto, e le ricadevano
sul
cranio in ciocche disordinate, lunghe al massimo una decina di
centimetri. Il
viso era di un pallore spettrale, e si intravedevano, sotto il velo
sottile
della pelle, i tracciati rossi o bluastri di vene che, Deidara ne era
certo,
erano anatomicamente inconcepibili. A parte questo, era di una bellezza
incredibile, da bambola di porcellana.
Tuttavia, i
particolari più importanti della fotografia erano due:
nonostante il camice
bianco, che ne mascherava le forme, la donna aveva un ventre teso e
prominente,
la cui forma difficilmente si poteva fraintendere, e poi...
-Era incinta.
Questa... donna era incinta.-
-E non
solo...- mormorò Deidara, indeciso se arrendersi o no di
fronte a quella che,
purtroppo, si presentava come una realtà incontrovertibile
-... guardale la
faccia. Chi ti ricorda?-
Shikamaru
sospirò, scuotendo la testa.
-Vorrei
sbagliarmi, ma... somiglia a Zeus. Non moltissimo, ma la forma del viso
è più o
meno la stessa. Allora è per questo che...-
-No. Non
avrei mai sospettato una cosa del genere. Per dire la
verità, pensavo di
trovare tutt'altro.-
-Vado
avanti?-
-Sì.-
Visionarono
un'intera serie di fotografie. Erano tutte numerate, e riportavano,
nell'angolo
in basso a destra, una data diversa per ognuna. Ritraevano tutte
Kushina
Uzumaki, anche se in pose e situazioni abbastanza diverse tra loro, e,
se
Deidara non ne fu particolarmente impressionato, avendo dimestichezza
con i
poteri degli infetti, Shikamaru spalancò gli occhi in
maniera quasi teatrale.
-Non... non
invecchia.- sussurrò, spostando lo sguardo da una foto del
1984 ad una del
2005. Il volto che ritraevano, nonostante gli undici anni di
differenza, era
rimasto perfettamente identico.
-E'
abbastanza comune, tra gli infetti. L'Idra potenzia le cellule a tal
punto da
permettere una rigenerazione continua e un arresto totale
dell'invecchiamento.
Nel caso di Zeus, consente addirittura di cambiare il proprio aspetto.-
-Qui dice
qualcosa al riguardo... ah, ecco: "dalle
analisi svolte tra il 05/04/2004 e il 05/05/2004, risultano presenti
quattordici
nuovi tipi di ceppi virali ancora sconosciuti, da sommarsi a quelli
ottenuti
con le precedenti analisi del..."! Quattordici
ceppi virali! Quella donna praticamente è...-
-... una
fabbrica semovente e soprattutto instabile
di virus. Quanto scommettiamo
che anche il caro Idra proviene da
lei?-
-Dici?-
-A questo punto
non mi sembra difficile capire quello
che è successo. I militari diffondono un virus ad Hope, per
chissà quale
motivo. Sperano che vada tutto liscio, ma così non
è, e sono costretti a
distruggere la città per evitare un'epidemia... ed
è qui che entra in gioco Elizabeth
Greene, alias Kushina Uzumaki. Il virus trova in lei un'ospite ideale e
si
evolve, prendendo possesso del suo corpo e cominciando a duplicarsi e a
creare
altri virus, come una catena di montaggio.-
-Rimangono
comunque dei punti oscuri. Che ne è stato
del bambino? La somiglianza con Zeus è troppo labile per
costituire una prova,
e poi... guarda: qui c'è scritto che il feto, morto,
fu estratto dall'utero per evitare che la madre morisse.
L'Idra deve averlo ucciso nel momento stesso in cui ha contaminato la
madre.-
Shikamaru si
voltò verso Deidara, puntandogli addosso
uno dei suoi sguardi più trionfanti. Tuttavia, il viso del
biondo tradiva una
certa soddisfazione, le labbra piegate in un ghigno vagamente
vittorioso.
-C'è
qualcos'altro che non so, vero?-
-Sono davvero troppe
le cose che non sai, soldato. Quello che hai fatto oggi basta per avere
la mia
fiducia, ma non al punto di spingermi a rivelarti informazioni
strettamente
riservate e personali. Comunque... merci,
mon chéri!-
A quel punto,
Shikamaru visse una delle scene più
raccapriccianti della sua intera esistenza. Sentì le mani di
Deidara sulle
spalle, poi vide il viso del dinamitardo farsi vicino al suo, troppo vicino. Per un attimo, per un terribile attimo temette che lo avrebbe
baciato sulle labbra, ma il biondo si limitò a sfiorargli la
guancia (con tanto
di schiocco, cosa che lo fece rabbrividire dal disgusto) e poi si
staccò,
salutandolo con la manina prima di
andare via.
Lo
sentì canterellare una strofa di "Lady
Marmalade" mentre si allontanava, saltellando per tutto il corridoio, e
ipotizzò che, per qualche strano, incomprensibile motivo,
quello che avevano
appena scoperto gli facesse piacere.
Poi,
però, il pensiero di quello che sarebbe potuto
succedere lo fece afflosciare sulla sedia dal ribrezzo. Che strano,
eppure
guardare Zeus e Ade, che tanto normali
non sembravano, non gli faceva quell'effetto...
Dopo qualche
secondo di acuta riflessione, comprese.
Shikamaru era un tipo tranquillo e in pace col mondo, ergo non glie ne
importava assolutamente nulla delle preferenze sessuali di chi gli
stava
intorno. Purché non lo coinvolgessero, quello era
sottinteso: non riusciva a
immaginarsi, a stringere tra le braccia un corpo che non fosse quello
morbido e
formoso della sua Temari.
A proposito di
Temari... che fine aveva fatto?
In quel preciso
istante, per l'intera base risuonò un
urlo che somigliava spaventosamente al ruggito di un puma di montagna.
Shikamaru riconobbe immediatamente la voce, e, casomai non se la
ricordasse, si
dava il caso che stesse urlando il suo nome ai quattro venti.
-SHIKAMARUUU...-
La cara, dolce
Temari si era svegliata.
"Adesso
sì che sono fottuto".
***
Deidara
entrò nel laboratorio, circospetto,
richiudendosi la porta alle spalle. Si avvicinò all'unico
schedario della
stanza, poi aprì il primo cassetto a partire dall'alto.
Vuoto.
O, almeno,
così sarebbe parso all'occhio di un
osservatore poco esperto, o disattento. Il biondo sfilò
completamente
l'intelaiatura metallica, con una cura quasi maniacale, e poi la
rovesciò; la
base del cassetto si spalancò verso il basso, rivelando un
doppio fondo di
retina metallica, accuratamente sigillato, al cui interno stavano
diverse cartelline
beige, legate tra di loro con uno spago sottile.
Aprì
quella protezione, che lui stesso aveva creato, e
slacciò lo spago, poi afferrò una delle
cartelline e la aprì. Mise i fogli che
conteneva da una parte, poi ne esaminò l'interno,
valutandone velocemente le
dimensioni.
Sperando che lo
spazio fosse sufficiente, si cavò di
tasca una penna biro e cominciò a scrivere, frenetico.
Una volta fatto,
rimise tutto a posto e infilò
nuovamente il cassetto nella sua sede.
"Con
un
po' di fortuna, questa cosa non servirà mai a nessuno..." pensò,
uscendo dal laboratorio.
Purtroppo per
lui, si sbagliava. E, se avesse potuto
conoscere in anticipo le circostanze in cui sarebbe stato usato quel
suo
messaggio, e le conseguenze che avrebbe scatenato, Deidara lo avrebbe
probabilmente strappato in mille pezzi, e poi avrebbe fatto in modo di
fare
perdere per sempre le sue tracce.
***
Zeus si
stirò pigramente tra le coperte, affondando la
faccia nel cuscino. Aveva le palpebre incollate e la bocca secca, e Dio
solo
sapeva quanto avrebbe desiderato rimanere a dormire fino a sprofondare
in un
piacevole stato di coma irreversibile.
Purtroppo, c'era
qualcosa che glie lo impediva.
Niente
più che una fastidiosa sensazione di fondo,
eppure era più che sufficiente per impedirgli di
riaddormentarsi.
-Ma che...-
borbottò, sollevandosi sulle braccia e
sporgendo la testa fuori dal bozzolo di coperte in cui si era
accuratamente
avvolto. Con un ulteriore sforzo riuscì a spalancare gli
occhi, fessure azzurre
su un viso stravolto dalla stanchezza.
-Ma che
cazzo...- gli fece eco una voce, dal
corridoio. Prima che potesse rendersi quantomeno presentabile (cosa
che,
comunque, non avrebbe fatto) o
quantomeno assumere una posa più dignitosa, sulla porta si
profilò una sagoma
che ben conosceva, anche se, doveva ammetterlo, non si sarebbe mai
aspettato
che i capelli di un essere umano potessero mantenere intatta la loro
piega
anche dopo ore e ore di sonno.
-Sas'ke? Che ci
fai qui?-
-Ti cercavo. Lo
senti anche tu, questo rumore?-
L'Uchiha aveva la voce impastata, e si stropicciò
nervosamente gli occhi prima
di varcare la soglia.
-Urla.
C'è una donna che urla.- Replicò il Prototype,
affondando nuovamente tra le coltri e tirandosi le lenzuola fin sopra
le
orecchie. Maledisse con tutto il cuore il suo udito potenziato: anche
così, con
diversi centimetri di stoffa premuti sui padiglioni auricolari, non
riusciva a
soffocare del tutto la percezione di quel suono fastidioso.
-Andiamo a
controllare.-
Sasuke si
avvicinò al letto, togliendo in un colpo
solo tutte le coperte, e poi fissò il Prototype, che,
accoccolato sul materasso
con una guancia premuta sul cuscino, aveva definitivamente perso
qualsiasi
parvenza di pericolosità.
"Non
lasciarti ingannare"
pensò, rimirando quello spettacolo con una smorfia
scettica "si comporta come un essere
umano normale, ma non lo è affatto."
Erano frasi che
si ripeteva in continuazione, perché
non poteva permettersi di dimenticare che, nonostante l'apparenza
innocua,
quasi carina, chi gli stava di
fronte
avrebbe potuto spezzarlo in due con un calcio. La
confusione nasceva proprio da questo: da un
lato si sentiva attratto dal Zeus, dal suo modo di essere sempre
maledettamente
allegro e pieno di vita, dai suoi occhi azzurri e dai suoi sorrisi
smaglianti, dalla
sua affidabilità assoluta quando si trattava di farsi
guardare le spalle. Il
Prototype, e questo Sasuke l'aveva capito, era quel genere di persona
che
difficilmente ritorna sui propri passi, quando fa una promessa. Era il
sole, la
vita, l'energia... tutto quello che l'Uchiha non aveva mai avuto
l'occasione di
possedere, di ammirare.
L'altro lato di
Zeus, tuttavia, era per lui talmente
raccapricciante da spingerlo ad allontanarsi. Era come una doppia
faccia, un
essere sanguinario e violento che si nascondeva sotto quell'apparenza
delicata,
un lupo coperto dal vello di un agnello che attendeva solo il momento
propizio
per balzare fuori e sbranarlo. E, sebbene Sasuke riconoscesse che,
senza una
natura duplice come quella, Zeus non sarebbe mai sopravvissuto, non
poteva fare
a meno di detestare la parte più oscura e violenta del suo
carattere.
-Ho sonno...-
gemette il biondo, riportandolo alla
realtà. Si sollevò dal materasso, puntellandosi
sulle ginocchia, e poi gli
afferrò una spalla e si alzò, prima di saltare a
terra.
Nell'esatto
istante in cui Sasuke percepì il calore di
quella mano, attraverso la stoffa della maglietta, una scossa elettrica
lo
attraversò da parte a parte. Ecco, quello era un altro punto
che andava chiarito.
Non sapeva se si
trattasse di mera attrazione fisica o
di qualcos'altro, ma l'Uchiha era
ormai più che convinto di essersi infilato in una situazione
pressoché
irrisolvibile. E, dopo quel dannato bacio (di cui il moro, in cuor suo,
non
riusciva decisamente a pentirsi), ogni volta che Zeus lo toccava gli
saliva una
voglia terribile di sbatterlo contro un muro e baciarlo. Come una
droga, era
stata una sensazione troppo piacevole ed intossicante per non
desiderare che si
ripetesse.
Ad ogni modo,
non era il momento adatto per perdersi
in simili fantasticherie. Sasuke si riscosse, sbuffando, poi raggiunse
il
biondo che, appoggiato allo stipite della porta, gli rivolgeva uno
sguardo
vagamente interrogativo.
In quell'istante
realizzò di essersi scordato di
quella bellissima
capacità di Zeus
per cui il bastardo era in grado di capire ogni cosa che pensava.
Sobbalzò,
sgranando gli occhi e girandosi
repentinamente verso il Prototype. Quello gli sorrise, un ghigno
furbesco che
gli increspò le sei cicatrici a forma di baffo, e poi gli
diede le spalle,
incamminandosi verso la fonte delle urla sospette.
"Che
catastrofica
figura..."
-... di merda.-
Completò Zeus, ridacchiando.
Sasuke
espirò, piccato, e seguì il Prototype a testa
alta, reprimendo un moto di vergogna che gli saliva dal fondo della
cassa
toracica, rischiando di infiammargli la faccia. Mise su la sua migliore
espressione indifferente, poi superò il biondo e
accelerò ulteriormente il
passo, distanziandolo.
Alle sue spalle,
non visto, Zeus sorrise
vittoriosamente.
***
La scena che gli
si presentò, una volta raggiunto il luogo
delle urla, poteva definirsi, per certi versi, comica.
La stanza in cui
Deidara aveva confinato i prigionieri
era aperta, riempita dalla luce di alcune lampade a neon che correvano
lungo il
soffitto, e c'era un trambusto tale che, per qualche secondo, Zeus non
comprese
cosa stava succedendo.
Poi, ad un
occhiata più attenta e dopo qualche secondo
di smarrimento, comprese.
In piedi, legata
e piuttosto malferma ma con un
portamento decisamente altero, c'era la ragazza bionda con i quattro
codini. Davanti
a lei stava Kisame, alto e possente, che proteggeva, con la sua mole,
l'ospite
chiamato Shikamaru.
-Che succede?-
Domandò il Prototype, girandosi verso
Pain che, apparentemente ben poco partecipe dell'intera situazione,
fissava la
scena con una faccia annoiata.
-Finalmente,
Zeus. Questa femmina ha cominciato a strillare
che voleva parlare con quello lì, e noi glie l'abbiamo
portato. Kisame si è
messo in mezzo per evitare che lo facesse a pezzi.-
Prima che Zeus
potesse porre altre domande, per
compensare la naturale sinteticità dei discorsi di Pain, uno
strillo
incredibilmente acuto gli perforò le orecchie, e Temari si
slanciò nella sua
direzione. Cosa volesse fargli non era del tutto chiaro, visto che
aveva le
mani legate, ma il Prototype ipotizzò che, se Kakuzu non si
fosse messo in
mezzo, si sarebbe beccato come minimo un dolorosissimo morso.
Afferrò
la ragazza per le spalle, tenendola ferma
mentre quella scalciava, e sbuffò sonoramente.
-Shikamaru,
dannazione! Lo sapevo che eri un verme
senza spina dorsale, ma non pensavo che ti saresti abbassato a tanto!-
gridava,
la bionda, con tutto il fiato che aveva in gola -Allearti con Zeus! Questo mostro
ha ucciso mio fratello!-
Sasuke si
rabbuiò e Deidara strinse i pugni,
minaccioso. Zeus non smise di sorridere, anche se, ad un più
attento esame, si
poteva notare come il colore dei suoi occhi stesse virando
pericolosamente
verso il grigio argento.
E poi, a sanare
una situazione che sembrava
irrecuperabile (e che, peraltro, sarebbe finita con i tre sopracitati
che si
contendevano il cadavere di Temari) giunse la voce di Gaara.
Fredda come una
corrente di aria gelata.
-Temari, finiscila.
Non ti è mai importato nulla di nostro fratello, e lo sai
perfettamente.-
La bionda si
voltò verso il fratello, le iridi verdi
accese di rabbia. Per un attimo sembrò sul punto di
replicare, poi abbassò lo
sguardo a terra, digrignando i denti. Lo sguardo del rosso, acquemarine
ghiacciate, le si era puntato addosso con un'ostinazione che sapeva di
accusa.
-E va bene... va
bene. Sentiamo, allora, quali sono i
motivi per cui ti sei schierato con questi... terroristi.-
la domanda era evidentemente rivolta a Shikamaru, che
osò staccarsi da Kisame e fronteggiare la fidanzata.
-Temari... so
che può essere difficile credere a
quello che sto per dirti, ma... ecco... non è Zeus il
cattivo, in tutta questa
storia.-
-Come!?-
-Dunque...
è probabile che sia stato l'esercito a
diffondere il virus Idra a Manhattan. Per questo io, Kiba e Sai siamo
qui. Non
avremmo mai voltato le spalle all'esercito, senza prove più
che certe.-
-Tu... tu non
hai visto quello che ha fatto a
Kankuro...- sibilò lei, accennando a Deidara. Intercettando
un'occhiata
incuriosita di Shikamaru, il biondo alzò gli occhi al cielo.
-L'ho fatto
esplodere. Era il minimo che potessi fare,
per salvare la vita a Sasuke.-
"Ok,
cerchiamo di recuperare la situazione in maniera civile..."
-Tem, siamo in
guerra. E' normale che ci siano delle
perdite, e dopotutto loro si stavano difendendo...-
-Ma era mio...-
-Tem!-
esclamò il Nara, alzando bruscamente la voce
-Dai retta a tuo fratello, per una volta! Nell'ultima settimana ho
rischiato di
morire più volte che nella mia intera vita, e non ho nessuna
voglia di
preoccuparmi per la morte di Kankuro. E nemmeno tu nei hai voglia, in
realtà,
quindi piantala con questa
sceneggiata.-
Temari si
raddrizzò, atteggiando il viso in una
maschera battagliera che, in quel momento, si confaceva ben poco al suo
reale
stato d'animo.
-E sia. Ma sappi
che non mi hai convinta: voglio
verificare con i miei occhi quello che mi hai detto.-
-Se anche non ci
credessi...- si intromise Deidara,
regalandole uno sguardo pieno di cordiale antipatia -... le cose non
cambierebbero.
Adesso che ci hai visto non possiamo assolutamente lasciarti andare.
Giusto,
Zeus?-
-Giusto.-
La ragazza si
voltò verso il Prototype, inarcando un
sopracciglio.
-Quindi tu
saresti Zeus, l'assassino?-
-Sì.-
-Tsk, ti facevo
più... terrificante. Sembri quasi un ragazzino.-
Il Prototype
assottigliò gli occhi, divenuti di un bel
color grigio ferro. Sasuke, osservandolo, si chiese di che colore
diventavano
quando il loro proprietario era veramente
incazzato.
-Ricordati di
quello che hai appena detto,
biondina...- sibilò Deidara, che, come al solito, tendeva a
prendere le difese
di chi si trovava in difficoltà -... quando
massacrerà di pugni il tuo bel
musetto.-
Dopo quel breve
scambio di battute, Deidara convocò
tutti gli occupanti della base per un consiglio straordinario.
-Dobbiamo
cominciare a muoverci. Non possiamo rimanere
fermi e disorganizzati ancora a lungo.-
-Oppure?- fece
Sasori, indirizzandogli un'occhiata
penetrante.
-Ci
schiacceranno.-
"Spesso
accade che le vere vittime non vengano minimamente prese in
considerazione.
Successe anche nel nostro caso".
_Angolo
del Fancazzismo_
Scusate
il ritardo, e... Bbbbbbuon 2011! Vi siete divertiti durante le vacanze?
Io per
niente. Ma passiamo ad altro, và, che non mi va di
opprimervi con la cronaca
emo dei miei "divertimenti" (eccettuata la vacanza con te, Kla-chan,
che è stata davvero stupenda)...
Che
dire su questo capitolo... finalmente scopriamo qualcosa in
più su
Elizabeth-Kushina, anche se rimane il mistero insoluto del feto (qui
neanche
chi ha giocato al videogame è avvantaggiato, muhahahaha) e
assistiamo alle
performance di Deicchan (quanto amo questo personaggio)! Dal prossimo
capitolo
potrebbero succedere un po' di... ehm... casini,
e ormai mancano davvero pochi capitoli a quell'evento
(BeadsAndFlowers96, tu
sai perfettamente a cosa mi riferisco... ma non scriverlo nei commenti,
sennò
roviniamo la sorpresa alle altre pulzelle
che leggono).
Ah,
a proposito: tra breve Hinata farà il suo trionfale rientro
in scena! ^^
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 22 *** Chemical Reactions ***
021
- Chemical Reactions
-Non
sono d'accordo.- Per l'ennesima volta, la voce tranquilla di Sasori
interruppe il discorso di Deidara. Sasuke sollevò un
sopracciglio,
con aria di sfida, e occhieggiò Zeus, che non sembrava
particolarmente toccato dalla piega che aveva preso la situazione.
"Eppure
dovresti preoccuparti, dannazione! Non pensi a quello che potrebbe
succedere se..." i
suoi pensieri furono
interrotti dalla risposta di Deidara, un'invettiva a metà
tra
l'arrabbiato e il sinceramente incredulo.
-Stai
scherzando, vero? Non posso credere che tu ti rifiuti di aiutare
Zeus, dopo tutto quello che è successo! L'hai visto anche
tu, no?
Non possiamo restarcene con le mani in mano!-
Si
stava discutendo sulla politica da adottare da quel momento in poi, e
il dinamitardo aveva proposto un attacco immediato alla sede della
Gentek. Sasori, tuttavia, si era opposto non solo all'iniziativa di
un'offensiva immediata (cosa in cui, comunque, Zeus lo avrebbe
spalleggiato), ma aveva dimostrato delle riserve anche per quanto
riguardava l'idea di scendere in campo. In poche parole, il rosso non
voleva muovere un dito.
-Non
sto scherzando. Da quando cooperiamo con Zeus non sono successi che
disastri, e l'eventualità di un attacco è troppo
pericolosa. Non
siamo all'altezza.-
-Ma...-
-Anche
io sono d'accordo con lui.- Fece Pain, sistemandosi meglio sul divano
-Questa è la guerra di Zeus, non la nostra. Se fossimo
sicuri del
successo potremmo anche aiutarlo, ma così non è.
Faremmo meglio ad
attendere la prossima mossa di Madara, e, in ogni caso, io non ho
intenzione di intervenire, a meno che non venga messa a rischio la
mia stessa vita.-
-Dannazione!-
Deidara alzò la voce, incurante dello sguardo di rimprovero
che
Sasori gli stava indirizzando -Possibile che tutti voi siate
concentrati solo sui vostri interessi!? Non possiamo lasciare che il
Prototype combatta da solo, e poi...-
-No.-
Fu Zeus stesso a farsi avanti, stendendo un braccio davanti al
dinamitardo -Non puoi costringerli, Deidara. Una richiesta è
lecita,
una costrizione no. E poi hanno ragione: sinceramente non so se io,
nelle loro condizioni, acconsentirei alla tua richiesta.-
-Invece
lo faresti.- Sibilò Sasuke, prima di rivolgersi a tutti i
presenti
-Lui lo farebbe! Lui vi aiuterebbe! Non lo capite,
vero, che
se rimarrete fermi ancora a lungo quelli verranno a cercarci? Volete
che ci stanino, che ci attacchino dopo aver scoperto i nostri punti
deboli? Fate pure, ma sappiate che, quando accadrà, non
sarò io a
difendervi.-
Poi
si voltò, furente, e uscì sbattendo la porta.
Hidan fissò il punto
in cui era sparito con ammirato interesse, prima di esclamare:- Il
ragazzo ha fottutamente ragione! Siamo un cazzo di gruppo, no?
Aiutiamo Zeus, invece di poltrire!-
-Non
è così semplice, Hidan.- Fu la tranquilla replica
di Kakuzu
-Stavolta le circostanze sono molto svantaggiose.
Combattiamo
un nemico infinitamente più forte di noi, e, a differenza
sua, non
lo conosciamo nemmeno. Su quali presupposti speri di basare un
eventuale attacco, Deidara? Farai saltare tutto in aria come tuo
solito?-
Zetsu
stava in un angolo, zitto, e osservava attentamente l'evolversi della
situazione. Era sempre stato un tipo dedito alla raccolta
d'informazioni, piuttosto che all'azione, e questo gli aveva evitato
una lunga serie di problemi, nel corso degli anni. Si rendeva conto,
però, che non era il momento adatto per tacere: se lo stesso
Deidara
si era infervorato a tal punto da mettersi ad urlare, la situazione
rischiava di diventare irrecuperabile.
-Ascoltate...-
intervenne, la voce più simile ad un cupo ronzio che al
prodotto di
corde vocali umane -... io propongo di aspettare ancora un po', prima
di prendere una decisione. Se anche la mettessimo ai voti, sarebbe
completamente inutile: non possiamo combattere adeguatamente, se non
siamo uniti.-
"Zetsu
il diplomatico, eh?" pensò
Deidara,
incrociando le braccia all'altezza del petto. C'erano delle volte in
cui avrebbe volentieri strangolato il compagno, ma le sue
abilità
erano davvero troppo utili per rischiare di perderle.
-Quindi?-
-Quindi,
Sasori, staremo a vedere che succede. Se posso avanzare una proposta,
però, faremmo meglio a trovarci un altro posto dove stare.-
-E
perché mai?- Sbottò il dinamitardo,
apparentemente offeso. Diamine,
il rifugio era il suo vanto, la sua casa, il progetto in cui aveva
speso più tempo e fatica... non potevano dirgli di
abbandonarlo!
-Sanno
dove siamo. Le difese di questo posto non sono più
sufficienti a
proteggerci, e...-
-Te
ne rendi conto ora!? Dall'incidente della ragazzina
avresti
dovuto capirlo, dannazione! E poi, anche se ce ne andassimo, come
pensi di far passare inosservato un eventuale spostamento?-
Zetsu
corrugò la fronte, poi inspirò. Lentamente.
-Almeno
come riserva, Deidara. Se decidessero di distruggere questo rifugio
buttandoci una bomba, ci ritroveremmo per strada. E non avere un
tetto sulla testa è sinonimo di vulnerabilità.-
-Ma
perché te ne esci adesso con...-
-Perché
adesso abbiamo un attimo di respiro. I militari ci metteranno del
tempo, prima di riorganizzarsi, e noi sfrutteremo questo vantaggio
per trovare un salvagente.-
-Non
credere che mi metterò a cercare da solo...-
-Nessuno
l'ha detto. Va bene se cominciamo domani?-
-Perché
domani?-
-Voglio
fare un paio di analisi su quel tizio strano, il rosso. Mi basta un
pomeriggio.-
-E
sia. Ma ti avverto che...-
-Tranquillo,
Deidara, non ci saranno incidenti di sorta. Andrà tutto
perfettamente.-
***
-Tu
devi essere Gaara, dico bene?-
Incurante
dello sguardo terrorizzato di Shikamaru, Sai sfiorò con le
dita la
spalla di Gaara, appoggiato al muro a circa mezzo metro da lui.
L'occhiata gelida che gli lanciò il rosso non
bastò a scomporlo,
tanto che, con un colpo di bacino, gli si sedette accanto.
-Io
sono Sai, molto piacere!-
Gaara
non lo degnò di uno sguardo, prendendo a fissare il muro di
fronte.
Pensava di aver raggiunto uno stato di pace, del tutto privo di
irritanti intromissioni, ed ecco che qualche nuovo idiota,
apparentemente amico di quell'essere insignificante che era il
fidanzato di sua sorella, veniva a turbare impunemente la sua quiete.
-Ehi,
mi senti?-
Stoico,
il rosso non rispose. Non era Sai, quello con cui avrebbe desiderato
parlare. C'era Zeus, che si era dimostrato così forte da
stuzzicare
la sua curiosità, ma comunque non nutriva un vero e proprio
interesse nei suoi confronti. La regola era di non pensare a nulla
come oggetto di desiderio, di non affezionarsi a chi gli stava
intorno: solo così, secondo Gaara, si poteva raggiungere la
perfezione. Tramite il distacco.
Zeus
non sembrava pensarla allo stesso modo, a giudicare da come si
comportava con Ade, e il Sabaku era convinto che questo, prima o poi,
ne avrebbe decretato la rovina.
L'amore,
se diretto verso gli altri e non verso se stessi, era un sentimento
controproducente.
-Soldato.-
Mormorò, senza nessuna intonazione particolare, mantenendo
lo
sguardo fisso.
-Che
c'è?-
-Smettila
di toccarmi, se non vuoi che da domani tutti ti soprannominino
"monco".-
Sai
sembrò recepire - non senza un'occhiata piuttosto sorpresa
all'indirizzo di Gaara - e si scostò dal ragazzo,
retrocedendo lungo
la parete fino a raggiungere Shikamaru. Che, avrebbe potuto giurarlo,
sorrideva.
Il
castano, da parte sua, ammirava lo sconsiderato coraggio di Sai.
Nessuno, dacché riusciva a ricordare, era mai riuscito ad
intrattenere una conversazione civile con il fratellino di Temari,
nemmeno lui.
"Non
che mi dispiaccia, per carità..." pensò,
incassando la testa nelle spalle come una tartaruga "...
non credo che Gaara abbia nulla di interessante da raccontare".
***
Zeus
scivolò lungo il corridoio, silenzioso come un'ombra.
Si
bloccò davanti ad una porta ben nota, ascoltando, prima di
bussare,
la corrente fitta e ingarbugliata dei pensieri di chi stava
dall'altra parte. Sospirò, sconsolato e abbastanza
divertito, poi
scosse la testa e avvicinò la mano alla superficie di legno,
esitante.
Gli
occorsero una decina di secondi di accurata preparazione, prima di
riuscire a bussare.
-Che
c'è?-
Tono
scocciato, vagamente imbronciato. Anche senza conoscerne i pensieri,
il biondo avrebbe potuto tranquillamente immaginare l'espressione e
lo stato d'animo della persona che gli aveva appena risposto.
-Sas'ke,
posso entrare?-
Spinse
la maniglia verso il basso, senza attendere la risposta,
guadagnandosi un borbottio irato e un'occhiataccia da parte
dell'Uchiha. Stava steso sul letto, le braccia dietro la nuca e piedi
che penzolavano fuori dal bordo, e si spostò solamente
quando, con
uno spintone, il Prototype si fece posto sul materasso.
-Che
vuoi?- domandò, brusco.
-Io?
Nulla. Soltanto accertarmi del tuo stato d'animo, Sas'ke.-
-Come
se non lo sapessi. Ti basta leggermi nel pensiero per capirlo, no?-
-Hm...
sì. Ma cerco di evitare di pensarla in questo modo, sai?-
-E
perché? E' più comodo, no?-
-Anche
troppo. E' molto indelicato guardare nella testa delle persone senza
il loro permesso, e, alla fine, ti porta a considerare inutile anche
il semplice atto della conversazione.-
-Non
per questo eviti di farlo.-
-No,
infatti. Però, Sas'ke... non ti capita mai di ritenere una
cosa
sbagliata e poi farla comunque?-
L'Uchiha
ripensò al rumore umido delle interiora che si comprimevano
sotto le
suole delle scarpe, e allo scrocchio sonoro delle ossa spezzate...
quello che aveva fatto alla base militare gli era rimasto
perfettamente chiaro nella memoria, eppure non riusciva a legarvi
nessuna sensazione particolare. Solo una freddezza lucida e
impenetrabile, simile, nella sua mente, ad una superficie di vetro
antiproiettile che lo aveva totalmente diviso dal resto del mondo. In
quei momenti, qualsiasi cosa fosse successa, non si sarebbe mai
distolto dall'obiettivo.
-Non
so se si possa parlare di giusto o sbagliato. Tendo a non lanciarmi
in giudizi con tanta semplicità, dobe. E, comunque, il
problema si
risolve con l'equanimità.-
-Ehm...-
-Sei
proprio un dobe...- commentò, quando si accorse che Zeus non
conosceva il significato della parola -"Equanime" è chi
riesce a mantenersi sempre imparziale, di fronte a qualsiasi
situazione. Sinonimo di... indifferente, credo.-
-Non
è un po'... innaturale? Voglio dire, anche gli animali
provano
sentimenti.- Il Prototype era particolarmente interessato
all'argomento. Dopotutto, lui non ne sapeva quasi nulla, a parte le
rare e quanto mai imprecise
lezioni di Deidara, che
spesso e volentieri era troppo impegnato per spiegargli qualcosa di
utile.
-Si
tratta di semplici reazioni neurochimiche. Sostanze che, nel nostro
cervello, causano reazioni a livello quasi casuale.- Tagliò
corto
Sasuke, distogliendo improvvisamente lo sguardo dalla figura
perplessa che gli sedeva vicino.
-Quindi...
anche il fatto di essere più o meno... affezionati
a
qualcuno... è una reazione chimica del tutto casuale?- Il
tono era
chiaramente dispiaciuto.
"Oh,
merda."
Sasuke
cercò un modo per sviare il discorso dalla strada
piuttosto
scomoda che sembrava aver imboccato, ma non ce ne fu modo. Rimase
perfettamente immobile, a fissare il vuoto, chiedendosi
perché, ogni
dannata volta che il dobe apriva bocca e lui, casualmente, captava le
sue parole, finivano per impelagarsi in discussioni spinose.
-S...
suppongo di sì.- esalò, alla fine, contenendo
l'imbarazzo e un vago
senso di colpa.
Si
sarebbe aspettato qualsiasi risposta - ormai, cercare di indovinare
l'opinione del Prototype su un argomento era pressoché
inutile - ma,
invece della voce del biondo, sentì il cigolio delle molle
del
materasso, prima che la superficie del letto sobbalzasse, liberata
dal suo peso. Zeus si alzò, senza dire una parola, e
raggiunse la
porta.
All'ultimo
momento, quando stava per richiudersi il battente alle spalle, Sasuke
lo chiamò.
-Ehi,
Zeus! C'è qualcosa che non...-
-Tutto
a posto, Sas'ke.- Rispose, sollevando lo sguardo e appuntandolo nelle
iridi color pece del moro.
L'Uchiha
non ebbe la forza di replicare, di fronte agli occhi del Prototype.
Per due motivi: innanzitutto perché erano grigi, di una
tinta così
gelida da non potersi fraintendere, e poi perché,
tralasciando il
colore, trasmettevano una stizza che, per la prima volta,
riuscì a
lasciare l'Uchiha senza parole. Sapere di essere l'oggetto della
rabbia di una creatura come Zeus era davvero strano,
rifletté
Sasuke, e non riusciva a comprenderne il motivo.
Se
soltanto avesse guardato un po' più a fondo - anzi, se
soltanto
avesse voluto guardare un po' più a fondo
- si sarebbe
accorto che quello sguardo amareggiato lo feriva più di
quanto non
si aspettasse. E questo perché, molto banalmente, odiava
l'idea che
il Prototype potesse star male a causa sua.
"Questione
di reazioni chimiche, eh? Sono un idiota..."
***
Hinata
non riusciva più a lavorare.
Da
quando era tornata alla Gentek l'avevano reinserita stabilmente nel
suo laboratorio, assicurandole a sua sorella non sarebbe stato fatto
nulla, ma non per questo si sentiva più tranquilla. I piani
alti, in
qualunque ambito, erano sempre nidi di serpi.
Come
se non bastasse, una volta tornata aveva dovuto sopportare la
curiosità molesta dei colleghi e quella - un po'
più difficile da
ignorare - di suo cugino Neji. Era sempre stato molto intelligente, e
aveva capito fin da subito che qualcosa non andava... ma non poteva
raccontargli la verità. Nemmeno lei era una stupida, e
sospettava
che il laboratorio e i suoi alloggi fossero stati riempiti di cimici
per sorvegliarla.
In
tal caso, mettere in pericolo Neji soltanto perché non era
capace di
star zitta era fuori questione.
E
poi, a completare il quadro, c'era un'ansia sottile e meschina, che
non l'abbandonava mai. Il motivo?
Zeus.
Si
rendeva conto di quanto fosse stupida, come logica, ma non riusciva a
smettere di pensare al fatto che quel sorriso, quegli occhi
così
azzurri e quella voce dolce sarebbero scomparsi per sempre... a causa
sua. Aveva fatto la sua scelta, e non poteva dire di essersi pentita,
ma non poteva nemmeno impedire ai sensi di colpa di tormentarla a
qualsiasi ora del giorno, tanto che il suo viso aveva perso
l'abituale freschezza e si era trasformato in una maschera pallida e
stanca.
Lavorava
assiduamente sui campioni che le venivano portati dall'esterno, ma
non le erano più state affidate missioni di ricerca sul
campo. E
aveva come la sensazione che, a lungo andare, il suo ruolo nel team
di scienziati sarebbe diventato via via più marginale, fino
alla
totale nullità.
-Hyuga-san...
tutto bene?-
La
mora sobbalzò, avvertendo un tocco gentile sulla spalla. Poi
fissò
la mano familiare che l'aveva sfiorata, e, infine, la sua
proprietaria.
-C...
certamente, M-Matsuri.-
-L'ho
chiamata un paio di volte, ma non mi ha risposto.- Disse la ragazza,
ravviandosi una ciocca dei capelli castani, lunghi fino al mento.
Negli occhi scuri, Hinata vedeva soltanto gentilezza,
cordialità e
una preoccupazione perfettamente professionale, quale ci si
aspetterebbe da una qualcuno che vede un proprio collega imbambolarsi
a fissare il vuoto per una decina di minuti. In realtà,
anche se non
era molto brava a dimostrarlo, si preoccupava sinceramente per la
salute della Hyuga, l'unica, fra tutti gli scienziati della Gentek,
che non la guardava dall'alto in basso a causa della sua giovane
età.
-Le
porto un caffè, Hyuga-san?-
-N...
non serve, d-davvero. M-mi ero d-distratta un att-timo, tutto qui.-
Poco
convinta, Matsuri incrociò le braccia all'altezza del petto.
C'era
qualcosa in Hinata, in quel suo essere così chiusa e timida,
quasi
pudica verso chi le stava intorno, che la spingeva a
preoccuparsi per lei, a cercare di capirla e aiutarla. Non che fosse
facile, ma la castana era assolutamente convinta che, anche
procedendo per tentativi, si potessero ottenere comunque buoni
risultati.
-C'è
qualcosa che posso fare?-
Hinata
fissò quel viso pallido e ovale, con gli occhi ombreggiati
da lunghe
ciglia nere e la fronte leggermente aggrottata, poi si
soffermò
sulla piega scontenta della bocca sottile. Matsuri aveva capito che
c'era qualcosa che non andava, e doveva cercare di depistarla.
-No,
davvero... ecco, adesso devo esaminare dei campioni, non ho bisogno
d'aiuto.- Rispose, premurandosi di non balbettare. La castana non
sembrava particolarmente convinta, ma di fronte ad un rifiuto tanto
netto ed educato non poteva protestare. Fece un breve inchino, poi
uscì dal laboratorio.
La
Hyuga si permise un lungo sospiro di sollievo, poi si portò
una mano
alla fronte e si stropicciò gli occhi madreperlati, mezzi
chiusi per
la stanchezza. In realtà non doveva svolgere nessun lavoro,
ma,
dopotutto, che male poteva fare una bugia come quella?
Dopo
tutte quelle che l'avevano costretta a dire, non faceva nessuna
differenza.
Si
prese la testa tra le mani, piano, socchiudendo gli occhi e fissando,
senza vederlo, il piano lucido del tavolo d'acciaio. E poi,
prepotente, le arrivò la consapevolezza che doveva
fare qualcosa.
Era
la sua stessa natura a ribellarsi, dopo anni e anni di
remissività e
obbedienza. Finché poteva fare qualcosa, doveva battersi per
coloro
che voleva proteggere, e, sorprendentemente, in quel momento le
sembrava che, più di tutti, fossero Ade e Zeus coloro che
desiderava
aiutare. Sempre se Zeus era ancora vivo, beninteso.
Si
alzò, facendo strusciare la sedia sul pavimento di linoleum,
e
cominciò a camminare in tondo, attorno al tavolo. Cosa
poteva fare?
Qual'era il suo ruolo in quella storia, la parte che soltanto lei era
in grado di recitare?
"Zeus...
lui mi aveva accolta perché gli serviva... ma certo!"
La
ragione per cui il Prototype l'aveva presa con sé era che
aveva
bisogno di qualcuno che trovasse una cura per l'Idra. Ironia della
sorte, Hinata non si era ancora mossa in tal senso, nemmeno alla
Gentek, perché lo scopo del laboratorio non era certamente
quello di
creare un vaccino (anche se, ai civili, era stato detto il
contrario), ma bensì fabbricare armi chimiche che potessero
essere
sfruttate contro gli alveari e i cacciatori.
Tra
l'altro, Hinata aveva appurato che una cura per l'Idra era
pressoché
impossibile: una volta che il virus attaccava i tessuti, li divorava
a tal punto da rendere l'ospite un vero e proprio cadavere ambulante,
mosso solamente dall'Idra contenuta nel sistema nervoso. In altre
parole, se pure ci fosse stato un modo per curare l'infezione,
l'ospite sarebbe comunque morto.
La
capacità di rigenerazione, purtroppo, era comune solo agli
infetti
superiori.
A
meno che... e se per "cura" si fosse inteso semplicemente
il ripristino delle facoltà cerebrali e fisiche degli
infetti? Se
fosse bastato questo?
Hinata
scosse la testa, dubbiosa. Si trattava di una cura che avrebbe potuto
portare più danni che altro, però... tutte quelle
persone, in un
modo o nell'altro, avrebbero riconquistato la loro libertà.
Zeus non
se ne sarebbe fatto nulla, certo, ma tutti gli infetti comuni
sì.
-Matsuri!-
Chiamò, sporgendosi nel piccolo ufficio della collega. La
castana
era impegnata a digitare qualcosa sulla tastiera di un MacBook di
ultima generazione, e, per qualche secondo, non le prestò
attenzione. Poi si volse, sorridendole con dolcezza
-C'è
qualcosa che posso fare per lei, Hyuga-san?-
-S-sì.
Se qualcuno c-chiede di me...- e pensò a suo cugino Neji,
così
soffocante e autoritario -... s-sono nel laboratorio s-sotterraneo.-
-Va
bene. Buon lavoro, Hyuga-san.-
-G-grazie.-
Hinata
uscì dalla stanza con una sensazione strana, avvertendo, non
senza
una certa sorpresa, il moto accelerato del suo cuore. Sul momento
attribuì la cosa a ciò che stava per fare, e non
vi diede molto
peso.
Dopotutto,
per la prima volta da quando era nata stava facendo qualcosa che
contravveniva alle regole, qualcosa che lei aveva
scelto di
fare.
E
questo, anche se a chiunque altro sarebbe sembrato banale, la faceva
sentire viva.
***
Tenten
socchiuse gli occhi, sveglia.
Sbadigliò
vistosamente, tenendosi una mano davanti alla bocca, poi
cercò -
invano - di girarsi su un fianco. Il dolore al costato era troppo
forte, e la flebo, pungendole il braccio, le rendeva difficile
qualsiasi movimento. Certo, il taglio si stava cicatrizzando molto
velocemente (anche troppo, secondo i medici della Gentek), ma le
erano state imposte due settimane di riposo forzato.
E
Rock Lee, instancabile lavoratore, aveva due settimane di ferie
arretrate.
Quindi...
-Capo,
tutto bene?-
-Sì,
Rock Lee.- Sussurrò, corrugando le sopracciglia. Se solo
avesse
avuto a portata di mano uno di quei fucili con proiettili a
tranquillanti... -Che ore sono?-
-Le
dieci e mezza di mattina. Ha dormito bene?-
-Benissimo.
E' successo qualcosa di interessante?- Sebbene fosse bloccata a
letto, nulla poteva impedire a Tenten Ibarashi di documentarsi su
tutto ciò che accadeva alla base. Era una questione...
professionale, ecco.
E,
a guardarla in senso più strettamente pratico, aveva
qualcosa a cui
pensare che non fossero gli orribili occhi a palla di Lee.
-No,
capo.-
In
quel momento, come a contraddirlo, entrò un ragazzo,
trafelato.
Sembrava molto giovane, aveva i capelli castani arruffati e un paio
di occhi nocciola che tradivano un certo imbarazzo.
-Lei
è Tenten Ibarashi, giusto?-
-Sì.-
Aveva come la sensazione che quella visita inaspettata non avrebbe
avuto esito positivo, ma rimase comunque professionale.
-Ecco...
io dovrei comunicarle che... uno dei suoi sottoposti, Kiba Inuzuka,
è
stato coinvolto in... ecco...-
-Parla,
ragazzo.- La castana mantenne la calma, ignorando un'occhiata
perplessa e spaventata di Rock Lee. Tuttavia, anche lei cominciava a
provare una certa inquietudine.
-Pare
che lui e due impiegati del M.C.M.A. siano fuggiti dalla base dopo
aver rubato equipaggiamenti di proprietà statale ed un
elicottero
militare.-
Tenten
lo fissò, spalancando gli occhi, e Rock Lee
lasciò cadere a terra
il fumetto che stava leggendo.
-Co...
come?-
-Mi...
mi dispiace davvero. Ci siamo assicurati che fossero proprio loro,
prima di dirglielo, e la cosa ha richiesto un po' di tempo, ma... non
c'è possibilità di errore. Naturalmente, la
condotta del suo
sottoposto non avrà affatto ripercussioni sulla sua.-
La
castana fissò il vuoto, smettendo di prestare attenzione
alle parole
del commilitone. Possibile che Kiba, fedele all'esercito come un cane
al suo padrone, se ne fosse andato? Kiba, che non aveva paura di
niente, che sapeva sorridere anche quando gli altri tremavano di
paura, che poteva portare a termine qualsiasi missione... perché?
-Tolgo
il disturbo.- Il ragazzo sparì dietro la porta, lasciando,
nella
stanza, un'atmosfera così pesante da potersi tagliare con il
coltello.
-E'
uno scherzo, vero?- Sussurrò Rock Lee, le spesse
sopracciglia
piegate verso l'alto in un'espressione di pura costernazione -Kiba
non...-
-Rock
Lee, per favore... esci. Ho bisogno di un po' di
tranquillità.-
Il
moro stava per ribattere, ma, quando notò l'espressione
della
castana, raccolse in tutta fretta il fumetto caduto e si diede
letteralmente alla fuga.
Quanto
a Tenten, si lasciò cadere sul cuscino, sospirando con aria
sconfitta. Poi, quando venne il momento di inspirare, il suo addome
fu scosso da un singhiozzo. Poi da un altro, e un altro ancora,
finché la ragazza non fu costretta a coprirsi il viso con le
mani
per evitare che qualcuno, sentendola, venisse a controllare cosa le
era capitato.
Il
suo orgoglio ne sarebbe rimasto irrimediabilmente ferito.
"E
questo cos'é, adesso?"
Bella
domanda, peccato che non le venisse in mente nessuna risposta degna
di questo nome.
Nel
frattempo, però, poteva sempre imputare la causa di tutto a
qualche
reazione neurochimica. In fondo era vero, no?
"Non
siamo capaci di controllare i nostri sentimenti, eppure ci
consideriamo diversi dagli animali. Lo trovo buffo".
_Angolo
del Fancazzismo_
Buon
pomeriggio, lettori e lettrici! Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto, e che il ritorno di Hinata non vi abbia causato spiacevoli
disturbi fisici. Suvvia, sono certa che possiate superare anche
questo ù_ù...
Dunque,
oggi sfrutterò questo angolino per farmi un po' di sana
pubblicità
(sì, lo ammetto tranquillamente). Se avete voglia, vi
pregherei di
leggere questa storia:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=637275&i=1
Si
chiama "Heroine", ed è arrivata prima al contest "Verba
Volant, Crack Manet" di Vivvinasme. Dunque, vi chiederete
perché
proprio lei e non una delle altre storie che ho scritto... diciamo
che, anche se all'inizio la odiavo, questa one-shot è,
finora, la
mia preferita tra le mie fanfiction. Se vi piacciono il SuiKiba, le
fic un po' "impegnate" (a volte mi chiedo se sarò mai
capace di scrivere una fluff di 500 parole, è una sfida
personale)
con un finale decisamente poco allegro, fa per voi.
Come
ho già detto, poi, è qualcosa a cui sono
profondamente affezionata:
un po' perché di storie sulla droga nel fandom ce ne sono
molte,
alcune delle quali trattano l'argomento in maniera un po' troppo
leggera; un po' perché Suigetsu è uno di quei
personaggi che di
solito descrivo poco e che, invece, mi piace moltissimo.
Ci
vediamo al prossimo chap!
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 23 *** Brothers ***
22 – Brothers
Itachi piegò le ginocchia, lanciando un’occhiata svogliata all’enorme grattacielo che gli stava di fronte. Era una di quelle costruzioni grandi e dozzinali, perfettamente squadrate, talmente iniqua da non meritare nemmeno un nome. A New York erano molti i grattacieli ad avere un nome, ad essere famosi per l’architetto che li aveva costruiti o per le società multinazionali che ospitavano, ma quello… quello era negletto tra i suoi stessi simili. Era uguale, eppure meno.
“Chissà se anche Sasuke si sente così…” pensò, arricciando poi le labbra nella breve imitazione di un sorriso. Si compiaceva, Itachi, della sua totale libertà intellettuale: Madara gli impediva di parlare e agire secondo i suoi desideri, ma nessuno poteva controllarlo, a livello mentale. E l’Uchiha, la cui natura forte e scaltra aveva sempre prevalso sugli animi modesti di chi gli stava intorno, ne andava immensamente fiero.
Si portò il polso davanti agli occhi, posandovi pigramente le iridi rosse sul’orologio che lo cingeva. Era un piccolo apparecchio di gomma, sportivo e praticamente indistruttibile, che Itachi aveva preferito ai tanti modelli di marca che Madara gli aveva proposto. Tentava di ingraziarselo, il vecchio, senza però rendersi conto che lui, con quegli oggetti vanesi e prodotti in serie, simbolo di una civiltà che lo disgustava, non voleva avere nulla a che fare.
Erano le otto e mezza di mattina.
-Dovrebbero essere già partiti.- constatò, alzandosi, poi fissò di nuovo la costruzione che lo sovrastava. Con un’occhiata veloce al palazzo, stimò una distanza complessiva di 23,426 metri dal punto in cui si trovava lui. Socchiudendo nuovamente le palpebre, poi, calcolò, con un’approssimazione al millimetro, un intervallo di 2,531 metri tra una finestra e l’altra. Era a 126,895 metri dal suolo.
I suoi occhi sapevano essere davvero molto utili.
Si lasciò cadere in avanti, facendo strusciare la parte anteriore delle scarpe sul cornicione, e precipitò nel vuoto con le braccia spalancate, i muscoli quasi totalmente rilassati. Il vento gli sferzava la faccia in maniera quasi piacevole, mentre i capelli e i vestiti gli si sollevavano scompostamente, regalandogli scariche piacevoli di brividi di freddo. Atterrò con un fragore incredibile, conficcando le gambe nell’asfalto di qualche centimetro, e si infilò le mani in tasca, statico.
Se era nel giusto - e solitamente non sbagliava mai una previsione - i militari ci avrebbero messo parecchio tempo a trovare la base. Oppure, con un po’ di fortuna, non l’avrebbero trovata affatto.
Aveva tutto il tempo che gli serviva per fare le cose con calma, e Madara non sarebbe venuto a sapere nulla. Meglio così, nel caso possedesse veramente la cura.
Si incamminò attraverso i vicoli della Grande Mela, ammirando, non senza una punta di derisione, i cassonetti della spazzatura sparsi in ogni dove, mescolati a pile di cadaveri in decomposizione. Gli umani avevano inquinato il pianeta per lungo tempo, raggiungendo e soggiogando le stesse divinità che in passato veneravano, ed era ironico che pagassero il prezzo di tanta arroganza con la stessa degradazione che rifuggivano. Corpi e lattine vuote nella stessa strada, sullo stesso marciapiede.
Il porto era relativamente vicino, e vi arrivò dopo una mezz’oretta. Si tenne ben nascosto dietro gli edifici che lo circondavano, sperando che Zeus non fosse così vicino da percepire i suoi pensieri. Sapeva praticamente tutto del Prototype, lui, ed era solo grazie alle sue conoscenze che era riuscito ad evitarlo per tutto quel tempo. E, infatti, anche quella mattina non era certamente lì per Zeus.
Il suo obiettivo era infinitamente più debole, e, paradossalmente, più difficile da gestire.
“Come posso fare per introdurmi all’interno della loro base senza che mi scoprano? Saranno diventati più vigili, dopo l’ultima volta.” Pensò, considerando con attenzione la spianata perfettamente liscia della piazza del porto. Alla fine, non c’era nulla che potesse fare, per infiltrarsi, se non usare il metodo della volta precedente.
Socchiuse gli occhi, e sentì il corpo farsi sempre più inconsistente, leggero, fino a sciogliersi in un torrente nerastro che si rovesciò sull’asfalto, liberando un vapore nerastro. Ben presto la vista gli si oscurò completamente, e l’unica percezione stabile rimase quella del tatto, diffusa però su una superficie molto più ampia del normale, finché anche quella scomparve. La massa liquida, indisturbata, penetrò nel terreno come se fosse stata assorbita dall’asfalto. Itachi, alle volte, si sorprendeva di come alcuni meccanismi dell’Idra non facessero altro che modificare il corpo umano sul modello di animali già esistenti: esisteva una classe di creature marine, chiamate oloturie, che erano capaci, se attaccate, di liquefare completamente il proprio corpo e rimanere comunque vive. Nel suo caso si trattava solamente di un processo più raffinato, ma le basi rimanevano uguali.
“In fondo, l’uomo non è mai stato capace di creare nulla di nuovo. Tutto ciò che scopriamo, la natura l’ha già fatto.”
Epitelio che si divide in frammenti minuscoli, organi scomposti fino al livello di unicellulari, materia cerebrale che perde ogni capacità cognitiva e viene guidata solo e unicamente tramite l’istinto… Itachi non aveva nozioni di biologia tali da saper dare un nome a quel che era, ma supponeva che, in qualche modo, l’Idra avesse trasformato il suo corpo in una gigantesca colonia di eucarioti, ognuno capace di agire autonomamente ma legato agli altri, forse con dei recettori chimici, in modo da non potersene distaccare mai del tutto. Un ammasso di cellule semovente, ancora misteriosamente umano.
“O forse no… ma, in fondo, non c’è alcuna differenza.”
Quando riacquistò la vista, il campo visivo ancora leggermente sfocato, si ritrovò in una stanza scura e vuota, disadorna. Strano a dirsi, le sue orecchie non percepivano alcun suono, quasi la base fosse vuota, e il pavimento non vibrava, nemmeno impercettibilmente, segno che nessuno stava camminando nel raggio di diversi metri.
-Se ne sono andati?- Sussurrò, avvicinandosi alla porta. Non era chiusa, tuttavia non la spalancò. Immerse il braccio nella parete fino al gomito, e represse un brivido quando lo sentì scomporsi, e attraversare le pareti della base in un lampo. Una volta ritirato l’arto, sogghignò.
Nella base c’erano cinque persone in tutto. Quattro erano rinchiuse in una stanza, cosa che lo faceva pensare a dei prigionieri, mentre la quinta… gli era bastata una percezione sommaria per riconoscerla. D’altra parte, i legami di sangue sono pur sempre indissolubili, no?
***
6.30 a.m.
-Cosa ti fa pensare che io abbia voglia di seguirti, dobe?-
-Be’, meglio così! Non ce la farei an andarmene in giro con un teme deficiente come te alle calcagna!-
-E sarei io il deficiente? Almeno non sono un credulone idiota, no?-
-No, infatti… tu sei solo un… un…-
-Ragazzi, calma… Zeus, io ti avevo mandato qui a chiamare Sasuke, non a fargli una dichiarazione di guerra.- Deidara, appostato sulla porta, alzò gli occhi al cielo. Non sapeva cosa fosse successo tra quei due, ma metterli nella stessa stanza si era rivelata una scelta piuttosto sbagliata. Pessima, a dire il vero.
-Sentite, facciamo così… se Sasuke non può venire, che resti alla base. Pensavo che sarebbe stato Sasori a sorvegliare gli ospiti, ma, effettivamente, dopo l’ultima volta è meglio che sia qualcun altro a farlo. Di’, Ade, ti va bene così?-
-Tsk, fate come volete. Non mi riguarda.-
Il dinamitardo inarcò un sopracciglio, mentre Zeus gli passava accanto, uscendo dalla stanza come in toro imbufalito.
-Fuck off, motherfucker…- lo sentì imprecare, mentre svoltava il corridoio. Anche Sasuke doveva averlo udito, perché sibilò una mezza bestemmia e pestò con forza un piede sul pavimento.
-Ma si può sapere che gli hai detto? Stamattina per poco non mi ha picchiato, quando gli ho chiesto di venire da te per avvisarti della partenza.-
-Io non gli ho detto proprio niente. E’ lui che è un imbecille.-
Deidara arricciò le labbra, indeciso se scoppiare a ridere oppure infilarsi le mani nei capelli di fronte a quelli che, senz’ombra di dubbio, erano autentici capricci infantili, del tipo che un bambino impara ad abbandonare all’età di sette anni. Erano opposti in maniera quasi artistica, Ade e Zeus, ma, prevedibilmente, la loro diversità li avrebbe portati a continue liti… e lui non avrebbe potuto sedarle per sempre.
-Ok, ok, pensala come preferisci. Adesso vado, devo aiutare gli altri a cercare un nuovo rifugio e…-
-Quando pensate di tornare?-
-Dipende. Potremmo trovare un posto adatto tra mezz’ora o addirittura questa sera… dopotutto New York è grande, no?-
-Mi toccherà rimanere da solo con quei parassiti?-
-Sì, e se non ti è di troppo disturbo dovresti anche dar loro da mangiare. Ci sono decisamente più utili vivi, che morti.-
-Prendetevela con calma, mi raccomando. Non c’è bisogno che torniate prima del previsto.-
-Tranquillo, Sasuke…- il biondo ghignò, sistemandosi la frangetta -… faremo in modo di metterci più tempo possibile. Se poi dovessi avere qualche problema, vedi di cavartela da solo.-
-Problemi? Non vedo come potrei avere problemi, sono abbastanza bravo per gestire a situazione.-
***
Kakashi aveva sempre detestato il rumore troppo forte degli elicotteri. Era sempre stato un tipo tranquillo, lui, uno che preferiva starsene sdraiato a leggere sotto un ciliegio piuttosto che bighellonare con i propri amici. Odiava lo scompiglio, la confusione, eppure era un tipo straordinariamente poco categorico, sempre in ritardo, sempre stanco e, apparentemente, annoiato.
-Che fai, sei distratto?-
-Mi dai del distratto solo perché il mio sguardo non è fisso su di te, Anko?-
-Forse…- la donna si sporse verso di lui, il seno prosperoso a malapena nascosto dalla maglietta di microfibra che indossava e che evidenziava, senza lasciare spazio alla fantasia, la muscolatura definita ed elastica dello stomaco. Era bella, Anko, con la sua aggressività tutta felina ed il corpo che emanava un profumo denso e sensuale, ma non così tanto da tentarlo. Kakashi voleva potersi fidare di un eventuale partner, e la sola prospettiva di mettere la propria vita nelle mani di quella donna lo atterriva.
-Cosa vuoi, Anko?-
La soldatessa incrociò le braccia sotto il seno, stizzita, evidentemente offesa dal fatto che l’Hatake non considerasse adeguatamente la sua bellezza. Era una donna seria, certo, non una sciacquetta ossessionata dal proprio aspetto, ma si considerava sufficientemente attraente per circuire qualsiasi uomo. Kakashi, tuttavia, aveva resistito a tutti i suoi assalti.
E dire che, a vederlo, sembrava tanto facile…
-Passando a cose più serie…- disse poi, scoprendosi le braccia con una mossa energica - ... Houston, lì, dice che tra poco atterreremo a Central Park.-
-Central Park? E’ una pessima zona, per cominciare.-
-E perché?-
-Perché è al confine tra una zona infetta e una sana. Rischiamo di trovarci coinvolti in azioni di guerriglia e non ci servono altri problemi per…-
-Rilassati, Hatake. Mi conosci, no? In questa stessa città ho spaccato più teste di te. E, sai, non sarà qualche scaramuccia tra i novellini di New York e gli infetti a spaventarmi.- Esclamò, imbracciando un fucile dall’apparenza massiccia -Guarda questo gioiellino… non vedo l’ora di provarlo.-
-Chissà che meraviglia…-
***
La procedura per accedere al laboratorio sotterraneo era piuttosto complicata.
Innanzitutto bisognava sbrigare una noiosa trafila burocratica, fatta di firme a destra e a manca e autorizzazioni da parte dei superiori. Fortunatamente, grazie ad una tessera che Matsuri era riuscita a farsi prestare da Ino Yamanaka, capo del laboratorio, Hinata riuscì ad accedervi senza i curricolari tempi d’attesa.
Una volta dentro si infilò la tuta speciale anticontaminazione, fatta di una speciale plastica resistente agli agenti corrosivi, e poi stette per circa un quarto d’ora sotto una doccia di acido, che, senza la protezione artificiale, avrebbe ridotto il suo corpo ad un mucchietto di ossa pulite.
Completata quella procedura, attraversò diverse porte a tenuta stagna, dotate di un sistema di ricircolo e filtraggio dell’aria che scongiurava la fuga di eventuali agenti patogeni, ed entrò nel laboratorio vero e proprio.
Era uno stanzone molto grande, dal soffitto basso, completamente immerso in una penombra a malapena rischiarata dalla luce di alcune lampade al neon, appese al soffitto. Per tutto l’ambiente correvano lunghi tavoli d’acciaio, perfettamente puliti, su cui faceva bella mostra di sé un armamentario di microscopi a scansione che avrebbero fatto invidia a qualsiasi società di ricerca; lungo le pareti, costosi e apparentemente inutilizzati, stavano diversi macchinari, tra cui un apparecchio per la centrifugazione dei campioni di DNA e una minuscola cisterna piena di azoto liquido, molto utile per congelare materiali organici instabili.
Tuttavia, l’obiettivo di Hinata era ancora diverso: sulla parete opposta rispetto all’entrata, illuminato da un freddo lucore bianchiccio, c’era un frigorifero con gli sportelli trasparenti, incassato nella parete. Era quasi totalmente vuoto, fatta eccezione per alcune provette appoggiate sul ripiano più in alto.
“Eccole…”
Spalancò il frigo con una mossa incerta, ostacolata dalla tuta ingombrante. Afferrò le provette con entrambe le mani, per evitare che le scivolassero, e le tenne strette, poggiandole poi sul tavolo più vicino.
Rabbrividì. La temperatura nel laboratorio doveva essere piuttosto bassa, avrebbe fatto meglio a portarsi un maglione.
Cercando di ignorare la fastidiosa sensazione dei muscoli che fremevano e si contraevano per il freddo, Hinata si sedette di fronte alle provette, la parte del casco che corrispondeva al mento poggiata sulle mani coperte da uno spesso strato di lattice. E ragionò.
Tutti i suoi colleghi, così come i luminari della scienza che si erano occupati del virus Idra, avevano esaminato la situazione da un punto di vista totalmente sbagliato. La loro ricerca della cura si era basata sul presupposto “se devo curare il soggetto, allora distruggo l’agente patogeno che ha infettato l’organismo”, ma, sull’Idra, un pensiero di questo tipo non poteva che rivelarsi errato. Se è il virus a tenere in vita l’ospite, eliminandolo quest’ultimo muore. Elementare, no?
No, la faccenda andava presa in modo completamente diverso. La domanda da porsi era: “come posso far sì che un organismo, pur rimanendo portatore dell’Idra, riesca a riconquistare le proprie facoltà mentali e fisiche e smetta di essere contagioso? Come posso far sì che il virus si pieghi alla volontà dell’ospite, divenendone un valido alleato?”
La risposta, incredibilmente, l’aveva sempre avuta sotto gli occhi.
Gli infetti superiori, pur essendo pregni fino al midollo di Idra, avevano un perfetto controllo di sé, e, a prima vista, si confondevano completamente con i comuni esseri umani. Certo, non lo erano davvero, ma comunque possedevano un proprio intelletto e una vita libera, a differenza dell’orda di cadaveri che popolava le strade di Manhattan.
L’unico modo per far sì che quelle persone riconquistassero un cervello senziente era farle cadere ancora più in basso. In poche parole, doveva sintetizzare una sostanza che riuscisse a far evolvere il virus fino a livelli incommensurabili, simili a quelli che aveva raggiunto negli organismi di Ade e Zeus.
“Non è impossibile. Esistono dossier che parlano di esperimenti condotti dalla Gentek in tal proposito, e alcuni hanno avuto anche risultati soddisfacenti.”
Soprattutto, quegli scienziati non avevano ciò che possedeva lei. Fece scorrere lo sguardo sul vetro lucido delle provette, piene fino all’orlo di una sostanza rosata, a tratti quasi bianca.
Erano campioni del plasma di Zeus, prelevati prima della sua fuga. Una merce che, da qualche settimana, valeva miliardi di dollari.
-La cura che voglio sviluppare non è quella che mi ha chiesto, e non gli servirà. Non volevo deluderti ancora una volta, Zeus… mi dispiace.-
***
Orochimaru guardò il cielo, corrugando lo sopracciglia. Sopra di lui passò un elicottero, facendo un rumore a dir poco assordante, e lui gli dedicò un’occhiata velenosa, prima di voltarsi e fissare con astio il viso beato di Jiraiya.
-Non mi sembrano le circostanze più adatte per mostrare un’espressione di quel tipo, no?-
-E perché mai, Orochimaru? Se pure avessi il muso lungo quanto il tuo, dubito che la situazione cambierebbe. E poi, non vedo dove sia il problema. Zeus è perfettamente capace di cavarsela da solo, vedrai che non ci toccherà nemmeno combattere.-
-Meglio per te che sia così, rospo… sai, non mi sembri nella tua forma migliore.-
-Non sono nella mia “forma migliore” da diciassette anni, e comunque rimango abbastanza allenato per poter battere un pugno di militari disorganizzati. Sarebbe bello fare un combattimento come ai vecchi tempi, ti ricordi?-
-Purtroppo sì. Siamo ancora alla pari, giusto?-
-Quindici a te e quindici a me. –
-Bene. Quando questa storia sarà finita, sistemeremo anche la questione del pareggio.- Fece Orochimaru, con l’aria di chi parla di un argomento particolarmente deprecabile, balzando su un mucchio di macerie. Si passò una mano tra i lunghi capelli corvini, che scintillarono al sole, poi osservò nuovamente il cielo.
-Andiamo, vecchia serpe! Non dirmi che ti sei fatto improvvisamente romantico!-
-Sto semplicemente controllando, ma non arriva nessuno. Andiamo.-
Orochimaru piegò le ginocchia, poi si portò, con un salto perfettamente calcolato, sul’insegna tridimensionale di un cinema. Da lì cominciò a correre sulla parete verticale del palazzo, ma sempre con quel suo modo di fare freddo, impeccabile ed elegante. Non sprecava movimenti, lui, e nel saltare da un grattacielo all’altro non eccedeva mai né in forza, né in velocità.
Jiraiya, invece, come per contraddirlo, spiccava balzi estremamente elastici e potenti, sfrecciando nel cielo e compiendo ampie parabole nei tratti in cui la strada si faceva più larga. Atterrava in punti improbabili, sollevando vere e proprie nuvole di polvere, ma sembrava non stancarsi mai e, soprattutto, riusciva miracolosamente a non perdere l’equilibrio.
Secondo il parere del moro, però, faceva troppa confusione.
-Quello è l’Empire State Building, giusto?-
-Vivi in questa città da quasi diciassette anni, Jiraiya, e ancor non sai riconoscere l’Empire State Building? Comunque, sì, è quello, e noi ci andremo perché è il miglior punto d’osservazione di tutta la città. Il tuo stupido potere, almeno, servirà a qualcosa.-
Il sole scintillava sulla parete del grattacielo con un lucore quasi doloroso, rendendolo simile ad un gigantesco prisma di cristallo. Era di forma squadrata, con la parte superiore divisa in blocchi regolari e simmetrici, e per Orochimaru e Jiraiya l’arrampicata non presentò nessuna difficoltà particolare. Una volta giunti in cima, i due scelsero un posto comodo per sedersi, girando diverse volte attorno alla massiccia guglia di cemento che costituiva la sommità dell’edificio.
-Allora…- il moro si leccò le labbra, abbracciando il paesaggio con lo sguardo -… vediamo di cosa sei capace, eremita dei rospi.-
-Ancora con questa storia? Sai che odio quel soprannome…- borbottò Jiraiya, contrariato. Poi incrociò le gambe e poggiò i gomiti sulle ginocchia, congiungendo le mani nella cosiddetta posizione del “loto”, con le dita intrecciate e i pollici a contatto. Teneva gli occhi spalancati, apparentemente fissi nel vuoto, e ben presto, sulla pelle increspata per lo sforzo, si disegnarono dei segni rossastri, che gli coprirono le palpebre e parte degli zigomi.
-Cosa vedi?-
-Un po’ di tutto. Vuoi che ti dica cosa sta facendo quel militare laggiù? Uhm, si chiama… Anthony, Anthony McGillan, matricola numero 369153. Ce l’ha scritto su una specie di cartellino, sulla camicia.-
-Non so di cosa tu stia parlando.- Rispose Orochimaru, atarassico –Anche perché, se la tua descrizione si limita a particolari sommari come il nome e il numero di matricola, deve essere ad una distanza tale da risultare invisibile ad occhi che non siano i tuoi. Solitamente noti particolari ben più piccoli.-
-E’ a quattro chilometri di distanza in linea d’aria… sul tetto di quel grattacielo, lo vedi?-
Assottigliando lo sguardo, il moro riuscì a scorgere un minuscolo puntolino scuro, posato sulla sommità di un palazzo. Non sarebbe riuscito nemmeno ad identificarlo come essere umano, mentre Jiraiya era addirittura capace di leggere il numero di matricola... che potere incredibile. Appena diciassette anni addietro, avrebbe vivisezionato volentieri il proprietario di una simile abilità e ne avrebbe carpito il segreto.
Tuttavia, i tempi erano cambiati. E Jiraiya, la sua vittima favorita, si era improvvisamente trasformato nel suo compagno di missione.
Che tristezza.
-Si vedono elicotteri?-
-Sì. Due. Sono entrambi Apache da combattimento. Non riesco a vedere l’equipaggio, perché hanno i portelloni chiusi, ma… ehi! La pilota è una gran gnoc…-
-Finiscila, idiota. Pensi che sia il caso di seguirli?-
-E perché mai? Li vedrò ovunque siano, e, appena daranno segno di voler atterrare, li raggiungeremo. Comunque siamo stati fortunati… decidiamo di farci avanti, e in città arrivano degli elicotteri da combattimento. Di solito ci sono soltanto ricognitori.-
-Tu la chiami fortuna? Non siamo mostri corazzati come Zeus, e non siamo nemmeno veloci tal punto da sfuggire ad un elicottero. Sai che significa, no?-
-Certo!- esclamò Jiraiya, senza mutare la propria posizione –Significa che, finalmente, dopo tutti questi anni di noia avrò l’occasione di sgranchirmi un po’.-
***
La porta cigolò, ruotando sui cardini di qualche millimetro.
Sasuke, in piedi nel salotto da qualche minuto, si voltò di scatto verso l’entrata, poi sospirò. Ormai versava in uno stato di tale agitazione che persino un lieve rumore era capace di farlo sobbalzare, e si rimproverò da solo per la propria stupidità.
“Ci manca solo che cominci a credere ai fantasmi…”
Si avvicinò alla porta per richiuderla, poi posò la mano sulla maniglia e vi esercitò una lieve pressione, cercando al contempo di richiudere il battente. Tuttavia, ad appena un millimetro di distanza dalla cornice, la porta si bloccò.
Era come se qualcuno, dall’altra parte, stesse spingendo nella direzione opposta.
Qualcuno o qualcosa.
Sasuke rimase paralizzato, dando una spintarella supplementare per verificare di non essersi sbagliato. La porta rimase perfettamente immobile.
“Che cavolo…” reprimendo un brivido, l’Uchiha si sporse, circospetto, dal bordo del battente. Nel momento esatto in cui il suo sguardo abbracciò il lato esterno della porta, quella cedette sotto il suo peso e si chiuse di botto, facendolo incespicare. Non era riuscito a vedere nulla.
Non tentò nemmeno di riaprirla, e si appiattì immediatamente contro il legno, guardandosi intorno. Silenzio.
Ora, anche ammettendo l’esistenza dei fantasmi, Sasuke trovava piuttosto improbabile il fatto che ce ne fosse qualcuno lì. Quindi… perché la porta si era bloccata?
-Oh, Sasuke, rimani sempre lo stesso. Ancora a chiederti il perché di eventi inspiegabili?-
Un suono sottile e mellifluo, impercettibile.
Quasi saltò, agitando la testa a destra e a manca, ma continuava a non vedere nessuno. E poi… lo aveva chiamato con il suo nome? Lo conosceva? Che razza di scherzo era, quello?
-C-chi sei!?- Sbottò, la voce più stridula di quanto avrebbe voluto. Dalla stanza stessa che lo circondava, come emergendo dalle pareti, scaturì una risata bassa e vibrante, derisoria. L’Uchiha si schiacciò ancora di più contro la porta, prendendo a respirare velocemente, sempre più velocemente.
“Mantieni la calma, mantieni la calma…”
-E’ normale che tu non mi riconosca. Dimmi, Sasuke, dov’eri prima di venire a New York?-
-Cosa succede se non ti rispondo?-
-Ti conviene farlo, Sasuke. Se sono stato capace di entrare qui dentro senza che tu mi notassi, dovresti capire che sono molto al di sopra delle tue capacità. Adesso rispondi.-
-Ero… in un ospedale. In Nevada.-
-Nevada. Confina con l’Idaho, sai?-
-E questo cosa…-
-Perché eri in ospedale?-
-Ero malato di cancro. Al cervello.-
-E adesso non lo sei più, dico bene? La tua malattia è cambiata, anche se non sei comunque sano.-
-E a te che importa? Si può sapere chi sei?-
-Sono qualcuno che ti conosce meglio di quanto tu non conosca te stesso. Ti ho visto nascere, ti ho tenuto in braccio quando eri ancora piccolo e ti ho portato in salvo quando i nostri genitori sono morti. Non mi sorprende che tu non ti ricordi di me, ma credo sia tempo di finirla. Devi imparare a cavartela da solo, Sasuke… non posso proteggerti a lungo, non con lo schieramento per cui hai scelto di combattere.-
-“Nostri genitori”? No, io non…-
-Ah, che sgarbato… non si intraprende una conversazione prima di presentarsi, dico bene?-
Non gli diede tempo di replicare. In meno di un battito di ciglia, Sasuke vide una specie di vapore nerastro salire dal pavimento al centro della stanza, condensandosi in una massa che, sempre più velocemente, andava assumendo una forma terribilmente tangibile.
-Che…-
-Da quanto tempo, fratellino...-
“Sono i ricordi e le esperienze passate a renderci ciò che siamo. Senza di esse, non saremmo altro che burattini.”
_Angolo del Fancazzismo_
Ebbenesì, ogni tanto riesco ad aggiornare anche io xD... su questo capitolo non ho molto da dire, a parte per quanto concerne il potere di Jiraiya. Forse non c'entra molto con il personaggio, ma, trattandosi di un gran pervertito che spia le ragazze alle terme, supponevo che la "vista lunga" gli potesse essere utile. Detta questa enorme scemenza, vi saluto :D!
See you soon,
Roby
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Capitolo 24 *** Let the Bodies hit the Floor ***
023 – Let the Bodies hit the Floor
Da quando il rosso era diventato un colore tanto orribile?
Forse ce n’era troppo. Ovunque si girasse, ovunque tentasse di rivolgere lo sguardo, la tinta cremisi era onnipresente e densa, tanto da sfasargli completamente il campo visivo. E poi, quella voce non faceva altro che parlare e parlare, sussurrando con voce melliflue parole che non riusciva ad ascoltare.
Caldo.
Sì, faceva caldo. Il sudore gli scorreva sulla pelle, sotto la pelle, negli occhi e nella gola, soffocandolo. O era sangue, quello che gli aveva invaso le vie respiratorie? O semplicemente aria?
Non riusciva a capirlo, non capiva più niente. La confusione era tale che persino il muro, contro cui qualcosa lo schiacciava, violentemente, era diventato totalmente impercettibile.
Galleggiava in un mare di rosso, di fiamme. Qualcosa stava andando a fuoco.
Brucia.
Era il suo corpo? No, quello sembrava ancora tutto intero, anche se la testa pareva quasi sul punto di implodere. Qualcos’altro stava bruciando, avvolto da una cortina di fumo. C’era un odore terribile, di legno e carne carbonizzati, di morte e... infezione? Come faceva a definire “infetto” un odore?
Guarda.
La vista si schiarì all’improvviso, solo quella, e la percezione del mondo che lo circondava fu così violenta da stordirlo. Tra le altre cose... dove diavolo era finito?
Si trovava al centro di una strada, presumibilmente la via centrale di quello che, pur se avvolto da un unico inferno fiammeggiante, doveva essere stato un paesino di campagna. Era notte, e il cielo buio veniva quasi rischiarato dai bagliori del fuoco, disteso verso la volta celeste in vampe che parevano quasi intangibili artigli di demoni. Stava bruciando tutto, tutto, dalle case ai lampioni, ai cassonetti dell’immondizia, alle macchine parcheggiate.
Percepiva l’asfalto sotto le ginocchia, lo sentiva scottare. E nell’aria, prima flebili, poi acute e stridenti, urla di dolore e rabbia, che gli riempivano le orecchie e si annullavano quasi, per quanto lo colpivano, in una nenia terrificante che sapeva di morte.
Tra le braccia stringeva qualcosa, ma non riusciva ad abbassare la testa per vedere cosa fosse. Era come trovarsi dentro il corpo di qualcun altro: poteva vedere e sentire, cogliere gli odori e la consistenza di ciò che toccava, ma, se provava a muoversi, i muscoli non rispondevano ai comandi.
Bloccato, immobile, lo sguardo forzatamente puntato sulla casa di fronte, che bruciava e crollava sotto i suoi occhi impotenti.
«Mamma...» fu la sua bocca a parlare, ma lui non pronunciò alcuna parola. Gli sembrava quasi di essere immerso nella mente di qualcun altro, in un... ricordo.
Bravo, Sasuke.
Quella voce. Risuonava attorno a lui, esattamente come nella stanza della base, ma sembrava infinitamente più lontana, più spenta. E poi, per un’intuizione improvvisa, Sasuke comprese parte della verità.
Sono i tuoi ricordi, questi?
Silenzio, ma senza ombra di esitazione. Sembrava quasi che il suo interlocutore si divertisse a tenerlo sulle spine.
Sì. Riempiti gli occhi con ciò che vedrai, perché in futuro ti sarà più utile di tutta la tua forza.
Poi, così com’era giunta, la voce tacque di nuovo. Si sforzò, Sasuke, di chiamarla, di attirare l’attenzione di quell’interlocutore misterioso, ma non arrivò nessuna risposta, Era snervante restare immobili, dispersi nella carne e nel sangue di qualcuno altro, senza poter distogliere lo sguardo o sbattere autonomamente le ciglia.
Quando, finalmente, l’individuo X si alzò in piedi, e Ade con lui, al ragazzo parve quasi di essersi tolto un peso dal cuore. Poté finalmente percepire chiaramente ciò che stringeva tra le braccia, un involto piuttosto grosso e pesante, di una consistenza morbidissima, e dalla mente del suo ospite gli giunsero gli echi di una preoccupazione intensa e ossessiva, bruciante più del calore delle fiamme. Perché angustiarsi tanto per una palla di stracci?
X cominciò a correre, incespicando malamente sull’asfalto ricoperto di crepe. A ben guardare, sembrava quasi che in quella cittadina, oltre all’incendio, fosse stata combattuta una guerra: sotto le suole di gomma delle scarpe, sottili ed economiche quanto bastava per percepire ogni singola asperità del terreno, Sasuke avvertiva distintamente le masse dure e dolorose dei calcinacci, dei tubi di ferro, nonostante non potesse guardarli. Cadde un paio di volte, sbucciandosi le ginocchia, ed era una sensazione assurda provare sia il proprio dolore che quello, riflesso pallidamente ma pur sempre presente, del suo ospite. Che, tra l’altro, sembrava avere la mente in tumulto. Gli giungevano, in una confusione quasi paradossale, accenti di rabbia e odio, paura e delusione, ansia e amore, tanto che se ne sentiva quasi influenzato, e accelerava i battiti del cuore all’unisono con quelle emozioni violente. Dove stava correndo? Da chi stava scappando?
All’improvviso, udì uno schiocco forte e vibrante, subito seguito da alcuni spari. X, veloce come un saetta, si nascose dietro un cassonetto rovesciato, ansimando a più non posso, il corpo che era tutto un tremito di ansia e terrore. Schiacciato tra l’immondizia, gli occhi spalancati illuminati dal riverbero delle fiamme, la puzza del sangue gli chiuse la gola. Ed era così forte le sensazione di ansia, che gli stritolava lo stomaco in una morsa fredda, che Sasuke si chiese di quali entità fossero i sentimenti del suo ospite, se quelli provati da lui erano, in fondo, semplici echi.
Strinse le braccia sul fagotto, ma senza esagerare: c’erano protezione e affetto, in quel gesto, una certezza quasi matematica che, se lo avessero sorpreso, X sarebbe morto difendendo quella palla di stracci.
Saltò fuori non appena gli inseguitori si furono allontanati, avvolti in tute di neoprene che ne confondevano le sagome scure, rendendoli simili a mostruosi demoni. Sasuke li vide di sfuggita, ma comprese che X, in qualche modo, conosceva quelle figure. E le temeva.
Corse a perdifiato, tra le case, rischiando più di una volta di essere travolto dalle macerie fiammeggianti che si staccavano dagli edifici e precipitavano in strada. La sua mente era tutta proiettata verso l’oscurità materna e sicura della campagna, che si stendeva, immensa e imperturbata, fino a toccare l’orizzonte. Inciampando tra le zolle di erba umida, rischiando più volte di scaraventare a terra il contenuto dell’involto che ancora stringeva, tenace, si accorse all’improvviso della presenza di tre figure più chiare, in piedi nell’erba a qualche centinaio di metri da lui. Le riconobbe, e ne fu felice.
Due uomini e una donna, coperti di ferite e fuliggine ma ancora, miracolosamente, vivi. Uno era alto, con i capelli nerissimi e gli occhi che, sebbene non fosse possibile scorgerne il colore, riflettevano il chiarore dell’incendio come fossero fatti di vetro. L’altro era ancora più possente, e sembrava che i suoi capelli, candidi come la neve, gli scendessero, scomposti in una zazzera disordinata, fino ai fianchi. La donna, appoggiata ad entrambi, aveva capelli biondo grano e una ferita ragguardevole alla gamba, che stillava sangue.
X, non senza un certo stupore, si rese conto che era strano vedere tante cose, da quella distanza. Lui poi era anche miope... com’era possibile che riuscisse a discernere con tanta precisione sagome così lontane? Sasuke, ormai del tutto assoggettato ai pensieri di quella personalità così diversa dalla sua, non poté far altro che starsene in disparte, assimilando tutto ciò che riusciva a percepire.
E poi, prima che X potesse in qualche modo scappare, accadde.
Lo strano trio si voltò, all’unisono, e sembrò quasi scomparire per la velocità con cui era sparito. Un attimo dopo, voltandosi per controllare cosa potesse averli spinti ad un simile gesto, X vide i demoni. Correvano velocemente verso di lui, nere armi tra le braccia corazzate, e fu così grande lo spavento che, per qualche secondo, rimase impalato nell’erba, il cuore impazzito.
Poi, in uno scatto che gli fece dolere tutti i muscoli, strinse al petto l’involto e corse, corse più veloce che poté verso una libertà ormai più sognata che sperata. Nelle gambe e nel cuore, al posto del sangue, acido di batteria.
Spararono, per fermarlo.
E fu lo stesso Sasuke, a gridare, quando il dolore cieco e ustionante del proiettile che perfora la carne lo colpì alla gamba, con tutta la vividezza di una percezione umana, non inquinata dalla completa atarassia provocata dall’Idra. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, all’unisono con il suo ospite, pregando che quell’incubo avesse presto fine. E si sentì afferrare per i capelli, e strattonare, sputando sangue e bava rossiccia e appigliandosi con le mani all’erba e al terreno. Il fagotto di stracci, abbandonato nel prato, si mosse.
Una testa piccola e tonda fece capolino dalle pieghe di tessuto, mentre le sue grida inferocite riempivano l’aria e la sua voce si faceva sempre più roca, prossima a disperdersi del tutto. I suoi occhi si appuntarono su un visetto tondo, bianco e delicato, con due occhi scuri dall’inconfondibile taglio orientale e un ciuffo di capelli corvini sul cranio quasi completamente calvo.
Sasuke, in quell’esatto momento, smise di gridare.
Attonito, smarrito, le orecchie ronzanti e piene delle grida di X, rimase ipnotizzato di fronte a quel neonato, e seppe sin da subito il perché. Come per confermare i suoi pensieri, anche se non aveva affatto bisogno, gli giunse la voce del suo ospite, smorzata dai singhiozzi.
«Sa... su... ke...»
***
«Deidara...»
«Hm?»
«Hai notato quegli elicotteri?»
«Sì... sembrerebbe una nuova, inutile manovra di quegli stupidi blackwatch per catturarci».
Seduti su un palazzo nei dintorni di Central Park, dopo essersi abbondantemente stufati della ricerca, Zeus e Deidara fissarono, non senza una punta di esasperazione, il nuovo elicottero da combattimento che atterrò nella grossa strada che circoscriveva l’area verde.
«Lo distruggiamo?»
«A che pro? Tanto, se non saremo noi a farlo, ci penseranno i cacciatori».
Erano talmente vicini da poter guardare bene in viso coloro che scesero dal mezzo corazzato, le gambe a penzoloni ed un portamento rilassato, che, da solo poteva considerarsi provocatorio.
«Ce ne saranno degli altri?»
«Potrebbe anche essere... in fondo, cosa importa? I militari non ci hanno mai causato problemi».
«Zeus...»
«Che vuoi?»
«Ti prego... tu hai bisogno di recuperare un po’ del tuo smalto, e io non assisto da tempo ad un bello spettacolo. Sai che amo vederti massacrare un po’ di insetti, no?»
«Non è un buon motivo per ucciderli. Non ci hanno nemmeno visti, perché mai dovrei attaccare per primo? Con te che fai il tifo, poi...»
Effettivamente, Zeus non si sarebbe mai sognato di stuzzicare dei militari senza una ragione precisa. Non gli piaceva particolarmente lo scontro e non provava nessuna smania nei confronti del sangue, cosa che invece caratterizzava Deidara, e tra l’altro, in quel frangente, si sentiva ancora troppo indebolito per lanciarsi contro una guarnigione armata senza motivo.
Furono i militari, infatti, a cominciare per primi la battaglia.
***
Kakashi era appena sceso dall’elicottero.
Nonostante la sua mascherina nera fosse, come di consueto, avvolta strettamente attorno a bocca e naso, non riusciva ad attutire un penetrante odore di decomposizione, dolciastro e soffocante, che sembrava far quasi parte dell’aria stessa di quel luogo. Stava per lamentarsi con i commilitoni, giunti proprio in quel momento a salutare l’arrivo dei superiori, quando Anko rivolse un’ampia occhiata all’ambiente circostante e, fissatasi su un punto in particolare, gli afferrò il polso in una stretta ferrea ed urgente.
«Anko, che...»
«Guarda. Il tetto di quel palazzo, a sinistra».
L’uomo, una volta individuato il punto esatto, rimase pietrificato.
Impossibile notare le due figure sul tetto: una in piedi, l’altra tranquillamente seduta sul cornicione. Li stavano fissando, e, vista la distanza relativamente breve, si poteva vedere che uno dei due ghignava compiaciuto al loro indirizzo.
« Non ci posso credere...»
«L’abbiamo trovato». Sibilò Anko, puntando senza esitazione il fucile verso il più basso dei due, un ragazzino dall’aria tranquilla con una zazzera di corti capelli biondi.
«Aspetta, Anko... chi cazzo sono quei due? Nessuno ci aveva detto niente riguardo a...»
«Non l’hai sentito Madara? “Qualsiasi altra cosa doveste trovare, va eliminata”... addesso capisco cosa intendeva. C’è qualcosa che quel vecchio porco non ci ha detto, e scommetto che quel biondino lassù sarà felice di raccontarcelo».
Poi, Anko commise il più grande errore della sua carriera.
Cecchino professionista, era famosa alla base, oltre che per il suo animo spietato, per la sua mira senza paragoni. Non aveva mai sbagliato un tiro, e nemmeno in questo la sua performance di quel giorno fece eccezione.
Se il proiettile non avesse incontrato ostacoli, difatti, avrebbe certamente perforato la spalla di Zeus. Non puntava alla testa, la soldatessa, e certamente non si era aspettata che il suo primo avversario della giornata fosse proprio il Prototype... tuttavia, quando dal braccio destro del “ragazzino” spuntò uno scudo osseo, con una superficie di circa un metro e mezzo, su cui il proiettile si schiantò senza riuscire a perforarlo, persino il proverbiale autocontrollo di Anko vacillò.
Fece un passo indietro, mentre il suo cervello, che ormai lavorava a velocità febbrile, elaborò la situazione in pochissimo tempo. Diede velocemente l’ordine ai soldati di disporsi sulla strada, in formazione di difesa, pronti a qualsiasi tipo di offensiva fosse arrivata da quell’essere, mentre Kakashi, ancora non del tutto preparato alla situazione, ebbe a malapena il tempo di afferrare una mitragliatrice.
Zeus, dopo aver rivolto un cenno stizzito a Deidara – che, da parte sua, gli fece il segno di “ok” congiungendo indice e pollice – si lasciò cadere sulla strada, senza preoccuparsi dell’adunanza di soldati a pochi metri da lui. Nel frattempo, però, l’armatura gli ricoprì l’intero corpo, e, come si aspettava, molti di coloro che gli puntavano un’arma contro contrassero il viso in smorfie orripilate.
Non appena fu a distanza di tiro (dieci, forse dodici metri dalla prima fila di militari), venne dato il segnale di fuoco.
Sospirò, lievemente deluso, mentre quella muraglia di piombo si abbatteva, senza produrre alcun effetto, sulla sua corazza.
Kakashi, qualche metro più in là, sgranò gli occhi a quella vista. I proiettili scivolavano con stridore metallico sull’armatura, sprigionando scintille, ma non lasciavano il minimo segno su quella superficie liscia e globosa, cosparsa di creste appuntite. Era come combattere contro un mostro mitologico, un leone Nemeo la cui pelliccia non poteva essere scalfita da nessun tipo di arma.
Con l’unica differenza che, però, quel mostro non sembrava un avversario che potesse essere battuto a mani nude. E di eroi greci, tra le loro fila, non ce n’erano.
«Ho come la sensazione che abbiamo trovato l’obiettivo principale della missione, Anko».
«Secondo te quello è Zeus?»
«Sì. Nei dossier sii parlava dell’armatura... certo che, finché non le vedi, certe cose non riesci ad immaginarle fedeli alla realtà».
Il loro discorso fu improvvisamente interrotto da uno schiocco, immediatamente seguito da un sibilo così forte e acuto da far male ai timpani. Con il braccio mutato in frusta, implacabile, Zeus falciò due file di militari, che volarono in aria e si sparpagliarono poi sull’asfalto. Molti di loro, al momento di ricadere a terra, non erano più interi.
Ci volle maledettamente poco perché il sangue rendesse la strada scivolosa, e ancora di meno perché i soldati cominciassero ad arretrare, incalzati da quell’essere che sembrava quasi incarnare un castigo divino. Infuriato, la mente svuotata da ogni pensiero, Zeus avanzava, senza minimamente curarsi del movimento della frusta e delle gocce di sangue che, ad intervalli quasi regolari, andavano a depositarsi sulla sua pelle.
Era arrabbiato con Sasuke, con Deidara, con quei militari, con sé stesso, con la Madre. E tutto il suo dolore, la sua frustrazione, le sfogava facendo ciò per cui il suo corpo era progettato. Uccidere.
Eppure, ben presto anche la parte più animale del suo essere si stancò di quel gioco niente affatto catartico, ma ozioso e ripetitivo. Si portò entrambe le mani alla testa, piegandosi leggermente sulle ginocchia, e gli sembrò quasi che il cranio stesse per esplodere dal dolore; concentrandosi solo ed unicamente su quella sensazione e sulla rabbia ceca che gli aveva avvolto la mente, il Prototype scatenò completamente la propria forza.
Forse fu un presentimento, o forse un semplice istinto animale, fatto sta che Kakashi comprese in tempo che stava per succedere qualcosa di veramente terribile. Afferrò Anko per un braccio, poi si lanciò oltre il muretto che delimitava il parco, scivolando per qualche metro su una sorta di piccolo pendio coperto di sassi. L’ultima cosa che vide, prima di cadere, fu un brulichio di viticci che ribollivano attorno al corpo del Prototype, poi più niente.
L’aria si cristallizzò, un istante prima del boato.
Poi esplose, frantumandosi in mille pezzi, entrando come una pioggia di schegge nella gola di Kakashi. Il soldato strinse a sé Anko, che tentava in tutti i modi di divincolarsi, e fissò con espressione atterrita gli enormi tentacoli scarlatti che, diramatisi da un unico punto, si erano protesi per tutta la strada, impalando senza pietà quanti non erano riusciti a fuggire. Si conficcavano nelle vittime con precisione anatomica, scaraventandole poi in aria e ondeggiando, come grotteschi anemoni mossi da una corrente marina. Erano più di cento, e Kakashi si rese conto, incredulo, che era stato Zeus a produrre quelle mostruosità.
“Contro cosa stiamo combattendo?”
Quella domanda gli rimbombò nella testa, ancora e ancora. Finalmente capiva il racconto del soldato Inuzuka, finalmente riusciva a comprendere quale poteva essere stato l’orrore profondo che l’aveva colto alla vista di creature come quella. Zeus era infinitamente più potente di qualsiasi altro infetto, questo sì, ma la sua natura, sostanzialmente, era identica. Non era come condurre una qualsiasi guerra, combattere contro altri soldati con pensieri umani e tentare di prevedere le loro mosse... come si poteva pretendere di battere un nemico senza capirlo? E come si poteva pretendere di comprendere una natura che era tutto, tranne che umana?
«Soldati!» La voce di Zeus, niente più che un sussurro orribilmente alterato dall’armatura, rimbombò come per magia in tutto l’ambiente circostante. A Kakashi sembrò quasi che quelle sillabe si ripercuotessero nella sua testa, più che nei timpani.
«So che siete lì, vi sento. Sento il vostro respiro» l’uomo si sentì afferrare le viscere da una morsa gelida, di terrore, come non gli era mai capitato in tutta la sua carriera «non voglio uccidervi, quindi calmatevi. Soltanto, vorrei che sapeste una cosa: non cercate di combattermi, se questo è il massimo che sapete fare. Se siete qui soltanto perché una boriosa autorità superiore vi ha ordinato di farlo, vi darò la possibilità di tornare a casa senza che nessuno lo sappia. Ma, se il vostro obiettivo è uccidermi, sbagliereste a pensare di potermi battere con mezzi così ridicoli. Io sono Zeus».
“Io sono Zeus”. Era curioso, rifletté Kakashi, che una simile affermazione semplicistica racchiudesse in sé un messaggio ben preciso. Il Prototype li stava avvisando, in maniera velata e quasi cortese, che avrebbe lottato per sé, non per uccidere.
Che logica strana, per un pluriomicida.
Seguì un rumore di passi, e Zeus attraversò tutta la strada, allontanandosi con la calma soddisfatta del leone che, unico dominatore nel suo territorio, sa di non doversi preoccupare che qualcuno lo attacchi. Nel momento in cui passò sopra il punto in cui si trovava lui, Kakashi ebbe il tempo di dedicargli un’occhiata. Rimase pietrificato da quello che vide, e con lui Anko.
«Mio Dio...» sussurrò, sinceramente sconvolto «... è un demone, oppure...»
«Sciocchezze! Ecco come siete fatti, voi uomini: non appena trovate qualcosa che vi supera, subito lo credete superiore all’umanità intera pur di non ammettere che siete inferiori. Dio o demone, lo uccideremo... non esiste l’immortalità».
***
«Zeus, tutto a posto?»
«Torniamo alla base».
«Eh!?»
«Questa cosa mi ha messo di pessimo umore. Ho voglia di dormire un po’».
«Zeus...»
Deidara lo afferrò per una spalla, evitando sapientemente di tagliarsi con le creste, e lo fece voltare.
«Togliti questa cosa. La odio, se non posso vedere la tua faccia».
L’armatura si dissolse, obbediente, e il dinamitardo poté appuntare i propri occhi in quelli, velati di tristezza, del Prototype.
«Sono stanco di tutto questo. Quand’è che l’inferno troverà una conclusione?»
«Devi abituarti all’idea che potrebbe non trovarla mai. Il mondo non va come vogliamo noi, anche se ci impegniamo al massimo per cambiarlo... forse è meglio tornare sul serio alla base, gli altri troveranno comunque un posto. Ehi, Zeus?»
«Che c’è...»
«Comunque... ci sono io, c’è Sasuke. Ci siamo noi. Non combattere le tue guerre da solo».
***
Sasuke rimase immobile, strizzando gli occhi fino a sentir pizzicare le palpebre.
Il muro era ricomparso, come per magia. Lo sentiva, dietro la schiena e sotto i polpastrelli.
E aveva paura. Paura di interrompere il buio totale della cecità, paura di scoprire cosa si celava oltre l’universo ovattato dell’assenza di luce. Si sarebbe tappato volentieri le orecchie, ma la sola prospettiva di muoversi lo atterriva a tal punto che rimase immobile, schiacciato contro la parete. Ma, come i bambini non diventano invisibili solamente coprendosi il viso, così lui si rendeva ancora più vulnerabile, comportandosi in quel modo.
Avvertì un tocco leggero, prima sugli zigomi e poi sulle labbra.
Dita. Dita gelate che perlustravano il suo viso quasi volessero ricalcarne ogni particolare.
«Apri gli occhi, Sasuke».
Obbedì.
Socchiuse leggermente le palpebre, ancora troppo scosso per proferire parola, finché non gli si materializzò di fronte l’immagine di un viso, che, purtroppo, aveva la sensazione di aver già visto da qualche altra parte. Riflesso in un paio di iridi rosse che sembravano quelle del più malvagio dei demoni, ebbe tutto il tempo di esplorare il volto dello sconosciuto.
Gli somigliava terribilmente: avevano gli stessi capelli neri e setosi e lo stesso taglio signorile degli occhi, ma l’estraneo possedeva tratti meno marcati e due rughe profonde che gli segnavano zigomi e guance, invecchiandone notevolmente l’aspetto. Nonostante ciò, era di una bellezza incontestabile, pura.
«Mi sei mancato molto, otouto...» sussurrò, suadente, lasciando scorrere il palmo della mano sul suo viso. Solo in quel momento il più piccolo si rese conto delle lacrime che gli bagnavano le guance, sgorgando dai suoi occhi spalancati.
«Chi...»
«Shh... non parlare. Non capiresti, otouto, se rispondessi con serietà alla domanda che vuoi pormi. I tuoi ricordi, tutte quelle proiezioni sul tumore e l’ospedale... conservale, ma non prestarvi fede. Fanno parte di te, dopotutto».
«No...» sibilò, atterrito «... no. Non è vero, tutto questo non è vero...»
«Zitto, Sasuke». Di fronte alla voce strozzata di Ade, anche il tono di Itachi si era sensibilmente inasprito, pur mantenendo la sua cadenza flautata «Adesso ascoltami con molta attenzione. Quello che sto per farti non è, come potresti pensare, un atto di malvagità... è per te, Sasuke, solo per te. Per evitare che Madara riesca di nuovo a farti del male, otouto... comunque vadano le cose, nel futuro che ho predisposto tu sarai salvo».
La mano scese, dapprima delicata, per poi serrarsi in una morsa ferrea attorno alla gola di Ade.
La trachea compressa da quelle dita fredde e implacabili, il ragazzo tentò debolmente di liberarsi, senza alcun risultato. A poco a poco, stava tornando reattivo.
«Fermo. Farà più male, se ti muovi».
Sasuke comprese cosa voleva fargli nel momento in cui l’indice e il medio di Itachi, piegati leggermente, fluttuarono di fronte al suo occhio sinistro. Il terrore che lo assalì fu così cieco da spingerlo a dibattersi come un forsennato, sferrando calci che, pur colpendo il più grande, non sembravano fargli alcun male.
L’ultima cosa che vide, prima che il dolore diventasse troppo forte per poter articolare pensieri logici, fu l’espressione fosca e vagamente dispiaciuta sul viso di quello che – ormai ne era certo – non poteva essere altri che il suo fratello maggiore.
***
«Ohi, Deidara... ci ho ripensato. Ti dispiace precedermi, per favore?»
«E perché, scusa? All’improvviso ti è venuta voglia di fare una passeggiata?»
«No, è che mi sento stanco e devo nutrirmi. Sai che non mi piace farlo quando gli altri guardano».
«Uh, ok. Ti aspetto alla base, allora».
«Non dovrai annoiarti per più di mezz’ora... e preparami un bagno caldo, se puoi!»
«Ehi, non sono mica il tuo schiavo personale!»
“C’è chi dice che il battito d’ali di una farfalla possa causare un uragano dall’altra parte del mondo. A volte ho quasi paura che sia vero”.
_Angolo dell'Autrice_
Vi avverto che non amo i sassi e nemmeno le cose appiccicose. Quindi, se dovete uccidermi, preferirei metodi che non includano la lapidazione e l'olio bollente.
A parte gli scherzi... potrei tentare in mille modi di giustificare la mia assenza prolungata dal fandom (a proposito, se ci riesco stasera posto anche l'epilogo di Jump, che mi ero prefissata di pubblicare insieme al capitolo 24 di Prototype), ma penso che dirvi la pura e semplice verità sia più corretto nei vostri confronti: il manga, vista la piega che ha preso, non mi sta piacendo. E' come se stesse perdendo completamente lo spirito di Naruto e... non so, mi delude. Tra parentesi, io sono una di quelle che segue i capitoli in inglese.
Comunque, mi sono fatta forza e, per amor vostro (non voglio abbandonarvi, visto l'ampio seguito che mi avete concesso e di cui vi sarò per sempre grata) ho scritto il difficilissimo - per me - capitolo 24.
Che dire... ho paura di aver infilato troppe cose tutte insieme e di non averle ben gestite, ma credetemi se vi dico che mi sono impegnata al massimo per contrastare il calo d'ispirazione galoppante.
Concludo dicendo che ve vojo bbene e che ci rivedremo al prossimo capitolo.
A Dio piacendo, presto.
See you soon,
Roby
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Capitolo 25 *** Dream On ***
024 – Dream On
Deidara si calò nella botola.
Nella base, come di consueto, regnava un silenzio tranquillo e accogliente, quasi corroborante rispetto all'atmosfera apocalittica di New York. Sospirò, stiracchiandosi brevemente e pianificando quanto avrebbe fatto nelle ore seguenti: innanzitutto doveva controllare che i prigionieri stessero bene (cosa di cui dubitava, visto lo scarso senso di responsabilità che Sasuke gli aveva più volte dimostrato), poi analizzare i campioni di sangue di Gaara - che, per mancanza di tempo, non aveva ancora toccato - e infine godersi il meritato riposo di una giornata insolitamente tranquilla.
Stava già riflettendo su quale film avrebbe potuto guardare (in ballottaggio c’erano Alexander, Il Signore degli Anelli ed un disimpegnato Final Destination), quando alle sue orecchie giunse un rumore inconsueto.
Un gemito fioco, quasi inudibile. Fece qualche passo in avanti, lungo il corridoio, e lo sentì ancora, stavolta più forte; sembrava quasi il pianto di un cane, o comunque di un animale indifeso che viene picchiato e, incapace di liberarsi, piagnucola per chiamare aiuto.
Rabbrividendo, si appiattì contro la parete a destra del corridoio, strisciando silenziosamente verso la porta da cui proveniva il rumore. Apparentemente, chiunque stesse emettendo quei suoni si trovava nel salotto; ad un verso più acuto e particolarmente prolungato, poi, a Deidara parve di riconoscere la voce di Sasuke. Impallidì, la testa invasa da un turbinio di domande una meno rassicurante dell’altra, e allungò una mano. La maniglia, a pochi centimetri dalle sue dita, sembrò quasi emettere un bagliore derisorio.
Era assai poco saggio spalancare la porta e gettarsi allo sbaraglio in quel modo, ma non vedeva cos’altro potesse fare. Aveva lasciato Sasuke da solo, e quei rumori non gli piacevano per niente; se fosse scappato senza sincerarsi della gravità della situazione, la responsabilità di quanto successo gli sarebbe ricaduta interamente sulle spalle. E il Prototype non l’avrebbe perdonato, non se Ade ci fosse andato di mezzo.
Aprì la porta con un gesto deciso, gettandosi nella stanza con un movimento fluido e velocissimo.
Era pronto a qualsiasi cosa, ma lo spettacolo che gli si presentò davanti gli gelò comunque il sangue nelle vene.
Il pavimento era rosso di sangue.
Si stendeva come una pozza fluida e compatta a partire da quello che sembrava un fagotto gettato malamente per terra, per poi sfrangiarsi in bordi cancellati e allargati da numerose impronte di scarpe. Fu quando il fagotto emise un gemito che Deidara riconobbe Sasuke.
Sul momento non riuscì a capire cosa gli fosse successo; stava per terra, accasciato contro il muro, le mani premute sul viso e tutta la parte anteriore del corpo lorda di sangue, a tal punto che Deidara stentò a credere che si trattasse solamente del suo. Emise un gemito fioco, accartocciandosi quasi, e il dinamitardo gli si avvicinò con un'esitazione che affondava le sue radici in una paura indistinta, priva di classificazioni, che sembrava quasi volerlo congelare. Mentre protendeva una mano a toccare la spalla del più piccolo, i suoi pensieri variavano dal terrore pressante e immediato di cosa poteva aver ridotto in quel modo Ade ad un'inquietudine più remota, che riguardava principalmente Zeus. Sperò di scamparla, di potergli spiegare con calma che non era colpa sua, ma aveva come la netta sensazione che la rabbia del Prototype non si sarebbe fermata di fronte ad un paio di pessime scuse. Sempre che l'aggressore di Sasuke non fosse ancora in giro.
Come per rispondere a quest'ultimo pensiero, proprio quando si trovava con le dita a pochi millimetri da Ade, una voce cupa e strascicata gli rimbombò nelle orecchie.
«Non toccarlo».
Naturalmente la riconobbe. Difficilmente avrebbe potuto dimenticare quel timbro, che ancora popolava molti dei suoi sogni peggiori; nondimeno, fu con una certa sorpresa che si staccò da Sasuke, quasi non fosse possibile ribellarsi al comando garbato che gli era stato imposto.
«Itachi Uchiha,» sibilò, voltandosi di scatto «e così, ti andava di rivedere il tuo fratellino? Hai uno strano modo di dimostrare affetto».
Sasuke emise un gemito, rannicchiandosi ancora di più. Deidara contrasse il viso in una smorfia pietosa, prima di voltarsi verso l'intruso; era esattamente come lo ricordava: un po' più reale, quasi la vicinanza gli infondesse concretezza, eppure fu questa l'impressione che ne ricavò. E quegli occhi completamente neri, puntati nei suoi con strafottenza e allegria insieme, gli trasmisero un sentimento malsano, di gioia sadica.
Forse fu in quel momento che lo comprese davvero, per la prima volta, e lo disprezzò. Totalmente, come si odia un'opera d'arte brutta o insignificante, Deidara disprezzò Itachi Uchiha perché, nonostante avesse fatto qualcosa di così raffinato - lui stesso ben conosceva il piacere malsano del ferire qualcuno con cui si ha un legame di sangue - manteneva un portamento pacato, scialbo. Era tranquillità quella che ostentava, e il dinamitardo l'interpretò come la pacata vanità di qualcuno che compie un gesto straordinario e si ritiene troppo superiore per gioirne davvero.
Era forse il germe della competizione, quello che gli stava bruciando il cervello?
«Perché?» Come se non fosse ovvio. Odio, e malattia, e rabbia, e pazzia... c'erano mille e più motivi per cui una persona come quella avrebbe potuto seviziare Sasuke.
«Non ti riguarda,» rispose, lasciando che un sorriso appena accennato prendesse forma sul suo viso «ma non puoi toccarlo. Non te lo permetto. E non gli piacerebbe sentire le mani di qualcuno su di sé, dopo quello che gli ho fatto».
Deidara strinse i pugni, ma non si mosse. Attendeva che Itachi facesse la prima mossa.
«Non mi riguarda? Parla, bastardo, se non vuoi crepare!» Ringhiò, sgranando gli occhi azzurri. Non sapeva perché, ma la sola presenza di quell'Itachi Uchiha bastava a fargli montare un'irritazione bruciante, senza precedenti. Un po' perché dopo quella volta della visione si sentiva abbastanza umiliato, un po' perché era come se quel tipo lo offendesse con ogni parola e ogni movenza.
«"Crepare"? Sei rozzo, rozzo e sciocco come tutti quelli della tua specie. Non credere che non sappia chi sei... comunque, non puoi battermi. Speri forse che le tue capacità ti bastino per uccidermi, io che sono uno dei primi? Sarebbe come se tentassi di vincere Zeus, o la Madre».
Fremette, Deidara, prestando ascolto al proprio orgoglio che, forse per qualche suggestione bizzarra, gli sussurrava parole dolci come il miele e velenose come il cianuro. Eppure, sebbene la sua parte più aggressiva gli intimasse di attaccare, di fare a pezzi quell’Itachi Uchiha senza pensarci due volte, quella più strettamente istintuale lo avvertiva, silenziosamente, che quella creatura cupa a pochi centimetri da lui non era da sottovalutare. Si paragonava a Zeus con una semplicità che aveva dell’incredibile, ma le sue non sembravano menzogne; e Deidara aveva compreso da tempo che i poteri dell’Uchiha erano oscuri e terribili, di un genere completamente diverso da quelli degli altri infetti.
Tuttavia, non poteva tollerare di essere insultato in quel modo.
«Ritira quello che hai detto,» ringhiò, aspro «e forse renderò la tua morte meno dolorosa».
«La verità è spesso più amara di una tazza colma di veleno». Interloquì Itachi, neanche stesse conversando di letteratura classica con un amante del genere «E la vanità umana è spesso più nociva di una pianta infestante. Nessuno ti ha mai fatto notare quanto tu sia iniquo?»
Deidara non rispose, troppo arrabbiato per parlare.
Si sfilò i guanti nell’intervallo intercorso tra la penultima e l’ultima sillaba del discorso di Itachi, gettandoli da una parte. E poi, veloce come una saetta, si lanciò verso la sagoma scura, con le braccia protese nel tentativo di affondare le zanne nel suo collo. L’Uchiha lo evitò facilmente, scartando di lato con un movimento fluido e aggraziato, poi lo colpì sulla nuca con il palmo della mano; quel colpo, di norma niente più che uno schiaffetto, era colmo di una forza tale che, incapace di fermarsi, il dinamitardo finì contro il divano, rovesciandolo. Si rialzò in una frazione di secondo, scattando nuovamente verso Itachi; stavolta, però, riuscì a colpire l’Uchiha con un calcio poderoso, che lo fece cozzare brutalmente contro un muro. Subito dopo, muovendosi quasi carponi, Deidara si portò strisciando davanti al nemico e poi, con un unico balzo fluido, gli assestò un pugno fortissimo sulla mascella.
Itachi cadde a terra con una mezza giravolta, per poi mettersi in ginocchio e asciugarsi, con un movimento beffardo della mano, il rivolo di sangue che gli scorreva a lato delle labbra. Non sembrava nemmeno stordito per i colpi ricevuti, e Deidara, ormai completamente perso nel proprio orgasmo di furia, non prestò attenzione ad un particolare tanto evidente.
C'era in lui la gioia del vincitore che ha avuto ragione di un nemico particolarmente odiato, quel piacere intenso e sadico che si prova una volta smontata ogni resistenza e ridotto l'avversario ad un essere inerme, debole. Ed era così accecato dalla rabbia che non vide la luce letale negli occhi di Itachi, e tantomeno seppe interpretare l'espressione serafica che gli distendeva il volto in una maschera inespressiva.
In quello che, per lui, era il colpo finale, stese il braccio destro contro il petto dell'Uchiha, il palmo aperto e le zanne protese.
Itachi fu colpito, ma non fece nulla per evitarlo; in caso contrario, i suoi occhi gli avrebbero permesso di schivare con molta facilità quello che, pure, era un attacco estremamente veloce.
La mano di Deidara affondò fino al polso nella carne improvvisamente cedevole, quasi stesse fendendo della nebbia. Si fermò per un attimo, osservando con gli occhi sgranati quel fenomeno inspiegabile, ma pensò per un secondo di troppo: quando cercò di tirarsi indietro, una scintilla di comprendonio che andava infiammandosi nella sua mente, il braccio era stretto in una morsa così stretta e salda, compresso da ogni lato, che gli fu impossibile sottrarsi. Percepiva distintamente un pulsare violento, tutt'intorno alla pelle, quasi il cuore (che, più o meno, doveva trovarsi nel punto in cui la sua mano si era infilata), si fosse scomposto in un'area inconcepibilmente grande e battesse in tutto il petto, forte e sonoro.
Itachi lo afferrò per il collo, sbattendolo contro la parete più vicina neanche fosse un fuscello. Deidara rabbrividì, ma non tentò nemmeno di divincolarsi: come poteva, in quella situazione? Ringhiò di rabbia, impotente, avendo ormai compreso quanto l'avversario fosse al di sopra delle sue capacità, e sibilò una bestemmia soffocata, che ebbe come unico effetto quello di far sorridere l'Uchiha.
«Come... puoi...» rantolò, afferrando il braccio di Itachi con la mano libera e cercando inutilmente di scansarlo. Aveva una forza spaventosa, e, come se fino a quel momento non l'avesse affatto manifestata, Deidara la sentiva scorrere nelle sue vene insieme al sangue, sotto le dita; la sua pelle, d'aspetto freddo ed eburneo, bruciava invece come se avesse la febbre.
«Non c'é ragione per cui te lo spieghi. Se il nostro fosse stato un combattimento degno di questo nome non ti avrei negato quest'informazione, prima di ucciderti,» era curioso come si attenesse alla regola del concedere un'ultima richiesta ad un condannato a morte, lui che sembrava l'incarnazione del menefreghismo «ma mi hai sottovalutato, e l'ignoranza è il prezzo che pagherai per la tua stupidità. Anzi... se non mi avessi attaccato, non ci sarebbe stato bisogno di arrivare a questo. Non lascio mai che una sfida cada nel vuoto».
L'attimo successivo, per Deidara, si condensò in un'esplosione di dolore infuocato, lancinante, che gli avvolse la mano destra e la consumò con una lentezza estenuante; percepì che si dissolveva, come scoppiettando in mille bolle di sapone incandescenti, e si perdeva gradualmente nel corpo di Itachi, seguita a poco a poco dal resto del braccio. Come per un'attrazione subitanea ed incontrastabile, il suo corpo prese a scivolare verso quello dell'Uchiha: ovunque lo toccasse, veniva avvolto dallo stesso dolore. Lo stava assorbendo, e Deidara fu certo che quel processo così lento fosse intenzionale: voleva farlo soffrire e torturarlo prima che la sua coscienza evaporasse, fagocitata da quell'essere che nemmeno lui faticava a definire mostruoso.
Gridò, e gridò, e gridò finché la gola non gli bruciò più del braccio, più del cuore che batteva come impazzito, imperandogli di liberarsi in qualche modo e scappare via, perché - fanculo all'orgoglio, fanculo persino a Zeus - lui voleva vivere. La morte era così poco artistica, così priva di luce e colori, e lui già la sentiva, fredda e gelida e dannatamente spenta, inerpicarglisi rapidamente su per lo stomaco.
«Sei solo un... mostro...» esalò, riuscendo, nonostante gli costasse un grandissimo sforzo, a mettere persino su un’espressione ghignante e beffarda «... e Zeus ti ucciderà... non ti basterà... la forza».
Itachi non sembrò gradire quell’uscita. Assottigliò lo sguardo e strinse la presa, impedendo che Deidara potesse emettere un minimo suono, soffocandolo quasi.
Poi fu il suo turno di parlare.
«Sai... avevo già intenzione di lasciare un souvenir ai tuoi amici, per quando fossero tornati...» sussurrò, cucchiaiate di miele che scivolavano via dalle sue labbra rosee. Deidara ebbe uno spasmo, e percepì distintamente gli occhi che, come spinti da una pressione in costante aumento, sembravano volergli schizzare via dalle orbite.
E tuttavia, Itachi Uchiha non aveva ancora finito.
«... che ne dici della testa?»
***
Aveva fatto esplodere i suoi genitori nel giorno del suo compleanno.
Il cinque maggio in Giappone si festeggiava la Kodomo no Hi, o Festa dei Bambini che dir si voglia. Era una di quelle orribili ricorrenze tradizionali in cui i vecchi sembravano dar sfogo a tutta la loro noiosa pedanteria e branchi di rozzi ragazzini urlanti invadevano le strade e torturavano i suoi poveri timpani con le loro insopportabili urla sgraziate.
Fortunatamente, Deidara era uno di quei fortunati giapponesi, pochi ma buoni, che avevano preferito mollare la vecchia barca che affonda e trasferirsi in un paese meno bigotto e classista, più ricco di prospettive e pronto ad offrire un lavoro degno di questo nome anche agli artisti.
E lui l’avrebbe passata anche bene quella giornata, mangiando cheesecake e stendendosi sul divano con il suo ragazzo a guardare Il Signore degli Anelli (scusa pretestuosa, quella, per dedicarsi a qualche sana scopata con la battaglia del Fosso di Helm sullo sfondo), peccato per il particolare stonato.
Già, quel particolare stonato.
Come un vistoso paio di baffi scarabocchiati sulla Monna Lisa, un brufolo sulla faccia di Jared Leto, una nota stonata nella perfetta esecuzione live dell’assolo di Blackened dei Metallica.
Come una madre scassacazzi che rompe le palle al suo unico figlio gay per convincerlo a tornare a casa nel giorno del suo compleanno.
Il che era vagamente insensato, visto che i genitori di Deidara l’avevano praticamente diseredato, dopo il coming out. Suo padre, in particolare, dopo avergli tirato un pugno che aveva rovinato per giorni il suo viso con un brutto livido violaceo, gli aveva gridato contro di andarsene per sempre, lui e il suo ragazzo rottinculo, in una patetica pantomima che, a posteriori, il ragazzo aveva finito per giudicare noiosa.
Deidara era appunto intento ad acquistare il cofanetto in versione estesa con tutti e tre i film de “Il Signore degli Anelli” (settantotto dollari spessi benissimo, a sentire lui), ordinato due settimane prima alla videoteca più fornita della piccola città in cui viveva, quando il suo cellulare vibrò nella tasca dei pantaloni. Era un modello molto carino, anche se antiquato, e aveva tirato scemi i suoi genitori per due settimane prima che glie lo regalassero, a quattordici anni. Era il suo ventesimo compleanno e, per la prima volta in una vita di infatuazioni passeggere e saltuari amori per la tecnologia, lo odiò davvero.
Si scusò con un sorrisetto di circostanza verso la cassiera, che, da parte sua, era già decollata da tempo verso la galassia di Civetteria-land e lo fissava con un misto di sincera ammirazione e libido trattenuta. Quando uscì dal locale, una bella sferzata di torrida aria estiva ad accoglierlo (e ad arricciargli i capelli piastrati con cura, poco ma sicuro), rispose a quella che era ormai la ventiduesima chiamata della giornata con una voce pregna di irritazione.
«Ma’? Meeerda, ti avrò detto cinquemila volte che... cazzo, ma’, ho detto di no! Non ho nessuna fottuta voglia di festeggiare con voi, va bene? Non finché quello stronzo vive ancora con...»
Non aveva ben chiaro il motivo per cui la sua adorata mamma continuava a tormentarlo in quel modo, allettandolo con immagini di tacchino farcito con zucca e uvette (senza ricordare che, tra l'altro, lui i sapori agrodolci li odiava), ma gli pizzicavano le mani dalla voglia di prendere a pugni la sua vecchia e sfondarle in testa, una per una, la collezione di acquasantiere che teneva in camera da letto. E guardare i pezzetti di ceramica dipinta che si confondevano col sangue, sul pavimento... oh, sì.
Chiuse la chiamata senza più ascoltare, fin troppo concentrato sulla piacevole immagine di materia grigia e angioletti in porcellana malamente schiantati sulla stessa mattonella, poi tornò nella videoteca e acquistò il cofanetto. Sorrideva con particolare allegria.
Il resto del pomeriggio passò in maniera pressoché perfetta.
Mizuki arrivò a casa sua per le quattro, trascinando dietro di sé una vistosa valigia nera e, tra le mani, due cellulari usa e getta dall’apparenza nuovissima. Gli sorrise, com’era solito fare, scostandosi un ciuffo di capelli color grano dalla fronte con le mani occupate, poi lo baciò in soggiorno, dopo aver posato a terra il suo carico.
Mizuki Otoki amava il suo ragazzo di quell’amore infantile e vagamente annoiato che sovente gli uomini adulti provano verso partner più piccoli (si passavano ben dieci anni), ma adorava, semplicemente, tutte le sue idee e le sue uscite bizzarre sugli argomenti più imprevedibili. Quindi non si era stupito quando, mentre agganciava una trave di ferro nel cantiere in cui lavorava, il suo ragazzo l’aveva chiamato e, con quella voce sottilmente erotica a cui non poteva rifiutare proprio nulla, gli aveva chiesto di portargli quella.
«Ce l’hai?» Sussurrò Deidara, avvolgendogli il collo con le spalle e stringendoselo contro «Me l’hai portata, vero? Vero, Mizuki?»
*
Avevano usato un furgoncino provvidenzialmente rubato, un carico considerevole di dinamite e due cellulari usa e getta. Mizuki era eccitato e gli tremavano le mani, mentre collegava uno dei due apparecchi ad un detonatore, mentre Deidara lo osservava con occhi bramosi, brucianti di interesse. Poi avevano guidato il furgoncino fino all’abitazione dei suoi genitori, appena due isolati più in là rispetto alla sua, e Deidara era entrato in casa e aveva salutato i suoi genitori per dare a Mizuki il tempo di prepararsi.
Era uscito nel vialetto accuratamente pulito con una sensazione formicolante nello stomaco, poi aveva attraversato la strada. Sul marciapiede, Mizuki lo attendeva in sella ad una motocicletta che avevano caricato nel bagagliaio del furgone; aveva messo in moto, poi gli aveva passato un telefono usa e getta.
Nel comporre il numero, Deidara aveva sorriso.
Nell’attimo stesso in cui la casa dei suoi era esplosa in un caldo covone di fiamme, scintillanti e profumate di legno, plastica e carne bruciati, per un attimo sulla sua coscienza s’era steso un velo lieve, forse una vaghissima, blanda imitazione del senso di colpa. Ma non capiva, Deidara, non poteva capire: la sua mente era offuscata da una nebbia ben più fitta di quella causata dai semplici sentimenti, e le spine che la avviluppavano si dissolsero non appena strinse la schiena forte e calda di Mizuki tra le braccia.
Quello che però il suo animo nemmeno concepiva, la mente del fidanzato presto l’avrebbe realizzato. Perché, se un cieco può sopportare senza nessun problema il lucore abbagliante di un flash sulla retina, chi gode dell’uso seppure parziale della vista ne rimarrà accecato.
*
Se Mizuki non si fosse costituito, molto probabilmente lo avrebbero catturato comunque.
Non aveva fatto nulla per scappare, o nascondersi. Per dire la verità, lo stesso fatto di aver ucciso barbaramente i suoi genitori non lo aveva minimamente toccato: gli aveva lasciato un’impressione fugace, quasi come lo stupore momentaneo per le esplosioni dei fuochi artificiali a Capodanno, poi se n’era andato. Puff, dimenticato.
Sensazione del tutto priva di attrattive in un mondo ancora ricco di sorprese.
I poliziotti, quindi, avevano avuto gioco facile con lui, e lo avevano catturato mentre mangiava un Big Mac nel McDonald’s più frequentato della città. Inutile dire che Deidara aveva trovato pacchianamente americano il binomio formato dal sapore artificiale del panino e dalla sensazione della canna gelida di una 9mm appoggiata alla tempia. Hard-boiled e stereotipato, ma del tutto privo del gusto pop di una Pulp Fiction.
Però non si era ribellato. Non poteva farlo, anche se avesse voluto, e non ne aveva alcuna voglia.
Era curioso di sapere cosa gli sarebbe capitato.
*
Pena di morte.
Un po’ se l’aspettava.
Aveva trovato così incredibilmente interessante l’aula del tribunale, demodé e dal gusto antico, con il giudice di colore che dominava la folla dal suo seggio rialzato, da essere certo che, in qualche cosa, il processo si sarebbe certamente macchiato di banalità. Non poteva esistere tanta perfezione in un solo angolo dell’universo, a mostrarsi, ingenuamente, davanti ai suoi occhi azzurri.
L’avvocato che gli avevano appioppato, un americano grasso e lustro come il pomello di una porta e con le mani lisce come olio di ricino, gli aveva praticamente riso in faccia al momento del verdetto, convinto che, per chissà quale motivo, lui fosse dispiaciuto. Dispiaciuto, neanche lo avessero condannato a passare i tre mesi successivi in un’accademia d’arte. Quello sì, che l’avrebbe ucciso.
La sua esecuzione era prevista per il ventun dicembre. Nessun riesame, o appello, o processo, ma evidentemente lo stato del Texas riusciva a rallentare le procedure fino a livelli quasi distopici. O utopici? Forse avrebbe dovuto ritener positivo il fatto di poter passare qualche mese in più con il cuore ancora in funzione?
Che pretesa sciocca.
Fu quando entrò al Potter County Detention Center che cambiò definitivamente idea.
Era una struttura grigia e possente, apparentemente abbandonata nel bel mezzo di un pianoro e protetta da varie barriere di reti alte tre metri, coronate da volute massicce di filo spinato. Circondato da un cortile ingombro di detenuti, l’edificio si sviluppava in un susseguirsi di parallelepipedi collegati gli uni agli altri, erosi dall’umidità e pregni di quell’atmosfera decadente che sembrava, come in un film, accompagnarsi naturalmente all’essenza delle carceri.
Gli urlarono dietro, mentre lo conducevano verso il braccio della morte. Frasi oscene, di apprezzamento, che, più che spaventarlo, lo inorgoglirono: sapeva perfettamente quello che sarebbe successo, e la cosa non gli creava alcun problema. Lentamente, inesorabilmente, si stava lasciando andare.
Lo sistemarono in una cella piccola e sufficientemente pulita, con un’unica branda in un angolo e nient’altro. Non c’era nulla con cui potesse farsi male: i contorni dell’asse su cui poggiava il materasso erano accuratamente smussati, le catene che la sostenevano al muro così spesse e resistenti che, anche possedendo un seghetto robusto, gli ci sarebbero voluti mesi per spezzarle. Una minuscola finestrella dava sull’unico cortile interno, mentre una lampadina nuda, che pendeva ad un’altezza tale da impedire anche ad un uomo notevolmente grosso di raggiungerla, doveva essere l’unica fonte di luce quando faceva buio.
Ai carcerati del braccio, lo sapeva, non era concesso uscire in cortile. Non avevano diritto alla cosiddetta “ora d’aria”, evidentemente perché li ritenevano così pazzi da poter ledere seriamente alla salute degli altri detenuti.
Non che gl’importasse. Rimuginando su quanto quella circostanza fosse fortunata – per lui, almeno – si stese con un sospiro sulla branda e tentò di socchiudere gli occhi. Aveva sonno, il viaggio l’aveva stancato e quel posto si stava già rivelando più piatto del previsto.
Tuttavia, per una strana combinazione del destino, non gli fu possibile addormentarsi.
Non appena rivolse le sguardo al pavimento, infatti, fu invaso da un moto di disgusto e si tirò di scatto in piedi. Le piastrelle, che prima non aveva notato, erano di un color rosa salmone vagamente stinto e pieno di macchioline di chissà che cosa, come la gigantesca carcassa di un pesce spellato distesa per tutto il corridoio.
“Chi ha arredato questo posto dovrebbe leggere qualche libro di Stephen King...” pensò, stizzito, appoggiando la schiena al muro e curiosando con lo sguardo tra le altre celle. Avrebbe provato volentieri a riaddormentarsi, ma era più che convinto che, con quel colore orripilante a riempirgli le pupille, riuscirci fosse impossibile. Si bloccò, con un moto di interesse, sulla cella di fronte alla sua.
Era così vicina che riusciva a vederla perfettamente, sebbene l’ambiente non fosse propriamente illuminato, e notò fin da subito una figura esile che lo fissava dall’altra parte delle sbarre.
Si alzò in piedi, senza esitare, e schiacciò il viso sulle sue, di sbarre, appoggiandosi con entrambe le mani al ferro gelido. Socchiuse le palpebre, mettendo a fuoco per bene il ragazzo che sembrava così interessato al suo arrivo.
Aveva la pelle pallida, forse olivastra, e una zazzera di capelli rosso fuoco che spiccavano anche nella penombra; il viso, minuto, aveva tratti delicati, quasi efebici: la bocca piccola, sottile, con il labbro inferiore leggermente più pronunciato di quello inferiore, il naso all’insù, gli occhi grandi, a mandorla. Castani, belli e completamente privi di vita, sembravano quasi perforare il velo d’ombra che li separava e lui stesso, scavandogli nell’animo con una pacatezza gelida e quasi inquietante che non pareva nemmeno umana, ma immobile e statica come le fattezze delle statue di pietra in una chiesa medievale. A vederlo, si sarebbe detto un adolescente.
«Ehi!» Sbottò Deidara, stringendosi con più forza alle sbarre «Ehi, come ti chiami?»
L’altro non rispose, limitandosi ad inclinare leggermente la testa di lato con un gesto affettato. Ma lo stava ascoltando, a giudicare dallo sguardo improvvisamente più affilato.
«Ti ho chiesto come ti chiami!»
«Ho ventidue anni».
La sua voce ebbe il potere di congelarlo per qualche secondo.
Era cupa e autoritaria, perfettamente controllata, vibrazione bassa e sonora intrisa di buio. Non vi scorrevano vita, emozioni, pensieri: era un monocorde, infinito abisso di calma morta. Quasi il ragazzino fosse una marionetta mossa da fili invisibili, e parlasse con una bocca che evidentemente non gli apparteneva.
«È questo che ti interessa sapere, non il mio nome. No? Ti sembrava scortese chiedermi subito l’età?»
Gli venne una voglia matta di piegare le sbarre e sbattere quella testolina rossa contro un muro, ripetutamente. Aveva appena fatto la figura dell’idiota, e non era una delle sue attività preferite.
«Come ti chiami?» Ripeté, ignorando la risposta dell’altro detenuto. Quel tipo, comunque, era parecchio strano... sembrava uscito da un film, uno di quei film horror dove il serial killer sembra un tipo completamente normale e tranquillo e poi esplode uccidendo tutti quelli che gli capitano a tiro. Gli dava una sensazione mostruosa, di furia controllata e fuoco che dorme sotto la cenere.
«Sasori Akasuna. Suppongo che adesso ti interessi».
Si sarebbe aspettato che gli chiedesse il suo, di nome. Ma non lo fece.
Si voltò, anzi, quasi si fosse stufato di quella misera conversazione, e si stese sulla branda con un movimento strano, malfermo, totalmente in disaccordo con tutto ciò che Deidara gli aveva visto fare fino a quel momento. Gli sembrò che trascinasse la gamba destra.
«Io sono Deidara Iwa!» Sbottò, senza nemmeno sapere perché. Quando si avvide che le sue parole non avevano prodotto il minimo moto d’interesse in Sasori, staccò lentamente le mani dalle sbarre e, profondamente offeso, si coricò sul materasso digrignando i denti. Odiava, indistintamente, tutti coloro che lo trattavano come una creatura priva d’importanza.
Anche quel Sasori, prima o poi, avrebbe imparato a portargli rispetto.
*
Il cibo della prigione, al contrario delle aspettative, era piuttosto gradevole. Non si parlava di chef d’alta classe o piatti raffinati (quel rancio avrebbe probabilmente fatto inorridire un cuoco professionista), ma gli alimenti erano al più vari e freschi e avevano un sapore decente.
Deidara osservava gli altri detenuti mangiare.
Era uno dei suoi passatempi preferiti – non che vi fosse molto altro da fare, nel braccio della morte – e lo aveva portato, nell’arco di pochi giorni, a capire parecchie cose dei suoi vicini.
Sasori, nella cella di fronte, inghiottiva con garbo piccoli bocconi di cibo, apparentemente senza percepirne il gusto, spesso leggendo un libro che teneva con la mano sinistra. Mangiava senza guardare le pietanze, disinteressato, costretto a quell’atto meccanico per pura necessità fisica, e da quell’atteggiamento controllato emergeva una certa educazione, così come dal fatto che, prima di cominciare il pasto, si premurava di appoggiare la forchetta a sinistra e il coltello a destra del piatto.
Accanto a Sasori, sulla destra, stava un nero alto e largo come un armadio che, in virtù delle sue imprese, tutti chiamavano “Killer Bee”. Era finito nel braccio per pluriomicidio e spaccio di droga, e spesso Deidara lo udiva gemere di dolore, steso tra le lenzuola, a causa dei dolori provocati dall’astinenza. Tuttavia, quando mangiava, sembrava recuperare un po’ della vivacità che un tempo aveva sicuramente posseduto: ingurgitava velocemente tutto quello che si trovava davanti, canticchiando, nel mentre, versi di canzoni rap che Iwa aveva già sentito da qualche parte. Una volta gli parve di riconoscere “Lose Yourself” di Eminem.
L’ultimo ospite del braccio era nella cella accanto a quella di Deidara, che quindi non poteva vederlo. Ogni tanto lo sentiva urlare, però, e sbattere furiosamente contro le pareti della cella come un animale selvatico chiuso in gabbia, oppure, nei momenti di calma, fischiettare imitando con straordinaria abilità i versi di vari tipi di uccelli. Erano concerti, i suoi, che persino i secondini amavano ascoltare, e proprio grazie ai loro complimenti Deidara apprese che il nome del suo vicino era Juugo.
Ad ogni modo, nessuno degli inquilini solleticava il suo interesse quanto Sasori.
Era un tipo silenzioso, e di rado lo si sentiva parlare, ma aveva un modo di fare talmente particolare e interessante da non spegnere mai la curiosità. Più volte Deidara si era domandato perché trascinasse la gamba – cosa che era ben lungi dall’essere una sua semplice impressione – o per quale motivo una persona così apparentemente innocua fosse finita addirittura nel braccio.
Non resistendo più alla curiosità, un giorno glielo chiese.
«Ehi, Sasori...» lo chiamò, piano, aspettando che sollevasse la testa dalla massiccia copia di “Pride and Prejudice” che stringeva tra le piccole mani «... tu com’è che sei finito qui?»
Non sembrò contento di quella domanda. Si rabbuiò – e quella fu, in assoluto, la prima vera espressione che Deidara avesse mai visto comparire sul suo viso – e chinò nuovamente il capo sul libro, come se non l’avesse sentito.
«Se vuoi posso dirtelo io». Fu Iruka, uno dei carcerieri, ad intromettersi. Gli sorrise con il suo solito fare gioviale – era un bel ragazzo alto, con i capelli castani e una cicatrice orizzontale che gli segnava gli zigomi e il naso – e si sedette accanto alla sua cella con estrema naturalezza. Doveva essere noioso anche per loro, quel lavoro: sorvegliare per tutto il giorno quattro individui rinchiusi e relativamente tranquilli aveva i suoi vantaggi, ma non era particolarmente elettrizzante.
«Il nostro piccolo divo, qui, aveva l’abitudine di accogliere in casa sua amici e viaggiatori casuali per poi assassinarli e farli a pezzi. Conservavi solo la... gamba destra? Era la gamba destra, no?»
Sasori annuì, voltando pagina.
«Be’, pensa che a casa sua c’era una collezione di duecentoquindici arti amputati. Questo fa di lui uno dei più grandi serial killer della storia degli Stati Uniti... noi, personalmente, ci chiediamo come abbia fatto a non farsi beccare per tutto quel tempo».
Deidara si chiese cosa sottintendesse quel “noi”.
“Noi” forze dell’ordine? “Noi” gente rispettabile? “Noi” buoni?
Qualunque cosa fosse, era evidente che quell’Iruka si riteneva di una pasta completamente differente rispetto ad Akasuna, e ne andava fiero. Deidara si chiese quanti detenuti aveva ammazzato per sbaglio – non capitava di rado che ci fossero morti accidentali – nei suoi lunghi anni di lavoro al carcere. Si chiese come giustificava il suo lavoro di fronte alla coscienza.
Poi, però, la storia di Sasori lo distrasse di nuovo.
«Riceviamo lettere, richieste per interviste e persino per un paio di servizi fotografici. Per fortuna il nostro Hannibal Lecter, qui, non sembra interessato a cose del genere. L’unica richiesta che ci ha fatto, ed è qui da due anni, è di portargli ogni tanto un libro dalla biblioteca del carcere».
Due anni... era comprensibile che avesse chiesto dei libri, altrimenti sarebbe morto d’inedia.
Deidara non era del tutto sicuro di aver compreso per bene le dinamiche dell’assegnazione delle pene negli Stati Uniti, ma gli sembrava strano che un serial killer pluriomicida fosse destinato a passare più tempo in carcere di quanto ne avrebbe trascorso lui.
«Come mi ammazzeranno, Iruka?» Domandò, allungando una mano verso la finestrella e fissando la sagoma della propria mano, in controluce.
«Tre punture. Tre punture e poi non dovrai più preoccuparti dei sensi di colpa».
«Sensi di colpa?» Gli fece eco, con una voce spenta e vagamente graffiante «Non ne ho mai avuti».
Sasori sorrise, scuotendo la testa.
*
Si lavavano insieme, una volta alla settimana.
Li costringevano ad indossare le camicie di forza – Deidara, con stupore, appurò che era davvero impossibile toglierle – e li conducevano per uno stretto corridoio muffito fino ad una stanza dal soffitto basso, umida come una sauna e attrezzata con una decina di docce. Lì potevano sfilare temporaneamente le camicie di forza e lavarsi con i saponi gentilmente forniti dal carcere, sotto la sorveglianza costante dei secondini, senza parlare tra di loro o tantomeno avere contatti fisici.
Fu proprio lì che Iwa scoprì la ragione della strana camminata di Sasori, con quel suo trascinarsi stanco e sgraziato sul pavimento.
Aveva una protesi.
La gamba destra gli era stata amputata circa trenta centimetri sopra il ginocchio, cosicché la pelle vellutata della coscia si presentava ingabbiata in una struttura di plastica brutta e poco mobile. Il moncherino, che Iwa trovò a dir poco splendido, era epidermide martoriata da cicatrici dall’apparenza vecchissima, quasi lattescenti; l’acqua vi scorreva come olio sulla seta, frazionandosi in centinaia di gocce che giocavano sulla tinta madreperlacea della pelle.
Deidara non perdeva mai occasione per fissare quel corpo longilineo e vagamente efebico di Sasori, ma senza farsi scoprire: non voleva che l’altro lo vedesse. Il perché se lo domandava spesso, ma non era ancora riuscito a stabilirlo.
Nessuno di loro trasgrediva mai le regole, a parte Juugo. Quando lo faceva, colto dai suoi scatti di rabbia imprevedibili e repentini, i secondini lo respingevano prontamente a furia di manganellate; sulla sua pelle i lividi fiorivano come enormi fiori violacei dai bordi slabbrati. Deidara cercava sempre di non intervenire.
Una volta, tuttavia, non poté trattenersi.
Si stava godendo per bene la sensazione dell’acqua calda sulla pelle – se pensava che doveva lavar via con un’unica doccia la sozzura accumulata in sei giorni gli veniva da vomitare – quando colse un movimento alla sua sinistra, con la coda dell’occhio. Juugo aveva finito, e si stava dirigendo verso la porta con la sua andatura pesante e mansueta, canticchiando pacatamente una strofa di “Show Must Go On”; doveva essere una delle sue giornate “bene”.
Improvvisamente, però, la sua mole sembrò ripiegarsi su un fianco, e sbandare: scivolato sul pavimento viscido di acqua e sapone, Juugo cadde malamente verso il secondino di guardia sulla porta. E quello, interpretando male quel movimento, spaventato dalla precedente condotta del detenuto, non esitò un momento a picchiargli con violenza il manganello sulla schiena; lo fece ancora e ancora, gridando frasi che Deidara non cercò nemmeno di capire.
Toh, era Iruka.
«Ehi! Ehi, fermo, basta!» Gridò, scattando verso Juugo. Anche Killer Bee accennò lo stesso movimento, ma lui fu decisamente più veloce. Fu per questo, forse, che Iruka interpretò il suo gesto come una minaccia per la propria incolumità.
Prima che potesse frapporsi tra il detenuto e il secondino quest’ultimo gli assestò un colpo alla tempia con il manganello, così forte che per qualche secondo il suo campo visivo sembrò sfocarsi e turbinare. Cadde a terra, il sangue caldo e rosso che gli scorreva da un brutto taglio all’altezza delle sopracciglia, e imprecò.
Quando sollevò lo sguardo, per sincerarsi di vedere ancora con entrambi gli occhi, colse una fugace occhiata di Sasori. Era carica di indifferenza.
«Ehi... scusa». Fece Iruka, sfiorandogli la spalla in un gesto estremamente rischioso. Deidara lo scansò con uno schiaffo, mettendosi in piedi e fronteggiandolo nonostante il timore di qualche altra rappresaglia violenta.
«Non avvicinarti e non mi toccare, idiota. Sono pericoloso, no?»
Impettito, offeso, uscì dal box docce senza nemmeno infilare la camicia di forza.
*
Alla fine, Iruka era semplicemente spaventato. Un povero idiota spaventato.
A questo pensava, Deidara, destandosi il giorno seguente con una fasciatura bianca attorno al cranio. Non si rese conto di cosa lo aveva svegliato, finché un secondino sfrecciò davanti alla sua cella e prese a picchiare furiosamente contro le sbarre di quella di Sasori, gridando come un ossesso e, apparentemente, cercando di scardinarle a mani nude.
Rumore di passi e grida. Ecco perché era perfettamente sveglio, nonostante il pallore della luce che pioveva dalla finestra testimoniasse un orario non proprio ortodosso.
«Che succede?» Borbottò, mettendosi seduto. Nessuno gli rispose, nemmeno il tipo che era arrivato a placcare il primo secondino per impedirgli di svegliare l’intera prigione.
Nel pomeriggio, parlando con Killer Bee, ebbe però occasione di capire quello che era successo.
Iruka era morto, impiccato al lampadario del suo ufficio con un metro a nastro. Il motivo per cui tutti si erano incazzati con Sasori era che quel tipo, prima di allacciarsi la fettuccia graduata attorno al collo e penzolare dal soffitto con un salame, pareva ci avesse parlato per tutta la sera, su invito del detenuto, discutendo di chissà che cosa. Deidara non li aveva sentiti, essendosi addormentato subito a causa dello stordimento e del mal di testa.
Tutti pensavano che Akasuna avesse indotto Iruka al suicidio.
Ad Iwa, stranamente, non interessava.
Se ne stette seduto per terra fino al calare della sera, mormorando con la sua bella voce androgina le strofe e l’assolo di Starway To Heaven, così perso nell’apatia e nell’autocommiserazione da non aver nemmeno voglia di mangiare. Una bella canna, quella sì che l’avrebbe reso felice. E forse gli avrebbe persino fatto dimenticare l’orribile sfregio che quella manganellata doveva aver prodotto sulla sua pelle perfetta.
Un pensiero un po’ futile di cui occuparsi, quando mancano pochi mesi alla propria morte. Eppure, per Deidara, era diventato il centro pulsante attorno al quale convergevano tutte le riflessioni.
Questo, naturalmente, finché una voce fin troppo conosciuta e stranamente intraprendente si infilò nel corso dei suoi pensieri, troncandolo bruscamente.
«L’ho ucciso io».
Occhi nocciola, nella penombra.
«Ah, davvero?» Biascicò, rimirando un ciuffo dei suoi capelli biondissimi e ancora miracolosamente lisci e privi di doppie punte «E come hai fatto?»
«Gli ho parlato». La risposta, accolta con disinteresse, non lo indusse nemmeno a voltare la testa. Non che il suo interlocutore fosse molto più animato di lui.
«E di cosa gli hai parlato? Lo hai indotto a suicidarsi raccontandogli la trama di Beautiful per intero?» Poi ridacchiò, cingendosi le ginocchia con le braccia «Ah, no... nemmeno tu saresti così bastardo da fare una cosa del genere. E poi parli troppo poco».
«L’ho aiutato a pensare».
«Pensare... in che modo?» Si stava interessando. A Sasori le parole andavano estratte con le tenaglie, ma ciò che diceva, forse per il suo sapore enigmatico, eccitava Deidara come il sangue un cane da caccia.
«Quello che faceva. Quello che ha fatto. Quel tipo... il padre lo violentava quand’era piccolo».
Si esprimeva in maniera molto vaga e sintetica, ma Iwa capì comunque; doveva averlo costretto a ricordare quegli episodi, poi aveva risvegliato in lui il senso di colpa per ciò che aveva fatto a Juugo. Chissà come, alla fine, Iruka si era suicidato.
Era semplicemente mostruoso.
«Perché?» Sussurrò lentamente, già conoscendo la risposta, ma volendola ascoltare da quelle labbra sottili che già si insinuavano nei suoi pensieri.
Come aveva previsto, l’altro non rispose. Si limitò a guardarlo, granitico, senza che un solo muscolo del suo volto tradisse la minima sensazione. Bello e malefico come una pianta carnivora.
*
«L’arte è un istante di effimero splendore... l’arte è esplosione!»
«Ti sbagli. L’arte è qualcosa di incantevole che rimane nel tempo... è eterna».
Da parecchie settimane, ormai, quelle frasi riecheggiavano, sempre identiche e sempre nello stesso ordine, tra le pareti del braccio della morte. Sia i secondini che i detenuti si erano – per dirla elegantemente – stufati di udire quelle farneticazioni, ma, un po’ per la paura che Sasori suscitava nel personale del carcere, un po’ per la simpatia che Deidara naturalmente ispirava, evitavano di disturbarli.
Uno psicologo avrebbe trovato la cosa più divertente di un luna park.
«Non esiste l’eternità, le cose si deteriorano. Come può l’arte essere qualcosa di deperibile? No, no, è fugace, è effimera, e scorgerla è privilegio di pochi fortunati... un’esplosione!»
«Un volgare lampo colorato... questa sarebbe la tua idea di arte? Come puoi sminuirla a tal punto, con una connotazione tanto casuale?»
In quel momento, un rumore improvviso interruppe la loro conversazione.
Era un battere di mani leggero e scandito, aggraziato.
Deidara aggrottò le sopracciglia, contrariato; era la venticinquesima volta che tentava di convincere Sasori delle sue tesi sull’arte, ed era quasi sicuro che fosse quella buona. Tra l’altro non gli era mai capitato di venire interrotto proprio sul più bello, proprio quando stava per rispondere con la frase ad effetto che gli avrebbe attribuito la vittoria, e ciò lo irritava.
Quasi come la faccia del tipo che, al centro del corridoio, equidistante da entrambe le file di celle, applaudiva con lo stesso entusiasmo che ci avrebbe messo lui davanti ad uno spettacolo di musica sinfonica. Ovvero... nullo. Pressoché nullo.
Aveva una faccia ordinaria, smorta e floscia, eppure ancora giovane; la pelle era grigiastra, poco curata, così come i suoi capelli, lunghi e raccolti in una coda di cavallo bassa e parzialmente sfatta. Gli stessi occhi, di un nero intenso, pure non trasmettevano alcuna forza, e parevano quelli di un topo: intelligenti, sì, ma acquosi e viscidi. Sul naso inforcava un paio di occhialini metallici con le lenti tonde; indossava dei pantaloni neri e un pullover bluastro sopra una camicia grigia, per Deidara segni inequivocabili dell’iniquità che già traspariva da ogni particolare del suo aspetto.
«E tu chi saresti, Mickey Mouse?» Esclamò, aspro, guardando dritto in faccia il nuovo arrivato.
«Kabuto Yakushi. Sono un virologo, molto piacere. Tu devi essere Deidara Iwa, e tu... Sasori Akasuna». Il tono era così viscido e intriso di falsa cortesia che Deidara fece una smorfia, provando l’istinto improvviso di allontanarsi da quel tipo.
«E che ci fa un virologo in un carcere? Si è diffusa un’epidemia di peste?»
Kabuto Yakushi non rispose, limitandosi a rivolgergli un’occhiata sorniona, forse persino compiaciuta. Il suo sguardo corse sul corpo giovane e forte del detenuto, sul suo sguardo pieno di energia e sulla rabbia che ne deformava i bei lineamenti..
«Che soggetti interessanti...» commentò, prima di voltarsi e sparire oltre il campo visivo di entrambi i detenuti. Ascoltarono il riecheggiare dei suoi passi per tutto il corridoio, poi anche quell’ultima traccia sparì.
«Idiota». Sibilò Deidara, gettandosi sulla brandina a peso morto.
«È pericoloso». Fu il sussurro di Sasori, che, stranamente, teneva gli occhi ben fissi nella direzione in cui se n’era andato Kabuto. Di fronte a quella manifestazione evidente di interesse, le viscere di Iwa sembrarono contrarsi in un unico, dolorosissimo movimento.
Schiacciò la testa dal materasso, cercando di scollegare la mente, dimenticare ogni pensiero.
Non sarebbe stato così facile, nei giorni successivi.
*
Kabuto, ogni giorno, si piazzava nel bel mezzo del corridoio con una sedia pieghevole e rimaneva lì fino al tramonto, appuntando chissà cosa su un block notes che aveva sempre appresso.
Alla lunga quel comportamento cominciò a passare inosservato, e nessuno dei detenuti ci fece nemmeno più caso; nemmeno i diretti interessati sembravano avvedersi della presenza di quell’omino grigio, e parlavano, come sempre, di arte che è esplosione e cosa eterna insieme.
Finché, un bel giorno, il dottor Yakushi non si decise ad uscire dal proprio – fittizio – anonimato.
Arrivò di mattina presto, come al solito, sotto il braccio un plico sottile di fogli fittamente scritti. Sistemò la sedia a pochi centimetri dalla cella di Deidara e si sedette con calma, appoggiando il proprio carico sulle ginocchia.
Iwa, come di consueto, fece tre passi indietro e si sistemò a ridosso della parete di fondo della cella, il più lontano possibile da quell’uomo.
«Allora, Deidara Iwa,» esordì Kabuto, a bassa voce «forse ti sarai chiesto come mai ultimamente sia venuto così spesso a fare visita a te e al tuo amico. Il motivo è molto semplice: siete stati selezionati, in base alle vostre caratteristiche fisiche e soprattutto psicologiche per aderire ad un nuovo programma di ricerca sponsorizzato e finanziato dalla società Gentek, per cui lavoro. Se accetterete di aderire al programma, la vostra pena di morte verrà... dimenticata. Una volta che sarà tutto finito, potrete tornare liberi e costruirvi vite nuove. Sotto falsa identità, ovviamente».
Quella storia puzzava di bruciato. Perché mai avrebbero dovuto dare la possibilità a gente come loro di salvarsi? E perché, poi, proprio lui e Sasori erano stati scelti, rispetto a Killer Bee o Juugo?
«E su cosa sarebbe ‘sto programma di ricerca?» Domandò, ghignando «No, perché non ci tengo a crepare per colpa di qualche virus sconosciuto. Preferisco l’iniezione, se proprio devo scegliere».
«Si tratta effettivamente di un programma di ricerca sui virus, ma non nel senso a cui stiamo pensando. La mia società ha scoperto da qualche anno l’esistenza di particolari virus mutagenici che, se iniettati in un organismo umano, possono accelerare il rinnovamento delle cellule e, addirittura,» e qui scoccò un’occhiata a Sasori, di sottecchi «far sì che parti del corpo perse o distrutte si rigenerino completamente. Sono le cellule staminali del futuro, Deidara».
«E perché proprio noi?»
«Se ti riferisci al fatto che siete dei carcerati in attesa dell’esecuzione, posso dirti che non molte persone, là fuori, hanno voglia di sottoporsi per hobby ad esperimenti che, pur non avendo mai causato problemi, ammettono un minimo margine di rischio. Se invece parli, nello specifico, di te e del tuo amico, ho valutato personalmente la vostra idoneità psicologica al nostro progetto, oltre, naturalmente, al vostro DNA...»
«E come l’avresti ottenuto? Il DNA, intendo...»
«Vi cambiano le lenzuola una volta a settimana, non è difficile procurarsi un capello».
Sorrise, sempre con quella sua espressione compiaciuta, intrecciando le dita sulle gambe accavallate. Si aspettava che accettasse ad occhi chiusi, forse?
«Naturalmente, non c’è nessun obbligo da parte nostra. Non dovete partecipare, se non volete...» detto questo, prese il primo dei fogli in cima alla pila e lo porse a Deidara, che si alzò il piedi per afferrarlo. Era un contratto, pieno di parole troppo difficili che Iwa non era sicuro di riuscire a capire. In fondo, una riga continua nera su cui avrebbe dovuto apporre la propria firma per autorizzarli ad usarlo come una cavia da laboratorio.
«Di’, mi hai preso per un imbecille?! So come vanno queste cose: tra qualche settimana sarò morto di chissà cosa in un laboratorio sterile, direte a tutti che la pena di morte è stata eseguita come da programma e il mio cadavere finirà in un sacco in qualche inceneritore. Virus mutagenici... roba interessante per un film di fantascienza, forse, ma non aspettatevi che vi creda».
«Quindi rimarrai qui? Il ventuno dicembre arriverà, prima o poi».
«So di non poter fermare il tempo, Mickey Mouse, ma preferisco sapere in anticipo come morirò». Replicò, sprezzante, guardando Kabuto con orgoglio.
«Come desideri. E per quanto riguarda te, Sasori Akasuna?» Si voltò, stavolta senza sorridere «Hai ascoltato, no? Accetti la mia proposta, oppure no?»
Sasori non sollevò nemmeno gli occhi dal libro che stava leggendo, segno che l’interlocutore gli risultava fastidioso ai limiti dello sgradevole. Tuttavia, dopo aver rimuginato qualche secondo, rispose con garbo.
«Ha parlato di rigenerazione... la mia gamba, con questi virus, potrebbe tornare quella di prima?»
Deidara si irrigidì, scattando immediatamente verso le sbarre. Era assolutamente convinto che anche Sasori, come lui, si sarebbe categoricamente rifiutato di tentare quella pazzia, troppo intelligente e pacato per lanciarsi in imprese sconosciute, ma quella frase lo aveva fatto ricredere su tutti i propri pensieri. Non aveva minimamente sospettato che una creatura indifferente e fredda come Akasuna potesse essere interessata ad una proposta del genere solo per riprendersi la gamba.
Per dire la verità, non aveva nemmeno considerato che quella mutilazione potesse costituire un trauma, per Sasori. Nulla sembrava toccarlo, allora perché quello avrebbe dovuto...
“...aveva l’abitudine di accogliere in casa sua amici e viaggiatori casuali per poi assassinarli e farli a pezzi. Conservavi solo la... gamba destra? Era la gamba destra, no?” Gli tornarono in mente le parole di Iruka. Si aggrappò alle sbarre con entrambe le mani, in piedi, rivolgendo ad Akasuna un’occhiata disperata e pregando che non facesse la cazzata di accettare la proposta; si diede dell’idiota: se era giunto ad uccidere, se era giunto alla follia per quel motivo, come poteva sperare che rifiutasse la possibilità, anche se minima, di rimettere tutto a posto?
«Va bene». Ripose Sasori, e Deidara lasciò che il suo corpo scivolasse a terra. Spalancò gli occhi, incredulo, e guardò la mano piccola e femminea di Akasuna che vergava una firma elegante e distinta alla base del foglio.
«Ehi, no! Che ti passa per la testa, sei diventato scemo! Questi ti ammazzeranno e non daranno mai...»
«Zitto». Lo mise a tacere con un’unica parola, pronunciata appena più forte del solito «In ogni caso, so cosa mi aspetterebbe se rimanessi qui».
Kabuto sorrise, ricomponendo i fogli e mettendoseli nuovamente sotto il braccio. Salutò entrambi con un mezzo inchino, poi fece per andarsene.
«A quanto pare, qualcuno qui è ancora dotato di raziocinio...» lo sentì sussurrare, Deidara, prima che il suo autocontrollo si disintegrasse del tutto e cominciasse a picchiare contro le sbarre nel tentativo di attirare l’attenzione del virologo. Non seppe mai perché lo fece, ma in quel momento era così forte la rabbia che sentiva, come fiamme che lo lambivano dappertutto, improvvise e voraci, che non seppe trattenersi.
Qualcosa, da qualche parte nella sua cassa toracica, stava sanguinando. Lo stesso qualcosa che gli stava urlando disperatamente di non lasciare che Yakushi se ne andasse, di evitare che Sasori si buttasse nel baratro da solo. Deidara poteva solo obbedirgli, senza comprendere chi gli stesse facendo quelle imposizioni; non era mai stato abituato ad ascoltarlo. Eppure, nel dolore e nell’ansia che, improvvisi, gli martellavano nella testa e nei polmoni, comprese di star facendo uno sbaglio, forse persino il più grosso sbaglio della sua vita.
Gli bastò un’occhiata di sfuggita ad una sagoma dai capelli rossi accoccolata sulla propria branda, un libro in grembo, che quella consapevolezza si frantumò e perse di significato, così come i respiri spezzati che gli fuggivano dalla bocca.
Nulla ebbe più senso per lui, se non il pensiero mostruoso che andava formandosi nella sua mente.
«Fermati! Fermati, Mickey Mouse! Ci ho ripensato! Dammi quel cazzo di foglio, muoviti!» Gridò, fuori di sé. Kabuto si voltò verso di lui e sorrise, e Deidara vede l’ombra di una vipera dietro quella falsa allegria; per l’ultima volta, ebbe la possibilità di rimangiarsi tutto e sedersi sulla branda, lasciando che Sasori andasse a farsi ammazzare in un laboratorio e aspettando la sua esecuzione. Poteva scegliere quella strada, ma non lo fece.
Quando firmò la sua mano tremava, malferma. Scosse la testa, concentrandosi unicamente sull’inchiostro nero che fluiva sulla carta bianca; ascoltò i complimenti di Kabuto, vaghi rimbombi nelle sue orecchie ormai ottuse e incapaci di interpretare correttamente quanto sentiva, poi strisciò all’indietro e si appoggiò alla parete di fondo.
Per la prima volta dopo anni ed anni in cui i sentimenti avevano danzato attorno a lui come sagome prive di definizione, un senso di dolore indicibilmente violento lo colpì alla testa, allo stomaco, al cuore. Si sentì mutilato, distrutto e stupido, debole come un bambino abbandonato dai genitori, e un pizzicore conosciuto, che gli ricordava soltanto episodi remoti della sua infanzia, lo colse alla gola prima che si mettesse a piangere. Erano amare come il fiele, le lacrime, e trattenne i singhiozzi mordendo le labbra a sangue. Non voleva che Sasori lo sentisse.
«Perché?» Quella voce gli giunse come da un mondo lontano, e la immaginò carezzevole e dolce più di quanto in realtà non fosse. Era stato Sasori a parlare, ma lui pensò che a fargli quella domanda fosse stata sua madre, suo padre, Mizuki, Iruka, Killer Bee o qualsiasi altra persona avesse incontrato in vita sua. “Perché?” Gridavano, tirandolo per i capelli e strappandogli via il cuore e il cervello, affamati del suo sangue, affamati del suo dolore. Che continuassero, lui non lo sapeva; erano troppi i “perché” della sua vita ai quali si trovò incapace di rispondere, in quel momento, erano troppe le domande da cui sarebbe volentieri fuggito e che invece gli si affollavano nella testa, sempre più maligne, sempre più pericolose.
Chiuse gli occhi, premendosi le mani sulle orecchie, ma non funzionò. Quelle voci non si zittivano.
Sasori, perfettamente immobile al suo posto, lo guardò piangere in silenzio.
*
Deidara cercò di ricordare se fosse nato legato ad un tavolo oppure no.
Non riusciva a ricordare che il freddo del metallo e luce verde che gli pioveva negli occhi, così intensa da accecarlo. Il suo passato, benché non l’avesse dimenticato, sembrava chiuso in un cassetto sigillato: poteva cercare di aggrapparsi a quelle esperienze, di pensare a quanto fossero gradevoli la luce del sole, il vento sul viso e persino l’umidità soffocante delle docce nel carcere, ma non riusciva a rievocare che fotogrammi sbiaditi, che non sembravano nemmeno appartenergli.
Tutto faceva male, tranne il cuore.
Avevano spezzato il suo corpo, distrutto e sfibrato ogni nervo e ogni muscolo; il suo cuore, però, era come morto. Sasori non esisteva più, le voci non esistevano più, la vita non esisteva più, persa nel colore fluorescente della lampada che gli tenevano costantemente puntata contro, come per torturarlo.
Eppure, sarebbe bastato poco per liberarsi...
I legacci che lo costringevano attorno al tavolo erano robusti e spessi, di nylon, eppure sapeva di poterli spezzare. Era cambiato, i suoi sensi si erano fatti più acuti e percepiva una forza nuova farsi strada dentro di lui, nell’odore del suo sangue; poteva udire rumori infinitesimali come il lento strisciare dei topi nell’intercapedine, quattro piani sopra il suo, e le grida delle altre cavie gli rimbombavano nelle orecchie come amplificate, inascoltabili. Quelle vibrazioni non facevano che scuoterlo, giorno e notte, impedendogli di dormire. Istupidito, solo, perso nell’abisso di un’inconsapevole follia, Deidara lasciava che le figure scure (non riusciva a registrarli come medici, anche se sapeva benissimo che lo erano) gli infilassero aghi nel braccio e sonde in ogni parte del corpo. Non si era nemmeno ribellato quando gli avevano tagliato i capelli.
Arrancava nell’incubo con mestizia, sperando che quella luce prima o poi si spegnesse, anelando il calore del sole e la comodità dell’erba su cui sdraiarsi, invece di quel freddo giaciglio di metallo.
Eppure, anche in quella situazione gli capitò di trovare un po’ di felicità.
C’era un’infermiera, di cui non sapeva nemmeno il nome, che, al momento di lavarlo e cambiarlo – neanche fosse un neonato, o comunque una creatura incapace di badare a se stessa – gli sussurrava cose gentili e carine. Gli diceva che i suoi occhi erano dello stesso colore del cielo, che i suoi capelli così corti e tagliati male lo facevano somigliare ad un pulcino spettinato e altre dolcezze simili, cosicché lui poteva socchiudere le palpebre per qualche secondo e immaginarsi di stare tra le braccia di quella donna senza un pensiero al mondo, magari sotto un albero, a guardare gli aeroplani che gli passavano sopra la testa. In passato aveva odiato quel genere di cose con tutto se stesso – le aveva definite inique, per sempliciotti, eppure avrebbe dato qualsiasi cosa anche solo per dei momenti come quelli.
Lo amava, forse, ma lui non fu mai capace di fare altrettanto. Non riusciva ad amare nulla, in quel periodo.
L’infermiera gli parlava anche dei fatti che accadevano nel mondo, e del perché lui fosse lì.
«Dobbiamo combattere Zeus». Ripeteva, in continuazione, bagnandogli le labbra con una spugna umida «Dobbiamo impedire che faccia ancora del male. È una creatura molto malvagia, e non vogliamo che Manhattan sia uno specchio di ciò che accadrà nel resto del mondo».
Deidara non aveva idea di chi fosse “Zeus”, ma se lo stavano torturando in quel modo soltanto perché volevano che ci combattesse, potevano star sicuri che non l’avrebbe fatto; fosse pure il peggiore dei criminali, uscito di lì si sarebbe alleato con lui.
Perché sarebbe uscito, giusto?
«Sarai forte contro di lui, Seiryu». “Dragone azzurro”, Seiryu. Perché lo chiamasse in quel modo era un mistero, ma gli piaceva la sua voce carezzevole mentre pronunciava quelle parole; gli davano la speranza di rivedere il mondo, un giorno.
E fu proprio l’infermiera, il cui nome non seppe mai, a sciogliere le catene che lo tenevano avvinto a quell’inferno.
A posteriori, Deidara apprese che i capoccia della Gentek, visti gli scarsi risultati del programma, e visto che era stata trovata una cavia la cui compatibilità genetica con il virus poteva dirsi superiore a tutti i casi esaminati fino a quel momento, avevano deciso di fare piazza pulita e uccidere tutti i soggetti contaminati che facevano parte del progetto. Qualche ora prima che i laboratori sterilizzati in cui vivevano venissero dati alle fiamme, l’infermiera entrò di corsa nella sua stanza, il respiro accelerato e le mosse tremanti di chi sta infrangendo una regola per la prima volta in vita sua.
Gli staccò la flebo con un colpo secco e spense la lampada verde.
Il mondo di Deidara si riaccese improvvisamente. Nel momento in cui l’effetto del calmante si annullò, fagocitato dal suo corpo, fu improvvisamente capace di distinguere le forme e i colori della stanza in cui era stato rinchiuso fino a quel momento. Disgustato, osservò quell’ambiente candido, dal soffitto alto, buio e ingombro dei macchinari che erano serviti per monitorarlo e tenerlo in vita in quelle settimane. Poi guardò la sua salvatrice, voltando appena la testa sul tavolo.
Appena il tempo di registrare l’immagine di una ragazza bella, con gli occhi verdi e i capelli castano rossicci in totale disordine, che già l’aveva dimenticata. Non gli interessava più, perché quella chioma fulva aveva risvegliato in lui ben altri ricordi.
Anche Sasori doveva essere lì, e lui l’avrebbe trovato.
Doveva andarsene immediatamente.
Si tirò a sedere come se fosse stata la cosa più semplice del mondo, senza avvertire il minimo dolore (il che era strano, per qualcuno che era rimasto settimane nella stessa posizione) e avvertì un calore strano, anomalo, scorrergli sottopelle e rinvigorirlo. Si sentiva incredibilmente forte.
Saltò giù dal lettino e volò verso la porta. Alle sue spalle l’infermiera gridò qualcosa, ma lui non la udì nemmeno. Poteva dire con estrema precisione quante persone ci fossero nelle stanze e nei corridoi attorno a lui, e, anche se questa nuova capacità gli diede all’inizio una sensazione stranissima, ci mise pochi secondi a metabolizzarla; comprese che si trattava delle vibrazioni che le persone emettevano camminando sul terreno: le sentiva propagarsi nel terreno, e identificava approssimativamente la stazza e il sesso di chi le produceva. E tutto per istinto, come se quell’abilità gli fosse appartenuta da sempre.
Poi, dopo qualche secondo di ascolto, riconobbe i suoi passi. Lo seppe da subito, ma volle aspettare ancora qualche secondo per accertarsi di non aver preso un abbaglio: perché, se quella camminata sicura eppure leggera non gli dava alcun dubbio, non coglieva però lo strisciare penoso della gamba destra, a cui era abituato. Dovevano aver esaudito il suo desiderio, pensò con un sorriso amaro.
Scattò nella direzione giusta, e si accorse solo in quel momento di quanto fosse veloce e agile. Si sentiva sciolto e leggero come mai gli era successo prima, privo di quella pesantezza umana che, in quel momento se ne rese conto, aveva sempre impacciato i suoi movimenti. Si fermò davanti ad una porta bianca e l’abbatté con un calcio, perfettamente conscio di cosa avrebbe trovato al suo interno e febbricitante per l’emozione.
La vista di Sasori in piedi al centro della stanza gli fece quasi venire le vertigini.
Eretto, come una statua viva, lo fissò con i suoi occhi nocciola, fattisi ancora più grandi per via del dimagrimento intenso che segnava le sue guance e le ossa, ora sporgenti, dei polsi sottili. Non lo avevano legato, forse ritenendolo sufficientemente tranquillo, o forse capendo che sarebbe stato del tutto inutile: Sasori non era Deidara, Sasori non si sarebbe mai lasciato abbattere e domare da nessuno.
«Per-» forse voleva chiedergli “perché”. Deidara lo baciò prima che potesse finire la parola.
Lo strinse con violenza animale, toccando quel corpo minuto con tutta la foga che aveva rinchiuso e trattenuto nelle settimane di carcere e la nostalgia che riaffiorava, seppur confusa, dai giorni di tortura. Si avventò sulle sue labbra perché sapeva che lui non l’avrebbe respinto, e fu accolto da una bocca calda e morbida che, per qualche attimo, gli fece dimenticare completamente il motivo per cui era lì e anche il pericolo che incombeva sulle loro teste. Giocò con la sua lingua e godette di quel contatto intimo come non gli era mai capitato con nessuno, prima, pieno di un sentimento innominabile che gli infondeva energia e gli faceva bruciare il petto e la testa.
«Come mai sei qui?» Sussurrò Sasori, a pochi centimetri dalle sue labbra, quando si separarono.
«Sono libero. Dobbiamo andarcene».
«Perché?»
«Hai riavuto la gamba, no? Non venirmi a dire che questo posto ti piace».
«Lo odio». Mormorò, precedendolo attraverso la carcassa della porta sfondata.
In quel momento, un allarme risuonò per il corridoio.
«Cazzo, si sono accorti che quella mi ha fatto scappare... muoviamoci!»
Poteva sentire i passi di una moltitudine di gente che correva nella loro direzione, per cui afferrò Sasori per un braccio e si lanciò in avanti, sperando con tutto il cuore che ci fosse più di un accesso ai piani superiori. A quanto pareva, però, non era il solo ad aver avuto la brillante idea di svignarsela: dopo qualche secondo udì delle grida altissime, maschili, e degli spari, subito seguiti da una modesta esplosione nelle stanze alle loro spalle.
Fortunatamente, riuscirono a trovare delle scale antincendio che conducevano verso l’alto. Le imboccarono e risalirono attraverso vari piani seminterrati, fino a sbucare in un ambiente che, grazie ad una piccola finestra, veniva parzialmente illuminato da quella che, inequivocabilmente, era la luce del sole al tramonto. Deidara avvertiva i passi sulle scale di ferro, poco sotto di loro, e, anche se gli sembravano un po’ troppo leggeri e veloci per appartenere ai normali, preferì evitare comunque di fidarsi. Diede un calcio poderoso al muro, che si spaccò ed esplose verso l’esterno con un rumore che gli fece spuntare un sorriso felice; non rimase particolarmente sorpreso: seguiva semplicemente l’istinto, e tutte le sue azioni gli apparvero in quel momento estremamente naturali.
E poi, c’era il paesaggio.
Una brulla distesa di cespugli e sterpi, resi rossastri dalla luce del tramonto, che in quel momento gli parve più bella di quel “Grand Canyon” che i suoi lo avevano portato a visitare quando aveva otto anni. Poco lontano c’era un gruppo di colline piuttosto alte, sulle quali spuntava qualche sporadica macchia di alberi.
Deidara guardò al crinale come un conquistador all’Eldorado.
«Ce l’abbiamo fatta, siamo liberi!» Esclamò, afferrando Sasori per il polso.
E forse fu il riverbero d’oro rosso che giocava con i capelli di Akasuna, trasfigurandoli in volute di fiamme dai colori cangianti, o forse il profumo insperato di quell’aria fresca e secca, ma in quel momento a Deidara sembrò di provare una sensazione mai sperimentata prima, che gli scaldava il cuore e ripuliva la sua mente dai pensieri negativi, lasciandolo lucido e pronto all’azione.
Forse non completa (non sarebbe mai potuta essere tale, non con il suo passato), forse non lecita, ma si trattava indiscutibilmente di felicità.
*
Erano rinchiusi là dentro in cento.
Ne sopravvissero otto.
Si incontrarono sul crinale, nell’ultima luce del crepuscolo. Dallo stabile dei laboratori si levavano fiocchi di fumo scuro e urla di esseri umani, evidentemente impegnati a spegnere gli incendi. Ancora poco, e avrebbero cominciato a dar loro la caccia.
Abbandonando la contemplazione di certe piaghe violacee che gli si stavano formando sui palmi delle mani (non sembrava fossero purulente e non facevano male, ma avevano comunque un pessimo aspetto), Deidara lanciò un’occhiata veloce, per l’ennesima volta, al semicerchio di persone che lo circondava. C’era Sasori, ovviamente, e poco discosti un ragazzo con i capelli di una tinta assurda – arancione – e quella che doveva essere la sua fidanzata, nonché unica donna del gruppo; e poi quattro altri uomini, uno dei quali poteva vantare la faccia di due colori diversi, come un grottesco yin-yang umano. Gli altri erano troppo in ombra perché potesse vederli bene, ma sembravano tipi abbastanza imponenti.
La cosa gli piacque, e non poco.
«Allora, siamo gli ultimi rimasti?»
«Sì. I soli».
Non si curò di chi gli aveva appena risposto. La sua, in fondo, era praticamente una domanda retorica.
«E non abbiamo dove andare. Oh, a meno che qualcuno di voi abbia in mente un posto dove andare...» si guardò in torno. Nessuno di loro aveva la minima voglia di separarsi, non dopo quello che tutti dovevano aver passato. L’unione fa la forza, e in quella situazione erano più i loro istinti ancestrali a guidarli, che il raziocinio vero e proprio.
«Perfetto. Che ne dite di un viaggetto a New York?»
«Perché proprio a New York? Chissà quanto è lontana da qui...»
«Non troppo per noi. Nessun posto è troppo lontano per noi, adesso. La ragione per cui pensavo di andare a Manhattan è che il motivo per cui siamo stati creati è combattere un simpatico tizio che sta combinando parecchi casini laggiù». Poi sorrise, invitante. Se quei tizi non avessero avuto intenzione di seguirlo, che si fottessero. Lui e Sasori avevano già concordato quella meta.
«E vuoi andare a buttarti nella tana del lupo?»
«Nemmeno per sogno. Ma sono curioso di sapere cosa sta succedendo... voi no? Pensateci, se sono stati capaci di creare delle armi biologiche come noi per questa storia, significa che a Manhattan sta succedendo qualcosa di grosso. Significa che qualcuno laggiù sta scrivendo la storia dell’America, forse del mondo intero... e voi avete intenzione di volatilizzarvi e mettervi a lavorare in un fast food, quando avreste la possibilità di andare laggiù e assistere? È come per i concerti: dovete decidere se guardare il DVD a casa vostra, col culo sul divano, oppure buttarvi nella folla del parterre. Io, per quanto mi riguarda, ho già deciso».
«Non avrebbe comunque senso cercare di vivere normalmente,» disse la ragazza, con un tono tranquillo e profondo che a Deidara piacque subito «non con il nostro passato. Eravamo carcerati, assassini o trafficanti famosi, e non ci vorrà molto prima che qualcuno ci riconosca. E poi, non so spiegarlo, ma... è come se qualcosa mi stesse chiamando. So che voglio andare a New York».
«Perfetto! In questo caso, partiamo subito... gli scienziati, lì, o come volete chiamarli, ci metteranno un po’ per riorganizzarsi, ma è meglio non farci trovare nel momento in cui saranno pronti a combattere».
Sorrise, Deidara. Sorrise perché sentiva che da quel momento sarebbe andato tutto meravigliosamente, perché sperava che non vi fossero orrori pari a quelli che aveva vissuto da nessun’altra parte del mondo.
Sorrise perché sapeva che quella volta ce l’avrebbe fatta.
Nulla e nessuno avrebbero potuto più sconfiggerlo.
***
«Sono a caaaasa!» Zeus si calò nella botola, esibendo uno di quei sorrisi radiosi che sono tipici di chi è particolarmente di buonumore. Dopo i pasti era sempre così: al surplus energetico seguiva un surplus di allegria e baldanza che Deidara aveva sempre definito come “l’evento più bello a cui abbia mai assistito a parte quella volta che Sasori è scivolato in un tombino”, e che per questo lo faceva sentire più bello e fiero di sé che mai. E poi, anche se questo difficilmente l’avrebbe ammesso, alla base c’era... Sasuke.
Voleva i suoi occhi neri, ne aveva bisogno. E, per quanto i suddetti occhi potessero rivelarsi terribilmente incazzosi e lanciare occhiatacce di cui a volte stentava a comprendere il motivo, sentiva di amare il modo in cui lo guardavano quando l’Uchiha credeva che lui non se ne accorgesse.
Si diresse con passo baldanzoso verso il salotto, senza accorgersi dello strano silenzio che riempiva il corridoio. Vista la presenza sia di Sasuke che Deidara, qualche rumore sarebbe dovuto esserci; eppure il Prototype non vi fece caso, non quella volta. Voleva fare assolutamente pace con Sasuke, e quell’unico pensiero lo teneva completamente occupato.
La porta del salotto cedette docilmente, sotto la sua spinta. Era già aperta.
«Ehi, Sas’ke! Senti, ci ho pensato un po’ e cr-»
La voce gli morì in gola.
Vide il sangue.
Sgranò gli occhi, fece saettare le pupille da una parte all’altra della stanza.
Vide Sasuke.
Non lo riconobbe, all’inizio. Fu quando ebbe emesso un mugolio che riuscì a registrare la sua presenza, ma non si mosse. Come immerso in una strana catatonia, poi, si avvicinò all’Uchiha e lo scosse leggermente, sporcandosi la mano con il sangue di cui era intrisa la sua maglietta; ma Sasuke non se ne accorse nemmeno.
Ridacchiò, senza sapere bene il perché. La voce gli usciva in singulti strozzati, le parole erano difficili da compitare. Eppure ce la fece, doveva farcela: sentiva che, se non avesse detto nulla, quel silenzio intollerabile lo avrebbe ucciso.
«Su, Sas’ke, non giocare... n-non è divertente...» balbettò. Ma Sasuke non rispose.
Perché non rispondeva?
Perché non rispondeva?
E cos’era tutto quel sangue? Perché non si alzava in piedi e non glielo spiegava lui?
«E p-poi cos’è tutto questo cas-»
Per la seconda volta si interruppe.
Vide Deidara.
O, per meglio dire, quello che ne restava.
Cadde in ginocchio, incapace di interpretare quello che vedeva. La sua stessa anima era annegata in un baratro di disperata incredulità.
Poi i suoi occhi lo costrinsero a vedere.
Annaspando, senza ossigeno, arrancò a quattro zampe verso ciò che troneggiava al centro del pavimento. Il sangue era scivoloso, puzzava, e gli rimaneva incollato addosso e lo sporcava senza che lui potesse far nulla. Prese la cosa tra le mani, guardandola con gli occhi dolorosamente spalancati, le pupille riempite dall’immagine di un viso contratto e deformato da un’orribile smorfia. Le iridi azzurre, così simili alle sue, lo fissavano con’espressione priva di vita, spenta; i capelli biondi erano rossi di sangue.
Era la sua...
La sua...
Scosse il capo, paralizzato. Lentamente, lo sguardo fisso nel vuoto, incapace di fare altro movimento, se la portò al petto, abbracciandola. Proteggendola. La testa di Deidara.
Urlò.
Urlò così forte da lacerarsi la gola e i polmoni, da comprimere la cassa toracica e schiacciare il cuore. Il cuore, che sanguinava del dolore più totale e profondo che sia concesso provare ad un essere umano, che sembrava volerlo ammazzare tanto faceva male.
E non fu un grido umano, il suo, e nemmeno animale.
Fu un lamento così acuto e prolungato, così forte e disperato e terribile e vibrante, da non somigliare a nulla che fosse stato udito nel mondo sino a quel momento. Puro dolore, pura disperazione, fusi in un ululato stridente, inascoltabile, tanto che persino Sasuke, nella sua agonia, ebbe l’impulso di coprire le orecchie.
Il pianto non già di un umano, ma di un demone.
***
Lo udirono anche in città.
Pain, Konan, Sasori, Kakuzu, Hidan e Zetsu, e tutti i militari che stazionavano per le strade.
Scosse i palazzi, fece tremare i vetri, si infranse contro gli alveari ed essi ribollirono, svegli come mai erano stati dall’inizio dell’epidemia. Gli umani si guardavano intorno spaesati, sconvolti da quel suono terrificante che sembrava non avere mai fine, e che recava la cupa ombra di una rabbia e di un odio che atterrivano e confondevano chi l’ascoltava. I cacciatori guairono e mugolarono, stringendosi tra di loro e guardandosi intorno spauriti, presaghi di qualcosa di orrendo; gli infetti caddero a terra in preda alle convulsioni, perché troppo era il dolore che esplodeva nei loro crani, ottundendo qualsiasi altra percezione.
La Madre, nel suo rifugio, serrò le mani attorno alla sua testa.
Percepiva un dolore folle, inconcepibile; quel male era parte di lei, parte della sua carne, e non poteva sottrarvisi neanche volendo: sopportò fino all’ultimo, graffiando il cuoio capelluto e strappando i capelli tra mugolii di prostrazione, poi non ce la fece più.
Il suo grido si perse in quello di Zeus, smorzandosi.
***
Temari credé che i timpani le sarebbero scoppiati.
Premette i palmi sui padiglioni auricolari, eppure la potenza del suono non accennò a diminuire. Era come... era come sentirlo nella testa, come se qualcuno le avesse infilato nel cranio una pietra incandescente. Con le lacrime che le pizzicavano gli occhi, lanciò un’occhiata veloce a Sai e Shikamaru, nelle sue stesse condizioni. Il primo, in particolare, era così pallido che la ragazza temé potesse svenire.
Gaara era diverso.
All’inizio aveva tirato anche lui su le mani, per proteggersi, poi si era lasciato completamente andare contro la parete, socchiudendo gli occhi in un’espressione estatica che sembrava quasi voler contraddire quelle dei suoi compagni. E rideva, anche, singhiozzando ogni tanto con la cupezza che gli era solita.
L’urlo non digradò fino a sparire dolcemente, no.
Si interruppe all’improvviso, così com’era cominciato.
Gli occupanti della stanza si guardarono in viso con espressioni perplesse, chiedendosi l’un l’altro – anche se senza parole – cosa fosse successo. Il primo a parlare, e quello che sembrava aver recuperato più autocontrollo, fu Shikamaru.
«Va... va tutto bene?»
«Sì...» soffiò Temari, strattonandosi nervosamente uno dei quattro codini «... anche se vorrei tanto sapere che cazzo è successo. Cos’era quel... quel...»
«Grido...» sussurrò Gaara, perso nella contemplazione del vuoto, le iridi come acquemarine occhieggianti sulla soglia della follia.
«A te n-non ha fatto male?» Chiese Sai, visibilmente preoccupato dallo strano comportamento del ragazzo.
«Voi non potete capire...» il sussurro si fece più forte e intenso, quasi accalorato «... voi non l’avete sentito come l’ho sentito io. Era l’angoscia divorante, era la disperazione più nera e cupa che abbia mai provato in tutta la mia vita. Un turbine di sentimenti così schiaccianti non possono provenire che da un dio... oh, Cristo...» ridacchiò, ricacciando indietro un singulto d’esaltazione «... quella era furia divina. Nessuno si salverà, quando la follia avrà preso il sopravvento».
“Ho sentito le urla più brutte del mondo”.
_Angolo del Fancazzismo_
Oddio, non ci credo. Ce l’ho fatta.
Vi confesso che questo capitolo è la cosa più faticosa che abbia mai scritto in vita mia. Sono ventidue pagine, vi rendete conto? Il triplo di un capitolo normale, ed è quasi tutto flashback, e quasi tutto dedicato a Deidara.
Che, come avrete capito, ha fatto la sua parte, in Prototype. E mi dispiace, sul serio.
Era uno dei miei personaggi preferiti, sia nell’originale che come caratterizzazione, ed è stata una tortura scrivere della sua morte. Non volevo, in un certo senso mi ci ero affezionata molto. Però doveva necessariamente morire, fondamentalmente perché rubava troppo spazio agli altri personaggi e mi impediva di caratterizzare decentemente parecchia gente. Oddio... sono cretina se mi commuovo, vero?
Vabbeh, perdonatemi di questo capitolo che c’ha messo tre mesi per arrivare. Anche se è extra-large :P
Ci vediamo al prossimo aggiornamento, care lettrici, e fatemi sapere cosa pensate di questo chap! Degli altri non mi importava così tanto, ma questo è quasi “sperimentale”, per me, ed essendo stato molto difficile da scrivere vorrei sapere se sono riuscita nel mio intento, ovvero emozionarvi.
Saluti dalla vostra (esausta),
GreedFan
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Capitolo 26 *** Frost ***
025
– Frost
Per
Sasori fu semplice intuire la verità.
Lui
e Deidara erano sempre state creature
incompatibili, vacanti su lunghezze d’onda diametralmente
opposte e del tutto
prive di interessi comuni, ma, forse proprio per questo, avevano
imparato a
conoscersi perfettamente. Come creature simbiotiche, sapevano convivere
nonostante la diversità, e godevano della comprensione
completa di mente e
cuore in maniera naturale, reciproca, quasi fossero gemelli eterozigoti.
L’urlo
di Zeus recò con sé, per Sasori, una sensazione
di vuoto, solitudine e incertezza così forti che per poco il
ragazzo non
barcollò, ascoltandolo. Riconobbe quelle percezioni come
proprie solo dopo che
tutto fu scemato, ritrovandosi a battere le palpebre in una strada
invasa dalla
polvere e dal confuso arrabattarsi degli infetti.
Capì,
e il suo cuore andò in frantumi.
No,
non il suo autocontrollo, non la sua rigida
apparenza. Quelle rimasero statiche come dovevano essere, perfettamente
misurate in ogni gesto ed espressione, curate sin nei dettagli
perché nessuno
potesse scorgere le ombre cupe che andavano addensandosi,
continuamente, nella
sua testa.
Ma
il cuore, a cui sentimenti come la preoccupazione e
la paura erano quasi del tutto sconosciuti – Deidara,
l’unica persona che
avrebbe potuto causarli, era sempre stato in grado di cavarsela da solo
–
sanguinò e si contrasse, solo
come
non lo era mai stato.
Saltò
sul tetto di una casa, poi di un’altra e
un’altra ancora, macinando terreno in direzione del porto
senza alterare di un
filo il suo portamento rilassato; l’inferno di dubbio che lo
bruciava
dall’interno non avrebbe mai potuto sfiorare un viso che aveva imparato a
mantenersi freddo di fronte
alle peggiori eventualità.
Se
non fosse stato per quello, negli anni Sasori non
ce l’avrebbe mai fatta.
A
mano a mano che il covo si faceva sempre più vicino,
vide di sfuggita, con la coda dell’occhio, scie di figure
puntiformi che lo
seguivano ai margini del campo visivo. Zetsu, Pain, Konan, Kisame,
Kakuzu e
Hidan, c’erano tutti – e tutti, presumibilmente,
covavano nel profondo la
stessa convinzione.
Quello
che li attendeva al covo non fu che la
ciliegina sulla torta.
Aveva
visto gli elicotteri dei militari, Sasori, e
aveva pensato che entro breve avrebbero avuto grossi problemi con le
nuove
squadre giunte in città. Aveva anche deciso di riferirlo a
Zeus, visto mai
quella manovra così invasiva celasse ben altri intenti, e
sperava che il
Prototype non prendesse le cose alla leggera, come suo solito.
Tutti
quei pensieri svanirono come neve al sole di
fronte alla scena del salotto.
Zeus
era lì, rannicchiato a centro del pavimento, e
mugolava frasi incomprensibili con qualcosa
stretto tra le braccia; cosa fosse quel “qualcosa”,
Akasuna lo sapeva più che
bene, ma non riuscì a crederci, sul momento. Stordito,
annichilito, rimase in
piedi sull’uscio, lo sguardo fisso su una ciocca di capelli
biondi che sfuggiva
dalla stretta del Prototype e ondeggiava delicatamente nel vuoto. Era
un colore
dolorosamente conosciuto, per le tante volte che l’aveva
sfiorato con le labbra
e aveva pensato quanto fosse bello e intenso.
Ma
non glie l’aveva mai detto.
Non
se ne pentì – difficilmente un dettaglio come
quello avrebbe potuto causargli dolore, in quel momento, ma fu
istantaneamente
invaso da una rabbia cieca e fredda, implacabile, che lo fece
impallidire.
Strinse i pugni, immobile, e lasciò che gli altri,
spintonandolo, gli
passassero davanti e scoprissero con i loro occhi la tragedia.
Deidara
era morto.
Ucciso
dal nemico come un cane, come un trofeo di
caccia. A Sasori venne in mente “Il Signore delle
Mosche”, osservando Zetsu che
cercava di staccare Zeus dalla testa insanguinata.
Poi
si voltò.
Non
riusciva a pensare a niente. Ventitré anni della
sua vita sembravano spariti, inghiottiti dalla sensazione di vuoto e
ferocia
che gli annebbiava la vista; per la prima volta, ebbe davvero paura.
Non
ne aveva avuta quando gli avevano amputato la
gamba in seguito all'incidente stradale che aveva ucciso entrambi i
suoi
genitori, perché troppo shockato persino per formulare
pensieri, coerenti o
incoerenti che fossero; non ne aveva avuta quando aveva ucciso la sua
prima
vittima - esperienza di cui ricordava solo un vago senso di esaltazione
e
appagamento - né quando lo avevano rinchiuso in quel
laboratorio e infettato.
Era sempre stato sicuro delle proprie scelte, autosufficiente e
perfettamente
in grado di cavarsela da solo, e si era sempre preoccupato per se
stesso e per
Deidara. Realizzare quanto la presenza di quel biondino esuberante e
fuori di
testa fosse stata necessaria per
lui,
negli ultimi tempi, fece scaturire la paura di non farcela, di non
poter più
muovere un dito senza la scherzosa, onnipresente approvazione del
ragazzo.
Ma
lui era Sasori, lui avrebbe sconfitto la paura. Si
sarebbe vendicato, e stavolta la sua furia non avrebbe coinvolto solo
mezza
dozzina di basi e poche centinaia di militari disorganizzati; una volta
che
Zeus si fosse svegliato, poi, avrebbe avuto un
alleato infinitamente più potente e pericoloso, animato da
una rabbia identica
alla sua.
Chiunque
fosse il responsabile di quell'atto,
l'avrebbero stanato.
***
Kiba
era rimasto in silenzio, le mani strette sulle
orecchie, in un angolo della stanza.
Non
mutò la sua posizione finché non fu ben udibile
il
trambusto nel corridoio, e le grida e i passi dei loro carcerieri che
correvano
da una parte all'altra urlando farsi incomprensibili, perché
occultate dalla
porta blindata. A quel punto si alzò in piedi, dirigendosi a
piccoli passi
esitanti verso la porta; quando il suo pugno si abbatté sul
metallo freddo,
risuonarono un tonfo ed uno scricchiolio sonoro.
«Ehi!»
Stordito, riprese fiato «Ehi, qualcuno può
venire a spiegarci cosa succede?! E poi abbiamo fame, sono ore che
nessuno ci
porta da mangiare o da bere!»
Shikamaru
scosse il capo, massaggiandosi nervosamente
le tempie.
«Temo
che al momento abbiano altre priorità, Kiba.
Deve essere successo qualcosa di davvero orrendo al loro gruppo, quindi
non
credo che ti daranno retta tanto facilmente».
«Credi
che ne abbiano ammazzato qualcuno?»
«È
probabile... mi preoccupa il fatto che il nemico
sia riuscito a ferirli così tanto. Di questo passo non
potremo contare più
nemmeno sull’appoggio di Zeus».
«Appoggio?
Che intendi fare, Shikamaru?» disse Temari.
«Non
è ovvio? Distruggere la Gentek. È chiaro come il
sole che quella società c’entra con la diffusione
dell’epidemia, e che
probabilmente c’erano degli interessi di terze parti in
questa storia...
quindi, a meno che non vogliamo che il disastro di Manhattan si ripeta
in altre
parti del mondo, dobbiamo togliere di mezzo chi l’ha
provocato».
«Per
questo credo bastino Zeus e...»
«No,
non bastano. Chissà quali altre diavolerie hanno
in serbo i militari... e poi possiedono una conoscenza troppo sommaria
del
nemico con cui intendono battersi. Da soli non potrebbero farcela, non
senza
delle spie».
«Spie?
Non siamo qualificati per fare una cosa del
genere. Ignoriamo più cose di loro sull'azienda per cui
lavoriamo, quindi...»
«Non
sappiamo chi manovra i fili, certo, e non
conosciamo le mire dei piani alti sul virus Idra... ma la disposizione
degli
uffici, l'ubicazione dei laboratori e tutte le informazioni di questo
tipo sono
alla nostra portata. Per spazzare via la società Gentek non
basterà la forza
bruta, ma il palazzo in cui ha sede non credo resisterà ad
un attacco
massiccio, e sarebbe uno smacco notevole sia per i militari che per gli
scienziati coinvolti. Oltretutto, lì hanno i campioni virali
e tutte le
attrezzature con cui lavorano... sarà una perdita
inimmaginabile se li
distruggiamo».
Temari
aggrottò le sopracciglia, dubbiosa.
«Spero
tu ti renda conto che questo significa uccidere
quelli che un tempo erano nostri colleghi. Ne moriranno tanti, e tu sei
disposto ad accettarlo per stare dalla parte di un essere che nemmeno
conosci... ha ucciso Kankuro, e gli ho visto fare cose terribili. Non
è altro
che un mostro».
«Non
è un mostro, Temari». Il tono di Shikamaru si era
fatto serio, quasi accorato «Senti... forse non dovrei
dirtelo, ma facendo
delle ricerche insieme al tizio biondo, Deidara, ho scoperto delle cose
su una
certa Kushina Uzumaki. È una creatura più potente
di Zeus, e anche lei, a
quanto pare, si trova sull'isola in questo momento... la cosa
più interessante,
comunque, è che c'è una connessione molto stretta
tra lei e il Prototype.
Addirittura, sono convinto che siano madre e figlio. Quella... donna, se così la si
può chiamare, ha
subito torture orribili da parte dell’esercito, e
probabilmente è stato lo
stesso per Zeus; qualsiasi essere umano, nella loro situazione, sarebbe
diventato
come loro, se non peggio. Ma non è per questo che intendo
seguirlo, ovviamente.
Il motivo è più semplice: se sarà Zeus
a prevalere, tutto tornerà come prima,
perché il Prototype non ha brame di potere e non vuole
sottomettere nessuno.
Non sappiamo, invece, quello che succederà nel caso fosse la
Gentek a vincere».
«Si
tratta comunque di mettere sul piatto della
bilancia le vite di umani innocenti e di infetti che hanno ucciso
centinaia di
noi. Queste creature non meritano di essere trattate come umane,
né lo sono...
è inutile che tu le difenda. Ok, sono il risultato di
esperimenti condotti da
noi, e un tempo erano umani, ma il loro DNA non assomiglia quasi per
nulla al
nostro. Sono involucri dall’aspetto umano che pensano, vivono
e soprattutto cacciano come animali
predatori; non
sono disposta a combattere per loro». Scoccò un
rapido sguardo a Gaara, che,
ancora immobile contro il muro, sembrava troppo perso nella
contemplazione del
soffitto per darle ascolto.
«Fa’
come vuoi, Temari. Comunque sia, sai che non ci
permetteranno di scegliere per chi schierarci».
***
Fu
Konan ad occuparsi di Sasuke. Mentre Hidan e Kakuzu
pensavano a Zeus – che, fortunatamente, pareva illeso
– e Pain ripuliva il
salotto insieme a Kisame, lei afferrò Sasuke e lo
portò fino all’infermeria. Lo
stese su uno dei lettini, lasciando che si rannicchiasse in posizione
fetale,
su un fianco, con le mani ancora saldamente premute sul viso, e
osservò
l’enorme quantità di sangue che inzuppava i
vestiti del ragazzo.
Sgorgava
dal viso, quello era evidente; non c’erano
ferite sul resto del suo corpo, e nemmeno strappi sui vestiti. Gli si
avvicinò,
con quei suoi passi leggeri che a stento producevano rumore sul
pavimento di
linoleum, e chinò il busto fino ad avvicinare il viso alla
testa dell’Uchiha.
«Ade...»
la sua voce era bassa, tranquilla, persino
più carezzevole del solito. Eppure, Sasuke
sussultò, raggomitolandosi ancora di
più, ed emise un sibilo basso. Konan si chiese cosa potesse
averlo terrorizzato
in quel modo, prima di afferrargli saldamente i polsi e tentare di
scostarli
dal viso; quelli non si mossero, trattenuti da una forza ben
più ostinata della
sua.
«Ade,
ti avverto che, se non mi lascerai medicare il
tuo viso, sarò costretta a spezzarti entrambi i
polsi». Disse, tranquilla,
serrando la presa sulle braccia pallide di Sasuke.
Poteva
sembrare una ragazza come tante altre, Konan,
con quel suo trucco pesante e l’aspetto tranquillo e posato;
un osservatore
distratto – o tutt’al più ignorante
– avrebbe potuto crederla più debole dei
propri compagni solo in quanto donna, e avrebbe commesso un grosso
errore di
valutazione. Era forte, incredibilmente forte, e possedeva una mente
acuta e
calcolatrice, oltre che un’intelligenza spiccata; ancor prima
di spostare le
mani di Sasuke, era riuscita a prevedere cosa avrebbe trovato, e aveva
recuperato
la calma necessaria per affrontare la situazione con la solita
metodicità.
Strinse
ulteriormente le dita sulla pelle chiara, e
percepì lo scricchiolio deciso delle ossa, sotto la sua
presa. Ade guaì,
contorcendosi leggermente, poi si arrese: staccò le dita dal
viso, una ad una,
e allontanò finalmente le mani.
Konan
represse un brivido, poi sospirò. Le labbra
leggermente dischiuse in un moto di pietà,
avvicinò le dita al volto di Sasuke,
orribilmente deturpato; fino al naso era quello che ricordava, sebbene
la pelle
delicata fosse rossa e lucida di sangue.
A
fissarla, tuttavia, non erano gli occhi color
giaietto che le erano diventati quasi familiari, ormai, ma due orribili
orbite
vuote.
Nere,
scure voragini prive di vita.
Gocciolavano
ancora sangue, come se Ade stesse
piangendo. Non avrebbe potuto farlo comunque, visto che, oltre
all’occhio,
l’aggressore si era premurato di strappare via anche le
palpebre, con una
precisione che sottintendeva, piuttosto che furia, un piacere freddo e
maniacale per quello che aveva fatto.
«Mi
senti, Ade?»
Non
ottenne risposta. Il ragazzo era come morto, anche
se il petto si sollevava ad intervalli regolari nell’atto del
respiro.
«Mi
senti, Sasuke Uchiha?»
Quel
secondo tentativo ebbe un esito diverso: Sasuke
emise un gemito flebile e contrasse le dita, come a voler afferrare
qualcosa,
nel vuoto. Konan non seppe come interpretarlo.
Si
voltò, poi si avvicinò al frigo e prese il
barattolino che conteneva la colla ottenuta dal plasma di Zeus, quella
stessa
sostanza che, già una volta, aveva risanato le ferite di
Ade. Per il ragazzo
quell’episodio sarebbe stato indubbiamente un trauma
difficile da superare, ma,
almeno, il suo corpo sarebbe guarito perfettamente; era uno dei tanti
vantaggi
di essere infetti.
Immerso
un tampone nella sostanza, lo spalmò con
estrema delicatezza all’interno delle orbite di Sasuke,
stando attenta a
ricoprirle con un sottile strato madreperlaceo e compatto. Il ragazzo
cercò di
divincolarsi più volte (evidentemente, anche essere sfiorato
in quel modo
doveva provocargli un dolore atroce), arrivando persino a tirarle un
mezzo
schiaffo, che fu prontamente bloccato.
Quando
ebbe finito, Konan fasciò la testa del ragazzo
con delle garze pulite e lo lasciò tranquillo, uscendo dalla
stanza senza fare
rumore. Sasuke delirava, sussurrando parole insensata che si fondevano
le une
nelle altre, in un miscuglio di suoni.
“Spero
che questo ricordo non ti causi troppo dolore, Sasuke Uchiha. E
spero che sia lo stesso anche per Zeus”.
***
«Zetsu,
che gli è successo?»
La
voce del Prototype sembrava quasi un pigolio,
dolorosamente diversa dal tono allegro e vitale che era solito usare.
«Non
lo so, Konan si sta occupando di lui. Che
t’importa?! È solo un ragazzino come un
altro».
Zeus
stirò gli angoli della bocca in quello che
sarebbe dovuto essere un sorriso.
«Sei
nervoso. Era da un po’ che non succedeva».
Zetsu
aveva sempre avuto una particolarità piuttosto
strana, persino per gli standard degli infetti: già prima di
venire contaminato
aveva problemi psicologici notevoli, ma, dopo il cambiamento, aveva
sviluppato
una doppia personalità che emergeva, solitamente, nei
momenti di rabbia. Zetsu
“bianco” era la parte più tranquilla e
morigerata, Zetsu “nero” incarnava le
pulsioni più istintive e, in un certo senso, i pensieri
più “malvagi”.
Deidara,
appassionato cinefilo, una volta lo aveva
definito il connubio perfetto tra il narratore senza nome e Tyler
Durden di
Fight Club.
Il
Prototype scacciò immediatamente quel pensiero, che
bruciava come e più di un ferro arroventato premuto al
centro del petto.
Rivolse nuovamente l’attenzione su Zetsu, apparentemente
molto impegnato a
tenere a freno la parte nera, e schiuse le labbra screpolate, senza
sapere bene
che dire.
«Di’
pure quello che vuoi, non importa. Ormai non c’è
più niente che potrebbe importarmi».
«Siamo
tutti arrabbiati e tristi per quello che è
successo, Zeus, ma non devi lasciarti andare così. Se molli tutto adesso, butterai nel cesso tutta la
tua fatica e i
nostri sforzi».
«Lo
so... lo so. Non lo farò. Dammi solo un po’ di
tempo, ti prego...» la supplica si perse in un sospiro
stanco, e il Prototype
socchiuse gli occhi celesti, prossimo al sonno. Si sentiva confuso,
esausto,
gli occhi gonfi per il pianto e la gola che bruciava di dolore ad ogni
respiro;
passato lo stato di intontimento dovuto allo shock, era come essere
finiti
sotto un treno.
Si
sentiva distrutto, sia nel corpo che nello spirito.
«Hai
resistito a cose peggiori... che ridere, se
bastasse la morte di un compagno per abbatterti. Che
risate, che smacco per il terribile Zeus!»
«Non
sono fatto di pietra... è che, se fossi arrivato
lì qualche minuto prima, forse Deidara sarebbe
ancora...»
«Vivo?
Fai ragionamenti degni di un bambino, Zeus».
Non
era stato Zetsu a parlare. Sollevando lo sguardo,
il Prototype riconobbe la figura esile di Sasori, appoggiata alla
porta, che lo
squadrava con un’espressione neutra particolarmente
irritante, in quel momento.
«Parli
come se non te ne importasse nulla...» ringhiò,
stringendo le lenzuola tra le dita «... tu, che hai perso
più di tutti. Non ti
togli mai di dosso quella maschera indifferente, vero?»
«Zetsu,
lasciaci. Ho bisogno di parlare da solo con
lui».
Sempre
borbottando tra sé e sé, l’interpellato
si alzò
e uscì dalla stanza; Sasori chiuse a chiave la porta, poi si
sedette accanto al
letto.
«Allora,
che c’è?»
«Se
anche fossi arrivato in tempo, nessuno garantisce
che saresti riuscito a salvare Deidara».
Zeus
lo guardò, dubbioso; poi si tirò a sedere, non
senza un certo sforzo.
«Cosa
vuoi dirmi, di preciso? Non sarai qui per questo...»
«No,
infatti. Zeus, io...» inspirò profondamente, poi
lo guardò dritto negli occhi «... ho sbagliato. E
me ne scuso».
Il
Prototype non riusciva a credere alle proprie
orecchie; incredulo, fissò l’espressione
mostruosamente seria di Sasori e cercò
di ricordare in quali altre occasioni Akasuna avesse fatto ammissioni
di colpa
così plateali. Mai, da
quello che
riusciva a ricordare.
E
per cosa si stava scusando?
«In
che...»
«Avrei
dovuto ascoltarti sin da subito. Avrei dovuto
capire che questa guerra riguardava tanto noi quanto te, e invece ho
commesso
l’imperdonabile errore di negarti l’aiuto che ci
hai chiesto. Tu ci hai aiutati
e io non ho riconosciuto i tuoi sforzi, e ho permesso che il nemico
oltrepassasse ogni confine. Deidara è morto, e non possiamo
riportarlo
indietro, ma non rimarremo inattivi».
«Combatteremo
insieme, Sasori?»
«Combatteremo».
Zeus
porse la mano ad Akasuna, che la strinse.
Nessuno
dei due sorrideva, nessuno dei due era
contento dell’accordo appena raggiunto. Uno era roso dai
sensi di colpa per la
morte dell’amico, l’altro era sommerso da una
rabbia incontrollabile e
violenta, che non aveva mai provato e faceva fatica a contenere.
Entrambi,
però, erano accomunati dalla perdita di
qualcosa che amavano.
Sasori
fece per uscire dalla stanza, ma, prima che
potesse mettere un piede oltre la soglia, la voce del Prototype lo
bloccò.
«Aspetta...»
aveva la voce strozzata, e, quando il
ragazzo si voltò, vide che le guance di Zeus erano umide di
pianto. Tuttavia,
non ci volle molto perché Sasori comprendesse la natura di
quelle lacrime: non
era tristezza, ma rabbia quella che sgorgava dagli occhi del Prototype;
le sue
iridi, fino a qualche secondo prima celesti, ardevano di un rosso
chiazzato
d’argento.
«Cosa
hanno fatto a Sasuke? Tu lo sai?»
«Ho
parlato con Konan. Gli hanno strappato via gli
occhi».
Zeus
emise una sorta di guaito, serrando le palpebre
quasi avvertisse un dolore fisico; strinse le mani sulle lenzuola, poi
aprì
nuovamente gli occhi e guardò il proprio interlocutore.
Sasori riconobbe la
propria rabbia, nel suo sguardo.
«Troverò
il responsabile di tutto questo e lo
ammazzerò». Sussurrò «Gli
farò passare le pene dell’Inferno per quello che
ci
ha fatto, Sasori. Adesso è questa la mia
priorità».
«Io
ti aiuterò, lo sai. Togliendo di mezzo
l’assassino, è probabile che uccideremo la
creatura più potente tra tutte
quelle a disposizione della Gentek».
«E
poi sarà la Gentek intera a cadere, e tutti quelli
che hanno reso possibile questo... abominio».
Aveva pensato alla parola da usare, mettendoci qualche secondo
più del
necessario per cercare un termine che, nonostante il suo vocabolario
ristretto,
descrivesse perfettamente la situazione.
Sorrise.
Deidara gli avrebbe sicuramente dato del
sempliciotto.
«Moriranno».
***
Orochimaru
e Jiraiya erano rimasti immobili,
esterrefatti, incapaci di proferire parola.
L’urlo
li aveva colpiti con la potenza di un pugno, ed
entrambi avevano sentito il proprio corpo tremare e tendersi di fronte
ad un
richiamo che risvegliava le loro percezioni più ancestrali.
Era una richiesta
d’aiuto da parte di una creatura più potente di
loro, e seppero immediatamente
da dove proveniva e, soprattutto, chi
l’aveva mandata.
«Zeus...»
«Veniva
dal porto, dev’essergli successo qualcosa.
Credi sia il caso di intervenire?»
«Sì.
Questi umani stanno acquisendo un certo talento
nel darci noie».
Orochimaru
accennò con il capo alla carcassa fumante
di un elicottero che, schiantatosi sull’asfalto, era esploso
scaraventando
pezzi di lamiera e corpi carbonizzati a diversi metri di distanza. Con
un
movimento aggraziato, sistemò una ciocca di capelli che era
finita fuori posto.
«Oltretutto...»
continuò, la voce simile ad un sibilo
seccato «... Zeus non è stato saggio.
Quell’urlo attirerà non soltanto noi, ma
anche i militari e qualsiasi altra creatura voglia approfittare della
sua
debolezza. Adesso basta con i giochi».
«Dobbiamo
avvertire Tsunade».
«Sciocchezze.
Qualunque cosa stia succedendo laggiù,
esporla ad un pericolo ignoto è completamente
inutile».
«Hai
ragione. E poi, se le nostre idee dovessero
rivelarsi corrette, per lei sarebbe un colpo troppo forte».
Orochimaru
annuì brevemente, senza far caso a quel
particolare che, ad essere sinceri, non gli interessava più
di tanto. Non aveva
quelle premure nemmeno per sé stesso, figurarsi poi per gli
altri... gli
sembrava stupido, infantile e soprattutto inutile: proteggere qualcuno
nascondendogli la verità era sempre una pessima idea, da
qualunque lato si
guardasse la faccenda.
«Mi
chiedo quanto abbiano scoperto sui fatti di Hope».
«Hai
intenzione di rivelargli la verità, Orochimaru?»
«Soltanto
quella che conosco per certo. Tsunade non
vuole che Zeus combatta contro Madara per paura che possa ripetersi
quanto
accaduto diciassette anni fa, ma di questo passo la situazione potrebbe
diventare persino peggiore. Quello che stiamo facendo è
permettere che una
creatura dotata di poteri immensi sia fuorviata da informazioni
fasulle, che
brancoli nel buio dell’ignoranza senza un obiettivo contro
cui dirigere la
rabbia. Stiamo sprecando l’arma più potente che
possediamo, e quell’urlo ne era
l’ennesima riprova».
«Tsunade
ti ucciderà, quando lo verrà a sapere».
«Sarà
comunque troppo tardi. Dovresti ringraziarmi, rospo:
sono probabilmente l’unica
creatura dotata di un cervello funzionante, su
quest’isola».
«No,
sei soltanto il più folle, e lo sai
perfettamente».
«Il
più folle? Finché Madara è ancora in
vita, quel
primato non mi appartiene».
“Era
difficile credere ancora in un futuro migliore”.
_Angolo
del Fancazzismo_
Capitolo
di passaggio, lo so. Forse il più noioso che
abbia scritto dall’inizio della storia, ma era necessario per
spezzare dopo
quella mostruosità dello scorso chap e prepararvi alla
colossale baraonda dei
prossimi capitoli. Dico “baraonda”
perché ci avviciniamo alla rivelazione della
verità su Zeus/Naruto, più una serie di battaglie
già pianificate – be’, più o
meno – e poi, naturalmente, la fine.
Non
prima di un centinaio di capitoli, a giudicare
dalla tremenda lentezza con cui porto avanti i fatti.
Comunque,
parliamo di facezie. Eh, sì, oggi sono
particolarmente in vena... dunque, tutto ciò che avete
appena letto è stato
scritto sotto il magico (?) influsso di due dei miei album preferiti, e
cioè
“Toxicity” dei System of a Down e
“Korn” dei Korn. La scrittura ha richiesto
più tempo del previsto anche perché ogni volta
che partiva “Science” (forse la
mia canzone preferita dei SOAD) mi mettevo a correre e fare headbanging
per
tutto il salotto. Sì, lo so, la mia sanità
mentale è uno sfacelo.
Spero
vi sia piaciuto (spero, ma non credo), e che
Ronnie James Dio sia con voi!
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 27 *** The Scars I Bear ***
«Zetsu,
potresti portarmi qui Shikamaru?»
«Shikamaru?
Chi è?»
«È
il ragazzo con il codino e i capelli castani». Zeus
stava seduto nel letto con la schiena appoggiata ai cuscini, lo sguardo
già più
lucido e fermo. Negli occhi, però, nonostante la ripresa
avvenuta, permaneva
un'ombra cupa di tristezza, che difficilmente si poteva ignorare o
confondere
con una stanchezza che, Zetsu lo sapeva, sarebbe stata più
che giustificata in
una situazione come quella.
«Vado».
Si
sollevò dalla sedia su cui si era seduto, le gambe
aggranchite per l'eccessiva immobilità, poi uscì
nel corridoio; non appena aprì
la porta della stanza in cui erano alloggiati gli ospiti,
si trovò puntate addosso cinque paia d'occhi che,
di primo
acchito, non sembravano affatto contente di vederlo.
«Notevole
che vi siate ricordati di noi...» fece la
ragazza bionda «... visto e considerato che stiamo morendo di
fame».
«Dovete
perdonarci,» la voce di Zetsu, falsamente
accondiscendente, causò un moto di stizza nella donna
«ma ci sono successe cose
poco piacevoli nelle ultime ore, e non siamo riusciti ad occuparci di
voi. Farò
in modo che vi sia portato da mangiare e da bere... e suppongo che
avrete
bisogno di andare in bagno, giusto? Tu, però, adesso vieni
con me». Indicò
Shikamaru, che gli rivolse un'occhiata confusa. Poi si alzò
e, silenzioso,
varcò la porta che Zetsu teneva aperta.
«Perché
questa cosa?» Domandò, mentre camminavano
verso la stanza di Zeus.
«Non
lo so... suppongo che il Prototype voglia
parlarti».
«A
proposito della confusione che abbiamo sentito?»
«È
probabile. Non vi hanno detto nulla su quello che è
successo, vero?»
«No.
Qualcosa di particolarmente grave?»
«Deidara
è morto».
Shikamaru
si bloccò nel mezzo del corridoio, le
braccia lungo i fianchi e lo sguardo incredulo. Guardò il
viso di Zetsu, che
non sembrava tradire emozioni di sorta, poi deglutì; sentiva
improvvisamente
caldo.
«Non
stai scherzando». Concluse poi, scuotendo la
testa «E questa è definitivamente la peggior
situazione in cui potessi
capitare».
Zetsu
non chiese il perché - non gli interessava,
aveva ben altro di cui occuparsi - e riprese a muoversi. Shikamaru,
silenzioso,
lo seguì fino alla camera del Prototype.
«Zeus
è molto debole, ma ti consiglio di non
irritarlo. È un momento piuttosto delicato, per
lui».
Nara
colse l'avvertimento e ringraziò con un cenno del
capo, poi appoggiò una mano sulla maniglia della porta;
quando l'abbassò e
spinse, gli sembrò che davanti a lui si spalancasse la porta
di un limbo.
Il
Prototype stava sdraiato sul materasso, la testa
affondata tra i cuscini, e lo fissava con uno sguardo che, nonostante
fosse
segnato da profonde occhiaie scura, restava vigile e attento; il viso
era
disteso, apparentemente sereno, ma nell'aria Shikamaru
avvertì un'inquietudine
che gli fece correre una serie di brividi poco piacevoli lungo la spina
dorsale. Ignorando quell'ultimo, disperato segnale del suo istinto, si
avvicinò
al letto e, a fatica, atteggiò l'espressione del volto ad
una smorfia tranquilla
e controllata.
«Tu
e Deidara avete fatto delle ricerche insieme, non
è vero?»
Ecco,
sapeva che prima o poi quel momento sarebbe
arrivato. Il cliché finale di quel pessimo film che era
stata la sua
"avventura" di Manhattan; peccato che, a differenza di quanto sarebbe
probabilmente successo in un film, Shikamaru non avesse la
possibilità di
salvarsi con qualche stratagemma brillante, o con un discorso sagace.
«S-sì».
"Sono
nella completa merda".
«Che
avete scoperto? Sono certo che Deidara mi avrebbe
informato, se aveste trovato qualcosa di importante, ma visto quello
che è
successo ho bisogno di sapere fino a che punto siete
arrivati».
Nara
deglutì, per la prima volta dopo tanto tempo in
seria difficoltà, intimorito dal suo interlocutore. Non
sapeva che fare: la
verità era troppo tremenda e basata su supposizioni per
raccontarla a Zeus,
senza contare che, a quanto pareva, Deidara aveva realmente scoperto
qualcosa
di grosso e l'aveva nascosto al
Prototype. Dire che si sarebbe incazzato di brutto era parlare per
eufemismi.
Optare
per una menzogna pacificatrice, altresì, era
impensabile. Non aveva nessuna voglia di finire sul menu della base,
Shikamaru,
ed era abbastanza furbo per capire che, se mai Zeus l'avesse scoperto -
e l'avrebbe scoperto, vista la sua
buona
stella nell'ultimo periodo - l'avrebbe fatto a pezzi con le proprie
mani.
Non
poteva permettersi di rischiare troppo.
«Io...
ecco... abbiamo effettivamente trovato...
trovato delle informazioni».
«Di
che tipo? Sappiamo chi è Elizabeth Greene?»
Il
fatto che Zeus avesse usato la prima persona
singolare non era affatto rassicurante; Shikamaru aveva già
capito
perfettamente di che tipo di persona si trattava: fiducioso a priori in
tutti,
terribilmente pericoloso quando veniva tradito, e forse proprio per
questo non
gli faceva affatto piacere essere oggetto di tanta fede.
«Ecco...
non proprio. Cioè, lo sappiamo, ma il punto è
che...»
«Parla,
tranquillo...» Zeus lo interruppe con un
sorriso conciliante «... non ti mangio mica, sai?»
Su
questo Shikamaru aveva dei seri dubbi.
Deglutì,
più spaventato che altro da quelle parole, e
cercò di riafferrare il filo del discorso, ormai
irreparabilmente perso.
«Il
punto è che non riusciamo a spiegarci delle...
cose».
«Non
ti preoccupare, vai con calma. Potrai sempre completare
le ricerche insieme a qualcun altro, ma per adesso voglio sapere a che
punto
siamo arrivati».
La
gentilezza di Zeus metteva Nara nella tipica
situazione di chi vorrebbe avere una scusa per mentire al proprio
interlocutore, ma si sente in colpa anche al solo pensiero di farlo, di
fronte
alla magnanimità dimostrata da quest'ultimo. "E
se lo danneggiasse?" pensò, osservando per qualche
secondo il viso stanco del Prototype "La
situazione è delicata, eppure..."
Eppure,
nascondergli tutto avrebbe potuto arrecargli
danni ancora peggiori.
Come
suo solito, Shikamaru ritenne più opportuno
optare per una mezza verità.
«Elizabeth
Greene è il... risultato,
se così vogliamo chiamarlo, di una serie di esperimenti
che furono finanziati dall'esercito nel 1960. In un villaggio
dell'Idaho, Hope,
fu iniettato alle persone un ceppo virale mutante... la gente credeva
si
trattasse di vaccini. Non sappiamo né come né
perché, ma la Greene ha
sviluppato la capacità di non invecchiare ed è
rimasta uguale fino ad oggi».
«Oh,
dovresti vedere che altro sa fare. Che ne è stato
di Hope?»
«Divorato
da un incendio, che suppongo sia stato
appiccato dai militari stessi. Il punto però è un
altro... al momento del
disastro, il 10 Ottobre, la Greene era incinta. Molto incinta, non so
se mi spiego...
il bambino, probabilmente, stava per nascere».
Zeus
pareva improvvisamente interessato: corrugò le
sopracciglia, gli occhi più attenti di prima; Shikamaru lo
notò, e il suo primo
impulso fu quello di tapparsi la bocca all’istante.
«E
che fine ha fatto il bambino? Lo avete scoperto?»
«È...
è morto».
«Mh.
Basta così?»
«Sì.
Ignoriamo quale fosse lo scopo dell'arma
biologica che hanno tentato di creare».
«Capito.
Be', grazie per queste informazioni... mi
aspettavo che la Greene fosse diventata un mostro a causa
dell'esercito, ma non
credevo che l'America avrebbe mai appoggiato lo sterminio di un intero
villaggio».
«Potrò
continuare a cercare?»
«Sì...
non da solo, ovviamente. Vedrò se qualcuno dei
nostri vuole darti una mano».
Shikamaru
annuì, poi fece per uscire. Sulla porta,
all'improvviso, si voltò, ricordando un particolare che,
repentino, gli era
venuto in mente.
«Un'ultima
cosa...» disse, rivolgendosi al Prototype;
quello lo fissava ancora, scrupolosamente, come ipnotizzato, forse
cercando di
capire se gli avesse nascosto qualcosa - peccato che i suoi poteri
funzionassero soltanto con gli infetti, e non con gli umani sani.
«Parla».
«Il
vero nome di Elizabeth Green è...»
indugiò per
qualche secondo, sperando di ricordarlo bene «... Kushina
Uzumaki».
Zeus
impallidì.
***
La
prima volta che aveva assorbito qualcuno, il dolore era stato atroce.
Ricordava
ancora la sensazione strana e piacevole allo stesso tempo che
aveva provato quando, conficcando il braccio nel corpo stanco di un
senzatetto,
la sua essenza vitale si era infiltrata nelle vene dell'uomo, e dal suo
corpo
erano sbucata, famelica, una rete di filamenti neri e rossicci che, in
pochi
secondi, aveva inglobato l'intero corpo, fagocitandolo.
Immediatamente
dopo l'assorbimento, aveva provato un piacere puro,
indescrivibile, e una sensazione di energia pura che gli scorreva per
le vene,
rinfrancandolo. Per giorni aveva vagato tra i vicoli di New York,
spaurito e
macilento, affamato senza saper bene di cosa, finché
l'istinto non lo aveva
portato a quel gesto.
Il
dolore ci mise qualche secondo per arrivare.
Lo
colse impreparato, violento come una stilettata nel cranio; si
piegò
sulle ginocchia, Zeus, ansimando pesantemente e stringendosi la testa
tra le
mani, quasi sperasse di cancellare quella fitta improvvisa chiudendosi
su sé
stesso. Ma la fitta non passò e, anzi, crebbe
d'intensità fino a intontirlo,
annientandolo. Cadde a terra, il capo abbandonato tra l'immondizia e le
pozzanghere.
In
quel momento, vide la prima immagine.
Oscurando
del tutto il suo campo visivo, gli si presentò davanti un
paesaggio a lui completamente sconosciuto: enormi distese ondulate,
coperte di
verde, si stendevano in ogni dove davanti ai suoi occhi, rosseggianti
sotto i
raggi di un sole prossimo al tramonto. Una voce chiamò un
nome che Zeus non
conosceva, eppure, manovrata da qualcun altro, la sua testa si
voltò, giusto in
tempo per guardare il volto bello e delicato di una giovane ragazza
bionda.
Come
per magia, quella visione si dissolse improvvisamente, subito
sostituita da un'altra; ed ecco che davanti agli occhi del Prototype,
nell'arco
di pochi secondi, si spiegarono, in rapida successione, frammentari
fotogrammi
della vita dell'uomo che aveva assorbito. Non era tutto, ma
bastò perché Zeus
capisse cosa stava accadendo; nonostante ciò, non
tentò di contrastare quel
processo, che, anzi, gli parve improvvisamente naturale, quasi divertente.
Quando
le immagini svanirono, si ritrovò sdraiato per terra, una
guancia
premuta sull'asfalto umido e caldo. Un sorriso estatico gli correva da
una
parte all'altra del viso.
Oh,
se aveva capito.
Rialzandosi
in piedi, spazzolandosi i pantaloni laceri con le mani,
sentì
fluire nel suo corpo un nuovo tipo di sicurezza, sottile e melliflua
come il
sapore dolciastro di un potente veleno. La consapevolezza di aver
ucciso un
uomo non lo toccava minimamente - nella sua ottica, nella sua fame, era
naturale cibarsi di ciò che l'istinto gli suggeriva -
mentre, con la forza di
una deflagrazione, aveva compreso l'enorme potenziale della
capacità appena scoperta.
Possedeva
una finestra sui
loro piani, un'arma che gli avrebbe
permesso di sconfiggerli. Doveva soltanto mangiarne degli altri, e
avrebbe
conosciuto in anticipo ogni loro mossa, leggendola direttamente dai
ricordi -
una sorgente che, a differenza delle parole, non contemplava menzogna.
Loro, gli uomini
vestiti di nero, in quei giorni lo avevano cercato. Mentre la
città cambiava e
si accartocciava su sé stessa, mentre enormi nuvole di
vapori rossi coprivano i
grattacieli e strane creature barcollanti, coperte di sangue rosso,
cominciavano a comparire per le strade - proprio allora Zeus,
respirando
quell'aria putrida e sentendosi a casa in un modo strano, piacevole, si
rifugiava nei luoghi più bui e solitari per evitare di
essere trovato. Sapeva,
grazie alle sue pulsioni ancestrali, che, se mai gli si fossero
presentati dei
reali pericoli, lui avrebbe saputo affrontarli.
Altresì,
leggeva la paura negli occhi degli uomini, quando lo incontravano,
e comprendeva che la sua gioia e il loro terrore nascevano dalla
medesima
fonte, ed erano entrambi completamente giusti.
A
poco a poco, stava imparando la vita.
*
Aveva
scelto di provare il suo metodo su un tipo importante.
Lo
aveva visto spesso recarsi al grande palazzo da cui lui era scappato,
chiuso in una di quelle brutte, lente gabbie di metallo che si
chiamavano
"elicotteri". Lo aveva spiato mentre si aggirava attorno agli alveari
con un grosso seguito di uomini corazzati, lui che con il suo camice
bianco
spiccava incredibilmente in quel caos di terra rossa e uniformi nere;
aveva
capito il suo status dal modo in cui camminava, dal tono aspro che la
sua voce
assumeva quando parlava con qualcun altro e dal grande impegno che gli
altri
umani mettevano nel proteggerlo.
Aveva
aspettato con pazienza che l'elicottero gli arrivasse sulla testa,
dove sapeva che sarebbe passato; aveva spiccato un balzo poderoso,
sollevandosi
fino ad un'altezza di quasi venti metri, poi aveva proteso il braccio,
mutato
in frusta, verso l'alto.
Gli
esseri umani volavano troppo bassi.
La
frusta si era avvolta con uno schiocco sonoro sulla coda del mezzo, e
le
spine nere si erano conficcate nel metallo, deformandolo. Quando era
atterrato
sul portellone, reggendosi alle minime sporgenze sulle lamiere che
custodivano
l'abitacolo, gli occupanti avevano cominciato a gridare; non che fosse
servito
a molto. Aveva afferrato il suo obiettivo mentre il sangue del pilota
ancora
colava sul quadro dei comandi, fluendo lento dal cranio spaccato, e lo
aveva
trafitto da parte a parte con violenza. Quello che vide poi, non
l'avrebbe più
dimenticato.
Superato
il dolore, ormai diventato una consuetudine dell'assorbimento, gli
si presentò un'immagina nota e sconosciuta insieme: davanti
a lui c'era un
vetro dall'apparenza spessa, perfettamente pulito e lucido. Oltre il
vetro,
steso su un lettino di metallo con un'incalcolabile serie di macchinari
tutt'intorno, stava un ragazzo dall'aspetto inconfondibile.
Lui,
semplicemente.
Sembrava
che respirasse, ma non compiva il minimo movimento; su uno
schermo, a qualche passo di distanza da lui, una linea che si
increspava
regolarmente segnava i battiti del suo cuore.
La
sensazione di guardare se stesso era davvero strana, lo faceva sentire
confuso - specialmente considerando che quella parte della sua vita lui
non la
ricordava nemmeno. Ad ogni modo, il ricordo doveva appartenere ad un
periodo
estremamente vicino alla sua fuga, visto che il suo corpo era identico
al
presente e indossava persino la stessa vestaglia da ospedale. Forse
addirittura
poche ore prima.
«A
volte mi chiedo cosa sogna... se sogna». Fu qualcun altro a
parlare,
forse un collega.
La
sua voce, più bassa e mascolina del solito, rispose con tono
pacato.
«Credi
che gli animali sognino? Se è così, anche Zeus
sogna».
«Ma...»
la voce del collega tremò leggermente; dunque, era un suo
subordinato «... un tempo lui era... voglio dire, un essere
umano normale, no?»
«Certo,
lo era. Ti hanno detto come si chiamava?»
«No.
Lui era di...»
«No,
figurati. Di quel posto c’è una sola superstite, e
adesso si trova in
un laboratorio dieci piani più in basso di noi».
«Ma
allora da dove viene?»
«Che
vuoi che ne sappia... i capoccia non ci danno questo tipo di
informazioni, dovresti saperlo. Sarà una cavia come tante,
uno di quei figli di
nessuno che vengono pescati per strada o venduti dai genitori alle
aziende come
la nostra... comunque, vuoi sapere come si chiama? Non sembra, ma
è
giapponese».
«Giapponese?
Sul serio?»
«Dal
nome si direbbe. Si chiama Naruto Uzumaki».
Prima
che la visione svanisse, a Zeus parve di cogliere un fremito nelle
palpebre del corpo adagiato sul lettino.
***
Orochimaru
aveva pensato che, dopo quel trambusto
improvviso, Zeus avesse predisposto un qualche sistema di difesa
davanti alla
propria base; quello che non si aspettava era la somma
ingenuità e stupidità
con cui questa barriera era stata
approntata.
Se
anche un estraneo non avesse conosciuto la reale
ubicazione del rifugio - com'era, d'altra parte, nel suo caso -
difficilmente
avrebbe potuto ignorare il gigante con la pelle di un'inequivocabile
sfumatura
azzurra che sostava davanti alla porta. Appoggiata svogliatamente ad
una
spalla, suddetto gigante aveva una spada di quello che sembrava osso,
bianco-giallognola, formata da centinaia di cuspidi sovrapposte.
Che
un tipo del genere non si trovasse lì per fare un
picnic era abbastanza lampante.
«Idioti».
Commentò, avvicinandosi con passi lunghi e
tranquilli al guardiano immobile. Aveva un aspetto davvero terribile,
oltre che
rozzo e arrogante; quando gli puntò contro la spada ed emise
un grido
strozzato, Orochimaru riconfermò questa impressione e vi
aggiunse quella di
negligenza.
Distratto,
evidentemente non lo aveva nemmeno sentito
arrivare.
«E
tu chi cazzo sei?»
«Uno
a cui dovete molto, credimi. Posso parlare con il
tuo capo?»
«Ti
ho chiesto chi cazzo sei, stronzo».
Orochimaru
sorrise, mellifluo, inclinando leggermente
la testa di lato; era evidente che quel bruto sulla porta non si
sarebbe mai
lasciato convincere con le parole, quindi qualsiasi interazione civile
andava
accantonata. L'unico problema era che rischiava di offendere Zeus,
ammazzando
uno dei suoi sottoposti, e poi non aveva molta voglia di sporcarsi le
mani con
della simile feccia.
«Non
credo che sapere il mio nome ti convincerebbe a
togliere questa cosa. A proposito,
potresti abbassarla?» Una delle tante punte che componevano
la spada ondeggiava
ad un soffio dal suo pomo d'Adamo, e non era piacevole vederla curvare
da
destra a sinistra in traiettorie via via più incerte.
«E
secondo te mi fido del primo che passa?! Potresti
essere chiunque!»
«Questo
è un ragionamento corretto, ma mi permetto di
farti notare avresti potuto usare altrettanta prudenza prima
ed evitare di segnalare la presenza del vostro rifugio in un
modo così plateale. Sei fortunato che io non sia un tuo
nemico, perché chiunque
saprebbe interpretare la tua presenza in questo luogo, e non passi di
certo
inosservato. Detto questo,» Orochimaru si sgranchì
le lunghe dita bianche,
continuando ad osservare, con la coda dell'occhio, il gigante blu
«dubito che
serva parlare ancora, giusto?»
Finse
di caricare un colpo con il braccio sinistro; il
guardiano, come previsto, affondò la spada in avanti,
gridando. Orochimaru
bloccò la punta della lama con due dita della mano destra,
poi fece un passo
indietro e, con un'unica mossa fluida, ruotando elegantemente il polso,
scaraventò la spada ad una decina di metri di distanza.
Quella si conficcò
nell'asfalto con un gran frastuono, vibrando leggermente, e Orochimaru
sfruttò
lo stupore momentaneo dell'avversario per rassettare una ciocca di
capelli sfuggita
all'ordine.
«Nessuno
mi aveva mai tolto di mano la Samehada...»
biascicò lo spadaccino, fissando la sagoma immobile piantata
nel cemento
grigio.
«"Pelle
di squalo"... come ti chiami,
guardiano? Credo di poter pretendere almeno il tuo nome».
«Kisame
Hoshigaki. Tu chi saresti?»
«Orochimaru.
Ti offro una possibilità di salvarti la
vita, Kisame: chiama il tuo capo e portalo qui in modo che io possa
parlarci.
Non sono un tuo nemico, non è nel mio interesse
ucciderti».
Kisame
annuì, palesemente a malincuore, poi si voltò
e, girandosi ogni tanto per controllare le mosse di Orochimaru,
sparì
all'interno di un magazzino; qualche minuto dopo ne uscì di
nuovo, seguito da
quello che pareva un ragazzino dall'aria particolarmente provata.
Se
anche Orochimaru non avesse chiesto espressamente
di vedere il capo, avrebbe saputo di trovarsi di fronte a Zeus.
Poteva
avere diciotto anni, non uno di più. Era magro,
basso e sottile, con la pelle leggermente scura e i capelli
innaturalmente
chiari, biondi come il grano; gli occhi, azzurri, lo fissarono con
un'aria
insospettita che gli suscitò un sorriso spontaneo. Le
occhiaie che li
circondavano e l'espressione abbattuta del Prototype, tuttavia, non
raccontavano una storia allegra.
«Sei
tu Zeus?»
«Sì,
sono io. Tu... tu sei quello di cui parlava
Sasuke. Tu mi hai salvato quando...»
«Quando
il tumore ti stava divorando. Ma non è a me
che devi la vita, Zeus, bensì a chi è con me...
qualcuno che è stato capace di
infiltrarsi sin dall'inizio nella vostra base e qualcun altro che ha
creato la
cura. È per quelle persone che io sono qui,
adesso».
Zeus
annuì, sospirò. C'era qualcosa nel suo
comportamento che faceva supporre a Orochimaru uno stravolgimento
profondo e
una tristezza il cui motivo gli sembrava oscuro; che derivassero dalla
stessa
cosa che aveva originato quel grido tremendo?
Per
diplomazia, scelse di tenere in conto ogni
possibilità.
«Ho
sentito l'urlo, come tutti in città. Una mossa
imprudente, da parte tua, ma, se non altro, ha avuto l'effetto di
spaventare i
militari... staranno tranquilli per un po'. Qualsiasi fosse la causa,
sono qui
anche per aiutarti a riparare il danno fatto».
«Uno
dei nostri compagni... uno dei miei più grandi amici è stato ucciso, e non
sappiamo
nemmeno da chi. L'unico testimone, Sasuke... a lui sono stati strappati
entrambi gli occhi. Siamo in un vicolo cieco, per il momento, e poi...
poi...
nulla, lascia stare».
Orochimaru
assottigliò lo sguardo, poi fece un gesto
ampio con la mano.
«Vieni,
camminiamo. Devo dirti molte cose, che forse
interessano anche i vostri problemi al momento... ci sono numerose
domande
ancora prive di risposte, e mi auguro che tu possa aiutarmi a
trovarle».
«Va
bene».
Lo
seguì con aria mesta, guardandolo ogni tanto con
quegli enormi occhi azzurri che sembravano sfuggirgli in continuazione;
a
Orochimaru non era capitato molto spesso, in vita sua, di vedere
sguardi che
esprimessero quel baratro di sentimenti contrastanti che turbinava
nelle iridi
di Zeus. Adombrate dalla stanchezza e da chissà quale
esperienza tremenda,
risplendevano al contempo di una luce vivida e forte, disperata e
caparbia.
E
poi, ovviamente, aveva notato la somiglianza.
Impossibile non vederla.
Eppure,
nemmeno lui riusciva a spiegarsi il perché;
ciò che vedeva, seppur ovvio, era del tutto privo di
giustificazioni.
«Sai
qualcosa di una certa Hope, in Idaho? Sai cosa
successe lì nel 1960?»
Si
sentì strattonare con forza un braccio, e girò il
capo in un moto di sorpresa. Il viso di Zeus era improvvisamente
così vicino al
suo che avrebbe potuto contare, una per una, le sue ciglia bionde.
«Devi
dirmelo. Tu devi
dirmelo, so che lo sai!»
«Sapere
cosa, Zeus?»
«Kushina
Uzumaki, o Elizabeth Greene, chiamala come ti
pare... lei è mia madre? Sono il figlio di quel
mostro?»
Orochimaru
sorrise. Se era lo stesso Zeus a fargli quella
domanda per primo, se anche lui era arrivato a quel punto investigando
da solo,
allora voleva dire che le supposizioni di Tsunade erano esatte, e che
il mistero,
tutt'altro che sciolto, si era almeno chiarito
in una sua minima parte.
«Sì».
"Quando
la maschera che indossiamo divora ciò che
custodisce, solo allora possiamo diventare noi stessi".
_Angolo
del Fancazzismo_
Questo
capitolo è stata una bella sudata, caprioleggiando
tra compiti in classe ed
interrogazioni di Greco (argh). Odio il quinto ginnasio, lo odio
davvero.
Ad
ogni modo, se pensate che quanto scoperto in questo
capitolo, alias il Segreto di Pulcinella,
sia la terribile rivelazione sul passato di Zeus, vi sbagliate di
grosso. Non
mi chiamo mica Kishimoto D:
Ci
siamo vicini, comunque. Molto vicini.
E,
una volta finita la noiosa parte burocratica,
potrò finalmente tornare a concentrarmi su una pulitissima
trafila di capitoli
splatter :3. Non vedo l'ora, guys.
Anche
perché, a furia di leggere fyccyne sul fandom di
Naruto, ho certi istinti omicidi da sfogare che nemmeno De Niro in Taxi
Driver.
See
you soon,
Roby
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Capitolo 28 *** Bloodtox ***
027
– Bloodtox
«Non
immaginavo che lo sapessi. Come sei arrivato a scoprirlo?»
«Non
è un dettaglio importante. Tu, piuttosto, sei sicuro che sia
vero?»
Zeus
appariva preoccupato e confuso, anche se Orochimaru era quasi certo
che quella notizia, più che dargli un'altra preoccupazione,
lo aveva
tranquillizzato: era come un ragazzino alla continua ricerca di punti
fermi, il Prototype, e finalmente ne aveva trovato uno. A
testimonianza di ciò, i suoi occhi parevano improvvisamente
più
saldi.
«Non
certo... diciamo sicuro al novanta per cento. Ci sono ancora alcuni
punti oscuri in questa storia, ma mi auguro che presto tu sappia
chiarirli».
«Lo
spero anch'io. Come sai di Hope? Hai violato il database
governativo?»
«Anche.
So di Hope perché ero lì quando successe quel
disastro».
Il
Prototype sgranò gli occhi, smettendo per un attimo di
camminare.
Era incredulo, attonito e stranamente rallegrato da quella notizia:
che fosse quello il momento in cui ogni mistero veniva svelato?
Orochimaru gli leggeva sul viso la voglia spasmodica di sapere, ma,
purtroppo, le nozioni da lui possedute erano probabilmente minori di
quelle che Zeus si aspettava di ricevere.
«Eri
là... e come... come sei arrivato qui? Cosa
successe?»
«È
una storia molto lunga. Dopo il disastro ho vissuto in varie parti
dell'America con i miei compagni... siamo tornati a New York in
occasione dell'epidemia».
«E
Hope?»
«Dovresti
sapere già ciò che è successo, no? Io
che ero lì non so molto più
di te, visto che all'epoca non eravamo informati di nulla».
«Capisco...»
mormorò, l'espressione delusa «... eppure,
scommetto che non sei
qui per dirmi cose che già so, vero?»
«No,
infatti. Innanzitutto, sono qui per chiederti se sai quale sia
l'esatto numero dei sopravvissuti di Hope».
«No.
Non c'era scritto niente e...»
«Ovviamente
non c'era scritto nulla. L'unica su cui sono stati compilati dei
dossier, e cioè Kushina, era anche l'unica che potessero
tenere in
laboratorio con il pretesto di arginarne la pericolosità.
L'unica
contagiosa, non so se mi spiego. Nessuno degli altri superstiti
può
trasmettere il virus, eccetto lei».
«Questo
è vero... infetta tutto ciò che tocca».
«In
lei non c'è solo il virus Idra, ma una combinazione letale
di genomi
in costante mutazione. Questo la rende enormemente pericolosa.
Comunque, sono arrivato a concludere che, dei circa diecimila
abitanti di Hope al momento dell'incendio, ne siano sopravvissuti in
tutto sei, se ammettiamo che tu sia figlio di Kushina sette».
«E
chi sarebbero?»
«Io
e i miei due compagni, Kushina, Sasuke e-»
«Cosa?!
Sasuke proviene da Hope?»
«Non
lo sapevi?» Orochimaru inarcò un sopracciglio
«Sul serio?»
Dall'espressione
sconvolta di Zeus, pareva che quella notizia gli fosse nuova.
«Ma
non è possibile... lui è un
esperimento-»
«"Creato
dall'esercito per uccidermi"... risparmiami il discorso. E
così, Sasuke non ti ha detto tutta la verità, mh?
Deve essere un
brutto colpo per te, Zeus».
Lo
sguardo infantile di Zeus, però, era stranamente deciso. Lo
fissava
con un'ostinazione che rasentava il ridicolo, e, ascoltando la sua
ultima affermazione, sul suo volto si aprì un sorriso
spavaldo.
«Ti
sbagli. Sasuke non mi ha mentito. Sono sicuro che gli abbiano fatto
qualcosa per impedirgli di ricordare, che so... tipo... un lavaggio
del cervello».
Ridacchiò,
Orochimaru, e soffiò:« Puoi credere ciò
che preferisci... di certo
non sarò io a obbligarti a prestare fede alle mie parole.
Comunque,
Sasuke era figlio di Mikoto e Fugaku Uchiha. Abitavano accanto a
Kushina, ed erano l'unica altra famiglia giapponese - a parte il mio
gruppo - residente ad Hope».
«Gli
abitanti erano stati scelti in base alla razza?»
«Non
esattamente. I militari avevano creato una sorta di campus
multietnico, non chiedermi per quale ragione. Quando tutto
andò a
fuoco il nostro quartiere, più periferico rispetto agli
altri,
bruciò per ultimo, e questo permise a pochi di noi di
scappare».
«Capisco...
quindi anche tu sei come Sasuke? Anche tu hai lo stesso tipo di
mutazione?»
«No.
Quella notte si liberarono una gran quantità di ceppi
diversi, e
dovresti sapere meglio di me che il virus Idra muta a seconda del suo
occupante, manifestandosi in molti modi differenti. Tutti coloro che
sopravvissero sono diventati infetti superiori, ma nessuno è
uguale
agli altri. E prima non mi hai fatto finire, Zeus... stavo dicendo
che, oltre a Sasuke, si salvò anche un altro membro della
famiglia
Uchiha. Suo fratello».
«Sasuke
non mi aveva mai detto di avere un fratello... spero che tu stia
dicendo il vero».
«Non
ho nulla contro di te, nulla per cui mentirti. Sarà meglio
che tu
chieda a Sasuke di spiegarti quello che spero sia un malinteso, anche
se, visto quanto sembrava preoccupato l'ultima volta che l'ho visto,
anche a me pare improbabile che voglia tradirti».
«Un
fratello...» mormorò Zeus, che, assorbito dai
propri pensieri, non
sembrava aver ascoltato la risposta di Orochimaru. L'uomo gli
lanciò
un'occhiata a metà tra il sarcastico e l'inquisitorio, poi,
incurante se l'altro lo stesse sentendo oppure no, riprese a parlare.
«Il
suo nome era Itachi. Un ragazzo estremamente intelligente, anche se
si è sempre comportato in maniera molto strana... un
sociopatico,
probabilmente. Mi ricordo che una volta venne da me perché
il
fratello aveva la febbre, e mi pregò di raggiungere casa sua
per
visitarlo. Si preoccupava sempre troppo per Sasuke».
«Eri
un medico?»
Gli
occhi di Orochimaru si ridussero a fessure.
«Sì,
un medico. Ed è proprio un mio collega la persona che
custodisce il
segreto di Hope».
«Sarebbe?»
«Kabuto
Yakushi. Si è occupato di ogni progetto riguardante l'Idra
negli
ultimi vent'anni. Più in alto di lui c'è solo
Madara».
«Madara...»
Zeus ripeté quel nome lentamente, quasi ne stesse
assaggiando la
consistenza «Chi è?»
«Il
vero responsabile di tutto. È un generale dell'esercito,
invischiato
fino al collo in questa storia. Uccidilo, e avrai eliminato la causa
dell'inferno».
Il
Prototype sollevò lo sguardo, fattosi improvvisamente
rabbioso,
quasi famelico, e ghignò. Orochimaru lo osservò
con la coda
dell'occhio, notando quanto quella smorfia stonasse sul suo viso,
apparendo quasi fuori posto. Non era fatto per sporcarsi, quel
ragazzino, e nonostante tutte le malefatte che aveva commesso
sembrava fosse rimasto pulito, puro, in piena contrapposizione con
quello che l'uomo si sarebbe aspettato da lui.
"Non
sei fatto per sporcarti, Zeus. Puoi cercare quanto vuoi di
corromperti e scendere al livello delle bestie che ti circondano, ma
non ci riuscirai mai".
«Hai
intenzione di attaccarli?»
«Sì».
«Bene.
In questo caso, ti aiuterò. Non so se i miei due compagni
saranno
dello stesso avviso».
«Sarai
dalla mia parte anche se loro dovessero rifiutarsi?»
«Mi
credi forse sciocco, Zeus? Non sono un fantoccio o un ragazzino, che
ha bisogno del consenso di qualcun altro per agire. Piuttosto, quando
intendi muoverti?»
«Non
appena Sasuke si sarà ripreso».
«A
proposito di Sasuke... mi farebbe piacere che mi permettessi di
vederlo».
«Curiosità
professionale?» Il Prototype sorrise, vagamente malizioso.
«Niente
affatto. Voglio semplicemente accertarmi che non abbiate commesso
errori irreparabili».
***
Dopo
aver lasciato Orochimaru davanti alla porta di Ade – con
Kisame a
controllare che tutto andasse per il verso giusto – Naruto si
recò
alla stanza del prigionieri ed entrò.
Il
suo ingresso fu accolto con più calma del previsto: Temari
lo
fissava in cagnesco, come sempre, e Shikamaru era immediatamente
impallidito, ma nel complesso pareva che cominciassero ad abituarsi
tutti alla sua presenza. Sorrise.
«Salve».
Visto quello che stava per chiedere. Ritenne opportuno presentarsi
con una certa cordialità «Perdonami per averti
lasciato come uno
scemo davanti alla porta della mia stanza, Shikamaru, ma dovevo
accogliere un nuovo ospite. Abbiamo ricevuto notizie
fondamentali».
«Ah,
davvero?» Lo sguardo del ragazzo si fece corrucciato:
evidentemente,
si chiedeva il perché di quella conversazione.
«Spero
capiate che c’è un motivo se vi abbiamo lasciati
in vita fino a
questo momento». Tagliò corto Zeus, consapevole
che, qualsiasi
fosse il pensiero dei prigionieri, non gli sarebbe mai stato opposto
un rifiuto «E cioè, che speriamo di utilizzare le
vostre conoscenze
per raggiungere i nostri scopi».
«Volete
attaccare?»
«Non
subito. Stiamo cercando una persona, in particolare, e vorrei
conoscere la disposizione degli uffici nei piani che...»
«Aspetta,
frena». Fu Shikamaru a bloccarlo, attirandosi le occhiate
stupite e
scandalizzate dai compagni «Raderete al suolo quel posto,
vero? Se
lo attaccate in massa, tutti quelli là dentro
moriranno?»
«Sì».
«Be’,
non possiamo permetterlo!» Esclamò Kiba, che,
evidentemente, aveva
afferrato il corso dei pensieri del Nara «Ti ricordi quella
che hai
salvato dalla mantide gigante? Il mio capo. Con lei
c’è anche Rock
Lee, e poi...»
«Ino,
la mia ragazza». Sai lo fissò di sottecchi
«Non sarò di certo io
a darti consigli su dove colpire, se non mi garantisci che
vivrà».
Gaara,
in un angolo, stava zitto. Fissava il Prototype con un’aria
vagamente incuriosita, ma pareva che non riuscisse a focalizzare
l’attenzione sullo stesso punto per più di qualche
secondo: il suo
sguardo, alternativamente, saettava dal viso di Zeus al soffitto, poi
di nuovo giù, sul pavimento. Come se qualcosa lo stesse
distraendo.
Naruto,
da parte sua, era troppo occupato a cercare una soluzione per
ascoltarlo.
«Cosa
volete che faccia? Potrei obbligarvi a parlare con la violenza,
ma...» sospirò, poi sorrise tristemente
«... ma suppongo che non
lo farò».
«Potresti
portarli via. Salvarli prima, e poi attaccare e distruggere
definitivamente quel posto. Se ci pensi, ti converrebbe: avresti la
possibilità di fare una prima incursione sul campo e
studiarlo per
bene, per poi dirigere tutta la potenza sui punti più
deboli...»
«Se
facessi così, i militari intensificherebbero molto la
sorveglianza,
dopo il primo attacco».
«Mi
inventerò qualcosa». Lo sguardo di Shikamaru si
accese per il
fervore «Io ti prometto, Zeus, che se ci permetterai di
salvare i
nostri amici sarò per te la tua arma più potente.
Le guerre non si
vincono soltanto con la forza bruta, questo dovresti saperlo, e ti
è
sempre mancato uno stratega... senza contare che conosco i loro
schemi meglio di chiunque altro».
Naruto
era dubbioso. Accettare quell’offerta significava rischiare
il
tutto per tutto, affidarsi completamente ad un umano fragile e debole
che poteva serbare nel cuore un desiderio di rivalsa nei loro
confronti. Eppure, il suo istinto gli diceva che poteva andar bene, e
che soltanto attraverso qualcuno come Shikamaru avrebbero potuto
trovare il modo di raggiungere Madara, Kabuto o chiunque altro
desiderassero eliminare.
Assentì.
«Sia.
Dovete dirmi chi volete che porti via da lì, e
poi...»
«Aspetta.
Prima hai accennato ad una “persona”. Chi
sarebbe?»
«Kabuto
Yakushi».
Kiba,
a quel nome, atteggiò il viso in un’espressione a
metà tra lo
schifato ed il sofferente.
«Eeeeew,
Kabuto Facciadiculo. Dio Santo, io in tutta la mia
vita non ho
mai conosciuto un simile stron-»
«Come
Kiba sta cercando di farci notare, sappiamo di chi parli. È
il
capoccia dei laboratori e controlla in toto la ricerca sperimentale
sull’Idra. Il fatto che sia una persona così
importante ci aiuta».
«Perché?»
«Perché
potresti sfruttarlo come ostaggio per andartene di lì quando
avrai
trovato tutti quelli che ti chiederemo di salvare. Se anche ti
portassi dietro i tuoi compagni al completo, nel caso qualcosa
andasse storto sarebbe difficile scappare con tutti gli ostaggi, no?
Kabuto lo potrai usare come scudo... per quelli della Gentek
è
troppo importante».
«Uhm».
Zeus si sedette a terra, le gambe incrociate, il viso alla stessa
altezza di quello di Shikamaru «Va bene. Senti, spiegami un
po’
questo piano che vuoi fare. Però parla
piano, eh, che non
sono un genio in queste cose... avrai capito che non penso molto
prima di agire».
«Credo...
credo di sì. Abbiamo della carta e una penna?»
«Perché?»
«Potremmo
averne bisogno».
***
Orochimaru
si sedette sospirando accanto al letto di Sasuke.
Nonostante
avesse ispezionato le orbite vuote con singolare perizia, non aveva
trovato nulla. Ed era proprio quel
“nulla” – più del
silenzio forzato di Sasuke, che si poteva sicuramente imputare al
fortissimo trauma – a fargli storcere il naso.
Non
c’erano tumori, infezioni o traccia di pus. I tessuti erano
perfettamente cicatrizzati.
Stabili.
Il
che, in poche parole, significava che non si sarebbero mai
rigenerati.
Secche,
bruciate, le orbite nere sarebbero rimaste tali probabilmente per
sempre, e lui non aveva idea di come comunicarlo al Prototype senza
che quello si gettasse in qualche impresa avventata.
Sospirò
di nuovo.
«Ah,
Sasuke...» il corpo, tra le coperte bianche, ebbe un fremito
«...
alla fine proprio Zeus, che grazie a te ha avuto salva la vita,
rischia di non poterti aiutare. Voi Uchiha siete sempre complicati,
non è così? Quasi ci trovaste un qualche piacere
perverso...»
Ade
digrignò i denti, ma non parlò.
Dopo
qualche secondo di attesa, Orochimaru si alzò. Prima di
uscire, la
mano poggiata sullo stipite della porta, guardò a lungo il
ragazzo
dai capelli neri, vide il suo pallore e l’orrendo viso
sfigurato.
Ricordò come gli era apparso – vivo e acceso dal
sangue, bello
come solo un giovane può essere – quando gli aveva
dato la cura.
E
provò disprezzo per quella creatura e la sua debolezza,
simile a
quello che i bambini riservano ad un giocattolo rotto.
Eppure,
era uno spreco enorme.
«Combatti,
Sasuke. Con l’odio, se necessario, ma risvegliati da questo
stato
pietoso e smettila di affogare nel tuo dolore. Sappiamo entrambi che
non hai bisogno dell’aiuto di Zeus per portare avanti la tua
vendetta... altrimenti, puoi sempre continuare ad affogare nella tua
oscurità. Ma non sperare che la situazione si risolva, o che
sia il
Prototype a salvarti... ti rispetta troppo per offendere
così la tua
dignità».
Sasuke
l’aveva sentito, ne era certo.
Così
come era certo che avrebbe raccolto la sua sfida.
***
Le
squadre speciali in servizio per tutta la città vennero
richiamate
alla base.
Inizialmente
Morino, Danzo, Mizuki e Zabusa erano rimasti colpiti
dall’ordine
(il setaccio della città non aveva portato nessun risultato,
pareva
che Zeus fosse scomparso dalla circolazione, e l’urlo
terribile che
aveva scosso Manhattan aveva gettato gli infetti in un tale disordine
da impossibilitare qualsiasi operazione), poi, saputo quanto era
successo alla squadra Kakashi, avevano supposto che si trattasse di
una manovra per evitare nuovi infortuni. Magari, Madara riteneva il
pericolo troppo alto per sacrificare così degli uomini.
Quello
che non sapevano era che Madara non si sarebbe mai curato a tal punto
della loro vita, se si fosse trattato di catturare Zeus. Aveva
semplicemente trovato qualcosa di meglio da scagliare contro il
Prototype.
Appena
fu buio, cinque elicotteri da trasporto partirono dalla basa Gentek.
Viaggiarono uniti per un primo tratto di strada, poi le loro
traiettorie si aprirono a ventaglio e si sparpagliarono in varie zone
della città – quelle, fondamentalmente, in cui i
grandi alveari
troneggiavano e ribollivano nell’aria fresca della sera.
Poi,
ad un segnale convenuto, sganciarono delle grandi bombole collegate a
dei detonatori.
Sulle
bombole, grossi caratteri rossi recitavano “A-113A”.
L’aria
divenne rossa.
Grandi
nuvole di vapore scarlatto si levarono su una buona parte della
città; quelle nuvole sapevano di morte, decomposizione, e
gli
infetti che vi si trovavano immersi cadevano a terra, contorcendosi
per il dolore, la carne che si anneriva, ricoperta di croste, fino ad
ucciderli. Persino i cacciatori, incommensurabilmente grandi e forti,
cadevano, senza nemmeno capire cosa fosse a piegarli.
Quel
veleno sottile e mortale si propagò in buona parte della
città,
prima che il vento cominciasse a spingerlo via, sui quartieri sani.
D’altra parte, agli umani non faceva nessun effetto: lo
respiravano
senza nemmeno accorgersene, perché quell’arma
biologica non era
stata progettata per uccidere loro. Solo chi portava l’Idra
nel
sangue si sentiva male, vomitava e si accasciava a terra in preda
alle convulsioni.
E
poi, slittando e avvolgendosi attorno ai grattacieli, la nuvola
tossica raggiunse il porto.
***
«Che
vuol dire che non potrà più avere la
vista?»
Aveva
passato il pomeriggio con Shikamaru e gli altri umani, a pianificare
nei dettagli quella che sarebbe stata, molto probabilmente,
l’operazione più pericolosa che il Prototype
avesse mai compiuto.
Si era rivelato più difficile del previsto, ma alla fine
erano
venuti a capo di tutti i problemi, calcolando anche le
eventualità
più nefaste.
E
Orochimaru gli diceva che...
«Non
chiedermi perché. Il suo corpo ha rigenerato perfettamente
tutta la
zona dell’orbita, senza che si verificassero infezioni, ma i
bulbi
oculari non accennare a ricrescere. Ormai le condizioni si sono
stabilizzate, per cui è da escludere che Sasuke possa
tornare a
vedere».
Naruto
impallidì vistosamente, incassando quel nuovo colpo al cuore
con un
sorriso amareggiato e un dolore pazzesco da qualche parte, dentro di
lui. Non osò nemmeno chiedersi se la situazione sarebbe mai
migliorata, si limitò a chinare il capo e arrendersi anche a
quell’ultima disgrazia.
«Suppongo
che dovrò cominciare a farci l’abitudine. Scusami,
io... ho
bisogno di un po’ d’aria».
«Zeus...»
Orochimaru
scosse la testa, ma nonostante tutto lo seguì mentre
percorreva i
corridoi della base fino alla botola, fin nel magazzino.
«Io,
io non capisco perché...»
Non
espresse mai fino in fondo quel pensiero. Spalancò la porta
del
magazzino, e Orochimaru fece appena in tempo a sentire un puzzo acre,
simile alla carne in decomposizione, che Zeus si era accasciato a
terra con entrambe le mani attorno alla gola.
Il
cervello dell’uomo lavorò in fretta, perfettamente
freddo e
controllato.
Benché
fosse ignaro della situazione, comprese al volo che il Prototype
stava soffocando per qualcosa che si trovava nell’aria; smise
istantaneamente di respirare e si scagliò sul ragazzo, lo
afferrò
per la maglietta e lo tirò indietro, fino alla botola, dove
si gettò
alla massima velocità possibile. Richiuso su di
sé il coperchio, si
concesse un breve respiro: gli ci volle tutto l’autocontrollo
di
cui era dotato per non appoggiarsi al muro e vomitare, tanta era la
sensazione di nausea e asfissia che gli dava quell’odore
greve,
seppure non fosse che un sentore vago rispetto a ciò che
doveva
trovarsi all’esterno del magazzino.
Abbassando
lo sguardo sul Prototype, i suoi sospetti furono confermati.
Aveva
le braccia, il viso e il collo come bruciati, ricoperti di spaccature
e vesciche. La pelle era rossa, solcata da vene rilevate e bluastre.
«Tutto
a posto?»
Si
teneva ancora la gola, tossicchiando. Gli rivolse un’occhiata
riconoscente.
«Che...
che cazzo era?»
«Qualche
nuova diavoleria dell’esercito. Caso più unico che
raro, pare che
stavolta siano riusciti a creare qualcosa di utile. Ci sono prese
d’aria, in questo posto?»
«Sì...
sì, ma è filtrata».
«Speriamo
che basti. Pare che dovremo rimandare i piani di attacco».
«Non
penso proprio». Allungò un braccio nella sua
direzione, e
Orochimaru poté osservare la pelle che, rapida, si
richiudeva
silenziosamente sulle vesciche, tornando liscia e compatta come pochi
minuti prima. Lo stesso accadde anche sul viso del ragazzo.
«Conosco
le tue capacità di guarigione, Zeus».
«Non
è questo che intendevo. Ho assimilato quella merda che ho
respirato
pochi secondi fa... il mio organismo, molto probabilmente, ha
già
sviluppato una mezza immunità. Questo è un punto
a nostro favore,
non il contrario... anzi, mi è già venuta una
mezza idea...»
Scattò
in piedi, come folgorato, prima che il più anziano lo
bloccasse.
«E
Sasuke? Ti sei già dimenticato di lui?»
«Niente
affatto. Voglio che tu lo aiuti, Orochimaru, che lo faccia tornare a
vivere».
Lo
fissò, irremovibile. Nei suoi occhi c’era la
solita, ammirevole
forza d’animo, che lo scienziato non sapeva se deprecare o
ammirare
con tutto sé stesso: che derivasse da
un’ingenuità senza limiti o
da una fede cieca nel futuro, quella sua resistenza ad ogni evento
negativo era infatti l’arma più potente che
possedeva.
«Io?
Perché proprio io?»
«Perché
sei intelligente, forte e infetto. E perché sento che
è una scelta
giusta. Io non potrò occuparmene, almeno non
domani».
«Perché
“non domani”? Non mi dirai che...»
«Intendo
colpire domani. Sono stanco di aspettare, e poi non ho bisogno di
Sasuke per portare a termine quello che abbiamo deciso con Shikamaru.
A proposito di Shikamaru... digli che lo voglio tra cinque minuti
davanti al computer. Credo di avere delle ottime modifiche da
apportare al piano»
***
“Ce
l’ho fatta”.
Hinata
abbandonò la schiena sulla sedia, il rumore stridente della
tuta di
lattice a ferirle le orecchie. Rise, il volto protetto dallo schermo
di plastica, rise fino a piangere. Le lacrime le rotolarono sulle
guance, indisturbate, senza che lei potesse fare nulla per toglierle
– né avrebbe voluto.
Erano
il simbolo della sua vittoria.
Abbassò
lo sguardo sul microscopio, sul tavolo davanti a lei, e sul vetrino
sterile che vi poggiava.
Poteva
quasi vederlo, il virus Idra che si contorceva e schiumava su quella
minuscola superficie piatta, incapace di sottrarsi al cambiamento
forzato che lei gli aveva imposto. Incapace di vincere una battaglia
contro la creatura che più di tutte era in grado di
offendere.
Perdente,
per la prima volta dopo tanto tempo.
“Ho
trovato la cura”.
La
cura, quella vera, non un qualche surrogato di poco conto che poteva
appena bastare per causare un tumore negli organismi infetti,
uccidendoli. No. La sua cura avrebbe restituito la vita a tutti
coloro che il virus aveva reso schiavi. Li avrebbe salvati.
Come
era successo a Zeus.
Con
dita tremanti, afferrò delle provette vuote da un ripiano
lì vicino
e le posò sul tavolo assieme ad alcune capsule di Petri.
Doveva
sintetizzare una buona quantità di antidoto per potersi dire
davvero
soddisfatta.
Dopo
un’ultima occhiata al virus Idra, rinchiuso nelle provette
sulla
scrivania sotto forma di un liquido trasparente, innocuo, si mise
nuovamente al lavoro.
***
«Bloodtox.
Questa porcata si chiama Bloodtox». Esclamò
Shikamaru, puntando un
dito contro lo schermo del PC. Zeus corrugò le sopracciglia.
«E
che roba è?»
«Un’arma
chimica che manda in necrosi istantanea tutti i tessuti infetti,
lasciando quelli sani perfettamente normali. Devono aver speso
parecchio tempo per inventarsi una roba così
raffinata».
«Magnifico.
Se è chimica posso abituarmi facilmente... per un attimo ho
avuto
paura che si trattasse di una sostanza organica...»
«Il
modo in cui vuoi sfruttare questa roba è molto pericoloso,
Zeus. Non
hai nessuna assicurazione che funzioni».
«Conosco
le mie potenzialità, Shikamaru».
«Lo
so, ma chi ti assicura che il tuo metabolismo si abituerà a
questa
roba fino a minimizzare i danni? La tua idea è praticamente
un
suicidio e poi...»
«Tranquillo,»
gli poggiò una mano sulla spalla, con un gran sorriso
sornione
stampato sul viso «andrà tutto bene. E poi, ho il
metodo più
sicuro del mondo per essere certo della mia teoria».
«Sarebbe?»
Zeus
si avvicinò alla porta del salotto, poggiando una mano sulla
maniglia lucida della porta.
«Credo
proprio che andrò a fare una piacevole passeggiata
rigenerante su al
porto, che ne dici? La salsedine fa bene ai polmoni umani, forse
anche ai miei».
Shikamaru
si schiaffò una mano sulla fronte, l’espressione
funerea.
«Se
non saranno i militari ad ucciderti, Zeus, sarai tu stesso
responsabile della tua morte.
“Le
tenebre non sono sempre la via più facile”.
_Angolo
del Fancazzismo_
Ssssssalve
e buon Compleanno di Jared Leto!
Ok,
scherzo. Buon Natale.
Comunque, ci ritroviamo in questo
meraviglioso (ahem), bellissimo
(ehehehehemmm),
per nulla noioso
(mavaccagar’...)
capitolo ventottesimo di Prototype. *suonano fanfare*
Ebbenesì,
ho aggiornato. E il capitolo l’ho scritto quasi tutto oggi.
Prendetemi
a clavate, pleeaaaase.
Scleri
a parte, troverete i vaneggiamenti più seri nelle risposte
alle
recenZioni.
See you soon,
Roby
|
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Capitolo 29 *** Break the Ice ***
028
– Break the Ice
Il
convoglio entrò nella base.
Quattro
autocarri in fila indiana, protetti da un paio di jeep e soldati
appiedati e muniti di lanciarazzi, oltrepassarono il portone -
spalancato, con cautela, solo dopo che l'area fu ritenuta sicura. Una
volta dentro, furono parcheggiati perpendicolarmente al muro di
sbarramento, nel cortile antistante il fortino.
Ne
scesero le reclute fresche, ragazzi giovani, di massimo vent'anni -
dacché erano entrati a Manhattan, niente più che
carne da macello
in quella lunga ed estenuante guerra contro gli infetti. Tra loro,
persino qualche europeo: anche i Paesi d'oltreoceano cominciavano a
capire quanto l'infezione di New York potesse rivelarsi pericolosa,
alla lunga, per l'umanità intera.
Si
disposero in due file ordinate, pronti per la rivista.
In
fondo, a destra, se ne stava, piuttosto discosto dagli altri,
stranamente basso ed esile, un ragazzo giovanissimo con due grandi
occhi azzurri e la pelle leggermente scura. I capelli, disordinati -
ed era strano per un soldato, visto che passavano dal barbiere
d'ordinanza prima di ricevere la divisa - sfuggivano di sotto
all'elmetto come ciuffi di paglia bionda. Tremava vistosamente.
Un
ufficiale decorato uscì dalla base; dietro di lui, due
Blackwatch
che trasportavano una sorta di cubo di metallo, non più
grande di
uno scatolone, con strane aperture su tutti e quattro i lati.
Ad
un cenno dell'ufficiale, i soldati in nero schiacciarono un bottone,
e dalle aperture - valvole a pressione, in realtà -
fuoriuscirono
quattro getti perfettamente simmetrici di Bloodtox rossiccio, che si
disperse in fretta nell'aria circostante e diffuse un odore
penetrante di carne in decomposizione.
Era,
quella, l'ultima misura di sicurezza escogitata dai Blackwatch per
avere il completo controllo della situazione nelle basi militari: non
pochi erano i soldati che, contagiati dall'Idra, continuavano a
lavorare nonostante il malessere - per paura di essere giustiziati se
avessero rivelato di essere malati - e finivano per diventare armi
rivolte contro lo stesso esercito, e nuovi focolai di infezione.
Tuttavia,
in quel primo giorno di prova, il nuovo Esame Bloodtox
portò
risultati insperatamente migliori dell'eliminazione di qualche
recluta infetta.
Il
soldato biondo, ultimo posto della seconda fila a destra,
inspirò a
fondo il Bloodtox e impallidì.
I
suoi occhi si fecero grandi, sgranati, e cadde a terra reggendosi lo
stomaco con entrambe le mani; emise un singulto aspro e stridulo,
prima che il braccio sinistro esplodesse in una selva di viticci neri
che si aggrovigliavano e ricompattavano fino a definire la forma di
un'enorme lama curva.
Immediatamente
fu circondato.
Gli
puntarono addosso i fucili, disponendosi circolarmente attorno al suo
corpo che, a terra, si contorceva debolmente. Quando cadde
definitivamente, la pelle annerita e il viso a contatto con
l'asfalto, il petto che si gonfiava debolmente a ritmo di un respiro
sforzato, l'ufficiale, un sorriso estatico sul viso, diede l'ordine
di chiamare il quartiere generale della Gentek.
«Abbiamo
catturato Zeus». Annunciò.
La
base si riempì di grida d'esultanza.
***
Il
dottor Kabuto Yakushi stentò a credere alle proprie orecchie.
Ascoltò
la telefonata del sergente Ross con la bocca spalancata, incapace di
prestare fede a tanta, inaspettata fortuna. Quando riattaccò
aveva
le mani sudate, la gola secca, e una sensazione di eccitazione
crescente che gli faceva formicolare tutto il corpo e stringeva lo
stomaco come una morsa.
L'avevano
preso.
Finalmente.
Finalmente,
ciò che era suo di diritto era tornato a
casa.
Se
lo ricordava ancora, Zeus, un bambinetto di otto anni chiuso in una
sala bianca dalle pareti imbottite, elettrodi conficcati nel corpo
sottile, nudo, quando lui era appena entrato nella sezione top secret
dei laboratori. Soprattutto, gli tornarono alla mente quei suoi occhi
infantili, immensi e vuoti, di un blu delle sfumature più
cupe delle
profondità marine - così simili a quelli della Madre
-
fissarlo al di là dello spesso vetro di contenimento, pregni
di una
forza e di un furore che erano tutto, tranne che umani.
Quella
piccola creatura dal corpo efebico che l'aveva stregato, ammaliato,
legato a sé con l'incanto dei suoi occhi, ora era di nuovo
sua.
Quante volte aveva sognato Zeus, il suo potere, la sua perfezione
divina, rigirandosi nel suo letto, incapace di dormire
perché
ossessionato dal viso del bambino che bambino non era
anche
nei sogni? Incapace di carpire quel segreto, incapace di cogliere
quel frutto o scacciare il tarlo che gli rodeva il cervello, Kabuto
Yakushi non aveva fatto altro, per quasi cinque anni, che desiderare
il Prototype con ogni singola fibra del proprio essere, corpo e
anima. Non per la carne - o, almeno, non principalmente per quella -
ma per l'enigma profondissimo e insondabile che vedeva crescere
giorno dopo giorno in quelle iridi cerulee, una domanda terribile e
meravigliosa che, sentiva, avrebbe spalancato a lui, solo a lui, le
porte della conoscenza eterna, delle nozioni più elementari
che
governavano l'Universo. La vita e la morte in quegli occhi, il
paradosso più affascinante che la specie umana avesse mai
scoperto.
L'esistenza
stessa del Prototype e gli immensi poteri che celava non facevano che
galvanizzarlo, trascinarlo inesorabilmente verso l'abisso della
follia.
Eppure,
era riuscito in qualche modo a resistere.
Col
passare del tempo aveva capito che Zeus si trovava ad un livello
troppo alto perché potesse averlo per sé e
studiarlo come avrebbe
voluto. Aveva cercato, prima con Sasuke Uchiha e poi con Sabaku No
Gaara, di creare dei surrogati che potessero valere quanto l'essere
originale.
Il
fallimento era stato arduo da sopportare.
Più
di tutto, però la fuga di Zeus lo aveva colpito.
Era
stato uno choc tremendo sapere che era scappato - lui, che da anni si
poneva nella sua vita come uno scopo da raggiungere, come l'unica
ragione per migliorare sempre di più le proprie
competenze - e
che l'aveva abbandonato così, alla ricerca di una
libertà che non
avrebbe mai trovato. Perché, Kabuto ne era sicuro, il
Prototype non
sarebbe mai stato libero fino in fondo.
Era
un'arma nata in laboratorio per il solo scopo di adempiere le
volontà
di qualcun altro.
Che
poi si fosse ribellato, quello era un dettaglio ininfluente, tanto
sciocco da farlo sorridere. Sapeva che prima o poi sarebbe tornato.
E
infatti, quel giorno era finalmente giunto.
Indosso
il camice di corsa, distrattamente, e percorse di volata i piani che
lo separavano dal laboratorio in cui lui era stato
portato.
Finalmente aveva l'autorità bastante per esaminarlo, per
investigare
a fondo i segreti di quell'essere meraviglioso... e non si sarebbe
fatto sfuggire quell'occasione per nulla al mondo.
Le
procedure di decontaminazione lo tediarono più del solito
mentre si
allargava il colletto della camicia, accaldato. Indossò la
mascherina chirurgica e, percorso un corridoio - sorprendentemente
sgombro, non sorvegliato dai Blackwatch - passò una carta
magnetica
nella guida di acciaio accanto ad una porta ed entrò nel
laboratorio.
La
porta si richiuse alle sue spalle con un fruscio prima che potesse
realizzare ciò che gli stava davanti.
La
parete di fronte era stranamente nera.
Batté
le palpebre un paio di volte, paralizzato, mentre l'immagine
raccapricciante di un Blackwatch inchiodato al muro si materializzava
davanti ai suoi occhi. Pareva crocifisso, a bloccargli le braccia e
le gambe pezzi appuntiti di metallo nero che somigliavano
terribilmente a canne di fucili; la testa, inerme, penzolava sul
petto insanguinato. Ai suoi piedi, un cumulo di cadaveri ridotti
nello stesso modo.
Alzò
appena lo sguardo, Kabuto, e lesse, sopra la testa del soldato, una
scritta tracciata con quello che pareva - e che doveva
sicuramente
essere - sangue umano.
"Sorpresa!"
Sentì
un tuffo al cuore. Giusto il tempo di capire cosa poteva essere
successo, che si sentì afferrare per la nuca da una mano
forte e
violenta e gettare avanti con una potenza inaudita. Sbatté
contro la
parete, mugolò, affondò le mani tra i corpi dei
Blackwatch, il loro
sangue ad insozzargli la pelle, a scorrergli sotto
la pelle.
Girò
appena la testa, terrorizzato.
E
le profondità plumbee dei suoi sogni, stavolta chiazzate di
rosso
scarlatto, ad accoglierlo.
«Z-Zeus...»
gli mancò il fiato. Sentì la gola stringersi per
le lacrime, mentre
vedeva il sogno di tutta una vita sfumare nel nulla. Eppure, fino a
pochi secondi prima aveva creduto possibile il ritorno del
Prototype... perché le sue aspirazioni erano destinate ad
essere
disilluse in un modo così crudele?
«Sei
Kabuto Yakushi?»
Annuì,
rimangiandosi un singhiozzo. Sembrava così bello, il
Prototype, così
cresciuto, inesorabile e forte di tutto il suo potere. Un Dio
vendicatore nel pieno della sua potenza, non già il bambino
acerbo
che lo aveva ossessionato.
Eppure,
nei suoi occhi vide qualcosa che lo confuse. Benché colmi di
rabbia,
erano straordinariamente limpidi e sicuri, vivi,
diametralmente opposti rispetti ai baratri vorticosi che ricordava di
aver osservato negli anni precedenti. Era come trovarsi davanti
un'altra persona, eppure covava nel cuore la certezza che si
trattasse proprio di Zeus.
«Sì...»
Si appoggiò con la schiena al muro. Il bagliore delle
lampade al
neon sulla canna di un fucile, abbandonato accanto a lui, lo
distrasse per un attimo.
«Immagino
tu sappia chi sono». Il braccio sinistro di Zeus
mutò, sfrigolando
e accartocciandosi e poi ricomponendosi nella lama circondata da
sottilissimi tentacoli che per tanto tempo Kabuto aveva osservato,
nei dossier e dietro i vetri blindati dei laboratori. Era l'arma
finale, la più potente.
Era
lì per ucciderlo.
«Cosa
vuoi da me?»
«Devo
farti alcune domande».
«Riguardo
ad Hope?»
Stranamente,
quel nome non suscitò nel Prototype nessuna espressione
dubbiosa. Si
limitò ad annuire, facendo un passo nella sua direzione, e
Kabuto
poté vedere come il suo viso, nonostante gli occhi ormai
completamente rossi, fosse disteso in un'espressione di
ineluttabilità dolente, quasi compassionevole.
Provava
pena per lui? Lo faceva sentire quasi fortunato.
«Voglio
sapere perché fu fatto quell'esperimento. Voglio sapere chi
sono io,
e chi è Elizabeth Greene».
«Hope...»
ridacchiò, trovando improvvisamente divertente la comparsa
di quel
fantasma dal suo passato. Aveva lavorato sul virus diffuso ad Hope,
sul Redlight, benché ignaro dell'enorme
potenziale nell'arma
distruttiva che aveva creato.
Sapeva,
oh se sapeva.
«Parla».
Gli intimò, quasi ringhiando, avvicinando la lama al suo
petto.
Eppure, lui l'aveva visto nascere - sempre che
così si
potesse dire.
Una
mancanza di rispetto indecorosa.
«Hope
fu costruita solo ed unicamente per uno scopo... ovverosia, la
creazione di un arma biologica particolare...»
inspirò, ricordando,
minuto dopo minuto, tutte le atrocità che l'esercito aveva
commesso
appena diciassette anni prima. Eppure, gli pareva quasi di averle
dimenticate, quasi riemergessero da una nebbia fitta di secoli.
«Sarebbe?»
«Volevano...
volevano che sviluppassimo un virus mortale solo...» si
interruppe.
Un singhiozzo strozzato, chissà perché,
affiorò sulle sue labbra.
«...
solo per determinati gruppi etnici».
Sentì
che il Prototype era ammutolito, e alzò lo sguardo verso di
lui. Lo
fissava con un'espressione attonita, evidentemente troppo sorpreso
per replicare.
Una
frazione di secondo dopo, si sentì sbattere rudemente contro
il
muro, il corpo del Blackwatch sotto di lui.
Gli
occhi di Zeus, rossi come braci, a pochi centimetri dal suo viso.
«Dimmi
che è uno scherzo». Aveva il viso contratto,
arrossato dalla furia
«Non posso credere che al mondo esistano dei figli di puttana
capaci
di fare una cosa del genere».
«Non...
noi...» mugolò, cercando di scostare la mano che
gli si era stretta
attorno al collo. Il Prototype allentò leggermente la presa,
consentendogli di parlare.
«Non
sono gli scienziati a scegliere quali progetti portare avanti,
è
l'esercito a ordinarcelo. Fu il Presidente ad accettare e a
autorizzare il progetto Hope».
L'espressione
di Zeus si vece quasi sofferente. Non riusciva forse a credere che ci
fossero persone in grado di predisporre simili mostruosità?
«A
chi era destinato questo virus Redlight?»
«Etnie
orientali. A quanto pare l'America voleva assicurarsi di poter
reggere il confronto con le grandi economie dell'Est, in futuro. E
forse è proprio per quello che Kushina...»
«...
è diventata l'ospite ideale del virus. Lo so».
«Oh,
lei era perfetta. Non aveva nessun difetto: miopia, complicazioni
genetiche latenti, predisposizioni a malattie di alcun
tipo...»
ridacchiò «... nemmeno un dannato ginocchio valgo
o un po' di
scoliosi. Perfetta».
«Era
da sola?»
«No.
Con lei c'era il suo fidanzatino, un certo Minato Namikaze. Si erano
appena sposati, a quel che so, e tu... tu gli somigli molto. Era
già
incinta, quando arrivò».
«Sasuke?
Sasuke come...»
«Sasuke
era il figlio dei loro vicini di casa... nacque qualche mese prima
del massacro. Con lui sopravvisse anche suo fratello Itachi... lo
sapevi, questo?»
«Sì».
La presa si fece più delicata, fino a sciogliersi del tutto.
Kabuto
scivolò nuovamente a terra.
«Dopo
cosa accadde? Né io né lui ricordiamo nulla del
periodo
successivo... e poi, il bambino di Kushina morì, a quanto
dicono i
rapporti. Perché io sono vivo?»
«Dopo
l'incendio di Hope vi portarono qui... siete stati al sicuro in
questo posto per anni, al centro di una delle metropoli più
popolate
del mondo, senza mai fare nulla di pericoloso. Credo che Sasuke abbia
dimenticato tutto grazie a qualche operazione di Madara... quell'uomo
conosce bene la mente umana, e sa come far sì che le memorie
più
terribili vengano sepolte da qualche parte e non tornino mai
più in
superficie. Kushina, dopo che il cadavere del bambino fu estratto dal
suo corpo, fu indotta da noi in uno stato comatoso per evitare che
succedesse quello che è successo... il piccolo era
indubbiamente
morto, e l'Idra non riporta in vita i cadaveri».
«Allora
com'è possibile che...»
«Oh,
Zeus...» Kabuto ghignò «... io questo lo
so, ma non crederai mica
che abbia intenzione di dirtelo...»
Fulmineo,
più di quanto si sarebbe aspettato di poter essere, il
medico si
gettò sul fucile che aveva già notato, e senza
esitazione alcuna se
lo puntò alla gola, la canna verso l'alto. Premé
il grilletto, e
tutto quello che Zeus vide fu un'esplosione rossiccia e una colonna
di vapore e gocce scarlatte elevarsi al di sopra di quella che una
volta era la testa del medico, in quel momento più simile ad
un
grosso fiore accartocciato.
Sul
momento, Naruto si sentì quasi triste di fronte a quello
scempio,
insoddisfatto per non aver potuto uccidere Kabuto Yakushi con le
proprie mani. Poi avvertì una sensazione familiare al centro
del
petto, e nella gola.
Infine,
semplicemente, si appoggiò alla parete lorda di sangue e
scoppiò a
piangere.
Sentiva
una pena incommensurabilmente grande per tutti coloro che, a causa
della pazzia umana, avevano dovuto soffrire atrocemente e morire. Sua
madre, Sasuke, Deidara e ora anche quello scienziato, non erano altro
che strumenti di un destino troppo crudele, famelico.
Se
le cose fossero andate diversamente, nessuno di loro sarebbe morto.
Inspirò
nel tentativo di calmarsi. Asciugò le lacrime con il dorso
della
mano, poi si voltò verso la porta del laboratorio. Doveva
sbrigarsi,
andarsene prima che tutta la Gentek gli piombasse addosso - e non ci
sarebbe voluto molto, prima che si accorgessero del disastro che
aveva combinato.
"Gli
altri avranno già fatto la loro parte."
Pensò,
sfondando
con un pugno la porta del laboratorio.
Immediatamente
il suono squillante di un allarme riempì l'aria.
«Ok,
ora sono veramente nei casini».
***
Sasori
osservò con una certa sfiducia la mole del Gentek Palace.
Nel
cortile c'era un viavai continuo di autocarri e mezzi blindati di
ogni tipo, elicotteri militari solcavano il cielo di Manhattan per
poi posarsi con grazia singolare sul tetto dell'edificio.
La
divisa da Blackwatch gli stava larga, era calda e asfissiante. La
maschera antigas che gli copriva occhi e viso non faceva che limitare
il suo campo visivo, ma era - purtroppo - necessaria: grazie a
quella, tutti avrebbero preso per buona la tessera di riconoscimento
che portava appesa al collo (sottratta ad un vero Blackwatch mezz'ora
prima quando l'aveva ucciso). Usando quelle, né lui
né i suoi
compagni correvano alcun pericolo.
Oltre
a quello che potevano procurarsi autonomamente, aggiunse, quando,
voltato un attimo lo sguardo per controllare la situazione, vide
Hidan e Kakuzu intenti a bisticciare su un non meglio definito
dettaglio della missione. Li chetò con un gesto imperioso
del
braccio, trattenendosi dal motteggiarli per l'effetto vagamente
inquietante che quelle due divise nere facevano su dei colossi come
loro. Kisame, invece, ridacchiò apertamente, per quanto la
sua voce
risultasse attutita dalla barriera della maschera.
Pain
e Konan erano rimasti alla base, a sorvegliare la new entry.
Zetsu,
molto probabilmente, era già dentro. Per lui non doveva
essere un
problema.
«Andiamo».
Si
mossero compatti verso l’entrata. Un custode,
all’ingresso della
barricata, controllava uno ad uno tutti i cartellini che venivano
esibiti; accanto a lui, uno dei diffusori di Bloodtox, in funzione
fino a pochi minuti prima, giaceva spento nella polvere: dopo quella
che ritenevano la cattura di Zeus, i militari sentivano di non avere
più nulla da cui guardarsi, né avevano voglia di
restare troppo
tempo con quell’orribile odore di carne marcia nelle narici.
Passarono
i controlli senza nessun problema.
Una
volta arrivati davanti all’entrata vera e propria
dell’edificio,
un’immensa schiera di porte girevoli da cui entrava e usciva
una
fiumana di militari, Sasori si bloccò. Guardò
nuovamente i
compagni, poi sospirò: ce l’avrebbe fatta, una
simile accozzaglia
di idioti, a completare una missione tanto delicata? Scommetteva che
l’umano con i capelli castani stava già ridendo
alle sue spalle.
«Avete
con voi le planimetrie?»
Seguirono
numerosi versi di assenso e colpetti strategici sulle tasche in cui i
foglietti stampati erano stati messi.
«Le
avete per caso studiate?»
Seguì
un silenzio imbarazzato. Molto imbarazzato.
«Imbecilli.
Non speravo in una risposta affermativa, comunque».
«Che
vuoi che sia...» proruppe Hidan, con il suo solito tono da
esaltato
«... tutti sono capaci a leggere una cartina».
«Di
leggere una cartina. E non sono sicuro che attribuirvi le normali
competenze di un bambino umano di dodici anni sia una mossa poi
così
saggia. Comunque, avete mezz’ora di tempo per portare a
termine la
missione. Al termine, ognuno tornerà singolarmente alla
base... a
meno che non capiti di incontrarsi, è chiaro. Evitate di
sollevare
troppa agitazione».
«Non
credo che reagiranno bene».
«Non
ha importanza. A quest’ora Zeus dovrebbe aver finito, e Zetsu
sarà
pronto per l’attacco».
Varcarono
le soglie del palazzo non senza un certo timore, dovuto
principalmente alla gran quantità di umani armati che li
circondavano.
Avevano
fatto pochi passi nell’atrio, che un allarme
risuonò per tutta la
stanza. Probabilmente, considerò Sasori, per tutto
il palazzo.
Immediatamente,
i Blackwatch cominciarono a convergere verso una delle tante porte
che immettevano nell’atrio, mentre una voce metallica, dagli
altoparlanti, diceva: “Emergenza al livello
quattordici, le
unità BlackWatch devono recarsi immediatamente sul
posto...”
«Zeus
è sempre il solito. Combina solo cazzate».
«Per
una volta, Hidan ha ragione».
Vedere
Kakuzu che dava ragione ad Hidan era già di per
sé un evento più
unico che raro, ma lo fu ancora di più udire le grida
spaventate dei
perennemente impassibili Blackwatch quando, con un rombo ed un rumore
fragoroso di vetri infranti, una pioggia di proiettili si
abbatté
sulle porte dell’atrio, mandandole in frantumi.
«Invece
Zetsu è sempre al posto giusto al momento giusto,
neh?»
L’infetto,
in quel momento, sospeso una ventina di metri sopra la strada, era
intento ad utilizzare – con sommo piacere e divertimento
– tutto
l’arsenale bellico di cui l’elicottero che aveva
rubato poc’anzi
disponeva, a scapito però della facciata del Gentek Palace.
Inutile
dire che se la rideva come pochi, aspettando che arrivasse il
soccorso aereo per dimostrare anche ai piloti umani le sue superiori
capacità da infetto.
«Il
piano prosegue come stabilito. Abbiamo solo meno tempo, ma ci
sarà
più facile muoverci indisturbati se tutta
l’attenzione è
focalizzata su Zeus».
«E
con lui come la mettiamo? Se dovessero fargli qualcosa?»
«Non
ho mai incontrato un tipo più indistruttibile di lui. Ha
superato
situazioni peggiori. Ora separiamoci».
«Quanto
tempo abbiamo?»
«Un
quarto d’ora. Cercate di metterci di meno».
***
«Capo...
le dico che secondo me sta dimagrendo troppo».
«Grazie,
Rock Lee, ma sto bene».
«Vuole
una mela?»
«No».
«Vuoi
una mela?» Quella nuova offerta, coadiuvata
dall’uso del “tu”
e da un’espressione che chiunque avrebbe definito
“inquietante”
(i sorrisi di Rock Lee lo erano tutti, o quasi), fece capitolare
Tenten. Accettò il frutto – già
miracolosamente sbucciato – e
gli diede un morso.
Nonostante
il pessimo cibo dell’ospedale militare, che dava solo
l’illusione
di un apporto vitaminico e/o proteico, non aveva fame. Si sentiva
bene, forte e pronta a rialzarsi; i medici imputavano quella strana
condizione allo stesso fattore che aveva causato la cicatrizzazione
precoce delle sue ferite, e la donna, al solo pensiero di quale altra
mutazione poteva essersi prodotta all’interno
dell’organismo,
tremava.
Eppure,
Zeus le aveva salvato la vita.
Quel
pensiero aveva finito per toglierle il sonno.
Le
occhiaie incavate nel viso roseo e sano, nota stonata in un quadro
complessivo eccellente, lasciava che Rock Lee le rimanesse accanto,
ma non aveva il coraggio di condividere con lui le domande che le
affollavano la mente.
Forse,
se al suo posto ci fosse stato Kiba...
Scosse
la testa. Kiba era stato dato per morto già da tempo. Aveva
pianto,
quando glie l’avevano detto, più per lui che per
lo schiaffo
morale subito dall’esercito – dopotutto, era andata
persa una
delle squadre più temibili e importanti che i Marines
avessero mai
posseduto. Non le importava.
«Rock
Lee... tu hai mai perso qualcuno di importante?»
L’infermeria
vuota le metteva addosso un senso di tristezza; il compagno, seduto
presso la finestra, guardava fuori con aria tranquilla.
«Io?
Be’, sono stato sul punto di...»
Non
riuscì a completare la frase: la sua voce, benché
piuttosto alta,
fu coperta dal suono squillante dell’allarme generale, quello
che
veniva azionato solo nel caso l’intero edificio fosse in
serio
pericolo. Tenten si tirò in piedi con uno scatto (da tempo,
ormai,
non usava più la flebo, e veniva tenuta a riposo soltanto
per fare
ulteriori accertamenti sulle sue strane capacità di
guarigione), e
si avvicinò alla finestra.
«Ma
che succede?»
«Non
ne ho idea, cap... ehi! Guarda quell’elicottero!»
Un
mezzo corazzato e incredibilmente grosso, un Kamov da combattimento
ultimo modello, comparve improvvisamente da dietro un angolo de
Gentek Palace e si portò di fronte alla facciata.
Inclinatosi
verso il suolo, azionò le mitragliatrici che svettavano ai
lato
della cabina di pilotaggio.
Tenten
fece appena in tempo a coprirsi le orecchie che un frastuono
assordante fece vibrare l’aria, mentre i proiettili, sparati
da
enormi tamburi rotanti che sputavano una cascata di bossoli, si
infrangevano contro i piani inferiori dell’edificio e
polverizzavano tutto ciò che colpivano.
Fortunatamente,
l’infermeria in cui si trovavano – quella,
cioè, destinata ai
malati non gravi – era abbastanza in alto.
«Ho
come la sensazione che faremmo meglio ad andarcene di qui,
capo».
«Sai,
Rock Lee, lo penso anche io. Fammi prendere le medicine...»
Tenten
si avvicinò al tavolo accanto al proprio letto, sul quale
stavano
vari flaconi di antidolorifici e dei sonniferi. Li usava per
combattere il dolore delle ferite (che ancora, qualche volta, la
facevano penare) e la sua fastidiosa insonnia. Rovesciò
tutte le
bottigliette in una bustina, poi si affaccendò ancora
qualche minuto
a recuperare i propri effetti personali di prima necessità
(il
telefono cellulare, la pistola d’ordinanza, il distintivo)
ammucchiati in una sacca che Rock Lee aveva avuto la compiacenza di
portarle sotto il letto.
Nel
corridoio si sentirono delle urla, immediatamente soffocate.
Si
bloccò.
«Che
cos’era quello?»
«Non
lo so capo. Sbrighiamoci».
Fece
un passo verso la porta, il braccio proteso.
Quella
si spalancò senza che ci fosse bisogno di spingere la
maniglia,
spinta da un calcio poderoso proveniente dall’esterno.
Sulla
soglia comparve un uomo alto e imponente, con indosso una tuta da
Blackwatch. Portava la maschera antigas slacciata, ciondolante sul
petto; i particolari che Tenten riuscì a registrare della
sua
figura, prima che irrompesse nella stanza, furono due: il viso, bello
e regolare, in cui brillavano degli occhi assurdamente viola,
e il braccio destro, più simile ad una grottesca falce di
osso
bianco che spuntava direttamente dalla carne. Appesi alla lama
insanguinata c’erano ancora dei frammenti di tessuto nero,
proveniente dalla tuta, segno che quella cosa era
uscita
dall'interno.
Tenten
rabbrividì.
«Salve,»
esclamò lo sconosciuto, seguito da un compare ugualmente
vestito
«siamo quelli della pizza che avete ordinato. E adesso
muovete il
culo e seguiteci, da bravi».
“Il
virus poteva tutto, tranne che resuscitare i morti”.
_Angolo
del Fancazzismo_
Ok,
parliamone. Parliamo del fatto che questo capitolo arriva con circa
–ahem – cinque giorni di stacco dal precedente,
dopo un
intervallo di mesi. Parliamo del fatto che fa abbastanza
schifìo e
che Kabuto pare pedobear.
Parliamo
del fatto che il Classico mi toglie ogni ispirazione, neh. Che non so
spiegarmi questo boom letterario in nessun altro modo.
Tuttavia,
poiché (adoro questa congiunzione) vi voglio bene, vi avviso
che ho
pronti atri due capitoli che dovrebbero essere entrambi pubblicati
entro e non oltre l’8 gennaio. No, non infartate: sono seria.
Uno
dei quali è anche abbastanza... estremo, per così
dire.
Ma
parliamo di quest’aggiornamento di fine anno!
Innanzitutto,
Buon Anno!
Vi
voglio ringraziare per il fatto che mi seguite da così tanto
tempo
nonostante la mia mancanza di serietà... siete il mio pane,
davvero.
Senza di voi non riuscirei a scrivere, e Prototype si sarebbe fermata
parecchi capitoli fa. Mi rendete felice con i vostri commenti, non
importa se lunghi o corti, e – anche se vi potrà
sembrare strano,
detto da una che nemmeno conoscete – io vi voglio bene J.
Auguro
a tutti un 2011 pieno di soddisfazioni.
See
you soon(issimamente),
Roby
|
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Capitolo 30 *** Hunter and Prey ***
029
– Hunter and Prey
All’interno
del suo alveare, Kushina Uzumaki percepì le vibrazioni che
scuotevano tutta Manhattan.
Sollevò
la testa, scostò i capelli dal viso con un gesto distratto e
inspirò
profondamente ad occhi chiusi. L’aria conservava per
chilometri e
chilometri una puzza acre, marcia, come quella della morte
rossa
che aveva seminato distruzione tra i suoi figli, ma c’era
anche
qualcos’altro.
Un
rumore.
Grida
lontane, attutite dalla distanza, ed esplosioni. Sembravano provenire
dalla tana del lupo.
Si
rannicchiò sul suo letto di Idra, indecisa. Il suo bambino
era in
pericolo, lo sentiva, e Itachi-kun... Itachi-kun era vicino a lui.
Troppo vicino, troppo forte e pericoloso e infido, quel maledetto;
già una volta aveva fatto del male a Zeus, e lei non voleva
che la
cosa si ripetesse.
Stavolta,
poi, Ade non avrebbe potuto salvarlo.
Si
alzò in piedi con uno sbuffo. Attorno a lei, i cacciatori
ruggirono,
percependo il cattivo umore della regina.
Si
passò una mano sul polso, osservandolo con tutta calma. Le
sue vene
bluastre, al solito, pulsavano sotto l’epidermide
semitrasparente
in reticoli astratti, che mutavano periodicamente e si ricomponevano
decine di migliaia di volte. Affondò le unghie nel polso,
strinse la
presa.
Gocce
scarlatte perfettamente sferiche, come perle di sangue, le stillarono
dalla ferita.
A
poco a poco, ingrandendosi e perdendo la loro forma, le rigarono il
braccio e precipitarono a terra con un rumore appena udibile.
Formavano
delle pozze minuscole, senza venire assorbite dal tappeto di Idra che
ricopriva il pavimento. Ben presto, però, cominciarono a
mutare.
Piccole
bolle affiorarono sulla superficie, ingrandendosi sempre di
più in
quella che ben presto divenne una sorta di schiuma densa e rosata,
che si ammonticchiava e aumentava di volume secondo dopo secondo.
Quella pila vischiosa crebbe a dismisura, fino ad assumere una vaga
forma umanoide; poi, si ingrandì ancora, superò
in altezza e
grossezza la sagoma della Greene e assunse contorni più
netti.
Quando, con uno scossone, si liberò dalle bolle che ancora
gli
scorrevano sulla pelle, davanti a Elizabeth comparve una creatura
molto simile ad un cacciatore.
Aveva,
certo, forme più umane e slanciate, nari più
grandi e orecchie che
svettavano in fuori rispetto alla rotondità del cranio, ma
gli
stessi occhi piccoli e scuri brillavano nelle orbite, le stesse zanne
piccole e appuntite spuntavano a file dalla bocca semiaperta.
«Gisei,»
sussurrò, allungando una mano ad accarezzare la fronte
piatta e
fortemente convessa della creatura. Quella emise un gorgoglio di
ringraziamento, socchiudendo lo palpebre «proteggi il piccolo
Zeus.
Combatti per me».
Gisei
piegò la grossa testa scabrosa e chiuse gli occhi.
Si
voltò e corse via, sparendo nella penombra rossiccia
dell’alveare.
***
«Ehmm...»
Kisame osservò la carta che teneva tra le grosse dita,
già
stropicciata. Poi la girò al contrario «Uh. Ah,
ecc... no. Ma che
cazz... questa cosa è più confusa dei discorsi di
Hidan quando è
ubriaco!»
Alzò
gli occhi chiari al soffitto, sperando che qualche aiuto misterioso
piovesse dal soffitto e lo aiutasse a capire dove diamine doveva
andare. Non riusciva a leggerla, quella dannata cartina.
Tirò
fuori dal taschino una fototessera della tipa che doveva prelevare
–
una gran figa, dal poco che quel minuscolo rettangolino di carta
lasciava intendere – e lo rimise a posto con una smorfia
contrariata. Ma che doveva fare per trovare i laboratori? Chiedere
aiuto ad un passante?
«Scusi,
ma chi è l-»
La
voce proveniva da dietro le sue spalle. Quando si voltò
(dimenticandosi, incauto, di rimettere a posto la maschera da
Blackwatch, slacciata per poter respirare meglio) la signorina in
camicie e decolléte che aveva parlato sbiancò
improvvisamente, e si
portò una mano al petto.
Aveva
delle gran belle tette.
Emise
un gridolino fioco, strozzato dal terrore, e rimase perfettamente
immobile e tremante. Certo, incontrare un gigante con la pelle blu
non capita tutti i giorni, men che meno in un momento di
sollecitazione generale come quello in cui si trovava la Gentek. La
ragazza, una dottoressa del piano, doveva soltanto assicurarsi che
tutti i colleghi fossero rimasti al proprio posto – il suo
capo,
che avrebbe dovuto adempiere a quel compito, era sparito
chissà
dove.
«Salve,
bellezza…» Kisame l’afferrò
per il polso. Quella non si mosse
nemmeno, troppo terrorizzata per fare il minimo gesto «...
come ti
chiami?»
«M-Matsuri…»
balbettò, fissando Kisame con due occhi castani, da cerva,
enormemente spalancati.
«Bene,
è un nome che mi piace. Adesso, Matsuri, mi serve che tu mi
aiuti a
trovare questa tipa qui... sai dov’è ora? Mi
avevano detto di
cercare nei laboratori». Le sventolò
davanti al viso la
fototessera.
Matsuri
deglutì.
«O-ok.
M-ma non ucc...»
«Non
ti uccido, tranquilla». Le passò una mano sotto i
fianchi e l’altra
dietro la schiena, prendendola in braccio come se non pesasse niente.
La ragazza emise un mezzo grido, afferrandogli la tuta, e Kisame
ghignò, mettendo in mostra una doppia fila di denti
triangolari e
appuntiti, i denti di uno squalo.
“Se
mi avessero detto prima che si trovavano certe gattine alla Gentek,
non mi sarei nemmeno portato la cartina”.
«I-i
l-laboratori s-sono da quella parte...»
«Bene,
baby, guidami tu. Ah, e non provare a fregarmi... ti
sarebbe
difficile scappare, con quelle trappole di scarpe che porti».
***
A
Sasori era stata affidata la parte più pericolosa del piano.
“Stai
attento”, gli aveva detto Zeus, “secondo Shikamaru,
tutti i
campioni biologici e le attrezzature di ricerca sono nei laboratori
sotterranei. Voglio che tu li distrugga... così, almeno, non
potranno creare altri abomini”.
Ovviamente,
aveva acconsentito. Dovevano ancora scoprire chi aveva ucciso
Deidara, e non era nella posizione di negare un favore a Zeus.
Ciò
non voleva dire, però, che ne avesse la voglia.
Fortunatamente,
pareva che i Blackwatch si stessero dirigendo esattamente nel punto
dove doveva recarsi anche lui. Certo, non poteva mettersi a spaccare
mobili e celle frigorifere fintantoché era circondato da
militari,
ma quella situazione gli permetteva di passare inosservato e entrare
dove voleva.
Almeno
in teoria.
Non
ci volle molto perché udisse i primi spari. Era un rumore
che odiava
– cacofonico, continuo, ripetitivo – eppure, in
quel frangente,
lo fece sorridere: Zeus era lì da qualche parte, vicino.
Sentì un
grido – no, più che un grido era un ruggito,
animalesco e brutale,
lacerante. Carico di rabbia.
Nemmeno
il Prototype sopportava i proiettili all’infinito. Oltre un
certo
limite cominciavano a dargli fastidio.
A
quel verso si sovrapposero ben presto le urla dei soldati.
Continuò
ad avanzare nella direzione prescelta, esaminando l'ambiente
circostante con grande perizia. Si trovava al secondo livello dei
laboratori, ultima fermata dell'ascensore regolare, ma sapeva
perfettamente che c'era un qualche modo per accedere ai livelli
inferiori; udendo un altro ruggito, decretò che Zeus si
trovava sul
suo stesso piano, a non più di una quarantina di metri di
distanza.
Non aveva voglia di incontrarlo - avrebbe dovuto prestargli
necessariamente aiuto, e questo avrebbe ritardato di parecchio i suoi
piani.
Perciò,
non appena ne ebbe l'occasione, sgusciò fuori dal flusso dei
Blackwatch e si defilò rapidamente in una stanza; rimase
qualche
minuto in silenzio, attese che gli ultimi passi si fossero
allontanati verso la fonte del trambusto, poi uscì.
Cambiò
strada una ventina di volte prima di trovare quello che cercava.
Sul
fondo di un corridoio dalle pareti bianche c'era la porta d'acciaio,
lucida e invitante, di un ascensore. Accanto, simile ad una scatola
di metallo robusto affissa al muro, una guida metallica attraversata
da una sottilissima fessura verticale.
"Hanno
un sistema di sicurezza invidiabile in questo posto," pensò
Sasori "ma
non ho certo bisogno della tessera per eludere una barriera
così
delicata".
Diede
un calcio alla porta, e il metallo si piegò. Poi un altro e
un altro
ancora, aiutandosi anche con le mani, finché le due porte
scorrevoli, deformate verso l'interno, non si separarono abbastanza
per permettergli di inserire le mani nella fessura e svellerle
completamente.
Si
sporse nella tromba dell'ascensore, un precipizio dalle pareti di
cemento che si perdeva subito nell'oscurità. Sia che
sollevasse lo
sguardo, sia che lo abbassasse, ad accoglierlo c'era lo stesso buio
pesto, incerto e carico di chissà quali incognite; non
poteva
rimanere fermo in eterno - sicuramente quella zona era
videosorvegliata, e qualcuno l'aveva già visto.
Si
lasciò cadere nel vano con le gambe piegate, pronto
all'impatto.
Precipitò per un tempo che gli parve infinito, prima che i
suoi
piedi colpissero una superficie rigida e uno schianto fortissimo
rimbalzasse sulle pareti di cemento creando un'eco fastidiosa. Era
sul soffitto di metallo di un ascensore.
Si
accosciò, percorrendo quel coperchio mezzo deformato con le
dita
finché non percepì, sotto le dita, in profilo
appena in rilievo di
una botola. La strappò dai cardini con un gesto annoiato e
si calò
nella cabina, che godeva dell'illuminazione di una tremula lampada al
neon; qui, dopo aver schiacciato il pulsante dell'ultimo piano, il
-21, scoprì di essere già arrivato a destinazione.
Che
qualche scienziato fosse sceso a salvare il salvabile in previsione
di un intervento come il suo?
Peggio
per lui, allora.
Il
livello in cui entrò era molto diverso da quello in cui Zeus
stava
dando spettacolo.
Non
c'erano porte, solo un corridoio interamente rivestito di metallo
opaco e freddo; si biforcava sul fondo, formando una T perfetta, e
solo allora due battenti d'acciaio, muniti anche quelli di targhette
e guide per tessere magnetiche, sbarravano il passaggio.
La
targa di destra riportava "Campi di Allenamento", la
sinistra "Materiali Virali".
Sasori
abbatté la prima a furia di calci e spallate e si fece largo
in un
corridoio identico al precedente. Solo, sulla destra si aprivano tre
porte, due di semplice metallo e munite di maniglia, la terza ancora
una volta accompagnata dalla guida.
Fu
su quella che si diresse. Prima che potesse attaccarla,
però, la
lastra d'acciaio scivolò silenziosamente di lato.
Sasori
si accostò repentinamente al muro, accanto alla porta, le
orecchie
tese al delicato rumore di un respiro umano, pochi centimetri oltre
la soglia. Quando l'ospite inatteso si palesò, le sue
sopracciglia
si corrugarono impercettibilmente in un moto d'ira.
Conosceva
quella donna. Come avrebbe potuto dimenticare il suo viso da
ragazzina e i suoi lunghi capelli neri, quando proprio lei era stata
la causa e il motore del lento sfacelo che aveva finito per culminare
con la morte di Deidara? Come poteva dimenticarsi di Hinata Hyuga,
quando proprio a causa dei suoi errori e del suo tradimento il nemico
aveva potuto colpirli tanto profondamente?
Senza
indugio, scattando con una velocità e una violenza che
recavano
l'impronta della sua rabbia, la afferrò per la gola e la
schiacciò
contro il muro, avvertendo il suo respiro farsi corto e affannato
sotto la spinta dei polpastrelli.
Solo
a quel punto notò che nella mano destra stringeva, con tanta
forza
da avere le nocche completamente bianche, una valigetta nera con
delle strane strutture circolari di metallo su entrambi i lati,
simili a valvole o filtri, e un led lampeggiante vicino al manico.
«Donna...»
sibilò, accennando all'oggetto «...
cos'è quella?»
Allentò
un poco la presa, e gli occhi di Hinata si riempirono di lacrime. Da
come lo guardava, sembrava l'avesse riconosciuto.
«Rispondimi.
Ho già troppi buoni motivi per ucciderti».
Hinata
tossicchiò, facendogli segno che non riusciva comunque a
parlare.
Sasori la lasciò andare, poi fece un passo indietro, lo
sguardo
pieno di disprezzo.
«Allora?
Cosa ci facevi qui sotto?»
«Q-q-questi...
q-questi s-s-sono g-gli u-ultimi c-campioni di I-Idra r-rimasti...
l-la s-sostanza p-pura t-tratta d-dal p-plasma di Z-Zeus... e... e
poi...»
«Parla».
«La
c-cur-»
«Non
osare dirlo!»
Le
allungò un calcio che la fece gridare dal dolore, poi si
dominò e
assunse il solito contegno: dare spettacolo di fronte ad una creatura
inferiore come quella non rientrava certamente tra i suoi piani.
«Lo
stesso trucco non funziona due volte».
«A-aspetta!
T-ti prego, t-tu d-d-devi a-ascoltarmi!» Supplicò,
ripiegandosi su
se stessa come per proteggersi «Q-quella c-cosa c-che m-mi
h-hanno
f-fatto iniettare a Z-Zeus, i-io n-non s-sapevo c-cosa
fosse...»
«L'ha
quasi ucciso provocandogli una specie di tumore. Ora che lo sai, come
pensi di convincermi?»
Hinata
spalancò gli occhi e fece una smorfia inorridita, poi, dopo
aver
scosso la testa un paio di volte, gli occhi bassi, riprese a parlare.
«M-mi
h-hanno r-ricattata... a-avrebbero f-fatto d-del male a m-m-mia
s-sorella».
«Questo
ti rende un individuo a rischio».
«F-fai
c-come v-vuoi... u-uccidimi s-se c-credi, m-ma t-ti p-prego d-di
p-p-portare q-questa a Z-Zeus... i-iniettatela su u-un i-infetto
c-comune e v-vedete s-s-se f-fa effetto... n-non su di v-voi, n-non
f-funzionerebbe».
«Su
di noi non funzionerebbe? Che intendi? Smettila di balbettare, o ti
ammazzo».
La
ragazza arrossì violentemente, poi prese un respiro profondo
e
inghiottì il groppo che le opprimeva la gola. Si
appoggiò al muro
con la schiena, prima di rispondere.
«Ho
sperimentato d-delle cure...» sospirò,
rabbrividendo nel tentativo
di controllarsi «... ma nulla può far
r-retrocedere gli effetti
dell'Idra, p-perché il virus si integra troppo con
l'organismo
o-ospite e distruggerlo s-significherebbe u-uccidere anche l'infetto.
Q-quindi ho pensato c-che avrei potuto riprodurre l-la mutazione di
v-voi infetti superiori anche sugli altri e r-ridare loro l'autonomia
e la dignità...»
Sasori scosse la testa. Dignità... quella
ragazzina non sapeva di cosa stava parlando. Avrebbe voluto
ucciderla, ma quella novità della presunta cura
impossibilitava ogni
sua mossa: la logica voleva che ammazzasse l’umana e portasse
via
la valigetta, ma non poteva prendere una decisione del genere senza
consultarsi con Zeus. Certo, avrebbe potuto tacere
quell’incontro e
finirla lì, ma un tardo fastidiosamente ostinato
già lo pungeva
all’altezza del petto, sussurrandogli cose che non voleva
ascoltare. La cura poteva essere reale, stavolta?
Fosse pure,
a lui cosa interessava?
Digrignò
i denti, fissando Hinata.
Era
una circostanza intollerabile, ma non poteva lasciarla
lì.
Prima,
però, aveva una missione da compiere.
«Queste
porte,» le additò «dove
conducono?»
«C-ci
sono i macchinari di r-ricerca e i campioni di Idra... n-non quelli
puri, ovviamente».
«Nel
corridoio prima di questo c’era una biforcazione. Che cosa
c’è
oltre l’altra porta?»
«O-oh,
niente... quella parte n-non v-viene u-usata da mes-»
«Ti
ho chiesto cosa c’è».
«Lì...
lì c’erano i p-posti dove v-vivevano Z-Zeus e
g-gli altri
e-esperimenti di Hope, m-ma la zona è s-stata chiusa dopo la
f-fuga
di Elizabeth Greene».
Sasori
torse leggermente la bocca.
«Bene.
Fammi entrare nei laboratori».
Hinata
annuì, senza fare domande, e passò velocemente la
propria tessera
magnetica nella guida accanto alla porta; Sasori la afferrò
per un
braccio, tirandosela dietro con rudezza mentre percorreva il
basso passaggio illuminato, fino a sbucare in un’ampia sala
rischiarata a giorno da una serie di enormi tubi al neon. Il locale
era pieno di tavoli e strumenti di ogni tipo, dal pavimento sbucavano
a tratti strutture cilindriche alte fino al soffitto in cui, oltre il
vetro spesso, luccicavano provette piene di campioni congelati; era
tutto così bianco che per qualche secondo Sasori fu accecato
da quel
chiarore abbacinante.
Poi,
infilò la mano in tasca e ne trasse un piccolo oggettino
nero.
A
prima vista somigliava ad una scatolina di plastica con due linguette
per ciascun lato, senza disegni o dettagli di nessun tipo tranne una
striscia di nastro biadesivo sigillato su una delle facce piatte.
L’infetto strappò la carta del nastro e
fissò la scatolina su un
tavolo, poi ne prese un’altra e ripeté il
procedimento.
Ne
dispose in tutto quattro.
«C-che
cosa sono quelle?»
«Il
regalo di un morto».
***
«Chi
siete?!»
«Oh,
andiamo, non costringermi a ripetere le cose più di una
volta...»
«Salta
i convenevoli. Ci fanno perdere tempo».
Hidan
fissò Kakuzu, risentito, poi tornò a concentrarsi
sulla ragazza che
gli stava davanti. Non era una gran bellezza – capelli e
occhi
scuri, viso orientale dai tratti un po’ troppo marcati per
una
donna, e, in più, lo guardava con un’aria di
aggressività e
supponenza che gli faceva girare le palle.
«Che
cosa volete da noi?» Il ragazzo era più
interessante solo perché
brutto e dall’aria stupida e irritante. Gli era capitato un
incarico del cazzo.
«Tanto
per cominciare vorrei che la smettessi di rompermi i coglioni. Che ne
dici, è una buona idea? E poi vorrei che tu e Lucy Liu
veniste con
noi».
Anche
se Lucy Liu, per cinese che era, aveva comunque un viso più
bello di
quella ragazzina.
«No!»
Esclamò la ragazza, facendo un passo indietro e accostandosi
al
letto. Sulle lenzuola c’era una sacca di tela verde, a cui
Hidan,
entrando, non aveva fatto caso; non si poteva dire lo stesso di
Kakuzu, che, dopo essersi sfilato la maschera antigas, rivolse agli
ostaggi un ghigno solcato da cicatrici.
«Se
lì dentro c’è una pistola,»
interloquì, calmo come suo solito
«non ti conviene provare a prenderla, a meno che tu non possa
fare a
meno di una mano... o due».
Hidan
le si avvicinò a grandi passi, e lei si appiattì
contro il muro.
«Su,
da brava... ci ha mandato Zeus, quello che vi ha salvato il
culo».
«P-perché
siete...»
«Perché
qualcuno sta attaccando la vostra base in questo
momento e
qualcun altro ci ha chiesto di portarvi via da
qua».
«Chi?»
A
quel punto, spazientito, Hidan afferrò la ragazza con uno
scatto e
se la tirò contro. Tenten cercò di ribellarsi,
emise un urlo e
scalciò, ma all’uomo bastò un braccio
per circondarle il corpo e
immobilizzarla del tutto. Rock Lee tentò di difenderla, ma
inutilmente: fece un passo verso Hidan, la mano chiusa a pugno, e
nello stesso istante in cui le sue nocche sfiorarono il tessuto della
tuta sulla spalla del blackwatch, strusciando contro
l’imbottitura
di uno spallaccio, si sentì serrare la bocca da qualcosa di
gelido.
Pochi secondi dopo, avvertì un dolore pazzesco allo stomaco,
e il
suo campo visivo si oscurò completamente.
Si
abbandonò tra le braccia di Kakuzu, svenuto.
Gli
occhi di Tenten fissarono il suo corpo inerme, spalancati per la
paura. Poi, lentamente, si spostarono sul viso scoperto di Kakuzu,
solcato da miriadi di cicatrici nerastre.
Un
lampo di comprensione le attraversò gli occhi.
«Ma
tu... io ti ho già visto da qualche parte...»
«Starà
parlando del periodo in cui cantavi con quella boyband gay di
Toronto».
«Non
sarai mica-»
«Il
grande rapinatore di banche che quattro anni fa ammazzò
venti
persone durante un colpo? Cristo, sì! Non capisco tutto
questo
interesse mediatico nei confronti di un rubagalline...»
sputò
Hidan, spintonando la ragazza senza alcuna delicatezza «...
voglio
dire, ci sono cose molto più interessanti su cui puntare i
riflettori. Cazzo, da quando gli Americani preferiscono un paio di
dollari buttati nel cesso ad una donna con la fica squarciata, eh? Da
quando?»
«Credo
di averti già detto che la tua megalomania mi infastidisce,
ma non è
questa la sede in cui parlarne. Ragazzina, tu riesci a
camminare?»
Tenten
annuì.
«Bene.
Ora, visto che grazie al tuo amichetto mi tocca portare un peso in
più, voi mi precederete. Hidan, tu sta’ attento...
dobbiamo
evitare che sparino a lei, o Zeus ci ammazzerà».
«Non
mi sparerebbero mai, sono pur sempre...»
«Blackwatch?
Esseri umani?»
E
Hidan la trascinò oltre la porta, ghignando, mentre Kakuzu,
alle
loro spalle, emetteva una risata bassa e terribilmente lugubre.
***
La
verità era che gli sarebbe piaciuto smettere di vivere.
Qualsiasi
cosa sentisse oltre l’oscurità perenne che gli
opprimeva la vita,
qualsiasi impercettibile movimento o vibrazione o respiro, non faceva
che spingerlo sempre di più nel pozzo buio in cui era
precipitato.
«Non
ti sveglierai, Sasuke?»
Aveva
riconosciuto quella voce, naturalmente. Apparteneva ad un momento che
pareva trascorso da secoli, in una notte in cui aveva scelto
definitivamente la sua strada e per poco non aveva perso ciò
a cui
teneva di più... Zeus. Chissà dov’era
lui, in quel momento. Non
aveva sentito la sua voce, ma sapeva che era vivo; da qualche parte,
lontano da lui e probabilmente disinteressato alla sua sorte, ma
vivo. E cosa ci faceva quell’uomo strano,
quell’Orochimaru, nella
sua stessa stanza?
Non
capiva perché avrebbe dovuto rispondergli. No, non si
sarebbe mai
svegliato, non avrebbe m ai più rivisto la luce del sole. A
che pro
alzarsi e ricominciare a camminare in un mondo nero?
«Credevo
che gli Uchiha fossero più forti».
Quindi
conosceva la sua famiglia; un dettaglio così sarebbe stato
anche
capace di risvegliare la sua curiosità, in altre
circostanze, ma in
quel momento gli suscitava soltanto un profondo desiderio di tapparsi
le orecchie e rendersi invisibile anche a quell’ennesimo
disturbatore. Muovere le braccia o le mani, però, era fuori
discussione.
Sentiva
che, se avesse azzardato una mossa del genere, sarebbe caduto in
pezzi.
«So
che hai superato prove peggiori. Perché adesso non
combatti?»
Non
corrugò le sopracciglia, non si agitò.
Espirò tutta l’aria che
aveva nei polmoni e schiacciò il torace contro il lettino
fino a
sentire una fitta allo sterno. “Perché”,
gli chiedeva?
Aveva
sempre creduto di poter sopportare le atrocità della vita.
Dopo aver
conosciuto Zeus, dopo aver gettato uno sguardo in quel baratro
profondissimo che era il suo mondo, aveva pensato di essere persino
fortunato. Guardando il proprio passato lo aveva trovato quasi bello,
se non altro pacifico.
Qualcosa
su cui poter contare.
E
poi... poi c’erano gli occhi di Itachi, le
profondità abissali di
quelle iridi rosse.
C’erano
i ricordi – quelli veri, non un banale surrogato della
realtà –
quelli che il suo amorevole fratellone si era
prodigato di
fornirgli. Il suo passato, il suo incubo peggiore.
“Non
si tratta di aver paura dell’ignoto, ma di sé
stessi”.
_Angolo
del Fancazzismo_
E adesso voi vi starete chiedendo "ma se
avevi due capitoli pronti, perché non hai postato prima?"
Io
effettivamente i capitoli pronti ce li avevo, ma mi sono accorta che
per appiopparvi il prossimo aggiornamento (che, tanto per intenderci,
è un bel capitolone flashback *schiva i pomodori*) dovevo
necessariamente aggiungere un pezzo a questo e creare una piccola
parte introduttiva.
Non me
ne vogliate se ci ho messo tanto, ma tra il p0rnfest e la scuola sono
mmmmmmorta.
*Si accascia sulla scrivania*
Giuro e
spergiuro che domani risponderò a tutte le recensioni che ho
lasciato senza risposta nell'ultimo periodo, e che mi erano
completamente passate di mente *Alzheimer precoce: è grave*
Bien,
Prototype continua. Per quanto mi rigurda, credo che, finita questa,
mi prenderò una luuuuunga pausa dal fandom di Naruto :D
See you
soon,
Roby
|
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Capitolo 31 *** Stuck in your Wonderland ***
030
– Stuck in your Wonderland
Sasuke
aveva otto
anni.
Non
che sapesse cosa significava quel dato. Per lui era solo una cifra,
un'insieme di caratteri neri.
Non
conosceva il significato della parola "compleanno", né ne
aveva mai festeggiato uno; i giorni della sua vita erano scivolati
via l'uno dopo l'atro, tutti perfettamente uguali, tanto che il tempo
veniva scandito solo dai cambiamenti del corpo.
Dacché
riuscisse a ricordare, nella sua memoria c'erano solo pareti bianche,
camici bianchi, letti bianchi. Il suo spazio era delimitato da alte
barriere di vetro blindato, e ovunque guardasse, finché non
si
spegnevano le lampade elettriche del soffitto e non aveva il permesso
di dormire, c'erano occhi puntati su di lui.
Da
bambino, non poteva ancora capire. Non aveva mai visto l'esterno, il
mondo, né si chiedeva se ci fosse qualcosa oltre i
laboratori; ciò
dipendeva in primis dal fatto che lo tenevano narcotizzato per la
maggior parte del tempo, e la miscela di droghe che gli scorreva per
il corpo lo manteneva nella quasi totale incapacità di
articolare
pensieri logici. E poi, anche quando si sentiva più sveglio,
era
troppo assuefatto a quella vita vuota e, tuttavia, certa
per
pensare di potersene slegare.
Gli
strumenti, le stesse parole per rimuginare su una qualsiasi evasione
gli erano preclusi.
E
poi, lì con lui c'era Itachi.
Non
gli permettevano di parlarci, come d'altra parte con nessuno degli
altri bambini, però li tenevano in due stanzoni attigui,
comunicanti. Separati dal vetro blindato.
Ogni
tanto, nell'intervallo tra un test e un altro, oppure durante i pasti
- il cibo veniva introdotto nelle stanze tramite delle finestrelle di
plastica a chiusura ermetica che si trovavano sul fondo delle porte,
ed era servito su grandi vassoi di cartone ruvido - si avvicinava
alla parete trasparente e picchiettava con le nocche, sorridendogli.
Sasuke si sedeva dall'altra parte, speculare, a volte persino
dimentico della fame, e sorrideva a quel viso così bello, a
quegli
occhi scuri e quella pelle di un pallore incredibilmente luminoso.
L'espressione
dolce di Itachi era diversa da quella di qualsiasi altra persona con
cui Sasuke interagiva. Quando lo guardava, gli occhi gli
s'incurvavano lievemente verso l'alto, così come gli angoli
della
bocca; era una smorfia appena accennata, eppure, in fondo alle iridi
nere, il piccolo Uchiha scorgeva come una scintilla, una luce che gli
scaldava il petto e gli faceva venire voglia di torcere le labbra
allo stesso modo. Per nessun motivo si sarebbe allontanato da Itachi,
e guardarlo attraverso il vetro gli pareva la cosa più bella
del
mondo.
Bastava
per distrarlo quando gli uomini con le tute bianche (grandi,
quadrati, gommosi come brutte creature uscite da un incubo) entravano
nella sua stanza e lo obbligavano a stendersi sul letto, a farsi
portare via il sangue. O quando, stringendo i denti per il dolore - a
volte, esausto, rompendo in singhiozzi, cercava di sopportare il
dolore atroce che certe punture scatenavano nel suo corpo.
Si
rannicchiava nel letto, allora, i pugni piccoli e stretti con tutta
la forza che aveva, combattendo contro la sensazione di gelo che gli
montava dentro perché sapeva che, se si fosse arreso, il
giorno
dopo, quando le lampade fossero state riaccese, non avrebbe potuto
vedere il sorriso di Itachi.
Spesso
piangeva. Fortunatamente, nella sua ottica di bambino, ciò
che
accadeva a lui era comune a tutto il mondo: quelle disgrazie, quel
continuo star male non potevano essere per lui solo. Sicuramente,
pensava, sicuramente c'erano altre mille stanze uguali alla sua e
altre mille persone che vivevano nello stesso identico modo, e quindi
non era giusto frignare. Doveva essere forte.
Glielo
diceva anche la dottoressa che, ogni giorno, veniva a fare i
controlli.
Lei
non indossava una tuta di gomma che le nascondeva il viso, ma un
camicie bianco e una cuffia candida. Era l'unica donna che conosceva,
e si prendeva cura di lui da sempre.
Si
faceva chiamare Mary, e aveva una voce bella e molto gentile. Gli
aveva insegnato a leggere, a disegnare (Sasuke amava disegnare
Itachi, e il suo viso era l'unica cosa che gli pareva degna di essere
messa su carta) e tutti i giorni gli misurava la febbre, la pressione
e tutta una serie di altre cose che l'Uchiha non riusciva a capire
bene.
A
volte gli portava anche delle cose buone da mangiare, dei dolci.
Andava
bene, per lui.
Andava
tutto bene, fino al giorno in cui non conobbe Zeus.
***
Gli
sembrò che l'avessero svegliato prima del solito.
Non
poteva saperlo, naturalmente - non c'erano orologi nella sua stanza,
ma il sonno che gli chiudeva le palpebre era un segnale più
che
evidente. In due, vestiti delle solite tute, lo avevano spinto
malamente giù dal letto, facendolo cadere a terra, per poi
allontanarsi dal suo corpo come se scottasse.
Quando
aveva sollevato la testa, di fronte a sé aveva visto una persona
nuova.
Un
uomo alto e magro, con le spalle non troppo larghe e gli occhi e i
capelli grigi. Rispetto ai tipi in tuta sembrava molto più
piccolo,
quasi invisibile; portava anche lui un camice bianco, e un cartellino
su cui Sasuke, a fatica, compitò le parole "Kabuto Yakushi".
L'uomo
gli porse la mano.
«Ciao,
Sasuke».
«C-ciao».
La parola gli uscì con un saltello strano. Non gli era mai
capitato
prima. Vagamente impaurito, afferrò la mano di Kabuto e
lasciò che
quello lo tirasse in piedi con delicatezza.
«Ti
va di fare una passeggiata, Sasuke?»
«Passeggiata?»
Inclinò la testa di lato, ripetendo le sillabe senza capire.
Kabuto
sorrise, ma non bene come Itachi: sembrava quasi che si stesse
sforzando.
«Già,
una passeggiata. Usciamo di qui e vediamo un posto nuovo, che ne
dici?»
L'espressione
sul volto del bambino si fece dubbiosa, quasi contrariata. Andare
fuori dalla stanza?
Non
l'aveva mai fatto, e non era tanto sicuro di voler conoscere la
realtà cupa e buia che si celava oltre la porta bianca che
per tanto
tempo l'aveva protetto. Per lui, la stanza era tutto: tutto quello
che poteva e non poteva fare si risolveva all'interno di quelle
quattro pareti, e non c'era nient'altro che gli servisse o gli
mancasse al punto da spingerlo ad acconsentire.
Scosse
la testa in un cenno di diniego.
Kabuto
parve stringere la presa sul suo polso.
«Oh,
Sasuke, non è il caso di rifiutare... dopo tutto non sai
cosa c'è
là fuori, giusto?»
Negò
di nuovo.
«Ecco,
appunto. E non sei curioso di scoprirlo? Andiamo, forza...»
Quando
vide che, comunque, il bambino non sembrava intenzionato a seguirlo,
il contegno di Kabuto ambiò radicalmente. Il sorriso
scomparve,
contrasse la bocca in una linea dura e dritta, dalla piega scontenta
(Sasuke, a quella vista, tentò inconsciamente di farsi
più piccolo)
e strattonò la mano del ragazzino con impazienza,
costringendolo a
muovere un paio di passi in avanti.
«Mi
dispiace, ma non ho tempo di giocare con te».
Quella
frase gli sarebbe rimasta impressa nella memoria per molto tempo.
Lo
trascinò, sordo alle sue suppliche, fino alla porta. Poi la
spalancò.
Oltre
la soglia, Sasuke vide un corridoio nero rischiarato da alcune
piccole lampade azzurrine sul soffitto, che sembravano scomparire, in
lontananza, nell'oscurità sempre più fitta. Era
come la gola
profonda di un essere mostruoso, una gigantesca creatura che voleva
inghiottirlo. L'Uchiha si appoggiò allo stipite con una
mano, fece
leva con tutta la forza che aveva e, buttandosi all'indietro, per
poco non riuscì a sgusciare via, tra le gambe del dottore
grigio. Il
cuore gli batteva forte nel petto, colmo di paura, e, quando Kabuto
lo sollevò - apparentemente senza sforzo -
cominciò a scalciare e a
piangere, terrorizzato, implorando lui e i due uomini con la tuta di
lasciarlo in pace.
«Su,
Sasuke, non c'è nulla da temere...»
«Non
voglio!» Gridò, mordendo con forza il braccio del
medico. Quello
ritirò bruscamente la mano e lasciò che cadesse a
terra, poi
controllò con aria preoccupata l'area offesa;
sospirò, realizzando
che non c'erano tagli, e fece un cenno stizzito ai due uomini di
gomma.
Uno
di loro afferrò Sasuke per le gambe e se lo
caricò su una spalla,
rude.
Il
piccolo Uchiha gli avrebbe riempito volentieri la schiena di pugni,
ma, una volta che furono entrati nel corridoio buio, si
portò
istintivamente entrambe le mani al viso, sugli occhi, allungando le
dita fino a tappare anche le orecchie. Tremava e singhiozzava, la
paura di quell'oscurità tremenda a scuotergli il corpo; si
arrischiò
ad aprire leggermente le dita solo quando, dopo un tempo che gli
parve infinito, la carne delle mani si illuminò di rosso,
rischiarata da una forte luce.
Si
trovavano davanti ad una nuova porta bianca, spalancata.
Prima
di essa, a destra, stavano altri due uomini di gomma e una signorina
con la pelle lattescente e gli occhi chiarissimi, quasi trasparenti.
I capelli, di un nero simile a quello di Sasuke, avevano
però
riflessi violacei, e le ricadevano fin quasi ai fianchi,
sparpagliandosi sul camicie aperto.
«Lei
è Hinata Hyuga, Sasuke. Lei è la persona che ti
fa fare tutte
quelle punture che non ti piacciono affatto».
E
questo come faceva a saperlo? Come faceva a sapere delle punture, se
lui non glielo aveva mai detto? Doveva avergliene parlato la
signorina Mary, eppure anche lei non lo aveva visto mai piangere.
Itachi, forse? No, non poteva credere che l'unica persona a cui
voleva bene avesse fatto la spia in quel modo.
E
poi, quella ragazza sembrava così buona, e lo guardava con
degli
occhi così tristi...
Prima
che potesse chiedere, fu spinto oltre la porta.
Lo
investì una luce fortissima, che lo costrinse a strizzare le
palpebre per qualche secondo prima di poter riaprire gli occhi.
Quando lo fece, scoprì di essere in uno stanzone enorme,
dieci volte
più grande della sua solita camera, con il soffitto
altissimo e il
pavimento liscio e lucido come uno specchio.
Esattamente
a metà dello stanzone correva una riga nera, che lo divideva
in due
sezioni speculari. Sia a destra che a sinistra la parte alta del muro
era fatta di vetro oscurato, e a Sasuke parve di veder baluginare
qualcosa oltre quel rivestimento. Rimase in piedi, immobile per
qualche secondo, prima che una voce metallica e ronzante - che non si
capiva bene da dove provenisse, ma gli mise comunque addosso una
certa inquietudine, dicesse:«Uchiha Sasuke, mettiti dietro la
linea
rossa».
In
quel momento il ragazzino si avvide della presenza di una striscia
scarlatta, parallela a quella nera, che partiva un metro e mezzo
prima della fine della stanza; aguzzando la vista ne vide un'altra,
azzurra, collocata nel medesimo modo dall'altra parte della camera.
Trotterellò
fino al punto indicato, poi si guardò intorno. Incuriosito.
Magari
era un nuovo gioco, pensò. Magari volevano vedere se era
bravo a
correre, o a eseguire gli ordini che gli davano.
Improvvisamente,
udì uno schianto.
Una
porta sul fondo della sala si aprì - non l'aveva vista,
bianca
com'era e perciò mimetizzata perfettamente nel muro, e ne
uscì una
figuretta bassa ed esitante. Illuminandosi per la felicità,
Sasuke
riconobbe un bambino pressappoco della sua età: avanzava
lentamente,
trascinando i piedi sul pavimento, e aveva una zazzera di capelli
biondissimi. Sul momento, data la distanza, non riuscì a
distinguere
il colore degli occhi, ma vide che indossava una sorta di museruola
che gli avvolgeva la faccia e il collo, dalla clavicola al ponte del
naso. Quel particolare gli mise addosso una certa inquietudine.
«Zeus,
dietro la linea blu».
Si
chiamava Zeus, quindi? Era un nome che suonava molto diverso dal suo,
e non era nemmeno composto da due parti. Come chiamarsi solo Sasuke,
o solo Uchiha. D'altronde, il bambino ignorava se anche Itachi avesse
due nomi, oppure uno solo; Kabuto e Hinata erano come lui,
però.
«Avanzate
fino alla linea nera, uno davanti all'altro».
Ecco,
per dirla tutta avrebbe preferito evitare di avvicinarsi a
quell'altro bambino... però, se l'avesse visto, Itachi
avrebbe
sicuramente pensato che era un codardo. Preso un bel sospiro, si
avvicinò alla linea nera con piccoli passi esitanti.
Non
che l'altro avesse più fretta di lui. Avanzava sempre con
quel modo
di trascinare i piedi e, a mano a mano che si avvicinava, Sasuke fu
in grado di distinguere altri particolari della sua figura: teneva la
testa ciondoloni sul petto e lasciava che si spostasse a destra e a
sinistra mentre camminava, mentre gli occhi - azzurro cupo e
scintillante, belli come l'Uchiha non ne aveva mai visti - stavano
piantati a terra, spenti. Quando si fermarono, a mezzo metro l'uno
dall'altro, e Zeus sollevò lo sguardo, Sasuke
rabbrividì,
sentendosi scrutato con un'intensità fin troppo forte,
difficile da
sopportare. Era inquietante, completamente privo di espressione.
Si
udì uno sbuffo, un rumore metallico di qualcosa che veniva
sganciato, e la museruola - fatta di placche metalliche che
scorrevano le une sulle altre per consentire una certa
libertà di
movimento - si aprì e cadde a terra in una nuvola di vapore
freddo.
Zeus si passò una mano sulla mascella, muovendola come per
masticare... evidentemente, quella cosa doveva dargli molto fastidio.
Sasuke se ne dispiacque.
La
voce parlò di nuovo. E, stavolta, per dire qualcosa che
all'Uchiha
non piacque molto.
«Zeus,
attacca».
Sasuke
non fece in tempo a capire cosa stava succedendo.
Il
pugno lo colpì dritto in faccia, cogliendolo in tutta la sua
incredulità, e lo fece slittare e scivolare all'indietro sul
pavimento per diversi metri. Fu fermato dall'impatto contro la parete
di fondo, che gli tolse il fiato.
Cadde
carponi, inspirando forzatamente per contrastare l'asfissia
improvvisa che lo faceva tossire. Non ci volle molto prima che le
lacrime cominciassero a rigargli le guance. Si rannicchiò
contro il
muro, disperato, gli occhi spalancati verso quell'essere -
perché
l'aveva capito, Sasuke, che di bambino Zeus aveva soltanto il corpo -
che lo scrutava da dietro la riga nera, immobile in attesa di nuovi
ordini.
«Lama».
Sasuke
gridò. Il braccio di Zeus, in un battito di ciglia, era
mutato da
quello di un normale ragazzino di otto anni ad una falce nera, alta
quasi quanto l'intero corpo e circondata da una massa formicolante di
filamenti neri e rossi.
«Attacca».
Non
attese il colpo, stavolta. Saltò in piedi e corse via
più veloce
che poté, verso la porta.
Zeus
gli si parò davanti all'improvviso, quasi fosse comparso per
magia;
menò un fendente con la lama che Sasuke riuscì
quasi a schivare -
nonostante la velocità, un graffio sottilissimo si
aprì sul suo
avambraccio, per poi catapultarsi in direzione della maniglia. Con la
coda dell'occhio vide che l'altro si era fermato di nuovo, e
tentò,
nel breve lasso di tempo che aveva, di aprire la porta.
Era
chiusa a chiave.
Si
girò, il petto che si alzava e si abbassava in brevi ansiti
convulsi, cercando con i palmi delle mani la superficie sicura della
porta. Percepiva un'oppressione dolorosa nel petto, una paura
terribile che gli faceva cedere le gambe, e pregò che quella
tortura
si fermasse al più presto.
Perché
gli stavano facendo una cosa del genere? Che aveva fatto per
meritarselo?
Forse
sarebbe dovuto andare subito con il medico grigio. Ma no, non era
possibile che lo punissero così per una stupidaggine... e
dov'era
Itachi? Lui avrebbe difeso Itachi, se l'avesse visto in una
situazione così.
Poi
realizzò che Itachi, molto probabilmente, non sapeva cosa
gli stava
succedendo.
Torse
le sopracciglia e tutto il viso in una smorfia di pianto,
rannicchiandosi su se stesso, sperando ardentemente che qualcuno,
qualcuno arrivasse ad aiutarlo. Anche la dottoressa con gli occhi
chiari, persino il medico grigio. Voleva soltanto che lo portassero
via da quel mostro, che non glielo facessero vedere
mai più.
«A-aiuto».
Mugolò, affondando la testa tra le ginocchia.
Di
nuovo, la voce metallica ordinò qualcosa a Zeus. Qualcosa
che
suonava molto come "frusta".
Prima
che l'impatto con un corpo terribilmente duro e acuminato gli facesse
vedere le stelle, Sasuke pregò un'ultima volta che Itachi lo
vedesse
e decidesse di proteggerlo.
Dopo,
poté soltanto scappare.
***
«Non
c'è che dire, dottoressa... le iniezioni del suo siero hanno
prodotto risultati sorprendenti. E pensare che Ade non era nemmeno
tra gli infetti originali. Elizabeth Greene non avrebbe saputo
produrre di meglio». Kabuto Yakushi si sistemò
meglio sulla propria
sedia, al di là del vetro oscurato.
Hinata,
mezzo metro dietro di lui, teneva una mano premuta sulla bocca, e
osservava ciò che si svolgeva al di là della
superficie traslucida
con un'espressione colpevole. Si sentiva sporca, lacerata dal rimorso
per quello che aveva consapevolmente creato; non credeva che
sarebbero state quelle le conseguenze, quando le avevano proposto di
partecipare ad un esperimento innovativo sulla mutagenesi. Eppure,
lei era colpevole più di tutti, persino più del
dottor Yakushi.
Aveva trattato quel lavoro con leggerezza, senza mai prendere
contatti con il soggetto degli esperimenti, e ora che ne vedeva i
risultati si rendeva conto di quanto fossero orribili e sbagliati.
Erano
solo bambini.
L'aveva
sempre saputo, ma vederli faceva tutt'altro effetto.
Sasuke
correva, inconsapevolmente veloce - al punto che, talvolta, le sue
mosse sfuggivano alla vista - scappando da quella furia gelida e
implacabile che era Zeus. A nessuno degli scienziati era permesso
accedere al materiale riguardante nello specifico quella creatura; a
poco a poco, nel dipartimento sanitario si era creata una specie di
leggenda metropolitana, e cioè che quei fascicoli e quelle
cartelle,
contrassegnati tutti dal nominativo "[PROTOTYPE]",
custodissero un segreto così oscuro che i pochi che erano
riusciti a
scoprirlo erano stati fatti sparire dalla Gentek stessa.
Hinata
si era augurata che non fosse vero, ma osservando quella creatura
all'opera cominciava a vedere un fondo di verità in quelle
storie.
Era comprensibile che si cercasse di tenere nascosto un mostro del
genere... un'arma tanto potente avrebbe fatto gola a troppe persone,
a troppi Paesi.
Lo
stesso Sasuke, benché marcatamente più debole,
sarebbe stato una
preda appetibile. Il precursore di una razza di supersoldati.
La
ragazza scosse la testa. Era troppo.
Troppo
per chiunque volesse mantenere la coscienza pulita. Lei non poteva
vantare un simile requisito da troppo tempo, ormai.
«N-non
è sufficiente?» Mentre poneva quella domanda, Ade
incassava un
colpo poderoso della frusta e finiva contro il muro, sputando sangue.
Ed era un bambino.
Un
bambino di otto anni.
«No.
Questo incontro viene registrato, sa?, e poi inviato a Madara.
Più
materiale raccogliamo, meglio è... si ricordi che questi
sono
soltanto soggetti di studio, dottoressa. Come i campioni sui vetrini.
Carne che vive per un breve periodo a favore della scienza e poi si
decompone, orrori che solo con rigore e freddezza si possono
imbrigliare. Lei vede Zeus e crede che sia un ragazzino, ma provi a
scendere nell'arena e sfidarlo. La ucciderebbe, perché
questa è la
sua natura».
«Ma
Ade è...»
«Ade
è come lui, soltanto più debole e, per questo,
meno consapevole. O
pensi, per esempio, a Itachi. Le pare forse un
quattordicenne?»
Hinata
aveva visto il maggiore degli Uchiha poche volte, di sfuggita, come
del resto tutti i mutanti soggetti a infezione spontanea. L'aveva
colpita lo sguardo nero e bruciante, colmo d'odio, che indirizzava a
tutti, meno che al fratello; lo aveva visto bussare sul vetro e far
ridere Sasuke con delle smorfie buffe, oppure appoggiare la mano sul
vetro e lasciare che il più piccolo vi sovrapponesse la sua,
al
confronto minuscola. E sorridere a quel corpicino rannicchiato che
pareva gridare a tutti "amatemi, amatemi, amatemi" e
riceveva in cambio solo torture.
Si
morse le labbra, sull'orlo delle lacrime.
«Non
la facevo così emozionabile, signorina Hyuga».
«N-non
v-vedo come n-non si possa...»
«Oh,
lei è una donna. Le donne tendono sempre
all'emotività».
Stette
zitta, incapace di ribattere (un po' per lo shock, un po'
perché non
voleva rompere in singhiozzi isterici davanti al suo rivale dalle
sguardo beffardo), e guardò nuovamente oltre il vetro.
Zeus
si era fermato. A qualche metro da lui, raggomitolato sul pavimento,
stava Ade. Il pavimento bianco era macchiato di sangue.
Materiale
per esperimenti. Hinata se lo ripeté come un mantra.
Materiale
per esperimenti.
«Zeus,
artigli». Sussurrò Kabuto, nell'interfono.
Le
braccia del Prototype mutarono ancora. Comparvero dita lunghe e nere,
unghie acuminate e affilate come rasoi. Stava per infilzare Sasuke
quando quello si spostò, goffo, evidentemente sfruttando le
ultime
forze residue, e le lame si conficcarono nel pavimento.
L'Uchiha
giacque fermo.
Materiale
per esperimenti.
«Zeus,
pugno martello».
Il
Prototype si avvicinò al corpo riverso a terra e
sollevò la
mandritta, mutata in un ammasso coriaceo e bulboso che aveva l'aria
dura e soprattutto pesante. Lento, senza fretta.
Materiale
per...
«B-basta
così». Disse, e la sua voce tremò.
Strappò il microfono
dell'interfono dalle mani di Kabuto e vi avvicinò la bocca,
non
prima di aver notato uno sguardo scandalizzato da parte del collega -
lei stessa, in fondo, si era stupita dell'audacia di quel gesto.
«Zeus,
fermo. Non attaccare. Rimetti la protezione».
Le
sembrò quasi che Zeus la guardasse per un breve istante,
prima di
riportare il braccio alle condizioni normali e, avvicinatosi con
calma alla museruola, indossarla con tranquillità e gesti
esperti.
Quella maschera aveva essenzialmente due funzioni: immetteva nel
corpo del Prototype, attraverso aghi conficcati nella pelle, una
miscela di droghe estremamente potente che serviva a inibirne i
comportamenti violenti - benché il suo metabolismo bruciasse
ad una
velocità tale da costringere i medici e ricaricarla in
continuazione, e, quando i battiti del cuore aumentavano troppo
(ciò
accadeva essenzialmente quando si trasformava) emetteva una scarica
elettrica potentissima, in grado di paralizzarlo per qualche minuto.
Poteva essere tolta solo se Kabuto - o chi per lui, la sbloccava
tramite un telecomando. E questo accadeva molto di rado.
«Lei
è sorprendentemente giovane, dottoressa...»
motteggiò Yakushi, non
esattamente scherzoso «... e le abbiamo permesso di
partecipare a
questi esperimenti in virtù della sua genialità,
certo. Ma tenga
bene in mente qual è la gerarchia, qui alla Gentek. Per
stavolta
chiuderò un occhio».
«L-a
ringraz-»
«Chiami
degli infermieri. Anzi, no, faccia prima entrare Itachi».
«Sì.»
***
Lo
vide arrivare oltre lo schermo delle ciglia.
Si
sentiva così stanco.
Faceva
male, male dappertutto. E chi era stato? Zeus. Sì, forse
lui. Ed era
suo il sangue che macchiava il pavimento?
Sì,
forse era proprio il suo.
Itachi
lo calpestò senza curarsene, prima di chinarsi accanto a lui
e
circondarlo con le braccia. E pensare che ci aveva pensato tante
volte, alle braccia di Itachi... a come potessero essere morbide,
calde e confortevoli, a come l'avrebbero protetto se avesse potuto
toccarlo.
Erano
piuttosto fredde e dure, in realtà, ma accolse quel contatto
con una
gioia impossibile da descrivere. Si lasciò sollevare, privo
di
forze, e percepì le dita ghiacciate di Itachi accarezzargli
la
fronte, piano piano.
I
suoi occhi fissi nei suoi, non più neri ma rossi come il
sangue.
«Stai
calmo, Sasuke. Guarda i miei occhi e respira... piano.
Così».
Obbedì,
controllando i tremiti convulsi che affioravano sulle braccia e sul
torace. E, a poco a poco, si sentì scivolare in un silenzio
scuro e
ovattato, accogliente. Tiepido.
Chiuse
gli occhi, cedendo alla stanchezza.
Nella
sua mente, come fuochi fatui, rimasero a lungo quelle iridi rosse.
***
Hinata
guardò Itachi. Le stava a poco meno di un metro, le mani
bloccate
dietro la schiena.
Due
inservienti lo stavano scortando alla sua cella.
«Io
vi ucciderò tutti, un giorno».
Sussurrò, guardandola. Nei suoi
occhi c'era una fissità spaventosamente simile a quella di
Zeus, ma
molto più fine, intrisa di cattiveria. Sorrise, ed era bello.
Troppo
per essere un mostro.
«M-mi
dispiace, Itachi».
«Non
me ne faccio nulla del tuo dispiacere». Sibilò,
sporgendosi verso
di lei. Fortunatamente, un collare della stessa fattura di quello di
Zeus gli copriva il collo «Tu sei la persona che gli ha fatto
questo, e i tuoi superiori hanno ucciso molta più gente di
quanto tu
non possa credere. Sei una stupida se credi che la tua compassione
basti a lavarti la coscienza».
«I-io
n-non...»
«Ricordati
di quello che è successo oggi, quando ti darò la
morte».
Si
lasciò portare via, assolutamente calmo. Hinata
osservò a lungo la
sua schiena magra, prima di decidersi a parlare con l'infermiera che
l'attendeva, fuori dalla porta in cui Ade e Zeus avevano combattuto.
«C-come
sta?»
«Ha
una gamba rotta e varie costole fratturate. Sugli organi interni non
abbiamo dati certi, ma crediamo che la situazione sia critica... si
parla di emorragie».
«N-non
è c-così g-grave. M-medicatelo e p-portatelo
nella s-sua stanza».
L'infermiera
annuì, senza fare domande. La gente, lì, era
abituata a vedere cose
di ogni tipo.
Hinata
si mise da parte, permettendo il passaggio alla barella;
sospirò,
sconvolta.
Cos'era
diventata?
Un
mostro, di certo. Ma uno vero, non come Zeus o Ade, che erano
soltanto vittime del destino. Loro non avevano scelta, lei
sì.
Ed
era scesa fino al limite più basso dell'aberrazione.
Pianse
soltanto quando tutti se ne furono andati. Lacrime amare, le sue,
lacrime colme di rimorso, rabbia e odio verso se stessa, che si
strappava via dal viso sfregando la pelle con urgenza e vergogna.
Avrebbe voluto davvero che Itachi la uccidesse, così da
lavare via,
almeno parzialmente, i peccati che aveva commesso.
"Perdonatemi...
perdonatemi..."
"Non
era colpa di nessuno. Certe cose accadono".
_Angolo
del
Fancazzismo_
Pensa che ti ripensa, dieci minuti fa mi sono
detta "e se pubblicassi anche l'altro?"
E mi
sono anche
risposta.
See you
soon,
Roby
|
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Capitolo 32 *** Bane ***
031
- Bane
"Devo
uscire di qui alla svelta".
Naruto
caricò un gruppo di soldati alla sua sinistra, uno scudo
osseo a
proteggergli l'avambraccio, e li schiacciò contro la parete.
I
proiettili gli fischiavano intorno, e la calca era tale che spesso
gli stessi Blackwatch finivano colpiti a morte.
Tutto,
pur di catturare Zeus. Pur di uccidere il mostro.
Ringhiò,
mentre quelle mani guantate cercavano di afferrarlo da tutte le
parti, di trattenerlo. Con le orecchie che ronzavano per il rumore
delle detonazioni e la pelle che fremeva e si rigenerava
continuamente attorno ai fori dei proiettili, Naruto mutò il
braccio
destro in lama e si gettò in avanti.
Quella
situazione gli ricordava sgradevolmente il suo primo risveglio,
con l'unica differenza che in quel momento non aveva la minima
intenzione di scappare.
Se
non altro, all'interno dell'edificio non potevano utilizzare i
lanciarazzi.
Tranciò
a metà un soldato piuttosto imponente, che gli si era parato
davanti
all'ultimo minuto, e si spinse contro ciò che restava del
suo
cadavere, approfittando del vuoto momentaneo che si era creato
intorno a lui. Scivolò sul pavimento inondato dal sangue.
Sbatté
contrò il linoleum con un gemito d'insofferenza, goffo a
causa della
stanchezza e dei muscoli provati dalla rigenerazione. Evitò
con una
mezza capriola di finire disteso sotto gli stivali con le punte di
ferro dei Blackwatch, ma l'aver recuperato una posizione eretta non
gli bastò per disfarsi del manipolo di coraggiosi che gli si
era
avvicinato stringendo un diffusore di Bloodtox.
«Guardate
che quello non serve a nulla». Ringhiò.
Si
proiettò in avanti, afferrò la scatola - da cui
usciva un fumo
rosato che sapeva di carne putrida - e la scagliò contro il
muro con
tanta forza da ridurla in frantumi. Attorno a lui, ovunque, si
riunivano e rumoreggiavano frotte di soldati, come grosse blatte nere
che sembravano volerlo inghiottire tra le loro schiere.
Che
schifo.
Era
davvero stufo.
La
mandritta divenne una frusta prima ancora che potesse capire cosa
voleva fare di preciso. Poi realizzò semplicemente che, se
non aveva
tempo uccidere tutti quei Blackwatch - non con il corridoio che
restringeva sensibilmente le sue possibilità di manovra -
poteva
sempre evitarli.
Menò
una frustata contrò il soffitto, tanto forte che il
contraccolpo lo
fece barcollare.
Quando
vide allargarsi una crepa e sentì il picchiettare dei primi
calcinacci sul pavimento, colpì una seconda volta.
Il
soffitto crollò.
Si
aprì una voragine sufficientemente grossa per far passare un
cacciatore, e Naruto non esitò a saltarci dentro -
approfittando
anche della confusione generale e dei numerosi Blackwatch rimasti
schiacciati sotto ai detriti. Quando si trovò con i piedi su
una
moquette color pistacchio, miracolosamente solo e finalmente distante
(anche se, a conti fatti, non si era allontanato che di tre, forse
quattro metri in linea d'aria) dalla ressa, tirò un sospiro
di
sollievo.
Non
aveva mai amato il silenzio, ma quella quiete momentanea gli parve
meravigliosa.
Accennò
qualche passo nel corridoio, giusto per darsi la sensazione di star
effettivamente facendo qualcosa. Doveva andarsene, ma, per dirla
tutta, non aveva una gran voglia di incappare nell'ennesimo manipolo
di soldati disorganizzati e pronti a punzecchiarlo
con i loro
fastidiosissimi fucili.
Inspirò,
gonfiando il petto. Ci doveva essere un ascensore,
da qualche
parte. Poteva entrare nel vano e scalare il cunicolo fino
all'uscita... il problema era trovarlo.
Non
aveva fatto nemmeno un passo, che il pavimento tremò
violentemente.
Fu
una scossa momentanea, eppure terribilmente forte: per qualche
istante il campo visivo di Naruto vacillò, divenne sfocato,
e il
Prototype sentì chiaramente il rimbombo cupo di
un'esplosione. Era
vicina, sotto di lui.
Forse
non più di cinque piani più in basso.
«Sasori...»
sussurrò, sbarrando gli occhi. Ecco, doveva sbrigarsi.
Corse,
cercando di recuperare il tempo sprecato, attraverso i numerosi
corridoi del piano; ci mise parecchio - il che, in quel momento,
equivaleva forse a tre minuti d'orologio - per trovare l'ascensore,
ma alla fine scovò la porta di metallo che tanto cercava.
Sembrava
sottile, fragile; la colpì con un pugno, affondando il
braccio
nell'acciaio quasi fino al gomito. Nel frattempo, le orecchie tese,
colse un vago trambusto farsi sempre più vicino, e non si
trattava
di esplosioni: erano passi umani, grida concitate e ordini abbaiati a
mezza voce.
Doveva
immaginare che i Blackwatch ci avrebbero messo poco.
Divelse
le porte dell'ascensore con gesti frenetici, scoordinati. Sotto di
lui si spalancò ben presto una voragine buia, poligonale,
con i cavi
della cabina che passavano al centro, tesi come corde d'arco.
Stava
per saltare, quando una voce lo bloccò.
«Zeus.
È da decenni che volevo incontrarti di
persona».
Si
voltò. Chiunque fosse non l’aveva sentito
arrivare, e questo
poteva significare una cosa soltanto.
Incredulo,
si trovò a fissare un ragazzo alto e magro, con i capelli
corvini
che gli incorniciavano il volto; i tratti avevano una delicatezza
tipicamente orientale, e gli occhi, di un assurdo color rosso cupo
–
come quello del sangue appena versato, pensò Naruto
– erano fermi
su di lui con un’intensità quasi fastidiosa.
Sorrideva, beffardo,
le mani affondate nelle tasche di un paio jeans neri.
«Sasuke?!»
No,
non era Sasuke. Benché gli somigliasse spaventosamente,
aveva i
lineamenti leggermente meno marcati e i capelli più lunghi
– a
voler essere più precisi, li teneva legati i una coda bassa;
due
rughe sottilissime, partendo dalla base del naso, gli scavavano
diagonalmente il viso. Sembrava la versione più vecchia
di
Sasuke.
E
fu in quel preciso istante che Naruto si ricordò di una
conversazione avvenuta molto, molto tempo prima, un
discorso
che aveva dimenticato e seppellito negli angoli più
reconditi della
propria memoria.
“...
l'ho guardato in volto con molta attenzione. Ha i capelli neri,
più
lunghi del fratello, e i lineamenti meno marcati. A parte questo, gli
occhi sono rossi”.
Deidara.
Si ricordò ogni parola che si erano detti quel giorno, ogni
informazione scambiata nel magazzino della base; poi, gli sovvenne
anche un brandello della conversazione avuta con Orochimaru, poche
ore prima. Come aveva fatto a dimenticarsi di quello che gli aveva
detto Deidara?!
“Io
gli ho urlato qualcosa del tipo "ehi, chi sei tu" e lui mi
ha risposto semplicemente "Itachi Uchiha"...”
Come
aveva potuto essere così stupido?
«...
Itachi. Tu sei... sei il fratello di Sasuke, non è
così?»
L'espressione
sul viso dell'altro si fece vagamente compiaciuta.
«Non
speravo che foste arrivati già a questo punto... i miei
complimenti».
«Che
ci fai qui? Sei qui anche tu per... per sconfiggere Madara?»
Itachi
inclinò la testa di lato, lentamente, e proruppe in una
risata
bassa, sarcastica; Naruto, osservandolo, capì che la sua
presenza in
quel luogo non significava proprio niente di buono.
La
sola presenza dell'Uchiha gli metteva i brividi, ed era una cosa che
non si poteva dire di molte altre creature.
«Oh,
Zeus... sei cambiato molto, non c'é che dire. Non ti
ricordavo
così... ingenuo».
«Io...»
Naruto spalancò le palpebre, preparandosi all'ennesima
doccia fredda
«... io non ti conosco».
«Ovviamente.
Ma non siamo qui per parlare di questo, giusto? Madara mi ha chiesto
di ucciderti».
«Cos...
tu... tu lavori per Madara? Ma sai che Sasuke è...»
«Dalla
vostra parte? Lo so molto bene, Zeus. Ora, ascoltami. Tu sai
perfettamente cosa successe ad Hope, non è
così?»
Naruto
rimuginò qualche secondo, prima di rispondere. Se escludeva
il
tassello della morte del figlio di Elizabeth Greene, aveva una
conoscenza completa dei fatti.
«Sì».
«Bene,
perché non ho tempo di spiegarti nulla. Ti basti sapere che
attualmente lavoro per Madara e che non posso in alcun modo rompere
il contratto con lui».
Il
Prototype guardò Itachi, confuso. Cosa stava cercando di
dirgli?
«Io...
non capisco...»
«Nemmeno
Sasuke capiva. È sempre stato
così indifeso, incapace di
combattere per sé... sai, non ha avuto il coraggio di
domandarmi
perché lo stessi facendo, ma so che se l'è
chiesto. In lui
dev'essere rimasta l'ombra di quell'illusione... la protezione
del fratello maggiore. Debole, stupido Sasuke».
Naruto
ascoltò quel breve monologo con gli occhi sgranati, cercando
febbrilmente di smontare il pensiero disgustoso che si andava
formando nella sua testa.
«Che...»
«Ha
provato a ribellarsi, sai? Lui non si ricordava di me. Nemmeno tu ti
ricordi, giusto? Oh, ma tu hai subito capito chi ero... Sasuke non
voleva crederci».
«Non
mi dirai che-» incapace di proseguire, Naruto strinse i
pugni. Con
il cervello paralizzato dall'orrore e dalla rabbia, sentì
qualcosa
di indefinibile gonfiarsi dentro di lui, riempirgli la gola e il
petto e lo stomaco, e tendersi e tendersi fino ad esplodere.
Perché se aveva capito, se davvero aveva compreso il senso
delle
parole di Itachi Uchiha, nulla avrebbe potuto salvare quel verme
dalla sua vendetta.
Nulla.
«Quando
quel tuo amico... quel Deidara ha scoperto quello che avevo fatto, ha
tentato di uccidermi. Sai qual'é stata la cosa
più ridicola? Ha
creduto di essermi superiore, e poi mi ha implorato
di
risparmiargli la vita. Decapitarlo è stato un vero peccato,
visto
quanto era bello. Non credi anche tu, Zeus?»
Ma
Naruto non riusciva più a sentirlo.
Il
campo visivo invaso da una foschia rossa, fissava quella figura nera
al centro del corridoio con la consapevolezza bruciante che avrebbe
tanto voluto divorarlo. Farlo a pezzi, strappargli
via la
carne dalle ossa a mani nude e spezzargli la schiena a calci,
cavargli gli occhi - come lui aveva fatto con Sasuke, Dio santo - e
lasciarlo dissanguare per terra. Non c'era nome per
il
sentimento che gli infiammava le viscere in quel momento.
Non
c'erano atrocità sufficienti a riscattare quello che Itachi
Uchiha
aveva fatto. Nemmeno se avesse potuto ucciderlo più di una
volta
Naruto si sarebbe sentito soddisfatto, di questo era certo.
Voleva
la sua sofferenza.
«Maledetto...»
la voce gli uscì soffocata, un ringhio «...
maledetto figlio di
puttana...»
Si
scagliò su Itachi ad una velocità che non
sospettava di poter
raggiungere.
Gli
sferrò un pugno sulla tempia. L'Uchiha cozzò
violentemente contro
una parete, che esplose verso l'interno in una pioggia di calcinacci;
steso sul pavimento di una camera buia, non ebbe tempo di rialzarsi
prima che Naruto gli fosse nuovamente addosso.
Il
Prototype non era in grado di pensare a niente.
Se
provava a razionalizzare, a frenare la furia distruttiva che in quel
momento sembrava aver sostituito il sangue nelle vene, l'unica cosa
su cui riusciva a concentrarsi era la testa di Deidara e la smorfia
di dolore su quel viso bluastro. Era il volto dalle orbite nere di
Sasuke.
Le
dita mutate in artigli, si accanì sul petto e sul viso di
Itachi con
una frenesia che non aveva mai provato in vita in sua.
Lacerò la
pelle, le viscere e le ossa, martoriò il viso fino a
renderlo niente
più che un ammasso di frattaglie sanguinolente,
gridò così tanto
da perdere la voce e alla fine, quando quello sotto di lui non
somigliò nemmeno lontanamente ad un corpo umano e tutti i
suoi abiti
furono intrisi di sangue, l'odio continuò ad infiammargli il
cuore.
Muorimuorimuorimuorimuori
-
e non riusciva a pensare a parole che non fossero quelle. Gli
rimbombavano nel cranio, lo assordavano, mentre contemplava le
proprie mani intrise di sangue con gli occhi sbarrati e il fiato
corto.
Poi,
un movimento insolito catturò la sua attenzione.
Distogliendo
lo sguardo dalle dita scarlatte per seguirlo, scoprì che
davanti a
lui c’era un corvo.
Era
una bestia considerevolmente grossa, con il piumaggio lucido e dei
minuscoli occhietti rossi pregni di una consapevolezza tutta umana;
benché non fosse mai stato un tipo particolarmente acuto, al
Prototype bastò guardarlo per capire cosa – o
meglio, chi –
aveva davanti.
«Itachi...?»
Tutto
si dissolse.
L’attimo
successivo, sbattendo le palpebre, Naruto si ritrovò sulla
soglia
del vano dell’ascensore. Disorientato, fissò prima
Itachi e poi il
corridoio: tutto era in ordine, il muro perfettamente integro; non
c’era sangue, sui suoi vestiti, e l’Uchiha pareva
illeso.
Impossibile.
«Tu,
come hai-» il Prototype si interruppe a metà della
frase perché
ricordò che Deidara gli aveva detto anche quello.
L’aveva avvisato
che quell’Itachi era in grado di manipolare la mente delle
persone
e provocare allucinazioni, e sul momento lui non aveva dato troppo
peso all’informazione; in quel momento si rese conto di
quanto un
potere del genere potesse essere pericoloso.
«Vedi,
Zeus...» Itachi fece un passo verso di lui, lo sguardo fisso
nel suo
«... le persone vivono la loro vita aggrappandosi a
ciò che
conoscono e comprendono, e chiamano questo
“realtà”. Ma
“conoscenza” e “comprensione”
sono termini vaghi. La realtà
potrebbe essere un illusione».
Naruto
non riusciva a capire. Gli sembrava un ragionamento fin troppo
contorto per lui.
«Ci
hai mai riflettuto? La tua realtà attuale è il
prodotto delle
esperienze passate. Se tutti i tuoi ricordi non fossero altro che
menzogne, cosa ne sarebbe della tua vita presente?»
«I
miei ricordi non sono menzogne. La cosa
più recente che
ricordo è quando mi sono svegliato in un laboratorio della
Gentek,
un anno fa, e sono scappato, quindi... su cosa potrebbero avermi
mentito?»
Itachi
corrugò le sopracciglia. Non se l’aspettava,
evidentemente.
«Questo
è molto interessante... peccato che il mio incarico mi offra
poco
tempo per parlare con te, Zeus. Se non combattiamo, Madara
penserà
che voglia tradirlo. E non credo che tu possa uscire vincitore da uno
scontro con me».
«Tsk...
se pensi che mi lascerò sconfiggere-»
«In
questo momento sei intrappolato in una mia illusione. So che credevi
di esserne uscito, poco fa, ma non è così. Sei
soltanto passato ad
un livello più vicino
alla realtà».
Naruto
ammutolì, preso alla sprovvista. Capiva anche lui che non
c’era
niente che potesse fare per contrastare un avversario simile, contro
il quale la sua forza bruta era pressoché inutile.
E
Sasori e gli altri lo stavano sicuramente aspettando.
«Che
stai aspettando, allora? Se devi uccidermi... perché non
l’hai già
fatto?»
«Nelle
mie illusioni,» riprese l’Uchiha, come se non
l’avesse sentito
«io posso parlarti senza che gli altri ci ascoltino. Voglio
dirti
una cosa molto importante, Zeus... promettimi che non la
dimenticherai».
«O-ok...»
«Il
mio potere...» sussurrò «... funziona
soltanto se ho un contatto
visivo diretto con l’avversario. Capisci che significa? Devo
guardarlo negli occhi per pote-»
Si
udì un nuovo boato, stavolta più vicino, e tutto
il piano parve
scuotersi come un ramo di salice nel bel mezzo di una tempesta. Il
campo visivo di Naruto si schiarì improvvisamente, facendosi
più
luminoso e definito, e il ragazzo non aveva ancora capito di essersi
liberato spontaneamente dell’illusione, che un ruggito
squarciò
l’aria. Frastornato, il Prototype riconobbe quel suono: era
molto
simile a quello dei cacciatori, anche se meno cavernoso, per certi
versi più simile ad un grido umano. Prima che potesse anche
solo
chiedersi a cosa appartenesse, la sezione di
soffitto compresa
tra lui ed Itachi vibrò violentemente e crollò
sotto i suoi occhi,
sollevando una nuvola di polvere e pietruzze che per qualche secondo
gli impedì di vedere bene.
Poi,
il Prototype deglutì e, molto lentamente,
fece un passo
indietro.
Non
sapeva se si trattasse di fortuna o sfortuna, ma sul cumulo di
calcinacci appena caduti stava un cacciatore semplicemente enorme,
con la testa piccola e tonda girata verso Itachi. Ringhiava.
Era
la sua occasione.
Senza
nemmeno pensare a quello che Itachi stava per dirgli, senza nemmeno
chiedersi il perché della comparsa improvvisa e fortuita di
quel
bizzarro aiutante, Naruto saltò nel vano
dell’ascensore. Dopotutto
doveva preoccuparsi di Sasori, Kisame, Hidan Kakuzu e Zetsu.
Le
parole di un nemico sconosciuto non potevano avere troppa importanza.
***
«Merda...
questa schifezza rossa fa davvero schifo».
«La
tua ignoranza non finirà mai di stupirmi, Hidan».
Kakuzu,
con il corpo di Rock Lee appoggiato su una spalla, scese velocemente
una rampa di scale. Si trovavano a poca distanza dall’uscita
principale, e ormai la missione poteva dirsi compiuta, ma i soldati
avevano avuto l’intuizione geniale di riattivare i diffusori
di
Bloodtox non appena Zeus aveva manifestato la propria presenza. Le
maschere antigas riuscivano ad evitare che quei vapori si rivelassero
letali per entrambi, ma i due infetti percepivano distintamente un
senso di stanchezza e oppressione farsi largo dentro di loro, a mano
a mano che avanzavano nella foschia rosata.
La
pelle del volto di Hidan era arrossata e piena di grinze, massacrata
dall’azione del veleno. Kakuzu aveva nel complesso un aspetto
migliore, ma anche lui cominciava ad incespicare quando scendeva i
gradini troppo in fretta, e la presa sul corpo dell’umano si
era
fatta meno salda; tuttavia, non si lamentavano: odiavano ammettere le
proprie debolezze.
«Di’
un po’, ragazzina...» Hidan si appoggiò
con la mandritta ad una
colonna, riprendendo fiato. Inspirare significava trattenere ogni
volta un conato di vomito, e diventava sempre più
difficoltoso.
«...
c’è una strada più breve per uscire da
qua?»
Tenten
negò con il capo, anche lei piegata sulla schiena
dell’infetto.
«No,
non c’è...» da qualche parte, in un
remoto angolo del suo
cervello, c’era del dispiacere per la situazione in cui i
suoi due
rapitori si trovavano. Si diede della stupida per aver formulato un
pensiero del genere.
Eppure,
se Zeus li aveva mandati a prenderla qualcosa di buono doveva pur
esserci. Il Prototype, dopotutto, le aveva salvato la vita.
«Senti...»
domandò, sperando che l’infetto non reagisse male
«... puoi dirmi
qual è il motivo preciso per cui ci state... ehm, portando
via? Io
non... non credo di aver capito bene, prima».
«Ah,
fanculo...» Hidan aveva la voce stanca, impastata come quella
di un
ubriaco «... i vostri amichetti - com’è
che si chiamano, Kakuzu?»
«Il
salvataggio di questi due umani è stato richiesto da Kiba
Inuzuka».
«Kiba?!
Kiba è ancora vivo? Ed è con voi? Io non ci
posso...»
«...
credere. Sì, lui e gli altri due amichetti che si portava
appresso
sono finiti nella rete di Zeus. Hanno tentato di penetrare nella base
e li abbiamo beccati».
Per
Tenten tutto fu immediatamente più chiaro. Evidentemente
Inuzuka era
stato catturato da Zeus e, messo a conoscenza dei suoi piani, aveva
chiesto che li portassero via dal Gentek Palace perché stava
per
succedere qualcosa di davvero terribile, e quell’intervento
non
andava che a loro vantaggio. La consapevolezza che il proprio
compagno stava bene le riempì il cuore di
felicità, al punto da
spingerla ad avanzare una proposta vantaggiosa nei confronti di
coloro che fino a qualche minuto prima aveva silenziosamente coperto
di maledizioni.
«Se
sei stanco di portarmi in spalla posso camminare».
«Come?»
Hidan la fissò con la coda dell’occhio, incredulo
«Pensi di
potermi fregare così facilmente, ragazzina?»
«No,
voglio solamente evitare che i Blackwatch ci sparino addosso non
appena saremo arrivati nell’androne. Potremmo fingere di star
portando via un commilitone ferito in seguito all’attacco di
Zeus... la tua divisa è anche strappata, sarebbe perfetto.
Io sono
un soldato di grado abbastanza alto per permetterci di uscire,
e...»
«Non
abbiamo né una barella né l’aria da
portantini, e il tuo amico
non porta nessunissima uniforme. E nemmeno tu, a dire il
vero».
«Mi
sorprende che assumano persone così sprovvedute
nell’esercito
degli Stati Uniti». Interloquì Kakuzu, dopo un
colpo di tosse
piuttosto roco.
«Io
sarò anche una sprovveduta, ma non mi pare che voi vi siate
organizzati meglio contro le armi del nemico. Dovreste conoscere il
Bloodtox, visto che ieri è stato diffuso in tutta la
città».
«Noi
possiamo anche conoscerlo, ma finora Zeus è
l’unico che è
riuscito a sviluppare un’immunità decente a questa
merda. Come
cazzo fate a sopportare questa puzza di carne marcia, voi umani? Ce
l’avete il naso?!»
Tenten
scosse il capo, afflitta. Ok, magari la sua strategia non era
propriamente grandiosa – dopotutto, avrebbe voluto vedere
chiunque
altro ad elaborare piani di battaglia a testa in giù sulla
schiena
di un mostro mutante – ma una volta che fossero arrivati
nell’atrio
i Blackwatch avrebbero potuto avvertire la minaccia e cominciare a
sparare.
E,
a differenza dei suoi simpaticissimi nuovi conoscenti,
lei e
Rock Lee non avevano il potere di rigenerarsi.
***
Aggrappata
alle spalle sottili di Sasori, la valigetta stretta in grembo con
l’ausilio maldestro della mancina, Hinata aveva una paura
tremenda.
Le
sembrava che il mondo scorresse attorno a lei ad una
velocità
semplicemente assurda, mentre l’infetto correva per i
corridoi dal
grattacielo e saliva rampe di scale con una celerità che non
avrebbe
mai supposto in un ragazzo dall’ossatura così
sottile,
apparentemente fragile. Eppure, riusciva a reggere il suo peso e
correre come se nulla fosse.
Accolse
con gioia il calore del sole, non appena sbucarono nel primo piano.
Si era trattenuta dal gridare quando avevano risalito la tromba
dell’ascensore – orribile, buia, anche se la
ragazza sapeva
perfettamente quanto gli occhi degli infetti vedessero bene al buio
–
ma nulla poté frenarla dal sospirare quando i raggi caldi e
luminosi
le accarezzarono la pelle.
Aveva
pensato, inconsciamente, che sarebbe morta lì, nei
sotterranei della
Gentek, e non avrebbe mai più rivisto il cielo azzurro che
invece
occhieggiava oltre i vetri delle finestre.
«Come
f-faremo ad uscire?»
«Prova
ad indovinare».
Sasori
era veloce, forte e silenzioso. I suoi passi non producevano alcun
rumore sui pavimenti di linoleum del palazzo, e il suo respiro
rimaneva impercettibile e calmo nonostante l’enorme sforzo a
cui
sottoponeva i muscoli.
Così,
quando entrarono nell’androne, i Blackwatch non li videro.
Fulmineo,
simile ad una saetta rossiccia, Sasori si spostò dietro le
colonne
della sala, attento a non destare l’attenzione di quei
soldati che,
sparuto gruppetto lasciato a sorvegliare l’entrata mentre il
grosso
delle forse si concentrava su Zeus, montavano la guardia al centro
dell’atrio.
I
suoi spostamenti erano notevolmente facilitati dalla nuvola di
Bloodtox rossiccio che, compatta, riempiva tutto l’ambiente.
Uscì,
così, senza esser visto.
Qualcuno
lo notò, sul piazzale. Udì le grida e qualche
sparo, ma era troppo
lesto perché dei marines impreparati potessero colpirlo; si
permise
di rallentare l’andatura e – infine –
concedersi una brevissima
pausa solo quando ebbe messo un paio di isolati tra se stesso e il
Gentek Palace.
Hinata,
a quel punto, lo guardò. Le sfuggì un mezzo grido.
«Ma,
la tua pelle... è completamente...»
«Lascia
fare, è il Bloodtox». Sasori la lasciò
poggiare i piedi a terra e
poi si accarezzò una guancia, coperta di vesciche
giallognole e
croste «Mi sto già rigenerando».
«C-capisco.
N-non dovremmo aspettare Zeus?»
L’infetto
annuì, lanciandole una breve occhiata indagatrice. Non si
fidava
affatto di lei.
«L’appuntamento
è a Central Park. È una zona infetta, ti conviene
prepararti».
«I-io
non ho p-paura».
«Ah,
sì?» L’espressione sul volto di Sasori
si fece beffarda
«Vedremo».
***
Kisame
era piuttosto soddisfatto della compagnia che si era trovato.
Matsuri
era dolce, piacevolmente spaventata e, soprattutto, aveva due tette
fantastiche; se avesse potuto fare una stima delle donne più
belle
che aveva conosciuto, soltanto la dottoressa pallida che per qualche
tempo aveva vissuto alla base poteva batterla.
Aveva
come la sensazione, però, che presto si sarebbe aggiunta
un’altra
concorrente in gara.
Non
aveva ancora idea di come avrebbe fatto a portare via due donne
insieme – soprattutto, non sapeva come Zeus avrebbe preso
quella
sua decisione del tutto autonoma – ma era assolutamente certo
che
non avrebbe mollato la ragazza con gli occhi da cerbiatta per nessuna
ragione al mondo.
Si
era rotto i coglioni di passare il tempo con gli indovinelli di
Zetsu.
I
laboratori in cui Ino Yamanaka stazionava si trovavano al piano -4,
relativamente in alto; evidentemente, quella donna non si occupava di
ricerche direttamente collegate al virus Idra, ma di progetti
d’ordine più comune. Che fosse stata lei a creare
quel gas
dall’orribile puzzo dolciastro che aveva invaso buona parte
dell’edificio?
«Ecco,
ci siamo». Lo informò Matsuri, accennando con la
testa alla porta
scorrevole d’acciaio che li separava dalla sezione
laboratori. Le
misure di sicurezza di quel posto erano veramente impressionanti,
pensò Kisame, peccato che fossero calibrate sugli standard
degli
esseri umani.
Gli
bastò un calcio per aprire la porta.
«La
stanza di Yamanaka-san è quella». Matsuri
indicò una porta tra le
tante che davano sul corridoio, e Kisame vi si diresse a passi
pesanti. Sperò che gli altri non avessero già
completato la propria
missione, o Zeus l'avrebbe spellato vivo.
Appoggiò
la grossa mano sulla maniglia e la tirò verso di
sé; quando si
sporse nella stanza, trovò ad accoglierlo un gruppetto di
persone in
camicie, apparentemente indaffarate intorno ad una serie di bancali
pieni di apparecchiature.
Riconobbe
Ino quasi immediatamente: era così bella che sarebbe stato
difficile
non notarla, con i capelli biondi trattenuti in una coda e i grandi
occhi azzurri puntati verso di lui.
Sorrise,
ed entrò.
"Non
puoi scappare per sempre".
_Angolo
del Fancazzismo_
*Compare
dal suo angolino buio, si avvicina al computer e sviene sulla
tastiera.*
Chi.
Ha. Parlato. Di. GRECO?
Ok,
non desidero in alcun modo tediarvi con i miei problemi personali,
ma... quante di voi hanno fatto il classico e ne sono uscite vive,
potete dirmi se imparare a memoria i verbi particolari dell'aoristo
secondo serve davvero a qualcosa, quando si trovano
sul
vocabolario in tutta tranquillità?
Non
riesco a trovare una risposta.
Fortuna
che c'è il fandom a risollevarmi il morale, ogni tanto.
DVnque,
spero che questo capitolo vi sia piaciuto e non vi abbia spinto
eccessivamente al suicidio - come, invece, stanno facendo gli
aggiornamenti di Naruto con me.
Ridatemi
il vecchio Itachi, ridatemelo.
See
you soon,
Roby
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