Ora so chi sono

di Ireth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorni amari ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2:Incontro notturno ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3: Cercando di capire ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4: Volare coi gabbiani ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5: Sulla riva del mare ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6: ll vincolo dell’amicizia e il dolore della consapevolezza ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 7: Le due persone che amo di più
***

Capitolo 8: *** CAPITOLO 8: Una notte senza lei ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 9: Il sonno e l'amore ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 10: Soffocando ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 11: Per proteggere un segreto ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 12: Origliando dal ramo di un albero ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 13: Malori e marmellate ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 14: Mio padre e i miei amici ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 15: La morte del mio segreto ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO 16: L’inizio di una nuova vita ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 17:Il solo sentiero che posso percorrere ***



Capitolo 1
*** Giorni amari ***


CAPITOLO 1: Giorni amari

Un’altra giornata uguale a mille altre già trascorse… Grigia, piatta, terribilmente noiosa.
Compagni di scuola e professori irritanti; ore trascorse in una lentezza quasi irreale.
Sentimenti ed emozioni bloccati, come congelati, nel lento susseguirsi di quei giorni, tutti uguali, come i rintocchi di un pendolo.

Da quanto tempo stava così? Da quanto aveva smarrito la sua serenità?
Forse nemmeno lo ricordava più, forse non l’aveva mai saputo.
I giorni divenivano sempre più vuoti, e il suo umore sempre più nero, la sua voglia di sorridere sempre più debole e il suo cinismo e la sua amarezza sempre più pronunciati.

Era un tipo complicato Sarah, lo era sempre stata, persino prima che quell’ombra calasse su di. Mal tollerata dai compagni, perché troppo sincera ed indifferente alla mentalità comune e considerata strana dagli adulti, perché incapace di tenere per se le sue opinioni.

Essere diversi a 17 anni era difficile, e lei lo sapeva. Poche le cose che amava fare: disegnare cantare, scrivere storie e poesie, leggere… leggere Tolkien. Chissà perché quello scrittore la attirava tanto? Leggeva i suoi libri continuamente, consecutivamente, li conosceva a memoria.

Com’era possibile legarsi così tanto a dei personaggi immaginari? Già, solo immaginari…
Come avrebbe voluto che i fatti narrati in quei libri fossero reali; come avrebbe voluto che quei personaggi esistessero realmente.
Gli elfi, quanto adorava quella razza. Fragili come steli d’erba ma fragili come diamanti, misteriosi e allo stesso tempo incredibilmente semplici; belli, belli da perdere la testa, troppo meravigliosi per essere reali. Come avrebbe desiderato vivere in quelle terre incantate, con gli elfi, come una di loro.

Ogni volta che qualcosa o qualcuno la distoglieva dalle sue fantasie e dai suoi lunghi viaggi mentali avrebbe voluto addormentarsi e non svegliarsi mai più; oppure svegliarsi altrove, ma lontana da quella vita.

“Sarah, ma che hai?”
La voce di Martina, la sua più cara amica, l’unica che la capiva (o almeno ci provava) e che le stava sempre accanto.
“Ancora cattivi pensieri?”
Come poteva spiegarle la sua frustrazione? La sua voglia di sparire? Martina che capiva tutto e che sapeva tutto di lei, anche della sua passione per gli elfi. Martina che la ascoltava, mentre imparava a pronunciare la lingua di quelle creature, appresa a fatica dai libri di Tolkien.
“E’ ancora per lui?”
Parlava del loro professore di filosofia, entrato in classe in quel momento.
“Ma insomma! Perché non parli?”
“Scusa Martina, e tutto ok… Il solito mal di testa…”
“Perché non ti fai vedere da un dottore? Sono settimane che non stai bene, riesci a dormire di notte?”

Cara Martina, sempre a preoccuparsi. No, non era per “lui” che stava così male; lui stava affievolendosi insieme al resto della sua vita.
Lui, che per un attimo era stato la sua speranza, una possibilità di felicità svanita subito, dopo essersi mangiato il suo cuore.

Tre mesi prima, in gita a Parigi con la sua classe, un branco d’imbecilli rumorosi e molesti come una mandria di gnu.
Quell’ultima sera all’albergo, mentre i suoi compagni rumoreggiavano in una stanza all’ultimo piano, lei era scesa nel giardino buio e seduta in un angolo appartato aveva riflettuto a lungo; Sarah passava la maggior parte del tempo a riflettere. Detestava cordialmente una buona metà dei suoi compagni e per l’altra metà provava fredda indifferenza, solo Martina era diversa, solo Martina sapeva quanto bene voleva a quell’uomo, il suo professore, di vent’anni più grande di lei. Se solo la vita non fosse stata così complicata…
Lui aveva la fede al dito, e questo bastava.
Canticchiava tra se e se un motivetto in Sindarin appreso da chissà quale polveroso libro di Tolkien, un canto di profonda tristezza e solitudine, quando lui era apparso.
“Sempre in giro, Sarah?!”
“Potrei fare a lei la stessa domanda…” Sempre quel tono di sfida che tutti detestavano ma che sembrava divertire immensamente lui.
“Passeggio… i tuoi compagni stanno tenendo in piedi l’intera città col loro casino. Ora puoi rispondermi anche tu.”
Chissà perché le uscirono quelle parole dalle labbra.
“Canto in elfico!” Subito arrossi, lui sorrise.
Avevano parlato a lungo, Sarah si sentiva così a suo agio… poi una domanda a bruciapelo.
“Perché sei infelice, Sarah? Potrai ingannare quei cretini dei tuoi compagni con questa Maschera da dura, ma non me.”

Perché gli occhi le si erano riempiti di lacrime? Perché lui l’aveva guardata in quel modo? Perché l’aveva baciata? A ripensarci ora, a mente fredda si sentiva morire, non avrebbe mai dimenticato quella notte, non avrebbe dovuto permetterglielo, non avrebbe dovuto fare l’amore con lui. Non avrebbe mai dimenticato quella stanza in quell’albergo rumoroso, dove lui le aveva detto che la amava, che la desiderava.
Sarah era stata immensamente felice…Per poco, ma lo era stata.

Tornati a casa avevano continuato ad amarsi per un breve mese, di nascosto da tutti, col terrore di essere scoperti, solo Martina sapeva; Lui la voleva, non faceva che ripeterglielo, voleva lasciare la moglie e vivere per sempre con lei, poi…
“Sarah, mia moglie è incinta, me lo ha detto ieri sera…”
“………..”
“Perché non dici nulla?”
“………..”
“Insomma, di qualcosa!”
“Cosa vuoi che dica? Stai cercando di comunicarmi che finisce qui?”
“Che altro posso fare? Sto per diventare padre. Ti amo, in un modo tremendo, ma ho quasi quarant’anni e un bimbo in arrivo. Tu ne hai appena diciassette e puoi rifarti una vita.”
“Allora tanti saluti! Ti ho amato anch’io ma evidentemente ho fatto un errore a credere a tutte le tue belle parole. Arrivederci professore! Ci vediamo domani!”

Erano passati due mesi e non si erano più parlati, lui ci aveva provato a discutere, ma lei lo aveva sempre respinto; evitava il suo sguardo e gli rivolgeva la parola solo per rispondere a qualche interrogazione.
Si, forse quella brutta storia la faceva soffrire ancora un pochino, ma non era di certo per lui che stava così male, che affogasse pure in mezzo a pannolini, pappe e biberon… Il problema era la sua vita che andava in pezzi.
Si sentiva disperatamente sola e inutile, i giorni e i mesi le scivolavano tra le dita senza che riuscisse a trarne qualcosa di positivo, solo seccature, dolore e un’immensa tristezza. Non sapeva che fare del suo futuro non aveva idea su che strada prendere; odiava la sua vita ma nello stesso tempo desiderava ardentemente avere una vita migliore, lontana da quella città, da quel paese, da quel mondo, da quell’epoca… Tante volte si chiedeva: ma che diavolo ci faccio qui? E non sapeva trovare risposta, né nel mondo che la circondava né dentro di se… Non riusciva a comprendere il suo ruolo, lo scopo della sua vita… Non sapeva chi era. Questo la faceva stare tremendamente male. Avrebbe voluto addormentarsi per sempre e non svegliarsi mai più.

Quella notte si addormentò tra le lacrime di un pianto sconsolato e disperato, dopo aver riletto per l'ennesima volta le pagine di Tolkien e aver sognato quelle terre e quelle creature incantate e meravigliose.
Per molte ore, durante la notte, qualcuno la osservò, seduto a terra, accanto al suo letto… Qualcuno che se ne andò al sorgere del pallido sole d’inizio inverno… prima che Sarah si svegliasse.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2:Incontro notturno ***


CAPITOLO 2: Incontro notturno

I giorni continuavano a trascinarsi più lenti che mai, come se l’inverno imperversasse tremendo nel suo cuore, anche se in realtà la primavera era alle porte.
Sarah era sempre più irrequieta, come se qualcosa di tremendo stesse per abbattersi su di lei e la sua coscienza potesse prevederlo; Martina non faceva altro che dirle che aveva i nervi a fior di pelle e Sarah non faceva altro che litigare con chiunque le capitasse sotto tiro. I suoi genitori erano totalmente assenti, come sempre del resto, ma in fin dei conti non era poi un gran male, almeno in casa era sempre sola e stava tranquilla.
Erano buoni i suoi genitori, e a modo loro le volevano bene, ma erano sempre fuori città, sempre al lavoro, sempre lontani da lei e dai suoi problemi; forse anche per questo Sarah era così chiusa e sfuggente con tutti.

A casa non faceva altro che piangere per lo sfacelo della sua vita, soprattutto di sera, e dormiva male di notte.. Sempre osservata da una creatura leggiadra e silenziosa, dai lunghi capelli biondi e dal passo leggero, che ormai trascorreva praticamente tutte le notti in quella camera. A volte sospirando sommessamente, a volte canticchiando, a volte stando in silenzio; sempre seduto accanto a lei, fissandola teneramente oppure in modo sconsolato e meditabondo, capitava che chiudesse gli occhi e si abbandonasse a chissà quali pensieri lontani.

Quella notte prese tra le sue la mano di Sarah, vi appoggio il capo e rimase così per lunghe ore, immobile, come una statua di ghiaccio, quasi senza respirare.
Quando si scostò e si alzò per sparire non si accorse che tra le dita sottili di lei era rimasto impigliato un lungo capello biondo, finissimo ma luccicante.

Sarah si svegliò più disgustata che mai dalla prospettiva di quella nuova giornata, la finestra lasciava intravedere un cielo espressivo quanto un blocco di ghisa e, come se non bastasse, un orribile ragno doveva aver passato la notte sulla sua mano, lasciandole come ricordo una disgustosa ragnatela. No… Forse era un capello, molto chiaro, e anche molto lungo. Mentre indugiava tra le coperte pensò a chi poteva appartenere.
Nessuna tra le sue odiose compagne aveva capelli così belli e anche Martina, sebbene cambiasse taglio, colore e pettinatura almeno venti volte l’anno, capelli così lunghi e così chiari non gli aveva mai avuti.
Perché non lo gettò via? A volte nelle nostre azioni il nostro destino è già scritto, anche se noi non ce ne rendiamo conto.
Con delicatezza il capello fu districato e riposto in un cassetto del suo comodino, poi Sarah affrontò quella nuova giornata.

Per un paio di volte, durante il giorno, il suo pensiero volò a quello strano capello, era perplessa, credeva di essere completamente impazzita, prima di dormire gli lanciò una rapida occhiata, poi cercò di non pensarci e si addormentò.
Se fosse rimasta sveglia avrebbe visto una figura snella e silenziosa appollaiarsi sul bordo del suo letto e guardarla con due occhi incredibilmente azzurri. Una figura luminosa, quasi evanescente, una cascata di capelli dorati, pelle diafana e due orecchie a punta.

Di notte Sarah dormiva sempre peggio, come se il sonno invece di rigenerarla le risucchiasse tutte le sue energie… eppure per tutto il giorno anelava la notte, ai sogni meravigliosi che tanto la prostravano.
E poi c’era quel capello… Non aveva il coraggio di gettarlo e non capiva il perché; ciò la irritava terribilmente perché detestava non capire a fondo le cose.
Si chiedeva spesso da dove provenisse quel filo setoso e dorato, di sera lo osservava; il colore era uniforme, non sembrava tinto, ma di persone dai capelli così incredibilmente chiari non esistono molte e in ogni caso lei non ne conosceva.
Di notte, la creatura eterea e misteriosa continuava ad osservarla sospirando e carezzandole una mano, finché…

L’elfo, perché di un elfo si trattava, comparve come sempre a notte fonda; Sarah era rannicchiata sotto le coperte con gli occhi chiusi, sembrava dormire, il suo volto era illuminato dalla pallida luce della luna piena. In realtà quella notte non dormiva, era capace di rimanere per ore immobile a riflettere , con gli occhi chiusi, come addormentata.
Talmente immobile da ingannare un elfo…
La creatura era silenziosa, i suoi passi leggeri come piume e Sarah non lo sentì avvicinarsi e sedersi a terra, accanto al suo letto, finché lui non le prese la mano.
Terrorizzata rimase immobile, con gli occhi chiusi, per un attimo immaginò un maniaco o un ladro che volesse farle del male, ma si rese immediatamente conto che in quella stretta e in quelle carezze non potevano che esserci affetto e un’immensa dolcezza.
Chi era che le carezzava la mano infondendole un così tale calore? Temeva che se avesse aperto gli occhi tutto sarebbe svanito come un miraggio, un illusione, un sogno… Forse ciò che stava accadendo era solo un sogno o una sua fantasia?
Chiunque le stesse tenendo la mano emanava un profumo fresco, dolcissimo, di fiori, di aria, di acqua, di natura. Decise. Aprì di scatto gli occhi e per qualche breve secondo lei e la creatura si fissarono. Occhi azzurri come il mare, capelli biondi, di un colore talmente bello e puro da sembrare quasi innaturale, pelle chiara, che sembrava quasi sprigionare luce, un arco e una faretra con delle frecce appesa sulle spalle, un personaggio da favola… Orecchie a punta! Sarah, scioccata, si rizzò a sedere improvvisamente, la creatura indietreggiò con passo malfermo ed incerto, poi scomparve rapidamente e silenziosamente. La creatura… un elfo!
Sarah accese una candela che teneva sempre sul comodino e si prese la testa tra le mani. Che diavolo le stava succedendo? No! No! Non era pazza! Lei l’aveva visto!
Ne era sicura…Così come era sicura dei battiti del suo cuore!
No…Non aveva sognato!
Non stava dormendo.. Non poteva, non doveva essere un sogno!
Si coprì il viso con le mani… quel profumo! La sua mano, quella accarezzata dalla creatura, emanava quel profumo dolcissimo, mai sentito prima.
In quel momento fu sicura, non aveva sognato.

Rimase sveglia per tutta la notte a fissare il vuoto, mentre la candela accanto a ei si consumava lentamente, come i minuti che scorrevano placidi.
Mille domande senza risposta affollavano la sua mente. Quell’elfo… Così bello, di una bellezza eterea, irreale, come poteva essere vero?
Come potevano i suoi sogni essere così concreti?
Ecco a chi apparteneva quel lungo capello dorato…
Per quante notti l’aveva osservata, accarezzata?
Per quante notti lei non se n’era accorta?
Sarebbe mai tornato da lei quello splendido elfo?
Perché le faceva visita di notte? Da dove veniva?

Quel mattino entrò in classe stravolta.
“Sarah, cosa ti è successo?”
Come poteva spiegare a Martina tutto quello che le era capitato?
Non poteva, semplicemente; e non lo fece.

Per diverse notti vegliò piangendo, fingendo di dormire, aspettando e sperando di veder riapparire il suo elfo.
Perché non ritornava?
Mille volte maledetta se stessa!
Perché quella notte non aveva continuato a fingere di dormire?
Perché aveva interrotto quella magia? Ora non sarebbe più ritornato… Avrebbe preferito morire piuttosto che continuare a stare così male.

Una notte poi, finalmente, si sentì prendere per mano e, senza aprire gli occhi, seppe che lui era li. Per ore intere le sue dita affusolate la accarezzarono e dalle sue labbra uscì, come un sussurro, un debole lamento melodioso, una canzone elfica.
Sarah non conosceva tale lingua abbastanza bene da comprenderne il senso, ma poteva afferrare il significato di alcune parole. Parole dolci, vellutate e soavi, parole tristi e liete al tempo stesso.
Sarah credeva di impazzire, davvero temeva di essere diventata matta, che diavolo stava succedendo ogni notte nella sua camera? Dopo tanto tempo, sentiva qualcuno davvero vicino, ma non poteva nemmeno guardarlo, per paura che egli scomparisse.
Cosa doveva fare? Come poteva evitare che fuggisse?

Trascorse lunghe notti fingendosi addormentata, con l’elfo accanto, cullandosi tra sentimenti di gioia e paura, tranquillità e angoscia; innamorata di quella magica presenza ma allo stesso tempo terrorizzata che essa potesse svanire.
Doveva fare qualcosa, non poteva continuare a fingere passivamente; se l’elfo avesse smesso di farle visita improvvisamente, non avrebbe mai potuto perdonare a se stessa di non aver fatto nulla, di non averci nemmeno provato. Doveva rischiare, se avesse continuato ad aspettare poteva diventare troppo tardi.

Una notte, mentre la fronte fresca dell’elfo era appoggiato alla sua mano, Sarah mormorò sommessamente:
“Aglareb ùn, avo avv bado!” (splendida creatura, non te ne andare!)
Lo sentì irrigidirsi e scostarsi dalla sua mano, aprì gli occhi. Sembrava ancora più bello e splendente di quando l’aveva visto per la prima volta; così bello da far quasi paura.
Sarah lo guardò negli occhi, poi parlò ancora:
“Dortho go.” (Resta insieme a me.)
Non riusciva a trovare le parole in elfico giuste, voleva mordersi le mani dalla rabbia, parlò nella propria lingua.
“Chi sei?”
Lui la guardava con un’espressione indecifrabile dipinta sul bel viso eburneo. Sembrava rassegnato del fatto di essere ormai stato scoperto, ma anche divertito dalla difficoltà con cui Sarah cercava di esprimersi in Sindarin.
Poi le rispose e parlò nella lingua di Sarah.
“Non riconosci il mio volto Sarah? Eppure per lunghe ore ti sei cullata in letture che narrano anche della mia persona”

Sarah non rispose. La voce di quella creatura racchiudeva qualcosa di magico, era profonda, ma fresca e soave, melodiosa, pareva un canto della natura.
“Davvero fatichi a comprendere chi sono? Guarda il mio volto, guarda i miei occhi.
Cerca nel tuo cuore e nella tua anima la risposta alla mia domanda, essa è già racchiusa dentro di te, solo non riesci a vederla. Spesso voi uomini desiderate ardentemente conoscere cose di cui già avete conoscenza, non sapete comprendere il linguaggio del cuore, questo vi frena.

Sarah lo guardò intensamente in quegli occhi azzurri… Quegli occhi magnetici, quei capelli così chiari, quell’arco e quelle frecce… Poi capi.
I suoi occhi si riempirono di lacrime di gioia e incredulità, l’elfo sorrise mentre lei mormorava sommessamente:
“Legolas…”

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3: Cercando di capire ***


“Sono impazzita, vero? Tu non esisti, possibile che io sia diventata davvero matta? Sei solo un personaggio di un libro, devo smettere di leggere se questi sono i risultati che ottengo.” “Non hai perso la ragione Sarah, e niente in questo momento è più reale della mia presenza accanto a te… Non sono solo un personaggio d’antichi racconti. Tolkien mi trasformò in tale, così come tutti coloro nelle cui storie ti perdi; ma fummo noi ad ispirare lui, a spingerlo a narrare di noi, non siamo una creazione di nessun altro che dei Valar. “Che vuoi dire?” “Che io, il mio mondo e tutti coloro che lo popolano esistiamo realmente, o almeno siamo esistiti” Per lunghi, lunghissimi momenti Sarah lo fissò negli occhi rimanendone incantata; lui ricambiava lo sguardo quasi incuriosito e divertito dalla sua diffidenza. “Perché sei qui?” “Per te.” Quella creatura era davvero di poche parole, Sarah non riusciva a mettere insieme i pezzi di quel puzzle privo d’alcun senso; che cosa ci faceva un elfo nella sua camera? Un elfo che sembrava uscito da quel grosso libro appoggiato sul suo comodino. Sarah continuava ad osservarlo mentre lui si spostò, avvicinandosi alla finestra e sbirciando fuori furtivamente “Quasi albeggia. Per me non è più tempo di rimanere qui, devo ritornare.” Poi, come se leggesse negli occhi di Sarah… “Non temere, non è per sempre che me ne vado, mi vedrai ancora.” “Aspetta! Legolas…” Ma in un attimo lui era scomparso, come se il buio l’avesse inghiottito; Sarah si guardò intorno spaesata, sperando ardentemente che i suoi genitori, che dormivano al piano di sopra, non l’avessero sentita parlare. Poi venne mattino, un mattino alquanto indesiderato per Sarah, che avrebbe voluto fosse già sera. La sua mattinata a scuola fu come un lungo incubo caliginoso. Sarah, pur essendo in classe fisicamente, aveva abbandonato il suo pensiero e la sua mente, immersi negli occhi azzurri dell’elfo, occhi portatori d’infinita dolcezza. Non desiderava altro che il tramonto del sole e il lento sopraggiungere della notte, che a passetti piccoli e leggeri sarebbe calata su di lei, riportandole Legolas e tutti i suoi sogni. Quel pomeriggio disegnò un ritratto a carboncino dell’elfo, perfetto e dettagliato quasi come una fotografia; seppe riprodurre stupendamente sulla carta quelle fattezze, che durante la notte appena trascorsa l’avevano stregata, quasi soggiogata. Mentre con le dita sottili sfumava il tratto morbido e scuro, immaginava di accarezzare quel volto; dalle sue mani l’elfo rinasceva. Gli occhi magnetici e profondi e le sopracciglia che li incorniciavano, le labbra sottili, tese in un limpido sorriso che scopriva due piccole fossette ai lati della bocca, gli zigomi pronunciati, sfiorati dai morbidi capelli chiarissimi, raccolti sulle tempie in due treccine. E poi quelle orecchie, piccole e delicate, a punta, così da contraddistinguere l’appartenenza di quella creatura ad una stirpe non umana. Sarah guardava e riguardava il ritratto, Legolas era tale e quale il libro di Tolkien lo descriveva: una creatura leggiadra ed eterea, dotata di un fascino magnetico ed imperscrutabile. Le ore e i minuti che la separavano dalla notte parevano susseguirsi all’infinito, innumerevoli ed eterni; il cielo sembrava poco propenso a scurirsi e il giorno indugiava ad andarsene. “ Quando hai intenzione di tramontare questa sera, infida palla gialla?!” borbottò rivolta al sole, sorridendo poi tra se e se. Doveva essere ammattita del tutto se si metteva a bisticciare anche con Viso Giallo, come lo chiamava il povero Gollum. Andò a letto e aspettò l’arrivo dell’elfo alla luce di una piccola candela, impaziente di rivederlo, di stringere quelle mani dalla pelle chiara e vellutata tra le sue, di rispecchiarsi ancora in quegli occhi stupendi, in cui le sembrava di scorgere la storia della natura e della vita intera. Aveva mille e mille cose da domandare a Legolas, di cui parlare con lui, anche se già sapeva che, quando l’avrebbe rivisto, la voce le sarebbe morta in gola, il suo pensiero sarebbe stato annebbiato e ipnotizzato da quel candore, da quella luce, da quella purezza. Chiuse gli occhi per un attimo, cullandosi in quell’immagine da sogno, quando li riaprì lui era seduto accanto a lei sul letto, con le gambe incrociate e la testa dolcemente appoggiata al muro e la osservava con sottile compiacimento e tenerezza. “Appari e scompari sempre così improvvisamente, Legolas?” “Non sono un fantasma, Sarah, non mi materializzo dal nulla, ma attraverso una porta posta tra i due nostri mondi” Ogni volta che gli faceva una domanda la risposta che ne riceveva la riempiva di confusione sempre maggiore. “Mi confondi… Lo sai?” “ E’ naturale… Ma è una sensazione che andrà affievolendosi poco a poco. Desidero però che tu non provi alcun timore nei miei confronti, perché in me non vi è nulla di malefico.” “ Questo già lo so, l’ho capito fin dalla prima volta che ti ho sentito accanto a me, non sai per quante notti ho finto di dormire mentre tu mi eri vicino, solo per paura di perderti, di non vederti più tornare.” “Sei brava a fingerti addormentata…” “Ci sono tante cose che vorrei chiederti, ma non so da dove iniziare, non so come domandartele, come se fossero troppo al di fuori della mia portata. Quando quella notte ho aperto gli occhi e ti ho visto, mi sono resa subito conto che eri un elfo; già fu una grande sorpresa, ma non avrei mai immaginato che tu fossi Legolas. Ti ho sempre considerato un personaggio fantastico, inesistente, frutto della fantasia di uno scrittore brillante, ma pur sempre irreale.” “Ricordo Tolkien, aveva negli occhi una luce simile alla tua…” Un rumore alla porta, come se qualcuno raschiasse e grattasse cercando di entrare. Sarah sorrise conoscendone la causa e guardò Legolas con la coda dell’occhio; lo vide serio e cupo, teso come una corda di violino, pronto a scattare in avanti, come se si trovasse di fronte ad un pericolo assai grave. Si voltò verso Sarah e rimase quasi sconcertato dalla sua tranquillità, la guardò interrogativamente, senza capire, mentre il raschiare continuava aumentando d’intensità. “Legolas! Non fare quella faccia! E’ solo Phoebe, la mia micia; si sente sola e vuole dormire qui con me.” Sarah si alzò e socchiuse l’uscio. Phoebe fece il suo ingresso, baldanzosa e soddisfatta, balzò sul letto e si acciambellò tra le gambe di Legolas, che la osservava indispettito e piuttosto perplesso. “Vuoi farmi credere che non hai mai visto un gatto nella tua Terra di Mezzo?!” lo provocò Sarah. “Certo che ne ho visti, ma da noi sono bestie selvatiche, un po’ più grandi e piuttosto pericolose, non usiamo addomesticarle e in ogni caso…”, una lunga pausa carica di tristezza e significati nascosti, “… in ogni caso la Terra di Mezzo non esiste più.” Sarah colse un’ombra malinconica sul volto dell’elfo, nel suo timbro di voce e ne fu intenerita. “Ti prego Legolas… Tu devi aiutarmi a capire perché da sola non posso farcela. Non riesco a comprendere per quale motivo tu sei qui e nemmeno come sei potuto giungere in quest’era così lontana dalla tua. Ho bisogno che sia tu a raccontarmelo, devi prendermi per mano e guidarmi in tutta questa storia, per me è troppo buio perché io possa camminare da sola senza cadere.” Lui sembrò riscuotersi dai suoi cupi pensieri e le sorrise, senza accorgersi aveva iniziato ad accarezzare Phoebe, che faceva le fusa piuttosto soddisfatta; Sarah, intenerita ricambiò il sorriso. “Sei molto tranquilla Sarah, non temi che qualcuno ci senta?” “Sono sola, oltre a noi due e alla micia in questa casa non c’è nessuno.” “ Sei orfana? Non hai i genitori? ” Sarah accennò una risata, l’innocenza di Legolas era disarmante. Era una creatura eterea, di certo al di sopra di tutte le piccole meschinità e sciocchezze da cui era invasa la terra. “Certo che li ho. Solo sono sempre all’estero per lavoro, sono due archeologi” “Cosa vuol dire?” “Voi elfi vivete in eterno, forse per questo non riesci a comprendere il significato delle mie parole. Il lavoro dei miei genitori consiste nello studiare le civiltà antiche degli uomini, quelle ormai scomparse, che non esistono più da millenni. Le opere di quegli uomini ora si trovano sotto terra, quasi distrutte; un buon archeologo le riporta alla luce e le restaura, così che tutti gli uomini possano ammirarle” “Alle mie orecchie sono concetti poco familiari.” “Me ne rendo conto, il mondo al giorno d’oggi è così complicato… Ad ogni modo era di te che stavamo parlando, Legolas. Se non riesco a capire come mai vagabondi nella mia camera da tutte queste notti credo che impazzirò” Lui sorrise e le scostò una ciocca di capelli dal viso. “Hai ragione, hai tutto il diritto di comprendere ciò che sta accadendo. Come ti ho già detto, né io, né la mia razza, né il mio mondo, siamo nati dalla fantasia di Tolkien. Tutto ciò che hai letto nei libri è esistito davvero, tanti, tantissimi anni fa.” “Quanti?” “Così tanti che non possono essere enumerati. Le grandi battaglie contro Morgoth, contro Sauron avvennero realmente, come tu le hai lette. Insieme alla Compagnia accompagnai Frodo nel suo viaggio e infine sconfiggemmo il male. Distrutto Sauron però, la Terra di Mezzo ormai avvelenata stava perendo, la mia stirpe ormai stava lasciando quelle sponde; partirono alla volta di Eldamar, poco a poco, a piccoli gruppi, se n’andarono tutti. Io e Gimli rimanemmo con Aragorn, re di Gondor, fino alla fine dei suoi giorni terreni. Alla sua morte, credendolo perso per sempre, su una piccola barca grigia sfidammo il mare, senza sapere che, quando finalmente saremmo giunti ad Alqualonde, porto dei cigni, lo avremmo ritrovato per non lasciarlo più. Infatti, Dai Valar gli fu concessa la grazia di una nuova vita, una vita eterna nel Reame Beato, insieme ad Arwen e a noi, suoi compagni e amici; anch’egli divenne un immortale. Anche a Gimli fu concesso tale dono, grazie alla bontà di Galadriel, che intercedette per lui presso i Valar. Non so come questo fu possibile, eppure accadde; Gimli, unico nano fra gli elfi, trascorre i suoi giorni felice e benvoluto da tutti. Tutti noi iniziammo una nuova vita, nonostante la nostalgia per la terra di mezzo, poiché sapevamo bene che la sua fine si avvicinava. I Valar, infatti, coscienti che nulla poteva più essere fatto per risanare quella povera terra, martoriata e violentata da tanto male, decisero di distruggerla, così che ogni traccia e ricordo del male svanisse in eterno. Per anni interi piovve su di essa, il mare imperversò furioso, gorgogliò, reso possente e irrefrenabile dalle piogge e ribollì minaccioso, come una pozione magica dentro il calderone di una vecchia strega; infine sommerse la Terra di Mezzo.” Mentre parlava Legolas afferrò le mani di Sarah, così che nella sua mente ella potesse vedere i fatti che l’elfo le narrava. Intanto proseguì il suo racconto. “La terra sommersa si spezzò, si sgretolò e si sfaldò, solo polvere e acqua per millenni. Il cielo cadde in mare; acqua, terra, stelle, sole e luna. Per lunghissimo tempo tutto si mescolò e si purificò; infine il mare si quietò e regnò calmo intorno al Reame Beato, dove noi viviamo. La terra dimezzo e tutti gli uomini scomparvero. In Aman, ora vivono solamente elfi, in armonia con i Valar, come era stato per lungo tempo agli albori del mondo, prima che Morgoth generasse il male. “E il mio mondo? Da dove viene?” “Il tuo mondo si trova in un’altra dimensione rispetto al mio, in un altro universo, ma non sappiamo come venne creato, né da chi fu plasmato… Siamo soliti ritenere che si sia generato da se. Tra i nostri due mondi, Sarah, non esiste un passaggio fisico, visibile, che li metta in comunicazione. Noi elfi, in virtù del nostro potere, abbiamo sempre potuto visitare il vostro mondo, anche se non è auspicabile che noi lo facciamo. Ma voi uomini… Voi uomini, da soli, non potreste mai accedere al Reame Beato perché i vostri occhi sono annebbiati e corrotti, siete schiavi delle vostre passioni più viscerali e il vostro cuore è dominato dal buio. Strisciate a terra, alla ricerca dei beni esteriori, respirando aria morta; così come creature che vivono nelle viscere scure della terra, non siete più capaci di osservare il cielo e di godere della luce delle stelle.” “Grazie infinite!” borbottò Sarah. Non aveva mai avuto particolare ammirazione per la sua razza, quell’umana, anzi, la detestava con tutto il cuore. Ma in quella descrizione così denigrante sentì compresa anche se stessa, e si rese conto di non valere nulla, di essere inutile come polvere di fronte alla perfezione di Legolas. Lei solo una debole ombra, l’elfo, invece, luminoso come il sole. Si sentì male, disgraziata e meschina; aveva voglia di piangere e Legolas se ne accorse. “Non guardarmi così Sarah”, sorrise, “Nel tuo caso posso fare un’eccezione. Perché credi che io sia qui altrimenti?” “ Credo spetti a te dirmi questo… Cosa ti ha spinto in questa terra così avvilita e oppressa rispetto al Reame Beato?” Sarah pareva rabbonita. “Visitammo già alcune volte il tuo mondo. Rare e sporadiche volte noi mettemmo piede su questa terra, Sarah; sempre per far visita a qualcuno della tua razza. In linea di principio, noi elfi preferiamo evitare voi umani e siamo soliti disprezzarvi, per millenni il nostro mondo è rimasto all’oscuro a tutti voi e così deve rimanere, per sempre. Anche quando gli umani distruggeranno il pianeta a loro concesso per grazia divina, il nostro mondo perdurerà, in eterno. Non parlare mai a nessuno di me, Sarah; so che non l’hai ancora fatto e ti prego di mantenere tale segreto. E’ il prezzo da pagare per i nostri incontri. Se qualcun altro conoscesse la verità per me sarebbe troppo pericoloso avventurarmi in questo mondo, le mie visite dovrebbero cessare.” “ Legolas… non temere per il tuo segreto. Ma se davvero esso è così prezioso, per quale motivo tu corri il rischio incontrandomi? Perché voi elfi avete deciso di mostrarvi agli uomini?” “Perché da sempre è stato nostro grande desiderio salvare dalla dannazione e dall’infelicità persone come te, come Tolkien e come pochi altri. Non ti sei mai chiesta perché soffri così tanto in questo mondo? Perché ti senti così fuori posto, così sbagliata, così diversa da tutti?” Sarah lo guardava, stupita e con un po’ di sospetto; quante cose Legolas conosceva di lei senza che ne avessero mai parlato? Come poteva saperle? “Tu sei diversa da tutti gli altri; come te lo era Tolkien e altri prima di lui. Noi vi chiamiamo perle tra la cenere, brillate e risplendete per la vostra purezza, per la vostra sensibilità, ma rischiate di venir sommersi dal veleno che vi circonda, senza più riuscire ad uscirne. Per anni abbiamo fatto visita a uomini e donne come te, accompagnandoli durante la loro vita terrena, prendendoli per mano nei momenti di sconforto, narrando loro le nostre storie, i nostri miti e le nostre avventure. Li abbiamo consolati nei loro momenti più bui e sorretti quando perdevano la speranza; abbiamo infuso loro sicurezza e coraggio nel momento del trapasso, preparandoli all’incontro con la morte. Certo, non potevamo creare per loro un mondo migliore, ma li abbiamo aiutati a vivere più serenamente in questo mondo ingiusto in cui hanno avuto la sfortuna di nascere.” “ E quindi per dovere che sei qui da me?” Non riuscì a nascondere un certo disappunto nella sua voce. “No. Ora le cose sono molto cambiate. Non credere, errando, di far semplicemente parte di un compito prestabilito e a me assegnato. Non sono stato mandato qui da te, ma ho attraversato il passaggio tra i nostri mondi per mia volontà soltanto.” Continuò il suo racconto. “Più il tempo scorreva sulla vostra terra, più i nostri emissari, che facevano ritorno al Reame Beato, parlavano di un lento e inesorabile declino, come se il veleno del male avesse infine raggiunto il cuore del vostro pianeta. Per noi era sempre più rischioso farvi visita e, inoltre, le persone luminose come te erano sempre più rare, anch’esse si stavano estinguendo, scomparivano. Decidemmo che Tolkien sarebbe stato l’ultimo, poi ci saremmo per sempre ritirati in Aman. Ci recammo parecchie volte da lui, e anch’io, per la prima volta abbandonai Eldamar per recarmi in missione sul vostro pianeta. Per anni narrammo a quell’uomo incredibile tutta la storia del nostro mondo, e gli chiedemmo di scriverla, di tramandarla agli uomini. Volevamo lasciare qualcosa di noi, così che le nostre avventure, le nostre sofferenze, le nostre vittorie non fossero obliate per sempre, anche se tutti le avrebbero ritenute solo storie fantastiche, frutto della fantasia di Tolkien. Gli chiedemmo però di non narrare mai della fine della Terra di Mezzo, della rinascita del Reame Beato e del parallelismo tra i nostri due mondi; preferimmo che il racconto fosse lasciato incompiuto, come in sospeso, nell’illusione che il bene avrebbe regnato per sempre nella Terra di Mezzo. Questo perché, per noi elfi, era troppo pericoloso persino il fatto che voi uomini immaginaste l’esistenza del nostro Reame in una dimensione parallela alla vostra. Il vostro mondo brulica di folli e noi non possiamo sapere fino a che punto si spingerà la vostra sciagurata sete di conoscenza, quella che voi chiamate…tecno…tecnologia.” Pronunciò quella parola a labbra tirate, come se la bocca gli facesse male, con uno stridore metallico. “Se qualcuno di voi, per un malaugurato caso, avesse preso troppo sul serio le vicende narrate da Tolkien, grazie ai potenti mezzi di cui disponete, sarebbe potuto giungere, anche senza volerlo, nel nostro mondo e per noi sarebbe stata la rovina. Per oltrepassare quella porta bisogna, innanzi tutto, credere fermamente nell’esistenza di Aman; certo non basta, ma è pericolosamente utile. Noi non potevamo più rischiare. Così la porta fu chiusa, avrebbe dovuto rimanere tale per sempre, e il vostro mondo fu abbandonato. Da quando lo vidi l’ultima volta le sue condizioni sono rapidamente peggiorate, più di quanto avrei osato immaginare nei miei più neri incubi. La tua terra sta morendo. “Lo so. Quello che più mi spaventa è il fatto che noi uomini ci rendiamo perfettamente conto di ciò che stiamo facendo, ma non siamo capaci di fermarci, di arginare tale distruzione. Amiamo avere il potere nelle nostre mani, desideriamo la forza e la conoscenza, ma non siamo in grado di controllarle.” “E’ sempre stato così, anche in tutte le ere passate… L’unica cosa che debolmente mi consola è la tua profonda consapevolezza, ma le persone come te sono poche purtroppo, troppo poche. “ Tra loro cadde un pesante silenzio, Sarah sapeva che le parole di Legolas erano veritiere, ma le percepiva cariche di funesti presagi. Era pensierosa, come assorta, per tutto il suo racconto l’elfo non aveva mai smesso di tenerla per mano e ora la stava fissando, non riuscendo a nascondere la grande preoccupazione per lei che lo affliggeva.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4: Volare coi gabbiani ***


Fu Sarah ad interrompere il silenzio. “Perché da me? Cioè… come puoi vedere dal tuo mondo la mia terra e le persone che ci vivono? Come hai fatto a trovarmi?” “Spesso, in Eldamar, trascorro il mio tempo osservando il vostro pianeta. Diciamo che ti ho trovata per caso e ho cominciato a spiarti.” “Prego?!” Sarah capiva sempre meno di quella storia assurda. “Come hai fatto a vedermi?” Legolas sorrise divertito; la sua curiosità, la sua prontezza, le sue domande, lo intrigavano terribilmente. Bastava osservare il modo in cui lo ascoltava per capire che era sveglia, già osservandola dal suo mondo aveva avuto l’impressione che fosse speciale, ma ora n’era sicuro. Non era un essere umano come tutti gli altri, irradiava come una luce speciale. “In Aman esistono delle pietre molto particolari, che mi hanno permesso di osservare il tuo mondo…” “Dei Palantir?” Si rese conto troppo tardi di averlo interrotto e arrossi, lui le sorrise dolcemente. “Non esattamente. I Palantir di cui tu hai letto nei libri di Tokien erano in comunicazione tra loro e la loro fine resta un mistero. Se anche fossero sopravvissuti alla guerra contro Sauron ora sono sommersi insieme alla terra di mezzo, in fondo al mare. La pietra che ho trovato in Eldamar, fu costruita, insieme a molte altre, ai tempi delle nostre visite sulla terra agli uomini. Dopo la morte di Tolkien si decise di distruggerle, dato che ormai non ci sarebbero più state utili ma, in una piccola torre, nel giardino di sire Elrond, ne trovai una, anche se non so perché l’abbia conservata.Mi misi a curiosare un po’ sulla vostra terra, era sera, e ti ho visto che piangevi, qui, in questa camera… questo un po’ di tempo fa. Sarah non rispose, negli ultimi mesi la scena di lei che piangeva in camera sua si era ripetuta un’infinità di volte. Poteva essere sei mesi prima, così come la settimana appena passata… questo non lo disse a Legolas, se ne vergognò. “Non vergognarti del tuo dolore, Sarah. La sofferenza non è mai una colpa e coloro che la mostrano apertamente non sono dei vigliacchi, bensì esser sensibili. Colui che riesce ad accettare le proprie lacrime, supera la prova di maggior forza e coraggio. Per lungo tempo ti osservai nel tuo dolore, nella tua inadeguatezza e sofferenza. Ho visto la tua fatica e la tua angoscia nel convivere col mondo e con le persone che ti circondano. Ti ho vista piangere lacrime amare per lunghe, interminabili, solitarie notti; so quanto male ti ha fatto quell’uomo che amavi…” La guardò con due occhi penetranti, occhi profondi che potevano scrutare nei meandri più obliati del suo cuore. Lui sapeva. Sarah si sentì in grande imbarazzo nel ripensare a quella parte della sua vita, a Maxwell, il suo professore, a colui che aveva amato. “Dici bene, che amavo. Ora è tutto finito tra noi due, l’amore si è trasformato in indifferenza e in disprezzo, talmente grande è stato il dolore che mi ha dato… Ha ucciso quel sentimento meraviglioso che nutrivo per lui. Ora è solo il mio insegnante.” “L’hai amato molto, vero?” “Si… davvero tanto. Non avevo mai trovato qualcuno che mi capisse così pienamente, totalmente, con lui la mia vita stava ritrovando un senso. Con lui sono riuscita a lasciarmi andare, gli ho donato la mia fiducia; mi ha fatto tante promesse e poi le ha infrante tutte. A volte temo che la fine del nostro amore mi abbia inaridito ancora di più di quanto credessi possibile, credo mi abbia incattivito terribilmente.” “Tu non sei una persona arida, Sarah. Le lacrime non possono bagnare il viso delle persone aride, cattive o insensibili; sei una creatura buona, molto buona. In te non vi è nulla di oscuro, e se tu nascondessi delle ombre nel tuo cuore io le vedrei, ricorda che sono un elfo. Desideravo tanto vederti, conoscerti, osservarti da vicino, m’incuriosivi tremendamente perché mi rendevo conto che in te vi era qualcosa che ti rendeva diversa da tutti gli uomini che popolano questa terra, qualcosa che ti rendeva migliore. Dopo aver pensato a lungo presi la mia decisione, una decisione che mi è costata molto, perché sono stato costretto ad infrangere le leggi del mio popolo, ho attraversato la porta tra i nostri due mondi. Nessuno della mia gente è al corrente di queste mie sortite notturne, nessuno tranne Gimli, lui è un elfo e manterrà il mio segreto. Anche coloro che mi stanno più cari tra gli elfi, coloro che più mi amano, non potrebbero mantenere il mio segreto se ne venissero a conoscenza. Le nostre leggi sono poche e semplici, ma le punizioni per chi le infrange sono molto severe e io finirei al cospetto dei Valar. Ero molto preoccupato e spaventato, perché temevo che qualcuno del mio popolo potesse scoprirmi; per questo motivo ho trascurato di essere prudente con te, non pensavo che tu mi avresti scoperto e mi sono tradito con quel capello… Il resto della storia tu lo conosci.” “Ti dispiace essere stato scoperto? Cioè, t’infastidisce il fatto che io t’abbia visto?” “No, affatto. Forse in fondo al mio cuore l’ho sempre desiderato.” Strinse le mani di Sarah tra le sue “Ho potuto sentire la tua voce e vedere i tuoi occhi da vicino. Sono bellissimi.” Sarah arrossì, i suoi occhi erano belli e piacevano a molti, lo sapeva. Occhi di un verde brillante e intenso, quasi come i prati della sua terra, i prati della sua amata Irlanda, quella terra meravigliosa dove amava passeggiare sola, a qualsiasi ora del giorno, sotto un cielo mutevole e imprevedibile. Ripensò a suo nonno, morto nemmeno un anno prima; suo nonno che tanto aveva amato e che la adorava sopra ad ogni altra cosa. L’aveva cresciuta al posto dei suoi genitori, sempre lontani, sempre in viaggio, l’aveva portata a passeggio, le aveva insegnato a cantare, a suonare diversi strumenti musicali, a disegnare; le aveva donato tutto ciò che conosceva. Suo nonno le sfiorava sempre le ciglia lunghe e incurvate e la chiamava “occhi di fata”. Gli occhi le divennero lucidi, per un attimo dimenticò la presenza di Legolas accanto a lei. “Ti manca molto vero? Tuo nonno…” “Come…?” “Ti leggo nel pensiero, Sarah, non dimenticare che sono un elfo. Sono profondi i tuoi pensieri, molto più di quelli degli altri uomini, ma riesco a comprenderli nonostante la loro intensità, anche se con un poco di fatica. Ora devo andare… Vorrei poterti rimanere accanto, ma dei compiti mi attendono nel mio mondo. La giornata che sta sorgendo sarà per me molto impegnativa. Sarò da te la prossima notte.” Si alzò dal letto e le carezzò una guancia, poi la baciò sulla fronte. In genere a Sarah non piacevano affatto i baci in fronte, li chiamava “baci da moribondo” o “baci da vecchia zia”, ma non quel bacio, che le infuse un calore intenso e una dolcezza infinita. Avvicinandosi alla finestra, Legolas vide posato sulla scrivania di Sarah il ritratto da lei fatto nel pomeriggio, lo prese tra le mani e lo osservò incuriosito. “Sei molto brava, mi somiglia in un modo incredibile.” Lo rimise sulla scrivania Sarah, alzatasi, si avvicinò a lui, prese il ritratto e glielo porse. “Prendilo, voglio che lo tenga tu.” “Perché me lo doni?” “Hai reso la mia vita meno cupa, è un segno della mia gratitudine. E poi… beh, non ho bisogno di questo ritratto per ricordare perfettamente il tuo viso, le tue fattezze mi sono rimaste scolpite nella mente fin dalla prima volta che ti ho visto di sfuggita, rimarranno dentro di me per sempre.” Legolas la guardava dolcemente, come se bevesse dagli occhi di Sarah, occhi così limpidi da essere lo specchio dei pensieri della ragazza. “Grazie… Anche tu rendi migliore la mia esistenza, piccola umana, più di quanto tu possa immaginare.. e mi raccomando, non litigare con Viso Giallo!” Sorrise divertito e prese il ritratto dalle mani di Sarah, poi scomparve, come inghiottito dalla luce pallida e ovattata dell’alba che sorgeva. Sarah ripensò sorridendo tra se al piccolo battibecco che nel pomeriggio aveva avuto col Sole, probabilmente Legolas l’aveva osservata e aveva trovato la scena piuttosto divertente. Sarah era felice e sognante, per la prima volta, da mesi, aveva qualcuno da aspettare, qualcuno che sarebbe tornato per lei, un amico che non l’avrebbe abbandonata; non era più sola. “Oggi il tuo umore è meno nero del solito o mi sbaglio?!” Martina capiva sempre tutto subito, senza che si parlassero, bastava uno sguardo. “Forse…” Sarah sorrise, fece l’occhiolino a Martina e prese posto accanto a lei, cercando di fingere che fosse una mattina come tutte le altre. In fondo al cuore le spiaceva immensamente di non poter raccontare all’amica di Legolas, non c’erano mai stati segreti tra loro, avevano sempre parlato di tutto, ma aveva fatto una promessa all’elfo e doveva mantenerla. Non che Martina la preoccupasse, era una persona fidata e all’occorrenza sapeva essere muta come una tomba, ma temeva di perdere Legolas, magari in futuro avrebbe potuto parlarne con l’amica, ma era ancora troppo presto. Martina, discreta, non chiese nulla, pur sospettando che fosse accaduto qualcosa, qualcosa di piacevole, a giudicare dagli occhi di Sarah, preferì non fare pressioni all’amica, quando se la sarebbe sentita gliene avrebbe parlato, come sempre. Sarah non disse nulla e la mattinata passò Trascorse il pomeriggio vagando per i prati e arrivando fin sulla riva del mare sotto una pioggerellina fine quasi impercettibile, sembrava non accorgersi dell’acqua che la stava bagnando, in fin dei conti nel suo amato paese pioveva così quasi tutti i giorni e ci si faceva l’abitudine. Pioveva con il sole. “Pazzo di un cielo irlandese, ogni giorno una nuova trovata!” Sarah parlava spesso con la natura, in fin dei conti l’amava in un modo incredibile, come se fosse qualcosa di vivo. Si era sempre ritenuta fortunata a vivere nell’Irlanda settentrionale, odiava la terra e la maggior parte degli uomini, però riteneva di essere nata nel luogo migliore che quel povero pianeta martoriato e morente avesse da offrire. Osservò i gabbiani, le sule e i cormorani che si rincorrevano volando a pelo dell’acqua, sfruttando il vento e le correnti, senza nemmeno un battito d’ali. si chiese, a guardarli sembrava di si, parevano davvero liberi da ogni pensiero negativo, da ogni preoccupazione. Avrebbe voluto volare con loro. Tornò a casa e cercò di dormire un po’, aveva passato la notte parlando con Legolas e voleva essere riposata per quando lui sarebbe tornato quella sera. Desiderava parlare con lui più d’ogni altra cosa, lui la capiva e questo le dava sicurezza, la sua voce aveva un non so che di magico, era lenitiva e calmante. Sarah, adorava il modo in cui lui la chiamava per nome, intercalava spesso il suo nome nei discorsi che faceva e ciò le piaceva. Raramente la chiamavano per nome, solo Martina, qualche volta, il resto dei suoi compagni quasi non le parlavano e negli ultimi sei mesi se aveva visto tre volte i suoi genitori era già molto. Legolas la chiamava per nome continuamente, come a voler sottolineare la sua identità, la sua unicità come persona e a Sarah piaceva, perché in questo odo si sentiva meno anonima, meno insignificante. Se quella creatura nobile e meravigliose era venuta proprio da lei, proprio da Sarah, evidentemente la sua esistenza non era poi così inutile, così insignificante. Per lui, la ragazza che credeva di non valere nulla, in realtà valeva molto. Si addormentò serena e rassicurata, sorridendo pensando a queste cose e dormì più del previsto. La notte calò come un velo scuro, illuminata da uno spicchio sottile di Luna nuova e Legolas apparve avvolto da un manto d’ombra, leggero e silenzioso come un fantasma; si sedette vicino a Sarah, indeciso e svegliarla o lasciarla dormire. Era così bella, talmente tanto che poteva essere scambiata per una creatura elfica; vederla dormire era qualcosa d’incredibile, la sua pelle sembrava di perle e i suoi capelli di fuoco. “Oh Valar, vorrei aver trovato prima una creatura come te. Cosa mi strega a tal punto di te, piccola umana? Non è solo la tua bellezza, ogni cosa nella tua persona è magica, la tua voce, come ti muovi, come sorridi… Non credevo che un animo elfico potesse incarnarsi così profondamente in un essere umano. La tua razza è maledetta e non meriti di perire con essa, un gioiello simile non può essere sommerso dalla polvere e dall’oblio; la tua mortalità incombe su di te e il tuo destino è quello del disfacimento. Vorrei trovare il modo per preservarti da tutto questo, ma non so cosa devo fare. Sei una stella caduta sul mondo sbagliato, Sarah e credo che anche tu te ne renda conto. Voglio salvarti dal tuo destino di morte e troverò il modo di farlo, una creatura rara e preziosa come te merita di perdurare per sempre.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5: Sulla riva del mare ***


Legolas appoggiò con infinita dolcezza la mano sulla spalla di Sarah, accarezzandola piano per svegliarla, ma quasi timoroso di farlo, temendo di turbare quell’incanto meraviglioso che è il sonno, da lui mai conosciuto. Per tutte le sue ore solitarie, passate ad osservarla mentre dormiva, si era chiesto un’infinità di volte che cosa significasse il sonno, perdersi completamente in quella condizione transitoria che solo gli uomini conoscevano; tante volte nella sua lunga, lunghissima vita aveva desiderato conoscere quel dono concesso agli uomini, lui, elfo, che mai aveva assaporato il sonno, potendo concedersi soltanto un riposo apparente, ma pur sempre vigile tipico della sua razza… e lei era così bella mentre dormiva, pareva persa in un mondo tutto suo, tranquilla, innocente e indifesa, con un piccolo sorriso dipinto sul volto… una ragazza umana dotata di qualità eliche ed eteree… ma lui l’avrebbe creduto possibile. “Sarah… Edro in hin, Ithil orchal ben cirban” (Apri gli occhi, la luna è alta nel cielo) “Legolas…” Sarah tese la mano verso di lui, come se fosse impaurita che la creatura bionda e luminosa che le stava davanti potesse svanire da un momento all’altro come un sogno o un miraggio. “Sono qui, e non ho intenzione d’andarmene… per tutto il giorno ho atteso trepidante di poterti rivedere, in ogni singolo istante ho pensato a te.” “Anch’io Legolas, non ho fatto altro che attendere la sera..” Si blocco è lo guardò negli occhi, occhi che sembravano racchiudere la magia e la furia impetuosa del mare, sentì dentro di se come l’impulso di abbracciarlo, ma si trattenne impaurita; senza comprendere il perché temeva di rovinare l’intesa creata con lui, provava una paura inspiegabile, irrazionale e inconscia di perderlo, forse che il suo cuore e la sua anima già prevedevano ciò che in futuro li attendeva… “Ti va di andare sulla spiaggia, per vedere il mare… osservare i gabbiani?” “Il mare?” Lui sembrava quasi stupito dalla sua richiesta, però sorrideva… “Si… è qui vicino, basta camminare un po’… Ci sono stata oggi pomeriggio ed era così bello… Vorrei tanto che tu lo vedessi.” Legolas le prese le mani tra le sue. “portami dove vuoi, dove tu ritieni che sia meglio… qualunque posto acquista luce e splendore grazie alla tua presenza… renderesti viva e rigogliosa anche un’arida distesa di terra bruciata…” Lei arrossì, sentiva gli occhi di Legolas puntati su di lei, che la accarezzavano senza sosta; erano talmente intensi che davano la sensazione di passarle attraverso, di mettere a nudo la sua anima… probabilmente lui percepiva ogni suo pensiero. Si alzò dal letto, era ancora vestita come quel pomeriggio, in jeans e maglietta; s’infilò un morbido maglione di lana e prese Legolas per mano. “Bedim?” (Andiamo?) “Gerich him?” (hai freddo?) Lui la osservava incuriosito, accarezzando con una mano il suo maglione di lana grossa color crema. “Cosa…?” Non capiva le sue parole. “Hai freddo?” “No, sto bene; ormai l’inverno si avvicina al termine, ma in Irlanda il tempo è sempre capriccioso e mutevole, meglio essere previdenti, non si può mai sapere come si comporterà… Legolas sorrise e si lasciò guidare da Sarah fuori di casa, in giardino, dove si fermò ad osservare la notte. Era stupenda, il cielo era nero come l’ebano, illuminato solo dalla luna e dalle stelle; Sarah, infatti, viveva isolata dal piccolo paese, Kilkenny, unico centro abitato nella zona, dove si trovava la sua scuola, che lei detestava e la casa di Martina. Dalla casa di Sarah, costruita in legno e ardesia, come le più antiche case irlandesi, le luci del centro abitato nemmeno si vedevano. “se non sapessi dell’enorme massa di gente stupida che vive laggiù” disse Sarah indicando un punto imprecisato di fronte a lei “potrei anche credere d’essere sola in questo paradiso. Sai, Legolas, per te è normale vedere le stelle in tutto il loro splendore, ma non è così per noi uomini; con la luce artificiale troppo forte che utilizziamo spesso il cielo stellato scompare del tutto ed è impossibile distinguere le costellazioni. “Casa tua però mi piace” rispose Legolas in un sussurro “è un posto tranquillo ed avverto una scarsa presenza umana. In questo luogo l’aria è più pulita che in molti altri luoghi della terra, non è tremendamente pesante ed irrespirabile per me.” Sarah lo osservò, grata per averla fatta vergognare un po’ meno per il fatto di appartenere ad una razza che stava distruggendo da se il pianeta donatole per vivere serenamente. “E’ per quello che amo vivere qui; non ci viene mai nessuno, se lo voglio posso passare giorni interi senza dover vedere anima viva. E’ davvero così orrendamente sporca l’aria della terra? Vivendoci spesso non ce ne si rende conto…” “Non so esattamente cosa sia, forse non solo il fatto che è sporca, ma è come se mi annebbiasse i sensi; credo che se rimanessi per troppo tempo sul tuo pianeta morirei. Quest’aria mi avvelena il sangue, come fai a sopportarla? Qui, vicino a casa tua, questa sensazione si avverte meno, ma in altri luoghi, laddove la presenza di esseri umani è maggiore l’aria è irrespirabile, un’esalazione mefitica, di morte.” “Io… non so cosa dire. Non amo il mio mondo, è vero, ma non credevo che ormai la situazione fosse a questo punto di non ritorno… A volte io mi vergogno di essere un essere umano, mi vergogno di essere ciò che sono: una creatura che sta distruggendo il pianeta su cui vive.” “No! Non… tu non hai colpa di quello che sta accadendo; non devi pensare in questo modo, Sarah…” Poi le prese la mano e le sorrise con immensa dolcezza “Non dovevi portarmi al mare!?” Così s’incamminarono, tenendosi per mano, con le dita intrecciate, Sarah un poco davanti a lui, che si lasciava guidare docilmente; i passi di Legolas non si avvertivano nemmeno sulla stradina sterrata, tanto che lei, se non avesse avvertito il calore e il tocco della sua mano, avrebbe temuto, voltandosi, di accorgersi che era scomparso… E poi il mare apparve. Lucido, immobile, specchio infinito del cielo, silenzioso ma consapevole della forza distruttrice in esso celata. “E’ bellissimo Sarah, mi ricorda la terra di Mezzo, la prima volta che vidi il mare, prima di partire con Gimli per Aman… e anche i luoghi meravigliosi dove ora vivo.” “Parlami di quei luoghi, te ne prego! Ho bisogno di credere in qualcosa, di un mondo migliore di questo in cui vivo… Voglio immaginare il tuo mondo meraviglioso, voglio poterlo capire anche…” Sarah si bloccò, quasi con rassegnazione “… anche se so che non potrò mai vederlo.” Legolas sorrise, comprendeva l’ombra di tristezza sul volto della ragazza; scivolò silenziosamente accanto ad un masso e si sedette ai piedi di esso, appoggiandovi la schiena. Prima che Sarah potesse sedersi accanto a lui, quasi inconsciamente, l’attirò a se. “Tolo si.” (Vieni qui.) La fece sedere tra le sue gambe e Sarah si appoggiò al suo petto, con la testa contro la spalla di lui. “Dimmi una cosa, Sarah… tu riesci a comprendermi quando ti parlo in elfico? A volte mi rivolgo a te senza rendermi conto di non farlo nella tua lingua, mi viene spontaneo parlarti nella mia, è come se ti sentissi parte del mio mondo, del mio ambiente… e poi penso che forse potresti anche non capirmi e…” “Io ti capisco…a volte con fatica ma ce la faccio… La tua lingua mi ha sempre affascinato in un modo incredibile, mi piace quando la usi per rivolgerti a me.” “Come l’hai imparata? C’è qualcuno sulla vostra terra in grado d’insegnarla?” “Grazie a Tolkien… Lui, nei suoi libri ha lasciato testimonianza della vostra esistenza, della vostra cultura, del vostro mondo fantastico, anche della vostra lingua… Per questo motivo sono riuscita ad impararla, anche se con fatica, poiché molte indicazioni sono frammentarie e imprecise.” “Sei incredibile, Sarah… Credo che il mio mondo ti piacerebbe davvero. E’ magico, anche se ci vivi da migliaia di anni riesce a sorprenderti ogni volta che il sole sorge. Ricordo la prima cosa che vidi, quando ci arrivai, un’enorme spiaggia dalla sabbia bianca, con riflessi madreperlati all’alba e dorati al tramonto. Allontanandosi un poco dal mare vi è la nostra città, Eldamar… in realtà non ha confini, ognuno vive dove preferisce e i nostri sovrani più importanti formano un consiglio, così da decidere in armonia su ogni cosa che riguarda il nostro popolo. Il loro compito è anche essere garanti per tutti noi, di fronte ai Valar, perché nessuno deve trasgredire alle poche ma severe regole che ci vengono imposte.” “Tu però l’hai fatto…” Sarah lo fissò intensamente, scrutando quegli occhi blu, magnetici e misteriosi “Quanto è grave la tua trasgressione, Legolas?” “Abbastanza da sperare ardentemente di non essere scoperto!” Rispose lui con un sorriso malizioso, “Tu però non ti devi preoccupare di questo… in ogni caso, se venissi scoperto, dovrei rispondere del mio operato a re Elrond e lui mi vuole bene, mi aiuterebbe in qualche modo, sempre nei limiti delle sue possibilità… Non ho paura.” “Perché non a tuo padre, re Thranduil?” Legolas si lasciò sfuggire una risata cristallina, Sarah rimase stupefatta, vederlo ridere era qualcosa di magico, se possibile la sua bellezza diventava ancora più intensa, sfolgorante. “Ringrazio i Valar di non dover rispondere a mio padre delle mie azioni, di sicuro se mi scoprisse mi rincorrerebbe per tutto il palazzo e mi spellerebbe vivo… E’ un elfo molto severo, a volte fa persino paura, ma non è tra i cinque sovrani elfici di Aman. Essi sono Elrond, Galadriel, che tu già conosci. E altri tre, che da sempre risiedono ad Eldamar, Firnon, Orodreth e Aurofin, di loro tre non puoi sapere nulla, perché Tolkien non ne parlò mai. Galadriel è l’unica femmina, ma sa gestire qualsiasi situazione meglio degli altri quattro messi assieme, fra i cinque sovrani è senza alcun dubbio la più amata. Io vivo nel palazzo di Elrond, con Gimli, Aragorn e Arwen, i figli di Elrond, Elladan e Elrohir e tanti altri; è un posto meraviglioso e immenso, prima di giungere in Aman non avrei mai creduto che luoghi così belli potessero esistere. I muri hanno tinte delicate e fresche, mentre le porte recano incisi antichi poemi, così che tutto pare immerso in un’aura incantata, di pace. I giardini poi, sono così grandi che è facile perdersi, essi non conoscono mai l’inverno perché i fiori e le piante elfiche non possono morire, sono popolati da animali fantastici: uccelli variopinti dal canto melodioso, farfalle delicate, pesci cangianti che sguazzano nelle fontane zampillanti… E la luce si riflette e si rifrange su quegli zampilli creando giochi di luce magici, e le gocce d’acqua si trasformano in diamanti che cadono a pioggia, riempiendo l’aria di splendore. Ci sono poi piccole costruzioni nascoste, tra gli alberi fitti e i fiori colorati, padiglioni, pergolati, vasche e piscine per lunghi bagni rilassanti, torrette, in una delle quali ho trovato la pietra che mi ha portato da te… Vicinissima al palazzo e comunicante con esso c’è poi la dimora di Gimli, lui si sentiva un po’ a disagio in un palazzo tutto a misura di Elfo… quella… beh, ha uno stile tutto particolare, degno di colui che la abita!” Legolas non potè fare a meno di sorridere e Sarah ridacchiò divertita al pensiero di Gimli, piccolo goffo e irsuto in mezzo a tanti elfi stupendi e leggiadri, scuotendo la sua lunga chioma voluminosa; Legolas, solleticato dai suoi capelli starnutì e poi scoppiò a ridere divertito. “Cosa c’è? Perché ridi ora?” Sarah lo guardava perplessa. “Sono solo i tuoi capelli… essendo un elfo devo ancora abituarmici!” Sarah si voltò verso di lui, osservandolo con piglio interrogativo, i suoi grandi occhi verdi parevano due gemme scintillanti. “In che senso? Cos’hanno i miei capelli di strano?” “Non esiste nessuno nel mio mondo con dei capelli come i tuoi. Noi elfi abbiamo tutti i capelli lisci e dritti; non conosco il perché di ciò ma so solo che oltre al fitto cespuglio intricato sulla testa di Gimli, non avevo mai visto dei capelli così ricci… sono bellissimi. Somigliano alla corolla di un fiore…” Istintivamente prese tra le mani uno dei riccioli color fuoco di Sarah giocherellandoci “…a fiamme di un fuoco misterioso che divampa. Tutto di te emana grazia, Sarah, riesci a renderti conto dell’aura che sprigioni? Se non sapessi che sei un essere umano non potrei mai crederci…” Sarah aveva il viso voltato verso Legola, così vicino al suo, così vicino a quegli occhi che sembravano incresparsi come le onde spumeggianti del mare. Si accorse che lui la stava abbracciando, non si era nemmeno accorta che lo aveva fatto, da quanto stavano così? “Le melui… Mîr thiliol” “Cosa vuol dire?” I loro visi erano talmente vicini che bastava sussurrassero per capirsi, Sarah era totalmente immersa in quegli occhi, non riusciva a distogliere lo sguardo da quello di Legolas “Vuol dire –Sei bellissima… un gioiello prezioso-“ Così dicendo posò le sue labbra su quelle di Sarah, e per alcuni istante rimase immobile, timoroso che Sarah potesse scostarsi o imbarazzarsi. Lei s’irrigidì, sentiva il cuore esploderle nel petto, che cosa stava succedendo? Si sentiva pervasa da una sensazione meravigliosa, una sensazione di pace e tranquillità, non si era mai sentita così… Si rilassò tra le braccia di Legolas e rispose timidamente a quel bacio, si scostarono per un attimo, guardandosi dolcemente negli occhi, Legolas sorrideva… *Mi sento una sciocca!* pensò Sarah “Non sei una sciocca, sei la persona più dolce che abbia mai incontrato..” “Ma… come..?” “Sono un elfo, ricordalo sempre…” Sarah sorrise e si strinse a lui, questa volta fu lei a baciarlo, e quel bacio delicato a fior di labbra divenne più profondo e più intenso… Sentì come un mare di scintille che invadeva il suo corpo, quando la lingua di Legolas sfiorò la sua, se avesse creduto nell’esistenza del Paradiso, in quel momento avrebbe pensato di esserci… E la notte passò su quelle due creature, Ithil lasciò il cielo libero per Anor che iniziava il suo lungo cammino… Il sole stava sorgendo e li sorprese che ancora si scambiavano dolci baci e carezze. Sarah sembrò riscuotersi da un sogno. “Legolas…Si boe telim an bâr” (ora dobbiamo tornare a casa) “Vorrei restare qui con te per sempre, mia dolce principessa” “Anch’io lo vorrei, ma non posso… Devo andare a scuola, Martina mi aspetta…” “Chi è Martina?” “La mia amica più cara.” “Allora non possiamo farla aspettare… E anche se vorrei dimenticarmene per poter stare con te anch’io ho tante cose da fare ad Eldamar” I due s’incamminarono tenendosi per mano verso la casa di Sarah, mentre i gabbiani si svegliavano, cominciando le loro danze sulle onde del mare e riempiendo l’aria con i loro richiami… E forse, in quella stessa notte, il destino imboccò una strada diversa da quella predisposta tempo prima dai Valar. CONTINUA…

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 6: ll vincolo dell’amicizia e il dolore della consapevolezza ***


CAPITOLO 6: Il vincolo dell’amicizia e il dolore della consapevolezza

“Sarah…Sara! Sei tra noi oppure per oggi devo proprio abbandonare ogni speranza?”
“Scusa Martina… Dimmi, cosa c’è?”
“Dovresti spiegarmelo tu cosa c’è!”
“In che senso?”
“In che senso?! Ma guardati! Sono mesi che non ti vedo sorridere in questo modo, anzi, a dir la verità sono mesi che il tuo umore è nero petrolio… e da una settimana circa sembri quasi una persona normale, cioè, sorridi, sputi meno veleno sui nostri compagni, sei persino meno pallida… me lo dici cosa c’è??? Ti prego… Sono o non sono la tua best –friend… Dai!!! C’entra un ragazzo? Hai conosciuto qualcuno? Perché non…”
“Martina!”
“Ho messo il turbo, vero?”
Le due ragazze si guardarono sornione e poi scoppiarono a ridere… Erano distese sul prato dietro la scuola, durante la pausa mattutina dalle lezioni; Martina era tanto contenta, non vedeva Sarah così tranquilla da tanto, tantissimo tempo, nemmeno si ricordava da quando. Però era curiosa, lei e Sarah si erano sempre dette tutto… Ora si rendeva conto di non conoscere il motivo di tanta felicità. Certo, Sarah conservava pur sempre quell’aria malinconica e insofferente verso l’ambiente che la circondava, eppure nei suoi occhi c’era anche una luce nuova, una luce viva e brillante…
“Davvero Sarah… Cosa è successo? Perché non vuoi parlarmene?”

Sarah non aveva il coraggio di guardarla negli occhi… Era vero, non voleva parlargliene, o meglio, avrebbe tanto voluto ma non poteva farlo. Era vincolata da una promessa, una promessa fatta a Legolas, la promessa di non parlare mai a nessuno di lui, doveva mantenere quel segreto per il bene proprio e per quello della meravigliosa creatura che ogni notte le faceva visita, colorando la sua esistenza… Ma come poteva mentire a Martina? Martina che c’era sempre stata, che l’aveva sostenuta, aiutata, spronata ad andare avanti nei momenti più duri; Martina che la faceva ridere, che sapeva sempre cosa dire; Martina che era sempre disposta a mettersi in gioco per lei, a custodire i suoi segreti… Anche nella sua tormentata storia con Maxwell, Martina era sempre stata un punto fermo, un ancora di salvezza, un approdo sicuro a cui tornare quando il mare della sua vita si faceva troppo tempestoso… e ora doveva mentirle, non era mai successo che Sarah non le dicesse qualcosa… perché proprio ora? Proprio ora che stava trovando un po’ di felicità, un po’ di gioia… Ora che vedeva una pallida luce in fondo al suo lungo tunnel d’angosce… Non poteva condividere quel momento con Martina. Almeno non ancora. Lo sapeva.

“Ascolta Martina, non posso parlartene ora, so che sembra assurdo, il problema non sei tu, ma è una situazione delicata… devo tenere per me questa cosa, almeno ancora per un po’.”
Martina sembro raggelarsi e Sarah se n’accorse:
“Da quand’è che non ti fidi più di me, Sarah?”
Avrebbe preferito che l’amica le si fosse rivolta con un tono tagliente, con rabbia, con sprezzo, invece pareva solo tremendamente triste e sconsolata, come ferita da un pugnale invisibile… Nei suoi occhi c’era solo dolore.
“Non dire così, sai bene che mi fido di te più di chiunque altro! Ma ho fatto una promessa… Vorrei tanto potertene parlare, ma ora non posso, forse in futuro… cerca di capire…”
“Non c’è niente da capire! Se non che probabilmente io e te abbiamo priorità diverse. Una volta io venivo prima di qualunque segreto, prima di qualunque promessa. La tua storia con Maxwell era segreta, no? Eppure me ne hai parlato, sono la tua migliore amica, non ti ho mai tradito… credevo che tu fossi cosciente di ciò!”
Detto questo si alzò e se ne andò, Sarah si accorse che aveva gli occhi lucidi; l’aveva ferita, e la colpa di tutto era solo sua, lo sapeva bene. Non cercò di fermarla, Martina aveva ragione, le aveva sempre raccontato tutto, ora il suo comportamento non aveva alcun senso… doveva parlare con Legolas. Doveva spiegargli che non poteva tenere nascosta a Martina la strana apparizione di un elfo nella sua camera da letto; Martina avrebbe mantenuto questo segreto, n’era certa… Non poteva più tacere con lei, tra loro c’era un legame forte, un’amicizia vera, non poteva buttarla via così.
Da quando Legolas era apparso le stava infondendo una gioia incredibile, una pace che le illuminava l’anima, sentimenti preziosi… ma l’amicizia con Martina non poteva e non doveva diventarne il prezzo, questo Sarah lo sapeva bene e se Legolas voleva davvero la sua felicità avrebbe potuto capirlo senza problemi… o almeno lo sperava.

Quel giorno nevicò, era già aprile, ma il freddo divenne improvvisamente intenso e tutto si ammantò di bianco, il tempo stava impazzendo.
Sarah, quella sera aspetto Legolas davanti al camino acceso, avvolta in una stola di lana, appollaiata su di una soffice poltrona.
Come sempre Legolas apparve silenzioso, le accarezzo una guancia con le sue dita sottili e perfette e si sedette a terra, sul morbido tappeto e tra i soffici cuscini. Sarah lo osservò attentamente, era stupendo, la sua bellezza era così assoluta da far quasi paura… Non una sola imperfezione era visibile in lui, non un difetto. Si lasciò scivolere a terra, accanto a lui e gli si sedette di fronte, incrociando le gambe.
“Legolas…Im boe pedi le” (Ho bisogno di parlarti)
Lui la osservò incuriosito, i suoi occhi azzurri, sgranati e interrogativi, erano talmente innocenti da sembrare quelli di un bambino, sorpreso da qualcosa d’incomprensibile per lui, da qualcosa di troppo grande e misterioso per la sua giovane e inesperta mente. “E' per ieri notte? Per il bacio che ti ho dato?”
Sarah arrossì violentemente, la sua spontaneità, la sua innocenza e il suo candore la lasciavano spiazzata, senza parole.
“Ma tu non eri capace di leggermi nel pensiero?” Sarah sorrise dolcemente ”Non è per quello Legolas, non c’è niente di male in quello che è successo ieri sera… Almeno non per me…”
“Sai bene che anche per me è così, la mia vita dura da migliaia d’anni, ma non mi ero mai sentito in questo modo, tu mi hai stregato… Voglio che tu stia bene Sarah, che tu sia felice.”
“Allora è giusto che io ti parli di questa cosa, Legolas.”
“Ti ascolto”
“Ti ho parlato di Martina, vero?”
“La tua amica più cara.”
“Esatto. Io e lei siamo amiche da… “ Sarah sorrise “… praticamente da sempre! E’ l’unica amica che ho… è la migliore amica che io potessi desiderare d’avere… Mi è sempre stata vicina nei miei momenti più cupi e più difficili, è davvero una persona speciale… tra noi due non ci sono mai stati segreti… mai.”
“E’ per me, vero?” Legolas la guardava serio, molto pensieroso, con la testa leggermente inclinata a destra.
“Si… Lei ha capito che nella mia vita sta accadendo qualcosa, qualcosa di molto bello. Da quando tu sei comparso io sono diversa, sono più felice Legolas… e lei questo lo vede. Soffre perché crede che io non voglia raccontarle nulla per sfiducia o perché non abbia più bisogno di lei, ma non è così… Lo so, ti ho fatto una promessa; la promessa di non parlare con nessuno di te. Martina però non è una persona come tutte le altre, se non le dico nulla temo che finirò per perderla… “ la voce di Sarah si stava incrinando, si rese conto che aveva gli occhi lucidi. No! Non voleva farsi vedere piangente da Legolas, ma non riusciva a trattenersi ”…e io questo non lo voglio… io…”
“Basta cosi, Sarah…” Legolas la interruppe e l’attirò verso di se, i loro visi erano così vicini che i loro nasi si toccavano “… io non voglio vederti piangere. Non lo posso sopportare, hai capito? Sei sicura che Martina manterrà questo segreto?” Sarah abbassò gli occhi “Guardami, Sarah… Guardami negli occhi…” Legolas le sollevò delicatamente il mento facendola specchiare di nuovo in quegli occhi azzurri e magnetici “E’ davvero importante che nessun altro sappia, e per l’incolumità mia e del mio popolo. Non posso correre il rischio di farmi scoprire e loro con me.”
“Martina non mi tradirebbe mai… per nessun motivo. Non l’ha mai fatto in passato e non lo farebbe ora”
Legolas sembrò rilassarsi e le regalò uno splendido sorriso luminoso.
“Allora portala con te domani sera, mi mostrerò anche a lei…”
“Vuoi addirittura che ti veda?” Sarah pareva stupita e al contempo divertita.
“Non so se ti crederebbe se le raccontassi che un elfo uscito da uno dei libri di Tolkien ti fa visita ogni notte… e adora baciarti”
“Questo non me lo avevi detto… Allora dovrò provvedere a renderti felice…”
Detto questo sfiorò le labbra di Legolas con le sue e lo fissò intensamente negli occhi…

E il bacio che seguì fu tremendamente dolce, ma anche molto più intenso di quello della sera precedente; Sarah non si riconosceva più…
Conosceva Legolas da così poco tempo e tutto di quella situazione era tremendamente irreale; lui era così… così inspiegabile ed enigmatico, di lui non sapeva quasi nulla, eppure sentiva di poter riporre la sua fiducia in quella creatura. In modo totale, incondizionato. “Sarah…”
“Dimmi…”
“Pensavo ad una cosa… Ieri sera… Alla fine i gabbiani non li abbiamo visti…”
Sarah arrossì, non lo capiva davvero, cosa c’entravano i gabbiani in quel momento! Pigolò qualche frase sconnessa:
“I nidi della colonia sono sulla parte più alta… della scogliera… bisognava camminare un po’ sulla spiaggi e… e fare il giro del promontorio e…”
Lui sorrise e le baciò dolcemente le labbra, interrompendola:
“Sarah, non era un rimprovero… Quello che è successo ieri sera è stato stupendo, molto più magico di qualsiasi colonia di uccelli o spettacolo delle stelle in cielo… Credi forse che sia rimasto indifferente a tutto ciò?”
Da quando per la prima volta ti ho osservato, attraverso quella pietra magica, tu sei entrata nel mio cuore, nella mia anima… Ormai sei una parte di me che non m’abbandona mai, un pensiero talmente ricorrente da essere divenuto costante… Per nessun motivo al mondo voglio perderti; so che è assurdo, ci conosciamo così poco, ma è come se ti conoscessi da sempre, come se già sapessi che farai parte del mio futuro…”
Sarah lo bloccò, appoggiandogli il palmo della mano sulle labbra.
“Non dirlo. Non dimenticare chi sei tu… e chi sono io. La diversità delle nostre razze è come un profondo oceano che giace tra noi, per noi non c’è nulla nel futuro. Questa non è nemmeno la tua terra e io vivo qui; non voglio illudermi Legolas.”
Gli occhi di lui la guardavano spauriti, come quelli di un bambino che s’è perso in un luogo sconosciuto, come quelli di un naufrago stremato sbattuto sulle coste selvagge di un’isola remota.
“Dio, Legolas! Non guardarmi in quel modo! Non con quegli occhi! Ho paura quanto te, sto male quanto te, ma è giusto arrendersi a di fronte all’evidenza… E vero, non ho mai conosciuto nessuno come te, nessuno che mi abbia mai dato così tanta sicurezza, così tanta pace interiore, così tanta felicità… In pochi giorni sei diventato la persona più importante della mia vita, l’unico motivo per cui mi alzo al mattino, la luce della mia vita… ma non so se posso permettermi di provare questi sentimenti… io…”
Legolas non le diede il tempo di finire la frase, l’abbracciò con slancio, con forza con passione, forse con la disperazione di un cuore consapevole della propria condanna ad opera del destino… e Sarah scoppio a piangere…
La strinse forte a se. Affondando il viso in quei riccioli rossi… Avrebbe dato tutto ciò che possedeva perché il tempo si fermasse in quel momento.
“Avo ninno, meleth nîn… Im bor ú awartathon. Men ortheritam i amarth…Im gweston sen le.” (Non piangere, amore mio… Io non ti lascerò mai. Noi combatteremo il destino… io te lo giuro.)

Appena un sussurro, forse Sarah nemmeno udì, o, in ogni caso, non capì il senso di quelle parole… ma in Aman i Valar le udirono.
Forti come un tuono nel silenzio e limpide come l’acqua di un torrente…
Divini, onnipresenti e onniscienti non avevano il diritto di intervenire per fermare Legolas. Avevano stretto un patto con gli elfi… Dovevano essere i capi del popolo a portare le questioni spinose o irrisolte al cospetto dei Valar, affinché le decisioni fossero prese e giustizia fosse fatta.
Certo, loro sapevano, ma avevano scelto di non interferire più del necessario nella vita degli elfi, a meno che non fossero questi a chiederlo; già in passato era stato commesso quest’errore.
Dentro di se Legolas fece una promessa, consapevole di essere osservato dai Valar, consapevole di scegliere una strada rischiosa, consapevole che il suo destino sarebbe cambiato senza possibilità alcuna di tornare indietro… La fece ugualmente.
Per quei riccioli rossi, per quegli occhi verdi, per quella voce da usignolo…per un umana.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 7: Le due persone che amo di più
***


Si svegliò un po’ intontita… cos’era successo? Non se lo ricordava molto bene…
Non era andata a letto ma si era addormentata di fronte al camino, ormai spento. Qualcuno l’aveva coperta con una calda coperta di lana… già, Legolas.
Non ricordava di averlo salutato, la sera precedente… lei piangeva. Doveva essersi addormentata tra le sue braccia e poi lui l’aveva coperta per tenerla al caldo ed era andato via. Sarah si sedette e si avvolse nella coperta ruminando i suoi pensieri… Doveva parlare a Martina di Legolas e farle capire che non era per sfiducia che il giorno precedente non le aveva parlato della situazione.
Si trascinò con disgusto fuori dalla sua camera, giù dalle scale fino alla cucina, dove iniziò a sentirsi meglio dopo una tazza di latte caldo… Possibile che solo il pensiero di andare a scuola e di vedere la gente del paese la disgustasse così tanto?
Aveva solo 17 anni…
“Non ce la farò mai a vivere per chissà ancora quanti anni con questa sensazione di totale disgusto che mi segue come un’ombra!” si accorse di aver quasi urlato, Phoebe la guardava spaventata…
“Devo parlare con Martina…” uscì di casa di corsa, sbattendo con violenza la porta dietro di se.

Era ancora abbastanza presto, la neve caduta la sera prima aveva coperto la terra con un mantello molto sottile ma bianchissimo. Ora il freddo sembrava scomparso e il sole tiepido aveva già cominciato a sciogliere tutto quel bianco, riscoprendo l’erba verdissima e i fiori colorati dei prati.
“Ehi palla gialla lassù!” Sarah apostrofò con stizza il sole: “Sei completamente impazzito, vero? Mio Dio, questo mondo sta andando in malora!” Continuando a borbottare tra se e se arrivò a scuola e vide Martina appollaiata sul suo muretto preferito, dove passavano spesso insieme le ricreazioni, con la sua immancabile mela verde rosicchiata in mano. Martina non la vide, aveva lo sguardo vuoto e fisso davanti a se in un punto imprecisato del gregge di pecore belanti che pascolavano nel prato di fronte a scuola.
Sarah s i fece coraggio e le si sedette accanto, poggiandole con delicatezza una mano sulla spalla.

“Martina…” La ragazza si voltò di scatto, forse l’aveva spaventata, e la fissò con uno sguardo strano, indecifrabile. In quello sguardo, che Sarah si sarebbe aspettata pieno di rabbia e di stizza sembrava esserci più un misto di tristezza e desolazione, come se Martina non sapesse più che dire, che rispondere.
“Martina, vuoi che parliamo di quello che è successo ieri?”
“Parlare?”
“Si, parlare… Io so che ci sei rimasta male per quello che ti ho detto, ma davvero… io ieri non potevo parlarti di quello che sta succedendo.”
“E invece oggi puoi?”
“Si…”
“E quale cosa muta così radicalmente nel giro di 24 ore??” C’era sarcasmo nella sua voce, un sarcasmo che a Sarah non era mai piaciuto, un sarcasmo che molto raramente Martina aveva usato nei suoi riguardi.
“Non fare così Martina, non puoi credere che io l’abbia fatto con cattiveria! E’ vero, nella mia vita è comparsa una persona nuova, è comparsa dal nulla nel vero senso della parola; ma prima di poterti raccontare di lui dovevo parlargliene, perché rischiavo di non poterlo vedere mai più, se te ne avessi parlato a sua insaputa...”
“Ma che stai dicendo???” Martina sembrava stralunata “Sarah!!”
“E’ la verità Martina, lo so che sembra incredibile, ma lui è così incredibile, speciale, è magico…Lui non è una persona normale, lui non è un essere umano.”
Martina allungò una mano e la poggiò sulla fronte di Sarah.
“Hai la febbre? Sei sicura di star bene?”
“Maledizione Martina! Non sto delirando! E’ successo veramente…
“E chi è? Che cos’è che hai incontrato? Un extraterrestre?”
“No…” Sarah aveva paura di rivelargli quel segreto, ma sapeva di doverlo fare, ormai la situazione, quella stessa conversazione, si erano spinte troppo oltre e lei non poteva tornare indietro, non più.
“…un Elfo…”
“Un cosa??”
“Hai capito benissimo.”
“Tu sei matta! Hai letto troppe volte quei maledetti libri di Tolkien, non puoi andare avanti in questo modo… Quel mondo sarà anche meraviglioso, ma non è il tuo, non è reale. La tua vita è questa, non la puoi passare cullandoti in sogni assurdi.”
Gli occhi di Sarah si stavano riempiendo di lacrime.
“tu non mi credi?” La sua voce era rotta dal pianto; Martina intenerita le cinse le spalle con un braccio.
“Non fare così, Sarah. Forse sei solo un po’ stanca in questo periodo, perché non ti prendi un paio di giorni di pausa dalla scuola e da tutto il resto? Così ti rilassi e ti tranquillizzi…” Sarah si alzò di scatto e la fissò intensamente, i suoi occhi sembravano fiammeggiare.
“Tu non mi credi! Io sono stata sincera con te e tu pensi che io sia una pazza bugiarda…” “Non ho mai detto questo!”
“No… ma l’hai pensato.”
Sarah le voltò le spalle e se ne andò, scornata, amareggiata, delusa… Aveva detto a Martina la verità e lei non le aveva creduto. A cosa era servito preoccuparsi tanto allora?

Rimase immersa per tutto il giorno in una nebbiosa incertezza, una strana angoscia mista a paura la pervadeva… che cosa doveva fare ora?
Prima di andare a casa prese Martina per un braccio e le mise in mano un bigliettino spiegazzato fissandola negli occhi, poi se ne andò senza una parola.
Martina dispiegò il foglietto.

“Stasera a casa mia dopo che il sole sarà tramontato ti mostrerò che non mentivo… Lui sarà li… Per piacere vieni.”

Forse valeva la pena darle questa possibilità, altrimenti Sarah non l’avrebbe mai perdonata… e se l’amica avesse davvero detto la verità? Magari qualcuno, approfittando della sua buona fede la stava ingannando o magari… E se davvero un elfo fosse apparso nella sua vita??

Sarah passò il pomeriggio e tutta la sera disegnando ritratti di Legolas con i suoi inseparabili carboncini, con una matita tra i capelli in modo da tenerli raccolti andò avanti per ore. Le labbra tirate dalla concentrazione, gli occhi fissi sul suo lavoro, le mani scurite dalla polvere nera che si muovevano velocemente, tracciando segni precisi. Non si accorse della sera che scendeva, della Luna che sorgeva, di una figura che apparve dietro di lei in una pallida luce opalescente e le cinse delicatamente le spalle con un braccio.
Lei ebbe un violento sussulto che le fece rigare il disegno.
“Sarah?”
“Oh Legolas… sei tu…”
“Scusa, ti ho spaventato…” si chinò sopra di lei e osservò il suo lavoro “Ho anche rovinato il tuo disegno, mi dispiace…”
Sarah si alzò sorridendo e posò sulla bocca dell’elfo un delicato bacio a fior di labbra.
“Non preoccuparti, oggi sono un po’ nervosa e non mi sono accorta di quanto fosse tardi; quando disegno perdo la cognizione del tempo, mi sembra di entrare in un altro mondo.”
Legolas si sedette accanto al fuoco osservando le fiamme rossastre.
“E’ per quello che è successo con Martina, vero?”
“Tu come? Ah già… mi spii attraverso la tua pietra magica…”
Lui le carezzò il viso e le scompigliò dolcemente i capelli.
“Mi spiace che non ti abbia creduto, Sarah… Ma prova anche a capire il suo punto di vista, è così strano sentirsi raccontare di aver incontrato un elfo; e poi tu hai sempre avuto una passione così forte per il mondo di Tolkien che Martina l’ha scambiata per un’ossessione.”
“Forse…”
“Verrà stasera?”
“Non lo so, lo spero… Voi siete le due persone che amo di più al mondo e non è possibile che questa situazione debba rovinare un’amicizia così profonda…Non posso credere che non mi voglia nemmeno dare la possibilità di dimostrarle che quello che dico è la verità e poi…”
In quel momento suonò il campanello e il volto di Sarah s’illuminò.
“E’ lei, tu aspetta qui.”
Scese di corsa le scale e aprì la porta; Martina si fiondò dentro infreddolita…
“dio, sono congelata… Allora, è davvero qui quell’elfo?”
“Vieni, andiamo di sopra…”
Prese Martina per mano e se la trascinò dietro su per le scale, aprì la porta della sua camera e la spinse nella stanza. Era abbastanza buio, l’unica luce proveniva dal fuoco acceso, ma sulla poltrona accanto al caminetto era accovacciata una figura curiosa. Sarah accese la luce e Martina potè osservare la strana creatura che la stava fissando divertita. Aveva dei lunghi e sottili capelli biondi, molto lunghi e raccolti in due treccioline dietro alla nuca, i suoi occhi poi erano meravigliosi, come dipinti con tutte le possibili sfumature del blu e dell’azzurro. Mare, cielo, vento e nubi, tutto in quei meravigliosi occhi.
Ma la cosa che più la sorprese e allo stesso tempo la insospettì furono le orecchie di quella creatura, orecchie a punta. Senza quasi rendersi conto di quello che faceva la ragazza si avvicinò a Legolas e gli strattonò una di quelle strane orecchie.
“Ahi... ma cosa stai facendo?” Legolas appariva scioccato e Sarah si spaventò.
“Martina! Sei impazzita?? Lascialo andare, le orecchie degli elfi sono delicate! Lascialo! Così gli fai male!”
Martina pareva soddisfatta e mollò la presa, lasciando Legolas sbigottito, indolenzito e perplesso rannicchiato sulla poltrona.
“Scusami baby” sbottò Martina, rivolta a Legolas “volevo solo controllare che le orecchie fossero vere e non attaccate con la colla!”
Legolas iniziò a ridacchiare, nonostante l’orecchia arrossata, e la sua risata cristallina contagiò Martina che si lasciò andare ad un riso liberatorio e rumoroso e Sarah, nonostante la perplessità e lo spavento a causa dalla semi-aggressione dell’amica a Legolas, vedendo le due persone da lei più amate così allegre si sciolse e non poté fare a meno di ridere a sua volta.
Martina, non contenta della sua precedente trovata si attaccò ai capelli di Legolas e tirò leggermente causando una nuova ondata di risate…
“Tutto ok! Niente parrucca!”
“Insomma Martina!” esclamò Legolas tra una risata e l’altra “ci credi che sono vero, adesso che hai potuto tastare con mano?”
“Si… “ammise Martina sorridendo “devo ammettere che m' ero sbagliata. Sarah!” disse poi rivolta all’amica, ”dove l’hai pescato questo pezzo d’uomo??? Cavolo, ha proprio tutto al posto giusto!”
Così dicendo squadrava Legolas divertita mentre l’Elfo stava arrossendo visibilmente… Nel frattempo Sarah aveva assunto un colorito prossimo al violaceo.
“Martina! Ti prego, controllati… ti spiegherò tutto con più calma domani. Per ora ti basti sapere che lui è Legolas, si, proprio quello del libro di Tolkien; ho scoperto che il suo mondo esiste davvero, in una dimensione parallela alla nostra ma che non c’è dato di vedere… e’ difficile da spiegare Martina, ti prometto che ti dirò tutto quello che vuoi sapere ma ti prego non dire assolutamente a nessuno di quello che hai visto qui stasera.”
“Ho mai tradito i tuoi segreti, Sarah?”
“No, mai… ma questa volta è diverso. Se qualcuno dovesse sapere di Legolas non sarebbe solo una questione della mia reputazione, che ormai è già completamente minata… non c’è nessuno in questo paese disgraziato che ritenga sano il mio cervello. Il fatto è un altro, Martina: se qualcuno venisse a sapere delle visite notturne di Legolas lui…” una piccola pausa, a Martina parve che il volto di Sarah stesse sbiancando “…lui non potrebbe più farmi visita, il passaggio tra i nostri due mondi dovrebbe essere chiuso in modo definitivo e irreversibile e io… io questo non potrei sopportarlo.”

Per un attimo nella sala calò il silenzio, poi Legolas si alzò dalla poltrona e si avvicinò al letto di Sarah, dove erano sedute le due ragazze e cinse con il braccio le spalle di Sarah. Martina fu intenerita da quel gesto, si rese conto che c’era qualcosa di magico tra la sua amica e quella creatura fantastica, o per lo meno qualcosa di incredibilmente importante stava nascendo. No, mai per nessun motivo avrebbe rovinato la felicità di Sarah rivelando il suo segreto a qualcuno.
Da quanto tempo non vedeva gli occhi dell’amica brillare in quel modo? Da quanto non era così felice? La realtà è che non aveva visto mai Sarah così luminosa, così piena di gioia; sembrava che non potesse contenerla, che dovesse fuoriuscire da lei da un momento all’altro. E poi le venne l’istinto di sorridere, vedeva Legolas e Sarah, persi uno negli occhi dell’altra, lui le accarezzava delicatamente i capelli posandole dolci baci sulla fronte mentre lei teneva tra le sue le mani dell’elfo, affusolate ed eburnee.
Si rese improvvisamente conto che in quel mare di tenerezza e di dolcezza lei era di troppo ed emise due leggeri colpetti di tosse per richiamare l’attenzione dei due.
“Ehm… Piccioncini miei… Credo proprio che voi due desideriate stare soli, per cui levo il disturbo…” Sarah si alzò dal letto per accompagnarla e Martina scoppiò a ridere.
“Tranquilla gioia, conosco bene la strada… Tu resta qui col tuo principe azzurro, non vorrei che si trasformasse in una zucca in tua assenza!”

Detto questo se ne andò sorridendo tra sé e sé… Aveva capito poco o nulla della storia di Legolas, ma in fin dei conti era davvero così importante? Sarah le avrebbe sicuramente raccontato la vicenda nei dettagli e l’unica cosa importante era che Sarah fosse felice, e di certo lo era. Tutto il resto poteva anche andare al diavolo, abitanti di quel paese meschino compresi!

Legolas e Sarah, soli in quella grande casa, si spostarono nuovamente sul soffice tappeto davanti al camino, il loro luogo preferito… e li rimasero abbracciati in silenzio, per alcuni minuti.
“Grazie Legolas, davvero…”
“Di cosa, híriel (principessa)?”
“Di tutto Erníl nîn…(mio principe) Grazie per avermi permesso di parlare a Martina di noi due, grazie per aver portato nella mia vita questa luce meravigliosa, grazie perché ci sei e mi stai vicino…”
Legolas la interrupe poggiandole due dita sulle labbra, guardandola fissa negli occhi, quel verde che lo stregava; carezzò quelle labbra morbide e sensuali, appena socchiuse che lasciavano intravedere debolmente il bianco candido dei suoi denti.
Improvvisamente Legolas s’inginocchiò di fronte a lei e le prese il viso tra le mani, quasi con irruenza, la stessa irruenza dei bambini, irruenza e innocenza, dolce mescolanza che strega il cuore e annebbia i sensi. Sarah rimase stupita fissando quel viso stupendo di fronte al suo, così vicino al suo.
“Sarah…”
Un attimo di silenzio, così lungo, così breve, così pieno di silenzio, in cui era così facile sentire il crepitare del fuoco e il loro respiro che giocava tra i loro due profili.
“I melin le…”
A Sarah si bloccò il respiro, le sembrò di sprofondare in un mare di calore, guardava Legolas come in trance, come paralizzata dall’emozione che la pervadeva come un fuoco. “Sarah, tu capisci quello…”
Questa volta fu lei ad appoggiare con delicatezza la punta delle sue dita sulle labbra di lui per interromperlo.
“Ho capito benissimo Legolas… Ti amo anch’io.”
Si abbracciarono con forza, appigliandosi l’uno all’altra, come per sostenersi nell’affrontare tale situazione.
Si rendevano conto entrambi che per due persone come loro, di razza così diversa amarsi poteva essere la cosa più difficile del mondo, persino pericolosa.
Legolas percepiva i pensieri di Sarah, la sua paura di perderlo, il suo sconforto; sentimenti cosi vicini ai suoi, così simili ai suoi, i suoi stessi sentimenti.
Parlò senza quasi rendersi conto di farlo, senza sciogliersi da quell’abbraccio, con il viso affondato in quella massa di riccioli rossi che profumavano di fiori, di erba di vita.
“Sarah… Non ho chiesto io d’incontrarti, di perdermi nei tuoi occhi, d’innamorarmi di te… Il destino ci ha stregato entrambi…Ora per nessun motivo ho intenzione di rinunciare a tutto questo, questo sentimento così forte, questa gioia che ci pervade.
E’ nostra e ti prometto che non permetterò a nessuno di portarcela via, ci appartiene. Ora e sempre.”

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 8: Una notte senza lei ***


CAPITOLO 8: Una notte senza di lei
Era così bello rimanere tra le sue braccia, Sarah non si accorgeva nemmeno delle ore che passavano, della notte che moriva, della sottilissima falce di Luna che tramontava…
E i giorni si susseguivano come le onde del mare, come le foglie che cadono dagli alberi in autunno, ma ormai per Sarah non erano più giorni vuoti, giorni amari, giorni senza senso… La sua vita scorreva grazie a quello che stava nascendo tra lei e Legolas, ora tutto aveva senso; certo, la paura per l’incertezza del suo futuro ancora non era scomparsa, eppure per la prima volta sentiva di essere in grado di affrontare ciò che la vita le avrebbe messo di fronte, perché ora non era più sola.
Da quando passava tutte le sue notti con Legolas quasi non dormiva più, eppure non si sentiva poi così stanca, forse semplicemente perché era felice e la felicità la nutriva come una linfa.

“La mia vita è iniziata da quando ti ho conosciuto Legolas… Che cos’ero prima d’incontrarti? Un corpo vuoto senz’anima, un bocciolo isterilito dal gelo che ora germoglia e sboccia, un ruscello che ricomincia a scorrere dopo tanto tempo.”
“E tutti gli anni che ho vissuto senza di te mi appaiono così vuoti e futili… per centinaia e centinaia di anni la mia è stata solo sopravvivenza, ora, per la prima volta, vivo… Questa manciata di giorni con te vale più di mille vite in Anor…Ned nîn melui elei i gell bor thiant hammen o elin (Nei miei sogni più belli la felicità non è mai apparsa vestita di stelle).
“ Io non avevo più sogni, solo incubi caliginosi… e ora è tutto così perfetto. Tutto questo è vero reale, eppure così fragile… Vorrei solo non provare tutta questa paura.”
“Non lasciarti vincere da i timori, troveremo una soluzione, per ore voglio solo vivere questi giorni, questi momenti, questo singolo istante perso nel verde dei tuoi occhi.”
La baciò quasi con foga, come timoroso che Sara potesse volar via come una farfalla e lei rispose a quel bacio. Con la stessa dolce ed innocente irruenza, con la stessa passione.
E che strana sensazione stava provando… Le labbra morbide di Legolas che esploravano la sua bocca, la sua lingua che accarezzava le sue labbra… si sentiva come se per la prima volta stesse baciando qualcuno, eppure non era così. Quanti uomini e ragazzi aveva già baciato? Tanti, sempre inadatti per lei, troppo diversi o troppo lontani per darle quella serenità che tanto andava cercando.
Ora le sembrava di essere rinata, come se il bacio di Legolas la stesse purificando, circondò le sue spalle con le braccia, mentre sentiva le mani dell’elfo scivolare sinuose sul suo collo.
Erano semisdraiati sui cuscini accanto ad un fuoco ormai morente e al tocco di quelle mani sul suo corpo Sarah si rese conto di quanto lo desiderasse. In quel momento sentiva che sarebbe stata capace di spingersi oltre, anche se lo conosceva così poco, a costo di sembrare spregiudicata o dissoluta… che il mondo intero andasse pure al diavolo! Voleva solo che quel momento non finisse mai più.
E un pensiero le nacque dal cuore: se è un sogno non voglio svegliarmi mai più…

E in quel momento apparvero i primi bagliori di un pallido sole di marzo, filtrarono debolmente dai vetri della stanza, appannati dal loro respiro, dal calore del fuoco. La nebbia avvolgeva quel freddo mattino, quasi esitante a liberarlo dall’oscurità notturna; oscurità che preserva, oscurità che protegge, rifugio di amanti clandestini e di leggende dimenticate.
“Palla gialla ci ricorda con estremo tempismo l’avvento del mattino… Devi andare, vero?”
La voce di Sarah appariva quasi supplichevole, quasi come dicesse a Legolas “ti prego, dimmi di no”, era così ogni volta, ogni maledetto mattino, inconsciamente, dentro di se temeva che Legolas non sarebbe tornato la sera successiva, similmente ad un miraggio indistinto, la paura non l’aveva abbandonata, non del tutto almeno…
“Si, devo andar via… sai bene che è l’ultima cosa che vorrei, ma non posso restare qui durante il giorno.”
“Perché? Non capisco… non voglio che la mia felicità sia sempre così frammentaria. Resta, ti prego… Almeno per oggi.”
“Non posso híriel nîn (mia principessa), ti spiegherò tutto ma ora devo andare… Prima che il sole sorga, prima che la notte muoia… Sarah…
” “Cosa?”
“Domani notte non potrò venire da te.”
Gli occhi di Sarah parvero ancora più grandi, come se si fossero dilatati dallo spavento. “Che significa?” sembrava allarmata, ancora quella dannata paura che lui potesse non tornare.
“Domani notte sarà una notte senza luna e senza la luce di Ithil il passaggio tra i nostri due mondi non può essere utilizzato.”
“Funziona con la luce?”
“Si, è sicuro e molto veloce, ma per una notte al mese bisogna farne a meno… Ci vediamo fra due giorni” così dicendo si chinò su di lei, baciandole teneramente le labbra, poi si avvicinò alla finestra, vicino alla quale scompariva sempre, come inghiottito dalla luce…
Sarah si protese verso di lui e lo trattenne, tirandolo per una manica della casacca “Devo andare Sarah, la luna è gia tramontata, se non mi sbrigo il passaggio si chiuderà.”
Sarah non disse nulla e baciò intensamente le sue labbra, stringendo a se quel corpo perfetto. “So già che mi mancherai… una lunga notte senza luna e senza colui che amo.”
Lui le sfiorò il viso con la punta delle dita.
“A presto principessa…”
Uno sguardo intenso e dolce per un solo istante, poi disparve.
E fu come se un fulmine l’avesse colpita, una consapevolezza accecante la pervase nel momento stesso in cui lui sparì; la fragilità, la precarietà, l’insicurezza e l’inutilità della sua vita le divennero improvvisamente così chiare, come stampate a caratteri cubitali davanti ai suoi occhi.
“Se dovessi perderlo io morirò.”

Legolas afferrò l’ultima luce di Ithil appena in tempo, cadde con malagrazia insolita per un elfo sulla sabbia bianca della spiaggia.
“Passaggio malefico” borbottò tra se massaggiandosi il fianco indolenzito per la caduta “ è gia giorno, devo sbrigarmi”
Costeggiò per un breve tratto la spiaggia, poi s’inoltrò nel bosco che portava ad Alqualonde. Quel bosco per Legolas era sempre stato un dono divino, amava rifugiarsi tra i fitti alberi quando voleva star solo, in tranquillità, senza vedere nessuno. Quella fitta macchia separava la città e il suo meraviglioso candido porto dalla spiaggia, una spiaggia così bella da sembrare magica.
Al passaggio si accedeva da alcune rocce isolate circondate dalla sabbia bianca, vicino all’acqua limpida, tanto che a volte le lambiva durante l’alta marea.
Aveva scoperto quel collegamento col mondo di Sarah quasi per caso, da sempre amava quelle rocce, passava ore intere immobile seduto su esse, fissando il mare, quasi si aspettasse di veder comparire all’orizzonte la Terra di Mezzo. Non avrebbe mai pensato di essere seduto proprio sotto al passaggio, nemmeno sapeva che quel passaggio esistesse…poi un giorno, quando ormai da tempo osservava Sarah nella pietra magica, aveva sentito per caso, nei giardini del palazzo, Elrond e Galadriel parlare di quel collegamento. E poi la sua curiosità aveva avuto il sopravvento, insieme al desiderio di vedere quella ragazza dai capelli di fuoco, di parlarle, di conoscerla.
In che guaio si era cacciato, per i Valar! Cosa poteva fare ora? Che cosa doveva fare? Non poteva andare avanti così per sempre, quel passaggio non sarebbe stato lì in eterno…
“Ma come siamo mattinieri oggi!”
I suoi pensieri furono bruscamente interrotti, sollevò la testa e si trovò davanti il volto sorridente di Aragorn e quello vagamente inquisitorio di Arwen.
Per un attimo si sentì perso *Controllati! Non far sì che possa leggere i tuoi pensieri*
“Buongiorno…” la sua voce gli parve incredibilmente falsa, che cosa gli stava succedendo? Dov’era finita la sua famigerata impassibilità elica?
“Cosa fai in giro a quest’ora, Legolas?” Aragorn gli sorrideva gioviale, mai come in quel momento l’elfo aveva desiderato che l’amico si levasse di torno.
“Passeggiavo, sono arrivato fino al mare… Stanotte non ho riposato molto bene”
Voleva solo andarsene, stava facendo di tutto per evitare di specchiare i suoi occhi in quelli di Arwen, poteva immaginarseli però, sicuramente lei capiva che c’era qualcosa di strano… e lui continuava a fissare inebetito le punte dei propri stivali, maledizione!
“Beh io vado ora… Avevo promesso a Gimli che stamattina sarei passato da lui.”
“Perché non ti unisci a noi per un’altra passeggiata?” era la voce di Arwen che lo invitava, “tanto dopo la colossale bevuta di sidro di ieri sera non penso che Gimli metterà il naso fuori dalle coperte prima di mezzogiorno…A proposito, perché ieri non sei stato con noi? Dov’eri?”
Ora DOVEVA assolutamente andarsene se non voleva rimanere invischiato in quella situazione imbarazzante e molto pericolosa per il suo segreto.
“Oh… io avevo solo voglia di… di stare solo. Beh, ora vado… Non ho alcun’intenzione di reggere la candela alla coppietta più bella di Eldamar! Ci vediamo più tardi.”
Un sorriso un po’ troppo falso e il suo incamminarsi a passo un po’ troppo rapido passarono inosservati ad Aragorn, ma non sfuggirono ad Arwen.
“Aragorn, sbaglio o era più strano del solito? Ultimamente è così sfuggente…”
“Fose l’abbiamo solo preso in un momento sbagliato, sai com’è fatto: quando è in compagnia dei suoi pensieri non gradisce interferenze… Su, vieni, andiamo fino al mare…”

E i due si allontanarono abbracciati, mentre Legolas quasi correva verso il palazzo di Elrond, sperando solo di non incontrare più nessuno.
Oltrepassò la porta in fretta, quasi corse per i corridoi e lungo le scale, poi si fiondò nella sua stanza e si chiuse dentro. Si appoggiò alla porta, lasciandosi scivolare seduto a terra… Voleva stare solo, doveva riflettere. Quasi con furia aprì la porta della stanza da bagno e iniziò a far scorrere l’acqua bollente nella vasca, si strappò di dosso i vestiti e s’immerse in quel calore.
Doveva stare calmo, altrimenti poteva dire addio a Sarah e ai suoi sogni, già calmarsi, ma per quanto poteva andare avanti così? Certo non per molto, prima o poi Aragorn avrebbe capito tutto e prima di lui di certo ci sarebbe arrivata Arwen, da troppo tempo ormai lo fissava incuriosita e sospettosa. E non appena si sarebbe resa conto che qualcosa non andava ne avrebbe parlato col padre, e allora sarebbe stata la fine di tutto.
“Dannazione!” Legolas percosse l’acqua violentemente con il pugno chiuso, schizzandosi il viso di minuscole gocce bollenti, “Elrond prima o poi lo saprà, ma mi serve dell’altro tempo” E una lacrima solitaria rigò il suo viso, confondendosi con le gocce d’acqua.
Rimase nell’acqua fino al pomeriggio, fino a quando la sua candida pelle non fu arrossata e macerata, poi si decise ad uscire e vagò per qualche minuto nella stanza, senza niente addosso, lasciando dietro di se una scia d’acqua e di schiuma.
“Oh… che disastro!” si asciugò rapidamente e indossò una tunica pulita bianca e dei pantaloni rosso scuro; avrebbe parlato con Gimli, l’unico che sapeva, che poteva capirlo, che poteva consigliarlo.

La casa di Gimli in quel giardino era la cosa più fuori posto che si potesse immaginare, tozza, bassa, essenzialmente nanica!
Ma era anche così rassicurante, o almeno così era per Legolas, che amava passare il tempo in compagnia dell’amico… e probabilmente era così anche per la maggior parte dei bambini che popolavano la città. La casa di Gimli si era lentamente trasformata in un parco giochi alternativo per tante deliziose creaturine dalle orecchie a punta, che lo chiamavano”zio Gimli”, che volevano ascoltare le sue meravigliose storie e assaggiare le sue sostanziose merende.
Anche quel giorno i bambini erano numerosi e chiassosi mentre giocavano con Gimli di fronte alla casa, Legolas li osservò teneramente, ma soprattutto si concentrò sull’amico, era così felice…
Si avvicinò senza far rumore e si appoggiò allo stipite della porta, rimanendo in silenzio fino a quando il nano, esausto e particolarmente scapigliato, si sedette a riprendere fiato di fronte all’uscio, continuando a tener d’occhio i bambini che si rincorrevano sul prato. “Secondo me ti diverti più tu di loro”
Gimli si voltò sorpreso. “E tu da dove salti fuori, orecchie a punta? Mi hai spaventato.”
“Oh… io vi osservavo gia da un po’, sembri così felice, è così bello starvi a guardare…”
Gimli notò un velo di malinconia negli occhi azzurri dell’amico, sapeva della sua pena, sapeva del suo dolore e delle sue paure.
“Cosa succede Legolas? Sei così abbattuto.”
“Devo parlare con te.”
“Tranquillo, ho capito, entra in casa, ti raggiungo subito.”
Legolas s’inoltrò nel regno privato dell’amico… Lo sentì parlare ai bambini…
“Su, su, a casa ora… Zio Gimli oggi ha da fare, è una cosa importante. Niente proteste, piccole canaglie! Domani vi preparerò la mia ottima torta di mele, ora andate però…”
Legolas udì la piccola orda allontanarsi, poi l’amico comparve sull’uscio e richiuse la porta dietro di se, con la sua usuale scarsa delicatezza.
Si sedette senza fatica su una sedia di fronte a Legolas, che appariva tanto grande seduto a quel tavolo costruito a misura di nano.
“Cos’è successo amico mio?”
Legolas fissava il fuoco scoppiettante, quasi ipnotizzato dalle fiamme.
“Stanotte non potrò andare da lei, la Luna questa sera non sorgerà.”
“Oh Legolas! Ti prego non fare così, si tratta solo di una notte, domani la rivedrai.”
“Non è questo Gimli, il non vederla sta sera mi rende ancor più consapevole dell’indissolubilità del legame che si è creato tra noi, quando quel passaggio verrà chiuso i miei sogni moriranno… e io con loro.”
“Non voglio sentirti parlare così, lo sai!” gli occhi di Gimli fiammeggiavano. Si alzò di scatto e si avvicinò alla dispensa, tornando rapidamente con due immense fette di dolce al miele. “Mangiala tutta! Tante vitamine ed energia…”
“… e la pesantezza di un macigno di granito” Legolas sorrise debolmente, ormai conosceva i dolci dell’amico, adatti più all’appetito di un nano che a quello di un elfo. Ma le premure dell’amico riuscivano sempre a farlo sentire un po’ meglio.
“Elrond e gli altri capi hanno già discusso del passaggio?” chiese Gimli parlando con la bocca piena.
“Non ancora, credo si riuniranno la settimana prossima, ma in ogni caso l’esito della discussione è più che scontato.”
“In che senso?” Gimli lo fissava, la forchetta con infilzato un pezzo di dolce a mezz’aria. “Il passaggio verrà di certo chiuso, ormai non serve più a nessuno ed Elrond non fa altro che ripetere quanto sia pericoloso tenere aperto un contatto fra noi e il “mondo basso”, si ostina a chiamare così la terra… Galadriel è d’accordo con lui e gli altri tre non potranno che approvare, vivono qui da sempre e diffidano degli uomini moderni ancor più di noi che abbiamo vissuto sulla Terra di Mezzo.”
“Cosa pensi di fare?”
“Non lo so, non faccio altro che pensare ad una possibile soluzione ma davvero non so che fare… Spero solo che mi venga concesso altro tempo.”
“Tempo?”
“Si, tempo. Quando ho origliato la conversazione di Elrond e Galadriel, nel giardino del palazzo ho sentito che lei diceva qualcosa a proposito della possibilità di chiudere il passaggio solo in determinati momenti del ciclo delle stagioni, penso per il fatto che il suo funzionamento sia legato alla luce luna… Insomma, non sono riuscito a sentire bene, ma sono quasi sicuro di questo.”
“Quindi possiamo solo aspettare…” Gimli era pensieroso, “A Sarah l’hai detto questo?”
“Non ancora…”
“Legolas!!”
“Lo so, devo farlo, ma mi manca il coraggio… Leggo già tanta preoccupazione nei suoi occhi per questa situazione… Ha sofferto così tanto nella sua vita, Gimli, non ho la forza di arrecarle altro dolore, preferisco aspettare e parlargliene quando avrò notizie più certe…”
“Non serve a nulla aspettare se già sai che il passaggio verrà chiuso, anzi, sarebbe meglio che voi due cominciaste a discutere su ciò che farete quando questo avverrà…”
“Non voglio perderla, è l’unica cosa che so… Se non ci saranno altre possibilità io sceglierò di rimanere con lei nel suo mondo.” Legolas abbassò gli occhi sul suo dolce non finito.
“Sei impazzito!” Gimli battè con violenza la mano sul piano del tavolo, “Sai benissimo che non resisteresti più di qualche giorno in quel mondo, ti avveleneresti e per che cosa? Per tre, forse quattro miseri giorni di felicità?”
“Che altro posso fare?” Legolas si prese la testa tra le mani, “Mi sembra di cadere in un pozzo senza fondo”
“Su, su, non fare così ora, vedrai che troveremo una soluzione... ora cerca di calmarti e di essere felice con lei… comunque rimango dell’idea che dovresti parlarle.”
“Parlare a chi, vecchi cospiratori?” I due si voltarono di scatto verso la porta socchiusa, il viso di Aragorn faceva capolino, sorridente come sempre, dall’apertura.
Legolas assunse un colorito terreo e rimase in silenzio, Gimli balzò giù dalla sedia e si avvicinò ad Aragorn, iniziando uno sproloquio il cui scopo era quello di distrarre Aragorn dall’evidente imbarazzo dell’elfo.
“Oh Re Elessar, che onore averti qui tra noi, accomodati, permettimi di offrirti una fetta del mio dolce.”
Ma anche dopo che Aragorn fu seduto, con una fetta di dolce oscenamente grande davanti a lui, la sua curiosità non era diminuita.
“Allora Legolas, a chi è che dovresti parlare? Una donzella, vero?”
“Beh, ecco…io…” Gimli intervenne prontamente.
“Lui dovrebbe parlare chiaramente con Milúviêl…sai, sempre la solita storia.”
“Non demorde la fanciulla, eh!?”
“Già, insiste…” confermò Legolas laconico.
In fin dei conti quella era solo una mezza bugia, Milúviêl, figlia di Firnôn, uno dei sovrani di Eldamar, lo corteggiava con insistenza sin da quando lui aveva messo piede ad Alqualonde e, nonostante i suoi ripetuti rifiuti sembrava non avere la minima intenzione di rinunciare al suo progetto di accaparrarsi il bell’elfo. Suo padre, re Thranduil caldeggiava di continuo le nozze tra ilo figlio e Milúviêl e ogni volta che s’incontravano (sebbene Legolas facesse in modo che ciò non avvenisse troppo spesso) non faceva altro che decantare le doti della principessa elica, ma il figlio non ne voleva sapere. Non che Milúviêl non fosse bella, in verità lo era, e molto, ma aveva una strana luce negli occhi, una luce che a Legolas non piaceva, una luce quasi cattiva.
“E’ per questo che ultimamente il tuo umore è così torbido?” chiese Aragorn, senza smettere di magiare con sommo piacere il dolce di Gimli.
Legolas lo fissò con i suoi meravigliosi occhi azzurri, sentiva le lacrime bruciare sotto le palpebre… No! Non doveva piangere, doveva inventarsi una scusa plausibile e doveva farlo subito.
“Anche, ma non solo… Sono molto stanco ultimamente e non riesco a riposare bene, per questo stamattina passeggiavo così presto.” Si, come scusa era abbastanza convincente. “Dovresti chiedere ad Elrond qualcuna delle sue erbe per tirarti un po’ su, in fin dei conti le sue tisane non sono poi così cattive.”
L’intervento di Gimli spezzò la tensione.
“Ma quali erbe ed erbe?!? Quello che ci vuole è una cena sostanziosa, stasera siete miei ospiti tutti e due e non voglio sentir parlare di donne! Solo discorsi virili per tre eroi come noi: draghi, tesori, battaglie e armi! Aragorn, sii così gentile da andare a prendere altra legna da ardere nel portico, io intanto allestirò la cena con l’aiuto di Legolas.”
Appena l’uomo uscì Legolas si rivolse al nano con gratitudine.
“Sei un amico, mi tiri sempre fuori dai guai… grazie di cuore.”
“Figurati orecchie a punta, ma dobbiamo stare più attenti. C’è mancato poco.”
“Già”, rispose Legolas assorto “molto poco.”
Aragorn rientrò, inciampò nelle asce di Gimli sparse per tutta la casa e rovinò a terra con il suo carico di legna, migliorando notevolmente l’umore di Legolas.

Così la serata trascorse molto più lieta di quanto Legolas si sarebbe mai aspettato; i racconti virili, lo stufato di Gimli, la compagnia e le battute dei due amici gli fecero dimenticare per qualche ora la sua grande pena, ma fu solo un illusorio palliativo.
Rientrato nella sua stanza estrasse da uno scrigno la pietra incantata che usava per osservare Sarah, era tonda, liscia e quasi opalescente.
“Mostrami ciò che il mio cuore desidera” e Sarah apparve. Era in riva al mare, seduta nello stesso posto in cui si erano seduti insieme quella notte, quando dovevano osservare i nidi di gabbiani. Gli occhi fissi sulla linea dell’orizzonte marino, in quella notte buia senza luna nemmeno le stelle brillavano nel cielo coperto da nubi. Chissà a cosa pensava, seduta da sola sulla spiaggia?
Una lacrima cadde dagli occhi di Legolas e poi un’altra, s’infransero sulla pietra che le assorbì, come se fosse una candida spugna.

Sarah fu riscossa dai suoi pensieri, e distolse gli occhi lucidi di pianto dal mare. Le gocce iniziarono a cadere sempre più fitte, una nuova pioggia.
“Anche tu piangi in questa notte triste?” chiese rivolta al cielo.

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 9: Il sonno e l'amore ***


CAPITOLO 9: Il sonno e l’amore
Non appena la luna fu sorta, nonostante ancora non fosse buio del tutto, Legolas piombò nella stanza di Sarah, quasi come una furia; le sembrava di non vederla da secoli, era passato un giorno soltanto da loro ultimo incontro. Fuori pioveva, un temporale imperversava regalando al mondo tuoni e lampi. La furia del cielo faceva quasi paura, la prima notte di primavera sembrava preannunciare l’inferno.
“Oh Valar! So che siete voi a scatenare tutto ciò… che possiate perdonare il mio ardore, ma ho dovuto fare questa scelta.”
Lei non c’era. Solo Phoebe, placidamente distesa sulla poltrona di fronte al camino.
La gatta emise un assonnato miagolio, ma non degnò di particolare attenzione l’ospite inaspettato, rimettendosi subito a dormire.
L’elfo si guardò intorno, si sentiva un po’ a disagio ad essere nella stanza di Sarah senza di lei, senza che lei lo sapesse; si guardò intorno, non aveva mai prestato particolare attenzione alla camera. Lo splendore di Sarah lo affascinava a tal punto che il mondo attorno a loro sembrava perdere colore e consistenza, un debole sfondo senza alcun’importanza. Non si era mai sentito in quel modo, il suo cuore batteva così forte mentre si aggirava per quella stanza.
Quella stanza, tutta di legno scuro e rossastro, sempre illuminata dai deboli bagliori provenienti dal camino, il grande letto dalle coperte soffici e bianche in un angolo, la scrivania luminosa e ricoperta dal materiale da disegno della ragazza. Due grandi armadi scuri, una cassettiera, tante mensole piene di libri e un grande specchio dalla cornice intagliata proprio a fianco al camino, davanti al quale c’era la pesante poltrona occupata da Phoebe.
*E’ così diversa dalla mia camera a palazzo…* pensò Legolas.
Per lui quell’ambiente era cos’ strano, tutte quelle forme così diverse da quelle del mondo elfico a lui così familiare. Sullo schienale della poltrona giaceva il pesante maglione di Sarah, lo sfiorò delicatamente con la punta delle dita, poi, quasi senza accorgersene vi affondò il viso, aspirando quel profumo.
Perché si sentiva così accaldato, così intontito? Possibile che bastasse solo l’odore di Sarah per fargli perdere il controllo.
“Legolas! Mi hai spaventato!”
Lui si voltò di scatto facendo cadere il maglione proprio sopra a Phoebe che gli mostrò i denti, molto irritata da quel disturbo improvviso.
Sarah lo guardava appoggiata ballo stipite della porta, indossava un accappatoio color crema ed era a piedi scalzi, i suoi capelli bagnati rilucevano di minuscole goccioline; Legolas non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, stava arrossendo… doveva smettere di fissarla in quel modo.
“Scusa…”, balbettò “sono arrivato presto, ma non ce la facevo più a starmene nel palazzo ad aspettare. Mi sei mancata…” così dicendo le si avvicinò e la baciò con tenerezza sulla punta del naso. “Sei bellissima…”, poi sorrise… “Ma tutta bagnata!”
Lei ricambiò il bacetto sul naso sorridendo con malizia.
“Esco adesso dalla vasca da bagno mio esigente principe… anche tu mi sei mancato.”
Legolas guardò in quegli occhi, erano così limpidi…Senza rendersene conto la spinse delicatamente contro la parete e la baciò con trasporto, stringendola tra le sue braccia. Se soltanto quell’attimo fosse durato per sempre, in eterno.

Legolas si scostò leggermente e le prese entrambe le mani.
“C’è una cosa che devo dirti Sarah, non molto piacevole purtroppo.”
Lei lo guardava, i suoi occhi spauriti sembravano così grandi. Senza dire una parola, sempre tenendolo per mano, lo condusse fino al letto, dove entrambi si sedettero.
Non un suono dalle sue labbra, lo guardava interrogandolo con gli occhi, in silenzio gli chiedeva di parlare.
“Forse avrei dovuto dirtelo prima, ma sono stato un vigliacco e non ho avuto il coraggio di farlo. Il passaggio che unisce i due mondi non rimarrà lì per sempre, sai cosa significa questo?”
“Che non potrai più venire qui.” Lei guardava fisso davanti a se, ma il suo sguardo sembrava oltrepassare la figura di Legolas, fisso su di un punto indistinto dietro di lui.
“Quel passaggio ora non serve più a nessuno, Elrond e Galadrie lo ritengono molto pericoloso per noi elfi e non hanno intenzione di lasciarlo lì ancora per molto.
Gli occhi di Sarah si specchiarono profondamente in quelli di Legolas che potè vedere due lacrime scorrere su quelle guance eburnee.
“Quando?”
“Ancora non si sa, i sovrani ne discuteranno la settimana prossima credo… Il passaggio può essere chiuso solo in alcuni momenti dell’anno, per il fatto di essere prodotto dalla luce lunare, forse possiamo guadagnare un po’ di tempo, ma presto o tardi dovremo affrontare il problema.”
Lei non parlava, continuava a fissarlo con quello sguardo smarrito pieno di disperazione.
“Sarah…di qualcosa, ti prego…”
“Cos’è Legolas? Un addio? Se è così dillo subito perchè ho il diritto di saperlo, l’ho già vissuta una volta questa situazione.”
Questa volta fu lui a guardarla senza sapere cosa dire, lei continuò.
“Cosa credi che sarà la mia vita senza di te? Dimmelo tu come farò ad andare avanti, perché io non lo so! Non puoi comparire dal nulla, stregarmi in questo modo, farmi innamorare di te e poi abbandonarmi al mio destino. Io non sono pronta ad andare avanti da sola, non lo sarò mai ora che ti ho conosciuto.
Lui le prese il viso tra le mani, avvicinandolo al suo.
“Guardami Sarah”
“No…” lei teneva gli occhi bassi.
“Ti ho detto di guardarmi.”
Lei sollevò debolmente gli occhi, stravolti, bagnati di lacrime.
“Per noi non ci sarà mai un addio, principessa. Dovesse anche crollare il cielo Sarah, io non ti abbandonerò. Sei la cosa che più conta nella mia vita. Quando quel passaggio verrà chiuso io rimarrò con te, noi due saremo insieme, io nel tuo mondo o, se lo vorrai, tu nel mio… finchè i Valar lo riterranno giusto, ma comunque insieme. Fidati di me, ti prego… Io ho gia fatto la mia scelta e ti ho donato il mio cuore, non si torna indietro.

Si guardarono per un tempo che parve interminabile. Legolas sentiva il profumo di Sarah inebriarlo, la desiderava più di qualunque altra cosa, non aveva mai provato un sentimento così forte per nessuno. La strinse a se e posò le sue labbra su quelle di lei, accarezzandole le guance e il collo dolcemente. I baci tra loro erano così intensi e profondi e i loro corpi chiedevano di più.
Sarah non riusciva a pensare a nulla, Legolas continuava a baciarla, baci che sapevano essere dolci e infuocati al tempo stesso, poteva sentire il suo ardore e il suo desiderio attraverso le sue carezze, attraverso quelle mani che la percorrevano. Lui le chiedeva qualcosa di più, qualcosa di più intenso dei dolci baci e delle timide carezze che si erano scambiati fino a quel momento.
Le mani di Legolas indugiavano sui suoi fianchi, per poi risalire timidamente fino il profilo del suo corpo; si posarono sulle sue spalle e dolcemente fecero scivolare giù l’accappatoio, scoprendole il seno. E lei provò lo stesso e irrefrenabile desiderio di spogliarlo, di guardarlo, di sentire la sua pelle contro la propria.
In modo quasi automatico slacciò a Legolas i bracciali di cuoio e lo aiutò a togliersi il mantello, poi la tunica azzurra.. e per un attimo rimasero immobili, fissandosi.
La pelle di Legolas assomigliava al puro avorio, illuminata dai bagliori guizzanti provenienti dal fuoco acceso e scoppiettante, i suoi muscoli parevano incisi, scolpiti, le sue spalle larghe le trasmettevano un senso d’infinita sicurezza, di protezione.
Sarah guardò gli occhi di Legolas e lo sguardo di quella creatura, colmo al tempo stesso di timore e desiderio la stupì incredibilmente; mai nessuno l’aveva guardata in quel modo.
Era come se lui non avesse mai visto nulla di più bello, come se di fronte ai suoi occhi si trovasse un tesoro meraviglioso.
“Legolas… io…”
Lui le appoggiò delicatamente la punta delle dita sulle labbra, senza smettere di guardarla, soffermandosi sull’incavo del suo collo, sulle curve del suo seno… poi un sussurro:
“Sarah… io…io non ho mai visto una donna così…”
“Per forza” rispose lei dolcemente “mi hai detto tu stesso che in Aman ci sono solo creature di razza elfica oltre ai tuoi vecchi compagni della Compagnia.
” Lui la guardò seriamente.
“Io non ho mai amato nessuno prima d’ora…” sembrava non trovare le parole “Sarah… per me questa è… la prima volta, questa situazione è così nuova e inaspettata…”
Per un attimo il silenzio tra loro fu carico d’imbarazzo, pesante come un macigno.
“Legolas… Io…Non posso credere che tu… Com’è possibile che una creatura dolce e risplendente come te non abbia mai conosciuto l’amore?”
“Infatti, l’ho conosciuto, ma esso è sbocciato in me solo da quando ti ho visto… prima che tu entrassi nella mia esistenza io non ero niente.”
Si avvicinò ancora di più al suo viso, con le labbra che quasi sfioravano quelle di Sarah “Le nach i galad nîn, i estel nîn, i cuiad nîn. (tu sei la mia luce, la mia speranza, la mia vita) “Ú… Im ú non i lîn cuiad. Le cuiathach ad aib im firithon (No… io non sono la tua vita. Tu vivrai anche dopo che io sarò morta).
Lo sguardo di Sarah era al tempo stesso così dolce e così triste.
“Legolas… tu non devi legarti a me fino al punto di scordare chi sei; le nostre strade si sono incontrate ma la tua proseguirà da sola, quando la mia s’interromperà, è il nostro destino.”
“Sai perché non ho mai amato nessuno prima di te? Perché il mio cuore non ha mai palpitato prima di incontrare i tuoi occhi?”
Sarah lo fissava, senza rispondere, senza capire.
“Quando un elfo trova il suo amore lo trova per l’eternità. Per noi legarsi a qualcuno significa donarsi totalmente, completamente. Un elfo s’innamora una volta soltanto nella sua eterna esistenza e dona il suo cuore, la sua anima ed il suo corpo ad una sola persona. Prima di te non c’è stata nessun’altra e mai ci sarà qualcuno dopo di te. Il mio cuore ora è tuo, non si torna indietro.”
“Tu non puoi legarti a me, altrimenti tu…” le parole le morirono in gola “…le firitach (tu morirai)”
“Sarah… io sono già legato a te…e voglio donarti tutto di me, ogni cosa. Hai gia il mio cuore, voglio che anche il mio corpo sia tuo.”
Detto questo posò un bacio delicato sulla fronte di lei, poi le sue labbra scesero sul corpo di Sarah, sul suo collo bianco, fino all’incavo del suo seno. Se una parte di Sarah avrebbe voluto fermarlo l’altra lo desiderava ardentemente, non poteva più fare a meno di lui, voleva averlo subito, in quel preciso istante. Legolas era così bello e la desiderava allo stesso modo in cui lei voleva lui.
La adagiò sul letto e scivolò su di lei.

“Legolas… aspetta, ti prego. Per te non è giusto, noi non…”
“Avo pedi, Sarah…Leitho in elin tirir am men sen daw. Im aníron le, aníron le si…” (non parlare, Sarah… Lascia che le stelle vigilino su di noi questa notte… Io ti voglio, ti voglio adesso.)
“Anch’io ti desidero ma… dan gerin achas” (ma ho paura)
“U grogo… (non temere) Non respingere il nostro amore… “
La baciò intensamente sulle labbra.

E lei giaceva li, tra le sue braccia, combattuta tra il desiderio di fare l’amore con lui, di donarsi a quella creatura meravigliosa, e la consapevolezza che quella non era la cosa più giusta da fare, perché entrambi avrebbero finito per soffrire. Che sarebbe stato del loro amore in futuro? Sarebbe stato per sempre un amore nascosto, clandestino, braccato, ferito, mortificato; un amore senza futuro, perché la loro diversità li avrebbe comunque e sempre divisi, come un sottile vetro, una barriera impalpabile ma persistente. E quando lei sarebbe invecchiata? Cosa avrebbe fatto Legolas quando lei alla fine sarebbe morta? Costretto a veder sfiorire il corpo della sua amata, mentre lui si sarebbe preservato in eterno, perfettamente, totalmente. E poi quelle parole che lui le aveva sussurrato “Un elfo s’innamora una sola volta nella sua eterna vita…” Si rendeva conto che con la sua morte l’avrebbe ucciso.
Così, sebbene lo desiderasse con un’intensità e un trasporto che mai avrebbe creduto possibili dentro di lei la sua anima piangeva. Perché la loro battaglia contro il destino era già persa in partenza, perché quello che stava succedendo tra loro era un meraviglioso sogno, ma niente di più… Non era giusto.
Legolas le lesse nel pensiero e l’accarezzò dolcemente, la cascata dei suoi capelli biondi, infiammati dai bagliori del camino acceso ricadevano dolcemente su di lei.
“Sarah… Non c’è dato di sapere quali siano le cose giuste da pensare, da dire, da fare… Non esistono scelte più giuste di altre, ma solo scelte diverse. E per ogni scelta che facciamo avremo comunque gioie e dolori. Meleth nîn, non voglio che ti preoccupi per me. Preferisco fare scelte che mi vengano dal profondo, voglio seguire il mio cuore. E preferirò certamente pentirmi di aver fatto qualcosa piuttosto che sentir crescere in me il rimorso per aver rinunciato alla persona che più amo. Sarò anche immortale, ma non ho il piacere di tornare indietro nel tempo, ogni occasione alla quale rinuncio sarà comunque persa per sempre.

Lui non smetteva di baciarla, di percorrerla con quelle dita sottili e lei stava cominciando a cedere.
Desiderava così tanto quella creatura che l’aveva fatta innamorare, in quella notte piovosa, distesi sul suo soffice letto, in quella stanza buia, di fronte a loro solo i deboli e caldi bagliori del camino che accendevano i loro cuori… in quella notte desiderava donargli tutta se stessa.
Legolas aveva già fatto la sua scelta, le aveva donato il suo cuore e, come egli stesso aveva detto, non si poteva più tornare indietro. Perché continuare a negarsi la felicità? La sua vita fin ora era stata talmente desolata… Martina le diceva sempre di pensare un po’ più a se stessa, forse aveva ragione…Che il resto del mondo andasse pure al diavolo, in fin dei conti non si era mai curata di lei.
“Legolas…”
“Meleth?”
“Melo nîn…saes.” (Amami… ti prego)
Lui la guardò, come se volesse leggerle dentro, ma non ruppe il silenzio… delicatamente passò la mano sul corpo di Sarah, aprendole l’accappatoio che ormai la copriva appena e facendolo scivolare a terra. Lei finì di spogliarlo in silenzio ed entrambi rimasero ad osservare i loro corpi nudi, su di loro il rosso tremolante delle fiamme, il destino si compiva.

Legolas scivolò sopra di lei, senza smettere di baciarla per un solo istante, mentre le dita di Sarah accarezzavano la sua schiena con movimenti delicati, ali di farfalla che fremevano.
Lui continuava ad esplorare quel corpo, le accarezzava il collo, l’incavo delle spalle, la pancia, solleticandola dolcemente e percorrendo piccoli cerchi intorno al suo ombelico. Le sue mani risalirono e le sfiorarono il seno… la sentì tremare sotto di lui. La accarezzò di nuovo, sfiorando i suoi capezzoli con i palmi delle mani, la vide chiudere gli occhi ed ispirare, come se l’aria non le bastasse più. Avvicinò la bocca a quelle curve sfiorandola con la lingua e a Sarah parve di impazzire, non era mai stata così piena di desiderio e sentiva l’eccitazione dell’elfo contro la sua coscia.
Si lasciò sfuggire un gemito, poi attrasse Legolas a se e lo baciò, iniziando ad accarezzarlo, cercando il suo punto più sensibile, iniziando a muovere la mano su di lui.
“Oh… Sarah” Il suo respiro si faceva rapido.
Improvvisamente le prese la mano e la allontanò da se. Intrecciò le dita di entrambe le mani con quelle di Sarah e le portò le braccia dietro la testa. Lei chiuse gli occhi mentre lo sentiva entrare con delicatezza nel suo corpo, ma un’ondata così forte di calore la pervase, tanto da farglieli spalancare. Gli occhi di Legolas erano fissi nei suoi, sembravano più scuri, più profondi, come se un mare tempestoso li avesse riempiti… non smise per un attimo di guardarla.
Sarah lo sentiva mentre iniziava a muoversi lentamente dentro di lei e le sue sensazioni si amplificavano, diventavano sempre più intense. Il suo cuore non aveva mai battuto così in fretta, il suo respiro non era mai stato così rapido, così spezzato.
“Melin le, Legolas” (Ti amo, Legolas). Lo disse nella lingua dell’elfo, perché voleva che lui lo sentisse davvero, che comprendesse la realtà e la forza dei suoi sentimenti.
Lui rispose nella lingua di lei.
“Ti amo anch’io Sarah… ti amo dal primo momento che ti ho vista.”
Affondò il viso nei capelli di lei, in quell’oceano di fuoco rosso.
“Melithon le an ui, an uir, na i meth uin erdhyn” (ti amerò per sempre, per l’eternità, fino alla fine del mondo).
Sarah sciolse le dita da quelle di lui e lo abbracciò forte, come per aumentare il contatto tra i loro due corpi; si strinse a Legolas piangendo di gioia e di dolore al tempo stesso, perché lo amava, ma in quel momento si rese conto fino in fondo che per lei Legolas aveva rinunciato a se stesso.
Si perse completamente nelle sue sensazioni, lasciandosi andare a quel piacere fortissimo che le imperversava dentro, mentre i movimenti di Legolas divenivano sempre più rapidi, il suo respiro sempre più spezzato, contro il suo collo. E poi fu come se migliaia di stelle si fossero accese improvvisamente nel suo corpo, nella sua testa; il piacere la invase improvvisamente, la sommerse come un’onda, completamente. Senza quasi accorgersene irrigidì le dita, contro la schiena di Legolas, lasciando lievi segni con le unghie; pronunciò il nome di lui, senza smettere di gemere.
Sembrava che l’orgasmo che stava provando non dovesse mai finire… anche Legolas stava perdendo il controllo. Lo vide chiudere gli occhi e spalancare la bocca in un grido silenzioso, mentre il suo corpo s’irrigidì tra le braccia di lei, scosso dai tremiti del piacere; poi si rilassò piano, adagiando la testa sul seno di Sarah, mentre il suo respiro affannoso cominciava a calmarsi.

Per alcuni minuti fu solo pace, silenzio, loro due abbracciati in quel letto davanti al fuoco.
“Legolas… Stai tremando, hai freddo?”
Lui le rispose senza aprire gli occhi:
“Non lo so, è tutto così strano…”
Sarah sorrise e coprì entrambi con una soffice e calda coperta… Legolas ora sembrava un bambino indifeso, a guardarlo così pareva strano che fino a qualche minuto prima la passione avesse imperversato nel suo corpo.
“Sarah…” la sua voce era assonnata, bassa e suadente, “ho provato delle sensazioni così intense… io… era come se il mio cuore dovesse esplodere…”
“Rilassati ora, riposati… Resta qui con me.”
Lui si strinse a lei.
“Che mi sta accadendo? Le mie palpebre stanno diventando così pesanti… Sarah, sono spaventato… io non ho mai dormito, ho paura del sonno… Che mi succederà? Non voglio addormentarmi…”
Sarah, per un attimo rimase perplessa, poi si ricordò che gli elfi non dormono… Legolas si stava addormentando per la prima volta nella sua eterna esistenza.
“Shhh… Sta tranquillo. Quando ti sveglierai io sarò ancora qui accanto a te… Non contrastare il sonno, lasciati andare… libera la mente.”

E lui si addormentò tra le sue braccia, con la testa poggiata sul suo petto. Per la prima volta in vita sua quella creatura conobbe il sonno, dopo aver conosciuto l’amore. Sarah osservò il suo bel viso distendersi e abbandonarsi, lo guardò intenerita per qualche minuto e mai come in quel momento desiderò poter essere un elfo come Legolas.
Poi il sonno rapì anche lei… Per la prima volta da mesi si addormentò libera da qualsiasi pensiero, mentre anche il fuoco ormai s’assopiva nel camino.
Fuori, anche il temporale si era calmato, la notte vegliava su di loro.

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Capitolo 10
*** CAPITOLO 10: Soffocando ***


CAPITOLO 10: Soffocando
“Insomma Gimli… Possibile che nemmeno tu sai dove sia? Ho bisogno di parlargli subito, è una cosa importante.”
“Oh Arwen, ti ho già detto che non ne ho idea… Ma perché ti preoccupi così tanto poi? Lo sai anche tu che ogni tanto lo prende quella sua voglia di isolarsi ed è capace di sparire dalla circolazione per giorni interi. Sarà a bighellonare sulla spiaggia o nel bosco… non è che forse sta con Argorn?”
Arwen lo guardò sospettosa… Era appoggiata allo stipite della porta della casa del nano che la fissava scorbutico come sempre, seduto sul suo letto e già pronto per coricarsi, con le coperte tirate sulle ginocchia.
“Non farmi ridere Gimli! Hai guardato in cielo quanto è già alta la Luna? Aragorn sta già dormendo in camera nostra, era molto stanco dopo la battuta di caccia di oggi… Ti ripeto la domanda: dov’è Legolas?”
“Ma quanto sei noiosa! Senti, non ne ho la minima idea e come hai detto tu è molto tardi, quindi voglio dormire… Cosa devi dirgli di tanto importante da non poter aspettare domani mattina?”
“Questo non ti riguarda!” Gli occhi di Arwen fiammeggiavano e il suo tono stava diventando molto sgradevole…
-Brutto segno- pensò Gimli, -L’elfo femmina ha capito che c’è qualcosa di grosso dietro lo strano comportamento di Legoas-
“Ad ogni modo,” continuò lei lievemente ammansita, “è tutto il giorno che lo cerco per parlargli ma prima è stato a caccia con Aragorn, poi aveva da fare, poi è stata ora di cena… Mi ha detto che avremmo parlato più tardi ma è sparito…” Gimli la interruppe:
“Va bene, va bene, va bene… ho capito! Se per uno strano caso dovesse piombare in casa mia in piena notte giuro che lo condurrò direttamente in camera tua e di Aragorn… Ora, per tutti i draghi, voglio dormire!!” Arwen uscì sbattendo la porta con malagrazia e s’incamminò verso il palazzo, borbottando tra se e se i suoi pensieri.
“Quel nano crede di prendermi in giro così facilmente… Come se non mi fossi accorta che sa cosa c’è dietro a tutta questa storia, è così evidente. Legolas è sempre stato strano, ma ultimamente sembra quasi impazzito… Se non lo conoscessi così bene lo riterrei un puro e semplice folle.
Non fa altro che sparire di continuo, per andare dove poi? Che cosa va a fare per ore ed ore nei boschi e sulla spiaggia? E le rare volte che si fa vedere sembra uno spettro ambulante, come se avesse sempre la testa da un'altra parte…”
Entrò nella sua stanza buia e fresca e si sedette sul letto, osservando Aragorn che riposava tranquillo, coi capelli sparsi disordinatamente sul cuscino. Lo scosse lievemente per svegliarlo.
“Aragorn… Mi senti?”
“Cosa c’è?” rispose Aragorn con la voce impastata dal sonno, socchiudendo un solo occhio.
“Ascolta, non sono riuscita a trovare Legolas… Non è che tu sai dov’è?”
“Ma che ore sono?”
“Abbastanza tardi…”
“E tu mi svegli nel cuore della notte per una cosa del genere?!”, borbottò Aragorn molto seccato, “Come faccio a sapere dov’è? La cosa più probabile è che sia nella sua stanza a dormire e che non gradisca essere seccato per nessuna ragione… Esattamente come me!” Detto questo richiuse l’occhio e non degnò più Arwen della minima attenzione.
“Ho bussato ripetutamente alla porta della sua camera ma non ho avuto risposta, secondo me non è li… Aragorn??? Dannazione si è riaddormentato…”
S’infilò di malavoglia sotto le coperte, possibile che neanche suo marito, che con Gimli era il migliore amico di Legolas, si fosse accorto che nel comportamento di Legolas c’era qualcosa di veramente troppo strano? Il giorno successivo doveva parlare con Legolas… che lui lo volesse o no, avrebbe dovuto starla a sentire.

Il sole filtrava già violentemente dai vetri della finestra quando Sarah aprì gli occhi, per un attimo credette di aver sognato tutto, ma poi sentì la sua pelle nuda a contatto con quella dell’elfo, sentì il suo respiro accanto al suo orecchio… No, non era stato un sogno, anche senza guardarlo lei sapeva che lui era ancora li.
Richiuse gli occhi e si strinse all’elfo sorridendo tra se e se; com’era caldo… troppo caldo.
“Legolas, ti senti bene?”
Si sollevò leggermente sul gomito per guardarlo in viso e rimase impietrita, mentre il suo cuore cominciava a battere all’impazzata. Il viso dell’elfo era cianotico, le labbra tirate erano secche, come prosciugate del loro solito colore rosato, che le faceva assomigliare ad un frutto maturo. Respirava in modo irregolare, come se l’aria non gli bastasse e la sua pelle era tutta imperlata da minuscole goccioline di sudore. Sarah gli accarezzò il viso e la fronte, era rovente.
“Dio Legolas, ma tu hai la febbre… Svegliati, ti prego, guardami…”
Lui sollevò debolmente le palpebre e nei suoi occhi azzurri, resi opachi come da una velatura, Sarah lesse il terrore e lo sgomento.
“Cos’hai? Ti senti male? Pedich anim, saes… (Parlami, ti scongiuro)”
“I gwelo…(L’aria)”
“Cosa? Cos’ha l’aria?”
“Mi uccide, sto soffocando…”
“Non riesci a respirare? Prova a metterti seduto…” Sarah cercò di aiutarlo ma lui non si sollevò.
“No… ferma!”
Lei lo guardava con le labbra socchiuse, senza saper cosa dire, cosa fare… Non riusciva a capire perché lui stava così male”
Legolas chiuse gli occhi per alcuni secondi, come per recuperare le energie, poi li riaprì e cercò con lo sguardo quelli di Sarah.
“Sarah… E’ quest’aria… per me è come veleno. Sono rimasto troppo a lungo nel tuo mondo… Che ore sono?”
“Quasi le dieci, abbiamo dormito a lungo…” Gli occhi di Sarah si riempirono di lacrime, mentre lo accarezzava teneramente… cominciava a capire e più nella sua mente i fatti acquistavano forma e senso più lei aveva paura.”
“Perché sei rimasto qui questa notte? Oh Legolas…”
“Mi sono addormentato… Non avevo mai dormito in tutta la mia millenaria esistenza… Sarah, è stato così…così bello addormentarsi tra le tue braccia… “ S’interruppe di colpo e tossì debolmente.
“Dovevi dirmelo! Perché non mi hai detto nulla?”
“Restare sulla terra solo per qualche ora per me non è pericoloso… ma se il tempo aumenta l’aria che respiro comincia ad intossicare il mio corpo, mi uccide…” una pausa straziante, interrotta dai suoi respiri deboli e spezzati, “…Sarah, sto morendo…”
Lei iniziò a singhiozzare, senza smettere per un attimo di accarezzarlo.
“Avo…Saes avo pedi sen…(No… ti prego non dirlo… )vedrai che andrà tutto bene, devi solo resistere fino a stasera. Appena la Luna sorgerà potrai tornare nel tuo mondo… Legolas, tirich nin… le avo firithach sí, le avo firitach. (Legolas, guardami… Tu non morirai qui, tu non morirai.)”
“Sarah… Grogon… (Ho paura)”
“ Im non sí, avo awarthon le, darthon gwa le…(Io sono qui, non ti lascio, resto con te)”
Si abbracciarono forte e rimasero così per alcuni attimi che parvero interminabili.
“Stai diventando freddo Legolas, aspetta…”
Si alzò e prese dall’armadio un'altra calda coperta con cui lo ricoprì e lo aiutò a sollevarsi per bere un po’ d’acqua. Poi si rannicchiò sul letto accanto a lui e lo abbracciò.
“Aspetteremo insieme la Luna… Ora cerca di riposare…”
Legolas chiuse gli occhi esausto e Sarah lo guardò sconsolata. Le labbra dell’elfo stavano iniziando a diventare bluastre… Stava soffocando… Avrebbe resistito fino a sera?

Arwen spalancò la porta della casa di Gimli come una furia, interrompendolo durante la sua pantagruelica colazione.
“Si può sapere dove è?”
Lui la scrutò evidentemente alterato e picchiò un pugno sul tavolo.
“Vattene!”
Per tutta risposta Arwen si avvicinò alla tavola con passo battagliero e si sedette di fronte al nano.
“Ascoltami bene, perché non ho intenzione di ripetertelo. Me ne andrò soltanto quando tu mi avrai detto cosa sta succedendo a Legolas… Non farmi credere di non sapere nulla… si capisce benissimo che stai nascondendo qualcosa…”
“Te lo ripeto per l’ennesima volta: non so dove sia Legolas e ritengo che non stia succedendo nulla di strano e preoccupante… Avrà solo voglia di stare un po’ da solo con i suoi pensieri… A te non capita mai, vecchia strega?!?”
L’ultima parte della risposta di Gimli fu troppo per Arwen che prese un enorme barattolo marmellata dal tavolo e lo scaraventò per terra frantumandolo in un’infinità di schegge scintillanti.
“Non ti permettere quest’insolenza nei miei riguardi, stupido nano… Devi portar rispetto alla stirpe elfica, ricordatelo bene! Basterebbe una mia parola e verresti immediatamente scaraventato in mare dalla rupe più alta dell’isola!”
Per tutta risposta Gimli sogghignò serafico.
“Credevo che queste usanze barbare fossero terminate con l’estinzione della stirpe degli orchi… Non è che per caso hai qualche oscuro ramo tra i tuoi innumerevoli avi, oh deliziosa e squisita principessa elfica? Se a palazzo sono tutti noiosi e seccanti come te temo che Legolas sia fuggito in cerca di luoghi più tranquilli, lo sai, vero, che detesta gli impiccioni e i maleducati?”
“Bada, vecchio nano idiota! Stai oltrepassando il limite…”
“Anche tu stupido elfo!”, Gimli si rizzò in piedi, ribaltando la sedia e fissando Arwen con gli occhi ridotti a due fessure scure, ” se non fossi la moglie di Aragorn avresti già assaggiato la mia ascia…”
“Che succede qui?”
Aragorn, evidentemente preoccupato dai toni della discussione, fece irruzione nella stanza, mettendosi tra i due; uno scricchiolio sotto i piedi gli fece notare la miriade di cocci di vetro appiccicosi di marmellata sparsi per tutta la stanza.
“Ripeto la domanda: che cosa è successo?” Ora il suo sguardo appariva inquisitore e molto più severo.
“La tua signora si è fatta venire un attacco isterico nella mia cucina perché non riesce a trovare Legolas… A proposito”, aggiunse smuovendo le schegge di vetro con la punta del tozzo stivale, “ora mi deve un barattolo di marmellata di more!”
Aragorn trattenne a stento una risatina divertita, era impossibile arrabbiarsi con l’amico… Soltanto Gimli, in una situazione tanto spinosa, poteva preoccuparsi della sua marmellata di more. Piuttosto era Arwen a preoccuparlo… Ultimamente non faceva altro che insistere sulla questione di Legolas.
“Arwen! Di nuovo questa storia di Legolas? Dagli un po’ di tregua, te ne prego… Perché sei così insistente circa il suo comportamento?”
“Perché è strano, e sembra che voi vogliate fingere di proposito di non accorgervene… inoltre sono sicura che Gimli sa qualcosa, qualcosa d’importante che noi due dovremmo sapere e che lui non vuole dirci. Ad esempio perché ultimamente Legolas non fa altro che sparire, per poi comportarsi come uno squilibrato le rare volte che si fa vedere in giro…”
”Ora basta!!” Aragorn la interruppe bruscamente, “Sono stanco di sentire questa storia, se Legolas avesse qualche problema di certo ne parlerebbe anche con me… E in ogni caso sembri dimenticare che è sempre stato un po’ strano, sin da quando lo abbiamo conosciuto. Sai meglio di me che ci sono dei periodi in cui diventa molto evasivo e vuole star solo, per cui mettiti l’anima in pace e non continuare a dare il tormento a me, a Gimli e soprattutto a Legolas!”
Arwen lo guardò furiosa e corse via, diretta verso i giardini del palazzo, Gimli, invece, s’inginocchiò sospirando, iniziando a raccogliere i cocci di vetro, aiutato dal povero Aragorn, un po’ imbarazzato per il comportamento di Arwen.
“Gimli, mi dispiace per ola situazione… Ultimamente è così preoccupata per Legolas che deve rendere tutti partecipi di questa sua situazione emotiva. In effetti, lui è strano ultimamente, anche se non molto più del solito… Pensi che sia ancora per la storia di Milúviêl?”
Gimli colse la palla al balzo, avevano finito di raccogliere i cocci e ora stavano seduti uno di fronte all’altro. “Penso di si, sai… Legolas è molto infastidito dalla sua insistenza; non ha alcuna intenzione di sposarla e lei non fa altro che tormentarlo di richieste. Inoltre re Tranduil vorrebbe che queste nozze si facessero… Quindi puoi immaginarti lo strazio di Legolas…. Focaccina?” disse porgendo una focaccina calda, fragrante e ricoperta di zucchero ad Aragorn, che l’agguantò senza farsi pregare. Gimli continuò:
“Il padre che insiste da una parte e Milúviêl dall’altra. Peggio di una tenaglia infernale! Legolas non sa come farli smettere…”
“Già, deve essere una bella seccatura… Ora che mi ci fai pensare l’altro giorno, quando abbiamo cenato insieme, ha detto di essere un po’ stanco e preoccupato per questa storia… Secondo te possiamo fare qualcosa?”
“Non credo… Ma a mio parere non dobbiamo preoccuparci più di tanto. Prima o poi il padre si stuferà di assillarlo e Milúviêl troverà qualcun altro a cui appiccicarsi come una mosca sul miele; così lasceranno in pace Legolas.”
“Hai ragione come al solito Gimli, scusa ancora per il comportamento di Arwen… Ora vado a cercarla, non vorrei che si fosse offesa troppo, prima sono stato un po’ brusco…”
Gimli sorrise benevolo e sollevato per essersi tirato fuori così abilmente da quel discorso abbastanza pericoloso per il segreto di Legolas.
“Certo, certo, vai… E chiedi scusa da parte mia alla tua consorte per la mia scontrosaggine, ma era talmente insistente…”
“Non preoccuparti, tutto a posto…”
Aragorn uscì sorridente e Gimli tirò un immenso sospiro di sollievo…
“Quanti problemi per tener testa alle donne…” borbottò tra se.
“Nano!”
Gimli sollevò gli occhi al cielo dopo aver visto chi richiamava la sua attenzione in modo tanto maleducato dall’uscio di casa.
“Ecco giungere il peggio del peggio! Che vuoi Milúviêl?”
“Dov’è Legolas?”
Quante volte gli avevano fatto quella domanda nelle ultime ventiquattro ore?
“Non ne ho la minima idea, ma anche se lo sapessi mi guarderei bene dal dirtelo; Legolas non ha nessuna voglia né di vederti, né di parlarti. Quindi perché non mi fai il favore di levarti di torno?”
Lei lo guardava insolentemente, picchiettando la punta della scarpa sulle assi del pavimento, lui ricambiò lo sguardo di sfida.
Dopo alcuni secondi di silenzioso fronteggiarsi Milúviêl si scostò i capelli scuri e lisci dal viso con un gesto sprezzante, si voltò e se ne andò, senza risparmiare a Gimli un insulto poco carino.
Il nano tornò a sedersi per finire la sua colazione, sperando di poter essere lasciato in pace per almeno qualche ora. Mentre mangiava però, un pensiero poco piacevole si affacciò alla sua mente.
Perché Legolas non era ancora tornato? Ormai era giorno inoltrato e doveva aver già lasciato la casa di Sarah e attraversato il passaggio di luce da un pezzo. Di solito durante la mattinata veniva sempre a fargli un saluto, era strano che non si fosse ancora fatto vedere. Ma quella nube oscura sui suoi pensieri fu subito spazzata via. Probabilmente Legolas era solo stanco e si stava riposando da qualche parte, di certo sarebbe passato a salutarlo più tardi.

Sarah guardò l’orologio, ormai era pomeriggio… Legolas doveva resistere ancora qualche ora, poi quell’incubo sarebbe finito.
“Legolas…”
Lui aprì gli occhi debolmente e la guardò.
“Vuoi mangiare qualcosa? Ti farebbe bene, recupereresti un po’ di forze…”
Lui scosse la testa senza parlare poi aprì la bocca come per dire qualcosa ma non emise alcun suono. “Cosa c’è Legolas?”
“Gerin him…Gwelo thia hathol neledhel ben nîn rhoe, hêl nîn(ho freddo…L’aria è come una lama che trafigge le mie carni, mi congela)”
In effetti, il corpo di Legolas era sempre più freddo, Sarah cominciava a perdere le speranze.
“Dinen le, meleth (rilassati, amore)”, disse piano, “Si edrach i ethir a solich in hin” Ora socchiudi la bocca e chiudi gli occhi). Detto questo chiuse delicatamente le narici di Legolas con una mano, poi accostò le labbra a quelle dell’elfo e soffiò nel suo corpo l’aria tiepida dei suoi polmoni. Lo fece più volte, fino a quando le parve che l’elfo smettesse un po’ di tremare.
“Athron mae? (va meglio?)” chiese speranzosa. Lui la guardò teneramente annuendo appena.
“Annon le, Sarah. (Grazie Sarah).Il tuo fiato è così caldo, per un attimo mi è sembrato di stare in paradiso… sai, non credevo, ma persino la morte è dolce se sei accanto a me.”
“Non dirlo Legolas… Manca poco ormai a sera, la Luna sta per sorgere, non ti arrendere ora.”
“Sarah… qualunque cosa accada… tu… tu non dimenticarlo… mai… Io ti amo.”
Detto questo chiuse gli occhi, come in attesa di qualcosa, come se aspettasse la morte da un momento all’altro. Le lacrime rigavano il volto di Sarah, un’espressione mista di dolore e terrore era dipinta sul suo volto… Non doveva finire in quel modo, era ridicolo… Lei non poteva permetterlo.
“No Legolas, non ti lascio morire così, a costo di morire con te…”
Ricominciò a soffiare aria calda nei polmoni di Legolas, senza fermarsi un attimo, senza riprendere fiato per un solo istante… continuò per ore, senza curarsi della debolezza che sentiva dentro di se, della pesantezza che le invadeva il capo… Stava dando tutto l’ossigeno che poteva a Legolas senza tenerne per se, ma continuò, continuò fino a quando la Luna apparve pallida, illuminando la stanza.
Si staccò dalla sua bocca ansimando…
“Legolas… la Luna è sorta, ti prego, fai un ultimo sforzo… Alzati, ti tengo io… Puoi farcela…”
Lo aiutò a rivestirsi, poi, un passo alla volta, sempre sorreggendolo, riuscì a trascinarlo fino alla finestra, la aprì e si appoggiarono entrambi alla ringhiera del balcone, circondati dai vasi di fiori che emanavano profumi intensi e penetranti.
“Vai Legolas, vattene in fretta… Sei così debole…”
Lui la guardò, era pallido ed emaciato, ma stava sorridendo dolcemente, con la mente stava richiamando il passaggio di luce, che si stava formando tremolante e lattiginoso dinnanzi a loro.
“Sono vivo grazie a te principessa, grazie con tutto il cuore… Forse per un giorno o due non potrò venire da te ma ci rivedremo presto.” Lei lo baciò rapidamente sulle labbra.
“Va ora.” Con le ultime forze rimaste Legolas saltò nel passaggio e sparì dalla vista di Sarah. Lei rimase eretta ed immobile ad osservare il passaggio affievolirsi, fino a quando sparì. Poi, quando tutta la luce se ne fu andata, si accasciò a terra e scoppiò in lacrime.

Gimli era preoccupato, ora temeva veramente che a Legolas fosse accaduto qualcosa di spiacevole.
L’amico non si era fatto vivo per tutto il giorno e Gimli, ormai in preda all’ansia, si era persino arrampicato sull’albero che si affacciava proprio di fronte alla camera dell’elfo, ma vi aveva trovato solo conferme alle sue paure… La camera era perfetta, pulita e in ordine: L’amico non vi tornava da molto tempo.
Così, vincendo le sue reticenze, si decise a recarsi alla spiaggia dove sapeva si apriva il passaggio di luce. Legolas non gli aveva mai detto come funzionava, né come fare per farlo apparire.
“Forse non servirò a molto ma è meglio di niente, non ce la faccio più ad aspettare.”
Ma la spiaggia era deserta, la marea correva pigramente sulla sabbia dorata, increspandone la superficie compatta. Il cielo era limpido, senza nemmeno una nuvola, illuminato da un grosso spicchio di luna che diventava ogni sera più tonda. Il povero nano vagò a lungo sulla spiaggia, incespicando nelle rocce nascoste dalla sabbia e infradiciandosi i calzari nelle pozze lasciate dalla marea.
“Legolas, dove sei?”
Si sedette a terra scoraggiato, cosa avrebbe fatto se l’amico non fosse più tornato? Avrebbe dovuto parlare a qualcuno del segreto di Legolas o le circostanze avrebbero richiesto ugualmente l’adempimento della promessa fatta all’amico?
Proprio mentre era assorto in tali pensieri, udì un tonfo accanto a lui; si voltò appena in tempo per veder cadere l’amico a faccia in giù sulla sabbia a pochi metri da lui e rimanere disteso, il corpo scosso da violenti singhiozzi e colpi di tosse. Gimli si precipitò accanto a lui.
“Per tutti gli stregoni! Cosa ti è successo? Legolas, mi senti?”
La condizione dell’amico lo turbò parecchio. I suoi occhi erano dilatatati e arrossati, i suoi capelli, sempre in ordine, tutti scompigliati e spettinati, le mani stringevano convulsamente la sabbia sotto di lui e le sue labbra tremavano come foglie sconvolte dal vento autunnale. Ma ciò che più spaventava era il suo respiro: irregolare e rumoroso, ansimante come quello di chi ha passato lunghi momenti sott’acqua e poi riemerge avido d’aria e di vita.
Gimli l’ aiutò a sollevarsi e gli tolse i granelli di sabbia rimasti attaccati al suo bel viso.
Che ti è successo? Mi hai fatto prendere uno spavento che nemmeno te l’immagini… riesci a respirare?”
Legolas annuì senza smettere di ansimare e tossire, arpionandosi alle mani dell’amico.
”Ti prego Gimli… Portami… portami a casa…”
Sembrava un bambino sconvolto da qualcosa d’inspiegabile per la sua giovane mente, aveva paura e Gimli lo capì.
Non fece più domande, lo aiutò ad alzarsi e, con fatica i due s’incamminarono verso il palazzo. La strada, percorribile in venti minuti con passo relativamente tranquillo, richiese ai due più di un’ora. A Legolas mancava il fiato e doveva continuamente fermarsi e riposare, le ginocchia gli cedevano e la vista gli si confondeva.
Arrivarono nel giardino trascinandosi e arrancando, Gimli stava per condurlo verso il palazzo, quando Legolas si fermò.
“Ti prego… non voglio stare solo, non questa notte. Fammi stare a casa tua, amico mio.”
Gimli sorrise e lo condusse nella sua dimora, gli tolse amorevolmente la casacca e gli lavò il viso e le mani impolverati. Poi lo distese nel suo letto, per fortuna di grandi dimensioni per un nano e quindi abbastanza grande per Legolas, e lo ricoprì con delle calde coperte. L’elfo sembrava riprendere un po’ di colore e dopo una tazza fumante di latte smise di tremare come un filo d’erba sferzato dal vento.
“Legolas, ti prego, ora dimmi cosa ti è successo…”
“Ci siamo addormentati…e ho perso il passaggio. Quando ci siamo svegliati non riuscivo a respirare, credevo di morire, sarei morto se…” S’interruppe fissando il fuoco che ardeva nel camino.
“Se cosa?” chiese Gimli impaziente.
“Sarah mi ha tenuto in vita… mi ha soffiato aria calda nei polmoni per ore intere. Lo devo a lei se sono vivo… Oh Gimli, io l’ho vista così da vicino…”
“Chi?” Gimli appariva perplesso, forse l’amico aveva la febbre ed era in preda al delirio.
“La morte… Io.. Io l’ho sentita. Mi è passata accanto e mi ha soffiato sul collo il suo fiato gelido… Il calore di Sarah mi ha poi strappato da lei, ma io ho sentito le sue dita lunghe e ghiacciate stringersi intorno al mio collo, alla mia anima… L’oblio steso davanti a me mi ha riempito d’angoscia, le tenebre infinite erano ad un passo dal mio corpo… bastava un altro attimo e io vi sarei sprofondato dentro…”
“Non agitarti Legolas, è tutto finito.” Gimli cercava di tranquillizzarlo, non voleva che l’amico si agitasse ancora. Poi una domanda si affacciò alla sua mente.
“Ma come hai fatto ad addormentarti? Tu sei un elfo e quindi non dormi, riposi solamente. Come ti è potuto accadere di essere vinto dal sonno?”
Legolas guardò gli occhi preoccupati dell’amico e gli rispose con una sincerità innocente e disarmante.
“Amico mio, ieri notte per la prima volta ho conosciuto il sonno, dopo aver conosciuto l’amore con la creatura a cui rimarrò legato per il resto della mia esistenza. L’ho amata, Gimli, e non credevo che si potessero provare sensazioni così vere, così piene, così intense… Sono come rinato attraverso la morte…”
Gimli arrossì comprendendo appieno le parole di Legolas che tacque, vide le sue palpebre diventare pesanti e dopo pochi attimi cadde profondamente addormentato.
Gimli lo guardò dubbioso e preoccupato, contemplando il bel volto dell’elfo si commosse.
Si avvicinò al camino e parlò, come se stesse parlando al fuoco scoppiettante:
“Hai trovato una felicità maledetta amico mio, perché indubbiamente ti porterà alla rovina. Segui la strada che la tua anima ti indica, quella che ritieni più giusta, in ogni caso io sarò con te; ma il mio cuore trabocca di dolore e le lacrime bagnano il mio viso, perché grande è la mia pena per te e per quella creatura umana disgraziata. Tu vai incontro alla morte e lei alla disperazione più devastante, dove troverete il riparo per proteggere il vostro amore e la vostra fragile felicità? Di certo non nella casa di questo povero e vecchio nano. Per quanto io cercherò di proteggervi alla fine qualcuno vi scoprirà. Che i Valar vi aiutino! Che possano ascoltare ed esaudire la mia preghiera anche se non sono i miei dei, anche se sono solo un nano.”

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Capitolo 11
*** CAPITOLO 11: Per proteggere un segreto ***


CAPITOLO 11: Per proteggere un segreto

“Legolas… svegliati.”
Legolas socchiuse gli occhi, mentre l’amico barbuto continuava a scuoterlo con la scarsa delicatezza tipica della sua razza.
“Dove sono? Oh Valar… La gola mi brucia…”
“Alzati Legolas!” Gimli sembrava impaziente, ”Dobbiamo parlare… Ci sono delle cose che devo dirti prima che tu veda Aragorn e soprattutto Arwen.”
Legolas lo guardò preoccupato, mentre i ricordi riaffluivano rapidi nella sua mente: la notte a casa di Sarah, la sua impossibilità di respirare, l’incontro con la morte che per un soffio non se l’era portato via…
“Arwen…” disse quasi tra se e se, “Non ci vorrà molto perché lei capisca tutto. Sospetta già qualcosa, vero?” Gimli appariva confuso e titubante.
“Non saprei… Non fa altro che ripetere che ti deve parlare, non credo che s’immagini che tu usi il passaggio verso il mondo di Sarah, ma ha sicuramente capito che c’è qualcosa di strano nel tuo comportamento.”
L’elfo sbottò scornato:
“Che lei sia dannata! Insieme a quello sciocco di Aragorn, che non riesce nemmeno a tenere a bada sua moglie!” Sfregò le mani sui suoi abiti stropicciati e ancora un po’ insabbiati per la sua caduta sulla spiaggia della notte precedente; poi si passò una mano tra i capelli scompigliati e in disordine, sentiva ancora su di se l’odore di Sarah, l’odore di un umana… Poteva ingannare Aragorn, sempre così serafico e perso nei suoi pensieri, ma Arwen avrebbe capito tutto, le sarebbe bastato uno sguardo… Era un elfo come lui dopo tutto, ed era anche femmina, una femmina dotata di grande intuito…
“Devo fare un bagno e cambiarmi d’abito prima che loro mi vedano. Torno nella mia stanza a prendere dei vestiti puliti e poi vado al fiume, vieni con me?”
“Va bene, ma è meglio che tu non ti faccia vedere a palazzo, non hai decisamente un bell’aspetto. Mentre dormivi sono andato nella tua stanza a prenderti degli abiti puliti” porse un fagotto a Legolas, “è meglio andare subito al fiume, ancora non è chiaro del tutto, vieni…”

S’incamminarono circospetti nella boscaglia, ancora silenziosa, ove tutto era imperlato di lucida rugiada; camminarono in silenzio, ognuno seguendo il filo sottile e tremolante dei suoi pensieri, fino a quando, dietro una cortina di alberi apparvero le acque argentee e cristalline dell’Ivren, dove spesso i due amici andavano a nuotare in compagnia di Aragorn.
Legolas si sedette su un masso e sciolse le treccine ormai sfatte che erano solite raccogliere i suoi capelli dorati, passò le dita tra quelle onde bionde, più volte, come se fossero denti di un pettine, ad occhi chiusi, sorridendo tra se e se, mentre ascoltava il fruscio prodotto da Gimli che si era come sempre nascosto nel fogliame vicino alla riva.
“Anche questa volta devi farmi ridere con la tua ridicola mascherata, Gimli?”
Il cespuglio si agitò convulsamente, poi parlò con la voce del nano:
“Puoi scordarti che io ti mostri le mie grazie, orecchie a punta! Sai che le riservo per le signore…”
“Povere loro…” sospirò Legolas tra il rassegnato e il divertito. Si levò velocemente tutti gli abiti, gettandoli a terra, ai piedi del sasso, poi s’immerse silenziosamente nell’acqua fredda e smeraldina.
“Posso uscire ora?” Il viso di Gimli, più irsuto del solito, apparve nel mezzo del cespuglio.
Legolas annuì alzando gli occhi al cielo e preparandosi allo spettacolo ridicolo che sapeva attenderlo non appena l’amico sarebbe uscito dal suo riparo vegetale.
Il nano saltellò fuori raggiante dal cespuglio, indossando la sua tenuta da bagno: un paio di pantaloni ricavati dalla pelle di qualche sconosciuto animale, corti e molto attillati, (troppo attillati per un nano!), tenuti su da una corda legata in vita, che lo facevano assomigliare ad un prosciutto ciciottello.
“Che ne pensi?” chiese sghignazzando all’elfo.
“Incantato come sempre… Se proprio devi indossare quei cosi, perché non te ne fai confezionare un nuovo paio? Quelli li avevi già quando eravamo nella Terra di Mezzo, sono semplicemente orribili e non oso immaginare da quale animale provenga quella pelle… No, ti prego non dirmelo” sorrise con leggera strafottenza, “preferisco continuare a non saperlo e preservare il mio delicato stomaco!”
Gimli per tutta risposta si tuffò in acqua sollevando una gran quantità di spruzzi e schizzi, facendo volar via alcuni uccelli acquatici dalle piume azzurre e violacee, che si trovavano sull’altra sponda dell’Ivren.
“Discreto e delicato come sempre!” borbottò Legolas tra se e se; poi, quando il nano si riemerse dall’acqua, si fece serio.
“Gimli… Ora raccontami cosa è successo con Aragorn e Arwen mentre io non c’ero, per piacere.”

I due nuotarono fino ad una piccola rientranza del fiume, dove l’acqua era bassa e il fondale di sabbia candida, quante volte i tre amici avevano trascorso i loro pomeriggi in quel piccolo rifugio, appoggiati ai massi chiari e riscaldati dal sole, immersi nell’acqua fino alla vita, chiacchierando dei tempi passati e dei loro progetti per il futuro…
Legolas poggiò la schiena alla sua roccia preferita e la sensazione del granito rosa, ancora gelido per l’aria della notte appena trascorsa, lo fece rabbrividire…
“Il fatto è”, cominciò Gimli, “che Arwen ha iniziato a sospettare a causa del tuo comportamento… ti cerca da due giorni per dirti nemmeno io so che cosa e non fa altro che aggirarsi come una furia intorno a casa mia… Pensa che ieri era talmente infuriata che ha scaraventato a terra un barattolo della mia squisita marmellata di more… poi abbiamo incominciato a litigare ed è arrivato Aragorn…”
“Cosa pensa Aragorn di questa storia?”
“Credo che non pensi affatto! Cioè, non sembra molto interessato a tutte le supposizioni della sua adorabile consorte; Ieri però hanno finito per litigare perché lui voleva che lei la smettesse di insistere.
E’ più furba di quanto credessi, Legolas… Non so per quanto riusciremo ancora a tenerla a bada raccontando la bugia di Milúviêl. Aragorn se l’è bevuta senza batter ciglio ma Arwen sembra più che mai determinata a scoprire il motivo delle tue frequenti scomparse… Ah, dimenticavo… Anche Milúviêl ti ha cercato ieri mattina”, Legolas sollevò gli occchi al cielo in silenzio, ”puoi immaginarti da solo cosa voleva…” “Scommetto chiedermi per l’infinitesima volta quando ho intenzione di sposarla. Oh Valar! Che situazione! Ad ogni modo non hai tutti i torti per quanto riguarda Arwen, già qualche giorno fa mi ha messo alle strette, non ci metterà molto a scoprire tutto…”
“Non penserai che…”
“E’ ovvio che lo farà! Cercherà di leggermi nel pensiero alla prima occasione… e, in qualunque modo io reagirò, saranno guai seri.”
“Che vuoi dire?”
“Se le permetterò di farlo scoprirà tutto su Sarah, se invece mi opporrò alla sua entrata nella mia mente avrà la conferma che i suoi sospetti sono fondati e che io nascondo qualcosa. In ogni caso diventerà ancora più assillante di quanto non lo è stata fin ora.”
“Che vuoi fare?” Gimli sguazzava pigramente nell’acqua accanto a Legolas, che invece rimaneva immobile, con la testa appoggiata alla roccia, mentre un timido raggio di sole gli illuminava la fronte.
“Non lo so, ho già la mente affollata da troppi pensieri per potermi occupare anche di come tenere a bada Arwen, per non parlare di Milúviêl, che presto inizierà ad essere un problema serio… E poi c’è questo maledetto consiglio per decidere quando chiudere il passaggio di luce, tu sai niente di nuovo in proposito?
“Niente di preciso… ad ogni modo penso che Aragorn potrebbe saperlo…”
“Ma se noi lo chiediamo ad Aragorn lui di certo lo dirà ad Arwen… E a lei basterà un solo istante per mettere insieme tutte le coincidenze e scoprire dove trascorro il mio tempo ultimamente!”
“Già… L’hai detto a Sarah?”
“Si, ma non l’ha presa molto bene… Ho avuto paura che mi chiedesse di andarmene e di non tornare mai più.”
“Perché mai avrebbe dovuto? Le ti ama, non avrebbe senso…”
“Perché ha paura, dannazione!” L’acqua intorno a Legolas si increspò per il suo improvviso scatto. “Ha sofferto così tanto ed è così giovane, non vuole che il suo cuore si spezzi di nuovo… e io non voglio spezzarlo quel cuore.”
“E sono certo che non lo farai.”
“Come potrò non ferirla? Le ho detto che quando il passaggio sarebbe stato chiuso io sarei rimasto sulla terra con lei, sapevo che il corpo di un elfo non può sopportare quell’aria, ma speravo che un’eccezione fosse possibile… Non so spiegarti il motivo ma ero convinto di poterla sopportare… e invece sono quasi morto. Non posso mantenere la promessa che le ho fatto e questo significa lasciarla morire di dolore. Preferisco morire se l’alternativa è perderla.”
“Non puoi restare sulla terra, lei ti vedrebbe morire, che senso avrebbe? Avanti, rispondimi, avrebbe senso morire così?
“E invece abbandonarla a se stessa avrebbe senso secondo te?”
“Non puoi restare nel suo mondo!”
Legolas tacque e fissò l’acqua limpida davanti a se, poi parlò lentamente, senza guardare negli occhi l’amico.
“No… Ma posso portarla con me nel mio.” Dopo aver detto ciò fissò i suoi occhi in quelli di Gimli, quasi con insolenza. Il visi del nano si arrossò, poi la sua voce tuonò:
“Sei completamente ammattito??? Infrangeresti la legge! Vuoi finire al cospetto dei Valar, questo vuoi?”
“Almeno avrò tentato.”

“Che cosa vuoi tentare Legolas?”
I due amici si voltarono di scatto e videro Arwen che marciava verso di loro con passo battagliero, seguita da Aragorn che cercava di trattenerla per un braccio senza successo.
“Arwen, aspetta, non vedi che stanno facendo il bagno? Aspetta un attimo, per favore.”
Gimli stava per esplodere di rabbia.
“Vattene, stupido elfo, non sei in grado di aspettare qualche minuto per lasciarci il tempo di rivestirci? Smettila di guardare, voltati!”
Arwen finse di non sentirlo nemmeno.
“Devo parlare con te Legolas, subito.”
Legolas la guardò, gelido, senza batter ciglio, poi parlò emettendo quasi un sibilo.
“Parlerò con te quando mi sarò rivestito, ora puoi gentilmente levarti di torno.”
Gli occhi di Arwen si dilatarono per lo stupore, mentre Aragorn e Gimli osservavano la scena allibiti; Legolas non si era mai rivolto in quel modo a nessuno, nemmeno a Milúviêl.
Arwen si voltò in silenzio e andò ad aspettare seduta su un masso poco lontano, seguita da Aragorn che le bisbigliò sottovoce:
“Questa volta hai davvero esagerato, non l’ho mai visto così. Qualunque cosa tu voglia dire a Legolas, certamente dopo questa tua entrata trionfale non sarà ben disposto nei tuoi confronti.”
Lei non rispose, continuando a guardare dritto davanti a se.

Poco più in la Legolas e Gimli si stavano rivestendo.
“Legolas, non dovevi risponderle in quel modo, adesso quella inscenerà una tragedia colossale.”
“L’avrebbe inscenata comunque Gimli, ora lascia parlare me e non intervenire più per piacere, sarebbe peggio.”
Detto questo i due si avvicinarono ad Aragorn e Arwen. Legolas risplendeva più di una stella, l’abito grigio scuro scelto da Gimli faceva risaltare l’azzurro dei suoi occhi e i suoi capelli scendevano sulle spalle, ancora bagnati e appesantiti dall’acqua, rilucenti di piccole gocce simili a diamanti preziosi. Il suo sguardo però era freddo, determinato, in realtà nascondeva un immenso timore.
I due si sedettero su un masso di fronte ad Aragorn e Arwen e per un attimo i quattro si fissarono in silenzio. “Devo parlarti in privato, Legolas.”
No, affrontarla da solo sarebbe stato peggio, si sarebbe sentito ancor più vulnerabile di fronte agli occhi inquisitori di lei.
“Gimli e Aragorn sono i miei migliori amici, quindi parla pure in loro presenza. Dimmi ciò che devi dirmi e che questa storia finisca in fretta.” La voce dell’elfo era totalmente inespressiva, egli pareva solo enormemente seccato dalla situazione e dalla presenza di Arwen, che a sua volta non sembrava molto a suo agio.
I due continuavano a fissarsi negli occhi, osservati da Aragorn e Gimli, entrambi visibilmente preoccupati, poi improvvisamente gli occhi di Arwen si illuminarono e parvero cambiar colore, a quel punto Legolas ebbe un violento scatto e si levò in piedi serrando i pugni.
“Credevi di farlo senza che io me ne accorgessi? Mi ritieni sciocco o sprovveduto forse? L’essere un elfo non ti da il diritto di usare i tuoi poteri su di un tuo pari, Arwen!” Aveva alzato la voce contro di lei, le si avvicinò e la strattonò violentemente e gli occhi di Arwen tornarono del loro consueto azzurro chiaro. Aragorn si avvicinò ai due e prese la moglie per un braccio.
“Arwen dimmi che non l’hai fatto, dimmi che non hai cercato di leggere nella mente di Legolas.”
“Ovvio che si”, sbottò Legolas “evidentemente la tua consorte ha dimenticato cosa sia l’ educazione!”, poi si rivolse ad Arwen con rabbia: “Come ti sei permessa di tentare di accedere ai miei pensieri? Sono un tuo pari, un elfo come te, non ne avevi il diritto!”
“Il fatto che tu me l’abbia impedito dimostra che i miei sospetti non erano infondati. Stai nascondendo qualcosa a tutti, vero Legolas? E deve essere qualcosa di grosso se il timore che io scopra il tuo segreto è più forte del buonsenso che da sempre ti contraddistingue…”
Lui la fissò per un istante poi parlò lentamente, scandendo le parole una ad una. “Non te lo ripeterò un’altra volta, per cui ascoltami bene… I segreti della mia mente non ti riguardano. Conosci bene la mia indole e il mio carattere, perché da tempi remoti sei per me come una sorella, sai quanto amo cullarmi nella dolce onda del mio malinconico pensiero e che da sempre la mia più cara amante è stata la mia silenziosa solitudine… Perciò non chiedermi risposte che nemmeno io conosco e rispetta i miei silenzi e la mia mente, come io da sempre ho rispettato le tue scelte…”
Poi la fissò negli occhi e le parlò senza voce, parole impercettibili fatte di sguardi, solo Arwen le sentì. *Nín fuin aphadathar nin ben daw uireb… avo faro hain, Arwen. Avo bauglo halto nin o le.(I miei segreti mi seguiranno nella notte eterna, non inseguirli, Arwen. Non costringermi a dovermi difendere da te)*

Si alzò lentamente e si allontanò con passo incerto, seguito dopo pochi istanti da un trotterellante Gimli.
“Che gli hai detto Legolas?”
“Di stare fuori dalla mia vita, perché non ho intenzione di svelarle i miei segreti.”
”E’ come ammettere che davvero nascondi qualcosa…”
“L’aveva capito comunque, non aveva senso continuare a negare…”
“Legolas?”
“Cosa?”
“Se può leggere nel pensiero perché con me non l’ha fatto?”
“Perché non la guardi mai negli occhi per abbastanza tempo… Per entrare nella mente di qualcuno bisogna stabilire un profondo contatto visivo, che non s’interrompa dopo un tempo troppo breve. Tu la guardi raramente negli occhi persino quando parli con lei… E di questo ringrazio i Valar”, aggiunse poco dopo sorridendo.

Aragorn sembrava preoccupato, perché sapeva che Legolas aveva parlato ad Arwen attraverso il pensiero.
“Cosa ti ha detto, Arwen?”
“Di stare lontana dalla sua vita e soprattutto dai suoi segreti…”
“Credi che ne abbia?”
Arwen non rispose.

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“Quindi voi due avete…”
“Si, Martina”, rispose Sarah sorridendo, “noi due abbiamo…”
“E com’è? Cioè, è come con un essere umano?”
“Oh Martina…” Sarah arrossì sorridendo, “E’ stato più bello che con chiunque altro, ma non perché Legolas sia un elfo, è solo che lo amo come non credevo fosse possibile amare.”
Martina ridacchiò tra se e se, acciambellata davanti al fuoco della camera di Sarah, non era mai stata così felice per l’amica…
“Questa è una cosa molto bella, Sarah…”
Il sorriso si spense sul volto della ragazza, che osservava il cielo ormai cupo fuori dalla finestra.
“No Martina, non lo è… Lui ieri è quasi morto per il veleno che gli riempie il sangue ogni volta che posa piede su questa terra maledetta. Lui non potrà mai vivere qui, nello stesso momento in cui il passaggio verrà chiuso il nostro amore morirà. Per me non ci sarà un futuro, una felicità… morirò anch’io.”
Martina la guardava come se non capisse, lei che aveva sempre vissuto soltanto amori umani. “E non c’è modo di cambiare questo destino?”
“Se ci fosse Legolas me ne avrebbe parlato…nemmeno lui sa cosa fare.”
“Voi due vi amate, e vedrai che troverete una soluzione, non preoccuparti. Ora vado, è quasi buio e credo che il tuo principe azzurro stia per arrivare…” La baciò sulla fronte e le scompigliò i capelli rossi, poi uscì dalla stanza canticchiando.

Legolas apparve silenzioso come una farfalla che si posa su di una corolla profumata.
“Sono qui amore mio.”
Sarah lo abbracciò con foga.
“Oh Legolas! Mi sei mancato così tanto, per una sola notte non ti ho visto e mi sono parsi secoli… Come ti senti? Stai meglio?”
“Meglio… e sono vivo grazie a te, non ti ho ancora ringraziato per quello che hai fatto per me l’altra notte. Ho visto la morte così da vicino da esserne quasi rapito, ma poi il tuo tepore mi ha riportato indietro da te…”
La guardò tristemente e Sarah comprese tutto: il suo dolore, la sua impotenza e la sua frustrazione.
“Sarah, io…”
“Non parlare Legolas, lo so… Tu non potrai mai rimanere qui perché l’aria ti ucciderebbe in poche ore, ho visto che cosa ti ha fatto. Non parliamo di quello che accadrà quando il passaggio verrà chiuso, ti prego… Quando sarà il momento di affrontare la situazione lo faremo, per ora non voglio più pensare al nostro futuro carico di dolore.”
Lo spinse delicatamente sulla poltrona e si sedette a cavalcioni sulle sue gambe.
“Ora”, gli sussurrò piano all’orecchio, “Voglio solo fare l’amore con te, sentire la tua pelle contro la mia, il tuo respiro sul mio volto, il tuo calore dentro di me… non voglio più pensare a nulla… a nulla, ti prego.”
Legolas la cinse con le braccia aspirando il suo profumo, che lo inebriava come il più potente degli oppiacei. Tutte le volte che lei era così vicina il desiderio di farla sua prendeva il sopravvento su ogni altro istinto e sensazione; voleva solo sentire quella pelle chiara, quasi elfica, contro la sua, assaporare la dolcezza dei suoi punti più sensibili, svestirsi della stoffa che si frapponeva tra i loro corpi, subito, immediatamente, senza dover aspettare ancora.
Le sbottonò rapidamente la camicia, che scivolò a terra carezzando le curve del seno; nella penombra illuminata dai bagliori tremolanti del fuoco Legolas poteva vedere i capezzoli di lei diventare più duri sotto il tocco delicato delle sue dita.
Si liberò della casacca e del mantello con foga, quasi strappò le legature dall’eccitazione… Sarah era sopra di lui, i suoi capelli ondeggianti parevano volerlo ipnotizzare, come arcani serpenti a sonagli, danzanti alla musica di un solitario flauto.
Era come trovarsi in un mondo a parte, in cui il tempo non scorreva più, lui e lei senza nessun altro, senza nient’altro, solo col loro amore e il loro desiderio.
Scivolarono delicatamente giù dalla poltrona, a terra, sul soffice tappeto, immersi in un turbine di sensazioni quasi palpabile… E dopo che lui l’ebbe privata di tutti i vestiti la osservò risplendere nella sua bellezza… Perfetta, cristallina, pura, nello stesso tempo ardente come il più caldo dei fuochi.
“Le silach manen naur lachol, meleth nîn “ (Risplendi come una fiamma ardente, amore mio)
Lei lo guardava piena d’amore, mentre il suo corpo pareva tremare leggermente, steso sul tappeto sotto di lui, i cui occhi correvano su quella pelle candida.
Posò la bocca sul collo di Sarah, e con la punta della lingua cominciò percorrere misteriosi, scese giù, nell’incavo tra i due seni, per poi esplorare quella pelle morbida, succhiare i suoi capezzoli, mordicchiare leggermente quelle zone sensibili. Il respiro di lei si era fatto profondo e sensuale, tanto sa spingerlo più giù, ad esplorare il suo ombelico, e ancora più giù, tanto da strapparle un gemito quando con la lingua la accarezzò nel suo punto più sensibile.
Solo il contatto con il calore di Sarah lo fece eccitare come non credeva fosse possibile, l’intensità dei gemiti della ragazza cresceva, mentre lui continuava a sfiorarla con la lingua, entrando lentamente in lei e facendola sobbalzare di piacere.
Quasi inconsciamente Sarah posò le mani sul capo di Legolas, in basso, tra le sue gambe, e lo spinse contro di se, come a non voler perdere quel contatto. I suoi gemiti erano ormai incontrollati, sembrava che miriadi di luci ardenti le si fossero accese dentro. L’ondata di piacere che provò la travolse all’improvviso, con violenza, facendola quasi gridare; si spinse contro di lui, scossa da continui tremiti che sembravano non volersi placare, la lingua di Legolas non smise di muoversi su di lei, portandola di nuovo davanti al precipizio dell’estasi e spingendovela dentro con impeto una seconda volta, tanto da esserne totalmente sommersa.

Legolas risalì lungo quel corpo tremante e lo strinse a se, ascoltando il respiro affannoso di Sarah che tornava alla normalità, che non faceva altro che alimentare il fuoco caldissimo che già ardeva nel suo corpo. Sarah aprendo gli occhi percepì quel fuoco, quel calore, si sciolse dall’abbraccio di Legolas e si accoccolò sopra di lui, a contatto con la sua eccitazione, facendolo sospirare e permettendogli di entrare nel suo corpo ancora bollente di piacere. Si mosse piano su di lui, osservando il viso dell’elfo contrarsi, mentre le sue mani forti si posavano sui fianchi di lei, leggere ma grandi e forti; sentì il suo respiro farsi più rapido e profondo, mentre si spingeva dentro di lei, portandola di nuovo ad un piacere intenso, mai provato con nessun altro.
“Oh Legolas…”
Lui percorse la schiena di Sarah con le dita, lentamente, mentre lei ancora era scossa dai fremiti intensi… Poi quando sentì l’estasi ormai vicina, la strinse a se con forza, facendo aderire i loro corpi come se fossero uno solo…
“Tiro nîn Sarah… Tiro nîn” (Guardami Sarah… guardami)
I suoi gemiti crebbero di intensità e poi si sciolse dentro di lei, senza chiudere gli occhi, continuando a tenerli fissi in quelli di Sarah.
Rimasero immobili, abbracciati stretti mentre riprendevano fiato, stesi davanti al fuoco; in quei momenti il tempo sembrava fermarsi, la volta stellata sembrava interrompere il suo corso solo per loro due.
“Non addormentiamoci questa volta” bisbigliò Sarah sorridendo e accarezzando teneramente il viso di Legolas, che la guardava come rapito.
Sciolse delicatamente i capelli di Legolas e passò più e più volte le dita tra quei fili di seta chiara.
“Sarah?”
“Dimmi…”
“Quando il passaggio verrà chiuso…” Lei lo baciò per non farlo proseguire.
“Non parliamone Legolas, ti prego…”
“No, ascolta… Quando il passaggio verrà chiuso io e te non potremo più vederci… Non potendo rimanere io con te vorrei che tu prendessi in considerazione l’idea di attraversare il passaggio con me, per l’ultima volta…”
“Rimanere nel tuo mondo?”
Legolas annuì e la vide sgranare gli occhi.
“Non voglio una risposta ora, ti chiedo solo di pensarci… Quando sarà il momento deciderai, voglio solo che tu sappia che se lo desideri io ti porterò con me.”
“Ti amo, Legolas.”
Lui la baciò con trasporto e scivolò su di lei in quella note che era ancora così lunga e ricca di passione…

*********************************************************************************************

“Il consiglio per decidere il destino del passaggio di luce resta fissato per il dodicesimo giorno di primavera, Galadriel.”
“Sai che anche se decideremo di chiuderlo ciò probabilmente non potrà avvenire prima della fine della stagione dei caldi?”
“Non penso ci saranno discussioni sul fatto di chiudere il passaggio, Firnon, Orodreth e Aurofin sono pienamente concordi circa la sua pericolosità… E tu sai bene cosa penso io in merito alla faccenda…”
“Lo so da anni, Elrond… Gli altri tre sovrani sono stati avvisati?”
“I messaggeri sono partiti poco fa…”
“Bene… Torno al mio palazzo allora…. Elrond?”
“Si?”
“Ho sempre appoggiato la tua scelta con sincerità, ma sei davvero sicuro che sia giusto distruggere il contatto tra noi e il mondo basso? Una volte chiuso, il passaggio non potrà più essere riaperto, questo lo sai, vero?”
“Lo so… E niente mi renderebbe più tranquillo di tale certezza, Galadriel”
La regina elfica si voltò e uscì in silenzio, con passo leggero, mentre Elrond rimase seduto accanto alla finestra, fissando in lontananza il mare calmo illuminato dalla Luna, il cui profumo portato dalla brezza riempiva la stanza.
Bisbigliò tra se e se:
“C’è qualcosa nell’aria…”

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Capitolo 12
*** CAPITOLO 12: Origliando dal ramo di un albero ***


CAPITOLO 12: Origliando dal ramo di un albero

Se ne andò prima che il cielo si schiarisse, senza svegliare Sarah; si rivestì silenzioso e la guardò dormire profondamente... perché svegliarla? Il mattino non era ancora giunto.
L’elfo svanì nella luce, dopo aver lasciato il suo mantello accanto alla ragazza, segno rassicurante e tangibile del suo prossimo ritorno…
I fili di luce lo trasportarono dolcemente sulla bianca spiaggia a lui nota e così cara al suo cuore. La sabbia leggermente tiepida odorava di mare, di alghe… il vento frusciava, nel silenzio di quel mondo magnifico. Rimase così, immobile, quasi estasiato, ad osservare il mare, perfetto, limpido, cristallino, puro; in cui il cielo specchiava la sua veste stellata. Non era la prima volta che la completezza di quel suo mondo perfetto lo rapiva.
Una preghiera silenziosa ai Valar e poi un sospiro.
“Inutile spiegare… Voi già sapete tutto! Vorrei soltanto che mi fosse svelato lo svolgersi del mio destino…”
Rimase ancora un po’ sulla spiaggia, vagando quasi senza meta, attardandosi ad osservare il flusso della marea e i primi gabbiani che, svegliatisi, planavano sul pelo delle onde… Gli fecero pensare a Sarah…

S’incamminò verso il palazzo di Elrond e mentre attraversava i rigogliosi giardini passò davanti alla casa dell’amico. Solitamente, a quell’ora del mattino, Gimli era ancora immerso nei suoi sogni, ma non quel giorno… La porta della casa era aperta e lasciava fuoriuscire un caldo bagliore, insieme ai tipici rumori che segnalavano la presenza dell’inquilino.
Legolas s’affacciò incuriosito sulla soglia.
“A cosa devo l’onore di vederti sveglio così di prima mattina?”
Gimli, che stava trafficando in un cassone accanto al camino, emise un grugnito assai poco incoraggiante e si voltò verso l’amico, mostrando un grosso bernoccolo in mezzo alla fronte, molto simile ad una bella prugna matura.
“Che hai fatto alla testa?” Legolas appariva divertito.
“Ti ho aiutato!” bofonchiò il nano rituffandosi nelle profondità del suo cassone.
“Prego?” Legolas s’avvicinò al tavolo, dov’era appoggiata una grande caraffa, e si versò un bicchiere d’acqua. Si sedette sul piano e continuò ad osservare l’amico, che finalmente, dopo aver terminato di trafficare, si era seduto sulla sua poltrona, massaggiandosi la fronte dolorante.
“Ebbene?” L’elfo era impaziente…
“Dannata la tua curiosità, Orecchie a punta! Vuoi davvero saperlo?? Ho passato la notte sull’albero fuori dalla finestra di Elrond!”
A Legolas l’acqua andò di traverso e tossì.
“Tu… cosa??”
“Hai capito benissimo! Mi sono appollaiato su quella stupida pianta, ma un grosso ramo si trovava proprio sopra la mia testa e ci sono andato a sbattere.”
Legolas sorrideva divertito.
“E di grazia, oh mio atletico amico, che ci facevi in piena notte su quell’albero? Tu non sei mai stato capace di arrampicarti! Trattandosi di una giovane fanciulla priva di vesti potrei anche capire la tua temerarietà ma… qui stiamo parlando del vecchio Elrond!”
“Non fare lo spiritoso, creatura molesta! Si tratta di quel dannato consiglio in merito al passaggio di luce.”
Il sorriso svanì dal viso di Legolas, che assunse un colorito terreo… Strinse i pugni, posati sul ripiano del tavolo, tanto che le nocche divennero bianche… Si mordeva leggermente le labbra, senza parlare, ma i suoi occhi, portatori di mille domande, erano fissi in quelli di Gimli.
Il nano capiva, conosceva quello sguardo.
“ho visto arrivare Galadriel ieri sera…” spiegò, “era già tardi, troppo tardi perché si trattasse di una semplice visita di cortesia, non è da lei. Mi sono insospettito e mi sono arrampicato sull’albero… Era chiaro che doveva vedere Elrond e mi sono ricordato di quella volta in cui mi hai detto che c’è un ramo che da proprio sulla sua finestra. Galadriel era strana, pareva aver molta fretta e assai poca voglia di farsi riconoscere…Teneva il cappuccio del mantello calato sul viso… Un mantello nero, capisci?! Lei si veste sempre e solo di bianco, era irriconoscibile!”
“Ma tu l’hai riconosciuta…” un sorriso malizioso apparve sul bel volto di Legolas, mentre le guance pienotte di Gimli si tingevano di porpora.
“Sai che la riconoscerei ovunque, anche se vestita di stracci… La sua bellezza non può passare inosservata.”
Ormai era color peperone e Legolas preferì non infierire ulteriormente.
“Cosa si sono detti lei ed Elrond?”
“Non mi sbagliavo, doveva trattarsi di una questione veramente importante per scomodare Galadriel fino a tal punto… Hanno fissato il giorno, Legolas.”
L’elfo non rispose, continuando ad osservarlo con quegli occhi trepidanti, che domandavano da se.
“La dodicesima notte di primavera.”
Legolas calcolò mentalmente, la prima notte di primavera lui e Sarah avevano fatto l’amore per la prima volta, la notte appena trascorsa era la terza…
“Tra nove notti…” disse più a se stesso che a Gimli.
Il nano proseguì nel suo racconto:
“Hanno convocato anche gli altri tre sovrani per decidere, anche se la cosa mi sembra alquanto insensata...”
“Elrond ha già deciso, vero?”
“E’ più fermo che mai nelle sue idee e profondamente convinto che il passaggio porti solo un sacco di guai, non vede l’ora di chiuderlo.” Un attimo di silenzio, poi Gimli proseguì:
“Piuttosto Galadriel non m’è sembrata particolarmente convinta delle ragioni di Elrond, era come se avesse la testa altrove… Sai, ho avuto l’impressione che tenesse nascosto qualcosa ad Elrond, ma ritengo che non abbia la minima intenzione di discutere con lui, ne tanto meno con gli altri tre.”
Legolas comprendeva perfettamente il concetto esposto un po’ a fatica da Gimli. Parlò piano, guardando le travi del pavimento.
“E’ chiaro come la luce del giorno che Firnôn, Orodréth e Aurofîn;, si schiereranno con Elrond… Hanno sempre disapprovato i nostri rapporti con gli uomini e ora che, con loro immensa gioia, abbiamo abbandonato per sempre il genere umano a se stesso, non vedono l’ora di liberarsi definitivamente di quel passaggio… Per Galadriel opporsi non avrebbe il minimo senso.”
. I due rimasero in silenzio per un po’, senza guardarsi in faccia… Una domanda frullava in testa a Gimli, ma non si azzardava a porla…
“Ci vuoi andare vero?” sbottò all’improvviso.
“Ovvio che si, amico mio! Devo scoprire se e quando estirperanno quel filo di luce. Penso che userò il tuo stesso ramo…”
Un attimo di silenzio, poi…
“E’ sporco di marmellata…” Gimli sogghignò.
“Cosa???” A Legolas venne da ridere.
“Mi sono portato un barattolo di quella di arance che sto preparando in questi giorni… così per passare un po’ il tempo… ma è colata tutta sul ramo.”
“Ecco che cos’è questo odore…” mormorò Legolas che si era alzato per osservare i tegami e i mestoli appiccicosi che giacevano nell’acquaio di Gimli.
“Per un attimo ho temuto che Elrond mi avesse visto.” continuò il nano, “Quando Galadriel se n’è andata si è avvicinato alla finestra e ha biascicato a proposito di qualcosa di strano nell’aria…”
“Avrà sentito odore di marmellata!” Legolas non trattenne una risata.
Anche Gimli rise, poi fissò l’elfo con un’espressione un poco più seri.
“Suppongo che la mia presenza su quell’albero malefico sarà richiesta, vero?”
“Non richiesta ma gradita… se tu lo vuoi.”
“Come posso dirti di no?”
Legolas sorrise e uscì dalla casa dell’amico, senza dire una sola parola.
“Buffa creatura!” bofonchiò Gimli, dopodiché si buttò famelico sulla sua colazione.

Legolas passò la giornata ciondolando senza meta tra il castello, la spiaggia e i giardini, evitando con cura tutti i luoghi in cui poteva incontrare Aragorn e Arwen.
Aiutò Gimli a liberarsi dei suoi piccoli e strillanti ospiti quotidiani e poi cenò insieme a lui.

“Andrai da lei anche questa sera?”
I due stavano seduti ai due lati del tavolo e Gimli stava ancora piluccando dei bocconcini di torta con le dita, direttamente dal piatto di portata.
“Ho intenzione di andarci tutte le sere, fino a quando mi sarà possibile… e poi le voglio parlare del consiglio… Gimli?”
“Cosa?”
“Oggi ci stavo pensando… Secondo te potrebbe esistere un modo, un sortilegio o una pozione, che mi permetterebbe di vivere nel mondo di Sarah?”
“Cos’hai in mente ora?”
“Niente di particolare… ho solo pensato che forse Gandalf potrebbe aiutarmi.”
“Gandalf?! Ma se non lo vediamo da mesi! Lascialo fuori da questa storia, te ne prego, stiamo già rischiando molto, tu soprattutto. Più persone coinvolgiamo in tutto questo più è alto il rischio che ci scoprano…Legolas… Tu lo sai, vero, cosa potrebbe succederti se fossi scoperto?”
“Non ha senso parlare di questo, Gimli.”
“E invece si!” Gimli batté il pugno sul tavolo. “ Senza contare il fatto che i Valar già sanno dove trascorri le tue notti. Se qualcuno dovesse scoprirti, sarai trascinato al cospetto dei divini, il tribunale massimo. Tu lo sai benissimo, non puoi continuare a far finta di nulla.”
L’elfo sembrava fissare il vuoto, il viso contratto, un’espressione gelida negli occhi; Gimli non ricordava di averlo mai visto in quello stato.
“Legolas…io sono solo preoccupato per te… Ti sono vicino e voglio aiutarti, ma ho paura…”
L’elfo parve addolcirsi… Si alzò dalla sedia e fece per allontanarsi… Poi, improvvisamente tornò indietro e si appoggiò al piano del tavolo, fissando Gimli negli occhi.
“Non preoccuparti Gimli, io me la so cavare… Ma grazie per quello che hai fatto e continui a fare per me…” “Perché?” Gimli era arrossito fino all’attaccatura dei capelli, “Che ho fatto?”
“Beh… Ti sei arrampicato su un albero rischiando di essere scoperto e di romperti l’osso del collo, per origliare una conversazione alla quale non eri direttamente interessato… Hai fatto molto Gimli, più di quanto chiunque altro avrebbe fatto per me…”
Fissò il nano con i suoi occhi cristallini, poi uscì con passo silenzioso, diretto alla spiaggia.

“Quando?” Sarah sembrava a disagio.
“La dodicesima notte di primavera.”
“Non manca molto ormai…” Teneva gli occhi fissi a terra
Legolas fissava il fuoco, quasi ipnotizzato, disteso sul morbido tappeto accanto a Sarah, entrambi avvolti nella loro coperta preferita, candida come la neve…. Avevano fatto l’amore…
“Sarah… Vorrei poterti garantire il contrario, ma so che chiuderanno il passaggio, è una realtà che va accettata. L’unica cosa che forse può rincuorare entrambi è sapere che molto probabilmente non potranno chiuderlo subito…Se i Valar lo vorranno abbiamo ancora tempo.”
“Tempo per cosa, Legolas? Per innamorarci sempre di più per poi morire più rapidamente di dolore quando infine giungerà il momento di separarci per sempre?”
“No amore, non dirlo… Non ci separeremo. In questi giorni ho pensato molto, forse esiste ancora una speranza che io possa rimanere qui con te nel tuo mondo e sopravvivere.”
“E cosa ti da questa speranza?”
“Gandalf.”
“Gandalf?” Sarah sembrava non capire.
“E’ molto vecchio e saggio, terribilmente saggio, ma è anche straordinariamente buono. Forse lui mi potrà aiutare… ma ormai non vive più con noi al palazzo di Elrond… Da anni vive isolato nella foresta, nessuno sa esattamente dove… Tranne Elrond, forse, ma se lo sa non lo fa a vedere… Lo stregone bianco si sposta di continuo, meditando… Proverò a cercarlo dopo che il consiglio avrà preso una decisione.” “Sei così sicuro che ti aiuterà…”
“Devo credere in qualcosa, altrimenti potrei impazzire… Credici con me amore mio, per favore…”
Si strinsero l’uno all’altra e rimasero davanti al fuoco fino al sorgere dell’alba, che li separò come una lama crudele… l’inizio di una nuova giornata, ognuno nel suo mondo, separati dalla diversità.

I giorni passarono, uno dopo l’altro… Onde del mare, foglie che cadono, gocce di pioggia… e la sera prefissata giunse. Silenziosa come placidi gomitoli di nuvole, ma annunciata da una paura crescente che pervadeva l’animo di Sarah e stringeva in una tenaglia gelida le speranze di Legolas, che si preparava ad una notte lunga e tormentata, lontano dalla donna amata… Sarah sarebbe rimasta con Martina, non potendo tollerare l’idea di restar sola proprio quella notte fatidica.

“Era un po’ che non dormivamo insieme…” osservò Martina.
“Forse perché ultimamente non passo le notti da sola??” suggerì Sarah abbozzando un sorriso.
Erano in camera di Sarah, sedute sul tappeto accanto al fuoco; la ragazza stringeva a se il mantello che Legolas aveva lasciato da lei alcune notti prima e che poi le aveva regalato, così che lei avesse sempre qualcosa di suo, anche durante il giorno, anche quando non stavano insieme.
“Sei preoccupata, vero?” A Martina non sfuggiva mai nulla.
“Credo di si.”
“Credo??”
“Sono tante cose, Martina… E’ tutto che non va, questa storia è così illogica, davvero non ho idea di cosa sarà di noi… In ogni caso non abbiamo buone possibilità.”
“Perché sei così scoraggiata? Non è da te…”
“Perché sono stanca di illudermi… Il passaggio verrà chiuso comunque… il consiglio deciderà soltanto quando, ma non c’è alcuna speranza che quello spiraglio di luce resti aperto.”
“E poi?”
“Se io non lo seguirò nel suo mondo, sarà tutto finito, lui qui non può vivere… Ha intenzione di chiedere aiuto ad uno stregone molto potente, ma è improbabile che esista un rimedio a quest’aria per lui così velenosa.”
Andare con lui significherebbe abbandonare tutto quello che hai qui… So che odi questo modo, che ti senti incompresa, ma sei davvero pronta a lasciarlo per sempre?”
“Non lo so… Vorrei ma ho paura. Se anche lo seguissi nel suo mondo, noi infrangeremmo la legge… Il rischio è alto, probabilmente altissimo soprattutto per Legolas? Non so se è questo che voglio… Non so cosa succederà…”
Ma qualcosa era già successo e solo i Valar lo sapevano… Qualcosa era già accaduto, plasmando i loro destini in modo definitivo…Due nuove stelle si erano accese nel cielo di Eldamar.

“Fatti un po’ più in là, orecchie a punta!”
“Zitto Gimli! E sta fermo! Elrond non è sordo e questo continuo frusciare lo insospettirà.”
I due stavano a cavalcioni dello stesso ramo su cui Gimli aveva trascorso la notte precedente. Il nano si stringeva convulsamente al mantello di Legolas, terrorizzato dall’idea di cadere, e si era infilato alcune foglie nella barba e tra i capelli cespugliosi, sperando di mimetizzarsi con maggior successo. Il mantello di Legolas era scuro, il cappuccio calato sugli occhi; la sua immobilità era statuaria, avviluppato tra le ombre, accolto tra esse.
“Gimli…” parlò sottovoce, un sussurro appena percettibile, “Dannazione a te e alla tua marmellata, sono incollato al ramo… Ora devi rimanere assolutamente fermo e soprattutto zitto. Nessun movimento, nessun fruscio, nessun commento e nessun suono, hai capito? Trasformati in un pezzo di corteccia se è necessario, ma non combinare guai, te ne prego… Se ci scoprono ci faranno pagare cara la nostra impudenza…”
Gimli borbottò un assenso e si assestò definitivamente sul ramo, mentre Legolas continuava a scrutare l’interno della sala del trono di Elrond.
“Spero solo che non chiudano la finestra, Gimli… Nel pomeriggio ho visto arrivare Galadriel, Firnôn, Orodréth e Aurofîn; penso abbiano cenato con Galadriel, quindi dovrebbero entrare nella sala tra poco.”
“Perché tuo padre non ci sarà?”
Legolas era chiaramente seccato dalla domanda.
“Perché come ti ho già detto almeno un milione di volte, il peso che mio padre può avere nelle decisioni circa il futuro di Eldamar è pari, più o meno, a quello che abbiamo io e te, cioè nessuno. Il fatto di essere stato, e di essere tutt’ora, sovrano tra gli elfi, non lo rende sovrano supremo, non è tra i cinque eletti e non ha il diritto di decidere nulla… e non smetterò mai di ringraziare i Valar per questo.”
“Ma…”
“Shhh! Arrivano…”

I sovrani fecero appena in tempo a prendere posto attorno al tavolo rotondo e subito si sentì risuonare la voce di Firnôn, arrogante tanto quanto la figlia Milúviêl; tra i sovrani sempre vissuti ad Eldamar, era quello che Legolas detestava maggiormente, sebbene anche gli altri due non risvegliassero in lui pulsioni di particolare simpatia.
“Questo consiglio è solo una perdita di tempo, sappiamo tutti che non c’è motivo di lasciare aperto quel passaggio. A noi immortali non serve più e lasciare agli umani la possibilità di scoprirlo è pura follia. Al più presto ci libereremo di quel pericolo, meglio sarà per tutti noi… perché non subito? Perché non stanotte?” Legolas sussultò e quasi cadde dall’albero.
Galadriel, che fino a quel momento era parsa assorta nei suoi pensieri, alzò appena lo sguardo, scrutando Firnôn attraverso le lunghe ciglia bionde… Per un attimo sembrò voler prendere la parola, ma poi si ritrasse, come dubbiosa. Fu Elrond ad intervenire.
“Sai benissimo perché, Firnôn… Il passaggio è regolato dalla luce Lunare e viene influenzato dal ciclo delle stagioni. I giorni in cui può essere chiuso sono soltanto due ogni anno, i due equinozi…”
Firnôn sembrava immerso in chissà quale calcolo astruso, poi se ne uscì con un’affermazione quanto mai ovvia.
“Quello di primavera è stato dodici giorni fa, quindi significa che dobbiamo attendere almeno per altre due stagioni.”
Calò il silenzio per un attimo, poi Galadriel intervenne e non sembrava affatto lieta della discussione in corso.
“Non vedo altra possibilità, Firnôn… così come non vedo alcuna motivazione che giustifichi la tua impazienza e il tuo fervore.” La sua espressione era quasi di sfida.
“Non girarci intorno, Vanyar… Sappiamo tutti che tu non desideri affatto che quel passaggio venga chiuso!” Questa volta era stato brusco, quasi al limite della maleducazione, tanto che per un attimo nessuno nella stanza parlò.

“Legolas! Che vuol dire Vanyar?”
La risposta fu un sussurro quasi impercettibile.
“E’ la razza elfica di Galadriel… Tra noi apostrofarsi in questo modo è segno di una certa mancanza di rispetto.”
“Perché gli altri due non prendono posizione?”
“Perché sono due idioti senza spina dorsale e faranno quello che vuole Firnôn… Ora fa silenzio!”

Nella stanza regnava un silenzio pesante, carico d’imbarazzo.
Elrond fissava severo Firnôn, mentre Orodréth e Aurofîn fissavano con eccessivo interesse le assi scure e levigate del pavimento. Galadriel stava seduta, dritta come un fuso, gli occhi chiusi e un’espressione concentrata sul volto.

“Ôl toll na nin… tâd edin elin thianner be cirban.” (Un sogno è giunto a me… Due nuove stelle sono apparse in cielo).
“E allora?” Sbottò Firnôn.
“Thaith…” (Un presagio) sussurrò Galadriel.
“Ma è solo un sogno…” per la prima volta in tutta la sera Orodréth fece sentire la sua voce, per la verità alquanto simile ad un debole pigolio…”
“Baw!” Detto questo la regina elfica si alzò leggiadra, e delicatamente trascinò Elrond per la manica, fino alla finestra. Gimli si agitò e Legolas pregò che i due sovrani non fossero attratti dalla loro presenza; Galadriel invitò Elrond a guardare in alto, verso il cielo, molto più in alto di dove si trovavano i loro amici.
“Tiro!” (guarda!) e indicò un punto imprecisato della volta celeste.
Legolas e Gimli videro Elrond osservare dapprima con assai scarsa convinzione ciò che Galadriel gli indicava, poi tutt’ad un tratto s’irrigidì sorreggendosi alla balaustra… Legolas avrebbe giurato di averlo visto impallidire e tremare per un brevissimo istante.
Il sovrano distolse lo sguardo e bisbigliò a Galaadriel, in modo che solo lei potesse udirlo.
“Sono solo due stelle, nulla ci dice che abbiano attinenza con il passaggio…”
“Il tuo cuore lo sa, Elrond… Se non vuoi ascoltarlo non incolpare il cielo.”
Entrambi rientrarono e si risedettero al tavolo, Galadriel continuò a parlare.
“Io ritengo che l’improvvisa comparsa di queste due nuove stelle abbia un significato ben preciso, anche se non posso comprenderlo esattamente… Ma ritengo potrebbe trattarsi di un avvertimento, forse gli eletti, sulla terra, non sono del tutto estinti, non ancora…. Decidere di chiudere il passaggio significherà non poterlo aprire mai più in futuro, qualunque cosa accada… Abbattere l’ultimo ponte.
Non sono favorevole a questa decisione, sei mesi è un tempo troppo breve, io aspetterei ancora…
“Galadriel…” Elrond pareva a disagio “Gli eletti sono scomparsi da tempo, morto Tolkien nessun umano è più nato con il dono di una goccia di luce degli Eldar. Sono passati degli anni, forse non molti per noi immortali, ma per gli umani si tratta di tempi lunghi. Come dice Firnôn non è escluso che un umano possa scoprire il passaggio e…”
“Menzogne!” lo interruppe Galadriel sibilando. “Nessun essere umano potrebbe attraversare il passaggio di luce, non da solo… Senza l’aiuto di un immortale che sappia come usarlo è impossibile.”
“E se quest’aiuto giungesse?” Era stato Aurofîn a parlare.
“Non potrebbe accadere… In pochissimi conoscono il segreto di quel portale, tutti sono degni della nostra piena fiducia.
“Anche il nano?” Questa volta era stato Firnôn a pronunciarsi, con il suo solito tono ironico e molesto.

Gimli roteò bellicoso un pugno sopra la testa, immaginando di calarlo con violenza sulla testa di Firnôn e ci volle una gomitata di Legolas ben assestata di Legolas, sferrata in pieno stomaco, per placare le sue ire.

Galadriel guardava Firnôn senza nemmeno tentare di nascondere un certo disgusto e fu Elrond ad intervenire in difesa del nano.
“Gimli ha fatto più di una scelta coraggiosa tempo fa… Già nella Terra di Mezzo ha combattuto a fianco della nostra razza, unico tra i nani; ha abbandonato tutto per legarsi a noi, non merita il tuo disprezzo!”
“Quindi tu sei d’accordo con lei circa la chiusura del passaggio?” l’apostrofò rudemente Firnôn.
“Non è quello che ho detto!”
La situazione cominciava ad essere tesa e il discorso sembrava essersi arenato ad un punto morto, nel frattempo le natiche di Gimli cominciavano ad essere tremendamente doloranti, quelle di Legolas, invece, appiccicavano di marmellata.
Galadriel ruppe il silenzio.
“Conosco bene le tue motivazioni, Firnôn. Ere fa tu scegliesti di non mischiarti alle altre razze della Terra di Mezzo e rimanesti ad Eldamar, così come Orodréth e Aurofîn…” aggiunse poi fissando i due sovrani con un certo sospetto… “Non conosci gli uomini, né i nani, né tantomeno le relazioni che la nostra stirpe ha intessuto con loro nel corso degli anni. Non puoi capire perché da sempre hai rifiutato chi era diverso da te; i loro sentimenti, le loro paure, il loro dolore… La loro esistenza è stata assai ardua e lo è anche ora, sulla Terra. Ed è questo il motivo per cui, durante i lunghi anni trascorsi, abbiamo utilizzato il passaggio, per portar loro conforto e comprensione, perché noi, con la nostra vita immortale, abbiamo ricevuto un’immensa fortuna, che loro mai hanno potuto accarezzare, e mai potranno farlo… No, io non mi sento ancora pronta a chiudere il mio cuore al mondo, nella profonda convinzione che sia troppo presto. E’ inutile continuare a discutere, passiamo ai voti dunque, anche se già so che nessuno sarà dalla mia parte…” Elrond tentò di dire qualcosa ma lei continuò imperterrita. “…Non c’è nulla da dire Elrond, o stai con me o stai con loro, scegli con il cuore… Alzi la mano chi vuole che il passaggio sia chiuso al giungere del prossimo equinozio d’autunno.”

Cadde un silenzio pesante, talmente gelido e tagliente da raggiungere il cuore di Legolas; la mano di Gimli era posata sulla sua spalla, segno rassicurante della sua presenza.
Le mani di Firnôn, Orodréth e Aurofîn si alzarono per prime, seguite poi da quella di Elrond che mentre la sollevava non staccò mai lo sguardo dal viso di Galadriel, i cui occhi parevano infiammati.
Si alzò con fermezza, fissando severamente gli altri sovrani, si avvicinò ad Elrond e bisbigliò poche parole al suo orecchio:
“Un grave errore è stato fatto stanotte… i sogni non hanno mai mentito.”
Uscì dalla stanza con passi rapidi, lasciando dietro di se un percepibile imbarazzo.
Elrond si levò in piedi, domando a stento il suo fermento interiore.
“Il consiglio è finito!”
Si avvicinò alla finestra e uscì sul balcone, appoggiandosi alla balaustra che già aveva sorretto il suo stupore poco prima; gli altri tre, intesa la situazione, si congedarono rapidamente e tornarono alle loro dimore.

Gimli e Legolas erano immobili; l’elfo aveva solo voglia di urlare, il nano di scendere da quel ramo insidioso e appiccicaticcio.
“Ci vedrà…” mugugnò lamentoso. Legolas gli tappò la bocca con una mano.
Attraverso il fitto fogliame potevano intravedere Elrond che guardava incuriosito nella loro direzione, probabilmente aveva avvertito dei rumori. Rimase in ascolto per alcuni istanti, con la testa leggermente inclinata da un lato, poi sembrò abbandonare i suoi sospetti e rientrò nel salone, chiudendo la finestra dietro di se. Dopo alcuni minuti la luce delle candele fu smorzata, Elrond doveva essere rientrato nelle sue stanze. Legolas e Gimli si calarono silenziosamente dall’albero e corsero via rapidi, fino alla casa del nano.

Lo scapaccione di Legolas si abbattè sul testone cespuglioso di Gimli.
“Sei uno sciocco! C' è mancato pochissimo e la colpa sarebbe stata soltanto tua e dei tuoi lamenti…” si passò la mano sul retro dei pantaloni e della casacca “… e di questa tua dannatissima marmellata!”
Si guardarono negli occhi per alcuni istanti, poi sorrisero, Gimli quasi esplose in una risata liberatoria…
“Fumatina?” Tipica proposta nanesca.
“Fumatina…”
Mentre aspiravano dalla pipa intagliata di Gimli, una domanda aleggiava nella mente di quest’ultimo.
“Che farai ora?”
“Quello che ho fatto fin ora.” La sua voce era ferma, sicura, non lasciava trasparire nessun dubbio, nessuna incertezza.
“Va bene… fino al prossimo equinozio… E al dopo ci hai pensato?”
“Conosci già la mia risposta… Proverò a cercare Gandalf e gli chiederò se esiste una possibilità di vivere nel mondo di Sarah senza morire avvelenato… Se come temo non riuscissi a trovare lo Stregone Bianco o se la sua risposta fosse negativa, la porterò qui. Sono disposto ad accettare il giudizio dei Valar e la loro punizione, lei vale il rischio. Se lei è la ricompensa, nessun sacrificio sarà mai eccessivo.”
“E se lei non volesse lasciare il suo mondo?”
“Lei odia il suo mondo, non credo abbia motivi validi per restare… Ma se così fosse, rimarrei con lei…”
“Morirai, Legolas… Lo sai!”
“Morirei comunque se la dovessi perdere… Se il mio destino è perire, meglio tra le sue braccia, piuttosto che qui, lontano da lei e dal suo amore…”
“Legolas…”
“Non guardarmi così, Gimli… Se il mio cuore si dovrà spezzare, sarò io a scegliere il luogo dove metter fine al mio tempo… E’ tardi, vado…”
In un attimo svanì nell’ombra, in silenzio, lasciando Gimli sconsolato sulla panca di legno della sua veranda.

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Capitolo 13
*** CAPITOLO 13: Malori e marmellate ***


CAPITOLO 13: Malori e marmellate

Il tempo passava rapido, i giorni scorrevano… Dei miseri sei mesi che il destino aveva concesso loro ne rimanevano meno di cinque. Aprile era arrivato e passato, ora Sarah aveva un anno in più; non che la sua vita avesse subito grandi sconvolgimenti anche se era maggiorenne. Aveva festeggiato semplicemente, con una piccola cena notturna, insieme a Legolas e Martina, ma non credeva che quella fosse un’occasione poi così speciale.
Molte delle sue compagne, la maggioranza delle persone che conosceva, ritenevano i diciotto anni un traguardo importante, che meritava una festa in grande stile… A Sarah importava meno di zero, non era il tipo da grandi festeggiamenti lei, non lo era mai stata… I suoi genitori nemmeno erano tornati a casa, limitandosi ad un’insipida telefonata per augurarle buon compleanno, poi erano ritornati di sicuro a spolverare qualche vecchio cadavere mummificato nella loro attuale location archeologica… Che andassero al diavolo anche loro! Aveva solo un anno in più e fra circa cinque mesi la sua vita si sarebbe trasformata in un incubo se lei e Legolas non avessero trovato una soluzione per lo meno accettabile circa il loro futuro.

“Non verrà neanche stasera?” La mano di Martina frugava con impegno nella scatola di biscotti poggiata sul letto, che era stato montato accanto a quello di Sarah per far posto all’amica.
“Non credo, altrimenti sarebbe già qui… Non mi ha detto esattamente quando lui e Gimli sarebbero tornati, penso che non lo sappiano nemmeno loro, dipende da quanto tempo impiegheranno per trovarlo…”
Martina estrasse un grosso biscotto al cioccolato dalla scatola e lo addentò con somma soddisfazione.
“Crede davvero che questo stregone bianco potrà aiutarvi?”
“Non so… Legolas non sa nemmeno dove si trovi esattamente, ma vista e considerata la nostra situazione attuale credo sia il caso di vagliare ogni possibilità.”
Non vedeva Legolas da quattro notti e quella sarebbe stata la quinta, da quando l’elfo le aveva comunicato che sarebbe partito per alcuni giorni in compagnia di Gimli, in cerca dello Stregone Bianco…Impresa affatto semplice, dato che i due amici oltre a non avere la minima idea di dove Gandalf si trovasse, avrebbero anche dovuto inventarsi una storia convincente da raccontare a coloro che abitavano a palazzo, in modo da giustificare la loro assenza, evitando il sorgere di pericolosi sospetti…
Legolas le mancava, era preoccupata, e inoltre, da quando lui era partito, lei non stava bene affatto…La voce di Martina la richiamò alla realtà…
“Sicura di non volere un biscotto? Sono deliziosi…”
Sarah la guardò disgustata.
“Sono ben quattro ore che non rimetto, ti prego Martina, desidero preservare questo stato di grazia… E poi ho ancora un po’ di febbre…”
“Perché non prendi qualcosa di un po’ più forte di quelle aspirine? Sono tre giorni che non fai altro che vomitare e avere la febbre. Per quanto vuoi trascinartela quest’influenza?”
“Non è influenza, testona! Sono sicuramente quei funghi che hai portato qui l’altra sera, ti avevo detto che era meglio farli vedere a qualcuno prima di mangiarli… Non ci hai mai capito niente tu di funghi!”
“Perché tu si?” Martina sogghignava, divertita dal cipiglio di Sarah che la fissava in cagnesco, avvolta come un bozzolo nella coperta, mentre scioglieva l’ennesima compressa effervescente di aspirina in un bicchiere d’acqua.
“No, ma non me ne vado giuliva per i boschi a far raccolta di tutto ciò che mi sembra commestibile, per poi somministrartelo alla prima occasione!”
Martina scoppiò a ridere, mentre partiva alla ricerca di un altro biscotto.
“Non possono essere stati i funghi, io sto benissimo e ne ho mangiati più di te, quindi cercati un altro capro espiatorio…”
“Si…forse hai ragione, è un po’ d’influenza… Però è strano sai, io non ho mai sofferto di stomaco…”
“C’è sempre una prima volta, gioia mia!”
Martina riusciva veramente a fare dello spirito su ogni cosa, tanto che a Sarah non passò inosservata un’ombra negli occhi dell’amica, che si era zittita di colpo e pareva assorta nei suoi pensieri…
“Che c’è, Martina?”
“No, niente… Meno male che domani è domenica, la scuola mi sta veramente nauseando ultimamente…”
“Mi son persa qualcosa in questi tre giorni che ho passato a casa?” domandò Sarah sbadigliando.
“Che ti vuoi perdere? E’ sempre la solita rottura… Ah, la vuoi sentire l’ultima trovata di quelle emerite galline delle nostre compagne….Sarah?!? Che fai, dormi? Ecco cosa succede a continuare con quelle aspirine!”
Borbottando tra se e se prese l’ultimo biscotto, prima di chiudere la scatola, spegnere la luce e infilarsi sotto le coperte sgranocchiando, facendo attenzione a non svegliare Sarah.
Aveva un pensiero spiacevole in testa, circa il presunto cattivo stato di salute di Sarah, ma aveva preferito non parlarne con l’amica, che sembrava già abbastanza provata dall’assenza di Legolas…
Si addormentò, sperando di mettere a tacere i suoi dubbi il giorno seguente…. Si, sapeva già perfettamente cosa fare.

Si erano accampati sotto ad una grossa quercia, che pareva offrire un riparo gradevole tra le sue radici contorte, che uscivano dal terreno formando una piccola nicchia. Era la loro quinta notte in quella foresta e Gimli era di certo il meno lieto dei due; era riuscito ad averla vinta su Legolas, che si sarebbe sentito più sicuro se avessero dormito sull’albero, ma il suo fondoschiena non l’avrebbe potuto sopportare.
“Orecchie a punta! Ormai giriamo a vuoto da cinque giorni, credo che dovremmo tornare, non ha senso continuare a cercarlo…”
“Si…” lo sguardo di Legolas era vuoto, rivolto alla volta stellata, “Il tratto che abbiamo percorso oggi ci ha già riavvicinato a casa, per domani rivedremo il palazzo di Elrond.”
“Legolas?”
“Si?”
“Secondo te è possibile che Gandalf non voglia farsi trovare?”
“Possibile e molto probabile, amico mio… Ci avevo pensato anch’io.”
“Insomma… Effettivamente noi non sapevamo esattamente dove cercarlo, ma se come dici tu è in questa foresta, non posso credere che non si sia accorto della nostra presenza, l’abbiamo girata in lungo e in largo!”
“Già, inoltre Gandalf possiede vista e udito potentissimi e conosce il linguaggio di tutti gli animali che popolano questi boschi, che sicuramente lo avranno avvertito della nostra venuta… Di cero sa che siamo qui e non so spiegarti il perché di questo mio presentimento, ma temo che sia perfettamente a conoscenza anche del motivo della nostra visita, altrimenti a che scopo non mostrarsi a noi, che siamo suoi vecchi amici…”
Legolas guardava il tronco di un vecchio ramo davanti a loro, dove le ombre create dal fuoco si muovevano in una danza lenta e ipnotica… Rifletteva: non c’era più molto da fare. Lui e Gimli stavano solo sprecando il loro tempo.
“Allora domani ritorniamo?” Gimli sembrava ansioso.
“Si…Se Gandalf non vuole farsi trovare noi non lo troveremo, per cui non ha senso continuare a girare in lungo e in largo per questa maledetta foresta. Dobbiamo anche riportare a casa tutta questa frutta…”
Così dicendo indicò con un gesto seccato il cavallo, che si trascinava dietro un piccolo e rudimentale rimorchio, costruito da Gimli, pieno di frutta di diverso tipo… Ad Argon, Arwen e tutta l’allegra combriccola di palazzo avevano detto che sarebbero partiti per alcuni giorni per raccogliere frutta, con cui poi fare la famosa marmellata di Gimli… Per cui, mentre camminavano in cerca di Gandalf, avevano dovuto realmente dedicarsi alla raccolta (benché Legolas avesse contribuito assai poco) in modo da non insospettire nessuno.
“Dormiamo ora.” Mormorò Legolas distendendosi, col capo poggiato contro una radice.
“Non è meglio dormire a turno? Così uno di noi può fare la guardia…”
“Per proteggerci da cosa, Gimli? Da qualche scoiattolo che cercherà di rubare le tue fragole e le tue nocciole? In questa foresta non c’è nulla di abbastanza grosso di cui aver paura, quindi evitiamo queste tragedie… Davvero, dormi, non c’è nulla di cui preoccuparsi…”
Gimli si raggomitolò borbottando, e stringendo un’ascia per ogni mano… Si addormentò subito, mentre Legolas rimase a lungo a fissare il fuoco crepitante accanto a loro. Se avesse guardato in alto, molto in alto, tra i rami frondosi dell’enorme albero tra le cui radici avevano trovato rifugio, avrebbe potuto vedere, forse, una figura bianca incappucciata, che sorrideva amichevole, da sotto il candido cappuccio.
Li aveva seguiti per un po’, durante il giorno, divertendosi ad ascoltare le loro frequenti scaramucce a proposito della direzione da prendere e del grado di maturazione della frutta raccolta, ma aveva preferito che loro non lo vedessero.
Non era il momento giusto perché Gandalf il Bianco si mostrasse, non ancora almeno…

Quando si svegliò il mattino dopo Martina non c’era… la scatola dei biscotti giaceva aperta (e svuotata) sul letto, accanto ad un bigliettino spiegazzato.
-Torno fra una mezz’oretta.-
Di nuovo quella molesta sensazione di nausea, eppure il suo stomaco era vuoto…
“Ci mancava solo questa per chiudere il quadro in bellezza. Depressa, preoccupata e ora anche in pessime condizioni fisiche… In questo momento devo essere un bocconcino veramente appetitoso!”
Si trascinò in cucina e cercò di mangiare qualcosa, sperando che il senso di nausea si alleviasse un po’. Non fu una buona idea…

Martina tornò e la trovò ancora inginocchiata sul tappetino del bagno.
“Di nuovo! Cerca di non caderci in quel water, per cortesia… Fuori la testa di li! Tirati su! Ti ho portato una cosa e ti devo parlare.”
La trascinò quasi di peso in camera e la fece sedere sul letto; Sarah si guardò intorno spaesata, il fuoco nel camino era completamente spento e Phoebe stava leccando con dovizia le briciole rimaste nella scatola dei biscotti.
“Via, creatura immonda!” intimò Martina sedendosi a gambe incrociate sul letto accanto a Sarah, mentre la gatta schizzava via come se avesse fissato negli occhi del diavolo in persona, poi rivolta all’amica aggiunse “Credo dovresti fare questo” e le buttò tra le mani un sacchettino verde di carta, abbastanza spiegazzato. Sarah non capì immediatamente, poi, una volta estratto il contenuto del sacchetto, sbiancò in volto e sobbalzò.
“Ti prego no!” mormorò rivolta più ad un ipotetico dio che a Martina, “Non ho la forza di affrontare anche questo.”
“E invece si!” ribatté Martina aprendo la scatoletta e mettendo in mano di Sarah il test di gravidanza.” Non ti ho mai chiesto niente in proposito, ma avevo già avuto il presentimento che tu e Legolas non usaste niente… come dire…le normali precauzioni contraccettive.”
Sarah non rispose, era terrea.
“Sarah…” continuò Martina “ io capisco che non è il massimo spiegare ad un elfo che cos’è e come si usa un preservativo, però per te non era la prima volta, insomma, non sei una sprovveduta… Possibile che tu non ci abbia pensato??”
“Io…io… Non so come io abbia potuto, ma non avevo mai considerato la cosa sotto questo punto di vista… Non mi era mai nemmeno passata per la testa l’idea di rimanere incinta.” Poi un pensiero che in quel momento la terrorizzò. “Martina, dimmi che non hai comprato questo test nella farmacia della vecchia Freeman giù all’angolo… Altrimenti nel giro di mezza giornata lo saprà tutto il paese e saremo nei guai.”
“Tranquilla gioia, sono andata nell’alta, quella del signor Brownstone… Lui ovviamente non c’era, anche se alla domenica mattina deve tenere aperto, sicuramente sarà stato a letto a smaltire una delle più colossali sbornie del secolo; in compenso a sostituirlo c’era quel ragazzotto deficiente, quello che scarica le casse in magazzino. Non riesce a distinguere una supposta da un cerotto, figurati… Gli ho detto che avevo mal di gola e ho finto di non ricordare il nome delle pasticche, così mentre lui si scervellava io ho sgraffignato due test… Meglio ripeterlo per esser sicure… Ora, da brava, vai a farlo.”
Sarah si trascinò verso il bagno come uno zombie e tornò alcuni minuti dopo, pallida come un cencio; posò il test sul comodino e si lasciò cadere sul letto.
“Quanto bisogna aspettare?” La sua voce era un soffio.
“Dieci minuti… Se è rosa tutto ok, se è blu… beh… ci sarà un problema in più da affrontare.” Un attimo di silenzio, “Sarah?”
“Mmhh?”
“Quando le hai avute l’ultima volta?”
Sarah provò a far mente locale ma era tutto così confuso, credeva di non riuscire a ricordare… Da quando lei e Legolas avevano fatto l’amore per la prima volta, la cosa si era ripetuta quasi tutte le notti e lei era sicura di non aver mai avuto il ciclo, e questo significava che…
“Prima del ventun marzo! Credo intorno al dieci.”
“Cristo! Oggi è il nove maggio!”

Il test era blu, ovviamente… Come poteva non esserlo? Da quando lei e Legolas si erano uniti per la prima volta, non si erano mai preoccupati della cosa, non era mai venuta in mente a nessuno dei due… Come aveva potuto essere così sciocca? Legolas era pur sempre un uomo e lei una donna…
Martina la costrinse a fare anche il secondo test per sicurezza, ma il risultato non fu diverso.
“Un bambino…” mormorò tra se Sarah, fissando inebetita la finestra di fronte a se.
“Hai una mezza idea di quanto sei?”
“Eh?”
“Di quante settimane, Sarah… Sveglia!”
“Non lo so… Penso sia stata una delle primissime volte comunque…” aggiunse poi dopo qualche rapido calcolo mentale.
Martina le si sedette ancora più vicino e le posò una mano sul braccio.
“Fai ancora in tempo se vuoi? Questa cosa si può risolvere senza che nessuno lo sappia, senza nessun problema…”
Sarah si rannicchiò sul letto e si voltò dall’altra parte, rimanendo immobile, terrorizzata da tutto quello che stava accadendo. Martina sapeva che l’amica aveva bisogno di un po’ di tempo e silenzio per decidere, perciò prese un libro dalla mensola e cominciò a leggere, senza interrompere la meditazione in corso sul letto accanto al suo.
Rimasero in silenzio per quasi un’ora, Sarah non si mosse nemmeno di un millimetro, tanto che Martina per un attimo pensò che l’amica si fosse addormentata… Poi improvvisamente la vide alzarsi e mettersi seduta, quasi di scatto, parlò senza sollevare lo sguardo, come ipnotizzata.
“Questa COSA di cui tu parli è mio figlio… per quanto non sia stato voluto o desiderato non cambia il fatto che sia parte di me. Non ho intenzione di abortire, non ho intenzione di far finta di niente, non ho intenzione di darlo via. E’ mio e resta con me… A costo di passare le pene dell’inferno! Sono stufa di stare ad ascoltare tutte le chiacchiere della gente. Nelle sue vene c’è anche il sangue di Legolas, non solo il mio… Sarà elfo per metà… io non l’ucciderò solo per paura.”
Martina la guardava con negli occhi un’espressione rassegnata, osservava le lacrime rigare il viso di Sarah.
“Non condivido la tua scelta, ma posso capirla… Ma ti rendi conto di ciò a cui vai incontro, vero? Perché un figlio stravolgerà completamente la tua esistenza, per non parlare di quella di Legolas… E voi due mi sembrate già molto fragili.”
“Lo so, ma non m’importa… Non cambierò idea. Per piacere… Ho bisogno di stare un po’ sola.”
Martina capì, sorrise e si alzò, baciò Sarah sulla fronte prima di uscire. Mentre camminava verso casa pensò a tutto quello che era successo, all’improvvisa svolta in quella storia che stava diventando sempre più assurda… Forse per l’amica sarebbe stato davvero meglio andar via insieme a Legolas… ora c’era anche un bambino di mezzo…

Ritornarono a palazzo in tarda mattinata, scarmigliati e assetati (Gimli aveva accidentalmente rovesciato l’ultima borraccia d’acqua), e con l’umore non decisamente alle stelle.
Argon li attendeva su una roccia liscia e piatta, all’ombra di un grande salice, affilando il suo pugnale.
“Bentornati amici miei preparatori di marmellata!”
Legolas lo fulminò con uno sguardo omicida, di cui Aragorn probabilmente nemmeno si accorse, visto che stava già esaminando con sospetto la frutta nel carrettino, toccando tutto quello che gli capitava a tiro.
“Com’è andata la raccolta?” proseguì poi fissando i capelli di Gimli pieni di rametti e foglie secche e la punta di una delle trecce in cui raccoglieva la barba, leggermente bruciacchiata a causa di un’improvvisa fiammata del loro fuoco notturno.
“Bene la raccolta… un po’ meno la scarpinata!” grugnì Gimli colpendo la mano di Aragorn che si era protesa con la rapidità di un tentacolo verso un cestino pieno di lamponi. “Giù le zampe! Ci dobbiamo fare la marmellata e la frutta sotto sciroppo!”
“Mi dispiace di non esser potuto venire con voi,” continuò Aragorn, massaggiandosi la mano colpita dal nano, “ma avevo promesso ad Elrond di aiutarlo in alcune faccende di palazzo e se mi fossi tirato indietro all’ultimo istante… beh, insomma… sapete com’è fatta Arwen.”
“Ma no, non preoccuparti…” intervenne Gimli con una leggermente sospetta ed improvvisa allegria, “Noi ce la siamo cavata benissimo, vero Legolas?” E senza nemmeno dargli il tempo di rispondere, “Avremmo volentieri rimandato, ma sai com’è… I lamponi poi marciscono e avremmo rischiato di non trovare più ciliegie e poi…”
“Gimli! “ lo interruppe Legolas sorridendo, “Penso che Aragorn abbia afferrato il concetto, non c’è bisogno di recitare il tuo solito poema sul processo di guastamento della frutta…Andiamo?”
In realtà Gimli e Legolas avevano scelto di partire esattamente in quei giorni, perché avevano la certezza cha Aragorn non si sarebbe potuto unire a loro, ma furono in grado di nasconderlo all’amico, che d’altra parte non aveva il minimo motivo per sospettare una cosa del genere.
Così i tre ridacchiando si avviarono verso la casa di Gimli, dove li attendevano calderoni da rimestare e vasetti da riempire.

Benché il viaggio nella foresta avesse avuto come scopo soprattutto la ricerca di Gandalf la quantità di frutta di cui occuparsi era semplicemente terrificante… Il raccolto di Legolas e Gimli si andò ad unire a quello già effettuato dal nano nel frutteto e nei dintorni del palazzo… L’elfo fissava con desolazione le montagne di frutta in precario equilibrio sparse per tutta la cucina dell’amico.
“Dobbiamo cucinarla tutta??” chiese Aragorn speranzoso.
“No!” abbaiò Gimli “Un po’ possiamo anche lasciarla qui a marcire e usarla per la marmellata del prossimo anno! Domanda degna di un troll, Aragorn… Cosa vuoi che ce ne facciamo altrimenti di tutta questa frutta?” Legolas sorrise divertito, mai contraddire Gimli quando si trattava di cibo, specialmente delle sue marmellate! Lavorarono allegramente fino a mezzogiorno, poi si concessero una piccola pausa per il pranzo, preparato da Gimli, e poi ripresero a lavare e sbucciare frutta e a rimestare pentoloni pieni di marmellata.
Faceva caldo, ad esser sinceri che si soffocava; fumi densi e odorosi di frutta si alzavano dai pentoloni di Gimli e sembrava che la marmellata si stesse appiccicando ovunque. Legolas e Aragorn si erano tolti le casacche, rimanendo a petto nudo, mentre Gimli portava un ridicolo foulard verde brillante, avvolto intorno alla testa, per proteggere il suo rosso pelame da possibili pericoli della cucina… sembrava una tonda contadinotta.
Era divertente stare in quella cucina fumosa, solo loro tre, senza nessuno che li scocciasse, senza nessuno che facesse domande idiote… Lavare la frutta e mescolarla allo zucchero, rimestare in quei pentoloni enormi, travasare la marmellata e mangiarne un po’… Faceva dimenticare tutto, tutti i problemi, tutti le preoccupazioni e le paure, tutti i guai… C’erano solo loro tre che ridevano, si tiravano i noccioli dei frutti e si schizzavano di acqua… Una piccola bolla di pace. Scoppiò presto.

“Oh ma che allegra festicciola!”
Una voce gelida dal vano della porta, Legolas non alzò nemmeno il viso dal pentolone davanti a cui stava trafficando, sapeva benissimo chi c’era dietro di lui, e non aveva alcun’ intenzione di vederla… si chinò ancora di più sulla pentola, nel vapore che saliva da essa.
Gimli prese immediatamente in mano le redini della situazione, non tollerava estranei non graditi nella sua casa.
“Buon pomeriggio Milúviêl! Siamo molto lieti che tu ci sia venuta a trovare, purtroppo, come puoi vedere da sola, siamo molto occupati, quindi cosa ne diresti di levarti di torno e liberarci della tua presenza almeno per i prossimi trecento anni?”
Milúviêl lo guardò sprezzante, soffermandosi sul suo copricapo verde e sulle sue mani sporche di marmellata.
“Non sono qui per te, disgustosa creatura!”
Dopo tale frase sprizzante simpatia, Milúviêl si avvicinò a Legolas con passo sinuoso, fissando la sua schiena nuda e muscolosa, imperlata di goccioline di sudore simili a piccole perle opalescenti; lui continuava a non guardarla, mostrandosi estremamente interessato al contenuto della pentola davanti a lui.
“Legolas…” la voce era fredda, tagliente… Lui non si voltò.
Lo chiamò di nuovo, questa volta passando languidamente i palmi delle mani sulle sue spalle e poi giù, fino alla vita, sfiorando gli addominali scolpiti con la punta delle dita.
“Se ci tieni alla tua virtù non dovresti mostrarti a me con così pochi abiti addosso, amore mio…”
Legolas si rivoltò come una vipera, allontanandosi da lei e dalle sue mani di scatto e andando ad urtare contro al tavolo, a cui si appoggiò, voltandosi poi a fissarla con il disgusto dipinto sul viso, che si era però tinto di rosso per l’imbarazzo.
“Ti dirò solo una cosa, e ho intenzione di dirtela una volta soltanto, per cui apri bene le orecchie Milúviêl.” Sibilò quasi in un soffio rabbioso. “Io non sono e non sarò mai tuo, per cui fammi il piacere di lasciarmi stare e non farti più vedere.”
“Oh Legolas… Sei ancora più eccitante quando fai così!” Gli occhi grigi di lei si erano accesi, ma erano rimasti freddi; Legolas temeva quegli occhi, non avrebbe saputo spiegare il motivo di quella sensazione di gelo che provava ogni volta che la fissava, ma in quei due pezzi di ghiaccio grigio c’era e c’era sempre stato qualcosa di molto cattivo, qualcosa di meschino che non gli piaceva affatto. Milúviêl gli si avvicinò un poco e tese la mano per sfiorargli il petto; l’elfo scattò e sfuggì a quel tocco, spostandosi dall’altro lato del tavolo, accanto ad Aragorn, che questa volta intervenne, per evitare che la situazione degenerasse o assumesse contorni eccessivamente sgradevoli e imbarazzanti.
“Forse è il caso che tu te ne vada Milúviêl…ora! Credo tu sia abbastanza intelligente per renderti conto che tu, qui in casa di Gimli, non sei affatto gradita… e nemmeno Legolas gradisce avere a che fare con te di continuo… fuori di qui.”
Milúviêl non si mosse, fissando i tre con un sorriso vagamente folle dipinto sul volto. Aragorn picchiò un pugno sul tavolo.
“Ho detto fuori!”
Finalmente l’elfo si mosse, sempre sorridendo in modo serafico e uscì con passo lento e leggero dalla porta, sbattendola talmente forte da farla riaprire e andare a sbattere contro il muro della casa di Gimli; il nano tuonò a voce altissima:
“Non farti mai più vedere qui, razza di maleducata!!”
Poi, contemporaneamente ad Aragorn, si girò, fissando Legolas. L’elfo sembrava prostrato, si era lasciato cadere su una sedia, scuotendo debolmente la testa che teneva tra e mani.
“Legoolas…” mormorò Aragorn.
“Se questa pazzia non giunge al termine credo che impazzirò…” mormorò l’elfo più rivolto a se stesso che agli amici. Gimli, che sapeva tutto, certamente molto più di Aragorn, si rendeva perfettamente conto di ciò che intendeva l’amico. No, il problema non era Milúviêl… o meglio, il problema di Milúviêl si aggiungeva alla valanga di altri problemi e preoccupazioni che incombeva su Legolas come una spada di Damocle. Era la classica goccia che rischiava di far traboccare un vaso già pericolosamente troppo pieno… Ma che fare?
“Perché non ne parli con Firnôn?” Il suggerimento di Aragorn, nonostante la sua sincera volontà di aiutare l’amico, risultava essere piuttosto idiota.
“Per il semplice fatto che lui e mio padre attendono da mesi, alla stregua di due avvoltoi assatanati, che io mi decida a capitolare di fronte ai ripetuti e spudorati tentativi di seduzione della sua adorata bambina. Lui vuole ad ogni costo che io sposi Milúviêl… Per quanto riguarda mio padre… beh, lui desidera che io mi sposi presto, se poi si tratta della figlia di Firnôn la ritiene un’occasione da non lasciarsi sfuggire per nessuna ragione esistente.”
“Mmhh…” mugugnò dubbioso Aragorn, “La bellezza di Milúviêl non è certo fatto che passa inosservato, anzi, direi che è splendida… Se non fosse per...”
“…Quello sguardo!” concluse secco Legolas, Aragorn lo fissò negli occhi.
“L’hai notato anche tu, quindi…”
“E come non notarlo? Il suo sguardo è meschino, le antiche fiamme di Melkor sembrano ardere in quegli occhi… Freddi, gelidi. Nessuna passione, nessun calore, nessun buon sentimento. Quegli occhi riflettono il vuoto più assoluto… e io ne ho paura. Speravo che nascondessero una certa intelligenza, speravo che Milúviêl capisse che non ho la minima intenzione di sposarla e mi lasciasse in pace…Evidentemente ho fatto male i miei calcoli…”
“Ma non c’è un modo per farla smettere?” intervenne Gimli, che nel frattempo si era avvicinato alla porta per controllare lo stato dei cardini dopo lo scatto isterico di Milúviêl.
Legolas alzò le spalle, chiaro segno che non voleva continuare a parlare della sua insistente corteggiatrice, gli amici sapevano cosa significava quel gesto e lo capirono… Non si parlò più di Milúviêl.

La notte era scesa e Legolas stava aiutando Gimli a ridare una parvenza di ordine e pulizia alla sua cucina. “Sembra ci sia passato un branco di Goblin inferociti!” borbottò Gimli grattando le incrostazioni di marmellata dal pavimento.
Legolas sorrise, i borbottii dell’amico, a volte, avevano uno strano effetto su di lui, lo rilassavano… Aragorn li aveva già lasciati per raggiungere Arwen, che desiderava ardentemente trascinarlo ad un ritrovo notturno durante il quale si sarebbero esibiti i migliori cantanti di Eldamar…

“E che ci vengo a fare io?” aveva ringhiato Gimli quando Aragorn aveva esteso l’invito anche a lui e a Legolas. “Mi addormento a sentire i vostri canti elfici…assolutamente no! E tu resterai a farmi compagnia, Orecchie a punta!” sbraitò poi rivolto all’elfo.
Legolas sorrise.
”Ti ringrazio Aragorn, ma sono molto stanco e francamente non ho alcuna voglia di incontrare mio padre, Firnôn e soprattutto Milúviêl… Resterò qui con Gimli per un po’, così lo aiuto a pulire la cucina… E poi tu sarai in dolce compagnia, non sentirai la nostra mancanza…”
Così Aragorn se n’era andato con la coda tra le gambe… Pensando a come liberarsi di Thranduil, Milúviêl e Firnôn, quando lo avrebbero aggredito come un branco di locuste impazzite per sapere dove si trovasse Legolas.

“E’ l’ora?” chiese Gimli.
Legolas annuì, allacciandosi il mantello scuro e calandosi il cappuccio sugli occhi, dopo essersi assicurato che i capelli fossero ben celati sotto di esso; non voleva rischiare…
“Vado…”
“Fa attenzione per piacere.”
L’elfo fece un rapido gesto di assenso, strinse la spalla di Gimli con la mano e scomparve nell’oscurità del vano della porta… il buio lo avvolse.
Camminò svelto, senza produrre alcun fruscio, il silenzio era assoluto, quasi irreale; poi, improvvisamente, delle voci, si arrestò, immobilizzandosi dietro ad un albero, ascoltando…
Era ormai al limitare della foresta, dove gli alberi lasciavano il posto all’aria fresca che veniva dal mare, dove il muschio e il sottobosco che copriva il terreno si estingueva per essere sostituito dalla soffice spiaggia bianca. C’era qualcuno ai lati dell’apertura tra gli alberi che conduceva alla spiaggia, erano due guardie che parlottavano animatamente tra loro.
Legolas trattenne il fiato.
“E da quando c’è un passaggio in questa foresta?”
”Non è nella foresta, è sulla spiaggia…penso ci sia da sempre.”
“E perché hanno deciso di chiuderlo proprio ora?’”
“Ma come faccio io a saperlo? Ne so quanto te! Questo passaggio funziona solo di notte e noi dobbiamo accertarci che nessuno si avvicini alla spiaggia fino a quando la luna non scompare. Ordini di Elrond, dice che c’è qualcosa nell’aria che lo turba…”
“Io però non vedo nessun passaggio…”
“Tu non se qui per vederlo, ma per fare la sentinella! Noi non siamo in grado di individuarlo, deve esserci un modo, una formula per far si che si apra, ma di certo non verrà svelata a noi semplici guardie… Non assillarmi con le tue perplessità, te ne prego, e stai tranquillo… Nessuno cercherà di avvicinarsi alla spiaggia, a chi vuoi che interessi di recarsi in quella fogna di Terra, patria degli umani… Mi sono portato un po’ di idromele, vuoi?”

Legolas imprecò tra se, ci mancava solo questo! Ora, per quanto non fosse affatto impossibile raggiungere il passaggio, sarebbe stato di certo più impegnativo e faticoso, avrebbe dovuto tagliare attraverso la foresta… Non c’erano sentieri, di certo non sarebbe stato piacevole.
Una volta usciti sulla spiaggia, dall’apertura tra gli alberi, per raggiungere il passaggio Legolas camminava verso destra; così si incamminò attraverso le sterpaglie in quella stessa direzione. Quella parte della foresta era sempre stata selvaggia e impervia, tanto che l’unico passaggio per la spiaggia era stato creato artificialmente dagli elfi, moltissimi anni prima.
Un tempo, in lontane ere ormai trascorse e quasi del tutto dimenticate, quel misero sentiero era stato una larga e luminosa strada, lastricata con piccole e tonde pietre lisce, quando ancora le navi partivano per la Terra di Mezzo e da li ritornavano. In tempi remoti era stato frenetico e continuo il viavai verso la spiaggia, poi quel mondo distante da loro un lungo tratto di mare era stato distrutto, ora al di la di quelle acque infinite non vi era più nulla, solo gli spazi incontaminati della memoria. Il richiamo del mare, che per millenni era echeggiato nei più profondi recessi dei cuori dei figli di Ilúvatar si era spinto, la consapevolezza che il mare non aveva più nulla da celare ai loro occhi si era fatta strada in loro… la terra promessa da anni infiniti era stata finalmente raggiunta, smettere di desiderare, non cercare più l’avventura, non spingersi più verso l’ignoto. Era giunto il momento di vivere davvero. La strada, abbandonata a se stessa, era stata come inghiottita da quella strana foresta, ma per Legolas quell’inquietudine, quella che lui aveva sinceramente ritenuto legata al desiderio del mare, non si era mai placata, per anni aveva continuato a cercare, a desiderare, senza nemmeno sapere cosa… Poi quella pietra nel giardino di Elrond, era stato così naturale perdersi in quelle immagini sfocate e fluttuanti….Sarah. Era tutto talmente assurdo, talmente sbagliato, ma per la prima volta in tutta la sua vita l’ inquietudine e il desiderio di ricerca che lo attanagliavano si erano placati; per la prima volta gli pareva di poter scorgere la strada da seguire.

Quando ritenette di aver camminato abbastanza verso destra, allontanandosi dalle due guardie quel tanto che bastava per non essere visto, si diresse verso la spiaggia, facendosi strada con violenza tra la vegetazione e uscendo dalla macchia con uno strappo secco… il suo viso era graffiato dai rovi. Curioso, per un attimo quei rami contorti gli parvero vivi, rabbiosi, desiderosi di impedirgli il passaggio e lividi di rancore perché lui era riuscito a districarsi dal loro groviglio maligno.
Basta con tali assurdi pensieri! Si ripulì il viso impolverato con il dorso della mano, notando con disappunto altri graffi che risalivano fin sulle braccia… quella foresta si sarebbe trasformata in un serio problema; che Elrond e le sue guardie fossero dannati!

Scivolò nella luce fluida e opalescente del passaggio e in un attimo era li, in quella stanza, in quella casa, in quel mondo così diverso da suo.

Lei era sedeva immobile, raggomitolata sul letto, con una coperta posata sulle gambe… Lo fissava, ma non sorrideva. Un pallore cereo aveva invaso il suo volto, rendendo i suoi occhi ancora più grandi e velandoli di tristezza, quelle gemme verdi in cui lui, elfo, sapeva leggere. Si insinuò nei pensieri di Sarah quasi involontariamente, come trasportato, il suo cuore era una pergamena che si dipanava poco a poco di fronte a lui, così avido di leggerla… e in un attimo tutto ebbe un senso, tutto gli fu chiaro, limpido, evidente, accecante nella sua realtà e consistenza. Le mani della ragazza erano posate sul suo ventre, ansiose, possessive, addirittura frementi…
Lei comprese: lui sapeva.
Abbassò gli occhi sulle proprie mani, chiuse intorno a quel miracolo, meraviglioso, seppur estremamente doloroso. Un sussurro dalle labbra di Legolas:
“Nín hên dartha be lîn taew… mîn hên (Mio figlio giace nel tuo grembo… nostro figlio).
Cadde seduto sul letto, come prostrato da tale rivelazione. Le loro dita si intrecciarono, senza staccarsi dalla calda alcova in cui riposava il loro bambino, come se, attraverso il corpo di Sarah, quel piccolo essere potesse percepire la loro presenza.
Rimasero così, in silenzio, non era quello il momento per le parole.

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Capitolo 14
*** CAPITOLO 14: Mio padre e i miei amici ***


CAPITOLO 14: Mio padre e i miei amici

Grazie al cielo la scuola era terminata e davanti a lei si prospettavano tre lunghi mesi di vacanza. Non avrebbe potuto continuare a reggere quel ritmo, nelle condizioni in cui si trovava ora.
Alle nausee, che solo da qualche giorno avevano cominciato a darle una parvenza di tregua, si erano aggiunti mal di schiena, emicranie e continua stanchezza… e la pancia cominciava a vedersi.
“Dicevi che fino al quinto o anche alo sesto mese non si sarebbe notato nulla… Guarda qui!” si lamentò Sarah sollevandosi il maglione e mostrando all’amica la pancia. “Sto assumendo le sembianze di un’orca assassina!”
“Non so cosa dirti…” bofonchiò Martina scartabellando tra un mucchio di appunti presi su fogli spiegazzati e sporchi della marmellata che Legolas aveva portato alle due ragazze. Mi sono letta tutti i libri della biblioteca in merito all’argomento… dicono tutti che per i primi mesi la pancia non dovrebbe vedersi.”
“E allora perché se sono solo al quarto mese sembra che io abbia inghiottito un grosso cocomero?”
“Non lo so…” sogghignò Martina “Forse il bambino è…. Molto grosso?”
Sarah la colpì con una cucinata.
“Ma fammi il piacere!”
In effetti, la pancia era cresciuta tanto, ma Sarah si era rifiutata di farsi vedere da un dottore e non aveva mai saputo niente in fatto di bebè, per cui non riusciva a capire quanto fosse normale ciò che le stava accadendo… Non usciva mai e cercava di stare molto a riposo, mentre Martina le portava un sacco di libri e riviste per mamme in attesa e stava con lei continuamente, lasciandola solo quando Legolas giungeva insieme alla prima luce della Luna. L’elfo era emozionato all’idea di avere un figlio, un bambino col suo stesso sangue; all’iniziale sgomento, alla paura per quella novità sconvolgente, si erano sostituiti un entusiasmo e una gioia che avevano compiuto un miracolo, contagiando anche Sarah.
Lei inizialmente non voleva quel bambino, o più precisamente era la sua mente a non volerlo, perché il suo cuore aveva amato sin da subito quella minuscola creatura che cresceva dentro di lei. Ma le paure, le incertezze, la sofferenza erano così intense che in un primo momento dentro di se non c’era stato posto per l’amore. Poi, lentamente, si era abituata a quella costante presenza, grazie anche a Legolas, vedendolo parlare col loro bambino, osservandolo mentre le accarezzava intenerito la pancia… aveva cominciato ad amare tutto ciò, a desiderare quella nascita. Stava accettando la sua nuova vita e la felicità che essa faceva germogliare nel cuore… Aveva cominciato a prendere sul serio l’idea di andare via con Legolas, sapeva che quella era l’unica cosa sensata da fare, l’unica soluzione possibile per loro tre… erano una famiglia.

Gimli, invece, era stato entusiasta fin da subito di quella notizia.
“Saro zio!” cinguettò allegramente.
“Beh… non esattamente…” Legolas sorrise, leggermente imbarazzato ma anche divertito; poi guardò l’amico, già se lo immaginava insieme al suo bambino: Gimli lo avrebbe amato, allo stesso modo in cui amava lui, il suo migliore amico. Sorrise…
“Ma in fondo… si, credo che sarai il miglior zio del mondo!”
Il nano sorrise raggiante… Legolas lo sapeva bene, l’amico si sarebbe messo subito a produrre una tale quantità di giocattoli in legno, che sarebbero potuti bastare per tutta la popolazione infantile di Eldamar… Suo figlio sarebbe stato un bambino molto amato.
Sarebbe stato un momento così felice se solo… Se solo la situazione di contorno non fosse stata così oppressiva e angosciante. Le continue menzogne ad Aragorn, Elrond e Arwen, la paura che lo scoprissero mentre si serviva del passaggio, Milúviél che stava dimostrando una tenacia a dir poco agghiacciante e, come se non bastasse, ora anche suo padre aveva deciso di iniziare ad elargire il suo personale contributo di tormento. Di punto in bianco, nemmeno Legolas aveva capito quale fosse stata la molla che aveva risvegliato quel lato del padre che, a suo parere, non rimaneva mai sopito per un tempo sufficiente lungo, Thranduil si era trasformato in una specie di minaccia ambulante, che non perdeva nemmeno un’occasione per avventarsi sul figlio e subissarlo di discorsi tediosi, pretese insostenibili e prediche asfissianti.

Era cominciato tutto casualmente, in un pomeriggio d’inizio estate…Thranduil aveva chiesto al figlio un di stare per qualche giorno al suo palazzo, dicendogli che gli pareva giusto che padre e figlio passassero un po’ di tempo insieme. L’elfo aveva accettato più per evitare discussioni che per effettiva voglia di vedere il padre, poteva sempre scappare se la situazione fosse diventata insostenibile… erano solo una ventina di minuti a piedi dal palazzo di Elrond, che lui considerava casa propria.
Aveva resistito per pochi minuti, dopodiché era balzato in sella al suo cavallo ed era tornato sui suoi passi, verso quel porto sicuro che era la sua stanza, intima e raccolta, nel palazzo di Elrond.
Suo padre, aveva improvvisamente deciso che lui e Milúviél dovevano assolutamente sposarsi; Legolas nemmeno aveva fatto in tempo ad entrare nel grande salone, che Thranduil gli era venuto incontro, blaterando qualcosa a proposito di una meravigliosa sorpresa che attendeva il figlio nella sala accanto. Non appena Legolas aveva scoperto la natura della sorpresa, Milúviél accompagnata dal padre Firnôn entrambi desiderosi di discutere con lui del matrimonio, si era rivoltato come una serpe contro il padre, colpevole di averlo attirato lì con l’inganno, poi, senza nemmeno lasciarlo replicare, era tornato sui suoi passi, a casa sua, la sua vera casa.

Ovviamente Thranduil non si era arreso, non era da lui abbandonare così rapidamente i suoi ottusi propositi. Aveva continuato a tendere piccoli agguati al figlio, tutte le volte che metteva il naso fuori dai giardini di Elrond, cercando di convincerlo del fatto Milúviél avrebbe potuto essere una sposa meravigliosa… E l’elfo si era reso conto delle motivazioni che spingevano il padre ad essere così insistente. Il nocciolo della questione non erano in realtà le splendide doti (per quanto assai dubbie) di Milúviél, ma il fatto che fosse la figlia di Firnôn, a questo mirava il padre, ad imparentarsi con uno dei cinque sovrani supremi, usando lui, suo figlio, per i suoi meschini scopi.
Così Legolas aveva smesso di allontanarsi dal palazzo di Elrond, anche perché non ne aveva un motivo reale, stava benissimo li; passava il tempo con Gimli e Aragorn, mentre Thranduil, che non amava farsi vedere nella casa dell’antico sovrano di Imladris, sembrava aver placato i suoi istinti e per parecchi giorni non si erano più avute sue notizie. Legolas si stava tranquillizzando… Forse quella tempesta era passata…

Quel pomeriggio di Luglio era caldo e assolato, se ne stavano tutti e tre a casa di Gimli, sul tavolo era posata una piccola botticella contenente la birra preparata dal nano, con accanto tre enormi bicchieri già svuotati per metà, Aragorn e Legolas stavano giocando a scacchi, mentre Gimli attendeva di sfidare il vincitore…
Re Thranduil aveva bussato sommessamente alla porta, nonostante il pessimo carattere era una persona estremamente educata, che considerava molto importante il rispetto delle buone maniere. Al suo saluto, formulato in tono gelido ma cortese, Legolas, che voltava le spalle alla porta, aveva sgranato gli occhi, fissandoli in quelli di Aragorn, al quale era sembrato di leggere disperazione nello sguardo dell’amico. La stessa espressione di un cervo braccato, che si rende conto di non aver più alcuna via di scampo dai cacciatori e dai segugi che lo inseguono.
Legolas aveva effettivamente una gran voglia di saltare dalla finestra e dileguarsi nel bosco. Perché suo padre era li? Suo padre che non si allontanava mai dal suo palazzo, a meno che non si trattasse di questioni estremamente gravi, urgenti e importanti. Suo padre che non approvava nessuna delle sue amicizie e delle sue frequentazioni, soprattutto se si trattava di Aragorn e Gimli, considerati rispettivamente un umano fannullone e un nano sudicio, troppo sciocchi per avere a che fare col suo unico figlio, entrambi usurpatori di una vita e di una terra che non gli apparteneva, essendo stata creata solo ed esclusivamente per i figli di Iluvatar. Thranduil li disprezzava profondamente, perché allora bussava alla porta di Gimli in pieno pomeriggio? Legolas temeva di saperlo, ma sperava ardentemente si sbagliarsi.
“Milúviél” pronunciò quella parola senza emettere suono, muovendo solo le labbra, in modo che Aragorn, seduto di fronte a lui, potesse comprendere, solo guardando la sua bocca. L’uomo sollevò gli occhi al cielo; aveva sempre ritenuto Legolas una persona estremamente intelligente e perfettamente in grado di prendere le sue decisioni e fare le sue scelte in piena autonomia… Non capiva perché suo padre non facesse altro che dargli il tormento e assillarlo con i suoi pareri, per altro costantemente non richiesti… Infatti, Legolas se ne infischiava altamente di quello che il padre poteva dire, fare o pensare, ma non aveva una gran soglia di sopportazione, e Thranduil stava mettendo a dura prova la sua pazienza, tanto che l’elfo, ormai da settimane, non riusciva più a nascondere il grande turbamento emotivo che portava dentro di se.
Ad essere franchi, inoltre, l’antipatia che il Re nutriva nei confronti di Gimli e Aragorn, era pienamente ricambiata… Se avessero potuto, l’avrebbero chiuso all’istante in una botte e fatto rotolare lungo il pendio che si stendeva fino al lago di Loth, (distava solo poche miglia dal palazzo di Elrond) e tanti saluti a Re Thranduil! A mai più rivederci! Gimli era sicuro che Legolas sarebbe stato ben felice di spingere quella botte insieme con loro, anzi, forse avrebbe anche cercato di appesantirla con qualche pietra… Aragorn aveva riso di cuore quando Gimli gli aveva esposto le sue supposizioni.
“Legolas…” la voce di Thranduil aveva un timbro estremamente sgradevole, Gimli si attaccò al bicchiere per darsi forza, ingurgitando una poderosa sorsata, che accompagnò con un suono gorgogliante, che gli costò uno sguardo di disapprovazione da parte del re.
“Padre.” Aragorn si accorse che Legolas evitava con estrema cura gli occhi del padre, che non era stato nemmeno lontanamente sfiorato dall’idea di degnare gli amici del figlio della minima attenzione. La cortesia era una cosa, la confidenza un’altra, Thranduil amava ripeterlo ad ogni occasione e loro tre, con somma soddisfazione, avevano acquisito grande abilità nell’imitarlo.
“Ormai è praticamente impossibile trovarti a palazzo.”
“Forse perché nel TUO palazzo non c’è nulla di interessante… Anzi, per essere più precisi è ben alto il rischio di incontrare persone a me assai sgradite, lo sai bene.” Thranduil lo guardò severo.
“Cerca di controllare la tua impudenza, Legolas. Sei pur sempre mio figlio e mi devi rispetto.”
“Parli dello stesso rispetto che tu dovresti mostrare nei miei confronti?” lo sguardo di Legolas era vitreo, ”Perché nelle ultime settimane io non ne ho visto nemmeno un po’. Se sei qui per parlare nuovamente di quella, va via per piacere, ti ho già detto cosa ne penso e non voglio più parlarne, specie con te.”
“Quella ha un nome.”
”Quella è una strega!”
“Legolas!” Aveva alzato la voce, anche se il giovane elfo non sembrava particolarmente scosso dalla cosa. ”Perché parli così di lei?” aggiunse poi addolcendosi leggermente. “E’ una principessa d’estrema bellezza, è intelligente, loquace, sa come comportarsi e…”
“Ed è la figlia di Firnôn, non è questo un motivo più che buono, padre?”
Thranduil lo fissò con un misto di disgusto e sconforto dipinti sul volto affilato e severo.

Aragorn osservava in silenzio la scena… No, un padre non avrebbe dovuto comportarsi così con il proprio figlio, avvilirlo, tormentarlo, senza nemmeno accorgersi del malessere interiore che lo affliggeva. Legolas non aveva una madre, era morta tanti anni prima e lui non ne parlava mai, non voleva ricordare; ma l’uomo si chiedeva se si potesse effettivamente dire che Thranduil fosse un padre per Legolas, sempre così lontano, così freddo, indifferente ai sentimenti di suo figlio. Guardando l’amico, i suoi occhi chiari, per natura così dolci, ma in quel momento così freddi, si rese conto per la prima volta di qualcosa che lo turbò, la solitudine di Legolas. Certo, non era così facile accorgersene, da fuori sembrava una creatura come tante; figlio di re, eroe per aver partecipato alla guerra contro Sauron nella Terra di Mezzo, aveva degli amici, forse non tantissimi, ma gli volevano tutti molto bene, era amato da tutti, eppure era solo, lo era sempre stato. Pur conoscendolo da lunghi anni, Aragorn non se n’era mai accorto, e questo era triste, lo sapeva bene. Da quanto Legolas combatteva da solo contro il suo dolore? Non ci aveva mai fatto caso, ma il suo più caro amico non aveva mai conosciuto l’amore, mai l’aveva visto palpitare per un'altra creatura, mai nei suoi occhi si era accesa la luce che illuminava sempre quelli dell’uomo quando Arwen, la sua sposa, si trovava davanti a lui.
Millenni di vita… e mai la scintilla dell’amore, la sua doveva essere una vita molto triste, a volte. Come aveva potuto essere così superficiale, così sciocco? Come aveva potuto non accorgersi di nulla?
Avrebbe dovuto capirlo, era suo amico, aveva il dovere di stargli vicino, di preoccuparsi per lui…Non l’aveva fatto. Lergolas, che pareva così forte, così resistente… in realtà non era così.

Fu riscosso da un colpo, Legolas si era alzato di scatto, tanto che la sedia si era rovesciata a terra; le mani tremanti strette sul bordo del tavolo, le nocche gli erano diventate bianche.
“Perché non mi lasci in pace? Perché non te ne vai? Non puoi evitare di farti vedere, almeno quando sono qui, in questa casa, coi miei amici? Esci dalla mia vita! Esci di qui!”
Gridò nel pronunciare le ultime parole, scostandosi con rabbia dal tavolo, per voltarsi contro il muro, le mani appoggiate davanti a se e la testa abbassata. Non abbastanza rapidamente però, perché ad Aragorn non sfuggirono gli occhi lucidi, le lunghe ciglia imperlate di minuscole gocce, lacrime simili a piccole perle.
“Fuio le… Bado! “ (Ti odio… vattene!)
“Legolas!” si era leggermente avvicinato al figlio, ma la voce di Thranduil non mostrava il minimo segno di dolcezza o intenerimento, fredda, dura come sempre.
L’elfo si voltò, nemmeno sembrava lui, quegli occhi erano pieni di rancore, bagnati dalle lacrime che ormai non tentava più di nascondere. Il suo petto sussultava, come scosso da un tremito interiore, qualcosa di lacerante.
“Mae, bedin im.” (Bene, me ne vado io)
Uscì rapido, sbattendo la porta, Aragorn, con la coda dell’occhio, lo vide dalla finestra, mentre correva verso il bosco, sapeva dove stava andando. Lui e Gimli si voltarono, fissando Thranduil in silenzio, ma con espressioni di chiaro rimprovero dipinte sul volto. Nessuno parlò, non c’era poi molto da dire, alcune cose si dicono con gli occhi e loro, in quel momento lo stavano facendo. Il padre di Legolas voltò loro le spalle e uscì dalla casa di Gimli, senza degnarli della minima attenzione; lentamente, col suo usuale passo solenne e cadenzato, s’incamminò verso il suo palazzo, deciso più che mai a non abbandonare i suoi propositi.

Si fissarono, dubbiosi circa la cosa migliore da fare.
“Dannazione!” Aragorn sbattè il pugno contro la porta che Thranduil si era chiuso alle spalle poco prima.
“Possibile che non riesca a mostrare un minimo di comprensione? Come può comportarsi così? E’ suo figlio!”
“Non è mai stato molto paterno nei suoi confronti, lo sappiamo bene.”
“Già, ma a tutto c’è un limite e credo che la pazienza di Legolas sia già ben oltre il suo punto di rottura, per non parlare della sua pace interiore… Vado a cercarlo.”
“Aspetta, vengo con te…”
“No Gimli, resta qui. E’ inutile che andiamo in due, se non vuole farsi trovare non lo troveremo, sa perfettamente come sparire in una foresta, è un elfo… Ma forse so dove può essersi rifugiato.”
Gimli fece buon viso… Non gli piaceva l’idea che Aragorn rimanesse solo con Legolas, non in quel momento in cui l’amico era così fragile e tanto pieno di segreti, ma insistendo avrebbe solo insospettito l’uomo, per cui aveva ceduto, sebbene riluttante, sperava solo che i nervi di Legolas non cedessero.

Camminava lentamente, tra i rami intricati, credeva di sapere dove Legolas si era rifugiato, era un posto che anche lui utilizzava, di tanto in tanto, quando il desiderio di star solo insieme alla miriade dei suoi ricordi si faceva così pressante da non poter fare a meno di accontentarlo. Non aveva fretta di trovare Legolas, voleva dargli il tempo di sbollire quella rabbia, una rabbia iniziale che avrebbe presto lasciato posto al dolore, quel dolore che per la prima volta Aragorn aveva inteso, nascosto sotto un’inespugnabile corazza che l’amico indossava ogni giorno, una corazza talmente efficace che era riuscita ad ingannare anche lui… Ma aveva peccato di leggerezza con Legolas, lo sapeva bene e si sentiva sciocco per questo. Aveva sempre dato così per scontato che l’elfo non avesse bisogno d’aiuto, per il semplice fatto che mai ne chiedeva… Non l’aveva mai chiesto con le parole, ma chissà, forse nei suoi occhi quella richiesta si era timidamente affacciata molte volte, per poi scomparire rapidamente, con la consapevolezza che nessuno poteva vederla, che nessuno nemmeno si preoccupava di cercarla…
“Oh Legolas…”
Era esattamente dove Aragorn si aspettava e sperava di trovarlo, sull’orlo di quella polla sorgiva, piccola e profondissima, tanto che il blu dell’acqua appariva talmente scuro da poter essere nero. L’avevano scoperta insieme quella sorgente, un giorno che cercavano insieme erbe medicinali per curare una potente tosse accompagnata da una fastidiosa febbriciattola che affliggeva un assai seccato Gimli. Era un luogo strano, circondato da fitti salici odorosi, che creavano quasi una piccola cappella ombreggiata di verde intorno a quello specchio d’acqua, dove il sole non arrivava mai.
Aragorn rimase all’esterno di quella cortina di foglie, rispettoso dell’intimità che si era creata intorno all’amico, di cui poteva scorgere la sagoma leggermente indistinta, offuscata da quella tenda naturale e semitrasparente. Scostò leggermente un ramo pendente e frondoso, che gli rivelò la figura perfetta e nitida dell’elfo; stava accovacciato su una pietra liscia e scura, al lato della pozza, il braccio che agitava pigramente l’acqua e la testa chinata verso quella superficie lucida e scura, talmente vicino che alcune ciocche dei suoi lunghi capelli si erano inzuppate e creavano sul pelo dell’acqua delle spirali e dei percorsi confusi. Legolas non pareva essersene accorto, Aragorn lo sentiva canticchiare qualcosa in modo sommesso e leggermente singhiozzante, pur conoscendo alla perfezione la lingua degli immortali non riuscì a distinguere quelle parole, che sembravano acquistare vita in quell’alcova nascosta, erano parole rotte, sofferenti…
Vide le lacrime scorrere sul volto dell’amico, lacrime amare che l’elfo non voleva mai mostrare a nessun’altro che non fosse la sua solitudine, che tentava sempre di nascondere anche a loro, i suoi migliori, forse per paura che lo ritenessero un debole. L’uomo non n’era sicuro, si rendeva conto solo ora che c’erano ancora molte cose, troppe cose, che non aveva mai capito di lui.
Il canto s’interruppe per lasciare posto a singhiozzi rotti, quasi rabbiosi, come se furore e dolore stessero combattendo insieme in quell’anima stravolta. Legolas si abbracciò le ginocchia, chinando su di esse la testa e lasciando che la sua folta chioma gli ricadesse completamente sul viso, nascondendolo al mondo intero. Aragorn si mosse piano, avvicinandosi all’amico e gli si sedette accanto, cingendogli le spalle con un braccio. Legolas si riscosse improvvisamente, quasi disturbato da quell’improvvisa presenza, ma non disse nulla, limitandosi a fissare l’uomo con occhi imploranti.
“Non me ne andrò Legolas, non guardarmi così… Per anni sei stato la spalla su cui piangevo, la persona con cui mi sfogavo, ora tocca a me starti vicino, l’amicizia è anche questo.”
Non arginò il successivo pianto e i singhiozzi di Legolas, non disse nulla, ma si limitò ad abbracciarlo e a tenerlo stretto, a trasmettergli il calore della sua presenza, a fargli capire che, qualunque fosse la situazione che lo dilaniava, lui era li, era lì per lui.
Passarono parecchi minuti prima le lacrime si arginassero e altri minuti perchè Legolas si calmasse e il suo petto smettesse di sussultare, mentre rimaneva stretto tra le braccia di Aragorn a cui era tornata in mente una notte lontana, talmente distante che sembrava appartenere ad un’altra vita ma in realtà apparteneva al loro passato.

Quella notte lontana, insieme al resto della compagnia, sulle rive dell’ Aduin, mentre tutti dormivano loro due erano rimasti a parlare in disparte. L’uomo ricordava bene il suo stato d’animo, era annientato dall’angoscia e dalla paura; era stato costretto ad abbandonare Arwen, per partire alla volta di Mordor e le sue responsabilità di re di Gondor si erano improvvisamente affaciate nella sua vita, cambiandola radicalmente. Lui, solitario, addirittura selvatico, sarebbe dovuto diventare re, sovrano di migliaia di persone che sarebbero dipese in tutto e per tutto da lui, loro guida, loro speranza, loro punto di riferimento, tutto questo lo atterriva, era come un ruvido cappio che si stringeva in modo infido e progressivo intorno al suo collo, impedendogli di respirare e soffocandolo.
Legolas era stato accanto a lui, non lo aveva giudicato, riuscendo a capire perfettamente il suo stato d’animo, aveva asciugato le sue lacrime e l’aveva rincuorato, incoraggiato… Gli era bastato parlare per pochi minuti con quella creatura meravigliosa e si era sentito più forte, capace di assolvere i suoi compiti, come se un flusso d’energia lo avesse pervaso. Per la prima volta aveva avvertito quella consapevolezza rassicurante, sarebbe riuscito a diventare un sovrano degno del suo ruolo difficile, sarebbe riuscito a governare con bontà e saggezza, e anche con coraggio, perché il suo cuore era valoroso e impavido. Lui poteva essere re. Lui sarebbe stato re. Ed era Legolas che aveva infuso in lui quella sicurezza, che gli aveva dato la forza.
E poi era successo… Il loro abbraccio si era caricato di passione, si erano scambiati quel bacio rovente, per un attimo al mondo erano esistiti solo loro due e nient’altro, nessun altro… Forse sarebbero anche andati oltre, se Legolas non si fosse riscosso improvvisamente e non l’avesse fermato. Ricordava quelle parole come se le avesse udite da pochi attimi:
“Sono una creatura immortale e non mi posso permettere errori per quanto riguarda i sentimenti e l’amore. Lo sai, Aragorn… Se un elfo cede, anche una sola volta all’amore o alla lussuria, resta per sempre prigioniero dell’altra persona. Ci doniamo una sola volta nella vita, una sola volta c’innamoriamo e di quell’amore moriamo se per un qualunque motivo il destino ci separa dalla persona a cui, consapevolmente o meno ci siamo legati. Sono molto legato a te, amico mio, ma non c’è niente di più di una profonda amicizia, so che anche per te è così, posso leggere nei tuoi pensieri. Questa situazione scaturisce dalla nostra paura, dalla nostra confusione e dalle nostre incertezze sul futuro. Se succedesse qualcosa tra noi, qui, stanotte, forse tu, col tempo, potresti dimenticare, di sicuro potresti ugualmente costruirti il tuo futuro, considerarlo solo un episodio, ma per me sarebbe la rovina, perché mi precluderei per sempre all’amore, concedendomi ad una persona che in realtà non amo, non in quel senso… Ho il dovere di occuparmi di me stesso e di non commettere un errore del genere. Capisci, vero?”
E lui aveva capito, si era reso conto che se Legolas non avesse fatto appello a tutta la sua forza interiore, a quella grande forza che lo rendeva così puro, così integro, forse lui, il suo migliore amico, avrebbe rischiato di portarlo alla rovina.
Si erano fermati, ringraziando i Valar non erano andati oltre e quell’ episodio era rimasto un breve momento di confusione in una situazione in cui nessuno di loro era se stesso, angosciati dalla minaccia di Mordor. Doveva tutto all’elfo. Se lui era stato quello che era stato, il sovrano più amato di Gondor, oltre che un uomo completo sotto tutti i punti di vista, il merito era solo ed esclusivamente di Legolas, che gli era rimasto accanto per tutta la vita, presenza silenziosa e rassicurante. Mai aveva chiesto nulla, aveva solo dato con una generosità stupefacente.
Quell’episodio, che ormai apparteneva a tempi antichi e remoti, non aveva mai più condizionato la loro vita, o questo era quello che Aragorn aveva sempre creduto fino a quel pomeriggio, perché ora un dubbio lo assillava: poteva essere quel loro lontano bacio, quel loro momento di passione, che ora impediva a Legolas di amare, di essere felice? Non aveva mai considerato quella possibilità, ma se fosse stato possibile?

Lentamente si staccò dall’abbraccio di Legolas e gli prese il viso tra le mani, l’elfo non singhiozzava più, ma le lacrime continuavano a scorrere su quel viso d’avorio, ora arrossato e sciupato.
“non piangere, ti prego…” mormorò, mentre gli passava sul viso il suo fazzoletto, che aveva immerso nell’acqua della polla, per dare sollievo a quegli occhi gonfi.
“Oh Aragorn, mi sembra di impazzire… Non potrò più tener testa a mio padre, se si dovesse ripresentare da me con le sue sciocche pretese.”
“Potrà assillarti per tutto il tempo che vorrà, ma non potrà mai costringerti a fare qualcosa che tu non vuoi; non devi angosciarti, non può farti sposare Milúviél contro la tua volontà, tu sei perfettamente in grado di fare le tue scelte da solo, devi solo farti forza e cercare di mantenere la calma.”
“io…”balbettò Legolas “…Io non posso più sopportare tutte queste pressioni…Prima Arwen, ora mio padre che da un momento all’altro decide che deve avere un peso nelle scelte della mia vita… E’ tutto così difficile!”
“Tutto cosa, Legolas? Io non riesco a capire, è come se mi sfuggisse qualcosa…”
Legolas lo fissò con uno sguardo interrogativo, quasi impaurito, tanto che l’uomo se ne avvide.
“Legolas…Perché hai paura di me? Sono sempre io, il tuo migliore amico… Qualunque cosa tu dovessi dirmi sarebbe custodita gelosamente nel mio cuore, lo sai bene. Non ti ho mai giudicato e mai lo farei, ho solo un gran desiderio di aiutarti, perché ti vedo soffrire e ciò causa dolore anche a me. C’è una cosa che ti devo chiedere, è importante e per quanto vorrei evitare di crearti pena parlandotene, sento che è giusto farlo.”
“Ti ascolto.”
“Da quando ti conosco tu… beh, ecco, tu sei sempre stato solo, nel senso che non hai mai avuto una compagna e… nemmeno un compagno.” Pronunciò l’ultima parola con la voce tremante, incerta, quasi temesse di turbare l’amico, facendo riaffiorare in lui i ricordi di quel bacio. “Mi sono chiesto se non è per quel bacio, quel bacio tra noi, che ora ti è così difficile, se non impossibile innamorarti… Da millenni, da intere ere tu vivi senza amore.”
Legolas sorrise, intimamente sollevato dal fatto che Aragorn non s’immaginasse ciò che stava realmente accadendo, le parole gli fluirono quasi senza accorgersene.
“Sono innamorato, Aragorn… E non di te, stai tranquillo. “ si lasciò sfuggire un mezzo sorriso divertito. ”Non temere e non incolparti di cose che non hai commesso…non pensavo più a quel bacio da diversi anni, per me non conta nulla.”
L’uomo era allibito… Innamorato? Di chi? Da quanto? E soprattutto perché non ne aveva mai parlato?
“Tu… sei… Hai una compagna? Chi?”
“Non so se posso dire di avere una compagna…” rispose con aria meditabonda, pensando che effettivamente Sarah, nonostante il bambino, non aveva ancora accettato di abbandonare il suo mondo.
”…ma il mio cuore ha trovato l’amore… Scusami, Aragorn, tu non la conosci, ma non posso dirti chi è, non ancora… Vedi, è una questione molto complicata e potrebbe creare dei problemi, io non voglio coinvolgere nessuno, meno che mai te o Arwen… Non è ancora il momento, ma quando le acque si saranno calmate io… ti racconterò tutto.”
“E’ una situazione così difficile?”
“Si…” lo vide abbassare imbarazzato gli occhi blu, che si specchiarono nell’acqua. “Potrebbe anche risolversi in nulla se… se le cose dovessero prendere una piega sbagliata, non posso ancora sapere se per noi ci sarà un futuro.”
“Legolas… mi dici di non avere certezze, nessuna certezza, ma sostieni di aver aperto il tuo cuore all’amore… Se le cose non andassero come speri… tu…”
“Morirei… E’ così.” Aragorn lo fissava sconvolto, il cuore stretto da una morsa.
“Ho fatto la mia scelta, amico mio… Una di quelle scelte da cui non si può tornare indietro.”
Per alcuni minuti rimasero in silenzio, l’uomo fissava la pozza leggermente inebetito. Ora tutto aveva un senso. Il comportamento di Legolas si spiegava facilmente alla luce di quanto aveva appena scoperto, i suoi continui malumori e le sue frequenti sparizioni, i nervi sempre a fior di pelle, sembrava voler fuggire da tutti, c’era un motivo assai serio per tutto ciò, ora capiva.
“Legolas, io... Se posso fare qualcosa per te..”
“Nulla, purtroppo… se non mantenere il mio segreto, fino a quando sarà necessario.”
Aragorn per un attimo riflettè, significava dover mentire ad Arwen e forse anche ad Elrond… ma per Legolas ne valeva la pena, l’avrebbe fatto, perché sapeva bene che l’amico, al posto suo, non avrebbe avuto alcun dubbio. Aveva solo da imparare dalla forza di quella creatura.
“Avo grogo, Legolas… i lín fuin darthatha haltannenn ben nín ind” (Non temere, Legolas… Il tuo segreto rimarrà nascosto nel mio cuore)
“Hannon le…”
Si alzò dalla pietra, per uscire da quella specie di grotta verde e incamminarsi verso il palazzo; Aragorn, rimasto seduto, lo trattenne per un braccio.
“Legolas… Avo awartha i estel…” (Non abbandonare la speranza…)
“Avo cerithon han.” (Non lo farò) e in un attimo scomparve dalla sua vista, dileguandosi tra il fogliame.

L’uomo rimase immobile per alcuni secondi, riflettendo su quello che aveva scoperto parlando con Legolas… Si sentiva come frastornato da tutte quelle novità, e molto preoccupato per l’amico. Perché era così angosciato se aveva finalmente trovato l’amore? Cosa c’era di pericoloso in quella situazione? Doveva essere qualcosa di serio, Legolas non era il tipo che si allarmava o si preoccupava senza un reale motivo e nell’ultimo periodo sembrava totalmente pervaso dalla sofferenza e dall’angoscia. Perché?
Raccolse dell’acqua gelida nella conca delle mani e se la gettò sul viso rovente, strofinandosi gli occhi e osservò lo specchio d’acqua increspato dal suo movimento tornare lentamente piatto e liscio.
Vide qualcosa che lo colpì… C’era un altro viso riflesso nell’acqua, un viso di qualcuno seduto proprio di fronte a lui, qualcuno che lui conosceva molto bene. Alzò lo sguardo e lo vide.
“Gandalf… Ma come?”
“Buongiorno a te Aragorn, antico re di Gondor… Ancora non hai imparato che gli stregoni, se lo desiderano, possono essere silenziosi quanto gli elfi?”
“Da molto non ti mostravi a noi…”
“E ho intenzione di rimanere ancora per un po’ nel mio bozzolo di solitudine, non è ancora giunto per me il momento di ritornare, ma sono qui per consigliarti su una cosa…”
“Ti ascolto…”
“Legolas.”
“Legolas?” Aragorn ebbe il sospetto che Gandalf sapesse molte cose, forse anche più di quanto Legolas non gli avesse confidato pochi minuti prima.
“Stategli vicino tu e Gimli… Ma soprattutto tu, Aragorn, non abbandonarlo mai e non giudicarlo, lui avrà molto bisogno di te fra non molto e tu dovrai imparare che le cose non sono sempre come ci appaiono a prima vista…”
“Da sempre può contare su di me, non l’ho mai abbandonato…”
“Giorni difficili si avvicinano e tu devi ricordare quello che oggi ti dico… non può farcela da solo.”
Aragorn avrebbe voluto chiedergli qualcosa in più, parlare ancora con lui, ma lo Stregone Bianco era sparito in un soffio, così come era apparso.
Aragorn rimase solo, a fissare l’acqua… Si chiese se non fosse stato tutto un sogno.

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Capitolo 15
*** CAPITOLO 15: La morte del mio segreto ***


CAPITOLO 15: La morte del mio segreto

Era uscito presto dal palazzo quel mattino, prima che la dorata aurora estiva cominciasse a sfilacciare le ultime ombre notturne. Da tempo la notte aveva smesso di portargli riposo e conforto, in quell’estate così calda e per lui così dolorosa; mancavano venti giorni all’equinozio d’autunno, poi tutto sarebbe cambiato. Si immerse lentamente nell’acqua fresca del fiume, lasciò che gli ricoprisse completamente la pelle, centimetro dopo centimetro, le gambe, il petto, il viso, e in un attimo era completamente sott’acqua, seduto sui ciottoli bianchi e tondi del fondo.
Sentiva i suoi capelli dorati muoversi intorno a lui, sfuggenti e sinuosi nell’acqua, come evanescenti brandelli di meduse, adorava guardarle quando si arenavano sulla spiaggia bianca…
Avrebbe potuto rimanere così per sempre, in quel mondo ovattato, senza percezione alcuna di suoni, li sott’acqua; aprì gli occhi, quasi assaporando quel bruciore sotto le palpebre. Strana sensazione per lui non vedere nulla, proprio lui, elfo, dotato di una vista straordinaria, annebbiato dall’acqua.
Fu riportato alla realtà da rumori sordi, che venivano dalla riva li accanto, qualcosa si muoveva fuori dall’acqua, non voleva ascoltarli, non voleva riemergere, non ancora… aveva ancora aria nei polmoni.
“Legolas! Legolas! Oh… per tutti i demoni del mondo!”
Qualcosa di sgraziato e pesante gli cadde addosso con la stessa delicatezza di un grosso macigno; l’acqua gli entrò nel naso e in gola, la sentì scorrere fredda e tagliente… un dolore alla testa. Con un colpo di reni si sollevò in piedi riemergendo, il livello del fiume era poco sopra le sue spalle, tossì convulsamente, e si stropicciò gli occhi prima di aprirli, temeva di sapere cos’avrebbe visto…
“Gimli! Maledizione! Che fai?”
Il nano sguazzava nervosamente accanto a lui, tossicchiando e sputacchiando acqua con sonori gorgoglii… completamente vestito.
“Annegavi…”
“Io? Non dire assurdità! Stavo riflettendo, ma ho rischiato di annegare grazie al tuo solerte intervento… Che vuoi da me a quest’ora? Così dicendo uscì dall’acqua e si avviò verso la riva, dove aveva lasciato i suoi vestiti, mentre Gimli lo seguiva zampettando e inciampando nei suoi abiti zuppi.
“Guarda che hai fatto!” brontolò l’elfo toccandosi la fronte, dove spiccava un taglio da cui usciva un leggero rivolo di sangue.
“Tranquillo!” bofonchiò Gimli, “Non rimarrai sfregiato per l’eternità! Ti sei solo graffiato con i sassolini del letto del fiume”
Legolas lo fulminò con lo sguardo, tanto che Gimli arrossì tentando di giustificarsi:
“Io ti chiamavo, ma non rispondevi… e continuavi a startene seduto sul fondo, ho pensato che magari stavi male… Volevo salvarti!”
L’elfo sorrise bonario.
“Salvarmi? Ma se quasi non sai nuotare…”
Silenzio.
“Emh… Gimli?”
“Cosa?”
“Non è che ti puoi voltare?”
“Oh.. scusa… non ci avevo fatto caso” Il nano si voltò di scatto, rosso come una barbabietola e iniziò a far sgocciolare via l’acqua dalla barba… Quasi non si era accorto che stava fissando l’amico che non indossava nulla.
La voce dell’elfo lo riscosse.
“Cosa dovevi dirmi di così urgente? Puoi anche guardarmi ora, sono vestito. Che c’è?”
“Giusto!” Gimli fece una mezza piroetta su se stesso. “ Stavo dimenticando… Indovina chi è arrivato stamattina all’alba al palazzo di Elrond.”
Legolas si sedette pigramente su una roccia chiara, che si tingeva dei riflessi dorati del primo sole.
“Se si tratta di nuovo di mio padre preferisco non saperlo!”
“Non scherzare! Parlo sul serio…”
“Non lo so, Gimli… Non mi va di giocare. Dimmi chi è e facciamola finita!”
“Lo stregone bianco!”
“Gandalf?!” L’elfo si alzò di scatto. “Sei sicuro?”
“Fino a testimonianza contraria non ho ancora perso una buona vista. Ho assistito al suo arrivo con questi occhi!”
“Gandalf…” Legolas si era riseduto e pareva assorto, come ad inseguire un pensiero. I capelli, ancora inzuppati d’acqua, lasciavano cadere piccole goccioline sui suoi vestiti asciutti. Immobile come una statua di cera.
“Legolas… Non ti sembra strano? Cioè, noi passiamo giorni a cercarlo nella foresta e non troviamo nulla e dopo poco tempo lui appare così dal nulla. Sembra quasi si stia prendendo gioco di noi, come se sapesse che lo abbiamo cercato… una beffa?”
“Gandalf non sprecherebbe mai il tempo in occupazioni così futili! Ma questa situazione non mi piace nemmeno un po’… Vieni!”
“Dove?”
”A palazzo, dove altrimenti?”
“Conciati così?”
“Perché? Cosa c’è che non va? Non ho tempo da perdere…”
“Io sono fradicio e tu hai la fronte piena di sangue, almeno lavati, altrimenti penseranno tutti che ti ho colpito con la mia ascia migliore… e poi perché hai tutta questa fretta?”
Legolas si era riavvicinato al fiume e si era sciacquato la fronte, poi si premette un fazzoletto sulla ferita e si incamminò verso il palazzo.
“Muoviti Gimli, te lo spiego mentre camminiamo.” Il nano gli trotterellò dietro.

Elrond non si aspettava la visita di Gandalf, non che non gli facesse piacere, ma lo stregone bianco andava e veniva con un certa irregolarità, comparendo sempre all’improvviso e senza una motivazione ben precisa. Aragorn scherzava sempre, amava definirlo “anima di ramingo”, Elrond non glielo aveva mai detto, ma riteneva avesse ragione in fondo.
Lui e lo stregone si abbracciarono con genuino affetto, sul portone del palazzo, dove erano sopraggiunti in tutta fretta anche Arwen e Aragorn, che sbadigliava pigramente senza sforzarsi di nascondere troppo di essere appena stato strappato al sonno.
“Cosa ti porta qui, amico mio?”
“Niente di particolare, come sempre del resto… Sentivo solo desiderio di passare del tempo con voi. Arwen…” disse poi rivolgendosi alla figlia di Elrond e baciandole la mano con galanteria “Sempre più bella…Aragorn! Felice di vederti vecchio mio!” detto questo gli assestò una poderosa manata sulla spalla che fece traballare vistosamente l’uomo ancora mezzo addormentato e poco reattivo. “Vedo che l’eternità ti impigrisce! La tua signora sarà assai affranta!”
Elrond sogghignò, voleva molto bene al marito della figlia, l’aveva cresciuto come un figlio suo, ma a volte non poteva fare a meno di trovarlo vagamente e buffo… Aragorn, dal canto suo, finse di non vedere Gandalf da tempo, qualcosa nella sua testa gli diceva che il loro incontro sotto i salici dovesse rimanere segreto.
“Dove sono i tuoi allegri compagni d’avventura? Non vedo l’ora di assaggiare la marmellata di Gimli, sicuramente avrà passato l’estate a preparala, e non vedo Legolas da tantissimo tempo, l’ultima volta che sono stato qui era lontano per un viaggio esplorativo oltre i confini abitati.”
“Ad essere sincera non lo vediamo più molto nemmeno noi!” sbottò Arwen
“Arwen” la riproverò dolcemente il padre, “non ora, ti prego…”
Gandalf osservava la scena incuriosito e Elrond se ne accorse.
“Ultimamente Legolas è un po’ strano…”
“Ah, davvero?” Gandal pareva quasi sorpreso.
“Si… Sai com’è fatto, ogni tanto ha di questi momenti, sarà da qualche parte con Gimli, comunque sicuramente arriveranno per l’ora di cena… vieni entra.”

“Quindi secondo te Gandalf sa…”
“Ne sono certo… Sicuramente lui sa che lo abbiamo cercato per giorni nella foresta e poi…” si interruppe.
“Cosa?”
“E’ solo un’impressione, quando eravamo nella foresta non ti ho voluto dire niente per non metterti in agitazione, ma più volte ho avuto la sensazione di essere osservato…”
“Non poteva essere li! Abbiamo setacciato la foresta, l’avremmo trovato.”
“Nessuno trova Gandalf se nei suoi desideri non rientra il farsi trovare, ricordatelo bene.”
“Non potrebbe essere solo un caso che lui sia qui? Perché sei così convinto che sappia di te e Sarah? Magari aveva solo voglia di vederci…”
“Una cosa ho imparato, da quando conosco Gandalf…Mai le sue azioni sono state immotivate, sebbene lui sia molto bravo a celarne le ragioni. Se è qui ha uno scopo e temo sia qui per me.”
“Rimango dell’idea che tu stia esagerando, ti preoccupi troppo!”
Arrivarono a palazzo rapidamente e si avviarono verso il salotto-biblioteca di Elrond continuando a bisticciare, la porta si aprì prima che avessero tempo di bussare, era Aragorn.
“Vi si sente vociare fin da quando siete entrati a palazzo, muovetevi.. E’ arrivato Gandalf!”
“Lo sappiamo bene!” grugnì Gimli varcando la soglia. Aragorn osservò incuriosito la scia di acqua che il nano si lasciava dietro.
“Legolas? Che hai fatto alla testa?” L’elfo scosse il capo e non rispose.

“Finalmente!” li accolse Elrond, voltandosi dal tavolino, dove stava versando del sidro per Gandalf.
“Ma dove…?” Le parole gli morirono in gola davanti allo spettacolo che offrivano i due amici; Gimli era fradicio, in disordine e anche sporco di fango fino a metà polpaccio, mentre i capelli di Legolas erano ancora bagnati e spettinati e il taglio sulla fronte si era anche rimesso a sanguinare, macchiandogli il viso di chiazze rosse.
Gandalf scoppiò a ridere cercando di dissimulare con leggeri colpetti di tosse, ma Elrond appariva vagamente contrariato.
“Ho paura di domandarvi da dove venite, per essere ridotti in questo stato.”
“Dal fiume…” biascicò Gimli.
“E da quando fai il bagno vestito?” intervenne Arwen.
“Questi non sono affari tuoi!” abbaiò Gimli.
“Non ricominciate, ve ne prego!” La voce di Aragorn, proveniente dal vano della finestra era supplichevole.
“Siete gentilmente invitati a non discutere in mia presenza di tali futilità!” ammonì Elrond che però, Aragorn notò con sollievo, cercava di nascondere un mezzo sorriso divertito. “Legolas?” aggiunse poi il sovrano. L’elfo sollevò lo sguardo, che teneva fisso sui ricami del tappeto.
“Come ti sei ferito alla fronte?”
Silenzio.
“Non vi sarete picchiati, spero?” aggiunse poi preoccupato fissando con sospetto Gimli, consapevole del suo carattere iracondo.
“Sciocchezze!” brontolò il nano. “Diglielo Legolas che sei solamente caduto!”
L’elfo era assorto, con gli occhi fissi in quelli di Gandalf, che gli sorrideva bonariamente, ma il cui sguardo pareva scrutare nella sua anima, come in cerca di qualcosa… Legolas ebbe la certezza: lo stregone sapeva. Lo poteva vedere chiaramente in quegli occhi di un azzurro pallido e acquoso, contornati dalle rughe. Per un attimo gli parve che loro due soli fossero presenti nella stanza… Lo riscosse una potente e dolorosa gomitata al fianco.
“Legolas!” La voce del suo barbuto amico lo riportava alla realtà e il tono era più che mai petulante.
“Cosa?” rispose l’elfo innervosito, colpendo istintivamente l’amico con uno scapaccione proprio dietro l’orecchio.
“In nome dei Valar!” sbottò Elrond “Datevi un contegno! Anzi, andate a cambiarvi e rendetevi presentabili, e fate in modo di ritornare qui prima di notte… Aragorn?”
“Si?”
“Accompagnali. La ferita di Legolas ha bisogno di essere medicata e data l’atmosfera del momento non mi sembra il caso che sia Gimli ad occuparsene.”
I tre uscirono dalla stanza, senza proferir parola, Gimli più torvo che mai e Legolas vagamente trasognato, mentre Aragorn mostrava chiaramente di non veder l’ora di sapere cos’era successo ai due amici.
“Io torno alle mie stanze, padre. Arrivederci Gandalf, ci vedremo più tardi.”
Così dicendo Arwen uscì leggiadra ed eterea. Non aveva dato troppo peso alle condizioni di Legolas e Gimli, dato l’opinione non elevatissima che aveva per le maniere del nano, ritenne che si fossero semplicemente azzuffati. Certo, non era tipico di Legolas arrivare alle mani, ma era capitato più volte che i tre amici, si dilettassero in amichevoli tornei di lotta, forse questa volta il gioco si era spinto un po’ oltre. Mentalmente ringraziò i Valar che Aragorn non avesse partecipato nel dare un così cattivo spettacolo di se, per lo meno non quella volta.
“Mi spiace per la cattiva accoglienza…” si scusò Elrond non appena lui e Gandalf furono soli. “Non so proprio come…”
“Non ti preoccupare per così poco!” lo interruppe lo Stregone, “ Ho assistito a spettacoli ben peggiori nella mia lunga vita. Piuttosto… Legolas non mi sembra particolarmente in salute. L’ho visto come spento. E’ molto che sta così?”
“Non saprei…Ma deve avere avuto di nuovo un’accesa discussione col padre, per quella storia di Milúviél… A quanto pare Thranduil non demorde!”
Gandalf alzò gli occhi al cielo, mentre Elrond continuava.
“E poi… Beh, io non dovrei saperne nulla, ma ho casualmente ascoltato una conversazione tra Aragorn e mia figlia. E’ riuscita a litigare sia con Legolas sia con Gimli nel giro di un paio di giorni, ha lo stesso caratterino che aveva sua madre! Probabilmente non hanno ancora chiarito tutti i loro malintesi. Non mi voglio immischiare, ad ogni modo… Saranno le solite ragazzate, fra qualche giorno sarà tutto passato.”
“A volti parli di loro come se fossero quattro ragazzini, sai? Sei un padre molto premuroso!” chiocciò Gandalf ridacchiando.
“Devi ammettere che sono molto più giovani di noi…”
“Già…” Gandalf osservò il cielo estivo, al di fuori dalla finestra, aspirando boccate meditabonde dalla sua pipa.

“Insomma, non me lo volete proprio dire cos’è successo?!” Aragorn stava ripulendo la ferita di Legolas, mentre Gimli vagava per la casa vestito solo per metà, alla disperata ricerca di una casacca pulita.
“Gimli, è inutile che continui a cercare… Forse dovevi ricordarti di fare il bucato!” lo punzecchiò l’elfo.
Il nano emise un ruggito e continuò a frugare in un baule, mentre Legolas scuoteva la testa.
“Sta fermo, per favore, altrimenti ti brucerà… Allora? Non ci crederei nemmeno se lo vedessi coi miei occhi!
Tu, sempre così attento e preciso, che scivoli sui ciottoli del fiume e vai a sbattere la zucca! Vi siete veramente picchiati?”
“Se proprio vuoi saperlo ho cercato di salvargli la vita!” ululò Gimli dai meandri del ripostiglio.
L’uomo guardò con perplessità crescente Legolas, che si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
“Stavo seduto sul fondo… pensavo. “ bisbigliò poi “Gimli credeva che stessi annegando e ha deciso di salvarmi cadendomi sopra! A quel punto ho realmente rischiato di affogare!”
Aragorn sghignazzò sommessamente, mentre Gimli ricompariva trionfante con una casacca pulita.
“E’ orribile!” puntualizzò Legolas dopo che il nano l’ebbe indossata.
“Nemmeno tu sei una meraviglia in questo momento!” sbottò Gimli riferendosi al taglio sulla fronte appena medicato e ad un livido bluastro che cominciava a comparire sullo zigomo dell’amico, che però aveva già spostato il suo interesse altrove.
“Aragorn… ti prego, dimmi che alla cena di stasera non ci saranno anche Firnôn con la sua orribile figlia, altrimenti potrei anche uccidermi!”
“Non penso proprio, Elrond ha detto che preferirebbe qualcosa di non troppo formale, una cena intima tra vecchi amici… Dovrebbe esserci solo Galadriel, per il resto sarà una normale cena a palazzo.”
Gimli gongolò al pensiero di Galadriel, poi cominciò a pettinarsi la barba, Aragorn gli lanciò un’occhiata veloce e poi strizzò l’occhio a Legolas che ricambiò il sorriso.

Sarah aveva molto riflettuto durante quell’estate, che aveva passato reclusa in casa date le dimensioni che aveva assunto la sua pancia; Martina, dal canto suo, viveva praticamente accampata a casa dell’amica.
“Ringrazia il cielo che i tuoi hanno deciso di non tornare fino a Gennaio, altrimenti avresti avuto parecchie cose da spiegar loro.” Disse accennando al pancione di Sarah.
“ Ti sembra normale che dei genitori stiano lontani da casa per un anno con una figlia della mia età?”
“No, ma sarebbe il mio sogno… Un anno senza i miei genitori e i miei quattro stupidissimi fratelli. Una cura contro lo stress miracolosa.”
Martina aveva quattro fratelli, tutti più piccoli di lei, erano la sua croce e il suo tormento, Sarah lo sapeva bene. Era anche per questo motivo che Martina amava stare a casa di dell’amica… Amava ripetere: -Meglio una sorella che posso scegliere da me, piuttosto che quattro fratelli pestiferi che non ho mai chiesto di avere!- Per cui, soprattutto d’estate, quando tutta quella marmaglia di fratelli era sempre in casa tra i piedi, praticamente si trasferiva a casa di Sarah.
“Non ho mai avuto un gran rapporto con i miei genitori, ma un po’ mi dispiace il fatto che non li rivedrò mai più…” mormorò la ragazza accarezzandosi la pancia.
“Hai proprio deciso allora?”
“Non ho altra scelta, se non voglio rinunciare a Legolas. Non esiste modo per cui lui possa vivere qui e io non voglio che il mio bambino cresca senza un padre… e comunque non mi esalta affatto nemmeno l’idea di farlo crescere in questo posto. Ma al di la delle mie personali considerazioni, non sono nemmeno sicura che potrebbe sopravvivere sulla terra. Sarà elfo per metà, e se non dovesse riuscire a respirare quest’aria? E’ un rischio troppo grande.”
“Non ci sarà più modo per te di ritornare, vero?” gli occhi di Martina erano incredibilmente tristi.
“No… mi spiace, Martina. Tu… Tu sai bene quanto è grande l’affetto che provo per te, ma non posso restare qui, sarebbe un errore per me. Tu in questo mondo sei ben integrata, sei sempre felice e allegra, hai tanti altri amici oltre a me… Io non posso essere la tua appendice per tutta la vita. Devo trovare la mia strada e se la mia strada è lontano da qui devo avere il coraggio di affrontare la cosa… Specie ora che qualcuno dipende da me.” aggiunse poi guardando il suo corpo.
“Quando?”
“Io e Legolas dobbiamo ancora parlarne, credo qualche giorno prima del ventuno settembre.”
“Mancano meno di venti giorni, lo sai?”
“Lo so…”

La cena fu abbastanza tranquilla, con gran sollievo di Legolas. Tutti erano felicissimi dell’arrivo di Gandalf, che non vedevano da tempo, e lo sommersero con mille domande a cui lo stregone rispose con racconti emozionanti di ciò che aveva visto nelle terre di Aman non abitate ma che lui amava visitare. Per l’elfo fu facile non attirare l’attenzione su di se e sui suoi lividi, mentre Gimli teneva occupata Galadriel con i soliti discorsi tediosi riguardanti le remote vicende dei nani, che inspiegabilmente parevano interessarla molto…
Quando Galadriel annunciò che era giunto il momento di tornare al proprio palazzo, Legolas si trattenne a stento dall’emettere un profondo sospiro. Temeva Galadriel, più precisamente temeva quello sguardo, così penetrante e inquisitorio. Non avrebbe mai potuto mentirle, qualunque fosse la cosa che lei gli avesse chiesto, quegli occhi glielo avrebbero impedito e questo era il motivo per cui era sempre così in soggezione di fronte a lei.
“Torno al mio palazzo, Elrond… Ho molte cose di cui occuparmi domani. Ma verrò certamente a farvi visita nei prossimi giorni, sempre che Gandalf non abbia intenzione di ripartire immediatamente!”
”Non preoccuparti, oh mia regina…” sogghignò lo stregone emettendo nuvolette di fumo grigiastro e puzzolente dalla sua lunga pipa “Questa volta credo mi fermerò per un po’. Se non ti spiace, ti accompagno al suo destriero…”
Così dicendo si alzò, avviandosi con Galadriel verso il giardino, seguito da uno sguardo di Gimli, carico di cupidità…
“Preferivi accompagnarla tu?” sghignazzò Aragorn, mentre Gimli diventava vilolaceo e gli sferrava un potente calcio da sotto il tavolo.
Arwen alzò gli occhi al cielo al potente ululato del marito che seguì.

Galadriel e Gandalf camminavano in silenzio per il giardino, verso le scuderie.
“Ti fermerai mai in modo definitivo?”
“Non so, sai… Non riesco ad immaginare di smettere per sempre i miei vagabondaggi.”
“Visto qualcosa di interessante?”
“Tutto e nulla.”
“Parlami del tutto.”
“Non mi hai ascoltato a cena? Già…Forse eri troppo assorta dai discorsi di Gimli.” tossicchiò, scuotendo la pipa per eliminare la cenere e facendo sorridere l’elfo.
“Hai raccontato quel che loro volevano sentire… Ma a me interessa l’occulto, non ciò che si mostra limpido e chiaro agli occhi di tutti”
Per un attimo regnò il silenzio.
“Beh…Ho visto molte stelle…”
“Stelle?” Galadriel apparve disturbata da quella parola, ma lui lo sapeva bene…
“Ce ne sono due, molto luminose. Sembrano nuove… Credo siano apparse da poco.” La guardò, in attesa, come se le avesse lanciato una sfida. Lei non rispose, ma era rigida e lo fissava sospettosa.
“So che le hai viste anche tu…” continuò lo stregone “A te non sfugge mai nulla.”
“Sai cosa significano, vero?”
“E chi può dirlo?!” la sua aria divertita a Galadriel non piacque.
“Se dietro a tutto questo c’è qualcosa di grosso, devi dirmelo… Sai molte cose, Gandalf; molte più di quelle che vuoi far credere di sapere. Noi sovrani abbiamo discusso a lungo circa la chiusura del passaggio, saprai anche com’è finita la votazione, vero?”
Lui annuì, continuando ad emettere nuvolette di fumo.
“Nessuno mi ha dato retta, quando ho parlato di quelle due stelle, probabilmente Firnôn e gli altri due nemmeno sanno che per vedere le stelle bisogna guardare in alto, verso il cielo!”
“Nemmeno Elrond, ti ha dato ascolto, però…”
“Probabilmente ha ritenuto più valide le argomentazioni bellicose di Firnôn!” sbottò lei amaramente “Dimmi quello che sai, per favore.”
“Non so nulla… solo credo alcune cose.”
“Cosa credi?”
“Mai parlare di ciò che solo si sospetta, amica mia…”
Così dicendo le baciò la mano e in un attimo disparve.
Lei rimase così assorta, accanto al suo destriero bardato e impaziente… Lui sapeva… ma capirlo non era mai stata cosa facile.

Lo Stregone camminava lentamente, diretto verso il palazzo di Elrond, canticchiando, i suoi passi erano leggeri… Come un fantasma, camminava senza emettere suono. Gli piaceva stare li: quel palazzo, quel giardino, quegli amici... Perché ripartire subito, in fondo? Poteva fermarsi per tutto il tempo che desiderava… Aveva tutta l’eternità innanzi a se.
Rientrò nella sala da pranzo, ormai deserta… Probabilmente si erano tutti spostati nel salottino di Elrond, dove avrebbero giocato a scacchi e bevuto sidro idromele… magari sarebbe riuscito ad assaggiare la marmellata di Gimli. In caso contrario pensava di presentarsi nella sua casetta l’indomani, all’ora di colazione! Già si dirigeva verso il corridoio, quando con la coda dell’occhio vide un ombra sul terrazzo.
Legolas era riuscito ad attardarsi e stava seduto a cavalcioni del parapetto, con la schiena poggiata ad un grosso vaso di fiori posato sulla balaustra. Guardava il cielo in cerca di quelle due stelle, quelle di cui Galadriel aveva parlato la sera in cui lui e Gimli avevano origliato dal ramo dell’albero. Non riusciva a trovarle, amava osservare il cielo, ma non conosceva la posizione esatta di tutti gli astri.
“Fossi in te le cercherei più a ovest…”
La voce di Gandalf lo riscosse, tanto da fargli perdere l’equilibrio; lo Stregone lo trattenne per la manica sorridendo.
“Non cadere di sotto, per favore!”
Un attimo di silenzio, necessario per l’ennesima aspirata dalla pipa, di cui Legolas detestava l’odore. “Non riesci a trovarle, vero?” continuò poi.
“Cosa?” cercò di emettere la voce più innocente possibile, ma si rese conto da se della scarsità del risultato.
“Suvvia, Legoloas… Non sei mai stato capace di mentire come si deve. Che fai? Arrossisci? Guarda che non è una critica.”
L’elfo non rispondeva… Aveva la sgradevole sensazione che il discorso stesse per spostarsi su terreni per lui assai rischiosi e teneva gli occhi bassi, fissi sulle piastrelle del terrazzo.
“Segui il bastone…” lo invitò Gandalf puntando in alto la sua inseparabile appendice “Le vedi? Sono quelle due sulla sinistra, molto vicine tra loro e un po’ isolate dalle altre. Trovate?”
Legolas annuì.
“Bene!” Gandalf sorrise, sedendosi sul parapetto accanto a Legolas, che ora lo guardava con un misto di curiosità e diffidenza.
“Hai l’espressione di chi ha un sacco di domande da farmi…” aggiunse poi dolcemente.
“Sei tu quello che potrebbe fare domande, Gandalf.” Rispose lui senza staccare lo sguardo dagli occhi acquosi dello stregone.
“Non ho bisogno di domandare, amico mio… So già quello che desideravo sapere. Ma so anche che c’è una domanda che tu vuoi pormi…”
“Perché non mi dai subito la risposta allora? mormorò Legolas voltando lo sguardo verso i meandri più scuri del giardino. “Non ho nemmeno più la forza di continuare con questo gioco.” Continuò poi rivolto all’oscurità. “Io e Gimli ti abbiamo cercato per giorni, e tu in quella foresta c’eri! Io ti ho sentito, anche se non sono stato in grado di vederti. Ora ti presenti dal nulla, fingendo che la tua sia solo una visita di piacere. Puoi ingannare gli altri, ma non me! Tu non fai mai nulla per caso. Forse ha ragione Gimli, sai… Tutto ciò ha il sapore di una beffa!”
“Ti capisco, Legolas… Ma non sono qui per prendermi gioco di te. Ritengo però che dati gli eventi, o forse dovrei dire gli arrivi, che presto si verificheranno qui, la mia presenza sia auspicabile…”
L’elfo lo guardava immobile, con gli occhi sbarrati dallo stupore che sembravano grandi e pieni di paura. Gandalf sapeva.
“La risposta alla tua domanda è si…Lo so.”
“Come?” ebbe appena il fiato di mormorare Legolas.
“Non saprei dirlo… ma lo so. Quando la porterai qui?”
“Prima dell’equinozio…”
“Stai attento… le guardie di Elrond non brillano per intelligenza, ma è comunque necessario prestare attenzione. Quando dovrebbe nascere il bambino?”
“Con l’arrivo dell’inverno…” mormorò Legolas sempre più stupefatto e al contempo terrorizzato.
“Non ti nascondo che sarà difficile affrontare i tempi che verranno, Legolas…soprattutto per te e per lei, ma sono comunque molto felice di vedere che hai finalmente incontrato l’amore… Non mi piaceva l’idea di vederti sempre solo.”
“Io ti avevo cercato perché volevo chiederti aiuto…”
“Non posso fare nulla per te.” Lo interruppe lo stregone. “Non in quel senso, almeno… non esiste modo per cui tu possa vivere sulla terra, non esiste pozione che possa aiutarti. Moriresti in poco tempo e temo che anche il bambino subirebbe una simile sorte, sarà un mezz’elfo. La scelta di condurre qui Sarah è la più giusta e in ogni caso l’unica che tu potessi fare non volendoti separare da lei… ma va contro le leggi e prima o poi dovrai renderne conto.”
“Ne sono consapevole… e loro già lo sanno.” sussurrò Legolas accennando ai Valar nel cielo.
“Ora devo raggiungere gli altri.” cinguettò Gandalf sorridendo e scendendo goffamente dal parapetto “so che vuoi andare da lei e non mi sembra il caso di trattenerti. Va pure… dirò che ti ho incaricato di accompagnare Galadriel, perché la strada era scura e non mi andava che lei la percorresse da sola.” Detto questo si incamminò verso la porta finestra.
“Gandalf?”
“Dimmi.”
“Lo dirai ad Elrond?”
“Nessuno crede mai ai vaneggiamenti di un vecchio, amico mio….” rispose Gandalf ridendo, poi si fece più serio. “Il tuo segreto non è in pericolo e io non sono qui per tradirti…”
Indugiò ancora per un attimo.
“Siete stati bravi tu e Gimli…”
L’elfo lo guardò interrogativo.
“Ad assistere al consiglio da quell’albero, difficile non farsi scoprire da Elrond e dall’occhio acuto di Galadriel… Non guardarla negli occhi, Legolas, perché in un solo attimo tutto le sarebbe chiaro… Qualsiasi segreto si svela se quello sguardo lo accarezza…
Rientrò nel palazzo, lasciando l’elfo pensieroso, sul terrazzo.

Quella sera, quando attraversò il passaggio di luce provava sentimenti contrastanti.
La paura, perché il suo segreto era stato svelato, Gandalf sapeva, sapeva tutto… e sebbene si fidasse della promessa fattagli dallo stregone, non era del tutto tranquillo.
Eppure anche un certo senso di sollievo, perché in qualche modo Gandalf gli aveva dato una sorta di benedizione… Era come se, intimamente, egli approvasse la sua scelta e lo appoggiasse.
Ormai era quasi il giorno, presto al suo ritorno in Aman, avrebbe avuto Sarah al suo fianco

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Capitolo 16
*** CAPITOLO 16: L’inizio di una nuova vita ***


CAPITOLO 16: L’inizio di una nuova vita

Un giorno che attendeva da mesi, e ora era li… scalpitava per farsi strada verso di lui, il momento era arrivato, lo preparava da tempo, ogni singolo istante era stato programmato, perché non ci sarebbero state repliche, non poteva permettersi errori, tutto doveva andare come lui e Gimli avevano stabilito, se non voleva che tutto svanisse, come una bolla di sapone che scoppia prima di staccarsi dalla cannuccia con cui il bambino la crea.
“E’ finita!”
Gimli lo riscosse dai suoi pensieri, era sulla alla porta-finestra che dava sul terrazzo di Legolas, mentre l’elfo si aggirava pensoso per la propria stanza.
“Eh?”
“La scala è pronta, testa di legno! ti vuoi almeno degnare di guardarla?”
“Scusa…”
L’elfo uscì fuori… in quel tardo pomeriggio si settembre, il sole era basso all’orizzonte, sarebbe tramontato tra poco, ed emanava una luce calda e arancione, che tingeva il giardino di fronte a lui, preannunciando l’autunno, che faceva capolino dopo una calda estate.
L’estate più lunga, più frenetica, più piena della sua lunghissima vita… com’era cambiata la sua vita in neppure un anno! Se qualcuno glielo avesse detto, poco tempo prima, non ci avrebbe creduto…
“Allora?”
Gimli lo tirava per una manica, costringendolo ad ammirare la sua opera, effettivamente fantastica. Il nano aveva scolpito una piccola scalinata, attraverso il gigantesco tronco dell’albero che cresceva addossato al balcone di Legolas.
Quell’albero era sempre stato fonte di grandi preoccupazioni per Elrond, poiché cresceva a dismisura contro il fianco del palazzo, quasi volesse spingere e spingere fino ad abbatterlo. Più volte il sovrano aveva preso in considerazione l’idea di tagliarlo, per far si che non iniziasse a sgretolare le mura, ma poi non ne aveva mai avuto il cuore, era pur sempre un elfo…
Quando, poche settimane prima, Gimli gli aveva chiesto il permesso di scolpire una piccola scala nella parte di tronco che schiacciava il palazzo, non aveva potuto trattenere la sua gioia.
“Almeno la smetterà di spingere come un forsennato!” aveva commentato tra sè.
“Chi?” Gimli, perplesso, sembrava non capire.
“L’albero, no?!”
“L’albero spinge? Che cosa?”
“Ma il palazzo, naturalmente!”
Aragorn e Legolas erano scoppiati a ridere, facendosi andare di traverso il sidro che stavano bevendo nel salottino del sovrano e iniziando a tossire rumorosamente.
Il nano guardava Elrond seriamente, con un po’ di sospetto, probabilmente temendo che lo stesse prendendo in giro…
“Vuoi un disegnino?” aveva chiesto Aragorn sghignazzando, mentre si asciugava le lacrime che gli lambivano gli occhi per ilo troppo ridere.
“Ne faccio a meno! Grazie!” aveva ringhiato l’amico, che non poteva però nascondere una certa soddisfazione, che invece Legolas si preoccupava di celare attentamente.
Quella scala sarebbe servita per Sarah, sia la notte del suo arrivo, per raggiungere la camera di Legolas, sia per il tempo che avrebbe dovuto trascorrere nascosta, fino alla nascita del bimbo.
Era stato Gimli ad avere l’idea.
“Così, visto che di giorno dovrà stare nascosta in camera tua, almeno di notte potrà sgranchirsi le gambe in giardino, tanto le guardie non lo pattugliano più da tempi immemorabili, non succede mai niente qui.”
A Legolas l’albero piaceva molto, a volte, al mattino,gli sembrava che rispetto alla sera prima si fosse avvicinato alla sua finestra, quasi voglioso di entrare nella camera con i suoi rami nodosi. Trovava buffo quel suo essersi totalmente appoggiato al balcone e alle mura del palazzo, quasi volesse fare dispetto ad Elrond, che assumeva un colorito verdognolo ogni primavera, quando l’albero, coperto di gemme, mostrava con tracotanza di essere cresciuto ancora rispetto all’anno precedente.
Dovevano trovare una scusa plausibile per farsi dare il permesso dal sovrano, ma questo non era stato difficile. Gli avevano detto che la scala doveva servire a loro due, ma soprattutto a Gimli, per i loro continui viavai tra la camera dell’elfo e la casetta del nano.
“Così non disturberemo nessuno!” aveva spiegato il nano quando aveva proposto la sua idea, fingendo di non ricordare che per anni se n’era altamente infischiato di marciare per i corridoi a tutte le ore del giorno e a volte anche della notte, facendo un gran frastuono insieme ai suoi due amici.
Ma appena Elrond aveva inteso che si profilava un intervento sulle manie d’espansione di quell’albero malefico era entrato in una sorta di visibilio, qualunque fosse il motivo, anche far accedere un troll alla camera di Legolas, Gimli poteva fare a quell’albero tutto quello che voleva… E lo aveva fatto.

In poche settimane, con l’aiuto di Legolas, sebbene scarso, perché Gimli non voleva che nessuno mettesse mano alla sua opera, lungo il tronco dell’albero era nata una piccola scaletta, che accedeva direttamente al balcone dell’elfo.
“Notevole!” ammise Legolas mentre tuttavia osservava perplesso alcuni pezzi del parapetto che il nano aveva dovuto abbattere, e che ora giacevano, praticamente ridotti in briciole, a terra.
“E’ inutile che li guardi così!” abbaiò quello. “Andavano tolti, altrimenti come facevo a farla accedere al terrazzo!”
“Perché i pezzi sono così piccoli? E soprattutto perché il bordo di quel che è rimasto del parapetto è così orribilmente rovinato e frastagliato? Hai usato la mazza chiodata, Gimli?”
Gimli sorrise serafico e Legolas temette che ciò equivalesse ad una risposta affermativa.
“Andrà smussato comunque… “ concluse poi “altrimenti ci si graffierà tutte le volte che si passa.”
“Incompetente!” mugugnò Gimli. “Ad ogni modo non credo basterà così poco per far smettere questo albero di premere. Secondo me ci sta ascoltando…” aggiunse poi osservando con fare guardingo la chioma imponente che troneggiava sopra di loro. “Non è che Elrond ha ragione? E se buttasse giù il palazzo?”
Legolas lo guardava confuso.
“Non ti ci mettere anche tu ora!” sbottò poi “E’ solo un albero, non è vivo!” un attimo di silenzio “Cioè, lo è… ma a modo suo, insomma, è un vegetale! Ma perché stiamo facendo questo discorso? Non ha senso che…”
“Splendido!” la voce chiocciante di Elrond proveniente dal giardino li interruppe, Legolas poteva sentire distintamente il sovrano che saliva rapidamente la scaletta, per raggiungerli sul terrazzo.
“Ora la smetterà di spingere un po’ e…”
“Attenzione!”
Legolas non fece in tempo ad avvertirlo, che la tunica di Elrond si impigliò nell’estremità del parapetto ancora da assestare. Dal suono che si udì poi lo strappo doveva essere piuttosto grande.
Calò un attimo di silenzio, in cui Legolas scuoteva la testa, Gimli si osservava le punte dei piedi ed Elrond fissava sconsolato i brandelli del suo abito.
“Allora è finita?” Per una volta, Aragorn non giungeva a sproposito, alleviando un’atmosfera che rischiava di farsi pesante.
“Che è successo al vestito?” chiese l’uomo raccogliendo una striscia di velluto rosso tutta logora e porgendola sogghignante al sovrano.
“Gimli si è dimenticato di smussare il parapetto…” rispose laconico Legolas indicando la sporgenza acuminata.
“Forse è meglio che andiamo a cena.” suggerì Elrond, particolarmente scornato, mentre iniziava a scendere la scaletta, tenendo con entrambe le mani i lembi del suo abito distrutto.
“Complimenti!” bisbigliò l’elfo rivolto a Gimli che emise una serie di borbottii inarticolati, mentre i tre si incamminarono in buon ordine dietro al sovrano.

Legolas non toccò cibo quella sera, il suo stomaco era come annodato, da quanto si sentiva nervoso per la situazione incombente. Non che qualcuno se ne accorse… Non era decisamente un vaso delle Danaidi a tavola, mangiava con appetito pari a quello di un passerotto. In compenso Gimli si abbuffò a dismisura, evidentemente il lavoro l’aveva reso famelico, e si preoccupò di svuotare anche il piatto dell’elfo.
“Sembra che hai dei chiodi sulla sedia!” bofonchiò poi rivolto all’amico.
“Eh?” Legolas sussultò a causa dell’interruzione del debole filo dei suoi pensieri, aveva i nervi a fior di pelle.
“Se continui così si accorgeranno tutti che non vedi l’ora di andartene! Prima fra tutti Arwen, e a quel punto saranno dolori…” continuò Gimli sottovoce.
“E cosa dovrei fare, secondo te?” sbotto l’elfo in un sussurro pur sempre impercettibile.
“Cerca di sorridere e di spiccicare almeno qualche parola di cortesia, devi aver pazienza ancora per un’oretta.”
Legolas mascherò appena un gesto di stizza con la testa, ma non fu abbastanza veloce da mascherarsi agli occhi di tutti… due occhi azzurri e contornati da piccole rughe lo stavano fissando e avevano capito tutto. Legolas avvertì un colpetto sul suo stinco, sotto al tavolo, un tocco piuttosto legnoso…
Sollevò gli occhi e si ritrovò a fissare quelli di Gandalf… lo invitavano alla calma, con movimenti quasi impercettibili.
C’era qualcosa di straordinario nello stregone… Non si erano quasi più parlati da quella sera… Eppure lo sapeva, sapeva che quella era la notte in cui Sarah avrebbe attraversato il passaggio. Non era come Galadriel, lei sapeva leggere le menti, lui invece era in grado di leggere la realtà del mondo, leggeva la vita.
Meditava tra se, con gli occhi bassi, ripassando i programmi per la notte, non voleva sbagliare nulla, tutto doveva essere perfetto, pensava a Sarah, pensava ai giorni che li aspettavano.
Mancavano quattro giorni all’equinozio, non aveva voluto ridursi all’ultimo giorno, poteva essere troppo rischioso, ma al contempo non era prudente anticipare troppo. Quando Sarah sarebbe stata scoperta sarebbero stati guai seri, in ogni caso, lo sapeva bene, ma se Sarah fosse stata scoperta prima della chiusura del passaggio sarebbe stata rispedita indietro in un batter di ciglia, poi vi sarebbe stata la sua punizione, la più appropriata per un elfo traditore. Non vi era ipotesi più nera di quella e lui la temeva, per quello aveva aspettato, aspettato il più a lungo possibile; vi erano tre notti tra l’arrivo di Sarah e la chiusura del passaggio ed erano le più rischiose, in seguito non vi sarebbe più stato modo di rimandare la ragazza sulla Terra, e quello per lui era un primo sollievo.
Fu riscosso dalle parole di Gandalf, che si era alzato in piedi.
“Ho in programma una ricerca nella foresta, per questa notte…”
Elrond lo guardò incuriosito.
Gandalf scosse il bastone, come per tranquillizzare il sovrano…
“Alcune erbe e fiori che sbocciano di notte, le mie solite pozioni… Credo di aver bisogno di aiuto, posso prendere Gimli e Legolas e Aragorn?”
“No non puoi!” Arwen pareva agitata.
“Prego?” Gandalf sorrideva.
“Aragorn ha altri programmi questa notte, diglielo?”
Il ramingo annuì ridacchiando e arrossendo leggermente.
“In questo caso non voglio intromettermi!” cinguettò lo Stregone alzandosi da tavola e sorridendo sotto i baffi. “Andiamo?” domandò poi impaziente rivolto agli altri due.
Gimli capitombolò giù dalla sua sedia leggermente rialzata, mentre Legolas si alzò con talmente tanta foga da ribaltarla.
“Vi sentite bene voi due?” domandò Elrond leggermente accigliato.
“Si… si…” balbettò l’elfo rimettendo la sedia al suo posto e avviandosi a testa bassa e passo rapido verso la porta, dove Gandalf li aspettava, seguito a ruota da Gimli che sbattè con violenza l’uscio dietro di se, come d’altra parte era solito fare.
“Ma che hanno quei due?” era stato Elladan a parlare, l’altro figlio di Elrond.
“Io l’ho sempre detto che Legolas si comporta in modo strano, è sicuramente pazzo!” questo invece era il fratello, Elròhir.
Elrond sollevò gli occhi al cielo.
“Siete mancati per un po’ da palazzo e la mia pace era assoluta! Vedete di controllarvi o sarò costretto a rispedirvi subito da qualche parte, lontano da qui, dove non turberete il mio benessere! Ad ogni modo sono stufo di tutte questi pettegolezzi su Legolas, parlate con vostra sorella, ultimamente è molto interessata alla faccenda… E forse ecco il motivo perché Legolas sembra sull’orlo di una crisi isterica: è semplicemente seccato da tutti voi!”
Abbandonò la stanza, ma sotto sotto sorrideva e questo non sfuggì ai suoi figli… Era ben lieto di riaverli a casa, mancavano da molto, essendosi dovuti occupare di faccende di corte, nei limiti estremi dei regni abitati. Erano rumorosi, amanti degli scherzi più idioti e tremendamente maldestri, tanto che a volte quando partivano non poteva fare a meno di tiare un sospiro di sollievo… Ma dopo pochi giorni gli mancavano tremendamente e non vedeva l’ora di risentirli correre per i corridoi strillando e rovesciando tutto ciò che incontravano sul loro passaggio. Ora la sua famiglia era al completo, insieme a tutti i suoi più cari amici… Si, era particolarmente soddisfatto.

Due paia di occhi famelici si voltarono verso Arwen.
“Ebbene?”
“Ebbene nulla! Non ho tempo da perdere con voi, miei cari poppanti! Io e Aragorn abbiamo da fare. Detto questo uscì dalla stanza trascinandosi dietro il marito che fece l’occhiolino ai due fratelli prima di sparire per i corridoi.
“Se ne sono andati tutti…”
“E’ una domanda o un’affermazione?”
“Tu che dici? A parte noi la stanza è vuota?”
“Io sono stanco… andiamocene a dormire.”
“Speravo in una notte folle fratello mio...”
“Non stasera, ho la schiena a pezzi per il troppo cavalcare, trattieni i tuoi propositi… Ci rifaremo nei prossimi giorni.”
“Però passiamo di fronte alla camera di nostra sorella, picchiamo forte la porta e poi ce ne andiamo… Ad Aragorn verrà sicuramente un infarto!”
“Mi sembra un’ottima idea!”
Si allontanarono sghignazzando rumorosamente e sbattendo la porta con ancor più vigore di Gimli, un quadro appeso al muro cadde rovinosamente a terra, insieme a svariate briciole dell’intonaco.

“Io non ho alcuna intenzione di passare la notte nella foresta brucando erbacce!” sbraitò Gimli.
“Zitto!” Gandalf lo colpì leggermente sulla zucca, con il capo nodoso del suo bastone.
“Non ho certo bisogno di voi per la mia raccolta, ma so che avevate fretta di andarvene.”
“Oh…” Gimli pareva incominciare a capire.
“Comunque non dovevi chiedere anche ad Aragorn!” continuò imperterrito il nano. “E se avesse accettato?”
“Vuoi tacere, per favore?” supplicò Legolas. “Mi stai facendo venire un gran mal di testa!”
“Se tu osservassi con più attenzione, Gimli, ti saresti accorto che Arwen aveva ben altri programmi per la serata, non gli avrebbe mai permesso di unirsi a noi. Se non gliel’ avessi chiesto si sarebbero insospettiti tutti!” spiegò Gandalf lapidario.
Per la gioia di Legolas, camminarono in silenzio fino al limitare della foresta, dopodiché Gandalf si fermò.
“Ora vi lascio proseguire, non avete bisogno di me… Fate attenzione alle guardie, mi raccomando! Gimli?”
“Mmhh.” “Parla a voce molto bassa, mi raccomando, alla notte il silenzio è assoluto, per cui non devi farti sentire.”
Un grugnito di assenso.
“Legolas…”
“Dimmi…”
“Sono sicuro che hai programmato tutto nel migliore dei modi, per cui non temere, non è stanotte che ci saranno problemi…” aggiunse poi con una leggera amarezza. Legolas sospirò, sapeva bene cosa intendeva lo Stregone con quelle parole.
“Lei come sta?” aggiunse poi picchiettando leggermente il bastone a terra.
“Abbastanza bene, considerando la sua situazione…Ma si affatica molto per nulla. Ha un pancione grandissimo e la schiena le fa sempre male.”
“Ho capito, cercate di non farla stancare troppo, meglio che ci mettiate un po’ più di tempo, ma lasciatela riposare se ne ha bisogno. Io vi aspetterò sul tuo terrazzo, così quando arriverete potrò darle un’occhiata… saremo tutti più tranquilli… Andate ora!”
Gimli si scomparve tra le fronde, molto emozionato per quell’avventura, Legolas rimase per un attimo fermo, con la testa leggermente reclinata, fissando Gandalf.
“Che c’è?” chiese dolcemente lo stregone.
L’elfo gli si avvicinò incerto, poi gli gettò le braccia al collo; ciò sorprese Gandalf, ma solo per un attimo, perché ricambiò subito l’abbraccio con calore.
“Muoio di paura.” Mormorò Legolas. “Cerco di mostrarmi forte per Sarah, ma non sono mai stato così spaventato in tutta la mia vita.”
“Non sei solo… Io e Gimli siamo dalla tua parte e anche quando tutti i nodi verranno al pettine non sarai solo, vedrai che anche Elrond farà di tutto per te. Noi ti aiuteremo Legolas… Non piangere.” aggiunse poi dolcemente, vedendo una lacrima scorrergli lungo la guancia e posandogli una mano sul capo.
“Hannon le.” bisbigliò Legolas, poi scomparve nella foresta, raggiungendo Gimli che lo aspettava poco più avanti.

Sarah aspettava con Martina, sapeva che quella era la notte della sua partenza, tutto era pronto.
Si erano già dette addio, avevano pianto, avevano ricordato insieme tutti i bei momenti trascorsi.
Ora non vi era più tempo per le lacrime.
“Sei sicura di voler fare così?” chiese Martina accennando al biglietto scritto da Sarah e lasciato in bella mostra sulla scrivania.
“Si, se mi crederanno morta nessuno mi cercherà e sarà più semplice anche per te, ti faranno meno domande. Se pensassero che sono scappata autorizzerebbero le ricerche e per te sarebbe un tormento, sei la mia migliore amica e ti farebbero troppe pressioni. Per i mie genitori non sarà piacevole, ma si rassegneranno più in fretta.”
“Ma cercheranno il corpo e non lo troveranno. Non credi che qualcuno s’insospettirà?”
“Cosa fa da queste parti una persona che vuole uccidersi?”
Martina capì.
“La rupe di Capewhite…”
“Esatto… Uno strapiombo infinito, poi rocce appuntite e infine correnti fortissime. Non si salva nulla di quel che cade laggiù… Semplicemente rinunceranno a trovare il corpo e questa storia finirà presto.
Nessuno si stupirà del mio suicidio, qui pensano tutti che io sia pazza, e forse lo sono davvero… Ad ogni modo sarà una vicenda senza strascichi.”
“Va bene…”
“Solo una cosa ti chiedo: porta il mio segreto nella tomba, perché nulla di quello che è realmente successo si dovrà mai sapere.”
“Non c’è bisogno di chiedere… Sai bene che lo farò…”
Si abbracciarono e poi aspettarono Legolas in silenzio, tenendosi per mano.

L’elfo apparve in silenzio e baciò Sarah sulla fronte, salutando l’amica con un cenno della testa.
“Sei pronta?” mormorò poi.
Sarah annuì. Lui le porse un fagotto con dei vestiti.
“Mettiti questi” proseguì dolcemente. “Non puoi portare i tuoi vestiti nel mio mondo, darebbero troppo nell’occhio se disgraziatamente qualcuno dovesse vederci.
Lei sorrise e si recò in bagno per cambiarsi, lasciandolo solo con Martina.
La ragazza non aveva un bell’aspetto, le occhiaie indicavano che aveva pianto ed era chiaramente triste per la partenza dell’amica.
“Abbi cura di lei.. “balbettò poi con voce rotta. “Io so che lei è felice così, ma mi sembra impossibile il non poterla più vedere, lei è la mia migliore amica e anche se sono tanto felice per lei, questo è il momento più brutto della mia vita.”
L’elfo l’abbracciò e le asciugò le lacrime.
“Grazie di tutto Martina… Di aver mantenuto questo segreto, di averla aiutata e di esserle stata vicino, di non aver tentato di fermarla, di aver protetto me e mio figlio. Ti prometto che sarà felice e che non rimpiangerà la sua vita passata.”
Lei annuì e sorrise, rimasero in silenzio e poco dopo Sarah rientrò.
“Dove sono le tue cose?” chiese poi Legolas dolcemente. Sarah gli porse una piccola borsa, contenenti pochi oggetti, solo ricordi, quasi tutti di Martina: fotografie, tutti i regali ricevuti dall’amica e una lettera che le aveva dato pochi giorni prima; alcuni disegni e i propri diari; qualche gioiello; la pipa di suo nonno e la piccola croce irlandese di legno, che aveva portato al collo fino alla sua morte, per poi lasciarla alla nipote. Non le serviva nient’altro…”
“La gatta?” chiese Martina.
“La portiamo con noi.” Rispose Legolas, sollevando Phoebe e posandola delicatamente in una bisaccia che aveva portato con se. L’animale rimase tranquillo… quasi capisse. “Gimli aspetta dall’altra parte del passaggio, gli porto queste cose e poi torno a prenderti.”
Disparve nella luce per far ritorno dopo pochi istanti.
“Aspetto fuori…” disse titubante, “dovrete salutarvi…”
“L’abbiamo già fatto” rispose Martina “Va, Sarah… Sono sicura che sarai felice. Insieme a Legolas e a vostro figlio troverai quello che ti mancava in questo mondo.”
Si abbracciarono ancora una volta, ma Martina non pianse più, sapeva che quella era la cosa più giusta. Furono le lacrime di Sarah a bagnare le sue guancie.
“Io ci sarò sempre, Martina… Anche se tu non mi vedrai, io potrò osservarti nelle pietre veggenti. Grazie di tutto.”
“Lo so…” disse Martina. “Addio” bisbigliò poi sorridendo.
“Addio”
Guardò Legolas negli occhi e si capirono senza parlare. Lui l’avrebbe protetta e questo a Martina bastava. La ragazza uscì silenziosamente dalla stanza e poi da quella casa… preferiva non essere presente al momento del passaggio.

“Sei pronta?”
“Si… porami via?”
“Resta stretta a me e non aver paura, quando arriveremo dall’altra parte l’impatto sarà un po’ violento, cerca di proteggere la pancia e resta aggrappata a me, dovrei attutire la caduta, comunque finiremo sulla sabbia…” un attimo di silenzio, era pallida.
“Hai paura, amore?”
“Un pochino…” rispose lei sorridendo.
“Sei davvero sicura di voler abbandonare tutto?”
“Abbandonerei tutto se dovessi rimanere qui, ora la mia vita siete tu e il bambino.”
L’elfo la baciò sulla bocca e poi l’abbracciò stretta.
“Andiamo… chiudi gli occhi…”
La luce li inghiottì...Sparirono e la notte ridiscese scura sulla casa di Sarah.

Gimli attendeva sospettoso, con una mano posata sul manico dell’ascia, mentre con l’altra accarezzava la gatta nella bisaccia che teneva al collo; vide il passaggio di luce aprirsi a poco o poco, dopodiché Legolas e Sarah gli caddero addosso.
“Per tutti i draghi!”
“Non una sola parola!” lo ammonì Legolas mentre aiutava Sarah, pallida come un cencio, a rialzarsi da terra.
“Tutto bene?” le chiese poi continuando a sostenerla con un braccio.
“Credo di si…” mormorò la ragazza mentre si guardava incontro spaesata.
“Lui è Gimli…” continuò Legolas più sollevato.
“Ciao Gimli…” disse Sarah sorridendo. “So che in questi mesi hai fatto molto per Legolas e anche per me. Te ne sono grata.” Lo baciò sulla guancia, provocando un immediato stato di rossore sul viso del nano che visibilmente imbarazzato bofonchiò qualcosa e poi si avviò verso la foresta.
Sarah guardò Legolas, in cerca di spiegazioni.
“E’ molto timido…” bisbigliò l’elfo sorridendo.
La ragazza sorrise a sua volta, incamminandosi insieme a Legolas che gli parlava sottovoce.
“La strada non è delle più semplici… dobbiamo tagliare per il bosco perché il sentiero è sorvegliato. Se per caso ti sembra di essere troppo stanca basta che tu lo dica, ci fermiamo subito in modo da lasciarti riposare. Gandalf dice che è importante che non ti affatichi troppo.”
Sarah annuì e si avventurò titubante tra i rami intricati del bosco, sempre sostenuta dall’elfo.

Ci misero quasi due ore per raggiungere il balcone di Legolas.
Si erano dovuti fermare tre volte perché Sarah non ce la faceva più e sembrava che i rami non volessero lasciarli passare, fatto che aveva causato diverse imprecazioni da parte del nano. Il bambino scalciava come un forsennato e c’era stato un momento in cui Legolas aveva seriamente temuto che Sarah stesse per sentirsi male sul serio e svenire in mezzo al bosco; non gli parve vero quando raggiunsero l’imboccatura della scaletta.
“L’ultimo sforzo, amore… Siamo arrivati. Fai con calma… Gimli, spostati di li e aiutala!”
Sarah salì con fatica la piccola scala tortuosa, ma arrivata in cima ebbe un sussulto e quasi scivolò giù, una mano uscita dall’oscurità si era tesa, nel più assoluto silenzio, come per aiutarla a salire, spaventandola a morte.
“E’ Gandalf, non aver paura… E’ qui per aiutarci.” La voce di Legolas vicino al suo orecchio la rassicurò. Afferrò quella mano e si lasciò sostenere da quella figura incappucciata, perse ogni cognizione si sentì sprofondare.
Riaprì gli occhi dopo poco. Era stesa sul letto e qualcuno gli teneva il polso, ascoltandole le pulsazioni, mentre Legolas le inumidiva il volto con un panno bagnato.
“Legolas…”
“Ssssh… Tranquilla, va tutto bene, sei solo svenuta. Abbiamo camminato tanto amore.”
“Mi sembra che vada tutto bene.” La voce proveniva da sotto il cappuccio e la ragazza si voltò verso la figura, che si stava scoprendo il volto, e che le aveva lasciato il polso, adagiandole con delicatezza il braccio sul letto. La prima cosa che Sarah vide furono i due occhietti azzurri e acquosi dello stregone, poi l’intero suo viso fu invaso dalla luce e lei potè osservarlo.
“E’ come se ti conoscessi…” lo apostrofò poi sorridendo.
“Lo so…” ammiccò Gandalf. “Tolkien è sempre stato molto preciso nelle sue descrizioni…”
Dopodiché si sedette sul letto accanto a Sarah.
“Vorrei controllare il bambino, se non ti dispiace… Legolas mi ha detto che fin’ora hai fatto tutto da sola.”
La ragazza annuì e lasciò che lo stregone slacciasse alcuni bottoni della tunica che indossava, ne bastarono tre, sotto il seno e poi sentì la sua mano che toccava lievemente il suo ventre.
“Ti fa male?” chiese mentre premeva leggermente.
La ragazza scosse la testa e lasciò che continuasse a tastarla.
“Da come scalcia direi che sta benissimo” sentenziò Gandalf sorridendo e riallacciandole scrupolosamente la tunica. “Sarà sicuramente molto vivace.”
In quel momento rientrò Gimli, dalla finestra che dava sul balcone.
“Ho fatto un giro intorno al palazzo e anche per i corridoi… E’ tutto tranquillo, nessuno ci ha sentiti.”
“Bene!” anche Gandalf mostrò un certo sollievo. Ora ce ne andremo tutti a dormire. Mi raccomando,” disse poi chinandosi verso Sarah, “riposo assoluto, fino a quando il bimbo non sarà nato, resta a letto per un paio di giorni, poi riprendi pure a muoverti, ma senza esagerare. Io torno domani a vedere come stai.” Le carezzò il viso e fece per andarsene ma la ragazza lo trattenne afferrandogli la mano e costringendolo a fissare i suoi occhi verdi.
“Grazie…” mormorò.
Lo Stregone si chinò e le parlò piano, così che solo lei potesse udirlo:
“Grazie a te per quello che hai fatto a Legolas. E’ rinato…”
Si avvicinò alla finestra e uscì, afferrando Gimli per la collottola con gran naturalezza e trascinandoselo dietro, dato che il nano sembrava ancora sovraeccitato per l’intensa serata, e poi quei due avevano di certo bisogno di stare soli.
Depositò con Gimli ai piedi dell’albero e poi si accese la pipa.
“Ehi… Piano! Un po’ di delicatezza!” abbaiò quello massaggiandosi il collo indolenzito. A volte proprio non riusciva a capirlo quello Stregone.
“E ora?” gli domandò poi.
“In che senso scusa?” Gandalf aspirava grandi boccate di fumo azzurrognolo e puzzolente, emettendo poi piccole nuvolette.
“Che facciamo ora?” Gimli pareva seccato.
“Io ho voglia di pane e marmellata, di lamponi possibilmente…” sentenziò Gandalf meditabondo.
Il nano sorrise sotto i baffi, non era poi una cattiva idea.
“Beh… direi che si può fare…” borbottò allegramente.
Prese Gandalf sotto braccio, per quanto la sua altezza poteva consentirglielo, e insieme si incamminarono canticchiando verso la casa del nano.

Sarah si sentiva un po’ meglio e si guardava intorno incuriosita dalla stanza di Legolas, che ora era anche la sua. Lui si era cambiato, ora indossava solo dei pantaloni leggeri e stava spegnendo un po’ di candele, creando una certa penombra.
“Vuoi mangiare qualcosa?” chiese osservando la pila di dolci lasciati da Gimli.
“No…” rispose Sarah sorridendo. “Ora ho solo bisogno di riposare… e anche tu.”
“Già…”
L’elfo spense tutte le candele tranne una e si sedette sul letto.
“Vuoi che la lascio accesa? Domandò accennando alla candela?”
“No… spegnila… Tanto c’è la luna che fa luce e poi ci sei tu, non ho paura.”
Legolas spense la candela e si sdraiò accanto a lei, coprendo entrambi con una coperta leggera, perché ancora i primi fredi non erano arrivate.
L’abbracciò e lasciò che lei poggiasse la testa sul suo petto.
“La nostra nuova vita…” bisbigliò Sarah più a se stessa che al suo compagno.
“La nostra nuova bellissima vita, amore mio…”
“Sai Legolas, in certi momenti ho avuto paura. Ho temuto di non farcela, di non poter compiere questo grande salto. Ma ora che sono qui, insieme a te e al nostro bambino, tutto ha un senso, tutto mi appare chiaro; è come se una lunga e intricata matassa si fosse tutto d’un tratto dipanata di fronte ai miei occhi. Ora so che ho fatto la scelta migliore che potessi fare. Ho la vita che ho sempre desiderato.”
“Per me non c’è cosa più bella del sentirti dire questo. Hai scelto di seguirmi e sapere che ciò non ti crea rimpianti e quello che più desidero. Sicuramente verranno momenti difficili, perché tu non potrai rimanere nascosta per sempre, ma io sarò sempre qui, accanto a te. Non permetterò mai, a nessuno, di dividerci, ne di farci del male. Io sarò sempre qui.”
“E io con te.”

E i Valar osservarono tutto, dal loro regno incantato e misterioso. Nemmeno ora sarebbero intervenuti, non era quello il loro compito. Nella pazienza delle attese sta la vera saggezza.
E in quella notte le due stelle misteriose divennero più luminose, senza però svelare il loro segreto.
Tutto a suo tempo.

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Capitolo 17
*** CAPITOLO 17:Il solo sentiero che posso percorrere ***


CAPITOLO 17:Il solo sentiero che posso percorrere

Con gran sollievo di Legolas l’equinozio autunnale era arrivato, portandosi via la più imminente delle sue paure. Ora in nessun modo Sarah poteva essere rimandata indietro; anche nel peggiore dei casi lei sarebbe comunque rimasta in Eldamar, insieme al bambino.
Il taglio di quei magici fili di luce, che portavano al mondo degli umani, avvenne senza particolari cerimonie, quasi di nascosto. Nessuno disse nulla perché a nessuno importava nulla di quel passaggio. Elrond si recò sulla spiaggia insieme a Firnôn, Orodréth e Aurofîn… Galadriel si era rifiutata di presenziare al compimento di quell’azione che non condivideva e, d’altra parte, la sua presenza non era necessaria affinché l’incantesimo andasse a buon fine.
Poche parole pronunciate con un fil di voce e i contatti col mondo umano erano stati chiusi per sempre. Nemmeno Legolas si era recato alla spiaggia, per assistere al rito… Non gli importava di vedere con i propri occhi, gli bastava sapere che tutto era andato come doveva andare e per assicurarsi di ciò era stato sufficiente ascoltare di nascosto un’informale chiacchierata tra Elrond e la figlia, che voleva sapere dove si fosse recato il padre in piena notte.
La chiusura di quel passaggio, che per l’elfo era stato tanto prezioso, fu una semplice formalità, conclusa e archiviata in modo rapido e superficiale e questo fu un bene, perché, riflette Legolas, significava che nessuno sospettava nulla. Senza saperlo i sovrani gli avevano fatto un favore, bloccando per sempre Sarah in quella terra. In quella sera di fine erano tutti a casa di Gimli in ossequiosa adorazione della sua ultima opera di falegnameria: la culla per il bimbo.
Il nano gonfiava il petto come un pavone, vantandosi della sua abilità, mentre Gandalf saggiava la solidità del dono con la punta del suo bastone.
“E’ bellissima, Gimli… Grazie.” Mormorò Sarah passando la mano sul bordo della culla, totalmente lisciato e levigato, di un bella qualità di legno chiaro, percorso da sottili venature rossastre.
“Perché è così grossa?” borbottò Gandalf che rimestava una grossa tazza di cioccolata, misera sostituta della sua pipa, che Legolas gli aveva tassativamente vietato in presenza di Sarah, date le condizioni della ragazza.
“Il bambino sarà più comodo così!” abbaiò Gimli accigliato.
“Spero solo che non nasca così grosso!” lo punzecchiò Legolas “Altrimenti ci sarebbe seriamente da preoccuparsi…”
In effetti Gimli aveva esagerato come suo solito, costruendo una culla in cui sarebbero stati comodamente almeno tre bambini… Ma d’altra parte il nano era ormai in uno stato di perenne eccitazione e non vedeva l’ora che il piccolo nascesse. Lo dimostrava la velocità con cui produceva giocattoli in legno e tutta una serie di piccoli mobili e accessori che sarebbero serviti al bambino… Ormai la camera di Legolas e Sarah ne era totalmente stipata.
L’elfo era contento di come le cose erano andate finora… Nessuno sospettava della presenza di Sarah e lui aveva smesso di bighellonare, passando tutto il suo tempo al castello. Questo aveva sedato tutti i sospetti di Arwen, che vedendo l’amico sereno e molto presente aveva attribuito i suoi malumori dei mesi precedenti semplicemente ad un brutto periodo, reso tale da Thranduil e da Milúviél. Certo, era strano che Legolas ora fosse così allegro e che avesse improvvisamente smesso di sparire per giorni interi… ma in fin dei conti l’elfo aveva sempre posseduto tutta una serie di stranezze che agli altri risultavano inspiegabili.
“Non c’è il rischio che arrivi Aragorn, vero?” s’informò Gandalf accennando con il capo a Sarah, che sedeva impacciata nella poltrona di Gimli, che a stento conteneva il suo pancione.
“No…” rispose tranquillo Legolas. “Serata danzante al castello di Aurofîn…” proseguì con sommo disgusto “E questo significa mio padre, Firnôn e la sua malefica figlia, tutti nello stesso salone e contemporaneamente… questo va oltre la mia più strenua resistenza” concluse poi ammiccando e sedendosi su un bracciolo della poltrona, accanto a Sarah, cingendole le spalle con un braccio.
Anche la ragazza sorrise; Legolas le aveva raccontato della faccenda riguardante Milúviél e Gimli si era prodigato in una serie di descrizioni poco lusinghiere della figlia di Firnôn, così che lei aveva potuto farsi un’idea della situazione e della persona.
Si assestò sulla poltrona, tenendosi la pancia un po’ dolorane, a causa dei continui scalpitii del bambino. “Non vedo l’ora che nasca…” brontolò poi “Mi sembra di portare a spasso un macigno con braccia e gambe in perenne agitazione.”
Gandalf sorrise bonariamente. Sarah era li da due mesi appena eppure già sentiva di volerle un gran bene. C’era qualcosa nei modi, nella voce, nel carattere di quella ragazza che la rendeva molto poco umana e vicina all’eterea perfezione elfica. Vederle lei e Legolas insieme avrebbe scaldato il cuore di chiunque, pensava lo Stregone… L’elfo non era mai apparso più luminoso, come se la felicità avesse dipinto nuovi tratti sul suo volto. Paradossalmente l’anima gemella di colui che Gandalf aveva sempre considerato il più perfetto tra gli elfi era un’ umana. D’altra parte tutto ha un perché, e sicuramente anche quella situazione si sarebbe presto dipanata chiaramente.
“Dovrai portartelo a spasso ancora per un pochino cara…” l’ammonì poi scherzosamente mentre la ragazza alzava gli occhi al cielo.
“Comunque la pancia di Arwen quando attendeva Eldarion, sulla terra, non era così grande…” osservò Gimli con la scarsa delicatezza tipica della sua razza.
Legolas lo fulminò con lo sguardo ma Sarah non era il tipo da offendersi, ben consapevole delle dimensioni del suo pancione.
“Ti credo sulla parola…” cinguettò poi rivolta a Gimli “E’ stata piuttosto voluminosa fin dall’inizio… anche per i canoni umani… Forse Martina aveva ragione, sarà un bambino robusto, ma sicuramente non avrà problemi di spazio con la tua culla.”
Gimli gongolò senza accorgersi che Gandalf nascondeva a stento una risata dietro alla floscia manica della sua tunica, mentre Legolas si era alzato per controllare fuori dalla finestra che tutto fosse tranquillo, meglio non essere imprudenti.
“Ho assolutamente bisogno di una fumatina…” biascicò lo stregone frugando nella sua bisaccia senza fondo, alla ricerca della pipa.
“E io ho assolutamente bisogno che tu non lo faccia in presenza di Sarah!” lo rimbeccò l’elfo severamente. “Al bambino fa male… Avrà tempo tutta la vita per aspirare i tuoi fumi puzzolenti! Gradisco che non venga intossicato prima ancora di nascere!”
Lo Stregone si avviava già mestamente verso la porta, ma Sarah lo richiamò.
“Non disturbarti ad uscire, ora io e Legolas ce ne torniamo a palazzo. Scusatemi, so che è ancora presto ma io non mi reggo più in piedi e ho bisogno di distendermi.”
Così dicendo si alzò a fatica, aiutata da un traballante Gimli, che ricevette come premio per la sua cortesia un bacio sul tozzo naso, che ebbe lo straordinario effetto di renderlo immediatamente di un bel rosso peperone.
“Buonanotte a tutti!” augurò Legolas che nel frattempo le aveva cinto la vita per sostenerla e si avviava con lei verso la porta.
“Buonanotte a voi…” fece eco Gandalf, “Ah… “ aggiunse poi “Stanotte mi aspetta una raccolta di erbe nel bosco e non credo di far ritorno fino a giorno inoltrato. Perciò domani mattina non verrò a controllarti come al solito, Sarah. Ma mi farò vivo appena torno, sicuramente prima di sera. Sei in ottima forma, per cui non ti preoccupare di nulla.”
Detto ciò lasciò che i due uscissero, al buio, senza nemmeno portarsi dietro una candela… loro conoscevano bene la strada e in quel modo non c’era il rischio di dare nell’occhio.
Dopodiché estrasse la pipa e la accese famelico. Aspirate un paio di ingorde boccate di fumo si rivolse a Gimli con voce suadente.
“Hai ancora una fetta di quel dolce di castagne e miele?”
Il nano sogghignò, evidentemente Gandalf non aveva affatto intenzione di levare le tende troppo presto. Sarah si lasciò cadere esausta sul letto emettendo un profondo sospiro, guardando il soffitto.
“Sicura di star bene?” si informò Legolas con un tono leggermente preoccupato.
“Credo di si…” mormorò Sarah “E’ solo che in questi giorni mi sento veramente spossata, non riesco nemmeno a fare due passi ed ho subito bisogno di sedermi.”
L’elfo la guardò, appariva un po’ sconsolata… Probabilmente all’idea che mancava ancora almeno tre settimane prima che il bambino nascesse.
Non che poi i loro problemi sarebbero svaniti… Anzi, si sarebbero ulteriormente aggravati, perché avrebbero dovuto parlarne con Elrond che a sua volta avrebbe dovuto avvisare gli altri quattro sovrani. Poi il giudizio dei Valar, che in verità Legolas temeva maggiormente di tutto ciò che i cinque sovrani e suo padre avrebbero potuto rimproverargli, quando avrebbero scoperto ciò che aveva fatto.
“Stai pensando a quello che succederà, vero?” chiese la ragazza, come leggendogli nel pensiero.
“Già” ammise Legolas stringendosi a lei e poggiando la testa sul suo seno per ascoltare il battito del suo cuore. “Appena il bambino sarà nato andrò da Elrond e gli spiegherò tutto.” Continuò poi. “Gandalf dice di non angustiarmi, perché lui verrà insieme a me e mi starà vicino… ma non è Elrond che mi preoccupa.” Concluse poi sospirando.
“Lo so.” rispose Sarah accarezzandogli i capelli con una mano, mentre con l’alta, quasi inconsciamente si massaggiava il pancione. “I Valar” mormorò poi con un tono di voce ancora più basso, quasi reverenziale. “Non è mai successo niente di simile qui? Che ci possa aiutare a capire cosa decideranno?” chiese poi voltandosi leggermente verso il compagno che scosse immediatamente la testa.
“Hai il privilegio di essere il primo essere umano che mette piede su questa terra, escludendo Aragorn ovviamente…”
Ma non voleva che Sarah si angustiasse con questi pensieri. Doveva stare tranquilla e riposare, quando poi sarebbe stato il momento avrebbero affrontato anche quello e Gandalf lo aveva rassicurato in proposito: “Vedrai che supererete anche questa, Legolas.”
Forse lo Stregone aveva ragione, non era poi così solo… I suoi amici gli volevano bene e sicuramente ne avrebbero voluto anche a Sarah, lo avrebbero aiutato.
Si sollevo leggermente sui gomiti, in modo che il suo viso si trovasse di fronte a quello di lei, e la baciò lievemente sulle labbra.
“Non voglio che pensi a queste cose, però…” bisbigliò poi sorridendo e baciandola ancora. “Tutto a suo tempo. Ora dormi, avete bisogno di riposo tutti e due.”
Così dicendo l’abbracciò, posandole una mano sulla pancia, dove il bambino sembrava finalmente essersi addormentato e aver smesso di scalciare.
Sarah si appoggiò a lui e chiuse gli occhi, rilassandosi contro il suo corpo e ascoltando il silenzio che li avvolgeva. Dalle tende tirate filtrava un sottile raggio di luce argentea, disegnando sulla coperta curiosi motivi tremolanti, diffondendo quella poca luce sufficiente a non rendere il buio totale.
Legolas rimase per qualche minuto ad osservare Sarah addormentata, poi affondò il viso nei suoi capelli e chiuse gli occhi. Il sonno arrivò subito. L’elfo si rigirò nel letto, non era ancora completamente sveglio, ma amava rimanere così, come in bilico tra due mondi… Gli bastava allungare un poco la mano e avrebbe incontrato il suo corpo, si sarebbe svegliato e l’avrebbe abbracciata.
Il letto era freddo accanto a lui e prima ancora che potesse realizzare a pieno la cosa fu svegliato dal rumore tintinnante di qualcosa di vetro che andava in pezzi.
Si rizzò a sedere perfettamente sveglio e si guardò intorno. Sarah non c’era e il rumore veniva dalla stanza da bagno accanto.
In un attimo fu davanti alla porta ed entrò rapidamente e ciò che vide lo spaventò.
Per terra giacevano i frammenti di un bicchiere che doveva essere stato pieno d’acqua.
Sarah era accasciata su una sedia,piegata in due, con il viso contratto in una smorfia, mentre con entrambe le mani si teneva il pancione. Respirava male e appariva terrorizzata.
Legolas si fiondò ai suoi piedi e cercò di rialzarla.
“Cos’hai? Sarah, stai male?”
“E’ il bambino…” una lunga pausa che all’elfo parve non terminare mai. “…sta nascendo.” Mormorò Sarah prima che una nuova contrazione la facesse quasi urlare di dolore.
“E’ troppo presto…” ribattè Legolas sempre più agitato. “Mancano ancora tre settimane… non può nascere ora.”
“Ti dico che deve nascere ora…” singhiozzò Sarah. “Ti prego aiutami, mi sento male, devo sdraiarmi.”
“Stai tranquilla, respira…”
Così dicendo l’aiutò ad alzarsi e si accorse che le gambe le si piegavano e lei non riusciva a stare in piedi. Cercò di farla camminare ma la ragazza vacillò e stava per ricadere sulla sedia.
In un attimo la prese in braccio e dopo pochi secondi la depositò sul letto; lei gemette, forse aveva sentito dolore, ma almeno non aveva dovuto farla camminare.
Legolas si passò le mani sul viso e tra i capelli, era preoccupato. Lui non sapeva far nascere i bambini, lui non sapeva assolutamente cosa doveva fare e Sarah stava per partorire. Non voleva andare a cercare qualcuno lasciandola sola, per cui poteva contare solo su se stesso.
Se solo avesse potuto chiamare Gimli…
In quel momento, come se qualcuno tra i Valar volesse realmente aiutarlo, sentì picchiettare leggermente alla finestra, scostò leggermente le tende e vide il faccione rubiconde del nano.
Aprì la finestra con tanta violenza che per poco non la scardinò.
“Scusa se sono venuto così presto,” bofonchiò Gimli, “ma Gandalf mi ha chiesto di controllare che andasse tutto bene dato che lui stamattina non è potuto venire…”
Legolas non lo lasciò terminare e lo trascinò nella stanza.
“Siano ringraziati i Valar! Il bambino deve nascere.”
“Ora?” Il nano pareva allibito.
“Si, ora…” Legolas sospirò. “Non so che cosa devo fare…” mormorò sottovoce, in modo che Sarah non lo sentisse.
Gimli scosse il testone irsuto.
“Nemmeno io…” sussurrò poi.
Si riscossero al debole grido di Sarah che fece precipitare Legolas accanto a lei.
“Sta arrivando un’altra contrazione… Devi respirare Sarah.”
Gimli scosse nuovamente la testa.
“Bisogna chiamare qualcuno, Legolas.” Appariva realmente preoccupato, lui era coraggioso, ma far nascere un bambino esulava da tutte le sue esperienze.
“No!” ribatté l’elfo “Aspettiamo Gandalf…”
“Gandalf potrebbe non tornare prima di sera e il bambino non può aspettare. Devo andare a chiamare qualcuno che ci aiuti.” Insistette Gimli.
“Non voglio che tutta questa faccenda venga svelata prima che il bambino sia nato!” Legolas non cedeva. “Noi non siamo in grado di farlo nascere questo bambino!” questa volta il nano gridò, strattonando il braccio dell’amico che distolse gli occhi da lui, guardando Sarah.
Aveva il viso imperlato di piccole goccioline di sudore, le labbra leggermente socchiuse e cercava di fare dei respiri profondi, nell’attesa che arrivasse un’altra contrazione.
“Lascialo andare, Legolas…” mormorò con un filo di voce. “ Voi non sapete che fare…”
Legolas chiuse gli occhi per un secondo poi si rivolse al nano mestamente.
”Vai.”
“Chi vuoi che chiami?” domandò il nano che già si era avvicinato alla porta.
Legolas preferiva contenere la situazione per quanto ciò fosse ancora possibile.
“Cerca Aragorn.”
In un attimo il nano era fuori dalla porta e macinava il corridoio a passi tanto grandi quanto le sue piccole gambe glielo permettevano.
Doveva trovare l’amico più in fretta che poteva, anche se probabilmente a quell’ora del mattino Arwen sarebbe sicuramente stata con lui.
Inghiottì amaro. Doveva mettere da parte le sue ire; in quel momento doveva pensare a Sarah. Bussò alla porta della loro camera, rispose la voce di Arwen.
“Sono Gimli, ho bisogno di parlare con Aragorn.”
“Non puoi aspettare più tardi?” Lo rimbeccò Arwen da dietro la porta. “Non è ancora pronto.”
“Tu sei vestita?”
“Si…” la voce da dietro la porta aveva un’intonazione perplessa. “Ma che t’importa?”
“Perfetto!”
Gimli pigiò sulla maniglia e spinse con violenza la porta che, come sperava, non era chiusa a chiave. Si ritrovò nel piccolo anticamera, osservando cupidamente la porta aperta che portava nella camera vera e propria.
“Sei impazzito Gimli?! Fuori di qui… Subito!”
Il nano cercava di entrare in camera, mentre Arwen, assai più alta di lui gli sbarrava la strada con le braccia spalancate. Con una rapida finta lui le passò sotto il braccio teso e sgattaiolò all’interno chiamando a gran voce l’amico.
“Ti ho detto di andartene!” la voce di Arwen era stridula e molto alta.
Aragorn apparve sulla porta della stanza da bagno, indossava solo i pantaloni, mentre il petto era nudo e percorso da alcune goccioline lasciate cadere dai capelli ancora bagnati.
“Che vuoi a quest’ora, Gimli?” non riusciva ad arrabbiarsi col nano, anche quando si comportava in modo tanto irruente.
“Ho bisogno che tu venga con me.”
“Va bene…” Aragorn chiaramente non capiva, ma avrebbe comunque seguito Gimli, sembrava trattarsi di qualcosa di importante.
“Va bene… dammi una mezz’oretta… Finisco di prepararmi, mangio qualcosa e sono subito da te.”
“No!” ruggì Gimli “Ho bisogno di te subito! C’è un problema con Legolas, dobbiamo aiutarlo… Ora!”
Così dicendo afferrò la mano di Aragorn e se lo trascinò dietro lungo i corridoi, incurante del fatto che anche Arwen li stava seguendo.
“Dove andiamo?” chiese Aragorn sorprendendosi dell’andatura del nano, che quasi correva.
“Alla sua camera…”
“Legolas sta male?” s’intromise Arwen che mostrava un’espressione sinceramente preoccupata.
“Beh…” come faceva a spiegarlo in due parole? “Più o meno… ora muovetevi!”
Giunti alla porta la aprì con malgarbo, li spinse dentro e si chiuse l’uscio alle spalle. Dall’anticamera dove si trovavano non si vedeva il letto, ma attraverso la tenda di velluto che nascondeva l’ingresso alla stanza vera e propria si poté chiaramente sentire un grido soffocato… e non era la voce di Legolas.
Aragorn scostò rapidamente la tenda e quello che lui e la moglie videro li lasciò allibiti.
C’era una ragazza con Legolas… Era incinta e il letto era macchiato di sangue. L’elfo la sosteneva per le spalle e le asciugava il sudore e le lacrime. Anche lui era sul punto di piangere.
“Ma che cosa…?” l’uomo si interruppe a metà frase, perché era tutto troppo assurdo per riuscire a porre una qualsiasi domanda.
“Abbiamo bisogno di aiuto!” affermò Legolas deciso. “Per favore…” aggiunse poi con tono più incerto.
“Ovvio che ne avete bisogno!” era stata Arwen a parlare. Si avvicinò rapidamente a Legolas, si rimboccò le maniche fin sopra i gomiti e prese il suo posto a sostenere Sarah.
“Come ti chiami?” chiese poi rivolta alla ragazza, senza degnare di uno sguardo l’amico.
“Sarah…” rispose lei con voce flebile.
“Ciao Sarah… io sono Arwen. Ora non ti preoccupare di nulla e sta tranquilla. Andrà tutto nel migliore dei modi.”
La ragazza la guardò intensamente e Arwen si stupì della profondità di quello sguardo, nonostante si trattasse decisamente di un’umana… lesse un grazie in quegli occhi.
Fu distratta dalla voce molto irritata del marito che si stava rivolgendo a Legolas e Gimli in malo modo. “Che cos’è questa storia? Siete impazziti?! Come avete potuto portare un’umana nella nostra terra? Lo sapete bene che è contrario alla nostra legge…”
“Lascia Gimli fuori da questa storia, lui non c’entra, la responsabilità è mia soltanto.” Legolas sembrava molto alterato dall’atteggiamento dell’amico.
“Io mi fidavo di te!” la voce di Aragorn era piena d’amarezza.
“Non era una questione di fiducia!”
Stavano per mettersi a litigare e quello non era ne il luogo ne il momento adatto.
“Voi tre non state li impalati senza far nulla e smettete di essere così sciocchi!” sbraitò rivolta ai tre amici, che rimasero immobili e allibiti, pieni di stupore per l’atteggiamento amichevole che proprio lei, sempre così ligia e severa, stava mostrando verso quell’estranea.
“Portate più asciugamani che potete e dell’acqua calda, muovetevi!”
Gimli e Aragorn scattarono veloci, mentre Legolas rimase accanto al letto, avvicinandosi a Sarah e stringendole la mano, proprio mentre arrivava un’altra contrazione.
Le asciugò il sudore dalla fronte e poi si voltò verso Arwen.
“Perdonami…” mormorò “… per tutto quanto.” Aveva gli occhi bassi, pieni di dolore per aver dovuto mentire alle persone a lui così care… e nonostante la rabbia che provava, Arwen non poteva fare a meno di sentirsi profondamente vicina a Legolas.
“Non parliamone ora, Legolas. E’ figlio tuo, vero?” chiese con tono apparentemente distaccato.
“Si…” era stata Sarah a parlare, tra un respiro affannoso e l’altro.
“Ecco dove sparivi di continuo…” mormorò non riuscendo a nascondere una certa amarezza, perché anche lei si rendeva conto a cosa sarebbe andato incontro Legolas… e sarebbe accaduto molto presto.
“Eccoci!” Gimli scaricò sul letto una pila di asciugamani puliti, mentre Aragorn fece ritorno tenendo tra le mani un grosso mastello pieno di acqua calda.
“Il bambino deve nascere tra tre settimane…” ansimò Sarah “E’ troppo presto.”
“Non preoccuparti.” La rassicurò Arwen. “A volte i bambini hanno una certa fretta di uscire, ma sono più di otto mesi ed è sufficiente, non è in pericolo.”
Fece segno a Legolas di avvicinarsi e di riprendere il suo posto accanto a Sarah, per sostenerle le spalle. Lei si legò i capelli con un nastro, in modo che non le finissero davanti agli occhi e poi si posizionò ai piedi del letto, tra le gambe della ragazza.
“Ora lo facciamo nascere, Sarah. Alla prossima contrazione devi spingere forte e continuare a respirare come stai facendo ora… tra poco sarà tutto finito. Mentre stava incurvato e col suo piccolo falcetto tagliava lo stelo di alcune erbe Gandalf ebbe uno strano presentimento e si raddrizzò, tenendosi con una mano la vecchia schiena un po’ dolorante.
Qualcosa non andava… Forse era caso di tornare a palazzo… era come se qualcuno lo stesse chiamando. Forse Legolas e Sarah avevano bisogno di aiuto…
Rapidamente ripose le erbe e il falcetto nella sua bisaccia e si avviò a passi rapidi verso il palazzo di Elrond. “Perché non nasce?” la voce di Legolas era rotta, come se stesse per scoppiare a piangere e una goccia di sudore scorreva lentamente lungo la sua tempia.
“Non lo so…” anche Arwen pareva accaldata e molto preoccupata “C’è qualcosa che non va…” aggiunse poi a bassa voce.
Aragorn toccò leggermente la spalla della moglie.
“Sta perdendo troppo sangue, Arwen… Bisogna farlo nascere subito.”
“Lo so bene!” ribattè lei nervosa. “Ci ho provato ma non credo di farcela.”
Guardarono tutti Sarah, era bianca come un cencio e tremava, pareva sul punto di svenire da un momento all’altro.
“Sta diventando gelata…” la voce di Legolas era appena un soffio… Continuava a tenere la mano di Sarah, ma lei non riusciva più a stringerla.
“Ehi ehi…” Legolas la scosse. “Cerca di stare sveglia!”
Arwen sospirò e poi si rivolse al marito.
“Chiama mio padre.”
“Baw!” (No!) Legolas le si rivoltò contro.
“Invece si. Noi non siamo in grado di fare nulla per lei.”
“Non voglio che tuo padre si immischi in questa faccenda!”
“Abbiamo bisogno di lui!” Anche Aragorn cercava di convincerlo.
“Aspettiamo Gandalf…”
Arwen rimase per un attimo imbambolata, rendendosi conto che lo Stregone sapeva tutto di quella storia.
“Non abbiamo tutto questo tempo… Legolas!”
Silenzio.
“Sarah a i hên firithar…” (Sarah e il bambino moriranno…)
Legolas si soffermò sul viso di Sarah, era allo stremo, non potevano più rischiare…
“Va bene… “ Detto questo chinò il viso contro quello della ragazza e rimase immobile.
“Vai Aragorn e fai più in fretta che puoi! “ lo spronò Arwen, “Mio padre dovrebbe essere nel suo studio.”
Rimasero soli, in silenzio… Legolas pareva immerso in chissà quali pensieri.
Dopo pochi minuti si udì la voce di Elrond, in corridoio, che chiedeva spiegazioni all’uomo, che evidentemente lo stava trascinando.
La voce era sempre più vicina, ora era nell’anticamera.
“Ma insomma, si può sapere che..??”
Rimase allibito alla vista di Sarah e di sua figlia, sudata e scarmigliata, con le braccia sporche di sangue fino al gomito.”
“Oh Valar! Che succede qui?”
Si avvicinò rapido al letto e fissando Sarah si accorse immediatamente che era un umana.
“Chi è questa ragazza?” chiese gelido e severo, rivolto a tutti loro.
Nessuna risposta.
“Vi ho fatto una domanda?” aveva alzato la voce e i suoi occhi saettavano da una parte all’altra della stanza. Legolas corse verso di lui e lo afferrò per le braccia.
“Ti prego, aiutala… Lei e il bambino stanno morendo…”
“Voglio sapere perchè questa umana si trova qui e chi ce l’ha portata!”
Legolas sentiva il suo sangue tramutarsi in ghiaccio; Sarah stava morendo e Elrond invece di aiutarla continuava a fare domande.
“E’ mio figlio!” gridò al limite della sopportazione.
Elrond lo fissò con un espressione indecifrabile dipinta in volto, scostandosi seccamente dalla sua presa. Per un attimo regnò il silenzio, un silenzio pesante, improvvisamente interrotto dal frusciare delle tende e dall’apparizione di una figura grigia incappucciata.
“Maledizione!” imprecò Gandalf apparentemente senza accorgersi della presenza di Elrond “Cosa sta succedendo qui?”
“Il bambino non riesce ad uscire.” Rispose prontamente Gimli, avvicinandosi a lui per prendere la bisaccia, il cappello, il bastone e il mantello di cui lo Stregone si stava velocemente liberando per dare una mano.
“Gandalf!” tuonò Elrond, che si stava rendendo conto di molte cose, facendo sobbalzare il vecchio amico.
“Tu eri al corrente di tutta questa storia?” chiese poi minaccioso.
“Esattamente!” rispose Gandalf con aria di sfida “Ma se non ti dispiace ne parleremo più tardi, quando il figlio di Legolas e la sua compagna saranno fuori pericolo. Ora aiutaci per favore!”
Elrond sembrò riscuotersi dalla sua ira e guardò Sarah con una nuova dolcezza negli occhi, si mosse lentamente verso il letto e toccò leggermente la spalla alla figlia, per invitarla a spostarsi.
“Si chiama Sarah…” gli disse Arwen.
“Vai nel mio laboratorio, prendi la bottiglietta azzurra sullo scaffale più in alto… Vola!”
Poco dopo Arwen era di ritorno, ansimava… Gimli capì che aveva corso.
Elrond passò la bottiglietta a Gandalf.
“Fagliene bere metà… Servirà a farle passare un po’ il dolore e a rinvigorirla un po’, non deve perdere conoscenza.”
Lo Stregone eseguì rapidamente.
“Sarah?” chiamò poi il sovrano. “Ora dovrò toccare un po’ la tua pancia… probabilmente ti farà male, ma dobbiamo capire perché il bambino non riesce ad uscire. Va bene? Hai capito?”
La ragazza annuì, facendo sospettare a Gandalf di non avere più nemmeno la forza di parlare.
Il sovrano si sfilò rapidamente la tunica di velluto scarlatto e si rimboccò le maniche della camicia chiara. Cominciò subito a toccare la pancia di Sarah, non molto delicatamente, ma con decisione e competenza. Sarah gridò.
“Lo so che fa male, piccola…” cercò di calmarla Elrond, mentre con gli occhi fece capire a Legolas di avvicinarsi e abbracciarla.
“Tienila ferma!” ordinò poi.
Schiacciò di nuovo la pancia, palpando con insistenza in due punti diversi, con entrambe le mani, mentre Sarah gemette ancora per il dolore.
Gandalf lo vide sbiancare e mutare espressione.
“Oh Valar!” mormorò poi il sovrano.
“Cosa c’è?” incalzò lo Stregone.
Elrond lo guardò con una nuova serietà dipinta in viso.
“I bambini sono due.”
Per un attimo calò il silenzio.
“Due?” Legolas sembrava incredulo, ma si riscosse subito “Fa qualcosa, presto!”
“Non ce la faccio a farne nascere due!” era la voce di Sarah, che non riusciva a smettere di singhiozzare terrorizzata.
“Certo che ce la fai!” ribatté Elrond con una severità quasi paterna.
“Il primo bambino non si è girato,” spiegò poi “per questo non riesce ad uscire, l’altro invece è nella posizione giusta. Sarà difficile solo con il primo… tu ce la puoi fare.”
“Come puoi fare per farlo girare?” chiese Aragorn mentre passava una pezza imbevuta d’acqua fredda a Legolas, perché rinfrescasse il viso di Sarah.
“Avrei potuto farle una piccola incisione e tirare fuori entrambi i bambini, ma ha perso troppo sangue… ora morirebbe.”
Si fermò un attimo, come per riflettere.
“Devo girare il bambino e tirarlo fuori, sarà doloroso, però…”
Vide Sarah che annuì con decisione, come a dargli il suo permesso.
“Va bene!” disse Elrond con fermezza. “Aragorn! Legolas! Voi tenetela ferma… Tu Gandalf invece, resta con Gimli, dovrete occuparvi del primo bambino mentre io faccio nascere il secondo. Arwen, resta qui vicino a me per aiutarmi.
Poi rapidamente infilò la mano dentro a Sarah, e afferrò il primo bambino.
Cercando di non ascoltare le urla di dolore della ragazza che non riusciva più a smettere di piangere fece girare il piccolo fino a quando non sentì la testa, poi, lentamente iniziò a tirarlo verso di se. Un attimo dopo lo passava ad Arwen e dopo pochi secondi fu estremamente sollevato nel sentire un vagito acuto che si trasformò in un pianto disperato. Il piccolo stava bene, ora poteva occuparsi dell’altro.
“Sarah! Ora devi spingere, devi far nascere il secondo bambino… Sarah!” la richiamò preoccupato vedendo che la ragazza non dava segni di reazione.
“Forza amore.” La incitò Legolas “Un ultimo sforzo, ce l’hai quasi fatta.”
“Non ci riesco!” mormorò lei con la voce ridotta ad un soffio.
“Si invece! Tu sei abbastanza forte per farlo!”
Lei lo guardò con occhi supplicanti, si sentiva come sul punto di abbandonare la vita.
“Ava firi…” (Non voglio morire…) Elrond nascose a fatica il suo stupore nel sentire la ragazza esprimersi nella loro lingua, ciò lo spinse a chiedersi come fosse possibile.
“Avo firithach, Sarah…” (Non morirai, Sarah…) le rispose fissando quegli occhi verdi.
“Un ultimo sforzo… Ora!”
Il grido che Sarah emise aveva in se qualcosa di lacerante, nonostante non fosse particolarmente acuto, ma il dolore dipinto sul suo volto si trasformò in un debole sorriso quando sentì il vagito del bambino.
Si lasciò cadere indietro, con la testa sul cuscino, ansimando come un pesce deposto sulla sabbia, mentre Legolas la guardava ancora molto preoccupato.
“Stai bene?” mormorò carezzandole i capelli madidi.
Lei sollevò impercettibilmente le spalle, cercando senza successo di rimettersi seduta, per guardare verso Elrond che stava ancora maneggiando i bambini con un certo sospetto dipinto sul volto.
“Stanno bene?” mormorò Sarah.
“Direi proprio di si…” la tranquillizzò la voce di Gandalf che troneggiava sopra di lei. “Bevi ancora un po’ di quesa.” disse poi avvicinandole alle labbra la bottiglietta di Elrond.
Arwen si avvicinò sorridendo a Legolas e prima che lui potesse rendersene conto gli mise tra le mani un fagottino urlante.
“Questo è il maschietto!” disse poi “Fra un attimo arriva anche la femminuccia…” Legolas non riusciva a staccare gli occhi da quel visetto raggrinzito e arrossato, che pur nella sua scarsa avvenenza, tipica dei neonati nei loro primi momenti, gli appariva bellissimo.
“Ehi!” si sentì strattonare per il bordo della tunica “Abbassalo un po’… Non riesco a vederlo!”
Sorridendo l’elfo si abbassò leggermente in modo che il nano potesse saziare la sua curiosità, dopodiché si riavvicinò a Sarah, alla quale, proprio in quel momento, Gandalf stava mettendo in braccio la bambina.
“Sono bellissimi…” mormorò Legolas osservando quei due scriccioli praticamente identici.
“Hanno i tuoi occhi…” aggiunse poi rivolgendosi a Sarah.
“E hanno anche una cosa molto importante…” l’interruppe Gandalf sorridendo con dolcezza e scostando delicatamente un lembo della copertina da uno dei piccoli in modo da mostra loro quello di cui, per ora, solo lui sembrava essersi accorto.
“Orecchie a punta…” affermò poi volgendosi impercettibilmente verso Elrond.
“Ma lei è umana…” sussurrò Legolas senza capire, mentre il sovrano elfico si avvicinava per vedere meglio.
“Già.” soggiunse Gandalf. “Ma i suoi figli non lo sono, per cui probabilmente il suo corpo e la sua anima non si rispecchiano a vicenda.”
Sarah sorrideva, pur senza capire, ma i suoi bambini erano vivi e stavano bene, così come lei… e questo bastava.
Probabilmente le parole dello stregone non piacquero molto ad Elrond, che si rabbuiò leggermente.
“Aiutate Sarah a sistemarsi, assicuratevi che si riposi e anche i bambini… Io vado nel mio studio e più tardi voglio parlarvi… a tutti.” Aggiunse poi con tono secco, allontanandosi rapidamente.
Per un attimo nella stanza calò il silenzio, che fu interrotto da Gimli.
“Non l’ha presa molto bene…”
“Beh… era prevedibile. “ rispose Arwen che si stava affaccendando intorno a Sarah, per aiutarla a cambiarsi e a ripulirsi.
Legolas era stupito… Per mesi aveva temuto che, quando le sue azioni fossero stata scoperte, Arwen non avrebbe mai potuto perdonarlo e ora, invece, non mostrava verso di lui il minimo segno di collera. Certo, era amareggiata, ma lui si rese conto di aver probabilmente sottovalutato la sua capacità di comprensione.
Chi invece non sembrava disposto a capire era Aragorn… per un attimo rimase imbronciato, piantato al centro della stanza con le mani sui fianchi. Dopodiché emise un borbottio seccato.
“Potete farcela anche senza di me… ci vediamo dopo.” Girò sui tacchi e uscì dalla porta, richiudendola con un tonfo e lasciando Legolas estremamente afflitto.
“Non capisco perché fa tante storie…” mugugnò Gimli mentre si affaccendava intorno alla culla da lui stesso fabbricata, preparandola con lenzuolini candidi ed una soffice copertina. “neanche fosse il sovrano di Eldamar in persona, che vede violate le leggi da lui prescritte.”
“Non credo sia questo il problema” sospirò Legolas.
“Già” continuo Arwen mentre raccoglieva da terra alcune pezze macchiate di sangue, per metterle in una cesta. “Il fatto è che si sente escluso dal segreto di Legolas, che tuttavia lui ha scelto di condividere con te, Gimli.”
“Il non poterlo condividere con Aragorn è stata una scelta obbligata. “ ribatté amaramente Legolas.
“Non potevo chiedergli di mentire a sua moglie e a tuo padre… Lo avrei messo in una posizione troppo rischiosa.”
Gandalf annuì, smettendo per un attimo di trastullarsi coi due neonati che evidentemente tendevano a risucchiare la sua completa attenzione.
“Infatti, “proseguì Arwen, “non è a me che devi delle spiegazioni in merito a questo… Io ti posso capire, pur non approvando questa scelta folle. Ma so bene cosa si prova a voler condividere la vita con qualcuno che non appartiene alla tua stessa razza. Non è facile aver a che fare con chi cerca continuamente di dissuaderti o addirittura ostacolarti.” Si riscosse dai suoi amari ricordi. “Ora vado… Ci vediamo più tardi nello studio di mio padre, aiutatela ad allattare i bambini e a farli addormentare.”
Così dicendo uscì dalla stanza a testa bassa, riflettendo su quello che sarebbe accaduto da li a poco tempo.
“Che succederà ora?” pigolò Sarah da sotto le coperte, evidentemente spaventata dalla spaccatura che la sua presenza stava creando in quella sorta di grande famiglia.
“Non più tardi di un paio di giorni e verranno informati gli altri sovrani…” le spiegò Gandalf, cercando di non allarmarla tropo.
“E mio padre…” proseguì Legolas amaramente. “Voglio che stia lontano da loro!” affermò poi rivolto a Gandalf che nel frattempo, aiutato da Gimli, stava sollevando i bambini dalla culla perché Sarah li allattasse.
“Questo non dipende da me…” borbottò poi tra se e se. “Ma vedremo evitare confronti troppo diretti e spiacevoli… Ora, “ continuò poi con un sorriso, “qualcuno ha immediatamente bisogno di essere sfamato.” Dopo un oretta circa i bambini dormivano sazi nella culla e anche Sarah cominciava a sentire le palpebre pesanti, grazie anche ad un intruglio di erbe somministratole da Gandalf.
“Ora devo andare meleth…” le sussurrò Legolas baciandola sulla bocca. “Mi dispiace lasciarti sola ma devo affrontare questa cosa. Cercherò di non metterci troppo. Tu pensa solo a riposarti. Sarò di ritorno il prima possibile.”
Sarah annuì e si tirò le coperte fin sul mento... Ora voleva solo dormire, tanto che quasi nemmeno udì i tre che uscivano dalla stanza in punta di piedi.
Legolas rimase per un attimo immobile, di fronte alla porta chiusa della sua stanza, come se non riuscisse a staccare la mano tremante dalla maniglia. Gandalf lo scosse leggermente.
“Andiamo, su…”
Si incamminarono allineati lungo il corridoio, lo stregone posava una mano sulla spalla dell’elfo. Entrarono nello studio di Elrond, dove regnava un’ atmosfera assai poco piacevole: il sovrano guardava ostinatamente fuori dalla finestra, come se in giardino vi fosse qualcosa di incredibilmente interessante, Aragorn sedeva di fronte al fuoco con espressione particolarmente torva, come se volesse gettarvisi dentro da un momento all’altro, mentre Arwen stava appoggiata al bordo della scrivania del padre, immersa in pensieri in cui, evidentemente, gli altri non erano affatto graditi.
Su uno dei divanetti sedevano anche Elladan e Elròhir, stranamente tranquilli e silenziosi. Gandalf guardando le facce dei due fratelli capì immediatamente due cose: sicuramente non erano a conoscenza del motivo di quella affrettata riunione, tuttavia avrebbero preferito non doverlo apprendere ed essere ovunque tranne che in quella stanza, continuando tranquillamente a badare ai propri affari.
Gandalf si schiarì leggermente la gola, non tanto per segnalare la loro presenza ad Elrond, quanto per invitarlo a voltarsi e venire immediatamente al dunque.
“Sedetevi.” La voce del sovrano sembrava provenire da un'altra dimensione, era metallica e a Gimli fece venir voglia di infilare la porta e scappare il più lontano possibile.
Dopo che tutti si furono accomodati ed ebbero osservato con dovizia le punte dei propri piedi per una buona manciata di secondi, Elrond si voltò squadrandoli lentamente, senza sapere esattamente da dove cominciare, cosa dire, che domande porre.
“Ebbene?” chiese poi.
Nessuno parlò, Gandalf sollevò gli occhi al cielo e Legolas iniziò a contare le venature del pavimento in legno sotto i suoi stivali. Era una domanda sciocca e inconsistente a cui nessuno era in grado di dare una risposta.
“Gradirei avere una spiegazione per quello che ho visto nella tua stanza, Legolas.” Sbottò poi asciutto rivolto all’elfo, che sentendosi interpellato sollevò gli occhi da terra.
“Non c’è molto da spiegare.” sbottò poi, irritato dalla situazione e dall’atteggiamento di Elrond, “Credo che tu possa renderti conto da solo del luogo di provenienza di Sarah e anche del nostro tipo di legame… avendo fatto nascere i nostri bambini” aggiunse poi con tono laconico.
“Grazie della precisazione!” rispose l’altro sempre più seccato. Un attimo di silenzio.
“Io voglio sapere il perché!” insistette poi alzando leggermente la voce e fulminando con lo sguardo Gimli che si agitava scompostamente su quel divano troppo alto per lui, con il risultato di farlo immobilizzare all’istante.
“Non posso spiegarti perché mi sono innamorato di lei, perché nemmeno io conosco questa risposta.”
Iniziò Legolas scegliendo con cura le parole. “L’unica cosa di cui sono certo è che per centinaia di anni io sono stato insoddisfatto e incompleto, il mio cuore non poteva smettere di provare desiderio, senza conoscerne la fonte. Non ho conosciuto la pace, mai. Poi l’ho incontrata e il mio languore si è estinto, ho smesso di cercare e per la prima volta ho pensato al futuro senza essere oppresso dalle mie angosce. Trovando lei ho anche ritrovato me stesso… E questa è l’unica spiegazione che ti posso dare.”
“Tu hai infranto le nostre leggi, ben sapendo di farlo.” Elrond sembrava non capire e questo provocò una grande rabbia nell’animo di Legolas, il cui viso si tinse di rosso.
“Pensi che io sia così sciocco da aver deciso, un bel mattino, che ero molto annoiato e che quindi infrangere le nostre leggi poteva essere un buon diversivo.” ribattè amaramente fissando il sovrano negli occhi. “ Non è stato un dispetto ne un affronto verso nessuno. Io quella pietra nella torretta l’ho trovata per caso! E sempre per caso ho scoperto del passaggio.”
“Hai visto Sarah per la prima volta nella pietra nascosta nella torretta?”
Legolas annuì, ricordando quel momento che ora gli sembrava lontano intere ere, tante erano le cose accadute da allora.
“Visitare la terra era proibito, ma tu l’hai fatto ugualmente.” Asserì secco Elrond, che non riusciva a capire come Legolas avesse potuto essere così sprovveduto.
“Ormai l’avevo vista nella pietra, volevo poterla vedere da vicino. All’inizio sono riuscito a non farmi scoprire, ma dopo alcune notti lei se n’è accorta e mi ha parlato. Io non sono più riuscita a lasciarla. Mi sono legato a lei.” Mormorò poi con voce rotta.
“Come pensavi di gestire la cosa, una volta che il passaggio sarebbe stato chiuso?” questa volta era stata Arwen a parlare, lo guardava incuriosita, senza particolare risentimento, solo sforzandosi di capire quello che era accaduto
“Non ne avevo idea… All’inizio ho pensato che sarei stato disposto a rinunciare a questo mondo e a rimanere sulla terra con lei, ma poi…” ricordò la morte che cercava di strapparlo via alla sua esistenza. “Un mattino non riuscii ad usare il passaggio e restai bloccato insieme a Sarah per tutto il giorno, fu un miracolo per me riuscire a sopravvivere… mi resi conto che non potevo nemmeno pensare di respirare per sempre quell’aria. Poi, quando ci abbiamo capito che lei aspettava un bambino, pensavamo fosse uno soltanto, ho capito qual’era l’unica possibilità che avevo.
Sarò anche egoista, Elrond, ma non volevo morire e ciò sarebbe accaduto se io fossi rimasto sulla terra, ma anche se fossi tornato qui senza di lei, perché il mio cuore si sarebbe spezzato. Non volevo abbandonarla da sola in quel mondo disgraziato, non volevo che mio figlio crescesse senza un padre, sempre se l’aria terrestre gli avesse permesso di sopravvivere. Non avevo altra scelta.”
“Infatti!” sbraitò Elrond picchiando una mano sul tavolo e facendo sobbalzare Elladan e Elròhir, che avevano capito solo parzialmente quello che stava succedendo, ma si rendevano conto perfettamente che all’orizzonte si profilavano problemi di dimensioni molto preoccupanti.
“Non è questo ciò che ti sto rimproverando!” continuò poi sempre visibilmente alterato. “Portarla qui è stata la scelta più logica nella situazione in cui eravate, sebbene tu abbia comunque infranto un divieto… Questo lo posso capire. Quello che invece non capisco è come tu abbia potuto essere così sciocco da avventurarti sulla terra da solo, quando sapevi bene che ciò era proibito! Non hai rinunciato al tuo capriccio nemmeno quando lei ti ha scoperto. Non avrei mai immaginato che un elfo intelligente come te potesse mettersi in una situazione così disastrosa!”
“Non è mai stato un capriccio e non capisco come tu possa definire due bambini, i mie figli, una situazione disastrosa!” aveva urlato, mentre faticosamente cercava di ricacciare indietro le lacrime che gli pungevano gli occhi.
“L’unica sua colpa è quella di essersi innamorato, Elrond.” Tentò di spiegare Gandalf “E tu sai bene, come tutti noi del resto,” aggiunse poi posando lo sguardo su Arwen, “ che certe cose non si possono scegliere, accadono e basta…”
“Tu dovresti farti un esame di coscienza…” lo rimproverò il sovrano. “Dovresti essere saggio e onesto, invece sapevi cosa stava facendo e l’hai lasciato proseguire con questa pazzia.”
“Quando sono arrivato qui e mi sono effettivamente reso conto della situazione ormai non si poteva più tornare indietro e ad ogni modo non è nelle mie abitudini tradire i miei amici. Se non avessi mantenuto questo segreto Sarah non avrebbe mai potuto attraversare il passaggio, e il risultato sarebbe stato la morte di Legolas e probabilmente anche quella dei bambini. Desideravi questo?” domandò poi con aria stizzita.
Elrond tacque per un attimo, poi pronunciò parole dure.
“Desideravo qualcosa di meglio per te, e tu hai scelto un umana.”
Per un attimo il gelo, poi Arwen gli si parò davanti come una furia.
“Così offendi Aragorn, mio marito, oltre ad offendere tua figlia!”
“Sai bene che Aragorn non ha nulla in comune con gli umani che popolano oggi la terra. Lui è per me come un figlio, Arwen…” cercò di calmarla addolcendo il tono, ma lei non parve soddisfatta di quelle parole.
“Come puoi non capire?” continuò ad accusarlo Arwen. “Dopo che tua figlia ha vissuto la stessa esperienza e affrontato il medesimo dolore, insieme al disprezzo di molti membri del nostro popolo? Legolas ha infranto le leggi, è vero, andrà incontro a conseguenze difficili e credo che lui se ne renda conto. Ma non penso possa esistere motivo più nobile di quello che ha mosso le sue azioni. Meleth, ada… “(E’ amore, papà…) aggiunse poi con voce flebile, prima di fare la sua scelta.
“E io non mi sento di giudicarlo, di criticarlo per una scelta che è la stessa fatta da me tanti anni fa, donarsi ad un essere umano. Se devo prendere una decisione, padre, starò con lui, perché più di chiunque altro io lo capisco. Ar ae avach anna dulu hon leithathach lîn iell.“ (E se tu non vuoi aiutarlo allora perderai tua figlia)
Tutti capirono il significato di quelle parole, persino Gimli… Bastava osservare i lineamenti contratti del volto di Elrond.
Fu Gandalf che cercò di interrompere quel momento che pareva infinito, mentre Legolas non riusciva a credere che proprio Arwen, su cui lui mai avrebbe pensato di poter contare, gli stesse offrendo il suo aiuto e la sua comprensione in modo così incondizionato. La stessa difficile scelta li avvicinava.
“In fin dei conti Legolas non ha mai chiesto niente, nemmeno dopo la guerra contro Sauron…” azzardò lo Stregone.
“Avrebbe potuto chiedere, allora… Non fare di testa propria e…” rispose prontamente Elrond, che però mostrava di essere veramente esausto di quella conversazione.
“Perché vuoi farmi credere che se io avessi chiesto di poter portare Sarah in questo mondo sarei stato accontentato?” lo interruppe Legolas. “sai bene che non sarebbe mai accaduto.”
Elrond riflettè: le parole di Legolas corrispondevano alla pura realtà. E per quanto le sue azioni fossero state contro la legge, lui aveva fatto l’unica scelta possibile, se non voleva rinunciare alla propria vita… E il suo desiderio di sopravvivenza non poteva certo essere biasimato. Che fare? Non era una questione di affetto o appoggio morale, Legolas sarebbe in ogni caso dovuto andare incontro al giudizio dei Valar… ma forse Arwen aveva ragione, loro non potevano lasciarlo andare incontro al suo destino da solo.
“Che cosa dovrei fare, allora?” chiese esausto crollando a sedere sul divano, accanto ai due figli, che non parvero molto felici di tale vicinanza.
“Non ti ho mai chiesto nulla per me, non l’ho mai fatto e non ho intenzione di farlo ora.” Mormorò Legolas con la voce rotta. “Non ti supplicherò di intercedere per me. Ho fatto un errore e andrò incontro al mio destino, da solo, senza cercare di sfuggire alle mie responsabilità. Se vi ho ferito,” aggiunse poi, rivolgendosi a tutti i presenti, “sappiate che mi dispiace, vi ho sempre amato come se foste la mia famiglia e tu, Elrond, per me sei sempre stato come un padre. Se dovessi perdere il vostro affetto e il vostro sostegno, lo accetterò e cercherò di farmene una ragione. Solo una cosa vi voglio chiedere: la mia punizione potrebbe anche essere molto severa, estrema… Potrò andarci incontro con tranquillità solo se sarò certo che Sarah e i bambini potranno contare sempre su di voi. Loro non hanno colpa per quello che è successo e non voglio che abbiano da pagare per i miei errori. Esiste anche una sola possibilità che voi possiate voler loro bene, che possiate ammetterli a far parte di questa bellissima famiglia? Perché vi giuro che in questo momento è la cosa che più mi sta a cuore.”
Rimase in silenzio, senza sapere che altro aggiungere, senza sapere che risposte attendere dai presenti, che indugiavano in un silenzio carico di pensieri.
Gandalf rumoreggiò, nel tentativo di accendere la propria pipa, dalla quale aspirò una boccata di fumo puzzolente, soffiandolo poi con dispetto verso Elladan e Elròhir, che fissavano il padre timorosi di prendere posizione.
Per loro, più che per chiunque altro, quella storia era estremamente semplice. Non avevano alcun interesse a questionare sulle scelte amorose di Legolas e l’infrangere le regole, per loro, non era mai stato un problema. Pur rendendosi conto della gravità della posizione dell’amico, per loro l’elfo restava esattamente lo steso di alcune ore prima, quando ancora non sapevano nulla. Gli volevano bene come ad un fratello e la questione per loro si chiudeva così, non avevano mai giudicato nessuno, nemmeno la loro sorella, non avrebbero certo iniziato ora.
Lo Stregone mugugnò qualcosa di inarticolato e incomprensibile, poi si schiarì la voce.
“Da parte mia non muterà nulla, Legolas… Ti ho sostenuto fin ora e ti starò vicino nelle prossime settimane, come per il resto dell’eternità, non voglio nemmeno che tu ti ponga domande di questo genere, per quanto riguarda me…” un attimo di silenzio, necessario per aspirare nuovamente dalla pipa e rivolgere lo sguardo verso il sovrano.
“Credo inoltre che il medesimo discorso possa essere fatto per Gimli, Arwen e i tuoi smidollati figli.” aggiunse poi bonariamente vedendo il sorriso dipingersi sui volti dei fratelli, ben lieti di non dover spiegare la propria posizione e di affidarsi alla perspicacia di Gandalf.
Elrond annuì, mentre si alzava per controllare qualcosa di inesistente fuori dalla finestra.
“Non è una questione di affetto, Legolas…” mormorò poi rivolto al vetro sottile.
Per qualche istante rimase in silenzio, riflettendo sulla situazione. La rabbia di poco prima stava lentamente sfumando e ora non poteva fare a meno di essere seriamente preoccupato per Legolas e per la sua sorte. Ora capiva molte cose, capiva di non essersi mai sforzato abbastanza per comprendere l’elfo, capiva ciò che Galadriel aveva cercato di dirgli in diversi modi.
“Le stelle…” riflettè a voce alta, voltandosi verso il gruppo, seduto accanto al caminetto.
“Erano i due bambini.” confermò Gandalf percependo i pensieri dell’altro.
“Tu lo sapevi?” chiese poi il Sovrano socchiudendo gli occhi fino a renderli due fessure.
“Non esattamente… ma mi ero reso conto che la loro nascita era legata a questo avvenimento. Poi quando ho visto i due bambini e le loro orecchie ho capito. Per ogni elfo al modo esiste una stella. Due nuovi elfi, due nuove stelle, è molto più semplice di quanto noi tutti pensassimo. Nemmeno Galadriel l’aveva capito… Il fatto che fossero stelle stranamente luminose forse dipende dal fatto che sono due elfi un po’ speciali.”
“Non capisco come possano essere elfi…” soggiunse Elrond con fare dubbioso.
“Dovremo chiedere a Galadriel, lei saprà darci una risposta, forse…”
Elrond sospirò. Sapeva cosa doveva fare, non poteva fare altro.
“Avrai il mio sostegno Legolas… e non perderai il mio affetto in ogni caso. Sei come un figlio per me; hai commesso degli errori, ma non è un buon motivo per abbandonarti a te stesso. Starti vicino è una mia scelta, ma anche un mio dovere, come amico, come sovrano, come padre anche… soprattutto perchè sono certo che Thranduil non sarà molto felice, quando la situazione gli sarà spiegata.”
“Non voglio che mio padre abbia voce in capitolo in tutto questo.” sentenziò deciso Legolas. “Non è uno dei cinque sovrani. Mi sottoporrò alla legge, ma non a lui.”
“Capisco…”mormorò Elrond. “Ma lo verrà comunque a sapere e di certo vorrà dire la sua, lo conosciamo bene, dopotutto… Questo non potremo evitarlo.”
Legolas annuì debolmente e abbassò la testa. Paradossalmente, al momento, la cosa che più lo atterriva non era il giudizio dei Valar, ma il confronto con quel padre terribile, che per anni non lo aveva capito, non lo aveva ascoltato e aveva preteso di decidere per lui. Ora avrebbe avuto di fronte il fatto compiuto, e questo non gli sarebbe affatto piaciuto.
“Aragorn!” lo apostrofò torvo Gimli. “Non dici nulla?”
Tutti si voltarono verso Aragorn, in attesa, mentre l’uomo continuava ostinatamente a non voler fissare i suoi occhi in quelli di nessuno.
Arwen sembrava non riuscire a capire cosa passasse nella mente de marito. Lo vide scuotere impercettibilmente la testa e alzare lo sguardo, per incontrare i sette paia di occhi in attesa.
“Spero che le cose possano risolversi, Legolas… Per te, per Sarah e per i tuoi figli. Più di chiunque altro, tu meriti un po’ di felicità e te la auguro con la più profonda sincerità. Anche volendo, non potrei negarti il mio sostegno, perché il nostro legame è forte e solido, ormai da molti anni. Ma…” e la sua voce si incrinò “Proprio in virtù di questo legame, che io credevo sincero, non so se sarò in grado di perdonarti per avermi mentito su questa faccenda. Mi hai guardato negli occhi, Legolas, e non mi hai detto la verità, e questo non riesco ad accettarlo. Nonostante il buonsenso e la consapevolezza che la tua scelta è stata dettata da motivi ben precisi, nonostante tutti i miei buoni propositi e la convinzione che essere i collera non mi porterà da nessuna parte, non riesco a perdonarti, mi dispiace… Scusate.”
Cos dicendo si alzò rapidamente e uscì dalla stanza in silenzio, lasciando la moglie che scuoteva la testa e Legolas allibito e raggelato da quelle parole.
Aveva dato per scontata l’amicizia con Aragorn, era profondamente convinto che, quando sarebbe giunto il momento, l’amico avrebbe capito, avrebbe perdonato le sue bugie, sarebbe stato dalla sua parte. Ora capiva di aver sbagliato a preoccuparsi così poco di lui.
Buttò indietro la testa, per impedire alle lacrime di scorrere lungo le sue guance, esposte alla vista di tutti.
Arwen gli si sedette accanto, sul bracciolo del divano, sfiorandogli la spalla con un tocco leggero.
“Se lo conosco bene, e credo di poterlo affermare con certezza, sono sicura che gli passerà… Ha solo bisogno di un po’ di tempo, per assorbire la cosa ed elaborarla. Soffre perché si sente escluso dalla vostra amicizia, tu e Gimli non lo avete messo al corrente di questo segreto e questo non è semplice da mandar giù… e su certi argomenti Aragorn tende ad essere molto permaloso. Da tempo al tempo.”
“Già…” confermò Elrond, sedendosi goffamente sul tavolino e poggiando una mano sul ginocchio dell’elfo. “Ti saremo vicini, Legolas, e ci occuperemo di Sarah e dei bambini, se sarà necessario… solo questo ti posso promettere. Vorrei poterti garantire che tutto si risolverà per il meglio e in fretta, ma purtroppo non ho questo potere, non sta a me decidere. Non posso evitarti il giudizio dei Valar, né il dover affrontare gli altri sovrani… e tuo padre, temo.”
“Lo so.” Mormorò Legolas commosso.
“Oggi stesso manderò dei messaggeri ai sovrani e a tuo padre… Probabilmente saranno qui già domani, poi bisognerà andare al tempio e chiedere udienza ai potenti. Mi spiace non poter dare a te e a Sarah nemmeno qualche giorno di pace, ma devo rispettare le prescrizioni del nostro popolo, altrimenti questo finirà per ritorcersi contro di te. Ora più che mai devi stare attento, attenerti alle leggi e dire tutta la verità a chi te la chiederà. Saranno molti a scagliarsi contro di te e non dobbiamo dar loro ulteriori ragioni a cui appigliarsi; hai commesso un errore, ma esiste il perdono e io spero che il nostro popolo si ricordi di questo, perché il giudizio dei Valar terrà conto anche del pensiero della collettività.
“Noi ci saremo…” affermò Gandalf con voce decisa. Qualunque cosa dovesse accadere ricordati sempre che non sei solo, hai degli amici che ti vogliono bene, che ti hanno capito e che non vogliono più rimproverarti.” Aggiunse poi lanciando un occhiata esplicita ad Elrond.
“Ora va da Sarah e cercate di non preoccuparvi di nulla, almeno fino a domani… date nome ai vostri figli e riposatevi”
Così dicendo lo colpì leggermente sugli stinchi col suo bastone, per invitarlo ad alzarsi e lo osservò compiaciuto, mentre prendeva tra le sue le mani di Elrond e bisbigliava piano:
“Hannon le.”
“Padatham go le erin lîn padad…” (Camminremo con e sul tuo stesso sentiero…) promise Elrond.
“I er padad im berthon aphado..” (Il solo sentiero che posso percorrere…) mormorò amaramente Legolas, col cuore pieno di angoscia.
Prima di uscire fissò negli occhi i presenti e ciascuno lesse parole di gratitudine in quello sguardo, poi dopo che la porta fu chiusa dietro di lui, per un attimo tutti rimasero in silenzio.
“Padre.” mormorò Arwen “Vado da Aragorn, spero di riuscire a farlo ragionare. Grazie per aver capito… La comprensione verso Legolas è stata anche comprensione verso di me e io so quanto ciò ti sia costato.”
Sorrise, mostrando uno sguardo limpido… poi si rivolse a Gimli, con una nuova gentilezza nella voce.
“Vieni con me, per favore… Potrei aver bisogno del tuo aiuto, se Aragorn dovesse impuntarsi.”
Elrond si perse per un attimo dietro alla figlia, rimanendo assorto anche quando i passi di lei e Gimli nel corridoio non furono più udibili. Dopodiché si voltò inviperito verso Elladan e Elròhir, che si stavano avvicinando al mobiletto dove venivano custoditi i liquori, con un’espressione da perfetti farabutti stampata in faccia.
“Fuori di qui voi due!” tuonò prima che Elròhir potesse toccare l’antina. “Immediatamente!” ruggì poi per rendere ancor più celere la loro fuga dalla stanza.
Non appena i due fratelli richiusero, molto rumorosamente, la porta dietro di loro, Elrond riempì due bicchieri con una dose piuttosto massiccia di sidro e ne porse uno a Gandalf, tenendo l’altro per se, lasciandosi cadere sul divano accanto allo Stregone.
“Povero Legolas… Che i Valar lo aiutino!” sussurrò, come se fosse assorto in preghiera.
“Che i Valar aiutino tutti noi!” sospirò Gandalf preoccupato, portandosi il bicchiere alle labbra.

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