The Witch and the Murder di cartacciabianca (/viewuser.php?uid=64391)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Stivali Squalo ***
Capitolo 2: *** Laenzio della Prigione ***
Capitolo 3: *** Sanguine, mio fratello ***
Capitolo 4: *** Questione di... frutta ***
Capitolo 5: *** Un disegno diverso e grandioso ***
Capitolo 6: *** La locanda silenziosa ***
Capitolo 1 *** Prologo - Stivali Squalo ***
1. Prologo - Stivali
Squalo
Il mio nome è
Elion, e, sinceramente, non ho idea da dove vengo.
Sono fuggita dalla
Prigione Imperiale grazie al Re nostro Sovrano, che poi è
venuto meno affidandomi quel ciondolo acchiappa guai. Sono classificata
da molti come Elfo dei Boschi, ma se nascondo le orecchie a punta sotto
la mia massa castana di capelli, posso comunemente essere scambiata per
una donna Imperiale o addirittura per un Bretone, se si pensa alla
mutevolezza del mio caratterino in certe circostanze. Sono nata sotto
il segno del Mago, e tale sono, poiché me la cavo con gli
incantesimi. Dai miei sconosciuti genitori (mi dicono in molti,
complimentandosi) credo di aver ereditato una nota capacità
di recupero, evocazione, illusione, non ché un alto livello
di misticismo, alterazione e malia. Faccio sinceramente pena quando si
tratta di Alchimia. Credo che dovrò prendere delle
ripetizioni… Nonostante ciò, la Gilda dei Maghi
non ha esitato un secondo prima di prendermi con sé. In
circa un anno di viaggi per la Contea ho ottenuto le raccomandazioni di
tutti i Maghi Supremi dell’Impero e adesso studio
all’Università Arcana. Lì ho conosciuto
gente interessante, un po’ pazza, certo, ma davvero
affascinante. C’è stato un tempo in cui vivevo in
una baracca al porto (dove so si annida la comunità dei
ladri, protetti dalla famigerata Volpe Grigia) ma adesso trascorro le
notti sotto il magico tetto dell’Università. Ho
gli occhi scuri, a differenza di come detta la mia razza, e una statura
media. Ho un fisico asciutto, non troppo muscoloso, ma reggo comunque a
lunghe passeggiate. Il cavallo pezzato di Bruma al mio fianco
l’ho vinto scommettendo con uno spettatore
dell’Arena. Se posso, oserei aggiungere
“barando”. Quel giorno si fronteggiavano un mio
amico mago dell’Università (sul quale avevo
scommesso io) e un poco noto Gladiatore. La mia conoscenza si
è conquistata la vittoria senza il minimo sforzo, riducendo
in polvere il suo avversario. Ero perfettamente a conoscenza delle sue
capacità magiche. Quando scommisi, non avevo dubbi su chi
avrebbe vinto quell’incontro. Il poveraccio con cui avevo
messo in gioco una fruttuosa somma di denaro ha confessato poi di non
avere di che pagare, se non la sua cavalla. Ero lì
lì per rifiutare (avrei fatto lo stesso anche se i soldi li
avesse avuti) ma poi mi ha parlato di quanto gli pesasse sulla
coscienza quella povera bestia.
La cavalla
l’ho battezzata Noilé, il mio nome al contrario.
Che fantasia, eh? In effetti… ora che ci penso avrei potuto
fare di meglio, eppure… sento che le si addice molto. Ormai
sono mesi che mi accompagna in lungo e in largo per l’Impero
a caccia di avventure. In quest’arco di tempo ho scoperto che
abbiamo parecchio in comune. Per esempio odiamo entrambe il pesce.
Elion ripensò al vecchio e povero pescatore
che, in cambio di quattro squame, le aveva dato quegli strani stivali.
L’uomo aveva detto che possiedono un potente potere magico,
ma la ragazza non avvertiva in loro nessun flusso arcano.
Ma che strani…
pensò rigirandosi la scarpa destra tra le mani. Sembravano
comuni stivali di pelliccia, dall’aspetto sobrio. Puzzavano,
e di pesce! Mio Dio che
schifo… Fece una smorfia e Noilé
assieme a lei, sbuffando.
Elion sedeva su una roccia sulle sponde del lago nel quale galleggia
l’isola con la Città Imperiale. Alle sue spalle
incombeva il verde della natura, ma su tutto il Regno dominava la
magnifica Torre d’Argento fatta erigere dagli Antichi nel
centro della Capitale, assieme alle sue mura ciclopiche. Poco prima
poteva vedere con chiarezza l’ingresso delle fogne che, come
sapeva per certo grazie all’esperienza diretta di un anno
addietro, conducevano alle Prigioni Imperiali per via di un passaggio
segreto. La grata era chiusa a chiave da una serratura molto difficile.
Ma con le abilità di mago in suo possesso, se avesse voluto,
avrebbe potuto farla saltare con la stessa facilità di una
mela da sbucciare.
Elion tornò a guardare i suoi nuovi stivali che
nell’equipaggiamento non pesavano granché.
Effettivamente erano leggeri, particolarmente leggeri ed elasticizzati.
Al tatto erano freddi, lisci, apparentemente di pelle, ma in
realtà svelavano una superficie umida e squamosa come quella
di un pesce.
Senza riuscire a trattenere una medesima smorfia, Elion
gettò prima uno poi l’altro stivale
nell’acqua.
-Che ricompensa ignobile…- sbuffò alzandosi dalla
roccia sulla quale sedeva. Si voltò, ma la sua cavalla le
diede una musata in pieno ventre esortandola a guardare di nuovo verso
il lago.
Nel gesto esasperato di girarsi alzando gli occhi al cielo, Elion
notò con stupore che gli stivali galleggiavano sulla
superficie dell’acqua nonostante li avesse scagliati dove la
profondità avrebbe dovuto coprire l’altezza di un
essere umano.
Dio mio! Galleggiano!
Gli stivali galleggiano! Esultò a bocca
aperta. Ecco di che
potere parlava quel vecchio pescatore!
Elion si avviò verso la sponda e s’immerse in
acqua fino alle ginocchia, allungandosi ad afferrare gli stivali e
riportandoli all’asciutto tra le sue braccia. Ancora una
volta la magia entra a far parte della mia vita, e nel modo
più assurdo di quelle precedenti! Rise di gioia e
divertimento a tal pensiero, mentre tornava sulla riva e si sfilava le
scarpette che abbandonò sul prato.
Forse è
meglio che eviti di bagnare i vestiti, anche se sarei in grado di farli
asciugare con un colpo di bacchetta, pensò
iniziando a spogliarsi sino ai limiti consentiti dalla decenza,
restando con indosso solo la biancheria intima e una canottiera fino a
metà coscia. Tanto,
in quest’angolo sperduto dell’isola, ai piedi
dell’ingresso tappato per le fogne, chi vuoi che passi mai?
Giusto i gabbiani o qualche cerbiatto! Senza contare la
sua Noilé che la fissava con occhi curiosi.
Così la ragazza s’infilò gli stivali ai
piedi, affondando i plantari nella viscida stoffa squamosa che li
rivestiva sia all’interno che all’esterno. Mosse i
primi passi sull’acqua e si accorse ben presto, con un solare
sorriso sulle labbra, di poter camminare su quell’immensa
superficie cristallina come se stesse normalmente passeggiando su un
sentiero di città.
Intraprese una piccola corsa che in breve tempo la portò
quasi sulla sponda opposta del lago. Tornò indietro,
saltò, piroettò ridendo come una matta. Poi si
fermò, si piegò e scoprì che con le
mani poteva catturare i pesciolini che abitano a pochi centimetri dalla
cresta. La sua immagine si rifletteva come su uno specchio, sul quale
camminava con estrema grazia e compostezza, fingendomi una reale
principessa.
-Largo alla Signora di Bruma!- scherzò mimando dei gesti di
saluto con le mani e improvvisando con l’immaginazione un
corteo di sudditi e trombe alle sue spalle. –La donna che
camminava sull’acqua! Questa cosa farebbe invidia a
Mattiùs (il mio amico mago più caro)-
ridacchiò.
D’un tratto sentì nitrire la cavalla.
Elion si voltò verso la costa e vide Noilé
agitata per via di un movimento sospetto dietro una felce poco
distante, vicino all’ingresso della fogna, che
catturò la sua attenzione fin da subito.
Tornando sulla riva in pochi balzi, afferrò la casacca
bianca primaverile da maga e se la strinse al petto per nascondere le
forme. Sollevò la mano libera che, appena prese a
cantilenare due formule elementari, s’illuminò di
un azzurro intenso e vitale.
-So che sei lì, non costringermi a dar fuoco al cespuglio!
Ovviamente con te dietro, straniero!- minacciò agguerrita.
Con un nuovo incantesimo Elion scrutò attraverso il fogliame
e colse un corpo maschile avvolto da una divisa nera come la notte. Il
volto celato da un cappuccio, un pugnale alla cintola, stivali e nel
complesso una tenuta leggera, da stratega di agilità.
-Non ti farò del male, lo prometto- disse lei un poco in
ansia. –Esci allo scoperto, chiedi perdono per la tua
impertinenza e sarai libero di andare- pronunciò ferrea.
Sull’educazione
sono irremovibile come tutti gli Elfi a questo mondo. In ogni caso,
potrebbe aver rubato qualcosa dalle bisacce legate alla sella di
Noilé.
Il ragazzo non sembrò d’accordo, e di punto in
bianco scomparve alla sua vista, volatilizzandosi nel nulla. Di lui
restava solo il prato scomposto dove un tempo c’era stato il
peso quasi nullo dei suoi calzari.
-Ma che diavolo…- borbottò lei guardandosi
attorno.
Ipotizzando che potesse essersi trattato di una banale trasfigurazione
da camaleonte, Elion era già pronta a rilanciare un contro
incantesimo. Recitò la formula, stendendo il braccio verso
l’alto e tutt’attorno a lei, per venti metri, si
condensò una nube rosata che le mostrò il suo
bersaglio.
Il ragazzo si allontanava di gran corsa sul prato diretto al
ponticciolo lì vicino.
Elion abbandonò la veste da mago a terra e montò
in sella alla cavalla, che poi spronò al galoppo
all’inseguimento.
Il giovane nel frattempo raggiunse il ponticciolo, ma non fece in tempo
ad abbandonare il raggio dell’incantesimo di smascheramento.
Elion stava per recitare una nuova formula che gli avrebbe
immobilizzato le gambe, ma la sua imbranataggine con
l’equitazione chiese il conto all’ultimo momento.
Noilé inciampò su un’asse sconnessa del
ponticciolo ed Elion, pur di salvarsi la pelle, si gettò
fuori di sella, finendo addosso al ragazzo.
Caddero entrambi in acqua dal ponticciolo, crogiolandosi nelle calme
correnti del limpido lago. Elion, coi suoi stivali ai piedi, riemerse
subito in superficie, mentre il ragazzo restò affondo per
parecchi secondi, che poi condensarono in un minuto buono.
Strano…
pensò lei. Il
mio incantesimo ancora mi permette di vederlo sotto i miei piedi, ma
allora perché non torna su? Si chiese.
Elion attese per poco prima di giungere ad una fredda conclusione.
Come si sfilò gli stivali sprofondò
nell’abisso. Poche bracciate, e raggiunse il corpo del
ragazzo mollemente adagiato sul fondo del lago. Lo afferrò
per il gomito, se lo caricò sulle spalle, poi entrambi
risalirono in superficie con l’ausilio di un nuovo
incantesimo che triplicava temporaneamente le forza fisica
dell’Elfa; la stessa che lo riaccompagnò sulla
riva.
Elion lo adagiò sull’erba e lei, esausta
perché indebolita dal troppo Magika speso, si
accasciò affianco a lui, sentendolo tossicchiare.
Ed io che ti avevo
scambiato per il solito ragazzino guardone, pensò
con stupore inarcando un sopracciglio. Studiò a lungo il suo
abbigliamento davvero insolito. Era una tenuta nera leggera. Alla
cintola aveva un pugnale che ispirava minacce anche da dentro il suo
fodero. Il cappuccio gli era scivolato via dalla testa durante il bagno
e adesso la ragazza poteva scorgere per intero il suo viso bianco, due
meravigliosi occhi azzurri e un medio taglio di capelli neri.
Era un Imperial.
Forse il più affascinante che avesse mai visto.
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Capitolo 2 *** Laenzio della Prigione ***
2. Laenzio della Prigione
Bagnato fradicio fino alla punta dei capelli, il ragazzo continuava a
tossicchiare acqua dai polmoni e respirare con affanno. Gli occhi
azzurri erano sgranati dal terrore e fissi verso il cielo: come Elion
aveva capito non doveva essere un gran nuotatore, e mentre sprofondava
prima che lei si precipitasse a salvarlo, era probabile che la signora
Morte lo avesse sfiorato maliziosamente con le intenzioni peggiori.
Ecco perché aveva un aspetto così…
“traumatizzato”.
Seduta accanto a lui, aspettando che si tranquillizzasse, Elion era
combattuta tra tre voracissime intenzioni: la prima sarebbe stata
quella di alzarsi, fare una carezza alla sua cavalla e rivestirsi con
la tunica che aveva abbandonato in terra. La seconda le comandava
incresciosamente di picchiare a sangue quel poveretto per essersi
permesso di sbirciarla seminuda. Terzo ed ultimo desiderio, quello che
assecondò, la incatenava ad osservare con immensa
curiosità ciò di cui il ragazzo vestiva. Era
sicura di non aver mai visto nessuno in tutta la Contea abbigliato in
quel modo assurdo, completamente nero, in piena estate!
Che dire delle armi, poi? Adesso che lo squadrava più da
vicino e con maggiore attenzione, colse un arsenale di coltellini
intrecciati alle cinghie degli stivali, uno stiletto di buon ferro, un
pugnale dall’elsa decorata in oro nero, un piccolo arco da
principianti e una decina di frecce dal piumaggio rosso. Forse si
trattava di una guardia personale di qualche personaggio importante,
che magari l’aveva guardata assieme a lui!
No, ma che
dico… più che a quella di una
guardia, la sua armatura parziale somigliava alla divisa invernale dei
Campioni dell’Arena, se non fosse stata di colori
così scuri.
Finalmente il suo organismo tornò alle normali funzioni e la
smise di tossire. Il suo respiro si calmò.
Strizzò gli occhi un paio di volte, li chiuse e
riaprì mormorando a fior di labbra quelle che Elion
riconobbe subito come parole di un incantesimo illusionistico.
Con un gesto rapidissimo del braccio la ragazza gli premette la mano
sulla bocca, azzittendolo prima che la formula fosse completa. Lo
sconosciuto piantò gli occhi sgranati in quelli di lei e per
qualche istante restarono immobili, immortalati nel gesto di
comprendere l’uno le intenzioni dell’altra.
Elion avvertiva il suo respiro solleticarle la pelle ancora umida della
mano, sul palmo della quale sentiva la rigidezza delle sue labbra e un
po’ il pizzicorio della barba giovane. Si rese conto che
l’uomo di fronte a lei non poteva avere più di
vent’anni, a dispetto dell’innaturale sviluppo del
corpo che era incredibilmente allenato.
Siccome Elion aveva la situazione impugno ed era felice di essere la
donna carismatica che era, si rivolse a lui con estrema naturalezza:
-Come prima cosa, esigo i tuoi ringraziamenti per averti salvato la
vita. Avrei potuto lasciarti morire e chissà chi si sarebbe
accorto della tua mancanza! Come seconda, forse non sono stata chiara,
quindi te lo ripeterò con molta calma: chiedimi scusa e non
si farà male nessuno- lo fulminò con
un’occhiataccia che non accetta polemiche.
L’espressione del giovane mutò a poco a poco: dal
completo stupore, Elion vide le sue sopracciglia aggrottarsi e gli
occhi farsi piccoli e stretti. Poi, in una frazione di secondo e prima
che lei riuscesse ad impedirglielo, il ragazzo le afferrò
entrambi i polsi con violenza capovolgendo la situazione.
Elion si ritrovò impossibilitata a muoversi, distesa sul
prato sotto il peso della sua armatura dopo che
l’immediatezza di quel gesto le aveva strappato un gemito
imbarazzante.
L’acqua del lago scivolava via dai suoi capelli e le
gocciolava sul viso, mentre il terrore che prima era dipinto
negl’occhi dell’uno, adesso si faceva largo a
gomitate in quelli dell’altra.
-Come prima cosa,- cominciò facendole il verso, -avrei
preferito morire piuttosto che ringraziarti- sbottò a denti
stretti. –Come seconda, sognatelo che ti chieda scusa per
qualcosa che non ho fatto!-.
-Mi stai dicendo che quello nascosto dietro il cespuglio non eri tu?!
Be’, in tal caso, scusa, davvero! Mi farò
controllare la vista da un buon medico! Ma prima chiederò
che siano le guardie imperiali a controllare te!- lo
minacciò.
Un misero umano non
può permettersi di rivolgermisi in questo modo. Sono o non
sono una Mitica Elfa dei Boschi? Sono o non sono la Guardiana della
Discendenza Reale??? E sono o non sono una rinomata Studentessa
dell’Università Arcana?!?!? Se quello che ho di
fronte è un ladro squattrinato, dovrà vedersela
con la burocrazia dell’Accademia prima di guardarmi in faccia
di nuovo!
Ma tutti quei pensieri, assieme alla sua determinazione, svanirono come
fumo nel momento in cui il ragazzo estrasse lo stiletto e glielo lo
puntò alla gola.
-Ripeti ciò che hai detto, se ne hai il coraggio!-
sibilò con una voce che non gli apparteneva, incrinata in
modo spaventoso dall’ira che mise nel gesto di avvicinare la
lama alla carne.
Elion deglutì a fatica, ma improvvisamente trovò
la soluzione a tutti i suoi problemi.
Quando aprì bocca, non fu per implorare pietà o
invocare il suo perdono. Sussurrò un elementare incantesimo
d’illusione mutando il livello di aggressività
dell’assalitore. La sua presa sull’arma si
allentò di colpo e lo stiletto cadde nell’erba
vicino alla spalla della ragazza. Elion avvertì ogni fibra
del suo essere sbollentarsi e la rabbia sul suo volto dissiparsi in un
manto di piume. Il suo corpo si adagiò su quello di lei,
rilassandosi.
-Ecco, da bravo- mormorò la ragazza, sorridente.
-Cosa… cosa mi hai fatto?- chiese perplesso e poco cosciente
di sé.
Come forse un ben poco esperto di malia o illusione avrebbe potuto
capire, assieme alle parole che gli avevano infuso pace e calma
nell’anima, Elion aveva mescolato in lingua elfica alcuni
versi di una pergamena distruzione,
risucchiandogli una buona parte delle sue energie.
-Nulla che non potrebbe anche piacerti, vedrai- ridacchiò
lei.
Il ragazzo crollò in fine svenuto.
Entrare a cavallo in città non era permesso, ma appena Elion
ebbe mostrato il carico che la sua Noilé portava sulla
groppa dietro la sella, dove sedeva, le guardie l’avevano
lasciata passare all’istante, senza esigere spiegazioni.
Il corpo di quel malfattore molto poco educato giaceva inerte da una
ventina di minuti, ormai, il tempo che le ci era voluto a risalire la
collina su cui poggiano le fondamenta della Città Imperiale,
fino all’ingresso nord, a pochi passi dalle Prigioni.
Effettivamente era lì che Elion era diretta, ed era
lì che il suo carissimo ospite avrebbe passato la notte.
Elion era abbastanza nota nell’ambiente per assicurarsi che
la Legione sbattesse in gattabuia questo malfattore con la sola accusa
di minaccia a man armata, magari anche senza testimoni.
Seduta composta sulla sella, guidò Noilé al
piccolo trotto attraverso le ampie strade tranquille e poco trafficate
di Imperial City. La gente si faceva da parte non senza lanciare
un’occhiata curiosa al suo bagaglio. Le guardie di pattuglia,
fiduciose verso chi l’aveva lasciata entrare, si scansavano
con cortesia.
Giunse in fine nel distretto della Prigione, al cospetto della torre
che ospita l’apparato burocratico della gloriosa Contea.
Smontò da cavallo e affidò le redini ad una
guardia armata che la ricevette con rispetto, rivolgendosi a lei con
l’appellativo di “onorevole maga”.
Elion arrossì a quel complimento. La veste che indossava
doveva lasciar intendere più del dovuto. Solitamente i modi
con cui uno studente dell’Università veniva
trattato da una guardia imperiale erano due: o di estremo rispetto,
oppure di pessima sfiducia. All’interno del corpo militare
della Città Imperiale c’era chi, come
l’uomo che aveva di fronte, apprezzava e ammirava gli studi,
la conoscenza e il potere dell’Università e dei
suoi affiliati in tutta la Contea. Ma c’era anche chi
disprezzava il suo operato, temendo che fosse rivolto
all’unico fine di estirpare la Monarchia e sostituirla con
qualche assurda magica gerarchia.
Elion che nell’Università Arcana respirava aria di
casa, pensava di quest’ultimi, senza peli sulla lingua e con
tutta la delicatezza che si addice ad un’Elfa: fanatici estremisti
approfittatori morite ammazzati e affogate nei vostri pregiudizi!
-Madonna, quest’uomo è con voi?- chiese
d’un tratto la guardia della Legione alludendo al corpo del
ragazzo sulla groppa di Noilé, risvegliandola dai suoi
pensieri.
Stirandosi le pieghe sulla gonna Elion fece un cenno
d’assenso. –Devo mostrarlo al comandante e
assicurarmi che sia dietro le sbarre prima che si svegli. Sareste
così gentile da…-.
-Ma certo- acconsentì quello caricandosi il ragazzo su una
spalla e seguendo la donna sulle scale che precedono
l’ingresso della torre.
Elion entrò senza bussare e il soldato le fu subito dietro,
trovando pure la forza – nonostante il corpo del ragazzo
sulla spalla - di richiudere anche la porta. Era uno studio circolare e
vi affacciavano tre porte che conducevano alle gallerie della prigione.
Se tendeva un po’ le orecchie riusciva a sentire le urla dei
condannati e i lamenti di quelli sotto tortura. Ora che ci pensava, le
tre porte non sfociavano tutte nella prigione. Una di esse andava
proprio là, nella sala tortura. Il solo pensiero le fece
correre un brivido lungo la schiena, e cominciò a pentirsi
di essere lì.
Frantumando il silenzio di quella stanza, il soldato dietro di lei
posò violentemente il corpo del ragazzo sul tavolo
più vicino. Il frastuono fece sobbalzare un anziano signore
seduto dietro ad un grosso scranno e infagottato in
un’armatura imperiale. Si guardò attorno con
l’aria di chi s’è appena svegliato dopo
una bella sbronza. Stava per portare la mano all’elsa della
spada d’argento che aveva legata al fianco, quando si accorse
dei suoi inaspettati ospiti.
-Razza di stupido, fa’ più piano, dannazione!-
eruppe scocciato.
Il soldato semplice incassò il richiamo e si
ritirò da parte in silenzio, senza presentare la maga
all’ufficiale anche se non ce n’era bisogno.
Elion aveva riconosciuto la sua voce in ritardo e con un certo stupore, ma
nel gesto di puntare i suoi occhi su di lui, il vecchio capitano del
popolo sembrò finalmente riconoscerla a sua volta.
-Laenzio?- domandò l’Elfa, incredula.
-Santissima Alessia!- esultò quello alzandosi. –La mia
maga preferita si è finalmente degnata di farmi visita dopo
tutto questo tempo!- disse aggirando lo scranno e venendole incontro a braccia
aperte.
Elion aveva conosciuto Laenzio Sirimus appena arrivata in
città. Il loro “scontro” era stato ben
poco casuale. La sua faccia benevola le aveva ispirato sicurezza fin
dal primo giorno, appena fuggita dalle prigioni. Seppur Elion amasse
profondamente la fiducia e quant’altro di profondo nella loro
amicizia, non aveva mai avuto occasione di raccontargli la reale
versione dei fatti che riguardavano la sua vita.
Per lui sono sempre
stata – e probabilmente continuerò ad essere
– un’Elfa mendicante con delle barzellette molto
divertenti.
-Cagnaccio ubriaco, che ci fai qui?- sorrise lei, nonostante fosse molto
scomodo abbracciare un blocco di metallo che cammina.
Il vecchio Laenzio la strinse forte a sé, comprimendola tra
la cotta di maglia delle braccia e l’armatura pesante sul
petto. Appena si allontanò un poco da lei, Elion
poté tornare a respirare coi propri polmoni. In confronto
alla sua stazza voluminosa – dovuta unicamente al tacco degli
stivali di ferro e alla solidità dell’armatura
– si fece piccola piccola mentre lui comincia a raccontare.
-Il comandante della Legione Hieronymus Lex è stato
trasferito ad Anvil per volere della Contessa Umbranox, che appena ha
trovato scritto il suo nome sulla lista di raccomandati che lui le aveva mandato,
l’ha voluto subito nella sua città! Adesso il capo
è un uomo del popolo, scelto dal Consiglio,
nonché suo nipote! Un giovanotto con un onore che fa invidia
ai draghi delle montagne e un coraggio da leone! È stato per
molto tempo nella Guardia del Re come Spadaccino. Spero tu conosca
Fhenius Lex-.
-Mi spiace, il nome non mi dice nulla- ammise.
Il vecchio non diede segni di delusione, anzi, sembrò
più entusiasta che mai. –Allora non
perderò occasione di fartelo conoscere- strizzò
un occhio ed Elion si permise di arrossire, facendolo contento.
-Priore della Prigione… wow- mormorò la ragazza.
–Perché non me l’hai detto?- chiese
volendo cambiare argomento.
-Ho provato a scriverti, quand’eri
all’Università, ma non ricevevo mai risposta;
così ho pensato che fossi troppo impegnata a studiare-
spiegò con sincero dispiacere.
-Ah!- sbottò lei. –Quei vecchietti dalla barba
bianca allo smistamento della posta avranno pensato che fosse una
lettera d’insulti. Da parte delle Guardie Imperiali ne
arrivano molte all’Accademia- spiegò con un moto
di stizza. –Comunque non preoccuparti, adesso che lo so sono
davvero felice. Ma come mai hanno scelto… te?-
domandò dubbiosa.
L’uomo che aveva di fronte non era troppo raccomandabile per
gestire con rigorosa attenzione una Prigione come quella Imperiale,
dove defluivano i peggio banditi di tutta la Contea. A Laenzio, vero,
non era mai mancato il coraggio di difendere gli altri – ma
soprattutto sé stesso – perciò il vedersi tra le mani chi ad altri vuole male – assassini, ladri,
banditi – non poteva che farlo sentire una persona migliore
di quella che già era. Si era dimostrato premuroso quando
per lungo tempo aveva ospitato la ragazza nella sua casa in
città, senza farle alcun male come lei, invece, aveva
inizialmente temuto. Laenzio era subito diventato il padre che non
aveva mai avuto. Erano stati insieme pochi mesi, poi Elion era partita
alla volta delle raccomandazioni volute dalla Gilda dei Maghi per
entrare nell’Università, cosa che era stata il suo grande sogno fin da quando ne aveva saputo l'esistenza. Laenzio l’aveva vista lasciare la
città in groppa alla sua cavalla e da allora erano stati
lontani per quell’anno che Elion aveva impiegato nella
scalata verso la vetta. Una volta conosciuta e rispettata da tutti i
Maghi della Contea di Cyrodiil, l’ingresso
all’Università era stato un vero e proprio
trionfo. Ora il suo futuro si prospettava radioso e carico di avventura
tra pozioni, incantesimi e caccia alla Negromanzia, che la Gilda era
impegnata a sopprimere da secoli. Dopo di allora Elion aveva sentito il
suo padrino solo per posta, ricevendo raramente sue notizie sempre a
causa di quei maledetti smistatori, che la mattina del giorno del
riposo consegnavano agli studenti lettere, pacchi, e perché
no? Anche regali. C’era sempre qualche viziatello che
aspettava doni dalla mamma o dal papà. Elion provava una
gelosia immensa per quei ragazzi e quelle ragazze che avevano pozioni, incantesimi e
ingredienti per l’alchimia prima degli altri per lezioni o
esami importanti, soprattutto in vista delle lezioni autunnali! Era quel
genere di “aiuti esterni” che lei non aveva mai
potuto permettersi. Laenzio era un ottimo combattente, fissato con
l’arte della guerra e vigoroso come si addice ad un buon
soldato, ma non aveva mai avuto troppi soldi e forse questo era un
bene: meno giorni trascorreva a scolarsi boccali in locanda con gli
amici e più Elion dormiva sonni tranquilli.
-Semplice promozione, carissima- arrise soddisfatto Laenzio, tornando
dietro lo scranno e trascinandola fuori dai suoi pensieri.
Elion lo guardò di sbieco. –Non me la racconti
giusta- commentò arricciando il naso.
-E dai, maghetta, non fare quella faccia! Sai benissimo che questo
vecchio cagnaccio ubriaco non farebbe male a una mosca! I condannati li
tratta anche troppo alla leggera per quello che meritano-
ridacchiò.
Il soldato semplice nella penombra della stanza si schiarì
la gola.
-Ah, giusto- Elion balzò sul posto, maledicendosi per aver
lascito trascorrere anche troppo tempo. -A proposito di
condannati…- con un gesto del capo indicò il corpo disteso sul tavolo
vicino all'ingresso.
-Stavo giusto per chiederti se fosse un amico tuo rimasto stecchito
durante qualche strano esperimento, magari- si beffò
Laenzio. –Ma vedo che è con te per altri motivi.
Dimmi tutto, piccola mia- fece disponibile.
-L’ho sorpreso sulla spiaggia vicino allo sbocco delle fogne.
Ero lì… per caso, facevo una passeggiata, quando
mi ha aggredita con questo-.
Elion gli mostrò lo stiletto che il ragazzo le aveva puntato
alla gola. Con un elementare incantamento di misticismo lo fece
levitare fino allo scranno e lo posò davanti al naso del
vecchio Priore. –Non ho idea se volesse derubarmi o
semplicemente uccidermi. Mi ha messo molta paura, ma…-.
-Ma la magia dell’Università ti ha salvato ancora
una volta- concluse fiero. –Sì, sì,
risparmiami le formule arcane che hai usato. Verbalizzo tutto e lo
sbatto dentro- disse aprendo un grande volume sul tavolo e preparando
penna d’oca e inchiostro per scrivere. –Nessuno
tocca la mia bambina, nemmeno con un fiore- aggiunse scorbutico
mettendosi a sedere e cominciando a scrivere. –Mi sorprende
che tu non gli abbia aizzato contro qualche Daedra inferocito. Con le
capacità che hai e che l’Università non
farà altro che perfezionare, potresti riportare in vita il
nostro Re!- esultò senza staccare gli occhi dalla penna che
grattava il foglio.
Elion incassò i complimenti, ma non sapeva fin dove si
spingeva la realtà degli stessi.
Le lezioni dovevano ancora cominciare. La bella stagione era appena
iniziata, gli sportelli per le iscrizioni
all’Università ormai chiusi e i posti disponibili
tutti occupati. I corsi sarebbero iniziati solo quell’inverno
e questo Laenzio doveva saperlo. Quel vecchio cagnaccio si divertiva
solo a farle quanti più elogi poteva appena ne aveva
l’occasione.
Quando aveva vissuto con lui, Elion si era divertita a fare giochetti
insulsi con oggetti volanti, spettacoli d’acqua e ad
ingannarlo alle carte, ma niente di più. Non sapeva fin dove
si spingevano le sue capacità magiche, che già
molti maghi delle Gilde sparse nella Contea avevano notato. Era
all’Università giusto per scoprirlo.
Mentre Laenzio compilava tutti i campi, quali una descrizione del
condannato e il resoconto verbale della vittima, Elion
controllò che il futuro prigioniero alle proprie spalle non
stesse già riprendendo conoscenza. Non voleva dare troppo
disturbo al suo vecchio, tantomeno fare di fronte a lui la figura della
maga da quattro soldi che se la cavicchia con gli incantesimi, proprio
ora che aveva tanta stima di lei.
Finalmente Laenzio finì e andando ad aprire una delle tre
porte nella stanza, fece cenno al soldato semplice di seguirlo col
condannato.
La guardia cittadina si caricò il ragazzo in spalle e
precedé Laenzio nelle prigioni. Appena la porta era stata
aperta, da quella galleria erano salite più forti che mai le
urla e i lamenti dei detenuti che, assaporato un barlume di luce
dall’esterno, avevano esultato e acquistato nuovo vigore per
gridare la loro innocenza. Il vecchio Priore, prima di avviarsi assieme
al soldato semplice che era già scomparso
nell’oscurità più profonda, si
voltò verso la ragazza.
-Raggiungimi ‘sta sera alla Taverna di fronte al mercato, se
non sei troppo impegnata a studiare. Ci saranno un po’ di
amici e voglio farteli conoscere. E se gli Dèi lo vorranno,
sarà da quelle parti anche il Gran Capitano Lex-.
Elion incrociò le braccia al petto e spostò il
peso su una gamba, sbuffando. –Sempre il solito…
ma lo vuoi capire o no che sono troppo giovane per sposarmi!?- eruppe,
più sarcastica che altro.
Laenzio scoppiò in una fragorosa risata e prese una torcia
dalla parete. –Sempre
la solita te! Sto cominciando a pensare che tu abbia una
focosa relazione con qualche libro di magia. Da voi Elfi
c’è davvero da aspettarselo! Una volta ho sentito
di uno di voi che è andato con un cervo. Secondo te
è possibile?-.
Elion sorrise. –Non oso immaginare cosa ne venga fuori- si
permise di ridere al solo pensiero.
Laenzio rabbrividì per scherzo. –Posso considerare
quel tuo sorriso un sì al mio affettuoso invito? O quei
“vecchietti con la barba bianca” non ti lasciano
uscire troppo tardi?-.
Elion sta volta la prese a male: solo lei poteva insultare i vecchietti
dell’Università, suoi futuri maestri.
–Vedrò cosa posso fare-.
Detto ciò, Laenzio scomparve nelle Prigioni richiudendosi la
porta alle spalle ed Elion lasciò la torre, tornando dalla
sua Noilé, e montò in sella. Era ancora una
caldissima giornata estiva con un meraviglioso cielo azzurro tutta da
godere. Non sarebbe rientrata nella sua stanza all’Università prima
che il sole avesse iniziato a calare. Una mezza idea di raggiungere
Laenzio alla taverna continuava a saltarle in testa, nonostante i mille
pretesti pur di lasciar perdere. Improvvisamente, spronando
Noilé ad un trotto tranquillo sulla strada, pensò
che se doveva farsi piacere al vecchio Priore con la sua presenza in
mezzo a dozzine di soldati ubriachi, non ci sarebbe andata da sola, e
sapeva già chi trascinarsi dietro.
Traversando la città e galoppando sul ponte che collegava la
sponda di Imperial City col mondo selvaggio fuori dalle sue mura
ciclopiche, assaporò il vento che le scompigliava i capelli,
mentre l’immagine di quei occhi azzurri come il ghiaccio
cancellava ogni altro pensiero.
.:Angolo
d’Autrice:.
Ma noooo! XD Anche qui! Sei una persecuzione, dai! Però sono
felicissima che ti abbia incuriosito la storia e ti sia piaciuto quel
microbo prologo :3 non sai che sorpresa bellissima è stata
leggere il tuo commento. Avventurandomi in questa sezione dimenticata
da Dio credevo che nessuno avrebbe sbirciato il mio lavoro, e invece
eccoti! XD Thò! Come avrai notato, non ho potuto fare a meno
di seguire il tuo consiglio, continuando sulla via della III persona e
– di testa mia – proseguendo col passato remoto,
piuttosto che al presente. Grazie SnowDra1609,
suggerimenti molto utili e coi quali – personalmente
– mi trovo più a mio agio XP
Detto ciò, non mi resta che dire due parole due sul capitolo
appena scritto.
Allora… penso di aver accennato ad un “giorno del
riposo” in cui all’Università si smista
la posta tra gli studenti. Un po’ alla Harry Potter, ammetto
il plagio, e spero che per questo non mi uccida nessuno
<.< Voglio aprire una piccola parentesi col dire che
sì, i corsi all’Università non sono
iniziati, ma Elion è tanto impegnata perché sta
studiando autonomamente quel che vuole anticiparsi da sé.
Approfondimenti sul concetto a partire dal prossimo capitolo, per il
quale non so quanto tempo bisognerà attendere. Ultimamente
ho davvero molto – troppo – da fare, tra scuola,
scuola, scuola, scuola, sport, scuola, scuola, disegno, scuola, scuola,
sport, libri, scuola, libri, libri, FEBBRE – eh,
sì: la vostra caltaccia ha febbruzza primaverile -. Insomma,
sono un po’ sotto sopra. Eppure, come stanno evolvendo
personaggi e situazioni di questa storia mi sta prendendo molto,
perciò credo che non trascorrerà troooooppo tempo
prima di un prossimo aggiornamento – per me trooooooppo tempo
sono… uno, due, tre mesi, eh! -.
Tornando al capitolo.
Se non sbaglio, penso di aver messo “spoiler”
tra gli avvertimenti. Ebbene sì, questo capitolo
è uno spoiler vivente. Nel senso che il Capitano della
Legione Hieronymus Lex nel gioco viene realmente trasferito ad Anvil
come racconta Laenzio (pg di mia invenzione, assieme al nipote di Lex).
Trattasi di una missione per conto della Gilda dei Ladri, non dico
altro.
Mi sono ammazzata a cercare i nomi dei giorni e dei mesi in Oblivion,
ma internet è poco fornito sull’argomento. -.-
Vorrà dire che dovrò trasferirmeli dal gioco,
assieme ad alcuni dettagli.
Gli incantesimi citati (due di illusione – assorbi e calma -
e uno di misticismo – levita – ) sono parte
integrante del gioco, inseriti nella fan fiction assieme a tutto il
resto col dovuto rispetto dei diritti di copyright.
<.< E meno male che erano due parole due…
Vabbuò, si è fatto tardi: saluto e vò,
dandovi appuntamento al proximo chappus, incentrato sul nostro
amichetto figlio della Madre Notte.
Ciau! :D
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Capitolo 3 *** Sanguine, mio fratello ***
Attenzione.
Questo e i capitoli successivi conterranno una
quantità elevata di spoiler
sulle seguenti fazioni:
- Gilda dei Ladri
- Arena
- Gilda dei Maghi
- Gilda degli Assassini
o Confraternita Oscura.
3. Sanguine,
mio fratello
-Eccoti servito!- esultò una voce, e un attimo dopo il suo
corpo si schiantava violentemente su un terreno duro e freddo. Il
soldato che l’aveva lanciato in cella come un sacco di patate
se la rise di gusto guardando la faccia sconvolta del ragazzo, quando
questi si sollevò su un gomito e si guardò
attorno chiedendosi cosa diavolo gli fosse successo e
perché. Tutto attorno a lui vorticava senza un senso, le
figure erano sfocate e i suoni ovattatati dallo stordimento.
-La bella addormentata si è svegliata- commentò
la guardia della Legione con una nuova risata, affianco alla quale
c’era un secondo uomo, più anziano. Questi
fulminò il cadetto con un’occhiataccia che
soffocò sul nascere una nuova battutina.
-Niente cibo e acqua per due giorni- ordinò
l’ufficiale con la torcia, lasciando al soldato semplice il
compito di richiudere a chiave la cella. –Voglio fargli
rimpiangere altri piaceri, oltre a quelli della carne!-. Il ragazzo
poté guardarlo in faccia, dove tra la barba
grigia sfatta e le rughe della fronte, il giovane prigioniero lesse una
gioia cattiva.
-Li conosco bene i tipi come te, sai?- cominciò
l’anziano in tono solenne e arrabbiato. –Sempre a
caccia di giovani vergini. Be’, la tua campagna finisce qui-
disse il Priore della Prigione voltando le spalle, e si
avviò nel corridoio portando con sé
l’unica fonte di luce. Il chiarore della fiaccola e i passi
degli stivali di entrambi i Legionari scomparvero inghiottiti da
un’ombra nera di silenzio che, pochi istanti più
tardi, avvolse ogni cosa. La Prigione piombò definitivamente
nell’oscurità e una porta rinforzata
sbatté chiudendosi in lontananza.
Il giovane servo di Sithis si trascinò a sedere con le
spalle contro la parete, un ginocchio al petto e l’altro
disteso. La stanchezza del dopo missione pesava sulle ossa dolenti. Gli
occhi, nonostante fosse riuscito a socchiuderli, faticavano a restare
aperti. Intorno a lui regnava un nero profondo. Ogni tanto saltava
fuori un topolino che, squittendo, andava a mordicchiare le gambe del
tavolino e della sedia, cibandosi delle fibre che riusciva a trovare
nel legno grezzo. I condannati di tutta la Prigione lagnavano come cani
bastonati. Se tendeva un po’ le orecchie era facile
riconoscere le grida dei processati sotto tortura nelle stanze accanto.
Non c’era una grande sorveglianza, ma le Prigioni Imperiali
erano celebri per saper ingannare i fuggitivi meno esperti, che si
perdevano nel labirinto di corridoio spesso addirittura costretti a
tornarsene in cella da soli per non morire di fame.
Come c’era da aspettarselo, era stato spogliato di tutte le
sue armi. Poiché privo di sensi non era nemmeno riuscito a
nascondere un grimaldello, che gli sarebbe potuto servire a poco con
quell’oscurità. Addosso aveva la sua fedele
Armatura Velata, alcune parti della quale erano ancora bagnate.
D’un tratto il ragazzo ricordò ogni cosa: dalla
sua missione nelle stesse Prigioni in cui si trovava, alla fuga
attraverso le fogne; dallo scontro con la maga, al suo presunto
svenimento. Dopo che quella strega gli aveva prosciugato tutte le
forze, un alone di mistero sembrava aver avvolto gli episodi precedenti
al suo arrivo in cella.
Non era la prima volta che finiva dietro le sbarre, ma mai in veste di
Assassino per la Confraternita Oscura.
Quand’era bambino gli era capitato di passare la notte da
recluso a causa di piccoli furti su commissione. Per tutta
l’infanzia la Gilda dei Ladri, dalla quale era stato
fruttuosamente addestrato all’arte del borseggio, del
passeggio sui muri e sui tetti, si era preso cura di lui.
C’era stato un tempo in cui aveva meritato l’onore,
troppo giovane perché se lo ricordi, di conoscere il volto
della Volpe Grigia.
Purtroppo, giusto pochi anni prima qualcosa era andato storto durante
un grosso colpo nel palazzo della Contessa di Bruma, le cui ricchezze
avrebbero garantito il benestare di tutta la gente del Porto per gli
anni a venire. Lui e un compagno di sventura erano stati vittima di
un’imboscata ancora prima di arrivare alle stanze private del
Palazzo: una trappola tesa dai loro stessi informatori. A capo del
battaglione armato che li aveva colti in fragrante c’era un
uomo del cui sangue il ragazzo era stato costretto a macchiarsi le
mani, mentre il suo compare moriva nel tentativo di
garantirgli la fuga. Le guardie della città non erano
riuscite a catturarlo e lui era tornato al quartier generale a mani
vuote. Da quel giorno in avanti le attenzioni per gli informatori
sarebbero triplicate, ma per il caduto si era svolto un piccolo
funerale e niente più.
La medesima notte, dopo essersi svegliato a seguito di un incubo, il
ragazzo si era trovato di fronte un uomo completamente vestito di nero
che sembrava confondersi con le ombre della sua piccola stanza. Da
sotto il cappuccio che gli celava buona parte del volto, si era rivolto
lui chiamandolo per nome. In un primo momento il ragazzo era scattato
giù dal pagliericcio trascinandosi dietro buona parte delle
lenzuola. Per lo spavento aveva afferrato un pugnale rimastogli in
eredità del suo compagno e lo aveva puntato contro il
misterioso visitatore. L’uomo gli aveva fatto i complimenti
per la prontezza di riflessi e aveva dimezzato la distanza tra loro con
passi così silenziosi da non essere uditi. Gli aveva
scansato il braccio armato con un gesto delicato e il ragazzo, forse
troppo spaventato, si era lasciato guidare dal suono suadente della sua
e della voce di una terza presenza, incognita, nella stanza.
A grandi linee gli aveva narrato la gloriosa storia della Madre Notte e
dei suoi figli. Poi Lucien Lachance gli aveva offerto
l’opportunità di vivere una vita simile a quella
per cui era stato addestrato fin dall’infanzia, con una sola
differenza: essere il tramite di una volontà superiore, il
portatore in terra del volere divino di Sithis, al fine ultimo di
purificare il mondo da anime corrotte e prive di etica.
Tutto quel discorso aveva molto affascinato il ragazzo. Mentre
l’Impero aumentava la taglia sulla sua testa a 3.000 monete
d’oro, la sua reputazione da ladro e l’omicidio
corposo del fratello della Contessa di Bruma avevano fatto il giro
della Contea e lui non avrebbe dormito mai più sonni
tranquilli. Aveva considerato l’eventualità di
unirsi a Lucien come la fuga da una dimensione che stava torcendoglisi
contro. Aveva visto nella Fratellanza una casa sicura e una nuova vita,
proprio come aveva detto l’Assassino.
Aveva accettato la proposta di Lucien senza spiegare le sue ragioni,
che il portavoce non sarebbe stato disposto ad ascoltare comunque.
L’uomo incappucciato gli aveva affidato la Lama di Pena e il
facile compito di sbarazzarsi di un certo Rufio. Quel vecchio scarto
umano trascorreva i suoi giorni come un vegetale ad una locanda
chiamata Cattivo Auspicio.
Una volta di fronte al suo letto, il ragazzo aveva esitato un fatale
istante con la lama sollevata sopra il petto del moribondo, ripensando
se fosse giusto cosa stava facendo e perché. Rufio si era
accorto di lui nel dormiveglia ed era balzato giù dal letto
rompendosi le ossa della fragile schiena. Una forza esterna, un flusso
innaturale aveva guidato la sua mano intanto che la lama penetrava la
carne e schizzava il pavimento di sangue, senza lasciare al morente
possibilità di gridare.
In quel momento il mondo attorno alla sua ombra aveva vorticato
impazzito e il ragazzo si era sentito imprigionare dalla propria
coscienza, che chiamava quella di Rufio come una morte ingiustamente
dolorosa. La pena e il sentimento gli avevano morso la gola e, cadendo
in ginocchio, chino sul corpo di Rufio, aveva pianto tutta la notte
fino al risveglio della badante del vecchio. Era una donna Guardia
Rossa che giusto la sera precedente gli aveva sorriso con amore quando
il ragazzo aveva affittato una stanza per non destare sospetti. Ora,
invece, era piombata nella stanza, aveva estratto uno stiletto decorato
dalla cintola e gli era saltata al collo, gridando
“Assassino!”. Lo scontro tra i due era stato
violento e insaziabile, ma l’unica cosa che il ragazzo
pregava non accadesse era quella che le Guardie Imperiali accorressero
a dar man forte alla donna. Dopo aver assaporato il proprio sangue a
duello ed essere stato ferito in più punti, il ragazzo era
riuscito a dare il colpo di grazia, uccidendo quella povera donna
provato del minimo desiderio di farlo.
Lasciando al galoppo la locanda sul suo cavallo baio, con una mano
premuta su una ferita profonda al fianco, il nuovo giovane servo di
Sithis si era lasciato condurre al riparo dal suo fedele palafreno.
Solo un estenuante viaggio di metà giornata
l’aveva condotto moribondo alle porte di Cheydinhal, sotto
una pioggia violenta e un cielo rimbombante di tuoni. Crollato di sella
sul selciato, il ragazzo era stato sopraffatto da un gruppo di cappucci
neri. Poi aveva perso conoscenza.
Al suo risveglio, un uomo dal volto troppo bianco per sembrare umano e
canini pronunciati disse di aver vegliato su di lui durante la sua
guarigione e di aver ricevuto dalla Grande Madre un messaggio che
profetizzava il suo avvento e lo presentava alla Confraternita come l’Eletto.
Della sua vita precedente, prima di imbracciare la Lama di Pena, l’Eletto
ricordava pochi e indefiniti episodi. I suoi addestramenti e i nomi
delle sue vittime avevano persistito, ma tutto ciò che era
stato per lui la Gilda dei Ladri era scomparso nelle mani della Madre
Notte che, come gli aveva detto Vicente il Vampiro, l’aveva
offerto alla Fratellanza assieme a grandi progetti.
Confrontandosi con altri aspiranti portatori del volere di Sithis,
aveva acquistato capacità fisiche e atletiche che non
avrebbe mai immaginato di possedere. Arrampicarsi sui muri
più contorti e saltare da altezze spropositate senza
riportare la minima contusione, avevano fatto di lui l’Uccisore
perfetto.
In quegl’anni di servizio e dedizione per la Confraternita
aveva conosciuto molta brava gente, tra cui una ragazza, Antoniette
Marie, un Imperiale come lui. Una fanciulla troppo dolce, troppo bella
per uccidere un uomo senza prima averlo infatuato di sé; e
forse era proprio quella la tecnica che adottava sulle sue vittime. Ma
per chiedere lei questo l’Eletto
aveva troppo pudore. Il suo primo contratto ufficioso era stato un
successo eclatante, grazie al quale si era guadagnato una grande
ammirazione da parte di Ocheeva, reggente del Santuario, e suo fratello
minore Teinaava, Alchimista della Compagnia della Mano Nera.
Talaendril, un’assassina preceduta dalla sua fama, aveva
cominciato a mostrare un certe interesse per le sue capacità
e gli ronzava spesso attorno con modi che facevano intendere un solo
obbiettivo. L’Eletto
aveva intenzione di preservare la sua castità fin quando la
Grande Madre Notte non avesse espresso il suo volere
d’accoppiamento per lui. Col tempo, e comunemente per via
delle sue gesta, era nato anche il completo disappunto di un Khajiit di
nome M’Raaj-Dar, che riforniva gli assassini
dell’equipaggiamento richiesto. In tutti gli incarichi fin
ora svolti, l’Eletto
era stato sempre respinto dal Khajiit, e perciò costretto ad
arrangiarsi quando si trattava di far fuori qualcuno in modo
“particolare”. All’uomo-micio piaceva
rivolgersi lui con l’appellativo di scimmia,
poiché la somiglianza con gli Imperial era ben nota a molti
appassionati di natura o “membri” della stessa.
M’Raaj-Dar l’aveva e avrebbe continuato a guardarlo
dall’alto in basso, non stancandosi mai di chiamarlo apprendista o, nel
peggiore dei casi, novizio.
Eppure il ragazzo era già stato promosso al grado di
Uccisore! Forse era proprio questo che al leoncino non andava
giù. M’Raaj-Dar non era passato oltre quella
soglia per il volere divino interpretato da Lucien durante la sua
visita alla cerimonia di passaggio del Khajiit.
Quello sarebbe dovuto essere per l’Eletto
il suo glorioso terzo contratto. Aveva appena squartato Valen Dreth
attraverso le sbarre della sua cella senza allertare o ferire nessuna
guardia della Legione. In cambio della massima discrezione, Vicente
Valtieri gli aveva promesso la promozione e un bonus. Una volta uscito
dal passaggio segreto che collegava le fogne ad una cella della
Prigione, il ragazzo aveva puntato la freccia del suo arco contro Valen
attraverso le grate. Ucciso il prigioniero, si era recato
silenziosamente nella sua cella e, dopo aver estratto la freccia
d’acciaio dal cuore, aveva riverso il corpo sul pagliericcio
in modo tale che sembrasse dormire. Forse qualcuno avrebbe fatto caso
alla sua parlantina folle improvvisamente assente, ma nessuno avrebbe
sospettato di un omicidio per il tempo a lui necessario per
ripercorrere i suoi passi. L’Eletto
si era gettato nuovamente nel passaggio segreto e aveva fatto il
percorso all’inverso. Intravista la luce del giorno alla fine
del canale delle fogne, si era permesso di assaporare gli elogi di
Vicente, le battutine sarcastiche del Khajiit sulla sua razza e le
moine di Talaendril, alla quale aveva una mezza idea di cominciare a
dare filo da torcere.
Tutto era andato perduto per colpa di quella maghetta dalle orecchie a
punta, che gli era saltata addosso appena era uscito dalle fogne
attraverso lo sbocco sul lago. Aveva provato a fuggire, allontanandosi
con l’incantesimo d’invisibilità che il
segno zodiacale dell’Ombra gli offriva, ma le Bretoni
più pettegole e fissate con le buone maniere dovevano
capitare tutte a lui! Era vero, l’Eletto
non sapeva nuotare: per tutta la sua breve carriera da ladro e ancor
più breve da Assassino non ce n’era mai stato
bisogno, e di questo ringraziava unicamente l’Unicorno della
Fortuna. Spesso e mal volentieri l’Eletto
aveva ascoltato le lamentele dei suoi compagni Uccisori, alcuni dei
quali erano stati mandati ad estirpare una colonia di infedeli e
traditori in una grotta subacquea. Non aveva preso parte a quella
missione chissà per quale benevolo volere Divino!
Il ragazzo, sentendosi un po’ meglio, si alzò da
terra e andò ad affacciarsi oltre le grate della cella,
posandovi le mani. Purtroppo la missione era stata compromessa da una
streghetta strafottente, pensò l’Eletto
serrando i denti e arroventando la presa delle mani sulle grate. Ora
anche il suo bonus poteva andare a farsi fottere, per non parlare di
M’Raaj-Dar, che avrebbe avuto un altro dolce pretesto per
sfotterlo all’infinito! Ocheeva avrebbe scritto di lui nel
suo diario di Custode del santuario come un fallimento fatto persona.
Talaendril avrebbe smesso di strusciarglisi addosso smaniosamente ogni
volta che ne aveva l’occasione, cercando invano di eccitarlo.
Vicente lo avrebbe bandito, o peggio ancora, ucciso cibandosi della sua
stessa carne.
Il ragazzo soffocò un grido di rabbia battendo la testa
sulle grate. Il dolore fisico, fin da quando era entrato nella
Fratellanza Oscura, lo aiutava a sopportare quello mentale. Per un
breve istante dimenticava le stupidaggini che aveva fatto, gli errori
commessi e le pene future concentrandosi sul fastidio momentaneo.
Ma che dico…
non solo la missione è compromessa. Io sono compromesso! La
Fratellanza lo è! Quando le guardie capiranno cosa ho fatto,
quando noteranno che Valen è morto e si ricorderanno di
avere un prigioniero di troppo, torneranno da me e mi tortureranno
finché non confesso quello che aspettano di sapere da
generazioni, ovvero dove è nascosto il quartier generale
della Confraternita! Vicente mi ha avvertito di questo pericolo, ma
è anche vero che confidando nelle mie capacità ha
per tanto preferito non istruirmi su come uscire da questa maledetta
prigione! E adesso eccomi qui, braccato peggio di un animale, senza
né cibo, né acqua, tantomeno qualcosa con cui
andarmene…
Stava per ripetere il gesto di sbattere la fronte al muro, quando un
suono improvviso attirò la sua attenzione nel buio
corridoio. Due topolini scapparono squittendo.
Il ragazzo sbirciò qua e là trattenendo il
respiro. I suoi grandi occhi azzurri, sgranati dalla sorpresa e dalla
circospezione, si scontrarono ad un tratto con due intense iridi
castane e dolci come il cioccolato, comparse dal nulla e sospese a
mezz’aria fuori dalla cella. Inizialmente, non seppe
perché, ma pensò che si trattasse della maga
incontrata sulle rive del lago. Un brivido tormentato gli
risalì la spina dorsale.
-Ciao, bellezza- sussurrò una voce sensuale, femminile e
inconfondibile.
La sua Armatura Velata la rendeva un tutt’uno con
l’oscurità. Era sospesa a mezz’aria per
via di una fune sottilissima e tagliente che scompariva sul soffitto,
dove il ragazzo scorse la fessura di una pietra tondeggiante
leggermente spostata.
Il giovane servo di Sithis indietreggiò nella cella.
Talaendril poté capovolgersi sulla fune e toccare terra coi
piedi. Alcune ciocche dei capelli neri sfuggivano dal cappuccio e le
cadevano in morbidi boccoli sulle spalle. La tenuta da Assassina aveva
sempre risaltato il suo seno prosperoso in modo tale che difficilmente
un uomo avrebbe saputo resisterle. Sulla schiena portava un prestigioso
arco dedito solo ai migliori e la faretra decorata ospitava uno
spaventoso arsenale di Rose di Sithis: frecce micidiali in grado di
uccidere un orco – senza armatura - al primo colpo.
L’Eletto
cercò invano di nascondere l’immenso sollievo che
poco si addiceva ad un Uccisore esperto; piuttosto si scoprì
ad arrossire. Sperando che l’Assassina non lo notasse,
ringraziò i Nove di aver fatto loro dono del buio.
-Sono felice che tu sia qui- disse un po’ impacciato
mostrando una sincera gratitudine.
-Non ringraziare me, Gabriel, ma Sithis- spiegò la ragazza
forzando la serratura. –La Grande Madre ha predetto la tua
morte, in caso fossi rimasto dentro, e ha preferito avvertirci in
tempo-.
Lui sgranò gli occhi. –Cosa?! Io?! Ucciso?!-
balbettò. –È impossibile,
come…???-.
-Sssssh!- fece lei, azzittendolo con un dito sulle labbra.
–Ti spiego tutto più tardi- disse aprendo
finalmente la cella.
A quel punto i prigionieri delle celle vicine attaccarono baldoria
chiedendo di essere liberati a loro volta.
Gabriel si tastò l’armatura in più
punti. -Le mie armi, dobbiamo…-.
-Alla tua roba penso io; tu devi andartene subito- gli
ordinò la donna indicando al ragazzo la fune che pendeva dal
soffitto.
Talaendril si piazzò a profilo basso
nell’oscurità, accovacciandosi in perfetto
equilibrio sulle punte dei piedi. Con un movimento veloce e
impercettibile, trasse l’arco e incoccò una
freccia, pronta a far fuoco da un momento all’altro.
Gabriel eseguì gli ordini del suo superiore senza replica
alcuna: si arrampicò sulla fune con la sola forza di braccia
e gambe, evitando di dondolare troppo. Appena fu all’apice,
scostò ulteriormente il blocco di pietra quel tanto
necessario per passare. Emerse in una stradina deserta stretta tra due
case, notando che era ancora giorno e la luce gli voleva male agli
occhi. Facendo leva sulle braccia si accovacciò e si
guardò attorno circospetto, assicurandosi che nessuno
l’avesse visto o stesse ancora guardando. Poi
lanciò un’occhiata nel pozzo scuro che erano le
Prigioni Imperiali e assaporò la libertà come
quando era bambino e se la dava a gambe con un solo grimaldello.
-Talaendril!- chiamò, ma non ottenne risposta.
Piuttosto udì i pesanti passi di due guardie e le vide
affacciarsi alla sua cella ormai vuota.
Ma lei
dov’è?! Si chiese con ansia nel
dubbio.
-Il prigioniero è scappato!- disse il primo soldato con la
torcia in mano.
-Presto, avverti il Priore!- aggiunse l’altro, mentre Gabriel
riavvolgeva la fune alle loro spalle senza che se ne accorgessero.
Fortunatamente il suo corpo faceva ombra sul foro e la luce del giorno
non arrivava nel corridoio, o quei due scimmioni avrebbero notato la
botola segreta della quale, prima di allora, neppure Gabriel conosceva
l’esistenza. Gente esperta e di gerarchia superiore come
Talaendril doveva sapere molto altro che ad un comune Uccisore era
taciuto.
-Ehi, tu!-.
Per la sorpresa Gabriel balzò in piedi, ma nel momento in
cui la sua figura si scansò dalla botola, la luce del sole
poté filtrare attraverso il foro nel terreno. Mentre dalla
Prigione salivano le imprecazioni delle Guardie e alcune bestemmie,
assieme alle urla eclatanti di una mandria di prigionieri in fuga,
Gabriel si trovò di fronte proprio il Comandante della
Legione in carne e ossa: era un Imperial sulla trentina, forse suo
coetaneo. In quel momento non indossava l’elmo, e i capelli
castani gli cadevano riccioluti sulle spalle. Aveva occhi verdi selva e
un accenno di barba che gli conferiva un aspetto più vissuto
di quanto il fisico allenato e l’imponente armatura
d’argento non gli regalassero già. Doveva essere
capitato in quella stradina desolata per caso, durante una normale
pattuglia o un’abituale passeggiata per la città.
L’Eletto
si rese conto di aver fatto il grande errore di non tirarsi su nemmeno
il cappuccio.
Il Comandante Fhenius Lex impugnò lo spadone
d’argento con due mani e venne verso di lui a grandi passi.
–La vostra puzza di fogna vi precede, Assassini!-
esordì.
Gabriel, preso da un moto di rabbia, fece per portare la mano ad
un’arma che ricordò di non avere. Il tempo perso
gli costò un affondo del Comandante, che arrivò a
sfiorargli la testa di pochi centimetri, ma
l’agilità e la prontezza di riflessi di un figlio
della Grande Madre non hanno eguali.
Gabriel scansò anche il secondo attacco, guadagnandosi
l’odio profondo dal Capitano quando se lo vide fuggire via da
sotto al naso.
Approfittando della sua distrazione, il ragazzo si arrampicò
come un ragnetto sulla casa affianco e scomparve saltando sui tetti.
-Guardie! Guardie!- gridava quello dal basso.
Continuò a correre a lungo, saltando da un tetto
all’altro, facendo attenzione alle tegole malferme e senza
guardarsi indietro. Ad un tratto raggiunse il vertice di un edificio
abbastanza alto e si stese a pancia sotto con un braccio attorno al
comignolo.
La botola segreta sfociava nel distretto dei Giardini, dove alloggiava
il popolo ricco della Capitale. I bei prati verdi, i fiori colorati e
gli aromi intensi di quel distretto lo rendevano noto e ricercato per
la sua serenità. In compenso il resto della città
era un putiferio. Battaglioni di guardie a piedi andavano e venivano
dal distretto delle Prigioni battendo più volte gli stessi
metri di strada. Soldati a cavallo erano accorsi in soccorso del
Capitano delle Guardie e sembravano avergliene ceduto uno. Ora Fhenius
Lex aveva una vista sopraelevata del circondario e si spostava per le
strade ad un galoppo agitato, con lo spadone nel fodero ed entrambe le
mani sulle redini. La sua era una guerra personale contro gli
assassini, che si diceva avessero ucciso i suoi genitori
quand’era bambino. Poi il futuro Capitano aveva raggiunto gli
zii nella Città Imperiale, e adesso eccolo lì, a
disseminare il panico tra la gente di Cyrodiil chiedendo di un
pericoloso Servo di Sithis sfuggito al suo pugno di ferro.
Nel giro di pochi minuti tutta Imperial City era sulle sue tracce, e
presto o tardi il resto della Contea sarebbe stata informata e la prima
guardia alla quale Gabriel si fosse rivolto, l’avrebbe
riconosciuto senza indugi.
La taglia sulla testa di un assassino era così alta che
Gabriel si sarebbe consegnato alla Legione di persona al posto di chi
invece, come lo stalliere fuori le mura, si prendeva la briga di
tenergli il cavallo tutte le volte che era in città.
-Se non fossi così vecchio, mi unirei volentieri al vostro
ordine!- aveva detto una volta mentre Gabriel gli consegnava il suo
baio, che il vecchio elogiava sempre come un cavallo di
qualità eccezionali. –Conosco tanta di quella
gente che meriterebbe l’Inferno! Quand’è
che la vostra Dea farà un pensierino sugli esattori delle
tasse?- poteva sembrare una battuta divertente sui favori che la
Confraternita faceva al popolino, ma di fronte a parole del genere
Gabriel non poteva far altro che tacere e ignorare il ricordo di essere
stato presente quando pronunciate. Se qualcuno della Legione avesse
saputo che lo stalliere trattava con gli Assassini, il poveretto
avrebbe avuto l’onore di sperimentare sulla propria carne
cosa aspetta i servi di Sithis nelle Prigioni, tra le torture e le
peggio infamie.
Quella volta Gabriel ritirò il suo cavallo di gran corsa e
fuggì al galoppo senza nemmeno salutare o pagare. Per
raggiungere Cheydinhal ci sarebbero volute alcune ore di viaggio e non
aveva la minima intenzione di farsi sorprendere disarmato da furfanti o
altre guardie.
Finalmente aveva fatto notte, e sopra di lui si apriva un magnifico
cielo stellato. Tirava un venticello fresco, tipicamente primaverile.
Cheydinhal era il ritratto della tranquillità: le acque del
fiumiciattolo che la traversava erano calme, le pattuglie controllavano
le strade, i lampioni lungo i viali diffondevano una luce delicata, ma
la gente era già sotto le coperte nelle proprie case. In
lontananza, un gufo delle montagne cantava alla luna piena.
Gabriel camminava svelto sul sentiero di pietra che costeggiava il
muretto basso di varie proprietà. Si strinse nel mantello
che gli copriva le spalle ad una nuova folata di vento e
sprofondò ancor più nel cappuccio,
l’unica sicurezza che aveva di sé. Persino
quand’era stato ladro per la Volpe Grigia aveva sempre
preferito tenere il volto coperto, come se avesse comunque qualcosa da
nascondere, anche se non aveva rubato nulla o ucciso nessuno.
Giunto nei pressi della Casa Abbandonata, Gabriel ripensò
all’arciera che aveva lasciato nelle Prigioni a cavarsela da
sola. Mentre scansava le assi che bloccavano la malandata porta
d’ingresso, pregò che Talaendril portasse fede
alla sua fama ancora una volta e sperò di poterla rivedere
alla tavola della Fratellanza quella sera stessa; per poterla
ringraziare, ovvio! e non solo per riavere il suo equipaggiamento.
Appena fu nel buio ingresso della casa, non esitò un istante
su dove mettere i piedi: aveva percorso la strada per il Santuario
abbastanza volte per poterla fare ad occhi chiusi, nonostante le
finestre sbarrate e la mobilia rovesciata che ostruiva il passaggio.
Quella catapecchia di casa puzzava di chiuso peggio delle fogne, dove
almeno il flusso d’acqua era costante e si rinnovava spesso.
Arrivò a toccare con mano la maniglia di una porticina
scavata nel sottoscala. L’aprì e si
avventurò nell’oscurità della cantina.
Trovò una parete sfondata e proseguì oltre a
passi svelti, senza mai voltarsi indietro.
In realtà non aveva troppa fretta di riferire a Vicente la
riuscita parziale del suo contratto. Avrebbe dovuto uccidere Valen
senza venir notato dalle guardie, figuriamoci farsi arrestare! Per di
più, il Comandante non avrebbe scordato facilmente la sua
faccia e non avrebbe tardato a sbatterla nelle locande,
perché in città girava voce che fosse anche un
bravo pittore oltre che un uomo col pugno di ferro in guerra e legge.
Gabriel fu costretto a fermarsi di fronte all’immenso portone
scavato nella pietra che celebrava l’ingresso del Santuario,
pur di non andare a sbatterci contro. Alzò lentamente gli
occhi in quelli del grande teschio dipintovi di colori grotteschi e
distolse subito lo sguardo rodendosi l’anima.
Per i guai che ho
combinato, potrebbe essere l’ultima volta che attraverso
questa porta! Si disse. Maga dei miei stivali! Ma
perché non l’ho uccisa subito?! Si
chiese con un nuovo moto d’ira che gli sarebbe costata una
capocciata, se solo la voce del Santuario non avesse parlato dicendo:
-Di che colore è la notte?- il sussurro di Sithis
riecheggiò nelle viscere del mondo e s’immerse
nell’anima tormentata del ragazzo, acquietandolo.
Prendendo un gran respiro profondo, Gabriel alzò fieramente
il mento, si raddrizzò composto e rispose: -Sanguine, mio
fratello-.
E la porta si aprì.
.:Angolo
d’Autrice:.
Questo capitolo ha innescato una serie di eventi affascinanti che mi
stanno letteralmente intrappolando nella dimensione magica di Oblivion.
Non riesco più a staccarmi da quel gioco se non per tornare
davanti al PC e scrivere questa storia! XD Confesso di aver
già pronti i 2 capitoli successivi, ma che prima di postarli
mi piacerebbe leggere alcuni vostri commenti su un fattore particolare:
il nome dell’Assassino. Gabriel mi attizzava, ma
l’ho trovato estremamente banale nel corso della narrazione.
Avreste qualche idea migliore? Ditemi di sì, vi prego! ._.
Sono disperata! In caso posso anche lasciarlo tale… dipende
da voi! XD
In secondo luogo, volevo chiarire che l’uccisione di Rufio
nella Locanda Cattivo Auspicio è un reale contratto della
Confraternita Oscura del gioco. Lucien Lachance è un
personaggio, assieme al Khajiit al quale stanno sulle scatole gli
umani, realmente presente nel gioco, assieme ad Ocheeva, Vicente,
Antoniette Marie e Talaendril. Se siete un Assassino della
Confraternita, potrete confermare la presenza di questi pg recandovi
nel Santuario. Se ancora non lo siete, per diventarlo (e qui partono
gli spoiler) vi basta uccidere un innocente come accaduto al mio
Gabriel quando lavorava per la Gilda dei Ladri :3 che cosa tenera,
vero? Questo ed altri sono i motivi per i quali la storia AFFONDA negli
spoiler, che riguarderanno la Confraternita Oscura e la Gilda dei
Maghi, con qualche collegamento anche ai combattimenti
dell’Arena e alle commissioni della Gilda dei Ladri. (La
missione per conto della Volpe Grigia, il capo della Gilda dei Ladri,
fallita da Gabriel è di mia invenzione, almeno quella! XD)
La missione nelle Prigioni, dove Gabriel ha ucciso Valen Dreth,
è anche quella un contratto reale del gioco.
x SnowDra1609:
purtroppo non conosco Fallaut, perciò puoi stare tranquillo
che lì non verrò a perseguitarti con le mie
storielle strappalacrime! XD Sono consapevole, scrivendo questa fan
fiction, di star romaticizzando un po’ l’atmosfera
cupa e avventurosa di Oblivion, scrivendo di una storia
d’amore che si avvicina (ma non è) a Romeo e
Giulietta. Sono felicissima che tu abbia notato la
compatibilità col gioco! Sto cercando di essere il
più dettagliata e fedele possibile ai personaggi sia alle
ambientazioni del videogame. “Orrori” di ortografia
non ho dubbi che me ne sia sfuggito qualcuno. Purtroppo, anche quando
mi metto di buna volontà a rileggere cosa scrivo 2, 3 volte,
mi sfugge sempre qualcosa… grrrr, che rabbia! Grazie mille
per la rece ^^ aspetto commenti! :D
x renault:
se non hai ancora giocato il gioco, ma ti affascina il mondo del GDR,
te lo consiglio vivamente. Io personalmente non sono una fans troppo
accanita di questo genere di giochi, ma in Oblivion ho visto la luce!
Amo davvero moltissimo le avventure che mi sta facendo passare! XD
Un’altra cosa che ti consiglio col cuore, però (e
un po’ forse ti dispiacerà) è quella di
sospendere la lettura di questa fiction. Contiene davvero troppissimi
Spoiler per una che non ha ancora iniziato l’avventura. Sappi
che apprezzo moltissimo i tuoi commenti, mi piacerebbe sapere che tra
le mani stringi una copia del gioco e ancora di più vederti
tornare informata almeno sulla storia principale! XD Grazie mille per
le rece! ^^
Detto ciò, mi defilo. È davvero tardissimo ed io
non riesco a tenere gli occhi aperti.
Lettori silenziosi… timidoni! :D
Alla prossima! ^^
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Capitolo 4 *** Questione di... frutta ***
4. Questione
di… frutta
Com’era abitudine, Elion lasciò Noilé
alle Scuderie Cavallo Sauro appena fuori le mura di Imperial City. La
stalla era gestita da un’orca con la quale poteva dirsi avere
un saldo rapporto confidenziale. Quando la maga le affidava la sua
cavallina, si divertivano a spettegolare insieme dei viandanti
più strani che capitavano ad entrambe d‘incontrare
durante i loro viaggi. Ad avere le chiavi di baracca assieme
all’Orca era un anziano Imperiale, un certo Ubertos con un
passato misterioso legato al culto dell’equitazione.
Elion smontò di sella che un magnifico tramonto si
specchiava sulle acque del lago. I bracieri erano già accesi
e gestiti dalle guardie cittadine. I soldati in tenuta passeggiavano
lungo il ponte che collegava Imperial City alle foreste selvagge e che
Elion aveva appena percorso al trotto per arrivare alle scuderie.
A venirle incontro non fu l’amica dalla pelle verde, ma il
suo fedele assistente, Prassitelo, un piccolo Elfo malaticcio e un
po’ sbadato dalla zazzera rossa che stava imparando il
mestiere. Il ragazzo poteva avere l’età di Elion
oppure no, perché a guardarlo in viso sembrava un ragazzino,
mentre il corpo era “maturo per la guerra!”, come
avrebbe detto Laenzio.
-Buon dì, madonna maga!- la salutò allegramente
prendendo le redini di Noilé che Elion gli passò
con cortesia. –I padroni non ci sono, ma Titch mi ha
avvertito che sareste rientrata in serata con la vostra cavalla- disse
tirando l’animale verso la recinzione che precedeva le stalle
vere e proprie.
Elion sorrise. Titch
era il soprannome affibbiato alla ragazza dalla pelle verde che in quel
momento sembrava essere altrove. –Quando sono uscita
l’ho vista bere con un amico sul portico di casa. Sei sicuro
che non siano dentro a fare baldoria e hanno preferito lasciarti solo a
lavorare?- chiese divertita alludendo alla baracca vicino alle
staccionate.
Prassitelo scosse la testa altrettanto allegro. –No, madonna,
sono sicuro al cento per cento che non è così:
l’Orco di cui parlate era il Campione dell’Arena,
il Principe Grigio. Spesso viene a trovarla ed è vero:
bevono e chissà cos’altro fanno insieme; ma
l’episodio risale sicuramente a prima di quando, un paio
d’ore fa, sono venuti alcuni soldati. Hanno chiesto ai
padroni di seguirli in caserma. Titch
e Ubertos mi hanno affidato la scuderia, ma non sono ancora tornati- la
informò legando la cavalla alla staccionata;
dopodiché iniziò ad allentare le cinghie della
sella.
Elion si rabbuiò. –È successo
qualcosa?-.
-Purtroppo sono poco informato di questo, madonna- rispose lui
stringendosi nelle spalle. Tolse morso e testiera a Noilé e
sostituì il tutto con una fune che le legò al
collo; poi accompagnò la cavalla dentro al box.
-D’accordo- l’Elfa dovette accontentarsi di quella
misera spiegazione, seppur poco convinta. I guai con la legge, che
sapeva come farli scontare, li avevano un po’ tutti a
Cyrodiil; non c’era da stupirsi se per qualche balla di fieno
rubata o tassa evasa la Legione si scomodava all’improvviso e
senza avvertire. –Ti spiace se pago domattina? Non ho denaro
dietro, al momento- disse rivolta al giovane, che nel frattempo aveva
iniziato a spazzolare il manto pezzato della cavalla.
Per fortuna…
aggiunse mentalmente la maga. O
chissà di cosa sarebbe stato capace quel ladro se mi avesse
vista con addosso oggetti di valore. Aspetta… ma io addosso
non avevo nemmeno i vestiti! pensò con una
risata.
Prassitelo non riuscì a mostrarsi disinteressato. Una cosa
fondamentale che gli avevano insegnato con rigore il vecchio Ubertos
sia l’Orca era fare meno domande possibili ai clienti,
tenendo per sé qualsiasi dubbio, e poi spettegolare con gli
amici se lo si riteneva necessario. –Certo, ma…
perché ridete?-.
-Oggi mi è successa una cosa strana. Te la
racconterò domattina in compagnia di Titch ed Ubertos,
così mi risparmierò di ripetere la stessa solfa
più di una volta- fu la risposta evasiva di lei, che per
quella sera aveva ben altro in progetto di fare.
Prassitelo annuì per forma.
Elion accennò un inchino carico di rispetto, che ad un
comune stalliere non si doveva, e si avviò dentro la
città a passo tranquillo.
Le vicende di quella mattina l’avevano turbata durante tutto
il resto della giornata. Galoppare con Noilé non
l’aveva distratta come avrebbe sperato. Era rimasta a pensare
al ragazzo che lei stessa aveva sbattuto in prigione, immaginandosi se
Laenzio avrebbe ordinato di farlo torturare. Quell’uomo le
voleva un bene dell’anima, e sapere che qualcuno aveva
tentato di violentarla con chissà quali intenzioni doveva
averlo fatto imbestialire. Dietro alla maschera allegra che le aveva
mostrato nello studio della Prigione, Elion sapeva che il suo vecchio
aveva preferito tenere nascosta una faccia ben peggiore: quella del
padre geloso che poteva permettersi di essere solo con lei. La cosa un
po’ lo riempiva d’orgoglio, e perciò si
montava la testa, ma un po’ lo faceva sembrare
l’uomo che per Elion, al contrario, non era. Perdere i
contatti il giorno in cui la ragazza era partita non aveva fatto bene a
nessuno dei due. Dopo che si erano rivisti, il vecchio Priore sarebbe
stato presente il doppio nella sua vita, venendole a consegnare le
lettere personalmente alla porta della sua camera
d’Università, se necessario. La ragazza si
stirò i capelli all’indietro e pensò
che occuparsi di Laenzio era un nuovo problema da sommarsi a tutti
quelli che gli studi universitari avrebbero rappresentato per lei.
Distretto di Thalos
Plaza. Un bel posto, forse il più vivibile di
tutta Imperial City se si cercava gente buona con cui parlare la
mattina affacciati a una finestra, bambini a giocare per le strade con
prestigiose biglie di vetro, buone locande, anziani pettegoli, ma
soprattutto una sorveglianza costante e un tasso altrettanto alto di
furti e incendi persino di giorno.
Lo spettacolo serale era un po’ diverso da quello che Elion
aveva registrato nella propria mente, uscendo ogni mattina dalla
città per cacciare ingredienti Alchemici in natura.
La gente si riversava per le strade diretta a casa e sembrava venirle
incontro peggio di un fiume in piena. Elion andava nella direzione
opposta, stringendosi nelle sue vesti d’apprendista e
camminando a passi sempre più svelti verso
l’Università. Il tempo stringeva, presto avrebbe
fatto buio sul serio e la sua adorata Capitale sarebbe stata molto meno
sicura, anche con tante guardie armate fino ai denti e munite di torce
a pattugliarla.
Ora che ci faceva caso, Elion notò un numero spropositato di
soldati: alcuni rumoreggiavano coi propri stivali, altri si spostavano
per i vicoli a cavallo o gruppi di tre, quattro armati.
E che starà
mai succedendo? Si chiese con preoccupazione crescente.
Prima la sua amica e Ubertos chiamati in caserma, ora questo. La
città sembrava in stato di allerta, ma lei non aveva ancora
incontrato nessuno che glielo avesse detto con parole chiare.
Cominciava a temere che la faccenda fosse seria e di quei tempi non era
una novità: il Re morto, un Consiglio diviso, Gilde di Ladri
a piede libero e Negromanzia ovunque.
Giunta alla grande statua di Thalos posta nel centro del quartiere,
Elion svoltò a destra per il distretto del Tempio.
Attraversò le porte che dividevano l’una e
l’altra zona della città assieme ad un convoglio
di soldati e ne approfittò per chiedere novella. Una guardia
le rispose bruscamente che erano faccende lungi dalla portata della
Gilda dei Maghi, ed Elion comprese bene che tanta scortesia era dovuta
ai soliti pregiudizi per via della sua veste. Continuando a sbuffare,
la ragazza arrivò finalmente nell’Arboreto,
l’ampio spazio aperto e verdeggiante che precedeva
l’ingresso al distretto dell’Università.
Nel centro sorgeva l’imponente statua di uno dei Nove epici
patroni: Akatosh, il Drago.
Elion provava un immenso rispetto per quelle creature, protettrici
dell’equilibrio e portatrici di saggezza. Si credeva che i
draghi non solo fossero bestie di forza estrema, ma anche di grande
intelletto e senso dell’onore. Tutta la razza dei Draghi
vedeva in Akatosh, il più grande di questi, il loro massimo
esponente, la punta di diamante, per così dire. Akatosh
aveva fatto parte del Primo Consiglio fondato da Alessia e si era
distinto per la sua compassione verso gli Imperiali e la sua
predisposizione al bene. C’era da tener conto che molti, se
non tutti i draghi odierni, venivano assoggettati dalle forze malvagie
e costretti alle peggio infamie, e perciò il mito del Drago
bianco (buono) si era affievolito fino a scomparire. La Gilda dei Maghi
era impiegata da secoli, onorevolmente, alla liberazione dei Draghi e
alla loro salvaguardia. Questo era un aspetto spesso tralasciato dagli
stessi che tendevano a dare la razza dei Draghi per estinta.
Come si
sbagliano… pensava Elion entrando nei terreni
dell’Università. Nessuno immagina che Akatosh
vive ancora! Si dice che solo l’Arci-Mago conosca la sua
attuale posizione e che sia stato il Dragone in persona a confidarsi
con lui, in tempi remoti. Ma Hannibal Traven custodisce avidamente
questo segreto, intenzionato a rivelarlo al suo successore unicamente
sul letto di morte. Ma prima che quel vecchio alambicco dalla barba
bianca si spenga, ci vorranno altre 20, 30 generazioni!
Una delle curiosità che aveva spinto Elion ad intraprendere
il sentiero della magia, era stato proprio quello: poter entrare un
giorno a conoscenza del nascondiglio di Akatosh e dimostrare agli
scettici che i Draghi buoni erano sempre vissuti e sarebbero continuati
ad esistere. L’unico modo per avere possesso di quel segreto
sarebbe stato sostituirsi all’Arci-Mago dopo la sua morte e
averlo affiancato durante. Ma Hannibal Traven si circondava solo dei
membri del Consiglio e figuriamoci se avrebbe preso in considerazione
una piattola pulciosa come lei.
Eppure Elion era immensamente orgogliosa di sé.
Già poter essere entrata
nell’Università rappresentava per lei un traguardo
onorevole e degno di rispetto. Perseguire al meglio gli studi e
perfezionarsi dove peccava sarebbero state le sue due uniche
priorità, una volta cominciate le lezioni, e niente, nemmeno
Akatosh in carne e ossa, avrebbe potuto distrarla.
Il suo sguardo troppo fiero e altezzoso le fece mancare uno scalino
della gradinata. La ragazza si ritrovò a rantolare
urlettando come una bambinetta fino ai piedi della scala, dove un Mago
Guerriero era vigilante. L’uomo l’aiutò
ad alzarsi non senza ridere di lei in modo affettuoso.
-Confida ancora un po’, Dannìlus: verrà
il giorno in cui mi abituerò a questi dannati gradini,
verrà- mugolò Elion appoggiandosi a lui. La
misura di quei gradini aveva un angolo particolare e una lunghezza
differente a tutti quelli seminati in città. Non
c’era da stupirsi se gente imbranata come lei ci cadeva come
una pera cotta.
Il soldato la scrutò coi suoi piccoli occhi verdi e il
sorriso premuroso sulle labbra. –Tu non hai il vizio di
cadere sui gradini, Elion. Tu hai il vizio di dare la colpa ai gradini
perché cadi su di essi- disse quando la ragazza fu stabile
sulle proprie gambe.
Elion si stirò le pieghe sulla veste e spolverò
le spalle. –Di’ la verità, un
po’ ti diverti a vedermi ruzzolare- lo rintronò.
Dannìlus tornò al suo posto di guardia, ritto e
fiero con la mano sull’elsa del pugnale d’argento.
–Un modo come un altro di spezzare la noia- ammise facendo
spallucce. Il taglio del cappuccio blu gli copriva una buona parte del
viso relativamente giovane: Dannìlus prestava servizio da
quando aveva compiuto trentina. Prima di allora era stato un mago
fedele all’arte dell’Evocazione e un guerriero
dotato di un ottimo polso.
Elion salutò e fece per avviarsi, ma per qualche strano
motivo tornò sui suoi passi e si rivolse nuovamente al
guerriero, porgendo lui la domanda che tanto l’aveva
assillata prima di giungere nei quartieri
dell’Università.
-Trambusto? In città? Mi spiace, non so nulla- ammise
Dannìlus sincero. –Sicuramente in giro
c’è qualcuno che lo sa, prova a chiedere a Raminus
Polus appena lo vedi. Nel frattempo vedrò di aggiornarmi- le
sorrise.
Elion, di rimando, accennò un inchino e poi sparì
nella penombra serale che andava delinearsi in cielo.
I focolari violetti ai lati delle gradinate che precedevano
l’Atrio dell’Arci-Mago erano accesi e belli
pimpanti, diffondendo una luce lattiginosa per il giardino che
circondava le proprietà esterne
dell’Università. Quelle interne erano accessibili
solo dagli studenti, dagli apprendisti e ovviamente da tutti i ranghi
maggiori della Gilda.
Elion si avvicinò ad uno dei due cancelli laterali e trasse
la chiave affidatole da Raminus per entrare.
La volta sopra la sua testa era punteggiata da milioni di stelle
luminosissime, la luna era piena e il cielo sgombro di nuvole. Allo
stesso tempo l’aria era satura di odorini invitanti, segno
che le cucine dell’Università erano già
all’opera per sfamare un mezzo centinaio di studenti e
altrettanti maestri.
Elion aprì e si richiuse il cancello alle spalle. Mossi
alcuni passi sulla strada che tracciava la circonferenza
dell’Atrio dell’Arci-Mago, avvertì
subito presenze amiche in avvicinamento. Il suo udito da Elfa non
deludeva mai, tantomeno la buona conoscenza di un suo caro amico.
Mattiùs doveva essersi nascosto da qualche parte pronto a
saltarle addosso come una pulce fastidiosa.
Mentre osservava un gruppetto di cinque studenti riuniti a
chiacchierare giocosamente sulle scale vicine agli alloggi dei maghi,
Elion lanciò un’occhiata all’unico
ragazzo seduto in disparte, in pizzo ad un rudere di colonna.
Il giovane le apparve davanti agli occhi in una posa profetizzata. Se
un’artista l’avesse visto sistemato in quel modo
sul rudere, avrebbe subito desiderato farne una scultura. Il titolo?
“Leggente” o “Colui che legge”.
Si chiamava Rouven ed era un purissimo Bretone della miglior specie.
Aveva un fisico allenato, ma non troppo gonfiato di addestramenti. Era
stato per molto tempo allievo privato di un Mago Guerriero fuori
dall’Università ed era entrato
nell’Ordine per motivi d’interesse: il suo mentore
era dovuto partire e l’aveva lasciato con denaro sufficiente
per pagarsi le spese alimentari di un anno. Rouven aveva scelto
d’impiegare quel denaro in un esame che gli garantisse il
posto nell’Università. I Maghi e Hannibal Traven
in persona avevano apprezzato le sue qualità di Illusionista
e l’avevano subito aggiunto alla lista degli iscritti. Le
doti magiche non gli erano mai mancate, la passione nello studio
neanche. Poi però il suo vecchio non era più
tornato e lui, terminati i soldi e le lezioni del primo corso, non
aveva saputo che fare. Raminus Polus l’aveva preso con
sé e aveva scelto di garantire per lui il resto
dell’anno accademico e di quelli a venire.
Rouven era due anni
avanti ad Elion, eppure si comportava come il nuovo arrivato messo
da parte da tutti. Aveva un viso magro, un bel naso e grandi occhi
chiari studiosi del mondo. I capelli mori li portava lunghi fino a
dietro le orecchie, e il cibo della sua anima erano i libri. Non
c’era momento in cui non si staccasse dagli amici per
dedicarsi alle pagine polverose di qualche tomo troppo nuovo o troppo
vecchio perché i suoi coetanei potessero interessarvisi.
Persino Elion spesso faticava a riconoscere autori o generi dei quali
Rouven si avvicinava così appassionatamente.
Seduto in pizzo a quel rudere di colonna, alla luce di un focolare
viola, i suoi capelli e parte del suo viso assumevano una
tonalità preziosa come una qualche gemma rara e antica. Era
concentrato a tal punto nella lettura, che ad Elion sembrò
opportuno passare oltre senza disturbare.
Si avvicinò al gruppo di studenti che facevano battutine
dalla scalinata, ma non osò guardare in faccia nessuno di
loro. Per un attimo aveva “sognato” di far parte di
quel gruppo, ma poi si era ricordata di essere lei quella messa da parte da tutti.
Con un sospiro di poco sollievo e tanto tormento, Elion sedé
su una panchina di pietra a pochi passi da entrambi. A destra
c’erano i collegiali pettegoli, a sinistra Rouven
voltò pagina con un rapido gesto della mano, insaziabile di
sapere cosa era detto nelle prossime righe.
Quella e altra gente, sparpagliata un po’ per tutto il
giardino esterno, attendeva di poter accedere alla mensa studentesca.
La cena si sarebbe tenuta tra breve: il forte odore di cucinato e
spezie fendeva l’aria e il numero di studenti riuniti sulle
scale cresceva a dismisura. Il frastuono aumentava, eppure Rouven
leggeva con la stessa parsimonia di sempre.
Elion un po’ lo invidiava.
Saper isolare la mente da tutto e da tutti era una capacità
che pochi, pochissimi avevano o acquistavano. Elion era certa che da
qualche parte, nei testi di magia, si davano gli elogi a chi ne fosse
capace e la si portava come materia di studio. Rouven forse aveva
appreso questa tecnica durante i suoi due anni accademici, ma allora
perché nessun altro era come lui? Elion si diede della
stupida: ovvio che nessun altro era come lui! A parte Rouven, (per ora)
non c’era nessun altro studente del II anno
nell’Università! D’estate gli
apprendisti, reduci di un anno di studi, facevano lunghi e avventurosi
itinerari assieme a maestri volontari, che li portavano con
sé a caccia di nuovi ingredienti alchemici, o semplicemente
alla scoperta della natura. Era un modo per avvicinare i ragazzi e le
ragazze al pacifico mondo della magia, e far comprendere loro che la
negromanzia era da sempre impegnata a distruggere un equilibrio
preziosissimo.
Elion ammetteva di essere anche un po’attratta dai ragazzi
misteriosi, severi e silenziosi come Rouven. Nell’arco di
quell’estate si erano parlati sì e no cinque volte
e sempre per ordine di qualcuno, che mandava uno a chiamare
l’altra o l’altra a chiamare l’uno.
Durante quei brevi momenti Elion aveva assaporato il suono docile e
perfetto della sua voce che poteva addirsi solo ad uno come lui che,
con molte probabilità, si era accorto già da
tempo del modo in cui lo guardava negli occhi quando
s’incontravano.
Ma come lo era lei, era difficile ignorare che almeno
un’altra dozzina di Elfe, Argoriane o Bretoni fossero
“innamorate” del suo animo tranquillo.
-Elion! Sei qui!- strillò una voce maschile e squillante
come una tromba.
A quel punto gli occhi di Rouven si staccarono un istante dal volume
che stava leggendo e si posarono su di lei. A salutare la ragazza,
però, era stato un rompiscatole Guardia Rossa. La pulce
fastidiosa che Elion si aspettava d’incontrare si era
spropositatamente lasciato cadere seduto al fianco della ragazza.
Elion era balzata per la sorpresa e arrossita per lo stupore di vedersi
gli occhi di Rouven puntati addosso. Solo quando il Bretone era tornato
a leggere, la ragazza si era permessa di battere una pezza per nulla
amichevole sulla spalla dell’amico.
-Mattiùs, dai, ti sembra il modo?!- sibilò a
denti stretti. Oltre alla breve attenzione di Rouven, erano caduti su
di loro gli sguardi pettegoli di tutti gli altri studenti attorno.
Alcuni avevano anche iniziato a parlottare sommariamente sotto tono.
-Perché mi picchi? Cos’ho fatto ‘sta
volta?- chiese quello con aria stupita. Il cestino di capelli che aveva
in testa pareva soffice come un cuscino. Di fatti Mattiùs
spesso dormiva senza.
-Devi smetterla di fare queste entrate teatrali, non ne posso
più!- brontolò lei premendosi le tempie.
Il ragazzo sembrò abbassare le orecchie a mo’ di
cane rimproverato dal padrone. –Pensavo ti avrebbe fatto
piacere un po’ di compagnia prima di cena. Ti ho vista tutta
sola, quelli parlavano di te…-.
Elion scattò dritta. –Chi?! Chi parlava di me?!-
sibilò guardandosi attorno.
Mattiùs indicò un gruppo di alchimisti vicino ad
un focolare viola. –Loro, però non fare movimenti
bruschi: niente scenate prima di cena, rammenta le parole di Polus-
l’ammonì.
-E adesso quella dalla bacchetta facile sarei io?- rise la ragazza.
Mattiùs si adombrò. –Non ce
l’avrai ancora a male per la battaglia di polpette volanti
della scorsa settimana, spero!-.
-Avresti potuto benissimo evitarlo- lo rimproverò.
-Sono state Amina e Teresia ad eccitare la folla! E poi mi hanno
provocato!- si difese il ragazzo.
Come ogni Guardia Rossa che si rispetti, Mattiùs aveva il
brutto vizio di dar troppo peso al proprio orgoglio, spesso e non
volentieri infangato da chi si credeva chissà chi. Di maghi
e streghe con la puzza sotto al naso
all’Università, soprattutto nella generazioni di
novizi di quell’anno, ne giravano parecchi, e tutti
sembravano aver cattivi propositi o atteggiamenti verso quel povero
ragazzo dalla pelle ambrata.
Mattiùs era un fiero Guardia Rossa che in mente aveva solo
una cosa: la magia della Distruzione. Voleva fare della sua passione la
sua occupazione. Suo padre era uno Spadaccino. In segreto Elion aveva
anche avuto occasione di conoscerlo al Tempio del Signore delle Nubi a
Bruma, dove aveva condotto Martin e Jeffrey al sicuro dopo aver
recuperato entrambi e l’Amuleto dei re. Lì la
compagnia degli Spadaccini aveva il suo quartier generale e
lì Elion aveva stretto la mano al padre di
Mattiùs per l’unica volta, prima di voltare le
spalle e affibbiare il destino di salvare l’Impero a qualcun
altro…
Tutta questa storia
è più grande di me, ed io non ci voglio entrare! Si
era detta fuggendo al galoppo dal Tempio, una notte, mentre tutti erano
ignari nei propri letti. Veramente non proprio tutti tutti. Elion aveva
intravisto un’ombra affacciata alla balconata del Tempio,
forse Jeffrey o lo stesso Re Martin che le auguravano un ultimo
silenzioso saluto e, chissà, magari qualche profetica frase
di buona fortuna. Alla mezz’Elfa non era importato comunque;
la priorità era mettere più strada possibile tra
lei e Bruma con un cavallo rubato, che poi avrebbe indirizzato sulla
via del ritorno appena raggiunta la Capitale.
Il frenetico ritmo di Imperial City l’aveva letteralmente
avvolta, fatta prigioniera tra stretti vicoli bui e agguati notturni.
La gente più gentile era quella mendicante; per nobili,
mercanti, pattuglie notturne o cittadini comuni indossava la sua come
una pelle di miseria ed eterna povertà. Si era stabilita per
qualche giorno sotto i ponti, poi Laenzio l’aveva trovata ed
era cominciata per lei la vita tanto attesa.
Finalmente i battenti del grande salone comune sotterraneo si aprirono
e gli studenti si riversarono sulle gradinate come un fiume in piena.
Qua e là le vesti colorate di Evocatori, Illusionisti e
Alchimisti spiccavano tra la folla, mentre i maestri e il resto dei
docenti avrebbero cenato in un’altra stanza. Elion, al loro
posto, non avrebbe agito diversamente: in mezzo a tutto quel trambusto,
persino i cani o i gatti dei maestri si rifiutavano di mangiare, troppo
infastiditi dai toni alti e dal chiasso degli studenti.
Il salone comune consisteva in una grande sala rettangolare. Le pareti
più lunghe erano quella di fondo e quella
d’ingresso, dove toccavano gli ultimi gradini della
scalinata. Ai muri erano appesi dipinti e arazzi raffiguranti le varie
arti accademiche (Distruzione, Misticismo, Alchimia, Illusionismo,
Recupero ed Evocazione), dal soffitto e dal pavimento spuntavano
bracieri magicamente fluttuanti assieme a qualche torcia alimentata di
fuoco stregato. Il pavimento in pietra ospitava un complesso di tappeti
finemente decorati che servivano ad attutire il suono di tacchi e
scarpe, che in un ambiente tanto vasto avrebbe potuto rimbombare.
Come ogni sera Elion consumò di fretta la sua cena. Il forte
desiderio di lasciare la sala comune il prima possibile e appartarsi
nelle sue stanze precedendo i coetanei le premeva nello stomaco
più della fame stessa. Mattiùs provava a starle
dietro altrettanto frettolosamente, ma faticava a scartare parti del
cibo che Elion evitava addirittura di mangiare. La ragazza era
già in piedi e diretta fuori dal salone quando
Mattiùs finì di ripulire il piatto con una
mollica di pane. La Guardia Rossa corse per raggiungerla e lasciarono
la mensa sotto gli sguardi curiosi degli studenti. Giravano
già le prime voci sul perché quei due stessero
sempre insieme, ma Elion decideva bene di ignorarle.
Gli alloggi dei Maghi erano una costruzione a due piani posta ai piedi
della cinta muraria che delimitava i quartieri
dell’Università. Oltre quel parabrezza ciclopico
incombevano le acque calme del Lago e la scogliera frastagliata contro
cui si abbattevano onde violente nei giorni di tempesta.
L’Università Arcana sorgeva su un isolotto
adiacente alla fetta di terra galleggiante su cui posavano le
fondamenta della Città Imperiale, alla quale era collegata
per via di un ponte in pietra massiccia. A rientrare nel complesso
architettonico dell’Università Arcana
c’erano diverse strutture, tutte disposte lungo le mura in
quest’ordine: gli Alloggi dei Maghi, gli Archivi Mistici, il
Planetario, La Sede degli Artigiani (detta Centro Praxografico
), il Chironasium
(dove s’incantavano gli oggetti e dove Elion sapeva che
l’attendeva il suo primo bastone ufficioso da mago), il Lustratorium (punto
di ritrovo dei migliori Alchimisti), le Aule di Allenamento (gestite da
un omone di nome Renald
Viernis) e in fine le sale di studio, lettura e
apprendimento. Là i maestri svolgevano i corsi regolari. Un
grosso orologio magico incastrano nella pietra del pavimento del
cortile interno scandiva le ore della giornata e quelle di lezione.
Elion entrò negli Alloggi dei Maghi e salì le
scale che portavano al secondo piano, fedelmente seguita da
Mattiùs che in realtà non era assegnato a
quell’ala dei dormitori.
-Se ti vedono qui sei morto- disse l’Elfa lasciandosi cadere
distesa sul morbido materasso del proprio letto, posto accanto alla
finestra e vicino ad un mobile in mogano scuro, dove teneva alcuni
vestiti ed effetti personali.
-Dimmi qualcosa che non ti abbia sentito dire tremila volte- rise
Mattiùs sedendo alla scrivania ai piedi del letto.
Cominciò a curiosare tra i cassetti sperando di trovare
(molto probabilmente) qualcosa da mangiare.
Elion chiuse gli occhi. -Lì ci sono delle fragole-
sospirò indicando un punto della stanza senza guardare.
Mattiùs si voltò all’istante e
individuò il cestello di fragole selvatiche, belle carnose,
sul tavolo tondo in mezzo alla stanza.
-Che pacchia! Da noi c’è solo frutta secca!-
commentò con stupore il ragazzo, avventandosi sul cestello.
-Ma se preferisci, Amina conserva sempre qualche ciliegia- Elion
sorrise ricordandosi di quando lei e la sua amica Elfa dei Boschi si
erano appena conosciute, quell’estate. Erano bastate due
parole e subito era scoppiato l’interesse reciproco per la
natura. Elion era un tutt’uno con gli elementi, Amina viveva
parlando con gli animali e cibandosi dei frutti della terra. Sapeva
dove trovare ciliegie, pesche e albicocche mature anche quando non era
stagione.
Elion condivideva la stanza con lei ed altri sei maghi, tra maschi e
femmine. I letti erano disposti lungo le pareti della camera.
C’erano tappeti, arazzi, lanterne e candele. Il tavolo tondo
nel centro ospitava quattro comode sedie di mogano scuro decorate in
oro. C’era un ampio scaffale che arrivava fino al soffitto.
Traboccava di libri, alambicchi, calcinatori, storte, pastelli e mortai
per l’Alchimia da camera. Ma anche pile di pergamene,
scrigni, contenitori di piume e boccette d’inchiostro. Il
soffitto non era troppo alto, le finestre ampie e luminose ora coperte
da drappi decorati lasciavano ugualmente intendere una magnifica notte
stellata.
Al pian terreno c’era una piccola stanzetta riservata a
Raminus Polus e alla Custode del Planetario. Quella che un tempo doveva
essere stata una cantina, invece, era stata trasformata in un
accogliente secondo dormitorio misto. Là dormivano
Mattiùs, alcuni collegiali e due maestri di Misticismo, i
gemelli Flaconis. Tullio era famoso per il suo rapporto amichevole con
gli studenti. Aro preferiva tenersi in disparte, pur non tollerando
l’idea di staccarsi dal fratello.
Per il resto gli Alloggi comuni dei Maghi erano accoglienti quel tanto
da compensare casa, amici e famiglia. La frutta fresca era una premura
di Tar-Meena, l’Argoriana responsabile degli Archivi Mistici.
Per molti all’Università era come una seconda
madre: rigorosa e ferrea in fatto di educazione, amorevole e dolce
nell’apprendimento della sua materia, che riguardava
unicamente lettura, comprensione, riflessione e traduzione di testi
antichi.
Negli alloggi del seminterrato c’era della frutta secca
perché Tullio aveva sviluppato una sorta di allergia per i
cibi umidi; a studenti come Mattiùs questa cosa non andava
giù, ad altri invece pareva un gesto ancor più
premuroso da parte dell’Argoriana. Uvetta passa, cocco e
banana secca avevano un gusto dolciastro molto prelibato.
-Davvero deliziose- commentò Mattiùs col boccone
pieno. Ingoiò senza fatica e si riempì nuovamente
le guance di carne di fragole. –Non è che avresti
dello zucchero?- chiese.
Elion quasi dormiva e non faceva caso alle sue parole. Gli occhi si
erano chiusi poco prima e adesso faticava a riaprirli. Era stanca,
avrebbe voluto addormentarsi subito, ma la luminosità della
stanza e la consapevolezza che una mandria di studenti doveva ancora
raggiungere gli alloggi glielo impedivano. Si permise di tornare con la
mente a quella mattina, sulle sponde del lago. Aveva lasciato
là i suoi stivali stregati, ma non aveva la minima
intenzione di tornare a riprenderli. Ormai quel luogo significava per
lei solo infiniti guai e non ci sarebbe tornata mai più. Non
perché temeva di incontrare di nuovo quel ragazzo (cosa
impossibile, dato che era prigioniero nelle celle imperiali) piuttosto
perché Laenzio aveva oltremodo sottolineato la
pericolosità del girare da sola. Sarebbe dovuta essere
più attenta. In quei tempi le terre fuori dalla
Città Imperiale, giorno o notte che fosse, erano tutte meno
sicure di sempre.
.:Angolo
d’Autrice:.
Volevo annunciarvi che non so quanto riuscirò ad essere
costante nell’aggiornare questa storia che, ammetto, mi sta
facendo nascere sempre nuove idee. Ma voi direte: la scuola sta per
finire, quanto tempo ti serve a buttare giù sei, sette
pagine?! Ed io risponderò: non si tratta di tempo, ma di
ispirazione! In questi ultimi giorni mi sto dando come una matta alla
lettura di romanzi sempre nuovi (ne ho fatti fuori 3 in una settimana)
e sono a secco per tutta l’estate. Essendo io una persona
molto influenzata nel modo in cui scrivo da quello che
leggo… ho scoperto di aver bisogno di tempo per elaborare un
buon capitolo.
Ma ora basta parlare di me…
Queste sette pagine, incentrate su una prima parte delle magiche
vicende dell’Università – accuratamente
descritta grazie all’uso improprio di una mappa apposita
pescata da internet - sarà parso un poco noioso ad alcuni di
voi. L’entrata in scena di così tanti nuovi
personaggi è stata tanto faticosa da scrivere per me quanto
pesante da leggere per voi, e lo capisco. Dannìlus, il Mago
Guerriero di pattuglia all’ingresso del Distretto Arcano
è un pg di mia invenzione, come Prassitelo, Ubertos,
Mattiùs, Rouven, Tullio Flaconis, Aro Flaconis, Amina e
Teresia – queste due ultime le conosceremo in seguito-.
Raminus Polus, Hannibal Traven e un citato Renald Viernis sono
riconducibili a quelli del gioco. Riguardo
all’Università Arcana, non so quanto
riuscirò ad essere fedele nell’uso dei personaggi
del gioco, perché ho riscontrato le prime difficoltà
nell’appuntarmi nomi, descrizioni o quant’altro
possa tornarmi utile a scrivere, mentre gioco! XD Stessa cosa con la
Gilda dei Ladri, dalle cui vicende vivo distante anni luce.
Cercherò ugualmente di fare il possibile, sbirciando qua e
là anche nei forum stranieri (mannaggia al mio inglese
maccheronico!). Se vi è capitato di fare un giretto nei
quartieri bassi dell’Arena, avrete senza dubbio avuto
l’onore di stringere la mano (retoricamente) al Principe
Grigio di cui annuncia Prassitelo nella scena iniziale.
L’Orco di cui parla è il reale Campione
dell’Arena che, nella mia fan fiction, diventa un presunto
flirt dell’Orca che, aprendo parentesi, è un
personaggio del gioco e gestisce le Scuderie Cavallo Sauro; non
ricordandone il nome mi sono inventata Titch come un soprannome! XD
Vedrò di aggiornarmi ^^’).
La storia di Akatosh e la Gilda dei Maghi protettori di draghi ammetto
di essermela inventata. Quei pochi libri che ho avuto tempo di leggere
nel gioco e che riguardano la storia della Fondazione da parte di
Alessia – un’affascinante figura millenaria che
m’intriga molto- non mi hanno istruita a sufficienza. Mi
sento ancora ignorante per quanto riguarda le leggende, le religioni e
la usanze dell’Impero, perciò, vi imploro, siate
clementi se mi scappa qualche baggianata! XD
Detto ciò, penso di poter concludere
quest’angoletto d’autrice cedendo il posto ai
ringraziamenti. ^^
X
SnowDra1690: per odiare così gli assassini devi
avere i tuoi buoni motivi. Ebbene sì, Laenzio aveva davvero
mal pensato che si trattasse di uno “stupratore”,
ecco, sì, che termine carino. Eh, riguardo alla sua carriera
da ladro e la sua ascesa scadente da assassino, come darti torto?
Diciamo che la scrittrice aveva poca fantasia a riguardo e ha preferito
non dilungarsi troppo nel flash back. Volevo che al centro del capitolo
ci fosse il suo salvataggio da parte di Talaendril (la bonazza di
turno, esatto! XD) che nella fiction saprà come far valere
il suo ruolo. Riguardo alla maga non posso prometterti nulla. Se
sarà l’assassino a tradire la confraternita
schierandosi per amore dalla parte di Elion o viceversa, non penso di
potertelo svelare già così presto: non
perché si tratta di uno spoiler troppo grande, ma
semplicemente perché ancora non ne ho idea nemmeno io! XD
Le vicende si tratterranno in tenori bassi giusto qualche altro
capitolo, poi accadrà quello che in termini di linguaggio da
poker si chiama cambio delle carte <.< penso,
perché io di poker non me ne intendo affatto. Grazie mille
per il tempo che spendi a leggere questa storia, ogni lettura o
commento per me significa molto ^^
X
Burdok 95: ah-ah! Ecco un altro fan di Assassin’s
Creed, che potrà ben appoggiare la mia scelta di mettere al
centro delle vicende un membro della Confraternita Oscura! XD Ho notato
che hai aggiunto la fan fiction addirittura alle tue
preferite… che onore, che onore davvero! E il tuo commento
non fa altro che farmi salire le lacrime agli occhi. Corretto e
scorrevole. Se la mia professoressa d’italiano leggesse
queste due parole, si unirebbe a me nei canti corali in Chiesa! Forse
sì o forse no… mi sfugge il membro della
Fratellanza che dici mi sono dimenticata. Non sarà mica la
guardia scheletro nell’androne? Ti prego, fammelo sapere al
più presto o io impazzisco consumando i tappeti del
Santuario finché non lo scovo! XD
Ti ringrazio immensamente anche per aver espresso un suggerimento per
il nome di lui. Rick sarebbe davvero carino, ma forse poco appropriato
per il volto che ho intenzione di dare al ragazzo.
Per il resto, salute e pace, confratello.
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Capitolo 5 *** Un disegno diverso e grandioso ***
5. Un disegno diverso
e grandioso
Quando Gabriel varcò la soglia, che si richiuse con un lento
movimento alle sue spalle, si ritrovò nell’ampia
sala di ricevimento del Santuario. Nel mezzo un grande vuoto lasciato
dalla volta bassa del soffitto e quattro tozze colonne portanti. Le
fiaccole alle pareti erano accese. Qua e là penzolavano gli
emblemi in tessuto con il simbolo della Confraternita Oscura: una mano
inchiostrata di sangue in campo nero, assieme ad alcuni decori in oro e
rame. In più punti del pavimento dormivano tappeti secolari
appartenuti alle primissime generazioni di Assassini; non mancavano
arazzi e dipinti celebranti le gesta dei grandi maestri Uccisori, che
la storia della Fratellanza dipingeva come creature mitologiche.
Avevano guidato per anni la Confraternita Oscura e per millenni le
menti dei loro successori.
C’era stato Liteeth, un subdolo argoriano che aveva il buon
vizio di avvelenare per uccidere le sue vittime. In tutta la carriera
di Uccisore non aveva mai fallito un contratto e ed era ricordato come il Serpente.
L’affresco dedicato alla sua vita copriva la parete di fondo,
ove era situato l’accesso per le sale sotterranee
dell’Alchimia e della Biblioteca.
Lhisa, lo Scorpione,
era stata una femmina fatale non troppo attraente, ma che aveva
ugualmente saputo meritarsi le due parti (tra le quali
s’incastrava il portone d’ingresso) del muro
meridionale. Lo scorpione rappresentava tutta la premura che aveva
avuto dei bambini, sia in vita sia oltre la morte. I suoi canoni
legislativi e le sue nozioni psicologiche erano rimaste
tutt’ora. Quella particolare specie d’insetto aveva
la caratteristica di abbandonare a se stessi i propri piccoli dopo
averli viziati premurosamente. L’insegnamento che Lhisa aveva
sempre insistito nel dare ai bambini era quello di apprezzare e vivere
di sofferenza, così come Sithis aveva ordinato in una delle
sue leggi. Compatire la vittima non era vietato, anzi. Immedesimandosi
nella sua sofferenza l’Assassino entrava in contatto con
Sithis personalmente, potendo assaporare sulla propria pelle
l’escandescenza del sangue e del corpo. I bambini cresciuti
da Lhisa e dalla sua dottrina erano costretti a vedere nel distacco
dalla “madre” quel genere di sofferenza
dell’anima. Non tutti però accettavano il
cambiamento, non tutti uscivano indenni alla vista del sangue che
veniva imposto loro di versare. Chi dava di stomaco, chi tentava di
scappare o chi si rifiutava di uccidere veniva ucciso a sua volta.
Così solo i più meritevoli e i più
dotati andavano avanti, guidati dal disegno che Sithis aveva fatto del
loro destino.
Karmiko, detto il
Varano Lingua di Fuoco, aveva la forza paragonabile a
quella di un Drago inferocito. Era ricordato con tal nome per la sua
corporatura massiccia e la prodezza con lo spadone di rame arroventato,
con il quale torturava e poi uccideva le sue vittime. Per il prestato
servizio a Sithis si era guadagnato un ritratto onorario sulla parete
settentrionale; da lì si accedeva alle stanze di
allenamento.
In fine era venuta l’era di Harit col nome di Tarantola o Vedova Nera,
due specie di ragno molto comuni ma altrettanto fatali per gli esseri
umani. Il ragazzo non faticava ad immaginare che genere di contratti
accettasse quella donna o che tecnica adottasse per le sue vittime.
Gabriel aveva persino motivo di credere che Talaendril fosse stata una
sua vicina discepola. Ma la Vedova non si era mai servita, secondo la
leggenda, di arco e frecce come armi a distanza. L’unica
punta di metallo che avesse sfiorato le sue vittime era stato lo
stiletto appuntito, che tirava fuori dai punti più
impensabili del proprio corpo.
A grandi linee la leggenda e gli affreschi raccontavano
così. Questi quattro e molti altri si erano scambiati il
trono sul quale ora sedeva Ocheeva, Custode del Santuario e sua Gran
Sacerdotessa.
Gabriel si accomodò ad un tavolo lì vicino,
appartandosi in un angolo della sala. Si appoggiò su un
gomito e stese le gambe, esausto nel fisico per il viaggio e nello
spirito per cosa lo attendeva. C’erano una caraffa con del
vino rosso e alcuni bicchieri. Se ne gettò due sorsi in gola
e presto dimenticò il motivo per il quale era ancora seduto
su quella sedia, quando sarebbe dovuto correre ad avvertire Vicente del
suo fallimento e del nemico a cui aveva dato in pasto la Fratellanza.
Per essere stato visto in faccia dal Comandante della Legione, il
minimo castigo sarebbe stata l’espulsione immediata dalla
Confraternita. Non si poteva rischiare che la Legione assoldasse delle
spie per pedinarlo quando Gabriel era in tenuta informale fuori
servizio, momento in cui la sua grazia da Assassino lasciava il posto
ad un ragazzo giramondo.
Prima di poter accedere alle viscere del Santuario doveva essere
convocato o deliberato a farlo da un suo superiore, ma
l’ampio stanzone sembrava essere deserto. C’era un
silenzio innaturale, rotto solo dall’eco di alcune voci molto
distanti o dai sussurri del vento. Inizialmente Gabriel
pensò che tanto silenzio era parte integrante della
normalità quotidiana, lì nei bassifondi del
Santuario, ma dovette ricredersi quando vide emergere dalle scale in
fondo una piccola figura completamente vestita di nero.
Gabriel lo riconobbe subito per ciò che era: solo un
bambino, che indossava come la sua Armatura Velata su misura come una
seconda pelle. Si dirigeva a passi spediti verso il portone per agli
alloggi degli Assassini, almeno prima di notarlo, pietrificarsi, e
scappare nella direzione da dove era venuto.
Nikolò si era gettato nuovamente giù per le scale
di gran corsa. Il fiato, per le sue capacità fisiche, non
gli sarebbe mai mancato, ma il cuore aveva iniziato a battere
fortissimo in petto appena aveva visto l’Eletto nel salone
d’ingresso. Ora le sue gambette magre falciavano
l’aria tersa del sotterraneo, ogni suo passo suonava
amplificato dalla pietra e i suoi piedi mangiavano metri dopo metri di
terreno. Era stato addestrato a correre fin da quando era stato capace
di mettere un piede davanti all’altro, e dopo di allora non
aveva più smesso. Respirava tranquillamente, il corpo
allenato dagli intensissimi addestramenti voluti da Sithis rispondeva
bene alle sue intenzioni.
M’Raaj-Dar lo chiamava cucciolo
Imperiale. Nikolò aveva dodici anni ed era un
pedinatore professionista: seguiva le vittime degli Assassini per
giorni, settimane, mesi o anni, se necessario, e poi riferiva ai suoi
superiori lo loro abitudini, così che l’Uccisore
potesse compiere il volere di Sithis senza rischi. Era una fonte
affidabile, un alleato prezioso nella Confraternita, allenato
fisicamente sia mentalmente alle situazioni nelle quali la Madre Notte
amava cacciarlo. Era un buon osservatore: i suoi grandi occhi azzurri
vedevano tutto e tutti a metri di distanza, anche al buio, grazie al
bacio benedetto che Sithis aveva dato alla sua culla
quand’era ancora in fasce.
I corridoi sotterranei del Santuario erano forse il luogo
più freddo, buio e di conseguenza meno ospitale di tutta la
costruzione. Ciò nonostante alcune delle sale più
importanti si trovavano tra quelle umide mura a blocchi di roccia
squadrati. Una di queste stanze era la biblioteca e si diceva ospitasse
volumi unici sulla Negromanzia, il culto degli spiriti notturni e della
vita oltre la morte. Attraverso quei testi Sithis faceva
un’allettante proposta a tutti i suoi adepti, promettendo un
glorioso cammino eterno a chiunque, raggiunta la vecchiaia, avesse
portato atto della sua voce in gioventù. Nikolò
provava un’impulsiva curiosità per quei luoghi e
non aveva mai avuto occasione di avventurarvisi per via del suo rango
ridotto. In quelle zone del Santuario c’erano anche le stanze
private del Vampiro Vicente Valtieri, nascoste chissà dove
ancor più in profondità.
Come un principiante di atletica, Nikolò prese troppo larga
la curva del corridoio.
-Ehi, attento a dove vai, ragazzino!- gli gridò
l’Orco quando per poco meno di un centimetro il bambino non
gli finì addosso.
-L’Eletto è tornato!- disse Nikolò,
confidando nel fatto che quelle parole avrebbero azzittito
l’Orco Gorgon meglio di una banale frase di scuse.
Voltandosi, il bambino riprese a correre col doppio della foga,
risparmiandosi di vedere l’espressione stupita comparire
sulla pelle verde della bestia.
Gli spazi angusti e i vicoli stretti del Santuario erano
un’infinita sequenza di muri, gradini e pareti mobili;
bastava conoscere qualche trucco e si poteva arrivare
dall’altra parte della costruzione risparmiandosi chilometri
di labirinto. Nikolò tagliò altre due rampe di
scale e finalmente giunse a destinazione con le gambe in fiamme, anche
se sarebbe stato capace di correre per un’altra giornata. Le
doppie ante molto spesse del portone che gli si parò davanti
pesavano quanto davano a vedere, e Nikolò faticò
un po’ a scostarne una.
Le stanze di Ocheeva non erano spoglie come quelle degli assassini,
bensì cariche di oggetti magici, scaffali grondanti di
libri, un comodo letto, uno scrittoio, tappeti e arazzi celebrativi.
L’intera camerata era scavata nella pietra. Dal soffitto
pendevano minacciose stalattiti come chiaro avvertimento. Si diceva che
se Sithis avesse scoperto la Sacerdotessa tradire la Confraternita, una
di quelle stalattiti appuntite come coltelli le sarebbe crollata
addosso, trafiggendola nel sonno dolorosamente. Gli occhi della Madre
Notte erano ovunque, e questo Ocheeva ed altre Sacerdotesse prima di
lei l’avevano tenuto bene a mente.
L’argoriana sedeva allo scrittoio quando Nikolò
comparve nei suoi alloggi. La sua lunga coda spinata si snodava con un
movimento lento e ondulato, carezzando appena il pavimento coperto dal
tappeto. Era molto presa da un libro sul quale stava annotando alcuni
dati giornalieri relativi all’attività del tempio,
e non si accorse subito di lui. Al contrario, il marmocchio non
riuscì ad astenersi dal notare la grossa stalattite che
pendeva esattamente sopra la testa dell’argoriana. Ingoiando
il groppo in gola, Nikolò si fece coraggio e la
chiamò con rispetto per nome.
Ocheeva girò la testa di lato, continuando a dargli le
spalle seduta alla scrivania. –Dimmi, piccolo mio-
acconsentì cordiale.
Un solo grande occhio della lucertolona bastava per tenerlo sotto
stretta osservazione. Nikolò sapeva che Ocheeva non avrebbe
tralasciato il sudore freddo che aveva iniziato a bagnargli la fronte.
Forse la Sacerdotessa avrebbe potuto fraintenderlo come un segno di
debolezza o stanchezza fisica e perciò condannarlo al doppio
degli allenamenti, invece Nikolò era soltanto teso come un
chiodo per la notizia che stava dando.
-Ocheeva, l’Eletto è tornato- annunciò
sgonfiandosi il petto da un grande peso.
La Sacerdotessa si voltò del tutto.
–Dov’è?- chiese serissima, alzandosi.
-Nella sala di ricevimento, Sacerdotessa- rispose il bambino chinando
la testa.
Ocheeva si avvicinò a lui e gli carezzò i capelli
biondi; in quel momento Nikolò temé che
all’argoriana potesse davvero dar fastidio il sudore sulla
sua fronte, ma invece lei non vi fece nemmeno caso.
Il bambino rilassò le spalle e si godé la mano di
Sithis che lo benediva e lo ringraziava attraverso quella della
Custode.
Ocheeva lo sorpassò a grandi passi e uscì dalla
stanza per lo stretto spiraglio voluto poco prima da Nikolò
per entrare. Il ragazzo, trovandosi solo nelle stanze private della
Sacerdotessa, volle subito uscire guardandosi le spalle dalle
minacciose stalattiti pendenti sulla sua ombra.
Adesso basta! Se
vogliono cacciarmi, che lo facciano subito, dannazione! Preferirei che
si risparmiassero queste messe in scena teatrali: il Santuario vuoto,
il bambino che scappa! Crescete, per i Nove! Gabriel
aveva ormai esaurito tutta la sua pazienza quando udì una
voce squillante di donna.
-Gabriel!-.
Il ragazzo, in piedi in mezzo al salone, si voltò, ma in
quell’istante una coppia di braccia sottili gli si avvolsero
attorno al collo e un profumo dolcissimo di lavanda gli
riempì i polmoni. Era Antoniette Marie, stretta a lui come
se fosse la cosa più preziosa al mondo. Gabriel
esitò su dove mettere le mani, notando che la ragazza non
osava staccarsi da lui nemmeno in cambio di oro. Erano d’oro
i suoi capelli, sfuggiti dal cappuccio e spettinati nella foga di
correre fino a lui. Gabriel poteva sentire il cuore di lei battere
impazzito contro il suo petto, più per l’emozione
che altro.
-Ho temuto davvero il peggio, Gabriel, lo temevamo tutti. Quando
Talaendril è partita pensavamo che non sarebbe mai
intervenuta in tempo! La lettera di Lucien in cui era predetta la tua
morte è arrivata troppo tardi. Secondo alcuni eri
già in prigione, secondo altri invece potevi esserti fermato
in una locanda prima di iniziare la missione: semplici pretesti pur di
alimentare la nostra speranza, votata all’unica causa di
vederti tornare vivo. E adesso sei qui, grazie a Sithis- lo strinse
più forte. –Ti ha salvato, Gabriel, ti ha salvato
come ha salvato tutti noi-.
Antoniette Marie e chissà quanti altri nel Santuario erano
trovatelli, ladri o abitanti delle fogne a cui era stata offerto un
tenore di vita migliore in cambio di servitù eterna.
L’Eletto, spaesato da quel gesto, si scostò da lei
giusto in tempo per vedere Ocheeva emergere sulle scale seguita dal
bambino. L’argoriana e il piccolo pedinatore si fermarono di
fronte ai due Uccisori. Poco dopo e prima che la Sacerdotessa potesse
parlare, dalle stesse scale comparvero le figure distinte di Gorgon e
il fratello di Ocheeva, Teinaava. L’orco e
l’argoriano si unirono ai
“festeggiamenti” stando a debita distanza e
attendendo il proprio turno per “congratularsi” con
lui. Entrambi indossavano una maschera di serietà per celare
lo stupore e, probabilmente, l’invidia verso
l’Eletto. Gabriel era fuggito senza un graffio alle Prigioni
Imperiali con tanto di condanna a morte, e la sua vita era cara a gente
di alto rango lì nel Santuario; chiunque avrebbe desiderato
avere la sua fortuna o nascere sotto il suo stesso segno.
La Sacerdotessa Ocheeva indossava l’Armatura Velata come
tutti i presenti, a parte l’Orco.
Gabriel e Antoniette s’inchinarono istintivamente nello
stesso momento.
-Eletto Gabriel- cominciò Ocheeva, -pochi conoscono
l’onore di essere prescelti da Sithis per intraprendere il
cammino della Fratellanza. Tu sei uno di questi, e nessuno di noi ti
vorrebbe tra le braccia della nostra dea troppo in fretta-.
A Gabriel sembrò di leggere le parole “parla per
te” sulle labbra dell’Orco, che suggerì
quella battutina alle orecchie di Teinaava. Questi, nonostante
l’amico stesse prendendo in giro sua sorella, sorrise di
gusto.
Gabriel tornò a guardare l’argoriana negli occhi,
ignorando i due spiritosi confratelli. Antoniette al suo fianco
chinò il capo, dispiaciuta che ci fosse ancora tutto
quell’astio tra compagni.
-Ma forse devi aver frainteso il tuo reale compito nella nostra grande
famiglia- Ocheeva, pur continuando a rivolgersi a Gabriel,
attirò l’attenzione del fratello minore con
un’occhiataccia. Teinaava si mise subito a braccia conserte
dando le spalle all’Orco che, profondamente offeso dal gesto,
aggrottò le folte sopracciglia e brontolò nel
proprio stomaco.
-È vero: Sithis, così come sceglie, protegge i
suoi figli, ma non sempre le visioni del suo futuro possono essere
contrastate dalla mano che guida. Ci sono circostanze in cui il nostro
Ordine si riduce ad un granello di sabbia in confronto al volere delle
stelle. Con queste parole, sommate al rischio che hai vissuto sulla tua
carne, mi auguro fortemente che tu abbia compreso gli errori commessi e
non li ripeta in futuro-.
-Sia mai- ammise Gabriel fiero e consapevole.
-E se invece dovesse succede ancora?-.
Teinaava ridacchiò.
-Gorgon, basta- lo richiamò Ocheeva con durezza.
–Tu e mio fratello non siete richiesti a presenziare.
Piuttosto, rendetevi utili e andate ad avvertire Vicente, chiedendo di
lui, qui, immediatamente- ordinò.
-Lascia che vada da solo, sorella- disse Teinaava precedendo le
repliche dell’Orco.
La Sacerdotessa diede il suo consenso annuendo, e nel salone restarono
solo lei, Gabriel, Nikolò e Antoniette Marie. Con un
pretesto totalmente diverso e che la bestia non avrebbe potuto
rifiutare, Ocheeva era riuscita ad allontanare anche Gorgon.
-Gabriel, vorrei chiederti di Talaendril: siccome non è con
te, deduco che sia rimasta indietro ad occuparsi delle guardie-.
Gabriel annuì alla Custode del Santuario.
–Sì, quando mi ha liberato ha richiesto che
lasciassi la città senza voltarmi indietro. Durante il
viaggio di ritorno, mi consolava l’idea che fosse uscita
illesa da situazioni ben peggiori- ammise amaramente.
-Altrettanto, figlio mio, altrettanto- sospirò Ocheeva.
Marie Antoniette sembrava avere sul viso un sorriso, piuttosto che una
smorfia dispiaciuta. Gabriel ricordò all’istante
che tra lei e l’Elfa Assassina non c’erano mai
stati buoni rapporti proprio per quelle differenze caratteriali che
facevano di entrambe le donne più desiderabili a questo
mondo. L’una suadente e persuasiva, l’altra timida
e forse troppo orgogliosa per dichiararsi. Eppure l’aveva
abbracciato, eppure si era stretta a lui in quel modo che lasciava
intendere tante dolci parole. Gabriel provò una stretta al
cuore. Si stava davvero innamorando di Marie? No, non poteva essere, a
meno che non fosse Sithis in persona a volere quell’unione.
Allora sarebbe stata una cosa meravigliosa.
Come in risposta ai suoi pensieri, Antoniette sollevò il
volto e lo guardò negli occhi, sorridendo ora davvero
dispiaciuta. Doveva essersi accorta del velo di tristezza del
confratello e desiderava restargli vicino, dimostrandogli la
compassione tipica degli umani. L’eventuale coinvolgimento di
Talaendril nella missione e la sua presunta morte avrebbero eliminato
la concorrenza: non ci sarebbero più state donne belle,
potenti e disponibili che Sithis avrebbe potuto scegliere per
l’Eletto al dì fuori di Marie. Gabriel non sapeva
cosa pensare a riguardo.
Vicente Valtieri apparve sulle scale e venne incontro ai tre con passo
tranquillo. Appena fu abbastanza vicino, Gabriel chinò il
capo in segno di rispetto e sprofondò negli occhi dorati con
venature rosse del vampiro. Ebbe quasi l’impulso poco carino
di abbassare lo sguardo sui canini affilati che spuntavano dalle labbra
sottili. Vicente vestiva di un completo nero, con una camicia bianca a
maniconi e dei calzari scuri, lunghi fino alle caviglie. Ai piedi aveva
dei sandali di cuoio. Con sé portava sempre un pugnale dei
Nani legato alla cintola e qualche boccetta di sangue (in caso forti
astinenze lo colpissero all’improvviso) che teneva in una
tasca interna del giubbetto slacciato sul davanti. Un tempo doveva
essere stato un bell’uomo, ora
l’anzianità gli deturpava il volto, assieme a
pesanti occhiaie e un pallore glaciale. Gabriel ricordò
istintivamente la prima volta che l’aveva visto, trovandoselo
di fronte appena si era svegliato. Aveva trattenuto a stento un grido e
per poco non era svenuto di nuovo. Fino a quel momento aveva pensato
che vampiri e licantropi fossero leggende per tenere lontani i bambini
dai mercanti di bestie selvagge che ogni tanto si accampavano nel
distretto del Mercato di Imperial City. Quando aveva compreso la vera
natura del suo mentore aveva temuto di essere spacciato, costretto a
trasformarsi rispettivamente in un vampiro, oppure a finire nel
menù della cena. Ma poi aveva notato che molti nella
Fratellanza avevano preservato la loro incolumità a quel
genere di trattamento, oltre ad un profondo rispetto per il vampiro, e
lui non si era più lasciato intimorire. Vicente era
diventato il suo padre adottivo e si prendeva cura di lui
personalmente, senza intermediari. Si era offerto disponibile a parlare
col ragazzo e conoscerne i segreti e i dubbi più oscuri: se
Gabriel avesse riscontrato problemi durante il cammino che Sithis aveva
tracciato per lui, Vicente sarebbe stato il primo con cui confidarsi.
Adesso, l’uomo che aveva di fronte era tornato ad incutergli
terrore come la prima volta che l’aveva visto.
A differenza di Ocheeva, un gradino sopra nella gerarchia della
Confraternita, Vicente aveva potere di vita e di morte sui tutti
confratelli. Se l’argoriana gestiva la
spiritualità degli Assassini, Vicente aveva la
responsabilità fisica e morale degli stessi. Ad un tratto,
però, Vicente non sembrava più il vampiro gentile
che gli aveva offerto di unirsi alla loro numerosa famiglia. Agli occhi
tristi di Gabriel era di nuovo un completo estraneo pronto a decidere
di lui e del suo destino come di un qualsiasi giocattolo vecchio.
L’Eletto pregò con tutto se stesso che una
sentenza pubblica venisse posticipata il più tardi
possibile. Per espellere un membro dalla Fratellanza era necessario il
verdetto divino di Sithis; e l’unica lettera arrivata alla
Confraternita da Lucien Lachance risaliva a dodici ore prima.
Nonostante i tanti pensieri che gli annebbiarono la vista per un lungo
istante, Gabriel si costrinse a mantenere onore e compostezza fino
all’ultimo. Mostrarsi dignitoso quel tanto che bastava per
purificarsi l’anima dai peccati era la sua preoccupazione
maggiore in quel momento.
-Ti ringrazio per avermi messo al corrente del suo ritorno, Ocheeva, ma
vorrei il tuo consenso per conferire con l’Eletto- disse
Vicente con grande stupore dei presenti. –In privato- si
apprestò ad aggiungere.
Ocheeva annuì fredda. –Va bene, a patto che si
tratti di una cosa rapida e indolore. Immagino che Sithis sia
impaziente di ascoltare la voce di suo figlio- ghignò
scoccando un’occhiata al ragazzo. Gabriel la
ignorò suo malgrado.
-A più tardi, allora- Ocheeva tornò nelle proprie
stanze pronunciate quelle parole.
-Antoniette Marie- Vicente si rivolse alla fanciulla.
-Ditemi, mio signore-.
-Recati nella mensa e ordina per mio conto che venga preparato del cibo
per il tuo confratello, mentre saremo via. Porta con te
Nikolò- aggiunse carezzando la nuca al bambino.
Antoniette Marie chinò la testa prendendo congedo; si
avviò alla mensa passando per le scale e seguita dal
pedinatore.
Appena furono soli, Vicente fece gesto all’Eletto di sedere
con lui al tavolo vicino, lo stesso dove Gabriel si era accomodato al
suo arrivo. Il vampiro notò il boccale mezzo pieno
dimenticato dal ragazzo e glielo fece scivolare fin sotto al naso.
–Abbi la grazia di finirlo- disse.
Gabriel gettò in gola il vino che restava e posò
il bicchiere vuoto sul tavolo senza fare rumore. Con sua grande
sorpresa, Vicente prese la brocca e gliene versò
dell’altro, riempiendo anche un secondo boccale per
sé.
-Vederti illeso mi fa una gran gioia, Gabriel- approvò il
vampiro. –Davvero non immagini quanto la previsione della tua
morte abbia annientato i nostri cuori-.
-I cuori di chi, se posso?- insinuò il ragazzo, ma si rese
conto troppo tardi di aver fatto dell’ironia con fini
ambigui, l’uno più tagliente dell’altro.
Irrigidì la presa attorno al vetro del bicchiere.
Pensò che Vicente, il cui cuore non pulsava da tempo
immemorabile, avesse inteso le sue come parole d’offesa.
Il vampiro sorrise tristemente, ma ciò che disse poi fece
intendere al ragazzo di essersi creato tanti complessi per nulla.
–I rapporti personali con i tuoi confratelli devi gestirli da
solo, Gabriel; neppure io posso aiutare i tuoi compagni a comprendere
il peso che porti sulle spalle e il dovere che esso compete. I rapporti
personali è cosa su cui Sithis non si assume
responsabilità, mai, se non ad un unico fine-.
-L’unione- lo precedette Gabriel.
Vicente annuì. –Esatto. Solo in quel caso la
divinità sfiora le nostre vite e intercede per noi e la
persona destinata ad affiancarci. Tutto il resto è
un’ampia circostanza dipinta dall’istinto e dalla
tua capacità di oratoria, naturalmente- ridacchiò
posando con grazia le labbra sul bicchiere e bevendo un lungo sorso.
Sono quasi sicuro di
aver sentito battere i canini sul vetro…Gabriel
rabbrividì. –Di cosa volevate parlarmi?- chiese
portandosi il bicchiere alla bocca. Non era sicuro che sarebbe stato in
grado di vederci chiaro ancora per molto, con tutto quel vino che
Vicente voleva fargli ingerire.
-Hai ragione, ti sto trattenendo su tematiche inutili, perdonami- si
scusò Vicente tornando serio. Dopo un silenzio che parve
durare un’eternità, il vampiro posò il
boccale sul tavolo e fissò un punto indistinto
all’orizzonte, sferzando la penombra del salone coi suoi
piccoli occhi dorati. –La Confraternita sta passando un
periodo troppo luminoso.
Le candele che credevamo di aver spento stanno tornando a far luce sui
nostri misfatti. Formiche curiose s’insinuano tra le venature
del tronco del nostro albero arrancando di bubbone in bubbone. Il
terreno su cui ci stiamo avventurando scricchiola ad ogni passo e
rischia di sgretolarsi sotto i nostri piedi. Dobbiamo essere cento
volte cauti e mille volte rapidi per difenderci da questi misteriosi
assalitori… anche se non sappiamo chi siano o cosa stiano
cercando di preciso-.
-Se volete che indaghi, maestro, non dovete far altro che ordinarmelo;
e la mia lama, guidata dal volere e la benevolenza di Sithis,
scaverà a fondo nei loro cuori- si offrì Gabriel,
avvertendo nello stomaco l’euforia del vino.
Vicente scosse la testa. –No, Gabriel, non è
questo che voglio da te; almeno non ora. Mentre i bravi Assassini
falliscono sempre più spesso, i Santuari sparsi
nell’Impero implorano che questa crisi finisca, che
l’oscurità torni ad occultarci. Vogliono che
Sithis si riprenda il suo regno, lo chiamano. Forse chiederti di
uccidere Valen senza destare i sospetti delle guardie è
stato pretendere troppo dalle tue capacità. La Dea ha
permesso il tuo arresto per darci questo messaggio: ti abbiamo
sopravvalutato, Gabriel-.
Al suono di quelle semplici parole il ragazzo tremò sulla
sedia. Guardò a lungo il vampiro negli occhi, senza riuscire
a distrarsi con altro che non fossero le venature rosse nelle sue iridi
dorate. Danzavano attorno al pozzo scuro delle pupille, vive come
nastri nel vento. Aprì bocca, ma la voce gli era morta in
gola prima di poter toccare il palato asciutto. Gabriel
tentò invano di schiarirsela: improvvisamente aveva un
estremo bisogno di bere.
Sotto lo sguardo serio e indagatore di Vicente, che sapeva lo stesse
studiando in ogni gesto, l’Eletto afferrò la
caraffa e si versò nuovamente del vino nel bicchiere.
Vicente proseguì: -Le tue azioni compromettenti, in altri
tempi e in altri luoghi sarebbero equivalse a firmare le carte per
l’espulsione dalla Fratellanza. Ma noi non possiamo
permettercelo. Tu ci servi, Gabriel, sei il diamante in punta alla
lama, sei il coltello che dividerà le carni e
servirà colazione, pranzo e cena agli dèi.
L’Ordine sa di non poter fare a meno di te, nonostante
già da tempo molti, prima di me, di Ocheeva, di Lucien,
dubitavano che saresti riuscito a risollevarci. Ignorare le loro voci
è stato un grosso errore. Queste persone sanno cosa sta
succedendo, sanno delle spie, dei traditori che crescono in numero e
spuntano come funghi. Mettere da parte il loro ruolo, assecondando il
tuo, è stato gettarci nelle braccia del nemico, immaginando
che un Re, da solo, potesse sgombrare la scacchiera per la sua Regina-.
Vicente amava molto gli scacchi. Una volta aveva pure provato ad
insegnargli regole, tattiche e trucchi, ma nelle partite ufficiali
Gabriel perdeva dopo le prime quattro mosse del vampiro. Quel
riferimento al gioco, un confronto a parole simile ad una partita di
scacchi, gli dava i brividi.
-Il culto di Sithis è la fede che troppi di noi stanno
abbandonando schierandosi con i nostri avversari. Per questo motivo ho
riposto in te tutta la mia fiducia: sei l’Eletto, colui che
rafforzerà i rapporti tra i terreni e i Divini,
l’intermediario che la Confraternita attendeva da secoli,
nelle cui mani affidare il destino del nostro Ordine e la salvezza
dell’Impero dalle anime corrotte-.
Gabriel distolse lo sguardo respirando piano. Socchiuse gli occhi e
ripensò alla consapevolezza di avere una simile
responsabilità sulle spalle. Se ne sentì
schiacciato come la prima volta che Vicente lo aveva chiamato l’Eletto,
e provò un immenso senso di vertigini. Non disse nulla che
potesse aiutarlo a confidarsi con Vicente, non perché non
sentisse di averne bisogno, bensì perché temeva
inopportuno parlare al vampiro dei propri bisogni ora che era tornato
ad essere un completo estraneo, diffidente, per altro, delle sue
capacità.
-Mi dispiace per ciò che stai passando, Gabriel, ti
compatisco, ma non posso più darlo a vedere.
Potrà sembrarti egoista, da parte mia, un simile gesto nei
tuoi confronti, ma non posso permettermi di bruciare la reputazione che
difendo a suon di torture e punizioni con i miei allievi. Se in passato
sono stato per te un supporto, vorrei che d’ora in avanti mi
considerassi unicamente una guida, un tuo semplice superiore.
Purché sia preservata l’uguaglianza, ti saranno
negati privilegi e diritti, e spesso ti verranno imposte sofferenze
peggiori degli altri. Proprio per via del destino a cui sei legato,
Gabriel, Sithis esige che tu venga trattato con fermezza,
rigore… e non il contrario. Sei d’accordo?-.
Il ragazzo annuì automaticamente. In quel momento non
desiderava altro che mettere qualcosa nello stomaco e stendersi a
letto. Chiudere gli occhi e crogiolarsi tra le braccia della Madre
Notte.
Vicente sembrò prendere accettare la sua risposta, ma
ostentò lo stesso una faccia cupa e seria dicendo: -Veniamo
ai fatti, allora: per via del tuo parziale fallimento, dovrai scontare
la redenzione come tutti. Dopo cena sarai scortato nel Santuario da
Ocheeva che ti istruirà su cosa fare una volta
all’Altare. Vorrei che quando sarai nel Santuario, tu ti
dedichi veramente alla preghiera nonostante io ti stia parlando di un perdono già certo.
Lucien non spedirà mai una lettera di espulsione e tu non
tornerai a dormire sotto i ponti, posso giurartelo. Da te chiedo in
cambio la tua completa dedizione nel prossimo contratto che ti
affiderò. Con umiltà, se è possibile-.
Gabriel tacque pensieroso. Non sapeva quanto la Confraternita guardasse
in rosa al suo futuro e quasi non desiderava saperlo. Però
c’era da tener conto che Vicente non conosceva gli ultimi
sviluppi della missione, ovvero che presto o tardi un suo bel ritratto
sarebbe stato appeso in tutte le taverne dell’Impero.
-Certo. Con umiltà. Per Sithis- dichiarò.
–Ma… signore, proprio con umiltà vorrei
confessarvi…- tentò, ma il vampiro lo fece tacere
con un gesto della mano.
-E’ tardi, ed io ho del lavoro urgente che richiede la mia
supervisione. Va’ alla mensa, sfamati e poi raggiungi Ocheeva
nelle sue stanze. Riferisci lei che sei pronto a chiedere il perdono e
dimentica questa conversazione appena sarai nel Santuario. Domani vieni
da me, e parleremo del tuo nuovo incarico. Di fronte alla supremazia di
Sithis siamo servi e peccatori. Pentiti, ragazzo, ma trova la pace-.
Vicente finì il vino in un ultimo sorso. Si alzò
per primo e lasciò il salone.
Gabriel rimase da solo al tavolo per un tempo indefinito.
Portò indietro la testa e si tolse il cappuccio, che in quel
momento percepiva opprimente come le sbarre di una gabbia. Gli mancava
l’aria, quella fresca e genuina
dell’esterno che si respirava sulle coste del lago. Senza
rendersene conto, Gabriel tornò con la mente allo scontro
con la maga. Immaginò quegli occhi strafottenti che lo
studiavano curiosi, i capelli e le vesti intime appiccicate al corpo
umido. Non riuscì a trattenere un principio di erezione,
nonostante si fosse trattato di una completa estranea adoperata al
meglio per distruggere tutto ciò che la Confraternita
significava per lui.
Scacciando inutili ricordi, Gabriel preferì voltarsi al
presente.
Vicente gli aveva parlato di un perdono
già certo, ma il ragazzo non capiva cosa
volesse dire. Alzandosi dal tavolo e avviandosi per la mensa
rifletté sulle sue parole e scoprì che il Vampiro
si era limitato a fargli una cronologia dettagliata del suo futuro
prossimo. Sithis l’aveva scelto, l’aveva protetto a
lungo, poi un giorno aveva lasciato che finisse in prigione per colpa
di una maghetta da strapazzo. Era grazie a Sithis se tutti nella
Fratellanza lo guardavano con occhi diffidenti. Era grazie a Sithis se
si stava innamorando di Antoniette Marie.
Gabriel aveva dei dubbi sulle parole di Vicente.
Il vampiro gli aveva confessato un grande peso che gravava sulle sue
spalle, ovvero quello di non potersi permettere di trattarlo in modo
privilegiato semplicemente perché Sithis aveva impedito la
sua morte o predetto la sua venuta. Gabriel non pensava che dietro alle
intenzioni di Vicente ci fosse l’unico scopo di avvertirlo,
metterlo in guardia ad un dovere verso la fede. Gabriel stentava a
credere che Sithis si fosse svegliato una mattina dalla tomba e avesse
ordinato chiaro e tondo che Gabriel si occupasse di riunire gli
infedeli, scacciare e uccidere i traditori.
In realtà, il disegno che Sithis aveva fatto del suo destino
era nettamente più incisivo di quello che tutti avevano in
mente. Se era stato chiamato l’Eletto c’era un
altro motivo, più oscuro, tormentato e intrigato di quanto
si potesse immaginare. Ma nessuno sembrava conoscerlo a parte Sithis
stesso e forse i suoi cinque interpreti più fedeli, uno dei
quali era Lucien Lachance. Gabriel capì che Sithis non gli
aveva messo i bastoni tra le ruote affinché la Confraternita
decidesse di trattarlo meno da privilegiato. Sithis non stava facendo
della sua una vita spericolata, piena di ostacoli e
difficoltà senza un fine ultimo migliore
dell’aprire gli occhi ad un branco di eretici ciechi. Sithis
lo stava preparando a qualcosa, ad un cambiamento, e stava usando tutti
i mezzi a sua disposizione per avvicinare il figlio prediletto al suo
destino.
.:Angolo
d’Autrice:.
Eccomi! Su questo capitolo ha da chiarire, per ora (poi vediamo se me
ne vengono in mente altri) tre punti fondamentali.
1. I quattro Mitici Uccisori, Leggende,
come preferite, citati all’inizio del capitolo, sono di mia
invenzione. Nel Santuario non troverete mai riferimenti a queste
quattro figure che, a mo’ di “Santi”
cattolici, ricordano potenziali, principi e doveri della Confraternita
stando semplicemente dipinti o appesi ai muri.
2.
Nikolò, come membro e pedinatore della
Fratellanza, è inventato da me. Il grado, ecco, di
“pedinatore” non esiste, ma, nella dimensione della
mia fan fiction, è prevalentemente attribuito a bambini o
ragazze.
3. Ho intenzione di
cambiare il nome dell'Assasino da Gabriel in Lennard. Tra questo,
Gabriel, Lucas, Marcus o Alec quale preferite? XD
4. Altro?
Hmm… penso di no! Veniamo ai ringraziamenti.
X
Burdok 95: in una nota remota presa mentre giocavo ho trovato
scritto che si chiamava Gorgon o Gorgog Bro Bolmog. Puoi confermare che
(Grogog) come me l’hai consigliato tu è esatto? O,
giuro, impazzisco! Comunque grazie, le tue recensioni
m’invogliano a scrivere e mi lusingano anche troppo. Per
quanto riguarda la storia, sì, era proprio questa
l’idea di fondo: due vite che scorrono parallele per poi
incontrarsi in (inizialmente) pochi e fatali momenti. ^^ In
fine, ti ringrazio molto per l’ulteriore consiglio sul nome
dell’Assassino, ma adesso sono io a porre dei canoni: che ne
pensi di Lennard? :D
P.S. Te che vivi anche nella sezione AC… Wuhahahahah! Hai
visto il nuovo trailer di Botherhood? *w* Perdonami, devo pur
condividere con qualcuno la mia gioia! XD
X
SnowDra1609: wuahahah! Sono troppo felice che ti piaccia
sempre di più! :D Anche a me la storia sta prendendo molto,
e detto da una scrittrice che si fomenta alla sola idea di veder
crescere l’attenzione dei lettori, vuol dire molto! ^-^ Non
so come ringraziarti, anzi, forse lo so! Accontentandoti con la morte
dell’Assassino! Muhahahah! èOé
Be’, questo… vedremo, dopotutto, sbaglio o Romeo e
Giulietta è una “tragedia”? ;D Idee
sempre nuove mi affollano il cervello ed è solo colpa tua!
XD Allora ci becchiamo al prossimo aggiornamento. ^^
P.S. Non so quanto dovrai aspettare per vedere aggiornata la mia ff su
Prototype, mi premeva parlartene. A causa di tempo e “forza
di volontà” sto riscontrando parecchie
difficoltà nel portare avanti quella e altre fan fiction
sparse un po’ ovunque. A presto!
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Capitolo 6 *** La locanda silenziosa ***
6. La
locanda silenziosa
Elion aveva appena chiuso gli occhi quando Mattiùs
la scrollò. –Elion, Elion non puoi addormentarti
così presto!- le diceva.
In un primo momento la ragazza lo ignorò del tutto;
piuttosto si voltò dall’altro capo del letto
dandogli le spalle e nascose la testa sotto al cuscino.
–Mattiùs, vattene, dai, sono stanca. Ci rivediamo
domattina- mugugnò.
-Non credo proprio, signorina Elion- un prepotente tono maschile fece
irruzione nel suo padiglione auricolare e la ragazza, riconoscendo la
voce di Raminus Polus, balzò prima seduta e poi in piedi al
lato del letto.
-Signore, io…- tentò di scusarsi, ma il
Consigliere alzò una mano per interromperla. –Stai
comoda, Elion- le disse. Indossava la lunga cappa blu del Consiglio dei
Maghi, abito che non gli si vedeva addosso raramente all'Università. I
capelli corti, castani, erano pettinati con ordine all’indietro
e gli occhi scuri, tipici degli Imperial, erano sereni.
La ragazza si lasciò cadere seduta sul bordo del materasso.
–Pensavo di poter mettere da parte qualche energia per
l’indomani- spiegò.
-E hai pensato bene,- intervenne Raminus. –Ma ci sono delle
regole da rispettare, alcune delle quali implicano la partecipazione
alle attività collettive, senza nessuna eccezione. Non
è la prima volta che entrambi-, s’interruppe
inglobando con uno sguardo Mattiùs nella conversazione, -
lasciate la mensa prima dell’orario stabilito.
D’ora in avanti un ulteriore manifestarsi di questa mancanza
di rispetto nei confronti dei vostri compagni, sarà
severamente punita- annunciò.
Elion chinò la testa e Mattiùs la
imitò.
Raminus tornò a sfoggiare il suo sorriso perfetto.
–Inoltre… se foste rimasti entrambi seduti ai
vostri posti in mensa, questa sera, sapreste del torneo.-
-Torneo di cosa?- chiesero entrambi, sorpresi.
Raminus si avvicinò allo scaffale colmo di libri e cercò qualcosa con lo sguardo. Quando
l’ebbe trovato, senza recitare incantesimi ma con
la sola forza del pensiero, fece levitare un mazzo di carte sin sotto
al naso di Mattiùs. Sempre ricorrendo all’uso
della magia e, nello specifico, alle formule della divinazione, Raminus
estrasse dal mazzo prima una, poi due, tre, quattro, cinque,
sei… tante carte quante erano sufficienti a creare una
piramide che riposasse, stabile, al centro del tavolo in mogano.
Il Consigliere Polus si congedò così, lasciandoli
ammirare la perfezione architettonica della piramide che aveva
costruito con quei miseri pezzi di carta in pochi secondi.
-MA CHE FORZA!- esultò Mattiùs avvicinandosi.
Tese un braccio e fece per toccarne il vertice, ma non appena lui fu
troppo vicino e Raminus troppo lontano, la piramide si
sgretolò e le carte tornarono, magicamente e ordinatamente,
impilate nel loro mazzo.
Elion, nel frattempo, si era affacciata sulle scale e aveva guardato il
Consigliere lasciare l’alloggio dei Maghi di nuovo diretto
alla mensa. Quello era un chiaro invito, si disse Elion, che
però era costretta a rifiutare.
-Voglio partecipare! Ho giù in mente cos…-
-No- Elion afferrò l’amico per il braccio e lo
trascinò vicino ad una finestra della stanza.
Aprì le tende e spalancò i vetri.
–Credimi, anch’io vorrei tanto partecipare, ma ho
preso un impegno- disse sporgendosi dal balcone. Guardò di
sotto e vide chiaramente il Consigliere entrare nella mensa.
-Quale impegno? Sai bene che dopo una certa ora non possiamo uscire
dall’Università.-
-Infatti, perciò è inutile che me lo ricordi- la
ragazza si gettò fuori dalla finestra e atterrò
sul tetto di tegole un metro più in basso.
Mattiùs era rimasto a bocca aperta.
-Dai, Mattiùs, muoviti! Il turno di Dannìlus
finisce tra poco e quel cagnaccio di Lerseghio aspetta ancora i tuoi
soldi!-
La Taverna dei Mercanti, un punto di ritrovo per tutti i commercianti
della Città Imperiale, era famosa per le sue festose serate.
Quando Elion e Mattiùs varcarono la soglia, però,
ebbero l’impressione di essere entrati nella Gioielleria del
distretto: silenzio e tristezza ovunque.
Elion si aspettava di trovare gente sbronza a ballare sopra o sotto ai
tavoli, che invece erano disposti ordinatamente attorno al bancone; il
caminetto, le fiaccole e le candele erano accese, i bicchieri e i
boccali ancora pieni per la maggior parte, nonostante fosse sera
inoltrata. Il locandiere se ne stava con le mani in mano, mentre la
moglie lucidava alcune vecchie posate di peltro. Gente ce
n’era, e pure tanta seduta ai tavoli o attorno al bancone, ma
tutti parlavano sottovoce alimentando il brusio di sottofondo.
Elion individuò il vecchio Laenzio seduto al bancone su uno
sgabello, che dava le spalle alla porta; era curvo sul suo boccale
pieno e stretto tra due amici, uno dei quali gli circondava le spalle
con un braccio. Indossava dei vestiti semplici, con i quali avrebbe
potuto scambiarlo per un compaesano, ma la calvizie lo e le tempie
bianche, che quella sera non nascondeva sotto l’elmo da
legione, lo resero inconfondibile agli occhi della ragazza. Elion si
avviò verso di lui senza dare indicazioni a
Mattiùs, che rimase immobile sulla porta a guardarsi intorno
spaesato: l’innaturale silenzio di quella locanda aveva
tramortito anche lui.
-Hai fatto tutto il possibile- disse l’uomo col braccio
attorno alle spalle del suo padrino.
-Vedrai, Laenzio, molto presto la Legione riacciufferà quel
figlio di cagna e tu avrai tutto il diritto di pestarlo!- aggiunse
l’altro.
Il vecchio Laenzio buttò giù un piccolo sorso e,
posando il calice sul bancone, sospirò. –Elion
penserà che sono un incompetente. L’ha portato da
me, capite?- domandò rivolgendosi ad entrambi gli amici.
Anche il locandiere, dall’altra parte del bancone,
annuì dispiaciuto. –Si fidava di me, ed io
l’ho delusa… non me lo perdonerà mai.-
Elion s’immobilizzò alle sue spalle. Mentre i due
uomini s’accorgevano di lei e le facevano un po’ di
posto da entrambi i lati, Laenzio buttò giù un
altro sorso, ma ‘sta volta con più foga.
-Perché, cos’è successo?- chiese
flebile la ragazza.
Laenzio si voltò con le labbra dischiuse e ancora umide. Fu
sorpreso di vederla lì e si permise un mesto sorriso. Poi,
però, dovette affrontare la realtà.
–Vieni, ti offro qualcosa- disse facendole segno di sedergli
accanto, dove uno degli amici del vecchio aveva liberato il posto.
Elion si accomodò e serrò le ginocchia. Assunse
una posa composta e sorrise ad entrambi gli amici, che subito si
allontanarono per lasciarli appartati. Nel frattempo Laenzio
ordinò un mezzo boccale al locandiere.
La ragazza si apprestò ad interrompere l’ordine
ricordando al Priore della Prigione che non sopportava niente di
alcolico, soprattutto a quell’ora della notte.
Laenzio si esibì in un risolino. –Perdonami: ti
avevo scambiata per lui e volevo offrirti la birra preferita di
Lennard.-
Elion s’adombrò. –Chi è
Lennard?-
Il vecchio scosse la testa come scacciando pensieri lontani.
–Lascia stare, dimentica quel nome. Piuttosto, credo di
doverti lo stesso qualcosa da bere per farmi perdonare.-
Elion intraprese quel nuovo discorso, pur annotandosi questo misterioso
Lennard nella mente. –Di cosa parli?-
Il locandiere posò loro di fronte una brocca di vino dolce e
Laenzio ne versò un bicchiere alla ragazza.
–Ricordi quel tuo amichetto che mi hai presentato
‘sta mattina?- le chiese.
Elion ci pensò su un istante. –Parli del ragazzo
che mi ha aggredita?-
Laenzio annuì poggiando i gomiti sul bancone.
Guardò nel boccale di birra la propria immagine riflessa.
–Credo che mi odierai per ciò che sto per dirti.-
-Non ti odierei per nulla al mondo, e lo sai- lo rasserenò
lei. –Ti devo la mia stessa vita. Come puoi pensare una cosa
del genere?- con quelle parole riuscì a commuovere il suo
vecchio.
Laenzio la guardò negli occhi e fu allora che Elion
capì senza aver bisogno di altre parole. La ragazza si
limitò a tacere, alimentando con il suo il silenzio della
locanda. Bevve un piccolo sorso del suo vino dolce e
arricciò le labbra: fu difficile ignorarne il pastoso sapore
che aveva sulla lingua, pur di mostrarsi contegnosa e
all’altezza della situazione. Se si fosse trattato di un
altro contesto, Elion non avrebbe esitato a fare qualche considerazione
pignola su quel vino e Laenzio non ci avrebbe pensato due volte prima
di uscirsene con qualcuna delle sue battutine sugli Elfi e la loro
puzza sotto al naso.
-Quand’è successo?- chiese.
-Nel pomeriggio. Era fuori città prima di sera, sicuro-
sbottò lui.
-Come… com’è scappato?- Elion
provò un pizzico di rimorso. Forse non era la domanda giusta
da fare, se l’uomo che aveva di fronte aveva il vizio di
assumersi responsabilità che non gli competevano. Sapeva che
Laenzio non avrebbe mai permesso compiersi un simile misfatto,
perciò Elion scaricò la colpa sulle guardie di
pattuglia ancora prima di ascoltare la risposta del suo vecchio.
-L’ho sbattuto in una cella con la serratura debole. Deve
essersi fatto bastare quell’unico grimaldello che poteva
nascondere tra le chiappe, perché lo abbiamo perquisito
anche dove la fantasia di voi donne difficilmente arriva! I miei uomini
hanno riferito di un tombino che getta dalla strada nella prigione. Si
è arrampicato come quel topo che è ed
è sparito. In metà giornata nessuno ha
più saputo dire dove fosse…- raccontò
Laenzio, arrabbiato.
Elion ascoltava in silenzio. Vedere il suo padrino così
adirato le metteva ansia. Quando Laenzio era una guardia di pattuglia
comune la sua sfuriata massima era stata una lamentela sui mendicanti
che pisciavano lungo le mura; siccome lo infastidiva ordinare che
qualcuno pulisse quella schifezza, s’incaricava personalmente
di passare spazzola e sapone sulla pietra della cinta muraria. Tornava
a casa borbottando “sono l’unico a cui importa un
po’ di pulizia in questa città!”.
Perciò Elion non sapeva cosa aspettarsi dal suo vecchio
mentore ora che la faccenda era più grossa.
Già, ma quanto più grossa?
-E dai, non può essere grave come dici…-
esordì la ragazza avvicinandosi a lui. –Era un
ladruncolo da mercato ben fornito; se se ne fosse ricordato, sarebbe
tornato indietro a chiederti del denaro prima di svignarsela-
ridacchiò.
Laenzio proprio non riusciva a stendere le labbra. Era troppo
combattuto tra la gioia di avere Elion alla taverna lì con
lui e il dispiacere che gli dava sapere quel bastardo di nuovo in
circolazione, pronto a far del male alla sua piccolina. Bevve
l’ultimo sorso del suo calice e chiese al locandiere di
riempigliene un altro giro. Fece per colmare di nuovo il bicchiere di
Elion con del vino dolce, ma la ragazza mostrò entrambi i
palmi delle mani, rifiutando.
-Quel capellone è entrato con te. È un tuo
amico?- domandò Laenzio aggrottando le folte sopracciglia.
Guardava un punto oltre le spalle della ragazza.
Elion si voltò e vide che Mattiùs si era seduto
ad un tavolo in silenzio e li guardava a sua volta. Quando si accorse
che il padrino della ragazza e lei stessa lo fissavano, distolse lo
sguardo arrossendo.
-Si chiama Mattiùs. È un mio compagno
dell’Università, siamo allo stesso anno e avremo
tutte le lezioni in comune- disse Elion. –Se vuoi te lo
presento.-
-Nah- tagliò corto Laenzio, tornando a guardare la propria
immagine riflessa nel boccale di nuovo pieno. –Ti conosco
abbastanza per stare tranquillo. Oggi mi hai dato prova della tua forza
sapendotela cavare con quel ladro. Povero il ragazzo che si
beccherà il tuo rifiuto ad un impegno di matrimonio!- questa
volta si permise di ridere, prima di gettare giù altra birra.
-Ancora con questa storia…- Elion alzò gli occhi
al cielo.
Dopo un lungo silenzio, il vecchio sospirò. –Al
mio posto, Hieronymus avrebbe saputo cosa fare- ammise con una smorfia,
ripensando ai fatti della giornata.
-Io non ne sono così certo- s’intromise una voce
nuova.
Quando Elion e Laenzio si voltarono, videro che all’ingresso
della locanda c’erano tre soldati della Legione. Uno di
questi, però, portava una luminescente armatura di ferro
battuto e vestiva gli onori e i gradi più alti. Alla fioca
luce di fiaccole e candele, il Capitano delle Guardie Fhenius Lex
sembrava indossare un’armatura di fuoco. Portava lo scudo
sulla schiena, lo spadone nel fodero e l’elmo sottobraccio.
Laenzio smontò dallo sgabello e
s’inchinò. Così fecero tutti, in
silenzio, preparandosi ad ascoltare cosa il Capitano delle Guardie
Imperiale era venuto a fare o a dire nella loro umile locanda.
Fhenius andò incontro al padrino della ragazza e gli
raccomandò di stare comodo. Laenzio tornò seduto
sul suo sgabello. Il Capitano delle Guardie congedò i suoi
uomini, che presero posto ad un tavolo in mezzo alla gente, mentre lui
sedeva sull’altro sgabello vuoto accanto al Priore della
Prigione.
.:Angolo d'Autrice:.
Sono tornataaaaaaa! :D Lasciatemi dire che rimettermi a scrivere su
questa storia è stato bellissimo. Avevo dimenticato che
razza di mondo fosse quello di Oblivion e quante idee avessi ancora da
scrivere. Alla fine è stato più forte di me,
più forte di tutto! DOVEVO scrivere questa scena, ovvero la
scena in cui Elion e Mattiùs arrivano alla Locanda dei
Mercanti e sorprendono la gente di Imperial City ansiosi per cosa
è successo. Nel prossimo capitolo ho già in
mente, a grandi linee, cosa accadrà, ma non so ancora se
farò un miscuglio dei POV tra la maghetta e l'assassino
oppure lascerò cadere la narrazione su Gabriel solo nel
settimo capitolo...
Non c'è molto da dire. Adoro chi segue e recensisce questa
storia, adoro anche chi la segue e basta. Rinunciare alla scrittura per
tutto questo tempo, appartandola in secondo piano, mi ha fatto capire
quanto è importante per me! E di non poterne fare a meno,
come una droga, sì, esatto... ma queste sono cose che
scrittori di fan fiction o meno pensano dall'albore dei tempi e noi non
siamo mica qui a pettinare le aragoste! XD
Fatemi sapere cosa pensate anche di questo post :3 sperando che ogni
tanto bazzichiate ancora da queste parti per controllare se
aggiornerò! ^^
Bellaaaaaaaaaa :D
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