Kakureta kage no iro

di Sundance
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Haru no Katami ***
Capitolo 3: *** Midori no Shinju ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Un abbraccio a tutte, prima di tutto - e scusate il gioco di parole.
Mi sto per confessare, e lo faccio adesso prima di pubblicare perchè so che dopo non dirò altro, da qui alla fine della raccolta, tranne che per ringraziare.
Mi conosco. Sono una che se proprio deve prendere le punture, preferisce averne dieci di fila che una al giorno per dieci giorni.
Meglio affrontare tutto subito.
Quindi eccomi, a cuore aperto.
Sono spaventatissima.
No, non solo per questa raccolta. Cioè, si, anche, perchè temo che non piacerà, perchè credo che non sarà granchè - è la prima volta che mi dedico ad una raccolta, non so cosa fare -, perchè anche adesso che lo scrivo penso che qualcuno possa pensare (seghe mentali, non abusatene o diventate come me) che lo dico per falsa modestia e non è vero, credetemi, sono sicura che di quel che scriverò qui sopra mi piacerà si e no la metà...
Ma a dirla tutta, sono spaventata per una marea di altre cose, ora come ora.
Sono spaventata per questi fottuti ultimi esami all'università.
Sono spaventata perchè il Giappone è sempre più vicino ed io voglio veramente, veramente andarci.
Sono spaventata dalla felicità e dalle vertigini che questo pensiero mi dà.
Sono spaventata perchè questi esami sono l'ultimo grande scoglio, molto più della tesi, e devo passare, devo passare, devo passare assolutamente.
E poi son preoccupata per altre cose, più intime, più care al mio cuore - dopotutto, anche se penserete che sono eretica, del Giappone si può fare a meno per un pò, nella vita. Ne ho fatto a meno per 23 anni, posso andare avanti così fino ai 24 o ai 25, no? Ma ci sono altre cose che davvero non posso perdere. Non posso, non voglio, e mi stanno lo stesso scivolando dalle mani.
No, non lo penserete, che sono eretica: conosco alcune di voi che hanno una maturità incredibile, perciò magari spalancherete un pò gli occhi ma poi riflettendoci direte che ho ragione. Ecco.
In questa raccolta ci sono tante scene, tanti piaceri e tanti affanni, che stanno componendo la mia vita o l'hanno già composta, comprese quelle famose cose che stanno svanendo. E ci sono anche quelle che la comporranno, spero. Non mi piace fare la vittima, non è per questo che la scrivo.
Ho deciso di farla perchè, se è vero che dietro ad ogni grande uomo c'è una grande donna, è anche vero che a quella grande donna nessuno presta mai le dovute attenzioni.
E siccome - tanto per fare qualche nome - dietro ai Gazette ci sono GRANDI donne come Mya, BlackAngel, Guren, Deneb (BlackSwan), Shinushio, Kinoko, Aelite e così via, ho ritenuto necessario per la mia coscienza far sì che questi grandiosi giovani uomini spartissero la scena con le donne della loro esistenza, vuoi vere vuoi fittizie, che però ci sono state, ci sono tuttora e forse ci saranno anche in futuro, e che hanno fatto parte del loro mondo in maniera più nascosta, per quanto egualmente colorata.
Kakureta kage no iro significa, per l'appunto, il colore delle ombre nascoste.
Ho pensato che, come titolo, questa definizione racchiudesse tutto. Mogli, sorelle, amiche, madri, figlie, amanti, persino fan. Ogni shot ha una co-protagonista con un diverso punto di vista, alcune hanno una voce narrante differente, e anche un carattere totalmente estraneo all'altra, però sempre femminile.
Purtroppo, essendo la scrittrice nonchè l'ideatrice dei vari personaggi, ognuna di queste voci avrà da narrare anche un pò di me e di quello che io ho fatto o avrei fatto in determinate circostanze, ma voi non prendetela come un cameo obbligato: ho fatto di tutto per rendere le donne della raccolta il più tradizionalmente giapponesi possibile - esattamente come ogni singola cosa a proposito dei Gazette che ho riportato è vera, tratta da interviste o filmati -, perciò credo che sarà difficile, a meno di non volerlo fare per forza, scorgere anche me. O voi.
Sì, perchè dopotutto, se è vero che le fan, in questa storia e anche nella vita vera degli artisti, sono parte di quel turbinio nascosto di ombre colorate senza volto nè nome che fa parte della loro esistenza, ci siamo anche tutte quante noi in quella dei Gazette, non credete?
Un abbraccio a chiusura, vi lascio al primo capitolo.
Jo


Note sui termini giapponesi: odio gli americani, che per far capire che una vocale va allungata aggiungono una ''u'' alla fine delle parole - è così che ''arigato'' è diventato ''arigatou'', per esempio (o che ''Koyo'' viene ''Kouyou''. Ebbene si, mie gioie, il nome di Uruha va letto Kooyoo, una breve pausa su entrambe le o).
Ma siccome io sono fieramente toscana e parlo l'Italiano, che necessita al massimo dell'accento lungo per far capire quando la vocale in questione vada allungata (e che serve a delineare, per esempio, la differenza tra obasan, zia, e obasan, nonna) , ho riportato i termini vari così come vanno letti, con l'aggiunta del segno linguistico sopra la lettera su cui sostare un pochino di più.
Tutti, tranne i nomi dei Gazette. A dispetto del mio purismo linguistico, sono ormai affezionata alla loro forma ''americana'' - e in verità non me la sento di privare Yuu di una vocale XD.
Quanto agli altri termini, troverete le traduzioni alla fine di ogni shot, e anche le spiegazioni di modi di dire, fare, o pensare tipici del Sol Levante.
Adesso vi lascio davvero o rischio di scassarvi ben prima della lettura XD
Kisu!

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Capitolo 2
*** Haru no Katami ***






Sono arrabbiata, Kouyou.
Sono fortemente arrabbiata.
So che non è mio diritto dirtelo, ti prego, perdonami.
Ma non posso non scrivertelo, almeno. Non ci sono mai stati falsi complimenti o segreti tra noi due. Tanto riuscivi sempre a farteli confessare, anche quando cercavo di nasconderteli. Il tradimento di mio padre, il trasloco con mia madre in un'altra zona, persino la cotta che avevo per Akira anni fa. Sei sempre stato bravo ed abile a farmi aprire, spogliando il mio cuore con delicatezza, come fosse stato un fiore pronto a schiudersi al sole. E tu eri quella luce che con determinazione, eppure con estrema gentilezza, lo obbligava a sbocciare, rilevando la sua corolla profumata, mostrando il suo profumo ed il suo vero colore.
Per tutta la durata del liceo è stato così.
Non nascono mai grandi amicizie tra ragazzi e ragazze nel nostro Paese. Agli stranieri, ai gaijin che se ne interessano, noi spieghiamo che è per timidezza, più vostra che nostra. E' raro che i ragazzi provino interesse per le ragazze se non per attrazione o amore. E questo era un altro motivo per cui ti prendevano sempre in giro i nostri compagni, rammenti? Come per le tue labbra.
Non ho mai capito che cosa avessero di male per attirarsi tanti commenti negativi o bonarie, quando non maligne, prese in giro.
Le tue labbra sono perfette. Il tuo viso è perfetto.
Non per un maschio. Troppo, per un maschio.
Un ragazzo dai lineamenti delicati come quelli di una donna e dalle labbra piene, morbide, sempre umide.
La perfezione è qualcosa che costantemente si cerca eppure raramente si ama. Nel tuo caso, ad una grande fortuna doveva corrispondere un grande dispiacere. Tu fossi nato donna, quante cose in più avresti sofferto, magari a causa delle nostre compagne! Oh, l'invidia, la gelosia di sapere che solo scorgendoti da lontano il tuo sorriso avrebbe conquistato subito gli sguardi degli oggetti del loro interesse!
Sarebbe forse stato peggio, perché non avresti potuto difenderti.
Io lo so bene.
Pur nella mia banalità ho attirato sguardi feroci nel riflesso del sole, solo per il leggero alone azzurro delle mie ciocche ombrose.
Ma come ragazzo, ti toccava sopportare altro tipo di offesa.
Io però, quei commenti, li disprezzavo quanto coloro che li formulavano. L'istinto di alzarmi e gridar loro di smetterla mi avrebbe vinta prima o poi, se la paura non fosse stata anche più forte di lui.
Infatti avevo paura, ricordi, che un giorno potessi togliermi la parola ed il saluto perché non ne potevi più.
Non ascoltavi quelle parole, lo so, ma le sentivi ripetere quotidianamente, e non lo ammetteresti mai, ma ti davano un enorme fastidio. E così fremevo, seduta nel mio banco, attendendo il tuo arrivo, la tua entrata in classe, col timore che quella mattina non ti saresti rivolto a me col sorriso che mi placava ogni affanno, e che avresti deciso di ignorarmi, se non per dare retta a loro, almeno per il tuo benessere mentale.
In fondo, hai sempre fatto le cose per conto tuo.
Lo riconoscono tutti, compresi gli amici che tanto ringraziano il cielo di averti con loro nella band. Tu stesso lo annoveri tra i tuoi pregi ed i tuoi difetti: ''fare le cose per mio proprio conto''.
Non è sempre stata una qualità negativa. Ti ha permesso per anni di non dare peso alle maldicenze e agli sguardi insolenti.
E adesso?
Non sono state quelle battute vigliacche a farti cambiare. Perché ora è così diverso?
Sì, sono arrabbiata. Ma non è il termine adatto.
Sono delusa, sono mortificata, ecco.
Delusa, da te e da me stessa, perché avrei dovuto forse lottare di più per il posto che avevo nel tuo cuore e nella tua vita.
Mortificata, perché con la cadenza inesorabile propria di un martello che batta ad un ritmo preciso sull'incudine, il dubbio assillante mi spinge a chiedermi se quel posto l'ho mai potuto chiamare davvero mio, o se non era che una forma di status quo ormai accettata e lasciata lì.
Ma non ti rendo giustizia, Kouyou. I sentimenti che nutro adesso mi avvelenano la mente e non mi fanno parlare con lucidità.
La verità è che mi manchi, e sì, mi fa rabbia, mi delude, e mi ferisce profondamente il pensiero che evidentemente non manco a te nella stessa misura.
Non ci parliamo da mesi, Kouyou. Non un tuo messaggio, non una chiamata, non una visita fulminea per dimostrarmi che sono ancora parte di te, magari relegata in un cantuccio minuscolo, ma presente.
Non ti scrivo per biasimarti, anche se forse è stata questa l'intenzione con cui ho cominciato la mia lettera.
Ti scrivo per capire.
Solo pochi mesi fa eravamo assieme dallo hanaya vicino a casa tua, per comprare un bel mazzo di fiori da regalare a tua madre per il suo compleanno.
Eri così felice allora!
I tuoi occhi luccicavano risaltando il loro colore nocciola e le tue labbra, le tue bellissime labbra, si aprivano in un sorriso spontaneo e lieto.
Eri il ritratto della serenità mentre mi porgevi un ramo fiorito di ciliegio, constatando quanto il delicato bianco rosato dei fiori contrastasse col nero corvino dei miei capelli. Ho sorriso e chinato il capo, esultando tra me e me come al solito quando mi hai sistemato una ciocca ribelle dietro l'orecchio destro.
Sono abituata a quel gesto.
Ne dipendo, quasi, ma in verità dipendo da tutto ciò che ti circonda e che tu mi hai sempre donato senza farci caso.
Vedi, Kouyou, tu incurante del tuo potere mi elargivi carezze e complimenti, con estrema indifferenza e senza alcuna malizia, ed io, come un cucciolo bisognoso di cure e di attenzioni costanti, cercavo sempre conferma in quei gesti della tua benevolenza nei miei riguardi.
Mi accorgo che nel considerare la faccenda con occhi esterni, questo comportamento risulta assai più tipico di una innamorata che di una amica.
Ma sai, è stato probabilmente per il non aver mai sviluppato amicizie con l'altro sesso che il rapporto che avevo con te mi sembrava qualcosa da salvaguardare, difendere, e di cui ricercare sempre assicurazione e costanza.
E tu c'eri. Mi fornivi tranquillamente l'una e l'altra.
Si può dire che la mia... non posso chiamarla ossessione, non ho mai nutrito né cercato un legame morboso con te. Dipendenza, magari. Si può dire che la mia dipendenza nei tuoi confronti assomigli alquanto a quella di Komatsu Nana nei confronti di Osaki Nana. Solo che tu, devo apprenderlo con sincero dolore, non hai mai ricambiato con la dedizione che la Osaki mostra alla sua Hachiko. Non nello stesso modo.
Oppure io non ti starei scrivendo queste parole.
Kouyou, che cosa ti ho fatto, o che cosa non ho fatto per tenerti vicino invece di farti allontanare?
Mi odierai per ciò che sto scrivendo, lo so bene, ma non posso impedirmi di pensare che più dei tuoi impegni, più della tua tendenza a lasciar scivolare via le cose che non puoi trattenere perché al momento ne hai altre per la testa, siano i tuoi nuovi amici a tenermi lontana da te.
Non Akira, non Takanori, e non penso neppure che Yuu e Yutaka ti abbiano mai imposto di mettermi da parte. Non mi conoscono, non li conosco io. Akira e Takanori c'erano ben prima che diventaste quello che siete, e c'ero anche io; eppure non era cambiato nulla.
Ma sono portata a credere che l'interesse che nutri adesso per loro e per ciò che state creando sia più forte di quello che hai mai provato per me.
Ne sono convinta perché non siete più agli inizi. Sono trascorsi ormai due anni. State confermando il vostro successo. Siete riconosciuti ovunque andiate.
E' questo che mi fa male. Lo avrei accettato, come ho fatto, quando eravate ancora ai primi passi della vostra carriera.
Avrei accettato, al liceo, di vederti entrare in classe e volgere intenzionalmente altrove lo sguardo, iniziare a trascurarmi, mancare di scambiare un'occhiata o un sorriso con me, che non aspettavo altro.
All'epoca, per quello che già stavi passando anche a causa mia - mi sento tuttora in colpa - lo avrei capito.
Non ora.
Ora che non ha senso.
Ti ho mai detto quanto fossi perdutamente innamorata della felicità che mi davi quando, nonostante gli impegni e le prove, la ricerca continua di una compagnia che vi notasse e la sfiducia che cominciavate a nutrire, trovavi comunque il modo di incontrarmi, anche solo per poco, cercando in me il sostegno ed il coraggio che ti servivano per non dire ''mi arrendo''?
Ne ero innamorata davvero, sai. Non scelgo a caso le parole. Non l'ho mai fatto.
Oppure ti avrei detto molte, molte più cose rispetto a quelle che ti ho risparmiato in tanto tempo.

Cinque mesi.
Il silenzio è un'ombra che si allunga con estrema lentezza e finisce per avvolgerti senza essere notata, finché non ti accorgi che ogni suono cui tenevi è scomparso.

Yagate subete ga sugi saru ato mo
Anche se tutto alla fine svanisce
Anata dake wo omou
Io ti penso ancora


"Questi sono splendidi, okāsan ne sarà felice."
Misaki alzò lo sguardo sui bellissimi petali delicati e fragranti davanti a sé. Erano di un colore tiepido e gentile, sembrava rispecchiassero l'anima della madre di Kouyou. Annuì con un sorriso timido:
"Sì, penso che le piaceranno."
"Sicura?" domandò l'amico con uno sguardo obliquo, abbastanza intenso da mandarla in confusione. Kouyou adorava comportarsi così con Misaki. Non seguiva l'istinto maligno dei ragazzi comuni di prevalere, e sapeva molto bene che non stava facendole alcun male, tuttavia non poteva impedirsi di continuare a testare l'ascendente che aveva su di lei. Sapeva che Misaki non era debole, per quanto arrendevole fosse con lui. Forse gli piaceva la strana sensazione di sentirla dipendere da sé. Forse invece stava insegnandole a venire alla luce.
"Sì... tu no?" mormorò lei in risposta, posando lo sguardo sui fiori, incapace di sostenere quello dell'amico.

Mi rendevo conto di sembrare un'ombra invece di una persona. Annuivo quando annuivi e dubitavo anch'io quando non eri sicuro tu. Non potevo impedirmi di sentirmi persa nella tua volontà, tanto più forte e grande della mia. In realtà, era una sensazione che mi piaceva.

"Non chiederlo a me, voglio sapere cosa ne pensi tu."
Non avrebbe potuto trovare ordine peggiore da darle, si disse vedendola arrossire. Sorrise, posando le mani sulle spalle della ragazza e parlandole con la consueta gentilezza, quel tono particolare che solo lei riusciva a tirargli fuori quando erano insieme. Spesso si chiedeva perché fosse l'unica capace di ispirarglielo. Ma la vedeva così piccola, così sperduta, come il gattino che aveva trovato all'angolo della via anni prima ed aveva adottato, che non poteva non sentirsi in dovere di proteggerla. Anche da se stesso.
"Misaki, avanti, non avere paura, sai che tengo al tuo giudizio. Dimmi cosa pensi davvero."

Sapevi come prendermi, senza dubbio. Più della tua dolcezza, più del tuo spronarmi, erano le parole con cui mi facevi capire di esserti d'aiuto che mi davano coraggio.

Misaki alzò gli occhi scuri e caldi sul suo viso e sorrise appena, quasi a chiedere indulgenza.
"Penso... sì, penso che le piacerebbero molto. Le assomigliano."
"I fiori? A mia madre?" sorrise divertito Kouyou lasciandola andare e contemplando i rami in boccio.
"Sì" riprese con più decisione l'amica, "sono di aspetto gentile ed hanno un profumo piacevole ma non forte. Gli altri fiori sono troppo esuberanti e rischiano di apparire volgari. Questi no. Ecco perché penso... no, sono certa che le piacerebbero molto." Kouyou riportò lo sguardo su Misaki e soppesò quel che aveva appena detto con aria pensierosa, guardandola.

La mia vera preoccupazione era che i miei reali pensieri non fossero abbastanza per te, e che li giudicassi sciocchi. Per questo evitavo il più possibile di esporli.

Le sue labbra piene si aprirono in un sorriso colpito e soddisfatto.
"Molto bene, Misaki. Credo tu abbia ragione. Questi sono perfetti."
Si voltò per confermare la sua scelta e lo hanaya-san si affrettò solerte a preparare un delizioso bouquet. Kouyou si voltò nuovamente verso Misaki, sorridendo per l'espressione sorpresa che danzava nei suoi occhi, e le sorrise con spontanea dolcezza:
"Mille grazie dell'aiuto, Misaki."


Hakanai haru no katami ni wa ichiban kirei na watashi wo
Questo ricordo di primavera è la cosa più bella che ho
Anata dake ni, anata dake ni todometai to omou
Solo per te, solo per te voglio lasciarlo qui


Non so dove tu sia, Kouyou, in questo inverno gelido, mentre la neve colora di bianco la città rendendola innocente e nivea, ed io conservo questo ricordo di primavera per riscaldarmi nella brezza tagliente e nell'ancor più freddo vuoto che hai lasciato.

"... non posso, domani pomeriggio dobbiamo andare a firmare un contratto."
"Ma... è domani pomeriggio, domattina puoi dormire se stasera facciamo tardi... oppure puoi, non so, soltanto passare un quarto d'ora, così torni a casa presto..."
"Sì, ma lo sai che sono un dormiglione, Misaki."
Ridacchiò, un suono breve, a disagio, in contrasto col silenzio di lei.
"Non arrabbiarti, per favore. Ti vedrò dopodomani, va bene? Vengo da te nel pomeriggio, così festeggiamo per conto nostro."
"Sì."
"Misaki."

Eccolo, il tono che odiava, quello utilizzato per chiederle scusa, quello usato solo con lei per un solo, crudele motivo. Di lei poteva privarsi.

"Misaki, ti prego. Sai che di sera c'è un traffico tremendo. Se anche passassi per poco, ci metterei un sacco per tornare a casa comunque."
"... Hai ragione."
Si era arresa.
E le tante parole che le vibravano tremanti sulle labbra caddero nel vuoto senza essere pronunciate.
"E' vero, hai ragione, rischi di fare più tardi di quel che faresti passando l'intera serata fuori."
Sorrideva allo specchio, come se l'avesse avuto davanti agli occhi e dovesse convincerlo con il viso, l'espressione, l'intero suo corpo di quel che diceva.
"Ti aspetto per dopodomani allora, non preoccuparti. Fai una bella dormita e riposati, domani è un giorno importante!" trillò, con un'allegria tanto poco provata da sembrare reale nella sua falsità.
"Certamente. Ti ringrazio di aver capito, Misaki."
Annuì, mordendosi le labbra e conservando il viso sereno, pur abbassando gli occhi per non incontrare il loro riflesso umido nel vetro dello specchio col quale intratteneva la sua recita.
"Passa una buona serata, va bene? Buon compleanno."
"Grazie, Kouyou."
Click.
Attese il suono della comunicazione interrotta per riprendere fiato e si impose di non guardare il riflesso delle calde gocce che sentiva rigarle le guance.
Ha i suoi impegni.
E' il tuo compleanno.
Sì, ma ha i suoi impegni, sono importanti.
Non se lo ricordava neppure quando lo hai chiamato.
Ha altre cose per la testa, adesso. E' molto occupato.
Un'ora in meno di sonno, non chiedevi molto.
Dèi del cielo, è solo il mio compleanno, non importa!
...
A chi, a te o a lui?

Non aveva fermato la sua mente mentre componeva quella domanda glaciale. Alzò lo sguardo ed incontrò il suo viso pallido e umido nello specchio, e si vide così come non poteva evitare di vedersi, indipendentemente da quanti specchi avrebbe evitato o da quante volte avrebbe abbassato lo sguardo per non scorgere la verità.

Ero io a piangere in quel riflesso. Non era a me che non importava quale giorno fosse o se la sua mancanza lo avrebbe reso meno lieto.

A lui.

Non venisti il giorno dopo né quello successivo, nonostante ti aspettassi, come sempre, come Hachiko alla stazione Shibuya, in attesa di un padrone che non avrebbe mai fatto ritorno a casa.
Da quel giorno sono trascorsi giorni e poi mesi. Mi si ruppe il cellulare tempo fa e l'ho dovuto cambiare, in preda all'ansia perché temevo che non mi avresti trovata chiamandomi, e non sapevo come avvisarti, se non telefonare a casa tua. Tua madre però mi disse che non saresti stato a casa per diverso tempo, e che probabilmente avrei fatto meglio a chiamarti al tuo ritorno. Mi sembrò di cogliere un tono mesto nella sua voce nel dirmi che le dispiaceva.
Forse non stava riferendosi alla tua assenza soltanto.
Sì, quei fiori fini e delicati erano perfetti davvero per un animo così mite e gentile.


Sono arrabbiata, Kouyou.
Per la tua mancanza, per la tua assenza, per il tuo dimenticarti di me, per il mio non scordarmi di te.
E' un continuo alternarsi di colpe tra te e me.
Solo io lo so, però. Dubito che tu possa pensarci.
Dubito persino che ti interessi.
Non un cenno di vita da parte tua, non un barlume di interesse per la mia.
Non amo esagerare, ma penso... si, penso che probabilmente potrei essere morta e tu non lo sapresti.
Lo scopriresti, forse, e allora ti chiederesti come mai non l'hai saputo prima.
Ti incolperesti, perché sentiresti di aver sbagliato, perché tu non sei cattivo, Kouyou, davvero: il tuo egoismo non è malvagio, ma cade su chi ti circonda e lo avvelena senza che tu te ne accorga. Dovresti aprire gli occhi in tempo, dovresti almeno imparare a volerlo.
In questo sbagli.
Quindi proveresti un forte dolore nel sentirti colpevole di qualcosa che neppure tu sapresti delineare con precisione. Sapresti solo che qualcosa ti pungola facendoti vergognare nell'accorgerti che per mesi non hai avuto un contatto con me.
Ti stupiresti nell'aver lasciato passare così tanto tempo. Perché io lo so, che non lo hai fatto volontariamente.
Ti sei detto ''non oggi, magari domani'', per interi domani, finché non sono diventati una grande raccolta di ieri ed il tempo è volato.
E probabilmente torneresti con il pensiero a quel giorno di primavera, mentre il sole illuminava i tuoi occhi nocciola d'oro ed i miei capelli corvini di azzurro, e chissà se riusciresti ad ascoltare la mia voce che per una volta si tinge di determinata decisione nell'affermare un pensiero sui fiori da te scelti come regalo.
“Misaki”, diresti, bellezza che sboccia, “finalmente sbocciata abbastanza da dire ciò che prova”.
Credo di averlo fatto in questa lettera.
Non potrei aggiungere niente di più, non potrei aprire la mia corolla più di così.
Vorrei avere il coraggio di lasciartela e sapere che l'hai letta, invece di farla bruciare tra le fiamme del camino una volta conclusa.
Ma Kouyou, senza di te, non ho le parole che mi servirebbero a sbocciare di nuovo. Mi hai privato della forza dello stelo.
Perdonami.

Aa kono koe ga kikoe masu ka?
Ah, riesci a sentire la mia voce?
Anata wo omou koe ga.
Quella voce che pensa solo a te.



















Note: avevo detto a Mya che come prima shot non volevo qualcosa di deprimente, ma temo di aver totalmente mancato il bersaglio.
Beh, il fatto è che Uruha qui è il mio migliore amico. E non avrò mai la stessa arrendevolezza di carattere di Misaki, ma confesso che neanche io so più che fare. Ecco perché l’ho lasciata aperta.
Mi sarebbe piaciuto infilarci il suono di un campanello, una volta che i bordi della lettera fossero stati consumati dal fuoco, ma io finora il campanello non l’ho sentito – nemmeno il cellulare, se è per quello, nemmeno il telefono – , e suonerebbe falso a me per prima scriverne.
Ciò a parte, non vi tedio, veniamo alle note linguistiche.

MISAKI ( 美 咲 )
美 MI significa "bellezza" mentre 咲 SAKI significa "fiorire", "sbocciare"; il significato di questo nome è quindi "Bellezza che sboccia", ammesso e non concesso che non abbia tirato chissà che castroneria XD

Hanaya: negozio di fiori

Hanaya-san: fiorista (letteralmente, ci si arriva: il signore del negozio di fiori, ergo il fiorista! Furbacci questi nipponici.)

Gaijin : stranieri (non giapponesi)

“Doing things at my own pace” è il motto di Uruha in ogni singola intervista in stile “Pregio/Difetto maggiori”. Che vi devo dire. So che vuol dire essenzialmente ‘’a modo mio’’, ma per come viene ritenuta questa cosa in Giappone (e per come ne smaligna Reita XD) credo sia possibile vederla anche come un ‘per mio proprio conto’.

La canzone - splendida - è di Hajime Chitose; si chiama, per l'appunto, Haru no katami e significa "ricordo di primavera". Non c'entrava niente quando ho scritto questa shot ieri sera, (si, è frutto die due orette, penso si veda da quanto fa pena), ma stamattina mi son svegliata con quella canzone in testa e ho pensato "inseriamola!". Oltretutto ci sta anche bene con la questione del regalo della mamma di Uruha. Sono un genio e non lo sapevo u.u

A proposito, la questione dell’amicizia tra maschi e femmine me la confermano tutti i miei amici giapponesi, sia maschi che femmine. Che però, cosa strana, con gli stranieri del sesso opposto vanno d’accordo. Evidentemente noi gaijin risultiamo così stravaganti che per forza dvono spezzare qualche regola se vogliono avere a che fare con la nostra esuberanza ^w^
Fine, davvero.
Ja ne!

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Capitolo 3
*** Midori no Shinju ***







Era talmente bella da fare male. Leggiadra, sinuosa, elegante. Le curve del suo collo e dei suoi fianchi erano delicate, perfette per essere avvolte da mani gentili e tremanti di devozione ed amore. Il colore cangiante – un verde smeraldo che sapeva tramutarsi in lava purpurea ed infine nel manto violaceo della notte che si appresta a lasciare posto all’alba – si rifletteva negli occhi corvini e lucenti di soddisfazione dell’altro, che gliela tendeva con muta offerta.
Tre libellule dalle ali di madreperla si rincorrevano attorno al foro della cassa, spezzando il cerchio e rendendolo una forma geometrica indefinibile e precisa. La stessa madreperla riluceva lungo il manico scandendo le fasi della luna, da crescente a calante, e la nivea forma dell’eclissi era resa in ebano.
Una piccola opera d’arte.
Una chitarra acustica dall’aspetto divino di una ninfa.
Una perla di smeraldo.
“Minoshi”, sussurrò.

Hontou ni taisetsu na mono igai subete sutete
shimaetara ii no ni ne genjitsu wa tada zankoku de
Tranne ciò che veramente importa, sarebbe bello
riporre e gettar via tutto il resto, ma la realtà è semplicemente crudele


Non lo amavo.
Mi maledicevo, per questo.
Era impossibile non amarlo, in effetti. Era quanto di meno razionale potesse accadere.
In un mondo dove gli occhi sono costantemente feriti da violenze e lordure di ogni genere, una bellezza come la sua, la splendida vitalità del suo sorriso, l'adorabile, struggente tenerezza vispa del suo sguardo erano un balsamo tanto caro quanto indispensabile.
Almeno per me.
Nonostante ciò, io non lo amavo.
E lo confesso con l'imbarazzo di chi si vergogna di aver fatto qualcosa, anche una piccola cosa, che non doveva o non aveva il permesso di fare.
Io però, al contrario d’un ladro o di un comune criminale, mi biasimo per non aver agito affatto, quando tante, tante ragazze avrebbero voluto essere al mio posto; quando tanti cuori avrebbero trovato il loro battito perfetto sul suo, io non ho permesso che avesse il mio.
Non lo amavo.
Ma lui era la cosa più cara che potessi mai avere.
Non un sospiro osavo liberare senza che la sua presenza, fisica o eterea, fosse della mia vita cadenza piacevolmente ritmata e sicura.
Ogni azione, ogni sorriso, ogni battito di ciglia erano per lui, e mi scoprivo in certe occasioni a mostrare di più quella parte diafana del mio carattere che nascondevo agli occhi critici del mondo e che trovava estrema libertà sotto il suo sguardo scuro, se pensavo che mi avrebbe spinta a farlo.
Per questo dico chenon era razionale la mia mancanza di amore per lui. Non doveva esserci, non doveva affliggermi. Me, e chi mi stava vicino. Chi vedeva ed intuiva ma non comprendeva come fosse possibile che al tenero, dolce scavare della lava più cortese ai piedi di un solido muro di ghiaccio, questi rispondesse cristallizzandosi ancor più nella sua fredda compattezza.
Io per prima prigioniera di quella bianca prigione.
Ma lui no.
Lui si illuminava nel vedermi e ci bastava, bastava ad entrambi esser felici così. Lui, di sapere che sarei sempre stata al suo fianco in qualche modo. Io, di sapere che mi avrebbe permesso di farlo anche senza regalargli il mio cuore.
Già lo aveva, e lo sapeva bene, per questo gli bastava, ed alzava le spalle quando gli dicevano di tentare qualcosa di più. Di chiedermi qualcosa di più.
L'unica cosa che non avrei potuto dargli.
Ci ho provato così tanto.
Ho pianto davanti ad ogni stella del cielo, chiusa nel mio dolore, soffocata da quella rabbia che mi squarciava il petto e dicevo come osi, come osi farmi male, stupido cuore, se non hai nemmeno la forza di amare chi più ami? Non è un controsenso? Non è autolesionismo contorto?
Cosa ti blocca, vigliacco, cosa ti blocca dal fare un solo battito in più per poter dare te e me a qualcuno il cui petto vorrà sempre accogliere entrambi e le cui mani ci guideranno attraverso le ombre più maligne fino alla luce?
Cosa ti manca, dannato insensibile?

Non sapevo amare.
Yuu si. Yuu sapeva farlo.
Yuu amava così profondamente che non mi ha mai permesso di pensare a niente del genere quando stavamo assieme. Yuu sapeva quello che io provavo e anche quel che tentavo disperatamente di provare nei suoi confronti. E sapeva anche che non avrebbe potuto impormi di ricambiarlo o di aumentare l’intensità del mio affetto nei suoi confronti, perciò mi proteggeva, lui!, da me stessa e dai miei rimproveri.
Mi amava così tanto da accettare di avvelenarsi per restarmi vicino pur di non vedermi morire lentamente senza di lui.
Nessuno sapeva né saprà amare come lui.
Che cosa mi mancava, allora, per stringerlo di più tra le mie braccia?

Non avevo soltanto paura.
Non poteva essere questo, perché ero certa che se avessi posto la mia vita nelle sue mani, lui l’avrebbe amorevolmente tenuta al sicuro, protetta e cullata dalla calura diurna e dal freddo della notte, per sempre. Ero solo intorpidita, dentro.
Non vuota… anestetizzata.
Avrei dato la vita per gli amici più cari, io che della vita accolgo a braccia aperte e con gratitudine ogni istante, doloroso o felice che sia, non importa, è vita.
Per Yuu, avrei sceso i gradini dell'inferno, attraversato fiumi di lava e laghi di ghiaccio, mi sarei cavata gli occhi che fissavano amorevolmente ogni suo centimetro di pelle, avrei per sempre turato le orecchie che bevevano la sua voce carezzevole, e le mie mani, a che sarebbero servite se non avessero potuto toccarlo?, me le sarei morse via.
Ma
non
lo
amavo.

Nessun dio, mai, potrà rispondere alla lunga canzone frammentata da singhiozzi laceranti che lanciavo verso il cielo in un muto cordoglio.
Perché? Perché no? Perché se unica al mondo ho trovato l'amore perfetto, perché se colui che mi ama profondamente è il mio universo, io non lo amo?
Che cosa ho di sbagliato, Dèi?
Ho pianto tra le braccia di Yutaka fino a rischiare di morire per la mancanza di respiro, stanotte.
Quando steso su quel letto promettevi di volare via ad ogni respiro che facevi, sempre più lento, sempre più difficoltoso, orrenda caricatura del mio, in quel giorno in cui mi donasti Minoshi.

Sonna toki itsu datte me o tojireba waratteru kimi ga iru
In momenti simili, se chiudo gli occhi ti vedo sorridere



Tokyo, Marzo 2007


“E’… Yuu, guardala, è…”
“Ti stai ripetendo, Midori. E’ la terza volta che apri bocca per dire le solite tre parole.”
“Ma Yuu, guardala, è…”
“Ok, la quarta.”
Sorrise divertito lanciandole uno sguardo obliquo attraverso gli occhiali scuri, ma lei non lo poté cogliere: i suoi occhi erano fissi sulla splendida chitarra acustica in vetrina, esposta nel pieno della luce solare – era caldo, benché fosse Marzo e la neve fosse scesa solo fino a due settimane prima – che giocava coi suoi riflessi smeraldini e la rendeva iridescente come seta indiana. L’intero corpo della giovane era piegato verso lo strumento, e le mani affusolate sfioravano appena il vetro del negozio, ma senza premervi, quasi fosse la teca custode di chissà quale preziosa reliquia. Le labbra chiare socchiuse, lo sguardo perso eppure saldo, i lucenti capelli bruni che ricadevano a ciocche ondulate lungo il viso, Midori non si accorgeva neppure del calore negli occhi del compagno mentre le rivolgeva lo stesso sguardo che lei stava riservando alla chitarra. Lo sguardo colmo di quell’amore reverenziale che si prova nei confronti di qualcosa o qualcuno di cui si pensa di non poter meritare nemmeno un centimetro. Yuu drizzò le spalle rilasciando un lungo sospiro, e si appoggiò di schiena sul muro a lato della vetrina, accendendosi una sigaretta e lasciando che il fumo fuoriuscisse dalle labbra ben disegnate.
“Non dovresti, ti fa male” disse Midori.
Yuu sorrise appena guardando la sigaretta e nascose l’amarezza del suo tono mescolandola con bonaria malizia:
“Ti credevo troppo persa nel tuo mondo per badare a cosa facevo.”
La testa di Midori si piegò di scatto mostrandogli un viso di porcellana sorpreso e serio:
“Non noto nient’altro quando sei con me, Yuu.”
Yuu sussultò dentro di sé per l’impatto di quelle parole – avrebbe dovuto fare l’abitudine a quel dolore dopo tanto tempo – ed attraverso le lenti scure degli occhiali saldò lo sguardo della compagna al proprio per interi secondi. Senza interrompere il legame, Midori raddrizzò la schiena ed il suo viso si adombrò, quasi chiudendosi in un’espressione colpevole ed allo stesso tempo totalmente inerme:
“Perdonami se ti porto a credere il contrario.”

Oh, quante parole c’erano oltre quella richiesta di perdono.
Perdonami se non posso evitarmi di volerti vicino pur sapendo che questo ti uccide.
Perdonami se non riesco a non ripeterti costantemente quanto sei importante per me, anche se ciò invece di rallegrarti ti opprime ancor di più.
Perdonami, Yuu, se continuamente devo chiederti perdono e perdonami se ogni volta ti porto a concedermelo.


Yuu sorrise mostrando un’aria serena:
“Midori, basta. Non puoi detestarti così. Va bene.”
La giovane si voltò abbastanza in tempo da nascondere le prime lacrime pronte a raccogliersi sulle sue ciglia e si morse le labbra duramente, non potendosi evitare un assoluto disprezzo per quell’anima di marmo così impossibile da sbriciolare, anche per l’unica persona che desiderava lo facesse.
Di nuovo, Dèi, perché?
Si sentì circondare dalle braccia del compagno e si arrese posando la testa sul suo petto, osservando la loro figura riflessa nella vetrina.
“Dovresti comprarla, è perfetta per te” sussurrò la voce di Yuu al suo orecchio. Sorrise appena:
“No. Una chitarra così va meritata, non posso prenderla senza esserne degna. Migliorerò, mi impegnerò al massimo e solo allora potrò imbracciarla ed averne cura. Non si montano i diamanti su anelli di scarso valore. ”
Sentì Yuu ridacchiare prima che le sue braccia la lasciassero.
“Ti informo che sei stata colpita dalla temuta maledizione dei musicisti specializzati in strumenti a corde.”
“E cioè?”
“Ti sei irrimediabilmente innamorata di una chitarra.”
Tremò appena sul suono dell’ultima parola ma fu abile a riprendersi mantenendo costante il sorriso. Midori scosse il capo guardando l’acustica cangiante e si incupì di colpo.
“Non è una vera maledizione se hai la possibilità di avere quella che desideri, ma temo che per me ciò sia impossibile.”
“Perché?” domandò Yuu aspirando un’altra boccata di fumo. Per tutta risposta la mano destra della ragazza si chiuse a pugno, lasciando l’indice teso ad indicare un cartellino che Yuu non aveva notato prima; seguì la direzione con gli occhi e corrugando la fronte sibilò:
“Ma è un furto!”
Midori lo guardò sconfitta:
“Viene dall’America, è una marca ancora nuova e la donna che le crea le fa a mano, perciò è ovvio che sia così costosa, rara com’è.
Voltò le spalle alla chitarra con palese difficoltà e forzò le sue labbra a piegarsi in un sorriso:
“Se anche fossi brava quanto te e la meritassi, non avrei comunque i soldi necessari a comprarla. E anche risparmiando, è troppo speciale: qualcuno verrà comunque a comprarla prima di me. Fanno bene a chiamarla maledizione. Posso contare sulla tua En ancora un po’, almeno finché non mi innamorerò di nuovo di una chitarra più accessibile?”
“Non devi neanche chiederlo, lo sai” replicò Yuu sorridendole. Midori era l’unica – tranne Uruha e Reita ovviamente e solo in certe occasioni, come ai concerti – a cui permettesse di sfiorare le corde della sua En. Lei trattava la sua bambina con assoluta delicatezza e riguardo, e la chitarra ricambiava lasciandosi suonare docilmente, nonostante fosse abituata a ben altri ritmi e a ben altre dita. A volte arrivava a convincersi che anche En amasse Midori.
Si sentiva un perfetto imbecille nell’invidiarle l’occasione di starle in grembo, e si costringeva a distogliere lo sguardo quando le mani della ragazza lisciavano le superficie levigata e lucente della chitarra.
“Se almeno lo facesse apposta, la odierei con tutta l’anima. Ma non posso. Non posso davvero criticarla, non più di come si possa criticare il sole per aver bruciato la terra”, gli aveva detto Akira una volta, con un’insolita espressione impotente sul viso.
Nessuno dei suoi compagni avrebbe potuto biasimare Midori per la mancanza d’amore nei confronti di Yuu, visto che quella mancanza lo colmava di un benessere più forte dell’amarezza.

Midori ricambiò il sorriso, e lanciando un’ultima occhiata all’acustica riprese a camminare. Yuu guardò la chitarra e gli sembrò nuovamente stupido provare gelosia nei confronti di uno strumento. Gli parve che l’acustica stesse fissandolo e pensasse la medesima cosa di lui.
Yuu non avrebbe trovato nessuna donna a cui affidarsi se non Midori, e fu certo che esattamente come En anche quella perla di smeraldo non avrebbe avuto braccia migliori da cui farsi accogliere.
Eppure né lui né lei potevano averla.
Non erano poi così diversi.
Trattenne il respiro, colpito da un’idea improvvisa.
Le labbra gli si schiusero appena, mostrando sorpresa, poi si tesero lentamente in un sorriso.
“Yuu?” chiamò Midori, perplessa, a poca distanza. Yuu alzò lo sguardo ed annuì:
“Arrivo.”
Ma attraverso gli occhiali lanciò una muta promessa alle tre libellule di madreperla che ornavano la cassa.

Mi stava di fronte, sulla porta di casa, tenendo tra le braccia l’opera d’arte che avevo ammirato pochi mesi prima e la cui assenza dal negozio mi aveva addolorata. Sapevo che uno strumento del genere sarebbe stato portato via presto, mi ero già stupita che ci mettessero tanto ad accorgersi della meraviglia che era. Tutti i giorni dal momento in cui l’avevo vista ero andata al negozio, a volte restando fuori e a volte entrando ad ascoltare la sua voce, la limpida voce di una Musa, approfittando della gentilezza del padrone che me la lasciava imbracciare. Dalla prima nota fui sua e non smisi di considerarla mia fino al giorno in cui scomparve dalla vetrina.
Solo due settimane prima.
Yuu non c’era, era impegnato con l’ultima data di un concerto e mi rifiutai di avvisarlo finché non fosse stato libero. Così attesi il suo ritorno invitandolo a casa una volta conclusi gli impegni.
Il suono del campanello mi inondò di gioia e corsi ad aprire.
E mi si bloccò il respiro.

“Ricordi quando ti dissi che era perfetta per te, Midori?” sussurrò trepidante, il sorriso nervoso sulle labbra di chi deve trattenersi e portare a compimento qualcosa prima di poter dare libero sfogo alla propria contentezza.
La ragazza lo guardò con i begli occhi scuri spalancati, sempre più lucidi. Yuu trattenne la chitarra con il braccio destro e fece scivolare la mano sinistra ad indicare l’aspetto dello strumento.
“Le perle sulle ali di queste libellule, il verde in cui si perdono… E’ una perla di smeraldo, non è vero? Midori no shinju. Quindi non può essere di nessun altro che tua.”
Midori strinse le labbra lasciando che le lacrime scivolassero lungo le sue guance. Yuu la stava ancora guardando con un sorriso disarmante.
“Potresti chiamarla Minoshi, per accorciare” suggerì tendendogliela con gentilezza.
Le dita della ragazza accarezzarono le ali delle libellule e corsero lungo le corde, piano, in un tocco delicato, adorante. Alla luce calda della stanza la chitarra sembrava violacea e divenne blu intenso quando Midori la accolse tra le braccia, chinando il capo e strusciando piano il viso contro il suo manico.

Hito wa minna kanashii kara wasurete yuku ikimono dakedo
Tutte le persone sono tristi, perciò vanno e dimenticano, ma
Ai subeki mono no tame ai o kureru mono no tame dekiru koto
per colui che dovrei amare, per colui che mi dà amore, io farò tutto il possibile.


Chiusi gli occhi e sentii rimbombare il mio cuore con cupo ardore, tanto da farmi male prima ancora di sorprendermi della sua prepotenza.
Batteva tanto forte da cozzare contro la cassa toracica, ne ero sicura.
“… Yuu…”
Sentii le sue mani sulle spalle che cercavano di contenere il loro tremito.
“Midori” mormorò.
Alzai la testa di scatto. Mi aveva chiamata con un tono che non gli avevo mai sentito usare. Il suo viso era sereno ma il sorriso sembrava esitare, incerto, in attesa di qualcosa. Lo guardai e mi persi nel mare corvino e sicuro dei suoi occhi. Avevo sempre temuto le ombre, ma l’onda d’inchiostro delle sue iridi sembrava avvolgermi con cura. Come in trance, mi sembrò una normale conseguenza dei fatti che le mie mani posassero delicatamente Minoshi contro la parete e si alzassero verso il suo viso, e che le mie dita sfiorassero la sua pelle chiara e scendessero nuovamente sul suo petto, così come mi parve del tutto giusto sentire, attraverso i suoi vestiti, il suo cuore raggiungere il galoppo del mio.
Non mi accorsi di aver cercato le sue labbra quando si posarono sulle mie.
Non mi resi conto di essere incastonata nel suo abbraccio come un gioiello su un bracciale, perfettamente raccolta in un guscio protettivo, non sentii più alcun suono tranne quello dei suoi sospiri quando si staccava da me ed il fruscio della sua camicia che si allentava e scivolava via dalle sue spalle, le stesse su cui premevo le labbra, un’imitazione altrettanto passionale di ciò che lui stava facendo con la mia gola, il mio viso. Così come non bisogna sforzarsi per respirare né pensare di doverlo fare, il mio corpo decideva spontaneamente come comportarsi contro il suo, senza chiedermi il permesso. Non avevo controllo sulle mie mani più di quanto ne avessi sulle sue, potevo soltanto accettare che tutto accadesse senza chiedermene ragione, e desiderare di sentirlo ancora ripetere il mio nome, soffocare i gemiti contro la mia pelle, accarezzarmi i fianchi e le labbra prima di tuffarcisi, avvertire i suoi capelli solleticarmi il viso e la gola e poterci affondare dentro le dita, stringendolo contro di me, nascondendo le lacrime dei miei occhi e ricacciandole indietro.
Volevo quasi con rabbia che entrasse tanto intensamente dentro di me da leggermi in profondità e vedere quanto incondizionatamente fossi sua, anche se il mio cuore, quel dannato vigliacco, ribadiva il contrario. Unico organo in tutto il mio corpo a respingere la sua presenza, l’amore pulito e perfetto che solo una persona poteva darmi.
Ma Yuu si accorse delle gocce salate che mi rigavano il viso e non tardò ad intuirne la causa.
Stesa sul suo petto, ascoltavo il suono del suo cuore rallentare poco a poco, quando sentii mormorarlo nel buio:
“Perché?”
Mi squarciò l’anima. Il timbro della sua voce – stanca, totalmente arresa – riecheggiò nel mio petto e nel silenzio della stanza come un boato spaventoso. Non stava chiedendomi perché piangevo. Stava chiedendomi che cosa fare. Come un samurai, stava porgendomi la katana ed offrendomi la propria gola da colpire, perché non avrebbe resistito ad andarsene illeso nel corpo, quando il suo spirito era stato invece sbriciolato. Probabilmente solo pochi minuti prima gli avevo permesso di credere ad un miraggio.
Probabilmente ci avevo creduto anche io. Mi ero innocentemente convinta di poterlo amare come meritava, e non solo con i miei limiti.
“Yuu… Gomen nasai. Honto ni gomen ne” risposi, cancellando la mia voce in un singhiozzo. Desiderai che si staccasse da me e mi facesse del male allontanandomi dal suo corpo. Gli avrei volentieri offerto il collo perché mi soffocasse, visto che non avevo motivo di respirare se il risultato era continuare a fargli del male.
Invece, ancora una volta, mi rispose con gentilezza: le sue braccia si strinsero un po’ di più attorno alla mia schiena e la sua mano sinistra scivolò tra i miei capelli, accarezzandomi.
Lui stava consolando me.
“Vorrei chiederti se posso restare ancora un po’ accanto a te” replicò, con dolcezza.
Io serrai la stretta sulle lenzuola:
“Certo che puoi.”
Lo sentii sorridere appena, ed il suo tono amaro fu come limone su una ferita aperta.
“No, invece.”
Si separò delicatamente da me, posandomi un bacio sulla fronte, e nel buio della stanza si rivestì piano, senza alcun rumore. Io, come impietrita, distesa sulle lenzuola morbide, seguivo i suoi movimenti con gli occhi, mordendomi le labbra e desiderando ardentemente di dare voce a ciò che sentivo. Ma ogni volta che aprivo la bocca ogni pensiero mi moriva in gola. Yuu si sedette piano sul letto, dandomi le spalle, e mi prese la mano sinistra, stringendola dolcemente.
“Non posso chiederti niente, Midori. Non posso neppure prendermela con te. Perciò non farlo tu stessa.”
Sapevo che stava dicendomi addio. Fare l’amore avrebbe segnato il nostro inizio o la nostra fine. Come avremmo potuto rivederci dopo quella notte?
Lo stavo perdendo. Lo stavo perdendo e non riuscivo a fare niente per trattenerlo.
Mi strinse un’ultima volta la mano e si alzò, uscendo dalla stanza. Poco dopo sentii la porta di casa chiudersi lentamente.
E piansi tutte le lacrime che avevo.

Deatta ano koro wa subete ga bukiyou de. Toomawari shita yo ne?
Kizutsuke atta yo ne?
Allora, quando ci incontrammo, tutto era scomodo.
Abbiamo intrapreso un lungo cammino, vero?
Siamo stati feriti, vero?



“Se se ne va, vado con lui.”
Yutaka alzò lo sguardo e la fissò implorante, gli occhi cerchiati da borse di un livido grigio e rossi dalla stanchezza dolorosa di una veglia interminabile destinata a fallire. Midori aveva pronunciato quelle parole con abbandono sereno, un leggero sospiro, neanche tanto forte da smuovere l'aria. Una sentenza così pesante che sembrava fatta di cemento, nonostante fosse suonata come una semplice causa-conseguenza, un processo ineluttabile a cui sottomettersi.
Akira sollevò gli occhi a guardare la ragazza e si spaventò. Sulle labbra chiare, umide per le lacrime che continuavano a scendere senza che lei mostrasse di accorgersene o tentasse di asciugarle, aleggiava un sorriso sereno.
E ne ebbe paura.
Aveva capito che Midori non si sarebbe spenta in un suicidio volontario.
Avrebbe semplicemente cessato di esistere nel momento in cui Yuu l'avesse preceduta.
Dopo ore di attesa in quell’ospedale bianco ed asettico, dopo che sembrava non essere rimasto abbastanza fiato per parlare o anche soltanto per singhiozzare, Midori si era allontanata dalle braccia di Yutaka e aveva allungato la mano per prendere quella di Yuu, stesa sul lenzuolo candido, come poche ore prima lui aveva fatto con lei. Dopo tanto tempo, la sua espressione sembrava quasi sollevata. Aveva vinto sul suo cuore, benché in ritardo.
Lo avrebbe obbligato a tacere per sempre, così come lui l’aveva costretta a non vivere i sentimenti che le erano nati nel petto e che aveva soffocato fino a credere di non averli mai provati.

Avevo sentito il telefono squillare e mi era corso un brivido lungo la schiena. Quasi presagissi quel che stava accedendo, avevo risposto con il respiro spezzato. Nel brevissimo tempo che corse dal mio “Pronto?” alla risposta dell’interlocutore, pregai tutti gli Dèi che fosse Yuu. Lo avrei implorato di tornare da me. Incurante degli scherzi bastardi e scorretti del mio cuore, gli avrei chiesto, lo avrei supplicato di tornare tra le mie braccia. Ero stanca di aspettare che la lastra di marmo che avevo sul petto si spezzasse da sola. Volevo che si frantumasse per mano mia. Non potevo chiedere ulteriori sforzi a nessuno, meno che mai a Yuu.
Ma volevo che lui fosse con me.
Volevo che sapesse che lo volevo con me. Lui, lui e nessun altro.
Invece di aspettare che mi capitasse di amare, avevo deciso di farlo e basta. Temevo soltanto di non essere più in tempo, eppure ero convinta… in qualche modo… che ovunque si trovasse, Yuu non mi avrebbe rinfacciato questo ritardo.
Ma non mi rispose la sua voce.
“Midori… Ti chiedo scusa per l’ora.”
Akira.
Akira che mi telefonava alle sei di mattina.
Akira con la voce tremante e piena di pianto.
“Cosa è successo a Yuu?” sussurrai in risposta.
Che questa fosse l’unica ragione per chiamarmi a quell’ora ed in quello stato trovò conferma nei singhiozzi disperati che seguirono dall’altro capo del telefono.
Ed io cominciai a morire.

Akira, il viso una pallida maschera di angoscia, la guardò come se la vedesse per la prima volta. Erano soli, adesso, nella stanza. Yutaka aveva appena chiuso la porta alle sue spalle.
Si accorse che aveva la rigogliosa bellezza spezzata di un fiore che, appena sbocciato, non fa in tempo a mostrare i suoi colori al cielo che subito cade sotto la falce del contadino, assieme all’erba comune.
Vide le sue mani stringere quella di Yuu con delicatezza, e scorse entrambi sull’orlo dello stesso profondo precipizio. Senza realmente volerlo, come se i muscoli del suo viso fossero tanto stanchi da non saper più come muoversi, sorrise appena, un accenno di doloroso piacere.
“E non è amore, questo?” mormorò.
Midori distolse lo sguardo dal volto cereo di Yuu e guardò spaesata Akira, annebbiata.
“Ti sei costantemente disprezzata perché eri certa che si meritasse molto più del poco che potevi dargli, quando la prima ad imporre dei limiti su se stessa eri soltanto tu. Non ti sei mai chiesta perché Yuu non si cercasse un’altra donna, Midori?”
Lei sbatté le palpebre increspando le labbra.
“Perché mi ama.”
“No. Perché tu lo ami. Ma neppure lo sapevi. Lui invece sì. Aspettava soltanto che te ne accorgessi tu.”
La ragazza sembrò perdersi in quelle poche parole e chinò il capo. Akira si alzò e le andò accanto:
“Ascoltami, Midori, e ascoltami adesso. Nessuno potrebbe mai azzardarsi a dire che non gli hai dato tutto quello che potevi. Ma non è questo. E’ che tu gli davi quello che sentivi. Capisci la differenza?”
“Ti prego, non parlare al passato” implorò lei, ma Akira la prese per le spalle e la costrinse ad ascoltarlo:
“Capisci la differenza? Lo hai sempre amato, ma non lo hai mai creduto. E pensavi di non potergli concedere di più perché eri certa che non bastasse, che dovevi amarlo come meritava e che quindi non lo stavi facendo, ma non è così. I limiti che credi ti siano imposti, in realtà non ci sono. Pensare di non amare abbastanza non significa che non stai amando affatto. Probabilmente a questo punto lo ami più di quanto lui stesso speri. Perché non riesci a sentirlo, se ti si legge in viso?”
Midori inghiottì i singhiozzi e lo fissò interdetta.
Restarono in silenzio per diverso tempo, a fissarsi.
“Ti odierei se fosse stata colpa tua finora. Ma adesso che lo sai e lo hai capito non puoi tirarti indietro, o mi dai un’ottima ragione per detestare il tuo solo pensiero” esclamò il biondo, con un accenno di sorriso. Midori sbuffò a metà tra un singhiozzo e un sorriso e annuì, staccando una mano da quella di Yuu per tenderla ad Akira che la strinse:
“Grazie.”
La porta si aprì ed il dottor Yamada entrò con la cartella clinica di Yuu tra le mani, seguito da Kouyou, Yutaka e Takanori. Akira e Midori si alzarono, ma la ragazza non lasciò andare la mano del moro mentre il medico controllava il grafico delle macchine accanto al letto e confrontava i risultati delle analisi precedenti.
Infine, posò i piccoli occhi grigi sui loro volti e l’espressione burbera si distese in un sorriso pacato.
“E’ fuori pericolo, le condizioni sono stabili. L’effetto dei farmaci dovrebbe cessare tra poco, quindi potete restare finché non si sveglia, ma badate bene di non disturbarlo né affaticarlo.”
Le espressioni di pura euforia sul volto dei cinque giovani di fronte a lui lo scosse un po’:
“Beh, pensavate fosse in serio pericolo? Il vostro amico ha subìto un bel trauma, ma è giovane ed in buona salute, senza contare che evidentemente ha la testa dura. D’altronde non è il solo, qui: glielo avevo detto al signor Suzuki che non era il caso di chiamare l’intera truppa al suo capezzale, ma naturalmente era troppo impegnato a farlo di già quando ci ho provato, e in fondo chi dà più retta ai dottori a questo mondo? E poi si lamentano se le cose non vanno bene…” continuò a bofonchiare, uscendo, totalmente ignorato dai presenti nella camera.
Midori si sedette nuovamente accanto al letto, guardando con la coda dell’occhio i quattro ragazzi scambiarsi silenziosi abbracci o pacche sulle spalle e sorrisi allegri, e si concentrò solo sul volto il cui sorriso attendeva di rivedere con impazienza.

Itsuka eien no nemuri ni tsuku hi made dou ka sono egao ga
taema naku aru you ni
Fino al giorno in cui raggiungerò il sonno eterno,
quel volto sorridente dovrà restarmi accanto.


Mi è difficile spiegare adesso cosa provai quando sentii le tue dita stringere piano le mie, e vederti aprire gli occhi poco a poco. E’ strano pensare che per un’intera mezza giornata ho creduto che sarebbero rimasti sigillati. Eppure, quando mi hai vista al tuo fianco e il mio sguardo si è allacciato al tuo, mi sono convinta di aver sempre saputo non solo che ti amavo, ma che se io vivevo, non potevi fare diversamente. Lo scoglio più grande lo avevamo superato, come ama ripetere Akira, “il frontale con un SUV al confronto è stato uno schiaffetto, no?”.
Non manchi mai di dargli una pacca sulla nuca quando se ne esce con questa battuta, e se ti sono vicina, mi attiri al tuo fianco e mi avvolgi col il tuo sorriso più radioso.
Ma a me non dispiace ricordare quanto sono stata stupida, cieca e folle in passato. E’ un ottimo metodo per evitare di esserlo ancora in futuro.
Durante quei giorni in cui mentivo continuamente a me stessa per la paura di non provare quel che già mi riempiva, tu già possedevi completamente il mio cuore.
L’amore è qualcosa di talmente terrificante che è quasi normale cercare di sfuggirgli pur cercandolo con tutta l’anima. Ed è talmente ingannatore che neppure te ne fa rendere conto, se già ti è vicino.
Non vorrei vivere una vita diversa da quella che sto trascorrendo con te, nemmeno se scoprissi che altrove c’è chi potrebbe amarti più di me. So che non vorresti nessun’altra al tuo fianco, e non perché mi ami, ma perché vuoi che sia io ad amarti, io sola. Quanto a me, non potrei veramente sperare di sentirmi più cara di così per qualcuno. Mi basta lo sguardo di illimitato affetto col quale mi accarezzi non appena varchi la soglia di casa e mi trovi seduta sul divano, con Minoshi in braccio.
Nonostante questa meravigliosa, unica chitarra sia mia, l’ho sempre sentita come un’estensione di te. Mi basta guardarla per sentirti dietro le mie spalle, ed il tempo che trascorro a farla cantare si accorcia, riportandoti prima tra le mie braccia. Mi hai confessato che ne sei stato geloso per diverso tempo, sapendo che ogni giorno da quella volta tornavo ad ammirarla, e che quando me l’hai comprata hai pensato che almeno uno di voi due dovesse stare con me, e che forse tramite lei anche tu mi avresti raggiunta.
Non mi hai permesso di chiedermi quanto male devo averti fatto.
Mi hai stretta tra le braccia amandomi finchè non ti ho sussurrato l’unica cosa che vale la pena ripeterti in eterno.
“Ti amo.”



Deatta ano koro wa subete ga bukiyou de. Toomawari shita yo ne?
Tadoritsuitan da ne.
Allora, quando ci incontrammo, tutto era scomodo.
Abbiamo intrapreso un lungo cammino, vero?
Alla fine, ci siamo arrivati.










































Sembra che io sia destinata a scrivere solo quando sto male o quando sono sotto esami – che poi, pensandoci, è la stessa cosa XD
Bene. Rieccoci.
Non mi piace!!! Uffa!!! UFFA! Sapete che si fa? Se mi viene una botta d’ispirazione la riscrivo u.u cioè, riscrivo l’ultima parte, perché a me questa cosa dell’ospedale non mi piace. D’altronde, se quel furbastro la piantasse di fare il motociclista per caso, eviterei di avere certe idee U.U

Ovviamente la vicenda si basa su esperienze personali – la povera Mya sa, le ho rotto abbastanza le scatole su questo tema – e tra l’altro recentissime. Perché quella meraviglia, la mia bambina, la mia Minoshi – l’avevo chiamata così, e tramite Yuu vi ho spiegato perché – è stata venduta venerdì.
Ora una bellissima Fender Stratocaster espone la sua figura raffinata in vetrina. Ma il negozio sembra buio, senza quel riflesso cangiante di seta indiana.
Per questo ho scelto come nome della protagonista Midori, per poter giocare sia sul colore che sul nome proprio. So che midori non significa smeraldo, ma se Yuu avesse detto “E’ una perla di verde” avrebbe fatto ridere i polli, e dovevo per forza fargli dire “di’’, sennò non sarebbe venuto bene il gioco “perla di smeraldo, perla di Midori’’.
Mi son presa una licenza poetica, dài.
Se è per questo, mi son presa anche la licenza di pretendere che almeno un mio alter ego potesse averla, la mia bambina.
Cantava come un angelo ed era stupenda. Anche qualcuno che non ama le chitarre l’avrebbe ammirata.
Quel frammento di immagine all'inizio della pagina ne raffigura le libellule sulla cassa. Vedete come volano, perlacee, sul mare verde scuro?
Ecco. Non mi mancherà mai abbastanza.

La canzone – se qualcuno di voi ha mai visto Inuyasha la conosce – si chiama Dearest ed è cantata da Ayumi Hamasaki. L’ho un po’ tradotta io e un po’ trovata su internet, ma essendoci due traduzioni diverse ho preferito rifarne una da me, quindi è MOLTO probabile che ci sia qualche errore. Però il senso è quello e dopotutto mi serviva il significato, mica altro u.u

Ahm, a proposito di chitarre e chitarristi…
Qualcuno di voi saprà – vedo già delle mani alzate, guardale! – che oggi è il dodicesimo anniversario della morte di Hide.
Non aggiungo altro. Chi vuole comprende.
Però, caro Pink Spider, una cosa te la chiedo. Anzi due.
E siccome tu per forza rientri nei due campi, non posso che chiederle a te.
Grazie.

Mhm, che altro aggiungo?
Ah, sì. Midori non è scema, casomai qualcuno lo avesse pensato XD
Il suo rapporto con Aoi assomiglia un po’ a quello di Catherine con Heathcliff di Cime Tempestose, vero? Lo ama, ma non può starci assieme. Solo che nel romanzo ci sono diversi fattori che comportano a Catherine l’impossibilità di realizzare il suo amore, primo tra tutti (tanto per dire) il fatto di essere sposata XD
Da un lato, mi vengono in mente anche Scarlett O’Hara e Rhett Buttler, ma è ancora diverso: loro due fanno finta di non amarsi, mentre in realtà si amano, solo che lo fanno tanto alternativamente che non si beccano mai nel momento giusto.

Midori è affetta da apatia sentimentale. Succede, a volte.
Non penso sia vittimismo, sennò non ci sarebbe la voglia di farsi battere il cuore a mille per una persona, anzi, per il semplice sguardo di una persona.
E la paura non c’entra, per lo stesso principio.
E’ proprio torpore. Mancanza di voglia di rimettersi in gioco, di rimettersi a pensare, a provare, a cedere… guardate che è una faticaccia amare, eh. Tutti la fanno facile, sembra la cosa più semplice del mondo a sentire certa gente.
Non è mica vero! E’ un’impresa! Avete visto come Ulisse prende ed espugna Troia?
Nel libro lo stratagemma del cavallo e la conseguente conquista di Ilio durerà quanto, cinque pagine? E nel film, dieci minuti?
Sembra una cosa veloce e lineare, giusto?
Se però nella vita reale ci son voluti dieci anni, un motivo ci sarà.
E’ la stessa cosa.
Una persona, dopo ferite, abbandoni, dolori e tanti cedimenti, decide che sia meglio mettersi a riposo tranquilla e lasciar perdere i sentimenti un po’.
Solo che, come dice Leona Lewis, “time starts to pass, and before you know it, you’re frozen”.
Quindi alla fine si rischia di restare statici e cristallizzati.
Ecco perché nonostante quello che prova è convinta di non sapere amare.
Perché quando perdi la sensazione di un’emozione, non sai più se fai quello che senti o se fai quello che credi di sentire.
E pensi che non basti e che ormai sei troppo fredda per fare di più.
Midori agisce come sente, invece. Ecco perché Akira glielo dice chiaro e tondo, che sa amare eccome. Se sentisse diversamente agirebbe diversamente.
Il concetto è complicato, ma d’altronde se gli Dèi stessi sottostanno a quell’infame di Eros un motivo c’è =_=’

Mya: grazie. Grazie. Grazie per l’altra sera, grazie del sostegno, grazie per avermi capita e consolata.
Ti adoro. Ti amerei se anche io non fossi affetta da apatia sentimentale, ma sappi che è meglio così XD
Grazie. Grazie, grazie, grazie. Ti voglio bene.

Guren: Addirittura!!! A me non è piaciuta granchè, ma d’altronde è raro che mi piaccia quel che scrivo XD grazie cucciola *w* la mia bimba adorabile. Posto e corro a leggere Sinner!!!
Ti voglio bene!

Lion of darkness: grazie infinite!!! *si inchina* Ho fatto del mio meglio raccattando qualcosa sulla sua personalità da interviste e cose varie. Mi piacerebbe che tale fic non fosse reale, ma appunto, io son maledetta ^.^’’
Grazie davvero!

Ah, ringrazio infinitamente anche BlackAngel e Kiki che me l’hanno commentata praticamente tramite mail *w* Grazie tesori miei, grazie, grazie.

Un abbraccio a tutti, con questa stacco XD
Jo

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