Flyswatter

di memi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First Side ***
Capitolo 2: *** Second Side ***



Capitolo 1
*** First Side ***


Flyswatter

First Side

 

 

Track 1

 

“Ecco Mark, penso che Tom ti piacerà. Cioè, è uno così, un po’ suonato forse. Ma ti piacerà, sono sicura.”

Mark annuiva, anche se non era così sicuro come Anne. Annuiva perché erano giorni che lo tormentava con quel Tom DeLonge – che nome idiota! DeLonge...non era neppure un vero cognome infondo. Che cognome era? – e ne aveva fin sopra i capelli di sentirla cianciare su quanto fossero straordinariamente perfetti insieme. Intuito femminile, diceva quando lui gli faceva notare che era una cosa stupida da dire, visto che non si conoscevano neppure.

Alla fine Anne aveva avuto il suo fatidico incontro, e anche se Mark non si era mostrato così tanto entusiasta di conoscere uno con un cognome simile – DeLonge...tsk! – era andato con lei, perché era sua sorella e perché avrebbe dovuto ucciderla per farla smettere con quella storia e finire in galera per fratricidio era l’ultima cosa di cui aveva bisogno al momento.

“Mark, questo è Tom. Tom DeLonge.”

No, Tom DeLonge non era affatto come se lo era immaginato lui, anche se non sapeva dire se in meglio o in peggio.

“Mark Hoppus...!” No, decisamente neanche il tono di voce irriverente e provocatorio era come se l’era immaginato che fosse. “Ti facevo più alto.”

Che maledetto piccolo bastardo...!

Sorrise e ad un tratto era come se ci fosse qualcuno totalmente compatibile con la sua linea di pensieri, qualcuno come lui, anche se aveva un cognome davvero molto stupido.

“Sì. Anche io ti facevo più intelligente, Tom DeLonge.”

 

 

Track 2

 

“Non sono male.” Dichiarò dopo un interminabile silenzio Mark, spazzando via con la sua voce bassa e gentile il silenzio opprimente e carico di aspettativa sceso nel garage.

Anne se ne stava seduta su una vecchia cassetta, nell’angolo, giocando di quando in quando con le pieghe della gonna con aria annoiata. Non era brava con le attese, tanto quanto Tom non sembrava essere bravo a gestire l’impazienza. Mark poteva sentire il suo respiro irregolare battere ripetutamente sul suo collo, tanto gli era vicino, come se allontanandosi anche di un solo passo avesse potuto mutare in qualche modo la sua concentrazione.

Si erano infilati nel garage di casa DeLonge e Tom aveva insistito per fargli leggere le tracce che aveva buttato giù su un malridotto quaderno da scuola. O meglio, uno di quelli che avrebbe dovuto utilizzare a scuola, se solo non fosse stato troppo preso a scrivere canzoni e ad articolare scie di note dall’aria a volte precisa, altre un po’ meno.

“Non sono male?” Tom sembrava largamente deluso dall’asciuttezza dell’altro e Mark non riuscì a trattenere un sorriso divertito.

“Avanti Mark, piantala di fare l’idiota adesso.” A mettere fine a tutto ciò, la voce esasperata di Anne.

Mark fece una smorfia sotto gli occhi perplessi di Tom, prima di sbuffare e sorridere ancora. “Sei una rompiballe, Anne.”

“Grazie tante.” Gli fece l’occhiolino di risposta lei, per nulla impressionata.

“Qualcuno si degna di far capire qualcosa anche a me adesso? Grazie.” S’intromise ancora Tom, scocciato, era ovvio che non gli piacesse non capire, specie se si trovavano nel suo garage a discutere delle sue canzoni.

Anne ridacchiò e Mark si girò così velocemente verso di lui da farlo sobbalzare.

“Sono forti.” Disse infine e dovette mordersi l’interno delle guance per non scoppiare a ridere dinanzi all’aria confusa e felice dell’altro. “Adesso non iniziare a montarti la testa però, DeLonge!”

“Fottiti, Hoppus.” Fu il grugnito che ne ricevette in merito, ma anche se Mark lo conosceva da neanche ventiquattrore, non gli era mai sembrato tanto opportuno poter dire che Tom era imbarazzato.

Poi recuperò il suo basso, quello che suo padre gli aveva comprato come ricompensa per averlo aiutato a ridipingere casa, e si sorprese giusto un poco – quello stronzetto! – di constatare che anche Tom aveva recuperato la sua chitarra, senza neppure essersi scambiati una parola in merito. E quando suonarono, fu come se il mondo si riempisse di musica, ed era la loro musica, ed il resto poteva andare tranquillamente a farsi friggere.

 

 

Track 3

 

Che fottuto coglione!

Tom non poteva proprio crederci e anche se si sentiva un emerito imbecille a ridere come uno scemo da solo, non riusciva proprio a smettere di farlo. Una parte molto, molto remota della sua coscienza gli suggeriva che era colpa sua se adesso lui e Anne si ritrovavano in una sala d’attesa al pronto soccorso locale, e che forse certe stronzate era meglio tenerle per sé quando si circondava di certa gente strampalata. Ma insomma, non era che l’aveva proprio obbligato e poi chi avrebbe mai potuto immaginare che dietro un sorriso del cazzo come quello si potesse celare un simile squilibrato mentale?! Lui no di certo!

Forse era vero che i peggiori matti si nascondevano nelle persone normali. Forse era un alieno – rabbrividì – e la cosa non lo avrebbe poi sorpreso più di tanto, comunque. In ogni caso, indipendentemente da quale parte pendesse l’ago della bilancia, stava di fatto che quel Mark Hoppus era persino più spostato di quanto avrebbe mai giurato appena poche ore prime, anche se il modo in cui suonava il suo dannato basso sembrava essere fin troppo simile al suo modo di suonare la chitarra per essere una cosa ammissibile.

“Ehilà, non ditemi che eravate preoccupati per me!”

A Tom per poco non venne un colpo quando una voce così tremendamente infantile gli arrivò da destra. Alzò il capo e dovette sforzarsi davvero per non scoppiare a ridere di cuore. Mark Hoppus se ne stava in piedi a pochi metri di distanza da lui, due stampelle sotto le ascelle, entrambe le caviglie fasciate e un sorriso beota – che Tom aveva in automatico associato al suo sorriso – stampato in viso.

Cristo santo, si era quasi ammazzato per salire su quel cavolo di lampione e invece di lamentarsi che faceva l’idiota? Rideva. Rideva!

“Sei un coglione, Hoppus.” Dichiarò, non riuscendo a trattenere un ghigno colpito a quelle parole.

Mark sorrise e, inarcando appena la schiena, emulò un inchino di riconoscenza. “Grazie mille per i complimenti, DeLonge.”

 

 

Track 4

 

“Pronto?” Mark era ancora mezzo rintronato dal sonno quando il cellulare, che aveva lasciato sul comodino, iniziò a squillare nel cuore della notte, facendogli quasi venire un crepacuore per lo spavento.

“Ci vuole un batterista. È tutta la notte che ci penso e non si è mai sentito parlare di una band senza un batterista! Che cazzo, persino mio nonno lo saprebbe! Mio nonno! Non andiamo da nessuna parte senza un batterista, te lo dico io e-”

“Ma che...? DeLonge?” Lo interruppe a quel punto Mark, troppo stordito dal sonno per riuscire ad afferrare il senso compiuto del fiume di parole dell’altro.

“No, Babbo Natale. Certo che sono io, rintronato!” Sbuffò dall’altro capo Tom, il quale evidentemente non doveva essersi accorto che erano le quattro di notte e che a quell’ora con ogni probabilità la gente normale stava dormendo.

Mark sbuffò e si tirò una mano sul viso, cercando di riscuotersi quel tanto che bastava per affrontare quel maniaco pervertito con un minimo di lucidità. Poteva scommetterci entrambe le palle che quel bastardo stava nel suo fottuto garage a girarsi i pollici e a far girare gli ingranaggi arrugginiti del suo cervelletto. Magari soffriva pure d’insonnia lo stronzo e stava solo cercando un modo per non far dormire anche lui, giusto per lo sfizio di non essere il solo a non godersi un meritato riposo.

“Ti rendi conto che sono le quattro di notte, sì?”

“Oh avanti Hoppus, non iniziare a rompere adesso!”

Rompere? Rompere? Lo aveva svegliato nel meglio della sua fase rem e adesso era lui quello che rompeva?!

“Che cazzo vuoi, Tom?” Domandò quindi, non senza una sfilza infinita di sbuffi il cui unico compito era quello di donargli una dose sufficiente di calma da impedirgli di correre ad ammazzare quel disgraziato.

“Tom? Mi hai davvero appena chiamato Tom?” Sembrava stupito e sinceramente divertito.

Mark si morsicò un labbro e si impose di contare mentalmente fino a dieci e di non ucciderlo, perché aveva ancora dannatamente bisogno di quel coglione.

“Allora?” Borbottò piuttosto, truce.

“Ma allora non mi stai a sentire!” Ebbe la faccia tosta di lamentarsi Tom, perfino. “Dicevo che abbiamo bisogno di un batterista. Urgentemente. Non si è mai vista una band credibile senza batterista!”

Mark soppesò le sue parole – impresa che si rivelò molto, molto ardua nel cuore della notte – e alla fine si abbandonò ad un sospiro docile.

“E non potevi dirmelo domani?” Domandò, ma senza alcuna traccia di rabbia nella voce, si stava rapidamente abituando ai modi del tutto fuori dal comune dell’altro.

“Dio, sembri mia madre!” Sbuffò di rimando Tom, vagamente scocciato, salvo poi entusiasmarsi appena l’istante dopo come se nulla fosse. “Ho anche trovato qualcuno che potrebbe fare al caso nostro!”

“Qualcuno?” Mormorò Mark, mentre abbandonava la schiena contro la parete alle sue spalle, ormai rassegnato all’idea di non poter continuare la conversazione in un momento che non fosse stato quello. “Tipo chi?”

Tom sghignazzò, sembrava quasi che era da tutta la telefonata che non attendeva altro che quella domanda precisa.

“Si chiama Scott. Scott Raynor. L’ho conosciuto a scuola, è uno forte con la batteria.”

 

 

Track 5

 

“Ehi figli di puttana, indovinate un po’?” Tom spalancò la porta della camera da letto di Scott come se avesse voluto staccarla via dai cardini, ma dal sorriso smagliante che manteneva inalterato in viso non sembrava curarsene poi così tanto.

“Ciao anche a te, DeLonge. Oh, non preoccuparti del ritardo, a me e a Scott non è pesato affatto fare il lavoro tuo, figurati. E non stare lì a scusarti troppo per non aver avvisato, tanto siamo due stronzi, mica si avvisano due stronzi!”

“Ci sentiamo spiritosi oggi, Hoppus?” Fu il commento caustico che ne ricevette in merito.

Mark sbuffò, alzò gli occhi al cielo e si girò a controllare il suo basso: ci rinunciava con quel bastardo.

“Indovinate un po’?” Continuò allora Tom, entrando nella stanza come se nulla fosse, il che era anche abbastanza tipico per lui.

Scott, che stava cercando con disperazione di far incollare un pacco di uova finito alla parete già da diverso tempo, si voltò con sguardo frustrato a guardarlo. “Cosa?”

Blink.” Mormorò solo il DeLonge, l’aria di chi la sapeva lunga, salvo poi sbuffare contrariato nell’accorgersi che nessuno degli altri due pareva aver afferrato il concetto. “Blink! Il nostro nome!”

Blink?” Ripeté con aria svampita Scott. Blink come blink?”

“No, blink come clock. Ti sei bevuto il cervello, Scott?”

Blink? Pensavo avessimo già un nome nostro. Pensavo fossimo i Duck Tape.” Intervenne a quel punto anche Mark, di nuovo girato dalla loro parte, mentre accennava con una mano alla grossa scritta che capeggiava sulla batteria.

Tom si fermò per istinto a fissarlo, l’aria fin troppo pensierosa per uno come lui, per poi scacciare qualcosa d’invisibile davanti al suo viso con una mano.

“Nah, blink suona meglio. È corto. Mi piacciono i verbi corti.”

“Aspetta...” Mark sembrava scioccato. “Vuoi che cambiamo di nuovo  nome perché ti piacciono i verbi corti?”

Blink?” Domandò invece Scott, soprapensiero.

Blink.” Confermò Tom, ignorando volutamente le accuse del bassista. “Che ne dite? Scott?”

Raynor ci stava ancora pensando su, ma alla fine si ritrovò ad annuire senza quasi rendersene conto. “Blink... Mi piace blink.”

“Bene.” Sorrise soddisfatto il DeLonge, per poi girarsi verso l’altro. “Hoppus?”

Mark di rimando sbuffò, recuperò il pennarello lì vicino e, senza dire una parola, cancellò la scritta Duck Tape dallo striscione appeso sopra la batteria di Scott. Sotto, con la sua calligrafia strascicata, tracciò la parola blink. Poi sorrise e, anche se non lo avrebbe ammesso neppure sotto tortura, dovette ammettere che per una volta quello stronzo di Tom aveva avuto ragione: blink suonava decisamente meglio di Duck Tape.

 

 

Track 6

 

Che vada pure a farsi fottere! Non abbiamo bisogno di lui, io e Scott possiamo benissimo farcela anche da soli. Non ho bisogno di lui per avere una band, cazzo!

Tom sospirò e, per l’ennesima volta, si passò una mano tra i capelli, incasinandoli. Beh, di sicuro non sarebbero potuti essere più scombinati di quelli di M-

Scosse la testa. Era un maledetto imbecille a continuare a pensare ancora a quell’idiota. Lui non aveva perso poi chissà quanto tempo a decidere di scaricarli, no?

“Mi dispiace.” Aveva detto con quella sua faccia da culo. “Ma non posso più far parte dei blink. Lo sapete... Se continuo a passare tutto questo tempo con voi, quella mi lascia davvero stavolta. Che altro posso fare?”

Che altro poteva fare? Ficcare quella stronza in un cesso, ecco cosa avrebbe potuto fare! Dirle di andarsene bellamente a fanculo, perché c’era la band prima di tutto, perché c’erano Scott, e lui, Cristo santo! E invece no, no perché quello stronzo di Hoppus doveva essere sempre così maledettamente romantico, sempre così attento a non deludere gli altri...

Gli altri, certo, tranne lui. E Scott. Perché ovviamente non gliene fregava un cazzo se loro erano nella merda fino al collo adesso e che avevano bisogno di un bassista, perché il loro – guarda un po’! – aveva deciso di preferire le gonne di una qualunque al suo sogno di suonare in una band.

Perciò ecco, non avrebbe dovuto fregargliene un cazzo neppure a lui. Aveva scelto di lasciare la band? Bene, avrebbero trovato qualcun altro. Ma lo sfizio di leggergli in faccia la delusione...no, quello no, non se lo sarebbe negato. Per questo aveva deciso di affrontare quella faccia da culo e lo avrebbe fatto quel giorno stesso, perché era Tom DeLonge e non si scarica Tom DeLonge senza rimpianti.

“DeLonge? Che cazzo ci fai tu qui?” Mark lo notò quasi subito, non che fosse difficile visto quanto stretto fosse il fottuto negozio di musica in cui lavorava, o meglio, fingeva di lavorare.

“Non montarti la testa, coglione, non sono venuto qui a pregarti di ritornare nella band.” Mise subito le cose in chiaro Tom e dovette reprimersi dalla voglia di tirargli un pugno quando lo vide sghignazzare, come a voler dire che lui una cosa del genere non se l’era affatto aspettata.

“Allora che vuoi?”

“Io e Scott facciamo un demo. Uno mi ha prestato un 4-tracce e noi abbiamo intenzione di incidere un demo.”

Sì, hai capito bene Hoppus, un demo senza di te. Io e Scott, già. Noi incideremo un demo e tu te ne starai chiuso in questo sgabuzzino a marcire, coglione.

“Un demo?” Ripeté Mark, gli occhi sgranati dallo stupore.

Tom annuì e poi la vide, quasi palpabile, mentre si insinuava in quei fottuti occhi azzurri. Eccola la delusione che stava cercando, la sua vendetta per essere stato scaricato come uno stronzo qualsiasi. Ma allora...perché non si sentiva soddisfatto come avrebbe voluto?

Fanculo. Fanculo pure a Mark Hoppus e alle sue idee del cazzo!

Avrebbe voluto pestarlo, sul serio, ma invece infilò le mani nelle tasche del jeans e si girò, dandogli le spalle. Se quel rintronato non voleva stare con i blink, che se ne andasse pure a fanculo. I blink non avevano bisogno di lui.

Lui non aveva bisogno di Mark Hoppus.

 

 

Track 7

 

“Facciamo schifo senza Mark.” Sbuffò frustrato Scott per la terza volta nel giro di due minuti, facendo stizzire Tom.

“Non facciamo schifo.” Lo corresse. “Hoppus fa schifo. Noi siamo grandi.”

“Sì, però...” Si mordicchiò il labbro l’altro, non sembrava del tutto sicuro delle parole del compagno e una parte estremamente piccola del cervello di Tom percepì che in fin dei conti Raynor non aveva tutti i torti.

Forse era piccolo, ma non era uno scemo. Tom era abbastanza intelligente da riuscire a notare la differenza e Scott aveva dannatamente ragione: non erano nemmeno un gruppo senza un bassista e lui stava cercando in tutti i modi possibili di non pensare che non lo erano senza Hoppus come bassista. Ma lui c’aveva provato, okay? Beh, forse non si era messo sulle ginocchia a supplicarlo di ripensarci, però c’aveva provato lo stesso, a suo modo. E se non aveva funzionato neppure la minaccia di incidere un demo senza di lui, allora non poteva farci proprio un cazzo.

Avrebbe voluto poter aprire il cervello di quel coglione e vedere che ci girasse, comunque, giusto per appurare che aveva ragione a dire che non doveva essersi più di mezzo neurone in quella zucca vuota.

Ma al diavolo, Mark non era lì, Mark aveva preferito una donna a loro, Mark li aveva abbandonati, fine della storia.

Era arrivato il momento di guardare avanti, di provare ad essere ancora dei blink anche se senza il bassista.

“Scott, che cazzo vuole tua madre adesso?” Non voleva essere sgarbato – insomma, la mamma di Scott si era comportata bene fino ad allora e non gli aveva mai fatto pesare neanche per una sola volta il fatto che ad ogni visita gli svuotassero la dispensa, o che li avevano costretti a mangiare uova per mesi, per avere la parete insonorizzata con i contenitori vuoti, o che facessero un casino infernale nonostante tutto – ma quella mattina a quanto pareva si era svegliato con le palle girate, un po’ come tutte le mattine prima di quella del resto.

Una vocina gli suggerì che era da quando Mark aveva abbandonato il gruppo – il gruppo, non lui, dannazione! Perché continuava a pensare di essere l’unico ad essere stato scaricato lì?! – che si svegliava con le palle girate, ma Tom fu piuttosto abile a fingere di non aver sentito niente.

“Non lo so.” Stava nel frattempo dicendo Scott, rispondendo alla sua domanda precedente, mentre si alzava dalla propria batteria per raggiungere la porta. “Che vuoi ma’?” Ma le parole parvero morirgli in gola e Tom, già piuttosto stizzito, proprio non riuscì a trattenersi.

“Che cazzo c’è adesso?” Sbottò, contrariato, alzando il capo per vedere in faccia lo scocciatore di turno.

E quel babbeo con il suo sorriso beota era lì. Era lì . Davanti a loro, con la sua faccia da culo e gli occhi azzurri e i capelli sparati al vento, come se non stesse rischiando l’esecuzione capitale.

“Beh? Così si saluta un vecchio amico?”

Cazzo, persino la voce era la sua voce...

“Ma tu...” Scott era incredulo.

Tom era semplicemente nero. “Che cazzo sei venuto a fare, Hoppus? A dirci che ti sposi?”

Mark sghignazzò, cosa che l’altro aveva sempre trovato particolarmente irritante a suo avviso. Alle provocazioni si rispondeva con altre provocazioni, con pugni persino, ma non ridendo. Non ridendo.

“Molto spiritoso, DeLonge. Comunque no, sono qui per il demo. Non pensavate davvero di poter fare un demo senza di me!” Dichiarò, alzando gli occhi al cielo come se fosse stata la cosa più naturale del mondo e intanto si infilava nella stanza, rivelando il basso che si portava dietro.

Che incredibile fottuta faccia da culo!

“Ti devi essere del tutto rincitrullito se pensi di far parte ancora dei blink nonostante tutto.” Dichiarò dunque Tom mentre si sforzava di mantenere la calma.

Alle sue parole, Scott lo guardò come se fosse impazzito, mentre la faccia da culo, cioè Mark sgranò gli occhi divertito.

“Andiamo DeLonge, non vorrai farmi il provino!”

Ma era esattamente quello che voleva fare Tom e alla fine, volente o nolente, Mark si ritrovò a sfoderare il suo basso e ad esibirsi in qualsiasi dannato pezzo che l’altro gli richiese di fare. Sarebbe stato stupido illudersi che quel coglione avesse dimenticato come si faceva a suonare in quei giorni di lontananza, ma Tom non poté fare a meno di sbuffare contrariato nel prendere atto di quanto suonasse ancora dannatamente alla perfezione quello stronzo.

“Adesso possiamo incidere questo cavolo di demo?” Sbuffò, una volta strimpellato anche l’ultimo spartito, Mark, chiaramente divertito dalla faccia seccata dell’altro.

Anche Scott lo stava fissando come a volergli chiedere che dicesse di sì e nonostante una vaga delusione ancora in circolo, Tom si ritrovò a sbuffare e a mordersi l’interno delle guance per non sorridere.

“Sei un coglione, Hoppus.”

“Sì, me lo dicono in molti, in effetti.”

 

 

Track 8

 

A Tom per poco non venne un infarto, il che sarebbe stato un grosso problema, visto che stava guidando. Ma cazzo quella era M+M’s! La loro M+M’s! E stava a 91X. Cioè, 91X stava trasmettendo la loro M+M’s per tutte le radio di quel fottuto paese del cazzo. La loro canzone, Cristo santo!

Non era come sentirla nella macchina di sua madre, o di qualche amico, in musicassetta. No, quello era completamente differente. Era tutta un’altra cosa, era la radio. La radio!

“Ehi voi stronzi, accendete la radio! Accendete la radio!” Non si era neppure accorto di aver infilato la testa fuori al finestrino – l’avrebbero arrestato di sicuro visto il modo in cui stava guidando, ma cazzo, era la loro canzone, ed era trasmessa su 91X e chi cazzo se ne fregava di finire in gattabuia! Lui aveva tutto ciò di cui aveva bisogno al momento e poteva anche morire l’indomani, o oggi stesso, perché i blink erano alla radio, cazzo, c’erano sul serio! – e di aver iniziato ad urlare contro tutti quelli che potevano sentirlo.

Qualcuno gli gettò un’occhiata perplessa e uno alzò il dito medio, ma Tom non rispose alla provocazione. Non stavolta. Non adesso.

“Accendete la radio!” Continuava a ripetere piuttosto come un ossesso, in preda ad un’euforia così estrema che non si sarebbe stupito se fosse collassato per un attacco di cuore. “Accendete la radio! 91X! Ci siamo noi! Ci sono i blink! Accendete quella cazzo di radio!”

E non si era reso conto di stare urlando contro dei ciclisti, perché la sua mente era così elettrizzata che pensieri stupidi come il valutare che delle biciclette non erano dotate di radio, non rientravano nelle sue capacità al momento. Cazzo, erano alla radio... Erano davvero alla radio!

Fanculo Mark e i suoi M&M’s del cazzo, avevano funzionato alla fine! Dio, gliene avrebbe comprati un camion pieno a quel coglione!

Pensare ad Hoppus bastò affinché la sua mano, da sola, recuperasse il cellulare e digitasse il numero di quel rimbambito. Neanche uno squillo dopo, stava già urlando contro le orecchie provate di quella faccia da culo.

“Mark, siamo alla radio! Siamo su 91X! Noi! I blink! Adesso! Siamo alla radio! I blink sono alla radio, cazzo! Anzi no, M+M’s è alla radio! La nostra canzone! Siamo alla radio, Mark. Ci stiamo veramente!”

E dall’altro lato solo una grande risata di gioia e Tom per una volta fu grato al cielo di sentirla, perché se non fosse stato per quell’idiota, lui avrebbe continuato a girare come un coglione con un foglio di block-notes appiccicato sul retro della macchina e con su scritto Big Oily Man. Mentre adesso aveva una band, avevano un nome intelligente e aveva una cazzo di canzone alla radio. Ed era in parte merito di Mark Hoppus!

“Sì, lo so.” Dichiarò tra le risate incontrollate Mark, ed era chiaro che fossero risate di gioia incontenibile la sua. “Siamo alla radio.”

Ma Tom non aveva bisogno di sentire altro, per sapere come sarebbe finito quel discorso.

Siamo alla radio ed è assolutamente fantastico! Non sei il solo a sentirti così. Provo esattamente quello che provi tu.

E per un istante non poté fare a meno di pensare che era straordinario avere qualcuno così compatibile con te.

 

 

Track 9

 

“Non me ne frega un cazzo, io non ci sto a cambiare nome!”

Mark si massaggiò le tempie, sforzo del tutto inutile visto il modo in cui Tom continuava ad urlare come un pazzo. Accanto a lui Scott se ne stava tutto abbacchiato sulla sedia, con un muso lungo talmente buffo che se non avesse avuto la sensazione di avere il cervello in procinto di esplodere, si sarebbe persino messo a ridere.

Avevano faticato parecchio a farsi conoscere con il nome di blink e adesso una stupida band irlandese se ne usciva fuori reclamando il diritto di prelazione solo perché la brillante idea di usare quel fottuto verbo era venuta prima a loro. Cambiare di punto in bianco il proprio nome, adesso, equivaleva a perdere tutti i sacrifici fatti per arrivare a quel punto e Mark era sinceramente troppo stremato per buttare tutto nel cesso e ricominciare da zero. Non di nuovo.

Ci voleva un’idea, ma era difficile quando uno dei componenti della tua band si chiama Tom DeLonge ed è perfettamente incapace di stare fermo.

“Che cazzo vuol dire che hanno il diritto di mantenersi il nome per primi?! Abbiamo faticato come a bestie per arrivare a questo punto, me ne sbatto di quello che può dire una sconosciuta band irlandese del cavolo!”

“Che dobbiamo fare, Mark?” Dopo un lungo silenzio, Scott decise che l’Hoppus rimaneva ancora il migliore componente a cui rivolgersi in caso di problemi.

Non che Mark potesse biasimarlo per quello. Tom sarebbe stato capace di saltargli al collo per un nonnulla qualunque. Era incapace di portare pazienza, ormai lo sapeva bene.

“Non lo so.” Sospirò di rimando il bassista, le braccia appoggiate sullo schienale della sedia su cui si era accomodato al contrario. “Ma non mi sembra una buona idea iniziare una battaglia legale proprio adesso.”

“Non ti sembra...? Non ti sembra cosa?!” Scattò subito il chitarrista, imbufalito. “Hoppus, non possiamo cambiare nome proprio adesso! Sarebbe un suicidio!”

“Lo so anch’io questo, grazie tante.” Sbuffò ancora Mark. “Ma non abbiamo neanche i soldi per una bottiglia d’acqua al momento, figuriamoci per combattere contro una band per un cazzo di nome!”

L’opposizione parve calmare il carattere impulsivo di Tom che, seppur ancora leggermente stizzito, si fermò al centro della stanza con le braccia incrociate al petto.

“Che si fa, allora?” Domandò, mettendo su un broncio tipicamente infantile.

Scott sospirò e Mark sprofondò il mento ancora di più nelle braccia. Ci voleva un’idea. Ci voleva un’idea grandiosa...

“Forse potremmo aggiungerci qualcosa vicino.” Propose ad un certo punto Scott, uscendo fuori con quella sua voce ancora poco sviluppata.

Tom alzò un sopracciglio, sembrava scettico. “Cioè? Spiegati.”

“Qualcosa come, che ne so, una lettera. I blink-A, per esempio. Oppure un numero. Sì, magari un numero. Tipo i blink-3.”

“I blink-3?” Tom storse il muso, non sembrava affatto soddisfatto. “Che cazzo vorrebbe significare?”

“Non lo so, è il primo numero che mi è venuto in mente.” Scrollò le spalle di rimando Scott, per poi sprofondare nel suo caro silenzio.

Accanto a lui, però, Mark non riuscì ad abbandonare del tutto l’idea. Magari il numero tre non era eccezionale, ma l’idea di fondo gli piaceva. Scott non aveva visto così male, stavolta.

“Che ne dite di blink-180? No, meglio: blink-182?” Domandò quindi, sparando i primi numeri che gli vennero in mente.

Tom lo fissò come se fosse impazzito. “Blink-182? Che cazzo è 182?”

“Un numero, DeLonge.”

“Grazie mille, Hoppus, lo so.”

Blink-182. I blink-182. Mi piace!” Saltò su invece Scott, entusiasta. “Ma ci pensate? I blink-182 in concerto. Parte oggi il tour dei blink-182. I blink-182 i nuovi talenti d’America! È assolutamente fantastico!”

Sembrava un bambino a cui era stato appena regalato il giocattolo che tanto bramava e forse fu per questo, o perché dopotutto Tom doveva ammettere che 182 non era male, che si ritrovò a sorridere come uno scemo a sua volta.

Blink-182...” Ripeté, ma stavolta aveva un sapore diverso sulle sue labbra.

Blink-182.” Ribadì ancora Mark, con maggiore convinzione stavolta.

Sembrava perfetto per loro. No – si corresse – era perfetto per loro.

“D’accordo.” Sbuffò infine Tom, mentre afferrava un pennarello lì vicino e si avvicinava a quel benedetto striscione. “Che blink-182 sia, allora.” E così dicendo, aggiungendo un trattino e tre numeri precisi alla scritta riportata in precedenza dal bassista, modificò per la ventunesima volta il loro nome di band.

 

 

Track 10

 

Partire per un tour non era un’esperienza così semplice, specie se dovevi guidare un cesso ambulante in grado di fare più rumore della batteria di Scott, ma Mark non riusciva ad essere troppo scontento nonostante tutto. Era il loro primo tour, e anche se il viaggio non era il massimo, non poteva fare a meno di augurarsi lo stesso che a quello ne sarebbero seguiti altro centomila. Si sentiva talmente generoso, che persino vedere i piedi di Tom sul cruscotto e sapere che stava dormendo come un ghiro mentre lui si ammazzava la schiena a guidare, non sembrava scalfirlo particolarmente, o almeno al punto da tirare un pugno al compagno di avventure.

Suonare fuori da San Diego era una cosa, a suo avviso, assolutamente fantastica. Avevano un nome abbastanza conosciuto nel loro giro, avevano una mascotte – un coniglio, per inciso – e adesso avevano un tour. Non ci poteva essere niente di meglio di quello, Mark ne era pienamente convinto.

Lo era nonostante stesse letteralmente morendo dal sonno da almeno tre ore e non c’era uno stronzo sveglio a tenergli compagnia, anche se sapevano tutti che non poteva fermarsi e mettersi a dormire se volevano arrivare in tempo per il concerto. Lo era anche se quel disgraziato al suo fianco russava peggio di un trombone, ricordandogli quello che lui non poteva permettersi di fare al momento senza alcuna sensibilità. Beh, non che fosse una cosa di cui stupirsi comunque: era pur sempre di Tom DeLonge che si stava parlando, uno con un cognome davvero molto stupido, a parer suo.

Decise che avrebbe acceso la radio, sperando in un po’ di compagnia almeno in quella, e sintonizzò il canale verso una stazione particolarmente movimentata.

Al diavolo se si sarebbero svegliati tutti lì dentro! Aveva bisogno di molto rumore per stare sveglio e non gliene fregava un cazzo se così facendo avrebbe disturbato il sonnellino degli altri. O così, o crollava dal sonno e addio concerto, perciò...

“Che cazzo ti dice il cervello, Hoppus? Non vedi che stiamo dormendo?”

C’era da aspettarselo, non poté fare a meno di pensare Mark malgrado tutto quando vide la mano di Tom lanciarsi verso la radio con la seria intenzione di distruggerla.

“Mi ero rotto le palle di sentirti russare, DeLonge.” Rispose quindi, con la solita calma che sapeva in grado di far imbestialire l’altro.

Tom, difatti, non tardò ad inalberarsi. “Tu ti eri rotto? Cioè, tu mi fai venire un collasso perché ti eri rotto?!” Sembrava scioccato.

Mark annuì, subito dopo sbadigliò: iniziava sul serio ad aver bisogno di dormire.

“Potresti almeno degnarti di rispondermi, Hoppus!” Tuonò ancora Tom, sempre più incollerito.

Mark sbuffò, imponendosi di essere paziente con i più stupidi di lui. “Senti, qua stavate tutti dormendo e io tra un po’ svengo sul volante, perciò a meno che tu non voglia ritrovarti in un burrone, ti conviene lasciare la radio accesa.” Dichiarò, sforzandosi di non saltargli al collo e strozzarlo.

“Oh mio Dio!” Saltò su all’improvviso Tom, neanche gli avessero appena detto che aveva ragione a supporre che gli alieni esistessero. “Tu ti senti solo! Ti senti solo, è per questo che hai acceso la radio. Perché ti sentivi solo!”

Sentirsi solo? Chi? Io?

“Che cavolo vai farneticando, DeLonge?” Ringhiò di rimando il bassista, scontroso. “Non mi sento affatto solo. Mi sento solamente stanco.”

Ma l’altro non lo stava neanche più ad ascoltare, perso com’era nei suoi pensieri e in quel sorriso compiaciuto che non si decideva ad abbandonare.

“Certo che potevi anche dirlo che volevi compagnia, invece di fare tutte queste storie!” Si lamentò.

Il bassista sgranò gli occhi. Ma era scemo o che? Non si sentiva solo, non era uno stupido che aveva bisogno di compagnia, lui. Tom vaneggiava. Aveva solo sonno, non era difficile da capire.

“Allora che vuoi fare? La sai la barzelletta di quello che entra in un bar? Allora, c’è un tizio che entra in un bar e dice...”

Mark sospirò, ormai rassegnato a sorbirsi le barzellette idioti – e divertenti, ma questo non lo avrebbe ammesso neanche in punto di morte – del chitarrista. Per una qualche arcana, sconosciuta ragione, gli venne da sorridere sotto la voce strascicante di Tom. Comunque non si sentiva solo, era soltanto stanco, sì.

 

 

 

 

 

A/N

Ecco, non pensavo davvero che sarei riuscita a finire questa cosa. Due giorni. Due giorni per iniziarla e finirla, anche se avrei dovuto mettermi a fare tutt’altre cose in effetti.

Bah, poco male, perché glielo dovevo ai blink-182 e perché il sapere che verranno qui da noi, in Italia, mi ha messo addosso una carica eccezionale che non pensavo possibile. Se loro sono potuti arrivare fin dove sono ora, armati solo da un sogno, beh, mi viene da pensare che possiamo farcela tutti a raggiungere quel che vogliamo.

Ma veniamo a noi, alla fanfiction. Che dire? C’è poco di cui parlare in effetti. È la prima volta che pubblico qualcosa o che scrivo qualcosa su persone reali, perciò sono un po’ emozionata. Ho sempre pensato, e credo di non sbagliarmi, che il rapporto tra Mark e Tom fosse, anzi no sia davvero molto, molto stretto. Hanno iniziato insieme, hanno superato mille difficoltà ed erano l’uno accanto all’altro quando pensavano di non farcela, o quando volevano abbandonare, o quando si sentivano abbastanza demotivati da mandare al diavolo tutto – ma per fortuna non l’hanno fatto, aggiungerei, sennò li avrei ammazzati entrambe, giuro.

Con questa fic volevo mettere in evidenza questo fatto e, perché no?, tentare di schiarire un po’ quegli spezzoni di vita che noi conosciamo solo tramite biografia.

Il titolo, Flyswatter, senza che ve lo dica è la prima musicassetta dei blink-182. Perché l’ho scelta come titolo? Perché penso si sposasse abbastanza bene con il voler riprendere quei momenti fondamentali della nascita della nostra amata band.

La storia è divisa in due “side”, due parti cioè, un po’ come se fosse un cd o qualcosa del genere.

Questa prima parte è incentrata, come avrete notato, perlopiù sulla nascita dei blink-182, sul loro esordio, sul nome, sull’amicizia tra Mark e Tom. La seconda parte è composta di solo 7 tracce e partirà già da quando la band è famosa, o comunque lo sta diventando abbastanza rapidamente. Rintracciare tutti gli avvenimenti più importanti, i nomi, i fatti, non è stato facile, ma volevo essere quanto più fedele possibile con quello che è potuto essere e spero davvero di esserci in qualche modo riuscita.

Il fatto che, a seconda che sia dal punto di vista di Mark o di Tom, cambi anche il linguaggio è voluto, perché Tom mi è sempre parso molto più sfacciato nel parlare e nei modi di Mark.

Se a qualcuno di voi và, ecco, io non disdegnerei una recensione o due magari, giusto per sapere cosa ne pensate.

Per chi vede un po’ di slash... Ho cercato di essere più razionale e obiettiva possibile, e credo che possa essere interpretato il tutto in entrambe i modi. Con o senza slash, quindi (anche se io ce lo vedrei bene, in effetti).

Al prossimo mini-capitolo allora!

Baci.

memi

 

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Capitolo 2
*** Second Side ***


Flyswatter

Second Side

 

 

Track 11

 

“Su con la vita, ragazzi! Ho conosciuto una.”

Cercando di soprassedere sul fatto che non vedeva il nesso logico tra lo stare contenti loro e l’aver conosciuto una lui, Mark sapeva bene che finché Tom non avesse sciorinato il fatto in ogni minimo dettaglio, non sarebbe stato contento e sapeva altrettanto bene che Travis – il nuovo batterista subentrato dopo l’addio obbligato a Scott – non era il tipo da impicciarsi troppo dei fatti degli altri, perciò con un sospiro si apprestò a tenere la sua parte.

“Una come?” Domandò quindi, fingendo un interesse che in realtà non provava nemmeno di striscio.

Tom era conosciuto ai media come HotPants e per guadagnarsi un simile titolo era chiaro che nel suo letto non fosse passata una sola ragazza.

“Una strafiga, ecco come.” Sorrise compiaciuto il chitarrista di rimando, mentre si accasciava senza alcuna delicatezza sulla poltrona nella loro sala prove. “Una tosta. Una veramente tosta.”

Buon per te.

Sforzandosi di non sospirare per non rovinare il lavoro appena fatto, Mark si passò una mano tra i capelli con aria stanca. Non riusciva più a trovarlo quel dannato spartito, eppure era certo di averlo lasciato lì, in qualche parte tra l’amplificatore e la batteria di Travis. O forse l’aveva messo accanto al frigobar?

“Beh? Non dici niente?” Da parte sua Tom tuttavia non sembrava intenzionato a voler lasciar cadere il discorso e adesso lo fissava con un’aria di profonda aspettativa stampata in viso.

Mark sbuffò e lanciò un’occhiata disperata all’indirizzo di Travis, il quale dalla sua poltrona si limitò a scrollare le spalle con aria rammaricata.

“Hoppus!” Si lamentò ancora il chitarrista, stizzito.

“Che vuoi che ti dica, DeLonge? Non vedi che sono impegnato?”

A dire il vero nutriva per la storia lo stesso interesse che avrebbe avuto per un documentario sugli insetti, ma non gli parve saggio farlo notare anche all’altro. Tom era rinomato per la sua impulsività e lui non ci teneva affatto a finire in ospedale con il naso rotto. Aveva ancora bisogno del suo naso.

“Oh sì, lo vedo come sei impegnato a fissare gli amplificatori, grazie tante.” Sbuffò contrariato Tom per tutta risposta, facendolo vagamente arrossire per quell’accusa.

“Non sto fissando gli amplificatori.” Ci tenne a precisare Mark. “Sto cercando il mio spartito. Qualcuno di voi l’ha visto per caso?”

“Hai provato là per terra?” Gli domandò di rimando Travis, accennando con una mano ad un foglio bianco che sbucava da sotto il frigobar.

Mark sbuffò e, lievemente spazientito, si apprestò a recuperare quel cavolo di spartito che non stava mai dove doveva stare.

“Grazie, Travis.”

“Di niente, Mark.”

“Adesso possiamo ritornare a me?” S’intromise a quel punto Tom, chiaramente scocciato.

“Ah sì, la strafiga.” Borbottò più che altro tra sé e sé il bassista, soprapensiero.

Come poteva fargli capire che non gliene fregava un emerito senza rimetterci qualche osso?!

“Esatto, la strafiga.” Per sua sfortuna, comunque, il DeLonge non sembrava affatto aver notato l’aria disinteressata apparsa sul viso dell’altro. “Si chiama Jennifer e credetemi se vi dico che una così non si trova neanche ad inventarla!”

“Che ha di così eccezionale?” Non poté evitare di chiedere Mark a quel punto, appena poco più incuriosito di zero. “È più brava delle altre a letto o cosa?”

“È proprio questo il punto.” Tom si sfregò le mani, sembrava al settimo cielo, e chissà perché in qualche modo la cosa parve riuscire a colpire l’altro. “Non ci sono nemmeno andato a letto insieme!”

Fu come ricevere una secchiata d’acqua gelida sulla testa, o forse qualcuno gliel’aveva gettata davvero.

Tom DeLonge, HotPants...che non andava a letto con una?!

 

 

Track 12

 

“Alza il culo Hoppus, devo farti vedere una cosa!”

“Oh ciao anche a te DeLonge, no, non mi disturbi affatto anche se sono le due di notte.” Mark sorrise, perché dopotutto non riusciva ad arrabbiarsi davvero, non dopo le volte in cui l’altro l’aveva svegliato nel cuore della notte per sbandierargli la cazzata di turno.

“Perché, tu e Skye stavate dormendo forse?” Domandò sardonico dall’altra parte del telefono Tom e, anche se non lo poteva vedere, il bassista poté giurare che aveva messo su quell’espressione da pervertito che gli veniva sempre tanto bene.

“No.” Si vide tuttavia costretto a rispondere Mark poco dopo, salvo reiterare appena l’attimo dopo nell’avvertire il nuovo commento malizioso salire sulla lingua dell’amico. “Io non stavo dormendo.”

“Tu? Da solo? Mi meraviglio di te, Mark Hoppus!” Come ovvio, Tom scoppiò in una risata divertita, fin troppo in effetti.

“Che vuoi?” Chiese solo il bassista, una volta che l’altro si fu calmato.

“Ho scritto un pezzo. Un pezzo che spacca, voglio dire.”

E vuoi che sia il primo a leggerlo, lo so, non sforzarti di dirmelo, potrebbe venirti il diabete, non si sa mai.

“Cioè, avevo questo ritornello in testa e allora mi sono messo e ho iniziato a scrivere. E non esagero se ti dico che è perfetto!”

Mark avrebbe voluto aggiungere che tutto quello che faceva Tom era perfetto per lui, ma se lo tenne per sé, perché avrebbe dovuto dargli dell’arrogante e al momento c’era un’altra cosa che gli premeva di più dire.

“Ho scritto un pezzo anch’io.” Lo informò piuttosto, ma nella sua voce c’era appena un filo dell’eccitazione che lo stava pervadendo al momento. “Stavo per chiamarti, ma tu mi hai anticipato.”

“Hai scritto un pezzo? Stanotte intendi?”

“Intendo ora. L’ho appena finito.”

“Vuoi dire che abbiamo scritto due fottuti pezzi la stessa notte, allo stesso orario?” Tom sembrava incredulo e adesso che ci pensava anche lui, Mark non poteva dirsi da meno.

Era incredibile, era persino più strano della prima volta che si erano incontrati e avevano suonato insieme, accorgendosi di essere praticamente compatibili in tutto, eccetto forse i caratteri, ma vabbè.

“A quanto pare...già.”

“Wow...”

Sì, wow...

E, probabilmente per la prima volta in vita sua o comunque una delle rare volte in cui questo succedeva, Mark si ritrovò davvero senza niente da dire.

 

 

Track 13

 

Non gli veniva una cazzo d’idea neanche a pagarla, fanculo! E non aveva nemmeno un fottuto orologio per vedere che ora era, perché quello stronzo di un manager aveva pensato bene di rinchiuderlo come un coglione qualunque in una stanza con solo la compagnia di un foglio e una penna. Beato Travis, che perlomeno poteva starsene a rimpinzarsi di patatine e schifezze varie nell’attesa, mentre lui lì andava avanti ad acqua naturale e sbuffi.

Per una frazione di secondo – o almeno si illuse che fosse solo una frazione di secondo – Tom si domandò se quel rimbambito globale di Mark avesse già finito il suo pezzo.

Ecco, in quel momento avrebbe volentieri staccato la testa a morsi all’idiota che aveva avuto la grandiosa idea di rinchiudere lui e l’altro scemo del villaggio in due stanze separate a scrivere una cazzo di canzone senza che nessuno dei due avesse chiesto all’altro l’argomento da trattare. E non gliene fregava assolutamente un cazzo se adesso veniva a sapere che l’idea era venuta a lui stesso! Era disposto ad infilarsi la matita al petto e a farla finita, pur di mettere fine a quelle stronzate di dimensioni mastodontiche.

E comunque Mark non poteva aver finito di scrivere prima di lui.

Era umanamente impossibile.

Di sicuro stava ancora guardando il foglio bianco con la sua faccia da scemo e il cervello completamente vuoto, o magari chiedendosi che gusto avessero le patatine che stava certamente mangiando Travis dall’altra parte.

In ogni caso non poteva aver avuto un’idea, era impensabile.

Magari stava pensando che Tom doveva aver già finito la propria parte e si stava torturando perché non gli veniva un’idea decente su cui partire.

Ma se solo Mark avesse saputo che Tom non aveva scritto neanche la prima lettera...

Fanculo!” Sbuffò stizzito per l’ennesima volta il chitarrista, al culmine della pazienza, già di per sé alquanto scarsa invero. “Un’idea. Ci vuole un’idea.” Però ripeterselo non riusciva a trovargliene una buona e così ritornava al punto di partenza, con le mani nei capelli e l’espressione più frustrata che mai in viso.

Perché non si decidevano a prendere un paroliere? Uno che sapesse parlare bene di alcol, di cazzotti e di amicizia. Uno con le palle, insomma, che non si sarebbe vergognato a scrivere di...

E poi, l’idea.

Dieci minuti dopo, Tom fissava entusiasta il foglio pieno di scritte e scarabocchi dinanzi a sé e intanto pensava che gliel’aveva fatta a quella faccia da culo!

Acciuffò il suo foglio e arrabattò fino alla porta spinto da una voglia incontenibile di sbattere il suo testo in faccia a Mark, giusto per il gusto di vederlo impallidire e imprecare contro la propria mancanza di idee. Certo poteva essere anche una cosa infantile da fare, ma al momento non gliene fregava assolutamente nulla. Aveva un testo e Mark no, perciò col cavolo che si preoccupava di risultare infantile!

“Ammira e stupisciti, Hoppus!” Dichiarò, entrando tutto pimpante nella stanza dove era stato rinchiuso il compagno di avventure.

Mark, che stava giocando con la penna sul foglio, al suo folgorante ingresso alzò il capo e abbassò la penna.

“Hai scritto.” Osservò, quasi con disinteresse avrebbe detto Tom, se solo non l’avesse reputata una cosa impossibile.

“Esatto! E tu invece? Dì la verità: stai ancora a zero, eh?” Lo provocò, perché si divertiva sempre un mondo ad osservare le reazioni dell’altro.

Eppure, contrariamente alle sue aspettative, Mark non sbiancò.

Mark sorrise.

“Non proprio.” Rispose, mentre gli allungava il suo foglio – e solo in quel momento il chitarrista si accorse che erano scritte quelle e non disegnini dettati dalla noia – e gli sfilava a sua volta il proprio dalle mani.

Spinto dalla curiosità, Tom quasi si mangiò le parole dell’altro. Poi rilesse ancora. E ancora, e quando alzò il capo per incrociare gli occhi azzurri di Mark, gli mancò un battito.

“Parla di sesso.” Dichiarò, come se non potesse credere a ciò che stava leggendo.

L’Hoppus annuì, piano. “Parli di sesso anche tu.” Notò poi, con la fronte corrugata per lo stupore.

Sì, i loro testi parlavano indiscutibilmente di sesso, eppure nessuno aveva detto loro di che parlare e Tom era certo di non essersi messo d’accordo con Mark sull’argomento da trattare.

Sorrise e non si sentì stupido quando si accorse di stare rispondendo, così facendo, al sorriso già apparso sul viso dell’altro.

 

 

Track 14

 

“Ecco, lo vedi? Non ti sta mai bene un cazzo di quello che faccio!”

Tom si sentiva una donnetta isterica ad urlare in quel modo, ma era una cosa più forte di lui. Erano giorni, forse persino settimane che lui e Mark non facevano altro che litigare, e litigare, e ancora litigare. Era come se per tutta la vita non avessero fatto altro, al punto tale che gli pareva quasi assurdo adesso pensare che erano stati così legati loro due.

Che la colpa fosse una volta dell’uno, una volta dell’altro, era un dato di fatto praticamente.

Travis aveva tentato diverse volte di farli ragionare, ma quando si mettevano in testa una cosa loro due era più facile riuscire ad insegnare ad un vecchio a suonare la batteria che convincere loro a desistere.

Come fossero iniziati tutti quei litigi, Tom non riusciva proprio più a ricordarselo. Forse era stata la stanchezza per via di tutti i tour a cui si erano sottoposti, senza neanche una merda di pausa nel mentre. O era il bisogno di evadere, in qualche modo, scappare dal mondo trito e ritrito dei blink-182, quello che li aveva accompagnati da una vita quasi e che adesso minacciava di essere troppo stretto per loro.

Tom non ne aveva alcuna idea, ma sapeva che continuare a quel modo era un’impresa pressoché ardua, se non addirittura impossibile.

“Forse perché hai praticamente stravolto la canzone, DeLonge!” Stava nel frattempo dicendo Mark, rosso e incollerito come riusciva ad esserlo soltanto in quel periodo.

“Non ho stravolto la canzone, Cristo santo! Sei tu che vai fuori tempo!” Lo accusò di rimando Tom, sempre più arrabbiato.

“Ragazzi, forse dovremmo cercare di-” Tentò di farli ragionare, come sempre, Travis, senza avere molta fortuna purtroppo.

“No!” Furono infatti le risposte unanimi che ne ricevette dagli altri due membri della band, risposte che lo convinsero a rinchiudersi nel suo spazio dietro la batteria e ad assistere ancora una volta impotente alla sfuriata che si stava realizzando davanti ai suoi occhi.

“Sai che c’è, Hoppus? Mi sono sinceramente rotto le palle di assecondare i tuoi deliri!”

Non sapeva perché l’aveva detto, insomma, era ovvio che non lo pensasse davvero, ma era un tipo troppo orgoglioso per rimangiarsi indietro tutto e chiedere scusa.

Guardò verso Mark e si accorse che adesso non era solo incollerito: era furioso.

“Bene, allora vattene Tom! Vattene via! Nessuno ti sta trattenendo qui!”

Tom sapeva che non avrebbe dovuto lasciare che le parole dell’altro lo ferissero tanto, ma lo fecero e fu come ricevere una stilettata nel petto.

Avrebbe voluto dirgli di smetterla, che era un coglione, che non le pensava davvero quelle cose e che lui lo sapeva, ma la delusione era cocente e Mark lo guardava con quegli occhi azzurri così distaccati che per un momento gli sembrò di non averlo mai avuto veramente vicino dopotutto.

“Perfetto! Lo farò, contaci! Col cazzo che rimango in una band di scemi!” Disse invece, anche se non erano quelle le parole che avrebbe voluto dire e di sicuro quelle di Mark non furono quelle che avrebbe voluto sentire.

“Fantastico! Aria finalmente! Vedrai Travis, staremo meglio senza questo-”

Tom non voleva sapere come lo avrebbe chiamato, perciò fu grato alla porta che si richiuse proprio in quel momento alle sue spalle. Avevano litigato molto in quei giorni, sì, ma era di sicuro la prima volta che lo facevano tanto ferocemente. E le parole che si erano detti...

Sbatté un pugno contro la parete e, con le narici dilatate per il nervoso, si diresse a passo di piombo verso l’uscita.

Vuoi che me ne vada? Bene! Ma non venirmi a cercare mai più Hoppus, mai più!

Si sentiva adirato, umiliato e anche un tantino usato, ma la cosa peggiore era il sentirsi così...come se fosse stato appena respinto.

E forse avrebbe fatto anche meno male, se a respingerlo non fosse stata una delle persone – se non la persona – più importanti della sua vita.

 

 

Track 15

 

Quattro anni.

Quella che era iniziata come una litigata qualsiasi, aveva portato alla rottura dei blink-182. Una rottura di quattro anni, ad essere precisi, e Tom era abbastanza sveglio da sapere che nessuna band si rimetteva insieme dopo quattro anni di lontananza.

Non quando nessuno è disposto a fare il primo passo, perlomeno.

Certo il suo lavoro con gli AVA gli piaceva e si divertiva ancora un mondo a suonare la chitarra, ma certe volte, tipo dopo un concerto o alla fine di un tour, Tom si guardava indietro e si accorgeva che il basso di Matt non era di un colore assurdamente rosa, e che i capelli di Atom non erano affatto cambiati dall’ultima volta.

C’erano delle volte, poi, che mentre stava sul palco, poco prima di cantare, ecco, si voltava per istinto verso la sua destra e puntualmente si ritrovava come uno stupido a pregare Matt di girarsi, e a rimanere deluso quando questo non lo faceva e non gli sorrideva come a volergli dire che sarebbe stato fantastico, come sempre.

Si sciacquò il viso e se lo tamponò con un asciugamano pulito, e mentre se lo sfregava con flaccida calma decise che col cazzo che li avrebbe chiamati lui per primo!

Non era stato lui a dire che era meglio se se ne andava. Non aveva fatto lui il gesto di respirare non appena aveva accennato ad andarsene. Non era stato lui a volere tutto quello, si era solo adeguato e basta.

Non era uno che rimaneva in una band dove non lo volevano e né Travis né quell’altro scemo l’avevano chiamato dopo quella volta, perciò poteva venire pure l’apocalisse, perché non si sarebbe di certo messo a pregarli di riprenderlo con loro. Tanto più che con gli AVA aveva trovato il suo posto. Con gli AVA stava bene, l’accettavano, non lo cacciavano via.

Sì, con gli AVA stai bene, ma non è come quando stavi con loro.

Sbuffò e si diede dello stupido da solo per la piega che avevano preso i suoi pensieri. A volte sarebbe stato così bello poter staccare il cervello. Togliere la spina e spazzare via ogni stupido e inutile pensiero, perché non aveva proprio bisogno al momento di una coscienza in grado di farlo sentire una merda più di quanto già non si sentisse.

Certo lui in quegli ultimi quattro anni non si era sempre comportato bene con i blink. Aveva ripetuto in più di un’occasione che erano una band stupida e che non ci teneva affatto a far parte di una band stupida e che stava bene, lì con gli AVA. Ma insomma, l’avevano respinto e umiliato: aveva pure il diritto di prendersi le sue cazzo di rivincite, no?!

Se solo non fossi così tremendamente bugiardo, Tom...

Dannata coscienza! Perché non poteva semplicemente starsene zitta? Perché non poteva lasciarlo in pace?

“Tom? Tom, vieni! Vieni subito!” La voce concitata di Jennifer da qualche parte della casa mise fine al fluire dei suoi pensieri.

Tom sbuffò, scocciato. “Che cavolo c’è adesso?” Domandò, mentre usciva dal bagno con l’aria più seccata del mondo.

“Tom corri! È urgente!” Continuava frattanto a ripetere Jennifer, neanche fosse stata un disco e si fosse incagliata.

La trovò in cucina, seduta al tavolo con il viso pallido e una mano premuta sulla bocca. Gli venne automatico allarmarsi e, ancora di più, spostare il peso da una gamba all’altra per l’agitazione. Che cazzo stava succedendo?

“Guarda la tv, Tom.”

Fece quanto gli era stato detto e rimase letteralmente di sasso nell’apprendere la notizia.

Travis Barker aveva avuto un incidente aereo.

Doveva chiamare Mark.

 

 

Track 16

 

“Il tuo basso. È ancora dannatamente rosa.”

Mark sbuffò, ma non si sentiva per nulla offeso o arrabbiato. Si sentiva strano e in un certo senso persino a disagio di ritrovarsi, dopo quattro lunghi anni di lontananza totale senza neppure uno straccio di telefonata o messaggio, niente di meno che Tom DeLonge nella sua stessa stanza. Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi lì per lì quando, non senza lasciarlo completamente basito, sul suo cellulare era apparso il nome del suo ex compagno di band e nel rispondere l’aveva sentito così tremendamente preoccupato e in colpa quasi.

Ma adesso che era lì davanti a lui, adesso che potevano parlarsi e spiegarsi finalmente, Tom preferiva tergiversare sul suo basso.

Sorrise appena e scosse la testa: era incredibile quel ragazzo.

“È sempre stato rosa.” Lo corresse, mettendo su un tono che sperò essere abbastanza duro da rinfacciargli il silenzio protrattosi tra loro in quei quattro anni.

“Lo so. È solo che... È così rosa...!” Insistette tuttavia Tom, gli occhi ancora incollati al suo vecchio strumento musicale, quasi volesse marchiarsi a fuoco nella mente ogni dettaglio.

Rimasero così per un silenzio che a Mark parve interminabile e alla fine fu lui per primo a spezzare la strana quiete interscesa con le sue parole. Parole dure. Parole che sarebbero dovute essere diverse, ma che non potevano esserlo semplicemente perché Tom se n’era andato via e non era più tornato.

“Sei venuto qui per parlarmi del mio basso rosa o c’è dell’altro?” Alzò un sopracciglio ed indossò un cipiglio neutrale, come se la cosa non potesse importargliene di meno e non come se fosse quello che stava aspettando con tutto se stesso da quattro infiniti anni.

“No.” Sospirò, dopo un iniziale silenzio, Tom e finalmente si decise a rivolgere i suoi scuri occhi in quelli azzurri dell’altro. “Sono qui per Travis.”

Mark non sapeva se stava mentendo o no, anche se un tempo era stato facile per lui farlo, ma decise che poteva anche concedergli il privilegio del dubbio per una volta.

“Te l’ho già detto per telefono. Travis sta bene. Probabilmente lo dimetteranno in settimana, quindi...”

Quindi se sei venuto qui per qualcosa di diverso da quello che ci siamo già detti, ti conviene farlo subito DeLonge, prima che io cambi idea e ti cacci via.

“Ah. Meglio così allora. Mi sono...sai...” Tom fece un ampio gesto con la mano, accompagnando così le sue parole, e stavolta Mark non riuscì ad impedirsi di sorridere.

Dopo tutti gli anni passati insieme, ancora si vergognava ad ammettere che era preoccupato per loro?!

“Che hai da sorridere? Ti diverte vedermi così?”

S’irrigidì all’istante all’accusa dell’altro e, alzando allarmato lo sguardo, si accorse che Tom lo stava fissando.

“Sono solo sorpreso. Pensavo che fossi cresciuto abbastanza in tutti questi anni da ammettere che sei preoccupato per Travis.” Rivelò infine, perché era stupido tenersi per sé i suoi pensieri quando per quattro anni non aveva fatto altro che chiedere di potergli parlare almeno un’altra volta ancora.

Tom rimase come paralizzato da quelle parole, ma durò meno di un minuto che subito si passò una mano tra i capelli, sospirando. Sembrò sul punto di voler dire qualcosa – qualcosa d’importante, forse? – ma alla fine decise di fare retromarcia e cambiare discorso.

“Le cose non sono andate proprio come ce l’aspettavamo noi, eh?” Sembrava più una domanda retorica, tuttavia Mark non ebbe la forza né la voglia di farglielo notare.

Annuì invece. “Hai ragione.”

“Chi l’avrebbe mai detto anni fa che i blink-182 si sarebbero sciolti, un giorno?” Lo stava fissando, ancora, e stavolta l’ex bassista sapeva bene come voleva continuare la frase.

Chi l’avrebbe mai detto che io e te non ci saremmo nemmeno più parlati, un giorno?

“Credevo fossi contento di stare con gli AVA. Che i blink-182 fossero una band di stupidi.” Mark non sapeva con esattezza il motivo per cui avesse detto proprio quelle parole, quando era chiaro che non voleva litigare ancora con lui, ma la sua bocca aveva parlato per lui prima che riuscisse ad impedirlo.

Tom si fermò, ancora una volta, una perfetta statua di sale. “Lo sai che non lo penso veramente...” Tentò, ma l’altro lo interruppe con un gesto della mano.

“A dire il vero non lo so. Pensavo di saperlo, ma mi sono accorto di no. Non so un cazzo, Tom!” L’aveva chiamato per nome e raramente lo chiamava per nome, se ne era accorto lui come se ne era accorto l’ex chitarrista, ma Mark era troppo provato per spenderci sopra qualche pensiero.

Aveva bisogno di risposte, aveva bisogno di sentirsi dire tante cose, voleva sapere che per Tom non erano stati un errore i blink-182...

“Mark...” Anche lui l’aveva chiamato per nome ed era strano e altrettanto buffo sentirglielo dire dopo tutto quel tempo, eppure sufficiente a riportarlo con i piedi per terra, a ricordargli cos’era successo tra loro.

“Che cosa vuoi ancora da me?” Domandò quindi, il tono freddo e distaccato che non gli era mai appartenuto. “Te ne sei andato. Sei scomparso nel nulla per quattro anni. Cazzo, quattro anni! Adesso torni e cosa? Cosa vuoi Tom? Vuoi calpestare anche l’ultimo ricordo bello che mi è rimasto dei blink o cosa?”

“No. Non è così.” Tom sospirò, sembrava abbattuto mentre si passava una mano sul viso. “Sei stato tu a dirmi di andarmene.” Disse infine, senza alcuna traccia di odio o rancore nella voce, se non una profonda, sconcertante frustrazione.

Mark si sentì ad un tratto come se non avesse più le braccia e le gambe, come se la sua mente non fosse nemmeno più lì, al suo posto, come se il mondo avesse preso a girare e lui fosse rimasto fermo.

“Avevi detto che ti eri rotto. Che non ci sopportavi più!”

“Ho detto parecchie stronzate.”

“Ma...”

Cavolo, non era giusto. Non era giusto per niente. Non poteva piombargli nella vita tutto ad un tratto e dirgli che si erano fraintesi, che i blink non erano un errore, che loro due non erano sbagliati...

“Mark.” Tom lo stava chiamando, ma l’altro non lo stava neanche più ad ascoltare.

Gli veniva voglia di ridere.

Lo fece.

“Dio, sei un coglione, DeLonge!” Esclamò poi, quando l’altro gli rivolse un’occhiata perplessa e un sopracciglio inarcato.

Mark rideva e Tom, semplicemente, non riuscì e non volle trattenere un sorriso, uno di quei ghigni che gli erano tanto cari.

“Sì, me lo dicono in molti, Hoppus.”

 

 

Track 17

 

Tom si sentiva nervoso. E si sentiva un coglione. Si sentiva un coglione perché era stupido sentirsi così nervosi, no? Insomma, non è che quello fosse il suo primo concerto, perciò doveva esserci largamente abituato a quel punto. Certo l’ansia lo coglieva sempre, ma era sicuro di non essersi sentito mai così preoccupato in tutta la sua vita di salire su un palco come in quel momento.

Forse dopotutto non era stata poi una grande idea quella di riformare i blink-182. Anzi, era stata una grossa, enorme, colossale stronzata! Magari faceva ancora in tempo ad annullare l’esibizione e a ritornarsene a casa, o in qualsiasi altro posto che non fosse stato quello.

O forse no.

Cazzo.

“Accidenti, sembri uno che sta per vomitare.”

Tom si voltò, anche se sapeva perfettamente chi fosse. “Travis, fammi un piacere: la prossima volta che stai per dire una stronzata, avvisami, almeno mi faccio trovare preparato.”

Per tutta risposta il batterista sfoderò il suo sorriso strafottente e, con un’alzata di spalle, iniziò a picchiettare le sue bacchette l’una contro l’altra, ritmicamente. Era il suo modo scaramantico con cui affrontava i concerti, Tom lo sapeva ma fu una piacevole sorpresa vederglielo fare ancora, dopo tutto quel tempo.

“Siete ancora qui a perdere tempo? Guardate che tra un po’ si va in scena!” Proprio in quel momento, Mark Hoppus decise di rivelare il suo brutto muso dalla porta del camerino, gli occhi scintillanti di un bambino che a stento riesce a trattenere il proprio entusiasmo e il broncio infantile di chi si finge poco soddisfatto di quello che sta vedendo.

“Tom deve vomitare.” Fu l’asciutta risposta che ne ricevette da Travis.

Tom sentì la vena alla tempia pulsargli e dovette chiudere le mani a pugno per non lanciare la propria chitarra contro il batterista, non tanto per lui quanto per lo strumento, ci si era affezionato in tutti quegli anni.

“Cosa? Non dirmi che sei nervoso!” Mark sembrava sul punto di mettersi a sghignazzare e Tom giurò lì per lì che non gliel’avrebbe mai perdonata una cosa simile.

A giudicare da come l’altro s’impegnò a non ridere, il suo sguardo gelido dovette avvertirlo del pericolo.

“Non sono affatto nervoso. Lo so che è una cosa strana per voi due, ma stavo solo pensando.” Borbottò, mentre si buttava letteralmente sul divano e affondava la testa nella spalliera.

“Pensando? Tu?” Travis parve sorpreso e stavolta Tom non riuscì a resistere dal lanciargli addosso la prima cosa sottomano, ovvero un giornaletto di musica. “Scusa.” Mormorò dunque il batterista, fingendo un dispiacere che – cazzo! – neppure si sforzò di mostrare.

“Non è bello?” Ad interrompere quel bislacco scambio di opinioni, ci pensò ancora una volta Mark e i suoi pensieri all’apparenza senza senso.

“Di che cavolo stai parlando adesso, Hoppus?” Tom alzò un sopracciglio e l’altro sorrise, quel sorriso beota che era il suo sorriso.

“Tutto questo!” Rispose con espressione assente Mark, accennando con un ampio gesto delle braccia al...camerino?

Tom non era per niente sicuro di riuscire a capire e, a giudicare dall’espressione perplessa apparsa sul viso di Travis, non doveva essere nemmeno l’unico.

“Voglio dire, questo posto, il fatto che stiamo per salire su un palco, di nuovo, e che nessuno lo sa e... E noi tre, qui, adesso. Insieme, come una volta, come i blink-182... Non è straordinario?” Ripeté, come se non potesse davvero credere che gli altri due non capissero quello di cui stava parlando.

Per istinto, Tom gettò un’occhiata a Travis, che scrollò le spalle, come sempre.

“Ti avevamo detto di non bere, Mark!” Disse quindi, prendendolo ampiamente per i fondelli.

Come volevasi dimostrare, il bassista fece un’espressione molto poco contenta dell’insinuazione.

“Non sono ubriaco! Cazzo, una volta tanto che dico una cosa poetica e voi non trovate niente di meglio che darmi dell’alcolizzato? Siete delle merde, tutti e due!”

“Già, già.” Alzò gli occhi al cielo Tom, sbuffando divertito, mentre Travis ridacchiava dalla sua postazione.

“Grazie del complimento, Mark, lo accetto volentieri.”

Offeso da quell’apparente coalizione – ma non stavano litigando giusto un minuto prima?! – l’Hoppus recuperò il suo basso e iniziò a strimpellare qualcosa, giusto per far passare il tempo, sennonché uno degli organizzatori s’infilò nel loro camerino con un sorriso raggiante dipinto in volto.

“Si va in scena, ragazzi!”

Neanche avesse avuto le gambe fatte di molla, Mark saltò su come un pazzo e iniziò a sbattersi per farli sbrigare.

“Non avete sentito? Si va in scena! I blink tornano sul palco!”

“Andiamo a dare il nostro meglio.” Esordì anche Travis e si vedeva lontano un miglio che non stava più nella pelle dalla gioia.

Anche Tom si alzò e, recuperata la sua chitarra, si affrettò a raggiungere i due compagni di band. Sentiva ancora un groppo bloccargli la gola e man mano che si avvicinavano al palco era sempre più certo che avrebbe cantato uno schifo, suonato addirittura peggio e fatto scappare quei quattro fan che ancora gli erano rimasti fedeli. Era un po’ come tornare agli inizi, agli esordi, e chiedersi se sarebbe stato all’altezza delle aspettative degli altri o se avrebbe finito per fare un grosso, clamoroso fiasco.

Quando mise piede sul palco – come blink e non come AVA, dopo tutti quegli anni – riusciva a stento a respirare.

Qualcuno doveva aver urlato il loro nome, tra il pubblico, e nonostante un lieve sorriso a tremolargli sulle labbra, Tom non riuscì a sentirsi meno spaventato. Poi Travis batté un colpo di bacchetta sul rullante, quindi un altro e un altro ancora, e gli mancò più di un battito quando sentì gli spettatori urlare e gridare, come forsennati. Gli venne quasi automatico girarsi verso destra – una brutta abitudine che aveva preso in tutti quegli anni – e per un istante quasi si aspettò di ritrovarsi davanti Matt senza sapere cosa volesse da lui con quello sguardo.

Ma non c’era Matt. Non c’erano gli AVA. C’era Mark e gli stava sorridendo, ed era quel sorriso come a voler dire che sarebbe andato tutto bene, che sarebbe stato tutto fantastico, e che non avrebbe fatto una figuraccia, ma sarebbe stato perfetto, come sempre.

E fu allora, fu in quel preciso istante che Tom lo sentì davvero. Il pubblico, il loro nome urlato a gran voce, il suono della batteria sotto i colpi di Travis, il sorriso di Mark, la sua presenza accanto ancora una volta... Sì, i blink-182 erano definitivamente tornati e avrebbero dovuto ucciderli stavolta per farli sciogliere di nuovo.

Perché, cazzo, era dannatamente bello avere qualcuno così perfettamente compatibile con te, qualcuno come te, affianco.

 

 

 

The end

 

 

 

 

 

A/N

Innanzitutto, buona Pasqua fatta a tutti. Volevo aggiornare prima per farveli in tempo, ma ormai è risaputo che sono una ritardataria cronica. Perciò, amen.

Venendo a noi, come vi avevo preannunciato, questa seconda parte si compone di “sole” sette tracce.

Piccole precisazioni.

Track 12. Le canzoni a cui si riferisce, sono The Rock Show e First Date, scritte rispettivamente da Mark Hoppus e Tom DeLonge la stessa notte. Ditemi voi se questo non significa qualcosa.

Track 13. La canzone è Feeling This. Non credo ci sia molto da aggiungere, a questo punto, la complicità dei blink-182 è praticamente lampante.

Scrivere questa storia mi è piaciuto moltissimo ed è praticamente venuta fuori da sola. Volevo scrivere qualcosa su di loro, una specie di tributo a questo gruppo e alla loro nascita, ai rapporti esistenti tra i membri, specie quelli tra Mark e Tom. In un’intervista di svariati anni fa, Tom diceva che la sua amicizia con Mark era un qualcosa di inestimabile e molto forte e io credo, al di là della rottura, che sia ancora così. Che sarà sempre così. Perché, ecco, penso che quando trovi “qualcuno come te”  – e non ho dubbi che Tom e Mark lo siano – è pressoché impossibile poter cambiare questo dato di fatto, anche se gli avvenimenti sembrano minare questa verità.

Bien, questo è tutto. Volevo ringraziare anche hollerbaby per la sua recensione. Sei stata davvero molto carina e mi ha fatto estremamente piacere leggere il tuo commento e sapere che la storia non era poi così male, ma che anzi si delineava abbastanza con la realtà (o almeno, con la parte di realtà che sappiamo noi).

Grazie ancora a tutti. A chi leggerà, a chi recensirà e a chi si farà un sorriso, o no. Alla prossima, gente!

Baci.

memi J

 

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