L'arcobaleno del male

di Freya Crystal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Checkmate for ... (Scatto matto per ...) ***
Capitolo 2: *** Necessity or temptation? (Necessità o tentazione?) ***
Capitolo 3: *** The secret weapon. ( L'arma segreta) ***
Capitolo 4: *** Take away from me. (Portata via da me) ***
Capitolo 5: *** To defeat my sin. (Sconfiggere il mio peccato) ***
Capitolo 6: *** Impossible choice. (Scelta impossibile) ***



Capitolo 1
*** Checkmate for ... (Scatto matto per ...) ***


Titolo del capitolo: Checkmate for… (Scacco matto per…)
Personaggi principali associati al peccato: Rosalie Hale
Personaggi secondari: Edward, Carlisle, Esme, Royce King, Cedric(nuovo personaggio).
Pairing(per storia): Rosalie/Edward (solo immaginario).
Raiting: giallo
Genere: generale
Avvertimenti: One shot





 


Di superbia educata, di superbia frodata, sono la regina senza corona…
                                                                                                 Herman Hesse.




Checkmate for…


Era alto e possente, dotato di spalle decisamente troppo larghe, ma tale era l’avvenenza del viso da rendere trascurabile quel suo unico difetto fisico; la mascella pronunciata gli donava grande sensualità, e la fossetta sul mento ingentiliva e addolciva il suo sguardo glaciale, blu profondo e avvolgente, ma tagliente e severo allo stesso tempo. Un ciuffo di capelli scuri ricadeva quasi a coprirgli un occhio. Spesso lo vedevo distogliere quella ondulata ciocca ribelle dal viso con una mano arrossata da piccole e numerose cicatrici, affinché potesse avere una visuale completa della splendida e florida ragazza che sedeva di fronte a lui. Non c’era da biasimarlo. Qualsiasi uomo avrebbe trovato particolarmente interessante osservare quella creatura angelica; fascino ed eleganza trasudavano da ogni suo gesto, che fosse un lieve movimento del capo o degli occhi , quei grandi occhi celesti la cui forma di rara bellezza pareva essere stata creata dalle mani di un esperto disegnatore. Lei non era una fatina bionda dalla pelle candida come ci si poteva aspettare; descriverla risulta impossibile e dispersivo: la sua era una bellezza che le parole e l’immaginazione avrebbero banalizzato, e adesso è ancora più abbagliante. Quella ragazza seduta in una postura impeccabile nel salotto di casa sua ero io: Rosalie Hale. 
L’uomo si chiamava Cedric, e aveva all’incirca ventisei anni. Sapevo che donne e giovani adolescenti morivano per lui, tutte sognavano di averlo come sposo o come amante. In quel momento il loro principe si trovava in casa Hale, seduto di fronte a me, con aria incantata. 
Mio padre  stava ostentando una certa freddezza nei suoi confronti, perché era venuto a sapere della sua truffa. Temeva che se lo avessi sposato, sarei andata in rovina anche io per diffamazione da parte di potenti e rivali imprenditori.
Detestavo i formalismi nei discorsi politici ed economici, erano solo dei giri di parole per arrivare al vero scopo della visita: la mia questione matrimoniale. Io facevo solo da presenza, dovevo restare in silenzio e mantenere la mia dignitosa postura, mentre Victor, il padre di Cedric, conversava col mio. 
Cedric teneva gli occhi fissi sul mio viso, come se volesse avvolgermi col calore e il passionale desiderio che trapelavano dal suo sguardo. Io continuavo ad osservare l’elaborato vaso posato sul tavolo che s’intravedeva oltre le sue ampie spalle, per nulla intimidita da lui, anzi, a mio completo agio: mio compito nella vita era lasciarmi contemplare dagli altri. 
Giurai di aver visto più volte nel corso della conversazione lo stesso padre di Cedric distogliere lo sguardo da mio padre e guardarmi segretamente, senza riuscire a saziarsi della mia vista in quei brevi istanti. Ero abituata a tutto ciò, io potevo concedermi la superbia di ritenermi la più bella di tutte, del resto ero convinta fosse l’incontestabile e palese verità. Persino mio padre, l’uomo che mi aveva cresciuta e protetta ,oramai defunto, aveva iniziato a fissarmi con proibito desiderio nel corso della mia crescita. Di una cosa mi aveva sempre -e inutilmente- rimproverato: secondo lui tenevo la testa e gli occhi sollevati più del dovuto, e quel mio gesto era un atto di maleducazione, da biasimare. Ma io detestavo guardare in basso, io volevo guardare in faccia le persone che avevo di fronte, pensavo di averne il diritto, dato che gli occhi erano i miei. Bella com’ero ,meritavo di permettere agli sguardi meravigliati degli uomini e invidiosi delle donne di godere appieno del mio viso. Non volevo nascondermi. Quello che invece continuava a nascondersi era proprio mio padre, si rifugiava dietro la scusa che dovevo comportarmi bene perché non poteva ammettere a se stesso di essere infastidito quando gli uomini mi guardavano. Ci rimasi male nel momento in cui comunicò a Victor che non aveva intenzione di permettere il mio matrimonio con suo figlio. In fondo a me Cedric non dispiaceva. Ero consapevole di dover sposare un uomo ricco, ma avrei voluto essere libera di decidere personalmente la persona a cui legarmi per il resto della mia vita. Allora ero stupida e superficiale: pensavo di avere il diritto di fare e decidere ciò che volevo grazie alla mia bellezza, pensavo che quella mi sarebbe bastata per non dover sottostare agli obblighi impostimi dagli altri, compresi i miei genitori. Finché non capii che ciò che avevo sempre considerato un’arma potente, al contempo era pericolosa e portatrice di sofferenza. 
L’anno successivo all’incontro avvenuto con Cedric e Victor, conobbi Royce King, il figlio del proprietario bancario per cui lavorava mio padre, colui che era destinato a risollevare la società nel periodo della grande depressione. Fu Royce King a farmi capire il danno infertomi da madre natura, fu lui a smontare i miei sogni e a ricostruirli in un'unica grande illusione: l’illusione della felicità che mi aspettava dietro l’angolo, ma che non sarebbe mai arrivata. La mia vita umana ebbe un triste finale, ciò che avevo sempre desiderato si rivelò essere diventato una favola irrealizzabile. 
Quando Carlisle mi trovò abbandonata sulla strada, mentre i fiocchi di neve si depositavano sul mio corpo stanco, umiliato e disfatto dai ripetuti e atroci abusi che avevo subito, la mia esistenza cambiò. Carlisle mi fece diventare un nuovo essere, mi trasformò in una vampira; fu proprio colui che quasi detestavo per la sua bellezza spropositata a darmi un’altra vita. Non avevo mai visto di buon occhio né lui né il ragazzo che si diceva essere suo figlio, perché entrambi erano più belli di me, e questo mi irritava profondamente. Avevo sempre vissuto con la certezza di essere la migliore in quanto ad aspetto esteriore; sentir parlare o, peggio ancora, vedere i Cullen, mi infastidiva, perché loro sgretolavano la mia convinzione.
Per tre giorni infernali Carlisle rimase al mio fianco e mi parlò con voce dolce, come si fa con i bambini quando hanno bisogno di essere tranquillizzati perché fuori dalla loro cameretta imperversa il temporale. Mi ripeteva le sue scuse ogni volta che gemevo di dolore e mi teneva la mano, cercando di farmi realizzare cose mi fosse accaduto e cos’ero diventata. 
Quando il doloroso processo della mia trasformazione finì, potei parlare faccia a faccia con il dottor Cullen e sua moglie Esme. Mi spiegarono che anche loro erano dei vampiri e mi dissero che il mio aspetto fisico aveva subito dei mutamenti. Terrorizzata, chiesi loro di potermi guardare allo specchio. Le mie paure svanirono in un istante quando vidi la mia figura riflessa nel vetro: ero diventata la cosa più bella che avessi mai visto. 
Arrivò la volta in cui mi dovetti trovare faccia a faccia anche con Edward, il ragazzo vampiro che Carlisle ed Esme avevano adottato. Era appena tornato dalla caccia e quando Carlisle me lo presentò, lessi solo ostilità e diffidenza nei suoi occhi dorati, nessuna meraviglia. A seguito della mia trasformazione la mia bellezza si era ulteriormente intensificata fino a divenire abbagliante, eppure Edward mi aveva guardata come se avesse avuto di fronte una ragazza qualsiasi: era la prima volta che mi accadeva una cosa del genere, e non mi stava bene.
Da quel nostro primo incontro lanciai una sfida personale a me stessa: prima o poi sarei riuscita ad attirare l’attenzione di maschio, qual’era Edward, su di me. Non che lui mi piacesse, ma pretendevo di sentirmi dire “Sei bellissima”, o di essere guardata con desiderio anche da lui come avevano sempre fatto tutti gli altri. Trovavo la sua indifferenza nei miei confronti  inaccettabile ed inspiegabile. 
La prima volta che andai a caccia, Carlisle ed Esme mi insegnarono come catturare le mie prede. Mi comportai da cacciatrice esperta che non aveva bisogno di aiuto. D’indole ribelle, ero sempre stata costretta a sottomettermi al volere dei miei genitori; nella mia nuova, triste ed eterna vita, pretendevo almeno di poter essere autonoma e indipendente. Così il mio primo pasto a base di sangue animale me lo guadagnai da sola. Edward si allontanò da me, Carlisle ed Esme, perché la mia presenza non gli era gradita.
-Si abituerà a te, vedrai. Edward è un tipo difficile, ma dagli tempo e imparerà ad accettarti.-, mi disse Carlisle quando fummo di ritorno dalla caccia. Tuttavia mano a mano che giorni passavano, cominciavo a dubitare delle sue parole. Edward trascorreva le giornate chiuso nella sua stanza, a pensare e a ripensare. Era come se avesse colto la sfida segreta che gli avevo lanciato dallo sguardo provocatorio che gli rivolgevo ogni volta che incrociavo i suoi occhi, era come se lui fosse a conoscenza dell’obbiettivo che mi ero prefissata di raggiungere. Ma benché le parole di Carlisle mi risultassero sempre meno convincenti, io non mi scoraggiavo, anzi, divenivo sempre più agguerrita. Avevo intenzione di vincere la nostra sfida personale, ed ero certa che, fossero passati secoli, avrei ottenuto ciò che volevo.
Carlisle ed Esme proposero a me ed Edward di andare a caccia senza di loro, così da avere un valido pretesto per lasciarci soli. Ero talmente desiderosa di fare colpo su di lui, che non mi preoccupai minimamente di Carlisle ed Esme, i quali speravano nella nascita di un sentimento ben più profondo e reciproco di quanto volessi io tra me ed Edward. Il mio obbiettivo? Sedurre l’algido principe dagli occhi dorati. Il loro? Vedere Edward innamorato di me.




*******


Erano passati circa due mesi ormai da quando ero entrata a far parte della famiglia Cullen. In un’umida mattinata d’autunno, Edward uscì di casa con aria infastidita salutando a stento e dichiarando che aveva bisogno di nutrirsi. Io colsi l’occasione per rimanere sola con lui e lo seguii. Sfrecciai silenziosa e leggiadra tra gli alberi mantenendomi a debita distanza per non farmi scoprire, finché lui si fermò ai piedi di un albero dalla folta chioma che oscurava il cielo sopra di noi. Decisi che era il momento adatto per rivelarmi. Sbucai da dietro una pianta con camminata sinuosa ed elegante, mi fermai di fronte a lui e gli rivolsi un’occhiata penetrante, seria in viso. I miei sorrisi erano troppo preziosi, non potevo regalarne a chi non se li meritava.
 -Rosalie.-, mi salutò con tono distaccato.
-Edward.-, ricambiai eloquentemente.
Qualcosa mi disse che si era accorto che lo stavo seguendo. La mia superbia mi portò a pensare che si fosse fermato in un posto riparato perché aveva deciso di dichiarare la sua attrazione verso di me. Pregustavo già il trionfo, quando lui mi spiazzò con le sue constatazioni. – Senti, dovresti smetterla. Non ti rendi conto dello spreco di tempo che stai facendo.- 
Subito non capii dove volesse andare a parare.
-Non riuscirai mai a sedurmi per il tuo intento personale.-
Quella fu la frase che gli fece fare scacco matto.
-Sei davvero così superbo da credere a ciò che hai detto?-, gli dissi con aria sostenuta.
Edward alzò un sopracciglio e mi lanciò un’occhiata sprezzante lasciandosi andare ad una risata senza gioia. 
-Qui l’unica superba sei tu.-
Lo fissai dura, irritata e sorpresa, senza riuscire a capire come avesse fatto a scoprirmi. Carlisle ed Esme non potevano averglielo detto.
-Non puoi giocare con me. Non te l’ho mai permesso, e non te lo permetterò mai.- sibilò. – Cosa m’importa del tuo bel aspetto, se è tutto ciò che hai da dare? -
Quelle parole penetrarono a fondo dentro di me senza che potessi accorgermene, mi ferirono. Un ringhio fuoriuscì dalla mia bocca. Edward continuò il suo discorso  imperterrito. –Carlisle si è dimenticato di rivelarti un piccolo dettaglio: so leggere nel pensiero.-
Fu come se mi avessero gettato raffiche di pietre taglienti e gelide nello stomaco. Doppio scacco matto a Rosalie Hale Cullen.
Non poteva essere vero, mi stava prendendo in giro.
-Si che è vero, non ti sto prendendo in giro. Però su una questione siamo d’accordo: ho fatto doppio scacco matto.-
Mi fissava soddisfatto. Mi aveva in pugno. Visivamente e mentalmente. 
Come potevo contrastare quella sua capacità sovrannaturale? Come potevo sfuggirgli? Cercai disperatamente di annullare ogni mio pensiero e di svuotare la mente.
-Rilassati, non ho più intenzione di entrare nella tua mente da questo momento in poi. Oggi mi hai stancato abbastanza mentre ti torturavi per cercare una soluzione al tuo stupido dilemma, tanto che per avere un po’ di pace ho dovuto lasciare quella stessa casa che sono costretto a dividere anche con te.-
Tacevo, umiliata e piena di vergogna. Ciò che più mi rammaricava era non avere niente di sensato da dire. Ero rigida come uno stoccafisso.
-La tua innata bellezza ti ha rovinata, Rosalie Hale.- Edward scandì ogni parola con decisione, calcando il mio nome. Interpretai quel suo atteggiamento come un modo per sottolineare che non mi avrebbe mai accettata come una sua famigliare, che per lui non sarei mai diventata una Cullen. Ma nonostante quella constatazione, riscoprii che il mio turbamento era incentrato principalmente sulle prime parole. 
Tua bellezza. Rovina. Innata. Innata bellezza uguale rovina. La mia innata bellezza equivaleva alla mia  rovina.
Quelle parole rimbombarono nelle mie orecchie come pugnali pronti a lacerarmi i timpani, riecheggiarono acute. Infinitamente e dolorosamente. 
Edward aveva ragione: la mia straordinaria bellezza era tutto ciò che avevo da dare, ed essa era stata la causa della fine della mia vita e dei miei sogni infranti.
-Hai un’eternità davanti per imparare a capire il valore dell’esistenza. Ti è stata data una seconda possibilità- Edward parve raddolcirsi. -Ritieniti fortunata.-
Che cosa si aspettava? Che gli facessi le mie scuse? Mai, quelle poteva scordarsele.
-Non voglio le tue scuse, non saprei di che farmene.-
-Smettila d’invadere la mia mente!-, gridai frustrata.
-Lo farò. Ti va di cacciare?-
Colsi la sua richiesta dapprima con sospetto, poi lessi nei suoi occhi una luce nuova, l’ombra di un sorriso. Per la seconda volta, quel girono Edward riuscì a spiazzarmi. Volevo rispondergli di no, ma straordinariamente riuscii a mettere da parte l’orgoglio e ad accettare la sua richiesta. Dopotutto, era stato lui a chiedermelo …Avevo pur sempre vinto la mia sfida, e non importava come.
-Vediamo se sei bravo ad azzannare quanto a leggere nel pensiero.-, risposi con voce tagliente e aggressiva.
Lui in tutta risposta rise divertito ...Divertito dal mio comportamento. Ancora una volta fu il primo a dimostrare tale sentimento nei miei confronti. 
Ma in fondo, mentre i nostri sguardi di sfida s’incrociavano e noi sfrecciavamo tra gli alberi, non provai rancore nei confronti di Edward, anzi, grazie a lui sentii che il mio umore si era un po’ sollevato e che ero quasi …quasi felice. Avevo trovato un fratello.
Il tempo passò. Giorni, settimane e mesi volarono in un battito d’ali. E io attuai la mia vendetta verso Royce King e i suoi vigliacchi amici.  Una vendetta spietata. Consolatrice. Dolce. Meritata. 
Così non potei incolpare del triste finale della mia prima vita la bellezza che ero costretta a fronteggiare ogni volta che mi guardavo allo specchio. 
L’unico colpevole fu Royce King.

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Capitolo 2
*** Necessity or temptation? (Necessità o tentazione?) ***


Titolo del capitolo: Necessity or temptation? (Necessita o tentazione?) .
Personaggi principali associati al peccato: Carlisle Cullen.
Personaggi secondari: nessuno.
Pairing: nessuno.
Raiting: giallo.
Genere: introspettivo, sovrannaturale.
Avvertimenti: one shot.



 


                                                                                                                                 Gola è mantenimento della vita
                                                                                                                                                   Leonardo da Vinci.



Necessity or temptation?


Che cosa mi era successo? Da dove proveniva quel dolore assurdo? Mi avevano dato fuoco dopo avermi cosparso di olio e gettato nell’acqua bollente? Mi avevano triturato lentamente le ossa? Mi avevano imbottito le vene di acido scoppiettante?
Avevo l’elettricità e le fiamme in corpo. Carne, sangue, muscoli, ossa e organi erano dilaniati dalla sofferenza.
Ma da qualche parte nel mio cervello era rimasto un briciolo di razionalità. Continuavo a ripetermi che non dovevo urlare. Dovevo ingoiare l’aria e ricacciarla giù per la gola, potevo contorcermi e dimenarmi tra gli spasmi, ma non un solo suono sarebbe dovuto uscire dalla mia bocca.
Avevo la sensazione di aver vissuto in coma per un anno, attimo dopo attimo, minuto dopo minuto, ora dopo ora, in un’agonia di silenzio sempre più dolorosa e devastante.
Poi mi ero risvegliato. Il calore era svanito, ero stato  prosciugato e spogliato di qualcosa dentro di me. Le palpitazioni erano diventate sempre più lente e rare, finché come un orologio guasto le cui lancette arrivano all’ultimo rintocco, il mio cuore si era fermato con un sordo e debole “tum”. Da lì un liquido gelido aveva preso a scorrere in tutto il mio corpo. Avevo la sensazione di essere stato gettato in un mare di fuoco e poi di essere stato ripescato e buttato in un mare ghiacciato.
Ma il dolore era finito. Di colpo, inspiegabilmente.
Solo allora riuscii a formulare una frase nella mia testa: “Sono diventato un vampiro.”
Mi alzai in piedi e riemersi da una montagna di patate marce. L’odore disgustoso colpì fortemente le mie narici fino a stordirmi. Probabilmente i miei sensi erano diventati molto più sensibili dopo la trasformazione.
Cosa potevo fare? Dove dovevo andare? La risposta fu una sola: “Andare lontano.” Prima di imbattermi in qualcuno e di avere il desiderio di attaccarlo, dovevo lasciare la città e raggiungere un luogo isolato. Iniziai a correre senza accorgermi della pazzesca velocità a cui stavo andando, troppo sconvolto per dargli importanza. Mi ritrovai all’aria aperta, ma il terrore di fissare i miei occhi in quelli di una persona innocente, mi spinse a non soffermarmi ad osservare il luogo circostante. Dovevo solo correre e non fermarmi più, quello era il mio compito. Arrivai in riva a un lago, non avevo il fiatone, ne i muscoli pesanti. Mi inginocchiai per osservare l’argentea superficie illuminata dalla luce lunare. Il riflesso dell’acqua restituì l’immagine di un volto dalla bellezza statuaria e spaventosa, l’espressione segnata dall’orrore. I miei occhi erano diventati color cremisi, accesi di una luce maligna. La mia pelle aveva assunto la tonalità dell’avorio, tanto che l’acqua scura pareva  illuminata da una grossa pietra. L’unica cosa famigliare che notai furono i miei capelli dorati. Non mi riconoscevo più.
Ero diventato un mostro.Una preda per il mio stesso padre, una di quelle creature che lui mi aveva costretto a perseguitare.
Mi rimisi in piedi e fissai il cerchio perfetto della luna. Era l’unica testimone del mio dolore, l’unica che mi stesse osservando, superba e irraggiungibile. Allora urlai. Urlai per tutto il tempo che avrei voluto farlo ma avevo deciso di trattenermi, urlai per sfogare in minima parte la frustrazione, l’amarezza e la disperazione che avevo dentro di me, dentro il corpo di un essere alieno, crudele e pericoloso.
Il mio olfatto fu catturato da un dolce odore e subito una voce spietata mi ordinò di raggiungere la fonte di quel profumo e di entrare in azione. La gola per protesta alla mia immobilità iniziò a pizzicarmi. La mia bocca era diventata improvvisamente secca e arida.
Il disgusto verso me stesso m’invase quando capii che quell’odore che mi stava tentando era quello di sangue umano. Ne avevo la certezza. Con un ringhio disperato mi gettai nel lago e mi lasciai affondare nelle oscure profondità. Eppure, anche se avevo smesso di respirare, stavo bene. Capii che non avevo bisogno di ossigeno. Fu un inutile tentativo di suicidio.
Riemersi sulla terra al solo scopo di trovare un altro modo per morire. Ancora una volta la voglia irresistibile di dissetarmi m’aggredì. Desideravo il sangue per gustarne il sapore, non per placare la sete. La mia non era una necessità, ma una tentazione.
Il mio corpo era teso, pronto a scattare verso il più vicino centro abitato, ma la mente mi imponeva di andare in un’altra direzione. Ero diviso in due: ma fu il disgusto a prevalere e a darmi la forza di non cedere. Ricominciai la mia corsa senza meta.  Appena avessi trovato un burrone o una sporgenza rocciosa mi sarei buttato giù. Fortunatamente l’agilità e l’equilibrio perfetto dei miei movimenti poterono rendersi utili mentre mi arrampicavo.
Quanto potevo essere lontano dalla città? Se mi fossi trovato vicino, o addirittura dentro di essa… cosa avrei fatto?
Una strage. Fiumi interi tutti per te. Mucchi di corpi  di bambini, giovani e adulti stesi a terra, prosciugati fino alla loro ultima dolce, gustosa goccia di sangue.
- NO! -, gridai furioso. Non avevo la minima intenzione di dare ascolto alla voce del mostro, istintivo, folle e maligno, che aveva preso vita dentro di me.
“ Non sai cosa ti perdi. Così denso, rosso e caldo… Così saporito… Una linfa vitale che aspetta di entrare dentro di te. Ti piacerà, e tu lo sai.”
Smisi di respirare, focalizzai la mia vista sulla roccia nella quale mi stavo arrampicando.
Il vuoto: dovevo avere il vuoto nella mente, se non volevo cedere a quella voce ammaliante, altra non era che la mia.
E quello fu il mio secondo tentativo di suicidio. Ovviamente fallì. Quando mi gettai dalla sommità della roccia la mia pelle si scalfì e si ammaccò, ma solo per poco. Come per magia le mie ferite si rimarginarono. Capii che oltre ad essere diventato straordinariamente agile e a non avere bisogno di respirare, ero diventato molto resistente.
Ma doveva esserci un modo per morire, anche un vampiro poteva essere distrutto, me lo sentivo.
Correvo… Correvo… Correvo… Senza stancarmi. Non potevo rifugiarmi nel sonno per fermarmi. E mentre fuggivo dal mondo intero, la voce del sangue invocava il mio arrivo, cantava il mio nome, cercando di attirarmi nel suo abbraccio di morte come un’incantevole sirena, comparsa sulla superficie del mare per condurre un marinaio alla pazzia con la sua voce ultraterrena.
Stavo lottando contro l’istinto, dentro un incubo senza fine. E mentre aspettavo di morire tra i flutti del mare, sbattuto contro gli scogli taglienti, la voglia di sangue umano mi perseguitava.
Come potevo accettare di vivere in eterno con una sola possibilità di scelta? In eterno… Esseri viventi si sarebbero estinti, stelle sarebbero esplose, nuovi pianeti sarebbero nati… E io ci sarei sempre stato. Io non sarei mai sparito. No, non potevo accettarlo. Avrei visto cose che non avrei voluto vedere, avrei saputo cose che non volevo sapere.
L’acqua da nera si era fatta improvvisamente rossa. Rosso rubino, rosso cremisi, rosso porpora, rosso elettrico… Rosso sangue.
Vedevo il sangue ovunque. Lo sentivo ovunque. Il sangue e la morte erano i miei unici pensieri.
Nuotai… Nuotai… Nuotai… Il mare era pieno di creature pericolose, dovevo continuare a cercare.
Andai giù, sempre più giù, il più lontano possibile dalla superficie e dagli esseri umani. Ma quella profondità oscura fu in grado di spaventarmi persino dopo ciò che ero diventato. Con la mia vista acuta avevo intravisto tentacoli di dimensioni gigantesche muoversi intorno a me, piccolo essere indesiderato disperso in un mondo che non mi apparteneva. Decisi di risalire, consapevole che il profumo del sangue mi avrebbe aggredito non appena avessi toccato la terraferma. E mentre agitavo braccia e gambe, una piccola speranza si riaccese in me. Se avessi negato al mio corpo il nutrimento che esso richiedeva, allora sarei morto. Avrei dovuto resistere alla tentazione ancora un po’, ignorare il bruciore alla gola e dimenticare di avere una voragine nel petto. Avrei dovuto semplicemente aspettare.
I giorni passarono lenti e faticosi, il sole calava e riappariva, mentre la mia sofferenza rimaneva, aumentando istante dopo istante.
Ero talmente disperato che quando vidi passare un branco di cervi, ne attaccai uno.
… Fu come rinascere. Fu come guarire da una lunga malattia. Sentii di essere arrivato in paradiso quando i miei denti affondarono famelici nel collo caldo e delicato della mia povera preda. Dopo tanto tempo finalmente avevo ceduto, avevo placato la mia sete. E non per tentazione, ma per necessità.
Non avevo mai bevuto qualcosa di più succulento e dissetante prima d’allora. Succhiai il sangue dell’animale fino a prosciugarlo della sua ultima goccia, perché più ne bevevo più ne volevo.
Per quanto possa sembrare crudele e orrendo ciò che feci, io in quel momento provai sollievo, mi liberai di gran parte dell’angoscia che avevo tenuto dentro di me durante interminabili giorni. Fu un piacere indescrivibile sentire il sangue scorrere nel mio corpo e riempirlo.
Da quella volta capii che il destino mi aveva concesso una possibilità di scelta: non avrei ucciso umani, ma animali. In passato avevo già mangiato carne, da vampiro avrei cacciato per sopravvivere come tutti avevano sempre dovuto fare.
Capii che la legge della natura richiedeva a tutti di uccidere per mangiare, perfino i vegetariani, inconsapevolmente, mangiavano cose vive, perché anche i frutti e i vegetali facevano i figli e crescevano. Con quella consapevolezza non provai più disgusto verso me stesso, e fui in grado di soddisfare la mia gola ogni volta che avevo sete.


*******


Spazio dell'autrice:  ringrazio Ninfea Blu e Dragana per la loro bellissima recensione.
Ninfea Blu: grazie per i complimenti. Per mia fortuna non sono ancora vecchia XD Una cosa è certa: non ho intenzione di smettere di migliorare ;)
E' vero ciò che dici su Edward, il lato del suo carattere che ho espresso nella shot precedente, è un'esclusiva che lui riserva solo a Rosalie. Mi è piaciuto tentare di approfondire questo suo aspetto, appunto perché poco trattato in altre fanfiction. Volevo vedere cosa ne sarebbe saltato fuori.
Dragana: grazie infinite. Sono felice che la lettura sia stata di tuo gradimento. Miravo proprio a far riflettere Rosalie sul significato della sua bellezza. Spero di non essere stata banale. Devo ammettere che ciò che ha pensato Rosalie, io lo direi a me stessa se fossi meravigliosa come viene descritta lei.
P.s il colore del titolo è una specie di prugna/ violetto. Sostituisce il colore indaco dell'arcobaleno ;)

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Capitolo 3
*** The secret weapon. ( L'arma segreta) ***


Titolo del capitolo: The secret weapon. (L’arma segreta) .
Personaggi principali associati al peccato: Jasper Hale.
Personaggi secondari: Edward, Alice.
Pairing: Jasper/Alice, Jasper/Edward (senso fraterno) .
Raiting: giallo.
Genere: generale, introspettivo, sovrannaturale.
Avvertimenti: One shot.


 


Non appena nutrita, la rabbia muore: è il digiuno che la ingrassa.
                                                                                   Emily Dickinson.




The secret weapon



Un soldato scende in campo esponendosi al rischio di poter morire da un momento all’altro, e sopravvive solo in due casi: se la fortuna è dalla sua parte o se non fugge durante la battaglia. Ho sempre creduto di essere nato per fare il soldato, arruolatomi a soli diciassette anni nell’esercito, sono diventato  il maggiore più giovane del Texas. Eppure questa notte ho dimostrato di essere un codardo. Sono fuggito dalla mia stessa famiglia nella foresta. Il mostro che vive dentro di me ha preso il sopravvento e io non sono stato in grado di sconfiggerlo. Ho perso due volte.
Sono un soldato fallito.
Per placare la sete ho ucciso un orso e mentre bevevo il suo sangue ho immaginato che fosse quello di Bella. Non riesco ad accettare il fatto di essere l’anello più debole della famiglia. Come fanno gli altri a resistere ad un odore così buono? Perché loro ci riescono ed io no?
Ho affondato le unghie nella terra talmente in profondità da aver tolto rifugio agli insetti che vi dimoravano. E’ la rabbia ad impedirmi di stare fermo, quel maledetto, violento e intenso sentimento che non riesco a scacciare. Ho il potere di calmare e controllare le emozioni di coloro che mi stanno attorno, ma non riesco a farlo con me stesso. Perché? Dietro la maschera di tranquillità che mostro a tutti si cela il vero Jasper, il ragazzo impulsivo e irascibile che non è morto quando è diventato vampiro. Forse è per questo motivo che ho tale potere:  in passato ho peccato d’ira e la mia penitenza consiste nel non potermene liberare mentre assorbo le emozioni altrui.
Un cantante morto da pochi anni diceva che era meglio essere odiati per ciò che si è, piuttosto che essere amati per la maschera che si porta. Aveva ragione, nascondere una parte di sé agli altri fa sentire soli. E la solitudine eterna non è una compagna desiderabile.
Solo Alice ed Edward riescono a capirmi veramente a fondo. Edward può leggere nel profondo dei miei pensieri, mentre Alice… Lei è la mia medicina. E’ tutto ciò di cui ho sempre avuto bisogno, sprigiona tutti i sentimenti di cui vorrei sentirmi avvolto ogni istante: allegria, amore, positività, vivacità, voglia di vivere. Lei mi conosce a fondo perché ha voluto farlo. Ma ciò che non riesco a capire è il perché abbia voluto farlo. Forse perché ha visto la mia presenza nel suo futuro? Forse perché è convinta che io faccia parte del suo destino? E se si fosse innamorata delle sue visioni, della mia immagine che compare giorno dopo giorno nella sua mente, e non del vero Jasper, quello in carne e ossa, colui che vive nel suo presente?
Forse se non avesse alcun potere, Alice non si sarebbe mai innamorata di me. Mi irrita avere questi dubbi, mi irrita non potere avere una risposta, mi irrita sapere che lei conosce il nostro domani mentre io non posso prevedere niente.
E’ facile vivere nella sicurezza,s enza avere mai paura di perdere chi si ama, con la possibilità di poter affrontare e risolvere in anticipo i problemi. E’ facile vivere senza le bende sugli occhi, in tal caso le probabilità di cadere si riducono ad una minima percentuale. In questo mondo siamo tutti ciechi se si parla di futuro. Tutti tranne lei: Alice, la mia dea, la mia vita, il mio Amore. Se anch’io potessi vedere il futuro, troverei maggiore equilibrio nel nostro rapporto e non mi sentirei inferiore.
… Non è bello sentirsi inferiori alla persona più importante della propria vita.
Continuo a graffiare la terra con foga, come se potessi trarre una nuova, confortante, risposta a tutti i miei perché a tale gesto.
Immagini e voci remote compaiono nella mia mente. Sono inginocchiato davanti ad Alice e sto per chiederle di sposarmi, con la vita racchiusa in un minuscolo oggetto che tengo tra le mani, un minuscolo oggetto che ho intenzione di donarle per sancire il nostro legame d’amore. Ma lei non sa aspettare, lei è troppo impaziente di mostrare la sua gioia e mi getta le braccia al collo ancor prima che io possa parlare. “Ti amo ! Lo voglio ! Lo voglio ! Oddio, lo voglio con tutta me stessa !” Quelle parole squillanti di felicità vengono sostituite da altre cariche d’imbarazzo. “ Spero di piacerti, non vorrei rovinare tutto dopo quello che hai preparato per noi.” Era la nostra prima notte di nozze, lei sapeva della sorpresa speciale che la stava aspettando in camera per la nostra prima notte d’amore. “Perché vuoi andare in Groenlandia, amore? Credo che l’Inghilterra sarebbe decisamente più interessante …” Eravamo a letto insieme ,dovevo ancora parlarle della mia proposta di luna di miele, e lei aveva smontato ogni mio progetto con una sola frase. “Niente puma oggi. Ti ho visto girare a vuoto ore e ore per la foresta. Meglio puntare qualche cervo.” Perfino quando andavamo a caccia  lei anticipava ogni mia mossa.
Sono state tante le volte in cui mi sono sentito inutile. Non riesco a diventare imprevedibile agli occhi della mia Alice, perché io sono una stratega, uno stratega che organizza ogni sua mossa alla perfezione anche quando non è sul campo di battaglia. Sempre.
Mi lascio sfuggire un ringhio di frustrazione. E’ bastato un incidente per riportare alla mia mente questi pensieri angoscianti. Stringo le mani a pugno per calmarmi e trattenermi dalla voglia di graffiare continuamente la terra fangosa.  Sento che sto ringhiando inferocito e mi accorgo di ciò che ho fatto intorno a me. Sono finito in una fossa, una fossa che ho scavato nel giro di alcuni minuti con le mie stesse unghie. 
- Jasper. -
Un sussurro nella notte, carico di comprensione. E’ la voce di mio fratello Edward a richiamarmi. Mi volto e lo vedo fissarmi intensamente dall’alto. Lui è l’unico che può capire come mi sento in questo momento. Non mi sono mai vergognato di mostrargli i miei pensieri.
Mi rimetto in piedi e con un balzo esco dalla fossa. Edward rimane immobile, il bagliore della luna che penetra il fogliame degli alberi illumina il lieve sorriso che si è disteso sul suo volto. E’ sufficiente uno scambio di sguardi, rapidi come la luce raccogliamo il tumulo di terra che ho creato e richiudiamo il buco ai nostri piedi.  Rimaniamo ad osservare il nostro piccolo lavoro soddisfatti.
- Anche io potrei uccidere Bella da un momento all’altro. -
Rimango in silenzio, aspettando di sentirlo parlare ancora.
- E sai cosa mi trattiene dal non farlo? Il fatto che la amo. Anche  tu riusciresti a resistere alla tentazione del sangue, se l’amassi. -
Edward sta cercando di fare in modo che io non mi senta inferiore a lui.
- Bella non ce l’ha affatto con te. -
- Davvero? -
Mio fratello annuisce e mi sorride nuovamente. – Carlisle la farà tornare come nuova, non preoccuparti.-
- La ami incondizionatamente. - ,dichiaro . I sentimenti di Edward sono di una forza schiacciante anche solo quando parla di Bella.
- Non ci sono parole per definirlo. -
Mi accovaccio a sedere, segno che ho voglia di rimanere a chiacchierare ancora un po’. Improvvisamente mi accorgo di quanto io e mio fratello abbiamo in comune, ora più che mai: Edward non può leggere la mente di colei che ama, deve avere paure simili a quelle che ho io quando penso al mio rapporto con Alice.
Mio fratello si siede al mio fianco e ride. – Ricordi la mia frustrazione i primi giorni che conobbi Bella? -
Annuisco.- Ce l’avevi con il mondo intero. Sei dovuto andare a Denali per schiarirti le idee. -
Chi meglio di me può sapere quello che provò? Edward stette male talmente cercò di riflettere, si sentì esattamente come me: cieco di fronte a qualcuno, angosciato, confuso, tormentato e… arrabbiato. Ormai prova principalmente rassegnazione quando pensa all’inaccessibilità della mente di Bella. Ma anche attrazione e desiderio, due dei motivi che hanno contribuito a farlo innamorare di Bella.
E’ incredibile quante risposte io stia riuscendo a trovare senza il bisogno di chiedere nulla.
- Vedo che stai iniziando a capire da solo. La tua rabbia verso il potere di Alice è la stessa che provai io quando scoprii lo scudo mentale di Bella. Una rabbia che si può chiamare anche paura, paura per qualcosa che non riusciamo a capire e ad accettare fino in fondo. Ma se ci pensi, è un bene che un lato di Bella ed Alice restino oscuri, altrimenti non avremmo potuto rimanerne attratti. -
- Hai ragione, Edward. -
Mio fratello mi trasmette comprensione e sicurezza.
- So perché poco prima hai scavato quella fossa. Eri furioso. E, perdonami se te lo dico, ma per un motivo sciocco. -
Mi fissa con aria da indagatore, come se si aspettasse che io gli rivolga una domanda. Dimentica che è lui quello che legge nel pensiero? Cosa dovrei chiedergli io?
- Sei confuso, vedo. -
Lo guardo con aria interrogativa.
- Mi aspettavo che tu mi facessi qualche domanda su Alice. Per tutti questi anni non hai mai osato … -
Una lampadina si accende nella mia mente. Edward sa che il motivo principale della mia ira è l’incertezza del perché Alice sia innamorata di me. Lui vuole che io gli chieda cosa pensa Alice di me. Ma non ne ho mai avuto il coraggio.
- Jasper, tutta questa rabbia repressa che hai dentro di te è immotivata, credimi. Avresti dovuto capirlo molto tempo prima, dimentichi le emozioni che ti fa percepire quel piccolo folletto quando state insieme? Non c’è bisogno che io metta in piazza i suoi sentimenti nei tuoi confronti perché tu possa essere sicuro del suo amore. -
Edward sta mettendo forza e convinzione nelle parole che dice. Improvvisamente mi sento più sollevato.
- Ci hai mai pensato? Io posso controllare le emozioni della tua ragazza, mentre tu puoi accedere alla mente della mia. E’ ridicolo. -
- I vampiri non sono l’unica cosa sovrannaturale di questo mondo. -
Ridiamo. Finita l’ilarità di quel momento prendo una decisione. – Ho intenzione di andarmene in Alaska per un paio di giorni. Ho bisogno di… cambiare aria. -
- E io ti seguirò. -
Una voce che danza nell’aria e mi fa sentire leggero ogni volta che avvolge i miei sensi con la sua bellezza… Alice.
- Come faccio a rimanere in questo buco di città senza di te? Dimmi di si, ti prego! -
Non mi ha nemmeno dato il tempo di voltarmi a guardarla. Una folata di profumo di fiori m’investe. Mi ritrovo con il suo dolce visino a un centimetro dal mio.
- Cosa decidi? -, mi chiede con un’irresistibile espressione di supplica. Maledetto soldo di cacio…
-Va bene, verrai con me. -
Lei mi abbraccia, e un tornado di emozioni di gioia pura mi travolge. – Tanto sarei venuta anche se avessi detto di no! -
- Certo, tu fai sempre quello che vuoi… -
- Vero! -
- Vero… -, ripete la voce di Edward con aria esasperata. Mi ero quasi dimenticato della sua presenza. Alice annulla il mondo quando mi abbraccia
- E tu che vuoi? Perché non vai a controllare se Carlisle ha finito di ricucire Bella invece di startene qui? - L’ultima frase ha urtato leggermente il mio umore, senza volere Alice ha risvegliato in me il dispiacere e l’imbarazzo per ciò che è successo.
- Seguirò il tuo consiglio ancora una volta. Dopotutto qui mi sono già reso utile. Piuttosto, vedi di non mandare in fumo il lavoro che ho appena terminato di svolgere-, le si rivolge Edward con tono sarcastico.  Indubbiamente si riferiva alla missione “Confortiamo Jasper”.
Mentre osservo la mia piccola Alice e mio fratello Edward animarsi nel loro battibecco, mi rendo conto di qualcosa che non avrei mai immaginato di riuscire ad ammettere a me stesso: l’ira è una mia debolezza segreta, tuttavia ha il suo lato positivo: è un sentimento irrazionale, di conseguenza, imprevedibile. E’ tutto ciò che nemmeno il potere delle visioni può prevedere. E’ una forza esplosiva. 
L’ira è al contempo la mia arma segreta.




*******

Spazio dell'autrice: trovo che questa one shot sia insolita, ma mi attirava l'idea di associare l'ira a Jasper, proprio perché poco ovvia come cosa. Ho associato la gola a Carlisle per lo stesso motivo. Mi è piaciuto tanto fare tutti quegli accorgimenti su Jasper ed Edward. Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento.
Rispondo e ringrazio:
Bella_ Kristen: mi fa piacere che la mia fanfiction ti piaccia^^. Sono felice di sapere che l'immagine del capitolo precedente sia azzeccata, sentirselo confermare dai lettori è gratificante, dato che ci ho messo tanto a trovarne una che mi convincesse. Approfondire personaggi con meno spazio dei protagonisti mi piace, è una sfida personale che faccio con me stessa per passione;
Ninfea Blu: sono d'accordo su ogni singola parola che hai detto riguardo a Carlisle. Lo adoriamo entrambe da quel che ho capito ^^ Sono felice di sapere che ti piaccia il modo in cui io l'ho caratterizzato, dopotutto sei una sua fan e anche tu hai scritto su di lui in maniera perfetta. Quindi le tue parole sono ben studiate, da tenere in considerazione, e di certo da non dimenticare.

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Capitolo 4
*** Take away from me. (Portata via da me) ***


Titolo del capitolo: Take away from me. ( Portata via da me).
Personaggi principali associati al peccato: Jacob Black.
Personaggi secondari: Bella, Edward.
Pairing: Jacob/Bella, Edward/Bella.
Raiting: verde.
Genere: generale.
Avvertimenti: One shot.





Invidiamo gli altri più per quello che hanno che per quello che sono.”       
                                                                                                            Gervaso.


Take away from me



Era solo un mostro, un essere privo d’anima dannato per l’eternità. Eppure lei lo aveva scelto. Aveva scelto di amare una patetica sanguisuga che avrebbe potuto donarle solo il rischio della morte.
Il perché mi era ignoto.
Pallido, occhiaie grigie che gli circondavano le palpebre degli occhi color bile, l’aria di chi si credeva Dio sceso in terra... Eppure tutte morivano per lui.  A quanto pareva io ero l’unico a non vederlo bello. Non avrei mai capito i gusti delle donne riguardo all’aspetto fisico. Ma ero convinto che Bella desse importanza anche a qualcos’altro, e non riuscivo a capacitarmi del fatto che si fosse innamorata di lui.
Avevo una cotta per Bella perché oltre a sentirmene incredibilmente attratto, la credevo diversa dalle altre, più matura e saggia di qualunque altra diciassettenne avessi mai avuto modo di conoscere. Mi aveva mostrato il suo interessamento nei miei confronti quando eravamo stati a La Push, sapevo di piacerle, sapevo che se mi fossi fatto avanti, avrei potuto conquistarla. Dovevo solo respingere un fastidioso ostacolo piazzatosi al centro del mio percorso: la sanguisuga. Scacciai la voglia di saltargli addosso in quell’istante mentre le accarezzava la schiena. Ero desideroso di provocarlo davanti a Bella, ma non dovevo farlo, perché mi sarei messo in cattiva luce davanti a lei e le avrei rovinato la serata.
Mi maledii mentalmente per essere andato a quello stupido ballo. Al solo pensiero di avvicinarmi a Bella, io, grande e grosso com’ero, sentivo le ginocchia tremare.
Sarebbe stato tutto più semplice se al posto del ghiacciolo ci fossi stato io a stringerla tra le mie braccia. Ma non avevo nemmeno il coraggio di figurarmi la scena. Di certo l’algido cavaliere non sarebbe stato lieto di lasciare la sua dama nelle mani dell’altro. Odiavo attribuirmi quell’appellativo. Odiavo essere il terzo incomodo. Odiavo l’idea di intromettermi nella seratina romantica di Bella. E mi vergognavo. Ero a disagio, perfino, cosa che solitamente non mi accadeva quasi mai. I balli non facevano per me, come le camicie eleganti e le cravatte. Per quel che ne sapevo, nemmeno a Bella piacevano i balli. Quando eravamo piccoli e giocavamo insieme col fango,  Bella si soffermava nelle sue fantasticherie e diceva di volere un eroe capace di proteggerla dai pericoli, uno di quelli coi superpoteri in grado di fare acrobazie spericolate, libero e indipendente, sempre pronto ad aiutare i più deboli e a lottare contro i prepotenti. Io ero contento che lei non volesse un principe come tutte le altre mie amichette, perché anche a me non piaceva l’idea di essere un ragazzo ricco ed elegante in sella ad un cavallo bianco, preferivo atteggiarmi da Robin Hood, l’eroe scapestrato perfetto per Bella.
Ebbi una fitta allo stomaco a quel ricordo nostalgico.
Dolce Bella,quanto cose abbiamo in comune. Eppure non ci siamo innamorati l’uno dell’altra come sognavo accadesse sin da piccolo.
Era troppo doloroso restare a guardare Bella e Edward Cullen insieme. Decisi di andarmene, quel posto non faceva per me, e se non fosse stato per mio padre, non ci sarei mai andato. Ma nel momento stesso in cui formulai quel pensiero, la sanguisuga mormorò qualcosa all’orecchio di Bella e lei con aria smarrita si guardò attorno, finché non mi vide, poco più distante da lei.
Dannazione. Non potevo lasciare la sala da ballo, avrebbe pensato che l’avessi fatto apposta. Oramai dovevo andare a salutarla. Avanzai verso di lei con passo insicuro.
Perfetto, ,ti ha visto lì impalato al centro della sala come un idiota e adesso starà provando vergogna per te.
La delicatezza con cui Edward sciolse la presa ferrea dalla sua schiena, e lo sguardo acceso d’amore -se così si poteva definire- che le rivolse, montarono in me un’intensa sensazione di fastidio e invidia.
- Ciao Bella. -, salutai cercando di sorridere al mio meglio e di sostenere il suo sguardo.
- Ciao Jacob. -
Mi costò tutta la fatica del mondo rivolgere un cenno di saluto anche alla sanguisuga, che ora teneva per la vita Bella e mi stava perforando con lo sguardo freddo. – Edward. -
Forzato, ,troppo forzato. Non mi importava che Mister Chioma Sexy se ne accorgesse, ma sperai che almeno Bella non lo avesse notato.
- Ciao Jacob. -
Avrei voluto sprofondare nel pavimento.
La sanguisuga lasciò Bella nelle mie mani e dopo averle rivolto un ultimo sguardo di venerazione, si allontanò.
- Ehm, balliamo? -, proposi.
Era l’ultima cosa che avrei mai voluto chiederle. Ma dovevo cogliere l’occasione al volo. Con la sanguisuga perennemente appiccicatale sarebbe stato difficile passare del tempo con Bella, specie averla tra le mie braccia. Per un istante sperai di vederla sorridere, come se avesse ricordato il nostro rifiuto di farci principe e principessa quando da piccoli  giocavamo insieme. Invece si limitò ad annuire, perplessa, spalancando quei suoi occhioni scuri che mi avevano fatto perdere la testa.
Cosa ti ha fatto quel succhiasangue? Ti ha stregata, assuefatta a lui con qualche sporco e astuto incantesimo ammaliatore? Immagino che adesso i tuoi pensieri siano pieni di lui e che di  noi due non ti sia rimasto niente nella memoria. Come fai a non ricordare?
Faticò a salire sui miei piedi, data la mia altezza. Sorrisi orgogliosamente tra me e me a quel pensiero.
- Non dirmi che sei cresciuto ancora dall’ultima volta che ci siamo visti. -
Sfoderai uno dei miei migliori sorrisi. - A quanto sembra si. Sono più di un metro e ottanta. -
Dio, ,come sei bella questa sera... Bella.
Volevo godermi quel breve momento insieme a lei, senza pensare a nessun’altro fuorché a noi due. Al diavolo il fatto che sembrassi un sacco di patate, nel mio vestito inadeguato alla mia personalità, mentre mi muovevo lentamente sul posto. Al diavolo la sanguisuga e tutti gli altri studenti.
Ero abbracciato alla ragazza che mi faceva battere il cuore, splendida nel suo vestito blu cielo anche con una gamba ingessata. Potevo guardarla negli occhi e sorriderle mentre mi parlava, potevo illudermi che fosse mia.
L’idea di doverle riferire il messaggio di mio padre m’irritava. Non volevo menzionare Edward Cullen, non in quel momento così prezioso per me, ma era un mio dovere farlo.
Sperai vivamente che reagisse quando le dissi che Billy non approvava il suo fidanzamento con il succhiasangue, sperai che capisse che glielo stavo dicendo perché mi piaceva…Lo sapeva che la ragazza impegnata a cui avevo alluso nella conversazione precedente fosse lei. Ma non si mostrò turbata più di quel tanto, gli occhi le brillarono di determinazione quando mi disse che sarebbe stata in grado di assumersi le sue responsabilità. Forse lo amava davvero…
Stupido Cullen. Avrò anche due anni meno di Bella, ma potrei comunque renderla felice e completa, cosa che tu non potresti fare mai. Io potrei darle calore umano, potrei farle scoprire piaceri di cui tu hai dimenticato l’esistenza, freddo sasso senza vita.
Niente è per sempre. Così dice la gente.
Eppure l’essere che meno sopportavo al mondo poteva vivere in eterno. Quando si avvicinò a me a Bella per separarci, fu dura resistere al desiderio di saltargli addosso e prenderlo a pugni. Non era giusto. Non era giusto che un mostro come lui avesse ottenuto un dono tanto grande e raro. L’amore di una creatura meravigliosa come Bella, semplice ed innocente umana con una vita intera davanti a sé, non poteva essere sprecato per colmare le giornate di un mostro.
Avrei odiato Edward Cullen fino alla mia morte, me lo sentivo. Lo avrei odiato perché incapace di capire perché lui fosse migliore di me.


*******


Spazio dell'autrice:  care fan di Bella&Jacob, mi spiace diverlo, ma io parteggio assolutamente per Bella&Edward XD
Tuttavia non disprezzo Jacob, anche lui mi piace come personaggio. In questa fanfiction ho voluto far emergere un lato di lui che di solito non si vede: l'insicurezza. Credo che lo abbia reso più tenero.
Un po' triste come finale, ma è così che ho immaginato la scena nella mia mente. Lascio a voi il diritto di giudicare.
Ringrazio e rispondo alle recensioni di:
Bella_Kristen: ciao cara, come sempre mi fai troppi complimenti ^^ Felice di sapere che gli abbinamenti  siano stati ancora una volta di tuo gradimento. Né Alice né Emmett sono stati peccatori in questo capitolo, ma spero che ti sia piaciuta lo stesso.
Ninfea Blu: mi gratifica sapere che il confronto tra  Edward e Jasper ti sia piaciuto. Io stessa mi sono cullata dentro alla storia, l'atmosfera di leggerezza di cui parli tu è emersa grazie ad Edward, perché l'ho descritto calmo e sicuro, benché non lo fosse realmente, tormentato dal pensiero di Bella e di ciò che le era successo. Non riesco ad immaginarlo capace di mostrare le sue preoccupazioni quando i suoi famigliari sono in crisi, penso che anteponga gli altri a se stesso, in tale circostanza. Edward si impone di nascondere il suo dolore perchè prima di tutto vuole far star bene i suoi cari, come accade  in questa shot mentre cerca di confortare Jasper. Spero di essere stata chiara, il concetto è semplicissimo, ma oggi, non so perché, fatico a spiegarmi chiaramente XD

 

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Capitolo 5
*** To defeat my sin. (Sconfiggere il mio peccato) ***


 
Titolo del capitolo: To defeat my sin. (Sconfiggere il mio peccato).
Personaggi principali associati al peccato: Edward Cullen.
Personaggi secondari: Famiglia Cullen.
Pairing: nessuno.
Raiting: verde
Genere: introspettivo, generale.
Avvertimenti: One shot.






La pigrizia è dovuta a uno scarto di immaginazione. Una semplice messa a punto ce ne guarirebbe
                                                                                              Marcel Jouhandeau.


To defeat my sin



Sdraiato sul letto, un braccio dietro la testa e una gamba accavallata all’altra, afferravo e rilanciavo su e giù la pallina da baseball che tenevo nella mano destra con estrema precisione, osservando il soffitto tanto intensamente che si sarebbe potuto sciogliere in polvere sopra la mia testa. Non sapevo più cosa inventare per scacciare la monotonia, qualsiasi cosa mi dava noia. Sulle mie spalle pesavano settant’anni  di vita passati a nascondersi e a isolarsi dal mondo. Se avessi potuto mostrarmi alla luce del giorno o scorrazzare liberamente per le strade, avrei fatto ogni genere di pazzia, immaginabile e inimmaginabile, per provare il brivido del divertimento e delle novità. Ma tutto ciò era proibito, e ad impedirmelo era la mia natura straordinaria. Avevo un’eternità davanti a me, un’insensata eternità che avrei dovuto trascorrere come recipiente di sangue animale. L’avrei scambiata volentieri con una breve, sfortunata e sofferta vita, pur di vivere con intensità ogni emozione e dare significato ai giorni che passavano. La prospettiva di un nuovo inizio dopo la morte mi avrebbe dato speranza.
 “ Ho bisogno di un profumo alla fragola e di un vestito bordeux! E di una paio di scarpe color panna e di…”
Distolsi infastidito la mia mente da quella del piccolo folletto. A volte mi sorprendevo ad ascoltare i pensieri dei miei famigliari senza sapere il perché.
“I genitori saranno distrutti… Dodici anni…”
Carlisle era dispiaciuto per la morte di una giovane paziente malata di cancro.
“ Ha un’aria così buffa e innocente… ”
Probabilmente Rosalie stava pensando al suo scimmione. Uno delle principali ragioni per cui mi sentivo vuoto e privo di senso era l’assenza di una compagna. Da quando Rose aveva trovato Emmett, io ero rimasto l’unico solo della famiglia. Alice e Jasper erano arrivati insieme. La nota stonata dei Cullen ero io.
“ Devo resistere, dannazione, è passato solo un giorno dall’ultima volta!”
Forse Jasper aveva di nuovo sete. Indugiai se scendere in sala e chiedergli di venire a caccia con me, ma ero sazio e non avevo nemmeno voglia di alzarmi e di lasciare il letto dove mi ero fossilizzato come una statua di marmo. L’unico, impercettibile, movimento nella stanza era quello della mia mano quando la pallina vi finiva imprigionata.
“ Muoiono così tante persone, e lui si sente in colpa. Amore… ”
Esme aveva la testa piena di Carlisle, il suo salvatore, nonché suo adorato marito ed eterno compagno.
“ Muori bastardo d’uno zombie!! ”
Probabilmente Emmett ci stava dando dentro con il suo videogioco preferito.
Non c’era niente di nuovo nei loro pensieri. Tornai a concentrarmi sul lancio della mia pallina e sulla contemplazione del soffitto immacolato.
Se avessi potuto rendermi utile a fare qualcosa per gli altri, forse la mia esistenza sarebbe stata più interessante… Avevo studiato medicina come aveva fatto Carlisle per salvare delle vite, ma poi avevo capito che quel tipo di vita non faceva per me. Gli ospedali ricordavano troppo la morte dei miei genitori e di Edward Anthony Masen.
La mia mente fu catturata dal nuovo pensiero di Alice. Era rivolto a me.
-    Oh no… -
Non feci in tempo a schizzare fuori dalla finestra che quel piccolo tornado aveva spalancato la porta della mia camera. Mi fissava con aria supplicante, l’eccitazione dipinta sul viso sbarazzino, l’espressione da finta bambina innocente peggiore che le avessi mai visto.
Distolsi lo sguardo con un leggero movimento del capo e tornai a posarlo sul soffitto. Possibile che non si prendesse nemmeno la briga di parlare?
- Non mi va. - risposi .
“ Preferisci startene qui a girarti i pollici? ”
-    Si. –
“ Ti trascinerò a forza. ”
La sentii avvicinarsi con aria decisa e precedermi nell’afferrare la pallina che stava per atterrare nuovamente  sulla mia mano.
-Alice, ci abbiamo giocato anche ieri. Non mi va. - ripetei con lo stesso tono impassibile.
Non avevo voglia di fare l’ennesima partita di baseball, era da un anno ormai che ci giocavamo ogni giorno.
Scattai a sedere con aria sbigottita, la rabbia che si era fatta improvvisamente strada dentro di me.
- Ma che diavolo! -, sibilai a denti stretti.
Lei si sedette di fianco a me, con un sorrisino compiaciuto stampato in faccia, per nulla intimidita dalla mia reazione.
- Mi dai sui nervi, lo sai!? -
Scoppiò a ridere. La stanza fu inondata da un suono armonioso  come dell’argento che sfiora le corde di un’arpa.
Chiusi la mia mente, intenzionato a non rivedermi più mezzo nudo avvinghiato al corpo di una ragazza. Mia sorella sapeva essere un mostro quando si metteva a fantasticare sulle sue porcherie…
- Va bene, restatene lì. Ma stasera non venire a chiedermi scusa per come mi hai trattata oggi, se ti sentirai in colpa. - Percepii il divertimento e la soddisfazione da bambina nella sua voce.
Incuriosito entrai nuovamente nella sua mente, ma lei prese a cantare l’inno nazionale americano in arabo per estraniarmi dai suoi pensieri.
Quando cercai di toglierle di mano la mia pallina con un ringhio infastidito, lei piroettò elegantemente su stessa e uscì dalla stanza.
- Ehi, la porta! -
Sospirai frustrato e mi rialzai per richiuderla. Non ne potevo più di nulla. Non avevo voglia neppure di ascoltare la musica, le canzoni erano sempre le stesse; i pensieri della gente sempre gli stessi; lo scorrere del tempo sempre lo stesso: sole e luna, sole e luna che si alternavano; il passare delle giornate sempre lo stesso: pioggia, pioggia,pioggia, e ancora pioggia; il rumore delle gocce che picchiettavano sul vetro della finestra sempre lo stesso.
Quanto valeva un eternità spesa a bere sangue e a rimanere sdraiato su di un letto? Niente, si trattava solo di una fregatura. E la cosa più angosciante era pensare che non me ne sarei mai potuto liberare. Mai e poi mai.
Il tempo non esisteva per i vampiri. Giorno dopo giorno pensavo alle parole di Alice “ Esci da questa camera e vai a cercare ciò che potrà dare un senso alla tua esistenza. ”
Ma dove potevo andare? Cosa potevo cercare? Umani… Avevo avuto a che fare con troppi di loro. Capivano troppo tardi i valori della vita e morivano pieni di rimpianti. Non potevano competere in intelligenza con un centenne mascherato da adolescente. Di conseguenza, li trovavo noiosi, e soprattutto prevedibili a causa del mio potere di lettura del pensiero.
I miei simili… Erano pochi quelli pacifici: la mia famiglia, il clan di Denali e altri piccoli gruppi sparsi per il mondo. E benché Tanya dimostrasse un palese interesse nei miei confronti, io non ricambiavo. Tanya era noiosa come gli umani. Del resto come potevo provare attrazione per qualcuno, se ad un solo incrocio di sguardi o di gesti, potevo leggere la parte più intrigante e affascinante di ognuno di loro, ovvero la mente? Senza curiosità e desiderio di scoprire chi mi stava accanto non potevo innamorami. E un’eternità senza l’amore, passata a consolarsi con gli oggetti materiali, non era gratificante. Se un secolo mi aveva già stancato, i millenni e le ere sarebbero stati l’Inferno.
Non davo la colpa a Carlisle per ciò che ero diventato, ma avrei tanto voluto sapere il perché mia madre, Elizabeth Masen, avesse deciso di farmi vivere così. Per quale motivo non mi aveva lasciato morire? Forse sarei scomparso, forse un dopo non esisteva, ma che differenza avrebbe fatto svanire nel nulla dal vivere nell’apatia?
-    Edward, scendi un momento, per favore. –
La voce amorevole di mia madre che mi chiamava catturò le mie orecchie. Lanciai un’occhiata alla finestra. Il cielo si era fatto blu scuro, un’altro giorno era passato senza che io me ne fossi reso conto.
Come un automa che risponde immediatamente ai comandi, mi alzai e uscii dalla mia camera. In mezza frazione di secondo mi ritrovai in salotto. Vestiti elegantemente, e con un largo sorriso stampato sulle labbra, lì trovai tutti ad aspettarmi: Carlisle, Esme, Alice, Jasper, Emmett e Rosalie.
Alice fu la prima a scomporsi. – Buon compleanno!! -, esclamò gettandomi le braccia al collo e saltellando sul posto. Il mio compleanno… Me ne ero dimenticato.
Nello stesso istante in cui quel piccolo tornado mi saltò addosso, le menti dei presenti si spalancarono a rivelarmi la sorpresa. Stavano pensando tutti alla stessa cosa.
- Non avreste dovuto… - mormorai imbarazzato, quando mia sorella si staccò da me.
- Figurati, Edward.- mi rispose Carlisle affabile.
- TA-DAAAAAAAAAN!!! - Alice scoprì con un gesto teatrale delle braccia il telo nero che copriva il grande pianoforte lucido in un angolo della sala. Batté le mani sprizzando gioia da tutti i pori, gli occhi illuminati come due campanellini di luce.
- Visto che è risaputo che ami la musica, abbiamo pensato di regalarti qualcosa che ti permetterà anche di comporla. -, spiegò Carlisle.
- Sono sicuro che diventerai bravissimo, caro. - Esme era convinta al cento per cento della sua affermazione.
- Grazie a tutti. - Misi la massima sincerità in quelle parole.
Emmett mi sferrò un pugno sulla spalla. - Dai, invece di fare il commosso, perché non ci fai vedere come te la cavi? –
Li guardai tutti, lessi i loro pensieri di curiosità e attesa, visibili già dalle espressioni dei loro volti meravigliosi, poi spostai gli occhi sul pianoforte. Sembrava chiamarmi, pronto per essere suonato immediatamente. Mi sedetti sullo sgabello. Posai una mano sui tasti, sfiorandoli delicatamente con le dita, senza fare la minima pressione, come se li stessi accarezzando. Poi ne premetti uno. Il suono fu secco, leggero, limpido, breve. Ne premetti un altro, e il suono fu diverso.
Giocai a premere  i tasti in ordine e velocità differente, le mie dita scorrevano allegramente, inarrestabili. I suoni prodotti richiamavano l’armonico movimento delle onde, salivano e scendevano d’intensità, smuovendo ricordi e sensazioni dentro e intorno a me. Io stesso mi stupivo e ne rimanevo affascinato. Ogni cosa era imprevedibile: non c’era uno schema da seguire, le sfumature erano infinite. Ogni nota era un’emozione, ognuna di esse raccontava qualcosa di sé stessa.
- Sei nato per suonare, Edward.-, dichiarò Esme con tono gioioso, la voce che si fuse nella melodia.
Forse avevo finalmente trovato un passatempo degno di un’eternità…


*******


Spazio dell'autrice: se non ricordo male, non è detto quando Edward si appassionò di musica. Potrei anche sbagliarmi, ma mi piaceva l'idea che tutta la sua famiglia decidesse di regalargli un pianoforte per il suo compleanno, che cercasse di trovare un modo per renderlo più felice, prima che arrivasse Bella. Volevo dare spazio al legame dei Cullen in questa shot. Spero vi sia piaciuta. 
Ringrazio e rispondo a:
Bella_kristen: forse anche tu hai percepito la tenerezza di cui parlavo. Vedo che il tuo entusiasmo non si è affievolito, sono contenta ;)
Ninfea Blu: sono felice  che ti piaccia leggere quello che scrivo. I tuoi commenti sono sempre ben apprezzati. Ora specifico cosa intendevo  su Jacob: lasciando stare il fatto che è un ragazzino e non fa altro che sputare veleno su Edward, il modo in cui parla a se stesso nella mia one-shot, l'indecisione di farsi avanti o no con Bella e la sua insicurezza in un ambiente poco adatto a lui, mi fanno automaticamente pensare
" Che tenero. " Perché Jacob si mostra sempre come un pallone gonfiato, sicuro di se, ostinato, quindi questo suo comportamento è da considerarsi... dolce, per me.  Sono punti di vista, e meno male che non la pensiamo tutti allo stesso modo a questo mondo! ;) Mi ha fatto piacere leggere le tue impressioni.

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Capitolo 6
*** Impossible choice. (Scelta impossibile) ***


Titolo del capitolo: Impossibile choice. (Scelta impossibile).
Personaggi principali associati al peccato: Jane .
Personaggi secondari: Alec, Evangeline (nuovo personaggio) .
Pairing: nessuno.
Raiting: giallo.
Genere: triste.
Avvertimenti: One shot.




 

“L'avarizia nasce dalla convinzione che certe cose ci sono necessarie mentre probabilmente non lo sono, e dal timore che ci venga tolto ciò da cui dipende il nostro sostentamento.”
                                                                                                             Ari Kiev.                                                                                                          


                                                                                             

Impossible choice



Benché non vi fossero nodi da sbrogliare e la spazzola stesse scivolando da minuti sui miei capelli senza incontrare alcuno ostacolo, continuavo a lisciare la mia chioma insistentemente, orgogliosa della sua lucentezza color platino e della caratteristica morbidezza pari a quella della seta. Le mie compagne di stanza si erano infilate nei loro letti parlottando sommessamente. Solo Karen era rimasta ancora in piedi e mi fissava con occhi meravigliati.
- Cosa vuoi? La signorina Halley potrebbe arrabbiarsi nel vederti ancora sveglia.-, le dissi con tono tagliente.
- Ho perso la mia spazzola… Potresti prestarmi un secondo la tua? - 
Il mio sguardo si soffermò sui suoi ricci scarmigliati. – Con tutto il lavoro che ci sarebbe da fare sulla tua testa, potresti rovinarmela. -
Karen spalancò gli occhi e per un attimo credei di vederli diventare lucidi, ma non successe. Ormai tutte, lì dentro, avevano addirittura paura di piangere davanti a me. 
- Perché non cerchi la tua spazzola? Sarà sicuramente caduta da qualche parte. -
Karen asserì col capo e iniziò a girare rapidamente per la stanza. Smisi di pettinarmi per guardarmi allo specchio. Il vetro restituì l’immagine di un volto piccolo, di forma ovale, dai lineamenti fieri; due occhi a goccia color ambra scura, incorniciati da lunghe e fitte ciglia, donavano al suo sguardo una luce disarmante e letale. Sorrisi. Il mio sguardo ero ciò di quanto più prezioso possedessi, e niente e nessuno avrebbe potuto portarmelo via. Splendido, incantatore, pericoloso, distruttivo. Era mio,e solo mio sarebbe stato. Non esistevano persone con occhi più misteriosi e strani dei miei.
- Karen, se vuoi l’ho io una spazzola. -
Voltai impercettibilmente la testa, Evangeline mi fissava con aria contrariata seduta sul letto. Le restituii lo sguardo, e ciò bastò perché quella iniziasse a massaggiarsi la testa assalita da un leggero ed improvviso fastidio.
- G-grazie.-, balbettò la piccola Karen avvicinandosi ad Evangeline. Povera, sciocca bambina… Così timida e sottomessa…
Ripresi ad osservare il mio volto sotto diverse angolazioni di luce.
Un raggio di luna colpì gli elaborati simboli d’argento che contornavano la cornice del mio specchio e si fuse con il bagliore aranciato della lampada ad olio. Quanto era bello il mio specchio...  Rimasi a contemplarlo in tutte le sue rifiniture, stringendolo saldamente tra le mie mani. Era un regalo di mia madre, uno dei tanti che mi aveva preso per viziarmi, ma uno dei pochi che ero riuscita a salvare dopo il grande incendio della città di Salem.
 
Persa nei miei pensieri, non sentii il basso cigolio della porta che si apriva. Sobbalzai quando un’ombra si sovrappose alla mia, proiettata sul pavimento. 
- Lady Jane, che cosa ci fate ancora alzata a quest’ora? Perché non vi siete infilata nel letto come le vostre compagne? -
La signorina Halley troneggiava di fronte a me, a braccia conserte, il volto austero illuminato dalla fievole luce della lampada ad olio posata sul davanzale della finestra.
- Perdonatemi, signorina Halley. Stavo spazzolando i miei capelli come di consuetudine, indugiando sui miei pensieri. Non mi ero accorta di quanto l’ora fosse tarda. -
- Fareste meglio ad andare a dormire. -, ordinò imperiosa la direttrice mentre ritirava le tende con un gesto secco. La stanza fu quasi totalmente sommersa nel buio, unica fonte di luce era quella irradiata dalla lampada.
- Date a me ora, questo non vi serve. -
Quando la signorina Halley fece per strapparmi di mano il mio prezioso specchio, rafforzai avidamente la presa.
- Lady Jane, che cosa state facendo!? -
- Lasciatelo, è mio! - le intimai con tono allarmato. Cercai il contatto diretto con i suoi occhi scuri. 
-  Aaah!! - 
Trionfante, rimasi ad osservarla mentre si lasciava cadere in ginocchio sul pavimento. 
- Signorina Halley!!! - 
Strepitio di vocine stridule e preoccupate, rumore di letti che cigolavano e passetti affrettati. Qualcuno riaprì le tende per far filtrare una luce maggiore nella stanza. Oltre a Karen e ad Evangeline, riconobbi Alessa e Amelia chine sulla signorina Halley. Non accennai ad alcun tipo di reazione, rimasi seduta sulla mia sedia ad osservare la scena, il cuore che tamburellava incontrollato a contatto con l’oggetto che stavo stringendo violentemente al petto: il mio specchio.
- Signorina Halley, state bene? -
- Vi serve aiuto? -
- Avete bisogno di una mano per rialzarvi? -
Stupide leccapiedi. 
- No… No. -, ripeté l’interpellata, sottolineando il suo dissenso con maggior vigore. - E’ passato. Tornate tutte a dormire. - 
La signorina Halley si rimise in piedi, un impercettibile sorriso le comparve sulle labbra quando i suoi occhi si soffermarono sulle bambine. Karen teneva gli occhi fissi sotto il mio mento, il visino paffuto segnato dalla paura, mentre si stringeva al braccio di Evangeline.
- Lady Jane, tenetevi pure il vostro specchio. Se separarvi ad esso vi risulta così doloroso, dormirete stringendolo sotto il vostro cuscino. - ,sentenziò la signorina Halley, tuttavia -io me ne accorsi immediatamente- lo disse senza avere il coraggio di guardarmi negli occhi. – Buonanotte a tutte. -
Solo quando la porta fu nuovamente richiusa, e le mie compagne di stanza si furono allontanate, mi alzai dal mio piccolo trono personale e ritirai le tende che la signorina Halley aveva dimenticato di richiudere, troppo impaziente di lasciare la stanza. 
- Lo sapevo, è una strega…-, mormorò Alessa. Anche se il suo letto era distante dal punto in cui mi trovavo, potei udire chiaramente che lei, e gran parte delle nostre compagne, avevano sussultato per la sorpresa. Voltai la testa impercettibilmente. Non riuscii a trattenere la voglia di lasciarmi andare ad una risata. Niente e nessuno avrebbero potuto portarmi via la voglia di divertirmi per il terrore che ero in grado di esercitare sulle mie compagne.


*******


Il mattino seguente il bussare alla porta mi ridestò dal sonno. 
- Tra dieci minuti voglio trovarvi in mensa. -
Era la signorina Halley, come al solito, che veniva a chiamarci. Mi rigirai su un fianco nel letto e sentii qualcosa di duro contro la mia testa. Mi alzai a sedere e fissai il cuscino. C’era il mio specchio appoggiato sopra. Il mio meraviglioso, elaborato, bellissimo specchio. Il ricordo di ciò che era successo la notte precedente scatenò in me una reazione automatica. Afferrai il mio prezioso tesoro e lo riposi accuratamente nel comodino. Karen, Alessa,Evangeline, Amelia e tutte le altre si stavano vestendo. Il mio sguardo si posò sul comodino di Alessa. Sopra vi erano posate delle graziose forcine per capelli .Non avevo mai fatto caso ad esse prima d’allora, del resto, chi oltre a me e a mio fratello Alec, possedeva qualcosa di suo in quello squallido orfanotrofio?

I miei occhi guizzarono furtivi su di Alessa, che era girata di schiena e stava parlando con Evangeline, mentre si sistemava la veste. Nessuno mi stava guardando. “Prendile, dai.”, fu l’esortazione che arrivò al mio cervello.
Allungai una mano e ne afferrai una, senza curarmi di esaminarla più attentamente, e la nascosi sotto il cuscino. Tutto ciò che volevo era avere quelle forcine.
- E poi, ieri sei stata davvero brava nell’interrogazione. Tu si che hai capito la spiegazione -
- Come sei gentile. Vedi, il signor Medway è davvero un ottimo insegnante, il tempo vola quando spiega lui! -
C'erano ancora sei forcine sul comodino. “Forza, è l’occasione giusta! Vai, ora!”
Allungai la mano con un gesto fulmineo e ne afferrai un’altra. Il contatto di quel minuscolo oggetto mi fece sentire trionfante, come se avessi appena conquistato un altro tesoro tutto mio. Alessa voltò la testa e sorrise, lasciandosi baciare dalla luce del sole che le illuminava il volto. I miei occhi dardeggiarono sul muro e finsi di essermi incantata. Mi accorsi che Evangeline, l’unica che avesse il coraggio di fissarmi per più di due secondi, mi stava osservando. Riuscivo a sentire i suoi occhi azzurri e indagatori su di me.
 
- Oggi è una giornata magnifica. Credi che potremo rimanere un po’ in cortile? -
Alessa si era di nuovo voltata, ed Evangeline le stava rispondendo.
“E’ la tua occasione!”
Per la terza volta allungai la mano sul comodino ad afferrare tutte le forcine rimaste. Gongolai dentro di me. Non vedevo già l’ora che calasse il sole. La sera quando mi sarei coricata, avrei avuto modo di riguardare meglio il mio bottino. Mi tolsi la vestaglia e indossai velocemente l’uniforme. Le mie compagne bisbigliavano tra di loro mentre si pettinavano e rifacevano i loro letti. Avrei dovuto sbrigarmi, o sarei finita in punizione se la signorina Halley mi avesse trovata impreparata.

- Ehi, ma che fine hanno fatto le mie forcine? Sono sparite… -
Io ero girata di schiena e stavo sistemando le lenzuola, perciò feci finta di non aver sentito niente.
- Forse qualcuno te le ha prese. -, suggerì Evangeline con uno strano tono di voce.
- Oh, non credo. Le avrò messe da un’altra parte, magari me ne sono dimenticata.-, rispose Alessa.
- Ehi Jane, hai visto delle forcine per caso? -, mi richiamò Evangeline.
Trasalii. Eppure quella stupida non poteva avermi vista, ero stata troppo veloce; come faceva ad essere convinta che le avessi prese io?
- Non capita tutti i giorni di vedere delle forcine girare da sole per la stanza. Ma se dovessi vederle, ti farò sapere.-, le dissi con tono sereno, lasciandomi andare ad una risata fresca e cristallina.
- Smettila Jane, le hai prese tu!-, sbottò Evangeline. Alessa a quelle parole mi fissò sospettosa. Il silenzio calò nella stanza, tutte le mie compagne tenevano lo sguardo fisso sulla mia figura.
- Come puoi esserne certa? Non so neanche come siano fatte. -, replicai con aria impassibile.
- Lo so e basta! Sei tu quella che ruba sempre le cose degli altri! -
Come osava. 
- Aaaaaaah!!! -
Ben ti sta. 
Iniziarono tutte ad urlare. Karen scoppiò a piangere.
- Lily! Che cosa le stai facendo!? Basta! -, implorò Alessa. 
Concentrai tutto l’odio verso di lei e tutta l’energia che avevo in corpo nel mio sguardo letale. La mia pazienza aveva oltrepassato il limite. 
Alessa si accasciò a terra accanto ad Evangeline che si teneva le mani sulla pancia per il dolore provato. 
- Sei tu che stai facendo questo! Sei tu! - ,singhiozzò Amelia terrorizzata. 
Sciocca, faresti meglio a scappare.
La porta si spalancò, la signorina Halley entrò affiancata da un uomo alto e con un viso dall’aria sveglia. In quello stesso istante, le urla di Evangeline e di Alessa cessarono, poiché avevo interrotto il contatto visivo.
- Evangeline, Alessa! Cosa ci fate per terra!? -
La signorina Halley corse ad inginocchiarsi accanto alle due con aria allarmata.

- E’ lei, è lei! - urlava Amelia indicandomi. Avrei voluto incenerirla con lo sguardo, ma la presenza della signorina Halley e dello sconosciuto me lo impedivano.
Le mie compagne di stanza si erano rannicchiate contro il muro, piangendo e tremando incontrollatamente.
La signorina Halley mi osservò per un istante con espressione turbata. – Ma che cosa dici, Amelia? Come può averne colpa lady Jane? -
Ma lei sapeva. Tuttavia non aveva il coraggio di parlare. 
- A quanto pare sono capitato proprio al momento giusto.-, esordì l’uomo rimasto sulla soglia della porta; a giudicare dalle rughe del viso e dai boccoli grigi, doveva avere all’incirca una cinquantina d’anni. 
La signorina Halley aiutò Alessa ed Evangeline a rialzarsi. – Vi presento il dottor Stephen, oggi dovrà visitare ciascuna di voi. -
Nessuno fiatò. Nemmeno quella fifona di Karen, che di dottori non ne voleva nemmeno sentir parlare.
- E noi facciamo i conti dopo. Scendete immediatamente in mensa. -


*******


Il dottore ci aveva visitate una alla volta in una stanza privata. Secondo ciò che disse alla signorina Halley, eravamo tutte in buone condizioni di salute; per quanto riguardava Alessa ed Evangeline, probabilmente soffrivano di emicrania. 
Ma che dottorino perspicace. Anche se avesse capito il vero motivo per cui le ragazze si erano sentite male quella mattina, non avrebbe mai potuto trovare una cura. Dopotutto, non esiste un rimedio contro il dolore creato dall’illusione… 
Per il resto della giornata seguii le lezioni e recitai le preghiere giornaliere. Nessuna delle mie compagne osò rivolgermi la parola. Sembrava che l’ostilità nei miei confronti si fosse diffusa per tutto l’orfanotrofio; neppure i maschi erano tentati di avvicinarsi a me. Il lato positivo della cosa, era che potevo avere mio fratello Alec tutto per me.
- Devi averne combinata una delle tue oggi. Nessuno ha il coraggio di avvicinarsi. -, mi aveva detto mentre ci trovavamo in cortile. 
Erano rari i momenti in cui potevamo stare insieme o scambiare due parole. Tutto per via di quei maledetti dormitori separati.
- Se ne dimenticheranno, vedrai.-, avevo risposto con aria annoiata, lo sguardo perso nel cielo terso di nuvole.
- Cerca di stare più attenta, sorellina. - 
L’occhiata che gli avevo riservato non lasciava presagire nulla di buono. – Metti in dubbio ciò che sto dicendo? -
- Assolutamente no. -
Mi ero specchiata in quelle pozze color caramello così simili alle mie e ad un tratto avevo avuto l’impulso di stringere Alec a me. Gli avevo sorriso e baciato una guancia. Nel compiere quel gesto, mi ero accorta che Evangeline stava guardando mio fratello. 
- Che diavolo vuoi tu? - avevo sbottato. Non sopportavo chi si permetteva di osservare mio fratello in mia presenza, anche solo per un breve istante. Ne ero tremendamente gelosa. Nessuna poteva portarmelo via. Quella ragazzina sfacciata stava oltrepassando ogni limite.
 - Non devi preoccuparti. - Alec mi accarezzò una guancia per tranquillizzarmi.
- Tu sei l’unica persona che mi rimane. Sei tutto per me, capisci? Nessuno deve portarti via da me. -, gli avevo ripetuto per l’ennesima volta. 
Il rumore dei colpi alla porta mi riportò al presente. Dopo aver bussato per tre volte, la signorina Halley entrò nel dormitorio, avanzando a testa alta al centro della stanza. Io e le mie compagne di stanza eravamo sul punto di coricarci.
- Questa sera, prima che voi possiate dormire, occorre far luce su un fatto oscuro. -, spiegò la signorina Halley soffermandosi col suo sguardo penetrante su ognuna di noi. – E’ da tempo che ricevo parecchie lamentele da parte di ognuna di voi sulla presunta scomparsa di alcuni oggetti di vostra proprietà. Desidererei porre fine a questa storia. Se c’è una colpevole, gradirei ammettesse il misfatto. -
Silenzio tombale. La curiosità si impadronì di me. Volevo vedere cosa sarebbe successo di lì a breve.
- Io so chi ha preso le nostre cose. -
Trattennero tutte il fiato mentre gli occhi della signorina Halley si posarono su di Evangeline. Possibile che la stesse guardando con compassione?
- E’ stata Jane. E’ stata sempre e solo lei. Le nostre spille, le nostre collane, i nostri portafortuna… Ha preso tutto lei. -
Evangeline. Maledetta serpe. Ero curiosa di vedere come avrebbe fatto ad incolparmi. 
- Ne sei sicura, Evangeline? Questa è un’accusa molto grave. Hai delle prove? -
Domanda interessante.
- Sì. Due giorni fa scivolai a terra per la fretta riposta nel raggiungere la mensa. Ero già in ritardo, e temevo in suo rimprovero, signorina Halley. -, spiegò Evangeline per giustificare la sua caduta - … Avevo perso la mia spilla cadendo, perciò iniziai a cercarla; vidi che era finita sotto il letto di Jane ,così allungai la mano per afferrarla. A quel punto mi accorsi che una delle assi del pavimento era mobile… - 
Cominciai a sentire uno strano formicolio caldo in tutto il corpo.
- … Fui sopraffatta dalla curiosità e… provai a smuoverla. Riuscii ad aprirla.-
Il sangue defluì dal mio volto, come se mi avessero tirato una secchiata d’acqua gelida.
- Dentro c’erano tutte le nostre cose. La collanina di Karen, il ciondolo portafortuna di Rose, il fiocco di Amelia… I nostri pochi averi. -
Non mi curai di osservare l’espressione delle mie compagne di classe. I miei occhi guizzarono da Evangelina alla signorina Halley, l’una con espressione trionfante, soddisfatta di essere riuscita a parlare, l’altra incredula.
- Lady Jane, è vero ciò che dice la vostra compagna? - 
- Affatto. Evangeline si è inventata tutto solo perché non le vado a genio. -
- Bugiarda. -, sibilò lei.
Ma che coraggio che hai.
- Ci permette di controllare, allora? - mi domandò la signorina Halley con aria timorosa. 
Sbiancai. Se l’avessero fatto… No, dovevo impedirlo. Ma se avessi usato il mio potere, qualcuno sarebbe corso a chiamare aiuto, allora con la certezza che gli improvvisi mal di testa che colpivano le persone fossero causati da me, e avrei scatenato un putiferio, infangando la stima che mio fratello Alec aveva per me.
- … Sì, certamente. -
Le parole faticarono ad uscire dalla mia bocca, come se avessi temuto di esplodere nel pronunciarle.
 
- Evangeline…- richiamò la signorina Halley. Lei capì e si avvicinò al mio letto. Lentamente mi alzai e vi scesi, permettendo ad Evangeline di spostarlo. Trattenemmo tutti il fiato quando lei sfiorò con le dita le assi del pavimento. Avrei voluto urlare quando quelle mani indegne toccarono l’asse mobile e la aprirono. Li dentro c’erano i miei tesori, tutto ciò che ero riuscita a guadagnarmi in quell’inferno di posto. Panico e disperazione s’impossessarono di me quando collane, bracciali, spille e fisarmoniche furono visibili a tutte. Sentii le mie compagne, avvicinatesi per guardare , irrigidirsi e trattenere il respiro.
- L-lady Jane... - balbettò la signorina Halley. 
Mi lanciai su Evangeline con le mie stesse mani e la spintonai violentemente a terra. Afferrai con foga tutto ciò che riuscivo a tenere tra le mani, angosciata, tra i singhiozzi. Non avrei permesso a nessuno di portarmi via le mie cose. Erano mie. Mie e di nessun’altro.
- Lady Jane! Cosa fate!?… -
Non m’importava più di niente. Perforai la signorina Halley con lo sguardo. Ma ero troppo preoccupata dei miei oggetti per potermi concentrare mentalmente. 
- Lady Jane, lasciate subito ciò che avete tra le mani! Se non lo farete, farò portare via vostro fratello Alec! -
Quella minaccia gelò il sangue nelle mie vene. La paura si fece strada in me come un tornado, la cui violenza e velocità aumentava ogni istante.
- No… No… Non lo farete! No! -
- Lady Jane, voi avete bisogno di essere curata! - 
- No! No! -, continuavo a ripetere disperata. Stringevo al petto tutti i miei averi sino a sentir male, talvolta qualcosa mi sfuggiva dalle mani e allora, tra lacrime di frustrazione e ringhi rabbiosi, mi chinavo per raccogliere ciò che era caduto. Come potevo scegliere tra i miei preziosi oggetti e Alec? Come potevano chiedermi di rinunciare a uno dei due?
Non mi accorsi che molte mie compagne erano uscite di corsa dalla stanza per chiamare qualcuno. 
La signorina Halley ebbi il coraggio di avvicinarsi e di posarmi le mani sulle spalle. –Lady Jane, si calmi, per favore! -
Allora fui investita dalla forza dell’odio, e quella mi permise di recuperare momentaneamente la concentrazione. 
La signorina Halley lanciò un grido disumano e cadde a terra sbattendo la testa. 
- STREGA! -, urlò Evangeline scoppiando a piangere e afferrandomi per il collo. In quel momento udimmo una serie di passi affrettati per il corridoio e un gruppo indistinto di persone irruppe nella stanza. Un uomo mi separò da Evangeline e tentò di trascinarmi via a forza. 
- E’ una strega! -
- E una strega! -
- Strega! Strega! - 
Urlavano le mie compagne. Io cercai di dimenarmi furiosamente, accecata dalle lacrime, mentre l’uomo che riconobbi come il dottore che mi aveva visitato di mattina, mi tirava per i capelli. I domestici si erano attorniati alla signorina Halley, cercando di farla riprendere. 
Non seppi mai se il trauma riportato l’avesse uccisa o no . Non seppi mai cosa ne fu delle mie compagne.
Mentre mi portavano via, pensai solo a due cose: ai miei oggetti, specie al mio amato specchio, e ad Alec .

L’avarizia e l’avidità mi avrebbero portato alla morte sul rogo come strega, se Aro non mi avesse salvata.


*******


Spazio dell'autrice: dalle poche informazioni che ho trovato su internet, ho scoperto che Jane ed Alec furono portati in un orfanotrofio poiché la loro città fu colpita da un incendio. Jane a causa delle tensioni in orfanotrofio con gli altri bambini, fu condannata alla morte sul rogo come strega, ma fu Aro a salvarla.
Posso dire di aver narrato un missing moment, o meglio, di averlo inventato. Scusate se ho allungato il brodo, ma a Jane avrei preferito associare la superbia o la lussuria, con l'avarizia, che mi è uscita estratta a sorte assieme al personaggio da associarle, non mi sentivo granché ispirata... La one-shot mi è riuscita strada facendo.
Il prossimo e ultimo capitolo sarà a Rating Rosso, perciò dovrò pubblicarlo a parte ;) Se lo volete leggere, controllate il mio profilo. 
Ringrazio Ninfea Blu per la sua graditissima recensione ;)  Non preoccuparti per la faccenda Jacob XD E' tutto okay, davvero! Mi ha fatto piacere leggere un punto di vista diverso 
Mi gratifica ciò che hai scritto, perché la one-shot su Edward oltre ad essere stata la prima per cui mi sono sentita ispirata, è stata anche quella che ho rivisto e migliorato più volte, insomma, quella su cui ho lavorato, a sorpresa,  più tempo. 
Il fatto che tu riesca ad immaginare perfettamente Edward steso sul letto a lanciare la pallina sul soffitto mi gratifica ancora di più! Significa che sono riuscita ad esprimere correttamente i sentimenti del mio personaggio. 
Grazie davvero di tutto, lo dico col cuore, i tuoi commenti mi riempiono di gioia. Potrà sembrare la solita frase banale, ma non lo è, è così e basta <3

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