L'arcobaleno del male di Freya Crystal (/viewuser.php?uid=58845)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Checkmate for ... (Scatto matto per ...) ***
Capitolo 2: *** Necessity or temptation? (Necessità o tentazione?) ***
Capitolo 3: *** The secret weapon. ( L'arma segreta) ***
Capitolo 4: *** Take away from me. (Portata via da me) ***
Capitolo 5: *** To defeat my sin. (Sconfiggere il mio peccato) ***
Capitolo 6: *** Impossible choice. (Scelta impossibile) ***
Capitolo 1 *** Checkmate for ... (Scatto matto per ...) ***
Titolo del capitolo: Checkmate
for… (Scacco matto per…)
Personaggi principali
associati al peccato: Rosalie Hale
Personaggi secondari:
Edward, Carlisle, Esme, Royce King, Cedric(nuovo personaggio).
Pairing(per storia):
Rosalie/Edward (solo immaginario).
Raiting: giallo
Genere: generale
Avvertimenti: One
shot
Di
superbia educata, di superbia frodata, sono la regina senza
corona…
Herman Hesse.
Checkmate
for…
Era alto e possente, dotato di spalle decisamente troppo larghe, ma
tale era l’avvenenza del viso da rendere trascurabile quel
suo unico difetto fisico; la mascella pronunciata gli donava grande
sensualità, e la fossetta sul mento ingentiliva e addolciva
il suo sguardo glaciale, blu profondo e avvolgente, ma tagliente e
severo allo stesso tempo. Un ciuffo di capelli scuri ricadeva quasi a
coprirgli un occhio. Spesso lo vedevo distogliere quella ondulata
ciocca ribelle dal viso con una mano arrossata da piccole e numerose
cicatrici, affinché potesse avere una visuale completa della
splendida e florida ragazza che sedeva di fronte a lui. Non
c’era da biasimarlo. Qualsiasi uomo avrebbe trovato
particolarmente interessante osservare quella creatura angelica;
fascino ed eleganza trasudavano da ogni suo gesto, che fosse un lieve
movimento del capo o degli occhi , quei grandi occhi celesti la cui
forma di rara bellezza pareva essere stata creata dalle mani di un
esperto disegnatore. Lei non era una fatina bionda dalla pelle candida
come ci si poteva aspettare; descriverla risulta impossibile e
dispersivo: la sua era una bellezza che le parole e
l’immaginazione avrebbero banalizzato, e adesso è
ancora più abbagliante. Quella ragazza seduta in una postura
impeccabile nel salotto di casa sua ero io: Rosalie Hale.
L’uomo si chiamava Cedric, e aveva all’incirca
ventisei anni. Sapevo che donne e giovani adolescenti morivano per lui,
tutte sognavano di averlo come sposo o come amante. In quel momento il
loro principe si trovava in casa Hale, seduto di fronte a me, con aria
incantata.
Mio padre stava ostentando una certa freddezza nei suoi
confronti, perché era venuto a sapere della sua truffa.
Temeva che se lo avessi sposato, sarei andata in rovina anche io per
diffamazione da parte di potenti e rivali imprenditori.
Detestavo i formalismi nei discorsi politici ed economici, erano solo
dei giri di parole per arrivare al vero scopo della visita: la mia
questione matrimoniale. Io facevo solo da presenza, dovevo restare in
silenzio e mantenere la mia dignitosa postura, mentre Victor, il padre
di Cedric, conversava col mio.
Cedric teneva gli occhi fissi sul mio viso, come se volesse avvolgermi
col calore e il passionale desiderio che trapelavano dal suo sguardo.
Io continuavo ad osservare l’elaborato vaso posato sul tavolo
che s’intravedeva oltre le sue ampie spalle, per nulla
intimidita da lui, anzi, a mio completo agio: mio compito nella vita
era lasciarmi contemplare dagli altri.
Giurai di aver visto più volte nel corso della conversazione
lo stesso padre di Cedric distogliere lo sguardo da mio padre e
guardarmi segretamente, senza riuscire a saziarsi della mia vista in
quei brevi istanti. Ero abituata a tutto ciò, io potevo
concedermi la superbia di ritenermi la più bella di tutte,
del resto ero convinta fosse l’incontestabile e palese
verità. Persino mio padre, l’uomo che mi aveva
cresciuta e protetta ,oramai defunto, aveva iniziato a fissarmi con
proibito desiderio nel corso della mia crescita. Di una cosa mi aveva
sempre -e inutilmente- rimproverato: secondo lui tenevo la testa e gli
occhi sollevati più del dovuto, e quel mio gesto era un atto
di maleducazione, da biasimare. Ma io detestavo guardare in basso, io
volevo guardare in faccia le persone che avevo di fronte, pensavo di
averne il diritto, dato che gli occhi erano i miei. Bella
com’ero ,meritavo di permettere agli sguardi meravigliati
degli uomini e invidiosi delle donne di godere appieno del mio viso.
Non volevo nascondermi. Quello che invece continuava a nascondersi era
proprio mio padre, si rifugiava dietro la scusa che dovevo comportarmi
bene perché non poteva ammettere a se stesso di essere
infastidito quando gli uomini mi guardavano. Ci rimasi male nel momento
in cui comunicò a Victor che non aveva intenzione di
permettere il mio matrimonio con suo figlio. In fondo a me Cedric non
dispiaceva. Ero consapevole di dover sposare un uomo ricco, ma avrei
voluto essere libera di decidere personalmente la persona a cui legarmi
per il resto della mia vita. Allora ero stupida e superficiale: pensavo
di avere il diritto di fare e decidere ciò che volevo grazie
alla mia bellezza, pensavo che quella mi sarebbe bastata per non dover
sottostare agli obblighi impostimi dagli altri, compresi i miei
genitori. Finché non capii che ciò che avevo
sempre considerato un’arma potente, al contempo era
pericolosa e portatrice di sofferenza.
L’anno successivo all’incontro avvenuto con Cedric
e Victor, conobbi Royce King, il figlio del proprietario bancario per
cui lavorava mio padre, colui che era destinato a risollevare la
società nel periodo della grande depressione. Fu Royce King
a farmi capire il danno infertomi da madre natura, fu lui a smontare i
miei sogni e a ricostruirli in un'unica grande illusione:
l’illusione della felicità che mi aspettava dietro
l’angolo, ma che non sarebbe mai arrivata. La mia vita umana
ebbe un triste finale, ciò che avevo sempre desiderato si
rivelò essere diventato una favola irrealizzabile.
Quando Carlisle mi trovò abbandonata sulla strada, mentre i
fiocchi di neve si depositavano sul mio corpo stanco, umiliato e
disfatto dai ripetuti e atroci abusi che avevo subito, la mia esistenza
cambiò. Carlisle mi fece diventare un nuovo essere, mi
trasformò in una vampira; fu proprio colui che quasi
detestavo per la sua bellezza spropositata a darmi un’altra
vita. Non avevo mai visto di buon occhio né lui
né il ragazzo che si diceva essere suo figlio,
perché entrambi erano più belli di me, e questo
mi irritava profondamente. Avevo sempre vissuto con la certezza di
essere la migliore in quanto ad aspetto esteriore; sentir parlare o,
peggio ancora, vedere i Cullen, mi infastidiva, perché loro
sgretolavano la mia convinzione.
Per tre giorni infernali Carlisle rimase al mio fianco e mi
parlò con voce dolce, come si fa con i bambini quando hanno
bisogno di essere tranquillizzati perché fuori dalla loro
cameretta imperversa il temporale. Mi ripeteva le sue scuse ogni volta
che gemevo di dolore e mi teneva la mano, cercando di farmi realizzare
cose mi fosse accaduto e cos’ero diventata.
Quando il doloroso processo della mia trasformazione finì,
potei parlare faccia a faccia con il dottor Cullen e sua moglie Esme.
Mi spiegarono che anche loro erano dei vampiri e mi dissero che il mio
aspetto fisico aveva subito dei mutamenti. Terrorizzata, chiesi loro di
potermi guardare allo specchio. Le mie paure svanirono in un istante
quando vidi la mia figura riflessa nel vetro: ero diventata la cosa
più bella che avessi mai visto.
Arrivò la volta in cui mi dovetti trovare faccia a faccia
anche con Edward, il ragazzo vampiro che Carlisle ed Esme avevano
adottato. Era appena tornato dalla caccia e quando Carlisle me lo
presentò, lessi solo ostilità e diffidenza nei
suoi occhi dorati, nessuna meraviglia. A seguito della mia
trasformazione la mia bellezza si era ulteriormente intensificata fino
a divenire abbagliante, eppure Edward mi aveva guardata come se avesse
avuto di fronte una ragazza qualsiasi: era la prima volta che mi
accadeva una cosa del genere, e non mi stava bene.
Da quel nostro primo incontro lanciai una sfida personale a me stessa:
prima o poi sarei riuscita ad attirare l’attenzione di
maschio, qual’era Edward, su di me. Non che lui mi piacesse,
ma pretendevo di sentirmi dire “Sei bellissima”, o
di essere guardata con desiderio anche da lui come avevano sempre fatto
tutti gli altri. Trovavo la sua indifferenza nei miei
confronti inaccettabile ed inspiegabile.
La prima volta che andai a caccia, Carlisle ed Esme mi insegnarono come
catturare le mie prede. Mi comportai da cacciatrice esperta che non
aveva bisogno di aiuto. D’indole ribelle, ero sempre stata
costretta a sottomettermi al volere dei miei genitori; nella mia nuova,
triste ed eterna vita, pretendevo almeno di poter essere autonoma e
indipendente. Così il mio primo pasto a base di sangue
animale me lo guadagnai da sola. Edward si allontanò da me,
Carlisle ed Esme, perché la mia presenza non gli era gradita.
-Si abituerà a te, vedrai. Edward è un tipo
difficile, ma dagli tempo e imparerà ad accettarti.-, mi
disse Carlisle quando fummo di ritorno dalla caccia. Tuttavia mano a
mano che giorni passavano, cominciavo a dubitare delle sue parole.
Edward trascorreva le giornate chiuso nella sua stanza, a pensare e a
ripensare. Era come se avesse colto la sfida segreta che gli avevo
lanciato dallo sguardo provocatorio che gli rivolgevo ogni volta che
incrociavo i suoi occhi, era come se lui fosse a conoscenza
dell’obbiettivo che mi ero prefissata di raggiungere. Ma
benché le parole di Carlisle mi risultassero sempre meno
convincenti, io non mi scoraggiavo, anzi, divenivo sempre
più agguerrita. Avevo intenzione di vincere la nostra sfida
personale, ed ero certa che, fossero passati secoli, avrei ottenuto
ciò che volevo.
Carlisle ed Esme proposero a me ed Edward di andare a caccia senza di
loro, così da avere un valido pretesto per lasciarci soli.
Ero talmente desiderosa di fare colpo su di lui, che non mi preoccupai
minimamente di Carlisle ed Esme, i quali speravano nella nascita di un
sentimento ben più profondo e reciproco di quanto volessi io
tra me ed Edward. Il mio obbiettivo? Sedurre l’algido
principe dagli occhi dorati. Il loro? Vedere Edward innamorato di me.
*******
Erano passati circa due mesi ormai da quando ero entrata a far parte
della famiglia Cullen. In un’umida mattinata
d’autunno, Edward uscì di casa con aria
infastidita salutando a stento e dichiarando che aveva bisogno di
nutrirsi. Io colsi l’occasione per rimanere sola con lui e lo
seguii. Sfrecciai silenziosa e leggiadra tra gli alberi mantenendomi a
debita distanza per non farmi scoprire, finché lui si
fermò ai piedi di un albero dalla folta chioma che oscurava
il cielo sopra di noi. Decisi che era il momento adatto per rivelarmi.
Sbucai da dietro una pianta con camminata sinuosa ed elegante, mi
fermai di fronte a lui e gli rivolsi un’occhiata penetrante,
seria in viso. I miei sorrisi erano troppo preziosi, non potevo
regalarne a chi non se li meritava.
-Rosalie.-, mi salutò con tono distaccato.
-Edward.-, ricambiai eloquentemente.
Qualcosa mi disse che si era accorto che lo stavo seguendo. La mia
superbia mi portò a pensare che si fosse fermato in un posto
riparato perché aveva deciso di dichiarare la sua attrazione
verso di me. Pregustavo già il trionfo, quando lui mi
spiazzò con le sue constatazioni. – Senti,
dovresti smetterla. Non ti rendi conto dello spreco di tempo che stai
facendo.-
Subito non capii dove volesse andare a parare.
-Non riuscirai mai a sedurmi per il tuo intento personale.-
Quella fu la frase che gli fece fare scacco matto.
-Sei davvero così superbo da credere a ciò che
hai detto?-, gli dissi con aria sostenuta.
Edward alzò un sopracciglio e mi lanciò
un’occhiata sprezzante lasciandosi andare ad una risata senza
gioia.
-Qui l’unica superba sei tu.-
Lo fissai dura, irritata e sorpresa, senza riuscire a capire come
avesse fatto a scoprirmi. Carlisle ed Esme non potevano averglielo
detto.
-Non puoi giocare con me. Non te l’ho mai permesso, e non te
lo permetterò mai.- sibilò. – Cosa
m’importa del tuo bel aspetto, se è tutto
ciò che hai da dare? -
Quelle parole penetrarono a fondo dentro di me senza che potessi
accorgermene, mi ferirono. Un ringhio fuoriuscì dalla mia
bocca. Edward continuò il suo discorso
imperterrito. –Carlisle si è dimenticato di
rivelarti un piccolo dettaglio: so leggere nel pensiero.-
Fu come se mi avessero gettato raffiche di pietre taglienti e gelide
nello stomaco. Doppio scacco matto a Rosalie
Hale Cullen.
Non poteva essere vero, mi stava prendendo in giro.
-Si che è vero, non ti sto prendendo in giro.
Però su una questione siamo d’accordo: ho fatto
doppio scacco matto.-
Mi fissava soddisfatto. Mi aveva in pugno. Visivamente e mentalmente.
Come potevo contrastare quella sua capacità sovrannaturale?
Come potevo sfuggirgli? Cercai disperatamente di annullare ogni mio
pensiero e di svuotare la mente.
-Rilassati, non ho più intenzione di entrare nella tua mente
da questo momento in poi. Oggi mi hai stancato abbastanza mentre ti
torturavi per cercare una soluzione al tuo stupido dilemma, tanto che
per avere un po’ di pace ho dovuto lasciare quella stessa
casa che sono costretto a dividere anche con te.-
Tacevo, umiliata e piena di vergogna. Ciò che più
mi rammaricava era non avere niente di sensato da dire. Ero rigida come
uno stoccafisso.
-La tua innata bellezza ti ha rovinata, Rosalie Hale.-
Edward scandì ogni parola con decisione, calcando il mio
nome. Interpretai quel suo atteggiamento come un modo per sottolineare
che non mi avrebbe mai accettata come una sua famigliare, che per lui
non sarei mai diventata una Cullen. Ma nonostante quella constatazione,
riscoprii che il mio turbamento era incentrato principalmente sulle
prime parole.
Tua bellezza. Rovina. Innata. Innata bellezza uguale rovina. La mia
innata bellezza equivaleva alla mia rovina.
Quelle parole rimbombarono nelle mie orecchie come pugnali pronti a
lacerarmi i timpani, riecheggiarono acute. Infinitamente e
dolorosamente.
Edward aveva ragione: la mia straordinaria bellezza era tutto
ciò che avevo da dare, ed essa era stata la causa della fine
della mia vita e dei miei sogni infranti.
-Hai un’eternità davanti per imparare a capire il
valore dell’esistenza. Ti è stata data una seconda
possibilità- Edward parve raddolcirsi. -Ritieniti fortunata.-
Che cosa si aspettava? Che gli facessi le mie scuse? Mai, quelle poteva
scordarsele.
-Non voglio le tue scuse, non saprei di che farmene.-
-Smettila d’invadere la mia mente!-, gridai frustrata.
-Lo farò. Ti va di cacciare?-
Colsi la sua richiesta dapprima con sospetto, poi lessi nei suoi occhi
una luce nuova, l’ombra di un sorriso. Per la seconda volta,
quel girono Edward riuscì a spiazzarmi. Volevo rispondergli
di no, ma straordinariamente riuscii a mettere da parte
l’orgoglio e ad accettare la sua richiesta. Dopotutto, era
stato lui a chiedermelo …Avevo pur sempre vinto la mia
sfida, e non importava come.
-Vediamo se sei bravo ad azzannare quanto a leggere nel pensiero.-,
risposi con voce tagliente e aggressiva.
Lui in tutta risposta rise divertito ...Divertito dal mio
comportamento. Ancora una volta fu il primo a dimostrare tale
sentimento nei miei confronti.
Ma in fondo, mentre i nostri sguardi di sfida s’incrociavano
e noi sfrecciavamo tra gli alberi, non provai rancore nei confronti di
Edward, anzi, grazie a lui sentii che il mio umore si era un
po’ sollevato e che ero quasi …quasi felice. Avevo
trovato un fratello.
Il tempo passò. Giorni, settimane e mesi volarono in un
battito d’ali. E io attuai la mia vendetta verso Royce King e
i suoi vigliacchi amici. Una vendetta spietata. Consolatrice.
Dolce. Meritata.
Così non potei incolpare del triste finale della mia prima
vita la bellezza che ero costretta a fronteggiare ogni volta che mi
guardavo allo specchio.
L’unico colpevole fu Royce King.
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Capitolo 2 *** Necessity or temptation? (Necessità o tentazione?) ***
Titolo del
capitolo: Necessity or temptation? (Necessita o tentazione?) .
Personaggi principali
associati al peccato: Carlisle Cullen.
Personaggi
secondari: nessuno.
Pairing: nessuno.
Raiting: giallo.
Genere: introspettivo,
sovrannaturale.
Avvertimenti: one shot.
Gola
è mantenimento della vita
Leonardo da Vinci.
Necessity
or temptation?
Che cosa mi
era successo? Da dove proveniva quel dolore assurdo? Mi avevano dato
fuoco dopo avermi cosparso di olio e gettato nell’acqua
bollente? Mi avevano triturato lentamente le ossa? Mi avevano imbottito
le vene di acido scoppiettante?
Avevo
l’elettricità e le fiamme in corpo. Carne, sangue,
muscoli, ossa e organi erano dilaniati dalla sofferenza.
Ma da qualche
parte nel mio cervello era rimasto un briciolo di
razionalità. Continuavo a ripetermi che non dovevo urlare.
Dovevo ingoiare l’aria e ricacciarla giù per la
gola, potevo contorcermi e dimenarmi tra gli spasmi, ma non un solo
suono sarebbe dovuto uscire dalla mia bocca.
Avevo la
sensazione di aver vissuto in coma per un anno, attimo dopo attimo,
minuto dopo minuto, ora dopo ora, in un’agonia di silenzio
sempre più dolorosa e devastante.
Poi mi ero
risvegliato. Il calore era svanito, ero stato prosciugato e
spogliato di qualcosa dentro di me. Le palpitazioni erano diventate
sempre più lente e rare, finché come un orologio
guasto le cui lancette arrivano all’ultimo rintocco, il mio
cuore si era fermato con un sordo e debole “tum”.
Da lì un liquido gelido aveva preso a scorrere in tutto il
mio corpo. Avevo la sensazione di essere stato gettato in un mare di
fuoco e poi di essere stato ripescato e buttato in un mare ghiacciato.
Ma il dolore
era finito. Di colpo, inspiegabilmente.
Solo allora
riuscii a formulare una frase nella mia testa: “Sono
diventato un vampiro.”
Mi alzai in
piedi e riemersi da una montagna di patate marce. L’odore
disgustoso colpì fortemente le mie narici fino a stordirmi.
Probabilmente i miei sensi erano diventati molto più
sensibili dopo la trasformazione.
Cosa potevo
fare? Dove dovevo andare? La risposta fu una sola: “Andare
lontano.” Prima di imbattermi in qualcuno e di avere il
desiderio di attaccarlo, dovevo lasciare la città e
raggiungere un luogo isolato. Iniziai a correre senza accorgermi della
pazzesca velocità a cui stavo andando, troppo sconvolto per
dargli importanza. Mi ritrovai all’aria aperta, ma il terrore
di fissare i miei occhi in quelli di una persona innocente, mi spinse a
non soffermarmi ad osservare il luogo circostante. Dovevo solo correre
e non fermarmi più, quello era il mio compito. Arrivai in
riva a un lago, non avevo il fiatone, ne i muscoli pesanti. Mi
inginocchiai per osservare l’argentea superficie illuminata
dalla luce lunare. Il riflesso dell’acqua restituì
l’immagine di un volto dalla bellezza statuaria e spaventosa,
l’espressione segnata dall’orrore. I miei occhi
erano diventati color cremisi, accesi di una luce maligna. La mia pelle
aveva assunto la tonalità dell’avorio, tanto che
l’acqua scura pareva illuminata da una grossa
pietra. L’unica cosa famigliare che notai furono i miei
capelli dorati. Non mi riconoscevo più.
Ero diventato
un mostro.Una preda per il mio stesso padre, una di quelle creature che
lui mi aveva costretto a perseguitare.
Mi rimisi in
piedi e fissai il cerchio perfetto della luna. Era l’unica
testimone del mio dolore, l’unica che mi stesse osservando,
superba e irraggiungibile. Allora urlai. Urlai per tutto il tempo che
avrei voluto farlo ma avevo deciso di trattenermi, urlai per sfogare in
minima parte la frustrazione, l’amarezza e la disperazione
che avevo dentro di me, dentro il corpo di un essere alieno, crudele e
pericoloso.
Il mio olfatto
fu catturato da un dolce odore e subito una voce spietata mi
ordinò di raggiungere la fonte di quel profumo e di entrare
in azione. La gola per protesta alla mia immobilità
iniziò a pizzicarmi. La mia bocca era diventata
improvvisamente secca e arida.
Il disgusto
verso me stesso m’invase quando capii che
quell’odore che mi stava tentando era quello di sangue umano.
Ne avevo la certezza. Con un ringhio disperato mi gettai nel lago e mi
lasciai affondare nelle oscure profondità. Eppure, anche se
avevo smesso di respirare, stavo bene. Capii che non avevo bisogno di
ossigeno. Fu un inutile tentativo di suicidio.
Riemersi sulla
terra al solo scopo di trovare un altro modo per morire. Ancora una
volta la voglia irresistibile di dissetarmi
m’aggredì. Desideravo il sangue per gustarne il
sapore, non per placare la sete. La mia non era una
necessità, ma una tentazione.
Il mio corpo
era teso, pronto a scattare verso il più vicino centro
abitato, ma la mente mi imponeva di andare in un’altra
direzione. Ero diviso in due: ma fu il disgusto a prevalere e a darmi
la forza di non cedere. Ricominciai la mia corsa senza meta.
Appena avessi trovato un burrone o una sporgenza rocciosa mi sarei
buttato giù. Fortunatamente l’agilità e
l’equilibrio perfetto dei miei movimenti poterono rendersi
utili mentre mi arrampicavo.
Quanto potevo
essere lontano dalla città? Se mi fossi trovato vicino, o
addirittura dentro di essa… cosa avrei fatto?
Una
strage. Fiumi interi tutti per te. Mucchi di corpi di
bambini, giovani e adulti stesi a terra, prosciugati fino alla loro
ultima dolce, gustosa goccia di sangue.
- NO! -,
gridai furioso. Non avevo la minima intenzione di dare ascolto alla
voce del mostro, istintivo, folle e maligno, che aveva preso vita
dentro di me.
“
Non sai cosa ti perdi. Così denso, rosso e caldo…
Così saporito… Una linfa vitale che aspetta di
entrare dentro di te. Ti piacerà, e tu lo sai.”
Smisi di
respirare, focalizzai la mia vista sulla roccia nella quale mi stavo
arrampicando.
Il vuoto:
dovevo avere il vuoto nella mente, se non volevo cedere a quella voce
ammaliante, altra non era che la mia.
E quello fu il
mio secondo tentativo di suicidio. Ovviamente fallì. Quando
mi gettai dalla sommità della roccia la mia pelle si
scalfì e si ammaccò, ma solo per poco. Come per
magia le mie ferite si rimarginarono. Capii che oltre ad essere
diventato straordinariamente agile e a non avere bisogno di respirare,
ero diventato molto resistente.
Ma doveva
esserci un modo per morire, anche un vampiro poteva essere distrutto,
me lo sentivo.
Correvo…
Correvo… Correvo… Senza stancarmi. Non potevo
rifugiarmi nel sonno per fermarmi. E mentre fuggivo dal mondo intero,
la voce del sangue invocava il mio arrivo, cantava il mio nome,
cercando di attirarmi nel suo abbraccio di morte come
un’incantevole sirena, comparsa sulla superficie del mare per condurre un marinaio alla pazzia con la sua voce ultraterrena.
Stavo lottando
contro l’istinto, dentro un incubo senza fine. E mentre
aspettavo di morire tra i flutti del mare, sbattuto contro gli scogli
taglienti, la voglia di sangue umano mi perseguitava.
Come potevo
accettare di vivere in eterno con una sola possibilità di
scelta? In
eterno…
Esseri viventi si sarebbero estinti, stelle sarebbero esplose, nuovi
pianeti sarebbero nati… E io ci sarei sempre stato. Io non
sarei mai sparito. No, non potevo accettarlo. Avrei visto cose che non
avrei voluto vedere, avrei saputo cose che non volevo sapere.
L’acqua
da nera si era fatta improvvisamente rossa. Rosso rubino, rosso
cremisi, rosso porpora, rosso elettrico… Rosso sangue.
Vedevo il
sangue ovunque. Lo sentivo ovunque. Il sangue e la morte erano i miei
unici pensieri.
Nuotai…
Nuotai… Nuotai… Il mare era pieno di creature
pericolose, dovevo continuare a cercare.
Andai
giù, sempre più giù, il più
lontano possibile dalla superficie e dagli esseri umani. Ma quella
profondità oscura fu in grado di spaventarmi persino dopo
ciò che ero diventato. Con la mia vista acuta avevo
intravisto tentacoli di dimensioni gigantesche muoversi intorno a me,
piccolo essere indesiderato disperso in un mondo che non mi
apparteneva. Decisi di risalire, consapevole che il profumo del sangue
mi avrebbe aggredito non appena avessi toccato la terraferma. E mentre
agitavo braccia e gambe, una piccola speranza si riaccese in me. Se
avessi negato al mio corpo il nutrimento che esso richiedeva, allora
sarei morto. Avrei dovuto resistere alla tentazione ancora un
po’, ignorare il bruciore alla gola e dimenticare di avere
una voragine nel petto. Avrei dovuto semplicemente aspettare.
I giorni
passarono lenti e faticosi, il sole calava e riappariva, mentre la mia
sofferenza rimaneva, aumentando istante dopo istante.
Ero talmente
disperato che quando vidi passare un branco di cervi, ne attaccai uno.
…
Fu come rinascere. Fu come guarire da una lunga malattia. Sentii di
essere arrivato in paradiso quando i miei denti affondarono famelici
nel collo caldo e delicato della mia povera preda. Dopo tanto tempo
finalmente avevo ceduto, avevo placato la mia sete. E non per
tentazione, ma per necessità.
Non avevo mai
bevuto qualcosa di più succulento e dissetante prima
d’allora. Succhiai il sangue dell’animale fino a
prosciugarlo della sua ultima goccia, perché più
ne bevevo più ne volevo.
Per quanto
possa sembrare crudele e orrendo ciò che feci, io in quel
momento provai sollievo, mi liberai di gran parte
dell’angoscia che avevo tenuto dentro di me durante
interminabili giorni. Fu un piacere indescrivibile sentire il sangue
scorrere nel mio corpo e riempirlo.
Da quella
volta capii che il destino mi aveva concesso una possibilità
di scelta: non avrei ucciso umani, ma animali. In passato avevo
già mangiato carne, da vampiro avrei cacciato per
sopravvivere come tutti avevano sempre dovuto fare.
Capii che la
legge della natura richiedeva a tutti di uccidere per mangiare, perfino
i vegetariani, inconsapevolmente, mangiavano cose vive,
perché anche i frutti e i vegetali facevano i figli e
crescevano. Con quella consapevolezza non provai più
disgusto verso me stesso, e fui in grado di soddisfare la mia gola ogni
volta che avevo sete.
*******
Spazio dell'autrice:
ringrazio Ninfea Blu e Dragana per la
loro bellissima recensione.
Ninfea Blu: grazie per i complimenti. Per mia fortuna non sono ancora
vecchia XD Una cosa è certa: non ho intenzione di smettere
di migliorare ;)
E' vero ciò che dici su Edward, il lato del suo carattere
che ho espresso nella shot precedente, è un'esclusiva che
lui riserva solo a Rosalie. Mi è piaciuto tentare di
approfondire questo suo aspetto, appunto perché poco
trattato in altre fanfiction. Volevo vedere cosa ne sarebbe saltato
fuori.
Dragana: grazie infinite. Sono felice che la lettura sia stata di tuo
gradimento. Miravo proprio a far riflettere Rosalie sul significato
della sua bellezza. Spero di non essere stata banale. Devo ammettere
che ciò che ha pensato Rosalie, io lo direi a me stessa se
fossi meravigliosa come viene descritta lei.
P.s il colore del titolo è una specie di prugna/ violetto.
Sostituisce il colore indaco dell'arcobaleno ;)
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Capitolo 3 *** The secret weapon. ( L'arma segreta) ***
Titolo del
capitolo: The secret weapon. (L’arma segreta) .
Personaggi principali
associati al peccato: Jasper Hale.
Personaggi secondari:
Edward, Alice.
Pairing: Jasper/Alice,
Jasper/Edward (senso fraterno) .
Raiting: giallo.
Genere: generale,
introspettivo, sovrannaturale.
Avvertimenti: One
shot.
Non appena nutrita, la rabbia
muore: è il digiuno che la ingrassa.
Emily Dickinson.
The
secret weapon
Un soldato scende in
campo esponendosi al rischio di poter morire da un momento
all’altro, e sopravvive solo in due casi: se la fortuna
è dalla sua parte o se non fugge durante la battaglia. Ho
sempre creduto di essere nato per fare il soldato, arruolatomi a soli
diciassette anni nell’esercito, sono diventato il
maggiore più giovane del Texas. Eppure questa notte ho
dimostrato di essere un codardo. Sono fuggito dalla mia stessa famiglia
nella foresta. Il mostro che vive dentro di me ha preso il sopravvento
e io non sono stato in grado di sconfiggerlo. Ho perso due volte.
Sono un soldato fallito.
Per placare la sete ho
ucciso un orso e mentre bevevo il suo sangue ho immaginato che fosse
quello di Bella. Non riesco ad accettare il fatto di essere
l’anello più debole della famiglia. Come fanno gli
altri a resistere ad un odore così buono? Perché
loro ci riescono ed io no?
Ho affondato le unghie
nella terra talmente in profondità da aver tolto rifugio
agli insetti che vi dimoravano. E’ la rabbia ad impedirmi di
stare fermo, quel maledetto, violento e intenso sentimento che non
riesco a scacciare. Ho il potere di calmare e controllare le emozioni
di coloro che mi stanno attorno, ma non riesco a farlo con me stesso.
Perché? Dietro la maschera di tranquillità che
mostro a tutti si cela il vero Jasper, il ragazzo impulsivo e
irascibile che non è morto quando è diventato
vampiro. Forse è per questo motivo che ho tale
potere: in passato ho peccato d’ira e la mia
penitenza consiste nel non potermene liberare mentre assorbo le
emozioni altrui.
Un cantante morto da
pochi anni diceva che era meglio essere odiati per ciò che
si è, piuttosto che essere amati per la maschera che si
porta. Aveva ragione, nascondere una parte di sé agli altri
fa sentire soli. E la solitudine eterna non è una compagna
desiderabile.
Solo Alice ed Edward
riescono a capirmi veramente a fondo. Edward può leggere nel
profondo dei miei pensieri, mentre Alice… Lei è
la mia medicina. E’ tutto ciò di cui ho sempre
avuto bisogno, sprigiona tutti i sentimenti di cui vorrei sentirmi
avvolto ogni istante: allegria, amore, positività,
vivacità, voglia di vivere. Lei mi conosce a fondo
perché ha voluto farlo. Ma ciò che non riesco a
capire è il perché abbia voluto farlo. Forse
perché ha visto la mia presenza nel suo futuro? Forse
perché è convinta che io faccia parte del suo
destino? E se si fosse innamorata delle sue visioni, della mia immagine
che compare giorno dopo giorno nella sua mente, e non del vero Jasper,
quello in carne e ossa, colui che vive nel suo presente?
Forse se non avesse
alcun potere, Alice non si sarebbe mai innamorata di me. Mi irrita
avere questi dubbi, mi irrita non potere avere una risposta, mi irrita
sapere che lei conosce il nostro domani mentre io non posso prevedere
niente.
E’ facile
vivere nella sicurezza,s enza avere mai paura di perdere chi si ama,
con la possibilità di poter affrontare e risolvere in
anticipo i problemi. E’ facile vivere senza le bende sugli
occhi, in tal caso le probabilità di cadere si riducono ad
una minima percentuale. In questo mondo siamo tutti ciechi se si parla
di futuro. Tutti tranne lei: Alice, la mia dea, la mia vita, il mio
Amore. Se anch’io potessi vedere il futuro, troverei maggiore
equilibrio nel nostro rapporto e non mi sentirei inferiore.
… Non
è bello sentirsi inferiori alla persona più
importante della propria vita.
Continuo a graffiare la
terra con foga, come se potessi trarre una nuova, confortante, risposta
a tutti i miei perché a tale gesto.
Immagini e voci remote
compaiono nella mia mente. Sono inginocchiato davanti ad Alice e sto
per chiederle di sposarmi, con la vita racchiusa in un minuscolo
oggetto che tengo tra le mani, un minuscolo oggetto che ho intenzione
di donarle per sancire il nostro legame d’amore. Ma lei non
sa aspettare, lei è troppo impaziente di mostrare la sua
gioia e mi getta le braccia al collo ancor prima che io possa parlare.
“Ti amo ! Lo voglio ! Lo voglio ! Oddio, lo voglio con tutta
me stessa !” Quelle parole squillanti di felicità
vengono sostituite da altre cariche d’imbarazzo. “
Spero di piacerti, non vorrei rovinare tutto dopo quello che hai
preparato per noi.” Era la nostra prima notte di nozze, lei
sapeva della sorpresa speciale che la stava aspettando in camera per la
nostra prima notte d’amore. “Perché vuoi
andare in Groenlandia, amore? Credo che l’Inghilterra sarebbe
decisamente più interessante …” Eravamo
a letto insieme ,dovevo ancora parlarle della mia proposta di luna di
miele, e lei aveva smontato ogni mio progetto con una sola frase.
“Niente puma oggi. Ti ho visto girare a vuoto ore e ore per
la foresta. Meglio puntare qualche cervo.” Perfino quando
andavamo a caccia lei anticipava ogni mia mossa.
Sono state tante le
volte in cui mi sono sentito inutile. Non riesco a diventare
imprevedibile agli occhi della mia Alice, perché io sono una
stratega, uno stratega che organizza ogni sua mossa alla perfezione
anche quando non è sul campo di battaglia. Sempre.
Mi lascio sfuggire un
ringhio di frustrazione. E’ bastato un incidente per
riportare alla mia mente questi pensieri angoscianti. Stringo le mani a
pugno per calmarmi e trattenermi dalla voglia di graffiare
continuamente la terra fangosa. Sento che sto ringhiando
inferocito e mi accorgo di ciò che ho fatto intorno a me.
Sono finito in una fossa, una fossa che ho scavato nel giro di alcuni
minuti con le mie stesse unghie.
- Jasper. -
Un sussurro nella notte,
carico di comprensione. E’ la voce di mio fratello Edward a
richiamarmi. Mi volto e lo vedo fissarmi intensamente
dall’alto. Lui è l’unico che
può capire come mi sento in questo momento. Non mi sono mai
vergognato di mostrargli i miei pensieri.
Mi rimetto in piedi e
con un balzo esco dalla fossa. Edward rimane immobile, il bagliore
della luna che penetra il fogliame degli alberi illumina il lieve
sorriso che si è disteso sul suo volto. E’
sufficiente uno scambio di sguardi, rapidi come la luce raccogliamo il
tumulo di terra che ho creato e richiudiamo il buco ai nostri
piedi. Rimaniamo ad osservare il nostro piccolo lavoro
soddisfatti.
- Anche io potrei
uccidere Bella da un momento all’altro. -
Rimango in silenzio,
aspettando di sentirlo parlare ancora.
- E sai cosa mi
trattiene dal non farlo? Il fatto che la amo. Anche tu
riusciresti a resistere alla tentazione del sangue, se
l’amassi. -
Edward sta cercando di
fare in modo che io non mi senta inferiore a lui.
- Bella non ce
l’ha affatto con te. -
- Davvero? -
Mio fratello annuisce e
mi sorride nuovamente. – Carlisle la farà tornare
come nuova, non preoccuparti.-
- La ami
incondizionatamente. - ,dichiaro . I sentimenti di Edward sono di una
forza schiacciante anche solo quando parla di Bella.
- Non ci sono parole per
definirlo. -
Mi accovaccio a sedere,
segno che ho voglia di rimanere a chiacchierare ancora un
po’. Improvvisamente mi accorgo di quanto io e mio fratello
abbiamo in comune, ora più che mai: Edward non
può leggere la mente di colei che ama, deve avere paure
simili a quelle che ho io quando penso al mio rapporto con Alice.
Mio fratello si siede al
mio fianco e ride. – Ricordi la mia frustrazione i primi
giorni che conobbi Bella? -
Annuisco.- Ce
l’avevi con il mondo intero. Sei dovuto andare a Denali per
schiarirti le idee. -
Chi meglio di me
può sapere quello che provò? Edward stette male
talmente cercò di riflettere, si sentì
esattamente come me: cieco di fronte a qualcuno, angosciato, confuso,
tormentato e… arrabbiato. Ormai prova principalmente
rassegnazione quando pensa all’inaccessibilità
della mente di Bella. Ma anche attrazione e desiderio, due dei motivi
che hanno contribuito a farlo innamorare di Bella.
E’ incredibile
quante risposte io stia riuscendo a trovare senza il bisogno di
chiedere nulla.
- Vedo che stai
iniziando a capire da solo. La tua rabbia verso il potere di Alice
è la stessa che provai io quando scoprii lo scudo mentale di
Bella. Una rabbia che si può chiamare anche paura, paura per
qualcosa che non riusciamo a capire e ad accettare fino in fondo. Ma se
ci pensi, è un bene che un lato di Bella ed Alice restino
oscuri, altrimenti non avremmo potuto rimanerne attratti. -
- Hai ragione, Edward. -
Mio fratello mi
trasmette comprensione e sicurezza.
- So perché
poco prima hai scavato quella fossa. Eri furioso. E, perdonami se te lo
dico, ma per un motivo sciocco. -
Mi fissa con aria da
indagatore, come se si aspettasse che io gli rivolga una domanda.
Dimentica che è lui quello che legge nel pensiero? Cosa
dovrei chiedergli io?
- Sei confuso, vedo. -
Lo guardo con aria
interrogativa.
- Mi aspettavo che tu mi
facessi qualche domanda su Alice. Per tutti questi anni non hai mai
osato … -
Una lampadina si accende
nella mia mente. Edward sa che il motivo principale della mia ira
è l’incertezza del perché Alice sia
innamorata di me. Lui vuole che io gli chieda cosa pensa Alice di me.
Ma non ne ho mai avuto il coraggio.
- Jasper, tutta questa
rabbia repressa che hai dentro di te è immotivata, credimi.
Avresti dovuto capirlo molto tempo prima, dimentichi le emozioni che ti
fa percepire quel piccolo folletto quando state insieme? Non
c’è bisogno che io metta in piazza i suoi
sentimenti nei tuoi confronti perché tu possa essere sicuro
del suo amore. -
Edward sta mettendo
forza e convinzione nelle parole che dice. Improvvisamente mi sento
più sollevato.
- Ci hai mai pensato? Io
posso controllare le emozioni della tua ragazza, mentre tu puoi
accedere alla mente della mia. E’ ridicolo. -
- I vampiri non sono
l’unica cosa sovrannaturale di questo mondo. -
Ridiamo. Finita
l’ilarità di quel momento prendo una decisione.
– Ho intenzione di andarmene in Alaska per un paio di giorni.
Ho bisogno di… cambiare aria. -
- E io ti
seguirò. -
Una voce che danza
nell’aria e mi fa sentire leggero ogni volta che avvolge i
miei sensi con la sua bellezza… Alice.
- Come faccio a rimanere
in questo buco di città senza di te? Dimmi di si, ti prego!
-
Non mi ha nemmeno dato
il tempo di voltarmi a guardarla. Una folata di profumo di fiori
m’investe. Mi ritrovo con il suo dolce visino a un centimetro
dal mio.
- Cosa decidi? -, mi
chiede con un’irresistibile espressione di supplica.
Maledetto soldo di cacio…
-Va bene, verrai con me.
-
Lei mi abbraccia, e un
tornado di emozioni di gioia pura mi travolge. – Tanto sarei
venuta anche se avessi detto di no! -
- Certo, tu fai sempre
quello che vuoi… -
- Vero! -
- Vero… -,
ripete la voce di Edward con aria esasperata. Mi ero quasi dimenticato
della sua presenza. Alice annulla il mondo quando mi abbraccia
- E tu che vuoi?
Perché non vai a controllare se Carlisle ha finito di
ricucire Bella invece di startene qui? - L’ultima frase ha
urtato leggermente il mio umore, senza volere Alice ha risvegliato in
me il dispiacere e l’imbarazzo per ciò che
è successo.
- Seguirò il
tuo consiglio ancora una volta. Dopotutto qui mi sono già
reso utile. Piuttosto, vedi di non mandare in fumo il lavoro che ho
appena terminato di svolgere-, le si rivolge Edward con tono
sarcastico. Indubbiamente si riferiva alla missione
“Confortiamo Jasper”.
Mentre osservo la mia
piccola Alice e mio fratello Edward animarsi nel loro battibecco, mi
rendo conto di qualcosa che non avrei mai immaginato di riuscire ad
ammettere a me stesso: l’ira è una mia debolezza
segreta, tuttavia ha il suo lato positivo: è un sentimento
irrazionale, di conseguenza, imprevedibile. E’ tutto
ciò che nemmeno il potere delle visioni può
prevedere. E’ una forza esplosiva.
L’ira
è al contempo la mia arma segreta.
*******
Spazio dell'autrice: trovo che questa one shot sia
insolita, ma mi attirava l'idea di associare l'ira a Jasper, proprio
perché poco ovvia come cosa. Ho associato la gola a Carlisle
per lo stesso motivo. Mi è piaciuto tanto fare tutti quegli
accorgimenti su Jasper ed Edward. Spero che la lettura sia stata di
vostro gradimento.
Rispondo e ringrazio:
Bella_ Kristen: mi fa
piacere che la mia fanfiction ti piaccia^^. Sono felice di sapere che
l'immagine del capitolo precedente sia azzeccata, sentirselo confermare
dai lettori è gratificante, dato che ci ho messo tanto a
trovarne una che mi convincesse. Approfondire personaggi con meno
spazio dei protagonisti mi piace, è una sfida personale che
faccio con me stessa per passione;
Ninfea Blu: sono
d'accordo su ogni singola parola che hai detto riguardo a Carlisle. Lo
adoriamo entrambe da quel che ho capito ^^ Sono felice di sapere che ti
piaccia il modo in cui io l'ho caratterizzato, dopotutto sei una sua
fan e anche tu hai scritto su di lui in maniera perfetta. Quindi le tue
parole sono ben studiate, da tenere in considerazione, e di certo da
non dimenticare.
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Capitolo 4 *** Take away from me. (Portata via da me) ***
Titolo del capitolo: Take
away from me. ( Portata via da me).
Personaggi principali
associati al peccato: Jacob Black.
Personaggi secondari:
Bella, Edward.
Pairing: Jacob/Bella,
Edward/Bella.
Raiting: verde.
Genere: generale.
Avvertimenti: One
shot.
“Invidiamo gli altri
più per quello che hanno che per quello che
sono.”
Gervaso.
Take
away from me
Era solo un mostro, un essere privo d’anima dannato per
l’eternità. Eppure lei lo aveva scelto. Aveva
scelto di amare una patetica sanguisuga che avrebbe potuto donarle solo
il rischio della morte.
Il perché mi era ignoto.
Pallido, occhiaie grigie che gli circondavano le palpebre degli occhi
color bile, l’aria di chi si credeva Dio sceso in terra...
Eppure tutte morivano
per lui. A quanto pareva io ero l’unico a non
vederlo bello. Non avrei mai capito i gusti delle donne riguardo
all’aspetto fisico. Ma ero convinto che Bella desse
importanza anche a qualcos’altro, e non riuscivo a
capacitarmi del fatto che si fosse innamorata di lui.
Avevo una cotta per Bella perché oltre a sentirmene
incredibilmente attratto, la credevo diversa dalle altre,
più matura e saggia di qualunque altra diciassettenne avessi
mai avuto modo di conoscere. Mi aveva mostrato il suo interessamento
nei miei confronti quando eravamo stati a La Push, sapevo di piacerle,
sapevo che se mi fossi fatto avanti, avrei potuto conquistarla. Dovevo
solo respingere un fastidioso ostacolo piazzatosi al centro del mio
percorso: la sanguisuga. Scacciai la voglia di saltargli addosso in
quell’istante mentre le accarezzava la schiena. Ero
desideroso di provocarlo davanti a Bella, ma non dovevo farlo,
perché mi sarei messo in cattiva luce davanti a lei e le
avrei rovinato la serata.
Mi maledii mentalmente per essere andato a quello stupido ballo. Al
solo pensiero di avvicinarmi a Bella, io, grande e grosso
com’ero, sentivo le ginocchia tremare.
Sarebbe stato tutto più semplice se al posto del ghiacciolo
ci fossi stato io a stringerla tra le mie braccia. Ma non avevo nemmeno
il coraggio di figurarmi la scena. Di certo l’algido
cavaliere non sarebbe stato lieto di lasciare la sua dama nelle mani
dell’altro.
Odiavo attribuirmi quell’appellativo. Odiavo essere il terzo
incomodo. Odiavo l’idea di intromettermi nella seratina
romantica di Bella. E mi vergognavo. Ero a disagio, perfino, cosa che
solitamente non mi accadeva quasi mai. I balli non facevano per me,
come le camicie eleganti e le cravatte. Per quel che ne sapevo, nemmeno
a Bella piacevano i balli. Quando eravamo piccoli e giocavamo insieme
col fango, Bella si soffermava nelle sue fantasticherie e
diceva di volere un eroe capace di proteggerla dai pericoli, uno di
quelli coi superpoteri in grado di fare acrobazie spericolate, libero e
indipendente, sempre pronto ad aiutare i più deboli e a
lottare contro i prepotenti. Io ero contento che lei non volesse un
principe come tutte le altre mie amichette, perché anche a
me non piaceva l’idea di essere un ragazzo ricco ed elegante
in sella ad un cavallo bianco, preferivo atteggiarmi da Robin Hood,
l’eroe scapestrato perfetto per Bella.
Ebbi una fitta allo stomaco a quel ricordo nostalgico.
Dolce Bella,quanto cose
abbiamo in comune. Eppure non ci siamo innamorati l’uno
dell’altra come sognavo accadesse sin da piccolo.
Era troppo doloroso restare a guardare Bella e Edward Cullen insieme.
Decisi di andarmene, quel posto non faceva per me, e se non fosse stato
per mio padre, non ci sarei mai andato. Ma nel momento stesso in cui
formulai quel pensiero, la sanguisuga mormorò qualcosa
all’orecchio di Bella e lei con aria smarrita si
guardò attorno, finché non mi vide, poco
più distante da lei.
Dannazione. Non potevo lasciare la sala da ballo, avrebbe pensato che
l’avessi fatto apposta. Oramai dovevo andare a salutarla.
Avanzai verso di lei con passo insicuro.
Perfetto, ,ti ha visto
lì impalato al centro della sala come un idiota e adesso
starà provando vergogna per te.
La delicatezza con cui Edward sciolse la presa ferrea dalla sua
schiena, e lo sguardo acceso d’amore -se così si
poteva definire- che le rivolse, montarono in me un’intensa
sensazione di fastidio e invidia.
- Ciao Bella. -, salutai cercando di sorridere al mio meglio e di
sostenere il suo sguardo.
- Ciao Jacob. -
Mi costò tutta la fatica del mondo rivolgere un cenno di
saluto anche alla sanguisuga, che ora teneva per la vita Bella e mi
stava perforando con lo sguardo freddo. – Edward. -
Forzato, ,troppo forzato.
Non mi importava che Mister Chioma Sexy se ne accorgesse, ma sperai che
almeno Bella non lo avesse notato.
- Ciao Jacob. -
Avrei voluto sprofondare nel pavimento.
La sanguisuga lasciò Bella nelle mie mani e dopo averle
rivolto un ultimo sguardo di venerazione, si allontanò.
- Ehm, balliamo? -, proposi.
Era l’ultima cosa che avrei mai voluto chiederle. Ma dovevo
cogliere l’occasione al volo. Con la sanguisuga perennemente
appiccicatale sarebbe stato difficile passare del tempo con Bella,
specie averla tra le mie braccia. Per un istante sperai di vederla
sorridere, come se avesse ricordato il nostro rifiuto di farci principe
e principessa quando da piccoli giocavamo insieme. Invece si
limitò ad annuire, perplessa, spalancando quei suoi occhioni
scuri che mi avevano fatto perdere la testa.
Cosa ti ha fatto quel
succhiasangue? Ti ha stregata, assuefatta a lui con qualche sporco e
astuto incantesimo ammaliatore? Immagino che adesso i tuoi pensieri
siano pieni di lui e che di noi due non ti sia rimasto niente
nella memoria. Come fai a non ricordare?
Faticò a salire sui miei piedi, data la mia altezza. Sorrisi
orgogliosamente tra me e me a quel pensiero.
- Non dirmi che sei cresciuto ancora dall’ultima volta che ci
siamo visti. -
Sfoderai uno dei miei migliori sorrisi. - A quanto sembra si. Sono
più di un metro e ottanta. -
Dio, ,come sei bella
questa sera... Bella.
Volevo godermi quel breve momento insieme a lei, senza pensare a
nessun’altro fuorché a noi due. Al diavolo il
fatto che sembrassi un sacco di patate, nel mio vestito inadeguato alla
mia personalità, mentre mi muovevo lentamente sul posto. Al
diavolo la sanguisuga e tutti gli altri studenti.
Ero abbracciato alla ragazza che mi faceva battere il cuore, splendida
nel suo vestito blu cielo anche con una gamba ingessata. Potevo
guardarla negli occhi e sorriderle mentre mi parlava, potevo illudermi
che fosse mia.
L’idea di doverle riferire il messaggio di mio padre
m’irritava. Non volevo menzionare Edward Cullen, non in quel
momento così prezioso per me, ma era un mio dovere farlo.
Sperai vivamente che reagisse quando le dissi che Billy non approvava
il suo fidanzamento con il succhiasangue, sperai che capisse che glielo
stavo dicendo perché mi piaceva…Lo sapeva che la
ragazza impegnata a cui avevo alluso nella conversazione precedente
fosse lei. Ma non si mostrò turbata più di quel
tanto, gli occhi le brillarono di determinazione quando mi disse che
sarebbe stata in grado di assumersi le sue responsabilità.
Forse lo amava davvero…
Stupido Cullen.
Avrò anche due anni meno di Bella, ma potrei comunque
renderla felice e completa, cosa che tu non potresti fare mai. Io
potrei darle calore umano, potrei farle scoprire piaceri di cui tu hai
dimenticato l’esistenza, freddo sasso senza vita.
Niente è per sempre. Così dice la gente.
Eppure l’essere che meno sopportavo al mondo poteva vivere in
eterno. Quando si avvicinò a me a Bella per separarci, fu
dura resistere al desiderio di saltargli addosso e prenderlo a pugni.
Non era giusto. Non era giusto che un mostro come lui avesse ottenuto
un dono tanto grande e raro. L’amore di una creatura
meravigliosa come Bella, semplice ed innocente umana con una vita
intera davanti a sé, non poteva essere sprecato per colmare
le giornate di un mostro.
Avrei odiato Edward Cullen fino alla mia morte, me lo sentivo. Lo avrei
odiato perché incapace di capire perché lui fosse
migliore di me.
*******
Spazio dell'autrice:
care fan di Bella&Jacob, mi spiace diverlo, ma io
parteggio assolutamente per Bella&Edward XD
Tuttavia non disprezzo Jacob, anche lui mi piace come personaggio. In
questa fanfiction ho voluto far emergere un lato di lui che di solito
non si vede: l'insicurezza. Credo che lo abbia reso più
tenero.
Un po' triste come finale, ma è così che ho
immaginato la scena nella mia mente. Lascio a voi il diritto di
giudicare.
Ringrazio e rispondo alle recensioni di:
Bella_Kristen: ciao cara, come sempre mi fai troppi complimenti ^^
Felice di sapere che gli abbinamenti siano stati ancora una
volta di tuo gradimento. Né Alice né Emmett sono
stati peccatori in questo capitolo, ma spero che ti sia piaciuta lo
stesso.
Ninfea Blu: mi gratifica sapere che il confronto tra Edward e
Jasper ti sia piaciuto. Io stessa mi sono cullata dentro alla storia,
l'atmosfera di leggerezza di cui parli tu è emersa grazie ad
Edward, perché l'ho descritto calmo e sicuro,
benché non lo fosse realmente, tormentato dal pensiero di
Bella e di ciò che le era successo. Non riesco ad
immaginarlo capace di mostrare le sue preoccupazioni quando i suoi
famigliari sono in crisi, penso che anteponga gli altri a se stesso, in
tale circostanza. Edward si impone di nascondere il suo dolore
perchè prima di tutto vuole far star bene i suoi cari, come
accade in questa shot mentre cerca di confortare Jasper.
Spero di essere stata chiara, il concetto è semplicissimo,
ma oggi, non so perché, fatico a spiegarmi chiaramente XD
|
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Capitolo 5 *** To defeat my sin. (Sconfiggere il mio peccato) ***
Titolo del
capitolo: To defeat my sin. (Sconfiggere il mio peccato).
Personaggi principali
associati al peccato: Edward Cullen.
Personaggi secondari:
Famiglia Cullen.
Pairing: nessuno.
Raiting: verde
Genere: introspettivo, generale.
Avvertimenti: One shot.
La
pigrizia è dovuta a uno scarto di immaginazione. Una
semplice messa a punto ce ne guarirebbe
Marcel Jouhandeau.
To
defeat my sin
Sdraiato
sul letto, un braccio dietro la testa e una gamba accavallata
all’altra, afferravo e rilanciavo su e giù la
pallina da baseball che tenevo nella mano destra con estrema
precisione, osservando il soffitto tanto intensamente che si sarebbe
potuto sciogliere in polvere sopra la mia testa. Non sapevo
più cosa inventare per scacciare la monotonia, qualsiasi
cosa mi dava noia. Sulle mie spalle pesavano
settant’anni di vita passati a nascondersi e a
isolarsi dal mondo. Se avessi potuto mostrarmi alla luce del giorno o
scorrazzare liberamente per le strade, avrei fatto ogni genere di
pazzia, immaginabile e inimmaginabile, per provare il brivido del
divertimento e delle novità. Ma tutto ciò era
proibito, e ad impedirmelo era la mia natura straordinaria. Avevo
un’eternità davanti a me, un’insensata
eternità che avrei dovuto trascorrere come recipiente di
sangue animale. L’avrei scambiata volentieri con una breve,
sfortunata e sofferta vita, pur di vivere con intensità ogni
emozione e dare significato ai giorni che passavano. La prospettiva di
un nuovo inizio dopo la morte mi avrebbe dato speranza.
“
Ho bisogno di un profumo alla fragola e di un vestito bordeux! E di una
paio di scarpe color panna e di…”
Distolsi
infastidito la mia mente da quella del piccolo folletto. A volte mi
sorprendevo ad ascoltare i pensieri dei miei famigliari senza sapere il
perché.
“I
genitori saranno distrutti… Dodici
anni…”
Carlisle
era dispiaciuto per la morte di una giovane paziente malata di cancro.
“
Ha un’aria così buffa e innocente…
”
Probabilmente
Rosalie stava pensando al suo scimmione. Uno delle principali ragioni
per cui mi sentivo vuoto e privo di senso era l’assenza di
una compagna. Da quando Rose aveva trovato Emmett, io ero rimasto
l’unico solo della famiglia. Alice e Jasper erano arrivati
insieme. La nota stonata dei Cullen ero io.
“
Devo resistere, dannazione, è passato solo un giorno
dall’ultima volta!”
Forse
Jasper aveva di nuovo sete. Indugiai se scendere in sala e chiedergli
di venire a caccia con me, ma ero sazio e non avevo nemmeno voglia di
alzarmi e di lasciare il letto dove mi ero fossilizzato come una statua
di marmo. L’unico, impercettibile, movimento nella stanza era
quello della mia mano quando la pallina vi finiva imprigionata.
“
Muoiono così tante persone, e lui si sente in colpa.
Amore… ”
Esme
aveva la testa piena di Carlisle, il suo salvatore, nonché
suo adorato marito ed eterno compagno.
“
Muori bastardo d’uno zombie!! ”
Probabilmente
Emmett ci stava dando dentro con il suo videogioco preferito.
Non
c’era niente di nuovo nei loro pensieri. Tornai a
concentrarmi sul lancio della mia pallina e sulla contemplazione del
soffitto immacolato.
Se
avessi potuto rendermi utile a fare qualcosa per gli altri, forse la
mia esistenza sarebbe stata più interessante…
Avevo studiato medicina come aveva fatto Carlisle per salvare delle
vite, ma poi avevo capito che quel tipo di vita non faceva per me. Gli
ospedali ricordavano troppo la morte dei miei genitori e di Edward
Anthony Masen.
La
mia mente fu catturata dal nuovo pensiero di Alice. Era rivolto a me.
-
Oh no… -
Non
feci in tempo a schizzare fuori dalla finestra che quel piccolo tornado
aveva spalancato la porta della mia camera. Mi fissava con aria
supplicante, l’eccitazione dipinta sul viso sbarazzino,
l’espressione da finta bambina innocente peggiore che le
avessi mai visto.
Distolsi
lo sguardo con un leggero movimento del capo e tornai a posarlo sul
soffitto. Possibile che non si prendesse nemmeno la briga di parlare?
-
Non mi va. - risposi .
“
Preferisci startene qui a girarti i pollici? ”
-
Si. –
“
Ti trascinerò a forza. ”
La
sentii avvicinarsi con aria decisa e precedermi
nell’afferrare la pallina che stava per atterrare
nuovamente sulla mia mano.
-Alice,
ci abbiamo giocato anche ieri. Non mi va. - ripetei con lo stesso tono
impassibile.
Non
avevo voglia di fare l’ennesima partita di baseball, era da
un anno ormai che ci giocavamo ogni giorno.
Scattai
a sedere con aria sbigottita, la rabbia che si era fatta
improvvisamente strada dentro di me.
-
Ma
che diavolo! -, sibilai a denti
stretti.
Lei
si sedette di fianco a me, con un sorrisino compiaciuto stampato in
faccia, per nulla intimidita dalla mia reazione.
-
Mi dai sui nervi, lo sai!? -
Scoppiò
a ridere. La stanza fu inondata da un suono armonioso come
dell’argento che sfiora le corde di un’arpa.
Chiusi
la mia mente, intenzionato a non rivedermi più mezzo nudo
avvinghiato al corpo di una ragazza. Mia sorella sapeva essere un
mostro quando si metteva a fantasticare sulle sue porcherie…
-
Va bene, restatene lì. Ma stasera non venire a chiedermi
scusa per come mi hai trattata oggi, se ti sentirai in colpa. -
Percepii il divertimento e la soddisfazione da bambina nella sua voce.
Incuriosito
entrai nuovamente nella sua mente, ma lei prese a cantare
l’inno nazionale americano in arabo per estraniarmi dai suoi
pensieri.
Quando
cercai di toglierle di mano la mia pallina con un ringhio infastidito,
lei piroettò elegantemente su stessa e uscì dalla
stanza.
-
Ehi, la porta! -
Sospirai
frustrato e mi rialzai per richiuderla. Non ne potevo più di
nulla. Non avevo voglia neppure di ascoltare la musica, le canzoni
erano sempre le stesse; i pensieri della gente sempre gli stessi; lo
scorrere del tempo sempre lo stesso: sole e luna, sole e luna che si
alternavano; il passare delle giornate sempre lo stesso: pioggia,
pioggia,pioggia, e ancora pioggia; il rumore delle gocce che
picchiettavano sul vetro della finestra sempre lo stesso.
Quanto
valeva un eternità spesa a bere sangue e a rimanere sdraiato
su di un letto? Niente, si trattava solo di una fregatura. E la cosa
più angosciante era pensare che non me ne sarei mai potuto
liberare. Mai e poi mai.
Il
tempo non esisteva per i vampiri. Giorno dopo giorno pensavo alle
parole di Alice “ Esci da questa camera e vai a cercare
ciò che potrà dare un senso alla tua esistenza.
”
Ma
dove potevo andare? Cosa potevo cercare? Umani… Avevo avuto
a che fare con troppi di loro. Capivano troppo tardi i valori della
vita e morivano pieni di rimpianti. Non potevano competere in
intelligenza con un centenne mascherato da adolescente. Di conseguenza,
li trovavo noiosi, e soprattutto prevedibili a causa del mio potere di
lettura del pensiero.
I
miei simili… Erano pochi quelli pacifici: la mia famiglia,
il clan di Denali e altri piccoli gruppi sparsi per il mondo. E
benché Tanya dimostrasse un palese interesse nei miei
confronti, io non ricambiavo. Tanya era noiosa come gli umani. Del
resto come potevo provare attrazione per qualcuno, se ad un solo
incrocio di sguardi o di gesti, potevo leggere la parte più
intrigante e affascinante di ognuno di loro, ovvero la mente? Senza
curiosità e desiderio di scoprire chi mi stava accanto non
potevo innamorami. E un’eternità senza
l’amore, passata a consolarsi con gli oggetti materiali, non
era gratificante. Se un secolo mi aveva già stancato, i
millenni e le ere sarebbero stati l’Inferno.
Non
davo la colpa a Carlisle per ciò che ero diventato, ma avrei
tanto voluto sapere il perché mia madre, Elizabeth Masen,
avesse deciso di farmi vivere così. Per quale motivo non mi
aveva lasciato morire? Forse sarei scomparso, forse un dopo non
esisteva, ma che differenza avrebbe fatto svanire nel nulla dal vivere
nell’apatia?
-
Edward, scendi un momento, per favore. –
La
voce amorevole di mia madre che mi chiamava catturò le mie
orecchie. Lanciai un’occhiata alla finestra. Il cielo si era
fatto blu scuro, un’altro giorno era passato senza che io me
ne fossi reso conto.
Come
un automa che risponde immediatamente ai comandi, mi alzai e uscii
dalla mia camera. In mezza frazione di secondo mi ritrovai in salotto.
Vestiti elegantemente, e con un largo sorriso stampato sulle labbra,
lì trovai tutti ad aspettarmi: Carlisle, Esme, Alice,
Jasper, Emmett e Rosalie.
Alice
fu la prima a scomporsi. – Buon compleanno!! -,
esclamò gettandomi le braccia al collo e saltellando sul
posto. Il mio compleanno… Me ne ero dimenticato.
Nello
stesso istante in cui quel piccolo tornado mi saltò addosso,
le menti dei presenti si spalancarono a rivelarmi la sorpresa. Stavano
pensando tutti alla stessa cosa.
-
Non avreste dovuto… - mormorai imbarazzato, quando mia
sorella si staccò da me.
-
Figurati, Edward.- mi rispose Carlisle affabile.
-
TA-DAAAAAAAAAN!!! - Alice scoprì con un gesto teatrale delle
braccia il telo nero che copriva il grande pianoforte lucido in un
angolo della sala. Batté le mani sprizzando gioia da tutti i
pori, gli occhi illuminati come due campanellini di luce.
-
Visto che è risaputo che ami la musica, abbiamo pensato di
regalarti qualcosa che ti permetterà anche di comporla. -,
spiegò Carlisle.
-
Sono sicuro che diventerai bravissimo, caro. - Esme era convinta al
cento per cento della sua affermazione.
-
Grazie a tutti. - Misi la massima sincerità in quelle parole.
Emmett
mi sferrò un pugno sulla spalla. - Dai, invece di fare il
commosso, perché non ci fai vedere come te la cavi?
–
Li
guardai tutti, lessi i loro pensieri di curiosità e attesa,
visibili già dalle espressioni dei loro volti meravigliosi,
poi spostai gli occhi sul pianoforte. Sembrava chiamarmi, pronto per
essere suonato immediatamente. Mi sedetti sullo sgabello. Posai una
mano sui tasti, sfiorandoli delicatamente con le dita, senza fare la
minima pressione, come se li stessi accarezzando. Poi ne premetti uno.
Il suono fu secco, leggero, limpido, breve. Ne premetti un altro, e il
suono fu diverso.
Giocai
a premere i tasti in ordine e velocità differente,
le mie dita scorrevano allegramente, inarrestabili. I suoni prodotti
richiamavano l’armonico movimento delle onde, salivano e
scendevano d’intensità, smuovendo ricordi e
sensazioni dentro e intorno a me. Io stesso mi stupivo e ne rimanevo
affascinato. Ogni cosa era imprevedibile: non c’era uno
schema da seguire, le sfumature erano infinite. Ogni nota era
un’emozione, ognuna di esse raccontava qualcosa di
sé stessa.
-
Sei nato per suonare, Edward.-, dichiarò Esme con tono
gioioso, la voce che si fuse nella melodia.
Forse
avevo finalmente trovato un passatempo degno di
un’eternità…
*******
Spazio dell'autrice:
se non ricordo male, non è detto quando Edward si
appassionò di musica. Potrei anche sbagliarmi, ma mi piaceva
l'idea che tutta la sua famiglia decidesse di regalargli un pianoforte
per il suo compleanno, che cercasse di trovare un modo per renderlo
più felice, prima che arrivasse Bella. Volevo dare spazio al
legame dei Cullen in questa shot. Spero vi sia piaciuta.
Ringrazio e rispondo a:
Bella_kristen: forse anche tu hai percepito la tenerezza di cui
parlavo. Vedo che il tuo entusiasmo non si è affievolito,
sono contenta ;)
Ninfea Blu: sono felice che ti piaccia leggere quello che
scrivo. I tuoi commenti sono sempre ben apprezzati. Ora specifico cosa
intendevo su Jacob: lasciando stare il fatto
che è un ragazzino e non fa altro che sputare
veleno su Edward, il modo in cui parla a se stesso nella mia one-shot,
l'indecisione di farsi avanti o no con Bella e la sua insicurezza in un
ambiente poco adatto a lui, mi fanno automaticamente pensare
" Che tenero. " Perché Jacob si mostra sempre come un
pallone gonfiato, sicuro di se, ostinato, quindi questo suo
comportamento è da considerarsi... dolce, per me.
Sono punti di vista, e meno male che non la pensiamo tutti
allo stesso modo a questo mondo! ;) Mi ha fatto piacere leggere le tue
impressioni.
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Capitolo 6 *** Impossible choice. (Scelta impossibile) ***
Titolo del
capitolo: Impossibile choice. (Scelta impossibile).
Personaggi principali
associati al peccato: Jane .
Personaggi secondari:
Alec, Evangeline (nuovo personaggio) .
Pairing: nessuno.
Raiting: giallo.
Genere: triste.
Avvertimenti: One
shot.
“L'avarizia nasce
dalla convinzione che certe cose ci sono necessarie mentre
probabilmente non lo sono, e dal timore che ci venga tolto
ciò da cui dipende il nostro sostentamento.”
Ari
Kiev.
Impossible
choice
Benché
non vi fossero nodi da sbrogliare e la spazzola stesse scivolando da
minuti sui miei capelli senza incontrare alcuno ostacolo, continuavo a
lisciare la mia chioma insistentemente, orgogliosa della sua lucentezza
color platino e della caratteristica morbidezza pari a quella della
seta. Le mie compagne di stanza si erano infilate nei loro letti
parlottando sommessamente. Solo Karen era rimasta ancora in piedi e mi
fissava con occhi meravigliati.
- Cosa vuoi?
La signorina Halley potrebbe arrabbiarsi nel vederti ancora sveglia.-,
le dissi con tono tagliente.
- Ho perso la
mia spazzola… Potresti prestarmi un secondo la tua? -
Il mio sguardo
si soffermò sui suoi ricci scarmigliati. – Con
tutto il lavoro che ci sarebbe da fare sulla tua testa, potresti
rovinarmela. -
Karen
spalancò gli occhi e per un attimo credei di vederli
diventare lucidi, ma non successe. Ormai tutte, lì dentro,
avevano addirittura paura di piangere davanti a me.
-
Perché non cerchi la tua spazzola? Sarà
sicuramente caduta da qualche parte. -
Karen
asserì col capo e iniziò a girare rapidamente per
la stanza. Smisi di pettinarmi per guardarmi allo specchio. Il vetro
restituì l’immagine di un volto piccolo, di forma
ovale, dai lineamenti fieri; due occhi a goccia color ambra scura,
incorniciati da lunghe e fitte ciglia, donavano al suo sguardo una luce
disarmante e letale. Sorrisi. Il mio sguardo ero ciò di
quanto più prezioso possedessi, e niente e nessuno avrebbe
potuto portarmelo via. Splendido, incantatore, pericoloso, distruttivo.
Era mio,e solo mio sarebbe stato. Non esistevano persone con occhi
più misteriosi e strani dei miei.
- Karen, se
vuoi l’ho io una spazzola. -
Voltai
impercettibilmente la testa, Evangeline mi fissava con aria contrariata
seduta sul letto. Le restituii lo sguardo, e ciò
bastò perché quella iniziasse a massaggiarsi la
testa assalita da un leggero ed improvviso fastidio.
- G-grazie.-,
balbettò la piccola Karen avvicinandosi ad Evangeline.
Povera, sciocca bambina… Così timida e
sottomessa…
Ripresi ad
osservare il mio volto sotto diverse angolazioni di luce.
Un raggio di luna colpì gli elaborati simboli
d’argento che contornavano la cornice del mio specchio e si
fuse con il bagliore aranciato della lampada ad olio. Quanto era bello
il mio specchio... Rimasi a contemplarlo in tutte le sue
rifiniture, stringendolo saldamente tra le mie mani. Era un regalo di
mia madre, uno dei tanti che mi aveva preso per viziarmi, ma uno dei
pochi che ero riuscita a salvare dopo il grande incendio della
città di Salem.
Persa nei miei
pensieri, non sentii il basso cigolio della porta che si apriva.
Sobbalzai quando un’ombra si sovrappose alla mia, proiettata
sul pavimento.
- Lady Jane,
che cosa ci fate ancora alzata a quest’ora? Perché
non vi siete infilata nel letto come le vostre compagne? -
La signorina
Halley troneggiava di fronte a me, a braccia conserte, il volto austero
illuminato dalla fievole luce della lampada ad olio posata sul
davanzale della finestra.
- Perdonatemi,
signorina Halley. Stavo spazzolando i miei capelli come di
consuetudine, indugiando sui miei pensieri. Non mi ero accorta di
quanto l’ora fosse tarda. -
- Fareste
meglio ad andare a dormire. -, ordinò imperiosa la
direttrice mentre ritirava le tende con un gesto secco. La stanza fu
quasi totalmente sommersa nel buio, unica fonte di luce era quella
irradiata dalla lampada.
- Date a me
ora, questo non vi serve. -
Quando la
signorina Halley fece per strapparmi di mano il mio prezioso specchio,
rafforzai avidamente la presa.
- Lady Jane,
che cosa state facendo!? -
- Lasciatelo,
è mio! - le intimai con tono allarmato. Cercai il contatto
diretto con i suoi occhi scuri.
-
Aaah!! -
Trionfante,
rimasi ad osservarla mentre si lasciava cadere in ginocchio sul
pavimento.
- Signorina
Halley!!! -
Strepitio di
vocine stridule e preoccupate, rumore di letti che cigolavano e
passetti affrettati. Qualcuno riaprì le tende per far
filtrare una luce maggiore nella stanza. Oltre a Karen e ad Evangeline,
riconobbi Alessa e Amelia chine sulla signorina Halley. Non accennai ad
alcun tipo di reazione, rimasi seduta sulla mia sedia ad osservare la
scena, il cuore che tamburellava incontrollato a contatto con
l’oggetto che stavo stringendo violentemente al petto: il mio
specchio.
- Signorina
Halley, state bene? -
- Vi serve
aiuto? -
- Avete
bisogno di una mano per rialzarvi? -
Stupide
leccapiedi.
-
No… No. -, ripeté l’interpellata,
sottolineando il suo dissenso con maggior vigore. - E’
passato. Tornate tutte a dormire. -
La signorina
Halley si rimise in piedi, un impercettibile sorriso le comparve sulle
labbra quando i suoi occhi si soffermarono sulle bambine. Karen teneva
gli occhi fissi sotto il mio mento, il visino paffuto segnato dalla
paura, mentre si stringeva al braccio di Evangeline.
- Lady Jane,
tenetevi pure il vostro specchio. Se separarvi ad esso vi risulta
così doloroso, dormirete stringendolo sotto il vostro
cuscino. - ,sentenziò la signorina Halley, tuttavia -io me
ne accorsi immediatamente- lo disse senza avere il coraggio di
guardarmi negli occhi. – Buonanotte a tutte. -
Solo quando la
porta fu nuovamente richiusa, e le mie compagne di stanza si furono
allontanate, mi alzai dal mio piccolo trono personale e ritirai le
tende che la signorina Halley aveva dimenticato di richiudere, troppo
impaziente di lasciare la stanza.
- Lo sapevo,
è una strega…-, mormorò Alessa. Anche
se il suo letto era distante dal punto in cui mi trovavo, potei udire
chiaramente che lei, e gran parte delle nostre compagne, avevano
sussultato per la sorpresa. Voltai la testa impercettibilmente. Non
riuscii a trattenere la voglia di lasciarmi andare ad una risata.
Niente e nessuno avrebbero potuto portarmi via la voglia di divertirmi
per il terrore che ero in grado di esercitare sulle mie compagne.
*******
Il mattino
seguente il bussare alla porta mi ridestò dal sonno.
- Tra dieci
minuti voglio trovarvi in mensa. -
Era la signorina Halley, come al solito, che veniva a chiamarci. Mi
rigirai su un fianco nel letto e sentii qualcosa di duro contro la mia
testa. Mi alzai a sedere e fissai il cuscino. C’era il mio
specchio appoggiato sopra. Il mio meraviglioso, elaborato, bellissimo
specchio. Il ricordo di ciò che era successo la notte
precedente scatenò in me una reazione automatica. Afferrai
il mio prezioso tesoro e lo riposi accuratamente nel comodino. Karen,
Alessa,Evangeline, Amelia e tutte le altre si stavano vestendo. Il mio
sguardo si posò sul comodino di Alessa. Sopra vi erano
posate delle graziose forcine per capelli .Non avevo mai fatto caso ad
esse prima d’allora, del resto, chi oltre a me e a mio
fratello Alec, possedeva qualcosa di suo in quello squallido
orfanotrofio?
I miei occhi
guizzarono furtivi su di Alessa, che era girata di schiena e stava
parlando con Evangeline, mentre si sistemava la veste. Nessuno mi stava
guardando. “Prendile, dai.”, fu
l’esortazione che arrivò al mio cervello.
Allungai una
mano e ne afferrai una, senza curarmi di esaminarla più
attentamente, e la nascosi sotto il cuscino. Tutto ciò che
volevo era avere quelle forcine.
- E poi, ieri
sei stata davvero brava nell’interrogazione. Tu si che hai
capito la spiegazione -
- Come sei
gentile. Vedi, il signor Medway è davvero un ottimo
insegnante, il tempo vola quando spiega lui! -
C'erano ancora
sei forcine sul comodino. “Forza, è
l’occasione giusta! Vai, ora!”
Allungai la mano con un gesto fulmineo e ne afferrai
un’altra. Il contatto di quel minuscolo oggetto mi fece
sentire trionfante, come se avessi appena conquistato un altro tesoro
tutto mio. Alessa voltò la testa e sorrise, lasciandosi
baciare dalla luce del sole che le illuminava il volto. I miei occhi
dardeggiarono sul muro e finsi di essermi incantata. Mi accorsi che
Evangeline, l’unica che avesse il coraggio di fissarmi per
più di due secondi, mi stava osservando. Riuscivo a sentire
i suoi occhi azzurri e indagatori su di me.
- Oggi
è una giornata magnifica. Credi che potremo rimanere un
po’ in cortile? -
Alessa si era
di nuovo voltata, ed Evangeline le stava rispondendo.
“E’ la tua occasione!”
Per la terza volta allungai la mano sul comodino ad afferrare tutte le
forcine rimaste. Gongolai dentro di me. Non vedevo già
l’ora che calasse il sole. La sera quando mi sarei coricata,
avrei avuto modo di riguardare meglio il mio bottino. Mi tolsi la
vestaglia e indossai velocemente l’uniforme. Le mie compagne
bisbigliavano tra di loro mentre si pettinavano e rifacevano i loro
letti. Avrei dovuto sbrigarmi, o sarei finita in punizione se la
signorina Halley mi avesse trovata impreparata.
- Ehi, ma che
fine hanno fatto le mie forcine? Sono sparite… -
Io ero girata
di schiena e stavo sistemando le lenzuola, perciò feci finta
di non aver sentito niente.
- Forse
qualcuno te le ha prese. -, suggerì Evangeline con uno
strano tono di voce.
- Oh, non
credo. Le avrò messe da un’altra parte, magari me
ne sono dimenticata.-, rispose Alessa.
- Ehi Jane,
hai visto delle forcine per caso? -, mi richiamò Evangeline.
Trasalii.
Eppure quella stupida non poteva avermi vista, ero stata troppo veloce;
come faceva ad essere convinta che le avessi prese io?
- Non capita
tutti i giorni di vedere delle forcine girare da sole per la stanza. Ma
se dovessi vederle, ti farò sapere.-, le dissi con tono
sereno, lasciandomi andare ad una risata fresca e cristallina.
- Smettila
Jane, le hai prese tu!-, sbottò Evangeline. Alessa a quelle
parole mi fissò sospettosa. Il silenzio calò
nella stanza, tutte le mie compagne tenevano lo sguardo fisso sulla mia
figura.
- Come puoi
esserne certa? Non so neanche come siano fatte. -, replicai con aria
impassibile.
- Lo so e
basta! Sei tu quella che ruba sempre le cose degli altri! -
Come
osava.
- Aaaaaaah!!! -
Ben
ti sta.
Iniziarono
tutte ad urlare. Karen scoppiò a piangere.
- Lily! Che
cosa le stai facendo!? Basta! -, implorò Alessa.
Concentrai
tutto l’odio verso di lei e tutta l’energia che
avevo in corpo nel mio sguardo letale. La mia pazienza aveva
oltrepassato il limite.
Alessa si
accasciò a terra accanto ad Evangeline che si teneva le mani
sulla pancia per il dolore provato.
- Sei tu che
stai facendo questo! Sei tu! - ,singhiozzò Amelia
terrorizzata.
Sciocca,
faresti meglio a scappare.
La porta si
spalancò, la signorina Halley entrò affiancata da
un uomo alto e con un viso dall’aria sveglia. In quello
stesso istante, le urla di Evangeline e di Alessa cessarono,
poiché avevo interrotto il contatto visivo.
- Evangeline,
Alessa! Cosa ci fate per terra!? -
La signorina Halley corse ad inginocchiarsi accanto alle due con aria
allarmata.
- E’
lei, è lei! - urlava Amelia indicandomi. Avrei voluto
incenerirla con lo sguardo, ma la presenza della signorina Halley e
dello sconosciuto me lo impedivano.
Le mie
compagne di stanza si erano rannicchiate contro il muro, piangendo e
tremando incontrollatamente.
La signorina
Halley mi osservò per un istante con espressione turbata.
– Ma che cosa dici, Amelia? Come può averne colpa
lady Jane? -
Ma lei sapeva.
Tuttavia non aveva il coraggio di parlare.
- A quanto
pare sono capitato proprio al momento giusto.-, esordì
l’uomo rimasto sulla soglia della porta; a giudicare dalle
rughe del viso e dai boccoli grigi, doveva avere all’incirca
una cinquantina d’anni.
La signorina
Halley aiutò Alessa ed Evangeline a rialzarsi. –
Vi presento il dottor Stephen, oggi dovrà visitare ciascuna
di voi. -
Nessuno
fiatò. Nemmeno quella fifona di Karen, che di dottori non ne
voleva nemmeno sentir parlare.
- E noi
facciamo i conti dopo. Scendete immediatamente in mensa. -
*******
Il dottore ci
aveva visitate una alla volta in una stanza privata. Secondo
ciò che disse alla signorina Halley, eravamo tutte in buone
condizioni di salute; per quanto riguardava Alessa ed Evangeline,
probabilmente soffrivano di emicrania.
Ma
che dottorino perspicace. Anche se avesse
capito il vero motivo per cui le ragazze si erano sentite male quella
mattina, non avrebbe mai potuto trovare una cura. Dopotutto, non esiste
un rimedio contro il dolore creato dall’illusione…
Per il resto
della giornata seguii le lezioni e recitai le preghiere giornaliere.
Nessuna delle mie compagne osò rivolgermi la parola.
Sembrava che l’ostilità nei miei confronti si
fosse diffusa per tutto l’orfanotrofio; neppure i maschi
erano tentati di avvicinarsi a me. Il lato positivo della cosa, era che
potevo avere mio fratello Alec tutto per me.
- Devi averne
combinata una delle tue oggi. Nessuno ha il coraggio di avvicinarsi. -,
mi aveva detto mentre ci trovavamo in cortile.
Erano rari i
momenti in cui potevamo stare insieme o scambiare due parole. Tutto per
via di quei maledetti dormitori separati.
- Se ne
dimenticheranno, vedrai.-, avevo risposto con aria annoiata, lo sguardo
perso nel cielo terso di nuvole.
- Cerca di
stare più attenta, sorellina. -
L’occhiata
che gli avevo riservato non lasciava presagire nulla di buono.
– Metti in dubbio ciò che sto dicendo? -
-
Assolutamente no. -
Mi ero
specchiata in quelle pozze color caramello così simili alle
mie e ad un tratto avevo avuto l’impulso di stringere Alec a
me. Gli avevo sorriso e baciato una guancia. Nel compiere quel gesto,
mi ero accorta che Evangeline stava guardando mio fratello.
- Che diavolo
vuoi tu? - avevo sbottato. Non sopportavo chi si permetteva di
osservare mio fratello in mia presenza, anche solo per un breve
istante. Ne ero tremendamente gelosa. Nessuna poteva portarmelo via.
Quella ragazzina sfacciata stava oltrepassando ogni limite.
-
Non devi preoccuparti. - Alec mi accarezzò una guancia per
tranquillizzarmi.
- Tu sei
l’unica persona che mi rimane. Sei tutto per me, capisci?
Nessuno deve portarti via da me. -, gli avevo ripetuto per
l’ennesima volta.
Il rumore dei
colpi alla porta mi riportò al presente. Dopo aver bussato
per tre volte, la signorina Halley entrò nel dormitorio,
avanzando a testa alta al centro della stanza. Io e le mie compagne di
stanza eravamo sul punto di coricarci.
- Questa sera,
prima che voi possiate dormire, occorre far luce su un fatto oscuro. -,
spiegò la signorina Halley soffermandosi col suo sguardo
penetrante su ognuna di noi. – E’ da tempo che
ricevo parecchie lamentele da parte di ognuna di voi sulla presunta
scomparsa di alcuni oggetti di vostra proprietà. Desidererei
porre fine a questa storia. Se c’è una colpevole,
gradirei ammettesse il misfatto. -
Silenzio
tombale. La curiosità si impadronì di me. Volevo
vedere cosa sarebbe successo di lì a breve.
- Io so chi ha
preso le nostre cose. -
Trattennero
tutte il fiato mentre gli occhi della signorina Halley si posarono su
di Evangeline. Possibile che la stesse guardando con compassione?
- E’
stata Jane. E’ stata sempre e solo lei. Le nostre spille, le
nostre collane, i nostri portafortuna… Ha preso tutto lei. -
Evangeline.
Maledetta serpe. Ero curiosa di vedere
come avrebbe fatto ad incolparmi.
- Ne sei
sicura, Evangeline? Questa è un’accusa molto
grave. Hai delle prove? -
Domanda
interessante.
-
Sì. Due giorni fa scivolai a terra per la fretta riposta nel
raggiungere la mensa. Ero già in ritardo, e temevo in suo
rimprovero, signorina Halley. -, spiegò Evangeline per
giustificare la sua caduta - … Avevo perso la mia spilla
cadendo, perciò iniziai a cercarla; vidi che era finita
sotto il letto di Jane ,così allungai la mano per
afferrarla. A quel punto mi accorsi che una delle assi del pavimento
era mobile… -
Cominciai a
sentire uno strano formicolio caldo in tutto il corpo.
- …
Fui sopraffatta dalla curiosità e… provai a
smuoverla. Riuscii ad aprirla.-
Il sangue
defluì dal mio volto, come se mi avessero tirato una
secchiata d’acqua gelida.
- Dentro
c’erano tutte le nostre cose. La collanina di Karen, il
ciondolo portafortuna di Rose, il fiocco di Amelia… I nostri
pochi averi. -
Non mi curai
di osservare l’espressione delle mie compagne di classe. I
miei occhi guizzarono da Evangelina alla signorina Halley,
l’una con espressione trionfante, soddisfatta di essere
riuscita a parlare, l’altra incredula.
- Lady Jane,
è vero ciò che dice la vostra compagna? -
- Affatto.
Evangeline si è inventata tutto solo perché non
le vado a genio. -
- Bugiarda. -,
sibilò lei.
Ma
che coraggio che hai.
- Ci permette
di controllare, allora? - mi domandò la signorina Halley con
aria timorosa.
Sbiancai. Se
l’avessero fatto… No, dovevo impedirlo. Ma se
avessi usato il mio potere, qualcuno sarebbe corso a chiamare aiuto,
allora con la certezza che gli improvvisi mal di testa che colpivano le
persone fossero causati da me, e avrei scatenato un putiferio,
infangando la stima che mio fratello Alec aveva per me.
- …
Sì, certamente. -
Le parole faticarono ad uscire dalla mia bocca, come se avessi temuto
di esplodere nel pronunciarle.
-
Evangeline…- richiamò la signorina Halley. Lei
capì e si avvicinò al mio letto. Lentamente mi
alzai e vi scesi, permettendo ad Evangeline di spostarlo. Trattenemmo
tutti il fiato quando lei sfiorò con le dita le assi del
pavimento. Avrei voluto urlare quando quelle mani indegne
toccarono l’asse mobile e la aprirono. Li dentro
c’erano i miei tesori, tutto ciò che ero riuscita
a guadagnarmi in quell’inferno di posto. Panico e
disperazione s’impossessarono di me quando collane,
bracciali, spille e fisarmoniche furono visibili a tutte. Sentii le mie
compagne, avvicinatesi per guardare , irrigidirsi e trattenere il
respiro.
- L-lady
Jane... - balbettò la signorina Halley.
Mi lanciai su
Evangeline con le mie stesse mani e la spintonai violentemente a terra.
Afferrai con foga tutto ciò che riuscivo a tenere tra le
mani, angosciata, tra i singhiozzi. Non avrei permesso a nessuno di
portarmi via le mie cose. Erano
mie. Mie e di nessun’altro.
- Lady Jane!
Cosa fate!?… -
Non
m’importava più di niente. Perforai la signorina
Halley con lo sguardo. Ma ero troppo preoccupata dei miei oggetti per
potermi concentrare mentalmente.
- Lady Jane,
lasciate subito ciò che avete tra le mani! Se non lo farete,
farò portare via vostro fratello Alec! -
Quella
minaccia gelò il sangue nelle mie vene. La paura si fece
strada in me come un tornado, la cui violenza e velocità
aumentava ogni istante.
-
No… No… Non lo farete! No! -
- Lady Jane,
voi avete bisogno di essere curata! -
- No!
No! -, continuavo a
ripetere disperata. Stringevo al petto tutti i miei averi sino a sentir
male, talvolta qualcosa mi sfuggiva dalle mani e allora, tra lacrime di
frustrazione e ringhi rabbiosi, mi chinavo per raccogliere
ciò che era caduto. Come potevo scegliere tra i miei
preziosi oggetti e Alec? Come potevano chiedermi di rinunciare a uno
dei due?
Non mi accorsi
che molte mie compagne erano uscite di corsa dalla stanza per chiamare
qualcuno.
La signorina
Halley ebbi il coraggio di avvicinarsi e di posarmi le mani sulle
spalle. –Lady Jane, si calmi, per favore! -
Allora fui
investita dalla forza dell’odio, e quella mi permise di
recuperare momentaneamente la concentrazione.
La signorina
Halley lanciò un grido disumano e cadde a terra sbattendo la
testa.
- STREGA! -,
urlò Evangeline scoppiando a piangere e afferrandomi per il
collo. In quel momento udimmo una serie di passi affrettati per il
corridoio e un gruppo indistinto di persone irruppe nella stanza. Un
uomo mi separò da Evangeline e tentò di
trascinarmi via a forza.
- E’
una strega! -
- E una
strega! -
- Strega!
Strega! -
Urlavano le
mie compagne. Io cercai di dimenarmi furiosamente, accecata dalle
lacrime, mentre l’uomo che riconobbi come il dottore che mi
aveva visitato di mattina, mi tirava per i capelli. I domestici si
erano attorniati alla signorina Halley, cercando di farla riprendere.
Non seppi mai
se il trauma riportato l’avesse uccisa o no . Non seppi mai
cosa ne fu delle mie compagne.
Mentre mi portavano via, pensai solo a due cose: ai miei oggetti,
specie al mio amato specchio, e ad Alec .
L’avarizia
e l’avidità mi avrebbero portato alla morte sul
rogo come strega, se Aro non mi avesse salvata.
*******
Spazio dell'autrice:
dalle poche informazioni che ho trovato su internet, ho scoperto che
Jane ed Alec furono portati in un orfanotrofio poiché la
loro città fu colpita da un incendio. Jane a causa delle
tensioni in orfanotrofio con gli altri bambini, fu condannata alla
morte sul rogo come strega, ma fu Aro a salvarla.
Posso dire di aver narrato un missing moment, o meglio, di averlo
inventato. Scusate se ho allungato il brodo, ma a Jane avrei preferito
associare la superbia o la lussuria, con l'avarizia, che mi
è uscita estratta a sorte assieme al personaggio da
associarle, non mi sentivo granché ispirata... La one-shot
mi è riuscita strada facendo.
Il prossimo e
ultimo capitolo sarà a Rating Rosso, perciò
dovrò pubblicarlo a parte ;) Se lo volete leggere,
controllate il mio profilo.
Ringrazio Ninfea Blu per la sua graditissima recensione ;)
Non preoccuparti per la faccenda Jacob XD E' tutto okay,
davvero! Mi ha fatto piacere leggere un punto di vista diverso
Mi gratifica ciò che hai scritto, perché la
one-shot su Edward oltre ad essere stata la prima per cui mi sono
sentita ispirata, è stata anche quella che ho rivisto e
migliorato più volte, insomma, quella su cui ho lavorato, a
sorpresa, più tempo.
Il fatto che tu riesca ad immaginare perfettamente Edward steso sul
letto a lanciare la pallina sul soffitto mi gratifica ancora di
più! Significa che sono riuscita ad esprimere correttamente
i sentimenti del mio personaggio.
Grazie davvero di tutto, lo dico col cuore, i tuoi commenti mi
riempiono di gioia. Potrà sembrare la solita frase banale,
ma non lo è, è così e basta <3
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