La foresta telefonica di dedalo1987 (/viewuser.php?uid=80716)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** Capitolo I: Il Disgelo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo II: Mamma ***
Capitolo 1 *** Intro ***
forestatelefonica
E da un branco una tribù che va
da un villaggio una città
gente che respira a tempo
uomini rinchiusi dentro scatole di pietra
dove non si sente il vento
Ma la voglia di fuggire che mi porto dentro
non mi salverà
[Banco del Mutuo Soccorso, Cento Mani e Cento Occhi]
Rincorsa di piccoli passi sulle
punte, busto leggermente inclinato in avanti, piede d’appoggio parallelo alla
direzione voluta, ginocchio e caviglia completamente estesi. Sarebbe stato un
perfetto sinistro di collo pieno in uno stadio, invece la punta del piede
sfiora appena il pacchetto di sigarette cui sta mirando, un bersaglio troppo piccolo ed insignificante
per quella rincorsa perfetta. Un pacchetto vuoto in un paesaggio desolato e
deserto come una pianura lunare, su un marciapiede troppo largo, come se si
fosse espanso fino ad inglobare la strada rimasta piccina piccina, come un
torrente nella siccità. E visto il caldo, può benissimo essere stato il sole ad
asciugare la strada fino a ridurla ad un rivolo nero.
Cosa sta facendo lì? Perché, voi
che leggete cosa state facendo? Semplicemente non ha di meglio da fare, proprio
come voi ora. Capita, alle volte. In verità, qualcosa da fare l’avrebbe anche
avuto, ma davvero gliene hanno fatto passare la voglia. Ce li abbiamo tutti
questi giorni, quando il telefono squilla sempre e qualsiasi problema esiste
perché sei tu che non lo sai risolvere, e non perché qualcuno lo ha creato.
Ecco, questo per lui è uno di quei giorni. E non vede l’ora che passi, anche se
è ancora mattina. E l’unico modo per farlo passare in fretta è cercare un po’
di compagnia, anche se lui detesta l’idea. Fa sempre così, lui. Tende alla
malinconia ed alla solitudine, e quando sta male per un po’ non chiama nessuno.
Ma alla fine cerca una cabina telefonica (mai posseduto un cellulare, per
scelta) e, come un paziente prende una medicina controvoglia, chiama l’amico di
turno. Major Tom, lo chiamano, e non sa se sia un complimento o un modo per
descrivere quanto sia alienato, ma a lui piace pensare che siano valide tutt’e
due le versioni.
La cabina è appoggiata contro la
parete di cinta al lato della strada, cento metri più avanti. Deve essere una
specie di porta magica per un altro mondo, visto che non esistono altre cabine
così strane. Sembra vecchia qualche decina d’anni, ed è letteralmente
appoggiata contro il muro, nel senso che se non ci fosse il muro accanto cui
sorreggersi, probabilmente rovinerebbe nell’arida polvere del marciapiede. E’
ricoperta di edera, all’apparenza anche all’interno, solo il telefono è
misteriosamente libero dalle foglie, forse tagliate di recente da un altro
utente della cabina. Il telefono è vecchio e coperto di graffi, alcuni sembrano
unghiate, magari lasciate da un amante deluso litigando con chissà quale donna
che adesso dopo tanti strepiti ha già dimenticato, o semplicemente da qualche
teppista. Dall’interno proviene un odore che stona con la periferia urbana, un
aroma di sottobosco, foresta e muschio.
Ancor di più stona con quella
desolazione. Il nostro uomo è decisamente incuriosito da quel corpo estraneo.
Un lussureggiante angolo di foresta condensata. Chissà quante specie mai
osservate da un biologo si formano dentro una cabina telefonica
rinselvatichita, si domanda. Sogna per un attimo che magari, infilandoci la
testa dentro, si sentano i richiami delle civette e gli ululati dei lupi, e si
ritrovi in un posto dove non esista alcun altro essere umano che lui. La
libertà dagli obblighi sociali, e la sottomissione alle sole leggi di natura,
dentro una cabina telefonica di periferia.
Rimane a fissarla, non ha voglia
di entrarci e sfatare il mito trovandosi solo un telefono pubblico e niente di
più tra le mani, ha bisogno di indulgere un altro po’ nelle sue cullanti
fantasie di richiami della foresta e porte verso mondi sconosciuti. Chissà di
quali misteriose entità è possibile comporre il numero, servendosi dell’enigmatico
vecchio apparecchio consunto dentro la cabina-foresta, si chiede. E’ difficile
immaginare chi sia stato chiamato da lì l’ultima volta, e come sia iniziata la
lenta e inesorabile ricrescita del verde e dei rami, tali ormai da avvolgere
interamente la plastica e il vetro come un lottatore in un abbraccio mortale.
Sola opera umana interamente distinguibile in quel ammasso di materiali mal
assortiti è il telefono, del resto graffiato dagli artigli di una volpe, o
forse di qualche bestia ancora più strana. La cornetta, più che un semplice
attrezzo per parlare, sembra lei stessa avere molte storie da raccontare.
Basta, adesso si torna alla
realtà. Cerca il portafoglio nelle tasche del jeans e vi estrae con fatica un
paio di monete, sperando che l’apparecchio annidato all’interno sappia cosa
sono le monete, vista la sua apparenza primitiva, e soprattutto sperando che
sotto tutto quel verde ci siano ancora abbastanza cavi telefonici per
garantirne il funzionamento. Finalmente muove un passo dentro e allunga una
mano verso la cornetta. Sfiora appena il metallo, prima di compiere
immediatamente un balzo indietro, come se fosse stato colpito da una scossa ad
alta tensione. In un istante la monotona e noiosa routine della telefonata dal
telefono pubblico viene rimpiazzato dallo stupore e da una di quelle scariche
di adrenalina che rincula il cuore dentro la gola in un sol colpo. Il fatto è
che dentro la foresta c’è davvero. Una foresta telefonica.
Una foresta telefonica. Una
foresta telefonica? Ma che roba è una foresta telefonica? Impreca tra i denti.
Lì dentro c’è un bosco. Un bosco vero, con gli alberi, gli animali, i suoni e
gli odori del bosco. E un telefono. C’è anche un telefono. Un telefono
inchiodato contro il tronco di un albero enorme. Ma certamente lo ha solo
sognato, pensa appoggiato contro la porta della cabina, con la mano destra
appoggiata sul cuore nel tentativo di impedirgli di schizzare via come uno
yo-yo. Lo ha sognato. Cerca di razionalizzare. Una foresta telefonica è una
cosa senza senso, semplicemente è impossibile. Pertanto è lui che ha visto una
cosa che non c’è. Semplicemente, lui ha bisogno di un medico, possibilmente uno
bravo. Ma è appoggiato su una normale cabina telefonica, non una foresta
telefonica. Perché le foreste telefoniche esistono solo nella testa dei malati
di mente, ma nella realtà proprio non ci possono essere. Non esiste, sta
impazzendo. Magari è il caldo afoso dell’estate italiana, magari è qualcosa che
ha mangiato. O peggio, il cervello non gli funziona più come deve, ipotesi
terribile. Ma mai terribile come ritenere possibile che esista davvero quello
che ha intravisto dentro quella maledetta cabina.
Quando il cuore inizia a rallentare
e il respiro si fa meno affannoso, si accorge del formicolio alla mano
sinistra. Sicuramente, ne avrebbe fatto a meno. Sul palmo della mano, proprio
sotto i suoi occhi basiti, si è posata una grossa farfalla marrone, con l’aria
di chi sia stata appena svegliata da un ospite sgradito e vorrebbe chiedergli
se quello sia modo di fare. Sicuramente un esemplare del genere si può ammirare
facilmente tra le fronde di una quercia o di un pino, ma molto difficilmente in
un centro urbano. E l’esemplare in questione lo sa bene, infatti dopo aver
timidamente sbattuto le ali, come in segno di saluto, si avvia con volo incerto
verso la porta della cabina, e sparisce al suo interno.
Lo avrete detto anche voi qualche
volta: ci sono casi in cui basta il peso di una farfalla per far crollare un
castello di illusioni. Ma difficilmente – a me come a voi – viene in mente un
caso del genere senza pensarci almeno per qualche minuto. Il nostro uomo da
questo momento in poi non solo avrebbe una memoria più pronta in proposito, ma molto
probabilmente non penserà ad altro per molto tempo. Adesso ha davvero bisogno
di chiamare qualcuno, deve allontanarsi da quella cabina maledetta e non
pensarci mai più. Non c’è altra scelta per conservare un barlume di sanità
mentale.
D’altro canto, sente veramente il
bisogno di conservarlo, questo barlume? La tentazione di girarsi e tuffarsi di
nuovo dentro è forte. Anche solo per vedere se la foresta c’è ancora. Magari
entrarci di nuovo potrebbe fugare ogni dubbio, e lui potrebbe tornare a casa sereno
e tranquillo. Niente foresta, solo il telefono. E tutto viene archiviato come
un brutto sogno, farfalla compresa. Fa per entrare, quasi convinto, ma dopo un
istante si ferma di nuovo. Non è per niente sicuro di voler sapere se ha
sognato oppure no, di quell’oggetto così impossibile e fuori dagli schemi non
gliene importa nulla, meglio non averci più a che fare. Meglio lasciarlo nel
regno degli interrogativi irrisolti piuttosto che avere qualche tipo di
conferma.
Si gira, inizia prima a camminare
verso casa, poi a trottare, quindi a correre, sempre più in fretta, come se i
branchi di lupi della foresta telefonica lo inseguissero, e rallenta solo quando
raggiunge una zona più familiare e affollata, quando è sicuro di esser tornato
alla rassicurante società e di esser fuggito alla spaventosa incertezza della
misteriosa visione selvatica, lasciata indietro a gran velocità, ma per nulla
dimenticata. In cuor suo, non vuole ammettere di non aver riprovato a prendere
la cornetta inchiodata al tronco solo perché ha più paura di smentire la sua
visione che di precipitarci di nuovo dentro: insomma vuole lasciarsi, per
qualsiasi evenienza, uno spiraglio verso la foresta.
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Capitolo 2 *** Capitolo I: Il Disgelo. ***
capitolo 1
Primavera
Certi eventi sono talmente
importanti che quando accadono non riesci a non pensare ad altro per alcuni
giorni, o anche di più. Sono come una ferita, finché non si chiude il dolore
non si sopisce, né inizia la guarigione. Ma dopo, col passare del tempo, tutto
sparisce in secondo piano, ed allora inizi a chiederti come sia possibile che
tu abbia sprecato tanto tempo a pensarci, e ti convinci che in fondo non sia
così importante, e che nella vita si superi di tutto e tante piccole disavventure sembrino chissà che mostri, ma che poi il tempo le faccia passare.
E’ una convinzione sbagliata. In
verità il segno da qualche parte rimane sempre, come una cicatrice, o un
graffio su un telefono. Quando ci posi di nuovo gli occhi, ovvero fuor di
metafora quando accade qualcosa che ti fa ricordare gli eventi traumatici, ci
torni sempre, e torni a pensarci come allora, almeno per un po’. Succede. Come
le stagioni. Gli alberi non dimenticano l’inverno solo perché le foglie sono
ricresciute. E gli uomini non dimenticano l’esperienza del passato che potrebbe
servirgli nella prossima stagione fredda della loro esistenza.
Major Tom pretende invece, dopo
alcuni giorni di inappetenza e insonnia, di aver scordato o lasciato alle
spalle la foresta telefonica. Non sa, o meglio fa finta di non sapere, che i
nostri antenati scimmia hanno lasciato nel nostro cervello e nel nostro sangue
un brandello della loro selvatichezza, un chiodo fisso piantato proprio nel
fondo del DNA. Un’antichissima corda preistorica che la foresta segreta
continua a stuzzicare anche quando il nostro uomo pensa ad altro, mentre lui fa
finta di averle scordate. Ricorda ancora il suo incontro con la farfalla, e
sogna, anche se non vuole ammetterlo, di tornarla a trovare senza essere di
disturbo come l’ultima volta.
Ma l’eterna lotta fra la
primitivo ed evoluto, civiltà e barbarie, legno e asfalto, continua anche
dentro di lui, e inesorabilmente l’evoluto, il civile, l’asfaltato si
riappropriano di ciò che gli appartiene: il cuore e la mente di uno studente
universitario. Così passano prima i giorni, poi le settimane, quindi i mesi. E
i libri, le relazioni, le notti prima degli esami, si accumulano in un
vorticoso affannarsi che non lascia più spazio al richiamo tribale lasciatoci
dentro dai nostri antenati. E se i voti riempiono il libretto e le giornate
sono ricche di soddisfazioni, il piccolo prurito, causato da una zampina di
donnola o da una foglia di conifera che pizzica proprio quella corda, rimane in
fondo al petto. Impercettibile, ma pronto a tornare in superficie quando
l’occasione arriva.
E dopo dei mesi, l’occasione
arriva. O meglio, è lui che la vuole far arrivare. Non coscientemente, ma la
vuole far arrivare. E’ un istinto irrefrenabile, forse un sussulto della sua natura
primordiale che tenta violentemente di tornare in superficie, quello che lo
prende. Una mattina presto, all’inizio di aprile, molti mesi dopo il suo primo,
estivo incontro con la foresta, decide di fare un percorso diverso per andare a
lezione. Si dice che il traffico lungo la solita via è eccessivo, e che rischia
di arrivare in ritardo, ma la verità è che vuole solo passare da una strada che
ormai conosciamo già da qualche pagina. Prima non vuole ammetterlo neanche a sé
stesso, dopo un po’ si dice che è soltanto per vederla un secondo, che già è
come ammettere che ci entrerà dentro nuovamente, trascinato da quel chiodo
piantato dai suoi antichi progenitori.
Con l’auto di mamma che oggi è in
ferie, prende il viale in cui la strada è come un rivo strozzato, la vede da
lontano, il cuore gli balza in gola ricordando l’odore, i suoni, e l’umidità
del sottobosco. La vede da lontano, e
già sa di non averla sognata, che lei è lì e lo aspetta, come l’ultima volta.
La vede da lontano, e deglutisce pensando che dovrà di nuovo mettersi alla
prova, anche se magari solo per pochi secondi, col selvaggio.
Accosta. Ci ripensa subito dopo,
in fondo è meglio andare via e lasciarla là ancora per alcuni decenni,
possibilmente per una vita. Poi ci ripensa ancora, non si può scappare dopo
aver guardato negli occhi il proprio avversario. Si prepara psicologicamente
alla sorpresa di trovarsi in un ambiente completamente diverso un istante dopo.
Sempre che sia vero quello che ricorda sempre più vagamente. Il suo cervello lo
ha come avvolto nella nebbia, lo ha convinto pian piano nei mesi che le
sensazioni e la memoria lo abbiano tradito, cancellando parzialmente la sua
esperienza per dargli modo di razionalizzarla. Major Tom in realtà è però
ancora certo che sia tutto vero, e non riesce a non domandarsi quanto siano
buffi i casi della vita: prima di entrare nella cabina si crogiolava nel sogno
di una foresta segreta, ora si crogiola nel sogno che quella foresta non
esista. A volte vorresti che i tuoi desideri si realizzassero solo perché non
capisci davvero la portata dei cambiamenti che potrebbero apportare alla tua
vita. E Major Tom non riesce a immaginare quanto potrebbe cambiare la sua
esistenza se prendesse l’abitudine di frequentare la foresta telefonica.
Tira il freno a mano. Ultimi
preparativi prima del decollo, commencing countdown, engines on! Si promette di
non perdere la testa come durante l’estate precedente, cerca di nuovo di
convincersi che in fondo sta riprovando a passare la porta della cabina solo
per avere la certezza di essersi immaginato tutto, poi di nuovo abbandona il
proposito razionalizzante e inizia, da persona precisa quale è, a comporsi uno
schema mentale di ciò che deve fare oltre la porta della foresta telefonica.
Non che possa fare molto, deve andare a lezione a minuti, ma per qualcosa il
tempo c’è: vedere se il telefono funziona. E come è collegato alla rete
telefonica. Sembra una cosa stupida, ma non lo è. Per esempio, se il telefono
avesse le istruzioni in italiano stampate sopra, allora vorrebbe dire che la
foresta si trova in Italia come la cabina dalla quale vi si accede. Potrebbe
localizzarla facilmente e perfino usarla per viaggiare rapidamente, se ne vale
la pena. Oppure il cavo telefonico potrebbe perdersi nel selvaggio e
nell’ignoto, dipanandosi come un serpente tra i tronchi e le radici di un
milione di alberi che non hanno mai conosciuto la dura legge dell’ascia e della
sega, imposta dall’uomo. E allora sarebbe forse ancora più eccitante, una porta
verso l’evasione che lui ha sempre sognato, ma mai davvero potuto mettere in
pratica. Una fuga dalla civiltà proprio accanto a casa. In fondo, una fortuna
insperata.
Apre lo sportello. Adesso ogni
istante sembra veramente un’eternità. Il cuore rimbomba come un masso scagliato
dentro un pozzo, ogni colpo cadenzato come un tamburo, mentre il suo eco si
perde già tra gli alberi. Un silenzio minaccioso sembra scendere su tutta la
strada, un silenzio di tomba che sarà interrotto soltanto dai rumori della vita
tra gli alberi della foresta. Finalmente, poggia il piede a terra, sulla
confortante durezza dell’asfalto. Non spegne l’auto, pensa, tanto ci vorrà solo
il tempo di controllare il telefono, e poi tornerà indietro. E’ talmente
stordito dall’adrenalina che ci sta un po’ a rendersi conto che qualcuno potrebbe
rubargliela. Spegne l’auto. Si infila le chiavi in tasca. Si alza, gli tremano
le gambe e l’emozione è così forte che gli sembra di galleggiare in
un’allucinazione, tutto sembra slegato e inconsistente. Per un attimo, afferra
addirittura la borsa coi libri dal sedile del passeggero. Poi la rigetta giù
sul sedile, in un misero istante di lucidità, e torna a mettere i piedi l’uno
davanti all’altro come un automatismo, un robot che punta solo alla porta della
foresta telefonica, senza la coscienza di rendersi conto di cosa stia facendo.
La porta. Il telefono, le foglie
di edera. Tutto è ancora lì come in estate. Forse le piante sono un po’ più
vive, meno stordite dal caldo. Anzi, sicuramente lo sono, sembrano ancora più
lussureggianti di come le ricordasse. Vivide, verdi, quasi visibilmente felici.
Anche il pavimento della cabina ne è ricoperto, anche se qua e là balugina un
po’ del fondo metallico. Si guarda intorno, vuole essere sicuro che non passi
nessuno oltre lui. Nessuno deve disturbare quel momento.
E così chiude gli occhi. E il
piede sinistro va avanti quasi da solo. Ed entra nella foresta.
Di tutte le sorprese che si sarebbe
potuto aspettare, quella è la peggiore. Entrarci stavolta è stato come tuffarsi
in una piscina vestito. Piove fittissimo, così fitto da ridurre la visibilità a
pochi passi. Le gambe affondano fino alle ginocchia nella mota fangosa.
Intorno, tutto gronda neve che si sta sciogliendo. I rami fino a poche settimane
carichi di peso adesso stanno trovando finalmente il loro sollievo. Goccia dopo
goccia, istante dopo istante, ritornano alla vecchia forma, non più curva e
affaticata, ma ritta e fiera. Il freddo è ancora pungente, ma si può facilmente
immaginare che ci siano stati giorni molto peggiori, da quelle parti, e che il
momento più brutto sia ormai passato. E’ il disgelo.
E’ la situazione più sfigata che
si sia mai vista, ma stavolta passata la porta è passata l’emozione almeno. I
vestiti sono già completamente zuppi d’acqua, pensa Major Tom con lucidità, e
non vale la pena di tornare indietro senza nemmeno dare un’occhiata in giro.
Mamma è a casa, non può ritornare immediatamente in quello stato, ma neanche
andare a lezione. Ma a questo ci si penserà dopo. Adesso bisogna dare un’occhiata
al telefono. Fatica immane, benché la distanza non sia più di qualche metro, a
causa del fango e della pioggia. Le ginocchia fanno fatica ad avanzare, e Major
Tom decide di non fare lo sforzo di avvicinarsi. Nota però che c’è un cavo. Un
cavo che si tuffa nel fango, in questo momento, ma che forse col bel tempo è
allo scoperto. Dove vada, se funzioni, da questa distanza non è dato saperlo.
Ed è meglio non avvicinarsi, ora bisogna tornare indietro, si era detto di
passare nella foresta solo un minuto.
Già, tornare indietro, basta fare
un passo indietro, ma cosa c’è dietro Major Tom? La porta della cabina, come
dall’altra parte? Nossignori, non c’è per niente, c’è una parete di foglie
fitte, attraverso le quali non è dato veder niente. Ma Major Tom sa che
tuffandosi in mezzo ritornerà alla familiare strada deserta come una pianura
lunare. E per adesso forse è meglio così.
Passa la barriera, forse in
maniera un po’ affrettata. Visto che non è palesemente in grado di andare a
lezione, forse sarebbe stato il caso di dedicare un po’ più tempo all’esplorazione
della foresta, pensa. Ma in effetti con quel clima terribile, la voglia è poca.
Non appena i sensi avvertono l’effetto del ritorno al solito mondo, e lo sbalzo
di temperatura di parecchi gradi, e il confortante tepore della primavera della
sua città, Major Tom si convince che ci saranno momenti migliori per soddisfare
la sua curiosità, e magari anche un equipaggiamento migliore, se riesce a
procurarselo.
Certamente Major Tom ricorderà a
lungo la lezione di questa mattina. Quando hai un sacco di ore per rifletterci,
vestito di abiti bagnati, senza alcun ricambio, e non puoi sporcare l’auto di
mamma col fango che ti ricopre fino alle cosce, tendi a ricordarti le lezioni
molto facilmente. Passa la mattinata a camminare avanti e indietro aspettando
che i vestiti si asciughino almeno in parte, e a scrostare il fango dai jeans e
dalle scarpe per non lasciarne tracce sul sedile e sui pedali. Per fortuna, quando
torna a casa, mamma è intenta a cucinare, e non solo non si gira, ma non chiede
nemmeno cosa abbia fatto a lezione. Meno male, Major Tom detesta mentire.
Finalmente si toglie di dosso i
disgustosi pantaloni, e li nasconde in attesa di un momento opportuno, quando
sarà solo in casa, per pulirli meglio. Sarebbe problematico spiegare in
famiglia le ragioni dell’immonda sporcizia. Nel frattempo, riflette ancora
sulla sua lezione del giorno, forse più importante di quella che avrebbe potuto
seguire nella sua aula universitaria: non basta avere cinque minuti liberi
prima delle lezioni, la natura ha i suoi ritmi, che non sono i tuoi, e bisogna
rispettarli.
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Capitolo 3 *** Capitolo II: Mamma ***
capitolo2
Primavera
Peccato.
E' stato un bel tentativo. Mamma ovviamente si accorge del fatto che
Major Tom ha cambiato i pantaloni dopo neanche un minuto in casa.
Stamattina non avevi questi, dice. No, in effetti no, è che sono un
po' sporchi, risponde il ragazzo. Non che me ne importi molto, visto
che tanto le tue cose te le lavi tu, ma erano talmente luridi che
perfino tu hai sentito il bisogno di toglierteli immediatamente,
trasandato come sei? Voglio proprio vedere come li hai ridotti! Visto
il fastidio che mamma prova per la trascuratezza del figlio, è
davvero curiosa di scoprire quale sia il limite che perfino lui non
osa oltrepassare.
Un
limite che di per sé non la sorprenderebbe nemmeno tanto, una colata
di fango è esattamente il minimo che si aspetterebbe prima che il
figlio classifichi un indumento come “sporco”. Il fatto è che
anche una donna di grande fantasia come lei fatica parecchio a
immaginare dove Major Tom sia riuscito a trovare una pozza di fango
in una giornata di sole senza nemmeno una nuvola, in un'aula
universitaria, durante una lezione. “Sono certa che ti sembri un
quesito banale e figlio di una mente obsoleta, provinciale e legata
ad una concezione antiquata del mondo universitario, ma mi spieghi
come hai fatto?”
Di
solito lei si arrabbia tantissimo quando Major Tom non è vestito
adeguatamente, perché dice che un sacco di gente si fida solo delle
apparenze, che un grammo d'immagine vale più di un chilo di fatti,
ed altre cose così. Ma stavolta è solo curiosa, terribilmente
curiosa. E' ancora più strano se si pensa a quanto lei detesti,
ovviamente, che lui gli dica di essere andato all'università, mentre
invece è stato a fare tutt'altro.
Come
risponderle? Major Tom conosce bene mamma, alla sua età lei si
sarebbe infilata dentro la foresta telefonica direttamente l'estate
precedente e non ne sarebbe uscita prima di essere sbranata da una
mezza dozzina di lupi, incosciente com'era. Ma ormai il periodo delle
avventure lei lo ha passato, a differenza del figlio, e quasi
sicuramente le riuscirebbe impossibile credere all'esistenza di
quanto suo figlio ha visto quella mattina, e correrebbe a chiamare il
dottore. O, anche se ci credesse, strillerebbe per settimane per
impedirgli di tornare lì dentro, essendo l'esplorazione della
misteriosa selva un atto oggettivamente sconsiderato.
E
lei di atti sconsiderati se ne intende, dopo una vita passata da sola
per essersi fidata delle persone sbagliate. Per esempio il suo primo
marito era una persona sbagliata. Major Tom ha un fratello maggiore,
di undici anni più grande, nato da un precedente matrimonio.
Purtroppo non vive più lì da parecchi anni, benché la sua presenza
sia costante attraverso le innumerevoli lettere e cartoline che manda
da tutto il mondo. Si è laureato in biologia marina, e da allora non
fa altro che girare il pianeta lavorando come subacqueo per i più
svariati istituti di ricerca. Però, non dimentica mai il proprio
nido, a volte telefona, molto più spesso invia corrispondenza,
soprattutto meravigliose foto sul cui retro scrive talmente fitto che
sarebbe capace di farci stare libri interi, tale è il suo entusiasmo
e la voglia di comunicare a mamma e fratellino tutto quello che gli
accade.
Il
biologo è cresciuto praticamente senza padre, o meglio sarebbe stato
se non lo avesse avuto. Si sa, il ruolo di madre e la vita
professionale vanno poco d'accordo, specialmente quando i bambini
sono piccoli. Quando è diventato palese che mamma fosse incinta, il
contratto non le è stato rinnovato, e si è trovata senza lavoro e
senza soldi. Si è rivolta ad un avvocato, è ovvio, ma nel frattempo
son passati anni, ed il suo uomo è diventato sempre più violento,
ed ha iniziato a bere sempre di più. Lui era un artista, un pittore,
e lei se n'era innamorata per questo, ma è difficile che una
famiglia possa vivere d'arte. Lei gli rinfacciava il fatto che anche
lui avesse una laurea e non avesse mai voluto un lavoro normale che
avrebbe dato stabilità alla famiglia, lui le rinfacciava
semplicemente di essere donna. Questo almeno era ciò che Major Tom
sa del primo matrimonio di mamma. Non è durato molto, con questi
presupposti. Lei è orgogliosa, e non si è lasciata mettere i piedi
in faccia a lungo. E' andata via, ha cambiato città, portandosi
dietro il primo figlio, ed ha ricominciato tutto da zero.
Da
lei tutti e due i figli hanno ereditato il richiamo della natura, e
la caparbietà nelle lotte della vita. Qualche lotta l'ha anche
vinta, visto che poi è stata reintegrata nel suo vecchio posto di
lavoro con un cospicuo risarcimento. Per molti anni ha dovuto fare la
vita della pendolare, andando avanti e indietro fino all'accettazione
della domanda di trasferimento nella sua nuova città. Nel frattempo,
ha conosciuto un altro uomo. Questa volta la fiducia è stata ben
riposta, apparentemente. Il secondo incontro fatale è stato con uno
scienziato come lei, un uomo molto diverso dal precedente, riflessivo
e taciturno come l'unico figlio che ha avuto con lui, il nostro Major
Tom appunto.
E'
stato forse il periodo più felice della sua vita, ma purtroppo
nemmeno questo è durato a lungo. L'idillio è stato spezzato da una
malattia quando Major Tom aveva solo sei anni. Major Tom ha un gruppo
sanguigno molto raro, e dona il sangue assiduamente. Se lo fa, è
perché ricorda che per suo padre quella rarità è stata la
maledizione che lo ha sconfitto. Non se ne trovava abbastanza, di
quel sangue così blu, e vista la gravità e la violenza della
leucemia in questione, forse anche se ce ne fosse stato di più ci
sarebbe stato poco da fare.
Si
è spento prima dei quarant'anni, ma questo non ha spento le speranze
di mamma di crescere due figli che avessero i pregi di entrambi gli
uomini che ha amato, la creatività del primo mitigata dalla quieta
saggezza del secondo. Probabilmente lei pensa spesso ancor oggi che
se si fossero potute mettere insieme le due cose avrebbe avuto un
compagno perfetto. Ha cresciuto i due figli come fosse sia il padre
che la madre, instancabilmente. Major Tom adesso sa che lei collegava
spesso le frasi e le preoccupazioni che lui aveva da bimbo
all'assenza di un padre. Quando i compagni delle elementari lo
prendevano in giro perché lui non giocava bene a calcio, mamma ne
soffriva più di quanto un bambino potesse capire, perché pensava
all'uomo che gli avrebbe dovuto insegnare a calciare. E, orgogliosa
com'era, lo aveva iscritto ad una blasonata scuola calcio della città
nella quale in passato erano cresciuti grandi campioni. Lui non è
diventato il migliore di tutti, ma sicuramente non è stato mai più
preso in giro.
Quella
donna, che ha vissuto tutta la vita così, cercando il meglio
anche quando la sorte voleva costringerla al peggio, adesso
meriterebbe di sapere cosa Major Tom abbia trovato cercando un
telefono pubblico, ma come spiegarglielo? Non è mica semplice.
Intanto lei intuisce dall'espressione del figlio che dietro quel
fango c'è qualcosa di più che una macchia, e che non è facile da
esprimere. Non è ancora arrabbiata, misteriosamente. E
improvvisamente chiede quello che lui non si sarebbe mai aspettato:
”Tommaso, hai mica fatto una telefonata da una cabina coperta di
foglie vicina al cimitero?”
Questo
lascia Major Tom di sasso. Ecco perché mamma non sembra essersela
presa più di tanto: era troppo concentrata a cercare il modo più
opportuno per introdurre un discorso così strano. Mamma sa della
foresta telefonica! Mamma conosce un sacco di cose, solo che la
maggior parte le tiene per sé, finché non capita l'occasione in cui
non può proprio fare a meno di dire: sì, in effetti questa roba io
la conoscevo già. La maggior parte delle volte, semplicemente non le
viene in mente che certe sue memorie potrebbero risultare
interessanti per i suoi figli, e ritiene futile parlargliene.
Ma
questa volta la questione è diversa, è chiaro che è diversa.
Classifichi come argomento noioso una rock band che ascoltavi da
ragazza, finché i tuoi figli non comprano un album che tu possedevi
già, e allora ti rendi conto che avresti dovuto raccontar loro dei
concerti cui hai assistito. Ma se si tratta di una foresta
telefonica, se non gliene hai mai parlato è perché non volevi che
loro sapessero della sua esistenza, non certo perché la consideri
noiosa.
Major
Tom risponde alla domanda postagli: sì, ma non sono riuscito a
telefonare, anzi non ci ho neanche provato, ho trovato qualcosa di
più interessante che un telefono, là dentro. Cosa ne sai tu della
foresta telefonica? E mamma prima di iniziare a raccontare la sua
parte vuole conoscere tutta quella di Tommaso: “Quante volte ci sei
stato prima di oggi? Non ti sei reso conto di quanto la foresta sia
più fredda rispetto a qui? Sei rimasto in giro bagnato tutto il
tempo?”
Adesso
lui è sempre più sorpreso: lei conosce talmente bene il misterioso
bosco da averci messo meno di un istante a collegare il fango e la
data di oggi con la fine dell'inverno oltre il passaggio nella
cabina. O almeno, anche lei a suo tempo si è inzuppata di fango per
lo stesso motivo del figlio. Lui racconta dei suoi due incontri con
la foresta, e anche di come abbia passato la mattinata, talmente
pieno d'acqua che lo si sarebbe potuto strizzare. Infine, ammette
candidamente, sentendosi anche piuttosto scemo nel farlo, di non aver
minimamente pensato alle ovvie differenze climatiche tra una grande
città e un bosco incontaminato.
Lei
scuote la testa, e dice qualcosa sui moderni giovani cittadini che
hanno perso ogni contatto con la natura, differentemente da lei che è
cresciuta in un paesino circondato dalla campagna. Poi rivela: “Ho
trovato la foresta per puro caso. Io e tuo fratello, che allora aveva
sette anni, dovevamo andare a trovare la nonna, ma lungo il viale che
costeggia il cimitero abbiamo forato una ruota. La prima cosa che ho
pensato di fare è stata chiamare la nonna per avvisarla, e ho
iniziato a cercare un telefono pubblico, ed ho trovato ciò che sai.
Ero talmente preoccupata per mia madre che aspettava sua figlia ed il
suo nipotino che, dopo lo stupore iniziale, ho perfino provato a
usare quell'enigmatico telefono per avvisarla. Tuo fratello mi
aspettava in macchina, ed avevo paura di lasciarlo solo, mi aspettavo
di riuscire a tenerlo sotto controllo attraverso i vetri della cabina
telefonica, ma non sapevo quanto questa fosse speciale. Per cui ho preso la cornetta e ho iniziato a comporre il
numero in fretta e furia. Sul momento, non mi sono resa conto del
fatto che in effetti quell'apparecchio non funziona. E' stato molto
inquietante: ricordo che ho sentito solo rumori strani, versi e
respiri, e qualcosa che raschiava. Non appena ho cercato di ragionare
su cosa potesse essere a emetterli, è diventato muto. Ho seguito con
gli occhi il cavo collegato al telefono e mi sono resa conto che non
volevo sapere dove andasse a finire. Ho avuto paura e sono corsa
indietro attraverso le foglie.
Ero
scossa, ho lasciato l'auto lì e son tornata a casa a piedi. Ho
avvertito la nonna che non potevamo raggiungerla in auto e che avremo
cercato un treno la mattina dopo. Poi, col tempo la curiosità ha
vinto, ed ho capito che la foresta, se la sai vivere, e soprattutto
se non ti allontani troppo dal telefono, non è pericolosa. Ci andavo
di tanto in tanto, molto raramente perché tuo fratello richiedeva
molte attenzioni. Quando le cose andavano male o mi sentivo
intossicata dall'aria della città, ci facevo una passeggiata, pochi
minuti e poi di nuovo alla solita vita. Ho imparato a conoscerla,
innevata o avvolta nella nebbia, piena di vita o in letargo. E ho
imparato cosa succede se ci vai senza stivali mentre la neve si sta
sciogliendo.”
A
questo punto Major Tom vuole sapere cosa abbia fermato mamma: perché
hai smesso di recartici? Lei tira un respiro profondo, e poi
risponde: “Allontanandosi dal telefono, si sente un cambiamento
nell'aria della foresta, lo senti filtrare tra le foglie. Il telefono
è come una specie di avamposto sicuro per noi esseri civilizzati.
Non so chi lo abbia messo lì, e quando, ma sicuramente se ti inoltri
nella foresta e te lo lasci alle spalle, tutto cambia. Smetti di
essere il dominatore del creato, e ti senti messo in dubbio fino alla
tua fibra più minuscola. Non sei più l'uomo, creatura evoluta e
sociale, ma una delle tante bestie del bosco, che come tutte le altre
lotta per la sopravvivenza. Insomma, se le regole della civiltà ti
fanno sentire prigioniero, e decidi di abbandonarle in cambio della
libertà selvatica, devi affrontare tutto ciò che ne consegue, con
tutte le paure che ne derivano.
Ed io non ero pronta a fare un passo così lungo. Avevo un figlio che faceva ancora le scuole elementari, e anche non lo avessi avuto non me lo sarei potuta permettere in ogni caso. Ho dovuto rinunciare completamente perché quel posto stava iniziando a nuocere alla mia capacità di vivere nella società civile, non so spiegarlo bene, ma ho capito di dover scegliere a un certo punto. Ad ogni modo, non avrei mai
avuto la possibilità di sopravvivere laggiù, non ne sono capace. E
nemmeno tu, voglio che tu lo sappia, ne saresti capace. Se vuoi ogni
tanto visitare la foresta, fallo pure, purché tu mi avverta delle
tue mosse, ma non ti allontanare mai, mai, mai dal telefono. Mi
prometti che non ti allontanerai mai troppo dal telefono?”
Proprio
la voglia di fuggire momentaneamente al mondo civilizzato spinge
Major Tom alla curiosità verso la foresta telefonica, e sua madre
desidera che lui resista a questo impulso e rimanga sempre ai margini
di ciò che ha scoperto. Ma mamma ha ragione, è inutile e
incosciente rischiare la morte cercando di fare qualcosa che vada
oltre le proprie capacità. Per cui promette, seppure una minuscola
parte di lui lo faccia a malincuore.
Non
si allontanerà troppo dal telefono. Deglutisce nel dirlo, sperando
di essere capace di mantenere la parola data.
(NDA: grazie per le recensioni, provo a fare del mio meglio :) )
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