The Witch and the Murder

di cartacciabianca
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Stivali Squalo ***
Capitolo 2: *** Laenzio della Prigione ***
Capitolo 3: *** Sanguine, mio fratello ***
Capitolo 4: *** Questione di... frutta ***
Capitolo 5: *** Un disegno diverso e grandioso ***
Capitolo 6: *** La locanda silenziosa ***



Capitolo 1
*** Prologo - Stivali Squalo ***


1. Prologo - Stivali Squalo

Il mio nome è Elion, e, sinceramente, non ho idea da dove vengo.
Sono fuggita dalla Prigione Imperiale grazie al Re nostro Sovrano, che poi è venuto meno affidandomi quel ciondolo acchiappa guai. Sono classificata da molti come Elfo dei Boschi, ma se nascondo le orecchie a punta sotto la mia massa castana di capelli, posso comunemente essere scambiata per una donna Imperiale o addirittura per un Bretone, se si pensa alla mutevolezza del mio caratterino in certe circostanze. Sono nata sotto il segno del Mago, e tale sono, poiché me la cavo con gli incantesimi. Dai miei sconosciuti genitori (mi dicono in molti, complimentandosi) credo di aver ereditato una nota capacità di recupero, evocazione, illusione, non ché un alto livello di misticismo, alterazione e malia. Faccio sinceramente pena quando si tratta di Alchimia. Credo che dovrò prendere delle ripetizioni… Nonostante ciò, la Gilda dei Maghi non ha esitato un secondo prima di prendermi con sé. In circa un anno di viaggi per la Contea ho ottenuto le raccomandazioni di tutti i Maghi Supremi dell’Impero e adesso studio all’Università Arcana. Lì ho conosciuto gente interessante, un po’ pazza, certo, ma davvero affascinante. C’è stato un tempo in cui vivevo in una baracca al porto (dove so si annida la comunità dei ladri, protetti dalla famigerata Volpe Grigia) ma adesso trascorro le notti sotto il magico tetto dell’Università. Ho gli occhi scuri, a differenza di come detta la mia razza, e una statura media. Ho un fisico asciutto, non troppo muscoloso, ma reggo comunque a lunghe passeggiate. Il cavallo pezzato di Bruma al mio fianco l’ho vinto scommettendo con uno spettatore dell’Arena. Se posso, oserei aggiungere “barando”. Quel giorno si fronteggiavano un mio amico mago dell’Università (sul quale avevo scommesso io) e un poco noto Gladiatore. La mia conoscenza si è conquistata la vittoria senza il minimo sforzo, riducendo in polvere il suo avversario. Ero perfettamente a conoscenza delle sue capacità magiche. Quando scommisi, non avevo dubbi su chi avrebbe vinto quell’incontro. Il poveraccio con cui avevo messo in gioco una fruttuosa somma di denaro ha confessato poi di non avere di che pagare, se non la sua cavalla. Ero lì lì per rifiutare (avrei fatto lo stesso anche se i soldi li avesse avuti) ma poi mi ha parlato di quanto gli pesasse sulla coscienza quella povera bestia.
La cavalla l’ho battezzata Noilé, il mio nome al contrario. Che fantasia, eh? In effetti… ora che ci penso avrei potuto fare di meglio, eppure… sento che le si addice molto. Ormai sono mesi che mi accompagna in lungo e in largo per l’Impero a caccia di avventure. In quest’arco di tempo ho scoperto che abbiamo parecchio in comune. Per esempio odiamo entrambe il pesce.

Elion ripensò al vecchio e povero pescatore che, in cambio di quattro squame, le aveva dato quegli strani stivali. L’uomo aveva detto che possiedono un potente potere magico, ma la ragazza non avvertiva in loro nessun flusso arcano.
Ma che strani… pensò rigirandosi la scarpa destra tra le mani. Sembravano comuni stivali di pelliccia, dall’aspetto sobrio. Puzzavano, e di pesce! Mio Dio che schifo… Fece una smorfia e Noilé assieme a lei, sbuffando.
Elion sedeva su una roccia sulle sponde del lago nel quale galleggia l’isola con la Città Imperiale. Alle sue spalle incombeva il verde della natura, ma su tutto il Regno dominava la magnifica Torre d’Argento fatta erigere dagli Antichi nel centro della Capitale, assieme alle sue mura ciclopiche. Poco prima poteva vedere con chiarezza l’ingresso delle fogne che, come sapeva per certo grazie all’esperienza diretta di un anno addietro, conducevano alle Prigioni Imperiali per via di un passaggio segreto. La grata era chiusa a chiave da una serratura molto difficile. Ma con le abilità di mago in suo possesso, se avesse voluto, avrebbe potuto farla saltare con la stessa facilità di una mela da sbucciare.
Elion tornò a guardare i suoi nuovi stivali che nell’equipaggiamento non pesavano granché. Effettivamente erano leggeri, particolarmente leggeri ed elasticizzati. Al tatto erano freddi, lisci, apparentemente di pelle, ma in realtà svelavano una superficie umida e squamosa come quella di un pesce.
Senza riuscire a trattenere una medesima smorfia, Elion gettò prima uno poi l’altro stivale nell’acqua.
-Che ricompensa ignobile…- sbuffò alzandosi dalla roccia sulla quale sedeva. Si voltò, ma la sua cavalla le diede una musata in pieno ventre esortandola a guardare di nuovo verso il lago.
Nel gesto esasperato di girarsi alzando gli occhi al cielo, Elion notò con stupore che gli stivali galleggiavano sulla superficie dell’acqua nonostante li avesse scagliati dove la profondità avrebbe dovuto coprire l’altezza di un essere umano.
Dio mio! Galleggiano! Gli stivali galleggiano! Esultò a bocca aperta. Ecco di che potere parlava quel vecchio pescatore!
Elion si avviò verso la sponda e s’immerse in acqua fino alle ginocchia, allungandosi ad afferrare gli stivali e riportandoli all’asciutto tra le sue braccia. Ancora una volta la magia entra a far parte della mia vita, e nel modo più assurdo di quelle precedenti! Rise di gioia e divertimento a tal pensiero, mentre tornava sulla riva e si sfilava le scarpette che abbandonò sul prato.
Forse è meglio che eviti di bagnare i vestiti, anche se sarei in grado di farli asciugare con un colpo di bacchetta, pensò iniziando a spogliarsi sino ai limiti consentiti dalla decenza, restando con indosso solo la biancheria intima e una canottiera fino a metà coscia. Tanto, in quest’angolo sperduto dell’isola, ai piedi dell’ingresso tappato per le fogne, chi vuoi che passi mai? Giusto i gabbiani o qualche cerbiatto! Senza contare la sua Noilé che la fissava con occhi curiosi.
Così la ragazza s’infilò gli stivali ai piedi, affondando i plantari nella viscida stoffa squamosa che li rivestiva sia all’interno che all’esterno. Mosse i primi passi sull’acqua e si accorse ben presto, con un solare sorriso sulle labbra, di poter camminare su quell’immensa superficie cristallina come se stesse normalmente passeggiando su un sentiero di città.
Intraprese una piccola corsa che in breve tempo la portò quasi sulla sponda opposta del lago. Tornò indietro, saltò, piroettò ridendo come una matta. Poi si fermò, si piegò e scoprì che con le mani poteva catturare i pesciolini che abitano a pochi centimetri dalla cresta. La sua immagine si rifletteva come su uno specchio, sul quale camminava con estrema grazia e compostezza, fingendomi una reale principessa.
-Largo alla Signora di Bruma!- scherzò mimando dei gesti di saluto con le mani e improvvisando con l’immaginazione un corteo di sudditi e trombe alle sue spalle. –La donna che camminava sull’acqua! Questa cosa farebbe invidia a Mattiùs (il mio amico mago più caro)- ridacchiò.
D’un tratto sentì nitrire la cavalla.
Elion si voltò verso la costa e vide Noilé agitata per via di un movimento sospetto dietro una felce poco distante, vicino all’ingresso della fogna, che catturò la sua attenzione fin da subito.
Tornando sulla riva in pochi balzi, afferrò la casacca bianca primaverile da maga e se la strinse al petto per nascondere le forme. Sollevò la mano libera che, appena prese a cantilenare due formule elementari, s’illuminò di un azzurro intenso e vitale.
-So che sei lì, non costringermi a dar fuoco al cespuglio! Ovviamente con te dietro, straniero!- minacciò agguerrita.
Con un nuovo incantesimo Elion scrutò attraverso il fogliame e colse un corpo maschile avvolto da una divisa nera come la notte. Il volto celato da un cappuccio, un pugnale alla cintola, stivali e nel complesso una tenuta leggera, da stratega di agilità.
-Non ti farò del male, lo prometto- disse lei un poco in ansia. –Esci allo scoperto, chiedi perdono per la tua impertinenza e sarai libero di andare- pronunciò ferrea.
Sull’educazione sono irremovibile come tutti gli Elfi a questo mondo. In ogni caso, potrebbe aver rubato qualcosa dalle bisacce legate alla sella di Noilé.
Il ragazzo non sembrò d’accordo, e di punto in bianco scomparve alla sua vista, volatilizzandosi nel nulla. Di lui restava solo il prato scomposto dove un tempo c’era stato il peso quasi nullo dei suoi calzari.
-Ma che diavolo…- borbottò lei guardandosi attorno.
Ipotizzando che potesse essersi trattato di una banale trasfigurazione da camaleonte, Elion era già pronta a rilanciare un contro incantesimo. Recitò la formula, stendendo il braccio verso l’alto e tutt’attorno a lei, per venti metri, si condensò una nube rosata che le mostrò il suo bersaglio.
Il ragazzo si allontanava di gran corsa sul prato diretto al ponticciolo lì vicino.
Elion abbandonò la veste da mago a terra e montò in sella alla cavalla, che poi spronò al galoppo all’inseguimento.
Il giovane nel frattempo raggiunse il ponticciolo, ma non fece in tempo ad abbandonare il raggio dell’incantesimo di smascheramento. Elion stava per recitare una nuova formula che gli avrebbe immobilizzato le gambe, ma la sua imbranataggine con l’equitazione chiese il conto all’ultimo momento. Noilé inciampò su un’asse sconnessa del ponticciolo ed Elion, pur di salvarsi la pelle, si gettò fuori di sella, finendo addosso al ragazzo.
Caddero entrambi in acqua dal ponticciolo, crogiolandosi nelle calme correnti del limpido lago. Elion, coi suoi stivali ai piedi, riemerse subito in superficie, mentre il ragazzo restò affondo per parecchi secondi, che poi condensarono in un minuto buono.
Strano… pensò lei. Il mio incantesimo ancora mi permette di vederlo sotto i miei piedi, ma allora perché non torna su? Si chiese.
Elion attese per poco prima di giungere ad una fredda conclusione.
Come si sfilò gli stivali sprofondò nell’abisso. Poche bracciate, e raggiunse il corpo del ragazzo mollemente adagiato sul fondo del lago. Lo afferrò per il gomito, se lo caricò sulle spalle, poi entrambi risalirono in superficie con l’ausilio di un nuovo incantesimo che triplicava temporaneamente le forza fisica dell’Elfa; la stessa che lo riaccompagnò sulla riva.
Elion lo adagiò sull’erba e lei, esausta perché indebolita dal troppo Magika speso, si accasciò affianco a lui, sentendolo tossicchiare.
Ed io che ti avevo scambiato per il solito ragazzino guardone, pensò con stupore inarcando un sopracciglio. Studiò a lungo il suo abbigliamento davvero insolito. Era una tenuta nera leggera. Alla cintola aveva un pugnale che ispirava minacce anche da dentro il suo fodero. Il cappuccio gli era scivolato via dalla testa durante il bagno e adesso la ragazza poteva scorgere per intero il suo viso bianco, due meravigliosi occhi azzurri e un medio taglio di capelli neri.
Era un Imperial.
Forse il più affascinante che avesse mai visto.

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Capitolo 2
*** Laenzio della Prigione ***


2. Laenzio della Prigione

Bagnato fradicio fino alla punta dei capelli, il ragazzo continuava a tossicchiare acqua dai polmoni e respirare con affanno. Gli occhi azzurri erano sgranati dal terrore e fissi verso il cielo: come Elion aveva capito non doveva essere un gran nuotatore, e mentre sprofondava prima che lei si precipitasse a salvarlo, era probabile che la signora Morte lo avesse sfiorato maliziosamente con le intenzioni peggiori. Ecco perché aveva un aspetto così… “traumatizzato”.
Seduta accanto a lui, aspettando che si tranquillizzasse, Elion era combattuta tra tre voracissime intenzioni: la prima sarebbe stata quella di alzarsi, fare una carezza alla sua cavalla e rivestirsi con la tunica che aveva abbandonato in terra. La seconda le comandava incresciosamente di picchiare a sangue quel poveretto per essersi permesso di sbirciarla seminuda. Terzo ed ultimo desiderio, quello che assecondò, la incatenava ad osservare con immensa curiosità ciò di cui il ragazzo vestiva. Era sicura di non aver mai visto nessuno in tutta la Contea abbigliato in quel modo assurdo, completamente nero, in piena estate!
Che dire delle armi, poi? Adesso che lo squadrava più da vicino e con maggiore attenzione, colse un arsenale di coltellini intrecciati alle cinghie degli stivali, uno stiletto di buon ferro, un pugnale dall’elsa decorata in oro nero, un piccolo arco da principianti e una decina di frecce dal piumaggio rosso. Forse si trattava di una guardia personale di qualche personaggio importante, che magari l’aveva guardata assieme a lui!
No, ma che dico… più che a quella di una guardia, la sua armatura parziale somigliava alla divisa invernale dei Campioni dell’Arena, se non fosse stata di colori così scuri.
Finalmente il suo organismo tornò alle normali funzioni e la smise di tossire. Il suo respiro si calmò. Strizzò gli occhi un paio di volte, li chiuse e riaprì mormorando a fior di labbra quelle che Elion riconobbe subito come parole di un incantesimo illusionistico.
Con un gesto rapidissimo del braccio la ragazza gli premette la mano sulla bocca, azzittendolo prima che la formula fosse completa. Lo sconosciuto piantò gli occhi sgranati in quelli di lei e per qualche istante restarono immobili, immortalati nel gesto di comprendere l’uno le intenzioni dell’altra.
Elion avvertiva il suo respiro solleticarle la pelle ancora umida della mano, sul palmo della quale sentiva la rigidezza delle sue labbra e un po’ il pizzicorio della barba giovane. Si rese conto che l’uomo di fronte a lei non poteva avere più di vent’anni, a dispetto dell’innaturale sviluppo del corpo che era incredibilmente allenato.
Siccome Elion aveva la situazione impugno ed era felice di essere la donna carismatica che era, si rivolse a lui con estrema naturalezza: -Come prima cosa, esigo i tuoi ringraziamenti per averti salvato la vita. Avrei potuto lasciarti morire e chissà chi si sarebbe accorto della tua mancanza! Come seconda, forse non sono stata chiara, quindi te lo ripeterò con molta calma: chiedimi scusa e non si farà male nessuno- lo fulminò con un’occhiataccia che non accetta polemiche.
L’espressione del giovane mutò a poco a poco: dal completo stupore, Elion vide le sue sopracciglia aggrottarsi e gli occhi farsi piccoli e stretti. Poi, in una frazione di secondo e prima che lei riuscesse ad impedirglielo, il ragazzo le afferrò entrambi i polsi con violenza capovolgendo la situazione.
Elion si ritrovò impossibilitata a muoversi, distesa sul prato sotto il peso della sua armatura dopo che l’immediatezza di quel gesto le aveva strappato un gemito imbarazzante.
L’acqua del lago scivolava via dai suoi capelli e le gocciolava sul viso, mentre il terrore che prima era dipinto negl’occhi dell’uno, adesso si faceva largo a gomitate in quelli dell’altra.
-Come prima cosa,- cominciò facendole il verso, -avrei preferito morire piuttosto che ringraziarti- sbottò a denti stretti. –Come seconda, sognatelo che ti chieda scusa per qualcosa che non ho fatto!-.
-Mi stai dicendo che quello nascosto dietro il cespuglio non eri tu?! Be’, in tal caso, scusa, davvero! Mi farò controllare la vista da un buon medico! Ma prima chiederò che siano le guardie imperiali a controllare te!- lo minacciò.
Un misero umano non può permettersi di rivolgermisi in questo modo. Sono o non sono una Mitica Elfa dei Boschi? Sono o non sono la Guardiana della Discendenza Reale??? E sono o non sono una rinomata Studentessa dell’Università Arcana?!?!? Se quello che ho di fronte è un ladro squattrinato, dovrà vedersela con la burocrazia dell’Accademia prima di guardarmi in faccia di nuovo!
Ma tutti quei pensieri, assieme alla sua determinazione, svanirono come fumo nel momento in cui il ragazzo estrasse lo stiletto e glielo lo puntò alla gola.
-Ripeti ciò che hai detto, se ne hai il coraggio!- sibilò con una voce che non gli apparteneva, incrinata in modo spaventoso dall’ira che mise nel gesto di avvicinare la lama alla carne.
Elion deglutì a fatica, ma improvvisamente trovò la soluzione a tutti i suoi problemi.
Quando aprì bocca, non fu per implorare pietà o invocare il suo perdono. Sussurrò un elementare incantesimo d’illusione mutando il livello di aggressività dell’assalitore. La sua presa sull’arma si allentò di colpo e lo stiletto cadde nell’erba vicino alla spalla della ragazza. Elion avvertì ogni fibra del suo essere sbollentarsi e la rabbia sul suo volto dissiparsi in un manto di piume. Il suo corpo si adagiò su quello di lei, rilassandosi.
-Ecco, da bravo- mormorò la ragazza, sorridente.
-Cosa… cosa mi hai fatto?- chiese perplesso e poco cosciente di sé.
Come forse un ben poco esperto di malia o illusione avrebbe potuto capire, assieme alle parole che gli avevano infuso pace e calma nell’anima, Elion aveva mescolato in lingua elfica alcuni versi di una pergamena distruzione, risucchiandogli una buona parte delle sue energie.
-Nulla che non potrebbe anche piacerti, vedrai- ridacchiò lei.
Il ragazzo crollò in fine svenuto.

Entrare a cavallo in città non era permesso, ma appena Elion ebbe mostrato il carico che la sua Noilé portava sulla groppa dietro la sella, dove sedeva, le guardie l’avevano lasciata passare all’istante, senza esigere spiegazioni.
Il corpo di quel malfattore molto poco educato giaceva inerte da una ventina di minuti, ormai, il tempo che le ci era voluto a risalire la collina su cui poggiano le fondamenta della Città Imperiale, fino all’ingresso nord, a pochi passi dalle Prigioni.
Effettivamente era lì che Elion era diretta, ed era lì che il suo carissimo ospite avrebbe passato la notte. Elion era abbastanza nota nell’ambiente per assicurarsi che la Legione sbattesse in gattabuia questo malfattore con la sola accusa di minaccia a man armata, magari anche senza testimoni.
Seduta composta sulla sella, guidò Noilé al piccolo trotto attraverso le ampie strade tranquille e poco trafficate di Imperial City. La gente si faceva da parte non senza lanciare un’occhiata curiosa al suo bagaglio. Le guardie di pattuglia, fiduciose verso chi l’aveva lasciata entrare, si scansavano con cortesia.
Giunse in fine nel distretto della Prigione, al cospetto della torre che ospita l’apparato burocratico della gloriosa Contea. Smontò da cavallo e affidò le redini ad una guardia armata che la ricevette con rispetto, rivolgendosi a lei con l’appellativo di “onorevole maga”.
Elion arrossì a quel complimento. La veste che indossava doveva lasciar intendere più del dovuto. Solitamente i modi con cui uno studente dell’Università veniva trattato da una guardia imperiale erano due: o di estremo rispetto, oppure di pessima sfiducia. All’interno del corpo militare della Città Imperiale c’era chi, come l’uomo che aveva di fronte, apprezzava e ammirava gli studi, la conoscenza e il potere dell’Università e dei suoi affiliati in tutta la Contea. Ma c’era anche chi disprezzava il suo operato, temendo che fosse rivolto all’unico fine di estirpare la Monarchia e sostituirla con qualche assurda magica gerarchia.
Elion che nell’Università Arcana respirava aria di casa, pensava di quest’ultimi, senza peli sulla lingua e con tutta la delicatezza che si addice ad un’Elfa: fanatici estremisti approfittatori morite ammazzati e affogate nei vostri pregiudizi!
-Madonna, quest’uomo è con voi?- chiese d’un tratto la guardia della Legione alludendo al corpo del ragazzo sulla groppa di Noilé, risvegliandola dai suoi pensieri.
Stirandosi le pieghe sulla gonna Elion fece un cenno d’assenso. –Devo mostrarlo al comandante e assicurarmi che sia dietro le sbarre prima che si svegli. Sareste così gentile da…-.
-Ma certo- acconsentì quello caricandosi il ragazzo su una spalla e seguendo la donna sulle scale che precedono l’ingresso della torre.
Elion entrò senza bussare e il soldato le fu subito dietro, trovando pure la forza – nonostante il corpo del ragazzo sulla spalla - di richiudere anche la porta. Era uno studio circolare e vi affacciavano tre porte che conducevano alle gallerie della prigione. Se tendeva un po’ le orecchie riusciva a sentire le urla dei condannati e i lamenti di quelli sotto tortura. Ora che ci pensava, le tre porte non sfociavano tutte nella prigione. Una di esse andava proprio là, nella sala tortura. Il solo pensiero le fece correre un brivido lungo la schiena, e cominciò a pentirsi di essere lì.
Frantumando il silenzio di quella stanza, il soldato dietro di lei posò violentemente il corpo del ragazzo sul tavolo più vicino. Il frastuono fece sobbalzare un anziano signore seduto dietro ad un grosso scranno e infagottato in un’armatura imperiale. Si guardò attorno con l’aria di chi s’è appena svegliato dopo una bella sbronza. Stava per portare la mano all’elsa della spada d’argento che aveva legata al fianco, quando si accorse dei suoi inaspettati ospiti.
-Razza di stupido, fa’ più piano, dannazione!- eruppe scocciato.
Il soldato semplice incassò il richiamo e si ritirò da parte in silenzio, senza presentare la maga all’ufficiale anche se non ce n’era bisogno.
Elion aveva riconosciuto la sua voce in ritardo e con un certo stupore, ma nel gesto di puntare i suoi occhi su di lui, il vecchio capitano del popolo sembrò finalmente riconoscerla a sua volta.
-Laenzio?- domandò l’Elfa, incredula.
-Santissima Alessia!- esultò quello alzandosi. –La mia maga preferita si è finalmente degnata di farmi visita dopo tutto questo tempo!- disse aggirando lo scranno e venendole incontro a braccia aperte.
Elion aveva conosciuto Laenzio Sirimus appena arrivata in città. Il loro “scontro” era stato ben poco casuale. La sua faccia benevola le aveva ispirato sicurezza fin dal primo giorno, appena fuggita dalle prigioni. Seppur Elion amasse profondamente la fiducia e quant’altro di profondo nella loro amicizia, non aveva mai avuto occasione di raccontargli la reale versione dei fatti che riguardavano la sua vita.
Per lui sono sempre stata – e probabilmente continuerò ad essere – un’Elfa mendicante con delle barzellette molto divertenti.
-Cagnaccio ubriaco, che ci fai qui?- sorrise lei, nonostante fosse molto scomodo abbracciare un blocco di metallo che cammina.
Il vecchio Laenzio la strinse forte a sé, comprimendola tra la cotta di maglia delle braccia e l’armatura pesante sul petto. Appena si allontanò un poco da lei, Elion poté tornare a respirare coi propri polmoni. In confronto alla sua stazza voluminosa – dovuta unicamente al tacco degli stivali di ferro e alla solidità dell’armatura – si fece piccola piccola mentre lui comincia a raccontare.
-Il comandante della Legione Hieronymus Lex è stato trasferito ad Anvil per volere della Contessa Umbranox, che appena ha trovato scritto il suo nome sulla lista di raccomandati che lui le aveva mandato, l’ha voluto subito nella sua città! Adesso il capo è un uomo del popolo, scelto dal Consiglio, nonché suo nipote! Un giovanotto con un onore che fa invidia ai draghi delle montagne e un coraggio da leone! È stato per molto tempo nella Guardia del Re come Spadaccino. Spero tu conosca Fhenius Lex-.
-Mi spiace, il nome non mi dice nulla- ammise.
Il vecchio non diede segni di delusione, anzi, sembrò più entusiasta che mai. –Allora non perderò occasione di fartelo conoscere- strizzò un occhio ed Elion si permise di arrossire, facendolo contento.
-Priore della Prigione… wow- mormorò la ragazza. –Perché non me l’hai detto?- chiese volendo cambiare argomento.
-Ho provato a scriverti, quand’eri all’Università, ma non ricevevo mai risposta; così ho pensato che fossi troppo impegnata a studiare- spiegò con sincero dispiacere.
-Ah!- sbottò lei. –Quei vecchietti dalla barba bianca allo smistamento della posta avranno pensato che fosse una lettera d’insulti. Da parte delle Guardie Imperiali ne arrivano molte all’Accademia- spiegò con un moto di stizza. –Comunque non preoccuparti, adesso che lo so sono davvero felice. Ma come mai hanno scelto… te?- domandò dubbiosa.
L’uomo che aveva di fronte non era troppo raccomandabile per gestire con rigorosa attenzione una Prigione come quella Imperiale, dove defluivano i peggio banditi di tutta la Contea. A Laenzio, vero, non era mai mancato il coraggio di difendere gli altri – ma soprattutto sé stesso – perciò il vedersi tra le mani chi ad altri vuole male – assassini, ladri, banditi – non poteva che farlo sentire una persona migliore di quella che già era. Si era dimostrato premuroso quando per lungo tempo aveva ospitato la ragazza nella sua casa in città, senza farle alcun male come lei, invece, aveva inizialmente temuto. Laenzio era subito diventato il padre che non aveva mai avuto. Erano stati insieme pochi mesi, poi Elion era partita alla volta delle raccomandazioni volute dalla Gilda dei Maghi per entrare nell’Università, cosa che era stata il suo grande sogno fin da quando ne aveva saputo l'esistenza. Laenzio l’aveva vista lasciare la città in groppa alla sua cavalla e da allora erano stati lontani per quell’anno che Elion aveva impiegato nella scalata verso la vetta. Una volta conosciuta e rispettata da tutti i Maghi della Contea di Cyrodiil, l’ingresso all’Università era stato un vero e proprio trionfo. Ora il suo futuro si prospettava radioso e carico di avventura tra pozioni, incantesimi e caccia alla Negromanzia, che la Gilda era impegnata a sopprimere da secoli. Dopo di allora Elion aveva sentito il suo padrino solo per posta, ricevendo raramente sue notizie sempre a causa di quei maledetti smistatori, che la mattina del giorno del riposo consegnavano agli studenti lettere, pacchi, e perché no? Anche regali. C’era sempre qualche viziatello che aspettava doni dalla mamma o dal papà. Elion provava una gelosia immensa per quei ragazzi e quelle ragazze che avevano pozioni, incantesimi e ingredienti per l’alchimia prima degli altri per lezioni o esami importanti, soprattutto in vista delle lezioni autunnali! Era quel genere di “aiuti esterni” che lei non aveva mai potuto permettersi. Laenzio era un ottimo combattente, fissato con l’arte della guerra e vigoroso come si addice ad un buon soldato, ma non aveva mai avuto troppi soldi e forse questo era un bene: meno giorni trascorreva a scolarsi boccali in locanda con gli amici e più Elion dormiva sonni tranquilli.
-Semplice promozione, carissima- arrise soddisfatto Laenzio, tornando dietro lo scranno e trascinandola fuori dai suoi pensieri.
Elion lo guardò di sbieco. –Non me la racconti giusta- commentò arricciando il naso.
-E dai, maghetta, non fare quella faccia! Sai benissimo che questo vecchio cagnaccio ubriaco non farebbe male a una mosca! I condannati li tratta anche troppo alla leggera per quello che meritano- ridacchiò.
Il soldato semplice nella penombra della stanza si schiarì la gola.
-Ah, giusto- Elion balzò sul posto, maledicendosi per aver lascito trascorrere anche troppo tempo. -A proposito di condannati…- con un gesto del capo indicò il corpo disteso sul tavolo vicino all'ingresso.
-Stavo giusto per chiederti se fosse un amico tuo rimasto stecchito durante qualche strano esperimento, magari- si beffò Laenzio. –Ma vedo che è con te per altri motivi. Dimmi tutto, piccola mia- fece disponibile.
-L’ho sorpreso sulla spiaggia vicino allo sbocco delle fogne. Ero lì… per caso, facevo una passeggiata, quando mi ha aggredita con questo-.
Elion gli mostrò lo stiletto che il ragazzo le aveva puntato alla gola. Con un elementare incantamento di misticismo lo fece levitare fino allo scranno e lo posò davanti al naso del vecchio Priore. –Non ho idea se volesse derubarmi o semplicemente uccidermi. Mi ha messo molta paura, ma…-.
-Ma la magia dell’Università ti ha salvato ancora una volta- concluse fiero. –Sì, sì, risparmiami le formule arcane che hai usato. Verbalizzo tutto e lo sbatto dentro- disse aprendo un grande volume sul tavolo e preparando penna d’oca e inchiostro per scrivere. –Nessuno tocca la mia bambina, nemmeno con un fiore- aggiunse scorbutico mettendosi a sedere e cominciando a scrivere. –Mi sorprende che tu non gli abbia aizzato contro qualche Daedra inferocito. Con le capacità che hai e che l’Università non farà altro che perfezionare, potresti riportare in vita il nostro Re!- esultò senza staccare gli occhi dalla penna che grattava il foglio.
Elion incassò i complimenti, ma non sapeva fin dove si spingeva la realtà degli stessi.
Le lezioni dovevano ancora cominciare. La bella stagione era appena iniziata, gli sportelli per le iscrizioni all’Università ormai chiusi e i posti disponibili tutti occupati. I corsi sarebbero iniziati solo quell’inverno e questo Laenzio doveva saperlo. Quel vecchio cagnaccio si divertiva solo a farle quanti più elogi poteva appena ne aveva l’occasione.
Quando aveva vissuto con lui, Elion si era divertita a fare giochetti insulsi con oggetti volanti, spettacoli d’acqua e ad ingannarlo alle carte, ma niente di più. Non sapeva fin dove si spingevano le sue capacità magiche, che già molti maghi delle Gilde sparse nella Contea avevano notato. Era all’Università giusto per scoprirlo.
Mentre Laenzio compilava tutti i campi, quali una descrizione del condannato e il resoconto verbale della vittima, Elion controllò che il futuro prigioniero alle proprie spalle non stesse già riprendendo conoscenza. Non voleva dare troppo disturbo al suo vecchio, tantomeno fare di fronte a lui la figura della maga da quattro soldi che se la cavicchia con gli incantesimi, proprio ora che aveva tanta stima di lei.
Finalmente Laenzio finì e andando ad aprire una delle tre porte nella stanza, fece cenno al soldato semplice di seguirlo col condannato.
La guardia cittadina si caricò il ragazzo in spalle e precedé Laenzio nelle prigioni. Appena la porta era stata aperta, da quella galleria erano salite più forti che mai le urla e i lamenti dei detenuti che, assaporato un barlume di luce dall’esterno, avevano esultato e acquistato nuovo vigore per gridare la loro innocenza. Il vecchio Priore, prima di avviarsi assieme al soldato semplice che era già scomparso nell’oscurità più profonda, si voltò verso la ragazza.
-Raggiungimi ‘sta sera alla Taverna di fronte al mercato, se non sei troppo impegnata a studiare. Ci saranno un po’ di amici e voglio farteli conoscere. E se gli Dèi lo vorranno, sarà da quelle parti anche il Gran Capitano Lex-.
Elion incrociò le braccia al petto e spostò il peso su una gamba, sbuffando. –Sempre il solito… ma lo vuoi capire o no che sono troppo giovane per sposarmi!?- eruppe, più sarcastica che altro.
Laenzio scoppiò in una fragorosa risata e prese una torcia dalla parete. –Sempre la solita te! Sto cominciando a pensare che tu abbia una focosa relazione con qualche libro di magia. Da voi Elfi c’è davvero da aspettarselo! Una volta ho sentito di uno di voi che è andato con un cervo. Secondo te è possibile?-.
Elion sorrise. –Non oso immaginare cosa ne venga fuori- si permise di ridere al solo pensiero.
Laenzio rabbrividì per scherzo. –Posso considerare quel tuo sorriso un sì al mio affettuoso invito? O quei “vecchietti con la barba bianca” non ti lasciano uscire troppo tardi?-.
Elion sta volta la prese a male: solo lei poteva insultare i vecchietti dell’Università, suoi futuri maestri. –Vedrò cosa posso fare-.
Detto ciò, Laenzio scomparve nelle Prigioni richiudendosi la porta alle spalle ed Elion lasciò la torre, tornando dalla sua Noilé, e montò in sella. Era ancora una caldissima giornata estiva con un meraviglioso cielo azzurro tutta da godere. Non sarebbe rientrata nella sua stanza all’Università prima che il sole avesse iniziato a calare. Una mezza idea di raggiungere Laenzio alla taverna continuava a saltarle in testa, nonostante i mille pretesti pur di lasciar perdere. Improvvisamente, spronando Noilé ad un trotto tranquillo sulla strada, pensò che se doveva farsi piacere al vecchio Priore con la sua presenza in mezzo a dozzine di soldati ubriachi, non ci sarebbe andata da sola, e sapeva già chi trascinarsi dietro.
Traversando la città e galoppando sul ponte che collegava la sponda di Imperial City col mondo selvaggio fuori dalle sue mura ciclopiche, assaporò il vento che le scompigliava i capelli, mentre l’immagine di quei occhi azzurri come il ghiaccio cancellava ogni altro pensiero.










.:Angolo d’Autrice:.
Ma noooo! XD Anche qui! Sei una persecuzione, dai! Però sono felicissima che ti abbia incuriosito la storia e ti sia piaciuto quel microbo prologo :3 non sai che sorpresa bellissima è stata leggere il tuo commento. Avventurandomi in questa sezione dimenticata da Dio credevo che nessuno avrebbe sbirciato il mio lavoro, e invece eccoti! XD Thò! Come avrai notato, non ho potuto fare a meno di seguire il tuo consiglio, continuando sulla via della III persona e – di testa mia – proseguendo col passato remoto, piuttosto che al presente. Grazie SnowDra1609, suggerimenti molto utili e coi quali – personalmente – mi trovo più a mio agio XP
Detto ciò, non mi resta che dire due parole due sul capitolo appena scritto.
Allora… penso di aver accennato ad un “giorno del riposo” in cui all’Università si smista la posta tra gli studenti. Un po’ alla Harry Potter, ammetto il plagio, e spero che per questo non mi uccida nessuno <.< Voglio aprire una piccola parentesi col dire che sì, i corsi all’Università non sono iniziati, ma Elion è tanto impegnata perché sta studiando autonomamente quel che vuole anticiparsi da sé. Approfondimenti sul concetto a partire dal prossimo capitolo, per il quale non so quanto tempo bisognerà attendere. Ultimamente ho davvero molto – troppo – da fare, tra scuola, scuola, scuola, scuola, sport, scuola, scuola, disegno, scuola, scuola, sport, libri, scuola, libri, libri, FEBBRE – eh, sì: la vostra caltaccia ha febbruzza primaverile -. Insomma, sono un po’ sotto sopra. Eppure, come stanno evolvendo personaggi e situazioni di questa storia mi sta prendendo molto, perciò credo che non trascorrerà troooooppo tempo prima di un prossimo aggiornamento – per me trooooooppo tempo sono… uno, due, tre mesi, eh! -.
Tornando al capitolo.
Se non sbaglio, penso di aver messo “spoiler” tra gli avvertimenti. Ebbene sì, questo capitolo è uno spoiler vivente. Nel senso che il Capitano della Legione Hieronymus Lex nel gioco viene realmente trasferito ad Anvil come racconta Laenzio (pg di mia invenzione, assieme al nipote di Lex). Trattasi di una missione per conto della Gilda dei Ladri, non dico altro.
Mi sono ammazzata a cercare i nomi dei giorni e dei mesi in Oblivion, ma internet è poco fornito sull’argomento. -.- Vorrà dire che dovrò trasferirmeli dal gioco, assieme ad alcuni dettagli.
Gli incantesimi citati (due di illusione – assorbi e calma - e uno di misticismo – levita – ) sono parte integrante del gioco, inseriti nella fan fiction assieme a tutto il resto col dovuto rispetto dei diritti di copyright.
<.< E meno male che erano due parole due…
Vabbuò, si è fatto tardi: saluto e vò, dandovi appuntamento al proximo chappus, incentrato sul nostro amichetto figlio della Madre Notte.  
Ciau! :D

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Capitolo 3
*** Sanguine, mio fratello ***


Attenzione.
Questo e i capitoli successivi conterranno una quantità elevata di spoiler sulle seguenti fazioni:
- Gilda dei Ladri
- Arena
- Gilda dei Maghi
- Gilda degli Assassini o Confraternita Oscura.


3. Sanguine, mio fratello

-Eccoti servito!- esultò una voce, e un attimo dopo il suo corpo si schiantava violentemente su un terreno duro e freddo. Il soldato che l’aveva lanciato in cella come un sacco di patate se la rise di gusto guardando la faccia sconvolta del ragazzo, quando questi si sollevò su un gomito e si guardò attorno chiedendosi cosa diavolo gli fosse successo e perché. Tutto attorno a lui vorticava senza un senso, le figure erano sfocate e i suoni ovattatati dallo stordimento.
-La bella addormentata si è svegliata- commentò la guardia della Legione con una nuova risata, affianco alla quale c’era un secondo uomo, più anziano. Questi fulminò il cadetto con un’occhiataccia che soffocò sul nascere una nuova battutina.
-Niente cibo e acqua per due giorni- ordinò l’ufficiale con la torcia, lasciando al soldato semplice il compito di richiudere a chiave la cella. –Voglio fargli rimpiangere altri piaceri, oltre a quelli della carne!-. Il ragazzo poté guardarlo in faccia, dove tra la barba grigia sfatta e le rughe della fronte, il giovane prigioniero lesse una gioia cattiva.
-Li conosco bene i tipi come te, sai?- cominciò l’anziano in tono solenne e arrabbiato. –Sempre a caccia di giovani vergini. Be’, la tua campagna finisce qui- disse il Priore della Prigione voltando le spalle, e si avviò nel corridoio portando con sé l’unica fonte di luce. Il chiarore della fiaccola e i passi degli stivali di entrambi i Legionari scomparvero inghiottiti da un’ombra nera di silenzio che, pochi istanti più tardi, avvolse ogni cosa. La Prigione piombò definitivamente nell’oscurità e una porta rinforzata sbatté chiudendosi in lontananza.
Il giovane servo di Sithis si trascinò a sedere con le spalle contro la parete, un ginocchio al petto e l’altro disteso. La stanchezza del dopo missione pesava sulle ossa dolenti. Gli occhi, nonostante fosse riuscito a socchiuderli, faticavano a restare aperti. Intorno a lui regnava un nero profondo. Ogni tanto saltava fuori un topolino che, squittendo, andava a mordicchiare le gambe del tavolino e della sedia, cibandosi delle fibre che riusciva a trovare nel legno grezzo. I condannati di tutta la Prigione lagnavano come cani bastonati. Se tendeva un po’ le orecchie era facile riconoscere le grida dei processati sotto tortura nelle stanze accanto. Non c’era una grande sorveglianza, ma le Prigioni Imperiali erano celebri per saper ingannare i fuggitivi meno esperti, che si perdevano nel labirinto di corridoio spesso addirittura costretti a tornarsene in cella da soli per non morire di fame.
Come c’era da aspettarselo, era stato spogliato di tutte le sue armi. Poiché privo di sensi non era nemmeno riuscito a nascondere un grimaldello, che gli sarebbe potuto servire a poco con quell’oscurità. Addosso aveva la sua fedele Armatura Velata, alcune parti della quale erano ancora bagnate.
D’un tratto il ragazzo ricordò ogni cosa: dalla sua missione nelle stesse Prigioni in cui si trovava, alla fuga attraverso le fogne; dallo scontro con la maga, al suo presunto svenimento. Dopo che quella strega gli aveva prosciugato tutte le forze, un alone di mistero sembrava aver avvolto gli episodi precedenti al suo arrivo in cella.
Non era la prima volta che finiva dietro le sbarre, ma mai in veste di Assassino per la Confraternita Oscura.
Quand’era bambino gli era capitato di passare la notte da recluso a causa di piccoli furti su commissione. Per tutta l’infanzia la Gilda dei Ladri, dalla quale era stato fruttuosamente addestrato all’arte del borseggio, del passeggio sui muri e sui tetti, si era preso cura di lui. C’era stato un tempo in cui aveva meritato l’onore, troppo giovane perché se lo ricordi, di conoscere il volto della Volpe Grigia.
Purtroppo, giusto pochi anni prima qualcosa era andato storto durante un grosso colpo nel palazzo della Contessa di Bruma, le cui ricchezze avrebbero garantito il benestare di tutta la gente del Porto per gli anni a venire. Lui e un compagno di sventura erano stati vittima di un’imboscata ancora prima di arrivare alle stanze private del Palazzo: una trappola tesa dai loro stessi informatori. A capo del battaglione armato che li aveva colti in fragrante c’era un uomo del cui sangue il ragazzo era stato costretto a macchiarsi le mani,  mentre il suo compare moriva nel tentativo di garantirgli la fuga. Le guardie della città non erano riuscite a catturarlo e lui era tornato al quartier generale a mani vuote. Da quel giorno in avanti le attenzioni per gli informatori sarebbero triplicate, ma per il caduto si era svolto un piccolo funerale e niente più.
La medesima notte, dopo essersi svegliato a seguito di un incubo, il ragazzo si era trovato di fronte un uomo completamente vestito di nero che sembrava confondersi con le ombre della sua piccola stanza. Da sotto il cappuccio che gli celava buona parte del volto, si era rivolto lui chiamandolo per nome. In un primo momento il ragazzo era scattato giù dal pagliericcio trascinandosi dietro buona parte delle lenzuola. Per lo spavento aveva afferrato un pugnale rimastogli in eredità del suo compagno e lo aveva puntato contro il misterioso visitatore. L’uomo gli aveva fatto i complimenti per la prontezza di riflessi e aveva dimezzato la distanza tra loro con passi così silenziosi da non essere uditi. Gli aveva scansato il braccio armato con un gesto delicato e il ragazzo, forse troppo spaventato, si era lasciato guidare dal suono suadente della sua e della voce di una terza presenza, incognita, nella stanza.
A grandi linee gli aveva narrato la gloriosa storia della Madre Notte e dei suoi figli. Poi Lucien Lachance gli aveva offerto l’opportunità di vivere una vita simile a quella per cui era stato addestrato fin dall’infanzia, con una sola differenza: essere il tramite di una volontà superiore, il portatore in terra del volere divino di Sithis, al fine ultimo di purificare il mondo da anime corrotte e prive di etica.
Tutto quel discorso aveva molto affascinato il ragazzo. Mentre l’Impero aumentava la taglia sulla sua testa a 3.000 monete d’oro, la sua reputazione da ladro e l’omicidio corposo del fratello della Contessa di Bruma avevano fatto il giro della Contea e lui non avrebbe dormito mai più sonni tranquilli. Aveva considerato l’eventualità di unirsi a Lucien come la fuga da una dimensione che stava torcendoglisi contro. Aveva visto nella Fratellanza una casa sicura e una nuova vita, proprio come aveva detto l’Assassino.
Aveva accettato la proposta di Lucien senza spiegare le sue ragioni, che il portavoce non sarebbe stato disposto ad ascoltare comunque. L’uomo incappucciato gli aveva affidato la Lama di Pena e il facile compito di sbarazzarsi di un certo Rufio. Quel vecchio scarto umano trascorreva i suoi giorni come un vegetale ad una locanda chiamata Cattivo Auspicio.
Una volta di fronte al suo letto, il ragazzo aveva esitato un fatale istante con la lama sollevata sopra il petto del moribondo, ripensando se fosse giusto cosa stava facendo e perché. Rufio si era accorto di lui nel dormiveglia ed era balzato giù dal letto rompendosi le ossa della fragile schiena. Una forza esterna, un flusso innaturale aveva guidato la sua mano intanto che la lama penetrava la carne e schizzava il pavimento di sangue, senza lasciare al morente possibilità di gridare.
In quel momento il mondo attorno alla sua ombra aveva vorticato impazzito e il ragazzo si era sentito imprigionare dalla propria coscienza, che chiamava quella di Rufio come una morte ingiustamente dolorosa. La pena e il sentimento gli avevano morso la gola e, cadendo in ginocchio, chino sul corpo di Rufio, aveva pianto tutta la notte fino al risveglio della badante del vecchio. Era una donna Guardia Rossa che giusto la sera precedente gli aveva sorriso con amore quando il ragazzo aveva affittato una stanza per non destare sospetti. Ora, invece, era piombata nella stanza, aveva estratto uno stiletto decorato dalla cintola e gli era saltata al collo, gridando “Assassino!”. Lo scontro tra i due era stato violento e insaziabile, ma l’unica cosa che il ragazzo pregava non accadesse era quella che le Guardie Imperiali accorressero a dar man forte alla donna. Dopo aver assaporato il proprio sangue a duello ed essere stato ferito in più punti, il ragazzo era riuscito a dare il colpo di grazia, uccidendo quella povera donna provato del minimo desiderio di farlo.
Lasciando al galoppo la locanda sul suo cavallo baio, con una mano premuta su una ferita profonda al fianco, il nuovo giovane servo di Sithis si era lasciato condurre al riparo dal suo fedele palafreno. Solo un estenuante viaggio di metà giornata l’aveva condotto moribondo alle porte di Cheydinhal, sotto una pioggia violenta e un cielo rimbombante di tuoni. Crollato di sella sul selciato, il ragazzo era stato sopraffatto da un gruppo di cappucci neri. Poi aveva perso conoscenza.
Al suo risveglio, un uomo dal volto troppo bianco per sembrare umano e canini pronunciati disse di aver vegliato su di lui durante la sua guarigione e di aver ricevuto dalla Grande Madre un messaggio che profetizzava il suo avvento e lo presentava alla Confraternita come l’Eletto.
Della sua vita precedente, prima di imbracciare la Lama di Pena, l’Eletto ricordava pochi e indefiniti episodi. I suoi addestramenti e i nomi delle sue vittime avevano persistito, ma tutto ciò che era stato per lui la Gilda dei Ladri era scomparso nelle mani della Madre Notte che, come gli aveva detto Vicente il Vampiro, l’aveva offerto alla Fratellanza assieme a grandi progetti.
Confrontandosi con altri aspiranti portatori del volere di Sithis, aveva acquistato capacità fisiche e atletiche che non avrebbe mai immaginato di possedere. Arrampicarsi sui muri più contorti e saltare da altezze spropositate senza riportare la minima contusione, avevano fatto di lui l’Uccisore perfetto.
In quegl’anni di servizio e dedizione per la Confraternita aveva conosciuto molta brava gente, tra cui una ragazza, Antoniette Marie, un Imperiale come lui. Una fanciulla troppo dolce, troppo bella per uccidere un uomo senza prima averlo infatuato di sé; e forse era proprio quella la tecnica che adottava sulle sue vittime. Ma per chiedere lei questo l’Eletto aveva troppo pudore. Il suo primo contratto ufficioso era stato un successo eclatante, grazie al quale si era guadagnato una grande ammirazione da parte di Ocheeva, reggente del Santuario, e suo fratello minore Teinaava, Alchimista della Compagnia della Mano Nera. Talaendril, un’assassina preceduta dalla sua fama, aveva cominciato a mostrare un certe interesse per le sue capacità e gli ronzava spesso attorno con modi che facevano intendere un solo obbiettivo. L’Eletto aveva intenzione di preservare la sua castità fin quando la Grande Madre Notte non avesse espresso il suo volere d’accoppiamento per lui. Col tempo, e comunemente per via delle sue gesta, era nato anche il completo disappunto di un Khajiit di nome M’Raaj-Dar, che riforniva gli assassini dell’equipaggiamento richiesto. In tutti gli incarichi fin ora svolti, l’Eletto era stato sempre respinto dal Khajiit, e perciò costretto ad arrangiarsi quando si trattava di far fuori qualcuno in modo “particolare”. All’uomo-micio piaceva rivolgersi lui con l’appellativo di scimmia, poiché la somiglianza con gli Imperial era ben nota a molti appassionati di natura o “membri” della stessa. M’Raaj-Dar l’aveva e avrebbe continuato a guardarlo dall’alto in basso, non stancandosi mai di chiamarlo apprendista o, nel peggiore dei casi, novizio. Eppure il ragazzo era già stato promosso al grado di Uccisore! Forse era proprio questo che al leoncino non andava giù. M’Raaj-Dar non era passato oltre quella soglia per il volere divino interpretato da Lucien durante la sua visita alla cerimonia di passaggio del Khajiit.
Quello sarebbe dovuto essere per l’Eletto il suo glorioso terzo contratto. Aveva appena squartato Valen Dreth attraverso le sbarre della sua cella senza allertare o ferire nessuna guardia della Legione. In cambio della massima discrezione, Vicente Valtieri gli aveva promesso la promozione e un bonus. Una volta uscito dal passaggio segreto che collegava le fogne ad una cella della Prigione, il ragazzo aveva puntato la freccia del suo arco contro Valen attraverso le grate. Ucciso il prigioniero, si era recato silenziosamente nella sua cella e, dopo aver estratto la freccia d’acciaio dal cuore, aveva riverso il corpo sul pagliericcio in modo tale che sembrasse dormire. Forse qualcuno avrebbe fatto caso alla sua parlantina folle improvvisamente assente, ma nessuno avrebbe sospettato di un omicidio per il tempo a lui necessario per ripercorrere i suoi passi. L’Eletto si era gettato nuovamente nel passaggio segreto e aveva fatto il percorso all’inverso. Intravista la luce del giorno alla fine del canale delle fogne, si era permesso di assaporare gli elogi di Vicente, le battutine sarcastiche del Khajiit sulla sua razza e le moine di Talaendril, alla quale aveva una mezza idea di cominciare a dare filo da torcere.
Tutto era andato perduto per colpa di quella maghetta dalle orecchie a punta, che gli era saltata addosso appena era uscito dalle fogne attraverso lo sbocco sul lago. Aveva provato a fuggire, allontanandosi con l’incantesimo d’invisibilità che il segno zodiacale dell’Ombra gli offriva, ma le Bretoni più pettegole e fissate con le buone maniere dovevano capitare tutte a lui! Era vero, l’Eletto non sapeva nuotare: per tutta la sua breve carriera da ladro e ancor più breve da Assassino non ce n’era mai stato bisogno, e di questo ringraziava unicamente l’Unicorno della Fortuna. Spesso e mal volentieri l’Eletto aveva ascoltato le lamentele dei suoi compagni Uccisori, alcuni dei quali erano stati mandati ad estirpare una colonia di infedeli e traditori in una grotta subacquea. Non aveva preso parte a quella missione chissà per quale benevolo volere Divino!
Il ragazzo, sentendosi un po’ meglio, si alzò da terra e andò ad affacciarsi oltre le grate della cella, posandovi le mani. Purtroppo la missione era stata compromessa da una streghetta strafottente, pensò l’Eletto serrando i denti e arroventando la presa delle mani sulle grate. Ora anche il suo bonus poteva andare a farsi fottere, per non parlare di M’Raaj-Dar, che avrebbe avuto un altro dolce pretesto per sfotterlo all’infinito! Ocheeva avrebbe scritto di lui nel suo diario di Custode del santuario come un fallimento fatto persona. Talaendril avrebbe smesso di strusciarglisi addosso smaniosamente ogni volta che ne aveva l’occasione, cercando invano di eccitarlo. Vicente lo avrebbe bandito, o peggio ancora, ucciso cibandosi della sua stessa carne.
Il ragazzo soffocò un grido di rabbia battendo la testa sulle grate. Il dolore fisico, fin da quando era entrato nella Fratellanza Oscura, lo aiutava a sopportare quello mentale. Per un breve istante dimenticava le stupidaggini che aveva fatto, gli errori commessi e le pene future concentrandosi sul fastidio momentaneo.
Ma che dico… non solo la missione è compromessa. Io sono compromesso! La Fratellanza lo è! Quando le guardie capiranno cosa ho fatto, quando noteranno che Valen è morto e si ricorderanno di avere un prigioniero di troppo, torneranno da me e mi tortureranno finché non confesso quello che aspettano di sapere da generazioni, ovvero dove è nascosto il quartier generale della Confraternita! Vicente mi ha avvertito di questo pericolo, ma è anche vero che confidando nelle mie capacità ha per tanto preferito non istruirmi su come uscire da questa maledetta prigione! E adesso eccomi qui, braccato peggio di un animale, senza né cibo, né acqua, tantomeno qualcosa con cui andarmene…
Stava per ripetere il gesto di sbattere la fronte al muro, quando un suono improvviso attirò la sua attenzione nel buio corridoio. Due topolini scapparono squittendo.
Il ragazzo sbirciò qua e là trattenendo il respiro. I suoi grandi occhi azzurri, sgranati dalla sorpresa e dalla circospezione, si scontrarono ad un tratto con due intense iridi castane e dolci come il cioccolato, comparse dal nulla e sospese a mezz’aria fuori dalla cella. Inizialmente, non seppe perché, ma pensò che si trattasse della maga incontrata sulle rive del lago. Un brivido tormentato gli risalì la spina dorsale.
-Ciao, bellezza- sussurrò una voce sensuale, femminile e inconfondibile.
La sua Armatura Velata la rendeva un tutt’uno con l’oscurità. Era sospesa a mezz’aria per via di una fune sottilissima e tagliente che scompariva sul soffitto, dove il ragazzo scorse la fessura di una pietra tondeggiante leggermente spostata.
Il giovane servo di Sithis indietreggiò nella cella.
Talaendril poté capovolgersi sulla fune e toccare terra coi piedi. Alcune ciocche dei capelli neri sfuggivano dal cappuccio e le cadevano in morbidi boccoli sulle spalle. La tenuta da Assassina aveva sempre risaltato il suo seno prosperoso in modo tale che difficilmente un uomo avrebbe saputo resisterle. Sulla schiena portava un prestigioso arco dedito solo ai migliori e la faretra decorata ospitava uno spaventoso arsenale di Rose di Sithis: frecce micidiali in grado di uccidere un orco – senza armatura - al primo colpo.
L’Eletto cercò invano di nascondere l’immenso sollievo che poco si addiceva ad un Uccisore esperto; piuttosto si scoprì ad arrossire. Sperando che l’Assassina non lo notasse, ringraziò i Nove di aver fatto loro dono del buio.
-Sono felice che tu sia qui- disse un po’ impacciato mostrando una sincera gratitudine.
-Non ringraziare me, Gabriel, ma Sithis- spiegò la ragazza forzando la serratura. –La Grande Madre ha predetto la tua morte, in caso fossi rimasto dentro, e ha preferito avvertirci in tempo-.
Lui sgranò gli occhi. –Cosa?! Io?! Ucciso?!- balbettò. –È impossibile, come…???-.
-Sssssh!- fece lei, azzittendolo con un dito sulle labbra. –Ti spiego tutto più tardi- disse aprendo finalmente la cella.
A quel punto i prigionieri delle celle vicine attaccarono baldoria chiedendo di essere liberati a loro volta.
Gabriel si tastò l’armatura in più punti. -Le mie armi, dobbiamo…-.
-Alla tua roba penso io; tu devi andartene subito- gli ordinò la donna indicando al ragazzo la fune che pendeva dal soffitto.
Talaendril si piazzò a profilo basso nell’oscurità, accovacciandosi in perfetto equilibrio sulle punte dei piedi. Con un movimento veloce e impercettibile, trasse l’arco e incoccò una freccia, pronta a far fuoco da un momento all’altro.
Gabriel eseguì gli ordini del suo superiore senza replica alcuna: si arrampicò sulla fune con la sola forza di braccia e gambe, evitando di dondolare troppo. Appena fu all’apice, scostò ulteriormente il blocco di pietra quel tanto necessario per passare. Emerse in una stradina deserta stretta tra due case, notando che era ancora giorno e la luce gli voleva male agli occhi. Facendo leva sulle braccia si accovacciò e si guardò attorno circospetto, assicurandosi che nessuno l’avesse visto o stesse ancora guardando. Poi lanciò un’occhiata nel pozzo scuro che erano le Prigioni Imperiali e assaporò la libertà come quando era bambino e se la dava a gambe con un solo grimaldello.
-Talaendril!- chiamò, ma non ottenne risposta.
Piuttosto udì i pesanti passi di due guardie e le vide affacciarsi alla sua cella ormai vuota.
Ma lei dov’è?! Si chiese con ansia nel dubbio.
-Il prigioniero è scappato!- disse il primo soldato con la torcia in mano.
-Presto, avverti il Priore!- aggiunse l’altro, mentre Gabriel riavvolgeva la fune alle loro spalle senza che se ne accorgessero. Fortunatamente il suo corpo faceva ombra sul foro e la luce del giorno non arrivava nel corridoio, o quei due scimmioni avrebbero notato la botola segreta della quale, prima di allora, neppure Gabriel conosceva l’esistenza. Gente esperta e di gerarchia superiore come Talaendril doveva sapere molto altro che ad un comune Uccisore era taciuto.
-Ehi, tu!-.
Per la sorpresa Gabriel balzò in piedi, ma nel momento in cui la sua figura si scansò dalla botola, la luce del sole poté filtrare attraverso il foro nel terreno. Mentre dalla Prigione salivano le imprecazioni delle Guardie e alcune bestemmie, assieme alle urla eclatanti di una mandria di prigionieri in fuga, Gabriel si trovò di fronte proprio il Comandante della Legione in carne e ossa: era un Imperial sulla trentina, forse suo coetaneo. In quel momento non indossava l’elmo, e i capelli castani gli cadevano riccioluti sulle spalle. Aveva occhi verdi selva e un accenno di barba che gli conferiva un aspetto più vissuto di quanto il fisico allenato e l’imponente armatura d’argento non gli regalassero già. Doveva essere capitato in quella stradina desolata per caso, durante una normale pattuglia o un’abituale passeggiata per la città.
L’Eletto si rese conto di aver fatto il grande errore di non tirarsi su nemmeno il cappuccio.
Il Comandante Fhenius Lex impugnò lo spadone d’argento con due mani e venne verso di lui a grandi passi. –La vostra puzza di fogna vi precede, Assassini!- esordì.
Gabriel, preso da un moto di rabbia, fece per portare la mano ad un’arma che ricordò di non avere. Il tempo perso gli costò un affondo del Comandante, che arrivò a sfiorargli la testa di pochi centimetri, ma l’agilità e la prontezza di riflessi di un figlio della Grande Madre non hanno eguali.
Gabriel scansò anche il secondo attacco, guadagnandosi l’odio profondo dal Capitano quando se lo vide fuggire via da sotto al naso.
Approfittando della sua distrazione, il ragazzo si arrampicò come un ragnetto sulla casa affianco e scomparve saltando sui tetti.
-Guardie! Guardie!- gridava quello dal basso.
Continuò a correre a lungo, saltando da un tetto all’altro, facendo attenzione alle tegole malferme e senza guardarsi indietro. Ad un tratto raggiunse il vertice di un edificio abbastanza alto e si stese a pancia sotto con un braccio attorno al comignolo.
La botola segreta sfociava nel distretto dei Giardini, dove alloggiava il popolo ricco della Capitale. I bei prati verdi, i fiori colorati e gli aromi intensi di quel distretto lo rendevano noto e ricercato per la sua serenità. In compenso il resto della città era un putiferio. Battaglioni di guardie a piedi andavano e venivano dal distretto delle Prigioni battendo più volte gli stessi metri di strada. Soldati a cavallo erano accorsi in soccorso del Capitano delle Guardie e sembravano avergliene ceduto uno. Ora Fhenius Lex aveva una vista sopraelevata del circondario e si spostava per le strade ad un galoppo agitato, con lo spadone nel fodero ed entrambe le mani sulle redini. La sua era una guerra personale contro gli assassini, che si diceva avessero ucciso i suoi genitori quand’era bambino. Poi il futuro Capitano aveva raggiunto gli zii nella Città Imperiale, e adesso eccolo lì, a disseminare il panico tra la gente di Cyrodiil chiedendo di un pericoloso Servo di Sithis sfuggito al suo pugno di ferro.

Nel giro di pochi minuti tutta Imperial City era sulle sue tracce, e presto o tardi il resto della Contea sarebbe stata informata e la prima guardia alla quale Gabriel si fosse rivolto, l’avrebbe riconosciuto senza indugi.
La taglia sulla testa di un assassino era così alta che Gabriel si sarebbe consegnato alla Legione di persona al posto di chi invece, come lo stalliere fuori le mura, si prendeva la briga di tenergli il cavallo tutte le volte che era in città.
-Se non fossi così vecchio, mi unirei volentieri al vostro ordine!- aveva detto una volta mentre Gabriel gli consegnava il suo baio, che il vecchio elogiava sempre come un cavallo di qualità eccezionali. –Conosco tanta di quella gente che meriterebbe l’Inferno! Quand’è che la vostra Dea farà un pensierino sugli esattori delle tasse?- poteva sembrare una battuta divertente sui favori che la Confraternita faceva al popolino, ma di fronte a parole del genere Gabriel non poteva far altro che tacere e ignorare il ricordo di essere stato presente quando pronunciate. Se qualcuno della Legione avesse saputo che lo stalliere trattava con gli Assassini, il poveretto avrebbe avuto l’onore di sperimentare sulla propria carne cosa aspetta i servi di Sithis nelle Prigioni, tra le torture e le peggio infamie.
Quella volta Gabriel ritirò il suo cavallo di gran corsa e fuggì al galoppo senza nemmeno salutare o pagare. Per raggiungere Cheydinhal ci sarebbero volute alcune ore di viaggio e non aveva la minima intenzione di farsi sorprendere disarmato da furfanti o altre guardie.

Finalmente aveva fatto notte, e sopra di lui si apriva un magnifico cielo stellato. Tirava un venticello fresco, tipicamente primaverile. Cheydinhal era il ritratto della tranquillità: le acque del fiumiciattolo che la traversava erano calme, le pattuglie controllavano le strade, i lampioni lungo i viali diffondevano una luce delicata, ma la gente era già sotto le coperte nelle proprie case. In lontananza, un gufo delle montagne cantava alla luna piena.
Gabriel camminava svelto sul sentiero di pietra che costeggiava il muretto basso di varie proprietà. Si strinse nel mantello che gli copriva le spalle ad una nuova folata di vento e sprofondò ancor più nel cappuccio, l’unica sicurezza che aveva di sé. Persino quand’era stato ladro per la Volpe Grigia aveva sempre preferito tenere il volto coperto, come se avesse comunque qualcosa da nascondere, anche se non aveva rubato nulla o ucciso nessuno.
Giunto nei pressi della Casa Abbandonata, Gabriel ripensò all’arciera che aveva lasciato nelle Prigioni a cavarsela da sola. Mentre scansava le assi che bloccavano la malandata porta d’ingresso, pregò che Talaendril portasse fede alla sua fama ancora una volta e sperò di poterla rivedere alla tavola della Fratellanza quella sera stessa; per poterla ringraziare, ovvio! e non solo per riavere il suo equipaggiamento.
Appena fu nel buio ingresso della casa, non esitò un istante su dove mettere i piedi: aveva percorso la strada per il Santuario abbastanza volte per poterla fare ad occhi chiusi, nonostante le finestre sbarrate e la mobilia rovesciata che ostruiva il passaggio. Quella catapecchia di casa puzzava di chiuso peggio delle fogne, dove almeno il flusso d’acqua era costante e si rinnovava spesso. Arrivò a toccare con mano la maniglia di una porticina scavata nel sottoscala. L’aprì e si avventurò nell’oscurità della cantina. Trovò una parete sfondata e proseguì oltre a passi svelti, senza mai voltarsi indietro.
In realtà non aveva troppa fretta di riferire a Vicente la riuscita parziale del suo contratto. Avrebbe dovuto uccidere Valen senza venir notato dalle guardie, figuriamoci farsi arrestare! Per di più, il Comandante non avrebbe scordato facilmente la sua faccia e non avrebbe tardato a sbatterla nelle locande, perché in città girava voce che fosse anche un bravo pittore oltre che un uomo col pugno di ferro in guerra e legge.
Gabriel fu costretto a fermarsi di fronte all’immenso portone scavato nella pietra che celebrava l’ingresso del Santuario, pur di non andare a sbatterci contro. Alzò lentamente gli occhi in quelli del grande teschio dipintovi di colori grotteschi e distolse subito lo sguardo rodendosi l’anima.
Per i guai che ho combinato, potrebbe essere l’ultima volta che attraverso questa porta! Si disse. Maga dei miei stivali! Ma perché non l’ho uccisa subito?! Si chiese con un nuovo moto d’ira che gli sarebbe costata una capocciata, se solo la voce del Santuario non avesse parlato dicendo:
-Di che colore è la notte?- il sussurro di Sithis riecheggiò nelle viscere del mondo e s’immerse nell’anima tormentata del ragazzo, acquietandolo.
Prendendo un gran respiro profondo, Gabriel alzò fieramente il mento, si raddrizzò composto e rispose: -Sanguine, mio fratello-.
E la porta si aprì.












.:Angolo d’Autrice:.
Questo capitolo ha innescato una serie di eventi affascinanti che mi stanno letteralmente intrappolando nella dimensione magica di Oblivion. Non riesco più a staccarmi da quel gioco se non per tornare davanti al PC e scrivere questa storia! XD Confesso di aver già pronti i 2 capitoli successivi, ma che prima di postarli mi piacerebbe leggere alcuni vostri commenti su un fattore particolare: il nome dell’Assassino. Gabriel mi attizzava, ma l’ho trovato estremamente banale nel corso della narrazione. Avreste qualche idea migliore? Ditemi di sì, vi prego! ._. Sono disperata! In caso posso anche lasciarlo tale… dipende da voi! XD
In secondo luogo, volevo chiarire che l’uccisione di Rufio nella Locanda Cattivo Auspicio è un reale contratto della Confraternita Oscura del gioco. Lucien Lachance è un personaggio, assieme al Khajiit al quale stanno sulle scatole gli umani, realmente presente nel gioco, assieme ad Ocheeva, Vicente, Antoniette Marie e Talaendril. Se siete un Assassino della Confraternita, potrete confermare la presenza di questi pg recandovi nel Santuario. Se ancora non lo siete, per diventarlo (e qui partono gli spoiler) vi basta uccidere un innocente come accaduto al mio Gabriel quando lavorava per la Gilda dei Ladri :3 che cosa tenera, vero? Questo ed altri sono i motivi per i quali la storia AFFONDA negli spoiler, che riguarderanno la Confraternita Oscura e la Gilda dei Maghi, con qualche collegamento anche ai combattimenti dell’Arena e alle commissioni della Gilda dei Ladri. (La missione per conto della Volpe Grigia, il capo della Gilda dei Ladri, fallita da Gabriel è di mia invenzione, almeno quella! XD) La missione nelle Prigioni, dove Gabriel ha ucciso Valen Dreth, è anche quella un contratto reale del gioco.

 x SnowDra1609: purtroppo non conosco Fallaut, perciò puoi stare tranquillo che lì non verrò a perseguitarti con le mie storielle strappalacrime! XD Sono consapevole, scrivendo questa fan fiction, di star romaticizzando un po’ l’atmosfera cupa e avventurosa di Oblivion, scrivendo di una storia d’amore che si avvicina (ma non è) a Romeo e Giulietta. Sono felicissima che tu abbia notato la compatibilità col gioco! Sto cercando di essere il più dettagliata e fedele possibile ai personaggi sia alle ambientazioni del videogame. “Orrori” di ortografia non ho dubbi che me ne sia sfuggito qualcuno. Purtroppo, anche quando mi metto di buna volontà a rileggere cosa scrivo 2, 3 volte, mi sfugge sempre qualcosa… grrrr, che rabbia! Grazie mille per la rece ^^ aspetto commenti! :D


x renault: se non hai ancora giocato il gioco, ma ti affascina il mondo del GDR, te lo consiglio vivamente. Io personalmente non sono una fans troppo accanita di questo genere di giochi, ma in Oblivion ho visto la luce! Amo davvero moltissimo le avventure che mi sta facendo passare! XD Un’altra cosa che ti consiglio col cuore, però (e un po’ forse ti dispiacerà) è quella di sospendere la lettura di questa fiction. Contiene davvero troppissimi Spoiler per una che non ha ancora iniziato l’avventura. Sappi che apprezzo moltissimo i tuoi commenti, mi piacerebbe sapere che tra le mani stringi una copia del gioco e ancora di più vederti tornare informata almeno sulla storia principale! XD Grazie mille per le rece! ^^

Detto ciò, mi defilo. È davvero tardissimo ed io non riesco a tenere gli occhi aperti.
Lettori silenziosi… timidoni! :D
Alla prossima! ^^

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Capitolo 4
*** Questione di... frutta ***


4. Questione di… frutta

Com’era abitudine, Elion lasciò Noilé alle Scuderie Cavallo Sauro appena fuori le mura di Imperial City. La stalla era gestita da un’orca con la quale poteva dirsi avere un saldo rapporto confidenziale. Quando la maga le affidava la sua cavallina, si divertivano a spettegolare insieme dei viandanti più strani che capitavano ad entrambe d‘incontrare durante i loro viaggi. Ad avere le chiavi di baracca assieme all’Orca era un anziano Imperiale, un certo Ubertos con un passato misterioso legato al culto dell’equitazione.
Elion smontò di sella che un magnifico tramonto si specchiava sulle acque del lago. I bracieri erano già accesi e gestiti dalle guardie cittadine. I soldati in tenuta passeggiavano lungo il ponte che collegava Imperial City alle foreste selvagge e che Elion aveva appena percorso al trotto per arrivare alle scuderie.
A venirle incontro non fu l’amica dalla pelle verde, ma il suo fedele assistente, Prassitelo, un piccolo Elfo malaticcio e un po’ sbadato dalla zazzera rossa che stava imparando il mestiere. Il ragazzo poteva avere l’età di Elion oppure no, perché a guardarlo in viso sembrava un ragazzino, mentre il corpo era “maturo per la guerra!”, come avrebbe detto Laenzio.
-Buon dì, madonna maga!- la salutò allegramente prendendo le redini di Noilé che Elion gli passò con cortesia. –I padroni non ci sono, ma Titch mi ha avvertito che sareste rientrata in serata con la vostra cavalla- disse tirando l’animale verso la recinzione che precedeva le stalle vere e proprie.
Elion sorrise. Titch era il soprannome affibbiato alla ragazza dalla pelle verde che in quel momento sembrava essere altrove. –Quando sono uscita l’ho vista bere con un amico sul portico di casa. Sei sicuro che non siano dentro a fare baldoria e hanno preferito lasciarti solo a lavorare?- chiese divertita alludendo alla baracca vicino alle staccionate.
Prassitelo scosse la testa altrettanto allegro. –No, madonna, sono sicuro al cento per cento che non è così: l’Orco di cui parlate era il Campione dell’Arena, il Principe Grigio. Spesso viene a trovarla ed è vero: bevono e chissà cos’altro fanno insieme; ma l’episodio risale sicuramente a prima di quando, un paio d’ore fa, sono venuti alcuni soldati. Hanno chiesto ai padroni di seguirli in caserma. Titch e Ubertos mi hanno affidato la scuderia, ma non sono ancora tornati- la informò legando la cavalla alla staccionata; dopodiché iniziò ad allentare le cinghie della sella.
Elion si rabbuiò. –È successo qualcosa?-.
-Purtroppo sono poco informato di questo, madonna- rispose lui stringendosi nelle spalle. Tolse morso e testiera a Noilé e sostituì il tutto con una fune che le legò al collo; poi accompagnò la cavalla dentro al box.
-D’accordo- l’Elfa dovette accontentarsi di quella misera spiegazione, seppur poco convinta. I guai con la legge, che sapeva come farli scontare, li avevano un po’ tutti a Cyrodiil; non c’era da stupirsi se per qualche balla di fieno rubata o tassa evasa la Legione si scomodava all’improvviso e senza avvertire. –Ti spiace se pago domattina? Non ho denaro dietro, al momento- disse rivolta al giovane, che nel frattempo aveva iniziato a spazzolare il manto pezzato della cavalla.
Per fortuna… aggiunse mentalmente la maga. O chissà di cosa sarebbe stato capace quel ladro se mi avesse vista con addosso oggetti di valore. Aspetta… ma io addosso non avevo nemmeno i vestiti! pensò con una risata.
Prassitelo non riuscì a mostrarsi disinteressato. Una cosa fondamentale che gli avevano insegnato con rigore il vecchio Ubertos sia l’Orca era fare meno domande possibili ai clienti, tenendo per sé qualsiasi dubbio, e poi spettegolare con gli amici se lo si riteneva necessario. –Certo, ma… perché ridete?-.
-Oggi mi è successa una cosa strana. Te la racconterò domattina in compagnia di Titch ed Ubertos, così mi risparmierò di ripetere la stessa solfa più di una volta- fu la risposta evasiva di lei, che per quella sera aveva ben altro in progetto di fare.
Prassitelo annuì per forma.
Elion accennò un inchino carico di rispetto, che ad un comune stalliere non si doveva, e si avviò dentro la città a passo tranquillo.
Le vicende di quella mattina l’avevano turbata durante tutto il resto della giornata. Galoppare con Noilé non l’aveva distratta come avrebbe sperato. Era rimasta a pensare al ragazzo che lei stessa aveva sbattuto in prigione, immaginandosi se Laenzio avrebbe ordinato di farlo torturare. Quell’uomo le voleva un bene dell’anima, e sapere che qualcuno aveva tentato di violentarla con chissà quali intenzioni doveva averlo fatto imbestialire. Dietro alla maschera allegra che le aveva mostrato nello studio della Prigione, Elion sapeva che il suo vecchio aveva preferito tenere nascosta una faccia ben peggiore: quella del padre geloso che poteva permettersi di essere solo con lei. La cosa un po’ lo riempiva d’orgoglio, e perciò si montava la testa, ma un po’ lo faceva sembrare l’uomo che per Elion, al contrario, non era. Perdere i contatti il giorno in cui la ragazza era partita non aveva fatto bene a nessuno dei due. Dopo che si erano rivisti, il vecchio Priore sarebbe stato presente il doppio nella sua vita, venendole a consegnare le lettere personalmente alla porta della sua camera d’Università, se necessario. La ragazza si stirò i capelli all’indietro e pensò che occuparsi di Laenzio era un nuovo problema da sommarsi a tutti quelli che gli studi universitari avrebbero rappresentato per lei.
Distretto di Thalos Plaza. Un bel posto, forse il più vivibile di tutta Imperial City se si cercava gente buona con cui parlare la mattina affacciati a una finestra, bambini a giocare per le strade con prestigiose biglie di vetro, buone locande, anziani pettegoli, ma soprattutto una sorveglianza costante e un tasso altrettanto alto di furti e incendi persino di giorno.
Lo spettacolo serale era un po’ diverso da quello che Elion aveva registrato nella propria mente, uscendo ogni mattina dalla città per cacciare ingredienti Alchemici in natura.
La gente si riversava per le strade diretta a casa e sembrava venirle incontro peggio di un fiume in piena. Elion andava nella direzione opposta, stringendosi nelle sue vesti d’apprendista e camminando a passi sempre più svelti verso l’Università. Il tempo stringeva, presto avrebbe fatto buio sul serio e la sua adorata Capitale sarebbe stata molto meno sicura, anche con tante guardie armate fino ai denti e munite di torce a pattugliarla.
Ora che ci faceva caso, Elion notò un numero spropositato di soldati: alcuni rumoreggiavano coi propri stivali, altri si spostavano per i vicoli a cavallo o gruppi di tre, quattro armati.
E che starà mai succedendo? Si chiese con preoccupazione crescente. Prima la sua amica e Ubertos chiamati in caserma, ora questo. La città sembrava in stato di allerta, ma lei non aveva ancora incontrato nessuno che glielo avesse detto con parole chiare. Cominciava a temere che la faccenda fosse seria e di quei tempi non era una novità: il Re morto, un Consiglio diviso, Gilde di Ladri a piede libero e Negromanzia ovunque.
Giunta alla grande statua di Thalos posta nel centro del quartiere, Elion svoltò a destra per il distretto del Tempio. Attraversò le porte che dividevano l’una e l’altra zona della città assieme ad un convoglio di soldati e ne approfittò per chiedere novella. Una guardia le rispose bruscamente che erano faccende lungi dalla portata della Gilda dei Maghi, ed Elion comprese bene che tanta scortesia era dovuta ai soliti pregiudizi per via della sua veste. Continuando a sbuffare, la ragazza arrivò finalmente nell’Arboreto, l’ampio spazio aperto e verdeggiante che precedeva l’ingresso al distretto dell’Università. Nel centro sorgeva l’imponente statua di uno dei Nove epici patroni: Akatosh, il Drago.
Elion provava un immenso rispetto per quelle creature, protettrici dell’equilibrio e portatrici di saggezza. Si credeva che i draghi non solo fossero bestie di forza estrema, ma anche di grande intelletto e senso dell’onore. Tutta la razza dei Draghi vedeva in Akatosh, il più grande di questi, il loro massimo esponente, la punta di diamante, per così dire. Akatosh aveva fatto parte del Primo Consiglio fondato da Alessia e si era distinto per la sua compassione verso gli Imperiali e la sua predisposizione al bene. C’era da tener conto che molti, se non tutti i draghi odierni, venivano assoggettati dalle forze malvagie e costretti alle peggio infamie, e perciò il mito del Drago bianco (buono) si era affievolito fino a scomparire. La Gilda dei Maghi era impiegata da secoli, onorevolmente, alla liberazione dei Draghi e alla loro salvaguardia. Questo era un aspetto spesso tralasciato dagli stessi che tendevano a dare la razza dei Draghi per estinta.
Come si sbagliano… pensava Elion entrando nei terreni dell’Università. Nessuno immagina che Akatosh vive ancora! Si dice che solo l’Arci-Mago conosca la sua attuale posizione e che sia stato il Dragone in persona a confidarsi con lui, in tempi remoti. Ma Hannibal Traven custodisce avidamente questo segreto, intenzionato a rivelarlo al suo successore unicamente sul letto di morte. Ma prima che quel vecchio alambicco dalla barba bianca si spenga, ci vorranno altre 20, 30 generazioni!
Una delle curiosità che aveva spinto Elion ad intraprendere il sentiero della magia, era stato proprio quello: poter entrare un giorno a conoscenza del nascondiglio di Akatosh e dimostrare agli scettici che i Draghi buoni erano sempre vissuti e sarebbero continuati ad esistere. L’unico modo per avere possesso di quel segreto sarebbe stato sostituirsi all’Arci-Mago dopo la sua morte e averlo affiancato durante. Ma Hannibal Traven si circondava solo dei membri del Consiglio e figuriamoci se avrebbe preso in considerazione una piattola pulciosa come lei.
Eppure Elion era immensamente orgogliosa di sé. Già poter essere entrata nell’Università rappresentava per lei un traguardo onorevole e degno di rispetto. Perseguire al meglio gli studi e perfezionarsi dove peccava sarebbero state le sue due uniche priorità, una volta cominciate le lezioni, e niente, nemmeno Akatosh in carne e ossa, avrebbe potuto distrarla.
Il suo sguardo troppo fiero e altezzoso le fece mancare uno scalino della gradinata. La ragazza si ritrovò a rantolare urlettando come una bambinetta fino ai piedi della scala, dove un Mago Guerriero era vigilante. L’uomo l’aiutò ad alzarsi non senza ridere di lei in modo affettuoso.
-Confida ancora un po’, Dannìlus: verrà il giorno in cui mi abituerò a questi dannati gradini, verrà- mugolò Elion appoggiandosi a lui. La misura di quei gradini aveva un angolo particolare e una lunghezza differente a tutti quelli seminati in città. Non c’era da stupirsi se gente imbranata come lei ci cadeva come una pera cotta.
Il soldato la scrutò coi suoi piccoli occhi verdi e il sorriso premuroso sulle labbra. –Tu non hai il vizio di cadere sui gradini, Elion. Tu hai il vizio di dare la colpa ai gradini perché cadi su di essi- disse quando la ragazza fu stabile sulle proprie gambe.
Elion si stirò le pieghe sulla veste e spolverò le spalle. –Di’ la verità, un po’ ti diverti a vedermi ruzzolare- lo rintronò.
Dannìlus tornò al suo posto di guardia, ritto e fiero con la mano sull’elsa del pugnale d’argento. –Un modo come un altro di spezzare la noia- ammise facendo spallucce. Il taglio del cappuccio blu gli copriva una buona parte del viso relativamente giovane: Dannìlus prestava servizio da quando aveva compiuto trentina. Prima di allora era stato un mago fedele all’arte dell’Evocazione e un guerriero dotato di un ottimo polso.
Elion salutò e fece per avviarsi, ma per qualche strano motivo tornò sui suoi passi e si rivolse nuovamente al guerriero, porgendo lui la domanda che tanto l’aveva assillata prima di giungere nei quartieri dell’Università.
-Trambusto? In città? Mi spiace, non so nulla- ammise Dannìlus sincero. –Sicuramente in giro c’è qualcuno che lo sa, prova a chiedere a Raminus Polus appena lo vedi. Nel frattempo vedrò di aggiornarmi- le sorrise.
Elion, di rimando, accennò un inchino e poi sparì nella penombra serale che andava delinearsi in cielo.

I focolari violetti ai lati delle gradinate che precedevano l’Atrio dell’Arci-Mago erano accesi e belli pimpanti, diffondendo una luce lattiginosa per il giardino che circondava le proprietà esterne dell’Università. Quelle interne erano accessibili solo dagli studenti, dagli apprendisti e ovviamente da tutti i ranghi maggiori della Gilda.
Elion si avvicinò ad uno dei due cancelli laterali e trasse la chiave affidatole da Raminus per entrare.
La volta sopra la sua testa era punteggiata da milioni di stelle luminosissime, la luna era piena e il cielo sgombro di nuvole. Allo stesso tempo l’aria era satura di odorini invitanti, segno che le cucine dell’Università erano già all’opera per sfamare un mezzo centinaio di studenti e altrettanti maestri.
Elion aprì e si richiuse il cancello alle spalle. Mossi alcuni passi sulla strada che tracciava la circonferenza dell’Atrio dell’Arci-Mago, avvertì subito presenze amiche in avvicinamento. Il suo udito da Elfa non deludeva mai, tantomeno la buona conoscenza di un suo caro amico. Mattiùs doveva essersi nascosto da qualche parte pronto a saltarle addosso come una pulce fastidiosa.
Mentre osservava un gruppetto di cinque studenti riuniti a chiacchierare giocosamente sulle scale vicine agli alloggi dei maghi, Elion lanciò un’occhiata all’unico ragazzo seduto in disparte, in pizzo ad un rudere di colonna.
Il giovane le apparve davanti agli occhi in una posa profetizzata. Se un’artista l’avesse visto sistemato in quel modo sul rudere, avrebbe subito desiderato farne una scultura. Il titolo? “Leggente” o “Colui che legge”. Si chiamava Rouven ed era un purissimo Bretone della miglior specie. Aveva un fisico allenato, ma non troppo gonfiato di addestramenti. Era stato per molto tempo allievo privato di un Mago Guerriero fuori dall’Università ed era entrato nell’Ordine per motivi d’interesse: il suo mentore era dovuto partire e l’aveva lasciato con denaro sufficiente per pagarsi le spese alimentari di un anno. Rouven aveva scelto d’impiegare quel denaro in un esame che gli garantisse il posto nell’Università. I Maghi e Hannibal Traven in persona avevano apprezzato le sue qualità di Illusionista e l’avevano subito aggiunto alla lista degli iscritti. Le doti magiche non gli erano mai mancate, la passione nello studio neanche. Poi però il suo vecchio non era più tornato e lui, terminati i soldi e le lezioni del primo corso, non aveva saputo che fare. Raminus Polus l’aveva preso con sé e aveva scelto di garantire per lui il resto dell’anno accademico e di quelli a venire.
Rouven era due anni avanti ad Elion, eppure si comportava come il nuovo arrivato messo da parte da tutti. Aveva un viso magro, un bel naso e grandi occhi chiari studiosi del mondo. I capelli mori li portava lunghi fino a dietro le orecchie, e il cibo della sua anima erano i libri. Non c’era momento in cui non si staccasse dagli amici per dedicarsi alle pagine polverose di qualche tomo troppo nuovo o troppo vecchio perché i suoi coetanei potessero interessarvisi. Persino Elion spesso faticava a riconoscere autori o generi dei quali Rouven si avvicinava così appassionatamente.
Seduto in pizzo a quel rudere di colonna, alla luce di un focolare viola, i suoi capelli e parte del suo viso assumevano una tonalità preziosa come una qualche gemma rara e antica. Era concentrato a tal punto nella lettura, che ad Elion sembrò opportuno passare oltre senza disturbare.
Si avvicinò al gruppo di studenti che facevano battutine dalla scalinata, ma non osò guardare in faccia nessuno di loro. Per un attimo aveva “sognato” di far parte di quel gruppo, ma poi si era ricordata di essere lei quella messa da parte da tutti.
Con un sospiro di poco sollievo e tanto tormento, Elion sedé su una panchina di pietra a pochi passi da entrambi. A destra c’erano i collegiali pettegoli, a sinistra Rouven voltò pagina con un rapido gesto della mano, insaziabile di sapere cosa era detto nelle prossime righe.
Quella e altra gente, sparpagliata un po’ per tutto il giardino esterno, attendeva di poter accedere alla mensa studentesca. La cena si sarebbe tenuta tra breve: il forte odore di cucinato e spezie fendeva l’aria e il numero di studenti riuniti sulle scale cresceva a dismisura. Il frastuono aumentava, eppure Rouven leggeva con la stessa parsimonia di sempre.
Elion un po’ lo invidiava.
Saper isolare la mente da tutto e da tutti era una capacità che pochi, pochissimi avevano o acquistavano. Elion era certa che da qualche parte, nei testi di magia, si davano gli elogi a chi ne fosse capace e la si portava come materia di studio. Rouven forse aveva appreso questa tecnica durante i suoi due anni accademici, ma allora perché nessun altro era come lui? Elion si diede della stupida: ovvio che nessun altro era come lui! A parte Rouven, (per ora) non c’era nessun altro studente del II anno nell’Università! D’estate gli apprendisti, reduci di un anno di studi, facevano lunghi e avventurosi itinerari assieme a maestri volontari, che li portavano con sé a caccia di nuovi ingredienti alchemici, o semplicemente alla scoperta della natura. Era un modo per avvicinare i ragazzi e le ragazze al pacifico mondo della magia, e far comprendere loro che la negromanzia era da sempre impegnata a distruggere un equilibrio preziosissimo.
Elion ammetteva di essere anche un po’attratta dai ragazzi misteriosi, severi e silenziosi come Rouven. Nell’arco di quell’estate si erano parlati sì e no cinque volte e sempre per ordine di qualcuno, che mandava uno a chiamare l’altra o l’altra a chiamare l’uno. Durante quei brevi momenti Elion aveva assaporato il suono docile e perfetto della sua voce che poteva addirsi solo ad uno come lui che, con molte probabilità, si era accorto già da tempo del modo in cui lo guardava negli occhi quando s’incontravano.
Ma come lo era lei, era difficile ignorare che almeno un’altra dozzina di Elfe, Argoriane o Bretoni fossero “innamorate” del suo animo tranquillo.
-Elion! Sei qui!- strillò una voce maschile e squillante come una tromba.
A quel punto gli occhi di Rouven si staccarono un istante dal volume che stava leggendo e si posarono su di lei. A salutare la ragazza, però, era stato un rompiscatole Guardia Rossa. La pulce fastidiosa che Elion si aspettava d’incontrare si era spropositatamente lasciato cadere seduto al fianco della ragazza.
Elion era balzata per la sorpresa e arrossita per lo stupore di vedersi gli occhi di Rouven puntati addosso. Solo quando il Bretone era tornato a leggere, la ragazza si era permessa di battere una pezza per nulla amichevole sulla spalla dell’amico.
-Mattiùs, dai, ti sembra il modo?!- sibilò a denti stretti. Oltre alla breve attenzione di Rouven, erano caduti su di loro gli sguardi pettegoli di tutti gli altri studenti attorno. Alcuni avevano anche iniziato a parlottare sommariamente sotto tono.
-Perché mi picchi? Cos’ho fatto ‘sta volta?- chiese quello con aria stupita. Il cestino di capelli che aveva in testa pareva soffice come un cuscino. Di fatti Mattiùs spesso dormiva senza.
-Devi smetterla di fare queste entrate teatrali, non ne posso più!- brontolò lei premendosi le tempie.
Il ragazzo sembrò abbassare le orecchie a mo’ di cane rimproverato dal padrone. –Pensavo ti avrebbe fatto piacere un po’ di compagnia prima di cena. Ti ho vista tutta sola, quelli parlavano di te…-.
Elion scattò dritta. –Chi?! Chi parlava di me?!- sibilò guardandosi attorno.
Mattiùs indicò un gruppo di alchimisti vicino ad un focolare viola. –Loro, però non fare movimenti bruschi: niente scenate prima di cena, rammenta le parole di Polus- l’ammonì.
-E adesso quella dalla bacchetta facile sarei io?- rise la ragazza.  
Mattiùs si adombrò. –Non ce l’avrai ancora a male per la battaglia di polpette volanti della scorsa settimana, spero!-.
-Avresti potuto benissimo evitarlo- lo rimproverò.
-Sono state Amina e Teresia ad eccitare la folla! E poi mi hanno provocato!- si difese il ragazzo.
Come ogni Guardia Rossa che si rispetti, Mattiùs aveva il brutto vizio di dar troppo peso al proprio orgoglio, spesso e non volentieri infangato da chi si credeva chissà chi. Di maghi e streghe con la puzza sotto al naso all’Università, soprattutto nella generazioni di novizi di quell’anno, ne giravano parecchi, e tutti sembravano aver cattivi propositi o atteggiamenti verso quel povero ragazzo dalla pelle ambrata.
Mattiùs era un fiero Guardia Rossa che in mente aveva solo una cosa: la magia della Distruzione. Voleva fare della sua passione la sua occupazione. Suo padre era uno Spadaccino. In segreto Elion aveva anche avuto occasione di conoscerlo al Tempio del Signore delle Nubi a Bruma, dove aveva condotto Martin e Jeffrey al sicuro dopo aver recuperato entrambi e l’Amuleto dei re. Lì la compagnia degli Spadaccini aveva il suo quartier generale e lì Elion aveva stretto la mano al padre di Mattiùs per l’unica volta, prima di voltare le spalle e affibbiare il destino di salvare l’Impero a qualcun altro…
Tutta questa storia è più grande di me, ed io non ci voglio entrare! Si era detta fuggendo al galoppo dal Tempio, una notte, mentre tutti erano ignari nei propri letti. Veramente non proprio tutti tutti. Elion aveva intravisto un’ombra affacciata alla balconata del Tempio, forse Jeffrey o lo stesso Re Martin che le auguravano un ultimo silenzioso saluto e, chissà, magari qualche profetica frase di buona fortuna. Alla mezz’Elfa non era importato comunque; la priorità era mettere più strada possibile tra lei e Bruma con un cavallo rubato, che poi avrebbe indirizzato sulla via del ritorno appena raggiunta la Capitale.
Il frenetico ritmo di Imperial City l’aveva letteralmente avvolta, fatta prigioniera tra stretti vicoli bui e agguati notturni. La gente più gentile era quella mendicante; per nobili, mercanti, pattuglie notturne o cittadini comuni indossava la sua come una pelle di miseria ed eterna povertà. Si era stabilita per qualche giorno sotto i ponti, poi Laenzio l’aveva trovata ed era cominciata per lei la vita tanto attesa.
Finalmente i battenti del grande salone comune sotterraneo si aprirono e gli studenti si riversarono sulle gradinate come un fiume in piena. Qua e là le vesti colorate di Evocatori, Illusionisti e Alchimisti spiccavano tra la folla, mentre i maestri e il resto dei docenti avrebbero cenato in un’altra stanza. Elion, al loro posto, non avrebbe agito diversamente: in mezzo a tutto quel trambusto, persino i cani o i gatti dei maestri si rifiutavano di mangiare, troppo infastiditi dai toni alti e dal chiasso degli studenti.
Il salone comune consisteva in una grande sala rettangolare. Le pareti più lunghe erano quella di fondo e quella d’ingresso, dove toccavano gli ultimi gradini della scalinata. Ai muri erano appesi dipinti e arazzi raffiguranti le varie arti accademiche (Distruzione, Misticismo, Alchimia, Illusionismo, Recupero ed Evocazione), dal soffitto e dal pavimento spuntavano bracieri magicamente fluttuanti assieme a qualche torcia alimentata di fuoco stregato. Il pavimento in pietra ospitava un complesso di tappeti finemente decorati che servivano ad attutire il suono di tacchi e scarpe, che in un ambiente tanto vasto avrebbe potuto rimbombare.
Come ogni sera Elion consumò di fretta la sua cena. Il forte desiderio di lasciare la sala comune il prima possibile e appartarsi nelle sue stanze precedendo i coetanei le premeva nello stomaco più della fame stessa. Mattiùs provava a starle dietro altrettanto frettolosamente, ma faticava a scartare parti del cibo che Elion evitava addirittura di mangiare. La ragazza era già in piedi e diretta fuori dal salone quando Mattiùs finì di ripulire il piatto con una mollica di pane. La Guardia Rossa corse per raggiungerla e lasciarono la mensa sotto gli sguardi curiosi degli studenti. Giravano già le prime voci sul perché quei due stessero sempre insieme, ma Elion decideva bene di ignorarle.

Gli alloggi dei Maghi erano una costruzione a due piani posta ai piedi della cinta muraria che delimitava i quartieri dell’Università. Oltre quel parabrezza ciclopico incombevano le acque calme del Lago e la scogliera frastagliata contro cui si abbattevano onde violente nei giorni di tempesta. L’Università Arcana sorgeva su un isolotto adiacente alla fetta di terra galleggiante su cui posavano le fondamenta della Città Imperiale, alla quale era collegata per via di un ponte in pietra massiccia. A rientrare nel complesso architettonico dell’Università Arcana c’erano diverse strutture, tutte disposte lungo le mura in quest’ordine: gli Alloggi dei Maghi, gli Archivi Mistici, il Planetario, La Sede degli Artigiani (detta Centro Praxografico ), il Chironasium (dove s’incantavano gli oggetti e dove Elion sapeva che l’attendeva il suo primo bastone ufficioso da mago), il Lustratorium (punto di ritrovo dei migliori Alchimisti), le Aule di Allenamento (gestite da un omone di nome Renald Viernis) e in fine le sale di studio, lettura e apprendimento. Là i maestri svolgevano i corsi regolari. Un grosso orologio magico incastrano nella pietra del pavimento del cortile interno scandiva le ore della giornata e quelle di lezione.
Elion entrò negli Alloggi dei Maghi e salì le scale che portavano al secondo piano, fedelmente seguita da Mattiùs che in realtà non era assegnato a quell’ala dei dormitori.
-Se ti vedono qui sei morto- disse l’Elfa lasciandosi cadere distesa sul morbido materasso del proprio letto, posto accanto alla finestra e vicino ad un mobile in mogano scuro, dove teneva alcuni vestiti ed effetti personali.
-Dimmi qualcosa che non ti abbia sentito dire tremila volte- rise Mattiùs sedendo alla scrivania ai piedi del letto. Cominciò a curiosare tra i cassetti sperando di trovare (molto probabilmente) qualcosa da mangiare.
Elion chiuse gli occhi. -Lì ci sono delle fragole- sospirò indicando un punto della stanza senza guardare. Mattiùs si voltò all’istante e individuò il cestello di fragole selvatiche, belle carnose, sul tavolo tondo in mezzo alla stanza.
-Che pacchia! Da noi c’è solo frutta secca!- commentò con stupore il ragazzo, avventandosi sul cestello.
-Ma se preferisci, Amina conserva sempre qualche ciliegia- Elion sorrise ricordandosi di quando lei e la sua amica Elfa dei Boschi si erano appena conosciute, quell’estate. Erano bastate due parole e subito era scoppiato l’interesse reciproco per la natura. Elion era un tutt’uno con gli elementi, Amina viveva parlando con gli animali e cibandosi dei frutti della terra. Sapeva dove trovare ciliegie, pesche e albicocche mature anche quando non era stagione.
Elion condivideva la stanza con lei ed altri sei maghi, tra maschi e femmine. I letti erano disposti lungo le pareti della camera. C’erano tappeti, arazzi, lanterne e candele. Il tavolo tondo nel centro ospitava quattro comode sedie di mogano scuro decorate in oro. C’era un ampio scaffale che arrivava fino al soffitto. Traboccava di libri, alambicchi, calcinatori, storte, pastelli e mortai per l’Alchimia da camera. Ma anche pile di pergamene, scrigni, contenitori di piume e boccette d’inchiostro. Il soffitto non era troppo alto, le finestre ampie e luminose ora coperte da drappi decorati lasciavano ugualmente intendere una magnifica notte stellata.
Al pian terreno c’era una piccola stanzetta riservata a Raminus Polus e alla Custode del Planetario. Quella che un tempo doveva essere stata una cantina, invece, era stata trasformata in un accogliente secondo dormitorio misto. Là dormivano Mattiùs, alcuni collegiali e due maestri di Misticismo, i gemelli Flaconis. Tullio era famoso per il suo rapporto amichevole con gli studenti. Aro preferiva tenersi in disparte, pur non tollerando l’idea di staccarsi dal fratello.
Per il resto gli Alloggi comuni dei Maghi erano accoglienti quel tanto da compensare casa, amici e famiglia. La frutta fresca era una premura di Tar-Meena, l’Argoriana responsabile degli Archivi Mistici. Per molti all’Università era come una seconda madre: rigorosa e ferrea in fatto di educazione, amorevole e dolce nell’apprendimento della sua materia, che riguardava unicamente lettura, comprensione, riflessione e traduzione di testi antichi.
Negli alloggi del seminterrato c’era della frutta secca perché Tullio aveva sviluppato una sorta di allergia per i cibi umidi; a studenti come Mattiùs questa cosa non andava giù, ad altri invece pareva un gesto ancor più premuroso da parte dell’Argoriana. Uvetta passa, cocco e banana secca avevano un gusto dolciastro molto prelibato.
-Davvero deliziose- commentò Mattiùs col boccone pieno. Ingoiò senza fatica e si riempì nuovamente le guance di carne di fragole. –Non è che avresti dello zucchero?- chiese.
Elion quasi dormiva e non faceva caso alle sue parole. Gli occhi si erano chiusi poco prima e adesso faticava a riaprirli. Era stanca, avrebbe voluto addormentarsi subito, ma la luminosità della stanza e la consapevolezza che una mandria di studenti doveva ancora raggiungere gli alloggi glielo impedivano. Si permise di tornare con la mente a quella mattina, sulle sponde del lago. Aveva lasciato là i suoi stivali stregati, ma non aveva la minima intenzione di tornare a riprenderli. Ormai quel luogo significava per lei solo infiniti guai e non ci sarebbe tornata mai più. Non perché temeva di incontrare di nuovo quel ragazzo (cosa impossibile, dato che era prigioniero nelle celle imperiali) piuttosto perché Laenzio aveva oltremodo sottolineato la pericolosità del girare da sola. Sarebbe dovuta essere più attenta. In quei tempi le terre fuori dalla Città Imperiale, giorno o notte che fosse, erano tutte meno sicure di sempre.











.:Angolo d’Autrice:.
Volevo annunciarvi che non so quanto riuscirò ad essere costante nell’aggiornare questa storia che, ammetto, mi sta facendo nascere sempre nuove idee. Ma voi direte: la scuola sta per finire, quanto tempo ti serve a buttare giù sei, sette pagine?! Ed io risponderò: non si tratta di tempo, ma di ispirazione! In questi ultimi giorni mi sto dando come una matta alla lettura di romanzi sempre nuovi (ne ho fatti fuori 3 in una settimana) e sono a secco per tutta l’estate. Essendo io una persona molto influenzata nel modo in cui scrivo da quello che leggo… ho scoperto di aver bisogno di tempo per elaborare un buon capitolo.
Ma ora basta parlare di me…
Queste sette pagine, incentrate su una prima parte delle magiche vicende dell’Università – accuratamente descritta grazie all’uso improprio di una mappa apposita pescata da internet - sarà parso un poco noioso ad alcuni di voi. L’entrata in scena di così tanti nuovi personaggi è stata tanto faticosa da scrivere per me quanto pesante da leggere per voi, e lo capisco. Dannìlus, il Mago Guerriero di pattuglia all’ingresso del Distretto Arcano è un pg di mia invenzione, come Prassitelo, Ubertos, Mattiùs, Rouven, Tullio Flaconis, Aro Flaconis, Amina e Teresia – queste due ultime le conosceremo in seguito-.
Raminus Polus, Hannibal Traven e un citato Renald Viernis sono riconducibili a quelli del gioco. Riguardo all’Università Arcana, non so quanto riuscirò ad essere fedele nell’uso dei personaggi del gioco, perché ho riscontrato le prime difficoltà nell’appuntarmi nomi, descrizioni o quant’altro possa tornarmi utile a scrivere, mentre gioco! XD Stessa cosa con la Gilda dei Ladri, dalle cui vicende vivo distante anni luce. Cercherò ugualmente di fare il possibile, sbirciando qua e là anche nei forum stranieri (mannaggia al mio inglese maccheronico!). Se vi è capitato di fare un giretto nei quartieri bassi dell’Arena, avrete senza dubbio avuto l’onore di stringere la mano (retoricamente) al Principe Grigio di cui annuncia Prassitelo nella scena iniziale. L’Orco di cui parla è il reale Campione dell’Arena che, nella mia fan fiction, diventa un presunto flirt dell’Orca che, aprendo parentesi, è un personaggio del gioco e gestisce le Scuderie Cavallo Sauro; non ricordandone il nome mi sono inventata Titch come un soprannome! XD Vedrò di aggiornarmi ^^’).
La storia di Akatosh e la Gilda dei Maghi protettori di draghi ammetto di essermela inventata. Quei pochi libri che ho avuto tempo di leggere nel gioco e che riguardano la storia della Fondazione da parte di Alessia – un’affascinante figura millenaria che m’intriga molto- non mi hanno istruita a sufficienza. Mi sento ancora ignorante per quanto riguarda le leggende, le religioni e la usanze dell’Impero, perciò, vi imploro, siate clementi se mi scappa qualche baggianata! XD
Detto ciò, penso di poter concludere quest’angoletto d’autrice cedendo il posto ai ringraziamenti. ^^

X SnowDra1690: per odiare così gli assassini devi avere i tuoi buoni motivi. Ebbene sì, Laenzio aveva davvero mal pensato che si trattasse di uno “stupratore”, ecco, sì, che termine carino. Eh, riguardo alla sua carriera da ladro e la sua ascesa scadente da assassino, come darti torto? Diciamo che la scrittrice aveva poca fantasia a riguardo e ha preferito non dilungarsi troppo nel flash back. Volevo che al centro del capitolo ci fosse il suo salvataggio da parte di Talaendril (la bonazza di turno, esatto! XD) che nella fiction saprà come far valere il suo ruolo. Riguardo alla maga non posso prometterti nulla. Se sarà l’assassino a tradire la confraternita schierandosi per amore dalla parte di Elion o viceversa, non penso di potertelo svelare già così presto: non perché si tratta di uno spoiler troppo grande, ma semplicemente perché ancora non ne ho idea nemmeno io! XD
Le vicende si tratterranno in tenori bassi giusto qualche altro capitolo, poi accadrà quello che in termini di linguaggio da poker si chiama cambio delle carte <.< penso, perché io di poker non me ne intendo affatto. Grazie mille per il tempo che spendi a leggere questa storia, ogni lettura o commento per me significa molto ^^

X Burdok 95: ah-ah! Ecco un altro fan di Assassin’s Creed, che potrà ben appoggiare la mia scelta di mettere al centro delle vicende un membro della Confraternita Oscura! XD Ho notato che hai aggiunto la fan fiction addirittura alle tue preferite… che onore, che onore davvero! E il tuo commento non fa altro che farmi salire le lacrime agli occhi. Corretto e scorrevole. Se la mia professoressa d’italiano leggesse queste due parole, si unirebbe a me nei canti corali in Chiesa! Forse sì o forse no… mi sfugge il membro della Fratellanza che dici mi sono dimenticata. Non sarà mica la guardia scheletro nell’androne? Ti prego, fammelo sapere al più presto o io impazzisco consumando i tappeti del Santuario finché non lo scovo! XD
Ti ringrazio immensamente anche per aver espresso un suggerimento per il nome di lui. Rick sarebbe davvero carino, ma forse poco appropriato per il volto che ho intenzione di dare al ragazzo.
Per il resto, salute e pace, confratello.

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Capitolo 5
*** Un disegno diverso e grandioso ***


5. Un disegno diverso e grandioso

Quando Gabriel varcò la soglia, che si richiuse con un lento movimento alle sue spalle, si ritrovò nell’ampia sala di ricevimento del Santuario. Nel mezzo un grande vuoto lasciato dalla volta bassa del soffitto e quattro tozze colonne portanti. Le fiaccole alle pareti erano accese. Qua e là penzolavano gli emblemi in tessuto con il simbolo della Confraternita Oscura: una mano inchiostrata di sangue in campo nero, assieme ad alcuni decori in oro e rame. In più punti del pavimento dormivano tappeti secolari appartenuti alle primissime generazioni di Assassini; non mancavano arazzi e dipinti celebranti le gesta dei grandi maestri Uccisori, che la storia della Fratellanza dipingeva come creature mitologiche. Avevano guidato per anni la Confraternita Oscura e per millenni le menti dei loro successori.
C’era stato Liteeth, un subdolo argoriano che aveva il buon vizio di avvelenare per uccidere le sue vittime. In tutta la carriera di Uccisore non aveva mai fallito un contratto e ed era ricordato come il Serpente. L’affresco dedicato alla sua vita copriva la parete di fondo, ove era situato l’accesso per le sale sotterranee dell’Alchimia e della Biblioteca.
Lhisa, lo Scorpione, era stata una femmina fatale non troppo attraente, ma che aveva ugualmente saputo meritarsi le due parti (tra le quali s’incastrava il portone d’ingresso) del muro meridionale. Lo scorpione rappresentava tutta la premura che aveva avuto dei bambini, sia in vita sia oltre la morte. I suoi canoni legislativi e le sue nozioni psicologiche erano rimaste tutt’ora. Quella particolare specie d’insetto aveva la caratteristica di abbandonare a se stessi i propri piccoli dopo averli viziati premurosamente. L’insegnamento che Lhisa aveva sempre insistito nel dare ai bambini era quello di apprezzare e vivere di sofferenza, così come Sithis aveva ordinato in una delle sue leggi. Compatire la vittima non era vietato, anzi. Immedesimandosi nella sua sofferenza l’Assassino entrava in contatto con Sithis personalmente, potendo assaporare sulla propria pelle l’escandescenza del sangue e del corpo. I bambini cresciuti da Lhisa e dalla sua dottrina erano costretti a vedere nel distacco dalla “madre” quel genere di sofferenza dell’anima. Non tutti però accettavano il cambiamento, non tutti uscivano indenni alla vista del sangue che veniva imposto loro di versare. Chi dava di stomaco, chi tentava di scappare o chi si rifiutava di uccidere veniva ucciso a sua volta. Così solo i più meritevoli e i più dotati andavano avanti, guidati dal disegno che Sithis aveva fatto del loro destino.
Karmiko, detto il Varano Lingua di Fuoco, aveva la forza paragonabile a quella di un Drago inferocito. Era ricordato con tal nome per la sua corporatura massiccia e la prodezza con lo spadone di rame arroventato, con il quale torturava e poi uccideva le sue vittime. Per il prestato servizio a Sithis si era guadagnato un ritratto onorario sulla parete settentrionale; da lì si accedeva alle stanze di allenamento.
In fine era venuta l’era di Harit col nome di Tarantola o Vedova Nera, due specie di ragno molto comuni ma altrettanto fatali per gli esseri umani. Il ragazzo non faticava ad immaginare che genere di contratti accettasse quella donna o che tecnica adottasse per le sue vittime. Gabriel aveva persino motivo di credere che Talaendril fosse stata una sua vicina discepola. Ma la Vedova non si era mai servita, secondo la leggenda, di arco e frecce come armi a distanza. L’unica punta di metallo che avesse sfiorato le sue vittime era stato lo stiletto appuntito, che tirava fuori dai punti più impensabili del proprio corpo.
A grandi linee la leggenda e gli affreschi raccontavano così. Questi quattro e molti altri si erano scambiati il trono sul quale ora sedeva Ocheeva, Custode del Santuario e sua Gran Sacerdotessa.
Gabriel si accomodò ad un tavolo lì vicino, appartandosi in un angolo della sala. Si appoggiò su un gomito e stese le gambe, esausto nel fisico per il viaggio e nello spirito per cosa lo attendeva. C’erano una caraffa con del vino rosso e alcuni bicchieri. Se ne gettò due sorsi in gola e presto dimenticò il motivo per il quale era ancora seduto su quella sedia, quando sarebbe dovuto correre ad avvertire Vicente del suo fallimento e del nemico a cui aveva dato in pasto la Fratellanza. Per essere stato visto in faccia dal Comandante della Legione, il minimo castigo sarebbe stata l’espulsione immediata dalla Confraternita. Non si poteva rischiare che la Legione assoldasse delle spie per pedinarlo quando Gabriel era in tenuta informale fuori servizio, momento in cui la sua grazia da Assassino lasciava il posto ad un ragazzo giramondo.   
Prima di poter accedere alle viscere del Santuario doveva essere convocato o deliberato a farlo da un suo superiore, ma l’ampio stanzone sembrava essere deserto. C’era un silenzio innaturale, rotto solo dall’eco di alcune voci molto distanti o dai sussurri del vento. Inizialmente Gabriel pensò che tanto silenzio era parte integrante della normalità quotidiana, lì nei bassifondi del Santuario, ma dovette ricredersi quando vide emergere dalle scale in fondo una piccola figura completamente vestita di nero.
Gabriel lo riconobbe subito per ciò che era: solo un bambino, che indossava come la sua Armatura Velata su misura come una seconda pelle. Si dirigeva a passi spediti verso il portone per agli alloggi degli Assassini, almeno prima di notarlo, pietrificarsi, e scappare nella direzione da dove era venuto.

Nikolò si era gettato nuovamente giù per le scale di gran corsa. Il fiato, per le sue capacità fisiche, non gli sarebbe mai mancato, ma il cuore aveva iniziato a battere fortissimo in petto appena aveva visto l’Eletto nel salone d’ingresso. Ora le sue gambette magre falciavano l’aria tersa del sotterraneo, ogni suo passo suonava amplificato dalla pietra e i suoi piedi mangiavano metri dopo metri di terreno. Era stato addestrato a correre fin da quando era stato capace di mettere un piede davanti all’altro, e dopo di allora non aveva più smesso. Respirava tranquillamente, il corpo allenato dagli intensissimi addestramenti voluti da Sithis rispondeva bene alle sue intenzioni.
M’Raaj-Dar lo chiamava cucciolo Imperiale. Nikolò aveva dodici anni ed era un pedinatore professionista: seguiva le vittime degli Assassini per giorni, settimane, mesi o anni, se necessario, e poi riferiva ai suoi superiori lo loro abitudini, così che l’Uccisore potesse compiere il volere di Sithis senza rischi. Era una fonte affidabile, un alleato prezioso nella Confraternita, allenato fisicamente sia mentalmente alle situazioni nelle quali la Madre Notte amava cacciarlo. Era un buon osservatore: i suoi grandi occhi azzurri vedevano tutto e tutti a metri di distanza, anche al buio, grazie al bacio benedetto che Sithis aveva dato alla sua culla quand’era ancora in fasce.
I corridoi sotterranei del Santuario erano forse il luogo più freddo, buio e di conseguenza meno ospitale di tutta la costruzione. Ciò nonostante alcune delle sale più importanti si trovavano tra quelle umide mura a blocchi di roccia squadrati. Una di queste stanze era la biblioteca e si diceva ospitasse volumi unici sulla Negromanzia, il culto degli spiriti notturni e della vita oltre la morte. Attraverso quei testi Sithis faceva un’allettante proposta a tutti i suoi adepti, promettendo un glorioso cammino eterno a chiunque, raggiunta la vecchiaia, avesse portato atto della sua voce in gioventù. Nikolò provava un’impulsiva curiosità per quei luoghi e non aveva mai avuto occasione di avventurarvisi per via del suo rango ridotto. In quelle zone del Santuario c’erano anche le stanze private del Vampiro Vicente Valtieri, nascoste chissà dove ancor più in profondità.
Come un principiante di atletica, Nikolò prese troppo larga la curva del corridoio.
-Ehi, attento a dove vai, ragazzino!- gli gridò l’Orco quando per poco meno di un centimetro il bambino non gli finì addosso.
-L’Eletto è tornato!- disse Nikolò, confidando nel fatto che quelle parole avrebbero azzittito l’Orco Gorgon meglio di una banale frase di scuse. Voltandosi, il bambino riprese a correre col doppio della foga, risparmiandosi di vedere l’espressione stupita comparire sulla pelle verde della bestia.
Gli spazi angusti e i vicoli stretti del Santuario erano un’infinita sequenza di muri, gradini e pareti mobili; bastava conoscere qualche trucco e si poteva arrivare dall’altra parte della costruzione risparmiandosi chilometri di labirinto. Nikolò tagliò altre due rampe di scale e finalmente giunse a destinazione con le gambe in fiamme, anche se sarebbe stato capace di correre per un’altra giornata. Le doppie ante molto spesse del portone che gli si parò davanti pesavano quanto davano a vedere, e Nikolò faticò un po’ a scostarne una.
Le stanze di Ocheeva non erano spoglie come quelle degli assassini, bensì cariche di oggetti magici, scaffali grondanti di libri, un comodo letto, uno scrittoio, tappeti e arazzi celebrativi. L’intera camerata era scavata nella pietra. Dal soffitto pendevano minacciose stalattiti come chiaro avvertimento. Si diceva che se Sithis avesse scoperto la Sacerdotessa tradire la Confraternita, una di quelle stalattiti appuntite come coltelli le sarebbe crollata addosso, trafiggendola nel sonno dolorosamente. Gli occhi della Madre Notte erano ovunque, e questo Ocheeva ed altre Sacerdotesse prima di lei l’avevano tenuto bene a mente.
L’argoriana sedeva allo scrittoio quando Nikolò comparve nei suoi alloggi. La sua lunga coda spinata si snodava con un movimento lento e ondulato, carezzando appena il pavimento coperto dal tappeto. Era molto presa da un libro sul quale stava annotando alcuni dati giornalieri relativi all’attività del tempio, e non si accorse subito di lui. Al contrario, il marmocchio non riuscì ad astenersi dal notare la grossa stalattite che pendeva esattamente sopra la testa dell’argoriana. Ingoiando il groppo in gola, Nikolò si fece coraggio e la chiamò con rispetto per nome.
Ocheeva girò la testa di lato, continuando a dargli le spalle seduta alla scrivania. –Dimmi, piccolo mio- acconsentì cordiale.
Un solo grande occhio della lucertolona bastava per tenerlo sotto stretta osservazione. Nikolò sapeva che Ocheeva non avrebbe tralasciato il sudore freddo che aveva iniziato a bagnargli la fronte. Forse la Sacerdotessa avrebbe potuto fraintenderlo come un segno di debolezza o stanchezza fisica e perciò condannarlo al doppio degli allenamenti, invece Nikolò era soltanto teso come un chiodo per la notizia che stava dando.
-Ocheeva, l’Eletto è tornato- annunciò sgonfiandosi il petto da un grande peso.
La Sacerdotessa si voltò del tutto. –Dov’è?- chiese serissima, alzandosi.
-Nella sala di ricevimento, Sacerdotessa- rispose il bambino chinando la testa.
Ocheeva si avvicinò a lui e gli carezzò i capelli biondi; in quel momento Nikolò temé che all’argoriana potesse davvero dar fastidio il sudore sulla sua fronte, ma invece lei non vi fece nemmeno caso.
Il bambino rilassò le spalle e si godé la mano di Sithis che lo benediva e lo ringraziava attraverso quella della Custode.
Ocheeva lo sorpassò a grandi passi e uscì dalla stanza per lo stretto spiraglio voluto poco prima da Nikolò per entrare. Il ragazzo, trovandosi solo nelle stanze private della Sacerdotessa, volle subito uscire guardandosi le spalle dalle minacciose stalattiti pendenti sulla sua ombra.

Adesso basta! Se vogliono cacciarmi, che lo facciano subito, dannazione! Preferirei che si risparmiassero queste messe in scena teatrali: il Santuario vuoto, il bambino che scappa! Crescete, per i Nove! Gabriel aveva ormai esaurito tutta la sua pazienza quando udì una voce squillante di donna.
-Gabriel!-.
Il ragazzo, in piedi in mezzo al salone, si voltò, ma in quell’istante una coppia di braccia sottili gli si avvolsero attorno al collo e un profumo dolcissimo di lavanda gli riempì i polmoni. Era Antoniette Marie, stretta a lui come se fosse la cosa più preziosa al mondo. Gabriel esitò su dove mettere le mani, notando che la ragazza non osava staccarsi da lui nemmeno in cambio di oro. Erano d’oro i suoi capelli, sfuggiti dal cappuccio e spettinati nella foga di correre fino a lui. Gabriel poteva sentire il cuore di lei battere impazzito contro il suo petto, più per l’emozione che altro.
-Ho temuto davvero il peggio, Gabriel, lo temevamo tutti. Quando Talaendril è partita pensavamo che non sarebbe mai intervenuta in tempo! La lettera di Lucien in cui era predetta la tua morte è arrivata troppo tardi. Secondo alcuni eri già in prigione, secondo altri invece potevi esserti fermato in una locanda prima di iniziare la missione: semplici pretesti pur di alimentare la nostra speranza, votata all’unica causa di vederti tornare vivo. E adesso sei qui, grazie a Sithis- lo strinse più forte. –Ti ha salvato, Gabriel, ti ha salvato come ha salvato tutti noi-.
Antoniette Marie e chissà quanti altri nel Santuario erano trovatelli, ladri o abitanti delle fogne a cui era stata offerto un tenore di vita migliore in cambio di servitù eterna.
L’Eletto, spaesato da quel gesto, si scostò da lei giusto in tempo per vedere Ocheeva emergere sulle scale seguita dal bambino. L’argoriana e il piccolo pedinatore si fermarono di fronte ai due Uccisori. Poco dopo e prima che la Sacerdotessa potesse parlare, dalle stesse scale comparvero le figure distinte di Gorgon e il fratello di Ocheeva, Teinaava. L’orco e l’argoriano si unirono ai “festeggiamenti” stando a debita distanza e attendendo il proprio turno per “congratularsi” con lui. Entrambi indossavano una maschera di serietà per celare lo stupore e, probabilmente, l’invidia verso l’Eletto. Gabriel era fuggito senza un graffio alle Prigioni Imperiali con tanto di condanna a morte, e la sua vita era cara a gente di alto rango lì nel Santuario; chiunque avrebbe desiderato avere la sua fortuna o nascere sotto il suo stesso segno.
La Sacerdotessa Ocheeva indossava l’Armatura Velata come tutti i presenti, a parte l’Orco.
Gabriel e Antoniette s’inchinarono istintivamente nello stesso momento.
-Eletto Gabriel- cominciò Ocheeva, -pochi conoscono l’onore di essere prescelti da Sithis per intraprendere il cammino della Fratellanza. Tu sei uno di questi, e nessuno di noi ti vorrebbe tra le braccia della nostra dea troppo in fretta-.
A Gabriel sembrò di leggere le parole “parla per te” sulle labbra dell’Orco, che suggerì quella battutina alle orecchie di Teinaava. Questi, nonostante l’amico stesse prendendo in giro sua sorella, sorrise di gusto.
Gabriel tornò a guardare l’argoriana negli occhi, ignorando i due spiritosi confratelli. Antoniette al suo fianco chinò il capo, dispiaciuta che ci fosse ancora tutto quell’astio tra compagni.
-Ma forse devi aver frainteso il tuo reale compito nella nostra grande famiglia- Ocheeva, pur continuando a rivolgersi a Gabriel, attirò l’attenzione del fratello minore con un’occhiataccia. Teinaava si mise subito a braccia conserte dando le spalle all’Orco che, profondamente offeso dal gesto, aggrottò le folte sopracciglia e brontolò nel proprio stomaco.
-È vero: Sithis, così come sceglie, protegge i suoi figli, ma non sempre le visioni del suo futuro possono essere contrastate dalla mano che guida. Ci sono circostanze in cui il nostro Ordine si riduce ad un granello di sabbia in confronto al volere delle stelle. Con queste parole, sommate al rischio che hai vissuto sulla tua carne, mi auguro fortemente che tu abbia compreso gli errori commessi e non li ripeta in futuro-.
-Sia mai- ammise Gabriel fiero e consapevole.
-E se invece dovesse succede ancora?-.
Teinaava ridacchiò.
-Gorgon, basta- lo richiamò Ocheeva con durezza. –Tu e mio fratello non siete richiesti a presenziare. Piuttosto, rendetevi utili e andate ad avvertire Vicente, chiedendo di lui, qui, immediatamente- ordinò.
-Lascia che vada da solo, sorella- disse Teinaava precedendo le repliche dell’Orco.
La Sacerdotessa diede il suo consenso annuendo, e nel salone restarono solo lei, Gabriel, Nikolò e Antoniette Marie. Con un pretesto totalmente diverso e che la bestia non avrebbe potuto rifiutare, Ocheeva era riuscita ad allontanare anche Gorgon.
-Gabriel, vorrei chiederti di Talaendril: siccome non è con te, deduco che sia rimasta indietro ad occuparsi delle guardie-.
Gabriel annuì alla Custode del Santuario. –Sì, quando mi ha liberato ha richiesto che lasciassi la città senza voltarmi indietro. Durante il viaggio di ritorno, mi consolava l’idea che fosse uscita illesa da situazioni ben peggiori- ammise amaramente.
-Altrettanto, figlio mio, altrettanto- sospirò Ocheeva.
Marie Antoniette sembrava avere sul viso un sorriso, piuttosto che una smorfia dispiaciuta. Gabriel ricordò all’istante che tra lei e l’Elfa Assassina non c’erano mai stati buoni rapporti proprio per quelle differenze caratteriali che facevano di entrambe le donne più desiderabili a questo mondo. L’una suadente e persuasiva, l’altra timida e forse troppo orgogliosa per dichiararsi. Eppure l’aveva abbracciato, eppure si era stretta a lui in quel modo che lasciava intendere tante dolci parole. Gabriel provò una stretta al cuore. Si stava davvero innamorando di Marie? No, non poteva essere, a meno che non fosse Sithis in persona a volere quell’unione. Allora sarebbe stata una cosa meravigliosa.
Come in risposta ai suoi pensieri, Antoniette sollevò il volto e lo guardò negli occhi, sorridendo ora davvero dispiaciuta. Doveva essersi accorta del velo di tristezza del confratello e desiderava restargli vicino, dimostrandogli la compassione tipica degli umani. L’eventuale coinvolgimento di Talaendril nella missione e la sua presunta morte avrebbero eliminato la concorrenza: non ci sarebbero più state donne belle, potenti e disponibili che Sithis avrebbe potuto scegliere per l’Eletto al dì fuori di Marie. Gabriel non sapeva cosa pensare a riguardo.
Vicente Valtieri apparve sulle scale e venne incontro ai tre con passo tranquillo. Appena fu abbastanza vicino, Gabriel chinò il capo in segno di rispetto e sprofondò negli occhi dorati con venature rosse del vampiro. Ebbe quasi l’impulso poco carino di abbassare lo sguardo sui canini affilati che spuntavano dalle labbra sottili. Vicente vestiva di un completo nero, con una camicia bianca a maniconi e dei calzari scuri, lunghi fino alle caviglie. Ai piedi aveva dei sandali di cuoio. Con sé portava sempre un pugnale dei Nani legato alla cintola e qualche boccetta di sangue (in caso forti astinenze lo colpissero all’improvviso) che teneva in una tasca interna del giubbetto slacciato sul davanti. Un tempo doveva essere stato un bell’uomo, ora l’anzianità gli deturpava il volto, assieme a pesanti occhiaie e un pallore glaciale. Gabriel ricordò istintivamente la prima volta che l’aveva visto, trovandoselo di fronte appena si era svegliato. Aveva trattenuto a stento un grido e per poco non era svenuto di nuovo. Fino a quel momento aveva pensato che vampiri e licantropi fossero leggende per tenere lontani i bambini dai mercanti di bestie selvagge che ogni tanto si accampavano nel distretto del Mercato di Imperial City. Quando aveva compreso la vera natura del suo mentore aveva temuto di essere spacciato, costretto a trasformarsi rispettivamente in un vampiro, oppure a finire nel menù della cena. Ma poi aveva notato che molti nella Fratellanza avevano preservato la loro incolumità a quel genere di trattamento, oltre ad un profondo rispetto per il vampiro, e lui non si era più lasciato intimorire. Vicente era diventato il suo padre adottivo e si prendeva cura di lui personalmente, senza intermediari. Si era offerto disponibile a parlare col ragazzo e conoscerne i segreti e i dubbi più oscuri: se Gabriel avesse riscontrato problemi durante il cammino che Sithis aveva tracciato per lui, Vicente sarebbe stato il primo con cui confidarsi.
Adesso, l’uomo che aveva di fronte era tornato ad incutergli terrore come la prima volta che l’aveva visto.
A differenza di Ocheeva, un gradino sopra nella gerarchia della Confraternita, Vicente aveva potere di vita e di morte sui tutti confratelli. Se l’argoriana gestiva la spiritualità degli Assassini, Vicente aveva la responsabilità fisica e morale degli stessi. Ad un tratto, però, Vicente non sembrava più il vampiro gentile che gli aveva offerto di unirsi alla loro numerosa famiglia. Agli occhi tristi di Gabriel era di nuovo un completo estraneo pronto a decidere di lui e del suo destino come di un qualsiasi giocattolo vecchio. L’Eletto pregò con tutto se stesso che una sentenza pubblica venisse posticipata il più tardi possibile. Per espellere un membro dalla Fratellanza era necessario il verdetto divino di Sithis; e l’unica lettera arrivata alla Confraternita da Lucien Lachance risaliva a dodici ore prima.
Nonostante i tanti pensieri che gli annebbiarono la vista per un lungo istante, Gabriel si costrinse a mantenere onore e compostezza fino all’ultimo. Mostrarsi dignitoso quel tanto che bastava per purificarsi l’anima dai peccati era la sua preoccupazione maggiore in quel momento.
-Ti ringrazio per avermi messo al corrente del suo ritorno, Ocheeva, ma vorrei il tuo consenso per conferire con l’Eletto- disse Vicente con grande stupore dei presenti. –In privato- si apprestò ad aggiungere.
Ocheeva annuì fredda. –Va bene, a patto che si tratti di una cosa rapida e indolore. Immagino che Sithis sia impaziente di ascoltare la voce di suo figlio- ghignò scoccando un’occhiata al ragazzo. Gabriel la ignorò suo malgrado.
-A più tardi, allora- Ocheeva tornò nelle proprie stanze pronunciate quelle parole.
-Antoniette Marie- Vicente si rivolse alla fanciulla.
-Ditemi, mio signore-.
-Recati nella mensa e ordina per mio conto che venga preparato del cibo per il tuo confratello, mentre saremo via. Porta con te Nikolò- aggiunse carezzando la nuca al bambino.
Antoniette Marie chinò la testa prendendo congedo; si avviò alla mensa passando per le scale e seguita dal pedinatore.
Appena furono soli, Vicente fece gesto all’Eletto di sedere con lui al tavolo vicino, lo stesso dove Gabriel si era accomodato al suo arrivo. Il vampiro notò il boccale mezzo pieno dimenticato dal ragazzo e glielo fece scivolare fin sotto al naso. –Abbi la grazia di finirlo- disse.
Gabriel gettò in gola il vino che restava e posò il bicchiere vuoto sul tavolo senza fare rumore. Con sua grande sorpresa, Vicente prese la brocca e gliene versò dell’altro, riempiendo anche un secondo boccale per sé.
-Vederti illeso mi fa una gran gioia, Gabriel- approvò il vampiro. –Davvero non immagini quanto la previsione della tua morte abbia annientato i nostri cuori-.
-I cuori di chi, se posso?- insinuò il ragazzo, ma si rese conto troppo tardi di aver fatto dell’ironia con fini ambigui, l’uno più tagliente dell’altro. Irrigidì la presa attorno al vetro del bicchiere. Pensò che Vicente, il cui cuore non pulsava da tempo immemorabile, avesse inteso le sue come parole d’offesa.
Il vampiro sorrise tristemente, ma ciò che disse poi fece intendere al ragazzo di essersi creato tanti complessi per nulla. –I rapporti personali con i tuoi confratelli devi gestirli da solo, Gabriel; neppure io posso aiutare i tuoi compagni a comprendere il peso che porti sulle spalle e il dovere che esso compete. I rapporti personali è cosa su cui Sithis non si assume responsabilità, mai, se non ad un unico fine-.
-L’unione- lo precedette Gabriel.
Vicente annuì. –Esatto. Solo in quel caso la divinità sfiora le nostre vite e intercede per noi e la persona destinata ad affiancarci. Tutto il resto è un’ampia circostanza dipinta dall’istinto e dalla tua capacità di oratoria, naturalmente- ridacchiò posando con grazia le labbra sul bicchiere e bevendo un lungo sorso.
Sono quasi sicuro di aver sentito battere i canini sul vetro…Gabriel rabbrividì. –Di cosa volevate parlarmi?- chiese portandosi il bicchiere alla bocca. Non era sicuro che sarebbe stato in grado di vederci chiaro ancora per molto, con tutto quel vino che Vicente voleva fargli ingerire.
-Hai ragione, ti sto trattenendo su tematiche inutili, perdonami- si scusò Vicente tornando serio. Dopo un silenzio che parve durare un’eternità, il vampiro posò il boccale sul tavolo e fissò un punto indistinto all’orizzonte, sferzando la penombra del salone coi suoi piccoli occhi dorati. –La Confraternita sta passando un periodo troppo luminoso. Le candele che credevamo di aver spento stanno tornando a far luce sui nostri misfatti. Formiche curiose s’insinuano tra le venature del tronco del nostro albero arrancando di bubbone in bubbone. Il terreno su cui ci stiamo avventurando scricchiola ad ogni passo e rischia di sgretolarsi sotto i nostri piedi. Dobbiamo essere cento volte cauti e mille volte rapidi per difenderci da questi misteriosi assalitori… anche se non sappiamo chi siano o cosa stiano cercando di preciso-.
-Se volete che indaghi, maestro, non dovete far altro che ordinarmelo; e la mia lama, guidata dal volere e la benevolenza di Sithis, scaverà a fondo nei loro cuori- si offrì Gabriel, avvertendo nello stomaco l’euforia del vino.
Vicente scosse la testa. –No, Gabriel, non è questo che voglio da te; almeno non ora. Mentre i bravi Assassini falliscono sempre più spesso, i Santuari sparsi nell’Impero implorano che questa crisi finisca, che l’oscurità torni ad occultarci. Vogliono che Sithis si riprenda il suo regno, lo chiamano. Forse chiederti di uccidere Valen senza destare i sospetti delle guardie è stato pretendere troppo dalle tue capacità. La Dea ha permesso il tuo arresto per darci questo messaggio: ti abbiamo sopravvalutato, Gabriel-.
Al suono di quelle semplici parole il ragazzo tremò sulla sedia. Guardò a lungo il vampiro negli occhi, senza riuscire a distrarsi con altro che non fossero le venature rosse nelle sue iridi dorate. Danzavano attorno al pozzo scuro delle pupille, vive come nastri nel vento. Aprì bocca, ma la voce gli era morta in gola prima di poter toccare il palato asciutto. Gabriel tentò invano di schiarirsela: improvvisamente aveva un estremo bisogno di bere.
Sotto lo sguardo serio e indagatore di Vicente, che sapeva lo stesse studiando in ogni gesto, l’Eletto afferrò la caraffa e si versò nuovamente del vino nel bicchiere.
Vicente proseguì: -Le tue azioni compromettenti, in altri tempi e in altri luoghi sarebbero equivalse a firmare le carte per l’espulsione dalla Fratellanza. Ma noi non possiamo permettercelo. Tu ci servi, Gabriel, sei il diamante in punta alla lama, sei il coltello che dividerà le carni e servirà colazione, pranzo e cena agli dèi. L’Ordine sa di non poter fare a meno di te, nonostante già da tempo molti, prima di me, di Ocheeva, di Lucien, dubitavano che saresti riuscito a risollevarci. Ignorare le loro voci è stato un grosso errore. Queste persone sanno cosa sta succedendo, sanno delle spie, dei traditori che crescono in numero e spuntano come funghi. Mettere da parte il loro ruolo, assecondando il tuo, è stato gettarci nelle braccia del nemico, immaginando che un Re, da solo, potesse sgombrare la scacchiera per la sua Regina-.
Vicente amava molto gli scacchi. Una volta aveva pure provato ad insegnargli regole, tattiche e trucchi, ma nelle partite ufficiali Gabriel perdeva dopo le prime quattro mosse del vampiro. Quel riferimento al gioco, un confronto a parole simile ad una partita di scacchi, gli dava i brividi.
-Il culto di Sithis è la fede che troppi di noi stanno abbandonando schierandosi con i nostri avversari. Per questo motivo ho riposto in te tutta la mia fiducia: sei l’Eletto, colui che rafforzerà i rapporti tra i terreni e i Divini, l’intermediario che la Confraternita attendeva da secoli, nelle cui mani affidare il destino del nostro Ordine e la salvezza dell’Impero dalle anime corrotte-.
Gabriel distolse lo sguardo respirando piano. Socchiuse gli occhi e ripensò alla consapevolezza di avere una simile responsabilità sulle spalle. Se ne sentì schiacciato come la prima volta che Vicente lo aveva chiamato l’Eletto, e provò un immenso senso di vertigini. Non disse nulla che potesse aiutarlo a confidarsi con Vicente, non perché non sentisse di averne bisogno, bensì perché temeva inopportuno parlare al vampiro dei propri bisogni ora che era tornato ad essere un completo estraneo, diffidente, per altro, delle sue capacità.
-Mi dispiace per ciò che stai passando, Gabriel, ti compatisco, ma non posso più darlo a vedere. Potrà sembrarti egoista, da parte mia, un simile gesto nei tuoi confronti, ma non posso permettermi di bruciare la reputazione che difendo a suon di torture e punizioni con i miei allievi. Se in passato sono stato per te un supporto, vorrei che d’ora in avanti mi considerassi unicamente una guida, un tuo semplice superiore. Purché sia preservata l’uguaglianza, ti saranno negati privilegi e diritti, e spesso ti verranno imposte sofferenze peggiori degli altri. Proprio per via del destino a cui sei legato, Gabriel, Sithis esige che tu venga trattato con fermezza, rigore… e non il contrario. Sei d’accordo?-.
Il ragazzo annuì automaticamente. In quel momento non desiderava altro che mettere qualcosa nello stomaco e stendersi a letto. Chiudere gli occhi e crogiolarsi tra le braccia della Madre Notte.
Vicente sembrò prendere accettare la sua risposta, ma ostentò lo stesso una faccia cupa e seria dicendo: -Veniamo ai fatti, allora: per via del tuo parziale fallimento, dovrai scontare la redenzione come tutti. Dopo cena sarai scortato nel Santuario da Ocheeva che ti istruirà su cosa fare una volta all’Altare. Vorrei che quando sarai nel Santuario, tu ti dedichi veramente alla preghiera nonostante io ti stia parlando di un perdono già certo. Lucien non spedirà mai una lettera di espulsione e tu non tornerai a dormire sotto i ponti, posso giurartelo. Da te chiedo in cambio la tua completa dedizione nel prossimo contratto che ti affiderò. Con umiltà, se è possibile-.
Gabriel tacque pensieroso. Non sapeva quanto la Confraternita guardasse in rosa al suo futuro e quasi non desiderava saperlo. Però c’era da tener conto che Vicente non conosceva gli ultimi sviluppi della missione, ovvero che presto o tardi un suo bel ritratto sarebbe stato appeso in tutte le taverne dell’Impero.
-Certo. Con umiltà. Per Sithis- dichiarò. –Ma… signore, proprio con umiltà vorrei confessarvi…- tentò, ma il vampiro lo fece tacere con un gesto della mano.
-E’ tardi, ed io ho del lavoro urgente che richiede la mia supervisione. Va’ alla mensa, sfamati e poi raggiungi Ocheeva nelle sue stanze. Riferisci lei che sei pronto a chiedere il perdono e dimentica questa conversazione appena sarai nel Santuario. Domani vieni da me, e parleremo del tuo nuovo incarico. Di fronte alla supremazia di Sithis siamo servi e peccatori. Pentiti, ragazzo, ma trova la pace-.
Vicente finì il vino in un ultimo sorso. Si alzò per primo e lasciò il salone.
Gabriel rimase da solo al tavolo per un tempo indefinito.
Portò indietro la testa e si tolse il cappuccio, che in quel momento percepiva opprimente come le sbarre di una gabbia. Gli mancava l’aria, quella  fresca e genuina dell’esterno che si respirava sulle coste del lago. Senza rendersene conto, Gabriel tornò con la mente allo scontro con la maga. Immaginò quegli occhi strafottenti che lo studiavano curiosi, i capelli e le vesti intime appiccicate al corpo umido. Non riuscì a trattenere un principio di erezione, nonostante si fosse trattato di una completa estranea adoperata al meglio per distruggere tutto ciò che la Confraternita significava per lui.
Scacciando inutili ricordi, Gabriel preferì voltarsi al presente.
Vicente gli aveva parlato di un perdono già certo, ma il ragazzo non capiva cosa volesse dire. Alzandosi dal tavolo e avviandosi per la mensa rifletté sulle sue parole e scoprì che il Vampiro si era limitato a fargli una cronologia dettagliata del suo futuro prossimo. Sithis l’aveva scelto, l’aveva protetto a lungo, poi un giorno aveva lasciato che finisse in prigione per colpa di una maghetta da strapazzo. Era grazie a Sithis se tutti nella Fratellanza lo guardavano con occhi diffidenti. Era grazie a Sithis se si stava innamorando di Antoniette Marie.
Gabriel aveva dei dubbi sulle parole di Vicente.
Il vampiro gli aveva confessato un grande peso che gravava sulle sue spalle, ovvero quello di non potersi permettere di trattarlo in modo privilegiato semplicemente perché Sithis aveva impedito la sua morte o predetto la sua venuta. Gabriel non pensava che dietro alle intenzioni di Vicente ci fosse l’unico scopo di avvertirlo, metterlo in guardia ad un dovere verso la fede. Gabriel stentava a credere che Sithis si fosse svegliato una mattina dalla tomba e avesse ordinato chiaro e tondo che Gabriel si occupasse di riunire gli infedeli, scacciare e uccidere i traditori.
In realtà, il disegno che Sithis aveva fatto del suo destino era nettamente più incisivo di quello che tutti avevano in mente. Se era stato chiamato l’Eletto c’era un altro motivo, più oscuro, tormentato e intrigato di quanto si potesse immaginare. Ma nessuno sembrava conoscerlo a parte Sithis stesso e forse i suoi cinque interpreti più fedeli, uno dei quali era Lucien Lachance. Gabriel capì che Sithis non gli aveva messo i bastoni tra le ruote affinché la Confraternita decidesse di trattarlo meno da privilegiato. Sithis non stava facendo della sua una vita spericolata, piena di ostacoli e difficoltà senza un fine ultimo migliore dell’aprire gli occhi ad un branco di eretici ciechi. Sithis lo stava preparando a qualcosa, ad un cambiamento, e stava usando tutti i mezzi a sua disposizione per avvicinare il figlio prediletto al suo destino.











.:Angolo d’Autrice:.
Eccomi! Su questo capitolo ha da chiarire, per ora (poi vediamo se me ne vengono in mente altri) tre punti fondamentali.
1.    I quattro Mitici Uccisori, Leggende, come preferite, citati all’inizio del capitolo, sono di mia invenzione. Nel Santuario non troverete mai riferimenti a queste quattro figure che, a mo’ di “Santi” cattolici, ricordano potenziali, principi e doveri della Confraternita stando semplicemente dipinti o appesi ai muri.
    2.    Nikolò, come membro e pedinatore della Fratellanza, è inventato da me. Il grado, ecco, di “pedinatore” non esiste, ma, nella dimensione della mia fan fiction, è prevalentemente attribuito a bambini o ragazze.
    3.    Ho intenzione di cambiare il nome dell'Assasino da Gabriel in Lennard. Tra questo, Gabriel, Lucas, Marcus o Alec quale preferite? XD
    4.    Altro? Hmm… penso di no! Veniamo ai ringraziamenti.


X Burdok 95: in una nota remota presa mentre giocavo ho trovato scritto che si chiamava Gorgon o Gorgog Bro Bolmog. Puoi confermare che (Grogog) come me l’hai consigliato tu è esatto? O, giuro, impazzisco! Comunque grazie, le tue recensioni m’invogliano a scrivere e mi lusingano anche troppo. Per quanto riguarda la storia, sì, era proprio questa l’idea di fondo: due vite che scorrono parallele per poi incontrarsi in (inizialmente) pochi e fatali momenti. ^^  In fine, ti ringrazio molto per l’ulteriore consiglio sul nome dell’Assassino, ma adesso sono io a porre dei canoni: che ne pensi di Lennard? :D
P.S. Te che vivi anche nella sezione AC… Wuhahahahah! Hai visto il nuovo trailer di Botherhood? *w* Perdonami, devo pur condividere con qualcuno la mia gioia! XD

X SnowDra1609: wuahahah! Sono troppo felice che ti piaccia sempre di più! :D Anche a me la storia sta prendendo molto, e detto da una scrittrice che si fomenta alla sola idea di veder crescere l’attenzione dei lettori, vuol dire molto! ^-^ Non so come ringraziarti, anzi, forse lo so! Accontentandoti con la morte dell’Assassino! Muhahahah! èOé Be’, questo… vedremo, dopotutto, sbaglio o Romeo e Giulietta è una “tragedia”? ;D Idee sempre nuove mi affollano il cervello ed è solo colpa tua! XD Allora ci becchiamo al prossimo aggiornamento. ^^
P.S. Non so quanto dovrai aspettare per vedere aggiornata la mia ff su Prototype, mi premeva parlartene. A causa di tempo e “forza di volontà” sto riscontrando parecchie difficoltà nel portare avanti quella e altre fan fiction sparse un po’ ovunque. A presto!

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Capitolo 6
*** La locanda silenziosa ***


6. La locanda silenziosa

Elion aveva appena chiuso gli occhi quando Mattiùs la scrollò. –Elion, Elion non puoi addormentarti così presto!- le diceva.
In un primo momento la ragazza lo ignorò del tutto; piuttosto si voltò dall’altro capo del letto dandogli le spalle e nascose la testa sotto al cuscino. –Mattiùs, vattene, dai, sono stanca. Ci rivediamo domattina- mugugnò.
-Non credo proprio, signorina Elion- un prepotente tono maschile fece irruzione nel suo padiglione auricolare e la ragazza, riconoscendo la voce di Raminus Polus, balzò prima seduta e poi in piedi al lato del letto.
-Signore, io…- tentò di scusarsi, ma il Consigliere alzò una mano per interromperla. –Stai comoda, Elion- le disse. Indossava la lunga cappa blu del Consiglio dei Maghi, abito che non gli si vedeva addosso raramente all'Università. I capelli corti, castani, erano pettinati con ordine all’indietro e gli occhi scuri, tipici degli Imperial, erano sereni.
La ragazza si lasciò cadere seduta sul bordo del materasso. –Pensavo di poter mettere da parte qualche energia per l’indomani- spiegò.
-E hai pensato bene,- intervenne Raminus. –Ma ci sono delle regole da rispettare, alcune delle quali implicano la partecipazione alle attività collettive, senza nessuna eccezione. Non è la prima volta che entrambi-, s’interruppe inglobando con uno sguardo Mattiùs nella conversazione, - lasciate la mensa prima dell’orario stabilito. D’ora in avanti un ulteriore manifestarsi di questa mancanza di rispetto nei confronti dei vostri compagni, sarà severamente punita- annunciò.
Elion chinò la testa e Mattiùs la imitò.
Raminus tornò a sfoggiare il suo sorriso perfetto. –Inoltre… se foste rimasti entrambi seduti ai vostri posti in mensa, questa sera, sapreste del torneo.-
-Torneo di cosa?- chiesero entrambi, sorpresi.
Raminus si avvicinò allo scaffale colmo di libri e cercò qualcosa con lo sguardo. Quando l’ebbe trovato, senza recitare incantesimi ma con la sola forza del pensiero, fece levitare un mazzo di carte sin sotto al naso di Mattiùs. Sempre ricorrendo all’uso della magia e, nello specifico, alle formule della divinazione, Raminus estrasse dal mazzo prima una, poi due, tre, quattro, cinque, sei… tante carte quante erano sufficienti a creare una piramide che riposasse, stabile, al centro del tavolo in mogano.
Il Consigliere Polus si congedò così, lasciandoli ammirare la perfezione architettonica della piramide che aveva costruito con quei miseri pezzi di carta in pochi secondi.
-MA CHE FORZA!- esultò Mattiùs avvicinandosi. Tese un braccio e fece per toccarne il vertice, ma non appena lui fu troppo vicino e Raminus troppo lontano, la piramide si sgretolò e le carte tornarono, magicamente e ordinatamente, impilate nel loro mazzo.
Elion, nel frattempo, si era affacciata sulle scale e aveva guardato il Consigliere lasciare l’alloggio dei Maghi di nuovo diretto alla mensa. Quello era un chiaro invito, si disse Elion, che però era costretta a rifiutare.
-Voglio partecipare! Ho giù in mente cos…-
-No- Elion afferrò l’amico per il braccio e lo trascinò vicino ad una finestra della stanza. Aprì le tende e spalancò i vetri. –Credimi, anch’io vorrei tanto partecipare, ma ho preso un impegno- disse sporgendosi dal balcone. Guardò di sotto e vide chiaramente il Consigliere entrare nella mensa.
-Quale impegno? Sai bene che dopo una certa ora non possiamo uscire dall’Università.-
-Infatti, perciò è inutile che me lo ricordi- la ragazza si gettò fuori dalla finestra e atterrò sul tetto di tegole un metro più in basso.
Mattiùs era rimasto a bocca aperta.
-Dai, Mattiùs, muoviti! Il turno di Dannìlus finisce tra poco e quel cagnaccio di Lerseghio aspetta ancora i tuoi soldi!-

La Taverna dei Mercanti, un punto di ritrovo per tutti i commercianti della Città Imperiale, era famosa per le sue festose serate. Quando Elion e Mattiùs varcarono la soglia, però, ebbero l’impressione di essere entrati nella Gioielleria del distretto: silenzio e tristezza ovunque.
Elion si aspettava di trovare gente sbronza a ballare sopra o sotto ai tavoli, che invece erano disposti ordinatamente attorno al bancone; il caminetto, le fiaccole e le candele erano accese, i bicchieri e i boccali ancora pieni per la maggior parte, nonostante fosse sera inoltrata. Il locandiere se ne stava con le mani in mano, mentre la moglie lucidava alcune vecchie posate di peltro. Gente ce n’era, e pure tanta seduta ai tavoli o attorno al bancone, ma tutti parlavano sottovoce alimentando il brusio di sottofondo.
Elion individuò il vecchio Laenzio seduto al bancone su uno sgabello, che dava le spalle alla porta; era curvo sul suo boccale pieno e stretto tra due amici, uno dei quali gli circondava le spalle con un braccio. Indossava dei vestiti semplici, con i quali avrebbe potuto scambiarlo per un compaesano, ma la calvizie lo e le tempie bianche, che quella sera non nascondeva sotto l’elmo da legione, lo resero inconfondibile agli occhi della ragazza. Elion si avviò verso di lui senza dare indicazioni a Mattiùs, che rimase immobile sulla porta a guardarsi intorno spaesato: l’innaturale silenzio di quella locanda aveva tramortito anche lui.
-Hai fatto tutto il possibile- disse l’uomo col braccio attorno alle spalle del suo padrino.
-Vedrai, Laenzio, molto presto la Legione riacciufferà quel figlio di cagna e tu avrai tutto il diritto di pestarlo!- aggiunse l’altro.
Il vecchio Laenzio buttò giù un piccolo sorso e, posando il calice sul bancone, sospirò. –Elion penserà che sono un incompetente. L’ha portato da me, capite?- domandò rivolgendosi ad entrambi gli amici. Anche il locandiere, dall’altra parte del bancone, annuì dispiaciuto. –Si fidava di me, ed io l’ho delusa… non me lo perdonerà mai.-
Elion s’immobilizzò alle sue spalle. Mentre i due uomini s’accorgevano di lei e le facevano un po’ di posto da entrambi i lati, Laenzio buttò giù un altro sorso, ma ‘sta volta con più foga.
-Perché, cos’è successo?- chiese flebile la ragazza.
Laenzio si voltò con le labbra dischiuse e ancora umide. Fu sorpreso di vederla lì e si permise un mesto sorriso. Poi, però, dovette affrontare la realtà. –Vieni, ti offro qualcosa- disse facendole segno di sedergli accanto, dove uno degli amici del vecchio aveva liberato il posto.
Elion si accomodò e serrò le ginocchia. Assunse una posa composta e sorrise ad entrambi gli amici, che subito si allontanarono per lasciarli appartati. Nel frattempo Laenzio ordinò un mezzo boccale al locandiere.
La ragazza si apprestò ad interrompere l’ordine ricordando al Priore della Prigione che non sopportava niente di alcolico, soprattutto a quell’ora della notte.
Laenzio si esibì in un risolino. –Perdonami: ti avevo scambiata per lui e volevo offrirti la birra preferita di Lennard.-
Elion s’adombrò. –Chi è Lennard?-
Il vecchio scosse la testa come scacciando pensieri lontani. –Lascia stare, dimentica quel nome. Piuttosto, credo di doverti lo stesso qualcosa da bere per farmi perdonare.-
Elion intraprese quel nuovo discorso, pur annotandosi questo misterioso Lennard nella mente. –Di cosa parli?-
Il locandiere posò loro di fronte una brocca di vino dolce e Laenzio ne versò un bicchiere alla ragazza. –Ricordi quel tuo amichetto che mi hai presentato ‘sta mattina?- le chiese.
Elion ci pensò su un istante. –Parli del ragazzo che mi ha aggredita?-
Laenzio annuì poggiando i gomiti sul bancone. Guardò nel boccale di birra la propria immagine riflessa. –Credo che mi odierai per ciò che sto per dirti.-
-Non ti odierei per nulla al mondo, e lo sai- lo rasserenò lei. –Ti devo la mia stessa vita. Come puoi pensare una cosa del genere?- con quelle parole riuscì a commuovere il suo vecchio.
Laenzio la guardò negli occhi e fu allora che Elion capì senza aver bisogno di altre parole. La ragazza si limitò a tacere, alimentando con il suo il silenzio della locanda. Bevve un piccolo sorso del suo vino dolce e arricciò le labbra: fu difficile ignorarne il pastoso sapore che aveva sulla lingua, pur di mostrarsi contegnosa e all’altezza della situazione. Se si fosse trattato di un altro contesto, Elion non avrebbe esitato a fare qualche considerazione pignola su quel vino e Laenzio non ci avrebbe pensato due volte prima di uscirsene con qualcuna delle sue battutine sugli Elfi e la loro puzza sotto al naso.
-Quand’è successo?- chiese.
-Nel pomeriggio. Era fuori città prima di sera, sicuro- sbottò lui.
-Come… com’è scappato?- Elion provò un pizzico di rimorso. Forse non era la domanda giusta da fare, se l’uomo che aveva di fronte aveva il vizio di assumersi responsabilità che non gli competevano. Sapeva che Laenzio non avrebbe mai permesso compiersi un simile misfatto, perciò Elion scaricò la colpa sulle guardie di pattuglia ancora prima di ascoltare la risposta del suo vecchio.
-L’ho sbattuto in una cella con la serratura debole. Deve essersi fatto bastare quell’unico grimaldello che poteva nascondere tra le chiappe, perché lo abbiamo perquisito anche dove la fantasia di voi donne difficilmente arriva! I miei uomini hanno riferito di un tombino che getta dalla strada nella prigione. Si è arrampicato come quel topo che è ed è sparito. In metà giornata nessuno ha più saputo dire dove fosse…- raccontò Laenzio, arrabbiato.
Elion ascoltava in silenzio. Vedere il suo padrino così adirato le metteva ansia. Quando Laenzio era una guardia di pattuglia comune la sua sfuriata massima era stata una lamentela sui mendicanti che pisciavano lungo le mura; siccome lo infastidiva ordinare che qualcuno pulisse quella schifezza, s’incaricava personalmente di passare spazzola e sapone sulla pietra della cinta muraria. Tornava a casa borbottando “sono l’unico a cui importa un po’ di pulizia in questa città!”. Perciò Elion non sapeva cosa aspettarsi dal suo vecchio mentore ora che la faccenda era più grossa.
Già, ma quanto più grossa?
-E dai, non può essere grave come dici…- esordì la ragazza avvicinandosi a lui. –Era un ladruncolo da mercato ben fornito; se se ne fosse ricordato, sarebbe tornato indietro a chiederti del denaro prima di svignarsela- ridacchiò.
Laenzio proprio non riusciva a stendere le labbra. Era troppo combattuto tra la gioia di avere Elion alla taverna lì con lui e il dispiacere che gli dava sapere quel bastardo di nuovo in circolazione, pronto a far del male alla sua piccolina. Bevve l’ultimo sorso del suo calice e chiese al locandiere di riempigliene un altro giro. Fece per colmare di nuovo il bicchiere di Elion con del vino dolce, ma la ragazza mostrò entrambi i palmi delle mani, rifiutando.
-Quel capellone è entrato con te. È un tuo amico?- domandò Laenzio aggrottando le folte sopracciglia. Guardava un punto oltre le spalle della ragazza.
Elion si voltò e vide che Mattiùs si era seduto ad un tavolo in silenzio e li guardava a sua volta. Quando si accorse che il padrino della ragazza e lei stessa lo fissavano, distolse lo sguardo arrossendo.
-Si chiama Mattiùs. È un mio compagno dell’Università, siamo allo stesso anno e avremo tutte le lezioni in comune- disse Elion. –Se vuoi te lo presento.-
-Nah- tagliò corto Laenzio, tornando a guardare la propria immagine riflessa nel boccale di nuovo pieno. –Ti conosco abbastanza per stare tranquillo. Oggi mi hai dato prova della tua forza sapendotela cavare con quel ladro. Povero il ragazzo che si beccherà il tuo rifiuto ad un impegno di matrimonio!- questa volta si permise di ridere, prima di gettare giù altra birra.
-Ancora con questa storia…- Elion alzò gli occhi al cielo.
Dopo un lungo silenzio, il vecchio sospirò. –Al mio posto, Hieronymus avrebbe saputo cosa fare- ammise con una smorfia, ripensando ai fatti della giornata.
-Io non ne sono così certo- s’intromise una voce nuova.
Quando Elion e Laenzio si voltarono, videro che all’ingresso della locanda c’erano tre soldati della Legione. Uno di questi, però, portava una luminescente armatura di ferro battuto e vestiva gli onori e i gradi più alti. Alla fioca luce di fiaccole e candele, il Capitano delle Guardie Fhenius Lex sembrava indossare un’armatura di fuoco. Portava lo scudo sulla schiena, lo spadone nel fodero e l’elmo sottobraccio.
Laenzio smontò dallo sgabello e s’inchinò. Così fecero tutti, in silenzio, preparandosi ad ascoltare cosa il Capitano delle Guardie Imperiale era venuto a fare o a dire nella loro umile locanda.
Fhenius andò incontro al padrino della ragazza e gli raccomandò di stare comodo. Laenzio tornò seduto sul suo sgabello. Il Capitano delle Guardie congedò i suoi uomini, che presero posto ad un tavolo in mezzo alla gente, mentre lui sedeva sull’altro sgabello vuoto accanto al Priore della Prigione.










.:Angolo d'Autrice:.
Sono tornataaaaaaa! :D Lasciatemi dire che rimettermi a scrivere su questa storia è stato bellissimo. Avevo dimenticato che razza di mondo fosse quello di Oblivion e quante idee avessi ancora da scrivere. Alla fine è stato più forte di me, più forte di tutto! DOVEVO scrivere questa scena, ovvero la scena in cui Elion e Mattiùs arrivano alla Locanda dei Mercanti e sorprendono la gente di Imperial City ansiosi per cosa è successo. Nel prossimo capitolo ho già in mente, a grandi linee, cosa accadrà, ma non so ancora se farò un miscuglio dei POV tra la maghetta e l'assassino oppure lascerò cadere la narrazione su Gabriel solo nel settimo capitolo...
Non c'è molto da dire. Adoro chi segue e recensisce questa storia, adoro anche chi la segue e basta. Rinunciare alla scrittura per tutto questo tempo, appartandola in secondo piano, mi ha fatto capire quanto è importante per me! E di non poterne fare a meno, come una droga, sì, esatto... ma queste sono cose che scrittori di fan fiction o meno pensano dall'albore dei tempi e noi non siamo mica qui a pettinare le aragoste! XD
Fatemi sapere cosa pensate anche di questo post :3 sperando che ogni tanto bazzichiate ancora da queste parti per controllare se aggiornerò! ^^
Bellaaaaaaaaaa :D

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